Tutto quello che sai è falso 2
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  • Secondo manuale dei segreti e delle bugie
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TUTTO QUELLO CHE SAI È FALSO 2 Secondo manuale dei segreti e delle bugie A cura di Russ Kick

Note all'edizione americana Titoli originali: Abuse Your Illusions e You Are Being Lied To Editi da The Disinformation Company Ltd. 163n Third Avenue, Suite 108 New York, NY 10003 www.disinfo.com Curatore di entrambi i libri: Russ Kick Editore dell'edizione americana per Abuse Your Illusions: Gary Baddeley per You Are Being Lied To: Paul Pollard Designer per Abuse Your Illusions: Leen Al-Bassam per You Are Being Lied To: Torno Makiura prima edizione di Abuse Your Illusions: Aprile 2003 prima edizione di You Are Being Lied To: Febbraio 2002 Disinformation è un marchio registrato di The Disinformation Company Ltd. Le opinioni e le affermazioni espresse in questo libro sono proprie degli autori. The Disinformation Company Ltd. non ha eseguito verifica, né conferma o smentisce alcuna garanzia o idoneità. Si incoraggia il lettore a mantenere il proprio spirito critico e a giudicare in maniera indipendente ciò che sa essere falso. The Disinformation Company Ltd. non ha alcun obbligo nè responsabilità verso persone o entità sull'eventuale perdita o danno recato dalle informazioni contenute in questo libro, mediante il loro utilizzo o affidamento in esse. Note all'edizione italiana Prima edizione ottobre 2004 Editore: Nuovi Mondi Media Via Orsoni, 33 - San Lazzaro di Savena (Bo) Tel. 051 6259172 - Fax 051 - 6284156 www.nuovimondimedia.it - [email protected] Traduzioni di: Daniela Conti, Tiziana De Giosa, Cora Ferroni, Giuliana Lupi, Silvia Magi, Cristina Marasti, Nazzareno Matari, Eva Milan, Kareem Omar, Luca Poggi, Anna Tamellini. Editing e progetto grafico a cura di Nuovi Mondi Media. Appartengono esclusivamente all'edizione italiana gli articoli: "Tutto quello che non dovreste sapere sul Cristianesimo", "Stragi italiane impunite", "Medicina assassina", "Le vere ragioni dei conflitti in Africa", "Aids, il caso non è chiuso", "Due pesi e due misure", "La guerra americana per il dominio globale", "Per un mondo libero da OGM. I risultati di una ricerca scientifica indipendente", "La scuola dei torturatori", "Il mito del DNA". Anche in questo caso le opinioni e le affermazioni espresse in questo libro sono proprie degli autori. In riferimento all'articolo "Medicina assassina" (Death by Medicine) si ringrazia la Life Extension Foundation Buyers Club Inc. per la gentile concessione.

INDICE Introduzione - Russ Kick Guerra al terrorismo, l'ultima menzogna della propaganda - William Blum La grande truffa della "guerra alla droga" - Michael Levine AIDS, il caso non è chiuso - Kary Mullis Putroppo, un diamante è per sempre - Janine Roberts Il Martin Luther King censurato dalla Tv - Jeff Cohen e Norman Solomon Suicidi al Prozac - Richard Degrandpre L"esilio di un giornalista - Greg Palast Le atrocità dei media nella guerra in Kosovo - Michael Parenti La favola della "guerra buona". La storia segreta della Seconda Guerra Mondiale - Michael Zezima Due pesi e due misure. Riconoscere il terrorismo dello stato di Israele - Paolo Barnard Una verità così terribile. I campi di prigionia degli "Alleati - James Bacque Guerre per il dominio globale.Progetto per un nuovo secolo - Michel Chossudovsky I crimini di Cristofo Colombo e il mito della "civiltà occidentale" - Howard Zinn Chi gioca sporco nella finanza mondiale - Lucy Komisar La scuola dei torturatori - A cura di School of Americas Watch Le armi proibite della Cia - A cura del Progetto Sunshine II mito del DNA - Barry Commoner Le vere ragioni dei conflitti in Africa - Alberto Sciortino Tutto quello che non dovreste sapere sul Cristianesimo - Laura Malucelli Il sorriso che inganna. La frode del fluoro - Robert Sterling Per un mondo libero da OGM A cura di un gruppo di scienziati indipendenti (ISP) Medicina assassina - G. Nul, C. Dean, M. Feldman, D. Rasio, D. Smith Il collasso del Quarto Potere - Noam Chomsky Se esportiamo la democrazia, a noi quanta ne rimane? Ritt Goldstein e Nancy Talanian Il Network delle notizie segrete - Greg Bishop La farsa degli aiuti umanitari in Afghanistan - Russ Kick La CIA e l'atomo - John Kelly Jimmy Carter e i diritti umani - Jeff Cohen e Norman Solomon Stragi italiane impunite - Gabriella Canova L"affare del canale di Panama - Ovidio Diaz-Espino La rivolta di Kwanju - Nick Mamatas A proposito di Disinformation® Biografie degli autori

INTRODUZIONE Russ Kick "Abuse Your Illusions" è la terza antologia che ho curato per Disinformation in altrettanti anni. Quando iniziai a lavorare sul primo volume ("You Are Being Lied To") nel 2000, tutti mi dicevano sornioni: "Scommetto che non resterai mai a corto di materiale, riuscirai a crearne sempre di antologie così", e altre cose del genere. Come sospettavo, avevano ragione: il problema, come sempre, non è se riuscirò ad avere abbastanza materiale per riempire un libro di questo tipo, ma come farò a compiere una selezione in mezzo al gran numero di possibili argomenti, collaboratori, articoli, ecc. È sbalorditiva anche solo la semplice mole di informazioni nascoste, fatti occultati, distorsioni, bugie, falsi miti e concezioni sbagliate che ci si riversa addosso. Ogni giorno leggo sempre più materiale che indebolisce il consenso generale, coglie con efficacia enormi menzogne, cerca di tirare fuori tutto il marcio che viene passato sotto silenzio e mostra le cose nella maniera in cui potrebbero essere. Le mie stesse convinzioni sono messe in dubbio regolarmente, qualche volta di ora in ora. Ci sono giorni in cui mi chiedo se, come suggerisce il titolo del secondo volume, letteralmente tutto ciò che so sia falso. Stare al passo con gli inganni che ci vengono propinati è una sfida crescente: è come scavare una buca mentre un bulldozer continua a ricacciarti il marcio all'interno. E la situazione peggiora costantemente. L"attuale Amministrazione va matta per la segretezza e la repressione più di qualsiasi altra a memoria d"uomo, e questo la dice lunga su come vanno le cose. Ogni presidente fa quel che può per aumentare la posta, stringendo sempre di più i freni e custodendo più segreti del suo predecessore. Di questi tempi, i siti Web governativi stanno tranquillamente rimuovendo o cambiando migliaia di pagine. Il Procuratore Generale Usa ha ordinato agli enti governativi di respingere con maggiore frequenza le richieste di accesso ai documenti pubblici, garantite dal Freedom of Information Act. Sempre più informazioni vengono considerate "non sottoposte a segreto di stato, ma delicate" e, quindi, riservate. Alcuni tipi di dati statistici non vengono più raccolti. Il denaro per stampare documenti governativi scarseggia. Le biblioteche ricevono sempre meno sovvenzioni. E poi c'è la minaccia esercitata dai gruppi di pressione. Non vi va giù che qualcuno abbia rivelato un fatto imbarazzante o espresso un"opinione scomoda? Minacciatelo con boicottaggi, cause, cattiva pubblicità, persecuzione penale (specialmente in Europa) e magari accennate anche a forme più dure di punizione. Alla rabbia è tutto dovuto . Lo fanno semplicemente tutti, miei cari: destra, sinistra, musulmani, ebrei, veterani, femministe e così via. Evidentemente molte persone non hanno ancora imparato che la reazione adeguata a un discorso che non piace o con cui non si è d"accordo consiste nel fare una contro-proposta propria, non nel tentare di ridurre al silenzio l'interlocutore. Internet ha contribuito in maniera straordinaria alla liberazione dell'informazione, ma allo stesso tempo nella rete viene immessa indiscriminatamente una così grande quantità di informazioni che siamo stati costretti ad affinare le nostre capacità critiche. Chi ha prodotto il materiale che stiamo leggendo? Quali sono le fonti utilizzate? Quanto viene affermato ha una sua coerenza interna? Queste sono tutte buone domande da porsi di fronte a qualsiasi tipo di materiale, ma allo stesso tempo non dobbiamo spingerci troppo oltre nell'altra direzione, non prestando fede a nulla di quanto viene proposto in rete. In quella che sembra essere una violenta reazione contro il flusso informativo presente online, alcune persone vorrebbero farvi credere che nulla di quanto si trova in rete può in alcun modo essere vero. Alcune di queste persone sono semplicemente sprezzanti, forti della loro arroganza, ma altre hanno uno scopo ben preciso. E diffidate dei recensori di Amazon che

scrivono: "Non sprecate soldi per questo libro". Tradotto significa: "Questo libro contiene fatti e opinioni che sono fonte di turbamento per me, quindi non voglio che voi lo leggiate". E a proposito di libri, fanno anch"essi parte dell'eccesso informativo dilagante. Il numero di libri validi che contengono importanti rivelazioni cresce letteralmente in maniera esponenziale, ogni giorno. Ma chi ha tempo di leggerli tutti? Un resoconto dettagliato di 500 pagine su una qualche impresa, agenzia governativa o personalità politica è fantastico, ma si è fortunati se si riesce a finirne uno (figurarsi dozzine su dozzine...) in un lasso di tempo ragionevole. La stessa cosa vale per un libro di 600 pagine che mette drammaticamente in dubbio le nostre convinzioni assodate riguardo un determinato evento storico, e anche per un eventuale tomo di 300 pagine sulla più recente teoria scientifica o innovazione tecnologica. Allora perché contribuiamo anche noi al sovraccarico informativo, alla pila di libri che si accumulano incessantemente sul comodino? (per non parlare di quella lista di bookmark sul vostro browser lunga un metro..). La risposta è: perché speriamo di raccogliere un certo numero di testi migliori in mezzo a quel vasto materiale e di radunarli in un solo libro. È solo una piccola porzione di tutte le ottime cose che si trovano là fuori, ma almeno è un inizio. Allo stesso tempo, le antologie offrono un antidoto alle costanti restrizioni sulla libera circolazione delle informazioni. Praticamente ogni articolo che compare tra queste due copertine si occupa di un argomento scottante, e alcuni di questi sono addirittura radioattivi. A quanto pare, la De Beers ha completamente occultato il film di Janine Roberts che tratta gli aspetti oscuri e nascosti del commercio dei diamanti. La Doubleday le offrì un contratto per un libro su questo argomento, la pagò persino in anticipo, e poi si rifiutò di pubblicarlo. Quando il Sunshine Project rilasciò un comunicato stampa relativo ai documenti governativi desecretati, con i quali si prova che gli Usa stanno sviluppando armi biologiche illegali, ognuno dei principali organi informativi del paese chiamò il co-fondatore Edward Hammond per saperne di più sull'argomento. Ma nessuno di loro ha mai pubblicato nemmeno un servizio; solo due fonti informative alternative diedero copertura delle rivelazioni, e cioè Pacific Radio e Village Voice (l'ultima con un articolo onli-ne del vostro affezionatissimo sottoscritto). Hammond mi disse che un giornalista del New York Times lo aveva intervistato per 45 minuti, eccitatissimo all'idea di scrivere il pezzo, ma i responsabili del Times bocciarono il servizio. Ebbene sì, anche nell'era del sovraccarico informativo, alcuni fatti vengono alla luce con immense difficoltà. E in mezzo a quel mare di notizie che riescono a emergere, come si fa a sapere da dove cominciare? Mi permetto umilmente di suggerire che questo libro può essere un buon punto di partenza. Se mai qualcuno di questi articoli dovesse solleticare la vostra curiosità, sappiate che potrete trovare ulteriori fonti di informazioni nelle note, nelle biografie dei collaboratori e nei loro siti Web, oltre che, naturalmente, negli stessi articoli.

"GUERRA AL TERRORISMO", L"ULTIMA MENZOGNA DELLA PROPAGANDA William Blum Questo intervento fu tenuto all'Università del Colorado a Boulder il 16 ottobre 2002. Buonasera, mi fa molto piacere essere qui, specialmente visto che le bombe non hanno ancora cominciato a cadere. Parlo dell'Iraq e non di Boulder; se non vi comporterete bene e se non smetterete d"invitare persone come me a parlare, Boulder verrà dopo l'Iraq e l'Iran. La prima volta che ho parlato in pubblico dopo lo scorso 11 settembre, ero a un dibattito all'Università del Nord Carolina. Grazie a quel dibattito, io e altre persone siamo stati inseriti in una lista da un"organizzazione fondata da Lynne Cheney, la moglie di Tu-Sai-Chi. Il programma dell'organizzazione può essere riassunto da una relazione pubblicata che s"intitola "Difendere la nostra civiltà: le mancanze delle nostre università nei confronti dell'America e ciò che può essere fatto a riguardo". Nella relazione e sul loro sito Web, sono inseriti un gran numero di commenti, fatti dal corpo insegnante e da studenti di varie scuole, dai quali emerge quanto queste persone non accolgano favorevolmente il nuovo impeto bombardiero americano. Oltretutto essi si sono resi colpevoli di aver suggerito che qualche straniero potesse attualmente avere dei buoni motivi per odiare gli Stati Uniti (quello che io chiamo, "il filone di pensiero straniero che odia gli Usa"). A causa di quella lista, insieme a cose che ho scritto successivamente, l'anno scorso ho ricevuto molte lettere di protesta, anzi, per essere esatti, molte e-mail. Sto ancora aspettando di ricevere la mia prima e-mail all'antrace. Beh, se ci possono essere i virus nelle e-mail perché non i batteri? Le lettere di protesta quasi mai contestano fatti o idee da me espressi, ma mi accusano principalmente di non essere patriota. Parlano di una sorta di patriottismo cieco ma, anche se avessero una visione più equilibrata di me, avrebbero comunque ragione. Io non sono un patriota, io non voglio essere patriottico, anzi mi spingo fino all'asserire che sono patriotticamente limitato. Molte persone di sinistra, oggi come negli anni "60, non vogliono lasciare la questione del patriottismo ai conservatori. La gente di sinistra insiste nel dire che sono loro i veri patrioti perché chiedono agli Stati Uniti di vivere secondo principi professati storicamente. Tutto ciò va bene ed è buono, ma io non sono di sinistra. Non credo che il patriottismo sia uno degli aspetti più nobili degli esseri umani. George Bernard Shaw scrisse che il patriottismo è la convinzione che il tuo paese sia superiore agli altri per il semplice fatto che ci sei nato tu; ricordatevi inoltre che i tedeschi che sostenevano il governo nazista possono essere visti come dei patrioti, e, infatti il governo tedesco li definiva tali. Il 2001 non è stato un anno facile per una persona come me, visto che siamo stati sommersi da un"orgia di patriottismo. Come si può sopravvivere a frasi del tipo "Noi siamo uniti" e "Dio benedica l'America"? E la bandiera? Quella è presente ovunque. Compro una banana ed eccola là, una bandiera attaccata sopra la buccia. È questo il modo di farci diventare tutti eroi? Per esempio, il sindaco di New York, Rudy Giuliani, è diventato un eroe. Fino al 10 settembre era un arrogante, un reazionario spietato, e tutto ad un tratto diventa un eroe e un uomo di stato che parla di fronte all'ONU. Anche George Bush è diventato un eroe, le persone che fino al 10 settembre lo definivano un ritardato mentale, dopo l'11 lo salutarono come un eroe e un dittatore. Nell'opera teatrale di Bertolt Brecht un personaggio dice all'altro: “Triste è quel paese che non ha eroi". E l'altro personaggio risponde: " No, triste è quel paese che ha bisogno di eroi". Anche se non ho prestato la mia lealtà ad alcun paese o governo, io sono, come del resto molti di voi, fedele a certi principi come la giustizia politica e sociale, la democrazia economica e i diritti umani. La morale del mio messaggio per voi è la seguente: se il vostro cuore e il vostro cervello vi dicono chiaramente che il bombardamento di contadini depauperati, affamati e innocenti non aiuterà a

portare più sicurezza al popolo americano, allora dovreste protestare con ogni mezzo che avete a disposizione, e non preoccupatevi di essere definiti "non patriottici". Purtroppo ci sono state scarse proteste contro il bombardamento dell'Afghanistan, e questo ci fa capire in che misura gli eventi avessero intimidito le persone; gli eventi e la crescita dei poteri della polizia, capitanata dall'Ayatollah John Ashcroft. Penso che quest'assenza fosse dovuta anche al fatto che le persone ritenevano che qualsiasi orrore causassero i bombardamenti, questi aiutassero anche a liberarci di qualche terribile terrorista anti-americano. Ma delle migliaia di afgani che sono morti sotto le bombe americane quanti credete avessero preso parte agli eventi dell'11 settembre? Faccio un"ipotesi approssimativa e dico "nessuno". E quanti credete abbiano mai preso parte ad altri atti terroristici contro gli Stati Uniti? Non lo sapremo mai con certezza ma la mia ipotesi si aggira intorno all'uno, se poi ce ne sono realmente stati. Dopotutto gli atti terroristici non accadono molto spesso e di solito sono gestiti da un pugno di uomini. Quindi, fra tutti i morti a causa delle incursioni americane è possibile che alcuni di questi terroristi siano stati colpiti, tenendo anche conto che molti di loro si trovavano già in prigione? E ricordate che la maggioranza delle persone che si trovava nei campi di addestramento di al Qaeda in Afghanistan era là per aiutare i talebani nella loro guerra civile, niente a che fare col terrorismo o con gli Stati Uniti, per loro era una questione religiosa, cosa che non ci riguardava. Li abbiamo uccisi comunque, o tenuti prigionieri in terribili condizioni nella base di Guantanamo a Cuba. Ormai i prigionieri sono lì da molto tempo, senza vedere avvicinarsi così la fine della prigionia e molti di loro hanno già tentato il suicidio svariate volte. Ciò che è davvero degno di nota è che quello che chiamiamo il nostro governo sta ancora andando in giro a buttare grandi quantità di esplosivi estremamente potenti sopra le teste di persone indifese. Le cose non dovevano andare in questo modo. A partire dalla fine degli anni "80, Michail Gorbaciov pose fine allo stato di polizia sovietico; poi il muro di Berlino fu smantellato e tutte le persone dell'Europa dell'est festeggiarono gioiosamente l'arrivo di un "nuovo giorno", il Sud Africa liberò Nelson Mandela e l'apartheid cominciò a sgretolarsi. Haiti ebbe le sue prime elezioni libere e scelse come presidente un progressista genuino. Sembrava che tutto fosse possibile, l'ottimismo era diffuso così come lo è oggi il pessimismo. Gli Stati Uniti si unirono a queste celebrazioni. Poche settimane dopo la caduta del muro di Berlino invadevano e bombardavano Panama e stavano anche intervenendo senza pudore nelle elezioni in Nicaragua per sconfiggere i sandinisti. Poi, quando l'Albania e la Bulgaria che, a detta dei nostri media, erano state "appena liberate dalla morsa del comunismo", osarono eleggere governi non accettabili per gli Usa, Washington s"intromise e li fece cadere. Poco dopo arrivarono i bombardamenti sul popolo iracheno, che durarono per 40 orribili giorni, senza pietà e senza una buona o onesta ragione; tutto ciò fu fatto in nome della nostra speranza in un mondo diverso e migliore. I nostri capi, però, non avevano ancora finito. Poco dopo attaccarono la Somalia, ancora bombe e morti, e nel frattempo hanno continuato a bombardare l'Iraq per anni. Sono intervenuti per sedare movimenti di protesta in Perù, Messico, Ecuador e Colombia, così come ai tempi della Guerra Fredda negli anni "50 e nell'America Latina negli anni "60, ‘70, "80 e ancora negli anni "90. Successivamente, hanno bombardato gli jugoslavi per 78 giorni e altrettante notti. Di nuovo, l'anno scorso, sono intervenuti grossolanamente e apertamente su un"elezione in Nicaragua per prevenire la vittoria della sinistra. Mentre, ovviamente, stavano bombardando l'Afghanistan che ha già probabilmente subito la perdita di più civili innocenti che di quelli uccisi qui l'11 settembre, e con altre vittime a venire, visto che le persone continueranno a morire per le ferite riportate, per le mine delle bombe a grappolo e per la tossicità dell'uranio impoverito. Inoltre, dopo tutti questi anni, continuano ancora a strangolare Cuba. Badate bene, questa non è che una lista parziale.

In tutto questo non si è fatto alcun passo in avanti per la pace che ci avevano promesso, né per gli americani né per il resto del mondo. Che diamine sta succedendo qui? Fin dall'infanzia ci è stato insegnato che la Guerra Fredda, incluso la Guerra di Corea, la Guerra del Vietnam, e le enormi spese militari - quelle di cui siamo a conoscenza -beh, ci è stato insegnato che tutto ciò era stato necessario per combattere un"unica minaccia: la Cospirazione Comunista Internazionale, che aveva sede a Mosca. Quindi, cos"è successo? L"Unione Sovietica si è sciolta, il Patto di Varsavia è stato sciolto, gli stati satelliti dell'Europa orientale sono diventati indipendenti, i comunisti di una volta sono addirittura diventati capitalisti, ma niente è cambiato nella politica estera americana. Anche la NATO è rimasta, la NATO che è stata creata - almeno così ci avevano detto - per proteggere l'Europa occidentale contro l'invasione sovietica; la NATO è oggi più grande che mai, e, col passare del tempo, sempre più grande e potente, una NATO con una missione globale. Lo statuto della NATO fu persino invocato per giustificare la volontà dei suoi membri di unirsi agli Usa nell'invasione dell'Afghanistan. Tutta questa storia è stata una truffa all'americana: l'Unione Sovietica e qualcosa chiamato comunismo di per sé non erano gli oggetti dei nostri attacchi globali, non c'è mai stata una Cospirazione Comunista Internazionale; il nemico era e rimane qualsiasi governo, movimento, o anche individuo, che si opponga all'espansione dell'Impero americano, qualsiasi sia il nome che gli si affibbi, comunista, Stato Farabutto, trafficante di droga, terrorista... Credete che l'Impero americano sia contro il terrorismo? Come chiamate un uomo che fa saltare un aeroplano uccidendo 73 persone? Che cerca di assassinare svariati diplomatici? Che spara cannonate alla navi ancorate in porti americani? Che piazza bombe in svariati edifici commerciali e diplomatici negli Stati Uniti e all'estero? E altre decine di atti del genere? Il suo nome è Orlando Bosh; è cubano e vive a Miami, e non è molestato dalle autorità. La città di Miami una volta ha pure dedicato una giornata in suo onore - l'Orlando Bosch Day. È stato liberato dalla prigione in Venezuela, dove era stato incarcerato per le bombe sull'aeroplano, in parte grazie alle pressioni dell'ambasciatore americano Otto Reich, che all'inizio di quest"anno è stato assegnato al Dipartimento di Stato di George W. Nel 1988, dopo il ritorno di Bosch negli Stati Uniti, il Dipartimento di Giustizia lo condannò come pericoloso terrorista e si preparò alla sua espulsione, ma intervenne il Presidente Bush, il primo, aiutato dal figlio Jeb Bush dalla Florida. Quindi, George W. e la sua famiglia sono contro il terrorismo? Beh, sì, sono contro quei terroristi che non sono alleati dell'Impero. A proposito, l'aereo che Bosch bombardò era cubano, per questo motivo e per una moltitudine di altri crimini efferati, è ricercato a Cuba e i cubani ne hanno chiesto l'estradizione. Bosch rappresenta per i cubani ciò che Osama bin Laden rappresenta per gli americani. Ma gli Stati Uniti hanno rifiutato. Potete immaginarvi la reazione di Washington se bin Laden fosse apparso a l'Avana e se i cubani ne avessero negato l'estradizione negli Stati Uniti? Potete immaginarvi la reazione degli Stati Uniti se l'Avana proclamasse il giorno di Osama bin Laden? Il supporto che Washington continua a dare a delle vere e proprie organizzazioni terroristiche è molto vasto. Forniamo qualche esempio recente: gli albanesi hanno a lungo e ripetutamente compiuto attacchi terroristici nel Kosovo e in svariate parti dei Balcani, ma sono stati nostri alleati perché hanno attaccato persone scomode per Washington. I paramilitari colombiani, per quanto malvagi possano essere, non potrebbero fare il loro sporco lavoro senza il supporto dei militari colombiani, i quali a loro volta godono di un sostegno statunitense di fatto illimitato. Basterebbero questi semplici fatti per rendere Washington non qualificata in una guerra al terrorismo. Bush, inoltre, inveisce spesso contro coloro che danno asilo ai terroristi. Ma parla sul serio? Beh, quale paese ospita più terroristi degli Stati Uniti? Orlando Bosch è solo uno dei numerosi cubani anticastristi che vivono a Miami e che hanno realizzato centinaia, se non migliaia, di atti terroristici negli Stati Uniti, a Cuba e altrove; compiendo ogni tipo di attacco incendiario, assassinio o bombardamento. Sono stati ospitati qui, al sicuro, per decenni, così come numerosi altri amici

terroristi, torturatori e violatori dei diritti umani, provenienti dal Guatemala, El Salvador, Haiti, Indonesia e da altre parti del mondo, tutti alleati dell'Impero. La CIA, mentre cerca terroristi nelle caverne dell'Afghanistan, si siede nei bar di Miami e beve birra con dei terroristi. Cosa dobbiamo fare noi di tutto questo? Come dobbiamo interpretare la politica estera del nostro governo? Beh, se mai dovessi scrivere un libro intitolato "The American Empire for dummies",(1) scriverei: non cercare mai di trovare fattori morali. La politica estera statunitense non contiene fattori morali nel proprio DNA. Liberate la mente da quel fardello che vi impedisce di guardare oltre ai cliché e ai luoghi comuni. Lo so che per gli americani, almeno per la maggior parte, non è facile prendere alla lettera ciò che sto dicendo, non è un messaggio facile da digerire. Vedono i nostri leader alla televisione e le loro foto sui giornali, li vedono sorridere o ridere, li sentono raccontare barzellette, li vedono con la loro famiglia, li sentono parlare di Dio e d"amore, di pace e di legge, di democrazia e di libertà, di diritti umani, di giustizia e persino di baseball. Come possono queste persone essere dei mostri? Come possono essere chiamati immorali? Questi hanno dei nomi come George, Dick e Donald, e nel gruppo non c'è nemmeno un Mohammed o un Abdullah, e parlano pure inglese, beh, George quasi. Persone come Mohammed o Abdullah tagliano addirittura braccia o gambe come punizione per un furto, mentre noi siamo ben consci di quanto tutto ciò sia orribile, noi siamo troppo civilizzati per queste cose. Ma le persone che hanno nomi come George, Dick e Donald lanciano bombe a grappolo su città e villaggi, e spezzoni inesplosi di queste bombe diventano mine terrestri che molto presto saranno raccolte o pestate da un bambino, il quale, per questo, perderà un braccio o una gamba, o entrambe le braccia o le gambe, e, a volte, pure la vista; e non scordiamo che la parte della bomba che esplode appena lanciata ha già provocato la sua parte di orrore. Forse i nostri leader non sono immorali quanto amorali, non si può dire che traggano piacere nel causare tutte queste morti e sofferenze, semplicemente non gli interessa - se questa poi è una distinzione che valga veramente la pena di fare. Finché la morte e la sofferenza fanno avanzare il programma dell'Impero, finché le persone giuste e le giuste multinazionali conquistano benessere, potere, privilegi e prestigio, finché la morte e la sofferenza non li toccano o non toccano persone a loro vicine, allora non conta; così come non contano i soldati americani che sono stati catapultati in guerra e che tornano a casa - quelli che ci tornano - consumati dall'agente Orange(2) o dalla Sindrome del Golfo. I nostri leader non sarebbero in grado di ricoprire le loro posizioni se si facessero turbare da queste cose. Deve essere molto divertente fare il leader di un Impero di fatto glorioso, inebriante la sensazione di poter fare qualsiasi cosa tu voglia a chiunque tu voglia, per tutto il tempo che vuoi e adducendo qualsiasi spiegazione tu voglia perché tu detieni il potere, ecco, loro posseggono il potere e la gloria. Quando un paio di anni fa stavo scrivendo il mio libro, "Rogue State" (Stato Farabutto, NdT), ho usato il termine "Impero americano" che non credo di aver mai visto stampato prima di allora. Ho usato il termine con cautela perché non sapevo se il pubblico americano sarebbe stato o meno pronto per esso, ma tanta cautela si è rivelata inutile, adesso infatti questo termine è usato con orgoglio dai sostenitori dell'Impero. Per esempio, Dinesh D"Souza, un intellettuale conservatore dell'Istituto Hoover, ha scritto all'inizio di quest"anno un articolo intitolato "In lode all'Impero americano" in cui esorta gli americani a riconoscere il fatto che ormai gli Stati Uniti "sono diventati un Impero, la potenza imperiale più magnanima che ci sia mai stata". Robert Kagan, della Fondazione Carnegie, ha scritto: "la verità è che l'egemonia esercitata dagli Stati Uniti può essere benefica per una vasta porzione della popolazione mondiale, e, questa, è certamente una soluzione internazionale migliore di tutte le altre alternative realistiche". Il cronista d"agenzia Charles Krauthammer parla dell' "eccezionale e benigno Impero" americano.

Questo è il modo in cui le persone che appoggiano la politica estera americana riescono ad avere la coscienza a posto: concludono, proclamano, e magari pure credono, che la nostra politica estera sia una forza benevola, un Impero illuminato che porta ordine, prosperità e civiltà in tutte le parti del globo; e, se siamo costretti ad andare in guerra, allora quella sarà una guerra umanitaria. Poiché ho dedicato gran parte della mia vita a documentare minuziosamente l'esatto contrario, a mostrare la notevole crudeltà e gli effetti degli interventi Usa sulle persone in tutti gli angoli del mondo, potete capire che se la mia reazione di fronte a certe rivendicazioni sia: Eh? Questi intellettuali conservatori - che sia un ossimoro? -sono tanto amorali quanto le persone che lavorano nella Casa Bianca e nel Pentagono. Dopo tutto, le particelle di uranio impoverito non si trovano dentro i loro polmoni a irradiarli per il resto della loro vita, il Fondo Monetario Internazionale non sta mandando in bancarotta la loro economia e spaccando i loro servizi di base, non sono le loro famiglie che vagano nel deserto come rifugiati. I leader dell'Impero, la mafia imperiale -Bush, Rumsfeld, Cheney, Powell, Rice, Wolfowitz e Perle - e i loro portavoce sono tanto fanatici e fondamentalisti quanto Osama bin Laden, e il cambio di regime che hanno compiuto in Afghanistan gli ha veramente dato alla testa. Oggi Kabul, domani il mondo. Quindi, caro mondo, comincia ad abituarti: l'Impero americano, un film di successo, proiettato, presto, anche nella tua città. Qualche tempo fa ho sentito un sindacalista alla radio che proponeva quella che lui chiamava "una soluzione radicale al problema della povertà: pagare abbastanza le persone perché possano sopravvivere". Beh, io vorrei proporre una soluzione radicale al problema del terrorismo anti-americano: smettete di dare ai terroristi un motivo per attaccare l'America. I nostri leader e i nostri mezzi di comunicazione ci hanno fatto credere che siamo bersagliati a causa della nostra libertà, della nostra democrazia, del nostro benessere, della nostra modernità, del nostro governo secolare, della nostra semplice bontà e altre storie che vanno bene per i libri di scuola. George W. sta ancora ripetendo questi cliché un anno dopo l'11 settembre. Forse ci crede anche, ma altri pubblici ufficiali hanno saputo fare di meglio per un certo periodo. Uno studio del Dipartimento della Difesa ha concluso nel 1997 che: "dati storici mostrano una forte correlazione fra il coinvolgimento statunitense in situazioni internazionali e l'incremento degli attacchi terroristici contro gli Stati Uniti". Jimmy Carter, qualche anno dopo aver lasciato la Casa Bianca, sostenne inequivocabilmente tale conclusione e aggiunse: Abbiamo mandato i Marines nel Libano e dovete semplicemente andare in Libano, in Siria o in Giordania per sperimentare sulla vostra pelle l'odio intenso che queste persone nutrono verso gli Stati Uniti. Tutto ciò è dovuto ai nostri bombardamenti, alle nostre uccisioni impietose di innocenti - donne e bambini, agricoltori e casalinghe - in quei villaggi attorno a Beirut... Come risultato... siamo diventati una specie di Satana nelle menti di costoro e ci portano un rancore profondo. Questo è ciò che ha favorito la cattura di ostaggi americani e ha causato alcuni attacchi terroristici. I terroristi responsabili del bombardamento al World Trade Center nel 1993, mandarono una lettera al New York Times che cominciava così: "Dichiariamo la nostra responsabilità nell'esplosione dell'edificio. Quest"azione è stata fatta come risposta al supporto politico, economico e militare americano allo stato terrorista israeliano e alle altre dittature della regione". Infine, negli ultimi anni, membri di al Qaeda hanno ripetutamente chiarito che odiano gli Stati Uniti per cose come il sostegno americano ai massacri israeliani e i bombardamenti sull'Iraq. Ulteriori prove di quello che sto dicendo si possono trovare nei miei libri, insieme a una lunga lista di azioni Usa nel Medio Oriente che hanno fatto scaturire l'odio verso la politica estera americana. Non credo, in ogni caso, che la povertà giochi un grande ruolo nella creazione dei terroristi, non dobbiamo confondere il terrorismo con la rivoluzione. Gli attacchi non finiranno finché continueremo a bombardare persone innocenti, a devastare villaggi e grandi città antiche, e ad avvelenare l'aria e i il patrimonio genetico delle persone con l'uranio

impoverito. Gli attacchi non finiranno finchè supporteremo disgustosi violatori dei diritti umani che opprimono la loro gente, non finiranno finchè continueremo a fare tante cose orribili. Continueremo a incrementare le operazioni di sicurezza che stanno trasformando il nostro paese in uno stato di polizia che, peraltro, non ci rende affatto più sicuri. Non soltanto le persone in Medio Oriente hanno dei buoni motivi per odiare ciò che fa il nostro governo, abbiamo anche creato un gran numero di potenziali terroristi in tutta l'America Latina, durante mezzo secolo di azioni molto peggiori di quelle in Medio Oriente. Credo che, se i latinoamericani condividessero il credo di molti musulmani, ovvero che sacrificando la loro vita nel martirio contro il grande nemico si vada direttamente in paradiso, allora avremmo avuto alle nostre spalle decenni di ripetuti orrori terroristici provenienti dal sud dei nostri confini. In ogni caso, abbiamo subìto per anni molti attacchi terroristici non suicidi, contro gli americani e contro i loro palazzi nell'America Latina. Poi ci sono gli abitanti dell'Asia e dell'Africa, e la storia non cambia. Il Dipartimento di Stato ha recentemente tenuto una conferenza su come migliorare l'immagine americana all'estero per ridurre il livello di odio. Ecco su cosa stiamo lavorando, sull'immagine e non sul cambio di strategie politiche. Ma sulla tabella segnapunti leggiamo: dal 1945 fino alla fine del secolo, gli Stati Uniti hanno tentato di rovesciare più di 40 governi stranieri, di sedare più di 30 movimenti popolari che lottavano contro regimi intollerabili. In questo processo, gli Stati Uniti hanno bombardato circa 25 paesi, causato la morte di svariati milioni di persone e condannato molti altri milioni di persone a una vita di miseria e di disperazione. Se io fossi il Presidente, potrei fermare gli attacchi terroristici contro gli Stati Uniti in pochi giorni. Per sempre. Prima di tutto chiederei scusa - in pubblico e sinceramente - a tutte quelle vedove e a quegli orfani, ai torturati e ai depauperati, e a tutti gli altri milioni di vittime dell'imperialismo americano. Poi annuncerei che gli interventi globali americani sono finiti e informerei Israele che non è più il cinquantunesimo stato dell'unione ma - per quanto possa sembrare strano - un paese straniero. Ridurrei inoltre le spese militari di almeno il 90% e userei quei risparmi come risarcimento per le nostre vittime e per ripagare i danni dei nostri bombardamenti. Ci sarebbero soldi a sufficienza. Sapete a quanto ammonta la spesa militare annuale? Un anno equivale a più di 20.000 dollari l'ora per ogni ora trascorsa dal giorno che nacque Gesù Cristo. Questo è ciò che farei nei miei primi tre giorni di governo alla Casa Bianca, il quarto giorno sarei assassinato.E di "The american empire for dummies" metterei in un riquadro evidenziato di rosso acceso: A seguito dei loro bombardamenti in Iraq, gli Stati Uniti hanno acquisito basi militari in Arabia Saudita, Kuwait, Bahrein, Quatar, Oman e negli Emirati Arabi. A seguito dei loro bombardamenti in Jugoslavia, gli Stati Uniti hanno acquisito basi militari in Kosovo, Albania, Macedonia, Ungheria, Bosnia e Croazia. A seguito dei loro bombardamenti in Afghanistan, gli Stati Uniti stanno acquisendo basi militari in Afghanistan, Pakistan, Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kyrgyzstan, Georgia e probabilmente ovunque in quella regione. Non sono stati molto astuti, vero? Non è che siano passati inosservati. Gli uomini che mandano avanti l'Impero non s"imbarazzano facilmente, e questo è il modo in cui l'Impero cresce: una base in ogni angolo del mondo, pronta per essere mobilitata a comando per ogni minaccia, sia essa reale o fittizia. Cinquantasette anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti hanno ancora grandi basi militari in Germania e in Giappone; quarantanove anni dopo la fine della guerra di Corea, i militari statunitensi sono ancora presenti nella Corea del Sud. Una relazione del Pentagono di un paio di anni fa diceva: Il nostro obiettivo primario è prevenire la ricomparsa di un nuovo rivale, sia nel territorio della vecchia Unione Sovietica che altrove... Dobbiamo mantenere attivi i meccanismi di deterrenza nei confronti di eventuali concorrenti che aspirino anche solo ad avere un ruolo maggiore sia a livello locale che mondiale.

Il bombardamento, l'invasione e l'occupazione dell'Afghanistan sono serviti a istituire un nuovo governo che sarà sufficientemente condiscendente agli obiettivi internazionali di Washington, inclusa l'istallazione di basi militari, di stazioni per l'intercettazione delle comunicazioni e, forse più importante di tutto, il controllo su sicuri oleodotti e gasdotti che attraversano l'Afghanistan e che partono dalla regione del mar Caspio, del quale, sono certo, molti di voi avranno sentito parlare. Per anni i baroni americani del petrolio hanno messo gli occhi sulle vaste riserve di petrolio e di gas nell'area del mar Caspio, considerando ideale una strada che attraversi l'Afghanistan e il Pakistan per arrivare all'Oceano Indiano, e lasciando così la Russia e l'Iran fuori dal progetto. I petrolieri sono stati molto espliciti verso questo progetto dandone, per esempio, schietta testimonianza davanti al Congresso. Adesso hanno messo i loro occhi sulle ancor più grandi riserve petrolifere dell'Iraq, e, se gli Stati Uniti rovesceranno il governo di Saddam e lo sostituiranno con un governo fantoccio come hanno fatto in Afghanistan, le compagnie petrolifere americane si istalleranno in Iraq e faranno un festino mentre l'Impero americano aggiungerà ai suoi assoggettati un altro paese e installerà qualche nuova base; oppure, come disse molti anni fa il Generale William Looney, a capo delle forze anglo americane che volano sopra l'Iraq e lo bombardano quasi tutti i giorni: Se accendono i loro radar noi faremo saltare in aria i loro fottuti missili. Lo sanno che possediamo il loro paese e il loro spazio aereo... Siamo noi che dettiamo il loro modo di vivere e di parlare, e questo è ciò che al momento c'è di grandioso parlando dell'America. È una cosa buona, specialmente visto che lì c'è un sacco di petrolio di cui abbiamo bisogno. È da un paio di mesi che assistiamo a uno spettacolo di varietà, spacciatosi per un programma di dibattito, che discute se sia giusto o meno attaccare una nazione sovrana che non ci ha attaccati, che non ha minacciato di attaccarci, e che sa benissimo che, per loro, attaccarci significherebbe un suicidio istantaneo di massa. Questa discussione è assurda non solo perché l'Iraq non rappresenta una minaccia di nessun tipo - a quest'ora lo dovrebbero sapere anche i marziani - ma anche perché la nostra mafia imperiale lo sa benissimo. Ci hanno raccontato un sacco di storielle sul perché l'Iraq rappresenti un pericolo, una minaccia imminente, una minaccia nucleare, una minaccia sempre più pericolosa ogni giorno che passa, ci hanno detto che l'Iraq è uno stato terrorista, che ha legami con al Qaeda, ma queste sono sempre risultate storie senza fondamento. Ci hanno detto e ripetuto a lungo che l'Iraq doveva concedere il rientro degli ispettori agli armamenti e poi, quando l'Iraq ha acconsentito, hanno detto, "no, no, non è abbastanza". Fra quanto incolperanno l'Iraq dell'attentato a Bali? Tutto ciò ha un senso? Perché scatenare una guerra in assenza di un conflitto? Io dico che tutto ciò ha senso solo se capiamo che la causa non è da ricercarsi in Saddam Hussein e nella sua crudeltà, nelle sue armi o nel suo terrorismo. La causa effettiva è che l'Impero ha ancora fame, si vuole sfamare con l'Iraq e con il suo petrolio, e ha bisogno di addurre delle scuse per soddisfare i creduloni. Dopo di che, si mangeranno anche l'Iran. Nel caso non ve ne foste accorti, l'Impero non si accontenta solo della Terra, l'Impero si è ufficialmente esteso allo spazio aperto; il Pentagono, infatti, non solo lo ammette con orgoglio ma ha pure trovato un bel nome per questa tendenza, la chiama "dominazione a pieno raggio", hanno progettato per anni di combattere delle guerre spaziali, siano esse provenienti dallo spazio o disputate nello spazio stesso, e questa è una citazione. Se vi steste chiedendo "perché no" riguardo al caso dell'Iraq, io credo - come molti hanno detto che le prossime elezioni saranno fondamentali. Si deciderà quale partito controllerà il Congresso, e non c'è niente di meglio che parlare di guerra e di come difendere l'America per persuadere gli elettori e far loro dimenticare allo stesso tempo problemi come l'economia e l'assistenza sanitaria. Oltre a tutte le assurdità e alle bugie che ci hanno propinato, ciò che in questo periodo mi ha colpito e inquietato di più, è stata la totale assenza, nei media, di discorsi riguardanti gli aspetti pratici di

una guerra come, per esempio, il fatto che gli attacchi Usa all'Iraq colpiranno anche persone, distruggeranno case, scuole, ospedali, lavori e futuro. Il dibattito si è focalizzato interamente sull'ipotesi di attaccare o meno il diabolico Saddam con le sue supposte, terribili armi. Tutta la sofferenza umana che una guerra reca non è degna di nota. Non è strano? Ci sono altri fatti assenti dalle discussioni; per esempio, per un lungo periodo negli anni "90 gli ispettori ONU hanno trovato e distrutto grandi quantitativi di armi chimiche, biologiche e nucleari in Iraq. Sono sicuro che la maggior parte degli americani è convinta che Saddam abbia, di fatto, nascosto tutte le sue armi e che riuscirà a scamparla di nuovo nel caso in cui le ispezioni riprendessero. Ma questo non è ciò che è accaduto: Scott Ritter, capo degli ispettori agli armamenti dell'ONU in Iraq, ha recentemente detto: Dal 1998 l'Iraq è stato fondamentalmente disarmato; il 90-95% delle armi di distruzione di massa irachene sono state eliminate in modo verificabile. Questo include anche tutte le industrie usate per produrre le armi chimiche, biologiche e nucleari, i missili a lunga gittata, l'equipaggiamento connesso, e la maggioranza dei prodotti fabbricati da queste industrie. Il direttore generale dell'Agenzia Internazionale dell'Energia Atomica, Mohamed El Baradei, ha scritto che la sua agenzia: ha smantellato vasti impianti connessi alla fabbricazione di armi nucleari. Abbiamo neutralizzato il programma nucleare iracheno, confiscato i materiali utilizzabili per la fabbricazione di armi, distrutto, rimosso o reso innocue tutte le fabbriche e l'equipaggiamento rilevante nella produzione di armi nucleari. Ogni grande campagna bellica americana ha portato con sé le proprie bugie, ma nessuna è stata così grande come la penultima. Ve lo devo ricordare. Ci hanno detto che i bombardamenti della NATO e dell'ONU in Jugoslavia nel 1999 sono stati fatti per salvare i kosovari dalla pulizia etnica perseguita dai serbi; e, siccome la pulizia etnica è finalmente finita, questo vuol dire che hanno funzionato. Giusto? Prima c'era la pulizia etnica, poi ci sono stati i bombardamenti, e in seguito la fine della pulizia etnica. Cosa ci può essere di più semplice? Sono sicuro che circa il 90% degli americani credano a questa concatenazione di eventi, e credo che anche molti di voi lo pensino. Purtroppo, era tutta una bugia, i bombardamenti non hanno posto fine alla pulizia etnica, bensì l'hanno causata. Le sistematiche deportazioni forzate di un gran numero di kosovari - ciò che noi chiamiamo pulizia etnica - non sono cominciate se non due giorni dopo l'inizio dei bombardamenti, e furono chiaramente una reazione delle forze serbe di fronte alla rabbia e ai sentimenti di impotenza causati da tali bombardamenti a tappeto. Tutto ciò si può verificare facilmente leggendo i quotidiani di un paio di giorni prima dell'inizio dei bombardamenti, la notte tra il 23 e il 24 marzo, e i quotidiani dei giorni successivi, o semplicemente guardando la prima l New York Times del 26 marzo che riporta: Dopo l'inizio dei bombardamenti della NATO, una paura crescente che i serbi, per rappresaglia, decidessero di conseguenza di sfogare la loro rabbia contro i civili facenti parte dell'etnia albanese, si è impadronita di Pristina [la città principale del Kosovo]. Il giorno dopo, il 27 marzo, troviamo il primo riferimento a una "marcia forzata" o a qualcosa del genere. Com"è possibile che una bugia tanto grossa possa essere stata raccontata agli americani e che loro se la siano bevuta senza strozzarsi? Uno dei motivi è certamente che i media non rilevano esplicitamente le menzogne ufficiali, nel migliore dei casi, bisogna leggere tra le righe. C"è una storia che risale alla Guerra Fredda di un gruppo di scrittori russi che girano per gli Stati Uniti. Essi rimangono stupiti nello scoprire, dopo aver letto i giornali e guardato la televisione, che quasi tutte le opinioni sui fatti salienti fossero le stesse. "Nel nostro paese", disse uno di loro, "per avere quel risultato, bisogna instaurare una dittatura, noi imprigioniamo la gente e la torturiamo, voi non fate nulla di tutto ciò, e allora come ci riuscite? Qual è il vostro segreto?"

C"è qualcuno di voi in grado di additare un solo quotidiano americano che tre anni fa si sia opposto, inequivocabilmente, ai bombardamenti della NATO e degli Usa in Jugoslavia? C"è qualcuno di voi in grado di additare un quotidiano americano che undici anni fa si sia opposto, inequivocabilmente, ai bombardamenti americani in Iraq? C"è qualcuno di voi in grado di additare un quotidiano americano che si sia opposto, inequivocabilmente, ai bombardamenti americani in Afghanistan? Non vi sembra eccezionale? In una presunta società libera, con una presunta stampa libera che conta circa 1.500 quotidiani, le probabilità che questo succeda sono quasi nulle, ma questa invece è la realtà. Suppongo che adesso qualcuno di voi vorrebbe che gli dicessi come porre fine a tutte queste cose terribili e assurde di cui vi ho parlato. Beh, buona fortuna a tutti voi. Posso dire che, personalmente, parto dal presupposto che, se un quantitativo sufficiente di persone arriva a capire quello che il loro governo sta facendo e il male che sta compiendo, a un certo punto il numero di queste persone potrà raggiungere la massa critica perché si attuino dei cambiamenti. Può darsi, però, che ci voglia ancora molto tempo perché ciò accada, spero comunque di vivere abbastanza per vederlo. Sono sicuro che se tutti gli americani potessero vedere da vicino le vittime delle bombe lanciate dal loro governo, vedere i frammenti dei corpi, sentire l'odore della carne che brucia, vedere le case, le vite e le comunità devastate, allora chiederebbero così prepotentemente la fine di questi orrori, che anche i pazzi mafiosi dell'Impero non potrebbero ignorarli. Ma come far vedere le vittime agli americani? Molti dei presenti non hanno bisogno di vedere scene orribili per opporsi alla politica dei pazzi, ma la maggior parte degli americani sì. Se potessimo far capire perché proviamo tutta questa empatia per le vittime, tutta questa capacità immaginativa, allora avremmo un buon strumento organizzativo. Gandhi una volta disse: "quasi tutto ciò che farai sarà insignificante, ma dovrai comunque farlo". Il motivo per cui io devo fare ciò che faccio è insito in un"altra massima citata da molti capi religiosi: "non facciamo queste cose per cambiare il mondo, ma in modo che il mondo non ci cambi". Sam Smith, un giornalista di Washington, che qualcuno di voi conoscerà, nel suo nuovo libro fa notare che: "Quelli che pensano che la storia ci abbia lasciato indifesi, dovrebbero ricordarsi degli abolizionisti degli anni attorno il 1830, delle femministe del 1870, dei sindacalisti operai del 1890 e degli scrittori gay e delle scrittrici lesbiche degli anni intorno al 1910. Loro, come noi, non hanno scelto quando nascere ma, come noi, hanno scelto cosa fare delle loro vite". Poi ci chiede: sapendo quello che sappiamo su come si sono evoluti certi fatti, ma sapendo anche quanto tempo hanno impiegato per evolversi, saremmo stati abolizionisti negli anni "30, femministe negli anni ‘70 e così via? Non sappiamo che sorprese ci riservi la storia quando le diamo una spinta, né, viceversa, quando è la storia stessa a darcela. Negli anni "60 lavoravo per il Dipartimento di Stato ed ero deciso a diventare diplomatico. Non avrei immaginato che sarei presto diventato un delirante ed esaltato comunista-sinistroide-nemico-sovversivo di tutto ciò che ci sia di decente e di benedetto, perché una cosa di nome Vietnam stava per accadere. Ci rimane, comunque speranza per il futuro. Fatemi concludere con due delle massime politiche che uscirono dopo lo scandalo del Watergate degli anni ‘70. La Prima Legge Watergate dei Politici Americani dice: "Non importa quanto tu sia paranoico, quello che il governo sta attualmente facendo è peggio di ciò che credi". La Seconda Legge Watergate dice: "Non credere in nulla finché non viene ufficialmente smentito". Entrambe le leggi sono ancora valide. Se si desidera conoscere le fonti degli argomenti trattati, si prega di scrivere all'autore al seguente indirizzo e-mail: [email protected]

Note del traduttore 1. Si riferisce a una nota collana di libri, tradotto letteralmente sarebbe "L"Impero americano per negati". 2. Potente erbicida usato per la prima volta dai soldati americani durante la guerra del Vietnam.

LA GRANDE TRUFFA DELLA "GUERRA ALLA DROGA" Michael Levine Tutto ciò che dovete sapere sul ruolo vitale dei principali mezzi d"informazione nel proseguimento della Guerra alla Droga, che la nostra nazione porta avanti ormai da tre decenni con una spesa di 1.000 miliardi di dollari nonostante le prove schiaccianti che si tratti di un imbroglio, lo potete imparare osservando come funziona il gioco delle tre carte. Si tratta di un gioco evidentemente truffaldino in cui il cartaio dispone tre carte su di un tavolino pieghevole, vi mostra che una di esse è la regina di picche, le capovolge e le sposta rapidamente. Siete sicuri di sapere dov'è la regina e avete visto il tizio prima di voi vincere facilmente un paio di volte, così scommettete i vostri soldi. Se quel tipo dall'aria un po" tonta può vincere, potete farlo anche voi. Eppure, incredibilmente, avete puntato sulla carta sbagliata. Avete perso. Avete fatto la figura del pollo. I polli del gioco delle tre carte non possono vincere, perché è risaputo che è tutto un imbroglio, eppure, mentre ve ne andate, vedete che si è formata una fila di altri polli, con gli occhi sgranati, la bocca aperta, le mani in tasca, affascinati da quello spettacolo e pronti a tirar fuori i soldi non appena il cartaio riesce ad acchiapparli. Perché? Perché anche loro hanno visto vincere quello stesso tizio dall'aria un po" tonta. Quello che non sanno è che si tratta di un complice. I complici sono altri imbroglioni che inducono i polli a partecipare al gioco truccato con una messinscena volta a convincerli che non c'è alcun inganno e che se continuano a giocare alla fine vinceranno. La funzione di un buon complice è anche quella di distogliere l'attenzione della polizia da quell'azione illegale. In tribunale, dove i cartai del gioco delle tre carte sono considerati imbroglioni e ladri, i complici sono considerati "corresponsabili" e quindi passibili della stessa pena se incriminati e giudicati colpevoli dopo un processo. Nel gioco della Guerra della Droga, i grandi mezzi d"informazione non sono altro che dei complici, il cui successo nello svolgere questa funzione non ha pari nella storia di raggiri, truffe e fregature, come si può giudicare dall'efficacia con cui continuano a venderci una frode talmente ovvia e impossibile da debellare da far apparire un investimento prudente l'acquisto di azioni delle Miniere d"Oro del Bronx meridionale. Ecco una parte della storia vera che - grazie a quest"ottima complicità- la maggior parte di voi non conosce affatto. Quando il Presidente Nixon dichiarò guerra alla droga nel 1971, i tossicodipendenti incalliti in tutta la nazione erano meno di mezzo milione, di cui la maggior parte dediti all'eroina, e il problema interessava soprattutto le aree urbane (la percentuale maggiore di eroinomani era concentrata nell'area metropolitana di New York). Soltanto due agenzie federali erano incaricate di far rispettare le leggi sulla droga: la Dogana degli Stati Uniti e l'Ufficio Narcotici e Droghe Pesanti, dediti più a farsi la guerra tra loro che a qualsivoglia cartello della droga. L"intero budget per combattere il narcotraffico era inferiore ai 100 milioni di dollari. Trent"anni dopo, nonostante si siano spesi 1.000 miliardi di dollari provenienti dal gettito fiscale federale e statale, il numero dei tossicodipendenti incalliti sta per superare i cinque milioni. La nostra nazione è diventata il più grande supermercato della droga, con una disponibilità di stupefacenti di ogni genere ai prezzi più bassi di sempre. Ormai il problema non solo interessa ogni città e paese, ma è difficile trovare una famiglia in cui non ci sia qualcuno coinvolto. Esistono 55 agenzie federali e militari incaricate di far rispettare le leggi sulla droga (senza contare le agenzie statali e locali) e l'esercito degli Stati Uniti invade nazioni dell'America Centrale e Meridionale sotto il vessillo della Guerra alla Droga. Il budget federale destinato a questa lotta (senza contare gli stanziamenti statali e comunali) ammonta ora a ben oltre i 20 miliardi di dollari all'anno, mentre la mia ricerca personale di un solo individuo in qualche parte del mondo che possa onestamente

testimoniare che questa Guerra Statunitense alla Droga da 1.000 miliardi di dollari l'abbia in qualche modo salvato dal pericolo bianco si è rivelata finora infruttuosa. Ci vuole un poliziotto per dirvi che ci sono prove schiaccianti che si tratti di una truffa bella e buona? Se il vostro agente di borsa avesse investito i vostri soldi così come i nostri leader eletti hanno fatto con i dollari del gioco della Guerra alla Droga, lo avreste mandato in galera o ucciso prima del 1972, eppure il gioco continua... Perché? Perché i grandi mezzi d"informazione, come già avevano fatto durante la Guerra del Vietnam, mediante un flusso incessante di servizi inneggianti a "grandi vittorie" fasulle, scritti con il sistema di riempire gli spazi vuoti, ci inducono a credere che il gioco della Guerra alla Droga sia una guerra vera che i nostri leader intendono vincere. I complici mediatici, che comprendono ora anche Hollywood, la televisione "d"intrattenimento" e l'editoria, continuano a raggirarci facendoci credere che se, in un attacco di buonsenso, cercassimo realmente di mettere fine a quell'imbroglio costoso e mortale, un qualche orrore inenarrabile si abbatterebbe su di noi: spacciatori di droga messicani e colombiani, guidati da quel "Pablo Escobar" ultima creatura dei media, penetrerebbero a frotte attraverso le nostre frontiere (sempre) troppo poco protette, per imbottire a forza i nostri ragazzi di eroina e cocaina. Potremmo persino essere costretti ad armare di razzi e missili la "Partnership for a Drug Free America".(1) A meno che, ovviamente, i nostri ragazzi non dicano "semplicemente di no", come insegnava loro l'inutile e miliardaria campagna mediatica di Nancy Reagan. E se pure i grandi mezzi d"informazione non sono riusciti a far sì che tutti noi, seguendo il loro esempio, diventassimo complici del gioco truffaldino della Guerra alla Droga, ne hanno comunque favorito il perpetuarsi con la loro censura, con la consapevole omissione di fatti scandalosi che -se fossero stati riportati con il fervore dimostrato dal Washington Post durante la stagione del Watergate - avrebbero ridotto in polvere l'intera farsa mortale e costosa già tre decenni fa. Lo so bene, perché ho preso parte ad alcuni tra i più significativi di questi eventi in qualità di agente federale e/o perito del tribunale e/o giornalista. Ecco le mie esperienze personali su entrambi i fronti della Guerra alla Droga. LA GUERRA DEL VIETNAM L"operazione segreta che mi condusse nel Sud-Est Asiatico durante la guerra del Vietnam fu la più rischiosa della mia carriera, solo che il pericolo non era rappresentato unicamente dai trafficanti. Fu l'operazione che per prima mi portò a toccare con mano il fatto che, come la Guerra del Vietnam, anche la Guerra alla Droga era combattuta per non essere vinta: è un imbroglio mortale perpetrato ai danni dei contribuenti. E fu anche la prima operazione che mi insegnò che una burocrazia federale corrotta e fuori controllo poteva contare sulla complicità dei grandi mezzi d"informazione. Ironicamente, tutto ebbe inizio il 4 luglio 1971. A quel tempo, il Presidente Nixon aveva da poco dichiarato guerra alla droga. I nostri leader politici con il megafono dei media avevano già iniziato a fare il lavaggio del cervello agli americani, per far credere loro che i crescenti problemi con la droga fossero colpa di stranieri malvagi e che - a differenza della Guerra del Vietnam - la questione della droga avesse la priorità tra i problemi di sicurezza nazionale. Io ero un giovane agente di dogana assegnato all'unità contro il contrabbando di droghe pesanti di New York City. A quel punto, mio fratello David, venticinquenne, si faceva di eroina da dieci anni e io ero un Vero Credente.(2) Fu quel 4 di luglio che arrestai John Edward Davidson all'aeroporto internazionale JFK di New York con tre chili di eroina pura al 99% nel doppiofondo di una valigia Samsonite. Iniziò così l'indagine nota come "Usa contro Liang Sae Tiew e altri".(3) Ora, una sera, l'indagine aveva portato la mia squadra in una landa desolata alla periferia di Gainesville, Florida, dove un caravan solitario era parcheggiato alla fine di un viottolo appena visibile. Nelle ore che precedevano l'alba facemmo irruzione nel caravan e arrestammo il finanziatore statunitense dell'operazione, Alan Trupkin, e il suo fattorino tossicodipendente, il ven-

tiduenne John Clements (ricordate questo nome, lo incontreremo ancora). Il giorno dopo disponevo di tutti i particolari necessari per annientare uno dei più grossi traffici di eroina del globo. Ma mi trovai a fronteggiare un grave problema, che né io né nessuno dei miei superiori a cui feci rapporto avrebbe mai potuto immaginare, neppure nel peggiore degli incubi: la CIA. Due anni prima, Davidson, di stanza con l'esercito in Vietnam, si era preso una licenza per andare a riposarsi e svagarsi a Bangkok. Lì si era messo in contatto con un trafficante di eroina cinese, Liang Sae Tiew (noto come Gary). I suoi prezzi erano i più economici del mondo e la fornitura illimitata. Dopo che Davidson si fu congedato dall'esercito, non doveva far altro che far entrare la roba negli Usa, e lui e i suoi compari sarebbero stati ricchi. Sette viaggi e ventuno chili più tardi, la sua buona stella l'abbandonò e io l'arrestai. Ora, per fare il mio lavoro come mi era stato insegnato e secondo la vera (presunta) filosofia dell'intera Guerra alla Droga, avrei dovuto compiere il passo successivo e andare a cercare la fonte. Un mese dopo giunsi a Bangkok fingendomi il socio di Davidson nel traffico d"eroina. Nel giro di pochi giorni agganciai i suoi contatti: Gary e un tale chiamato "Mister Geh". In un primo momento, la mia presenza a Bangkok fu tenuta segreta all'Ufficio Narcotici e Droghe Pesanti, nemico giurato della Dogana statunitense. Nella guerra tra i due enti per ottenere finanziamenti e l'attenzione dei media si era arrivati addirittura a menare le mani, ad arrestare gli uni gli informatori degli altri e a rischiare uno scontro a fuoco. Ma questa è un"altra storia. La mia presenza a Bangkok fu tenuta segreta anche alla polizia tailandese, la cui fama di forza di polizia più corrotta della storia era insidiata, a quanto ne sapevo, soltanto dai colleghi messicani. Il fatto è che mi trovavo nel loro paese illegalmente. A quel tempo, le operazioni sotto copertura erano illegali in quasi tutto il mondo. Era impensabile che a dei poliziotti fosse permesso commettere dei crimini per acciuffare dei criminali. I miei superiori mi avevano già avvertito che se la polizia tailandese fosse venuta a sapere che ero lì per un traffico di droga, sotto copertura o come fosse, mi avrebbe messo in gattabuia per poi farmi sparire, e il mio paese avrebbe negato ogni coinvolgimento. In breve, ero in un bel ginepraio, e lo sapevo, ma non conoscevo che la metà dei miei problemi. Dopo aver frequentato i tossici per una settimana, ero riuscito a convincerli di essere il "boss dei boss" della mafia, ammanicato con vari mafiosi negli Usa, ognuno dei quali era in cerca di grosse partite di droga. E io ero il Boss. Raccontai loro di aver bisogno di un nuovo fornitore perché la mia fonte precedente, il collegamento francese, era stato arrestato. A quel tempo, il maggior sequestro di eroina della storia si aggirava intorno ai 200 chili, in parte provenienti proprio dal collegamento francese. Conoscevo bene il caso perché vi avevo avuto un ruolo, seppur marginale. I due trafficanti di eroina cinesi conoscevano il mercato americano quanto me e mi garantirono che quelle quantità erano un gioco da ragazzi in confronto alle operazioni alle quali erano abituati. Avevano una raffineria a Chiang Mai, gestita dallo zio di Mister Geh, che sfornava circa duecento chili alla settimana. Ciò che non andava ai soldati in Vietnam, finiva nelle vene e nei cervelli dei ragazzi americani. Come mio fratello. Trovammo un accordo: avrei comprato un chilo di Dragon Brand per 2500 dollari in contanti e l'avrei mandato ai miei clienti mafiosi negli Stati Uniti come "campione". Io sarei rimasto in Tailandia in attesa delle loro ordinazioni. Riferii indicativamente a Gary e a Mister Geh che avrei avuto bisogno di 300 chili come primo ordine. Il prezzo per una partita da 300 chili era di 2000 dollari a chilo per l'irrisorio totale di 600.000 dollari. A quel tempo, quella quantità di eroina poteva essere sufficiente a coprire l'intero fabbisogno statunitense per circa due o tre settimane. Il costo per la nostra nazione in termini di morti, devastazione e spesa pubblica era incalcolabile; i potenziali profitti per i trafficanti erano tali da mozzare il fiato. L"eroina del collegamento francese si vendeva allora, all'ingrosso e consegnata negli Usa, a 20.000 dollari al chilo. L"eroina Dragon Brand che stavo comprando in Asia era altrettanto buona o anche migliore perché pura quasi al 100%, il che significava che si sarebbe potuta tagliare (diluire) fino a quattordici volte prima di spacciarla. Il prezzo in Usa sulla strada per oncia (28,35 grammi) era di 2000 dollari, il che significava che un unico chilogrammo (40 once) di eroina asiatica a 2000 dollari

poteva teoricamente fruttare un guadagno lordo di 1.120.000 dollari. Moltiplicato per 300 chili, l'investimento originale di 600.000 dollari avrebbe reso più di 300 milioni. In quel momento conoscevo tutto ciò che mi serviva per annientare l'operazione, ad eccezione dell'ubicazione della raffineria, ma sapevo come rimediare. Posi una condizione: chiesi di ispezionare personalmente la "Fabbrica" a Chiang Mai prima di concludere l'affare. Se avessero acconsentito, sarei stato a un passo dal distruggerli. Nel giro di pochi giorni i due trafficanti si misero in contatto con il proprietario della raffineria, lo zio di Mister Geh. Questi dette il proprio assenso al proseguimento della transazione e mi autorizzò a ispezionare la "Fabbrica" dopo l'acquisto del primo campione da un chilo. Seduto nella mia stanza al Siam Intercontinental, quella sera, da solo, riascoltai le parole dei trafficanti di eroina dal mio registratore tascabile. Le implicazioni di ciò che ero appena venuto a sapere per la nostra nazione, per mio fratello tossicodipendente, unite a tutti i proclami dei nostri leader politici, sembravano penetrare a fondo nel mio animo. Mi sentivo come l'eroe di un qualche film di John Wayne (o Tom Clancy, per essere più attuali). Ero nella condizione di realizzare ciò che i nostri leader e i mezzi di comunicazione mi avevano inculcato: colpire al cuore i più grandi nemici dell'America. Ero un inviato di Dio. Ero uno stupido ingenuo. Bam! Una scarica di adrenalina. Cominciai a darmi da fare. Mi misi in contatto con il mio funzionario di controllo, l'addetto alla Dogana Joe Jenkins. In un incontro a un"ora antelucana lo misi al corrente degli ultimi sviluppi. Era eccitato quanto me, ma molto più riservato. Avevo la sensazione che mi tacesse qualcosa ma in quel momento c'era un"unica cosa che mi premeva. Ero praticamente in bolletta e avevo bisogno di soldi per mantenere la mia copertura di grosso trafficante di droga: 2.500 dollari in contanti per il primo chilo di eroina. Accidenti, non mi restavano nemmeno i soldi necessari per pagare l'albergo! Avevo già trovato sotto la porta biglietti della direzione con cui mi si pregava di saldare il conto. Jenkins mi dette istruzioni su come incontrarci più tardi in un bar per soli uomini sulla Sukamvit. Per quell'ora, mi garantì, avrebbe avuto le autorizzazioni dei nostri superiori e - cosa ancora più importante -dell'ambasciata, per andare avanti con l'operazione. E - cosa più importante di tutte avrebbe avuto i soldi. Così ci rivedemmo a tarda notte. Mentre tre bambole asiatiche col sedere di fuori e tacchi a spillo da dieci centimetri si esibivano dimenandosi accovacciate su bottiglie di birra al ritmo di un album dei Rolling Stones sparato a tutto volume da altoparlanti mostruosi, Jenkins mi gridò che non aveva né le autorizzazioni né i soldi. E da quel momento le cose presero una piega strana, molto strana. Jenkins, che si era fatto improvvisamente nervoso e continuava a lanciare occhiate allarmate a ogni movimento nell'ombra che ci circondava, addusse kafkiani motivi burocratici per quel ritardo, dicendo di aver bisogno di firme specifiche di specifici burocrati a Washington i quali, per un motivo o per l'altro, erano tutti irraggiungibili. E mi riempì di altre stronzate che soltanto un impiegato governativo ebete avrebbe potuto trovare normali. Tornai nella mia stanza e iniziai a cercare di guadagnare tempo, tanto con la direzione dell'albergo che con i trafficanti di droga. La mia gente ha preso le sue precauzioni; mi manderanno un corriere. Non vogliono correre rischi. Ecc. ecc. fino alla nausea. In un primo momento, i tossici pensarono che le cautele della "mia gente" fossero ammirevoli, ma quando fu trascorsa più di una settimana e i ritardi continuavano, mi trovai a corto di scuse e in grave pericolo. Per la prima volta nella mia vita mi sentii pronunciare la minaccia: "racconterò tutto ai giornali". Jenkins mi guardò e alzò gli occhi al cielo. Sapeva riconoscere un imbecille, quando ne vedeva uno. Un po" prima dell'alba, fui convocato all'ambasciata per un appuntamento con il primo funzionario della CIA che avessi mai incontrato, almeno consapevolmente. Non mi disse il suo nome, né io glielo chiesi. Joe mi aveva detto che era della CIA; era tutto ciò che dovevo sapere. Il tizio era basso, tozzo e calvo e indossava quella che avrei poi scoperto essere una tipica uniforme della CIA:

un completo sportivo color cachi. Mi guardò con un misto di perplessità e disprezzo, tipico anche quello, come avrei appreso in seguito. "Non andrà a Chiang Mai", mi disse. "Abbiamo appena perso un uomo lì. È pericoloso". "Ma io sono sotto copertura", protestai. "Già certificato come pazzo. Non ho mai pensato che si trattasse di un lavoro sicuro". Come ho già detto: ero uno stupido ingenuo. Dopo una breve discussione, la spia guardò l'orologio e troncò la conversazione. "Lei ha prestato servizio nell'esercito, vero?" Non aspettò una mia risposta, "Bene, il nostro paese ha altre priorità [che non la Guerra alla Droga]". Fu irremovibile: non sarei andato a Chiang Mai e basta. La CIA aveva deciso per noi... un segno premonitore per il futuro. Le mie istruzioni erano di acquistare quel singolo chilo di eroina e arrestare chi me l'avesse consegnato. Poi dovevo lasciare il paese più in fretta possibile. Il caso era chiuso. Ciò accadde anni prima che la CIA divenisse nota, tra gli agenti della DEA in missione oltreoceano, come la Criminal Inept Agency (Agenzia dei Criminali Incapaci, NdT) o, più tardi, come la Cocaine Import Agency (Agenzia per l'Importazione di Cocaina, NdT). Anni prima che chiunque avesse un incarico governativo si ritrovasse a mettere in dubbio il senno di quella banda di spie deviate. Anni prima che affermassi, durante il mio show radiofonico, che lo stemma della CIA a Langley non dovrebbe recitare "... e la verità vi farà liberi", bensì "... e la verità vi farà incazzare".(4) Mi era caduto l'occhio su una brutta verità, che mi avrebbe ossessionato per il resto della vita, ma in quel momento non ero pronto a crederci. Avevo prestato servizio per tre anni nell'aviazione come conduttore di cani sentinella: polizia militare addestrata al combattimento. Ero agente federale sotto copertura da sei anni. Ero un buon soldato, addestrato a obbedire. Credevo nella virtù e nella moralità dei miei superiori. Come il marito devoto che coglie lo sguardo ardente che la moglie adorata rivolge al garzone della pizzeria, la verità aveva troppe implicazioni affettive perché potessi accettarla. Era molto più facile convincermi che l'uomo della CIA ne sapeva più di me e che era nell'interesse della nostra nazione che io mi limitassi a eseguire gli ordini. E così feci. Ordinai il chilo di eroina e arrestai all'istante i due trafficanti cinesi. Tornato negli Stati Uniti ricevetti un Treasury Act Special Award (un riconoscimento speciale del Tesoro) per il primo caso di un agente che aveva percorso il globo per "distruggere" un traffico d"eroina. Un"altra "vittoria" che la fabbrica di complici dei media poteva reclamizzare. Per un po" fui frastornato io stesso dai comunicati stampa che mi riguardavano. Ma non ero più il giovane agente sotto copertura che non si pone domande. Il mio istinto di poliziotto mi tormentava con la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava. Nel giro di un anno sarei venuto a sapere che la "fabbrica" di Chiang Mai, che la CIA mi aveva impedito di distruggere, era la fonte di grosse partite di eroina introdotte negli Usa nei corpi e nei sacchi per cadaveri dei soldati uccisi in Vietnam.(5) Tutto ciò che potevo fare era pregare che la CIA sapesse cosa stava facendo. A quel tempo, credevo ancora, stupidamente, che avessero a cuore gli interessi del popolo americano, ma cominciavo a nutrire dubbi sulla loro competenza. E se non erano competenti, a chi rivolgersi per dare l'allarme? Al Congresso? Ai media? Ero un agente segreto addestrato ed esperto che, quando ha dei dubbi, osserva attentamente, documenta ciò che vede, ma non prende iniziative... uno dei motivi, credo, per cui sono sopravvissuto alla mia carriera. E all'inizio degli anni "70 ben pochi erano in una posizione migliore della mia per osservare gli sviluppi del gioco della Guerra alla Droga. La mia unità, la Squadra contro il contrabbando di droghe pesanti, era formata da un gruppetto di uomini (da sedici a venti) incaricato delle indagini su tutto il traffico di eroina e cocaina attraverso il Porto di New York, punto di riferimento della maggioranza dei tossicodipendenti irriducibili della nostra nazione. Per forza di cose, la mia unità era coinvolta nelle indagini su ogni traffico importante noto alla giustizia. Non potevamo fare a meno di vedere come la CIA proteggesse i principali trafficanti di droga.

In effetti, durante tutta la Guerra del Vietnam, mentre noi documentavamo l'ingresso negli Usa di grandi partite di eroina provenienti dal Triangolo d"Oro, e decine di migliaia dei nostri combattenti tornavano a casa dediti alla droga, non un solo fornitore importante di eroina nel sud-est Asiatico fu mai incriminato dalla giustizia statunitense. Non poteva essere un fatto fortuito. Un caso dopo l'altro, come era successo per gli "Usa contro Liang Sae Tiew e altri", fu affossato dalla CIA e dal Dipartimento di Stato, e noi non ci potevamo fare un accidente di niente. Fu sempre in quegli anni che ci rendemmo conto che la CIA era andata ben oltre la semplice protezione dei trafficanti. Compagnie aeree di proprietà dell'Agenzia, come l'Air America, erano utilizzate per il trasporto della droga in tutto il sud-est Asiatico, a detta loro in sostegno dei nostri "alleati" (con amici del genere..). Le operazioni bancarie della CIA servivano a riciclare i soldi della droga. La CIA stava imparando l'affare della droga e imparava in fretta. Quelli di noi che erano all'interno e quindi si rendevano conto delle lampanti incongruenze tra la politica della Guerra alla Droga riportata dai mass media e la sua realtà, esitavano a chiedere aiuto tanto al Congresso quanto ai mezzi d"informazione. Sembrava impossibile che chiunque avesse una minima cognizione dei nostri crescenti problemi con la droga non notasse l'assenza di ogni sforzo di applicare la legge nel Sud-Est Asiatico. Era una faccenda troppo grossa, troppo alla luce del sole. In quegli anni penso che un buon giornalista avrebbe potuto disporre di molte "fonti interne" frustrate da citare, ma non uscì neppure un articolo. Fu sempre durante quegli anni di declino in Vietnam che la protezione della CIA ai trafficanti di droga si allargò, sotto i nostri occhi, ad altre zone. Quando i trafficanti di cocaina acquistarono una maggiore importanza economica e politica nell'America Centrale e Meridionale crebbe anche la loro importanza agli occhi della CIA e di altri servizi segreti statunitensi. Per esempio, nel 1972, data la mia conoscenza dello spagnolo, fui incaricato di seguire un importante traffico internazionale di droga in cui erano implicati eminenti funzionari governativi panamensi, i quali sfruttavano i propri passaporti diplomatici per introdurre negli Usa ingenti quantità di eroina e di altre droghe. Nelle indagini spiccava il nome di Manuel Noriega. E dietro Noriega spuntava la CIA, che lo proteggeva dalla giustizia statunitense. Dopo che il presidente Nixon ebbe dichiarato guerra alla droga nel 1971 e tutti i nostri leader politici ebbero iniziato a blaterare di come la droga rappresentasse la principale minaccia alla sicurezza nazionale, il Congresso cominciò ad aumentare le tasse e i fondi per la Guerra alla Droga a un ritmo regolare che continua tuttora. Nel frattempo, la CIA e il Dipartimento di Stato proteggevano trafficanti di droga dal crescente potere politico in tutto il mondo: i mujaheddin in Afghanistan, i cartelli della coca in Bolivia, i vertici del governo messicano, i massimi riciclatori di denaro sporco con sede a Panama, i contras del Nicaragua, i trafficanti e politici di destra in Colombia, e altri ancora.(6) Per la legge statunitense, proteggere i trafficanti di droga era ed è tuttora considerato "associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti", una violazione criminale delle leggi federali e statali. Il primo Presidente George Bush una volta ha detto: “Tutti coloro che chiudono un occhio sul traffico di droga sono colpevoli quanto i trafficanti stessi". Ironicamente, non molti anni prima, come capo della CIA, Bush aveva autorizzato una retribuzione a Manuel Noriega in quanto risorsa per l'Agenzia, mentre il piccolo dittatore era citato in ben 40 rapporti della DEA come trafficante di sostanze stupefacenti. Sembra più che appropriato che la CIA abbia dato il nome di Bush al proprio quartier generale. In ogni caso, per noi che eravamo dentro alle operazioni di polizia contro il traffico internazionale di droga, era chiaro che il Congresso o non si rendeva conto di ciò che stava accadendo o era colpevole di inguaribile inettitudine. Ci era anche chiaro che la protezione garantita dalla CIA ai trafficanti internazionali di stupefacenti dipendeva in larga misura dall'attiva collaborazione dei grandi mezzi d"informazione. La complicità dei media, come avevo sperimentato direttamente, implicava due compiti: primo, mantenere il silenzio sul fiume di droga che continuava ad affluire indisturbato negli Usa; secondo,

distrarre l'opinione pubblica inducendo la gente a credere che la Guerra alla Droga era legittima, presentando come "vittorie" significative quei pochi rivoli che alla giustizia era permesso arrestare, mentre in realtà non facevamo altro che sbarazzarci di inefficienti concorrenti delle attività della CIA. Iniziai ad accorgermi che gli articoli sulla droga erano scritti con il sistema di riempire gli spazi vuoti. Ogni settimana un altro "barone della droga", un altro governo colluso coi trafficanti era (e continua a essere) presentato dai media come una nuova "minaccia" per i ragazzi americani. Ogni operazione, a molte delle quali avevo partecipato, era presentata dai media con questo titolo: "Le autorità statunitensi annunciano di aver assestato un grave colpo al cartello della droga di... (riempite gli spazi vuoti) ". Ogni paese e leader nazionale che la CIA e il Dipartimento di Stato intendevano denigrare (ad esempio Castro, i sandinisti, le guerriglie di sinistra di ogni parte del mondo) ottenevano lo stesso titolo: "Fonti statunitensi affermano che... (riempite gli spazi vuoti) rappresenta una nuova minaccia come narcotrafficante". Leader stranieri e nazioni di cui la CIA e il Dipartimento di Stato volevano mantenere pulita l'immagine (ad esempio Manny Noriega per due decenni, e il Messico e ognuno dei suoi Presidenti dopo il NAFTA) ottenevano il titolo: "I nuovi sforzi di... (riempite gli spazi vuoti) contro la droga conquistano la fiducia dei funzionari statunitensi".(7) IL GOLPE DELLA COCAINA Il 17 luglio 1980, per la prima volta nella storia, i trafficanti di droga assunsero effettivamente il controllo di una nazione, la Bolivia, a quel tempo fonte praticamente del 100% della cocaina che entrava negli Stati Uniti.(8) Il "Golpe della Cocaina" fu il più sanguinoso nella storia della Bolivia. Giunse in un momento in cui la domanda statunitense di cocaina era aumentata così vertiginosamente che per soddisfarla i fornitori avevano dovuto unificare materia prima e raffinazione e sbarazzarsi dei produttori inefficienti. Il risultato fu la creazione di quella che divenne nota come La Corporación - la Corporazione - sostanzialmente la General Motors o l'OPEC della cocaina. Subito dopo il golpe, la produzione di coca aumentò massicciamente finché, in breve tempo, superò la disponibilità. Fu quello il vero inizio della "piaga", come non si stancano mai di chiamarla i media e i politicanti, della cocaina e del crack. Il 17 di luglio del 1980 dovrebbe essere ricordato con infamia insieme al 7 dicembre 1941 (giorno dell'attacco di Pearl Harbour, NdT). Ci sono pochi eventi storici che hanno provocato un danno più grave e duraturo alla nostra nazione. Ciò che nessuno ha mai detto all'America, sebbene i principali mezzi d"informazione ne fossero a conoscenza e disponessero di una fonte interna di prima mano che era pronta a rendere pubblica la storia, era che il golpe era stato realizzato con l'assistenza e la partecipazione della CIA. La fonte era pronta a testimoniare e provare che, per l'attuazione di quel golpe, la CIA e i Dipartimenti di Stato e della Giustizia avevano dovuto unire le forze per proteggere i loro traffici di droga affossando un"indagine della DEA: "gli Usa contro Roberto Suarez". Come lo so? Quella fonte interna ero io.(9) Tutti i fatti ai quali mi riferisco sono descritti nei dettagli nel mio libro “The Big White Lie" (La grande bugia bianca, NdT), un libro che, a tutt"oggi, è stato praticamente ignorato dai principali mezzi di comunicazione... con dei buoni motivi, come spero di chiarire in questo articolo.(10) La documentazione degli eventi descritti è stata eseguita secondo le tecniche e le procedure comunemente accettate di raccolta delle prove insegnate in ciascuna delle quattro accademie federali di polizia da me frequentate. Avevo preso esattamente le stesse precauzioni che avrei preso per preparare una causa in tribunale, sostenendo ogni affermazione con solide prove sotto forma di rapporti e conversazioni registrate. Attualmente, “The Big White Lie" è esaurito, ma è disponibile in qualche biblioteca. Posso solo incitare i lettori, soprattutto quelli che hanno a che fare con l'applicazione della legge e la professione legale, a leggerlo e a giudicarne da soli il valore probatorio.

Nei mesi successivi al golpe boliviano, osservai stupito la massiccia copertura da parte dei mezzi d"informazione. Nulla si avvicinava anche solo alla verità e a fatti facilmente verificabili. Era tutto esatto finché si trattava di ritrarre a fosche tinte il nuovo governo boliviano, composto di espatriati nazisti come Klaus Barbie e di trafficanti di droga come Roberto Suarez, e di ripetere che il potere e l'influenza dell'economia della droga erano molto maggiori di quanto gli esperti statunitensi avessero immaginato. Ma tralasciava il fatto più importante: il golpe era stato diretto dalla CIA e questi tizi erano saliti al potere con i dollari dei contribuenti americani. Come ho spiegato nel libro, il fatto che i media statunitensi avessero ignorato l'evento probabilmente più significativo nella storia della Guerra alla Droga fu sufficiente a farmi perdere la testa. Non ero un eroe, credetemi. Ero un agente segreto che sapeva bene come muoversi, non qualcuno che correva rischi assurdi. Ma avevamo assistito da poco all'attacco concentrato e a tutto campo di Woodward, Bernstein e il Washington Post sull'affare Watergate che si era concluso con reali incriminazioni e pene detentive per crimini molto meno gravi di quelli che io intendevo rivelare. I media sembravano offrire ancora qualche speranza. Non potevo credere che trascurassero intenzionalmente di riportare notizie esatte sul Golpe della Cocaina. Avrei fornito loro i pezzi mancanti. Sarei stato la "gola profonda" della guerra alla droga. La prova decisiva del ruolo della CIA nel golpe boliviano la si poteva trovare nel caso di Roberto Suarez, una complicata operazione sotto copertura della DEA che avevo gestito soltanto due mesi prima della Rivoluzione della Coca. I complici mediatici l'avevano sbandierata come la più grande operazione segreta di polizia della storia, culminata con l'arresto dei capi del cartello boliviano, Roberto Gasser e Alfredo Gutierrez, fuori da una banca di Miami dopo che io avevo pagato loro 8 milioni di dollari per quella che allora rappresentava la più grossa partita di cocaina di tutti i tempi. Alcuni fatti del caso sono stati utilizzati per la sceneggiatura del film "Scarface", con Al Pacino. Ciò che nessuno aveva mai detto all'America prima della pubblicazione del mio libro era che nel giro di poche settimane da quegli arresti annunciati a titoli cubitali, sia Gasser che Gutierrez furono rilasciati. Quando venni a sapere dalla mia postazione in Argentina che quei due uomini e il loro cartello della droga avevano un ruolo chiave nel Golpe della Cocaina e che l'intera faccenda era ispirata e sostenuta dalla CIA, scrissi lettere anonime al New York Times, al Washington Post e al Miami Herald. Nonostante quelle lettere contenessero informazioni sufficienti a convincere i giornalisti che ero in effetti "una fonte autorevole" e indizi tali da condurre facilmente e rapidamente alla verità un vero giornalista d"inchiesta, non accadde nulla. Gli unici che mostrarono una qualche curiosità per l'improvvisa scomparsa del caso dai principali mezzi d"informazione e per la riluttanza della DEA anche solo a parlarne, furono i giornalisti di High Times, i quali a proposito del caso Suarez scrissero: "La Drug Enforcement Administration (DEA) conferma che gli arresti sono stati eseguiti ma non dice altro. Ciò è strano, perché potrebbe trattarsi della più grande operazione di polizia di tutti i tempi..". L"altro messaggio che i principali mezzi d"informazione cominciarono a diffondere con complice abilità fu il piagnucolìo incontestato di politici, burocrati ed "esperti" consacrati tali dai media su come, a seguito della Rivoluzione della Coca, fosse più urgente che mai disporre di altro denaro e di altri organismi, federali e militari, preposti a combattere la droga. Il Presidente Carter ordinò persino che la CIA scendesse in campo contro il narcotraffico. Quando quest"ultimo fatto comparve su tutti i giornali, feci una piccola verifica presso l'ambasciata di Buenos Aires, giusto per poter dire che l'avevo fatta. Chiesi al locale capo della CIA di prestarmi una telecamera spia per documentare un"operazione segreta che stavo conducendo a Buenos Aires. "Mi occupo di nuovo del cartello boliviano", gli confidai. La spia non ebbe un attimo d"esitazione, non batté neppure le palpebre, nel rispondermi che non aveva una sola telecamera disponibile. Semplicemente, la CIA non mi avrebbe aiutato in alcun modo che potesse sia pure lontanamente mettere in pericolo le loro "risorse".

Com"era possibile, mi chiesi, che un agente internazionale della DEA, che prendeva sul serio il proprio lavoro e giuramento, non fosse considerato altro che una minaccia dalla CIA? Nel mio Rapporto Segreto sul Paese di quell'anno descrissi quella situazione "paradossale" nei termini più diplomatici che riuscii a trovare, sottolineando che, quando si trattava della guerra alla droga, i nostri responsabili delle politiche sembravano in totale disaccordo. Ovviamente, come prevedevo, non ricevetti né risposte né commenti. Poi uscì la "notizia" che mi fece perdere la testa, la storia che avrebbe cambiato la mia vita. Larry Rohter e Steven Strasser di Newsweek avevano appena scritto un servizio che, a mio avviso, era la bomba a idrogeno delle notizie allarmistiche sulla guerra alla droga. Forse la più grande storia sul gioco della Guerra alla Droga di tutti i tempi. Spiegava nei minimi particolari come il denaro della droga avesse finanziato non solo il golpe della cocaina, ma stesse sovvenzionando le rivoluzioni in tutto il mondo. Quante di queste rivoluzioni, mi chiesi, erano appoggiate dalla CIA con i dollari dei contribuenti americani? Ma mi chiesi anche come potessero i giornalisti sapere la verità a meno che non disponessero di una "gola profonda" che desse loro qualche dritta.(11) Agii senza riflettere. Avrei dovuto ascoltare le parole del capo della CIA interpretato da Cliff Robertson ne "I tre giorni del Condor", un monito che dovrebbe essere ripetuto a tutti quelli che intendono denunciare le malefatte del governo nella vita reale. Verso la fine del film, un impiegato della CIA interpretato da Robert Redford, dopo essere sfuggito per due giorni ai tentativi dell'Agenzia di ucciderlo per impedirgli di denunciare un qualche tipico complotto perverso - anche se i complotti della CIA messi in scena da Hollywood sono sempre molto meglio architettati di quelli reali, piuttosto sballati - sta per varcare la soglia di un grande quotidiano (tipo New York Times o Washington Post), ma lì trova ad attenderlo il suo capo, che con un sorriso furbetto pronuncia l'ultima battuta del film: "Che cosa ti fa pensare che pubblicheranno la tua storia?" Io però avevo la mente piena di Woodward e Bernstein. Sedetti alla mia scrivania presso l'ambasciata americana e scrissi quel tipo di lettera che non avrei mai pensato di scrivere. Dopo aver rivelato la mia identità, riportai con dovizia di particolari, in tre pagine dattiloscritte sul computer dell'ambasciata statunitense, prove delle mie accuse sufficienti a nutrire un branco di giornalisti e detti la mia disponibilità a essere citato come fonte. La indirizzai direttamente a Strasser e Rohter, presso Newsweek e la spedii come raccomandata con ricevuta di ritorno. In un paio di settimane mi arrivò la ricevuta (che conservo ancora) e attesi ansiosamente loro notizie. Due settimane insonni più tardi, ero ancora seduto alla mia scrivania presso l'ambasciata a fissare il telefono. Tre settimane dopo squillò. Era la Sicurezza Interna della DEA. Mi chiamavano per comunicarmi che ero sotto inchiesta. Ero stato falsamente accusato di tutto, dal mercato nero ai rapporti sessuali con una collega sposata durante una missione sotto copertura, fino al fatto di "ascoltare musica rock a tutto volume disturbando gli altri dipendenti dell'ambasciata". Quell'inchiesta mi avrebbe sconvolto la vita per i successivi quattro anni.(12)I miei giorni di diplomatico dalla lingua troppo lunga durarono poco, ma fui molto più fortunato della maggior parte di quelli che denunciano le malefatte governative ad alto livello. Sarei sopravvissuto. Nel momento del pericolo ero pur sempre un agente segreto ben addestrato, con la capacità di scamparla di uno sbirro del Bronx. IL QUARTIER GENERALE DELLA DEA Tornato nel "Palazzo dei Burocrati" decisi che per sopravvivere al sempre più invadente assalto della Sicurezza Interna avrei seguito il saggio consiglio di un funzionario anziano: "la burocrazia ha la memoria corta. Tieni la bocca chiusa e i burocrati si dimenticheranno che esisti". E fu esattamente ciò che accadde. Per sopravvivere partecipai al gioco della Guerra alla Droga. Il mio primo giorno di ritorno al quartier generale della DEA nel Distretto della Colombia, assegnato all'ufficio per la cocaina, risposi abilmente alla telefonata di un giornalista di un"agenzia d"informazioni, il quale voleva sapere quanta della droga introdotta negli Usa venisse intercettata alla frontiera. Durante i miei negoziati con il cartello boliviano, i principali produttori di coca del

mondo a quel tempo, mi fu detto che calcolavano una perdita inferiore all'1 % alla frontiera statunitense. Prima che potessi rispondere, uno degli altri impiegati sentì la conversazione e mi disse: "Digli il 10%. È quella la cifra [ufficiale]". Io riferii e 10% fu la statistica pubblicata nel servizio. Tutto qui. La stessa percentuale fasulla fu utilizzata per i due decenni successivi senza che nessun cosiddetto giornalista ponesse mai questa logica domanda: come fate a sapere che intercettate il 10%? Chi fa i conti? È interessante notare che quel numero magico ultimamente è stato drasticamente aumentato, e ora è Hollywood a dare una mano nell'imbroglio. Notai quella che riconobbi come una scena "manipolata" nel film di successo Traffic (è importante osservare che il film è stato girato con la cooperazione e collaborazione dei burocrati del gioco della Guerra alla Droga). Lo "zar dell'antidroga" interpretato da Michael Douglas visita un valico di frontiera tra Usa e Messico e chiede a un vero ufficiale di dogana (ingaggiato per quella parte) che percentuale di droga fosse intercettata alla frontiera. La risposta, sparata a voce innaturalmente alta, è "il 48%". Dal 10 al 48% in vent"anni, e per la strada gira più droga che mai? Un film che ha vinto l'Oscar? Se questa non è complicità, non so cosa possa essere. Ma dovete ricordare che trafficanti e complici non hanno alcun pudore. E penso di poter dire che nemmeno io ne avevo, perché per circa cinque anni ho assunto un ruolo consapevole nel gioco della Guerra alla Droga. L' ”OPERAZIONE HUN" E LA SQUADRA SPECIALE DELLA FLORIDA DEL SUD Trascorsi gran parte del 1983 facendo la spola tra un incarico sotto copertura per la "operazione Hun" e un incarico temporaneo di supervisore della Squadra Speciale della Florida meridionale del Vicepresidente Bush. Ironicamente, l'operazione Hun era volta ad abbattere lo stesso governo boliviano dedito al traffico della droga che la CIA aveva messo al potere tre anni prima. Come ho raccontato in “The Big White Lie", l'operazione, che avrebbe potuto davvero essere una delle più riuscite nella storia della DEA, era ancora controllata dalla CIA e alla fine fu annientata per nascondere il fatto che le persone protette dall'agenzia erano le stesse responsabili della produzione e distribuzione a quel tempo di quasi tutta la cocaina disponibile al mondo. Posso solo incitare chiunque sia interessato a leggere il libro a farlo come se fosse una delle mie relazioni per un caso giudiziario. Quando non lavoravo sotto copertura all'operazione Hun, assolvevo due incarichi consecutivi presso la squadra speciale del vicepresidente Bush. Il primo era come comandante addetto alla sorveglianza, il che fondamentalmente significava che dovevo notificare a Washington ogni sequestro di droga cosicché si potessero scrivere comunicati stampa e programmare apparizioni televisive per il primo "Zar dell'antidroga" di Bush, l'ammiraglio Daniel J. Murphy. Il mio secondo incarico presso la squadra speciale fu quello di supervisore delle operazione all'aeroporto di Miami. Avevo ai miei ordini da quattordici a sedici agenti doganali e della DEA. Il nostro compito consisteva principalmente nel condurre indagini supplementari sugli arresti di trafficanti di droga alla dogana dell'aeroporto. Il problema di entrambi gli incarichi e dell'intera struttura della squadra speciale della Florida meridionale era che si trattava di una costosa trovata pubblicitaria del gioco della Guerra alla Droga. Il vicepresidente Bush e il suo Zar dell'antidroga, tramite i media sempre pronti a collaborare, abbindolavano il pubblico facendogli credere che i sequestri di droga nel sud della Florida fossero raddoppiati. Ogni domenica mattina non si poteva fare a meno di vedere lo Zar dell'antidroga Murphy - il "piccolo ammiraglio", come lo chiamavamo - in due, tre o quattro notiziari popolari, che sventolava le bandiere della vittoria nella guerra della droga. In quel periodo, l'imbonimento del pubblico guidato dai media fu incontenibile. Verificate da soli. È facile fare ricerche con Internet. C"era un unico problema con le rivendicazioni di quelle vittorie: erano fasulle ed era facile smentirle.

Gli stessi sequestri di droga che la DEA, la guardia costiera e la dogana realizzavano normalmente nel sud della Florida prima dell'esistenza della squadra speciale erano ora attribuiti a quella squadra e sbandierati come "vittorie", mentre in realtà i sequestri non erano aumentati. E cosa ancora più fraudolenta, se possibile, i sequestri venivano contati due volte per le sessioni di bilancio del Congresso. La dogana sequestrava 500 chili di marijuana e la consegnava alla squadra speciale. Tanto la squadra speciale che la dogana riportavano i sequestri nei loro dati statistici annuali per il Congresso. I meriti attribuiti dai media andavano tutti alla squadra speciale del vicepresidente. Il conto, come sempre, andava ai contribuenti americani. E grazie alla complicità dei mezzi d"informazione, tutti erano consapevoli dell'imbroglio tranne i contribuenti stessi, e i criminali venivano fatti passare per eroi. I media sapevano la verità e l'hanno occultata? Personalmente ho passato informazioni ad almeno una dozzina di "giornalisti" che telefonavano e so di altri agenti che hanno fatto la stessa cosa. Non ci sarebbero volute molte indagini per verificare ciò che dicevamo - nient"altro che qualche telefonata alle agenzie coinvolte -eppure nulla è mai emerso. I complici non rivelano niente alle vittime, no? Non ci sarebbero volute molte indagini per verificare ciò che dicevamo... eppure nulla è mai emerso. I complici non rivelano niente alle vittime, no? LE GUERRE AFGANE E DEI CONTRAS Mentre un fuoco di fila di titoli sui mezzi d"informazione continuava a deviare l'attenzione dell'America sulla squadra speciale per la Florida meridionale del vicepresidente Bush, descrivendola come uno sforzo coraggioso ed efficace di lotta alla droga - il biglietto da visita per i polli - la vera azione, intenzionalmente omessa dai notiziari, era che alcuni dei più grossi trafficanti di droga del mondo versavano la droga direttamente nelle vene e nei cervelli dei ragazzi americani con la protezione della CIA e del Dipartimento di Stato. Parlo dei contras in Nicaragua e dei ribelli mujaheddin in Afghanistan. Per l'intera durata della guerra, noi della DEA avevamo documentato che i contras -quegli "eroi", come li definiva Ollie North -portavano sulle strade d"America almeno tanta cocaina quanta il cartello di Medellin. Avevamo anche documentato come i mujaheddin gareggiassero per il primo posto come principale fonte di eroina per l'America. Eppure non ci è stato permesso di portare in tribunale un solo caso di una qualche importanza riguardante una di quelle due entità. Tutte le inchieste erano efficacemente ostacolate dalla CIA e dal Dipartimento di Stato. La complicità e le informazioni fuorvianti dei media erano tanto inarrestabili quanto efficaci. Per fare un esempio, Ollie North era stato scelto in un sondaggio sui media come una delle "dieci persone più ammirate" della nazione, nonostante fossero ben documentati dal Congresso i suoi sforzi di proteggere da procedimenti penali i principali trafficanti di droga e assassini, come il generale dell'esercito dell'Honduras Bueso-Rosa. La cosa sbalorditiva è che a North, capo di una centrale della CIA e ambasciatore statunitense, era stato vietato l'ingresso in Costa Rica (tra gli altri reati) per aver introdotto droga negli Usa passando per quella nazione democratica. Questo divieto fu emanato dal Presidente di quel paese, il premio Nobel Oscar Arias, ma la notizia non fu mai portata all'attenzione pubblica statunitense. Provate a fare un confronto con la copertura del caso Monica Lewinsky.(13) Venivano protetti persino i trafficanti di droga sostenitori dei contras in altri paesi. In un caso eclatante, un mio collega fu inviato in Honduras per aprire un ufficio della DEA a Tegucigalpa. Nel giro di pochi mesi aveva documentato l'invio negli Usa di ben 50 tonnellate di cocaina da parte di militari honduregni che sostenevano i contras. Una quantità di cocaina sufficiente a soddisfare un terzo della domanda statunitense. Quale fu la reazione della DEA? Chiusero l'ufficio.(14)Le soffiate - anonime e non - ai giornalisti continuarono ad arrivare da fonti interne alla DEA e da altre agenzie, eppure non fu mai pubblicata una sola storia vera di una certa importanza.

DI RITORNO NELLA GRANDE MELA, LA CAPITALE DELLA GUERRA MEDIATICA ALLA DROGA Nel 1984 ottenni di tornare a New York per problemi familiari. Mia figlia, che viveva là, aveva problemi di droga. A quel tempo mio fratello, tossicodipendente da diciannove anni, si era già suicidato a Miami, lasciando un biglietto che diceva: "Non ne posso più della droga". Ero pronto a fare qualunque cosa per salvare la mia bambina. A New York fui messo a capo di una squadra operativa chiamata in continuazione per mettere in scena blitz per i notiziari televisivi: CBS, ABC, ecc., tutti i grandi partecipanti al gioco. Nei giorni di calma piatta, la squadra riceveva sempre qualche telefonata: non è che voi ragazzi avete qualche faccenda in ballo che possiamo mettere nel notiziario delle undici? E noi escogitavamo qualcosa. Quello che andava bene per i loro indici d"ascolto andava bene anche per il nostro budget. In quegli anni, se tutti i tossici che i media facevano passare per membri dei cartelli di Medellin o di Calì si fossero dati la mano, quella catena umana sarebbe arrivata fino alla luna. I cartelli erano dipinti così efficacemente come forze demoniache che persino il sindaco Ed Koch, persona di buon senso, aveva chiesto che si bombardasse la Colombia (ironicamente, è esattamente quello che stiamo facendo ora). Io stavo al gioco, conducevo i blitz fasulli, davo ai cronisti quello di cui avevano bisogno per vendere i giornali o alzare gli indici d"ascolto. Dall'interno, appresi il segreto del controllo dei generali della Guerra alla Droga sui media loro complici. Le storie di droga facevano vendere i giornali, ottenevano buoni share e fornivano dei bei soggetti per il cinema e la televisione, come fanno tutt"ora. Per avere "accesso" a un"agenzia di polizia vale a dire per procurarsi "i retroscena" e storie "credibili" - i direttori, produttori e redattori dei mezzi d"informazione devono stare al gioco. Non possono trasmettere o scrivere un servizio ostile e volere una porta aperta il giorno dopo. Non puoi fare un film che dica tutto e aspettarti di girarlo con la cooperazione del governo statunitense, no? Il fattore cruciale è il denaro. Nessuno, nel mondo dei grandi mezzi di comunicazione, ha giurato di proteggere alcunché se non il proprio posto; non è una critica, ma solo una constatazione. Il quarto potere potrebbe essere anche il quinto, il sesto o il settimo... sono tutte fesserie. Per soldi i principali mezzi d"informazione potevano (e possono) essere annoverati tra i complici del gioco della Guerra alla Droga come se tutti i loro conti in banca dipendessero da quello. Ma questa era soltanto una parte della storia economica dei media. Sarebbe peggiorata, e di molto. C"erano alcuni di noi che, in improvvisi attacchi di pazzia o ingenuità, rischiavano la vita per denunciare quelle malefatte. Ci ritrovavamo con una certa frequenza a spiegare a qualche incredulo giornalista formatosi alla Columbia School of Journalism che le "notizie" diffuse in quel momento dall'agenzia... (riempite gli spazi vuoti) per il gioco della Guerra alla Droga, che parlavano della "nuova speranza politica" in Messico e/o in Colombia e/o... (riempite gli spazi vuoti) che stava per "fare pulizia" dei collusi con il traffico di droga nel governo, non erano altro che la ripetizione della stessa favola pubblicata ogni paio di mesi dall'inizio dei tempi. E se non volevano credere a noi, non dovevano far altro che andare a controllare nei propri archivi. Dicevamo loro che la nostra esperienza diretta in prima linea ci aveva insegnato che, fino a quando gli americani spendevano centinaia di miliardi in droghe illegali, non ci poteva essere alcuna speranza e che ignorare questo fatto e stampare o trasmettere quelle fesserie equivaleva a essere complici del gioco delle tre carte. La tipica reazione dei giornalisti era uno sguardo vacuo. Vacuo perché non avevano la minima idea di ciò di cui stavamo parlando, né la curiosità di indagare. Vacuo perché sono stati addestrati alle interviste registrate, alle ellissi e a un linguaggio corretto e non hanno nessuna cognizione della storia o dei meccanismi interni del gioco della Guerra alla Droga. Non sanno neppure che parlare di "cospirazione" è come violare una legge federale ed è responsabile della maggior parte delle pene detentive. I direttori dei giornali dicono loro che tutto ciò che raccontano "i portavoce accreditati dal governo" (di solito qualche addetto alle relazioni pubbliche) è la notizia. Il loro compito è fare i

cronisti, non i giornalisti d"inchiesta. Intanto, questi incontri lasciano te, potenziale denunciante delle malefatte governative, con una stretta alla bocca dello stomaco che ti fa desiderare di aver tenuta chiusa quella maledetta bocca. Ma a quel tempo, a eccezione di quei pochi fugaci momenti di follia pura, non avevo più il minimo desiderio di recitare il ruolo di Robert Redford nel mio film. Avevo una figlia drogata, un"ipoteca e una vita che si reggeva sui debiti. L"unica cosa che mi separava dalla rovina era il mio lavoro. Avevo imparato bene la lezione de "I tre giorni del Condor": sicuramente non pubblicheranno la tua storia. Poi, nel 1987, persi di nuovo le staffe... e non sarei più tornato indietro. L"OPERAZIONE SUPERSEGRETA "TRIFECTA" Avevo tenuto la bocca chiusa e, come mi aveva predetto il funzionario della DEA, nel 1987 i miei "peccati" erano ormai dimenticati. Il quartier generale della DEA mi chiedeva ora di assumere un ruolo di primo piano in un"operazione segretissima di polizia che sarebbe divenuta il soggetto del mio libro "Deep Cover", che è stato in cima alla classifica dei best-seller del New York Times. Fingendomi un capo della mafia siculo-portoricana, insieme a un manipolo di agenti segreti della DEA e della dogana riuscimmo a infiltrarci ai vertici dell'ambiente internazionale della droga in tre paesi: Bolivia, Panama e Messico. La DEA la battezzò "Operazione Trifecta". Il nome datole dalla dogana era "Operazione Droga era una frode premeditata, eppure nessuno dei - capo riciclatore dei media era interessato ad approfondire la faccenda - cartelli boliviano e Saber". La nostra piccola "mafia" fittizia riuscì a concludere l'acquisto di quindici tonnellate di cocaina da contrabbandare con il cartello della droga boliviano "La Corporación", quello stesso gruppo che la CIA aveva aiutato a salire al potere in Bolivia, lo stesso gruppo responsabile della maggior parte della cocaina grezza raffinata in Colombia fino ad oggi. Le videocamere nascoste filmavano mentre contrattavo il prezzo e la quantità delle droghe con i massimi rappresentanti del cartello. Una volta concluso l'affare, inviai piloti sotto copertura nelle giungle boliviane per verificare che la cocaina fosse sul posto e pronta per la consegna. Poi mi accordai con i vertici del governo messicano per la protezione militare delle partite di droga che transitavano per il Messico dirette negli Usa. Tra coloro con i quali trattai direttamente c'era il colonnello Jaime Carranza, nipote dell'ex presidente messicano Venustiano Carranza, e Pablo Giron, una guardia del corpo del Presidente appena eletto del Messico, Carlos Salinas de Gortari. Per verificare che il governo messicano facesse la sua parte, rappresentanti della "mafia" (agenti sotto copertura) furono inviati in Messico a osservare le unità militari che preparavano i campi di atterraggio. L"accordo prevedeva che versassi il primo pagamento per la droga - 5 milioni di dollacolombiano. Le sue operazioni, come mi dissero i leader dei cartelli, erano protette da Manuel Noriega, allora risorsa della CIA. Mi recai personalmente al quartier generale di Rodriguez a Panama City, dove ci accordammo per il primo pagamento immediato di 5 milioni in contanti e suggellammo l'affare con una stretta di mano. Durante questa sconvolgente missione, la nostra squadra di agenti raccolse prove schiaccianti, sotto forma di registrazioni video e audio, osservazioni dirette e rapporti dei servizi segreti governativi, che indicavano chiaramente che membri dell'esercito e collaboratori del Presidente subentrante del Messico, Carlos Salinas de Gortari, stavano progettando di aprire la frontiera messicana al contrabbando di droga una volta che Salinas fosse entrato in carica e il NAFTA (l'accordo di libero scambio per il Nord America) fosse stato approvato. Avevamo le prove che avessero già iniziato a mettere in pratica il loro piano. Ci eravamo anche imbattuti nella prova che i funzionari messicani corrotti con i quali avevamo trattato erano anche direttamente coinvolti nell'addestramento dei contras appoggiati dalla CIA. Scoprimmo legami personali, su cui nessuno aveva mai indagato, tra funzionari governativi statunitensi (tra cui almeno un funzionario della DEA) e funzionari governativi messicani corrotti,

alcuni dei quali potevano essere stati implicati nella tortura e uccisione dell'agente della DEA "Kiki" Camarena e/o nell'insabbiamento dell'intera vicenda. Infine, avevamo le prove che l'operazione paramilitare statunitense nella regione Andina (denominata allora Operazione Snowcap, ora Plan Colombia e/o Iniziativa Andina) era una frode premeditata ai danni del popolo americano, che non avrebbe mai dovuto avere alcun effetto sulla fornitura di droga. Come ho raccontato in "Deep Cover", una volta che i nostri governanti si furono resi conto di ciò che avevamo scoperto, entrò in gioco la CIA. Ci eravamo spinti troppo avanti e andavamo fermati. I più importanti trafficanti di droga, l'operazione di riciclaggio del denaro sporco con sede a Panama e i vertici del governo messicano, anch"essi corrotti, che avevamo preso in trappola furono efficacemente protetti da ogni procedimento legale. Le operazioni Trifecta e Saber furono insabbiate. Ancora una volta, non posso far altro che incitare i lettori di questo articolo a leggere il mio libro e a giudicarlo per i fatti che espone, tenendo presente che le informazioni che contiene non sarebbero mai dovute finire in un libro. Vi descrivo nei particolari come tutte le rivelazioni sopra elencate siano state prima presentate alla divisione Affari Interni della DEA in un memorandum piuttosto lungo che denominai "Memo Bomb". Speravo, ingenuamente, che sarebbe finito nelle mani di qualche esponente del governo che avesse ancora una coscienza, di qualche burocrate o politico che prendesse sul serio il proprio giuramento di difendere la Costituzione. Quando seppi che sarebbe stato occultato, non pensai neppure di rivolgermi ai mezzi d"informazione. Iniziai a scrivere "Deep Cover" che fu pubblicato tre mesi dopo che ebbi lasciato il mio incarico. Il libro finì sulla lista dei best-seller del New York Times nonostante fosse stato praticamente ignorato dai principali mezzi d"informazione e dal Congresso. Per quel poco che si interessarono a me, i media mi descrissero come uno che sfoga la propria frustrazione denunciando altri. Perché? Perché questo era ciò che "portavoce accreditati dal governo" dicevano di me. I funzionari della DEA e del Dipartimento della Giustizia si rifiutarono di rilasciare commenti. Non un solo giornalista dei principali mezzi d"informazione si prese il disturbo di fare ciò che avevano fatto gli avvocati del mio editore (Delacorte Press): leggere le imputazioni o valutare attentamente il modo in cui documentavo i fatti esposti. Ero qualcuno le cui parole nei tribunali di tutto il paese erano sufficientemente credibili per incriminare e condannare migliaia di persone a decine di migliaia di anni di prigione. II mio libro gridava a gran voce che la Guerra alla Droga era una frode premeditata, eppure nessuno dei media era interessato ad approfondire la faccenda. Nel 1991, "Project Censored" definì "Deep Cover" una delle dieci storie più censurate d"America. Mentre registravamo un programma con Bill Moyers, questi mi riferì di aver sentito che "Deep Cover" era "il libro che si legge di più e di cui si parla di meno dalle parti di Washington". Avevo già sentito la stessa cosa dalle mie fonti all'interno della DEA e di altre agenzie. Feci notare a Moyers che ciò che trovavo tanto spaventoso quanto deprimente in tutta quella faccenda era che, sebbene una squadra di agenti statunitensi sotto copertura avesse scoperto prove schiaccianti della collusione del governo messicano con il traffico di droga e il suo coinvolgimento nella tortura e nell'assassinio di un agente della DEA, il nostro Congresso aveva concesso a quel paese lo status di "nazione cooperante" nella lotta alla droga, il che significava che sarebbero stati premiati per il loro tradimento con i dollari dei contribuenti americani. Dissi inoltre a Moyers che ero tormentato dall'idea che, nonostante le ben documentate rivelazioni del libro, che dimostravano come l'operazione Snowcap fosse un imbroglio premeditato, il Congresso stesse espandendo la guerra militarizzata alla droga in Sud America senza svolgere uno straccio d"inchiesta. Tutto ciò che Moyers poté fare fu scuotere la testa come fa un poliziotto scafato quando vede i polli in fila per tentare la sorte al gioco delle tre carte. Il conto delle vittime della guerra del Plan Colombia continua ad aumentare, comprendendo anche l'abbattimento di un aereo appartenente a missionari religiosi.

Sarebbe accaduto ugualmente se i principali mezzi d"informazione avessero approfondito i fatti e gli indizi rivelati in "Deep Cover" con la stessa aggressiva tenacia dimostrata durante gli affari Watergate e Monica Lewinsky? Io penso di no. Invece, hanno tutti distolto lo sguardo e proseguito nella sfilza di articoli "riempite gli spazi vuoti" sul gioco della Guerra alla Droga. E i polli hanno continuato a guardare lo spettacolo e a pagare. DIECI ANNI DI GIORNALISMO Dopo il mio ritiro e la pubblicazione di "Deep Cover", scrissi "Fight Back: How to Take Back Your Neighborhood, Schools, and Families From the Drug Dealers"(15) (Alla riscossa: come riprendersi il quartiere, le scuole e le famiglie dai trafficanti di droga, NdT) , seguito da “The Big White Lie" (in collaborazione con Laura Kavanau-Levine). Tutto ciò che pensavo di sapere del gioco della Guerra alla Droga e di come combatterlo era ora sotto forma di libro: avevo ancora molto da imparare, ma questa volta dalla visuale opposta. A partire dal mio abbandono della DEA l'1 gennaio del 1990, fino a oggi, ho lavorato come giornalista freelance della carta stampata, consulente di media ed esperto radiotelevisivo di droga e criminalità, nonché come perito nei tribunali federali e statali per tutte le questioni relative al traffico di droga e alle morti violente. Dal 1997 sono conduttore dell'Expert Witness Radio Show, in onda su WBAI, a New York e KPFK, a Los Angeles. Il programma presenta interviste a persone che partecipano in prima linea ai principali eventi del gioco della Guerra alla Droga e altre storie di criminalità e spionaggio che i principali mezzi d"informazione hanno o presentato in modo distorto o volutamente ignorato. L"assoluta necessità di un programma del genere si manifestò al meglio durante un"intervista di tre ore a quattro agenti federali veterani, intitolata "100 anni di esperienza.(16) Si trattava di una tavola rotonda con Ralph McGehee (25 anni alla CIA), Dennis Dayle (27 anni alla DEA), Wesley Swearingen (25 anni all'FBI) e io (25 anni trascorsi tra DEA, dogana, i servizi di intelligence del Dipartimento delle Imposte e l'Ufficio per l'alcool, il tabacco e le armi da fuoco). Tutti noi avevamo partecipato ad alcuni degli eventi di più alto profilo nella storia della polizia, dell'esercito e dello spionaggio. Tutti noi concordavamo che non uno solo di questi eventi - dalla guerra del Vietnam al programma di spionaggio interno Cointelpro fino a tutta la Guerra alla Droga - era stato riferito in modo onesto dai principali mezzi d"informazione. Dennis Dayle, uno dei protagonisti del best-seller di James Mills "Underground Empire" (L"impero sotterraneo, NdT), affermò che la CIA aveva interferito in ogni importante indagine sul traffico di droga che avesse condotto, o l'aveva insabbiata. Ricordate di aver mai visto nulla in proposito su giornali o notiziari TV? Ora, come giornalista, desidero fornirvi i particolari di alcuni dei principali eventi che ho vissuto in prima persona e della complicità dei media che ho via via constatato. "L"INVASIONE DI PANAMA NEL CONTESTO DELLA GUERRA ALLA DROGA".(17) Come ho detto, fu già nel 1971, quando prestavo servizio presso l'Unità antinarcotici della dogana statunitense, che mi resi personalmente conto che tanto la dogana quanto l'Ufficio Narcotici e Droghe Pesanti sapevano bene che Manuel Noriega era massicciamente coinvolto nel traffico di droga verso gli Usa ed era protetto da ogni azione legale dalla banda di spie deviate. Questo eccentrico piccolo trafficante di droga, come un"infinità di altri criminali che danneggiavano l'America, era sul libro paga della CIA. Aveva persino pranzato con George Bush. Ollie North aveva ricevuto l'incarico di "ripulirne l'immagine". La protezione andava avanti da così tanto tempo ed era così nota che nessuno alla CIA si era preso la briga di informare l'agente della DEA Danny Moritz e il pubblico ministero federale Richard Gregorie che il tizio era off limits.(18) Così quella stessa CIA che non sapeva che il Muro di Berlino stava per cadere finché i suoi mattoni non le sono piovuti in testa, non apprese se non quand"era troppo tardi che la sua risorsa da due

decenni nel traffico di droga, Manny "faccia d"ananas" Noriega, stava per essere incriminato. Si poneva dunque un problema, che solo i complici mediatici potevano risolvere. La sera del 20 dicembre 1989, guardai con un misto di orrore e meraviglia la casa-fortezza di Noriega che saltava in aria insieme al Chorillo, l'intero centro storico di Panama City. Fu lo sparo d"inizio della prima invasione americana su larga scala nella Guerra alla Droga. I panamensi morirono a centinaia o forse migliaia (dipende a chi volete credere). Donne, bambini, poppanti. Bruciati, colpiti, mutilati dalle nostre armi migliori e più tecnologicamente avanzate. Fu una grande occasione per provare i nostri bombardieri Stealth e i nostri caccia. Non potei fare a meno di ripensare al bombardamento nazista di Guernica, in Spagna. Immagino che quella roba funzioni davvero. Morirono anche ventisei soldati americani, molti a causa del fuoco amico. Tutta questa terribile potenza di fuoco e tutti questi morti per arrestare un uomo i cui traffici di droga erano stati protetti dalla CIA per quasi vent"anni. Come avrebbero fatto, mi chiedevo, i generali della Guerra alla Droga e la CIA a nascondere la verità che stava dietro quella grottesca atrocità? Ma ecco accorrere in loro aiuto i complici mediatici. Nel giro di qualche mese, la copertura da parte dei media aveva omesso, cancellato, minimizzato e/o banalizzato la vera storia di Manuel Noriega e del credito che godeva presso la CIA e la DEA, trasformando invece la vicenda in un"importante "vittoria" nella Guerra alla Droga. Il raggiro operato dai media fu così efficace che George Bush senior, anziché essere incriminato per il suo coinvolgimento nella cospirazione, assistette a un sensibile aumento dei propri indici di gradimento. Lee Atwater, il presidente del Partito Repubblicano, definì quella mostruosa atrocità un "colpaccio politico". Il danno causato da quanti operavano con coscienza per l'applicazione della legge fu incalcolabile. Avevamo perso ogni fiducia nella capacità dei media di svolgere il loro presunto ruolo di Quarto Potere. Il commento sul "colpaccio politico" rappresentò per me la goccia che fece traboccare il vaso. Mi ero appena ritirato e mi ritenevo (di nuovo, benché stupidamente) relativamente al sicuro da rappresaglie, così iniziai a inviare un fuoco di fila di articoli a ogni organo d"informazione che mi veniva in mente. Fu davvero un tentativo vano fin dall'inizio, e lo sapevo, ma dovevo provare e riprovare. Fu solo tramite i mezzi d"informazione alternativi e Internet, che stava nascendo allora, che la verità venne a galla, ma chi vi prestò attenzione? Fintantoché i media alternativi non influenzavano i sondaggi, non potevano influenzare neppure i politici americani. Sono vicino a molti uomini e donne che hanno dedicato la vita a far applicare la legge. Tutti loro, seduti comodamente in soggiorno dopo aver bevuto un paio di drink, abbasseranno la voce e ammetteranno che un poliziotto che avesse fatto ciò che avevano fatto quelli coinvolti nella copertura di Noriega prima e nell'invasione fasulla dopo, avrebbe dovuto essere sepolto per sempre in un carcere federale. Pronunceranno le parole che nessun giornalista complice pubblicherebbe mai, cioè che tutti i responsabili di quell'invasione dovrebbero essere processati come criminali di guerra. Fu la consapevolezza che il nostro silenzio era la parte peggiore della storia che si ripete a tenermi incatenato al computer per cercare di far venire a galla la vera storia di Noriega. Ma il muro di gomma dei bugiardi mediatici era impenetrabile. Fu dopo che mio figlio, Keith Richard Levine, un sergente della polizia di New York, fu ucciso da tossici dediti al crack il 28 dicembre 1991 che il New York Times pubblicò uno dei miei pezzi su Noriega.(19) Non ho mai capito bene se fosse stato l'omicidio di mio figlio o l'imminente contesa elettorale tra Clinton e Bush a far loro cambiare atteggiamento, ma provai comunque gratitudine e persino speranza. Il mio articolo sui rapporti tra Bush e Noriega -nella colonna dedicata ai commenti - era una goccia nella marea mediatica che andava nella direzione opposta, ma dimostrava una cosa importante: c'era una qualche speranza nei media. Non erano un monolito. Pur essendo, in larga misura, controllati da ometti di scarso coraggio, facili da spaventare e manipolare,

c'erano pur sempre direttori, produttori e giornalisti ancora disposti ad assumere una posizione morale contro un esercizio del potere criminale e/o criminalmente incapace. Stavo imparando anche un"altra dura lezione: per costringere il Congresso ad agire davvero contro la corruzione e/o l'inettitudine criminale ai massimi livelli governativi, un solo articolo o special televisivo è ben lungi dal contrastare l'oceano della complicità mediatica. Serve un"ondata di giornalismo d"inchiesta come quella scatenatasi con i casi Watergate o Lewinsky. Qualche gocciolina non basta, anzi sarà usata semplicemente per indurci a credere di avere dei mezzi d"informazione davvero liberi e aggressivi. Fu dopo la strage di donne e bambini a Panama che, come giornalista, iniziai a notare un netto incremento della militarizzazione della Guerra alla Droga negli Usa. C"era, e continua a esserci, la chiara accettazione, da parte dei nostri "protettori" eletti e dell'opinione pubblica, di un aumento nell'uso della violenza nella lotta alla droga, un aumento che interessa tutti gli aspetti dei rapporti tra polizia e comunità. Neppure questo sarebbe mai accaduto senza la complicità dei principali mezzi di comunicazione, della televisione e di Hollywood che ce l'hanno data a intendere con film pieni di fesserie sul gioco della Guerra alla Droga come "Sotto il segno del pericolo", special televisivi sulla lotta alla droga e cosiddetti programmi "verità" come "Cops", nonché con il flusso incessante di articoli sulla droga, del tipo "riempite gli spazi vuoti", con titoli cubitali come "Nuova pericolosa fornitura di droga scoperta in... (mettete la nazione che preferite)", "Scoperte nuove connessioni sulla pista dell'oppio in... (riempite gli spazi vuoti)", "La caccia a... (riempite gli spazi vuoti), nuovo capo del cartello... (riempite gli spazi vuoti)", "Fonti governative allarmate per l'aumentato afflusso di... (mettete la droga che preferite)", "Fonti governative sospettano di collusione con il traffico di droga i governanti di... (mettete una nazione in cui la CIA vuole avviare qualche azione pericolosa, stupida e molto costosa)", "Sorprendente impennata nell'uso di stupefacenti previsto da... (mettete il nome dell'agenzia che vuole un aumento dei finanziamenti)".(20) IN QUALITÀ DI PERITO Da quando mi sono ritirato, lavoro come perito per avvocati che difendono le persone dagli eccessi di un gioco della Guerra alla Droga ormai fuori controllo. Sono stato coinvolto direttamente in un flusso continuo di atrocità perpetrate ai danni di cittadini innocenti, atrocità che il grande pubblico seguita a ignorare grazie all'affidabile pratica della censura tramite complici omissioni da parte dei media. Dal mio punto di vista, l'uso del termine "atrocità" non è iperbolico. Avendo partecipato in prima linea, ho avuto modo di osservare come la Guerra alla Droga si sia evoluta dal momento in cui, nel 1973, agenti della DEA che fecero irruzione in alcuni edifici di Collinsville, in Indiana, sebbene fossero in buona fede furono processati per il loro errore in un tribunale federale, fino al momento attuale, in cui l'uccisione di americani innocenti nella proprie case non solo è perdonato sotto il vessillo della Guerra alla Droga, ma è attivamente coperto dai generali di quella guerra con l'acquiescenza di artisti imbroglioni. Ecco un esempio: Donald Carlson, un dirigente della società Fortune 500 di San Diego, che non sapeva distinguere la cocaina dal pacciame, fu assalito in casa sua, nel 1992, da una squadra speciale antidroga SWAT, composta da uomini di più agenzie sia federali che statali, che aveva condotto un"invasione di stile militare con l'impiego di mitragliatrici e granate. La squadra agì in base alle accuse di un informatore malavitoso che sosteneva che Carlson stesse nascondendo in casa 2500 chilogrammi di coca e quattro killer colombiani che avevano giurato di non farsi prendere vivi. Carlson, nordamericano doc, nonostante i migliori sforzi degli agenti di farlo secco, sopravvisse miracolosamente a tre ferite da arma da fuoco e decise di far causa al governo. Fui assunto dal suo avvocato per esaminare i rapporti governativi collegati all'inchiesta e per dare la mia opinione di esperto, un lavoro che ero stato addestrato a fare come Ispettore delle Operazioni della DEA.

Dopo aver esaminato oltre 5000 pagine di rapporti governativi, trascrizioni di interrogatori e dichiarazioni, giunsi alla conclusione che gli agenti governativi avevano chiesto quel mandato di perquisizione basandosi sulle parole non confermate di un informatore malavitoso da quattro soldi di cui la compagnia telefonica non si fidava abbastanza da allacciargli il telefono. Conclusi, citando esempi specifici tratti da rapporti e dichiarazioni del governo stesso, che gli agenti e i pubblici ministeri non erano soltanto stati negligenti in modo criminale, bensì avevano consapevolmente violato tutti i diritti costituzionali di Carlson contro una perquisizione illegale della propria abitazione, e stavano aggravando quel crimine giurando il falso nel tentativo di coprire le loro malefatte. Il mio consiglio fu lo stesso che avrei dato se avessi svolto quell'incarico per il Dipartimento della Giustizia: sottoporre le prove a un gran giurì federale in previsione di un"incriminazione federale degli agenti e dei pubblici ministeri. Anziché dare ai cittadini statunitensi, sotto forma di un gran giurì, la possibilità di esaminare ciò che era realmente accaduto e di decidere se gli agenti e i pubblici ministeri meritassero di essere processati, il procuratore degli Stati Uniti Allan Bersin, recentemente nominato da Clinton, convocò una conferenza stampa per i complici della Guerra alla Droga in cui proclamò che "il sistema ha fallito, ma gli agenti [e i pubblici ministeri] avevano fatto il loro dovere". Questa dichiarazione fu la "notizia" sbandierata dai media ai quattro venti. Il sistema aveva fallito? Cosa diavolo voleva dire? Soltanto dei complici della Guerra alla Droga, non dei veri giornalisti, potevano accettare senza discutere un"affermazione del genere. Al succo dell'intera vicenda si arrivò non appena ebbi consegnato il mio rapporto. Il governo patteggiò un risarcimento di 2,7 milioni di dollari a Carlson e tutti i rapporti governativi furono segretati. Segretati? Come diavolo potevano quei burocrati cavarsela segretando i fatti che avevano portato a sparare su di un cittadino americano nella sua casa? Rimasi in attesa che un qualche Woodward o Bernstein ponesse almeno la domanda, ma non accadde nulla. Com'era ormai loro abitudine, i complici mediatici si mossero tutti insieme come pinguini, tuffandosi l'uno dietro l'altro da uno scoglio con lo sguardo ben fissato altrove per non vedere la verità. Ancora una volta cercai di raccontare la vicenda tramite qualunque organo d"informazione avesse voluto ascoltarmi. "60 Minutes", che a mio avviso è una delle poche speranze residue nel mondo dei grandi media, fu l'unica entità interessata. Il fiasco del caso Carlson fu trattato in uno special intitolato "Gli informatori" nell'estate del 1993. Purtroppo, l'insabbiamento fu omesso. Ancora una volta, dovetti ripassare la lezione: per quanto potente fosse "60 Minutes", un solo servizio non induce il governo a cambiare linea politica. Per quanto devastante per il gioco della Guerra alla Droga, il pezzo sugli informatori era soltanto un"altra goccia contro il torrente impetuoso della complicità dei grandi mezzi d"informazione. La grande domanda che il Quarto Potere avrebbe dovuto porre era: se i nostri combattenti contro la droga e i nostri pubblici ministeri potevano cavarsela dopo aver agito in modo così criminale contro un dirigente di Fortune 500, cosa poteva aspettarsi il cittadino medio? La risposta sta nel caso di Ezekiel Hernandez. Nel 1997 Ezekiel, che aveva diciotto anni e si era appena diplomato alla scuola superiore, fu ucciso da un cecchino dei marines o da una guardia "antidroga", mentre pascolava le capre nel prato dietro casa sua. Probabilmente il giovane non ha mai saputo chi fosse stato a sparargli, dal momento che il colpo era partito da una distanza di oltre 230 metri. Non ho potuto fare a meno di chiedermi se stessero provando una nuova arma. Nessuno, tra vicini di Hernandez nel paese di MacAllen, in Texas, si era reso conto che quegli strani cespugli semoventi sui pascoli erano cecchini mimetizzati dei marines, incaricati di pattugliare la frontiera tra il Texas e il Messico, in diretta violazione del Posse Comitatus Act.(21) Come giornalista radiofonico e perito del tribunale per i casi di morte violenta, iniziai a indagare su quello che a mio parere era, nella migliore delle ipotesi, un evidente caso di omicidio colposo. Nella peggiore, si era trattato di un"esecuzione. Mentre i principali mezzi di comunicazione continuavano a vendere la morte del giovane Ezekiel come un deplorevole ma giustificabile errore, cercai di indurre un portavoce del governo a

partecipare alla mia trasmissione per spiegare a un perito la posizione del governo stesso a proposito dell'assassinio del ragazzo. Nessuno accettò. Osservai attentamente i media: televisione, quotidiani e riviste. Nessun portavoce governativo che rispondesse esaurientemente a domande sulla vicenda. Venivano rilasciate soltanto dichiarazioni opportunistiche, vaghe e fuorvianti. Perché i generali della Guerra alla Droga dovrebbero spiegare l'assassinio di un cittadino americano verificatosi durante una presunta operazione antidroga, se i principali mezzi d"informazione erano così pronti a coprir loro le spalle? In questo caso, come nel caso Carlson, nessun funzionario governativo ammise alcun illecito. Perché avrebbero dovuto? Il risarcimento accordato alla famiglia Hernandez fu di 1,7 milioni di dollari - molto meno dei 2,7 milioni concessi a Carlson, bianco e ancora vivo - ma, di nuovo, perché la cosa sarebbe dovuta interessare a un complice?(22) MILIARDI DERIVANTI DAL GIOCO DELLA GUERRA ALLA DROGA PAGATI DIRETTAMENTE AI COMPLICI Un nuovo livello del gioco truffaldino della Guerra alla Droga iniziò quando il Presidente Clinton e il leader della maggioranza repubblicana Newt Gingrich alzarono l'uno la mano dell'altro in segno di vittoria per annunciare una nuova campagna pubblicitaria miliardaria nello stile "dite no alla droga". Il denaro sarebbe stato depositato direttamente nelle casseforti di ogni entità del mondo del cinema e dei media quotata in borsa. I primi 60 milioni sarebbero andati ai Disney Studios. Ogni pubblicità "antidroga" a tutta e vedete sul New York Times (per esempio) è pagata attingendo da questa cassa comune finanziata dai contribuenti. Ho ricevuto una soffiata da una persona vicina ai massimi vertici governativi, che mi ritiene un confidente più economico di uno psichiatra e molto più affidabile di chiunque lavori per i grandi media. "È tutto un imbroglio", ha dichiarato questa persona. "Fagliela vedere, Mike!" Non c'è un altro modo per definirlo, Mike... [ciò che la CIA ha fatto] è "contrabbando di droga". Una cosa "illegale" Così mi precipitai a indagare. Pensate che un giornalista dei grandi media abbia voglia di indagare sulla fonte dei milioni che entrano nelle casse della società per cui lavora, tanto più in un momento in cui i proventi della pubblicità diminuiscono? La mia inchiesta, corroborata dalle ricerche che avevo condotto per il mio libro "Fight Back", rivelò che né la Partnership for a Drug-Free America, né nessun altro, se è per questo, aveva mai verificato l'efficacia di questo tipo di pubblicità. In realtà, secondo studi psicologici eseguiti da esperti di neurolinguistica, un numero crescente di prove indicava che quelle pubblicità non erano soltanto inefficaci, ma addirittura incrementavano l'uso di droghe mediante la suggestione. In pratica, mettevano l'idea di far uso di droghe in testa a ragazzini che non ci avevano mai pensato. Un solo articolo su Brand Week, l'apprezzata rivista dei pubblicitari, faceva notare che l'ammontare dei dollari dei contribuenti che la Partnership for a Drug-Free America si apprestava a elargire era di due miliardi, il che faceva dell'associazione il più grande inserzionista di tutta l'industria pubblicitaria americana. L"articolo definiva quella regalia "molto sospetta". La mia fonte alla DEA osservava a sua volta che due miliardi di dollari sarebbero stati sufficienti a comprare fino all'ultima foglia di coca prodotta in Sud America quell'anno. Si sarebbe potuta superare per efficacia ogni operazione militare e di polizia. Se si mettono in galera gli imbroglioni del gioco delle tre carte e i loro complici per aver rapinato a dei polli innocenti centinaia di dollari, cosa si meriterebbero questi tizi? IL CONTRABBANDO DI DROGA DELLA CIA: IL CASO DELLA GUARDIA NAZIONALE VENEZUELANA

Quale sarebbe la cosa giusta da fare per un grande mezzo d"informazione davvero indipendente se, per dire, la CIA fosse colta con le mani nel sacco mentre contrabbanda negli Usa tanta cocaina quanto il cartello di Medellin, violando chiaramente la legge federale e senza alcuna scusante politica? Beh, è proprio quello che accadde. Nel 1990, la dogana statunitense intercettò una tonnellata di cocaina introdotta di contrabbando attraverso l'aeroporto internazionale di Miami. Un"indagine congiunta della dogana e della DEA rivelò ben presto che i contrabbandieri appartenevano alla Guardia Nazionale venezuelana guidata dal generale Guillen, una "risorsa" della CIA che sostenne di aver agito agli ordini e sotto la protezione dell'Agenzia. Un fatto subito ammesso, anche se con riluttanza, dalla stessa CIA. Ancora una volta, come nel caso Noriega, sembrava che quella banda di spie deviate avesse dimenticato di mettere la DEA e la dogana al corrente dei propri traffici. Ma venne fuori che non era così. Se la CIA è brava in qualcosa, è nel controllo totale dei media americani. Sono così sicuri della propria abilità nel manipolare i mezzi d"informazione che se ne vantano persino nei propri memorandum interni. I truffatori e i complici della CIA superano di gran lunga per numero e bravura quelli del gioco della Guerra alla Droga ma in questo caso entrambi gli imbrogli - il gioco della CIA e il gioco della Guerra alla Droga - correvano un grave pericolo. L"ufficio relazioni con il pubblico della CIA - chiamato dai membri dell'Agenzia "il possente organo elettrico" -si dette subito da fare. Risultato: la storia non fu menzionata da nessun mezzo d"informazione per i successivi tre anni. Il New York Times ricevette la notizia quasi subito, nel 1990, ma non la pubblicò che nel 1993, quando divenne "pubblicabile" perché il Times venne a sapere che anche "60 Minutes" conosceva la storia e stava per diffonderla. Il Times pubblicò la notizia di sabato, un giorno prima della trasmissione di "60 Minutes" sulla vicenda. C"erano però notevoli differenze tra l'articolo del Times e il servizio trasmesso da "60 Minutes". Il pezzo del Times diceva: Non sono state formulate imputazioni di reato per quella vicenda che, a detta dei funzionari, è stata "un grave incidente" piuttosto che una cospirazione intenzionale. Ma i funzionari dicono che la cocaina finiva venduta per le strade degli Usa" [le virgolette sono mie]. Il punto culminante del servizio di "60 Minutes" è quando il giudice federale Robert Boner dice a Mike Fallace: Non c'è un altro modo per definirlo, Mike... [ciò che la CIA ha fatto] è "contrabbando di droga". Una cosa "illegale" [le virgolette sono mie]. Il giudice Bonner rivelava inoltre che la sua affermazione era il risultato di un"indagine segreta condotta congiuntamente dalle divisioni affari interni della DEA e della CIA. Se ciò non fosse bastato, il programma mostrava anche un"intervista filmata ad Annabella Grimm, agente della DEA e di stanza in Venezuela quando si verificò l'incidente. Anche lei disse che la CIA aveva semplicemente contrabbandato droga violando un sacco di leggi statunitensi. Non serve essere un investigatore della polizia per notare che ci sono alcune importanti differenze nei due servizi o per sospettare i media di complicità premeditata. Ancora una volta entrai in azione e feci ciò che ritenevo il dovere di un vero giornalista: indagare. Accompagnato dalla compagna della mia vita, mia moglie e coautrice Laura Kavanau, mi precipitai sulla costa per incontrare Annabella Grimm, una ex collega di cui avevo sempre ammirato il modo di lavorare e la schiettezza. Dopo aver parlato con Annabella, Laura e io vedemmo un altro funzionario della DEA direttamente coinvolto nell'incidente. Il risultato della mia inchiesta fu che la CIA non solo aveva contrabbandato molta più cocaina circa 27 tonnellate - di quella che le era stata trovata in mano, ma era stata anche avvertita dalla DEA di non farlo perché quella che presentavano come una "operazione di raccolta di prove" non era soltanto uno "sproposito" ma una violazione criminale della legge statunitense, punibile con l'ergastolo.

Le identità di almeno due esponenti di alto livello della CIA che avevano deciso di ignorare il monito della DEA ed erano andati avanti con la massiccia operazione di contrabbando erano state rivelate alla DEA per l'incriminazione, ma, anziché concentrarsi su questi criminali, le indagini erano state indirizzate sulla Grimm e su altri. Mentre indagavo sull'incidente, notai che James Woolsey, allora capo della CIA, appariva in ogni notiziario televisivo e radiofonico delle grandi emittenti (compresa la radio pubblica nazionale) per trasmettere la dichiarazione che non si era verificato nessun atto criminale e che l'evento era stato tutto un "casino... un"indagine congiunta di CIA e DEA che era andata storta". La dichiarazione pubblica di Woolsey contraddiceva nettamente quella del giudice federale Bonner. Prove schiaccianti, mi assicuravano le mie fonti interne alla DEA,dimostravano che Woolsey, un avvocato, mentiva con l'aiuto dei principali mezzi d"informazione. Qualunque vero giornalista avrebbe potuto fare quello che avevo fatto io, ma nessuno - ad eccezione di "60 Minutes" - ne ebbe il coraggio. C"è mai stata una notizia più importante di quella che avrebbe potuto recare più o meno questo titolo: "La CIA tradisce la Nazione -Presa con le mani nel sacco a riversare sulle strade degli Usa più droga del cartello di Medellin", oppure: "La Guerra alla Droga, una truffa da mille miliardi di dollari"? I fatti che stanno dietro a questo caso sembrano essere la prova incontestabile che l'intera Guerra alla Droga è stata il più duraturo e letale gioco truffaldino nella storia del malgoverno americano. Nel caso della Guardia Nazionale venezuelana, c'erano portavoce ai massimi livelli, accreditati dal governo, pronti a parlare apertamente, a rivelare una verità devastante circa il peggior tipo di tradimento possibile commesso dalla CIA contro il suo stesso popolo, eppure nessun grande mezzo d"informazione, a eccezione di "60 Minutes", ha ritenuto la notizia degna di essere approfondita con lo stesso zelo messo nel-l'indagare sulle dimensioni del pene del Presidente Clinton. Censura tramite omissioni? Complicità nel gioco della Guerra alla Droga? Direi proprio di sì. Purtroppo per l'America, il mio "Expert Witness Radio Show" era tra i pochissimi luoghi in cui era possibile sentire quest"importante verità. Penso di dover dire che, quando chiamai l'ufficio del procuratore di Miami incaricato di procedere legalmente contro il generale Guillen, mi fu detto che interessi "di sicurezza nazionale" impedivano loro di darmi informazioni sul caso o di rilasciare una qualunque dichiarazione. Un poscritto adatto a questa vicenda, e all'intero gioco della Guerra alla Droga: ultimamente mi è stato fatto notare che John Clements, il tossicodipendente ventenne che fungeva da "fattorino" nell'indagine sul traffico di eroina a Bangkok di cui parlo all'inizio dell'articolo, sta per essere rilasciato dopo aver scontato gran parte della sua condanna a 35 anni di prigione. Il giovane Clements era stato incriminato di "cospirazione" finalizzata al traffico di eroina per aver accompagnato un trafficante di stupefacenti (Alan Trupkin) a un unico incontro per rifornirsi di droga. Ovviamente, il resto della storia è che i media, mentre ignoravano il flusso di eroina che entrava negli Usa tramite le risorse della CIA, avevano manipolato il caso al punto che il giovanotto non avrebbe potuto ottenere altro che il massimo della pena. Purtroppo io ero colpevole quanto loro. Spero solo che questo possa contribuire a compensare il male fatto. IL MARTEDÌ NERO: LA PREVISIONE Il 4 settembre 2001 avevo già completato e consegnato questo saggio per la sua prima pubblicazione in "Into The Buzzsaw", a cura di Kristina Borjesson. Quella sera, dalle 19 alle 20, Kristina, la produttrice del mio programma radiofonico "The Expert Witness", mandò in onda un"intervista con l'ex consulente della Casa Bianca ai tempi di Clinton, il dottor Richard Nuccio, la cui carriera era stata pubblicamente distrutta dalla CIA e dal Dipartimento di Stato quando aveva cercato di denunciare il fatto che l'agenzia stava operando contro gli interessi dell'America. Quell'intervista pareva il punto culminante di quattro anni da noi passati a denunciare che una CIA inetta in modo criminale - come dei vigili del fuoco che appiccano da soli gli incendi e poi non sono

in grado di controllarli - aveva sostenuto, addestrato e armato i peggiori nemici dell'America e che un qualche orrendo atto terroristico era inevitabile. Verso la fine di quel programma di un"ora, Kristina, indignata per la completa abdicazione da parte dei principali mezzi d"informazione dal loro presunto ruolo di controllori del governo, sbottò: "Non dovremmo sorprenderci se facessero saltare in aria il World Trade Center". Una settimana dopo, accadde proprio questo.(23) Giunti ormai alla fine di questo capitolo, se siete convinti della possibilità che i principali mezzi d"informazione abbiano passato gli ultimi trent"anni ad abbindolare i contribuenti americani convincendoli dell'efficacia di una Guerra alla Droga che era, sotto ogni aspetto, tanto fraudolenta quanto un gioco delle tre carte - e spero che lo siate -dovete anche porvi questa domanda: i principali mezzi d"informazione hanno retto il gioco a un FBI e una CIA pasticcioni per convincere gli americani che la loro difesa nazionale era nelle mani più capaci possibili, quando in realtà i boy scout d"America avrebbero potuto fare di meglio? E questa complicità ha avuto un ruolo nel renderci vulnerabili agli eventi del Martedì Nero? È difficile da credere, vero? Beh, il fatto è che - come dimostrano gli atti dei tribunali federali - sette mesi prima del primo tentativo di far saltare in aria il World Trade Center nel 1993, l'FBI aveva un informatore retribuito che si era già infiltrato tra gli attentatori e aveva riferito all'FBI i loro piani di far saltare le Torri Gemelle. Un dirigente del FBI - a quanto pare senza informare la polizia di New York, né nessun altro - "licenziò" l'informatore. Sette mesi dopo, una volta esplosa la bomba, dovettero andare a cercare quell'informatore, che poi li aiutò a catturare tutti i responsabili. E non è tutto. Quando l'FBI, con l'aiuto dell'informatore prima licenziato e poi assunto di nuovo, finalmente acciuffò l'esecutore materiale dell'attentato, Ramsey Yuosef - un uomo addestrato con denaro della CIA durante la guerra tra russi e mujaheddin -nel suo PC furono trovate istruzioni, che i nostri servizi segreti ignoravano totalmente, per impiegare aeroplani statunitensi dirottati come missili carichi di carburante (già nel 1993). Gli aeroplani erano denominati in codice "Bojinka".(24) Se a questo punto vi state grattando la testa e chiedendo perché non ne sapevate nulla, potete ringraziare la "copertura" dei principali mezzi d"informazione, che per la maggior parte attribuirono all'FBI il "merito" di aver "risolto" il caso. I media erano poi andati avanti a convincerci che l'FBI aveva "risolto" anche il caso di Unabomber, mentre in realtà quel pazzo (pensate all'antrace ora) fu preso soltanto perché il fratello lo consegnò alla polizia. Se i media avessero fatto il loro dovere professionale di riferire i fallimenti dilettanteschi di FBI e CIA, ciò avrebbe indotto i protettori da noi eletti a lavorare febbrilmente per migliorare dei servizi segreti che incutevano ai nostri nemici lo stesso rispetto di un teatro di burattini. Nello scrivere quest"articolo, ho tratto molti degli aneddoti e degli avvenimenti dalle vicende riportate dal mio best-seller autobiografico "Deep Cover", che ha per sottotitolo: "La storia segreta di come... lotte intestine, incompetenza e sotterfugi ci hanno fatto perdere la battaglia campale della guerra alla droga". Se tornate all'inizio del capitolo e sostituite "la Guerra alla Droga" con "il World Trade Center", forse capirete quanto sia pericoloso il gioco di darcela a intendere che si sta conducendo a nostre spese e dove ci porterà.

Nota del curatore Questo articolo è apparso originariamente in "Into the Buzzsaw: Leading Journalists Expose the Myth of a Free Press" (Sotto la sega circolare: Giornalisti di spicco illustrano il mito di una stampa libera, NdT), a cura di Kristina Borjesson (Prometheus Books, 2002).

Note 1. Società per un"America senza droga. Organizzazione controversa che si prefigge di aiutare ragazzi e bambini a rifiutare l'abuso di droga influenzando i comportamenti con grandi campagne pubblicitarie sovvenzionate dallo stato (NdT). 2. Persone che credono nel paranormale o nel soprannaturale o in persone dotate di poteri paranormali nonostante l'evidenza contraria o ancora persone irrazionalmente impegnate per una causa, o verso un guru (NdT). 3. Goddard, Donald. "Undercover". New York: Random House/Times Books, 1988. 4. The Expert Witness Radio Show. WBAI, New York City, e KPFK, Los Angeles. . 5. Usa contro Herman Jackson, et al. 6. Vedi Levine, Michael. "Deep Cover". Delacorte, 1990. 7. Un tipico esempio, "Mexico"s New Anti-drug Team Wins the Trust of US Officials," [La nuova Squadra antidroga del Messico conquista la fiducia degli ufficiali statunitensi] è stato preso dal New York Times del 18 luglio 2001. 8. Testimonianza di Felix Milian-Rodgriguez, condannato per riciclaggio di denaro proveniente dal traffico di droga del cartello di Medellin, in una Sessione Direttiva dinanzi alla Commissione Kerry nel giugno 1986. 9. Levine, Michael, e Laura Kavanau. "The Big White Lie". Thunder"s Mouth Press, 1993; op cit., Levine. 10. Op cit., Levine and Kavanau. 11. Ibid. 12. Ibid.: 103-4. 13. Levine, Michael. "I Volunteer to Kidnap Ollie North." [Mi offro volontario per rapire Ollie North]. Journal of Law and Social Justice (Penn State University), e altrove. Disponibile su . 14. Scott, Peter Dale, e Jonathan Marshall. "Cocaine Politics: Drugs, Armies, and the CIA in Central America". University of California Press, 1991, 1998. 15. Levine, Michael. "Fight Back". Dell Publishing, 1991. 16. Per facilitare la ricerca, tutti gli articoli, i libri e le interviste radiofoniche citati sono disponibili su . 17. . Vedi, in particolare, le interviste a David Harris (autore di "Shooting the Moon: The True Story of an American Manhunt Unlike Any Other, Ever", Little, Brown, 2001) e al soprintendente della DEA Ken Kennedy, che ha partecipato all'arresto e al processo di Manuel Noriega. 18. Ibid. 19. Levine, Michael. “The Drug War, Let"s Fight It at Home." New York Times, 16 febbraio 1992. 20. . Vedi numerose interviste a partecipanti in prima linea in "Drug War Media Mess." 21. Legge del 1878 che proibisce il dispiegamento di forze federali militari per controllare l'azione dei civili, NdT 22. Expert Witness Radio Show. Intervista con Ezekiel Hernandez, agosto 1997. Disponibile in audio su . (23). Una registrazione dell'intervista autentica, ora intitolata "La previsione", è disponibile su . (24). Le registrazioni autentiche dell'agente del FBI che ha licenziato l'informatore per le notizie sul World Trade Center e di un agente del FBI che ammetteva che le indicazioni di piani di al Qaeda di usare aerei come "missili" erano state ignorate, sono state mandate in onda durante “The Expert Witness Radio Show" del 4 dicembre 2001, e sono disponibili su .

AIDS, IL CASO NON È CHIUSO Kary B. Mullis Tra qualche anno, il fatto che noi abbiamo accettato la teoria secondo la quale l'AIDS sarebbe causata dall'HIV sembrerà una sciocchezza, come a noi sembrano sciocche le autorità che hanno scomunicato Galileo. La scienza, così come è praticata oggi nel mondo, ha ben poco di scientifico. Quando nel 1984 sentii dire per la prima volta che il francese Luc Montagnier, dell'Instituto Pasteur, e Robert Gallo, dell'American National Institutes of Health, avevano scoperto indipendentemente l'uno dall'altro che il retrovirus HIV -Human Immunodeficiency Virus - era la causa dell'AIDS, accettai il dato come una qualsiasi evidenza scientifica. Il problema non riguardava strettamente il mio settore, la biochimica, e loro erano esperti di retrovirus. Quattro anni più tardi, stavo lavorando come consulente con gli Specialty Labs di Santa Monica: stavamo cercando il modo di utilizzare la PCR per individuare i retrovirus nelle migliaia di donazioni di sangue che la Croce Rossa riceveva ogni giorno. Stavo scrivendo un rapporto sull'andamento dei lavori, destinato allo sponsor del progetto, e cominciai affermando che "L"HIV è la probabile causa dell'AIDS". Chiesi a un virologo della Specialty dove avrei potuto trovare elementi che confermassero il fatto che l'HIV era la causa dell'AIDS. "Non ne hai bisogno", mi fu risposto, "È una cosa che sanno tutti". "Mi piacerebbe citare qualche dato": mi sentivo ridicolo a non conoscere la fonte di una scoperta così importante. Sembrava che tutti gli altri la sapessero. "Perché non citi il rapporto del CDC?" mi suggerì, mettendomi in mano una copia del rapporto periodico sulla morbilità e la mortalità del Center for Disease Control. Lo lessi. Non si trattava di un articolo scientifico. Si limitava ad affermare che era stato identificato un organismo, ma non spiegava come. Invitava i medici a informare il Centro ogni qual volta si trovassero di fronte a pazienti che presentassero determinati sintomi, e a testarli per individuare la presenza di anticorpi per questo organismo. Il rapporto non faceva riferimento alla ricerca originale, ma questo non mi sorprese. Era destinato ai medici, che non avevano bisogno di conoscere la fonte delle informazioni. Dal loro punto di vista, se il CDC ne era convinto, doveva esistere, da qualche parte, la prova che era l'HIV a provocare l'AIDS. Di solito si considera una prova adeguata dal punto di vista scientifico un articolo pubblicato su una rivista scientifica attendibile. Al giorno d"oggi le riviste sono stampate su carta patinata, piene di fotografie, di articoli scritti da giornalisti professionisti, e ci sono anche foto di ragazze che reclamizzano prodotti che potrebbero esservi utili in laboratorio. A fare pubblicità sono aziende che offrono prodotti utili agli scienziati, o che producono farmaci che i medici dovranno prescrivere. Tutte le riviste importanti contengono pubblicità. E di conseguenza, tutte hanno qualche rapporto con le aziende. Gli scienziati propongono gli articoli per descrivere le proprie ricerche. Per la carriera di uno scienziato è fondamentale scrivere articoli che descrivano il proprio lavoro e riuscire a farli uscire: non avere articoli pubblicati sulle riviste più quotate è una perdita di prestigio. Ma gli articoli non possono essere proposti fino a quando gli esperimenti che ne supportano le teorie non siano conclusi, e non siano stati valutati. Le riviste più importanti chiedono addirittura di riportare, direttamente o attraverso citazioni, tutti i dettagli degli esperimenti, in modo che altri ricercatori possano ripeterli esattamente e vedere se ottengono gli stessi risultati. Se le cose vanno diversamente, questo viene reso pubblico, e il conflitto deve essere risolto in modo che, quando la ricerca verrà ripresa, si sappia con certezza da che punto si riparte. Le più qualificate tra le principali riviste hanno un sistema di revisione. Quando un articolo viene proposto per la pubblicazione, il direttore lo spedisce in copia ad alcuni colleghi dell'autore perché lo verifichino:

essi sono i revisori. I direttori sono pagati per il loro lavoro, i revisori no, ma il loro compito gli dà potere, il che fa piacere alla maggior parte di loro. Feci qualche ricerca sul computer. Né Montagnier, né Gallo, né altri avevano pubblicato articoli descrivendo esperimenti che portassero alla conclusione che probabilmente l'HIV provocava l'AIDS. Lessi gli articoli pubblicati su Science, che li avevano resi famosi come "i medici dell'AIDS", ma tutto quello che c'era scritto era che avevano trovato, in alcuni pazienti affetti da AIDS, tracce di una precedente infezione da parte di un agente patogeno che probabilmente era HIV. Avevano scoperto degli anticorpi. Ma gli anticorpi contro determinati virus erano sempre stati considerati segno di malattie precedenti, non di malattie in corso. Gli anticorpi indicavano che il virus era stato sconfitto, e il paziente era salvo. In questi articoli non si diceva affatto che questo virus provocava una malattia. Non risultava che tutte le persone che avevano anticorpi nel sangue fossero malate. E in effetti erano stati trovati anticorpi nell'organismo di individui sani. Se Montagnier e Gallo non erano riusciti a trovare questo genere di prove, perché i loro articoli erano stati pubblicati, e perché avevano discusso così duramente per attribuirsi il merito della loro scoperta? C"era stato un incidente internazionale quando Robert Gallo dell'NIH aveva dichiarato che un campione di HIV che gli era stato inviato da Luc Montagnier, dell'Istituto Pasteur di Parigi, non si era sviluppato nel suo laboratorio. Altri campioni raccolti da Gallo e dai suoi collaboratori da potenziali pazienti affetti da AIDS, invece, si erano sviluppati. Basandosi su questi campioni Gallo aveva brevettato un test per l'AIDS, e l'Istituto Pasteur l'aveva citato in giudizio. Alla fine il tribunale dette ragione al Pasteur, ma nel 1989 si era ancora in una situazione di stallo, e i due istituti si dividevano i profitti. Esitavo a scrivere che "L"HIV è la probabile causa dell'AIDS", fino a quando non avessi trovato delle prove, già pubblicate, che lo confermassero. La mia affermazione era molto limitata: nella mia richiesta di fondi non volevo sostenere che il virus fosse indubbiamente la causa dell'AIDS, stavo solo cercando di dire che era probabile che lo fosse, per motivi a noi noti. Decine di migliaia di scienziati e ricercatori stavano spendendo ogni anno miliardi di dollari per ricerche che si basavano su quest"idea. La ragione di tutto questo doveva pur essere scritta da qualche parte, altrimenti tutta questa gente non avrebbe permesso che le proprie ricerche si concentrassero su un"ipotesi così ristretta. All'epoca tenevo conferenze sulla PCR a un"infinità di convegni. E c'era sempre gente che parlava dell'HIV. Chiesi loro su cosa si basasse la certezza che era questo virus a provocare l'AIDS. Tutti avevano una qualche risposta, a casa, in ufficio, o in un qualche cassetto. Tutti lo sapevano, e mi avrebbero mandato la documentazione appena fossero tornati a casa. Ma non mi arrivò mai nulla: nessuno mi mandò mai una spiegazione di come l'HIV provocasse l'AIDS. Alla fine, ebbi l'opportunità di porre questa domanda a Montagnier, quando tenne una conferenza a San Diego in occasione dell'inaugurazione dell'UCSD AIDS Research Center, ancora oggi diretto dall'ex moglie di Robert Gallo, la dottoressa Flossie Wong-Staal. Sarebbe stata l'ultima occasione in cui avrei posto questa domanda senza perdere la pazienza. La risposta di Montagnier fu un suggerimento: "Perché non cita il rapporto del CDC?". "L"ho letto", dissi, "Ma non risponde realmente alla domanda se l'HIV sia la probabile causa dell'AIDS, vero?". Montagnier ne convenne: ero molto seccato. Se neanche lui sapeva la risposta, chi diavolo l'avrebbe potuta sapere? Una sera ero in macchina, e stavo andando da Berkeley a La Jolla, quando ascoltai, sulla National Public Radio, un"intervista a Peter Duesberg, un famoso virologo di Berkeley. E finalmente capii perché era tanto difficile trovare le prove che mettevano in rapporto l'HIV e l'AIDS. Duesberg affermava che prove del genere non esistevano. Nessuno aveva mai dimostrato che l'HIV causasse l'AIDS. L"intervista durava circa un"ora, e mi fermai per non perdermi niente. Avevo sentito parlare di Peter quando frequentavo la specializzazione a Berkeley. Mi era stato descritto come uno scienziato veramente in gamba, che era riuscito a mappare una particolare

mutazione in un singolo nucleotide di quello che sarebbe stato successivamente definito un oncogene. Negli anni "60, era una vera impresa. Peter andò avanti sviluppando la teoria secondo la quale gli oncogeni potrebbero essere introdotti nell'organismo umano da virus, e provocare il cancro. L"idea ebbe successo, e diventò una seria base teorica della ricerca che venne finanziata con lo sfortunato nome di "Guerra al cancro". Peter fu eletto Scienziato Californiano dell'anno. Ma invece di dormire sugli allori, li incendiò. Riuscì a trovare punti deboli alla sua stessa teoria, e annunciò ai suoi stupitissimi colleghi che stavano dandosi da fare per trovarne la dimostrazione sperimentale che era molto improbabile che ci riuscissero. Se volevano combattere il cancro, le loro ricerche avrebbero dovuto essere indirizzate in altra direzione. Ma loro, fosse perché erano più interessati a combattere la loro povertà piuttosto che il cancro, o semplicemente perché non riuscivano ad affrontare i propri errori, continuarono a lavorare per dieci anni, senza alcun risultato, sull'ipotesi dell'oncogene virale. E non riuscirono a cogliere l'ironia della situazione: più aumentava la loro frustrazione, più se la prendevano con Duesberg per aver messo in discussione la propria teoria e le loro assurdità. La maggior parte di loro non aveva imparato molto di quello che io definisco scienza. Erano stati addestrati a ottenere finanziamenti governativi, assumere persone per fare ricerche e scrivere articoli che di solito si concludevano affermando che le ricerche dovevano essere ulteriormente approfondite, preferibilmente da loro, con denaro di qualcun altro. Uno di questi era Bob Gallo. Gallo era stato amico di Peter. I due avevano lavorato per lo stesso dipartimento del National Cancer Institute. Tra le migliaia di scienziati che avevano lavorato inutilmente per assegnare a un virus un ruolo determinante nello sviluppo del cancro, Bob era stato l'unico tanto zelante da affermare di esserci anche riuscito. Nessuno prestò alcuna attenzione alla cosa, perché era solo riuscito a dimostrare una relazione sporadica e molto debole tra gli anticorpi contro un innocuo retrovirus definito HTLV1 e un insolito tipo di tumore individuato principalmente su due delle isole meridionali del Giappone. Nonostante la sua mancanza di gloria come scienziato, Gallo era riuscito a scalare agevolmente le gerarchie, mentre Duesberg nonostante le sue capacità le aveva scese. Quando si cominciò a parlare di AIDS, fu a Gallo che si rivolse Margaret Heckler quando il presidente Reagan decise che ne aveva abbastanza di tutti quegli omosessuali che manifestavano davanti alla Casa Bianca. Margaret era il ministro per l'Istruzione, la Sanità e il Welfare, e quindi il capo supremo dell'NIH. Bob Gallo aveva un campione di virus che Montagnier aveva trovato in un linfonodo di un arredatore gay parigino malato di AIDS. Montagnier aveva spedito il campione a Gallo perché lo valutasse, e questi se ne era impossessato allo scopo di sfruttarlo per la propria carriera. Margaret convocò una conferenza stampa e presentò il dottor Robert Gallo, che si sfilò lentamente gli occhiali da sole e annunciò alla stampa mondiale: "Signori, abbiamo trovato la causa dell'AIDS". Tutto qui. Gallo e la Heckler annunciarono che entro un paio di anni sarebbero stati disponibili un vaccino e una terapia. Eravamo nel 1984. Tutti gli ex cacciatori di virus del National Cancer Institute cambiarono le targhette sulla porta dei loro laboratori e diventarono esperti di AIDS, Reagan stanziò all'incirca un miliardo di dollari, tanto per cominciare, e da un momento all'altro chiunque potesse rivendicare una specializzazione medico-scientifica di qualche genere, e si fosse trovato senza molto da fare fino a quel momento, trovò un impiego a tempo pieno. Che mantiene tutt'oggi. Il nome Human Immunodeficiency Virus fu creato da un comitato internazionale, nel tentativo di risolvere la disputa tra Gallo e Montagnier, che avevano dato al virus nomi diversi. Fu una prova di scarsa lungimiranza, e un errore che vanificò qualsiasi tentativo di indagare sulla relazione causale tra la sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS) e il virus dell'immunodeficienza umana. Duesberg, intervenendo dalle retrovie, sottolineò saggiamente sugli Atti della National Academy of Science che non c'erano prove attendibili sul coinvolgimento del nuovo virus. Ma fu completamente ignorato, i suoi articoli furono rifiutati, e comitati composti da suoi colleghi cominciarono a mettere in dubbio che fosse necessario continuare a finanziare le sue ricerche. Alla fine, con quello che deve

essere considerato un gesto di incredibile arroganza e disprezzo nei confronti della correttezza scientifica, un comitato di cui faceva parte Flossie Wong-Staal, che ormai era schierata apertamente contro Duesberg, decise di non rinnovare a Peter il Distinguished Investigator Award, escludendolo così dai fondi destinati alla ricerca. In questo modo, Duesberg era meno pericoloso per il crescente establishment AIDS: non sarebbe più stato invitato a intervenire a convegni organizzati dai suoi ex colleghi. Conviviamo con un numero incommensurabile di retrovirus. Sono dappertutto, e probabilmente sono vecchi almeno quanto la razza umana: fanno parte del nostro genoma. Ne riceviamo alcuni dalle nostre madri, sotto forma di nuovi virus, particelle virali infettive che migrano dalla madre al feto. Altri da entrambi i nostri genitori, insieme ai geni. Alcune delle sequenze del nostro genoma sono fatte di retrovirus. Il che significa che possiamo produrre, e in alcuni casi produciamo effettivamente, le nostre particelle retrovirali. Alcune di loro possono somigliare all'HIV, ma nessuno ha dimostrato che abbiano mai ucciso qualcuno. Ci deve essere una ragione che giustifichi la loro esistenza: una porzione quantificabile del nostro genoma contiene sequenze retrovirali umane endogene. C"è chi sostiene che alcune porzioni di DNA siano inutili, ma ha torto. Se nei nostri geni c'è qualcosa, ci deve essere una ragione. Il nostro organismo non permette che si sviluppino elementi inutili. Ho cercato di inserire sequenze geniche irrilevanti in organismi semplicissimi come i batteri, ma se non hanno ragion d"essere gli organismi se ne liberano. E voglio sperare che il mio corpo, quando si tratta di DNA, sia intelligente almeno quanto un batterio. L"HIV non è saltato fuori all'improvviso dalla foresta pluviale o da Haiti. È semplicemente finito nelle mani di Bob Gallo, nel momento in cui lui aveva bisogno di una nuova carriera. Ma stava lì da sempre: nel momento in cui si smette di cercarlo solo per le strade delle grandi città, ci si accorge che l'HIV è sporadicamente distribuito ovunque. Se l'HIV fosse stato lì da sempre, e fosse trasmissibile da madre a figlio, non avrebbe senso cercare gli anticorpi nell'organismo della madre di chiunque risulti HIV-positivo, specialmente se l'individuo non mostra segni di malattia? Immaginatevi un ragazzo nel cuore degli Stati Uniti, il cui sogno è arruolarsi in aviazione dopo la laurea e fare il pilota. Non ha mai usato droghe, e per tutto il liceo ha avuto la stessa fidanzatina, con la quale ha tutte le intenzioni di sposarsi. A insaputa sua, e di chiunque altro, ha anche degli anticorpi per l'HIV, che ha ereditato dalla madre, tuttora viva, quando era nel suo ventre. È un ragazzo sano, e la cosa non gli ha mai creato alcun problema, ma quando l'aviazione lo sottopone al test di routine per l'HIV le sue speranze e i suoi sogni crollano. Non solo la sua richiesta di arruolamento viene respinta: sulla sua testa pesa una sentenza di morte. Margaret convocò una conferenza stampa e presentò il dottor Robert Gallo, che si sfilò lentamente gli occhiali da sole e annunciò alla stampa mondiale: "Signori, abbiamo trovato la causa dell'AIDS" Il CDC ha definito l'AIDS come una tra più di trenta malattie connesse a un risultato positivo al test per individuare gli anticorpi per l'HIV. Ma queste stesse malattie non vengono definite AIDS, se non si individuano gli anticorpi. Se una donna HIV-positiva sviluppa un tumore all'utero, ad esempio, la si considera malata di AIDS. Un HIV-positivo con la tubercolosi ha l'AIDS, mentre se risulta negativo al test ha solo la tubercolosi. Se vive in Kenya o in Colombia, dove il test per l'HIV è troppo costoso, ci si limita a presumere che abbia gli anticorpi, e quindi l'AIDS. In questo modo può essere curato in una clinica dell'OMS, che in alcuni posti è l'unica forma di assistenza medica disponibile. E gratuita, dato che i paesi che finanziano l'OMS hanno paura dell'AIDS. Se lo consideriamo come un"opportunità per diffondere l'assistenza medica nelle aree dove vive povera gente, l'AIDS è stato una fortuna. Non li avveleniamo con l'AZT come facciamo con i nostri concittadini, perché costerebbe troppo. Forniamo loro le cure per una ferita da machete sul ginocchio sinistro, e la chiamiamo AIDS.

Il CDC continua ad aggiungere nuove malattie alla definizione generale dell'AIDS: praticamente hanno manipolato le statistiche per far sì che la malattia appaia in continua diffusione. Nel 1993, ad esempio, il CDC ha enormemente allargato la definizione di AIDS. Una scelta gradita alle autorità locali, che grazie al Ryan White Act (una legge approvata nel 1990 che garantisce assistenza ai malati di AIDS, NdT) ricevono dallo stato 2500 dollari all'anno per ogni caso di AIDS segnalato. Nel 1634 Galileo fu condannato a trascorrere gli ultimi otto anni della sua vita agli arresti domiciliari per avere scritto che la terra non è il centro dell'universo ma, al contrario, ruota attorno al sole. Fu accusato di eresia, perché sosteneva che un dato scientifico non dovrebbe avere niente a che vedere con la fede. Tra qualche anno, il fatto che noi abbiamo accettato la teoria secondo la quale l'AIDS sarebbe causata dall'HIV sembrerà una sciocchezza, come a noi sembrano sciocche le autorità che hanno scomunicato Galileo. La scienza, così come è praticata oggi nel mondo, ha ben poco di scientifico. E ciò che la gente chiama "scienza", probabilmente, non è molto diverso da quello che veniva chiamato scienza nel 1634. A Galileo fu chiesto di ritrattare le sue convinzioni, altrimenti sarebbe stato scomunicato. E chi rifiuta di accettare i comandamenti imposti dall'establishment dell'AIDS si sente dire più o meno la stessa cosa: "Se non accetti il nostro punto di vista, sei fuori". È una delusione vedere come tanti scienziati si siano rifiutati nel modo più assoluto di esaminare in modo obiettivo e spassionato i dati disponibili. Varie autorevoli riviste scientifiche hanno rifiutato di pubblicare una dichiarazione con cui il Gruppo per la Rivalutazione Scientifica dell'Ipotesi HIV/AIDS si limitava a chiedere "un"attenta verifica degli elementi disponibili a favore o contro questa ipotesi". Affrontai pubblicamente questo tema per la prima volta a San Diego, nel corso di un convegno dell'American Association for Clinical Chemists. Sapevo che mi sarei trovato tra amici, e dedicai all'AIDS una piccola parte di un lungo intervento, non più di un quarto d"ora. Dissi come la mia incapacità di trovare una qualsiasi prova avesse stuzzicato la mia curiosità. Più ne sapevo, più diventavo esplicito. Non potevo rimanere in silenzio: ero uno scienziato responsabile, ed ero convinto che ci fossero persone che venivano uccise da farmaci inutili. Le risposte che ricevevo dai miei colleghi variavano da una blanda accettazione a un esplicito astio. Quando fui invitato a Toledo dalla European Federation of Clinical Investigation, per parlare della PCR, dissi loro che avrei preferito parlare dell'HIV e dell'AIDS. Non credo che, quando accettarono, avessero capito esattamente in che cosa si stavano cacciando. Ero arrivato a metà del mio intervento quando il presidente della società mi interruppe bruscamente, suggerendomi di rispondere alle domande del pubblico. Il suo atteggiamento mi sembrò molto sgarbato, e assolutamente inappropriato, ma, che diavolo, avrei risposto alle domande. Lui aprì il dibattito, e poi decise che avrebbe posto la prima domanda personalmente. Mi rendevo conto che mi stavo comportando da irresponsabile? Che la gente che mi sentiva parlare avrebbe potuto smettere di usare profilattici? Risposi che le statistiche, piuttosto attendibili, prodotte dal CDC mostravano che, almeno negli Stati Uniti, i casi di tutte le malattie veneree conosciute erano in aumento, il che dimostrava che la gente non usava i profilattici, mentre i casi di AIDS, attenendosi alla definizione originaria della malattia, erano in diminuzione. E quindi, no, non ritenevo di essere un irresponsabile. Il presidente decise che poteva bastare, e interruppe bruscamente l'incontro. Quando affronto questo argomento, la domanda che mi viene posta è sempre la stessa: "Se non è l'HIV a provocare l'AIDS, allora che cosa è?" La risposta è che non so rispondere a questa domanda, più di quanto sappiano farlo Gallo o Montagnier. Il fatto che io sappia che non c'è alcuna prova che l'HIV provochi l'AIDS non fa di me un"autorità sulle cause reali della malattia. È indiscutibile che, se una persona ha contatti molto intimi con un gran numero di individui, il suo sistema immunitario è destinato a entrare in contatto con un gran numero di agenti infettivi. Se una persona ha trecento contatti sessuali all'anno - con persone che a loro volta hanno trecento contatti sessuali all'anno - questo significa che ha novantamila possibilità in più di contrarre un"infezione rispetto a una persona che ha una relazione monogamica.

Pensate al sistema immunitario come a un cammello: se lo caricate troppo, stramazza. Negli anni ’70 c'era un numero rilevante di uomini che si spostavano di frequente e avevano uno stile di vita promiscuo, condividendo fluidi corporali, droghe e una vita spericolata. È probabile che un omosessuale che viveva in una grande città fosse esposto praticamente a qualsiasi agente infettivo che avesse mai vissuto su un organismo umano. In effetti, se uno dovesse organizzare un piano per raccogliere tutti gli agenti infettivi esistenti sul pianeta, potrebbe costruire dei bagni turchi e invitare gente molto socievole a frequentarli. Il sistema immunitario reagirebbe, ma sarebbe stroncato dal numero degli avversari. Il problema scientifico si mescola con quello morale. Ma quello che sto dicendo non ha niente a che vedere con la morale. Non parlo di "punizione divina" o di altre assurdità. Un segmento della nostra società stava sperimentando uno stile di vita, e le cose non sono andate come previsto. Si sono ammalati. Un altro segmento della nostra società così pluralista - chiamiamoli medici/scienziati reduci della guerra perduta contro il cancro, o semplicemente sciacalli professionisti - hanno scoperto che funzionava. Funzionava per loro. Stanno ancora pagandosi le loro BMW nuove con i nostri soldi. Per gentile concessione di Baldini & Castoldi. Il libro da cui è tratto il brano è "Ballando nudi nel campo della mente" . Trad. di Paola Emilia Cicerone, I edizione pgg 180-192.

PURTROPPO, UN DIAMANTE È PER SEMPRE La storia della De Beers Janine Roberts C"è durezza nello scintillio di un diamante. "Brilla ma è fragile", dice Willliam Goldberg, commerciante di diamanti della Fifth Avenue specializzato nel taglio e nella vendita di pietre da milioni di dollari che acquista dalla De Beers, la potente società da oltre cento anni al comando dell'industria diamantifera. Goldberg, in piedi a gambe divaricate tra il marciapiede e la strada, mi sta mostrando un bell' esemplare di diamante. Tenendo con estrema attenzione il diamante sopra la carreggiata, mi spiega: "Se lo lasciassi cadere ora non si romperebbe. Ma se lo facessi cadere sul cemento più duro del marciapiede, potrebbe andare in frantumi". Molti sogni sono andati in frantumi, per me, durante la mia inchiesta sull'industria diamantifera. Ogni mia illusione sul fatto che si trattasse di un mondo affascinante era destinata a infrangersi in mille pezzi nel momento in cui mi sono recata a visitare la sede centrale della De Beers a Kimberley, in Sudafrica. Sono arrivata in città con l'auto quando si stava già facendo buio. Sono andata a vedere innanzitutto il quartier generale della De Beers, un lungo ed elegante edificio a due piani fiancheggiato da una veranda. All'ingresso mi ha salutata un portiere in uniforme, come quelli che ci sono negli alberghi di lusso. Ma non era mia intenzione incontrare per primi i funzionari di questi uffici; ho chiesto dunque al portiere indicazioni per raggiungere la sede del sindacato. Mentre mi addentravo nei sobborghi dove abitavano i minatori, intorno all'auto hanno cominciato a vorticare mulinelli di polvere. Dall'oscurità saettavano fuori bambini che poi svanivano dal cono di luce dei miei fari, mentre stavo procedendo esitante su strade sterrate e prive di illuminazione, attraverso la tempesta di polvere che avvolge una baraccopoli apparentemente senza fine. La polvere qui ha una strana consistenza granulosa e mi si depositava sulle labbra, irritandole, e ciò mi ricordava che mi trovavo a Kimberley, la città che aveva dato i natali alla De Beers e al commercio moderno di diamanti, perché la polvere sulle mie labbra era kimberlite, la roccia da cui si estraggono gli stessi diamanti. La polvere, passando indisturbata attraverso il filo spinato, arriva da discariche di rifiuti grigi, da miniere scavate nel cuore di Kimberley, e annebbia l'aria, da sempre, da un secolo a questa parte. Io avevo sperato però di trovare dei cambiamenti, di vedere gioia nei passi degli africani neri avvolti dalla polvere: l'apartheid era finito, per la prima volta vivevano in una democrazia. Molte cose erano cambiate: ora un ex minatore era il primo cittadino di Kimberley. I minatori mi hanno subito condotta a una riunione di operai in un dormitorio della De Beers, vicino a una miniera di diamanti. È un edificio in mattoni rossi che sorge nel mezzo di terreni incolti protetti da filo spinato; un cartello vieta di ricevere visite dopo le ore di lavoro. Quella sera mi hanno accompagnata nella casa di un minatore dove avrei alloggiato, proprio nel sobborgo riservato ai neri, di fronte a uno stabilimento per la lavorazione degli scarti delle miniere. Durante il tragitto, il mio ospite mi ha indicato i campi abusivi dove a migliaia vivono in minuscole baracche di lamiera ondulata: ho così conosciuto le persone che hanno fatto la fortuna della De Beers. Avrei dovuto essere più preparata, visto che mi ero impegnata nelle ricerche sull'argomento da tanto tempo. Ma niente di quanto avevo letto mi aveva preparata a questo mare di baraccopoli e di ghetti riservati ai neri, che si estende fino all'orizzonte. La città dei diamanti su cui si fonda la fortuna della De Beers, la città che aveva dato a Cecil Rhodes(1) i fondi necessari per espandere l'Impero inglese in tutta l'Africa orientale, questa medesima città è circondata dalla miseria. La misura stessa di quest"indigenza mi ha lasciata sgomenta. Vicino a uno stabilimento per la lavorazione degli scarti delle miniere all'interno di questi "sobborghi" mi sono imbattuta in un grande cimitero, chiaramente riservato ai neri. Molte tombe

erano scavate di fresco, molte sono segnalate da cumuli di pietre grezze su cui a volte vengono posti i simboli di dolore tipici della gente estremamente povera: una brocca crepata, una vecchia teiera, tazze rotte. Dalle dimensioni delle tombe è evidente che molte sono di bambini. Su alcune ci sono lapidi nere, su altre il nome del defunto è stato inciso alla meglio su un pezzo di lamiera, molte sono anonime. Il muro che circonda il cimitero è stato eretto con poca spesa utilizzando pietre grezze, senza finanziamenti municipali. Poco lontano, sul lato cittadino del sobborgo dei neri, si trova il grande cimitero dei bianchi, con le tombe disposte in ordine su prati ampi e ben curati. La recinzione circostante è alta e robusta. A quanto pare, l'apartheid sopravvive persino nel regno dei morti. Ero venuta a vedere come se la cavava la De Beers nell'Africa del post-apartheid. Per una felice coincidenza, quando sono arrivata a Johannesburg, il Sindacato Nazionale dei Minatori stava per tenere un congresso di rappresentanti sindacali presso le miniere della De Beers, che prevedeva anche la proiezione del nostro film “The Diamond Empire" (L"impero dei diamanti, NdT). Il mio arrivo è stato per loro fonte di sorpresa e di gioia, e mi hanno chiesto di parlare ai minatori di quello che avevamo scoperto durante le riprese del film prodotto dalla BBC. Io l'ho fatto, e il risultato è stato l'essere invitata, con entusiasmo, in tutte le miniere. Tre giorni dopo ho noleggiato un"auto e sono partita per Kimberley, a circa cinque ore di viaggio da Johannesburg. Tutte le città che ho attraversato hanno annesso un agglomerato gemello fatto di baracche. Un flusso costante di domestici neri va e viene a piedi su sentieri di terra battuta, alcuni in uniformi lavate e stirate, altri con indosso tute da giardiniere o da meccanico: vanno a servire nelle case dei bianchi. Intorno a Kimberley i quartieri riservati ai neri sono inframmezzati da grandi cumuli difformi di pietre blu, i resti delle miniere di diamanti. Scavatrici e bulldozer si muovono nella foschia, lavorando gli scarti per scovare eventuali diamanti sfuggiti in precedenza. La De Beers vende gli scarti un tanto al camion ad appaltatori autorizzati, che sono tenuti a rivendere di nuovo ogni diamante trovato alla De Beers, l'unico acquirente ammesso. Mi sono fermata a un cancello per parlare con delle donne nere: mi hanno detto che stavano aspettando i loro uomini, per assicurarsi che non sprecassero la paga. Nel 1994 un camionista della De Beers mi aveva riferito che il suo salario netto per una settimana lavorativa di 50 ore era di 96 rand, cioè circa 28 dollari. Uno degli alti funzionari governativi ha affermato di aver chiesto alla De Beers di ingaggiare operai neri disoccupati per cercare i diamanti rimasti tra gli scarti delle miniere. La risposta era stata: "Neanche per sogno!", perché secondo la società i neri si sarebbero radunati come "avvoltoi" (questa la parola usata dalla De Beers) in cerca dei preziosi, e ciò avrebbe incoraggiato "l'acquisto illecito di diamanti". La De Beers intendeva invece vendere le discariche di scarti a degli appassionati di diamanti canadesi. In Sudafrica la legge sull'acquisto illecito di diamanti sancisce che qualsiasi diamante grezzo e non tagliato rinvenuto su un terreno pubblico debba essere venduto al governo, il quale poi lo rivende alla De Beers. Durante il tragitto, il mio ospite mi indicò i campi abusivi dove a migliaia vivevano in minuscole baracche di lamiera ondulata: conobbi così le persone che avevano fatto la fortuna della De Beers . Gli africani sono rimasti a bocca aperta per la sorpresa quando ho raccontato loro di avere visto vendere diamanti alla luce del sole sulle strade di Bombay e New York: per loro fare una cosa del genere significherebbe la prigione. Ciononostante, ho saputo che esiste comunque un locale mercato nero di diamanti, condotto in gran segreto da uomini che odiano la De Beers per via dei salari bassi e del misero trattamento riservato ai lavoratori. Nei giorni seguenti i minatori mi hanno condotta in auto per miglia e miglia di strade sterrate piene di buche e di sassi, tutte fiancheggiate da baracche, mostrandomi quelle che, per quanto minuscole e sovraffollate, erano in condizioni migliori e sorvolando invece su quelle più misere, per timore di imbarazzare chi le abitava. Nonostante la loro povertà, gli inquilini vanno fieri delle loro case:

anche i padroni delle baracche più povere si preoccupano di togliere ogni giorno la polvere dagli scalini e dai davanzali. La nuda terra intorno alle capanne viene regolarmente rastrellata, e qua e là si notano tentativi di coltivare dei giardini. La sera le finestre sono illuminate da lampadine elettriche o da fiamme vacillanti, perché molti non possono permettersi l'elettricità: le bollette della luce raggiungono facilmente i 300 rand al mese (l'intero salario di un operaio alle discariche di rifiuti diamantiferi), per cui due terzi dei sudafricani non hanno corrente elettrica in casa. Il settore minerario della De Beers di Kimberley occupa da 1.200 a 1.400 operai, di cui 1.100 sono neri. La maggior parte di essi vive in baraccopoli abusive e in quartieri riservati ai neri. Un alto funzionario governativo di Kimberley mi ha detto che quando si rivolsero alla De Beers per avere un aiuto finanziario, in modo da poter ricostruire questi alloggi nell'ambito del Programma di Ricostruzione e Sviluppo del Governo di Riconciliazione Nazionale promosso dall'African National Congress (ANC), la De Beers rispose di aver già versato i suoi 120.000 rand annuali tratti dal Fondo presidenziale, e di non poter quindi dare di più. Ho visitato anche i quartieri costruiti per minatori e dirigenti bianchi. Hanno nomi come "De Beers" e "Ernestville", dal magnate dei diamanti Ernest Oppenheimer. Le case sono spaziose, circondate da prati verdi e munite di garage; l'unico difetto riguarda i "quartieri della servitù", che non sono abbastanza grandi per poter alloggiare tutti i domestici. Così ogni giorno, la mattina presto, ho visto folle di cameriere nere che, dalle baraccopoli e dai posteggi dei taxi, si recano al lavoro a piedi su sentieri polverosi. La principale attrazione turistica di Kimberley è il "Grande Buco", un vasto cratere con pareti terrazzate che discendono fino a dirupi sovrastanti un lago profondissimo - una miniera di diamanti che è stata abbandonata non perché fosse esaurita, ma perché stava mettendo in pericolo la stabilità del centro cittadino. Le discariche di rifiuti prodotti dalla miniera sono disseminate in tutta la città. I minatori mi condussero a un altro grande buco in periferia, in disuso e pericolosamente mal protetto. Kimberley è tutta circondata dai detriti dell'industria diamantifera. Il museo che sorge presso il "Grande Buco" ufficiale racconta delle imprese dei cercatori bianchi, delle prime miniere, di Cecil Rhodes e dell'assedio di Kimberley durante la guerra tra boeri e inglesi per il possesso delle miniere di diamanti, quando nelle officine della De Beers furono fabbricati fucili, munizioni e un treno blindato. Non ho visto però nessun accenno alle migliaia di operai neri che avevano costruito le miniere con il loro lavoro, né al ruolo chiave svolto dai signori dei diamanti di Kimberley nella diffusione dell'apartheid. Fino alla scoperta dei diamanti, avvenuta nella seconda metà dell'Ottocento, in Sudafrica gran parte delle popolazioni o "tribù" era economicamente indipendente dai coloni bianchi. Furono loro a rifornire i primi minatori di prodotti agricoli e di carne proveniente dalle loro mandrie. All'inizio queste popolazioni nere controllavano i giacimenti alluvionali di diamanti presso il fiume Orange, commerciavano in pietre preziose e imponevano un limite all'uso delle attrezzature di estrazione da parte dei cercatori bianchi. Quando furono trovati grandi giacimenti di diamanti a Kimberley, nell'altopiano arido a est del fiume, gli africani dapprima sfruttarono tali giacimenti per conto dei cercatori bianchi così da guadagnare il denaro necessario ad acquistare oggetti come i fucili e, una volta raggiunta la somma desiderata, si licenziarono per fare ritorno ai loro terreni. Però, man mano che gli scavi scendevano in profondità, le piccole società minerarie divenivano sempre più dipendenti dalla forza lavoro nera per rimuovere e frantumare i blocchi di minerale e per riparare le strade che sprofondavano di continuo nelle gallerie. I salari corrisposti ai minatori neri rappresentavano i tre quarti delle spese, e perciò nel giugno 1876 i padroni bianchi si allearono per cercare di dimezzare le paghe dei neri. Le conseguenze furono disastrose: quattromila minatori neri smisero di lavorare e se ne andarono a casa, e non tornarono finché i salari non furono riportati al loro livello originario. Con un"economia fondata da secoli sul baratto, gli africani non avevano bisogno di denaro contante per sopravvivere, e questo dava ai padroni delle miniere ben poco potere su di loro.

Poi arrivarono le tasse, che dovevano essere pagate in contanti, e l'unico modo per ottenere dei soldi era lavorare per i bianchi. Così gli africani furono costretti a lasciare i propri terreni per recarsi nelle miniere. Ben presto sulla piazza del mercato di Kimberley si videro mediatori senza scrupoli mettere all'asta gli operai neri, come se fossero schiavi. I mediatori pretendevano un compenso pari a quattro mesi di salario di un minatore. In questo modo i bianchi ottenevano i loro operai, ma non erano affatto contenti di dover pagare anche i mediatori. I proprietari delle miniere erano poi preoccupati che i minatori integrassero i loro magri guadagni intascando diamanti: molti operai, sia bianchi che neri, non vedevano infatti nulla di male nel tenersi una parte di quello che trovavano. I padroni calcolavano che tra il 30 e il 40% delle pietre finisse in questo sistema di distribuzione clandestino. Nel 1883 i proprietari delle miniere fecero approvare una legge che consentiva loro di perquisire quotidianamente tutti i dipendenti, bianchi e neri. In seguito gli operai neri (ma non quelli bianchi) furono obbligati a indossare nelle ore di lavoro degli informi sacchi da farina, in modo tale che non avessero tasche in cui poter nascondere i diamanti. Nell'aprile 1884 alcuni minatori bianchi che avevano rifiutato di farsi perquisire vennero licenziati dalle miniere di Kimberley. In segno di solidarietà gli operai neri proclamarono uno sciopero, che però venne represso con la forza, provocando l'uccisione di sei minatori bianchi. Poco dopo questo episodio, la perquisizione quotidiana dei dipendenti bianchi cessò.(2) Nel 1879 un ingegnere minerario della Cornovaglia di nome T. C. Kitto propose che le compagnie di estrazione adottassero gli stessi metodi riservati agli schiavi neri nelle miniere di diamanti brasiliane. Egli scriveva: "I neri sono alloggiati in recinti di baracche di forma quadrata, [...] un sorvegliante li chiude dentro a chiave ogni notte. [...] Sono convinto che i nativi del Sudafrica, sotto la supervisione degli europei, possano divenire quasi - se non proprio altrettanto - docili come i neri del Brasile, purché vengano trattati nella stessa maniera".(3) I proprietari delle miniere lo considerarono un ottimo suggerimento, che avrebbe ridotto i salari e posto fine ai furti. Nel 1882 Cecil Rhodes propose che tutti gli operai neri della De Beers (ma non quelli bianchi) venissero rinchiusi in baracche, quando non erano al lavoro. Calcolò che i guadagni ricavati vendendo cibo agli operai prigionieri avrebbero ripagato la De Beers di metà delle spese sostenute per la forza lavoro. Nel luglio 1886, la società rinchiuse in campi di baracche i 1.500 uomini che costituivano la sua manodopera nera, e alla fine del 1889 ormai tutti i 10.000 minatori neri di Kimberley vivevano chiusi in aree recintate (compound) di questo tipo. I compound erano in realtà delle vere e proprie prigioni, perché per ridurre ulteriormente le spese del personale la De Beers decise di rinchiudervi anche dei carcerati, che tra il 1884 e il 1932 utilizzò a centinaia come operai pagando una quota minima al governo, senza corrispondere dei salari veri e propri. Per ironia della sorte, o forse intenzionalmente, molti di questi detenuti erano stati arrestati solo perché non avevano un lasciapassare: le tasse li avevano costretti a recarsi nelle miniere di diamanti in cerca di lavoro stipendiato nonostante non disponessero del necessario lasciapassare, che era molto difficile da ottenere. Le famiglie non erano ammesse nei compound. Quando i minatori volevano uscire da una di queste aree recintate, veniva loro somministrato un leggero lassativo, venivano spogliati e rinchiusi in cella per cinque-dieci giorni, con le mani legate dentro borse di pelle. Ogni parte del corpo (e persino gli escrementi) veniva poi esaminata per controllare che non vi fossero nascosti dei diamanti. La De Beers era decisa a non lasciar sfuggire neppure una sola pietra preziosa dalle sue grinfie. In cerca di eventuali diamanti nascosti, si servirono, alla fine, anche di una macchina di nuova invenzione, che perquisiva le feci umane. Queste consuetudini invalse nelle miniere di diamanti vennero codificate in leggi, contribuendo così a configurare il nuovo sistema dell'apartheid. Nel 1889 venne decretato che "nessun nativo lavorerà o avrà il permesso di lavorare in miniere sia all'aria aperta sia sotterranee se non sotto la responsabilità di un uomo bianco, designato quale suo padrone o "baas"". La più ricca di tutte le miniere di diamanti, la Oppenheimer, controllava la Consolidated Diamond Mines (CDM) nell'Africa sud-occidentale (oggi Namibia), importando inizialmente manodopera nera a buon mercato dal Botswana. Lo scrittore Colin Newberry riferì: "Nel 1923 oltre la metà dei

5.000 uomini di manodopera consisteva ormai di uomini provenienti dal Botswana settentrionale, con un alto tasso di mortalità... per scorbuto e tubercolosi".(4)Alcuni morivano anche per disidratazione e sfinimento mentre perlustravano le sabbie del deserto in cerca di diamanti. Laurie Flynn, che ha scritto moltissimo sull'Africa meridionale e ha collaborato alla realizzazione di "The Diamond Empire", raccontò di aver visto una delle case messe a disposizione degli operai. Sembrava una "cabina telefonica adagiata su un fianco".(5) La vita dei minatori era regolata dalle severe norme della società mineraria, che in pratica avevano valore di legge perché era la stessa società a pagare stipendi e spese alla polizia locale. Ben presto gli Oppenheimer adottarono nella loro miniera della Namibia quello stesso sistema di apartheid che avevano contribuito a creare in Sudafrica. La città che costruirono per i dipendenti della società, Oranjemund, comprendeva le solite strutture, tra cui alloggi per coppie sposate (destinati agli operai bianchi) e dormitori per soli uomini (destinati ai lavoratori neri). La manodopera era costituita da uomini della tribù Ovambo, reclutati in massa nella Namibia settentrionale: era consentito loro trasferirsi nelle miniere del Sud solo se in possesso di un contratto, e non potevano portare con sé le mogli o le famiglie. Era vietato loro entrare nei negozi al dettaglio, nei cinema o nei club, tutti appartenenti alla società mineraria. La segregazione razziale regnava ovunque: negli uffici postali c'erano sportelli separati per bianchi e per neri, nei negozi i neri dovevano aspettare di venire serviti nel retro della bottega, e in media i neri prendevano meno di un decimo dello stipendio dei bianchi. In una relazione interna della CDM, relativa ai costi di produzione, si dice che ai minatori africani venivano pagati in media 61 rand al mese, contro i 767 rand corrisposti ai lavoratori bianchi.(6) Nel 1969 le Nazioni Unite revocarono l'autorità del Sudafrica sulla Namibia, decisione confermata due anni dopo dalla Corte Internazionale di Giustizia. Nel 1971 e nel 1972 gli operai Ovambo a contratto si rifiutarono in massa di continuare a lavorare sostenendo che i loro contratti erano ingiusti e, rischiando l'arresto, se ne tornarono a casa. Il 10 gennaio 1972, dopo un"imponente manifestazione di protesta a Oluno, nella zona di Ondongwa, un agente riferì alla De Beers che gli operai erano infuriati per via del "kontrak" e del "Draad" ("recinto" o "prigione", parola che designava i loro alloggi alla miniera).(7)Protestavano inoltre perché non erano liberi di cambiare lavoro e perché, se lasciavano il loro posto in miniera, potevano essere catturati, incarcerati o rimpatriati con la forza; perché non era loro consentito di tornare a casa per malattie o emergenze in famiglia; perché spesso dovevano subire l'umiliazione di essere spogliati in pubblico per visite mediche. Si trattava di una vera e propria forma di schiavitù. Uno degli oratori disse: "Ogni individuo è creato perfetto da Dio, ma il sistema a contratto porta all'indifferenza più assoluta verso il valore dell'uomo, un valore voluto da Dio stesso. [...] Il sistema a contratto ha trasformato le nostre terre in un mercato di schiavi. [...] Il risultato di questa schiavitù sono i compound degli Ovambo concepiti come delle prigioni, con una sola entrata, pezzi affilati di vetro in cima ai muri di cinta e letti duri di cemento che storpiano le persone".(8) Letti di cemento di questo tipo erano in uso fino a pochi anni fa (me li mostrarono nel 1994) anche nei dormitori di Kimberley, vicino al quartier generale della De Beers. Un rapporto interno redatto nell'ottobre 1972 dai direttori della De Beers riferiva che i minatori si lamentavano della paga e del cibo scarsi e della mancanza di privacy nei dormitori, dove dieci uomini dividevano una camera simile a una cella, dotata di finestre con sbarre all'altezza del soffitto. Non potevano rimanere alzati la sera perché le luci venivano accese e spente a orari prestabiliti dalla palazzina della direzione. Non c'erano sale mensa, nei bagni non c'erano pareti divisorie o porte, per cui gli uomini erano costretti a defecare in pubblico (ho constatato di persona che condizioni simili persistettero nelle miniere di diamanti del Sudafrica per tutti gli anni "90). Ma questa situazione non riguardava solo le miniere di diamanti: anche nelle miniere d"oro di Oppenheimer gli alloggi erano a dir poco raccapriccianti. Un rapporto interno del marzo 1976, redatto da dipendenti della Anglo-American Corporation(9) presso la miniera Western Holdings, riporta alcune testimonianze di minatori neri: "Viviamo nei compound come degli animali, senza le nostre mogli. [...] La vita che facciamo qui è peggio di quella di uno schiavo o di un animale da

soma" (anche in questo caso, nelle miniere della De Beers nel 1994 le condizioni erano le stesse). Quando l'Anglo-American chiese al Settore Risorse Umane della Camera delle Miniere(10) di indagare sull'effettiva situazione di lavoro, furono riscontrati "paga insufficiente, condizioni di vita misere, grave scarsità di cibo, sporcizia". Fu calcolato che per portare le condizioni di vita dei neri allo stesso livello di quelle dei lavoratori bianchi si sarebbe dovuto spendere un quarto dei profitti annuali, e questo bastò a dissuaderli dal mettere in atto ogni cambiamento. Oppenheimer sosteneva che le sue società non potevano usare l'influenza di cui godevano nel mondo dell'industria sudafricana per fare pressioni sul governo nazionale, affinché adottasse politiche più liberali. "Siamo costretti a collaborare con le autorità governative in molte occasioni, per cui sarebbe un grosso sbaglio usare l'Anglo-American per esercitare pressioni sul governo". Ma l'ex primo ministro sudafricano H. F. Verwoerd non era dello stesso parere: secondo lui Oppenheimer "ha amicizie influenti. Con tutto quel denaro e la sua potente macchina estesa in tutto il paese è in grado, se vuole, di esercitare un"enorme influenza contro il governo e lo stato". Il Sindacato Nazionale dei Minatori nacque a Kimberley solo negli anni "80, sebbene anche in precedenza fossero stati compiuti diversi tentativi di organizzare i lavoratori. Lo sciopero del 1987 ha coinvolto 340.000 operai di 44 miniere ed è stato il più grande nella storia del Sudafrica. Nel corso dello sciopero la polizia ha fatto irruzione negli uffici del sindacato, arrestando tutti i leader regionali, mentre i compound delle miniere venivano forzati con veicoli blindati; cinquantamila lavoratori furono licenziati e il sindacato fu costretto a proseguire clandestinamente la propria attività. All'inizio del 1994 diverse sedi sindacali sono state dilaniate da esplosioni, ma dopo la vittoria elettorale dell'ANC in quello stesso anno gli attentati sono cessati quasi completamente. Alla fine del 1994 il Sindacato Nazionale dei Minatori era una delle organizzazioni sindacali più forti del Sudafrica, benché in certa misura fosse stata indebolita dall'abbandono di numerosi dirigenti che erano stati eletti in Parlamento. Nel 1995, a Kimberley, il sindacato ha chiesto alla De Beers il permesso di farmi entrare in due miniere di diamanti, Koffiefontein e Finsch. Il segretario della sezione sindacale, Joseph Leburu, mi ha detto che tali richieste vengono sempre accettate e che c'era motivo di sperare per il meglio. Ma qualche giorno dopo Leburu mi ha chiamato nel suo ufficio: "Ieri i dirigenti della sezione sindacale sono stati convocati dalla De Beers per quella che la società ha definito una "riunione di settore urgente". Ci hanno detto solo che il Direttore generale, John Vassey, voleva vederci. Quando siamo entrati, ci hanno comunicato che avevano ricevuto istruzioni dall'ufficio principale della società di non concederle l'accesso a causa del suo coinvolgimento nel film “The Diamond Empire". È stato un incontro lampo". Leburu mi ha detto di non ricordare che a nessun altro fosse mai stato negato l'accesso, perlomeno dallo stato di emergenza del 1985-86. Il divieto ha reso i minatori della De Beers ancor più ansiosi di vedere il film e di parlare con me. Hanno organizzato in segreto la proiezione del film nei locali della società, commentando in seguito che l'avevano trovato molto fedele e accurato. Se la De Beers mi avesse lasciato accedere alle miniere, senza dubbio mi avrebbero fatto fare un giro ritoccato e spurgato delle zone più innocue. Così, invece, sono stata informata sulle condizioni di lavoro nelle parti più pericolose della miniera dal punto di vista degli operai. A Koffiefontein, nello Stato Libero d"Orange (a un"ora e mezzo di auto da Kimberley), un rappresentante sindacale mi ha portata a vedere la cava della miniera, dove pareti scoscese di roccia circondano quella che sembra una crosta di formaggio grigio in putrefazione: è in realtà il nucleo diamantifero, fatto di kimberlite grigio-blu che una volta esposta all'aria entra in decomposizione, disgregandosi in polvere sottile. La miniera è ormai troppo profonda perché si possano usare le strade terrazzate che ancora scendono a spirale nella cava; al loro posto sono stati costruiti pozzi di accesso, installati montacarichi e scavate gallerie orizzontali fino al giacimento. I buchi che ho visto nella kimberlite in decomposizione sono le gallerie che servono a portare fuori il minerale e a ventilare i pozzi. Le cadute di pietre sono frequenti, come anche le tempeste di polvere.

A volte le miniere vengono invase da piene di fango, come successe nel 1992 a Wesselton. Nel 1992 la miniera di Kimberley era profonda 995 metri, quella di Finsch 680 metri e quella di Koffiefontein 370 metri. La miniera è circondata da filo spinato. Il cancello d"ingresso sarebbe stato più adatto a una prigione, una fortezza costruita per impedire ai diamanti di scappare. Stavano per iniziare a ripassare le grandi montagne di scarti lì vicino, per cercare eventuali diamanti che fossero sfuggiti in precedenza. L"ennesima recinzione di filo spinato cinge la zona degli scarti, sorvegliata da motociclette e fuoristrada guidati da persone che non sono di Koffiefontein, perché i responsabili della miniera non si fidano della gente del posto. A una riunione generale di minatori di Koffiefontein ho parlato della mia ricerca e del tentativo della De Beers di proibirmi l'accesso alla miniera. Mi hanno raccontato com"è la vita sottoterra. Il pericolo di un"esplosione di gas metano è costante. La polvere entra in nuvole fitte dai buchi nel pavimento del cratere e riduce la visibilità in tutta la miniera: tanto che a volte non riescono a vedere a più di un paio di metri. Mi hanno detto: "La polvere è fitta ovunque, su tutti i livelli. Ci riempie il naso di roba nera, nonostante le maschere antipolvere. Diventa insopportabile soprattutto quando si mescola alle esalazioni delle cariche che facciamo brillare". Hanno detto che la direzione della miniera si cura ben poco delle condizioni in cui lavorano. La ventilazione e le misure per il controllo della polvere sono pessime su ogni livello. Un operaio mi ha detto che quando si fanno la doccia dopo il lavoro "devono addirittura portarsi loro il sapone". Ho chiesto se la polvere dà loro problemi di salute. "Sì, molti di noi hanno problemi ai polmoni e di respirazione. Quando vengono gli ispettori delle miniere, visitano solo quello che il direttore gli fa vedere". "E i certificati medici?" "La De Beers ha il controllo di tutto ciò che riguarda la salute. I certificati medici redatti da medici che non lavorano per la De Beers possono non essere accettati. Ci dicono che dobbiamo farci fare i certificati da uno dei due dottori della De Beers. Ma questi dottori non ci ascoltano: se il medico vede che non respiri bene, certifica lo stesso che sei in salute, poi, quando ti offrono un posto, magari due mesi dopo, allora scoprono che stai troppo male per lavorare! La miniera ti caccia via per non dover pagare [l'indennità di malattia o l'invalidità]". Ho chiesto: "Sono molti i minatori che vengono sospesi per malattia?". "La De Beers all'inizio ingaggia gli operai a tempo determinato, e se si ammalano dicono che "hanno l'acqua nei polmoni" e che quindi non possono assumerli in maniera permanente. Per noi è difficile ottenere l'invalidità, anche se la malattia è cronica. Gli operai bianchi con polmoni danneggiati ricevono da 49.000 a 51.000 rand di paga, gli operai mulatti ne prendono oltre 30.000 rand, ma per gli operai neri il massimo è 2.800 rand". Quando sono riuscita a entrare a Finsch, nonostante mi fosse stato vietato l'accesso, mi sono resa subito conto di quanto sia pericolosa la polvere nelle miniere di diamanti. Ho appreso che la roccia all'interno del giacimento a volte contiene una forma nociva di serpentino, più comunemente noto come asbesto (una varietà di amianto). Il responsabile sindacale per la salute e la sicurezza mi ha detto che il personale della miniera gli aveva confidato in privato che l'asbesto costituiva il 30% della polvere che contamina gran parte dei livelli della miniera di Finsch, benché i dirigenti lo avessero negato, sostenendo che la quota fosse solo dell'1,5%. Ma dal momento che l'asbesto è così pericoloso (a tal punto che se viene scoperto in un edificio in Inghilterra, il fabbricato è immediatamente sigillato finché l'asbesto non viene rimosso da operai dotati di protezioni integrali), allora persino il livello dichiarato dalla dirigenza deve destare preoccupazione. A Finsch usano camion telecomandati per estrarre rocce diamantifere a uno stadio pericoloso di disgregazione direttamente dal fondo della cava a cielo aperto (profonda 423 metri), ma in questo modo si crea ancora più polvere. Il responsabile per la salute e la sicurezza mi ha detto: "Certi livelli della miniera sono più pieni di asbesto che altri, e a volte i diamanti si trovano proprio nell'asbesto stesso. Spesso la polvere è talmente fitta che si riesce a vedere solo a un metro di distanza. A volte ci danno delle mascherine

da indossare, ma ci dicono che non ne hanno tante e che dobbiamo farle durare almeno un anno. Nel giro di 20 minuti una mascherina nuova si riempie di polvere e smette di funzionare a dovere. Il naso ci si intasa di continuo, si riempie di sporcizia nera. L"odore delle sostanze chimiche usate per le esplosioni poi ci fa venire un gran mal di testa e la sinusite". Le colline vicino a Finsch sono chiamate ufficialmente "le colline di asbesto", perché sono piene di questo minerale pericoloso: Finsch fu infatti scoperta dai cercatori di asbesto, non dai cercatori di diamanti. Riguardo alla ventilazione, un altro minatore ha dichiarato: "Molti dei ventilatori nella miniera sotterranea non sono in funzione da oltre due anni". Il responsabile sindacale per la salute e la sicurezza ha aggiunto: "A quanto dicono loro, l'elettricità costa così tanto che sono costretti a tenere spenti i ventilatori e gli aspiratori per giorni interi". Ha poi continuato, con enfasi: "La miniera è tutta piena di polvere". Se quanto riferito su queste pericolosi metodi per risparmiare risponde a verità, non sorprende che nel 1994 Mark Button, sovrintendente minerario a Finsch, abbia potuto vantare: "Le nostre spese reggono il confronto con le migliori società del gruppo De Beers".(11) Immagino non abbiano dovuto sborsare molti soldi per i funerali dei neri. Ho voluto approfondire le dichiarazioni relative all'asbesto. Un medico di Kimberley mi ha detto di non aver mai visitato i minatori più ammalati a causa della polvere. Solo i lavoratori pagati nella fascia C e oltre hanno l'assicurazione sanitaria. "I minatori delle fasce A e B [i minatori neri], che sono i più esposti, non hanno un"assicurazione sanitaria. Invece i medici della De Beers danno loro assistenza medica gratuita - e tengono segrete le loro cartelle sanitarie. Solo questi medici hanno le cartelle sanitarie compromettenti". I medici della De Beers avevano fatto richiesta alla società per una macchina moderna per i raggi X, ma so che stavano ancora usando un modello antidiluviano. Ho interrogato una capoinfermiera in un ospedale di Kimberley: mi ha detto di avere molti pazienti con malattie provocate da infiammazione polmonare, simili all'asbestosi. Non le risultava che si stessero conducendo studi indipendenti di una certa rilevanza. Dietro suggerimento di un medico di Kimberley, ho domandato ai membri del personale del reparto di geologia della De Beers se fossero a conoscenza di studi sul contenuto di asbesto nella polvere delle miniere. Mi hanno risposto di no. Io ho invece scoperto dei rapporti scritti da esperti russi in cui si dice che la polvere di asbesto rappresenta un grave problema nelle miniere diamantifere russe, per cui la mancanza di pubblicazioni al riguardo in Sudafrica è significativa. Mi sono trovata a pormi molti interrogativi: quanto è pericolosa la polvere che dalle miniere soffia sulle baraccopoli e sui campi da gioco dei bambini? Che prezzo pagano i neri del Sudafrica per il modo sconsiderato con cui la De Beers gestisce le sue miniere di diamanti? Un altro pericolo per la salute è costituito dai raggi X, usati nelle miniere diamantifere come misura antifurto. A Koffiefontein mi hanno detto: "Gli operai dello stabilimento di pulizia e cernita sono sottoposti tutti i giorni ai raggi X". In una miniera sulla costa, una guardia di sicurezza della De Beers, addetta ai macchinari dei raggi X, mi ha spiegato: "Molti minatori neri a loro insaputa vengono esaminati ai raggi X tutti i giorni, al momento di lasciare gli stabilimenti. Il mio capo stabilisce la frequenza con cui esaminarli. Non è sempre la stessa, anche se mi hanno detto che in genere non bisognerebbe farlo più di tre o quattro volte la settimana. Io però posso intervenire manualmente, e quando ho dei sospetti lo faccio più spesso. Ci sono costretto per proteggere me stesso nel caso un minatore sia sospettato, perché se si scopre che un operaio ha portato fuori un diamante il responsabile sono io. Sui moduli segniamo solo tre raggi X alla settimana per persona. Se a un minatore in una settimana ne vengono fatti di più, sui moduli si registrano sotto "P" per "Perquisito", o "A" per "Altro". La direzione sa di che cosa si tratta". Le "Norme generali sull'uso dei raggi X", firmate il 19 novembre 1992 da Judy Alexander, addetta alla sicurezza della miniera De Beers a Kleinzee, stabiliscono: "Non si può superare la dose massima consentita, ossia 350 milliroentgen all'anno (circa 3-4 lastre alla settimana, 12-15 al mese o 150 all'anno)". Quando gli ho mostrato questo documento, il guardiano ha replicato: "Le autorità sanitarie non hanno modo di scoprire quante volte si fanno i raggi X a una persona. Può essere più volte al giorno. La De Beers al momento utilizza un nuovo macchinario per visionare la zona pelvica. Si dice che sia sicuro, ma alle donne incinta è vietato lavorare nelle zone di sicurezza della

miniera, perché non devono passare ai raggi X. Non si sa che effetti possano avere queste radiazioni sulla fertilità". Ha aggiunto che gli addetti hanno una pellicola di riconoscimento, ma non indossano abiti protettivi. Nelle miniere di Kimberley i raggi X previsti per le zone "rosse" ad alta sicurezza non riguardano solo la zona pelvica ma vengono eseguiti da capo a piedi, e possono scambiare una nocciolina ingoiata per un diamante. Un povero malcapitato è stato portato in fretta e furia all'ospedale e gli è stata fatta una lastra a tutta potenza prima che venisse scoperto l'errore. A Koffiefontein mi hanno portata a ispezionare gli alloggi dei minatori. La De Beers aveva assegnato ad alcune famiglie nere delle case rotonde in metallo, simili a serbatoi d"acqua con il tetto. In inverno ci si muore letteralmente di freddo e in estate di caldo. Il Partito Nazionale, prima delle elezioni del 1994, decise che non poteva lasciare unicamente all'ANC il compito di dare alloggi ai neri, quindi si procurò della terra presso la miniera e fece montare un rubinetto dell'acqua in ogni isolato. Tutto qui. Questi erano "quartieri dotati di servizi", senza fogne né elettricità. Famiglie disperatamente povere, alcune delle quali si sforzavano di sopravvivere con i salari della De Beers, altre disoccupate, avevano dovuto costruirsi da sole la propria casa su quei terreni. Tutto quello che potevano permettersi erano delle baracche di lamiera. Avevano tuttavia concesso loro il privilegio di battezzare gli isolati, e così gli alloggi dell'apartheid ricevettero il nome degli eroi della resistenza. Ma persino queste baracche vennero minacciate quando lì vicino fu trovato un diamante. La De Beers, come un avaro che non vuole che nessun altro si arricchisca, ha fatto circondare la zona del ritrovamento con filo spinato e l'ha ricoperta con uno spesso strato di detriti pesanti, in modo che nessun altro potesse trovarvi diamanti. Il rappresentante sindacale Joseph Botile mi ha condotto sul posto e mi ha detto: "Una volta qui era molto bello. I nostri bambini venivano a giocare sotto gli alberi". Poco lontano un"altra area era stata appena circondata da un"alta recinzione di filo spinato, perché tre bambini bianchi vi avevano trovato un diamante. Fino ad allora la comunità nera aveva usato questa zona per far pascolare i somari dei carretti, che per loro fungevano da taxi per andare in città. Dietro le nuove recinzioni ho visto strisce di terra nuda, rastrellata in modo che fosse subito possibile individuare un"orma. A quanto ho visto, la De Beers controlla in maniera assoluta tutta la terra usata dai neri. Mi hanno condotta anche alla discarica municipale. I rifiuti vengono gettati in una cava di diamanti in disuso, dove si vede ancora della roccia di kimberlite blu. Mentre procedevamo in macchina abbiamo superato bambini che tornavano a piedi alle baraccopoli, portando sulla testa delle scatole contenenti il poco che avevano trovato. Quando sono arrivata alla discarica, ho trovato madri che raccoglievano avanzi di cibo in sacchetti di plastica, mentre bambini di quattro anni giocavano tra i rifiuti. Anche degli anziani malfermi andavano in cerca di cibo appoggiandosi a bastoni. Uno di loro ha gridato ai bambini di non prendere legna, perché ne aveva bisogno lui per fare fuoco. I bambini hanno lasciato cadere quei bastoni e ne hanno raccolti altri. Un ragazzino stava esaminando delle bottiglie di bibite per vedere se c'era rimasto dentro qualcosa. Una bambina, con un vestito marrone e i capelli raccolti ordinatamente in trecce, se ne stava andando dalla discarica portando un sacchetto di plastica e trascinando un grande pezzo di legna da ardere. La seguiva un ragazzino di dieci anni con un contenitore Tupperware e altra legna. I bambini non stavano giocando, come avevo pensato all'inizio, stavano lavorando. Mi ci è voluto un po" di tempo per scoprire il lavoro subappaltato o "emigrante" nascosto nella proprietà della De Beers. Senza comunicare alla direzione la mia presenza, sono andata a incontrare i minatori che vivono sui terreni delle miniere De Beers, percorrendo con l'auto una strada che aggira il cancello principale. Mi hanno portata anzitutto a vedere gli alloggi forniti dalla società mineraria. Lì non ci sono più letti in cemento come venivano forniti un tempo nella miniera di Bultfontein; ora gli operai sono in dormitori simili a quelli della scuola, oppure in due dividono stanze larghe circa due metri e mezzo. Alcune delle camere non hanno la porta, i bagni sono cadenti, l'attrezzatura per cucinare è del tipo da campeggio e ridotta al minimo indispensabile.

Tuttavia, sono rimasta sbalordita quando i minatori mi hanno detto che la maggior parte di essi ufficialmente non era più alle dipendenze della De Beers, pur vivendo in edifici della De Beers, su terreni della De Beers, e benché lavorasse sottoterra in una miniera della De Beers. Formalmente lavorano per degli appaltatori, ex dipendenti bianchi della società mineraria che li paga per ingaggiare e gestire squadre di lavoratori neri. A Koffiefontein ci sono circa dieci di queste squadre, composte da un minimo di otto a un massimo di cinquanta operai. Alcuni dei lavoratori vengono pagati solo 180 rand al mese (53 dollari americani); la media è tra i 300 e i 400 rand al mese. Se fossero stati assunti direttamente dalla De Beers, il loro salario minimo sindacale sarebbe stato di 1.070 rand al mese (295 dollari americani). Non è loro permesso di iscriversi al sindacato. L"operaio in subappalto più pagato che io abbia conosciuto mi ha detto che guadagnava 600 rand al mese, ma lavorando nove ore al giorno per sette giorni alla settimana. I minatori in subappalto sono alloggiati in condizioni molto peggiori degli operai normali, e mi hanno detto che lavorano anche in condizioni molto più pericolose rispetto ai minatori alle dirette dipendenze della De Beers. Un rappresentante sindacale spiega che, poiché non lavorano direttamente per la De Beers, la società sostiene di non avere alcuna responsabilità per la loro incolumità". Alcune squadre in subappalto non hanno equipaggiamento di sicurezza, non sono tutelate in alcun modo, non hanno assistenza medica né indennità di disoccupazione". Mi hanno detto di voler trovare il modo di iscriversi al sindacato. "Ma se il nostro capo ci scopre, ci licenzia. Prima ci caccerebbe, e poi andrebbe in Lesotho a cercare dei rimpiazzi". Quando sono riuscita a entrare a Finsch senza il permesso della De Beers, ho scoperto che si tratta di una miniera molto più moderna di Koffiefontein, con strutture più nuove e persino una chiesa propria, pensavo le cose andassero meglio... e invece sono molto peggio. I dormitori sono nascosti nel cuore della proprietà della De Beers, accessibili tramite strade private e invisibili al pubblico. Anche qui i dormitori sono per soli uomini. Quelli per gli operai ingaggiati direttamente dalla De Beers dall'esterno sono belli, circondati da prati ben tenuti, ma neanche lì all'interno c'è la minima privacy: i minatori dividono stanze piccole con spazio sufficiente per un solo comodino tra i due letti; le docce non hanno tende né porte, sono sporche e malridotte; i pavimenti all'interno e all'esterno dei bagni sono crepati, rotti, sudici ed emanano cattivo odore. Ma giù per il pendio di un colle sotto la miniera, sempre sulla proprietà della De Beers, ho trovato i dormitori per la manodopera in subappalto dove alloggiano circa 500 uomini, cioè la metà degli operai in subappalto a Finsch secondo un deputato al Parlamento dell'ANC, l'ex minatore Godfrey Oliphant (mi ha detto che metà dei 2.000 minatori di Finsch è in subappalto). I rappresentanti del sindacato mi hanno condotta a dare un"occhiata in giro. In un edificio il pavimento è marcito e pieno di grandi buchi che vengono tenuti coperti con bidoni della spazzatura e coperchi di pentole. In un altro edificio non si possono usare i telai dei letti perché le gambe possono bucare le assi marce del pavimento, per cui i minatori dormono per terra. Alcune camere accolgono fino a quattordici persone in cuccette sovraffollate. L"attrezzatura da cucina è rudimentale. Le docce non hanno il tetto e fungono da discarica dell'immondizia. Il loro minuscolo spaccio contiene il minimo indispensabile, come zucchero bianco e tè. Il terreno intorno ai dormitori è ricoperto di macerie e rifiuti. Tutto questo si trova sulla proprietà della De Beers, in una delle loro miniere più nuove. Per quanto riguarda i salari, un operaio di questo campo mi ha detto di ricevere una retribuzione di soli 310 rand al mese, cioè un quarto delle quote sindacali minime. Un altro ha detto di prendere molto meno, 165 rand (48 dollari Usa) per un intero mese di lavoro. A Finsch ci sono nove squadre in subappalto, tutte controllate da bianchi. Un responsabile sindacale mi ha detto che, quando gli operai vengono temporaneamente sospesi dal lavoro perché la domanda di diamanti alla De Beers è in ribasso (nell'agosto del 1992 500 uomini sono stati lasciati a casa per questo motivo), una volta che la produzione ricomincia ad aumentare vengono sostituiti con manodopera in appalto non sindacalizzata e più a buon mercato. Gli operai neri mi hanno detto amareggiati: "Gli appaltatori bianchi vivono nel lusso col sudore degli schiavi".

Mi hanno fatta entrare di nascosto anche nei dormitori vecchi e scarsamente ammobiliati della miniera di Dutoitspan, vicino al centro di Kimberley. I minatori mi hanno detto che la De Beers aveva introdotto la manodopera in appalto anche nella loro miniera, e che questi lavoratori alloggiano nei loro stessi dormitori, ma ricevono meno di un terzo delle quote sindacali, e vengono licenziati se si iscrivono al sindacato. Temono che questa pratica stia prendendo piede. Mi hanno detto: "Non possiamo aiutare un operaio in appalto se si ferisce, non hanno assistenza medica. La De Beers dice che i responsabili non sono loro, bensì gli appaltatori". Nel periodo in cui sono stata là, questo sistema si stava diffondendo a macchia d"olio. A quanto pare la De Beers nega ogni responsabilità riguardo a questi operai sottopagati, sebbene un articolo della legislazione sulle miniere dichiari una società responsabile dell'incolumità di tutti quelli che si trovano sul terreno della sua miniera. La De Beers accetta la responsabilità solo per gli operai che assume direttamente, ma anche in questo caso li retribuisce a livelli minimi - da 1.060 a 1.500 rand al mese, cifra a malapena sufficiente per mantenere una famiglia. L"apartheid è ufficialmente abolito in Sudafrica, ma alcuni minatori istruiti e intelligenti mi hanno confidato: "La De Beers continua a nominare nostri capi dei bianchi analfabeti e incompetenti, anche se noi siamo molto più qualificati. Sono stupidi, alcuni di loro non sanno nemmeno redigere un rapporto. Uno non sapeva neanche come si scriveva "week-end". La De Beers si fa in quattro per aiutarli, mentre per noi è difficilissimo ottenere una promozione o accedere a un corso di aggiornamento". Nessun bianco viene assunto per una paga inferiore alla fascia C2, mentre quasi tutti i neri rientrano nelle fasce sottopagate A e B. Quando i minatori sindacalizzati di Kimberley hanno chiesto alla De Beers un aumento di salario, il direttore generale ha risposto: "In Angola i diamanti sono in mano a individui su cui non abbiamo nessun tipo di controllo e che consegnano i diamanti in mani sbagliate. Dobbiamo pagarli a prezzo di mercato, per cui non possiamo permetterci di aumentare i vostri stipendi". Si stava riferendo all'acquisto di diamanti estratti dalla UNITA(12), che in seguito sarebbero stati messi al bando come i diamanti "insanguinati" o "di guerra", perché contribuiscono a finanziare un conflitto fratricida. Oggi la De Beers sostiene che i suoi diamanti non siano contaminati da tale macchia. Tu però, lettore, giudica da te. Per me i diamanti che la De Beers estrae in Sudafrica e in Namibia sono profondamente intrisi di sangue e sfruttamento. Non è assolutamente necessario estrarli in questo modo, perché i profitti sono comunque enormi. L"attenzione mondiale dovrebbe spostarsi dalla necessità di porre fine al commercio dei diamanti di guerra a quella di curare il cancro che corrode il cuore di questo mondo. Solo quando queste pietre saranno estratte rispettando la salute e garantendo buone condizioni di vita a tutte le persone coinvolte, e quando saranno tagliate con cura senza alcuno sfruttamento, allora e solo allora qualcuno potrà osare vendere i diamanti come pegno d"amore. Note 1. Imperialista britannico e magnate minerario (1853-1902), fondatore del colosso De Beers (NdT). 2. NUM Mining Handbook, vol. 1, 122. 3. Ibid., 123. 4. Newbury, Colin, The Diamond Ring: Business, Politics and Precious Stones in South Africa, 1867-1890, Oxford, Clarendon Press, 1989, 243. 5. Flynn, Laurie, "Studded with Diamonds and Paved with Gold", London, Bloomsbury Press, 1992, 40. 6. Incluso in "Appendages to the Eighth Interim Thirion Report", Commission of Inquiry into Alleged Irregularities and Misapplication of property, S.W. Africa. 7. Memorandum sulla manifestazione degli Ovambo redatto dal Sovrintendente responsabile della sicurezza, CDM, Oranjemund, 28 febbraio 1972. 8. Op. cit., Flynn, 42. Dal memorandum del responsabile della sicurezza. 9. Società mineraria fondata nel 1917 da Ernest Oppenheimer, che nel 1929 assunse il controllo della De Beers (NdT). 10. Ente nazionale minerario del Sudafrica (NdT). 11. Financial Times, 6 settembre 1994.12. Unità Nazionale per la Liberazione Totale dell'Angola, una delle fazioni in lotta dal 1975 nella guerra civile per il controllo del paese (NdT).

IL MARTIN LUTHER KING CENSURATO DALLA TV Jeff Cohen Norman Solomon Ormai è un rito televisivo: ogni anno, a metà gennaio, quando si avvicina l'anniversario del compleanno di Martin Luther King, ecco che arrivano le solite notizie sull'assassinio del leader dei diritti civili". Da questo omaggio annuale a King emerge che gli ultimi anni della sua vita sono praticamente sconosciuti, come se fossero scomparsi nelle fessure della memoria. Ciò a cui i telespettatori assistono sono sempre gli stessi filmati: King che combatte per abolire la segregazione razziale a Birmingham (1963), King che pronuncia il suo discorso sul sogno di un"armonia fra le razze durante la marcia su Washington (1963), King che marcia per ottenere il diritto di voto a Selma, in Alabama (1965) e, alla fine, il corpo morto di King steso sul balcone di un motel a Memphis (1968). Uno spettatore attento potrebbe notare che la cronologia degli eventi fa un salto: dal 1965 al 1968. King, verso la fine della propria vita, non si era certo preso una pausa di riflessione. Infatti, egli continuava a parlare e a manifestare con la stessa dedizione di sempre. Quasi tutti i suoi discorsi di quel periodo sono stati filmati o registrati, ma oggi non vengono trasmessi in TV. Perché? Perché i media non potevano accettare o tollerare ciò che Martin Luther King rappresentava durante gli ultimi anni della sua vita. Nei primi anni "60, quando King aveva concentrato le sue energie nella lotta contro la discriminazione razziale nel sud, la maggior parte dei media erano suoi alleati. Le TV e i giornali nazionali fecero vedere i cani poliziotto, le fruste e i punzoni usati contro i neri del sud che chiedevano il diritto di voto o che mangiavano in un angolo di una tavola calda. Ma dopo la ratifica della legge sui diritti civili del 1964 e del 1965 King cominciò a sfidare le priorità fondamentali della nazione. Egli sosteneva che le leggi sui diritti civili ed economici non avevano senso senza "i diritti umani". Egli affermò che le leggi anti-discriminazione erano assurde per coloro che erano troppo poveri per poter mangiare in un ristorante o per permettersi una casa decente. Osservando che la maggior parte della popolazione che viveva sotto il limite di povertà era anche bianca, King sviluppò una "prospettiva di lotta di classe". Denunciò le enormi differenze di reddito tra ricchi e poveri e chiese dei "cambiamenti radicali nella struttura della società" in modo da ridistribuire equamente il potere e la ricchezza. "Il vero amore", dichiarò King, "è molto più che allungare una moneta a chi ti chiede l'elemosina; è, piuttosto, rendersi conto che l'edificio che elargisce l'elemosina ha bisogno di una ristrutturazione". Già nel 1967 King era diventato il più deciso oppositore dell'intero paese alla guerra del Vietnam e anche un critico ostinato di quella politica estera americana che egli riteneva militaristica. Nel suo discorso "Al di là del Vietnam" pronunciato nella chiesa Riverside di New York il 4 aprile del 1967 -un anno prima che venisse assassinato -King indicò gli Stati Uniti come "il più grande elargitore di violenza del mondo attuale". Dal Vietnam, dal Sud Africa fino all'America Latina, King dichiarò che gli Stati Uniti erano "sul lato sbagliato di una rivoluzione mondiale". Criticò "la nostra alleanza con la nobiltà latifondista dell'America Latina" e si chiese perché mai gli Stati Uniti, invece di sostenerle, sopprimevano le rivoluzioni delle "popolazioni senza abiti e senza scarpe" del Terzo Mondo. Parlando di politica estera King criticò le iniziative economiche lamentandosi che "i capitalisti occidentali investono immensi capitali in Asia, Africa e Sud America solo per ottenere dei profitti e non preoccupandosi affatto del miglioramento sociale di quei paesi". Voi non avete mai ascoltato il discorso di King "Al di là del Vietnam" in quanto nessun network lo ha mai trasmesso, ma nel lontano 1967 i media lo hanno ascoltato forte e chiaro - e lo hanno anche osteggiato e denunciato a gran voce. Il magazine Time scrisse che era "una calunnia demagogica

che sembrava scritta per Radio Hanoi". Il Washington Post fu più gentile dichiarando che "King ne aveva sminuito l'utilità [della guerra in Vietnam] per la sua causa, il suo paese e la sua gente". Negli ultimi mesi della sua vita King aveva cominciato a lavorare sul progetto più impegnativo della sua vita: la campagna a favore dei poveri. Attraversò l'America in lungo e in largo alla ricerca di "un esercito multirazziale di poveri" che avrebbe dovuto marciare fino a Washington e, se necessario, impegnarsi in una disobbedienza civile non violenta al Campidoglio finchè il Congresso non avesse concesso ai bisognosi una carta dei diritti. Il Reader"s Digest urlò all'"insurrezione". La dichiarazione dei diritti civili ed economici di King prospettava un imponente programma di riforme sul lavoro da parte del Governo per ricostruire le città americane. Si rese conto che era assolutamente necessario affrontare il Congresso per dimostrare la sua "ostilità nei confronti dei poveri" che si esprimeva con l'assegnazione "al settore militare di contributi finanziari solerti e generosi" mentre "ai poveri veniva elargita solo la miseria". Queste frasi, oggi, non sono più così assurde come potevano sembrare una volta, più di un quarto di secolo fa, quando gli sforzi di King per cercare di aiutare la gente più povera sono stati annullati dal proiettile di un assassino. Ma mentre un nuovo millennio sta muovendo i suoi passi all'interno di una ricca nazione, la Casa Bianca e il Congresso continuano ad accettare il perpetuarsi della povertà. E allo stesso modo si comportano i mass media. Forse non ci dovremmo sorprendere che non ci dicano ancora nulla degli ultimi anni di vita di Martin Luther King.

SUICIDI AL PROZAC Richard DeGrandpre 1. William Forsyth incontrò e sposò sua moglie June nel 1955. Dopo due anni di servizio militare nella Germania Ovest, Bill si trasferì con June a Los Angeles, dove era cresciuto. Una volta arrivato, Bill comprò delle Volkswagen e intraprese un"attività di noleggio di auto vicino all'aeroporto. Dopo le difficoltà dei primi tempi, l'attività cominciò a decollare. Molto presto Bill e June ebbero due figli, Susan e Bill Jr., mentre l'impresa e altri investimenti continuavano a fruttare guadagni. Nel 1986 vendettero tutto e si ritirarono dagli affari. Quattro anni più tardi, dopo aver trascorso quasi tutta la vita in California, Bill si ritirò con la moglie a Maui, dove viveva Bill Jr.; a quel tempo Bill aveva 61 anni e sua moglie June 54. Come spesso accade, quando persone anziane lasciano improvvisamente la loro casa e le proprie abitudini e si trasferiscono per iniziare una nuova vita, questo momento di transizione fu difficile per Bill Forsyth. L"aria delle Hawaii non gli piaceva, sebbene sua moglie fosse soddisfatta e addirittura entusiasta. I problemi personali diventarono problemi coniugali, ma la terapia di coppia sembrò aiutarlo. E c'era una generale impressione, all'interno della famiglia, che Bill stesse riuscendo a risolvere i suoi problemi. Tre anni dopo il trasferimento alle Hawaii, uno psichiatra locale gli prescrisse il Prozac a causa del protrarsi dei disturbi di ansia. Nonostante la diagnosi di depressione, lo psichiatra, che stava seguendo Bill dall'anno precedente, non lo riteneva un paziente gravemente malato o a rischio di suicidio. Bill Forsyth non aveva in realtà mai parlato nè tentato il suicidio, così come non aveva mai avuto precedenti di violenza domestica o di ogni altro tipo. Dopo il primo giorno di Prozac, Bill si sentiva "bene come non mai", come potete immaginare se avete letto "Listening to Prozac' di Peter Kramer. Il giorno successivo, tuttavia, fu terribile, e per la prima volta Bill decise di farsi ricoverare in ospedale. Dopo dieci giorni si sentì meglio e in grado di lasciare l'ospedale. Stava ancora assumendo Prozac. Tutti sembravano concordare sul suo miglioramento e la famiglia progettò una gita in barca per il giorno successivo. Non vedendo arrivare i propri genitori quel pomeriggio, Bill Jr. andò a casa loro e li trovò morti in un lago di sangue. Dopo aver assunto Prozac per undici giorni, Bill Forsyth aveva preso un coltello seghettato dalla cucina e pugnalato sua moglie quindici volte. Quindi aveva fissato il coltello a una sedia e vi si era gettato sopra per infilzarsi. I depressi commettono talvolta atti inconsulti. Tuttavia, almeno per coloro che conoscevano Bill Forsyth, un"azione così folle era impensabile . Secondo i suoi due figli, l'unica possibile spiegazione era il farmaco. Per questo Bill Jr. e Susan decisero di agire per vie legali. I loro avvocati avrebbero in seguito sostenuto che il Prozac può provocare una sorta di dirottamento psicologico - una sindrome strana e allucinatoria, propria della famiglia di sostanze farmacologiche cui il Prozac appartiene, caratterizzata da pensieri suicidi, estrema irrequietezza, torpore emotivo e desiderio di morte. Avrebbero inoltre affermato che la società farmaceutica produttrice del farmaco era a conoscenza di questi rischi e, invece di avvertire i medici affinché fossero cauti con le prescrizioni, faceva di tutto per nasconderli. Il caso Forsyth non fu la prima azione legale per omicidio colposo intentata contro la Eli Lilly, né fu la prima che si tradusse in un processo. Il primo, conosciuto come il caso Fentress, riguardava i tragici fatti avvenuti il mattino di un giorno di settembre del 1989, quando Joseph Wesbecker entrò nella tipografia dove lavorava, a Louisville, con un AK-47 e alcune pistole e cominciò a sparare.(1) "Mi dispiace Dickie", disse a un collega prima di sparargli addosso quattro colpi. Alla fine Wesbecker aveva sparato a venti persone, uccidendone otto, prima di suicidarsi con un colpo di pistola. Un mese prima della sparatoria a Wesbecker era stato prescritto il Prozac. Non potremo mai

sapere con certezza se fu il Prozac a condurlo a questo. Sicuramente, tuttavia, possiamo affermare che il farmaco non gli ha particolarmente giovato. Il caso Fentress prende il nome da Joyce Fentress, la vedova di una delle diverse vittime che intentò causa in seguito all'atto folle di Wesbecker. Questa fu la prima delle 160 cause pendenti contro il Prozac nell'autunno 1994. In quel momento il Prozac procurava già alla Eli Lilly un terzo del suo intero reddito, circa 2 miliardi di dollari. Le cause erano intentate da famiglie di persone che si erano suicidate mentre prendevano il farmaco, da famiglie di vittime uccise da consumatori, e da individui che erano stati danneggiati dall'assunzione del Prozac, compresa una donna che lavorava come rappresentante di vendita per la stessa Ely Lilly. Molte cause furono respinte. Alcune portarono ad accomodamenti extragiudiziali, con risarcimenti anche molto alti. La Lilly non avrebbe tuttavia mai accettato la via del compromesso in merito al caso Fentress. Secondo l'azienda, Wesbecker era un folle, e questo caso sarebbe servito da esempio: sarebbe stato meglio per i denuncianti cercare un patteggiamento che portare la Lilly in tribunale, poiché chiunque avrebbe perso la causa. Le teorie della società non erano infondate. Almeno un anno prima di iniziare la cura con il Prozac, Wesbecker aveva cominciato a comprare pistole e munizioni e a fare discorsi minacciosi. Aveva inoltre avuto gravi problemi psicologici per i quali gli erano stati prescritti, prima del Prozac, altri forti psicofarmaci. Altri aspetti del caso rimanevano comunque curiosi, se non determinanti. Dopo un mese di Prozac, Wesbecker andò dal suo psichiatra che lo trovò notevolmente cambiato: il paziente era estremamente inquieto, aveva un temperamento instabile e i suoi modi erano più strani del solito. Coleman, lo psichiatra, cercò di persuadere il paziente a interrompere l'assunzione dello lo psicofarmaco, che egli riteneva responsabile dei disturbi, e a farsi ricoverare nuovamente in ospedale, per ulteriori accertamenti. Al contrario, Wesbecker si recò al posto di lavoro. Dopo l'atto inconsulto di Wesbecker, anche la Ely Lilly si mise al lavoro e aprì un"inchiesta contro Wesbecker, raccogliendo le testimonianze di circa 400 persone che lo conoscevano bene. I legali della Lilly intendevano dimostrare che la pazzia di Wesbecker era il prodotto di un"infanzia problematica e infelice e di uno sviluppo psicologico deviato. La stessa società farmaceutica, che basa le proprie strategie di marketing sull'idea che i disturbi depressivi dipendono da disequilibri biochimici interiori, stava rinnegando le proprie teorie scientifiche, incolpando l'ambiente esterno in cui vive il malato. Supportati dalla testimonianza del proprio consulente in materia, l'accanito avversatore della psichiatria Peter Breggin, gli avvocati querelanti evidenziarono la contraddizione: se lo psicofarmaco della Lilly agisce sulla persona alterandone chimicamente umore e comportamento, come si può negare che il Prozac abbia provocato i disastrosi cambiamenti che lo psichiatra di Wesbecker ha individuato nel paziente poco prima del suo sfogo di furia omicida? Gli avvocati dell'accusa intendevano inoltre informare la giuria che la Lilly aveva in passato occultato informazioni compromettenti sui propri farmaci, una pratica che suggerisce l'anteposizione del profitto alla salute e al bene pubblico. Nel 1985 di fronte all'FDA (Food and Drug Administration) la Lilly e un ufficiale sanitario si erano dichiarati colpevoli di 25 capi di imputazione riguardanti la mancata segnalazione di controindicazioni del farmaco antinfiammatorio Oraflex. I capi di accusa comprendevano l'aver provocato quattro morti (l'FDA aveva inoltre collegato il medicinale ad alcune decine di morti negli Stati Uniti e ad alcune centinaia all'estero). Il giudice del caso Fentress/Wesbecker, John Potter, all'inizio non accordò il permesso di mostrare in aula il materiale relativo all'antinfiammatorio, in quanto oltremodo compromettente per la società farmaceutica. Per rispondere all'affronto, tuttavia, i legali della Lilly commisero un goffo errore, presentando con eccessiva insistenza testimonianze che ripetevano la serietà con cui la società aveva sempre reso note le controindicazioni dei propri farmaci. Questo legittimò l'obiezione dell'accusa e le proteste degli avvocati querelanti, che ottennero il consenso del giudice Potter per esibire le prove compromettenti. Questo materiale non arrivò comunque mai alla giuria. Durante una breve sospensione del processo, in seguito alla decisione del giudice Potter, i legali della Lilly si incontrarono con gli avvocati

dell'accusa e conclusero un accordo segreto. L"accusa non avrebbe esibito le prove pregiudizievoli sull'Oraflex, ricevendo in cambio dalla Lilly una somma di denaro "sbalorditiva". La questione era così risolta. Le testimonianze non furono esibite, la giuria pronunciò un verdetto a favore della Lilly, il giudice Potter chiuse il caso e la Lilly e i suoi legali ottennero una vittoria schiacciante. "Siamo molto soddisfatti - sebbene non sorpresi - del verdetto" dichiarò al New York Times Randall L. Tobias, l'allora presidente e amministratore delegato della Lilly. "Abbiamo provato in una corte di giustizia, così come di fronte a 70 organismi scientifici e normativi sparsi in tutto il mondo, che il Prozac è un farmaco sicuro ed efficace. I nostri cuori sono per le vittime dell'orribile tragedia... Ma i membri della giuria... sono giunti all'unica conclusione logica possibile - che il Prozac non ha avuto niente a che fare con quanto commesso da Joseph Wesbecker".(2) Ciononostante, il giudice Potter si insospettì. Mentre la giuria stava discutendo per deliberare il verdetto, un giurato aveva dichiarato di aver sentito nei corridoi degli accordi segreti per una transazione extragiudiziale. Inoltre, alcuni mesi più tardi, nel corso di un"udienza di divorzio che vedeva impegnato uno degli avvocati dell'accusa del caso Wesbecker, trapelò che quest"ultimo stava attendendo una sostanziosa bustarella da parte della Eli Lilly. Il giudice Potter trasse le proprie conclusioni e, nell'aprile del 1995, presentò una mozione per rettificare la sentenza del processo, dichiarando che il caso non era stato vinto dalla Lilly, bensì si era concluso con un patteggiamento. Gli avvocati di entrambe le parti presentarono le proprie obiezioni alla corte d"appello del Kentucky. Due mesi più tardi la corte d"appello si pronunciò contro Potter, affermando che questi non aveva più giurisdizione sul caso. Si ricorse pertanto alla Corte Suprema. A questo punto la posta in gioco era diventata troppo alta e gli avvocati di entrambe le parti cedettero, ammettendo di aver cospirato per un accomodamento. Il 23 maggio 1996 la Corte Suprema del Kentucky si pronunciò all'unanimità in favore del giudice Potter. La Lilly era ricorsa al patteggiamento, non aveva vinto la causa. Il caso Fentress/Wesbecker rivelò molto sulle tattiche basate sui sotterfugi e gli intrighi attuate dalla Lilly. "La storia delle vicissitudini giudiziarie del Prozac si presenta come un thriller", scrive Michael Grinfeld sulla rivista California Lawyer, "pieno di riferimenti ad accordi clandestini, piani segreti e corruzione". Il processo non risolse comunque la questione centrale del caso: Wesbecker avrebbe avuto il fatale attacco di furia omicida se non avesse mai cominciato una cura di Prozac? Questa carneficina avrebbe potuto essere evitata se la società produttrice dello psicofarmaco avesse raccomandato ai medici, come a quello di Wesbecker, di vigilare su eventuali segni di un eccitamento anomalo indotto dal Prozac? Ma le cause contro la famiglia di antidepressivi cui appartiene il Prozac, i cosiddetti SSRI, non si sarebbero fermate qui. Anzi, questo era solo l'inizio. 2. Nel marzo del 1999, presso la Corte Federale di Honolulu, la Lilly fu convocata per la causa riguardante l'omicidio-suicidio Forsyth. "Lo so che con tutto il loro potere e il loro denaro non ho grandi possibilità", disse la figlia, Susan Forsyth, "ma sento che devo tentare".(3) Vi era in realtà qualche speranza, poiché la società produttrice di Prozac doveva affrontare uno studio legale diverso da quello del caso Fentress e la testimonianza di un nuovo perito: David Healy. L"assunzione di Healy per la consulenza medica fu molto importante.(4) David Healy è uno psichiatra stimato e rinomato a livello internazionale, nonché uno storico della medicina psichiatrica. Autore di diversi studi, tra cui “The Antidepressant Era" e "The Creation of Psychopharmacology" (entrambi pubblicati dalla Harvard University Press), Healy ha il titolo accademico inglese equivalente al Ph.D. (Doctor of Philosophy, il più alto titolo conferito dall' università americana). Prima di essere coinvolto in una vertenza giudiziaria che vedeva implicata l'industria farmaceutica, Healy aveva già sollevato diverse questioni a proposito degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, detti SSRI. Lo studioso si era chiesto se era corretto classificare tali sostanze come antidepressive invece che ansiolitiche, e in un articolo aveva richiamato l'attenzione sulla possibilità che gli SSRI provocassero ipereccitazione e altri problemi

con anomala frequenza. L"aspetto più importante era che Healy non era un estremista, così come non era estraneo al mondo dell'industria farmaceutica o della medicina psichiatrica. Nel corso della sua carriera aveva lavorato come ricercatore e consulente per diverse ditte farmaceutiche e non era contrario alla prescrizione del Prozac o di ogni altro psicofarmaco. A differenza di quanto avviene nell'industria del tabacco, le compagnie farmaceutiche non attribuiscono molta importanza al fatto che dirigenti e scienziati rimangano legati alla casa madre, e infatti molti Amministratori Delegati sono esterni alle ditte stesse. Ciò significa che c'è un"alta percentuale di avvicendamenti, e una continua perdita di conoscenza istituzionale nelle società. Le leggi sulla trasparenza, preesistenti al processo, costringevano la Lilly (e in seguito la Pfizer e la SmithKline) a concedere a Healy l'accesso ai propri archivi. Alla luce di queste considerazioni, era evidente che Healy e l'opinione pubblica avevano le stesse possibilità di venire a conoscenza delle informazioni riservate della compagnia. E il medico aveva molte cose da dire. Citando i documenti interni della Lilly, egli dimostrò che la società era pienamente consapevole del fatto che il proprio psicofarmaco potesse, anche se nella minoranza dei casi, indurre uno stato psicologico come quello che aveva sopraffatto William Forsyth, e che una componente fondamentale di questo disturbo fosse una peculiare forma di malessere interiore denominato "acatisia".(5) Healy dichiarò inoltre che la società era a conoscenza di questa potenziale reazione catastrofica prima di chiedere l'approvazione dell'FDA, e che fece di tutto per nasconderne le prove. Nel 1978, dieci anni prima che la fluoxetina fosse denominata Prozac e messa in commercio negli Stati Uniti, cominciarono le prime sperimentazioni cliniche sul farmaco. I verbali delle riunioni del gruppo di ricerca della Lilly sul progetto Prozac di luglio e agosto di quell'anno recitano: Alcuni pazienti sono passati da uno stato di grave depressione a uno di agitazione nell'arco di pochi giorni; in un caso l'eccitazione era eccessiva e la somministrazione del farmaco al paziente è stata interrotta... Si sono registrati fra le reazioni un numero considerevole di effetti negativi... Un altro paziente depresso è entrato in uno stato di psicosi... In alcuni pazienti sono stati rilevati sintomi di acatisia e ansia... In studi futuri sarà ammesso l'uso di benzodiazepine per contenere l'agitazione. E fu questo impiego di benzodiazepine -farmaci ansiolitici come il Librium, il Valium e lo Xanax che aprì le porte all'approvazione del Prozac.(6)L"FDA si basò unicamente sul limitato numero di studi presentati dalla Lilly, che descrisse come "sperimentazioni precise ed esaurienti che provavano l'efficacia del Prozac'. La maggior parte di questi studi ammetteva l'assunzione simultanea di benzodiazepine e sostanze simili, che furono prescritte a circa un quarto dei pazienti. Come hanno scoperto i medici specialisti, le benzodiazepine riducono l'agitazione indotta dal Prozac, che potrebbe convertirsi in violenza.(7) Questo significa che, se il Prozac provoca autolesionismo, tendenze suicide o omicide, questi studi non l'avrebbero mai dimostrato. Un altro tipo di sperimentazione lo avrebbe invece rivelato. I registri interni della Lilly contengono una lettera inviata nel maggio 1984 dal "British Committee on Safety on Medicines" (equivalente britannico dell'FDA americano), la quale esprime preoccupazione in merito ai risultati delle sperimentazioni cliniche effettuate: "Durante la cura a base del composto (Prozac) sono stati riportati 16 tentativi di suicidio, due dei quali hanno avuto successo. Essendo i pazienti a rischio di suicidio esclusi dalle ricerche sperimentali, questa alta percentuale è probabilmente da attribuire ad un effetto del preparato(Prozac)". Simili dubbi furono avanzati dal Bundes Gesunheit Amt (equivalente tedesco dell'FDA) nel 1985. A quel tempo la Lilly era ben consapevole dell'esistenza di problemi. Questi ultimi furono sintetizzati in tono cortese dallo scienziato dell'FDA Martin Brecher, il quale, avendo notato i tentativi della Lilly di celare la questione, scrisse alla società dichiarando: "Sono scettico sul fatto che la soluzione del problema risieda nella semplice dicotomia fra la presenza o meno di sostanze nocive in un antidepressivo... La maggior parte dei suicidi avvenuti in concomitanza con l'assunzione di fluoxetina (Prozac) non sono avvenuti per overdose, ma per mezzo di un colpo di pistola, per annegamento, per impiccagione o tramite un salto nel vuoto".

Nel 1986, studi con sperimentazioni cliniche volti a comparare il Prozac con altri antidepressivi dimostrarono un rapporto di 12,5 suicidi per 1.000 consumatori di Prozac, rispetto ai soli 3,8 suicidi per 1.000 pazienti sotto cura di un vecchio antidepressivo privo di SSRI, e ai 2,5 suicidi per 1.000 pazienti sotto l'effetto di un placebo.(8) Un documento riservato della Lilly recante la data del 29 marzo 1985 quantifica in termini simili il problema: La percentuale [di suicidi] con l'assunzione di fluoxetina [Prozac] è quindi matematicamente 5,6 volte più alta che sotto l'effetto dell'altro medicamento attivo, l'imipramina... Il rapporto fra gli effetti benefici e i rischi dell'assunzione di fluoxetina non depone a favore dei benefici. È perciò della massima importanza specificare se esista un determinato tipo di pazienti che risponde meglio alla fluoxetina rispetto all'imipramina, in modo da ovviare all'alta incidenza di tentativi di suicidio. Molto presto, dopo l'introduzione del Prozac sul mercato, nel 1988, cominciarono a essere pubblicati rapporti che confermavano che il mostro che la Lilly aveva creato in laboratorio era stato ora sguinzagliato liberamente fra il pubblico senza il minimo avvertimento. Nel 1990, tre anni prima che Bill Forsyth assassinasse la moglie e si uccidesse, sull'American Journal of Psychiatry comparve un articolo riguardante l'“Emergere di forti preoccupazioni per il pericolo di suicidio durante una cura di fluoxetina [Prozac]". Due psichiatri di Harvard, Martin Teicher e Jonathan Cole, e l'infermiera Carol Gold riferirono di casi in cui pazienti cominciavano a manifestare serie tendenze suicide subito dopo aver iniziato una cura di Prozac.(9) L"articolo concludeva: Siamo stati particolarmente colpiti quando abbiamo assistito all'emergere in questi pazienti di intensi, ossessivi e violenti pensieri suicidi... Nessun paziente soffriva di tendenze suicide prima di iniziare la cura di fluoxetina. Al contrario, tutti si dimostravano fiduciosi e ottimisti... I loro pensieri suicidi si possono definire ossessivi in quanto erano ricorrenti, persistenti e tormentosi... La violenza espressa da tali pensieri è parimenti degna di nota. Due pazienti ebbero per la prima volta fantasie suicide in cui si uccidevano con una pistola (caso 4 e 5), e una paziente (caso 6) giunse realmente a puntarsi una pistola alla testa. Un altro paziente (caso 3) dovette essere fisicamente trattenuto e immobilizzato per impedirgli un"automutilazione. Il paziente 2, che non aveva mai avuto precedentemente pensieri suicidi, cominciò a fantasticare di suicidarsi attraverso l'inalazione di gas o in un incidente stradale. All'articolo degli psichiatri di Harvard risposero diversi medici specialisti che descrissero casi simili. I risultati delle osservazioni di Teicher e colleghi vennero accolti con grande interesse, data la fama di cui godevano i medici. Jonathan Cole, uno degli autori dello studio, vantava una carriera che risaliva agli anni "50 ed era stato definito dalla Pfizer, il creatore dell'SSRI Zoloft, come un "pioniere" nel campo della psicofarmacologia. Richiamando il rapporto Teicher/Harvard durante il processo Forsyth, David Healy spiegò alla corte che Jonathan Cole "è un uomo che conosce il meccanismo dell'insorgere di pensieri suicidi, e tuttavia ha sostenuto con i suoi colleghi di aver assistito in questo caso a qualcosa di diverso. Non stiamo parlando di osservatori sprovveduti, che possono essere tratti in inganno dalla comune comparsa di pensieri suicidi nei malati di depressione".(10) Nel luglio del 1992 apparve un altro articolo in proposito, questa volta sull'Archives of General Psychiatry. Come il rapporto di Harvard, l'articolo contava fra i suoi autori due illustri studiosi, William Wirshing e Theodore Van Putten, quest"ultimo è considerato uno dei maggiori esperti di acatisia. Nell'articolo si evidenziava il fatto che, prima dell'assunzione di Prozac, nessuno dei pazienti presi in esame "aveva una storia di marcate tendenze suicide; tutti descrissero il proprio malessere [durante la cura con il Prozac] come un nuovo e intenso stato somatico-emozionale; tutti riferirono di un forte e urgente bisogno di muoversi che corrispondeva in intensità all'ansia provata; tutti percepivano, al culmine della proprio stato di agitazione, pensieri suicidi; e tutti provarono un alleviamento della propria eccitazione, della propria inquietudine, del proprio bisogno impellente di tenersi in movimento e dei propri desideri suicidi dopo l'interruzione della cura con il Prozac'. La scoperta che questi disturbi si manifestano subito dopo l'assunzione di un farmaco, che agisce selettivamente sulla serotonina e scompaiono con la sospensione della cura, rappresenta una prova determinante. David Healy giunse alla conclusione che il problema fosse spesso il farmaco e non il

malessere in sé. Anthony Rothschild e Carol Locke, anch"essi studiosi della Harvard Medical School e del McLean Hospital, riportarono tre casi simili sul Journal of Clinical Psychiatry nel dicembre 1991. Secondo il rapporto dei medici, i tre pazienti "furono sottoposti a una cura di fluoxetina [Prozac] dopo aver commesso gravi tentativi di suicidio durante l'assunzione dello stesso farmaco". Il primo caso vedeva coinvolta una paziente di 25 anni che soffriva di depressione da tre. Due settimane dopo aver cominciato la cura di Prozac, e tre giorni dopo che la propria dose era stata aumentata da 20mg a 40mg, la donna scappò dall'ospedale e si gettò dal tetto di un edificio. Dopo essersi lanciata nel vuoto, la paziente urtò un ballatoio, fratturandosi sia gli arti inferiori sia quelli superiori. Essendo ora la paziente sulla sedia a rotelle, gli psichiatri le prescrissero il Prozac una seconda volta. Undici giorni più tardi la donna si rese conto di avere il medesimo stato d"animo precedente alla cura di Prozac, dichiarando: "Ho cercato di suicidarmi a causa di questi attacchi di ansia. Non è stata tanto la depressione in se stessa". Tutti gli effetti dannosi scomparvero entro tre giorni dall'interruzione della seconda cura di Prozac. Il secondo caso riguardava un uomo di 47 anni che soffriva da otto di depressione. Dopo due settimane di Prozac, il paziente cominciò ad avvertire forti disturbi di irrequietezza e ansia, per liberarsi dai quali affermò di desiderare la morte. L"uomo finì per gettarsi da una scogliera, ma la sua caduta fu ostacolata da un albero. Sottoposto a cure psichiatriche, al paziente fu prescritto il Prozac per una seconda volta. Quando la dose fu aumentata da 20mg a 40mg, gli effetti dannosi ricomparvero, provocando il commento: "Questo è esattamente ciò che accadde l'ultima volta che ho preso fluoxetina (Prozac), e sento di nuovo di volermi lanciare da una scogliera". Tutti gli effetti dannosi scomparvero 24 ore dopo aver posto il paziente sotto la cura di un altro farmaco. Il terzo paziente, infine, era una donna di 34 anni che soffriva di disturbi depressivi da quattordici. Circa una settimana dopo l'aumento del dosaggio di Prozac da 40mg a 60mg, la paziente si gettò dal tetto di un edificio, atterrando su un balcone e fratturandosi il femore. Gli psichiatri le prescrissero una seconda cura di Prozac e, dopo l'aumento del dosaggio, questa volta da 20mg a 40mg, la donna dichiarò che l'agitazione prodotta dal farmaco la stava facendo diventare "pazza", e che si sentiva esattamente come al momento del suo tentativo di suicidio. Riflettendo su questi casi, Rothschild e Locke evidenziarono che "i pazienti devono essere rassicurati sul fatto che i forti sintomi avvertiti sono gli effetti collaterali del farmaco e possono essere eliminati... I nostri pazienti avevano concluso che le loro malattie fossero entrate in uno stadio talmente grave e irrecuperabile che non valesse più la pena vivere". A quanto pare, dunque, non solo i suicidi e gli omicidi legati al Prozac sembrano essere una celata realtà, ma anche l'agitazione e i pensieri aggressivi che li precedono possono essere facilmente interpretati come il prodotto di quei disturbi che il farmaco dovrebbe curare. Questa è un"agghiacciante ironia della quale la Lilly ha imparato a servirsi con farmaci precedenti, asserendo ripetutamente che gli effetti dannosi non derivano dal farmaco ma dalla malattia. "Il Prozac tende a essere preso da persone con problemi psichiatrici", ha commentato uno dei dirigenti della Lilly, "alcune persone con problemi psichiatrici possono diventare violente". Sarebbe cruciale fare quello che la Lilly e gli altri produttori di SSRI non hanno mai fatto, e cioè raccomandare ai medici di vigilare sull'eventuale emergere di ansia e pensieri suicidi nei pazienti cui hanno prescritto SSRI (o aumentato le dosi), dato che, come dimostra il caso Joseph Wesbecker, i medici non si preoccupano di monitorare le condizioni dei pazienti durante le prime settimane in cui il farmaco è assunto. Questa è naturalmente una delle ragioni per cui la Lilly si è adoperata tenacemente per evitare di aver l'obbligo di dare avvertimenti, temendo che oneri aggiuntivi potessero incidere negativamente sulla disposizione dei medici a prescrivere il farmaco. Dopo tutto un motivo determinante dell'immediato successo del Prozac è stato infatti che il farmaco deve semplicemente essere assunto una volta al giorno - "il nuovo medicinale sicuro ed efficace, semplice sia per chi lo prescrive sia per chi lo consuma".

Invece di emettere avvertimenti o raccomandazioni, e invece di evitare completamente l'argomento, la Lilly ha preso apertamente posizione in senso contrario, dichiarando che questi effetti collaterali sono prova dell'effettiva esistenza della malattia. Il risultato di questo atteggiamento è illustrato da un caso descritto nel rapporto Teicher/Harvard. Una studentessa di 19 anni aveva cominciato a manifestare "pensieri inquietanti e autodistruttivi" due settimane dopo aver cominciato ad assumere Prozac. Quando il dosaggio fu aumentato da 20mg a 40mg i suoi problemi si aggravarono, peggiorando ulteriormente quando la dose fu aumentata a 60mg. Convinti che "non si tratta del farmaco, ma della malattia", i medici aumentarono nuovamente a 80mg la dose della giovane paziente, la quale a questo punto della cura cominciò a percuotersi violentemente la testa e a deturparsi. 3. L"aumento dei rapporti che suggerivano la possibile pericolosità del Prozac aveva terrorizzato la Lilly. Un dirigente riportava in un"annotazione riservata del 1990 che, se il Prozac fosse stato ritirato dal commercio, la società avrebbe potuto fallire.(11) In risposta alle preoccupazioni espresse dall'FDA, la Lilly acconsentì a condurre uno studio per verificare se il Prozac causasse nei pazienti aggressività e pensieri suicidi. Il risultato, conosciuto come il "Beasley study", comparve il 21 settembre 1991, su un numero del British Medical Journal.(12) Lo studio, condotto dal personale interno della Lilly, che comprendeva lo psichiatra Charles Beasley, si presentava come un"accurata ricerca scientifica. Apparentemente lo studio illustrava i dati aggiornati del confronto fra il Prozac, i vecchi antidepressivi non contenenti SSRI e i placebo. In realtà i dati erano stati accuratamente selezionati per favorire la società farmaceutica.(13) Le analisi si basavano su 3.065 pazienti, meno del 12% dei dati complessivi considerati negli studi di sperimentazione clinica del periodo. Fra i casi omessi vi erano i pazienti con più probabilità di sviluppare tendenze suicide - circa il 5% dei pazienti che si ritirarono dalle sperimentazioni cliniche perché avvertivano effetti collaterali nocivi dopo l'assunzione di Prozac. Il rapporto non menzionava inoltre la dozzina di suicidi che si era già precedentemente manifestata durante le sperimentazioni cliniche sul Prozac, un numero che, dato il tipo di pazienti studiati - sottoposti per la prima volta a cure psichiatriche piuttosto che depressi gravi – avrebbe dovuto essere vicino allo zero. Il "Beasley study" fu prima presentato al New England Journal of Medicine che rifiutò di pubblicarlo. Una pubblicazione sul British Medical Journal non godeva dello stesso prestigio, ma avrebbe dovuto produrre i suoi effetti. E così accadde. Dopo aver visionato il rapporto e aver ricevuto ripetute garanzie da parte della Lilly che il suo medicinale non portava a estremi atti di violenza, lo Psychopharmacological Drugs Advisory Committee dell'FDA rinnovò la fiducia nel farmaco nel settembre 1991. Con grande sollievo della Lilly, il rapporto del Comitato asseriva che non esistevano "prove certe di un nesso causale fra l'uso di medicinali antidepressivi, incluso il Prozac, e tendenze suicide o atti violenti". A partire da questo momento, invece di dover difendere la validità del proprio antidepressivo, la Lilly poteva semplicemente farsi scudo delle conclusioni "indipendenti" dell'FDA: "La nostra esperienza con il Prozac non ci indica alcun legame di causaeffetto fra il farmaco e pensieri o atti suicidi. La documentazione che certifica la sicurezza del nostro prodotto è stata pienamente accertata", affermò un portavoce della Lilly. Il Prozac era salvo. Solo con i processi Fentress e Forsyth emersero i documenti riservati della Lilly, rivelando l'entità dell'imbroglio. Questo comprendeva l'esposto del gruppo di ricerca sul Prozac del 1978, il quale riconosceva problemi di acatisia e di psicosi indotti dal farmaco.(14)I documenti contenevano inoltre prove del fatto che formule di precauzione erano state abbozzate per il foglietto delle avvertenze della confezione di Prozac, le quali recitavano: "Una terapia antidepressiva può provocare manie e psicosi in pazienti predisposti". Ovviamente, questo avvertimento non è mai comparso sul foglietto ufficiale per la confezione del farmaco, sebbene diciture simili siano state richieste per poter vendere il Prozac in Germania, come Fluctin.

Fra i documenti riservati della Lilly vi era poi un promemoria, datato 2 ottobre 1990, che alludeva a un imminente convegno sul Prozac, in cui doveva essere discusso il problema delle tendenze suicide. Un impiegato della Lilly esprimeva i propri dubbi con un altro: "Il problema è dunque cosa fare con gli "alti" indici riguardanti le tendenze suicide. Se le cifre del rapporto sono mostrate dopo quelle riguardanti la nausea, sembrano piccole". Sono state trovate anche una serie di annotazioni in merito a due medici di Taiwan, i quali avevano condotto uno studio intitolato "Tentativi di Suicidio e Cura di Fluoxetina [Prozac]". In un"annotazione datata 8 aprile 1992, un impiegato della Lilly riporta: "Missione riuscita. Il Professor Lu non presenterà o pubblicherà i suoi dati sul confronto fra il manifestarsi di tendenze suicide in pazienti che assumono fluoxetina [Prozac] e pazienti che assumono maprotilina". Un caso simile fu quello di Robert Bourguignon, un medico belga che, dopo aver sollecitato i propri colleghi a condurre sperimentazioni e verifiche in merito all'incidenza del Prozac sui pensieri suicidi dei pazienti, e su altri effetti collaterali del farmaco, fu querelato dalla Lilly. Dapprima fu emanato un ordine di interruzione delle ricerche, ma Bourguignon finì per avere la meglio. Il risultato dello studio, "I pericoli della fluoxetina", apparve su The Lancet nel 1997. Bourguignon cita nel suo articolo undici casi gravi di pazienti sotto Prozac, in alcuni di essi tra i sintomi comparsi dopo la somministrazione del farmaco si riscontravano forte agitazione, pensieri suicidi e "psicosi paranoica".(15) La Lilly aveva inoltre fatto invalidare una sperimentazione clinica condotta in un ospedale di Indianapolis, la città dove ha sede la società farmaceutica stessa. Mentre i ricercatori che eseguivano gli esperimenti per la Lilly tacevano spesso l'insorgere dell'acatisia, classificandola come semplice tensione o ansia, Joyce Small, la ricercatrice che conduceva queste prove cliniche, stava schedando l'acatisia come tale. Non ci sono dubbi che la Lilly fosse anche contrariata nello scoprire che la ricercatrice stesse dimostrando che il problema si manifestava in quasi un paziente su dieci, tra quanti assumevano il Prozac.(16) Un"altra scoperta, non legata allo studio dei casi clinici, contribuisce a sollevare dubbi sul possibile nesso causale fra gli SSRI e l'aggressività. Sebbene il numero di suicidi fosse precedentemente quattro volte più alto fra gli uomini rispetto alle donne, a partire dalla seconda metà del ventesimo secolo, le donne che assumono SSRI mostrano improvvisamente la stessa percentuale di suicidi rispetto agli uomini che assumono SSRI. Non è chiaro se il Prozac e gli altri SSRI inducano agitazione e ossessioni suicide maggiormente nelle donne rispetto agli uomini, poiché il numero di donne che assumono SSRI è più del doppio rispetto al numero degli uomini. Quello che appare chiaro è invece che, nonostante l'alto consumo di farmaci antidepressivi, le donne soggette a queste cure vedano aumentare notevolmente, invece che diminuire, i propri rischi di cadere vittime di pensieri suicidi. Nonostante tutti i rapporti riguardanti le ricerche e le sperimentazioni cliniche e tutte le statistiche epidemiologiche, e nonostante le più di 200 azioni legali che denunciavano un legame fra il Prozac e l'aggressività, durante gli anni "90 la Lilly ha continuato a promuovere l'idea che il proprio farmaco riducesse efficacemente i rischi di suicidio. "Gli oltre 10.000 pazienti che hanno partecipato alle sperimentazioni" ha commentato un dirigente delle ricerche cliniche presso la Lilly durante il programma "20-20" della ABC news, "hanno dimostrato inconfutabilmente che questi medicinali non promuovono ossessioni suicide, nè aumentano il potenziale suicida dei pazienti, ma, al contrario, lo riducono". In un numero di pazienti indefinito che, sommato, produca un tempo di cura di 100.000 anni, prima dell'introduzione degli SSRI, il numero di suicidi ammontava a 30.(17) Secondo uno studio del 1995 pubblicato sul British Medical Journal, che considerava dieci antidepressivi, usati da 170.000 persone nel Regno Unito, il numero di suicidi per Prozac era di 189 per 100.000 anni. In contrasto con quanto dichiarato dai dirigenti della Lilly, questo indica che il numero di suicidi è sei volte più alto con il Prozac rispetto ai vecchi antidepressivi senza SSRI. Queste cifre sono confermate anche dall'accertamento interno condotto dalla Lilly nel 1985, che riconobbe un rischio "5,6 volte più alto rispetto all'altro medicinale, l'imipramina".

Esiste, comunque, una prova sicura e definitiva che conferma questa teoria e consiste nel prescrivere il farmaco a persone che non sono mai state soggette a depressione o scatti di violenza. Questo tipo di prova fu fornita inaspettatamente da David Healy. Ritornato nel Galles settentrionale, Healy stava conducendo uno studio impiegando i cosiddetti "volontari sani".(18) Reclutati venti volontari, a metà di questi fu somministrato l'SSRI Zoloft e all'altra metà un antidepressivo che non agisce sulla serotonina (Edronax) per un periodo di due settimane. In seguito a una pausa di due settimane, a ognuno fu somministrato rispettivamente l'altro medicinale per un nuovo periodo di due settimane. Healy intendeva confrontare le reazioni delle persone sotto l'effetto dei due diversi tipi di farmaco, ma prima di completare la ricerca due volontari sani manifestarono un"agitazione pericolosa e suicida, entrambi dopo aver ingerito lo Zoloft. Healy fu sorpreso, ma il suo stupore non sarebbe durato a lungo. Alcuni mesi più tardi avrebbe scoperto una ricerca inedita condotta dalla Pfizer negli anni "80, per la quale a donne sane volontarie erano stati somministrati Zoloft o placebo. Lo studio fu interrotto dopo quattro giorni perché tutte le donne che assumevano Zoloft lamentavano di disturbi di ansia e agitazione. L"esperimento di Healy non fu così disastroso e alcuni volontari sani reagirono in realtà positivamente all'assunzione di Zoloft. Tuttavia, uno dei volontari che ne risentì fu una donna di trent"anni che, dopo una settimana di Zoloft, cominciò ad avere incubi in cui le veniva tagliata la gola. Nel giro di due settimane iniziò a coltivare pensieri suicidi. Ossessionata dall'idea, comune ad altre vittime degli effetti collaterali degli SSRI, di doversi lanciare contro un"auto, la donna si sentiva "come se non ci fosse stato nient"altro a parte l'auto sotto la quale si voleva gettare. Non pensava minimamente al proprio partner o ai propri figli". Reazioni negative come queste in volontari sani non possono essere facilmente attribuite a una psiche instabile, e un indice del 10% evidenzia che questi risultati non sono così rari da poter essere trascurati. In questo caso le cavie erano semplici volontari, e molti lettori penseranno che ciò non è sufficiente a risolvere i dubbi che comunque rimangono in merito a casi come quello di William Forsyth. E" stato il medicinale a provocare l'atto criminale? Il farmaco ha semplicemente accelerato il verificarsi dell'inevitabile? Oppure non ha influito minimamente sugli eventi del 3 marzo 1993? Sicuramente questa irrisolta ambiguità ha contribuito al fatto che, nonostante la testimonianza di David Healy e l'emergere dei documenti riservati della Lilly durante il processo Forsyth, la giuria si pronunciò ancora una volta in favore della Lilly. 4. In casi come quello di William Forsyth gli avvocati dell'accusa devono affrontare sfide notevoli. Vi possono essere prove schiaccianti contro un farmaco e chi lo produce, ma tali prove possono essere insufficienti se permangono ambiguità in relazione allo specifico caso trattato. Questo vale in modo particolare per gli SSRI, poiché suicidi e omicidi sono eventi che accadono inaspettatamente anche senza l'implicazione di farmaci. Per usare un"analogia, un dado che si ferma sul sei ogni volta che viene tirato è chiaramente manomesso, ma come è possibile sapere con certezza che il sei non sarebbe uscito comunque? D"altra parte, non tutti gli eventi tragici che vedono implicati gli SSRI sono segnati da ambiguità irrisolvibili. L"australiano David Hawkins fu scarcerato nel maggio del 2001, dopo che un giudice della Corte Suprema aveva reputato le sue azioni, che includevano l'omicidio della moglie, totalmente aliene alla sua personalità. Dopo due giorni di Zoloft, il settantaquattrenne aveva strangolato la moglie, quindi aveva provato, senza riuscirvi, a suicidarsi per mezzo del monossido di carbonio. "Senza lo Zoloft", asserì il giudice, "che Hawkins assunse il mattino dell'1 agosto 1999, con tutta probabilità la signora Hawkins non sarebbe stata uccisa quel mattino stesso". Un mese dopo il rilascio di Hawkins, in un caso trattato dalla corte federale di Cheyenne, in Wyoming, una giuria emise una sentenza contro la SmithKline Beecham (ora GlaxoSmithKline), produttrice del farmaco Paxil. Si trattava del caso di Donald Schell. Dopo aver lamentato disturbi di

ansia, stress e possibile depressione, al sessantenne Schell era stata diagnosticata una leggera depressione, e, come accade alla maggior parte dei consumatori di SSRI, era stato prescritto il farmaco dal medico di famiglia. Il paziente ricevette dei campioni promozionali di Paxil, e due giorni dopo -gli stessi due giorni di SSRI che precedettero l'uxoricidio di David Hawkins - Schell commise l'atto più violento della storia recente del Wyoming. La giuria che si espresse sul caso concluse che gli SSRI possono indurre alcuni individui a commettere omicidi e suicidio , e hanno agito in questo senso nel caso di Donald Schell, il quale, il 13 febbraio 1998, uccise con un"arma da fuoco la moglie, la figlia adulta, la nipote neonata, e quindi se stesso. Il risarcimento di 6,4 milioni di dollari imposto alla SmithKline Beecham costituisce la prima causa persa in tribunale da una società farmaceutica produttrice di SSRI. Conosciuto come il caso Tobin Tim Tobin era il marito della figlia di Donald Schell - il processo durò due settimane, dopo le quali la giuria impiegò solo tre ore e mezzo per raggiungere un verdetto unanime. La società produttrice del farmaco aveva dovuto affrontare un gruppo di legali più esperti e navigati - al centro del quale vi erano gli stessi avvocati del processo Forsyth, compreso il consulente David Healy - e una diversa e più efficace strategia procedurale. Nel caso Forsyth gli avvocati accusatori si focalizzarono sull'uomo, William Forsyth, mentre nel caso Tobin si concentrarono sulla società. Inoltre, come Healy dimostrò nel corso del processo, i registri della SmithKline rivela rono molte prove a carico del comportamento della società e del medicinale prodotto. La SmithKline aveva condotto ricerche accurate sul Paxil, i risultati delle quali dimostravano che il farmaco presentava lo stesso tipo di rischi del Prozac, e tuttavia non fece niente in merito. Fra le cartelle riservate della SmithKline figuravano ricerche condotte su 34 volontari sani, alcuni dei quali impiegati della società produttrice. I dati rivelavano che, sebbene queste persone non avessero mai manifestato problemi di depressione o ansia, il 25% aveva sofferto di irrequietezza anomala dopo aver assunto Paxil.(19 )Gli studi analizzati non erano comunque stati condotti da psichiatri, gli altri, quelli condotti da specialisti, erano inspiegabilmente scomparsi dagli archivi della società. Healy trovò tuttavia un appunto che si riferiva a uno di questi. Lo psichiatra, alla conclusione delle sue ricerche, annotava di non aver mai visto una così alta incidenza di disturbi collaterali in una sperimentazione con volontari sani. Healy scoprì anche altri problemi - in relazione ai numerosi e diversi effetti collaterali che gli SSRI possono suscitare. Oltre a irrequietezza, acatisia, pensieri suicidi e comportamento violento, gli SSRI inducono in molti consumatori dipendenza fisica. Una causa intentata contro la società produttrice di Paxil da alcuni pazienti danneggiate dal farmaco recita: Al momento in un unico sito internet appaiono 1.359 firme elettroniche di persone che protestano contro la GlaxoSmithKline Corporation per le reazioni di dipendenza provocate dal Paxil. Poiché le firme contengono il nome completo di tutte le persone, molte delle quali hanno allegato il proprio indirizzo e-mail e un circostanziato commento, questo elenco costituisce una prova attendibile dell'alto numero di persone che soffrono di dipendenza e sindrome d"astinenza da Paxil. Nel corso degli ultimi due anni circa 500 vittime di disturbi da dipendenza da Paxil si sono rivolte agli avvocati. Il dolore e le sofferenze provate a ognuno di questi individui è il risultato del fatto che la GlaxoSmithKline Corporation non ha messo in guardia i consumatori di Paxil contro la dipendenza fisica o psicologica indotta dal farmaco, e contro il manifestarsi di crisi d"astinenza quando il dosaggio di Paxil viene ridotto o il consumo interrotto.(20) Queste proteste confermano il risultato delle ricerche condotte da David Healy negli archivi della SmithKline. In uno studio su volontari sani effettuato all'interno della società farmaceutica, i ricercatori avevano scoperto che, con l'interruzione della somministrazione del farmaco, l'85% dei volontari soffriva di irrequietezza, incubi, insonnia, e altri effetti negativi. Healy notò che circa la metà dei volontari sani che partecipavano alla ricerca manifestavano sintomi di dipendenza fisica dal farmaco. L"esempio di Lisa, una donna che ha partecipato a un dibattito online sugli antidepressivi, illustra la natura del problema: "Ero dipendente dall'Effexor. Ero terrorizzata al pensiero di rimanere senza -e per buone ragioni!! Non credo che abbia senso parlare

di dicotomia fra mente e corpo. Se non puoi stare senza una sostanza, ne sei dipendente. L"Effexor induce dipendenza, ora non ho più niente a che fare con quella roba, ma non mi sono mai sentita così male fisicamente come quando ero in astinenza...".(21) Fra gli effetti collaterali, gli SSRI causano inoltre gravi problemi di natura sessuale: circa il 70 o l'80% dei consumatori soffre di scarsi impulsi sessuali e impotenza. Oltre a questo, vi sono molti altri effetti collaterali minori di diversa natura, che comprendono nausea, insonnia, incubi, spossatezza, sonnolenza, debolezza, inappetenza, tremori, mancata salivazione, sudorazione eccessiva. La caratteristica che fa preferire gli SSRI rispetto ai vecchi antidepressivi triciclici è che i rischi di overdose sono ridotti al minimo. D"altra parte, questo conta poco quando, come dimostrano i casi seguenti, il farmaco stesso induce al suicidio o ad altre forme di violenza. - Quindici giorni dopo aver cominciato una cura di Prozac, il cantante cinquantaseienne conosciuto con il nome di Del Shannon si uccise sparandosi alla testa con un fucile calibro 22 - Dopo dieci giorni di Prozac una donna di 41 anni cominciò a provare desideri utolesionistici, che la portarono a deturparsi gambe, braccia e busto, e a tentare sei volte il suicidio. Tutto questo finì improvvisamente con l'interruzione dell'assunzione del farmaco. - Tre giorni dopo aver iniziato ad assumere Prozac, un uomo di 58 anni cominciò ad avere pensieri suicidi e cercò di impiccarsi.Quattro giorni dopo la sospensione del farmaco le sue ossessioni suicide scomparvero completamente. - A una settimana dal graduale aumento del proprio dosaggio di Prozac da 20mg a 60mg, una donna di 28 anni cominciò a soffrire di acatisia e a coltivare fantasie di gettarsi dalla finestra dell'ospedale. Questo portò all'interruzione del Prozac e, in una settimana, alla scomparsa di tutti gli effetti negativi. - Ventiquattro ore dopo aver aumentato accidentalmente la propria dose di Prozac da 60mg a 80mg, un uomo di 44 anni cominciò a farsi tagli superficiali alla gola, ai polsi e all'addome mentre guidava. Questo comportamento scomparve 24 ore dopo aver diminuito la dose. - - Due settimane dopo aver iniziato ad assumere Prozac, una donna di 32 anni si sentì meglio, ma cominciò a provare un senso di inquietudine ed emozioni incontenibili, che la portarono ad affermare:"Sento che devo tenermi forte alla mia sedia per non dovermi lanciare dalla finestra". Tutto questo scomparve dopo alcuni giorni dall'interruzione dell'assunzionedel farmaco. - - Dopo undici giorni di Prozac, in Inghilterraun uomo di 63 anni soffocò la moglie e si gettò da una scogliera di 70 metri. - Alcune settimane dopo aver cominciato una cura di Prozac, un uomo di 35 anni accoltellò la moglie e i due figli e si uccise con un fucile calibro 22. - Sei giorni dopo aver cominciato ad assumere Prozac, una donna di 60 anni si inflisse più di 60 profonde coltellate, mentre il marito faceva colazione in cucina. La donna morì il giorno seguente. - Una settimana dopo che ai genitori era stata suggerita una "geniale" nuova medicina chiamata Zoloft, un ragazzo di 13 anni si chiuse dentro il ripostiglio della propria camera da letto e, mentre il resto della famiglia dormiva, si uccise impiccandosi. - Quasi tre mesi dopo che la dose di Prozac le fu raddoppiata, una donna che viveva a Randolph, in Vermont, impugnò una pistola calibro 22 per uccidere il figlio di 8 anni, la figlia di 4 anni e se stessa. - Alcuni giorni dopo che Brynn Hartman assunse alcuni campioni di Zoloft datele dallo psichiatra di suo figlio, la donna sparò e uccise il marito, l'attore comico Phil Hartman, mentre questi dormiva, e, quattro ore più tardi, si uccise sparandosi. - Dopo due settimane di Prozac, un uomo di 46 anni finì di pulire il mungitoio della propria fattoria, rientrò in casa e si sparò alla fronte con un fucile calibro 22. - Alcuni giorni dopo aver cominciato ad assumere Prozac, un ragazzo di 17 anni cominciò a lamentare che il farmaco "gli stava mettendo la mente sottosopra", e, alcuni giorni più tardi, si impiccò nella propria camera. Eventi tragici come questi sono frequenti in Nord America e in Europa. Solo alcuni di questi, tuttavia, divengono di dominio pubblico, mentre altri sono coperti dalla confusione e dalla

segretezza che così spesso contraddistinguono improvvise tragedie familiari. Prima che il caso Forsyth arrivasse in tribunale, nel marzo 1999, 2.000 casi di suicidio collegati al Prozac erano stati riferiti all'FDA, registrati sul loro "sistema delle reazioni negative" ("adverse event system"). Almeno un quarto di questi includono riferimenti espliciti a irrequietezza e acatisia. Basandosi su anni di esperienza nel controllo dei farmaci, l'FDA ha concluso che solo circa l'1% degli effetti collaterali gravi e fatali indotti dai farmaci può essere correlato a questo metodo di utilizzo. Questo significa che, come David Healy ha concluso, circa 200.000 suicidi collegati al Prozac sono avvenuti nel 1999, 50.000 dei quali sono stati probabilmente provocati da un estremo stato di agitazione. E questo vale solo per il Prozac. Il numero totale di suicidi collegati al consumo di tutti gli SSRI, compreso il Paxil, è naturalmente maggiore. D"altra parte, se confrontati con il consumo diffusissimo degli SSRI, questi casi sono relativamente rari. Si pensa che si tratti di casi eccezionali, da contrapporsi ai milioni di altri consumatori di Prozac che vivono felici e soddisfatti. Esiste comunque un"altra possibilità più agghiacciante. Se la maggior parte di quello che la Lilly sostiene sia falso sul Prozac, si rivelasse vero, allora anche quello che afferma essere vero potrebbe essere falso. Se, in contrasto con l'imbonimento pubblicitario dei media che ha accompagnato la rivoluzione del Prozac, gli SSRI non offrissero in realtà molti effettivi benefici rispetto ai vecchi antidepressivi che non provocano acatisia, come il Tofranil e l'Elavil? Se tutte queste morti fossero state gratuite? Visto da una prospettiva esterna, questo sembra assolutamente improbabile. Dall'interno, tuttavia, questa conclusione appare del tutto possibile. 5. La vera storia degli SSRI comincia negli anni "50, quando l'uso di antidepressivi fu limitato quasi esclusivamente a casi di depressione clinica. Nonostante vi fossero i presupposti per pensare che il nuovo antidepressivo a base di imipramina (Tofranil) potesse far stare i pazienti "meglio che mai", d"altra parte, come David Healy scrive in "The Antidepressant Era", "nessuno era interessato all'imipramina nel 1958". Parimenti, nessuno era interessato a sentirsi meglio che mai, specialmente se questo implicava immettere potenti sostanze chimiche nel cervello. Sebbene sia difficile da immaginare oggi, negli anni "50 la depressione era ancora ritenuta una condizione rara, che veniva dovutamente distinta dalla malinconia. "La depressione come è intesa oggi da un punto di vista sia clinico che legale è un fenomeno estremamente recente", continua Healy, "e per lo più limitato all'occidente". Il numero dei depressi negli anni "50 era stimato intorno ai 50 per milione di individui, un indice che sarebbe salito a 100.000 per milione di persone verso la fine del secolo. Questo è un aumento del 2000% per quella che è apparentemente una patologia ereditaria. Ciò che accadde in realtà in questi anni non fu la scoperta di una nuova malattia, e della sua cura. Ciò che accadde è che, dati i cambiamenti in atto nel mercato dei medicinali, l'industria farmaceutica cominciò a interessarsi alla depressione. Le industrie farmaceutiche hanno sempre considerato il pubblico come un grande bacino di utenza, un enorme mercato legale per vendere psicofarmaci. E così è stato a partire dal diciannovesimo secolo. Prima degli SSRI, il mercato dei farmaci per la mente non si focalizzava sulla depressione e sugli antidepressivi (i triciclici), ma sull'ansia e sui medicinali per guarirla (le benzodiazepine). Quando questi furono introdotti, negli anni "60, i produttori dei farmaci dichiararono che le benzodiazepine, dette anche ansiolitici, erano potenti ma non inducevano dipendenza. Il mercato dei barbiturici (Nembutal, Seconal) stava all'epoca crollando, poiché questi farmaci non potevano più sostenere di essere potenti senza indurre dipendenza. Questo incoraggiò un"ampia campagna promozionale per le benzodiazipine, seguita da numerose prescrizioni e da un consumo diffuso, con il risultato che farmaci come il Valium divennero i medicinali acquistabili con ricetta medica più popolari di tutti i tempi. Fino a quando milioni di americani avrebbero consumato bezodiazepine non ci sarebbe stato mercato per gli antidepressivi. Negli anni "80 le cose cominciarono a cambiare. Un numero sempre minore di medici era disposto a prescrivere le benzodiazepine per curare ogni tipo di disturbo psicologico, essendosi resi conto del

fatto che, così come era stato per i barbiturici, e ora è per gli SSRI, coloro che avevano maggior bisogno di questi farmaci tendevano anche a sviluppare una forte dipendenza da essi. Uno studio del 1983 riporta: "Nel corso degli ultimi tre anni si è verificato un cambiamento drastico nell'atteggiamento dei medici per quanto riguarda la prescrizione di bezodiazepine. Prima del 1980 questi farmaci erano considerati non solo come sicuri ed efficaci ansiolitici e ipnotici, ma anche come sostanze prive di gravi effetti collaterali. Da allora si è sempre più diffuso l'allarme sui rischi di dipendenza che il consumo regolare di questi medicinali comportava".(22) L"anno in cui il consumo di benzodiazepine ha raggiunto il picco più alto negli Stati Uniti è stato il 1973, quando furono compilate più di 80 milioni di prescrizioni. La progressiva diminuzione del consumo provocò un buco nel mercato interno dei farmaci per la mente. E gli SSRI si prospettarono come i medicinali che l'avrebbero riempito. Sintetizzato nei primi anni "60, il Prozac è stato il quarto SSRI a essere immesso nel mercato (non il primo, come la Lilly ha rivendicato).(23) Il primo fu un composto chiamato zimelidina (Zelmid), prodotto dall'industria farmaceutica europea Astra. Gli scienziati della Lilly David Wong, Bryan Molloy e Ray Fuller iniziarono la ricerca per un inibitore della ricaptazione della 5-idroxitriptamina (serotonina) l'8 maggio 1972.(24) Sebbene l'obiettivo fosse quello di produrre una sostanza che agisse più selettivamente sulla serotonina nel cervello, non era ben chiaro per che cosa il medicinale avrebbe potuto essere utile. Poco dopo fu prodotto il farmaco della Lilly 110140 - a.k.a fluoxetina e Prozac. Una volta appurato, nelle prime sperimentazioni in laboratorio, che la sostanza non uccideva le cavie animali (ma scatenava un"improvvisa alterazione di umore e aggressività nei gatti), la Lilly cominciò a sondare il mercato per un eventuale lancio del nuovo composto. In un meeting in Inghilterra svoltosi in quel periodo, lo psicofarmacologo Alec Coppen suggerì che il medicinale poteva essere utilizzato come antidepressivo.(25) La risposta della Lilly a tale proposito fu che, fra tutti i possibili impieghi del farmaco, questo non era contemplato.(26) La Lilly stava valutando la commercializzazione del Prozac non come antidepressivo - nè come un farmaco contro i disturbi della sindrome premestruale, contro disturbi ossessivo-compulsivi, contro il fumo, la timidezza o l'ansia - ma come antiipertensivo (per far abbassare la pressione del sangue). Le intenzioni della Lilly cambiarono negli anni "80, anche se ciò non fu dovuto ad alcuna nuova grossa scoperta medica o scientifica. La zimeldina dell'Astra era apparsa sul mercato come un nuovo (e brevettato) antidepressivo, seguito poco dopo da due altri SSRI (un brevetto è importante perché assicura l'esclusiva per il composto, permettendo così il rialzo del prezzo di vendita). Con il crollo del mercato della benzodiazepina, anche la Lilly cominciò a intuire maggiori possibilità commerciali nel trattamento della depressione, per la quale avrebbe avuto lo stesso bacino di utenza cui prima indirizzava la produzione di benzodiazepina. "In questo senso, l'emergere della depressione coincide con lo sviluppo degli SSRI" scrive David Healy in "The Creation of Psychopharmacology", che a metà degli anni "80 si pensava di sviluppare come ansiolitici o antidepressivi. Dopo la crisi della benzodiazepina, l'industria aveva una nuova famiglia di composti da vendere, ma la sua offerta non incontrava la domanda del mercato. E in effetti, a partire dal loro lancio come antidepressivi, vari SSRI sono stati prescritti per la cura di attacchi di panico, fobia sociale, stress da post-trauma, disturbi ossessivo-compulsivi, e altri malesseri dovuti all'ansia. In realtà, al contrario di quanto credono i consumatori, di alcuni SSRI non è stato possibile dimostrare l'effettiva efficacia nel trattare i classici disturbi depressivi. La conversione del Prozac ad antidepressivo rispecchia quanto è accaduto nel caso del Paxil, anche questo sintetizzato negli anni "70. Il Paxil non fu comunque introdotto sul mercato prima del 1993. Tale ritardo si deve ai ragionevoli dubbi iniziali della SmithKline, che riteneva che, nonostante l'immissione sul mercato dei nuovi antidepressivi brevettati (gli SSRI), questi non fossero così efficaci come gli esistenti triciclici.(27) Intrappolata in un momentaneo incantesimo di onestà professionale, la SmithKline ne uscì completamente quando si trattò di promuovere massicciamente farmaci simili al Prozac, la cui efficacia questa volta non fu presa in minima considerazione. Il Paxil sarebbe diventato un farmaco popolare nel mercato degli antidepressivi negli anni "90, e avrebbe

costituito un"opportuna porta di servizio per il rientro nel mercato degli ansiolitici. "Dall'avanguardia della depressione", scrive David Healy, "possono sempre essere lanciati raid nell'entroterra dell'ansia". Oppure, per usare le parole impiegate nel 2001 dalla GlaxoSmithKline, "milioni di persone soffrono di ansia cronica. Milioni potrebbero essere aiutati dal Paxil'. In seguito al calo esorbitante delle vendite di benzodiazepina, il numero delle prescrizioni di antidepressivi negli Stati Uniti nel 1989 fu più che raddoppiato. A meno di due anni dalla sua immissione sul mercato, il giro di affari per le vendite di Prozac arrivò quasi a triplicarsi, da 125 milioni a 350 milioni di dollari, raggiungendo un valore più alto della somma totale annua delle vendite negli Stati Uniti di tutti gli altri antidepressivi messi insieme. Nel 1990, quando la copertina del Newsweek intitolava "Il farmaco che può sconfiggere la depressione", il Prozac era diventato l'antidepressivo più prescritto di tutti i tempi. Intanto il mercato degli antidepressivi continuava a crescere. Le vendite annue di Prozac raggiunsero nel 1993 il traguardo di un miliardo di dollari. Nel 1999 sarebbe diventato il terzo farmaco più venduto dell'intero mercato dei medicinali acquistabili su ricetta medica, con più di 76 milioni di prescrizioni. In effetti, nel 1999 furono consumati più di 3 miliardi di dosi di SSRI. Nel 2000 le vendite annue di antidepressivi raggiunsero i 10 miliardi, e gli Stati Uniti da soli coprivano il 70% delle vendite mondiali del farmaco. In Giappone la rivoluzione del Prozac non ebbe mai luogo. Avendo i giapponesi manifestato meno problemi con le benzodiazepine, le vendite di questi farmaci non accusarono grossi colpi, e questo lasciava poco spazio nel mercato in cui immettere la rivoluzione del Prozac. Non fu alla Lilly, ma alla SmithKline che fu coniato il concetto di inibitore della ricaptazione della serotonina, anche se tutti i produttori di SSRI se ne appropriarono velocemente per promuovere i propri farmaci agenti sulla serotonina. 6. Come la nozione di "pentium", usata per vendere Dell, Gateway, e altri computer, il concetto di SSRI costituì un"efficace manovra di marketing. All'efficacia dell'espediente non corrispondeva tuttavia l'effettivo contenuto degli SSRI. Paxil, Zoloft, Prozac, Celexa e Luvox sono tutti considerati SSRI, ma il termine "selettivo" ha acquistato un significato popolare che va oltre quello originale. Gli SSRI non sono selettivi in ciò che trattano, o in quello che dichiarano di trattare, poiché sono ora acclamati come panacea generale per ogni tipo di disturbo psichico, dalla sindrome premestruale agli attacchi di panico, dalle cure per smettere di fumare a quelle per sconfiggere l'eccessiva timidezza. Gli SSRI non sono selettivi neanche nella loro azione biochimica sul cervello. Mentre i vecchi triciclici agiscono direttamente su due neurotrasmettitori chimici del cervello - ovvero la serotonina e la norepinefrina -gli SSRI agiscono solo sulla prima. Da qui il nome "inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina". Ma questa non è la loro sola azione. Gli SSRI possono non influire direttamente sulla norepinefrina, ma influiscono su altri sistemi biochimici, inclusi quelli che coinvolgono la dopamina. Dopo aver agito direttamente su questi equilibri, gli SSRI producono inoltre una cascata di effetti secondari e terziari a livello chimico e cellulare, la maggior parte dei quali rimangono inesplorati. Mentre, per esempio, una dose iniziale di Prozac aumenta l'attività della serotonina in un"area del cervello detta substantia nigra (mesencefalo), l'uso prolungato ha mostrato di produrre l'effetto esattamente opposto. Ciò che è chiaro a proposito degli SSRI, o almeno dovrebbe esserlo, è che le persone non provano infelicità o depressione semplicemente perché soffrono di uno squilibrio chimico di serotonina nel cervello. Mentre alcuni SSRI sono più selettivi nella loro azione specifica sulla serotonina (Celexa), e alcuni sono più potenti di altri nell'indurre il rilascio di serotonina (Luvox), queste differenze non significano che vi siano SSRI migliori di altri. Inoltre, poiché farmaci come il Prozac innalzano il livello della serotonina quasi immediatamente, risulta difficile capire come questo può spiegare gli effetti terapeutici degli SSRI, che impiegano giorni o settimane per manifestarsi.

Nonostante questi basilari elementi di farmacologia, la Lilly e gli altri produttori di SSRI riuscirono negli anni "90 a convincere il pubblico che le scienze farmaceutiche avevano assistito a una scoperta rivoluzionaria, in base alla quale gli SSRI correggevano squilibri biochimici ora riconosciuti fra le cause fondamentali della depressione. "Per favorire la normalizzazione dei livelli di serotonina" dichiarava la Lilly negli slogan pubblicitari di famose riviste degli anni "90 "i dottori prescrivono oggi solitamente il Prozac'. Improvvisamente, a tutti coloro che si sentivano giù di corda e depressi veniva data la spiegazione che soffrivano di livelli bassi di serotonina. Come spiega Peter Kramer in "Listening to Prozac', l'azione fondamentale degli antidepressivi precedenti agli SSRI - imipramina - è "sporca nei suoi effetti primari e secondari perché influisce sia sulla norepinefrina che sulla serotonina. Una volta compreso il modo di agire della imipramina, i farmacologi si sono messi al lavoro per sintetizzare un antidepressivo "pulito"". Parimenti, la frequente affermazione che la scienza psichiatrica ha conosciuto una rivoluzione può essere supportata da ben poche prove concrete. Consideriamo due articoli presi da famose riviste. Il primo, un importante articolo del Newsweek del 1994, "Oltre il Prozac', afferma: "La ricerca che una volta tracciava i confini della malattia - individuando i processi chimici cerebrali implicati nella depressione, nella paranoia e nella schizofrenia - si volge oggi allo studio dei disturbi più comuni della personalità". Tre anni dopo, un articolo del Time spiega che questi aspetti della mente non sono per niente chiari: Per quanto riguarda la depressione, la bulimia, l'obesità e il resto dei disturbi legati alla serotonina, comunque, nessuno può affermare con sicurezza quale parte del cervello sia interessata o come agiscano i farmaci... L"intera storia della serotonina e dei farmaci che la trattano è costituita in gran parte da processi di prove ed errori, segnati da scoperte casuali, relazioni inaspettate e imprevisti effetti terapeutici... I mezzi impiegati per trattare la serotonina nel cervello possono essere paragonati più a grossolani macheti che a fini scalpelli. Questo articolo del Time del 1997, "La molecola dell'umore", prosegue affermando d"altra parte che gli SSRI offrono dei benefici unici: Negli anni "60 emerse un secondo tipo di antidepressivi... Questi avevano maggiori effetti collaterali, che includevano sonnolenza e tachicardia. La ragione, secondo l'opinione generale degli scienziati, era che questi antidepressivi agivano in modo eccessivamente ampio sulle proprietà chimiche del cervello. La ricerca sembrava indicare nella serotonina la principale sostanza chimica che agisce sull'umore, sebbene non l'unica, portando gli scienziati a studiare un farmaco che inducesse l'azione esclusiva della serotonina. Nel 1974, dopo dieci anni di lavoro, la Eli Lilly giunse a sintetizzare il Prozac, il primo dei cosiddetti "inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina", o SSRI, che ottenne l'approvazione definitiva dell'FDA nel 1987. L"articolo si contraddice tuttavia quando parla dell'immissione sul mercato di un nuovo antidepressivo che non influisce sulla serotonina, ma sulla stessa sostanza neurochimica che era stata ritenuta irrilevante per la depressione, la norepinefrina: Gli psichiatri europei stanno valutando un nuovo farmaco, la reboxetina, il cui uso terapeutico è stato appena approvato nel Regno Unito, e che sembra essere più efficace del Prozac per i casi più gravi di depressione. Commercializzato con il nome Edronax, questo farmaco ignora completamente la serotonina ed è stato sintetizzato per influire su un"altra sostanza chimica, la norepinefrina, anch"essa avente una forte influenza sull'umore. A questo punto l'articolo del Newsweek completa il quadro, riportando che un altro medicinale recente, l'Effexor, sembra ancora più efficace degli SSRI, in quanto agisce sia sulla norepinefrina che sulla serotonina: "L"Effexor... stimola sia la serotonina che la norepinefrina, un altro agente chimico che influisce sull'umore. Con il suo più ampio effetto, l'Effexor dovrebbe curare i pazienti depressi che non rispondono alla somministrazione di Prozac'. Se, da una parte, l'azione selettiva sulla serotonina può indurre acatisia, autolesionismo, suicidio e omicidio, dall'altra questa non rappresenta, a quanto pare, la soluzione per curare l'umore dei pazienti. Antidepressivi come l'Edronax sembrano mostrare che la stimolazione della serotonina non è addirittura necessaria per produrre effetti antidepressivi. Alla fine del secolo si è infatti verifi-

cata la tendenza ad abbandonare gli SSRI e a volgersi verso un nuovo (o almeno appena brevettato) tipo di composti, i quali influiscono sia sulla serotonina che sulla norepinefrina. Una volta scaduto il brevetto del Prozac, la Lilly ha annunciato, verso la fine del 2001, che sperava di commercializzare un nuovo antidepressivo più efficace entro la fine del 2002. Il farmaco, la duloxetina, è stato soprannominato agente a "doppia azione", in quanto, come recita il sito internet della Lilly, "innalza il livello di due importanti sostanze chimiche cerebrali", la serotonina e la norepinefrina. Una conferenza degli scienziati della Lilly sul medicinale durante il congresso del "New Clinical Drug Evaluation Unit", presso il National Institute of Mental Health concludeva: "L"incremento dei livelli extracellulari di serotonina e norepinefrina, indotto dalla somministrazione di duloxetina, indica che quest"ultima stimola l'azione di neurotrasmissione della serotonina e della norepinefrina e si ritiene curi efficacemente le depressioni maggiori". Questo è quello che rimane del Prozac, che doveva essere un antidepressivo rivoluzionario, il prodotto della più recente e aggiornata ricerca scientifica. Fortunatamente per la Lilly, i media hanno scarsa memoria. Nel dicembre del 2001 il Boston Globe ha cominciato a pubblicizzare il futuro farmaco della Lilly, dichiarando: "Mentre il Prozac e medicinali come questo aumentano la quantità di serotonina nel cervello, la duloxetina e l'Effexor incrementano la disponibilità di due importanti sostanze chimiche che eccitano l'umore: la serotonina e la norepinefrina. Avendo una doppia azione, secondo i medici questo nuovo tipo di farmaco può essere più efficace nel trattare la depressione dei pazienti rispetto a medicinali come il Prozac'. 7. Gli SSRI sembrano essere sul viale del tramonto, sicuramente, in parte, per i rischi che comportano i farmaci che agiscono selettivamente sulla serotonina. Il culto degli SSRI è comunque ancora molto diffuso. Essi sono "proiettili magici", secondo quanto è giunto a credere il pubblico, e ogni allusione al contrario incontra un"ondata di proteste. Così nel 1999, quando lo scrittore John Horgan scrisse un editoriale sul New York Times intitolato "Nazione Placebo", i lettori inviarono una valanga di lettere di protesta, affermando che i nuovi antidepressivi come il Prozac avevano aiutato milioni di persone, migliorando la vita di innumerevoli malati. La reazione suscitata dalla dichiarazione di Horgan non sorprende, in quanto conferma il fatto che i consumatori di Prozac e altri antidepressivi possono trarre benefici non solo dal prodotto in sé -ovvero le sostanze farmacologiche - ma anche dal trattamento - ovvero l'esperienza della cura. Per coloro che hanno visto il proprio umore migliorare con l'assunzione di Prozac, Paxil, Zoloft, o qualsiasi altro antidepressivo, questa insinuazione è stata vissuta come uno schiaffo in faccia. Il Prozac non è un placebo, è un inibitore selettivo della ricaptazione di serotonina, un SSRI! In effetti lo è. Ma questo non è il punto su cui si concentrava l'attenzione di Horgan. Come per ogni altro farmaco psicoattivo, compresi la cocaina e il Ritalin, gli effetti antidepressivi del Prozac sono indissolubilmente legati agli stessi processi psicosomatici che caratterizzano ogni altro momento dell'uso di medicinali. Horgan sosteneva che un effetto placebo può verificarsi in quanto l'atto di assumere il farmaco provoca un drastico cambiamento psicologico, che va dall'abbattimento alla speranza.(28) Il Prozac produce realmente i suoi effetti, e in alcuni pazienti tali effetti possono portare a "risultati eccellenti", a "un sollievo liberatorio", a " un umore sereno e allegro", e a altri "straordinari risultati".(29) D"altra parte, anche gli effetti placebo sono reali come gli effetti farmacologici, e, data l'impossibilità di distinguerli e identificarli durante l'uso di un farmaco, la definizione precisa dell'effetto dovuto alla sostanza del farmaco in sé non è in realtà così scontata come sembra.

Un caso emblematico è rappresentato dall'MK-869, un composto sintetizzato dalla Merck farmaceutica. Nel campo della medicina psichiatrica il problema dell'effetto placebo rappresenta una costante minaccia che desta grandi preoccupazioni, in quanto, per ottenere l'approvazione dell'FDA, le industrie farmaceutiche devono dimostrare che i loro medicinali sono in grado di superarlo. Come riporta un articolo della rivista Science, intitolato "Il Placebo può essere la cura?", le prime sperimentazioni cliniche portarono la Merck a ritenere che il proprio nuovo composto sarebbe stato un efficace antidepressivo, e con minori effetti collaterali rispetto agli altri, compreso il Prozac.(30) Il 22 gennaio 1999, tuttavia, ogni progetto cadde, quando la Merck annunciò che non avrebbe chiesto l'approvazione dell'FDA per il nuovo composto. Il motivo? Mentre gli ultimi dati delle ricerche suggerivano la validità del farmaco nel curare la depressione, questo non era in realtà più efficace di un semplice placebo. "Un nuovo composto - un"invenzione della Merck conosciuta come MK-869 - dopo diverse sperimentazioni cliniche, sembrava avere tutte le premesse per diventare il farmaco del nuovo millennio per i milioni di persone che assumono quotidianamente antidepressivi. La notizia [che il MK-869 sarebbe stato accantonato] è stato un duro colpo per la Merck e Wall Street: il giorno in cui la Merck ha emesso l'inatteso comunicato le azioni della società sono scese del 5%". Le industrie farmaceutiche non sono le sole a dover affrontare la sfida del placebo. Lo stesso problema interessa un consumatore di un farmaco che, una volta ingerita la pillola, desidera sapere quali siano gli effetti prodotti specificatamente dalle sostanze contenute in tale medicinale. Per i consumatori di SSRI che hanno ricavato benefici ed esperienze positive, che possono manifestarsi nell'arco di giorni o settimane, la questione rimane aperta: come essere sicuri che gli effetti manifestati dipendano realmente dal farmaco in sé? Può trattarsi, anche solo in parte, di un effetto placebo? Questa può sembrare una domanda da dover porre ai giurati in casi come quello di William Forsyth, ma bisogna tener presente una differenza fondamentale: gli effetti placebo non includono solitamente reazioni come autolesionismo, suicidio e assassinio. Un rapporto degli Archives of General Psychiatry del 1965 illustra i motivi per i quali non è facile e scontato come sembra distinguere con esattezza gli effetti psicologici di un farmaco. Lee Park e Lino Covi, due giovani psichiatri della John Hopkins University, fecero luce su alcune di queste dinamiche psicologiche quando si chiesero cosa sarebbe successo se ai loro pazienti fosse stato prescritto un placebo presentato ai malati stessi come tale. Per rispondere alla domanda, i due medici convocarono quindici nuovi pazienti che soffrivano di ansia e depressione e spiegarono loro: "Molte persone che soffrivano di disturbi come i vostri hanno tratto giovamento dall'assunzione delle cosiddette "pillole di zucchero", e noi pensiamo che queste cosiddette "pillole di zucchero" potrebbero aiutare anche voi... Siete disposti a provare una "pillola di zucchero"? È una pillola che non contiene sostanze farmacologiche". Dei quattordici pazienti che acconsentirono di partecipare all'esperimento (tutti i candidati tranne uno), tutti si presentarono al secondo appuntamento, e tutti tranne uno dichiararono di aver assunto almeno i due terzi del numero prestabilito di pillole. Con loro sorpresa, Park e Covi notarono che ogni paziente cui erano somministrate le pillole di zucchero avvertiva una riduzione dei propri disturbi psicologici. In media il livello di ansia dei partecipanti all'esperimento si ridusse del 43%. Quindi, la maggioranza dei pazienti si sentì meglio dopo una settimana di pillole di zucchero. Quando fu chiesto ai partecipanti i motivi per cui avrebbero dovuto sentirsi meglio, essendo state somministrate loro delle semplici pillole di zucchero, nove di essi attribuirono il merito alla pillola, di questi nove cinque sospettavano o credevano fermamente di aver ricevuto veri e propri farmaci e non pillole placebo. Dei restanti cinque, due attribuivano i propri miglioramenti alle cure dei medici più che alle pillole, e tre parlarono di miglioramenti autonomi, indipendenti da agenti esterni. Fra i partecipanti che attribuirono il proprio miglioramento alla pillola, vi era un paziente di 45 anni, descritto come un uomo rigido, recidivo agli stimoli esterni e avente una forma di "depressione ansiosa". Il paziente aveva sofferto gravemente di insonnia, inappetenza, senso di disperazione, desiderio di morte, e alcuni disturbi somatici (ovvero fisici). Durante l'intervista l'uomo confermò l'attenuarsi di tutti i sintomi, a eccezione della mancanza di appetito.

All'inizio del colloquio, il paziente dichiarò immediatamente: "Non era una pillola di zucchero; era un medicinale!". L"uomo evidenziò inoltre che, assumendo tali pillole, era in grado di pensare con maggiore lucidità, migliorando il suo atteggiamento nei confronti dei propri problemi e del futuro. Oltre agli effetti psicologici positivi, il paziente riportò anche precisi effetti collaterali legati alle pillole, fra i quali mancanza di salivazione e disturbi allo stomaco. Alla domanda sulle ragioni del proprio miglioramento, egli rispose che probabilmente gli avevano mentito dicendo che stava assumendo pillole placebo affinché attribuisse a se stesso i propri miglioramenti invece che al farmaco. La seconda persona che visse questa esperienza fu una donna di 24 anni, madre di tre figli. La paziente soffriva di depressione e lamentava disturbi di insonnia, anoressia, irritabilità e tensione. Dopo una settimana di pillole di zucchero anche questa paziente dichiarò che "queste non sono pillole di zucchero... perché funzionano". La donna era infatti molto scettica a proposito dell'efficacia terapeutica del placebo, e affermò che le pillole a lei somministrate erano più efficaci di ogni altro farmaco provato precedentemente. Notò di non essere mai stata così bene, in tutta la vita, e si dichiarò felice di continuare la cura con lo stesso medico e le stesse pillole. Naturalmente, le testimonianze dei pazienti a favore di un farmaco non necessita che siano comprovabili per essere convincenti. Determinare quale sia l'effetto specifico di un medicinale significa estrapolare tale effetto da un"intera gamma di esperienze in corso. Questa operazione non è facile, e può addirittura essere teoricamente impossibile, in quanto gli effetti farmacologici e quelli non farmacologici di un medicinale non si manifestano parallelamente in due sfere diverse e separate della nostra coscienza, ma sono al contrario percepiti in un"unica combinazione, in cui la totalità dell'esperienza bio-psico-sociale eccede la somma delle singole parti. La questione è ulteriormente complicata dal fatto che, secondo la letteratura specifica, la maggior parte dei consumatori di SSRI sono effettivamente influenzati dall'effetto placebo. Come ha riepilogato il New York Times, "Una rassegna di studi [del 1998] sul legame fra gli odierni farmaci antidepressivi e l'effetto placebo ha dimostrato che i placebo e i veri medicinali funzionano nello stesso modo". Questo significa che molto del merito attribuito agli SSRI dovrebbe essere invece accreditato all'effetto placebo. Il rapporto citato dal Times fu una delle tre meta-analisi della letteratura specifica sulla depressione, comparse negli anni "90, ognuna delle quali concluse, indipendentemente, che l'effetto placebo influiva notevolmente sull'efficacia degli antidepressivi. (31) In generale, l'efficacia attribuita agli SSRI appariva derivare per circa due terzi dall'effetto placebo. Queste cifre possono sembrare confuse. In generale si associa spesso l'effetto placebo a un placebo, così che gli effetti di un farmaco e l'effetto placebo sono considerati mutuamente esclusivi. Come può l'effetto di un farmaco rivelarsi in parte o largamente un effetto placebo? L"espressione "effetto placebo" rappresenta un altro modo per dire che fattori non farmacologici possono contribuire significativamente ai cosiddetti effetti dei medicinali. Se, come sembra certo, l'effetto placebo deriva da convinzioni e aspettative, cosa c'è di meglio di un farmaco effettivo per innestare l'effetto placebo? Mentre alcuni risponderanno positivamente agli SSRI e non al placebo, la maggior parte dei pazienti beneficerà sia dei fattori farmacologici che di quelli non farmacologici, i quali agiscono contemporaneamente e in combinazione. Alla stessa conclusione si arriva se si considerano i quattro studi che la Lilly ha sottoposto all'esame dell'FDA per l'approvazione del farmaco.(32) In questo contesto emerge chiaramente che gli effetti collaterali pericolosi del Prozac avrebbero potuto essere individuati e contestati se l'FDA si fosse più strettamente attenuta a rigorosi standard scientifici. Se si fosse basata sui dati relativi ai pazienti che hanno assunto esclusivamente Prozac, il farmaco della Lilly avrebbe potuto fare la stessa fine dell'MK-869 della Merck. Questa conclusione deriva dal fatto che, se i risultati degli esperimenti sui 135 pazienti che hanno assunto benzodiazepine sono sottratti dalla banca dati che la Lilly ha presentato all'FDA, il vantaggio statistico del Prozac sul placebo svanisce. Il fatto che la benzodiazepina può far apparire il Prozac come un efficace antidepressivo non stupisce, in quanto l'ansia è da tempo conosciuta come fattore costitutivo delle sindromi depressive. Il quarto studio presentato

dalla Lilly, che non contempla l'uso simultaneo di medicinali ansiolitici, non mostra infatti alcuna differenza statisticamente significante fra il Prozac e il placebo. 8. Parlare di effetti placebo in relazione agli SSRI sembrerà a molti una contraddizione. Come è possibile che gli SSRI si leghino a suicidi e omicidi e, allo stesso tempo, siano per molti consumatori efficaci come un semplice placebo? In realtà non è contraddittorio sostenere che un farmaco è potente, ma non nel trattare ciò che pretende. La stessa creazione dell'FDA, infatti, così come l'emissione del Food, Drug and Cosmetic Act nel 1938, fu motivata dal prospettarsi di una situazione in cui, mentre una varietà di medicinali in commercio aveva scarse possibilità di essere efficace se non come placebo, le sue componenti attive potevano minacciare la salute pubblica. E lo stesso è accaduto a proposito degli SSRI, purtroppo, molti anni più tardi. L"incantesimo del miracolo farmacologico è stato preparato, il Prozac è stato esaltato come la nuova panacea per guarire il malessere della moderna vita quotidiana, e milioni di individui sono stati esposti a un gruppo di farmaci che erano in realtà più tossici, più costosi e meno efficaci dei medicinali già esistenti. Se si considera il potere determinante del marketing e del meccanismo delle prescrizioni, e il conseguente ritorno di tendenza ai farmaci che agiscono su elementi neurochimici diversi dalla serotonina, appare evidente che il Prozac non sarebbe nemmeno stato necessario per lanciare la "rivoluzione del Prozac'. Qualsiasi tipo di antidepressivi non SSRI poteva essere ideato per la rivoluzione, così come lo sono oggi per la prossima. Confezionati e venduti con la stessa promessa di far stare "meglio che mai", questi nuovi farmaci avrebbero potuto dare ai pazienti quello che volevano, e senza i tragici danni provocati dal Prozac. Note 1. Vedi Cornwell, John. “The Power to Harm", New York: Viking, 1996. 2. Vedi Grinfeld, Michael Johnathan. "Protecting Prozac', California Lawyer (Dicembre 1998). 3. Vedi Boseley, Sarah. "They Said It Was Safe", Guardian (Londra), 30 ottobre 1999. 4. Vedi "Healy General Causation Report" e "Zoloft Suicide: Causal Mechanisms: The Healy Report", in www.justiceseekers.com. 5.. Acatisia: sensazione di non riuscire a rimanere fermo accompagnata da una reale irrequietezza motoria. 6. Vedi Medawar, Charles. “The Antidepressant Web", International Journal of Risk & Safety in Medicine 10 (1997): 75-126, www.socialaudit.org.uk; vedi anche Breggin, Peter R. “Talking Back to Prozac', New York St. Martin"s Press, 1994 7. Vedi, per esempio, Wirshing, William C. "Fluoxetine, Akathisia, and Suicidality: Is There a Causal Connection?", Archives of General Psychiatry 49 (1992). 8. Vedi "Zoloft Suicide: Causal Mechanisms: The Healy Report", www.justiceseekers.com. 9. Vedi Teicher, Martin H. "Emergence of Intense Suicidal Preoccupation Durino Fluoxetine Treatment", American Journal of Psychiatry 147.2 (febbraio 1990). Il rapporto comprendeva sei casi: il caso 1 era una donna di 62 anni che cominciò a coltivare pensieri suicidi e ad avvertire altri effetti collaterali negativi undici giorni dopo aver iniziato una cura di Prozac, vedendo scomparire completamente questi sintomi tre giorni dopo aver interrotto il farmaco. Il caso 2 era un uomo di 39 anni che cominciò a coltivare ossessioni suicide e fantasie di autolesionismo un mese dopo aver iniziato ad assumere Prozac. L"improvviso cambiamento dei suoi modi portò sia la madre anziana che l'ex-moglie a fare diverse chiamate d"emergenza presso le autorità mediche competenti. Alcune settimane dopo l'interruzione della cura di Prozac questi problemi scomparvero completamente. Il caso 3 era una studentessa del college di 19 anni, la quale sviluppò "pensieri inquietanti e autodistruttivi" dopo due settimane di Prozac. Quando la dose fu aumentata da 20mg a 40mg i disturbi peggiorarono, aggravandosi ulteriormente quando il dosaggio fu aumentato fino a 60mg. Inspiegabilmente la dose fu aumentata una terza volta a 80mg, portando la paziente a infliggersi percosse e mutilazioni. La ragazza non manifestò miglioramenti fino a tre mesi di distanza dall'interruzione del farmaco. Il caso 4 era una donna di 39 anni che avvertì un

peggioramento della propria depressione e l'emergere di pensieri suicidi dopo due settimane di Prozac. Per la prima volta la paziente iniziò a coltivare fantasie di comprare una pistola e uccidersi. Dopo l'interruzione del Prozac la donna ebbe grandi miglioramenti. Il caso 5 era una donna di 39 anni che, dopo aver iniziato il Prozac, avvertì il ritorno di pensieri suicidi per la prima volta dopo anni. "A differenza della sua precedente esperienza con impulsi suicidi, questa volta la paziente vi si abbandonò e li nascose ai medici". I pensieri suicidi diminuirono circa undici giorni dopo l'interruzione del Prozac. Il caso 6 era molto simile al caso 4.10. Dalla testimonianza di David Healy di fronte alla corte federale di primo grado degli Stati Uniti, "Susan Forsyth vs Eli Lilly and Company", Civil No. 95-00185.11. Vedi Boseley, Sarah. “They said It Was Safe", Guardian (Londra), 30 ottobre 1999. Ulteriori articoli interessanti di Sarah Boseley si trovano sul sito internet www.guardian.co.uk. 12. Vedi Beasley, C. M., B. E. Dornseif, J. C. Bosomworth. "Fluoxetine and Suicide: A Meta-analysis of Controlled Trials of Treatment for Depression", British Medical Journal, 303 (1991). 13. Vedi Healy, David. "From the Psychopharmacology File", The Psychopharmacologists, Londra: Altman, 1996. (raccolta di interviste) Il rapporto dello studio di S. Jick, A. D. Dean e H. Jick, "Antidepressants and Suicide" (1995) fornisce un confronto più credibile in merito al numero di suicidi per Prozac. Considerando dieci antidepressivi usati da un totale di 170.000 pazienti in cura presso strutture di assistenza di base in Gran Bretagna, questi ricercatori notarono che il Prozac, l'unico SSRI impiegato nello studio, era legato a casi di suicidio con una frequenza almeno due volte più alta rispetto agli altri antidepressivi. L"indice dei suicidi riportato dallo studio Jick era di circa 189 suicidi per 100.000 anni di uso del farmaco (gli anni di uso del farmaco sono calcolati perché i medicinali più vecchi sono spesso stati assunti dai pazienti per periodi di tempo più lunghi). La Lilly sostiene che questo numero è più basso dell'indice complessivo dei casi di suicidio in cui sono coinvolti pazienti depressi, che ammonta a circa 600 suicidi per 100.000 anni. Queste cifre più elevate riguardano tuttavia dati su gravi casi di depressione, mentre la maggioranza dei pazienti che assume Prozac soffre di forme più lievi di depressione. Come la stessa presentazione del prodotto della Lilly recita nel 1996, l'efficacia del Prozac "è stata stabilita in base a sperimentazioni cliniche di 5 e 6 settimane con pazienti non ricoverati... L"azione antidepressiva del Prozac su depressi più gravi, ricoverati in strutture ospedaliere, non è ancora stata adeguatamente studiata". 14. Vedi inoltre Meltzer. "Extrapyramidal Side Effects and Increased Serum Prolactin Following Fluoxetine, a New Antidepressant", Journal of Neural Transmission 45 (1979). 15. Vedi inoltre Meltzer. "Extrapyramidal Side Effects and Increased Serum Prolactin Following Fluoxetine, a New Antidepressant", Journal of Neural Transmission 45 (1979). 16. Dalla testimonianza di David Healy di fronte alla corte federale di primo grado degli Stati Uniti, Susan Forsyth vs. Eli Lilly and Company, Civil No. 95-00185; un altro studio riporta un indice del 25%. Vedi Lipinski, J. F., G. Mally, P. Zimmerman e H. G. Pope. "Fluoxetine Induced Akathisia: Clinical and Theoretical Implications", Journal of Clinical Psychiatry 50 (1989). 17. La statistica in base agli anni di uso del farmaco tiene conto del fatto che antidepressivi più vecchi sono stati usati dai pazienti per periodi di tempo più lunghi rispetto ai nuovi farmaci; vedi op. cit., Healy, "From the Psychopharmacology File". 18. Vedi Healy, David. "Antidepressant Induced Suicidality", Primary Care Psychiatry 6 (2000). 19. Vedi Boseley, Sarah. "Murder, Suicide", Guardian (London), 11 giugno 2001. 20. Vedi www.quitpaxil.org 21. Citazione da op. cit., Medawar. 22. Vedi Tyrer, P. e R. Owen. "Gradual Withdrawal of Diazepam After LongTerm Therapy", The Lancet (giugno 1983). 23. Vedi op. cit., Healy, “The Antidepressant Era". 24. Vedi Wong, D. T. "Prozac (Fluoxetine, Lilly 110140), The First Selective Serotonin Reuptake Inhibitor and an Antidepressant Drug: Twenty Years Since Its First Publication", Life Science 57 (1985). 25. Vedi op. cit., Healy, “The Antidepressant Era" 26. ibid. 27. ibid. 28. Come conclude un saggio del 1964 sull'efficacia degli antidepressivi contenuto nel Journal of the American Medical Association, "La depressione è, in generale, una delle patologie psichiatriche aventi maggiori possibilità di miglioramento con o senza una cura farmacologia specifica. La maggior parte delle depressioni risponde a reazioni di autosuggestione e l'indice dei miglioramenti spontanei o indotti tramite placebo è spesso molto alto. Per esempio, in una serie di nove studi effettuati su pazienti

ricoverati, il 57% degli individui sottoposti a una terapia di placebo ha manifestato miglioramenti in un arco di tempo dalle due alle sei settimane". Cole, J. O. "Therapeutic Efficacy of Antidepressant Drugs, A Review", JAMA 190 (1964). 29. Elogio agli SSRI tratto da una sessione di chat su internet, citato in op. cit., Medawar. 30. Numero del 9 aprile 1999. 31. Vedi Kirsch, I. e G. Sapirstein. "Listening to Prozac and Hearing Placebo", Prevention and Treatment, rivista internet dell'American Psychological Association (giugno 1998) www.apa.org. Kirsch e Sapirstein riportano che, in base a studi effettuati, le variazioni nell'efficacia degli antidepressivi derivavano in grande misura dalle variazioni di intensità dell'effetto placebo. Gli studiosi notarono inoltre che i placebo farmaci che non dovrebbero avere efficacia clinica o farmacologia nella cura della depressione erano efficaci esattamente come gli antidepressivi. Vedi inoltre Fisher, S. e R. P. Greenberg, “The Limits of Biological Treatments for Psychological Distress", Hillsdale, NJ: Erlbaum, 1998. Per un"esauriente panoramica di queste teorie vedi Fisher, S. e R. Greenberg. "Prescriptions for Happiness", Psychology Today (settembre/ottobre 1995). 32. Vedi op. cit., Breggin. “The Lilly Suicides" è tratto dal volume di prossima pubblicazione “The Cult of Pharmachology".

L"ESILIO DI UN GIORNALISTA Perché un reporter americano ha dovuto lasciare il paese per fare il suo mestiere Greg Palast Punto primo. Stupidi. No, non siete stupidi. È che vi parlano soltanto come se lo foste. Punto secondo. Fuori di testa, pericolosa, disgustosa. Avete mai sentito parlare di Cynthia McKinney, ex membro del Congresso degli Stati Uniti? Secondo la National Public Radio:(1)... la McKinney è una "mina vagante" (per citare le parole di un esperto di media); ... "i cittadini di Atlanta sono imbarazzati e disgustati" dalla McKinney (per citare le parole di un politico);...la McKinney è "fuori di testa" e "pericolosa" (per citare le parole di un Senatore del suo stesso partito). Accidenti! E perché la McKinney sarebbe pericolosa/pazza/disgustosa? Secondo la NPR, "la McKinney lasciò intendere che l'Amministrazione [Bush] sapesse in anticipo degli attacchi previsti per l'11 settembre e avesse deliberatamente tenuto nascosta l'informazione". Il New York Times rivelò poi che i commenti dell'onorevole si spinsero ben oltre la misura: "Miss McKinney ha suggerito che il Presidente Bush potrebbe essere venuto a conoscenza degli attacchi prima dell'11 settembre ma che non fece nulla, in modo da permettere ai suoi sostenitori di far soldi in una conseguente guerra". Beh, è una pazzia, questo è certo. Come ha detto alla NPR un redattore del rispettabilissimo Atlanta Journal Constitution, la McKinney ha "praticamente accusato il Presidente di omicidio!". Ma il vero problema è che la McKinney non ha mai detto una cosa del genere. È così: la dichiarazione incriminata di Cynthia McKinney è una vera e propria montatura. Una grossa bugia, una favolosa fandonia, una frottola, un imbroglio. Semplicemente, uno spudorato falso. OVUNQUE Ecco la trascrizione di una mia telefonata. Times: "New York Times". "Potrebbe passarmi l'interno di Lynette Clemetson?" Times: "Pronto?" "Salve, Lynnette. Mi chiamo Greg Palast, e mi interesserebbe approfondire un suo pezzo. Dice, vediamo, appena dopo l'apertura... riguarda Cynthia McKinney... la dicitura riporta Washington, 21 agosto... cito: «gli oppositori [dell'On. McKinney] hanno tratto vantaggio dal furore causato dalle dichiarazioni di Miss McKinney, la quale quest"anno ha avanzato l'ipotesi che il Presidente Bush potrebbe essere venuto a conoscenza degli attacchi dell'11 settembre ma che non fece nulla, in modo da permettere ai suoi sostenitori di far soldi in una conseguente guerra». Fine della citazione. Ora, io mi sono dannato l'anima per trovare questa frase. Non ci sono riuscito...". Times: "Ha provato nell’ Atlanta Journal Constitution?" "Sì, ma non sono riuscito a trovare questa dichiarazione". Times: Io ho sentito quella dichiarazione... era ovunque. "So che era ovunque, ma rimane il fatto che nessuno riesce a trovarla, ed è per questo che me ne sto interessando così tanto. Ora, lei ha visto la dichiarazione sull'Atlanta Journal Constitution?" Times: "Sì...". [N.B.: Nell'Atlanta Journal Constitution non è assolutamente riportata una tale dichiarazione diretta della McKinney]. "E conferma che è della McKinney?" Times: "Beh, io ho lavorato con il suo ufficio. La dichiarazione proviene dal dibattimento in aula della Camera [dei Deputati]... Giusto?

"Quindi lei ha verificato che la dichiarazione provenisse dal dibattimento della Camera dei Deputati?" Times: "Beh, non avrei fatto il pezzo altrimenti... Ha guardato nelle trascrizioni della Camera?" "Lo ha verificato sì o no?" Times: "Naturalmente". "Lo ha verificato?" [N.B.: Nelle trascrizioni o in altre registrazioni della Camera dei Deputati non è assolutamente riportata tale dichiarazione della McKinney]. Times: "Credo che debba tornare di nuovo a vedere nelle trascrizioni della Camera... insomma, in quel momento era dappertutto". Sì, questo è senz"altro un fatto che la reporter del Times non ha falsificato, visto che la dichiarazione "attribuita" alla McKinney era, indubbiamente, ovunque: sul Washington Post, alla National Public Radio e, inutile a dirsi, in tutti gli altri quotidiani metropolitani - ovunque, ma non in bocca al membro del Congresso McKinney. Non era neppure nel Congressional Record(2), né in nessun altro discorso registrato, né sul sito web dell'onorevole, né in nessuno dei suoi discorsi radiofonici. Ecco la dichiarazione dell'On. McKinney, così come appare negli atti ufficiali: "George Bush non aveva alcuna informazione precedente relativa al piano di attacco al World Trade Center dell'11 settembre". Oh, scusate. Dovrei dire l'ex membro del Congresso McKinney. È stata battuta alle primarie del Partito democratico, nell'agosto 2002. Più precisamente, è stata battuta e abbattuta, dal punto di vista politico, da quella dichiarazione montata ad arte. CHIAROSCURI IN FLORIDA Diversi mesi prima dell'elezione presidenziale del 2000, dagli uffici del Governatore della Florida, Jeb Bush, e del Segretario di Stato, Katherine Harris, partì l'ordine di rimuovere 90.000 cittadini dai registri elettorali, in quanto criminali, furfanti, delinquenti incalliti (e i delinquenti non votano in Florida). C"era solo un problema: il 97% degli individui presenti nella lista era in realtà innocente... Non erano criminali, ma erano colpevoli del fatto di... essere neri. Più della metà dei nomi presenti nella lista appartenevano a non bianchi. Non sto tirando a indovinare: ho la lista, estratta dai computer degli uffici di Katherine Harris, e accanto a ogni nome compare la razza del votante "purgato". Ed ecco spiegato come è stato eletto il nostro Presidente: eliminando in maniera illegale decine di migliaia di rispettabili elettori afroamericani, solo in virtù della loro razza. Ma voi sicuramente lo sapevate... o almeno avreste potuto saperlo se aveste letto i giornali britannici, visto che io ho raccontato ciò che avevo scoperto sul Guardian di Londra. E l'ho riferito anche nel notiziario notturno. Lo avrete visto... certo, sempre che viviate in Europa, in Canada o in Sud America. Negli Stati Uniti, il pezzo è stato tranquillamente ignorato. Beh no, permettete che mi corregga. Il Washington Post pubblicò il mio pezzo con la finta lista di criminali che ha eletto il nostro Presidente, e persino con un commento firmato da me. Scrissi l'articolo settimane prima dell'elezione, quando Al Gore era ancora in corsa. Il Post lo ha pubblicato coraggiosamente... ben sette mesi dopo l'elezione. Il New York Times lo ha invece pubblicato... beh, mai, non lo ha mai pubblicato, neppure in seguito alla confessione della truffa da parte della stessa Katherine Harris davanti a un tribunale [la NAACP(3 )riuscì infatti a citare in giudizio sia la Harris che lo stato della Florida]. Così, non posso dire che il New York Times ritocchi sempre le notizie che pubblica. Qualche volta è la notizia stessa a non venire proprio pubblicata.

Alla BBC Television avevamo i file e i documenti informatici della Florida, contrassegnati come "Riservati", il che dimostra in maniera schiacciante come il pasticcio dei voti sia stato deliberatamente architettato dai funzionari repubblicani. Neanche uno dei maggiori quotidiani Usa ha richiesto i documenti, né allo stato né alla BBC. Solo un membro del Congresso ha richiesto le prove e le ha rese pubbliche: Cynthia McKinney, di Atlanta. E questo è stato il suo primo errore. La società il cui nome è stato collegato con la falsa lista dei criminali è un"azienda che si occupa di database, chiamata "ChoicePoint": oltre a essere legata ai Repubblicani, è una delle più ricche e potenti società di Atlanta. COME VOLPI NEL POLLAIO MEDIATICO Prima di iniziare a lavorare con la BBC a Londra, seguii un corso di formazione televisiva di un giorno con il corrispondente da Washington della Fox News. Riprendemmo Al Gore. In particolare, riprendemmo gli undici secondi di osservazioni estemporanee di Al Gore... che ci erano stati dati due ore prima dalle eleganti signore in blu del suo staff, mandate in avanscoperta. Il tizio della Associated Press scrisse un trafiletto di riferimento sulle osservazioni estemporanee di Gore, un"ora prima che Al entrasse e le pronunciasse. Il reporter della rete televisiva copiò le righe principali della AP. Io copiai le righe principali della AP. Dopo esserci quindi guadagnati gli undici secondi di Al Gore e un po" di filmato (con qualcuno tra i presenti che diceva: "wow, Al Gore ha parlato in maniera davvero diversa da quella in cui parla di solito Al Gore"), ci sistemammo di fronte all'albergo in cui aveva parlato il nostro. Il reporter dell'importante rete televisiva guardò severamente in camera e parlò con una voce molto importante. Io guardai di traverso la telecamera e parlai con una voce molto importante. Non ricordo cosa ho detto. Lui non si ricorda cosa ha detto. Nessuno ricorda cosa abbiamo detto. E nessuno dovrebbe, infatti. UN'IMMAGINE CHE VALE MILLE BUGIE Nel giugno 2002, nella stessa settimana in cui la NPR avvertiva gli ascoltatori che la McKinney era un elemento pericoloso, nonché una sballata, un altro servizio attirò la mia attenzione. Al San Francisco Chronicle c'era questa fotografia dell'Associated Press che mostrava dei dimostranti: "DECINE DI MIGLIAIA DI VENEZUELANI HANNO MANIFESTATO CONTRO IL PRESIDENTE HUGO CHAVEZ... " La didascalia ci comunicava che questo monarca assoluto sudamericano era un assassino, un autocrate, e che i cittadini della sua nazione volevano cacciarlo via. La didascalia continuava: "[I venezuelani] sabato hanno marciato per chiedere le sue dimissioni e la giusta pena per i responsabili della morte di 17 persone durante un colpo di stato avvenuto in aprile. "Chavez vattene!" si legge su un enorme striscione". In realtà sul Chronicle non c'era un vero e proprio servizio (dato che non vale la pena sprecare parole per il Sud America), soltanto la foto e la didascalia. Ma il Chronicle sapeva anche che non era necessario alcun servizio: i venezuelani odiavano il loro terribile Presidente, e per dimostrarlo era sufficiente quell'unica foto. E io fui in grado di confermare che c'erano state grandi proteste, dato che ero recentemente tornato da Caracas, e avevo visto 100.000 persone marciare contro il Presidente Chavez. Le avevo riprese per la BBC Television di Londra. Ma avevo ripreso anche qualcos"altro: una marcia ben più consistente, composta da più di 200.000 venezuelani che marciavano a sostegno del loro Presidente. Quella fotografia, della marcia più grande a favore di Chavez, non è apparsa neppure in un quotidiano statunitense. I dimostranti a favore di Chavez non meritavano neppure di essere menzionati.

TUTTE NOTIZIE CHE NON FANNO ABBASTANZA NOTIZIA Il mese seguente, quando il New York Times pubblicò una foto dei dimostranti anti-Chavez, questi si erano addirittura riprodotti come metastasi. Il Times scrisse che in 600.000 avevano protestato contro Chavez. Ancora una volta, le manifestazioni maggiori a favore di Chavez erano, come si usa dire in America Latina, "desaparecidas". Immagino che non facessero abbastanza notizia. GOLDFINGER Vi ho per caso detto che l'Onorevole (ora ex On.) McKinney è nera? E non di un tipo qualsiasi, ma del tipo ostinato. E con "ostinato" intendo dire questo: George Bush Senior, dopo aver lasciato la Casa Bianca, divenne consigliere e faccendiere per una compagnia mineraria canadese che estraeva oro, la Barrick Gold. Beh, bisogna pur lavorare... Ma riguardo alla Barrick circolavano alcuni interrogativi spinosi, tanto per usare un eufemismo. Per esempio, si diceva che la miniera d"oro della Barrick in Congo stesse finanziando entrambe le fazioni in lotta nella guerra civile, contribuendo così a perpetrare quel sanguinoso conflitto: era vero? Solo un membro del Congresso richiese delle indagini sulla questione. Sì, avete indovinato: proprio Cynthia McKinney. La cosa è stata riportata nel... beh, non è stata proprio riportata dalla stampa Usa. La McKinney mi contattò alla BBC, chiedendomi se avevo sentito parlare della Barrick. E ovviamente, la conoscevo, eccome. I maggiori investigatori che si occupano di diritti umani avevano le prove che una compagnia mineraria (acquistata dalla Barrick nel 1999), mentre stava smantellando le sue proprietà in Tanzania tre anni prima, aveva spianato con il bulldozer alcuni pozzi minerari... seppellendo vivi circa 50 minatori. Certo che conoscevo la Barrick: avevano citato in giudizio il Guardian per aver osato pubblicare un servizio (scritto da me) a proposito delle dichiarazioni sulla strage. La Barrick non aveva mai citato in giudizio un giornale americano per aver osato pubblicare l'articolo, perché mai nessun giornale americano aveva osato farlo. La fonte principale per il mio articolo, un avvocato noto a livello internazionale che si chiama Tundu Lissu, fu accusato di sedizione dalla polizia della Tanzania e quindi arrestato solo per aver richiesto un"indagine. Cynthia McKinney ha tentato di salvargli la vita organizzando una campagna internazionale mirata contro la Barrick. Questo è stato un altro dei suoi errori. QUESTO FA ABBASTANZA NOTIZIA Il New York Times ha scritto, a proposito della McKinney, che "i maggiori leader neri [di Atlanta], tra cui Julian Bond, uno dei massimi esponenti della NAACP, e l'ex Sindaco Maynard Jackson (che in passato hanno sostenuto l'On. McKinney), questa volta ne hanno invece preso le distanze". Sul serio? La città di Atlanta ha quattro leader neri, riconosciuti a livello internazionale. Martin Luther King III non ha abbandonato la McKinney; gliel'ho chiesto personalmente. E non lo ha fatto neppure Julian Bond (su richiesta di Bond, il Times ha ritrattato l'affermazione sul sito web del giornale, cosa piuttosto rara). Ma rimangono due altri notevoli personaggi di Atlanta: Vernon Jordan e Andrew Young. In questo caso, il Times aveva visto giusto; non c'è dubbio che questi due volti neri dell'establishment di Atlanta abbiano abbandonato a se stessa la McKinney - e questo, insinuava il Times, per via della presunta pazzia dell'onorevole.

Ma forse è un"altra la ragione per cui Young e Jordan hanno lasciato arrostire a fuoco lento la McKinney. Ricordate la Barrick? L"ex compagnia mineraria di George Bush, l'obiettivo delle indagini dell'On. McKinney? Vi ho mai detto che Andy Young e Vernon Jordan sono entrambi stipendiati dalla Barrick? Beh, ecco, l'ho detto. Pensate che il Times l'avrebbe detto? Questa non era abbastanza una notizia per essere stampata. QUESTIONE DI CHIAROSCURI Date un"occhiata alla foto del Chronicle/AP sui dimostranti anti-Chavez in Venezuela. Notate il colore della loro pelle. Bianca. E non di un bianco qualsiasi. Un bianco cremoso e ricco. Io li ho intervistati e registrati, in questo ordine: un banchiere in tacchi alti e reggiseno push-up, un dirigente di un"industria petrolifera (stesso equipaggiamento) e un proprietario terriero venuto a Caracas con una Jaguar argentata. E il colore dei manifestanti pro-Chavez? Marrone scuro. Marroni e rotondi come noci di cola, proprio come il loro eroe, il Presidente Chavez. Indossavano la stessa uniforme, jeans e t-shirt. Lasciate che vi spieghi. Per cinque secoli, il Venezuela è stato governato da una minoranza di abitanti bianchissimi, discendenti purosangue dei conquistatori spagnoli. Per più dell'80% dei venezuelani, che sono di pelle scura, Hugo Chavez è il Nelson Mandela nazionale, l'uomo in grado di annientare l'apartheid economico e sociale che ha tenuto milioni di cittadini dalla pelle scura ammassati nelle case di cartone sulle colline sopra Caracas, mentre i bianchi vivevano nello splendore d"alto bordo del centro cittadino. Chavez, come mi ha detto con un ghigno un giornalista di Caracas, "dà loro pane e latte, e così quelli votano per lui". Perché vi sto spiegando le fondamenta della società venezuelana? Se guardaste BBC TV, o Canadian Broadcasting, sapreste tutte queste cose. Ma se leggete il New York Times, saprete soltanto che il Presidente Chavez è un "autocrate", un "demagogo dannoso" e un "potenziale dittatore", che ha rassegnato le dimissioni quando ha riconosciuto la sua impopolarità. Strane espressioni - "dittatore", "autocrate" - vengono usate per descrivere un uomo che è stato eletto dalla stragrande maggioranza (56%) dei votanti. A differenza del nostro Presidente. DIMESSO Il 12 aprile 2002 Chavez si dimise dalla carica di Presidente del Venezuela. Si disse così, proprio così, nero su bianco, in ognuno dei maggiori quotidiani Usa, nessuno escluso. Apparentemente, per citare il New York Times (un articolo-tipo, il suo) Chavez ha riconosciuto di essere impopolare, si è reso conto che il suo tempo era ormai concluso: "Con le dimissioni di ieri del Presidente Hugo Chavez, la democrazia venezuelana non è più minacciata da un potenziale dittatore". Il punto è che il pezzo sulle "dimissioni" era un falso clamoroso, una fantasmagorica montatura. In realtà il Presidente del Venezuela era stato rapito sotto la minaccia di un"arma da fuoco e portato via in elicottero dal palazzo presidenziale. Non aveva dato le dimissioni, non ha mai dato le dimissioni; e uno dei suoi rapitori (che sosteneva segretamente Chavez) gli diede un cellulare con il quale poté chiamare gli amici e la famiglia, confermando loro di essere vivo, e ancora il Presidente. Lavorando per il Guardian e la BBC, riuscii a raggiungere, a poche ore dal rapimento, gli uomini chiave del governo in Venezuela, per confermare che questo presunto fatto delle dimissioni era solo una miserabile sciocchezza. Ma per il Dipartimento di Stato Usa è stata una sciocchezza di grande entità. La storia delle false dimissioni diede ai nuovi leader, appoggiati dagli Stati Uniti, una pretesa di legittimazione: Chavez si era dimesso, dunque questo era un cambio di governo legale, non un colpo di stato (l'Organizzazione degli Stati Americani, infatti, esclude il riconoscimento di governi che giungano al potere tramite l'uso della violenza). Se gli organizzatori del golpe non avessero rovinato tutta l'operazione - il colpo fallì nel giro di 48 ore - o se avessero assassinato Chavez, non avremmo mai saputo la verità. I giornali Usa presero una colossale cantonata; ma come? Qual era la fonte di questa frottola delle "dimissioni"? Chiesi a

un reporter statunitense perché mai i media americani avessero riportato questa sciocchezza come un dato di fatto, senza verificarla. La risposta fu che proveniva da una fonte affidabile: "L"abbiamo avuta dal Dipartimento di Stato". Oh. UN MANICOMIO ELETTRONICO "È pazzo!", grida un oppositore del Presidente Chavez in una trasmissione. E se aveste guardato l'intervista a Chavez di 60 Minutes, avreste visto una lunga intervista ridotta a pochi secondi ben selezionati che, al di fuori di ogni contesto, facevano apparire Chavez uno sballato... un pazzo, come la McKinney. Nell'ex Unione Sovietica, i dissidenti venivano spediti ai manicomi, per ridurli al silenzio e screditarli. Nella nostra democrazia abbiamo un mezzo più sottile (e più efficace) per ridurre al silenzio e screditare i dissidenti. Televisione, radio e stampa segregano i nemici dello stato nel manicomio mediatico, in maniera molto affabile. La McKinney è "fuori di testa", Chavez è un "autocrate". È un manicomio elettronico. Non sentite più ciò che devono dirvi, perché vi è stato detto tutto con le immagini, a ripetizione, e voi avete già rimosso le loro parole... se mai, per qualche ragione fortuita, le loro parole siano riuscite a sfondare il muro di Berlino della televisione. Provateci, fate una ricerca su Google o Lexis con le parole Chavez e autocrate. Chavez è dunque un autocrate? È vero, ci sono centinaia di persone detenute senza alcuna accusa, ma questo accade negli Stati Uniti di George Bush; in Venezuela non ce ne sono. "George Bush è il Presidente. Lui prende le decisioni. Vuole che io prenda posizione? Basta solo che mi dica dove" Tutto ciò non riguarda il Venezuela reale, ma il Venezuela virtuale, creato per voi dai custodi americani dell'informazione. Le vie di fuga sono tutte controllate. THE PAPER OF RECORD(4) 5 gennaio 2003, New York City. Ho preso dei panini in Delancey Street e il Times della domenica. Sembra che quel figlio di buona donna di Chavez sia di nuovo all'opera: c'era infatti una grande immagine che ritraeva mezza dozzina di persone stese al suolo. L"articolo del Times diceva: "I dimostranti si sono riparati dai gas lacrimogeni durante una manifestazione antigoverno tenutasi venerdì a Caracas, Venezuela. Al trentatreesimo giorno di sciopero nazionale, è stato aperto il fuoco su numerosi dimostranti". Eccolo lì: l'articolo completo sul Venezuela per il Paper of Record. Forse la dimensione non conta. Ma questo sì: anche questo minuscolo pezzo non è altro che un cumulo di scottanti menzogne. Sì, due persone furono colpite a morte: quelle che partecipavano alla marcia a sostegno di Chavez. Sarei ingiusto se dicessi che ogni giornale Usa ha ripetuto la propaganda in stile Times. In ogni altro quotidiano, si vedeva una foto della grande marcia a sostegno di Chavez e una foto nella quale era ritratta la vedova "chavista", che sistemata all'interno di un pezzo offriva la versione reale dei fatti. È interessante notare che l'articolo più completo e corretto è stato pubblicato da un organo di stampa che in passato non è certo stato troppo amichevole nei confronti di Chavez, e cioè El Diario, il più vecchio giornale in lingua spagnola di New York. Morale: è possibile essere informati negli Stati Uniti. Ma non in lingua inglese. Venerdì 3 gennaio 2003. Il New York Times pubblicò un lungo pezzo dal titolo "Approfondimento: uno sguardo sul Venezuela". Vennero interpellati quattro esperti. Per equità, occorre dire che due di loro non amano Chavez, mentre gli altri due disprezzano Chavez. Il giornalista del Times scrisse: "il Presidente dice che resterà al potere". "Al potere?" Che strano modo d"esprimersi, per un politico legittimamente eletto. Dato che anch"io avevo parlato con Chavez, mi sembrò strano che avesse usato un"espressione del genere. Chiarì che sarebbe rimasto "in carica", ed è una conclusione

piuttosto diversa dall'affermare di voler restare "al potere". Ma allora, la forza del Times non sta proprio nelle citazioni, dal momento che Chavez non ha mai detto una cosa del genere. Immagino che sia da imputare a me il linciaggio elettronico della McKinney. A differenza di altri politici, l'On. McKinney, che sta conseguendo un dottorato di ricerca alla Fletcher School of Diplomacy di Princeton, preferisce fare da sé le sue ricerche, non affidandosi ai promemoria del suo staff. È stata per molto tempo una lettrice delle mie cronache dalla Gran Bretagna, tra cui le trascrizioni delle indagini per BBC Television. Il 6 novembre 2001, Newsnight della BBC mandò in onda questo servizio, seguito da un articolo sul Guardian il giorno seguente: Mercoledì 7 novembre 2001 Indagini precedenti all'11 settembre I funzionari dissero di "fare marcia indietro" sui sauditi prima dell'11 settembre. L"FBI e i funzionari del servizio segreto militare a Washington affermano che, per motivi politici, venne loro impedito di portare avanti indagini complete su membri della famiglia bin Laden negli Stati Uniti, prima degli attacchi terroristici dell'11 settembre. I servizi segreti statunitensi sono stati fortemente criticati per il loro fallimento su larga scala nel prevedere la catastrofe al World Trade Center, ma alcuni lamentano il fatto di aver avuto le mani legate. I documenti dell'FBI, mostrati la scorsa notte a Newsnight della BBC e ottenuti anche dal Guardian, dimostrano che i servizi segreti avevano tentato in precedenza di indagare su due parenti di in Laden, presenti a Washington, e su un"organizzazione musulmana alla quale questi erano legati. E così via. Non c'è nulla riguardo al fatto che Bush sapesse in anticipo degli attacchi dell'11 settembre. Il tutto riguarda un terribile fiasco dei servizi segreti. È stato il risultato, come ci hanno detto alla BBC esponenti dell'FBI e della CIA/DIA (Defense Intelligence Agency), di un blocco posto sulle indagini relative a finanziamenti della strategia del terrore provenienti dall'Arabia Saudita. Mostrammo persino sugli schermi la copia di un documento top-secret che ci era stato passato da agenti FBI scontenti, nel quale si dà istruzione all'agenzia di non svolgere indagini su una "sospetta organizzazione terroristica" guidata negli Stati Uniti da un membro della famiglia bin Laden. L"FBI sapeva di questi personaggi prima dell'11 settembre (il loro ufficio era proprio nella stessa strada in cui abitavano i dirottatori). La CIA sapeva anche di un incontro tenutosi a Parigi, precedente all'11 settembre, nel quale erano coinvolti un principe saudita, trafficanti d"armi e al Qaeda. Sebbene queste informazioni fossero a disposizione, l'indagine venne ostacolata dai capi dei servizi segreti di Bush. Ed è a proposito di questo che la McKinney voleva venisse fatta luce. Perché i sauditi, la famiglia bin Laden (tranne Osama) e questa organizzazione, la World Assembly of Muslim Youth (Assemblea Mondiale della Gioventù Musulmana, NdT), erano fuori dalla lista degli indagati precedente all'11 settembre, malgrado le prove dimostrassero che erano invece obiettivi logici di un"inchiesta? La BBC ritenne necessario porre queste domande; il Guardian ritenne necessario porre queste domande; e lo stesso fece il membro del Congresso McKinney. Perché non ci fu alcuna indagine relativa a questi personaggi, prima dell'11 settembre? E quale fu il motivo del blocco delle indagini? Secondo gli esperti interpellati dalla televisione britannica, tutto fu dovuto al desiderio fanatico dell'Amministrazione Bush di proteggere le proprie relazioni con l'Arabia Saudita: un"ossessione micidiale della propria linea politica che, secondo lo stimato Center for Public Integrity (Centro per la Pubblica Integrità, NdT) di Washington, DC, sembra influenzato dai legami della famiglia Bush, e dai legami dei finanziatori repubblicani, con la dinastia reale saudita. La McKinney, membro della House Foreign Relations Committee (Commissione per i Rapporti Esteri della Camera, NdT), ritenne che l'indagine BBC/Guardian/Observer meritasse un conseguente riesame da parte del Congresso. Secondo la NPR, la "folle" dichiarazione dell'onorevole fu fatta al notiziario radiofonico Counterspin (non è un caso che Counterspin sia prodotto da un concorrente della NPR, l'emittente no-profit Pacifica Radio Network). Io ne possiedo le trascrizioni, che sono anche in rete. Non vi è alcuna traccia dell'accusa secondo la quale Bush avrebbe saputo in anticipo degli attacchi dell'11 settembre e avrebbe insabbiato il tutto deliberatamente. Ciò che si legge è la sua richiesta di approfondimento delle rivelazioni della BBC e di Usa Today, relative alle informazioni di una

crescente minaccia del terrore ignorata da Bush... e il suo interrogativo riguardo alla risposta politica prevista (guerra, guerra, guerra): così si stava davvero proteggendo l'America o la guerra era semplicemente un modo per arricchire i grandi finanziatori delle industrie di armi di Bush e i suoi partner in affari? Domande lecite. Ma porre queste domande è pericoloso... per la propria carriera politica. Nel servizio della BBC che ha cacciato nei guai la McKinney si menzionava la riluttanza dell'Amministrazione Bush a indagare sugli affiliati della World Assembly of Muslim Youth (WAMY), che il documento segreto dell'FBI definiva come "sospetta organizzazione terroristica". Potrebbe esserlo o non esserlo, ma la domanda dell'On. McKinney era semplicemente questa: perché non indagare? Proprio appena dopo la sconfitta elettorale della McKinney, in Africa fu arrestato il corriere del nastro con l'ultima presunta minaccia di bin Laden contro gli Stati Uniti: l'uomo apparteneva allo staff della WAMY. Di lì a poco il Principe Abdullah, il dittatore saudita, invitò al suo palazzo i leader della WAMY e disse loro che "non c'è estremismo nella difesa della fede". Così, se negli Usa ascoltate la radio e leggete i giornali vi viene detto questo: il protettore e padrino di Abdullah, George W. Bush, è un uomo sano di mente e patriottico, mentre la McKinney, che vuole indagare su queste persone, è una sballata e una traditrice. Chiaro il concetto? Nel 2002 le redazioni della BBC e del Guardian hanno ricevuto un premio dalla California State University School of Journalism per il servizio Bush/bin Laden, quello che ha affossato la McKinney, come uno dei dieci servizi più importanti dell'anno tra quelli censurati dalla stampa Usa. Grazie infinite. Sfortunatamente, la scuola di giornalismo non distribuisce premi minori per i vincitori scovati da Project Censored(5). Suggerisco loro di inventarne uno, come per gli Oscar, ma il nostro dovrebbe essere una piccola copia dorata di Dan Rather(6)... legato, imbavagliato e bendato. DITEMI DOVE POSSO AVERE INFORMAZIONI Dan Rather era presente alla mia trasmissione, cioè è stato intervistato da uno dei miei colleghi a Newsnight della BBC. È il programma che mandò in onda il servizio su bin Laden come prima notizia nel giornale della sera, notizia che venne oscurata negli Stati Uniti. Dan Rather ha detto: "Mi spiace dirlo, ma noto che sta crescendo in larga misura la convinzione che il pubblico non abbia bisogno di sapere, e quindi si limita l'accesso alle notizie, si limitano le informazioni per coprire le spalle di coloro che hanno la responsabilità della guerra. Tutto ciò è estremamente pericoloso e non dovrebbe essere accettato, e mi spiace dire che, fino a questo momento e anche adesso, durante questa intervista, viene accettato dalla stragrande maggioranza del popolo americano. E l'attuale Amministrazione gioisce di questo, ci prende gusto e vi si rifugia". E Dan Rather ha aggiunto: "È un paragone osceno, lo so, non sono sicuro che piaccia nemmeno a me, ma voi sapete che ci fu un tempo in cui in Sudafrica si mettevano addirittura dei copertoni in fiamme al collo di coloro che dissentivano. E da alcuni punti di vista si teme che anche qui si possa essere presi per il collo, presi per il collo dalla mancanza di patriottismo come da uno di quei copertoni. Ora, è la paura che trattiene i giornalisti dal fare le domande più dure e scomode, e dal continuare a insistere con le domande dure, sempre di più. E ancora una volta, sono mortificato nel dirlo, non escludo neppure me stesso da questa critica". E Dan ha infine concluso: "E uno si ritrova a dire: "So qual è la domanda giusta da fare, ma che volete, questo non è proprio il momento giusto per farla"". Naturalmente, Dan ha detto tutte queste cose di fronte a un pubblico inglese. Di ritorno negli Stati Uniti, Dan ha detto all'America: "George Bush è il Presidente. Lui prende le decisioni. Vuole che io prenda posizione? Basta solo che mi dica dove".

Dan Rather: profilo di un uomo coraggioso. LA CILIEGINA SULLA TORTA: IL PEZZO DI TED KOPPEL(7) Non tormentiamo Dan. Diamine, lui è uno dei migliori. Lavoriamo invece su Ted Koppel, un uomo che si è guadagnato una reputazione per aver redatto molti articoli importanti, anche se nessuno riesce a ricordarseli. Eppure, io trovai indimenticabile uno dei pezzi di Nightline. Era una specie di prosecuzione del servizio della BBC sulle elezioni. La nostra redazione alla BBC scoprì che, dei 180.000 voti mai conteggiati nella contesa presidenziale 2000 in Florida, un numero vergognosamente alto proveniva dalle contee a maggioranza nera. Nella Contea di Gasden, dove più della metà della popolazione è nera, una scheda elettorale su otto fu dichiarata "nulla" e, quindi, mai conteggiata. Lo staff di Koppel si è gettato a capofitto sul caso, volando fino in Florida per scoprire perché migliaia di voti di elettori neri non furono mai considerati validi. Parlarono con esperti, parlarono con importanti personaggi bianchi, e Koppel trasse questa conclusione: molti neri votavano per la prima volta e, data la loro limitata educazione, hanno avuto difficoltà a segnare il proprio voto sulle sofisticate schede elettorali. In altre parole, concluse la ABC, gli afroamericani sono maledettamente stupidi, troppo per riuscire a capire come votare. Beh, se è vero, bisogna per forza riferirlo. Ma le cose non stavano così. Era una menzogna, un"enorme panzana fatta apposta per la mendacia televisiva, una frottola buona per l'eugenetica intellettuale, per chi brucia ancora le croci sotto le spoglie di una cordiale liberalità. Ecco il vero scoop: gli elettori di tutte le razze commettono errori sulle schede elettorali. Ma nelle contee bianche come Leon (Tallahassee), se si fa un segno casuale o un altro errore, la macchina espelle la scheda, ed è possibile avere un"altra scheda per votare di nuovo. Ma nelle contee nere, come Gasden, se si fa un errore la macchina prima accetta tranquillamente la scheda, quindi la invalida. In altre parole, non sono gli afroamericani a essere troppo stupidi per votare, ma i reporter europeoamericani sono troppo stupidi per chiedere, troppo pigri per prendersi il disturbo, troppo vigliacchi per dire ai burocrati di smettere di mentire davanti alle telecamere. Così vi hanno mentito a proposito della McKinney, vi hanno mentito a proposito del Venezuela, vi hanno mentito a proposito dell'11 settembre, vi hanno mentito a proposito delle elezioni. Ma non voglio che abbiate un"impressione sbagliata, a partire da questi esempi. Vi hanno mentito a proposito di molte altre cose ancora. E vi hanno mentito quando hanno detto che non stavano mentendo. 90 SECONDI Di ritorno in sala montaggio con Mr "Reporter-televisivo-di-una-rete-di-Washington", eravamo pronti a far arrostire a fuoco lento il nostro pollo, il servizio su Gore. Avevamo tutti gli ingredienti. "Tirate fuori gli orologi", disse l'uomo della Fox. "Avete 90 secondi", disse. "Ecco tutto ciò che avete a disposizione: avete un intro, 40 secondi per la cronaca, due stralci del discorso ufficiale e il finale con figura intera, in camera". Ripetei: "Quaranta secondi per la cronaca, due stralci di discorso, una figura intera". Lui disse: "Due stralci di discorso e una figura intera. Per tutti i servizi, tutte le volte". Disse: "Che ne dici?" Dissi: "Dico che lascerò il paese".

Hanno collaborato alle ricerche Oliver Shykles, Fredda Weinberg, Ina Howard e Phil Tanfield.

Note del Traduttore 1. La maggiore emittente radiofonica nazionale negli Stati Uniti.2. Rivista che pubblica gli atti ufficiali del Congresso degli Stati Uniti. 3. National Association for the Advancement of Colored People: potente organizzazione USA che si occupa di diritti delle minoranze. 4. È un archivio storico con tutte le prime pagine dei giornali americani. 5. Istituto di ricerca massmediologica USA che si occupa di controinformazione e censura mediatica. 6. Noto anchorman statunitense della rete televisiva CBS. 7. Altro celebre anchorman statunitense, conduttore di Nightline, programma della rete televisiva ABC.

ATROCITÀ DEI MEDIA NELLA GUERRA IN KOSOVO Michael Parenti Per gran parte di un decennio il pubblico statunitense è stato bombardato da una campagna mediatica volta a demonizzare il popolo serbo e i suoi leader eletti. Per tutto questo periodo, il governo statunitense ha perseguito l'obiettivo di frammentare la Jugoslavia in un grappolo di piccoli principati deboli, dipendenti, soggetti a libero mercato. La Jugoslavia era l'unico paese dell'Europa orientale che non intendeva smantellare lo stato sociale e il sistema economico rivolto al settore pubblico. Era l'unico paese che non aveva fatto richiesta di entrare nella NATO. Stava - e per ciò che ne rimane, lo sta facendo ancora - pianificando una via indipendente, non conforme ai dettami del Nuovo Ordine Mondiale. I SERBI NEL MIRINO Tra i vari popoli jugoslavi i serbi furono scelti come bersaglio per un"opera di demonizzazione in quanto rappresentavano il gruppo più numeroso, nonché quello che maggiormente si opponeva alla divisione del paese. Ma che dire delle atrocità che hanno commesso? Tutte le parti in causa commisero atrocità durante i combattimenti, atrocità incoraggiate dalle potenze occidentali nel corso del passato decennio, ma nel riferire di quelle serbe il punto di vista è stato assolutamente unilaterale. Episodi spaventosi, commessi da croati e musulmani contro i serbi, sono emersi raramente nella stampa Usa, e quando ciò è successo è stata loro accordato solo un brevissimo cenno.(1) Nel frattempo, le atrocità serbe sono state ingigantite e talvolta, come vedremo, persino create ad arte. Recentemente, tre generali croati sono stati accusati dal Tribunale dell'Aja per Crimini di Guerra, i crimini loro imputati sono il bombardamento e l'uccisione di serbi nella Kraijna e altrove. Dov'erano le troupe televisive statunitensi quando questi crimini venivano commessi? John Ranz, presidente dell'associazione statunitense Survivors of Buchenwald Concentration Camp (Sopravvissuti del campo di concentramento di Buchenwald, NdT), chiede: "Dov'erano le telecamere quando centinaia di serbi vennero massacrati dai musulmani vicino a Srebrenica?".(2) La versione ufficiale, fedelmente ripetuta a pappagallo dai media Usa è che furono le forze serbobosniache a commettere tutte le atrocità perpetrate a Srebrenica. Dobbiamo allora credere ai leader statunitensi e ai media (di proprietà delle grandi imprese) quando spiattellano storie di efferate atrocità? Ricordate i 500 bambini nati prematuri che i soldati iracheni strapparono, ridendo, dalle incubatrici in Kuwait - una storia ripetuta e creduta vera da tutti, finché anni dopo non venne denunciata come una totale montatura? Durante la guerra in Bosnia nel 1993, i serbi furono accusati di perseguire ufficialmente una politica di stupro di massa. "Andate e stuprate". In base a quanto riportato, un comandante serbo-bosniaco istruiva pubblicamente le sue truppe in questo modo. Non si riuscì mai a risalire alla fonte di questa storia e non venne mai reso noto il nome di quel comandante. Per quanto ne sappiamo, quella dichiarazione non venne mai fatta. Persino il New York Times pubblicò tardivamente una ritrattazione striminzita, ammettendo timidamente che "l'esistenza di una "politica di stupro sistematico" da parte dei serbi deve ancora essere dimostrata".(3) Le forze serbo-bosniache, stando alle diverse versioni riportate dei fatti, violentarono dalle 25.000 alle 100.000 donne musulmane. L"esercito serbo-bosniaco ammontava a 30.000 unità o giù di lì, molte delle quali furono coinvolte in scontri militari disperati. Una rappresentanza dell'Helsinki Watch(4) notò che i resoconti di stupri di massa da parte dei serbi provenivano dai governi bosniaco-musulmano e croato, e che questi non avevano nessuna prova credibile a loro sostegno. Il senso comune avrebbe suggerito di trattare questi resoconti con il massimo scetticismo - e non di usarli come pretesto per una politica aggressiva e punitiva contro la Jugoslavia.

Il tema propagandistico dello "stupro di massa" fu riesumato nel 1999 per giustificare il prolungato massacro in Jugoslavia da parte della NATO. Un titolo del San Francisco Examiner (del 26 aprile 1999) ci dice: “"La strategia serba è lo stupro organizzato", dicono i rifugiati del Kosovo". Non vengono fornite prove né testimonianze a sostegno di questa accusa; solo in fondo al pezzo, nel diciannovesimo paragrafo, leggiamo che i rapporti raccolti dalla missione in Kosovo dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) non hanno trovato alcuna traccia di tale politica dello stupro premeditato. Il numero reale di violenze sessuali era nell'ordine di dozzine di casi, "e non molte dozzine", secondo un portavoce dell'OSCE. Questo stesso articolo segnala velocemente che il Tribunale delle Nazioni Unite per i Crimini di Guerra condannò un comandante militare bosniaco-croato a dieci anni di prigione per non essere riuscito a impedire alle sue truppe di violentare donne musulmane nel 1993 - un"atrocità di cui abbiamo sentito ben poco parlare nel momento in cui si stava verificando. Anche poche dozzine di stupri sono comunque poche dozzine di troppo. Ma possono bastare a fornire la giustificazione per una guerra a un intero paese? Se Mr. Clinton avesse voluto fermare le violenze sessuali, avrebbe potuto iniziare un po" più vicino a casa sua, a Washington, DC, dove ogni mese si verificano dozzine di stupri. Senza dubbio, poi, avrebbe potuto metterci al corrente riguardo a quanto sono maltrattate sessualmente le donne a Capitol Hill e nella stessa Casa Bianca... I serbi furono incolpati dell'infame massacro al mercato di Sarajevo. Tuttavia, secondo il rapporto fatto trapelare dalla televisione francese, i servizi segreti occidentali sapevano che erano stati attivisti musulmani a bombardare civili bosniaci nella piazza del mercato, allo scopo di indurre il coinvolgimento della NATO nella guerra. Persino il negoziatore internazionale David Owen, che lavorò con Cyrus Vance, ammise in un suo libro che le potenze della NATO sapevano sin dal principio che si trattava di una bomba musulmana.(5) In un"occasione, fa notare Barry Lituchy, il New York Times pubblicò una foto che avrebbe dovuto ritrarre dei croati affranti di fronte alle atrocità commesse dai serbi, quando in realtà gli omicidi in questione erano stati compiuti da musulmani bosniaci. Il Times pubblicò un"oscura ritrattazione la settimana successiva.(6) La campagna propagandistica contro Belgrado è stata così inesorabile che persino eminenti personaggi della sinistra - inizialmente contrari alla politica della NATO in Jugoslavia - si sono invece sentiti obbligati a genuflettersi di fronte a questa ortodossia della demonizzazione che aveva come riferimento la non meglio specificata e non verificata "brutalità" serba e il "mostruoso Milosevic'.(7) In questo modo hanno dimostrato e dimostrano di essere anch"essi vittime dell'influenza diretta della stessa macchina della propaganda mediatica che criticano così tanto a proposito di altre questioni. Rifiutare la demonizzazione dell'immagine di Milosevic e del popolo serbo non vuol dire idealizzarli, oppure affermare che le forze serbe sono senza colpa o innocenti rispetto ai crimini, ma significa semplicemente mettere in dubbio la propaganda unilaterale che ha posto le basi per l'aggressione della NATO alla Jugoslavia. LA MONTATURA DELLA PULIZIA ETNICA Finché non iniziarono i bombardamenti NATO nel marzo del 1999, il conflitto in Kosovo aveva causato la perdita di 2.000 vite da entrambe le parti, secondo le fonti kosovare albanesi; le fonti jugoslave parlavano invece di 800 vittime. Un tale numero di perdite è rivelatore di una guerra civile, non di un genocidio. Belgrado è stata dichiarata colpevole per la sua politica di espulsione forzata dal Kosovo, ma tali espulsioni iniziarono in maniera consistente solo dopo i bombardamenti NATO, con migliaia di persone che venivano sradicate dalle loro case dalle forze serbe, specialmente nelle aree in cui stavano operando i mercenari dell'UCK, l'esercito di liberazione del Kosovo. Dovremmo tenere bene in mente che decine di migliaia di persone fuggirono dal Kosovo perché il paese veniva continuamente bombardato senza pietà dalla NATO, o perché era il teatro di

prolungati scontri di terra tra le forze jugoslave e l'UCK, o perché, semplicemente, queste persone avevano paura e fame. A una donna albanese che attraversava il confine con la Macedonia fu prontamente chiesto da un operatore di una troupe televisiva se fosse stata scacciata dalla polizia serba. Lei replicò: "Non c'erano serbi. Avevamo paura delle bombe [della NATO]".(8) Io riuscii a leggere questo commento solo nel San Francisco Guardian, un settimanale alternativo, non nel New York Times o nel Washington Post. Si stima che dai 70.000 ai 100.000 residenti serbi del Kosovo si diedero alla fuga durante i bombardamenti (per la maggior parte diretti a nord, ma alcuni anche a sud), così come fecero migliaia di rom e altri.(9)I serbi si stavano forse ripulendo etnicamente da soli? Oppure queste persone stavano scappando dai bombardamenti e dagli scontri di terra? Eppure, la marea di rifugiati causata dai bombardamenti fu ripetutamente usata dai guerrafondai statunitensi per giustificare i bombardamenti stessi, questi ultimi spacciati come un mezzo di pressione esercitato su Milosevic per permettere "il ritorno sicuro dei rifugiati di etnia albanese".(10) Mentre gli albanesi del Kosovo stavano partendo in gran numero (di solito ben vestiti e in buona salute, alcuni alla guida dei loro trattori, camion o macchine, molti di loro giovani in età da reclutamento) si diceva che venissero "massacrati". Venne ripetutamente riportato che le "atrocità serbe" - non l'estesa guerriglia con l' UCK e certamente non il massiccio bombardamento NATO "portò via più di un milione di albanesi dalle proprie case".(11) Più recentemente, si è accennato al fatto che i rifugiati kosovari albanesi non ammontavano neppure lontanamente a quella cifra, in nessuna parte del paese. Gli attacchi serbi alle roccaforti dell' UCK o l'espulsione forzata degli abitanti albanesi dei villaggi furono descritti come un "genocidio". Ma gli esperti che si occupano di propaganda bellica e di sorvegliare la veridicità delle fotografie hanno accusato la NATO di condurre una "campagna propagandistica" sul Kosovo, campagna che mancava di qualsiasi prova a proprio sostegno. I rapporti del Dipartimento di Stato a proposito di fosse comuni e di un numero di albanesi scomparsi compreso tra 100.000 e 500.000 unità "sono semplicemente ridicoli", secondo questi critici indipendenti.(12) Le loro scoperte vennero ignorate dalle principali reti televisive e dagli altri media nazionali. A guerra appena iniziata, Newsday riferì che la Gran Bretagna e la Francia stavano seriamente considerando l'ipotesi di un "assalto di commando specializzati in Kosovo, per spezzare la catena di massacri di individui di etnia albanese da parte dei serbi".(13) A quale catena di massacri, discernibile, si riferivano? Naturalmente, non venne reso operativo alcun assalto tramite commando, ma la vicenda contribuì a promuovere la falsa idea degli omicidi di massa. In una puntata della trasmissione "Nightline" della ABC si fecero drammatici e ripetuti riferimenti alle "atrocità serbe in Kosovo", senza offrire però alcun dettaglio preciso. Ted Koppel(14) chiese a un gruppo di giovani rifugiati albanesi arrabbiati di raccontare in maniera specifica ciò a cui avevano assistito. Quelli indicarono un uomo anziano del gruppo, che portava un cappello di lana. Uno di loro descrisse ciò che i serbi gli avevano fatto, gettando a terra il cappello di quell'uomo e calpestandolo -"perché i serbi sapevano che il cappello era la cosa più importante per lui". Koppel, giustamente, inorridì di fronte a "questo crimine di guerra", l'unico esempio che venne offerto in un"ora di programma. Un articolo del New York Times che venne ampiamente diffuso, intitolato "Rapporto Usa descrive gli attacchi serbi in Kosovo", ci informa che il Dipartimento di Stato ha pubblicato "il più esaustivo corpus documentario esistente fino a oggi sulle atrocità". Il rapporto in questione conclude affermando che c'erano stati stupri organizzati ed esecuzioni sistematiche. Ma se si prosegue, leggendo più in profondità l'articolo, si scopre che i resoconti del Dipartimento di Stato a proposito di questi crimini "dipendono quasi esclusivamente da informazioni ricavate dai racconti dei rifugiati. Non c'era alcun indizio che gli organismi dei servizi segreti americani furono in grado di verificare, per gran parte dei resoconti, e neppure per molti di essi... e le espressioni "a quel che si dice" e "presumibilmente" appaiono in tutto il documento".(15)

La giornalista britannica Audrey Gillan intervistò i rifugiati kosovari chiedendo loro informazioni sulle atrocità subite, e riscontrò una sconvolgente mancanza di prove o dettagli specifici credibili. La Gillan vide l'orologio al polso di una donna, proprio mentre il marito le raccontava di come tutte le donne fossero state derubate di ogni gioiello e proprietà personale. Un portavoce dell'Alto Commissariato ONU per i Rifugiati parlò di stupri di massa e di qualcosa come centinaia di uccisioni nei villaggi, ma quando la Gillan lo mise alle strette per avere informazioni più precise, ridusse drasticamente i casi di stupro a cinque o sei vittime adolescenti. Ma non aveva parlato con nessun testimone, e ammise che "non abbiamo modo di verificare questi resoconti".(16) La Gillan fa notare che alcuni rifugiati avevano assistito a uccisioni e altre efferatezze, ma c'era ben poco che potesse suggerire il fatto che vi avessero assistito su vasta scala, così come era stato denunciato. Un pomeriggio gli ufficiali incaricati dissero che c'erano dei rifugiati in arrivo, i quali avevano parlato di 60 o più vittime in un villaggio e 50 in un altro, ma la Gillan "non riuscì a trovare un solo testimone oculare che potesse riportare direttamente questi avvenimenti". Eppure ogni giorno i giornalisti occidentali riferivano di "centinaia" di stupri e omicidi. Qualche volta annotavano en passant che i racconti dovevano ancora essere convalidati da prove, ma allora perché tali voci non verificate venivano prontamente riportate in prima pagina? LE "FOSSE COMUNI" SCOMPARSE Dopo che le forze NATO occuparono il Kosovo, le voci a proposito delle atrocità di massa continuarono in un crescendo sempre più forte. Il Washington Post riferì che 350 persone di etnia albanese "avrebbero potuto trovarsi sepolte in fosse comuni" vicino a un villaggio di montagna nel Kosovo occidentale. "Avrebbero potuto trovarsi" oppure avrebbero potuto non trovarsi; queste stime erano basate su fonti che gli ufficiali della NATO rifiutarono di rendere note. Scendendo maggiormente nei dettagli, l'articolo menziona "quattro corpi in decomposizione" scoperti vicino a un grande cumulo di ceneri.(17) Nei primi giorni dell'occupazione NATO fu ripetutamente annunciato che 10.000 albanesi erano stati uccisi (ben al di sotto dei 100.000, forse persino 500.000 albanesi che pare siano stati giustiziati durante la guerra). Non venne fornita alcuna prova a sostegno della cifra di 10.000, neppure per spiegare come si arrivò a conteggiarle così rapidamente e sicuramente, mentre le truppe NATO stavano ancora muovendosi sul posto e non avevano occupato che piccole porzioni della provincia. Allo stesso modo, non riuscirono a concretizzarsi le numerosissime allusioni, non convalidate da prove, alle "fosse comuni" (ognuna delle quali, a quanto pare, piena di centinaia o persino di migliaia di vittime albanesi). Nell'estate del 1999, la montatura mediatica delle fosse comuni fece affidamento su allusioni casuali non specificate. I pochi siti realmente scavati restituirono qualcosa come dozzine di corpi (talvolta anche il doppio di questo numero), ma senza nessuna prova certa concernente le cause della morte, o persino la nazionalità delle vittime. In alcuni casi c'era persino motivo di credere che le vittime fossero serbe.(18) Il 19 aprile 1999, mentre continuavano i bombardamenti NATO sulla Jugoslavia, il Dipartimento di Stato annunciò che fino a 500.000 kosovari albanesi erano scomparsi, e si temeva che fossero morti. Il 16 maggio, il Segretario Usa alla Difesa William Cohen, ex senatore repubblicano del Maine all'epoca in carica nell'Amministrazione Clinton, dichiarò che 100.000 uomini di etnia albanese in età da leva erano scomparsi nel nulla, e che avrebbero potuto essere stati uccisi dai serbi.(19) Tali cifre, così divergenti ma comunque tremende, provenienti da fonti ufficiali, non furono contestate dai media e dai molti liberali che sostenevano la sedicente "operazione di soccorso umanitario" della NATO. Tra questi ultimi vi erano alcuni membri cosiddetti progressisti del Congresso, i quali sembravano credere di trovarsi di fronte a un altro olocausto nazista. Il 17 giugno, appena prima della fine della guerra, il Ministro degli Esteri inglese Geoff Hoon disse che "in più di 100 massacri" erano state uccise circa 10.000 persone di etnia albanese (cifra lontana da quella di 100.000/500.000 vittime diffusa dagli ufficiali statunitensi).(20)

Un giorno o due dopo l'interruzione dei bombardamenti, l'Associated Press e altre agenzie di stampa, facendo eco alle parole di Hoon, riferirono che 10.000 albanesi erano stati uccisi dai serbi. (21) Non venne data alcuna spiegazione di come si fosse potuti arrivare a questa cifra, specialmente dal momento che neppure un singolo sito bellico era stato ancora perlustrato e le forze NATO avevano a malapena iniziato a trasferirsi all'interno del Kosovo. Il 2 agosto Bernard Kouchner, amministratore capo delle Nazioni Unite in Kosovo (e organizzatore di Medici Senza Frontiere), affermò che erano stati ritrovati circa 11.000 corpi in fosse comuni in tutto il Kosovo. Citò come fonte di quelle informazioni il Tribunale Penale Internazionale per i Crimini nella Ex Repubblica di Jugoslavia (ICTY), ma l'ICTY negò di aver mai fornito tale notizia. Ancor oggi, non è chiaro come Kouchner sia giunto a ottenere tale stima.(22) Come per il conflitto croato e quello bosniaco, l'immagine dei massacri fu ancora una volta creata ad arte. Ripetutamente, vennero resi pubblici nei resoconti quotidiani offerti dai media riferimenti non comprovati a "fosse comuni", ognuna delle quali piena, a quanto pare, di centinaia o persino migliaia di vittime albanesi. Nel settembre 1999, Jared Israel cercò su internet articoli di giornale, apparsi nei tre mesi precedenti, che contenessero le parole "Kosovo" e "fosse comuni". Ecco quale fu il risultato della ricerca: "più di 1.000 - troppi per poter essere elencati". Limitando la ricerca agli articoli del New York Times, ne ricavò 80, quasi uno al giorno. Eppure quando si trattò di giungere alle prove nude e crude, le fosse comuni sembravano essere scomparse. Così, alla metà di giugno, l'FBI inviò una squadra a indagare su due dei siti indicati nell'atto d"accusa per crimini di guerra contro Slobodan Milosevic, uno dei quali avrebbe dovuto contenere 6 vittime e l'altro 20. La squadra trascinò circa 50 quintali di equipaggiamento e attrezzature in Kosovo per occuparsi di quella che fu definita la "più grande scena del crimine nella storia del reparto scientifico dell'FBI", ma non ne venne fuori alcun rapporto sulle fosse comuni. Non molto tempo dopo, il primo di luglio, la squadra dell'FBI tornò in patria, senza fare stranamente alcun commento a proposito della propria indagine.(23) Esperti della Scientifica di altri paesi NATO ebbero esperienze simili. A una squadra spagnola, per esempio, venne detto di tenersi pronta a effettuare almeno 2.000 autopsie, ma questa trovò solo 187 corpi, generalmente inceneriti in tombe individuali e che non mostravano alcun segno di massacro o tortura; sembravano in gran parte essere stati uccisi da granate e armi da fuoco. Un esperto della Scientifica spagnola, Emilio Perez Puhola, ammise che la sua squadra non aveva trovato neppure una fossa comune. Negò i riferimenti ampiamente noti riguardo alle fosse comuni, affermando che si trattasse di elementi appartenenti alla "macchina della propaganda bellica".(24) Alla fine di agosto 1999, il Los Angeles Times tentò di recuperare il tema del genocidio con un articolo, nel quale si illustrava come i pozzi in Kosovo avrebbero potuto essere "a buon titolo fosse comuni". Il Times affermava che "molti cadaveri sono stati gettati nei pozzi in Kosovo... le forze serbe ovviamente stiparono... molti corpi di individui di etnia albanese nei pozzi durante la loro campagna di terrore".(25) Ovviamente? Tutte le volte che l'articolo andava sullo specifico, si soffermava su un solo villaggio e su un solo pozzo - nel quale era stato ritrovato il corpo di un uomo di 39 anni, insieme a tre mucche morte e un cane. Non venne fornita né la sua nazionalità né la causa della morte, né era chiaro chi fosse il proprietario del pozzo. "Non fu rinvenuto nessun altro resto umano", concluse debolmente il Times. Per quanto ne so, né il Los Angeles Times né nessun altro organo d"informazione pubblicò più storie di pozzi riempiti di vittime di massacri. In un sito tombale dopo l'altro, i corpi non riuscivano proprio a materializzarsi in numero consistente - o non si materializzavano del tutto. Nel luglio 1999, una fossa comune a Ljubenic, vicino a Pec (una zona di combattimenti molto intensi), che si riteneva contenesse circa 350 cadaveri, dopo l'esumazione ne produsse in realtà solo sette. A Djacovica, i funzionari della città affermarono che 100 individui di etnia albanese erano stati uccisi, ma che i corpi non c'erano perché i serbi erano tornati nel cuore della notte, li avevano dissotterrati e li avevano trascinati via - i funzionari ne sembravano convinti. A Pusto Selo, gli abitanti del villaggio affermarono che 106 uomini furono catturati e uccisi dai serbi alla fine di marzo, ma di nuovo non vennero ritrovati i resti. Gli abitanti del villaggio suggerirono ancora una

volta che le forze serbe dovevano essere tornate indietro a rimuovere i corpi, ma come riuscirono a fare tutto questo senza essere scoperti non venne spiegato. A Izbica, i rifugiati riferirono che 150 individui di etnia albanese furono giustiziati in marzo. Ma i loro corpi non si trovavano da nessuna parte. A Kraljan, 82 uomini furono apparentemente uccisi, tuttavia gli inquirenti non riuscirono a trovare un solo cadavere.(26) Il peggior caso di atrocità di massa ascritto al leader jugoslavo Slobodan Milosevic si verificò presumibilmente alla miniera di Tresca. Secondo quanto riferito dagli ufficiali statunitensi e da quelli della NATO, i serbi gettarono 1.000 e più corpi in pozzi, o si sbarazzarono di loro nelle vasche di acido cloridrico della miniera. Nell'ottobre 1999, l'ICTY pubblicò quanto avevano scoperto le squadre occidentali della Scientifica che indagavano sul caso Tresca: non venne ritrovato neppure un corpo nei pozzi minerari, né vi erano prove che le vasche fossero mai state usate nel tentativo di dissolvere resti umani.(27) Verso la fine dell'autunno 1999, la montatura mediatica delle fosse comuni aveva iniziato considerevolmente a sgonfiarsi. I molti siti portati alla luce, ritenuti quelli più tristemente noti, non offrirono in tutto che poche centinaia di corpi - non le migliaia o decine di migliaia, o centinaia di migliaia precedentemente annunciate a suon di tromba, e senza alcuna prova di tortura o di esecuzione di massa. In molti casi, non c'era alcuna prova certa neppure riguardo l'effettiva nazionalità delle vittime.(28) L"assenza di massacri significa che l'accusa di Milosevic da parte del Tribunale dell'Aja per i Crimini di Guerra "diventa altamente discutibile", fa notare Richard Gwyn. "Ancora più discutibile è il trattamento durissimo cui i serbi vengono continuamente sottoposti da parte dell'Occidente".(29) Non c'è dubbio che in Kosovo esistessero tombe che contenevano due o più persone (e ciò corrisponde alla definizione NATO di "fosse comuni"). La gente veniva continuamente uccisa dalle bombe e dagli estesi scontri di terra che andavano avanti tra le forze jugoslave e quelle dell'UCK. Alcuni dei morti, come scrisse persino il New York Times, "sono combattenti dell'esercito di liberazione del Kosovo, oppure potrebbero essere defunti comuni" - come potrebbe accadere a ogni popolazione numerosa nel corso del tempo.(30) E senza dubbio ci furono uccisioni feroci ed esecuzioni sommarie, come accade in qualsiasi altra guerra, ma non su scala tale da consentire l'etichetta di "genocidio" e giustificare la morte, la distruzione massiccia e le continue miserie inflitte alla Jugoslavia dalle potenze occidentali. Dovremmo ricordare che la campagna propagandistica intrapresa dagli ufficiali della NATO e dai principali organi d"informazione non affermò mai semplicemente che si verificarono delle atrocità (omicidi e stupri); tali crimini si verificano in ogni guerra e, in realtà, anche in molte comunità in tempo di pace. Ciò che implicava la campagna di propaganda mediatica contro la Jugoslavia era che fossero stati perpetrati, e che le fosse comuni lo dimostrassero, atrocità di massa, stupri di massa e omicidi di massa, e ciò significa genocidio. In contrasto con le sue dichiarazioni pubbliche, il Ministero degli Esteri tedesco negò in via confidenziale che vi fossero prove che il genocidio o la pulizia etnica fossero mai state una componente della politica jugoslava: "Persino in Kosovo, un"esplicita persecuzione politica collegata all'etnia albanese non è verificabile... Le azioni delle forze di sicurezza [jugoslave] non [erano] dirette contro i kosovari albanesi in quanto gruppo etnicamente definito, ma contro l'opposizione militare e i suoi reali o presunti sostenitori".(31) Eppure, Milosevic fu accusato di crimini di guerra, incolpato dell'espulsione forzata dei kosovari albanesi e dell'esecuzione sommaria di centinaia di individui - di nuovo, crimini presunti che si verificarono per certo dopo che erano iniziati i bombardamenti NATO, ma che vennero usati come giustificazione degli stessi bombardamenti. Il più grande criminale di guerra è la NATO, con i leader politici che orchestrarono la campagna aerea di morte e distruzione. Ma ecco come ragionarono all'epoca i media e la Casa Bianca: dal momento che gli attacchi aerei non intendono colpire i civili, allora presumibilmente non vi è alcun collegamento né responsabilità da parte nostra. Solo qualche scusa occasionale per gli incresciosi errori (come se contasse soltanto l'intento di un"azione, e non i suoi effetti ineluttabili. Un esecutore può essere, infatti, giudicato colpevole di

omicidio premeditato senza che abbia apertamente voluto provocare la morte di una particolare vittima, come accade nel caso in cui morte derivi da un atto illecito, che l'esecutore sapeva avrebbe molto probabilmente provocato la morte di qualcuno). George Kenney, un ex funzionario del Dipartimento di Stato durante l'Amministrazione Bush, usò la definizione giusta: "Lasciar cadere bombe a grappolo su aree urbane densamente popolate non provoca fatalità accidentali. È un bombardamento terroristico finalizzato".(32) In breve, possiamo dire che attraverso un processo di controllo monopolistico, distribuzione, reiterazione e intensificazione visiva, i media creano un"auto-conferma, cioè trovano conferma alle immagini che fabbricano nelle immagini che hanno già fabbricato. L"applicazione di etichette iperboliche sostituisce le prove effettive: "genocidio", "atrocità di massa", "stupri sistematici", e persino "campi di stupro" (campi che nessuno ha mai localizzato). Attraverso questo processo, le prove non solo sono assenti, ma diventano irrilevanti. Così i principali media statunitensi (e gran parte degli organi di informazione minori) non sono liberi e indipendenti come essi affermano; non sono cani da guardia e custodi della democrazia, ma cagnetti da compagnia e leccapiedi della sicurezza nazionale. Contribuiscono a invertire i ruoli delle vittime e dei carnefici, dei guerrafondai e dei tutori della pace, dei reazionari e dei riformisti. La prima atrocità, il primo crimine di guerra che gli aggressori commettono in ogni conflitto di aggressione, è proprio quello contro la verità. Note 1. Per esempio, Bonner, Raymond, "War crimes panel finds Croat troops "cleansed" the Serbs", New York Times, 21 Marzo 1999, un resoconto rivelatore che è stato ignorato nella spietata campagna propagandistica portata avanti contro i serbi. 2. John Ranz nella sua inserzione sul New York Times, 29 aprile 1993. 3. Anonimo, "Correction: Report on rape in Bosnia", New York Times, 23 ottobre 1993. 4. Associazione ora conosciuta come Human Rights Watch: organizzazione non governativa che indaga sulla violazione di diritti umani (NdT). 5. Owen, David, Balkan Odyssey, Harvest Books, 1997, p. 262. 6. Lituchy, Barry, "Media deception and the Yugoslav civil war", in NATO in the Balkans, p. 205; v. anche il New York Times del 7 agosto 1993. 7. Sia Noam Chomsky, nei suoi commenti a Pacific Radio (7 aprile 1999), sia Alexander Cockburn su The Nation (il 10 maggio 1999), descrivono Milosevic come "mostruoso", senza fornire alcun dettaglio specifico. 8. Biggs, Brooke Shelby, "Failure to inform", San Francisco Bay Guardian, 5 maggio 1999, p. 25. 9. Washington Post, 6 giugno 1999. 10. Vedi, per esempio, Robert Burns, servizio dell'Associated Press, 22 aprile 1999. 11. Per esempio, New York Times, 15 giugno 1998.12. Radin, Charles e Louise Palmer, "Experts voice doubts on claims of genocide: Little evidence for NATO assertions", San Francisco Chronicle, 22 aprile 1999. 13. Newsday, 31 marzo 1999. 14. Noto anchorman statunitense, conduttore del programma televisivo citato (NdT). 15. New York Times, 11 maggio 1999. 16. Gillan, Audrey, "What"s the story?", London Review of Books, 27 maggio 1999. 17. Washington Post, 10 luglio 1999. 18. Vedi, per esempio, Gall, Carlotta, "Belgrade sees grave site as proof NATO fails to protect Serbs", New York Times, 27 agosto 1999. 19. Sia le cifre del Dipartimento di Stato sia quelle di Cohen sono riportate nel New York Times, 11 novembre 1999. 20. New York Times, 11 novembre 1999.21. Per concessione dell'Associated Press, 18 giugno 1999. La Reuters (12 luglio 1999) riferì che le forze NATO avevano catalogato più di 100 siti contenenti i corpi di individui di etnia albanese massacrati. 22. Stratfor. com, Global Intelligence Update, "Where are Kosovo"s killing fields?", Weekly Analysis, 18 ottobre 1999. 23. Irvine, Reed e Cliff Kincaid, "Playing the numbers game", sul sito internet Accuracy in Media . 24. London Sunday Times, 31 ottobre 1999. 25. Los Angeles Times, 28 agosto 1999. 26. Op. cit., Stratfor.com. 27. Richard Gwyn sul Toronto Star, 3 novembre 1999. 28. Op. cit., Gall. 29. Richard Gwyn sul Toronto Star, 3 novembre 1999. 30. New York Times, 11 novembre 1999. 31. Documenti del servizio segreto dal Ministero degli Esteri tedesco (12 gennaio 1999 e 29 ottobre 1998) ai tribunali amministrativi tedeschi, tradotti da Eric

Canepa, Brecht Forum, New York, 20 aprile 1999. 32. Seminario al Leo Baeck Temple, Los Angeles, 23 maggio 1999.

LA FAVOLA DELLA "GUERRA BUONA" La storia segreta della seconda guerra mondiale Michael Zezima (alias Mickey Z) La seconda guerra mondiale è stata dunque una guerra giusta? La favola della "guerra buona" ha radici nella realtà, nella falsa speranza o nella propaganda? Questo mito che perdura ancor oggi va ben oltre i barbecue del Memorial Day e i tremolanti film in bianco e nero trasmessi in TV a notte fonda. Secondo la storia ormai accettata da tutti, la seconda guerra mondiale fu un conflitto inevitabile, imposto a un popolo pacifico da un nemico sleale; questa guerra, allora e ancora oggi, ci è stata attentamente e consapevolmente venduta come una battaglia per la vita o la morte contro il male assoluto. Per gran parte degli americani, la seconda guerra mondiale non fu niente di meno che una serie di scontri diretti tra soldati in tenuta kaki, con prestazioni buone e cattive. Ma, tranne che a Hollywood, John Wayne non mise mai piede a Iwato Jima. Nonostante le vaghe reminiscenze dell'ex Presidente, Ronald Reagan non liberò alcun campo di concentramento. E, contrariamente alla credenza popolare, Franklin Delano Roosevelt non si decise mai a mandare davvero truppe americane "laggiù" a sfidare la Germania di Hitler, finché i nazisti non dichiararono ufficialmente guerra agli Stati Uniti. Le vite degli americani non furono sacrificate in una guerra santa per vendicare l'attacco di Pearl Harbor, né per porre fine all'Olocausto nazista, così come la guerra civile non fu combattuta per eliminare lo schiavismo. La seconda guerra mondiale fu un conflitto di territori, potere, controllo, denaro e imperialismo. Certo, gli alleati vinsero e, in definitiva, questa fu davvero una buona cosa, ma ciò non significa che agirono sportivamente. In questo testo verrà analizzato nel dettaglio con quanta slealtà si comportarono gli alleati, ma per ora saranno più che sufficienti le parole del Generale Curtis LeMay, comandante dell'operazione di bombardamento su Tokyo del 1945: "Suppongo che, se avessi perso la guerra, sarei stato processato come criminale. Fortunatamente, eravamo dalla parte dei vincitori". MITO N. 1 : la seconda guerra mondiale è stata "buona" Quando gli Stati Uniti entrarono in guerra, la parola d"ordine era "patriottismo" e il rifiuto della realtà era all'ordine del giorno. Per esempio, nel 1942, il braccio pubblicitario dell'industria cinematografica americana pubblicò un annuncio a tera in diverse riviste. L"annuncio, intitolato "Il nostro morale è più potente della spada", dichiarava che per vincere la guerra "le nostre menti devono essere affilate come le nostre spade, i nostri cuori forti come i nostri carri armati, il nostro spirito fiero come i nostri aeroplani. Perché il morale è una forza potente, vitale come gli stessi materiali di guerra... e questo è il compito dell'industria cinematografica: continuare a far sorridere". In realtà, se i ragazzi di ritorno a casa avessero avuto idea di cosa stava davvero succedendo, pochi di loro avrebbero avuto voglia di sorridere. E questa era la vera trovata geniale della propaganda sulla "guerra buona": bugie e omissioni. L"illustre scrittore John Steinbeck lavorò come corrispondente di guerra. "Facevamo tutti parte dello sforzo bellico", fece notare in seguito. "Lo condividevamo, e non solo, ne diventammo complici... Non voglio certo dire che i corrispondenti fossero dei bugiardi... Ma è in ciò che non si dice che risiede la menzogna". Steinbeck continuò spiegando che uno sciocco reporter che avesse infranto le regole non solo non sarebbe stato pubblicato in patria, ma oltretutto sarebbe stato allontanato dal teatro delle azioni dallo stesso comando militare". "Un corrispondente, non menzionando un gran numero di cose", aggiunge lo scrittore Paul Fussel, "poteva dare ai lettori in patria l'impressione che non vi fossero codardi in forza all'esercito, e neppure ladri, stupratori, saccheggiatori, né tanto meno comandanti crudeli o stupidi".

Diamo un"occhiata ad alcune cose che non ci sono state riferite a proposito della "generazione più grande", ovviamente sempre continuando a sorridere. Con ben poche eccezioni, la versione hollywoodiana della guerra evoca immagini del nobile uomo qualunque che combatte per la libertà e per l'onore senza mai porre domande. Guardare John Wayne o Tom Hanks che compiono il loro patriottico dovere aiuta a oscurare molte verità dei campi di battaglia, che potrebbero mettere in dubbio l'etichetta della "guerra buona". Ecco alcune di queste verità: - Almeno il 50% dei soldati statunitensi si rese colpevole di crimini in battaglia. - Il 10%, se non di più, delle truppe americane, di tanto in tanto faceva uso di anfetamine. - Alla fine della guerra, c'erano all'incirca 75.000 dispersi statunitensi, gran parte dei quali, grazie agli armamenti moderni, "erano stati fatti andare in fumo". - Solo il 18% dei veterani combattenti nel Pacifico dichiarò di essere "generalmente di buon umore". - La percentuale di esaurimenti nervosi (tra gli uomini regolarmente in azione per 28 giorni di seguito) viaggiava su punte del 90%. - Nel 1994 circa il 25% dei veterani della seconda guerra mondiale erano ancora ricoverati negli ospedali perché colpiti da disturbi psichiatrici. - - Circa il 25-30% degli invalidi di guerra lo era in quanto affetta da problemi psicologici (in condizioni particolarmente difficili,quel numero poteva raggiungere il 70 % - I problemi di natura mentale si riscontrarono nel 54% degli invalidi in Italia. - Durante la battaglia di Okinawa, 7.613 americani morirono e 31.807 vennero feriti, mentre furono ben 26.221 i soldati che soffrirono poi di problemi mentali. Per esempio, per coloro che rimasero in patria, i bei tempi andati non furono esattamente tempi d"oro. Un altro tassello che va ad aggiungersi alla più recente costruzione dell'immagine della "guerra buona" è la frottola della cosiddetta "generazione più grande". Questa invenzione permette di acclamare quella generazione come unica portatrice dei valori tradizionali della famiglia, in realtà coloro che vissero durante la Depressione e la seconda guerra mondiale non furono diversi da noi. Nel 1946 si raggiunse la cifra record di 600.000 divorzi; inoltre, la percentuale di divorzi che nel 1940 era del 16% arrivò al 27% nel 1944. Tra il 1939 e il 1945, le nascite di figli illegittimi aumentarono del 42%. A New York, la percentuale di malattie veneree tra le ragazze dai 15 ai 18 anni aumentò del 204% tra il 1941 e il 1944, mentre a Detroit le assenze ingiustificate da scuola salirono del 24% tra il 1938 e il 1943. Allo stesso modo, per quanto riguarda la leggendaria efficienza della produzione industriale in patria, i risultati sono contrastanti. Nonostante la favoletta dell'unità indiscussa dei lavoratori, questi rimasero uniti quando si trattava di richiedere riforme dei luoghi di lavoro. Durante gli anni di guerra ci furono circa 14.000 scioperi che coinvolsero quasi sette milioni di lavoratori. "Solo nel 1944", dice lo storico Howard Zinn, "scioperò un milione di lavoratori, nelle miniere, negli stabilimenti siderurgici, nelle industrie di automobili e di attrezzature per i trasporti". In quei giorni un altro elemento, altrettanto onnipresente quanto le agitazioni sindacali, fu la peculiare forma artistica dei manifesti di guerra. Questi poster colorati a foglio unico, distribuiti dall'US Office of War Information (Ufficio USA per l'informazione bellica, NdT), demonizzavano il nemico, santificavano "i nostri ragazzi" e contribuivano a restaurare l'immagine dell'America imprenditoriale (ormai a brandelli): il tutto in nome dell'incremento della produzione, dell'eliminazione della Depressione e della vendita della guerra a un pubblico indubbiamente sospettoso. I rappresentanti dell'importante impresa pubblicitaria Young & Rubicam Inc. sostenevano che "i manifesti di guerra più efficaci facevano leva sulle emozioni" e dovevano essere compresi dalla "fetta più bassa" della popolazione. Le immagini di disgrazie sui campi di battaglia furono bandite, e ogni tipo di tensione relativa alla gestione del lavoro fu celata. Così, il patriottismo inventato ad arte - ma effettivamente unificante - dello sforzo bellico fece sì che per i lavoratori fosse più difficile mobilitare l'opinione pubblica in azioni contro le grandi imprese.

I manifesti artistici della seconda guerra mondiale servirono anche a definire il ruolo delle donne americane nello sforzo bellico. "Noi possiamo farlo!", diceva l'operaia chiodatrice Rosie, con quel "lo" che significava eseguire gli ordini in fabbrica fino alla fine della guerra e poi tornarsene in cucina. "Questa immagine", dice la storica Maureen Honey, "idealizza la donna come una combattente forte, capace, pervasa da una sorta di spirito santo, ma allo stesso tempo lascia intendere l'idea che le donne meritassero e volessero un ruolo più ampio nella vita pubblica". MITO N. 2: la seconda guerra mondiale era inevitabile Per credere a questo mito, si deve accettare l'ascesa del fascismo come se fosse un"inevitabile forza della natura. Tuttavia, esaminando un po" più da vicino le decisioni prese da molti dei "bravi ragazzi", si ricava un nuovo punto di vista. Quando William E. Dodd, Ambasciatore statunitense in Germania negli anni "30, dichiarò che "una combriccola di industriali statunitensi sta... lavorando a stretto contatto con i regimi fascisti di Germania e Italia", non stava scherzando. "Molte figure di spicco di Wall Street e dell'establishment politico statunitense avevano mantenuto stretti legami con le loro controparti tedesche fin dagli anni "20, alcuni di loro addirittura imparentandosi o facendo investimenti congiunti", dice il reporter Christopher Simpson. "Questo connubio fu così forte che, negli anni "30, si arrivò a finanziare, a New York, con la vendita di obbligazioni, l'arianizzazione delle compagnie e dei beni immobili saccheggiati agli ebrei tedeschi... Gli investimenti Usa in Germania accelerarono rapidamente dopo che Hitler salì al potere". Tali investimenti, dice Simpson, aumentarono "del 48,5% tra il 1929 e il 1940, mentre diminuirono drasticamente nel resto dell'Europa continentale". Un benefattore rappresentante della prodigalità dell'America industriale fu il banchiere tedesco Hermann Abs, il quale era abbastanza vicino al Führer da riuscire a ricevere in anticipo la comunicazione che la Germania stava progettando di annettere l'Austria. In maniera espressiva, alla sua morte, Abs venne prudentemente lodato dal New York Times come un "collezionista d"arte", la cui carriera finanziaria "si interruppe dopo il 1945". Il pezzo del Times citò in maniera enigmatica David Rockfeller, il quale avrebbe definito Abs "il banchiere più importante dei nostri tempi". I Rockfeller non erano i soli ad ammirare l'inventiva nazista. Tra le principali industrie statunitensi che investirono in Germania nel corso degli anni "20 c'erano Ford, General Motors, General Electric, Standard Oil, Texaco, International Harvester, ITT e IBM - tutte più che felici di vedere andare in frantumi il movimento sindacale tedesco e i partiti della classe operaia. Per molte di queste compagnie, le operazioni in Germania continuarono durante la guerra (anche se ciò comportava il ricorso alla forza lavoro di schiavi in campi di concentramento), con il palese sostegno del governo statunitense. "Ai piloti veniva data istruzione di non colpire le fabbriche tedesche che erano di proprietà di ditte americane", dice lo scrittore Michael Parenti. "Così Colonia fu quasi rasa al suolo dai bombardamenti alleati, ma lo stabilimento della Ford, che forniva equipaggiamento militare per l'esercito nazista, non venne toccato; infatti i civili tedeschi iniziarono a utilizzare lo stabilimento come rifugio antiaereo". Questi legami d"affari che precedettero la guerra continuarono nei tribunali che la seguirono. "La fazione dominante dell'establishment americano si era sempre opposta a portare in giudizio l'élite tedesca", spiegò Simpson. MITO N. 3: gli alleati combatterono per liberare i campi della morte Gli apologeti possono fingere che i dettagli dell'Olocausto non fossero conosciuti e che, se lo fossero stati, gli Stati Uniti sarebbero intervenuti ma, come spiega Kenneth C. Davis, "ancora prima che l'America entrasse in guerra, il trattamento nazista degli ebrei esigeva qualcosa di più di una velata condanna diplomatica. È chiaro che Roosevelt sapeva quello che gli ebrei erano costretti a subire in Germania e nel resto d"Europa, e dell'eliminazione metodica, sistematica degli ebrei

durante l'Olocausto. Chiaramente, salvare gli ebrei e gli altri gruppi che Hitler stava distruggendo in massa non era una questione critica per i pianificatori bellici americani". Infatti, quando nel gennaio 1934 fu introdotta una risoluzione che chiedeva al Senato e al Presidente di esprimere "sorpresa e dolore" nell'apprendere del trattamento che gli ebrei stavano subendo, la risoluzione non riuscì neppure a uscire dalla sede di dibattimento in commissione. Tale immobilità non subì inversioni di rotta neppure quando particolari più specifici iniziarono a raggiungere il pubblico americano medio. Il 30 ottobre 1939 il New YorkTimes scrisse di "treni merci... pieni di persone" che si dirigevano a est, e avviò il discorso sul tema della "completa eliminazione degli ebrei dalla vita europea" che, secondo il Times, sembrava essere "una fissazione costante della politica tedesca". Così come per i particolari a proposito della soluzione finale nazista, già nel luglio 1941 i quotidiani yiddish di New York proponevano storie di ebrei massacrati dai tedeschi in Russia. Tre mesi dopo, il New York Times riportò resoconti di testimoni oculari secondo i quali 1015.000 ebrei erano stati brutalmente assassinati in Galizia. Il 7 dicembre 1942 il London Times si unì al coro con questa osservazione: "Adesso viene da domandarsi se i governi alleati, persino ora, possano fare qualcosa per impedire che la minaccia di sterminio di Hitler sia portata letteralmente a compimento". La persecuzione tedesca e l'uccisione di massa degli ebrei dell'Europa orientale erano senza dubbio un segreto davvero mal custodito, e gli Stati Uniti con i loro alleati non possono onestamente, né realisticamente nascondersi dietro la scusa di essere stati all'oscuro di tutto. Persino quando i nazisti stessi lanciarono per primi la proposta di trasportare via nave gli ebrei dalla Germania e dalla Cecoslovacchia ai paesi occidentali o anche in Palestina, le nazioni alleate non riuscirono mai ad andare oltre le negoziazioni, e i piani di salvataggio non si materializzarono mai. Un esempio particolarmente lungimirante è rappresentato dal viaggio, nel 1939, del St. Louis. Il transatlantico, che trasportava 1.128 rifugiati ebrei tedeschi provenienti dall'Europa, fu rimandato indietro dagli ufficiali statunitensi perché il numero dei passeggeri superava la quota di immigrazione tedesca consentita. Il St. Louis dovette quindi ritornare in Europa, dove i rifugiati trovarono asilo temporaneo in Francia, Gran Bretagna, Belgio e Olanda. "Gli emigrati politici furono infine fatti in gran parte prigionieri dai nazisti, dopo che questi invasero i Paesi Bassi nella primavera del 1940, e spediti quindi ai campi della morte", scrissero Jerome Agel e Walter D. Glanze. MITO N. 4: l'attacco a Pearl Harbor colse tutti di sorpresa Il Giappone, specialmente dopo l'attacco a Pearl Harbor, si era guadagnato la reputazione di paese "traditore", etichetta che sembrò giustificare molti crimini di guerra e che durò anche dopo il bombardamento di Hiroshima e Nagasaki. Tuttavia, prima di accettare un tale stereotipo razzista qualcuno avrebbe dovuto almeno fornire qualche prova di questo tradimento. Come ha scritto lo storico Thomas A. Bailey: "Franklin Roosevelt ingannò ripetutamente il popolo americano nel periodo precedente a Pearl Harbor... Si comportò come il medico che deve dire bugie al paziente per il suo bene". In quello che è ora ricordato come il mitico discorso della "Data dell'Infamia" gli atti diplomatici rivelano qualcosa di ciò che il dottor Roosevelt tralasciò di dire ai suoi pazienti facilmente ingannabili: 14 dicembre 1940: Joseph Grew, Ambasciatore statunitense in Giappone, invia una lettera al Presidente annunciando che "mi sembra sempre più chiaro che saremo costretti a mettere le carte in tavola [con il Giappone] un giorno o l'altro"; 30 dicembre 1940: Pearl Harbor è considerato un bersaglio così probabile per attacchi da parte dei giapponesi che il Contrammiraglio Claude C. Bloch, Comandante del 14esimo Distretto Navale, scrive un memorandum intitolato "Situazione relativa alla sicurezza della flotta e all'attuale capacità delle forze di difesa locale nel fronteggiare attacchi a sorpresa"; 27 gennaio 1941: Grew (a Tokyo) invia un dispaccio al Dipartimento di Stato: "Il mio collega peruviano ha detto a un membro del mio staff che le forze militari giapponesi, in caso di

controversie con gli Stati Uniti, hanno progettato un massiccio attacco a sorpresa a Pearl Harbor, prevedendo di utilizzare tutte le loro strutture militari"; 5 febbraio 1941: il memorandum di Bloch del 30 dicembre 1940 scatena molte discussioni e fa sì che, alla fine, il Contrammiraglio Richmond Kelly Turner invii una lettera al Segretario alla Guerra Henry Stimson, nella quale ammonisce: "La sicurezza della Flotta Usa nel Pacifico di stanza a Pearl Harbor, e della stessa base navale di Pearl Harbor, è stata oggetto di un rinnovato studio da parte del Dipartimento della Marina e delle forze navali nelle ultime settimane... Se scoppierà la guerra con il Giappone, si ritiene possibile che si possa dare il via alle ostilità con un attacco a sorpresa alla flotta o alla base navale di Pearl Harbor... Personalmente ritengo che le probabilità di un enorme disastro alla flotta o alla base autorizzino, quanto più in fretta è possibile, a prendere ogni misura che possa aumentare la prontezza congiunta dell'Esercito e della Marina per opporsi a un raid della portata sopra menzionata"; 18 febbraio 1941 : il Comandante supremo della Flotta Usa nel Pacifico, l'Ammiraglio Husband E. Kimmel, afferma: "Sento che un attacco a sorpresa a Pearl Harbor è una concreta possibilità"; 11 settembre 1941: Kimmel afferma: "Una forte flotta nel Pacifico è indiscutibilmente un deterrente per il Giappone - una flotta più debole può rappresentare un invito"; 25 novembre 1941: il Segretario alla Guerra Henry L. Stimson scrive nel suo diario personale che "il Presidente... ha troncato le relazioni con i giapponesi. Ha sollevato l'eventualità che abbiamo molte probabilità di essere attaccati [non più tardi di] lunedì prossimo, dato che i giapponesi sono noti per lanciare attacchi senza alcun preavviso"; 27 novembre 1941: il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito George C. Marshall rilascia un memorandum nel quale avverte che "un"azione futura dei giapponesi è imprevedibile, ma un"azione ostile è possibile in ogni momento. Se le ostilità non possono... essere evitate, è desiderio degli Stati Uniti che il Giappone compia apertamente la prima mossa"; 29 novembre 1941: il Segretario di Stato Cordell Hull, in reazione a un discorso del Generale giapponese Hideki Tojo una settimana prima degli attacchi, telefona a Roosevelt a Warm Springs, in Georgia, per avvertirlo "dell'imminente pericolo di un attacco giapponese" e per sollecitarlo a ritornare a Washington prima del previsto. C"erano poi ancora razzisti tra i militari e all'interno del governo, incuranti di questi documenti, che mai si sarebbero immaginati che il Giappone potesse orchestrare un"offensiva così ben riuscita. Ben pochi occidentali prendevano sul serio i giapponesi, con i giornalisti che nei primi mesi della loro avanzata nel Sud-Est asiatico regolarmente facevano riferimento a loro chiamandoli "scimmie in kaki". La metafora scimmiesca fu mantenuta anche in seguito. Quest'atteggiamento razzista continuò mentre le due parti si avvicinavano alla guerra, con conseguenze inaspettate. "Gran parte degli strateghi militari americani si aspettava un attacco giapponese nelle Filippine, la principale base americana nel Pacifico", scrive Kenneth C. Davis. "Molti americani, incluso Roosevelt, non ritenevano i giapponesi dei buoni piloti di battaglia perché si pensava che fossero tutti "miopi"... C"era anche la sensazione diffusa che qualsiasi attacco a Pearl Harbor sarebbe stato facilmente respinto". Un tale atteggiamento appare ancora più ridicolo alla luce della testimonianza (pre-Pearl Harbor) relativa ai piloti giapponesi alla guida del più avanzato aereo da combattimento, il Mitsubishi Zero. "Il primo vero test in combattimento dello Zero ebbe luogo nel settembre 1940", riferisce lo storico John W. Dower, "quando tredici di quegli aerei abbatterono ventisette aerei cinesi in soli dieci minuti". Il 31 agosto 1941, trenta Zero giapponesi "si resero responsabili di ben 266 morti in Cina". Eppure, i pianificatori bellici americani rimasero in qualche modo scioccati dall'abilità dimostrata dai giapponesi a Pearl Harbor. Poco dopo l'attacco, con l'immagine di un nemico straordinariamente infido che si diffondeva per tutta l'America, l'Ammiraglio William Halsey - che di lì a poco sarebbe diventato il comandante della forze militari del Pacifico meridionale - dichiarò solennemente che, entro la fine della guerra, "dei giapponesi si sarebbe sentito parlare solo all'inferno".

Il suo slogan preferito: "A morte i gialli, a morte i gialli, a morte ancor più gialli", riecheggiava i sentimenti dell'Ammiraglio William D. Leahy, uno dei capi di Stato Maggiore, il quale scrisse che "quando si combatte con i selvaggi giapponesi, tutte le regole belliche precedentemente accettate devono essere abbandonate". MITO N. 5: solo le nazioni dell'Asse commisero crimini di guerra Nel teatro d"azione del Pacifico, il summenzionato Generale Curtis LeMay era a capo del 21 esimo Comando Bombardieri. Traducendo in pratica l'idea di Marshall del 1941 di incendiare le zone più povere delle città giapponesi, nella notte tra il 9 e il 10 marzo 1945 i bombardieri di LeMay strinsero d"assedio Tokyo. Gli edifici in legno ammassati l'uno vicino all'altro furono investiti da 1.665 tonnellate di bombe incendiarie. In seguito LeMay ricordò che alle bombe incendiarie erano stati aggiunti degli esplosivi, per ostacolare e scoraggiare i vigili del fuoco (96 autopompe furono ridotte in cenere e 88 pompieri morirono negli incendi). Un medico giapponese ricordava gli "innumerevoli corpi" che galleggiavano nel fiume Sumida: quei corpi erano "neri come il carbone" ed era impossibile distinguere se fossero uomini o donne. Si stimò che il numero di morti complessivo in una notte fu di 85.000, con 40.000 feriti e un milione di persone rimaste senza tetto. Questo fu solo il primo episodio di una campagna di bombardamenti in cui vennero sganciate 250 tonnellate di bombe ogni 2,6 kmq, distruggendo il 40% della superficie nelle 66 città presenti sulla lista della morte (tra cui Hiroshima e Nagasaki). Le aree degli attacchi erano per l'87,4% zone residenziali. Si ritiene che morì incendiato il maggior numero di persone in un arco di tempo di sei ore rispetto a quante ne siano mai morte nella storia dell'umanità. Al piano terra degli edifici la temperatura raggiunse i 982° C, e le fiamme erano visibili a 320 km di distanza. Per via del calore così intenso, l'acqua dei canali si mise a bollire, i metalli si sciolsero e gli esseri umani presero spontaneamente fuoco. Fino al maggio 1945, il 75% delle bombe lanciate sul Giappone fu di tipo incendiario. La campagna di LeMay, incitata con calore dalla rivista Time (nella quale si spiegava che "se debitamente incendiate, le città giapponesi bruceranno come foglie autunnali"), secondo le stime provocò la perdita di 672.000 vite umane. Radio Tokyo definì la tattica militare di LeMay "bombardamento carneficina", e la stampa giapponese dichiarò che, attraverso i raid incendiari: "l'America ha rivelato il suo carattere più barbaro... È stato un tentativo di omicidio di massa di donne e bambini... L"azione degli americani è ancora più spregevole se si pensa alle loro continue chiassose pretese di umanità e idealismo... Nessuno si aspetta che la guerra sia altro che un affare brutale, ma per gli americani resta prioritario renderla sistematicamente, e in maniera non necessaria, un orrore di massa per vittime innocenti". Invece di negare tutto ciò, un portavoce della Quinta Divisione Aeronautica ridefinì "l'intera popolazione giapponese [come] un giusto bersaglio militare". Il Colonnello Harry F. Cunningham chiarì la politica Usa senza mezzi termini: "Noi militari non siamo certo qui per attutire i colpi o per allestire picnic domenicali. Stiamo facendo la guerra, e la facciamo nella maniera più tenace e assoluta, in questo modo possiamo salvare le vite degli americani, abbreviare l'agonia che la guerra rappresenta e cercare di portare una pace durevole. Intendiamo scovare e distruggere il nemico, dovunque lui o lei sia, nel maggior numero possibile, nel più breve tempo possibile. Per noi, NON ESISTONO CIVILI IN GIAPPONE". La mattina del 6 agosto 1945, prima che si spezzasse per sempre la storia di Hiroshima, un titolo in prima ll'Atlanta Constitution recitava: "pioggia di fuoco di 580 B-29 su altre 4 città della lista della morte". Ironicamente, il successo dei bombardamenti di LeMay aveva effettivamente eliminato Tokyo dalla lista dei possibili bersagli della bomba atomica... poiché non v'era rimasto più nulla da bombardare.

MITO N. 6: le bombe atomiche lanciate sul Giappone erano necessarie Anche se a Hiroshima e Nagasaki furono distrutte centinaia di migliaia di esistenze, i bombardamenti vengono spesso giustificati come una misura necessaria per salvare delle vite, le vite degli americani. Per quanto riguarda il numero delle persone che sono state salvate, sappiamo di alcuni soldati statunitensi che caddero vittime delle esplosioni; circa una dozzina o più prigionieri di guerra americani furono uccisi a Hiroshima, questa verità rimase nascosta per circa 30 anni. In una dichiarazione ufficiale del 9 agosto 1945 "agli uomini e alle donne del Progetto Manhattan"(1), il Presidente Truman confessò la speranza che "questa nuova arma possa essere in grado di salvare migliaia di vite americane", permettendo di accantonare l'ipotetico piano di invasione delle isole giapponesi". L"iniziale cifra di "migliaia" utilizzata dal Presidente, tuttavia, chiaramente non rappresentò la sua ultima parola sull'argomento, se così si può dire", fa notare lo storico Gar Alperovitz. Infatti Alperovitz documenta giusto alcune valutazioni fatte da Truman in pubblico nel corso degli anni: 15 dicembre 1945: "Ho pensato che duecentocinquantamila uomini del fiore della nostra gioventù valgano bene un paio di città giapponesi..."; Fine del 1946: "Un anno di guerra in meno significherà risparmiare la vita di trecentomila uomini, forse anche mezzo milione, della migliore gioventù americana"; ottobre 1948: " ...nel lungo corso, abbiamo potuto evitare a 250.000 giovani americani di essere uccisi, e abbiamo evitato a un uguale numero di giovani giapponesi di essere uccisi"; 6 aprile 1949: "Pensavo che 200.000 dei nostri uomini sarebbero stati salvati..."; novembre 1949: Truman cita il Capo di Stato Maggiore George C. Marshall nello stimare che il prezzo di un"invasione alleata del Giappone sarebbe stata di "mezzo milione di vittime"; 12 gennaio 1953: Truman, sempre citando Marshall, alza la stima a "un minimo di duecentocinquantamila vittime", e forse "almeno un milione, solo da parte americana, con un numero uguale dalla parte del nemico". Finalmente, il 28 aprile 1959, Truman concluse: "il lancio delle bombe... salvò milioni di vite". Winston Churchill proclamò che gli alleati "ora avevano qualcosa in mano che avrebbe modificato a proprio favore l'equilibrio con i russi". Superò le vette toccate da Truman dichiarando come quelle bombe atomiche avessero risparmiato ben più di 1.200.000 vite alleate. Fortunatamente, non stiamo operando senza il beneficio delle stime ufficiali. Nel giugno del 1945, il Presidente Truman ordinò ai militari statunitensi di calcolare il costo in vite americane per un attacco programmato in Giappone. Di conseguenza, la Joint War Plans Committee (Commissione per i Piani bellici congiunti, NdT) preparò un rapporto per i capi di Stato Maggiore, datato 15 giugno 1945, fornendo così il dato più vicino all'accuratezza che possediamo: 40.000 soldati uccisi, 150.000 feriti e 3.500 dispersi. Mentre il reale conteggio delle vittime rimane ovviamente impossibile da definire, era ampiamente risaputo all'epoca che il Giappone aveva tentato per mesi di arrendersi, prima del bombardamento atomico. Un cablogramma del 5 maggio 1945, intercettato e decodificato dagli Stati Uniti, "dissipava ogni possibile dubbio che i giapponesi non fossero desiderosi di richiedere la pace". Infatti lo United States Strategic Bombing Survey (Ufficio USA di rilevamento dei bombardamenti strategici, NdT) riferì, poco dopo la guerra, che il Giappone "con ogni probabilità" si sarebbe arreso prima della tanto discussa invasione alleata dell'1 novembre 1945, salvando così tutte le vite coinvolte. Truman stesso annotò nel suo diario in maniera eloquente che Stalin sarebbe "entrato in guerra con i gialli il 15 agosto. Tanto peggio [sic] per i gialli quando ciò accadrà". Chiaramente, Truman vedeva le bombe come un modo di porre fine alla guerra prima che l'Unione Sovietica potesse reclamare un ruolo di primo piano relativamente alla resa dei giapponesi. Tuttavia, un anno dopo Hiroshima e Nagasaki, uno studio statunitense top-secret concluse che la resa giapponese fu dovuta più alla dichiarazione di guerra da parte di Stalin che alle bombe atomiche.

MITO N. 7: la seconda guerra mondiale fu combattuta per porre fine al Fascismo Ancora prima che la CIA diventasse la CIA, si comportava in maniera dannatamente simile alla CIA. Secondo Christopher Simpson - il giornalista che si è forse occupato più di ogni altro del tema del reclutamento statunitense di ex nazisti - il 16 agosto 1983 un rapporto del Dipartimento di Giustizia "ammetteva che un organismo dei servizi segreti Usa, noto come Army Counterintelligence Corps (CIC - Corpo di Controspionaggio militare, NdT), aveva reclutato l'ufficiale delle Schutzstaffeln (SS) e della Gestapo Klaus Barbie per attività di spionaggio, già all'inizio del 1947; ammetteva che il CIC lo avesse tenuto nascosto agli investigatori francesi che si occupavano di crimini di guerra; ammetteva di averlo fatto sparire dall'Europa in segreto per il "rotto della cuffia" - una via di fuga clandestina - gestita da un prete che a sua volta tentava di fuggire dalle accuse di crimini di guerra". Il rapporto proseguiva dichiarando che gli agenti del CIC all'epoca non avevano idea di cosa avesse fatto Barbie durante la guerra (apparentemente, il fatto di averlo dovuto nascondere agli investigatori francesi non aveva fatto scattare alcun campanello d"allarme) e che Barbie era l'unico criminale di guerra protetto dagli Stati Uniti. Esaminiamo la speciosa affermazione secondo la quale il cosiddetto "Macellaio di Lione" fosse l'unico criminale nazista accolto tra i ranghi del controspionaggio. "La procedura venne fissata", scrive Noam Chomsky, "nella prima area liberata dalle forze statunitensi, il Nord Africa, dove, nel 1942, gli Stati Uniti insediarono al potere l'Ammiraglio Jean Darlan, collaboratore di spicco del regime nazista che aveva redatto le leggi antisemite del Governo di Vichy". Persino Stephen Ambrose, storico ufficiale della seconda guerra mondiale, ha ammesso: "Il risultato fu che, nella loro prima grande impresa di politica estera durante la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti diedero il proprio appoggio a un uomo che rappresentava tutto ciò contro cui si erano scagliati Roosevelt e Churchill nella Carta Atlantica. Tanto quanto Goering o Goebbels, Darlan era l'antitesi dei principi per cui gli alleati dichiaravano di combattere". Darlan fu semplicemente il primo passo in un programma premeditato, teso a creare collaborazioni con famigerati criminali di guerra. "Sono un generale, capo del servizio segreto dell'Alto Comando dell'Esercito tedesco. Sono in possesso di informazioni della massima importanza per il vostro Comandante Supremo e per il governo americano, e devo essere immediatamente condotto dal vostro superiore". È con queste parole che il Generale Reinhard Gehlen, il famoso capo del controspionaggio di Hitler sul fronte orientale, iniziò i suoi rapporti con l'Office of Strategic Services (OSS - Ufficio per i Servizi Strategici, NdT) e la comunità in erba dei servizi segreti Usa. Quando l'OSS fu trasformato nella Central Intelligence Agency (CIA), ecco emergere un"altra delle numerose alleanze oscure. Dopo essersi arreso il 22 maggio 1945, Gehlen, detto anche "Reinhard la volpe", fu infine interrogato dai fondatori dell'OSS,"Wild" Bill Donovon e Allen Dulles, dopo essere volato a Washington travestito con l'uniforme di un generale americano. Secondo il suo biografo, Leonard Mosley, Dulles si raccomandò che alla superspia nazista venisse offerto un budget di 3,5 milioni di dollari e che "venisse messo in attività come informatore su Russia ed Europa orientale". Ma lo scaltro Gehlen pose qualche condizione: 1. La sua organizzazione non sarebbe stata considerata come appartenente ai servizi segreti americani, ma come un apparato autonomo sotto la sua esclusiva gestione. I legami con i servizi segreti americani sarebbero stati tenuti da un ufficiale Usa di cui Gehlen avrebbe dovuto approvare la scelta. 2. L"organizzazione Gehlen sarebbe stata usata unicamente per fornire informazioni sull'Unione Sovietica e i paesi satelliti del blocco comunista. 3. - Dopo l'insediamento di un governo tedesco, l'organizzazione sarebbe stata trasferita sotto la sua giurisdizione, e tutti i precedenti accordi e disposizioni sarebbero stati annullati, previa discussione tra la nuova autorità sovrana e gli Stati Uniti. 4. - Nulla di nocivo o contrario agli interessi tedeschi avrebbe dovuto essere richiesto o

preteso dall'organizzazione, né questa avrebbe dovuto essere chiamata in causa per attività di sicurezza contro i tedeschi della Germania dell'Ovest. Considerato il fatto che Gehlen era essenzialmente un prigioniero che avrebbe potuto essere portato in tribunale per essere giudicato come criminale di guerra, queste richieste appaiono decisamente straordinarie. E ancora più straordinario, a prima vista, è il fatto che gli Stati Uniti acconsentirono a tutte. Comunque, un"alleanza Nazisti-CIA diventa piuttosto prevedibile se vista attraverso il prisma della guerra fredda, allora in rapida evoluzione. Con la sconfitta tedesca che diventava sempre più imminente, a partire da marzo del 1945 Gehlen istruì diversi membri del suo staff a microfilmare informazioni riguardanti l'Urss. Dopo aver segretamente disseminato questi materiali in tutte le Alpi austriache, Gehlen e i suoi uomini cercarono un accordo. Dopo la sua resa, Gehlen fu portato a Fort Hunt, in Virginia, dove convinse le sue controparti statunitensi del fatto che i sovietici stessero progettando di espandersi verso ovest. Prima della fine del 1945, Gehlen e gran parte del suo alto comando furono liberati dai campi per prigionieri di guerra, pronti a fornire ciò che i fanatici guerrieri freddi americani stavano morendo dalla voglia di sentire. "Gehlen poteva arricchirsi soltanto creando una minaccia che noi temevamo, così noi gli avremmo dato ancora più denaro per raccontarci tutto ciò che sapeva di questa minaccia", spiega Victor Marchetti, un tempo specialista capo dei piani di guerra strategici e delle capacità offensive dell'Unione Sovietica. Quando Allen Dulles divenne il capo della CIA nel 1953 (all'epoca suo fratello John era già Segretario di Stato di Eisenhower), la sua risposta all'affermazione secondo la quale Gehlen, noto criminale nazista, stesse intensificando di proposito la guerra fredda e influenzando l'opinione pubblica americana, fu la seguente: "Non so se sia un mascalzone. Nel controspionaggio ci sono ben pochi arcivescovi... E poi non dobbiamo mica invitarlo al nostro club". MITO N. 8: l'eredità della seconda guerra mondiale è stata "buona" La "guerra buona" è stata vinta. E adesso? Beh, a parte reclutare attivamente nazisti e portare l'umanità sull'orlo di un"apocalisse nucleare, i vincitori avevano effettivamente un piano. Un documento interno, scritto nel 1948 da George Kennan, capo dello staff di progettazione del Dipartimento di Stato nel primo periodo del dopoguerra, mette in evidenza la filosofia esistente dietro la strategia politica Usa: "... possediamo circa il 50% delle ricchezze del pianeta, ma solo il 6,3% della popolazione mondiale... In questa situazione, è chiaro che potremo essere oggetto di invidia e risentimento. Il nostro vero compito, nel periodo che sta per iniziare, è concepire una struttura di relazioni che ci permetta di mantenere questa posizione di disparità senza arrecare un danno alla nostra sicurezza nazionale. Per fare questo, dovremo eliminare ogni sentimentalismo o sogno a occhi aperti, e la nostra attenzione dovrà essere concentrata sui nostri immediati obiettivi nazionali, ovunque. Non occorre che inganniamo noi stessi, oggi non possiamo permetterci il lusso dell'altruismo e della beneficenza mondiale... Dovremmo smettere di parlare di vaghi e (per quanto riguarda l'Estremo Oriente) irreali obiettivi [quali] i diritti umani, l'innalzamento degli standard di vita e la democratizzazione. Non è lontano il giorno in cui dovremo far entrare in gioco concetti di potere diretti. Quanto meno saremo ostacolati da slogan idealistici, meglio sarà". Così cominciarono l'era del dopoguerra e l'età della propaganda della guerra fredda, guidate dalla globalizzazione delle grandi imprese industriali e da un virulento anticomunismo. I pochi anni trascorsi a combattere il fascismo durante la seconda guerra mondiale in sostanza non furono nulla di più che una sottile digressione da una guerra più grande, per il controllo delle risorse e l'annientamento di ogni ideologia ritenuta incompatibile con quel controllo. Una volta eliminata la polvere della storia, fu chiaro che il fascismo era sopravvissuto ai bombardamenti a tappeto, al genocidio e alle armi nucleari per risorgere in una nuova forma, più insidiosa. Lo sviluppo di grandi imprese multinazionali e altamente irresponsabili è uno dei lasciti più tristi della seconda guerra mondiale.

Lo studioso australiano Alex Carey ha puntualizzato i tre processi di importanza politica fondamentale che caratterizzano il ventesimo secolo: "...la crescita della democrazia, la crescita del potere industriale e la crescita della propaganda industriale come mezzo di protezione dello stesso potere industriale contro la democrazia". In pratica, le istituzioni democratiche possono ostacolare la ricerca del capitale, così diventa necessario creare i falsi argomenti discussi in precedenza. Questo aiuta a spiegare come il Dipartimento della Guerra sia potuto rinascere con il nuovo status di Dipartimento della Difesa, dopo la seconda guerra mondiale. Ciò fu in gran parte possibile perché il mito della "guerra buona" garantì agli Stati Uniti la libertà di intervenire a proprio piacimento in tutto il pianeta. Dopo tutto, chi poteva mettere in dubbio le buone motivazioni dello Zio Sam quando i suoi ragazzi avevano appena salvato il mondo da Hitler? Col finire della guerra fredda e con la sconfitta di un altro impero del male, il deterrente sovietico sostanzialmente svanì. Questa evoluzione fornì agli Stati Uniti un"ulteriore latitudine in cui inquadrare le sue azioni militari come umanitarie, come parte di un nuovo mondo democratico forgiato sui campi di battaglia della seconda guerra mondiale e riaffermato durante la guerra fredda. L"America sta semplicemente difendendo la libertà, ci è stato detto, e chi può mai schierarsi contro la libertà? "Salvate il soldato Ryan" e “The Greatest Generation"(2) possono solo servire a rinforzare questa forma di rifiuto facendo leva su una cittadinanza desiderosa di avere la migliore opinione possibile sul proprio paese. Tali libri, film e altre forme di cultura popolare aiutano a fornire la copertura per i ricchi e i potenti che cercano il dominio globale attraverso l'imperialismo e la guerra, mentre allo stesso tempo mantengono l'opinione pubblica frammentata, dispersa e non informata delle possibili alternative. Tuttavia, coloro che vedono queste manipolazioni come inevitabili, insormontabili e forse anche necessarie stanno ancora una volta ignorando la storia e sottovalutando il potere d"ispirazione che può avere l'azione collettiva umana. Questi brani costituiscono solo una parte delle informazioni contenute in Saving Private Power: The Hidden History of “The Good War" (Salvare il potere privato: la storia segreta della "guerra buona" pubblicato da Soft Skull Press). Il libro contiene anche più di 300 note e un"estesa bibliografia. Richiedetelo a una libreria indipendente vicina a voi, oppure visitate . Note del traduttore 1. È il progetto che portò alla realizzazione della bomba atomica. 2. Famoso best-seller del giornalista Tom Brokaw che esalta lo spirito e il coraggio degli americani usciti vittoriosi dalla Grande Depressione e dalla seconda guerra mondiale.

DUE PESI E DUE MISURE Riconoscere il terrorismo dello stato d"Israele Paolo Barnard In Medioriente il fenomeno del Terrorismo dilaga. A noi è particolarmente noto il Terrorismo palestinese e/o islamico, ma c'è anche il Terrorismo israeliano. Il primo è internazionalmente riconosciuto, il secondo no. E qui sta il problema. Prima di continuare e per sgombrare il campo da possibili equivoci, ribadiamo con decisione che non v'è dubbio che per decenni alcuni gruppi palestinesi si siano macchiati, e ancora oggi si macchino, di orrendi crimini terroristici che non trovano alcuna giustificazione politica né morale. La condanna di questi crimini, che storicamente colpiscono soprattutto lo Stato di Israele, deve essere assoluta. Eppure, rimane il fatto che in Occidente si fatica ad ammettere che Israele abbia praticato e pratichi il terrorismo. Taluni rigettano questa nozione radicalmente, anche se la storia la dimostra in maniera incontrovertibile. Ciò ha dato origine a una impostazione ideologica errata e catastrofica nelle sue conseguenze, a seguito della quale ogni approccio internazionale al conflitto israelo-palestinese viene fatalmente viziato da un sistema di "due pesi e due misure": solo ai palestinesi viene formalmente chiesto di abbandonare le pratiche terroristiche, a Israele mai. Il pregiudizio trova appoggio in vaste fasce dell'opinione pubblica occidentale. Infatti, alle parole "Terrorismo mediorientale" noi associamo d"istinto i volti dei guerriglieri palestinesi, libanesi o iraniani, ovvero del fanatismo islamico armato ma non ci viene altrettanto spontaneo associarvi i volti dei soldati d"Israele, o quelli dei loro leader politici. Questo è potuto accadere perché l'Occidente ha intenzionalmente alterato la "narrativa" del conflitto israelo-palestinese, per tutelare i propri interessi nell'area. Lo dimostra lo stesso linguaggio mediatico internazionale: da anni, in tv o sulle prime pagine dei giornali, gli attacchi palestinesi contro i civili israeliani sono sempre definiti (a ragione) "terroristici", ma quelli altrettanto terrorizzanti delle Forze di Difesa Israeliane contro i civili palestinesi sono sovente chiamati "di autodifesa"; le azioni dei kamikaze di Hamas sono "massacri", mentre le centinaia di omicidi extragiudiziali commessi dai Servizi Segreti israeliani vengono definiti "esecuzioni capitali mirate", e così all'infinito. Tutto ciò ci ha lentamente resi incapaci di riconoscere l'esistenza del Terrorismo di matrice israeliana, assieme alle atrocità che causa e che ha causato. È imperativo rettificare questo pregiudizio, iniziando dall' accettazione, da parte della comunità internazionale impegnata nel processo di pace, della verità storica. Questo significa che mentre, giustamente, condanniamo il Terrorismo palestinese, dobbiamo abbandonare il nostro rifiuto di riconoscere e di censurare il Terrorismo di Israele. Se ciò non accadrà, non vi è speranza di pace in Medioriente. A prova di quanto affermato sopra, sono di seguito elencati alcuni fra i peggiori atti di Terrorismo commessi in Medioriente dalla comunità sionista prima e da Israele o da israeliani poi, con una scrupolosa bibliografia. Le fonti sono principalmente i documenti dell'Onu e di Amnesty International; questo perché siamo consapevoli che nell'esporre un tema tanto controverso ci si deve affidare a fonti assolutamente e storicamente al di sopra delle parti. Abbiamo di proposito scartato ogni fonte che potesse anche vagamente essere accusata di partigianeria e, per tale motivo, siamo stati costretti a non includere in questo documento centinaia di "atti di Terrorismo israeliani" riportati nella letteratura sul Medioriente. Lo ribadiamo: questo lavoro non è un atto di accusa contro Israele fine a se stesso, perché se così fosse sarebbe un esercizio sterile. Esso vuole aiutare il pubblico a rettificare quella "narrativa" distorta che basandosi su "due pesi e due misure" condanna il Medioriente a una violenza senza fine. Ai lettori il giudizio.

SINTESI STORICA ESSENZIALE PER LA COMPRENSIONE DEL DOCUMENTO Al declino dell'impero Ottomano, a partire dal 1880, gruppi di ebrei europei emigrano in Palestina dove stabiliscono alcune colonie. Fondano il movimento Sionista, da cui prendono il nome. Nel 1914 gli immigranti sionisti in Palestina sono 85.000, gli arabi musulmani e cristiani sono 500.000, ai quali si aggiungono gli ebrei cosiddetti Ottomani (già presenti da tempo in Palestina e perfettamente integrati). Nel 1916 le potenze europee siglano l'accordo di Sikes-Picot: si tratta del piano alleato per dividere l'impero Ottomano (in disfacimento). Gli inglesi di fatto divengono la potenza coloniale in Palestina. Nel 1921 cominciano gli scontri fra arabi ed ebrei (a Jaffa 200 morti ebrei e 120 morti arabi). Nel 1922 l'Inghilterra riceve dalla Lega delle Nazioni il Mandato per la Palestina. I rapporti fra arabi e sionisti si deteriorano, e nel frattempo le tensioni vengono peggiorate dall'ulteriore ondata di immigrazione di ebrei che fuggono dalla furia genocida di Hitler. Cominciano le proposte inglesi di formazione di due Stati separati. Esse scontentano sia gli arabi che i sionisti, e le violenze nel frattempo aumentano. È a questo punto che i sionisti si organizzano in gruppi di guerriglia. Nel 1947 gli Inglesi rinunciano al Mandato e passano la palla all'Onu. Nel maggio 1948 gli Stati arabi mandano soldati in aiuto ai palestinesi. Ma già le truppe ebraiche avevano conquistato grandi fette di territorio designato dall'Onu come Arabo, provocando la fuga di 300.000 rifugiati palestinesi. Lo Stato d"Israele viene proclamato il 14 maggio 1948. La guerra continua, e all'inizio del 1949 Israele vince occupando il 73% della Palestina. I rifugiati palestinesi sono ora 725.000. Ai palestinesi, alla fine della guerra, rimangono Gaza e la Cisgiordania. Nel 1956 Israele attacca l'Egitto conquistando Gaza e il Sinai, ma gli Usa lo convincono a ritirarsi un anno dopo. Nel 1964 gli Stati arabi creano l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). Nel maggio 1967 il presidente egiziano Nasser stringe un patto di difesa con la Giordania. Ma Israele non aspetta, e nel giugno 1967 attacca l'Egitto. È la nota Guerra dei 6 Giorni. In un baleno Israele occupa il Sinai, Gaza, la Cisgiordania, parte del Golan siriano e Gerusalemme Est. Nel novembre 1967 il Consiglio di Sicurezza dell'Onu condanna la conquista dei territori da parte di Israele con la risoluzione 242, che specificamente chiede il ritiro israeliano dai territori occupati nella Guerra dei 6 Giorni. 1973, attacco egiziano e siriano a sorpresa contro Israele (guerra del Kippur). Israele è in seria difficoltà, e solo grazie a un massiccio aiuto militare americano si riprende e addirittura avanza nel Golan. La base della guerriglia dell'OLP si sposta nel Libano del sud. Nel 1978 Israele invade il sud del Libano. Di nuovo il Consiglio di Sicurezza dell'Onu condanna l'invasione con la risoluzione 425, e tenta di separare i belligeranti con un contingente di caschi blu (UNIFIL). Nel settembre 1978 il presidente egiziano Sadat va a Camp David negli Usa, dove firma i famosi accordi con Israele. Israele in cambio si ritira dal Sinai. Sadat firma a Washington, il 26 marzo 1979, la pace con Israele, primo Stato arabo a farlo. Nel 1982 Israele reinvade il Libano, e arriva fino a Beirut. Gli Usa mediano nella fuga da Beirut dell'OLP e di Arafat, ma nessuno protegge i civili palestinesi: strage nel campo profughi di Sabra e Chatila. Israele si ritirerà dal Libano (esclusa una fascia al sud) nel 1985. Dicembre 1987. Nei territori occupati il pugno di ferro di Israele trova ora un fronte unito, e i giovani palestinesi si lanciano nell'Intifada (sollevazione). Nel 1988 Arafat rinuncia ufficialmente al Terrorismo e accetta la risoluzione 242, implicitamente riconoscendo l'esistenza di Israele. 1993: a Oslo si svolgono colloqui segreti fra l'OLP e il laborista israeliano Shimon Perez con mediazione norvegese di Joan Jorgen Holst.

Il 9 settembre 1993 Arafat firma la lettera di riconoscimento dello Stato di Israele, e Israele il 10 settembre riconosce l'OLP come il legittimo rappresentante dei palestinesi. Lunedì 13 settembre 1993 Arafat e Rabin a Washington firmano una Dichiarazione di Principi, che comprende il mutuo riconoscimento di Israele e dell'OLP, il ritiro israeliano da Gaza e da Jerico, e un non meglio specificato ritiro israeliano da alcune aree della Cisgiordania entro 5 anni (accordi di "Oslo"). A partire dal 1999 il premier israeliano Barak concede ad Arafat alcuni territori in più, e a metà del 2000 l'Autorità Palestinese si trova a controllare il 40% della Cisgiordania e il 65% di Gaza. Ma stiamo parlando di pezzetti di territorio palestinese scollegati, interamente circondati da insediamenti ebraici e controllati giorno e notte da cordoni di militari israeliani. Nel luglio del 2000 il presidente americano Clinton convince Arafat e il premier israeliano Barak ad andare a Camp David per finalizzare gli accordi di Oslo. L"incontro naufraga in un nulla di fatto. 28 settembre 2000. Ariel Sharon, leader dell'opposizione israeliana, sfila a piedi presso la moschea di Al Aqsa a Gerusalemme, che è uno dei luoghi più sacri della religione musulmana. Questo viene visto come un oltraggio imperdonabile, e i palestinesi si lanciano nella seconda Intifada. Nel febbraio 2001 il laborista Barak perde le elezioni e Ariel Sharon diviene premier del partito Likud. IL TERRORISMO SIONISTA La prima fase va dal 1942 al 1947, prima della nascita dello Stato di Israele. Tutti i testi tra virgolette sono traduzioni dai documenti originali. 1942. "Durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale anche la comunità sionista (in Palestina) adottò metodi violenti di lotta. L"uso del Terrorismo da parte loro è descritto in un documento ufficiale del governo britannico di allora... Nel 1942 un piccolo gruppo di estremisti sionisti, guidati da Abraham Stern, si fa notare per una serie di omicidi e di rapine politicamente motivati". 1944. "Il Ministro inglese per il Medioriente, Lord Moyne, viene assassinato da due membri del gruppo Stern, al Cairo. Sempre nello stesso anno il gruppo fuorilegge sionista Irgun Tzeva" i Leumi distrugge numerose proprietà del governo britannico. Le azioni terroristiche dei gruppi Stern e Irgun sono state condannate dallo stesso portavoce della Comunità Ebraica". 1946. "Il 22 luglio la campagna condotta delle organizzazioni terroristiche (sioniste) raggiunge nuovi livelli, con una esplosione che distrusse un"ala dell'hotel King David di Gerusalemme, che ospitava gli uffici della Segreteria del governo e il quartier generale britannico, uccidendo 86 impiegati, arabi ebrei e inglesi, e 5 passanti". "Altre attività terroristiche (sioniste) includono: il rapimento di un giudice inglese e di alcuni ufficiali, e l'attentato dinamitardo a un Club di Ufficiali inglesi a Gerusalemme con grave perdita di vite umane".(1) "Menachem Begin (futuro premier israeliano) fu definito dagli inglesi un "leader terrorista" per aver fatto esplodere l'hotel King David a Gerusalemme, che a quel tempo era considerato uno dei peggiori atti terroristici del secolo."(2) Un altro documento ufficiale britannico del 1946 dichiara: "Il Governo di Sua Maestà britannica è arrivato alle seguenti conclusioni: il gruppo (sionista) Haganah e il suo associato Palmach lavorano sotto il controllo politico dei membri della Agenzia Ebraica; questi sono responsabili di sabotaggi e di violenze...".(3) Questa campagna terroristica contro gli arabi palestinesi e contro gli inglesi raggiunge tali proporzioni che Churchill, un forte sostenitore dei sionisti e a quel tempo Primo Ministro inglese, dichiara alla Camera dei Comuni: "Se i nostri sogni per il sionismo devono finire nel fumo delle pistole degli assassini e se i nostri sforzi per il futuro del sionismo devono produrre un nuovo gruppo di delinquenti degni della Germania nazista, molti come me dovranno riconsiderare le posizioni tenute così a lungo".(4)

ALCUNI COMMENTI STORICI SU QUESTO PERIODO "Il grande umanista sionista Ahad Hàam lanciò un allarme contro la violazione dei diritti dei palestinesi (da parte dei sionisti): "E cosa sta facendo la nostra gente in Palestina? Erano servi nelle terre della Diaspora e d"improvviso si trovano con una libertà senza limiti, e questo cambiamento ha risvegliato in loro un"inclinazione al dispotismo. Essi trattano gli arabi con ostilità e crudeltà, negano loro i diritti, li offendono senza motivo, e persino si vantano di questi atti. E nessuno fra di noi si oppone a queste tendenze ignobili e pericolose"".(5) Dichiarazione di Lord Sydenham alla Camera dei Lord di Londra sul Mandato britannico in Palestina (1922): "Il danno prodotto dall'aver riversato una popolazione aliena (i sionisti immigrati in Palestina) su una terra araba forse non si riparerà mai più... Ciò che abbiamo fatto, facendo concessioni non agli ebrei ma a un gruppo di estremisti sionisti, è stato di aprire una ferita in Medioriente, e nessuno può predire quanto questa si allargherà".(6) Dichiarazione della Commissione Shaw del governo inglese, a proposito delle violenze fra arabi e sionisti nel 1929: "... prima della Grande Guerra (1915-18) gli arabi e gli ebrei vivevano fianco a fianco, se non in amicizia, almeno con tolleranza... negli 80 anni precedenti [alla Grande Guerra] non ci sono memorie di scontri violenti (come quelli iniziati nel 1920)".(7) "L"espansione territoriale [sionista] con l'uso della forza produsse un grande esodo di rifugiati [palestinesi] dalle zone degli scontri. I palestinesi sostengono che questa era un politica precisa che mirava all'espulsione degli arabi per far posto agli immigrati [sionisti] e citano, fra le altre, le dichiarazioni del leader sionista Theodor Herzl "Tenteremo di sospingere la popolazione [palestinese] in miseria oltre le frontiere procurandole impieghi nelle nazioni di transito, mentre gli negheremo qualsiasi lavoro sulla nostra terra... Sia il processo di espropriazione che l'espulsione dei poveri [palestinesi] devono essere condotti con discrezione e con attenzione..."".(8) Da un documento delle Nazioni Unite: "La comunità ebraica della Palestina ancora si rifiuta pubblicamente di aiutare l'Amministrazione (Onu) a reprimere il Terrorismo (sionista), e cita come ragione il fatto che le politiche dell'Amministrazione sarebbero contrarie agli interessi ebraici".(9) IL TERRORISMO SIONISTA-ISRAELIANO La seconda fase va dal 1947 al 1977, durante la nascita dello Stato di Israele. "Uno dei più scabrosi atti di Terrorismo [sionista] contro la popolazione civile [palestinese] si registra, secondo fonti palestinesi ma anche secondo altre fonti, nell'aprile 1948 a Deir Yassin, un villaggio palestinese vicino a Gerusalemme. Un ex governatore militare israeliano di Gerusalemme scrive in proposito: "Il 9 aprile abbiamo subito una sconfitta morale, quando le due gang Stern ed Etzel [sioniste] lanciarono un attacco immotivato contro il villaggio di Deir Yassin... Si trattava di un villaggio pacifico, che non aveva aiutato le truppe arabe di oltre frontiera e che non aveva mai attaccato le zone ebraiche. Le gang [sioniste] lo avevano scelto solo per ragioni politiche. Si è trattato di un atto di puro Terrorismo... Alle donne e ai bambini non fu dato tempo di fuggire... e molti di loro furono, secondo l'Alto Comitato Arabo, fra le 254 vittime assassinate... Quell'evento fu un disastro in tutti i sensi... [le gang] si guadagnarono la condanna della maggioranza degli ebrei di Gerusalemme".(10) Alcuni leader sionisti negano poi la strage di Deir Yassin, ma persino nella negazione ammettono esplicitamente di aver usato l'arma del Terrorismo psicologico, certamente non meno letale. Ha scritto Menachem Begin (futuro premier di Israele): "Il panico travolse gli arabi nella Terra di Israele e iniziarono a fuggire in preda al terrore. Non ciò che accadde a Deir Yassin, ma ciò che fu inventato su Deir Yassin ci aiutò a vincere... in particolare nella conquista di Haifa, dove le forze ebraiche avanzarono facilmente come un coltello nel burro mentre gli arabi fuggivano nel panico gridando "Deir Yassin!"."(11) Menachem Begin è stato però ritenuto uno dei responsabili della strage di Deir Yassin: "Il 9 aprile un"atrocità di enormi proporzioni fu perpetrata a Deir Yassin... furono massacrate 254 persone da

membri della gang di Menachem Begin. Alcuni uomini del villaggio furono trascinati attraverso Gerusalemme prima di essere uccisi".(12) "Quante atrocità furono commesse (dai sionisti) forse non si saprà mai ma furono sufficienti a spingere l'allora Ministro israeliano dell'agricoltura, Aharon Cizling, ad affermare: "Adesso anche gli ebrei si sono comportati come nazisti e tutta la mia anima ne è scossa... Ovviamente dobbiamo nascondere al pubblico questi fatti... Ma devono essere indagati"".(13) 1948. "Folke Bernadotte fu nominato mediatore [in Palestina] dall'Assemblea Generale dell'Onu... ma prima che l'Onu potesse considerare le sue osservazioni fu assassinato dalla gang [sionista] Stern, una delle tante organizzazioni terroristiche le cui azioni erano diventate più spudorate dalla fine del Mandato [britannico]. Il rapporto delle Nazioni Unite sull'assassinio disse che il governo provvisorio di Israele doveva assumersi la piena responsabilità di queste uccisioni... Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu chiese al governo di Israele di indagare e di presentare un rapporto, ma nessun rapporto fu mai presentato... Gli assassini di Bernadotte vestivano uniformi dell'esercito israeliano".(14) Dalla proclamazione dello Stato di Israele (14 maggio 1948) e durante il trentennio successivo, il Terrorismo israeliano nei territori occupati si esprime con una miriade di atti criminosi, in particolare rivolti alla popolazione palestinese dei territori occupati, al punto da richiedere, nel 1977, l'intervento ufficiale e indignato dell'Onu con una risoluzione di condanna che parla chiaro: "l'Assemblea Generale ha ripetutamente votato risoluzioni che criticano le azioni di Israele nei territori occupati." La risoluzione votata nel 1977, che riflette i toni di quelle precedenti, dichiara che l'Assemblea: "Condanna le seguenti politiche e pratiche israeliane: a)... b)... c) - L"evacuazione, deportazione, espulsione e trasferimento degli abitanti arabi dei territori occupati e la negazione del loro diritto di ritorno. d) L"espropriazione e confisca delle proprietà arabe nei territori occupati. e) La distruzione e demolizione delle case[arabe]. f) Gli arresti di massa e i maltrattamenti della popolazione araba. g) I maltrattamenti e le torture dei detenuti [arabi]...""[La Commissione dell'Onu per i Diritti Umani] deplora ancora una volta le continue violazioni da parte di Israele delle norme della legalità internazionale nei territori arabi occupati... in particolare le gravi violazioni di Israele della Convenzione di Ginevra per la Protezione dei Civili in stato di guerra, che sono considerate crimini di guerra e un affronto all'umanità".(15) IL TERRORISMO ISRAELIANO La terza fase, dal 1977 al 1988. Israele, col pretesto di combattere il Terrorismo palestinese, bombarda e attacca, dal 1973 al 1978, il sud del Libano, causando enormi sofferenze fra i civili e la fuga verso Beirut di centinaia di profughi sciiti.(16 )Poi, nel 1978, alcuni terroristi palestinesi provenienti dal Libano meridionale si infiltrano in Israele e massacrano trentasette turisti israeliani su una spiaggia di Haifa. Come reazione, Israele invade il sud del Libano, causando circa 2.000 morti, la maggioranza civili.(17) Di nuovo il Consiglio di Sicurezza dell'Onu condanna l'invasione con la risoluzione 425, e tenta di separare i belligeranti con un contingente di caschi blu (UNIFIL). L"UNIFIL, però, deve fare i conti con la presenza nell'area libanese sotto occupazione israeliana delle spietate milizie mercenarie della South Lebanese Army, interamente sotto il controllo di Israele e che, per suo conto, conducono azioni militari e ogni sorta di atto terroristico, come quello qui descritto: "I soldati irlandesi [dell'UNIFIL] Derek Smallhorn, Thomas Barrett e John O"Mahony stavano scortando due osservatori dell'Onu all'interno della zona di Haddad (leader della South Lebanese Army). Caddero in una imboscata di miliziani cristiani e furono portati a Bent Jbail, dove O"Mahony riuscì a fuggire... Smallhorn e Barrett furono visti da un osservatore americano dell'Onu mentre,

terrorizzati, venivano sospinti su un"auto... un"ora più tardi venivano assassinati con un singolo colpo alla nuca... Gli israeliani che controllavano la zona negarono di essere al corrente delle uccisioni... Ma ciò che infuriò gli ufficiali del 46esimo Battaglione irlandese [dell'UNIFIL] fu che ricevettero informazioni riservate secondo cui un agente dello Shin Bet (servizi segreti israeliani) era presente all'assassinio di Smallhorn e Barrett... il suo nome in codice era Abu Shawki... Un"indagine dell'Onu identificò gli assassini... Ma Israele, che si definisce il cacciatore di "Terroristi", non volle consegnarli, e non li condannò come "Terroristi"; al contrario, li aiutò a lasciare il Libano, attraverso Israele, e a stabilirsi a Detroit (Usa)".(18) Nel 1982 Israele invade il Libano; il ministro della difesa di allora è Ariel Sharon (futuro premier). Uno dei più atroci crimini di guerra (e atto di Terrorismo) degli ultimi 50 anni accade proprio sotto gli occhi e con la connivenza piena delle truppe israeliane.(19) Parliamo del massacro di Sabra e Chatila, i cui esecutori materiali sono state le milizie falangiste libanesi sotto il comando israeliano. (19) "Il 15 settembre 1982 Bashir Gemayel, presidente del Libano, fu assassinato... Lo stesso giorno le forze israeliane avanzarono su Beirut ovest. Il 16 settembre gli israeliani arrivarono a controllare quasi tutta Beirut ovest e circondarono i campi profughi palestinesi. Il giorno seguente il Consiglio di Sicurezza dell'Onu condannò la mossa di Israele con la risoluzione 520... Il 17 settembre giunse notizia che gruppi armati erano entrati nel campo profughi di Sabra e Chatila di Beirut ovest e che stavano massacrando la popolazione civile. Il 18 settembre fu confermato che era stata compiuta una strage immane. Furono scoperti centinaia di cadaveri di uomini, donne e bambini, alcuni mutilati, altri apparentemente uccisi mentre tentavano di fuggire; molte case erano state fatte saltare in aria con dentro gli abitanti."(20) Le responsabilità israeliane per quel massacro sono documentate oltre ogni dubbio. La commissione d"inchiesta dello stesso governo israeliano, la Commissione Kahan, nel suo rapporto dell'8 febbraio 1983 dichiara: "Menachem Begin (allora premier di Israele, NdR) è responsabile di non aver esercitato una maggior influenza e di non aver dimostrato alcuna consapevolezza riguardo l'introduzione dei falangisti nei campi [profughi]. Ariel Sharon (Ministro della Difesa di Israele, NdR) è responsabile di aver ignorato il pericolo di strage e di vendetta quando diede il permesso ai falangisti di entrare nei campi [profughi], e anche di non aver agito per impedire la strage... la nostra conclusione è che il Ministro della Difesa è personalmente responsabile. Il Capo di Stato Maggiore [israeliano] Eitan non diede i giusti ordini per prevenire il massacro. La Commissione chiede che il Ministro della Difesa rassegni le sue dimissioni".(21) L"invasione israeliana del Libano nel 1982 è approvata dagli Stati Uniti(22), e costa la vita a circa 17.000 civili innocenti.(23) Fra i crimini terroristici e di guerra dello Stato di Israele vi è anche la continua violazione di quasi tutte le fondamentali norme della legalità internazionale. Le seguenti parole esprimono una condanna agghiacciante della condotta di Israele nei territori occupati durante tutti gli anni "80: "In particolare, le politiche [di Israele] e le sue azioni nei territori occupati continuano a costituire violazioni evidenti di una serie di precise norme di legalità internazionale. Queste norme sono: la Carta delle Nazioni Unite, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la Convenzione di Ginevra per la Protezione dei Civili in stato di guerra del 12 agosto 1949, la Convenzione di Ginevra per la Protezione dei Prigionieri di guerra del 12 agosto 1949... Le politiche di deportazione, le torture dei detenuti, gli arresti di massa, la demolizione delle case [palestinesi], i pestaggi arbitrari e gli omicidi di persone innocenti - fra cui bambini, donne e anziani - oltre alle umiliazioni inflitte ai palestinesi nella loro vita quotidiana, sono state sistematicamente applicate dalle autorità israeliane nei territori occupati. Tutto ciò è stato aggravato dalla crescente violenza dei coloni [ebrei] armati contro la popolazione palestinese disarmata".(24) Il Comitato Internazionale della Croce Rossa lancia le stesse accuse a Israele, aggiungendovi la condanna della pratica delle truppe israeliane di espellere i civili palestinesi dalle loro abitazioni e

di murarne le entrate, nonché la pratica di confiscare arbitrariamente le loro terre e dichiararle proprietà di Israele.(25) Le condanne internazionali si susseguono in un coro continuo, ma Israele le ignora totalmente. Come già nel 1977, nel 1985 di nuovo la Commissione dell'Onu per i Diritti Umani vota una risoluzione (1985/1 A) di forte condanna in cui si legge: "...Israele si rifiuta di permettere al Comitato Speciale di avere accesso ai territori occupati... la Commissione conferma la sua dichiarazione secondo cui le violazioni israeliane della Quarta Convenzione di Ginevra sono crimini di guerra e un insulto all'umanità".(26) Nel 1988, in piena Intifada palestinese, la Commissione dell'Onu per i Diritti Umani vota una risoluzione che denuncia ancora il Terrorismo di Israele: "Nella risoluzione 1988/1 A, la Commissione ripete la sua condanna delle violente politiche israeliane nei territori occupati, dove vengono spezzate le ossa ai bambini, alle donne e agli uomini, e dove le donne abortiscono a causa dei pestaggi. [La Commissione] condanna altre pratiche violente e sistematiche di Israele, fra cui le uccisioni, i ferimenti, gli arresti, le torture... e i rapimenti di bambini palestinesi".(27) "Nel corso dell'anno (1988) Israele continuò a reprimere i palestinesi nei territori occupati... culminando con l'assassinio a Tunisi, commesso da un commando israeliano il 16 aprile, di Khalil al-Wazir, vice comandante in capo delle forze palestinesi e membro del Comitato centrale dell'OLP... Il 25 aprile il Consiglio di Sicurezza dell'Onu adottò la risoluzione 611... in cui si condanna Israele per l'aggressione contro la sovranità e l'integrità territoriale della Tunisia, in violazione flagrante della Carta delle Nazioni Unite, della legalità internazionale e delle norme di condotta".(28) "L"assassinio di Khalil al-Wazir... corrispondeva perfettamente alla definizione del Dipartimento di Stato americano di cosa sia il "Terrorismo internazionale", ma nessun dipartimento del governo Usa suggerì che Israele fosse colpevole di Terrorismo".(29) ISRAELE E L'USO DELLA TORTURA Come si è già visto, nei rapporti della Commissione dell'Onu per i Diritti Umani si accusa spesso Israele di praticare la tortura, che è uno strumento di Terrore universalmente condannato. Lo Stato di Israele non solo pratica la tortura, ma è persino arrivato, unico fra le democrazie mondiali, a legalizzarla. Lo afferma Amnesty International: "Lo Stato di Israele ha, a tutti gli effetti, legalizzato la tortura, nonostante sia firmatario della Convenzione Contro la Tortura (dell'Onu). Lo ha fatto in tre fasi: prima, l'uso da parte dello Shin Bet (Servizio di Sicurezza) di quantitativi moderati di pressioni fisiche (sui detenuti) è stato concesso, nel 1987, dal rapporto della Commissione Landau e approvato dal governo... seconda, dall'ottobre 1994, il Comitato Ministeriale di Controllo dello Shin Bet, organo del governo di Israele, ha rinnovato il diritto di praticare (sui detenuti) un uso ancor maggiore della forza fisica... e terza, nel 1996 la Suprema Corte di Israele ha emesso una sentenza che permette a Israele di continuare nell'uso della forza fisica contro specifici detenuti".(30) B"Tselem, forse la più autorevole organizzazione per i Diritti Umani d"Israele, scrive: "Nel 1995 un detenuto palestinese è morto a causa degli "strattonamenti" [sotto interrogatorio]. In quella occasione il Primo Ministro di allora, Yitzhak Rabin, affermò che quel metodo di pressione fisica era stato usato contro 8.000 detenuti... Neppure la morte di quel detenuto convinse il governo a proibire i metodi brutali durante gli interrogatori".(31) "Esiste una montagna di prove sull'uso israeliano della tortura. Chiunque ne dubiti dovrebbe chiedere di avere accesso al "Complesso Russo" dei servizi segreti israeliani a Gerusalemme, oppure ai detenuti della prigione di Khiam, nella (ex) zona occupata da Israele nel sud del Libano". (32)

ISRAELE E GLI OMICIDI POLITICI, LE DEMOLIZIONI E IL TERRORISMO MILITARE, FINO AI GIORNI NOSTRI Lo Stato di Israele ha legittimato la pratica di ammazzare presunti o sospetti "terroristi" senza neppure arrestarli, senza dunque sottoporli ad alcun procedimento legale, senza diritto di difesa o di appello. Semplicemente li ammazza. Scrive Amnesty International: "Israele non solo ha praticato per trent"anni la condanna a morte extragiudiziale, ma ha anche ufficialmente approvato questa pratica. Dal 9 dicembre 1987 al 13 settembre 1993 circa 1.070 civili palestinesi sono stati uccisi dalle forze di sicurezza israeliane nei territori occupati... il tentato omicidio di Khaled Mesh"al ad Amman è una flagrante violazione del diritto alla vita... ma il rapporto della commissione d"inchiesta del governo israeliano [su questo evento] è scioccante nel suo disprezzo per la legalità... Continua a esserci un"impunità quasi totale per gli omicidi extragiudiziali inflitti ai palestinesi da parte delle forze di sicurezza israeliane. Le forze di sicurezza israeliane che praticano la condanna a morte extragiudiziale non portano prove di colpevolezza [delle vittime], né concedono il loro diritto di difesa".(33) Questo è l'amaro commento sulle pratiche dell'organizzazione israeliana per i Diritti Umani B"Tselem: "Gli omicidi sono stati parte integrante delle politiche di sicurezza israeliane per molti anni. Israele è l'unica nazione democratica che considera legittime queste pratiche".(34) Abbiamo già parlato della distruzione arbitraria di abitazioni civili palestinesi da parte delle forze di sicurezza israeliane nei territori occupati. Questo crimine è continuato fino ai giorni nostri, al punto che Amnesty International nel 1999 ha pubblicato un rapporto dove la durezza della condanna è marcatamente superiore al passato: "Dal 1967, anno dell'occupazione israeliana della Cisgiordania, di Gerusalemme est e di Gaza, migliaia di case palestinesi sono state distrutte... si tratta di abitazioni ammobiliate, occupate sovente da più famiglie con molti bambini, cui spesso vengono dati solo 15 minuti per raccogliere le proprie cose e andarsene. Ma la politica di Israele è basata anche sulla discriminazione. I palestinesi vengono colpiti per nessun"altra ragione a parte il fatto di essere palestinesi. Nel fare questo gli Israeliani hanno violato la Quarta Convenzione di Ginevra".(35) "Nell'ambito dell'operazione militare israeliana denominata "Grapes of Wrath", l'esercito di Israele ha attaccato la sede Onu di Qana uccidendo 102 civili".(36) Uno dei più gravi atti terroristici israeliani, in violazione di ogni norma morale e di legalità internazionale, è l'indiscriminato attacco agli operatori medici e paramedici che vanno in soccorso ai civili e ai militari palestinesi feriti o uccisi durante gli scontri. Questa ignobile pratica è documentata oltre ogni dubbio: "Le Forze di Difesa israeliane hanno sparato sui veicoli che tentavano di raggiungere gli ospedali, con conseguenti morti e feriti. Medici e personale paramedico sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco mentre viaggiavano sulle ambulanze, in chiara violazione della legalità internazionale".(37) "Durante l'operazione "Grapes of Wrath", l'esercito di Israele, secondo il nostro rapporto, ha attaccato un"ambulanza che trasportava civili, uccidendone sei".(38) "È stata mostrata in televisione la morte del dodicenne palestinese Muhammad al-Dura , colpito a morte il 30 settembre all'incrocio Netzarim a Gaza, mentre il padre tentava di proteggerlo. L"ambulanza che e" corsa a soccorrere Muhammad al-Dura e suo padre fu bersagliata di colpi d"arma da fuoco e l'autista fu ucciso".(39) Anche la Croce Rossa Internazionale è duramente intervenuta nel condannare questi atti di terrorismo militare: "Il 2 aprile 2002 il Comitato Internazionale delle Croce Rossa... urgentemente e solennemente fa appello a tutti coloro che fanno uso di armi di rispettare la Quarta Convenzione di Ginevra relativa alla Protezione dei Civili in stato di Guerra".(40) La negazione di soccorso medico urgente alla popolazione palestinese da parte dell'esercito di Israele non si limita all'attacco alle ambulanze in situazioni di conflitto. Ai posti di blocco israeliani, disseminati su tutti i territori occupati, avvengono fatti altrettanto gravi.

La denuncia è sempre di Amnesty International: "Sono stati interposti altri ostacoli al diritto dei pazienti palestinesi di recarsi in ospedale, con ritardi ai posti di blocco o con il rifiuto di passare imposto dai soldati israeliani... secondo B"Tselem (forse la più autorevole organizzazione per i Diritti Umani d"Israele) ciò ha causato numerosi decessi. La Quarta Convenzione di Ginevra relativa alla Protezione dei Civili in stato di Guerra e" stata continuamente violata dall'esercito di Israele".(41) "Sono stati almeno 29 i decessi in seguito al rifiuto (da parte dei soldati israeliani ai posti di blocco) di concedere il passaggio verso i centri medici, o a causa dei ritardi... ci sono stati diversi casi di parto ai posti di blocco".(42) GLI ULTIMI GRAVI SVILUPPI NEI TERRITORI OCCUPATI. ISRAELE DI NUOVO SOTTO ACCUSA PER GRAVI VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI E PER TERRORISMO MILITARE. A conclusione di questa inquietante cronologia di eventi, che dimostra ampiamente l'uso israeliano, sia statale che individuale, del Terrorismo, proponiamo alcuni spezzoni relativi agli ultimi tragici sviluppi. Sono tratti anche dai media internazionali e non pretendono di dare un quadro completo delle presunte atrocità commesse da Israele, per due motivi: primo, perché non sono state ancora indagate ufficialmente e, secondo, perché l'offensiva israeliana è ancora in corso. Commenti sui alcuni fatti più recenti dell'aprile 2002. "In ogni caso, le Forze di Difesa israeliane hanno agito come se il loro principale scopo fosse quello di punire tutti i palestinesi. Le Forze di Difesa israeliane hanno compiuto atti che non avevano nessuna importanza militare ovvia; molti di questi, come gli omicidi extragiudiziali, la distruzione delle case [palestinesi], la detenzione arbitraria e le torture, violano i Diritti Umani internazionalmente sanciti e la legalità internazionale... L"esercito di Israele, oltre a uccidere i palestinesi armati, ha anche colpito e ucciso medici e giornalisti, ha sparato alla cieca sulle case e sulla gente per la strada... I delegati di Amnesty International che dal 13 al 21 marzo hanno visitato i territori occupati hanno visto una scia di devastazione... Le Forze di Difesa israeliane hanno deliberatamente tagliato elettricità, acqua, telefoni, lasciando isolate intere aree per almeno 9 giorni. Hanno negato l'accesso alle agenzie umanitarie dell'Onu che volevano portare soccorso, e persino ai diplomatici che volevano rendersi conto dell'accaduto... Hanno vietato alle ambulanze, incluse quelle del Comitato Internazionale delle Croce Rossa, di muoversi o hanno causato loro ritardi tali da mettere in pericolo la vita dei pazienti. Hanno sparato ai medici che tentavano di aiutare i feriti, che sono morti dissanguati per le strade".(43) Scrive Aviv Lavie sul giornale israeliano Ha"aretz: "Un viaggio attraverso i media israeliani mette in mostra un enorme e imbarazzante vuoto fra quello che ci viene raccontato e quello che invece il mondo vede, legge e sente. Sui canali televisivi arabi, e non solo, si possono vedere le immagini dei soldati israeliani che invadono gli ospedali (palestinesi), che distruggono i macchinari medici, che danneggiano i farmaci e che rinchiudono i medici lontano dai loro pazienti".(44) Zbigniev Brzezinski, ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale del Presidente Usa Jimmy Carter, ha detto: "La realtà è che i morti palestinesi sono tre volte quelli israeliani, e fra loro pochi erano veramente guerriglieri. La maggior parte erano civili. Alcune centinaia erano bambini".(45) "Per reprimere la resistenza palestinese, un ufficiale israeliano di alto rango ha sollecitato l'esercito "ad analizzare e a far proprie le lezioni su come l'esercito tedesco combatté nel Ghetto di Varsavia". A giudicare dal recente massacro dell'esercito di Israele nella Cisgiordania - ha colpito le ambulanze e i medici palestinesi, ha ucciso dei bambini palestinesi "per sport" (testimoniato da Chris Hedges, New York Times, ex capo redattore al Cairo), ha rastrellato, ammanettato e incappucciato tutti gli uomini palestinesi dai 14 ai 45 anni, cui sono stati stampati i numeri di riconoscimento sulle braccia, ha torturato indiscriminatamente, ha negato acqua, elettricità, cibo e assistenza medica ai civili palestinesi, ha usato dei palestinesi come scudi umani e ha abbattuto le

loro case con gli abitanti ancora all'interno - sembra che l'esercito di Israele abbia seguito i suggerimenti di quell'ufficiale. Ma se gli israeliani non vogliono essere accusati di essere come i nazisti, devono semplicemente smettere di comportarsi come tali".(46) "I palestinesi devono essere colpiti, e devono provare molto dolore. Dobbiamo infliggere loro delle perdite e provocare delle vittime, affinchè paghino un prezzo pesante" (dichiarazione dell'attuale Primo Ministro di Israele, Ariel Sharon, a una conferenza stampa del 5 marzo 2002).

Note 1. Onu: La questione palestinese. British Government, The political history of Palestine (Memorandum to the United Nations Special Committee on Palestine, Jerusalem 1947, p.30). 2. Robert Fisk, "Pity the Nation", Oxford University Press, 1990, p. 280. 3. Onu: La questione palestinese. British Government, Palestine: Statement relating to acts of violence, Cmd. 6873 (1946), p.3. 4. Onu: La questione palestinese. British Government, survey of Palestine, vol. 1, p.73. 5. Onu: La questione palestinese. Kohn, Hans, "Ahad Hàam: Nationalists with a difference" in Smith, Gary (ed.): Zionism: the Dream and the Reality (New York, Harper and Row, 1974), pp. 3132. 6. Onu: La questione palestinese. British Government, Hansard"s reports, House of Lords, 21 june 1922, p. 1025. 7. Onu: La questione palestinese. Report of the Commission on the Palestine Disturbances of august 1929, Cmd.3530 (1930), p.150.8. Onu: La questione palestinese. Herzl, Theodore, "The complete diaries" (N.Y. Herzl Press, 1969) vol. I, p.88. 9. Onu: La questione palestinese. Official records of the General Assembly, Second Session, Supplement No. 11, document A/364, vol. II, p.28.10. Onu: La questione palestinese. Joseph, Dov, "The Faithful City" (N.Y. Simon & Schuster, 1960), pp. 71-72. 11. Onu: La questione palestinese. Begin, op. cit., pp. 164-165. 12. David McDowall, "Palestine and Israel', I.B. Tauris & Co Ltd, 1989, p.194.13. David McDowall, "Palestine and Israel', I.B. Tauris & Co Ltd, 1989, p.195. 14. Onu: La questione palestinese. Official records of the Security Council, Third Year, Supplement for October 1948, pp. 4-9, documents S/1018. 15. Onu: La questione palestinese. General Assembly resolutions 32/91 C of 13 december 1977 & Commission on Human Rights resolution 1 (XXXIII) of 15 february 1977. 16. David McDowall, "Palestine and Israel', I.B. Tauris & Co Ltd, 1989, p. 33. 17. & 18 Robert Fisk, "Pity the Nation", Oxford University Press, 1990, p. 123 & p.p. 151-152.19. Rapporto della Commissione d"Inchiesta Kahan sugli eventi nei campi profughi di Beirut (8 febbraio 1983). 20. The Origins and Evolution of the Palestine Problem, United Nations, N.Y. 1990. 21. Rapporto della Commissione d"Inchiesta Kahan sugli eventi nei campi profughi di Beirut (8 febbraio 1983). 22. Ze"ev Schiff, "Green Light, Lebanon" Foreign Policy, Spring 1983. 23. Robert Fisk, "The Awesome Cruelty of a Doomed People", The Independent, 12/09/2001, p.6. 24. Onu: La questione palestinese. Report of the Special Committee to Investigate Israeli practices affecting Human Rights of the population of the Occupied Territories (A/43/694), paras.499 and 619. 25. ICRC Annual Reports: 1984, pp. 66-68; 1985, pp. 72-73; 1986, pp. 71-72; and 1987, pp. 83-85. 26. Onu: La questione palestinese. 41esima Sessione a Ginevra della Commissione Onu per i Diritti Umani, febbraio 1985 27. Onu: La questione palestinese. Commissione Onu per i Diritti Umani, rapporto alla 44esima Sessione, marzo 1988. 28. Consiglio di Sicurezza dell'Onu, 21-25 aprile 1988, risol. 611. 29. Robert Fisk, "Pity the Nation", Oxford University Press, 1990, p. 441. 30. Amnesty International Reports, London. 53rd UN Commission on Human Rights (1997): Statements and press releases by AI. 31. B"Tselem, Israel, "Legitimizing Torture", Special Report, Gennaio 1997.32. Robert Fisk, "Pity the Nation", Oxford University Press, 1990, p. 403. 33. 54th Un Commission on Human Rights (1998): Statements and Press Releases issued by Amnesty International. Israel and the occupied territories State assassinations and other unlawful ki l— lings 02/2001.34. Israeli Assassination Policy : extra-judicial executions. Written by Yael Stein,

B"Tselem, Israel. 35. Amnesty International Reports, London. AI 12/1999 Israel and the occupied territories "Demolition and Dispossession". 36. Amnesty International Reports, London. AI 19962002. 37. Amnesty International Reports, London. Israel /occupied territories 03/2002, "Attacks on health personnel and disrupted health care". 38. Amnesty International Reports, London. AI 19962002. 39. Amnesty International Reports, London. 11/2000 Medical letter writing Action, "Killing and disrupted helth care in the con text of the palestinian uprising". 40. Amnesty International Reports, London. Medical letter writing Action, "Update on attacks on health personnel and disrupted health care", Israel/Occupied Territories/Palestinian Authority. 41. Amnesty International Reports, London. Israel/Occupied Territories 03/2002, "Attacks on health personnel and disrupted health care". 42. Marton R., Weingarten M. Response from Physicians for Human Rights-Israel. 43. Amnesty International Reports, London. Israel and the occupied territories, "The heavy price of Israeli incursions", 12/04/2002. 44. Alexander Cockburn, "Sharon"s wars", American Journal, 09/04/2002. 45. Zbigniev Brzezinski, intervistato al Lehrer News Hour, PBS, Usa. 46. Norman G. Finkelstein, "First the Carrot, Then the Stick: behind the carnage in Palestine", 14/04/2002 & Hàaretz, 25/01/2002, 01/02/2002

"UNA VERITÀ COSÌ TERRIBILE" I campi di prigionia degli "Alleati" James Bacque Nel 1989, fu improvvisamente rivelata ai media americani la notizia che gli Stati Uniti crearono e gestirono campi di sterminio per prigionieri tedeschi, dopo la seconda guerra mondiale. La rivista Time, nel recensire il libro "Other Losses" - nel quale io ho denunciato la morte di qualcosa come 900.000, forse un milione, di prigionieri, detenuti da francesi e americani -lo ha definito "sconvolgente". Ha anche citato il famoso storico americano Stephen E. Ambrose, secondo il quale il libro ha rivelato "una delle più importanti scoperte storiche... Come americani, non possiamo ignorare le cose terribili che accaddero". Infine, ripeté queste sue opinioni al notiziario CBS Evening News. Io fui intervistato da Good Morning America e da molti altri programmi televisivi in Nord America e in Europa. Forse nulla di tutto ciò sarebbe successo se Stephen Ambrose non mi avesse aiutato nelle fasi finali di preparazione del manoscritto. Su consiglio dello storico britannico M. R. D. Foot, Ambrose lesse la bozza finale e mi scrisse quanto segue, il 6 giugno 1988: Ho appena finito di leggere Other Losses e vorrei tanto non averlo fatto. Ho avuto incubi ogni notte da quando l'ho iniziato... Lei ha una storia sensazionale, per non dire terrificante, che non può più essere tenuta nascosta, e io immagino che (in realtà, lo so con certezza) debba essere pubblicata... Non sono tanto convinto quanto lei che Ike (Eisenhower, NdT) abbia giocato un ruolo così decisivo... Stavano chiaramente succedendo cose che per lui non erano fondamentali, e alle quali prestò meno attenzione di quanto avrebbe dovuto. Ma forse questo è solo un modo, da parte mia, per tentare di razionalizzare la cosa... Comunque, lo ripeto, lei ha in mano prove contro questi individui, ha le dichiarazioni di coloro che erano presenti e che videro tutto con i loro occhi... Ha davvero fatto una delle più importanti scoperte storiche, e né io, né lei, né nessun altro possiamo del tutto immaginare il pieno impatto che questa avrà. Molti la malediranno, molti la denunceranno, molti ne discuteranno con lei, altri (la maggioranza) tenteranno di ignorarla... In fede, Stephen E. Ambrose P.S. Finalmente ho scritto ad Alice Mayhew, il mio editor della Simon and Schuster, a proposito del suo libro.(1) Poche settimane dopo, andai nel cottage di Steve nel Wisconsin per chiarire meglio alcuni dettagli con lui. Trascorremmo là diversi giorni, mentre lui sottolineava le sue obiezioni e i suoi suggerimenti per migliorare il testo. Io apportai le correzioni maggiori e anche molte delle minori; in seguito mi consigliò e mi aiutò ancora per corrispondenza. Il libro fu pubblicato in Canada e in Germania nell'autunno del 1989. La reazione fu imponente: il Dipartimento di Stato americano fece immediatamente partire una frettolosa denuncia; la redazione di una rete televisiva si impiantò presso l'ufficio del mio editore a Toronto per intervistarlo; i diritti stranieri furono venduti alla Fiera del Libro di Francoforte, la più grande manifestazione dell'industria editoriale; il giornale tedesco Die Zeit pubblicò una recensione favorevole, a tera. In seguito alla pubblicazione internazionale, io e miei editori ricevemmo migliaia di lettere da ex prigionieri dispersi in tutto il mondo. La maggior parte di loro mi ringraziava calorosamente per aver raccontato una storia che pensavano dovesse per sempre rimanere il loro amaro segreto. Die Welt ricevette così tante lettere che i direttori furono costretti a pubblicare un avviso in cui richiedevano ai lettori di non inviarne più presso la loro redazione.

Le atrocità iniziarono nella primavera del 1945, quando il Dipartimento di Stato Usa abrogò (unilateralmente e segretamente) la Convenzione di Ginevra che assiste i prigionieri di guerra, su richiesta del Generale Eisenhower.(2) Contemporaneamente, a una conferenza stampa a Parigi in cui fu chiesto a Eisenhower dei prigionieri di guerra e della Convenzione, iniziò l'insabbiamento. Lui replicò: "Se i tedeschi ragionassero come esseri umani capirebbero che l'intera storia degli Stati Uniti e della Gran Bretagna è fatta di generosità per il nemico sconfitto. Noi osserviamo tutte le disposizioni della Convenzione di Ginevra".(3) Dichiarare il falso continuò a essere la politica ufficiale del Governo Usa per anni; nel 1947, il Comitato Internazionale della Croce Rossa fu ufficialmente messo fuori strada dal Segretario di Stato Dean Acheson (allora temporaneamente in carica), il quale riferì che, anche se i prigionieri venivano ufficialmente degradati dallo status di "prigionieri di guerra" alla condizione di "forze nemiche disarmate", in pratica non vi erano differenze nel loro effettivo trattamento.(4) Alla data del 15 giugno 1945, circa 5.224.310 prigionieri erano stati catturati dalle truppe agli ordini di Eisenhower nell'Europa nord-occidentale. Molte centinaia di migliaia in più vennero catturati dal comando dell'esercito Usa agli ordini del Generale Mark W. Clark, in Italia. L"esercito britannico e quello canadese ne catturarono altri due milioni, e i russi fecero 2.389.560 prigionieri. I russi imprigionarono anche 271.672 civili, in sostituzione dei soldati fatti prigionieri che erano morti o fuggiti durante il trasferimento dai campi dell'esercito al fronte a quelli del KGB nelle retrovie.(5) Nei campi di Eisenhower, a partire dall'aprile del 1945, alla maggior parte dei prigionieri non fu fornito alcun riparo, venne dato loro ben poco cibo e, per lunghi periodi, furono lasciati senz"acqua. Venivano semplicemente spinti in branco, come animali, attraverso i cancelli di filo spinato, privati dei loro libretti personali e delle placche di riconoscimento, e lasciati a morire di fame in un campo a cielo aperto. Il Generale Richard Steinbach, che verso la fine del 1945 fu assegnato al comando di un gruppo di campi vicino a Heilbronn,nella Germania sud-occidentale, disse: "Le loro condizioni erano terribili... Ero sbalordito e disgustato allo stesso tempo... Richiesi immediatamente delle razioni supplementari al punto di smistamento.. ".(6) Il professor Martin Brech, un ex sorvegliante di Camp Andernach, in Germania, dichiarò che i 50.000 uomini stavano letteralmente morendo di fame. Passò ad alcuni di loro delle pagnotte attraverso il filo e si sentì dire dal suo superiore: "Non dar loro da mangiare. Abbiamo ordine che questi uomini non debbano essere nutriti". Più tardi, di notte, Brech portò di nascosto un altro po" di cibo al campo, e l'ufficiale gli disse: "Se lo fai ancora, sarai fucilato".(7) Il Tenente colonnello Henry W. Allard, al comando dei campi in Francia nel 1944, ancora prima che la Convenzione di Ginevra venisse segretamente condannata, disse: "Gli standard dei campi dei prigionieri di guerra nella Com europea risultano leggermente migliori, se non di più, rispetto alle condizioni di vita degli equivalenti campi giapponesi di cui ci raccontano i nostri uomini, e sono di gran lunga peggiori di quelli tedeschi". Charles von Luttichau, un prigioniero che era per metà americano, ha scritto: Tutto ciò che potevamo fare per dormire era scavarci una buca nel terreno con le nostre mani, poi ficcarci lì dentro tutti insieme. Eravamo stipati in quelle fosse. Per via delle malattie gli uomini dovevano defecare per terra, e ben presto molti di noi divennero così deboli che neppure riuscivano a tirarsi giù i pantaloni. All'inizio non c'era acqua, se non quella della pioggia, poi dopo un paio di settimane riuscimmo a ricavarne un po" da un serbatoio verticale... Per più di metà dei giorni ci fu la pioggia... Ma per più di metà dei giorni non ci venne dato alcun cibo. Per il resto, ci venne data una piccola razione KIII, e dal pacchetto riuscii a capire che ci davano forse un decimo delle razioni destinate ai loro uomini. Così, alla fine, ricevemmo in tutto forse il 5% di una normale razione dell'esercito Usa. Mi lamentai con il comandante del campo americano, accusandolo di violare la Convenzione di Ginevra, ma lui mi disse soltanto: "Scordati della Convenzione. Voi non avete nessun diritto". Nel giro di pochi giorni, alcuni degli uomini che erano entrati nel campo in perfetta salute erano morti. Vidi i nostri uomini trascinare via molti cadaveri al cancello del campo, dove venivano gettati alla buona uno sull'altro sopra dei camion, che poi li portavano via.(8)

Il Generale Steinbach accusò il Segretario del Tesoro Henry C. Morgenthau per il trattamento inflitto ai prigionieri. Ha scritto infatti nelle sue memorie: “Tutto ciò è stato causato dal Piano Morgenthau. Il suo obiettivo era la vendetta, più che la promozione degli interessi nazionali Usa". La concezione del Piano Morgenthau, per il trattamento post-bellico della Germania da parte degli Stati Uniti, è stato descritto da un testimone oculare, che buttò giù i suoi appunti subito dopo un incontro tra il Segretario Morgenthau e il Generale Eisenhower in Inghilterra, nell'agosto del 1944: In realtà, fu il Generale Dwight D. Eisenhower a lanciare il progetto... L"argomento venne fuori per la prima volta a pranzo nella tenda del Generale Eisenhower. Il Segretario Morgenthau, l'assistente del Segretario Harry D. White e io eravamo là. White parlò della Germania, che ormai era sicuro sarebbe stata sconfitta... White disse: "Credo che dovremmo dare all'intera economia tedesca l'opportunità di assestarsi prima di intervenire direttamente". Qui Eisenhower si fece arcigno, e pronunciò la dichiarazione che diede realmente il via al piano di stenti destinato alla Germania: "Non mi interessa l'economia tedesca, e personalmente non vorrei proprio sostenerla, se ciò potesse rendere le cose più facili per i tedeschi". Pensava, e lo disse, che i tedeschi avessero "una giusta punizione che li aspettava... L"intera popolazione tedesca non è fatta che di falsi paranoici... Mi piacerebbe che le cose fossero veramente più dure per loro, almeno per un po"... Lo dirò io stesso al Presidente, se necessario".(9) Il Colonnello Philip S. Lauben, a cui era affidata la sezione tedesca dello SHAEF (Supreme Headquarters Allied Expeditionary Force - Comando Supremo delle Forze di Spedizione Alleate, NdT) e che negoziò i trasferimenti dei prigionieri tra francesi, britannici e americani, vide i campi nella Francia orientale. Mi disse: "I Vosgi erano un unico, grande campo pieno di morti". Il Capitano Fred Siegfriedt, un ufficiale della guardia del campo americano nei Vosgi, ha scritto: “Ti si spezzava letteralmente il cuore a vederlo". Il Capitano Ben H. Jackson disse, dopo aver visto uno dei campi: "Se ne poteva sentire l'odore a meno di due chilometri di distanza. Era una cosa barbara".(10) Konrad Adenauer, un ex sindaco di Colonia che fu in seguito scelto dagli alleati per divenire il futuro Cancelliere della Germania ricostruita, venne intervistato da personale dell'esercito Usa il 22 giugno 1945: "So che nell'inverno del 1941-42 i prigionieri russi vennero trattati molto duramente dai tedeschi e che noi dovremmo vergognarcene, ma ritengo che non dobbiate fare la stessa cosa... Anche i prigionieri tedeschi nei campi americani mangiavano l'erba e raccoglievano le foglie dagli alberi perché avevano fame, esattamente come facevano i russi, purtroppo... Vi prego, permettetemi di dirvi francamente: in questioni molto importanti... gli alleati hanno usato gli stessi metodi che purtroppo usarono anche i tedeschi. È vero che, nell'uso di questi metodi, non sono arrivati a quegli estremi, ma i metodi sono esattamente gli stessi".(11) Nel riferire dei metodi di cui si servirono gli alleati, che non si spinsero così al limite come i tedeschi, dobbiamo ricordare che, nel giugno 1945, gli alleati avevano a malapena cominciato il loro programma di saccheggio e massacro; in un discorso in Svizzera nel 1949, Adenauer fece riferimento alla morte di sei milioni di tedeschi, provocata dagli alleati. Un numero enorme di persone (compreso approssimativamente tra 700.000 e 750.000) morì sotto la prigionia Usa, e ancora altre centinaia di migliaia furono cedute ai francesi in condizioni estreme, per essere usate come forza lavoro in totale schiavitù. Dei prigionieri francesi ne morirono circa 250.000. I campi americani in Italia, dove Clark fu comandante durante la guerra, mostravano poche delle dolorose stigmate dei campi di Eisenhower. Infatti, quando Clark divenne Commissario politico in Austria, fece tutto ciò che era in suo potere per migliorare il trattamento dei prigionieri che erano stati maltrattati in maniera disumana sotto il regime di Eisenhower. Scrisse un memorandum "destinato agli archivi" (cioè non per la diffusione immediata) in cui diceva: "Quando venni per la prima volta in Austria dall'Italia, il Generale Keyes mi disse delle riprovevoli condizioni di Camp Ebensee, in gran parte dovute al sovraffollamento e alla mancanza di nutrimento adeguato". Prese i dovuti provvedimenti per alleviare la "situazione critica qui

esistente". Ciò comprendeva l'invio di un"équipe medica, l'aumento della razione di cibo e misure per "ridurre il sovraffollamento".(12) Le notizie dai campi erano facilmente controllabili da parte di Eisenhower, visto che manteneva una rigida censura nel paese occupato, e il controllo era così serrato che persino il giornale ufficiale di corte, il New York Times, se ne lamentò un po". Ma quando i francesi cominciarono a richiedere alcuni prigionieri tedeschi da usare come schiavi (di nuovo, contravvenendo alla Convenzione di Ginevra) la rigida censura iniziò a esplodere. Nel settembre e nell'ottobre 1945, un giovane reporter francese di nome Jacques Fauvet pubblicò due pezzi su Le Monde, uno dei quali riportava: "Così come oggi parliamo di Dachau, tra dieci anni la gente di tutto il mondo parlerà di campi come quello di Saint Paul D"Eyjeaux, dove 17.000 persone arrestate dagli americani stavano morendo così velocemente che nel giro di poche settimane due cimiteri, con 200 tombe ciascuno, erano già stati riempiti". Verso la fine di settembre, la percentuale di mortalità era superiore al 21% annuo, un dato circa diciotto volte superiore al tasso medio di mortalità in Europa. Fauvet continuava: La gente obietterà che i tedeschi non furono particolarmente ben disposti quando si trattò di dar da mangiare ai nostri uomini, ma anche se violarono indubbiamente la Convenzione di Ginevra, questo difficilmente giustifica il fatto che vogliamo seguire il loro esempio... Si è spesso detto che il miglior servizio che possiamo fare ai tedeschi potrebbe essere imitarli, così un giorno troverebbero noi di fronte al giudizio della storia, ma... non abbiamo sofferto e lottato per perpetuare i crimini di altre epoche e luoghi.(13) Alcuni hanno suggerito che la morte dei prigionieri tedeschi fosse inevitabile, per via del "caos" esistente nel paese e per una "carenza mondiale di cibo" causata dalla guerra iniziata dagli stessi tedeschi; in realtà, l'esercito Usa negò loro il cibo che era accumulato proprio accanto ai campi. Il Capitano Lee Berwick del 424esimo Fanteria, che comandava le torri di guardia a Camp Bretzenheim, disse che non riusciva a capire l'accusa contenuta in "Other Losses", secondo cui i prigionieri nel suo campo morivano di fame. Mi disse: "Il cibo era accatastato tutto intorno al recinto del campo". Là i prigionieri vedevano cassette accatastate "alte come bungalow". Eppure il libro ufficiale delle razioni dell'esercito Usa, rubato dopo la guerra da un carcerato tedesco che mi si presentò con una fotocopia, mostra che la razione giornaliera era di 600-850 calorie per persona. E a volte i prigionieri non ricevevano un bel niente. Tutto ciò era in linea con la politica del Generale Eisenhower che prevedeva di far morire di fame gli uomini, politica che si poteva intuire in una lettera del 9 maggio, il giorno dopo il VE Day (Victory in Europe Day - Giorno della Vittoria in Europa, NdT) all'ovest, inviata tramite un urgente corriere speciale a tutti i leader delle città e dei Länder tedeschi. Vi si legge: I rifornimenti di cibo non possono assolutamente essere raccolti tra la popolazione locale per essere consegnati ai prigionieri di guerra, mai, in nessun caso. Coloro che violano questo ordine, e che nondimeno cercano di aggirare questo blocco per permettere che qualcosa giunga ai prigionieri, espongono se stessi al pericolo di essere fucilati.(14) Alcune donne che portavano cibo agli uomini affamati furono effettivamente fucilate dagli americani e dai francesi. Che tali condizioni venissero arbitrariamente imposte è provato dal fatto che nei campi britannici e canadesi non si verificò un tale stillicidio: gli inglesi e i canadesi furono in grado di trattare abbastanza bene i propri prigionieri, tanto che, della ventina di persone con cui ho parlato, ognuna mi riferì che non vi erano atrocità diffuse, né decessi di massa. Dopo la vittoria, gli inglesi e i canadesi trattennero inizialmente i prigionieri nelle loro unità originali, permettendo loro di trovare alloggio presso privati, dovunque potessero; infatti all'inizio non vi erano campi anglo-canadesi in Germania. I prigionieri rimasero dov'era stato loro detto di rimanere perché ogni giorno veniva dato loro da mangiare in una grande struttura centrale, come un albergo o una stazione ferroviaria. Molti di loro furono presto rilasciati per contribuire alla cosiddetta "Operazione Chicco d"Orzo", per radunare lo scarsissimo raccolto. Sebbene moltissimi campi anglo-canadesi in seguito aperti furono criticati per le condizioni indecenti in cui versavano, io non ho mai trovato nessuna prova scritta o aneddoto che mettesse in evidenza un tasso di

mortalità insolitamente alto. Sicuramente, i tedeschi che sono sopravvissuti sia ai campi inglesi sia a quelli americani dissero che i peggiori erano di gran lunga gli americani. Non è neppure vera l'affermazione secondo cui il cibo doveva essere conservato in Germania per via di una generale carenza in tutto il mondo. Infatti, la produzione mondiale alla fine della guerra era scesa ovunque tra il 5% e il 9% rispetto ai livelli esistenti prima del conflitto, una riduzione di lieve entità se si considera l'enorme quantità di beni alimentari di lusso che ancora venivano prodotti, come per esempio il whisky, la carne o la birra distillata dai cereali. Il Segretario Usa alla Difesa Robert Patterson disse ripetutamente che non vi era carenza di cibo, ma che il vero problema era ridistribuirlo secondo delle priorità da definire. In ogni caso, ai tedeschi venne impedito di produrre generi alimentari, e la cosa fu possibile grazie a una serie di misure il cui unico scopo e risultato fu l'inedia generalizzata. Circa il 25% della migliore terra coltivabile fu confiscata dai polacchi e dai russi. Tutti i tedeschi rimasti nell'Europa orientale nel 1945 furono espulsi, già indeboliti dalla fame e senza un soldo, e costretti a rientrare in quel che restava della Germania, dove dovettero comunque restare perché l'emigrazione venne proibita. La Germania fu trasformata in una grande prigione stracolma di persone affamate e spiantate, alla disperata ricerca di un lavoro e di un tetto sotto cui ripararsi. Contemporaneamente, gli uomini giovani della nazione che erano sopravvissuti furono dimezzati dai campi della morte alleati, oppure vennero così indeboliti che morirono poco dopo il rilascio. Gli alleati ridussero anche la produzione tedesca di concime di circa l'80%. Confiscarono così tante fabbriche, macchinari, materie prime e prodotti finiti di ogni tipo (tra cui i brevetti) che la produzione industriale tedesca -cresciuta nel corso della guerra, nonostante i bombardamenti - fu ridotta, nei primi sei mesi dell'occupazione, a circa il 25% dei livelli esistenti prima del conflitto. Durante l'ultima conferenza di guerra, che si tenne a Potsdam nel luglio-agosto 1945, gli alleati stabilirono che avrebbero stanziato circa 20 miliardi di dollari per le riparazioni di guerra, ma la cifra necessaria era in realtà enormemente più alta. Per anni, dopo il conflitto, tutte le esportazioni dalla Germania vennero considerate riparazioni, privando così i tedeschi di scambi esteri che avrebbero potuto garantire importazioni di cibo. Lo storico dell'economia americano John Gimbel definì la politica delle riparazioni semplicemente un "saccheggio".(15) Gli storici cortigiani dell'establishment hanno occultato il selvaggio assalto ai civili con parole lusinghiere a proposito del Piano Marshall... attraverso l'estrapolazione, più che l'interpretazione, dei documenti, delle fonti e delle prove contemporanee. Gli ufficiali governativi non sono certo contrari a fuorviare il pubblico... Hanno detto al popolo americano e a chiunque ciò che volevano dire... senza alcun riguardo per ciò che era vero e accurato dal punto di vista storico. Persino George C. Marshall, altamente riverito negli Stati Uniti (come lo è Eisenhower, d"altronde) ha ingannato il mondo intero. In risposta alle critiche lanciategli addosso dai sovietici durante un incontro dei ministri degli Esteri a Mosca nel 1947, denunciò il Ministro sovietico, Vyachaslav Molotov, per aver detto che gli americani stavano intascando riparazioni costose senza registrarle nel conto ufficiale delle riparazioni di guerra. Gimbel commenta: "Marshall rispose in maniera adirata - atteggiamento piuttosto atipico per lui, come commentò uno stimato osservatore - [dicendo che tutto ciò] era falso, ingannevole e propagandistico". Il risultato di tutti questi provvedimenti fu l'instaurarsi di una situazione disperata. Un medico della Marina Usa che si trovò sul posto, Albert R. Behnke, scrisse: "Dal 1945 fino alla metà del 1948 assistemmo al probabile collasso e distruzione di una nazione intera. La Germania fu soggetta a un trauma fisico e psichico senza precedenti nella storia". In qualche luogo dimenticato, dai nove ai tredici milioni di persone morirono prematuramente nella carneficina perpetrata tra il 1945 e il 1950".(16) In che modo fu possibile infliggere sofferenze e privazioni così diffuse, al punto tale che milioni di persone furono fatte morire di fame, e in che modo venne compiuta la peggiore pulizia etnica della storia, tradendo la Dichiarazione ONU dei Diritti Umani, e negando la Convenzione di Ginevra, senza che nulla di tutto ciò venisse notato, riportato e denunciato dalla stampa occidentale?

La risposta è complessa, ma comincia con il deliberato insabbiamento istituito da Eisenhower e dagli ufficiali del suo entourage. L"esercito, avvezzo alle pratiche di frode e raggiro in tempo di guerra, naturalmente proseguì questa politica in seguito, specialmente di fronte al nemico. Un ufficiale testimone di questo occultamento fu il Tenente Ernest F. Fisher, del 101 esimo Aerotrasportati, che fu in seguito promosso a colonnello e divenne uno storico ufficiale dell'esercito Usa. Nella primavera del 1945 ricevette l'ordine di partecipare a un"indagine su presunti crimini compiuti da soldati statunitensi contro i tedeschi. Alla fine dichiarò: "Era tutto un insabbiamento continuo". La stampa fu ostacolata nel suo lavoro in Germania per via del suo status di appartenente alle forze di occupazione, sotto il diretto controllo dell'esercito. Non c'era alcuna probabilità che venisse pubblicato qualcosa di spiacevole per i militari, perché i reporter, in caso di espulsione dagli States (come accadde a uno di loro nel maggio 1945) non sarebbero più stati di alcuna utilità, e dunque nessuno si arrischiava a denunciare. Un altro motivo per la mancata esposizione delle atrocità avvenute è rappresentato dal ruolo che gran parte della stampa commerciale riveste nella società occidentale, allo stesso tempo sostenitrice della squadra governativa e osservatrice egocentrica assorbita solo dalle proprie pagliacciate. Comunque, il motivo principale di questo silenzio fu il deliberato, prolungato e abile insabbiamento portato avanti dalle autorità. Così, come cominciò nel 1945, continua ancor oggi. Gli apologeti dell'esercito americano e di Eisenhower hanno in effetti detto che (sebbene nessun evento di questo tipo si sia mai verificato) sono stati gli stessi tedeschi a provocare tutto. Questa tesi assurda afferma che sono stati loro a iniziare la guerra, causando così tanta devastazione che dolori e sofferenze diffuse erano inevitabili. E che, comunque, una tale, meritata sofferenza non era poi così grave. Si tralascia convenientemente il fatto che furono la Gran Bretagna e la Francia a dichiarare guerra alla Germania nel 1939, e non viceversa; il fatto che quasi tutta la devastazione nella stessa Germania fu provocata dai raid aerei alleati su bersagli civili; il fatto che la politica post-bellica degli alleati tentò di ridurre la produzione industriale e agricola tedesca al di sotto dei livelli minimi di sopravvivenza. Stephen E. Ambrose rivestì un ruolo quasi incredibile in questi eventi. All'inizio, nella primavera del 1988, era onesto, sconvolto e disposto ad aiutarmi. Mi disse: "Lei ha davanti a sé il profilo ampio e chiaro di una verità così terribile che davvero non riesco a sopportarla". Nella primavera del 1989, appena qualche mese prima della pubblicazione di "Other Losses", incontrò il Colonnello Ernest F. Fisher a una conferenza a Washington, per portargli una copia delle bozze (Fisher mi aveva dato una mano con le ricerche e aveva scritto la prefazione al libro). Ambrose disse a Fisher: "Questo libro distrugge tutto il lavoro della mia vita". Pochi mesi dopo, a una conferenza a Vancouver tenutasi subito dopo l'uscita del volume, uno studente gli chiese perché mai lui, biografo di Eisenhower, non era venuto a conoscenza di questa storia. Ambrose replicò dicendo che non aveva pensato di guardare negli atti ufficiali relativi ai prigionieri di guerra, e forse iniziò a sentirsi in imbarazzo per essersi lasciato sfuggire una storia che era stata scoperta da un semplice appassionato. Ciononostante, continuò a sostenermi pubblicamente (ma ancora per poco), forse sotto la spinta della sua coscienza agonizzante. Quindi si recò all'accademia militare di Carlisle Barracks, in Pennsylvania. Lì, nell'autunno del 1989, fece definitivamente marcia indietro. Iniziò con l'organizzare una conferenza accademica sul tema di Eisenhower e dei prigionieri di guerra. I documenti presentati in questa sede dai suoi amici (e amici di Ike) confluirono in uno stupido libro carico di trappole pseudo-accademiche come un somaro vestito a festa. Il libro è "Eisenhower and the German POWs" (Eisenhower e i prigionieri di guerra tedeschi, NdT), a cura di Ambrose e Gunter Bishof. Subito dopo la conferenza, Ambrose scrisse al New York Times proponendosi come recensore del mio libro, sebbene il volume non fosse stato pubblicato negli Stati Uniti, e quelli accettarono - a dispetto della loro consuetudine di non permettere a persone legate alla preparazione di un manoscritto di recensire il conseguente libro.

Nella recensione, Ambrose citò i risultati della conferenza a sostegno delle sue critiche, ma ancora una volta la sua naturale onestà brillò attraverso ogni mimetizzazione. Scrisse: "La conclusione a cui siamo giunti è questa: quando gli studiosi svolgeranno le necessarie ricerche, si accorgeranno che il lavoro di Bacque è peggio che privo di valore, è seriamente marcio, anzi lo è in maniera spettacolare, marcio in tutti i suoi tratti fondamentali". Non trovate adorabile il fatto che Ambrose predichi che la ricerca storica troverà la tal cosa e che quindi, passando bruscamente al presente, presenti le conclusioni senza alcuna ricerca? Gli amici di Ike alla conferenza non fecero quasi nessuna ricerca originale sui prigionieri di guerra, ma si affidarono invece a una collana di libri sovvenzionati dal governo tedesco, che si occupavano dei prigionieri scomparsi. Questi volumi furono curati da un ex membro del Partito nazista, nonché storico mercenario per il Terzo Reich, il dottor Erich Maschke. Un vecchio interesse del governo tedesco, quello di sovvenzionare e controllare una collana di libri di accademici di argomento storico, si ripresentò perché il governo desiderava rispondere a una pubblica richiesta di informazioni a proposito di un milione e mezzo di prigionieri di guerra denunciati come scomparsi dagli anni "60, e mai ritrovati. Lo scopo della collana fu illustrato dal Ministro degli Esteri tedesco, Willy Brandt, che controllava Maschke: Fu deciso con l'approvazione del Ministero degli Esteri che venissero stampati [i libri] con il marchio del ministero... per escludere qualsiasi malinteso, con una modesta pubblicazione... e per evitare di provocare una discussione pubblica in patria e all'estero... [che potrebbe] aprire vecchie ferite e non gioverebbe agli sforzi di riconciliazione portati avanti dalla politica estera della Repubblica Federale.(17) In parole povere, ciò significava che Brandt voleva essere visto come colui che fece qualcosa per soffocare la rabbia e il dolore della famiglie tedesche in pena per la sorte dei propri figli, padri e fratelli ancora dispersi dopo 24 anni di prigionia alleata. Lo scopo della collana di Maschke era quindi addossare ai sovietici la colpa delle atrocità americane e francesi. L"autore di un esile volumetto riguardante i tedeschi finiti in mani americane, Kurt W. Bohme, non cita mai, in nessun punto, la fonte più autorevole per i dati statistici sui prigionieri di guerra detenuti dagli americani: la sezione Modern Military Records (Moderni Documenti Militari Ufficiali, NdT) degli Archivi Nazionali Usa. Questi contengono molte migliaia di pagine di documenti che descrivono la sorte di gran parte dei prigionieri tedeschi (sebbene non in un linguaggio molto semplice). Ci sono forti dubbi che Bohme abbia persino visitato gli archivi, dato che non cita nessun documento che potrebbe aver ottenuto dalle pubblicazioni ufficiali dell'esercito Usa. Se avesse avuto accesso alle carte, come avrebbe potuto ignorare la storia che io e il Colonnello Fisher scoprimmo lì dentro? Se invece non avesse avuto accesso alle carte, ci sarebbe da chiedersi il motivo. Il suo lavoro venne strettamente controllato da un alleato della NATO, la Germania Ovest, e se fosse stato vero che l'esercito Usa non aveva niente da nascondere, come obiettava Ambrose, perché l'esercito non offrì i documenti a questa persona cui era stato commissionato di reprimere una controversia "senza aprire una discussione pubblica"? Bohme, fedele agli scopi del suo governo, dice al mondo che i civili portavano frequentemente del cibo in molti dei campi Usa, senza però menzionare i testimoni oculari che videro persone fucilate proprio per questo motivo (in linea con l'editto di Eisenhower proclamato contro i civili che portavano rifornimenti ai campi). Non solo c'erano centinaia di migliaia di questi testimoni a disposizione di Bohme, ma gli archivi di tutte le città, i paesi, i Länder tedeschi contengono centinaia di copie della lettera di Eisenhower con la quale si proibiva ai civili di portare cibo ai prigionieri. La copia che io possiedo è stata trovata nel villaggio di Langenlonsheim, 40 anni dopo essere stata spedita. Inoltre, a quanto si dice, Bohme riporta una graziosa fotografia che ritrae tende di prigionieri di guerra a Heilbronn. Ma non sono visibili né filo spinato né torri di guardia nella fotografia, in cui non si vede orizzonte. È difficile credere che le tende fossero destinate ai prigionieri di guerra.

Il Generale Richard Steinbach, il comandante, aveva detto del suo campo, prima di subentrare al comando in ottobre, che i prigionieri "venivano spostati in un campo e lì veniva loro detto di accamparsi. C"era un tempo piovoso, era freddo. Loro scavavano cunicoli e buche nel terreno per cercare di trattenere un po" di calore". Nell'assumere il comando, dovette ordinare "l'installazione di tende", in modo da poter "alloggiare degnamente" i prigionieri. Così, anche se secondo Bohme le tende erano riservate ai prigionieri, queste in realtà arrivarono solo dopo sei mesi che gli uomini trascorsero a morire di stenti e fame, da aprile in poi. Quanto alla deliziosa immagine di Bohme secondo cui le donne arrivavano portando cibo, Steinbach dice che i prigionieri ricevevano solo 1.000 calorie al giorno. I prigionieri di Bretzenheim erano fortunati se ricevevano le 650-800 calorie loro assegnate. Il soprannome dei campi che circolava tra i prigionieri era "campi della lenta morte". Sono molti i volumi che Maschke ha dedicato alle atrocità commesse dai sovietici, anche se non consultò nessuna fonte scritta originale, dato che sono tutte custodite negli archivi del KGB a Mosca. I volumi di Maschke non sono nulla di più che un falso storico in difesa degli americani e dei francesi, una critica verso i sovietici accusati di atrocità persino più grandi di quelle realmente commesse. Al culmine della controversia tra me e Ambrose sui dati statistici, gli archivi del KGB vennero aperti. Nel 1992 e nel 1993 andai a Mosca per lavorare nel tetro edificio in cui sono situati gli archivi. Non vidi mai nessuno, né sentii mai che qualcuno della squadra di Ambrose o dello United States Army Center for Military History (Centro di storia militare dell'esercito Usa, NdT) fosse stato là, o che fosse atteso. Il motivo mi divenne chiaro non appena vidi il rapporto Bulanov, relativo al destino dei prigionieri della seconda guerra mondiale finiti in mano sovietica. Questo rapporto, integrato da un rapporto aggiunto sui civili catturati, mostrava che i sovietici avevano arrestato molti prigionieri tedeschi in meno rispetto a quanto riportato nella collana di Maschke. E che, in totale, poco più di 500.000 di questi prigionieri morirono. Sottratti al milione e mezzo di uomini scomparsi - una cifra, questa, che nessuno aveva mai contestato - restava un milione di persone di cui dare conto. La spiegazione di tutto ciò era già apparsa in "Other Losses".(18) Ambrose e gli amici di Ike ammisero implicitamente che stavano tacendo la verità storica. Ambrose aveva cominciato la lettera che mi spedì nel 1988 con l'ammissione che la storia "non può più essere tenuta nascosta". Lui e i suoi complici ammisero spesso di non avere prove per respingere il libro, e quindi lo respinsero, malgrado tutto. Dissero che preferivano le loro stime ai documenti contenuti negli archivi. Eisenhower e il Dipartimento di Stato avevano iniziato questo processo nel 1945, ma esso ricevette nuova spinta e vigore grazie a Drew Middleton, che nello stesso anno scriveva per il New York Times. Middleton, uno dei corrispondenti di punta del Times durante la guerra, aveva scritto diversi pezzi in cui difendeva Eisenhower dalle accuse lanciategli da Fauvet su Le Monde. In uno degli articoli, disse che aveva visitato i campi e non vi aveva trovato nessuna delle terribili condizioni che a Fauvet fecero paragonare St. Paul D"Eyjeaux all'infame campo nazista di Dachau. Nel 1988, quando la bozza finale del mio manoscritto era ormai pronta, telefonai a Middleton, gli descrissi brevemente quanto avevo scoperto e gli richiesi un"intervista. Aspirando la pipa nel suo stretto ufficio nascosto negli anfratti dell'edificio del Times, Middleton mi disse con grande calma: "Non mi sorprende che lei sia riuscito a scavare e a trovare qualcosa di losco riguardante quel periodo". Ammise quindi di non aver compiuto una vera e propria visita ai campi, ma di esserci solo passato di sfuggita. Io mi offrii di mostrargli il manoscritto in modo che potesse verificare personalmente la mia tesi, perché era chiaro che aveva fatto un immenso errore, oppure aveva mentito per coprire un tremendo crimine di guerra americano, per di più commesso dal generale che poi divenne presidente. Middleton si fece beffe della mia offerta. "Non si preoccupi per me", mi disse. Io ero sconvolto. Come aveva detto Ambrose, avevo in mano delle prove concrete contro queste persone, e Middleton se ne infischiava. Mi colpì in maniera significativa (e mi turba ancor oggi) il fatto che coloro che compiono azioni così terribili, o che le coprono, sono talmente potenti che nemmeno la minaccia di una pubblica rivelazione può servire a turbarli.

Questa fiducia non è solo limitata agli americani. Sir Michael Howard, che scrive sul Times Literary Supplement, ammise di essere uno "storico incapace di contare", non qualificato per giudicare le analisi statistiche contenute in "Other Losses". Sviluppa quindi un "criterio" che lo aiuti nella comprensione, e cioè "il criterio della probabilità intrinseca", che lo solleva non soltanto dal bisogno di fare ricerche, ma anche del bisogno di capire la ricerca storica che gli si presenta davanti, chiara e semplice. Howard scrive: "Qual è infatti la spiegazione più probabile: che un milione di prigionieri tedeschi morirono tranquillamente in mano degli americani nel 1945 senza che nessuno se ne accorgesse, o che le autorità americane... abbiano commesso degli errori nelle loro cifre iniziali..?". La cosa, naturalmente, non solo lo trae dall'impaccio di dover comprendere l'analisi storica, ma gli permette anche di ignorare cinicamente che un milione e mezzo di tedeschi non siano mai tornati a casa dalla prigionia alleata. Per Howard, il destino di queste persone non è nulla, se paragonato al bisogno di difendere gli incapaci cigni accademici dal raid terrorista incarnato da "Other Losses". Si potrebbe pensare che l'ignavia non possa andare oltre questo livello, ma il professor Stefan Karner di Graz, in Austria, riuscì nell'intento. Lui andò davvero a Mosca e vide il rapporto Bulanov. Avendolo visto, decise che non era là dove invece si trovava. O che, almeno, non significava realmente ciò che riportava. A Mosca, Karner trovò effettivamente delle stime. Le sue stime. Non presenta neppure un"unica valida ragione per dubitare delle cifre sovietiche, che naturalmente sono state tenute segrete dai sovietici perché sono una prova inconfutabile di enormi atrocità perpetrate contro persone di diverse nazioni. Le cifre sovietiche relative alla cattura e alla morte di prigionieri giapponesi, ufficiali e civili polacchi, civili tedeschi erano già state confermate in maniera indipendente dagli stessi giapponesi, polacchi e tedeschi. Non sussiste neppure il minimo dubbio relativo alla precisione delle cifre del KGB. E non vi sono prove d"archivio, scritte o aneddotiche, a sostegno delle cifre di Maschke, Ambrose o Karner relative ai prigionieri morti. Sono tutte inventate. Forse fu il sindaco di Rheinberg ad avere la miglior intuizione sul funzionamento della mente degli storici, durante un"intervista che mi rilasciò nell'autunno del 1988. Sapevo già che molte migliaia di prigionieri erano morti al campo nel 1945, ma ero curioso di scoprire cosa avevano da dire gli archivi cittadini a proposito di quelle morti, dato che tutti i decessi in Germania devono essere riferiti alle autorità locali. Chiesi al sindaco quanti prigionieri fossero morti là, e lui mi diede in risposta una cifra assurdamente bassa, qualcosa intorno a 500. Gli dissi: "Ma lei ci crede?". Un po" a disagio, mi disse: "No". "E allora perché lei dichiara questa cifra?". "Dobbiamo pur dire qualcosa". Ambrose e gli amici di Ike per molti anni sono stati aiutati da diversi organismi dei governi occidentali a tenere nascosta la storia "che non può più essere tenuta nascosta". Dopo che Ambrose iniziò a cambiare atteggiamento nei confronti di queste rivelazioni, il Dipartimento di Stato Usa emise delle denunce contro di me e contro il mio lavoro, e il Center for Military History di Washington, diretto da Albert E. Cowdrey, orchestrò delle confutazioni ingannevoli che apparvero alla BBC, sul New York Times e nel libro di Ambrose sui prigionieri di guerra tedeschi. La Royal Canadian Mounted Police (Polizia Reale Canadese a cavallo, NdT) infastidì uno dei miei testimoni e un reporter di un giornale nel Canada occidentale. Sospettai di essere sorvegliato, ma non ne ebbi la prova certa finché non incontrai un ex vice comandante della Polizia canadese, il quale mi disse che le mie telefonate transatlantiche all'editore di Toronto venivano intercettate dai computer americani, e che i contenuti venivano distorti per i recensori e i produttori televisivi. Il mio bagaglio venne confiscato a Heathrow dalla British Airways e il mio computer fu trattenuto per molte ore. L"ex poliziotto canadese mi disse che la mia camera d"albergo a Parigi venne svaligiata da agenti del governo francese, che mi pedinarono in tutto il paese. La posta che mi venne spedita da Londra e da Colonia fu aperta, e in parte anche rubata.

Un ex colonnello del KGB assunse un avvocato a Toronto per procurare guai a me, agli editor della mia casa editrice e alla rivista che per prima pubblicò il mio lavoro. Di conseguenza, sia la rivista sia l'editore rifiutarono il mio lavoro successivo, dello stesso tenore del precedente, quindi negarono di aver subito intimidazioni. Quando chiesi all'ex sbirro canadese perché i diversi organismi governativi fossero così interessati alla mia ricerca storica, disse: "Vogliono sapere per chi lavora. Specialmente da quando è stato a Mosca". Replicai: "Lavoro per i miei lettori". Lui si mise a ridere. Dato che Stephen Ambrose e la sua cricca hanno fatto un così buon lavoro nel tenere nascoste le notizie, il pubblico americano è stato tenuto all'oscuro dei crimini commessi in suo nome da Eisenhower, crimini che probabilmente si stanno ripetendo anche ora. Qualcosa che ricorda misteriosamente quei giorni del dopoguerra è recentemente venuto alla luce con la cattura dei prigionieri talebani che sono stati trasportati a Guantanamo, Cuba. Ora, come nel 1945, il governo statunitense ha unilateralmente sospeso la Convenzione di Ginevra. Ora, come nel 1945, ci sono serie accuse di maltrattamento di prigionieri di guerra. Ora, come nel 1945, l'esercito canadese, dopo aver catturato dei prigionieri, si è rifiutato di consegnarli agli americani, perché in Canada prendono molto seriamente i propri doveri nei confronti della Convenzione di Ginevra. Tuttavia, gli smidollati canadesi nel 2002 hanno ceduto ben presto agli americani e hanno quindi consegnato i loro prigionieri talebani. Ambrose e i suoi compari hanno impedito al pubblico americano di avere un dibattito chiaro su quanto sia sensato permettere all'esercito di manovrare il Dipartimento di Stato, ordinando di lasciar perdere la Convenzione di Ginevra quando faccia comodo all'esercito. La qual cosa accade, ovviamente, ogni volta che i prigionieri ne hanno più bisogno. Ma non solo. Ambrose e i suoi hanno anche contribuito a danneggiare la memoria storica dei grandi atti di generosità compiuti insieme da canadesi e americani nel 1945-49. Dato che gli alleati massacrarono i tedeschi facendoli morire di fame, era necessario non solo negare le conseguenti e numerose morti, ma anche parlare per eufemismi, deprecare, ignorare, evitare e ricontestualizzare la stessa morte per fame. Ciò significava necessariamente nascondere l'enorme movimento degli aiuti che i cittadini di Canada e Usa inviarono in Germania per alleviarne le sofferenze, dopo il 1946. La storia completa di questa assurda contraddizione fu presentata al pubblico solo nel 1998, quando in Canada, Regno Unito e Germania venne pubblicato il mio libro "Crimes and Mercies". In breve, Canada e Usa, in parte attraverso organismi governativi e in parte attraverso le ONG, inviarono così tanto cibo all'estero per alleviare le sofferenze mondiali che uno degli amministratori responsabili degli aiuti umanitari, Herbert Hoover, disse che 800 milioni di vite erano state salvate tra il 1945 e il 1948. Questa cifra sbalorditiva viene da una fonte bene informata e credibile, ed è confermata da numerose altre. Il cibo e altri aiuti in considerevoli quantità iniziarono a raggiungere la Germania solo alla fine del 1946. Fino ad allora, gran parte degli aiuti inviati in Europa fu distribuito dall'UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration - Ammistrazione dei soccorsi post-bellici delle Nazioni Unite, NdT) ai non tedeschi. I primi tedeschi che ricevettero aiuti furono gli scolari, che soprannominarono l'aiuto "Hooverspeise”IV, dal nome dell'ex presidente. Un bambino realizzò un disegno toccante, una cartina in cui era rappresentato il grano che veniva caricato sui treni in Canada, e quindi trasportato in nave da Montreal fino alla sua scuola. Il cambio di rotta nella politica americana derivò in gran parte da una serie di discorsi tenuti al Senato - ampiamente ignorati dalla stampa Usa - da alcuni senatori rimasti a dir poco sgomenti da ciò che avevano visto durante precedenti viaggetti in Germania a spese del governo. Il Piano Morgenthau fu a poco a poco abbandonato, e il pietoso Piano Marshall divenne operativo nel 1948. A mio parere, non c'è mai stata dimostrazione più lampante del potere dell'opinione pubblica di quello che provocò questo cambiamento di rotta. Anche se gli stessi eventi vennero messi a tacere dalla stampa, i soldati di ritorno dalla guerra e i discorsi del Senato si diffusero nel mondo, e l'innata generosità degli americani obbligò il governo e le ONG ad agire concretamente.

"Crimes and Mercies", bestseller in Canada e recentemente ripubblicato in Germania, è stato negato al pubblico americano da Ambrose & Co. Quindici editori hanno rifiutato il manoscritto, tra cui anche Little, Brown, la società madre del mio editore britannico. In Corea è possibile avere questo libro sulla generosità americana (che al tempo stesso fa rizzare i capelli) e sul terrorismo, ma in America no. Tale è il potere dell'inganno che hanno in mano Ambrose, il New York Times e i loro amici. Beh, il povero vecchio Steve è morto, ora, e la sua reputazione seppellita nel disprezzo. So che può sembrare strano, ma ho continuato ad apprezzarlo, nonostante tutte le bugie che ha detto. Possedeva un fascino rude, diretto, che raramente mancava di colpire; la sua scrittura originale e non contaminata era interessante, e lui sapeva riconoscere la verità quando la vedeva. Se solo avesse continuato a dirla... Una volta gli dissi: "Steve, se vuoi insegnare storia, devi prima lasciare che sia la storia a insegnarti qualcosa". Credo che abbia pensato di me che ero solo un pazzo, un impiccione. Note Tutti i riferimenti a "Other Losses" sono relativi all'edizione del 1999. 1. Lettera in possesso dell'autore. 2. "Other Losses" pag. 27. 3. Cit. in Butcher, Harry C., My Three Years With Eisenhower, New York, Simon & Schuster, 1946: 789. 4. Acheson a E. Gloor, CICR, Ginevra, 17 marzo 1947. Ne 740.00114 EW/2-1447, Archivi del Dipartimento di Stato, Washington, DC. 5. Op. cit., "Other Losses", introduzione e appendice 1.6. Memorie non pubblicate del Generale Steinbach, in possesso dell'autore. 7. Per le fonti su Brech e Allard, v. "Other Losses". 8. Interviste con l'autore, Washington, DC, 1987-88. 9. Op. cit., "Other Losses", 197-8. 10. Per le fonti su Lauben, Siegfriedt e Jackson, v. "Other Losses". 11. Mi fu inviata la fotocopia dal professor Peter Hoffmann della McGill University, che trovò l'originale nell'Archivio Nazionale Usa, RG 226 OSS R&A, XL 12708. V. l'epilogo di "Other Losses". 12. Memorandum dettato dal Generale Clark e "destinato agli archivi", 30 agosto 1945, Citadel Archives, Charleston, North Carolina. 13. Le Monde, 30 settembre-1 ottobre 1945. Bibliothèque Nationale, Parigi. 14. Op. cit., "Other Losses", introduzione, XXXII-XXXIII. 15. Per una discussione completa sul cibo e le riparazioni di guerra, v. "Crimes and Mercies", e/o Gimbel, John, "Science, Technology and Reparations: Exploitation and Plunder in Post-war Germany", Stanford, CA, Stanford University Press, 1990.16. Op. cit., "Crimes and Mercies". Le prove provengono perlopiù dai dati dei censimenti tedeschi e dai memoranda di Robert Murphy, i cui documenti si trovano negli archivi di Hoover a Stanford. 17. Brandt al Bundestag, 25 aprile 1969.18. Le statistiche sovietiche sono pienamente discusse in "Other Losses" e "Crimes and Mercies". Compaiono anche in Krivosheyev, G. G. (a cura di), "Soviet Casualties and Combat Losses in the 20th Century", Greenhill and Stackpole Books, 1997.

GUERRE PER IL DOMINIO GLOBALE Progetto per un nuovo secolo americano Michel Chossudovsky Siamo nel momento chiave della più grave crisi nella storia moderna. L"Amministrazione Bush si è imbarcata in un"avventura militare che minaccia il futuro dell'umanità. Le guerre in Afghanistan e in Iraq fanno parte di un progetto bellico ben più vasto che venne avviato alla fine della Guerra Fredda. Le guerre in corso sono la continuazione della Guerra del Golfo e delle guerre della NATO in Jugoslavia (1991 -2001 ). Anche il periodo successivo alla Guerra Fredda è stato contraddistinto da numerose operazioni segrete d"intelligence, all'interno dell'ex Unione Sovietica, che furono strumentali nello scatenare guerre civili in diverse delle ex repubbliche, comprese la Cecenia (nella Federazione Russa), la Georgia e l'Azerbaijan. Di fatto, tali opera zioni segrete furono lanciate con lo scopo di rendere sicuro il controllo strategico delle pipeline del petrolio e del gas. Le operazioni militari e d"intelligence Usa post Guerra Fredda furono condotte in stretta relazione con le "riforme di libero mercato" imposte sotto la tutela dell'FMI in Europa orientale, nell'ex Unione Sovietica e nei Balcani. Il risultato fu la destabilizzazione delle economie nazionali e l'impoverimento di milioni di persone. In questi paesi i programmi di privatizzazione patrocinati dalla Banca Mondiale permisero al capitale occidentale di acquisire le proprietà e di guadagnare il controllo di gran parte dell'economia dei paesi dell'Est dell'ex blocco. Questo processo è anche alla base delle fusioni e/o scalate strategiche nelle industrie petrolifere e del gas ex sovietiche da parte di potenti conglomerate occidentali, attraverso pratiche di manipolazione e corruzione politica. In altre parole, ciò che è in gioco nella guerra degli Usa è la ricolonizzazione di una vasta regione che si estende dai Balcani all'Asia centrale. Lo spiegamento della macchina da guerra americana ha lo scopo di allargare la sfera d"influenza economica dell'America. Gli Usa hanno instaurato una presenza militare permanente non soltanto in Iraq e Afghanistan, ma anche in diverse ex repubbliche sovietiche alla frontiera occidentale della Cina. Dal 1999, vi è stato un incremento della presenza militare nel Mar Cinese Meridionale. La guerra e la globalizzazione procedono insieme. La militarizzazione sorregge la conquista di nuove frontiere economiche e l'imposizione mondiale del "libero mercato". LA PROSSIMA FASE DELLA GUERRA L"Amministrazione Bush ha già identificato la Siria come il prossimo obiettivo della propria "roadmap" bellica. Il bombardamento di presunte "basi terroristiche" in Siria da parte dell'aeronautica israeliana in ottobre era volto a fornire una giustificazione per un successivo intervento militare preventivo. Ariel Sharon ha lanciato gli attacchi con l'approvazione di Donald Rumsfeld.(1) Questa estensione programmata della guerra alla Siria ha serie implicazioni. Comporta che Israele diventi un importante attore anche militare nella guerra Usa e un membro "ufficiale" della coalizione angloamericana. Il Pentagono ritiene "strategico" il "controllo territoriale" della Siria, che costituisce un ponte di terra tra Israele e l'Iraq occupato, sia da un punto di vista militare che economico. Esso costituisce anche un modo per controllare il confine iracheno e interrompere il flusso di combattenti volontari che vanno a Baghdad per unirsi al movimento di resistenza iracheno. Tale allargamento del teatro di guerra è conforme al piano di Ariel Sharon di costruire un "Grande Israele" "sulle rovine del nazionalismo palestinese". Mentre Israele cerca di estendere il proprio dominio territoriale verso il

fiume Eufrate, con aree designate per insediamenti in terra siriana, i palestinesi vengono imprigionati a Gaza e nella West Bank dietro al "Muro dell'apartheid". Nel frattempo, il Congresso Usa ha rafforzato le sanzioni economiche contro Libia e Iran. Washington accenna anche alla necessità di un "cambio di regime" in Arabia Saudita. Stanno aumentando le pressioni politiche in Turchia. Dunque, la guerra potrebbe veramente estendersi a una regione molto più ampia che va dal Mediterraneo orientale al subcontinente indiano e alla frontiera occidentale della Cina. L"UTILIZZO "PREVENTIVO" DI ARMI NUCLEARI Washington ha adottato una politica nucleare "preventiva" che ha ora ricevuto l'approvazione del Congresso. Le armi nucleari non sono più un"arma da utilizzarsi in extremis come durante l'era della Guerra Fredda. Gli Usa, la Gran Bretagna e Israele hanno deciso insieme la politica relativamente alle armi nucleari. Le testate nucleari israeliane sono puntate sulle principali città del Medio Oriente. I governi dei tre paesi hanno tranquillamente dichiarato, prima della guerra in Iraq, che sono pronti a usare armi nucleari "se attaccati" con le cosiddette "armi di distruzione di massa". Israele è la quinta potenza nucleare al mondo. Il suo arsenale nucleare è più all'avanguardia rispetto a quello della Gran Bretagna. Appena poche settimane dopo l'arrivo dei marines a Baghdad, la Commissione Forze Armate del Senato Usa ha dato via libera al Pentagono per lo sviluppo di una nuova bomba atomica adatta ad essere usata in teatri di guerra convenzionali, "con un carico [fino a] sei volte più potente della bomba di Hiroshima". In seguito alla decisione del Senato, il Pentagono ha ridefinito i suoi piani relativi al nucleare in una riunione segreta, tenuta al Quartier Generale del Comando Centrale alla base aerea di Offutt in Nebraska, alla quale hanno partecipato importanti dirigenti dell'industria nucleare e del complesso militare-industriale. La riunione si è svolta il 6 agosto, lo stesso giorno in cui 58 anni fa venne sganciata su Hiroshima la prima bomba atomica. La nuova politica nucleare coinvolge esplicitamente nel processo decisionale i grandi fornitori della difesa. E, di fatto, equivale a una "privatizzazione" della guerra atomica. Le aziende non soltanto mietono profitti multimiliardari dalla produzione di bombe atomiche, ma hanno anche voce in capitolo nello stabilire i piani riguardanti l'utilizzo e lo spiegamento delle armi nucleari. Nel frattempo, il Pentagono ha scatenato una grande campagna di propaganda e pubbliche relazioni incentrata a sostenere l'uso delle armi atomiche per la "difesa del territorio americano". Pienamente appoggiate dal Congresso Usa, le miniatomiche vengono considerate "sicure per i civili". Questa nuova generazione di armi nucleari è stata programmata per essere utilizzata nella prossima fase di questa guerra, in "teatri di guerra convenzionali" (cioè nel Medio Oriente e in Asia Centrale) insieme alle armi convenzionali. Nel dicembre 2003 il Congresso Usa ha stanziato 6,3 miliardi di dollari, solo per il 2004, per lo sviluppo di questa nuova generazione di armi nucleari "difensive".Il bilancio annuale totale della difesa è di circa 400 miliardi di dollari, approssimativamente la stessa cifra del PIL della Federazione Russa. Mentre non vi sono prove dell'uso di miniatomiche nei teatri di guerra iracheno e afgano, i test condotti dall'Uranium Medical Research Center (UMRC) canadese in Afghanistan svelano che le radiazioni tossiche registrate non sono attribuibili all'utilizzo di munizioni contenenti uranio impoverito (DU), ma a un"altra forma non identificata di contaminazione da uranio: sono stati usati alcuni tipi di armi all'uranio (...) I risultati sono stati sorprendenti: gli esaminati presentavano concentrazioni di isotopi di uranio tossico e radioattivo tra 100 e 400 volte maggiori che tra i veterani della Guerra del Golfo controllati nel 1999.(2)

LA PIANIFICAZIONE DELLA GUERRA La guerra all'Iraq è stata pianificata almeno dalla metà degli anni "90. Un documento della sicurezza nazionale dell'Amministrazione Clinton dichiarava, abbastanza chiaramente, che l'obiettivo della guerra era il petrolio. Un ininterrotto, sicuro accesso al petrolio "per proteggere gli Stati Uniti". Nel settembre 2000, pochi mesi prima dell'arrivo di George W. Bush alla Casa Bianca, il Project for a New American Century (PNAC) pubblicava il suo piano per il dominio globale dal titolo "Rebuilding America"s Defenses". Il PNAC è un istituto neoconservatore collegato alla Difesa e ai servizi segreti, al partito repubblicano e al potente Council on Foreign Relations (CFR). Il PNAC, dietro le quinte, gioca un ruolo nella formulazione della politica estera Usa. L"obiettivo dichiarato del PNAC è molto semplice: "combattere e vincere decisivamente in molteplici, simultanei teatri di guerra". Questa dichiarazione indica che gli Usa progettano di essere coinvolti simultaneamente in diversi teatri di guerra, in differenti regioni del mondo. Il vicesegretario della difesa Paul Wolfowitz, il segretario della difesa Donald Rumsfeld e il vicepresidente Dick Cheney avevano commissionato il progetto del PNAC prima delle elezioni presidenziali. Il PNAC delinea una mappa per la conquista. Esso chiede l’”imposizione diretta di basi avanzate Usa in Asia centrale e il medio Oriente" con il fine di assicurare il dominio economico del mondo, strangolando tutti i potenziali "rivali" od ogni possibile alternativa alla concezione americana di economia di "libero mercato".(3) IL RUOLO DEGLI "EVENTI PRODUTTIVI DI NUMEROSE VITTIME" Il piano del PNAC delinea come debba essere pianificata la propaganda di guerra. Un anno prima dell'11 settembre, il PNAC invocava "un evento catastrofico e catalizzante, tipo una nuova Pearl Harbor", che sarebbe servito a galvanizzare l'opinione pubblica degli Usa a sostegno dell'agenda di guerra.(4) Gli artefici del PNAC sembra abbiano anticipato con cinica precisione l'utilizzo, "come pretesto per una guerra", degli attentati dell'11 settembre. Il riferimento del PNAC a "un evento catastrofico e catalizzante" fa eco a una simile dichiarazione di David Rockefeller al Consiglio Economico delle Nazioni Unite del 1994: "siamo sull'orlo di una trasformazione globale. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è la giusta grande crisi e le nazioni accetteranno il Nuovo Ordine Mondiale". Simili le parole di Zbigniew Brzezinski nel suo libro “The Grand Chessboard" (Lagrande scacchiera, NdT): "[in America] creare consenso in materia di politica estera potrebbe essere difficile, a meno che non si verifichi una minaccia esterna diretta veramente enorme e ampiamente avvertita". Zbigniew Brzezinski, che era Consigliere per la Sicurezza Nazionale del presidente Jimmy Carter, è stato uno dei progettatori della rete di Al Qaeda, creata dalla CIA all'inizio della guerra sovietico-afgana (1979-1989). L""evento catastrofico e catalizzante", come dichiarato dal PNAC, è una parte integrante della pianificazione militare e di intelligence. Il generale Franks, che ha guidato la campagna militare in Iraq, ha recentemente (ottobre 2003) rilevato il ruolo di un "evento che provoca numerose vittime" per trovare sostegno all'imposizione di un governo militare in America.(5) Franks identifica lo scenario preciso con il quale verrà istituito il governo militare: [avverrà] un attacco terroristico che provocherà numerose vittime da qualche parte nel mondo occidentale - potrebbe essere negli Stati Uniti d"America - e che metterà in discussione la nostra Costituzione. Seguirà l'inizio della militarizzazione del nostro paese per evitare che un"altra strage si ripeta.(6) Questa dichiarazione, da parte di un individuo che è stato attivamente coinvolto nella pianificazione militare e d"intelligence ai più alti livelli, suggerisce che la "militarizzazione del nostro paese" è un"ipotesi operativa. Non vi è bisogno di dire che è anche una parte integrante dell'agenda neoliberista. L""evento terroristico che provocherà numerose vittime" viene presentato dal generale Franks come un cruciale punto di svolta politico. Le risultanti crisi e agitazioni sociali sono intese a facilitare un importante spostamento nelle strutture politiche, sociali e istituzionali degli Usa.

La dichiarazione del generale Franks riflette il consenso dei militari Usa rispetto a come i fatti dovrebbero svolgersi. La "guerra al terrorismo" deve fornire la giustificazione per revocare lo stato di diritto, in definitiva, con la scusa di "preservare le libertà civili". L"intervista di Franks suggerisce che un attacco terroristico patrocinato da al Qaeda verrà utilizzato come "fattore scatenante" per un colpo di stato militare in America. L""evento tipo Pearl Harbor" del PNAC verrebbe usato come giustificazione per dichiarare lo stato d"emergenza che porta alla costituzione di un governo militare. Sotto molti aspetti, negli Usa la militarizzazione delle istituzioni civili dello stato è già in atto dietro la facciata di una democrazia fasulla. LA PROPAGANDA DI GUERRA In seguito agli attentati dell'11 settembre al World Trade Center, il segretario alla difesa Donald Rumsfeld ha creato l'Office of Strategic Influence (OSI) o, come è stato etichettato dai suoi critici, "Ufficio della disinformazione": "il Dipartimento della Difesa ha detto che non era necessario, e che stava realmente diffondendo notizie false in paesi stranieri, con l'intento di influenzare l'opinione pubblica mondiale".(7) All'improvviso l'OSI venne formalmente sciolto in seguito alle pressioni politiche e a "fastidiose" notizie apparse sui media che "svelavano che lo scopo era di mentire deliberatamente per portare avanti gli interessi americani".(8) "Rumsfeld rinunciò e disse che ciò era imbarazzante".(9) Nondimeno, nonostante questa rinuncia apparente, l'orwelliana campagna di disinformazione del Pentagono rimane funzionalmente intatta: "Il segretario della difesa su questo non è particolarmente esplicito. La disinformazione nella propaganda militare fa parte della guerra".(10) Più tardi, in un"intervista con la stampa, Rumsfeld confermò che, sebbene nominalmente l'OSI non esista più, le "funzioni previste per l'Ufficio vengono svolte".(11) Molte agenzie governative e unità dei servizi segreti, con collegamenti con il Pentagono, rimangono attivamente coinvolte in varie fasi della campagna di propaganda. IL RUOLO CENTRALE DI AL QAEDA NELLA DOTTRINA DELLA SICUREZZA NAZIONALE DI BUSH Citate nel National Security Strategy (NSS), la dottrina della "guerra difensiva" preventiva e la "guerra al terrorismo" contro al Qaeda costituiscono i due fondamentali pilastri della campagna di propaganda del Pentagono. L"obiettivo è presentare l'”azione militare preventiva", cioè la guerra come un atto di "autodifesa" contro due categorie di nemici, gli "stati canaglia" e i "terroristi islamici": "la guerra contro i terroristi su scala globale è un"impresa dalla durata incerta. L"America agirà contro le minacce emergenti prima che esse si siano pienamente costituite. Gli stati canaglia e i terroristi non cercano di attaccarci usando metodi convenzionali. Sanno che tali attacchi fallirebbero. Essi contano, invece, sulle azioni terroristiche e, potenzialmente, sull'utilizzo di armi di distruzione di massa. I bersagli di questi attacchi sono le nostre forze armate e la nostra popolazione, in diretta violazione di una delle principali convenzioni di guerra. Come è stato dimostrato dalla strage dell'11 settembre 2001, le vittime civili sono l'obiettivo specifico dei terroristi e le perdite diventerebbero esponenzialmente più gravi se i terroristi acquisissero e utilizzassero armi di distruzione di massa. Gli Stati Uniti hanno scelto di ricorrere ad azioni preventive per contrastare una minaccia, sufficientemente fondata, alla nostra sicurezza nazionale. Più grande è la minaccia, maggiore è il rischio dell'inazione, e più convincente per intraprendere un"azione per difenderci, (...) per anticipare o prevenire tali azioni ostili da parte dei nostri avversari, gli Stati Uniti, se necessario, agiranno preventivamente.(12) Per giustificare le azioni militari preventive, la Dottrina della Sicurezza Nazionale richiede la "creazione" di una minaccia terrorista, cioè di "un nemico esterno". Necessita anche di collegare queste minacce terroriste a una "sponsorizzazione di stato", da parte dei cosiddetti "stati canaglia". Ma significa anche che i vari "eventi che provocheranno numerose vittime" addebitati ad al Qaeda

(il nemico fabbricato), fanno in realtà parte dei piani della Sicurezza Nazionale. Durante i mesi nei quali si preparava l'invasione dell'Iraq, operazioni per creare "sporchi inganni" furono avviate segretamente per produrre informazioni fuorvianti che venivano inserite nella catena delle notizie concernenti sia le armi di distruzione di massa (WMD) che al Qaeda. Dopo la guerra, mentre è stato abbassato il tono relativamente alla minaccia delle WMD, le minacce di al Qaeda "alla patria" continuano a essere ripetute fino alla nausea nelle dichiarazioni ufficiali, commentate sulle reti TV e presenti quotidianamente nei tabloid di notizie. E così, dietro queste realtà manipolate, la realtà è che gli eventi terroristici di "Osama bin Laden" vengono già utilizzati come giustificazione per la prossima fase di questa guerra. Il rapporto è molto diretto, come si deduce da: 1. l'efficacia della campagna di propaganda Pentagono-CIA, inserita nella catena delle notizie. 2. il reale accadere di "eventi produttivi di numerose vittime" come delineati dal PNAC Ciò conferma che i reali fatti terroristici ("produttivi di numerose vittime") sono parte integrante della pianificazione militare. REALI ATTACCHI TERRORISTICI In altre parole, per essere "efficaci" la campagna di paura e disinformazione non possono affidarsi unicamente ad "allarmi" di attacchi futuri, ma richiedono anche avvenimenti terroristici "reali" o "eventi" che forniscano credibilità ai piani di guerra di Washington. Tali attacchi terroristici vengono utilizzati per giustificare l'applicazione di "misure di emergenza" e anche di "azioni militari di rappresaglia". Nell'attuale contesto, essi sono richiesti per creare l'illusione di "un nemico esterno" che minaccia il territorio. L"avverarsi di "eventi pretesto per la guerra" è parte delle assunzioni del Pentagono. Tutto ciò è, infatti, parte integrante della storia militare degli Usa.(13) Nel 1962 i capi di stato maggiore riuniti avevano concepito un piano segreto denominato "Operazione Northwoods", per causare deliberatamente vittime civili e giustificare l'invasione di Cuba: "potremmo far saltare una nave Usa nella baia di Guantanamo e incolpare Cuba", "potremmo sviluppare una campagna di terrore comunista nell'area di Miami, in altre città della Florida e persino a Washington", "la lista delle vittime sui quotidiani causerebbe un"utile ondata di indignazione nazionale".(14) Non vi sono prove che il Pentagono e la CIA abbiano avuto un ruolo diretto nei recenti attentati terroristici, compresi quelli in Indonesia (2002), India (2001), Turchia (2003) e Arabia Saudita (2003). Secondo i resoconti, gli attacchi sono stati compiuti da organizzazioni (o cellule di queste organizzazioni) che operano abbastanza indipendentemente, con un certo grado di autonomia. Questa indipendenza è tipica di un"operazione segreta d"intelligence. Le "forze di proprietà dell'intelligence" non sono mai in diretto contatto diretto con il loro finanziatore segreto. Non sono nemmeno necessariamente a conoscenza del ruolo che davvero svolgono per conto dei loro sponsor dei servizi segreti. La questione fondamentale è: chi c'è dietro di loro? Attraverso quali canali vengono finanziati? Qual è la sottostante rete di collegamenti? Per esempio, nel caso dell'attentato di Bali del 2002, la presunta organizzazione terrorista Jemaah Islamiah aveva collegamenti con l'intelligence militare indonesiana (BIN), che a sua volta ha collegamenti con la CIA e i servizi segreti australiani. L"attacco terroristico del dicembre 2001 al Parlamento indiano, che contribuì a spingere l'India e il Pakistan sull'orlo della guerra, fu presumibilmente compiuto da due gruppi ribelli con base in Pakistan, il Lashkare-Taiba ("Esercito dei puri") e il Jaish-e-Muhammad ("Esercito di Maometto"), entrambi, secondo il Council on Foreign Relations (CFR), sono sostenuti dall'ISI pakistano.(15) Quello che il CFR manca di riconoscere è la cruciale relazione tra l'ISI e la CIA e il fatto che l'ISI continui a sostenere il Lashkar, il Jaish, il Jammu militante e il Kashmir Hizbul Mujahideen (JKHM) mentre continua attivamente a collaborare con la CIA.(16)

Un documento segreto del 2002, redatto come guida per il Pentagono chiede la creazione di un cosiddetto "Gruppo che ha l'autorizzazione ad agire, tramite operazioni preventive" (P2OG), lanciando operazioni segrete mirate a "stimolare reazioni" da parte di terroristi e stati che possiedono armi di distruzione di massa, cioè, per esempio, poter spingere all'azione cellule terroristiche esponendole ad attacchi di "risposta rapida" delle forze Usa.(17) L"iniziativa P2OG non è niente di nuovo. Essa essenzialmente estende un apparato già esistente di operazioni coperte. È ampiamente documentato: la CIA ha sostenuto gruppi terroristici fin dall'era della Guerra Fredda. Tale "spingere le cellule terroristiche" con operazioni coperte di intelligence spesso richiede l'infiltrazione e l'addestramento dei gruppi radicali collegati ad al Qaeda. A questo riguardo, vi è stato sostegno segreto dei militari Usa e dell'apparato di intelligence a varie organizzazioni terroriste islamiche attraverso una complessa rete di intermediari e mandatari dell'intelligence. Nel corso degli anni "90, le agenzie del governo Usa hanno collaborato con al Qaeda in molte operazioni segrete, come confermato da un rapporto del 1997 della Commissione del partito repubblicano del Congresso Usa.(18) Infatti, durante la guerra in Bosnia, gli ispettori Usa agli armamenti collaboravano con operativi di al Qaeda, per far giungere grandi carichi di armi all'esercito musulmano bosniaco. In altre parole, l'Amministrazione Clinton "dava rifugio ai terroristi". Inoltre, dichiarazioni ufficiali e rapporti di intelligence confermano collegamenti tra unità militari e di intelligence Usa e operativi di al Qaeda, come è accaduto in Bosnia (metà anni "90), Kosovo (1998-99) e Macedonia (2001 ). (19) L"Amministrazione Bush e la NATO avevano collegamenti con al Qaeda in Macedonia. Ciò avveniva appena poche settimane prima dell'11 settembre 2001. Alti consiglieri militari Usa impiegati in un"impresa privata di mercenari sotto contratto con il Pentagono collaboravano con i mujahideen per compiere attacchi terroristici alle forze di sicurezza macedoni. Questo è documentato dalla stampa macedone e da dichiarazioni rese dalle autorità macedoni.(20) Il governo Usa e la rete militante islamica operavano assieme nel sostenere e finanziare il National Liberation Army (NLA), coinvolto negli attacchi terroristici in Macedonia. In altre parole, i militari Usa collaboravano direttamente con al Qaeda appena qualche settimana prima dell'11 settembre. AL QAEDA E I SERVIZI SEGRETI MILITARI PAKISTANI (ISI) È veramente rilevante che, praticamente in tutti gli attacchi terroristici post 11 settembre, ci si riferisca all' organizzazione terrorista (nei media e nelle dichiarazioni ufficiali) come avente "legami con al Qaeda di Osama bin Laden". Questa è, in se stessa, un"informazione cruciale. ma, naturalmente, il fatto che al Qaeda sia una creatura della CIA non viene menzionata dalla stampa né viene considerata rilevante per la comprensione di questo genere di terrorismo. I legami di queste organizzazioni terroristiche (particolarmente quelle in Asia) con i servizi segreti militari pakistani (ISI) sono riconosciuti in pochi casi dalle fonti ufficiali e dai dispacci di stampa. Come confermato dal Council on Foreign Relations (CFR), alcuni di questi gruppi hanno collegamenti con l'ISI pakistano. Non viene però chiarita la natura di questi collegamenti. Non vi è bisogno di dire che questa informazione è decisiva per identificare gli sponsor degli attacchi terroristici. In altre parole, viene detto che l'ISI sostiene queste organizzazioni terroristiche mentre, allo stesso tempo, mantiene stretti legami con la CIA. Con tanto di documenti che lo provano, fonti ufficiali confermano che al Qaeda sia sostenuta dall'intelligence militare pakistana, l'Interservices Intelligence (ISI). L"ISI ha sostenuto molte organizzazioni terroristiche. E, come suddetto, l'ISI è sostenuto dalla CIA e vi sono stretti collegamenti tra le due agenzie. I terroristi dell'11 settembre non hanno agito di loro propria volontà. Inoltre, i documenti ufficiali, comprese le trascrizioni parlamentari, confermano che al Qaeda è di fatto una creatura della CIA, cioè una "risorsa dell'intelligence".

L'11 SETTEMBRE Mentre Colin Powell, senza essere sostenuto da prove nel suo discorso all'ONU del 23 febbraio, indicava "il sinistro nesso tra l'Iraq e la rete terrorista di al Qaeda", documenti ufficiali, rapporti stampa e dell'intelligence confermano che le successive Amministrazioni Usa hanno sostenuto e appoggiato la rete militante islamica. Questa relazione è un fatto accertato, corroborato da numerosi studi, riconosciuto dai think tank ufficiali di Washington. Sia Colin Powell che il suo vice Richard Armitage, che nei mesi precedenti alla guerra accusavano con disinvoltura Baghdad e altri governi stranieri di "dare rifugio" ad al Qaeda, hanno giocato un ruolo diretto, in momenti diversi della loro carriera, nel sostenere organizzazioni terroriste. Entrambi furono implicati, operando dietro le quinte, nello scandalo Irangate-Contra durante l'Amministrazione Reagan (riguardante la vendita illegale di armi all'Iran per finanziare l'esercito paramilitare dei contra nicaraguensi e i mujahideen afgani).(21) Inoltre, sia Richard Armitage che Colin Powell hanno svolto un ruolo decisivo nell'insabbiamento delle indagini sull'11 settembre. Infatti, le indagini e le ricerche condotte negli ultimi anni, inclusi documenti ufficiali, testimoni e rapporti d"intelligence, indicano che l'11 settembre è stata un"operazione d"intelligence accuratamente preparata piuttosto che un atto compiuto da un"organizzazione terrorista.(22) In un rapporto reso pubblico alla fine del settembre 2001, l'FBI ha confermato il ruolo dei servizi segreti militari del Pakistan. Secondo il rapporto, il presunto capobanda dell'11 settembre, Mohammed Atta, era stato finanziato da fonti del Pakistan. Un conseguente rapporto dei servizi segreti ha confermato che l'allora capo dell'ISI, generale Mahmoud Ahmad, aveva trasferito denaro a Mohammed Atta.(23) L"ISI, del resto e come già detto, opera in contatto molto stretto con la sua controparte Usa, la CIA. Inoltre, rapporti stampa e dichiarazioni ufficiali confermano che il capo dell'ISI era in visita ufficiale negli Usa dal 4 al 13 settembre 2001. In altre parole, lo stesso individuo che avrebbe trasferito denaro ai terroristi aveva una stretta relazione personale con molti alti funzionari dell'Amministrazione Bush, compresi Colin Powell, il direttore della CIA George Tenet e il vicesegretario Richard Armitage, che incontrò nel corso della sua visita a Washington.(24) IL MOVIMENTO PACIFISTA Il movimento pacifista non può avere le proprie fondamenta unicamente nel sentimento contro la guerra. Deve spodestare i criminali di guerra e mettere in questione il loro diritto a governare. Una condizione necessaria per deporre i governanti è indebolire e infine smantellare la loro campagna di propaganda. Lo slancio dei grandi raduni contro la guerra negli Usa, nell'Unione Europea e in tutto il mondo, dovrebbe gettare le fondamenta di una rete permanente, composta da decine di migliaia di comitati pacifisti a livello locale. È, in definitiva, attraverso questa rete che verrà messa in discussione la legittimità di coloro che "governano in nostro nome". Per fare deragliare i piani di guerra dell'Amministrazione Bush e disarmare la sua macchina della propaganda dobbiamo raggiungere i nostri concittadini in Europa e in tutto il mondo, quei milioni di persone comuni che sono stati ingannati sulle cause e sulle conseguenze di questa guerra. Questo implica anche svelare completamente le menzogne dietro la "guerra al terrorismo" e rivelare le complicità politiche dell'Amministrazione Bush nei fatti dell'11 settembre. L"11 settembre è un inganno. La più grande menzogna nella storia degli Usa. Non vi è bisogno di dire che l'uso di "eventi produttivi di numerose vittime" come prete sto per fare la guerra è un atto criminale. Con le parole di Andreas van Buelow, ex ministro della tecnologia tedesco e autore di "The CIA and September 11 ": "se quello che dico è corretto, l'intero governo Usa dovrebbe finire dietro le sbarre". Nondimeno, non è sufficiente rimuovere George W. Bush o Tony Blair, che sono solamente dei burattini. Dobbiamo anche prendere di mira il ruolo delle banche globali, delle multinazionali e delle istituzioni finanziarie, che invariabilmente si trovano dietro agli attori militari e politici.

Sempre più le istituzioni militari e d"intelligence (piuttosto che il Dipartimento di Stato, la Casa Bianca o il Congresso Usa) decidono la politica estera Usa. Nel frattempo, i colossi texani del petrolio, i fornitori della difesa, Wall Street e i potenti colossi dei media, operando con discrezione dietro le quinte, tirano le fila. E se i politici diventano fonte di troppo imbarazzo, possono essere screditati dai media, sostituiti, e può essere messa al potere una nuova squadra di burattini politici. LA CRIMINALIZZAZIONE DELLO STATO I leader americani, di Washington e Wall Street, credono fermamente nella legittimità della guerra e nelle forme autoritarie di governo come mezzi per "salvaguardare i valori democratici". Secondo il Dipartimento della Sicurezza Interna "i prossimi attacchi uguaglieranno o avranno maggiore entità di quelli dell'11 settembre". Un reale "attacco terroristico" in territorio americano porterebbe alla sospensione del governo civile e all'instaurarsi della legge marziale. Con le parole del Segretario del Dipartimento della Sicurezza Interna Tom Ridge: "se passiamo al codice Rosso... esso sostanzialmente blocca il paese". Lo Stato diventa "Criminale" quando i criminali di guerra occupano legittimamente posizioni di autorità che permettono di decidere "chi sono i criminali", mentre di fatto i criminali sono loro. Un attacco terroristico in territorio americano dell'entità e della natura di quelli dell'11 settembre porterebbe, secondo il generale Tommy Franks, ex comandante del CENTCOM, al rovesciamento della democrazia in America. In un"intervista dello scorso dicembre, a mala pena menzionata dai media Usa, il generale Franks ha delineato, con cinica accuratezza, la sospensione della Costituzione e l'instaurazione del governo militare in America: "un tremendo evento terroristico, con molte vittime [si verificherà] da qualche parte nel mondo occidentale - potrebbe essere negli Stati Uniti d"America - in gradi di indurre la nostra popolazione a mettere in dubbio la Costituzione e di dare inizio alla militarizzazione del nostro paese per evitare il ripetersi di un"altra strage".(25) Franks alludeva a un cosiddetto "evento tipo Pearl Harbor" che verrebbe utilizzato per galvanizzare l'opinione pubblica degli Usa a sostegno di un governo militare e dello stato di polizia. La strage viene presentata dal generale Franks come decisiva da un punto di svolta politico. La crisi e il disordine sociale che ne deriveranno sono destinati a facilitare un importante mutamento delle strutture politiche, sociali e istituzionali degli Usa. È importante comprendere che il generale Franks non stava esprimendo un"opinione personale su questo argomento. La sua dichiarazione riflette il punto di vista dominante, sia al Pentagono che al Dipartimento della Sicurezza Interna, su come dovrebbero dispiegarsi gli eventi in caso di emergenza nazionale. La dichiarazione proviene da un uomo che è stato coinvolto attivamente nella pianificazione militare e d"intelligence ai più alti livelli. In altre parole, la "militarizzazione del nostro paese" è un presupposto operativo in corso. Fa ampiamente parte dell'"accordo esistente a Washington". Quest"ultimo si identifica sia nella "road-map" di guerra dell'Amministrazione Bush sia nella difesa interna. La "guerra al terrorismo", che costituisce la pietra angolare della dottrina della sicurezza nazionale di Bush, fornisce la giustificazione richiesta per abrogare lo stato di diritto, in definitiva con la scusa di "proteggere le libertà civili". Con le parole di David Rockefeller: "siamo sul ciglio di una trasformazione globale. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è la giusta grande crisi e le nazioni accetteranno il Nuovo Ordine Mondiale".(26) Il Project for the New American Century (PNAC) dei neoconservatori, pubblicato nel settembre 2000, appena pochi mesi prima dell'ascesa al potere di George W. Bush, evocava: "un evento catastrofico e catalizzante, come una nuova Pearl Harbor". (27) Ciò che è terrificante in queste affermazioni è che esse provengono dagli artefici della politica estera Usa. L"abrogazione della democrazia è dipinta come un mezzo per fornire "sicurezza interna" e sorreggere le libertà civili. La verità è falsità e la falsità è verità. La realtà viene capovolta. Le

azioni di guerra vengono annunciate come "interventi umanitari" diretti al sostegno della democrazia. L"occupazione militare e l'assassinio di civili sono presentate come "operazioni per il mantenimento della pace". Tale punto di vista dominante è condiviso anche dai principali media, che costituiscono la pietra angolare della campagna di propaganda e disinformazione. Ogni tentativo dei critici pacifisti di rivelare le menzogne sottostanti a queste dichiarazioni viene definito un "atto criminale". DALL"ALLARME CODICE ARANCIONE ALL"ALLARME CODICE ROSSO La strage è diventata una parte integrante della campagna di propaganda dell'Amministrazione Bush. Dall'11 settembre 2001 l'Amministrazione ha lanciato cinque volte l'allarme Codice Arancione di "alto rischio". Ogni volta, al Qaeda di Osama bin Laden è stata identificata come "una minaccia alla patria". L"annuncio ufficiale si riferisce a "significativi rapporti dell'intelligence" oppure a "fonti credibili" riguardo un attacco terroristico "di al Qaeda". Dall'11 settembre gli americani hanno accettato come reali questi allarmi terroristici. Al Qaeda viene vista come un nemico dell'America e gli allarmi terroristici sono divenuti parte di una routine: la gente si è abituata. Inoltre, ha anche interiorizzato la possibilità di un passaggio dall'allarme Codice Arancione a quello Rosso in un prevedibile futuro, in caso di un reale evento terroristico. Non vi è bisogno di dire che la campagna di disinformazione, che viene giornalmente alimentata nella catena delle notizie, sostiene il processo di omologazione della pubblica opinione degli Usa. L"agenda nascosta consiste nel creare, alla fine, un clima di paura e di intimidazione che mobiliti il sostegno pubblico cosicché in una reale situazione di emergenza nazionale venga proclamata la legge marziale. GLI ALLARMI TERRORISTICI ERANO BASATI SU INFORMAZIONI FALSIFICATE Le prove suggeriscono che gli allarmi di "alto rischio", Codice Arancione, del 7 febbraio 2003 e del 21 dicembre 2003 fossero fondati su informazioni falsificate. L"allarme Codice Arancione era stato ordinato il 7 febbraio 2003, un giorno dopo il fiasco della presentazione di Colin Powell al Consiglio di Sicurezza dell'ONU riguardo alle presunte armi di distruzione di massa dell'Iraq. Il dossier d"intelligence presentato da Powell era stato educatamente contestato. La confutazione venne dall'ispettore ONU, Hans Blix, che dimostrò che le informazioni, utilizzate come pretesto per fare la guerra all'Iraq, erano state chiaramente falsificate. Colin Powell il 6 febbraio fece un discorso al Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Il 7, l'Amministrazione Bush lanciò un allarme terroristico "Codice Arancione". Questa "operazione salva faccia" contribuì a placare uno scandalo imminente, mentre forniva sostegno all'invasione dell'Iraq pianificata dal Pentagono. L"attenzione dei media si spostò immediatamente dalle cantonate di Colin Powell, al Consiglio di Sicurezza dell'ONU, a un (presunto) imminente attacco terroristico all'America. Attorno a Washington furono immediatamente dispiegati i missili antiaerei. I media vennero inondati da servizi sul sostegno iracheno a un imminente attacco di al Qaeda all'America. L"obiettivo era di presentare l'Iraq come aggressore. Secondo il New York Post, (11 febbraio 2003): "La nazione è ora in Allarme Arancione perché le intercettazioni dei servizi segreti e la pura logica suggeriscono entrambe che i nostri nemici islamici conoscano il modo migliore per colpirci con il terrorismo in territorio Usa." Un"altra storia, si dice proveniente dalla CIA, sulle cosiddette "bombe sporche radioattive" era stata immessa nella catena delle notizie.(28) Il Segretario Powell avvertiva che "per dei terroristi sarebbe molto facile preparare bombe "sporche" radioattive da far esplodere negli Usa... Quanto ciò sia probabile non posso dirlo... Ma penso sia saggio per noi almeno lasciare che il popolo americano sappia di questa possibilità".(29) Nel frattempo, le reti TV avevano avvertito che "gli alberghi americani, i centri commerciali e i palazzi potrebbero essere, già la prossima settimana, dei bersagli di al Qaeda". Nelle settimane precedenti l'invasione dell'Iraq, l'agenda nascosta prevedeva il collegamento tra Baghdad e al Qaeda, un fermo sostegno per il Presidente Bush e l'indebolimento del movimento di

protesta contro la guerra. In seguito all'annuncio, decine di migliaia di americani si precipitarono ad acquistare nastro isolante, teli di plastica e maschere antigas. Più tardi trapelò la notizia che l'allarme terroristico era stato falsificato dalla CIA, con ogni probabilità in accordo con le più alte cariche del Dipartimento di Stato.(30) Per la prima volta, l'FBI ha puntato il dito contro la CIA. "Risulta che questa tessera del puzzle sia stata falsificata e perciò la ragione di molti allarmi, in specifico quello di Washington di questa settimana, si è dissolta dopo che è stato scoperto che le informazioni non erano vere", ha detto Vince Cannistraro, ex capo dell'antiterrorismo alla CIA e consulente della ABC News... Secondo alcuni funzionari, l'FBI e la CIA si accusano l'un l'altra. Un portavoce dell'FBI ha detto oggi alla ABC News di "non essere a conoscenza della macchinazione, ma di avere riserve sulla sua veridicità".(31) Mentre tacitamente riconosceva che l'allarme era un falso, il Segretario della Sicurezza Interna, Tom Ridge, decideva di mantenere il "Codice Arancione": "Nonostante i falsi rapporti, non c'è nessun piano di cambiare il livello di minaccia. I funzionari hanno detto che sono state convalidate altre informazioni e che l'elevato livello di precauzioni è pienamente legittimato".(32) Pochi giorni dopo, in un"altra iniziativa propagandistica fallita, Colin Powell presentò al Congresso Usa un misterioso nastro audio di Osama bin Laden come "prova" che i terroristi islamici "stanno facendo causa comune con un brutale dittatore".(33) Curiosamente, il nastro era in possesso di Colin Powell prima che venisse trasmesso dalla rete TV Al Jazeera.(34) L"ALLARME TERRORISTICO DI NATALE DI TOM RIDGE Il 21 dicembre 2003, quattro giorni prima di Natale, il Dipartimento della Sicurezza Interna, alzò nuovamente il livello di minaccia di attacco terrorista da "elevato" ad "alto".(35) Nella sua conferenza stampa prenatalizia, il Segretario del Dipartimento della Sicurezza Interna, Tom Ridge, confermò, proprio come aveva fatto il 7 febbraio 2003, che: "gli ambienti dell'intelligence Usa hanno ricevuto un numero sempre maggiore di rapporti relativi alle minacce". Secondo Tom Ridge, queste "credibili fonti [di informazioni]" sostengono che vi sia un aumento della "possibilità di attacchi alla patria nel periodo delle festività...".(36) Mentre le circostanze e il tempismo erano differenti, la dichiarazione del 21 dicembre del Segretario Tom Ridge aveva tutte le sembianze di una versione "copia-incolla" (Déjà Vu) del suo annuncio del 7 febbraio, che secondo l'FBI era una mistificazione, basata su informazioni false. Quello che è preoccupante è che nella dichiarazione del 21 dicembre vi è il fatto che un "reale" o "presunto" attacco terroristico di al Qaeda sembra essere già in preparazione. Ancora una volta, al Qaeda viene identificata come "il Nemico Esterno", naturalmente senza menzionare che al Qaeda di Osama bin Laden è una creatura della CIA e una "risorsa dell'intelligence" controllata dagli Usa. (37) Ovviamente, l'atmosfera di paura e confusione creata in America ha contribuito a infrangere lo spirito del Natale. Secondo rapporti dei media, l'allarme terroristico di alto livello è destinato "a incombere sulle feste e a portarci nel nuovo anno". "I terroristi minacciano ancora il nostro paese e noi restiamo impegnati in una pericolosa - siatene certi - difficile guerra che non finirà presto", avvertì il Segretario della Difesa Donald H. Rumsfeld. "Potrebbero attaccare in qualsiasi momento e ovunque. Con l'America in alto allarme terrorismo durante le feste natalizie, i funzionari dei servizi segreti temono che al Qaeda sia desiderosa di compiere un attacco spettacolare, forse dirottando un aereo di linea o da carico straniero e schiantandolo contro un bersaglio importante negli Stati Uniti".(38) L"annuncio ufficiale di Natale del Dipartimento della Sicurezza Interna fugava ogni dubbio esistente riguardo al livello della minaccia: "il rischio [durante il periodo natalizio] è forse ora maggiore che in ogni altro periodo dall'11 settembre 2001 ". Avvertiva, inoltre, gli americani, in termini non vaghi, ma senza prove a sostegno, che c'erano: "indicazioni che [gli] imminenti attacchi ... saranno pari o superiori agli attacchi [dell'11 settembre]". "Ed è molto chiaro che la capitale del paese e New York City sono nella lista...". In seguito all'annuncio del Segretario Ridge a Washington vennero sistemate batterie di missili antiaerei:

"Oggi il Pentagono ha dichiarato che da ora voleranno più aerei da caccia su città e installazioni selezionate, e che alcune basi aeree saranno poste in massima allerta". Il Segretario della Difesa Donald Rumsfeld: "Vi state chiedendo "È una cosa seria?" Sì, ci potete scommettere la vita. Non verrebbe fatto tutto questo se la situazione non fosse molto grave".(39) Secondo una dichiarazione ufficiale “l’intelligence riferisce che piloti addestrati da al Qaeda potrebbero lavorare per linee aeree d"oltreoceano e potrebbero essere pronti a compiere attacchi suicidi".(40) In particolare, i terroristi di al Qaeda e i talebani stavano progettando, secondo il Dipartimento della Sicurezza Nazionale, di dirottare un aereo dell'Air France e "di farlo schiantare in territorio statunitense in un attacco suicida simile a quello compiuto l'11 settembre 2001". I voli di Natale da Parigi dell'Air France vennero annullati. I caccia F-16 pattugliavano i cieli. Nondimeno, risultò che gli ordini di smobilitare i voli di Natale da Parigi a Los Angeles dell'Air France, che vennero usati per giustificare l'allarme Codice Arancione durante le feste natalizie, erano basati su informazioni falsificate. Secondo la versione ufficiale degli eventi, Washington aveva identificato sei membri di al Qaeda e dei talebani nella lista passeggeri dell'Air France: "i funzionari dell'antiterrorismo Usa hanno detto che le loro indagini erano centrate sull’‘opinione informata" che circa sei uomini sul volo Air France 68, che arriva giornalmente a Los Angeles alle 16.05, potrebbero avere progettato di dirottare l'aereo e schiantarlo vicino a Los Angeles o lungo la rotta. Questa convinzione, secondo un funzionario di alto livello dell'antiterrorismo Usa, era basata su informazioni affidabili e corroborate da diverse fonti. Alcuni degli uomini hanno gli stessi nomi di membri identificati di al Qaeda e dei talebani, ha detto un funzionario Usa. Uno degli uomini è un pilota addestrato con una licenza commerciale. I funzionari di polizia hanno detto che i voli sono stati cancellati in risposta alle stesse informazioni che hanno indotto... la Sicurezza Interna... a innalzare ad Arancione il livello di allarme terroristico del paese.. Con quella informazione, le autorità Usa hanno contattato i servizi segreti francesi... hanno avuto la meglio sull'Air France per cancellare [i loro voli], poiché l'informazione originale dei servizi segreti avvertiva che si sarebbero impossessati di più di un volo".(41) Altri mezzi di informazione confermarono che "i rapporti raccolti dalle agenzie americane erano "molto, molto precisi"". Nel frattempo, la Fox News indicava la possibilità che al Qaeda stesse "tentando di immettere informazioni false, per farci spendere denaro, per gettare la gente nel panico e forse per sondare le nostre difese?"(42) "SCAMBIO DI IDENTITÀ" Non vi è bisogno di dire che questi rapporti falsi dei media sono serviti a creare una atmosfera tesa durante le feste di Natale. L"aeroporto internazionale di Los Angeles era in "massimo dispiegamento di forze" con funzionari dell'antiterrorismo e dell'FBI che operavano 24 ore su 24. Nondimeno, in seguito all'indagine francese, risultò che quell'allarme terrorismo era un imbroglio. Le informazioni non erano "molto, molto precise" come pretendeva l'intelligence Usa. Risultò che i sei uomini di al Qaeda erano un bambino di cinque anni, un"anziana signora cinese che gestiva un ristorante a Parigi, un rappresentante delle assicurazioni gallese e tre francesi.(43) Il 2 gennaio il governo francese confermò che le informazioni comunicate da Washington erano errate: "Non vi era alcuna traccia di al Qaeda tra i passeggeri". Nondimeno, queste "lacune" riguardanti l'intelligence Usa erano già state rivelate il 23 dicembre dai servizi antiterrorismo francesi, che avevano educatamente confutato le cosiddette "fonti credibili" provenienti dall'apparato di intelligence Usa. Gli esperti antiterrorismo francesi erano estremamente "scettici" verso le loro controparti: "Noi [gli investigatori della polizia francese] abbiamo dimostrato [il 23 dicembre] che i loro argomenti semplicemente non avevano senso, ma nonostante ciò i voli vennero cancellati... Il principale sospettato [un dirottatore tunisino] risultò essere un bambino... Abbiamo veramente avuto la sensazione di un trattamento ostile [da parte dei funzionari Usa]. Le informazioni non sono state

trasmesse attraverso i normali canali. Non sono stati l'FBI o la CIA a contattarci, tutto è passato per canali diplomatici...".(44) La decisione di cancellare i sei voli dell'Air France è stata presa dopo due giorni di intensi negoziati tra i funzionari francesi e americani. Furono cancellati, su ordine del Primo Ministro francese in seguito a consultazioni con Colin Powell. Tale decisione venne presa successivamente al completamento dell'indagine francese. Nonostante il fatto che le informazioni fossero state confutate, il Segretario della Sicurezza Interna Tom Ridge insistette sul mantenere l'ordine di non far volare gli aerei. Se l'Air France non si fosse conformata le sarebbe stato impedito di usare lo spazio aereo Usa, cioè le sarebbe stato vietato di volare sugli Usa. Fu solamente il 2 gennaio, una volta finita la stagione natalizia, che le autorità Usa ammisero di aver compiuto un errore, affermando che era stato un caso inevitabile di "scambio di identità". Mentre tacitamente riconosceva il suo errore, la Sicurezza Interna insisteva che "le cancellazioni erano basate su solide informazioni". LA PIANIFICAZIONE DI EMERGENZA Non è necessario dire che, se i voli non fossero stati cancellati, la giustificazione dell'Amministrazione per l'allarme Codice Arancione non avrebbe più retto. In altre parole, la Sicurezza Interna aveva bisogno di sostenere la menzogna per l'intero periodo delle vacanze natalizie. Essa richiedeva anche un Codice Arancione attivo per lanciare le procedure della pianificazione di emergenza ai più alti livelli dell'Amministrazione Bush. Il giorno seguente l'annuncio di Natale del Segretario Ridge (21 dicembre), al Presidente Bush vennero date istruzioni dai suoi "alti consiglieri dell'antiterrorismo" in sessioni a porte chiuse alla Casa Bianca. Più tardi, quel giorno, si riunì alla Casa Bianca anche il Consiglio della Sicurezza Interna (HSC). Il nucleo esecutivo dello HSC, il cosiddetto Principals Committee (HSC/PC), capeggiato dal Segretario Tom Ridge, comprende Donald Rumsfeld, il Direttore della CIA George Tenet, il Ministro della Giustizia John Ashcroft, il Direttore dell'FBI Robert Mueller e Michael D. Brown, sottosegretario dell'Emergency Preparedness and Response, che sovrintende alla Federal Emergency Management Agency (FEMA).(45) In seguito alla riunione dello HSC, tenuta il 22 dicembre, il Segretario Ridge confermava che: "abbiamo esaminato i piani specifici e le azioni che abbiamo intrepreso e che continueremo a prendere".(46) Secondo le dichiarazioni ufficiali, che devono essere prese seriamente, un "reale attacco terroristico" in territorio americano nei prossimi tempi porterebbe all'allarme Codice Rosso. Quest"ultimo, a sua volta, creerebbe le condizioni per la (temporanea) sospensione delle normali funzioni del governo civile, come previsto dal generale Tommy Franks. Questo piano è stato considerato dal Segretario Tom Ridge in un"intervista alla CBS News il 22 dicembre 2003: "Se semplicemente passiamo al Codice Rosso... esso fondamentalmente blocca il paese", cioè le istituzioni del governo civile verrebbero chiuse e rilevate da un"Amministrazione di Emergenza. (47) PREPARARE LA LEGGE MARZIALE In preparazione all'allarme Codice Rosso, il Dipartimento della Sicurezza Interna ha condotto nel maggio 2003 una grande "esercitazione antiterrorismo" chiamata TOPOFF 2. Quest"ultima viene descritta come "la maggiore e più completa risposta al terrorismo e la più grande esercitazione di sicurezza interna mai condotta negli Stati Uniti". Con una logica da Dottor Stranamore, questa "capacità nazionale di risposta", tradotta in un"esercitazione in stile militare dei governi federali, di stato e locali, compresi partecipanti canadesi, stabilisce diversi "scenari" di un allarme Codice Rosso. In sostanza, il tutto viene condotto in base all'assunto che le esercitazioni militari siano correlate a un attuale teatro di guerra, per quanto vengano presi in esame vari scenari di attacco con le armi di distruzione di massa (WMD) e la risposta istituzionale dello stato e dei governi: "Si è valutato come i leader e le autorità reagirebbero all'utilizzo simulato di WMD in due città degli Usa, Seattle, e Chicago.

Lo scenario dell'esercitazione dipingeva una fittizia organizzazione terrorista straniera che detonava un ordigno a dispersione radioattiva (RDD o bomba sporca) simulato a Seattle e diffondeva la peste polmonare in diverse località dell'area metropolitana di Chicago. Ha avuto luogo anche una notevole manovra di intelligence pre-esercitazione, un cyber attacco e credibili minacce terroristiche contro altre località".(48) L"esercitazione terrorista, compresi gli scenari con le WMD, è fondata su una grande menzogna. Cerchiamo di essere molto chiari su quello che sta accadendo in America. Non si tratta più semplicemente di una campagna di paura e disinformazione. Attalmente, una "strage terroristica" costituisce la premessa basilare e la forza trainante per l'esistenza del sistema di sicurezza interna, che include le istruzioni ai cittadini, la sua struttura legale "antiterrorismo" in base al Second Patriot Act ecc. Ciò di cui stiamo trattando non è soltanto un atto criminale, ma un atto di tradimento preparato attentamente e proveniente dai più alti livelli dell'apparato dello Stato Usa. In breve, quello di cui stiamo parlando è "la Roadmap verso uno stato di polizia" in America, che verrà attuata in seguito a un"emergenza nazionale, o sotto la forma di governo militare o di stato di polizia che mantenga tutta la parvenza di una funzionante "democrazia" bipartitica. In pratica, i militari Usa e l'apparato di sicurezza appoggiano e sostengono gli interessi economici e finanziari dominanti; cioè, la costruzione, come anche l'esercizio, della potenza militare. Il Pentagono è il braccio armato di Wall Street; la NATO coordina le operazioni militari con la Banca Mondiale e con gli interventi politici dell'FMI e viceversa. Coerentemente, i corpi di sicurezza e di difesa dell'alleanza militare occidentale, assieme alle diverse burocrazie governative e intergovernative civili (cioè l'FMI, la Banca Mondiale, la OMC) condividono conoscenza, consenso ideologico e impegno per il Nuovo Ordine Mondiale. Per frenare l'ondata di guerra, le basi militari all'estero devono essere chiuse, la macchina da guerra (cioè la produzione di sistemi bellici avanzati come le armi di distruzione di massa) deve essere fermata e lo stato di polizia che si sta sviluppando deve essere smantellato. Più in generale, dobbiamo annullare le riforme di "libero mercato", smantellare le istituzioni del capitalismo globale e disarmare i mercati finanziari. La lotta deve essere su vasta scala e democratica, comprendendo tutti i settori della società a tutti i livelli, in tutti i paesi, unendo in una grande spinta: gli operai, i contadini, i produttori indipendenti, i piccoli imprenditori, i professionisti, gli artisti, gli impiegati, i membri del clero, gli studenti e gli intellettuali. I movimenti contro la guerra e contro la globalizzazione devono essere integrati in un singolo movimento mondiale. Il popolo deve essere unito attraverso gruppi in grado di operare assieme per una comune e collettiva comprensione su come il Nuovo Ordine Mondiale distrugge e impoverisce. La globalizzazione di questa lotta è fondamentale e richiede un grado di solidarietà e internazionalismo senza precedenti nella storia mondiale. Il sistema economico globale si alimenta con la divisione sociale tra e nei diversi paesi. L"unità d"intenti e il coordinamento mondiale tra diversi gruppi e movimenti sociali sono decisivi. È necessario un grande sforzo che unisca i movimenti sociali in tutte le principali regioni del mondo per il comune impegno nell'eliminazione della povertà e per una duratura pace mondiale. Note 1. Gordon Thomas, Global Outlook, No. 6, Winter 2004). 2. www.umrc.net 3. Chris Floyd, Bush"s Crusade for empire, Global Outlook, No. 6, 2003 4. http://www.globalresearch.ca/articles/ NAC304A.html 5. General Tommy Franks calls for Repeal of US Constitution, November 2003, http://www.globalresearch.ca/ articles/EDW311 A.html. 6. Ibid 7. Intervista con Steve Adubato, Fox News, 26 dicembre 2002. 8. Air Force Magazine, gennaio 2003, enfasi aggiunta 9. Adubato, op. cit. enfasi aggiunta. 10. Ibid. 11. Citato in Federation of American Scientists (FAS) Secrecy News, http://www.fas.org/sgp/news/secrecy/2002/11/ 112702.html , l'intervista di Rumsfeld si può consultare a: http://www.fas.org/sgp/news/2002/11/dod111802.html 12. National Security Strategy,

White House, 2002, http://www.whitehouse.gov/nsc/nss.html 13. Richard Sanders, War Pretext Incidents, How to Start a War, Global Outlook, pubblicato in due parti, Issues 2 e 3, 2002-2003. 14. Vedi il documento top secret del 1962 desegretato intitolato "Justification for U.S. Military Intervention in Cuba", v. Operation Northwoods at http://www. globalresearch.ca/articles/NOR111 A.html. 15. Council on Foreign Relations a http://www.terrorismanswers.com/groups/harakat2.html , Washington 2002). 16. Per ulteriori dettagli, v. Michel Chossudovsky, Fabricating an Enemy, marzo 2003, http://www.globalresearch.ca/articles/CHO301 B.html. 17. William Arkin, The Secret War, The Los Angeles Times, 27 ottobre 2002. 18. US Congress, 16 gennaio 1997, http://www.globalresearch.ca/articles/DCH109A.html. 19. Michel Chossudovsky,War and Globalisation, The Truth behind September 11, Global Outlook, 2003, Chapter 3, http://globalresearch.ca/globaloutlook/truth911.html 20. Michel Chossudovsky, op cit. 21. (Per ulteriori dettagli, v. Michel Chossudovsky, Expose the Links between Al Qaeda and the Bush Administration,http://www.globalresearch.ca/articles/CHO303D.html. 22. Per ulteriori dettagli, Centre for Research on Globalization, 24 Key articles, settembre 2003. 23. Michel Chossudovsky, War and Globalization,op. cit. 24. Ibid 25. Tommy Franks Interview, Cigar Aficionado, December 2003 26. David Rockefeller, Statement to the United Nations Business Council, 1994. 27. See http://www. globalresearch.ca/articles/NAC304A.html 28. ABC News, 13 February 2003. 29. ABC News, 9 February. 2003. 30. ABC News, 13 February 2003, http://www.globalresearch.ca/articles/CRG302A. html. 31. Ibid 32. Ibid 33. US official quoted in The Toronto Star,12 February. 2003. 34. Ibid 35. See Department of Homeland Security at http://www.dhs.gov/dhspublic/inde 36. Per la dichiarazione completa vedi Secretary Tom Ridge, 21 dicembre 2003, http://www.dhs.gov/dhspublic/. 37. See Selected References at http://globalresearch.ca/articles/11sept309A. html. 38. Boston Globe, 24 dicembre 2003. 39. ABC News, 23 dicembre 2003. 40. ibid. 41. Seattle Post Intelligence, 25 dicembre 2003. 42. Fox News, 28 dicembre 2003. 43. Le Monde, Parigi e RTBF TV, Bruxelles, 2 gennaio 2004. 44. Le Monde, 3 gennaio 2004. - 45. Briefing alla Casa Bianca, 22 dicembre 2003. 46. AFP, 23 dicembre 200. 47. Il piano è presentato in dettaglio nel sito web del Dipartimento della Sicurezza Interna http://ready.gov. 48. Per il testo completo vedi il sito del Dipartimento della Sicurezza Interna. Conclusioni riassuntive del National Exercise. Ufficio stampa 19 dicembre 2003.

I CRIMINI DI CRISTOFORO COLOMBO E IL MITO DELLA “CIVILTA' OCCIDENTALE” Howard Zinn George Orwell, uomo molto saggio, scrisse: "Chi controlla il passato controlla il futuro. E chi controlla il presente controlla il passato". In altre parole, coloro che dominano la nostra società sono in posizione tale da poter scrivere la nostra storia. Ecco perché è importante raccontare la vicenda di Colombo. Lasciate che vi faccia una confessione. Sapevo molto poco del famoso navigatore fino a dodici anni fa, quando iniziai a scrivere il mio libro A "People"s History of United States".(1) Avevo conseguito un dottorato in storia alla Columbia University -quindi avevo ottenuto quella si presume sia la migliore formazione per uno storico -e tutto ciò che sapevo di Colombo erano in gran parte le nozioni apprese alla scuola elementare. Ma quando iniziai a scrivere "People"s History", decisi che dovevo saperne di più. Ero già giunto alla conclusione di non voler ritrarre semplicemente un ennesimo quadro generale della storia americana - sapevo che la mia prospettiva sarebbe stata diversa. Mi accingevo a raccontare gli Stati Uniti dal punto di vista di coloro che erano stati ampiamente trascurati nei libri di storia: gli indigeni americani, gli schiavi neri, le donne, i lavoratori locali e gli immigrati. Volevo raccontare la storia del progresso industriale della nazione non dal punto di vista dei Rockfeller, dei Carnegie o dei Vanderbilt, ma da quello di coloro che lavorarono nelle loro miniere, nei loro giacimenti petroliferi, che persero gli arti o addirittura le proprie vite costruendo le ferrovie per loro conto. Volevo raccontare le storie di guerra, e non dal punto di vista dei generali e dei presidenti, né dal punto di vista degli eroi militari di cui vediamo le statue in tutto il paese, ma con gli occhi dei soldati, o con gli occhi del "nemico". Sì, perché non guardare alla guerra messicana, grande trionfo militare degli Stati Uniti, dal punto di vista dei messicani, per esempio? E quindi, in che modo raccontare la storia di Colombo? Giunsi alla conclusione che dovevo osservarlo con gli occhi delle persone che erano lì quando lui arrivò, coloro che chiamò "indiani" perché pensava di trovarsi in Asia. Beh, il problema è che questi non lasciarono memorie, né racconti; la loro era una cultura orale, non scritta. Inoltre, furono annientati in pochi decenni dopo l'arrivo di Colombo. Così fui obbligato a rivolgermi alla migliore testimonianza disponibile: gli spagnoli, anch"essi protagonisti della scena storica dell'epoca. Primo fra tutti, lo stesso Colombo: aveva infatti tenuto un diario. Il suo diario era a dir poco rivelatore: descriveva gli indigeni che lo salutarono al momento dello sbarco alle Bahamas - erano indiani arawack, talvolta chiamati taino - e di come fossero andati loro incontro in mare aperto per dare il benvenuto a lui e ai suoi uomini (che devono essere apparsi come provenienti da un altro mondo), portando loro doni di vario tipo. Li descrisse come individui pacifici, gentili, e disse: "Non portano armi e non le conoscono, poiché ho mostrato loro una spada, e l'hanno presa dalla parte della lama, tagliandosi". In tutto il suo diario, nel corso dei mesi successivi, Colombo parlò dei nativi americani con una sorta di ammirazione mista a timore reverenziale: "Sono le persone migliori del mondo e le più miti di tutte, senza la benché minima conoscenza di ciò che è male, e non uccidono né rubano... amano i loro vicini come loro stessi e parlano nella maniera più dolce del mondo... sempre allegri". E in una lettera che scrisse a uno dei suoi protettori spagnoli, Colombo disse: "Sono molto semplici, onesti e smisuratamente prodighi con tutto ciò che hanno, nessuno di loro rifiuta nulla di quello che possiede se gli viene richiesto. Manifestano grande amore verso tutti gli altri, più che verso se stessi". Ma poi, tra una lode e l'altra, Colombo scrive nel suo diario: "Sarebbero proprio dei servi ideali. Con cinquanta uomini potremmo sottometterli tutti e far fare loro tutto quello che vogliamo".

Ecco quindi come Colombo vedeva gli indiani: non come ospiti accoglienti, ma come "servi", adatti a "fare tutto quello che vogliamo". Nel 1992 la celebrazione del Columbus Day fu diversa dalle precedenti da due punti di vista. Primo, si trattava del cinquecentesimo anniversario dell'arrivo di Colombo in questa metà del pianeta; secondo, fu una celebrazione contestata in tutto il paese da persone (molti di loro erano nativi americani, ma non solo) che avevano "scoperto" un Colombo che non valeva assolutamente la pena di celebrare, e che stavano mettendo in discussione la tradizionale glorificazione della "civiltà occidentale". Tenni questa conferenza a Madison, all'Università del Wisconsin, nell'ottobre 1991. Fu pubblicata l'anno seguente da Open Magazine Pamphlet Series con il titolo "Cristoforo Colombo e il mito del progresso umano". E, quindi, che cosa voleva davvero Colombo? Questo non è difficile capirlo dato che, nelle prime due settimane di annotazioni del suo diario, c'è una sola parola che ricorre 75 volte: ORO. Nei soliti resoconti della vicenda umana di Colombo viene continuamente messo in evidenza il suo forte sentimento religioso, il suo desiderio di convertire gli indigeni alla Cristianità, il suo enorme rispetto per la Bibbia. Sì, certamente Dio era qualcosa che lo riguardava da vicino, ma anche il dio Oro lo toccava in maniera molto profonda... il suo pantheon non era poi così strettamente monoteistico. Sì, certamente in tutta l'isola di Hispaniola(2) , dove lui, i suoi fratelli, i suoi uomini, passarono la maggior parte del loro tempo, eresse molte croci. Ma costruirono inoltre, in tutta l'isola, anche delle forche - 340 solo nell'anno 1500. Croci e forche... sempre la solita, mortale, contrapposizione storica. Colombo, alla disperata ricerca di oro, notò frammenti del prezioso metallo tra gli indiani, e quindi concluse che tra di loro ve ne fosse moltissimo. Ordinò ai nativi di trovare una determinata quantità d"oro entro un certo periodo di tempo; se non avessero trovato la quota prevista, i suoi uomini li avrebbero mutilati, tagliando loro le braccia. Gli altri avrebbero dovuto trarre monito da questo e avrebbero perciò consegnato l'oro richiesto. Samuel Eliot Morison, lo storico di Harvard che fu l'ammirato biografo di Colombo, ammise tutto ciò. Scrisse infatti: "Chiunque fosse colui che escogitò questo spaventoso sistema come unico mezzo per produrre oro da esportare, di certo Colombo ne fu responsabile... A coloro che scapparono verso le montagne fu data la caccia con i cani, e tra quelli che riuscirono a fuggire, la morte per fame e malattia richiese un pesante tributo in vite umane, mentre migliaia delle povere creature in preda alla disperazione assunsero veleno di manioca per porre fine alle proprie miserie". Morison continua: "Così la politica e gli atti di Colombo di cui lui solo può ritenersi responsabile diedero inizio alla depopolazione di quel paradiso terrestre che era l'isola di Hispaniola nel 1492. Degli indigeni originali, che i moderni etnologi hanno stimato essere circa 300.000, un terzo venne ucciso tra il 1494 e il 1496. Alla fine del 1508, un calcolo dimostrò che solo 60.000 erano rimasti vivi... nel 1548 Oviedo [Morison si riferisce a Fernandez de Oviedo, lo storico spagnolo ufficiale della conquista] non credeva che vi fossero nemmeno 500 indiani". Ma Colombo non riuscì a ottenere abbastanza oro da mandare in patria per riuscire a impressionare il Re, la Regina e i suoi finanziatori spagnoli, così decise di inviare in Spagna un altro genere di bottino: schiavi. Lui e i suoi uomini catturarono circa 1.200 indigeni e ne selezionarono 500 che attraversarono l'Atlantico, stipati nelle navi. 200 morirono lungo la traversata per il freddo e le malattie. Nel diario di bordo di Colombo si legge in un"annotazione del settembre 1498: "Da qui si potrebbero mandare, in nome della Santa Trinità, tanti schiavi quanti potrebbero esserne venduti..." Tutto quello che gli spagnoli fecero agli indigeni venne raccontato con raccapricciante minuzia da Bartolomé de las Casas, i cui scritti offrono il resoconto più accurato dell'incontro/scontro tra spagnoli e nativi. Las Casas era un domenicano che giunse nel Nuovo Mondo pochi anni dopo Colombo e trascorse 40 anni a Hispaniola e nelle isole vicine, divenendo il principale sostenitore in Spagna dei diritti degli indigeni. Las Casas, nel suo libro "La devastazione delle Indie", scrive a proposito degli arawack: "... in tutto l'infinito universo dell'umanità, questa gente è la più innocente, la più sprovvista di vizio e falsità... eppure in questo ovile chiuso... ecco giunsero alcuni spagnoli,

che si comportarono immediatamente come bestie fameliche... Il motivo delle loro stragi e distruzioni... è che i cristiani hanno un solo obiettivo finale, che è quello di acquisire oro.." Le crudeltà si moltiplicarono. Las Casas vide soldati che accoltellavano i nativi per puro divertimento, che maciullavano le teste dei bambini sulle rocce. E quando opponevano resistenza, gli spagnoli davano loro la caccia per ucciderli, equipaggiati con cavalli, armature, lance, picche, fucili, balestre e cani feroci. Gli indiani che prendevano oggetti di proprietà degli spagnoli - non conoscevano infatti il concetto della proprietà privata, e concedevano liberamente agli altri ciò che possedevano - venivano decapitati o bruciati sul rogo. La testimonianza di las Casas fu avvalorata da quella di altri testimoni oculari. Un gruppo di frati domenicani, rivolgendosi alla monarchia spagnola nel 1519 nella speranza che il governo intercedesse sulla questione, riferì di atrocità irripetibili, con bambini che venivano lanciati ai cani per essere divorati, neonati di prigioniere gettati nella giungla e lasciati lì a morire. Il lavoro forzato nelle miniere e nei campi portò alla diffusione di molte malattie e alla morte. Molti bambini morirono perché le madri, sfiancate dal troppo lavoro e affamate, non avevano latte per loro. Las Casas, a Cuba, calcolò che 7.000 bambini morirono in soli tre mesi. Il più grande tributo umano venne pagato a causa delle malattie, perché gli europei portarono con sé dei mali contro i quali gli indigeni non avevano alcuna difesa immunitaria: febbre tifoidea, tifo, difterite e vaiolo. Come in ogni conquista militare che si rispetti, furono le donne a subire un trattamento particolarmente brutale. Un nobile italiano di nome Cuneo scrisse il resoconto di un primo incontro sessuale. L"“Ammiraglio" cui fa riferimento è Colombo, che, secondo una parte del suo accordo con i monarchi spagnoli, insistette per venire proclamato Ammiraglio. Cuneo scrisse: "... Catturai una bellissima donna caraibica, che il suddetto Ammiraglio mi concesse e sulla quale... concepii il desiderio di procurarmi piacere. Volevo mettere in atto il mio desiderio, ma lei non voleva e mi riservò un tale trattamento con le sue unghie che desiderai di non aver mai incominciato. Ma, vedendo che reagiva in quel modo, presi una corda e la percossi per bene... Finalmente giungemmo a un accordo". Ci sono altre prove che si aggiungono a un quadro di diffuse violenze sessuali sulle donne indigene. Samuel Eliot Morison scrisse: "Nelle Bahamas, a Cuba e a Hispaniola trovarono giovani e bellissime donne, che giravano ovunque nude, erano accessibili nella maggior parte dei luoghi, e presumibilmente compiacenti". Ma chi lo presume? Lo stesso Morison, e come lui molti altri. Morison vide la conquista come hanno fatto molti altri scrittori dopo di lui, e cioè come una delle più grandi avventure romantiche della storia mondiale. Apparentemente in preda all'entusiasmo per quella che ai suoi occhi appariva come una conquista virile. Scrisse: "Mai più gli uomini mortali potranno riconquistare la meraviglia, lo stupore, la delizia di quei giorni dell'ottobre 1492, quando il nuovo mondo cedette con incredibile grazia la propria verginità ai conquistatori castigliani". Il linguaggio di Cuneo ("giungemmo a un accordo") e quello di Morison ("cedette con incredibile grazia"), usati a 500 anni di distanza, suggeriscono chiaramente quanto sia persistente anche nella storia moderna la mitologia che normalizza la brutalità sessuale, trasformandola in "compiacenza". Quindi, ho letto il diario di Colombo, ho letto las Casas. Ho anche letto un lavoro pionieristico del nostro tempo, di Hans Koning: "Columbus: His Enterprise" (Colombo, la sua impresa, NdT): all'epoca in cui scrissi il mio "People"s History"2, era l'unico resoconto contemporaneo che riuscii a trovare lontano dalla versione storica ufficiale. Quando pubblicai il mio libro, iniziai a ricevere lettere da tutto il paese. Era un volume di 600 pagine, che partiva da Colombo e arrivava agli anni "70, ma la maggior parte dei messaggi che ricevetti dai lettori riguardava un unico soggetto: Colombo, appunto. Avrei potuto interpretare la cosa in questo modo: dal momento che l'argomento era trattato proprio all'inizio del libro, era tutto ciò che i miei interlocutori avevano letto. Invece no, a quanto pare la storia di Colombo era

semplicemente la parte del mio libro che i lettori avevano trovato più sconvolgente. Perché ogni americano, dalla scuola elementare in poi, impara la storia di Colombo, e la impara nello stesso modo: "Nell'anno del Signore 1492, l'intrepido Colombo salpò sull'oceano blu alla volta delle Indie". Quanti di voi hanno sentito parlare di Tigard, in Oregon? Beh, io non ne avevo mai sentito parlare finché, circa sette anni fa, iniziai a ricevere, ogni semestre, un fascio di lettere (circa 20-30) da studenti di una high school di Tigard. Pare che il loro insegnante stesse facendo leggere loro (conoscendo le high school, direi piuttosto che li stesse "costringendo" a leggere) il mio "People"s History": fotocopiava un certo numero di capitoli e li distribuiva agli studenti, e poi li spinse a scrivere delle lettere per me, con commenti e domande. Più o meno la metà dei ragazzi mi ringraziava per aver fornito loro dei dati che non avevano mai visto prima. Gli altri erano arrabbiati, o si domandavano come avessi ottenuto certe informazioni, e come fossi arrivato a formulare tali oltraggiose conclusioni. Una studentessa della high school di nome Bethany mi scrisse: "tra tutti i suoi articoli che ho letto ho trovato quello intitolato "Colombo, gli indiani e il progresso umano" il più sconvolgente". Un altro studente di nome Brian, diciassette anni, scrisse: "un esempio della confusione che provo dopo aver letto il suo articolo riguarda la storia di Colombo che arriva in America... Secondo lei, pare che sia venuto per le donne, gli schiavi e l'oro. Lei dice che Colombo abusò fisicamente degli indigeni che non lo aiutarono a trovare l'oro. Ha detto di essersi procurato molte di queste informazioni direttamente dal diario di bordo dello stesso Colombo. Mi chiedo se tale diario esista davvero e, se è così, perché non faccia parte della nostra storia. Perché nel mio libro di storia non c'è nulla di quello che lei dice, o perché non c'è nei libri di storia cui tutti hanno accesso ogni giorno?". Meditai molto su questa lettera. Poteva essere interpretata nel senso che l'autore era indignato dal fatto che nessun altro libro di storia gli avesse detto ciò che io gli ho detto. Oppure, come era invece più probabile, stava dicendo: "Non credo a una parola di quanto ha scritto! Lei si è inventato tutto!" Non sono sorpreso di fronte a reazioni di questo tipo. Mi dicono qualcosa di importante a proposito delle rivendicazioni di pluralismo e diversità nella cultura americana, dell'orgoglio della nostra "società libera", che generazione dopo generazione ha imparato esattamente la stessa sequela di fatti relativi a Colombo e ha concluso la propria educazione con le stesse madornali omissioni. Un professore, Bill Bigelow, che vive a Portland, in Oregon, ha intrapreso una vera e propria crociata per cambiare il modo in cui la storia di Colombo viene insegnata nelle scuole di tutta l'America. Racconta di come inizia, a volte, una nuova lezione: si dirige verso una ragazza della prima fila e le prende il portafoglio. Lei dice: "Mi ha preso il portafoglio!". E Bigelow risponde: "No, l'ho scoperto". Bill Bigelow ha inoltre condotto uno studio sui recenti libri per bambini che trattano la storia di Colombo, e li ha trovati incredibilmente simili nella loro ripetizione del tradizionale punto di vista. Una tipica biografia di Colombo da quinta elementare inizia così: "C"era una volta un ragazzo che amava molto il grande mare salato". Beh, potrei immaginare un"eventuale biografia di Attila l'unno che cominci con la frase: "C"era una volta un ragazzo che amava molto i cavalli...". Ecco un altro libro per bambini analizzato nello studio di Bigelow, questa volta per alunni della seconda elementare: "Il Re e la Regina guardarono l'oro e gli indiani. Ascoltarono incantati le storie delle avventure di Colombo, poi andarono tutti in chiesa a pregare e cantare. Gli occhi di Colombo si riempirono di lacrime di gioia". Una volta parlai di Colombo in un seminario per insegnanti, e uno di loro suggerì che forse gli alunni delle elementari erano troppo piccoli per ascoltare gli orrori narrati da las Casas e da altri testimoni. Altri insegnanti non erano d"accordo: sostenevano che le storie per bambini sono spesso piene di violenza, ma gli esecutori sono streghe, mostri e "persone cattive", non eroi nazionali ai quali sono dedicate delle festività pubbliche. Alcuni degli insegnanti presenti avanzarono delle proposte su come potesse essere raccontata la verità, in una maniera tale che si potesse evitare la falsificazione storica in atto.

La motivazione secondo la quale i bambini "non sono pronti ad ascoltare la verità" non giustifica il fatto che, nella società americana, anche quando i bambini sono cresciuti non venga ancora detta loro la verità. Come ho detto prima, persino durante tutto il periodo universitario non mi furono fornite le informazioni in grado di sovvertire i miti che mi vennero raccontati nelle prime classi della scuola. Ed è chiaro che la mia esperienza è comune, a giudicare dalle reazioni scioccate al mio libro, ai lettori di tutte le età. Se guardate in un libro per adulti, la Columbia Encyclopedia (la mia edizione dell'enciclopedia è stata completata nel 1950, ma tutte le informazioni rilevanti erano già disponibili allora, compresa la biografia di Morison), c'è un lungo lemma dedicato a Colombo (circa 1.000 parole), ma non si troverà alcun riferimento alle atrocità commesse dai suoi uomini. Nell'edizione del 1986 della Columbia History of the World ci sono numerosi riferimenti a Colombo, ma nulla a ciò che fece agli indigeni. Diverse pagine del manuale storico sono dedicate al tema "Spagna e Portogallo in America", nel quale il trattamento riservato alla popolazione indigena viene presentato come argomento oggetto di discussione, sia tra i teologi dell'epoca, sia tra gli storici di oggi. Si può toccare con mano questo "approccio bilanciato" (che contiene solo un frammento di realtà) leggendo il seguente passaggio tratto da quella History: "La determinazione della Corona e della Chiesa nel voler cristianizzare gli indiani, il bisogno di forza lavoro per poter sfruttare le nuove terre, e il tentativo da parte di alcuni spagnoli di proteggere i nativi, sfociarono in un complesso notevole di costumi, leggi e istituzioni che ancora oggi portano gli storici a formulare conclusioni contraddittorie riguardo al dominio spagnolo in America... Fioriscono dispute accademiche su questa discutibile e per certi versi insolubile questione, ma non c'è dubbio che la crudeltà, l'eccessivo lavoro e le malattie ebbero come conseguenza una raccapricciante depopolazione. Secondo recenti stime, nel 1519 in Messico c'erano circa 25 milioni di indiani, mentre nel 1605 erano poco di più di un milione". Nonostante questo linguaggio erudito -"conclusioni contraddittorie... dispute accademiche... insolubile questione" -non c'è alcuna vera disputa riguardo a schiavitù, lavoro forzato, stupri, omicidi, cattura di ostaggi, devastazione per le malattie portate dall'Europa e annientamento di un numero enorme di nativi. L"unica disputa riguarda quanta enfasi debba essere attribuita a questi fatti, e come questi continuino a essere presenti nelle questioni del nostro tempo. Per esempio, Samuel Eliot Morison indugia leggermente nel raccontare più in dettaglio il trattamento subito dagli indigeni a opera di Colombo e dei suoi uomini, e usa la parola "genocidio" per descrivere l'effetto complessivo della "scoperta". Ma seppellisce tutto ciò in mezzo a una lunga tirata che rende merito a Colombo, e riassume il suo punto di vista nel paragrafo conclusivo del suo popolare libro "Christopher Columbus, Mariner" (Cristoforo Colombo, Navigatore, NdT), scrivendo quanto segue: "Aveva le sue colpe e le sue mancanze, ma erano in gran parte le mancanze dovute alle qualità che lo resero grande - l'indomabile volontà, la superba fede in Dio e nella sua missione di portatore di Cristo nelle terre al di là del mare, la sua cocciuta tenacia a dispetto della negligenza, della povertà e dello scoraggiamento. Ma non c'era nessuna macchia, nessun lato oscuro nella più straordinaria ed essenziale delle sue qualità - l'arte della navigazione". Sì, l'arte della navigazione... Lasciate che mi spieghi: non mi interessa denunciare o esaltare Colombo, ormai è troppo tardi per questo. E non stiamo scrivendo una lettera di raccomandazione per lui, da dover decidere quanto sia qualificato per intraprendere un altro viaggio verso un"altra parte dell'universo. Per me la storia di Colombo è importante per ciò che dice a proposito di noi stessi, del nostro tempo, delle decisioni che dobbiamo prendere per il nostro secolo, e per il prossimo. Perché questa grande controversia oggi a proposito di Colombo e della celebrazione del cinquecentesimo anniversario? Perché tanta indignazione da parte dei nativi americani e di altri indigeni verso la glorificazione di quel conquistatore? Perché una così veemente difesa di Colombo da parte di altri? L"intensità del dibattito può essere dovuta solo al fatto che non riguarda il 1492, ma il 1992.

Possiamo trovare la chiave di tutto ciò se torniamo indietro a cento anni fa, nel 1892, l'anno del quattrocentesimo anniversario. Ci furono grandi celebrazioni a Chicago e a New York. A New York ci furono cinque giorni di parate, fuochi d"artificio, marce militari, cortei navali, un milione di visitatori in città, una statua commemorativa che venne inaugurata in un angolo di Central Park, ora noto con il nome di Columbus Circle. Alla Carnegie Hall si tenne un incontro celebrativo, in cui prese la parola Chauncey DePew. Potreste non conoscere il nome di Chauncey DePew, a meno che non abbiate recentemente dato un"occhiata a un"opera classica di Gustavus Myers, "A History of the Great American Fortunes" (Storia delle grandi fortune americane, NdT). In quel libro, Chauncey DePew viene descritto come l'addetto alle pubbliche relazioni di Cornelius Vanderbilt e della sua grande impresa ferroviaria, la New York Central. DePew si recò ad Albany, la capitale dello Stato di New York, con cartelle piene di denaro e di pass ferroviari gratuiti per i membri del corpo legislativo dello stato, e se ne tornò pieno di sussidi e di concessioni terriere per la New York Central. DePew vedeva i festeggiamenti in onore di Colombo come un"occasione per celebrare la ricchezza e la prosperità - cioè un"autocelebrazione, si potrebbe dire. Disse che l'evento del quadricentenario "manifesta il benessere e la civiltà di un grande popolo... rivela ciò che fa parte del suo confort e dei suoi agi, del suo piacere e del suo lusso... e ciò che rientra nel potere di un grande popolo". Potremmo ricordare che, nel momento in cui DePew pronunciava queste parole, dolore e sofferenze attanagliavano i poveri lavoratori d"America, ammucchiati nei bassifondi delle città e con i figli deboli e denutriti. Lo stato in cui versavano coloro che lavoravano la terra (all'epoca una parte cospicua della popolazione) era disperato, tanto che portò infatti all'esplosione di rabbia delle Unioni degli Agricoltori e alla sollevazione del Partito Populista. E l'anno seguente, il 1893, fu un anno di crisi economica e di miseria diffusa. Mentre era sul palco della Carnegie Hall, DePew deve essersi reso conto dei mormorii di scontento levatisi di fronte all'autocompiacimento che accompagnò le celebrazioni di Colombo, poiché disse: "Se c'è una cosa che detesto... è lo spirito di ricerca storica che mette in dubbio tutto, quello spirito moderno che distrugge tutte le illusioni e gli eroi che sono stati d"ispirazione al patriottismo attraverso i secoli". Quindi, celebrare Colombo significava essere patrioti. Metterlo in dubbio significava essere non patrioti. E che cos"era il "patriottismo" per DePew? Era la glorificazione dell'espansione e della conquista -che Colombo rappresentava e che l'America rappresentava. Fu appena sei anni dopo quel discorso che gli Stati Uniti, espellendo la Spagna da Cuba, iniziarono la loro lunga occupazione (solo sporadicamente militare, ma ininterrottamente politica ed economica) di Cuba, si impossessarono di Portorico e delle Hawaii e cominciarono la loro sanguinosa guerra contro i filippini per prendere il controllo del loro paese. Quel "patriottismo" che era legato alla celebrazione di Colombo, e alla celebrazione della conquista, fu rinforzato nella seconda guerra mondiale dall'emergere degli Stati Uniti come superpotenza, nel momento in cui tutti i vecchi imperi europei erano in declino. In quel periodo Henry Luce, il potentissimo multimilionario e artefice del successo di numerosi candidati alla presidenza, proprietario di Time, Life e Fortune (e tempo, vita e fortuna di certo non gli mancavano.. ) scrisse che il ventesimo secolo si stava trasformando nel "secolo americano", in cui gli Stati Uniti avrebbero imposto al mondo il proprio modo d"essere. George Bush, accettando la designazione presidenziale nel 1988, disse: "Questo è stato chiamato il secolo americano perché in esso noi siamo stati in assoluto la forza dominante nel mondo... Ora siamo alle soglie di un nuovo secolo, che porterà il nome di quale nazione? Io dico che sarà un altro secolo americano". Che arroganza! Pensare che anche il ventunesimo secolo, quando dovrebbe allontanarsi dallo sciovinismo assassino di questi ultimi cento anni, debba già essere antici pato come un secolo americano, o come il secolo di qualsiasi altro paese... Bush deve pensare a se stesso come un nuovo Colombo, che "scopre" e pianta la bandiera della sua nazione su nuovi

mondi, dato che ha richiesto una colonia Usa sulla luna già all'inizio del prossimo secolo, e ha previsto una missione su Marte nell'anno 2019. Il "patriottismo" che Chauncey DePew invocava nel celebrare Colombo era profondamente legato alla nozione di inferiorità dei popoli conquistati. Gli attacchi di Colombo ai nativi/indigeni erano giustificati dal loro status di subumani. La conquista del Texas e di una buona fetta di territorio del Messico da parte degli Stati Uniti, appena prima della guerra civile, fu compiuta con lo stesso fondamento logico razzista. Sam Houston, il primo governatore del Texas, proclamò infatti: "La razza anglosassone deve pervadere l'intera estremità meridionale di questo vasto continente. I messicani non sono certo meglio degli indiani, e io non vedo nessun motivo per cui non dovremmo prendere la loro terra". All'inizio del ventesimo secolo, la violenza del nuovo espansionismo americano nei Caraibi e nel Pacifico fu accettata perché stavamo trattando con esseri inferiori. Nell'anno 1900 Chauncey DePew, che nel frattempo era diventato membro del Senato degli Stati Uniti, parlò ancora alla Carnegie Hall, questa volta per sostenere la candidatura di Theodore Roosevelt alla vicepresidenza. Celebrando la conquista delle Filippine come l'inizio della penetrazione americana in Cina e anche oltre, proclamò: "I cannoni di Dewey nella Baia di Manila si sono uditi attraverso l'Asia e l'Africa, sono riecheggiati nel palazzo di Pechino e hanno imposto agli orientali una nuova e potente forza tra le nazioni occidentali. Noi, insieme alle altre nazioni d"Europa, stiamo lottando per entrare nei mercati senza limite dell'Est... Questi popoli sono capaci di rispettare solo il potere. Credo che le Filippine saranno un enorme mercato e una fonte di benessere". Theodore Roosevelt, che appare continuamente sulle liste dei nostri "grandi presidenti", e il cui volto è una delle quattro colossali sculture dei presidenti americani (insieme a Washington, Jefferson, Lincoln) incise nella pietra di Mount Rushmore in South Dakota, incarnò la quintessenza del razzismo-imperialismo. Era furioso, nel 1893, quando il Presidente Cleveland non riuscì ad annettere le Hawaii, tanto che disse all'accademia militare della marina che era "un crimine contro la civiltà". Nel suo libro “The Strenuos Life" (La vita energica, NdT), Roosevelt scrisse: "Naturalmente, tutta la nostra storia nazionale è stata una storia di espansione... il fatto che i barbari si ritirino o che vengano conquistati... è dovuto unicamente al potere delle potenti razze civilizzate che non hanno perso l'istinto di combattere". Un ufficiale dell'esercito statunitense nelle Filippine la mise in maniera ancora più schietta: "Le parole da donnette non servono a nulla... Abbiamo sterminato gli indiani d"America e io ritengo che gran parte di noi ne sia orgoglioso... e non dobbiamo avere scrupoli nello sterminare quest"altra razza che sbarra la via del progresso e della ragione, se è necessario...". Lo storico ufficiale delle Indie agli inizi del sedicesimo secolo, Fernandez de Oviedo, non negò ciò che fu fatto agli indigeni da parte dei conquistadores. Descrisse "innumerevoli morti crudeli, impossibili da contare come le stelle". Ma tutto questo era accettabile, perché "usare la polvere da sparo contro i pagani è come offrire incenso al Signore" (la cosa fa ricordare la decisione del Presidente McKinley di inviare esercito e marina a conquistare le Filippine, quando disse che era dovere degli Stati Uniti "cristianizzare e civilizzare" i filippini). Contro le suppliche di las Casas, che implorava di avere pietà per gli indiani, il teologo Juan Gines de Sepulveda dichiarò: "Come possiamo dubitare che questi popoli, così incivili, così barbari, così contaminati da tanti peccati e oscenità, siano stati giustamente conquistati..." Sepulveda, nel 1531, visitò il suo ex collegio spagnolo e si sentì oltraggiato nel vedere gli studenti che contestavano la guerra della Spagna contro la Turchia. Gli studenti dicevano: "Ogni guerra... è contraria alla religione cattolica". Ciò lo portò a scrivere una difesa filosofica del trattamento che gli spagnoli riservarono ai nativi. Citò Aristotele, il quale scrisse nella sua Politica che alcuni popoli erano "schiavi per natura", e "avrebbero dovuto essere perseguitati come bestie per essere portati al corretto stile di vita". Las Casas rispose: "Che Aristotele dica quello che vuole, noi abbiamo a nostro sostegno il comandamento di Cristo: "Amerai il prossimo tuo come te stesso"".

La disumanizzazione del "nemico" è sempre stato un corollario necessario alle guerre di conquista. È più facile dare un senso alle atrocità se queste sono commesse contro infedeli o membri di una razza inferiore. La schiavitù e la segregazione razziale negli Stati Uniti, nonché l'imperialismo europeo in Asia e Africa, furono giustificati in questo modo. Il bombardamento dei villaggi vietnamiti da parte degli Stati Uniti, le missioni "cerca e distruggi", il massacro di My Lai(3), furono tutti resi accettabili agli autori materiali convincendoli dell'idea che le vittime non fossero esseri umani. Erano "sporchi asiatici", o "comunisti", e meritavano il trattamento che venne loro riservato. Nella guerra del Golfo, la disumanizzazione degli iracheni consistette nel non riconoscere la loro esistenza. Noi non stavamo bombardando donne, bambini, non stavamo bombardando e cannoneggiando giovani iracheni, persone comuni che cercavano di fuggire o di arrendersi. Stavamo combattendo contro un mostro simile a Hitler, Saddam Hussein, anche se le persone che stavamo uccidendo erano invece le vittime irachene di quel mostro. Quando al Generale Colin Powell venne chiesto del numero delle vittime in Iraq, lui disse "non è una questione di cui mi interessi terribilmente, in realtà". Il popolo americano fu portato ad accettare la violenza della guerra in Iraq perché gli iracheni furono resi invisibili - dato che gli americani usarono solo "bombe intelligenti". I principali media ignorarono l'enorme tributo in vite umane pagato dall'Iraq, ignorarono il rapporto dell'équipe medica di Harvard che visitò il paese poco dopo la guerra e che scoprì che decine di bambini iracheni stavano morendo per il bombardamento delle scorte di acqua e le epidemie che questo provocò. Le celebrazioni di Colombo sono annunciate come celebrazioni non solo dei suoi successi marittimi, ma del "progresso", del suo arrivo nelle Bahamas come l'inizio di quei 500 anni di tanto lodata "civiltà occidentale". Ma quei concetti hanno bisogno di essere riesaminati. Quando a Gandhi fu chiesto cosa pensasse della civiltà occidentale, rispose: "sarebbe una buona idea". Il punto non è voler negare i benefici del "progresso" e della "civiltà" - come i progressi tecnologici, la conoscenza, la scienza, l'educazione e gli standard di vita. Ma c'è una domanda che va assolutamente posta: il progresso va bene, ma quanto costa in vite umane? Accetteremmo una giustificazione russa al dominio di Stalin, incluso l'enorme tributo pagato in sofferenze umane, col pretesto che fece della Russia una grande potenza industriale? Ricordo che alla high school, durante le lezioni di storia americana, quando arrivammo a trattare il periodo successivo alla guerra civile (grossomodo gli anni tra quella guerra e la prima guerra mondiale), quel momento storico ci venne presentato come l'Età dell'Oro, il periodo della grande rivoluzione industriale, quando gli Stati Uniti divennero un gigante dell'economia. Ricordo quanto fossimo emozionati nell'apprendere della sensazionale crescita delle industrie dell'acciaio e del petrolio, della costruzione delle grandi fortune, della nascita delle linee ferroviarie che avrebbero attraversato il paese. Non ci venne detto dell'enorme prezzo in vite umane di questo grande progresso industriale: di come l'enorme produzione di cotone derivasse dal lavoro degli schiavi neri; di come l'industria tessile venne messa in piedi con il lavoro di ragazze giovani, che entravano in fabbrica a dodici anni e morivano a 25; di come le ferrovie furono costruite da immigrati irlandesi e cinesi che venivano letteralmente fatti lavorare fino alla morte, nel caldo torrido dell'estate e nel freddo invernale; di come gli operai, immigranti e non, dovettero scendere in strada per scioperare, per poi venire picchiati dalla polizia e incarcerati dalla Guardia Nazionale, prima di poter finalmente ottenere le otto ore lavorative al giorno; di come i bambini delle classi operaie, nei quartieri più degradati delle città, dovettero bere acqua inquinata, e di come morirono prematuramente per malnutrizione e malattie. Tutto questo, nel nome del "progresso". E sì, certo, ci sono enormi benefici derivati dall'industrializzazione, dalla scienza, dalla tecnologia, dalla medicina. Ma finora, nei 500 anni di civiltà occidentale, di dominazione occidentale del resto del mondo, gran parte di questi benefici sono andati solo a una piccola parte della razza umana,

poiché miliardi di persone nel Terzo Mondo devono ancora affrontare la morte per fame, la mancanza di una casa, le malattie, le morti premature dei propri figli. Le spedizioni di Colombo segnarono davvero la transazione dalla barbarie alla civilizzazione? E che dire delle civiltà indiane che erano state costruite nel corso di millenni, prima che arrivasse Colombo? Las Casas e altri si meravigliarono di fronte allo spirito di condivisione e generosità che contraddistingueva le società indiane, di fronte agli edifici della comunità in cui vivevano, di fronte alla loro sensibilità estetica, di fronte all'uguaglianza che regnava tra uomini e donne. I colonialisti inglesi in Nord America rimasero sbigottiti nel constatare la grande democrazia degli irochesi, cioè le tribù indiane che occupavano gran parte del territorio di New York e della Pennsylvania. Lo storico americano Gary Nash descrive così la cultura di questi popoli: "Nessuna legge o ordinanza, né sceriffi o poliziotti, giudici o giurie, né tantomeno tribunali o prigioni - cioè l'apparato dell'autorità nelle società europee - si potevano trovare nei terreni boscosi del nord-est prima dell'arrivo degli europei. Eppure i confini del comportamento accettabile erano fermamente definiti... Sebbene si vantassero della loro grande autonomia individuale, gli irochesi conservavano severamente il senso di ciò che è giusto e sbagliato...". Nel corso dell'espansione verso ovest, la nuova nazione, gli Stati Uniti, rubò la terra dei nativi, li uccise quando tentarono di opporre resistenza, distrusse le loro fonti di cibo e i loro ripari, li spinse verso porzioni di terra sempre più piccole, e avviò la sistematica distruzione della società indiana. All'epoca della Black Hawk War(4), negli anni "30 dell'Ottocento - una delle centinaia di guerre intraprese contro i nativi del Nord America - Lewis Cass, il governatore del territorio del Michigan, definì la sua confisca di centinaia di migliaia di ettari di terra agli indigeni come "il progresso della civiltà". Disse: "un popolo barbaro non può vivere a contatto con una comunità civile". Possiamo avere un"idea di quanto fossero "barbari" questi nativi quando, negli anni "80 dell'Ottocento, il Congresso preparò l'insieme di leggi per lo smantellamento del suolo pubblico (in cui vivevano ancora gli indiani) e la sua divisione in porzioni più piccole, private, attuando quella che alcune persone chiamano ancora oggi, con ammirazione, la "privatizzazione". Il Senatore Henry Dawes, autore di queste leggi, fece visita alla nazione cherokee, e descrisse ciò che vide: "... non c'era neppure una famiglia che non avesse una casa propria. Non c'era neppure un povero in quella nazione, e la nazione non possedeva neppure un dollaro... costruì da sé le sue scuole e i suoi ospedali. Eppure, l'imperfezione del sistema era apparente. Prendono la terra solo fin dove possono arrivare, perché la possiedono in comune... non ci sono imprese che possano rendere la propria casa migliore di quella dei vicini. Non c'è l'egoismo, che è alla base di ogni civiltà". Quell'egoismo alla base della "civiltà" è ciò che spinse Colombo ad andare avanti, ed è quanto vi è di più apprezzato oggi, dato che i leader politici americani e i media parlano di quanto l'Ovest farà un grande favore all'Unione Sovietica e all'Europa orientale introducendo "il motore del profitto". Certo, possono esserci determinati casi in cui l'incentivo del profitto potrebbe essere d"aiuto nello sviluppo economico, ma quell'incentivo, nella storia del "libero mercato" dell'Ovest, ha avuto conseguenze devastanti: portò infatti, attraverso i secoli della "civiltà occidentale", a un imperialismo spietato. Nel romanzo "Cuore di tenebra", scritto intorno al 1890, dopo un periodo trascorso in Congo, Joseph Conrad descrive il lavoro degli uomini neri in catene compiuto a esclusivo profitto dei bianchi, interessati solo all'avorio. Scrive: "La parola "avorio" risuonava nell'aria, sussurrata, sospirata. Si sarebbe detto che le rivolgessero delle preghiere. [...] Strappare i tesori dalle viscere della terra era il loro unico desiderio, senza scrupoli morali, almeno non più di quanti ne abbiano dei rapinatori a sfondare una cassaforte".(5) La corsa incontrollata al profitto ha portato a innumerevoli sofferenze umane, sfruttamento, schiavitù, crudeltà nei luoghi di lavoro, pericolose condizioni di lavoro, lavoro minorile, distruzione di terre e foreste, avvelenamento dell'aria che respiriamo, dell'acqua che beviamo, del cibo che mangiamo. Nella sua autobiografia del 1933, il capo indiano Orso in Piedi scriveva: "È vero, l'uomo bianco portò grandi cambiamenti. Ma i diversi frutti della sua civiltà, anche se molto colorati e invitanti, sono frutti che rendono malati e deboli. E se davvero una parte della civiltà significa mutilare, derubare e ostacolare, allora

che cos"è il progresso? Io mi azzardo a dire che l'uomo che sedeva in terra nel suo teepee, meditando sulla vita e sul suo significato, accettando l'affinità di tutte le creature, e riconoscendo l'unità con l'universo delle cose, stava infondendo in sé la vera essenza della civiltà". Le attuali minacce all'ambiente hanno provocato una riconsiderazione, tra gli scienziati e altri studiosi, del valore del "progresso" così com"è stato finora definito. Nel dicembre 1991 ci fu una conferenza di due giorni al MIT, in cui 50 scienziati e storici discussero l'idea di progresso del pensiero occidentale. Ecco parte del resoconto di quella conferenza apparso sul Boston Globe: "In un mondo in cui le risorse vengono sperperate e l'ambiente avvelenato, hanno affermato ieri i partecipanti a una conferenza del MIT, è tempo che le persone inizino a pensare in termini di sostenibilità e di stabilità, piuttosto che di crescita e progresso... Confronti verbali pirotecnici e scambi molto animati, che a volte sono esplosi in scontri gridati, hanno costellato le discussioni tra gli studiosi di economia, religione, medicina, storia e scienze. Uno dei partecipanti, lo storico Leo Marx, ha detto che il fatto di lavorare per una più armoniosa coesistenza con la natura è esso stesso un tipo di progresso, ma diverso dal modo tradizionale, in cui gli individui tentano di sopraffare la natura". Quindi, guardare indietro a Colombo in maniera critica significa sollevare tutte queste domande a proposito del progresso, della civiltà, delle nostre relazioni interpersonali e delle nostre relazioni con il mondo naturale. Forse avrete sentito - come è successo a me, piuttosto spesso - che sarebbe sbagliato trattare la storia di Colombo così come l'abbiamo trattata. Insomma, ciò che gli altri dicono è: "State decontestualizzando Colombo, lo state guardando con gli occhi del ventesimo secolo. Non dovete sovrapporre i valori del nostro tempo a eventi che si verificarono 500 anni fa. È anacronistico". Trovo bizzarra questa argomentazione. Assume che la crudeltà, lo sfruttamento, l'avidità, la schiavitù, la violenza contro persone inermi siano valori propri del quindicesimo e sedicesimo secolo. E noi del ventesimo secolo abbiamo superato queste cose? Non ci sono valori umani comuni all'età di Colombo e alla nostra? La prova che ci sono è il fatto che sia nella sua epoca sia nella nostra c'erano schiavisti e sfruttatori, che sia nella sua epoca sia nella nostra c'erano coloro che protestavano contro questo stato di cose, a favore dei diritti umani. È incoraggiante vedere che, nell'anno di questo cinquecentesimo anniversario, ci sia un"ondata di protesta, in tutti gli Stati Uniti e attraverso le Americhe, che non ha precedenti negli anni di celebrazione di Colombo. Gran parte di questa protesta è guidata dai nativi americani, che stanno organizzando conferenze e incontri, che si stanno impegnando in atti di disobbedienza civile, che stanno cercando di educare e informare il pubblico americano su cosa accadde realmente 500 anni fa, e cosa può dirci tutto ciò a proposito delle grandi questioni del nostro tempo. C"è una nuova generazione di insegnanti nella nostra scuola, e molti di loro stanno insistendo sul fatto che la storia di Colombo debba essere raccontata dal punto di vista dei nativi americani. Nell'autunno del 1990 ricevetti una telefonata da Los Angeles da un presentatore di talk-show che voleva discutere di Colombo. In linea c'era anche una studentessa di una high school della stessa città, di nome Blake Lindsey, che aveva insistito nel rivolgersi al Consiglio Comunale di Los Angeles per opporsi alla tradizionale celebrazione del Columbus Day. Disse ai membri del Consiglio del genocidio commesso dagli spagnoli contro gli indiani arawack, ma il Consiglio Comunale non rispose. Una donna telefonò poi a quel talk-show, presentandosi come immigrata da Haiti. Disse: "La ragazza ha ragione - non è rimasto neppure un indiano. Nella nostra ultima sommossa contro il governo è stata abbattuta la statua di Colombo e ora si trova nel seminterrato del municipio di Portau-Prince". La donna terminò dicendo: "Perché non costruiamo statue per gli aborigeni?". Nonostante i libri di testo che sono ancora utilizzati, sempre più insegnanti stanno ponendo domande, sempre più studenti stanno ponendo domande. Bill Bigelow riporta le reazioni dei suoi studenti dopo aver mostrato loro materiali che contraddicono le storie tradizionali. Uno studente ha scritto: "Nell'anno del Signore 1492, l'intrepido Colombo salpò sull'oceano blu alla volta delle Indie... la storia ufficiale in circolazione è completa quanto un formaggio svizzero".

Un"altra studentessa ha scritto una critica al suo libro di testo di storia americana direttamente all'editore, Allyn & Bacon, mettendo in evidenza molte importanti omissioni presenti in quel testo. Ha detto: "Prenderò ad esempio un solo argomento, tanto per semplificare le cose: che mi dite di Colombo...?". Un altro studente: "Mi è sembrato che gli editori abbiano semplicemente stampato qualche storiella gloriosa che avrebbe dovuto farci sentire più patriottici e... Vogliono che guardiamo il nostro paese come una nazione grandiosa, potente e sempre nel giusto... Ci alimentano con delle menzogne". Quando gli studenti scoprono che nella primissima storia che imparano - la storia di Colombo - non è stata detta loro la verità completa, allora si mette in moto un sano scetticismo che riguarda tutta la loro educazione storica. Una delle studentesse di Bigelow, Rebecca, ha scritto: "Che importanza ha sapere chi scoprì l'America, in realtà?... Ma il pensiero che per tutta la vita mi sono state dette bugie a proposito di questo, e di chissà cos"altro, mi fa davvero infuriare". Questo nuovo pensiero critico nelle scuole e nei college sembra spaventare coloro che hanno glorificato quella che è chiamata la "civiltà occidentale". Il Segretario all'Istruzione di Reagan, William Bennet, nel suo "Rapporto sulle discipline classiche nell'istruzione superiore" del 1984, descrive la civiltà occidentale come "la nostra cultura comune... i suoi più alti ideali e aspirazioni". Uno dei più strenui difensori della civiltà occidentale è il filosofo Allan Bloom, che scrisse "La chiusura della mente americana"(6) in preda al panico, dopo aver assistito a ciò che i movimenti sociali degli anni "60 avevano fatto per cambiare l'atmosfera educativa delle università americane. Era spaventato dalle dimostrazioni studentesche cui assistette a Cornell, dimostrazioni che vedeva come una terribile interferenza con il processo d"istruzione. L"idea di Bloom dell'istruzione era quella di un piccolo gruppo di studenti brillanti, in un"università élitaria, che studiavano Platone e Aristotele, e che rifiutavano di venire disturbati nella loro contemplazione dal rumore all'esterno delle proprie finestre, il rumore degli studenti che si schieravano contro il razzismo o protestavano contro la guerra in Vietnam. Mentre leggevo il suo libro, mi tornarono in mente alcuni miei colleghi insegnanti di un college per studenti neri ad Atlanta, in Georgia, in cui lavoravo nel periodo del movimento per i diritti civili: questi professori disapprovavano indignati scuotendo il capo, quando i nostri studenti lasciavano le aule per fare sit-in ed essere arrestati, nel corso delle proteste contro la segregazione razziale. Questi studenti stavano trascurando la loro educazione, dicevano i miei colleghi. In realtà, quei ragazzi stavano imparando molto di più in poche settimane di lotte sociali di quanto avrebbero potuto imparare in un anno di lezioni. Che giudizio limitato e ristretto dell'educazione! Corrisponde perfettamente alla visione storica secondo la quale occorre ribadire insistentemente che la civiltà occidentale rappresenta il culmine delle conquiste umane. Come ha scritto Bloom nel suo libro: "... solo nelle nazioni occidentali, cioè in quelle influenzate dalla filosofia greca, c'è una qualche propensione a mettere in dubbio l'identificazione del bene con il proprio modo di agire". Beh, se questa propensione al dubbio è la caratteristica distintiva della filosofia greca, allora Bloom e chi come lui idolatra la civiltà occidentale ignora completamente quella filosofia. Se la civiltà occidentale viene considerata il punto più alto del progresso umano, allora gli Stati Uniti sono i migliori rappresentanti di questa civiltà. Ecco, di nuovo, cosa dice a tale proposito Allan Bloom: "Questo è il momento americano nella storia mondiale... nell'America è evidente una sola storia: il continuo, ineluttabile progresso di libertà e uguaglianza. Dall'epoca dei primi coloni e della fondazione dei suoi principi politici, non si può negare il fatto che la libertà e l'uguaglianza rappresentino l'essenza della giustizia per noi...". Sì, andate a dire ai neri, ai nativi americani, ai senzatetto, a coloro che non hanno un"assicurazione sanitaria e a tutte le vittime straniere della politica estera americana che nell'America "è evidente una sola storia... libertà e uguaglianza". La civiltà occidentale è complessa: incarna molti aspetti, alcuni accettabili, altri orribili. Dovremmo fermarci a riflettere prima di celebrarla in maniera acritica se facciamo caso a quanto afferma David Duke, membro del Ku Klux Klan della Louisiana ed ex nazista, il quale sostiene che la gente lo ha

frainteso. "Il motivo costante del mio pensiero", disse a un reporter, "è l'amore per la civiltà occidentale". Noi che insistiamo a guardare in maniera critica alla storia di Colombo, e in realtà a tutto ciò che riguarda la nostra storia nazionale, siamo spesso accusati di insistere sulla political correctness a detrimento della libertà di espressione. Io trovo bizzarra questa argomentazione. Sono i custodi della vecchia storia, dell'ortodossia, che si rifiutano di ampliare lo spettro delle idee, di introdurre nuovi testi, nuovi approcci, nuova informazione, nuovi punti di vista della storia. Quelli che dichiarano di credere nel "libero mercato" non credono in un libero mercato di idee non più di quanto credano in un mercato libero di beni e servizi. Sia nei beni materiali sia nelle idee, vogliono che il mercato sia dominato da coloro che hanno sempre detenuto potere e ricchezza. Temono fortemente l'ingresso di idee nuove, dato che i cittadini potrebbero iniziare a ripensare le strutture e i modelli sociali che ci hanno dato così tante sofferenze, così tanta violenza, così tante guerre negli ultimi 500 anni di "civiltà". Naturalmente avevamo già tutto questo anche prima che Colombo arrivasse in questa parte di mondo, ma le risorse erano scarse, le persone erano isolate le une dalle altre, e le possibilità erano limitate. Negli ultimi secoli, invece, il mondo è diventato incredibilmente piccolo, le nostre possibilità di creare una società decente si sono enormemente amplificate, e quindi le scuse della fame, dell'ignoranza, della violenza e del razzismo non esistono più. Nel ripensare la nostra storia, non dobbiamo guardare semplicemente al passato, ma al presente, e dobbiamo cercare di osservarlo dal punto di vista di coloro che sono stati tagliati fuori dai benefici della cosiddetta civiltà. Stiamo cercando di compiere un passo semplice, ma profondamente importante: guardare il mondo da altre prospettive. È necessario farlo ora, nel momento in cui stiamo entrando nel nuovo secolo, se vogliamo che questi prossimi cento anni siano diversi, se vogliamo che ci sia non un secolo dell'America, o un secolo dell'Occidente, uno dei bianchi o dei maschi, un secolo di questa nazione o di quell'altro paese, ma semplicemente un secolo della razza umana. Note del traduttore 1. "A People"s History of the United States": Una storia del popolo degli Stati Uniti, famoso libro Howard Zinn che ripercorre la storia americana. 2. È l'isola degli attuali stati di Haiti e della Repubblica Dominicana. 3. Massacro di centinaia di civili vietnamiti compiuto da un"unità dell'esercito americano il 16 marzo 1968. 4. "Guerra di Falco Nero", dal nome del capo indiano che guidò la rivolta. 5. J. Conrad, "Cuore di tenebra", Milano, Garzanti, 1990. Traduzione di Luisa Saraval. 6. Ed. italiana Milano, Frassinelli, 1988.

CHI GIOCA SPORCO NELLA FINANZA MONDIALE Lucy Komisar Nel paradiso fiscale del Lussemburgo, un"impresa poco nota di nome Clearstream gestisce miliardi di dollari all'anno in trasferimenti di azioni e obbligazioni per banche, società di investimento e imprese multinazionali. Ma un ex primo funzionario di questa stanza di compensazione (clearinghouse) afferma che la Clearstream gestisce un sistema di contabilità segreto che permette ai suoi clienti di occultare il denaro che si muove attraverso i loro conti. In questi tempi di mercati globali, gli individui e le società potrebbero comprare titoli, obbligazioni e derivati da un venditore che si trova dall'altra parte del mondo. Le stanze di compensazione come la Clearstream si occupano del lavoro d"ufficio per le transazioni. Le banche che dispongono di conti nella clearinghouse usano un sistema di debito e credito e, alla fine della giornata, i conti (al netto delle spese di gestione, naturalmente) vengono compensati. La società, in realtà, non spedisce soldi ovunque; semplicemente addebita e accredita i conti dei propri clienti. È tutto molto efficiente, ma la quantità di denaro coinvolto è considerevole. La Clearstream tratta più di 80 milioni di transazioni all'anno, e afferma di avere obbligazioni in deposito del valore di 6.500 miliardi di dollari. È anche un meccanismo eccellente per riciclare denaro sporco proveniente dal traffico di droga, o per nascondere il proprio reddito agli esattori fiscali. Le banche dovrebbero essere soggette al controllo del governo locale, ma molti dei membri della Clearstream hanno società consociate reali o virtuali in paradisi fiscali offshore, dove i documenti ufficiali sono segreti e i gli investigatori non possono rintracciare le transazioni. E la Clearstream, che possiede i documenti centrali degli scambi finanziari, non è soggetta neppure al frettoloso controllo che si applica alle banche offshore. Inoltre, a coronamento del tutto, ha deliberatamente reso operativo un sistema per nascondere molte delle transazioni dei propri clienti da qualsiasi autorità che potrebbe intervenire per fare un controllo. Secondo alcuni ex dipendenti: - la Clearstream ha un doppio sistema di contabilità, con conti segreti e non resi pubblici che le banche e le grandi imprese usano per fare trasferimenti che non vogliono far comparire sui libri contabili ufficiali; - la Clearstream, sebbene debba legalmente limitarsi a intrattenere rapporti solo con istituzioni finanziarie, concede conti segreti alle imprese multinazionali, in modo che queste possano trasferire azioni e denaro liberi da verifiche e controlli esterni; - la Clearstream gestì un conto per una banca russa notoriamente criminale per diversi anni dopo che la banca dichiarò ufficialmente il collasso, e i conti della clearinghouse camuffarono le destinazioni dei trasferimenti a banche colombiane; - la Clearstream gestisce un programma informatico che cancella le tracce di scambi commerciali, su richiesta dei propri clienti; - la Clearstream è stata usata per cercare di nascondere un dubbio traffico d"armi tra le autorità francesi e i militari taiwanesi. Molte di queste accuse furono per la prima volta rese pubbliche in un controverso libro dal titolo "Révélation$" (Rivelazioni, NdT), scritto da Denis Robert, un giornalista francese, e da Ernest Backes, ex primo funzionario della clearinghouse che aiutò a progettare e installare il sistema informatico che facilitò la gestione dei conti segreti. L"impatto del libro fu a dir poco esplosivo: sei giudici europei lo definirono "la scatola nera dei flussi finanziari internazionali illeciti"; i massimi funzionari della Clearstream furono licenziati; lo scandalo fece bella mostra di sé sulle prime pagine dei maggiori quotidiani europei; le reti televisive misero in onda moltissimi speciali sull'accaduto; la commissione per i crimini finanziari dell'Assemblea Nazionale francese tenne un"udienza; le autorità del Lussemburgo ordinarono un"indagine, e quindi insabbiarono ogni cosa. Eppure, nonostante tutto, "Révélation$" rimane inedito, e relativamente sconosciuto, negli Stati Uniti.(1)

Backes, un uomo barbuto e robusto, di poco più d"una cinquantina d"anni, mi concesse un po" del suo tempo a Neuchâtel, in Svizzera, dove era andato per partecipare a una conferenza sul crimine internazionale, e mi spiegò come cominciò a combattere il crimine organizzato in banca. Ernest Backes è nato nel 1946 a Trier, in Germania (come ama ripetere lui, due persone importanti sono nate a Trier; l'altra è Karl Marx). Suo padre era un metalmeccanico originario del Lussemburgo, e sua madre un"infermiera tedesca. Dall'età di quattordici anni lavorò alla catena di montaggio per pagarsi la scuola e si unì ai Giovani Lavoratori Cattolici. Dopo un impiego nella pubblica amministrazione in Lussemburgo, fu assunto nel 1971 dal predecessore della Clearstream, la Cedel (che sta per central delivery office), istituita un anno prima da un consorzio internazionale composto da 66 banche. Backes contribuì a progettare e installare il sistema computerizzato di contabilità negli anni "70. La Cedel e il suo principale concorrente, la Euroclear (con sede a Bruxelles), stavano iniziando a maneggiare i trasferimenti di eurodollari, cioè la valuta statunitense conservata nelle banche al di fuori degli Stati Uniti. Secondo il libro di Barbara Garson "Money Makes the World Go Around" (I soldi fanno girare il mondo, NdT), gli eurodollari furono inventati negli anni "50 dai cinesi e dai sovietici per permettere loro di mettere i propri titoli in banche in cui il governo Usa non avrebbe potuto prenderli. Ma altri intravidero il valore degli eurodollari, e la moneta iniziò a essere commercializzata in cambio di altre valute. Alcune banche attiravano gli eurodollari con interessi più alti di quelli pagati in America, e imprese e privati statunitensi iniziarono a usare i conti per evitare le leggi sulle banche nazionali. Nacque così il mercato dell'eurodollaro (negli anni "90 la Federal Reserve Bank stimò che circa i due terzi della valuta Usa erano custoditi all'estero sotto forma di eurodollari). La Cedel e la Euroclear alla fine crebbero trattando trasferimenti di titoli azionari e altri strumenti finanziari. I loro clienti avevano bisogno di un sistema che potesse garantire l'attendibilità e la serietà dei loro partner commerciali e che potesse conservare una documentazione degli scambi commerciali avvenuti. La stanza di compensazione forniva velocità, discrezione e un sistema che non lasciava traccia dei loro affari e profitti facilmente accessibile agli esterni. Ogni tre-quattro mesi veniva distribuita una lista dei codici dei clienti; per i trasferimenti, era sufficiente che i membri inserissero i codici, e la Clearstream gestiva i traffici senza nessuna ulteriore indagine. Nel 1975, diverse banche italiane e tedesche volevano centralizzare i propri conti correnti e non volevano che altri membri della Cedel inviassero trasferimenti attraverso le loro numerose filiali. Il consiglio di amministrazione della Cedel autorizzò le banche con molteplici società consociate a non inserire tutti i loro conti sulle liste. Backes e Gerard Soisson, direttore generale della Cedel, misero in piedi un sistema di conti non resi pubblici. Una banca avrebbe inviato un trasferimento al codice della banca centrale, che l'avrebbe a sua volta mandato ai conti non resi pubblici della sua società sussidiaria. La banca avrebbe regolato l'operazione internamente. Soisson concedeva le autorizzazioni per ogni conto non pubblicato, che sarebbe stato noto solo a pochi interni della società, tra cui i revisori contabili e i membri del consiglio di amministrazione. Come spiegano gli opuscoli illustrativi della Cedel ai propri clienti: "Come regola generale, il conto principale di ogni cliente viene pubblicato: l'esistenza del conto, così come il nome e il numero, vengono pubblicati... A richiesta, e a discrezione della Banca Cedel, il cliente può aprire un conto non reso pubblico. I conti non pubblicati non figurano in nessun documento scritto, e il loro nome non viene menzionato in nessun rapporto". Richieste per conti segreti vennero da alcune banche che non possedevano i requisiti necessari, ma Soisson le rifiutò. Nel 1980 Backes era diventato il numero tre della Cedel, incaricato delle relazioni con i clienti. Ma fu licenziato nel maggio del 1983. Backes dice che la motivazione data per il suo licenziamento fu una discussione avuta con un banchiere inglese, un amico dell'Amministratore Delegato. "Penso che fui licenziato perché sapevo troppo dello scandalo Ambrosiano", dice Backes.

Il Banco Ambrosiano era la seconda più importante banca privata italiana, che aveva come principale azionista e beneficiario di prestiti il Vaticano. La banca riciclava denaro sporco ricavato dal traffico di droga per conto della Mafia italiana e di quella americana e, negli anni "80, fece convogliare denaro del Vaticano ai Contras in Nicaragua e a Solidarnosc in Polonia. I dirigenti corrotti travasarono anche molti fondi tramite banche fittizie per convogliarli verso conti personali di società fantasma in Svizzera, alle Bahamas, a Panama e in altri paradisi fiscali. Il Banco Ambrosiano collassò nel 1982, con un deficit di più di un miliardo di dollari (forse non tutti gli appassionati di cinema sanno che la storia del Banco Ambrosiano ispirò una vicenda secondaria nel film "Il Padrino", parte III). Diversi tra i personaggi che muovevano le fila della truffa andarono incontro a morti premature. Il direttore della banca Roberto Calvi fu trovato impiccato sotto il Blackfriars Bridge a Londra. Michele Sindona, che nel 1980 venne dichiarato colpevole di 65 capi d"accusa negli Stati Uniti, venne estradato in Italia nel 1984 e condannato all'ergastolo; nel 1986 fu trovato morto nella sua cella, avvelenato da un caffè corretto al cianuro (un altro sospetto, l'Arcivescovo Paul Marcinkus, capo della Banca Vaticana, ora vive a Sun City, in Arizona, con un passaporto vaticano; le autorità Usa hanno ignorato un mandato di arresto fatto spiccare per lui dalla procura di Milano). Nel 1983, appena dopo due mesi dall'eliminazione di Backes, Soisson, che aveva allora 48 anni ed era in perfetta salute, fu trovato morto in Corsica, dove si trovava in vacanza. I massimi funzionari della Cedel fecero immediatamente rimpatriare il corpo e lo fecero seppellire, senza autopsia, annunciando che era morto per un attacco cardiaco. Ora la sua famiglia sospetta che sia stato assassinato. "Se Soisson è stato assassinato, la sua morte è anche collegata a ciò che sapeva del Banco Ambrosiano", afferma Backes. "Quando Soisson morì, la vicenda Ambrosiano non era ancora esplosa come scandalo. [Dopo che venne resa nota,] mi resi conto che io e Soisson eravamo stati decisivi. Avevamo trasferito tutte quelle transazioni, che in seguito divennero note nello scandalo, a Lima e ad altre filiali. Nessuno sapeva neppure che ci fosse una filiale del Banco Ambrosiano a Lima e in altri paesi sudamericani". Dopo aver lasciato la Cedel, Backes ottenne un impiego nel mercato azionario lussemburghese, e in seguito divenne dirigente di una cooperativa di macellai. Ma si tenne in contatto con amici all'interno della clearinghouse e iniziò a raccogliere informazioni e documenti relativi alle operazioni della Cedel. Con Soisson uscito di scena, non c'era più nulla che potesse fermare gli abusi del sistema: mentre Soisson aveva rifiutato numerose richieste di apertura di conti non pubblicati (da istituti quali la Chase Manhattan di New York, la Chemical Bank di Londra e numerose società consociate della Citibank), la Cedel aprì centinaia di conti non resi pubblici in totale irregolarità, specialmente dopo l'arrivo dell'amministratore delegato André Lussi, nel 1990. Non erano più soltanto semplici sottoconti di altri conti ufficialmente registrati, incalza Backes. Alcuni erano destinati a banche che non erano società consociate, né tantomeno clienti ufficiali della Cedel. All'inizio del 1995, la Cedel aveva più di 2.200 conti resi pubblici. Ma in realtà, secondo i documenti ottenuti da Backes, la Cedel quell'anno aveva gestito più di 4.200 conti per più di 2.000 clienti da 73 paesi. La Clearstream venne costituita nel 1999 dalla fusione della Cedel e della società di compensazione della Deutsche Börse (la borsa valori tedesca). "Non ci sono conti segreti", insiste il portavoce Graham Cope. "Siamo controllati dalle autorità locali... che hanno accesso alle informazioni su tutti i conti. Il termine "segreto" viene usato continuamente in maniera sbagliata. I nostri clienti scelgono di avere conti non resi pubblici, il che significa semplicemente che è come se avessero un numero telefonico di cui scelgono di non mostrare il nome e il numero nelle nostre pubblicazioni. I clienti spesso hanno molti conti non resi pubblici, che usano per scopi di propria gestione interna, per assicurarsi che non vi sia confusione tra i conti a loro disposizione". Ma Backes la pensa altrimenti. "Ho scoperto un numero sempre crescente di conti non resi pubblici", dice. "C"erano più conti nascosti che conti pubblici, e in grandissima parte non si trattava

di sotto-conti di un conto principale, cosa per cui si suppone che il sistema fosse stato concepito. I proprietari di questi conti non erano iscritti nel registro ufficiale dei clienti della società". Come funziona il sistema? Backes spiega che, per esempio, una banca con un conto pubblico potrebbe aprire un conto non pubblico per una filiale nelle isole Cayman, uno dei paradisi fiscali offshore. Un trafficante di droga potrebbe facilmente dare ordine alla filiale delle Cayman di prelevare danaro [ovviamente "sporco"] dal suo conto personale per comprare azioni a Wall Street. La transazione sarebbe portata avanti dalla Clearstream, che trasferirebbe elettronicamente il denaro a una banca di New York che ha il proprio conto presso la stanza di compensazione. Ben presto le azioni potrebbero essere vendute per comprare proprietà immobiliari a Chicago con denaro "pulito". Ma per i revisori o gli investigatori, che possono basarsi soltanto sui conti pubblici, è impossibile rintracciare il denaro. Backes dice che gli impiegati della Clearstream scherzano affermando che il nome della compagnia significhi in realtà "il fiume che lava". Mentre i clienti della società potrebbero voler tenere segrete le transazioni, informazioni dettagliate su ogni trasferimento, inclusi quelli tramite conti non resi pubblici, vengono registrate su "dichiarazioni di sicurezza giornaliera", cioè documenti con cui si attesta che le azioni o il contante sono stati spediti. Queste dichiarazioni sono immagazzinate su un microfilm e, secondo la legge del Lussemburgo, devono essere custodite per dieci anni (per le imprese commerciali) o quindici (per le banche). Un dipendente della Clearstream diede a Backes l'equivalente di dieci anni di questi documenti ufficiali. "I documenti sono una miniera di informazioni per qualsiasi inchiesta finanziaria", dice Backes. "Gli archivi delle società come la Clearstream possono contribuire a ritrovare le tracce delle strade che hanno preso i fondi. La conoscenza della lista e dei codici relativi ai conti non resi pubblici, finora segreti inespugnabili, offrono immense possibilità". Backes nota che documenti simili esistono anche per le altre grandi stanze di compensazione, la Euroclear e la Swift, anch"esse con sede a Bruxelles. "È possibile", spiega, "quando si conoscono la data dell'operazione e la banca d"entrata, ricostruire il tragitto compiuto dal denaro, dai titoli o dalle obbligazioni all'interno delle compagnie di compensazione, seguirne le tracce". Révélation$ accusa inoltre la Cedel/ Clearstream di aver ulteriormente violato i propri statuti allestendo conti non resi pubblici per società industriali e commerciali. Con conti a proprio nome, le imprese potevano evitare di passare attraverso le banche o gli agenti di cambio per usare la stanza di compensazione. In questo modo aggiravano l'obbligo di accuratezza e di registrazione degli atti. Quando alla Siemens venne proposto di diventare membro della clearinghouse, dice Backes, molti impiegati della Cedel protestarono affermando che ciò violava le leggi lussemburghesi. Tuttavia, la dirigenza disse loro che l'ammissione della Siemens era stata negoziata ai più alti livelli della compagnia. Tra le maggiori compagnie in possesso di conti segreti, Backes scoprì il gruppo petrolifero Shell e la multinazionale agricola olandese Unilever, un conto della quale era associato con la Goldman Sachs. Al programma televisivo francese "Les Dissimulateurs" nel marzo del 2000, il presidente della Clearstream, Lussi, negò semplicemente che i conti esistessero. "Solo le banche e i broker possiedono i requisiti necessari per diventare membri", disse, "come è sempre stato. Niente conti di compagnie private, società industriali o commerciali". Ma proprio il suo portavoce contraddice questa affermazione. "I clienti della Clearstream possono essere banche o, eccezionalmente, imprese che hanno i propri settori tesoreria delle stesse dimensioni di quello di una banca", mi ha scritto Cope in una e-mail. "Non possiamo accettare amministratori delegati di multinazionali o terroristi, e abbiamo procedure di apertura conto molto rigide per evitare problemi di questo tipo". Nel 2000, secondo Backes, la Cleastream ha gestito circa 15.000 conti (metà dei quali erano segreti) per 2.500 clienti in 105 paesi; la maggior parte delle società di investimento, banche e compagnie consociate proviene dall'Europa occidentale e dagli Stati Uniti. La maggior parte dei nuovi conti non resi pubblici era in paradisi fiscali offshore. Le banche con il maggior numero di conti non resi pubblici sono la Banque Internationale de Luxembourg (309), la Citibank (271) e la Barclays (200). Nella lista dei conti segreti che riuscì a ottenere, Backes trovò numerose discrepanze. Per esempio,

il codice n. 70287 sulla lista registrata appartiene alla Citibank NA-Colombia AC di Nassau, e il codice n. 70292 è quello del Banco Internacional de Colombia Nassau Ltd. Ma sulla lista non resa pubblica entrambi i numeri appartengono al Banco Internacional de Colombia di Bogotà. Non si fa alcuna menzione della Citibank. Basandosi sulla lista pubblica, i membri potrebbero pensare di trattare con due banche delle Bahamas, una delle quali è una consociata della Citibank, ma qualsiasi cosa venga inviata a questi istituti finisce direttamente nel paese dei cartelli della droga. Nella lista della Clearstream datata aprile 2000 ci sono 37 conti colombiani, dei quali soltanto tre sono pubblici (Richard Howe, portavoce della Citicorp di New York, si è sempre rifiutato di rispondere alle numerose richieste di commento. Cope non ha voluto parlare di singoli clienti o conti, adducendo a sostegno le leggi lussemburghesi sul segreto bancario). Gli affari della Clearstream con le banche russe sono un altro settore di grande interesse. La banca Menatep, che è stata comprata in un"asta truccata di beni sovietici e il cui nome è legato a numerose frodi internazionali, ha aperto il suo conto Cedel (n. 81738) il 15 maggio 1997, dopo la visita di Lussi a Mosca al presidente della banca e il suo invito a servirsi del sistema della clearinghouse. Era un conto segreto che non corrispondeva a nessun conto regolarmente pubblicato, in violazione a una delle regole della Clearstream. In seguito la Menatep violò ulteriormente le regole, perché molti trasferimenti effettuati erano movimenti di contanti, non per liquidazione di titoli. "Per i tre mesi del 1997 dei quali posseggo i microfilm", dice Backes, "attraverso il conto della Menatep vennero convogliati solo trasferimenti di liquidi". "Ci furono poi molti trasferimenti tra la Menatep e la Bank of New York", aggiunge Backes. Natasha Gurfinkel Kagalovsky, ex funzionario della Bank of New York e moglie di un vice presidente della Menatep, è accusata di concorso in riciclaggio di almeno 7 miliardi di dollari provenienti dalla Russia. Gli investigatori Usa hanno tentato di scoprire se una parte del denaro sporco riciclato sia derivata dalla Menatep, che essi ritengono abbia saccheggiato attività patrimoniali russe (il Dipartimento di Giustizia ha evitato qualsiasi commento sull'indagine). Anche se la Menatep fallì ufficialmente nel 1998, rimase stranamente sulle liste dei conti non pubblici fino al 2000 (nei registri della Clearstream sono presenti anche altri 36 conti russi, più segreti che pubblici). Kathleen Hawk, una portavoce statunitense della Clearstream, afferma che si sia trattato di "un errore". Ma Cope la contraddice: "I conti chiusi restano nei nostri file e sistemi informatici anche se non attivi perché noi non riutilizziamo i numeri di codice. Conserviamo i documenti per molti anni, in modo da evitare una successiva confusione tra numeri riutilizzati". Ma Backes spiega che non vi è alcuna regola sistematica a proposito dell'eliminazione dei conti disattivati dalla lista. Scoprì che "alcuni conti che non esistevano più erano ancora sulla lista. Altri furono eliminati, una volta annullati. E tuttavia altri conti vennero depennati quando sapevamo che erano ancora esistenti, sebbene i numeri non apparissero più". Régis Hempel, un programmatore informatico che lavorava per la Clearstream, afferma che alcuni conti inattivi venivano attivati per transazioni speciali. "Un conto di questo tipo può venire aperto di mattina, essere usato per una transazione e poi venire chiuso, in modo tale da apparire eliminato dalla lista già nel pomeriggio", spiega Backes. "Solo il tizio che ha dato l'ordine di aprirlo la mattina sa della transazione. Un investigatore o un revisore non guarderebbe neppure un conto di questo tipo, perché non compare sulla lista ufficiale". Hempel afferma anche che la Clearstream cancellava i documenti relativi ad alcuni trasferimenti. Portando la propria testimonianza di fronte alla commissione per i crimini finanziari dell'Assemblea Nazionale francese lo scorso anno, spiegò che era stato sviluppato un sistema informatico in grado di eliminare le tracce delle transazioni nei conti non resi pubblici. Quando una banca voleva concludere una transazione di questo tipo, disse Hempel nella sua testimonianza, semplicemente contattava un membro del personale della Cedel. "Facevamo una "deprogrammazione" nel software e correggevamo l'istruzione che stava per arrivare", spiegò. "[Un"istruzione potrebbe essere] un acquisto, una vendita, un movimento di fondi o un titolo. Noi lo facevamo sparire, o lo mettevamo in un altro conto. Poi, quando tutto era finito,

reinstallavamo il vecchio programma e rimuovevamo l'eccezione. Né vista né conosciuta, da nessuno". Affermò che richieste di questo tipo arrivavano ogni due o tre giorni. Hempel si offrì volontariamente di aiutare il pubblico ministero lussemburghese Carlos Zeyen a indagare sulla Clearstream. Ma Hempel afferma che le autorità locali sembrano più interessate a bloccare le indagini che a esercitare un serio controllo. Zeyen replicò che all'inchiesta relativa alle accuse di Hempel era stato impedito di vedere file rilevanti, qualificati come "spazzatura". In una dichiarazione pubblica del 2001, - Zeyen affermò che l'indagine sarebbe andata avanti. Fonti lussemburghesi affermano che Zeyen stava cercando di scoprire come la Menatep usasse il sistema e anche in quali maniere illecite André Lussi potrebbe aver intascato guadagni personali; nel gennaio2002, - un giudice francese raccolse delle deposizioni riguardo alla corruzione della Menatep. Secondo il giornalista lussemburghese Marc Gerges, che scrive per il quotidiano locale Land, l'FBI e il BKA tedesco sono interessati anche a ciò che potrebbe essere rivelato a proposito del ruolo della Menatep nella deviazione dei fondi dell'FMI. Gerges afferma che gli investigatori stanno anche cercando di implicare Lussi in sospette truffe finanziarie condotte attraverso holding e trust nei paradisi finanziari offshore di Guernsey o Jersey (può essere difficile localizzare Lussi; il suo avvocato non ha risposto alle richieste di commento inviategli via telefono ed e-mail). La pubblicazione di "Révélation$" ha fatto uscire allo scoperto altri personaggi a conoscenza di vicende in cui emerge come la Cedel/Clearstream abbia favorito la corruzione. Joël Bûcher, ex direttore generale aggiunto della filiale di Taiwan della banca Société Générale, scrisse a Zeyen dichiarandosi pronto a testimoniare che la SG usava la stanza di compensazione per occultare tangenti e riciclare denaro sporco. Nella sua deposizione resa a Zeyen - che è citata nel nuovo libro di Denis Robert dedicato alla saga della Clearstream, "La boite noire" (La scatola nera, NdT) Bûcher disse che aveva lavorato per 20 anni in quella banca, ma nel 1995 si dimise, fuori di sé dal disgusto per la dilagante pratica di riciclaggio del denaro sporco. Disse che la cosa si verifica-va in gran parte tramite una società affiliata del Lussemburgo che lavorava attraverso conti non resi pubblici presso la Cedel. "La Cedel non faceva domande sull'origine dei fondi, che sarebbero invece apparsi sospetti a qualsiasi principiante", disse a Robert. "[Il risultato è che] abbiamo indirizzato la nostra clientela con fondi di dubbia origine verso il Lussemburgo". All'inizio degli anni "90, sostiene Bûcher, la Cedel venne utilizzata per riciclare 350 milioni di dollari di "commissioni" illegali su un contratto di vendita da parte della Thomson-CSF (un"impresa di armi del governo francese) di sei fregate francesi a Taiwan. Disse che il denaro, gestito da una società consociata della SG, fu pagato come trasferimento di titoli registrati a un "designato" - controfigura del reale beneficiario - e che la Thomson (ora nota come Thales) non apparve nella transazione, se non negli archivi della Cedel. Le bustarelle, che ammontavano a 760 milioni di dollari, furono smascherate dopo l'omicidio nel 1993 di un capitano di marina di nome Yin Ching-feng, che aveva scritto un rapporto critico sulla vendita e sul suo prezzo gonfiato di 2,8 miliardi di dollari. Bûcher riferì alle autorità di Taipei che un terzo delle bustarelle andò a generali e politici taiwanesi, mentre il resto fu intascato dai funzionari francesi. I tribunali di Taiwan giudicarono colpevoli tredici ufficiali dell'esercito e quindici trafficanti d"armi (con condanne variabili tra i diciotto mesi di detenzione e l'ergastolo) per corruzione e violazione del segreto militare. "La SG è profondamente coinvolta in tutto questo", mi disse Bûcher. "Nelle ricerche della polizia di Taipei sono state trovati molti documenti che attestano trasferimenti di commissioni", relativi alle fregate e anche alla vendita degli aerei da combattimento francesi Mirage. A New York, il portavoce della SG Jim Galvin nega che la banca abbia avuto qualsiasi coinvolgimento nel traffico d"armi. Da parte del pubblico ministero in Lussemburgo non c'è stata alcuna azione legale, basata su una qualsiasi delle sue piste d"indagini. Invece, la Clearstrem Banking, Lussi e altri hanno presentato dieci cause per diffamazione in Lussemburgo, Francia, Belgio e Svizzera contro Backes, Robert e il loro editore, Les Arenes. La prima causa, Cleastream contro Backes, è andata in aula nel marzo

2002 in Lussemburgo. Le prime udienze di un"altra causa sono iniziate a Parigi pochi giorni dopo. Dimostrando uno scarsissimo senso dell'ironia, anche il liquidatore della tristemente nota banca Menatep in Russia ha citato in giudizio gli autori e gli editori del libro per danni alla propria reputazione (Mikhail Khodorkovsky, l'oligarca che controllava la Menatep, si è rifiutato di fare qualsiasi commento). La conoscenza di Backes e i documenti che possiede ne fanno un validissimo partner investigativo, e infatti l'ex funzionario coopera con numerose autorità, anche se preferisce non dire in quali paesi. Ma la sua agenda prevede qualcosa di molto più grande: sta infatti lavorando e facendo molte pressioni perché vi sia controllo da parte di un organismo pubblico internazionale. A differenza delle banche, la Clearstream non ha un"effettiva sorveglianza esterna: i suoi conti sono revisionati dalla KPMG, una delle "big five", le cinque maggiori società di revisione del mondo, che era davvero all'oscuro di ciò che stava accadendo oppure ha chiuso un occhio di troppo sul sistema dei conti non pubblici. La KPMG ha annunciato lo scorso anno di non aver trovato "alcuna prova" a sostegno delle dichiarazioni fatte in "Révélation$", sebbene il rapporto non sia stato reso pubblico. Non sorprendono i tentativi dei funzionari locali per difendere il segreto finanziario. Il multimiliardario (in dollari) settore finanziario del Lussemburgo procura il 35% del PNL e dà agli abitanti un reddito pro capite di più di 44.000 dollari, il più alto del mondo (seguono immediatamente nella lista il Liechtenstein, la Svizzera e le Bermuda, tutti centri di riciclaggio del denaro sporco, e gli Stati Uniti, al quinto posto). Per anni, i funzionari locali hanno rifiutato di fornire informazioni bancarie ad altri paesi. Ma le autorità del Lussemburgo hanno messo gli occhi su Backes: servendosi di un"ordinanza del giudice del marzo 2001, basata su un reclamo di Lussi sporto prima che venisse licenziato, la polizia fece un"incursione a casa dell'ex funzionario il 19 settembre 2001, in cerca di documenti. Backes dice che si sono portati via solo carte non importanti e dischetti; conserva i microfilm al di fuori del paese, come "assicurazione sulla vita". "L"incursione fu organizzata per impressionare [altri], perché non si ripetesse ciò che ha fatto questo pericoloso individuo di nome Ernest Backes", dice l'interessato. "Quelli che mi conoscono sanno che non sono per nulla impressionato da un assalto di questo tipo". Note 1.L"edizione italiana del libro sarà pubblicata a metà novembre 2004 da Nuovi Mondi Media.

LA SCUOLA DEI TORTURATORI A cura di School of Americas Watch L""Istituto dell'Emisfero Occidentale per la Cooperazione nella Sicurezza" di Fort Benning, in Georgia (Usa) sembra una scuola per "militari pacifisti": il suo sito (http://www.benning.army.mil/whinsec/) si presenta bene, con una bella homepage, dove spiccano le parole "Libertad, Paz y Fraternitad". Invece è un istituto che ha preso il posto di quella che è stata una scuola di combattimento dell'esercito americano: la famigerata School of the Americas (SOA). Nei suoi 56 anni di vita ha insegnato, a più di 60.000 soldati latinoamericani, tecniche di repressione, di guerra d"assalto e psicologica, di spionaggio militare e tattiche d"interrogatorio. Centinaia di migliaia di latinoamericani sono stati torturati, stuprati, assassinati, "fatti sparire", massacrati e obbligati a fuggire a opera dei "diplomati" presso la SOA. A svelarne i retroscena è l'osservatorio indipendente "School of Americas Watch" (http://www.soaw.org/new/) A PROPOSITO DI SOA WATCH La SOA Watch è un"organizzazione indipendente che cerca di far chiudere i battenti alla US Army School of the Americas (SOA; Scuola delle Americhe dell'esercito Usa, NdT), o in qualsiasi altro modo si chiami ora, attraverso veglie, digiuni, manifestazioni, proteste non violente e, ovviamente, azioni mediatiche e legislative. Il 16 novembre 1989, sei sacerdoti gesuiti, una loro collaboratrice e la sua figlia adolescente furono massacrati a El Salvador. Una task force del Congresso americano riferì che i responsabili della strage erano stati addestrati alla School of Americas dell'esercito Usa presso Fort Benning, in Georgia. Nel 1990 la SOA Watch cominciò la sua attività in un minuscolo appartamento accanto all'ingresso principale di Fort Benning. Pur iniziando con un piccolo gruppo, la SOA Watch poté presto contare sulle conoscenze e l'esperienza di quanti negli Stati Uniti avevano lavorato con i popoli dell'America Latina negli anni "70 e "80. Oggi l'organizzazione SOA Watch è un movimento di base, grande e diversificato, che affonda le proprie radici nella solidarietà con i popoli latino-americani. L"obiettivo dichiarato della SOA Watch è quello di far chiudere la School of Americas e di riuscire a cambiare la politica estera statunitense in America Latina educando l'opinione pubblica, facendo pressioni sul Congresso e nel partecipare a creare una resistenza non violenta. Il Pentagono ha risposto al crescente movimento e alla paventata chiusura della scuola da parte del Congresso con una campagna pubblicitaria volta ad attribuirle una nuova immagine. Nel tentativo di dissociarla dal suo passato di orrori, nel gennaio del 2001 la SOA venne ribattezzata Western Hemisphere Institute for Security Cooperation (Istituto dell'Emisfero Occidentale per la Cooperazione nella Sicurezza, NdT). DALL"AMERICA LATINA AD ABU GHRAIB: CRESCE LA MAPPA DEL SISTEMA AMERICANO DEGLI ABUSI. La tortura dei soldati iracheni è indicativa di una crescente politica di abusi sitematici e illegali. La tortura sui detenuti, per quanto aberrante, non è certo una novità per la politica del Pentagono. Per almeno un decennio, l'esercito Usa ha addestrato soldati latino-americani presso l'infame School of Americas (SOA), istruendoli sulle tecniche di tortura e insegnando loro come aggirare le procedure legittime di processo, arresto e detenzione. "Mentre assistiamo alle esemplari dichiarazioni del Pentagono che afferma costantemente di lavorare per la democrazia", dice padre Roy Bourgeois, fondatore di SOA Watch, "nelle prigioni e

nei centri di addestramento continuano a venire a galla rapporti di torture e violazioni dei diritti umani". Recenti rapporti sulle torture ai detenuti iracheni della prigione militare di Abu Ghraib, vicino a Bagdad, rientrano in un più ampio sistema di abusi e violenze a opera dei soldati statunitensi, dei soldati addestrati negli Stati Uniti, di "imprenditori indipendenti" e agenti dei servizi segreti in tutto il mondo. I manuali del servizio segreto Usa in cui si propugnava il ricorso alla tortura furono usati per almeno un decennio nell'addestramento di soldati latinoamericani presso la SOA, nel 2001 ribattezzata Western Hemisphere Institute for Security Cooperation (Istituto dell'Emisfero Occidentale per la Cooperazione nella Sicurezza, NdT), o WHINSEC. La SOA/WHINSEC è una scuola di addestramento militare e più di 64.000 soldati latino-americani sono stati addestrati in tecniche di combattimento e guerra psicologica. I soldati usciti dalla SOA/WHINSEC risultano essere costantemente coinvolti nelle continue violazioni dei diritti umani e nelle atrocità perpetrate in America Latina. Nel settembre 1996 il Pentagono, sotto un"intensa pressione da parte dell'opinione pubblica, rese noti i manuali di addestramento riservati che venivano usati nella scuola. Il Washington Post riferì che i testi incoraggiavano esecuzioni, tortura, ricatto e altre forme di coercizione ("Gli Usa istruirono i latinos su esecuzioni e torture", 21/09/96). I manuali raccomandano di imprigionare membri delle famiglie di coloro che sostengono "l'organizzazione sindacale o il reclutamento in attività sindacali", coloro che distribuiscono "materiale propagandistico in favore dell'interesse dei lavoratori", coloro che "sostengono manifestazioni o scioperi" e coloro che "accusano il governo di non essere riuscito a soddisfare i bisogni di base dei cittadini". I manuali d"addestramento sono ora disponibili sul sito della SOA Watch. Intanto continuano a emergere rapporti di abusi perpetrati per mano di soldati Usa e soldati addestrati negli Usa, dall'America Latina passando per Guantanamo fino ad Abu Ghraib, mentre il Pentagono continua a negare il suo coinvolgimento. "Come in America Latina, gli ufficiali dichiarano che i soldati coinvolti nelle torture in Iraq sono "solo poche mele marce"", continua Bourgeois, "ma dal momento che le istanze di violazioni dei diritti umani continuano a crescere in tutto il mondo, emerge sempre più chiaramente un quadro molto più ampio di abusi sistematici". La School of Americas (SOA) è una scuola di addestramento al combattimento per soldati latinoamericani, situata a Fort Benning in Georgia (Usa). Stabilita inizialmente a Panama nel 1946, fu cacciata dal paese nel 1984 in seguito al Trattato del Canale di Panama. L"ex presidente panamense, Jorge Illueca, affermò che la School of Americas era "la più potente base per la destabilizzazione nell'America Latina". La SOA, molto spesso soprannominata la "Scuola degli Assassini" ha lasciato una scia di sangue e sofferenze in ogni paese in cui i suoi "diplomati" hanno fatto ritorno. Nei suoi 56 anni di vita ha addestrato più di 60.000 soldati latinoamericani, insegnando loro tecniche di repressione, guerra d"assalto e psicologica, spionaggio militare e tattiche per gli interrogatori. Questi "diplomati" hanno spesso utilizzato le abilità apprese per intraprendere una guerra contro la loro stessa gente. Tra i bersagli della SOA ci sono educatori, organizzatori di sindacati, religiosi, rappresentanti studenteschi e tutti coloro che si impegnano per i diritti dei più poveri. Centinaia di migliaia di latinoamericani sono stati torturati, stuprati, assassinati, "fatti sparire", massacrati e obbligati a fuggire a opera dei "diplomati" presso la Scuola degli Assassini. I DOCUMENTI SOA Queste pubblicazioni sono brevi riflessioni sulle violenze sostenute dalla SOA e perpetrate da coloro che vi si sono diplomati. Originariamente erano compresi nel programma del "Close It Down Fast", un digiuno internazionale cui hanno partecipato più di 1.000 persone, gruppi e organizzazioni. Al momento il Nicaragua non è presente in questi documenti, non avendo fatto addestrare nessuno alla SOA dal 1978, quando i Sandinisti salirono al potere. Ciononostante, anche questo Paese ha

provato la forza distruttiva della SOA. Migliaia di elementi della Guardia Nazionale di Somoza si addestrarono a Panama. Numerosi furono coloro che formarono la spina dorsale dei Contras per intraprendere una guerra contro il loro stesso popolo. ARGENTINA Adolfo Perez Esquivel, Vincitore del Nobel per la pace, nel 1980, fu imprigionato e torturato per 14 mesi in Argentina. Ha dichiarato: "qual è l'obiettivo dietro le torture e le sparizioni? Da dove venivano i torturatori e gli assassini? Da dove proveniva tutto ciò? Proveniva proprio dal luogo in cui si ritiene sia in vigore la migliore democrazia al mondo, gli Stati Uniti d"America. Gli Usa hanno addestrato più di 80.000 persone nella Scuola delle Americhe e in altre accademie militari". Dal 1976 al 1983, l'Argentina visse un periodo chiamato la "Guerra Sporca", un momento caratterizzato da colpi di stato militari, torture e sparizioni. Due dei più famosi dittatori, Roberto Viola (marzo-dicembre 1981) e Leopoldo Galtieri (dicembre 1981 - giugno 1982) si erano "diplomati" alla SOA. Nel 1985 una corte civile punì Viola con 17 anni di carcere, ma fu rilasciato dopo quattro anni in seguito a pressioni militari. Galtieri fu assolto dalle accuse di aver commesso crimini contro la popolazione argentina, ma in seguito fu condannato nel 1986 con l'accusa di incompetenza. Fu rilasciato dopo aver scontato solo una piccola parte della sua condanna, di nuovo in seguito a pressioni militari. Come riporta "Argentina Nunca Mas", "una giovane donna testimoniò che dopo essere stata torturata e tenuta bendata per mesi, fu concesso a lei e ad altre donne del suo gruppo di lavarsi, per prepararsi alla visita del Generale Galtieri al centro di detenzione... Galtieri le chiese se sapeva chi lui fosse e se comprendeva il potere assoluto che aveva su di lei. Se io dico che tu devi vivere, tu vivi, se dico che devi morire, tu muori. Il caso vuole che tu porti lo stesso nome di mia figlia e così tu vivi". Alla fine della guerra, la Commissione Nazionale per i Desaparecidos cominciò a raccogliere testimonianze a proposito delle atrocità accadute. Sfortunatamente, il testo completo delle testimonianze è stato segretato dal governo argentino e non può essere reso pubblico. Malgrado questo, una lista ricavata da quel testo cita sette nomi di diplomati SOA, compreso il capo di un centro di detenzione clandestino. BOLIVIA "In Bolivia e in tutta l'America Latina molti militari sono profondamente coinvolti nel traffico di droga. Come potrebbero altrimenti permettersi di vivere in ville con servitù, guidare delle auto così lussuose e fare vacanze negli Stati Uniti e in Europa?" disse Luis Espinal, S.J., un prete cattolico dell'ordine dei Gesuiti che insegnò all'università di La Paz. Nel 1979, mentre indagava sul coinvolgimento della dittatura militare boliviana nel traffico di droga, fu rapito, torturato e il suo corpo fu lasciato sul ciglio di una strada vicino a La Paz. Ai suoi funerali c'erano 200.000 persone. Il 17 luglio del 1980 il generale Garcia Meza Tejada comandò il colpo di stato militare più noto e sanguinoso della storia della Bolivia, assaltando direttamente il Palazzo Nazionale e obbligando il presidente a dimettersi. Il suo braccio destro era il "diplomato" SOA Luis Arce Gomez, che fu incaricato di mettere insieme una forza paramilitare in grado di rovesciare il governo. Arce Gomez divenne in seguito Ministro degli Interni, e anche un altro "diplomato" SOA, Alberto Saenz Klinsky, era membro del gabinetto. Altri sette "diplomati" SOA erano implicati nel colpo di stato, sei dei quali furono condannati per aver commesso crimini che vanno dall'emanazione di decreti anticostituzionali, all'insurrezione armata, all'omicidio. Arce Gomez fu condannato a trent"anni di carcere nel 1989, a Miami, per traffico di droga. Un altro forte sostenitore del colpo di stato di Garcia Meza Tejada fu il "diplomato" SOA generale Hugo Banzer, egli stesso dittatore dal 1971 al 1978. Divenne famoso per il "piano Banzer" che aveva lo scopo di far tacere alcuni coraggiosi membri della Chiesa. Quel piano divenne un modello

per la repressione in tutta l'America Latina. Banzer diede asilo al criminale nazista Klaus Barbie, "il macellaio di Lione", ed ebbe contatti con i gruppi trafficanti di droga. Nel 1988, Banzer fu inserito nell'Albo d"Oro della SOA. Molti "diplomati" SOA della Bolivia hanno avuto collegamenti con il traffico di droga e di armi. Tra la fine degli anni "80 e gli inizi degli anni "90, sei "diplomati" SOA furono rinviati a giudizio per i loro collegamenti con il traffico di droga all'interno dell'esercito. Un importante "diplomato" SOA fu destituito dalla carica di capo delle Forze Speciali di Sicurezza del Ministero degli Interni perché accusato di offrire copertura al traffico di droga. BRASILE "I segni della School of Americas sono impressi nelle menti, nei corpi e nelle storie familiari di torturati, uccisi e rapiti" (da una lettera del gruppo brasiliano per i diritti umani chiamato Tortura Nunca Mais, che chiede la chiusura della SOA, firmata da 142 tra gruppi brasiliani per i diritti umani, organizzazioni femminili, associazioni di avvocati, gruppi religiosi, sindacati e partiti politici). Nel 1997, il gruppo brasiliano Tortura Nunca Mais completò la sua documentazione sugli abusi contro i diritti umani,includendo documenti appartenenti al progetto Brazil Never Again così come i documenti legali pertinenti. Fu determinato che 20 "diplomati" e due istruttori SOA erano collegati alla repressione e agli abusi contro i diritti umani, inclusi detenzione ingiustificata e torture con metodi quali elettroshock, soffocamento e somministrazione del "siero della verità". Il Brasile è promotore di una delle più attive campagne anti-SOA dell'America Latina. Membri di Tortura Nunca Mais, insieme a gruppi religiosi e politici, hanno organizzato una serie di proteste ed eventi mediatici per chiedere al governo brasiliano di interrompere l'invio di studenti alla SOA. CILE "Sotto un cielo grigio, nel cuore del quartiere commerciale, a soli pochi isolati dal luogo del sanguinoso colpo di stato di Pinochet del 1973, ho partecipato a una manifestazione organizzata dalle Famiglie dei Detenuti e dei Desaparecidos. I dimostranti, in maggioranza donne, mostravano fotografie dei loro cari e cartelli con su scritto: "Dove sono?" E mentre marciavano, gridavano il loro appoggio al giudice spagnolo Baltazar Garzon che sta cercando di portare Pinochet di fronte alla giustizia. Chiedevano che i colpevoli non rimanessero impuniti" ha detto Fr. Stephen Demott, missionario. Il colpo di stato del 1973 e le sue sanguinose conseguenze furono in gran parte opera di "diplomati" SOA. Gli avvocati spagnoli che presentarono le accuse che portarono all'arresto di Pinochet nel 1998 chiesero anche l'imputazione di altri trenta alti ufficiali della dittatura cilena, dieci dei quali erano "diplomati" SOA. Anche se Pinochet non aveva frequentato la SOA come studente, l'influenza che la scuola ebbe su di lui è chiaramente riscontrabile. Nel 1991, i visitatori potevano vedere una lettera di Pinochet e una spada cerimoniale da lui donata ben in mostra nell'ufficio del comandante della SOA. Tra i "diplomati" SOA citati a giudizio dalla corte spagnola c'erano gli ex capi della polizia segreta CNI e DINA, gli ufficiali che torturarono e uccisero un ufficiale delle Nazioni Unite e coloro che parteciparono all'assalto alla residenza del presidente Salvador Allende. Uno dei responsabili della morte dell'ufficiale delle Nazioni Unite era un istruttore SOA nel 1987. Altri "diplomati" sono stati citati in giudizio per aver operato nei campi di concentramento per prigionieri politici di Villa Grimaldi, Tres Alamos e Cuatro Alamos. Un altro "diplomato" SOA, Armando Fernandez Larios, partecipò all'assassinio dell'ex Ministro della Difesa cileno Pratts che fu ucciso con un autobomba in Argentina. Fu anche imputato, nel 1979, dal Gran Giurì degli Stati Uniti per l'esplosione dell'automobile che uccise l'ex Ministro degli Esteri Orlando Letelier e il cittadino statunitense Ronni Moffit a Washington nel 1976. COLOMBIA "Ho visto un gruppo di soldati fare fuoco con i loro fucili, venire di fronte a me, e quando mi hanno raggiunto, cominciare a colpirmi con il calcio dei fucili e con la punta degli stivali. Ho stretto forte

la mia telecamera, continuando a correre, finché il colpo di un fucile non ha rotto il meccanismo della telecamera... ricordo che un soldato che indossava la maschera antigas mi ha fatto alzare e un collega di un altro notiziario mi ha raggiunto. Gli diedi il nastro e gli dissi - metti in salvo il materiale, amico! - La sera stessa tutti hanno visto quelle immagini mentre io ero ricoverato in ospedale con il fegato perforato ed i testicoli martoriati dai colpi. Un anno dopo, a causa delle minacce, ho chiesto asilo politico negli Stati Uniti". Richard Velez, giornalista colombiano descrive il trattamento che ho subito dalle truppe sotto il comando di un "diplomato" SOA. La Colombia è il paese latinoamericano che ha inviato più truppe ad addestrarsi alla SOA, con risultati agghiaccianti. Il rapporto "State Terrorism" del 1993 sui diritti umani in Colombia accusa 247 ufficiali colombiani per violazione dei diritti umani. Più della metà degli accusati sono "diplomati" SOA. Alcuni furono addirittura invitati a tenere lezioni alla SOA o inclusi "I segni della School of Americas sono impressi nelle menti, nei corpi e nelle storie dei familiari di torturati, uccisi e rapiti"nell'Albo d"Oro grazie al loro coinvolgimento in questi crimini. Per esempio, il generale Farouk Yanine Diaz fu invitato a parlare agli studenti della scuola, nel 1990 e nel 1991, in seguito al suo coinvolgimento nel massacro di venti lavoratori delle piantagioni di banane di Uraba nel 1988, nell'assassinio del sindaco di Sabana de Torres e nel massacro di diciannove uomini d"affari. Secondo il Rapporto del Dipartimento di Stato statunitense, egli fu anche accusato di "fondare e sviluppare squadroni della morte paramilitari, di ordinare decine di rapimenti e l'uccisione dei giudici e del personale giudiziario incaricati di indagare su suddetti crimini." "Diplomati" SOA hanno partecipato ad alcuni dei più atroci massacri della Colombia, compresi quello di Segovia del 1988 nel quale furono uccise 43 persone, quello di Trujillo, che ebbe luogo tra il 1988 ed il 1991 e il massacro di Riofrio del 1993. In un caso, la magistratura colombiana afferma che un ufficiale militare fu mandato alla SOA per evitare che dovesse rispondere del massacro di Fusagaunga in cui fu sterminata una famiglia di contadini. Coloro che appoggiano la SOA affermano che gli abusi appartengono al passato. Cionostante, il U.S. State Department Report, del 1998, riporta che la ventesima brigata militare colombiana è stata congedata per il suo coinvolgimento in violazione dei diritti umani, comprese uccisioni mirate di civili. Il comandante di quella brigata era il "diplomato" SOA Paucelino Latorre Gamboa. Il rapporto collega anche alcuni "diplomati" SOA con il raid illegale agli uffici di un"organizzazione non governativa per i diritti umani, e accusa un "diplomato" SOA di essere stato complice in un massacro del 1997. È chiaro che gli abusi non appartengono al passato. EL SALVADOR "I soldati del battaglione Atlacatl arrivarono alle sette del mattino. Dissero che avevano l'ordine di uccidere tutti quanti. Nessuno sarebbe dovuto sopravvivere. Chiusero le donne nelle case e gli uomini in chiesa. Eravamo 1100 in tutto. I bambini erano insieme alle donne. Ci tennero chiusi dentro tutta la mattina. Alle dieci i soldati cominciarono a uccidere gli uomini che erano in chiesa. Prima sparavano con le mitragliatrici, poi tagliavano loro la gola. Alle due i soldati avevano finito con gli uomini e si volsero dalle donne. Lasciarono i bambini rinchiusi. Mi divisero da mia figlia di otto mesi e dal mio figlio maggiore. Ci separarono per ucciderci. Quando arrivammo al luogo dove ci avrebbero ucciso, io riuscii a liberarmi ed a nascondermi dietro ad un piccolo cespuglio, coprendomi con i rami. Vidi i soldati allineare venti donne e sparare loro con la mitragliatrice. Poi portarono un altro gruppo. Un"altra pioggia di pallottole. Poi un altro gruppo e un altro ancora. Uccisero quattro dei miei figli: uno di nove anni, uno di sei, uno di tre e mia figlia di otto mesi. Anche mio marito fu ucciso. Passai sette giorni e sette notti da sola, sulle colline, senza nulla da bere e da mangiare. Non incontrai nessun altro, i soldati avevano ucciso tutti. Dio mi concesse di vivere così che potessi dare testimonianza di come l'esercito uccise gli uomini e le donne e bruciò i loro corpi. Non ho visto uccidere i bambini ma ho udito le loro grida." Rufina Amaya è l'unica testimone del massacro di El Mozote in El Salvador in cui furono implicati almeno nove "diplomati" SOA.

Nel 1993 il rapporto della Commissione per la Verità delle Nazioni Unite su El Salvador nomina gli ufficiali responsabili delle peggiori atrocità commesse durante quella brutale guerra civile. Più dei due terzi degli ufficiali citati erano stati addestrati alla School of Americas. I crimini includono: - Assassinio dell'arcivescovo Oscar Romero (1980). - Uccisione di quattro religiose statunitensi (1980). - Massacro di El Mozote (1980) più di 900 persone uccise. - Uccisione all'Hotel Sheraton di sindacalisti (1981). - Massacro del lago Suchitlan (1983) 117 persone uccise. - Massacro di Las Hojas (1983) 16 persone uccise. - Massacro a Los Llanitos (1984) 68 persone uccise. - Massacro di San Sebastian (1988) 10 persone uccise. - - Massacro all'Università dell'America Centrale (1989) 8 persone uccise. GUATEMALA "Siamo i sopravvissuti della politica di genocidio praticata dagli ufficiali del Guatemala che sono stati addestrati e indottrinati alla SOA al fine di portare avanti lo sterminio codardo dei propri fratelli e sorelle. Abbiamo provato sulla nostra pelle questa triste storia durante gli anni ottanta, durante il recente amaro olocausto a cui sono sopravvissuti gli indigeni di origine maya del Guatemala. Ecco perché condividiamo la vostra lotta. Vi esortiamo a continuare i vostri sforzi..." (Dichiarazione di membri di una comunità di rifugiati guatemaltechi ritornati in patria). Due importanti rapporti sui diritti umani hanno recentemente nominato la SOA per il ruolo esercitato nell'addestramento di violatori di diritti umani. Il rapporto per il Mantenimento della Memoria Storica, redatto dalle arcidiocesi del Guatemala, è un agghiacciante catalogo della strategia della violenza e dell'impatto che ha avuto sulla società guatemalteca. I redattori del rapporto scoprirono che alcuni "diplomati" SOA erano responsabili dell'assassinio dell'antropologa Myrna Mack, dell'insabbiamento dell'omicidio del cittadino statunitense Michael Devine e delle torture e dell'assassinio di Efrain Bamaca, marito della cittadina americana Jennifer Harbury. Il rapporto afferma anche che il "diplomato" SOA Bendicto Lucas Garcia progettò la creazione di gruppi di vigilanza conosciuti come PAC, che furono responsabili della maggior parte delle atrocità della guerra. Inoltre, tre "diplomati" SOA erano tre alti ufficiali nella nota agenzia di intelligence D2, che il rapporto afferma aver avuto "un ruolo centrale nella conduzione delle operazioni militari, nei massacri, nelle esecuzioni arbitrarie, nelle sparizioni e nelle torture." Si sa anche che alcuni "diplomati" SOA ricoprirono cariche di rilievo sotto le brutali dittature di Lucas Garcia, Rios Montt e Mejia Victores. Il Rapporto della Commissione per la Verità del Guatemala, pubblicato nel 1999, è stato scritto dalla Commissione per la Chiarezza Storica, fondata in seguito al concordato di pace. Anche se i redattori del rapporto non poterono fare i nomi dei responsabili dei singoli crimini, indicarono chiaramente il ruolo della SOA. "Alcuni ufficiali e sottoufficiali del Guatemala frequentarono corsi di spionaggio e controspionaggio presso la School of Americas del Comando Meridionale dell'Esercito Statunitense. Inoltre, per addestrare alcuni ufficiali furono utilizzati manuali delle accademie statunitensi. La Commissione per la Chiarezza Storica ebbe accesso ad alcuni di questi manuali, scritti in spagnolo. Per esempio, il manuale intitolato “Terrorismo e guerriglia urbana" dice che "un"ulteriore funzione degli agenti del controspionaggio è di assicurarsi che i bersagli siano neutralizzati... esempi di questi bersagli sono funzionari di governo e leader politici..." Nel gennaio del 2000 un "diplomato" SOA, il colonnello Byron Disrael Lima Estrada è stato arrestato in Guatemala per l'assassinio del vescovo Juan Gerardi avvenuto nel 1998. Secondo il profilo biografico di un"agenzia di intelligence della Difesa degli Stati Uniti, Lima Estrada si addestrò in polizia militare alla School of Americas statunitense, che ora ha sede a Fort Benning in Georgia. Lima Estrada fu poi capo dell' agenzia di intelligence militare chiamata D-2 al momento della massima campagna di genocidio della guerra civile in Guatemala.

HAITI Marie M. B. Racine, Ph. D., haitiana, ora vive a Washington dove è un attivo membro del gruppo di solidarietà per i popoli dei Caraibi e dell'America Centrale ha dichiarato: "agli occhi del mondo, il mio paese natale è un luogo di regimi repressivi, colpi di stato, povertà e disperazione. In effetti, Haiti ha dovuto subire la colonizzazione spagnola e francese, l'occupazione statunitense, la dittatura appoggiata dai benestanti e periodi di crudele repressione" Haiti ha inviato pochi ufficiali ad addestrarsi alla SOA, soprattutto perché i corsi della SOA sono tenuti in spagnolo. Meno di cinquanta ufficiali haitiani hanno frequentato la School of Americas da quando è stata fondata, ciononostante la sua influenza è stata profondamente avvertita. Nel 1987, il "diplomato" SOA Gambeta Hyppolite ordinò ai suoi soldati di fare fuoco contro l'Ufficio Elettorale Provinciale a Gonaives all'interno di una più ampia campagna militare pensata per fermare le elezioni democratiche. Nel 1988, il "diplomato" SOA Franck Romain progettò il massacro di St. Jean Bosco nel quale dodici prigionieri furono uccisi e almeno 77 feriti, mentre assistevano alla messa. Alcuni soldati e ufficiali haitiani si addestrarono in altre accademie statunitensi. Per esempio, il generale Raul Cedras, Ministro della Difesa, e Michael Francois, Capo della Polizia di Porta au Prince si diplomarono alla Scuola Militare Infranty, anch"essa con sede a Fort Benning. HONDURAS "(...) l'ordine era di prendere tutti quanti: genitori, nonni, bambini, mogli, tutti. Era molto raro che qualcuno sopravvivesse dopo essere stato preso dal mio battaglione. Inizialmente i bambini venivano abbandonati nel parco o nella piazza del mercato. Ma poi il generale Alvarez Martinez disse: "Questi semi potrebbero produrre frutti". Così fummo costretti ad eliminare anche i bambini" (dichiarazione di un "diplomato" SOA che fu membro del battaglione 3-16, squadrone della morte segreto in Honduras. Il generale Alvarez Martinez fu addestrato alla SOA. Quattro dei cinque alti ufficiali che organizzarono gli squadroni della morte del battaglione 3-16 erano "diplomati" SOA). Almeno diciannove membri chiave del battaglione 3-16 dell'Honduras furono addestrati alla SOA. Consiglieri statunitensi e argentini contribuirono alla formazione di quel battaglione della morte intorno al 1980. Il battaglione operò in segreto per anni, finché i suoi membri uscirono allo scoperto e rivelarono la campagna clandestina di rapimenti, torture e sparizioni. Membri del battaglione si addestrarono alla SOA in due, tre e perfino quattro occasioni distinte. Il generale Gustavo Alvarez Martinez e Daniel Bali Castello frequentarono un corso di Joint Operations presso la SOA nel 1978, poco prima di fondare il battaglione 3-16. Il generale Luis Alonso Discuta, primo comandante del battaglione, frequentò tre corsi alla SOA. Il generale Juan Lopez Grijalva, vice comandante del battaglione nei primi anni "80, frequentò tre corsi alla SOA e vi fu anche invitato come oratore nel 1991 e nel 1992, molto tempo dopo che un rapporto dell'America Watch aveva indicato il suo coinvolgimento con lo squadrone della morte. Il generale Humberto Realado Hernandez frequentò quattro corsi alla SOA. Come comandante delle Forze Armate dell'Honduras, alla fine degli anni "80, difese il battaglione dalle indagini. Fu introdotto nell'Albo d"Oro della SOA nel 1988. In un episodio del 1982, membri del battaglione rapirono sei studenti universitari. Questi furono portati a casa del "diplomato" SOA Amilcar Zelaya, ritenuta da vari testimoni una prigione segreta nella quale molte persone venivano torturate e uccise. Là, gli studenti furono picchiati, furono incappucciati con sacchi di plastica che quasi gli provocarono il soffocamento e furono minacciati di morte. Furono rilasciati quando il padre di uno di loro, un funzionario di governo, fece pressioni per la loro liberazione. Furono formulate accuse contro dieci ufficiali militari, quattro dei quali erano "diplomati" SOA.

MESSICO "La School of Americas fa parte di un progetto più ampio che ha il fine di proteggere e difendere gli interessi economici degli Stati Uniti in Messico alle spese dei lavoratori e delle popolazioni indigene. Le iniziative nate al fine di far chiudere la SOA sono un"importante espressione di solidarietà nei confronti del popolo messicano". Eduardo Diaz, organizzatore sindacale messicano. I paesi in cui i diritti umani vengono maggiormente violati hanno inviato un consistente numero di studenti alla SOA durante i periodi di maggiore repressione. Detto ciò, non stupisce che il Messico sia ora uno dei maggiori clienti della School of Americas. Nei primi 49 anni della scuola, il Messico vi ha inviato ad addestrarsi pochissimi studenti - 766 in totale. Il numero è cresciuto notevolmente nel 1996 e raggiunse i 333 nel 1997, 1177 nel 1998 e 700 nel 1999. I sostenitori della SOA affermano che questo addestramento si è rivelato necessario visto il crescente coinvolgimento messicano nella "guerra alla droga". In realtà, si tratta solamente di un alibi. La verità è che, nel 1997, solamente il 10% degli studenti messicani alla SOA frequentavano corsi antinarcotici. Nessun soldato messicano fu iscritto ai corsi di operazioni antidroga nel 1999, mentre ben 40 soldati furono inviati per essere addestrati nello spionaggio militare. L"improvviso aumento di "diplomati" SOA messicani corrisponde a un crescente movimento per la giustizia economica in Messico. La voce dei poveri e per i poveri -rappresentati da leader quali il vescovo del Chiapas Ruiz - minaccia i potenti ed i benestanti. Perciò non sorprende che i "diplomati" SOA abbiano preso posizione contro la Chiesa. Uno di questi, il generale Jose Ruben Rivas Pena, ha scritto un"analisi del conflitto in Chiapas nella quale afferma: "Il Vaticano è la causa indiretta del conflitto in Chiapas visti i suoi piani imbevuti di teologia della liberazione." Questa retorica è spaventosamente simile a quella usata in El Salvador prima dell'uccisione, nel 1980, dell'arcivescovo Romero per mano di "diplomati" SOA. Coloro che vengono addestrati alla SOA, imparano a fare tacere le voci che si innalzano a favore della giustizia. Almeno 18 alti ufficiali militari che ricoprivano un ruolo chiave nella guerra che aveva come bersagli i civili in Chiapas, Guerriero e a Oaxaca, sono "diplomati" SOA. Uno di loro, Juan Lopez Oritz, comandò le truppe che commisero il massacro di Ocosingo, nel 1994, nel quale i soldati legarono i prigionieri con le mani dietro la schiena prima di sparar loro alla testa. PARAGUAY E URUGUAY Stella Calloni, giornalista descrive i contenuti degli Archivi dell'Orrore del Paraguay. "La stessa cartella, in una sezione intitolata "Istruzioni alla School of Americas", contiene un manuale che insegna a chi fa gli "interrogatori" come mantenere in vita e in grado di rispondere le vittime dell'elettroshock. Il manuale raccomanda di cospargere le teste ed i corpi delle vittime con acqua e sale e include uno schizzo che mostra come debba essere condotto il "trattamento"". Nel 1992, un ex detenuto politico paraguaiano, Martin Almada, si recò in una stazione di polizia accompagnato da un giudice in cerca dei documenti che lo riguardavano. Quello che trovò invece furono migliaia di documenti che descrivevano nei dettagli il rapimento, le torture e l'uccisione di centinaia di prigionieri politici latinoamericani durante gli anni "70. I documenti contenevano inoltre dettagli dell'Operazione Condor, un accordo segreto tra le forze di sicurezza di Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Paraguay e Uruguay. Questa cospirazione permise ai governi di catturare e uccidere i loro nemici politici anche oltre i confini nazionali. I documenti portati alla luce da Almada sono conosciuti come gli "Archivi dell'Orrore." Dato che la CIA supportò attivamente l'Operazione Condor, non sorprende che anche una cartella contenente i manuali d"addestramento della SOA fosse trovata tra gli "Archivi dell'Orrore." La cartella era etichettata come riservata e conteneva un manuale per gli interrogatori proveniente da Fort Gulick (che era la precedente sede della SOA). Non sorprende inoltre il fatto che "diplomati" SOA paraguaiani, come Alejandro Fretes Davalos, fossero attivi partecipanti all'Operazione Condor. Inoltre il rapporto Nunca Mas dell'Uruguay fa i nomi di almeno quattro "diplomati" SOA uruguaiani che parteciparono, all'interno dell'Operazione Condor, al rapimento, all'interrogatorio e alla tortura di alcuni uruguaiani che vivevano in Brasile.

La SOA afferma di incoraggiare la cooperazione tra le nazioni latinoamericane. Questo è un esempio agghiacciante del suo successo. PERÙ "Nelle prime ore di sabato 18 luglio 1992, testimoni oculari dicono che circa 30 soldati incappucciati irruppero nel dormitorio maschile di La Cantuta e obbligarono i 60 studenti a uscire nei corridoi con minacce e spari. Gli studenti furono obbligati a sdraiarsi faccia a terra. Uno degli uomini armati passò in mezzo al gruppo con una lista in mano, ordinando di portare fuori alcuni studenti. Sembra che la lista fosse stata preparata da ufficiali dello spionaggio militare che si erano infiltrati nell'università come studenti". Questa dichiarazione è tratta dal Rapporto della Human Right Watch Report, che descrive la "sparizione" di nove studenti universitari e di un professore. Sei degli ufficiali peruviani collegati alle orrende sparizioni di Cantuta sono "diplomati" SOA, compresi tre che furono effettivamente dichiarati colpevoli. Uno di questi è Vladimiro Lenin Montesinos Torres, che guidava lo squadrone della morte "Colina", facente parte del Servizio di Intelligence Nazionale (SIN) peruviano. Quattro ufficiali peruviani inoltre affermano che Montesinos prese parte attiva alla loro tortura in seguito a un tentativo di colpo di stato nel 1992. I "diplomati" SOA hanno inoltre commesso altre atrocità in Perù, nel 1985, inclusi il massacro di 69 contadini ad Accomarca, di 31 persone a Cayera, di 120 detenuti nella prigione di Lurigancho e, nel 1993, l'uccisione di nove prigionieri che furono obbligati a entrare in una miniera abbandonata poi fatta esplodere con la dinamite. Recentemente, i "diplomati" SOA sono stati collegati al traffico di droga. Un Gruppo di Lavoro Congressuale sulle Sostanze Chimiche, guidato dal membro del congresso peruviano Julio Castro, ha raccomandato l'approfondimento delle indagini a proposito delle accuse che collegavano almeno 14 "diplomati" SOA al traffico di droga. LE ARMI PROIBITE DELLA CIA Il Progetto Sunshine Molte armi biologiche possono essere rapidamente distrutte, basta la sola esposizione ai raggi del sole, il Progetto Sunshine (Raggio di sole) lavora per portare alla luce fatti riguardanti le armi biologiche! Siamo, infatti, un"organizzazione internazionale senza fini di lucro con uffici ad Amburgo, in Germania, e ad Austin, nel Texas. Lavoriamo contro l'uso della biotecnologia per fini militari nell'era successiva alla Guerra Fredda; facciamo ricerche, che poi pubblichiamo, per rafforzare il consenso globale contro la guerra biologica e per assicurarci che i trattati internazionali prevengano effettivamente lo sviluppo e l'uso delle armi biologiche. LE FORZE ARMATE USA FANNO PRESSIONE PER LO SVILUPPO DI ARMI BIOLOGICHE I laboratori biotecnologici della Marina e dell'Aviazione statunitensi stanno facendo pressione per incrementare gli studi sulle armi biologiche. Tali armi, microbi costruiti geneticamente che attaccano oggetti come benzina, plastica e asfalto, violano le leggi federali e internazionali. Tali pressioni sono state fatte dal Laboratorio di Ricerche Navali (Washington, DC) e dal Laboratorio Armstrong (base aerea di Brooks, San Antonio, Texas). È dal 1997 che vengono fatte tali richieste ma solo recentemente sono state presentate dal Corpo dei Marines per essere valutate da una commissione delle Accademie Nazionali di Scienza degli Stati Uniti (NAS). La scoperta di queste proposte per un programma di studio e di sviluppo di armi biologiche arriva in un momento critico per la politica americana. Gli Stati Uniti hanno rifiutato un trattato che

consentiva alle Nazioni Unite di fare delle ispezioni là dove c'era il sospetto di depositi di armi biologiche. Allo stesso tempo l'Amministrazione Bush sta inserendo, con una campagna diffamatoria aggressiva, vari paesi stranieri, accusati di sviluppare armi biologiche, nel cosiddetto "Asse del male". Diventa anche sempre più evidente che ci sono serie questioni riguardanti la complicità statunitense circa la Convenzione delle Armi Biologiche e delle Tossine (BTWC). Mentre le accuse statunitensi, contro altri paesi, sono generalmente prive di documentazione, le proposte qui descritte sono state date al Progetto Sunshine sotto la protezione del Freedom of Information Act (Atto per la Libertà d"Informazione, NdT) e sono state poste sul sito del Progetto per un"analisi indipendente. Esplicitamente per attaccare. Nel torbido mondo della ricerca per le armi biologiche molte tecnologie hanno una duplice funzione, in altre parole, possono essere usate sia per la guerra sia per scopi pacifici. La presunta duplice funzionalità di queste tecnologie, che per esempio possono essere usate nella ricerca di vaccini, è alla base della difesa contro le imputazioni cubane del Sotto Segretario di Stato americano, John Bolton, del 6 maggio 2002. In ogni caso, i documenti militari americani che ci sono pervenuti non parlano della "dualità" di queste tecnologie, ma sono proposte esplicite per costruire armi d"attacco. Secondo il Naval Research Laboratory : "lo scopo di tali ricerche è di capitalizzare la capacità naturale dei microrganismi [microrganismi geneticamente modificati] di decomporre, di costruire nuova materia tramite la trasformazione in altro delle strutture belliche dei potenziali avversari". Le Forze Aeree propongono la costruzione di "catalizzatori costruiti geneticamente, fatti di batteri che distruggano... I catalizzatori possono essere costruiti per distruggere qualunque materiale bellico desiderato". Queste proposte indicano che tali armi sarebbero usate da tutte le Forze Armate, includendo i Corpi Speciali, le operazioni di Peacekeeping e quelle antidroga. Altri documenti censurati. Queste proposte sono probabilmente solo la punta dell'iceberg. Ancora oggi, da più di un anno, il Corpo dei Marines ha omesso di rispondere a una richiesta del Progetto Sunshine conforme al Freedom of Information Act che include 147 documenti non segretati. Le due proposte descritte di seguito sono parte di un primo comunicato in otto punti. 139 documenti sullo sviluppo legale delle armi non sono stati ancora rilasciati, il Corpo dei Marines dice che il ritardo è dovuto alla carenza di personale. Anche le Accademie Nazionali di Scienza stanno nascondendo documenti connessi alla questione. Come parte degli studi commissionati dal Corpo dei Marines, nel 2001, almeno 77 documenti circa armi chimiche e biologiche furono depositati negli archivi di accesso pubblico dei NAS, una biblioteca aperta a tutti per ispezioni e per lettura. Dopo che il Progetto Sunshine ha richiesto le copie di tali documenti, il 12 marzo del 2002, le Accademie Nazionali hanno chiuso l'archivio pubblico per "motivi di sicurezza". Alti funzionari della NAS si sono rifiutati di dire chi ha deciso di interrompere il servizio di accesso pubblico a tali informazioni o di offrire una spiegazione plausibile circa tale decisione. In questi documenti c'erano studi su armi sintetiche narcotizzanti dello stesso tipo di quelle che hanno ucciso più di cento persone durante il famigerato "salvataggio" degli ostaggi, in un teatro di Mosca, nell'ottobre del 2002. Edward Hammond del Progetto Sunshine ha dichiarato: "il mondo ha bisogno di capire urgentemente cos"è successo a Mosca e cosa stanno facendo le altre nazioni, inclusi gli Stati Uniti, con queste armi. Il continuo rifiuto delle Accademie Nazionali di rendere noti tali documenti è davvero un problema". Hammond aggiunge: "la NAS ha delle informazioni importanti che spiegherebbero che tipo di agenti chimici furono usati a Mosca, ma si rifiuta di renderle disponibili perché vuole evitare di mettere in imbarazzo il Pentagono, che nega che questo tipo di ricerche vengano svolte negli Stati Uniti". Il Progetto Sunshine è convinto che la NAS sia stata messa sotto pressione da alti funzionari americani per "Enronizzare" il registro pubblico, in modo da evitare di trasmettere materiale politicamente delicato. Invece che favorire un"epurazione delle documentazioni pubbliche, la NAS - un"eminente organizzazione scientifica americana senza scopi di lucro - dovrebbe condannare e rendere pubbliche le proposte per armi illegali che ha ricevuto.

Implicazioni legali. Le ricerche proposte dalle Forze Aeree e Navali sollevano serie questioni legali di natura nazionale e internazionale. Secondo il Biological Weapons Anti-Terrorism Act statunitense, lo sviluppo di armi biologiche, incluse quelle che intaccano solo i materiali, è un reato federale penale e civile. La Biological and Toxin Weapons Convention (Convenzione delle Armi Biologiche e di Tossine, NdT), che gli Stati Uniti, insieme ad altri 143 paesi, ha ratificato, proibisce lo sviluppo, l'acquisizione e lo stoccaggio di qualsiasi agente biologico che non sia utilizzato per usi pacifici o per profilassi medica. Non ci sono giustificazioni per le ricerche belliche proposte dalle Forze Navali e Aeree. Armi già sviluppate? Progetti militari rivelano che, nel 1997, erano già state sviluppate simili bioarmi. Il laboratorio Navale afferma di aver prodotto un fungo che scioglie il poliuretano. Nel documento dell'Air Force , si dichiara che il Laboratorio Armstrong ha fatto "ricerche biotecnologiche a livello molecolare" per otto anni. Nello specifico, hanno creato un agente biologico che distrugge velocemente il propergolo, la plastica e altri polimeri organici e artificiali "senza utilizzare il fuoco o le esplosioni". Ciò supporta la possibilità che la legge federale americana e le convenzioni internazionali siano già state infrante. Terzo documento divulgato. Il 10 maggio 2002 le NAS hanno reso pubblico il documento del 1994 "Biocontaminazioni e Biocorrosioni", dell'Ufficio dei Programmi Nazionali di Sicurezza del Laboratorio Nazionale d"Ingegneria dell’Idaho (INEL), un complesso del Dipartimento dell'Energia statunitense. Nel rapporto la INEL propone agli Stati Uniti di sviluppare armi biologiche che distruggano la materia. Come per le proposte delle Forze Navali ed Aeree, il documento della INEL è stato recentemente distribuito a funzionari di governo dal Corpo dei Marines, che dirige il programma congiunto di armi non letali (JNLWP), e nel 2001 è stato sottoposto all'attenzione della commissione delle Accademie Nazionali della Scienza col nome di " Una valutazione sulla scienza e sulla tecnologia delle armi non letali" (NAS Study NSBX-L-00-05-A). In "Biocontaminazioni e Biocorrosioni" la INEL propone espressamente una "selezione di specie [di microbi] particolarmente attive" e la "valutazione delle tecniche genetiche per una successiva ottimizzazione e controllo dei risultati". La INEL propone anche una "ricerca di ambienti probabili per l'utilizzo [dei microbi]" e lo sviluppo di "organismi con ritmi più veloci di decomposizione e di produzione di agenti contaminanti, così come nuovi metodi per introdurre gli organismi nei loro obbiettivi". Il contatto con la procura americana. In due lettere, una del 16 maggio e una del 23 maggio, il Progetto Sunshine ha fornito delle copie di questi tre documenti al signor Johnny Sutton, Procuratore degli Stati Uniti per il distretto ovest dello stato del Texas. Le lettere di accompagnamento richiedono l'intervento del Dipartimento di Giustizia in conformità con il Biological Weapons Anti-Terrorism Act del 1989, e la legge americana che mette in pratica la Biological and Toxin Weapons Convention (Convenzione delle Armi Biologiche e di Tossine, BTWC, NdT), convenzione di cui gli Stati Uniti sono parte contraente. Questa legge fu approvata all'unanimità da entrambe le camere del Congresso degli Stati Uniti, e diventò legge con la firma del Presidente George Bush senior. Essa sancisce il totale divieto di sviluppare, produrre, stoccare, trasferire, acquisire o possedere armi biologiche, pena l'arresto e/o multe (sezione 174), e consente al Procuratore degli Stati Uniti di chiedere un"ingiunzione contro la preparazione, l'istigazione, il tentativo o la cospirazione a prendere parte in una condotta illegale (sezione 177). La legge definisce gli agenti biologici e comprende quelli capaci di distruggere materiali, soprattutto quelli che causano il deterioramento di cibo, acqua, equipaggiamento, provviste o materiale di qualunque tipo (sezione 178). Viene a galla un quarto documento. Le Forze Speciali americane hanno fatto una breve ma esplicita richiesta agli scienziati statunitensi. Chiedevano loro di creare armi biologiche utilizzando l'ingegneria genetica. Questo sollecito è avvenuto nel gennaio 2002 come parte della cooperazione "Scientists Helping America" (scienziati che aiutano l'America, NdT), dove lavoravano insieme le Forze Speciali, il Defense Advanced Research Projects Agency (Agenzia di Progetti di Ricerca per una Difesa Avanzata, DARPA, NdT) e il Laboratorio di Ricerca della Marina americana (NRL).

Facendo leva sulla reazione americana dopo gli attacchi dell'11 settembre, "Scientists Helping America" chiedeva ai ricercatori di dimostrare il loro patriottismo convertendo il loro genio alla produzione di armi, incluse quelle biologiche, e nello specifico: 1) microbi costruiti geneticamente in grado di nutrirsi di materia e 2) organismi modificati e invisibili (chiamati "taggants", etichettatori) usati per "dipingere" impercettibilmente un obbiettivo in modo che in seguito possa essere distrutto con altre armi. Questa richiesta delle Forze Speciali è emersa per la prima volta in un breve documento del maggio 1999, creato dal gruppo di lavoro Future Technology. Tale documento chiarisce la richiesta militare di un "organismo costruito biologicamente [che] possa diventare un"arma agendo come corrosivo dopo un certo lasso di tempo o in seguito a un comando a distanza". Lo stesso documento stabilisce gli usi di un "bio-organismo che possa essere inserito in un palazzo e che poi sia libero di crescere al suo interno agendo come evidenziatore nell'individuazione dell'obbiettivo o per attacchi di precisione" (i taggants). Questo documento indica anche che queste bioarmi sarebbero usate segretamente e con la condizione che "dovranno essere innocue all'apparenza per poter essere trasportate e poi posizionate dalle Forze Speciali senza essere individuate". Dopo il documento del maggio 1999, il rapporto del marzo 2001 "Special Operations Technology Objectives" (gli obbiettivi tecnologici delle operazioni speciali, NdT) fornisce una visione della vasta gamma di tecnologie militari richiesta dalle Forze Speciali. Questo rapporto include la descrizione di molte tecnologie e ribadisce la richiesta di bioarmi e taggants, distruttori di materia geneticamente modificata. Nel gennaio 2002, come parte del progetto "Scientists Helping America", le Forze Speciali pubblicarono il rapporto del marzo 2001 in internet chiedendo agli scienziati americani d"inoltrare le loro proposte alla DARPA. All'inizio del 2002, la DARPA passò al vaglio le varie idee e invitò gli autori delle proposte più promettenti a Washington per presentarle personalmente agli ufficiali militari. Il 25 gennaio 2002 il Progetto Sunshine chiese alla DARPA di poter vedere queste proposte in ottemperanza con il Freedom of Information Act (FOIA). La DARPA, pur riconoscendo che queste proposte non erano state né classificate né contenevano informazioni di origine confidenziale, non mostrò neanche una delle più di 300 proposte concernenti la biotecnologia che aveva ricevuto e visionato. Citando l'esenzione FOIA del "processo deliberativo del governo", la DARPA dichiarò che se le proposte fossero state rese pubbliche, i servizi segreti stranieri avrebbero preso di mira gli scienziati "che aiutavano l'America". la vera ragione invece è che la DARPA preferisce tenere riservate le proprie relazioni accademiche e commerciali con gli scienziati, e i propri rapporti segreti al di sopra della conformità con Freedom of Information Act. Dopo tale rifiuto, nel novembre 2002, è stata aperta una causa. La prevenzione dei disastri causati dalle alterazioni genetiche è preoccupazione comune nel controllo delle armi e per la biosicurezza. Le Forze Speciali propongono di introdurre segretamente degli organismi geneticamente modificati (OGM), in altri paesi. Il sistema nascente di sicurezza internazionale richiede che, per spostare gli OGM fuori dai confini, sia necessario ottenere il consenso del paese d"introduzione (Protocollo sulla Biosicurezza di Cartagena). Ovvero, l'introduzione intenzionale degli OGM nell'ambiente deve avere a priori il consenso di un"agenzia competente del governo del paese ricevente, che controlli la sicurezza e l'intenzione di introdurli nel proprio suolo. Le Forze Speciali, ovviamente, non cercheranno di ottenere il permesso da un paese che stanno per attaccare. Inoltre, le Forze Speciali, non hanno di fatto la conoscenza o l'abilità per prevedere gli impatti ecologici dell'uso di tali armi sull'ambiente; come tali, le armi proposte, non solo fanno emergere problemi sul controllo delle stesse ma sono un insulto agli sforzi internazionali per la biosicurezza. IL PROGRAMMA DEL PENTAGONO PROMUOVE LA PSICOFARMACOLOGIA NELLE STRATEGIE DI GUERRA Durante il Congresso di Futurologia (1971), lo scrittore polacco Stanislaw Lem ha descritto un futuro nel quale la disobbedienza è controllata con degli ipotetici elementi chimici che alterano il

cervello, nominati "benignimizers" (benignatori). Il racconto di fantasia di Lem comincia con l'inquietante storia di un attacco biochimico, ad opera della polizia e dei militari, contro delle persone che protestano fuori da un congresso scientifico internazionale. Mentre l'ambiente viene saturato di agenti allucinogeni, tra i manifestanti (e i passanti) si diffonde il caos. Essi vengono sopraffatti da sentimenti di delusione, di compiacimento, d"insicurezza e persino d"amore. Se il Joint Non-Lethal Weapons Directorate (Programma Congiunto del Pentagono, JNLWP) verrà realizzato, Lem potrà essere ricordato come un profeta. "The Advantages and Limitations of Calmatives for Use as a Non-Lethal Technique" (I vantaggi e i limiti dei narcotici usati nelle tecniche non letali, Ndt) è un rapporto di 49 pagine ottenuto dal Progetto Sunshine nel giugno 2002. Tale rapporto ha rivelato l'esistenza di un programma choccante del Pentagono per la ricerca di armi psicofarmacologiche. Basandosi su un""analisi approfondita condotta nell'ambito della letteratura medica e dei nuovi sviluppi dell'industria farmaceutica", il rapporto conclude che "lo sviluppo e l'uso di [armi psicofarmacologiche] è possibile e desiderabile". Queste armi che alterano la mente violano gli accordi internazionali sulle strategie di guerre chimiche e biologiche, così come gli stessi diritti umani. Alcune delle tecniche discusse nel rapporto sono già state usate dagli Stati Uniti nella "Guerra al Terrorismo". Il gruppo di ricercatori del Laboratorio di Ricerca Applicata dell'Università dello Stato della Pennsylvania, sta valutando la possibilità di trasformare in armi un certo numero di farmaci psichiatrici e anestetici, così come le "club drugs" (droghe da discoteca) - per esempio la "droga da appuntamento e violenza carnale" GHB. Secondo il rapporto, "la via di somministrazione, che sia l'acqua potabile, per via cutanea, l'inalazione di aerosol, o, fra le altre, una pallottola di gomma piena di droga, dipenderà dal contesto". I contesti individuati sono specifiche situazioni militari e civili, incluse quelle di "rifugiati affamati sovraeccitati durante la distribuzione del cibo", "una prigione", una "popolazione in agitazione", e "situazioni in cui ci siano degli ostaggi". Certe volte, il rapporto del JNLWD, arriva molto vicino a definire il dissenso come un disordine psicologico. Le droghe che Lem ha chiamato "benignimizers" sono chiamate "calmatives" (calmanti, sedativi, Ndt) dai militari. Alcuni "calmanti" furono usati come armi durante la Guerra Fredda, incluso il BZ, descritto da coloro che lo hanno usato come "il più brutto dei viaggi". Dopo l'adesione al Chemical Weapons Convention (Convenzione delle Armi Chimiche, del 1993, Ndt), i "calmanti" sarebbero dovuti essere cancellati dalle scorte militari. La convenzione bandisce, infatti, ogni arma chimica che possa causare la morte, un"incapacità temporanea, o danni permanenti agli uomini o agli animali. "Calmante" è un termine militare e non medico; nel linguaggio medico più familiare, la maggior parte dei farmaci o dei prodotti chimici presi in considerazione sono depressivi del sistema nervoso centrale, la maggior parte risulta essere di origine sintetica, mentre alcuni sono naturali. Tra questi sono inclusi gli oppiacei (droghe del tipo della morfina) e benzodiazepine come il Valium. Anche gli antidepressivi sono di grande interesse per il gruppo di ricerca, che sta cercando delle versioni di droghe come il Prozac (fluoxetina) e lo Zoloft (sertralina) in grado di agire più velocemente. Droghe pesanti. La maggior parte di queste sostanze ha effetti allucinogeni e, tra gli altri effetti collaterali, provocano apnea, coma e morte. Una classe di farmaci presi in considerazione è quella del fentanyl (la copertina della relazione stessa reca un diagramma dei fentanyl, lo stesso agente, o uno molto vicino, che ha ucciso più di 100 ostaggi a Mosca nel novembre 2002). Secondo l'Amministrazione della Drug Enforcement Administration (DEA) gli effetti biologici del fentanyl "sono indistinguibili da quelli dell'eroina, con l'eccezione che il fentanyl può arrivare ad essere 100 volte più potente". Il rapporto dice che gli intensi effetti del prodotto si manifestano nei casi di "persone che potrebbero smettere di respirare (per svariati motivi medici, tra cui la cagionevolezza, l'età troppo avanzata o troppo giovane...)", di altre che potrebbero addormentarsi in posizioni che ostruiscono la respirazione". Entrambi effetti collaterali delle cosiddette armi chimiche "non letali", si manifestarono orribilmente con l'uso disastroso che le Forze Speciali russe fecero di un agente a base di fentanyl nel teatro di Mosca.

Le Club Drugs. La maggior parte delle armi candidate dal gruppo della JNLWD sono sostanze sotto controllo nella maggioranza dei paesi. Alcuni sono farmaci legali usati in larga scala, e spesso abusati, come il Valium e i sonniferi. Il gruppo del Pentagono appoggia una ricerca più approfondita sulle armi che provocano delle convulsioni e le "club drugs", ovvero le sostanze generalmente illegali usate prevalentemente nei raves e nelle discoteche. Fra quelle prese di mira dai riflettori militari abbiamo la ketamine ("Special K"), GHB (hydroxybutrate, "ecstasy liquida"), e Rohypnol. Le ultime due in particolare sono chiamate "droghe da appuntamento e violenza carnale", a causa dell'incidenza del loro uso nei reati sessuali e in altri crimini. La maggioranza di queste droghe è classificata dalla DEA nella tabella I o II dei narcotici che provocano allucinazioni, e il loro uso è punibile con l'ergastolo. Per esempio, secondo la DEA: L"uso della ketamine come anestetico generale negli esseri umani è stato limitato a causa di effetti collaterali indesiderati come il delirio e le allucinazioni... Piccole dosi producono vertigini, atassia, farfugliamenti, tempi lenti di reazione ed euforia. Dosi intermedie producono pensiero disorganizzato, visione alterata del corpo, e sensazione di irrealtà supportata da vivide allucinazioni visive. Dosi massicce provocano analgesia, amnesia e coma. Farmaci non approvati. Lo stesso rapporto indica come candidati per l'uso militare, anche farmaci non approvati a causa di eccessivi effetti collaterali: Spesso un effetto collaterale interromperà lo sviluppo di un nuovo componente farmaceutico promettente. Comunque, nella varietà delle situazioni in cui le tecniche non letali possono essere usate, ci potrebbe essere meno bisogno di preoccuparsi di effetti collaterali poco allettanti... Può darsi che il calmante ideale sia già stato sintetizzato e che stia solo aspettando che il suo scopritore lo riconsideri con nuovo interesse. Cocktails chimici. Nel 2002, il gruppo della JNLWD, stava conducendo delle ricerche su una nuova mistura di spray al pepe ("OC") con agenti calmanti non meglio identificati. Lo spray al pepe è il più potente agente chimico in uso per il controllo della folla ed è stato associato a numerose morti. Aggiungere un calmante farmacologico all'OC creerebbe un miscuglio spaventoso. Il rapporto pone al primo posto come farmaci trasformabili in armi il Valium ed il Precedex (dexmeditomidina), ed è possibile che siano questi gli agenti che potrebbero essere mischiati all'OC. I ricercatori, inoltre, suggeriscono di mischiare la ketamina con altre droghe. Tali cocktails chimici sono molto simili a quelli usati nel periodo dell'apartheid in Sud Africa, il creatore di questi ultimi tentò anche di sviluppare una mistura di BZ e cocaina da usare contro i nemici del governo. La Tortura. Il Precedex è un sedativo approvato negli Stati Uniti per l'uso su pazienti ricoverati in terapia intensiva. Il rapporto su questo farmaco pone la sua attenzione su un "fenomeno interessante", la droga aumenta la risposta del paziente durante l'elettroshock. I ricercatori suggeriscono di sensibilizzare le persone usando su di loro il Precedex e poi usare armi elettromagnetiche, per "rivolgere gli effetti su quei pochi individui in cui una dose media dell'agente farmacologico non abbia avuto l'effetto desiderato". Com"è ovvio, tale tecnica potrebbe essere considerata una tortura, e certamente potrebbe essere usata per torturare la gente. Oltre alle proprietà ipnotiche e allucinogene, i ricercatori suggeriscono di costruire gli agenti psicofarmacologici in modo tale da avere anche degli effetti fisici, compreso il mal di testa e la nausea, che aumenterebbero il loro potenziale di tortura. Delle formulazioni di Buspar (buspirone) in cerotti transdermici o che agiscono attraverso le mucose, attualmente in via di sviluppo presso la Bristol-Myers Squibb e la TheraTech. Inc., "potrebbero risultare efficaci in ambienti come un carcere dove ci sia stato un recente incidente o un confronto che ha portato a un clima di nervosismo". Usi nella "guerra al terrorismo". Ovviamente sarebbe molto improbabile che prigionieri che sono in rivolta o che non cooperano accettino di essere drogati con cerotti transdermici o con i mezzi più convenzionali; tali applicazioni di "calmanti" sarebbero più probabili su individui ammanettati o con la camicia di forza. Gli Stati Uniti hanno ammesso che i detenuti di al Qaeda presso la base americana di Guantanamo, a Cuba, sono stati forzatamente sedati. Il precedente comandante della JNLWD, Colonnello in pensione

Andy Mazzara, che dirige la squadra della Pennsylvania, dice di aver mandato un "Consigliere Scientifico" alla Marina americana per aiutarla nella "Guerra al Terrorismo". Nell'ottobre 2001 la JNLWD si è offerta di equipaggiare gli aerei commerciali americani con armi dispensatrici di calmanti.(1) Metodi di distribuzione. Nel rapporto sono descritti un certo numero di sistemi per la trasformazione di agenti chimici in armi, inclusi spray di aerosol, la microincapsulazione e altri metodi orrendi come la diffusione tramite l'introduzione nelle scorte d"acqua potabile o la formulazione di una gomma da masticare psicoattiva. La JNLWD sta investendo fondi nello sviluppo della tecnologia di microincapsulazione che comprende la creazione di granuli, composti da una piccola quantità di agente, ricoperti da un guscio rinforzato. Questi granuli vengono poi sparpagliati sul terreno, e una volta pestati, i gusci si rompono rilasciando nell'aria l'agente. Un nuovo colpo di mortaio potrebbe far disperdere gli agenti chimici contenuti in migliaia di granuli. Nuovi metodi di diffusione, già sotto studio da parte dell'industria farmaceutica e di grande utilità per quella delle armi, comprendono la propagazione per via transdermica, attraverso le mucose, tramite nebulizzazione con aereosol. Il rapporto cita anche l'importanza dell'uso di un lecca-lecca contenente fentanyl usato per curare bambini in momenti di grande dolore fisico, e nota che "lo sviluppo di nuovi antidolorifici, in grado di essere somministrati in vari modi, è all'avanguardia nella scoperta delle droghe". Si conclude, quindi, affermando che nuove armi potrebbero essere sviluppate attraverso questa ricerca farmaceutica. Pistole a freccette. I ricercatori esprimono uno specifico interesse nella pratica di sparare freccette, agli esseri umani, al Carfentanil. Il Carfentanil è un narcotico usato dai veterinari per tranquillizzare grandi animali pericolosi come l'orso o la tigre, chiunque abbia visto documentari sulla natura in televisione ha presente la procedura. Negli Stati Uniti qualsiasi uso del Carfentanil sugli esseri umani è proibito, essa è ritenuta una droga e come tale è tenuta sotto controllo. Secondo la legge americana, il trasgressore condannato per la prima volta per possesso di Carfentanil senza regolare ricetta, può essere punito con un minimo di 20 anni di prigione e con una multa di un milione di dollari. La consegna con i mortai. La data di scadenza, fissata dal Pentagono con le ditte appaltatrici, per consegnare una certa quantità di progetti per proiettili da 81 mm "non letali" per mortaio, era il 28 settembre 2002. Questo significa che questo programma è molto più avanti di quanto precedentemente preventivato. Con un contratto da 700.000 dollari (DAAE-30-01-C-1077) firmato il 28 giugno 2001, la M2 Technologies di West Hyannisport nel Massachussetts s"impegna a consegnare tre progetti funzionanti dell'ultimo modello di mortaio da 81 mm. I proiettili sono progettati per essere sparati dal modello standard americano di mortaio da campo, per avere un raggio di 2,5 chilometri e per sparare anche armi chimiche. Il contratto indica che i proiettili conterranno un "carico generico produttivo di effetti visivi". Esperimenti finanziati dalla JNLWD per candelotti carichi di gas (realizzati dalla General Dynamics), sono stati provati usando acqua colorata come sostituto del carico chimico. Un tiro di mortaio con un raggio di 2,5 chilometri con un carico chimico, ha un uso esclusivamente militare e non può essere assolutamente giustificato come un mezzo dei militari americani per controllare rivolte interne. Esperimenti sugli esseri umani. Lo stadio avanzato del programma per la sperimentazione di armi chimiche è anche rivelato da un documento del Pentagono, rilasciato al Progetto Sunshine, dove si comunicava che il programma attualmente operativo della JNLWD sta pianificando o ha già effettuato una sperimentazione sugli esseri umani. Un contratto fra la JNLWD e l'Università di Ricerca del Corpo dei Marines (presso l'Università di Stato della Pennsylvania), recante la data del 29 gennaio 2002, prevede che l'università debba realizzare una stima delle capacità antiuomo di un nuovo tiro di mortaio in ambito militare, e ricercare l'opinione di esperti circa "gli effetti sugli uomini dei test pianificati e/o già eseguiti". L"estensione e la natura degli esperimenti, che potrebbe includere test di alterazione della

mente, d"induzione al sonno, o d"induzione di crampi su volontari umani, e la rete istituzionale e legale che li dovrebbe tutelare, non sono specificate nel contratto. Segretezza. La JNLWD ha fatto uno sforzo sistematico per nascondere il suo programma alla visione pubblica e per impedire l'opera d"investigazione del Progetto Sunshine. La JNLWD ha richiesto al Giudice e Avvocato Generale della Marina americana (JAG) di realizzare un"analisi legale sulle sue armi chimiche "non letali", ma ha poi secretato l'opinione del JAG e ne ha impedito la diffusione.(2) La JNLWD ha posto delle restrizioni sulla pubblicazione di dati circa le caratteristiche del suo mortaio "non letale" da 81 mm.(3) Nel 2002 gli ufficiali della JNLWD hanno istruito ufficiali del corpo dei marines sulle capacità antiuomo che le sue armi chimiche possiedono, tale addestramento è stato classificato come "segreto".(4) Intervistati da alcuni notiziari, i funzionari della JNLWD, hanno negato di produrre armi chimiche, ma non è stato loro chiesto se stessero progettando armi chimiche "calmanti". Secondo un articolo pubblicato dalla Associated Press, un portavoce della JNLWD ha detto che il Consiglio di Amministrazione ha deciso di "fare un passo indietro per assicurarsi che l'uso di calmanti non violi la Convenzione sulle Armi Chimiche". Se tale affermazione fosse vera, allora probabilmente questa piccola ritirata sarebbe il risultato di una decisione molto recente provocata dalle critiche internazionali sul programma delle armi chimiche; resta il fatto che non è supportata dal peso schiacciante di una prova scritta. Il fatto che i contratti della JNLWD con privati e istituzioni accademiche siano ancora attivi, che attualmente sia in atto un programma di una cooperazione nella ricerca chimica fra la JNLWD e l'Esercito americano, e altre recenti informazioni, indica non solo che il programma è ancora attivo ma che si sta sviluppando e realizzando velocemente. La JNLWD ha inoltre informato il Progetto Sunshine, in svariate conversazioni telefoniche, che si rifiuterà di divulgare i documenti richiesti, secondo il Freedom of Information Act, in quanto inerenti allo "sviluppo di armi segrete". Dopo 18 mesi dalla prima richiesta FOIA del progetto Sunshine alla JNLWD, quasi due terzi dei documenti non sono ancora arrivati. In aperta violazione della legge americana, la JNLWD ha ordinato all'Accademia Nazionale di Scienza americana d"interrompere la divulgazione di documenti che erano stati depositati nell'archivio pubblico,(5) nonostante l'Accademia Nazionale affermi che non ci sono contrassegni di sicurezza su tali documenti.(6) Agenti biochimici e trattati. Molte delle sostanze proposte potrebbero essere considerate sia armi chimiche che biologiche proibite dalla Biological and Toxin Weapons Convention (Convenzione delle Armi Biologiche e Tossine BTWC) e dalla Convenzione delle Armi Chimiche (CWC). Per motivi pratici, ci si riferisce a "calmanti" senza specificare se di origine biologica o di origine chimica. Siccome gli agenti sono esplicitamente intesi per uso militare, al fine di rendere inerme la loro vittima, questi non rientrano nelle esenzioni della CWC previste per gli agenti atti a controllare rivolte interne. I prodotti tossici di agenti vivi, come la neurotossina del botulino, sono considerati sia agenti chimici che biologici; così, qualsiasi arma che usi neurotrasmettitori o sostanze che simulino quest"azione, è contemplata da entrambi i trattati sul controllo delle armi. I ricercatori hanno sviluppato una vasta banca dati sui calmanti e stanno effettuando delle ricerche biomediche sui meccanismi della dipendenza dalle droghe, su quelli degli antidolorifici, e su altre aree di ricerca di sostanze biochimiche che alterino la cognizione. Il gruppo JNLWD, tanto per portare un esempio, sta eseguendo delle ricerche sulla colecistochinina, un neurotrasmettitore che causa attacchi di panico in persone sane ed è connesso a disordini psichiatrici. Il programma della JNLWD entra in conflitto con la Chemical Weapons Convention (Convenzione delle Armi Chimiche CWC), che ha bandito, a livello mondiale, lo sviluppo e l'uso di qualsiasi arma chimica, fatto di cui la JNLWD è ben consapevole. Nella presentazione del 2001, la JNLWD pone la Chemical Weapons Convention come la "sfida" principale per il loro programma sui calmanti.(7) L"anno precedente la JNLWD ha fatto una serie di simulazioni di guerra con

ufficiali dell'esercito britannico, il rapporto della JNLWD su queste simulazioni conclude che: "in tutti i tre diversi scenari, i partecipanti sono stati esposti a calmanti come se questi ultimi fossero, di fatto, ritenuti la più abituale arma non letale antiuomo", ma " la preoccupazione principale riguardava la legalità di tale arma e le possibili violazioni del controllo sulle armi..." Nonostante questo, il rapporto continua dicendo che: "il risultato finale è che i sedativi sono considerati la scelta più efficace in una situazione antiuomo dovendo scegliere fra le opzioni non letali".(8) Alla fine di questa serie di prove di guerra, la JNLWD tenne un incontro ad alto livello con i funzionari britannici, con la partecipazione di cinque generali in servizio attivo del Corpo dei Marines americano. Gli ufficiali inglesi obiettarono che il programma americano sui narcotici risultava essere illegale, la JNLWD rispose dicendo che il programma sarebbe andato avanti comunque (citando dal rapporto): "[un] programma di ricerca e di sviluppo circa... sedativi a base chimica... continuerà fintanto che risulterà conveniente farlo". Nello stesso rapporto la JNLWD riconosce che il suo programma di ricerca e sviluppo viola le regolamentazioni del Dipartimento di Difesa, dichiarando il proprio intento a continuare a trasgredire la legge: "al DOD è vietato proseguire le ricerche sulla tecnologia [dei sedativi]... Se ci sono delle tecnologie promettenti che il DOD non può perseguire, utilizzeremo il MOA, il DOJ o il DOE". (Il DOD è il Dipartimento di Difesa americano, il DOJ è il Dipartimento di Giustizia americano, il DOE è il Dipartimento di Energia americano, e il MOA è un contratto di vendita).(9) I pericoli dell'escalation. Il programma di armi chimiche della JNLWD non solo viola le leggi internazionali ma porta con sé la minaccia di un"escalation. Qualsiasi uso di armi chimiche in situazioni militari, anche se con agenti dichiarati non letali, racchiude il pericolo intrinseco di una scalata verso un"accanita guerra chimica e un aumento della violenza. Le vittime, attaccate con una sostanza chimica di natura sconosciuta e con un effetto che rende velocemente incapaci, possono ritenere che siano state usate sostanze chimiche letali e decidere di reagire con violenza maggiore o anche di rispondere con agenti chimici letali. Questa rapida escalation di violenza è uno dei motivi chiave per cui la Biological and Toxin Weapons Convention proibisce anche l'uso di gas lacrimogeni o di spray al pepe come opzioni nelle strategie di guerra. La strada verso una corsa alle armi chimiche. Oltre a tutto quello già detto, c'è anche da considerare la possibilità che il programma della JNLWD sia usato per nascondere lo sviluppo di armi chimiche letali. Le sostanze chimiche mortali sono la precedente specialità del partner della JNLWD in questo programma: l'Aberdeen Proving Ground, facente parte dell'Esercito americano. Congegni a lunga gittata possono essere convertiti facilmente per l'uso di agenti biologici o di altre sostanze chimiche, inclusi gas nervini letali. Il disegno e lo sviluppo di nuovi congegni di consegna, impianti di produzione o esperimenti di gittata - tutte parti chiave di un programma di armi chimiche letali possono essere facilmente realizzati dagli Stati Uniti o da altri paesi se la frase "non letale" viene usata come copertura. Se non venissero proibiti progetti di strategie militari che utilizzino armi chimiche non letali, i principi di base del CWC crollerebbero, così da produrre una nuova corsa totale alle armi chimiche, prima ancora che i magazzini della Guerra Fredda siano distrutti. Azione. Il Progetto Sunshine sta chiedendo la fine immediata di questa ricerca e fa pressione affinché, sia la Convenzione delle Armi Chimiche che la Convenzione delle Armi Biologiche e delle Tossine, la condannino velocemente e approvino decisioni che ribadiscano il bando su tali armi. Il Progetto Sunshine chiede anche al Congresso americano d"investigare sulle violazioni della JNLWD circa il controllo delle armi, di condurre degli interrogatori pubblici, di ritenere responsabili per le loro azioni la JNLWD e i suoi dirigenti, d"interrompere tutti i finanziamenti alla JNLWD e di desecretare immediatamente tutti i documenti. Infine, il progetto Sunshine chiede all'Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche di mandare negli Stati Uniti degli ispettori per armamenti dell'ONU per investigare. Tutti i documenti citati in questo articolo sono nel nostro sito web www.sunshineproject.org.

Note 1. "Non-Lethal Weapons Suggested to Incapacitate Terrorists in Airliners." Air Safety Week 15.39 (15 ottobre 2001). 2. Lettera di risposta (del 3 settembre 2002) del Dipartimento Navale americano, ufficio del Giudice e Avvocato Generale, Distaccamento della Legge Internazionale ed Operativa, alla richiesta di libertà d"informazione del Progetto Sunshine del 21 agosto 2002. 3. Molti contratti sponsorizzati dalla JNLWD lo indicano, vedere per esempio, "81 mm Frangible Case Cartridge." Contratto DAAE-30-01-C-1077 (giugno 2001), US Army TACOM e M2 Technologies. 4. "NonLethal Weapons: Acquisitions, Capabilities, Doctrine, & Strategy: A Course of Instruction." Contratto M67004-99-D-0037, ordine di acquisto M9545002RCR2BA7, fra l'Università del Corpo Navale americano (Università dello Stato della Pennsylvania, Laboratorio di Ricerche Applicate) e la JNLWD, dicembre 2001. 5. Lettera del Colonnello George Fenton all'Accademia Nazionale di Scienze (NAS), 17 maggio 2002, testo formito da un"e-mail del Sig. Kevin Hale, Direttore dell'Ufficio di Sicurezza Nazionale della NAS. a William Colglazier, Ufficiale Esecutivo, del 17 maggio 2002. 6. Lettera da Kevin Hale (NAS) al Colonnello George Fenton (JNLWD) del 17 maggio 2002. Questa lettera e l'e-mail della nota 5 ci sono state fornite dall'ufficio agli Affari Pubblici della NAS. 7. Fenton G. "To The Future: Non-Lethal Capabilities Technologies in the 21st Century." Presentazione fatta al terzo symposium di Ricerca Accademica di Tecnologie Non Letali all'Università del New Hampshire, novembre 2001. 8. "US/UK Non-Lethal Weapons (NLW)/Urban Operations War Game Two Assessment." JNLWD, giugno 200. I giochi di guerra furono tenuti tra il 13 ed il 16 giugno 200 all'Università della Guerra dell'Esercito americano, caserma Carlisle, Pennsylvania. 9. "Assessment Report: US/UK Non-Lethal Weapons (NLW)/Urban Operations Executive Seminar." JNLWD, novembre 2000.

IL MITO DEL DNA Barry Commoner Una volta la biologia era considerata una disciplina languida, largamente descrittiva, una scienza passiva che si è accontentata, per gran parte della sua storia, soltanto di osservare il mondo naturale, anziché cambiarlo. Ora non più. Oggi la biologia, armata del potere della genetica, ha sostituito la fisica nel ruolo di Scienza trainante del secolo e si erge pronta ad assumere poteri divini di creazione, evocando forme artificiali di vita piuttosto che elementi ancora sconosciuti e particelle subatomiche. I primi passi verso questa nuova Genesi sono stati estesamente reclamizzati attraverso la stampa. Non molto tempo fa gli scienziati scozzesi hanno sbalordito il mondo con Dolly(1), la pecora senza padre clonata direttamente dalle cellule di sua madre; queste tecniche ora vengono applicate, senza successo, a cellule umane. Recentemente è nata ANDY,(2) una fotogenica scimmietta rhesus che porta il gene di una medusa luminescente. I maiali, ora, portano un gene per l'ormone della crescita bovino e mostrano un significativo aumento di peso, una maggiore efficienza nutrizionale e una minore quantità di grasso.(3) La maggior parte delle piante di soia coltivate negli Stati Uniti è stata geneticamente modificata per sopravvivere all'applicazione di potenti diserbanti. Le piante di mais, ora, contengono un gene batterico che produce una proteina insetticida che le rende velenose per i parassiti.(4 )I nostri scienziati e imprenditori scientifici (due etichette sempre più intercambiabili) ci assicurano che queste prodezze della capacità tecnologica, benché straordinarie e complesse, nondimeno sono sicure e affidabili. Ci viene detto che tutto è sotto controllo. Per convenienza vengono ignorati, dimenticati o in alcuni casi semplicemente passati sotto silenzio, i campanelli d"allarme, i difetti e gli aborti spontanei. La maggior parte dei cloni non riesce ad arrivare al termine dello sviluppo prima della nascita o subito dopo e, persino i cloni apparentemente normali, soffrono di malformazioni al rene o al cervello.(5) ANDi, perversamente, si ostina a non voler brillare come una medusa. I maiali geneticamente modificati hanno un"alta incidenza di ulcere gastriche, artrite, cardiomegalia, dermatiti e malattie renali. Nonostante le assicurazioni delle industrie biotecnologiche che l'unica alterazione della soia geneticamente modificata consiste nella presenza del gene alieno, è un dato di fatto che il sistema genetico di queste piante è stato alterato in modo non voluto, con conseguenze potenzialmente pericolose.(6) L"elenco dei malfunzionamenti trova scarsa attenzione; le compagnie biotecnologiche non hanno l'abitudine di pubblicizzare gli studi che mettono in dubbio l'efficacia dei loro prodotti miracolosi, o che suggeriscono la presenza di un serpente nell'Eden del biotech. È probabile che questi insuccessi siano archiviati come gli inevitabili errori che caratterizzano il progresso scientifico. Ma dietro di essi è in agguato un fallimento più profondo. Tutte le meraviglie della scienza genetica si fondano sulla scoperta della doppia elica del DNA - compiuta nel 1953 da Francis Crick e James Watson - e discendono dalla premessa che questa struttura molecolare sia l'agente esclusivo dell'eredità in tutti i viventi: nel regno della genetica molecolare, il gene è il monarca assoluto. Nota ai biologi molecolari come il "dogma centrale", questa premessa assume che il genoma di un organismo - la sua completa dotazione di geni - dovrebbe dare conto pienamente dell'intero complesso delle sue caratteristiche ereditarie.(7 )Ma quella premessa, sfortunatamente, è falsa. Sottoposta a verifica tra il 1990 e il 2001, in una delle più grandi e più pubblicizzate imprese scientifiche del nostro tempo, il Progetto Genoma Umano, questa teoria è crollata sotto il peso dei fatti. Ci sono troppo pochi geni umani per dare conto della complessità dei nostri tratti ereditari o delle enormi differenze ereditarie esistenti, ad esempio, tra piante e persone. Sotto ogni ragionevole punto di vista, la scoperta (pubblicata nel febbraio dell'anno scorso) ha segnato la caduta del dogma centrale, e con essa sono caduti anche i fondamenti scientifici dell'ingegneria genetica e ogni

supposta validità della pretesa, ampiamente reclamizzata dall'industria biotecnologica, che i suoi metodi per modificare geneticamente le colture siano "specifici, precisi, e prevedibili"(8) e perciò sicuri. In breve, l'esito più eclatante del Progetto Genoma Umano, costato 3 miliardi di dollari è, a tutt"oggi, la confutazione dei suoi stessi fondamenti scientifici. Dal momento in cui quarantaquattro anni fa Crick lo propose per la prima volta, il dogma centrale è arrivato a dominare la ricerca biomedica. Semplice, elegante e concisa, questa formulazione cerca di ridurre l'eredità - una proprietà che solo gli esseri viventi possiedono - alle dimensioni molecolari: l'agente molecolare dell'eredità è il DNA, l'acido desossiribonucleico, una molecola molto lunga e lineare fittamente spiralizzata all'interno del nucleo di ogni cellula. Il DNA è fatto di quattro diversi tipi di nucleotidi, disposti in ogni gene in un particolare ordine lineare o sequenza. I segmenti di DNA contengono i geni che, attraverso una serie di processi molecolari, danno origine a tutti i nostri tratti ereditari. Guidato dalla teoria di Crick, il Progetto Genoma Umano fu avviato con l'intenzione di individuare ed enumerare tutti i geni del corpo umano, identificando l'intera sequenza dei tre miliardi di nucleotidi che compongono il nostro DNA. Nel 1990, James Watson definì il Progetto Genoma Umano come "l'ultima, definitiva descrizione della vita". E produrrà, egli affermava, quelle informazioni "che determinano se siamo una mosca, una carota, o un uomo". Walter Gilbert, uno dei primi sostenitori del progetto, osservò, con una frase divenuta famosa, che i tre miliardi di nucleotidi del DNA umano potrebbero facilmente essere contenuti in un compact disc. E, indicando un CD di questo tipo, chiunque potrebbe dire: "Ecco qua un essere umano; sono io!"(9) Il presidente Bill Clinton ha definito il genoma umano come "la lingua nella quale Dio creò la vita".(10) Come poteva la minuta dissezione del DNA umano in una sequenza di tre miliardi di nucleotidi divenire il supporto di così iperboliche pretese? La teoria di Crick cerca di dare una chiara, precisa, risposta a questa domanda, ipotizzando una catena di processi molecolari che conducono da un singolo gene a un particolare carattere ereditario. Il potere esplicativo della teoria è basato su una proposizione stravagante: che i geni abbiano il controllo unico, assoluto e universale sulla totalità dei processi dell'eredità, in tutte le forme di vita. Secondo il ragionamento di Crick, per controllare l'eredità i geni devono governare la sintesi delle proteine, dato che sono le proteine a formare le strutture interne della cellula e, come nel caso degli enzimi, a catalizzare gli eventi chimici che producono specifici caratteri ereditari. La capacità del DNA di governare la sintesi delle proteine è facilitata dalla somiglianza delle loro strutture: DNA e proteine sono infatti molecole lineari, composte di specifiche sequenze di subunità. Un particolare gene si distingue da un altro per l'ordine lineare (la sequenza) con cui i quattro nucleotidi compaiono nel DNA. In modo analogo, una proteina si distingue da un'altra per la specifica sequenza dei venti tipi diversi di amminoacidi dei quali è composta. I quattro tipi di nucleotidi possono essere organizzati in modo da generare molte possibili sequenze diverse, ed è appunto la particolare composizione di un gene a rappresentare la sua "informazione genetica", un po" come accade nel poker, dove l'ordine delle carte dice al giocatore se fare una forte scommessa oppure lasciare il gioco, perché ha in mano solo un set insignificante di carte che si dispongono totalmente a caso. L""ipotesi della sequenza" di Crick collega elegantemente il gene alla proteina: "la sequenza dei nucleotidi in un gene è un semplice codice per la sequenza degli amminoacidi in una specifica proteina".(11) Questa frase riassume in modo estremamente sintetico una serie di processi molecolari ben documentati, che trascrivono la sequenza dei nucleotidi del DNA in una sequenza complementare di acido ribonucleico (RNA), il quale, a sua volta, trasferisce il codice del gene al luogo di formazione della proteina, dove determina l'ordine sequenziale in cui i diversi amminoacidi si uniscono a formare la proteina. Ne consegue che in ogni essere vivente ci dovrebbe essere una corrispondenza uno-a-uno tra il numero totale dei geni e il numero totale delle proteine. L"intero insieme dei geni umani - il genoma - deve quindi rappresentare tutta l'eredità di una persona, ovvero tutto ciò che distingue una persona da una mosca, o Walter Gilbert da chiunque altro. Infine, essendo il DNA composto degli stessi quattro nucleotidi in tutti gli esseri viventi,

il codice genetico è universale, il che vuole dire che un gene dovrebbe essere capace di produrre la sua particolare proteina ovunque gli capiti di trovarsi, anche in una specie diversa. La teoria di Crick include una seconda dottrina che egli stesso definì il "dogma centrale" (sebbene ora questo termine venga in genere usato per indicare l'intera teoria). L"ipotesi è una tipica affermazione da Crick: semplice, precisa e magistrale. "Una volta che l'informazione (sequenziale) è stata trasmessa alla proteina, non può uscirne di nuovo".(12) Ciò vuol dire che l'informazione genetica ha origine nella sequenza nucleotidica del DNA e termina, immutata, nella sequenza amminoacidica della proteina. Questo postulato è cruciale per il potere esplicativo della teoria, perché dota il gene di completo controllo sull'identità della proteina e sul carattere ereditario a cui la proteina dà forma. Per sottolineare l'importanza di questo tabù genetico, Crick scommise su di esso il futuro dell'intera impresa, asserendo che "se si scoprisse anche uno solo fra i tanti tipi di cellule attualmente esistenti" in cui l'informazione genetica passa da una proteina a un acido nucleico o da proteina a proteina, ciò "sconvolgerebbe le basi concettuali di tutta la biologia molecolare".(13) Crick era consapevole della fragilità della sua scommessa, poiché era noto che nelle cellule viventi le proteine hanno contatti promiscui con molte altre proteine e con molecole di DNA e di RNA. La sua insistenza, sul fatto che queste interazioni sono geneticamente caste, era finalizzata a proteggere il messaggio genetico del DNA - la sequenza dei nucleotidi - da intrusi molecolari che ne possano cambiare la sequenza, o aggiungervi nuovi elementi durante i vari passaggi con cui l'informazione viene trasferita dal gene alla proteina, distruggendo così l'elegante semplicità della teoria. Nel febbraio scorso, l'azzardata scommessa di Crick ha subito un rovescio spettacolare. Sulle riviste Nature e Science, in conferenze stampa unificate e in varie apparizioni televisive, i due gruppi di ricerca che hanno portato a termine il Progetto Genoma hanno riferito i propri risultati. La scoperta più importante era del tutto "inaspettata".(14) Invece dei 100.000 o più geni previsti in base al numero stimato delle proteine umane, i geni sono solamente 30.000 circa. In base a questa misurazione, gli esseri umani hanno all'incirca altrettanti geni di un"erbaccia (la senape ha 26.000 geni) e la loro dotazione genetica è circa il doppio di quella di un moscerino o di un verme difficile pensare che possa costituire la base adeguata per distinguere fra "una mosca, una carota, o un uomo". Al punto che un lettore poco attento di CD genomici potrebbe facilmente scambiare Walter Gilbert per un topo, visto che i geni di questo animale sono per il 99% gli stessi che si trovano nel genoma umano.(15) Questi sorprendenti risultati hanno contraddetto la premessa scientifica sulla quale era stato intrapreso il progetto Genoma Umano e hanno detronizzato la sua teoria fondante, il dogma centrale. Dopo tutto, se il numero dei geni umani è troppo basso per accordarsi con il numero delle proteine e dei numerosi caratteri ereditari che da esse procedono, e non può spiegare l'enorme differenza ereditaria tra un"erbaccia e una persona, ci deve essere molto più di quello che i geni, da soli, possono dirci per arrivare davvero "all'ultima, definitiva descrizione della vita". Né gli scienziati né i giornalisti sono riusciti a cogliere ciò che è veramente accaduto. La scoperta che il genoma umano non è molto diverso da quello di un verme ha portato il dottor Eric Lander, uno dei leader del Progetto, a dichiarare che l'umanità dovrà imparare "una lezione di umiltà".(16) Sul New York Times, Nicholas Wade si è limitato a osservare che i risultati sorprendenti del progetto avranno un "impatto sull'orgoglio umano" e che "l'autostima degli esseri umani potrà subire altri colpi" dalle future analisi del genoma, dalle quali già ora risulta che i geni dei topi e degli uomini sono molto simili.(17) I rapporti scientifici del progetto hanno offerto ben poche spiegazioni per il numero di geni tanto più basso del previsto. Una delle possibili spiegazioni del perché il conto dei geni è "così discorde con le nostre previsioni" è stata fornita su Science lo scorso febbraio, con queste laconiche parole: "circa 4096 geni umani subiscono lo splicing alternativo".(18) Se intesa correttamente, questa dichiarazione sottotono, quasi misteriosa fa piena giustizia della tremenda profezia di Crick: essa "sconvolge le basi concettuali dell'intera biologia molecolare" e mina la validità scientifica della sua applicazione all'ingegneria genetica.

Lo splicing alternativo è una straordinaria deviazione dal disegno ordinato del dogma centrale, nel quale la particolare sequenza nucleotidica di un gene codifica la sequenza amminoacidica di una particolare proteina. Secondo l'ipotesi formulata da Crick, la sequenza dei nucleotidi di un gene (la sua "informazione genetica") si trasmette, alterata nella forma ma non nel contenuto, attraverso intermediari di RNA, alla sequenza di amminoacidi distintiva di una proteina. Nello splicing alternativo, però, l'originale sequenza nucleotidica del gene viene divisa in frammenti, che poi sono ricombinati in modi diversi così da codificare una molteplicità di proteine, ognuna diversa dalle altre nella sequenza amminoacidica e diversa anche dalla sequenza che il gene originale codificherebbe se rimanesse intatto. Gli eventi molecolari che effettuano questo rimescolamento genetico si concentrano in una particolare fase del processo dell'informazione DNA-RNA-proteina. Lo splicing si verifica nel momento in cui la sequenza nucleotidica del gene viene trasferita al successivo corriere genetico: l'RNA messaggero. Un gruppo specializzato di 50-60 proteine, insieme con cinque piccole molecole di RNA (un complesso noto come "spliceosoma") si assembla in particolari posizioni lungo la molecola del messaggero, e, a questo livello, taglia via certi segmenti del messaggero stesso. Alcuni di questi frammenti vengono poi uniti tra loro in un gran numero di combinazioni alternative, le quali vengono così ad avere sequenze nucleotidiche differenti da quella del gene originale. Questi numerosi RNA messaggeri ridisegnati governano la produzione di un numero altrettanto grande di proteine che differiscono rispetto alla sequenza amminoacidica, quindi rispetto ai caratteri ereditari a cui danno origine. Per fare un esempio, quando la parola TIME (tempo) viene riarrangiata, dal vocabolo originale si possono ottenere altre tre unità alternative d"informazione: MITE (spicciolo), EMIT (emettere), ITEM (articolo). La parola originale (la sequenza nucleotidica del messaggero non tagliato) è senz"altro essenziale per il processo, ma altrettanto lo è l'agente che esegue il riarrangiamento (lo spliceosoma).(19) Lo splicing alternativo può avere un impatto straordinario sul rapporto geni/proteine. Oggi sappiamo che un singolo gene, che originariamente si riteneva codificasse una sola proteina presente nelle cellule dell'orecchio interno dei polli (e degli esseri umani), genera 576 proteine diverse, differenti nella loro sequenza amminoacidica.(20) Attualmente il record per il numero di proteine diverse prodotte da un unico gene mediante lo splicing alternativo è detenuto da un gene di Drosophila, il quale genera fino a 38016 differenti molecole proteiche.(21) Lo splicing alternativo ha perciò un impatto devastante sulla teoria di Crick: rompe il supposto isolamento del sistema molecolare che trasferisce l'informazione genetica da un solo gene a una sola proteina. Si può dire che lo splicing alternativo, riarrangiando la sequenza nucleotidica del gene in una molteplicità di nuove sequenze di RNA messaggero, ognuna delle quali è diversa dal messaggero originale non tagliato, generi nuova informazione genetica. Alcune delle proteine e degli RNA che compongono lo spliceosoma hanno una speciale affinità per certi siti e, legandosi ad essi, formano un catalizzatore attivo che taglia l'RNA messaggero per poi riunire i frammenti risultanti. Le proteine dello spliceosoma, quindi. contribuiscono all'informazione genetica aggiuntiva a cui lo splicing alternativo dà origine. Ma questa conclusione contrasta con la seconda ipotesi di Crick, cioè che le proteine non possono trasmettere informazione genetica a un acido nucleico (in questo caso, all'RNA messaggero), e in questo modo distrugge l' elegante logica della doppietta di ipotesi genetiche, strettamente interconnesse, formulate da Crick.(22) È LA CELLULA VIVENTE, NON LA MOLECOLA DEL DNA DA SOLA, A EFFETTUARE L"ESATTA DUPLICAZIONE DEL DNA La scoperta dello splicing alternativo contraddice drasticamente anche i presupposti che hanno motivato il Progetto Genoma Umano. Essa annulla il predominio esclusivo del gene sui processi molecolari dell'eredità, e dimostra la falsità dell'assunto che contando i geni sia possibile specificare l'insieme delle proteine che definiscono la sfera dell'eredità umana. L"effetto di un gene sull'eredità

non può quindi essere predetto semplicemente in base alla sua sequenza nucleotidica - la determinazione della quale è uno degli scopi principali del Progetto Genoma Umano. Forse è per questo che il ruolo cruciale dello splicing alternativo sembra essere stato ignorato nella pianificazione del progetto ed è stato lasciato in ombra dalla maniera astuta con cui sono stati riferiti i suoi risultati principali. Anche se i rapporti del Progetto Genoma non lo dicono, lo splicing alternativo fu scoperto molto prima che il progetto fosse anche solo concepito: la scoperta avvenne, infatti, nel 1978, studiando la replicazione dei virus,(23) poi nel 1981 fu trovato anche nelle cellule umane.(24) Nel 1989, quando il Progetto Genoma Umano era ancora materia di dibattito fra i biologi molecolari, i suoi paladini erano certamente al corrente degli oltre 200 lavori scientifici già pubblicati sullo splicing alternativo di geni umani.(25) Quindi, il fatto che il numero dei geni umani potesse essere inferiore alle attese avrebbe potuto (anzi, dovuto) essere previsto. È difficile evitare di giungere alla conclusione (per quanto fastidiosa possa essere) che coloro che hanno ideato il Progetto Genoma sapessero in anticipo che c'era da attendersi una grossa differenza tra il numero dei geni e quello delle proteine nel genoma umano, e che quel progetto da 3 miliardi di dollari non potesse essere giustificato dalla stravagante pretesa che il genoma - o forse Dio che ci parla attraverso di esso - ci potesse dire chi siamo.(26) Lo splicing alternativo non è l'unica delle scoperte avvenute nel corso degli ultimi quaranta anni ad avere contraddetto i precetti fondamentali del dogma centrale. Altre ricerche hanno teso a erodere la centralità stessa della doppia elica, quest"icona ubiquitaria della teoria. Nel lavoro originale che descrive la loro scoperta del DNA, Watson e Crick commentano che la struttura dell'elica "suggerisce immediatamente un possibile meccanismo per la copia del materiale genetico". Tale autoduplicazione è la caratteristica cruciale della vita e, nell'attribuirla al DNA, Watson e Crick concludevano, un po" prematuramente, di avere scoperto la magica chiave molecolare della vita. (27) La replicazione biologica comprende l'esatta duplicazione del DNA, ma il processo è portato a termine dalla cellula vivente e non dalla molecola del DNA da sola. Nello sviluppo di una persona, a partire da un singolo uovo fecondato, la cellula uovo e la moltitudine di cellule successive si dividono in due. Ognuna di queste divisioni è preceduta da un raddoppiamento del DNA cellulare; due nuovi filamenti di DNA sono prodotti legando i nucleotidi necessari (liberamente disponibili entro la cellula), nell'ordine corretto, a ciascuno dei due filamenti che compongono la doppia elica. Mentre la singola cellula dell'uovo fecondato si sviluppa in un individuo adulto, il genoma si replica molti miliardi di volte e, nel corso di questo processo, la sua esatta sequenza di tre miliardi di nucleotidi si mantiene con straordinaria fedeltà.(28) La percentuale di errore - ovvero, l'inserimento nella sequenza del DNA neosintetizzato di un nucleotide scorretto - è approssimativamente di 1 su 10 miliardi di nucleotidi. Ma da solo il DNA è incapace di replicarsi in modo così fedele; in un esperimento in provetta, un filamento di DNA in presenza di una mistura dei suoi quattro nucleotidi costituenti ne ordina in modo scorretto approssimativamente 1 ogni 100. D"altra parte quando vengono aggiunte alla provetta anche le opportune proteine enzimatiche, la fedeltà con la quale i nucleotidi vengono incorporati nel filamento di DNA neosintetizzato migliora notevolmente, riducendo la percentuale di errore a 1 su 10 milioni. Questo rimanente tasso di errore viene infine ridotto a 1 su 10 miliardi da un set di enzimi di "riparazione" (anch"essi proteine) che scoprono nel DNA sintetizzato ex novo, e rimuovono dalla sua molecola, i nucleotidi mal appaiati. (29) L"INFORMAZIONE GENETICA NON DERIVA DAL SOLO DNA, MA SCATURISCE DALLA SUA ESSENZIALE COLLABORAZIONE CON PROTEINE ENZIMATICHE Quindi, nella cellula vivente, il codice inscritto nella sequenza nucleotidica del gene può essere replicato fedelmente soltanto perché un insieme di proteine specializzate interviene a prevenire la maggior parte degli errori (che il DNA da solo tenderebbe a fare) e a riparare gli errori che tuttavia rimangono.

Inoltre, è noto fin dagli anni "60 che gli enzimi che sintetizzano il DNA ne influenzano la sequenza nucleotidica. In questo senso, l'informazione genetica non scaturisce dal DNA soltanto, ma dalla sua essenziale collaborazione con proteine enzimatiche in contraddizione col precetto del dogma centrale, secondo il quale l'eredità è governata unicamente dall'autoreplicazione della doppia elica. Un altro fatto importante, in contraddizione con il dogma centrale, è che, per divenire biochimicamente attiva e produrre il carattere ereditario, la proteina neosintetizzata, una molecola allungata a forma di nastro, deve ripiegarsi ordinatamente in una struttura a globo. Gli eventi biochimici che danno origine ai caratteri genetici - per esempio, l'azione enzimatica che sintetizza un particolare pigmento per il colore dell'occhio -avvengono in siti specifici sulla superficie esterna della struttura tridimensionale della proteina, superficie che è generata dal particolare modo in cui la molecola si ripiega. Per preservare la semplicità del dogma centrale, Crick fu costretto a presumere - senza alcuna prova di supporto -che la proteina nascente (una molecola lineare) si ripiegasse sempre nel modo corretto, una volta determinata la sua sequenza amminoacidica. Negli anni "80, comunque, fu scoperto che alcune proteine nascenti hanno molte probabilità di non ripiegarsi correttamente e perciò di rimanere biochimicamente inattive - a meno che non entrino in contatto con un tipo speciale di proteine "chaperon", che le ripiegano nella struttura corretta e attiva. L"importanza delle proteine chaperon è stata sottolineata in anni recenti dalle ricerche sulle malattie degenerative del cervello causate da "prioni", ricerche dalle quali sono emerse alcune delle prove più inquietanti del fatto che il dogma centrale è pericolosamente sbagliato.(30) La teoria di Crick sostiene che la replicazione biologica, essenziale per la capacità di un organismo di infettare un altro organismo, non possa verificarsi in assenza di un acido nucleico. Eppure, quando lo scrapie (la prima di queste malattie a essere scoperta) fu analizzato biochimicamente, non si trovò nessun acido nucleico (né DNA né RNA) nel materiale infettivo che trasmetteva la malattia. Negli anni "80, Stanley Prusiner confermò che gli agenti infettivi che provocano lo scrapie, la malattia della mucca pazza e altre malattie umane simili, rare ma invariabilmente fatali, sono in realtà proteine prive di acido nucleico (chiamate da Prusiner prioni), le quali si replicano in un modo del tutto insolito. Invadendo il cervello, il prione incontra una normale proteina dei tessuti cerebrali, che poi si ripiega in modo da assumere la forma tridimensionale caratteristica del prione. La proteina così ripiegata diviene a sua volta infettiva e, agendo su un"altra molecola proteica normale, avvia una reazione a catena che propaga la malattia fino al suo esito fatale.(31) Il comportamento insolito del prione solleva importanti domande sul nesso che esiste tra la sequenza amminoacidica di una proteina e la sua struttura ripiegata, biochimicamente attiva. Crick ha presunto che la struttura attiva di una proteina sia automaticamente determinata dalla sua sequenza amminoacidica (la quale è, dopo tutto, il segno della sua specificità genetica), per cui due proteine con la stessa sequenza dovrebbero essere identiche nella loro attività. Il prione viola questa regola. In una pecora infettata dallo scrapie, il prione e la proteina normale del cervello che si ripiega diversamente in seguito all'infezione hanno la stessa sequenza amminoacidica, ma una è una normale componente cellulare e l'altra è un agente infettivo fatale. Ciò suggerisce che la configurazione ripiegata della proteina sia, in certa misura, indipendente della sua sequenza amminoacidica, e che essa debba dunque essere decisa, in parte, da qualcosa di diverso dal gene che ha governato la sintesi di quella sequenza. E siccome la forma tridimensionale della proteina prionica è dotata d"informazione genetica trasmissibile, ciò viola anche un altro fondamentale precetto di Crick: l'impossibilità del passaggio di informazione genetica da una proteina a un"altra.(32) Quindi, ciò che oggi sappiamo del prione è un oscuro avvertimento che nella genetica molecolare sono al lavoro processi che le limitazioni concettuali del dogma centrale cercano di rimuovere e di tenere fuori dalla vista, e che tuttavia possono condurre a malattie fatali.(33) Quindi a metà degli anni "80, molto prima che il Progetto Genoma Umano da 3 miliardi di dollari venisse avviato, e ben prima che piante geneticamente modificate cominciassero ad apparire nei nostri campi, una serie di processi basati sulle proteine avevano già iniziato a irrompere sulla scena, mettendo in discussione

il predominio esclusivo del DNA. Una schiera di proteine enzimatiche deve riparare i troppo frequenti errori nella replicazione del DNA e nella trasmissione del codice genetico alle proteine. Certe proteine, assemblate negli spliceosomi, ristrutturano, mescolandoli, i trascritti di RNA e in questo modo creano centinaia e persino migliaia di proteine diverse a partire da un solo gene. Una famiglia di chaperon, proteine che facilitano il ripiegamento corretto (e perciò l'attività biochimica) di altre proteine neosintetizzate, è parte essenziale del processo che dal gene porta alla proteina. Sotto ogni ragionevole punto di vista, questi risultati contraddicono il principio cardinale del dogma centrale: che un gene di DNA governi in modo esclusivo i processi molecolari che generano un particolare carattere ereditario. Il gene chiaramente esercita un"influenza importante sull'eredità, ma non è solo nell'esercitare tale funzione e agisce in collaborazione con una moltitudine di processi basati sulle proteine, i quali prevengono la formazione Il fatto che un singolo gene possa generare una molteplicità di proteine distrugge i fondamenti teoretici di un"industria da molti miliardi di dollari, quella dell'ingegneria genetica delle piante alimentari di sequenze scorrette ed eventualmente le riparano, trasformano la proteina nascente nella sua forma ripiegata, attiva, e aggiungono l'informazione genetica cruciale che va ben al di là di quella che scaturisce dal gene stesso. L"esito finale è che nessun gene, da solo, costituisce l'unica fonte dell'informazione genetica per una proteina, e quindi per un carattere ereditario. La credibilità del Progetto Genoma Umano non è l'unica vittima della caparbia resistenza della comunità scientifica ad accettare risultati sperimentali che contraddicono il dogma centrale. E non è nemmeno la vittima più importante. Il fatto che un singolo gene possa generare una molteplicità di proteine distrugge i fondamenti teoretici di un"industria da molti miliardi di dollari, quella dell'ingegneria genetica delle piante alimentari. L"ingegneria genetica presume, senza alcuna prova sperimentale adeguata, che un gene batterico per una proteina insetticida, trasferito, ad esempio, in una pianta di mais, produrrà precisamente quella proteina e null'altro. Ma in quell'ambiente genetico alieno, lo splicing alternativo del gene batterico potrebbe generare molteplici varianti di quella proteina - o persino proteine che hanno una scarsa relazione strutturale con quella originale -con effetti imprevedibili sugli ecosistemi e sulla salute umana. Il ritardo nel detronizzare l'onnipotente gene ha portato negli anni "90 a un"invasione massiccia dell'ingegneria genetica nell'agricoltura americana, sebbene la sua giustificazione scientifica fosse già compromessa da una decina d"anni, o anche di più. Ciononostante, ignorando il fatto profondo che in natura il normale scambio di materiale genetico avviene esclusivamente all'interno di una stessa specie, i dirigenti dell'industria biotech si sono vantati ripetutamente che, in confronto ai processi naturali, il trasferimento di un gene da una specie a un"altra non solo è normale, ma è anche più specifico, preciso e prevedibile. Soltanto nell'ultimo quinquennio queste varietà transgeniche hanno occupato negli Usa oltre il 68% della superficie coltivata a soia, il 26% della superficie coltivata a mais e più del 69% di quella coltivata a cotone.(34) Che l'industria biotech sia guidata dal dogma centrale è stato reso esplicito da Ralph W .F. Hardy, presidente del National Agricultural Biotechnology Council ed ex direttore della Divisione Scienze della Vita alla DuPont, uno dei maggiori produttori di semi geneticamente modificati. Nel 1999, in una testimonianza resa davanti al Senato, Hardy ha così descritto succintamente la teoria che guida quest"industria: "Il DNA (il "top management", i quadri dirigenti) guida la sintesi dell'RNA (il "middle management", i quadri intermedi), che dirige la sintesi delle proteine (i "workers", i lavoratori)."(35) Il risultato finale del trasferire un gene batterico in una pianta di mais è, secondo le attese, altrettanto prevedibile del risultato dell'organizzazione aziendale: quello che i lavoratori fanno sarà esattamente determinato da quello che i dirigenti dicono loro di fare. Questa versione reaganiana del dogma centrale è il fondamento scientifico in base al quale si coltivano ogni anno miliardi di piante transgeniche di soia, mais e cotone, con l'attesa che il particolare gene alieno in ognuna di loro sarà replicato fedelmente in ciascuna dei miliardi di divisioni cellulari che hanno luogo durante lo sviluppo di ogni pianta; e che in ciascuna delle cellule risultanti il gene alieno codificherà solamente una proteina che ha esattamente la sequenza amminoacidica codificata dal gene nell'organismo originale; e che nel corso di tutta questa saga

biologica, il patrimonio genetico naturale della pianta continuerà a essere replicato correttamente, nonostante la presenza del gene alieno, senza che si verifichino cambiamenti anormali della sua composizione. In una pianta normale, non geneticamente modificata, l'affidabilità di questo naturale processo genetico è il risultato della compatibilità tra il suo sistema di geni e il suo ugualmente necessario sistema di proteine. La relazione armoniosa tra i due sistemi si sviluppa nel corso della loro coabitazione entro la stessa specie per periodi evolutivi molto lunghi, durante i quali la selezione naturale elimina le varianti incompatibili. In altri termini, all'interno di una specie, l'affidabilità dell'esito di questi complessi processi molecolari, da cui traggono origine i caratteri ereditari, è garantita dai test avvenuti in natura per molte migliaia di anni. Ma in una pianta transgenica, il gene batterico alieno trapiantato deve interagire correttamente con il sistema delle proteine già presenti nella pianta. È noto che le piante evolutivamente superiori, come il mais, la soia e il cotone, possiedono proteine che riparano gli errori nel DNA,(36) che effettuano lo splicing alternativo dell'RNA messaggero e quindi producono una molteplicità di proteine diverse da un solo gene,(37) e proteine chaperon che ripiegano in modo corretto altre proteine nascenti.(38) Ma la storia evolutiva dei sistemi della pianta è molto diversa da quella del gene batterico. Di conseguenza, nella pianta transgenica l'interdipendenza armoniosa tra il gene alieno e i sistemi di proteine del nuovo ospite probabilmente risulterà alterata, in modo impreciso e intrinsecamente imprevedibile. In pratica, queste alterazioni sono rivelate dai numerosi fallimenti sperimentali durante le procedure che portano alla creazione di un organismo transgenico, e dagli inattesi cambiamenti genetici che si verificano anche dopo che il gene è stato trasferito con successo.(39) Estremamente allarmanti sono le recenti evidenze che in una pianta GM molto diffusa - la soia che contiene un gene alieno per la resistenza a un diserbante - il genoma della pianta transgenica si è alterato in modo del tutto incontrollato. La Monsanto ha ammesso nel 2000 che la sua soia contiene dei frammenti addizionali del gene trasferito, ciononostante ha concluso che "non ci si aspetta, e non è stata osservata, la produzione di nessuna nuova proteina".(40) Un anno più tardi un team di ricercatori belgi ha scoperto che un segmento del DNA originale della pianta si è modificato. E questo segmento di DNA anormale è abbastanza lungo da poter produrre una nuova proteina, potenzialmente dannosa.(41) Una possibile spiegazione di come abbia potuto formarsi questo misterioso DNA, è stata suggerita da un recente studio che ha dimostrato come, in alcune piante che portano un gene batterico, gli enzimi della pianta che correggono gli errori nella replicazione del DNA riarrangiano la sequenza nucleotidica del gene alieno.(42) Le conseguenze di tali cambiamenti non possono essere previste in anticipo. La probabilità che in piante geneticamente modificate il trasferimento genico produca effetti dannosi, anche molto rari, è grandemente accresciuta dal fatto che ogni anno negli Stati Uniti vengono immessi in campo miliardi di individui transgenici. Il grado con cui tali alterazioni si verificano nelle piante geneticamente modificate attualmente non è noto, perché l'industria biotecnologica non è costretta a fornire alle agenzie di controllo neppure le informazioni più fondamentali sull'effettiva composizione della pianta transgenica. Per esempio, non è richiesto nessun test per dimostrare che la pianta produce davvero una proteina con la stessa sequenza amminoacidica della proteina batterica originale. Eppure questa informazione è l'unica in grado di confermare se il gene trasferito produce davvero il prodotto teoricamente previsto. Inoltre, non è richiesto alcuno studio basato su un"analisi dettagliata della struttura molecolare e dell'attività biochimica del gene alieno e del suo prodotto proteico nella pianta transgenica commerciale. Dato che effetti inattesi possono svilupparsi molto lentamente, queste piante dovrebbero essere esaminate e monitorate per più generazioni successive. Attualmente nessuno di questi test essenziali viene eseguito, e miliardi di piante transgeniche vengono coltivate unicamente in base alla conoscenza più rudimentale dei cambiamenti nella loro composizione. Senza analisi dettagliate e continue delle piante transgeniche, non vi è modo di sapere se possono insorgere conseguenze

rischiose. E dato il fallimento del dogma centrale, non c'è nessuna garanzia che non vi saranno conseguenze del genere. Le piante transgeniche attualmente coltivate rappresentano un massivo esperimento incontrollato, dalle conseguenze intrinsecamente imprevedibili. E i risultati potrebbero essere catastrofici. Il dogma centrale di Crick ha avuto un ruolo potente nel generare sia il Progetto Genoma Umano sia la diffusione incontrollata di piante geneticamente modificate. Nonostante l'accumularsi di evidenze che contraddicono tale teoria dominante, ciò non ha avuto alcun effetto sulla decisione di avviare entrambe queste imprese monumentali. È vero che la maggior parte dei risultati sperimentali generati dalla teoria hanno confermato il concetto che l'informazione genetica, nella forma delle sequenze nucleotidiche del DNA, viene trasmessa dal DNA all'RNA alle proteine. Ma altre osservazioni hanno contraddetto la corrispondenza uno-a-uno tra gene e proteina e hanno abbattuto il predominio esclusivo del gene nella spiegazione molecolare nell'ambito di un normale sviluppo della scienza, questi nuovi fatti avrebbero dovuto trovare posto nella teoria, aumentandone la complessità, ridefinendone il significato o, come in effetti è necessario, mettendone in discussione le premesse fondamentali. Le teorie scientifiche devono essere verificabili, appunto per questo sono teorie scientifiche. Il dogma centrale è rimasto immune a un tale processo. Le evidenze discordanti vengono debitamente riportate e, abbastanza spesso, generano intense ricerche, ma il loro carattere contraddittorio con la teoria dominante non viene quasi mai notato. Continuando ad aderire a una teoria ormai obsoleta, la maggior parte dei biologi molecolari opera in base all'assunzione che il DNA è il segreto della vita, mentre l'osservazione accurata della gerarchia dei processi viventi suggerisce fortemente che le cose stiano in modo esattamente opposto: il DNA non ha creato la vita; la vita ha creato il DNA.(43) Quando la vita apparve per la prima volta sulla Terra, le proteine devono aver preceduto la comparsa del DNA perché, a differenza del DNA, le proteine possiedono la capacità catalitica di generare l'energia chimica necessaria per assemblare le piccole molecole presenti nell'ambiente in molecole più grandi, come il DNA. Il DNA è un meccanismo creato dalla cellula per immagazzinare informazioni prodotte dalla cellula stessa. Le prime forme di vita sopravvissero perché crebbero mettendo insieme una propria, caratteristica, gamma di molecole complesse. Deve essersi trattato di un tipo di crescita piuttosto inefficiente: i prodotti neosintetizzati non dovevano essere una replica esatta di ciò che già esisteva. Ma una volta prodotto dalla cellula primitiva, il DNA poté diventare un luogo stabile in cui immagazzinare informazioni strutturali sulla caotica chimica cellulare, qualcosa di simile agli appunti presi da un segretario durante la chiassosa riunione di una commissione. Non v'è dubbio che la comparsa del DNA rappresentò un passo cruciale nello sviluppo della vita, ma non dobbiamo commettere l'errore di ridurre la vita a un"unica molecola dominante, pur di soddisfare il nostro bisogno emotivo di semplificazioni prive di ambiguità. I dati sperimentali, spogliati delle teorie dogmatiche, indicano che non si può costringere entro i limiti di spiegazioni riduttive la cellula vivente, la cui intrinseca complessità suggerisce che, data la vastità della nostra ignoranza, qualsiasi sistema genetico artificialmente alterato deve prima o poi dare origine a conseguenze non volute, potenzialmente disastrose. Dobbiamo riconoscere quanto poco sappiamo veramente dei segreti della cellula, l'unità fondamentale della vita. IL DNA NON HA CREATO LA VITA; LA VITA HA CREATO IL DNA Perché, allora, il dogma centrale ha continuato a stare in piedi? Questa teoria è stata, in una certa misura, messa al riparo dalle critiche da un apparato più comune alla religione che alla scienza: il dissenso, o soltanto la scoperta di un fatto discordante, è un"offesa da punire, un"eresia che può facilmente portare all'ostracismo professionale. Quest"ottica deviante può in gran parte essere attribuita all'inerzia istituzionale, a una mancanza di rigore, ma vi sono altre, più insidiose, ragioni che possono spiegare perché probabilmente i genetisti molecolari siano soddisfatti dello status quo; il dogma centrale ha fornito loro una spiegazione talmente soddisfacente, seducentemente semplicistica dell'ereditarietà, da far sembrare sacrilego

l'avere dei dubbi. Il dogma centrale era semplicemente troppo bello per non essere vero. Di conseguenza, i finanziamenti per la genetica molecolare sono rapidamente aumentati negli ultimi vent"anni; nuove istituzioni accademiche, molte delle quali non sono che varianti "genomiche" di istituti più secolari, come la sanità pubblica, sono proliferate. Ad Harvard e in altre università il curriculum dei corsi di biologia si è incentrato sul genoma. Ma oltre alla tradizionale economia legata al prestigio scientifico e ai generosi finanziamenti che lo seguono come la notte segue il giorno, il denaro ha distorto il processo scientifico che si è trasformato, da ricerca puramente accademica qual era, in un"impresa commerciale a un grado stupefacente, a opera degli stessi ricercatori. La biologia è divenuta la fascinosa preda del capitale di rischio; ogni nuova scoperta porta a nuovi brevetti, nuove partnership, nuove affiliazioni di corporation. Ma, come dimostra la crescente opposizione alle colture transgeniche, nell'opinione pubblica persiste la preoccupazione non solo riguardo alla sicurezza dei cibi geneticamente modificati, ma anche ai pericoli connessi con il calpestare arbitrariamente quei pattern di trasmissione ereditaria che si sono stratificati nel mondo naturale attraverso la lunga esperienza del processo evolutivo. Troppo spesso queste preoccupazioni sono state derise dagli scienziati che lavorano per l'industria come paure "irrazionali" di un pubblico senza istruzione. L"ironia di ciò sta, chiaramente, nel fatto che l'industria biotecnologica è basata su una scienza vecchia di quarant"anni e che ignora per comodità i risultati più recenti, i quali dimostrano che vi sono forti ragioni per temere le conseguenze potenziali del trasferimento di DNA tra specie diverse. Ciò che il pubblico teme non è la scienza sperimentale, ma la decisione fondamentalmente irrazionale di lasciarla uscire fuori dai laboratori, nel mondo reale, prima di averne ricavato vere conoscenze. Note bibliografiche 1. Dolly. Wilmut I, Schnieke AE, Mc Whir J, Kind AJ, Campbell KH. Viable offspring derived from fetal and adult mammalian cells. Nature. 1997. 385(6619), pgg. 810-3. 2. ANDi. Chan AWS, Chong KY, Martinovich C, Simerly C, and Schatten G. Transgenic Monkeys Produced by Retroviral Gene Transfer into Mature Oocytes. Science. 2001. 291. pgg. 309-312. 3. Maiali che portano il gene per l'ormone della crescita bovino. Pursel VG, Pinkert CA, Miller KF, Bolt DJ, Campbell RG, Palmiter RD, Brinster RL, Hammer RE. Genetic engineering of livestock. Science. 1989. 244(4910), pgg. 1281-8. 4. Piante di soia e di mais geneticamente modificate. Thayer AM. Agbiotech. Chem. Engin. News. 2 ottobre, 2000.5. Malformazioni e mancato sviluppo dei cloni. Jaenisch R. and Wilmut I. Don"t Clone Humans. Science. 2001, pgg. 291/2552. 6. Alterazioni del genoma dell'ospite nelle piante di soia transgeniche. Windels P., Taverniers I., Depicker A., Van Bockstaele E., and De Loose M. Characterisation of the Roundup Ready soybean insert. Eur Food Res. Technol. 2001. 213, pgg.107/112. 7. Il dogma centrale. Crick F.H.C.On Protein Synthesis. In: Sym posium of the society for experimental biology XI, p.153. New York: Academic Press, 1958. È un"accurata descrizione, basata sulle conoscenze del tempo, dei processi molecolari che consentono a uno specifico gene di controllare la sintesi di una specifica proteina. Vi sono riassunte le ipotesi fondamentali di Crick; l'ipotesi della sequenza e il Dogma centrale. 8. Citazione di Watson. Gorner P., and Kotulak R. Life by Design. ChicagoTribune. 8 aprile, 1990. 9. Citazione di Gilbert. Gilbert W.A Vision of the Grail. In: Daniel J Kevles and Leroy Hoof (a cura di). The Code of Codes: Scientific and Social Issues in the Human Genome Project, p.96, Cambridge Harvard University Press. 1992. 10. Citazione di Clinton. Press Conference, White House, Office of Press Secretary, 26 giugno, 2000.11. Citazione di Crick. Crick 1958 (op.cit.), pag.152. 12. Citazione di Crick. Crick 1958 (op.cit.), pag.153. 13. Citazione di Crick. Crick F.H.C. The Central Dogma of Molecular Biology. 1970, Nature 227, pgg 561/563.14. Articolo di Nature sul Progetto Genoma Umano (finanziamenti pubblici). International Human Genome Sequencing Consortium. Initial sequencing and analysis ofthe human genome. Nature. 2001. 409 (6822), pgg. 860-921. 15. Articolo di Science sul Progetto Genoma Umano (finanziamenti privati). Venter JC, Adams MD, Myers EW,

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LE VERE RAGIONI DEI CONFLITTI IN AFRICA Alberto Sciortino L"EREDITÀ COLONIALE: LE FRONTIERE La questione delle frontiere è uno dei problemi che gli stati africani hanno ereditato dall'epoca coloniale. Sappiamo tutti che le frontiere in Africa non tengono in alcun conto le realtà sociali e umane, ambientali e storiche, che vorrebbero di volta in volta racchiudere dentro uno stesso territorio statale o separare in entità statali diverse. E se questa è forse una considerazione che si potrebbe avanzare per il concetto stesso di frontiera in generale (forse che in Europa non vi sono casi irrisolti di comunità smembrate dalla frontiere o di altre costrette a forza a una nazionalità che non sentono propria?), in Africa le cose si pongono in modo ancora più drastico a causa del fatto che, comun que, quelle stesse frontiere non sono affatto il prodotto di dinamiche interne, ma di accordi a tavolino o di scontri tra le potenze coloniali: sono quindi state imposte dall'esterno e non hanno, spesso, alcuna giustificazione storica. La stessa Organizzazione dell'Unità Africana, fondata ad Addis Abeba nel 1963, ha stabilito in una delle sue prime risoluzioni l'unica cosa che poteva stabilire in quel contesto, e cioè l'intangibilità delle frontiere nate dalla decolonizzazione e che ripercorrono le divisioni tra le zone d"influenza coloniali e le divisioni amministrative all'interno di esse. Nella storia attuale africana, la questione delle frontiere si pone come elemento della genesi di conflitti solo se può essere utilizzata a pretesto di altre cause più profonde e concrete. Si pensi alla questione del Sahara ex spagnolo: al fondo di tutto vi è da entrambe le parti la questione di chi gestirà le riserve di fosfati del sottosuolo e le concessioni di pesca oceanica di questo territorio. In Casamance (regione a Sud del Senegal) l'assurda frontiera coloniale è posta in discussione ancora come pretesto dietro cui sta le gestione delle risorse. Lo scontro tra Ciad e Libia per la fascia di Aouzou è apparso tutto politico... affinché non si dovesse scoprire, ad esempio, il petrolio in questa zona, come è successo nella zona di Halaib contesa tra Sudan ed Egitto. Sempre a causa del petrolio Nigeria e Camerun disputano per una zona di frontiera e per sfruttarne le risorse, Eritrea e Yemen si contendono alcune isolette. L"incomprensibile contesa per pochi villaggi tra Etiopia ed Eritrea, credo si possa dimostrare che avesse più motivazioni di politica interna che radici nazionalistiche. L"indipendentismo di alcune isole della Guinea Equatoriale, di Zanzibar o delle Comore sottintende una situazione sociale di vera o presunta discriminazione e sperequazione. Nei grandi conflitti del continente (Liberia/Sierra Leone, zona dei grandi laghi, Angola, Mozambico) la questione delle frontiere non è determinante e ufficialmente non è mai stata posta. L"Africa è, come a volte è stato detto, dal punto di vista delle frontiere, un continente "balcanizzato"? Se la si raffronta con l'Asia indubbiamente sì: in Asia una popolazione di 3 miliardi di abitanti è suddivisa tra 33 stati; in Africa vi sono 52 stati per 700 milioni di abitanti. Ma se il raffronto si fa con l'Europa, dove 800 milioni di abitanti sono suddivisi in "soli" 33 stati, ma di dimensioni medie nettamente minori di quelli africani, allora l'immagine cambia. Alcuni paesi africani, come il Sudan, l'Algeria, la Repubblica Democratica del Congo o il Sudafrica hanno dimensioni inimmaginabili per l'Europa e racchiudono popoli, lingue e storie diversi che in Europa probabilmente avrebbero determinato altrettanti stati. La mia conclusione su questo punto è che, per quanto possa essere a volte utilizzata ad arte, la questione della nazionalità e delle frontiere non è centrale per comprendere le vicende africane. Diciamolo più chiaramente: in Africa, forse più che altrove, qualsiasi frontiera può essere rimessa in discussione (o giustificata) sulla base di argomenti storici, etnici, linguistici, ecc. Che la si giustifichi o contesti dipende da altri argomenti.

LE QUESTIONI ETNICHE E RELIGIOSE Uno degli argomenti che più viene tirato in ballo a proposito dei conflitti africani è quello etnico. Un discorso ricorrente sostiene che in fondo ciò che continua ad accadere in molte parti del continente non è altro che la riproposizione di una storia millenaria di scontri tra popoli ed "etnie". Ma cosa è un"etnia? Una recente enciclopedia dà la seguente definizione sintetica: "raggruppamento umano che si identifica sulla base di caratteristiche geografiche, linguistiche e culturali". Tale semplice definizione, contribuisce a spiegare gli avvenimenti di qualche paese africano? Uno degli esempi di conflitto più volte definito etnico è quello del Ruanda e del Burundi, dove i due principali soggetti del conflitto sono le etnie hutu e tutsi. Anche ammesso che sia così (e quindi dimenticando le tendenze politiche che da entrambe le parti hanno sempre cercato il dialogo, finendo per divenire vittime dell'estremismo della propria stessa "etnia"), cosa vuol dire "tutsi" o "hutu"? In entrambi i paesi la maggioranza della popolazione è classificata come hutu, mentre i tutsi sarebbero una consistente minoranza. Eppure, per venire agli elementi della definizione di etnia, i ruandesi abitano da tempo immemorabile lo stesso territorio (e quindi non li differenziano diverse caratteristiche geografiche), parlano tutti la stessa lingua (il kinyaruanda) e praticano la stessa religione cristiana (con varie confessioni "trasversali"), né si registrano tra l'una e l'altra "etnia" grandi differenze di usi, pratiche e costumi in nessun aspetto rilevante della vita quotidiana. Si usa dire che, anticamente, i tutsi erano soprattutto pastori, mentre gli hutu soprattutto contadini (il mito di Caino e Abele è duro a scomparire come schema interpretativo della storia dei popoli "primitivi") e che quindi sia esistita già nella fase precoloniale una storia di conflitti tra questi due modi alternativi di uso del territorio. La realtà è, molto semplicemente, che prima della dominazione belga, per quanto tutsi e hutu praticassero forme di economia differenti, non esisteva un conflitto tra le due etnie. Fu l'amministrazione coloniale belga ad approfondire e giocare a proprio vantaggio le divisioni tra le due "etnie", affidando ai tutsi minoritari il ruolo dominante e sviluppando il mito del tutsi di origine semitica-nilotica, capace di comportarsi come un civilizzato, in opposizione all'hutu negroide selvaggio, incapace di apprendere. Qualcuno ha parlato di lotta etnica persino per la Somalia, una delle situazioni di più difficile lettura e di ancora più complessa ricomposizione. Qui il conflitto appare una vera e propria guerra tra bande, le divisioni politiche e militari passano attraverso un paese che è composto da una sola etnia (i somali), ha una sola lingua (il somalo) e una sola religione (musulmano-sunnita), oltre ad avere vissuto una storia sostanzialmente unitaria negli ultimi secoli. Con questo non si vuol dire che l'argomento etnico sia sempre e solo di pura derivazione coloniale o comunque di imposizione esterna. Vi sono indubbiamente degli elementi culturali "tradizionali" di rivalità, concorrenza per le risorse, incomprensione tra le varie popolazioni, che possono contribuire a spiegare certi aspetti dei conflitti. Quel che qui si vuol dire è che nei contesti delle guerre africane di questi ultimi decenni, tali elementi sono stati sempre esasperati ad arte per motivi di propaganda politica che avevano in realtà altri fini, a volte con vere e proprie campagne mediatiche. È impossibile dimenticare come il governo ruandese dell'hutu power abbia scientificamente soffiato sul fuoco della rivalità etnica per giustificare la propria occupazione del potere, anche contro gli hutu non allineati sulle sue posizioni (e abbia a tale scopo fatto uso massiccio di radio e giornali, elementi moderni, non certo "ancestrali"). In Angola né il MPLA né l'UNITA hanno origine etnica, eppure quest"ultimo ha utilizzato il risentimento degli ovimbundu dell'interno contro la popolazione meticcia della costa, in nome di una "africanità" reazionaria (paradossalmente sostenuta a lungo dal Sudafrica bianco e razzista), per costruirsi una base di consenso. In Etiopia, dopo la caduta di Menghistu e l'apertura al multipartitismo, questo è stato inteso solo su base etnica. Solo i partiti etnici sono ammessi: il sistema stesso si fa promotore dell'affermazione, sul piano politico, delle differenziazioni etniche e quindi le approfondisce.

In Sierra Leone le milizie si organizzano anche su base etnica (e si contano fino a 13 etnie coinvolte), ma la loro composizione sociale è fatta di disperati di ogni sorta, che cercano così un modo per sopravvivere (o morire con la pancia piena): sono i "signori della guerra" che mettono le popolazioni l'una contro l'altra, esasperando argomenti "culturali" che prima del conflitto avevano scarso peso politico. In Liberia e Costa d"Avorio l'articolazione etnica è alla base dell'estensione dello scontro in atto, nel primo paese quanto nel secondo. Ma gli stereotipi etnici sono rivitalizzati, tra popolazioni che invece da lungo tempo vivevano in pace pur nella diversità. Per fare questo, ognuna delle parti sfrutta e accentua gli aspetti dell'immaginario collettivo (che esistono un po" in tutti i popoli) che tendono a vedere una minaccia in chiunque sia diverso: le popolazioni cominciano ad accusarsi reciprocamente di superstizione, stregoneria e persino di cannibalismo. Più in generale, in Mali, Mauritania, Ciad, Niger e Sudan sembra di assistere allo scontro, più che tra singole popolazioni, tra un nord "bianco" e un sud "nero". In Ciad il potere funziona su basi dichiaratamente etniche, che hanno contribuito a determinare nella storia del paese anche massacri. La sostituzione del presidente Habré con Idriss Déby si è limitata a cambiare l'etnia privilegiata. Ma per questa fascia di paesi, più che l'argomento genericamente "etnico", si tira spesso in ballo l'argomento religioso. Ora, è vero che in Sudan il conflitto oppone un potere centrale, che è tra i campioni della diffusione dell'integralismo islamico nel mondo, a popolazioni che si dicono cristiane o - più spesso - animiste. Ma va detto che lo stesso argomento non è applicabile agli altri paesi saheliani citati, dove pure il conflitto sembra molto simile, per quanto meno cruento (tranne in Ciad) e a volte a parti invertite (il potere è bianco in Sudan e Mauritania, ma nero in Mali e Niger): entrambe le parti in conflitto in questi paesi sono musulmane. Ancora una volta va invece richiamato l'argomento storico. A parte il Sudan, sotto il dominio britannico fino al 1960(1),tutti gli altri paesi della zona erano colonie francesi. In tutti, Sudan compreso, l'economia coloniale si basava sullo sfruttamento delle risorse della parte "nera", soprattutto nelle piantagioni, mentre la parte desertica o semidesertica era poco interessante e quindi ampiamente sottovalutata dal potere coloniale per qualsiasi tipo di intervento, sia di investimento/sfruttamento che di infrastruttura o di tipo sociale. Al momento di concedere l'indipendenza, la Francia e la Gran Bretagna hanno ceduto di punto in bianco le leve del potere alla "maggioranza": gli arabi in Sudan, i mauri in Mauritania, i neri in Niger, Mali e Ciad. Da questo elemento, non quindi dal colore della pelle o dalla religione, deriva lo scontro tuttora in atto in questi paesi. Un paese scosso da contrasti "etnici" e "religiosi" è la Nigeria. Non è certo un paese di facile lettura: un mosaico di oltre 300 etnie con religioni e lingue diverse. Ma è dalla fine della dittatura nel 1999 che gruppi radicali tentano di utilizzare queste diversità per rafforzare la propria posizione. Nelle regioni petrolifere, la popolazione ijaws vede un nemico nella polizia statale, a maggioranza yoruba, ma la questione è il controllo dei redditi petroliferi. Parallelamente una fazione del Congresso del popolo oodua (yoruba) ha cercato di incrementare gli antagonismi etnici, di cui sono stati vittime i commercianti haussa. In questo pericoloso contesto, nel 2000, quaranta anni dopo il tentativo di secessione della regione, è risorto un Movimento per la Realizzazione della Sovranità del Biafra, che ha causato vari scontri. Qui l'argomento religioso è stato risvegliato dalla decisione di alcuni stati del nord (la Nigeria è una Repubblica Federale) di applicare la sharia anche in ambito penale: centinaia di cristiani ibo e yoruba uccisi nel nord sono stati "vendicati" da omicidi di haussa musulmani nel sud. Ma quanto incide in questa decisione di islamizzazione la volontà politica, che nulla ha di religioso, di questi stati di opporsi allo stato centralizzato? E quanto la propaganda politica (con veste religiosa) del movimento islamista internazionale, che nella fascia saheliana interviene con argomenti concreti costituiti dai finanziamenti sauditi o iraniani?

L"argomento religioso, come quello etnico, è indubbiamente comodo per orientare il consenso. In Liberia la guerriglia guidata da Taylor, poi divenuto presidente, ha a lungo giocato la carta dell'accusa al governo di organizzare massacri di musulmani. In Somalia, paese uniformemente musulmano sunnita, la questione religiosa non ha avuto apparentemente alcun peso nel conflitto fino a oggi. Tuttavia la disgregazione sociale, l'assenza di qualsiasi struttura statale, lo scontro tra le diverse bande che controllano porzioni di territorio grazie all'economia militare di saccheggio, aprono spazi inaspettati alla propaganda dell'estremismo religioso, spesso di importazione: un"ulteriore ipoteca sul futuro del paese. Se ne può facilmente concludere che sia l'argomento etnico che quello religioso sono stati volontariamente diffusi e agitati per fini di lotta politica fino a farne componenti ideologiche delle azioni anche militari. D"altra parte, perché non ci si chiede come mai queste tensioni, con questi contenuti, non esistevano prima che esplodesse il conflitto politico tra i paesi dell'area e come mai le intolleranze "etniche", "religiose" e "culturali", ammesso che preesistessero al conflitto, non assumevano precedentemente rilevanza politica? L"argomento religioso, come quello etnico, è indubbiamente comodo per orientare il consenso Oltre l'etnia e la religione, di questo gruppo di motivazioni per il conflitto fa parte ovviamente la lingua (e in Africa di lingue ce ne sono molte). Ma non va mai dimenticato che in quasi tutta l'Africa il sistema di riferimento delle lingue è ben diverso da quello europeo: il bilinguismo, il trilinguismo o persino il quadrilinguismo sono diffusissimi (lingua locale, lingua regionale, ad esempio il kinyaruanda; lingua sovraregionale, ad esempio lo swahili o il lingala; lingua coloniale, ad esempio il francese). Anche in Camerun - dove apparentemente si scontrano "anglofoni" e "francofoni" - dividendo popoli che, se non ci fosse stato l'intervento coloniale, parlerebbero lingue identiche, simili o apparentate. A metà tra questione etnica e questione delle frontiere sta la "questione nazionale". Gli stati africani sono tutti di recente formazione e - come sappiamo - la loro consistenza territoriale è stata per lo più imposta dall'esterno. La formazione di una "coscienza nazionale" (laddove non esiste spesso alcuna identificazione tra il territorio e la comunità) è quindi molto difficile. Eppure anche su così fragili basi può, in date condizioni, porsi una questione nazionale come nel caso della Costa d"Avorio, dove una componente fondamentale del conflitto in corso (quasi interamente interno) è non tanto l'appartenenza culturale, bensì - caso forse unico in Africa - quella "nazionale". Ma chiunque abbia seguito la genesi del conflitto interno avoriano sa bene che tale componente é stata costruita negli anni dalla fazione politica al potere, facendo largo uso della televisione e della stampa. Di recente mi è capitato di sentir argomentare, da oppositori congolesi dell'occupazione ruandese delle province dell'est, che uno dei motivi della loro resistenza era l'importanza dell'integrità nazionale del Congo. Tuttavia, quando ho cercato di capire cosa fosse alla base della "nazionalità" congolese (paese che raccoglie un grande numero di popolazioni, di lingue e culture diverse e su un territorio enorme e scarsamente collegato), confesso di non aver mai avuto risposte per me soddisfacenti. Sarà la mia mentalità troppo da economista, ma la disputa sull'est congolese personalmente mi appare molto più chiara se si guarda alle sue risorse. Credo ce ne sia abbastanza per concludere che quelli che sembrano scoppi di irrazionale rabbia "etnica", religiosa o nazionalista siano spesso massacri preordinati, strumenti politici, mezzi per acquisire o mantenere il potere. Quello che va allora esaminato sono gli elementi attorno a quali si articola la contesa concreta per il potere. IL SISTEMA DELL"ECONOMIA DI SACCHEGGIO Uno di questi elementi - senz"altro non l'unico, ma uno di quelli determinanti - è la questione delle risorse del suolo e del sottosuolo e la lotta per il loro controllo. Lo sfruttamento illegale delle risorse è, a mio avviso, una delle determinanti principali del permanere dello stato di conflitto in buona parte del continente africano. Ma cosa significa illegale? Quali sono le leggi a cui questo sfruttamento contravviene? E questo sistema di sfruttamento è un fatto temporaneo, dovuto appunto all'instabilità e alle guerre, o un fatto strutturale, che determina e perpetua l'instabilità e le guerre?

Vediamo i principali esempi. In Liberia, Sierra Leone e Guinea (nella regione Conakry) la gomma, i diamanti e il ferro sono la causa e, allo stesso tempo, la risorsa che consentono il proseguimento del conflitto: le fazioni politiche in lotta per il potere si sono reciprocamente contese le piantagioni di hevea (gomma) della Firestone, le più grandi del mondo (dove peraltro si praticano ampiamente la schiavitù e il lavoro forzato). Le esportazioni di diamanti della Liberia superano di almeno 15 volte la sua capacità di estrazione: il resto proviene dal coinvolgimento nel conflitto della Sierra Leone, grazie alla guerriglia che la Liberia sostiene. In assenza di una soluzione del conflitto, analoga sorte rischia di toccare alla Guinea Conakry, che possiede altre miniere di diamanti. L"embargo, che l'ONU tenta di imporre ai diamanti che finanziano il RUF della Sierra Leone, è facilmente aggirato da volenterosi intermediari in Togo, Burkina Faso, Liberia. In particolare in Burkina si ha notizia di trafficanti dell'Europa dell'est che portano in cambio le armi derivanti dalla smobilitazione del Patto di Varsavia. Una situazione analoga si può disegnare in riferimento al conflitto nell'est del Congo. Le ripetute denunce delle organizzazioni non governative e delle Nazioni Unite, hanno definitivamente aperto gli occhi alla comunità internazionale sulle vere ragioni dell'occupazione ruandese e ugandese (per il tramite anche di movimenti fantoccio) di una buona metà del territorio congolese. A parte i diamanti, ancora più significativa è per il Congo la questione del coltan, la famosa colombo-tantalite divenuta un minerale essenziale per l'aeronautica e l'informatica, su cui si soffermano a lungo quelle denunce (che peraltro coinvolgono tutto un sistema di imprese non solo ugandesi o ruandesi, ma anche europee e nordamericane). E al coltan si aggiungono ancora l'oro, lo stagno, il caffè, il legname. In Congo, come in Sierra Leone, si è strutturato quindi un sistema di sfruttamento delle risorse di cui la guerra è parte integrante. La stessa partecipazione di alcuni altri paesi al conflitto si spiega nell'ambito dello sfruttamento delle risorse. Se l'Angola aveva sicuramente interesse a chiudere i santuari della "sua" guerriglia (l'UNITA) nello Zaire di Mobutu, e per questo ha appoggiato Kabila, lo Zimbabwe è stato mosso da interessi puramente economici. Lo Zimbabwe è stato poi compensato del suo appoggio a Kabila, tanto durante la presa del potere quanto nella resistenza agli ex alleati dell'est, con concessioni minerarie, con contratti di forniture militari (in realtà triangolazioni di armi cinesi), e con la concessione di mezzo milione di ettari nel Katanga alla Rural Development Authority. E, per converso, allo sblocco della situazione di stallo in cui si trovava il conflitto congolese deve aver contribuito non poco la decisione di Kabila figlio, dopo l'assassinio del padre, di rimettere in discussione le concessioni diamantifere. Durante la lotta per la presa del potere, Kabila padre aveva stipulato contratti con imprese statunitensi, ruandesi e ugandesi che poi non ha rispettato, preferendo le società angolane, dello Zimbabwe e persino coreane. Il nuovo presidente, che non a caso ha visitato subito Washington, Parigi e Bruxelles, ha invece riaperto la questione e predisposto una nuova legislazione per lo sfruttamento minerario. Ma un insegnamento interessante del caso congolese che va sottolineato è il seguente: il fatto che il sistema economico di sfruttamento delle risorse sia garantito da uno stato (sia pure a vantaggio di poche imprese o di paesi stranieri e senza tener conto delle esigenze delle popolazioni che abitano i territori interessati - e anzi sottoponendole a regimi di sregolato sfruttamento - oppure, come nella attuale situazione dell'est congolese) o sia garantito da una occupazione militare, e da una situazione di instabilità permanente non è di per sé indifferente, ma ha conseguenze sul sistema socio-economico nel suo complesso. In Congo-Kinshasa, dopo la caduta di Mobutu e con l'instaurazione della instabilità permanente, lo sfruttamento delle risorse minerarie e delle foreste ha consentito il proseguimento delle guerre grazie all'afflusso di armi (e quindi ha fatto sorgere un nuovo forte interesse economico a quello sfruttamento illegale delle risorse). Ha finanziato lo stato di occupazione da parte di formazioni politico-militari che hanno assunto l'aspetto di milizie predatrici, rendendo difficile la vita delle popolazioni. La scala dell'economia di saccheggio si è estesa così a tutti gli aspetti della vita:

commerci, trasporti, banche, mercato locale, agricoltura, fino alla prostituzione, allo sfruttamento sessuale e militare dei minori, al taglieggiamento di ogni attività. Non c'è bisogno di moltiplicare ulteriormente gli esempi, ma quello dell'Angola, in rapporto a quanto accaduto nel conflitto "parallelo" del Mozambico, è illuminante. Alla fine della guerra fredda, con la liberazione della Namibia e ancora di più con il cambio di regime in Sudafrica, entrambi i conflitti, che dalla guerra fredda prendevano origine, avrebbero potuto concludersi. Ma solo quello mozambicano si trasforma, già agli inizi degli anni "90, in normale dialettica politica. Quello angolano persiste invece come conflitto sotto altre forme: priva degli appoggi degli Stati Uniti, del Sudafrica e dello Zaire di Mobutu, la guerriglia resiste ancora a lungo grazie ai diamanti, con i quali compra armi e consenso nelle zone occupate. La guerriglia diventa, insomma, un"occupazione economica per chi la pratica. E se adesso finalmente, con la morte del signore della guerra e la resa dell'UNITA, il conflitto si avvia a soluzione è anche perché la comunità internazionale ha deciso di far pesare il proprio ruolo in favore del governo del MPLA, che può così recuperare il controllo su quei diamanti e sarà chiamato a darne conto e ragione ai mercati internazionali. In Mozambico i diamanti non ci sono, e questa differenza si vede nel fatto che il paese, pur nella somiglianza delle condizioni politiche di partenza, raggiunge la pace oltre dieci anni prima dell'Angola. Secondo un rapporto del 1995, presentato al governo francese, il fenomeno della criminalizzazione dell'economia è in Africa ampiamente generalizzato. Quasi ovunque gli aiuti umanitari vengono deviati per scopi privati, droghe e diamanti si intrecciano sullo sfondo delle situazioni politiche della Liberia, della Sierra Leone, del Burundi, del Ruanda, del Ciad, dell'Angola: "al punto che - si legge in quel rapporto -molti dei conflitti subsahariani sembrano rispondere meno a delle logiche politiche, etniche o regionali che a una logica economica di predazione". È un intero sistema di produzione e commercio (i marxisti direbbero un "modo di produzione") che si costituisce attorno all'economia di guerra. In Sierra Leone sorgono aeroporti privati per l'esportazione dei diamanti e agenzie commerciali gestite da libanesi e israeliani. In un paese in cui i trasporti interni non esistono in vaste aree e spesso sono scomparse anche le strade, esiste un volo diretto Freetown-Amsterdam: la linea dei diamanti dal produttore al consumatore. I ricavi consentono di pagare armi e mercenari che servono a loro volta a garantire il controllo del territorio: potere, saccheggio delle risorse e armi si sostengono a vicenda. Il traffico delle armi leggere è l'altro elemento dell'economia del saccheggio, speculare a quello delle risorse e strettamente intrecciato con esso. In un sistema mondiale degli armamenti che ha visto diventare obsolete le armi leggere, in Africa il loro mercato tende ad allargarsi. La tipologia specifica del conflitto e il territorio ambientale e sociale in cui si svolge rendono qui "competitive" armi che altrove non hanno più mercato. E come se non bastasse, l'aumento generalizzato dell'insicurezza che questi paesi soffrono, anche all'interno delle città, ha allargato il mercato delle armi da difesa personale per i civili che possono permettersele e per le imprese, fino a creare un fiorente mercato delle agenzie private specializzate nella difesa delle persone e delle proprietà (le ditte sudafricane specializzatesi in anni di difesa dell'apartheid si stanno ampiamente espandendo su tutto il mercato continentale). Infine, ultimo aspetto dalle future conseguenze imprevedibili e inquietanti: non solo la proliferazione e la diffusione di armi leggere favorisce l'aumento della criminalità, spinta anche dall'estrema povertà delle popolazioni delle bidonvilles, ma favorisce anche il sorgere di movimenti "politici" a matrice spesso religiosa fondamentalista (islamista o cristiana poco importa) che teorizzano e praticano il proselitismo armato. In generale, la stessa partecipazione alle bande di guerriglieri, agli eserciti irregolari, alle milizie è, ormai per molti africani, un modo come un altro per sfuggire alla miseria e alla fame, acquisendo una qualche forma di paga e comunque un titolo di partecipazione al saccheggio: "La guerra è un"alternativa all'economia di pace che non dà più di che vivere: il kalashnikov è il miglior mezzo di produzione".(2) Quando, per una qualche ragione, i miliziani sono espulsi dal processo di produzione violento (smobilitazione, sconfitte, sbandamenti a seguito di avvenimenti militari),

spesso portano con sé il proprio strumento di produzione, l'arma, e si trasformano in semplici banditi, senza neanche più la protezione ideale della guerra che stavano combattendo. In certi paesi, "si assiste progressivamente alla nascita di formazioni sociali dove la guerra e l'organizzazione della guerra tendono a divenire delle funzioni regolari".(3) Ciò che va sottolineato è, però, che tale criminalizzazione dell'economia e della politica non coinvolge soltanto i poteri irregolari, ribelli, ma spesso gli stessi governi: il governo dello Zambia sarebbe coinvolto in traffici internazionali di droga, quelli del Madagascar, del Congo (Brazzaville), della Repubblica Centrafricana nel riciclaggio del denaro sporco; il traffico di diamanti nel Congo ex Zaire sarebbe stato praticato anche dall'opposizione politica legale. Nel suo ultimo, recente, rapporto, il gruppo di esperti delle Nazioni Unite sullo sfruttamento illegale delle risorse naturali del Congo scrive che "lo sfruttamento illegale rimane una delle fonti principali di finanziamento per i gruppi interessati a perpetuare il conflitto. Durante l'ultimo anno, questo sfruttamento è stato caratterizzato da intensa competizione tra i vari attori, politici e militari, che hanno teso a mantenere, e in certi casi espandere, il loro controllo sul territorio".(4) È fondato a mio avviso affermare che il sistema risorse/armi/ potere costituisce quindi il "modo di produzione" specifico dell'Africa di oggi (o almeno di buona parte di essa). E a questo proposito va fatta una considerazione generale. Molto spesso si sente dire che l'Africa è un continente escluso dalla globalizzazione, perché i suoi commerci figurano nelle statistiche internazionali con cifre quasi insignificanti. A me questa affermazione sembra di una stupidità oltre ogni limite, se non una vera e propria copertura ideologica di ciò che sta avvenendo. In realtà in questo continente è in atto la definizione di un modo di produzione e circolazione delle risorse (che significa anche avviamento verso l'esterno) che è perfettamente funzionale alla globalizzazione, e che assegna (come tutti i modi di produzione) ruoli precisi ai vari soggetti: stati, eserciti, opposizioni, gruppi ribelli, etnie, individui e imprese. Un modo di produzione dalle conseguenze devastanti sul continente e che, a questo danno, aggiunge la beffa di essere considerato ufficialmente un continente inutile, come se il coltan non servisse all'aeronautica o all'informatica dei paesi ricchi, come se i diamanti non fossero un fiorente mercato in mano anche europea, come se il petrolio o i legnami preziosi fossero elementi insignificanti delle nostre economie e come se le armi non fossero uno dei più fiorenti mercati mondiali contemporanei. Le dinamiche mondiali sui mercati di questi beni e i comportamenti dei soggetti che vi operano a livello globale entrano a pieno titolo nella determinazione dell'andamento dei conflitti, esattamente come i conflitti africani determinano il quadro locale in cui avviene lo sfruttamento e l'avviamento sui mercati mondiali di quelle risorse. Ma si può andare ancora più in profondità nell'analisi dei legami tra gli andamenti dell'economia globale e le cause degli attuali conflitti. Cosa ha determinato il fatto che per l'Africa certe risorse minerarie divenissero centrali nel determinare le dinamiche economiche e politiche? Uno degli aspetti da sottolineare, nell'analizzare il fiorire dell'economia di sfruttamento illegale del continente, è che la crescita di importanza delle risorse minerarie coincide temporalmente con (e deriva logicamente da) la crisi delle tradizionali risorse agricole che avevano garantito una base di consenso alle élite al potere. E tale crisi è a sua volta effetto dello scontro mondiale in atto dagli anni "80 per le "ragioni di scambio", di cui l'arma del debito estero e le strategie della Banca Mondiale sono stati strumenti. Col calare dei prezzi internazionali delle materie agricole, le élite hanno iniziato a scontrarsi per il controllo di risorse minerarie che, in alcuni casi proprio in quegli anni, sono cresciute enormemente d"importanza e di prezzo a causa della rivoluzione informatica e delle trasformazioni tecniche dell'industria bellica. Un solo esempio può dare l'idea delle sfide con cui si sono confrontate le élite africane almeno dalla metà degli anni "90: la Costa d"Avorio esporta essenzialmente caffè, cacao e cotone e non è un paese produttore di petrolio, che invece deve importare. Tra il 1970 e il 2001 i prezzi internazionali di quei tre prodotti sono calati strutturalmente della metà per il cacao, del 75%, per il caffè, del 55% per il cotone, mentre il prezzo di acquisto del petrolio è passato da 4,08 € a 23,90 € al barile. La crisi delle entrate ivoriane, sia nel settore privato che nel bilancio statale, è in queste condizioni

irreversibile. Di questa crisi hanno approfittato le multinazionali per imporre ai governi nuove condizioni più sfavorevoli alla parte pubblica. Ma la conseguenza principale è che in Costa d"Avorio la coperta si è fatta troppo corta e fazioni del potere hanno cominciato a sentirsi escluse dalla redistribuzione, che prima il sistema riusciva a garantire: di qui lo scoppio delle rivolte in seno al potere stesso (ad esempio l'esercito). LA QUESTIONE DEL POTERE Andiamo quindi a un discorso più generale sul potere in Africa, che implica e comprende le risorse, ma non si limita a esso. Una delle conseguenze dell'economia globalizzata dagli anni "90 a oggi è quella sul ruolo dello stato in Africa. Che la globalizzazione abbia cambiato - e in generale indebolito - gli stati nazionali è ormai un discorso ricorrente. Ma in Africa tale discorso assume significati del tutto particolari. Proprio l'esempio della Costa d"Avorio si può facilmente generalizzare a quasi tutti i paesi subsahariani. La crisi del debito estero degli anni "80, il crollo internazionale delle materie agricole e minerarie, che spesso rappresentano la quasi totalità delle esportazioni dei paesi africani, le conseguenti crisi delle entrate statali (in paesi in cui i redditi interni da sottoporre a tassazione sono deboli e quelli delle imprese più importanti, spesso multinazionali, sono sottoposti a tassazioni di favore), le ricette di "risanamento" imposte dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale (tagli alle spese sociali, privatizzazioni delle imprese e delle risorse che spesso significa svendita agli stranieri, taglio dei sussidi alle categorie svantaggiate e dei controlli sui prezzi), hanno ridotto fortemente le capacità di manovra anche degli stati più volenterosi. Come ha dimostrato ampiamente Stiglitz(5), l'unico stato a essere sfuggito, in parte, a questa morsa è proprio quello che NON ha seguito le ricette del FMI, il Botswana. A un certo punto, l'indebolimento del ruolo dello stato ha coinvolto anche gli apparati militari e repressivi che si sono trovati a corto di risorse per fronteggiare una crescente conflittualità interna ed esterna. Lo stato sostiene un"affascinante quanto a mio avviso realistica teoria del diritto -altro non è se non l'ente monopolizzatore della forza. Se così è, in diversi stati africani lo stato non esiste più, proprio perché ha perduto il monopolio dell'uso della forza ed è invece apertamente contrastato nel suo controllo territoriale da milizie e bande (o da eserciti di altri stati) che acquisiscono la gestione della violenza in intere regioni (e ne organizzano l'economia a proprio vantaggio) e nel suo controllo sociale da società private di sicurezza e dal proliferare delle armi nelle mani dei cittadini. Nell'ambito di questa crisi generale dello stato va articolato il discorso sul potere. Così come sottintende un sistema economico ben preciso, che si regge sul triangolo instabilità/risorse/traffico d"armi, nel quale ogni vertice alimenta gli altri due e ne viene sorretto, lo scenario delle guerre africane sottintende un discorso sull'articolazione del potere che deve farci riflettere, in quanto è di estrema modernità e fornisce un esempio che rischia di diffondersi ben oltre i limiti geografici del continente. Formalmente molti paesi africani sono delle democrazie di tipo occidentale. Anche nei paesi che avevano scelto di seguire altri modelli (ad esempio quello socialista abbracciato da molti volontariamente subito dopo l'indipendenza o per "costrizione" nel quadro della guerra fredda), tali altri modelli sono stati ampiamente soppiantati dalla costituzione di democrazie parlamentari, in cui i governi sono in varia misura responsabili verso parlamenti eletti. Anche il ricorso alle dittature militari si è fatto più raro negli ultimi anni. Eppure spesso si tratta solo di apparenza: la sostanza dietro la similitudine delle strutture formali, che si apparentano a quelle europee o americane, è ben diversa. E la principale diversità sta nella possibilità di partecipazione reale a tali istituzioni e nei meccanismi di selezione delle élites politiche. Comunque avvenga l'alternanza di governo (guerre, golpe, cooptazioni, elezioni più o meno democratiche), spesso il gioco politico si svolge tutto all'interno di una élite precostituita, le cui differenziazioni interne non hanno nulla di ideologico, né presuppongono differenti idee su temi come la politica economica, il benessere delle popolazioni, i servizi sanitari o sociali, la

distribuzione delle risorse tra le fasce sociali. Spesso la differenziazione nasce e si manifesta come scontro politico solo e unicamente attorno all'occupazione del potere stesso. La sostituzione di un gruppo con un altro non cambia affatto il quadro in rapporto allo status della popolazione esclusa dal potere, quale che sia il livello formale di funzionamento della democrazia. Quando una parte dell'élite si vede minacciata di esclusione (o intende escludere un"altra parte o comunque ricontrattare i termini della compartecipazione) una delle strategie possibili è quella del ricorso alla forza militare. Certo, al momento della vittoria di un gruppo élitario che ha usato a proprio vantaggio l'argomento etnico o quello religioso, alcuni gruppi di aderenti all'etnia o religione momentaneamente privilegiate vedranno aperte le strade dell'accesso ad alcuni vantaggi del potere (posti di responsabilità, risorse da gestire, afflusso di interventi statati in una data zona, favore nell'accesso agli impieghi...). Ma ciò non significa che l'appartenenza all'etnia o alla religione o la provenienza da una certa zona geografica sia garanzia di perpetua partecipazione al potere o che tutti gli aderenti possano giovarsene. Nel momento in cui il potere élitario vedrà ristretti i margini di redistribuzione, o messa nuovamente a rischio una quota della propria rendita di posizione, reagirà con l'esclusione dal potere, anche di settori o individui appena prima alleati fedeli. Ad esempio, Habyarimana, presidente hutu del Ruanda, è stato ucciso dall'Hutu power nel momento in cui aveva tentato una cauta apertura di riconciliazione nazionale e così facendo metteva a rischio l'ideologia e la pratica di governo che consentivano non agli Hutu (maggioranza della popolazione ruandese), ma a ristretti gruppi di Hutu di sfruttare a proprio vantaggio il potere. Perciò spesso a contestare il potere sono ex detentori dello stesso potere. Per esempio, l'oppositore storico di Mobutu nell'ex Zaire era un suo ex ministro e - la storia si ripete -il capo della fazione detta Rassemblement Congolais pour la Démocratie, che contestava il governo di Kabila (che ha abbattuto Mobutu) faceva parte poco prima dello stesso establishment che sosteneva Kabila stesso. GLI INTERESSI STRATEGICI DELLE GRANDI POTENZE Naturalmente, i discorsi sul sistema economico e sul sistema di potere africano -discorsi quindi interni alle dinamiche del continente - non devono farci dimenticare il ruolo strategico delle potenze straniere tra le ragioni che determinano e orientano i conflitti. Come il mondo intero, anche l'Africa è stata teatro della guerra fredda. Prodotti maggiori di tale confronto in Africa sono stati i conflitti di Angola e Mozambico, ma anche il sostegno occidentale a regimi sanguinari come quelli di Bokassa nella Repubblica Centrafricana, Amin Dada in Uganda o Mobutu nello Zaire e, per converso, quello sovietico al Derg etiope di Menghistu. E come per il mondo intero, il quadro strategico è cambiato con la disgregazione del blocco sovietico. Dopo il 1989, con la fine della guerra fredda, ovviamente gli scenari dei rapporti cambiarono radicalmente, e non solo per motivi ideologici: la Russia post-sovietica spesso non disponeva più delle risorse per mantenere l'apparato militare mondiale precedente (le basi delle isole Dahlak pare siano adesso utilizzate dalla marina degli Usa e di Israele). Anche il contesto geopolitico del Mar Rosso cambia: una delle conseguenze della fine della guerra fredda (ma anche della scoperta congiunta da parte di operatori russi e statunitensi di giacimenti petroliferi), è nel 1990 l'unificazione dei due Yemen, in un nuovo stato alla cui guida prevale il nord filo-occidentale (Sana"a). L"assenza del nemico sovietico consente all'occidente di rivedere una serie di atteggiamenti che la situazione precedente giustificava: ad esempio, l'appoggio ai regimi dittatoriali o al Sudafrica razzista. Per le potenze ancora in gioco (gli Usa, soprattutto, ma anche Francia o Israele) non si tratta più di apporre pedine di qualsiasi genere pur di occupare posizioni che altrimenti sarebbero occupate dalla potenza antagonista, ma di valutare di volta in volta l'interesse concreto in gioco e il livello di rischio connesso alla sua affermazione.

Mentre fino al 1993 il Sudafrica razzista continua a mantenere la sua ingerenza in tutta l'Africa australe per scopi di egemonia regionale, il movimento interno di opposizione armata che esso appoggia in Angola si trasforma sempre più in uno di quei fenomeni di guerriglia endemica alimentata dal traffico illegale di risorse (diamanti) in cambio di armi che caratterizza molti tra i principali conflitti africani. Allo stesso cambiamento di regime in Sudafrica, avviato proprio nel 1993, non è estraneo il mutato contesto mondiale successivo alla "caduta del muro". A fianco del ridimensionamento drastico del ruolo della Russia, il dato essenziale, che emerge esaminando l'azione delle potenze esterne al continente dopo la fine della guerra fredda, è la nuova qualità dei rapporti tra la Francia e gli Stati Uniti. La Francia è l'unica potenza coloniale ad avere mantenuto una presenza (al confronto, il disimpegno militare della Gran Bretagna è impressionante), con oltre 60 accordi di cooperazione militare che coinvolgono 24 paesi del continente. Di questi, 8 sono accordi di difesa, che obbligano la Francia a intervenire se il paese è minacciato: si tratta di quelli con Camerun, Costa d"Avorio, Comore, Gibuti, Gabon, Repubblica Centrafricana, Senegal e Togo. E sta alla Francia decidere quando una minaccia, anche di origine puramente interna, costituisca motivo di intervento. Tra il 1959 e il 1996 la Francia ha fatto uso 28 volte di questo suo potere: 14 volte per difendere i governi in carica da minacce interne (rivolte, colpi di stato), 7 per aggressioni esterne e 7 volte per motivi "umanitari" (ad esempio difendere i cittadini francesi presenti nel paese) o nel quadro di interventi multilaterali. I suoi interventi sono spesso orientati al sostegno di regimi odiosi. E se pensiamo anche che tra gli interventi cosiddetti "umanitari" rientra la "Operation Turquoise" in Ruanda, che dietro il paravento della salvaguardia dei cittadini francesi proteggeva i responsabili del massacro dei tutsi, abbiamo un"idea di come Parigi abbia usato il proprio potere nel continente. Inoltre, lontano dall'impegno ufficiale del governo, mercenari filofrancesi, in qualche modo protetti o tollerati da Parigi, sono stati all'opera in Angola, Guinea, Benin e nelle Comore. Tuttavia anche per la Francia il contesto del dopo "89 è cambiato. Al vertice di La Baule con i paesi dell'Africa francofona del giugno 1990, per la prima volta il governo francese chiarisce che il suo sostegno riguarda gli stati e i sistemi politici, ma non necessariamente i governi anche nelle loro lotte interne. La svolta non è certo immediata. Nel corso degli anni "90 la Francia interviene ancora direttamente (sempre a sostegno dei regimi, di fatto anche se non dichiaratamente) in Costa d"Avorio, Congo-Brazzaville, Zaire, Gibuti, Somalia, Ruanda, Comore e - nell'ambito di forze multilaterali ONU - anche in Guinea Bissau, Repubblica Centrafricana, Kivu (est Congo), Eritrea e Angola. Il suo sostegno politico e la sua presenza militare sono inoltre ancora indispensabili per la stabilità di governi dittatoriali come quelli del Togo e del Gabon o "democratici" come quello del Mali. Tuttavia, si è assistito a un cambio di importanza relativa dell'Africa presso il governo francese, non più disposto a difendere la stabilità dei governi locali (in cambio di un occhio di riguardo per gli interessi francesi) a qualsiasi costo (economico). Dall'altra parte, e a dispetto di tutte le dichiarazioni di disimpegno dettate alle agenzie di stampa dagli ultimi presidenti statunitensi, l'attivismo diplomatico degli Usa si sta invece intensificando. Nel corso degli anni "90 la presenza statunitense in Africa non ha fatto che aumentare ed è significativo che, nel 1998, gli Stati Uniti abbiano deciso di sopprimere le barriere doganali per l'ingresso nel loro paese di 1.800 prodotti dell'Africa subsahariana (in evidente concorrenza con il trattamento di favore che i prodotti di molti paesi africani ricevono in Europa grazie agli accordi di Lomé). Agli Usa sembra stare diventando chiaro che bisogna intervenire, se non per salvaguardare il più a lungo possibile i meccanismi economici illegali, comunque per creare in tempo delle alternative che perpetuino lo sfruttamento. È per questo che alla fine gli stessi Stati Uniti hanno dato il via libera all'eliminazione del movimento angolano dell'UNITA, che per decenni hanno sostenuto: la stabilizzazione del paese può consentire di salvaguardare gli interessi economici anche statunitensi, che una guerriglia centrata sullo sfruttamento diamantifero non garantisce più. In Liberia è possibile dimostrare un ruolo non secondario degli interessi economici e politici degli Stati Uniti nelle sorti del potere e del conflitto in corso,(6) interessi presenti nelle piantagioni di gomma (Firestone) e nelle miniere di ferro; il paese è inoltre base per traffici di droga che gli Stati

Uniti sembrano ignorare (nessun Plan Colombia tenta di sradicarli) ma nei quali la criminalità statunitense sembra ben impiantata.(7) In certe situazioni, il cambiamento delle priorità politiche, successivo alla fine della guerra fredda, ha fatto sì che gli Usa diventassero più pragmatici nell'appoggio a certi regimi. Se fino agli ultimi mesi di vita del suo regime, la Francia ha ritenuto Mobutu un interlocutore imprescindibile, gli Usa hanno invece "tollerato" il tentativo di presa del potere da parte di Kabila e hanno addirittura bloccato un intervento "pacificatore" internazionale che avrebbe frenato Kabila e dichiarato apertamente che la ragione del loro sostegno a Mobutu è finita con la fine della guerra fredda. In questo modo ritenevano di avere rimesso in discussione la spartizione delle risorse minerarie del paese, almeno fino a che Kabila non ha rimescolato le alleanze che lo sostenevano. È così, nel contesto degli interessi strategici (e non in quello dell'economia di saccheggio) che bisogna parlare della questione del petrolio. La differenza tra l'economia dei diamanti o di minerali come il coltan e quella del petrolio è, infatti, prima di tutto una differenza di scala dell'investimento nella produzione. Mentre i primi possono essere ricavati in miniere "artigianali", praticamente prive di infrastrutture e che fanno uso di manodopera spesso in condizione di costrizione schiavistica, per il petrolio, che necessita di infrastrutture di estrazione e trasporto colossali, questo non può essere vero. Il risultato è che, mentre le risorse di quei minerali possono finanziare direttamente le guerriglie che controllano i territori di estrazione, l'azione sul petrolio è riservata necessariamente a grandi compagnie in regime di concessione ottenuto dagli stati e sostenute dagli stati (diplomazia, uffici commerciali, servizi segreti, eserciti) dei paesi di provenienza delle stesse compagnie. L"economia dei diamanti e dei minerali presuppone la disgregazione delle strutture statali. L"economia del petrolio presuppone il controllo di strutture statali che invece devono continuare a funzionare. La diplomazia del petrolio è necessariamente in mano alle grandi potenze. Il petrolio è una delle risorse che contribuiscono a spiegare le crescenti divergenze tra Francia e Stati Uniti negli avvenimenti africani, e non da oggi. È nota ormai l'implicazione della Francia nella tentata secessione del Biafra dalla Nigeria degli anni "60. L"obiettivo francese era, all'epoca, compromettere gli interessi delle britanniche Shell e BP. Oggi il petrolio in Nigeria è ancora la chiave di lettura indispensabile per almeno una parte dei conflitti interni, a cominciare dalla repressione delle popolazioni, come gli Ogoni, che hanno la disgrazia di vivere nelle aree petrolifere o in quelle di transito degli oleodotti. Per gli Stati Uniti, che parlano di disimpegno dall'Africa ma praticano un impegno crescente, il petrolio è una delle poste in gioco centrali: secondo alcuni calcoli, il petrolio africano potrebbe fornire il 20% del totale delle importazioni statunitensi da qui al 2020 e, comunque, costituire un"alternativa strategica rispetto alle turbolenze politiche mediorientali e centrasiatiche. La diplomazia statunitense in Nigeria, Angola (paese in cui il 75% della produzione è controllata dalla statunitense Chevron) e Guinea Equatoriale si fa sempre più presente. Va inoltre ricordato che, ad eccezione della Nigeria, nessuno dei paesi africani produttori di petrolio aderisce all'OPEC e, quindi, le loro quote di produzione possono essere molto utili nell'eterna strategia dei paesi occidentali consumatori per indebolire i produttori organizzati. Il petrolio gioca un ruolo essenziale nel conflitto che oppone - apparentemente per motivi religiosi il governo islamista di Khartum ai movimenti di liberazione cristiano-animisti delle regioni del sud Sudan. "Scoperto dalla compagnia Usa Chevron nel 1980, è stato il petrolio, e non la sharia, la vera causa della guerra scatenata nel maggio 1983. La ribellione del sud inizia nel maggio 1983 e la sharia è stata proclamata soltanto nel settembre di quell'anno. Lungi dall'essere la vera causa della guerra, la legge islamica ne è stata la conseguenza, in quanto il maresciallo-presidente Nemeiry ha tentato di consolidare la sua legittimità islamica".(8) Una partita aperta è lo sfruttamento del petrolio nel sud del Ciad, tra Elf-Aquitaine (Francia), Exxon (Usa) e Shell (GB-NL). L"oleodotto, che conduce le riserve del sud Ciad alla costa camerunese (con conseguenze ambientali e politiche anche sul Camerun), è stato inaugurato nell'ottobre 2003, con fondi della Banca Mondiale.

La geopolitica del petrolio è destinata a mutare sensibilmente il volto futuro dell'Africa. Immensi giacimenti sono stati individuati di recente in Angola, Congo (Brazzaville), Guinea Equatoriale e Nigeria. Per ragioni legate al controllo del petrolio di quest"area, gli Stati Uniti starebbero progettando l'installazione di un loro comando militare nello stato di Sao Tomé e Principe, al centro del golfo di Guinea ed esso stesso produttore di petrolio. Per completare il quadro delle "interferenze" nei conflitti africani, va ricordato, accanto a quello delle grandi potenze esterne al continente, anche il ruolo che giocano le potenze regionali anche, ma non solo, africane. Il Marocco non solo tenta un"egemonia su un"area sahariana che arriva ai confini del Senegal, ma interviene anche in situazioni molto più lontane (ad esempio organizza fino al 1993 la guardia presidenziale della Guinea Equatoriale, a difesa della dittatura locale) e intensifica da anni la sua politica di cooperazione (con doppi fini politici) in Mali e Senegal. La Libia delinea il proprio ruolo secondo le varie fasi in cui il colonnello Gheddafi ha cercato di rendere il proprio paese di volta in volta campione dell'unità africana (è il principale finanziatore dell'OUA e ha lanciato la sua trasformazione in Unione Africana, sancita nel luglio 2002), artefice dell'unità degli arabi (ad esempio con l'UMA), fomentatore dell'estremismo islamico su scala mondiale, forza di intervento diplomatico e militare nelle crisi del continente (ad esempio quella liberiana o quella della Repubblica Democratica del Congo). Nel 2000, per rafforzare il proprio ruolo, la Libia ha annullato gran parte del debito dei paesi subsahariani nei suoi confronti. Nei paesi della fascia saheliana, dove il conflitto prende a volte l'aspetto di scontro di religioni, si osserva un crescente attivismo dell'Arabia Saudita e dell'Iran, soprattutto attraverso la cooperazione culturale: formazione di intellettuali, di predicatori, costruzione di moschee, scuole coraniche, opere di carità e fondazioni. Il Sudafrica, che negli anni dell'apartheid difendeva il proprio regime e il dominio economico dell'Africa centrale e australe con una politica di intervento attivo in molti paesi della regione (sostegno ai regimi come quello di Mobutu in Zaire o alle opposizioni reazionarie come l'UNITA in Angola e la Renamo in Mozambico), negli anni più recenti del regime democratico si è ritagliato un ruolo di mediatore in molti importanti conflitti, a cominciare da quello dei grandi laghi. Dal punto di vista economico, paesi quali lo Swaziland, il Lesotho e il Mozambico sono da tempo assimilabili a province del Sudafrica stesso: sudafricani sono la maggior parte degli investimenti nel turismo, nei minerali, nei trasporti, nell'elettricità, nelle banche, e sudafricana è la maggior quota dell'interscambio commerciale. In tali condizioni è evidente che il paese abbia tutto l'interesse a comportarsi da padrino politico dell'intera Africa australe e centrale. Si può notare inoltre una tendenza delle potenze maggiori, extra africane, a delegare l'intervento diretto nei conflitti alle potenze locali, quando non addirittura a forze private di sicurezza o ai mercenari, purché agiscano nel senso del mantenimento degli interessi maggiori della potenza. UNA CONCLUSIONE Il "Rapporto sulle cause dei conflitti e per la promozione di una pace e di uno sviluppo durevoli in Africa", presentato al Consiglio di Sicurezza dell'ONU nel 1998, stilava la seguente classifica delle determinanti dei conflitti: - il ruolo dei mercanti d"armi - gli interessi stranieri - il ruolo di governi che fomentano conflitti presso i paesi vicini - il monopolio del potere - le questioni di definizioni delle frontiere, specie quando esse separano comunità un tempo unite - le questioni legate alla ricerca di accessi al mare, al petrolio, alle miniere - gli eccessi di bilanci militari - il ruolo degli ex combattenti - sullo sfondo di molti conflitti, la riduzione delle entrate derivante dal calo dei prezzi delle materie prime.

A ognuno, adesso, valutare questa lista alla luce delle cose dette fin qui. Ma è interessante notare che non vi compaiono affatto le questioni etniche, religiose e culturali, né ipotetiche rivalità storiche tra popolazioni. Anche con il supporto di questa constatazione si può trarre una conclusione riassuntiva di quanto qui, sommariamente, argomentato. Le attuali guerre in Africa assumono spesso l'aspetto di crisi interne ai paesi, che ruotano intorno alla questione del potere. Esse sono interpretabili a tre livelli: quello dello scontro per il controllo del potere; quello del controllo dell'economia di sfruttamento delle risorse, spesso di tipo illegale anche se praticato dai governi, e dei traffici d"armi; quello degli interessi strategici delle potenze nel quadro dell'economia globalizzata. L"unico modo per precludersi ogni spiegazione è invece continuare a indulgere nell'immagine di un continente abbandonato a se stesso e in preda a secolari scontri tribali: una spiegazione che fa comodo solo a chi vuole nascondere gli interessi in gioco e allontanare le soluzioni dei conflitti. Note 1. Ufficialmente si trattava di un "condominio" anglo-egiziano, che però data l'egemonia britannica sull'Egitto, di fatto si riduceva a protettorato britannico. 2. S. Smith, in Libération, 29.11.98. 3. A. Mbembe, in Le Monde Diplomatique, 11.99. 4. UN Security Council, Final Report of the Panel of Experts on the Illegal Exploitation of Natural Ressourcs and Other Forms of Wealth of DR Congo, 23 ottobre 2003. 5. Stiglitz J. "La globalizzazione e i suoi oppositori", Torino 2002.6. Gli Stati Uniti sono da sempre il santo protettore del paese, che hanno essi stessi contribuito a creare. La Liberia infatti nasce dopo l'abolizione della schiavitù nel nord degli Usa (1840), dal tentativo filantropico e maldestro di reimpiantare in una parte dell'Africa scelta a caso (e abitata da altri popoli) alcune migliaia di schiavi liberati negli Usa. I pochi che sopravvivono a un clima e un ambiente che non conoscono costituiranno una élite estranea alla cultura locale, che parla solo inglese e tende a riprodurre in Africa lo schema dell'economia schiavista da cui loro stessi sono stati affrancati. 7. La Liberia è inoltre base per la CIA e per i servizi militari statunitensi (le basi tecniche militari della marina statunitense in Liberia sono state usate anche per il sostegno all'UNITA angolana e per il tentato colpo di stato in Ghana nel 1983); d"altra parte la Liberia del dittatore Doé era il primo beneficiario al mondo degli aiuti statunitensi in termini di cifra per abitante, aiuti che tutti sapevano finire in profitto personale dell'entourage del presidente, e uno dei primi beneficiari di aiuti militari: intervenendo a sostegno di Doé, gli Stati Uniti difendevano i propri stessi interessi. 8. G. Prunier, Le Monde Diplomatique, 12/02.

TUTTO QUELLO CHE NON DOVRESTE SAPERE SUL CRISTIANESIMO Laura Malucelli Non capita di elogiare la bellezza, o l'intelligenza o di dichiarare di condividere il pensiero di qualcuno che non si è mai visto né mai conosciuto. Non capita nemmeno di udire un dialogo di questo tipo: "Bellissimo, l'ultimo romanzo di Grisham, l'ho sempre sul comodino" "L"hai letto?" "No no, certo che no, mai". Perché è un dialogo illogico, assurdo. Ma non lo è più se, al posto di uno scrittore contemporaneo, ci sono gli scritti di base di una delle più influenti religioni del mondo. Proprio qui sta la stranezza: pochissimi cattolici hanno letto il Vecchio e il Nuovo Testamento, a differenza, ad esempio, degli ebrei, o dei musulmani, che le loro scritture le conoscono a memoria. L"ignoranza cattolica odierna è una prassi, tanto da non destare più nemmeno stupore. La causa di questa particolarità è storica, anche se poco nota. Fu la Chiesa stessa a volere e ottenere questo risultato: la Chiesa vietò la Bibbia. "Debbono farsi tutti gli sforzi possibili acciocché si permetta il meno possibile la lettura del Vangelo... Basti quel pochissimo che suol leggersi nella messa, né più di quello sia permesso di leggere a chicchessia. Finché gli uomini si contentarono di quel poco, gli interessi della Santità Vostra prosperarono ma quando si volle leggere di più, cominciarono a decadere. Quel libro, insomma, è quello che più di ogni altro ha suscitato contro di noi quei turbini e quelle tempeste per le quali è mancato poco che noi fossimo interamente perduti. Ed invero, se qualcuno lo esamina interamente e diligentemente, e poi confronta le istruzioni della Bibbia con quello che si fa nelle nostre chiese, si avvedrà subito della discordanza e vedrà che la nostra dottrina è molte volte diversa e più spesso ancora ad essa contraria: la qualcosa se si comprendesse dal popolo, non cesserebbe di reclamare contro di noi, fino a tanto che tutto non sia divulgato, ed allora diverremmo oggetto di dispregio e di odio in tutto il mondo. Perciò bisogna sottrarre la Bibbia alla vista del popolo ma con grande cautela per non suscitare tumulti".(1) Questa fu la conferma che tre prelati diedero, nel 1533, a Papa Giulio III che aveva incaricato questi vescovi, i più fidati, di studiare tutti i mezzi per impedire la lettura della Bibbia. Nel 1500, con la Riforma Protestante, Martin Lutero aveva tradotto la Bibbia in tedesco. Questo era il motivo della preoccupazione del Papa. I libri sacri rischiavano di venire letti. Del resto la Bibbia e il Vangelo erano arrivati a quella data senza che il popolo potesse accedervi. Prima del 1000 i libri non erano certo un bene diffuso e, dopo, il latino restava solo la lingua dei dotti e dei giuristi, una lingua sconosciuta alla gente comune. La Bibbia era scritta in latino. Tutti i tentativi di rendere le scritture comprensibili al popolo furono condannati e gli artefici perseguitati. Nel 1199 Papa Innocenzo III (il Papa teocratico promotore delle crociate) si scagliò contro quei laici, uomini e donne, che "... in segrete adunanze, si sono arrogati il diritto di esporre tali scritti e di predicare gli uni agli altri".(2) Poi, nel 1229 il Concilio di Tolosa, lo stesso che istituì l'Inquisizione, proibì ai laici di possedere e leggere la Bibbia. Da allora non ci fu praticamente più processo contro eretici nel quale agli imputati non fosse mossa l'accusa di "traduzione e lettura non autorizzata dei Vangeli". Ma ancora Pio VII, nel 1816, affermerà che "... le associazioni formate nella maggior parte d"Europa, per tradurre in lingua volgare e spandere le leggi di Dio, mi fanno orrore... Bisogna distruggere questa peste con tutti i mezzi possibili...".(3) L"uso delle lingue nazionali nella liturgia, al posto del latino, è stato introdotto solo col Concilio Vaticano II (1962-65). Cosa c'era, dunque, di tanto pericoloso per la Chiesa nelle scritture che ne legittimavano l'esistenza? Tantissime cose. Con il passare del tempo le scritture sono state, praticamente, del tutto stravolte per giustificare azioni o per regolamentare la struttura di un"istituzione che amministrava un potere così vasto.

Ecco un breve elenco di alcune delle cose che il catechismo ha volutamente alterato rispetto alle scritture. - Nella Bibbia il secondo comandamento recita: "Non ti farai idolo o immagine alcuna di ciò che è lassù in cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, nè di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a quelle cose e non le servirai" (Deuteronomio 5,8). Ma il cristianesimo era la religione di un impero in espansione e doveva colonizzare regioni nelle quali vi erano culti idolatri e pagani. Era necessario sostituire le immagini delle divinità locali con quelle importate. Così il catechismo romano soppresse questo secondo comandamento. Poi, perché tornassero a essere 10 - venne modificato anche l'ultimo che in originale era: "Non desiderare la moglie del tuo prossimo. Non desiderare la casa del tuo prossimo, nè il suo campo, nè il suo schiavo, nè la sua schiava, nè il suo bue, né il suo asino, nè alcune delle cose che sono del tuo prossimo" (Deuteronomio 5,21). Venne diviso in due: "Non desiderare la roba d"altri" e "Non desiderare la donna d"altri" e tornò a essere un decalogo. La Bibbia, si deduce chiaramente dal secondo comandamento originale, non metteva in discussione l'esistenza della schiavitù e nemmeno la Chiesa lo fece (vedi box "Colonialismo Missionario" qui sotto). - Ma nella Bibbia non vi è nemmeno traccia del Paradiso e dell'Inferno. Del resto se vi fosse stato l'Inferno, che bisogno avrebbe avuto il Creatore di ideare fantasiose condanne e cervellotiche punizioni? Invece il Dio biblico, oltre a bruciare e ad annegare gli umani direttamente in loco, minaccia il peccatore di ogni sorta di malaugurio, compresa la cornificazione. Nei primi 500 anni di cristianesimo, infatti, i padri della Chiesa (Origene, Didimo, Gregorio di Nissa, Girolamo...) sostenevano che dopo la morte esistesse uno stato di felicità e uno di infelicità (infernus), rifacendosi a una credenza non biblica ma di derivazione greca. Ma questo "inferno" era considerato solo uno stato provvisorio e quindi mutevole. Fu con il Concilio di Costantinopoli (543) che gli strazi dell'Inferno vennero fissati di durata eterna ma ciò fu proclamato dogma solo nel 1123, con il primo Concilio di Laterano. Il motivo era che la Chiesa aveva intuito che l'Inferno poteva diventare un buon affare. I credenti, spaventati dai racconti terroristici del clero, comperavano migliaia di indulgenze, prenotavano messe, devolvevano le proprie ricchezze alla Chiesa. Visto il successo dell'Inferno, nel 1200 fu ideato il Purgatorio. Quest"ultimo rendeva possibile non solo la salvezza del peccatore ancora in vita, affrontando i costi di cui sopra, ma anche la salvezza dei propri cari già defunti, per i quali fare messe e preghiere, ovviamente dietro congruo pagamento. - Il celibato non trova riscontro biblico e nemmeno nei Vangeli. L"apostolo Pietro, quello dal quale deriva tutta l'istituzione ecclesiastica, era sposato, tant"è che Gesù ne guarisce la suocera (Matteo 8,14). E i Vangeli non riportano che Gesù non fosse sposato, anzi, un uomo non sposato per gli ebrei (e Gesù era, ovviamente, ebreo) era una vergogna. Essere un capo famiglia era una condizione essenziale, un "rabbi" non era accettato se celibe e l'Antico Testamento considerava il matrimonio un dovere per ogni ebreo. Il mancato matrimonio e la non procreazione erano considerati alla stregua di un omicidio. Gesù era chiamato "rabbi" e nessun apostolo, per i Vangeli, gli pone mai domande relative a un presunto celibato, condizione sconcertante e che avrebbe portato il Cristo a conseguenze rilevantissime. E sulle scritture si leggono gli apostoli fare domande babbee riguardo a qualunque azione o dichiarazione del loro maestro, anche le più comprensibili, ovvie o trascurabili. Per di più, per quanto riguarda il matrimonio, Gesù non ha mai detto che debba essere monogamico (all'epoca gli ebrei erano poligami). Il celibato, infatti, ha origini molto più recenti rispetto alle scritture. Fu il Concilio di Nicea (325) che prese per primo in considerazione l'idea di interdire il matrimonio al clero. Ma la proposta fu respinta e il Papa che regnava a quel tempo (Silvestro I) ordinò che ogni prete avesse la propria moglie. La questione fu lungamente dibattuta e per tutti i primi secoli del cristianesimo, preti, vescovi e Papa erano tranquillamente sposati. Poi si decise di proibire il matrimonio ai sacerdoti che potevano però dedicarsi al concubinato, o sposarsi prima di prendere i voti e mantenere così la

propria consorte. Per questo il Concilio di Basilea (1431-1435) impose la perdita dello stipendio ai sacerdoti che avessero ufficialmente una concubina. Il Concilio di Trento (1545 - 1563) proibì ai maschi sposati di diventare preti e il celibato venne definitivamente stabilito come regola. Il motivo di tanta avversione per il matrimonio aveva una finalità pratica: impediva che venissero frammentati gli averi della Chiesa passando in eredità ai discendenti del clero, garantendosi, all'opposto, che con la morte dei sacerdoti ogni proprietà sarebbe tornata in seno all'istituzione. Il problema si ripresentava con i figli illeggittimi, che ricevevano doni e terreni sottratti alla Chiesa. A proposito di celibato, verginità e altri dettami così condizionanti, poi, per la nostra moralità, è interessante la questione della deificazione di Maria (vedi il box "La deificazione di Maria" a pag. 309). - Nella Bibbia e nei Vangeli non vi è una sola parola a proposito di nessuno dei 7 sacramenti. Nell'ultima cena, Gesù divise il pane e lo diede ai discepoli dicendo che quello era il suo corpo, poi passò il vino affermando che si trattava del suo sangue. Il sacramento più importante della Chiesa cattolica, la Comunione, si basa su queste poche righe, una frase senza particolare rilievo per gli scrittori del Vangelo che le riservano, in effetti, uno spazio esiguo. Il gesto di Gesù, infatti, non risultò insolito ai loro occhi. Egli stava semplicemente replicando un gesto abituale della tradizione giudaica. Tanto è vero che il Talmud (il "catechismo" degli ebrei) prescrive di frantumare il pane e di dividerlo tra i commensali. Gli apostoli, infatti, quando il maestro offrì il pane e il vino come se fossero il suo corpo e il suo sangue, non presero alla lettera la dichiarazione (come fanno invece i cattolici con l'eucarestia). Si comportavano semplicemente secondo l'uso ebraico di spezzare il pane e dividerlo tra i commensali facendo seguire frasi rituali. Come avrebbero potuto pensare a una sorta di rito antropofago volto a introdurre nel proprio corpo un pezzetto (ma parte per il tutto) di Dio? Non potevano crederlo per vari motivi. Il primo era che Gesù era lì con loro e tutto intero. Il secondo era la regola ebraica che impediva loro di mangiare qualunque cibo contenente sangue, anche se virtuale. L"idea di mangiarsi Dio, perché quest"ultimo dimori nel suo mangiatore, si trova solo nel Vangelo di Giovanni. Egli era un greco cresciuto nel paganesimo e i pagani sì che ingoiavano le divinità! Cerere, divinità rappresentante la fertilità della terra, era simbolizzata dal pane e Bacco, dio della conoscenza, dal vino. Anche gli egizi, nel culto di Iside, ripartivano tra i fedeli torte di grano non lievitate rappresentanti la divinità. Ma i giudei no. Solo un evangelista pagano poteva inventarsi una storia così. Gesù non ha mai confessato nessuno. Non ha mai domandato: «Figliolo, hai peccato?». Infatti la pratica della confessione obbligatoria, almeno una volta l'anno, è stata introdotta da Papa Innocenzo III, durante il IV Concilio Lateranense del 1215. Nei Vangeli non si nominano mai la Cresima e l'Estrema Unzione. Questi sacramenti derivano dal gesto ebraico di "ungere". Lo stesso rito compiuto su Davide quando venne nominato guida del popolo d"Israele. Le parole Cristo e Messia hanno entrambe il significato di "unto". LA DEIFICAZIONE DI MARIA Per i Vangeli, Gesù non era l'unico figlio di Giuseppe e Maria. Nel Vangelo secondo Marco (6,3) si afferma, al contrario, che egli avesse ben quattro fratelli e più di una sorella. Lo stesso dicasi del Vangelo di Matteo (13,55). Marco (3,32) cita fratelli e sorelle in numero imprecisato. Anche Giovanni (7,5) indica la presenza di fratelli. Per Giuseppe Flavio (il più noto storico ebraico dell'epoca) Giacomo, fratello di Gesù, fu condannato a morte nell'anno 62 dal gran sacerdote. Eusebio di Cesarea (265/339 circa), un prelato greco autore di Storia della Chiesa, riferisce di un nipote di Gesù, figlio di suo fratello. Un altro credo fondamentale dell'istituzione ecclesiastica è la verginità di Maria. Ma in tutti i più antichi scritti apocrifi Maria non è considerata Vergine. E anche nelle prime versioni degli evangelisti non vi sono riferimenti a una nascita miracolosa di Gesù.

Il Vangelo di Marco, il più antico tra quelli riconosciuti, ignora il concepimento virginale. Anche Paolo, i cui testi sono i più prossimi alla vita di Gesù, fa discendere il bambino da Davide giungendo sino a Giuseppe (ritenendolo dunque, a tutti gli effetti, il padre). Ma se il padre non era Giuseppe ma Dio, a che pro tutto questo dispiegamento di avi? La realtà della "verginità" di Maria è stata storicamente spiegata: si è trattato di un errore durante la traduzione greca della Bibbia quando si traslò giovane donna (alma)((Pepe Rodrìguez, Verità e Menzogne della Chiesa Cattolica, trad. C. Tognonato, Editori Riuniti, Roma 1998)) in vergine. Ma se i teologi si sono accorti dell'errore perché hanno continuato a insistere sulla verginità mariana? Perché i popoli primitivi adoravano una divinità femminile, la Madre Terra. Con l'andare del tempo essa venne affiancata a una divinità maschile, più potente. Anche presso i giudei e i cristiani primitivi vi erano le tracce della derivazione del culto matriarcale e la Madre Terra (antica dea) era divenuta la Ruah o Spirito Santo. I "Figli di Dio" (così si chiamavano abitualmente gli uomini ebrei devoti), erano figli di umani ma derivavano la loro forza vitale dall'unione creatrice di Dio con Ruah, la Madre. Ecco dunque la logica trinità: Padre, Madre, Figlio. Ogni creatura aveva una Madre e un Padre divini e una madre e un padre umani. I sacerdoti guerrieri patriarcali decisero di abrogare la Ruah, ma il suo culto era troppo radicato. Tutto quello che fu possibile fare fu toglierle il nome. La Ruah, dunque, divenne solo lo Spirito Santo, entità asessuata e incorporea. Quando i cristiani della scuola di Paolo cominciarono a sostenere, quindi, l'unione tra Maria e lo Spirito Santo i giudeo-cristiani restarono sgomenti. Il Vangelo di Filippo, mostra tutto lo sbalordimento dei cristiani dell'epoca: “Taluni hanno detto che Maria ha concepito dallo Spirito Santo. Essi sono in errore. Essi non sanno quello che dicono. Quando mai una donna ha concepito da una donna?"((Vangelo di Filippo, 17, a cura di M. Crateri, I Vangeli Apocrifi, Einaudi, Torino 1969)) Il Vangelo apocrifo di Tommaso cita uno Spirito Santo femminile, che chiama la Innocente Spiritualità. Nel momento della "verginificazione" di Maria si ricorse così a una trinità maschile che è davvero un mistero della fede. Nei primi Vangeli, invece, come già accennato, la nascita non aveva proprio nulla di miracoloso e quindi genealogie e riferimenti a Giuseppe come padre avevano senso. Ma l'idea che Gesù fosse solo un essere umano non era sufficientemente esportabile ovunque. Fu allora che San Paolo fece diventare Gesù un semidio nato in modo straordinario. Venne perciò, successivamente, aggiunta nel primo capitolo di Matteo e di Luca la frase: "Un vento calerà su di te e ti coprirà come un"ombra la potenza dell'Altissimo" (Luca 1,35) che è la copia identica dei comportamenti utilizzati da Zeus per accoppiarsi con le donne terrestri. La mitologia pagana si sposa con la nuova religione così da realizzare il sincretismo. Le cose non erano, però, ancora del tutto sistemate. La Chiesa gradiva molto poco le continue negazioni della purezza di Maria contenute negli altri passi del Vangelo. Così, sul finire del 300 Giovanni Crisostomo fece approvare il dogma della sempiterna verginità di Maria, ante partum, in partu, post partum. Da quel momento si cominciò, così, a sostenere che i fratelli di Gesù erano in realtà cugini. La discussione rimaneva però aperta. Anche a molti padri della Chiesa pareva eccessivo sostenere che i redattori dei Vangeli si fossero dimenticati di dare il giusto credito a un"informazione sbalorditiva come la perpetua verginità di I Maria. Era come smentire gli stessi evangelisti, che continuavano ad attribuire I fratelli a Gesù. Così sulla verginità di Maria si dibatteva pochissimo, inizialmente. Ma si poneva un ulteriore problema. Gesù non poteva essere soltanto il figlio subalterno di Dio. Ciò avrebbe significato che la nuova fede era in realtà il credo nel Dio dei giudei, con l'unica differenza di averlo dotato di prole. Quindi, ovviamente, il libro adottato avrebbe dovuto continuare a essere la Bibbia e i cristiani romani non avrebbero potuto distanziarsi, come volevano, dai giudei. Così, nel Concilio di Nicea del 325, vi fu una disputa animatissima, tanto che alcuni partecipanti vennero uccisi (erano gli ariani, che contestavano questa manipolazione dei Vangeli). Si decise infine che Gesù non era solo il Figlio, ma Dio stesso incarnato. Si legittimò in

questo modo, anche la deificazione di Maria (divenuta così Madre di Dio stesso) la quale era stata creata da Dio che l'aveva poi feconta così Madre di Dio stesso) la quale era stata creata da Dio che l'aveva poi fecondata e ne era divenuto il figlio e al tempo stesso anche il padre fecondatore... La deificazione di Maria ottenne anche lo scopo di assorbire molti culti pagani tradizionali (Idaea, Iside egiziana, Astarte fenicia...) ancora associati alla Magna Mater deorum, la Dea Madre di tutti gli dei, e di convertire i templi di queste dee pagane al culto della Madonna. Vi erano anche altri motivi per negare l'esistenza dei fratelli di Gesù. La causa prima appare ovvia: anche ritenendo che Gesù fosse il maggiore tra tutti i suoi fratelli, dopo la nascita di sei o sette figli Maria, indubbiamente, vergine non poteva più esserlo. Ma se Gesù aveva già avuto la sua nascita mirabolante e poteva così rivaleggiare con le divinità pagane, perché voler insistere sul fatto che Maria rimase vergine anche dopo il parto, in aperta contraddizione con i Vangeli? Semplicemente si voleva evitare che i discendenti dei famigliari di Gesù potessero reclamare di dirigere la Chiesa nascente, in base a legittima successione. Riguardo al Battesimo la questione è più complessa. L"uso delle abluzioni purificatrici era frequente tra gli ebrei e molte di queste venivano compiute dai sacerdoti del Tempio, che ci guadagnavano in doni e offerte. Giovanni Battista rivoluziona questo stato di cose istituendo il Battesimo gratuito e unico nelle acque del fiume Giordano. Ma nei Vangeli non si parla mai del Battesimo come remissione del peccato originale di Adamo ed Eva. E il sacerdozio non l'ha affatto istituito Gesù. Egli non accenna per nulla al clero, mai, e non ha mai detto: «Andate a Messa la domenica». Al contrario, ha proibito palesemente entrambe le cose, clero e luogo di culto. Si legge, infatti, sui Vangeli: "Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. Pregando poi non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate" (Matteo 6,5-8). Il messaggio è chiaro e contrario alle regole successive, imposte dalla Chiesa. Quindi la Chiesa come noi la intendiamo non trova ragione d"essere nelle parole di Gesù né nella Bibbia. La Chiesa come clero e come tempio è un"ideazione successiva di secoli e risale a Costantino. La parola Chiesa, infatti, viene nominata solo due volte da Gesù e in entrambe fa riferimento all'assemblea del popolo ebraico davanti a Dio. Proprio nulla di nuovo. Del resto cos"avrebbero dovuto fare tutti i fedeli in un edificio chiamato chiesa quando la messa non esisteva ancora? La pratica della messa, con il rito della comunione, divenne infatti una dottrina nel 1215, con il già citato IV Concilio Laterano. Oltre a tutto ciò che la Chiesa ha reso dogma senza che ve ne sia traccia sulle scritture, c'è poi tutta una parte dei Vangeli che era preferibile dimenticare. Proprio questo è il problema, non solo occorreva aggiungere ciò che non c'è, non andava bene nemmeno quello che c'è. Ecco solo pochissimi esempi di ciò che di rivoluzionario trova spazio nelle scritture. L"originalità di Gesù, rispetto ai canoni ebraici e a quelli della Chiesa successiva, si trova ben espressa nei Vangeli a proposito delle abitudini e dei detti del Maestro. La finalità, della portata rivoluzionaria della condotta di Gesù, è anche da ricercarsi in diversi fattori: il primo è che la Palestina era una colonia romana e che i colonizzati tendono a cercare alleanze promuovendo la tolleranza, il secondo è che i Vangeli sono stati scelti (quelli giunti sino a noi sono solo alcuni di quanti ne furono scritti) e poi rivisitati con scopi di sincretismo e rispondendo alla necessità dell'epoca di fondersi con i culti pagani e con la vastità di un impero che necessitava di aggregare diversità notevoli. Il risultato è una figura di Gesù fortemente volta a promuovere la coesione e l'indulgenza. Nel Vangelo, dunque, si legge: "In giorno di sabato (il giorno del riposo ebraico, era proibito compiere qualsiasi attività) Gesù passava per i campi di grano, e i discepoli, camminando,

cominciarono a strappar le spighe. I farisei gli dissero: «Vedi, perché essi fanno di sabato quel che non è permesso?». Ma egli rispose loro: «Non avete mai letto che cosa fece Davide quando si trovò nel bisogno ed ebbe fame, lui e i suoi compagni? Come entrò nella casa di Dio, sotto il sommo sacerdote Abiatar e mangiò i pani dell'offerta, che soltanto ai sacerdoti è lecito mangiare e ne diede anche ai suoi compagni?» E diceva loro: «Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato!»"(Marco 3,23). Appare così un Gesù che dimostra che il suo Dio non odia più le persone, che le esigenze dell'uomo possono essere primarie rispetto al sacrificio e al credo. E ancora, è significativo che il primo miracolo che gli evangelisti attribuiscono a Gesù si svolga durante uno sposalizio a Cana: la trasformazione di acqua in vino. Per le scritture, Gesù ritenne di poter utilizzare il suo divino potere per provvedere di vino i convitati. Non può non meravigliare l'idea di un Gesù che possa aver ritenuto così importante la felicità e la gioia di un gruppo di persone riunite e che possa aver amato vedersi circondato da persone gaudenti. Molto spesso, nei Vangeli ufficiali, Gesù appare come un rivoluzionario che propugna il piacere e la tolleranza. Ma il Gesù delle Scritture ufficiali non cessa di dimostrarsi persona libera da pregiudizi, allontanandosi dal Dio iracondo e vendicativo del Vecchio Testamento. "Non giudicate!" dice Gesù ai suoi seguaci ma la Chiesa, in questo caso, ha fatto orecchie da mercante e, glissando amabilmente, si è rifatta al Vecchio Testamento. Così, per esempio, ha giudicato e deplorato l'omosessualità, rifacendosi all'episodio di Sodoma dell'Antico Testamento e disinteressandosi totalmente dei nuovi insegnamenti di tolleranza e liberalità di Gesù. "Non condannate!" chiede questo Gesù. Nessuna istituzione ecclesiastica, con un esercito, un tribunale, leggi e punizioni, poteva tenere in considerazione questa frase delle scritture. Così, cristiani successivi, nel suo nome, hanno potuto fare più vittime delle due guerre mondiali messe assieme. "Perdonate!" diceva negli antichi scritti ufficiali Gesù. Il perdono è un concetto che sfugge a tutt"oggi e certo non era molto diffuso all'epoca del Messia. Era certamente un male che venisse letto, pericoloso che potesse essere confrontato con l'atteggiamento del Vaticano. Poi la similitudine della pagliuzza e della trave. "Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in una buca? Il discepolo non è da più del maestro; ma ognuno ben preparato sarà come il suo maestro". E come la mettiamo con la negazione da parte della Chiesa del libero arbitrio spirituale? "Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello e non t"accorgi della trave che è nel tuo?"(Luca. 6,39-41). Tale libertà da pregiudizi, tale tolleranza e desiderio di autonomia morale, non potevano accordarsi con una religione stratificata e organizzata, nè con la gestione del potere sempre più grande che essa si ritrovava ad accentrare. La tolleranza del Gesù dei Vangeli non si manifestò solo nei confronti delle donne, dei peccatori, dei miserabili. Soprattutto, non si manifestò solo a parole. Essa oltrepassò i confini delle tribù d"Israele, i confini delle prescrizioni bibliche. In questi scritti egli non si limitò a dire non giudicate, non condannate e perdonate. Ne diede anche dimostrazione. Facendolo. A quei tempi la lebbra era considerata un male impuro ed era vietato dalla Bibbia avere contatti con i lebbrosi. E ancor più intoccabile era una donna mestruata, figuriamoci una donna che avesse perennemente le mestruazioni (emorroissa). Si riporta che Gesù toccò i lebbrosi e li guarì, toccò l'emorroissa e la sanò. Non vi erano dunque intoccabili per il Gesù delle scritture. Un altro confine molto preciso era stato fissato dalla Bibbia. Era un confine geografico o, piuttosto, etnico. Il Dio della Bibbia aveva distrutto i nemici d"Israele: ne aveva uccisi i figli, fatte violentare le donne vergini, massacrare le altre. "Quando il Signore tuo Dio ti avrà introdotto nel paese che vai a prendere in possesso e ne avrà scacciate davanti a te molte nazioni [...], quando il Signore tuo Dio le avrà messe in tuo potere e tu

le avrai sconfitte, le voterai allo sterminio; non farai con esse alleanza né farai loro grazia". (Deuteronomio, 7). "Quando il Signore tuo Dio l'avrà data nelle tue mani, ne colpirai a fil di spada tutti i maschi, ma le donne, i bambini, il bestiame e quanto sarà nella città, tutto il suo bottino, li prenderai come tua preda[...] Così farai per tutte le città molto lontane da te e che non sono città di queste nazioni... Soltanto nelle città di questi popoli (gli Hittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei e i Gebusei) che il Signore tuo Dio ti dà in eredità non lascerai in vita alcun essere che respiri; ma li voterai allo sterminio..." (Deuteronomio, 20) Il Dio biblico non era il Padre di tutte le genti. Era il Dio degli ebrei. Tutti gli altri potevano anche morire. Gesù dichiara a più riprese di non desiderare di apportare modifiche alla Legge e ripete di essere giunto per unire e aiutare i giudei. Egli non si rende promotore di una religione universale, mai. Veramente egli non si dichiara nemmeno promotore di una qualche religione, anzi si professa ebreo devoto dicendo che le Leggi da seguire gli ebrei le hanno già e che occorre solamente rispettare quelle. Quindi Gesù, quando invia i suoi discepoli ad annunciare la pace, si raccomanda: "Non andate fra i pagani e non entrate nella città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d"Israele" (Matteo 10,5). Il suo scopo era infatti unire le dodici tribù d"Israele, da tanto tempo frammentate e divise. Ma i tempi erano cambiati, un popolo dominato necessita di alleanze, la coesione con i popoli vicini era fondamentale, quindi, in aperta contraddizione rispetto ai dettami biblici, Gesù combatte i pregiudizi di ogni sorta, anche razziali. Così il dialogo più lungo nel Vangelo è non soltanto con una donna, ma con una donna samaritana (Giovanni 4,1) e i samaritani erano da secoli nemici dei giudei. Ancora i samaritani vengono dipinti positivamente da Gesù nella famosa Parabola del buon Samaritano (Luca 10,30). Indubbiamente potevano esserci motivi politici a spingere Gesù ad auspicare un"unione tra la Giudea e la Samaria ma il messaggio è comunque dannoso per la Chiesa delle Crociate. Quella Chiesa che poi per secoli ha promosso terrificanti discriminazioni ai danni degli ebrei e ha condannato a morte, in modo del tutto arbitrario, chiunque non aderisse a tutti i dogmi da essa promulgati. L"Inquisizione, per parte sua, ha bruciato nelle piazze migliaia di persone colpevoli di libertà d"opinione. La tolleranza era stata del tutto dimenticata e nessuno doveva più leggere e comprendere. E soprattutto nessuno doveva più leggere e comprendere che nulla di ciò che la Chiesa era o è deriva dalla scritture che dovrebbero esserne le fondamenta, che nel corso degli anni c'è stato un tale scollamento da rendere la religione totalmente avulsa dalle radici dichiarate, che il cristianesimo è una religione costruita nel tempo in base alle semplici esigenze di potere che di mano in mano si ponevano. Del resto già da questi pochi esempi la cosa più evidente è che nelle scritture mancano tutte le basi (sacramenti, chiesa, messa, clero, celibato...) della religione cristiana così come l'abbiamo conosciuta mentre, al contrario, ciò che vi si legge avrebbe avuto il potere di distruggere la Chiesa. Da questo punto di vista avevano chiaramente ragione i tre prelati che relazionarono a Papa Giulio III. Per questo la Chiesa vietò le scritture e, con il tempo, questo divieto è entrato così tanto nella mentalità dei fedeli cristiani che la censura è diventata autocensura, che le scritture non vengono lette e studiate dai credenti, e anche i pochi che le leggono trovano difficilissimo iniziare a porsi delle domande. COLONIALISMO MISSIONARIO Il primo atto consapevole di protocolonialismo europeo dopo le crociate fu avviato dalla Chiesa. Nel 1344 il Papa Clemente VI ordinò all'ammiraglio francese, di origine spagnola, Louis de la Cerda la conquista delle Canarie. Queste ultime erano abitate da una popolazione di origine africana, i guanci. Erano 80.000 persone che vivevano in modo pacifico, non abituati alle armi, non avvezzi ai combattimenti. Poco più di un secolo dopo, nel 1496, un"indigena fece cenno ai

conquistatori di avvicinarsi e le parole che disse loro passarono alla storia: "Non c'è più nessuno da combattere: sono tutti morti". I guanci erano stati completamente sterminati. Verso la fine del 1400 i portoghesi cominciarono a penetrare nelle coste d"Angola e di Guinea. Vi riuscirono grazie a "trattati" con le popolazioni locali, stipulati in modo ingannevole dai missionari. E da allora tutte le penetrazioni successive si svolsero così, con i missionari a fare da apripista alla conquista. Ma presto la Chiesa si accorse che era molto maggiore la ricchezza che, ad esempio, il Portogallo riusciva a trafugare all'Africa rispetto alle briciole che spettavano al Vaticano. Quindi quest"ultimo decise di avviare, sin dai primi del 1500, una propria tratta degli schiavi. Il Papa tentò anche la conquista diretta dell'Africa, con il proprio esercito. Nel 1540 l'Esercito di Dio attaccò il regno etiopico. Ma le spese militari erano alte e la Chiesa decise, piuttosto, di intensificare il traffico di schiavi. Nel 1650 la Compagnia di Gesù possedeva una quantità di schiavi tale da impressionare perfino i portoghesi e una flotta di navi invidiabile.

Note 1. Avvisi sopra i mezzi più opportuni per sostenere la Chiesa romana, Bologna 20 ottobre 1553, Biblioteca Nazionale di Parigi, foglio B, n. 1088, vol. II, pp 641/650. 2. Epistola Cumex iniuncto, del 12 luglio 1199.

LA FRODE DEL FLUORO Robert Sterling Nel gennaio 2000, il deputato all'Assemblea della California Audie Bock presentò all'organo legislativo del Golden State il disegno di legge AB 1729. Apparentemente si trattava di una modesta proposta: si richiedeva che gli acquedotti pubblici in cui viene aggiunto fluoruro all'acqua garantissero di non utilizzare sostanze classificate come pesticidi o rifiuti pericolosi, e che le sostanze in questione fossero approvate come sicure ed efficaci allo scopo previsto dalla Food and Drug Administration(1). Di nuovo, in apparenza, non si poteva che essere d"accordo con tale proposta. Nessuno approva che si scarichino pesticidi o rifiuti tossici nelle acque potabili pubbliche, e sicuramente la FDA potrebbe fissare degli standard per garantire che le sostanze chimiche utilizzate siano non nocive alla salute pubblica. Il che, in fin dei conti, è quanto ci si ripropone con la fluorizzazione dell'acqua, giusto? La proposta di legge incontrò una scarsa opposizione. Ma del resto, forse, fu così proprio perché il disegno di legge non riuscì, per primo, a guadagnarsi grande sostegno e interesse. Bock, un"indipendente proveniente dalle liste dei Verdi, non era riuscita a trovare alleati in nessuno dei due partiti controllati dalle multinazionali. Ciononostante, un gruppo di notevole influenza politica trovò il tempo di opporsi alla proposta di legge: la League of California Cities (Lega delle città californiane, NdT), un"associazione di funzionari municipali fondata nel 1898. Questi dichiararono la propria opposizione all'AB 1729 senza mezzi termini: "Dal momento che non esistono prodotti o tecnologie in grado di soddisfare i requisiti posti dal disegno di legge, alle città che attualmente aggiungono fluoruro all'acqua verrebbe richiesto di smettere e quelle che progettano la fluorizzazione in futuro non sarebbero in grado di farla. È chiaro che l'AB 1729 è un subdolo tentativo di proibire la fluorizzazione dell'acqua potabile". Occorre riconoscere, a onore della Lega, che la loro argomentazione contro il disegno di legge era ineccepibile: attualmente, non esiste nulla sul mercato che soddisfi i requisiti posti dalla Bock. E mentre si possono solo avanzare supposizioni sulle motivazioni del deputato, è piuttosto improbabile che la Bock abbia avanzato la proposta di legge senza comprenderne tutte le ampie implicazioni (per la cronaca, la Bock aveva accompagnato la presentazione del disegno di legge con queste parole: "Dobbiamo ovviamente garantire l'igiene dentale dei bambini californiani, ma dobbiamo anche garantire che le sostanze chimiche utilizzate a tale scopo non rappresentino a loro volta un grave rischio per la salute"). Dal canto suo, l'opposizione aveva sottaciuto le diverse implicazioni dei fatti su cui essa stessa si era trovata d"accordo: la Lega dichiarò che la proposta di legge "avrebbe imposto agli acquedotti pubblici che aggiungono fluoruro di soddisfare diversi criteri tecnici e operativi", senza però elencare i requisiti specifici in questione, per evitare di toccare un tasto dolente. Jeff Green, direttore dell'associazione California Citizens for Safe Drinking Water (Cittadini della California per l'Acqua potabile sicura, NdT), pronunciò le seguenti parole riguardo alla proposta di legge: "I pochi argomenti avanzati dall'opposizione si contraddicono tra loro: non è necessario effettuare test, perché i test sono già stati effettuati. Se si rendono obbligatori i test si blocca la fluorizzazione, perché nessuno dei fluoruri supererebbe tutte le prove... Stando a una voce di corridoio a Capitol Hill, la proposta di legge sarebbe buona ma sono in molti a volerla eliminare". E infatti ci sono riusciti. Il disegno di legge fu bocciato prima che si potesse procedere ad analisi congiunte o indagini conoscitive al riguardo. Non è certo una novità, visto che da tempo le forze a favore del fluoruro dominano il dibattito sulla fluorizzazione. Persino una delle più grandi commedie della storia del cinema dà loro manforte: nella mente di molti, infatti, gli attivisti antifluoruro sono associati ai vaneggiamenti paranoici del generale Jack D. Ripper, il personaggio

deI "Dottor Stranamore" interpretato da Sterling Hayden. Eppure, per quanto comica possa essere l'immagine che le varie John Birch Society(2) danno del fenomeno della fluorizzazione -un complotto di comunisti decisi a impadronirsi del mondo, che usano il fluoruro per prosciugare gli amanti della libertà dei loro preziosi liquidi corporei l'immagine fornita dalle forze a favore del fluoruro è altrettanto assurda. Se dobbiamo credere alla versione ufficiale, 60 anni fa (in un paese in cui ancora non esisteva un sistema sanitario nazionale) i funzionari della sanità presero talmente a cuore il problema della prevenzione della carie nei bambini che la lotta senza quartiere a tale nemico divenne la missione della loro vita. La vera storia della fluorizzazione dell'acqua ha inizio negli anni "30. All'epoca, il maggiore produttore di fluoruro in America era l'Aluminum Company of America (Alcoa); non certo per sua volontà, ma solo perché il fluoruro è il principale prodotto di scarto nella produzione dell'alluminio. L"Alcoa non era certo l'unica impresa, visto che fin dai tempi della rivoluzione industriale il fluoruro era una forma diffusa di residuo di fabbricazione. Già nel 1850 era risaputo che l'inquinamento industriale legato alle emissioni di fluoruro danneggiava i raccolti, il bestiame e le persone, e il fluoruro (come amano sottolineare gli oppositori della fluorizzazione) era meglio noto presso il grande pubblico come veleno per topi. Le preoccupazioni per la salute pubblica aumentarono, soprattutto dopo che i rifiuti tossici si fecero strada fino alla rete idrica. Per uno strano scherzo del destino, nel 1931, fu proprio un dentista, H. Trendley Dean, a individuare i danni arrecati dall'acqua sottoposta a fluorizzazione, mentre lavorava in zone isolate dove l'acqua potabile presentava alte concentrazioni di fluoruro naturale. Ecco la conclusione a cui giunse: in queste città i denti avevano lo smalto macchiato, perdevano colore e si corrodevano (i primi sintomi della fluorosi, cioè l'intossicazione da fluoruro). Fin qui il resoconto parrebbe un atto di accusa contro l'acqua sottoposta a fluorizzazione. Ma a questo punto Dean, con un clamoroso voltafaccia, dichiarò che gli abitanti di queste zone sembravano avere anche meno carie, e quindi consigliava di studiare più a fondo la possibilità che un livello minore di fluoruro nell'acqua (il cosiddetto "ottimale") potesse invece giovare alla salute dentale. Perché mai Dean volle imprimere una tale svolta ottimistica alla sua ricerca? All'epoca lavorava per il Servizio Sanitario Pubblico statunitense, alle dipendenze del Dipartimento del Tesoro. Nel 1931 il Segretario al Tesoro era Andrew Mellon, tra i fondatori e i principali azionisti dell'Alcoa. La ciliegina sulla torta della questione fluorosi dentale arrivò nel 1939, quando il biochimico Gerald J. Cox somministrò fluoruro a dei topi di laboratorio e concluse affrettatamente che il fluoruro diminuiva le carie. Secondo Cox, "l'ipotesi doveva considerarsi dimostrata" e, aggiungendo che "forse bisognava rivedere l'attuale tendenza a rimuovere completamente il fluoruro dall'acqua e dal cibo", sulla scorta dei risultati della sua ricerca, proponeva di aggiungere fluoruro all'acqua, come misura preventiva di sanità pubblica. Per una strana coincidenza, a quel tempo Cox lavorava per il Mellon Institute, il laboratorio di ricerca dell'Alcoa. In altre parole, il primo parere favorevole alla fluorizzazione dell'acqua venne da un imbonitore al servizio dell'industria che produceva grandi quantità di fluoruro come residuo industriale, senza spendere nulla. Non è facile battere la famiglia Mellon e l'Alcoa in fatto di sfruttamento dell'influenza politica, ma nel caso della fluorizzazione dell'acqua qualcuno ci è riuscito. Durante la seconda guerra mondiale, infatti, un"altra organizzazione fu implicata nella promozione della fluorizzazione: il Pentagono. Oltre alla produzione intensificata di alluminio dell'Alcoa per i caccia e i bombardieri, i militari avevano un altro progetto strettamente legato al fluoruro: il Progetto Manhattan. Questo fu tenuto segreto per oltre 50 anni e venne scoperto solo nel 1997 dai reporter Joel Griffiths e Chris Bryson, mentre stavano lavorando a documenti desecretati [i due giornalisti hanno ricevuto il Project Censored Award(3) per il lavoro svolto]. Griffiths e Bryson affermarono: "Stando ai documenti, il fluoruro era la sostanza chimica fondamentale necessaria alla fabbricazione della bomba atomica. Durante tutta la guerra fredda se ne ebbe bisogno in quantità massicce milioni di tonnellate - durante il processo di produzione di uranio e plutonio adatti alle armi nucleari. I documenti rivelano che il fluoruro, una delle sostanze più tossiche che si conoscano,

divenne il principale pericolo chimico del programma atomico statunitense, sia per la salute degli operai sia per quella degli abitanti dei centri vicini". Gran parte della preoccupazione relativa al fluoruro sorse in seguito a un grave incidente verificatosi nell'ambito del Progetto Manhattan nel 1943, quando uno stabilimento della DuPont a Deepwater, nel New Jersey, riversò fluoruro nell'aria e nell'acqua della cittadina: mucche, cavalli e pollame si ammalarono e morirono, interi raccolti furono distrutti, gli operai delle aziende agricole e della DuPont si ammalarono. Si scoprì che il tasso di fluoruro presente nel sangue degli abitanti del posto era abnormemente alto. In seguito a questo incidente venne avviata la prima causa civile contro il programma atomico, e non per radiazioni, ma per intossicazione da fluoruro. Il Pentagono ottenne, chiamando in causa la sicurezza nazionale, che non venisse rivelata la quantità esatta di fluoruro emesso, e, dopo un incessante ostruzionismo, la causa fu infine archiviata, dietro pagamento di una somma irrisoria. Nondimeno il Pentagono, di fronte alla prospettiva di vedersi piovere da ogni parte denunce per intossicazione da fluoruro (che minacciavano di compromettere il progetto delle armi nucleari), fece l'unica cosa logica da fare: insabbiò l'intera faccenda. Molte delle presunte dimostrazioni secondo le quali il fluoruro era innocuo, se somministrato in piccole dosi, provenivano da scienziati cui era stato segretamente ordinato di fornire "prove utili in vertenze" riguardanti esposizione a fluoruro. Forse l'esempio più sinistramente ironico (e importante) di questa manipolazione fu la pubblicazione di uno studio sugli effetti del fluoruro sul Journal of the American Dental Association (Periodico dell'Associazione Dentistica Americana, NdT) dell'agosto del 1948. In questo articolochiave nella storia della fluorizzazione dell'acqua, Peter P. Dale e H. B. McCauley, entrambi coinvolti nel Progetto Manhattan, sostenevano che gli operai di una fabbrica in cui si produceva fluoruro per armi nucleari avessero meno carie del normale. La cosa era effettivamente vera, ma ciò che il resoconto pubblicato omise di dire era che la maggior parte di quegli uomini non aveva più denti, ed ecco spiegata l'assenza di carie... Questo piccolo particolare fu debitamente riportato da Dale e McCauley nella relazione segreta. L"influenza del Pentagono si fece ben presto sentire. Il primo programma di fluorizzazione dell'acqua negli Usa fu inaugurato nel 1945 (prima di Hiroshima e Nagasaki) a Grand Rapids, nel Michigan. Ufficialmente venne presentato come un esperimento per testare la sicurezza e i benefici della fluorizzazione dell'acqua mettendo a confronto la città con la vicina Muskegon (in altre parole, tutti gli abitanti divennero altrettante cavie). L"esperimento, che avrebbe dovuto durare quindici anni, stranamente finì nel 1947, quando la stessa Muskegon diventò una delle prime città fluorizzate, secondo una violazione piuttosto inusuale del protocollo. I più cinici potrebbero pensare che l'esperimento avesse già dato risultati negativi inequivocabili e che la fluorizzazione di Muskegon dovesse servire a insabbiare le prove... A Grand Rapids seguì Newburgh (stato di New York), nel maggio 1945, con un programma strettamente legato al Progetto Manhattan (benché avviato poco dopo Grand Rapids, la pianificazione era iniziata già nel 1943, facendone il modello di tutti i programmi di fluorizzazione, incluso quello di Grand Rapids). Il presidente del comitato che caldeggiò il programma era il dottor Harold C. Hodge. Questi, che all'interno del Progetto Manhattan era il responsabile degli studi sulla tossicità del fluoruro, tenne nascosti i suoi legami con l'esercito, come fecero anche altri tre uomini implicati nel progetto. Nel 1947 Oscar Ewing fu nominato capo della Federal Security Agency (Ente di Sicurezza Federale, NdT), a quel tempo responsabile del Servizio Sanitario Pubblico. Ewing era un avvocato dell'Alcoa che riceveva dalla società un salario annuo di 750.000 dollari, e che quindi era probabilmente al corrente della vertenza della società sul fluoruro. Ewing promosse un programma di fluorizzazione dell'acqua a livello nazionale, avvalendosi dell'aiuto fondamentale di Edward L. Bernays. Quest"ultimo, nipote di Sigmund Freud, era noto come "il padre delle pubbliche relazioni" per i suoi studi pioneristici sulla manipolazione delle masse. Nel 1928 Bernays pubblicò un libro dal titolo "Propaganda", in cui scrisse: "Coloro che manovrano questo meccanismo nascosto della società costituiscono un governo invisibile, il vero potere che guida il nostro paese...".

Con Bernays venne intensificata la propaganda volta a promuovere la fluorizzazione dell'acqua. Per una curiosa coincidenza,all'improvviso, di fronte all'opinione pubblica, la John Birch Society diventò il principale oppositore della fluorizzazione, e con essa altri gruppi di destra che denunciavano il fenomeno come un malvagio complotto comunista (fornendo così l'archetipo per il generale Ripper). La John Birch Society, un gruppo sorto per iniziativa di industriali e ufficiali di destra, nel sostenere la sua idea di cospirazione comunista, scelse stranamente di non dare risalto al fatto che, dietro alla spinta alla fluorizzazione, ci fossero le grandi società affaristiche e il Pentagono (ma per essere giusti nei confronti dei membri di questa associazione, bisogna riconoscere che negli ultimi anni hanno sottolineato questo aspetto). Naturalmente, potrebbe anche esserci una spiegazione non cospiratoria per l'improvvisa opposizione della destra alla fluorizzazione. Ewing, un liberal dichiarato, associava la fluorizzazione alla creazione di un sistema sanitario nazionale, da lui fortemente auspicato. Qualunque fosse il motivo dell'improvvisa opposizione della destra, l'effetto si fa ancora sentire: nonostante gli inquietanti retroscena, la spinta alla fluorizzazione viene ancora considerata, del tutto irrazionalmente, una proposta "liberal'. Come ebbe a dire una volta il filosofo del liberismo Murray Rothbard: "Per me resta un mistero il perché gli ambientalisti di sinistra, che strillano inorriditi per un po" di pesticida Alar sulle mele, che gridano "al cancro" con ancor meno fondamento del bambino che gridava "al lupo", che odiano tutti gli additivi chimici noti all'uomo, si dimostrino così benevoli verso il fluoruro, una sostanza altamente tossica e probabilmente cancerogena. E non solo permettono che le emissioni di fluoruro passino inosservate, ma accettano anche incondizionatamente l'incessante e massiccio scarico di fluoruro nelle riserve idriche nazionali". Pur non essendo d"accordo su tutto quanto affermato da Rothbard, chi scrive ritiene tuttavia ineccepibile il suo argomento principale. A questo punto sembra quasi superfluo ricordare che oltre il 90% della fluorizzazione dell'acqua viene oggi effettuata utilizzando acido idrofluosilicico e fluosilicato di sodio, provenienti prevalentemente dai prodotti di scarto dell'industria di fertilizzanti al fosfato. Come osserva Janet Allen su Whole Life Times: "Di fluoruro concentrato ce n"è solo il 23%, mentre il resto è combinato con altre sostanze in una miscela acida di scarti industriali comprendenti arsenico, cadmio, piombo, mercurio e uranio in quantità variabili, a seconda delle procedure di estrazione di fosfato effettuate nel corso della giornata. C"è poi tutta una varietà di altre sostanze chimiche risultanti dai vari processi di fabbricazione: carburante diesel, cherosene, cloruri, solfuri, polimeri, antischiumogeni e magari anche cromo esavalente (cromo-6)". Quest"ultimo nome forse farà drizzare le antenne agli appassionati di cinema: il cromo-6, infatti, un composto classificato come rifiuto tossico di classe I, era la sostanza chimica che avvelenava la città di Hinkley in California, nella vicenda narrata dal film "Erin Brockovich". Comunque, solo perché l'Alcoa, la DuPont, la famiglia Mellon, il Dipartimento della Difesa, i produttori di fertilizzanti e un esperto di propaganda si sono alleati per promuovere la discarica negli acquedotti pubblici di un rifiuto tossico dell'industria nucleare non significa che si tratti di una cattiva idea. Dopotutto, esistono numerosi studi che ne dimostrano i benefici per il pubblico, no? Il problema riguardo a tali rivendicazioni dovrebbe ormai essere piuttosto evidente: le principali fonti di finanziamento della stragrande maggioranza degli studi erano il Pentagono e l'Atomic Energy Commission (AEC, Commissione per l'Energia Atomica, NdT), entrambi interessati a promuovere la fluorizzazione e a nascondere ogni prova che potesse rivelarsi avversa alla causa. Le implicazioni della vicenda sono più problematiche di quanto non sembri. Secondo Noam Chomsky, negli anni "40 e "50 il 90% di tutte le sovvenzioni federali destinate alla ricerca proveniva da queste due istituzioni, per cui non solo era difficile ottenere un finanziamento per studi riguardanti i pericoli del fluoruro, ma si rischiava anche di finire sulla lista nera delle due maggiori fonti di denaro per la ricerca esistenti.

Ecco un caso che dimostra come tale censura continui ancora oggi: nel 1995 la dottoressa Phyllis Mullenix, ex primario di tossicologia al Forsyth Dental Center di Boston, pubblicò uno studio sui ratti nel quale giungeva alla conclusione che il fluoruro è un potente agente tossico per il sistema nervoso centrale e che, anche se assunto in piccole dosi, può influire negativamente sul funzionamento del cervello umano. Fino a quel momento negli Usa non erano ancora stati pubblicati studi che documentassero gli effetti del fluoruro sul cervello. La dottoressa richiese una borsa di studio per poter proseguire la sua ricerca, ma questa le venne negata dall'Istituto Nazionale della Sanità Usa. Un comitato dell'ente dichiarò senza possibilità di replica che "il fluoruro non ha alcun effetto sul sistema nervoso centrale", sbarrando così per sempre quella via di ricerca scientifica. Tra i documenti segreti esaminati da Griffiths e Bryson figura questo memorandum del 29 aprile 1944, relativo al Progetto Manhattan: "Alcune prove cliniche sembrerebbero indicare che l'esafluoruro di uranio possa avere effetti piuttosto consistenti sul sistema nervoso centrale... Sembra molto probabile che il fattore scatenante sia il componente F [nome in codice del fluoruro] piuttosto che il T [nome in codice dell'uranio]... Dal momento che questi composti sono di fondamentale importanza per il nostro lavoro, sarà necessario conoscere in anticipo quali effetti a livello mentale potrebbero verificarsi dopo l'esposizione a queste sostanze". Quello stesso giorno la ricerca ricevette il via libera. In altre parole, più di 50 anni prima che la dottoressa Mullenix si vedesse negare il permesso di studiare questo argomento, il Pentagono lo aveva fatto studiare in segreto. Quali furono i risultati della ricerca? Nei documenti non se ne è trovata traccia, il che farebbe pensare che siano ancora protetti da segreto di stato. Inutile dire che, probabilmente, non sarebbero rimasti top secret se lo studio fosse giunto alla conclusione che il fluoruro non intacca le funzioni cerebrali. Nei documenti mancava anche la proposta di ricerca allegata al memorandum del 1944, ma negli archivi viene indicato il nome dell'autore: il dottor Harold Hodge, l'ideatore del programma di fluorizzazione di Newburgh. Fatto curioso, anche il dottor Hodge era stato interpellato come consulente nell'ambito della ricerca della dottoressa Mullenix, eppure non nominò mai, neppure una volta, il suo lavoro condotto 50 anni prima sullo stesso argomento (gli studi di Hodge sul fluoruro furono compiuti all'Università di Rochester, dove dosi velenose di plutonio radioattivo vennero iniettate di nascosto in pazienti ricoverati in ospedale, eseguendo così uno degli esperimenti di radiazione umana più sconvolgenti del periodo della guerra fredda finora scoperti). Nonostante gli evidenti ostacoli che la ricerca ha dovuto affrontare, ecco un semplice campione di alcuni dei problemi che negli studi risultano collegati alla fluorizzazione dell'acqua. Fluorosi ossea, osteoporosi e artrite Nel 1944 il Journal of the American Dental Association pubblicò un altro articolo in cui si avvertiva che l'acqua fluorizzata causa osteoporosi, gozzo e malattie della spina dorsale. L"articolo affermava che "i danni potenziali superano di gran lunga i potenziali benefici". Le ossa sono fatte di collagene, e il fluoruro impedisce la formazione degli enzimi necessari alla sua produzione. Al fluoruro si devono anche bassi contenuti di calcio nel sangue, nonché la formazione di calcoli e cristalli nelle giunture e negli organi. Nel 1990, uno studio condotto dal Journal of the American Medical Association su 541.000 casi di osteoporosi individuò un"indubbia correlazione tra le fratture all'anca in donne al di sopra dei 65 anni e i livelli di fluoruro. Uno studio del 1978 dell'Università di Yale scoprì che è sufficiente 1 ppm (parti per milione) di fluoruro (il livello "ottimale" da tempo auspicato dai promotori) per diminuire la resistenza e l'elasticità delle ossa, rendendo più probabili le fratture. Il dottor Paul Connett, autore di "50 Reasons to Oppose Fluoridation" (50motivi per opporsi alla fluorizzazione, NdT), osserva: "La frattura all'anca è un problema molto grave per le persone anziane, perché un quarto delle persone colpite muore entro un anno dall'operazione, mentre il 50% non recupera mai la completa autonomia". Non è un certo qualcosa che si può far finta di non

vedere. Il 24 ottobre 2002 i Centers for Disease Control and Prevention (Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie, NdT) hanno comunicato che 69,9 milioni di americani adulti (uno su tre) soffrono di artirite, un fenomeno che è dilagato negli ultimi 50 anni. La fluorosi ossea ai primi stadi provoca dolore cronico alle giunture e può causare fratture all'anca e tumore osseo. Poiché i sintomi assomigliano all'artrite, le prime due fasi cliniche della fluorosi ossea potrebbero venire erroneamente diagnosticate con facilità. Attualmente negli Stati Uniti l'artrite, le fratture all'anca e il tumore osseo si riscontrano a livelli epidemici. Disfunzioni della tiroide Come osservato da Mary Shomon, autrice di "Living Well With Hypothyroidism" (Vivere bene con l'ipotiroidismo, NdT; HarperCollins, 2000), "il fluoruro è stato usato per decenni come efficace medicinale per la cura dell'ipertiroidismo [produzione eccessiva di ormone da parte della tiroide], spesso somministrato a livelli al di sotto dell'attuale dose "ottimale" di 1 mg al giorno. Questo perché il fluoruro è in grado di simulare l'azione della tireotropina (TSH). Si capisce allora come mai, di oltre 150 sintomi associati all'ipotiroidismo [produzione insufficiente di ormone da parte della tiroide], quasi tutti siano anche sintomi di avvelenamento da fluoruro". Anche le disfunzioni della tiroide negli Usa sono diffuse a livelli epidemici. Danni ai reni La nefropatia poliurica (una malattia dei reni caratterizzata da eccesso di urinazione) è una delle principali manifestazioni di intossicazione da fluoruro al primo stadio. Tre scienziati della Cornell University hanno somministrato a 86 cavie dell'acqua potabile con quantità variabili di fluoruro (0, 1, 5 e 10 ppm) per 520 giorni (la durata media della vita di un ratto). In questi esperimenti con piccole quantità di fluoruro (corrispondenti a quanto normalmente ingerito dagli uomini) sono stati riscontrati cambiamenti nei tubuli simili a quelli generati da dosi più massicce negli esperimenti di breve durata. I reni dei ratti sotto osservazione, che bevevano acqua non sottoposta a fluorizzazione, sono rimasti normali. Danni derivanti da altre sostanze tossiche Vale la pena ripetere l'elenco delle sostanze tossiche contenute nella comune miscela acida "al fluoruro": arsenico, cadmio, piombo, mercurio e uranio. Persino senza cromo6, non si può certo andare fieri di gettare sistematicamente nell'acqua una lista di sostanze chimiche come questa. Il fluoruro agisce in maniera congiunta con altri minerali tossici presenti nell'acqua potabile. Effetti sul cervello A parte i lavori dei dottori Mullenix e Hodge (uno incompiuto e senza sovvenzioni, l'altro coperto da segreto), esistono altre prove che testimoniano i danni al cervello arrecati dal fluoruro. Nel 1992, una squadra di scienziati newyorkesi ha annunciato che studi compiuti sui ratti rivelano una correlazione tra cambiamenti comportamentali e danni alle cellule cerebrali da una parte e la presenza di alluminio e fluoruro nell'acqua dall'altra. Come riportato nel Wall Street Journal, "i ratti cui venivano somministrate le dosi più massicce sviluppavano un"andatura irregolare e a piccoli passi, tipica dei soggetti anziani, in contrasto con i passi lunghi e regolari degli esemplari nel fiore degli anni. Inoltre, i ratti perdevano la loro abituale capacità di distinguere l'odore della banana, il loro cibo preferito, da quello del limone". Naturalmente, gli effetti sul cervello erano stati dimostrati persino prima della fine della seconda guerra mondiale: la prima fluorizzazione di massa dell'acqua venne infatti effettuata nei campi di concentramento nazisti, allo scopo di rendere i prigionieri docili e sottomessi. Oggi il fluoruro è l'ingrediente fondamentale del Prozac (fluoxetina cloridrato), della cosiddetta "droga date-rape" Rohypnol (flunitrazepam), e del gas nervino Sarin (isopropil-metil-fosforil fluoruro). La grande C Nel 1987 il National Cancer Institute (Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro, NdT) fornì prove epidemiologiche dell'esistenza di una relazione tra incidenza del cancro e fluorizzazione dell'acqua. Uno studio condotto nel 1990 dal National Toxicology Program (Programma Nazionale di Tossicologia, NdT) scoprì che ratti maschi trattati col fluoruro sviluppavano un osteosarcoma (una forma rara di tumore osseo). Le isole di Okinawa, nel sud del Giappone (rimaste sotto il

controllo statunitense dal 1945 al 1972), vennero sottoposte a fluorizzazione, e in 20 territori comunali venne studiato il legame tra concentrazione di fluoruro nell'acqua potabile e tasso di mortalità per cancro all'utero: fu individuata una decisa correlazione, anche dopo aver apportato le dovute correzioni per le potenziali variabili di disturbo. Gli andamenti temporali del tasso di mortalità per cancro all'utero appaiono legati a cambiamenti nelle pratiche di fluorizzazione. Già nel 1976 il dottor Dean Burk, responsabile della sezione chimica al National Cancer Institute, dichiarò davanti al Congresso: "In realtà, il fluoruro provoca più morti per cancro di qualsiasi altra sostanza chimica, e le provoca più in fretta". Nel 1977 il dottor Burk e il dottor John Yiamouyiannis, biochimico redattore del Chemical Abstracts Service(4) e direttore scientifico della National Health Federation,(5)portarono a termine un colossale progetto di ricerca che mise a confronto i tassi di mortalità per cancro registrati tra il 1940 e il 1970 in dieci città statunitensi sottoposte a fluorizzazione e quelli riscontrati in dieci città non sottoposte allo stesso processo. Per i primi dieci anni, quando nessuna delle 20 città venne sottoposta a fluorizzazione, il tasso medio di mortalità per cancro era praticamente identico; tuttavia, dopo il 1950, si registrò un notevole incremento delle morti per cancro in tutte le città sottoposte a fluorizzazione, mentre le altre rimasero concentrate attorno a un livello di mortalità molto più basso. William Marcus, consigliere scientifico e tossicologo dell'Environmental Protection Agency (Ente per la Protezione Ambientale, NdT) nel 1990 fornì un quadro sintetico ed efficace della situazione (venne licenziato subito dopo e dovette lottare in tribunale per riottenere il suo posto di lavoro): "Il fluoruro è un agente cancerogeno, qualunque sia lo standard adottato. A mio parere, l'EPA dovrebbe agire immediatamente per proteggere il pubblico, non solo sulla scorta dei dati sul cancro, ma anche in base alle prove fornite da fratture ossee, artriti, mutamenti genetici e altri effetti". Ma insomma, dopo tutto fa bene ai denti, no? Beh, forse. Non dimentichiamo che i primi segni di intossicazione da fluoruro compaiono nell'apparato dentale, tanto che le prime ricerche dentistiche sul fluoruro riguardavano i pericoli che esso rappresentava per i denti, non i suoi benefici. Come osservava Nicholas W. Hether (responsabile di Purezza del prodotto e Scienze regolatorie presso la Gerber Products Company) nel numero di Pediatric Basics dell'inverno 1998: "Nel 1993 il Board on Environmental Studies and Toxicology (Consiglio di Studi Ambientali e Tossicologia, NdT) del National Research Council (NRC; Consiglio Nazionale delle Ricerche, NdT) denunciò che, in assenza di assunzione di fluoruro da altre fonti, la fluorizzazione delle risorse idriche delle reti municipali nelle concentrazioni consigliate può provocare una leggera o leggerissima fluorosi dentale in circa il 10% della popolazione". Ciò detto, ecco di seguito una lista, contenente alcune delle prove stranamente messe a tacere, compilata da Gary Null, esperto di salute e oppositore della fluorizzazione: - - "Nella Columbia Britannica solo l'11% della popolazione beve acqua con fluoruro aggiunto, a differenza del 40-70% delle altre regioni canadesi, eppure la Columbia Britannica ha le percentuali più basse di carie dentale del Canada. Inoltre, all'interno di quello stesso stato, i tassi più bassi di carie si registrano in regioni che non fanno aggiungere fluoruro alle loro reti idriche".(6) - - "Nel 1986-87 venne eseguito il più ampio studio mai eseguito riguardo a fluorizzazione e carie dentali. I soggetti erano 39.000 ragazzi tra i 5 e i 17 anni che vivevano in 84 aree disseminate in tutto il paese. Un terzo dei luoghi in esame era sottoposto a fluorizzazione, un terzo lo era solo parzialmente e un terzo non lo era affatto. I risultati indicano che non vi sono differenze statisticamente significative nell'incidenza della carie dentale tra le città con acqua fluorizzata e quelle con acqua senza fluoruro".(7) - - "Un"indagine dell'Organizzazione Mondiale della Sanità rileva una diminuzione della carie dentale nell'Europa Occidentale, dove solo il 2% si serve della fluorizzazione. Nell'indagine si afferma che i tassi di diminuzione di carie dentale nell'Europa Occidentale sono identici e a volte più alti di quelli negli Usa".(8)

- - "Uno studio condotto all'Università dell'Arizona diede risultati sorprendenti, poiché si scoprì che "più fluoruro beve un bambino, più carie gli compaiono nei denti"".(9) - - "Un controllo legato a uno studio condotto nella città di Kuopio (in Finlandia), ed effettuato sei anni dopo aver cessato la fluorizzazione, non riscontrò aumenti nelle carie dentali. Gli autori concludono che la fluorizzazione era stata inutile fin dall'inizio".(10) - - Uno studio condotto nel 1999 dal Dipartimento sanitario dello Stato di New York, su 3.500 soggetti compresi tra i 7 e i 14 anni, mostra che a Newburgh, New York, dove l'acqua è sottoposta a fluorizzazione, i bambini non hanno meno carie ma hanno molta più fluorosi dentale dei bambini di Kingston (nello stesso stato), dove l'acqua non è mai stata fluorizzata. A partire dal 1945, i bambini delle due città sono stati visitati periodicamente per dimostrare che la fluorizzazione riduce le carie dentali. "Questa nuova ricerca dimostra che l'esperimento è fallito", conclude la relazione".(11) E se ciò non bastasse, un articolo del 2001 apparso sul Journal of the American Dental Association ammette che il fluoruro, ingerito e incorporato nei denti, "non è sufficiente per dare effetti misurabili" nella riduzione della carie: una rivelazione sconcertante, considerando che proviene dalla massima autorità della professione dentistica.(12). Il dottor Hardy Limeback, primario di Odontoiatria preventiva all'Università di Toronto, è stato a lungo sostenitore della fluorizzazione dell'acqua. Nel 1999 ha compiuto una ricerca bibliografica, con la quale giunse alla conclusione che se mai il fluoruro protegge dalla carie, ciò avviene applicandolo sui denti e non ingerendolo (anzi, a quanto pare qualsiasi effetto positivo derivante dall'ingestione di fluoruro sarebbe provocato dai danni che arreca ai sistemi enzimatici, un aspetto che i sostenitori della fluorizzazione preferiscono non pubblicizzare). In un"intervista rilasciata a Gary Null, il dottor Limeback ha dichiarato: "I tassi di carie dentali in Nord America sono così bassi che la fluorizzazione dell'acqua oggigiorno fornisce un beneficio minimo o addirittura nullo. Anzi, gli studi dimostrano che quando si cessa la fluorizzazione dell'acqua e si controllano i tassi di incidenza della carie, questi non si spostano minimamente: le carie non aumentano se si smette di aggiungere fluoruro all'acqua". Naturalmente, se è il trattamento topico a base di fluoruro a dare benefici (e anche questo è altamente discutibile), ci sarebbe una soluzione più semplice, più sicura e forse più efficace per garantire la salute dentale dei bambini, e cioè incoraggiarli a lavarsi i denti con un dentifricio al fluoruro, oltre a organizzare corsi di educazione all'igiene dentale e offrire risciacqui al fluoruro gratuiti nelle scuole pubbliche. E già che ci sono, mentre insegnano loro l'importanza di lavarsi i denti e i benefici dell'applicazione locale del fluoruro, possono anche informare quei monelli che, nonostante il suo gusto dolce, il dentifricio al fluoruro non va ingerito, facendo notare loro l'avvertenza scritta in piccolo sul retro dei tubetti di dentifricio al fluoruro: "Nel caso di ingestione in dose superiore a quella necessaria per la pulizia dei denti, rivolgersi al medico o contattare subito un centro avvelenamenti" (l'etichetta sul dentifricio al fluoruro avverte anche di tenere "fuori dalla portata dei bambini al di sotto dei 6 anni"). Un progetto del genere potrebbe venire realizzato senza spese eccessive e darebbe, a chi è contrario, la possibilità di dissociarsi, che è in fondo l'aspetto più importante dell'intera questione. Dopotutto, indipendentemente dalle conclusioni cui giungono i vari studi, uno studio non è altro che tale, è solo informazione, mentre nel frattempo le persone devono convivere con le conseguenze di ciò che introducono nel loro corpo. E non tutti gli individui reagiscono nello stesso modo allo stesso stimolo. In particolare, nel caso di una sostanza chimica potente come il fluoruro, somministrarla indiscriminatamente a un"intera popolazione nella stessa dose, senza considerare la differenza di reazione, è incoscienza medica bella e buona. La fluorizzazione dell'acqua priva la gente del diritto fondamentale di scegliere cosa introdurre nel proprio corpo. Per coloro che sostengono il diritto all'aborto e la legalizzazione della droga per ragioni morali, l'argomento contro la fluorizzazione dell'acqua è esattamente lo stesso. Non è una questione da poco. Dopotutto il fluoruro, una volta ingerito, è un medicinale a tutti gli effetti e somministrare un medicinale a un gruppo di persone senza il loro consenso è una

violazione dei diritti umani, in base al Codice di Norimberga.(13) La fluorizzazione può quindi essere considerata a ragione un crimine contro l'umanità. Alcuni potrebbero obiettare che si tratti di un"esagerazione, e che ci sono altre sostanze chimiche pericolose introdotte nella rete idrica, in particolare il cloro. Questo è vero, ma c'è una differenza fondamentale: quando si aggiungono cloro e altre sostanze chimiche, lo si fa per disinfettare l'acqua e uccidere pericolosi agenti patogeni come i batteri del colera, del tifo e della dissenteria. Certamente, anche le altre sostanze chimiche comportano dei pericoli ed è giusto che tali pericoli vengano dibattuti, ma almeno si tratta di una motivazione onesta. Nel caso della fluorizzazione dell'acqua, invece, si assiste al fenomeno unico di un composto aggiunto all'acqua non per disinfettarla, ma in un certo senso per "accrescerne le potenzialità". Almeno questa è la motivazione ufficiale riguardo alla fluorizzazione, sebbene le cifre dicano anche qualcos"altro. Come ha osservato Janet Allen su Whole Life Times, l'eliminazione dei rifiuti tossici di classe I costa almeno 36 centesimi al litro, il che genera l'irresistibile impulso a liberarsene di nascosto e illegalmente. Gettare rifiuti tossici nell'acqua può però portare a multe e a sanzioni penali: allora ecco la politica della "fluorizzazione", e come per incanto questo rifiuto si trasforma da costo in una potenziale fonte di profitto, e le imprese, invece di venire punite perché scaricano di nascosto nell'acqua rifiuti in quantità, vengono premiate perché li gettano in dosi ancora più massicce, facendone una questione di politica. Nonostante tutti i miliardi risparmiati e guadagnati dall'esercito e dall'industria in seguito alla fluorizzazione dell'acqua, comunque, il dato più importante viene dai dottori Burk e Yiamouyiannis: "Oggi da 30.000 a 50.000 morti all'anno per cause disparate possono essere attribuiti alla fluorizzazione. Questa cifra totale comprende da 10.000 a 20.000 decessi imputabili ogni anno a cancro causato dal fluoruro". Vi sembra un"esagerazione? Pensate che il fluoruro è più velenoso del piombo, e non velenoso quanto l'arsenico. Nell'aprile 2001 negli Usa si sollevò una giusta indignazione generale contro l'Amministrazione Bush, quando questa decise di non inasprire i valori limite di arsenico nell'acqua: invece di abbassare il limite a 10 parti per miliardo, lo lasciò a 50 ppb. Il limite del piombo è di 15 ppb. Intanto, l'acqua fluorizzata contiene in media oltre 1 parte per milione, non per miliardo, o mille ppb, il che è venti volte il limite massimo stabilito per l'arsenico. Tutto questo rende forse la campagna a favore della fluorizzazione l'imbroglio più stupefacente del ventesimo secolo. Non credo ci sia un esempio migliore di come un prodotto per sua natura pericoloso legato a veleni, inquinamento e armi di distruzione di massa possa venire trasformato agli occhi del pubblico in un modello di misura esemplare per la salute. È il massimo del raggiro in termini di manipolazione di massa, emblema perfetto della mentalità secondo cui "i rifiuti tossici vi fanno bene", promossa dalle pubbliche relazioni dell'industria dei veleni. Lo zio Sigmund ne sarebbe orgoglioso. Note 1. Organo ufficiale statunitense per la valutazione dell'efficacia dei farmaci e la vigilanza. 2. Società ultraconservatrice americana; v. più avanti nel testo. 3. Riconoscimento attribuito dall'omonima associazione che ha sede presso la Somoma State University, in California, e che mira a educare sul ruolo del giornalismo indipendente portando all'attenzione pubblica notizie e casi non trattati dai media. Vedi in italiano "Censura", Nuovi Mondi Media, Ozzano dell'Emilia (BO), 2003. 4. Una delle più importanti banche dati scientifiche che raccoglie moltissimi testi di chimica, biochimica e fisica. 5. Associazione no-profit americana che si occupa di tutela dei consumatori, soprattutto nell'ambito della salute. 6. A.S. Gray, Canadian Dental Association Journal, ottobre 1987, pp. 7683. 7. John Yiamouyiannis, Fluoride, Vol. 23, 1990, pp. 55-67.8. Center for Health Action, 30 marzo 1990). 9. Clinical Pediatrics, novembre 1991.10. L. Seppa, S. Karkkainen e H. Hausen. "Caries Trends 1992-1998 in Two Low-Fluoride Finnish Towns Formerly With and Without

Fluoridation." Caries Res 34.6, novembre-dicembre 2000, pp. 462-468). 11. J.V. Kumar e P.A. Swango. Community Dent Oral Epidemiol 27.3, giugno 1999, pp. 171 -180). 12. vedi “The Science and Practice of Caries Prevention" di J.D.B. Featherstone in Journal of the American Dental Association 131, 2001, pp. 887-899) 13. Codice del 1946 che regolamenta la sperimentazione medica sugli uomini, in cui viene in particolare sancita l'obbligatorietà del consenso informato prima di un qualsiasi trattamento medico. Siti web per ulteriori ricerche The Advisory Committee on Human Radiation Experiments Report, 1995, Earth Island Journal Special Section Fluorides and the Environment, Fluoride Action Network, Gary Null's Natural Living, NoFluoride.com Fonti Allen, Janet, "Water That"s Hard to Swallow: Fluoride in L.A."s Taps", Whole Life Times 2002, . Bernays, Edward L., "Propaganda", New York, Liveright, 1928. Bock, Audie, AB 1729 - “The California Fluoride Product Quality Control Act". È possibile leggerlo su . Borkin, Joseph, “The Crime and Punishment of I.G". Farben, New York, Pocket Books, 1979. Bragg, Paul C., e Patricia, Water: “The Shocking Truth" (nuova edizione), California, Health Science, 1999. Caldwell, Gladys, e Philip E. Zanfagna, MD, "Fluoridation and Truth Decay", California, Top-Ecol Press, 1974. Chase, Marilyn, "Rat Studies Link Brain Cell Damage With Aluminum and Fluoride in Water", Wall Street Journal, 28 ottobre 1992. Chomsky, Noam, et al., "The Cold War and the University: Toward an Intellectual History of the Postwar Years", New York, New Press, 1998. Clark, Dr. Hulda Regehr, “The Cure for All Diseases", California, New Century Press, 1995. Connett, Paul, Ph.D, "50 Reasons to Oppose Fluoridation", Fluoride Action Network, 6 marzo 2001. Paul, Ellen, e Michael Connett, "Fluoridation: Time for a SecondLook?", Rachel Enviroment and Health News 724 (10 maggio 2001). Dale, Peter P., e H.B. McCauley, "Dental Conditions in Workers Chronically Exposed to Dilute and Anhydrous Hydrofluoric Acid", Journal of the American Dental Association 37.2 (agosto 1948). Dean, H. Trendley, MD, "Further Studies on Minimal Threshold of Chronic Endemic Dental Fluorosis", Public Health Reports, vol. 52 (1937). Green, Jeff, "Update On AB1729", sito web della California Citizens for Safe Drinking Water, 23 aprile 2000. Griffiths, Joel, "Fluoride: Commie Plot or Capitalist Ploy", Covert Action Quarterly 42 (autunno 1992).Griffiths, , "Fluoride Industry"s Toxic Coup", Food & Water Journal, estate 1998. Griffiths, Joel, e Chris Bryson, "Fluoride, Teeth and the Atomic Bomb", Waste Not, settembre 1997. Hertsgaard, Mark, e Phillip Frazer, "Fear of Fluoride", Salon, 17 febbraio 1999. Hileman, Bette, "Fluoridation of Water: Questions About Healthn Risks and Benefits Remain After More than 40 Years", Chemical and Engineering News, agosto 1988. Huffington, Arianna, "A Little Arsenic Water With That Tainted Beef?", Salon, 9 aprile 2001. Keeler, Barbara, e William Daily, "The Case Against Fluoride", San ta Monica Mirror, 8-14 novembre 2000.

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Per un mondo libero da OGM A cura di un gruppo di scienziati indipendenti (ISP)

I risultati di una ricerca scientifica indipendente Dozzine di noti scienziati di sette diversi paesi, esperti in discipline diverse, quali agroecologia, agronomia, biomatematica, botanica, chimica clinica, ecologia, istopatologia, ecologia microbica, genetica molecolare, biochimica nutrizionale, fisiologia, tossicologia e virologia, hanno unito le loro forze per costituire un gruppo di ricerca indipendente sugli OGM, presentato ufficialmente nel corso di un incontro pubblico tenutosi a Londra il 10 maggio 2003, incontro a cui hanno partecipato l'allora ministro britannico dell'ambiente Michael Meacher e altre 200 persone. In occasione di questo incontro è stato ufficialmente presentato un rapporto, The Case for a GM-free Sustainable World (Per un mondo sostenibile, libero da OGM), con cui l'ISP chiede di vietare le colture GM e implementare invece ogni forma di agricoltura sostenibile. Questo autorevole rapporto, presentato come "il più forte e il più completo dossier di prove sperimentali" mai compilato sui rischi e i problemi connessi con le colture GM, da un lato, e dall'altro sui molteplici benefici dell'agricoltura sostenibile, è stato reso pubblico il 15 giugno 2003. Prima della pubblicazione della relazione finale di 120 pagine, l'ISP ha rilasciato il sintetico riassunto di quattro pagine qui presentato, quale contributo al dibattito sugli OGM che stava avendo luogo a livello nazionale nel Regno Unito. Questo documento non si limita ad argomentare contro la presunta sicurezza degli OGM, fino a oggi mai dimostrata, ma sfida i fautori degli OGM a rispondere punto per punto alle obiezioni qui presentate. PERCHÉ NO AGLI OGM? 1. - Le colture GM non hanno portato i benefici promessi Le ricerche indipendenti e le analisi in campo condotte dopo il 1999 hanno costantemente dimostrato che le colture GM non hanno portato i benefici promessi, cioè un significativo aumento della produttività e una significativa riduzione nell'uso di antiparassitari ed erbicidi. Si stima che le colture GM siano costate agli Stati Uniti 12 miliardi di dollari in sussidi agli agricoltori, vendite perdute e ritiro di prodotti dal mercato in seguito alla loro contaminazione da OGM. In India i rapporti ufficiali parlano di massicci fallimenti dei raccolti di cotone GM, con una percentuale di perdite che arriva, in alcuni casi, al 100%. Le grandi corporation del biotech hanno sofferto un rapido declino a partire dal 2000, e secondo gli esperti finanziari il settore delle biotecnologie agricole non ha futuro. Nel frattempo la resistenza agli OGM ha raggiunto un punto altissimo nel 2002, anno in cui lo Zambia ha rifiutato il mais GM come aiuto alimentare malgrado la minaccia incombente di una carestia. 2. - Le colture GM pongono all'agricoltura continui nuovi problemi L"instabilità delle linee transgeniche ha rappresentato, fin dall'inizio, un gravissimo problema per l'industria biotech e può essere all'origine dei maggiori fallimenti degli OGM alimentari. In una rassegna del 1994 si affermava: "Benché vi siano alcuni casi di piante in cui l'espressione del transgene è stabile, è possibile che questi casi si rivelino le eccezioni alla regola. In un"indagine informale condotta su oltre 30 compagnie che producono colture transgeniche... quasi tutti gli intervistati hanno dichiarato di avere osservato un qualche livello di inattività del transgene. Molti

hanno dichiarato anche che la maggior parte dei casi di inattivazione di transgeni non arriva mai ad apparire nella letteratura scientifica". Piante infestanti di colza resistente a tre diversi tipi di erbicidi, frutto della combinazione spontanea tra caratteri transgenici e non transgenici, oggi sono ampiamente diffuse in Canada. Infestanti simili, dotate di resistenze multiple a vari erbicidi, sono comparse negli Stati Uniti. Negli Usa, erbe infestanti resistenti al glifosato stanno invadendo i campi di cotone e di soia GM; ciò ha reso necessario l'uso dell'atrazina, uno dei diserbanti più tossici, nei campi di mais GM resistente al glifosato. In modo analogo, le colture contenenti transgeni che producono biopesticidi Bt minacciano di dare origine a piante superinfestanti e a insetti parassiti resistenti a queste tossine. 3. Un"estesa contaminazione da transgeni è inevitabile Un"estesa contaminazione da transgeni è stata riscontrata nelle varietà locali di mais che crescono in regioni remote del Messico, nonostante la moratoria ufficiale, in vigore dal 1998, che proibisce la coltivazione di varietà GM. Livelli elevati di contaminazione sono stati trovati anche in Canada. In un test su 33 stock commerciali di semi, 32 sono risultati contaminati. Una nuova ricerca dimostra che il polline transgenico, disperso e trasportato dal vento o caduto direttamente sul terreno, è una fonte importante di contaminazione da transgeni. Poiché la contaminazione è riconosciuta in generale come un dato inevitabile, la coesistenza tra colture GM e non GM è impossibile. 4. - Le colture GM non sono sicure Contrariamente a quanto affermano i fautori degli OGM, la sicurezza di queste colture non è mai stata provata. Tutte le strutture e le norme deputate alla regolamentazione sono state sin dall'inizio inficiate da errori fatali. Infatti, si è scelto di adottare un principio di anti-precauzione, finalizzato ad accelerare i tempi di approvazione dei prodotti GM, a scapito di un"attenta considerazione della loro sicurezza. Il principio della "sostanziale equivalenza", su cui si basa la valutazione del rischio, è stato volutamente mantenuto vago e mal definito. Ciò ha dato alle industrie carta bianca nel dichiarare che i loro prodotti GM sono "sostanzialmente equivalenti" ai prodotti non GM e di conseguenza "sicuri". 5. - I cibi GM sollevano gravi preoccupazioni circa la loro sicurezza Vi sono stati ben pochi studi credibili sulla sicurezza dei cibi GM. Tuttavia, i risultati disponibili sono già sufficienti a sollevare serie preoccupazioni. In quella che resta l'unica indagine sistematica finora mai condotta sui cibi GM, a livello mondiale, sono stati osservati effetti "simili a fattori della crescita" [cioè, di proliferazione e crescita cellulare] nello stomaco e nell'intestino tenue di giovani ratti. Poiché non erano attribuibili al prodotto transgenico in quanto tale, questi effetti dovevano dipendere dal processo stesso della transgenesi o dal costrutto transgenico [vettore + gene estraneo]; è perciò possibile che siano effetti generali, comuni a tutti i cibi GM. Perlomeno altri due studi, più limitati, hanno sollevato serie preoccupazioni in merito alla sicurezza dei cibi GM. 6. Nelle piante alimentari transgeniche sono incorporati geni per prodotti pericolosi Le proteine Bt, incorporate nel 25% delle piante transgeniche coltivate a livello mondiale, si sono rivelate nocive per una vasta gamma di insetti no-target. Inoltre, alcune di queste proteine sono potenti immunogeni (sostanze che scatenano risposte immunitarie) e allergeni (sostanze che scatenano risposte allergiche). Un gruppo di scienziati ha messo in guardia contro il rilascio nell'ambiente di piante Bt per l'alimentazione umana. Sempre più spesso si utilizzano piante alimentari per produrre sostanze farmaceutiche e medicinali, tra cui: le citochine, note per agire da soppressori del sistema immunitario e associate a tossicità e disturbi del sistema nervoso centrale; l'interferone alfa, che si ritiene possa causare demenza, neurotossicità ed effetti collaterali sia sull'umore che sui processi cognitivi; vaccini con sequenze virali, ad esempio il gene per una proteina del coronavirus del maiale, appartenente alla stessa famiglia del virus della SARS che ha causato la recente epidemia. Il gene gp120 per una

glicoproteina del virus HIV-1 dell'AIDS, incorporato nel mais GM per ottenere un "vaccino commestibile e a basso costo," potrebbe diventare un"altra bomba biologica a orologeria in quanto può interferire con il sistema immunitario e ricombinare con virus e batteri già presenti nell'ospite, dando origine a nuovi, imprevedibili, agenti patogeni. 7. - Le colture Terminator diffondono tra le piante la sterilità maschile Colture in cui sono stati inseriti con l'ingegneria genetica dei geni "suicidi" che portano alla sterilità maschile sono state reclamizzate come un mezzo per "contenere", cioè prevenire, la diffusione dei transgeni. In realtà gli ibridi venduti agli agricoltori hanno diffuso attraverso il polline, insieme ai geni per la resistenza all'erbicida, anche i geni suicidi per la sterilità maschile. 8. - I diserbanti ad ampio spettro sono altamente tossici per gli esseri umani e per le altre specie animali L"ammonio glifosinato e il glifosato, i diserbanti usati con le piante GM resistenti a questi stessi erbicidi (e che attualmente rappresentano il 75% di tutte le piante GM coltivate al mondo), sono veleni metabolici sistemici. La loro azione chimica porta a prevedere una vasta gamma di effetti nocivi, effetti che sono stati tutti confermati. L"ammonio glifosinato viene associato a varie forme di tossicità - neurologiche, respiratorie, gastrointestinali ed ematologiche - e a difetti congeniti nei mammiferi, esseri umani compresi. Questo composto è tossico anche per le farfalle e per molti insetti utili, per le larve dei molluschi e delle ostriche, per la dafnia e per alcuni pesci d"acqua dolce, in particolare per la trota iridea. Esso inibisce i batteri e i funghi del terreno che svolgono azioni vantaggiose, in particolare i batteri fissatori dell'azoto. Nel Regno Unito il glifosato è la causa più frequente di intossicazioni e avvelenamenti; vi sono stati anche casi di disturbi a molte funzioni organiche in seguito all'esposizione ai normali livelli d"uso del composto. L"esposizione al glifosato ha quasi raddoppiato il rischio di aborto spontaneo, e i bambini nati da chi usa il glifosato sono spesso affetti da disturbi neurocomportamentali. In esperimenti di laboratorio, il glifosato ha causato ritardi nello sviluppo dello scheletro nei feti di ratto. Il glifosato inibisce la sintesi degli steroidi ed è genotossico nei mammiferi, nei pesci e negli anfibi. L"esposizione alla dose di erogazione in campo ha causato nei lombrichi una mortalità almeno del 50% e danni intestinali significativi nei vermi sopravvissuti. Il Roundup ha causato disfunzioni della divisione cellulare, fenomeni che possono essere collegati all'insorgenza del cancro nell'uomo. Gli effetti conosciuti sia del glifosinato che del glifosato sono abbastanza gravi da richiedere l'immediata sospensione dell'uso di questi erbicidi. 9. L"ingegneria genetica genera super-virus I pericoli di gran lunga più insidiosi dell'ingegneria genetica sono insiti nel suo stesso processo, il quale fa aumentare notevolmente la probabilità e l'estensione del trasferimento genico orizzontale e della ricombinazione, la via principale per generare virus e batteri patogeni. Ciò è stato messo in evidenza, nel 2001, dalla creazione "accidentale" di un virus killer dei topi, durante un esperimento apparentemente innocente di ingegneria genetica. Le tecniche più recenti, come il DNA shuffling [rimescolamento], consentono ai genetisti di produrre in laboratorio in pochi minuti milioni di virus ricombinanti, mai esistiti in miliardi di anni di evoluzione. I virus, i batteri patogeni e il loro materiale genetico costituiscono le materie prime e gli strumenti di elezione sia per l'ingegneria genetica, sia per la produzione intenzionale di armi biologiche. 10. - Il DNA transgenico presente nei cibi viene assorbito dai batteri nell'intestino umano Vi sono già prove sperimentali del fatto che il DNA di piante transgeniche viene assorbito dai batteri; ciò è stato verificato sia nel terreno che nell'intestino di volontari umani. I geni marcatori per la resistenza ad antibiotici, presenti nei cibi transgenici, possono trasmettersi a batteri patogeni rendendo molto difficile il trattamento delle infezioni.

11. - DNA transgenico e cancro È un fatto ormai accertato che il DNA transgenico sopravvive alla digestione nell'intestino e che "salta" entro il genoma delle cellule di mammifero, per cui può avere un"azione cancerogena. Non si può escludere la possibilità che l'uso di prodotti GM, ad esempio mais, per l'alimentazione animale comporti dei rischi non solo per gli animali ma anche per gli esseri umani che consumano prodotti derivati da quegli animali. 12. - Il promotore 35S del CaMV rende più frequente il trasferimento orizzontale dei geni Le prove sperimentali suggeriscono che i costrutti transgenici contenenti il promotore 35S del CaMV [virus del mosaico del cavolfiore] possano essere particolarmente instabili e inclini al trasferimento orizzontale e alla ricombinazione dei geni, con tutti i rischi che ne derivano: mutazioni geniche dovute a inserzione casuale, cancro, riattivazione di virus quiescenti e generazione di nuovi virus. Questo promotore è presente nella maggior parte delle colture GM oggi prodotte a fini commerciali. 13. - Una storia fatta di falsità e occultamenti di prove scientifiche La storia degli OGM è fatta di falsità e occultamenti di prove scientifiche, in particolare per ciò che riguarda il trasferimento orizzontale dei geni. Gli esperimenti-chiave non sono stati eseguiti, o sono stati eseguiti male e poi presentati in modo distorto. Molti esperimenti non sono stati ripetuti nel tempo, comprese le ricerche sulla possibilità che il promotore 35S del CaMV sia responsabile degli effetti da "fattore della crescita," osservati nei giovani ratti alimentati con patate GM. In conclusione, le colture GM non hanno portato i benefici promessi e stanno ponendo all'agricoltura problemi sempre più gravi. La contaminazione da transgeni è oggi un dato di fatto ampiamente riconosciuto come inevitabile, quindi non può esservi coesistenza tra agricoltura GM e no-GM. Cosa più importante di tutte, la sicurezza delle colture GM non è mai stata provata. Al contrario, le prove già emerse sono sufficienti a sollevare serie preoccupazioni circa i rischi posti dagli OGM, rischi che se ignorati potrebbero provocare danni irreversibili alla salute e all'ambiente. L"azione più opportuna sarebbe quindi respingere fermamente e da subito le colture GM. PERCHÈ SÌ ALL"AGRICOLTURA SOSTENIBILE? 1. Produttività e rese maggiori, soprattutto nel terzo mondo Circa 8,98 milioni di agricoltori hanno adottato pratiche agricole sostenibili, per un totale di 28,92 milioni di ettari così coltivati in Asia, America Latina e Africa. Dati scientificamente affidabili, raccolti da 89 progetti, dimostrano che queste pratiche portano a un aumento della produttività e delle rese del 50-100% per le colture non irrigate e del 5-10% per le irrigue. I successi maggiori si sono avuti in Burkina Faso, dove si è passati da un deficit di cereali di 644 chili all'anno a un"eccedenza annuale di 153 chili; in Etiopia, dove 12.500 famiglie di agricoltori hanno goduto di un aumento del 60% nelle rese dei raccolti e in Honduras e Guatemala, dove 45.000 famiglie hanno visto aumentare le rese da 400-600 kg/h a 2.000-2.500 kg/h. Studi a lungo termine condotti in paesi industrializzati dimostrano che le rese dell'agricoltura biologica sono equiparabili a quelle dell'agricoltura convenzionale, e spesso superiori. 2. - Miglioramento dei terreni Le pratiche agricole sostenibili tendono a ridurre l'erosione del suolo, migliorano la struttura fisica del terreno e la sua capacità di ritenzione dell'acqua, tutti fattori di cruciale importanza per evitare la perdita dei raccolti durante i periodi di siccità. La fertilità del suolo è mantenuta e aumentata dalle pratiche agricole sostenibili. Gli studi dimostrano che i livelli di materia organica e di azoto nel terreno sono più alti con l'agricoltura biologica che con quella convenzionale.

I terreni coltivati con le pratiche sostenibili mostrano una maggiore attività biologica: contengono infatti un numero più alto di lombrichi, artropodi, micorrize ed altri funghi e di microorganismi, tutti organismi utili per il riciclo dei nutrienti e per l'eliminazione naturale delle malattie. 3. - Ambiente più pulito Nell'agricoltura sostenibile l'uso di inquinanti chimici è scarso o del tutto assente. Inoltre, la ricerca ha dimostrato che dai terreni coltivati con le pratiche biologiche arrivano alla falda freatica quantità minori di nitrati e fosforo. Anche la filtrazione dell'acqua è migliore in questi sistemi. Questi terreni sono quindi meno esposti all'erosione e contribuiscono meno all'inquinamento delle acque per dilavazione delle superfici. 4. - Riduzione dei pesticidi, senza aumento dei parassiti Le norme per l'agricoltura biologica proibiscono l'applicazione abituale di pesticidi chimici. La lotta integrata ha ridotto il numero delle irrorazioni con antiparassitari da 3,4 a una per stagione in Vietnam, da 2,9 a 0,5 nello Sri Lanka e da 2,9 a 1,1 in Indonesia. La ricerca ha dimostrato che, nella produzione di pomodori in California, la scelta di non usare insetticidi di sintesi non ha comportato perdite per maggiori danni da parassiti. Il controllo dei parassiti si può realizzare senza ricorrere a pesticidi chimici e senza che ciò comporti perdite dei raccolti, usando ad esempio colture "trappola" per attirare la piralide, come si è visto nell'Africa orientale dove la piralide è uno dei parassiti più rilevanti. Il non uso di pesticidi comporta anche altri benefici, come quelli che scaturiscono dalle interrelazioni complesse fra le diverse specie di un ecosistema. 5. - Mantenimento e utilizzo della biodiversità L"agricoltura sostenibile promuove la biodiversità agricola, cruciale per la sicurezza alimentare e per la sussistenza degli agricoltori. L"agricoltura biologica può inoltre favorire un generale aumento della biodiversità, con grande vantaggio per le specie che hanno subito significative riduzioni. I sistemi ricchi di biodiversità sono più produttivi delle monocolture. A Cuba i sistemi agricoli integrati sono da 1,45 a 2,82 volte più produttivi delle monocolture. In Cina migliaia di coltivatori di riso hanno raddoppiato i raccolti e quasi eliminato una delle malattie del riso più devastanti, semplicemente piantando una mescolanza di due diverse varietà. L"agricoltura biologica fa crescere la biodiversità degli organismi del terreno, portando effetti benefici quali il recupero di terreni degradati, il miglioramento della struttura del suolo e della sua capacità di filtrazione. 6. L"agricoltura biologica è sostenibile sia dal punto di vista ambientale che economico Una ricerca sulla produzione delle mele con sistemi agricoli diversi ha rivelato che l'agricoltura biologica si colloca al primo posto per quanto riguarda la sostenibilità ambientale ed economica; al secondo posto si piazza il sistema della lotta integrata e all'ultimo quello dell'agricoltura convenzionale. Le mele biologiche si sono rivelate le più redditizie per il loro più alto prezzo di mercato, per il più rapido ritorno degli investimenti e un più veloce recupero dei costi. Uno studio condotto su tutta l'Europa ha indicato che l'agricoltura biologica dà risultati migliori di quella convenzionale, rispetto alla maggioranza degli indicatori ambientali. Un"indagine condotta dalla Organizzazione per l'alimentazione e l'agricoltura delle Nazioni Unite (la FAO) ha concluso che le pratiche di agricoltura biologica opportunamente applicate portano a un miglioramento delle condizioni ambientali, a tutti i livelli. 7. - Effetti positivi sui cambiamenti climatici, tramite la riduzione dei consumi diretti e indiretti di energia L"agricoltura biologica usa l'energia in modo molto più efficiente e riduce notevolmente le emissioni di CO2 rispetto all'agricoltura convenzionale, sia per quanto riguarda il consumo diretto

di energia sotto forma di combustibili fossili, sia riguardo al consumo indiretto connesso con l'uso di fertilizzanti e pesticidi ottenuti per sintesi chimica. L"agricoltura sostenibile ricostituisce la materia organica del terreno e in questo modo fa aumentare la quantità di carbonio sequestrato nel suolo, quindi sottrae significative quantità di carbonio dall'atmosfera. I sistemi dell'agricoltura biologica hanno mostrato di possedere significative capacità di assorbire e ritenere il carbonio, aprendo la possibilità che le pratiche agricole sostenibili possano aiutare a ridurre il riscaldamento globale. L"agricoltura biologica probabilmente riduce le emissioni di biossido di azoto (N2O), un altro importante gas serra e una delle cause della distruzione dello strato di ozono. 8. - Produzione efficiente, ad alto profitto Nell'agricoltura biologica, qualsiasi eventuale riduzione delle rese è più che compensata dai miglioramenti ecologici e dagli aumenti di efficienza. La ricerca ha dimostrato che il metodo biologico è quello che sul lungo periodo dà migliori risultati commerciali, producendo più cibo per unità di energia o di risorse impiegate. I dati dimostrano che le aziende biologiche, più piccole, producono molto di più per unità di superficie che non le ben più grandi estensioni di terreno caratteristiche dell'agricoltura convenzionale. Benché il rendimento per unità di superficie relativamente a una sola coltura possa essere più basso in un"azienda piccola che non in una grande monocoltura, l'output totale, che spesso consiste in più di una dozzina di prodotti vegetali e in vari prodotti animali, può essere molto più alto sempre per unità di superficie. I costi di produzione sono spesso più bassi nell'agricoltura biologica che in quella convenzionale, portando a ritorni netti equivalenti o più alti anche senza il premio sui prezzi dei prodotti biologici. Quando si tiene conto dei prezzi più alti di questi prodotti, i profitti del settore biologico sono quasi sempre maggiori. 9. Aumento della sicurezza alimentare e dei vantaggi alle comunità locali Una rassegna dei risultati ottenuti nei progetti di agricoltura sostenibile nei paesi in via di sviluppo ha dimostrato che la produzione alimentare media per famiglia è aumentata di 1,71 tonnellate all'anno (fino al 73%) per 4,42 milioni di coltivatori che lavorano 3,58 milioni di ettari, portando alle comunità locali grandi benefici in termini di sicurezza alimentare e di salute. Si è rilevato che l'aumento della produttività agricola fa aumentare la quantità di cibo disponibile e i redditi, quindi riduce la povertà aumentando l'accesso al cibo, riducendo la malnutrizione e migliorando le condizioni generali di salute e di vita. I metodi dell'agricoltura sostenibile attingono intensamente dalle conoscenze tradizionali indigene e danno particolare importanza all'esperienza dei coltivatori e alle loro innovazioni. Ciò permette di utilizzare risorse locali appropriate, a basso costo e facilmente reperibili, migliorando così la condizione sociale e l'autonomia degli agricoltori e rafforzando le relazioni sociali e culturali all'interno delle comunità locali. L"uso di mezzi locali di distribuzione e di vendita può generare più denaro per l'economia locale. Per ogni sterlina spesa per acquistare prodotti dell'agricoltura biologica (come risulta da uno studio condotto da Cusgarne Organics nel Regno Unito), vengono generate 2,59 sterline per l'economia locale; per ogni sterlina spesa in un supermercato, vengono generate per l'economia locale soltanto 1,40 sterline. 10. Prodotti alimentari migliori per la salute II cibo biologico è più sicuro: poiché nell'agricoltura biologica è vietato l'uso sistematico di diserbanti e pesticidi, è raro trovare in questi alimenti residui chimici nocivi. Nella produzione dei cibi biologici è vietato l'uso di additivi artificiali, come i grassi idrogenati, l'acido fosforico,

l'aspartame e il glutammato monosodico, che sono stati messi in relazione con patologie molto diverse quali le cardiopatie, l'osteoporosi, l'emicrania e l'iperattività. Gli studi hanno dimostrato che, in media, i cibi biologici hanno un contenuto più alto di vitamina C, minerali e fenoli (questi ultimi sono composti vegetali che possono combattere le cardiopatie e il cancro, e alleviano le disfunzioni neurologiche correlate con l'invecchiamento) e un contenuto significativamente più basso di nitrati, che sono tossici. Le pratiche dell'agricoltura sostenibile hanno dimostrato di avere effetti positivi su tutti gli aspetti riguardanti la salute e l'ambiente. In più queste pratiche agricole sono ovunque fonte di sicurezza alimentare e di benessere, sociale e culturale, per le comunità locali. E" necessario e urgente il completo passaggio, a livello mondiale, a tutte le forme di agricoltura sostenibile. Il documento integrale è visibile nel sito dell'ISP: www.indsp.org, e inoltre nei seguenti siti: Institute of Science in Society, UK www.i-sis.org.uk, Third World Network www.twnside.org.sg, Institute for Food and Development Policy (Food First), Usa www.foodfirst.org Alcuni degli scienziati che formano l'ISP (il gruppo di scienziati indipendenti) sugli OGM: Prof. Miguel Altieri .Professore di Agroecologia, University of California, Berkeley, Usa Dr. Michael Antoniou Senior. Lecturer in Genetica Molecolare, GKT School of Medicine, King"s College, London. Dr. Susan Bardocz Biochimica, già attiva presso il Rowett Research Institute, Scotland Prof. David Bellamy. OBE Botanico di fama internazionale, ambientalista, giornalista; insignito di numerosi premi e riconoscimenti; Presidente & Vice Presidente di molte organizzazioni per la conservazione e la tutela ambientale Dr. Elizabeth Bravo V. Biologa, ricercatrice e attivista nelle campagne di informazione sui temi della biodiversità e degli OGM; cofondatrice di Acción Ecológica; part-time lecturer alla Universidad Politécnica Salesiana, Ecuador Prof. Joe Cummins Professor Emeritus di Genetica, University of Western Ontario, London, Ontario, Canada Dr. Stanley Ewen Istopatologo presso il Grampian University Hospitals Trust; già Senior Lecturer di Patologia, University of Aberdeen; responsabile dello Scottish Colorectal Cancer Screening Pilot Project. Edward Goldsmith Ambientalista, insignito di numerosi premi e riconoscimenti, studioso, autore e fondatore di The Ecologist. Dr. Brian Goodwin Studioso attivo al Schumacher College, Residence, England. Dr. Mae-Wan Ho Cofondatrice e Direttrice dell'Institute of Science in Society; Editore di Science in Society; Consulente scientifico per The Third World Network e per the Roster of Experts for the Cartagena Protocol on Biosafety; Visiting Reader, Open University, UK e Visiting Professore di Fisica organica, Università di Catania, Italia Prof. Malcolm Hooper Professor Emeritus presso la University of Sunderland; già Professore di Chimica Clinica, Faculty of Pharmaceutical Sciences, Sunderland Polytechnic; Chief Scientific Consulent per i Gulf War Veterans Dr. Vyvyan Howard Medico patologo, Developmental ToxicoPathology Group, Department of Human Anatomy and Cell Biology, The University of Liverpool; Membro dell'UK Government"s Advisory Committee on Pesticides Dr. Brian John Studioso di geomorfologia e scienze ambientali; Fondatore e per lungo tempo Presidente del West Wales Eco Centre Prof. Marijan Jo_t Professore di Plant Breeding and Seed Production, Agricultural College Kri_evci, Croatia.

Lim Li Ching Ricercatrice, Institute of Science in Society e Third World Network; deputy-editor di Science in Society. Dr. Eva Novotny Astronoma, attivista in campagne sugli OGM per Scientists for Global Responsibility, SGR Prof. Bob Orskov OBE Capo della International Feed Resource Unit in Macaulay Institute, Aberdeen, Scotland; Membro della Royal Society of Edinburgh, FRSE; Membro della Polish Academy of Science Dr. Michel Pimbert Ecologo, International Institute for Environment and Development. Dr. Arpad Pusztai Consulente privato; già Senior Research Fellow al Rowett Research Institute, Aberdeen, Scotland David Quist Docente di ecologia microbica, Ecosystem Science Division, Environmental Science, Policy and Management, University of California, Berkeley, Usa Dr. Peter Rosset Ecologo ed esperto di sviluppo rurale; Codirettore di The Institute for Food and Development Policy (Food First), Oakland, California, Usa Prof. Peter Saunders Professore di Matematica Applicata al King"s College, London. Dr. Veljko Veljkovic Virologo, esperto di AIDS, Center for Multidisciplinary Research and Engineering, Institute of Nuclear Sciences, VINCA, Belgrade, Yugoslavia Roberto Verzola Philippine Greens; Membro del Board of Trustees, PABINHI (network per un"agricoltura sostenibile), Coordinatore, SRI-Pilipinas. Dr. Gregor Wolbring Biochimico, University of Calgary, Alberta, Canada; Adjunct Assistant Professor su temi di bioetica, University of Calgary; Adjunct Assistant Professor, University of Alberta; Fondatore e Direttore Esecutivo dell'International Center for Bioethics, Culture and Disability; Fondatore e Coordinatore dell'International Network on Bioethics and Disability Prof. Oscar B. Zamora Professore di Agronomia, Department of Agronomy, University of the Philippines Los Banos-College of Agriculture (UPLB-CA), College, Laguna, The Philippines

MEDICINA ASSASSINA Gary Nul, Carolyn Dean, Martin Feldman, Debora Rasio, Dorothy Smith PERCHÉ LA SANITÀ È LA PRIMA CAUSA DI MORTE NEGLI STATI UNITI Qualcosa non va quando gli enti di controllo insistono nel sostenere che le vitamine siano pericolose ignorando allo stesso tempo statistiche conosciute, in base alle quali si dimostra che è la medicina approvata dalle autorità governative a rappresentare il vero rischio. Finora, Life Extension poteva citare solo dati isolati per dimostrare la correttezza della propria tesi riguardo ai pericoli della medicina tradizionale. Nessuno aveva mai analizzato e studiato congiuntamente tutta la letteratura esistente relativa alle lesioni e ai decessi provocati dalla medicina tutelata dal governo. Ma ora la situazione è cambiata. Un gruppo di ricercatori ha meticolosamente passato in rassegna i documenti statistici, e le scoperte effettuate sono assolutamente sconcertanti. Questi ricercatori hanno scritto un saggio, intitolato "Medicina assassina", presentando prove convincenti che dimostrano come il sistema medico di oggi faccia frequentemente più male che bene. Secondo questo rapporto dettagliato e curato, ammonta a 2,2 milioni il numero di persone che ogni anno, durante la degenza ospedaliera, manifestano reazioni avverse ai farmaci prescritti. La cifra totale di antibiotici non necessari prescritti per le infezioni virali è di 20 milioni all'anno. Ammonta a 7,5 milioni il numero totale di procedure mediche e chirurgiche non necessarie effettuate ogni anno, mentre sono in tutto 8,9 milioni le persone sottoposte ogni anno a ricovero ospedaliero non necessario. I dati statistici più sconvolgenti, tuttavia, riguardano il numero di decessi provocati dalla medicina tradizionale, che ammontano a 783.936 casi all'anno solo negli Usa. Appare ora evidente che il sistema medico americano è la causa primaria di morte e lesione negli Stati Uniti (si pensi che il numero di decessi attribuibile a cardiopatia era di 699.697 casi nel 2001, mentre la cifra totale di decessi imputabili a cancro era di 553.251 casi). Abbiamo inserito questo articolo nel nostro sito internet per testimoniare e commentare il fallimento del sistema medico americano. Esponendo questi dati raccapriccianti con estrema precisione, vogliamo fornire una base ai professionisti medici competenti e coscienti, perché possano riconoscere le mancanze del sistema attuale e provino almeno ad avviare riforme significative. La medicina naturale si trova è sotto assedio, dato che i lobbisti delle compagnie farmaceutiche stanno mettendo alle strette i legislatori, spingendoli a privare gli americani dei benefici derivanti dagli integratori alla dieta. Le avanguardie delle grandi compagnie hanno lanciato campagne mediatiche diffamatorie per screditare il valore di uno stile di vita più salutare, mentre la Food and Drug Administration (FDA) continua a mettere i bastoni tra le ruote a coloro che propongono prodotti naturali in concorrenza ai farmaci con prescrizione medica obbligatoria. Questi attacchi alla medicina naturale tentano di nascondere un gravissimo problema che finora giaceva sepolto tra migliaia di pagine di testi scientifici. Per reagire a queste accuse infondate, lanciate contro la medicina naturale, il Nutrition Institute of America (Istituto Americano per la Nutrizione, NdT) ha commissionato una ricerca indipendente per verificare la qualità della medicina "approvata dal governo". Le allarmanti scoperte portate alla luce da questo studio meticoloso rivelano che la medicina convenzionale è "la principale causa di morte" negli Stati Uniti. Il Nutrition Institute of America è un"organizzazione no-profit che da 30 anni sponsorizza ricerche indipendenti. Per sostenere la sua audace affermazione, secondo cui la medicina convenzionale sarebbe il killer numero uno in America, l'istituto ha stabilito che ogni "dato numerico" riportato in questo "atto d"accusa" venga convalidato da studi scientifici autorevoli e pubblicati su riviste mediche.

Quella che state per leggere è una sconvolgente raccolta di dati, volta a documentare una semplice verità: chi tenta di impedire che i consumatori abbiano accesso alle terapie naturali sta di fatto ingannando l'opinione pubblica. Più di 700.000 americani muoiono ogni anno per colpa della medicina ufficiale, mentre la FDA e altri enti governativi fingono di proteggere i cittadini, vessando coloro che invece offrono delle alternative sicure. IL PRIMO STUDIO SULLA IATROGENESI Il dottor Lucian L. Leape aprì il vaso di Pandora della medicina nel suo lavoro del 1994, "Error in Medicine" (L"errore nella medicina, NdT), che apparve sul Journal of American Medical Association (JAMA; Rivista dell'Associazione Medica Americana). Dalle ricerche di Leape emerse che Schimmel nel 1964 aveva già denunciato episodi di iatrogenesi: il 20% dei pazienti ospedalieri lamentava lesioni iatrogene, con un tasso di mortalità pari al 20%. Nel 1981 Steel riferì altri dati: il 36% dei pazienti ospedalizzati era vittima di iatrogenesi, con una percentuale di decessi del 25%, e nel 50% dei casi di lesione erano coinvolte reazioni avverse ai farmaci. Nel 1991, Bedell riferì che il 64% degli attacchi cardiaci acuti era evitabile e che si trattava in gran parte di episodi dovuti a reazioni avverse ai farmaci. Leape si concentrò poi sull'“Harvard Medical Practice Study", pubblicato nel 1991, che rivelò un tasso di lesioni iatrogene pari al 4% (con una percentuale di decessi pari al 14%) riscontrato nel 1984, su un campione di pazienti dello stato di New York. Basandosi sul totale di 98.609 pazienti colpiti e sulla percentuale di vittime (14%), stimò che in tutti gli Stati Uniti morissero ogni anno 180.000 persone in conseguenza di lesioni iatrogene. Non è chiaro perché Leape abbia scelto di utilizzare per la sua analisi la cifra del 4%, molto più bassa; se avesse usato, invece della media delle percentuali emerse dai tre studi citati (36%, 20% e 4%), sarebbe risultata una percentuale di errore medico pari al 20%. Utilizzando una percentuale media di lesioni occorse e il tasso di mortalità del 14%, si sarebbe ottenuto così un totale di 1.189.576 decessi iatrogeni. Leape constatò la scarsità di materiale sugli errori medici presente in letteratura, e si rese conto che le ricerche presenti rappresentavano solo la punta dell'iceberg: sottolineò, infatti, che quando gli errori medici venivano specificamente individuati, le cifre riportate erano "elevate in maniera a dir poco preoccupante". Citò numerosi studi compiuti su autopsie, con percentuali di addirittura il 35-40% di diagnosi errate responsabili della morte di molti pazienti. Riferì anche i dati emersi in un centro di rianimazione, in cui si denunciava una media di 1,7 errori al giorno per paziente, il 29% dei quali erano potenzialmente seri o fatali. Leape studiò la percentuale di errore denunciata dal centro di rianimazione. Per prima cosa, scoprì che ogni paziente aveva una media di 178 "attività" (interazioni con il personale/procedurali/mediche) al giorno: 1,7 di queste erano errori, il che indicava una percentuale di fallimento dell'1 %. Potrebbe non sembrare granché, ma Leape citò alcuni parametri industriali molto significativi: in aviazione, un tasso di fallimento dello 0,1% comporterebbe due atterraggi al giorno di aerei non sicuri all'Aeroporto Internazionale O"Hare di Chicago; nel servizio postale statunitense, una percentuale di questo tipo equivarrebbe a 16.000 colli di posta persi ogni giorno; nel sistema bancario, una percentuale di insuccesso dello 0,1% comporterebbe il trasferimento di 32.000 assegni bancari dal conto corrente sbagliato. Cercando di determinare perché vi fossero così tanti errori medici, Leape constatò che questi non venivano denunciati. Gli errori si verificano in migliaia di luoghi diversi e sono percepiti come eventi isolati e insoliti. Ma la ragione più importante per cui il problema non veniva riconosciuto e per cui era in costante aumento, secondo Leape, andava ricercata nelle carenze dell'istruzione medica, nel fatto che dottori e infermieri non sono attrezzati a gestire gli errori umani nel corso del tirocinio e della pratica medica. Ai professionisti sanitari viene insegnato che gli errori sono inaccettabili: sono quindi visti come un fallimento, e qualsiasi sbaglio equivale alla negligenza; a nessuno viene insegnato cosa fare quando si verificano. Leape cita McIntyre e Popper, i quali affermano che il "modello dell'infallibilità" della medicina porta alla disonestà intellettuale, spingendo necessariamente a coprire gli errori, piuttosto

che ad ammetterli. Non ci sono Grand Rounds sugli errori medici, non c'è alcuna condivisione di insuccessi tra i medici, e non c'è nessuno che possa dar loro sostegno emotivo quando il loro errore nuoce a un paziente. Leape sperava che il suo studio potesse incoraggiare i tirocinanti medici a "cambiare in maniera radicale il modo in cui pensano agli errori e al perché questi si verificano". È passato quasi un decennio dall'uscita di questo lavoro rivoluzionario, ma gli errori continuano ad aumentare vertiginosamente. Nel 1995, in un rapporto del JAMA si metteva in evidenza che: "Più di un milione di pazienti subiscono lesioni negli ospedali Usa ogni anno, e circa 280.000 persone muoiono ogni anno in conseguenza dei danni riportati. Inoltre, la percentuale di morti iatrogene fa apparire ridicolo il tasso di mortalità annuale per incidenti automobilistici (45.000 vittime) e risulta responsabile di più decessi di tutti gli altri incidenti messi insieme". Nel 1997, durante una conferenza stampa Leape rese noti i risultati di un"inchiesta sulla iatrogenesi dei pazienti condotta dalla National Patient Safety Foundation (NPSF; Fondazione Nazionale per la Sicurezza del Paziente, NdT), sponsorizzata dall'American Medical Association (AMA). Leape è uno dei soci fondatori della NPSF. La ricerca ha mostrato che più di 100 milioni di americani hanno subito direttamente o indirettamente un errore medico: il 42% è risultato coinvolto in prima persona e l'84% conosceva qualcuno che aveva sperimentato a sue spese un errore medico. Durante questa conferenza stampa, Leape riferì gli aggiornamenti alle sue statistiche del 1994, sottolineando che, a partire dal 1997, gli errori medici rilevati in strutture ospedaliere con degenti fissi di tutto il paese potevano arrivare persino ai 3 milioni e potevano costare fino a 200 miliardi di dollari. Calcolando una percentuale di decessi pari al 14%, Leape arrivò a stabilire un totale di 180.000 errori medici letali nel 1994. Nel 1997, basandosi sulla cifra di 3 milioni di errori calcolata da Leape, la mortalità annua risultò ammontare a 420.000 vittime, solo tra i degenti ospedalieri. SOLO UNA MINIMA PARTE DEGLI ERRORI MEDICI VIENE DENUNCIATA Nel 1994, Leape affermò di essere ben consapevole del fatto che gli errori medici molto spesso non venivano denunciati.(24) Uno studio condotto in due centri ostetrici del Regno Unito rivelò che veniva dichiarato solo un quarto degli incidenti avversi, allo scopo di proteggere il personale e mantenere la reputazione, o per timore di ritorsioni, compresi procedimenti legali.(25) Un"analisi di Wald e Shojania rivelò che solo l'1,5% di tutti gli errori risultava poi nei rapporti di avvenuto incidente, e che solo il 6% delle reazioni avverse ai farmaci veniva identificato correttamente. Gli autori appresero che l'American College of Surgeons (Collegio Americano dei Chirurghi, NdT) riteneva che i rapporti sugli incidenti chirurgici abitualmente rappresentassero solo dal 5 al 30% degli eventi avversi. Uno studio scientifico rivelò che solo il 20% delle complicazioni chirurgiche risultava poi confluire in una discussione su tassi di morbosità e mortalità. Da questi lavori, sembrerebbe emergere che tutte le statistiche congiunte sugli errori medici sottovalutino in maniera considerevole il numero di incidenti dovuti a reazioni avverse provocate da farmaci e terapie mediche. Le ricerche suggeriscono anche che i nostri dati riguardanti la mortalità derivante da errori medici possano essere cifre piuttosto caute. Un articolo di Psychiatric Times (aprile 2000) sottolinea quale sia la posta in gioco implicata nell'eventuale denuncia di errori medici. Gli autori hanno scoperto che i cittadini hanno paura di restare vittime di un errore medico fatale, e che i dottori temono di venire perseguiti penalmente se fanno rapporto su un proprio errore. Ciò conduce a un"ovvia domanda: chi denuncia allora gli errori? Generalmente si tratta del paziente, o della famiglia di un paziente deceduto. Se nessuno fa notare l'errore, questo non verrà mai denunciato. Janet Heinrich, co-direttore presso l'U.S. General Accounting Office (Ufficio di Contabilità Generale Usa, responsabile dei finanziamenti sanitari e delle questioni di pubblica sanità, NdT), testimoniò durante un"udienza di una sottocommissione della Camera dei Deputati riguardante proprio gli errori medici che "la reale portata della loro minaccia per il pubblico americano è

sconosciuta" e che "raccogliere informazioni valide e utili relative agli eventi avversi è estremamente difficile". Ammise che il timore di venire incolpati, e la minaccia potenziale di persecuzione legale, hanno giocato un ruolo decisivo nella mancata denuncia di errori. Se dunque i dottori non fanno rapporto, che dire allora degli infermieri? Una ricerca condotta su un campione di infermieri ha rivelato che anch"essi evitano di denunciare errori medici per timore di ritorsioni. Nei testi di farmacologia medica standard si riconosce che solo pochi medici riferiscono di reazioni avverse ai farmaci all'FDA. I motivi sono diversi, e vanno dal non conoscere l'esistenza di un tale sistema di rapporto al timore di venire citati in giudizio. Eppure è anche da questo sistema (tremendamente difettoso) di rapporto volontario da parte dei professionisti sanitari che i cittadini dipendono per sapere se un farmaco o un intervento medico sia potenzialmente pericoloso. I testi di farmacologia indicano anche ai medici quanto sia arduo distinguere gli effetti collaterali di un farmaco dai sintomi di una malattia. Il fallimento di una terapia viene molto più spesso attribuito alla malattia che non al medicinale o al medico. I dottori sono avvisati: "Probabilmente in nessun altro settore della vita professionale gli errori sono così facilmente occultati, persino da noi stessi". Può essere difficile da accettare, ma non è certo difficile comprendere perché soltanto un effetto collaterale su venti venga riferito agli amministratori ospedalieri o alla FDA. Se gli ospedali ammettessero il numero reale di errori dei quali sono responsabili (cifra che supera di 20 volte quella ufficialmente denunciata), sarebbero sottoposti a severi controlli e verifiche. Jerry Phillips, direttore aggiunto dell'Office of Post Marketing Drug Risk Assessment (Ufficio per la valutazione dei rischi dei farmaci, NdT) della FDA, conferma questa cifra. "Nel più vasto campo dei dati esistenti sulle reazioni avverse ai farmaci, i 250.000 rapporti ricevuti ogni anno probabilmente rappresentano solo il 5% delle reazioni che realmente si verificano". Il dottor Jay Cohen, il quale ha condotto ampie ricerche sulle reazioni avverse ai farmaci, sottolinea che dal momento che viene denunciato soltanto il 5% delle reazioni avverse, ce ne siano in realtà 5 milioni ogni anno. Da una ricerca del 2003 emerge un dato ancora più preoccupante, perché sembra proprio che non vi siano miglioramenti nelle denunce degli errori, pur con tutta l'attenzione data a questo argomento. La dottoressa Dorothea Wild svolse un"inchiesta tra i medici interni di un ospedale locale nel Connecticut, scoprendo che solo la metà di essi era consapevole del fatto che presso l'ospedale fosse in funzione un sistema per la denuncia degli errori, e che la stragrande maggioranza del personale non lo utilizzava affatto. La dottoressa Wild afferma che tutto ciò non promette affatto bene per il futuro: se i medici non imparano a denunciare gli errori durante il loro tirocinio, non lo faranno mai. La Wild aggiunge che la denuncia degli errori commessi è il primo passo per localizzare le falle del sistema medico e per porvi rimedio. Attualmente, però, non è stato compiuto neppure il primo passo. IATROGENESI DEL FARMACO La prescrizione di farmaci rappresenta la principale modalità di trattamento delle patologie utilizzata dalla medicina tradizionale. Con la scoperta della "teoria dei germi", gli scienziati medici convinsero l'opinione pubblica che gli organismi infetti fossero la causa di ogni malattia. Ma trovare la "cura" per queste infezioni si dimostrò molto più arduo di quanto si potesse immaginare. Fin dall'inizio i farmaci chimici promettevano molto di più di quanto effettivamente offrivano; e per giunta, oltre a non funzionare nella maniera prevista, i medicinali provocavano anche incalcolabili effetti collaterali. Gli stessi farmaci, anche quando correttamente prescritti, hanno effetti collaterali che possono essere fatali, come dimostrato dallo studio di Lazarou. Ma gli errori umani possono ulteriormente complicare la situazione. ERRORI MEDICI Da un"inchiesta del 1992 condotta su un database farmaceutico nazionale emerse un numero complessivo di 429.827 errori medici, rilevati in 1.081 ospedali. Gli errori si verificarono nel 5,22% dei pazienti ricoverati in questi ospedali ogni anno. Gli autori giunsero alla conclusione che in tutti gli Stati Uniti almeno 90.895 pazienti all'anno venivano danneggiati da errori medici.

Uno studio del 2002 mostra che per il 20% delle medicine somministrate in ospedale erano evidenti errori di dosaggio. Quasi il 40% di questi errori veniva considerato potenzialmente dannoso per il paziente. In un ospedale medio con 300 pazienti ricoverati, si verificavano 40 errori al giorno. I problemi relativi alle cure somministrate ai pazienti si rivelarono persino più gravi l'anno successivo. In questo studio, la percentuale di errore individuata dai farmacisti era del 24%, e quindi il potenziale numero minimo di pazienti danneggiati dai farmaci prescritti arrivava a 417.908. LE RECENTI REAZIONI AVVERSE AI FARMACI Studi più recenti sulle reazioni avverse ai farmaci mostrano che le cifre del 1994 (pubblicate nell'articolo di Lazarou del 1998, apparso sul JAMA) potrebbero essere in aumento. Uno studio del 2003 ha seguito 400 pazienti dimessi da una struttura ospedaliera di terzo livello (che richiede competenze altamente specializzate, tecnologia e/o servizi di sostegno). Settantasei pazienti (il 19%) hanno manifestato eventi avversi: i più comuni (66% dei casi) sono stati gli eventi avversi ai farmaci, seguiti da lesioni legate a procedure mediche (17%). In uno studio apparso sul New England Journal of Medicine, emerse un dato allarmante: un paziente su quattro lamentava considerevoli effetti collaterali derivanti dai più di 3,34 miliardi di farmaci prescritti in tutto il 2002. Uno dei medici che curarono il lavoro, intervistato dalla Reuters, commentò: "Con circa 10 minuti da dedicare a ogni visita, è difficile per il dottore riuscire a capire realmente quali siano i sintomi che affliggono il paziente". William Tierney, che recensì lo studio del New England Journal, disse: "... considerato il numero sempre crescente di potenti farmaci disponibili per curare la popolazione anziana, il problema è destinato a diventare ancora più serio". I medicinali con il peggiore record di effetti collaterali erano gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (Selective Serotonine Reuptake Inhibitors, SSRI), gli anti-infiammatori non steroidei (Non Steroidal Anti-Inflammatory Drugs, NSAID) e i calcioantagonisti. La Reuters riferì inoltre che da ricerche precedenti si era avanzata l'ipotesi che quasi il 5% dei ricoveri ospedalieri (più di un milione all'anno) fosse il risultato di effetti collaterali provocati dai farmaci: gran parte dei casi, tuttavia, non viene documentata come tale. Lo studio rivelò che uno dei motivi di questa mancata denuncia va ricercato nel fatto che in quasi due terzi dei casi, i dottori non riuscivano a diagnosticare effetti collaterali o il persistere degli stessi perché il medico curante non aveva tenuto conto dei segnali d"avvertimento. CURARE LA PROPRIA EMOTIVITÀ I pazienti che desiderano avere un"esistenza più gioiosa e cercano sollievo da preoccupazioni, stress e ansia spesso rimangono vittime dei messaggi mostrati ininterrottamente alla televisione e sui cartelloni pubblicitari. Spesso, invece di ottenere sollievo, sono vittime della miriade di effetti collaterali iatrogeni provocati dalle cure antidepressive. In più, un"intera generazione di consumatori di anti-depressivi è costituita da giovani cresciuti a Ritalin. Curare le caratteristiche stesse della giovinezza e modificare le emozioni di questa età deve necessariamente avere un qualche impatto sul modo in cui i giovani imparano a gestire i propri sentimenti. Arrivano alla conclusione che nella vita non c'è differenza tra il riuscire a cavarsela usando i farmaci o le proprie risorse personali. Da adulti, questi giovani perennemente in cura si lanciano alla ricerca di alcol, farmaci o persino droghe per riuscire ad andare avanti. Secondo il JAMA, "il Ritalin agisce in gran parte come la cocaina". Oggi la commercializzazione di farmaci modificatori dell'umore, come il Prozac o lo Zoloft®, li rende non solo socialmente accettabili, ma quasi necessari per affrontare lo stress del mondo moderno. COME FACCIAMO A SAPERE CHE I FARMACI SONO SICURI? Un altro aspetto della medicina scientifica che il pubblico dà per scontato sono i test effettuati sui farmaci di nuova produzione. I medicinali sono generalmente testati su individui che sono in buona salute e non su soggetti sottoposti ad altre cure che potrebbero interferire con le conclusioni delle prove.

Quando questi nuovi prodotti sono dichiarati "sicuri" ed entrano a far parte dei ricettari medici, saranno naturalmente utilizzati da persone che possono essere sottoposte a una grande varietà di altre cure e che possono avere molti altri problemi di salute. Subentra quindi una nuova fase di verifica del medicinale, detta "post-approvazione", nella quale si documentano gli effetti collaterali del prodotto una volta che questo è già entrato nel mercato. In un significativo rapporto, il General Accounting Office del governo federale "scoprì che dei 198 farmaci approvati dalla FDA tra il 1976 e il 1985... ben 102 (cioè il 51,5%) presentavano seri rischi in fase di post-approvazione... i seri rischi in fase di post-approvazione [comprendevano] collasso cardiaco, infarto del miocardio, anafilassi, depressione e arresto respiratorio, convulsioni, insufficienza renale ed epatica, gravi disordini ematici, difetti congeniti, tossicità fetale e cecità". Il programma d"inchiesta "Dateline" della rete televisiva NBC si pose la seguente domanda: i medici di famiglia avevano forse un secondo lavoro come rappresentanti di compagnie farmaceutiche? Dopo un anno di ricerche e indagini, la NBC riferì che dal momento che i medici possono legalmente prescrivere qualsiasi farmaco a qualsiasi paziente in qualsiasi condizione di salute, le compagnie farmaceutiche promuovono massicciamente l'uso sperimentale (il cosidetto "off-label') di questi prodotti, generalmente inappropriato e non testato adeguatamente, anche se i medicinali sono stati approvati solo per le specifiche indicazioni per le quali sono stati sottoposti a verifica. I medicinali maggiormente responsabili di reazioni avverse sono gli antibiotici (17%), i farmaci cardiovascolari (17%), la chemioterapia (15%), gli agenti analgesici e anti-infiammatori (15%). IATROGENESI SPECIFICA DEL FARMACO: ANTIBIOTICI Secondo William Agger, direttore del reparto di microbiologia e malattie infettive presso il Gundersen Lutheran Medical Center di La Crosse, Wisconsin, ogni anno in America vengono usate circa 13.600 tonnellate di antibiotici. Di queste, circa 11.300 tonnellate vengono utilizzate nella zootecnia, mentre circa 1.350 tonnellate sono usate per combattere l'insorgere di malattie e limitare lo stress del trasporto per gli animali, oltre che a promuoverne la crescita. Solo 900 tonnellate vengono somministrate per combattere specifiche infezioni animali. Il dottor Agger ci ricorda che basse concentrazioni di antibiotici si possono misurare anche in molti dei cibi che assumiamo e in molte idrovie di tutto il mondo, in gran parte filtrate dalle acque provenienti da fattorie con animali. Agger non è assolutamente d"accordo sul fatto che l'uso eccessivo di antibiotici provochi infezioni derivanti da cibo, a loro volta resistenti a questi farmaci. Si può trovare salmonella nel 20% della carne macinata, ma l'esposizione costante del bestiame agli antibiotici ha reso l'84% della salmonella resistente ad almeno un tipo di antibiotico. Il cibo derivante da animali malati è responsabile dell'80% dei casi di salmonellosi negli umani, quindi 1,4 casi all'anno. L"approccio convenzionale per contrastare questa epidemia consiste nell'irradiare il cibo per cercare di uccidere tutti gli organismi, continuando però a usare proprio gli antibiotici, che per primi hanno dato origine al problema. Circa il 20% dei polli è contaminato dal Campylobacter jejuni, un organismo che provoca 2,4 milioni di casi di malattie ogni anno. Il 54% di questi microrganismi è resistente ad almeno un agente antimicrobico specifico per l'eliminazione dei campilobatteri. La Danimarca ha bandito gli antibiotici promotori della crescita a partire dal 1999, tagliando più della metà delle scorte in un solo anno, portandole da 205 tonnellate a 90 tonnellate circa. Da un rapporto è emerso che la rimozione di questi antibiotici aveva effetto minimo o addirittura nullo sui costi di produzione del cibo. Agger mette in guardia affermando che gli attuali metodi frettolosi (e assolutamente non igienici) di allevamento di animali negli Stati Uniti contribuiscono a mantenere costante lo stress e la possibilità di infezioni e necessitano fortemente di un elevato consumo di antibiotici. Negli Stati Uniti vengono usate ogni anno più di 1.350 tonnellate di antibiotici sugli esseri umani. Con una popolazione di 284 milioni di americani, questa cifra complessiva risulta essere sufficiente per fornire a ogni uomo, donna e bambino 10 cucchiaini di antibiotici all'anno.

Agger afferma che l'esposizione a un flusso costante di antibiotici ha già alterato patogeni come lo Steptococcus pneumoniae, lo Staphylococcus aureus e l'enterococcus, solo per nominare i principali. Negli Stati Uniti, quasi la metà dei pazienti affetti da infezioni del tratto respiratorio superiore viene ancora curata con antibiotici dal proprio medico. Secondo il CDC, il 90% delle infezioni respiratorie di questo tipo è virale e non dovrebbe essere trattata con questi medicinali. In Germania, la prevalenza di uso antibiotico sistematico nei bambini di età compresa tra 0 e 6 anni era del 42,9%. I dati ottenuti da nove assicuratori sanitari statunitensi (relativamente all'uso di antibiotici su 25.000 bambini dal 1996 al 2000) hanno rivelato che le percentuali d"uso sono diminuite. La somministrazione di antibiotici in bambini di età compresa tra tre mesi e meno di tre anni è diminuita del 24%, passando da 2,46 a 1,86 prescrizioni all'anno per paziente; per i bambini di età compresa tra i 3 e i 6 anni, c'è una riduzione del 25%, quindi da 1,47 a 1,09 prescrizioni all'anno per paziente; per i ragazzi da 6 a 18 anni, infine, si registra una riduzione del 16%, da 0,85 a 0, 69 prescrizioni annue per paziente. Nonostante queste diminuzioni, i dati indicano che in media ogni bambino americano riceve 1,22 prescrizioni di antibiotici all'anno. Gli streptococchi beta-emolitici di gruppo A sono gli unici patogeni responsabili del mal di gola che richiedono antibiotici, con penicillina ed eritromicina come unico trattamento consigliato. Il 90% dei casi di mal di gola, tuttavia, è di origine virale. Tra il 1989 e il 1999 negli Usa furono somministrati antibiotici nel 73% dei 6,7 milioni di visite annue stimate per mal di gola; inoltre, ai pazienti trattati con antibiotici furono prescritti farmaci ad ampio spettro, non consigliati nel 68% delle visite. In questo periodo si assistette a un significativo incremento nell'uso di più recenti e costosi antibiotici ad ampio spettro, e a una diminuzione nell'uso delle consigliate penicillina ed eritromicina. Gli antibiotici che vennero prescritti nel 73% dei casi di mal di gola, invece che nel 10% dei casi per cui erano raccomandati, ebbero come conseguenza 4,2 milioni di prescrizioni di antibiotici non necessarie compilate dal 1989 al 1999. IL PROBLEMA CON GLI ANTIBIOTICI Nel settembre 2003, il CDC rilanciò un programma (iniziato nel 1995) chiamato "Fatti furbo: impara quando gli antibiotici sono efficaci". Questa campagna da 1,6 milioni di dollari è stata pensata per educare i pazienti all'uso giusto e appropriato degli antibiotici. Gran parte delle persone coinvolte e interessate alla medicina alternativa, da decenni, conoscono il pericolo dell'uso smodato di questi farmaci. Finalmente il governo si sta concentrando sul problema, anche se spende solo una somma di denaro ridicola per un"epidemia iatrogena che sta costando miliardi di dollari e migliaia di vite. Il CDC ricorda costantemente che il 90% delle infezioni del tratto respiratorio superiore (incluse le infezioni all'orecchio nei bambini) è di origine virale, e che gli antibiotici non sono in grado di trattare le infezioni virali. Più del 40% dei circa 50 milioni di ricette per antibiotici compilate ogni anno negli ambulatori medici risulta inadeguato. La somministrazione di antibiotici non necessari può portare allo sviluppo di ceppi letali di batteri che sono resistenti ai farmaci e provocano più di 88.000 decessi dovuti a infezioni contratte in ospedale. Il CDC, tuttavia, sembra voler incolpare anche i pazienti del cattivo uso degli antibiotici, sebbene questi siano disponibili solo con prescrizione medica. Secondo il dottor Richard Besser, responsabile di "Fatti furbo": "I programmi che hanno preso di mira unicamente i medici non hanno funzionato. La reclamizzazione diretta produttoreconsumatore, in alcuni casi, sembra responsabile". Besser afferma che il programma "insegna ai pazienti e a tutti i cittadini che gli antibiotici sono una risorsa preziosa che deve essere usata correttamente, se vogliamo che siano disponibili quando ne abbiamo davvero bisogno. Se tutto va bene, in conseguenza di questa campagna, i pazienti si sentiranno più a loro agio chiedendo ai propri medici la miglior cura per le loro malattie, invece che chiedere antibiotici". Che cosa costituisce la "miglior cura"? Il CDC non elabora una risposta e ignora le ultime ricerche sulle dozzine di nutraceutici che studi scientifici hanno dimostrato essere in grado di trattare le

infezioni virali e di migliorare le funzioni del sistema immunitario. Ma i medici mai consiglieranno vitamina C, echinacea, bacca di sambuco, vitamina A, zinco oppure oscillococcinum omeopatico? Probabilmente no. Le raccomandazioni di buon senso del CDC che gran parte degli individui seguono comunque comprendono un adeguato riposo, l'assunzione di molti liquidi e l'uso dell'umidificatore. L"industria farmaceutica afferma di sostenere in prima persona la limitazione all'uso degli antibiotici. La Bayer, un colosso del settore, sponsorizza un programma detto "Operazione Mani Pulite" attraverso un"organizzazione chiamata LIBRA. Anche il CDC ne è coinvolto, per cercare di ridurre al minimo la resistenza agli antibiotici, ma nelle sue pubblicazioni non c'è mai alcun riferimento al ruolo dei nutraceutici nel miglioramento del sistema immunitario né alle migliaia di articoli di giornale che sostengono questo approccio. Questa miopia, unita al rifiuto di consigliare le alternative non farmaceutiche disponibili, è a dir poco infelice, se si pensa al disperato tentativo di tenere a freno l'uso di antibiotici da parte dello stesso CDC. I FARMACI INQUINANO LE NOSTRE RISERVE IDRICHE Abbiamo raggiunto il punto di saturazione con i farmaci da prescrizione medica obbligatoria. Ogni massa idrica testata contiene residui chimici misurabili. Le tonnellate di antibiotici utilizzate nell'allevamento di animali, che vengono scaricate nella superficie freatica e nell'acqua, conferiscono ai germi presenti nelle acque di scolo una notevole resistenza agli antibiotici, e tali germi si ritrovano anche nelle nostre riserve idriche. Giù per le nostre toilette scorrono tonnellate di farmaci e metaboliti di farmaci, i quali a loro volta si fanno strada verso le nostre riserve idriche. Non c'è modo di conoscere le conseguenze sanitarie a lungo termine dell'ingestione di una mescolanza di medicinali e prodotti in grado di annullare l'effetto dei farmaci stessi. Questi medicinali rappresentano un altro livello di patologia iatrogena che non siamo in grado di determinare appieno. IATROGENESI SPECIFICA DEL FARMACO: NSAID Gli Stati Uniti non sono gli unici a essere vessati dalla iatrogenesi. Un"inchiesta condotta su più di 1.000 medici generici francesi ha verificato la loro conoscenza farmacologica di base e le loro prassi di prescrizione degli anti-infiammatori non steroidei (NSAID), che sono al primo posto tra i medicinali comunemente prescritti per le reazioni avverse più serie. I risultati dello studio suggeriscono che i medici generici non hanno una conoscenza adeguata di questi farmaci, e non sono in grado di gestire in maniera efficace le reazioni avverse. Un"indagine incrociata, effettuata su 125 pazienti in cura presso cliniche specializzate in trattamento del dolore nella zona sud di Londra, rivelò che possibili fattori iatrogeni come "eccesso di ricerche, informazioni inadeguate, consigli forniti al paziente, così come diagnosi errate, eccesso di trattamenti e prescrizione inappropriata di medicinali erano comuni". IATROGENESI SPECIFICA DEL FARMACO: CHEMIOTERAPIA PER LA CURA DEL CANCRO Nel 1989 il biostatistico Ulrich Abel, scrisse una monografia intitolata "Chemioterapia del cancro epiteliale avanzato", che fu in seguito pubblicata in forma più breve in una rivista medica autorevole. Abel presentò un"analisi esaustiva di prove cliniche e pubblicazioni, con più di 3.000 articoli che esaminavano l'utilità della chemioterapia citotossica per la cura del cancro epiteliale avanzato. Il cancro epiteliale è il tipo di tumore che conosciamo meglio: si origina dall'epitelio trovato nel rivestimento degli organi interni (come mammelle, prostata, polmoni, stomaco e intestino) e da qui generalmente si infiltra nei tessuti adiacenti e si propaga alle ossa, al fegato, ai polmoni o al cervello. Dopo la sua esauriente rassegna, Abel concluse non vi è alcuna prova diretta in grado di dimostrare che la chemioterapia possa prolungare la sopravvivenza nei pazienti con carcinoma avanzato; nel tumore polmonare a piccole cellule, e forse anche nel cancro alle ovaie, il beneficio terapeutico è solo di lieve entità. Secondo Abel, "molti oncologi danno per scontato che la risposta alla terapia prolunghi la sopravvivenza, opinione che è basata su una credenza errata e non è sostenuta da studi

clinici". A più di un decennio trascorso dalla pubblicazione dell'esauriente lavoro di Abel sulla chemioterapia, non sembra essere stata registrata alcuna diminuzione di questo trattamento per la cura del carcinoma avanzato. Per esempio, quando la chemioterapia convenzionale e le radiazioni non riescono a impedire la formazione di metastasi nel cancro al seno, il trattamento comunemente scelto è la chemioterapia ad alto dosaggio (High-Dose Chemioterapy, HDC, NdT), unita al trapianto di cellule staminali (Stem-Cell Transplant, SCT, NdT). Nel marzo 2000, tuttavia, i risultati del più grande studio multicentrico controllato e randomizzato mai condotto fino a quel momento mostrarono che, se paragonate a un ciclo prolungato di chemioterapia mensile a dosaggio convenzionale, HDC e SCT non erano di nessun beneficio,(66) con una percentuale di sopravvivenza persino leggermente minore per il gruppo sottoposto a HDC/SCT. Seri effetti avversi si verificarono più frequentemente nel gruppo HDC che in quello a dosaggio standard. Nel gruppo HDC fu registrato un decesso legato al trattamento compiuto (a 100 giorni dall'inizio della terapia), ma non ne venne riscontrato nessuno nel gruppo sottoposto a chemioterapia convenzionale. Le donne coinvolte in questo studio furono scelte in maniera altamente selettiva, poiché avevano le maggiori possibilità di rispondere positivamente alle cure. Purtroppo, non esiste alcuno studio ulteriore così esaustivo come quello del dottor Abel che possa dare indicazioni su eventuali miglioramenti nelle statistiche di sopravvivenza al cancro dal 1989 in poi. Dovrebbero essere infatti portate avanti altre ricerche per determinare se la stessa chemioterapia sia responsabile di cancri secondari piuttosto che della progressione della patologia originaria. Continuiamo a interrogarci sul perché non vengano utilizzati trattamenti alternativi ben documentati per la cura dei tumori. LE COMPAGNIE FARMACEUTICHE MULTATE Periodicamente la FDA multa una società produttrice di medicinali, quando i suoi abusi sono troppo evidenti e impossibili da occultare. Nel maggio 2002, il Washington Post riferì che la ScheringPlough Corp., società produttrice del Claritin, avrebbe dovuto pagare un"ammenda di 500 milioni di dollari alla FDA per problemi di controllo della qualità in quattro dei suoi stabilimenti.(67) La condanna arrivò dopo che il Public Citizen Health Research Group, guidato dal dottor Sidney Wolfe, richiese un"indagine penale della Schering-Plough, accusando la compagnia di distribuire inalatori di albuterolo per asmatici, pur sapendo che in questi era assente il principio attivo. La FDA riscontrò infrazioni che riguardavano 125 prodotti, cioè il 90% dei farmaci realizzati dalla ScheringPlough dal 1998. Oltre a dover pagare la multa, la società fu costretta a interrompere la produzione di 73 medicinali, pena un"altra multa da 175 milioni di dollari. Le notizie diffuse dalla Schering-Plough riportavano ovviamente un"altra versione, invitando i consumatori ad affidarsi completamente e fiduciosamente ai prodotti dell'azienda. Questo enorme accomodamento è servito da monito per l'industria farmaceutica per spingerla a mantenere regole rigide nella produzione dei farmaci, e ha dato inoltre alla FDA maggiore autorità nel trattare con il consenso della società farmaceutica. Secondo l'articolo del Washigton Post, nel 1999 una corte d"appello federale ha stabilito che la FDA possa impadronirsi dei profitti delle compagnie che violano "le procedure di una buona produzione". Da allora, la Abbott Laboratories ha pagato una multa di 100 milioni di dollari per non essere riuscita a soddisfare gli standard qualitativi nella produzione di kit per test medici, mentre la Wyeth Laboratories ha pagato 30 milioni di dollari nel 2000 per mettere a tacere le accuse di procedure di produzione non adeguate. PROCEDURE CHIRURGICHE NON NECESSARIE È molto difficile ottenere statistiche accurate quando si studiano gli interventi chirurgici non necessari. Nel 1989, Leape scrisse che forse il 30% degli interventi discutibili - che comprendono il taglio cesareo, la tonsillectomia, l'appendicectomia, l'isterectomia, la gastroectomia praticata per curare l'obesità, le protesi al seno, protesi volontarie al seno - non sono necessari. Nel 1974, la Congressional Committee on Interstate and Foreign Commerce (Commissione del Congresso sul Commercio Interstatale ed Estero, NdT) avviò delle indagini sugli interventi chirurgici non necessari, e scoprì che il 17,6% degli interventi consigliati non veniva confermato da un secondo

parere. La House Subcommittee on Oversight and Investigations (Sottocommissione della Camera sulla Sorveglianza e le Indagini, NdT) si procurò queste cifre e calcolò che, su base nazionale, venivano effettuati 2,4 milioni di interventi non necessari ogni anno, con 11.900 decessi conseguenti e una spesa annuale complessiva di 3,9 miliardi di dollari. La lista di complicazioni iatrogene derivate da interventi chirurgici è lunga quanto la stessa lista dei trattamenti possibili Secondo il HCUP (Progetto per le Spese e l'Utilizzo della Sanità, NdT), ente che opera all'interno dell'AHRQ (Agenzia per la Ricerca e la Qualità Sanitaria, NdT), nel 2001 le 50 procedure mediche e chirurgiche più comuni sono state eseguite circa 41,8 milioni di volte negli Stati Uniti. Sulla base della percentuale del 17,6% di interventi chirurgici non necessari fornita dalla Sottocommissione nel 1974, e ricavando la percentuale di decessi verificatisi lo stesso anno, si ottengono quasi 7,5 milioni (7.489.718) di procedure superflue, e una cifra totale di 37.136 decessi, traducibile in una spesa di 122 miliardi di dollari (in dollari del 1974). Nel 1995, alcuni ricercatori condussero uno studio simile sulle procedure chirurgiche usate nel trattamento di patologie della schiena, sulla base della percentuale di "interventi non necessari" del 1974 (17,6%). In una deposizione rilasciata presso il Dipartimento degli Affari dei Veterani, stimarono che dei 250.000 interventi chirurgici alla schiena effettuati ogni anno negli Usa (con una spesa ospedaliera di 11.000 dollari per paziente), il numero complessivo di ammontava a 44.000, con una spesa complessiva di circa 484 milioni di dollari. Allo stesso modo della prescrizione di farmaci manovrata dalla pubblicità televisiva, così anche il numero di interventi superflui sta crescendo vertiginosamente. La chirurgia stimolata e guidata dai media, come il bypass gastrico per gli obesi costruito "ad arte" per le celebrità di Hollywood, attira le persone che soffrono di obesità, inducendole a pensare che questa strada sia sicura e seducente. Gli interventi non necessari sono stati immessi sul mercato tramite Internet. Uno studio condotto in Spagna afferma che il 20-25% della pratica chirurgica complessiva sia rappresentata da operazioni non strettamente necessarie. Secondo i dati forniti dal National Center for Health Statistics (Centro Nazionale per le Statistiche Sanitarie, NdT) dal 1979 al 1984, il numero complessivo di procedure chirurgiche è aumentato del 9%, mentre il numero di chirurghi è cresciuto del 20%. Lo studio metteva in luce il fatto che il grande aumento del numero di medici non è stato accompagnato da una crescita parallela nel numero di interventi effettuati, ed esprimeva preoccupazione sull'eccessiva presenza di chirurghi lasciati a gestire il carico di lavoro effettivo. Dal 1983 al 1994, tuttavia, l'incidenza delle 10 procedure chirurgiche più comunemente eseguite fece un salto del 38%, passando da 5.731.000 a 7.299.000 casi. Prima del 1994, l'intervento alla cataratta era la procedura più comune, con più di due milioni di operazioni, seguita dal taglio cesareo (858.000 procedure) e dall'ernia inguinale (689.000 procedure). Le procedure di artroscopia al ginocchio aumentarono del 153%, mentre gli interventi alla prostata diminuirono del 29%. La lista di complicazioni iatrogene derivate da interventi chirurgici è lunga quanto la stessa lista dei trattamenti possibili. Uno studio esaminò la procedura con cui si inseriscono i cateteri per la somministrazione di anestetico nello spazio epidurale intorno ai nervi della spina dorsale, intervento usato per il taglio cesareo, la chirurgia addominale o gli interventi alla prostata. In alcuni casi, l'uso di metodi non sterili nell'inserzione del catetere ha originato serie infezioni, a volte responsabili persino di paralisi degli arti. Passando in rassegna la letteratura esistente sul tema, gli autori scoprirono "un uso smodato di angiografia coronarica, interventi chirurgici alle coronarie, inserzione di pacemaker cardiaci, endoscopie gastrointestinali, endoarteriectomie carotidee, interventi alla schiena e procedure per il sollievo dal dolore in percentuali considerevoli". Uno studio compiuto dal JAMA nel 1987 portò alla luce i seguenti dati relativi a interventi chirurgici inappropriati, rivelatisi altamente significativi: 17% di angiografie coronariche, 32% di

endoarteriectomie carotidee e 17% di endoscopie del tratto gastrointestinale superiore. Sulla base delle statistiche del HCUP fornite dal governo per il 2001, vennero effettuate ben 697.675 endoscopie gastrointestinali (che generalmente richiedevano una biopsia), oltre a 142.401 endoarteriectomie e 719.949 angiografie coronariche. Ricavando le percentuali dello studio del JAMA sugli interventi non adeguati fino al 2001, si ottengono ben 118.604 endoscopie, 45.568 endoarteriectomie e 122.391 angiografie coronariche, tutte procedure assolutamente non necessarie. Queste sono tutte forme di iatrogenesi medica. PROCEDURE MEDICHE E CHIRURGICHE Conoscere i tassi di mortalità associati alle diverse procedure mediche e chirurgiche è molto istruttivo. Anche se dobbiamo firmare moduli quando ci sottoponiamo a qualsiasi tipo di procedura, molti di noi non vogliono ammettere i reali rischi che queste comportano: dato che le procedure mediche e chirurgiche sono così comuni, sono spesso viste come necessarie e sicure. Sfortunatamente, la stessa medicina allopatica è una delle cause primarie di morte, e rappresenta inoltre la maniera più costosa di morire. Forse l'espressione "cure sanitarie" può conferire l'illusione che la medicina si occupi di curare i pazienti, ma in realtà la medicina allopatica sembra essere principalmente una dispensatrice di malattie, piuttosto che di rimedi per la salute. Le cifre del HCUP sono istruttive, ma il programma informatico che compila le statistiche relative ai tassi di mortalità annui per tutti i dimessi dagli ospedali statunitensi praticamente si esaurisce nel codice inserito per accedere al sistema. Via email, il HCUP ha indicato che i tassi di mortalità per ciascuna procedura indicano solo che qualcuno che è stato sottoposto a quell'intervento o trattamento è morto per le conseguenze dello stesso o per qualche altro motivo. Quindi, non c'è modo di sapere esattamente quante persone siano morte per le conseguenze di un certo intervento. Anche se esistono codici relativi ad "avvelenamento ed effetti tossici delle droghe" e "complicazioni insorte per il trattamento", le cifre della mortalità relative a queste categorie sono molto basse e non hanno nessuna correlazione con quanto emerge dalle ricerche, come lo studio del JAMA del 1998 che stimò una media di 106.000 decessi all'anno occorsi in seguito a prescrizioni mediche. Non esistono codici per effetti collaterali avversi dei farmaci, incidenti chirurgici o altri tipi di errore medico. Finché esisteranno solo dati di questo tipo, le vere percentuali di mortalità legate agli errori medici rimarranno sepolte tra le statistiche generiche. ERRORI CHIRURGICI INFINE DENUNCIATI Uno studio, compiuto dall'AHRQ e apparso sul JAMA nell'ottobre 2003, documentava 32.000 decessi, in gran parte occorsi in seguito a interventi chirurgici, costati ben 9 miliardi di dollari e responsabili di 2,4 milioni di giorni di ricovero extra nel Furono analizzati dati provenienti dal 20% degli ospedali nazionali per 18 complicazioni chirurgiche diverse, tra cui infezioni post-operatorie, oggetti estranei lasciati nelle ferite, riapertura di ferite chirurgiche ed emorragia post-operatoria. In una recensione per la stampa che accompagnava la pubblicazione dello studio, il direttore dell'AHRQ Carolyn M. Clancy, sottolineò: "Questo studio ci fornisce la prima prova diretta che le lesioni mediche rappresentano una minaccia reale per i cittadini americani e aumentano notevolmente la spesa sanitaria". Secondo gli autori della ricerca, "le scoperte sottovalutano grandemente il problema, poiché si verificano molte altre complicazioni che non rientrano nei dati amministrativi degli ospedali". Aggiunsero: "Il messaggio è che le lesioni mediche possono avere un impatto devastante sull'intero sistema sanitario. Abbiamo bisogno di maggiore ricerca per identificare il motivo per cui si verificano tali lesioni e trovare un modo per impedire che accadano". Gli autori dello studio affermarono che il miglioramento delle abitudini mediche, tra cui l'importanza attribuita alla cura nella pulizia delle mani, potrebbero contribuire a ridurre i tassi di morbosità e mortalità. Sul JAMA, in un editoriale di commento allo studio il dottor Saul Weingart, ricercatore del Beth Israel Deaconess Medical Center di Harvard che si occupa di rischi sanitari,

scrisse: "Considerata la loro sbalorditiva grandezza, queste stime devono chiaramente farci riflettere". RAGGI X NON NECESSARI Quando furono scoperti i raggi X, nessuno conosceva gli effetti a lungo termine della radiazione ionizzante. Negli anni "50, gli esami fluoroscopici mensili presso gli ambulatori medici erano di routine, ed entrando in molti negozi di calzature si poteva persino vedere la radiografia delle ossa dei piedi. Non conosciamo ancora quali saranno le conseguenze finali della nostra iniziale attrazione per i raggi X. In quel periodo, era una pratica comune quella di sottoporre a raggi X donne incinta, per misurare la pelvi ed eventualmente verificare la presenza di gemelli. Alla fine, uno studio condotto su 700.000 bambini nati tra il 1947 e il 1964 in 37 grandi ospedali mise a confronto i bambini nati da madri che erano stati sottoposte a radiografie pelviche durante la gravidanza con nati da donne non sottoposte a questo esame. Lo studio rivelò che la mortalità tumorale era del 40% più alta tra i figli di donne che erano state esposte a radiazioni. Nella medicina moderna, l'angiografia coronarica è una procedura chirurgica invasiva che comporta l'inserimento di un tubo in un vaso sanguigno nella zona inguinale e la sua introduzione progressiva fino al cuore. Per avere informazioni utili, vengono effettuate continue radiografie con dosaggi minimi, da 460 a 1.580 mrem. La quantità di radiazioni minime per una radiografia al torace di routine è di 2 mrem. La radiazione dei raggi X si accumula nel corpo, ed è stato dimostrato che la radiazione ionizzante usata nelle procedure con raggi X provoca mutazioni genetiche. L"impatto sanitario di questo elevato livello di radiazione è sconosciuto, e spesso viene confuso in gergo statistico con espressioni come "si stima che il rischio per un cancro letale dovuto all'esposizione alle sia di 4 casi su un milione, per 1.000 mrem". Il dottor John Gofman studia gli effetti delle radiazioni sulla salute umana da 45 anni. Gofman, dottore in medicina che ha conseguito il dottorato in chimica fisica e nucleare, lavorò al Progetto Manhattan, scoprì l'uranio 233 e fu il primo scienziato a isolare il plutonio. In cinque libri scientificamente documentati, Gofman fornì prove esaurienti per dimostrare che le attrezzature tecnologiche mediche - in particolare i raggi X, le TAC, la mammografia e gli esami fluoroscopici - contribuiscono all'insorgere del 75% dei tumori. In un rapporto di quasi 700 pagine aggiornato nel 2000, "la radiazione derivante da procedure mediche nella patogenesi del cancro e nelle cardiopatie ischemiche: studi di risposta al dosaggio con medici per una popolazione di 100.000 abitanti", Gofman dimostra che man mano che aumenta il numero di medici curanti in una certa area geografica insieme all'aumento del numero di esami diagnostici a raggi X effettuati, cresce anche la percentuale di tumori e di cardiopatie ischemiche. Gofman sostiene che non siano solo i raggi X a provocare il danno, ma una combinazione di fattori a rischio per la salute che comprendono una dieta povera, il fumo, l'aborto e l'uso di contraccettivi orali. Gofman prevede che la radiazione ionizzante sarà responsabile di 100 milioni di morti premature nel corso del prossimo decennio. Nel suo libro "Prevenire il cancro al seno", Gofman sottolinea che il tumore al seno è la principale causa di morte tra le donne americane di età compresa tra 44 e 55 anni. Dal momento che il tessuto del seno è altamente sensibile alle radiazioni, le mammografie possono provocare il cancro. Il pericolo può essere accresciuto da altri fattori, tra cui la configurazione genetica della donna, patologie benigne del seno preesistenti, menopausa artificiale, obesità e squilibrio ormonale. Persino i raggi X effettuati per dolori alla schiena possono portare qualcuno a intraprendere un intervento che si rivelerà pericoloso. Il dottor John E. Sarno, ben noto chirurgo ortopedico di New York, scoprì che non vi è necessariamente alcuna associazione tra il dolore alla schiena e un"anormalità della spina dorsale visibile ai raggi X. Cita studi effettuati su persone normali, senza alcuna traccia di dolore alla schiena, le cui radiografie indicano deformità della colonna vertebrale, e su individui che lamentano dolori alla schiena ma le cui colonne vertebrali appaiono normali ai raggi X. I pazienti che lamentano dolori e mostrano anormalità della schiena anche nelle radiografie possono dover subire interventi

chirurgici, talvolta senza ottenere nessun cambiamento dal punto di vista del dolore, talvolta con peggioramento del dolore o addirittura rischiando di procurarsi un"invalidità permanente. Inoltre, i medici spesso prescrivono radiografie per proteggersi dalle accuse di negligenza, per dare così l'impressione di non lasciare nulla d"intentato. Sembra quindi che i dottori antepongano le proprie paure agli interessi dei loro pazienti. RICOVERI NON NECESSARI Nel 2001 quasi 9 milioni (8.925.033) di persone furono ricoverate senza che ve ne fosse un"effettiva necessità. In uno studio sull'ospedalizzazione inadeguata, due medici parlarono di 1.132 casi registrati. Giunsero alla conclusione che il 23% dei ricoveri erano inappropriati, e che un altro 17% avrebbe potuto essere trattato in ambulatorio. Il 34% delle giornate complessive trascorse in ospedale fu ritenuto non appropriato ed evitabile. Nel 1990 la percentuale di ricoveri ospedalieri inadeguati era del 23,5%. Nel 1999, anche un altro studio denunciò una percentuale di ricoveri inadeguati del 24%, rivelando un andamento costante dal 1986 al 1999.97 Il database del HCUP indica che il numero totale di pazienti dimessi dagli ospedali Usa nel 2001 ammontava a 37.187.641, e ciò significa che almeno 9 milioni di persone furono esposte a interventi medici non necessari negli ospedali, rappresentando quindi quasi 9 milioni di potenziali episodi iatrogeni. L"ESPERIENZA DELLE DONNE IN MEDICINA Il dottor Martin Charcot (1825-1893) era noto in tutto il mondo per essere il medico più celebrato del suo tempo; esercitava all'ospedale La Salpetrière di Parigi. Divenne un esperto in isteria, diagnosticando una media di 10 casi di donne isteriche al giorno, trasformandole in "mostri iatrogeni" e facendo diventare isteria una semplice nevrosi. Il numero di donne a cui venne diagnosticata l'isteria, e che vennero conseguentemente ricoverate, crebbe dall'1 % del 1841 al 17% nel 1883. Il termine "isteria" deriva dal latino "hystera", che significa utero. Secondo la dottoressa Adriane Fugh-Berman, la medicina statunitense ha una tradizione di interventi medici e chirurgici eccessivi sulle donne; solo 100 anni fa, i dottori maschi ritenevano che lo squilibrio psicologico femminile si originasse nell'utero. Quando fu perfezionata la tecnica chirurgica per rimuovere l'utero, divenne la "cura" per l'instabilità mentale, effettuando così una vera e propria castrazione fisica e psicologica. La Fugh-Bernam fa notare che i medici statunitensi si sono liberati di quella nozione ingannevole, ma hanno continuato a trattare le donne in maniera molto diversa dagli uomini. Cita le seguenti statistiche: 1. Ogni anno vengono effettuate migliaia di mastectomie profilattiche. 2. Un terzo delle donne americane è sottoposta a isterectomia prima della menopausa. 3. Alle donne vengono prescritti medicinali più frequentemente che agli uomini. 4. Alle donne vengono dati farmaci potenti per la prevenzione di malattie, che hanno il solo risultato di provocare una sostituzione di malattia dovuta a effetti collaterali. 5. La pratica del monitoraggio fetale non è sostenuta da studi e non è consigliata dal CDC. Confina le donne in un letto d"ospedale e può dare origine a un"alta incidenza di tagli cesarei. 6. - Processi fisiologici naturali, come la menopausa e il parto, sono stati pesantemente "medicalizzati". 7. - La terapia ormonale sostitutiva (Hormone Replacement Therapy, HRT; NdT) non impedisce l'insorgere di malattie cardiache o di demenza, ma in realtà accresce il rischio di cancro al seno, cardiopatie, colpo apoplettico e disturbi alla cistifellea. Almeno un terzo delle donne in fase di postmenopausa usa la terapia ormonale sostitutiva. La cifra è importante alla luce del Women"s Health Iniziative Study (Iniziativa Studio sulla Salute delle Donne, NdT), lavoro molto pubblicizzato che fu interrotto prima di venire portato a compimento per via dell'alto tasso di mortalità verificatosi nel gruppo sottoposto alla terapia a base di estrogeno-progesterone sintetico (HRT).

TAGLIO CESAREO Nel 1983, negli Stati Uniti furono effettuati 809.000 tagli cesarei, che diventarono così la procedura chirurgica ostetrico-ginecologica (OB/GYN; obstetric-gynecologic, NdT) più comune. La seconda operazione OB/GYN più diffusa era l'isterectomia (673.000), seguita dalla dilatazione diagnostica e dal raschiamento dell'utero (632.000). nel 1983, le procedure OB/GYN costituirono il 23% degli interventi chirurgici effettuati negli Stati Uniti. Nel 2001, il taglio cesareo era ancora la procedura OB/GYN più comune. Ogni anno si assiste a circa 4 milioni di nascite, il 24% delle quali (960.000) avviene mediante taglio cesareo. Nei Paesi Bassi, solo nell'8% dei parti viene praticato il taglio cesareo. Questo suggerisce l'ipotesi che ben 640.000 tagli cesarei non necessari - che comportano una mortalità da tre a quattro volte più elevata, e una morbosità di 20 volte maggiore rispetto al parto vaginale (105) - siano effettuati ogni anno negli Usa. La percentuale di cesarei negli Stati Uniti crebbe da un modesto 4,5% nel 1965 al 24,1% nel 1986. La dottoressa Sakala sostiene che "si stia verificando una pandemia incontrollata di parti compiuti con cesareo non necessario dal punto di vista medico". VanHam riferì di una percentuale del 7% di emorragie post-parto in seguito a taglio cesareo, di una percentuale di formazione di ematomi pari al 3,5%, di una percentuale di infezioni del tratto urinario del 3% e di una percentuale di morbosità post-operatoria combinata del 35,7% in una popolazione ad alto rischio che si sottopone a taglio cesareo. COSTANTE CARENZA DI STUDI Gli scienziati lamentavano costantemente la carenza di studi che rivelassero la pericolosità del DDT e di altri pesticidi a rischio, per poterli così bandire. Usarono anche questi argomenti contro il tabacco, affermando che erano necessari molti altri studi prima di poter essere certi che il tabacco provocasse realmente il cancro ai polmoni. Persino l'American Medical Association (AMA) si rese complice della soppressione della ricerca sul tabacco. Nel 1964, quando il rapporto del Surgeon"s General condannò il fumo, l'AMA si rifiutò di sottoscriverlo, dichiarando di aver bisogno di ulteriori ricerche. Ciò che in realtà voleva era ulteriore denaro, che riceveva da un consorzio di produttori di tabacco: questo pagò all'AMA ben 18 milioni di dollari nei successivi nove anni, durante i quali l'Associazione Medica Americana non disse nulla a proposito dei pericoli del fumo. Il Journal of American Medical Association, "dopo attenta considerazione della misura in cui le sigarette venivano utilizzate dai medici durante l'esercizio della professione", iniziò ad accettare le pubblicità del tabacco e il denaro nel 1933. Anche le riviste dei singoli stati, come il New York State Journal of Medicine, iniziarono a pubblicare annunci pubblicitari per le sigarette Chesterfield, nei quali si dichiarava che le sigarette sono "pure come l'acqua che bevete... e praticamente neppure sfiorate da mani umane". Nel 1948, il JAMA sostenne che "può essere detto tanto di più a sostegno del fumo come strumento di evasione dalle tensioni che contro di esso... non sembra esserci un tale eccesso di prove che giustifichino l'abolizione dell'uso del tabacco in quanto sostanza nociva alla salute pubblica". Oggi, gli scienziati continuano a servirsi della scusa per cui sono necessarie maggiori ricerche prima di fornire il proprio sostegno concreto alla restrizione dell'uso sfrenato di medicinali. REAZIONI AVVERSE AI FARMACI Lo studio di Lazarou analizzò le documentazioni relative alle prescrizioni di farmaci in 33 milioni di casi di ricoveri ospedalieri negli Stati Uniti nel 1994. Scoprì 3,3 milioni di lesioni serie dovute a medicinali prescritti: il 2,1% dei pazienti manifestò una grave reazione avversa ai farmaci, il 4,7% dei ricoveri complessivi era dovuto a gravi reazioni avverse ai farmaci e nello 0,19% dei pazienti interni e nello 0,13% dei ricoverati si verificarono reazioni avverse fatali. Gli autori ipotizzarono che ogni anno si verificassero 109.000 decessi dovuti a reazioni avverse ai farmaci.

Basandosi su uno studio sulle spese ricavato da un lavoro del 2001, in cui l'aumento delle spese di ospedalizzazione per paziente sofferente di reazione avversa ai farmaci era di 5.483 dollari, si ricava un costo per i 2,2 milioni di pazienti con gravi reazioni avverse dello studio di Lazarou pari a 12 miliardi di dollari. Gravi reazioni avverse ai farmaci emergono solitamente dopo l'approvazione dei medicinali in questione da parte della FDA. La sicurezza di nuovi prodotti non può essere nota con precisione finché un farmaco non sia rimasto in commercio per molti anni. PIAGHE DA DECUBITO Ogni anno, più di un milione di persone sviluppano piaghe da decubito negli ospedali statunitensi. È un tremendo fardello per i pazienti e le loro famiglie, ed è inoltre un fardello di 55 miliardi di dollari che la sanità si ritrova a dover gestire. Le piaghe da decubito sono evitabili, con un"adeguata assistenza infermieristica. È vero che il 50% dei colpiti sono in un"età vulnerabile, cioè la fascia di ultrasettantenni. Nei più anziani le piaghe da decubito scatenano un aumento quadruplicato della percentuale di decessi. Il tasso di mortalità negli ospedali per i pazienti con piaghe da decubito va dal 23% al 37%. Anche se prendiamo in esame solo il 50% degli individui sopra i 70 anni affetti da piaghe e il tasso di mortalità più basso (del 23%), otteniamo comunque un numero di decessi dovuti a piaghe da decubito pari a 115.000. Si potrebbe obiettare dicendo che sono le malattie o l'età avanzata a uccidere questi pazienti, non le piaghe, ma noi sosteniamo che una morte prematura, dovuta alla mancanza di cure adeguate, merita ugualmente di essere considerata. È solo dopo aver considerato anche queste morti non necessarie che possiamo volgere la nostra attenzione alla risoluzione del problema. MALNUTRIZIONE NELLE CASE DI RIPOSO Il General Accounting Office (GAO; Ufficio Generale di Contabilità, NdT), una sezione investigativa speciale del Congresso, citò il 20% delle 17.000 case di riposo nazionali per violazioni compiute tra il luglio 2000 e il gennaio 2002. Molte di queste violazioni comportarono lesioni fisiche e decessi. Un rapporto della Coalition for Nursing Home Reform (Coalizione per la Riforma delle Case di Riposo, NdT) denuncia che almeno un terzo di 1,6 milioni di residenti delle case di riposo potrebbe soffrire di malnutrizione e disidratazione, che ne affrettano quindi la morte. Il rapporto richiede un personale di assistenza adeguato per aiutare a mangiare i pazienti che non riescono a tenere da soli un vassoio del cibo. È difficile stabilire un tasso di mortalità per malnutrizione e disidratazione. Il rapporto della Coalition afferma che gli ospiti malnutriti, paragonati a quelli ben nutriti che vivono in case di riposo ospedalizzate, hanno un aumento della mortalità che è di cinque volte superiore quando vengono ricoverati in ospedale. Elaborando i dati sul numero di residenti delle case di riposo che sono malnutriti (1,6 milioni) e il tasso di mortalità del 20% (8,14%), si ottengono 108.800 morti premature dovute alla malnutrizione nelle case di riposo. INFEZIONI NOSOCOMIALI Il tasso di infezioni nosocomiali per 1.000 giorni di ricovero crebbe dal 7,2% del 1975 al 9,8% del 1995, con un salto del 36% in 20 anni. Rapporti provenienti da 270 ospedali statunitensi mostrarono che il tasso stesso di infezioni nosocomiali era rimasto stabile per i precedenti 20 anni, con circa cinque/sei infezioni contratte in ospedale verificatesi su 100 ricoveri (percentuale del 5-6%). Tuttavia, a causa delle sempre più brevi permanenze in ospedale dei pazienti e del crescente numero di ricoveri, la somma delle infezioni diminuì. Si è calcolato che nel 1995 le infezioni nosocomiali siano costate 4,5 miliardi di dollari, e che abbiano contribuito al verificarsi di 88.000 decessi, cioè uno ogni sei minuti. L"incidenza nel 2003 di mortalità nosocomiale è forse più alta che nel 1995 per via dell'incredibile incremento di organismi resistenti agli antibiotici. Il Rapporto sulla Morbosità e Mortalità rivelò che le infezioni nosocomiali costarono 5 miliardi nel 1999, pari a un aumento di 0,5 miliardi di dollari in appena quattro anni. A questo tasso di crescita, l'attuale costo delle infezioni nosocomiali si aggirerebbe sui 5,5 miliardi di dollari.

IATROGENESI DEI PAZIENTI AMBULATORIALI In un articolo apparso sul JAMA nel 2000, la dottoressa Barbara Starfield presentò una serie di fatti ben documentati, scioccanti e inoppugnabili allo stesso tempo. Gli Stati Uniti si classificarono dodicesimi su un totale di tredici paesi industrializzati, giudicati su 16 indicatori relativi alla condizione della sanità nazionale. Il Giappone, la Svezia e il Canada erano il primo, il secondo e il terzo paese della classifica. Più di 40 milioni di persone negli Usa non hanno assicurazione sanitaria, e il 20-30% dei pazienti riceve assistenza controindicata. La Starfield ammonisce affermando che una delle cause di errore medico è l'uso smodato delle attrezzature tecnologiche, le quali potrebbero creare un "effetto a cascata", che a sua volta porta a servirsi di ulteriori trattamenti. Sollecita con urgenza a utilizzare i codici ICD (International Classification of Diseases; Classificazione Internazionale delle Malattie, NdT), che hanno indicazioni come “Farmaci, medicinali e sostanze biologiche che provocano reazioni avverse nell'uso terapeutico" e "Complicazioni di cura medica e chirurgica" per aiutare i medici a quantificare e a riconoscere l'ampiezza del problema. La Starfield fa notare che molti decessi attribuibili all'errore medico oggi sono probabilmente codificati in modo tale da indicare qualche altra causa di morte. La dottoressa conclude affermando che nella nostra pagella sulla salute (molto povera se paragonata a quella degli altri paesi occidentali) dovremmo riconoscere che gli effetti dannosi degli interventi sanitari sono responsabili di una percentuale considerevole delle nostre morti in eccesso. La Starfield cita l'articolo di Weingart del 2000, "Epidemiologia dell'errore medico", oltre ad altri autori, per suggerire che tra il 4% e il 18% dei pazienti accolti in strutture ambulatoriali soffrono di eventi iatrogeni che portano a: 1.116 milioni di visite extra dal medico 2. 77 milioni ricette extra compilate 3. 17 milioni di visite in reparti di emergenza 4. 8 milioni di ospedalizzazioni 5. 3 milioni di ricoveri a lungo termine 6. 199.000 decessi in più 7. 77 miliardi di dollari di spese extra. INTERVENTI CHIRURGICI SUPERFLUI Mentre ogni anno si verificano qualcosa come 12.000 decessi derivati da interventi chirurgici non necessari, i risultati dei pochi studi che hanno calcolato la proporzione degli interventi superflui indicano direttamente che per alcune operazioni altamente controverse, la proporzione di interventi non garantiti potrebbe essere addirittura del 30%. ERRORI MEDICI: UNA QUESTIONE GLOBALE Un"inchiesta condotta in cinque paesi e pubblicata sul Journal of Health Affairs rivelò che il 1828% degli individui che recentemente ammalatisi erano stati vittime di un errore medico o farmacologico nei precedenti due anni. Lo studio osservò 750 adulti che si erano ammalati di recente; l'analisi condotta paese per paese mostrò che le percentuali di coloro che erano stati vittime di un errore era del 18% in Gran Bretagna, del 23% in Australia e in Nuova Zelanda, del 25% in Canada e del 28% negli Stati Uniti. CUSTODIRE I NOSTRI ANZIANI Una maniera per misurare la fibra morale ed etica di una società consiste nell'osservare in che modo tratta i suoi membri più deboli e vulnerabili. In alcune culture, le persone anziane concludono le proprie esistenze in ambienti familiari estesi che permettono loro di continuare a partecipare alla vita della famiglia e degli affari che riguardano la comunità. Le case di riposo americane, dove milioni dei nostri anziani si ritirano per trascorrere i loro ultimi giorni, rappresentano la massima espressione dell'isolamento sociale e dell'abuso medico. In America, circa 1,6 milioni di anziani sono confinati in case di riposo. Entro il 2050, questa cifra potrebbe toccare i 6,6 milioni. Il 20% di tutti i decessi, per varie cause, si verifica nelle case di riposo.

Le fratture dell'anca sono la ragione principale (e unica) di ammissione alle case di riposo. Le case di riposo rappresentano un serbatoio per gli organismi resistenti agli antibiotici, per via dell'uso smodato che se fa. Il deputato Henry Waxman (Distretto della California), presentando un rapporto da lui stesso sponsorizzato intitolato "Il numero elevato di residenti è un problema primario nelle case di riposo statunitensi" il 30 luglio 2001, ha sottolineato il fatto che "come società saremo giudicati dal modo in cui trattiamo gli anziani". Il rapporto ha rilevato che un terzo delle circa 17.000 case di riposo nazionali erano state citate per violazioni ed abusi in un periodo di due anni, dal gennaio 1999 al gennaio 2001. Secondo Waxman, "le persone che si sono prese cura di noi meritano di meglio". Il rapporto suggerisce che questi abusi conosciuti rappresentino solo la "punta dell'iceberg" e che se ne verifichino molti di più, che ne siamo consapevoli o no. Dal rapporto emerse che: - Più del 30% delle case di riposo statunitensi erano state citate per abusi, totalizzando più di 9.000 violazioni. - Il 10% delle case di riposo aveva commesso violazioni che avevano provocato un effettivo danno fisico ai residenti, o peggio. - Più del 40% (3.800) degli abusi era seguito a una protesta inoltrata ufficialmente, di solito dai familiari delle vittime coinvolte. - Furono scoperti molti abusi verbali. - Furono rilevati occasionali abusi sessuali. - Incidenti di abusi fisici responsabili di numerose lesioni quali frattura del femore, dell'anca, del gomito, del polso, e altre lesioni. Case di riposo in condizioni di pericolosa insufficienza del personale portano a trascuratezza, abuso, uso smodato di medicinali e costrizioni fisiche. Nel 1990, il Congresso commissionò uno studio esaustivo sulla proporzione esistente tra infermieri e pazienti nelle case di riposo. Lo studio iniziò finalmente nel 1998 e poté essere completato in quattro anni. Un portavoce della National Citizens" Coalition for Nursing Home Reform commentò così lo studio condotto: "Hanno compilato tre rapporti, della lunghezza di tre volumi ciascuno, ognuno dei quali documenta in maniera approfondita il numero di ore di assistenza che i residenti devono ricevere dagli infermieri e dagli assistenti per evitare problemi dolorosi, e persino pericolosi, come le piaghe da decubito o le infezioni. Eppure al Dipartimento per i Servizi Sanitari e Sociali e al Segretario Tommy Thompson ci sono voluti solo quattro mesi per bollare il rapporto come "insufficiente" e rifiutarlo". Sebbene siano evitabili con un"adeguata assistenza sanitaria, le piaghe da decubito si verificano tre volte più frequentemente nelle case di riposo che negli ospedali acute-care o per veterani di guerra. Dato che molti dei pazienti ospitati nelle case di riposo si trovano in situazioni debilitanti croniche, la loro presunta causa di morte molto spesso non viene messa in dubbio dai medici curanti. Alcuni studi mostrano che almeno il 50% dei decessi dovuti a costrizioni fisiche, cadute, suicidio, omicidio e soffocamento nelle case di riposo potrebbero essere insabbiati. È possibile che molti decessi occorsi in case di riposo siano invece attribuiti ad attacchi di cuore. Infatti, i ricercatori hanno scoperto che gli attacchi cardiaci potrebbero essere esageratamente rappresentati tra la popolazione generale come causa di morte, in una percentuale variabile tra l'8 e il 24% sui certificati ufficiali. Negli anziani, le dichiarazioni di infarto come causa di morte sono addirittura due volte superiori. Il fatto che esistano poche statistiche riguardanti la malnutrizione negli ospedali acute-care e nelle case di riposo dimostra la mancanza di interesse in questo ambito. Mentre esaminando la letteratura medica sul tema emergono solo pochi studi statunitensi, uno studio Usa rivelatore valutò la condizione nutrizionale di 837 pazienti in un ospedale subacute-care con 100 posti letto, per un periodo di 14 mesi. Dallo studio emerse che solo l'8% dei pazienti risultava ben nutrito, mente il 29% era malnutrito e il 63% era a rischio di malnutrizione. Di conseguenza, il 25% dei pazienti malnutriti necessitava nuovamente il ricovero in ospedale acute-care, paragonato all'11% dei

pazienti in buone condizioni. Gli autori giunsero alla conclusione che la malnutrizione raggiungeva proporzioni epidemiche nei pazienti ricoverati nelle strutture subacute-care. Molti studi giungono alla conclusione che le costrizioni fisiche non siano adeguatamente denunciati e che rappresentino una causa di morte evitabile. Gli studi dimostrano che l'uso di impedimenti fisici, comprese le sponde del letto, rappresenti la causa di almeno un decesso su 1.000 nelle case di riposo, se si confrontano con quelle in cui non vengono utilizzati. I decessi provocati da malnutrizione, disidratazione e costrizioni fisiche, tuttavia, sono raramente registrati sui certificati di morte. Numerosi studi rivelano che quasi la metà delle cause di morte elencate nei certificati degli anziani con malattie croniche o multisistemiche sono inesatte. Anche se una persona su cinque muore nelle case di riposo, le autopsie vengono compiute in meno dell'1 % dei casi. ECCESSO DI CURE PER GLI ANZIANI Il dottor Robert Epstein, responsabile del settore medico della Medco Health Solutions Inc. (società afferente alla Merck & Co.), nel 2003 ha condotto uno studio sulle tendenze di consumo dei farmaci tra gli anziani. Scoprì che gli anziani vanno da innumerevoli medici, ottengono innumerevoli ricette e usano innumerevoli farmacie. La Medco sovrintende a piani di indennità farmaceutica per più di 60 milioni di americani, compresi 6,3 milioni di anziani che hanno ricevuto più di 160 milioni di prescrizioni. Secondo lo studio, l'anziano medio riceve 25 prescrizioni all'anno. Tra quei 6,3 milioni di persone, scattarono complessivamente 7,9 milioni di allarmi medici: meno della metà di questi, 3,4 milioni, furono individuati nel 1999. Circa 2,2 milioni di quegli allarmi rivelarono dosaggi eccessivi non adatti agli anziani, mentre circa 2,4 milioni rivelarono farmaci clinicamente inappropriati per persone di età avanzata. La Reuters intervistò Kasey Thompson, direttore del Center on Patient Safety (Centro per la Sicurezza del Paziente, NdT) presso l'American Society of Health System Pharmacists (Società Americana dei Farmacisti del Sistema Sanitario, NdT), che sottolineò: "Ci sono problemi seri e sistemici con la scarsa continuità dell'assistenza negli Stati Uniti". Disse che questo studio rappresenta solo "la punta dell'iceberg" di un problema nazionale. Secondo il Drug Benefit Trends, il numero medio di prescrizioni dispensate a sottoscrittori di piani sanitari HMO non dipendenti dal MedicareC per anno aumentò dal 5,6% del 1999 al 2000 - da 7,1 a 7,5 prescrizioni. La media di prescrizioni dispensate a membri del Medicare aumentò del 5,5%, da 18,1 a 19,1. Il numero totale di ricette compilate negli Stati Uniti nel 2000 era di 2,98 miliardi, corrispondenti a 10,4 prescrizioni per ogni uomo, donna e bambino. In uno studio condotto su 818 residenti di strutture assistenziali residenziali per anziani, emerse che il 94% stesse ricevendo almeno una medicina all'epoca dell'intervista realizzata per la ricerca. La quantità media di medicinali assunti era di cinque farmaci per ogni residente; gli autori fecero notare che molti di questi venivano somministrati senza una diagnosi documentata che ne giustificasse l'uso. Anziani e gruppi come l'American Association for Retired Persons (AARP; Associazione Americana dei Pensionati, NdT) chiedono che la copertura dei farmaci su ricetta sia un diritto fondamentale. Hanno accettato l'assunto dominante della medicina allopatica, secondo cui l'invecchiamento e la morte in America debbano essere accompagnati dai medicinali nelle case di riposo e un"eventuale ospedalizzazione. Agli anziani viene data la possibilità di scegliere tra farmaci brevettati ad alto costo o medicinali generici a basso costo. Le società farmaceutiche tentano di mantenere solo i farmaci più costosi sugli scaffali e di impedire l'accesso ai farmaci generici, a costo di dover fronteggiare multe salate di centinaia di milioni di dollari imposte dal governo federale. Nel 2001, alcune delle maggiori società farmaceutiche furono multate della cifra record di 871 milioni di dollari per essersi coalizzate nel tentativo di aumentare il prezzo delle vitamine. Le attuali raccomandazioni dell'AARP per la dieta e la nutrizione danno per scontato che gli anziani ricevano tutti i principi nutritivi di cui hanno bisogno in una dieta media. Al massimo, l'AARP suggerisce di aggiungere del calcio extra e un"integrazione multivitaminica e minerale.152

Ironicamente, gli studi sottolineano anche un uso limitato di adeguati medicinali per il dolore per i pazienti che ne hanno bisogno. Uno studio valutò la gestione del dolore in un gruppo di 13.625 malati di cancro, di età superiore ai 65 anni, residenti in case di riposo. Mentre quasi il 30% dei pazienti lamentava dolore, più del 25% non riceveva alcuna cura di sollievo, il 16% riceveva un blando analgesico, il 32% un analgesico di moderata intensità e il 26% riceveva la quantità di morfina adeguata a ottenere sollievo dal dolore. Gli autori concludevano che i pazienti più anziani e quelli in minoranza erano più probabilmente i più soggetti a ricevere un trattamento inadeguato al dolore. COSA RESTA DA SCOPRIRE La nostra ricerca in corso continuerà a quantificare la morbosità, mortalità e le perdite finanziarie dovute a: 1. Esposizione a raggi X (mammografia, fluoroscopia, TAC). 2. Uso smodato di antibiotici per qualsiasi problema. 3. Farmaci carcinogenici (terapia ormonale sostitutiva, immunosoppressivi e farmaci ottenibili mediante ricetta medica). 4. Chemioterapia contro il cancro. 5. Interventi chirurgici e interventi chirurgici non necessari (taglio cesareo, mastectomia radicale, mastectomia preventiva, isterectomia radicale, prostatectomia, colecistectomia, chirurgia estetica, artroscopia, ecc.). 6. Procedure mediche e terapie non credibili. 7. Terapie mediche non verificate. 8. Interventi su pazienti ambulatoriali. 9.I medici stessi. A proposito della terapia ormonale sostitutiva, parte della nostra ricerca tuttora in corso consisterà nel quantificare la mortalità e morbosità provocata dalla terapia ormonale sostitutiva (HRT) a partire dagli anni "40. Nel dicembre 2000, una commissione scientifica promossa dal governo raccomandò che l'estrogeno sintetico venisse aggiunto alla lista nazionale di fattori scatenanti del cancro. L"HRT, con il solo estrogeno sintetico oppure combinata con il progesterone sintetico, viene usata da una percentuale di donne stimata tra i 13,5 e i 16 milioni negli Stati Uniti. Il Women"s Health Initiative Study (WHI) del 2002, poi soppresso, dimostrò che le donne che assumevano estrogeno sintetico combinato con progesterone sintetico avevano una maggiore incidenza di cancro alle ovaie, cancro al seno, colpo apoplettico e malattie cardiache, con ben poche prove a sostegno della riduzione dell'osteoporosi o prevenzione della demenza. I ricercatori del WHI, che generalmente non forniscono mai raccomandazioni, se non quelle di suggerire ulteriori studi, consigliarono ai dottori di essere molto cauti nel prescrivere l'HRT alle proprie pazienti. I risultati del "Million Women Study" sull'HRT e sul cancro nel Regno Unito furono pubblicati sulla rivista medica The Lancet, nell'agosto 2003. Secondo l'autrice e curatrice della pubblicazione professoressa Valerie Beral, direttrice della Cancer Research UK Epidemiology Unit (Unità Epidemiologica per la Ricerca sul Cancro nel Regno Unito, NdT): "Riteniamo che nel decennio passato l'uso di HRT da parte delle donne britanniche di età compresa tra i 50 e i 64 anni abbia provocato 20.000 tumori al seno in più, e che la terapia combinata di estrogeno e progesterone sia responsabile di circa 15.000 di questi casi". Non siamo stati in grado di reperire dati statistici su cancro al seno, colpo apoplettico, cancro all'utero o malattie cardiache provocate dall'HRT per le donne americane. Dato che la popolazione statunitense è circa sei volte maggiore di quella del Regno Unito, è possibile che 120.000 casi di tumore al seno siano stati causati dall'HRT nello scorso decennio. Lo studio completo, la bibliografia e le note sono disponibili sul sito

http://www.lef.org/magazine/ mag2004/mar2004_awsi_death_01.htm Si ringrazia Life Extension Foundation Buyers Club, Inc. per la gentile concessione.

COLLASSO DEL QUARTO POTERE Cosa rende i media tradizionali così tradizionali Noam Chomsky Tratto da un discorso allo Z Media Institute, giugno 1997. Parte del motivo per il quale scrivo a proposito dei media è che provo interesse per tutto quello che è creazione della cultura e la parte più semplice da studiare, a questo riguardo, è il mondo dei media. Capita ogni giorno. Potete indagare voi stessi. Potete confrontare la versione offerta ieri con quella offerta oggi. Ci sono tante palesi dimostrazioni di come le cose vengano gestite e di cosa si sia scelto di enfatizzare. La mia impressione è che i media non siano molto diversi dalle dottrine o da, per esempio, i giornali d"opinione. C"è qualche costrizione in più, ma la differenza non è radicale. E interagiscono tra loro, ciò spiega come mai le persone passino dall'uno all'altro con tanta semplicità. Se volete capire i media, o qualsiasi altra istituzione, fatelo cominciando col porvi domande sulla struttura interna dell'istituzione. Come si situa rispetto a società più importanti? Com"è collegata ad altri organi di potere? Se siete fortunati, troverete il documento interno, proveniente dai dirigenti, che dice cosa vogliano che facciate. E non si intende la gestione delle public relations, spiegano invece agli altri cosa pubblicare. Esistono documenti molto interessanti. Questi ultimi sono la più importante fonte di informazioni sulla vera natura dei media. Se volete studiare i media allo stesso modo in cui uno scienziato esamina una molecola complessa, allora date prima un"occhiata alla struttura e poi formulate delle ipotesi basate inizialmente sul prodotto che tale struttura può generare. Poi investigate il prodotto che quel media davvero genera per vedere se è conforme all'ipotesi. In effetti, tutto il lavoro di analisi dei media è solo l'ultima parte - nel tentativo di studiare con attenzione principalmente solo il prodotto di quel media e da lì se è conforme ai più ovvi presupposti sulla natura e la struttura del media. Ok, cosa si scopre? Per prima cosa che ci sono diversi media che fanno cose molto diverse. Per esempio: l'intrattenimento-hollywood, le soap opera, e così via o anche i più importanti quotidiani del paese (la stragrande maggioranza) che si rivolgono alla massa, non per informarla ma per distrarla. Oppure, vi sono altri campi nei quali operano i media. Si tratta, ad esempio, dei media d"élite, dei media agenda-setting, a volte denominati "media dell'ordine del giorno" in quanto sono gli unici che, possedendo immense risorse, dettano agli altri le modalità operative. Il New York Times, il Washington Poste pochi altri. I loro lettori sono dei privilegiati. Coloro che leggono il New York Times sono, solitamente, benestanti e appartegono alla cosiddetta casta politicizzata. Molti di questi lettori sono coinvolti attualmente nel processo decisionale e di controllo, principalmente come manager o in posizioni simili. Creano i costumi. Può trattarsi di dirigenti politici, affaristi (come amministratori di società o altre posizioni di rilievo), gestori della dottrina (come molti che lavorano nelle scuole e nelle università), o altri giornalisti coinvolti nella gestione di come la gente pensa e percepisce i fatti. I media d"élite stabiliscono i limiti all'interno dei quali agiranno gli altri. Per alcuni anni ho monitorato l'Associated Press. Produce un costante flusso di notizie. A metà di ogni giornata c'era un"interruzione con un "Avviso ai redattori: l'edizione di domani del New York Times avrà la seguente prima pagina...". La questione cruciale in ciò è che se sei un redattore di un quotidiano di Dayton, nell'Ohio, e non hai fonti per stabilire le notizie principali, o nemmeno vuoi metterti a pensarci, questa interruzione ti ha già detto quali saranno. Queste sono storie per la quarta pagina, dove tratterete qualcosa di diverso rispetto alle questioni locali o di svago. Sono notizie che

metterete là perché sono quelle che il New York Times indica come meritevoli di attenzione per il giorno dopo. Se sei un redattore di un giornale locale probabilmente agirai in questo modo, perché non hai molte altre fonti e risorse. Se esci dalla linea tracciata per produrre notizie che la stampa d"élite non apprezza, probabilmente ne pagherai molto presto le conseguenze. Quanto è successo, recentemente, al San Jose Mercury News (quando ha pubblicato la serie "Dark Alliance" di Gary Webb, una serie che narrava della complicità della CIA nel traffico di droga) ne è un drammatico esempio. Ci sono molti modi con i quali il potere ti può rimettere in carreggiata. Non durerai a lungo se proverai a uscire dal branco. Questa struttura lavora piuttosto bene ed è chiaro che rifletta la volontà del potere. I media che si rivolgono alla massa stanno essenzialmente tentando di distrarre le persone. "Lasciate che facciano altre cose, basta che non scoccino noi" (e per noi si intendono le persone che tirano le fila dello spettacolo). Lasciate che s"interessino di sport, ad esempio. Lasciate che impazziscano, appunto, per lo sport, per gli scandali sessuali, per le questioni personali dei personaggi pubblici e altre cose simili. Qualunque cosa purché non sia una cosa seria. Perché, ovviamente, le cose serie sono riservate ai grandi. "Ci prendiamo cura che così vada". Quali sono i media d"èlite, quelli che definiscono l'agenda-setting? Il New York Times e la CBS, ad esempio. Beh, innanzitutto questi sono le principali, e molto redditizie, multinazionali del settore. Per di più sono collegate o sono di proprietà, di multinazionali ancora più grandi, come la General Electric, la Westinghouse e così via. Sono ai vertici del potere privato, dell'economia, e la loro è una struttura tirannica. Le multinazionali sono essenzialmente tiranniche, gerarchiche, controllate dall'alto. Se non piace quello che stanno facendo, ce ne si può solo andare. Perché la maggioranza dei media fanno parte di questo sistema. E che dire della loro disposizione istituzionale? Beh, è più o meno la stessa cosa. Interagiscono, si rapportano e hanno vincoli con i più importanti centri di potere: il Governo, altre multinazionali, le università. Fungendo essenzialmente come sistema di diffusione della dottrina, i media interagiscono strettamente con le università. Mettiamo che tu sia un cronista che debba scrivere una storia sul sud-est asiatico, sull'Africa o su qualcosa di simile; si suppone che andrai all'università più vicina alla ricerca di un esperto che ti dirà cosa scrivere, oppure presso una fondazione, come il Brookings Institute o l'American Enterprise Institute. Questi ti daranno una versione scelta dei fatti. In realtà sono molto simili ai media. Le università, ad esempio, non sono istituzioni indipendenti. Certo, disseminate all'interno vi sono persone indipendenti (e le scienze in particolare non sarebbero potute sopravvivere altrimenti), ma questo è vero anche per i media. E si potrebbe dire lo stesso anche per le multinazionali, ma anche per gli stati fascisti. La differenza è questione di quanto sia diffusa l'indipendenza. Tornando all'istituzione accademica, di per se stessa è parassita. Essa dipende da fonti esterne per mantenersi, fonti che traggono le risorse da privati, da grandi multinazionali che effettuano donazioni e dal governo (che già è così strettamente legato alle società più potenti che difficilmente si riesce a distinguere l'uno dall'altro). Nel mezzo di questo sistema si trovano le università. Chi non si adegua alle regole, tra coloro che si trovano in queste istituzioni, chi non le accetta e le interiorizza (credetemi, non potete lavorare in questi posti a meno che non le interiorizziate e ci crediate), chi non si conforma, strada facendo viene tranquillamente eliminato a cominciare già dall'asilo nido. Vi sono vari modi per filtrare, liberandosi di coloro che costituiscono una spina nel fianco e pensano con la propria testa. Chi di voi è stato in un college è ben consapevole di come il sistema educativo sia impostato rigidamente sul conformismo e sull'obbedienza; chi non si adegua è visto come un piantagrane. I mezzi di epurazione adottati finiscono per far rimanere solo chi ha realmente interiorizzato lo stile di pensiero e i comportamenti del sistema di potere della società (chi ci crede veramente, non chi si adegua mentendo). Le istituzioni d"élite come, ad esempio, Harvard e Princeton e altri college esclusivi, sono finalizzati a creare relazioni e un modello di socializzazione. Se vai in un posto come Harvard puoi avere un approccio diretto a come funziona questo modello di socializzazione:

insegnano come comportarsi per essere membri delle classi più alte, come pensare le cose giuste e così via. Sono certo che abbiate letto "La fattoria degli animali" di George Orwell, scritto a metà del 1940. È una satira sull'Unione Sovietica, uno stato totalitario. Fu un grande successo e piacque a tutti. Sempre Orwell scrisse un"introduzione a "La fattoria degli animali" che non fu mai pubblicata e che apparve solo 30 anni dopo. Qualcuno la ritrovò in mezzo alle sue carte. L"introduzione al libro fu vittima della "Censura Letteraria inglese". Orwell spiegava che, ovviamente, il libro mette in ridicolo l'Unione Sovietica e la sua struttura totalitaria ma che anche la libera Inghilterra non era da meno. Non abbiamo il KGB che ci respira sul collo ma i risultati sono gli stessi. La gente che pensa in modo indipendente o che pensa cose ritenute scorrette viene tagliata fuori. Orwell scrisse solo due frasi sulla struttura istituzionale. Si chiedeva perché ciò accadesse. Beh, primo, ciò accade perché la stampa è di proprietà di personaggi molto ricchi che hanno scopi specifici ai quali finalizzano il raggiungimento del pubblico. Secondo, accade perché quando si è passati attraverso un sistema educativo atto a formare un élite, quando si sono frequentate le scuole più prestigiose (Oxford e così via), si impara che ci sono determinate cose che è meglio non dire e che ci sono dei pensieri che è meglio non avere. Questo è il modello di socializzazione attuato dalle istituzioni d"élite e se non ci si adegua, si è fuori. Quando critichi i media dicendo: guarda cosa sta scrivendo Anthony Lewis o qualcun altro, e poi dimostri che lo fanno perché la storia deve essere cambiata affinché sia a favore di coloro che detengono il potere, loro si arrabbieranno. Ribadiranno, abbastanza correttamente: "Nessuno mi ha mai detto cosa scrivere. Scrivo quello che voglio. Tutte queste illazioni sulle pressioni e le costrizioni non hanno senso, non subisco alcuna forma di pressione". E questo è del tutto vero. Ma il punto è che non sarebbero in quella posizione se non avessero già dimostrato che non occorre che nessuno dica loro cosa scrivere, perché le regole già le conoscono. Se avessero cominciato dal basso e avessero proposto storie fuori dalle regole, non avrebbero mai ricoperto le posizioni attuali, dalla quali possono sostenere di poter fare ciò che vogliono. La stessa cosa è solitamente vera anche per le facoltà universitarie che trattano le materie con maggiori implicazioni ideologiche. C"è stato il passaggio attraverso il modello di socializzazione. Ok, pensate ora alla struttura e all'intero sistema. Come vi aspettate che siano le notizie? Beh, non è molto difficile. Prendiamo il New York Times. È una multinazionale e vende un prodotto. Il prodotto, in questo caso, è il pubblico. Non si arricchisce con le vendite del giornale. Sarebbe ben felice di offrire il quotidiano, gratuitamente, sulla Rete in quanto, attualmente, perde soldi ogni volta che vende un giornale. Il prodotto è solo l'audience. Per i media d"élite, il prodotto è un pubblico di privilegiati, della stessa classe sociale di coloro che scrivono il giornale, persone che partecipano ad alto livello al processo decisionale della nostra società. Come qualunque uomo d"affari, vendono il loro prodotto su un mercato e il mercato, ovviamente, è quello degli inserzionisti (che è un altro business). Sia che si tratti di giornali o di televisioni o di altro, stanno sempre vendendo l'audience. Multinazionali vendono audience ad altre multinazionali. Nel caso dei media d"élite, il giro d"affari è enorme. Insomma, cosa ci si può aspettare? Quale pensate che sia la natura del prodotto, date le circostanze? La conclusione più ovvia è che il prodotto dei media, ciò che appare e ciò che non appare, il modo in cui viene presentato, rifletterà gli interessi dei compratori e dei venditori, delle istituzioni e del sistema di potere. Se non succedesse sarebbe un miracolo. Ok, ora viene il difficile. Vi chiederete se le cose vadano, nei fatti, esattamente così. Beh, giudicate voi stessi. C"è molto materiale che può provare questa ovvia conclusione che, pur essendo stata sottoposta agli esami più severi che riusciamo a pensare, rimane lì, incrollabile. Effettivamente non riuscirete a trovare nulla, nelle scienze sociali, che possa confermare indiscutibilmente qualsiasi tipo di conclusione. Questo non ci sorprende molto, perché sarebbe miracoloso se ciò non accadesse, visto il modo in cui vanno le cose.

Quello che poi scoprirete è che tutta la questione è completamente tabù. Se vi iscriveste a una facoltà che si occupa di comunicazione, alla Kennedy School of Government o a Stanford o altrove, e studiaste giornalismo e comunicazione, scienze politiche, vedreste che ci sono domande che non verranno mai poste. In questo caso l'ipotesi che trova conferma è che chiunque studi lì non venga mai a conoscenza di qualcosa di mal celato, con alcune, rare, eccezioni, com"è naturale in un mondo caotico e complesso, ma in genere le cose vanno proprio così. Scommetto che anche voi lo sapevate. Dando un"occhiata a tutta la struttura dell'istituzione verrebbe da dire: ma certo, ovvio, inseriti in questo tipo di meccanismo, perchè questi personaggi dovrebbero esporsi? Perché dovrebbero permettere l'analisi critica di ciò che fanno? La risposta è che no, non c'è motivo per il quale dovrebbero permetterlo. E, infatti, non lo permettono. E rieccoci, non si tratta di una censura intenzionale. È che non ti troveresti in quella posizione se non avessi interiorizzato ideologie, valori e dottrine pertinenti. In ciò rientra quella che denominiamo la "sinistra" così come la destra. Infatti, nei dibattiti sui media tradizion