Tutto Rinascimento [PDF]

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RINASCIMENTO Ti

SCHEMI RIASSUNTIVI, QUADRI DI APPROFONDIMENTO

Per ricordare gli avvenimenti dell’età rinascimentale, dalla formazione di Principati e Signorie all’Europa del Cinquecento. Un quadro completo della società del tempo: il pensiero filosofico, il cammino dell’arte e dell’architettura, la letteratura dall’Umanesimo alla Controriforma, la musica e il teatro.

TUTTO

Studio



Riepilogo



Sintesi

LO STUDIO UMANESIMO E RINASCIMENTO – SCOPERTE GEOGRAFICHE ED ESPANSIONE COLONIALE – GLI STATI NAZIONALI – RIFORMA E CONTRORIFORMA – PLATONISMO, ARISTOTELISMO E NATURALISMO SOCIETÀ E ARTE NELLE CORTI – ARIOSTO, MACHIAVELLI, GUICCIARDINI E TASSO – MANIERISMO – MUSICA E TEATRO DEI SECOLI XV-XVI LA SINTESI INQUADRAMENTI STORICI E GEOGRAFICI – SINTESI INTRODUTTIVE E SCHEMI RIASSUNTIVI – APPROFONDIMENTI SU AVVENIMENTI, PERSONAGGI E OPERE PRINCIPALI – INDICE ANALITICO

TUTTO Studio Riepilogo Sintesi

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RINASCIMENTO SCHEMI RIASSUNTIVI, QUADRI DI APPROFONDIMENTO

Titolo c SETTORE DIZIONARI E OPERE DI BASE Testi: Fabio Massimo Amoroso, Giuseppe Baudo, Marco Campari, Stefano Fumagalli, Sonia Maffi, Walter Panetta, Romano Solbiati, Cristina Vitali (Storia); Carla Lunghi Rizzi; Guido Boffi, Banca dati Opere De Agostini (Filosofia); Arnaldo Colasanti, Anna Cazzini Tartaglino (Letteratura italiana); Elena Garotta, Banca dati Opere De Agostini (Storia dell’arte); Marcello Tomei, con la collaborazione di Marco Decarlis e Raffaella Raiteri (Architettura); Guido Boffi, Banca dati Opere De Agostini (Musica); Ilaria Godino (Teatro) Disegni: Marcello Tomei Copertina: Marco Santini

ISBN 978-88-418-6922-2 © Istituto Geografico De Agostini, Novara Redazione: corso della Vittoria 91, 28100 Novara www.deagostini.it prima edizione, febbraio 2011 prima edizione elettronica, marzo 2011 Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in alcuna forma e con alcun mezzo, elettronico, meccanico, in fotocopia, in disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, senza autorizzazione scritta dell’Editore. Le copie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AI DRO, corso di Porta Romana n. 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org

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on più Medioevo ma reale preludio alla Modernità, il Quattrocento e il Cinquecento sono secoli densi di cambiamenti e svolte epocali, che presentano in nuce i germi della nostra epoca. Ogni campo del sapere e dell’attività umana vede sostanziali trasformazioni: la laicizzazione della mentalità, l’ascesa della borghesia, nuova e forte classe sociale fondata su valori completamente diversi da quelli feudali; la formazione dello Stato moderno e l’allargamento degli orizzonti geografici con i viaggi di esplorazione e la scoperta dell’America; la crisi della Chiesa, la Riforma protestante e la Controriforma; la fioritura delle lettere e delle arti che, sulla spinta dell’Umanesimo, danno vita a uno dei momenti più alti nella storia dell’arte e della cultura, il Rinascimento. Compresa tra l’inizio del XV e la seconda metà del XVI secolo, questa grande “rinascita” artistica e culturale ebbe proprio in Italia il fulcro propulsore e protagonisti di eccezionali qualità, come Leon Battista Alberti, Leonardo da Vinci, Raffaello Sanzio, Michelangelo Buonarroti, Tiziano Vecellio. Ultima, ma certo non per importanza, va ricordata l’invenzione della stampa, un evento di cui mai quanto oggi, agli albori di una nuova era digitale, siamo in grado di comprendere il carattere di rivoluzione antropologica. Attraverso le diverse sezioni dedicate ai vari campi della storia, dall’arte alla filosofia, dalla politica all’architettura fino a comprendere la musica e il teatro, questo volume rappresenta un prezioso compendio che consente un agevole studio o ripasso del periodo umanistico-rinascimentale in tutti i suoi aspetti. L’approccio multidisciplinare, arricchito dai numerosi box di approfondimento, sarà in grado di guidare il lettore attraverso fatti e personaggi, stimolando confronti e paralleli e toccando tutti i temi principali.

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Guida alla consultazione Note a margine per la rapida individuazione e memorizzazione dei temi principali

Cappello introduttivo al capitolo Storia

1 Le Signorie e il Principato

Il governo delle arti e l’esclusione dei magnati a Firenze

Il fattore primario della debolezza politico-istituzionale dei Comuni risiedette nella conflittualità e nella loro discorde litigiosità. Le lotte delle fazioni si risolsero di fatto con l’affidamento delle cariche a una sola persona (podestà) e con la trasformazione dei Comuni in Signorie rese per la maggior parte dinastiche. In alcune grandi città come Genova, Firenze, Siena e Venezia non si ricorse al regime signorile ma a governi oligarchici delle famiglie più influenti entro le istituzioni repubblicane. Lungo tutto il XIV sec. vennero costituendosi Signorie che legarono insieme più città, dando origine ai Principati, veri e propri Stati regionali. Verso il 1430 entità di questo genere si erano affermate in Piemonte, a Ferrara, Milano, Venezia, Firenze, Roma, Napoli. Il nuovo assetto creato nella penisola fu sancito dalla Pace di Lodi (1454) e rimase immutato fino alla fine del 1700.

Le Signorie Nella seconda metà del XIII sec. quasi ovunque gli ordinamenti comunali si trasformarono in signorie, cioè l’effettivo esercizio del potere passò nelle mani di un solo individuo (il dominus o signore) che inizialmente fu il rappresentante delle forze borghesi che si erano affermate vittoriosamente. Il passaggio al regime signorile si attuò diversamente nelle varie realtà cittadine italiane e in alcune non rappresentò che un episodio saltuario.

■ Firenze Nel XIII sec. Firenze era uno dei maggiori centri economici italiani ed europei i cui mercanti esercitavano soprattutto il commercio della lana ma erano spesso impegnati anche in attività bancarie (nel 1252 fu coniato il fiorino d’oro, che si affermò co-

■ Venezia Diversamente che a Firenze, a Venezia le arti non ebbero mai funzione politica; inoltre non era mai esistita nemmeno una nobiltà feudale che potesse contrastare i mercanti. Il problema dei mercanti veneziani fu quello di limitare i poteri del doge, il magistrato di origine bizantina, e nello stesso tempo di impedire l’ascesa di nuove classi. Dopo aver creato organi che limitavano il potere del doge ed eliminato l’assemblea popolare, nel La “serrata 1297 (la cosiddetta “serrata del Maggior Consiglio”) fu stabilito del Maggior che potessero fare parte del Maggior Consiglio (l’organo che Consiglio” e il potere dal 1172 eleggeva il doge e aveva funzioni legislative) solo codei mercanti loro che vi avevano fatto parte negli ultimi quattro anni o apveneziani partenessero a famiglie i cui membri ne avessero fatto parte (l’aggregazione di nuove famiglie fu permessa secondo rigide norme di procedura). Due tentativi di instaurare la Signoria furono facilmente stroncati e si istituì il “Consiglio dei Dieci”, col compito di prevenire ogni attentato all’oligarchia. ■ Altre Signorie Nelle altre città italiane alcune Signorie si formarono su base podestarile, altre come vicariato imperiale, altre ancora per dedi-

Le maggiori Signorie zione a un signore forestiero. Le principali sorsero a Verona (Delitaliane la Scala), a Padova (Da Carrara), a Ferrara (D’Este), a Mantova (Gonzaga), a Treviso (Da Camino), a Ravenna (Da Polenta), a Urbino (Da Montefeltro).

L’Italia del Trecento L’espansione dei Visconti 11

Nella prima metà del XIV sec. cominciò l’espansionismo della Signoria viscontea. Dopo la lotta contro Mastino della Scala i Visconti ottennero Brescia che si aggiunse ai domini su Como,

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■ Milano Dopo la battaglia di Cortenuova a Milano si affermò Pagano del- I Visconti a Milano la Torre, feudatario appartenente a una famiglia da tempo residente nella città. L’arcivescovo Ottone Visconti, che guidava l’opposizione nobiliare ghibellina, sconfisse i Della Torre in battaglia nel 1277 e si fece proclamare signore. Il nipote Matteo estese i domini milanesi al Monferrato aprendo nuove possibilità ai mercanti e agli artigiani e trasformando Milano in una grande città manifatturiera e commerciale. Il potere fu ripreso dai Della Torre nel 1302 e i Visconti lo riconquistarono nel 1329.

me moneta per i mercati internazionali). In campo amministrativo assunse importanza sempre maggiore la borghesia delle arti (vi erano sette arti maggiori, cinque medie e nove minori). Nel 1282 si costituì il governo dei Priori delle arti, formato da sei priori che affiancarono e poi sostituirono i magistrati precedenti. Nel 1292 gli Ordinamenti di giustizia, voluti da Giano della Bella, esclusero i magnati dal governo riservando le magistrature e i consigli solo agli appartenenti alle arti minori o mediane. In seguito fu concesso ai magnati di partecipare all’amministrazione cittadina purché si iscrivessero a un’arte (fu il caso di Dante Alighieri che si iscrisse all’arte dei medici e speziali). Tra il XIII e il XIV sec. i regimi signorili furono soltanto transitori, diversamente da quanto avverrà con la famiglia Medici nel XV sec.

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Testo con le parole e i concetti chiave evidenziati in nero

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Il volume è composto da 7 sezioni che corrispondono ad altrettanti ambiti o argomenti significativi della storia e della società di Umanesimo e Rinascimento e descrivono i principali fenomeni artistico-culturali. Ogni sezione è introdotta da una presentazione che ne espone i caratteri generali. Il testo è articolato in modo da favorire la memorizzazione rapida dei tratti salienti della storia. I capitoli sono aperti da un cappello introduttivo che fornisce un rapido inquadramento dell’argomento trattato. I concetti, le opere o i nomi

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Riquadro di approfondimento Storia

8 - L’Europa nella seconda metà del Cinquecento

LA DIFFUSIONE DELLE ARMI DA FUOCO La rivoluzione rinascimentale non riguardò solo i campi artistico, letterario e filosofico ma anche quello tecnico. Una delle più importanti rivoluzioni in questo campo fu l’introduzione e diffusione delle armi da fuoco. Già in epoca medievale la cavalleria feudale era stata soppiantata dalla fanteria: milizie di mercenari a piedi, muniti di lance e archi, infrangevano facilmente l’impeto dei cavalieri; ma le armi da fuoco, pur se note già dal XIV sec., divennero d’u-

Il periodo della rinascita contrapposto a quello della “media età” Il concetto di imitazione

so comune solo nei secoli a venire. Esse segnarono un grande cambiamento nell’arte della guerra. I pezzi d’artiglieria (bombarde e colubrine) abbattevano le cinte dei castelli, mentre le armi portatili (archibugi e fucili) annullavano facilmente la protezione dell’armatura cavalleresca. In questo modo cavalleria e signori feudali persero sempre più d’importanza e si può così affermare che il Medioevo iniziò il suo declino passando anche da questa via.

no stati sì studiati, ma sempre con l’intento di adattarli alla concezione religiosa della vita e di cogliere in essi i segni premonitori della civiltà cristiana. In periodo rinascimentale invece la rilettura dei classici ebbe un nuovo scopo: si cercò innanzitutto di restituire i testi antichi alla loro forma originaria, sia dal punto di vista contenutistico che stilistico e si cercò di riscoprirne i valori morali e intellettuali per poterli confrontare con quelli attuali. I tempi moderni furono così intesi come un ritorno al passato, come una “rinascita” e nacque parallelamente il concetto di “media età” (il Medioevo) per indicare il periodo di tempo compreso tra l’età antica e quella contemporanea. Il recupero degli antichi fu un recupero critico, in cui ci si preoccupò anche di problemi stilistici e grammaticali e si sentì la necessità di imitare l’esempio degli antichi. Nacque il concetto rinascimentale di imitazione, cioè la conoscenza della humanitas che è in ogni uomo attraverso lo studio e l’emulazione, seguendone l’esempio e il procedimento, delle opere dei classici. Non ci si limitò comunque a leggere i testi antichi già a disposizione, ma se ne andarono a cercare di nuovi, e alle opere latine si affiancarono quelle greche portate in Occidente dai dotti bizantini fuggiti da Costantinopoli per l’avanzata dei Turchi (fra questi si ricordano Giorgio Gemisto Pletone, Costantino Lascaris e Giovanni Aurispa). L’Umanesimo inventò il metodo critico di approccio ai testi: furono controllati commentatori e testi commentati, cercando di giungere al senso genuino del testo, segnalando le distorsioni interpretative che poteva aver subito nel corso dei tempi. Questa cultura così legata al libro non escluse però l’uomo dalla vita civile; grandi umanisti quali Coluccio

sa anglicana (vedi cap. 6). La nuova regina, scomunicata da Pio V nel 1570, sedò le rivolte cattoliche in Irlanda ma limitò anche le insubordinazioni sociali dei puritani e si schierò a fianco degli ugonotti durante le guerre di religione in Francia. In campo economico avviò la trasformazione dello Stato in potenza navale, commerciale e coloniale (con la fondazione della colonia della Virginia in America), e minacciò il monopolio commerciale spagnolo con le colonie finanziando la guerra corsara (Francis Drake). La Corona finanziò inoltre le imprese commerciali, promosse la vendita delle terre ex ecclesiastiche e l’istituzione delle enclosures (vedi cap. 4). La decapitazione di Maria Stuart, la pretendente cattolica alla Corona inglese, spinse Filippo II ad attaccare l’Inghilterra con la sua imponente ma poco maneggevole flotta: l’Invincibile Armata che subì la più grande disfatta nella storia della marina spagnola (1588). Elisabetta I fu una grande mecenate che favorì lo sviluppo delle arti influenzate dalla cultura rinascimentale italiana e fiamminga.

della chiesa anglicana Le basi della potenza navale inglese I corsari Le enclosures La lotta con la Spagna: l’Invincibile Armata

SCHEMA RIASSUNTIVO FRANCIA

Durante il regno di Caterina de’ Medici e dei suoi figli il Paese è scosso dalle guerre di religione tra cattolici e ugonotti. Alcuni editti avevano garantito ai nobili ugonotti libertà di culto. Nella Notte di S. Bartolomeo (1572) sono massacrati a Parigi migliaia di ugonotti: ciò scatena la guerra che porta alla nomina di Enrico di Borbone, capo degli ugonotti, a re dopo la sua conversione (Enrico IV). L’Editto di Nantes riconosce a tutti piena libertà di culto (1598).

SPAGNA

Filippo Il trasferisce la capitale a Madrid dalla quale governa tutto il Regno tramite i Consigli regionali. Intransigente cattolico e caccia i moriscos dalla Spagna e combatte i Turchi nella battaglia di Lepanto (1571).

PROVINCE UNITE

L’oppressione fiscale spagnola provoca numerose sollevazioni, la violenta repressione di Filippo Il porta alla pacificazione fra le province cattoliche e calviniste (Unione di Gand). Nel 1579 le province del Nord si dichiarano indipendenti (Unione di Utrecht), mentre le province meridionali cattoliche rimangono fedeli alla Spagna (Unione di Arras).

INGHILTERRA

Dopo la reggenza di Maria la Sanguinaria, la sorellastra Elisabetta I (1558-1603) riporta l’anglicanesimo nel Regno e seda le rivolte cattoliche in Irlanda. La Corona avvia la trasformazione dello Stato in potenza navale, commerciale e coloniale (promuove imprese commerciali, finanzia la guerra corsara e la fondazione della Virginia). È una grande mecenate per letterati e artisti.

IMPERO

Ferdinando I ristruttura i domini ereditari, rafforzando il potere degli Asburgo con l’istituzione di organi di governo controllati dal sovrano. Il figlio Massimiliano Il incline al protestantesimo concede piena libertà di culto.

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Schema riassuntivo

che è particolarmente utile ricordare sono evidenziati in carattere nero più marcato. Le frequenti note a margine agevolano ulteriormente la ricapitolazione. All’interno di ogni capitolo sono presenti box e riquadri di approfondimento, che possono trattare argomenti collaterali all’esposizione principale e importanti per la sua comprensione, oppure autori e/o movimenti non altrimenti collocabili. I capitoli sono conclusi da schemi riassuntivi che espongono in sintesi i lineamenti di fondo degli eventi, dei personaggi, dei movimenti dei vari Paesi. A chiusura un indice consente una consultazione facile e rapida del volume.

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Sommario STORIA 1 Le Signorie e il Principato 2 Umanesimo e Rinascimento 3 Le scoperte geografiche e l’espansione coloniale 4 Lo sviluppo economico e demografico del Cinquecento 5 La formazione degli Stati nazionali 6 La Riforma protestante e la Controriforma cattolica 7 Il disegno egemonico di Carlo V: le guerre in Italia e in Europa 8 L’Europa nella seconda metà del Cinquecento FILOSOFIA 1 Un’epoca di cambiamenti 2 Il platonismo e l’aristotelismo rinascimentali 3 La riflessione politica nel Cinquecento 4 La Riforma protestante e il rinnovamento cattolico 5 Il naturalismo rinascimentale LETTERATURA ITALIANA 1 L’Umanesimo 2 La letteratura umanistica alla corte dei Medici: Lorenzo il Magnifico, Poliziano, Pulci 3 La letteratura umanistica

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a Ferrara e Napoli: Boiardo e Sannazaro 4 Classicismo rinascimentale 5 Ludovico Ariosto 6 Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini 7 Novellistica e teatro del Rinascimento 8 Anticlassicismo 9 Manierismo 10 Tasso e il periodo controriformistico

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ARTE 1 La nuova funzione dell’arte nel Rinascimento 2 I maestri del Rinascimento maturo 3 Il Manierismo

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ARCHITETTURA 1 Inquadramento storico 2 Aspetti tipologici 3 Architetti e opere

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MUSICA 1 La musica nell’età umanistico-rinascimentale

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TEATRO 1 Il teatro nel Rinascimento 2 La Commedia dell’Arte

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STORIA

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1 Le Signorie e il Principato 2 Umanesimo e Rinascimento 3 Le scoperte geografiche e l’espansione coloniale 4 Lo sviluppo economico e demografico del Cinquecento 5 La formazione degli Stati nazionali 6 La Riforma protestante e la Controriforma cattolica 7 Il disegno egemonico di Carlo V: le guerre in Italia e in Europa 8 L’Europa nella seconda metà del Cinquecento

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L’inizio dell’età moderna viene generalmente fissato con la scoperta del continente americano (1492). L’arco di tempo che comprende Quattrocento e Cinquecento è caratterizzato da profonde trasformazioni che interessano ogni aspetto della vita umana. I viaggi di esplorazione, le nuove rotte commerciali e la scoperta di nuovi continenti trasformano gli orizzonti mentali ed economici dell’uomo europeo e avviano un processo di interrelazione su scala mondiale della storia. L’unità religiosa dell’Occidente cristiano viene rotta dalla Riforma protestante, mentre il pensiero filosofico si avvale di nuovi metodi sganciati dalla tradizione e dall’insegnamento delle autorità del passato.

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1 Le Signorie e il Principato Il fattore primario della debolezza politico-istituzionale dei Comuni risiedette nella conflittualità e nella loro discorde litigiosità. Le lotte delle fazioni si risolsero di fatto con l’affidamento delle cariche a una sola persona (podestà) e con la trasformazione dei Comuni in Signorie rese per la maggior parte dinastiche. In alcune grandi città come Genova, Firenze, Siena e Venezia non si ricorse al regime signorile ma a governi oligarchici delle famiglie più influenti entro le istituzioni repubblicane. Lungo tutto il XIV sec. vennero costituendosi Signorie che legarono insieme più città, dando origine ai Principati, veri e propri Stati regionali. Verso il 1430 entità di questo genere si erano affermate in Piemonte, a Ferrara, Milano, Venezia, Firenze, Roma, Napoli. Il nuovo assetto creato nella penisola fu sancito dalla Pace di Lodi (1454) e rimase immutato fino alla fine del 1700.

Le Signorie Nella seconda metà del XIII sec. quasi ovunque gli ordinamenti comunali si trasformarono in signorie, cioè l’effettivo esercizio del potere passò nelle mani di un solo individuo (il dominus o signore) che inizialmente fu il rappresentante delle forze borghesi che si erano affermate vittoriosamente. Il passaggio al regime signorile si attuò diversamente nelle varie realtà cittadine italiane e in alcune non rappresentò che un episodio saltuario. ■ Milano Dopo la battaglia di Cortenuova a Milano si affermò Pagano del- I Visconti a Milano la Torre, feudatario appartenente a una famiglia da tempo residente nella città. L’arcivescovo Ottone Visconti, che guidava l’opposizione nobiliare ghibellina, sconfisse i Della Torre in battaglia nel 1277 e si fece proclamare signore. Il nipote Matteo estese i domini milanesi al Monferrato aprendo nuove possibilità ai mercanti e agli artigiani e trasformando Milano in una grande città manifatturiera e commerciale. Il potere fu ripreso dai Della Torre nel 1302 e i Visconti lo riconquistarono nel 1329.

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■ Firenze Nel XIII sec. Firenze era uno dei maggiori centri economici italiani ed europei i cui mercanti esercitavano soprattutto il commercio della lana ma erano spesso impegnati anche in attività bancarie (nel 1252 fu coniato il fiorino d’oro, che si affermò co-

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me moneta per i mercati internazionali). In campo amministrativo assunse importanza sempre maggiore la borghesia delle arti (vi erano sette arti maggiori, cinque medie e nove minori). Nel 1282 si costituì il governo dei Priori delle arti, formato da sei priori che affiancarono e poi sostituirono i magistrati precedenti. Nel 1292 gli Ordinamenti di giustizia, voluti da Giano della Bella, esclusero i magnati dal governo riservando le magistrature e i consigli solo agli appartenenti alle arti minori o mediane. In seguito fu concesso ai magnati di partecipare all’amministrazione cittadina purché si iscrivessero a un’arte (fu il caso di Dante Alighieri che si iscrisse all’arte dei medici e speziali). Tra il XIII e il XIV sec. i regimi signorili furono soltanto transitori, diversamente da quanto avverrà con la famiglia Medici nel XV sec.

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Il governo delle arti e l’esclusione dei magnati a Firenze

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■ Venezia Diversamente che a Firenze, a Venezia le arti non ebbero mai funzione politica; inoltre non era mai esistita nemmeno una nobiltà feudale che potesse contrastare i mercanti. Il problema dei mercanti veneziani fu quello di limitare i poteri del doge, il magistrato di origine bizantina, e nello stesso tempo di impedire l’ascesa di nuove classi. Dopo aver creato organi che limitavano il potere del doge ed eliminato l’assemblea popolare, nel La “serrata 1297 (la cosiddetta “serrata del Maggior Consiglio”) fu stabilito del Maggior che potessero fare parte del Maggior Consiglio (l’organo che Consiglio” e il potere dal 1172 eleggeva il doge e aveva funzioni legislative) solo codei mercanti loro che vi avevano fatto parte negli ultimi quattro anni o apveneziani partenessero a famiglie i cui membri ne avessero fatto parte (l’aggregazione di nuove famiglie fu permessa secondo rigide norme di procedura). Due tentativi di instaurare la Signoria furono facilmente stroncati e si istituì il “Consiglio dei Dieci”, col compito di prevenire ogni attentato all’oligarchia. ■ Altre Signorie Nelle altre città italiane alcune Signorie si formarono su base podestarile, altre come vicariato imperiale, altre ancora per dediLe maggiori Signorie zione a un signore forestiero. Le principali sorsero a Verona (Delitaliane la Scala), a Padova (Da Carrara), a Ferrara (D’Este), a Mantova (Gonzaga), a Treviso (Da Camino), a Ravenna (Da Polenta), a Urbino (Da Montefeltro).

L’Italia del Trecento L’espansione dei Visconti 12

Nella prima metà del XIV sec. cominciò l’espansionismo della Signoria viscontea. Dopo la lotta contro Mastino della Scala i Visconti ottennero Brescia che si aggiunse ai domini su Como,

1 - Le Signorie e il Principato

Vercelli, Pavia, Lodi, Piacenza, Cremona, Crema e Bergamo. Giovanni Visconti (1349-1354) si impadronì di Parma, Alessandria, Tortona, Bologna e Genova. I suoi nipoti Galeazzo, Bernabò e Matteo persero Genova e Bologna. Nel corso del XIV sec. Firenze fu invece percorsa da lotte intestine tra famiglie rivali, ordinate negli schieramenti guelfo e ghibellino. Dopo transitori periodi di regime signorile (Roberto e Carlo d’Angiò e Gualtiero di Brienne) Firenze entrò in conflitto con lo Stato Pontificio per non aver aderito alla Lega antiviscontea, conflitto che ebbe ripercussione sulla vita civile, portando al cosiddetto tumulto dei ciompi (dal nome dei cardatori di lana detti ciompi) Il tumulto dei ciompi nel 1378. I ciompi (scardassatori e lavoratori dell’industria la- a Firenze e le sue niera) si sollevarono contro la borghesia e nominarono un lo- conseguenze ro gonfaloniere, Michele di Lando. La classe dirigente dovette costituire nuove arti (tintori, farsettai, ciompi) e ammettere al governo i loro rappresentanti. Indeboliti internamente dalla defezione dei tintori e dei farsettai e abbandonati da Michele di Lando, i ciompi furono estromessi dal potere che passò nelle mani di poche famiglie di grandi commercianti e banchieri, come gli Albizzi e gli Strozzi, per passare nella seconda metà del XV sec. in quelle della famiglia de’ Medici.

Dalle Signorie ai Principati

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Divenuti padroni delle città e del contado i signori ottennero poi anche il titolo per governare legittimamente, titolo che fu conferito dall’imperatore o dal papa così che i Visconti divennero duchi di Milano, i Gonzaga di Mantova, gli Estensi di Ferrara e i Medici di Firenze. Dalla Signoria si era ormai passati al Principato. A partire dalla fine del Trecento e per tutto il XV sec. protagonisti della vita italiana furono cinque grandi Stati regionali: il Ducato di Milano, la Repubblica di Venezia, la Repubblica di Firenze, lo Stato della Chiesa e il Regno di Napoli. Gian Galeazzo Visconti prese il potere a Milano nel 1385 e ricominciò la politica espansionistica. Ricevuto dall’imperatore Venceslao il titolo di duca di Milano nel 1395, tra il 1399 e il 1402 conquistò Pisa, Assisi, Siena, Spoleto, Perugia e Bologna. Alla sua morte tutte le conquiste svanirono e i domini originari, prima divisi tra i figli, furono poi riunificati dal figlio Filippo Maria (1412-1447). Tutti gli Stati regionali italiani furono coinvolti nella lotta per il potere sul Regno di Napoli, conteso da Angioini e Aragonesi. Il Visconti, dapprima alleato dei d’Angiò, si unì poi, schierandosi contro Venezia, Firenze, il papa e Francesco Sforza (signore di un territorio nelle Marche), ad Alfonso d’Aragona, dopo averlo vinto nel 1442. Alla morte di Filippo Maria molti territori si resero indipendenti

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La legittimazione del potere signorile e i cinque grandi Stati regionali italiani

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Storia

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e Venezia occupò Lodi e Piacenza: Milano fece allora ricorso a Francesco Sforza che nel 1450 ne divenne signore. Firenze, preoccupata dall’espansione veneziana, si alleò con Milano, Venezia con Alfonso d’Aragona. La lotta si protrasse a lungo, fino a quanLe lotte tra gli Stati do nel 1454 lo Sforza e Venezia stipularono la Pace di Lodi (Veregionali, la Pace di nezia tenne Bergamo e Brescia e ottenne Crema; vedi cartina stoLodi e la Lega Italica rica a pag. 16) alla quale seguì la formazione di una Lega Italica che avrebbe dovuto garantire pace alla penisola. A Firenze, città protagonista dell’opposizione antiviscontea e poi antiveneziana, dopo il fallimento del governo dei ciompi, alle grandi famiglie plutocratiche si oppose quella dei Medici (al potere dal 1434 con Cosimo), sostenitrice della media borghesia mercantile e artigianale. Nel 1469 il potere passò nelle mani dei nipoti di Cosimo, Lorenzo e Giuliano. Lorenzo accentrò il dominio fiorentino in Toscana e dovette affrontare una congiura ordita dalle maggiori La Firenze medicea casate fiorentine guidate dai Pazzi (1478) e appoggiata dal papa, e la congiura che fallì per opera del popolo favorevole ai Medici. Lorenzo afdei Pazzi fermò il suo prestigio tra il 1485 e il 1492, periodo in cui fu l’ago della bilancia dell’equilibrio italiano grazie all’alleanza con Milano e Napoli. A Milano, dopo un periodo di crisi interna, Ludovico Sforza detto il Moro assunse la tutela del nipote Gian GaGli Sforza leazzo (1480), erede del Ducato, al quale fece sposare la nipote signori di Milano di Ferrante d’Aragona, re di Napoli (1489).

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LE SIGNORIE

Nella seconda metà del XII sec. gli ordinamenti comunali si trasformano in Signorie. A Milano dopo i Della Torre si affermano (1277) i Visconti che conquistano altre città. A Firenze si costituisce nel 1282 il governo dei “priori delle arti”. Nel 1292 gli “Ordinamenti di giustizia” di Giano della Bella escludono i magnati fiorentini dal governo. A Venezia con la “serrata del Maggior Consiglio” (1297) viene ristretta la partecipazione alla vita amministrativa.

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I Visconti combattono i Della Scala ed estendono i loro domini soprattutto con Giovanni (1349-1354). A Firenze, percorsa da lotte intestine, scoppia il tumulto dei ciompi (1378) con cui le arti minori eleggono un loro gonfaloniere (Michele di Lando) e ottengono di partecipare al governo. Il potere passa poi nelle mani delle grandi famiglie aristocratiche.

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Dalla fine del XIV sec. i grandi signori ottengono da papa e imperatore la legittimazione del loro potere: nascono i Principati. Gian Galeazzo Visconti, tra il 1399 e il 1402, estende i domini milanesi. Il figlio Filippo Maria si schiera con gli Aragonesi, contro Firenze, Venezia, il papa e gli Angioini, nella lotta per il Regno di Napoli. Nel 1450, morto Filippo Maria e persi alcuni territori, i cittadini chiamano Francesco Sforza. Milano, Venezia, Firenze e gli Aragonesi si scontrano più volte fino alla Pace di Lodi (1454) che sancisce un periodo di pace. A Firenze si afferma la signoria medicea dal 1434. Lorenzo de’ Medici affronta la Congiura dei Pazzi (1478) e offre alla città un periodo di grande splendore (1485-1492). A Milano nel 1480 Ludovico Sforza il Moro assume la tutela dell’erede al Ducato.

1 - Le Signorie e il Principato

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a Pace di Lodi consacrò il principio dell’equilibrio tra i principali Stati italiani, ancora immuni dall’intervento militare straniero. Notiamo la consolidata espansione in terraferma da parte di Venezia, fino a quel tempo in grave conflitto con la Milano viscontea e poi sforzesca. Lo Stato della Chiesa era in piena espansione, giungendo ben presto a minacciare i domini estensi e i potentati locali (Montefeltro ecc.); il Ducato di Savoia, ancora gravitante verso Chambéry, iniziava a interessarsi delle questioni italiane. Di grande importanza il Regno d’Aragona, che Alfonso I, partendo dalla Sicilia, nel 1442 aveva esteso fino a Napoli e all’Abruzzo. Rimanevano indipendenti la Repubblica di Genova (in declino), la Repubblica di Siena e l’importante Repubblica medicea di Firenze.

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2 Umanesimo e Rinascimento I mutamenti avvenuti negli ultimi secoli del Medioevo, l’emergere di nuovi ceti sociali, il diffondersi di nuove attività commerciali, il tramonto dell’Impero e la crisi della Chiesa, la formazione degli Stati nazionali in Europae delle Signorie in Italia corrispondevano a mutamenti della mentalità generale ben riscontrabili anche nell’arte e nella cultura. Tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento entrò in crisi la cultura elaborata nelle Università dalla Scolastica e sorsero centri alternativi di cultura, staccati dall’ambiente ecclesiastico. I valori del passato entrarono in crisi: se il Medioevo aveva celebrato la vita ultraterrena come fine ultimo dell’uomo, con la nuova età fu esaltata la vita terrena ed elaborata una nuova concezione della persona umana. Veicolo di questo nuovo modo di vedere la realtà e soprattutto la persona umana fu la riscoperta delle opere del mondo antico, non solo i testi letterari, ma anche le sculture, le pitture,e ogni tipo di manifestazione artistica. Umanesimo (il movimento intellettuale che diede l’avvio alla nuova cultura) e Rinascimento (nome dato alla civiltà culturale e artistica nata con l’Umanesimo), oltre a incentrare le proprie tematiche sull’uomo, allargarono i propri orizzonti alla natura e alla scienza conducendo a nuove scoperte in ogni campo e fornendo l’impulso anche ai grandi viaggi d’esplorazione.

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Verso una nuova cultura L’impronta religiosa della cultura medievale

Tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento entrò in crisi la cultura elaborata nelle Università a partire dall’XI sec. La produzione artistica e letteraria aveva avuto spesso come oggetto temi religiosi, basti ricordare la Divina Commedia dantesca o le pitture di Giotto, mentre in campo architettonico la grandiosità della Chiesa si espresse nelle basiliche romaniche e nelle cattedrali gotiche. Gli studi erano stati per Il metodo scolastico la maggior parte incentrati sull’aspetto teologico. Dall’esigenza di elaborare una teologia sistematica e unitaria era nata la filosofia scolastica (così chiamata perché veniva insegnata nelle scuole) la quale aveva elaborato un metodo di studio e di ricerca la cui caratteristica principale fu quella di procedere in modo deduttivo, cioè dall’universale al particolare. Alla base di questo metodo vi era la lettura dei testi (lectio) da cui si sviluppava il commento dell’insegnante (sententia) che veniva discusso secondo le problematiche che suscitava (quaestio) e delle quali venivano elaborate delle soluzioni (determinationes). A partire dal XIII sec. si co16

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2 - Umanesimo e Rinascimento

minciò a discutere di un problema senza partire dalla lettura dei testi e nacque così la disputa (disputatio). Il ruolo preminente della religione si può dedurre anche dal monopolio che la Chiesa esercitava sull’istruzione: nonostante le Università fossero nate da associazioni laiche, la Chiesa provvide subito a inserirvi i propri insegnanti o a sottoporle alla propria autorità inserendovi un cancelliere che aveva il compito di concedere la licentia docendi, cioè il permesso di insegnare. La presenza ecclesiastica nelle Università aumentò nel XIII sec. in seguito al massiccio ingresso degli ordini mendicanti (Domenicani e Francescani). Già in età comunale cominciò però a svilupparsi, accanto alla formazione retorica, teologica e giuridica, una formazione tecnicoprofessionale di cui ebbero bisogno soprattutto i mercanti che dovevano imparare tecniche di calcolo, di scrittura per lettere commerciali e di tutto ciò che potesse servire ad amministrare meglio i loro affari. Le autorità cittadine o i privati organizzarono così nuove scuole, al termine delle quali colui che voleva intraprendere un’attività commerciale doveva anche frequentare una bottega artigianale o un negozio di vendita svolgendo un tirocinio pratico. Queste nuove attività economiche, connesse alla formazione di nuovi ceti sociali, i mutamenti politici avvenuti alla fine del Medioevo (crisi della Chiesa e dell’Impero), il formarsi di Signorie e Principati in Italia e di Stati monarchici in Europa furono tutti elementi che contribuirono anche alla fine della civiltà medievale, dei suoi valori, dei suoi modi di vivere.

La nuova formazione tecnico-professionale: verso una nuova cultura

La riscoperta dell’antichità L’aspetto più importante della nascente cultura fu la nuova concezione che si ebbe dell’uomo e la valutazione che si fece della sua personalità e delle sue attività. Valori quali l’intelligenza, la bellezza, la fama, la ricchezza furono tutti riscoperti in una prospettiva individualistica. Tutto questo alla luce di una speciale rilettura naturalistica del mondo antico. Il termine Umanesimo ha origine dall’espressione latina humanae litterae con la quale si indica la letteratura che ha per oggetto l’uomo e la sua formazione spirituale e morale. Secondo l’umanista Leonardo Bruni lo studio delle cose riguardanti l’uomo poteva aiutare l’uomo stesso a perfezionarsi e a diventare più capace di un’armonica convivenza con i suoi simili. La realizzazione dell’uomo poteva avvenire anche durante la sua vita terrestre, senza per questo svalutare quella ultraterrena. I classici latini nel Medioevo era-

La nuova concezione dell’uomo e la riscoperta dei classici

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Storia LA DIFFUSIONE DELLE ARMI DA FUOCO

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Il concetto di imitazione

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Il periodo della rinascita contrapposto a quello della “media età”

so comune solo nei secoli a venire. Esse segnarono un grande cambiamento nell’arte della guerra. I pezzi d’artiglieria (bombarde e colubrine) abbattevano le cinte dei castelli, mentre le armi portatili (archibugi e fucili) annullavano facilmente la protezione dell’armatura cavalleresca. In questo modo cavalleria e signori feudali persero sempre più d’importanza e si può così affermare che il Medioevo iniziò il suo declino passando anche da questa via.

no stati sì studiati, ma sempre con l’intento di adattarli alla concezione religiosa della vita e di cogliere in essi i segni premonitori della civiltà cristiana. In periodo rinascimentale invece la rilettura dei classici ebbe un nuovo scopo: si cercò innanzitutto di restituire i testi antichi alla loro forma originaria, sia dal punto di vista contenutistico che stilistico e si cercò di riscoprirne i valori morali e intellettuali per poterli confrontare con quelli attuali. I tempi moderni furono così intesi come un ritorno al passato, come una “rinascita” e nacque parallelamente il concetto di “media età” (il Medioevo) per indicare il periodo di tempo compreso tra l’età antica e quella contemporanea. Il recupero degli antichi fu un recupero critico, in cui ci si preoccupò anche di problemi stilistici e grammaticali e si sentì la necessità di imitare l’esempio degli antichi. Nacque il concetto rinascimentale di imitazione, cioè la conoscenza della humanitas che è in ogni uomo attraverso lo studio e l’emulazione, seguendone l’esempio e il procedimento, delle opere dei classici. Non ci si limitò comunque a leggere i testi antichi già a disposizione, ma se ne andarono a cercare di nuovi, e alle opere latine si affiancarono quelle greche portate in Occidente dai dotti bizantini fuggiti da Costantinopoli per l’avanzata dei Turchi (fra questi si ricordano Giorgio Gemisto Pletone, Costantino Lascaris e Giovanni Aurispa). L’Umanesimo inventò il metodo critico di approccio ai testi: furono controllati commentatori e testi commentati, cercando di giungere al senso genuino del testo, segnalando le distorsioni interpretative che poteva aver subito nel corso dei tempi. Questa cultura così legata al libro non escluse però l’uomo dalla vita civile; grandi umanisti quali Coluccio

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La rivoluzione rinascimentale non riguardò solo i campi artistico, letterario e filosofico ma anche quello tecnico. Una delle più importanti rivoluzioni in questo campo fu l’introduzione e diffusione delle armi da fuoco. Già in epoca medievale la cavalleria feudale era stata soppiantata dalla fanteria: milizie di mercenari a piedi, muniti di lance e archi, infrangevano facilmente l’impeto dei cavalieri; ma le armi da fuoco, pur se note già dal XIV sec., divennero d’u-

2 - Umanesimo e Rinascimento L’INVENZIONE DEI CARATTERI MOBILI DELLA STAMPA Una delle invenzioni più importanti e più carica di conseguenze per l’avvenire fu quella dei caratteri mobili da stampa (anche se il primo libro stampato era apparso in Cina nell’858). Durante il Medioevo le opere si diffondevano grazie al lavoro degli amanuensi che copiavano i testi antichi e moderni. Alla fine del Quattrocento comparvero i caratteri mobili, prima in legno e poi in metallo; ogni singola lettera veniva prodotta in serie, ogni carattere isolato e mobile diveniva intercambiabile, permettendo così di comporre e ricomporre qualunque combinazione o modello. Grazie alla stampa si diffusero rapidamente molti testi letterari e la cultura penetrò in

strati sociali che fino ad allora ne erano stati esclusi. Proprio questa conseguenza, però, che comportava il vantaggio dell’istruzione data a tutti ma ne cambiava la qualità, fece sì che alcuni spiriti profondi non condividessero il generale entusiasmo per la divulgazione della nuova tecnica. Nel 1456 in Germania, a Magonza, apparve nella stamperia di Johann Gutenberg la prima versione a stampa della Bibbia latina. Da allora le stamperie si diffusero in ogni parte d’Europa e in Italia Venezia raggiunse il primato per numero di stampatori e pregio delle edizioni, tra cui si distinsero quelle cosiddette aldine, dal nome dello stampatore Aldo Manuzio.

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Salutati, Leonardo Bruni, Lorenzo Valla, Leon Battista Alberti, Giovanni Pontano esaltarono l’impegno dell’uomo nelle attività terrene e furono essi stessi impegnati nella vita politica.

Gli umanisti e la partecipazione alla vita civile e politica

I centri di cultura Il centro propulsore di questi nuovi studi, indagini e scoperte furono le corti signorili dove i principi gareggiarono nell’attrarre artisti, letterati e filosofi. Gli intellettuali da parte loro anelavano a divenire consiglieri dei principi e a collaborare alla vita delle corti. Difficile dire quando ciò avvenne, ma a poco a poco artisti e letterati cessarono di partecipare alla vita politica; la loro produzione assunse talvolta carattere encomiastico, di idealizzazione della figura del principe, paragonato ai grandi uomini dell’antichità (Cesare e Augusto divennero i modelli ideali). Le corti signorili offri- Il mecenatismo rono agli intellettuali biblioteche ricche di manoscritti e (do- dei principi po l’invenzione dei caratteri mobili) di libri stampati. A Firenze nel 1437 fu fondata da Cosimo de’ Medici la biblioteca Medicea, a Venezia la Marciana (1460), a Roma la Vaticana (1484). Tutto ciò fu sintomatico dell’importanza che aveva la cultura nella formazione del consenso politico e il segno della forza acquisita dalla concezione umanistica della vita. Persino la posizione della Chiesa non fu quasi mai avversa al movimento rinascimentale; le idee umanistiche pe19

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Il latino dei classici come elemento unificante

Gli umanisti più noti

Il ritorno della produzione poetica e del volgare

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Storia

netrarono spesso nel mondo cattolico ed ecclesiastico, i papi Pio II e Niccolò V furono essi stessi degli umanisti. Con i frequenti spostamenti di sede degli umanisti e gli scambi culturali che avvenivano tra le diverse città, si formò un latino diverso da quello medievale, ispirato ai modelli classici, che divenne un importante elemento di unificazione in un momento in cui non esisteva ancora nella penisola, oltre che unità politica, anche unità linguistica. Nelle classi più colte cominciò a svilupparsi l’idea di una comune civiltà fondata sulla cultura classica e sulla lingua dell’antica Roma. I principali centri di cultura furono Firenze, Milano, Roma e Napoli, ma sono da ricordare anche centri minori quali Urbino, Ferrara, Mantova, Rimini, dove i Montefeltro, gli Estensi, i Gonzaga e i Malatesta non furono inferiori agli altri signori (soprattutto ai Medici e ai Visconti) nell’attirare a sé gli intellettuali del tempo. A Firenze, oltre agli umanisti già citati, vanno ricordati filosofi come Marsilio Ficino (che nell’opera Theologia Platonica indicava l’identità essenziale fra la dottrina cristiana e l’insegnamento platonico), Giannozzo Manetti e Pico della Mirandola. I principali studiosi di Roma furono Lorenzo Valla e Giulio Pomponio Leto, fondatore dell’Accademia romana. A Napoli si distinsero, sotto la protezione dei re aragonesi, Antonio Beccadelli che fondò l’Accademia pontaniana e Giovanni Pontano che scrisse poesie e dialoghi in latino. A Ferrara insegnò il veronese Guarino Guarini, a Milano operò il grande pedagogista Vittorino da Feltre.

Letteratura, arte e scienza Opere letterarie e scrittori del Rinascimento

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La produzione poetica, dopo la morte del Petrarca, fu ripresa alla fine del Quattrocento con la pubblicazione delle opere di Poliziano e di Lorenzo il Magnifico. Molte opere quattrocentesche furono scritte in latino; le migliori furono i trattati scritti in forma di dialogo, le epistole e le opere storiche. Nella seconda metà del Quattrocento tornarono a prevalere gli scritti in italiano volgare, tanto che gli studiosi di letteratura chiamano questo periodo “umanesimo volgare”. A Ferrara tornò a fiorire il poema cavalleresco con l’Orlando innamorato del Boiardo, a Napoli il Sannazaro con l’Arcadia lanciò un nuovo modello di poesia bucolica, a Firenze ricomparve la satira nell’opera del Pulci, il Morgante. Opere importantissime furono prodotte all’inizio del Cinquecento: l’Orlando Furioso dell’Ariosto, il Principe e I discorsi sopra la prima deca di Tito Livio di Machiavelli, gli

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2 - Umanesimo e Rinascimento

Asolani del Bembo, il Cortegiano del Castiglione. Fu il periodo della disputa su quale fosse la miglior lingua da usare da parte di tutti gli scrittori, in cui prevalse la teoria di Pietro Bembo secondo cui la migliore tradizione espressiva era quella offerta dal fiorentino. La cultura rinascimentale si espresse anche in campo pittorico, scultoreo e architettonico. La nuova importanza conferita all’uomo trovò espressione nel superamento degli schemi astratti dell’arte bizantina; non più schemi rigidi e amorfi e tratti costanti nella raffigurazione umana (ad esempio la barba era costantemente presente nelle raffigurazioni degli imperatori) ma figure di singoli individui, ognuno con propri atteggiamenti, espressioni e stati d’animo. Chiari esempi sono la Gioconda di Leonardo, le Veneri del Botticelli, le nudità audaci del Giudizio Universale di Michelangelo, la plasticità delle figure inserite in prospettiva del Masaccio. Tutti quanti i pittori, tra cui si ricordano anche Donatello e Piero della Francesca, espressero nelle loro figure il nuovo senso di energia morale e dignità umana di cui tanto avevano parlato gli umanisti. In campo scultoreo il cambiamento iniziò con Andrea e Giovanni Pisano e Arnolfo di Cambio che riprodussero fedelmente nelle loro opere i tratti della figura umana fino a esprimerne sentimenti ed emozioni. In campo architettonico, le nuove costruzioni di Bramante e Brunelleschi abbandonarono sia la staticità del romanico sia il dinamismo del gotico, ricomponendo il tutto in uno spazio misurato e armonico. Il processo di rinnovamento investì anche il campo scientifico. Gli scienziati si servirono del metodo sperimentale e furono divulgate conoscenze fino ad allora nascoste. Sono da ricercare qui le basi della “rivoluzione scientifica” del Seicento e della nuova concezione del cosmo, negli studi di Leonardo, nella sua continua sperimentazione attraverso la costruzione di modelli riproducenti la realtà o tesi verso nuove invenzioni, nella teoria elaborata da Copernico in cui non è la Terra a essere posta al centro dell’universo ma il Sole. Da non dimenticare è infine l’impulso dato dalla cultura del tempo ai viaggi e alle scoperte geografiche. La sete di avventura e di nuove scoperte, senza dimenticare anche l’aspetto economico alla base di certe missioni, spinse uomini quali Bartolomeo Diaz, Vasco da Gama, Cristoforo Colombo e Amerigo Vespucci a compiere i loro viaggi per mare (vedi cap. 3)

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Il rinnovamento nella pittura, nella scultura e nell’architettura

Le basi della “rivoluzione scientifica”

Viaggi ed esplorazioni: la scoperta dell’America

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Storia

SCHEMA RIASSUNTIVO LA NUOVA CULTURA E LA RISCOPERTA DELL’ANTICHITÀ

La crisi della Scolastica porta ad una nuova cultura, più concreta e laica, favorita dalla riscoperta e dallo studio dei classici dell’antichità. Invenzione della stampa a caratteri mobili.

I CENTRI DI CULTURA

I maggiori centri di cultura dei nuovi studi sono le corti signorili: Firenze, Milano, Roma, Napoli, Urbino, Ferrara e Mantova.

LETTERATURA, ARTE

Il processo di rinnovamento investe tutti i campi del sapere e dell’attività umana. In campo letterario si distinguono personalità come Poliziano, Lorenzo il Magnifico, Boiardo, Sannazaro, Ariosto, Machiavelli, Bembo; nell’arte i maggiori capolavori sono opera di Masaccio, Brunelleschi, Leonardo, Botticelli, Michelangelo e Bramante. Anche le scienze vivono trasformazioni notevoli: si afferma il metodo sperimentale e si pongono le basi per la rivoluzione scientifica del Seicento. I viaggi e le esplorazioni ampliano gli orizzonti geografici e culturali.

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3 Le scoperte geografiche

e l’espansione coloniale

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Gli Stati europei nel XV e XVI sec. finanziarono viaggi ed esplorazioni geografiche spinti da una politica di potenza e da motivazioni di ordine economico. Le miniere sudanesi che avevano fornito oro all’Europa sin dal Medioevo si erano ormai quasi esaurite. La crescita degli scambi commerciali con le Indie rese urgente alla fine del XV sec. l’apertura di una via marittima intorno all’Africa che desse accesso all’Oceano Indiano, aggirando l’Impero ottomano. Le recenti invenzioni tecniche e il perfezionamento della bussola garantivano una navigazione sempre più sicura. La casuale scoperta del continente americano a opera di Cristoforo Colombo diede il via alla colonizzazione di vasti territori ricchi di oro e metalli preziosi e alla evangelizzazione di antiche e sconosciute civiltà. Giunsero in Europa dalle Americhe nuovi prodotti come il mais, la patata, il pomodoro, il cacao, destinati in seguito a entrare nell’uso comune. Le nuove rotte commerciali ponevano in evidenza i porti atlantici segnando l’inizio della decadenza del Mediterraneo e di Venezia: l’economia stava per diventare mondiale.

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Le esplorazioni geografiche

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Colombo scopre l’America

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L’avvio delle esplorazioni geografiche si deve al genovese Cristoforo Colombo il quale (tra la fine del XV sec. e l’inizio del XVI), volendo raggiungere le Indie attraverso l’Atlantico, su navi fornitegli dalla flotta spagnola, si imbatté nel continente americano (1492-1504). Intanto la circumnavigazione del continente africano a opera di Vasco da Gama (1497-98) assicurò ai Portoghesi il monopolio del mercato delle spezie e aprì una nuova via per le Indie. Altre nazioni come l’Inghilterra, la Francia e l’Olanda si affrettarono a organizzare viaggi ed esplorazioni rompendo il monopolio ispano-portoghese. Le spedizioni di Cortés (1519-35), Pizarro (153135) e Cartier (1534-41) inaugurarono la pratica degli Stati europei di acquisire le terre di nuova scoperta, mentre continuavano le esplorazioni delle coste atlantiche del continente americano nei viaggi dei fratelli Caboto (1497, 1508, 1553-57), di Amerigo Vespucci (1499-1501), di da Verrazano (1524) e di Hudson (1607-10).

Vasco da Gama circumnaviga l’Africa

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Cortés, Pizarro e Cartier iniziano la colonizzazione in America

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Storia CRISTOFORO COLOMBO Basandosi sul presupposto che la Terra fosse rotonda Colombo era convinto di poter raggiungere le Indie veleggiando verso occidente, ma valutò in modo errato l’estensione del continente asiatico verso est e quindi la distanza effettiva tra Europa e Indie. I sovrani spagnoli che finanziarono il suo viaggio si impegnarono, in caso di successo, a conferirgli il titolo di ammiraglio e quello di viceré delle terre acquisite alla Spagna, oltre a un decimo dei profitti delle scoperte (Capitolazioni di Santa Fé). Partito con tre caravelle (la Niña, la Pinta e la S.

María) dal porto di Palos il 3 agosto 1492, toccò terra a Guanahani, da lui chiamata San Salvador, il 12 ottobre 1492. Seguirono altri tre viaggi (149396, 1498-1500, 1502-04) durante i quali esplorò molte isole caraibiche: Cuba, Trinidad, Portorico, Haiti (Hispaniola) e Guadalupa, toccando la terraferma nel 1498. Morì povero e convinto di aver raggiunto nuove e inesplorate località dell’Asia. Amerigo Vespucci dimostrò coi suoi viaggi che quello scoperto da Colombo era un nuovo continente chiamato appunto America.

Altri navigatori intanto esploravano le regioni costiere del Magellano e la prima Pacifico, come Magellano (1519-22) che per primo circumcircumnavigazione navigò la Terra. Nei secc. XVII e XVIII teatro delle maggiori della Terra imprese esplorative fu il Pacifico: nei viaggi di Tasman (164243), de Bougainville (1767-68), von Humboldt (1799-1804), James Cook ma soprattutto di James Cook (1768-79), le finalità commerciali e politico-militari si unirono a quelle scientifiche.

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Le civiltà precolombiane

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La conquista spagnola

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Arretratezza tecnologica delle nazioni guerriere

Le scoperte geografiche in America Latina misero in contatto gli Spagnoli con popolazioni dall’antica e fiorente civiltà: gli Incas, gli Aztechi e i Maya. Le prime due popolazioni, di tradizione guerriera, abitavano rispettivamente la regione montuosa del Perú e il territorio messicano, i Maya erano presenti nella fascia oggi compresa fra il Guatemala e il Messico. Queste popolazioni organizzate con una struttura sociale rigidamente piramidale si basavano su un’economia quasi esclusivamente agricola. Le loro civiltà svilupparono molto le conoscenze astronomiche e scientifiche (calendario, eclissi) e le espressioni artistiche e religiose (templi a gradini, piramidi), mentre rimasero arretrate sul piano tecnologico: non conoscevano affatto l’uso della ruota e non sapevano lavorare il ferro. Questo tratto pose i presupposti per la disfatta cui andarono incontro una volta entrate in contatto con i conquistatori europei, la cui superiorità militare era evidenziata dall’uso delle armi da fuoco e dal cavallo. Gli Spagnoli si dedicarono a una guerra di conquista, devastando e spogliando le città delle loro ingentissime ric-

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Struttura sociale piramidale ed economia agricola

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Incas in Perú, Aztechi in Messico

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3 - Le scoperte geografiche e l’espansione coloniale

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chezze: gli uomini di Cortés ebbero ragione dell’intero Regno azteco in soli tre anni (1519-22); con pochissimi uomini Pizarro e de Almagro si impadronirono tra il 1531 e il 1534 dell’Impero inca. Terminata la fase della razzia, lo sfruttamento delle colonie si resse sulla creazione di encomiendas, enormi porzioni di territorio concesse in usufrutto dalla Corona ai conquistadores, col diritto di imporre agli indios tributi in natura o prestazioni lavorative e l’obbligo di commercio esclusivo con la madrepatria. La necessità di manodopera aggiuntiva a quella indigena, decimata dai massacri della conquista e dalle epidemie portate dagli Spagnoli, ingrossò il commercio di schiavi dall’Africa già avviato dai Portoghesi. Non mancarono azioni a difesa degli indios come l’esperimento gesuita delle reducciones, comunità autonome di indios dove vigeva la proprietà comune delle terre (1609-1767), e la coraggiosa denuncia delle atrocità commesse dai conquistadores a opera del domenicano Bartolomeo de Las Casas.

Lo sfruttamento coloniale: le encomiendas Il commercio degli schiavi dall’Africa I Gesuiti e le reducciones

Gli imperi coloniali L’impero portoghese fu il primo a svilupparsi, grazie al finanziamento delle spedizioni marittime del XV sec. In Portogallo esisteva infatti un’importante tradizione nautica risalente al re Enrico il Navigatore (1394-1460) che aveva fondato un osservatorio e una scuola cartografica e nautica. L’impero portoghese ebbe soprattutto il carattere di un’efficiente rete commerciale, imperniata su poche fortezze ed empori in Africa e in Asia, ma su un’area troppo estesa per essere difesa dalle possibilità militari e finanziarie della Corona portoghese. L’impero spagnolo in America fu invece un impero di sfruttamento e di popolamento, amministrato da un governo centralizzato, con una complessa struttura burocratica, difeso e conservato da eserciti e flotte stanziali. Spagna e Portogallo tramite accordi stipulati nel 1494 si suddivisero le zone di influenza in base a un meridiano, la raya, a ovest delle isole di Capoverde. L’accordo ratificato l’anno seguente dal papa spagnolo Alessandro VI Borgia fu poi contestato dalle altre nazioni europee desiderose di prendere parte alle conquiste coloniali. L’impero coloniale inglese, sparso in tutti i continenti, si strutturò in un complesso integrato di stazioni navali, basi commerciali, colonie di popolamento e sfruttamento collegate e protette dalla supremazia navale britannica. La Francia entrò in ritardo sulla scena coloniale, mossa dall’ambizione dei suoi sovrani, dalla

Portogallo

Spagna

Spartizione del Nuovo Mondo

Inghilterra

Francia 25

Storia

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Olanda

spinta dei missionari gesuiti (che furono anche grandi viaggiatori ed esploratori), oltre che dagli interessi di un ristretto gruppo di commercianti e armatori. Nonostante ciò la Francia arrivò a possedere il più vasto impero coloniale europeo del Nordamerica, che sarebbe crollato nel XVIII sec. a causa dei conflitti con l’Inghilterra (Guerra dei Sette Anni, 1756-63). L’impero olandese sorse per merito di commercianti e per motivi strettamente economici, con totale esclusione di finalità religiose o di dominio politico: l’Olanda fondò colonie commerciali e di sfruttamento nell’arcipelago indonesiano, nella penisola indiana, nella Nuova Guinea, in Africa e in America (Antille e Suriname). L’unica colonia di popolamento fu fondata nel 1652 nell’odierno Sudafrica, da coloni olandesi da cui discendono i Boeri.

SCHEMA RIASSUNTIVO I VIAGGI

Cristoforo Colombo, convinto che la Terra fosse rotonda, si fa finanziare dalla Corona spagnola un viaggio per la scoperta di una nuova via per le Indie (1492); invece scopre il continente americano (12 ottobre). Nei viaggi successivi continuerà l’esplorazione delle nuove terre. Vasco da Gama, al soldo dei Portoghesi, circumnaviga l’Africa (1497-98). I fratelli Caboto, e poi Vespucci, da Verrazano, Hudson esplorano le coste del Nordamerica, mentre Magellano circumnaviga la Terra (1519-22).

I POPOLI

Maya, Aztechi e Incas, popolazioni di tradizione guerriera, abitano le regioni del Messico, del Guatemala e del Perú. Hanno una struttura sociale rigidamente piramidale, con conoscenze molto evolute in campo astronomico e scientifico ma arretrate sul piano tecnologico (non conoscono la ruota e non sanno lavorare il ferro). La loro economia è agricola.

GLI IMPERI COLONIALI

Spagna e Portogallo si spartiscono le zone di influenza del globo con il Trattato de la raya (1494). La Spagna con le spedizioni di Cortés contro gli Aztechi (151922) e di Pizarro contro gli Incas (1531-34) sottomette le popolazioni dell’interno e le obbliga a lavorare nelle miniere di metalli preziosi in condizioni di schiavitù. Il territorio coloniale viene diviso in encomiendas (ampi territori gestiti dai conquistadores in modo feudale); vane saranno le proteste dei Gesuiti che tenteranno di difendere gli indios creando le reducciones (comunità dove vige la proprietà comune della terra).

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4 Lo sviluppo economico e nl

demografico del Cinquecento

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Nei primi decenni del Cinquecento assistiamo alla ripresa della crescita demografica e dello sviluppo economico in tutta Europa. Il fenomeno, iniziato nella seconda metà del XV sec., prosegue fino agli albori del Seicento. L’incremento della popolazione non si fonda su innovazioni delle tecniche agricole o su miglioramenti delle condizioni igienico-sanitarie ma soltanto su una maggiore disponibilità di risorse alimentari. L’economia cinquecentesca è infatti fortemente radicata nelle campagne dove vive il 90% della popolazione dedito ad attività agricole e artigianali. Le città sono però in espansione grazie alla diffusione di attività: manufatturiera, navale, tipografica, mercantile e bancaria. Nella prima metà del secolo l’aumento della popolazione incentiva lo sfruttamento della terra: dissodamenti e bonifiche dei terreni incolti e malsani, diboscamento delle zone montane. In Inghilterra si avvia il fenomeno delle enclosures, le recinzioni delle terre comuni da destinarsi alla coltivazione intensiva. Novità nell’agricoltura e nell’alimentazione verranno anche dalla scoperta dell’America, destinata ad avere profonde ripercussioni sull’economia europea.

La popolazione La crescita della popolazione europea agli inizi del Cinquecento non è ancora riuscita a colmare i vuoti provocati dalla peste del 1348 e dalle devastazioni della Guerra dei Cent’anni. La situazione demografica si presenta con lievi differenze nei vari Paesi: emerge come tratto comune una maggiore mobilità della popolazione, conseguenza di una società più aperta di quella medievale all’ascesa sociale e alla mobilità dei ruoli. In Spagna l’emorragia provocata dalla cacciata degli Ebrei era stata compensata dal grande incremento della popolazione castigliana. In Portogallo l’aumento della popolazione era coinciso con la migrazione interna verso le ricche zone costiere, soprattutto verso la capitale Lisbona. La Francia, con una popolazione valutata attorno ai 19 milioni di abitanti, è il Paese più popoloso d’Europa. Nella penisola italiana la situazione risulta contraddittoria: alla staticità della Toscana si contrappone la vistosa crescita che

Maggiore mobilità della popolazione

La Francia è il Paese più popoloso Situazione italiana contraddittoria 27

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L’ATTIVITÀ BANCARIA La diffusione delle transazioni commerciali a lunga distanza aveva favorito la nascita di strutture complesse e articolate: le compagnie commerciali, quasi sempre a gestione familiare, organizzate con una sede principale e molte filiali nelle più importanti città portuali e commerciali. Il trasporto delle merci avveniva per lo più per mare o per via fluviale, le strade interne invece erano disagevoli e insicure per la presenza di banditi. I pagamenti erano garantiti dalle lettere di cambio,

La situazione tedesca e inglese La zona fiamminga Balcani, Polonia e Russia: zone di sviluppo Immagine dell’Europa

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che accreditavano l’importo dovuto sostituendo il pagamento in contanti. I ricchi mercanti-banchieri acquistarono un ruolo di primo piano sulla scena politica grazie ai prestiti fatti a principi, re e imperatori in cambio di terre, privilegi e monopoli commerciali. Esempi tipici sono costituiti dai Fugger di Augusta, che prestarono nel 1519 a Carlo V 550 000 fiorini per l’elezione a imperatore, e dalla famiglia Medici a Firenze, in grado di instaurare nella città il Principato.

si riscontra nelle altre zone, in particolare nelle isole; il tasso di urbanizzazione è molto alto, tanto che ben cinque città italiane superano i centomila abitanti: Genova, Venezia, Milano, Napoli e Palermo. La popolazione dell’area germanica, anch’essa in crescita, si concentra invece soprattutto in piccoli villaggi e nei borghi. Simile a quella tedesca è la situazione delle Isole Britanniche, dove l’unica grande città è la capitale, Londra. Densamente abitate sono invece le Fiandre, unico caso in cui la popolazione urbana supera nettamente quella rurale; imponente è la crescita di Amsterdam, destinata a raggiungere il suo periodo d’oro nel secolo successivo. Grande è lo sviluppo demografico anche nei Paesi balcanici e in Polonia, unica nazione a non aver risentito della crisi del Trecento. Più a est l’importante sviluppo demografico della Russia coincide con l’espansione e la colonizzazione dei territori del nord. Da questa rapida panoramica emerge un’immagine complessa della situazione europea: il fenomeno dell’urbanizzazione riguarda quasi esclusivamente Paesi come l’Olanda e l’Italia; alcuni Paesi come la Francia, le Isole Britanniche e l’Impero hanno una situazione piuttosto statica, nell’Est europeo sono ancora vasti le zone da diboscare e i territori da colonizzare.

La struttura sociale Dalla struttura rigida medievale alla nuova mobilità sociale

28

La prima età moderna aveva ereditato la struttura sociale gerarchizzata e rigidamente divisa per ordini che era stata tipica del Medioevo. Alla nobiltà, al clero e al terzo stato (costituito dai non-nobili e dai non-ecclesiastici) lo sviluppo economico e imprenditoriale aveva aggiunto altri elementi che rendevano il panorama sociale più complesso. Anzitut-

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4 - Lo sviluppo economico e demografico del Cinquecento

L’economia

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to, la borghesia di origine commerciale tendeva a conquistare posizioni di maggior prestigio, e a nobilitarsi. Poteva conseguire tale risultato acquistando le cariche di tipo giudiziario e amministrativo che in diversi Stati europei erano oggetto di compravendita e davano accesso alla nobiltà. Molti sovrani favorirono la formazione di questa nuova nobiltà, chiamata anche nobiltà di toga. In alcune aree (nel nord Italia, in Olanda, nella zona renana della Germania) i livelli alti della nobiltà cittadina erano costituiti dal patriziato, le cui origini erano connesse alle attività mercantili, che monopolizzava le cariche politiche dello Stato. Forniti generalmente di ingenti ricchezze, i patrizi erano capaci di gareggiare con la nobiltà di origine feudale per ricchezza, cultura e consistenza patrimoniale.

Tito

L’economia cinquecentesca, come già detto, è prevalentemente agricola. La coltura e lo sfruttamento della terra svolto in maniera estensiva occupano gran parte della popolazione a causa della scarsa produttività dei terreni. Le rese delle semine dei cereali sono molto basse, le carestie sono sempre in agguato, dal punto di vista delle tecniche agrarie non ci sono novità sostanziali. Il ribasso dei prezzi del grano causato dalla messa a coltura di nuove terre ha provocato la trasformazione di molti arativi in pascoli per il bestiame, soprattutto ovino. Il fenomeno è molto diffuso ma acquisterà una grandissima importanza in Spagna con la Mesta, l’organizzazione che raccoglie i latifondisti, grandi allevatori di pecore, e che godrà dell’appoggio della stessa Corona nelle lotte contro gli agricoltori. Esplode infatti il fenomeno delle rivolte agrarie, testimonianza del crescente pauperismo fra i contadini. L’esistenza di grandi mandrie di bestiame presuppone terreni di vaste dimensioni da destinare al pascolo: tali sono le terre comuni presenti in quasi tutti i villaggi. Contro queste terre e la loro improduttività si alzeranno in Inghilterra vibrate proteste dando luogo al fenomeno delle enclosures, le recinzioni delle terre comuni da destinare all’arativo e alla coltura del grano. Tale processo continuerà fino alle soglie della rivoluzione industriale e ne costituirà un importante presupposto. Nelle città intanto si sviluppano alcune vivaci attività manifatturiere e mercantili: le scoperte geografiche e il grande sviluppo commerciale danno notevole impulso ai cantieri navali e all’attività bancaria. Un’altra attività acquista sempre maggior ri-

La crescita della borghesia di origine commerciale

La nobiltà di toga Il patriziato cittadino

Economia agraria estensiva Le carestie sono sempre in agguato Sviluppo dell’allevamento La Mesta in Spagna

Le rivolte agrarie

Il ritorno all’arativo: le enclosures Sviluppo delle attività protoindustriali 29

Storia

L’industria lievo: l’industria tipografica che vede primeggiare i torchi vetipografica a Venezia neziani. Questi settori richiedono manodopera preparata e altamente qualificata, e si costituiscono così le prime orgaLe corporazioni nizzazioni di lavoro: le corporazioni, che raccolgono insieme apprendisti, operai e maestri di bottega per tutelare i segreti della professione. Le conseguenze della scoperta delle Americhe saranno avvertite in Europa nella seconda metà del secolo, quando l’afflusso di ingenti quantità d’oro e metalli preziosi provocherà in Spagna una grave inflazione: la La rivoluzione rivoluzione dei prezzi, alla cui origine vi sono anche cause dei prezzi economiche interne all’Europa, prima fra tutte il divario crescente tra l’offerta stazionaria di beni e la domanda in sensibile crescita.

Titolo concesso

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SCHEMA RIASSUNTIVO 1500-1550

Grande espansione demografica in tutta Europa: sviluppo dell’urbanesimo nelle Fiandre e in Olanda. In Russia inizia un’intensa colonizzazione delle terre del nord. Iniziano le prime recinzioni delle terre comuni in Inghilterra (enclosures). La famiglia di banchieri tedeschi Fugger finanzia con 550 000 fiorini d’oro l’elezione di Carlo V al trono imperiale.

1550-1600

Lieve rallentamento della crescita demografica. Rivoluzione dei prezzi in Spagna causata dall’ingente afflusso di oro e metalli preziosi dall’America. Continua l’espansione dell’industria navale e dell’attività bancaria. Grande espansione delle città delle Fiandre e in particolare di Amsterdam.

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5 La formazione

degli Stati nazionali

Un processo che caratterizza la prima età moderna è l’accentramento del potere da parte delle monarchie a base nazionale o dei regimi oligarchici presenti in molti Stati dell’Europa occidentale. I compiti che lo Stato avoca a sé sono essenzialmente la difesa, l’esercito e soprattutto la fiscalità. Il principe moderno svincolato dalla sua origine feudale si presenta come il fulcro della vita politica e la sua corte diviene centro di potere e luogo di mecenatismo. Viene creato un Consiglio permanente con consiglieri nominati dal principe stesso, scelti in base alle loro competenze. Il particolarismo amministrativo non viene abolito, ma subordinato ai voleri del principe che lo incrementa tramite la venalità delle cariche. I funzionari sono però sottoposti al controllo statale tramite ispettori di nomina regia che periodicamente verificano la situazione degli uffici. Molti borghesi acquistano cariche pubbliche per acquisire prestigio e salire nella scala sociale, il principe nobilita alcuni esponenti della borghesia creando la nobiltà di toga e fomentando così la rivalità con la nobiltà di origine feudale.

L’Europa occidentale Agli albori dell’età moderna alcuni Stati dell’Europa occidentale avevano raggiunto la coesione territoriale. La Spagna, per esempio, aveva visto unificare in un solo Stato vari territori grazie al matrimonio di Ferdinando d’Aragona con Isabella di Castiglia e successivamente alla conquista di Granada e alla cacciata degli Arabi (1492). Nel 1580, per l’estinzione dei Braganza, anche il Portogallo divenne un possedimento spagnolo. Di fatto l’amministrazione delle diverse regioni spagnole restava separata: la Castiglia aveva la preminenza sulle altre terre poiché era la più ricca e la più densamente popolata, inoltre le colonie americane erano state unite al suo territorio. Amministrativamente la Spagna era governata da un organo centrale, il Consiglio di Stato, con funzionari nominati dal re, più altri che si occupavano degli affari relativi ai vari territori (per es. il Consiglio delle Indie, quello d’Aragona e quello d’Italia). Fu rafforzato un organo giudiziario, il tribunale dell’Inquisizione, per vigilare sulla limpieza de sangre

La Spagna: Aragona e Castiglia unite dal matrimonio tra Ferdinando e Isabella Preminenza castigliana

con o l o t i ConsiglioTdi Stato L’Inquisizione 31

Storia

(purezza di sangue) degli Spagnoli e sorvegliare i conversos (i giudei convertiti). L’Inghilterra dal canto suo aveva visto Inghilterra: i Tudor consolidarsi il potere monarchico con l’avvento della dinastia Tudor (1485) che coincise con un periodo di pace e prospeLa mobilità sociale: rità. La società civile era molto mobile: la gentry, la piccola la gentry nobiltà terriera attiva e intraprendente economicamente, dominava la vita delle contee (le suddivisioni amministrative del Il Parlamento Regno). Il Parlamento diviso in due Camere, quella dei Lords (comprendente la nobiltà maggiore e i vescovi) e quella dei Comuni (composta dalla piccola nobiltà e dalla borghesia cittadina) che era l’organo rappresentativo del popolo. Il sovrano aveva istituito tre organi centrali per amministrare il ReLo Scacchiere gno: lo Scacchiere (in verità già esistente nel Medioevo) con funzioni economiche e fiscali che controllava la raccolta delLa Camera Stellata le imposte, la Camera Stellata che fungeva da Corte Suprema, giudicando i tumulti e le sollevazioni popolari, e il ConIl Consiglio privato siglio privato, anch’esso di nomina regia, che discuteva i principali problemi e consigliava il sovrano. Anche la Francia con La Francia il sovrano Luigi XI (1461-83) aveva avviato una politica di riforme grazie al potere economico garantito dalle imposte generali che affluivano copiose nelle casse della Corona. Tra di esLe imposte generali: se emergevano per gettito la gabella (l’imposta sul sale) e la gabella e taglia taglia (detta “personale” se riferita alle persone o “reale” se riferita alle terre possedute dai non-nobili). Inoltre, la PramPrammatica matica di Bourges del 1438 aveva concesso al re la possibidi Bourges lità di pronunciarsi in merito alle nomine dei vescovi e di manovrare quindi la concessione dei benefici ecclesiastici. Le consuetudini e i privilegi locali erano conservati e gelosaI Parlamenti regionali mente tutelati dai Parlamenti regionali, assemblee che fune il diritto gevano da organi consultivi in ambito fiscale e avevano la posdi rimostranza sibilità di opporsi alle ordinanze con il diritto di rimostranza. Il Parlamento di Parigi giunse addirittura nel Seicento a pretendere la compartecipazione alla gestione dello Stato. Un altro organo rappresentativo convocato dal re per discutere Gli Stati Generali e approvare importanti provvedimenti erano gli Stati Genedel Regno rali, un’assemblea rappresentativa di tutti i ceti convocata sempre più raramente con il rafforzarsi del potere monarchico. Per la discussione delle ordinanze più rilevanti, il sovrano Il Consiglio del re interpellava il Consiglio del re, formato dai pari di Francia, e in via più confidenziale il Consiglio segreto.

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L’Europa orientale e settentrionale Non tutta l’Europa presenta Stati che hanno raggiunto una propria unità grazie alla guida di una monarchia nazionale. 32

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4 - La formazione degli Stati nazionali

LA SITUAZIONE ITALIANA Lazio, le Marche, parte dell’Emilia e la Romagna. Era formato da terre infeudate alla Chiesa che mantenevano realtà politiche molto difformi fra loro. Al sud, dopo la dominazione aragonese, il Regno di Napoli era divenuto dal 1503 stabile possesso della Corona spagnola; ai domini spagnoli nell’Italia meridionale si era aggiunto anche il possesso della Sardegna. La Spagna gestiva amministrativamente i suoi possedimenti in Italia tramite la figura del viceré.

L’importanza decisionale della nobiltà nelle Diete Il Regno d’Ungheria

Il Granducato di Mosca L’avanzata turca e la caduta di Costantinopoli

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Il Sacro Romano Impero

Unione di Kalmar tra Svezia e Norvegia

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A nord per esempio Svezia e Norvegia sono unite alla Corona danese dall’Unione di Kalmar (1397), destinata a sciogliersi solo nel 1523 con la proclamazione dell’indipendenza svedese da parte del re Gustavo Vasa. Nell’Europa orientale, dove generalmente il sovrano è elettivo, un ruolo di primo piano è svolto dalla nobiltà che, nelle Diete, decide tutte le principali questioni relative al Paese, comprese le guerre interne per il potere. A livello locale i nobili detengono una potestà quasi assoluta sul resto della popolazione mantenuta in una condizione servile. Tipico è il caso del Regno d’Ungheria che raggiunse un periodo di splendore culturale sotto la guida del re Mattia Corvino, ma alla sua morte (1499) i nobili posero sul trono il debole Ladislao Jagellone e si ripresero di fatto il potere. Una situazione simile è presente nel Regno di Polonia in mano alla nobiltà. L’unica eccezione è costituita dal Granducato di Mosca che grazie al sovrano Ivan III il Grande (1462-1505) pone le basi per la fondazione dello Stato nazionale russo. Importanti furono le sue vittorie contro i Mongoli e la lotta interna contro lo strapotere dei boiari, i grandi possidenti nobili. Nei Balcani continua l’avanzata dei Turchi dopo la presa di Costantinopoli (1453), la cristianità si mobilita facendo leva sulla religiosità delle popolazioni delle zone di frontiera.

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La penisola italiana nel ‘500, a causa della sua frammentazione politica e della sua debolezza militare, era divenuta terreno di conquista da parte dei vicini Stati nazionali. Molti territori del nord Italia erano formalmente ancora appartenenti all’Impero ma in realtà erano governati da principati completamente autonomi e da ricche repubbliche oligarchiche di tradizione marinara (Venezia e Genova). Nell’Italia centrale si estendeva il vasto Stato pontificio che comprendeva il

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L’Impero era una realtà sovrannazionale molto complessa, formata da principati laici ed ecclesiastici e da libere città, nella quale l’elemento unificatore era rappresentato dalla persona dell’imperatore. La corona imperiale era elettiva

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Storia

La Bolla d’oro rende (secondo la Bolla d’oro del 1356 che concedeva questo dielettiva la corona ritto agli arcivescovi di Colonia, Treviri e Magonza, al re di imperiale Boemia, al conte Palatino, al duca di Sassonia e al margravio del Brandeburgo) ma dal 1438 era sempre stata affidata alla Gli Asburgo casa degli Asburgo d’Austria che la consideravano quasi ereditaria. Gli Asburgo possedevano molti territori e altri tentarono di acquisirne con un’accorta politica dinastica: nel 1526 per esempio ci fu l’annessione del Regno di Boemia. La Dieta Imperiale L’autorità imperiale era limitata dalla Dieta dell’Impero o Reichstag formata dagli elettori, dai principi e dai rappresentanti delle città. L’imperatore Massimiliano I (1493-1519) con l’appoggio della Dieta ripartì l’Impero in grandi circoscrizioni amministrative ma non riuscì a creare alcun organo centrale dello Stato.

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SCHEMA RIASSUNTIVO SPAGNA

L’unificazione nazionale è raggiunta tramite il matrimonio fra le case regnanti di Castiglia e d’Aragona (1479) e la riconquista del territorio meridionale occupato dagli Arabi (1492). Nel 1580 è annesso il Portogallo. L’amministrazione delle regioni resta separata: vi è un solo organismo centrale, il Consiglio di Stato, ed è creato un forte organo giudiziario, il tribunale dell’Inquisizione.

INGHILTERRA

I Tudor rafforzano il potere centrale con l’istituzione di nuovi organi amministrativi (la Camera Stellata, il Consiglio privato). Il Parlamento è bicamerale (la Camera dei Lords raggruppa la grande nobiltà e l’alto clero, la Camera dei Comuni la piccola nobiltà e la borghesia). La società civile è aperta e mobile.

FRANCIA

Il potere fiscale della Corona, basato sulla gabella e sulla taglia, porta al rafforzamento della monarchia. La Prammatica di Bourges (1438) rivendica i privilegi gallicani in materia religiosa. Gli organi rappresentativi del popolo (Stati Generali e Parlamenti) fungono da organi consultivi esercitando il diritto di rimostranza. Il re crea un Consiglio segreto per gli affari riservati.

IMPERO

La Bolla d’oro (1356) concede a sette Grandi Elettori il privilegio di eleggere l’imperatore; dal 1438 la Corona sarà sempre stata affidata agli Asburgo. Nel 1526 viene annessa la Boemia.

GLI ALTRI STATI

Nel Nordeuropa Svezia e Norvegia sono unite alla Danimarca dall’Unione di Kalmar (1397), che verrà sciolta nel 1523. Con il re Mattia Corvino l’Ungheria raggiunge il suo massimo splendore, ma alla sua morte (1499) la nobiltà preferisce eleggere un re più debole. In Italia i territori del nord sono sotto la giurisdizione formale dell’Impero, il centro appartiene allo Stato pontificio e il sud alla Spagna.

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6 La Riforma protestante

e la Controriforma cattolica

La Riforma protestante fu un movimento di opposizione radicale alla Chiesa di Roma, avviato nel XVI sec. dalla predicazione di Lutero, che comportò la rottura dell’unità religiosa dell’Europa cristiana. Dal punto di vista teologico luteranesimo e calvinismo rivendicavano un rapporto diretto del singolo con le Sacre Scritture (tradotte nelle lingue nazionali) negando la centralità della Chiesa e dei sacramenti. Sul piano politico molti principi tedeschi videro nell’adesione alla Riforma il mezzo per contrastare il disegno di centralizzazione statale dell’imperatore Carlo V. Ciò suscitò conflitti e rivolte che insanguinarono l’Europa per decenni. La Chiesa cattolica, già colpita dallo Scisma d’Oriente, reagì a questa nuova minaccia prima con la scomunica dei principi riformati e poi con la convocazione di un grande concilio: il Concilio di Trento (1545-63). In questa sede non solo si riaffermarono i fondamenti teologici e disciplinari dell’ortodossia cattolica, ma si disciplinò anche la struttura ecclesiastica ponendo le basi per la riconquista delle nazioni passate al protestantesimo.

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La Riforma protestante L’interpretazione della Bibbia proposta da Martin Lutero (1483-1546), monaco agostiniano tedesco, era imperniata sul concetto della giustificazione per fede. La salvezza è concessa da Dio all’uomo grazie alla sua infinita misericordia, non in base ai meriti terreni. Solo la fede salva l’uomo e la fede è in primo luogo sottomissione alla Bibbia, la Parola di Dio. La Chiesa e i sacramenti non vengono più considerati il tramite necessario fra Dio e l’uomo. Le indulgenze (la remissione dei peccati concessa dal pontefice dietro versamento di denaro) non hanno alcun fondamento. Lutero compendiò le sue idee in uno scritto, Le 95 tesi (o Tesi per chiarire l’efficacia delle indulgenze), che si narra fu appeso alla porta della chiesa di Wittenberg la notte del 31 ottobre 1517. Il testo venne diffuso in tutta la Germania suscitando consensi in ogni ceto perché poneva fine al commercio delle indulgenze e toglieva fondamento al fiscalismo romano. Papa Leone X reagì con la scomunica di Lutero (bolla Exsurge Domine del 15 giugno 1520). Nello stesso anno

La nuova interpretazione della Bibbia e la giustificazione per fede

Le 95 Tesi

La scomunica 35

Storia

L’ANGLICANESIMO La Chiesa anglicana fu costituita dal re Enrico VIII, che con l’Atto di supremazia (1534) si sostituiva al pontefice nel governo della Chiesa inglese, a causa del rifiuto di papa Clemente VII di concedergli l’annullamento del matrimonio con Caterina d’Aragona. Enrico VIII, dopo la scomunica, sottrasse l’Inghilterra al controllo papale ma conservò la struttura dogmatica cattolica (mantenendo tutti i sacramenti e nominando direttamente i vescovi), senza accogliere i principi del protestantesimo. Con il regno di Edoardo VI si accentuarono invece gli

Altri scritti di Lutero

La Dieta di Worms La reazione imperiale

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La riforma in Svizzera: Zwingli

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Lutero legittima l’intervento dei principi La rivolta dei contadini

Lutero espose il suo pensiero in alcuni scritti: Appello alla nobiltà cristiana della nazione tedesca affinché intervenga nelle questioni religiose, La cattività babilonese della Chiesa dove denuncia la corruzione della Curia e nega la validità del sacramento della confessione, infine La libertà del cristiano, il programma del luteranesimo. Molti principi tedeschi si schierarono a favore della nuova dottrina, non l’imperatore e Carlo V che convocò una dieta a Worms, alla quale intervenne anche Lutero grazie a un salvacondotto. La Dieta si concluse senza risultati, e Carlo V ne approfittò per mettere al bando Lutero (Editto di Worms del 1521), portato in salvo dall’Elettore di Sassonia. La nuova dottrina aveva suscitato molte speranze nei ceti più umili: Lutero li disilluse appoggiandosi al potere dei principi. Nel 1522 la piccola nobiltà dei cavalieri insorse in nome della nuova fede tentando di occupare le terre del vescovo di Treviri, ma i ribelli furono subito annientati. Lutero si dimostrò contrario a ogni azione svolta con la forza e legittimò l’intervento dei principi. Stessa sorte toccò alla rivolta dei contadini, guidati nel 1525 dal radicale Thomas Müntzer (1490-1525), che si diffuse rapidamente in molti territori dell’Impero. La reazione dei signori fu durissima, quasi centomila furono i contadini massacrati. Negli stessi anni la Riforma giungeva in Svizzera con la predicazione di Ulderico Zwingli (1484-1531). Zwingli trovò nella libera città di Zurigo il luogo ideale per la realizzazione delle sue idee che comportavano uno stretto legame tra potere politico e religioso. La Chiesa per Zwingli era costituita dalla comunione dei credenti, la disciplina era mantenuta dal potere politico. La diffusione della Riforma

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Le rivolte della piccola nobiltà

influssi calvinisti evidenti nel Book of Common Prayer (1552) che ammetteva solo due sacramenti, battesimo ed eucarestia. Dopo la restaurazione cattolica di Maria Tudor, Elisabetta I ritornò all’anglicanesimo con il rinnovo dell’Atto di Supremazia e la pubblicazione dei Trentanove articoli (1561) che abolivano il celibato ecclesiastico. Il sovrano diveniva il supremo governatore negli affari ecclesiastici, riservando al Parlamento il controllo della predicazione e dei sacramenti e l’applicazione del Book of Common Prayer.

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6 - La Riforma protestante e la Controriforma cattolica

fu osteggiata dai cantoni meridionali cattolici che provocarono un conflitto armato, e Zwingli perse la vita nella battaglia di Kappel (1531). Ginevra divenne un altro grande centro riformatore grazie A Ginevra: Calvino al francese Giovanni Calvino (1509-64). Il calvinismo radi- e la predestinazione calizzava la dottrina della predestinazione dell’uomo allon- dell’uomo tanandola dal suo significato originario: la riuscita in questo mondo diveniva infatti la misura del favore divino; gli eletti scelti da Dio costituivano la Chiesa dei Santi, e l’unico strumento per avvicinarsi al divino era la lettura della Bibbia. Le magistrature cittadine dovevano vegliare, anche con modi polizieschi, sulla condotta dei fedeli. Alcune sette poco diffuse e osteggiate dalle autorità civili e religiose (Anabattisti, antitrinitari, sociniani) ridicolizzarono il messaggio riformatore. ■ La diffusione delle nuove dottrine

In Svizzera la diffusione del calvinismo soppiantò almeno in parte la dottrina di Zwingli. In Scozia il calvinismo fu diffuso dalla predicazione di John Knox. Nei Paesi Bassi l’adesione alla Riforma ebbe anche il significato di opposizione alla politica spagnola che vi aveva introdotto l’Inquisizione. La rivolta contro gli Spagnoli portò alla divisione del dominio (vedi cap. 7). In Scandinavia la penetrazione della Riforma si affermò prima in Danimarca e in Svezia e successivamente in Norvegia e Finlandia. In Francia la diffusione del calvinismo fu osteggiata dai sovrani: i calvinisti, detti ugonotti, furono perseguitati e ciò originò i conflitti interni noti come guerre di religione (vedi cap. 8). In Spagna e in Italia il protestantesimo rimase un fenomeno circoscritto.

In Svizzera In Olanda

In Scandinavia In Francia

La Controriforma e il Concilio di Trento L’Umanesimo cristiano La Riforma cattolica Il Concilio di Trento

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Già l’Umanesimo cristiano di Erasmo da Rotterdam o di Tommaso Moro propugnava una riforma interna alla Chiesa con il ritorno alla povertà evangelica, la condanna del nepotismo e l’abolizione delle pratiche superstiziose: tali tendenze furono ben presto messe in minoranza. Nel 1545 si aprì il Concilio di Trento, durato ben diciotto anni con alterne fasi (che comprendono anche lo spostamento della sede a Bologna nel 1547) condizionate dalla personalità dei papi succedutisi in quegli anni. I decreti conciliari, confermati dalla bolla Benedictus Deus (1564) di Pio IV, portarono importanti innovazioni in campo pastorale: uniformarono la celebrazione della messa, istituirono i seminari diocesani per la formazione dei parroci, introdussero per i vescovi l’ob-

Innovazioni in campo pastorale

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Storia

bligo di residenza e di visita pastorale nelle diocesi, ripristinarono l’osservanza della regola nei conventi e nei monaLa definizione steri. Dal punto di vista teologico furono definite le dottridella dottrina ne relative ai sacramenti e quella della transustanziazione sacramentale (cioè della reale presenza del corpo e del sangue di Cristo nel pane e nel vino al momento della consacrazione eucaristica); fu riaffermata l’autenticità della “Vulgata”, cioè della traduzione della Bibbia in latino fatta da S. Girolamo. L’iniI nuovi ordini religiosi ziativa dei parroci fu affiancata dall’opera di ordini religiosi riformati o di nuova istituzione impegnati in campo educativo o assistenziale (cappuccini, barnabiti, somaschi, teatini La Compagnia ecc.). Nel 1540 S. Ignazio di Loyola fondò la Compagnia di di Gesù Gesù alle dirette dipendenze del pontefice, con compiti in campo educativo e missionario. Pochi anni prima del ConL’Inquisizione cilio, nel 1542, papa Paolo III riorganizzò il tribunale romano dell’Inquisizione, su modello di quello spagnolo. Un alL’Indice tro strumento repressivo fu l’Indice dei libri proibiti (1559) dei libri proibiti che controllava la stampa. All’attività della S. Sede corrispose nelle diocesi l’impegno pastorale e riformatore di grandi vescovi come Carlo Borromeo a Milano.

SCHEMA RIASSUNTIVO LA RIFORMA

Martin Lutero, monaco agostiniano tedesco, propone una dottrina basata sulla giustificazione per fede, svalutando il ruolo della Chiesa e dei sacramenti. Espone le sue idee nelle 95 Tesi di Wittenberg (1517). La bolla papale Exsurge Domine (1520) scomunica Lutero e il suo pensiero in materia di indulgenze, esposto nei grandi Appelli. Molti principi tedeschi si schierano con Lutero, e Carlo V convoca una Dieta a Worms senza risultati. Negli anni seguenti la piccola nobiltà e i contadini insorgono in nome della nuova fede ma Lutero legittimò l’intervento repressivo dei principi. Zwingli predica a Zurigo una nuova visione della Chiesa formata dalla comunione dei credenti, nella quale potere politico e religioso sono uniti. I cantoni meridionali cattolici si oppongono: durante la battaglia di Kappel (1531) Zwingli muore. A Ginevra Calvino diffonde il concetto della predestinazione secondo la quale la ricchezza è segno tangibile della benevolenza divina. L’anglicanesimo nasce dalla volontà di Enrico VIII di formare una Chiesa nazionale; nei primi tempi non si scosta dogmaticamente dal Cattolicesimo.

IL CONCILIO DI TRENTO 1545-63

Ispirato da movimenti di riforma della Chiesa come l’Umanesimo cristiano e la Riforma cattolica, il Concilio si trova a dover sancire la distanza dalla Riforma. Emana i decreti conciliari nei quali sostiene la dottrina della transustanziazione e la validità dei sacramenti, unifica la celebrazione della messa, ripristina la regola monastica e si preoccupa della formazione del clero. Suoi strumenti di riforma sono anche l’Inquisizione, l’Indice dei libri proibiti e la creazione di nuovi ordini religiosi (Gesuiti).

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7 Il disegno egemonico

Titolo concesso in licenza a filomena rondali, 8

di Carlo V: le guerre in Italia e in Europa

L’imperatore Massimiliano I aveva concertato il matrimonio tra il proprio figlio Filippo il Bello e l’unica figlia di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia, Giovanna la Pazza. Dal loro matrimonio erano nati Carlo (1500-1558) e Ferdinando. Alla morte del padre, nel 1506, Carlo divenne duca di Borgogna sotto la tutela di Massimiliano I, fino a quando gli Stati Generali lo dichiararono maggiorenne (1515). Alla morte di re Ferdinando (1516) Carlo ereditò i regni di Aragona, di Napoli e di Sicilia. Nel 1521 divenne governatore generale di Castiglia in nome della madre. Alla morte dell’imperatore (1519) ereditò congiuntamente al fratello Ferdinando i domini austriaci degli Asburgo, proponendosi come candidato alla corona imperiale. L’appoggio dei banchieri tedeschi favorì la sua elezione. Carlo V aveva realizzato una vasta concentrazione di domini (la Castiglia con le colonie americane, l’Aragona con la Sicilia e Napoli, la Borgogna, gli Stati ereditari austriaci): la corona imperiale fece di lui il sovrano più potente dell’Europa della prima metà del Cinquecento, re di un Impero sul quale “non tramontava mai il sole”.

L’Impero di Carlo V Alla morte dell’imperatore Massimiliano I (1519), Carlo divenne il successore più probabile; da quasi un secolo infatti la corona imperiale era monopolizzata dagli Asburgo. I possedimenti e il potere che avrebbe avuto il futuro imperatore preoccupavano non poco i principi tedeschi e la Francia che temeva di ritrovarsi accerchiata. La prima candidatura che venne proposta fu quella di Federico di Sassonia; maggiore peso e appoggio politico aveva il nome di Francesco I di Francia, sostenuto da papa Leone X. Carlo d’Asburgo cercò l’appoggio dei potenti banchieri tedeschi e italiani e grazie all’oro dei Fugger Carlo V divenne imperatore.

La morte di Massimiliano I

I candidati al trono imperiale Carlo diventa imperatore

■ I territori spagnoli

I territori castigliani all’inizio del Cinquecento furono attra- Rivolta in Castiglia versati da violenti moti di rivolta dei Comuneros (gli abitanti e Aragona 39

Storia

L’IDEALE IMPERIALE DI CARLO V Carlo V, sia per formazione culturale, sia per indicazione dei suoi consiglieri, tra cui Mercurino di Gattinara, perseguì il sogno politico di un’autorità monarchica universale che facesse rivivere l’universalismo del Sacro Romano Impero attraverso la realizzazione della Res publica christiana, un’Europa di Stati in cui l’imperatore fosse la guida politica e morale della Cristianità nella lotta contro l’Islam. Tut-

Carlo V difensore del Cattolicesimo... ...e dell’unità imperiale

tavia la spaccatura religiosa della Cristianità in seguito alla Riforma protestante e l’aperta lotta sostenuta contro Francesco I di Francia resero impossibile il suo progetto politico. Anche l’idea di assicurare la successione imperiale al figlio Filippo incontrò l’opposizione dei principi tedeschi, che imposero la separazione dei domini asburgici austriaci e della dignità imperiale dalla corona di Spagna.

di Toledo e Segovia, i quali invocavano una maggiore giustizia fiscale) contro i governanti borgognoni portati con sé da Carlo V. Un movimento simile, la Germanìa, scoppiò nel Regno aragonese. Ambedue le rivolte furono domate nel 1521 grazie all’appoggio della nobiltà locale. Carlo V nel suo desiderio di realizzare un nuovo Impero universale trascurò le necessità dei territori spagnoli, dove era visto come un sovrano straniero, lontano dagli usi locali, gelosamente conservati dalle Cortes, le rappresentanze cittadine. ■ Le guerre d’Italia

Le origini del conflitto con la Francia in Italia La discesa di Carlo VIII

Luigi XII

Armistizio di Lione: Francia al nord, Spagna al sud 40

Carlo V si trovò coinvolto in un conflitto con la Francia che aveva radici lontane. La guerra per il predominio sui territori italiani aveva avuto origine dal tentativo di Carlo VIII di Francia di occupare i territori dell’Italia meridionale appartenenti agli Aragonesi, rivendicando l’eredità angioina. La spedizione di Carlo VIII non incontrò ostacoli, ma suscitò la reazione degli Stati italiani che si allearono per contrastare la sua potenza. L’alleanza, proposta da Venezia, incontrò il favore del papa, di Ludovico Sforza (signore di Milano), di Firenze, dell’Impero e della Spagna. La coalizione si scontrò con i Francesi a Fornovo (1495) senza riuscire a fermarli. La Spagna, intanto, distrusse le truppe che occupavano il Regno di Napoli. L’arrivo dei Francesi aveva provocato a Firenze una sollevazione popolare con la proclamazione della Repubblica. Il successore di Carlo VIII, Luigi XII, rivolse la sua attenzione al Ducato di Milano quale discendente dai Visconti. Gli accordi con Venezia (che si impossessò di Cremona e dei territori vicini) e con il papa (intesi a favorire la creazione di un principato per Cesare Borgia, figlio del pontefice) permisero una facile conquista. Gli Spagnoli intanto sostituirono la dinastia aragonese presente nel sud Italia. L’armistizio di Lione (1504) sanzionò la divisione dell’Italia in due zone d’in-

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7 - Il disegno egemonico di Carlo V: le guerre in Italia e in Europa

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fluenza: francese al nord, spagnola al sud. L’espansione di Venezia nei territori papali provocò la nascita di un’alleanza in funzione antiveneta, la Lega di Cambrai composta dal papa, dalla Francia, dall’Impero e dai Savoia. Sconfitta la Repubblica Veneta ad Agnadello (1509), il papa istituì una nuova alleanza, la Lega Santa (appoggiata da Spagna, Inghilterra, Venezia), per ridimensionare il potere francese. La battaglia di Ravenna non rappresentò una sconfitta militare per i Francesi che videro tornare i Medici a Firenze e gli Sforza a Milano. Nel 1515 moriva Luigi XII; il nuovo re Francesco I pose come obiettivo la riconquista di Milano difesa dagli Svizzeri. Lo scontro, vittorioso per i Francesi, avvenne a Melegnano. Il Trattato di Noyon (1516) ristabilì la pace. Carlo V nel 1521 scese in Italia per riconquistare il Milanese a Francesco I, sconfisse i Francesi a Pavia (1525) e prese il re di Francia come ostaggio. Col Trattato di Madrid (1526) si impose la restaurazione degli Sforza e la rinuncia delle pretese francesi sull’Italia. Francesco I, liberato, non rispettò gli accordi e scatenò la guerra contro l’imperatore con l’appoggio dell’Inghilterra, del papa, di Milano e di Venezia (Lega di Cognac). L’esercito imperiale formato in gran parte dai lanzichenecchi luterani giunse sino a Roma e la saccheggiò (1527). L’imperatore arrivò a un compromesso con il papa e con la Francia (Pace di Cambrai, 1529) sancito dall’incoronazione imperiale per mano del pontefice (1530). Nel 1535 con la morte dello Sforza Milano passò agli Spagnoli, la Francia si alleò con gli Svizzeri e l’Impero con il Papato: la guerra continuò fra alterne vicende fino a quando la Pace di Crépy (1544) confermò lo Stato di Milano all’imperatore. Nel 1552 Enrico II, re di Francia, riprese la guerra, sospesa nel 1556. La battaglia di San Quintino condotta da Filippo II di Spagna segnò la definitiva sconfitta dei Francesi, che venne sanzionata nel 1559 dalla Pace di Cateau-Cambrésis (vedi cartina storica a pag. 43), con la quale la Francia rinunciò a ogni pretesa sui territori italiani.

Lega di Cambrai Lega Santa contro la Francia Francesco I

La battaglia di Pavia e il Trattato di Madrid

La Lega di Cognac e il sacco di Roma Pace di Cambrai e incoronazione imperiale Pace di Crépy

La definitiva rinuncia francese ai territori italiani

■ La politica estera

Carlo V rafforzò i legami con l’altro Stato iberico sposando nel 1526 Isabella del Portogallo. Nel 1512 era stata conquistata an- Conquista che la Navarra, unita poi al Regno di Castiglia. Mantenne un della Navarra atteggiamento difensivo quando Solimano II riprese l’avanzata nei Balcani; dopo la sconfitta di Luigi II Jagellone (Mohacs, 1526) e l’elezione del fratello Ferdinando a re d’Ungheria, difese i confini meridionali e Vienna assediata (1529). Nel Mediterraneo operò contro gli Stati barbareschi del Nordafri- Politica mediterrranea ca che minacciavano le rotte commerciali conquistando Tunisi e spedizione contro (1535), mentre senza fortuna fu la spedizione contro Algeri (1541). Tunisi e Algeri 41

Storia

Il problema religioso Dopo aver messo al bando Lutero con l’Editto di Worms (1521), Carlo V cercò di convincere il papa a convocare un concilio generale e si adoperò per salvaguardare l’unità politica e religiosa dell’Impero. Fallito il tentativo di conciliazione con i luterani (Dieta di Augusta del 1530), Carlo V affrontò i principi luterani uniti nella Lega di Smalcalda, guidata dall’Elettore di Sassonia. Li sconfisse nella battaglia di Mühlberg (24 aprile 1547), ultimo successo contro i protestanti. Alla fine, costretto a combattere su più fronti, dovette accettare la tregua di Passau (1552), preludio alla Pace di Augusta (1555), nella quale fu fissato il principio del cuius regio eius et religio, “di chi il paese di quello anche la religione”, cioè la libertà di culto per i principi luterani e l’obbligo dei sudditi di accettare la confessione del sovrano. Si sanciva così la divisione religiosa dei territori dell’Impero.

Pace di Augusta: cuius regio eius et religio

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■ L’abdicazione

Carlo V abdica

Nel 1556 Carlo V abdicò: rinunciò ai Paesi Bassi, ad Aragona, Sicilia, Castiglia e alle colonie americane in favore del figlio Filippo II, che aveva investito dello Stato di Milano e del Regno di Napoli. Al fratello Ferdinando, re di Boemia e Ungheria, lasciò i domini austriaci. Si ritirò poi in convento in Estremadura.

La divisione dell’Impero

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SCHEMA RIASSUNTIVO Carlo V, nipote dell’imperatore Massimiliano il cui figlio Filippo il Bello aveva sposato Giovanna la Pazza, figlia dei sovrani di Spagna Ferdinando e Isabella, è nominato duca di Borgogna (1506), re d’Aragona, Napoli e Sicilia (1516), eredita con il fratello i domini asburgici ed è eletto imperatore (1519). Nei domini spagnoli affronta ribellioni in Castiglia e Aragona, nell’Impero si scontra, con poca fortuna, con i principi luterani: la Pace di Augusta (1555) stabilisce il principio del cuius regio eius et religio. Si scontra anche con i Turchi che hanno assediato Vienna riuscendo a conquistare Tunisi (1535). In Italia prosegue le guerre contro la Francia. Nel 1556 abdica e spartisce i suoi domini tra il figlio Filippo Il e il fratello Ferdinando.

LE GUERRE D’ITALIA 1494-95

Spedizione di Carlo VIII a Napoli per ottenere l’eredità angioina: scontro a Fornovo con un’alleanza formata dagli Stati italiani e dalla Spagna. Conquista di Milano da parte di Luigi XII erede dei Visconti. Gli Spagnoli sostituiscono la casa aragonese. Lega di Cambrai contro Venezia: nella battaglia di Agnadello Venezia è sconfitta. Lega Santa contro la Francia: a Milano tornano gli Sforza. Francesco I rivuole Milano e si scontra con gli Svizzeri che la difendono; la vittoria francese è sancita dal Trattato di Noyon. Battaglia di Pavia: Francesco I è prigioniero. Nasce la Lega di Cognac. I lanzichenecchi saccheggiano Roma. La Pace di Cambrai pone fine alle ostilità. Annessione di Milano all’Impero: guerra con la Francia sino alla Pace di Crépy. Battaglia di San Quintino. Pace di Cateau-Cambrésis: fine delle guerre d’Italia.

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7 - Il disegno egemonico di Carlo V: le guerre in Italia e in Europa

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opo le estenuanti guerre tra Francesi e Spagnoli, la Pace sancì l’avvento del predominio spagnolo sulla Penisola (1519 annessione del Regno di Napoli con la Sicilia e la Sardegna) e il fallimento delle mire francesi su Milano (annessa alla Spagna); la Francia manteneva Saluzzo, restituendo le terre strappate ai Savoia. Venezia, colpita dalla guerra del 1508-09, era riuscita a recuperare la terraferma. Gli altri Stati italiani, compreso il Ducato mediceo di Toscana (stabilito dopo l’abbattimento della Repubblica nel 1530), gravitavano nell’orbita spagnola. Le sorti della penisola si decidevano a Madrid, dove aveva sede il Supremo Consiglio d’Italia, il quale aveva giurisdizione sul viceré di Napoli e sul governatore di Milano. Lo Stato della Chiesa troverà in Pio V (1566-72) un sostenitore dell’idea teocratica e in Sisto V (1585-90) un eccezionale riformatore dell’amministrazione.

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8 L’Europa nella seconda metà del Cinquecento

La Pace di Augusta (1555) con il principio del cuius regio eius et religio (v. cap.7) aveva sancito la divisione dell’Impero e la fine di ogni possibile restaurazione dell’universalismo cristiano. Nella seconda metà del Cinquecento i conflitti di natura politico-religiosa condizionarono non solo la politica estera degli Stati europei ma causarono guerre civili, portando alla ribellione e al distacco di territori contrari alla religione professata dal sovrano. Questo fenomeno, destinato a proseguire nel secolo seguente con la Guerra dei Trent’anni, mise in luce una profonda crisi degli Stati europei combattuti tra la volontà di assestamento e le frequenti rivolte interne. In campo economico l’atlantizzazione delle reti commerciali aveva provocato una decadenza sempre più accentuata del Mediterraneo e dell’Italia, e l’ascesa di nuovi protagonisti, primi fra tutti l’Inghilterra e le Province Unite. La Spagna, dal canto suo, aveva imboccato la via del declino rinunciando a potenziare l’economia nazionale e diventando sempre più dipendente, in campo economico, dalle colonie.

La Francia e le guerre di religione In Francia dopo la morte del sovrano Enrico II (1559) e dell’erede Francesco II (1560) il potere passò nelle mani della moCaterina de’ Medici glie Caterina de’ Medici, reggente per il secondo figlio Carlo IX. Durante la reggenza si formarono due partiti nobiliari antagonisti fra loro, quello dei cattolici capeggiato dalla famiglia dei Guisa cattolici Guisa e quello ugonotto, che aveva tra i maggiori rappresene Coligny ugonotti tanti il principe di Condé e de Coligny. Il Parlamento di Parigi, contrastando Caterina che aveva tentato una politica di conciliazione con gli ugonotti, dichiarò questi ultimi fuori legge proEditto di Amboise vocando lo scoppio della guerra civile. L’Editto di Amboise (1563) concesse la libertà di coscienza a tutti i protestanti, ma Editto di St. Germain di culto ai soli nobili. Il conflitto proseguì fino all’Editto di St. Germain (1570) che assegnava agli ugonotti alcune piazzeforti non controllate dal re. Con l’assenso della sovrana i duchi di La notte Guisa organizzarono il massacro dei calvinisti nella Notte di San di San Bartolomeo Bartolomeo (24 agosto 1572) quando nella sola Parigi circa 23000 ugonotti furono passati a fil di spada. Morto Carlo IX (1574) l’influenza politica di Caterina non diminuì sotto il regno del

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8 - L’Europa nella seconda metà del Cinquecento L’IMPERO

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Alla morte di Carlo V (1558) il fratello Ferdinando, già re di Boemia e Ungheria, fu eletto imperatore con il nome di Ferdinando I. Egli strutturò in senso più moderno i domini ereditari istituendo nuovi organi di governo: il Consiglio segreto per le questioni più riservate, il Consiglio aulico per la politica estera, la Camera aulica per la cura delle finanze, il Consiglio aulico competente per la difesa e la guerra. Alla sua morte divise il suo dominio tra i figli assegnando ai cadetti Car-

lo e Ferdinando parte del territorio ereditario austriaco. Nel 1564 la corona imperiale passò al primogenito di Ferdinando, Massimiliano II (1564-76), incline al protestantesimo, che concesse ai sudditi piena libertà di coscienza e di culto. Il figlio e successore Rodolfo II (15761612), intransigente cattolico, cercò di imporre una restaurazione cattolica in tutto l’Impero. I principi riformati osteggiarono a lungo quest’iniziativa e si allearono nell’Unione evangelica.

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La guerra dei tre Enrichi

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terzo figlio, Enrico III. La lotta per il potere scatenò la “guerra dei tre Enrichi” (così detta perché tutti i contendenti, cioè il re, il duca di Borbone, capo degli ugonotti, e quello di Guisa, esponente dei cattolici, si chiamavano Enrico) che vide l’assassinio di Enrico di Guisa (1588) ordinato dal re. Alla morte di Enrico III (1589), Enrico di Borbone (marito di Margherita di Valois, sorella del re), già re di Navarra, non fu riconosciuto come erede legittimo dai cattolici e ottenne il trono con la forza delle armi e la conversione al Cattolicesimo (1594). L’Editto di Nantes, promulgato da Enrico IV nel 1598, riconosceva a tutti i sudditi la libertà di coscienza e di culto, ponendo fine alle guerre di religione.

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Enrico di Navarra diventa Enrico IV

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L’Editto di Nantes

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Gli Asburgo di Spagna: Filippo II

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Filippo II (1556-98) era stato allevato in un clima di rigido e austero Cattolicesimo. Reggente di Spagna (1543), sposò in prime nozze Maria Emanuela del Portogallo, dalla quale ebbe don Carlos; poi Maria Tudor, regina d’Inghilterra, Elisabetta di Valois e infine Anna d’Austria che gli diede cinque figli, dei quali il solo Filippo III gli sopravvisse. Filippo II estese a tutti i suoi domini il sistema castigliano, secondo una visione centralista dello Stato che voleva il trasferimento della capitale a Madrid (1561) e la costruzione dell’Escorial, sua residenza dal 1584. Governò con l’aiuto dei Consigli (ai preesistenti fuono aggiunti il Consiglio d’Italia, 1559; quello del Portogallo, 1582; e quello delle Fiandre, 1588) che rispondevano direttamente a lui e sovrintendevano a ogni settore della vita dello Stato. L’intensa lotta in difesa dell’ortodossia cattolica provocò l’annientamento dei protestanti, ma anche il controllo della Corona sulle nomine ve-

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Visione centralista dello Stato

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La difesa della cattolicità

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I Consigli

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Storia

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scovili, i benefici, l’istruzione del clero, ponendo spesso pesanti condizionamenti al Papato. Nei confronti di ebrei e moriscos promosse una politica di conversioni forzate e di persecuzioni. In politica estera continuò il movimento espansivo nella penisola iberica che culminò con l’unione personale del Portogallo La Pace alla Corona spagnola (1580). Con gli accordi siglati nella Pace di Cateau-Cambrésis di Cateau-Cambrésis (vedi cap. 7 e cartina storica a pag. 43) La battaglia rafforzò il controllo spagnolo sulla penisola italiana. La vittoria di Lepanto di Lepanto contro i Turchi (1571) garantì la sicurezza sulle rotte commerciali del Mediterraneo meridionale. Filippo II intervenne anche nelle guerre di religione in Francia alleandosi con i cattolici contro Enrico di Borbone.

La nascita delle Province Unite

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Filippo II tentò di estendere la sua politica di uniformità religiosa e amministrativa ai Paesi Bassi,per la maggior parte calvinisti. Ciò La rivolta fiamminga scatenò la rivolta dei territori fiamminghi, sostenuta da Francia contro la politica e Inghilterra. La violenta repressione del duca d’Alba (1567) colpì religiosa di Filippo II i capi dei calvinisti e impose la tassazione delle attività commerciali. Guglielmo d’Orange, esponente dell’aristocrazia fiamminga, guidò la rivolta antispagnola caratterizzata da atti di pirateria navale. Il saccheggio di Anversa (1576), voluto da Filippo II, provocò la pacificazione tra le province del Nord calvinista e Unione di Gand quelle del Sud cattolico: risultato dell’accordo fu l’Unione di Gand con la quale si chiedeva il ritiro delle truppe spagnole. Il nuovo governatore spagnolo Alessandro Farnese giocò abilmente sulle differenze religiose tra calvinisti e cattolici riuscendo a spezzare l’Unione di Gand. Nel 1579 le sette province setUnione di Utrecht tentrionali si proclamarono indipendenti (Unione di Utrecht). Unione di Arras A esse si contrappose l’Unione di Arras delle province cattolifilospagnola che, fedeli alla Spagna. Le Province Unite si diedero una struttura confederata con Stati generali unitari e permanenti sotto la guida di un governatore (statolder). La guerra con la Spagna La Pace di Vestfalia continuò sino alla Pace di Vestfalia del 1648.

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L’Inghilterra elisabettiana Maria la Sanguinaria Alla morte di Edoardo VI la sorellastra Maria la Sanguinaria

Elisabetta I 46

(1553-58) cercò di restaurare il Cattolicesimo (con l’appoggio del marito Filippo II) mettendo in atto una violenta politica persecutoria contro i protestanti. Le succedette la sorellastra Elisabetta I (1558-1603), figlia di Anna Bolena, che, ostile sia al Cattolicesimo che al puritanesimo, consolidò il potere della Chie-

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8 - L’Europa nella seconda metà del Cinquecento

Consolidamento della chiesa anglicana Le basi della potenza navale inglese I corsari

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sa anglicana (vedi cap. 6). La nuova regina, scomunicata da Pio V nel 1570, sedò le rivolte cattoliche in Irlanda ma limitò anche le insubordinazioni sociali dei puritani e si schierò a fianco degli ugonotti durante le guerre di religione in Francia. In campo economico avviò la trasformazione dello Stato in potenza navale, commerciale e coloniale (con la fondazione della colonia della Virginia in America), e minacciò il monopolio commerciale spagnolo con le colonie finanziando la guerra corsara (Francis Drake). La Corona finanziò inoltre le imprese commerciali, promosse la vendita delle terre ex ecclesiastiche e l’istituzione delle enclosures (vedi cap. 4). La decapitazione di Maria Stuart, la pretendente cattolica alla Corona inglese, spinse Filippo II ad attaccare l’Inghilterra con la sua imponente ma poco maneggevole flotta: l’Invincibile Armata che subì la più grande disfatta nella storia della marina spagnola (1588). Elisabetta I fu una grande mecenate che favorì lo sviluppo delle arti influenzate dalla cultura rinascimentale italiana e fiamminga.

Le enclosures La lotta con la Spagna: l’Invincibile Armata

SCHEMA RIASSUNTIVO FRANCIA

Durante il regno di Caterina de’ Medici e dei suoi figli il Paese è scosso dalle guerre di religione tra cattolici e ugonotti. Alcuni editti avevano garantito ai nobili ugonotti libertà di culto. Nella Notte di S. Bartolomeo (1572) sono massacrati a Parigi migliaia di ugonotti: ciò scatena la guerra che porta alla nomina di Enrico di Borbone, capo degli ugonotti, a re dopo la sua conversione (Enrico IV). L’Editto di Nantes riconosce a tutti piena libertà di culto (1598).

SPAGNA

Filippo Il trasferisce la capitale a Madrid dalla quale governa tutto il Regno tramite i Consigli regionali. Intransigente cattolico e caccia i moriscos dalla Spagna e combatte i Turchi nella battaglia di Lepanto (1571).

PROVINCE UNITE

L’oppressione fiscale spagnola provoca numerose sollevazioni, la violenta repressione di Filippo Il porta alla pacificazione fra le province cattoliche e calviniste (Unione di Gand). Nel 1579 le province del Nord si dichiarano indipendenti (Unione di Utrecht), mentre le province meridionali cattoliche rimangono fedeli alla Spagna (Unione di Arras).

INGHILTERRA

Dopo la reggenza di Maria la Sanguinaria, la sorellastra Elisabetta I (1558-1603) riporta l’anglicanesimo nel Regno e seda le rivolte cattoliche in Irlanda. La Corona avvia la trasformazione dello Stato in potenza navale, commerciale e coloniale (promuove imprese commerciali, finanzia la guerra corsara e la fondazione della Virginia). È una grande mecenate per letterati e artisti.

IMPERO

Ferdinando I ristruttura i domini ereditari, rafforzando il potere degli Asburgo con l’istituzione di organi di governo controllati dal sovrano. Il figlio Massimiliano Il incline al protestantesimo concede piena libertà di culto.

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FILOSOFIA

1 Un’epoca di cambiamenti 2 Il platonismo e l’aristotelismo rinascimentali 3 La riflessione politica nel Cinquecento 4 La Riforma protestante e il rinnovamento cattolico 5 Il naturalismo rinascimentale

Nel clima di generale rinnovamento che caratterizza il periodo umanistico-rinascimentale anche la riflessione filosofica, nei suoi diversi campi, intraprende nuovi percorsi e si confronta con temi fondamentali. Da una parte si assiste a un diffuso processo di laicizzazione del pensiero che porta a privilegiare dei grandi filosofi del passato – l’onnipresente Aristotele e il da poco riscoperto Platone – alcuni motivi piuttosto che altri; in questo senso vanno anche quei pensatori che prediligono un approccio più “pragmatico” allo studio del mondo reale e della natura, troppo spesso sottovalutati nel Medioevo a favore delle realtà trascendenti. Dall’altra parte la Riforma protestante e la Controriforma cattolica sono il segno di una profonda crisi morale e teologica e di una sentita esigenza di cambiamento, che suscitano un denso dibattito in tutta Europa.

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1 Un’epoca di cambiamenti

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Il fenomeno culturale dell’Umanesimo e del Rinascimento è difficilmente definibile in modo univoco, perché presenta sia elementi di continuità, sia elementi di novità rispetto all’epoca medievale precedente, ponendosi più propriamente come un momento di transizione verso l’età moderna. Proprio questa sua intrinseca ambiguità ha portato gli storici a oltrepassare la classica interpretazione, avanzata per la prima volta da Jacob Burckhardt, di una radicale frattura fra Medioevo e Rinascimento, favorendo la ricerca dei tratti comuni alle due epoche e rinunciando alle grandi sintesi sul Rinascimento; viene privilegiata piuttosto l’analisi delle molteplici e a volte contraddittorie componenti di questa importante stagione culturale.

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L’Umanesimo

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Con il termine Umanesimo si è soliti indicare la cultura del Trecento e del Quattrocento, legata alle humanae litterae, vale a dire le discipline che si occupano del recupero e dell’interpretazione dei testi classici dell’antichità greca e romana. L’Umanesimo (vedi anche pagg. 16-21) connota l’età nuova caratterizzata da un modo innovativo di fare cultura e da un marcato interesse per la vita attiva. In generale gli autori umanisti concentrano la loro attenzione sull’impegno dell’uomo nelle relazioni pubbliche e nelle funzioni civili. In questo senso lo studio e la preparazione dottrinale vengono concepiti non come fini a se stessi, ma come subordinati e indirizzati all’esercizio di attività di interesse comune. Così Coluccio Salutati, Bernardino da Siena, Leonardo Bruni, traducendo in pratica le istanze prevalentemente contemplative del Medioevo, si adoperano per costruire una società nuova, che in una città di nuova concezione, non più feudale, possa esprimere, attraverso l’esercizio di tutte le arti, il rinnovamento del pensiero e della vita dovuto alla riscoperta e alla rilettura dei classici. Il rinnovato interesse per la letteratura e per la filologia determina nell’Umanesimo un mutamento dell’idea e dei criteri della verità. Mentre infatti la tradizione scolastica precedente li individua nella coerenza interna, logica e formale, delle singole dottrine, l’Umanesimo li sostituisce con le norme della retorica, che permettono l’uso persuasivo dei luoghi comuni del discorso. Autori come Petrarca e Valla si

Le humanae litterae

L’attenzione alle relazioni pubbliche e alle funzioni civili

La riscoperta dei classici Il mutamento dei criteri di verità

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Filosofia

La nascita di nuovi centri di studio: le accademie

Dignità, miseria e fortuna dell’uomo

battono per sostituire al modello aristotelico di scienza, basato sulla stringatezza della deduzione logica, l’autorità culturale degli oratori antichi, Cicerone e Quintiliano, additati come i migliori rappresentanti dell’indole più nobile della classicità. A fianco dei luoghi tradizionali di studio, soprattutto in Italia fioriscono centri indipendenti di ricerca letteraria, artistica e filosofica costituiti da gruppi di specialisti, che si organizzano in accademie, come nel caso fiorentino dell’Accademia platonica (vedi pag. 56), talvolta facendo capo alle corti di principi e magnati. In autori come Alberti, Pontano, Pico della Mirandola, Bembo, Castelvetro, Fracastoro le personalità dell’artista e dell’erudito, accostate a quella del pensatore puramente contemplativo, permettono la produzione di opere aperte all’interdisciplinarietà in cui si intrecciano la dimensione speculativa e quella affettiva e pratica, legata in maggior misura al mondo propriamente “umano” della civiltà e della politica. Dignità, miseria e fortuna dell’uomo diventano temi ricorrenti, come nei lavori di Machiavelli, Guicciardini e Sarpi.

Il Rinascimento Se con il termine Umanesimo si fa riferimento più specificatamente alla cultura del Trecento e del Quattrocento, con la nozione di Rinascimento (vedi anche pagg. 16-21) si indica più in generale il periodo compreso fra i secc. XIV e XVI, caratterizzato da un programma e da un progetto di “rinnovamento” spirituale, religioso, culturale e politico. Il Rinascimento è innanzitutto un fatto di cultura, una concezione della vita e della realtà che opera nelle arti, nelle lettere, nelle scienze, nel costume con l’intenzione di riproporre i modi e le forme di vita intellettuale e artistica dell’età classica.

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■ Le arti e il nuovo ruolo degli intellettuali Il mondo che si riflette nelle arti figurative, nella letteratura e negli ideali educativi del Rinascimento è un mondo più spesso enigmatico e inquieto che limpido e armonioso. Tuttavia l’espressione delle arti figurative trova nel Rinascimento uno spazio straordinariamente ampio di manifestazione in una nuova sintesi di natura e di proporzione con cui si raffigura l’armonico rapporto tra l’uomo e le cose. La letteratura stenta a raggiungere un risultato analogo, perché parzialmente impedita dal divario esistente tra il primato culturale del latino, l’idioma dei modelli letterari, e l’imporsi del volgare come forma linguistica predominante. La circo-

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La letteratura

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Le arti figurative

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Il concetto di Rinascimento

1 - Un’epoca di cambiamenti

lazione degli intellettuali e degli artisti nelle diverse città della penisola italiana è favorita dalla crescente pratica del me- Il mecenatismo cenatismo: il mecenate si presenta non solo come benevolo protettore della cultura, ma come soggetto capace di progettare gli investimenti nel campo delle lettere, delle arti e delle città per dare espressione ai valori dell’Umanesimo.

SCHEMA RIASSUNTIVO IL RAPPORTO MEDIOEVO-RINASCIMENTO

Il periodo umanistico-rinascimentale, per molto tempo inteso in una radicale frattura rispetto al Medioevo, è attualmente interpretato più propriamente come un momento di transizione verso l’età moderna.

IL CONCETTO DI UMANESIMO Il termine Umanesimo indica la cultura del Trecento e del Quattrocento, legata alle humanae litterae, cioè alle discipline che si occupano del recupero e dell’interpretazione dei testi classici dell’antichità greca e romana. Gli umanisti concentrano la loro attenzione sull’impegno dell’uomo nelle relazioni pubbliche e nelle funzioni civili e si adoperano per costruire una società nuova grazie alla riscoperta e alla rilettura dei classici.

Il mutamento dei criteri di verità

Il rinnovato interesse per la letteratura e per la filologia determina nell’Umanesimo un mutamento dell’idea e dei criteri della verità, che vengono fatti coincidere con le norme della retorica.

La nascita di nuovi centri di studio

Si verifica un parziale rinnovamento dei luoghi tradizionali di studio: gli intellettuali si riuniscono o in accademie, o facendo capo alle corti di principi e magnati. Dignità, miseria e fortuna dell’uomo divengono temi ricorrenti.

IL CONCETTO DI RINASCIMENTO

Con la nozione di Rinascimento si indica più in generale il periodo compreso fra i secc. XIV e XVI, caratterizzati da un programma e da un progetto di “rinnovamento” spirituale, religioso, culturale e politico, ispirato ai modi e alle forme di vita intellettuale e artistica dell’età classica.

Le arti figurative e la letteratura

Le arti figurative elaborano una nuova sintesi di natura e di proporzione, mentre la letteratura stenta a raggiungere un risultato analogo, perché parzialmente impedita dal divario tra il primato culturale del latino e l’imporsi del volgare. La centralità dell’uomo diviene il criterio teorico e il modello formale per eccellenza ed è affiancata dalla consapevolezza della sua determinazione storica.

Il mecenatismo

La circolazione degli intellettuali e degli artisti è favorita dalla crescente pratica del mecenatismo.

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L’attenzione alla dimensione pubblica e politica della vita

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2 Il platonismo e l’aristotelismo rinascimentali

aa z n La cultura in generale, e quella filosofica in particolare, subiscono,edurante ic nell’età l tutto il Rinascimento, un processo di laicizzazione che si concluderà in principale autore moderna. Infatti, fra le problematiche affrontate da Aristotele, o s studiato nelle università, vengono privilegiate quelle logico-gnoseologiche e fisiche; es vengono accentuati cdell’epoca, fra i temi tipici di Platone, vera novità filosofica n co naturale della divinità. soprattutto l’antropocentrismo e una concezione o l o Tit L’aristotelismo rinascimentale

I testi originali di Aristotele Le correnti alessandriste e averroiste

L’aristotelismo rimane la corrente filosofica dominante nelle università europee per tutto il Rinascimento. Grazie all’influsso dell’Umanesimo gli intellettuali abbandonano le traduzioni medievali di Aristotele e ne leggono e traducono direttamente i testi originali, alla luce anche degli antichi commentatori greci riscoperti. Infatti parallelamente alla tradizionale interpretazione scolastica, fiorente nelle università francesi e tedesche, Aristotele viene letto soprattutto alla luce dei commenti di Alessandro di Afrodisia e di Averroè, che in generale propugnano un’interpretazione più laica del pensiero aristotelico, con una maggiore attenzione alle problematiche logico-gnoseologiche e fisiche, prediligendo l’esperienza diretta alla pura speculazione.

Pietro Pomponazzi

Il problema dell’immortalità dell’anima

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Pietro Pomponazzi (Mantova 1462 - Bologna 1525) studia medicina a Padova e insegna filosofia a Padova, a Ferrara e a Bologna. Il suo commento delle opere di filosofia naturale di Aristotele culmina con la pubblicazione del trattato sull’Immortalità dell’anima (1516), in cui, pur non rinnegando i principi della fede cristiana, afferma l’impossibilità di dimostrare l’immortalità personale sulla base di argomenti naturali, sostenendo che all’individuo non può appartenere un’anima assolutamente indipendente dai sensi. L’intelletto dell’uomo si configura infatti come capace di cogliere l’universale attraverso i sensi; l’immortalità allora si ri-

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2 - Il platonismo e l’aristotelismo rinascimentali

ferisce in sé all’intelletto unico e solo relativamente all’individuo singolo. L’opera viene condannata e bruciata dall’Inquisizione veneziana.

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Il platonismo rinascimentale

La novità più rilevante del pensiero filosofico rinascimentale è data, però, dalla riscoperta di Platone, che si diffonde in nuovi centri culturali (come l’Accademia platonica di Firenze) al di fuori delle tradizionali istituzioni universitarie, dove predomina l’aristotelismo. Di Platone innanzitutto vengono letti in originale un maggior numero di dialoghi rispetto a quelli conosciuti nel Medioevo; inoltre si tratta di un Platone fortemente mediato dall’interpretazione neoplatonica, che valorizza soprattutto il tema della spiritualità del cosmo e della bellezza come manifestazione di un ordine metafisico e teologico del mondo. Il pensiero platonico viene letto come una forma di “filosofia rivelata” direttamente dal Verbo divino, meno perfetta ma più antica e originaria, che si pone accanto alla rivelazione cristiana come unico possibile fondamento di un’autentica “filosofia cristiana”.

Niccolò Cusano

Niccolò Cusano (Kues, Germania, circa 1400 - Todi 1464) studia diritto e scienze matematiche a Padova e approfondisce la filosofia e la teologia a Colonia; diviene vescovo di Bressanone. La sua opera maggiore è De docta ignorantia (1440). Secondo Cusano si può conoscere con la ragione oppure con l’intelletto, ma né l’una né l’altro possono conseguire una conoscenza che voglia essere “vera e precisa”. La conoscenza di ragione consiste, da un lato, nel ricondurre attraverso una serie finita di operazioni mentali una grandezza a un’altra, un concetto a un altro concetto; dall’altro lato, nel presupporre una qualche unità di misura. È sempre possibile presupporre una misura più precisa di quella in uso, cosicché ogni conoscenza di ragione è perfettibile. Inoltre alla ragione resta incomprensibile il concetto di infinito. Del concetto di infinito è possibile una “visione intellettuale”, ovvero un’intuizione intellettiva, vera ma non precisa. Nell’infinità l’intelletto “vede” e intuisce la “coincidenza degli opposti”, cioè l’unità di tutte le conoscenze, anche di quelle contrapposte tra loro. Il principio della coincidenza

La riscoperta di Platone

Il pensiero platonico come “filosofia rivelata”

La conoscenza di ragione e i suoi limiti

La “coincidenza degli opposti” 55

Filosofia

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CHE COS’È L’ERMETISMO

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L’ermetismo è una corrente di pensiero religioso, mistico e filosofico diffusasi a partire dal sec. II d.C. e portatrice di una dottrina esoterica. Si parla di ermetismo popolare, imperniato principalmente sulle scienze occulte, e di ermetismo dotto, noto soprattutto attraverso due scritti (il Corpo ermetico e l’Asclepio) di carattere mistico-teologico. Il tratto comune a queste due forme dell’ermetismo è il tono esoterico dei contenuti proposti, fondati non su una dimostrazione razionale, ma su un’adesione fideistica a ciò che si presenta nella forma di una rivelazione diretta a pochi iniziati dal leggendario Ermete Trismegisto, figura mitologica nata

dalla contaminazione fra il dio egiziano Thoth e il dio greco Ermete. Da un punto di vista filosofico, l’ermetismo esaspera il dualismo Dio-mondo, fino a elevare Dio a una dimensione in sostanza inconoscibile, sprofondando il mondo nell’abisso della negatività. Il collegamento fra le due realtà risulta allora affidato a una gerarchia di esseri, o potenze, che vede l’intelletto umano all’ultimo posto. Tale ordine decrescente della creazione può essere ripercorso a ritroso dall’uomo attraverso l’esercizio della sapienza per liberarsi dalla materia e giungere al completo abbandono del corporeo (estasi) e alla riunificazione con Dio.

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pone come apice della conoscenza la “dotta ignoranza”, il La “dotta ignoranza” sapere di non sapere. Cusano definisce l’uomo come lo scopo dell’intera creazione, creato per riconoscere il “valore divino” della creazione, in grado di raggiungere una genuina perfezione naturale, definita filiatio Dei (discendenza filiale di Dio) e deificazione. Cusano afferma che di Dio si dà una duplice possibilità di coTeologia negativa noscenza: la teologia negativa dice ciò che Dio non è; la teoe teologia positiva logia positiva afferma che Dio si manifesta nell’infinità della creazione. Infine, il terzo modo di manifestazione divina è la parola di Cristo, che rivela la realtà presente della redenzione di ogni uomo e di tutta la natura creata. Per conoscere la divinità di Cristo bisogna imitare l’umanità perfetta e divina La teologia di Cristo e favorire, sul piano civile e della storia dell’uomo, del dialogo una teologia del dialogo tra uomini.

Marsilio Ficino

L’Accademia platonica

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Marsilio Ficino (Figline Valdarno, 1433 - Careggi, Firenze, 1499) studia filosofia a Firenze e con l’appoggio di Cosimo de’ Medici costituisce una scuola platonica a Firenze. Intraprende la lettura di Platone e ne inizia la traduzione, raccogliendo attorno a sé dotti di varia estrazione, che danno vita all’Accademia platonica fiorentina. Ordinato prete nel 1473, traduce anche Plotino e gli altri neoplatonici, Dionigi Areopagita e il Corpo ermetico. In opposizione all’imposta-

n co 2 - Il platonismo e l’aristotelismo rinascimentali

lo o t i zione della scolastica e T all’aristotelismo rinascimentale,

esprime l’idea di una progressiva rivelazione di Dio nel tempo attraverso l’opera di sapienti pagani, fra i quali svetta Platone, e cristiani. Elabora il concetto di una gerarchia universale di perfezioni organizzata finalisticamente nell’articolazione di cinque sostanze: Dio, angeli, anima razionale, qualità e corpo. L’anima è il caposaldo dell’intero sistema e l’argomento decisivo della dignità dell’uomo: essa è il fondamento di ogni creatura e il principio dell’unità dinamica dell’universo. Nel pensiero, che ha un’influenza attiva sopra i suoi oggetti, e nell’amore, forza attiva che salda il legame tra le cose, l’anima appare in quanto copula mundi (legame del mondo), centro dell’intera realtà come microcosmo di universale connessione. L’ascesa a Dio si realizza, con l’ausilio dell’intelletto e della volontà, attraverso un percorso graduale e parallelo di conoscenza e di amore. Nella Teologia platonica sull’immortalità delle anime (1482), sua opera principale, il platonismo è assunto come il fondamento di una teologia razionale, che coincide con le verità del cristianesimo.

La rivelazione progressiva di Dio

L’anima, copula mundi

Il platonismo come teologia razionale

Pico della Mirandola Giovanni Pico della Mirandola (Mirandola 1463 - Firenze 1494) a Firenze si lega in amicizia con i membri dell’Accademia platonica e approfondisce la conoscenza del platonismo e delle lingue ebraica, araba e caldaica. Nelle Conclusioni filosofiche, cabalistiche e teologiche (1486) espone una raccolta di tesi, teoriche e storiche, che trae frutto dalla lettura dei filosofi, dalla cabbalà ebraica (la corrente mistica dell’ebraismo basata anche su una tecnica di interpretazione simbolica delle singole parole della Bibbia), dal Corano e dagli Oracoli caldaici (che si rifanno all’antica sapienza babilonese e presentano dottrine affini a quelle del Corpo ermetico). Pensata come base di discussione per un ecumenico consesso di dotti da riunire a Roma, l’opera viene condannata (1487) sotto Innocenzo VIII. Nella celebre orazione De dignitate hominis (La dignità dell’uomo) celebra il valore della libertà umana: collocato da Dio al centro della realtà, l’uomo si manifesta capace di scegliere i termini del suo vivere, di ammirare l’universo e anche di determinarlo attraverso la pratica della magia e nella libertà è superiore anche agli angeli, fissi a un grado della gerarchia degli esseri.

Rapporti con ebraismo, Islam ed ermetismo

La Dignità dell’uomo

57

Filosofia

SCHEMA RIASSUNTIVO L’ARISTOTELISMO

L’aristotelismo è la corrente filosofica dominante nel Rinascimento, soprattutto le correnti alessandriste e averroiste, che in generale prestano maggiore attenzione alle problematiche logico-gnoseologiche e fisiche.

POMPONAZZI E IL PROBLEMA DELL’IMMORTALITÀ DELL’ANIMA

Pietro Pomponazzi nel suo trattato sull’Immortalità dell’anima afferma l’impossibilità di dimostrare l’immortalità personale, giacché questa si riferisce all’intelletto unico e solo relativamente all’individuo singolo.

IL PLATONISMO

La novità più rilevante del pensiero rinascimentale è data dalla riscoperta di Platone, letto alla luce dell’interpretazione neoplatonica. Il pensiero platonico viene considerato come una forma di “filosofia rivelata” di origine divina e viene valorizzato soprattutto il tema della spiritualità del cosmo e della bellezza.

CUSANO E LA “DOTTA IGNORANZA”

Niccolò Cusano, nella sua opera maggiore, De docta ignorantia, afferma che alla conoscenza di ragione, in sé sempre ulteriormente perfettibile, resta incomprensibile il concetto di infinito, di cui è possibile solo una visione intellettuale. Nell’infinità l’intelletto intuisce la coincidenza degli opposti (cioè l’unità di tutte le conoscenze, anche di quelle contrapposte tra loro), che pone come apice della conoscenza la dotta ignoranza, il sapere di non sapere.

L’uomo

L’uomo è definito come “dio creato”, scopo dell’intera creazione, che grazie alla propria partecipazione all’umanità raggiunge una genuina perfezione naturale, definita filiatio Dei (discendenza filiale di Dio).

Dio

Di Dio si dà una duplice possibilità di conoscenza: la teologia negativa dice ciò che Dio non è, mentre la teologia positiva afferma che Dio si manifesta nell’infinità della creazione. Altro modo di manifestazione divina è la parola di Cristo, che rivela la realtà presente della redenzione di ogni uomo e di tutta la natura creata.

FICINO E L’ANIMA COME “COPULA MUNDI”

Marsilio Ficino elabora il concetto di una gerarchia universale di perfezioni, in cui l’anima è il caposaldo dell’intero sistema e l’argomento decisivo della dignità dell’uomo. Essa è copula mundi (legame del mondo), centro dell’intera realtà come microcosmo di universale connessione. Ficino assume il platonismo come il fondamento di una teologia razionale, coincidente con le verità del cristianesimo.

PICO DELLA MIRANDOLA

Giovanni Pico della Mirandola espone un programma di conciliazione ecumenica tra cristianesimo, ebraismo e islamismo nelle Conclusioni filosofiche, cabalistiche e teologiche. Nella celebre orazione De dignitate hominis celebra il valore della libertà umana: collocato da Dio al centro della realtà, l’uomo è capace di scegliere i termini del suo vivere e nella libertà è superiore anche agli angeli.

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3 La riflessione politica nel Cinquecento

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L’età rinascimentale è caratterizzata dal fenomeno della formazione e del consolidamento dello Stato moderno, che, in contrapposizione all’anarchia comunale e feudale e all’universalismo del papato e dell’impero del Medioevo, porta a una centralizzazione e laicizzazione del potere monarchico, detenuto saldamente dal sovrano, che si dota di nuovi strumenti di potere, come gli eserciti permanenti, un prelievo fiscale sistematico e un personale politico specializzato. La riflessione politica diventa così una componente centrale del pensiero filosofico. Vengono affrontati quelli che saranno i grandi temi della modernità: la difesa dei principi della libertà e del sistema repubblicano, richiamandosi alla tradizione classica, come nell’Umanesimo civile, che con Machiavelli delinea una concezione della politica come scienza razionale e autonoma; il problema dell’origine e della legittimità della sovranità (come in Bodin e Botero); il rapporto fra diritto naturale e positivo (come in Grozio e nel giusnaturalismo).

Niccolò Machiavelli

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Niccolò Machiavelli (Firenze 1469-1527) entra al servizio del- La vita e le opere la Repubblica di Firenze e nel 1498 viene nominato segretario della Seconda Cancelleria. Tale incarico gli consente di conoscere a fondo e dall’interno la realtà della politica del tempo, anche grazie a numerose “missioni” presso varie corti d’Italia e d’Europa. Caduta nel 1512 la Repubblica e tornati i Medici, Machiavelli viene sospettato di congiura antimedicea e costretto all’esilio, dove compone le sue due principali opere di politica: Il Principe (scritto nel 1513) e i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1513-18). Smorzatosi progressivamente il rigore dell’esilio, Machiavelli può rientrare e lavorare come storico ufficiale di Firenze con le Istorie fiorentine. Nonostante i suoi sentimenti repubblicani, Machiavelli condensa magistralmente il suo pensiero nel Principe (vedi an- Il Principe che pag. 106) un trattato sulla costituzione e sul mantenimento del principato; vi trovano espressione le sue tesi più tipiche: realismo metodologico, autonomia della politica, pessimismo antropologico, dialettica virtù-fortuna. In pole-

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Filosofia IL GIUSNATURALISMO Il giusnaturalismo indica, nella filosofia del diritto, ogni dottrina che sostiene l’esistenza di una legge naturale nel senso che le sue norme precedono logicamente le leggi o i diritti positivi, cioè emanati da una autorità politica (o eventualmente anche religiosa). In senso proprio si chiama giusnaturalismo classico un filone di pensiero politico del Seicento e del Settecento, che viene iniziato da Ugo Grozio e ha tra i suoi esponenti fi-

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Il realismo metodologico La politica, tecnica del potere

L’autonomia della politica La dialettica virtù-fortuna

losofi come John Locke, Samuel von Pufendorf, Jean-Jacques Rousseau fino a Kant e Fichte. Il problema che questi autori si propongono di risolvere è quello di legittimare le istituzioni politiche e i sistemi di norme di una società particolare su basi universali e razionali, tali da prescindere dal ricorso ad autorità di natura politica (l’impero) o religiosa (la Chiesa), che nell’Europa del Seicento avevano perso l’unanimità dei consensi.

mica con l’immagine idealizzata dell’uomo propria del platonismo umanistico, Machiavelli si fa sostenitore dell’esigenza di considerare le vicende umane con assoluto realismo, per coglierne la “verità effettuale” più che il dover essere. Sulla scorta di questo realismo metodologico, descrive la politica quale pura tecnica del conseguimento, del mantenimento e della difesa del potere sovrano. Le regole non definiscono un modello di comportamento morale, ma lo stile di coloro che aspirano al potere, lo esercitano e lo conservano. In questo contesto ogni iniziativa va giudicata in relazione al successo raggiunto, alla sua efficacia nel mondo dei fatti. I processi politici di indebolimento o rafforzamento del potere sono processi naturali, regolati da leggi inesorabili. Di qui la totale autonomia della politica dai criteri di giudizio morali o religiosi. Le virtù del politico non sono certo le virtù cristiane dell’amore e dell’umiltà, sono piuttosto l’astuzia della volpe e la forza del leone. Ma anche la più audace iniziativa umana (“virtù”) è spesso costretta e vinta dalla forza delle circostanze (“fortuna”).

Tommaso Moro Contro il realismo di Machiavelli si pone la prospettiva etico-religiosa dell’arcivescovo di Canterbury Tommaso Moro (Londra 1478-1535). In seguito al suo rifiuto di riconoscere il sovrano come capo della Chiesa d’Inghilterra, dopo lo scisma anglicano, Tommaso Moro viene condannato a morte e giustiziato. Nel dibattito religioso porta l’intimo desiderio di un rinnovamento profondo della Chiesa cattolica, ma è la teoria politica il centro del suo interesse di scrittore e di filosofo: nella 60

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3 - La riflessione politica nel Cinquecento

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sua opera più conosciuta, Utopia (1516), descrive la vita di L’Utopia una società ideale organizzata secondo un modello comunistico, in cui denaro e proprietà privata sono istituzioni bandite. Gli abitanti dell’isola di Utopia (letteralmente: luogo che non c’è) osservano ritmi di lavoro la cui ripartizione assicura la soddisfazione dei bisogni ed evita l’insorgere delle ingiustizie; basata sul nucleo familiare, la vita sociale prevede importanti momenti comunitari finalizzati al consolidamento delle relazioni civili; la massima libertà, infine, è garantita a tutte le espressioni di fede, ritenute convergenti in una religiosità naturale che esclude soltanto l’ateismo.

Jean Bodin

Il concetto di sovranità

La teoria dei fattori climatici

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L’autonomia della politica e dello Stato da qualunque presupposto metafisico o teologico è sostenuta dal francese Jean Bodin (Angers 1530 - Laon 1596). Nei Sei libri sulla repubblica (1576) afferma l’assoluta indipendenza dello Stato da qualunque entità e si propone di costruire razionalmente il concetto di sovranità, descrivendone i limiti etico-giuridici e costituzionali. Secondo questa teoria i diversi modi di esercizio della sovranità danno origine alle diverse forme di regime politico: lo Stato popolare, lo Stato aristocratico, lo Stato monarchico. Sviluppa inoltre una teoria dei fattori climatici secondo la quale non esiste regime politico indipendente dal temperamento dei diversi popoli.

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Giovanni Botero

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Il gesuita Giovanni Botero (Bene Vagienna, Cuneo 1540 Torino 1617) con Della ragion di stato (1583) continua l’opera di Jean Bodin nello studio dei fattori geografici ed economici che influenzano la vita politica, svolgendo inoltre un ampio esame degli aspetti organizzativi che il nascente Sta- L’analisi dei problemi to moderno viene affrontando: sistema fiscale, politiche dello Stato moderno commerciali, annona, urbanistica. Si contrappone a Machiavelli e al suo realismo in nome di una fondazione eticoreligiosa della politica.

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Il giurista Ugo Grozio (Delft, Fiandre 1583 - Rostock, Germania 1645) è autore del Diritto di guerra e di pace (1625), 61

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Il diritto naturale

opera che, oltre a essere considerata il punto di partenza del giusnaturalismo, segna anche la nascita del diritto internazionale. Innanzitutto Grozio pone la questione delle basi della validità del diritto. L’obbligatorietà delle norme del diritto internazionale deve essere fatta risalire a un principio di diritto naturale logicamente anteriore a queste norme, cioè che “i patti vanno mantenuti”. Il diritto naturale secondo Grozio è tale in quanto discende dai caratteri essenziali e specifici della natura umana, alla cui conservazione è rivolto, e comprende il principio primario (“stare ai patti)” e principi secondari: il rispetto delle cose altrui, la restituzione della proprietà altrui, l’obbligo di mantenere le promesse.

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L’obbligatorietà del diritto

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SCHEMA RIASSUNTIVO Niccolò Machiavelli ne Il principe espone le sue tesi più tipiche: la politica è la dimensione di colui che vuole diventare o mantenersi “principe” e le sue regole non definiscono un modello di comportamento etico, ma lo stile di coloro che aspirano al potere, lo esercitano e lo conservano. Viene affermata così la totale autonomia della politica dai criteri di giudizio morali o religiosi. Le virtù del politico non sono le virtù dell’amore e dell’umiltà, ma piuttosto l’astuzia della volpe e la forza del leone.

MORO E L’UTOPIA

Diversa è la prospettiva etico-religiosa di Tommaso Moro: nella sua opera più conosciuta, Utopia (letteralmente: luogo che non c’è), descrive la vita di una società ideale organizzata secondo un modello comunistico, basato sul nucleo familiare e tollerante nei confronti di tutte le espressioni di fede.

BODIN E IL CONCETTO DI SOVRANITÀ

Jean Bodin cerca di costruire razionalmente il concetto di sovranità, descrivendone i limiti etico-giuridici e costituzionali.

BOTERO

Giovanni Botero si contrappone a Machiavelli e al suo realismo in nome di una fondazione etico-religiosa della politica.

GROZIO

Ugo Grozio è autore del Diritto di guerra e di pace, opera che, oltre a essere considerata il punto di partenza del giusnaturalismo, segna anche la nascita del diritto internazionale. Egli fa risalire l’obbligatorietà delle norme del diritto internazionale a un principio di diritto naturale logicamente anteriore a queste norme: “i patti vanno mantenuti”. Il diritto naturale è tale in quanto discende dai caratteri essenziali della natura umana, alla cui conservazione è rivolto, e comprende un principio primario (“stare ai patti”) e principi secondari: il rispetto delle cose altrui; la restituzione della proprietà altrui; l’obbligo di mantenere le promesse.

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MACHIAVELLI

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4 La Riforma protestante

e il rinnovamento cattolico

Fin dall’inizio dell’età umanistica la religione è interessata da un fenomeno di rinnovamento teorico-pratico, che culmina nel Cinquecento con la riforma cattolica e la Riforma protestante. La prima sottolinea soprattutto l’esigenza di una riforma di tipo morale, in nome di un ritorno allo spirito originale del Vangelo, mentre la seconda avvia anche un profondo ripensamento di tipo teologico, che porterà alla rottura dell’unità cristiana dell’Europa con il sorgere delle Chiese protestanti.

La riforma cattolica

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Il termine “riforma cattolica” designa il rinnovamento iniziato prima del comparire del protestantesimo all’interno della Chiesa cattolica al fine di eliminare gli abusi in nome della fedeltà ai principi evangelici. La corrente riformatrice si afferma nel Cinquecento interessando la spiritualità, la devozione, l’apostolato, la teologia, la disciplina e le strutture ecclesiastiche, la letteratura e le arti. L’aspirazione a una più profonda interiorità cristiana e una più radicale dedizione ai poveri era già stata manifestata da movimenti di ritorno all’osservanza delle regole originarie nel francescanesimo e nel sorgere di nuove confraternite di clero e laici nel Quattrocento. Ancor più sentita diviene poi la preoccupazione della “riforma personale” attraverso cui correggere nella propria persona e con il proprio impegno i mali lamentati nella Chiesa e reagire al disimpegno religioso e morale. Una personalità che svolge un ruolo fondamentale nell’ambito della riforma cattolica è l’umanista olandese Erasmo da Rotterdam (Rotterdam circa 1466 - Basilea 1536). Cresciuto sotto l’influenza della corrente di riforma spirituale della devotio moderna, monaco agostiniano e sacerdote, entra in contatto con l’Umanesimo cristiano di Tommaso Moro, che gli indica la strada della Bibbia e dei Padri della Chiesa. Nell’Enchiridion militis christiani (Manuale del soldato cristiano) propone la perfezione cristiana come ideale comune e non esclusiva prerogativa di clero e monaci e approfondisce la sua concezione del cristianesimo come fedeltà allo spirito del Vangelo, interiorità, chiarezza e sem-

Correnti rinnovatrici in ambito cattolico

La “riforma personale” Erasmo da Rotterdam

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La fedeltà allo spirito del Vangelo 63

L’Elogio della pazzia

La libertà dell’uomo

plicità nell’espressione delle verità di fede così che tutti possano accedere a Cristo. Nell’Elogio della pazzia (1511), la sua opera più celebre, a una società ingabbiata nelle convenzioni e dai valori effimeri contrappone la “superiore” follia della vita cristiana. Pur essendo in sintonia con molte delle nuove idee di Lutero, Erasmo nel De libero arbitrio (1524) polemizza con lui, sostenendo il valore delle opere della libera volontà umana che insieme alla grazia conducono alla salvezza.

Martin Lutero e la riforma protestante

La disputa sulle indulgenze

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La teologia della “pura grazia”

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Il monaco tedesco Martin Lutero (Eisleben 1483-1546) avvia un movimento teologico e politico che si ripropone la restaurazione dell’autentico annuncio evangelico e del vero cristianesimo, la riforma della vita della Chiesa compromessa da abusi e da errate interpretazioni della rivelazione cristiana. La rottura con la Chiesa di Roma avviene nel 1517 quando Lutero pubblica le sue tesi contro la vendita delle indulgenze per raccogliere i fondi necessari alla costruzione della Basilica di S. Pietro in Roma denunciandola come una sorta di mercificazione della grazia divina. In realtà, però, il suo pensiero teologico era già sostanzialmente maturato: elabora una teologia della “pura grazia”, basata sui principi della salvezza per “sola fede” e della autorità della “sola Scrittura”. Il peccato radicale e universale è la mancanza di fede, vale a dire l’incredulità. Da tale situazione non si esce se non mediante la fede. L’uomo non si libera da sé, nemmeno compiendo le opere buone, le quali non meritano affatto la salvezza, cioè non lo rendono giusto davanti a Dio. Solo chi dà ragione alla parola di Dio, cioè ha fede il lui, viene giustificato, cioè considerato giusto. Sulla base di queste premesse Lutero ammette come autorità unicamente la parola di dio, cioè la Bibbia (che traduce in tedesco per farla conoscere a tutti i fedeli), rifiuta l’autorità del papa e critica l’impianto sacramentale cattolico.

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Giovanni Calvino

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La riforma protestante riceve notevole impulso dal francese Giovanni Calvino (Noyon, Piccardia 1509 - Ginevra 1564), che con l’Istituzione della religione cristiana (1536) pone la base dottrinale del calvinismo, centrata sull’idea della sovranità assoluta di Dio, il quale concede la grazia e la sal-

4 - La Riforma protestante e il rinnovamento cattolico

vezza ai prescelti al di là dei loro meriti e secondo criteri insondabili dall’uomo (dottrina della predestinazione); i prescelti si riconoscono per la fede assoluta e fiduciosa in Dio e nella sua provvidenza e per la severa integrità di vita. A Ginevra, dove si trasferisce, istituisce una teocrazia per garantire una rigorosa coerenza tra i principi religiosi e la condotta morale, la cui osservanza deve essere controllata da membri scelti dalla comunità tra i fedeli di onesta condotta. La Chiesa è la comunità degli eletti, che riunisce i predestinati di Dio alla salvezza e vi sono riconosciuti quattro ministeri (i pastori, i dottori, gli anziani e i diaconi), ai quali è affidato il governo della comunità ecclesiale e civile.

La dottrina della predestinazione Il progetto teocratico

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La Controriforma Dopo la rottura con il protestantesimo la Chiesa cattolica mette in atto un insieme di iniziative per la riconquista della centralità politico-religiosa e la riaffermazione della propria autorità. Le nuove congregazioni di chierici regolari che vengono fondate perseguono il rinnovamento interiore dello stato sacerdotale (teatini, somaschi, barnabiti, ecc.) attraverso la preghiera, lo studio, la predicazione. Figure femminili diventano protagoniste nell’assistenza e nell’educazione cristiana (per esempio, Angela Merici e le orsoline). Laici irrequieti ma risoluti organizzano ospedali per i malati (Giovanni della Misericordia e i fatebenefratelli). In questo contesto la Compagnia di Gesù, fondata da Ignazio di Loyola nel 1539, rappresenta una proposta di autenticità cristiana di enorme successo e diffusione attraverso il rigore personale, lo studio teologico approfondito, l’introspezione spirituale (esercizi spirituali), la vita di povertà e il servizio al pontefice. Il momento culminante della volontà di riorganizzare e disciplinare la Chiesa cattolica è rappresentato dal concilio di Trento (1545-63), i cui decreti condannano le tesi protestanti ed espongono la dottrina cattolica sulla Scrittura, il peccato originale, la giustificazione e i sacramenti. La vita ecclesiale viene riorganizzata con la promulgazione del Catechismo romano (1566), con l’istituzione di seminari (1563) per la formazione del clero, con l’unificazione delle pratiche liturgiche (Breviario e Messale romano). La custodia della dottrina è affidata più all’autorità di un magistero centrale infallibile e a una rigida disciplina che alla libera ricerca della verità, come indicano la costituzione della Congregazione dell’Inquisizione (o S. Ufficio) e dell’Indice dei Libri

Le nuove congregazioni religiose L’assistenza e l’educazione I gesuiti

Il concilio di Trento

L’Inquisizione e l’Indice dei libri proibiti 65

proibiti. Dal punto di vista teologico uno straordinario sviluppo ha la teologia controversistica, fondata sulla convinzione che l’interpretazione della Bibbia vada fatta alla luce della tradizione dei papi, dei Padri della Chiesa e dei concili, con lo scopo di contestare le tesi protestanti. Si assiste anche a una ripresa della scolastica, attraverso un “tomismo moderno” di scuola domenicana e la riflessione casistica sulla morale da parte dei gesuiti.

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La teologia controversistica

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Filosofia

SCHEMA RIASSUNTIVO

La ”riforma cattolica” è il rinnovamento operato all’interno della Chiesa cattolica al fine di eliminare gli abusi, in nome di una fedeltà e di un ritorno alla purezza evangelica.

ERASMO DA ROTTERDAM

Figura centrale della “riforma cattolica” è l’umanista olandese Erasmo da Rotterdam, che propone la perfezione cristiana come ideale comune, il ritorno allo spirito del Vangelo, e nell’Elogio della pazzia contrappone la “superiore” follia della vita cristiana a una società ingabbiata nelle convenzioni e dai valori effimeri.

LUTERO E LA RIFORMA PROTESTANTE

Nel 1517 il monaco tedesco Martin Lutero avvia la Riforma protestante, riproponendosi la restaurazione dell’autentico annuncio evangelico e del vero cristianesimo e la riforma della vita della Chiesa.

La teologia della “pura grazia”

Lutero elabora una teologia della “pura grazia”, basata sui principi della salvezza per la “sola fede” e non per le opere e dell’autorità della “sola Scrittura” senza mediazioni del magistero ecclesiale.

CALVINO E LA DOTTRINA

Anche Giovanni Calvino dà notevole impulso alla Riforma, sostenendo la dottrina della predestinazione, secondo la quale Dio concede la grazia e la salvezza ai prescelti, al di là dei loro meriti e secondo criteri insondabili dall’uomo.

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DELLA PREDESTINAZIONE

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LA RIFORMA CATTOLICA

LA CONTRORIFORMA

Con la Controriforma la Chiesa cattolica mette in atto un insieme di iniziative per riconquistare la centralità politico-religiosa e riaffermare la propria autorità, culminanti nel concilio di Trento (1545-1563). La vita ecclesiale viene riorganizzata e la custodia della dottrina è affidata più all’autorità di un magistero infallibile e a una rigida disciplina che alla libera ricerca della verità.

I GESUITI

La Compagnia di Gesù, fondata da Ignazio di Loyola, rappresenta una proposta di autenticità cristiana di enorme successo e diffusione attraverso il rigore personale, lo studio teologico approfondito, l’introspezione spirituale (esercizi spirituali), la vita di povertà e il servizio al pontefice.

LA TEOLOGIA

Dal punto di vista teologico ha uno straordinario sviluppo la teologia controversistica per contestare le dottrine protestanti e stabilire le regole dell’ortodossia della fede; si ha anche una ripresa della scolastica.

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5 Il naturalismo

rinascimentale

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Se nella cultura umanistica la problematica sulla natura dell’uomo e sul suo destino è centrale, nel Rinascimento si assiste a un ampliamento di orizzonti e di interessi culturali, che portano a privilegiare un nuovo tipo di indagine sulla realtà: vengono indagati non solo le strutture e gli attributi della natura, ma anche i metodi e principi usati per studiarla e per trasformarla a vantaggio dell’uomo.

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La concezione della natura nel Cinquecento

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Nel corso del Cinquecento emergono nuove esigenze di interpretare la realtà naturale, a lungo sottovalutata dal pensiero medievale. La natura viene interpretata come il principio di vita e di movimento di tutte le cose esistenti; essa stessa viene concepita un tutto vivente, organicamente e necessariamente ordinato. Nella filosofia rinascimentale si delineano varie prospettive naturalistiche che hanno in comune un’aperta polemica con l’aristotelismo e la sua immagine della natura gerarchicamente ordinata sulla base di leggi fisiche immutabili; il fatto di affidare ai sensi e all’esperienza diretta il compito di in-

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La natura, un tutto vivente

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La polemica con l’aristotelismo

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proprio involucro misticheggiante e arricchendosi di conoscenze praticoempiriche. L’astrologia inizia a diffondersi largamente nel tardo mondo antico, concepita come forma di sapere e insieme di pratiche fondate sulla convinzione che gli astri e i loro movimenti possano influire sulla vita umana e che da essi è possibile trarre formule e regole per prevedere il futuro o per interpretare il presente. L’astrologia riaffiora nel Rinascimento assumendo da un lato un aspetto magico-religioso, venato di esoterismo ed ermetismo (vedi pag. 56), mentre dall’altro viene intesa come quadro cosmologico di impront a materialistica.

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L’alchimia è l’insieme delle concezioni filosofico-esoteriche, delle pratiche magiche e delle ricerche naturalistiche miranti alla trasmutazione dei metalli vili in metalli nobili, soprattutto in oro. La sua nascita si colloca attorno alla fine del sec. I d.C. ad Alessandria. Rapidamente l’alchimia attrae l’attenzione di correnti filosofiche mistiche, che in una visione prevalentemente religiosa concepiscono la purificazione dei met alli come un’allegoria della ricerca della perfezione da parte dell’uomo. Con la mediazione degli arabi l’alchimia penetra in profondità nella cultura europea e nel corso del Rinascimento incontra un successo crescente, perdendo progressivamente il

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ALCHIMIA E ASTROLOGIA NEL RINASCIMENTO

L’esperienza

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LA MAGIA NEL RINASCIMENTO

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La magia, l’alchimia e l’astrologia

piani dell’essere, percorsi da correnti di energie simpatiche. Proprio la riscoperta del pensiero filosofico tardo antico determina il sorgere in età rinascimentale di un rigoglioso interesse per la magia, che si cementa saldamente con gli studi di astrologia, alchimia, medicina. Pico della Mirandola, Reuchlin, Agrippa, Paracelso, Fracastoro, Cardano giungono a considerare la magia come dimensione fondamentale della filosofia della natura, pratica di dominio in cui si compie e si realizza la conoscenza speculativa. perso l’unanimità dei consensi.

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Il termine magia ha una vastissima applicazione designante l’azione di ricerca, scoperta e assimilazione di energie concentrate in luoghi nascosti e dispersi oltre i confini dello spazio percepibile del cosmo e del corpo. La magia è quindi creazione e comunicazione di effetti che sovvertono i rapporti di concatenazione e temporalità propri dell’esistenza del reale. Già la tarda antichità con il neoplatonismo, il neopitagorismo, l’ermetismo e lo gnosticismo aveva accordato all’azione magica un’importante funzione mediatrice tra le potenze disposte nei diversi

dagare e comprendere la natura nella sua intima struttura vivente e senziente. La natura è studiata con l’ausilio di pratiche magiche, alchemiche e astrologiche (vedi riquadro di approfondimento) nell’intento di scoprire e di dominare l’intima connessione fra i fenomeni, permettendo all’uomo, centro dell’universo, di raggiungere un pieno potere sulla realtà.

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Bernardino Telesio Bernardino Telesio (Cosenza 1509-1588) studia fisica, filosofia e medicina a Padova; tra il 1544 e il 1553 porta a termine il suo capolavoro De rerum natura iuxta propria principia (Della natura secondo i suoi principi), in cui si palesa il suo antiaristotelismo.

I sensi Il caldo e il freddo La Terra

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■ La fonte della conoscenza: i sensi Principale oggetto della polemica è la pretesa di Aristotele di ricavare i principi della natura dalla ragione e non dalla natura stessa attraverso l’esperienza sensibile. Le indicazioni dei sensi consentono infatti di ricavare dai fenomeni i principi stessi che li regolano. L’indagine conoscitiva deve dunque partire dal senso, che attesta l’esistenza in natura di due “forze agenti”: il caldo, forza dilatante e principio del movimento, e il freddo, forza condensante e principio di immobilità. Tali forze, incorporee, agiscono su un substrato, la Terra, immobile al centro dell’universo. L’azione esercitata sulla Terra, pur essendo meccanicistica, risulta però finalisticamente diretta alla generazione degli esseri, le cui differenze sono ricondu-

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5 - Il naturalismo rinascimentale

cibili a variazioni di quantità, cioè alla diversa intensità dell’azione delle forze agenti e al prevalere alterno dell’una sull’altra. La sensazione altro non è che la percezione con cui lo spirito-calore avverte i movimenti in lui suscitati dalle nature agenti esterne; è il contatto con le cose che provoca i diversi atti conoscitivi. Alla sensibilità si riduce l’intelligenza; poiché non sempre tutte le qualità di una cosa sono presenti alla sensibilità, ma accade che qualcuna rimanga nascosta, il percepire quest’ultima pur nell’assenza è atto proprio dell’intelligenza (o inferenza). In questo modo Telesio finisce per ammettere la sostanza spirituale, definita forma aggiunta, testimoniata dalla rivelazione divina, ma anche deducibile dal bisogno innato che l’uomo ha del divino e dalla sua esigenza di giustizia ultraterrena. La sostanza spirituale si differenzia dalle altre per il fatto che può conservare i movimenti che vengono in essa impressi e riprodurli (memoria).

La sensazione L’intelligenza

La sostanza spirituale

■ La morale Anche la morale si fonda sul senso: se il contatto delle cose con l’anima-calore la modifica, il piacere e il dolore che vengono dal contatto sono i principi di bene e male che fondano l’etica. Bene è ciò che conserva lo spirito-calore, male è Il bene e il male ciò che lo distrugge.Telesio aggiunge che non tutte le azioni che producono immediatamente piacere sono veramente in grado di contribuire alla conservazione dello spirito; va dunque distinto il piacere dalla virtù, intesa a valutare le azioni La virtù rispetto al fine della conservazione. Tale virtù ha comunque un connotato naturalistico: essa è ispirata dal fine dell’autoconservazione e rivolta interamente ai fatti del mondo umano nella sua naturalità; è calcolo per garantire al soggetto il massimo di piacere, cioè di conservazione di sé, in termini naturalistici e terreni.

Giordano Bruno Giordano Bruno (Nola in Campania 1548 - Roma 1600) diventa Vita e opere frate domenicano, ma nel 1576 smette l’abito e insegna come filosofo in vari paesi europei. Le opere (De umbris idearum,

L’ombra delle idee; De immenso et innumerabilibus, L’immenso e gli innumerabili; De l’infinito universo et mondi) documentano i suoi molteplici interessi: per la filosofia e la teologia; per le dottrine scientifiche e matematiche; per l’arte della memoria, concepita come tecnica di apprendimento; per la magia, intesa come tecnica di dominio della natura e dei rapporti umani. Nel 1592 viene incarcerato a Venezia e inquisito 69

Filosofia

per eresia; trasferito a Roma, rifiuta di abiurare e viene arso vivo in seguito alla condanna dell’Inquisizione. ■ Filosofia dell’infinito Bruno celebra la capacità dell’uomo di riconoscere la verità Il concetto di infinità divina, la cui definizione perfetta richiede il concetto d’infinità. In questa verità divina la possibilità illimitata di comunicazione tra uomini tende a coincidere con la trasformazione infinita della natura e delle cose e insieme con la stabilità eterna, l’essere “infinitamente infinito” e l’indefinibilità di Dio. La filosofia indica l’unità originaria del pensiero divino col La “monade termine “monade delle monadi” (somma unità) ed esprime delle monadi” l’infinità divina come apertura e disponibilità all’accordo “armonioso”, cioè vero, delle conoscenze umane. La filosofia dell’infinità prepara l’animo del perfetto sapiente alla trasformazione infinita della realtà, grazie all’azione magica che lega i fatti particolari alle leggi universali dell’uno infinito. Bruno descrive con l’attributo “uno infinito” sia Dio, sia la realtà naturale che coinvolge l’uomo, le cose e i mondi astronomici.

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L’uomo strumento dell’infinito

■ Filosofia della civiltà Con la commedia Il Candelaio Bruno avvia una riflessione generale sulla civiltà umana. Come ciascun mondo nell’universo è centro e circonferenza, così per similitudine ogni uomo è strumento di un unico infinito che lo condiziona, ma che è a sua volta condizionato dalla realizzazione all’infinito di ciascuna potenzialità umana. L’uomo cosciente di ciò realizza con successo le sue capacità infinite nella creazione artistica, o nell’azione finalizzata al bene comune. Nell’idea di civiltà umana guidata da Dio, sono infiniti anche i possibili sviluppi di ciascun uomo verso una rinnovata convivenza pacifica ed è “infinitamente infinito” il bene che l’uomo può raggiungere imitando nel mondo le operazioni di Dio nella natura.

Tommaso Campanella Vita e opere

La metafisica

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Il frate domenicano Tommaso Campanella (Stilo di Calabria 1568 - Parigi 1639) organizza nel 1599 una congiura per scacciare gli spagnoli dal Meridione e riformare la Chiesa. Per salvarsi dal capestro si finge pazzo e rimane fino al 1629 in carcere, dove scrive quasi tutte le sue opere e un volume di Poesie, che ne fanno uno dei maggiori poeti del Seicento italiano. Nella Metaphysica Campanella dichiara di voler trattare “i principi del sapere, dell’essere e dell’agire”: fondamento certo del sapere è l’autocoscienza di ciascuno; l’essere è co-

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5 - Il naturalismo rinascimentale

stituito da “tre primalità”, “possanza, senno e amore”, intese come virtù divine; l’agire morale, che mira al bene, conserva l’essere naturale dell’uomo che compartecipa all’essere perfetto di Dio. Imitare Dio è il compito dell’uomo, che legge i segni divini in due libri che narrano entrambi la gloria di Dio: la Bibbia e la natura. Nella Theologia Campanella afferma la superiorità del cristianesimo rispetto a ogni altra religione positiva, poiché Cristo è capace di rinnovare lo spirito religioso innato nell’uomo e ricondurlo ai comandamenti di Dio. Circa la natura, Campanella identifica il conoscere con l’essere così come si presenta nell’immediatezza dell’esperienza sensibile: anche le “minutezze” in natura rivelano al filosofo l’essere perfetto di Dio. Nella Città del Sole presenta un’utopia politico-religiosa basata sull’organizzazione razionale della vita sociale. La ragione, concepita come “sole metafisico”, è frutto di sapienza, potenza e amore

La superiorità del cristianesimo

La Città del Sole

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Nel corso del Cinquecento la natura viene interpretata come il principio di vita e di movimento di tutte le cose esistenti e come un tutto vivente, organicamente e necessariamente ordinato. La natura, inoltre, è studiata con l’ausilio di pratiche magiche, astrologiche e dell’alchimia nell’intento di scoprire e di dominare l’intima connessione fra i fenomeni.

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SCHEMA RIASSUNTIVO

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LA CONCEZIONE DELLA NATURA NEL RINASCIMENTO

Il compito dell’uomo

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Per Bernardino Telesio l’indagine conoscitiva deve partire dal senso, che attesta l’esistenza in natura di due forze agenti: il caldo, forza dilatante e principio del movimento, e il freddo, forza condensante e principio di immobilità.

La sensazione

La sensazione è la percezione con cui lo spirito-calore avverte i movimenti in lui suscitati dalle nature agenti esterne e la sensibilità è alla base dell’intelligenza.

L’etica naturalistica

Il piacere e il dolore che vengono dal contatto delle cose con l’anima-calore sono i principi di bene e male che fondano l’etica. Bene è ciò che conserva lo spirito-calore, male è ciò che lo distrugge.

GIORDANO BRUNO

Giordano Bruno dimostra la capacità dell’uomo di riconoscere la verità divina, la cui definizione perfetta richiede il concetto d’infinità. La filosofia dell’infinità prepara l’animo del perfetto sapiente alla trasformazione infinita della realtà, grazie all’azione magica che lega i fatti particolari alle leggi universali dell’uno infinito.

La filosofia della civiltà

Ne Il Candelaio afferma che ogni uomo è strumento di un unico infinito che lo condiziona, ma che è, a sua volta, condizionato dalla realizzazione all’infinito di ciascuna potenzialità umana.

CAMPANELLA

Tommaso Campanella afferma che imitare Dio è il compito dell’uomo, che legge i segni divini in due libri: la Bibbia e la natura. Identifica il conoscere con l’essere così come si presenta nell’immediatezza dell’esperienza sensibile, che rivela al filosofo l’essere perfetto di Dio. Nella Città del Sole presenta un’utopia politico-religiosa basata sull’organizzazione razionale della vita sociale.

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LETTERATURA ITALIANA

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1 L’Umanesimo 2 La letteratura umanistica alla corte dei Medici: Lorenzo il Magnifico, Poliziano, Pulci 3 La letteratura umanistica a Ferrara e Napoli: Boiardo e Sannazaro 4 Classicismo rinascimentale 5 Ludovico Ariosto 6 Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini 7 Novellistica e teatro del Rinascimento 8 Anticlassicismo 9 Manierismo 10 Tasso e il periodo controriformistico

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Nel Quattrocento si afferma compiutamente l’Umanesimo. Il centro della cultura umanistica è l’uomo nella sua vita attiva nel mondo. La riscoperta dei classici latini e greci viene interpretata come una spinta all’impegno nelle funzioni civili per la costruzione di una società nuova, non più feudale. La letteratura umanistica non è più solo fiorentina, cioè non è solo quella di Valla, Bruni, Bracciolini, diventa anche veneziana, estense, milanese e poi napoletana. A metà secolo si sviluppa la letteratura in volgare: la corte medicea di Lorenzo il Magnifico ospita Pulci, Poliziano; Boiardo scrive il suo Orlando innamorato e Sannazaro, a Napoli, il capolavoro di fine secolo, l’Arcadia. Intorno agli anni ’30 del Cinquecento ritroviamo la sintesi della cultura umanistico-rinascimentale nell’opera di Machiavelli e Ariosto. L’opera di Guicciardini è come il simbolo di una società italiana ormai irrimediabilmente in crisi, schiacciata dal potere di Francesi e Spagnoli. Il lavoro filologico e poetico di Bembo (insieme a quello di Castiglione e di tanta altra trattatistica) stabilisce il canone del classicismo italiano (il petrarchismo). Solo marginalmente si diffonde la cultura del Manierismo (soprattutto Folengo e Pietro Aretino e, diversamente, Bandello) accanto alla grande esperienza vernacolare del teatro veneto (Ruzante). Dagli anni ’50 in poi la letteratura entra in una crisi profonda. Figura di sintesi altissima quanto dolorosa è Torquato Tasso, la cui Gerusalemme liberata è il segno di una decadenza senza via di uscita.

1 L’Umanesimo La cultura umanistica è caratterizzata innanzi tutto dalla riscoperta dei testi latini e greci e dalla conseguente riaffermazione dell’autonomia dei valori del mondo classico. Il concreto lavoro filologico risveglia un particolare spirito critico, che da una parte si esercita sulla tradizione della Scolastica medievale, dall’altra afferma i doveri politici della cultura. Viene rivalutata l’importanza dell’uomo nella sua vita attiva nel mondo in contrasto con una visione principalmente contemplativa del divino e del sovranaturale.

L’umanesimo filologico e filosofico Il ritrovamento di opere classiche

Il valore civile della cultura classica

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L’interesse per i classici favorì una ricerca, svolta con intensità crescente e coronata da grandi successi, dei testi di opere antiche, andate smarrite o del tutto dimenticate nel corso dell’epoca medievale. Tali ritrovamenti permisero una maggiore conoscenza della lingua latina, che tornò a essere – almeno nella prima metà del Quattrocento – praticamente l’unica lingua di uso letterario, ma soprattutto fecero comprendere la grande distanza tra il latino classico e il latino medievale e constatare lo stato di degrado in cui molte volte erano stati ridotti i testi del passato. Si impose così la necessità di definire e mettere in atto strumenti e strategie per restituire correttezza e completezza ai testi ritrovati. Da questa esigenza nacque la filologia umanistica, che operava basandosi soprattutto sugli aspetti storici e letterari e sulla sensibilità del filologo, conoscitore competente di un’infinità di testi. La prima figura di rilievo in senso umanistico è quella di Coluccio Salutati (1331-1406), cancelliere di Firenze per più di trent’anni, tenace sostenitore dell’alto valore civile della cultura classica. Compose vari trattati: il De saeculo et religione (Il mondo e la religione, 1381); il De fato, fortuna et casu (Il fato, la fortuna e il caso, 1396-99); il De nobilitate legum et medicinae (La nobiltà delle leggi e della medicina, 1399); il De tyranno (Il tiranno, 1400), dove esalta l’impegno civile contro l’ascetismo. Notevole il suo epistolario, in cui si intravede la grande rete di interessi e di rapporti fra Salutati e i suoi contemporanei. Le altre figure più rappresentative della prima generazione furono certamente Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini.

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Letteratura italiana LO SVILUPPO DEGLI STUDI GRECI Nel Quattrocento gli studi greci vivono una particolare rinascita, che di per sé ha un valore culturale significativo. In effetti la cultura greca significava una forte apertura a un platonismo irrequieto e quindi una scelta opposta a quella della teologia medievale. Fu Salutati a stimolare la presenza a Firenze di maestri greci: il bizantino Manuele Crisolora arrivò nel 1396 nello Studio fiorentino per insegnare il greco. Sono tradotti soprattutto Platone e Plutarco, ma anche Omero e i tragici. Crisolora andò anche in Lombardia, lasciando una grande impronta culturale. Oltre le lezioni del Crisolora non si devono dimenticare altri due elementi storici essenziali per comprendere questa rinascita del greco: il concilio di Ferrara-Firenze per la riunione temporanea della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa (1438-1443); il nuovo afflusso di maestri

Leonardo Bruni

greci dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi (1453). Una figura importante è il bizantino Giorgio di Trebisonda (1395-1486), il quale polemizzò con quelle traduzioni umanistiche che spesso, in nome della forma, arrivavano a sovvertire il periodo e i concetti. Altra figura di rilievo è il bizantino Giorgio Gemisto (1360 -1450), che assunse lo pseudonimo di Pletone; con Gemisto Pletone nasce il neoplatonismo fiorentino, capace di recuperare argomenti iniziatici della filosofia gnostica ed ermetica (gli Oracoli caldaici, Zoroastro, Ermete Trismegisto) e il grande pensiero platonico (da Platone al neoplatonismo di Plotino e Proclo), che troverà la sua migliore sintesi in Ficino. Il cardinal Bessarione (1403-1472) non solo si impegnò per la riunificazione delle due Chiese, ma anche per la raccolta di una grande e utile biblioteca di autori greci.

Leonardo Bruni (1370 -1444) studiò a Firenze con Coluccio Salutati; si formò in un ambiente dominato dalla cultura neoplatonica ed entrò in contatto con N. Niccoli, P. Bracciolini e Cosimo de’ Medici. Il suo impegno di traduttore dal greco durò per larga parte della sua vita. Platone (Fedone, Gorgia, Apologia, Critone, Simposio), Aristotele (Etica Nicomachea ecc.), Plutarco, Senofonte, S. Basilio, Omero e Demostene furono tra gli autori di cui si occupò. Nel 1405, grazie ai buoni uffici di Salutati, divenne funzionario presso la corte papale di Innocenzo VII. Tornato a Firenze nel 1427, chiuse la sua carriera come cancelliere della Repubblica Fiorentina. L’opera più nota di Leonardo Bruni è costituita dalle Historiae Florentini populi, iniziate nel 1414 e concluse con il Rerum suo tempore in Italia gestarum commentarius (Commentari sugli avvenimenti del suo tempo in Italia, 1440). Nelle Vite di Dante e Petrarca (1436) riconobbe l’importanza del volgare e la validità del suo uso letterario e per primo attribuì a Petrarca il merito di aver aperto la stagione umanistica. Interessante, anche per la ricchezza quantitativa della sua produzione, il lavoro di Francesco Filelfo (1398-1481) che nel 1427 ebbe dal Comune di Firenze l’incarico di commentare pubblicamente la Commedia di Dante; giunto al canto VII dell’Inferno dovette lasciare la città per il suo atteggiamento

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Francesco Filelfo

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1 - L’Umanesimo

antimediceo. Rientrò a Firenze nel 1469 e ottenne nel 1481 la cattedra di greco; quindici giorni dopo la nomina morì. Scrisse diverse opere di poesia latina, tra cui le Satyrae (1448); le Odae (1498, postumo); i Convivia mediolanensia (1449). Notevole è anche il lavoro di Flavio Biondo (1392-1463). Flavio Biondo Visse tra la città natale, Forlì, e Bergamo; dal 1434 lavorò alla Curia romana. Il suo capolavoro sono le Historiarum ab inclinatione Romanorum decades (1439), in cui si evidenzia la necessità di studiare la storia come un fenomeno complesso, linguistico, civile e culturale. Chi più sentì la relazione fra lo studio dei classici e l’educa- Vittorino da Feltre zione fu Vittorino da Feltre (1373 -1446), il fondatore della “Ca’ zoiosa” a Mantova. Non lasciò opere; fu l’insegnante per eccellenza, un vero e proprio mito della pedagogia umanistica; di lui esistono innumerevoli ritratti scritti da vari umanisti del tempo. ■ Poggio Bracciolini

Anche Poggio Bracciolini (1380 -1459) studiò con Coluccio Salutati a Firenze. Nel 1403 si recò a Roma, dove divenne segretario apostolico. In questa veste partecipò al concilio di Costanza (1414-18) con l’antipapa Giovanni XXIII. Frequenti viaggi in Francia, Svizzera e Germania gli permisero di visitare importanti biblioteche monastiche alla ricerca di codici antichi. Scoprì così, tra gli altri, i manoscritti di molte orazioni di Cicerone, le Institutiones oratoriae di Quintiliano, il De rerum natura di Lucrezio. Dal 1418 al 1422 visse in Inghilterra e poi fino al 1453 a Roma. Scrisse numerosi trattati in forma di dialogo: fra essi si segnala per il suo tono pessimistico il De infelicitate principum (L’infelicità dei principi, 1440). Compose poi una Historia Florentina (1454-59), opera di grande erudizione in cui vengono narrati gli eventi di Firenze dalla prima guerra con Giovanni Visconti (1350) sino alla pace di Lodi (1455). Avverso all’uso letterario del volgare, Bracciolini utilizzò nelle sue opere sempre il latino, anche per le Facezie (il Liber facetiarum, Le Facezie Libro delle facezie), che raccoglie una nutrita serie di aneddoti e brevi novelle composte tra il 1438 e il 1452. Le Facezie, che prendono generalmente a pretesto un motto arguto, esaltano la nuova civiltà umanistica, ponendo al centro “morale” delle loro narrazioni l’abilità, la cultura e l’impegno dell’uomo civile, consapevole dei propri diritti.

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■ Leon Battista Alberti

Leon Battista Alberti (1404-1472), che fu sommo architetto (suoi sono la facciata di S. Maria Novella a Firenze e il Tem77

Letteratura italiana

Il trattato Della famiglia

I trattati sull’architettura e la pittura

pio Malatestiano di Rimini), letterato, matematico e teorico delle arti visive, è forse, assieme a Leonardo da Vinci, la figura più versatile e rappresentativa dell’umanesimo italiano. Il suo capolavoro letterario rimane il trattato in quattro libri Della famiglia (1433-41). Scritto in forma dialogica e ambientato a Padova al capezzale del padre morente, il testo svolge i temi della felicità, dell’educazione, del matrimonio e delle proprietà domestiche. Basi per il raggiungimento della vita perfetta sono il tempo (da sfruttarsi anche in senso economico al meglio) e la famiglia, cellula prima di ogni armonia sociale. Nel proemio al terzo libro Alberti sostiene che il volgare è giunto a un tale grado di eccellenza da poter ormai competere con il latino. Il modello di educazione teorizzato nel trattato rimanda al concetto umanistico di “rinascita”: l’uomo, al centro dell’universo, è chiamato a costruire se stesso con l’aiuto dell’esperienza diretta, con l’ingegno e con la rielaborazione culturale del sapere. Raccolti intorno al 1440, gli Intercoenales sono brevi dialoghi satirici in latino scritti sul modello di Luciano e aventi come oggetto i più svariati temi morali. I cento Apologhi in latino scritti nel 1437 sono brevi aforismi o apologhi di carattere filosofico. Il satirico Momus, un’opera latina scritta prima del 1450, è incentrato sull’analisi del potere politico e condanna le ingiustizie del mondo. La Grammatichetta vaticana è una delle prime grammatiche volgari e dimostra l’intento di Alberti di promuovere e valorizzare il volgare anche come lingua letteraria. I sonetti in corrispondenza con Burchiello, le Rime (frottole, egloghe, elegie ecc.) e i dialoghi Deifna e Ecatonfilea appartengono all’importante produzione poetica in volgare. Con ogni probabilità, scrivendo Tirsis, fu anche l’iniziatore dell’egloga volgare quattrocentesca. Rilievo fondamentale hanno i suoi trattati sull’arte: Sulla pittura (1436) e De re aedificatoria (Dell’architettura, 1443-45). Essi sono incentrati sul concetto di “misura”, attraverso cui l’uomo è capace sia di definire con semplicità la simmetria e le proporzioni tra sé e la natura, sia di progettare una nuova convivenza civile basata sull’equilibrio, interiore ed esterno, e sull’imitazione dell’armonia della creazione divina.

La lezione umanistica di Lorenzo Valla e di Enea Silvio Piccolomini Lorenzo Valla ed Enea Silvio Piccolomini sono figure esemplari del nostro umanesimo: Valla con il suo rigore filologi-

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1 - L’Umanesimo

co smascherò i fondamenti documentari del potere temporale dei papi; Piccolomini fu letterato di vastissima erudizione e grande papa mecenate (con il nome di Pio II). La vita

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Appartenente a una famiglia romana di funzionari curiali, Lorenzo Valla (1407-1457) fu avviato agli studi umanistici da Giovanni Aurispa e Rinuccio di Castiglion fiorentino. Ottenne la cattedra di retorica all’università di Pavia (1430), dove perseguì con rigore la ricerca filologica. Nel 1433 si oppose alla scuola dei glossatori dell’ateneo con un libello in nome di una moderna scienza giuridica; la polemica lo obbligò ad abbandonare Pavia per riparare a Milano e a Firenze. Nel 1435 entrò alla corte del re d’Aragona e di Sicilia Alfonso V. Nel 1448 tornò a Roma come segretario apostolico di papa Niccolò V. I caratteri distintivi dell’ampia produzione di Valla sono l’uso della filologia come strumento di conoscenza e l’opposizione a ogni principio di autorità acriticamente accettato in favore della libertà di ricerca. I dialoghi De vero falsoque bono (Il vero e il falso bene, ed. definitiva 1431), De libero arbitrio (1439), De professione religiosorum (I voti dei religiosi, 1439), cercano di ristabilire il senso del vero bene, della reale libertà e della sincera perfezione evangelica oscurati dai filosofi. Un tentativo di semplificare il linguaggio filosofico improntato alla logica di Aristotele, allora imperante, fu condotto nelle Dialecticae disputationes (1439). Per sostenere Alfonso d’Aragona in lotta con Roma per l’investitura del regno di Napoli realizzò il celebre De falso credita et ementita Constantini donatione (Della falsamente creduta e inventata donazione di Costantino, 1440), che dimostra su basi filologiche la falsità del documento della donazione di Costantino a papa Silvestro, che stava alla base del potere temporale della Chiesa. Su diretta commissione di Alfonso V scrisse gli Historiarum Ferdinandi regis Aragoniae libri tres (1445-47), ricchi di informazioni e vivaci nella narrazione. Convinto che il benessere dell’uomo e della civiltà dipendessero dalla trasparenza e dalla univocità della comunicazione, si batté per il ripristino della lingua latina nel suo capolavoro, gli Elegantiae latinae linguae (Le eleganze della lingua latina, 1444), iniziato sin dal 1435: attraverso un esemplare studio filologico, viene condotta un’organica trattazione degli aspetti linguistici del latino, ricondotto al modello di Cicerone contro le deformazioni introdotte dai grammatici medievali. Nel 1449 applicò gli agguerriti strumenti della

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■ Lorenzo Valla

I dialoghi sul senso del bene e della libertà

La dimostrazione della falsità della donazione di Costantino

Il capolavoro: gli Elegantiae latinae linguae

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nuova filologia al testo evangelico nelle Adnotationes in Novum Testamentum, aprendo la strada agli studi sul Vangelo di Erasmo da Rotterdam. Enea Silvio Piccolomini (1405-1464) fu papa con il nome di Pio II. Fine umanista, si mise in luce come segretario del cardinale Capranica al concilio di Basilea, sostenendo le tesi conciliaristiche (superiorità del concilio sul papa) nel De gestis Basileensis concilii (I fatti del concilio di Basilea, 1440). Si dedicò a lavori eruditi e alla letteratura, ottenendo nel 1444 la corona poetica. Intrapresa la carriera ecclesiastica, divenne vescovo di Trieste nel 1447 e nel 1450 di Siena. In questo periodo ritrattò le posizioni conciliariste, facendosi sostenitore del primato dell’autorità assoluta del papa nel De rebus Basileae gestis stante vel dissoluto concilio (Gli avvenimenti di Basilea durante e dopo il concilio, 1450). Fu eletto pontefice nel 1458. Piccolomini fu un grande mecenate e cercò di realizzare il sogno umanistico della città ideale, a misura d’uomo, promuovendo la riqualificazione urbanistica del suo borgo natio, Corsignano, oggi Pienza. I lavori furono affidati dal 1460 all’architetto Bernardo Rossellino. Morì durante i preparativi per una crociata contro i turchi che egli stesso aveva bandito e si apprestava a condurre dopo aver inviato senza frutto una lettera al sultano Maometto II per indurlo alla conversione (Epistola ad Mahometem, 1460). La sua produzione letteraria è composita e in gran parte precedente la sua carriera ecclesiastica. Affrontò tematiche galanti nella raccolta di liriche d’amore in latino Cinthia e nella commedia Chrysis (1444), ispirata ai modi di Plauto. Grande fama ebbe il romanzo De duobus amantibus (I due amanti, 1444) per la fine resa psicologica dei personaggi, per la freschezza della narrazione e la limpidezza del linguaggio. Oltre agli scritti riguardanti il concilio di Basilea, compose anche un trattato geografico noto come Cosmographia (1461), rimasto incompiuto, e un’opera di grande erudizione, articolata in tre parti: sui Germani, sull’Europa e sull’Asia. Durante gli anni di pontificato attese anche alla stesura dei 12 libri dell’autobiografia (Commentarii rerum memorabilium quae temporibus suis contigerunt, Commentari agli avvenimenti notevoli accaduti ai suoi tempi), che arriva fino al 1563; scritta in uno stile elegante e raffinato, offre uno spaccato di grande interesse delle vicende politiche ed ecclesiastiche del tempo.

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■ Piccolomini, il papa umanista

Pienza, modello di città ideale

La produzione letteraria

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Umanesimo neoplatonico: Ficino e Pico della Mirandola

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Intorno alla metà del secolo la diffusione del platonismo Marsilio Ficino trova un’altissima sintesi culturale con l’opera di Marsilio Ficino (1433 -1499; vedi anche pag. 56), che fondò l’Accademia fiorentina (1462) e tradusse tutto Platone (1484). Nelle opere De voluptate (Il piacere, 1457), De religione christiana (1474), Theologia platonica (1482), De vita (1489) elaborò una filosofia al centro della quale mise l’anima, principio generatore dell’universo. Il suo umanesimo imperniato su una ripresa del platonismo e del neoplatonismo influenzò grandemente la cultura rinascimentale, contribuendo alla definizione di una moderna idea di persona e di amore. Altra figura importante è Giovanni Pico della Mirandola Giovanni Pico (1463 -1494; vedi anche pag. 57)), alla costante ricerca della della Mirandola concordia di tutte le filosofie e di tutte le religioni, in special modo della cabbalà (la corrente mistica dell’ebraismo), con la rivelazione cristiana, e autore della celebre orazione De dignitate hominis (La dignità dell’uomo, 1486), sintesi di grande pregio del pensiero umanistico ed espressione mirabile della fiducia del valore e della grandezza dell’uomo, a cui Dio ha dato la facoltà di essere artefice del proprio destino, facendolo superiore agli stessi angeli.

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SCHEMA RIASSUNTIVO UMANISTI Coluccio Salutati

La prima figura di rilievo è quella di Coluccio Salutati, cancelliere di Firenze per più di trent’anni, tenace sostenitore dell’alto valore civile della cultura classica.

Leonardo Bruni

Nelle Vite di Dante e Petrarca (1436) riconosce l’importanza del volgare e la validità del suo uso letterario.

Poggio Bracciolini

Le Facezie esaltano la nuova civiltà umanistica ponendo al centro “morale” delle loro narrazioni l’abilità, la cultura e l’impegno dell’uomo civile.

Vittorino da Feltre

È il modello dell’insegnante umanista.

Leon Battista Alberti

L’uomo, al centro dell’universo, è chiamato a costruire se stesso con l’esperienza diretta, con l’ingegno e con la rielaborazione del sapere.

Valla e Piccolomini

Lorenzo Valla (che dimostra la falsità della donazione di Costantino) ed Enea Silvio Piccolomini (grande papa mecenate con il nome di Pio II) risultano personalità emblematiche del nostro umanesimo sia per gusto letterario sia per ricerca filologica.

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NEOPLATONISMO FIORENTINO Marsilio Ficino Ficino reinserisce nella tradizione cristiana il grande filone del pensiero platonico e neoplatonico. Pico della Mirandola

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Rivendica la dignità dell’uomo, fatto da Dio artefice del proprio destino e superiore agli stessi angeli.

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2 La letteratura umanistica

alla corte dei Medici: Lorenzo il Magnifico, Poliziano, Pulci

Grazie allo straordinario prestigio culturale acquisito nei secc. XIII e XIV, Firenze è stata fin dall’inizio della civiltà umanistica il centro supremo degli studi, la patria o il luogo di riferimento dei maggiori esponenti di tutte le arti. Il signore di Firenze, Lorenzo il Magnifico, fu il simbolo di questa corrente umanistica, caratterizzata dal mecenatismo signorile, da una grande libertà intellettuale, da un gusto aristocratico per la bellezza, da un vivo interesse a raccordare gli ideali classici con la tradizione comunale fiorentina, tanto che proprio in ambito mediceo si ebbe una decisiva rinascita della lirica in volgare a opera dello stesso Lorenzo, di Luigi Pulci e di Agnolo Poliziano.

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La letteratura umanistica in volgare nasce da una lingua attenta al modello toscano stilnovistico e petrarchesco, ma soprattutto attratta da una forma che vuole essere concreta e reale, aperta a sperimentazioni espressive. Domenico di Giovanni detto Burchiello (1404-1449) è for- Il Burchiello se il primo esempio di questa nuova vivacità poetica. Nato poverissimo, condusse una vita sregolata e nella più profonda indigenza. La “burchia” era un piccolo battello da carico in cui le merci venivano disposte alla rinfusa. Burchiello si guadagnò il suo pseudonimo per l’accumulazione caotica e bizzarra di immagini, presenti nella sua poesia satirica e antiletteraria. I sonetti caudati che compongono le sue Rime (1757, postumo) sono infatti caratterizzati da uno sperimentalismo comico-giocoso in cui parole e immagini vengono giustapposte senza nesso logico, seguendo un criterio parodistico. Queste rime diedero origine a una caratteristica maniera poetica detta “burchiellesca”. Dal 1469, quando sale al potere Lorenzo de’ Medici, fino alla sua morte (1492) si sviluppa attorno alla corte medicea la più alta forma di umanesimo italiano. Lorenzo, Poliziano, Ficino, Pico della Mirandola e, in tono popolaresco, Pulci sono i grandi protagonisti di questa epoca aurea.

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La letteratura umanistica in volgare

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Lorenzo de’ Medici (1449-1492), detto il Magnifico, governò Firenze dal 1469, garantendo il rispetto formale delle istituzioni comunali democratiche, anche se di fatto le esautorò, accentrando in sé tutto il potere. In politica estera, praticò una strategia di alleanze, che lo portò a essere il perno dell’equilibrio venutosi a costituire fra gli stati d’Italia. Per quanto riguarda la sua produzione letteraria, al periodo giovanile risalgono la Nencia da Barberino (1473), gustoso idillio rusticano in cui il poeta si finge pastore e loda con la fresca immediatezza di un popolano le bellezze della sua donna, e i poemetti L’uccellagione di Starne (anche Caccia col falcone) e Il simposio, caricatura dei più noti bevitori fiorentini, di tono comico-realistico sul modello di Pulci. In seguito si fece più viva l’adesione alle teorie neoplatoniche sostenute da Marsilio Ficino (vedi anche pagg. 56 e 81): l’Altercazione (1473-74) è un dialogo filosofico con lo stesso Ficino circa il sommo bene. Del 1483-84 è un Comento in prosa e in poesia (41 sonetti) che narra con freschezza di notazioni psicologiche una storia d’amore sul modello della Vita nuova di Dante. Posteriori al 1486 sono i due poemi idillici Ambra e Corinto e i due libri di strambotti delle Selve d’amore, che rileggono lo stesso tema in toni più intimi e sofferti, venati di malinconia. La stessa atmosfera di malinconia si ritrova nelle opere della maturità, come le Canzoni a ballo e i Canti carnascialeschi, fra i quali è il notissimo Trionfo di Bacco e Arianna che esprime la fugacità della vita. Scrisse anche opere di argomento religioso, quali la Rappresentazione di S. Giovanni e di S. Paolo (1491) e nove Laudi.

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La produzione letteraria

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Le linee della sua politica

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Lorenzo il Magnifico

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Letteratura italiana

Una poesia venata di malinconia

Agnolo Poliziano Nel circolo mediceo fu Agnolo Ambrogini (1454-1494), detto il Poliziano, a realizzare una fondamentale sintesi tra la cultura classica e la tradizione volgare fiorentina di Dante, Petrarca e Boccaccio. ■ La vita e le opere

Da Montepulciano si trasferì nel 1469 a Firenze, ove ebbe come maestri alcuni tra i più bei nomi della cultura umanistica: C. Landino, G. Argiropulo e M. Ficino. Entrò nella Precettore dei figli di cancelleria privata dei Medici, ottenendo a ventun anni Lorenzo il Magnifico l’incarico di precettore dei figli di Lorenzo, Piero e Giovanni, 84

2 - La letteratura umanistica alla corte dei Medici: Lorenzo il Magnifico, Poliziano, Pulci

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il futuro papa Leone X. In questi stessi anni intraprese la carriera ecclesiastica e nel 1477 divenne priore della Collegiata di S. Paolo. Frattanto iniziò a comporre Le stanze per la giostra per la vittoria di Giuliano de’ Medici alla grande giostra cavalleresca tenutasi a Firenze nel 1475, e interrotte probabilmente attorno al 1478, quando Giuliano fu ucciso sotto i suoi occhi, vittima della congiura dei Pazzi. A essa, e alla dura repressione esercitata da Lorenzo per rafforzare il proprio potere, Poliziano dedicò una breve opera in latino, Commentario della congiura dei Pazzi (1478), esplicita apologia del potere mediceo. A questo periodo appartiene probabilmente anche la raccolta dei Detti piacevoli. Verso la fine del 1479, forse per contrasti con la moglie di Lorenzo, Clarice Orsini, Poliziano si allontanò da Firenze e dimorò a Venezia, Padova e Mantova. In quei mesi scrisse e fece rappresentare la Fabula di Orfeo, uno dei primi testi teatrali di argomento classico in volgare. Nel 1480, ritrovato il pieno accordo con i suoi protettori, tornò a Firenze e si dedicò completamente agli studi classici, trascurando la produzione poetica in volgare a favore della poesia latina, soprattutto epigrammi ed elegie (celebri quelle In violas, e In Albieram Albitiam, per la morte di una quindicenne), e dell’impegno filologico. Sono testimonianza della sua attività di questi anni i poemetti in esametri latini inclusi nelle prolusioni accademiche: Manto (1482); Rusticus (1483); Ambra (1485) e Nutricia (1486), di contenuto teorico e metodologico. La sua ricerca filologica (raccolta nei Miscellanea, 1489) dette frutti di importanza decisiva; notevoli anche i suoi apporti all’interpretazione di Aristotele e i giudizi letterari di cui sono piene le Epistole (1494). Celebri sono rimaste le sue canzoni a ballo in volgare (fra tutte, I’mi trovai, fanciulle e Ben venga maggio e il gonfalon selvaggio), che traducono in un linguaggio di grande misura una gioiosa cantabilità popolaresca.

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Gli studi filologici e la produzione in latino

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Le canzoni a ballo

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■ Le Stanze per la giostra e la Fabula di Orfeo Scritte in ottave e interrotte poco dopo l’inizio del secondo libro, le Stanze per la giostra furono pubblicate solo nel 1494. Le prime strofe sono dedicate alla glorificazione di Fi- L’argomento renze e di Lorenzo (Lauro), nuovo protettore delle arti e del- delle Stanze la poesia; segue la comparsa della figura di Iulo (Giuliano), per la giostra la cui giovinezza rude e selvatica è trascorsa nei piaceri della caccia e nel disprezzo per l’amore. Ma un giorno, durante una caccia, egli diviene preda di Cupido, s’innamora e inizia così la sua formazione di uomo sensibile ai valori di amore e della gloria. Il secondo libro si apre con la celebrazione

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di Lorenzo, poeta e innamorato; a Iulo viene ordinato in sogno di conquistare la donna amata, dimostrando il proprio valore nelle armi. Qui si interrompe il poema, la cui importanza, al di là della trama, abbastanza fragile, consiste nella creazione di una dimensione in cui si rapportano in perfetto equilibrio la potenza illuminata dalla cultura e la bellezza che suscita l’amore. Questo mondo ideale ha come contesto una natura splendente, ancora incontaminata: una rappresentazione tutta terrena, ma non per questo meno affascinante, del mito del paradiso terrestre, in cui l’essere L’ottava del Poliziano umano può sentirsi perfettamente appagato. L’ottava di origine popolare viene nobilitata attraverso una raffinata eleganza di intarsi letterari, derivati sia dalla tradizione della poesia lirica volgare, sia dall’attenzione filologica alla produzione classica, trattata e tradotta con grande maestria, mentre La lingua la lingua è costituita da una preziosa rielaborazione e fusione della tradizione fiorentina degli ultimi due secoli, senza cedimenti alla tentazione di passive imitazioni. La Fabula di Orfeo Elaborata sullo schema delle sacre rappresentazioni, la Fabula di Orfeo ha come contenuto il mito del poeta e musico Orfeo, che grazie alla sua arte divina riesce a commuovere e vincere la morte, ottenendo dal re degli Inferi Plutone la restituzione della sposa Euridice. Non sapendo però resistere all’umanissimo desiderio di rivolgere lo sguardo all’amata lungo il cammino che li riporta sulla terra, la perde per sempre. Poliziano come pochi altri credette nel valore assoluto della poesia portatrice di valori eterni di bellezza e di armonia; ma allo stesso tempo sentì, specialmente dopo il 1480, il senso della fugacità della vita, del rapido tramonto della giovinezza, la fine inevitabile di un sogno. Dal punto di vista teatrale la Fabula riveste una notevole imLa nascita del portanza perché segna la nascita del dramma pastorale, dramma pastorale che avrà un grande sviluppo nel corso del Cinquecento.

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Luigi Pulci Luigi Pulci (1432-1484), erede della tradizione burlesca e popolana della cultura fiorentina, fu figura dissonante nel clima raffinato e neoplatonico della corte medicea. Nel 1461, grazie alla protezione di Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo il Magnifico, riuscì a entrare nella cerchia medicea con l’incarico di scrivere il suo capolavoro, il Morgante, la cui composizione lo occupò fino alla morte. Iniziò un periodo L’amicizia con di grande amicizia tra il poeta e il signore di Firenze, che lo Lorenzo il Magnifico soccorse più volte quando si trovò in difficoltà economiche. 86

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2 - La letteratura umanistica alla corte dei Medici: Lorenzo il Magnifico, Poliziano, Pulci

La “Beca da Dicomano”

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Dal 1466 iniziò un periodo molto positivo della sua vita: scrisse la favola villereccia Beca da Dicomano (in parodia della Nencia di Barberino di Lorenzo); ebbe l’incarico di celebrare la giostra vinta da Lorenzo nel 1469; lo accompagnò nel 1471 in un’importante missione diplomatica a Napoli presso la corte aragonese; prese in moglie nel 1473 Lucrezia degli Albrizi. In questi anni ebbe inizio anche un aspro contrasto con Matteo Franco, un sacerdote amico di Marsilio Ficino e molto influente nella corte medicea, che si concretizzò in una serie di sonetti pungenti, in cui Pulci ironizzò in maniera aperta anche su argomenti teologici di grande rilevanza come l’immortalità dell’anima. Per questi motivi l’amicizia di Lorenzo si andò raffreddando e Pulci preferì allontanarsi sempre più spesso da Firenze. Nel 1478 apparve probabilmente la prima edizione, ancora ampiamente incompleta, del Morgante; la seconda edizione, in 23 cantari (canti) costituiti da ottave, uscì a Firenze nel 1481, mentre l’edizione definitiva in 28 cantari fu pubblicata con il titolo di Morgante maggiore nel 1483. Nella parte finale è contenuto un duro attacco contro un frate, probabilmente Savonarola, che aveva condannato pubblicamente Pulci per i suoi scritti sacrileghi. Nel 1484, convinto dall’agostiniano Mariano da Gennazano, Pulci fece pubblica ammenda in un’opera in terzine dal titolo Confessione, che valse a calmare le polemiche e rese realizzabile il progetto di un ritorno a Firenze. Ma Pulci morì improvvisamente a Padova e fu sepolto come eretico in terra sconsacrata.

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Il raffreddamento dell’amicizia con Lorenzo

■ Il Morgante

Se già nelle opere minori (in particolare nei Sonetti e nella Beca da Dicomano) Pulci dà prova di una fantasia sbrigliata e di un gusto per la bizzarria e per la parodia di tutto ciò che è ritenuto intangibile, il culmine di tale atteggiamento culturale è raggiunto nel poema Morgante, che capovolge tutti i valori propri della materia epica cavalleresca. Già la trama, versione grottesca delle narrazioni tipiche delle canzoni di gesta, ha uno sviluppo inconsueto: si narra infatti che Orlando, colpito dalle calunnie di Gano e seccato per il comportamento credulone di Carlo Magno, vecchio e quasi rimbambito, parte per l’Oriente in cerca di avventure. Ma la trama rivela poco delle caratteristiche del poema perché l’interesse dell’autore è rivolto alla rappresentazione imprevedibile, volutamente eccessiva, di fatti inverosimili. Le figure in cui si manifesta meglio l’estro del poeta sono quelle del gigante Morgante e del mezzo-gigante Margutte. Morgante, armato del battaglio di una campana, è l’im-

La trama

Morgante e Margutte, protagonisti dell’eccesso 87

Letteratura italiana

Lo stile di Pulci

magine stessa di ciò che è eccessivo per la sproporzione tra l’immensa forza fisica e la scarsa lucidità mentale. Margutte, invece, che finirà per morire soffocato dalle proprie risate, è la rappresentazione del capriccio della volontà e della natura: è la parodia dell’ideale umanistico di uomo artefice del proprio destino in un quadro di armonica perfezione, conseguita attraverso un percorso razionale. Ma Margutte è dotato di un’astuzia invincibile, di un eccezionale gusto per il male, che si realizza in una contromorale fondata sul furto, l’imbroglio, i piaceri della gola e si manifesta in avventure caratterizzate da una prodigiosa voracità e da sadica perfidia nei confronti delle vittime. Lo stile di Pulci non si richiama all’uso colto del volgare toscano, ma nemmeno si appiattisce sull’uso parlato e popolareggiante; si rivolge al patrimonio di espressioni gergali proprie di settori marginali della società (Pulci compose persino un Vocabolarietto di lingua furbesca, che raccoglieva termini ed espressioni degli ambienti della malavita). Nei suoi versi la parola tende sempre all’ambiguità e il gioco generato dall’accostamento delle parole, dal loro richiamarsi attraverso assonanze fonetiche, talvolta prende il sopravvento sulla narrazione e impone svolte imprevedibili.

Gerolamo Savonarola La figura politica e religiosa

Alla fine del secolo campeggia drammaticamente la figura del predicatore domenicano Gerolamo Savonarola (14521498). Dopo la calata del re di Francia Carlo VIII e la cacciata di Piero de’ Medici (1494), Savonarola si fece ispiratore di una repubblica popolare. Savonarola riuscì a contenere il radicalismo puritano dei “piagnoni” suoi seguaci, ma non evitò, specie dopo le sue gravi accuse al papa Alessandro VI e le denunce sull’immoralità della Chiesa, l’attacco dei partigiani dell’oligarchia (“arrabbiati”) e dei Medici (“palleschi”). Scomunicato e processato per eresia, Savonarola fu impiccato e le sue ceneri furono disperse in Arno. Ci restano molti scritti dottrinari (Compendium logicum, 1491; Compendio delle rivelazioni, 1495; Epistola della sana e spirituale lezione, 1497; Trattato circa il reggimento del governo della città di Firenze, 1498). Ma il suo capolavoro sono le Prediche (raccolte postume), in cui con un linguaggio drammaticamente intessuto di riferimenti biblici denuncia le compromissioni mondane della Chiesa ed esprime la sua speranza per il ritorno del cristianesimo all’originario spirito evangelico. La sua figura

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Le Prediche

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2 - La letteratura umanistica alla corte dei Medici: Lorenzo il Magnifico, Poliziano, Pulci

affascinò una lunga schiera di uomini di cultura (Pico della Mirandola, Guicciardini, Michelangelo e molti umanisti).

SCHEMA RIASSUNTIVO BURCHIELLO

I sonetti caudati delle sue Rime sono caratterizzati da uno sperimentalismo comico-giocoso che giustappone parole e immagini senza alcun nesso logico.

LORENZO DE’ MEDICI

Grande mecenate e uomo di cultura, fece di Firenze il centro della vita culturale, artistica e politica italiana; la sua produzione si divide fra gli atteggiamenti concreti popolari-burchielleschi e l’adesione al pensiero neoplatonico dell’Accademia fiorentina. Nelle Selve d’amore e nei Canti carnascialeschi la sua poesia è di vena malinconica.

POLIZIANO

I suoi capolavori sono la Fabula d’Orfeo e le Stanze per la giostra. Poliziano come pochi altri credette nel valore assoluto della poesia portatrice di valori eterni di bellezza e di armonia; ma allo stesso tempo sentì il senso della fugacità della vita, del rapido tramonto della giovinezza, la fine inevitabile di un sogno.

PULCI

Il suo capolavoro, il poema eroicomico Morgante, è la parodia dell’ideale umanistico di uomo artefice del proprio destino in un quadro di armonica perfezione.

SAVONAROLA

Nella sua azione politica e nelle sue Prediche denuncia la corruzione della Chiesa e auspica il ritorno del cristianesimo alla semplicità evangelica delle origini.

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3 La letteratura umanistica a Ferrara e Napoli: Boiardo e Sannazaro

Fuori dalla corte medicea l’umanesimo italiano si diffonde soprattutto a Venezia, Ferrara e Napoli. Offre altri due esempi altissimi: il poema cavalleresco di Boiardo, che opera presso la corte ferrarese degli Este, e la letteratura pastorale di Sannazaro, vero maestro della corte aragonese a Napoli.

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Nell’Italia settentrionale ebbero importanza la corte di Milano, ove operarono i grandi artisti fiorentini Bramante e Leonardo da Vinci e vissero gli scrittori Antonio Loschi (1368 -1440) e Francesco Filelfo (v. a p. 69), e quella degli Estensi a Ferrara, resa illustre dalla presenza di poeti come Tito Vespasiano Strozzi (1424-1505), Pasquale Collenuccio (1447-1492), autore di belle Rime petrarchesche, Nicolò da Correggio (1450 -1508), che scrisse il dramma la Fabula di Cefalo (1487) e soprattutto Boiardo. Particolare importanza, soprattutto nelle arti, ebbe il contributo di Venezia: in campo letterario non vanno dimenticati Francesco Barbaro (1390-1454), autore di un interessante trattato De re uxoria (Sul matrimonio, 1416) sul matrimonio e l’educazione dei figli; Leonardo Giustinian (1388 -1446), dottissimo patrizio autore di orazioni in latino e di poesia lirica in volgare (gli Strambotti, diffusi dal 1474). Venezia, inoltre, fu il ponte naturale tra cultura greca e civiltà latina e il primo centro editoriale italiano, grazie a uno sviluppo rapido e di grande qualità del nuovo strumento della stampa: il più prestigioso editore dell’epoca fu l’umanista veneziano Aldo Manuzio (1450 -1515). Un rilievo particolare nel centro Italia ebbe la corte di Urbino, soprattutto sotto il duca Federico di Montefeltro e naturalmente Roma, dove operarono tra gli altri Giulio Pomponio Leto (1428 -1497), fondatore dell’Accademia pomponiana, e Bartolomeo Sacchi detto il Platina (1421-1481), primo prefetto della Biblioteca Vaticana. Figure di grande rilievo illustrarono l’umanesimo napoletano, sviluppatosi sotto la protezione della dinastia aragone-

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Milano e Ferrara

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La diffusione dell’umanesimo in Italia

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3 - La letteratura umanistica a Ferrara e Napoli: Boiardo e Sannazaro

■ Giovanni Pontano

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se; il centro organizzativo fu l’Accademia fondata dal Panormita (Antonio Beccadelli, 1394-1471) e diretta successivamente da Pontano (1429-1503), ma la figura di maggiore spicco è Sannazaro. Importante la produzione novellistica di Masuccio Salernitano.

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La produzione letteraria di Giovanni Pontano (1429-1503) include quasi tutti i generi ed è scritta prevalentemente in latino. Scrisse una serie di Dialoghi, politici e astrologici, nei quali appaiono i tratti caratteristici del suo Umanesimo: una concezione attiva della vita, che Pontano attuò polemizzando contro l’ignoranza, la superstizione, i pedanti, i politici. Pontano amò sopra ogni cosa la poesia e in essa lasciò il segno di una cultura e di una sensibilità raffinata, educata sui classici e insieme attenta a tutti gli aspetti della vita del suo tempo. Scrisse egloghe e raccolte di poesie (Amores, 1455-58; Hendecasyllabi sive Baiae, 1490-1500, che cantano l’atmosfera festosa dei bagni di Baia; Iambici, per la morte del figlio Lucio; Tumuli, che raccoglie epitaffi per la moglie morta Adriana e per il figlio Lucio), poemi di carattere astrologico Urania (1476) e Meteororum liber (Libro delle meteore), l’opera didascalica De hortis Hesperidum (L’orto delle Esperidi). Il suo capolavoro è probabilmente il poema De amore coniugali, in cui Pontano canta le gioie della vita familiare. Famose le dodici Neniae, dedicate al figlio Lucio, opere che lo pongono assieme al Poliziano e al Boiardo del Canzoniere ai vertici della produzione lirica dell’Umanesimo. ■ Il Novellino di Masuccio Salernitano

Masuccio Salernitano è il soprannome del sorrentino Tommaso Guardati (circa 1415-1475). Segretario di Roberto di Sanseverino, principe di Salerno, frequentò la corte di Napoli, a contatto con il Panormita, Pontano e Barbaro. È noto per il Novellino (postumo, 1476), raccolta di 50 novelle divise per temi in cinque decadi. Tra le fonti, accanto a quella imprescindibile di Boccaccio, vi sono i trattati degli umanisti e in particolare le opere di Pontano. La raccolta si caratterizza per la presenza di trame drammatiche, dai toni cupi e crudeli, che rivelano un gusto compiaciuto per le situazioni estreme e l’orrido. La vena narrativa ha la meglio sui toni edificanti, lo stile rinuncia all’imitazione delle costruzioni solenni, di stampo latino, tipiche di Boccaccio, e diviene più libero ed espressivo grazie anche all’uso del dialetto nelle scene più ricche di comicità popolaresca. 91

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Letteratura italiana

La vita

Le opere in latino

Il Canzoniere

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c o l o t e il poema cavalleresco TiBoiardo Matteo Maria Boiardo (1440 o 1441-1494), di Scandiano, presso Reggio Emilia, è l’autore del grande poema Orlando innamorato. Fu determinante nella sua formazione umanistica l’ambiente culturale ferrarese e la partecipazione alla vita mondana presso la corte estense. Nel 1463-64 compose i 15 Carmina de laudibus Estensis (Carmi in lode degli Este), che riprende motivi mitologici virgiliani, e le 10 egloghe dei Pastoralia. Nel 1476 iniziò il suo capolavoro, l’Orlando innamorato, e compose in latino gli Epigrammata, in cui sul modello di Marziale celebra la vittoria di Ercole I contro il cugino Niccolò che aveva ordito una congiura ai suoi danni. Nel 1480 divenne governatore di Modena e nel 1487 capitano di Reggio Emilia, carica che tenne sino alla morte. In quegli anni compose le Egloghe volgari e la commedia in 5 atti Timone. Tra le opere volgari figurano anche gli Amorum libri tres (o Canzoniere), incentrati sulla storia d’amore con Antonia Caprara e composti tra il 1469 e il 1476. Se Petrarca è il maestro a cui si rifà Boiardo, è stato osservato che la convergenza di più modelli (Virgilio, Tibullo, Ovidio, Properzio, Lucrezio, Claudiano, ma anche Dante e gli stilnovisti) e una nuova sensibilità umanistica rompono in queste poesie l’equilibrio petrarchesco, inserendovi elementi poetici eterogenei e originali. Tra questi, la visione stilizzata della natura, il gusto dei diminutivi e delle personificazioni e infine le figurazioni animalesche di marca cortese e siciliana. Oggi il Canzoniere di Boiardo viene unanimemente considerato il più bel canzoniere d’amore del Quattrocento italiano. ■ L’Orlando innamorato

La trama

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Poema epico-cavalleresco in ottave, l’Orlando innamorato fonde i materiali del ciclo carolingio (sulle gesta di Carlo Magno e i suoi paladini) con quelli del ciclo bretone (sulle gesta e gli amori alla corte del re Artù) della letteratura francese ed è legato alla tradizione dei “cantari” di piazza. L’edizione completa del testo (che comunque rimase incompiuto) uscì nel 1495, un anno dopo la morte di Boiardo. Scritto in volgare ferrarese (ma si tratta di un ferrarese illustre con elementi desunti dal toscano letterario e arricchito da vari latinismi), il poema narra le vicende di Angelica, contesa e inseguita dai paladini cristiani Orlando e Ranaldo, entrambi innamorati di lei. Le vicende dell’inseguimento sono condizionate dai cambiamenti di sentimento di Angelica e Ranaldo che, per effetto magico della fonte dell’amore e del

3 - La letteratura umanistica a Ferrara e Napoli: Boiardo e Sannazaro

disamore a cui bevono, s’invaghiscono o si disamorano vicendevolmente. Ciò dà luogo a una vertiginosa serie di inseguimenti e di fughe incrociate. Dopo aver ucciso il re tartaro Agricane, Orlando rincontra Ranaldo, sfuggito all’incantesimo della fonte. Tra i due scoppia una furibonda lite. L’assedio di Parigi, posto dal re dei mori Agramante, convince però i due cugini rivali a ritornare in Francia per difendere i cristiani. Dopo un nuovo duello tra i due, Carlo Magno decide di consegnare Angelica al paladino che meglio avrà combattuto i saraceni. Nel frattempo nasce l’amore tra Ruggiero, uno dei cavalieri mori, e la guerriera cristiana Bradamante. Qui l’opera s’interrompe (stanza 26 del canto IX) e da qui riprenderà la narrazione Ariosto (vedi pag. 100). La novità di Boiardo consiste nella fusione del ciclo carolingio e di quello bretone in unica linea narrativa in cui domina l’ideale umanistico dell’energia amorosa, capace di nobilitare (ma anche di spaventare) l’uomo; nella creazione di tipi psicologici assai vari, anche se in parte stilizzati. Attraverso la sovrapposizione dell’esperienza epica a quella lirica, Boiardo ha saputo interpretare la necessità del superamento dell’ideale astratto della letteratura amorosa in favore del mondo polifonico del poema moderno. Contrappunto dialettico dell’elemento umano sono gli elementi magici e “meravigliosi” inseriti nel poema e caratterizzati da un linguaggio ricco di immagini e di aggettivazioni iperboliche. Giardini incantati, fonti miracolose, esseri mostruosi e apparizioni sono solo alcuni degli elementi soprannaturali che popolano il testo.

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La fusione dell’esperienza epica e di quella lirica

Elementi magici e meravigliosi

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es Iacopo Sannazaro e la letteratura pastorale so

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Iacopo Sannazaro (1455/56-1530) è la figura più rappresentativa dell’Umanesimo a Napoli. Il suo lavoro fu rilevante non solo per quanto riguarda la letteratura in volgare, ma anche la letteratura in latino. Entrato nell’Accademia Pontaniana, fu nominato (1481) gentiluomo della corte aragonese. Seguì Federico III d’Aragona nell’esilio francese (1501). Morto il re, tornò a Napoli. Prima del suo ritorno a Napoli, l’attività di Sannazaro fu prevalentemente in volgare: i giochi scenici, Farse, e le Rime (postume, 1530) sono momen- La produzione ti di alta espressività. Dal suo ritorno a Napoli, la sua produ- in latino zione si esprime in maggior misura in latino. Il suo latino è comunque vibrante e poco accademico: le Elegiae, spesso improntate ad alta malinconia; gli Epigrammata; le Eclogae piscatoriae, che trasferiscono l’ambiente bucolico tra i pe-

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scatori della costa napoletana; il De partu Virginis (Il parto della Vergine), che racconta la natività secondo le modalità espressive della mitologia classica. Il capolavoro di Sannazaro è comunque l’Arcadia (1501), libro misto di prose e versi e vero e proprio capostipite del “romanzo pastorale”. La trama del romanzo prende spunto da una vicenda autobiografica: mascherato sotto i panni di Sincero, l’autore immagina un viaggio nel mondo di Arcadia per sfuggire alle pene di una triste vicenda amorosa e gustare le gioie della vita semplice e schietta dei pastori; il cammino si conclude con la scoperta della morte dell’amata. La nostalgia per un’impossibile età dell’oro è il tema dominante, tradotto in un’inedita prosa lirica, dalla trama delicatissima e quasi evanescente, con ritmo musicale, ricca di riferimenti colti e aulici. Enorme fu la fortuna del romanzo. In Italia ebbe numerosissime edizioni, molti commenti eruditi; in Spagna, Portogallo, Francia e persino in Inghilterra esercitò un influsso ampio e profondo.

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L’influsso in Italia e in Europa

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L’Arcadia

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Letteratura italiana

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n ro Milano (Bramante, Leonardo da Vinci), Venezia (Barbaro; stampa: Aldo Manuzio), Ferrara (Boiardo), Roma, Napoli (Pontano, ai vertici della poesia lirica del Quattrocento; Masuccio Salernitano, scrive il Novellino, la più importante raccolta di racconti quattrocentesca; Sannazaro).

BOIARDO

Nel poema cavalleresco Orlando innamorato Boiardo dichiara l’ideale umanistico dell’energia amorosa, che è capace di nobilitare l’uomo. Attraverso la sovrapposizione dell’esperienza epica a quella lirica, Boiardo ha saputo interpretare la necessità del superamento dell’ideale astratto della letteratura amorosa in favore del mondo moderno e polifonico del poema. Il Canzoniere ha Petrarca come modello, ma la convergenza di più modelli rompe l’equilibrio petrarchesco, inserendovi elementi poetici eterogenei e originali.

SANNAZARO

Il capolavoro, l’Arcadia, misto di prose e di versi, è il capostipite del “romanzo pastorale” che ebbe duraturo successo in tutta Europa. Tema dominante la nostalgia per un’impossibile età dell’oro, esposto con una prosa lirica e musicale, ricca di riferimenti colti. Importante anche la produzione in lingua latina (Elegiae, di impronta malinconica; Eclogae piscatoriae, temi pastorali trasferiti tra i pescatori napoletani; De partu Virginis, la natività di Gesù secondo moduli narrativi della mitologia classica).

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SCHEMA RIASSUNTIVO I CENTRI DI DIFFUSIONE DELL’UMANESIMO

4 Classicismo rinascimentale Nella letteratura italiana, alla ricerca di un proprio modello linguistico-letterario, a partire dagli anni ’20 e ’30 del Cinquecento si consolida un’idea di classicismo, di raffinatezza e di armonia linguisticoespressiva che non si limiti a proporre i canoni di un’imitazione generica della letteratura classica. Pietro Bembo si pone il problema della lingua letteraria e ne fissa il canone; a lui, inoltre, risale l’idea ancora attuale di “classico”, come testo che impone il proprio valore attraverso i tempi. Baldassar Castiglione invece codifica le norme di comportamento del perfetto uomo di corte. Verso la metà del secolo il dibattito si irrigidisce in una precettistica più severa: le norme classicistiche vanno a coincidere con il nuovo clima della Controriforma.

Pietro Bembo Pietro Bembo (1470 -1547) fu una delle figure salienti del periodo rinascimentale; egli pose le basi del petrarchismo e diede un contributo decisivo alla codificazione della lingua letteraria italiana. ■ La vita e le opere

Nato in una ricca famiglia del patriziato veneziano, ebbe una formazione umanistica completa e studiò il greco a Messina alla scuola di Costantino Lascaris. Ritornato a Venezia, collaborò con il grande stampatore Aldo Manuzio presso il quale pubblicò il suo primo testo: una breve prosa latina intitolata De Aetna (1496). Nel 1501, sempre per Manuzio, curò un’edizione delle rime del Petrarca e una della Commedia dantesca (1502). Tra il 1497 e il 1499 fu alla corte ferrarese, dove approfondì gli studi filosofici. Nel 1505, presso Manuzio, stampò gli Asolani, dialoghi in tre libri in cui si alternano poesia e prose. Tipico prodotto della letteratura cortigiana d’influsso neoplatonico, gli Asolani trattano dell’esperienza amorosa. La novità dell’opera consiste nel fatto che il tema dell’amore è sviluppato non più solo nella canonica forma poetica, ma anche in quella prosastica. Le rime presenti si segnalano per uno stile petrarchesco assai rigoroso. Nel 1506 Bembo si trasferì da Venezia a Urbino, presso la corte dei Montefeltro, e abbracciò la carriera ecclesiastica per esigenze economiche. Al pe-

Il lavoro editoriale con Manuzio

Gli Asolani

La carriera ecclesiastica 95

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Letteratura italiana

Segretario di papa Leone X

Cardinale

riodo urbinate, durato sei anni, appartengono le Stanze, 50 ottave di stile petrarchesco recitate a corte nel 1507. Nel 1512, a Roma, divenne segretario di Leone X; appartiene a questo periodo la polemica con l’umanista Giovan Francesco Pico e la conseguente stesura del trattato De imitatione, in cui si sosteneva la necessità per la prosa di imitare un solo scrittore: Cicerone. Nel 1522 Bembo si stabilì a Padova, città nella quale progettò e portò a termine le Prose della volgar lingua (1525), un trattato in tre libri che, in forma di dialogo, svolge il tema della lingua e della letteratura in volgare. Divenuto ormai celebre, nel 1530 pubblicò le Rime, che costituivano l’applicazione dei suoi precetti linguistici in campo poetico. In quello stesso anno fu nominato storiografo e bibliotecario della Repubblica di Venezia, per la quale redasse una Historia veneta. Nel 1539 il papa Paolo III lo nominò cardinale. Raccolse inoltre le proprie lettere in un Epistolario, anch’esso pubblicato dopo la sua morte avvenuta a Roma.

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■ Il problema della lingua

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Stabilita la necessità di usare il volgare come lingua letteraria, nel primo libro delle Prose della volgar lingua Bembo sostiene il recupero del toscano di Dante, e soprattutto di Boccaccio Boccaccio e di Petrarca, come lingua letteraria nazionale, e Petrarca modelli in opposizione a chi proponeva l’uso della lingua delle cordella lingua letteraria ti (per esempio, Baldassar Castiglione) o quello del fiorentino contemporaneo. Nel secondo libro, riferendosi specifiIl petrarchismo camente alla poesia del Petrarca, Bembo individua in Petrarca il modello di perfezione stilistica, metrica e retorica da imitare per i versi. Nel terzo libro egli detta le regole grammaticali della lingua volgare unitaria, ricavandole dai testi dei tre grandi scrittori del Trecento. Classicismo In questa maniera Bembo delinea un “classicismo del voldel volgare gare” (una lingua fondata sulla “gravità” e la “piacevolezza”) in grado di superare in modo unitario l’ibridismo linguistico e stilistico dei vari volgari italiani scritti. La sua soluzione riuscì a imporsi nella società letteraria italiana: Ariosto, per esempio, modificò la lingua del Furioso e molti altri scrittori si adeguarono alle norme e alle regole codificate da Bembo. L’anno 1525 (prima edizione delle Prose) può essere considerato la data d’inizio dell’affermazione in sede letteraria del toscano ed è solo da tale data che si può, a ragione, diLingua e dialetto stinguere tra “lingua” e “dialetto”. Infatti quest’ultima categoria presuppone l’esistenza di una lingua unitaria, sia pure solo sul piano letterario.

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5 - Classicismo rinascimentale

Baldassar Castiglione Baldassar Castiglione (1478 -1529) fu il letterato che codificò gli ideali rinascimentali della perfetta società aristocratica. ■ La vita e le opere minori

■ Il Cortegiano

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Nato a Casatico, presso Mantova, ricevette, nella Milano di Ludovico il Moro, un’educazione umanistica di primissimo ordine che comprese oltre alle arti e alle lettere anche il greco. Nel 1499 per la morte del padre rientrò a Mantova, do- Al servizio ve si mise al servizio di Francesco Gonzaga. Iniziò così la for- dei Gonzaga tunata carriera di “cortegiano”, che proseguì nel 1504 a Ur- e dei Montefeltro bino al servizio di Guidobaldo da Montefeltro. Nel 1513 il duca di Urbino lo inviò a Roma come ambasciatore presso la corte papale di Leone X, dove conobbe Bembo, Bibbiena e Raffaello. Rientrato a Mantova nel 1516, riprese servizio come ambasciatore presso i Gonzaga e sposò Ippolita Torelli, che gli diede tre figli. Rimasto vedovo nel 1520, abbracciò la carriera ecclesiastica. Nel 1524 il nuovo papa Clemente VII lo nominò nunzio apostolico a Madrid, presso la corte di Carlo V. Morì di malaria a Toledo. La sua produzione letteraria minore consta di alcune rime volgari e latine di carattere encomiastico, di un’egloga (Tirsi, 1506) e di un nutrito epistolario. A ciò si deve aggiungere il prologo (oggi perduto) alla Calandria del Bibbiena e l’epistola latina a Enrico VII De vita et gestis Guidubaldi Urbini ducis (1508).

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Ma Castiglione è giustamente celebre per il trattato in quattro libri, scritto in forma dialogica e intitolato Il libro del Cortegiano. Lo iniziò verso il 1513-14 e lo pubblicò a Venezia nel 1528. Il Cortegiano è ambientato nell’anno 1506, quando l’autore immagina che presso la corte urbinate dei Montefeltro si riuniscano, intorno alla duchessa Elisabetta Gonzaga, alcuni eletti personaggi (fra i quali storicamente riconoscibili sono Bembo, Bibbiena, Giuliano de’ Medici). Nell’arco di quattro serate, attraverso le loro conversazioni, si delineano il ritratto psicologico, fisico e le regole di compor- Il perfetto uomo tamento del perfetto uomo di corte. Nel primo libro ne ven- di corte gono elencate le qualità fisiche e morali: nobiltà, esercizio nelle armi, conoscenza di tutte le arti liberali e così via. La lingua in cui si esprimerà il “cortegiano” (contrariamente alle tesi di Bembo) dovrà essere il volgare delle migliori corti, nobilitato dai termini più eleganti “d’ogni parte d’Italia”. Nel secondo libro si descrivono i comportamenti del cortigiano ideale nelle più svariate circostanze: diplomazia, conoscenza 97

Letteratura italiana

La donna di palazzo

L’amore platonico

La fortuna del Cortegiano

dei giochi di società, opportuna scelta degli amici, capacità ironiche, spirito. Nel terzo libro si delineano i tratti ideali della “donna di palazzo”, versione femminile del cortigiano: bellezza, devozione, intelligenza, moralità. Il quarto libro, dopo una prima parte ancora dedicata ai rapporti tra principe e cortigiano, si chiude con una lunga disquisizione filosofica sull’amor platonico, strumento fondamentale per la conoscenza del Sommo Bene. Lo stile del Cortegiano è improntato agli ideali rinascimentali di equilibrio, classicità e compostezza. Modello ideale di una pratica sociale e di una visione aristocratica del mondo, il Cortegiano ebbe da subito una grande fortuna presso le principali corti europee, che durò fino alla rivoluzione francese. La sua grandezza e quella del suo autore stanno nel porsi come coscienza critica di alcuni aspetti della condizione umana di ogni tempo.

Classicismo freddo e rigoroso: Annibal Caro A metà secolo il classicismo rischia di irrigidirsi in un moLudovico Castelvetro dello formale e tutto esteriore. È il caso del modenese Ludovico Castelvetro (1505-1571), noto soprattutto per la Poetica d’Aristotele vulgarizzata e sposta (stampata nel 1570, ma elaborata prima), straordinario commento fatto con metodo rigoroso e radicalmente razionale; nonostante l’acume, il suo classicismo si trasforma in fredda precettistica.

Le prime traduzioni dal greco

Titolo concesso in licenza a filo

■ Annibal Caro

Annibal Caro (1507-1566), di Civitanova Marche, studiò a Firenze e passò poi a Roma. La sua prima prova letteraria fu una libera traduzione dal greco del romanzo pastorale Amori pastorali di Dafni e Cloe di Longo Sofista (iniziata nel

LETTERATURA IN LATINO

La grande esperienza dell’umanesimo latino quattrocentesco fu esaltata dall’opera di Erasmo da Rotterdam (1466 -1536). In Italia la letteratura in latino entrò in crisi già dagli anni ‘20. Oltre al De partu Virginis (1527) del già citato Iacopo Sannazaro (v. a p. 85), l’opera più interessante è la Syphilis sive de morbo gallico (1530) dello scienziato veronese Girolamo Fracastoro (1483-1533), autore anche del dialogo Naugerius, sive de poetica (1555,

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postumo) in cui egli definisce l’oggetto della poesia forma pura e sostiene che la specificità della poesia consiste nello stile. A partire dagli anni ‘30 il latino divenne solo lingua specialistica o da documenti ufficiali. L’unico lavoro che val la pena di menzionare sono le Historiarum sui temporis del comasco Paolo Giovio (1483-1552), una storia in 45 libri delle vicende italiane dal 1494 al 1547 pubblicata fra il 1550 e il ‘52.

5 - Classicismo rinascimentale

1537). Compose anche versi che si ispiravano ai modi di Berni (vedi pag. 123). Nel 1544, su commissione di Pier Luigi Farnese, scrisse la commedia Gli straccioni (1582, postuma). Divenne noto negli ambienti letterari romani per la polemica con Castelvetro, che lo aveva attaccato a proposito della canzone Venite all’ombra de’ gran gigli d’oro, a cui rimproverava l’eccesso di irregolarità linguistiche. Il Caro rispose scrivendo l’Apologia (1558) e alcune rime oltraggiose. Nel 1536, stanco della vita cortigiana, si ritirò nella sua villa di Frascati dove attese alla sistemazione delle Rime (1569, postume) e riunì le Lettere famigliari (1575-77, postume), importante testimonianza storica e culturale dei tempi scritta in un volgare armonico ed equilibrato. La sua opera più nota rimane tuttavia la traduzione in volgare e in endecasillabi sciolti dell’Eneide virgiliana (1563-66), versione che intenzionalmente “riscrive” l’originale poema con grande abilità retorica. L’ideale classico vi si ritrova reinterpretato alla luce della nuova sensibilità estetica e morale del Rinascimento.

La polemica con Castelvetro

La traduzione dell’Eneide

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SCHEMA RIASSUNTIVO CLASSICISMO Pietro Bembo

Baldassar Castiglione

CLASSICISMO FREDDO E RIGOROSO

A partire dagli anni ‘20 e ‘30 si consolida un’idea di raffinatezza e armonia linguistico-espressiva, non più generica imitazione della letteratura classica. Il veneziano Pietro Bembo (1470-1547) delineò un “classicismo del volgare” in grado di superare in modo unitario l’ibridismo linguistico e stilistico dei vari volgari italiani scritti. L’anno 1525 (prima edizione delle sue Prose della volgar lingua) può essere considerato la data d’inizio dell’affermazione in sede letteraria del toscano come modello linguistico; ed è solo da tale data che si può, a ragione, distinguere tra lingua e dialetto. Baldassar Castiglione (1478-1529), nato presso Mantova, fu cortigiano presso i Gonzaga e poi i Montefeltro di Urbino. Divenuto ecclesiastico, fu mandato come nunzio apostolico a Madrid presso Carlo V. È autore del trattato Il libro del Cortegiano, in 4 libri e in forma dialogica: nell’arco di quattro serate si delineano il ritratto psicologico, fisico e le regole di comportamento del perfetto cortigiano. Lo stile linguistico è improntato agli ideali rinascimentali di equilibrio, classicità e compostezza. Specie a metà secolo, è sempre più evidente il diffondersi di un classicismo tutto esteriore e precettistico. Gli esponenti più significativi sono il modenese Ludovico Castelvetro (1505-1571), autore di un commento volgarizzato alla Poetica di Aristotele (1570), e soprattutto il marchigiano Annibal Caro (1507-1566), autore di una libera traduzione in volgare dell’Eneide di Virgilio (1563-66).

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5 Ludovico Ariosto Ludovico Ariosto è la voce più elevata della poesia rinascimentale. L’Orlando furioso propone un visione moderna e insieme ideale della dignità umana; si offre come sintesi di un’eleganza narrativa che, comunque, mantiene in vita quella concretezza comica, se non addirittura ironica, tipica del racconto epico. Ariosto è l’esempio di un Rinascimento allegro e potente; è il modello di una letteratura perfetta, che sa equilibrare, quasi senza sforzo, musica, plasticità figurativa, nitore e ricchezza poetica.

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Il governo della Garfagnana

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Gli incarichi diplomatici

Ludovico Ariosto nacque a Reggio Emilia nel 1474, figlio di un militare al servizio degli Estensi. A Ferrara seguì studi di giurisprudenza, poco amati, e alla fine poté dedicarsi esclusivamente alle lettere. Già nel 1493 fu tra gli organizzatori degli spettacoli teatrali della corte estense, di cui divenne funzionario con incarichi militari e diplomatici. Nel 1502 fu capitano di guarnigione a Canossa e dal 1503 al 1517 segretario del cardinale Ippolito d’Este. Fu così costretto a viaggiare, con pochissimo entusiasmo, tra Ferrara, Bologna, Modena, Mantova, Firenze e soprattutto Roma. A partire dal 1504 (e poi per tutta la vita) aveva cominciato a scrivere l’Orlando furioso e nel 1508-09 aveva rappresentato le due commedie La Cassaria e I Suppositi. Nel 1517 rifiutò di seguire Ippolito nella sede vescovile di Agria (Ungheria). Assunto alla corte del duca Alfonso, poté finalmente dedicarsi alla letteratura. Nel 1520 portò a termine Il Negromante, la sua terza commedia, e nel 1521 pubblicò la seconda edizione del Furioso (la prima è del 1516). In questo stesso anno scrisse la Satira V, da cui si apprende la sua sofferta accettazione dell’incarico di governatore della Garfagnana (1522-25), non facile compito che egli assolse, con il figlio Virginio, a Castelvecchio. Tornato all’amata Ferrara nel 1525, dopo essere stato nominato sovrintendente agli spettacoli di corte, si preoccupò di acquistare una casetta dove dal 1527 visse sino alla morte, godendo di relativa agiatezza e dedicandosi all’attività letteraria e a portare a termine La Lena, l’ultima commedia. Nel 1531 si recò a Venezia, dove morì poco dopo. Negli ultimi anni si era occupato della revisione stilistica e strutturale del Furioso (giunto ormai alla terza edizio-

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La vita

5 - Ludovico Ariosto

ne, 1532). In un’edizione postuma del 1545 furono aggiunti i Cinque Canti, di datazione incerta, forse da collocare fra la prima e la seconda edizione.

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Le opere minori La commedia comica e la lirica latine furono gli ambiti privilegiati da Ariosto all’inizio della sua attività letteraria. Ancora in tarda età egli si cimentò con traduzioni di Terenzio e Plauto. Le sue prime due commedie (La cassaria, 1508, e I suppositi, 1509), inizialmente scritte in prosa, successivamente versificate, sono commedie di ambiente che, nell’osservazione minuta di vizi, virtù, intrighi ed equivoci umani, risentono anche del modello novellistico boccacciano. Macchinosa e meno interessante risulta la terza commedia (Il Negromante, 1520), in endecasillabi sdruccioli. La Lena (1528) è senza dubbio la più riuscita: si tratta di una commedia di carattere in cui trionfano le astuzie di due giovani innamorati sugli interessi di una corrotta coppia matura. Si suppone che Ariosto abbia cominciato a scrivere versi in volgare solo in età matura, forse all’inizio della sua relazione con Alessandra Benucci (1513, poi segretamente sposata nel 1527). Le sue Rime, sul modello petrarchesco e con influssi boiardeschi, constano di 41 sonetti, 12 madrigali, 5 canzoni e 27 capitoli in terza rima. Le sette Satire, scritte tra il 1517 e il 1524, in terzine sul modello delle epistole oraziane, rappresentano uno dei momenti più alti dell’arte poetica ariostesca: articolate in una sostanziale struttura dialogica di tipo epistolare, esse si rivolgono a personaggi reali a cui furono effettivamente inviate. Valutazioni, paragoni e inserti favolistici ne arricchiscono la vivace polifonia narrativa. L’importante epistolario (che consta di ben 214 lettere scritte tra il 1498 e il 1532) comprende soprattutto missive di carattere ufficiale in cui emergono i conflitti interiori dell’autore e la sua dimensione umana.

Le commedie

Le Rime Le Satire

L’epistolario

L’Orlando furioso Poema epico-cavalleresco in ottave, l’opera ebbe tre reda- Le redazioni zioni: 1516, 1521 (40 canti), 1532 (46 canti). L’autore cercò una lingua più uniforme ed equilibrata, vicina al fiorentino letterario, limitando gli eccessi regionalistici presenti nella prima edizione. Il fascino della lingua del Furioso risiede La lingua infatti nella felice coesistenza (armonizzata dal tessuto mu101

Letteratura italiana

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La trama

sicale del testo e dall’artificio metrico) di termini familiari e tecnici con l’insieme della lingua letteraria canonizzata. Il Furioso comincia proprio dalla fine del poema boiardesco, interrotto quando Re Carlo decide di consegnare Angelica a colui che meglio si sarà distinto nella battaglia contro i mori. La trama del poema non risponde a un’unità di azione e segue tre direttrici principali: l’azione epica, che funge da cornice, è incentrata sulla guerra tra cristiani e saraceni; l’azione sentimentale, invece, si muove intorno a Orlando, alla sua ricerca di Angelica, alla conseguente perdita del “senno” e al suo ritrovamento; infine, l’azione celebrativa è imperniata sui contrasti d’amore tra il moro Ruggiero e la valorosa guerriera cristiana Bradamante. Dalle loro nozze (e dalla conversione al cristianesimo di Ruggiero) avrà inizio la dinastia estense. Dalla narrazione principale si dipartono continuamente racconti minori (spesso introdotti da un personaggio), che costituiscono ulteriori centri focali dello svolgimento narrativo. Si comprende così la tecnica con cui le azioni sono intrecciate sia tra loro, sia rispetto alla vicenda generale. I rari interventi dell’autore in prima persona fungono così da elementi coordinatori e indicano il senso morale o psicologico delle azioni. L’infinita imprevedibilità della vita, lontana da qualsiasi centro stabile, viene espressa dalla struttura “aperta” del poema, che indica il passaggio dal teocentrismo medievale alla visione del mondo antropomorfica della nuova sensibilità umanistica.

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Struttura aperta del poema

Una superiore e ironica contemplazione della natura umana

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■ Il giudizio critico

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La grandezza di Ariosto nell’Orlando furioso sta nella profonda ironia e nel divertito distacco con cui riesce a operare l’armonica conciliazione delle contraddizioni umane in una superiore e in sé risolta contemplazione della natura umana. Il poema, già amato dai contemporanei, ebbe una grande fortuna critica per la capacità di esprimere lo spirito di un’epoca. Per Benedetto Croce Ariosto seppe armonizzare serenamente i contrasti del mondo. Per Italo Calvino l’Orlando furioso è un mirabile gioco combinatorio di percorsi e destini incrociati, simile all’errabondo movimento dell’esistenza umana.

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5 - Ludovico Ariosto

SCHEMA RIASSUNTIVO Ludovico Ariosto (1474-1533), nato a Reggio Emilia, si trasferì a Ferrara dove studiò. Svolse numerosi incarichi politici e diplomatici per gli Estensi, per i quali organizzò anche numerosi spettacoli teatrali.

LE OPERE MINORI

Quattro commedie: le prime due (La Cassaria, 1508; I Suppositi, 1509) sono di ambiente, incentrate sull’osservazione minuta di vizi, virtù, intrighi ed equivoci umani, e risentono del modello novellistico boccacciano; risulta più macchinosa la terza (Il Negromante, 1520); La Lena (1528) è senza dubbio la più riuscita. Le sette Satire (1517-24), in terzine sul modello delle epistole oraziane, sono da considerare uno dei momenti più alti dell’arte poetica ariostesca.

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LA VITA

La grandezza di Ariosto risiede nell’armonica conciliazione delle contraddizioni umane, risolta con superiore ironia e divertito distacco.

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IL GIUDIZIO CRITICO

Poema epico-cavalleresco di 46 canti in ottave, è articolato in tre azioni: l’azione epica, che funge da cornice, è incentrata sulla guerra tra cristiani e saraceni; l’azione sentimentale, invece, si muove intorno a Orlando, alla sua ricerca di Angelica, alla conseguente perdita del “senno” e al suo ritrovamento; infine, l’azione celebrativa è imperniata sui contrasti d’amore tra il moro Ruggiero e la valorosa guerriera cristiana Bradamante. L’autore cerca una lingua più uniforme ed equilibrata, vicina al fiorentino letterario, limitando gli eccessi regionalistici.

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L’ORLANDO FURIOSO

103

6 Niccolò Machiavelli

e Francesco Guicciardini

Se per la poesia rinascimentale fu Ariosto la voce più alta, per la prosa il culmine venne ragguinto da Machiavelli e Guicciardini. Machiavelli espone nel Principe la teoria dello Stato moderno e delinea il profilo dell’uomo “prudente e virtuoso”. Guicciardini, politico sul campo in anni cruciali per la storia italiana, ne diviene lucido e scettico storiografo. Se la storiografia umanistica aveva cercato nell’insegnamento del passato una virtù nuova per il presente, quella del primo Cinquecento muta prospettiva: gli storici maturano una concezione drammatica e dinamica della storia.

Niccolò Machiavelli Acuto testimone della storia del suo tempo e uno dei maggiori prosatori italiani, è il teorico di una politica rigorosamente razionale, come unica risposta possibile all’egoismo degli uomini. ■ La vita e le opere

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Le opere storiche e politiche

Nato a Firenze nel 1469, ebbe una formazione umanistica quando la città di Lorenzo de’ Medici era all’apice della potenza e del prestigio culturale. Dopo il rogo di Savonarola (1498), Machiavelli iniziò l’attività politica al servizio della Repubblica fiorentina come segretario dei Dieci di Balia, organo di governo della città. Svolse diversi incarichi diplomatici, dei quali stilò precisi resoconti: nel 1500 fu inviato presso Caterina Sforza, contessa di Forlì; nel 1501 fu in Francia; tra il 1502 e il 1503 si recò più volte presso Cesare Borgia, divenuto signore delle Marche e della Romagna (incontri dai quali trasse materiale per l’opuscolo Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino nello ammazzare Vittellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini (1503). Nel 1503 fu mandato a Roma per seguire il conclave e nel 1504 si recò di nuovo in Francia presso Luigi XII. Intanto era cresciuto il suo peso politico: scrisse Del modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati (1503) e ottenne l’incarico (1505-09) di preparare la milizia della Repubblica. Anche in quegli anni Machiavelli continuò un’importante attività diplomatica: nel 1506 fu al seguito del-

6 - Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini

le campagne militari di papa Giulio II e nel 1507-08 partecipò a una missione presso l’imperatore Massimiliano, al ritorno dalla quale stilò il Rapporto di cose della Magna (1508), rielaborato poi nel Ritratto delle cose della Magna (1512). Nel 1510 fece un terzo viaggio in Francia e ne trasse il Ritratto di cose di Francia (1510), penetrante indagine sulle caratteristiche politiche di quello Stato. Nel 1512 si ruppe l’equilibrio tra Francia e Spagna; a Firenze la Repubblica, alleata dei francesi, dovette capitolare ai Medici, che assunsero di nuovo il governo della città appoggiati dalla Spagna. Machiavelli fu allontanato da tutti gli incarichi e condannato al confino per un anno; sospettato poi di aver preso parte a una congiura antimedicea (1513), fu incarcerato, torturato e condannato a un nuovo confino. Amnistiato dopo l’elezione del papa Medici Leone X, si ritirò nel podere dell’Albergaccio, vicino a San Casciano, in Val di Pesa. In questo isolamento, di cui parla nella celebre lettera del 1513 allo storiografo e uomo politico F. Vettori, scrisse i suoi capolavori, in primo luogo il trattato Il Principe (1513-14), poi l’impegnativa riflessione storico-politica dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1515-17), i dialoghi De re militari (L’arte della guerra, 1521), e infine la Vita di Castruccio Castracani (1520). Scrisse anche opere di genere letterario: il Decennale primo e il Decennale secondo (1504-06 e 1516) in terzine dantesche, che cantano le vicende drammatiche d’Italia; il Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua (1515-16) a favore del fiorentino; il poemetto satirico l’Asino (1518), su temi filosofici; la favola Belfagor arcidiavolo, o il demonio che prese moglie (circa 1518); e soprattutto la commedia La mandragola (1518), la cui rappresentazione in occasione di una festa medicea segnò una parziale attenuazione dell’ostilità dei signori nei confronti dello scrittore, che ricevette nuovi incarichi. Nel 1525 rappresentò a Firenze la commedia Clizia, storia grottesca di un amore senile, e concluse le Istorie fiorentine, pubblicate nello stesso anno. Poco dopo ottenne la revoca dall’interdizione dai pubblici uffici. La nuova guerra della Lega formata da papato, Francia e Firenze contro l’impero di Carlo V lo vide coinvolto in attività diplomatiche e militari; ma la Lega fu travolta (1527, sacco di Roma), i Medici cacciati e a Firenze fu restaurata la repubblica guidata da esponenti savonaroliani, ai quali Machiavelli era sgradito e sospetto. Morì nel giugno 1527. Nel clima della Controriforma le opere di Machiavelli furono giudicate scandalose, prive di valori morali. Nel 1559 tutte le sue opere vennero inserite nell’Indice dei libri proibiti.

Il confino e il carcere

Il ritiro in campagna: stesura dei capolavori

Le opere letterarie

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■ Il Principe

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Letteratura italiana

Scritta tra il luglio e il dicembre del 1513, l’opera più famosa e innovativa di Machiavelli è un breve “ghiribizzo” (per sua definizione) di 26 capitoli, in cui egli compendia la riflessione politica e filosofica acquisita in quindici anni passati al servizio dello Stato. Nella prima parte Machiavelli sviI vari tipi luppa l’analisi dei vari tipi di principato (ereditari, nuovi, di principato misti) e del modo in cui vengono acquistati. Lo scrittore presenta anche alcune figure di fondatori di Stati, come Mosè, Ciro, Teseo e Romolo e di riformatori come Girolamo Savonarola, nei confronti del quale esprime il giudizio lapidario di “profeta disarmato”. L’attenzione è però concentrata Il duca Valentino, (cap. VII) sulle azioni del duca Valentino, Cesare Borgia, inmodello di uomo dicato come l’esempio migliore di “uomo prudente e virprudente e virtuoso tuoso”, cioè di politico capace di coniugare un progetto di vasto respiro (la formazione di un solido Stato nell’Italia centrale) con la scelta oculata degli strumenti adatti per indebolire gli avversari, utilizzare gli amici potenti senza divenirne ostaggio, sfruttare le situazioni favorevoli, acquisire la stima e la fedeltà del popolo e della piccola nobiltà. Machiavelli sottolinea anche l’importanza per il principe di avere un esercito proprio invece che dipendere da uno mercenario. Nella seconda parte ribalta il concetto tradizionale di teoria politica, tradizionalmente orientata a proporre modelli ideali di organizzazione statale e di comportamento dei La politica deve governanti. Per Machiavelli il fulcro dell’attività politica è coricercare l’utile per stituito dalla ricerca di ciò che è utile per l’insieme dello l’insieme dello Stato Stato (che coincide con l’utile del principe e dell’insieme dei sudditi) e il terreno d’indagine della politica è la “verità effettuale della cosa” e non “la immaginazione di esRapporto tra politica sa”. Ne deriva un radicale capovolgimento del rapporto e morale tra politica e morale; il giudizio sugli atti del principe non dipende dalla loro corrispondenza ad astratte norme, ma dalla loro congruità a produrre la sicurezza dello Stato. CeLa concezione lebre è poi la concezione della fortuna sviluppata da Madella fortuna chiavelli: essa è la sintesi instabile delle diverse e imprevedibili forze che agiscono nella storia; con questa mobilissima antagonista deve misurarsi la virtù del principe, che può prevalere solo se sa prevederne gli sviluppi, contrastarne le bizzarrie, infine dominarla con l’audacia non sconsiderata. Machiavelli conclude il suo scritto con un caldo apL’appello a uno Stato pello a un esponente della dinastia medicea perché raccolitaliano ga l’aspirazione di tutti gli italiani a combattere e vincere il “barbaro dominio” delle potenze straniere. Il Principe pone le basi della nuova concezione della politica proprio perché individua in essa l’ambito in cui si può realizzare la 106

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6 - Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini

■ I Discorsi e la Mandragola

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virtù dell’individuo, cioè la capacità di affrontare gli eventi razionalmente, avendo come fine il raggiungimento di un modo di convivenza tra gli uomini in cui l’interesse indivi- La virtù dell’individuo duale si realizzi e si riconosca nell’interesse collettivo. Al vero centro del proprio pensiero, cioè la formazione e la conservazione dello Stato, Machiavelli dedica, oltre alle pagine del Principe, lo sforzo di riflessione dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Machiavelli ricava conferme alla necessità del consenso dei cittadini, alla ricerca dell’equilibrio di interessi tra le classi sociali, alla funzione non solo militare ma anche politica di un esercito composto di cittadini, come del resto all’utilizzo della religione come strumento di coesione dello Stato. Nel ripercorrere la storia di Roma (e in parallelo quella di Firenze nelle Istorie fiorentine, largamente improntate allo stile oratorio della storiografia classica) lo scrittore sottolinea come anche gli ordinamenti più solidi vengono corrotti e indeboliti dalla stoltezza, dagli errori, dall’incostanza degl’individui. Proprio perché si propone traguardi molto alti, la visione pessimistica del comportamento umano è una costante in Machiavelli. Essa va accentuandosi negli anni dell’inattività politica e si manifesta, in chiave artistico-letteraria, nella commedia della Mandragola, in cui l’obiettivo “basso”, il tema comico (la conquista di una donna con l’inganno) mette in luce l’incapacità degli individui di andare oltre il proprio meschino interesse personale. Forse è la protagonista femminile Lucrezia colei che meglio interpreta l’ideale di Machiavelli: vittima di intrighi e meschinità, essa è poi capace di cogliere l’occasione offerta dalla fortuna e di diventare l’artefice della propria vita. ■ Il dibattito su Machiavelli

In ambiente gesuitico venne elaborata, come sintesi di tutto il pensiero machiavelliano, l’espressione divenuta proverbiale “il fine giustifica i mezzi”, che mai appare nei suoi scritti. L’aggettivo “machiavellico” divenne sinonimo, in tutta Europa, di astuto, senza scrupoli e tale significato fu conservato. Nel Settecento si vide in Machiavelli sia il teorico dell’assolutismo, sia l’ardente repubblicano che attraverso il Principe insegna ai popoli a insorgere contro i tiranni. Durante il Risorgimento, criticato per l’“immoralità” delle sue tesi, fu però ritenuto un profeta dell’unità d’Italia. Nel sec. XX, da un lato si è teso a storicizzare il suo pensiero, inquadrandolo nel particolare contesto storico, dall’altro si è operato lo sforzo

I Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio

Visione pessimistica del comportamento umano

La Mandragola

Lo stravolgimento del pensiero di Machiavelli nella Controriforma

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Letteratura italiana

Il vero rapporto “fini-mezzi”

di utilizzarlo come stimolo alla riflessione sull’attualità. In realtà Machiavelli fonda la politica come scienza autonoma, in cui il rapporto “fini-mezzi” va inteso nel senso che in politica non valgono predicazioni morali e nessun “fine” – anche quello moralmente più alto – può realizzarsi se non è fornito di “mezzi” adeguati e coerenti.

Francesco Guicciardini Francesco Guicciardini (1483 -1540) fu protagonista della politica italiana negli anni delle guerre tra Francia e Spagna per il dominio della penisola, e ne divenne anche il lucido interprete sul piano storiografico. ■ La vita e le opere

Ambasciatore in Spagna

Luogotenente generale della Chiesa

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I governatorati di Modena, Reggio e Romagna

L’attività letteraria

Governatore di Bologna 108

Discendente di una delle più importanti famiglie fiorentine, ricevette una solida formazione umanistica. Nel 1512 interruppe la stesura della sua prima opera, le Storie fiorentine, per assumere un incarico diplomatico, un’ambasceria alla corte di Spagna, ove rimase fino al 1514. Qui scrisse l’opera politica il Discorso di Logrogno (1512), una proposta di organizzazione politica dello Stato fiorentino, cui fece seguire poco dopo l’altro discorso Del governo di Firenze dopo la restaurazione dei Medici e un Diario di viaggio. Tornato in Italia ed entrato in buoni rapporti con i Medici di nuovo al potere, nel 1516 ebbe da papa Leone X l’incarico di governatore di Modena (in seguito governerà Reggio Emilia e la Romagna). In quegli anni si dedicò alla stesura del Dialogo del reggimento di Firenze (1525). In campo politico operò soprattutto per favorire l’alleanza tra Francia e Papato in funzione antimperiale (lega di Cognac), al cui interno fu nominato luogotenente generale della Chiesa. Dopo il sacco di Roma (1527), venne rimosso dalle cariche che ricopriva. Tornato a Firenze, da cui nel frattempo erano stati cacciati i Medici, si dedicò all’attività letteraria: scrisse una parte dei Ricordi (1528) e opere storiche, come le Cose fiorentine (152831) e soprattutto le Considerazioni sopra i Discorsi del Machiavelli (1528), rilevanti per comprendere la sua concezione della politica. Bandito dalla città a causa delle sue simpatie medicee, prima si ritirò nella proprietà di Finocchieto e poi si rifugiò in Romagna presso Clemente VII. Quando nel 1530 la Repubblica fiorentina fu abbattuta, Guicciardini riprese i rapporti di collaborazione con il papa, che nel 1531 lo nominò governatore a Bologna e nel 1533 lo volle con sé in un viaggio a Marsiglia per incontrare il re di Francia. Si dedicò

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6 - Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini

quindi all’organizzazione del potere mediceo a Firenze, ma poco alla volta venne emarginato: ritiratosi allora nelle sue proprietà, si dedicò sempre più al lavoro letterario e in particolare alla stesura del suo capolavoro, la Storia d’Italia, iniziata nel 1536 e non del tutto terminata quando lo colse la morte nella villa di Montici. ■ I Ricordi

Nessun’opera di Guicciardini fu pubblicata durante la sua vita: fra le altre, rimasero tra le carte di famiglia più di duecento pensieri e aforismi pubblicati nel 1576 con il nome di Avvertimenti e poi con il titolo ottocentesco di Ricordi. La stesura di queste brevi riflessioni coprì tutto l’arco della vita dello scrittore, dagli anni giovanili (la prima serie di pensieri risale addirittura agli anni spagnoli) fino al 1530. Guicciardini riflette sulla “ruina d’Italia” con una lucidità che esclude ogni riferimento a modelli e teorie: non cerca e non accetta spiegazioni e interpretazioni universali della realtà politica. Egli è convinto che, in linea di massima, i rapporti umani siano caratterizzati da una negatività raramente modificabile e che quindi il risultato di ogni azione politica sia determinato più da mutamenti in superficie che da iniziative che pretendono di agire sui meccanismi profondi del processo storico. A essi si deve abituare “il buon occhio del saggio” per esercitare la “discrezione”, cioè la capacità di comprendere e sapersi orientare in mezzo alle infinite variazioni che si propongono allo sguardo di chi deve guidare la cosa pubblica. In questo quadro l’obiettivo da perseguire è costituito dal “particulare”, che riguarda sia la sfera personale e si identifica con il “decoro” (cioè la reputazione e l’onore personali e familiari), sia il campo politico, in cui si realizza come il migliore equilibrio possibile tra le violente e oscure forze contrastanti. Il “particulare” non è quindi la trasformistica capacità di fare comunque i propri interessi (come a lungo è stato interpretato), quanto la salvaguardia della propria dignità in tempi di crisi in cui non si riescono a realizzare alti ideali collettivi.

La riflessione sulla “ruina d’Italia”

La discrezione del saggio Il “particulare” come difesa della dignità e dell’equilibrio

■ La Storia d’Italia

Questa concezione dell’agire umano è il risultato di una drammatica sconfitta non solo di una politica o di una strategia militare, ma di tutta una civiltà. La Storia d’Italia (20 La crisi di una civiltà libri) fu pubblicata, con numerosi tagli censori, a Firenze nel 1561 e più completa a Venezia nel 1564. Il periodo considerato è relativamente breve: dal 1492 (morte di Lorenzo il Magnifico) al 1534 (morte di Clemente VII, l’ultimo papa 109

Letteratura italiana

LA TRATTATISTICA STORICA La politica non è più l’espressione di una vita “civica”, bensì delle regole dello Stato e delle sue tecniche di conservazione. Molto diffusa le lettura di Machiavelli e Tacito. Si può anzi parlare di “tacitismo”, ovvero della più grande riflessione di questi anni intorno all’assolutismo. In posizione prevalentemente antimachiavellica si possono ricordare: i Discorsi sopra Cornelio Tacito (1594) del nobile fiorentino Scipione Ammirato (1531-1601); Della ragion di stato (1589) del cuneese Giovanni Botero (1544-1617); i dialoghi Della perfezione della vita politica (1579) del veneziano Paolo Paruta (1540-1598). Interessante l’opera del marchigiano

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Traiano Boccalini (1556 -1613), che cominciò a scrivere i Commentarii sopra Cornelio Tacito (1677, postumo) prima del 1590. Nel 1605 diede inizio ai Ragguagli di Parnaso (1612, 1613 e 1615, postumo), una raccolta di ritratti e schizzi, spesso arguti e burleschi, dei principali esponenti del mondo cortigiano e politico del suo tempo. Numerose sono le considerazioni di argomento politico: a più riprese dichiara il suo favore per la Repubblica di Venezia, ammirata per la libertà garantita dall’illuminato governo aristocratico, e attacca la corruzione della curia romana e la monarchia spagnola, per la sua crudeltà e debolezza.

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Medici). In questi decenni si passò dalla prosperità e dall’equilibrio del tardo Quattrocento alla rovina totale, drammaIl sacco di Roma ticamente rappresentata dal sacco di Roma (1527) da parte delle truppe dell’Impero, raccontato da Guicciardini in pagine di alto valore letterario. Egli individua i principali responsabili di tale disastro in Ludovico il Moro e in papa Alessandro VI, che, mossi da un irrefrenabile desiderio di potenza, chiamarono in Italia gli eserciti stranieri. Più in geneViolenza, rale la narrazione mette in risalto il percorso di violenza, di presunzione e cecità presunzione, di cecità dei principi italiani che si illusero dei principi italiani di saper controllare e utilizzare per i propri piccoli interessi dinastici o territoriali forze di gran lunga più potenti di loro. Da queste vicende Guicciardini ricava la convinzioLa politica ne che non è più possibile ragionare in termini campanilicampanilistica stici, in quanto le cause della rovina di ogni singolo stato italiano derivano dalla crisi di tutto il sistema politico. Così dallo studio del passato nasce una riflessione politica proiettata nel futuro: l’identità storico-culturale d’Italia ha bisoL’Italia come gno di realizzarsi in un organismo unitario, che egli penorganismo unitario, sa di tipo federale. Ma Guicciardini non si illuse che ciò podi tipo federale tesse avvenire in tempi brevi: nel suo radicale pessimismo egli avvertì costantemente lo scarto tra le teorizzazioni della ragione e la resistenza opposta dalla realtà. Unica opera che Guicciardini scrisse per la pubblicazione, la La lingua Storia d’Italia presenta una lingua di grande nobiltà formale, a cui non fu estraneo il confronto con le Prose della volgar lingua di Bembo (vedi pag. 96). 110

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6 - Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini

SCHEMA RIASSUNTIVO NICCOLÒ MACHIAVELLI

Nato a Firenze (1469-1527), fu uomo politico e diplomatico. Sue opere principali sono: Il Principe (1513-14), Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1515-17), i dialoghi De re militari (1521) e la Vita di Castruccio Castracani (1520). È autore anche della commedia La mandragola (1518).

Il pensiero politico

Il fulcro dell’attività politica è costituito dalla ricerca di ciò che è utile per l’insieme dello Stato (che coincide con l’utile del principe e dell’insieme dei sudditi) e il terreno d’indagine della politica è la “verità effettuale della cosa” e non “la immaginazione di essa”. La formazione e la conservazione dello Stato è il vero centro del pensiero machiavelliano, che fonda la politica come scienza autonoma, capace di affrontare razionalmente i casi della “fortuna” e di fornire i “fini” di “mezzi” adeguati e coerenti.

FRANCESCO GUICCIARDINI

Francesco Guicciardini (1483-1540) fu uomo politico protagonista negli anni delle guerre fra Spagna e Francia. Tra le opere principali, i Ricordi, il cui tema è la politica: l’uomo politico deve possedere “il buon occhio del saggio” per esercitare la “discrezione”, cioè la capacità di comprendere e sapersi orientare in mezzo alle infinite e concrete variazioni che si propongono, e per perseguire il “particulare”, cioè l’onore e la dignità in un’epoca di crisi priva di alte finalità collettive.

La Storia d’Italia

Nella Storia d’Italia (dal 1492 al 1534), dalle vicende storiche Guicciardini ricava la convinzione che non è più possibile ragionare in termini campanilistici, in quanto le cause della rovina di ogni singolo stato italiano derivano dalla crisi di tutto il sistema politico. Così dallo studio del passato nasce una riflessione politica proiettata nel futuro: l’identità storico-culturale d’Italia ha bisogno di realizzarsi in un organismo unitario, che egli pensa di tipo federale.

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7 Novellistica e teatro del Rinascimento

L’eccezionale produzione letteraria di cui fu artefice l’Italia nel Cinquecento si espresse con particolare ricchezza anche nei generi della novella, che ebbe in Matteo Bandello l’esponente più importante, della commedia, con l’esperienza anticlassicista del Ruzante, e della tragedia.

La novellistica e Matteo Bandello

Straparola e Le piacevoli notti

Il modello più imitato rimase Boccaccio e i testi erano quindi inseriti in una cornice narrativa. Bandello costituì una vera novità nel grande filone del genere. Tuttavia altri autori si distinsero, come il bergamasco Giovan Francesco Straparola (morto dopo il 1557), il cui nome è legato alla raccolta Le piacevoli notti (1550 e 1553) ambientata nell’isola di Murano: sono fiabe e novelle su temi fiabeschi, due delle quali, in bergamasco e in pavano, costituiscono importanti documenti linguistici. ■ Matteo Bandello

La vita

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Matteo Bandello (1485-1561) fu letterato finissimo e seppe portare l’arte rinascimentale della conversazione alla dignità di genere letterario. Nato a Castelnuovo Scrivia da una famiglia nobile, entrò giovanissimo nel convento milanese dei domenicani; viaggiò, condusse vita mondana, fu agente diplomatico presso la corte di Isabella d’Este a Mantova. Nel 1522 lasciò definitivamente il convento e chiese, senza successo, di essere sciolto dai voti. Continuò la sua vita di cortigiano, mettendosi a servizio tra gli altri di Cesare Fregoso, luogotenente del re di Francia Francesco I. Fu nominato vescovo di Agen (1550) ma resse la carica solo nominalmente. Durante i vent’anni di permanenza in Francia, Bandello ebbe modo di rielaborare alcune opere minori scritte in Italia e soprattutto curò la grande raccolta di Novelle. Tra il 1536 e il 1538 scrisse i Canti XI delle lodi della signora Lucrezia Gonzaga, che pubblicò nel 1545 insieme ai capitoli in terza rima intitolati Le tre Parche. Del 1539, invece, è il volgarizzamento dell’Ecuba di Euripide, mentre precedente (1509) è la traduzione latina della novella boccacciana dedicata a Tito e Gisippo. Alla sua

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Bandello scrisse novelle durante tutta la vita e infine le raccolse e organizzò in 4 libri, di cui pubblicò i primi tre a Lucca (1553-54) e l’ultimo a Lione (1573). A differenza del Decameron, le sue Novelle non sono inserite in alcuna struttura generale e il loro accostamento non segue un ordine o un criterio tematico ben definito. Si tratta, come ha scritto lo stesso autore, d’una “mistura d’accidenti diversi”. Tuttavia ogni novella è preceduta da un’epistola dedicatoria, indirizzata a personaggi contemporanei, nella quale l’autore dichiara le circostanze “cortigiane” in cui finge di aver ascoltato la storia che si accinge a narrare. Grande è la varietà di temi e registri di questi testi: si va dal tragico al grottesco, dal comico al farsesco, dall’osceno al patetico. Si osserva comunque una certa predilezione per il genere erotico e per gli “amori sfortunati”. Celebre la storia di Giulietta e Romeo. Le fonti delle novelle sono assai varie: dal fatto di cronaca alla leggenda popolare, al resoconto di viaggio; abbondano i rilievi storici e i piccoli eventi quotidiani della vita delle corti, così che le novelle si possono definire il prolungamento scritto delle “conversazioni” cortigiane. Nella lingua delle Novelle si riscontrano numerosi dialettalismi settentrionali e svariati gallicismi; lo stile è intenzionalmente dimesso. Il realismo quotidiano che domina tematicamente questi testi impone del resto una sintassi piana, volta alla rappresentazione “vera” e non letteraria degli eventi. Il senso della grande arte narrativa di Bandello è racchiuso nella sua capacità di proporre un’indagine psicologica sempre sottile e concreta, ma non per questo rifiutandosi a notevoli aperture fiabesche e comiche o tragiche o all’improvviso oscene. Le sue Novelle ebbero grande fortuna europea, da Shakespeare a Stendhal, da Alfred de Musset a Byron, per citare gli autori più noti.

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■ Le Novelle di Bandello

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produzione poetica appartengono più di 200 Rime, di gusto petrarchesco, edite solo nel 1816.

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7 - Novellistica e teatro del Rinascimento

Temi e registri

Le fonti

La lingua

Il giudizio critico

La commedia La commedia cinquecentesca in italiano riprende materiali classici (Plauto e Terenzio) e più recenti (Decameron). Anche per la lingua la commedia cinquecentesca si apre a una contrapposizione di timbri e linguaggi diversi. Accanto alla Cassaria (1508), la prima commedia in volgare dell’età umanistica, e ai Suppositi (1508) di Ariosto, i maggiori risultati nel113

Letteratura italiana

Il teatro in veneto

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Bibbiena

la prima metà del secolo sono la Mandragola (1518) di Machiavelli e La Calandria (1513) del cardinale Bernardo Dovizi, noto come Bibbiena dal luogo di nascita (1470-1520). La Calandria mostra un particolare e positivo equilibrio fra ordine teatrale ed espressività della lingua. La commedia non fu estranea in seguito alla sperimentazione manieristica o dialettale. Scrissero commedie Firenzuola (vedi a pag. 125), il Lasca (vedi a pag. 125) e Gelli (vedi a pag. 126), Aretino (vedi a pag. 119) e Bruno (vedi a pag. 131). Verso la fine del secolo Annibal Caro (vedi a pag. 98) scrisse Gli straccioni (1582, postumo). Altissimo è l’esempio del teatro veneto. Già al 1514 risale l’anonima Bulesca, una commedia in dialetto con varie battute in gergo furbesco (ovvero il linguaggio, comicamente trattato, del mondo della delinquenza e del vagabondaggio). Agli anni ’30 può risalire l’anonima Veniexiana, un vero esempio di teatro “diretto”, rapidissimo, fondato sulla massima quotidianità del dialetto.

Ruzante

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■ La vita e l’attività teatrale

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Il padovano Angelo Beolco, detto Ruzante, o Ruzzante (1496-1542) è una delle figure maggiori del Cinquecento. Il mondo rinascimentale viene da lui parodiato in chiave anticlassicistica attraverso la grottesca ed espressionistica rappresentazione del mondo rurale.

La maschera del Ruzante

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Figlio naturale di un medico, ricevette una buona educazione a contatto con la cultura accademica e aristocratica dell’entroterra veneto. Dopo il 1520 entrò al servizio del nobile veneziano Alvise Cornaro, con il quale strinse amicizia e di cui amministrò le vaste proprietà situate nella campagna padovana. La sua attività teatrale iniziò probabilmente come attore dilettante nella parte di Ruzante, maschera comica del contadino rozzo e in miseria, maltrattato dai potenti e sbeffeggiato dalle donne. Presto egli assunse questa figura come propria immagine e pseudonimo, facendone il personaggio principale della sua produzione in dialetto pavano, cui diede un grande spessore umano e psicologico. ■ Le commedie

Il primo testo scritto di Ruzante fu la Pastoral (1518), che riprende lo schema della commedia bucolica e in parte anche le situazioni tipiche del genere colto (amori convenzionali e atteggiamenti artefatti), ma li modifica in maniera grottesca

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ed espressionistica attraverso l’uso dei dialetti padovano e bergamasco e la presenza della greve comicità contadina. Il primo testo in cui si manifesta tutta l’originalità dello scrittore è la commedia in versi Betìa (1524-25), che prende spunto dal genere dei “mariazi” (farse rusticali per nozze o fidanzamenti), rappresentando una lunga disputa fra contadini per conquistare la mano della bella Betìa. Il conflitto tra il mondo naturale della campagna e le dure conseguenze imposte dalle leggi e consuetudini innaturali della città diventa straordinario gioco scenico nei tre atti unici che rappresentano il momento più alto della produzione di Ruzante: il Dialogo facetissimo (1528), in cui è protagonista la carestia, che riduce il contadino Menego a tale livello di fame da spingerlo a minacciare un suicidio grottesco; il Parlamento de Ruzante che iera vegnù de campo (1529), che celebra il dramma di un contadino sopravvissuto a una battaglia (mirabilmente descritta “dal basso”), che torna a Venezia e trova la moglie in compagnia di un mascalzone dal quale viene picchiato; il Bilora (1529) in cui, ancora una volta, un contadino accoltella, dopo una serie di diverbi, il vecchio e ricco mercante presso il quale la moglie è andata a vivere. In queste opere il mondo contadino è rappresentato senza abbellimenti o sfumature letterarie, senza patetismi né tendenze caricaturali: in primissimo piano vi è la rappresentazione nuda e dolente della realtà, da cui il riso sgorga per il susseguirsi scomposto dei gesti e delle parole con i quali i protagonisti tentano di farsi schermo dalla condizione grottesca della vita, mentre diventa sempre più forte nello spettatore la percezione della tragicità dei fatti narrati con linguaggio e strumenti comici. Di maggiore complessità scenografica e più attenta ai modelli letterari è la Moscheta (1529), commedia in cinque atti che mette in scena le avventure di due contadini inurbati, Ruzante e sua moglie Betìa, della quale si sono innamorati anche l’agricoltore Menato e il soldato bergamasco Tonin. La situazione dà luogo a un crescendo di vicende comiche che coinvolgono i quattro personaggi e che si concludono con la scelta spregiudicata di un rapporto a tre tra Ruzante, Betìa e Menato. Nel prologo Ruzante afferma il valore supremo della “snaturalité”, la naturalità, che deve essere posta a fondamento di tutte le relazioni umane e che si traduce in una fruizione gioiosa del proprio corpo. Tra gli elementi costitutivi della “snaturalité” vi è l’uso della lingua della propria terra, nello specifico il pavano, che si contrappone alla lingua artificiale, il “fiorentinesco” di origine colta e letteraria, o alla lingua affettata e piena di fronzoli, la “moscheta” (linguaggio usato da Ruzante per mimetizzarsi presentandosi travestito alla mo-

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7 - Novellistica e teatro del Rinascimento

I tre atti unici

Il mondo contadino, grottesco e tragico

La Moscheta

La “snaturalité”

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Letteratura italiana

Le ultime commedie glie). Negli anni successivi la creatività di Ruzante s’impoverì: la Fiorina (1530) riprende la trama della Moscheta, ma con minore vigore comico e polemico. In seguito cercò di misurarsi con i modelli tradizionali e classici, trasferendo nel suo mondo i temi della commedia di Plauto: documentano questa svolta le commedie Piovana (1532), Vaccaria (1533) e l’Anconitana, di datazione incerta. L’ultima opera pervenuta è la Lettera all’Alvarotto (1536), indirizzata all’amico che era solito fargli da spalla sul palcoscenico.

La tragedia classicistica

Le regole della tragedia

All’inizio del Cinquecento la Poetica di Aristotele divenne testo normativo dei principali generi letterari. Per la tragedia si ritenne che le riflessioni compiute dal filosofo greco fornissero “regole”(le unità di tempo, luogo e azione) da seguire comunque per il genere tragico. La prima tragedia fedele a queste norme fu proposta da Trissino. A essa seguì l’opera di altri autori: il fiorentino Giovanni Rucellai (1475-1520) con Rosmunda (1516) e Oreste (1525); il ferrarese Giambattista Giraldi Cinzio (1504-1573) con Orbecche (1541), di ispirazione senechiana; il padovano Sperone Speroni (15001588) con Canace (1546); il veneziano Ludovico Dolce (1508-1568) con Didone (1547) e Marianne (1565); infine, Pietro Aretino (v. a p. 113) con Orazia (1546). ■ Gian Giorgio Trissino

La questione della lingua

Il vicentino Gian Giorgio Trissino (1478-1550) godette dell’appoggio dei papi Leone X, Clemente VII e Paolo III, per i quali compì numerose missioni diplomatiche in Italia e Germania. Fu un fiero sostenitore del classicismo letterario e artistico. Nel dialogo Il castellano (1529) affrontò la questione della lingua, rifiutando le tesi della “toscanità” e della “fiorentinità” a favore di una fusione dei vari dialetti (il “parlar comune”), sulla base del dantesco De vulgari eloquentia, da lui tradotto. Propose persino una riforma ortografica. Nell’Arte poetica (1529-62) teorizzò il sistema dei generi letterari, stabilendo norme rispettose della poetica di Aristotele e ispirate al classicismo. Le opere teatrali costituiscono un’applicazione dei suoi principi: la commedia I simillimi (1548), sul modello di Aristofane e di Plauto; la Sofonisba (1524), prima tragedia “regolare”, in endecasillabi sciolti e fedele allo schema della tragedia greca. Scrisse inoltre la raccolta di Rime volgari (1529), interessanti per le sperimentazioni metriche; il poema epico L’Italia liberata dai Goti (1547-48).

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7 - Novellistica e teatro del Rinascimento

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Continua l’imitazione del Boccaccio. Principale esponente Matteo Bandello (14851561), le cui novelle non sono inserite in alcuna struttura generale e il loro accostamento non segue un ordine o un criterio tematico ben definito. Grande è la varietà di temi e registri: si va dal tragico al grottesco, dal comico al farsesco, dall’osceno al patetico. Si osserva comunque una certa predilezione per il genere erotico e per gli “amori sfortunati”.

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nc o cRiprende temi classici e volgari (Decameron). Esponenti principali Bernardo Dovizi

(1470-1520), autore della Calandria (1513), e Angelo Beolco detto Ruo dazanteBibbiena (1496-1542). Nelle sue opere (Betìa, 1524-25; Bilora, 1529; Moscheta, 1529)

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TRAGEDIA CLASSICISTICA

il mondo contadino è rappresentato senza abbellimenti o sfumature letterarie, senza patetismi né tendenze caricaturali: in primissimo piano vi è la rappresentazione grottesca e dolente della realtà, mentre diventa sempre più forte nello spettatore la percezione della tragicità dei fatti narrati con linguaggio (i dialetti padovano e bergamasco) e strumenti comici. Segue le regole formulate nella Poetica di Aristotele: unità di tempo, luogo e azione. Autore della prima tragedia “regolare” (Sofonisba, 1524) è Gian Giorgio Trissino (1478-1550), che affrontò anche la questione della lingua a favore di un parlar comune contro la fiorentinità (Il castellano, 1529).

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Nel Rinascimento si manifestano anche proposte alternative al classicismo: esperienze plurilinguistiche e sperimentali (o persino parodistiche e grottesche come la lingua “macheronica”, cioè la contaminazione di parole latine con termini volgari e viceversa) promuovono una letteratura assai lontana dal modello petrarchesco, con protagonisti eccezionali come Teofilo Folengo e Pietro Aretino.

Teofilo Folengo

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Il mantovano Teofilo Folengo (1491-1544), autore del Baldus, un poema “macheronico”, rielaborò la materia classica senza temere di contaminare la tradizione letteraria e senza fermarsi di fronte ad alcuna stranezza. ■ La vita e le opere

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Gerolamo Folengo fu monaco benedettino con il nome di Teofilo. Nel 1517 (o forse 1518) pubblicò con lo pseudoniIl Liber macaronicus mo di Merlin Cocai il Liber macaronicus, che comprendeva, tra gli altri testi, la prima versione del poema epico Baldus di 6230 versi; ne pubblicò nel 1521 una seconda edizione, aumentata e rielaborata, cui diede il titolo di Opera del poeta mantovano Merlin Cocai dei Macheronici (Opus Merlini Cocai poetae mantuani Macaronicorum). In essa, olBaldus, Zanitonella tre al Baldus, assumono particolare importanza le egloghe e Moschea della Zanitonella, che cantano l’amore non corrisposto del contadino Tonello per Zanina, e il poema eroicomico in tre libri Moschea, che narra la guerra vittoriosa delle formiche contro le mosche. Verso il 1525 uscì dall’ordine benedettino e si mise al servizio di Camillo Orsini, capitano veneziano, come precettore del figlio Paolo. Sotto lo pseudonimo L’Orlandino di Limerno Pitocco pubblicò un poema cavalleresco in italiano, l’Orlandino (1526) e un’opera singolare, il Caos del Triperuno, composta da versi e prose in latino, in italiano e in maccheronico. Nel 1530 tornò alla vita religiosa e con il fratello Giambattista si ritirò come eremita dapprima sul monte Conero presso Ancona, poi in diverse località dell’Italia meridionale e in particolare nella penisola sorrentina; qui fece la conoscenza della poetessa Vittoria Colonna e compose il poema religioso La umanità del Figliolo di Dio 118

8 - Anticlassicismo

(1533), oltre a numerosi epigrammi latini e al poemetto Janus (1535). Verso il 1539 fu trasferito in Sicilia; tra il 1535 e il 1540 pubblicò la terza edizione della sua opera con il titolo Macaronicorum poema. Nel 1542 fu assegnato a un monastero presso Bassano del Grappa dove due anni dopo morì. Negli ultimi anni compose alcuni testi di argomento religioso pubblicati dopo la sua morte nella raccolta Hagiomachia; postuma fu anche la quarta e ultima edizione dell’opera principale, nuovamente modificata (1552). Il poema al quale Folengo si dedicò per quasi tutta la vita prende spunto da materiali dei cicli cavallereschi, manipolati con estrema libertà compositiva. Baldo è figlio di Guido di Montalbano e di Baldovina, figlia del re di Francia. Egli nasce a Cipada, vicino a Mantova e, allevato da un vecchio contadino, diventa capo di una banda di violenti che si fanno valere con zuffe e percosse. Baldo e i suoi s’imbarcano per andare a combattere contro mostri, streghe e diavoli, fino a giungere all’inferno. Qui il poema s’interrompe all’improvviso: il Baldus ha i caratteri tipici di un’opera in perpetuo divenire e la trama subisce corrispondenti modificazioni; a ciò si aggiunge la decisione del poeta di non concludere il poema, lasciando volutamente spazio all’immaginario del lettore. La regola fondamentale del poema è la ricerca paradossale di sempre nuove situazioni con cui confrontarsi per sperimentare la forza espressionistica di una lingua che si regge sulla tensione fra i due suoi elementi costitutivi: da una parte la rigidità metrico-grammaticale del latino e dall’altra la magmaticità incontenibile, carnevalesca del dialetto. Ne consegue una continua demistificazione di ogni tradizione colta, bruciata non appena viene sfiorata dalla materialità, dalla fisicità grottesca che caratterizza il poema.

La trama

Opera in perpetuo divenire

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■ Il Baldus

Lingua espressionistica: latino e dialetto

Pietro Aretino Pietro Aretino (1492-1556), singolare figura di consigliere di principi e re, amico di letterati e artisti, libellista temutissimo, fu penna spregiudicata e libera, trionfalmente digiuna di ogni educazione umanistica. ■ La vita e le opere

Nato in povertà ad Arezzo, si trasferì a Roma (1517), dove s’impose come autore satirico, scrittore di violente “pasquinate” (sonetti satirici che ogni 25 aprile venivano attac119

Letteratura italiana

I Sonetti lussuriosi

Le commedie e la tragedia

cati a Roma alla statua detta di Pasquino, un torso ellenistico). Lasciata la città, vi tornò nel 1523 quando Giulio de’ Medici, suo protettore, divenne papa Clemente VII. La pubblicazione dei 16 Sonetti lussuriosi (1526), scritti a commento delle incisioni erotiche di Giulio Romano, fece scandalo e Aretino fu costretto a lasciare definitivamente Roma. Rifugiatosi presso il campo militare dell’amico Giovanni delle Bande Nere, alla morte di quest’ultimo si ritirò per pochi mesi a Mantova presso i Gonzaga. Nel 1527 si trasferì a Venezia (dove rimase sino alla morte), circondandosi di una cerchia di amici intellettuali di risonanza europea e divenendo così un punto di riferimento culturale per tutta la città. Negli anni veneziani sperimentò quasi tutti i generi letterari; si ricordano le commedie La cortigiana (1534) e Il marescalco (1527-30), la tragedia in versi Orazia, opere cavalleresche, religiose e agiografiche (Salmi, Passione di Gesù ecc.). ■ I Ragionamenti

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La fama di Aretino è legata ai dialoghi osceni di prostitute, indicati con il titolo generale di Ragionamenti o con quello di Sei giornate. Tra questi si segnalano il Ragionamento della Nanna e dell’Antonia (1534) e il Dialogo nel quale la Nanna insegna a la Pippa (1536). Nel primo testo si asIl rovesciamento siste a un rovesciamento parodistico dell’ideale percorso dell’ideale cortese dell’educazione femminile codificato nel Cortegiano di Castiglione (vedi pag. 97) e nei trattati d’amore: la monaca lasciva passa allo stato di moglie infedele per giungere all’ideale perfezione della cortigiana e cioè della prostituta. Lingua dissacratoria Sfruttando tutte le potenzialità espressive del parlato volgare e giocando su differenti modi linguistici (l’epico, il ricattatorio, il comico, l’osceno, il devoto ecc.), Aretino perviene a una lingua perfettamente adeguata a rappresentare la sua prospettiva dissacratoria e il suo scetticismo morale. Con la stampa a Venezia (1538) del primo libro delle sue Lettere, inventò il genere letterario dell’epistolario volgare. Le Le Lettere Lettere, infatti, non sono semplici raccolte di epistole scritte dall’autore, ma sono state pensate come libro. Il giudizio critico Considerato autore osceno fino a tutto l’Ottocento, Aretino è stato rivalutato dalla critica del Novecento per la vivacità stilistica dei mezzi espressivi e per l’efficace e realistica rappresentazione della società cinquecentesca. La sua tematica e la sua operazione “antiletteraria”, tuttavia, si rivelano infine d’orizzonte artisticamente e culturalmente limitato.

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8 - Anticlassicismo

SCHEMA RIASSUNTIVO ANTICLASSICISMO

Plurilinguismo, lingua macheronica (la continua contaminazione di parole latine con termini volgari e viceversa) sperimentano una forma opposta al classicismo volgare.

TEOFILO FOLENGO

Monaco benedettino mantovano, Teofilo Folengo (1491-1544) fu autore del poema epico maccheronico Baldus, la cui regola fondamentale è la ricerca paradossale di sempre nuove situazioni con le quali confrontarsi, per sperimentare la forza espressionistica di una lingua che si regge sulla tensione fra i due suoi elementi costitutivi: da una parte la rigidità metrico-grammaticale del latino e dall’altra l’espressione carnevalesca del dialetto.

PIETRO ARETINO

Pietro Aretino (1492-1556), amico di letterati e artisti, consigliere di principi e re, nei suoi Ragionamenti, scritti negli anni ‘30, sfruttò tutte le potenzialità espressive del parlato volgare e, giocando su differenti modi linguistici (l’epico, il ricattatorio, il comico, l’osceno, il devoto ecc.), pervenne a una lingua perfettamente adeguata a rappresentare la sua prospettiva dissacratoria e il suo scetticismo morale.

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9 Manierismo Il termine “Manierismo” sta a indicare una concezione estetica fondata sull’imitazione di particolari aspetti di poetiche già affermate e definite come modelli. Inizialmente utilizzato per designare una tendenza tipica dell’arte figurativa della seconda metà del Cinquecento, in ambito letterario la parola è di uso piuttosto recente: infatti solo alla metà del sec. XX alcuni critici hanno iniziato a parlare di Manierismo per i cambiamenti che si manifestarono nella produzione letteraria dal 1530 fino alla fine del secolo. Alla base del Manierismo letterario in primo luogo è la teorizzazione del modello petrarchesco elaborata da Bembo: essa comportava lo sviluppo di un virtuosismo formale e concettuale da cui derivò un’infinità di minute variazioni, che accentuarono ora l’uno ora l’altro degli aspetti fusi in Petrarca in un quadro omogeneo (toni elegiaci, sottolineatura del tema del dolore, tendenza a privilegiare effetti decorativi e paesaggistici). Appartengono al Manierismo il piacere del paradosso di Berni, l’accentuato autobiografismo eroicizzante di Cellini, la prosa raffinata di Giovanni Della Casa, il controllo stilistico di Agnolo Firenzuola, la bizzarria del Lasca e di Gelli e soprattutto la grande poesia di Tasso.

Giovanni Della Casa Giovanni Della Casa (1503-1556) fu una delle figure più rappresentative del petrarchismo manierista. ■ La vita e le opere

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Le Rime

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La carriera ecclesiastica

Nativo del Mugello, dopo aver studiato lettere a Bologna, Firenze e Padova, nel 1534 decise di trasferirsi a Roma. Lì intraprese una felice carriera ecclesiastica che lo portò a diventare arcivescovo di Benevento (1544) e nunzio apostolico a Venezia (1549). Durante il soggiorno veneziano, istituì il tribunale dell’Inquisizione in Veneto e compilò il primo Index librorum proibitorum (1548). Nel 1555 papa Paolo IV lo chiamò a Roma come segretario di Stato. D’argomento politico sono le due Orazioni in prosa volgare rivolte alla Repubblica di Venezia e a Carlo V. Le Rime, edite postume nel 1558, vengono solitamente considerate il più bel canzoniere italiano tra Ariosto e Tasso. Sono 66 componimenti di stile petrarchesco strutturati in modo organico e unitario. La loro originalità rispetto all’illustre modello risiede nella tematica, perché al tema amoroso Della

9 - Manierismo

Casa preferisce i temi della disillusione, della vanità del mondo, del rovello morale e dei conflitti tra reale e ideale; nella struttura stilistico-metrica, perché il discorso viene articolato superando spesso l’unità del verso e della strofa. In questo modo i concetti e le immagini non sono più confinati negli spazi tradizionali, ma fluiscono liberamente imponendo al testo un ritmo nuovo e suggestivo. ■ Il Galateo

Il Galateo (1558, postumo), considerato il capolavoro di Della Casa, è un trattato sulle buone maniere e sul corretto modo di comportarsi in società. L’opera deve il titolo (diventato sostantivo per antonomasia) al nome latinizzato del suo committente: il vescovo di Sessa Galeazzo (Galatheus) Florimonte. Nel testo un vecchio, illetterato ma saggio, educa un giovane alle buone maniere da tenere a tavola, nelle riunioni conviviali, nel vestire, nelle conversazioni. In una prosa raffinata il Galateo codifica così, all’interno degli ideali umanistici della cortesia e della misura, norme di comportamento improntate all’ideale classico del giusto mezzo.

Berni e il modello burlesco Francesco Berni (circa 1497-1535), con un sistema retorico dominato da figure quali l’illusione, l’amplificazione caricaturale, la parodia e l’elencazione, diede l’avvio a una tradizione di poesia satirica e demistificatoria. ■ La vita

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Nato a Lamporecchio in Val Nievole, ebbe la sua prima educazione letteraria a Firenze. Nel 1517 si trasferì a Roma presso il cardinal Bernardo Dovizi detto il Bibbiena e poi da Angelo Dovizi, protonotaio apostolico. Quando, nel 1522, divenne papa il fiammingo Adriano VI, Berni, che lo aveva duramente attaccato nelle sue poesie, dovette lasciare Roma. Ritornatovi dopo l’elezione di Clemente VII, passò successivamente al servizio del vescovo di Verona Matteo Giberti. Nel 1532, a Firenze, servendo il cardinale Ippolito de’ Medici e divenuto intimo del duca Alessandro de’ Medici, fu coinvolto nelle lotte che opponevano Ippolito al duca Alessandro. In quelle drammatiche circostanze, morì avvelenato. ■ Poesia e parodia

La prima opera di valore di Berni è il dramma rusticale in ottave La Catrina (scritto intorno al 1516 ma edito postu123

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Letteratura italiana

I Capitoli

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mo nel 1567), che narra il contrasto tra i villani Beco e Mecherino per il possesso della bella Catrina. Agli anni 1524-31 risalgono il Dialogo contra i poeti (1526), rifacimento, in forma burlesca (cioè ribelle, parodistica) e toscana dell’Orlando innamorato di Boiardo (vedi pag. 92), e soprattutto la maggior parte dei suoi celebri Capitoli in terza rima. Questi, insieme a sonetti satirici, furono pubblicati in edizioni incomplete a partire dal 1537. Nel clima dominato dal classicismo di Bembo, Berni fu, insieme all’Aretino, il più violento demistificatore dell’edonismo letterario cinque-

IL PETRARCHISMO È il fenomeno di imitazione che prese a modello i contenuti, la lingua e le forme espressive di Petrarca. Già nel Trecento e nel Quattrocento Petrarca fu un esempio fondamentale da seguire per aver fornito alla lingua italiana un’omogeneità e una purezza quasi classica. Contemporaneamente alla riflessione teorica si diffuse, specialmente nelle città dell’Italia settentrionale, un petrarchismo cortigiano, attento alle forme, al lessico, alle situazioni caratteristiche del Canzoniere. Ne trasse origine una vasta produzione, che ebbe il suo culmine nel canzoniere di Boiardo (vedi pag. 92). Con l’inizio del sec. XVI le caratteristiche del petrarchismo mutarono profondamente: esso assunse i tratti di una concezione estetica compiuta, immodificabile nella sua perfezione. Tale evoluzione trovò il suo spunto concreto nel lavoro filologico e poetico di P. Bembo. Nacque una vera e propria corrente: Sannazaro (vedi pag. 93), Caro (vedi pag. 98) e il fiorentino Benedetto Varchi (15031565), che nel dialogo L’Ercolano (1570, postumo) tentò (oltre al recupero del “fiorentino”) un primo bilancio storico della questione della lingua. Divenuto una sorta di linguaggio poetico convenzionale e omogeneo in tutta Italia, il petrarchismo fu anche lo strumento con cui si espressero alcune poetesse. La romana Vittoria Colonna (1490 -1547) unì nelle sue Rime al rimpianto per la morte del marito un alto senso della propria arte. La bresciana Veronica Gambara (1485-

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1550), aristocratica e colta, scrisse sonetti, le Rime diverse di alcune nobilissime e virtuosissime Donne (1559) e Lettere. La padovana Gaspara Stampa (15231554) nelle sue Rime, pubblicate postume (1554), riprese situazioni e modi della lirica d’amore contemporanea, rivitalizzati con l’espressione sincera e patetica della sua intensa vita sentimentale. La comunanza stilistica e di tematiche favorì anche, nella seconda metà del Cinquecento, la compilazione e la pubblicazione di antologie di poesia petrarchista. Rapporti dialettici estremamente importanti si istituirono tra petrarchismo e Manierismo. Quest’ultimo fece proprio tutto il patrimonio lessicale, topico e di immagini proprio del petrarchismo, ma non accolse il presupposto di immutabilità classica, di equilibrio raggiunto e di insuperabile armonia presente nell’elaborazione bembesca; anzi, proprio attraverso l’utilizzo esasperato, amplificato, settoriale di quegli strumenti, espresse l’inquietudine profonda caratteristica degli ultimi decenni del sec. XVI. Tra le figure più significative del petrarchismo manierista, oltre a Torquato Tasso (vedi pag. 128), fu il grande artista Michelangelo Buonarroti (1475-1564), le cui Rime, pubblicate postume (1623) dal nipote omonimo, mostrano talora (soprattutto quelle per Vittoria Colonna) una ricercatezza formale che cede, nelle composizioni più tarde, a un sincero tormento interiore, con una lingua dinamicamente in lotta col canone petrarchista.

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centesco. Le sue radicali dichiarazioni di poetica, unitamente ai suoi versi aspri e dissacratori, esprimono un atteggiamento decisamente antiletterario. All’interno del capitolo (componimento poetico con forma metrica derivata dalla terzina dantesca) Berni loda oggetti poetici paradossali come l’orinale, la peste, l’ago, le pesche, il debito, il caldo del letto, le anguille. Le realtà più miserabili della Lingua vivace, condizione umana vengono così esaltate in un linguaggio plebea, oscena vivacissimo e plebeo in cui dominano, arguti e frequenti, i doppi sensi osceni. La codificazione degli elementi stilistici che compongono la poesia satirica di Berni è stata così forte da determinare la nascita di una vera e propria “maniera”.

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9 - Manierismo

Agnolo Firenzuola Agnolo Firenzuola, pseudonimo di Michelangiolo Giovannini (1493-1543) per la costante ricerca di una forma dall’andamento musicale, ricca di artifici, sensuale e festosa, si impose come uno dei maestri del Manierismo. Nato a Firenze, entrò nell’ordine monastico dei Vallombrosani, in cui ricoprì importanti incarichi. A Roma, dove si era trasferito nel 1518, entrò in contatto con Aretino, Caro, Della Casa. Tradusse le Metamorfosi dello scrittore latino Apuleio, alle quali egli diede il titolo di Asino d’oro (1525). Fra il 1523 e il 1525 compose i Ragionamenti, originale raccolta costituita da novelle di contenuto erotico e comico, scritte in una lingua vicina al parlato, e da dotti e raffinati interventi sulla natura d’amore, per i quali è usato un linguaggio ricercato e fortemente letterario. L’opera rimase incompiuta. Scrisse due commedie, La Trinunzia e I lucidi (1549, postumo) e stese La prima veste dei discorsi degli animali (circa 1540), libero adattamento di antiche favole indiane del Pañcatantra conosciute da Firenzuola attraverso le versioni latine e spagnole. In quest’opera la sua vena narrativa si realizza in modo più limpido e felice che nei Ragionamenti e si concretizza in una serie di favole e di apologhi raccontati con garbo in una lingua semplice, ma sempre stilisticamente controllata. Compose anche il Celso, dialogo delle bellezze delle donne (1548).

Traduzione di Apuleio I Ragionamenti

Le commedie e i Discorsi degli animali

Bizzarria manierista: Lasca e Gelli Il fiorentino Anton Francesco Grazzini, detto il Lasca Anton Francesco (1503-1584) nel 1540 fondò l’Accademia degli Umidi, assu- Grazzini detto il Lasca mendo il soprannome di Lasca. Nel 1582 aderì alla nascen125

Letteratura italiana

Le Cene

Giambattista Gelli

te Accademia della Crusca. Fu autore di farse (Il frate; La giostra; La Monica, andata perduta) e di 7 commedie, tutte precedenti il 1566 (La gelosia; La spiritata; La strega; La pinzochera; La Sibilla; I parentali; L’arzigogolo). In esse la soggezione ai modelli del teatro classico è riscattata dall’osservazione di un piccolo mondo cittadino, condotta con grazia e arguzia efficaci. L’opera più nota è la raccolta di 22 novelle intitolata le Cene e divisa in tre parti. La prima fu pubblicata solo nel 1756, la seconda nel 1743, la terza, incompleta, nel 1815. Secondo il modello del Decameron, una cornice inquadra le novelle, che si immaginano narrate in tre sere da una compagnia di cinque giovani e di cinque ragazze. Di argomento vario (beffe, storie comiche e tragiche, avventure amorose), le novelle reinterpretano il motivo della burla boccaccesca con sensualità ed estro caricaturale. Il Lasca scrisse anche numerose rime sul modello burlesco del Berni, del quale curò un’edizione delle opere, e fu tra i primi a sperimentare il poema eroicomico con la Guerra de’ mostri (1547). Il fiorentino Giambattista Gelli (1498-1563), autodidatta, frequentò la corte medicea di Cosimo I e tenne tra il 1541 e

BIOGRAFIA E AUTOBIOGRAFIA: VASARI E CELLINI Nel periodo rinascimentale la biografia e l’autobiografia tesero a evidenziare funzioni esplicitamente elogiative ed encomiastiche. Biografia e autobiografia per la prima volta critiche furono le Vite di Vasari e i Ricordi di Guicciardini (vedi pag. 109). È da sottolineare che parte del biografismo cinquecentesco fu anche legato alle lotte religiose e politiche del periodo. L’aretino Giorgio Vasari (1511-1574), pittore e scrittore, lavorò a Firenze, Venezia e Roma. Al soggiorno romano (1542-46) risale la prima stesura delle Vite de’ più eccellenti architetti, pittori e scultori italiani da Cimabue insino a’ tempi nostri (1550), la prima grande opera di storiografia artistica: l’autore delinea uno sviluppo progressivo dell’arte in tre età, culminanti con la maniera moderna di Raffaello, Michelangelo e Leonardo, maestri insuperati nell’imitazione della natura, scopo dell’arte. Per ogni periodo, in una prosa vivace e limpida sono forniti dettagliati profili biografici, accompagnati da giudizi critici acu-

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ti, anche se a volte tendenziosi. Dopo un approfondimento degli studi e un confronto con altri critici d’arte, l’autore giunse a una seconda edizione (1568), nella quale rafforzò l’impianto teorico sottolineandone il principio guida: la preminenza del disegno sul colore. Con il fiorentino Benvenuto Cellini (15001571), insigne scultore e orafo, si può parlare invece di vera e propria autobiografia nel senso moderno. La Vita (composta tra il 1558 e il ‘65, interrotta nel 1562 e rimasta inedita fino al 1728) rovescia gli ideali cortigiani del Rinascimento in favore di una vibrante e incalzante contraddittorietà, che dà alla scrittura un ritmo tutto manierista e ribelle. Non si tratta più del tradizionale “itinerario spirituale”; l’opera è l’originale catalogo di ricordi dell’autore (spesso amplificato da invenzioni romanzesche) e di impressioni che da essi sono scaturite. Altre opere da ricordare sono i due trattati sull’oreficeria e sulla scultura (1565-67).

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9 - Manierismo

il 1563 una serie di lezioni pubbliche su passi dell’opera dantesca, raccolte poi sotto il titolo di Letture sopra la “Commedia” di Dante. Oltre a questa produzione critica ed esegetica compose due commedie, La sporta (1543) e Lo errore (1553), entrambe di derivazione machiavelliana, opere di riflessione morale ma di sano gusto popolare come I ragionamenti di Giusto bottaio (1548) e soprattutto La Circe (1549) e, ancora, un trattato sulla questione della lingua, Ragionamento sopra le difficoltà di mettere in regole la nostra lingua (1551), in cui, contro le teorie di Bembo, sostenne la superiorità del fiorentino parlato su quello letterario e sulla lingua cortigiana da esso derivata.

SCHEMA RIASSUNTIVO MANIERISMO

Si sviluppa a partire dal 1530 una tendenza, sorta in ambito artistico, che privilegia, in letteratura, il virtuosismo formale con accentuazione di toni elegiaci, effetti decorativi e paesaggistici, tema del dolore. Il petrarchismo ne fu uno degli aspetti più manifesti.

GIOVANNI DELLA CASA

Giovanni Della Casa (1503-1556) fu ecclesiastico di carriera. Le Rime, edite postume nel 1558, sono considerate il più bel canzoniere italiano tra Ariosto e Tasso. Il Galateo, anch’esso postumo (1558) in una prosa raffinata codifica, all’interno degli ideali umanistici della cortesia e della misura, norme di comportamento improntate all’ideale classico del giusto mezzo.

FRANCESCO BERNI

Francesco Berni (circa 1497-1553), al servizio di ecclesiastici famosi e dei Medici, morì avvelenato. Nei suoi Capitali, pubblicati a partire dal 1537, le radicali dichiarazioni di poetica, unitamente ai versi aspri e dissacratori, esprimono un atteggiamento decisamente antiletterario.

AGNOLO FIRENZUOLA

Pseudonimo del fiorentino Michelangiolo Giovannini (1493-1543), monaco vallombrosano, compose tra il 1523 e il 1525 i Ragionamenti, originale raccolta costituita da novelle di contenuto erotico e comico, scritte in una lingua vicina al parlato, affiancata però da dotti e raffinati interventi sulla natura d’amore, per i quali il linguaggio diventa ricercato e fortemente letterario.

LASCA

Anton Francesco Grazzini, detto il Lasca (1503-1588), fiorentino, scrisse le novelle delle Cene (pubblicate postume, 1743, 1756 e 1815) di argomento vario (beffe, storie comiche e tragiche, avventure amorose), che reinterpretano il motivo della burla boccaccesca con sensualità ed estro caricaturale.

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10 Tasso e il periodo

controriformistico

Il consolidamento delle monarchie assolute e il dominio della Spagna sull’Italia sono gli elementi di un periodo di grave crisi politico-culturale. Ancora più determinante lo sconvolgimento prodotto dalla Riforma protestante, entrata solo limitatamente in Italia, ma che si diffuse rapidamente nel Nordeuropa. La Chiesa reagì convocando il concilio di Trento (1545-1563) con l’intento di una più rigida definizione dei dogmi. Il forte controllo della Chiesa non si esercitò soltanto direttamente (per esempio, con l’Indice dei libri proibiti, pubblicato nel 1559) ma anche indirettamente, attraverso il lavoro di elaborazione della cultura cattolica. Interprete di questa drammatica crisi e delle contraddizioni dell’epoca fu Torquato Tasso.

Una vita drammatica Torquato Tasso (1544-1595) è una delle figure più alte della letteratura italiana e la massima espressione della cultura tardo-rinascimentale. Grande poeta e scrittore, fece propria l’eredità del Rinascimento coniugandola con le istanze e le contraddizioni dell’epoca della Controriforma e diede vita a un’arte capace di esprimersi con una sensibilità moderna. Tasso nacque a Sorrento in una famiglia della piccola nobiltà: la madre, Porzia de’ Rossi, era toscana; il padre, Bernardo, di origine bergamasca, elegante letterato petrarchista, si era stabilito nel Regno di Napoli al servizio del principe di Salerno Ferrante Sanseverino, che seguì a Roma dove si fece raggiungere dal giovane Torquato, che cominciò una vita di peregrinazioni tra Bergamo, Urbino, Venezia, Padova e altre località. Intanto aveva cominciato a scrivere versi: nel 1559 pose mano a un primo abbozzo di poema epico dal titolo Libro primo del Gierusalemme; poco dopo pubblicò il Rinaldo (1562). Lavorava contemporaneamente a un’interessante riflessione sulla poesia, i Discorsi sull’arte poetica, pubblicati più di vent’anni dopo (1587). Nel 1565, a Ferrara, entrò al servizio del cardinale Luigi d’Este: fu il periodo migliore della vita di Tasso, al centro di significativi apprezzamenti da parte della corte, in particolare dalle sorelle del duca, Lucrezia ed Eleonora. Questo periodo fu coro-

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Le prime opere Alla corte di Ferrara

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10 - Tasso e il periodo controriformistico

nato dalla stesura e dalla messa in scena della favola pastorale Aminta (1573), rappresentata con vivo successo nell’isoletta del Belvedere. Nel corso dei due anni successivi il poeta si impegnò a fondo nella prima stesura del poema sulla crociata, la Gerusalemme liberata, che fu presentata al duca Alfonso e a sua sorella Lucrezia suscitando il loro grande entusiasmo. Come riconoscimento della sua arte, nel 1576 venne nominato storiografo di corte. Lo sforzo creativo e le tensioni della vita cortigiana minarono il suo fragile equilibrio psichico, che si sentì sempre più vittima di improbabili congiure. Per verificare la propria correttezza teologica volle sottoporsi al vaglio del S. Uffizio: assolto, non accettò volentieri la sentenza, in quanto si sentiva incerto nei confronti della fede cattolica. Sempre più sospettoso, manifestò un atteggiamento delirante che culminò con l’aggressione a un servo (1577), per cui venne messo sotto custodia nel convento di S. Francesco. Tasso fuggì da Ferrara e iniziò a girovagare per l’Italia giungendo fino a Sorrento, dalla sorella che non lo vedeva da anni. Si trasferì per qualche tempo a Urbino, ospite di Francesco Maria della Rovere e poi a Torino. Durante queste peregrinazioni cominciò a stendere i Dialoghi, su cui continuò a lavorare fino ai suoi ultimi giorni. Tornato improvvisamente a Ferrara (1579) nel giorno delle nozze tra Alfonso II e Margherita Gonzaga, cominciò a dare in escandescenze e a inveire contro il duca; arrestato, fu rinchiuso nell’ospedale di S. Anna, dove fu sottoposto per quattordici mesi a un regime di dura segregazione e per altri cinque anni a un trattamento più blando. Durante la sua reclusione uscì la prima edizione integrale della Gerusalemme liberata (1581), che ottenne un immenso successo. Il poeta seguì con ansia e interesse le vicende del suo lavoro e scrisse l’Apologia della Gerusalemme liberata (1585) in difesa delle scelte compiute. Dopo molte insistenze e intercessioni nel 1586 venne rilasciato e affidato al duca di Mantova, Vincenzo Gonzaga. Tasso si allontanò presto dalla città lombarda e riprese a girovagare senza una meta apparente: fu a Bergamo, ove pubblicò la cupa tragedia Re Torrismondo (1587), a Roma, a Napoli, dove fu ospite del monastero degli Olivetani, per i quali scrisse il poemetto Il monte Oliveto (1588); tornò a Roma, dove risiedette presso Scipione Gonzaga, per il quale scrisse la Genealogia di Casa Gonzaga (1591). Tornò a Mantova, dove pubblicò la Prima parte delle Rime (1591), una raccolta di liriche in cui rielaborò con intensa sensibilità l’intera eredità petrarchesca (i temi della bellezza, della natura, dell’amore, della lontananza e della morte). Di nuovo a Roma

La stesura della Gerusalemme liberata La crisi psicologica e la mania di persecuzione

La fuga da Ferrara e nuove peregrinazioni

La reclusione in ospedale Pubblicazione della Gerusalemme liberata Il rilascio e nuove peregrinazioni

Le Rime

Tito 129

Letteratura italiana

La Gerusalemme conquistata Le ultime opere

si dedicò alla revisione completa (con una sottolineatura moralistica e spesso più convenzionale) del poema cavalleresco, ripubblicato con il titolo Gerusalemme conquistata (1593). Scrisse poemetti di contenuto religioso (Le lagrime di Maria Vergine; Le lagrime di Gesù), che pubblicò assieme alla Seconda parte delle Rime (1593), e si dedicò alla stesura del poema Le sette giornate del mondo creato, lasciato incompiuto. Trovò un po’ di serenità grazie all’attenzione di papa Clemente VIII, che gli assegnò una pensione e gli promise l’incoronazione solenne come poeta della cristianità. Per prepararsi a questo evento Tasso si dedicò con rinnovato entusiasmo ai Discorsi del poema eroico, stampati nel 1594. All’improvviso, nella primavera del 1595, egli si spense a Roma.

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L’Aminta Questo dramma pastorale in cinque atti è la prima opera in cui Tasso rivela la propria grandezza poetica. Si incentra sull’amore del pastore Aminta per la ninfa Silvia, ritrosa e scontrosa, che solo alla fine, mossa dalla pietà, si decide a riconoscere il proprio sentimento e ad accettare quello del pastore. Colpi di scena Il contenuto dell’opera è piuttosto esile e si fonda su colpi di ed equivoci scena, come l’aggressione di un satiro ai danni di Silvia, liberata da Aminta, e su equivoci, come quello relativo alla notizia della morte apparente prima della ninfa, poi del pastore, che ha tentato il suicidio salvandosi all’ultimo momento. La conclusione felice è il coronamento di tante prove e la vittoria dell’amore. Ciò che conta non è la trama, ma l’esaltaL’età dell’oro zione dell’età dell’oro compiuta dal poeta; essa è vista come pastorale la realizzazione del desiderio naturale in contrapposizione a un mondo in cui domina l’artificiosità dell’onore, la mancanza di sentimenti autentici. Il mondo dell’Aminta è una specie di paradiso terrestre non toccato dal peccato né tanto meno dalla consapevolezza di esso; è la dimensione in cui l’esLa perfezione umana sere umano raggiunge la perfezione seguendo il proprio è seguire istinto naturale. La finzione pastorale permette al poeta di l’istinto naturale esprimere liberamente il proprio sogno di vita e di avvertirne la distanza incolmabile dalla società in cui vive.

La Gerusalemme liberata Frutto di un lungo lavoro e di vere e proprie angosce, il poema (in 20 libri in ottave) muove dalla sostanziale accettazio130

10 - Tasso e il periodo controriformistico GIORDANO BRUNO, L’UOMO DEL TRAPASSO Giordano Bruno (1548-1600), nato a Nola, entrò giovanissimo in convento per abbandonare bruscamente l’abito. Nel 1579 si recò a Ginevra, dove scoprì che il calvinismo non era meno intollerante del cattolicesimo. Fuggì poi in Francia, dove pubblicò la commedia il Candelaio (1582), opera nel filone della commedia comica cinquecentesca. Passato in Inghilterra (1583-85), pubblicò un gruppo di dialoghi, originali sintesi dei temi caratteristici della filosofia della natura italiana del Cinquecento (Telesio) e dell’ermetismo, temi cosmologici di ispirazione copernicana e temi morali improntati al platonismo (Cena de le ceneri, 1584; De l’infinito universo

e mondi, 1584; Spaccio de la bestia trionfante, 1584; De la causa, principio et uno, 1584). Nell’opera De gl’heroici furori (1585), inoltre, si scagliò con violenza contro il petrarchismo (vedi a pag. 124). Scrisse tre poemi in latino, avendo come modello Lucrezio (De minimo, De monade, De immenso, 1591). Nel 1590 rientrò in Italia; denunciato al tribunale dell’Inquisizione, fu condannato al rogo per eresia: rifiutatosi di abiurare, venne arso in Campo de’ Fiori a Roma. Filosofo aperto alla modernità scientifica e filosofica, scevra da ogni pregiudizio, Bruno fu anche uno scrittore di valore, dallo stile vigoroso, irregolare, ricco di immagini, anticipatore del barocco.

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ne dei precetti indicati nella Poetica di Aristotele per la poesia epica. Partendo dal principio delle finalità educative della poesia, Tasso si propone di narrare una vicenda che esalti il “meraviglioso cristiano”, si fondi sulla storia (quella della prima crociata e della liberazione del S. Sepolcro) e presenti elementi atti a stupire il lettore e a renderlo più disponibile ad accogliere la verità. L’argomento scelto aiuta a dividere nettamente la scena in due campi contrapposti, uno seguace del Bene, l’altro espressione del Male, a caratterizzare gli eroi, a riproporre la più classica delle vicende epiche, l’assedio della città nemica. Il racconto si apre con l’intervento divino per invitare Goffredo a riportare l’unità tra le schiere cristiane e a condurle sotto le mura di Gerusalemme per dar l’assalto finale alla città. In questo quadro entrano in gioco diversi elementi che rendono più fluida e poeticamente efficace la narrazione: in primo luogo il paesaggio, composto di tinte sfumate, di notturni carichi di fascino, di aspetti al tempo stesso accoglienti e minacciosi, capaci di rappresentare lo stato d’animo profondo dei personaggi; poi la magia, suddivisa nettamente in positiva e negativa riguardo ai fini, ma rivolta a svelare la dimensione inconscia dell’animo umano, dove risiedono le paure, i sogni, i desideri erotici degli eroi; infine l’amore, che unisce in vari modi i destini di donne pagane e di cavalieri cristiani. L’amore per Tasso si congiunge per lo più a immagini di morte; ma nelle pagine che descrivono il giardino di Armida rivive, con una nota di erotismo più maturo, il sogno della perfezione dell’età dell’oro già evocato nell’Aminta.

Finalità educative della poesia

I campi contrapposti del Bene e del Male

Il paesaggio La magia L’amore

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Letteratura italiana

Il giudizio critico e la fortuna

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Si potrebbe dire che con Tasso finisca il Rinascimento e inizi qualcosa di complesso e contraddittorio che è, in fondo, lo spirito stesso della poesia “moderna”. Certamente egli è un maestro della crisi e insieme il protagonista più alto di una letteratura che sgrana la sua ricerca di nitidezza realistica in favore di un tono sognante e soffuso, tanto malinconico quanto custodito dalla bellezza di una serena disperazione. La Gerusalemme liberata, il poema dell’“aspra tragedia” umana, è anche il capolavoro di un sentimento antico perduto, ormai indefinito e, per tutti, insondabile. Onorato già in vita, Tasso dopo la morte divenne oggetto di ininterrotta ammirazione. Caposcuola delle correnti letterarie secentesche, fu modello di poetica della meraviglia per la cultura barocca e, con le sue atmosfere idilliche e pastorali, diede spunti ai poeti dell’Arcadia. Alla sua poetica si ispirarono anche molti scrittori europei del Seicento: Milton, Shakespeare, Cervantes, Lope de Vega, Calderón de la Barca. Notevole fu nel Settecento la sua influenza sul melodramma. I poeti preromantici e romantici videro in lui soprattutto l’immagine esemplare del genio che soffre fino alla follia il contrasto con le costrizioni e le ipocrisie della vita quotidiana.

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Un maestro della crisi

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L’influenza sul barocco e sul melodramma

TORQUATO TASSO

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SCHEMA RIASSUNTIVO

Nato a Sorrento (1544-1595), visse una vita drammatica peregrinando tra varie città e corti italiane, vittima di turbe psichiche, dello sforzo creativo e delle angosce derivanti dalla vita cortigiana.

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Opere principali

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Il giudizio dei romantici

Aminta (1573), favola pastorale in cui il mondo è rappresentato come una specie di paradiso terrestre non toccato dal peccato né tanto meno dalla consapevolezza di esso; è la dimensione in cui l’essere umano raggiunge la perfezione seguendo il proprio istinto naturale. La Gerusalemme liberata (1581), poema in ottave in 20 canti, nel quale, partendo dal principio delle finalità educative della poesia, Tasso si propone di narrare una vicenda che esalti il “meraviglioso cristiano”, si fondi sulla storia (quella della prima crociata) e presenti elementi atti a stupire il lettore e a renderlo più disponibile ad accogliere la verità.

ARTE 1 La nuova funzione dell’arte nel Rinascimento 2 I maestri del Rinascimento maturo 3 Il Manierismo

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Sull’onda della riscoperta dei classici promossa dall’Umanesimo, l’età rinascimentale vede una grande fioritura anche nel campo dell’arte. Il centro propulsore di questa rinascita che coinvolge tutta l’Europa è Firenze, nella quale operano artisti come Brunelleschi, Masaccio, Donatello, Leonardo e Michelangelo, capaci di eccellere in varie discipline. Grazie al mecenatismo dei papi, anche Roma diventerà uno dei cardini di questo periodo di grande splendore artistico e culturale, attirando tutti i più grandi pittori e scultori del tempo. Fra le novità di maggior rilievovi sono la concezione dell’arte come strumento di conoscenza e indagine della realtà, un nuovo senso dello spazio e “l’invenzione” della prospettiva a unico punto di fuga. Le opere più mature del Rinascimento sono rappresentate da capolavori come l’Ultima cena di Leonardo o il David di Michelangelo, assurto quasi a emblema del nuovo e fiero antropocentrismo che contraddistingue l’epoca. Nella seconda metà del Cinquecento il Manierismo prelude alle tendenze barocche: nel clima di profonda crisi storico-culturale legato alla Riforma protestante e alla Controriforma cattolica, vengono messi in discussione i principi classicistici di razionalità, equilibrio e armonia che avevano dominato lo scenario artistico nei decenni precedenti.

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1 La nuova funzione dell’arte nel Rinascimento

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Il periodo del Rinascimento (dal Quattrocento alla prima metà del Cinquecento) coincise con l’instaurazione del sistema politico assolutistico dei grandi Stati nazionali che caratterizzò l’Europa moderna. Se nella vita politica si affermò l’onnipotenza della monarchia, nella storia socio-economica assunse rilievo centrale la figura del mercante, mentre l’equilibrio tra città e campagna era attraversato da forti tensioni provenienti dal mondo agrario. Il Rinascimento fu un fenomeno europeo, ma le sue radici furono italiane, anzi fiorentine: infatti fu l’umanesimo fiorentino (Petrarca, Bruni, Ficino e altri) a promuovere inizialmente il recupero di testi latini e greci, a riassimilare per primo i modelli dell’antichità classica nei campi dell’arte e della vita intellettuale, a riscoprire il mondo, l’uomo e la natura quali luoghi primari di elaborazione del sapere. Le manifestazioni più emblematiche dell’estetica rinascimentale scaturirono dalle arti visive e dall’architettura (vedi pag. 183), rese possibili grazie al mecenatismo sia delle corti italiane sia del papato romano.

La rivoluzione fiorentina

Apertosi simbolicamente nel 1401 con il concorso tra Brunelleschi e Ghiberti per la seconda porta del Battistero di Firenze, il Rinascimento si protrasse fino alla metà del sec. XVI. Si configurò come fenomeno tipicamente italiano e stimolatore di nuove energie, anche se venne a maturazione nel clima generale di rinnovato interesse naturalistico comune a tutta l’arte europea, in particolare parallelamente e in fecondo intreccio con l’umanesimo nordico delle Fiandre. ■ Il concetto di Rinascimento

Il concetto di Rinascimento come ripresa degli ideali e delle forme dell’arte classica, dopo il Medioevo, trovò la sua Ripresa dell’arte esposizione sistematica nell’opera letteraria di Giorgio Va- classica sari (Vite de’ più eccellenti architetti, scultori e pittori, edita a Firenze nel 1550), che individuò il germe della rinascita nella pittura di Giotto e nella scultura di Nicola Pisano. La sintesi di Giotto fu recuperata e superata largamente a Firenze agli inizi del Quattrocento da un architetto, Brunelleschi, uno scultore, Donatello, e un pittore, Masaccio. Co-

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Arte

Una nuova concezione dell’arte: strumento di conoscenza Invenzione della prospettiva

L’antropocentrismo

Gli esordi come scultore

L’apprendistato di Filippo Brunelleschi (1377-1446), architetto (vedi pag. 195) e scultore, si svolse nella bottega di un orafo. Si mise poi in luce con il concorso (1402) per la seconda porta bronzea del Battistero di Firenze: la sua formella con il Sacrificio di Isacco fu giudicata ex aequo con quella vincitrice di Lorenzo Ghiberti (vedi pag. 139), al cui sereno classicismo si contrappongono la tensione drammatica e il vibrante plasticismo di Brunelleschi. Unica altra sua scultura fu in seguito (1409-1420) il Crocifisso ligneo della cappella Gonchi in S. Maria Novella.

Donatello Uno dei maggiori scultori italiani

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Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto Donatello (Firenze ca 1386-1466), fu uno dei maggiori scultori italiani per l’energica struttura plastica, l’impostazione prospettica e la vibrante sensibilità del modellato esibite dalle sue opere.

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Filippo Brunelleschi

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Coscienza storica

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storo attuarono una rivoluzionaria trasformazione della concezione e delle funzioni dell’attività artistica: nelle loro mani l’arte, non più attività meccanica, ma intellettuale, diventò strumento di conoscenza e di indagine della realtà, cioè disciplina basata su precisi fondamenti teorici. Tali fondamenti sono riconoscibili per la prima volta nell’invenzione della prospettiva a unico punto di fuga da parte di Brunelleschi. Le possibilità fornite dal mezzo prospettico di misurare, conoscere e ricreare uno spazio a misura umana furono espresse non solo nella nitida scansione geometrica delle architetture di Brunelleschi, ma anche nel proporzionato ambito spaziale che accoglie le figure “eroiche” dei rilievi di Donatello e dei dipinti di Masaccio. Questo antropocentrismo, per cui l’uomo è “misura di tutte le cose”, rientra nel grande programma di renovatio dell’antichità classica che gli artisti del Quattrocento si proposero di attuare. L’antico tuttavia non venne inteso, in questa prima fase, come un modello da imitare, bensì come coscienza storica del passato, fonte di ispirazione per elaborazioni autonome. In questa linea Donatello risuscitò il nudo classico (David bronzeo del Bargello), ricreò il ritratto romano, realistico ed eroico, ripropose il tema del monumento equestre (Gattamelata a Padova), e su questa linea si mosse tutta la scultura fiorentina del secolo fino a Michelangelo.

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1 - La nuova funzione dell’arte nel Rinascimento

■ Le prime opere

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Si formò (1403) nella bottega di Lorenzo Ghiberti (vedi pag. 139) e nell’ambito dei cantieri tardogotici fiorentini del Battistero, del campanile e del Duomo (dal 1407). Se reminiscenze tardogotiche sono evidenti nell’elegante linearismo delle prime opere (i due Profetini per la porta della Mandorla in Duomo, 1406-08, e il David marmoreo del Museo del Bargello, 1409), già il S. Giovanni Evangelista (1409, Museo dell’Opera del Duomo) e il S. Marco (1411-12, Orsanmichele) esprimono un rifiuto dei moduli gotici e una nuova visione classico-realistica. Con l’amico Brunelleschi (vedi pag. 136) compì viaggi a Roma (1404-08) per studiare, disegnare, misurare sculture e monumenti antichi, un processo di maturazione giunto a pieno compimento nel S. Giorgio per una nicchia di Orsanmichele (1416, ora al Museo del Bargello di Firenze). La conoscenza del classico gli valse soprattutto come stimolo per un’appassionata indagine della realtà: ne sono testimonianza le statue dei Profeti scolpite nel ventennio successivo per il campanile (ora in gran parte al Museo dell’Opera del Duomo di Firenze), figure la cui drammatica umanità si esprime in forme di intenso e talora spietato realismo (Geremia, ca 1426; Abacuc, 1434-36).

S. Giovanni Evangelista S. Marco

S. Giorgio Appassionata indagine della realtà

■ La collaborazione con Michelozzo

Verosimilmente intorno al 1423 ebbe inizio la sua collaborazione con lo scultore e architetto Michelozzo Michelozzi (Firenze 1396-1472). Dal sodalizio nacquero il fonte battesimale del Battistero di Siena (ca 1425, nel quale il rilievo bronzeo col Convito di Erode è esempio già maturo della tecnica donatelliana dello “stiacciato” (bassorilievo che affiora poco dal fondo, per ottenere una perfetta graduazione prospettica dei piani); il sepolcro dell’antipapa Giovanni XXIII (ca 1425-27, Firenze, Battistero); il sepolcro del cardinale Brancacci (1427, Napoli, S. Angelo a Nilo), dove a Donatello spetta solo il rilievo con l’Assunzione della Vergine. ■ I capolavori

Dopo il 1430 le ricerche di Donatello sull’antico si fecero più intense (del 1433 è un altro viaggio a Roma) e ne scaturirono opere fondamentali: il David bronzeo del Bargello (ca Il David e la cantoria 1430-33); la cantoria del Duomo (1433-39, Firenze, Museo del Duomo dell’Opera del Duomo), dove si svolge ininterrotta una sfrenata danza bacchica di putti. Lo stesso motivo è ripreso nel pulpito esterno della cattedrale di Prato (1429-38). Tra il 1435 e il 1443 Donatello lavorò, su commissione di Cosimo de’ Me137

Arte

Il monumento al Gattamelata

dici (figlio di Giovanni de’ Medici), alla decorazione della Sacrestia Vecchia di S. Lorenzo, eseguendo otto medaglioni in stucco dipinto (Evangelisti e Storie del Battista), tre sovrapporte, anch’esse in stucco, con figure di Santi, e due porte bronzee, scompartite in formelle con figure di Martiri e Apostoli. Nel 1443 si trasferì a Padova, dove la sua presenza (fino al 1454) fu fattore determinante per l’evoluzione dell’intera civiltà artistica settentrionale: qui egli creò, nel monumento equestre al Gattamelata (1447-53), una versione moderna dei monumenti romani. ■ Le ultime opere

Qui iniziò, col grande complesso dell’Altar Maggiore nella basilica di S. Antonio (1446-50), l’ultima fase della sua attività. Le opere dell’ultimo periodo fiorentino sono immagini di angoscia esistenziale, di meditazione sul dolore e sulla morte: esemplari in tal senso la Maddalena lignea del Battistero (1454-55) e le figure dei due pulpiti bronzei di S. Lorenzo (1460, non ultimati alla sua morte e in parte eseguiti da aiuti).

Masaccio Un iniziatore del Rinascimento

Intensa drammaticità

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Collaboratore di Masolino da Panicale

Tommaso di ser Giovanni Cassai, detto Masaccio, nacque a San Giovanni Valdarno nel 1401 e morì a Roma nel 1428. Nella sua pittura la severa costruzione prospettica e spaziale, il saggio uso del chiaroscuro e del colore (spesso assunto a valori altamente simbolici), che ne fanno, insieme ai suoi ispiratori Brunelleschi (vedi pag. 136) e Donatello (vedi pag. 136), uno degli iniziatori del Rinascimento, si accompagnano a un profondo contenuto umano e morale espresso con intensa drammaticità, tale da trovare riscontro solo nell’opera di Michelangelo (vedi pag. 159). ■ La vita e le opere

Della sua vita si hanno scarse notizie: collaboratore a Firenze di Masolino da Panicale (ca 1383-ca1447), le cui opere erano intrise di ispirazione fiabesca e cortese derivata dal gotico internazionale, il giovane Masaccio consumò in questa città tutto il suo brevissimo ma fondamentale percorso artistico, prima di essere chiamato a Roma, dove morì improvvisamente a soli ventisette anni. Le sue opere non sono numerose: S. Anna Metterza (142425, Firenze, Uffizi) in collaborazione con Masolino, Madonna in trono (1426, Londra, National Gallery), Crocifissione

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1 - La nuova funzione dell’arte nel Rinascimento

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(Napoli, Gallerie nazionali di Capodimonte); opera facente parte, con la precedente, dello smembrato polittico eseguito nel 1426 per la chiesa del Carmine a Pisa; affreschi della Cap- Gli affreschi della pella Brancacci al Carmine a Firenze (1424-25), eseguiti in Cappella Brancacci parte in collaborazione con Masolino e di cui sono suoi Cacciata dei progenitori, Battesimo dei neofiti, Il tributo, Distribuzione dei beni alla comunità, Morte di Anania, Resurrezione del figlio di Teofilo, nei quali è evidente la celebrazione della monumentalità e della drammaticità umana (contrapposte alla fragilità delle figure realizzate da Masolino). Nell’affresco della Trinità (1427-28, Firenze, S. Maria No- La Trinità vella), vero e proprio itinerario visivo che ha inizio con il memento mori (lo scheletro) e culmina nella rivelazione della verità (la Trinità), Masaccio seppe fondere la drammaticità tipica di Donatello e le regole teoriche proprie di Brunelleschi.

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Libertà e sperimentalismo del Rinascimento

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La libertà, l’autonomia, il vivace sperimentalismo con cui vennero interpretati i termini fondamentali della cultura rinascimentale determinarono una molteplicità di espressioni dell’arte fiorentina, che a rigorose esperienze prospettiche (Andrea del Castagno) affiancò tendenze più moderate (Lorenzo Ghiberti, i Della Robbia, Michelozzo, Beato Angelico), o anche varianti eterodosse (Paolo Uccello). Tutte le meditazioni e le conquiste attuate dai creatori dell’arte fiorentina trovarono una codificazione nell’opera teorica di Leon Battista Alberti, tra i maggiori promotori della prestigiosa diffusione dei modi dell’arte fiorentina in tutta Italia. ■ Lorenzo Ghiberti

Lorenzo Ghiberti, vissuto a Firenze (1378-1455), fu scultore, orafo, architetto, pittore e scrittore d’arte. Svolse la sua attività di scultore principalmente nei cantieri artistici fiorentini dando vita a una propria bottega; ma compì anche viaggi a Pisa (1416) a Roma (1416 e 1429-30), Venezia (142425) ed eseguì due formelle per il fonte battesimale di Siena. Come architetto partecipò al concorso per la cupola di S. Maria del Fiore, vinto da Brunelleschi (vedi pag. 195); come pittore, secondo le fonti, eseguì cartoni per le vetrate del Duomo di Firenze. Il suo esordio ufficiale come scultore av- Lo scultore venne al concorso per la seconda porta del Battistero di Firenze (1402), in cui riuscì vittorioso su Brunelleschi, perché il suo stile si ricollegava in parte a quello della prima porta, realizzata da Andrea Pisano. In quell’occasione il program139

Arte

Un programma artistico riformista Le porte per il Battistero e le statue per Orsanmichele

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■ Luca Della Robbia

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Il nome Della Robbia è legato a una famiglia di scultori e ceramisti fiorentini alla quale appartennero Andrea (14351525), Giovanni (1469-1529) e Gerolamo (1488-1566). Ma tra loro Luca (Firenze ca 1400-82) fu di gran lunga il più significativo. Nelle sue sculture in marmo (Cantoria del Duomo di Firenze, 1431-38; Le arti liberali, rilievi alla base del campanile del Duomo, 1437; tomba Federighi in S. Trinità a Firenze, 1554), in bronzo (portale della sagrestia vecchia del Duomo, 1446-69) e nelle raffinate terrecotte invetriate (Madonna della mela, Madonna del roseto al Bargello di Firenze) sono presenti gli stimoli più vivi dell’arte rinascimentale risolti con armoniosa e composta purezza di forme.

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Una famiglia di scultori e ceramisti

ma artistico di Ghiberti era già pienamente delineato su una linea riformista e non rivoluzionaria: il classicismo ghibertiano appare come evoluzione del naturalismo tardogotico fiorentino. Lo sviluppo è evidente nel confronto tra le sue due porte per il Battistero: la prima, quella a nord (140423), divisa in 28 riquadri entro formelle polilobate; la seconda, detta “del Paradiso” (1425-52), scompartita in 10 pannelli quadrati su cui si stendono con ampiezza le narrazioni sacre. Analogamente nelle statue bronzee (S. Giovanni Battista, 1412-15; S. Matteo, 1419-22; S. Stefano, 1425-29) per Orsanmichele, prima espressione della rinascita della statuaria classica, si animano di nuova vita le forme più evolute del gotico internazionale. La coscienza del momento storico in cui agiva è evidentissima nella sua opera letteraria, i Commentari, iniziata nel 1447.

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Le terrecotte invetriate

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■ Filippo Lippi

L’influenza di Masaccio

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Il pittore Filippo Lippi (Firenze ca 1406 - Spoleto 1469), pronunciati i voti nel convento del Carmine nel 1421, nel 1456 diventò monaco secolare e cappellano nel convento di S. Margherita di Prato dove si innamorò di una monaca, Lucrezia Buti, sua modella. Fuggirono dal convento ed ebbero un figlio, Filippino Lippi, ma si poterono sposare solo nel 1461 per intercessione di Cosimo De’ Medici. Nelle sue opere, nonostante quello che si possa credere, si riscontra comunque un fervente spirito religioso; stilisticamente si formò sugli esempi del plasticismo di Masaccio e della chiara luminosità cromatica di Masolino (affresco con la Conferma della regola, ca 1432, nel Chiostro del Carmine; Madonna Trivulzio, Milano, Museo del Castello Sforzesco). Dopo un soggiorno padovano (1434-37), realizzò la Madonna di Corneto Tarquinia (1437, ora a Roma, Museo di Palazzo Barberini),

filomen a a z n lice esso in

1 - La nuova funzione dell’arte nel Rinascimento

che nel risalto linearistico della forma rivela l’influsso di Donatello. Dopo l’Annunciazione di S. Lorenzo, che ha tocchi di fiamminga finezza, e l’Incoronazione della Vergine (144147, Firenze, Uffizi), Lippi si accostò al linearismo decorativo di Beato Angelico. Questa fase matura annovera gli affreschi Gli affreschi nel della cappella maggiore del Duomo di Prato (1452-64) e Duomo di Prato una serie di opere popolarissime (il tondo con la Madonna col Bambino e storie della Vergine, 1452, Firenze, Pitti; la Madonna di Palazzo Medici; la Madonna col Bambino e angeli degli Uffizi). L’ultima sua impresa, gli affreschi nell’abside del Duomo di Spoleto (1467), lo mostrano ancora capace di rinnovarsi, questa volta in direzione botticelliana. ■ Domenico Veneziano

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Domenico di Bartolomeo, detto Veneziano perché forse nato a Venezia (ca 1405), si trovò giovanissimo (1422-25) a Firenze, lì probabilmente conobbe personalmente Masaccio e comprese la portata rivoluzionaria della sua arte, come è possibile notare nell’impianto prospettico e nella struttura dell’Adorazione dei Magi (ca 1430-35, Berlino, Staatliche Museen) e della Madonna del Canto dei Carnesecchi (affresco riportato su tela, ca 1438, Londra, National Gallery). I pochi resti degli affreschi in S. Egidio a Firenze (143945), andati distrutti nel Settecento, documentano la concezione monumentale che fu poi sviluppata da Piero della Francesca (vedi pag. 148), suo aiuto nel 1439. Secondo le fonti Domenico Veneziano dipinse numerosi ritratti (l’unico forse a lui attribuibile è il Ritratto di giovane, Monaco, Alte Pinakothek) e molti quadretti di devozione. Fra questi ultimi, gli vengono attribuiti due Madonne (Firenze, collezione Berenson; Washington, National Gallery) e il dittico di Monaco (Alte Pinakothek) raffigurante S. Francesco e la povertà e l’Imposizione dell’Ordine. Databile fra il 1440 e il 1450 è la pala per S. Lucia de’ Magnoli, con al centro la Madonna in trono con il Bambino e santi (Firenze, Uffizi). Ultima sua opera è l’affresco con i SS. Giovanni Battista e Francesco per S. Croce (ora al Museo dell’Opera di S. Croce a Firenze).

L’influenza di Masaccio

I ritratti

La pala dei Magnoli

■ Paolo Uccello

Il pittore Paolo di Dono, detto Paolo Uccello (Pratovecchio, Casentino, 1397 - Firenze 1475) si formò nel gusto di Lorenzo Ghiberti (vedi pag. 139) e poi a Venezia nell’ambiente dell’ultimo gotico internazionale (1425-30). Realizzò una personale interpretazione del linguaggio di Donatello, Una sintesi Masaccio e Brunelleschi, fondendo in una sintesi irripeti- irripetibile 141

Arte

Le grandi opere

bile la semplificazione geometrica delle forme, il rigore matematico delle prospettive e un gusto prezioso del colore. Nel 1425 lavorò come mosaicista in S. Marco a Venezia, ma le sue opere sono perdute. Tornato a Firenze nel 1430, realizzò varie opere di valore: affreschi con Storie della Creazione (Chiostro Verde di S. Maria Novella); affresco a monocromo del Monumento equestre di Giovanni Acuto (1436, Duomo), nel quale l’uso sapiente della prospettiva riesce a dare l’illusione, di una statua equestre reale; S. Giorgio e il drago (1456 ca, Parigi, Musée Jacquemart-André, con altra versione alla National Gallery di Londra); decorazione dell’orologio del Duomo fiorentino (1443) con poderose teste di profeti; affreschi con Storie del Diluvio e di Noè (1447-48, Chiostro Verde di S. Maria Novella); Natività di S. Martino alla Scala (ca 1446) e i tre pannelli celebranti la Battaglia di S. Romano (ca 1456) per Palazzo Medici (ora divisi tra gli Uffizi di Firenze, il Louvre di Parigi e la National Gallery di Londra) che rappresenta la battaglia vinta dai fiorentini sui senesi a S. Romano. ■ Andrea del Castagno

Carattere popolare dei suoi personaggi

Formatosi nell’orbita di Paolo Uccello e Domenico Veneziano, Andrea del Castagno (Castagno, S. Godenzo, ca 1421 Firenze 1457) derivò molto da Donatello, accentuando nella sua pittura il plasticismo dei corpi e sottolineando il rude carattere popolare dei suoi personaggi. Documentano la sua prima attività gli affreschi del 1442 nella cappella di S. Tarasio in S. Zaccaria a Venezia. Tra il 1445 e il 1450 eseguì a Firenze l’affresco del refettorio del Convento di S. Apollonia con la Crocifissione, la Resurrezione e la Deposizione di Cristo nel registro superiore e l’Ultima Cena in quello inferiore. Dal 1450 Andrea decorò una loggia della villa Pandolfini a Legnaia, presso Firenze, con una serie di figure di donne e uomini illustri: anche in questi affreschi, ora agli Uffizi, la geometrica spartizione cromatica del fondo fa uscire le figure potenziandone il gesto e l’azione. L’ultima opera di Andrea è l’affresco col monumento equestre a Niccolò Tolentino (1456) in S. Maria del Fiore, che ricorda molto quello di Giovanni Acuto trattato da Paolo Uccello e presenta un accentuato studio lineare in funzione del movimento.

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Beato Angelico Fra’ Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro detto Beato Angelico (Vicchio di Mugello ca 1400 - Roma 1455), ela142

1 - La nuova funzione dell’arte nel Rinascimento

borò un personale linguaggio pittorico, spiritualizzato ma Linguaggio pittorico aderente al tempo, che si rivelò poi determinante nello svol- spiritualistico gimento della pittura toscana.

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■ Le suggestioni e le opere giovanili

Già suggestionato dalla lineare e vibrante pittura di Lorenzo Monaco (ca 1370-1423), dal decorativismo tardogotico dei miniaturisti fiorentini e dal magistero artistico di Donatello e Lorenzo Ghiberti, recepì in particolare la lezione di I maestri Masaccio. Tra il 1418 e il 1423 entrò a far parte dell’ordine domenicano presso il convento di Fiesole, per il quale eseguì il Trittico di S. Pietro Martire (ca 1428-29, Firenze, Museo di S. Marco).

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Con la nuova strutturazione spaziale e prospettica delle opere successive (Incoronazione della Vergine, 1433, Parigi, Louvre; Annunciazione, 1430-35, Madrid, El Prado; il Giudizio Universale, Firenze, Museo di S. Marco), Beato Angelico aderì compiutamente allo spirito rinascimentale, soprattutto col grande Tabernacolo dei linaioli (1433; Museo di S. Marco), che nell’impostazione della Madonna ricorda la composizione masaccesca della tavola della Madonna con S. Anna. Intorno al 1435 dipinse l’Annunciazione (Cortona, Museo diocesano), la Deposizione, già in S. Trinità, e la Deposizione per la chiesa del tempio (entrambe al Museo di S. Marco). Dal 1438 al 1447 l’artista lavorò al Convento di S. Marco, affrescando la grande Crocifissione del capitolo e numerose scene nel chiostro e nelle celle (Annunciazione, Trasfigurazione, Incoronazione della Vergine). Agli inizi del 1446 l’Angelico era a Roma, dove eseguì la decorazione di vari ambienti dei palazzi vaticani. Della sua attività romana rimangono oggi solo gli affreschi della cappella Niccolina con Storie dei protomartiri Stefano e Lorenzo. Morì durante un secondo soggiorno romano, dopo aver iniziato la decorazione della cappella di S. Brizio nel Duomo di Orvieto.

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■ L’adesione allo spirito rinascimentale

Strutturazione spaziale e prospettica

L’attività romana

■ Il significato della sua pittura

La pittura di Beato Angelico, carica di senso mistico, è l’esaltazione di una bellezza pura e trascendente che si sfuma Il senso nella suggestiva luminosità cromatica e si concretizza nella di una bellezza pura quasi miniaturistica definizione delle figure e delle cose. Il e trascendente tutto è fondato e nutrito dalle acquisizioni culturali e artistiche più recenti. 143

Arte

Il mecenatismo nell’Italia settentrionale La corte signorile

La corte signorile divenne il luogo privilegiato per lo sviluppo del Rinascimento italiano anche nelle città minori. Gli spostamenti di Donatello a Padova e di Leon Battista Alberti a Mantova avviarono le esperienze dell’umanesimo settentrionale, dalla pittura di Mantegna a quella lombarda di Foppa, e fornirono stimoli alle più originali e autonome esperienze maturate a Ferrara e Venezia. Sotto la signoria degli Este, anzi per volontà di Ercole I d’Este, Ferrara accolse l’esperienza urbanistica più vitale del Quattrocento, l’“addizione erculea” progettata (a iniziare dal 1492) da Biagio Rossetti, cioè la grandiosa espansione della città verso nord basata su una rete di strade rettilinee e larghe ai cui incroci dovevano sorgere grandiosi palazzi. La contemporanea presenza in Ferrara di Piero della Francesca (vedi a pag. 149) e del fiammingo Roger van der Weyden (vedi pag. 153) stimolò la formazione di una corrente pittorica di straordinaria raffinatezza formale, i cui maggiori rappresentanti furono Tura, del Cossa e de’ Roberti, la quale esercitò un duraturo influsso sulla cultura pittorica in Emilia. La Repubblica di Venezia, tesa ad ampliare i suoi domini nell’entroterra e venuta quindi a contatto con Padova e Verona, accolse artisti da Firenze (Paolo Uccello, Andrea del Castagno) e diede vita a una fiorente scuola pittorica il cui indiscusso capofila fu Giovanni Bellini. Sempre a Venezia giunse a maturazione l’esperienza di Antonello da Messina, formatosi nella Napoli degli Aragonesi, aperta ad apporti spagnoli e franco-fiamminghi.

Ferrara

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■ Vincenzo Foppa

Il pittore bresciano Vincenzo Foppa (1427 o 1430-1516) fu una personalità determinante per la pittura lombarda del Quattrocento. La sua poetica si rivela nel saldo plasticismo delle immagini (Madonna col Bambino, Milano, Museo Poldi Pezzoli) e nella sobria impostazione spaziale degli affreschi della Cappella Portinari in S. Eustorgio a Milano. Fu attivo anche a Pavia, Brescia e Bergamo; in numerosi soggiorni in Liguria (dal 1461 al 1490) arricchì il suo linguaggio di spunti fiamminghi e franco-provenzali, testimoniati in opere come la Pala Fornari (1489, Savona, Pinacoteca) o il Polittico Della Rovere del 1490 (Savona, S. Maria di Castello).

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■ I pittori ferraresi

Ferrara, città governata dalla signoria degli Estensi, vide fiorire nella seconda metà del Quattrocento una scuola di pit-

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1 - La nuova funzione dell’arte nel Rinascimento

tura, che ebbe in Cosmè Tura, Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti i suoi principali esponenti. Cosmè Tura è considerato caposcuola della pittura ferrare- Cosmè Tura se. Venuto in contatto con Pisanello, Gentile da Fabriano, Roger van der Weyden (vedi pag. 153) e soprattutto con Piero della Francesca e Mantegna (vedi pag. 146), egli riuscì a esprimere il volume delle figure e la profondità prospettica solo attraverso il linearismo, giungendo anche a forme “brutte” o deformi per sottolineare i valori espressivi (Madonna col Bambino dormiente, Venezia, Galleria dell’Accademia. La sua singolarità figurativa trova la massima espressione nelle portelle d’organo per la cattedrale di Ferrara, raffiguranti l’Annunciazione e S.Giorgio e la principessa (1468-69); nella Pala Roverella (1474), ora dispersa in vari musei; nella lunetta con la Pietà (Parigi, Museo del Louvre); negli affreschi in Palazzo Schifanoia a Ferrara, di cui ideò probabilmente l’intero ciclo dei mesi e realizzò di propria mano Luglio e Agosto. Francesco del Cossa (Ferrara 1436 ca- Bologna 1478), pit- Francesco del Cossa tore che gravitò nell’ambito della corte ferrarese, risentì della lezione di Piero della Francesca (vedi pag. 148) e di Cosmè Tura. Con quest’ultimo realizzò gli affreschi del Salone dei Mesi di Palazzo Schifanoia (opera sua sono Marzo, Aprile e Maggio, 1470 ca), prototipo dei cicli narrativi a soggetto profano ed emblema delle concezioni astrologiche del Quattrocento. L’opera mostra una elegante fantasia decorativa e una magistrale capacità di composizione delle figure che pongono l’artista tra i maggiori esponenti della pittura ferrarese. Anche Ercole de’ Roberti, allievo del Cossa, collaborò alla Ercole de’ Roberti realizzazione degli affreschi di Palazzo Schifanoia, dei quali dipinse il mese di Settembre. Seguì Cossa a Bologna, collaborando con lui (1473-75) alla realizzazione del magnifico polittico Griffoni per la Cappella Griffoni in S. Petronio.

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■ Giovanni Bellini

Giovanni Bellini, detto il Giambellino (Venezia ca 14301516), fu il principale interprete del mutamento della pittura veneziana del Quattrocento. Si formò nella bottega del padre Jacopo (inizi Quattrocento - ca 1470), a fianco del fratello Gentile (ca 1429-1507); in seguito fu fondamentale per lui il contatto con il cognato Mantegna, dal quale tuttavia L’influsso si differenziò per il maggior valore attribuito al colore, che di Mantegna si distende sempre più libero e intriso di luce naturale. Tale percorso stilistico è evidente passando dalla Madonna Trivulzio (1460-64, Milano, Castello Sforzesco) all’Orazio145

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Arte

Liberazione del colore dal disegno

ne nell’orto (1459 ca, Londra, National Gallery), alla Pietà (1460 ca, Milano, Brera). Dal 1460 in poi l’esperienza della pittura di Piero della Francesca fu fondamentale, come si può vedere nel solenne e disteso ritmo prospettico dell’Incoronazione della Vergine (ca 1473, Pesaro, Museo) o nel cromatismo della Trasfigurazione (ca 1480, Napoli, Capodimonte). Sulla strada di questa progressiva liberazione del colore dal disegno si pone una serie di altissime opere: l’Allegoria sacra (1490-1500, Firenze, Uffizi), le grandiose pale per le chiese veneziane di S. Giobbe (1487 ca), dei Frari (1488), di S. Zaccaria (1505), le Sacre Conversazioni, le dolcissime Madonne. Nelle sue ultime opere Bellini si avvicinò ai nuovi indirizzi della pittura veneta rappresentati da Giorgione (vedi pag. 159) e Tiziano (vedi pag. 164), il quale terminò il Festino degli Dei (Washington, National Gallery), lasciato incompiuto dall’artista.

Andrea Mantegna Andrea Mantegna (Isola di Carturo, Padova 1431 - Mantova 1506) ebbe un ruolo fondamentale nella diffusione del Rinascimento toscano nell’Italia settentrionale. ■ Il periodo padovano

Allievo a Padova fra il 1442 ca e il 1448 presso la bottega del pittore Francesco Squarcione (1397-1468) si formò in un ambiente culturale molto fecondo per gli apporti degli artisti toscani che vi erano attivi. Nel 1448 gli venne commissionata la decorazione della Cappella Ovetari agli Eremitani (distrutta in un bombardamento nella seconda guerra monGusto per l’antichità diale). In quest’opera Mantenga seppe fondere il gusto per e uso della l’antichità (derivato dalla bottega dello Squarcione, che era prospettiva anche collezionista di marmi antichi) e l’uso della prospettiva (derivata dai toscani). Anche negli altri capolavori del periodo padovano, come il Polittico di S. Luca (1453-54, Milano, Brera), la Pala di S. Zeno (1456-59) per la chiesa veronese, e l’Orazione nell’orto (1455-60, Londra, National Gallery), Mantegna fissò il mito classico della cultura umanistica veneta. ■ Alla corte mantovana

Nel 1460 l’artista si stabilì a Mantova quale pittore di corte di Ludovico III Gonzaga. Della prima attività mantovana, la decorazione della cappella del castello di S. Giorgio, rimangono oggi solo il trittico con l’Adorazione dei Magi, la Cir146

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1 - La nuova funzione dell’arte nel Rinascimento

concisione e l’Ascensione (1460-70 ca, Firenze, Uffizi) e la Morte della Vergine (1461, Madrid, Prado), che preannunciano l’opera più famosa, la decorazione della Camera de- La Camera gli sposi, la stanza di rappresentanza di Palazzo Ducale degli sposi (Mantova 1471-74), con le due scene della Famiglia di Ludovico Gonzaga radunata per una cerimonia e dell’Incontro del marchese Ludovico col figlio Francesco cardinale e col suo seguito. In questi affreschi Andrea riesce a trasformare illusionisticamente lo spazio della camera con la decorazione pittorica. ■ Le opere della maturità

La maggiore rievocazione mantegnesca del mondo classico è costituita dalle nove tele che raffigurano su una linea continua il Trionfo di Cesare (1480-95, Hampton Court, Royal Collection). Intorno al 1480 risale il S. Sebastiano conservato al Louvre di Parigi. Negli ultimi anni la ricerca stilistica di Mantegna fu indirizzata sia verso un colorismo intenso (Ma- Colorismo intenso donna della Vittoria, 1496, Parigi, Louvre), sia verso una ri- e scorci audaci presa degli scorci audaci, delle forme definite dal disegno (S. Sebastiano, Venezia, Ca’ d’Oro; Cristo morto, Milano, Brera). Alla tarda attività dell’artista appartengono anche il Parnaso e il Trionfo della Virtù, dipinti nel 1497 per lo studiolo d’Isabella d’Este a Mantova e ora al Louvre, e alcuni bellissimi monocromi (Sansone e Dalila, Il trionfo di Scipione, Londra, National Gallery). Vanno ricordati inoltre i disegni (Giuditta con la testa di Oloferne) e le incisioni di soggetto religioso e mitologico (Baccanali), conservati agli Uffizi (Gabinetto dei disegni e delle stampe).

Il mecenatismo nell’Italia centrale Nell’Italia centrale assurse a importante centro di cultura artistica Rimini: qui operarono l’Alberti (Tempio Malatestia- Rimini no), Piero della Francesca, scultori, decoratori e medaglisti. A poca distanza, Federico II da Montefeltro fece di Urbino Urbino la sede di una corte raffinatissima, presso la quale operarono architetti come Laurana e Francesco di Giorgio Martini, pittori italiani (Piero della Francesca, Paolo Uccello) e stranieri (il fiammingo Giusto di Gand, vedi pag. 154; lo spagnolo Pedro Berruguete, 1450-1506), maestranze di scultori e decoratori; in tale clima culturale maturarono le eccelse esperienze del Bramante e di Raffaello. Pietro Perugino ebbe invece un ruolo fondamentale nella diffusione della scuola umbra.

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■ Il Perugino

Pietro Vannucci, detto il Perugino (Città della Pieve 1445/50 - Fontignano 1523), fu allievo a Firenze del Verrocchio, dal quale apprese l’arte del chiaroscuro e della linea. Subì l’influenza di Piero della Francesca e di Luca Signorelli, evidente nell’armoniosa solidità plastica delle sue figure, rivestite con colori morbidi e chiari e immerse in uno spazio atmosferico aperto e luminoso. Tra i dipinti giovanili le Madonne (musei di Parigi, Londra, Berlino) e alcuni dei pannelli con Storie di S. Bernardino (Perugia, Pinacoteca). Alla corte papale a Roma fu presente dal 1478; nel 1481-82 lavorò alla decorazione ad affresco della Cappella Sistina, accanto a Botticelli, al Ghirlandaio, al fiorentino Cosimo Rosselli (1439-1507) con Storie di Mosè e Storie di Cristo, tra cui la celebre Consegna delle chiavi a S. Pietro, che ebbe valore propositivo per il giovane Raffaello. Tra le altre sue opere vanno ricordate: Apollo e Marsia (Parigi, Louvre); Visione di S. Bernardo (Monaco, Alte Pinakothek); affreschi (1496-1507, Perugia, Collegio del Cambio); pannello con la Lotta tra Amore e Castità, eseguito per lo studio di Isabella d’Este (ora a Parigi, Louvre).

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Il lavoro alla Cappella Sistina

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Piero della Francesca Una figura cardine

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Piero della Francesca (Sansepolcro (1415/20-1492) fu una figura cardine della pittura rinascimentale per il rigore della stesura prospettica e la geometrica e quasi astratta perfezione dei volumi, immersi in una luminosità diffusa e sottile. Per primo in Italia utilizzò la tecnica della pittura a olio, importata dagli artisti fiamminghi. ■ Le prime opere

Compì un lungo soggiorno a Firenze dove completò la sua formazione collaborando, nel 1439, con Domenico Veneziano, agli affreschi perduti del coro di S. Egidio. Le prime opere, collocabili prima del 1450 (S. Gerolamo e un devoto, Venezia, Gallerie dell’Accademia; Battesimo di Cristo, Londra, National Gallery; i pannelli con la Crocifissione e i SS. Sebastiano e Giovanni Battista, facenti parte del Polittico della Misericordia, Sansepolcro, Pinacoteca, commissionato nel 1445, ma compiuto solo nel 1462), dimostrano da un lato l’assimilazione del plasticismo di Masaccio, del rigore prospettico di Brunelleschi e Alberti, della luminosità cromatica del Beato Angelico e di Domenico Veneziano, dall’altro lato l’emergere del personale modo espressivo dell’artista.

1 - La nuova funzione dell’arte nel Rinascimento

■ I soggiorni presso le corti signorili

Intorno al 1450 l’attività di Piero si fece particolarmente intensa: fu prima a Ferrara, dove la sua opera, perduta, influenzò nettamente la cultura locale, poi a Rimini, dove lasciò nel Tempio Malatestiano l’affresco votivo col ritratto di Sigismondo Pandolfo Malatesta (1451). Nel 1452 subentrò nella decorazione ad affresco del coro di S. Francesco ad Arezzo, con vicende della Leggenda della vera Croce. Intorno a questi anni si collocano i rapporti di Piero con la corte di Federico da Montefeltro a Urbino, uno degli ambienti più colti e aperti d’Italia, nel quale l’artista lasciò, nel giro di un ventennio, alcune delle sue opere di maggior prestigio: la tavoletta con la Flagellazione di Cristo (1455-60) e la più tarda Madonna di Senigallia, risalente al 1470 (ambedue conservate a Urbino, Galleria nazionale delle Marche); lo straordinario dittico coi Ritratti dei duchi di Montefeltro (1465, Firenze, Uffizi), con scene dei Trionfi dei duchi dipinte sul retro delle tavole; infine la Sacra conversazione (ca 1472-74, Milano, Brera). In queste opere la straordinaria finezza della stesura pittorica e l’acutezza descrittiva dei particolari rivelano l’attenzione con cui Piero guardò alle esperienze fiamminghe, con le quali entrò in contatto alla corte di Urbino, e che più intensamente rievocò nella tarda Natività (ca 1475, National Gallery di Londra). Lungo l’arco dei soggiorni urbinati si collocano altre opere, in particolare, per la città natale, la Madonna del parto (ca 1460, Monterchi, cappella del cimitero) e la Risurrezione di Cristo (1463-65, Sansepolcro, Pinacoteca). Svolse anche attività di teorico, scrivendo il trattato De prospectiva pingendi (1490 ca) e il libretto De quinque corporibus regularibus (dopo il 1492).

A Ferrara, Rimini e Arezzo

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L’attenzione ai fiamminghi

Il mecenatismo nell’Italia meridionale

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Nella seconda metà del Quattrocento Napoli non ricoprì un ruolo culturale paragonabile a quello esercitato da Firenze, Ferrara o Urbino, tuttavia diede un apporto essenziale allo sviluppo della pittura rinascimentale con l’attività di alcuni artisti, quali Colantonio e Antonello da Messina che a Napoli appunto si formarono. Determinante a fissare quel clima culturale e artistico fu la diffusione di opere fiamminghe (Roger Van der Weyden e Jan Van Eyck) raccolte dai sovrani d’Angiò e d’Aragona. Il Colantonio (Napoli ca 1420-70) ebbe un’importante col- Il Colantonio locazione nel mondo culturale napoletano, ricco di fermenti umanistici e aperto agli apporti borgognoni, iberici e so-

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prattutto fiamminghi. Nel S. Gerolamo e il leone (1445, Napoli, Capodimonte) l’artista ripropone infatti un ambiente tipicamente fiammingo. ■ Antonello da Messina

Antonello da Messina (Messina ca 1430-79) svolse probabilmente il suo noviziato a Napoli presso Colantonio. Nel 1456 era a Messina e nel 1475 a Venezia, periodo in cui si accostò a Giovanni Bellini (vedi pag. 145) e realizzò la Crocifissione oggi conservata a Bucarest. Nel 1476 ritornò a Messina rimanendovi fino alla morte. Nelle due tavolette (La visita dei tre angeli ad Abramo e S. Girolamo penitente) di Reggio di Calabria e nel S. Girolamo nello studio (1475, Londra, National Gallery) si avvertono influenze fiamminghe. L’influsso di Piero della Francesca è invece rintracciabile in dipinti successivi (le Annunziate, il Salvator Mundi), che rivelano una profonda conquista del senso dello spazio. Sintesi perfetta di particolarismo fiammingo e di impianto spaziale pierfrancescano è la Madonna col Bambino (1465-70) della National Gallery di Washington. Il punto più alto di queste ricerche di Antonello è rappresentato dal polittico di S. Gregorio (1473). A Venezia nascono, tra l’altro, il S. Sebastiano e la pala di S. Cassiano (1475-76). Il particolare colorismo di queste opere sarà uno stimolo importante per gli sviluppi della pittura tonale veneta.

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La Madonna col Bambino e il polittico di S. Gregorio

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Firenze nella seconda metà del Quattrocento

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Nella seconda metà del Quattrocento Firenze era ancora la capitale incontrastata della cultura italiana e il mecenatismo Lorenzo il Magnifico dei Medici toccò il punto più alto alla corte di Lorenzo il Magnifico. Ma già prima della sua morte, l’asse delle esperienze artistiche italiane più vitali cominciò a spostarsi in altri centri, sia perché le novità proposte dagli artisti fiorentini del primo Quattrocento avevano fatto scuola al di fuori di Firenze, sia per la tendenza dell’arte fiorentina a chiudersi in Le figure se stessa. Le figure più rappresentative di questa seconda più rappresentative fase fiorentina furono Antonio Pollaiolo e Andrea Verrocchio. Emblematico fu inoltre il caso di Sandro Botticelli che, dapprima interprete delle idee neoplatoniche circolanti alla corte di Lorenzo de’ Medici, alla morte di quest’ultimo e con la crisi seguita alla condanna della cultura neoplatonica da parte di Savonarola, realizzò infine opere sempre più drammatiche. Di tale crisi risentì anche Luca Signorelli, nonostante non fosse strettamente legato all’ambiente fiorentino. 150

1 - La nuova funzione dell’arte nel Rinascimento

■ Pollaiolo

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Antonio Benci, detto il Pollaiolo (Firenze ca 1431 - Roma 1498), condusse una ricerca spaziale basata sul libero e dinamico sviluppo della linea, che ondulandosi e complicandosi definisce i volumi. Questa mutazione del gusto risalta fin dalle sue prime opere: dalla tavola con l’Assunzione di S. Maria Egiziaca (1457-59) della pieve di Staggia (Poggibonsi), alla Danza dei nudi (dopo il 1464, Arcetri, villa della Gallina). Nel clima classicistico della corte medicea, egli rivolse il suo interesse alla mitologia e allo studio dell’anatomia, praticato per accertare il potenziale dinamico dei corpi. Poco dopo il 1460 il Pollaiolo dipinse tre grandi tele dedicate alle Fatiche di Ercole, di cui resta il ricordo in due tavolette (Ercole e l’idra, Ercole e Anteo, Firenze, Uffizi) e in un bronzetto (Ercole e Anteo, Firenze, Museo del Bargello), e Apollo e Dafne (Londra, National Gallery). Dopo il 1475 lo stile lineare e dinamico del Pollaiolo sembra irrigidirsi nella ricerca di forme concluse, mentre acquistano importanza i valori luministici del colore (Martirio di S. Sebastiano, Londra, National Gallery, in collaborazione con il fratello Pietro, 1443-99, anch’egli pittore, scultore e orafo; Natività di S. Giovanni Battista, Firenze, Museo dell’Opera del Duomo). A Roma con il fratello, si dedicò ai due monumenti funebri in bronzo per Sisto IV (1490-93, Grotte Vaticane) e per Innocenzo VIII (1493-96, S. Pietro).

La ricerca spaziale

L’attenzione alla dinamica dei corpi

■ Verrocchio

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Andrea di Michele di Cione, detto il Verrocchio (Firenze 1435 - Venezia 1488), scultore, pittore e orafo, fu a capo di una fiorente bottega, dove passò anche un artista quale Leonardo (vedi pag. 151). In scultura risentì degli influssi di Donatello e del Pollaiolo, che personalizzò con un tipico mo- Il modulo dulo chiaroscurale. Il monumento equestre a Bartolomeo chiaroscurale Colleoni (1479-88, Venezia, campo dei SS. Giovanni e Pao- della sua scultura lo) è considerato il suo capolavoro per la forza eroica trasmessa nel volto del grande condottiero. Altre opere di rilievo: David (prima del 1476, Firenze, Museo nazionale del Bargello); Dama delle primule (ca 1480); Incredulità di S. Tommaso (1476-83, Firenze, chiesa di Orsanmichele). ■ Luca Signorelli

Luca Signorelli (Cortona, Arezzo, ca 1445-1523) fu allievo di Piero della Francesca (vedi pag. 148) ed ebbe grande influenza nell’evoluzione stilistica del Quattrocento fiorentino. Subì l’influenza del Verrocchio e del Pollaiolo a Firenze. Terminò a Roma, nella cappella Sistina, un affresco del Perugino (vedi 151

Arte

Gli affreschi nel Duomo di Orvieto La drammaticità del Giudizio Universale

pag. 148) e ne eseguì due, di cui resta La morte di Mosè (148182). Tra il 1499 e il 1503 realizzò quello che si ritiene essere il suo capolavoro, ovvero il ciclo di affreschi nella Cappella di S. Brizio nel Duomo di Orvieto, con I fatti dell’Anticristo, Gli Eletti, I Dannati, La resurrezione della carne e il Giudizio Universale. In queste opere si notano i segni della crisi aperta dal Savonarola, che sono soprattutto evidenti nelle scene del Giudizio Universale, ove la drammaticità di una massa brulicante di figure, abilmente disegnate e potentemente modellate, mostra la padronanza stilistica conquistata dal pittore nell’anatomia, nel movimento, nella luce e nello spazio, in un monumentale insieme compositivo. Altre sue opere intense sono: La flagellazione (Milano, Brera) e Cristo sorretto dagli angeli (Cortona, S. Girolamo).

Sandro Botticelli

Una realtà trasfigurata

Allegoria della Primavera Nascita di Venere Gli affreschi nella Cappella Sistina

152

■ I capolavori

Verso il 1478 realizzò la celebre Allegoria della Primavera, eseguita per Lorenzo di Pier Francesco de’ Medici, che è l’espressione più compiuta del suo linguaggio maturo e delle sue idee umanistico-platoniche di bellezza e amore. Della stessa atmosfera è pervasa la Nascita di Venere (Firenze, Uffizi), databile intorno al 1485. Tra i due capolavori è situato il soggiorno romano dell’artista (1481-82), durante il quale Botticelli lavorò con Cosimo Rosselli, Ghirlandaio e Perugino, agli affreschi nella Cappella Sistina, eseguendo i tre riquadri con la Punizione dei ribelli, le Prove di Mosè e le Prove di Cristo. Posteriori al suo ritorno a Firenze (1483-85) sono la Madonna del Magnificat e la Madonna della melagrana, ora agli Uffizi. ■ La pittura come esaltazione mistica

Intorno al 1490 Lorenzo di Pier Francesco de’ Medici affidò a Botticelli l’incarico di illustrare la Divina Commedia (94 disegni sono conservati tra la Biblioteca vaticana e il Gabi-

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Le illustrazioni della Divina Commedia

Sandro Filipepi, detto il Botticelli (Firenze 1445-1510), fu pittore interprete della cultura umanistica medicea: ricercò una raffinata perfezione formale e un’armonia della composizione che, insieme con la trasparenza del colore, trasfigurano la realtà e la pongono fuori del suo tempo. La sua formazione avvenne nella bottega di Filippo Lippi e in quella del Verrocchio, la cui influenza, unita a quella del Pollaiolo, si fa evidente nella Fortezza (1470, Firenze, Uffizi) eseguita per il tribunale della Mercanzia.

1 - La nuova funzione dell’arte nel Rinascimento

netto delle stampe di Berlino). In questo periodo Botticelli appare già volto verso una religiosità che la predicazione del Savonarola trasformerà in esaltazione mistica: la sua pittura si fece a carattere prevalentemente sacro (Crocifissione simbolica, Pietà) e di intensa drammaticità, espressa con linee Intensa spezzate e colori lividi (La calunnia), fino a toccare alta ten- drammaticità sione spirituale in forme arcaicizzanti (Natività mistica, Ul- religiosa timi atti di S. Zanobi, intorno agli inizi del sec. XVI).

L’arte fiamminga

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Nella storia dell’arte, l’espressione ‘arte fiamminga’ viene applicata alle manifestazioni artistiche, specialmente pittoriche, fiorite con ben definite caratteristiche storiche e stilistiche nelle Fiandre (regioni meridionali dei Paesi Bassi e regioni settentrionali del Belgio) a partire dal sec. XV fino al XVII. L’arte fiamminga ha le sue origini verso la metà del Trecento per il confluire di esperienze del raffinato gotico francese e di influssi senesi sul fondo del vivace naturalismo locale, ma soltanto nel secolo seguente, con Jan Van Eyck (ca Van Eyck 1390 - Bruges 1441, le cui opere più celebri sono i Coniugi Arnolfini (1434, Londra, National Gallery) e la Madonna del cancelliere Rolin (1433, Parigi, Louvre) oltre a numerosi ritratti, si affermò nei suoi caratteri essenziali. La grande protagonista dell’umanesimo fiammingo, che nasce parallelamente all’umanesimo italiano, è la natura, indagata con lenticolare attenzione in tutte le sue particolarità e di cui l’uomo è aspetto fondamentale ma non predominante; e il fattore unificante della visione non è la concezione razionale e geometrica dello spazio, ma la luce, principio stesso della visione, una luce reale e non astratta. Questa poetica venne arricchita dalle ricerche di Robert Campin (Tournai ca 1375 - 1444) identificato con il Maestro di Flémalle; dalle tendenze più drammatiche di Roger Van der Van der Weyden Weyden (Tournai ca 1400 - Bruxelles 1464), che si interessò al particolare realistico e all’analisi della psicologia umana unitamente alla sensibilità luministica e produsse un’importante serie di ritratti come Il Gran Bastardo Antonio di Borgogna di Bruxelles e la Giovane donna di Berlino; dall’intimismo di Petrus Christus (Baerle, Gand ca 1410 - Bruges 1472/73); dalla severità morale e dalla luminosità di Dierik Bouts (Haarlem 145 - Lovanio 1475); dall’intenso naturalismo di Hans Memling (Mömligen ca 1435 - Bruges 1494). Un posto di rilievo trova la eterodossa, visionaria arte di Hie- Hieronymus Bosch ronymus Bosch (ca 1450-1516), creatore di un magico e de153

Arte

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moniaco mondo di allegorie, visto con spirito critico e moraleggiante. Intanto, nel corso del sec. XV, la pittura fiamminga aveva esteso il suo influsso a livello europeo, dalla Francia meridionale alla Spagna e al Portogallo (dove Van Eyck viaggiò nel 1428), dai paesi tedeschi alla stessa Italia dove si ricordano i viaggi di Van der Weyden a Ferrara nel 1450, dell’altro pittore Giusto di Gand (attivo tra il 1460-75) a Urbino nel 147375, e l’influsso esercitato da opere importate dalle Fiandre come il celebre Trittico Portinari (1476 ca) di Hugo Van der Goes (1435-1482) a Firenze.

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Giusto di Gand e Van der Goes

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SCHEMA RIASSUNTIVO

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Fenomeno europeo ma con radici fiorentine, il Rinascimento si manifesta con una ripresa ideale delle forme dell’arte classica e la trasformazione del con-cetto e della funzione di attività artistica, che trascende ormai il momento pratico e assume il significato di strumento di conoscenza e indagine della realtà. I maggiori promotori di questa nuova visione sono Brunelleschi, Donatello e Masaccio.

Donatello

Anche nella nuova visione classico-realistica del fiorentino Donato di Niccolò di Betto Bardi, detto Donatello, s’impone l’impostazione prospettica, accompagnata dall’energica struttura plastica e dalla vibrante sensibilità del modellato. Una severa costruzione prospettica e spaziale emerge in Tommaso di ser Giovanni Cassai, detto Masaccio (S. Giovanni Valdarno 1401 - Roma 1428). La sua pittura esprime un profondo contenuto umano e morale con intensa drammaticità attraverso un saggio uso del chiaroscuro e del colore.

Paolo Uccello

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Beato Angelico

Accanto a rigorose esperienze prospettiche (oltre a Brunelleschi, Donatello e Masaccio, il fiorentino Andrea del Castagno, ca 1421-1457), l’arte umanistico-rinascimentale fiorentina affianca tendenze più moderate: Lorenzo Ghiberti (13781455),nel quale il naturalismo tardogotico si evolve linearmente in un classicismo riformista; i ceramisti e scultori Andrea, Giovanni e soprattutto Luca (1400 ca-1482) Della Robbia. Beato Angelico (ca 1400-Roma 1455), che elabora un personale linguaggio pittorico, ove l’elemento della spiritualizzazione si affianca alla strutturazione spaziale e prospettica delle opere. Ma anche varianti eterodosse come in Paolo Uccello (1397-1475), nella cui pittura si fondono in una sintesi irripetibile la semplificazione geometrica delle forme, il rigore matematico delle prospettive e un gusto prezioso del colore.

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Lorenzo Ghiberti e Luca Della Robbia

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LIBERTÀ E SPERIMENTALISMO DEL RINASCIMENTO

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LA RIVOLUZIONE FIORENTINA

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IL MECENATISMO NELL’ITALIA La corte signorile diviene il luogo privilegiato per lo sviluppo del Rinascimento italiano anche nelle città minori. Ferrara, per esempio, accoglie l’esperienza urbanistica SETTENTRIONALE più vitale del Quattrocento, cioè l’addizione erculea progettata da Biagio Rossetti, e inoltre, per la contemporanea presenza in città di Piero della Francesca e del fiammingo R. Van der Weyden, vede la formazione di una corrente pittorica di straordinaria raffinatezza formale, i cui maggiori rappresentanti sono Cosmè Tura, del Cossa e de’ Roberti. Tra gli artisti di primo piano Mantegna e Bellini, il primo capace di Mantegna e Bellini fondere originalmente il gusto per l’antichità e l’uso della prospettiva, il secondo assai sensibile al colore, disteso sempre più libero e intriso di luce naturale.

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1 - La nuova funzione dell’arte nel Rinascimento segue

IL MECENATISMO NELL’ITALIA CENTRALE E MERIDIONALE Piero della Francesca Perugino Antonello da Messina FIRENZE NELLA SECONDA METÀ DEL QUATTROCENTO

Sandro Botticelli

Va ricordata l’opera di Piero della Francesca (Sansepolcro 1415/20-1492), caratterizzata dalla straordinaria finezza della materia pittorica e dall’acutezza descrittiva dei particolari, dal rigore della stesura prospettica e dalla geometrica perfezione dei volumi immersi in una luminosità diffusa e sottile. Ancora fra gli artisti dell’Italia centrale, Pietro Vannucci, detto il Perugino (1445/50-1523), ritrae e dipinge le sue figure in un’armoniosa solidità plastica, rivestendo le con colori morbidi e chiari e immergendole in uno spazio atmosferico aperto e luminoso. L‘opera di Antonello da Messina (ca 1430-79) appare invece come una sintesi perfetta di particolarismo fiammingo e di impianto spaziale pierfrancescano. Le figure più rappresentative sono: Antonio Pollaiolo (ca1431-1498) conduce una ricerca spaziale basata sul libero e dinamico sviluppo della linea e, per accertare proprio il potenziale dinamico dei corpi, s’interessa alla mitologia e allo studio dell’anatomia. Andrea Verrocchio (1435-1488), emerge invece come scultore e orafo. Sandro Botticelli (1445-1510) è dapprima interprete della cultura umanistica medicea ricercando una raffinata perfezione formale e un’armonia della composizione che, unite alla trasparenza del colore, trasfigurano la realtà. In un secondo tempo egli dà vita a una pittura fortemente mistica intensamente drammatica.

Titolo concesso

155

2 I maestri del Rinascimento maturo

Il Cinquecento fu un secolo caratterizzato da laceranti e drammatici contrasti: la scossa della Riforma protestante di Lutero (1517), i successivi sviluppi della Controriforma cattolica. Eventi che alterarono profondamente i termini dell’operare artistico: l’arte diventò ricerca inquieta delle ragioni dell’azione umana nella storia, dell’esperienza umana del divino. Questi contrasti si rispecchiarono in modo esemplare nelle esperienze dei più grandi artisti del momento: nell’indagine sperimentale di Leonardo; nella bruciante tensione spirituale di Michelangelo; nel misurato e luminoso classicismo compositivo di Raffaello. Venezia parve vivere più a lungo una felice stagione di classicismo, nella pittura di Giorgione e del primo periodo di Tiziano. Ma la vera erede del prestigio di Firenze fu Roma, che dopo il ritorno dei papi da Avignone aveva conosciuto, per il mecenatismo papale, un intenso rinnovamento edilizio e culturale.

■ Gli anni giovanili

Stabilitosi nel 1469 a Firenze, entrò da apprendista nella bottega del Verrocchio e frequentò intanto gli ambienti umanistici e le famiglie altolocate di Firenze. Il primo sicuro intervento di Leonardo si ha nel Battesimo (ca 1470-75, Uffizi). Ancora legata all’ambiente del Verrocchio è l’Annunciazione (1472-75, Uffizi), fin troppo decorativa nell’ornamentazione dei marmi, nei panneggi elaborati, nella minuzia con cui sono dipinti i fiori, ma completamente nuova nello sfondo luminosissimo e lontano che si contrappone alla fila scura di alberetti, un effetto che Leonardo riprese anche nel suo primo ritratto, creduto di Ginevra Benci (1474-76, Wa-

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Leonardo (Vinci, Firenze, 1452 - castello di Cloux, presso Amboise, 1519) fu uno dei massimi artefici del Rinascimento: pittore, scultore, architetto e scienziato, ma anche ingegnere e scrittore, ha testimoniato un’ampiezza di conoscenze e di interessi che ha largamente e puntualmente profuso nelle sue poliedriche attività, alla ricerca di un’armonica corrispondenza e complementarietà tra arte, natura e scienza.

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L’apprendistato con il Verrocchio

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Uno dei massimi artefici del Rinascimento

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Leonardo da Vinci

2 - I maestri del Rinascimento maturo

shington, National Gallery), gravemente mutilato nella parte inferiore, dove la posizione delle mani accentuava la torsione del busto, disposto a piramide. ■ Spazialità e disegno

Nel 1481, dopo aver già dipinto il S. Gerolamo (Pinacoteca vaticana), ricevette la sua prima importante commissione, l’Adorazione dei Magi per il convento di S. Donato a Scoperto (che non fu mai consegnata e oggi si trova agli Uffizi), in cui si ha la prima grande realizzazione della spazialità leonardesca: intorno alla Madonna, le figure si dispongono a semicerchi, ma la struttura non risulta chiusa perché i personaggi esterni e il fondo di rovine sono coordinati secondo vari e divergenti punti di fuga. Basilare nella composizione dell’opera (lasciata incompiuta alla partenza di Leonardo per Milano) è il disegno, strumento di definizione spaziale, volumetrica e anatomica, raffinato in un secondo momento dal chiaroscuro, che permette sia la resa trasparente dell’atmosfera sia la gradazione del colore e quindi della luce. La stesura del colore rappresenta un momento finale, quasi secondario, della messa in opera, secondo una poetica che è all’opposto di quella dell’ambiente veneto, dove in quegli anni il colore stava divenendo l’elemento strutturale portante della composizione.

L’Adorazione dei Magi

L’importanza del disegno

■ Il soggiorno milanese

Gli interessi scientifici La Vergine delle rocce

La tecnica dello sfumato

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Dal 1483 al 1499, Leonardo fu al servizio di Ludovico il Moro come pittore, scultore, architetto, costumista, regista e scenografo. Presso la sua corte egli trovò l’ambiente favorevole allo sviluppo dei suoi interessi scientifici nel campo sia della fisica sia delle scienze naturali. Nel 1483 approntò i disegni preparatori per il monumento equestre in bronzo a Francesco Sforza. Nella Vergine delle rocce, dipinta tra il 1483 e il 1486 (Parigi, Louvre; una seconda versione, del 1503-06, si trova alla National Gallery di Londra), la composizione a piramide del gruppo costituito dalla Madonna, dal Bambino, da S. Giovannino e dall’angelo è arricchita e movimentata dall’incrociarsi di linee convergenti indicate dai gesti. La tecnica dello sfumato (cioè del morbidissimo chiaroscuro tipico di Leonardo) si sovrappone al disegno e ne sfalda i contorni. Nel 1493 terminò il modello in creta a grandezza naturale del gran cavallo per il monumento Sforza, la cui fusione in bronzo è stata realizzata nel 1999 e collocata allo stadio milanese di S. Siro. Intorno al 1495, iniziò i lavori per l’Ultima Cena nel refettorio di S. Maria delle Grazie, per la quale spe-

L‘Ultima Cena 157

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Arte

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I ritratti

rimentò una nuova tecnica che, abolendo il tradizionale strato di intonaco, gli permettesse di lavorare con la lentezza e meticolosità che gli erano proprie. Tale tecnica si rivelò nel tempo inadeguata e già alla metà del Cinquecento l’umidità aveva corroso quasi tutto il colore che doveva essere brillantissimo. Negli anni milanesi Leonardo ritrasse inoltre due favorite di Ludovico il Moro: Lucrezia Crivelli andrebbe identificata nella Belle Ferronière (Parigi, Louvre), Cecilia Gallerani nella Dama con l’ermellino (Cracovia, Czartoryski Muzeum); entrambi i ritratti si basano sulla raffigurazione del busto lievemente rotante. ■ I successivi soggiorni

A Mantova A Firenze La Gioconda

Ancora a Milano A Roma

In Francia presso Francesco I

I codici

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Nel 1499 la fine della signoria sforzesca, costrinse Leonardo a lasciare Milano: dapprima fu a Mantova, dove eseguì il ritratto di Isabella d’Este. Tornato a Firenze nel 1503, Leonardo dipinse la Leda, nota da copie di allievi (la più famosa è quella di Roma, già collezione Spiridion e attualmente proprietà dello Stato) e La Gioconda (Parigi, Louvre), celeberrimo ritratto di Lisa, moglie del mercante Francesco Bartolomeo del Giocondo, che stilisticamente rappresenta uno dei più alti esempi della ritrattistica rinascimentale, per l’unità di tutti gli elementi che la compongono attuata per mezzo dell’infinitesimale gradazione della luce. Nel 1506 tornò a Milano. Eseguì i disegni preparatori per il monumento equestre di Giangiacomo Trivulzio (14411518). Nel 1513 si recò a Roma dove eseguì l’ultimo suo quadro, il S. Giovanni Battista (Parigi, Louvre) che nel monocromo di toni bruni e dorati ripete con maggiore raffinatezza la rappresentazione del trapassare quasi inavvertibile della luce, nell’abolizione del disegno e del contorno. Verso la fine del 1516, accogliendo un invito di Francesco I, Leonardo lasciò Roma per la Francia. Nei disegni della Fine del mondo, espresse la sua convinzione, sull’esistenza di un’armonia universale sicuramente presente anche nell’apparente caos della fine del mondo. Morì nel 1519 nel castello di Cloux, presso Amboise. Di questo poliedrico artista del ´500 restano anche numerosi codici contenenti disegni e note scientifiche, solitamente scritti a rovescio, da destra a sinistra, tra cui i maggiori: Codice Atlantico (Milano, Biblioteca ambrosiana), Codice sul volo degli uccelli (Torino, Biblioteca reale), Fogli A, B, C (Biblioteca reale del castello di Windsor) con studi anatomici, Codice 8936 e 8937 sulle macchine e la fusione del cavallo (Biblioteca nazionale di Madrid).

2 - I maestri del Rinascimento maturo

Giorgione Giorgio da Castelfranco, detto Giorgione (Castelfranco Veneto 1477/78 - Venezia 1510), nell’arco di un decennio attuò un modo di “far pittura” rivoluzionario nello stile e nei contenuti ponendo le basi della pittura cinquecentesca veneziana e influenzando anche artisti posteriori. Le prime opere, l’Adorazione dei pastori (Washington, National Gallery), la pala di Castelfranco (1505), il ritratto di Laura (1506), si svincolano dall’impostazione spaziale quattrocentesca per istituire un nuovo rapporto fra le figure e la natura, realizzato nella pittura “di tono”: il colore, cioè, diventa l’elemento costruttivo della composizione, cogliendo direttamente “le cose vive e naturali… senza far disegno”, come comprese il Vasari. Nel 1508 eseguì gli affreschi della facciata del Fondaco dei Tedeschi sul Canal Grande, di cui resta un frammento con Giovane ignuda (1508). Intorno al 1506-11 sono datate anche le opere fondamentali: Venere dormiente (1508-10); Concerto campestre (1510 ca), La tempesta (1506 ca) e I tre filosofi (1508 ca). Di queste ultime due (a carattere misterioso) rimangono ancora irrisolti i temi che l’artista volle trattare. Delle opere attribuite o attribuibili a Giorgione, una ventina in tutto, si ricordano ancora: Cristo portacroce (Venezia, S. Rocco); il Giovane con la freccia (Vienna, Kunsthistorisches Museum); Tramonto (Londra, collezione privata); Ritratto virile (1508 ca, S. Diego, California, Fine Arts Gallery).

Un “far pittura” rivoluzionario Le opere La pittura “di tono”

La tempesta

Michelangelo Buonarroti

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Michelangelo Buonarroti (Caprese, Arezzo 1475 - Roma 1564) rappresentò il punto culminante dell’arte rinascimentale e lasciò un’importante eredità che sarebbe poi sfociata nel Manierismo (vedi pag. 170). Avviato dal padre Ludovico agli studi umanistici, nel 1488, a Firenze entrò a bottega dal Ghirlandaio e poi studiò la statuaria antica. Accolto da Lorenzo il Magnifico nella sua cerchia di artisti, letterati e filosofi, assorbì quelle dottrine neo- L’adesione platoniche che costituiranno una delle componenti essen- al neoplatonismo ziali della sua cultura. Lo studio della grande tradizione fiorentina, da Giotto a Masaccio, e l’interesse per la classicità sono evidenti nelle sue prime opere di scultura: la Madon- Le prime sculture na della Scala, che recupera in modo originale lo stiacciato donatelliano, e la Battaglia dei Centauri, dal marcato plasticismo (ambedue 1490-92 a Firenze, Casa Buonarroti). La

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Arte

crisi dell’umanesimo fiorentino, seguita alla predicazione del Savonarola e alla morte del Magnifico, turbò profondamente Michelangelo (è di questo momento il Crocifisso ligneo dal modellato delicatissimo, per il convento di S. Spirito, ora a Casa Buonarroti), il quale dopo l’ingresso in città delle truppe francesi di Carlo VIII lasciò Firenze, trasferendosi nel 1494 a Bologna (dove realizzò le sculture per l’arca di S. Domenico, il S. Petronio, S. Patroclo e un Angelo). A Roma La Pietà di S. Pietro Il ritorno a Firenze

■ I primi capolavori pittorici e scultorei

Nel 1496 si trasferì a Roma e qui s’impose all’attenzione eseguendo il sensuale Bacco (Firenze, Bargello) e l’intensa Pietà in S. Pietro, che costituì la prima opera su un tema che Michelangelo sviluppò lungo tutto l’arco della sua attività la meditazione sulla morte che ne divenne un costante nucleo ispiratore. Di poco posteriore è la Madonna con Bambino in Notre-Dame a Bruges. Nel 1501, rientrando a Firenze, Michelangelo affermò la sua personalità in una serie di opere fondamentali: la Madonna Pitti (1501, Firenze, Bargello) e il Tondo Taddei (1502, Londra, Royal Academy), libera interpretazione dei modi compositivi di Leonardo da Vinci. Il primo capolavoro pittorico di Michelangelo è la Sacra Famiglia detta Tondo Doni (ca 1504, Firenze, Uffizi). In queste opere pittoriche l’artista parve contrapporsi polemicamente a Leonardo, forzando gli schemi formali, sottolineando la linea dinamica del contorno e rinnegando il valore dello sfumato leonardesco. Ma l’opera più celebre di questo momento è il David marmoreo (1501-4, Firenze, Accademia), collocato davanti a Palazzo Vecchio come simbolo della libertà della Repubblica fiorentina e insieme incarnazione dell’ideale rinascimentale dell’uomo padrone del proprio destino. Sono ancora di questo periodo le statue per l’altare Piccolomini nel Duomo di Siena (S. Paolo, S. Pietro, S. Pio) e l’incompiuto S. Matteo, commissionato dall’opera di S. Maria del Fiore.

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■ L’attività a Roma

Il monumento funebre per Giulio II

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Nel 1505 papa Giulio II commissionò a Michelangelo il progetto del proprio monumento funebre da erigersi in S. Pietro, per il quale vennero scolpiti le due figure di Schiavi (1513-14, Parigi, Louvre) e il superbo Mosè (1515-16, Roma, S. Pietro in Vincoli) e più tardi i quattro Prigioni (Firenze, Accademia). Nel 1508 Michelangelo aveva assunto l’incarico di affrescare la volta della Cappella Sistina, che fu compiuta in quattro anni di solitario lavoro: creando una nuova struttura dipinta, inserì al centro le Storie della Genesi (1508-12)

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2 - I maestri del Rinascimento maturo

e ai lati le poderose figure dei Profeti, delle Sibille, degli Ignudi, secondo un complesso programma iconografico che, mentre narra il più antico epos della storia dell’umanità, allude simbolicamente alla vicenda eterna dell’elevazione dello spirito dalla materia alla contemplazione del divino. ■ Scultore a Firenze

Nel 1513 Michelangelo tornò a Firenze, dove esordì in campo architettonico: con gli incarichi per la Sacrestia Nuova di S. Lorenzo e per la Biblioteca Laurenziana. Nella sacrestia i due monumenti a Giuliano e Lorenzo de’ Medici (1525-34), I monumenti con le statue del Giorno e della Notte, dell’Aurora e del a Giuliano e Lorenzo Crepuscolo, e la Madonna col Bambino sull’altare espri- de’ Medici mono compiutamente il tema michelangiolesco della riflessione dell’uomo sulla vita e sulla morte. Dopo la cacciata dei Medici, nominato “governatore e procuratore generale sopra alla fabbrica e fortificazione delle mura”, Michelangelo partecipò alla difesa della Repubblica fino alla caduta della città (1530). Grazie all’appoggio di papa Clemente VII poté continuare a lavorare anche dopo la restaurazione dei Medici: Cristo risorto per la chiesa di S. Maria sopra Minerva e la Vittoria (1532-34) in Palazzo Vecchio furono modello per un’intera generazione di scultori manieristi (vedi il capitolo xx sul Manierismo).

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Nel 1534 Michelangelo si trasferì definitivamente a Roma e ricevette l’incarico da Clemente VII e poi la conferma da Paolo III, di dipingere nella Cappella Sistina il Giudizio Uni- Il Giudizio Universale versale sulla parete dell’altare. Il grandioso affresco (153641) altera l’iconografia tradizionale del tema e nell’abbandono di ogni intelaiatura architettonica sconvolge il concetto di spazio proprio del Rinascimento e rappresenta un’immane catastrofe: un Dio irato che travolge l’umanità spaventata di fronte a una condanna senza appello. Sulla genesi dell’opera influirono i contatti con i circoli spiritualisti romani per la riforma della Chiesa. Dopo i recenti restauri gli affreschi della Sistina hanno rivelato anche il luminoso senso cromatico abbinato alla plasticità dei volumi.

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■ L’ultima produzione

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Più degli ultimi affreschi, la Conversione di Saulo e il Martirio di S. Pietro nella Cappella Paolina in Vaticano (1542-50), le ultime sculture sono tra gli esiti più alti dell’arte di Michelangelo: nella Pietà di Palestrina (Firenze, Accademia), Le ultime Pietà

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■ Il Giudizio Universale

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Arte

nella Pietà del Duomo di Firenze (1550-55) e soprattutto nell’estrema Pietà Rondanini (1552-66, Milano, Castello Sforzesco) la liberazione sulla morte come meditazione dello spirito raggiunge il massimo dell’intensità espressiva.

Raffaello Sanzio Classicismo e spiritualità

Incoronazione e Sposalizio della Vergine

Le opere degli anni fiorentini

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I primi ritratti

La decorazione delle Stanze Vaticane

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La forte personalità di Raffaello Sanzio (Urbino 1483 - Roma 1520), pittore e architetto interprete di una forma classica intrisa di spiritualità cristiana, concorse con Leonardo e Michelangelo a determinare il sorgere dell’ultima e straordinaria stagione rinascimentale. Raffaello fu avviato alla pittura dal padre Giovanni Santi. In una prima fase l’influsso del Perugino appare determinante nel ritmo compositivo fluido e ondulato e nelle modulazioni cromatiche delle opere giovanili come l’Incoronazione della Vergine (1502-03, Musei vaticani) e lo Sposalizio della Vergine (1504, Milano, Brera). L’intensa luminosità del chiaroscuro e la limpida articolazione spaziale dello Stendardo di Città di Castello (1499) testimoniano invece una profonda meditazione dell’arte di Piero della Francesca (vedi pag. 148). Dal 1504 al 1508 Raffaello operò a Firenze. Appartengono a questi anni il Sogno del Cavaliere (Londra, National Gallery), il S. Michele e il S. Giorgio (Parigi, Louvre) e Le tre Grazie (Chantilly, Musée Condé); mirabili opere, un tempo ritenute della sua prima adolescenza, la Madonna Connestabile (S. Pietroburgo, Ermitage), la Madonna del Granduca (Firenze, Palazzo Pitti), la Madonna del Belvedere o del prato (1506, Vienna, Kunsthistorisches Museum), la Madonna del cardellino (1507 ca, Firenze, Uffizi), la cosiddetta Belle Jardinière (1507, Parigi, Louvre). Raffaello si impegnò anche nei primi ritratti: la Dama con il liocorno (Roma, Galleria Borghese), i Coniugi Doni (1506, Firenze, Palazzo Pitti) e La muta (1507 ca, Urbino, Galleria nazionale delle Marche). A Roma, dove la sua presenza è documentata per la prima volta nel 1509, Raffaello iniziò per papa Giulio II la decorazione delle Stanze Vaticane eseguendo personalmente gli affreschi della stanza della Segnatura (1508-11) e della stanza di Eliodoro (1511-14). Dopo la morte di papa Giulio II, Leone X, il suo successore, affida a Raffaello la decorazione della terza stanza vaticana, destinata ai pranzi cerimoniali, la Stanza dell’Incendio in cui affresca scene di atti gloriosi di alcuni pontefici, tra le quali

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2 - I maestri del Rinascimento maturo

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la scena con l’Incendio di Borgo (1514), in cui papa Leone IV salva il quartiere di Borgo da un furioso incendio. ■ Il linguaggio pittorico di Raffaello

Fin dalle sue prime opere Raffaello rivelò l’assoluta originalità del suo linguaggio pittorico nella tendenza a semplificare classicamente la composizione, accentuandone in modo nuovo lo spazio architettonico, nel quale si dispongono le figure umane, che acquistano così nella chiara luminosità del tessuto cromatico e nell’equilibrio delle misure e dei gesti un valore di bellezza immobile, ideale e in- Una bellezza ideale sieme naturalissima. e insieme naturale ■ Le opere degli ultimi anni

Negli ultimi anni gli furono affidati sempre più numerosi incarichi che Raffaello realizzò in un alternarsi di momenti di altissima felicità creativa ad altri di crisi e di stanchezza: gli affreschi della sala di Galatea (1511), la decorazione delle Logge Vaticane (1517-19), i cartoni delle Storie evangeliche per gli arazzi della Cappella Sistina (1515-16), la Madonna di Foligno (1511-12, Musei Vaticani), la Madonna Sistina (1513-14, Dresda, Gemäldegalerie), la Madonna della seggiola (1514, Firenze, Palazzo Pitti), la Trasfigurazione (151820), terminata nella parte inferiore da Giulio Romano (Pinacoteca vaticana), e i ritratti di Baldassarre Castiglione (1514-15, Parigi, Louvre), della cosiddetta Velata (1516 ca, Firenze, Palazzo Pitti), di Leone X (1518-19) e di Giulio II (1512), entrambi agli Uffizi di Firenze. GIORGIO VASARI Formatosi come pittore a Firenze e a Roma, sulla base dei modelli del tardo classicismo fiorentino e dei grandi maestri romani, Giorgio Vasari (Arezzo 1511 - Firenze 1574) elaborò una cultura figurativa eclettica, arricchita da stimoli pittorici veneziani. A Roma realizzò il suo primo grande ciclo pittorico nel palazzo della Cancelleria, si avvicinò a interessi architettonici e avviò una stesura in organica forma letteraria degli appunti e delle notizie sugli artisti italiani, che da anni andava raccogliendo nei suoi viaggi. Il suo rientro a Firenze (1550) coincise con la prima edizione delle Vite de’ più eccellenti architetti, scultori e pittori (vedi anche pag.126). La ri-

strutturazione del centro storico di Firenze ebbe in Vasari il regista: dal 1555 iniziò la risistemazione di Palazzo Vecchio, proseguendo poi con la decorazione degli interni (ciclo del Salone dei Cinquecento, dal 1563), e ancora coordinando la creazione dello studiolo di Francesco I (1570-72). Dal 1560 realizzò il Palazzo degli Uffizi, proseguito nel 1565 col corridoio che, passando sopra il ponte Vecchio, raggiunge Palazzo Pitti. Come storico, Vasari aveva coscienza di quanto i tempi fossero mutati; infatti la seconda edizione delle Vite (1568) evidenzia la crisi dell’arte fiorentina dopo la non più ripetibile vetta dell’opera di Michelangelo.

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Arte

Tiziano Vecellio Tiziano Vecellio (Pieve di Cadore ca 1490 - Venezia 1576) fu una personalità fondamentale nello sviluppo della pittura veneziana ed europea. Grande colorista, egli portò alle estreme conseguenze la pittura “tutto colore”, creando un linguaggio che influenzò Tintoretto e altri grandi maestri europei quali Rembrandt, Rubens ed El Greco.

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Una figura fondamentale nell’arte europea

■ Le opere giovanili

Il realismo espressivo

Tiziano giunse a Venezia giovanissimo e svolse il suo apprendistato presso Gentile Bellini (vedi pag. 145), ma divenne ben presto allievo e collaboratore di Giorgione. La sua prima attività sviluppò la pittura “di tono” (Noli me tangere, Londra, National Gallery; serie delle mezze figure femminili, come la Flora, 1515 ca Firenze, Uffizi). Contemporaneamente l’artista s’interessò a Mantegna (vedi pag. 146), Dürer (vedi pag. 166) e Raffaello (vedi pag. 162), indirizzandosi verso un realismo espressivo grandemente innovativo per la cultura veneta (affreschi per la scuola del Santo a Padova, 1511; serie di ritratti fra cui l’Ariosto, Londra, National Gallery; le prime xilografie), che trova espressione nell’Amor Sacro e Amor Profano (1515, Roma, Galleria Borghese) e nella pala dell’Assunta (1518, Venezia, S. Maria Gloriosa dei Frari). ■ Presso le corti italiane

I ritratti

La Pala Pesaro

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Negli anni seguenti iniziò a lavorare per alcune corti italiane (Ferrara, dal 1519; Mantova, dal 1523; Urbino, dal 1532) e per l’imperatore Carlo V (dal 1530), con una produzione di scene mitologiche (due Baccanali, 1518-19, Madrid, Prado; Venere di Urbino, 1538, Firenze, Uffizi). Vasta anche la sua produzione ritrattistica (serie per Carlo V; Uomo dal guanto, ca 1523, Parigi, Louvre; La bella, 1536, Firenze, Palazzo Pitti), apprezzata soprattutto per la caratterizzazione che infondeva ai personaggi ritratti. Ricerca realistica è ravvisabile in alcune pale d’altare, tra cui la Pala Pesaro (1519-26, Venezia, S. Maria Gloriosa dei Frari), che costituisce il punto più alto di evidenza compositiva: Tiziano vi affronta il tema della Sacra Conversazione impostando la composizione non più secondo una visione frontale (come nella Pala di Castelfranco di Giorgione), ma secondo una visione in diagonale a più livelli, disponendo il gruppo con la Vergine e il Bambino in alto a destra, i devoti in basso a sinistra e i committenti (famiglia Pesaro) inginocchiati in primo piano.

■ La svolta drammatica ed emotiva

Il periodo successivo al 1540, culminato nel soggiorno a Roma (1545-46), rappresentò una svolta nell’opera di Tiziano verso un nuovo tipo di figurazione, altamente drammatica ed emotiva (Ecce Homo, 1543, Vienna, Kunsthistorisches Museum; Paolo III Farnese con i nipoti Alessandro e Ottavio, 1546, Napoli, Gallerie nazionali di Capodimonte). Nel 1548 fu alla dieta di Augusta al seguito di Carlo V (Carlo V alla battaglia di Mühlberg, Filippo II, 1548, Madrid, Prado), che gli diede il ruolo di primo pittore della corte asburgi- Primo pittore ca. Molto intensa fu anche la produzione di scene erotico- alla corte di Carlo V mitologiche (Venere con organista, amorino e cagnolino, o la Danae, in diverse redazioni). Una maggiore penetrazione psicologica caratterizzò invece la produzione ritrattistica (Clarice Strozzi a cinque anni, 1542, Berlino, Staatliche Museen; Il giovane dagli occhi glauchi, detto anche Il giovane inglese, Firenze, Palazzo Pitti).

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■ Il passaggio definitivo al Manierismo

Per Venezia l’attività di Tiziano fu particolarmente rivolta alla realizzazione di pale religiose come Il martirio di S. Lorenzo (1559, chiesa dei Gesuiti). Tra i suoi ultimi capolavo- Gli ultimi capolavori ri: L’Annunciazione (Venezia, S. Salvatore); Tarquinio e Lucrezia (Vienna, Akademie der bildenden Künste); L’incoronazione di spine (Monaco, Bayerische Staatsgemäldesammlungen), che segnano il passaggio definitivo alla fase manieristica, infatti, il grande colorista portò alle estreme conseguenze la pittura “tutto colore”, creando un linguaggio che era atto a sperimentare nuovi profondi mezzi espressivi. Questo atteggiamento influenzò molto Tintoretto, Rembrandt, Rubens, El Greco e alcuni altri grandi maestri del suo tempo.

Lorenzo Lotto Lorenzo Lotto (Venezia ca 1480 - Loreto 1556) fu pittore che maturò un linguaggio originale caratterizzato da vivace cro- Vivace cromatismo matismo e da ricca fantasia. e ricca fantasia La sua formazione artistica avvenne tra Venezia e Treviso (1503-06), sulla base di una cultura pittorica dominata dalla figura di Giovanni Bellini, ma sensibile anche ad Antonello da Messina e ad Albrecht Dürer (vedi pag. 166), visibile nella Madonna col Bambino e santi, (1503, Napoli, Capodimonte), nell’Assunta della parrocchiale di Asolo (1506) e 165

Arte

Il periodo marchigiano

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licen nella pala della chiesa di S. Cristina al Tivarone (1507,in Treviso delso). Del 1508 è il primo lavoro per le Marche,eilspolittico c n la Pinacoteca di Recanati. Le operecsuccessive del soggioro Pinacoteca; lo Jesi, no marchigiano (Deposizione, 1512, Trasfio t i T Pinacoteca) dimostrano la cagurazione, ca 1513, Recanati, pacità dell’artista di servirsi di schemi d’impianto raffaellesco per un racconto volutamente scarno. ■ Il periodo bergamasco

Dopo il 1513 iniziò il periodo bergamasco di Lotto, in un ambiente più adatto al suo linguaggio sempre più antiaccademico e anticlassico. Dipinse le pale di S. Stefano (1513-16, ora in S. Bartolomeo), di S. Spirito (1521), di S. Bernardino in Pignolo (1521); gli affreschi con Storie di S. Barbara (1524) nella Cappella Suardi a Trescore e quelli con Storie della Vergine (1525) in S. Michele al Pozzo Bianco; il polittico della chiesa di Ponteranica (1527) e le tarsie lignee con Storie bibliche (1524-32) per il coro di S. Maria Maggiore. Intensa fu L’attività di ritrattista anche la sua attività di ritrattista, in cui Lotto eccelse per l’acuta penetrazione psicologica del personaggio (Ritratto di Lucina Brembate, 1520 ca, Bergamo, Accademia Carrara; Ritratto di giovane, Venezia, Gallerie dell’Accademia). Un linguaggio antiaccademico e anticlassico

ALBRECHT DÜRER Albrecht Dürer (Norimberga 1471-1528), pittore, disegnatore, incisore e teorico dell’arte, fu un grande maestro del Rinascimento tedesco. Compì un lungo soggiorno nelle terre tedesche e a Venezia (1494-95), con puntate a Padova e Mantova. Questo viaggio in Italia fu fondamentale per il completamento della sua formazione, che si arricchì del plasticismo monumentale del Mantegna e delle armonie classiche del Pollaiolo e di Giovanni Bellini. Aprì una fiorente bottega (1495) a Norimberga e un anno dopo ebbe inizio il lungo sodalizio con il grande elettore di Sassonia Federico il Saggio. Negli anni 1505-07 fu ancora a Venezia: già celebre, soprattutto per le sue incisioni, fu al centro della raffinata società di nobili, artisti e umanisti della Serenissima. Nelle primissime opere di Dürer sono già pienamente realizzati quei caratteri di acuta penetrazione psicologica e di trasfigurato realismo che saranno costanti

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nella sua opera. Nel 1498 illustrò l’Apocalisse con 15 xilografie che rappresentano uno dei massimi capolavori dell’arte tedesca e gli diedero una grande popolarità. Tra queste tavole: S. Giovanni davanti a Dio e ai vegliardi, i Quattro Cavalieri, il S. Michele. Il secondo viaggio a Venezia (1505-07) gli pose problemi più specificatamente coloristici, stimolati dal contatto con Giorgione e Tiziano: esempio ne è la Festa del Rosario (1506, Praga, Národní Galerie). Ben presto tornò però a occuparsi di incisione e poi al servizio di Massimiliano I partecipò a grandi imprese decorative. L’ultimo periodo della sua vita fu caratterizzato sia dalla pubblicazione dei suoi scritti teorici arricchiti da disegni scientifici sia dalla realizzazione di opere potentemente espressive, come la cosiddetta Passione oblunga (1520-24, divisa fra vari musei), influenzate dalla rigorosa esperienza religiosa del protestantesimo.

2 - I maestri del Rinascimento maturo

■ I capolavori

In seguito, nonostante le importanti commissioni veneziane (Elemosina di S. Antonino, 1542, SS. Giovanni e Paolo), Lotto continuò a viaggiare tra Venezia, Treviso e le Marche, dove lasciò un’altra serie di capolavori: l’estrosa Annunciazione di Recanati (1527, Pinacoteca), la drammatica Crocifissione (1531) di Monte S. Giusto, la Pala di S. Lucia (1532, Jesi, Pinacoteca), la Madonna del Rosario e santi (1539, Cingoli, S. Domenico).

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Antonio Allegri, detto il Correggio (Correggio ca 14891534), elaborò un ricco e originale linguaggio pittorico, che contribuì al rinnovamento dell’arte cinquecentesca e lasciò stimoli e suggerimenti anche per il secolo successivo. Già nelle opere giovanili, ai toni mantegneschi si affianca- Le opere giovanili rono, in una sintesi personalissima, invenzioni chiaroscurali di origine leonardesca (Sposalizio di S. Caterina, Washington, National Gallery; Madonna col Bambino 1524-26, Firenze, Uffizi; Natività 1512, e Adorazione dei Magi, 1518, Milano, Brera).

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■ Dal classicismo alle soluzioni prebarocche

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Correggio

Lo sviluppo successivo dell’arte del Correggio, caratterizzata da un cosciente classicismo, rende necessaria l’ipotesi di un suo viaggio a Roma intorno al 1518, di poco antecedente cioè alla prima grande realizzazione ad affresco dell’artista: la decorazione della volta della Camera della Badessa di S. Paolo a Parma. La nuova carica vitale del Correggio continua esaltante nell’affresco della cupola di S. Giovanni Evangelista a Parma (1520-23), che anticipa le soluzioni del Barocco. La sua ultima grande impresa è la decorazione della cupola del Duomo di Parma (1526-30), ma accanto e prima di essa si colloca una ricca serie di opere, fra cui i capolavori più celebri (Madonna di S. Girolamo, 1527-28, e Madonna della scodella, 1530, Parma, Galleria nazionale; La notte 1529-30, Dresda, Gemäldegalerie; Noli me tangere, 1518 ca, Madrid, Prado). Dell’ultima attività del Correggio fanno parte i dipinti commissionati dal duca di Mantova e dedicati agli Amori di Giove; restano il sottile erotismo della Danae (1531-32, Roma, Galleria Borghese), di Leda (1531 ca, Berlino, Staatliche Museen), di Io (1531) e di Ganimede (1530-32, Vienna, Kunsthistorisches Museum).

Cosciente classicismo Soluzioni prebarocche

La decorazione nel Duomo di Parma

I dipinti mitologici

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Arte

SCHEMA RIASSUNTIVO Leonardo da Vinci (Vinci 1452 - Amboise 1519), pittore, scultore, architetto e scienziato, si dedica nei primi anni alla pittura maturando un’acuta sensibilità per il disegno, strumento di definizione spaziale, volumetrica e anatomica, che raffina in un secondo momento dal chiaroscuro secondo una personalissima tecnica dello “sfumato”. Prevalgono poi i suoi interessi scientifici nel campo della fisica, delle scienze naturali e dell’invenzione di nuove macchine. Alla corte milanese degli Sforza, intorno al 1495 inizia i lavori per l’Ultima Cena nel refettorio di S. Maria delle Grazie a Milano, sperimentando una tecnica che abolisce il tradizionale strato di intonaco, ma si rivela nel tempo inadeguata e facile al deterioramento del colore. Negli anni successivi Leonardo ritrae due favorite di Ludovico il Moro: Lucrezia Crivelli nella Belle Ferronière, Cecilia Gallerani nella Dama con l’ermellino. Il ritratto della Gioconda (Lisa, moglie del mercante Francesco Bartolomeo del Giocondo), rappresenta stilisticamente uno dei più alti esempi della ritrattistica rinascimentale, per l’unità di tutti gli elementi compositivi attuata per mezzo dell’infinitesimale gradazione della luce. Altre opere: Adorazione dei Magi (Firenze, Uffizi); Vergine delle rocce (Parigi, Louvre e Londra, National Gallery); S. Giovanni Battista (Parigi, Louvre).

GIORGIONE

Giorgione (1477/78-1510), è artista veneziano rivoluzionario nello stile e nei contenuti per la pittura “di tono”, nella quale il colore diventa l’elemento costruttivo della composizione. Opere: Adorazione dei pastori, Venere dormiente, Concerto campestre, La tempesta, I tre filosofi.

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LEONARDO DA VINCI

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MICHELANGELO BUONARROTI Michelangelo Buonarroti (1475-1564) rappresenta il punto culminante dell’arte rinascimentale. Il suo primo capolavoro pittorico è la Sacra Famiglia detta Tondo Doni (ca 1504, Firenze, Uffizi) in cui l’artista sottolinea la linea dinamica del contorno rinnegando lo sfumato leonardesco. L’opera più celebre del primo periodo è la statua di David collocata davanti a Palazzo Vecchio, simbolo della libertà della Repubblica fiorentina e insieme incarnazione dell’ideale rinascimentale dell’uomo padrone del proprio destino. Dal 1508 per quattro anni affresca la volta della Cappella Sistina, a Roma, dove volle rappresentare simbolicamente la vicenda eterna dell’elevazione dello spirito dalla materia alla contemplazione del divino. Successivamente esordisce in campo architettonico con gli incarichi per la sacrestia nuova di S. Lorenzo e la Biblioteca Laurenziana di Firenze. Nella sacrestia i due monumenti a Giuliano e Lorenzo de’ Medici, con le statue del Giorno e della Notte, dell’Aurora e del Crepuscolo, e la Madonna col Bambino sull’altare, esprimono compiutamente il tema michelangiolesco della riflessione dell’uomo sulla vita e sulla morte. Altre opere: in scultura, il monumento funebre di Giulio II, due Schiavi, Mosé, quattro Prigioni, varie Pietà (tra le quali soprattutto la Pietà in S. Pietro e la Pietà Rondanini); in pittura l’affresco del Giudizio universale (1534-41) dietro l’altare della Cappella Sistina.

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Raffaello Sanzio (1483-1520) rivela fin dalle prime opere (Incoronazione della Vergine, 1502-03; Sposalizio della Vergine, 1504) l’assoluta originalità del suo linguaggio pittorico nel semplificare classicamente la composizione, accentuandone l’impianto architettonico e improntandola a una nuova concezione dello spazio, nel quale le figure umane acquistano un valore di bellezza immobile, ideale e insieme naturalissima. Oltre a opere mirabili come Il sogno del cavaliere, S. Giorgio, Le tre Grazie, varie Madonne (tra le quali spiccano la Madonna del Belvedere e la Madonna del cardellino) e a celebri ritratti come quelli della Dama con il liocorno, La muta, i Coniugi Doni, sono da ascrivere a Raffaello la decorazione delle Logge Vaticane (1517-19), i cartoni delle Storie evangeliche per gli

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RAFFAELLO SANZIO

2 - I maestri del Rinascimento maturo segue

arazzi della Cappella Sistina (1515-16), la Madonna di Foligno, la Madonna Sistina (1513-14), la Madonna della seggiola (1514), la Trasfigurazione, terminata nella parte inferiore da Giulio Romano, e i ritratti di Baldassarre Castiglione, della cosiddetta Velata (1516), di Leone X (1518-19) e di Giulio II (1512), entrambi agli Uffizi di Firenze. TIZIANO

Tiziano Vecellio (1490-1576), allievo e collaboratore di Giorgione, sviluppa la pittura indirizzandosi però verso un realismo espressivo grandemente innovativo per la cultura veneta. Opere: Noli me tangere, Flora, Amor sacro e Amor profano, Venere di Urbino, varie pale (Assunta, Pala Pesaro) e vari ritratti (Uomo dal guanto, La bella, Paolo II Farnese, Il giovane inglese).

LOTTO

Lorenzo Lotto (Venezia ca 1480-Loreto 1556) è pittore che matura un linguaggio originale caratterizzato da vivace cromatismo e da ricca fantasia. Opere: Madonna col Bambino e santi, Deposizione, Trasfigurazione, Annunciazione, Crocifissione, Ritratto di giovani, Madonna del Rosario.

IL CORREGGIO

Antonio Allegri, detto il Correggio (1489-1534), è autore di una scelta classicista, ma capace di anticipare successive soluzioni del barocco. Tra le sue opere pittoriche: Natività, Adorazione de Magi, affreschi nel Duomo di Parma, Madonna della Scodella, La notte, Danae, Leda, Ganimede.

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Titolo 169

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3 Il Manierismo Il termine Manierismo viene assunto dalla critica per designare il complesso e ramificato movimento stilistico italiano ed europeo che si colloca tra il 1520 ca e l’ultimo decennio del Cinquecento (ossia tra il culmine del Rinascimento e il preannuncio del barocco). Caratterizzato da un estetismo antinaturalistico lontano dalla razionalità rinascimentale, si espresse in suggestive alterazioni dei rapporti spaziali e subordinò le proporzioni della figura umana al ritmo fluido ed elegante della composizione. Il manierismo va inteso come incrinatura dell’equilibrio classicista e, più in generale, come crisi della cultura umanistica e dei suoi ideali razionalistici, in connessione con il travaglio storico della Riforma, della Controriforma cattolica e le crisi legate alla formazione dei grandi Stati europei. I primi due centri di elaborazione del manierismo furono Firenze e Roma; da qui, si diffuse in Italia e in Europa dando vita a esperienze locali differenziate.

Il concetto di “maniera”

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La rivalutazione nel Novecento

La denominazione Manierismo deriva dal termine “maniera”, usato da Vasari sia come semplice sinonimo di stile, sia per indicare il modo di comporre dei massimi artisti rinascimentali. La critica seicentesca diede invece al termine “maniera”, con riferimento allo stile dei pittori vissuti dopo Leonardo, Raffaello e Michelangelo, un significato negativo, accusandoli di inerzia creativa, di artificiosità, di virtuosismo tecnico non sostenuto dall’ispirazione. La rivalutazione critica del barocco, sul finire del sec. XIX, diede l’avvio a un riesame dello stile manieristico da un nuovo angolo visuale. La definizione terminologica e concettuale di Manierismo fu però merito della storiografia tedesca del primo Novecento (Voss, Dvorák) che, mettendo in luce gli aspetti eterodossi e inquietanti dell’arte del tardo Cinquecento, ne esaltò la vitalità, in netta antitesi con la critica precedente, che aveva percepito quegli stessi aspetti come risultato di uno svuotamento e di una degenerazione del classicismo.

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in Un’arte aristocratica Il Manierismo divenne lo stile delle corti, in Italia come in Eue colta ropa: un’arte colta, aristocratica, basata sulle iconografie 170

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Il Manierismo, arte di corte

3 - Il Manierismo

Una cultura aulica e celebrativa

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preziose, sui riferimenti dotti, sulle allegorie complicate. Ne fu un esempio alla corte medicea l’attività (ca 1540-70) di Vasari e dei manieristi michelangioleschi: Bernardo Buontalenti (1513-1608), Bartolomeo Ammannati (1511-92), Giambologna (vedi pag. 175), Benvenuto Cellini (vedi a pag. 174). A Mantova lavorò come decoratore Francesco Primaticcio (Bologna, 1504-Parigi 1570) che fu, insieme ad altri artisti italiani attivo per Francesco I al castello di Fontainebleau, dove la presenza degli artisti italiani diede vita alla famosa scuola di Fontainebleau (vedi pag. 173). Il Manierismo fu cultura celebrativa e aulica, nell’ambito della quale l’architettura si faceva scenografia (Vasari, sistemazione degli Uffizi; Ammannati, ampliamento di Palazzo Pitti), la scultura oscillava tra gli opposti termini del gigantismo magniloquente (Ammannati, Fontana del Nettuno) e del preziosismo dell’oggetto di oreficeria (Cellini, Saliera per Francesco I, Parigi, Louvre), la pittura assumeva le diverse valenze del grande affresco celebrativo (Vasari) e del ritratto enigmatico e formale (Bronzino), il simbolo visivo e concettuale più evidente è il celebre Studiolo di Francesco I (Fontainebleau). A Roma la parabola architettonica di Jacopo Barozzi detto il Vignola (1507-73), dalle licenze inventive di Villa Farnese a Caprarola e di Villa Lante a Bagnaia alla nuova codificazione della Chiesa del Gesù a Roma e l’attività di pittori come Vasari, Francesco Salviati (1510-63), Daniele da Volterra (vedi pag. 177) aprirono la via all’accademismo eclettico degli Zuccari (Taddeo, 1529-66; e Federico, 1540/43-1609) e di Giuseppe Cavalier d’Arpino (1568-1640). Verso la fine del Cinquecento, proprio dal centro manierista di Bologna, che aveva conosciuto l’arte raffinata del Parmigianino e di Nicolò dell’Abate, prese le mosse quel movimento di reazione antimanierista bandito dai Carracci che, rifluito a Roma, diede vita all’accademia. Lo stile delle corti ebbe vita più lunga in Europa, nella sua accezione più “cortigiana”: nella Praga di Rodolfo II con Bartholomeus Spranger (1546-1611) e Hans von Aachen (1552-1616); nei Paesi Bassi, in Baviera e, in un ultimo guizzo di autentica forza di stile, in Spagna, con l’esperienza del Greco.

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Il Manierismo a Roma

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Il Manierismo a Firenze Firenze fu uno dei primi centri di elaborazione del Manierismo. Nei primi dieci anni del Cinquecento si assistette ancora però, con fra’ Bartolomeo (Baccio della Porta, 1472171

Arte

Tendenze anticlassiche Il ruolo di Michelangelo

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1517) e Andrea del Sarto, a casi di classicismo. Ma con la caduta della Repubblica fiorentina (1512) si manifestarono precocemente tendenze anticlassiche e manieristiche, i cui massimi rappresentanti furono i pittori Rosso Fiorentino e Pontormo. Negli stessi anni Michelangelo creò a Firenze opere schiettamente manieristiche (vestibolo e scalone della Biblioteca Laurenziana, 1524; sagrestia nuova a S. Lorenzo con le tombe medicee, 1521-33). Le successive fasi del Manierismo si svilupparono sotto Cosimo I de’ Medici e furono rappresentate dalle pitture di Vasari, del Bronzino, di Francesco Salviati (1510-63); dalle sculture di Cellini, Giovanni Angelo Montorsoli (1507-63), Baccio Bandinelli (1488-1559), Giambologna; dalle architetture del Vasari (palazzo degli Uffizi, iniziato nel 1560), di Ammannati (ponte S. Trinita, 1567-69; cortile di Palazzo Pitti, 1560), di Bernardo Buontalenti (15361608; Casino Mediceo, 1574; Belvedere, 1590-95; Giardini di Boboli, in cui ideò la grotta e la fontana dell’Oceano con le statue del Giambologna).

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L’impegno monumentale

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Del pittore Andrea d’Agnolo di Francesco, detto Andrea del Sarto (Firenze 1486-1530), sono noti gli affreschi dell’atrio della SS. Annunziata (ca 1510) con Scene della vita di S. Filippo Benizzi che costituiscono le prime opere sicure e rivelano l’impegno monumentale e architettonico che lo pone in rapporto col classicismo romano e con Michelangelo e Raffaello, ma anche con lo sfumato leonardesco e il colorismo veneto. Nel 1511 nel chiostro della SS. Annunziata affrescò il Corteo dei Magi e nel 1514 la Nascita della Vergine. Fra il 1512 e il 1526, per il chiostro degli Scalzi, compì un ciclo di affreschi con nove Storie di S. Giovanni Battista e quattro Virtù, e dipinse la Madonna delle Arpie (1517, ora agli Uffizi). È noto anche come ritrattista con lo Scultore (1524, Londra, National Gallery), il Ritratto di ragazza e l’Autoritratto degli Uffizi. Fra le sue ultime opere le più importanti furono: la Sacra Conversazione di Berlino, i quattro Santi degli Uffizi (1528) e la Madonna del Sacco (1525), lunetta affrescata nel chiostro dell’Annunziata.

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■ Andrea del Sarto

■ Rosso Fiorentino

Giovanni Battista di Iacopo, detto Rosso Firentino (Firenze 1495 - Fontainebleau 1540), si formò nella bottega di Andrea del Sarto, ma mostrò una personalità autonoma e originale fin dalla prima opera sicura, l’Assunzione, affrescata nel chiostro della SS. Annunziata (1517). Spirito aggressivo

3 - Il Manierismo

e iconoclasta, Rosso diede nelle opere successive un contributo fondamentale al momento più ricco e inquietante del Manierismo fiorentino: dalla macabra, demoniaca evocazione del disegno degli Scheletri (1517, Firenze, Uffizi), di evidente influsso nordico, alla pala con Madonna e santi per S. Maria Nuova (1518, Firenze, Uffizi), alla Deposizione (1521, Volterra, Pinacoteca), al Mosè e le figlie di Ietro (1523, Firenze, Uffizi), eccezionale esercitazione su temi michelangioleschi, dissacrati con estrema acutezza di stile. Operò infine in Francia (1530), come pittore di corte di Francesco I, lavorando insieme al Primaticcio alla reggia di Fontainebleau (Padiglione di Pomona, 1532-35; Galleria di Francesco I, 1534-37). Un tono più grave e contenuto distingue i dipinti tardi, come la Pietà (1537-40, Parigi, Louvre).

Gli Scheletri La dissacrazione di temi michelangioleschi

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■ Pontormo

Iacopo Carrucci, detto il Pontormo (Pontormo, Empoli 1494 - Firenze 1556) fu una figura emblematica del Manierismo italiano. Lavorò nella bottega di Andrea del Sarto a fianco di Rosso Fiorentino; nelle prime opere rilevanti (fino alla Visitazione affrescata nel 1516 nel chiostro della SS. Annunziata) egli reagì tuttavia al misurato e dolce classicismo di Andrea con un segno nervoso e vibrante, iniziando quel pro- Un segno nervoso cesso di corrosione della dimensione classica che appare e vibrante già avanzato nella Pala Pucci (1518, S. Michele Visdomini). IL MANIERISMO IN FRANCIA: LA SCUOLA DI FONTAINEBLEAU Il culmine del Manierismo francese fu rag- una vera e propria scuola, la cui lezione giunto nel castello di Fontainebleau, luo- fu ripresa e sviluppata anche fuori della go di soggiorno della corte francese già Francia. Lo stile della scuola di Fontainenel sec. XII, che diventò nel 1526 la pri- bleau, caratterizzato da una preziosa elema corte stabile di Francesco I (1515-47). ganza formale, è eminentemente decoI lavori di ricostruzione e decorazione del rativo e ornamentale. Negli affreschi e necastello iniziarono nel 1528 a opera del- gli stucchi della galleria di Francesco I (del l’architetto locale italianeggiante Gilles Rosso Fiorentino), della sala da ballo, delLebreton (m. 1552). Nel 1530 Francesco la Galleria d’Ulisse (Primaticcio e Nicolò I chiamò a lavorare alla sua corte alcuni dell’Abate) compaiono temi mitologici e artisti italiani: primo fra tutti giunse Rosso allegorici, grottesche, paesaggi popolati Fiorentino, nel 1532 il Primaticcio, che con di figure allungate e sinuose, secondo il la collaborazione del modenese Nicolò gusto colto e raffinato della corte. Gli stesdell’Abate diresse i lavori dopo la morte si temi furono poi svolti, con particolari todel Rosso; in vari momenti operarono an- ni galanti ed erotici, dagli artisti francesi che il bolognese Sebastiano Serlio, Celli- (come i due Jean Cousin, il Vecchio, 1490ni, il Vignola, contribuendo tutti a fare del 1560, il Giovane, ca 1520-94; e François castello uno dei più notevoli centri del Ma- Clouet, 1516-72), non solo in pittura e nierismo europeo. L’attività di questi arti- scultura, ma anche nella realizzazione di sti creò una cultura figurativa autonoma, stampe, arazzi, gioielli.

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Arte

Una sperimentazione raffinata e inquieta

Le opere della maturità

Da questo momento il percorso del Pontormo (che, salvo forse due viaggi a Roma, operò sempre a Firenze) rappresenta la fase più tormentata del Manierismo fiorentino. Praticamente isolato, nonostante godesse della protezione dei Medici, egli continuò a sperimentare forme sempre più raffinate, in una dimensione che negli anni si fece via via più inquieta, come ci tramanda il suo Diario (1554-56). Lungo questo percorso si collocano le Storie di Giuseppe per la Camera Borgherini (1515-19, Londra, National Gallery), colme di riferimenti nordici, ad A. Dürer; la lunetta della villa medicea di Poggio a Caiano con Vertunno e Pomona (1521); il ciclo delle Storie della Passione, affrescato alla Certosa del Galluzzo (1523-25); Cena in Emmaus (Firenze, Uffizi); ritratti di acutissima interpretazione psicologica (Cosimo il Vecchio, Firenze, Uffizi). Nella piena maturità del suo stile le forme dei corpi si allungano e si gonfiano oltre misura, invadendo lo spazio, come nella Deposizione (1526-28, Firenze, S. Felicita), o nella Visitazione (1528-30, Pieve di Carmignano), mentre l’astratto colorismo è ormai slegato da qualunque rapporto col reale. ■ Agnolo Bronzino

Agnolo Bronzino (Monticelli, Firenze 1503-1572) fu allievo del Pontormo e fuse nella sua pittura elementi del Manierismo toscano e influssi michelangioleschi, raggiungendo effetti nobilissimi d’arte nella fermezza e freddezza metafisica dei suoi ritratti come Guidobaldo d’Urbino (Firenze, Pitti), Lucrezia Panciatichi (1540, Firenze, Uffizi) e Andrea Doria (Milano, Brera) e numerosi altri, eseguiti per conto dei Medici, alla cui corte fu pittore ufficiale dal 1539. Fu autore anche di affreschi (Storie bibliche, Firenze, Palazzo Vecchio) e di cartoni per l’arazzeria medicea.

I ritratti

■ Benvenuto Cellini

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Un’esistenza romanzesca

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La saliera di Francesco I

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Benvenuto Cellini (Firenze 1500-1571), al tempo stesso orafo, scultore e scrittore, condusse un’esistenza romanzesca e densa di avventure, che egli stesso narrò nella sua Vita (1558-62), capolavoro del genere autobiografico. Dopo aver lavorato a Roma (papa Clemente VII, nel 1529, lo nominò incisore alla zecca romana), soggiornò in Francia (1540-45) sotto la protezione di Francesco I per il quale realizzò la preziosa saliera in oro e smalto (1543, Vienna, Kunsthistorisches Museum), che vede l’applicazione degli schemi propri della scultura all’oreficeria. Tornato a Firenze nel 1549 realizzò per Cosimo I il bronzo del Perseo (Firenze, Log-

3 - Il Manierismo

gia dei Lanzi), la sua opera più celebre e conclusiva; il gran- Il Perseo de busto in bronzo di Cosimo I e il Narciso (Firenze, Museo nazionale); al 1556 ca risale il Crocifisso marmoreo nella sagrestia dell’Escorial. Lasciò anche i trattati Dell’oreficeria e Della scultura (1568) e una raccolta di Rime. I suoi lavori di I trattati e le Rime oreficeria sono andati quasi totalmente perduti. ■ Giambologna

Jean Boulogne, detto il Giambologna (Douai 1529 - Firenze 1608), scultore fiammingo formatosi ad Anversa, nel 1550 si trasferì e stabilì a Firenze. La sua opera si colloca nell’ambito delle ricerche intellettualistiche del tardo Manierismo Intellettualismo fiorentino, rivelando anche contatti con l’ambiente nordico prebarocco e con la scuola di Fontainebleau (vedi a pag. 106). Le sue statue come Fontana del Nettuno (1563-66, Bologna, Piazza del Nettuno), Mercurio (1564, Firenze, Bargello), Ratto delle Sabine (1579-83) ed Ercole e il centauro (entrambi Firenze, Loggia dei Lanzi) hanno forme ampie e rotonde che preannunciano la stagione del barocco.

Il Manierismo romano e la sua diaspora A Roma, sotto il pontificato di papa Clemente VII (1523-34) furono gli allievi di quest’ultimo ed in particolare Giulio Romano, seguito da Polidoro Caldara da Caravaggio (1495/1500-1546), Perin del Vaga e Giovanni da Udine (14871564) a stravolgerne per altri versi la “maniera”, in chiave di bizzarria e di estro fantastico, elaborando un tipo di decorazione elegante e gustosa (grottesche). Inoltre a Roma giunsero artisti toscani del calibro di Sansovino, Cellini, Rosso Fiorentino; emiliani come Parmigianino e veneti come Sebastiano del Piombo (1485-1547). Ma il sacco di Roma del 1527, compiuto dalle truppe di Carlo V nel corso della guerra con la Francia per il dominio dell’Italia, ebbe come conseguenza la diaspora degli artisti, verso l’Italia settentrionale. Ma l’attività artistica non si arrestò; infatti nel 1534 (anno in cui Paolo III Farnese divenne papa) Michelangelo si trasferì definitivamente a Roma e diventò l’indiscusso protagonista della scena artistica.

La bizzarria delle “grottesche”

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La diaspora dopo il sacco di Roma

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■ Giulio Romano

Giulio Pippi, detto Giulio Romano (Roma ca 1499 - Mantova 1546), fu pittore e architetto a Roma tra i più originali allievi e aiuti di Raffaello. La sua mano è presente in numero- Allievo e aiuto se opere del maestro, nelle Stanze Vaticane (stanza dell’In- di Raffaello 175

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Arte

L’allontanamento dagli schemi di Raffaello

Il Palazzo Te

cendio di Borgo), nella Farnesina, nelle Logge Vaticane, a Villa Madama, nella parte inferiore della Trasfigurazione (Pinacoteca vaticana). Nelle opere successive alla morte di Raffaello (Sala di Costantino in Vaticano; Madonne del Prado e di Napoli) appare una sottile divergenza dagli schemi raffaelleschi, mentre contemporaneamente la prima attività architettonica romana (Villa Lante al Gianicolo; Palazzo Maccarani) rivela un analogo atteggiamento nei confronti dei modelli bramanteschi. Ma con la diaspora degli artisti dopo il sacco di Roma i germi del Manierismo si diffusero in tutt’Italia e a Mantova il soggiorno di Giulio lasciò un emblematico esempio di Manierismo in architettura e decorazione. Nel Palazzo Te (iniziato nel 1525) infatti si fondono architettura, decorazione e pittura in cui la corrosiva critica al classicismo si esprime in forme volutamente ironiche (affreschi della Sala di Psiche e della Sala dei Giganti). Gli stessi risultati di ambiguità formale si ritrovano nel cortile della Cavallerizza nel Palazzo ducale e nella ricostruzione del Duomo (iniziato nel 1545). ■ Parmigianino

Francesco Mazzola, detto il Parmigianino (Parma 1503 - Casalmaggiore 1540), è una figura tra le più originali del Manierismo italiano. Partì da premesse stilistiche affini a quelle del Correggio come negli affreschi (1521-24) della Cappella di S. Giovanni Evangelista a Parma, negli affreschi con il Mito di Diana e Atteone (1523 ca, Fontanellato, Rocca Sanvitale). Giunto nel 1524 a Roma, si inserì rapidamente nella cultura raffaellesca e michelangiolesca, fino a giungere a un Intellettualismo antinaturalismo tutto intellettuale, basato su forme ovali, alantinaturale lungate, raggelate dai freddi toni cangianti del colore. Le suggestioni romane (Madonna col Bambino e S. Giovannino, Napoli, Capodimonte; Visione di S. Gerolamo, 1527 ca, Londra, National Gallery) furono ulteriormente sviluppate Il periodo bolognese nel periodo bolognese (1528-31), con opere fondamentali per il Manierismo emiliano del Cinquecento: la Pala di S. Rocco per S. Petronio, la S. Margherita (1529, Bologna, Pinacoteca), la Madonna della rosa (1531, Dresda, Gemäldegalerie). Tra le ultime opere, la Madonna dal collo lungo (1535, Firenze, Uffizi) e l’Antea (Napoli, Capodimonte). Una delle figure più originali del Manierismo

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Il pittore Pietro Bonaccorsi, detto Perin del Vaga (Firenze 1501 - Roma 1547), si formò a Firenze e nel 1515 ca si trasferì a Roma dove entrò nella cerchia di Raffaello, collaborando alla decorazione delle Logge Vaticane e rivelando fin

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Nella cerchia di Raffaello

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■ Perin del Vaga

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dalle prime opere autonome (affreschi del salone di Palazzo Baldassini) una personalità estrosa e inquieta. Ebbe contatti con l’ambiente del primo Manierismo fiorentino (nel 1522-23 a Firenze conobbe Rosso Fiorentino e il Pontormo). Nel 1527 a causa del sacco di Roma, si trasferì a Genova e A Genova per il principe Andrea Doria eseguì la decorazione di Palazzo Doria, con i Trionfi, Eroi e la Caduta dei Giganti caratterizzati da un’esecuzione antinaturalistica del tema e dei colori. Tornato a Roma nel 1538, Perin godette di notevole favore presso la corte papale per la quale realizzò gli affreschi della Sala Paolina in Castel S. Angelo.

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■ Federico Barocci

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Il pittore Federico Fiori, detto Barocci (Urbino forse 15351612), condusse studi sulle opere di Raffaello, Correggio e dei veneti. Operò stabilmente a Urbino. I suoi quadri, quasi tutti di soggetto religioso, sono caratterizzati dalla presenza di numerose figure, dall’abbondanza di particolari e da effetti di colore, fantasiosi e chiari come nella Deposizione dalla Croce (1569, Perugia, Duomo), nel Riposo nella fuga in Egitto (1573, Roma, Pinacoteca vaticana), nella Madonna del popolo (1579, Firenze, Uffizi) e nel Presepio notturno (Milano, Pinacoteca ambrosiana). Notevolissimi sono i suoi numerosi disegni a gessetti colorati, e i bozzetti, men- I disegni tre l’acquaforte con l’Annunciazione e le incisioni in rame contribuirono all’evoluzione di queste tecniche.

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■ Daniele da Volterra

Daniele Ricciarelli, detto Daniele da Volterra (Volterra 1509 Roma 1566) fu allievo di Baldassarre Peruzzi e lavorò a Roma L’influenza nell’orbita di Michelangelo, rimanendo profondamente col- di Michelangelo pito dal suo Giudizio Universale. Nell’affresco della Deposizione (1541, Roma, Trinità dei Monti) Daniele mostra con evidenza la riflessione sulle questioni religiose e formali dell’opera michelangiolesca, oltre che una rilettura, soprattutto in chiave coloristica, di Rosso Fiorentino e del calligrafismo di Perin del Vaga, che si uniscono dando vita ad una interpretazione tesa e drammatica, costituendo un esempio eclatante dello stile della seconda fase della “maniera”.

Il Manierismo a Venezia e nel Veneto Nell’ambito veneziano, dopo la morte di Giorgione, fu Tiziano l’indiscusso protagonista della pittura: le sue doti ebbero subito eco nelle corti italiane, e ricevette numerose 177

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Arte

commissioni dai principali ducati. Ma tra il 1540 e il 1560 giunse anche nel Veneto il Manierismo, i cui anticipatori in pittura e in architettura erano stati il Pordenone e tutti gli artisti che, in seguito al sacco di Roma, si erano rifugiati o erano passati dal Veneto. ■ Pordenone

Giovanni Antonio de’ Sacchis, detto il Pordenone (Pordenone ca 1483 - Ferrara 1539), elaborò il suo stile a contatto con Giorgione (Madonna della Misericordia, 1515, Pordenone, Duomo) con Palma il Vecchio e Lotto (Trasformazione, Milano, Brera). Per lui fu fondamentale il soggiorno romano del 1516, durante il quale si accostò a Raffaello e a Michelangelo. Nelle opere successive, come le Storie della Passione (152122, Cremona, Duomo), gli affreschi nella Madonna di Campagna (1529-31, Piacenza) e S. Lorenzo Giustiniani (1532, Venezia, Gallerie dell’Accademia) dimostrò il suo graduale distacco Effetti magniloquenti dal classicismo veneziano, per prediligere effetti grandiosi e e drammatici atteggiamenti magniloquenti di intensa drammaticità. ■ Jacopo Bassano

Contrasti tonali

Jacopo Bassano (Bassano 1510/15-1592) era figlio di Francesco il Vecchio (1470 ca-1540), capostipite della famiglia di pittori Da Ponte, soprannominata Bassano dalla città di provenienza. A Bassano aprì una bottega di grande successo. Nei primi capolavori (Fuga in Egitto, Bassano, Museo Civico; Disputa al tempio, Oxford) l’artista rivela la conoscenza del naturalismo lombardo, del romanismo del Pordenone e delle stampe di Raffaello. Negli anni a cavallo della metà del secolo la sua cultura figurativa si arricchì a contatto con le stampe tedesche e le opere manieristiche (Sansone, Dresda; Martirio di S. Caterina, Bassano, Museo Civico; SS. Trinità, Parrocchiale di Angarano; Decollazione di S. Giovanni Battista, Copenaghen, Statens Museum for Kunst). Un’ulteriore evoluzione stilistica lo indirizzò verso una resa dei colori in una vasta gamma di contrasti tonali (Vergine tra i SS. Martino e Antonio abate, Monaco, Alte Pinakothek; Ultima Cena e Adorazione dei pastori, Roma, Galleria Borghese). Nell’ultimo periodo la sua bottega elaborò una serie di tipi figurativi (animali, nature morte, pose della figura umana) che costituiranno l’antecedente diretto della pittura veneta di genere seicentesca. ■ Tintoretto

Iacopo Robusti, detto il Tintoretto (Venezia 1518-1594), visse e operò sempre a Venezia. Inserì gli assunti estetici ma178

3 - Il Manierismo

nieristici tosco-romani nella tradizione veneta. La sua costante ricerca della luce, intesa come prima componente ed elemento coordinatore delle scene che si risolvono in visioni, è tutta tesa a tradurre la sua spiritualità intensa e drammatica (Ultima Cena, 1547, Venezia, S. Marcuola; Miracolo di S. Marco, 1548, Venezia, Gallerie dell’Accademia). Nei ritratti, si preoccupò soprattutto di mettere a fuoco l’interiorità del personaggio come nel Ritratto della famiglia Soranzo (1550, Milano, Castello Sforzesco); Ritratto di gentiluomo dalla catena d’oro (1556-60, Madrid, Prado); Doge Alvise Morosini (1570, Venezia, Gallerie dell’Accademia); Autoritratto (Venezia, Scuola Grande di S. Rocco). La sua opera più importante furono i tre cicli per la Scuola di S. Rocco, con le Storie del Vecchio e Nuovo Testamento (1564-87, Venezia, Scuola Grande di S. Rocco), costituite da una cinquantina di “teleri” in cui basò l’articolazione spaziale su forti scorci prospettici e figure agili e dinamiche, il tutto fuso e animato dalla forza costruttiva della luce. Le Storie rimangono il più completo ed esauriente racconto pittorico dell’arte della riforma cattolica.

La centralità della luce I ritratti

Le Storie del Vecchio e Nuovo Testamento

■ Veronese

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Paolo Caliari, detto il Veronese (Verona 1528 - Venezia 1588), si affermò giovanissimo (1553) come decoratore di altissimo livello a Venezia. Nei primi cicli veneziani (per la sala del Consiglio dei Dieci in Palazzo ducale, 1553; per la Chiesa di S. Sebastiano; per la Libreria di Sansovino, 1556), la sua cultura appare ispirata ai modelli del Manierismo romano ed emiliano. La serenità olimpica e profana della sua pittura si espresse, dopo il suo viaggio a Roma del 1560, nell’assoluto capolavoro degli affreschi della Villa Barbaro a Maser: impostati sull’illusionismo architettonico di stampo manierista, mostrano anche l’interesse del Veronese per il classico, con l’inserimento di ruderi classici, figure di pura immaginazione. I valori scenografici del suo linguaggio trovarono la massima espressione nella serie delle celebri Cene, dalla Cena in Emmaus (ca 1560) e dalle Nozze di Cana (1562); ambedue ora al Louvre di Parigi), all’Ultima Cena per il Convento dei SS. Giovanni e Paolo (1571-73, ora alle Gallerie dell’Accademia di Venezia) che costituirono l’espediente per rappresentare la vita della nobiltà veneziana e che in un caso (Ultima Cena poi trasformata col titolo di Convito in casa Levi -1573, Venezia, Galleria dell’Accademia) gli procurò la censura da parte dell’Inquisizione per la poca aderenza al fatto evangelico.

Serenità olimpica e profana Gli affreschi di Villa Barbaro

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Arte IL MISTICISMO DI EL GRECO IN SPAGNA Nella seconda metà del XVI sec., un arti- Di questi anni sono S. Francesco che ricesta di origini cretesi fu uno dei massimi pit- ve le stigmate, le Maddalene, S. Pietro in petori attivi in Spagna: si chiamava Dominikos nitenza che preludono al Sogno di Filippo II Theotokòpulos, meglio conosciuto con lo (1579), al Martirio della legione tebana pseudonimo di El Greco. Nato a Candia (1580-82) e al celebre Entierro del conde nel 1541 e morto a Toledo nel 1614, do- de Orgaz (“La sepoltura del conte d’Orpo vari soggiorni in Italia (in particolare a gaz”, 1586-88, Toledo, Chiesa di S. Tomé), Venezia nel 1560 dove rimase colpito dal- considerato il capolavoro in assoluto della lezione di Bassano, Tintoretto e dallo la pittura manierista. Con il Battesimo di Cristesso Tiziano; a Parma nel 1579 e Roma), sto (Madrid, Prado) ebbe inizio una serie nel 1576 si stabilì nella Spagna contro- di pale d’altare, eseguite tra il 1596 e il riformista. Qui i suoi colori dissonanti, le fi- 1600, in cui El Greco portò all’estremo il gure allungate, le luci livide e accecanti, gli verticalismo esasperato delle figure. La spazi stravolti e lontanissimi da qualsiasi rappresentazione tutta spirituale del volto prospettiva traducono in pittura la visio- e della figura umana caratterizza pure i rinarietà della mistica spagnola del tempo. tratti del decennio successivo.

La ritrattistica

Trattò anche la ritrattistica, sia autonoma (La famiglia Cuccina, 1571, Dresda, Gemäldegalerie), sia inserita nelle sue grandi composizioni. Alla fase tarda della sua attività appartengono la decorazione del soffitto della sala del Collegio in Palazzo Ducale (1575-77) e le quattro Allegorie dell’amore (ca 1580), dipinte per Rodolfo II d’Asburgo e ora alla National Gallery di Londra. ■ Sansovino

Lo scultore

Iacopo Tatti, detto il Sansovino (Firenze 1486 - Venezia 1570), compì la sua formazione di architetto e scultore a Roma (1506-11). A Firenze realizzò varie opere scultoree, tra cui il Bacco fanciullo (ca 1514, Bargello). Di importanza determinante fu il secondo soggiorno romano (1516-27). Le opere di scultura di questo periodo mostrano una tendenza ad amplificare in chiave monumentale i suoi schemi (Tombe in S. Marcello al Corso, 1520) e una personale sensibilità pittorica nel modellato (Madonna del parto in S. Agostino).

Il Manierismo in Lombardia

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I principali artefici della tendenza manieristica in Lombardia furono artisti come il pittore, scultore e architetto piemontese Gaudenzio Ferrari (ca 1475-1546), che per influsso dell’arte d’Oltralpe, si fece esponente di un precoce Manierismo; la famiglia di pittori cremonesi Campi (Galeazzo, 14471536; Giulio, ca 1502-72; Antonio, m. 1591; Vincenzo, 1536-

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3 - Il Manierismo

91; Bernardino, 1522-91), il Savoldo e il Moretto da Brescia. Caso particolare fu l’Arcimboldi, che, formatosi a Milano, ebbe la sue più importanti commissioni a Praga. ■ Giovan Gerolamo Savoldo

Il pittore Giovan Gerolamo Savoldo (Brescia 1480/85 - Venezia ? dopo il 1548), a partire dal 1508 soggiornò per alcuni anni a Firenze. Dal 1521 operò a Venezia, dove elaborò uno stile originale che riprendeva spunti da Giorgione, da Lotto e dai fiamminghi (vedi pag. 153). Alla rigorosa co- L’uso della luce struzione spaziale e al vigoroso realismo unì un uso della luce per accentuare le forme e le espressioni (Cristo morto con Giuseppe d’Arimatea, Cleveland, Museum of Art; Adorazione dei pastori, Torino, Galleria sabauda; Madonna e santi, Milano, Pinacoteca di Brera). Fra il 1520 e il 1530 si collocano, oltre ai dipinti sacri (Natività, Brescia, Pinacoteca Tosio-Martinengo; Maddalena, Londra, National Gallery; S. Girolamo, Londra, National Gallery), i più bei ritratti (Ga- I ritratti stone di Foix, Parigi, Louvre; Pastore con flauto, Firenze, collezione Contini-Bonacossi). ■ Moretto da Brescia

Alessandro Bonvicino, detto Moretto da Brescia (Brescia ca 1498-1554), espresse una pittura pacata e serena, caratterizzata da forme ampie e raccolte e da preziose tonalità grigio argento visibili in I SS. Faustino e Giovita (1518, Lovere, S. Maria in Valvendra); Incoronazione di Maria (Brescia, S. Giovanni Evangelista); Presepio (Brescia, Pinacoteca TosioMartinengo). ■ Arcimboldi

Giuseppe Arcimboldi (Milano 1527-1593) si formò a Milano, producendo cartoni per le vetrate del Duomo di Milano e cartoni di arazzi per il Duomo di Como. Fu pittore a Praga e a Vienna alle corti degli imperatori Massimiliano II e poi di Rodolfo II. È famoso per la bizzarria delle sue figure alle- Figure formate goriche, formate da fiori, frutta, animali e si pone per esa- da fiori, frutta sperato intellettualismo fra i rappresentanti del Manierismo e animali più fantastico e dissacrante, evidente nell’Estate e Inverno (1563, Vienna, Kunsthistorisches Museum); Allegoria della primavera (Madrid, Accademia di S. Fernando) e L’ortolano (Cremona, Pinacoteca).

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SCHEMA RIASSUNTIVO

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IL MANIERISMO

Movimento stilistico italiano ed europeo sviluppatosi tra il 1520 ca e la fine del Cinquecento, è caratterizzato da un antinaturalismo lontano dalla razionalità rinascimentale e dall’equilibrio armonico classicista. Il termine viene dalla critica seicentesca caricato di un significato negativo per indicare inerzia creativa, artificiosità, virtuosismo tecnico non sostenuto dall’ispirazione. I primi due centri di elaborazione del Manierismo sono Firenze e Roma. In Italia e in Europa si afferma come lo stile delle corti, arte colta, aristocratica, basata su iconografie preziose e allegorie complicate. Un ultimo guizzo di autentica forza lo esprime in Spagna la pittura di El Greco. Tra i primi centri di elaborazione del Manierismo è Firenze dove nei primi decenni del ‘500 operano Andrea del Sarto (1486-1530) portatore di un misurato e dolce classicismo, Rosso Fiorentino (1495-1540) il quale dà un contributo fondamentale al momento più ricco e inquietante del Manierismo fiorentino; il Pontormo (1494-1556) che caratterizza le sue opere con segni nervosi e vibranti. Nei decenni successivi sono attivi Agnolo Bronzino (1503-72) noto per i ritratti per conto dei Medici; Benvenuto Cellini (1500-71), scultore, orafo e scrittore, e il Giambologna (1529-1608) che giunto a Firenze nel 1550 rappresenta le tendenze intellettualistiche del tardo Manierismo fiorentino.

IL MANIERISMO A ROMA E LA SUA DIASPORA

Esponenti emblematici del Manierismo a Roma sono alcuni allievi di Raffaello come Giulio Romano (1499-1546), che partecipa a numerose opere del maestro e dà un importante contributo in campo architettonico soprattutto durante il soggiorno mantovano. Parmigianino (1503-40) giunge a Roma nel 1524 e caratterizza la sua opera con un antinaturalismo tutto intellettuale, basato su forme ovali, allungate. Altre figure significative del Manierismo romano sono Perin del Vaga, Federico Barocci e Daniele da Volterra. Il sacco di Roma (1527) provoca la diaspora degli artisti, verso l’Italia settentrionale.

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IL MANIERISMO A FIRENZE

IL MANIERISMO A VENEZIA E NEL VENETO

Nell’ambito veneziano, dopo la morte di Giorgione (1510), l’indiscusso protagonista della pittura è Tiziano, ma tra il 1540-60 giunge anche nel Veneto il Manierismo, il cui anticipatore in pittura è il Pordenone (1483-1539). Una stagione di splendore artistico annovera in pittura il Tiziano maturo, Veronese (1528-88), Tintoretto (1518-94) e Bassano (1510-92);

IL MANIERISMO IN LOMBARDIA

I principali artefici delle tendenze manieristiche sono artisti come il Savoldo (1480/85-1548 ca) e Moretto da Brescia (ca 1498-1554). Caso particolare è invece l’Arcimboldi 1527-93) le cui più importanti opere, con figure formate da frutta, fiori e animali, mostrano il più esasperato, fantastico e dissacrante Manierismo.

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ARCHITETTURA 1 Inquadramento storico 2 Aspetti tipologici 3 Architetti e opere

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L’Umanesimo apre le porte a una nuova concezione dell’uomo, a un nuovo modo di pensare se stessi all’interno del Creato. La ragione diviene lo strumento principale, comune a tutti gli uomini, con il quale provare a comprendere il mondo e l’uomo stesso. Queste idee vengono portate a pieno compimento nel Rinascimento, epoca in cui grandi artisti polivalenti quali Filippo Brunelleschi, Leon Battista Alberti, Donato Bramante e Michelangelo Buonarroti traducono in opere architettoniche le nuove teorie razionali e geometriche. L’architettura non è più un mestiere come un altro, ma diventa una scienza vera e propria in merito alla quale nascono i primi trattati teorici. Firenze e Roma in primis, insieme ad altre città minori, portano i segni di questa ventata di novità e di ripresa delle forme classiche, in particolare con la modifica dell’impianto urbanistico mediante giochi prospettici che conducono l’occhio dello spettatore lungo linee precise, “disegnate” non solo dagli edifici religiosi, ma anche dai palazzi delle grandi famiglie. Tra gli architetti si fa strada il desiderio di fondare la città ideale, ripensata nel suo insieme secondo canoni razionali e forme geometriche ricorrenti. Questa estrema razionalità di approccio al progetto viene però rinnegata dal Manierismo, che introduce la ricerca dell’eccesso e del capriccio, dove l’occhio di chi osserva non viene più guidato, ma sorpreso di continuo attraverso lo scardinamento delle regole consolidate.

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1 Inquadramento storico Tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento un generale clima di interesse nei confronti dell’arte e della cultura classiche, romana in particolare, fanno di Firenze un fervido centro di pensiero per la nascita e la diffusione di un movimento culturale che, nel corso del Cinquecento, porterà con il Rinascimento all’affermazione di elaborazioni concettuali e architettoniche originali e autonome.

Umanesimo: la nuova concezione dell’architetto e del progetto

La culla del Rinascimento

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nc Il contesto politico

Da Firenze al resto d’Italia

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Protorinascimento

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All’inizio del Quattrocento il clima generale di interesse per la civiltà classica vede la città di Firenze rivestire il ruolo di culla del Rinascimento. Le ragioni dell’origine fiorentina si possono cogliere nel fatto che tra la fine del XII e la metà del XIII secolo si afferma il Protorinascimento, caratterizzato da una sensibilità verso i motivi architettonici romani e da una propensione per l’eleganza e la grazia. Firenze all’epoca è una repubblica dove il cittadino contribuisce alla crescita della collettività (particolarità riscontrabile anche nel mondo classico). Tra il 1418 e il 1434 si passa dal regime oligarchico al potere della famiglia Medici, che diviene una delle maggiori committenze private (la fama degli artisti è subordinata ai committenti, che si identificano con le famiglie facoltose). Lo sviluppo del Rinascimento non avviene in modo omogeneo in tutta la penisola: da Firenze, tramite gli spostamenti degli artisti, il linguaggio figurativo viene esportato nel resto d’Italia, dapprima a Roma e Venezia, successivamente a Ferrara, Urbino, Siena, Pisa, Perugia, Mantova, Milano e Napoli.

L’architetto si fa scienziato

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Le origini italiane e gli aspetti politici e culturali dell’epoca

L’arte come strumento di conoscenza

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Durante l’Umanesimo e il Rinascimento l’arte diviene anch’essa strumento di conoscenza del reale, assumendo i metodi di indagine della scienza e basandosi su fondamenti razionali quali la prospettiva. L’architetto del Quattrocento può essere paragonato a uno scienziato, poiché fa tesoro del passato per rileggerlo in un’ottica nuova, basata sull’analisi scientifica.

Architettura LA PROSPETTIVA RINASCIMENTALE

I principi del metodo prospettico erano già contenuti in nuce nella teoria ottica medievale, ma, mentre questa tendeva a mostrare l’apparenza della realtà, la prospettiva rinascimentale si pone l’obiettivo di dare una fedele rappresentazione del mondo, ricostruito su regole geometriche. Nata dallo studio della geometria e dell’ottica, permette di codificare la realtà sottoponendola a una legge razionale universale. Questa soluzione tecnica rappresenta gli oggetti secondo una serie di linee convergenti in un unico punto (punto di fuga), posto sulla linea dell’oriz-

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zonte di fronte all’occhio dell’osservatore; su queste diagonali visive vengono distribuite le figure, che assumono dimensioni differenti in relazione alla lontananza o vicinanza rispetto allo spettatore. La prospettiva è di tipo lineare e risolve l’annoso problema della rappresentazione di una realtà tridimensionale su una superficie piana; è unitaria perché relaziona la molteplicità degli elementi del reale all’unico punto di vista dello spettatore, che risulta protagonista dello spazio; è infine di origine matematica, perché segue precise leggi razionali imposte dall’uomo.

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esPer comprenderlo al meglio è quindi necessario tenere consodelle differenti realtà storiche, politiche e culturali delle to diverse in città italiane. Le fasi nelle quali gli storici sono soliti Tre fasi suddividere lic il periodo rinascimentale sono tre. en ■ Primo Rinascimento za Il primo Rinascimento gli anni compresi tra il 1420 a interessa e il 1500. L’utilizzo di forme filo geometriche, chiaramente delineate per mezzo della prospettiva e dell’introduzione del m Nuova concezione modulo quadrato, dà luogo aeuna nuova concezione dello na Altro elemento distindello spazio spazio: rigoroso, armonico, semplice. tivo è l’impiego della pianta a schema rocentrico e di quella a nd La facciata è schema longitudinale per gli edifici religiosi. a distribuzione concepita come proiezione all’esterno della , 8l’uomo e spaziale interna, per esprimere la relazione litra Il modello classico l’ambiente. Non meno importante è la ripresa degli 74ordini architettonici, espressione dell’equilibrio e dell’eleganza 2 dell’architettura classica: la loro scansione è usata per 9 de,

Ricerca della bellezza 186

scrivere lo scheletro strutturale. Gli ordini, così come le campate, vengono combinati insieme secondo leggi geometriche di aggregazione e ripetuti all’infinito creando nuove tipologie edilizie, non solo per gli interni, ma anche per le facciate (esempi significati sono le chiese di S. Lorenzo e di S. Maria Novella, a Firenze). Tali applicazioni possono trovare espressione, ad esempio, nella sovrapposizione degli ordini, allo scopo di dare armonia e dinamismo, e nell’ordine architravato o archivoltato. La ricerca della bellezza attraverso la classicità si manifesta con il sapiente connubio tra elementi verticali (le colonne, le le-

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1 - Inquadramento storico

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sene, le paraste e i capitelli) e orizzontali (le trabeazioni e le cornici), con la ripresa del modello dell’arco romano a tre fornici e tramite l’uso dell’arco a tutto sesto. L’impiego di una ricca decorazione (tipica del Tardogotico) scompare per lasciare il posto a scansioni ritmiche degli elementi architettonici, chiara definizione dei volumi costruiti ed equilibrato rapporto tra pieni e vuoti. Le facciate dei templi religiosi fanno mostra di timpani, coronamenti a lunetta sulle finestre e portali privi di strombature; per le coperture si preferiscono volte a botte o a vela e tetti a capanna, e si evidenzia un interesse per l’impiego della cupola intesa come forma armonica e perfetta. I padri fondatori del primo Rinascimento sono Filippo Bru- I primi protagonisti nelleschi e Leon Battista Alberti. Dopo il 1450 il linguaggio rinascimentale da Firenze si sposta a Venezia e a Milano, con Michelozzo Michelozzi di Bartolomeo (1396-1472) e Filarete (1400-1469), per non dimenticare le corti principesche di Rimini, Mantova e l’ambiente urbinate con Luciano Laurana (1420-1479). ■ Medio Rinascimento Il medio Rinascimento si sviluppa in un arco di tempo che va dal 1500 al 1530 circa. Il XVI secolo vede il ritorno a Roma del Papato da Avignone e il conseguente rinnovamento edilizio e culturale della città, con il moltiplicarsi di nuovi palazzi e chiese cui si accompagna il rimaneggiamento di numerose vecchie costruzioni. Il centro della vita artistica da Firenze si sposta quindi a Roma. Il maggior esponente del periodo è Donato Bramante, attraverso le cui opere si colgono i tratti salienti del Rinascimento maturo: la grande innovazione consiste in un nuovo procedimento di progettazione che supera quello del Brunelleschi, poiché introduce una spazialità in cui l’organismo architettonico è costituito da una semplice aggregazione di cellule tridimensionali aventi volumi diversi. Altri elementi cardine del periodo sono la compenetrazione tra pieni e vuoti e la relazione tra architettura e ambiente: l’impiego di balaustre, colonnati e nicchie permette allo spazio di penetrare all’interno dell’edificio, e contemporaneamente all’edificio stesso di proiettarsi all’esterno attraverso elementi aggettanti (gradoni, cupole e lanterne). Proseguono la propensione per gli impianti centrali, con piante cruciformi o quadrate, la sovrapposizione degli ordini, l’orizzontalità dei tetti con frontoni, la ricchezza degli elementi decorativi e la ripresa del motivo dell’arco onorario, utilizzato sia nei prospetti sia all’interno delle chiese. Il Rinascimento raggiunge l’apice nel Cinquecento, ma nel-

Il ritorno del Papato

Roma capitale artistica

Continuità con il primo Rinascimento

Apice e declino 187

Architettura

La diaspora degli artisti

Tensione ideale verso la perfezione

L’ordine gigante

Il principio fondante del Manierismo Divertire e stupire

lo stesso secolo si segnala anche l’inizio della crisi: l’uomo rinascimentale, proprio perché crede nella ragione, è costantemente spinto dall’ansia della ricerca fino all’estremo delle possibilità, e perciò è destinato all’insoddisfazione. Il Sacco di Roma del 1527 segna la sottomissione degli Stati italiani alla dominazione spagnola; nel mondo delle arti inizia la diaspora di molti artisti attivi a Roma e il conseguente ampliamento del linguaggio rinascimentale su scala europea. ■ Tardo Rinascimento e Manierismo Il tardo Rinascimento copre un arco di vent’anni, dal 1530 al 1550; le idee nate nei decenni tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento si sviluppano e il loro significato viene ampliato. La cultura del tardo Quattrocento giudica ogni esperienza reale con il metro della perfezione assoluta cui si può tendere; la successiva generazione del Cinquecento sfiora questa perfezione, con artisti come Raffaello Sanzio (14831520) e Michelangelo Buonarroti (1475-1564). Il tardo Rinascimento non può non essere analizzato insieme con il Manierismo, movimento stilistico che si colloca tra il 1520 e il 1620 circa. I segni precursori del Manierismo si possono già vedere nei grandi maestri del tardo Rinascimento, che ingigantiscono gli stili dell’antichità con l’introduzione del cosiddetto ordine gigante, accentuando gli elementi chiaroscurali con la realizzazione di spazi poliprospettici. I massimi esponenti del tardo Rinascimento, che nelle loro opere anticipano lo stile manierista, sono Raffaello, con villa Madama, a Roma, Baldassarre Peruzzi (1481-1536), con villa Farnesina e Palazzo Massimo, Michelangelo, con la Sacrestia Nuova, lo scalone della Biblioteca Laurenziana e il Campidoglio. Alla base del Manierismo c’è il rifiuto dell’armonia e della compostezza classica, e quindi la sua deformazione. Questo porta a una trasgressione delle regole, alla ricerca del capriccio, all’accentuazione delle decorazioni, a ritmi ambigui, all’indeterminazione spaziale e a un’architettura volta a divertire e stupire attraverso elementi sovradimensionati o tramite un’articolazione complessa delle superfici. A questo atteggiamento trasgressivo mancano la chiarezza d’intenti e la sistematicità necessarie a un rinnovamento del linguaggio architettonico, per il raggiungimento del quale bisognerà attendere l’epoca barocca. Il repertorio artistico della “terza maniera”, cioè del pieno Manierismo, rende difficile la formazione di una cultura omogenea, dando vita a differenti realtà locali; i due primi centri di elaborazione sono Firenze e Roma. Consulente del granduca Cosimo I è Giorgio Vasari (1511-

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Mancanza di un linguaggio comune

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1 - Inquadramento storico

1574), scrittore e architetto, che si ricorda tra l’altro per il progetto della Galleria degli Uffizi (1560), costituita da due corpi di fabbrica paralleli che creano due lunghe linee prospettiche convergenti nel punto di fuga, individuato nella grande finestra serliana (a tre aperture) del piano terra. Ricordiamo anche i manieristi michelangioleschi alla corte medicea nei nomi di Bartolomeo Ammannati (1511-1592) e I manieristi Bernardo Buontalenti (1536-1608). michelangioleschi A Roma si afferma la produzione monumentale della corte pontificia. Personaggio chiave fu il Vignola, il quale, oltre a scrivere Il Vignola il trattato Regola delli cinque ordini di architettura, introduce una tipologia edilizia per gli edifici religiosi, mentre per gli edifici civili utilizza il bugnato e la sovrapposizione degli ordini, con paraste che dividono le facciate in moduli regolari.

SCHEMA RIASSUNTIVO NUOVA CONCEZIONE DELL’INDIVIDUO E DEL PROGETTO

LE ORIGINI ITALIANE E GLI ASPETTI POLITICI E CULTURALI DELL’EPOCA

L’Umanesimo è un movimento di rinascita che mette l’uomo al centro dell’Universo. L’architettura diventa un modo di conoscere la realtà, grazie al legame con la scienza e la sfera razionale.

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Il potere della famiglia Medici a Firenze fa da catalizzatore di architetti e artisti rinascimentali. Il primo Rinascimento (1420-1500) si distingue per l’uso di forme geometriche e del modulo quadrato, che creano uno spazio rigoroso, armonico e semplice. Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti ne sono i massimi esponenti. Il medio Rinascimento (1500-1530) vede il ritorno della sede papale da Avignone a Roma. Il Bramante introduce una nuova concezione di progettazione basata sul rapporto tra altezza e larghezza, con la compenetrazione tra pieni e vuoti. Altri esponenti di spicco del periodo sono Leonardo, Michelangelo e Raffaello. Il tardo Rinascimento (1530-1550) si fonde con l’inizio del Manierismo (1520-1620 ca.), che rifiuta l’armonia e la compostezza classiche, ricercando la trasgressione delle regole. A Firenze opera Giorgio Vasari, a Roma il Vignola.

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2 Aspetti tipologici Tema fondamentale dell’architettura rinascimentale è lo studio della città, idealizzata sulla base di schemi geometrici e leggi prospettiche che consentono di pianificare un sistema equilibrato e armonico. Stato e Chiesa erigono le proprie costruzioni, rappresentate rispettivamente da palazzi urbani e ville e da cattedrali e chiese.

Architettura rinascimentale: la chiesa, il palazzo, la villa, la città ideale Ognuno dei tre periodi rinascimentali, pur mantenendo costanti lo stile architettonico e l’ambiente culturale dell’epoca, ha caratteristiche proprie. Anche le tipologie edilizie, di conseguenza, sono soggette a lievi modifiche lungo il trascorrere dei secoli.

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Primo Rinascimento ■ La chiesa Nel primo Rinascimento viene impiegato più frequentemente lo schema longitudinale a croce latina, con navata unica circondata da cappelle laterali o a tre navate; l’ingresso è posto sul lato breve, mentre l’abside conclude il lato opposto dove è presente il coro; quest’ultimo è anticipato dal presbiterio, posto all’incrocio tra la navata centrale e i bracci del transetto. La predilezione per queste piante a croce latina, specialmente da parte del Brunelleschi, è dovuta all’introduzione del modulo prospettico e di una nuova conseguente conquista lineare dello spazio. La ripetizione del modulo quadrato in pianta (cubico in alzato) permette la formazione delle navate, dei tranEquilibrio setti e delle cappelle laterali impostate su campate quadrate. delle tre dimensioni Questo elemento modulare, moltiplicato o diviso, genera un equilibrio delle tre dimensioni. Per quanto riguarda gli alzati dell’interno, le pareti sono il piano su cui viene disegnata l’intelaiatura prospettica; la scansione dell’ordine descrive invece lo scheletro strutturale. Nel muro di tamponamento sono scavate nicchie semicircolari sovrastate dall’uniforme disposizione delle finestre, che consente alla luce di illuminare ogni angolo dell’intera aula. La copertura può essere piana, a botte liscia o cassettonata; la cupola posta all’incrocio tra navata e transetto costituisce un elemento costante per gli edifici religiosi. Esempi di impianti longitudinali sono la chiesa di S. Lorenzo e quella di S. Spirito, a Firenze, del Brunelleschi, e la chiesa di S. Andrea, a Mantova, dell’Alberti.

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2 - Aspetti tipologici

Ripresa dello schema centrico

■ Il palazzo La tipologia del palazzo rinascimentale si forma in modo graduale, tramite un processo di aggregazione delle cosiddette case a corte medievali. Queste case erano dimore organizzate intorno a un cortile circondato da torri, botteghe, magazzini e abitazioni, fino a formare un complesso unitario; il rinnovamento di queste strutture porta alla nascita del palazzo urbano. Edificio prestigioso, il palazzo è un elemento simbolo della tipologia architettonica rinascimentale, poiché non è solo residenza di grandi famiglie, ma anche strumento

Rivisitazione delle case a corte medievali

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Insieme agli schemi longitudinali vengono ripresi gli schemi centrici già diffusi nell’antichità, poiché il cerchio è il simbolo del divino e forma perfetta (ricordiamo esempi di impianti a croce greca, cruciforme o centrali come la Sacrestia Vecchia e la Cappella dei Pazzi, a Firenze, del Brunelleschi). Le facciate delle chiese sono arricchite da tarsie dicrome che dividono in parti geometriche le superfici insieme con l’impiego di lesene, le quali a loro volta definiscono l’altezza della navata centrale interna, in una corrispondenza reciproca tra esterno e interno (S. Andrea, a Mantova; S. Maria Novella, a Firenze). Nel medio Rinascimento si rivoluzionano definitivamente gli impianti delle chiese, preferendo quelli a pianta centrale: si abbandona l’equilibrio quattrocentesco per ottenere maggior dinamismo e plasticità. Un esempio fondamentale di tempio religioso del tardo Rinascimento si ritrova nei differenti progetti per la pianta a croce greca della basilica di S. Pietro. I più rilevanti sono quello del Bramante, del 1505, e quello di Michelangelo, del 1546. Il Bramante propone una croce greca con absidi a conclusione di ogni braccio, fissando così il modello spaziale. Michelangelo mantiene l’impianto a croce greca, l’ambulacro quadrato sormontato dalla cupola centrale e i bracci della croce, ma elimina tutte le aggregazioni di cellule spaziali bramantesche per arrivare a un unico spazio cruciforme sormontato dalla gigantesca cupola. Con il tardo Manierismo si ritorna all’impianto basilicale, in particolare per volere della Compagnia dei Gesuiti, che chiede al Vignola il progetto per la chiesa del Gesù, a Roma (1568). Rifacendosi alla pianta albertiana, anche qui il progetto configura una navata unica con volte a botte, cappelle laterali basse e cupola all’incrocio tra navata e transetto, con bracci trasversali cortissimi. Il Palladio, dal canto suo, rivoluziona la facciata delle chiese venete attraverso l’uso di motivi classici (chiesa del Redentore, del 1577, e di S. Giorgio Maggiore, del 1566), mentre nelle piante riprende lo schema del Vignola.

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Medio Rinascimento

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Tardo Rinascimento

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Architettura

di potere che contribuisce a modificare il tessuto urbano e Primo Rinascimento a dare magnificenza alla città. Un prototipo del primo Rinascimento è rappresentato da palazzo Rucellai (Firenze, 1460), dell’Alberti, primo esempio di applicazione degli ordini classici al fronte di un edificio civile. Due cornici orizzontali dividono la facciata in tre parti uguali: ogni settore è scandito da un sistema modulare di lesene alternato a bifore a tutto sesto. I semipilastri seguono la sovrapposizione degli ordini, partendo da tuscanico e ionico per concludere con il più leggero corinzio; i due estremi dell’edificio, corrispondenti all’attacco al suolo e al suo coronamento, sono caratterizzati dalla fascia basamentale con alto zoccolo e da un pronunciato cornicione. Si genera così una griglia prospettica sovrapposta al bugnato che ricopre il palazzo. Altri palazzi fiorentini ricalcano le medesime caratteristiche tipologiche: basti pensare, ad esempio, a palazzo MediciRiccardi, di Michelozzo (1444), e a palazzo Strozzi, di BeTardo Rinascimento nedetto da Maiano (1489). Il tardo Rinascimento vede la realizzazione di opere come palazzo Farnese, di Antonio da Sangallo il Giovane (Roma, 1534), dove permangono la monotonia delle finestre “inginocchiate”, tipiche cinquecentesche, e il cornicione aggettante finale, ma emerge il contrasto tra la superficie muraria liscia e il bugnato, utilizzato soltanto intorno al portone cenIl Manierismo trale o a rinforzo degli angoli. Con il Manierismo ci si allontana dai tradizionali principi rinascimentali a favore di nuove illusioni ottiche e palazzi con forme scenografiche: la varietà delle facciate con prospettive distorte, unita all’uso irregolare delle decorazioni, rompe gli schemi di armonia. Un esempio lampante è Palazzo Te, a Mantova, di Giulio Romano (1499-1546): qui l’architetto adotta un linguaggio fatto di serliane ripetute, nicchie diseguali, bugnato molto accentuato, fregi irregolari, finestre incorniciate entro archi con motivi ornamentali a ventaglio e colonne tortili. Anche l’architettura civile del Palladio rispecchia i caratteri dei palazzi rinascimentali: si ritrovano il portico a pianterreno, l’ordine gigante, la sovrapposizione degli ordini, l’equilibrio tra larghezza e altezza, ripetuti giochi chiaroscurali, cornicioni, balaustre e un abbondante uso di sculture (palazzo Thiene, palazzo Chiericati, palazzo Valmarana, palazzo della Ragione, Vicenza, 1550-1566). Villa Madama Villa Farnesina 192

■ La villa Il primo esempio di villa rinascimentale è il progetto di villa Madama, di Raffaello, del 1516; posta nelle immediate vicinanze di Roma, ricorda nell’impianto una struttura termale. Di stile più

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2 - Aspetti tipologici

Villa Farnese

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elegante è Baldassarre Peruzzi: nella sua villa Farnesina, a Roma, propone una pianta a U con avancorpi laterali aggettanti verso il giardino e un sottile marcapiano (la fascia orizzontale che segna la divisione in piani, in questo caso due). Il ritmo delle facciate è dato dal loggiato ad arco e da finestre trabeate con paraste angolari lievi. Di tipologia simile sono le ville del Vignola, per l’integrazione dell’edificio con il giardino retrostante grazie all’impiego di bracci laterali rettilinei o semicircolari, alleggeriti da loggiati e belvedere. In villa Farnese, a Caprarola (1559), il Vignola raccorda i dislivelli mediante scale rettilinee o curvilinee; la villa, a pianta pentagonale, offre contemporaneamente la vista frontale e laterale, generando un inserimento della massa edificata nello spazio. L’architetto che stabilì nuove regole nell’architettura delle ville fu Andrea Palladio: di proporzioni armoniche è villa Capra, detta La Rotonda (Vicenza, 1566), la cui particolarità è la pianta geometrica articolata sulla forma del quadrato, del cerchio e del rettangolo. Una sala centrale circolare e cupolata è circondata infatti da quattro sale rettangolari; da ciascuno dei quattro lati del quadrato sporge un pronao, dando origine così a quattro facciate simmetriche. Grazie ai pronai con colonnato ionico e timpano triangolare, al porticato aperto con arco laterale e ai gradini di accesso al giardino, il blocco chiuso e compatto della villa si apre in tutte le direzioni verso la campagna, in una fusione tra armonia classica e natura.

Figura 1 Pianta di villa Capra, detta La Rotonda, a Vicenza.

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■ La città ideale La città diviene il principale centro di potere e il luogo in cui si accentrano le ricchezze e le attività umane. Negli architetti Nuovo ideale di città rinascimentali nasce il desiderio di fondare nuove città o di riprogettare quelle più antiche ispirandosi agli stili dell’antichità: le città ideali sono insediamenti urbani che seguono schemi geometrici e leggi della prospettiva in un sistema equilibrato e armonico. Lo scopo è quello di stabilire un insieme coerente di edifici e di spazi pubblici, che esprima anche i rapporti tra Stato e Chiesa. I palazzi ridisegnano il profilo urbano, le strade e i viali assumono una disposizione cen-

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Pienza, città ideale

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Piazza del Campidoglio

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Sabbioneta e Palmanova

tralizzata in base alle regole prospettiche, le cattedrali sono ubicate nel centro cittadino con l’inserimento di fortificazioni per una maggiore difesa. Un esempio di città ideale è Pienza: la piazza, di forma trapezoidale, viene iniziata nel 1459 da Bernardo Rossellino (14091464); il palazzo vescovile e quello papale divergono rispetto al Duomo, posto sul lato lungo del trapezio. Anche il grande cantiere di Urbino è un esempio d’aggregazione di edifici perfettamente coerente con il paesaggio naturale e urbano; dal 1466 Luciano Laurana e Francesco di Giorgio Martini (1439-1502) progettano una città-palazzo: l’elegante cortile rettangolare è l’elemento ordinatore delle varie parti del complesso edilizio, illuminato dall’alto, circondato da pareti traforate mediante l’impiego del loggiato e di finestre rettangolari intervallate da paraste. L’organismo ben si raccorda con le preesistenze edilizie, nel suo alternarsi di corti e torri cuspidate medievali, generando una compenetrazione tra costruzione e spazio libero. Nel 1538 Michelangelo, con il progetto di piazza del Campidoglio, a Roma, si pone l’obiettivo di trasformare uno spazio aperto in una piazza trapezoidale che guarda verso la città moderna attraverso una scala, la quale si allarga via via che si procede verso l’alto creando una prospettiva centrale perfetta. Ricordiamo infine Sabbioneta, vicino a Parma, datata 1554, e Palmanova, presso Udine (1593), raro esempio di città ideale a planimetria stellare.

SCHEMA RIASSUNTIVO Il tipo di pianta prediletto nel primo Rinascimento è quello a croce latina, con navata unica circondata da cappelle laterali e con un rapporto tra moduli quadrati in pianta e cubici in alzato. Elemento costante è la cupola, posta all’incrocio tra navata e transetto. La pianta a schema centrico, scarsamente utilizzata, viene invece preferita nel medio Rinascimento, come mostrano i progetti di Bramante e Michelangelo per la basilica di S. Pietro. Il Manierismo ripropone poi l’impianto basilicale.

IL PALAZZO

Il palazzo rinascimentale ha una forma geometrica chiusa intorno a una corte (vedi palazzo Rucellai, a Firenze), con elementi decorativi classici. Il Manierismo introduce nuove illusioni ottiche e prospettive distorte, come in Palazzo Te, a Mantova.

LA VILLA

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LA CHIESA

LA CITTÀ IDEALE

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Andrea Palladio stabilisce nuove regole nell’architettura delle ville, con una pianta geometrica articolata sul quadrato, sul cerchio e sul rettangolo. Il blocco della villa si apre verso la campagna, fondendo l’armonia classica dell’edificio con la natura. Nel Rinascimento nasce il desiderio di costruire città ideali, o di rimodellare quelle esistenti, basandosi su schemi geometrici razionali e leggi prospettiche. Esempi sono Pienza, Urbino e piazza del Campidoglio, a Roma. Palmanova è un raro modello di città costruita ex novo a planimetria stellare.

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3 Architetti e opere

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I protagonisti del Rinascimento

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Artefici del pieno compimento degli ideali espressi durante l’Umanesimo – primo fra tutti la riscoperta della centralità dell’uomo all’interno del Creato tramite l’utilizzo della ragione –, gli architetti del Rinascimento, figure complesse e polivalenti dedite alle più diverse attività artistiche e scientifiche, riescono a concretizzare in importanti opere lo spirito del proprio tempo.

La maggior parte delle caratteristiche peculiari degli artisti del Rinascimento è stata già descritta nei paragrafi precedenti; qui di seguito vengono analizzate le figure dei principali architetti attraverso una breve biografia e un’analisi delle opere salienti.

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■ Filippo Brunelleschi Uno dei principali fondatori del linguaggio architettonico rinascimentale è Filippo Brunelleschi (Firenze, 1377-1446). I I primi studi suoi primi viaggi a Roma, dove studia i monumenti della classicità, risalgono al 1417 circa; conseguenza di questo tipo di studi, uniti a quelli di matematica e fisica, è l’elaborazione della prima formulazione delle leggi sulla prospettiva. S. Maria del Fiore Nel 1418 presenta il modello per la cupola di S. Maria del Fiore, a Firenze, sua opera maggiore, che viene ricordata per i rivoluzionari sistemi costruttivi adottati: la muratura di mattoni con andamento a spina di pesce gli permette di eliminare centine e armature progettando una struttura che si autosostiene, tramite mattoni autoportanti. I pesi e le spinte vengono scaricati per mezzo di una doppia calotta a sesto acuto divisa in otto spicchi, composti ciascuno da due costoloni; in tal modo il volume interno della cupola si differenzia in maniera armonica da quello esterno. La cupola esterna ha la funzione di proteggere quella interna più sottile, che a sua volta sostiene il peso della cupola esterna; la lanterna, progettata nel 1432, è il necessario punto di convergenza delle linee di forza dei costoloni. La considerevole altezza della cupola viene ulteriormente aumentata con la costruzione di un tamburo ottagonale dotato di grandi fi- Altre opere nestre circolari su ogni lato. Le altre opere del Brunelleschi richiamano sempre i suoi principi della prospettiva e del modulo cubico spaziale; tra esse ricordiamo la chiesa di S. Lo-

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Architettura

renzo (1420), la Sacrestia Vecchia a S. Lorenzo (1422), la Cappella dei Pazzi, a S. Croce (1429), l’Ospedale degli Innocenti (1424), il Palazzo di Parte Guelfa (1421), la rotonda di S. Maria degli Angeli (1434), la chiesa di S. Spirito (1434) e palazzo Pitti (1440), tutte costruzioni che si trovano a Firenze.

Figura 2 Veduta aerea della cattedrale di S. Maria del Fiore, a Firenze.

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■ Leon Battista Alberti L’architetto, letterato e poeta Leon Battista Alberti (Genova 1404 - Roma 1472) concepì l’architettura come progettazione, arte liberale e non arte meccanica. Le sue opere architettoniche rivelano la grande cultura classica e la ricerca di una bellezza fatta di armonia e geometrico equilibrio. Studiò a Padova e a Bologna, dove nel 1428 ottenne la laurea in diritto canonico. Dopo esser stato a Firenze, Bologna e Ferrara, ottenne nel 1432 l’ufficio di abbreviatore apo-

3 - Architetti e opere

stolico a Roma. L’interesse per l’antichità classica lo portò alla Descriptio urbis Romae (1434), il primo sistematico tentativo di messa a punto dell’aspetto di Roma antica. Descrisse per la prima volta il metodo prospettico nel De pictura (1435), dedicato a Brunelleschi, spiegando la costruzione geometrica della piramide visiva costruita con punto centrico e punto di distanza, che assieme ai successivi (De statua e De re aedificatoria) aveva l’intento di fornire regole e basi scientifiche all’artista, con la consapevolezza che si stava passando dalla figura di semplice artigiano a quella di vero e proprio intellettuale, tenuto in grande considerazione soprattutto negli ambienti di corte. La cultura lo rese ricercato presso le corti del tempo: a Ferrara progettò l’Arco del Cavallo (su cui poggia la statua equestre di Nicolò III d’Este) e il campanile della cattedrale. Di nuovo a Roma con Nicolò V, fu incaricato del riordino urbanistico della città e del restauro di S. Maria Maggiore, S. Stefano Rotondo, S. Teodoro. A Roma scrisse il trattato in dieci libri De re aedificatoria (1452), in cui si occupò dell’aspetto urbanistico della città del Quattrocento, dei suoi edifici e della loro tipologia e distribuzione, degli ordini e dei materiali da costruzione. Nel frattempo (1446-50) per Sigismondo Malatesta progettò il rivestimento con nuove strutture della chiesa gotica di S. Francesco a Rimini, che divenne il Tempio Malatestiano, in cui la facciata riprende il motivo dell’arco trionfale romano a tre fornici. Ricevette incarichi importanti dalla famiglia fiorentina dei Rucellai: il completamento della facciata di S. Maria Novella e il palazzo Rucellai, con facciata a ordini sovrapposti. Dal 1459 la sua attività si svolse soprattutto a Mantova, con la chiesa a pianta centrale di S. Sebastiano (dal 1460) e quella a pianta longitudinale di S. Andrea (dal 1470). collaborò con Rossellino (1459) alla ricostruzione di Pienza.

Il trattato De Pictura

L’attività presso le corti

Il trattato De re aedificatoria

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Il Tempio Malatestiano

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■ Donato Bramante Donato di Pascuccio d’Antonio, detto il Bramante (Monte Asdruvaldo, Fermignano 1444 - Roma 1514), architetto e pittore erede spirituale di Brunelleschi e di Leon Battista Alberti, con la sua opera architettonica, ricca di effetti luminosi precorse il gusto e le conquiste del Cinquecento, fondendo armoniosamente grandiosità strutturale e risorse prospettiche. La sua formazione si svolse nell’ambiente urbinate della corte di Federico da Montefeltro, permeato del classicismo dell’Alberti e dell’esperienza prospettica di Piero della Francesca. La prima esperienza di pittore prospettivo fu fondamentale per la realizzazione della sua prima opera di architettura,

Un precursore del Cinquecento

L’attività in Lombardia 197

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Architettura

I lavori in S. Maria dell Grazie a Milano

L’attività romana

Il progetto del nuovo S. Pietro

Gli inizi da pittore

Il ritorno a Firenze

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la sistemazione della chiesa di S. Maria presso S. Satiro a Milano (1479-83), dove risolse i condizionamenti di spazio imposti dal preesistente edificio con una falsa abside prospettica, che ristabilisce l’equilibrio proporzionale dell’insieme, dando al ristretto spazio un’illusoria qualità monumentale e scenografica. A Milano, Bramante venne a contatto con i maggiori artisti del momento: con Leonardo fu interessato alla sistemazione della piazza e del castello ducale di Vigevano, ancora con Leonardo e il senese Francesco di Giorgio Martini fornì consulenze per il Duomo di Milano e per il Duomo di Pavia. Importanti lavori condusse in S. Maria delle Grazie a Milano, dove progettò, oltre al piccolo chiostro e alla sagrestia vecchia, la grandiosa tribuna. Altre attività degli anni milanesi riguardarono la parziale realizzazione della canonica e dei chiostri di S. Ambrogio (1492-98) e gli interventi al Castello Sforzesco. Ultima testimonianza, pressoché certa, dell’attività lombarda di Bramante è l’arcone della chiesa di S. Maria Nuova ad Abbiategrasso (1497). Nel 1499, alla caduta di Ludovico il Moro, anche questo artista abbandonò Milano. A Roma, dove gli stimoli più vivi gli vennero dallo studio dei monumenti e dei sistemi costruttivi degli antichi, ricevet-te il maggiore impulso alla sua attività da papa Giulio II che gli affidò incarichi grandiosi: il rinnovamento dei Palazzi Vaticani (1503), il progetto del cortile del Belvedere (1504), interventi urbanistici con la ristrutturazione di via della Lungara, via Giulia, via dei Banchi (1505-08) e infine il progetto del nuovo S. Pietro (1506). Purtroppo ben poco è rimasto integro di questa straordinaria attività. Perduti sono inoltre il monumentale Palazzo dei Tribunali (1506-08) e il Palazzo Caprini in Borgo (ca 1510), prototipi per l’architettura civile del Cinquecento. Integri rimangono invece il coro di S. Maria del Popolo (1505-07) e il tempietto di S. Pietro in Montorio (realizzato ca 1502-10), vero paradigma dell’ideale pianta centrale. ■ Michelangelo Buonarroti Pittore, scultore, architetto e poeta, Michelangelo Buonarroti (Caprese, 1475 - Roma, 1564) viene introdotto dal padre agli studi umanistici nel 1488, quindi inizia l’attività di pittore nella bottega del Ghirlandaio. Accolto nella cerchia di artisti, letterati e filosofi di Lorenzo il Magnifico, Michelangelo viene a conoscenza delle dottrine neoplatoniche e studia la classicità. Nel 1494, a seguito della crisi di Firenze, si trasferisce a Bologna, quindi a Roma. Il ritorno nella città toscana, nel 1513, è segnato dall’incontro con Leonardo e Raffaello e dall’inizio del-

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3 - Architetti e opere

l’attività di architetto e scultore con il progetto della Sacrestia Nuova di S. Lorenzo e della Biblioteca Laurenziana, a cui la- Gli elementi vora dal 1524 al 1571. In queste realizzazioni emergono i trat- tipici della sua ti fondamentali della sua architettura: egli dona alle composi- architettura zioni grande plasticità, con le pareti interne che fungono da struttura organica e definiscono lo spazio perimetrale. Gli elementi verticali e orizzontali si staccano dalle pareti in un gioco di sporgenze e rientranze, effetto ottenuto grazie anche al contrasto cromatico tra la pietra serena e lo sfondo murario chiaro. La Sacrestia Nuova è uno spazio delimitato, ma il verticalismo viene accentuato dalla fascia intermedia delle cornici e dall’ordine gigante delle colonne binate.

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■ Sansovino

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Iacopo Tatti, detto il Sansovino (Firenze 1486 - Venezia 1570), compì la sua formazione di architetto e scultore a Roma (1506-11). Le prime prove come architetto rivelano l’intelligenza e la grande abilità con cui il Sansovino intervenne sul linguaggio bramantesco, nonostante le alterazioni subite dai suoi edifici (Palazzetti Lante e Gaddi; chiesa di S. Marcello, 1519). Col trasferimento a Venezia dopo il sacco di Roma (1527), ebbe inizio il periodo più fecondo della sua attività. Le sue architetture (Scuola Nuova della Misericordia, dal 1532; Palazzo Corner, dal 1533; S. Francesco della Vigna, dal 1534) rappresentarono l’ingresso perentorio e trionfale in Venezia del classicismo romano. Specialmente Palazzo Corner, geniale versione del tradizionale schema del palazzo veneziano in forma classicista, costituì un esempio destinato ad ampia fortuna. Ma il capolavoro massimo di Sansovino resta la ristrutturazione di Piazza S. Marco, ripensata sull’evidente modello del forum degli antichi: dal 1537 terminò le Procuratie Vecchie, costruì la Libreria Marciana, la Zecca, la Loggetta del campanile. Nell’entroterra veneto è un altro suo capolavoro, la Villa Garzoni a Pontecasale (dal 1540-45). Tra le ultime opere spiccano la Scala d’Oro in Palazzo Ducale (1544), le Fabbriche Nuove di Rialto (ca 1555) e l’Ospedale degli Incurabili (dal 1560).

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Palazzo Corner

La ristrutturazione di Piazza S. Marco

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■ Sanmicheli

Michele Sanmicheli, o Sammicheli (Verona 1485-1559), fu architetto esponente del classicismo cinquecentesco. Completò la sua formazione a Roma con gli architetti che lavoravano attorno al Bramante e ai Sangallo (Giuliano, 1445 ca-1516, che nella Villa medicea di Poggio a Caiano, creò il prototipo della villa cinquecentesca; Antonio il Vecchio 1455 ca-1534; Antonio 199

Architettura

il Giovane 1484-1546). Lavorò come ingegnere e architetto militare nel Veneto e in Dalmazia e come architetto civile a Verona (Cappella Pellegrini in S. Bernardino; Palazzi Canossa, Bevilacqua e Pompei; complesso del Lazzaretto, cupola di S. Giorgio in Braida) e a Venezia (Palazzo Grimani).

I trattatisti del Cinquecento Il trattato di architettura

Ti Gli inizi

I trattati

La formazione

Il trattato 200

Nel Rinascimento insieme a un rinnovamento filosofico inizia a diffondersi un nuovo genere letterario, il trattato di architettura. Questo contiene regole e normative riguardanti l’armonia delle proporzioni, gli orientamenti e la descrizione degli edifici, gli elementi decorativi e gli esempi di tipologie strutturali. È un apparato teorico e concettuale completo, consultato da tutti gli architetti dell’epoca e dei secoli seguenti. ■ Sebastiano Serlio Sebastiano Serlio (1475-1554) è uno dei più importanti trattatisti del Cinquecento. Inizia la sua attività come scenografo e successivamente come ingegnere. Trasferitosi a Roma nel 1515, è allievo di Peruzzi e attento studioso del rinnovamento architettonico operato da Bramante e Raffaello. Dopo il Sacco di Roma del 1527 si trasferisce a Venezia, dove si diffonde la sua fama legata alla pubblicazione del trattato Sette libri dell’architettura di Sebastiano Serlio bolognese, i cui volumi appaiono in ordine irregolare. Nel 1537 viene pubblicato il quarto volume, Regole generali di architettura sopra le cinque maniere de li edifici, riguardante gli ordini architettonici; nel 1540 il terzo, sull’architettura antica. Nei suoi trattati descrive esempi di tipologie architettoniche come la finestra serliana (largamente sfruttata dai manieristi), illustra portali bugnati ed espone il tentativo di codificare i cinque ordini architettonici. ■ Il Vignola Il più importante architetto attivo a Roma, le cui opere riflettono lo stile del tardo Rinascimento e del Manierismo e anticipano il Barocco, è Jacopo Barozzi detto il Vignola (Vignola, 1507 - Roma, 1573). Dopo una prima formazione in Emilia come pittore e prospettico, viene influenzato dal trattato di Serlio, dalla tradizione rinascimentale, dall’Alberti e da Antonio da Sangallo il Giovane. Lavora come pittore in Vaticano, soggiorna a Fontainebleau, in Francia, dal 1541 al 1543, e nel 1550 viene scelto come architetto da papa Giulio II. Delle sue opere è stato già ampiamente trattato nei paragrafi precedenti; qui lo ricordiamo come trattatista per il suo scritto Re-

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3 - Architetti e opere

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gola delli cinque ordini d’architettura, del 1562. Il trattato codifica e sintetizza il lessico architettonico classico in una sorta di manuale; fornisce una semplice interpretazione modulare degli ordini, punti sicuri dell’architettura, con una serie di tavole e brevi didascalie per descrivere le regole ordinatrici dei processi architettonici. Il suo sistema proporzionale si basa su quello di Vitruvio, esprimendo notevole semplicità nelle misure. Da Serlio riprende l’ordine composito romano, introdotto da Peruzzi, ma poi riproposto anche dal Palladio.

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■ Andrea Palladio Andrea Palladio (Padova 1508 - Vicenza, 1580), illustre architetto e teorico del Rinascimento, viene introdotto nei circoli culturali dal letterato Gian Giorgio Trissino, cui deve l’appellativo di Palladio (il suo vero nome era Andrea di Pietro della Gondo- La formazione la). La sua formazione prende spunto da nomi come Sanmicheli, Sansovino, Giulio Romano, dal trattato di Vitruvio e dai viaggi a Roma, che gli permettono di studiare gli antichi e di applicarne i principi, come la proporzione e la simmetria. Il connubio tra l’antico, Bramante, Raffaello e Peruzzi lo porta a concepire il classico non in modo imitativo, ma ad accostare in modo nuovo gli elementi stilistici e architettonici. Il Palladio vive e opera a Vicenza e Venezia e nel 1570 diviene l’architetto ufficiale della Serenissima. Lo stesso anno pub- Il trattato blica I quattro libri dell’architettura, nei quali prende in esame i fondamenti teorici, gli edifici privati, le città e i templi, gli ordini classici, le sue opere e quelle dell’antichità. Il riferimento ad altri trattatisti suoi predecessori, come l’Alberti, lo porta a definire la forma dell’edificio come un elemento che deriva dalla sua funzione e dalla collocazione in un luogo determinato. La misura è definita come rapporto tra le parti in cui vengono messi in relazione i rapporti proporzionali dei suoi edifici con quelli musicali (i pieni e i vuoti sono configurati secondo un rapporto 1:2, 2:3, 3:4). Dietro l’apparente serenità delle sue opere, data dal rispetto della sezione aurea, dall’uso di materiali poveri, di forme semplici e delle proporzioni, si nascondono la complessità e l’inquietudine non solo personali, ma caratteristiche della crisi della società della seconda metà del Cinquecento.

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Architettura

SCHEMA RIASSUNTIVO Filippo Brunelleschi studia i monumenti antichi a Roma e formula studi sulla prospettiva. Rivoluzionaria per metodo costruttivo è la cupola di S. Maria del Fiore, a Firenze, edificata con mattoni disposti a spina di pesce. Le sue opere richiamano sempre la prospettiva e il modulo cubico.

LEON BATTISTA ALBERTI

Leon Battista Alberti, laureato in diritto canonico, studioso di matematica, filosofia e letteratura, scrive diversi trattati, tra cui il De re aedificatoria, nel quale definisce la bellezza come la concordanza delle varie parti con il tutto.

DONATO BRAMANTE

Donato Bramante predilige la pianta centrale nella progettazione delle chiese. In ambito urbanistico si interessa del tracciato di importanti vie a Roma e dell’integrazione tra edificio e tessuto urbano.

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FILIPPO BRUNELLESCHI

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MICHELANGELO BUONARROTI Michelangelo Buonarroti, pittore, scultore, architetto e poeta, opera a Firenze (Sacrestia Nuova) e a Roma (Campidoglio, Cupola di S. Pietro). All’equilibrio rinascimentale contrappone forza e drammaticità.

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Sansovino, architetto e scultore, influenzato dal linguaggio di Bramante si forma a Roma ma realizza i suoi capolavori a Venezia: fra questi Palazzo Corner e la ristrutturazione di Piazza S. Marco.

SANMICHELI

Sanmicheli compie la sua formazione a Roma nella cerchia di Bramante ed è un tipico esponente del classicismo romano.

I TRATTATISTI DEL CINQUECENTO

Il trattato di architettura nasce, come genere, nel Rinascimento. Esso contiene regole e normative riguardo a ogni aspetto di un edificio, proponendo i canoni del bello. I più importanti autori sono Sebastiano Serlio, con i Sette libri dell’architettura di Sebastiano Serlio bolognese, Jacopo Barozzi detto il Vignola, con Regola delli cinque ordini d’architettura, e Andrea Palladio, con I quattro libri dell’architettura.

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MUSICA 1 La musica nell’età umanistico-rinascimentale

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In campo musicale, il Quattrocento e il Cinquecento non sono secoli di rinnovamento all’insegna dei modelli classici come lo furono per la letteratura e l’arte. Il panorama che si presenta infatti non è altro se non l’evoluzione di tutte le tendenze e i fattori che hanno contraddistinto il secolo precedente. In questo contesto la polifonia gode di un grande e ulteriore sviluppo, il cui apice è rappresentato dalla raffinata e complessa esperienza della scuola franco-fiamminga. In Italia, dove il Cinquecento fu senza dubbio l’età d’oro del madrigale, si assiste alla fine del secolo al tentativo di recupero di schemi musicali propri dell’antichità, da cui nasceranno le grandi innovazioni del Seicento.

1 La musica nell’età

umanistico-rinascimentale

Il Quattrocento avvia il movimento rinascimentale celebrando, soprattutto nelle arti figurative, nell’architettura e nella letteratura, la classicità greca e latina. Tuttavia, ciò non poté accadere nell’ambito della musica, mancando i documenti dell’antichità musicale greca, sicché questa non poteva certo proporsi o fungere come modello. Per tale motivo, il Quattrocento e il Cinquecento non rappresentarono affatto, come invece si suol dire per le lettere e le arti figurative, una rottura rispetto ai modelli medievali: al contrario, la musica proseguì sviluppando l’itinerario iniziato nel Trecento, moltiplicando e ampliando le vie formali percorse dalla polifonia. Solamente verso la fine del XVI secolo, mentre veniva sfumando il vasto e decisivo fenomeno dominante la musica quattro-cinquecentesca, e cioè la scuola cosiddetta “franco-fiamminga” o “borgognona-fiamminga”, fiorì in Italia una certa rinascita musicale dell’orientamento classicistico, desiderosa del ripristino di prassi e teorie antiche.

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Musica vocale: la scuola fiamminga

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La scuola fiamminga è il movimento musicale predominante nell’epoca umanistico-rinascimentale, originario delle regioni della Francia settentrionale e dell’attuale Belgio, fiorito tra il 1450 circa e la fine del XVI secolo. Gli specialisti vogliono riconoscervi addirittura sei generazioni di autori, compresi fra due ampie fasi successive: la prima borgognona-fiamminga, la seconda franco-fiamminga. Principalmente, i suoi esponenti furono originari delle Fiandre, ma il movimento nel suo insieme ebbe carattere internazionale, in quanto i musicisti che l’espressero svolsero la maggior parte dell’attività in paesi stranieri e il loro stile si diffuse rapidamente in tutta l’Europa. Già all’inizio del Cinquecento, il nuovo linguaggio aveva trovato ampia eco in Francia, Germania, Italia, Inghilterra e Spagna, determinando nei singoli paesi la nascita di nuove forme e modi stilistici, in cui confluivano le caratteristiche delle singole tradizioni nazionali. Nella seconda metà del XVI secolo, gli stessi musicisti franco-fiamminghi si trovarono non solo nella

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Fase borgognonafiamminga e fase franco-fiamminga

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Nuove forme e modi stilistici

Musica

Tecnica contrappuntistica e atteggiamento speculativo

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Sintesi fra tecnicismo e cantabilità Le messe 206

■ Guillaume Dufay Caposcuola della generazione borgognona-fiamminga, Guillaume Dufay (circa 1400 - Cambrai 1474) fu fanciullo cantore (puer altaris) presso la cattedrale di Cambrai e nel 1420 venne in Italia al servizio dei Malatesta a Pesaro e a Rimini; lo troviamo poi, dal 1428 al 1433, nella cappella pontificia a Roma, quindi a Firenze e a Bologna, dove il papa era fuggito in seguito ad agitazioni; dal 1437 al 1444 a Torino alla corte di Ludovico di Savoia, infine a Cambrai, con varie interruzioni. Uomo di grande cultura, Dufay assimilò tutte le esperienze musicali contemporanee, operando una prima sintesi fra il severo tecnicismo nordico e la cantabilità melodica e la chiarezza armonica tipicamente italiane. La sua produzione sacra comprende nove messe complete, 32 mottetti, sequenze, inni, antifone e 37 frammenti di messe. Le messe giovanili (Missa Sancti Jacobi, Missa Sancti Anto-

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Complessità stilistica ed espressiva

condizione di doversi confrontare con i maggiori esponenti delle singole tradizioni musicali europee (si pensi, per l’Italia, ad autori come Luca Marenzio, Giovanni Pierluigi da Palestrina e Claudio Monteverdi), ma di accoglierne ampiamente atteggiamenti di gusto e di stile. Nonostante la complessità e la varietà degli atteggiamenti stilistici ed espressivi propri della scuola fiamminga, dovute all’ampio arco di tempo nel quale essa si sviluppò e all’intricato scambio di rapporti e di influenze che ne caratterizzarono la storia, è possibile isolare alcuni tratti tipici e peculiari: in primo luogo, la creazione di uno stile basato sull’ideale equivalenza di tutte le parti del tessuto contrappuntistico e (con Josquin des Prés) sull’uso dell’imitazione rigorosa come mezzo per conferire organicità alla struttura compositiva. Lo sfruttamento delle più complesse tecniche contrappuntistiche si inserisce in una concezione estetica lucidamente intellettuale e speculativa: donde le compiaciute sottigliezze di scrittura, quali i canoni enigmatici, le composizioni cuiusvis toni (eseguibili, cioè, in qualsiasi modo gregoriano), le messe costruite su più chansons o su più canoni ecc., che hanno ingiustamente suggerito il giudizio di manieristico e arido intellettualismo. In realtà, la scuola fiamminga comprese alcune delle massime personalità della musica europea dei secoli XV-XVI: tra gli altri, Johannes Ockeghem, Jacob Obrecht, Heinrich Isaac, Josquin des Prés, Pierre de la Rue, Jean Mouton, Adrien Willaert, Nicolas Gombert, Jacques Arcadelt, Clemens Non Papa, Cyprien de Rore, Philippe de Monte, Jacobus Kerle, Orlando di Lasso, Jaches de Wert, Jakob Regnart, Giovanni de Macque.

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1 - La musica nell’età umanistico-rinascimentale

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nii Viennensis) seguono ancora la tipologia della messa in discanto o messa-cantilena, a tre voci, con la più acuta (superius) melodicamente predominante sulle due inferiori, di natura strumentale; ma, a partire dalla Missa Caput (circa 1440) e nelle successive Se la face ay pale, L’homme armé, Ave Regina caelorum ed Ecce ancilla Domini, il musicista adotta e perfeziona il modello della messa ciclica, o su cantus firmus al tenor, a quattro voci (superius, altus, tenor e bassus), in cui le differenti sezioni dell’Ordinario sono elaborate su una melodia comune, presa a prestito dal repertorio gregoriano o extraliturgico, oppure creata ex novo. La messa Ave Regina caelorum è un capolavoro per la grazia melodica, la maestria del trattamento polifonico, testimonianza dello sforzo continuo, anche da parte dell’artista ormai maturo, di mantenere la sua opera costantemente nel segno di una profonda unità artistica. Nei mottetti, a carattere sacro o politico-celebrativo, Dufay I mottetti segue in genere la strada tracciata dai suoi predecessori, sia per quanto attiene alla politestualità, sia nella scelta dell’isoritmia, procedimento, peraltro, non esclusivo nella produzione mottettistica del compositore borgognone, il quale opta talora per il più libero stile in discanto (pratica del moto contrario, per cui quando in una composizione polifonica una voce sale, un’altra voce scende), già collaudato nelle messe; tra i più famosi si citano Vasilissa ergo gaude (dedicato a Cleofe Malatesta), Apostolo glorioso (per la consacrazione di S. Andrea a Patrasso, di cui Pandolfo Malatesta era arcivescovo), Ecclesiae militantis (per l’elezione al soglio pontificio di Eugenio IV nel 1431), Nuper rosarum flores (in occasione della consacrazione del duomo di Firenze nel 1436). Le chansons (87), che si segnalano per gli straordinari ef- Le chansons fetti di colore e per il nascente senso dell’armonia tonale, seguono lo schema arcaico con le due voci superiori abbinate, mentre la terza funge da sostegno: vi predominano nettamente i componimenti amorosi, redatti in forma di ballade, rondeau o virelai ed emblematici di una sensibilità raffinata, unita a una notevole educazione letteraria (Adieu m’amour, Se la face ay pale, Resvelons nous, Bon jour, bon mois, Ce moys de mai, Ma belle dame souveraine, Mon chier amy); a esse vanno aggiunte alcune canzoni con testo italiano, tra cui Dona y ardenti ray, Donna gentil, La dolce vista e la stupenda Vergine bella, su versi di Francesco Petrarca. ■ Johannes Ockeghem Johannes Ockeghem (? Termonde, Fiandre circa 1420/25 Tours 1497) fu per oltre 40 anni al servizio della cappella del

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Musica

Maestro del contrappunto

re di Francia. Tenuto in grandissima stima, ebbe molti riconoscimenti: come tesoriere dell’abbazia di St-Martin a Tours, una delle più alte cariche del regno, godette di molti privilegi, anche finanziari. Considerato un compositore di primo piano già dai contemporanei, Ockeghem è la figura centrale della seconda generazione della scuola fiamminga, quella che segue a Guillaume Dufay e precede Josquin des Prés (che per la morte di Ockeghem scrisse una celebre déploration). Artefice magistrale di un contrappunto di straordinaria ricchezza e complessità, per l’autonomia delle singole voci e la differenziazione di ritmi simultanei, nel XIX secolo Ockeghem

IL CINQUECENTO

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assai più tardo. Mancavano all’ambiente musicale precisamente i documenti su cui celebrare l’antichità, quasi nulla essendo potuto pervenire di essa. E quando, appunto a partire dal 1550 circa, i compositori parlarono del cromatismo dei Greci, della misura “all’antica” e del recitativo come modi favoriti dal teatro classico, ciò fu in ampia misura più “presupposto” che “scoperto”. Si veniva così quasi a “inventare” una rinascita della tragedia greca, organizzando una teatralità musicale il cui merito maggiore sarebbe stato quello di preparare l’avvento del melodramma. Caratteristica indubbia del Cinquecento fu, piuttosto, l’introduzione della stampa musicale a caratteri mobili, iniziata a Venezia nel 1501 da Ottaviano Petrucci, che pubblicò un’antologia di chansons: Harmonice Musices Odhecaton A, primo libro dell’editoria musicale stampato mediante tre successive impressioni (per il rigo, per le note, per il testo). Contemporaneamente, a Roma e Venezia, Andrea Antico usava ancora il metodo della xilografia (incidendo su legno l’intera pagina da stampare). La stampa musicale si diffuse nel Cinquecento in Francia, Germania, Paesi Bassi e Inghilterra: prevalse in breve un sistema a caratteri mobili che, semplificando quello del Petrucci, consentiva un’unica impressione; ne fece grande uso Pierre Attaignant, uno dei primi grandi editori europei.

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Mentre in diversi ambiti artistico-letterari si imponeva la svolta dello stile classico rispetto al gotico, per la musica il XVI secolo non fu l’epoca del “rinascimento”, se non in senso lato, intendendo designare l’effettiva immensità della produzione profana e religiosa, vocale e strumentale di questo secolo, ispirata da un unico entusiasmo. Il passaggio apertosi nel Trecento con l’ars nova francese e italiana, attraverso cui il canto era uscito dalle cattedrali romano-gotiche del gregoriano e dell’ars antiqua, continuò a lasciar fluire ancora almeno a tutto il primo quarto del XVI secolo, irrobustendola sempre più, la corrente della polifonia vocale. È significativo che la figura forse principale di quest’arte polifonica, Josquin des Prés, fu un genio della sintesi, capace di unificare creativamente il contrappunto francofiammingo, la vocalità italiana e la valorizzazione del testo. Fra Trecento e Quattrocento non vi furono dunque rotture, perciò nemmeno una rinascita nel Cinquecento. La fioritura musicale è semmai da anticipare appunto al XIV secolo, allorché maturò l’ars nova in Francia e poi in Italia. Per quanto riguarda quella rinnovata attenzione ai valori della classicità greco-romana, così inseguita nelle arti figurative a partire già dal XV secolo, essa fu quasi totalmente assente in ambito musicale sin verso la seconda metà del XVI secolo. Il moto “umanistico” fu in musica, dunque,

1 - La musica nell’età umanistico-rinascimentale

fu ritenuto esponente di un arido tecnicismo, specialmente a seguito dello sfoggio virtuosistico nella Missa cuiusvis toni, nella Missa prolationum e nel Deo gratia a 36 voci suddivise in sei cori a sei voci. Tuttavia, una più approfondita conoscenza della sua opera (19 messe, delle quali soltanto dieci sono complete, mentre le altre non comprendono tutte le sezioni dell’Ordinarium missae; un Requiem; una dozzina di mottetti; circa 20 chansons) ha portato al riconoscimento della ricchezza inventiva, della versatilità e libertà Ricchezza inventiva delle sue architetture sonore, ma anche dell’intensità e commozione, in particolare delle messe. Metà di queste (Caput, Ecce ancilla Domini, L’homme armé, De plus en plus) sono elaborate utilizzando l’antica pratica del cantus firmus, ove la melodia viene solitamente affidata al tenor, tranne qualche caso in cui compete al soprano. Altre messe (Mi mi, Quinti toni, Missa sine nomine) sono invece libere nell’andamento contrappuntistico e imitativo.

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■ Josquin des Prés Cantore presso il Duomo di Milano dal 1459 al 1472, Josquin La vita des Prés, o Desprèz (nel Vermandois, Piccardia circa 1440 Condé-sur-l’Escaut, Valenciennes circa 1521) entrò più tardi a far parte della cappella del duca Galeazzo Maria Sforza e dal 1479 fu, con ogni probabilità, alle dipendenze del cardinale Ascanio Sforza (di qui il soprannome Josquin d’Ascanio datogli da Serafino Aquilano). Dal 1486 al 1494 appartenne alla cappella papale e nel 1503 entrò a servizio presso il duca Ercole I d’Este a Ferrara; visse poi stabilmente in Francia, fino al 1515 sotto la protezione di Luigi XII, e negli ultimi anni fu canonico prebendario del capitolo di Condé. Ebbe rapporti anche con la casa d’Asburgo e con Margherita d’Austria, reggente dei Paesi Bassi. La fama di cui Josquin godette già in vita è attestata dalla frequenza con cui il suo nome ricorre nelle edizioni a stampa, soprattutto dei primi due decenni del XVI secolo, e dal paragone che lo scrittore fiorentino Cosimo Bartoli istituì fra lui e Michelangelo Buonarroti. Autore della terza generazione di fiamminghi, punto d’arrivo del processo di emancipazione dalla scrittura polifonica quattrocentesca verso una concezione che sarà propria del Rinascimento, egli aprì la via a una nuova considerazione del testo, instaurando una stretta interdipendenza tra pa- Interdipendenza rola e musica e associando alla rigorosa complessità dei fra parola e musica procedimenti costruttivi una continua ricerca espressiva. Tale dialettica si traduce nell’alternanza tra episodi accordali ed episodi imitativi, nell’alleggerimento temporaneo dell’ordito contrappuntistico, nell’evidenza conferita agli

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Nicolas Gombert

Adrien Willaert

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elementi tematici più densi di significato e in una maggiore libertà dagli schemi metrici. Delle 18 messe presenti nel suo catalogo, alcune seguono la tradizionale tecnica del cantus firmus (Ave maris stella, De beata Virgine, Missa di dadi, D’ung aultre amer, Faisant regretz, Gaudeamus, Hercules dux Ferrariae, La sol fa re mi, L’homme armé sexti toni, L’homme armé super voces musicales, Pange lingua ecc.), altre sfruttano invece il più recente procedimento della parodia (Fortuna desperata, Malheur me bat, Mater Patris); altre, infine, sono costruite su cicli di canoni (Ad fugam, Sine nomine). Espressione altrettanto raffinata dell’arte di Josquin sono i mottetti (circa 85), la maggior parte dei quali sembra appartenere al periodo della maturità, e soprattutto le composizioni profane (una settantina), siano esse chansons, ormai affrancate dal vincolo delle cosiddette formes fixes (Adieu mes amours, Bergerette savoyenne, En l’ombre d’un buissonnet, Ma bouche rit, Mille regretz, Petite camusette), frottole in stile italiano (El grillo è buon cantore, Scaramella va alla guerra, In te Domine speravi), intonazioni di versi virgiliani (Dulces exuviae, Fama malum) o brani strumentali (Fortuna d’un gran tempo, Vive le roy, La Bernardina). Un cenno a parte merita la bellissima deplorazione per la morte di Ockeghem, Nymphes des bois, su testo di Molinet. ■ Nicolas Gombert e Adrien Willaert Compositore ormai cinquecentesco della quarta generazione dei fiamminghi, Nicolas Gombert (? Bruges circa 1500 ? Tournai 1556) fece parte della cappella privata dell’imperatore Carlo V, al cui seguito viaggiò lungamente in Spagna, Italia, Germania e Austria. Dal 1540 risiedette forse a Tournai, della cui cattedrale fu canonico a partire dal 1534. Ultimo esponente della grande tradizione contrappuntistica fiamminga facente capo a Josquin des Prés, raggiunse nei suoi lavori (dieci messe, circa 160 mottetti, otto magnificat e una sessantina di chansons) un altissimo livello tecnico ed espressivo, esercitando una durevole influenza sui compositori contemporanei e sulle generazioni posteriori. Il suo stile è caratterizzato dall’imitazione continua, con la partecipazione pressoché costante di tutte le voci. La produzione religiosa, confacente al suo stile rigoroso e conciso, fu di livello assai superiore rispetto a quella profana. Originario delle Fiandre, Adrien Willaert (Bruges circa 1490 - Venezia 1560) giunse in Italia, prima a Ferrara, alla corte del duca Alfonso I d’Este, poi a Milano, cantore presso l’arcivescovo Ippolito II d’Este, e infine a Venezia, maestro di cap-

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pella in S. Marco dal 1527 fino alla morte. Nei quasi trentacinque anni della sua attività veneziana, affiancò alla sua attività di compositore il ruolo di pedagogo, insegnando per la prima volta in Italia la tecnica fiamminga e raggruppando attorno a sé una vera e propria scuola. Nell’ambito sacro scrisse nove messe e più di 350 mottetti, mostrandosi in questi ultimi un vero maestro, padrone di tutte le tecniche conosciute: oltre all’attaccamento alle tradizioni fiamminghe (cantus firmus, costruzioni a canone), esibì apertura alla sensibilità italiana e interesse per tutte le modalità di scrittura polifonica. I Salmi spezzati (1550) esaltano il senso della prosodia nel canto dei salmi a otto voci e la capacità straordinaria di suscitare effetti nella contrapposizione dei due cori. Fra i suoi allievi di maggior prestigio vanno ricordati: Cyprien de Rore, suo successore a S. Marco, pro- Gli allievi di Willaert tagonista della prima grande fioritura del madrigale, autore di cinque messe, 87 mottetti, una Passione secondo S. Giovanni, 116 madrigali, vari magnificat; Gioseffo Zarlino, anch’egli maestro di cappella a S. Marco, a sua volta didatta e compositore, noto soprattutto per i trattati di armonia; Andrea Gabrieli (vedi pag. 217).

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■ Orlando di Lasso La formazione musicale di Orlando di Lasso, propriamente La vita Roland de Lassus (Mons, Hainaut 1530/32 - Monaco 1594), è piuttosto oscura. Non si conoscono, infatti, i nomi dei suoi maestri, ma è certo che conobbe e fu influenzato dai grandi musicisti del suo tempo. Fu fanciullo cantore presso il viceré di Sicilia Ferrante Gonzaga; poi, dopo il 1549, fu a Napoli e quindi maestro di cappella in S. Giovanni in Laterano a Roma. Dopo un viaggio in patria, in Inghilterra e in Francia, nel 1557 si stabilì a Monaco, dapprima come tenore della cappella del duca Alberto V di Baviera, poi dal 1562-63 come maestro di cappella. Seguì il duca nei suoi viaggi attraverso l’Europa, venendo a contatto con esperienze musicali diverse e godendo del favore delle grandi corti. La sua vastissima produzione abbraccia quasi tutti i generi musicali dell’epoca, comprendendo circa 700 mottetti, 58 messe, poco meno di 200 madrigali, 33 villanelle, più di 90 Lieder tedeschi, circa 150 chansons. Lasso godette del privilegio della stampa fin dalle sue prime raccolte di mottetti, pubblicate ad Anversa nel 1556, e dal I libro di Madrigali a cinque voci, edito a Venezia da Gardano nel 1555. Vi si ravvisa una sintesi delle tradizioni fiamminga, francese, italiana e tedesca, sotto il segno di una personalità creatrice libera ed estrosa. Insieme con Giovanni Pierluigi da Pale-

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Una figura dominante La preminenza del mottetto

Il linguaggio musicale

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strina, Lasso è figura dominante della sua generazione: delle profonde differenze che lo separano dal musicista italiano si può considerare emblematica, nel campo della musica sacra, l’importanza preminente che assume in lui, rispetto alla messa, il mottetto, scritto per due sino a otto voci. In questo genere di composizione, Lasso riesce a dimostrare come la musica possa trarre dal testo l’essenziale della sua sostanza espressiva senza assoggettarvisi. Padroneggiando magistralmente le risorse della scrittura madrigalistica, egli fa risaltare con tutta la finezza della propria arte anche le minime intenzioni descrittive o emotive del testo. Gli effetti di questa maestria sono apprezzabili sia seguendo il profilo armonico cromaticamente impreziosito, sia nei contrasti ritmici e nella melodia dalle linee fantastiche e inconsuete. Nella sua evoluzione stilistica, il compositore accoglie inizialmente esperienze intense e complesse, con una forte e raffinata caratterizzazione psicologica, per volgersi poi a un linguaggio più rarefatto, caratterizzato da un’essenzialità rigorosa. Il suo linguaggio contrappuntistico preannuncia, per qualche aspetto, lo stile recitativo della monodia affermatasi nel decennio successivo alla sua morte.

Forme dell’arte vocale in Italia: il madrigale Il mecenatismo

Le umili origini della frottola

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La vita musicale italiana è sorretta, lungo tutto il suo itinerario quattro-cinquecentesco, dall’ausilio del mecenatismo dovuto a personalità “illuminate”, quali i Medici a Firenze, gli Este a Ferrara, gli Sforza a Milano, solo per ricordare i ceppi familiari più noti, mossi da autentico amore per l’arte e dal rispetto degli artisti, concretizzato in sostegni economici, committenze, fondazioni di accademie: il fervore fu intenso e materialmente partecipe. Fu da questo ambiente favorevole che maturò l’età aurea del madrigale. Sul piano musicale, questa fioritura ebbe una premessa importante in un’arte vocale polifonica profana fortemente radicata nella tradizione locale, la frottola. ■ La frottola Genere vocale di origini umili, ma d’importanza notevole nella musica italiana del XVI secolo, la frottola, talora detta anche barzelletta o strambotto, era già praticata dalla fine del XV secolo. Era scritta per lo più a quattro voci, in stile accordale, con andamenti melodici e ritmici incisivi e di immedia-

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ta orecchiabilità. Il tipo di scrittura consentiva sia l’esecuzione a quattro voci (spesso con intervento di strumenti), sia a voce solista (che cantava la parte più acuta) e liuto (che raccoglieva le parti inferiori). Fiorita alla corte di Isabella d’Este a Mantova con Cara, Tromboncino e Pesenti, la frottola si diffuse presso le corti italiane centro-settentrionali. Nella sua fluida naturalezza e nella semplicità delle sue strutture melodiche, abbandonata ogni pretesa colta o intellettuale, la frottola fu importante perché dimostrava la possibilità per la poesia di congiungersi anche a una forma semplice, con un ritmo vivo e una sequenza regolare. Dalla musica colta essa derivò la scrittura polifonica, ma spogliandola di ogni intellettualismo: sostituì melodie concise al contrappunto imitativo, stabilite su ritmi precisi, ricavati direttamente dalla lettura del testo poetico; privilegiò l’aspetto ritmico, mentre conferiva alla voce superiore una netta prevalenza melodica, che si rendeva ancora più evidente nelle trascrizioni per voce e liuto.

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■ I percorsi del madrigale Il madrigale rinascimentale si sviluppa, a cominciare dal 1530 circa, dall’incontro fra il repertorio italiano della frottola, di impostazione armonico-accordale, con prevalenza della voce superiore, e la sensibilità contrappuntistica dei maestri fiamminghi. La struttura strofica della frottola si trasforma in un organismo musicale aperto, che si modella, momento per momento, sul contenuto sentimentale e immaginativo del testo. Quest’ultimo, a sua volta, abbandona il tono popolaresco e assume quello più raffinato della lirica illustre, sul modello di Petrarca. Nel Rinascimento, il madrigale ricerca un rapporto sempre più stretto, penetrante e incisivo fra parola e musica: se quest’ultima non rinuncia, nei primi esempi (di Festa, Verdelot, Arcadelt), alla ricerca di un’autonoma armonia architettonica, con Adrien Willaert, Cyprien de Rore, Philippe de Monte, Orlando di Lasso essa tende a illustrare le più riposte sfumature del testo attraverso l’uso del cromatismo, del contrappunto, dell’armonia, del timbro. Mentre Luca Marenzio, nelle ultime opere, e Carlo Gesualdo portano la poetica del madrigale cinquecentesco a una sorta di lucido delirio manieristico, Monteverdi avvia la forma verso esiti completamente nuovi, attraverso l’uso dello stile concertato per voci e strumenti, della monodia e infine, come nel Combattimento di Tancredi e Clorinda, con l’ausilio della dimensione scenica (quest’ultima sottintesa nell’interessante esperienza del madrigale dialogico, di tono popolaresco, coltivato da Vecchi, Croce, Banchieri). Il madriga-

L’incontro fra la frottola e il contrappunto fiammingo

Rapporto fra parola e musica Gli autori

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le toccherà così i più alti vertici estetici della sua storia, ma concluderà anche (intorno alla metà del XVII secolo) l’arco del suo sviluppo. Certe sue caratteristiche (a cominciare dallo strettissimo rapporto fra dimensione verbale e dimensione musicale) passeranno in altre forme e, in particolare, in quella della cantata da camera. Vita

■ L’apogeo del madrigale: Marenzio Luca Marenzio (Coccaglio, Brescia circa 1553 - Roma 1599) visse prevalentemente a Roma, dapprima (1572-78) al servizio del cardinale Cristoforo Madruzzo, poi (1578-85) di Luigi d’Este. Nel 1589 partecipò a Firenze alle feste per il matrimonio tra Ferdinando de’ Medici e Cristina di Lorena con due intermedi (La gara fra Muse e Pieridi e Il combattimento poetico di Apollo). Tornato a Roma, nel 1589 fu al servizio degli Orsini e del cardinale Montalto. Nel 1595 passò alle dipendenze del re Sigismondo III di Polonia: tuttavia, non si conoscono con sicurezza notizie del suo soggiorno in quel paese. Nel 1598 Marenzio era a Venezia, l’anno dopo a Roma (probabilmente come musicista della cappella papale), dove morì. La fama di Marenzio è essenzialmente legata alla sua produzione madrigalistica, che rappresenta un momento culminante della fase più matura e raffinata del madrigale. In essa l’impiego magistrale della più ricca e complessa scrittura contrappuntistica cinquecentesca è posto al servizio di un’attenta ricerca espressiva, di un’invenzione estremamente varia e sciolta, sostanzialmente mantenuta all’interno di un’ispirazione legata agli equilibri rinascimentali: in tal senso Marenzio si differenzia dagli altri maggiori madrigalisti della sua età ed è estraneo alle febbrili ricerche di Gesualdo di Venosa (e alle sue più intense sperimentazioni cromatiche) e all’interesse di Monteverdi per il nuovo linguaggio monodico. Accanto ai 419 madrigali (raccolti in un libro a quattro voci, nove libri a cinque voci, sei libri a sei voci e altri volumi), vanno ricordate le raffinate villanelle (118 in cinque libri), che come i madrigali ebbero larga diffusione anche fuori d’Italia, e la produzione sacra, quantitativamente più scarsa (e in parte perduta), ma non poco rilevante (se ne conoscono 77 mottetti).

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Equilibri rinascimentali

Vita e opere

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■ Espressionismo e declamazione: Gesualdo Carlo Gesualdo, principe di Venosa (Napoli circa 1560-1613) e nipote per parte di madre di Carlo Borromeo, si rese celebre per due episodi: l’uccisione della giovane moglie Maria d’Avalos, colta in flagrante adulterio con l’amante Fabri-

1 - La musica nell’età umanistico-rinascimentale

zio Carafa (1590), e il secondo matrimonio con Eleonora d’Este, nipote del duca Alfonso II (1594). Formatosi alla scuola di qualche maestro napoletano che frequentava la casa del padre (forse Nenna, Primavera o de Macque), con il trasferimento alla corte di Ferrara Gesualdo varcò la soglia dell’accademia musicale più aristocratica ed esclusiva del Rinascimento, dove operavano Tasso, Guarini, Luzzaschi e de Wert. Compositore estroso e personalissimo, scrisse sei libri di madrigali a cinque voci (i primi quattro pubblicati a Ferrara tra il 1594 e il 1596, gli ultimi due a Gesualdo, vicino a Napoli, nel 1611), due libri di mottetti e uno di responsori, più alcuni madrigali a sei voci, pubblicati nel 1626 da Efrem, e le canzonette a cinque voci che Nenna incluse nel suo Ottavo Libro di Madrigali (1628). Ciò che caratterizza i madrigali di Gesualdo è un atteggia- L’atteggiamento mento espressionistico, che si manifesta attraverso la con- espressionistico tinua alternanza di ombre e luci, di contorcimenti cromatici, di salti melodici dissonanti e di successioni accordali audaci e imprevedibili, ai quali il compositore affida il compito di svelare l’ineffabilità del dolore, della speranza o della gioia. In ogni caso, il risultato fonico resta sorprendente, sottolineato com’è da uno stile vocale declamatorio che si discosta tanto dall’esperienza precedente di Marenzio, quanto dal suo contemporaneo Monteverdi.

La musica vocale religiosa: Palestrina

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Giovanni Pierluigi da Palestrina (Palestrina, Roma circa 1525 Vita - Roma 1594) fu fanciullo cantore presso la chiesa di S. Maria Maggiore a Roma; nel 1544 divenne organista e maestro di canto nel duomo di Palestrina. Quando Giovanni Maria del Monte, vescovo di Palestrina, divenne papa Giulio III, fu chiamato a Roma come maestro della Cappella Giulia (1551), quindi (1555) cantore alla Cappella Sistina, ma nello stesso anno fu costretto da Paolo IV ad abbandonare il posto perché sposato. Divenne quindi maestro di cappella in S. Giovanni in Laterano (1555-60) e in S. Maria Maggiore (1561-66). Dopo un periodo al servizio del Collegio Romano e del cardinale Ippolito d’Este, nel 1571 tornò a dirigere la Cappella Giulia, dove rimase fino alla morte. Negli ultimi anni si dedicò anche alla pubblicazione delle proprie opere (continuata dal figlio Iginio) e la sua fama crebbe oltre i confini nazionali estenden- La fama in Europa dosi a tutta l’Europa musicale del tempo. La produzione sacra comprende 104 messe (altre sono di dubbia o falsa attribuzione), oltre 300 mottetti e numerose altre musiche litur-

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giche (79 inni, 35 magnificat, lamentazioni, litanie, 68 offertori, Stabat Mater). Molto più esigua è la produzione profana: 140 madrigali, in parte di ispirazione religiosa (nel 1581 e nel 1594 pubblicò due libri di madrigali spirituali, il secondo dei quali porta il titolo di Priego alla Vergine). ■ Lo stile palestriniano Momento centrale e culminante dell’opera di Palestrina sono concordemente considerate le messe, in cui rara è l’applicazione delle tecniche più tipiche della polifonia fiamminga, il cantus firmus e il canone; molto più frequente è, invece, l’uso della parodia e della parafrasi. Padroneggiando con assoluta maestria il linguaggio polifonico al culmine della fioritura cinquecentesca, Palestrina lo piega a una visione costantemente rivolta a ideali di equilibrio, di euritmia e di trasparenza, dove i valori espressivi sono accolti e proposti sempre con sorvegliata misura. Rispetto alla tradizione franco-fiamminga, la scrittura acquista una levigatezza e una trasparenza che, mentre valorizzano le qualità e gli equilibri timbrico-fonici del complesso vocale a cui sono destinate, puntano a una semplificazione che favorisca la chiarezza e il rilievo della declamazione del testo. In tal senso Palestrina si mosse soprattutto dal 1560, facenLe esigenze poste dosi interprete delle esigenze poste dai risultati del concilio dal concilio di Trento di Trento sul rapporto musica-testo nelle composizioni sacre (è leggenda che la celebre Missa Papae Marcelli avrebbe salvato presso i padri conciliari le sorti della musica sacra). Ma in questo processo, la qualità della scrittura polifonica non è per nulla sminuita e si stabilisce un sapiente equilibrio tra dimensione orizzontale e verticale del discorso. Mentre nella musica di un altro grande contemporaneo di Palestrina, Orlando di Lasso (personalità che a lui può, per molti aspetti, essere contrapposta), la ricerca espressiva è compiuta con effetti inconsueti e in senso drammatico e soggettivo, il trattamento della consonanza e della dissonanza in Palestrina (e nell’insieme i caratteri della melodia e la condotta delle parti) si mantiene in un ambito di controllata misura, dove il gioco delle tensioni è calibrato con compiuto rigore. Per tali caratteristiche la concezione palestriniana della musica sacra assurse a un carattere che i poLo “stile antico” steri ritennero esemplare: con il nome di “stile antico”, lo stile palestriniano rimase modello per lo studio del contrappunto e nell’Ottocento fu considerato dal movimento ceciliano come la “musica sacra” per eccellenza. Anche la produzione profana (i madrigali) si attiene a una concezione in parte analoga, evitando, come quella sacra, le

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ricerche più inquiete e avanzate che altri compositori compivano nel secondo Cinquecento.

A Venezia, a partire dal XIV secolo, è documentata l’attività della Cappella di S. Marco, con l’assunzione di organisti e la La Cappella creazione di una scuola di canto. Il Cinquecento fu il seco- di S. Marco lo della grande affermazione di Venezia, che attrasse presso di sé importanti artisti e vide la presenza di celebri editori musicali (Petrucci, Scotto, Giordano). Fra i musicisti attivi a Venezia in quel periodo vi furono i fiamminghi Willaert, maestro della cappella ducale dal 1527 al 1562, e Verdelot; fra i musicisti più eminenti vanno senz’altro ricordati i veneziani Gabrieli. ■ Andrea Gabrieli Le notizie sulla prima parte della vita di Andrea Gabrieli, or- Vita ganista e compositore (Venezia circa 1510 o circa 15331585), sono incerte e contraddittorie. Con ogni probabilità fu allievo di Willaert e sicuramente nel 1564 succedette ad LA RIFORMA: ASPETTI STORICO-MUSICALI

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La musica veneziana: i Gabrieli

La vicenda musicale del Cinquecento è strettamente congiunta alle vicende storiche (ecclesiastiche e socio-politiche) nelle quali si svolge la Riforma, con la sua messa in questione della teologia cattolica, dei riti, delle pratiche liturgiche, dei dogmi e della musica sacra. Una delle caratteristiche principali che contraddistinguono la Riforma in musica è senz’altro la partecipazione vocale attiva dei fedeli al culto. L’introduzione della stampa aveva largamente favorito la diffusione delle nuove idee e la stampa musicale a caratteri mobili (dalla fine del XV secolo) contribuì, a partire dal 1524 per la Germania e dal 1539 per l’Alsazia, a diffondere raccolte di corali tedeschi e di salteri ugonotti. L’insegnamento della musica, vivamente incoraggiato dall’iniziativa di Lutero e Melantone nelle scuole latine e tedesche, e nei collegi e accademie calvinisti, svolgerà un importante servizio alla causa riformatrice. In Germania e in Inghilterra, in Fran-

cia e Svizzera, i riformatori, a lato delle questioni di ordine dogmatico e teologico, si diedero da fare, collaborando con poeti e musicisti, per risolvere vari problemi prima di poter dotare la nuova Chiesa del suo repertorio musicale, adattato al canto di un’assemblea abituata ad ascoltare il canto gregoriano eseguito da una schola, senza necessariamente comprendere i testi latini. Schematizzando, questi problemi che la musica protestante dovette affrontare possono essere ricondotti principalmente a: la ricerca di una lingua idonea, che si tradusse nella tendenza all’utilizzo della lingua volgare; la ricerca del pubblico, da intendere come richiesta, problematica per il profilo sia psicologico sia sociologico, di un coinvolgimento e di una partecipazione di tutti; la ricerca di melodie esteticamente funzionali ai principi della Riforma e nello stesso tempo radicate in un canto popolare, che i fedeli potessero vivere intensamente.

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Musica

La scuola policorale veneziana

La musica strumentale

Annibale Padovano al secondo organo in S. Marco e nel 1585 a Merulo all’organo principale, assumendo l’incarico che il nipote Giovanni, reale vincitore del concorso, gli aveva ceduto per deferenza. La fama di Gabrieli fu grandissima in tutta Europa, accresciuta anche dalle sue relazioni internazionali e dalla diffusione delle sue opere a stampa (sei messe, oltre 130 mottetti, circa 170 madrigali, circa 70 composizioni strumentali e altro). Vennero a Venezia, per studiare con lui, musicisti tedeschi e olandesi, fra i quali Hassler e Aichinger, e forse anche Sweelinck, oltre a numerosi italiani. Andrea Gabrieli è considerato il fondatore della scuola policorale veneziana, così chiamata perché fece ampio uso di cori divisi con funzione dialogica. Tale tecnica, già in parte adottata da Willaert, fu da Gabrieli ampiamente rielaborata, con frequente uso di voci soliste e con strumenti (archi, ottoni) in rinforzo dei due organi accompagnati. I grandi lavori policorali (a “cori spezzati”) sono contenuti nella raccolta pubblicata nel 1587 (Concerti), che comprende lavori analoghi del nipote Giovanni. Nello stile policorale Gabrieli scrisse anche molte composizioni profane e tra queste la Battaglia per sonar d’istrumenti a fiato (di cui resta un’elaborazione postuma del 1587, trascrizione di La guerre di Janequin) è giustamente famosa. Minore importanza rispetto alla musica vocale ha quella strumentale e la sua tecnica virtuosistica costituì uno dei presupposti per le esperienze di Frescobaldi. Gabrieli pubblicò un libro di messe a sei voci (1572), due di mottetti a cinque (1565) e a quattro voci (1576), uno di Psalmi Davidici a sei voci (1583), sette libri di madrigali a tre e sei voci, sei libri di composizioni per strumenti a tastiera e numerose altre pagine vocali, sacre e profane, in antologie dell’epoca. Postuma è la raccolta dei Chori in musica... sopra li chori della tragedia di Edippo Tiranno (1588), tradotti da Giustiniani ed eseguiti in occasione dell’inaugurazione del Teatro Olimpico di Vicenza di Palladio (1585).

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■ Giovanni Gabrieli Giovanni Gabrieli (Venezia circa 1554/57-1612), nipote e allievo di Andrea, gli succedette nel 1586 come primo organista in S. Marco, conservando l’incarico fino alla morte. Non si hanno maggiori informazioni sulla sua vita, se non la testimonianza, peraltro poco attendibile, che lo vorrebbe a Monaco fra il 1575 e il 1579. Fu conosciuto in tutta Europa e, come il celebre zio, accolse alla sua scuola musicisti poi diventati famosi (fra tutti, Heinrich Schütz). Tenne inoltre contatti con Hans Leo Hassler, mentre non conobbe perso-

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nalmente Michael Praetorius il quale, illustrando ampiamente la sua musica nel Syntagma musicum, diede un contributo determinante all’instaurazione del mito dei Gabrieli in Europa. Giovanni si mosse lungo le direttrici stilistiche individuate dallo zio, del quale fu però innovatore più profondo, soprattutto nel campo della musica strumentale pura, di cui è considerato il creatore. Egli estese a essa i principi della policoralità, della sovrapposizione e alternanza di cori e voci singole, perseguendo un possente e solenne gioco di contrasti da sviluppare, oltre che un sapiente dosaggio delle sonorità, con arditi procedimenti di sequenza, progressione e sovrapposizione. Nelle sue canzoni da sonar (fu il primo a usare sistematicamente il termine sonata) utilizzò un numero di voci variabile da sei a 20: celebre, fra tutte, è la Sonata pian e forte a 8 (1597). Minore importanza hanno le composizioni per organo, mentre nella produzione vocale, sacra e profana, egli dimostrò una tecnica ancora superiore a quella di Andrea nel trattamento della coralità, integrata con ricchi cori di strumenti (in particolare ottoni) con funzione concertante. Fra le sue raccolte emergono le due Sacrae Symphoniae (1597 e 1615) contenenti rispettivamente 44 e 32 composizioni.

La musica vocale

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La musica nazionale germanica

Il creatore della musica strumentale pura

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Fenomeno caratterizzante la musica nazionale germanica è il Lied. Canto monodico presso i Minnesänger, aveva alle sue spalle un repertorio di melodie popolari anche di carattere sacro, che sarebbero sfociate, fra l’altro, nel corale luterano. Appartiene alla storia del Lied, che conosce varie fasi, l’affermazione quattro-cinquecentesca della scuola poetico-musicale del Meistersang (“canto dei Maestri”), sorta Il Meistersang già alla fine del Trecento. L’attività dei Meistersinger, organizzata in corporazioni cittadine, era regolata da un minuzioso cerimoniale e da un complesso di rigide norme (raccolte nella cosiddetta Tabulatur), che codificavano nei minimi particolari la composizione dei testi e delle melodie. Hans Sachs (1494-1576), compositore di più di 6000 Lieder, Hans Sachs rimane tra i più celebri Meistersinger, grazie anche al ritratto con cui lo immortalò Richard Wagner nei Maestri cantori di Norimberga. Nella seconda metà del Quattrocento si formò il genere del Lied polifonico, che pervenne alla massima fioritura nel Cin- Il Lied polifonico quecento (grazie anche alla diffusione operata dalla stampa

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La Riforma e la nascita dei corali

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musicale) come forma prediletta dalla cultura borghese ormai in fase di affermazione. A tale forma si ispirarono anche molte elaborazioni polifoniche cinquecentesche del corale luterano. Tra i primi polifonisti tedeschi si citano, nel XV secolo, Adam von Fulda e Heinrich Finck, legati a modelli fiamminghi. Di grande importanza fu l’attività dell’austriaco Paul von Hofhaimer, organista di Massimiliano I, e del fiammingo Heinrich Isaac; emersero poi le figure di Thomas Stoltzer e, soprattutto, dello svizzero Ludwig Senfl. Nel Cinquecento la Riforma protestante determinò la nascita del repertorio dei corali e pose le basi per forme liturgiche musicali autonomamente tedesche, permanendo tuttavia l’influsso di musicisti di scuola fiamminga: nella seconda metà del secolo la figura dominante fu quella di Orlando di Lasso, in servizio presso la corte di Monaco. Anche attraverso di lui si affermò una crescente influenza dello stile italiano e si diffusero il madrigale, la canzonetta, la villanella e uno stile polifonico più aperto al cromatismo, all’omoritmia (in una composizione polifonica, le parti pur melodicamente diverse, sono costituite con note che hanno valori parallelamente uguali) e più incline a una preminenza melodica della voce superiore. In questo periodo i musicisti più significativi furono Leonhard Lechner e Hans Leo Hassler. Quest’ultimo, come poi Michael Praetorius, Johannes Eccard, Jacobus Gallus e altri, contribuì anche alla diffusione in Germania dello stile policorale veneziano.

L’influenza italiana

La musica nazionale francese

L’evoluzione della chanson

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Le vicende della musica francese di quest’epoca sono in buona parte difficilmente separabili dai profili della scuola borgognona-franco-fiamminga: tuttavia, non va trascurata la novità della chanson francese, la cui creazione viene attribuita a Binchois, un nuovo genere di canzone polifonica che tenne conto anche delle acquisizioni di Landino in Italia e di Dunstable in Inghilterra. Nel XVI secolo, nel crescente splendore della corte parigina, operarono Claudin de Sermisy e soprattutto Clément Janequin, massimi esponenti di un nuovo genere di chanson, la chanson parisienne, che godette fama universale (anche grazie al contemporaneo diffondersi della stampa musicale), fu largamente imitata e solo alla fine del XVI secolo fu soppiantata dal nuovo gusto per le danze e le arie omofone: vaudeville (da cui nacque poi l’air de cour), bergerette, chansonnette. Con il diffondersi delle nuove danze, venne costituendosi

1 - La musica nell’età umanistico-rinascimentale

un notevolissimo repertorio di musiche liutistiche, soprat- Liutisti e organisti tutto sullo schema dell’air de cour, mentre crebbe rapidamente anche una rigogliosa corrente di organisti (Titelouze e Costeley), sulla quale si innestò, nel XVII secolo, la grande tradizione classica francese per strumenti a tastiera. È infine da segnalare l’esordio del balletto rappresentativo, che Il balletto avvenne con il Ballet comique de la Royne, realizzato nel rappresentativo 1581 dall’impresario, coreografo e compositore di origine italiana Baltazarini.

La musica nazionale inglese La notevole fioritura polifonica dei secoli XII-XIII venne coronata in pieno Rinascimento dall’opera di John Dunstable (circa 1380 - Londra 1453), che operò prevalentemente all’estero e fu studiato e assimilato dai franco-fiamminghi Dufay e Binchois. Dunstable operò una fusione della scrittura dell’ars nova francese (con la sua complessità contrappuntistica e le sue sottigliezze ritmiche) e del discanto inglese, cioè di procedimenti consonanti basati su accordi perfetti. Della sua produzione restano circa 60 composizioni, tra cui due messe, 14 sezioni di messa, 28 mottetti e cinque chansons (fra cui la famosa O Rosa bella). Suoi degni seguaci furono Lionel Power, Robert Fayrfax, autore di musica sacra (su testo latino) e anche di agili pezzi profani (su testo inglese o francese), e John Taverner. Ad autori come Christopher Tye, Thomas Tallis e Robert White si deve l’individuazione delle forme musicali diventate caratteristiche della liturgia riformata inglese (anthem, service ecc.). Con l’avvento della regina Elisabetta I, iniziò anche in campo musicale un periodo di grande splendore e originalità. La musica fu incoraggiata a corte dalla stessa sovrana, che favorì i contatti soprattutto con le contemporanee scuole italiane, sulle cui soluzioni si basò in buona parte la grande fioritura del madrigale inglese: prima l’ayre (affine alla canzonetta e alla frottola italiana) poi il catch e il glee.

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Liturgia riformata inglese L’età elisabettiana

■ William Byrd William Byrd (? 1543 - Stondon Massey, Essex 1623) fu organista presso la cattedrale di Lincoln e la Chapel Royal di Elisabetta I d’Inghilterra e nel 1575 ottenne, insieme con Tallis, il monopolio della stampa musicale in Inghilterra per un periodo di 21 anni. Senza dubbio il massimo compositore inglese del tardo Cinquecento e del primo Seicento, Byrd

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Musica

non ebbe rivali nel campo della musica sacra. In uno stile L’influenza della più vicino alla tradizione fiamminga che a quella italiana, tradizione fiamminga appaiono concepiti i tre libri di Cantiones sacrae (1575, 1589 e 1591; il primo contiene anche composizioni di Tallis), i duedi Gradualia (1605 e 1607) e le tre messe, risalenti con ogni probabilità al periodo 1592-95 e caratterizzate da un tessuto polifonico ricco e consistente. Lo stile Lo stile di Byrd fu caratterizzato da una scrittura limpida e flessibile, da una volontà di comunicazione concisa e sobria. La costante adesione alla fede cattolica non impedì a Byrd di comporre musiche per il rito anglicano, come il Great Service (tra le sue opere migliori), lo Short Service, una dozzina di full anthems, cinque verse anthems e altro ancora. Fra le raccolte profane si segnalano i volumi Psalmes, sonets, & songs of sadness and pietie (1588; comprende composizioni su testi religiosi e morali non destinate all’uso liturgico) e Songs of sundrie natures (1589). Grande interesse riveste anche la produzione strumentale, comprendente fantasie, variazioni, musiche di danza, brani descrittivi per virginale e alcuni pezzi per consort di viole.

La musica nazionale spagnola

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La musica vocale sacra

Dopo le testimonianze polifoniche dei secoli XIII-XIV, trasmesse dal Códice de Las Huelgas, non si conoscono composizioni spagnole della prima metà del XV secolo: nella seconda metà, invece, si pongono le premesse della grande fioritura della musica rinascimentale, con la produzione di pagine sacre, villancicos e romances dovuta a Juan del Encina (1468-1529) e a numerosi altri compositori presenti nel celebre Cancionero de Palacio in altri cancioneros. Le personalità dominanti del Cinquecento sono Cristóbal de Morales (circa 1500-1553), Tomás Luis de Victoria e Francisco Guerrero (1528-1599), che vanno annoverati fra i protagonisti della musica vocale sacra europea di quel secolo. Grande rilievo assume anche la musica per organo, con António de Cabezón (1528-1566) e la ricca fioritura di opere per vihuela, con Luís Milán (circa 1500 - dopo il 1561), Luís de Narváez (circa 1500 - dopo il 1555), Alonso de Mudarra (circa 1508 - 1580) e numerosi altri.

■ Tomás Luis de Victoria Trasferitosi a Roma nel 1565 e allievo del Collegio Germanico, Tomás Luis de Victoria (Ávila circa 1550 - Madrid 1611) studiò forse anche con Giovanni Pierluigi da Palestrina; nel

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1 - La musica nell’età umanistico-rinascimentale

1569 fu nominato maestro di cappella di S. Maria di Monserrato, dal 1573 al 1578 presso il seminario romano e la chiesa di S. Apollinare. Sacerdote dal 1575, nel 1579 entrò al servizio dell’imperatrice Maria. Dal 1596 al 1607 fu cappellano nel monastero madrileno delle Descalzas Reales. Autore di una produzione interamente dedicata al repertorio sacro (20 messe, 50 mottetti, 34 inni), diede il meglio di sé nell’Offi- Il vertice cium Hebdomadae Sanctae, per 4-8 voci (1585), e nell’Offi- del polifonismo cium Defunctorum per sei voci (1605). A un grande rigore spagnolo formale unisce una forte tensione espressiva, che ne fanno il più grande polifonista spagnolo del Cinquecento.

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SCHEMA RIASSUNTIVO LA SCUOLA FIAMMINGA

Comprendente sei generazioni successive di autori, la scuola fiamminga è il movimento musicale predominante nell’epoca umanistico-rinascimentale. Caratteristica comune è lo sfruttamento delle più complesse tecniche contrappuntistiche. Fra i suoi autori di rilievo internazionale, e di sicura influenza sulle generazioni successive di musicisti, sono da ricordare: Guillaume Dufay, Johannes Ockeghem, Josquin des Prés, Nicolas Gombert, Adrien Willaert, Orlando di Lasso.

IL CINQUECENTO

Non fu, come invece accadde per le arti figurative e letterarie, il secolo della “rinascita” dell’arte classica, ma l’età del pieno sviluppo della polifonia introdotta dall’ars nova già nel Trecento. Importanza decisiva ebbero, invece, l’introduzione della stampa a caratteri mobili e la Riforma.

In Italia

La musica italiana del Cinquecento è segnata particolarmente dalla fioritura e dall’apogeo dell’arte madrigalistica. Il madrigale si sviluppa precisamente dall’incontro tra il repertorio tipicamente italiano della frottola, di impostazione armonico-accordale con prevalenza della voce superiore, e la sensibilità contrappuntistica dei maestri fiamminghi. Vertice assoluto del madrigale sono le opere di Luca Marenzio e Carlo Gesualdo. Enorme importanza, anche per le numerose schiere di allievi che ebbero da ogni nazione, spetta poi alla scuola romana di Palestrina e ai veneziani Gabrieli.

In Germania

La Riforma determinò la nascita del repertorio dei corali e pose le basi per forme liturgiche musicali autonomamente tedesche.

In Inghilterra

Incoraggiata dalla regina, la musica nazionale inglese conobbe il madrigale e una produzione a carattere spiccatamente religioso, in particolare con William Byrd.

In Spagna

Anche la musica spagnola fu principalmente musica sacra: si ricorda soprattutto Tomás Luis de Victoria.

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TEATRO 1 Il teatro nel Rinascimento 2 La Commedia dell’Arte

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L’Umanesimo imprime una spinta decisiva al rinnovamento culturale italiano, influenzando profondamente anche quello europeo. La riscoperta del De architectura di Vitruvio, rinvenuto nel 1414, costituisce la pietra miliare per la progettazione degli spazi scenici, mentre gli autori greci e latini vengono rappresentati e imitati secondo i dettami della Poetica di Aristotele, tradotta in italiano nel 1498. Nel tardo Rinascimento, quando il melodramma muove i primi passi, si sviluppa la Commedia dell’Arte: espressione di una dimensione imprenditoriale del teatro, fatta di interpreti e drammaturghi colti e indipendenti, che si affermano anche all’estero, siglando per l’ultima volta il primato assoluto dell’Italia nel campo delle rappresentazioni teatrali.

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1 Il teatro nel Rinascimento Tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo nella penisola italiana si assiste alla nascita della figura professionale dell’attore e della concezione di teatro come edificio, realtà economica e luogo di scambio sociale e culturale. Il teatro assolve a una precisa funzione di ridisegno di classi e ceti: da fenomeno aggregante, quale era nel Medioevo, si trasforma infatti in evento discriminante, di divisione sociale. Prova evidente di ciò si ha nella struttura dell’edificio, che acquisisce caratteristiche moderne, rese ancora più manifeste dalla cultura barocca.

Il teatro fra Trecento e Cinquecento Tra il XIII e il XIV secolo le città comunali vengono meno come centri di potere, sostituite dalle signorie e dalle grandi famiglie che le governano: i Visconti, i Della Scala, i Gonzaga, gli Este e i Medici, per citare le più in vista. La civiltà del Tardo Medioevo, strutturata sul potere delle città e animata da commercio e artigianato, viene superata dalla società delle corti, in cui il mecenatismo permette alle élite intellettuali di esprimersi con uno scambio continuo e fruttuoso tra le arti. Gli artisti e gli studiosi del tempo si differenziano dai predecessori perché perdono contatto con la società e definiscono una frattura tra cultura alta e cultura bassa sconosciuta al lungo millennio medievale. Gli intellettuali vivono la propria creatività liberi dai vincoli delle associazioni, della Chiesa e delle corporazioni e si pongono sotto la protezione di un mecenate con il quale condividono un orizzonte culturale ampio. Il teatro rinascimentale registra e riproduce questa distinzione tra cultura popolare e cultura d’élite, trasferendola nello spettacolo di corte e nello spettacolo popolare. L’abbandono delle forme teatrali del Medioevo e lo studio di tragedia e commedia greca e latina spingono verso la rinascita dei due generi. Albertino Mussato (1261-1329) agli inizi del Trecento scrive Ecerinis, tragedia in latino ispirata al modello senechiano, con un argomento contemporaneo: la storia del condottiero Ezzelino da Romano. Intorno al 1390, Antonio Loschi (13681441) si ispira invece a un soggetto antico con Achilles. Nell’ambito della commedia il testo più antico del periodo è Paulus (1390), di Pier Paolo Vergerio (1370-1444), in latino e

Nuovi centri di potere

Frattura tra cultura popolare e cultura d’élite

Rinascita di tragedia e commedia

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Tit Teatro

Il ritorno in auge dei testi classici

ispirato alle opere di Terenzio. Una spinta decisiva al fenomeno è data dalla caduta di Costantinopoli (1453) per mano dei Turchi. Studiosi e intellettuali fuggono portando in Italia manoscritti greci e latini. Lo studio filologico e la diffusione della stampa (1465) permettono la circolazione nel nostro Paese di questi testi classici. Nel 1518 vengono pubblicati tutti i drammi tragici e comici greci e latini allora conosciuti e l’interesse per il teatro lontano e potente della classicità esce dai confini accademici per approdare alle corti italiane.

La commedia I primi a commissionare e finanziare rappresentazioni teatrali sono i prìncipi. La commedia consiste spesso in una lettura drammatizzata per un pubblico raccolto e il suo pregio si rileva nell’eleganza di stile e lingua, nonché nella briosità dei dialoghi. Il suo scopo è l’intrattenimento colto, e il carattere occasionale delle composizioni e della stampa è la ragione per cui sono giunti a noi pochi testi. Con Ludovico Ariosto si raggiunge la forma compiuta della commedia italiana, che con i propri modelli influenzerà la produzione europea. La sua commedia diviene commedia regolare, con un prologo e cinque atti, scritta in versi, con i tipi dell’opera plautina riadattati al contesto rinascimentale. La prima commedia in italiano su impianto classico è la La prima commedia Cassaria, andata in scena nel 1508 alla corte degli Estensi, in italiano in cui il modello greco della trama si intreccia con un messaggio di lotta per il potere tra diverse generazioni. La fortuna della Cassaria parte da Ferrara, che si può considerare la capitale teatrale del Cinquecento. Nel Palazzo Ducale trova posto un grande salone trasformato in teatro; le gradinate accolgono un pubblico numeroso, costituito da uomini e donne sia nobili sia popolani. I primi committenti

L’Orlando furioso

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■ Ludovico Ariosto Ludovico Ariosto nasce a Reggio Emilia nel 1474 da una famiglia nobile. Dopo la morte improvvisa del padre le modeste condizioni economiche della famiglia lo spingono a impiegarsi presso Ippolito d’Este in qualità di chierico. Trascorsa una breve parentesi romana, torna a Ferrara alle dipendenze di Ippolito. Nel 1516 pubblica l’Orlando furioso, poema comico che ha trovato nel teatro uno sbocco naturale, dai pupi siciliani al capolavoro omonimo di Luca Ronconi del 1969. Dopo aver ricoperto per tre anni la carica di Governatore della Garfagnana, Ariosto muore a Ferrara nel

1 - Il teatro nel Rinascimento

1533. Oltre alla Cassaria scrive, tra il 1509 e il 1528, altre Le altre commedie quattro commedie in italiano: I suppositi, Il negromante, Gli studenti e La Lena. ■ Il Bibbiena Ancora di argomento classico è la Calandria (1514), del car- La Calandria dinale Bernardo Dovizi (1470-1520), detto il Bibbiena. Il prologo dichiara l’ispirazione plautina, ma è evidentissimo il legame con il Decamerone del Boccaccio. Il Bibbiena scrive quest’unico testo, estremamente riuscito nella creazione dei personaggi e nel funzionamento della storia, come espressione di un ambiente culturale neoplatonico di cui egli è parte integrante. Nella commedia tutto ciò viene espresso attraverso il tema del doppio e dell’androgino, vale a dire dell’identificazione di femminile e maschile come parti diverse di un solo organismo.

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■ Niccolò Machiavelli Filosofo, politico e scrittore, Niccolò Machiavelli (14691527) incarna l’ideale dell’uomo umanista. Fiorentino, si dedica giovanissimo all’attività politica, e contemporaneamente esplora i più diversi filoni della letteratura volgare. Allontanato dalla vita politica di Firenze, inviso ai Medici, scrive Il Principe (1513), in cui espone, attraverso una lucida analisi su destino, libero arbitrio e potere, la natura dei principati e i metodi per mantenerli e conquistarli. Anche La mandragola (1518), in cinque atti, è il frutto dell’esilio. La commedia celebra la corruttibilità del mondo, la stupidità della classe dirigente e il degrado morale del clero. Comicità, ironia, analisi sociale, ridicolizzazione dei vizi del clero e del popolo sono presenti in modo marcato, ma nonostante tutto ciò la commedia riscuote immediatamente consensi anche nelle alte gerarchie cattoliche. Machiavelli scrive poi Clizia (1525), ispirandosi alla Càsina di Plauto, dove permane la tematica amorosa, mentre la polemica sociale si stempera.

Il trattato politico Una commedia sulla corruttibilità del mondo

■ Pietro Aretino Pietro Aretino nasce ad Arezzo nel 1492 da una famiglia di origini modeste. Stabilitosi alla corte di Leone X, compone pasquinate, ovvero poemetti salaci. Dopo essere stato al servizio di Giovanni delle Bande Nere, a Mantova, torna a Roma sotto Clemente VII. Qui compone i Sonetti lussuriosi e, nel 1525, scrive la commedia La cortigiana: è la de- La cortigiana scrizione di un mondo in cui tutti si prostituiscono, a partire dagli intellettuali. L’Aretino muore a Venezia nel 1556.

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Teatro

Le altre commedie

Il candelaio

Il modello plautino

Pur introducendo spunti derivanti dalla Mandragola e dal Cortegiano di Baldassarre Castiglione, l’Aretino si identifica in un sistema corrotto, cosciente della decadenza, ma al contempo partecipe di essa. Anche le altre sue commedie (Il marescalco, Lo ipocrito, La Talanta, Il filosofo) raccontano di un mondo volgare e ruffiano di cortigiane, arrivisti, ipocriti e religiosi corrotti. ■ Giordano Bruno e Giovanni Della Porta Il filosofo domenicano Giordano Bruno (1548-1600) scrive un’unica opera, Il candelaio, nel 1582. In cinque atti la commedia abbina alla complessità del linguaggio – un insieme di latino, toscano e napoletano – una trama fondata su tre storie parallele. Tutto si svolge in un mondo assurdo, violento e corrotto, dove l’incertezza domina ogni cosa. Scienziato, alchimista e letterato, Giovanni Battista Della Porta (1535-1615) è una mente versatile. Scrive di scienza popolare, botanica e magia. È uno dei primi a essere nominato Accademico dei Lincei. Scrive ventinove commedie, di cui restano quattordici titoli, tra cui L’astrologo e La fantesca. Ispirati al modello plautino, i suoi testi riscontrano un notevole successo e verranno ripresi per tutto il XVII secolo.

La tragedia Una produzione modesta

La Sofonisba Altri drammaturghi

Il Cinquecento si caratterizza per una produzione tragica modesta sul fronte letterario e teatrale. È probabile che ciò accada a causa del rigido clima controriformistico della seconda metà del secolo, in cui libertà e dibattito sono limitati. Il primo significativo esempio di tragedia composta in italiano è da ascriversi a Gian Giorgio Trissino (1478-1550). Di stile euripideo e tono senechiano, Sofonisba, composta nel 1526 solo per la lettura, prevede un coro e non è divisa in atti, secondo il canone classico. Giambattista Giraldi Cinzio (1504-1573) nel suo Intorno al comporre delle commedie e delle tragedie esorta, tra l’altro, alla composizione di testi tragici rispettando l’unità di tempo e di azione. È autore di Orbecche, rappresentata a Ferrara nel 1541 e seguita da Cleopatra, Antivalomeni, Arrenopia, Epitia e Selene. Predominano gli eventi e i personaggi fantastici, e alcune delle sue tragedie hanno un curioso lieto fine. Giovanni Rucellai (1475-1525) si ispira a Sofocle per Rosmunda e a Euripide per Oreste. Come la Sofonisba del Trissino, amico e sodale di Rucellai, anche queste tragedie sono scritte per la lettura e non per l’allestimento teatrale.

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Il dramma pastorale

1 - Il teatro nel Rinascimento

Un genere nuovo

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Nel Cinquecento alla commedia e alla tragedia si affianca un genere nuovo: il dramma (o favola) pastorale. Alla base si ritrovano gli echi del dramma satiresco, anche se ci si allontana dal modello sostituendo i satiri con personaggi meno turbolenti e osceni: pastorelli e ninfe. Il dramma pastorale pone al centro dell’attenzione alcuni aspetti tipici del periodo: l’ambiente delle signorie, cuore del potere politico del Rinascimento; un sapere teatrale che è il frutto di scambi tra diverse pratiche artistiche; la capacità di trasmettere nel tempo i valori dell’epoca. A costituire il primo modello letterario, insieme alle Metamorfosi (8 d.C.) di Ovidio (43 a.C.-18 d.C.), è la poesia bucolica di Virgilio. In origine la favola pastorale è recitata e cantata da attori durante ricevimenti e banchetti, ma gradualmente acquista lo status di rappresentazione teatrale. Agnolo Poliziano (1454-1494) è il caposcuola del genere: il suo capolavoro è La fabula di Orfeo, rappresentata nel 1480 alla corte di Mantova. La storia, in lingua volgare, racconta il mito di Orfeo che cerca di salvare dagli Inferi la moglie Euridice, finendo sbranato dalle Baccanti. Punti di forza del componimento sono alcuni brani che si configurano come romanze e il coro delle Baccanti. Nel dramma pastorale si evidenziano il culto per l’imitazione classica e l’osservanza della dottrina aristotelica, il tutto racchiuso in un omaggio allegorico per il principe e la sua corte. Ancora una volta è Ferrara la culla del genere, che raggiunge il pieno sviluppo a metà del XVI secolo: nel 1554 Agostino Beccari (1510-1590) manda in scena Sacrifizio nel palazzo di Francesco d’Este.

Ferrara, culla del genere

■ Torquato Tasso e Giovan Battista Guarini I drammi pastorali più noti sono l’Aminta (1573) di Torquato Tasso e il Pastor fido (1590) di Giovan Battista Guarini. Torquato Tasso (1544-1595) nasce a Sorrento da una fami- Torquato Tasso glia nobile, ma a causa dell’esilio del padre dal Regno di Napoli compie i suoi studi tra Padova e Bologna. Nel 1565 giunge a Ferrara in occasione delle nozze del duca Alfonso II, entrando nella corte estense al servizio del cardinale Luigi Alla corte estense d’Este. Si tratta del periodo più felice della sua vita; nell’estate del 1573 mette in scena il dramma pastorale Aminta, diviso in cinque atti preceduti da un prologo e culminanti nell’epilogo; la vicenda di Aminta, pastore innamorato della ninfa Silvia, rispetta l’unità aristotelica di tempo. Tuttavia il periodo felice dell’autore non è destinato a durare: di lì a

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Teatro

Giovan Battista Guarini

poco il fragile equilibrio psichico e le manie di persecuzione lo condurranno al manicomio. Dimesso, nel 1581 dà alle stampe la Gerusalemme liberata. Giovan Battista Guarini (1538-1612), professore all’Università di Padova, è un precursore del gusto barocco. Il suo Pastor fido, che egli definisce una “tragicommedia”, manifesta un forte debito poetico nei confronti del Tasso e mostra un tono lirico ben lontano da quelli alti della tragedia. Rappresentato alla corte di Mantova nel 1590, il Pastor fido è uno spettacolo importante, con una ventina di personaggi e quattro cori. L’azione è sostituita dalla narrazione e, nonostante il monito controriformistico alla vigilanza della virtù, il poema si articola intorno ad atmosfere di forte sensualità, grazie alle quali si sviluppano numerosi intrecci amorosi.

Farse dialettali Pietro Antonio Caracciolo Il tema centrale del mariazo Farse cavaiole

Giovan Giorgio Alione

Esistono diverse tipologie di farse dialettali. I mariazi, farse dialettali di ambientazione contadina, risalgono alla fine del XV secolo. Pietro Antonio Caracciolo, notaio napoletano attivo tra il 1490 e il 1520, scrive la Farsa de lo Cito e de la Cita, in endecasillabi. Il modello più prossimo sono le frottole, ovvero monologhi che aprono o chiudono con spiritosaggini i drammi liturgici e volgari. Alla base del mariazo di Caracciolo c’è la ridicolizzazione del contadino e della sua miseria morale e culturale, a uso e consumo di una nobiltà cittadina che irride il popolino. Le farse cavaiole, tipiche del Napoletano e così chiamate perché si sviluppano tra la fine del Quattrocento e l’inizio Cinquecento nella zona di Cava dei Tirreni, sono indirizzate a un pubblico meno colto. Nell’Italia del Nord gli esiti più interessanti portano la firma di Giovan Giorgio Alione (circa 1460-1529). Le sue opere, che raccontano l’ambiente popolare, sono caratterizzate da un’interessante struttura linguistica, che mescola francoprovenzale e italiano maccheronico. L’autore raccoglie la propria produzione teatrale nell’Opera Jucunda, che raggruppa titoli come Farsa de Nicolao Spranga, Farsa del Franzoso alogiato all’osteria del lombardo, Farsa del braco e del milaneiso innamorato in Ast. ■ Ruzante Un posto particolare nella storia teatrale di questo periodo è occupato dal padovano Angelo Beolco, detto Ruzante o Ruzzante (1496 circa - 1542). Attore, drammaturgo e scritto-

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1 - Il teatro nel Rinascimento

re, deve il nome d’arte a un personaggio delle sue commedie, un contadino veneto che compare con caratteristiche di volta in volta diverse. Figlio illegittimo di un professore universitario, ha una buona formazione scolastica. Decisive per la sua carriera letteraria sono l’amicizia e l’appoggio del patrizio Alvise Cornaro, proprietario terriero ed esponente dell’Umanesimo veneto. Cornaro è per Ruzante un vero e proprio committente, oltre che il latifondista di cui amministra i possedimenti. La sua pratica di vita cittadina e contadina consente all’autore un’ampia visione sul mondo che lo circonda. Questa padronanza viene sfruttata nelle commedie, dove Ruzante sviluppa il tema del rapporto città-campagna e restituisce un vivido affresco di una civiltà ormai scomparsa. Ruzante non si limita a scrivere, ma mette in scena i propri testi, interpretandoli insieme a una compagnia di amici. Il suo esordio avviene con un dramma pastorale ispirato all’Orfeo del Poliziano: La pastoral. È chiosatore di una cultura molto forte, quella del Padovano, e orgogliosamente ne rivendica l’appartenenza utilizzando proprio il dialetto pavano come lingua scritta. Nella prima fase della sua produzione la città appare un luogo di angherie per il contadino povero di esperienza mondana ma ricco di buon senso. Le prove drammaturgiche più significative sono L’anconitana (1522), Betìa (1523-1525), La moscheta (1528) e La fiorina (1530). Ruzante usa ironicamente il linguaggio colto e conosce perfettamente i meccanismi della struttura narrativa scenica, che si concretizzano in un montaggio decisamente più libero della commedia del periodo. Nell’ultima fase della sua carriera, l’autore si avvicina al nuovo classicismo e alla ripresa dei modelli plautini, come nelle commedie la Piovana e la Vaccaria (1531-1532). I personaggi della campagna agiscono in un contesto urbano, quello vincente di cui lo scrittore è parte integrante. La morte prematura impedisce a Ruzante di esibirsi per la prima volta come interprete tragico nella Canace di Sperone Speroni.

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Il nome d’arte

Il rapporto città-campagna Il debutto sulla scena

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Trionfo, intermezzo e melodramma Nel Rinascimento gli eventi significativi si celebrano con sontuose feste. Una di queste è il trionfo, parata di palchetti su Il trionfo, ruote (i pageants del Medioevo) in cui si vedono sfilare per- espressione sonaggi in costume mitologico o classico accompagnati da del potere danzatori. Ancora una volta si tratta di uno spettacolo espressione del potere. A queste manifestazioni lavorano gli artisti e gli intellettuali del tempo, come Giorgio Vasari (1511-1574), 233

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Teatro

I grandi allestimenti

Il primo prototipo di teatro da sala Leone de’ Sommi

I trattati

Gli intermezzi

Il teatro musicale

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pittore, architetto e storico dell’arte, autore nel 1550 delle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue sino a’ tempi nostri. Venticinquenne dirige a Firenze gli arredi scenografici della città in occasione del matrimonio di Alessandro de’ Medici con la figlia di Carlo V. Nel 1541 viene ingaggiato da Pietro Aretino a Venezia per le scene della Talanta, commedia scritta per la compagnia della Calza dei Sempiterni, e nel 1565, ancora a Firenze, il Vasari è il regista dei grandi eventi progettati in occasione del matrimonio di Francesco I de’ Medici e Giovanna d’Austria. In quest’occasione realizza un grande allestimento nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio, costituendo il primo prototipo di teatro da sala, che verrà poi perfezionato nel Teatro Mediceo degli Uffizi dal suo allievo Bernardo Buontalenti (1536-1608). A metà Cinquecento a Mantova opera Leone de’ Sommi (circa 1525-1592), figura particolarmente interessante. Drammaturgo ebreo, è protetto dai duchi di Mantova e dai Gonzaga. Fra il 1579 e il 1587 è direttore degli spettacoli alla corte dei Gonzaga a Mantova, riuscendo nel difficile intento di fondere la cultura ebraica nello spirito rinascimentale. Scrive Quattro dialoghi in materia di rappresentazioni sceniche (redatti verso la fine degli anni Sessanta del XVI secolo e pubblicati solo nel Novecento) e Della poesia rappresentativa e del modo di rappresentare le favole sceniche, pubblicato postumo a Ferrara nel 1598. Questi testi si distinguono dagli altri trattati per la concezione della rappresentazione scenica come sintesi paritaria di conoscenze e abilità artistiche, che nell’insieme finiscono con l’essere più importanti del solo testo letterario, e che richiedono una minuta attenzione tecnica. Gli intermezzi in origine vengono inseriti tra gli atti delle commedie: hanno carattere allegorico e sono ricchi di effetti scenici, luci, costumi imponenti e coreografie elaborate. Per ogni commedia vengono allestiti ben quattro intermezzi. Inizialmente non hanno alcun legame tematico con il testo in cui vengono inseriti; in seguito si collegano all’opera in scena, divenendo di fatto opere drammatiche in quattro atti, sei nei casi in cui si aggiungano un prologo e un epilogo. Nel XVII secolo gli intermezzi confluiscono nell’opera lirica. La nascita del teatro musicale si fa risalire alla Camerata dei Bardi o Camerata Fiorentina, una delle tante accademie del periodo: un gruppo di nobili intellettuali con l’abitudine di riunirsi per discutere di arte, musica, letteratura e scienze. Il dramma per musica trova terreno fertile nel linguaggio pastorale, che dedica ampio spazio a canti e danze. Verso la fine del XVI secolo si consuma la separazione fra teatro e musica, giungendo al melodramma, che nasce con

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Il melodramma

1 - Il teatro nel Rinascimento

il proposito di restaurare la tragedia come forma nobile del teatro classico, fondendo poesia, musica e danza. Il primo risultato è Dafne (1594), con testo di Ottavio Rinuccini e Dafne musica di Jacopo Peri. Dialogo e coro recitano o cantano, ma la musica è il mezzo per potenziare l’intensità drammatica della parola. La nascita del Teatro San Cassian, a Vene- Da Venezia zia, nel 1637 apre al pubblico questa nuova forma di spetta- al resto d’Europa colo. Il grande successo veneziano è il trampolino di lancio per il resto d’Europa. Il primo grande autore dell’opera lirica è Claudio Monteverdi (1567-1643), il quale rafforza la presenza della musica indirizzando il genere verso la struttura definitiva. Aumenta il numero dei canti melodici (arie), mentre decresce il numero dei recitativi. Di lui ci rimangono tre opere: Orfeo (1607), Ritorno di Ulisse in patria (1641) e L’incoronazione di Poppea (1642).

La riflessione teorica A metà Cinquecento la vita culturale e politica italiana subisce un ulteriore scossone. La scoperta delle nuove rotte per le Americhe sposta il baricentro commerciale europeo dal Mediterraneo all’Atlantico, facendo perdere all’Italia la posizione centrale negli scambi internazionali. La Chiesa cattolica affronta il lungo e burrascoso periodo legato alla nascita e alla diffusione del Protestantesimo. A metà secolo, con il Concilio di Trento (1545-1563), il Papato intraprende una campagna di controllo culturale che mira ad arginare le influenze delle dottrine luterane. Viene stampato l’Indice dei libri proibiti, testi di cui si vietano la stampa, la diffusione e soprattutto la lettura. Il principio di autorità viene ribadito e questo condiziona i risultati della riflessione estetica che accompagna l’analisi e l’approfondimento dei modelli greci e latini. Nel nome dell’ortodossia estetica si individua una normativa che possa essere applicata universalmente ai prodotti artistici, e quindi al teatro, inteso come concorso di arti.

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■ Il principio delle tre unità

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La crisi culturale e politica

Normativa estetica universale

Il cardine per la strutturazione di una normativa estetica condivisa è la Poetica di Aristotele, tradotta in latino da Giorgio Valla nel 1498. La versione italiana risale al 1549 e la diffusione della stampa ne permette una veicolazione considerevole tra gli studiosi. In soli vent’anni sono diversi gli in- Il dibattito tellettuali che si confrontano criticamente rispetto ai detta- sui dettami mi aristotelici, da Francesco Robertelli (1516-1567) a Lodo- aristotelici

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Teatro

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I generi maggiori e le loro regole

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Lezione morale

vico Castelvetro (1505-1571). Da questo dibattito emergono linee guida comuni, come quella che riguarda la verosimiglianza, ossia la credibilità di personaggi e situazioni mostrati in scena. Eventi straordinari sono tollerabili solo se legati a una tradizione mitologica o alla Bibbia, mentre altri elementi del dramma vengono adattati a questa esigenza. I lunghi monologhi o le parti del coro si risolvono con l’introduzione di un confidente, una figura che renda plausibile un momento di intimità del personaggio in scena. Un’altra necessità riguarda la lezione morale che il dramma deve fornire: la vittoria del bene sul male, la superiorità della virtù sul peccato. Le opere teatrali devono “insegnare dilettando”. In ossequio al rigore classico sono definiti due generi maggiori, commedia e tragedia, mentre tutte le altre forme sono considerate minori e la commistione è bandita. Protagonisti della commedia sono uomini e donne comuni, il cui linguaggio è quello della quotidianità. Alla tragedia spetta invece di mettere in scena eroi di alto lignaggio, dotati di un eloquio poetico e la cui sorte è inesorabilmente infelice. Tragedia e commedia devono essere strutturate in cinque atti. Si ribadisce il principio delle unità aristoteliche di azione, luogo e tempo. Le unità di tempo e d’azione vengono sostenute nel 1543 nello studio Intorno al comporre delle commedie e delle tragedie, di Giambattista Giraldi Cinzio. È Castelvetro, nel 1570, a stabilire il rispetto di tutte e tre. Questa regolamentazione rimane indiscussa per circa due secoli, fino al 1750.

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L’accademia pomponiana

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■ Il recupero del teatro romano I testi classici vengono rimessi in scena a partire dal 1470 grazie all’accademia letteraria romana di Pomponio Leto (14281497). Intellettuale che vive in prima persona l’esigenza di un ritorno ai valori etici della Roma repubblicana, Leto si dedica con passione al recupero del teatro latino. Insieme a Sulpizio da Veroli rappresenta diversi testi classici, tra cui l’Asinaria e l’Epidicus di Plauto e l’Ippolito di Seneca. Questa tendenza si diffonde presto nel resto d’Italia, in una corsa continua all’allestimento più sontuoso. Ma a influenzare maggiormente la teoria e la pratica degli allestimenti scenici è il ritrovamento del De architectura di Marco Vitruvio Pollione (circa 80-23 a.C.), scrittore e architetto romano. Risalente al I secolo d.C., il trattato è stato rinvenuto nel 1414 e stampato da Sulpizio da Veroli nel 1486; la prima traduzione in italiano è datata al 1521. Da ogni parte d’Europa numerosi giovani accorrono in Italia, più precisamente all’accademia pomponiana, per studiare e cercare di comprendere la struttura originale del teatro romano.

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La fonte per gli allestimenti scenici

1 - Il teatro nel Rinascimento

Scenografia e prospettiva Nel Cinquecento il termine “scenografia” indica l’arte di mettere oggetti in prospettiva, raffigurandoli su una superficie dipinta; nel Seicento l’arte di disporre le scene in prospettiva. Fin da Giotto nel XIII secolo, proseguendo con Filippo Brunelleschi, Piero della Francesca e Paolo Uccello, si cerca di rendere sulle superfici piane il volume degli oggetti, la loro tridimensionalità. Il De architectura di Vitruvio comprende una sezione dedicata agli edifici teatrali, e proprio la lettura di questo trattato ispira Leon Battista Alberti (1404-1472) nella stesura del suo De re aedificatoria (1458), dove i precetti vitruviani vengono rielaborati. Architetto, scrittore e matematico, Leon Battista Alberti è uno dei più insigni rappresentanti della seconda generazione dell’Umanesimo. Fulcro della sua attività è la ricerca delle regole teoriche e pratiche in grado di guidare il lavoro degli artisti. Nel De re aedificatoria sottolinea l’importanza del progetto e declina le diverse tipologie di edifici a seconda della funzione. Le sezioni dedicate al teatro antico propongono una mediazione tra la scena classica e l’idea umanistica dello spazio urbano. Secondo gli studiosi, la scena prospettica risale all’ultimo ventennio del XV secolo, ma nel 1508 Bernardino Prosperi descrive quella che Pellegrino da Udine (1467-1547) realizza per la Cassaria dell’Ariosto, dove alcune strutture rappresentanti case sono affiancate davanti a un fondale dipinto. Vitruvio nel suo De architectura registra gli scenari per i vari generi: la commedia è illustrata da una serie di case disposte l’una accanto all’altra; la tragedia presenta decori che ricordano colonne, statue ed elementi che richiamano palazzi patrizi; infine, le scene satiresche sono collocate in un ambiente campestre. È importante sottolineare che a Vitruvio interessa fornire un modello ideale di urbanistica e gli architetti del Rinascimento, in nome del tema della città ideale, cercano di trasporlo nelle scenografie teatrali. La cronaca delle esperienze sceniche del Cinquecento compare nel Trattato di architettura del bolognese Sebastiano Serlio (1475-1554), più precisamente nel secondo libro, quello dedicato alla prospettiva e pubblicato a Parigi nel 1545, che definisce le basi teoriche e tecniche della prospettiva scenografica. Allievo di Baldassarre Peruzzi (1481-1536), tra i maggiori produttori di scene prospettiche, Serlio compone il primo trattato di architettura che affronta la pratica teatrale, corredato da tavole che illustrano prospetticamente le scene tragiche, comiche e satiresche di impianto vitruviano.

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L’arte della scenografia

Leon Battista Alberti

La prima scena prospettica

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Le basi della prospettiva scenografica

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Teatro

Le modifiche allo spazio scenico

Senso di profondità

Il suo libro riscuote un enorme successo in tutta Europa. Una delle grandi modifiche introdotte riguarda lo spazio scenico: gli spettacoli vengono allestiti nei saloni dei palazzi e dunque l’architetto adatta la cavea romana a una pianta quadrata. Il pubblico si dispone su gradinate semicircolari che dal fondo della sala avanzano verso il palco. Al centro della prima fila siede il principe, fulcro del mondo della signoria. In ossequio al dettame vitruviano, Serlio mantiene le tre tipologie di ambiente per i generi teatrali di commedia, tragedia e satira. Per realizzarle costruisce quatto file di quinte e un fondale. Le prime tre file di quinte sono angolari, la quarta piatta. Questo crea il senso di profondità per gli ambienti e offre ingressi e uscite laterali ai personaggi. Le sue scene non contemplano cambi e vengono integrate con i perìaktoi greci, che riportano una scena dipinta su ciascun lato e vengono fatti ruotare intorno a un perno.

Le pratiche sceniche e l’edificio teatrale del secondo Cinquecento Dopo Serlio, Daniele Barbaro (1513-1570) scrive Pratica della perspettiva (1568) e Giacomo Barozzi, detto il Vignola (1507-1573), redige il trattato Due regole della prospettiva La scena pratica (1583). Quest’opera descrive la scena della commedella commedia dia: costruita in prospettiva, con tre strade trasversali tra le case sui due lati e con i punti di fuga che si uniscono tra la scena costruita e il fondale. Sono in uso i perìaktoi. Nel suo Pratica di fabbricar scene e macchine ne’ teatri, del I cambi a vista 1637, Niccolò Sabbatini (1574-1654) descrive i cambi a vista. Oltre che con i perìaktoi, infatti, è possibile agire sulle quinte angolari in due modi: le quinte possono esser fatte scivolare fuori scena, mostrando così quelle successive, oppure venire coperte da tele dipinte che, poste davanti alle quinte fisse, coprono la scena seguente. Sabbatini parla anche delle modalità di illuminazione e della creazione di effetti in Illuminazione scena: la sala è illuminata da candele montate su lampadari ed effetti prospettici e lampade a olio, e una serie di lampade più grandi si trova sulla ribalta, l’estremità del proscenio che delimita il palcoscenico verso il pubblico. Le quinte angolari vengono dipinte dopo essere state sistemate sul palco. La quinta di fondo è il riferimento per fissare il punto di fuga, al quale viene agganciata una fune tesa verso il basso per poter capire le proporzioni degli elementi da dipingere sulle quinte. Dalle quinte angolari Per il superamento dell’uso delle quinte angolari dobbiamo alle quinte piatte arrivare al trattato di Guido Ubaldo Del Monte (1545-1607),

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1 - Il teatro nel Rinascimento

Un mix di telai e teloni

I primi “teatri” del Rinascimento

Il teatro più antico

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Lo spettacolo inaugurale

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Perspectivae libri sex (1600). Le indicazioni di Del Monte per la costruzione delle scene piatte e l’abbandono di quelle angolari sono messe in pratica da Giovan Battista Aleotti (1546-1636) a Ferrara, a partire da un allestimento del 1606. Le quinte piatte sono formate da telai, uno per ciascuna scena, disposti uno dietro l’altro. Le quinte vengono fatte scivolare via una alla volta, mostrando la successiva. Al fondo un telone dipinto diviso in due parti, così da essere scorrevole, chiude lo spazio del palcoscenico. Sul telone che chiude la parte superiore della scenografia è dipinto un cielo. Quando le macchine sceniche consentiranno di far scendere personaggi in scena, il telo verrà diviso in porzioni o arie, fissate ad assi agganciate alle quinte. A questo grande interesse per gli sviluppi della scena non corrisponde un’analoga frequenza degli allestimenti. Il primo luogo teatrale del Rinascimento è il cortile (o anche il giardino) del palazzo patrizio, che in seguito verrà soppiantato dal salone delle feste. In ogni caso lo spazio viene addobbato solo per l’occasione. L’esempio più antico di edificio teatrale è il Teatro Olimpico di Vicenza. Progettato e iniziato da Andrea Palladio (15081580), viene portato a termine dal figlio Silla, mentre la scena è di Vincenzo Scamozzi (1548-1616). Monumento simbolo dell’utopia rinascimentale, è dotato di una scena fissa costruita. La scaenae frons è provvista di porte dalle quali si possono vedere tre strade dalla prospettiva in rilievo. La cavea è semiellittica ed è chiusa in alto da un colonnato. Il piano dell’orchestra può essere sollevato fino al proscenio, ampliando lo spazio scenico. Nel sottopalco vengono alloggiate le attrezzerie. L’edificio viene inaugurato nel 1585 con un’opera intitolata Edipo tiranno di Sofocle. Il Teatro Olimpico di Vicenza ha almeno tre emanazioni: il teatro di Sabbioneta, costruito da Vincenzo Scamozzi nel 1587, il teatro disegnato da Inigo Jones nel 1623 e il Teatro Farnese di Parma, realizzato da Giovan Battista Aleotti. Nel piccolo teatro di Sabbioneta, però, Scamozzi propone ancora la struttura serliana, con le quinte angolari.

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Con la Cassaria, nel 1508, Ludovico Ariosto porta a compimento la struttura della commedia italiana. Altre commedie del periodo sono la Calandria (1514) del cardinale Bernardo Dovizi e La mandragola (1518) di Niccolò Machiavelli, autore anche di Clizia. Comicità, ironia, ridicolizzazione dei vizi del clero e del popolo sono le argomentazioni del Machiavelli, che in Pietro Aretino esplodono in un mondo corrotto, al centro, ad esempio, della Cortigiana (1525). Giordano Bruno con Il candelaio (1582) e Giovanni Della Porta, artefice di ventinove commedie, sono gli ultimi autori importanti del periodo.

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Teatro

La prima tragedia significativa in italiano è Sofonisba (1526), di Gian Giorgio Trissino. Di stile euripideo e tono senechiano, prevede un coro e non è divisa in atti. La tragedia del XVII secolo imita i modelli francesi e spagnoli. Unica opera degna di nota è Merope (1713), di Scipione Maffei.

GENERI DI CORTE E POPOLARI Il dramma pastorale è derivato dal dramma satiresco. Angelo Poliziano scrive La favola di Orfeo, rappresentata nel 1480 alla corte di Mantova. I drammi pastorali più noti sono l’Aminta (1573), di Torquato Tasso, e il Pastor fido (1590), di Giovan Battista Guarini. Il trionfo è una parata su pageants dove sfilano personaggi in costume mitologico o classico. A queste manifestazioni lavorano gli artisti e gli intellettuali del tempo, come Giorgio Vasari, Bernardo Buontalenti, Leone de’ Sommi. Gli intermezzi in origine sono inseriti tra gli atti delle commedie, poco più tardi diventano opere drammatiche in quattro o sei atti, confluendo nel XVII secolo nell’opera lirica. Il primo grande autore di questo genere è Claudio Monteverdi, che aumenta il numero dei canti melodici (arie), mentre riduce i recitativi. L’ambientazione contadina è al centro dell’opera di Ruzante, che sviluppa il tema del rapporto città-campagna. IL RECUPERO DI ARISTOTELE E VITRUVIO

La Poetica di Aristotele accende un dibattito che porta a diverse conclusioni, stabilendo tra l’altro che tragedia e commedia devono essere strutturate in cinque atti e organizzate sull’unità di azione, luogo e tempo. Questa regolamentazione rimane indiscussa per circa due secoli. Analogamente nel 1414 viene ritrovato il De architectura di Marco Vitruvio Pollione. Il trattato ha una sezione dedicata agli edifici teatrali, e proprio la sua lettura ispira Leon Battista Alberti nella stesura del De re aedificatoria (1458), che propone una mediazione tra la scena classica e l’idea umanistica dello spazio urbano.

LA SCENA PROSPETTICA

Nel secondo libro del suo Trattato di architettura Sebastiano Serlio definisce le basi teoriche e tecniche della prospettiva scenografica. Serlio crea una scenografia per i tre generi teatrali classici con quattro file di quinte e un fondale; si torna all’uso dei perìaktoi greci. Circa mezzo secolo più tardi Niccolò Sabbatini descrive i cambi a vista, ma il superamento dell’uso delle quinte angolari è testimoniato nel trattato Perspectivae libri sex (1600) di Guido Ubaldo Del Monte; le sue indicazioni vengono messe in pratica da Giovan Battista Aleotti a Ferrara, a partire dal 1606. L’esempio più antico di edificio teatrale è il Teatro Olimpico di Vicenza, progettato da Andrea Palladio.

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2 La Commedia dell’Arte La Commedia dell’Arte occupa un posto a sé nella storia del teatro. Un luogo comune lega questa esperienza, che dall’Italia del XVI secolo si diffonde in tutta Europa, a un teatro improvvisato, popolare, destinato alle piazze. Eppure la commedia è espressione di una realtà codificata di professionisti, colti e indipendenti, che hanno avuto un’influenza decisiva sul teatro moderno.

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Un teatro nuovo

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Storicamente la nascita della Commedia dell’Arte, ossia recitata da professionisti, si colloca tra il 1560 e il 1570, un decennio in cui diverse professionalità dello spettacolo confluiscono in questa straordinaria esperienza. Tuttavia il primo documento relativo al genere è datato 1545. Si tratta di un atto notarile che stabilisce la costituzione di una compagnia di comici diretta da Maffeo dei Re, detto Zanini. Quattro anni dopo questo gruppo di artisti si segnala a Roma per la messa in scena di spettacoli comici veri e propri. A Roma opera, tra l’altro, Giovanni Andrea dell’Anguillara (1517-1572), poeta e traduttore, che vede nel teatro un possibile sviluppo commerciale. Nel 1549 tenta infatti di aprire un esercizio teatrale, che fallisce, facendo però da apripista al teatro moderno e alla Commedia dell’Arte. Il vero professionismo nasce dalla consapevolezza di vendere teatro in uno spazio apposito. Lo spettacolo non è più limitato al solo momento della festa principesca, ma è a pieno titolo un prodotto. Come per le confraternite del Medioevo, il Rinascimento genera un numero cospicuo di accademie letterarie, musicali e filosofiche che producono e fanno circolare cultura. Molte delle prime compagnie professionistiche di teatro non solo si ispirano a queste realtà, ma ne portano il nome. E in virtù del fatto che l’italiano del XV secolo è conosciuto nelle corti, i teatranti varcano i confini nazionali per approdare in Europa. La necessità di ottimizzare spostamenti e costi spinge a viaggiare con scene poco ingombranti. La lingua utilizzata da questi artisti mescola all’italiano qualche vocabolo in dialetto e crea giochi linguistici volutamente incomprensibili. Il successo di questa ricetta crea il mito della Commedia dell’Arte. Tra le figure artistiche (ormai scomparse) che a diverso titolo entrano a far parte della storia della commedia, ci sono i buffoni e i mattaccini – che mimano con la danza le tenzoni dei no-

La prima compagnia

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Fare teatro diventa una professione

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Un linguaggio multiforme Le figure artistiche coinvolte 241

Le meretrici oneste

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Origini e definizioni

bili – e le meretrici oneste, cortigiane-poetesse che, a dispetto del nome, sono professioniste che intrattengono mediante danze e canti, alla pari delle geishe giapponesi. A causa della campagna repressiva contro le prostitute iniziata dal Concilio di Trento molte meretrici oneste scelgono il palcoscenico per sfuggire al pubblico vilipendio. A Roma, un atto notarile del 1564 sancisce l’ingresso di Lucrezia da Siena, meretrice onesta, in una compagnia teatrale. Dieci anni più tardi re Enrico III di Francia sosta a Venezia appositamente per assistere agli spettacoli della compagnia dei Gelosi, una delle più conosciute a quei tempi, e per incontrare la meretrice onesta Veronica Franco. Alla Commedia dell’Arte (o Improvvisa) sono state attribuite origini molto diverse. È una commedia popolare in opposizione a quella erudita degli accademici, ed è anche a soggetto (cioè basata su un canovaccio) o all’improvviso (rappresentata secondo improvvisazione). Alcuni studiosi la legano alla fabula atellana, che prevede personaggi fissi, altri la collegano all’arrivo in Occidente di mimi provenienti da Bisanzio, dopo la caduta dell’Impero Romano d’Oriente nel 1453, e ancora alle improvvisazioni presenti nelle commedie di Terenzio e Plauto o alla farsa rinascimentale. In ogni caso, qualunque sia stata la sua origine, è certo che questa forma di teatro rimane in voga fino alla fine del Settecento. Il comico dell’arte si dichiara fin dal principio un professionista: per “arte” si deve intendere un mestiere, in opposizione all’attività di dilettanti che per tutto il Medioevo si sono esibiti nelle grandi manifestazioni pubbliche. Ora in scena c’è la realtà che il pubblico riconosce come propria, ma senza alcun tono celebrativo. Del resto anche il teatro colto ma dilettantesco – pur raggiungendo i vertici della commedia, come nel caso di Niccolò Machiavelli – è un teatro che propone le idee dell’autore, che necessita di interpreti particolari per poter essere espresso e che non risulta immediatamente godibile dal largo pubblico.

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Teatro

Il mestiere del comico dell’arte

Dodici attori

Le caratteristiche peculiari

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■ Le compagnie, i personaggi e le tematiche Le compagnie sono composte in genere da una dozzina di attori. I componenti si assumono il rischio d’impresa e dividono i ricavi, mentre ai nuovi membri viene corrisposto un salario. Il gruppo affitta una sala teatrale in ogni piazza, e dunque l’elasticità da parte degli artisti è essenziale sia in materia di elementi scenografici sia in termini di caratteristiche dello spazio. Le caratteristiche peculiari della Commedia dell’Arte sono l’improvvisazione e i personaggi fissi. Gli attori partono da un canovaccio, che elenca il susseguirsi delle scene e il tema dei dialoghi, poi improvvisano battute e azione. Ogni attore recita sem-

2 - La Commedia dell’Arte

pre lo stesso personaggio, di cui replica le caratteristiche e mantiene il costume. I caratteri fissi della commedia sono gli innamorati, i vecchi e i servitori. Una compagnia può avere anche due coppie di innamorati, che indossano costumi eleganti, parlano affettatamente e non portano maschere. Il Capitano, in origine un innamorato, si trasforma nello spaccone codardo, punito inesorabilmente per boria e viltà; oltre a portare cappa e spada, il Capitano (chiamato anche Coccodrillo, Fracassa, Spaventa) indossa la maschera. I vecchi sono mascherati e i più famosi sono Pantalone e il Dottore. Pantalone, un mercante che parla in dialetto veneziano, subisce una rapida evoluzione, da giovane atletico a vecchio burbero e avaro. Il Dottore è un saccente, amico o rivale di Pantalone. Parla in dialetto bolognese e spesso è un marito tradito. Maschere anche per i servi o zanni (dal nome di uno dei personaggi più rappresentati), che sono in genere due e di sesso maschile. Il primo è furbo e maneggione, il secondo è un pover’uomo che con le sue buffonerie accresce la comicità dell’azione. Se presenti, le serve sono le due innamorate degli zanni o donne più anziane, funzionali all’andamento della storia. Lo zanni più famoso è Arlecchino, denominato anche, in contesti diversi, Trivellino e Truffaldino. Il costume che veste è in origine cucito con toppe, e questo dà luogo alla versione definitiva, che tutti conosciamo, con il disegno a losanghe colorate. Il secondo zanni può essere Brighella, Scapino o Buffetto. Le recite si basano sullo sviluppo di temi che hanno un identico denominatore, il conflitto tra coppie: padrone/servo, innamorato/innamorata, padre/figlio, servo/serva, Capitano/popolano e così via. Il servo è il personaggio più tipico: la sua interpretazione gioca sul registro comico basso e sfrutta una gestualità farsesca per conquistare il pubblico.

Personaggi fissi Il Capitano

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I servi

Il nucleo della recitazione

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■ L’arte dell’improvvisazione L’espressione “all’improvviso” riferita alla Commedia dell’Arte non deve trarre in inganno. Non si tratta infatti di una più o meno felice invenzione di dialoghi e situazioni, bensì della fortissima padronanza di un repertorio di battute e di azioni comiche dette lazzi. Il lazzo – termine che compare Il lazzo, scena per la prima volta nel 1620 ad opera di Basilio Locatelli (1613- comica portante 1671) – è una microazione comica che con il tempo si slega dalla struttura narrativa portante. Anche i lazzi sono sottoposti a codifica e confluiscono in un vero e proprio repertorio. I prontuari propongono infinite versioni di soliloqui, tirate, maledizioni e confessioni d’amore. In questa dimensione l’improvvisazione diventa variazione, in genere giocata sui riferimenti all’attualità. Questo presuppone una tipologia

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Teatro

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Attori eclettici

Autori, attori e compagnie

L’autore più importante

Alla corte di Francia

di attore inteso come profondo conoscitore della recitazione, della danza e del mimo, e soprattutto capace di rileggere la società attraverso le proprie maschere: mercanti (Pantalone), servi (Brighella, Arlecchino, Zanni, Pulcinella), serve (Colombina, Smeraldina), soldati di ventura (Capitano) e giovani innamorati (Lelio, Florindo, Ottavio, Isabella, Beatrice). Ogni attore approfondisce un personaggio, lo fa proprio con lo studio e con l’abilità nel renderne il carattere. E la gerarchia dei ruoli è anche gerarchia di compagnia. ■ Le star del tempo La prima fase della Commedia dell’Arte è, come detto, quella legata alle compagnie, che si formano su base professionale intorno alla metà del XVI secolo. Nel 1571 la fama dei Gelosi apre loro le porte della corte del re di Francia. I nomi più illustri sono quelli di Giovan Battista e Isabella Andreini, Tiberio Fiorilli, Flaminio Scala e, quanto alle compagnie, dei Gelosi – forse i più celebri –, dei Desiosi, degli Accesi e degli Uniti. Tra la fine del Seicento e la metà del Settecento la fama dei comici è divenuta internazionale. Il drammaturgo più importante del Seicento è Giovan Battista Andreini (circa 1577-1654), figlio di Isabella e Francesco Andreini, comici della compagnia dei Gelosi. Unitosi ai genitori, si esibisce come Lelio e Florindo nel ruolo dell’innamorato. Sposa l’attrice Virginia Ramponi, per la quale scrive la tragedia Florinda (1570). Nel 1601 fonda una propria compagnia, i Fedeli. Alla prima opera seguono le commedie La turca (1611), Lo schiavetto (1612), La veneziana (1619) e Lelio bandito (1620). Negli anni 1621-1622 è alle dipendenze di re Luigi XIII con i Fedeli. Alla corte francese propone diverse commedie, tra cui La centaura. Continua inoltre l’intensa attività di teorico del teatro, scrittore e poeta viaggiando tra Italia e Francia. Nelle Due commedie sviluppa una dinamica metateatrale cui si abbina il modulo del doppio (due personaggi con lo stesso nome) e di sdoppiamento (personaggi che si fingono altri), che troverà compimento solo nel Novecento, con l’estetica di Luigi Pirandello. Andreini segna la cesura con

TIBERIO FIORILLI Tiberio Fiorilli, in arte Scaramouche, nato a Napoli nel 1608, è definito dai contemporaneai «attore dei re e re degli attori». All’apice della carriera si alterna in scena con Molière, di cui è amico fraterno, giacché le compagnie in cui i due artisti mili-

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tano si avvicendano nello stesso spazio teatrale, il Petit-Bourbon, sala ristrutturata da Torelli nel 1645. Fiorilli, oltre a dirigere la Comédie-Italienne, sarà direttore anche della sala teatrale dell’Hôtel de Bourgogne di Parigi, dove morirà nel 1694.

2 - La Commedia dell’Arte

le generazioni precedenti di artisti. Forte di una formazione scolastica regolare e approfondita, Andreini percepisce la propria attività come un’espressione di cultura alta. Nelle Anticipazione sue commedie non solo anticipa i temi che Carlo Goldoni di temi goldoniani porterà a compimento, ma introduce elementi di straordinaria modernità. A fine Settecento la commedia si è ridotta ormai a uno stanco ripetersi di formule logore e di volgarità che talvolta degenerano nell’osceno. Di fronte a questo declino si avverte Il declino la forte necessità di una riforma: a proporla sarà, nel 1753, Goldoni, che scriverà per un’unica stagione teatrale sedici commedie, allestite a Venezia dalla compagnia Medebach.

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La letteratura della Commedia dell’Arte Sintomatica della volontà di nobilitare il teatro da parte dei protagonisti della commedia è l’assenza di testimonianze a proposito di quanto avveniva in scena, a fronte di un cospicuo quantitativo di scenari o canovacci. L’autore lascia spesso descrizioni dei momenti di studio della compagnia e non racconta invece la pratica teatrale in sé, spostando l’attenzione su un piano intellettualmente più elevato. La storiografia teatrale ha superato da tempo il mito della Commedia dell’Arte come teatro popolare della spontaneità, a fronte di una evidente codificazione e predeterminazione delle varie componenti dello spettacolo. Gli scenari rimasti sono più di mille. I più antichi sono quelli pubblicati nel 1611 da Flaminio Scala (1547-1624), dei Gelosi, nel suo Il teatro delle favole rappresentative. I canovacci di Domenico Biancolelli, detto Dominique (1636-1688), registrano la grande attività italiana in Francia. Il Trivellino (un arlecchino) creato da Biancolelli era un beniamino della corte francese. Andrea Perrucci (1651-1704) scrive Dell’arte rappresentativa o all’improvviso nel 1669. Nella sua opera attribuisce al capocomico la responsabilità di utilizzare correttamente il canovaccio spiegando la storia agli attori e adattandola al pubblico e alla situazione. Ribadisce la valenza pedagogica ed etica della commedia, ma finisce per irrigidire il genere con le regole che disciplinano l’utilizzo in scena di testi, canovacci o repertori di trovate e lazzi. Diversi i letterati che scrivono copioni per le compagnie, tra cui Alessandro Piccolomini (1508-1579; L’amor costante, per i Gelosi) e Ottavio Rinuccini (1562-1621; Arianna, per i Fedeli), e molti i canovacci di comici, che per le loro recite pren-

Volontà di nobilitare il teatro

Gli scenari I canovacci

Gli autori: letterati e comici

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Teatro

dono spunto da altri autori o da commedie di Ariosto, Bibbiena e Della Porta. Tra i più prolifici, Pier Maria Cecchini (1563-1640), Niccolò Barbieri (1576-1641), Virgilio Verucci e Giovan Battista Salvati.

L’influenza in Europa Interpreti e compagnie più importanti

Il mito della Commedia dell’Arte è tutto racchiuso nella fama degli interpreti e delle compagnie. In Francia gli Accesi sono a Lione e Parigi tra il 1600 e il 1601. Tra di loro ci sono l’Arlecchino-Tristano Martinelli, Frittellino-Pier Maria Cecchini e Flavio-Flaminio Scala. La coppia Francesco Andreini e Isabella Andreini Canali domina la scena con i Gelosi. Isabella, attrice e poetessa, dopo essersi esibita nel 1571 alla corte di Carlo IX di Francia, l’anno successivo recita nell’Aminta e due anni più tardi, nel 1574, si esibisce a Venezia in onore di Enrico III. Nel 1653 la compagnia diretta da Trivellino-Domenico LoLa Comédie-Italienne catelli getta le basi per la Comédie-Italienne, con sede stabile al Théâtre du Petit-Bourbon o all’Hôtel de Bourgogne, fino al 1697, quando viene cacciata da Luigi XIV. Non è solo la Francia ad attirare i comici dell’arte: i Confidenti con Drusiano Martinelli sono a Madrid nel 1587 e con Pier Maria Cecchini nel 1614 davanti alla corte di Praga. Sempre Drusiano Martinelli gira l’Inghilterra con i suoi spettacoli, mentre le maschere di Arlecchino, Pantalone e Colombina entrano a far parte del patrimonio teatrale russo.

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La nascita della Commedia dell’Arte si colloca tra il 1560 e il 1570. È una commedia popolare – in opposizione a quella accademica –, a soggetto (su un canovaccio) o all’improvviso (secondo improvvisazione). Il canovaccio, di “proprietà” del capocomico, contiene il susseguirsi delle scene e il tema dei dialoghi, sulla base dei quali si improvvisano dialogo e azione. Il lazzo, una microazione comica, con il tempo si slega dalla struttura narrativa portante e inoltre viene sottoposto a codifica, confluendo in un vero e proprio repertorio. Ogni attore recita sempre lo stesso personaggio, di cui replica le caratteristiche e mantiene il costume. I caratteri fissi della commedia sono gli innamorati, i vecchi e i servitori.

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ATTORI E COMPAGNIE

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PERSONAGGI

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ORIGINI, STRUTTURA,

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SCHEMA RIASSUNTIVO

La prima fase della Commedia dell’Arte si svolge a metà del XVI secolo. I nomi più illustri sono Giovan Battista e Isabella Andreini, Tiberio Fiorilli, Flaminio Scala e le compagnie dei Gelosi, dei Desiosi, degli Accesi e degli Uniti. Tra la fine del Seicento e la metà del secolo successivo la fama dei comici è internazionale e le tournée li portano in Francia, Spagna, Germania, Austria e Russia. A fine Settecento la Commedia dell’Arte è ormai in declino, ridotta a uno stanco ripetersi di formule logore.

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INDICE

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118, 119-120, 124, 125, 229-230, 234 Argiropulo, Giovanni 84 Accademia platonica 52, Ariosto, Ludovico 20 , 93, 55, 56, 57 88, 96, 100-102, 104, Adorazione dei Magi 113, 116, 228-229, (Leonardo) 157 237, 246 Air de cour 220, 221 Aristotele 54, 68 Alberti, Leon Battista 19, Aristotelismo 78-79, 139, 187, 192, rinascimentale 54, 55, 196-197, 200, 237 56 Alchimia 67 Armi da fuoco 18 Alessandro VI 25 Ars nova 208, 221 Alighieri, Dante 16, 77, Asburgo 34, 39 84, 92, 96 Asolani 95 Alione, Giovan Giorgio Astrologia 67 232 Atto di supremazia 36 Allegoria Augusta, Pace di 42 della Primavera Aurispa, Giovanni 18, 79 (Arcimboldi) 181 Averroè 54 Allegoria Aztechi 24 della Primavera Ayre 221 (Botticelli) 152 Almagro, Diego de 25 Amboise, Editto di 44 Aminta 129, 130, 231 Ammannati, Bartolomeo Baldus 119 189 Balletto 221 Amor Sacro e Amor Banchieri, Adriano 213 Profano 164 Barbaro, Francesco 90 Ammirato, Scipione 110 Barocci, Federico 177 Andrea del Castagno 142 Barocco 132 Andrea del Sarto 172 Barzelletta 212 Andreini, Giovan Battista Basilica di S. Pietro 191, 244, 245 198 Anglicanesimo 36 Basilica di S. Croce 196 Anima 54, 57 Bassano, Jacopo 178 Anna d’Austria 45 Battaglia di S. Romano Annunciazione (Beato 142 Angelico) 143 Beccadelli, Antonio 20 Annunciazione Beccari, Agostino 231 (Leonardo) 156 Bellini, Giovanni 145 Antonello da Messina Bembo, Pietro 21, 95-96, 150 97, 110, 122, 124, 127 Arcadelt, Jacques 206, Benedetto da Maiano 213 192 Arcadia 132 Bernardino da Siena 51 Arcadia, L’ 20, 94 Berni, Francesco 123, Arcimboldi, Giuseppe 124, 125 181 Bessarione, Giovanni 76 Aretino, Pietro 114, 116, Biancolelli, Domenico 245

B

Bibbiena 114, 229, 246 Biblioteca Laurenziana 188, 199 Boccaccio, Giovanni 75, 84, 91, 96, 112, 113 Boccalini, Traiano 110 Bodin, Jean 59, 61 Boiardo Matteo Maria 20, 90, 91, 92-93, 124 Bolena, Anna 46 Botero, Giovanni 59, 61, 110 Botticelli, Sandro F. 21 Bougainville, LouisAntoine de 24 Bracciolini, Poggio 77 Bramante, Donato 187, 191, 197-198 Bronzino, Agnolo 174 Brunelleschi Filippo 21, 136, 187, 190, 195196 Bruni, Leonardo 19, 51, 76 Bruno, Giordano 69-70, 131, 230 Buontalenti, Bernardo 189 Burckhardt, Jacob 51 Buonarroti, Michelangelo 21, 124, 159-162, 188, 191, 194, 198199 Burchiello 83 Byrd, William 221

Camerata dei Bardi 234 Campanella, Tommaso 70-71 Campidoglio 188 Candelaio, Il 70, 131, 230 Cappella Brancacci 139 Cappella dei Pazzi 191, 196 Cappella Rucellai 197 Cappella Sistina 160 Caracciolo, Pietro Antonio 232 Carlo V 36, 39-42 Carlo IX 44 Caro, Annibal 98-99 Cassaria, La 101 Castelvetro, Ludovico 98 Castiglione, Baldassar 21, 95, 96, 97-98, 120 Catch 221 Cateau-Cambrésis, Pace di 41, 43 Caterina de Medici 44 Catrina, La 123 Cellini, Benvenuto 126, 174 Cene 126 Cervantes, Miguel de 132 Chanson 207, 208, 210, 220 Chanson parisienne 220 Chansonette 220 Chiesa del Gesù 191 Chiesa del Redentore 191 Chiesa di S. Giorgio Maggiore 191 Cabbalà 57 Chiesa di S. Lorenzo 186, Cabezón, António de 222 190, 195-196 Caboto Giovanni Chiesa di S. Sebastiano e Sebastiano 23 197 Calandria, La 114 Chiesa di S. Andrea 190, Camera degli sposi 147 191, 197 Calvinisti 37 Chiesa di S. Maria delle Calvino, Giovanni 37, 64- Grazie 198 65 Chiesa di S. Maria Calvino, Italo 102 Novella 186, 191 Cambrai, Lega di 41 Chiesa di S. Maria Cambrai, Pace di 41 presso S. Satiro 198

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Indice

Chiesa di S. Spirito 190, 196 Chiesa rinascimentale 190-191 Christus, Petrus 153 Città del Sole, La 71 Città ideale 193 Città-palazzo194 Classicismo 17-18, 9599, 118, 124 Clemens Non Papa 206 Códice de Las Huelgas 222 Colantonio, Il 149 Collenuccio, Pasquale 90 Colombo Cristoforo 23, 24 Colonizzazione (moderna) 23-26 Colonna, Vittoria 124 Compagnia di Gesù 38 Concilio di Trento 37 Coniugi Arnolfini 153 Consegna delle chiavi a S. Pietro 148 Contrappunto 208, 213, 208, 216 Controriforma 37, 65 Cook, James 24 Copernico Niccolò 21 Copula mundi 57 Corpo ermetico 56, 57 Corporazioni 29 Correggio, Nicolò da 90 Correggio, Il 167 Cortigiana, La 120 Cortegiano 97 Cortés Hernan 23 Cortile del Belvedere 198 Cosmo 55 Cossa, Francesco del 145 Crépy (Pace di) 41 Crisolora, Manuele 76 Cristo morto 147 Croce, Benedetto 102 Croce, giovanni 213 Crusca, Accademia della 126 Cuius regio eius et religio 42 Cusano, Niccolò 55-56

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Elisabetta I 36, 46-47 Elogio della pazzia, L’ 64 Da Veroli, Sulpizio 236 Encomiendas 25 Dama con l’ermellino Enrico II 44 158 Enrico III 45 David (Donatello) 137 Enrico VIII 36 David (Michelangelo) Erasmo da Rotterdam 160 37, 63-64, 98 De dignitate hominis Ermete Trismegisto 56, 57, 81 76 De re aedificatoria 79, Ermetismo 56 197 Estensi 13, 20 De’ Sommi, Leone 234 Estate 181 Dell’Anguillara, Giovanni Euripide 230 Andrea 241 Della Casa, Giovanni 122-123 Della famiglia 78 Della Porta, Giovanni Fabula di Orfeo 85, 231 Battista 230 Farnese, Alessandro 46 Della ragion di stato 61 Farnese, Elisabetta 46 Della Robbia, Luca 140 Ferrari, Gaudenzio 180 Di Loyola, Ignazio 38 Festa, Costanzo 213 Diaz, Bartolomeo 21 Fiamminga, arte 153 Dignità dell’uomo 52, 57 Fichte, Johann Gottlieb Dionigi Aeropagita 56 60 Diritto 61-62 Ficino, Marsilio 20, 81, Diritto internazionale 62 84 Diritto naturale 61-62 Filarete 187 Diritto positivo 62 Filelfo, Francesco 77 Discorsi sopra la prima Filippo II 45 deca di Tito Livio 107 Filippo III 45-46 Divina commedia 16 Finck, Heinrich 220 Dolce, Ludovico 116 Firenzuola, Agnolo 125 Donatello 21, 136-138 Fiorentino, Rosso 172 Dotta ignoranza 55 Flagellazione di Cristo Drake, Francis 47 149 Dufay, guillaume 206Flavio, Biondo 77 207, 221 Folengo, Teofilo 118-119 Duomo di Firenze 195, Fontainebleau, scuola di 196 173 Dürer, Albrecht 166 Foppa, Vincenzo144 Fornovo 40 Fracastoro, Girolamo 52, 68, 98 Francescani 17 Eccard, Johannes 220 Francesco di Giorgio Martini 147, 194 Edoardo VI 36 Francesco I 39, 40, 41 El Greco 180 Elisabetta di Valois 218 Francesco II 44

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Francesco IV d’Asburgo Este 31 Frescobaldi, Girolamo 218 Frottola 212, 213, 221 Fugger 28, 39

G Gabrieli, Andrea 211, 217-218 Gabrieli, Giovanni 218219 Galateo 123 Gambara, Veronica 124 Gand, Unione di 46 Gattamelata 138 Gattinara, Mercurino di 40 Gelli, Giambattista 126127 Gemisto, Giorgio 18 Gerusalemme conquistata 130 Gerusalemme liberata 129, 130-131, 132 Gesualdo, Carlo 213, 214, 215 Ghiberti, Lorenzo 139 Giambologna 175 Gioconda, La 158 Giorgione 159 Giovanna la Pazza 39 Giovio, Paolo 98 Giraldi Cinzio, Giambattista 116, 230, 236 Giudizio Universale (Michelangelo) 161 Giulio II 160 Giusnaturalismo 60 Giustinian, Leonardo 90 Goldoni, Carlo 245 Gombert, Nicolas 206, 210 Gonzaga 12, 13, 20 Grazia 64 Grozio, Ugo 59, 61-62 Guarini, Giovan Battista 231, 232

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Hassler, Hans Leo 218, 220 Hofhaimer, Paul von 220 Humanae litterae 17, 51 Humanitas 18

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Landino, Cristoforo 84 Las Casas Bartolomeo de 25 Lasca 125-126 Lascaris, Costantino 18 Lasso, Orlando di 206, 211-212, 213, 216, 220 Laurana, Luciano 147, 187, 194 Lechner, Leonhard 220 Lega di Smalcalda 42 Lega Santa 41 Leggenda della vera Croce 149 Leonardo da Vinci 21, 156 Leone X 35, 39 Lepanto, battaglia di 46 Liber macaronicus 118 Libreria Marciana 199 Lied 211, 219 Lione, Armistizio di 40 Lippi, Filippo 140 Locatelli, Domenico 246 Locke, John 60 Loschi, Antonio 90, 227 Lotto, Lorenzo 165 Luigi II Jagellone 41 Luigi XII 40

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Guarini, Guarino 20, Guerra dei tre Enrichi 45 Guerre di religione 37 Guglielmo III d’Orange 46 Guicciardini, Francesco 88, 104, 108-110, 126 Gutenberg, Johann 19

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Imitazione 18 Immortalità dell’anima 54 Incas 24 Incoronazione della Vergine 162 Infinità/infinito 70 Inverno 181 Invincibile Armata 47 Isaac, Heinrich 206, 220 Italia liberata dai Goti, L’ 116 Machiavelli, Niccolò 52, Ivan III il Grande 33 59-60, 104-108, 110, 114, 229, 242 Macque, Jean de 206 Madonna col Bambino (Antonello Jacobus Gallus 220 da Messina) 150 Jagellone, Ladislao 33 Madonna di Senigallia 149 Madrid, Trattato di 41 Madrigale 211, 212, 213, 214, 220, 221 Kant, Immanuel 60 Kerle, Jacobus de 206 Magellano, Fernando Magalhaes 24 Knox, John 210

Magia 68 Malatesta 20 Manetti, Giannozzo 20 Mandragola 107, 229 Manierismo 122-127, 188 Mantegna, Andrea 146 Manuzio, Aldo 90 Marciana, Biblioteca 19 Marenzio, Luca 206, 213, 214, 215 Marescalco, Il 119 Margherita di Valois 45 Maria Emanuela del Portogallo 45 Maria Tudor, la Sanguinaria 36, 46-47 Martinelli, Marco 246 Masaccio 21, 138 Massimiliano II 45 Meccanicismo 68 Mecenatismo 53, 144150 Medici 12, 13, 14, 19, 20, 28, 185 Medici, Lorenzo de’ 84, 150, 198 Meistersang 219 Melegnano, battaglia di 41 Memling, Hans 153 Merulo, Claudio 218 Mesta 29 Michelozzi, Michelozzo 137 Milán, Luís 222 Mohacs, battaglia di 41 Molière 244 Monade 70 Monte, Philippe de 206, 213 Montefeltro 20 Monteverdi, Claudio 206, 213, 214, 215, 235 Monumento equestre di Giovanni Acuto 142 Monumento funebre per Giulio II 160 Morales, Cristóbal de 222 Moretto da Brescia 181 Morgante 87-88 Moro, Tommaso 37

Mosca, Granducato di 33 Moscheta 115 Mudarra, Alonso de 222 Mussato, Albertino 227 Mühlberg, battaglia di 42 Müntzer, Thomas 36

N Nantes, Editto di 45 Narváez, Luís de 222 Nascita di Venere 152 Natura 67, 68 Naturalismo rinascimentale 67-71 Nencia da Barberino 84 Neoplatonismo 68, 159 Niccoli, Niccolò 77 Nobiltà di toga 29 Novelle (Matteo Bandello)113 Noyon, Trattato di 41 Nozze di Cana 179

O Obrecht, Jacob 206 Ockeghem, Johannes 206, 207-208 Orlandino 118 Orlando furioso 101 Orlando innamorato 92 Ortolano, L’ 181 Ospedale degli Innocenti 196 Ovidio 231

P Padri della Chiesa 63, 66 Pala di S. Zeno 146 Pala Pesaro 164 Palazzi Vaticani 198 Palazzo Chiericati 192

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Indice

Palazzo Corner 199 Palazzo della Ragione 192 Palazzo di Parte Guelfa 196 Palazzo Farnese 192 Palazzo Massimo 188 Palazzo Medici-Riccardi 192 Palazzo Pitti 196 Palazzo rinascimentale 191-192 Palazzo Rucellai 192, 197 Palazzo Strozzi 192 Palazzo Te 176, 192 Palazzo Thiene 192 Palazzo Valmarana 192 Palestrina, Giovanni Pierluigi da 206, 215216 Palladio, Andrea di Pietro della Gondola detto il 191, 192, 193, 201 Palmanova 194 Panormita 91 Paolo III 38 Papato 40, 46 Parmigianino 176 Pastor fido 231, 232 Paruta, Paolo 110 Passau, Tregua di 42 Patriziato 29 Pavia, battaglia di 41 Perin del Vaga 176 Perseo 174 Perugino, Il 148 Peruzzi, Baldassarre 188, 193 Petrarca, Francesco 75, 77, 84, 92, 95, 96, 122, 124 Petrarchismo 96, 124 Piazza del Campidoglio 194 Piazza S. Marco 199 Piccolomini, Alessandro 245 Piccolomini, Enea Silvio 80

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Pico, Giovan Francesco 96 Pico della Mirandola, Giovanni 20, 52, 57, 68, 81 Pienza 80, 194, 197 Piero della Francesca 21, 148-149, 197 Pietà di Palestrina 161 Pietà di S. Pietro 160 Pio IV 37 Pio V 47 Pirandello, Luigi 244 Pizarro, Francisco 23, 25 Platina 90 Platone 54, 55, 56, 57 Platonismo rinascimentale 55, 57 Plauto 229, 236, 242 Plotino 56 Poetica (Aristotele) 226, 235 Politica 59-62 Poliziano, Agnolo 20, 83, 84-86, 91, 231, 233 Pollaiolo, Il 151 Pomponiana, Accademia 90 Pomponazzi, Piero 54 Pomponio Leto, Giulio 20, 90, 236 Pontano, Giovanni 19, 20, 91 Pontormo, Il 173 Pordenone, Il 178 Portogallo, annessione del 31 Predestinazione, dottrina della 64-65 Prés, Josquin des 206, 208, 209-210 Principe, Il 106 Prose della volgar lingua 96 Prospettiva 136, 186, 195 Pufendorf, Sannuel von 60 Pulci, Luigi 83, 84, 8688

Q Quattro libri dell’architettura, I 200 Quintiliano 52

R Raffaello Sanzio 188, 192 Raya, Accordo della 25 Reducciones 25 Regnart, Jacques 206 Regola delli cinque ordini di architettura 189, 200 Ricordi 109 Riforma cattolica 63 Riforma protestante 3538, 64 Rime (Ariosto) 101 Rime (Tasso) 129 Rimostranza, diritto di 32 Rinascimento 16-21, 51, 52-53 Rinuccini, Ottavio 235, 245 Rivoluzione dei prezzi 30 Roberti, Ercole de’ 145 Romano, Giulio 175, 192 Ronconi, Luca 228 Rore, Cyprien de 206, 211, 213 Rossellino, Bernardo 194, 197 Rotonda, La 193 Rousseau, JeanJacques 60 Rucellai, Giovanni 230 Ruzante 112, 114-116, 232-233, 235

S S. Bartolomeo, notte di 44 S. Croce 196 S. Maria degli Angeli 196

S. Maria del Fiore 195, 196 S. Maria Novella 186, 191 S. Pietro 191, 198 S. Pietro in Montorio 198 S. Quintino, battaglia di 41 Sabbioneta 194 Sachs, Hans 219 Sacra Famiglia, o Tondo Doni 160 Sacrestia nuova di S. Lorenzo 188, 198199 Sacrestia Vecchia di S. Lorenzo 191, 196 Salernitano, Masuccio 91 Salutati, Coluccio 51, 75 Sangallo il Giovane, Antonio da 192 Sanmicheli, Michele 199 Sannazaro, Iacopo 20, 90, 93-94, 98, 124 Sansovino, Il 179, 180, 199 Satire (Ariosto) 101 Savonarola, Gerolamo 88 Senfl, Ludwig 220 Sensazione 69 Serlio, Sebastiano 200, 237 Sette libri dell’architettura di Sebastiano Serlio bolognese 200 Signorelli, Luca 151 Sofocle 239 Sofonisba 116, 231 Speroni, Sperone 116, 233 Sposalizio della Vergine 162 St. Germain, Editto di 44 Stampa, Gaspara 124 Stampa, invenzione della 19 Stanze per la giostra 85 Stanze Vaticane, decorazione delle 162 Stoltzer, Thomas 220

Indice

Storia d’Italia 109 Storie del Vecchio e Nuovo Testamento (Tintoretto) 179 Strambotto 212 Straparola, Giovan Francesco 112 Stuart, Maria 47 Sulla pittura 78

Umanesimo 16, 51-52, e scultori italiani 75-82, 83, 90, 93, da Cimabue insino Umanesimo civile 59 a’ tempi nostri 126 Umanesimo cristiano 37 Vitruvio Pollione, Marco Umidi, Accademia degli 201, 236, 237 125 Vittorino da Feltre 20, 77 Università 16-17 Utopia 60-61 Utrecht, Unione di 46

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Wagner, Richard 219 Wert, Jaches de 206 Willaert, Adrien 206, 210Tallis, Thomas 221, 222 Valla, Lorenzo 20, 79 211, 217, 218 Tasman, Abel 24 Van der Goes, Hugo 154 Wittenberg 35 Tasso, Torquato 122, Van der Weyden, Roger Worms, Dieta di 36 124, 128-132 153 Taverner, John 221 Van Eyck, Jan 153 Telesio, Bernardino 68- Varchi, Benedetto 124 69 Vasa, Gustavo 33 Tempesta, La 159 Vasari, Giorgio 126, York, casata degli 81 Tempio Malatestiano 163, 188 197 Vaticana, Biblioteca 19 Teologia Vaudeville 220 controversistica 66 Vecchi, Orazio 213 Teologia della pura Veneziano, Domenico Zarlino, Gioseffo 211 grazia 64 141 Zwingli, Ulderico 36 Teologia negativa 56 Verdelot, Philippe 213, Teologia positiva 56 217 Terenzio 228, 242 Vergerio, Pier Paolo 227 Theologia Platonica 20 Vergine delle rocce 157 Tintoretto, Il 178 Veronese, Il 179 Tiziano Vecellio 164-165 Verrocchio, Il 151 Trebisonda, Giorgio 76 Verucci, Virgilio 246 Trento, Concilio di 37 Vespucci, Amerigo 21, Trinità (Masaccio) 139 23 Trionfo di Bacco Vignola, Il 189, 191, e Arianna 84 193, 200 Trissino, Gian Giorgio Villa Capra, detta La 116, 230 Rotonda 193 Trittico Portinari 154 Villa Farnese 193 Tudor 32 Villa Farnesina 188, 193 Tura, Cosmè 145 Villa Madama 188, 192 Tye, Christopher 221 Villa rinascimentale 192-193 Virgilio 231 Visconti 11, 13, 20 Vita (Benvenuto Cellini) Uccello, Paolo 141 126 Uffizi, Galleria degli 189 Vita de’ più eccellenti Ultima cena, L’ 157 architetti, pittori,

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RINASCIMENTO SCHEMI RIASSUNTIVI, QUADRI DI APPROFONDIMENTO

TUTTO

Studio



Riepilogo



Sintesi

TITOLI DELLA COLLANA

Titolo

ARCHITETTURA - BIOLOGIA - CHIMICA - CINEMA - DIRITTO ECONOMIA AZIENDALE - ECONOMIA POLITICA E SCIENZA DELLE FINANZE - FILOSOFIA - FISICA - FRANCESE - GEOGRAFIA ECONOMICA - INGLESE - LATINO - LETTERATURA FRANCESE LETTERATURA GRECA - LETTERATURA INGLESE - LETTERATURA ITALIANA - LETTERATURA LATINA - LETTERATURA SPAGNOLA LETTERATURA TEDESCA - MEDIOEVO - MUSICA - NOVECENTO POESIA ITALIANA DEL NOVECENTO - PSICOLOGIA E PEDAGOGIA RELIGIONI - RINASCIMENTO - RISORGIMENTO E UNITÀ D’ITALIA SCIENZE DELLA TERRA - SOCIOLOGIA - SPAGNOLO - STORIA STORIA DELL’ARTE - TEATRO - TEDESCO