Topologia 978-88-470-5661-9, 978-88-470-5662-6 [PDF]

Nato dall'esperienza dell'autore nell'insegnamento della topologia agli studenti del corso di Laurea in M

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Italian Pages XII, 339 pagg. [340] Year 2014

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Table of contents :

Content:
Front Matter....Pages i-xii
Introduzione geometrica alla topologia....Pages 1-20
Insiemi....Pages 21-40
Strutture topologiche....Pages 41-65
Connessione e compattezza....Pages 67-91
Quozienti topologici....Pages 93-111
Successioni....Pages 113-138
Variet`, prodotti infiniti e paracompattezza....Pages 139-153
Complementi di topologia generale ?....Pages 155-173
Intermezzo ?....Pages 175-178
Omotopia....Pages 179-195
Il gruppo fondamentale....Pages 197-214
Rivestimenti....Pages 215-234
Monodromia....Pages 235-255
Il teorema di Van Kampen....Pages 257-278
Complementi di topologia algebrica ?....Pages 279-297
Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi....Pages 299-322
Back Matter....Pages 323-338
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Marco Manetti

2a edizione

123

NITEXT

Topologia

81,7(;7 ² /D 0DWHPDWLFD SHU LO  Volume 78

http://www.springer.com/series/5418

Marco Manetti

Topologia 2a edizione

Marco Manetti Dipartimento di Matematica “G. Castelnuovo” Sapienza – Università di Roma Roma, Italy

UNITEXT – La Matematica per il 3+2 ISSN versione cartacea: 2038-5722

ISSN versione elettronica: 2038-5757

ISBN 978-88-470-5661-9 ISBN 978-88-470-5662-6 (eBook) DOI 10.1007/978-88-470-5662-6 Springer Milan Heidelberg New York Dordrecht London © Springer-Verlag Italia 2014 Quest’opera è protetta dalla legge sul diritto d’autore e la sua riproduzione è ammessa solo ed esclusivamente nei limiti stabiliti dalla stessa. Le fotocopie per uso personale possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68. Le riproduzioni per uso non personale e/o oltre il limite del 15% potranno avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla ristampa, all’utilizzo di illustrazioni e tabelle, alla citazione orale, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla registrazione su microfilm o in database, o alla riproduzione in qualsiasi altra forma (stampata o elettronica) rimangono riservati anche nel caso di utilizzo parziale. La violazione delle norme comporta le sanzioni previste dalla legge. L’utilizzo in questa pubblicazione di denominazioni generiche, nomi commerciali, marchi registrati, ecc. anche se non specificatamente identificati, non implica che tali denominazioni o marchi non siano protetti dalle relative leggi e regolamenti. 9 8 7 6 5 4 3 2 1 In copertina: “Colori nello spazio” di Filippo Maconi (2006). Acrilico su tela. Per gentile concessione dell’autore. Layout copertina: Simona Colombo, Giochi di Grafica, Milano, Italy Impaginazione: PTP-Berlin, Protago TEX-Production GmbH, Germany (www.ptp-berlin.eu)

Springer fa parte di Springer Science+Business Media (www.springer.com)

Prefazione

Per lo studente Questo libro contiene un insegnamento base di topologia generale ed una introduzione alla topologia algebrica. È rivolto a studenti dotati delle conoscenze matematiche che solitamente si insegnano al primo anno dei corsi di laurea in Matematica e Fisica. La topologia generale è il linguaggio con il quale è scritta una parte consistente della Matematica. Non a caso il nome originario “topologia analitica” è stato rimpiazzato da “topologia generale”, anche a significare che si tratta della topologia che è usata dalla grande maggioranza dei matematici e che è necessaria a molti settori della matematica. Il suo continuo uso ha agito come una ripetuta limatura e lucidatura dei suoi teoremi e delle sue definizioni, facendone una materia di studio molto elegante. È inoltre innegabile che la topologia generale ha un notevole valore formativo, in quanto costringe ed abitua la mente a lavorare con oggetti estremamente astratti, definiti esclusivamente per conto di assiomi. Vi renderete conto voi stessi, studiando questo libro, che la topologia generale somiglia più ad un linguaggio che ad una teoria. Ci sono molti nomi nuovi da imparare, molte definizioni e molti teoremi la cui dimostrazione è spesso molto semplice e quasi mai supera le venti righe di lunghezza. Naturalmente ci sono anche risultati profondi e non banali, come ad esempio i teoremi di Baire, Alexander e Tyconoff. La parte di topologia algebrica, sulla quale daremo maggiori dettagli e le necessarie motivazioni nel Capitolo 9, è dedicata allo studio dell’omotopia, del gruppo fondamentale e dei rivestimenti. Ho inserito nel volume circa 400 esercizi: affrontarli con passione è il modo migliore per impadronirsi della materia, per adattarla al proprio modo di pensare e per imparare a sviluppare idee originali. Alcuni esercizi sono, completamente o quasi, svolti nel testo, e vengono chiamati“ Esempi ”. La loro importanza non deve essere assolutamente sottovalutata: studiarli è il modo migliore per rendere concreti i concetti astratti. Di altri esercizi, segnalati dal simbolo ♥, le soluzioni sono differite al Capitolo 16.

vi

Prefazione

È un dato di fatto che il modo migliore di studiare è quello di frequentare le lezioni, o in alternativa studiare i libri, cercando di capire bene le definizioni, i teoremi ed i collegamenti esistenti tra loro, e contemporanemente svolgere gli esercizi, senza paura di sbagliare, confrontando successivamente le proprie soluzioni con quelle proposte dal libro, dal docente, dai compagni di corso, dai siti internet eccetera. Alla pagina web indicata al termine della prefazione troverete una sezione con ulteriori soluzioni degli esercizi proposti. Questo libro contiene anche alcuni esercizi, indicati dal simbolo K, da me ritenuti più difficili di quanto è ragionevole assegnare alle prove d’esame. Tali esercizi devono pertanto essere interpretati come stimoli creativi e sfide all’intelligenza, dove non bisogna seguire pazientemente un sentiero fatto di idee e suggestioni abituali ma abbandonarsi a nuove combinazioni di elementi, guidate da analogie più sottili. Per il docente Negli anni accademici 2004–05 e 2005–06 ho insegnato il corso denominato “Topologia” agli studenti della laurea triennale in Matematica della Sapienza Università di Roma con l’obiettivo di adattare alle esigenze dei nuovi ordinamenti didattici parte della matematica tradizionalmente insegnata nel corso di Geometria 2 della laurea quadriennale. La scelta degli argomenti è stata fatta tenendo conto degli aspetti formativi e culturali dei singoli temi e della loro utilità ai fini dell’attività di studio e ricerca in matematica. Alcune scelte di programma sono di indubbia rottura con il tradizionale insegnamento della topologia nelle Università Italiane e mi sono state probabilmente suggerite dalla mia attività di ricerca nei settori dell’algebra e della geometria algebrica. Ho preferito andare subito al sodo, enunciando prima possibile i teoremi e le definizioni più importanti e cercando di limitare gli aspetti teratopologici. Nel passaggio dal progetto iniziale alla stesura finale delle note, ho lavorato sull’esposizione in modo da presentare le difficoltà concettuali in maniera graduale e di rendere teoria ed esempi il più possibile interessanti e dilettevoli agli occhi dello studente. In che misura tali obiettivi siano stati raggiunti saranno i lettori a giudicarlo. Ho assunto come prerequisiti le conoscenze matematiche tipicamente insegnate al primo anno dei corsi di laurea in Matematica e Fisica. Si richiede quindi la conoscenza del linguaggio degli insiemi, dell’algebra lineare, delle nozioni base di teoria dei gruppi, delle proprietà delle funzioni, delle serie e delle successioni di numeri reali insegnate nei corsi di Calcolo e Analisi 1. All’aritmetica cardinale ed al lemma di Zorn, due importanti prerequisiti non sempre trattati nei corsi del primo anno, è dedicato il secondo capitolo: sarà compito del docente decidere, dopo aver valutato le competenze dei propri studenti, se trattare o meno tali argomenti a lezione. Il materiale presente in questo volume è più che sufficiente per 90 ore di lezioni ed esercitazioni, anche se la tendenza attuale nei corsi laurea di Matematica è quella di dedicare alla topologia un tempo inferiore. Per facilitare il

Prefazione

vii

docente nella scelta dei contenuti eventualmente da omettere, ho introdotto il simbolo  per segnalare gli argomenti di natura complementare che possono essere omessi del tutto od in parte ad una prima lettura. Bisogna comunque tenere presente che i capitoli 3,4,5 e 6, con l’eccezione delle sezioni segnalate da , formano il nocciolo duro della topologia e non possono essere tralasciati. La bibliografia è necessariamente incompleta e contiene i testi che mi sono stati più utili assieme ad una selezione di libri e articoli dove lo studente interessato può approfondire alcuni argomenti trattati, o solamente accennati, in questo volume. Ringraziamenti. Voglio qui ringraziare Ciro Ciliberto e Domenico Fiorenza per la lettura delle versioni preliminari e per i suggerimenti che ho ricevuto da loro, la dottoressa Francesca Bonadei della Springer-Verlag Italia per la collaborazione nella stesura finale del manoscritto e gli studenti che hanno “subìto” i miei corsi di topologia per tutte le osservazioni, quasi sempre utili e pertinenti, che mi hanno permesso di correggere e migliorare il presente volume. Aggiornamenti. Ulteriori soluzioni degli esercizi proposti ed aggiornamenti futuri saranno consultabili alla pagina http://www.mat.uniroma1.it/people/manetti/librotopologia.html Roma, ottobre 2007

Marco Manetti

Prefazione alla seconda edizione Oltre a correggere errori e semplificare alcune dimostrazioni, le variazioni più significative rispetto alla prima edizione riguardano una sostanziale riscrittura della parte sui rivestimenti e l’aggiunta di ulteriori esempi; il numero complessivo di esercizi proposti è stato portato a 500 ed il numero di quelli svolti è stato elevato a 120. Ho deciso di non perseguire il proposito di pubblicare in rete le soluzioni di ulteriori esercizi, confortato in ciò dalle parole del celebre genetista L. Cavalli Sforza: “il quoziente intellettivo è anche, e forse soprattutto, determinato dalla quantità di sudore spesa su problemi generali di buon livello intellettuale”. È comunque disponibile, per tutti i docenti che ne facciano richiesta, un documento con le tracce di soluzione di alcuni esercizi del presente libro. Desidero, con sincero piacere e gratitudine, ringraziare i tanti che mi hanno segnalato errori, imprecisioni ed ambiguità presenti nella prima edizione. Roma, gennaio 2014

Marco Manetti

Indice

1

Introduzione geometrica alla topologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1.1 Una gita in bicicletta per le strade di Roma . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1.2 Sartoria topologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 1.3 La nozione di continuità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 1.4 Omeomorfismi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13 1.5 Informazioni senza dimostrazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

2

Insiemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1 Notazioni e concetti base . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.2 Induzione e completezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.3 Cardinalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.4 L’assioma della scelta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.5 Il lemma di Zorn . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.6 La cardinalità del prodotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

21 21 24 26 30 33 37

3

Strutture topologiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.1 Spazi topologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2 Parte interna, chiusura ed intorni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.3 Applicazioni continue . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.4 Spazi metrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.5 Sottospazi ed immersioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.6 Prodotti topologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.7 Spazi di Hausdorff . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

41 42 46 49 53 58 61 63

4

Connessione e compattezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.1 Connessione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.2 Componenti connesse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.3 Ricoprimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.4 Spazi topologici compatti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.5 Il teorema di Wallace . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.6 Gruppi topologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.7 Esaustioni in compatti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

67 68 73 76 78 82 85 89

x

Indice

5

Quozienti topologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 5.1 Identificazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 93 5.2 Topologia quoziente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96 5.3 Quozienti per gruppi di omeomorfismi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99 5.4 Gli spazi proiettivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101 5.5 Spazi localmente compatti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 105 5.6 Il teorema fondamentale dell’algebra  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107

6

Successioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 6.1 Proprietà di numerabilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 113 6.2 Successioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118 6.3 Successioni di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121 6.4 Spazi metrici compatti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 124 6.5 Il teorema di Baire . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127 6.6 Completamenti  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 129 6.7 Spazi di funzioni e teorema di Ascoli–Arzelà  . . . . . . . . . . . . . 132 6.8 Insiemi diretti, reti e successioni generalizzate  . . . . . . . . . . . . 135

7

Varietà, prodotti infiniti e paracompattezza . . . . . . . . . . . . . . . . 139 7.1 Prebasi e teorema di Alexander . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 139 7.2 Prodotti infiniti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141 7.3 Raffinamenti e paracompattezza  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 144 7.4 Varietà topologiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 147 7.5 Spazi normali  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 149 7.6 Proprietà di separazione  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 151

8

Complementi di topologia generale  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155 8.1 Il paradosso di Russell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155 8.2 L’assioma della scelta implica il lemma di Zorn . . . . . . . . . . . . . 156 8.3 Il teorema di Zermelo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159 8.4 Ultrafiltri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162 8.5 La topologia compatta-aperta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 164 8.6 Spazi topologici Noetheriani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 168 8.7 Un lungo esercizio: il teorema di estensione di Tietze . . . . . . . . 171

9

Intermezzo  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175 9.1 Gli alberi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175 9.2 Polimattoncini e numeri di Betti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 176 9.3 Che cos’è la topologia algebrica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 178

10 Omotopia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179 10.1 Spazi localmente connessi e funtore π0 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 179 10.2 Omotopia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183 10.3 Retrazioni e deformazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 187

Indice

xi

10.4 Categorie e funtori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 190 10.5 Una digressione  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 194 11 Il gruppo fondamentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 197 11.1 Omotopia di cammini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 197 11.2 Il gruppo fondamentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 202 11.3 Il funtore π1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 205 11.4 Semplice connessione di S n (n ≥ 2) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 208 11.5 Monoidi topologici  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 212 12 Rivestimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215 12.1 Omeomorfismi locali e sezioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 215 12.2 Rivestimenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 217 12.3 Quozienti per azioni propriamente discontinue . . . . . . . . . . . . . . 221 12.4 Sollevamento dell’omotopia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 224 12.5 I teoremi di Brouwer e Borsuk . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 230 12.6 Un esempio di gruppo fondamentale non abeliano . . . . . . . . . . . 233 13 Monodromia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 235 13.1 Monodromia del rivestimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 235 13.2 Azioni di gruppi su insiemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 238 13.3 Un teorema di isomorfismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 240 13.4 Sollevamento di applicazioni qualsiasi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 243 13.5 Rivestimenti regolari  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 246 13.6 Rivestimenti universali  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 249 13.7 Rivestimenti con monodromia assegnata  . . . . . . . . . . . . . . . . 253 14 Il teorema di Van Kampen . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 257 14.1 Van Kampen in versione universale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 257 14.2 Gruppi liberi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 261 14.3 Prodotti liberi di gruppi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 266 14.4 Prodotti liberi e teorema di Van Kampen . . . . . . . . . . . . . . . . . . 268 14.5 Attaccamenti e grafi topologici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 272 14.6 Attaccamenti di celle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 276 15 Complementi di topologia algebrica  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 279 15.1 Trasformazioni naturali ed equivalenza di categorie . . . . . . . . . . 279 15.2 Automorfismi interni ed esterni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 283 15.3 Insieme di Cantor e curve di Peano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 284 15.4 Topologia di SO(3, R) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 286 15.5 La sfera impettinabile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 291 15.6 Funzioni polinomiali complesse . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 292 15.7 La dimostrazione di Grothendieck del teorema di Van Kampen293 15.8 Un lungo esercizio: il teorema di Poincaré–Volterra . . . . . . . . . . 295

xii

Indice

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . 299 Riferimenti bibliografici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 323 Indice analitico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 325

1 Introduzione geometrica alla topologia

Iniziamo con un estratto dall’introduzione al Capitolo V del libro Che cos’è la matematica di R. Courant e H. Robbins. “Verso la metà del XIX secolo la geometria prese uno sviluppo completamente nuovo e destinato a divenire presto una delle grandi forze della matematica moderna. Il nuovo argomento detto analysis situs o topologia, ha come oggetto lo studio delle proprietà delle figure geometriche che persistono anche quando le figure sono sottoposte a deformazioni così profonde da perdere tutte le loro proprietà metriche e proiettive.” (...) “Quando Bernhard Riemann andò a Gottinga come studente, trovò l’ambiente matematico di quell’università tutto pervaso da un vivo interesse per queste nuove e strane idee geometriche. Presto si accorse che esse rappresentavano la chiave per la comprensione delle più profonde proprietà delle funzioni analitiche di variabile complessa.” Il termine “deformazioni così profonde” è alquanto vago e la moderna topologia studia varie classi di trasformazioni di figure geometriche, le più importanti delle quali sono gli omeomorfismi e le equivalenze omotopiche: le definizioni precise, complete e rigorose saranno date più avanti. In questo capitolo daremo una definizione parziale e provvisoria di omeomorfismo e ne illustreremo alcuni esempi. Non esiteremo ad evitare un eccessivo rigore nelle definizioni e nelle dimostrazioni e ad affidarci all’intuizione geometrica del lettore, con la ragionevole certezza di facilitare in tal modo l’apprendimento delle idee fondamentali da parte di chi muove i primi passi in questo campo.

1.1 Una gita in bicicletta per le strade di Roma 1.1. Problema. È domenica mattina, il signor B. esce dalla sua residenza romana in bicicletta con l’intenzione di fare un percorso che attraversi tutti i M. Manetti: Topologia, 2a edizione, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 78, DOI: 10.1007/978-88-470-5662-6_1, © Springer-Verlag Italia 2014

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1 Introduzione geometrica alla topologia San Pietro

p ponti

qp on ti Isola Tiberina

Rebibbia

r ponti

Colosseo

Figura 1.1. La topologia dei ponti di Roma

ponti di Roma una ed una sola volta ciascuno. Sapendo che il signor B. può scegliere sia il punto iniziale che quello finale del percorso, sarà egli in grado di mantenere il suo proposito? Tanto per capirci, per Roma intendiamo la zona interna al grande raccordo anulare e consideriamo solamente i ponti sul Tevere e sull’Aniene. Ricordiamo, per chi non è pratico, che Roma è divisa in tre zone “continentali” dal fiume Tevere e dal suo affluente Aniene e che l’isola Tiberina è situata in mezzo al Tevere ed è collegata con un ponte ad entrambe le sponde. Per risolvere il problema non è necessario percorrere le strade di Roma sulle due ruote e nemmeno di sporcare con il pennarello la mappa stradale della città. Per visualizzare il problema disegniamo su di un semplice foglio di carta 4 cerchi corrispondenti alle 4 zone di Roma indicando, per ogni coppia di aree continentali, quanti sono i ponti che le uniscono (Figura 1.1). Un tale disegno contiene dentro di sé tutte le informazioni necessarie a risolvere il problema e, se siete d’accordo con questa affermazione, significa che avete fatto un ragionamento topologico. Avete infatti capito che la possibilità o meno di effettuare un percorso simile non dipende da alcune proprietà metriche e proiettive quali ad esempio la lunghezza dei ponti, l’area delle zone di terraferma, la struttura architettonica dei ponti ecc. Se invece insistete a voler risolvere il problema con la mappa stradale di Roma tra le mani, supponete che essa sia disegnata su di un sottile foglio di gomma e che poi si contorca il foglio in tutti i modi possibili, senza lacerarlo e senza far venire a contatto punti distinti: converrete che la risposta al problema rimane inalterata. 1.2. Problema. Nell’antica città di Königsberg, sul fiume Pregel, c’erano due isolette e sette ponti come in Figura 1.2. Si racconta che il signor C. volle fare un percorso che attraversasse tutti i ponti di Königsberg una ed una sola volta ciascuno. Sapendo che il signor C. aveva la possibilità di scegliere sia il punto iniziale che quello finale del percorso, sarà mai stato in grado di portare a termine il suo progetto? Un altro esempio di problema topologico è il seguente: 1.3. È possibile fare il percorso Roma-Ancona completamente in autostrada?

1.1 Una gita in bicicletta per le strade di Roma

3

Figura 1.2. I ponti dell’antica città di Königsberg

Dato che l’autostrada passa sia per Roma che per Ancona, il problema è sostanzialmente un problema di connessione della rete autostradale italiana: una rete stradale si intende connessa se è possibile spostarsi in automobile da un punto ad un altro, con i due punti comunque scelti. È anche qui chiaro che la risposta al problema non dipende da quanto sono lunghi i singoli tratti autostradali, da quante curve ci sono, da quante salite eccetera. Un concetto matematico utile per risolvere i problemi precedenti è quello di grafo. Nello spazio euclideo si dice grafo un insieme non vuoto di V punti, detti nodi o vertici, alcuni dei quali sono uniti, a coppie da S segmenti detti lati o spigoli. I lati non sono necessariamente segmenti di retta, ma possono essere di cerchio, di parabola, di ellisse o più in generale di curva “regolare” che non passano più di una volta da uno stesso punto dello spazio. Si fa anche l’ipotesi che lati diversi si possono incontrare solo nei nodi del grafo. Un cammino di lunghezza p in un grafo è dato da una successione v0 , v1 , . . . , vp di nodi e da una successione l1 , l2 , . . . , lp di lati con li che unisce vi−1 e vi per ogni i. I nodi v0 e vp si dicono gli estremi del cammino. Un grafo si dice connesso se dati comunque due suoi nodi u e w, esiste un cammino che ha u e w come estremi. Se u è un nodo di un grafo Γ , chiameremo grado di u in Γ il numero di lati che contengono u, contando due volte i lati con entrambi gli estremi in u. È evidente che la somma dei gradi di tutti i nodi di un grafo è uguale al doppio del numero dei lati, in particolare ogni grafo possiede un numero pari di nodi di grado dispari. Un grafo si dice euleriano se esiste un cammino che passa per tutti i lati una ed una sola volta: in particolare la lunghezza del cammino è uguale al numero dei lati del grafo. Dato un problema dei ponti, Roma o Königsberg non ha importanza, costruiamo un grafo che ha come nodi le zone di terraferma e come lati i ponti. Il problema dell’attraversamento dei ponti ha risposta positiva se e solo se il grafo è euleriano.

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1 Introduzione geometrica alla topologia D o•OOOO o o OOO o o o OOO ooo OOO o o o O o OOO A •o ooo• B OOO o o o OOO ooo OOO OOooooo • C

Figura 1.3. Il grafo dei ponti di Königsberg

Teorema 1.1. In un grafo euleriano esistono al più due nodi di grado dispari. In particolare il problema dei ponti di Königsberg ha risposta negativa. Dimostrazione. Scegliamo una successione di nodi v0 , . . . , vS ed una di lati l1 , . . . , lS che formino assieme un cammino passante per tutti i lati una ed una sola volta. Ogni nodo u diverso da v0 e vS ha grado uguale al doppio del numero di indici i tali che u = vi .  

Esercizi 1.4 (♥). Sia Γ un grafo connesso in cui ogni vertice ha grado pari. Dimostrare che ogni grafo ottenuto da Γ togliendo un solo lato è ancora connesso. 1.5. Siano v1 , . . . , vn i nodi di un grafo Γ e sia A la matrice di connessione del grafo, ossia la matrice quadrata di ordine n il cui coefficiente aij è uguale al numero di lati che uniscono il vertice vi al vertice vj . Dare una descrizione geometrica dei coefficienti delle potenze di A. 1.6 (Se voi foste il giudice). Il signor V., quando venne eletto sindaco della città di Settevasche, la cui rete stradale è formata esclusivamente da 16 vie di lunghezza 1 km e 2 vie di lunghezza 2 km come in Figura 1.4, si accorse che l’automezzo per la pulizia delle strade consumava carburante per ben 24 km. Egli accusò quindi l’autista di furto di carburante. A sua volta l’autista affermò che il carburante consumato era necessario per uscire dal deposito, pulire tutte le strade e rientrare al deposito. Se voi foste stato il Giudice, a chi avreste dato ragione?

1.2 Sartoria topologica

5

D•

Figura 1.4. La città di Settevasche ed il deposito D

1.2 Sartoria topologica Per sviluppare l’intuizione topologica è utile fare una visita alla sartoria topologica, dove mani esperte lavorano un sottilissimo tessuto dalle incredibili proprietà elastiche che può essere piegato, modellato, allungato e deformato a piacere senza creare né strappi né lacerazioni. Le prime semplici lavorazioni consistono in: 1. Ritagliare un pezzo X di tessuto a forma di poligono convesso di n ≥ 2 lati. 2. Scegliere k coppie di lati di X, con 2k ≤ n, e indicare con lettere distinte i lati appartenenti a coppie distinte. 3. Per ognuno dei 2k lati scelti al punto 2, indicare un verso di percorrenza. 4. Cucire od incollare i lati di ogni coppia in modo da far coincidere i versi di percorrenza. Ad esempio, se incolliamo due lati opposti di un quadrato orientati nello stesso verso si ottiene un cilindro (vuoto),

a

>

>

a

=

a

mentre se incolliamo due lati adiacenti orientati nel verso uscente dal vertice in comune otteniamo un disco.

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1 Introduzione geometrica alla topologia

> •



=

a

a

a >

Il celebre nastro di Moebius si ottiene incollando due lati opposti di un quadrato orientati in modo discorde:

a =

>

>

a

Lasciamo al lettore il compito di visualizzare le altre lavorazioni che si possono ottenere nella sartoria topologica partendo da un quadrato (Figura 1.5 ed Esercizio 1.8). a/ b/ aO

Ob

Sfera

b O

Toro Ob (ciambella)

/

ao b 

Piano proiettivo

/

a

/

a

a

Ob

a

Nastro di Moebius

Oa

a/ b 

Bottiglia di Klein

Ob

/

a

Figura 1.5. Alcune lavorazioni possibili con un quadrato di stoffa. In qualche caso le proprietà elastiche servono fino ad un certo punto e potete anche sostituire il magico tessuto con un foglio di carta

1.3 La nozione di continuità

7

Esercizi 1.7. Più che un esercizio sulle ricette di sartoria, è un idea per un passatempo. Prendete una matita ed una sottile striscia rettangolare di carta bianca; poi con colla o nastro adesivo trasparente costruite il nastro di Moebius descritto nel seguente schema costruttivo: Fronte

a

Retro

a

• •

Dove vai?

Vado al cinema a vedere

Quo Vadis?

E che vuol dire?

a

a

1.8 (♥). Dire, motivando la risposta, se il prodotto di sartoria della Figura 1.6 è un disco, un cilindro, un nastro di Moebius oppure qualcosa di totalmente diverso.

a

?

/

a Figura 1.6. Che cos’è?

1.3 La nozione di continuità In ambito matematico, il termine continuità deriva dal latino continere (tenere insieme) ed ha il significato di aderenza, attaccamento, contiguità ecc. Sebbene tali significati figurino tuttora in alcuni dizionari alle voci “continuo” e “continuità”, essi sono desueti nell’italiano comune ed è facile rimanere perplessi di fronte alla domanda: Quali sono i punti della retta continui all’intervallo ]0, 1[ = {0 < x < 1}? La stessa domanda, tradotta in un linguaggio meno arcaico prende la forma più comprensibile di: Quali sono i punti della retta aderenti (attaccati) all’intervallo ]0, 1[? Nello spazio Rn , cioè nell’insieme delle n-uple (x1 , . . . , xn ) di numeri reali, la nozione di continuità (=aderenza) si esprime facilmente. Definizione 1.2. Un punto x ∈ Rn si dice aderente ad un sottoinsieme A ⊂ Rn se è possibile trovare punti di A arbitrariamente vicini ad x.

8

1 Introduzione geometrica alla topologia

Ad esempio, ogni numero reale è aderente all’insieme dei numeri razionali, mentre ogni numero reale t ∈ [0, 1] = {0 ≤ x ≤ 1} è aderente all’intervallo ]0, 1[⊂ R. La distanza tra due punti x = (x1 , . . . , xn ) e y = (y1 , . . . , yn ) di Rn è data dalla formula Pitagorica  d(x, y) = (x1 − y1 )2 + · · · + (xn − yn )2 . Equivalentemente d(x, y) = x−y , norma associata al prodotto  dove · è la scalare canonico, cioè (x · y) = xi yi e x = (x · x) . Lemma 1.3. La distanza soddisfa la disuguaglianza triangolare, ossia vale d(x, y) ≤ d(x, z) + d(z, y) per ogni terna di punti x, y, z ∈ Rn . Dimostrazione. Ponendo x − z = u e z − y = v, la disuguaglianza triangolare equivale a u + v ≤ u + v . Poiché entrambi i membri sono positivi, tale maggiorazione è equivalente a 0 ≤ ( u + v )2 − u + v 2 = 2( u v − (u · v)) e quindi, siccome u v ≥ 0, basta dimostrare la cosiddetta disuguaglianza di Cauchy–Schwarz: u 2 v 2 − (u · v)2 ≥ 0. Se v = 0 la disuguaglianza di Cauchy–Schwarz è banalmente vera. Possiamo quindi supporre v = 0 e, considerando il vettore w = u v − (u · v)

v , v

un semplice conto mostra che 0 ≤ w 2 = u 2 v 2 − (u · v)2 .

 

La distanza permette di spiegare meglio il concetto di insieme di punti arbitrariamente vicini ad un dato punto e quindi la nozione di aderenza. Più precisamente: un punto p è aderente ad un insieme A se e solo se per ogni numero reale δ > 0 esiste x ∈ A tale che d(p, x) < δ. I concetti intuitivi di strappo e lacerazione vengono intesi come la rottura di una relazione di attaccamento, e cioè, se x ∈ Rn è un punto aderente ad un sottoinsieme A, allora diremo che un’applicazione f : Rn → Rm strappa x da A se il punto f (x) non è aderente ad f (A). Le applicazioni continue sono quelle che non producono strappi, ossia quelle che conservano la relazione di continuità (=aderenza) tra punti e sottoinsiemi.

1.3 La nozione di continuità

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Definizione 1.4. Siano X ⊂ Rn e Y ⊂ Rm sottoinsiemi: un’applicazione f : X → Y si dice continua se, per ogni sottoinsieme A ⊂ X e per ogni punto x ∈ X aderente ad A, il punto f (x) è aderente a f (A). Se questa definizione di applicazione continua non coincide a prima vista con quella che avete visto alla Scuola Superiore od ai corsi di Analisi non preoccupatevi. Vedremo in seguito l’equivalenza di questa definizione con quelle a cui siete abituati. Segue immediatamente dalla definizione che le applicazioni costanti, le traslazioni in Rn e più in generale tutte le isometrie (applicazioni che preservano le distanze) sono continue. In molti casi non si utilizza la Definizione 1.4 per verificare che un’applicazione è continua ma si preferisce adoperare alcune proprietà generali della continuità per ricondursi ad un elenco base di funzioni continue notevoli. Nel seguito della sezione indicheremo con le lettere maiuscole X, Y, Z . . . sottoinsiemi di spazi euclidei. C1 Sia f : X → Y continua e siano W ⊂ X e Z ⊂ Y sottoinsiemi tali che f (W ) ⊂ Z. Allora la restrizione f : W → Z è continua. C2 Se f : X → Y e g : Y → Z sono continue, allora anche la composizione gf : X → Z è continua. C3 Se X ⊂ Y , allora l’applicazione di inclusione i : X → Y è continua. Siano dati due insiemi X ⊂ Y ed una applicazione f : Z → X. L’applicazione f : Z → X è continua se e solo se l’applicazione f : Z → Y è continua. Infatti se f : Z → Y è continua, allora anche f : Z → X è continua per C1. Viceversa f : Z → Y è la composizione di f : Z → X e dell’inclusione X → Y che è continua per C3. In buona sostanza, per stabilire la continuità di una applicazione non è restrittivo considerare applicazioni f : X → Rn . C4 Siano fi : X → R, per i = 1, . . . , n, le componenti di un’applicazione f : X → Rn , ovvero f (x) = (f1 (x), . . . , fn (x)) per ogni x ∈ X. L’applicazione f è continua se e solo se le funzioni f1 , . . . , fn sono tutte continue. Prendiamo adesso in prestito dai corsi di Analisi e Calcolo un elenco di funzioni continue. C5 1. 2. 3. 4.

Ogni applicazione lineare Rn → R è continua. La moltiplicazione R2 → R, (x, y) → xy è continua. Il reciproco R − {0} → R − {0}, x → x−1 è continuo. Il valore assoluto R → R, x → |x| è continuo.

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1 Introduzione geometrica alla topologia

5. Le funzioni esponenziale, logaritmo, seno, coseno e tutte le funzioni trigonometriche sono continue nei loro domini di definizione. 6. Le funzioni R2 → R, (x, y) → max(x, y) e (x, y) → min(x, y) sono continue. Le condizioni C1,. . . , C5 implicano la continuità di altre applicazioni. Ad esempio se f, g : X → R sono continue allora sono continue f + g, f g e, se g non si annulla in X, anche f /g. Infatti l’applicazione (f, g) : X → R2 , x → (f (x), g(x)), è continua e f + g è la composizione di (f, g) con l’applicazione lineare (x, y) → x + y; f g è la composizione di (f, g) con l’applicazione prodotto (x, y) → xy. Ragionamento simile per f /g. Proseguendo sulla stessa linea di pensiero è facile dimostrare per induzione che ogni espressione polinomiale di funzioni continue è ancora una funzione continua. Gli esempi possibili sono praticamente infiniti e non ci dilungheremo oltre. Strettamente legata ai concetti di aderenza e continuità è la nozione di insieme chiuso. Definizione 1.5. Siano C ⊂ X sottoinsiemi di Rn . Diremo che C è chiuso in X se coincide con l’insieme dei punti di X che sono aderenti a C. Equivalentemente, C è chiuso in X se per ogni x ∈ X − C = {x ∈ X | x ∈ C} esiste un δ > 0 tale che d(x, y) ≥ δ per ogni y ∈ C. Esempio 1.6. Per ogni X ⊂ Rn , ogni r > 0 ed ogni punto x ∈ Rn , l’insieme C = {x ∈ X | d(x, x ) ≤ r} è chiuso in X. Infatti se y ∈ X − C, allora δ = d(x, y) − r > 0. Per la disuguaglianza triangolare vale d(y, x ) ≥ d(x, y) − d(x , x) ≥ δ per ogni x ∈ C e quindi y non è aderente a C. Esempio 1.7. Sia X ⊂ Rn un sottoinsieme e sia f : X → R continua. Allora l’insieme C = {x ∈ X | f (x) = 0} è chiuso in X. Sia infatti x ∈ X aderente a C, allora f (x) è aderente a {0} e quindi f (x) = 0, ossia x ∈ C e C è chiuso. La stessa dimostrazione prova che per ogni sottoinsieme chiuso Z ⊂ R, la sua controimmagine {x ∈ X | f (x) ∈ Z} è chiusa in X. Teorema 1.8 (taglia e cuci). Sia f : X → Y un’applicazione e siano A, B due chiusi in X tali che X = A ∪ B e le due restrizioni f : A → Y , f : B → Y sono entrambe continue. Allora f è continua. Dimostrazione. Siano C ⊂ X un sottoinsieme e x ∈ X un punto aderente a C. Dobbiamo dimostrare che f (x) è aderente a f (C). Osserviamo che x è aderente ad almeno uno degli insiemi C ∩ A e C ∩ B. Infatti, se così non fosse esisterebbero due costanti positive δA e δB tali che d(x, y) ≥ δA d(x, y) ≥ δB

per ogni per ogni

y ∈ C ∩ A, y ∈C ∩B

1.3 La nozione di continuità

11

e quindi, se δ è il minimo tra δA e δB , si avrebbe d(x, y) ≥ δ per ogni y ∈ C e quindi x non sarebbe aderente a C. Supponiamo per fissare le idee che x sia aderente a C ∩ A; a maggior ragione x è aderente ad A e, siccome A è chiuso, vale x ∈ A. Adesso, la restrizione f : A → Y è continua e quindi f (x) è aderente a f (A ∩ C). Siccome f (A ∩ C) ⊂ f (C), a maggior ragione f (x) è aderente a f (C).   L’insieme dei numeri complessi C è in bigezione naturale con il piano R2 . La distanza tra due numeri complessi z e u coincide con il modulo della loro differenza |z − u|. Tale bigezione si estende ad una identificazione di Cn con R2n e quindi tutto quanto detto finora vale anche per sottoinsiemi di Cn e per le applicazioni tra essi.

Esercizi 1.9. Degli otto tipi di intervallo: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

]a, b[= {x ∈ R | a < x < b}, [a, b[= {x ∈ R | a ≤ x < b}, ]a, b] = {x ∈ R | a < x ≤ b}, [a, b] = {x ∈ R | a ≤ x ≤ b}, ] − ∞, a[= {x ∈ R | x < a}, ] − ∞, a] = {x ∈ R | x ≤ a}, ]a, +∞[= {x ∈ R | a < x}, [a, +∞[= {x ∈ R | a ≤ x},

dire quali sono sottoinsiemi chiusi di R secondo la Definizione 1.5, dove si intende che a, b siano numeri reali con a < b. 1.10. Dire quali dei seguenti insiemi sono chiusi in R2 : {(x, y) | x2 + 2y 2 = 1},

{(x, y) | 0 ≤ x ≤ 1, 0 ≤ y < 1},

{(x, y) | 0 ≤ x, 0 ≤ y},

{(x, y) | 0 ≤ x ≤ 1, x + y ≤ 1},

2

2

{(x, y) | 0 < x + y ≤ 1},

{(x, y) | 0 ≤ x, 0 ≤ y ≤ sin(x)}.

1.11. Dire quali dei seguenti insiemi sono chiusi in C (i =

√ −1):

{z ∈ C | z 2 ∈ R},

{z ∈ C | |z 2 − z| ≤ 1},

{2n + i2n | n ∈ Z},

{2−n + i2n | n ∈ Z}.

1.12. Sia X ⊂ Rn un sottoinsieme fissato. Dimostrare che, se A, Y ⊂ X e A è chiuso in X, allora A ∩ Y è chiuso in Y .

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1 Introduzione geometrica alla topologia

1.13. Provare che per un’applicazione f : X → Y le seguenti condizioni sono equivalenti: 1. L’applicazione f è continua. 2. Per ogni chiuso C di Y l’insieme {x ∈ X | f (x) ∈ C} è chiuso in X. 1.14. Dimostrare che, nello spazio Rn : 1. L’unione di due sottoinsiemi chiusi è un chiuso. 2. Intersezione arbitraria di sottoinsiemi chiusi è un chiuso. 1.15 (L’insieme di Mandelbrot). Per ogni numero complesso z ∈ C definiamo per ricorrenza la successione {pn (z)} ⊂ C ponendo p0 (z) = z e pn+1 (z) = pn (z)2 + z. Dimostrare: 1. Se la successione pn (z) è limitata allora |pn (z)| ≤ 2 per ogni n ≥ 0. (Sugg.: se così non fosse sia n il minimo intero tale che |pn (z)| = 2(1 + a) con a > 0 e dimostrare che per ogni s > 0 vale |pn+s (z)| ≥ 2(1 + a)s+1 .) 2. Per ogni n ≥ 0 la funzione z → pn (z) è continua. 3. Sia M ⊂ C l’insieme dei numeri complessi z tali che la successione pn (z) è limitata. Dimostrare che M è un chiuso. L’insieme M (rappresentato in Figura 1.7) si chiama insieme di Mandelbrot.

Figura 1.7. L’insieme di Mandelbrot, ben noto nell’ambiente dei cosiddetti frattali

1.4 Omeomorfismi

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1.4 Omeomorfismi Definizione 1.9. Un omeomorfismo è una applicazione continua, bigettiva e con inversa continua. Due sottoinsiemi di Rn si dicono omeomorfi se esiste un omeomorfismo tra essi. Per il topologo, spazi omeomorfi sono indistinguibili. Ad esempio, per il topologo non c’è alcuna differenza fra i quattro intervalli (per la notazione adottata vedi Esercizio 1.9) ]0, 1[ ,

]0, 2[ ,

] − ∞, +∞[ .

]0, +∞[ ,

Sono infatti omeomorfismi le applicazioni f : ] − ∞, +∞[ −→ ]0, +∞[ g : ]0, +∞[ −→ ]0, 1[ h : ]0, 1[ −→ ]0, 2[

data da

data da data da

f (x) = ex ,

g(x) = e−x , h(x) = 2x.

Il topologo non sa distinguere il quadrato dal tondo: considerando infatti i due sottoinsiemi del piano S 1 = {(x, y) ∈ R2 | x2 + y 2 = 1}

P = {(x, y) ∈ R2 | |x| + |y| = 1},

e

possiamo facilmente verificare che le due applicazioni   y x 1 , f : S → P, f (x, y) = |x| + |y| |x| + |y| 

e g : P → S1,

g(x, y) =

x

y



 , x2 + y 2 x2 + y 2

sono continue ed inverse l’una dell’altra, vedi Figura 1.8.

p•

s •

g(p) = s,

f (s) = p .

Figura 1.8. Equivalenza topologica tra cerchio e quadrato

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1 Introduzione geometrica alla topologia

Introduciamo alcune notazioni; per ogni intero n ≥ 0 definiamo: Dn = {x ∈ Rn | x ≤ 1} il disco unitario di dimensione n, S n = {x ∈ Rn+1 | x = 1} la sfera unitaria di dimensione n. Infine, per ogni punto x ∈ Rn e per ogni numero reale r > 0 si definisce B(x, r) = {y ∈ Rn | d(x, y) < r}

la palla aperta di centro x e raggio r.

Esempio 1.10. Le affinità del piano R2 sono omeomorfismi. In particolare tutti i triangoli sono tra loro omeomorfi e pure tutti i parallelogrammi sono tra loro omeomorfi. Consideriamo il quadrato Q ed il triangolo T definiti in coordinate da Q = {(x, y) | |x| + |y| ≤ 1}, T = {(x, y) ∈ Q | y ≤ 0}. Allora l’applicazione   1 f (x, y) = x, (y + |x| − 1) , 2

f : Q → T,

è un omeomorfismo che lascia fissi i due lati in comune ai bordi di Q e T . Esempio 1.11. I tre spazi seguenti: • • •

il piano punturato X = R2 − {(0, 0)}; il cilindro circolare Y = {(x, y, z) ∈ R3 | x2 + y 2 = 1}; l’iperboloide ad una faglia Z = {(x, y, z) ∈ R3 | x2 + y 2 = 1 + z 2 },

sono tra loro omeomorfi. Per dimostrarlo possiamo considerare le applicazioni f: Y →X g: Z → Y

f (x, y, z) = (xez , yez ) e   x y g(x, y, z) = √ ,√ ,z . 1 + z2 1 + z2

data da

data da

Lasciamo al lettore la verifica che f e g sono invertibili e con inverse continue. Esempio 1.12. Le palle aperte in Rn sono tutte omeomorfe a Rn . Infatti per ogni p ∈ Rn e r > 0, l’applicazione x → rx + p induce un omeomorfismo tra B(0, 1) e B(p, r), mentre g : Rn → B(0, 1),

x g(x) =  1 + x 2

y è un omeomorfismo con inverso g −1 (y) =  . 1 − y 2

1.4 Omeomorfismi

15

y •

N = (0, 1) •

(a, b) 

x

•  a ,0 1−b

Figura 1.9. La proiezione stereografica f : S 1 − {N } → R1

Esempio 1.13 (La proiezione stereografica).  Sia N = (1, 0, . . . , 0) il “polo nord” della sfera S n = {(x0 , . . . , xn ) ∈ Rn+1 | x2i = 1}. La proiezione stereografica f : S n − {N } → Rn è definita identificando Rn con l’iperpiano H ⊂ Rn+1 di equazione x0 = 0 e ponendo f (x) come l’intersezione di H con la retta passante per i punti x e N . In coordinate, f e la sua inversa sono date da f (x0 , . . . , xn ) = f

−1

 (y1 , . . . , yn ) =

1 (x1 , . . . , xn ), 1 − x0

yi2 − 1 2y1 2yn    , ,..., 1 + i yi2 1 + i yi2 1 + i yi2 i

 .

Le funzioni f e f −1 sono continue e dunque la proiezione stereografica è un omeomorfismo. Un semplice esercizio sulle proporzioni mostra che se identifichiamo Rn con l’iperpiano x0 = c, con c = 1, allora l’applicazione f deve essere moltiplicata per il fattore 1 − c. Esempio 1.14. Sia h : Rn → R un’applicazione continua e consideriamo gli spazi X = {(x0 , . . . , xn ) ∈ Rn+1 | x0 ≤ 0}, Y = {(x0 , . . . , xn ) ∈ Rn+1 | x0 ≤ h(x1 , . . . , xn )}. Allora l’applicazione f : X → Y,

f (x0 , . . . , xn ) = (x0 + h(x1 , . . . , xn ), x1 , . . . , xn )

è un omeomorfismo. Esempio 1.15. Il complementare in R3 di una circonferenza è omeomorfo al complementare in R3 di una retta ed un punto. Sia e1 , e2 , e3 ∈ R3 la base canonica. Consideriamo la circonferenza K = {x ∈ R3 | (x · e3 ) = 0, x − e1 2 = 1}

16

1 Introduzione geometrica alla topologia

passante per l’origine e l’applicazione di inversione r : R3 − {0} → R3 − {0},

r(x) =

x . x 2

Osserviamo che r è un omeomorfismo che coincide con il proprio inverso e dunque R3 − K è omeomorfo a R3 − ({0} ∪ r(K − {0})). Basta quindi dimostrare che r(K − {0}) è una retta affine non passante per l’origine. Questo può essere visto sia usando la geometria sintetica (ed i teoremi di Euclide in particolare), sia i metodi analitici. Infatti, ponendo y = r(x) si ha x = y/ y 2 , il piano (x · e3 ) = 0 diventa il piano (y · e3 ) = 0 mentre la sfera x − e1 2 = 1 diventa il luogo geometrico di equazione   1 − 2(y · e1 ) 1 y 0 = x − e1 2 − 1 = x 2 − 2(x · e1 ) = = − 2 · e . 1 2 2 y y y 2 In conclusione l’immagine r(K − {0}) è uguale all’intersezione dei due piani di equazioni (y · e3 ) = 0 e 2(y · e1 ) = 1. Esempio 1.16. Una matrice 2 × 2 a coefficienti complessi   ab cd appartiene per definizione al gruppo speciale unitario SU(2, C) se e solo se    ac ab = I e ad − bc = 1, cd bd ossia se e solo se valgono le uguaglianze ad − bc = |a|2 + |b|2 = |c|2 + |d|2 = 1,

ac + db = ca + bd = 0.

Moltiplicando per a l’uguaglianza ac + db = 0 e sostituendo ad con 1 + bc si ottiene (|a|2 + |b|2 )c + b = 0 da cui c = −b. In modo simile si prova che d = a e quindi le matrici speciali unitarie sono tutte e sole quelle della forma   a b , al variare di (a, b) ∈ S 3 = {(a, b) ∈ C2 | |a|2 + |b|2 = 1}. −b a Abbiamo quindi dimostrato che SU(2, C) è omeomorfo alla sfera S 3 . Esempio 1.17. L’insieme X ⊂ R3 ×R3 formato dalle coppie ordinate di vettori ortonormali è omeomorfo all’insieme Y ⊂ C3 formato dai vettori (z1 , z2 , z3 ) tali che z12 + z22 + z32 = 0, |z1 |2 + |z2 |2 + |z3 |2 = 2 . Infatti se xi e yi sono rispettivamente le parti reale ed immaginaria di zi , le precedenti equazioni diventano 3  i=1

x2i +

3  i=1

yi2 = 2,

3  i=1

x2i −

3  i=1

yi2 = 0,

3  i=1

xi y i = 0 ,

1.4 Omeomorfismi

17

e ciò è del tutto equivalente a dire che i vettori (x1 , x2 , x3 ) e (y1 , y2 , y3 ) sono ortonormali. Esempio 1.18. Siano p, q ∈ C due numeri complessi aventi lo stesso modulo |p| = |q| = r ≥ 0. Allora per ogni δ > 0 esiste un omeomorfismo f : C → C tale che f (p) = q e f (x) = x se ||x| − r| > δ. Per ogni α ∈ R, denotiamo R(α, x) = (cos α+i sin α)x. Scegliamo un angolo α ∈ R tale che R(α, p) = q ed una funzione continua g : R → R tale che g(r) = α e g(t) = 0 se t ∈ [r−δ, r+δ] (ad esempio g(t) = α max(0, 1 − |t − r|/δ)). L’applicazione continua f : C → C,

f (x) = R(g(|x|), x),

è un omeomorfismo con inverso f −1 (y) = R(−g(|y|), y) e soddisfa le condizioni richieste. Esempio 1.19. Siano A, B ⊂ C due sottoinsiemi finiti con lo stesso numero di punti. Allora C − A e C − B sono omeomorfi. Poiché composizione di omeomorfismi è ancora un omeomorfismo, ragionando per induzione sul numero di elementi di A − B, basta dimostrare la seguente asserzione. Siano x, y, v1 , . . . , vs punti distinti di C. Allora esiste un omeomorfismo f : C → C tale che f (x) = y e f (vi ) = vi per ogni i. A meno di traslazioni possiamo supporre (esercizio) che |x| = |y| = |vi | per ogni i. Siano r = |x| = |y| e δ > 0 tale che |vi | ∈ [r − δ, r + δ] per ogni i. Basta adesso applicare il risultato dell’Esempio 1.18. Non tutti gli spazi sono tra loro omeomorfi, ad esempio R non è omeomorfo a [0, 1]: un ipotetico omeomorfismo [0, 1] → R sarebbe in particolare surgettivo e quindi violerebbe il teorema di Weierstrass di esistenza del massimo per funzioni continue definite su intervalli chiusi e limitati. Dire se due sottoinsiemi dello spazio euclideo sono omeomorfi o meno non è sempre facile: in certi casi il problema diventa talmente difficile che nemmeno i più brillanti matematici riescono a risolverlo. In questo volume vedremo le tecniche topologiche più elementari che ci permetteranno di trattare e risolvere il suddetto problema in alcuni casi interessanti. Mostreremo in seguito che i due spazi dell’Esempio 1.19 sono omeomorfi solo se A e B hanno la stessa cardinalità.

Esercizi 1.16. Provare che se X è omeomorfo a Y e Z è omeomorfo a W , allora X × Z è omeomorfo a Y × W . 1.17. Verificare che la proiezione ortogonale induce un omeomorfismo tra il paraboloide di equazione z = x2 + y 2 in R3 ed il piano di equazione z = 0. 1.18 (♥). Trovare un omeomorfismo tra S n × R e Rn+1 − {0}.

18

1 Introduzione geometrica alla topologia

1.19 (♥). Trovare un omeomorfismo tra l’ipercubo I n = [0, 1]n ⊂ Rn ed il disco unitario Dn . 1.20. Trovare un sottoinsieme di R3 omeomorfo a S 1 × S 1 . 1.21. Determinare un omeomorfismo tra S 2 × S 2 ed un sottoinsieme di R5 . (Sugg.: identificare S 2 × S 2 con un sottoinsieme di S 5 .) 1.22. Mostrare che l’applicazione f : {x ∈ Rn | x < 1} → {(x, y) ∈ Rn × R | x 2 + y 2 = 1, y < 1},  f (x) = (2x 1 − x 2 , 2 x 2 − 1), è un omeomorfismo. Che relazione esiste tra f e gli omeomorfismi descritti negli Esempi 1.12 e 1.13? 1.23. Dimostrare che la quadrica in Rn di equazione x21 + · · · + x2p − x2p+1 − · · · − x2p+q = 1

(dove p + q ≤ n)

è omeomorfa a S p−1 × Rn−p . 1.24. Abbiamo visto che ]0, 1[ è omeomorfo a R e quindi non è omeomorfo a [0, 1]. Si consideri l’applicazione f : ]0, 1[×[0, 1[→ [0, 1] × [0, 1[ illustrata nella Figura 1.10 e definita da: ⎧ y  ⎪ , 1 − 3x se 3x + y ≤ 1, ⎪ ⎪ ⎪  ⎨ 3 2y − 1 f (x, y) = , y se 1 − y ≤ 3x ≤ 2 + y, x + (1 − 2x) ⎪ 2y +1 ⎪

 ⎪ ⎪ ⎩ 1 − y , 3x − 2 se 3x − y ≥ 2. 3 Verificare, anche con l’aiuto del taglia e cuci (Teorema 1.8), che f è un omeomorfismo. _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _   jj4 jj4   jjjj jjjj j j j j j j   jjj jjjj jjjj   jjjjjj j j / j • f: j j  jjj j jjjj j j j j j j j   jjj jjjj j jjj j  •jjjj j •   Figura 1.10. In topologia non vale la legge di cancellazione, e cioè, se X × Z è omeomorfo a Y × Z, non è detto che X sia omeomorfo a Y

1.5 Informazioni senza dimostrazioni

19

1.25. Sia h : Rn →]0, +∞[ continua e consideriamo i due spazi X = {(x0 , . . . , xn ) ∈ Rn+1 | 0 ≤ x0 ≤ 1} e Y = {(x0 , . . . , xn ) ∈ Rn+1 | 0 ≤ x0 ≤ h(x1 , . . . , xn )}. Mostrare che l’applicazione f : X → Y,

f (x0 , . . . , xn ) = (x0 h(x1 , . . . , xn ), x1 , . . . , xn ),

è un omeomorfismo. 1.26. Perché i topologi, se hanno le corna, non se ne accorgono? (Nell’Esercizio 1.25 considerare una funzione “bernoccolo” h : Rn → [1, +∞[ tale che h(x) = 1 se x ≥ 1.) 1.27. Dimostrare che il semipiano X = {(x, y) ∈ R2 | y ≤ 0} è omeomorfo a Y = X ∪ ([−1, 1] × [0, 1]). (Sugg.: usare l’Esempio 1.10 ed il taglia e cuci per dimostrare che Y è omeomorfo a X ∪ {(x, y) | y ≤ 1 − |x|} e poi usare l’Esercizio 1.25.) 1.28 (♥). Verificare che l’applicazione {z ∈ C | z = a + ib, b > 0} → {z ∈ C | |z| < 1},

z →

z−i z+i

è un omeomorfismo e descriverne l’inverso.

1.5 Informazioni senza dimostrazioni Alcuni risultati interessanti e/o fondamentali di topologia, la cui dimostrazione va al di là degli obiettivi di questo libro sono: Teorema 1.20. La sfera S n non è omeomorfa al disco Dm , per ogni n, m ≥ 1. Teorema 1.21. Due prodotti di sfere S n1 × · · · × S nk e S m1 × · · · × S mh sono omeomorfi solamente se h = k e se, a meno di permutazioni degli indici, vale ni = mi per ogni i. Teorema 1.22. Rn è omeomorfo ad Rm se e solo se n = m. Teorema 1.23. Ogni applicazione continua f : Dn → Dn possiede almeno un punto fisso. Teorema 1.24. Sia f : S 2n → S 2n un’applicazione continua. Allora esiste un punto x ∈ S 2n tale che f (x) = ±x.

20

1 Introduzione geometrica alla topologia

Teorema 1.25. Sia p : S n → Rn un’applicazione continua. Allora esiste un punto l ∈ S n tale che p(l) = p(−l). Con alcuni stratagemmi riusciremo a dimostrare i teoremi precedenti in alcuni casi particolari. Le dimostrazioni in generale richiedono quella che si dice una teoria coomologica, argomento di grande fascino e punto centrale nei corsi di topologia algebrica. Pur non presentando particolari difficoltà, lo studio delle teorie coomologiche richiede una lunga serie di preliminari algebrici e topologici e questo ne preclude, purtroppo, l’insegnamento nei corsi matematici di base. Il lettore interessato troverà le dimostrazioni dei Teoremi 1.20, 1.21, 1.22, 1.23 e 1.24 (o versioni equivalenti) su qualunque testo introduttivo di omologia e coomologia singolare, come ad esempio [4], [16], [10] e [26]. Il Teorema 1.25 è attribuito a Borsuk e richiede tecniche più raffinate rispetto ai precedenti: è possibile trovarne la dimostrazione su [7]. Dimostrazioni alternative del teorema di Borsuk che non utilizzano teorie coomologiche si trovano in [5] e [11].

Esercizi 1.29. Utilizzare il risultato del Teorema 1.25 per dimostrare i Teoremi 1.20 e 1.22. 1.30. Mostrare che il risultato del Teorema 1.24 non vale per applicazioni continue f : S 1 → S 1 e più in generale per le f : S 2n+1 → S 2n+1 continue. 1.31. Anche se dimostreremo il Teorema 1.25 per n = 1 più avanti, può essere comunque divertente provare a darne adesso una dimostrazione intuitiva (sempre per n = 1) basata sul seguente fatto: due topolini vivono in un tubo di lunghezza infinita senza uscite laterali; se alle otto di sera ciascuno di loro si trova nel luogo dove si trovava l’altro alle otto di mattina, allora ad un certo punto del giorno i due topolini devono essersi incrociati.

2 Insiemi

Utilizzeremo la teoria ingenua degli insiemi, cioè eviteremo, con una sola eccezione, di dare impostazioni assiomatiche e lasceremo che ognuno usi le nozioni di insieme e di appartenenza che gli sono suggerite dal senso comune e che gli hanno permesso di superare gli esami di algebra, analisi e geometria: l’eccezione riguarderà l’assioma della scelta, il cui contenuto è meno evidente dal punto di vista del pensiero comune e della logica elementare. Adotteremo volutamente la strategia dello struzzo per non vedere i paradossi1 a cui questo approccio può portare. Una sana regola che costa poco e che aiuta ad evitare i più classici paradossi è questa: non dire l’insieme degli insiemi tali che . . . ma preferire la famiglia degli insiemi . . . ; questo eviterà inoltre monotone ripetizioni. La stessa regola si applica alle famiglie e quindi diremo: la classe delle famiglie . . . , la collezione delle classi . . . e così via.

2.1 Notazioni e concetti base Se X è un insieme scriveremo x ∈ X se x appartiene a X, cioè se x è un elemento di X. Indicheremo con ∅ l’insieme vuoto, mentre i simboli {∗} e {∞} denoteranno entrambi la singoletta, ossia l’insieme formato da un solo elemento. Un insieme si dice finito se contiene al più finiti elementi ed in tal caso scriveremo |X| = n se X contiene esattamente n elementi. Un insieme che non è finito si dice infinito. Se A e B sono insiemi scriveremo A ⊂ B se A è contenuto in B, ovvero se ogni elemento di A è anche elemento di B. Scriveremo invece A ⊂ B, A = B, oppure A  B se A è contenuto strettamente in B. Diremo che A interseca B, o anche che A e B si intersecano, se la loro intersezione A ∩ B non è vuota. Esempio 2.1. Segue dalla definizione di ⊂ che, per ogni insieme A, vale ∅ ⊂ A. Se questo fatto non vi convince del tutto accettatelo comunque, al limite come 1

Quello di Russell è il più famoso, vedi Sezione 8.1.

M. Manetti: Topologia, 2a edizione, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 78, DOI: 10.1007/978-88-470-5662-6_2, © Springer-Verlag Italia 2014

22

2 Insiemi

convenzione. Così facendo, per qualunque proprietà p definita sugli elementi di A, ha senso scrivere {a ∈ A | p(a)} ⊂ A, dove {a ∈ A | p(a)} denota l’insieme degli elementi di A per i quali p è vera. Similmente, per ogni insieme A vi è un’unica applicazione ∅ → A. Talvolta conviene pensare la singoletta come all’insieme delle applicazioni dal vuoto in sé. Denoteremo con A−B = {x ∈ A | x ∈ B} l’insieme degli elementi di A che non appartengono a B. Se x1 , . . . , xn appartengono ad un insieme X, denoteremo con {x1 , . . . , xn } il sottoinsieme di X i cui elementi sono esattamente x1 , . . . , xn . f Scriveremo f : X → Y o X −→ Y per indicare che f è un’applicazione da X a Y e x → y per indicare che y = f (x). Data un’applicazione f : X → Y , per ogni sottoinsieme A ⊂ Y denoteremo f −1 (A) = {x ∈ X | f (x) ∈ A}. I sottoinsiemi di X della forma f −1 (A) si dicono saturi rispetto ad f . Se y ∈ Y chiameremo f −1 ({y}) la fibra di f su y. Spesso, con un leggero abuso di notazione, scriveremo f −1 (y) con il medesimo significato di f −1 ({y}). Se f : X → Y è un’applicazione di insiemi e A, B sono due sottoinsiemi di X, si verifica facilmente che f (A ∪ B) = f (A) ∪ f (B), mentre è generalmente falso che f (A∩B) = f (A)∩f (B). Quello che si può invece affermare è espresso dalla seguente proposizione di immediata verifica. Proposizione 2.2 (Formula di proiezione). Sia f : X → Y un’applicazione di insiemi e siano A ⊂ X, B ⊂ Y due sottoinsiemi. Allora vale f (A ∩ f −1 (B)) = f (A) ∩ B. Per indicare che un’applicazione f : X → Y è iniettiva si utilizza talvolta f

la freccia uncinata f : X → Y , oppure X → Y . Per indicare che una funzione f : X → Y è surgettiva si utilizza talvolta la freccia a due teste f : X  Y , f

oppure X  Y . Se A è una famiglia di insiemi, i simboli ∪{A | A ∈ A}

e



A

A∈A

ne denotano l’unione. Notazioni analoghe, con il simbolo ∩ al posto di ∪,  per l’intersezione. Useremo il simbolo del coprodotto per denotare l’unione disgiunta di insiemi:  per ogni famiglia di insiemi A esiste una ovvia applicazione surgettiva {A | A ∈ A} → ∪{A | A ∈ A} che è iniettiva se e solo se A ∩ B = ∅ per ogni A, B ∈ A.

2.1 Notazioni e concetti base

23

Per indicizzazione di una famiglia A si intende un’applicazione surgettiva A : I → A; l’insieme I è detto insieme degli indici e si scrive solitamente Ai in luogo di A(i) e ∪{Ai | i ∈ I} in luogo di ∪{A | A ∈ A}. Parametri e parametrizzazione sono sinonimi rispettivamente di indici e indicizzazione. Le formule di De Morgan sentenziano che il passaggio al complementare scambia i ruoli di unione e intersezione: questo significa che se A, B ⊂ X, allora X − (A ∪ B) = (X − A) ∩ (X − B),

X − (A ∩ B) = (X − A) ∪ (X − B).

Questo è vero più in generale per ogni famiglia {Ai | i ∈ I} di sottoinsiemi di X: in formule       X− Ai = (X − Ai ), X− Ai = (X − Ai ). i∈I

i∈I

i∈I

i∈I

Il prodotto cartesiano di una famiglia finita X1 , . . . , Xn di insiemi si denota con n  X1 × · · · × Xn , oppure con Xi , i=1

ed è per definizione l’insieme delle n-uple (x1 , . . . , xn ) con xi ∈ Xi per ogni i. Per ogni insieme X e per ogni n ∈ N denotiamo con X n il prodotto cartesiano di X con se stesso n volte. Se A è un sottoinsieme di X × Y e B è un sottoinsieme non vuoto di Y , allora ha senso considerare la divisione (A : B) ⊂ X che definiamo come (A : B) = {x ∈ X | {x} × B ⊂ A}. Ossia, (A : B) è il più grande sottoinsieme di X tale che (A : B) × B ⊂ A; in particolare vale (X × Y : Y ) = X.

Esercizi 2.1. Dimostrare la Proposizione 2.2. 2.2. Dimostrare che per ogni terna di insiemi A, B, C vale A ∩ (B ∪ C) = (A ∩ B) ∪ (A ∩ C)

e

A ∪ (B ∩ C) = (A ∪ B) ∩ (A ∪ C).

24

2 Insiemi

2.3. Mostrare che se {Ai | i ∈ I} e {Bj | j ∈ J} sono due famiglie qualsiasi di insiemi, allora valgono le leggi distributive di unione ed intersezione:       Ai ∩ Bj = (Ai ∩ Bj ), i∈I



j∈J

 Ai



i∈I



i∈I j∈J

 Bj

j∈J

=



(Ai ∪ Bj ).

i∈I j∈J

2.4 (♥). Sia f : X → Y un’applicazione e siano A, B sottoinsiemi di X. Dire quali delle seguenti affermazioni sono sempre vere e quali no: 1. 2. 3. 4. 5. 6.

f (A ∩ B) ⊃ f (A) ∩ f (B). f (A ∩ B) ⊂ f (A) ∩ f (B). f (X − A) ⊂ f (X) − f (A). f (X − A) ⊃ f (X) − f (A). f −1 (f (A))) ⊂ A. f −1 (f (A))) ⊃ A.

2.2 Induzione e completezza Indicheremo con: • • • • •

N = {1, 2, 3, . . .} l’insieme dei numeri naturali (interi positivi). N0 = {0, 1, 2, 3, . . .} l’insieme degli interi non negativi. Z = {0, ±1, ±2, ±3, . . .} l’anello degli interi. Z/n il gruppo delle classi di resto modulo n. Q, R e C i campi dei numeri razionali, reali e complessi.

Assumeremo che il lettore abbia familiarità con il principio di induzione e le altre proprietà dei numeri naturali. Principio di induzione. Sia P : N → {vero, falso} un’applicazione tale che P (1) = vero e tale che P (n) = vero ogni volta che P (n − 1) = vero. Allora P (n) = vero per ogni n. Oltre al principio di induzione, faremo spesso uso dei seguenti due principi ad esso equivalenti. Principio del minimo intero (o del buon ordinamento). Ogni sottoinsieme non vuoto di N possiede un elemento minimo.

2.2 Induzione e completezza

25

Principio di definizione ricorsiva. Sia X un insieme non vuoto e sia data, per ogni n ∈ N, un’applicazione rn : X n → X. Allora, per ogni x ∈ X esiste un’unica applicazione f : N → X tale che f (1) = x,

f (n + 1) = rn (f (1), f (2), . . . , f (n))

per ogni n ≥ 1.

Alcune tipiche applicazioni del principio di definizione ricorsiva (il fattoriale, il triangolo di Tartaglia, i numeri di Fibonacci ecc.) sono note a tutti. Vediamo adesso un’altra applicazione che sarà utilizzata in seguito. Lemma 2.3. Sia X ⊂ N un sottoinsieme infinito. Allora esiste un’applicazione bigettiva e strettamente crescente f : N → X. Dimostrazione. Per ogni sottoinsieme finito Y ⊂ X il complementare X − Y non è vuoto e quindi ammette minimo. Basta definire f in modo ricorsivo come f (1) = min(X),

f (n + 1) = min(X − {f (1), f (2), . . . , f (n)}).

 

Per quanto riguarda i numeri reali, risulta essere di particolare importanza il seguente principio. Principio di completezza dei numeri reali. Ogni insieme non vuoto e limitato superiormente di numeri reali possiede estremo superiore. Tanto per rinfrescare la memoria, ricordiamo che X ⊂ R si dice limitato superiormente se esiste M ∈ R tale che M ≥ x per ogni x ∈ X. Un numero reale s ∈ R si dice estremo superiore di X, ed in tal caso scriveremo s = sup(X), se: 1. Vale s ≥ x per ogni x ∈ X. 2. Per ogni ε > 0 esiste x ∈ X tale che x ≥ s − ε. Scambiando ≥ con ≤ nelle definizioni precedenti si ottengono le nozioni di insieme limitato inferiormente e di estremo inferiore inf(X). Per denotare gli intervalli useremo la notazione dell’Esercizio 1.9.

Esercizi 2.5. Utilizzare il principio del minimo intero per dimostrare che per ogni applicazione surgettiva f : N → X esiste un’applicazione g : X → N tale che f g(x) = x per ogni x ∈ X.

26

2 Insiemi √

2.6 (♥). Definire 3 2 utilizzando solamente le potenze ad esponente intero, il principio del minimo intero ed il principio di completezza dei numeri reali. 2.7 (♥). Usare il principio di definizione ricorsiva per dimostrare che per ogni numero reale x esiste un’applicazione bigettiva g : N → N tale che lim

n→∞

n  (−1)g(i) i=1

g(i)

= x.

2.3 Cardinalità Definizione 2.4. Diremo che due insiemi X, Y hanno la stessa cardinalità, e scriveremo |X| = |Y |, se esiste un’applicazione bigettiva X → Y . È chiaro che se |X| = |Y | e |Y | = |Z|, allora anche |X| = |Z|. Talvolta la notazione |X| potrebbe essere ambigua (ad esempio se siamo in un contesto nel quale intervengono anche dei valori assoluti); in tal caso è possibile utilizzare una delle due notazioni alternative Card(X) e #X. Si usa anche dire che due insiemi sono equipotenti se hanno la stessa cardinalità. Definizione 2.5. Un insieme si dice infinito numerabile se ha la stessa cardinalità dell’insieme N = {1, 2, 3, . . .} dei numeri naturali. Un insieme si dice numerabile se è finito oppure se è infinito numerabile. Per il Lemma 2.3 un insieme è numerabile se e soltanto se ha la stessa cardinalità di un sottoinsieme di N. Vediamo adesso alcuni esempi. Esempio 2.6. Gli insiemi Z e N0 sono numerabili. Infatti le applicazioni f : Z → N,  2n se n > 0, f (n) = 1 − 2n se n ≤ 0, e g : N0 → N, g(n) = n + 1, sono bigettive. Esempio 2.7. L’insieme N × N delle coppie di numeri naturali è numerabile. Per dimostrarlo, osserviamo che l’insieme C = {(x, y) ∈ Z2 | 0 ≤ x ≤ y} è numerabile poiché ogni intero n ≥ 0 esiste un unico elemento (x, y) ∈ C per y tale che n = x + i=0 i. Inoltre l’applicazione N0 × N0 → C,

(a, b) → (a, a + b)

è bigettiva. In conclusione, una bigezione esplicita tra N × N ed N è data da N × N → N,

(a, b) → a +

a+b−2  i=0

i=

1 (a + b − 2)(a + b − 1) + a . 2

2.3 Cardinalità

27

Per ogni insieme X denotiamo con P(X) la famiglia dei sottoinsiemi di X e con P0 (X) ⊂ P(X) la famiglia dei sottoinsiemi finiti di X. Esempio 2.8. La famiglia P0 (X) dei sottoinsiemi finiti di un sottoinsieme numerabile X è ancora numerabile. Infatti possiamo identificare X con N0 e osservare che ogni sottoinsieme finito di N0 può essere interpretato come l’insieme delle cifre uguali ad 1 di un opportuno numero binario: questo fatto è equivalente a dire che l’applicazione P0 (N0 ) → N0 ,

{∅} → 0,

{n1 , . . . , nk } →

k 

2ni ,

i=1

è bigettiva. Dimostreremo più avanti (Corollario 2.31) che per ogni insieme infinito X vale |P0 (X)| = |X|. Teorema 2.9 (Cantor). Sia X un insieme non vuoto, allora non esistono applicazioni surgettive f : X → P(X). In particolare X e P(X) non hanno la stessa cardinalità. Dimostrazione. Sia f : X → P(X) un’applicazione e proviamo che il sottoinsieme S = {x ∈ X | x ∈ f (x)} ∈ P(X) non appartiene all’immagine di f . Supponiamo per assurdo che esista un elemento s ∈ X tale che f (s) = S. Se s ∈ S, allora dalla definizione di S segue che s ∈ f (s) = S; se invece s ∈ S = f (s), allora dalla definizione di S segue che s ∈ f (s) = S. In ogni caso si arriva ad una contraddizione.   Esempio 2.10. Ogni intervallo aperto ]a, b[ ⊂ R, con a < b, ha la stessa cardinalità di R. Infatti, fissato un numero reale c ∈ ]a, b[ , l’applicazione f : ]a, b[ → R, ⎧x−c ⎪ ⎪ ⎨ b − x se c ≤ x < b f (x) = ⎪ ⎪ ⎩ x − c se a < x ≤ c x−a è bigettiva. Lemma 2.11. Siano X, Y insiemi e siano f : X → Y , g : Y → X applicazioni. Allora esiste un sottoinsieme A ⊂ X tale che A ∩ g(Y − f (A)) = ∅,

A ∪ g(Y − f (A)) = X.

Dimostrazione. Consideriamo la famiglia A dei sottoinsiemi B ⊂ X tali che B ∩ g(Y − f (B)) = ∅. Sicuramente A non è vuota poiché contiene il sottoinsieme vuoto. Verifichiamo che A = ∪{B | B ∈ A} ha le proprietà richieste.

28

2 Insiemi

Se x ∈ A, allora esiste B ∈ A tale che x ∈ B, quindi x ∈ g(Y − f (B)) ed a maggior ragione x ∈ g(Y − f (A)). Se esistesse x ∈ A ∪ g(Y − f (A)) allora, ponendo C = A ∪ {x} si avrebbe g(Y − f (C)) ⊂ g(Y − f (A)) e quindi C ∩ g(Y − f (C)) = ∅ in contraddizione con la definizione di A.   Dal Lemma 2.11 segue facilmente il seguente utile criterio per determinare se due insiemi hanno la stessa cardinalità. Teorema 2.12 (di Cantor–Schröder–Bernstein). Siano X, Y due insiemi. Se esistono due applicazioni iniettive f : X → Y e g : Y → X, allora X e Y hanno la stessa cardinalità. Dimostrazione. Per il Lemma 2.11 esiste un sottoinsieme A ⊂ X tale che, ponendo B = Y − f (A) vale A ∩ g(B) = ∅

A ∪ g(B) = X.

e

Per come abbiamo definito B si ha inoltre che B∩f (A) = ∅ e B∪f (A) = Y , mentre dall’iniettività di f e g segue che le due applicazioni f : A → f (A) e g : B → g(B) sono bigettive. Basta adesso osservare che l’applicazione  h : X → Y,

h(x) =

f (x) g

−1

se x ∈ A

(x) se x ∈ g(B)  

è bigettiva.

Se X e Y sono insiemi scriveremo |X| ≤ |Y | se esiste un’applicazione iniettiva X → Y . Abbiamo appena dimostrato che valgono le proprietà: Riflessiva: |X| ≤ |X| per ogni insieme X. Antisimmetrica: se |X| ≤ |Y | e |Y | ≤ |X|, allora |X| = |Y |. Transitiva: se |X| ≤ |Y | e |Y | ≤ |Z|, allora |X| ≤ |Z|. Scriveremo |X| ≥ |Y | se e solo se |Y | ≤ |X|. Osservazione 2.13. È possibile dimostrare, e lo faremo più avanti (Proposizione 2.25), che le cardinalità di due insiemi sono sempre confrontabili, cioè che per ogni coppia di insiemi X, Y vale |X| ≤ |Y | oppure |Y | ≤ |X|. Per ogni coppia di insiemi X, Y denotiamo con X Y l’insieme di tutte le applicazioni f : Y → X. Ad esempio RN indica l’insieme di tutte le successioni a1 , a2 , . . . di numeri reali. Esiste una bigezione naturale α : (X Y )Z → X Y ×Z ,

α(g)(y, z) = g(z)(y).

Proposizione 2.14. Gli insiemi R, NN , RN , 2N e P(N) hanno tutti la stessa cardinalità. In particolare l’insieme R dei numeri reali non è numerabile.

2.3 Cardinalità

29

Dimostrazione. Prima di iniziare la dimostrazione, ricordiamo che per ogni insieme X esiste una bigezione naturale tra P(X) e l’insieme di tutte le applicazioni da X nell’insieme {0, 1}. Tale bigezione associa ad ogni funzione f : X → {0, 1} il sottoinsieme A = {x ∈ X | f (x) = 1}. Quindi P(X) e 2X hanno la stessa cardinalità. Sia C l’insieme delle successioni {fn } strettamente crescenti di numeri naturali. L’applicazione bigettiva α : NN → C,

α(f )n =

n 

f (i) ,

i=1

mostra che C ha la stessa cardinalità di NN . L’applicazione β : ]1, +∞[→ C,

β(x)n = parte intera di 10n x,

è iniettiva e quindi |R| ≤ |C|. Viceversa l’applicazione γ : C → R definita da N  +∞   1 1 = sup |N ∈N γ(f ) = 10fn 10fn n=1 n=1 è anch’essa iniettiva e quindi |R| ≥ |C|. Per il Teorema di Cantor–Schröder– Bernstein si ha |R| = |C| = |NN |. Poiché esiste una bigezione tra N e N × N, gli insiemi NN e NN×N hanno la stessa cardinalità e quindi |NN×N | = |(NN )N | = |RN |. Similmente si ha |P(N)| = |2N | = |2N×N | = |(2N )N | = |P(N)N | e poiché esistono delle naturali applicazioni iniettive 2N → NN e N → P(N) ne segue che |NN | ≤ |P(N)N | = |2N | ≤ |NN |.

 

Esercizi 2.8. Descrivere una bigezione tra gli intervalli [0, 1[ e [0, +∞[. 2.9. Mostrare che se A ⊂ R contiene un intervallo aperto non vuoto, allora |A| = |R|. 2.10. Provare che l’insieme dei numeri razionali è numerabile. 2.11 (♥). Sia X l’insieme delle successioni finite di numeri naturali. Dimostrare che X è numerabile. 2.12 (K, ♥). Si dimostri l’esistenza, sull’insieme N dei numeri naturali, di una famiglia infinita non numerabile di sottoinsiemi Ci tali che Ci ∩ Cj abbia cardinalità finita per ogni i = j.

30

2 Insiemi

2.4 L’assioma della scelta Supponiamo di avere un’applicazione surgettiva di insiemi g : Y → X e cerchiamo di costruire un’applicazione f : X → Y tale che g(f (x)) = x per ogni x. Possiamo procedere nel modo seguente: si prende un elemento x1 ∈ X e si sceglie un elemento f (x1 ) nell’insieme non vuoto g −1 ({x1 }), poi si prende un elemento x2 ∈ X − {x1 } e si sceglie un elemento f (x2 ) nell’insieme non vuoto g −1 ({x2 }) eccetera. Se X è un insieme finito, allora tale procedura ha termine e ci fornisce l’applicazione f cercata. Se invece X è infinito, in assenza di altre informazioni non c’è alcuna ragione elementare che ci assicuri la possibilità di fare le infinite scelte necessarie per poter definire f . Per questo motivo, se vogliamo fare qualche progresso matematico, dobbiamo aggiungere al nostro arsenale il celeberrimo assioma della scelta, che enunceremo in due versioni equivalenti. Assioma della scelta (prima versione): Se g : Y → X è un’applicazione surgettiva di insiemi, allora esiste un’applicazione f : X → Y tale che g(f (x)) = x per ogni x ∈ X. C’è da dire che, in un certo senso, l’assioma della scelta non è né vero né falso ed ognuno può crederci o meno (con le relative conseguenze). Per maggiori informazioni e delucidazioni su questo argomento rimandiamo a [24]. Tuttavia l’assioma della scelta è accettato dalla quasi totalità dei matematici ed anche noi accetteremo la sua validità senza riserva alcuna. Proposizione 2.15. Dati due insiemi non vuoti X e Y , vale |X| ≤ |Y | se e solo se esiste un’applicazione surgettiva Y  X. Dimostrazione. È chiaro che se esiste un’applicazione iniettiva f : X → Y di insiemi non vuoti, allora esiste anche un’applicazione surgettiva g : Y → X. Infatti basta fissare un elemento x0 ∈ X e porre g(y) = f −1 (y) se y ∈ f (X) e g(y) = x0 altrimenti. Viceversa se esiste g : Y → X surgettiva, allora per l’assioma della scelta esiste f : X → Y tale che g(f (x)) = x per ogni x ∈ X. Una tale applicazione f è iniettiva, infatti se f (x1 ) = f (x2 ) allora x1 = g(f (x1 )) = g(f (x2 )) = x2 .   Una relazione in un insieme X è un qualsiasi sottoinsieme R ⊂ X × X. È consuetudine scrivere xRy se e solo se (x, y) ∈ R. Una relazione di equivalenza su di un insieme X è una relazione ∼ che soddisfa le proprietà: Riflessiva: Simmetrica: Transitiva:

x ∼ x per ogni x ∈ X. se x ∼ y, allora y ∼ x. se x ∼ y e y ∼ z, allora x ∼ z.

2.4 L’assioma della scelta

31

Definizione 2.16. Sia ∼ una relazione di equivalenza su un insieme X. La classe di equivalenza di un elemento x ∈ X è il sottoinsieme [x] ⊂ X,

[x] = {y ∈ X | y ∼ x}.

Le classi di equivalenza determinano univocamente la relazione di equivalenza e le tre proprietà precedenti diventano: Riflessiva: x ∈ [x] per ogni x ∈ X. Simmetrica: se x ∈ [y], allora y ∈ [x]. Transitiva: se x ∈ [y] e y ∈ [z], allora x ∈ [z]. Si dimostra facilmente che se [x]∩[y] = ∅ allora x ∼ y e [x] = [y]. L’insieme delle classi di equivalenza X/ ∼= {[x] | x ∈ X} viene detto quoziente di X per la relazione ∼. È ben definita un’applicazione π : X → X/ ∼,

π(x) = [x],

detta proiezione al quoziente. Per l’assioma della scelta esiste un’applicazione f : X/ ∼ → X tale che f ([x]) ∈ [x] per ogni classe di equivalenza. L’immagine di f è quello che viene detto insieme di rappresentanti, ossia un sottoinsieme S ⊂ X che interseca ogni classe di equivalenza in uno ed un solo punto. Esempio 2.17. Sull’insieme Rn+1 − {0} dei vettori non nulli a n + 1 dimensioni definiamo x ∼ y se esiste t ∈ ]0, +∞[ tale che x = ty. È immediato osservare che ∼ è una relazione di equivalenza e che la sfera S n è un insieme di rappresentanti. Lemma 2.18. Siano ∼ una relazione di equivalenza su X, π : X → X/ ∼ la proiezione al quoziente e f : X → Y un’applicazione. Sono fatti equivalenti: 1. L’applicazione f è costante sulle classi di equivalenza, ossia f (x) = f (y) ogni volta che x ∼ y. 2. Esiste un’unica applicazione g : X/ ∼ → Y tale che f = gπ. f

X π

 z X/ ∼

z zg

Dimostrazione. Lasciata per esercizio.

/Y z=

 

Per alcune applicazioni è più comoda la seguente versione dell’assioma della scelta. Assioma della scelta (seconda versione): Sia X = ∪{Xi | i ∈ I} l’unione di una famiglia di insiemi non vuoti Xi indicizzati da un insieme I. Allora esiste un’applicazione f : I → X tale che f (i) ∈ Xi per ogni i.

32

2 Insiemi

Mostriamo che la prima e la seconda versione dell’assioma della scelta sono tra loro equivalenti. Se X = ∪{Xi | i ∈ I}, allora possiamo considerare l’insieme Y = {(x, i) ∈ X ×I | x ∈ Xi } e le due proiezioni p : Y → X, q : Y → I. Per ipotesi p e q sono entrambe surgettive e, per la prima versione dell’assioma della scelta, esiste h : I → Y tale che la composizione qh è l’identità su I. Basta allora considerare la funzione f = ph : I → X. Viceversa, se g : X → I è un’applicazione surgettiva di insiemi allora l’insieme Xi = g −1 (i) = {x ∈ X | g(x) = i} è non vuoto per ogni i ∈ I. Poiché X = ∪i Xi , per la seconda versione dell’assioma della scelta, esiste f : I → X tale che f (i) ∈ Xi , ovvero tale che gf (i) = i per ogni i ∈ I. Esempio 2.19. Utilizziamo l’assioma della scelta per dimostrare che l’unione numerabile di insiemi numerabili è ancora numerabile. Sia {Xn | n ∈ N} una famiglia numerabile di insiemi numerabili; allora per ogni n l’insieme delle applicazioni iniettive Xn → N è non vuoto e l’assioma della scelta permette di scegliere, per ogni n ∈ N, un’applicazione iniettiva fn : Xn → N. Consideriamo adesso le applicazioni: μ : ∪n Xn → N, μ(x) = min{n | x ∈ Xn }, φ(x) = (μ(x), fμ(x) (x)). φ : ∪n Xn → N × N, È immediato verificare che φ è iniettiva e quindi che l’insieme ∪n Xn è numerabile. Osservazione 2.20. L’assioma della scelta permette di dimostrare alcuni teoremi che urtano con l’intuizione, e questa è una delle ragioni che creano perplessità su di esso. Gli esempi più eclatanti sono probabilmente i risultati noti come il paradosso di Hausdorff (Esercizio 14.9) ed il paradosso di Banach– Tarski [27]: diremo che due sottoinsiemi A, B ⊂ R3 sono equi-decomponibili se è possibile trovare degli insiemi A1 , . . . , An e delle isometrie dirette (rototraslazioni) θ1 , . . . , θn di R3 tali che A e B sono rispettivamente le unioni disgiunte di A1 , . . . , An e θ1 (A1 ), . . . , θn (An ). Il teorema di Banach–Tarski afferma che ogni palla chiusa raggio 1 in R3 è equidecomponibile all’unione disgiunta di due palle chiuse di raggio 1. D’altra parte, senza l’assioma della scelta gran parte della matematica inevitabilmente collassa. Ad esempio, senza l’assioma della scelta l’unione numerabile di insiemi numerabili potrebbe non essere numerabile, vedi in proposito [24, pag. 228].

2.5 Il lemma di Zorn

33

Esercizi 2.13. Dato un insieme X denotiamo con P(X) la famiglia dei sottoinsiemi non vuoti di X. Una funzione scelta su X è per definizione un’applicazione s : P(X) → X tale che s(A) ∈ A per ogni sottoinsieme non vuoto A ⊂ X. Dimostrare che l’assioma della scelta equivale all’esistenza di funzioni scelta per ogni insieme. 2.14 (♥). Siano X = ∪{Xi | i ∈ I} e Y = ∪{Yi | i ∈ I} unioni disgiunte di due famiglie di insiemi indicizzate dallo stesso insieme di indici I. Dimostrare che, se per ogni i ∈ I, l’insieme Xi ha la stessa cardinalità di Yi , allora X ha la stessa cardinalità di Y . 2.15. Dimostrare che l’assioma della scelta è equivalente al seguente postulato di Zermelo. Sia A una famiglia di insiemi non vuoti e disgiunti. Allora esiste un insieme C tale che C ∩ A è formato da un solo elemento per ogni A ∈ A. 2.16 (♥). Siano dati un insieme X ed una famiglia numerabile B di sottoinsiemi di X. Denotiamo con T la collezione dei sottoinsiemi di X che si possono scrivere come unione di elementi di B. Dimostrare che per ogni famiglia A ⊂ T esiste una sottofamiglia numerabile A ⊂ A tale che   U= V. U ∈A

V ∈A

2.17. Utilizzare l’assioma della scelta per dimostrare in modo matematicamente rigoroso il seguente risultato. Sia f : X → Y un’applicazione surgettiva di insiemi. Se per ogni y ∈ Y l’insieme f −1 (y) è infinito numerabile, allora esiste un’applicazione bigettiva X → Y × N la cui composizione con la proiezione Y × N → Y è uguale ad f . 2.18. Calcolare la cardinalità dell’insieme di tutte le applicazioni bigettive N → N (Sugg.: per ogni sottoinsieme A ⊂ N con almeno 2 elementi esiste un’applicazione bigettiva f : N → N tale che f (n) = n se e solo se n ∈ A.)

2.5 Il lemma di Zorn Prima di poter essere applicato alla soluzione di molti problemi matematici, l’assioma della scelta ha bisogno di essere trasformato in enunciati ad esso equivalenti ma dal contenuto meno intuitivo. Fra le varie incarnazioni (vedi [12, p. 33]), la più celebre è senza dubbio il lemma di Zorn. Mentre l’assioma della scelta ha a che fare con le relazioni di equivalenza, il lemma di Zorn riguarda le relazioni d’ordine.

34

2 Insiemi

Un ordinamento in un insieme X è una relazione ≤ che soddisfa le tre proprietà: Riflessiva: Antisimmetrica: Transitiva:

x ≤ x per ogni x ∈ X. se x ≤ y e y ≤ x, allora x = y. se x ≤ y e y ≤ z, allora x ≤ z.

Un ordinamento viene anche detto una relazione d’ordine. Se ≤ è un ordinamento si definisce x < y se x ≤ y e x = y. Esempio 2.21. Sia Y un insieme; dati due sottoinsiemi A, B ⊂ Y definiamo A≤B

se

A ⊂ B.

La relazione ≤ è un ordinamento su P(Y ) detto di inclusione. Un ordinamento su X si dice totale se per ogni x, y ∈ X vale x ≤ y oppure y ≤ x. Un insieme ordinato è un insieme dotato di un ordinamento; un insieme totalmente ordinato è un insieme dotato di un ordinamento totale.2 Ogni sottoinsieme di un insieme ordinato è a sua volta un insieme ordinato, con la relazione di ordine indotta. Definizione 2.22. Sia (X, ≤) un insieme ordinato: 1. Un sottoinsieme C ⊂ X si dice una catena se per ogni x, y ∈ C vale x ≤ y oppure x ≥ y. In altri termini C ⊂ X è una catena se e solo se C è un insieme totalmente ordinato per la relazione di ordine indotta. 2. Sia C ⊂ X un sottoinsieme e x ∈ X. Diremo che x è un maggiorante di C se x ≥ y per ogni y ∈ C. 3. Diremo che m ∈ X è un elemento massimale di X se è l’unico maggiorante di se stesso, cioè se {x ∈ X | m ≤ x} = {m}. Teorema 2.23 (Lemma di Zorn). Sia (X, ≤) un insieme ordinato non vuoto. Se ogni catena in X possiede almeno un maggiorante, allora X possiede elementi massimali. Avvertiamo il giovane studioso che le applicazioni del lemma di Zorn sono decisamente più istruttive della sua dimostrazione. Pertanto, la dimostrazione del lemma di Zorn, che richiede l’assioma della scelta e che riportiamo per completezza nella Sezione 8.2, può essere benissimo omessa ad una prima lettura. Mostriamo che il lemma di Zorn implica l’assioma della scelta. La dimostrazione che daremo rappresenta il più classico ed utile schema di applicazione 2

Questa definizione non è universalmente accettata: alcuni chiamano ordinamenti gli ordinamenti totali e ordinamenti parziali gli ordinamenti. Altri usano la parola poset (dall’inglese Partially Ordered SET) per indicare un insieme ordinato.

2.5 Il lemma di Zorn

35

del lemma di Zorn e pertanto svolgeremo il nostro compito in tutti i dettagli. Consideriamo la prima versione dell’assioma della scelta: sia g : Y → X un’applicazione surgettiva di insiemi non vuoti e mostriamo che il lemma di Zorn implica l’esistenza di un’applicazione f : X → Y tale che g(f (x)) = x per ogni x ∈ X. Introduciamo l’insieme S i cui elementi sono le coppie (E, f ) tali che: 1. E ⊂ X è un sottoinsieme. 2. f : E → Y è un’applicazione tale che gf (x) = x per ogni x ∈ E. L’insieme S non è vuoto, esso contiene infatti la coppia (∅, ∅ → Y ). Su S è possibile ordinare gli elementi per estensione, definiamo cioè (E, h) ≤ (F, k) se k estende h: in altri termini (E, h) ≤ (F, k) se e solo se E ⊂ F e h(x) = k(x) per ogni x ∈ E. Mostriamo adesso che ogni catena in S possiede maggioranti. Sia C ⊂ S una catena e consideriamo l’insieme  A= E. (E,h)∈C

Definiamo poi a : A → Y nel modo seguente: se x ∈ A allora esiste (E, h) ∈ C tale che x ∈ E, e si pone a(x) = h(x). Si tratta di una buona definizione, infatti se (F, k) ∈ C e x ∈ F si ha, poiché C è una catena (E, h) ≤ (F, k) oppure (E, h) ≥ (F, k). In entrambi i casi x ∈ E ∩ F e h(x) = k(x). È chiaro che (A, a) ∈ S è un maggiorante di C. Per il lemma di Zorn esiste un elemento massimale (U, f ) ∈ S e basta dimostrare che U = X. Se così non fosse esisterebbe y ∈ Y tale che g(y) ∈

U e la coppia (U ∪ {g(y)}, f  ), che estende (U, f ) e tale che f  (g(y)) = y, appartiene a S e contraddice la massimalità di (U, f ). Corollario 2.24. Sia (X, ≤) un insieme ordinato in cui ogni catena possiede almeno un maggiorante. Allora per ogni a ∈ X esiste un elemento massimale m di X tale che m ≥ a. Dimostrazione. Si applica il lemma di Zorn all’insieme {x ∈ X | x ≥ a}.

 

Proposizione 2.25. Le cardinalità sono comparabili, e cioè se X e Y sono due insiemi, allora vale |X| ≤ |Y | oppure |Y | ≤ |X|. Dimostrazione. Consideriamo la famiglia A dei sottoinsiemi A ⊂ X × Y tali che le proiezioni p : A → X e q : A → Y sono entrambe iniettive. L’insieme vuoto appartiene alla famiglia A che è quindi non vuota ed è ordinata per inclusione. Ogni catena C ⊂ A possiede maggioranti: infatti, considerando il candidato naturale C = ∪{A | A ∈ C}, si ha che p : C → X e q : C → Y sono entrambe iniettive e pertanto C è un maggiorante di C. Per il lemma di Zorn esiste un elemento massimale A; dimostriamo che almeno una delle due proiezioni p : A → X e q : A → Y è surgettiva. Se così

36

2 Insiemi

non fosse esisterebbero x ∈ X − p(A) e y ∈ Y − q(A); quindi A ∪ {(x, y)} ∈ A in contraddizione con la massimalità di A. Se p : A → X è surgettiva allora |X| = |A| ≤ |Y |. Viceversa, se q : A → Y è surgettiva, allora |Y | = |A| ≤ |X|.  

Esercizi 2.19. Sia X un insieme ordinato con la proprietà che ogni suo sottoinsieme non vuoto possiede massimo e minimo. Mostrare che X è finito e totalmente ordinato. 2.20. Sia ≺ una relazione su di un insieme X tale che: 1. Per ogni x, y ∈ X, almeno una delle due relazioni x ≺ y, y ≺ x è falsa. 2. Se vale x ≺ y e y ≺ z, allora x ≺ z. Dimostrare che la relazione x≤y

⇐⇒

x ≺ y oppure x = y

è una relazione di ordine. 2.21. Sia f : X → X un’applicazione di un insieme X in sé e denotiamo con f 0 = IdX ,

f 1 = f,

f 2 = f ◦ f,

...,

f n = f ◦ f n−1 ,

...

le iterate di f . Consideriamo la relazione “x ≤ y se esiste n ≥ 0 tale che x = f n (y)”. Dimostrare che ≤ è una relazione di ordine su X se e solo se ogniqualvolta f n (x) = x per qualche n > 0 e x ∈ X vale f (x) = x. 2.22. Sia V uno spazio vettoriale (non necessariamente di dimensione finita) e consideriamo l’insieme G(V ) dei suoi sottospazi vettoriali, ordinato per inclusione (Esempio 2.21). Dimostrare che per ogni sottoinsieme X ⊂ V che contiene 0 la famiglia {F ∈ G(V ) | F ⊂ X} possiede elementi massimali. 2.23 (Lemma di Tukey, ♥). Siano X un insieme e B una famiglia non vuota di sottoinsiemi di X con la proprietà che A ⊂ X appartiene a B se e soltanto se ogni sottoinsieme finito B ⊂ A appartiene a B. Dimostrare che B contiene elementi massimali rispetto all’inclusione. 2.24. Usare il lemma di Zorn per dimostrare che ogni insieme possiede ordinamenti totali.

2.6 La cardinalità del prodotto

37

2.25. Sia V uno spazio vettoriale su di un campo K. Per ogni sottoinsieme A ⊂ V denotiamo con L(A) ⊂ V la chiusura lineare di A, ossia l’intersezione di tutti i sottospazi vettoriali contenenti A; si noti che L(∅) = 0. Diremo che un sottoinsieme A ⊂ V è un insieme di generatori di V se L(A) = V . Diremo che un sottoinsieme A ⊂ V è linearmente indipendente se v ∈ L(A − {v}) per ogni v ∈ A. 1) Dimostrare che L(A) coincide con l’insieme di tutte le combinazioni lineari finite a1 v1 + · · · + an vn , ai ∈ K, vi ∈ A, di elementi di A. 2) Dimostrare che un insieme di vettori è linearmente indipendente se e solo se ogni suo sottoinsieme finito è linearmente indipendente. 3) Sia A ⊂ V linearmente indipendente e sia v ∈ V un vettore. Dimostrare che A ∪ {v} è linearmente indipendente se e solo se v ∈ L(A). Sia B la famiglia di tutti i sottoinsiemi linearmente indipendenti di V ; ordiniamo B per inclusione, ossia A ≤ B se A ⊂ B. Chiameremo base (non ordinata) di V qualsiasi elemento massimale di B. 4) Dimostrare che le basi esistono e che per ogni base B vale L(B) = V , ossia che ogni base è anche un insieme di generatori. Mostrare inoltre che ogni insieme linearmente indipendente è contenuto in almeno una base e che ogni insieme di generatori contiene almeno una base. Siano B ⊂ V un insieme di generatori ed A ⊂ V un insieme linearmente indipendente. Per dimostrare che |A| ≤ |B| consideriamo l’insieme C formato dalle coppie (S, f ), dove S ⊂ A ed f : S → B è un’applicazione iniettiva tale che l’insieme (A − S) ∪ f (S) è linearmente indipendente. Chiediamo inoltre che A ∩ B ⊂ S e che f (v) = v per ogni v ∈ A ∩ B. Ordiniamo C per estensione, ossia (S, f ) ≤ (T, g) se S ⊂ T e g estende f . 5) Dimostrare che C è non vuoto, che possiede elementi massimali e che se (S, f ) è massimale, allora S = A. (Sugg.: se esiste v ∈ A − S, allora B non è contenuto in L((A − (S ∪ {v})) ∪ f (S)).) 6) Dimostrare che due basi di uno spazio vettoriale hanno la stessa cardinalità.

2.6 La cardinalità del prodotto In questa sezione applicheremo l’assioma della scelta ed il lemma di Zorn per dimostrare che ogni insieme infinito la stessa cardinalità delle sue potenze cartesiane. Lemma 2.26. Ogni insieme infinito contiene un sottoinsieme infinito numerabile.

38

2 Insiemi

Dimostrazione. Dimostriamo che per ogni insieme infinito X esiste un’applicazione iniettiva f : N → X. L’immagine f (N) sarà il sottoinsieme numerabile cercato. Denotiamo con P0 (X) la famiglia dei sottoinsiemi finiti di X; per ogni A ∈ P0 (X) il complementare X − A è non vuoto e possiamo scrivere X = ∪{X − A | A ∈ P0 (X)}. Per l’assioma della scelta esiste un’applicazione g : P0 (X) → X tale che g(A) ∈ A per ogni sottoinsieme finito A ⊂ X. Possiamo dunque definire per ricorrenza un’applicazione iniettiva f : N → X ponendo f (1) = g(∅)

e

f (n) = g ({f (1), f (2), . . . , f (n − 1)}) per n > 1.

 

Lemma 2.27. Se A è un insieme infinito e B è un insieme numerabile, allora |A ∪ B| = |A|. Dimostrazione. Non è restrittivo supporre A ∩ B = ∅. Per il Lemma 2.26 esiste un sottoinsieme C ⊂ A che è infinito numerabile. Osserviamo che C ∪ B è numerabile, ossia ha la stessa cardinalità di C e quindi A = C ∪ (A − C) ha la stessa cardinalità di A ∪ B = (C ∪ B) ∪ (A − C).   Lemma 2.28. Per ogni insieme infinito X vale |X × N| = |X|. Dimostrazione. Consideriamo la famiglia A delle coppie (E, f ) tali che E ⊂ X e f : E × N → E iniettiva. Poiché sappiamo che X contiene sottoinsiemi infiniti numerabili la famiglia A non è vuota. Ordiniamo A per estensione, cioè (E, f ) ≤ (H, g) se e solo se E ⊂ H e g estende f . Si dimostra facilmente che ogni catena ammette un maggiorante e quindi per il lemma di Zorn esiste un elemento massimale (A, f ). Dimostriamo che |A| = |X|: se per assurdo |A| < |X|, allora X − A sarebbe infinito e quindi conterrebbe un sottoinsieme B infinito numerabile. Scelta un’applicazione iniettiva g : B × N → B possiamo definire un’applicazione h : (A ∪ B) × N → A ∪ B ponendo h(x, n) = f (x, n) se x ∈ A e h(x, n) = g(x, n) se x ∈ B. L’applicazione h è iniettiva, estende f e quindi contraddice la massimalità di (A, f ).   Osservazione 2.29. Dal Lemma 2.28 segue in particolare che se Y è infinito, X = ∪+∞ i=1 Xi è l’unione di una famiglia numerabile di insiemi e |Xi | ≤ |Y | per ogni i allora |X| ≤ |Y |. Sia infatti A ⊂ N l’insieme degli indici i tali che Xi = ∅; se A = ∅ non c’è nulla da dimostrare, se A = ∅ allora |Y | ≤ |Y × A| ≤ |Y × N| = |Y | e quindi |Y | = |Y × A|. Scegliendo per ogni i ∈ A un’applicazione surgettiva fi : Y → Xi si ha che f : Y × A → X, f (y, i) = fi (y), è surgettiva. Teorema 2.30. Per ogni insieme infinito X vale |X| = |X 2 |.

2.6 La cardinalità del prodotto

39

Dimostrazione. La dimostrazione è molto simile a quella del Lemma 2.28. Consideriamo la famiglia A delle coppie (E, f ), dove E è un sottoinsieme non vuoto di X e f : E × E → E è un’applicazione iniettiva. Poiché sappiamo che X contiene sottoinsiemi infiniti numerabili la famiglia A non è vuota. Ordiniamo A per estensione, cioè (E, f ) ≤ (H, g) se e solo se E ⊂ H e g estende f . Si dimostra facilmente che ogni catena ammette un maggiorante e quindi per il lemma di Zorn esiste un elemento massimale (A, f ). L’iniettività di f ci dice che |A2 | = |A| e quindi basta dimostrare che |A| = |X|: se per assurdo |A| < |X| allora X − A conterrebbe un sottoinsieme B della stessa cardinalità di A, in particolare |B| = |B × A| = |A × B| = |B × B|. Siccome (A ∪ B) × (A ∪ B) = A × A ∪ A × B ∪ B × A ∪ B × B e per l’Osservazione 2.29 esiste una bigezione tra B e A × B ∪ B × A ∪ B × B, possiamo estendere f ad A ∪ B, in contraddizione con la massimalità di (A, f ).   Dato un insieme X definiamo S(X) come l’unione disgiunta di tutte le potenze cartesiane X n , per n ∈ N. Se X è finito non vuoto si ha che S(X) è numerabile. Ricordiamo che con la notazione P0 (X) abbiamo indicato la famiglia dei sottoinsiemi finiti di X. Corollario 2.31. Per ogni insieme infinito X vale |S(X)| = |P0 (X)| = |X|. Dimostrazione. Per ogni intero n > 0 si ha che |X n | = |X|. Infatti, se n > 1 si ha per induzione |X n | = |X n−1 × X| = |X × X| = |X| e quindi S(X) è unione numerabile di insiemi con la stessa cardinalità di X. Poiché esiste una naturale applicazione surgettiva S(X) → P0 (X) − {∅} si ha che per ogni insieme infinito X vale |X| = |P0 (X)|.  

Esercizi 2.26. Dimostrare che ogni insieme infinito è unione disgiunta di sottoinsiemi infiniti numerabili. 2.27. Sia K un campo infinito. Dimostrare che l’anello K[x] dei polinomi a coefficienti in K ha la stessa cardinalità di K. 2.28. Siano X, Y due insiemi infiniti e sia A ⊂ X × Y un sottoinsieme tale che: 1. Per ogni x ∈ X, l’insieme {y ∈ Y | (x, y) ∈ A} è numerabile. 2. Per ogni y ∈ Y , l’insieme {x ∈ X | (x, y) ∈ A} è non vuoto. Dimostrare che la cardinalità di X è maggiore od uguale a quella di Y . (Sugg.: dimostrare che esiste un’applicazione iniettiva A → X × N.)

40

2 Insiemi

2.29. Sia Q ⊂ C l’insieme dei numeri complessi che sono radici di un polinomio a coefficienti razionali. Dimostrare che Q è numerabile e dedurne l’esistenza di numeri trascendenti. (Sugg.: Esercizio 2.28. Per definizione, un numero è trascendente se non appartiene a Q.) 2.30. Sia B una base di uno spazio vettoriale V sul campo K. Descrivere un’applicazione surgettiva P0 (K × B) → V e dedurre che, se l’insieme K × B è infinito, allora |V | = |K × B| = max(|K|, |B|). 2.31 (K, ♥). Siano I un insieme infinito, K un campo e B una base dello spazio vettoriale KI di tutte le applicazioni f : I → K. Dimostrare che la cardinalità di B è strettamente maggiore di quella di I. Dedurre che ogni spazio vettoriale di dimensione infinita non è isomorfo al proprio duale algebrico.

3 Strutture topologiche

Secondo alcuni psicologi, fino all’età di 2 anni e mezzo i bambini eseguono semplici scarabocchi. Dai 2 e mezzo ai 4 anni, invece comincia ad affermarsi la capacità di riprodurre tutti i rapporti topologici. Cioè i bambini riproducono tutte le figure in maniera diversa a seconda che siano chiuse o aperte. Dai 4 anni sanno riprodurre tutti i rapporti topologici: il punto interno, esterno o sul limite della figura. Soltanto dai 4 ai 7 anni ha luogo una differenziazione di figure semplici (quadrati, triangoli ecc.) sulla base anche delle dimensioni o degli angoli. Uno spazio è un insieme i cui elementi vengono chiamati punti. Dotare uno spazio X di una struttura topologica significa saper dire, per ogni suo sottoinsieme, quali sono i suoi punti interni, i suoi punti esterni ed i suoi punti di frontiera. Ovviamente ciò non può essere fatto totalmente ad arbitrio ma devono essere soddisfatte alcune regole dettate dal buonsenso: 1. 2. 3. 4. 5.

Ogni punto di X è interno ad X. Se x è interno ad A, allora x ∈ A. Se x è interno ad A e A ⊂ B, allora x è interno a B. Se x è interno sia ad A che a B, allora è interno anche ad A ∩ B. Se A◦ denota l’insieme dei punti interni di A, allora ogni punto di A◦ è interno ad A◦ .

I punti esterni ad un sottoinsieme saranno i punti interni al suo complementare ed i punti di frontiera saranno quelli che non sono né interni né esterni. Le precedenti cinque condizioni possono essere prese come definizione assiomatica di struttura topologica (vedi Esercizio 3.14). Tuttavia è oramai considerato standard definire una tale struttura in termini della famiglia degli aperti, ed è quello che faremo a partire dalla prossima sezione.

M. Manetti: Topologia, 2a edizione, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 78, DOI: 10.1007/978-88-470-5662-6_3, © Springer-Verlag Italia 2014

42

3 Strutture topologiche

3.1 Spazi topologici Definizione 3.1. Sia X un insieme, una topologia su X è una famiglia T di sottoinsiemi di X, detti aperti, che soddisfa le seguenti condizioni: (A1) ∅ e X sono aperti. (A2) Unione arbitraria di aperti è un sottoinsieme aperto. (A3) Intersezione di due aperti è un sottoinsieme aperto. Un insieme dotato di una topologia viene detto spazio topologico. Gli elementi di uno spazio topologico vengono detti punti. Osserviamo che la condizione (A3) implica che ogni intersezione finita di aperti è ancora un sottoinsieme aperto: infatti se A1 , . . . , An sono aperti si può scrivere A1 ∩ · · · ∩ An = (A1 ∩ · · · ∩ An−1 ) ∩ An . Per induzione su n si ha che A1 ∩ · · · ∩ An−1 è aperto e quindi per A3 anche A1 ∩ · · · ∩ An è aperto. Ogni insieme possiede topologie. Ad esempio la famiglia T = P(X) di tutti i sottoinsiemi di X è una topologia che viene detta discreta, mentre la famiglia T formata dal solo insieme vuoto e da tutto X è anch’essa una topologia, detta banale o indiscreta. Esempio 3.2. Nella topologia euclidea su R, un sottoinsieme U ⊂ R è aperto se e solo se è unione di intervalli aperti. Gli aperti così definiti soddisfano le condizioni A1, A2 ed A3 della Definizione 3.1: ad esempio, se   A= ]ai , bi [ , B= ]ch , dh [ i∈I

h∈H

sono due aperti, allora per le leggi distributive la loro intersezione       A∩B = ]ai , bi [ ∩ ]ch , dh [ = ]ai , bi [ ∩ ]ch , dh [ i∈I

h∈H

i∈I,h∈H

è ancora unione di intervalli aperti. Esempio 3.3. Nella topologia della semicontinuità superiore su R, gli aperti non vuoti sono tutti e soli i sottoinsiemi della forma ] − ∞, a[ , al variare di a ∈ R ∪ {+∞}. Definizione 3.4. Sia X uno spazio topologico. Un sottoinsieme C ⊂ X si dice chiuso se X − C è aperto. Poiché il passaggio al complementare scambia unioni con intersezioni, i chiusi di una topologia su X soddisfano le condizioni: (C1) ∅ e X sono chiusi. (C2) Intersezione arbitraria di chiusi è un sottoinsieme chiuso. (C3) Unione di due chiusi è un sottoinsieme chiuso.

3.1 Spazi topologici

43

Come nel caso degli aperti, la condizione (C3) implica che ogni unione finita di chiusi è un sottoinsieme chiuso. Naturalmente è possibile descrivere una topologia indicando quali sono i chiusi. Ad esempio la topologia cofinita su di un insieme X è quella in cui un sottoinsieme C ⊂ X è chiuso se e solo se C = X oppure C è finito. Definizione 3.5. Sia T una topologia su un insieme X. Una sottofamiglia B ⊂ T si dice una base di T se ogni aperto A ∈ T può essere scritto come unione di elementi di B. Esempio 3.6. Gli intervalli aperti sono una base della topologia euclidea sulla retta reale. Una base determina univocamente la topologia: infatti gli aperti sono tutte e sole le unioni arbitrarie di elementi della base. Teorema 3.7. Siano X un insieme e B ⊂ P(X) una famiglia di suoi sottoinsiemi. Allora esiste una topologia su X di cui B è una base se e soltanto se sono soddisfatte le seguenti due condizioni: 1. X = ∪{B | B ∈ B}. 2. Per ogni coppia A, B ∈ B e per ogni punto x ∈ A ∩ B esiste C ∈ B tale che x ∈ C ⊂ A ∩ B. Dimostrazione. La necessità delle due condizioni è chiara, vediamo la sufficienza. Definiamo gli aperti come unioni qualsiasi di elementi di B; si ha che sono aperti X (unione completa) e l’insieme vuoto (unione vuota) mentre unione di aperti è chiaramente un aperto. La seconda condizione implica che per ogni A, B ∈ B vale A ∩ B = ∪{C | C ∈ B, C ⊂ A ∩ B}. Se U = ∪Ai e V = ∪Bj sono unioni arbitrarie di elementi Ai , Bj ∈ B, allora per le leggi distributive, U ∩ V = ∪ (Ai ∩ Bj ) i,j

= ∪{C | C ∈ B ed esistono i, j tali che C ⊂ Ai ∩ Bj }.

 

Per prevenire un errore comune, invitiamo lo studioso a non confondere la definizione di base con il Teorema 3.7: nella definizione di base la topologia è data, il criterio da verificare è quello che ogni aperto sia unione di aperti della base e non quello esposto nel teorema. Esiste una naturale relazione d’ordine tra le topologie su di un insieme. Definizione 3.8. Date due topologie T e R sullo stesso insieme, diremo che T è più fine di R (e di conseguenza che R è meno fine di T ) se R ⊂ T , cioè se ogni aperto della topologia R è aperto anche in T .

44

3 Strutture topologiche

Esempio 3.9. La retta di Sorgenfrey è per definizione l’insieme di tutti i numeri reali dotato della topologia che ha come base di aperti la famiglia di tutti gli intervalli semichiusi [a, b[ . Poiché ]a, b[ = ∪c>a [c, b[ , questa topologia è più fine della topologia euclidea.1 Data una collezione arbitraria {Ti } di topologie su di un insieme X, la loro intersezione T = ∩i Ti è ancora una topologia. Se le Ti sono tutte e sole le topologie che contengono una data famiglia S ⊂ P(X) di sottoinsiemi di X, allora T è la topologia meno fine tra quelle che contengono gli elementi di S come aperti. Esempio 3.10. Sia {Xi| i ∈ I} una collezione di spazi topologici. Sulla loro unione disgiunta X = i Xi possiamo considerare la topologia meno fine tra quelle che contengono tutte le topologie degli spazi Xi ; in tale topologia un sottoinsieme A ⊂ X è aperto se e solo se A ∩ Xi è aperto in Xi per ogni i. Lo spazio topologico così ottenuto viene detto unione disgiunta degli spazi Xi . Esempio 3.11. Siano K un campo, n > 0 un intero ed indichiamo con K[x1 , . . . , xn ] l’anello dei polinomi in n coordinate a coefficienti in K. Per ogni f ∈ K[x1 , . . . , xn ] definiamo D(f ) = {(a1 , . . . , an ) ∈ Kn | f (a1 , . . . , an ) = 0}. Siccome D(0) = ∅, D(1) = Kn e D(f ) ∩ D(g) = D(f g), si ha che i sottoinsiemi D(f ) formano una base di aperti di una topologia su Kn che viene detta topologia di Zariski. Denotando con V (f ) il complementare di D(f ) e, per ogni sottoinsieme E ⊂ K[x1 , . . . , xn ], con  V (f ) = {(a1 , . . . , an ) ∈ Kn | f (a1 , . . . , an ) = 0 ∀ f ∈ E} V (E) = f ∈E

si ha che i sottoinsiemi V (E) sono, al variare di E, tutti e soli i chiusi della topologia di Zariski. Dato un qualsiasi sottoinsieme E ⊂ K[x1 , . . . , xn ] indichiamo con I = (E) l’ideale da esso generato; siccome E ⊂ I si ha V (I) ⊂ V (E). Viceversa, dato un qualsiasi elemento f ∈ I, esistono un intero n > 0, f1 , . . . , fn ∈ E e g1 , . . . , gn ∈ K[x1 , . . . , xn ] tali che f = f1 g1 +· · ·+fn gn e di conseguenza V (E) ⊂ V (f1 ) ∩ · · · ∩ V (fn ) ⊂ V (f ) . Ciò dimostra che V (E) ⊂



V (f ) = V (I),

f ∈I 1

I matematici non introducono topologie strane per divertimento: ad esempio Sorgenfrey ha introdotto la topologia che ha preso il suo nome per rispondere (negativamente) alla domanda se il prodotto di spazi paracompatti (Definizione 7.14) fosse ancora paracompatto [21].

3.1 Spazi topologici

45

da cui segue V (I) = V (E) e che i chiusi della topologia di Zariski sono tutti e soli i sottoinsiemi del tipo V (I), al variare di I tra gli ideali dell’anello K[x1 , . . . , xn ].

Esercizi 3.1 (♥). Vero o falso? 1. Sulla singoletta esiste una sola struttura topologica. 2. In un insieme con due elementi esistono esattamente 4 strutture topologiche. 3. In un insieme finito ogni topologia ha un numero pari di aperti. 4. Su di un insieme infinito dotato della topologia cofinita, ogni coppia di aperti non vuoti ha intersezione non vuota. 3.2. Dimostrare che gli intervalli chiusi [a, b] ⊂ R sono chiusi nella topologia euclidea. 3.3. Sia X un insieme e ∞ ∈ X un elemento fissato. Verificare che T = {A ⊂ X | ∞ ∈ A oppure X − A è finito } è una topologia su X. 3.4. Sia X un insieme. Verificare che T = {A ⊂ X | A = ∅ oppure X − A è finito o numerabile} è una topologia su X. 3.5. Sia (X, ≤) un insieme ordinato. Mostrare che i sottoinsiemi Mx = {y ∈ X | x ≤ y} formano, al variare di x ∈ X, una base di una topologia. 3.6 (Esistono infiniti numeri primi, ♥). Per ogni coppia di numeri interi a, b ∈ Z, con b > 0, denotiamo Na,b = {a + kb | k ∈ Z}. Dimostrare: 1. La famiglia B = {Na,b | a, b ∈ Z, b > 0} di tutte le progressioni aritmetiche è una base di una topologia T su Z. 2. Ogni Na,b è aperto e chiuso nella topologia T . 3. Denotiamo con P = {2, 3, . . .} ⊂ N l’insieme dei numeri primi. Vale Z − {−1, 1} = ∪{N0,p | p ∈ P } e quindi, se P fosse finito, allora {−1, 1} sarebbe un aperto in T .

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3 Strutture topologiche

3.2 Parte interna, chiusura ed intorni La nozione di aderenza esposta nella Sezione 1.3 si estende a qualunque struttura topologica. Definizione 3.12. Dato un sottoinsieme B di uno spazio topologico X, si denota con B l’intersezione di tutti i chiusi contenenti B:  B = {C | B ⊂ C ⊂ X, C chiuso } . Equivalentemente, B è il più piccolo chiuso di X contenente B e viene detto chiusura di B; i suoi punti si dicono aderenti a B. Esempio 3.13. Se A ⊂ B, allora ogni chiuso che contiene B contiene anche A e quindi A ⊂ B. Se Ai è una famiglia di sottoinsiemi di uno spazio topologico, allora vale ∪i Ai ⊂ ∪i Ai . Infatti, siccome Aj ⊂ ∪i Ai si ha Aj ⊂ ∪i Ai per ogni indice j. Definizione 3.14. Diremo che un sottoinsieme A di uno spazio topologico X è denso se A = X o, equivalentemente, se A interseca ogni aperto non vuoto di X. Più in generale, se A, B sono sottoinsiemi di uno spazio topologico e A ⊂ B, diremo che A è denso in B se B ⊂ A. Esempio 3.15. 1. In uno spazio con la topologia banale ogni sottoinsieme non vuoto è denso. 2. In uno spazio con la topologia discreta nessun sottoinsieme proprio è denso. 3. L’insieme dei numeri razionali è denso nello spazio R dotato della topologia euclidea. 4. In uno spazio con la topologia cofinita ogni sottoinsieme infinito è denso. Strettamente correlate al concetto di chiusura sono le nozioni di parte interna e di frontiera. Definizione 3.16. Dato un sottoinsieme B di uno spazio topologico X, si definisce la sua parte interna B ◦ come l’unione di tutti gli aperti contenuti in B. Equivalentemente, B ◦ è il più grande aperto contenuto in B; i suoi punti si dicono interni a B. Si osservi che un sottoinsieme B di uno spazio topologico è aperto se e solo se B = B ◦ ed è chiuso se e solo se B = B. Passando al complementare si ottiene la relazione X − B ◦ = X − B. Esempio 3.17. Nella topologia euclidea sulla retta reale R, per ogni a < b si ha: ]a, b[ = [a, b[ = ]a, b] = [a, b],

[a, b]◦ = [a, b[◦ =]a, b]◦ = ]a, b[ .

3.2 Parte interna, chiusura ed intorni

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Definizione 3.18. La frontiera di un sottoinsieme B di uno spazio topologico è il chiuso ∂B = B − B ◦ = B ∩ X − B. Dunque i punti della frontiera ∂B sono i punti aderenti sia a B che al complementare X − B. Ad esempio, nella topologia euclidea su R si ha ∂[a, b] = ∂ ]a, b[ = {a, b} per ogni a < b. Definizione 3.19. Siano X uno spazio topologico e x ∈ X un suo punto. Un sottoinsieme U ⊂ X si dice un intorno di x se esiste un aperto V tale che x ∈ V e V ⊂ U , ossia se x è un punto interno di U . Denotiamo con I(x) la famiglia di tutti gli intorni di x. Per definizione, se A è un sottoinsieme di uno spazio topologico, allora A◦ = {x ∈ A | A ∈ I(x)}; in particolare un sottoinsieme è aperto se e solo se è intorno di ogni suo punto. Lemma 3.20. La famiglia I(x) degli intorni di un punto x è chiusa per estensione ed intersezione finita, ossia: 1. Se U ∈ I(x) e U ⊂ V , allora V ∈ I(x). 2. Se U, V ∈ I(x), allora U ∩ V ∈ I(x). Dimostrazione. Se U è un intorno di x vuol dire che esiste un aperto A tale che x ∈ A ⊂ U . Se U ⊂ V a maggior ragione x ∈ A ⊂ V e quindi anche V è un intorno di x. Se U, V sono intorni di x vuol dire che esistono due aperti A, B tali che x ∈ A ⊂ U , x ∈ B ⊂ V . Dunque x ∈ A ∩ B ⊂ U ∩ V .   Il passaggio al complementare permette di dare una utile caratterizzazione della chiusura di un sottoinsieme. Lemma 3.21. Sia B un sottoinsieme di uno spazio topologico X. Allora un punto x ∈ X appartiene a B se e solo se per ogni intorno U ∈ I(x) vale U ∩ B = ∅. Dimostrazione. Per definizione x ∈ B se e solo se x è interno a X − B; allo stesso tempo, un punto x è interno a X − B se e solo se esiste un intorno U ∈ I(x) tale che U ⊂ X − B.   Esiste per gli intorni l’analogo del concetto di base. Definizione 3.22. Sia x un punto di uno spazio topologico X. Una sottofamiglia J ⊂ I(x) si dice una base locale oppure un sistema fondamentale di intorni di x, se per ogni U ∈ I(x) esiste A ∈ J tale che A ⊂ U . Esempio 3.23. 1. Sia U ∈ I(x) un intorno fissato. Allora tutti gli intorni di x contenuti in U formano un sistema fondamentale di intorni di x. 2. Se B è una base della topologia, allora gli aperti di B che contengono x formano un sistema fondamentale di intorni di x. È possibile descrivere una topologia elencando quali sono gli intorni dei punti (vedi Esercizio 3.14).

48

3 Strutture topologiche

Esercizi 3.7 (♥). Descrivere una coppia di sottoinsiemi A, B ⊂ R tali che A ∩ B = ∅,

A ∩ B = ∅,

A ∩ B = ∅ .

3.8 (♥). Siano A, B sottoinsiemi di uno spazio topologico. Dimostrare che vale A ∪ B = A ∪ B. 3.9 (♥). Sia A un sottoinsieme denso di uno spazio topologico X. Dimostrare che per ogni aperto U ⊂ X vale U ∩ A = U . 3.10. Sul piano R2 si consideri la famiglia T formata dall’insieme vuoto, da R2 e da tutti i dischi aperti {x2 +y 2 < r2 }, per r > 0. Dimostrare che si tratta di una topologia e determinare la chiusura dell’iperbole di equazione xy = 1. 3.11. Mostrare che, nella topologia euclidea su R, gli intervalli chiusi [−2−n , 2−n ] formano, al variare di n ∈ N, un sistema fondamentale di intorni di 0. 3.12. Uno spazio topologico si dice T1 se ogni sottoinsieme finito è chiuso. Dimostrare che uno spazio topologico X è T1 se e solo se per ogni x ∈ X vale  {x} = U. U ∈I(x)

3.13. Sia {Un | n ∈ N} un sistema fondamentale numerabile di intorni di un punto x in uno spazio topologico. Dimostrare che la famiglia {Vn = U1 ∩ · · · ∩ Un | n ∈ N} è ancora un sistema fondamentale di intorni di x. 3.14 (♥). Sia X un insieme e supponiamo data, per ogni x ∈ X, una famiglia I(x) di sottoinsiemi di X in modo tale che le seguenti cinque condizioni siano soddisfatte: 1. X ∈ I(x) per ogni punto x ∈ X. 2. x ∈ U per ogni U ∈ I(x). 3. Se U ∈ I(x) e U ⊂ V , allora V ∈ I(x). 4. Se U, V ∈ I(x), allora U ∩ V ∈ I(x). 5. Se U ∈ I(x), allora esiste un sottoinsieme V ⊂ U tale che x ∈ V e V ∈ I(y) per ogni y ∈ V . Dimostrare che esiste un’unica topologia su X, rispetto alla quale I(x) è la famiglia degli intorni di x, per ogni x ∈ X. 3.15. Sia X un insieme fissato. Chiameremo operatore di chiusura su X, un’applicazione C : P(X) → P(X) che soddisfa le seguenti quattro proprietà (dette

3.3 Applicazioni continue

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di Kuratowski ): 1. 2. 3. 4.

A ⊂ C(A) per ogni sottoinsieme A ⊂ X. C(A) = C(C(A)) per ogni sottoinsieme A ⊂ X. C(∅) = ∅. C(A ∪ B) = C(A) ∪ C(B) per ogni A, B ⊂ X.

Dimostrare che per ogni struttura topologica su X, l’applicazione A → A è un operatore di chiusura e, viceversa, che per ogni operatore di chiusura C su X esiste un’unica struttura topologica rispetto alla quale C(A) = A. 3.16. Trovare l’errore, o gli errori, nella seguente pseudodimostrazione dell’inclusione ∪i Ai ⊂ ∪i Ai . Sia x ∈ ∪i Ai , allora ogni intorno di x interseca ∪i Ai , quindi ogni intorno interseca qualche Ai e di conseguenza x appartiene alla chiusura di Ai .

3.3 Applicazioni continue Definizione 3.24. Un’applicazione f : X → Y tra due spazi topologici si dice continua se, per ogni aperto A ⊂ Y l’insieme f −1 (A) = {x ∈ X | f (x) ∈ A} è aperto in X. Prima di proseguire, osserviamo che l’operatore f −1 : P(Y ) → P(X) commuta con le operazioni di passaggio al complementare ed unione, e cioè f −1 (Y − A) = X − f −1 (A),

f −1 (∪i Ai ) = ∪i f −1 (Ai ).

Da ciò segue che: 1. Un’applicazione f : X → Y è continua se e solo se per ogni chiuso C ⊂ Y l’insieme f −1 (C) è chiuso in X (passaggio al complementare). 2. Sia B una base della topologia di Y . Un’applicazione f : X → Y è continua se e solo se per ogni B ∈ B l’insieme f −1 (B) è aperto in X (ogni aperto in Y è unione di elementi di B). Lemma 3.25. Sia f : X → Y un’applicazione tra due spazi topologici. Allora f è continua se e solo se f ( A ) ⊂ f (A) per ogni sottoinsieme A ⊂ X. Dimostrazione. Supponiamo f continua, allora per ogni A ⊂ X il sottoinsieme f −1 ( f (A) ) è un chiuso che contiene A. Ne consegue che A ⊂ f −1 ( f (A) ) e quindi che f ( A ) ⊂ f (A). Viceversa, supponiamo f ( A ) ⊂ f (A) per ogni A ⊂ X. In particolare per ogni chiuso C ⊂ Y si ha (ponendo A = f −1 (C)) f ( f −1 (C) ) ⊂ f (f −1 (C)) = C = C   e quindi f −1 (C) ⊂ f −1 (C), che equivale a dire che f −1 (C) è chiuso. Il Lemma 3.25 implica la totale equivalenza tra la Definizione 1.4 e la Definizione 3.24.

50

3 Strutture topologiche

Teorema 3.26. Composizione di applicazioni continue è continua. Dimostrazione. Siano f : X → Y e g : Y → Z due applicazioni continue e sia −1 A ⊂ Z un aperto. Dalla continuità  −1 dig segue che g (A) è aperto e, dalla −1 continuità di f segue che f g (A) è aperto. Basta adesso osservare che    f −1 g −1 (A) = (gf )−1 (A). Definizione 3.27. Sia f : X → Y un’applicazione tra spazi topologici. Diremo che f è continua in un punto x ∈ X se per ogni intorno U di f (x) esiste un intorno V di x tale che f (V ) ⊂ U . Teorema 3.28. Un’applicazione f : X → Y tra spazi topologici è continua se e solo se è continua in ogni punto di X. Dimostrazione. Supponiamo f continua e sia U un intorno di f (x). Per definizione di intorno esiste un aperto A ⊂ Y tale che f (x) ∈ A ⊂ U : l’aperto V = f −1 (A) è un intorno di x e f (V ) ⊂ U . Viceversa, supponiamo f continua in ogni punto e sia A un aperto di Y , dobbiamo provare che f −1 (A) è intorno di ogni suo punto; se x ∈ f −1 (A) allora A è un intorno di f (x) ed esiste un intorno V di x tale che f (V ) ⊂ A. Ciò equivale a dire V ⊂ f −1 (A) e dunque f −1 (A) è intorno di x.   Definizione 3.29. Un omeomorfismo è un’applicazione continua e bigettiva con inversa continua. Per essere più precisi, un’applicazione continua f : X → Y si dice un omeomorfismo se esiste un’applicazione continua g : Y → X tale che le composizioni gf e f g sono le identità in X e Y rispettivamente. Diremo che due spazi topologici sono omeomorfi se esiste un omeomorfismo tra di loro. Definizione 3.30. Un’applicazione f : X → Y tra due spazi topologici si dice: 1. Aperta se f (A) è aperto in Y per ogni aperto A di X. 2. Chiusa se f (C) è chiuso in Y per ogni chiuso C di X. Lemma 3.31. Sia f : X → Y un’applicazione continua tra due spazi topologici. Le seguenti condizioni sono equivalenti: 1. f è un omeomorfismo. 2. f è chiusa e bigettiva. 3. f è aperta e bigettiva. Dimostrazione. Dimostriamo che (1)⇒(2); ogni omeomorfismo è bigettivo per definizione. Se g : Y → X è l’inversa di f , allora g è continua e per ogni sottoinsieme chiuso C ⊂ X, f (C) = g −1 (C) è chiuso in Y . Per quanto riguarda (2)⇒(3), sia A ⊂ X un aperto e poniamo C = X − A. Poiché f è bigettiva si ha f (A) = f (X − C) = Y − f (C) e quindi f (A) è il complementare del chiuso f (C).

3.3 Applicazioni continue

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Infine, per mostrare che (3)⇒(1), se g : Y → X è l’inversa di f , allora per ogni sottoinsieme aperto A ⊂ X, g −1 (A) = f (A) è aperto e quindi g è continua.   Con il termine funzione continua (a valori reali) si intende un’applicazione f : X → R che è continua rispetto alla topologia euclidea su R.

Esercizi 3.17. Dimostrare che le applicazioni costanti sono continue, indipendentemente dalle topologie considerate. 3.18. Siano date due topologie T1 e T2 su di un insieme X. Provare che l’applicazione identica (X, T1 ) → (X, T2 ), x → x, è continua se e solo se T1 è più fine di T2 . 3.19. Sia data una funzione f : R → R; per ogni k ∈ R denotiamo M (k) = {x ∈ R | f (x) > k}

m(k) = {x ∈ R | f (x) < k}.

Dimostrare che f è continua se e solo se M (k) e m(k) sono aperti per ogni k. 3.20. Sia fi : Yi → X una famiglia di applicazioni continue a valori in uno spazio topologico fissato X. Mostrare che l’applicazione indotta f : i Yi → X  è continua, ove i Yi indica l’unione disgiunta (Esempio 3.10) e f (y) = fi (y) se y ∈ Yi . 3.21. Due sottoinsiemi A, B di uno spazio topologico si dicono aderenti se (A ∩ B) ∪ (A ∩ B) = ∅. Dimostrare che le applicazioni continue preservano la relazione di aderenza tra sottoinsiemi. Viceversa se f : X → Y è un’applicazione tra spazi topologici T1 (vedi Esercizio 3.12) che preserva la relazione di aderenza tra sottoinsiemi, allora f è continua. 3.22. Provare che composizione di omeomorfismi è un omeomorfismo, che l’inverso di un omeomorfismo è un omeomorfismo e quindi che l’insieme Omeo(X) degli omeomorfismi di uno spazio topologico X in sé è un gruppo. Mostrare inoltre che la relazione sulla categoria2 degli spazi topologici, X ∼ Y se e solo se X è omeomorfo a Y , è una relazione di equivalenza (detta equivalenza topologica). 2

A rigore, il concetto matematico di categoria è molto diverso da quello di insieme: in attesa della definizione corretta (Sezione 10.4), il termine categoria può essere usato come sinonimo di collezione.

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3 Strutture topologiche

3.23. Dire, motivando la risposta, se il gruppo degli omeomorfismi dell’intervallo [0, 1] è abeliano. 3.24 (♥). Siano X, Y spazi topologici e B una base della topologia di X. Provare che un’applicazione f : X → Y è aperta se e solo se f (A) è aperto in Y per ogni A ∈ B. 3.25. Sia f : X → Y un’applicazione continua e sia A ⊂ X un sottoinsieme denso. Dimostrare che f (A) è denso in f (X). 3.26. Sia f : X → Y un’applicazione aperta e sia D ⊂ Y un sottoinsieme denso. Dimostrare che f −1 (D) è denso in X. 3.27. Sia dato il seguente diagramma commutativo di applicazioni continue: /Z > ~ ~ f ~~~  ~~ h Y

X

g

Dimostrare che se f è surgettiva e g è chiusa, allora anche h è chiusa. 3.28. Sia X uno spazio topologico. Diremo che un’applicazione f : X → R è semicontinua superiormente se f −1 (] − ∞, a[) è aperto in X per ogni a ∈ R. Dimostrare che f : X → R è semicontinua superiormente se e solo se per ogni x ∈ X e per ogni ε > 0 esiste un intorno U di x tale che f (y) < f (x) + ε per ogni y ∈ U . 3.29 (♥). Trovare un esempio di funzione f : [0, 1] → [0, 1] continua solamente nel punto 0. 3.30 (♥). Sia A ⊂ R un sottoinsieme numerabile. Trovare una funzione f : R → [0, 1] che sia continua in tutti e soli i punti di R − A. 3.31 (K, ♥). Sia X uno spazio topologico e f : X → R una qualsiasi applicazione. Dimostrare che il sottoinsieme dei punti di X dove f è continua è intersezione di una famiglia numerabile di aperti. Osservazione 3.32. È possibile dimostrare (Esercizio 6.25) che l’insieme dei numeri razionali non è intersezione numerabile di aperti di R. Come curiosa conseguenza degli esercizi 3.30 e 3.31 abbiamo dunque l’esistenza di funzioni che sono continue in tutti e soli i punti irrazionali, mentre non esiste alcuna funzione continua in tutti e soli i punti razionali.

3.4 Spazi metrici

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3.4 Spazi metrici Definizione 3.33. Una distanza su di un insieme X è un’applicazione d : X × X → R che soddisfa le seguenti proprietà: 1. d(x, y) ≥ 0 per ogni x, y ∈ X e vale d(x, y) = 0 se e solo se x = y. 2. d(x, y) = d(y, x) per ogni x, y ∈ X. 3. d(x, y) ≤ d(x, z) + d(z, y) per ogni x, y, z ∈ X. La Condizione 3 viene detta disuguaglianza triangolare. Esempio 3.34. Su di un qualsiasi insieme X, la funzione  0 se x = y, d : X × X → R, d(x, y) = 1 se x = y. è una distanza. Definizione 3.35. Uno spazio metrico è una coppia (X, d), dove X è un insieme e d è una distanza su X. Esempio 3.36. La retta R con la distanza euclidea d(x, y) = |x − y| è uno spazio metrico. Esempio 3.37. Lo spazio Rn , dotato della distanza euclidea  d(x, y) = (x1 − y1 )2 + · · · + (xn − yn )2 è uno spazio metrico: abbiamo già dimostrato la disuguaglianza triangolare nel Lemma 1.3. Esempio 3.38. Estendendo l’identificazione C = R2 data dal piano di Gauss alle potenze cartesiane si ha Cn = R2n ; la distanza euclidea su R2n si esprime nelle coordinate di Cn tramite la formula  x, y ∈ Cn . d(x, y) = |x1 − y1 |2 + · · · + |xn − yn |2 , Chiameremo la funzione d : Cn × Cn → R distanza euclidea su Cn . Esempio 3.39. Su Rn esistono altre interessanti distanze, come ad esempio d1 (x, y) =

n  i=1

|xi − yi |

e

d∞ (x, y) = max{|xi − yi |}. i

Indicando con d la distanza euclidea si hanno le disuguaglianze d∞ (x, y) ≤ d(x, y) ≤ d1 (x, y) ≤ n · d∞ (x, y) l’unica delle quali non banale è d(x, y) ≤ d1 (x, y), ottenibile elevando al quadrato entrambi i membri.

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3 Strutture topologiche

Esempio 3.40. Sia d una distanza su di un insieme X. Allora l’applicazione d : X × X → R,

d(x, y) = min(1, d(x, y))

è ancora una distanza detta limitazione standard di d. L’unica verifica non banale è la disuguaglianza triangolare, ossia che per ogni x, y, z ∈ X vale d(x, y) ≤ d(x, z) + d(z, y). Poiché d ≤ 1, se d(x, z) + d(z, y) ≥ 1 non c’è nulla da dimostrare. Se invece d(x, z) + d(z, y) < 1 allora si ha d(x, z) = d(x, z), d(z, y) = d(z, y) e quindi d(x, y) ≤ d(x, y) ≤ d(x, z) + d(y, z) = d(x, z) + d(z, y). Definizione 3.41. Sia (X, d) uno spazio metrico. Il sottoinsieme B(x, r) = {y ∈ X | d(x, y) < r} viene detto palla aperta di centro x e raggio r (rispetto alla distanza d). Il nome “palla” è motivato dall’esempio della distanza euclidea. Le palle delle distanze dell’Esempio 3.39 sono in realtà degli ipercubi. Ogni distanza induce in modo naturale una struttura topologica. Definizione 3.42 (Topologia indotta da una distanza). Sia (X, d) uno spazio metrico. Nella topologia su X indotta dalla distanza d, un sottoinsieme A ⊂ X è aperto se per ogni x ∈ A esiste r > 0 tale che B(x, r) ⊂ A. Verifichiamo che la famiglia degli aperti definiti in 3.42 soddisfa gli assiomi A1, A2 e A3. Se A = ∅ la condizione è verificata tautologicamente, mentre, poiché x ∈ B(x, r) per ogni r > 0, si può scrivere X = ∪x∈X B(x, 1). Se A = ∪i Ai con Ai aperto per ogni i e x ∈ A, allora esiste un indice j tale che x ∈ Aj e quindi possiamo trovare r > 0 tale che B(x, r) ⊂ Aj ⊂ A. Se A, B sono aperti e x ∈ A ∩ B esistono r, t > 0 tali che B(x, r) ⊂ A, B(x, t) ⊂ B; se indichiamo con s il minimo tra r e t si ha B(x, s) ⊂ A ∩ B. Esempio 3.43. La topologia classica (detta anche topologia euclidea) sugli spazi Rn e Cn è per definizione la topologia indotta dalla distanza euclidea. A meno che non sia specificato diversamente, con i simboli Rn e Cn intenderemo i rispettivi insiemi dotati della topologia classica. Lemma 3.44. Nella topologia indotta da una distanza si ha: 1. Le palle aperte sono sottoinsiemi aperti. 2. Un sottoinsieme è aperto se e solo se è unione di palle aperte (e quindi le palle aperte sono una base della topologia). 3. Un sottoinsieme U è un intorno di un punto x se e solo se contiene una palla aperta di centro x, cioè se e solo se esiste r > 0 tale che B(x, r) ⊂ U.

3.4 Spazi metrici

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Dimostrazione. Per quanto riguarda (1), se y ∈ B(x, r) poniamo s = r − d(x, y) > 0; se d(z, y) < s allora d(x, z) ≤ d(x, y) + d(y, z) < r e quindi B(y, s) ⊂ B(x, r). Adesso dimostriamo (2). Dato che unione di aperti è ancora un aperto l’implicazione “se” è dimostrata. Viceversa se A è un aperto possiamo scegliere per ogni x ∈ A un numero reale r(x) > 0 tale che B(x, r(x)) ⊂ A e quindi A = ∪x∈A B(x, r(x)). Per dimostrare (3), osserviamo che U è un intorno di x se e solo se esiste un aperto A tale che x ∈ A ⊂ U . Se B(x, r) ⊂ U , poiché B(x, r) è un aperto, si ha che U è un intorno. Viceversa se U è un intorno esiste un aperto A tale che x ∈ A ⊂ U e quindi esiste r > 0 tale che B(x, r) ⊂ A ⊂ U .   Esempio 3.45. Sia (X, d) uno spazio metrico. La stessa dimostrazione dell’Esempio 1.6 mostra che per ogni x ∈ X ed ogni numero reale r, il sottoinsieme C = {x ∈ X | d(x, x ) ≤ r} è chiuso nella topologia indotta dalla distanza. È interessante osservare che, in generale, tale sottoinsieme non coincide con la chiusura della palla aperta B(x, r): basta considerare ad esempio le palle aperte di raggio 1 nella distanza dell’Esempio 3.34. Per gli spazi metrici ritroviamo la classica definizione di continuità data mediante la famigerata accoppiata epsilon-delta. Teorema 3.46. Siano f : (X, d) → (Y, h) un’applicazione tra due spazi metrici ed x un punto di X. Allora f è continua in x se e solo se per ogni ε > 0 esiste un δ > 0 tale che h(f (x), f (y)) < ε ogniqualvolta d(x, y) < δ. Dimostrazione. Continuità in x significa che per ogni intorno V di f (x) esiste un intorno U di x tale che f (U ) ⊂ V . Basta adesso applicare la descrizione degli intorni in uno spazio metrico espressa nel Lemma 3.44.   Esempio 3.47 (Distanza da un sottoinsieme). Sia (X, d) uno spazio metrico. Per ogni sottoinsieme non vuoto Z ⊂ X consideriamo la funzione distanza da Z definita come dZ : X → R,

dZ (x) = inf d(x, z). z∈Z

Notiamo che dZ (x) = 0 se e solo se x ∈ Z. Inoltre, la funzione dZ soddisfa la disuguaglianza triangolare |dZ (x) − dZ (y)| ≤ d(x, y), ed è quindi continua. Infatti, per evidenti ragioni di simmetria, basta dimostrare che per ogni coppia di punti x, y ∈ X vale dZ (y) − dZ (x) ≤ d(x, y). Dalla definizione segue che, per ogni ε > 0, esiste z ∈ Z tale che dZ (x) + ε ≥ d(x, z) e quindi dZ (y) ≤ d(z, y) ≤ d(z, x) + d(x, y) ≤ dZ (x) + ε + d(x, y). In particolare dZ (y) − dZ (x) ≤ ε + d(x, y) e tutto segue prendendo il limite per ε che tende a 0.

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3 Strutture topologiche

Corollario 3.48. Siano d, h due distanze su di un insieme X. La topologia indotta da d è più fine della topologia indotta da h se e solo se per ogni x ∈ X e per ogni ε > 0 esiste δ tale che d(x, y) < δ implica h(x, y) < ε. Dimostrazione. La topologia indotta da d è più fine di quella indotta da h se e solo se l’applicazione identità (X, d) → (X, h) è continua.   Definizione 3.49. Due distanze su un insieme X si dicono equivalenti se inducono la stessa topologia. Uno spazio topologico X si dice metrizzabile se la topologia è indotta da una distanza opportuna. Ad esempio se d è una distanza, allora per ogni numero reale positivo a, l’applicazione ad è una distanza con le stesse palle di d ed è quindi equivalente a d. Corollario 3.50. Siano d, h due distanze su X ed a, c due numeri reali positivi. Se min(a, h(x, y)) d(x, y) ≥ c per ogni x, y ∈ X, allora la topologia indotta da d è più fine di quella indotta da h. In particolare ogni distanza è equivalente alla propria limitazione standard (Esempio 3.40). Dimostrazione. Per dimostrare la prima parte basta prendere, nell’enunciato del Corollario 3.48, il numero δ come il minimo tra a/c ed ε/c. Indicando con d(x, y) = min(1, d(x, y)) la limitazione standard di d, si hanno le disuguaglianze d(x, y) ≥

min(1, d(x, y)) , 1

d(x, y) ≥

min(1, d(x, y)) . 1

 

Esempio 3.51. Siano (X, h) e (Y, k) spazi metrici e sia f : [0, +∞[2 → R un’applicazione tale che: 1. Vale 0 ≤ f (c1 , c2 ) ≤ f (a1 , a2 ) + f (b1 , b2 ) ogniqualvolta 0 ≤ c1 ≤ a1 + b1 e 0 ≤ c2 ≤ a2 + b2 . 2. f (a, b) = 0 se e solo se a = b = 0. Allora la funzione d : (X × Y ) × (X × Y ) → R, data dalla formula d((x1 , y1 ), (x2 , y2 )) = f (h(x1 , x2 ), k(y1 , y2 )), è una distanza su X × Y . In particolare le tre funzioni: d1 , d2 , d∞ : (X × Y ) × (X × Y ) → R, d1 ((x1 , y1 ), (x2 , y2 )) = h(x1 , x2 ) + k(y1 , y2 ),  d2 ((x1 , y1 ), (x2 , y2 )) = h(x1 , x2 )2 + k(y1 , y2 )2 , d∞ ((x1 , y1 ), (x2 , y2 )) = max(h(x1 , x2 ), k(y1 , y2 )), sono distanze che inducono la stessa topologia su X × Y , come segue dal Corollario 3.50 e dalle disuguaglianze d∞ ≤ d2 ≤ d1 ≤ 2d∞ .

3.4 Spazi metrici

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Definizione 3.52. Sia (X, d) uno spazio metrico. Un sottoinsieme A ⊂ X si dice limitato se esiste un numero reale M tale che d(a, b) ≤ M per ogni a, b ∈ A. Un’applicazione f : Z → X, con Z insieme, si dice limitata se f (Z) è un sottoinsieme limitato. Il Corollario 3.50 mostra tra l’altro che la limitatezza non è una proprietà topologica, cioè che esistono coppie di distanze su un insieme X, che inducono la stessa topologia e tali che X è limitato per una distanza ed illimitato per l’altra.

Esercizi 3.32 (Disuguaglianza quadrangolare, ♥). Sia (X, d) uno spazio metrico. Dimostrare che per ogni quaterna di punti x, y, z, w ∈ X vale |d(x, y) − d(z, w)| ≤ d(x, z) + d(y, w). Si noti che, per w = z la disuguaglianza quadrangolare diventa quella triangolare, mentre per w = y la disuguaglianza quadrangolare diventa |d(x, y) − d(z, y)| ≤ d(x, z). 3.33 (♥). Sia d una distanza su di un insieme finito X. Provare che la topologia indotta è quella discreta. 3.34. Sia X un insieme finito, Y = P(X) la famiglia di tutti i sottoinsiemi di X e definiamo una funzione d : Y × Y → R mediante la formula d(A, B) = |A| + |B| − 2|A ∩ B|

(|A| = cardinalità di A).

Dimostrare che d è una distanza su Y . 3.35. Provare che la topologia indotta da una distanza è la meno fine tra quelle per cui le palle aperte sono insiemi aperti. 3.36. Mostrare che ogni insieme dotato della topologia discreta è metrizzabile. 3.37. Mostrare che ogni insieme con almeno due punti, dotato della topologia banale, non è metrizzabile. 3.38. Dimostrare che, in uno spazio metrico, una palla aperta di raggio 1 non può contenere propriamente una palla aperta di raggio 2. Trovare, o dimostrare che non esiste, uno spazio metrico ed in esso una palla aperta di raggio 2 che contiene propriamente una palla aperta di raggio 3.

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3 Strutture topologiche

3.39 (♥). Sia d una distanza su di un insieme X. Dimostrare che δ : X × X → R,

δ(x, y) =

d(x, y) 1 + d(x, y)

è una distanza che induce la stessa topologia. 3.40 (♥). Sia f : [0, +∞[→ [0, +∞[ una funzione continua tale che f −1 (0) = 0 e f (c) ≤ f (a) + f (b) per ogni c ≤ a + b. Sia d una distanza su un insieme X. Dimostrare che la funzione h(x, y) = f (d(x, y)) è una distanza che induce la stessa topologia di d. 3.41. Sia (X, d) uno spazio metrico e Z ⊂ X un sottoinsieme non vuoto. Dimostrare che per ogni x ∈ X vale dZ (x) = inf{r ∈ R | B(x, r) ∩ Z = ∅}. 3.42 (♥). Sia (X, d) uno spazio metrico e siano A, B ⊂ X chiusi disgiunti. Dimostrare che esistono due aperti disgiunti U, V ⊂ X tali che A ⊂ U e B ⊂ V . (Sugg.: utilizzare le funzioni dA e dB introdotte nell’Esempio 3.47 per definire il sottoinsieme {x ∈ X | dA (x) < dB (x)}.)

3.5 Sottospazi ed immersioni Ogni sottoinsieme Y di uno spazio topologico X eredita in modo naturale una struttura topologica: diremo che un sottoinsieme U ⊂ Y è aperto in Y se esiste un aperto V di X tale che U = Y ∩ V . È immediato verificare che gli aperti così definiti soddisfano le condizioni A1, A2 ed A3 della Definizione 3.1 e quindi definiscono una topologia in Y che chiameremo topologia di sottospazio. Chiameremo sottospazio topologico di X un sottoinsieme Y dotato della topologia degli aperti in Y . Poiché Y − (V ∩ Y ) = Y ∩ (X − V ), ne segue che C ⊂ Y è chiuso in Y se e solo se esiste un chiuso B di X tale che C = Y ∩ B. Se B è una base della topologia su X, allora {A ∩ Y | A ∈ B} è una base della topologia indotta su Y . L’applicazione i : Y → X di inclusione è continua: infatti per ogni aperto A di X vale i−1 (A) = Y ∩ A che, per definizione è aperto in Y . Inoltre la topologia di sottospazio è la meno fine tra tutte le topologie di Y che rendono continua l’inclusione. Esempio 3.53. Se (X, d) è uno spazio metrico e Y ⊂ X, la restrizione di d a Y × Y induce una struttura di spazio metrico su Y la cui topologia indotta coincide con quella di sottospazio topologico: ogni palla aperta in Y è ottenuta per intersezione con una palla aperta in X. Diremo che un sottospazio topologico è discreto se la topologia di sottospazio è quella discreta. Equivalentemente, un sottospazio Z ⊂ X è discreto

3.5 Sottospazi ed immersioni

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se e solo se per ogni z ∈ Z esiste un aperto U ⊂ X tale che U ∩ Z = {z}. Ad esempio, gli interi formano un sottospazio discreto di R, mentre Q non è un sottospazio discreto di R. Proposizione 3.54. Siano X, Z spazi topologici, Y un sottospazio di X, f : Z → Y un’applicazione e if : Z → X la composizione di f con l’inclusione di Y in X. Se if è continua allora anche f è continua e viceversa. Dimostrazione. Se f è continua allora if è composizione di applicazioni continue e quindi continua. Viceversa supponiamo if continua e sia A ⊂ Y un aperto di Y . Esiste un aperto U di X tale che A = Y ∩ U e quindi f −1 (A) = (if )−1 (U ) è aperto in Z.   Lemma 3.55. Siano Y un sottospazio di uno spazio topologico X ed A un sottoinsieme di Y . Allora la chiusura di A in Y è uguale all’intersezione di Y con la chiusura di A in X. Dimostrazione. Sia C la famiglia dei chiusi di X che contengono A. I sottoinsiemi C ∩ Y , C ∈ C, sono tutti e soli i chiusidi Y che contengono A e quindila chiusura di A in Y , che per definizione è C∈C (Y ∩ C), coincide con Y ∩ ( C∈C C), ossia con la restrizione ad Y della chiusura di A in X.   Lemma 3.56. Siano X uno spazio topologico, Y ⊂ X un sottospazio e Z ⊂ Y un sottoinsieme. 1. Se Y è aperto in X, allora Z è aperto in Y se e solo se Z è aperto in X. 2. Se Y è chiuso in X, allora Z è chiuso in Y se e solo se Z è chiuso in X. 3. Se Y è un intorno di y, allora Z è un intorno di y in Y se e solo se Z è un intorno di y in X. Dimostrazione. L’unica asserzione non banale è la terza. Sia U un aperto di X tale che y ∈ U ⊂ Y . Se Z è un intorno di y in Y allora esiste un aperto V in Y tale che x ∈ V ⊂ Z. L’intersezione V ∩ U è aperta in U , quindi è aperta anche in X e vale y ∈ V ∩ U ⊂ Z. Viceversa, se esiste un aperto V in X tale che x ∈ V ⊂ Z allora V = V ∩ Y è aperto anche in Y .   Definizione 3.57. Un’applicazione continua ed iniettiva f : X → Y si dice una immersione (topologica) se gli aperti di X sono tutti e soli i sottoinsiemi del tipo f −1 (A), al variare di A tra gli aperti di Y . In altri termini, un’applicazione f : X → Y è una immersione se e solo se induce un omeomorfismo tra X ed il sottospazio topologico f (X). Non tutte le applicazioni continue ed iniettive sono immersioni. Ad esempio l’applicazione identità Id : (R, topologia euclidea) → (R, topologia banale) è continua ed iniettiva ma non è una immersione.

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3 Strutture topologiche

Definizione 3.58. Una immersione chiusa è una immersione che è anche un’applicazione chiusa. Una immersione aperta è una immersione che è anche un’applicazione aperta. Lemma 3.59. Sia f : X → Y un’applicazione continua: 1. Se f è chiusa ed iniettiva, allora f è una immersione chiusa. 2. Se f è aperta ed iniettiva, allora f è una immersione aperta. Dimostrazione. Supponiamo f è iniettiva, continua e chiusa. Per ogni chiuso C ⊂ X, l’immagine f (C) ⊂ f (X) è chiusa in Y e quindi è chiusa anche nella topologia di sottospazio su f (X). Ne segue che la restrizione f : X → f (X) è continua, bigettiva e chiusa e quindi un omeomorfismo. Il caso di f aperta è simile ed è lasciato per esercizio.   Esistono immersioni che non sono né chiuse né aperte. Infatti una immersione f : X → Y è chiusa se e solo se f (X) è chiuso in Y ed è aperta se e solo se f (X) è aperto in Y .

Esercizi 3.43 (♥). Vero o falso? 1. La chiusura di un sottospazio discreto è ancora un sottospazio discreto. 2. Ogni sottospazio discreto di uno spazio metrico è chiuso. 3.44 (♥). Sia A un aperto di uno spazio topologico X, sia B ⊂ X un qualsiasi sottoinsieme e indichiamo con Z ⊂ A la chiusura di A ∩ B nel sottospazio topologico A. Dimostrare che Z = A ∩ B, dove B denota la chiusura di B in X. Confrontare questo risultato con il Lemma 3.55 e con l’Esercizio 3.7. 3.45 (♥). Sia X uno spazio topologico: un sottoinsieme Z ⊂ X si dice localmente chiuso se per ogni z ∈ Z esiste un aperto U ⊂ X tale che z ∈ U e Z ∩ U è chiuso in U . Siano X uno spazio topologico e Z ⊂ X un sottoinsieme. Dimostrare che sono fatti equivalenti: 1. Z è localmente chiuso. 2. Z è aperto in Z (rispetto alla topologia di sottospazio). 3. Z è intersezione di un chiuso e di un aperto di X. 3.46. Due sottoinsiemi A e B di uno spazio topologico X si dicono separati se non sono aderenti, e cioè se A ∩ B = A ∩ B = ∅. Dimostrare che: 1. Se F, G ⊂ X sono entrambi aperti o entrambi chiusi, allora A = F − G e B = G − F sono separati. 2. Se A, B ⊂ X sono separati, allora A, B sono aperti e chiusi in A ∪ B.

3.6 Prodotti topologici

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3.47. Si considerino X = R − {1}, Y = {y 2 = x2 + x3 } ⊂ R2 e f : X → Y , f (t) = (t2 − 1, t3 − t). Mostrare che f è continua e bigettiva, che ogni x ∈ X possiede un intorno U tale che f : U → f (U ) è un omeomorfismo e che f non è un’applicazione chiusa. 3.48 (♥). Dimostrare che ogni sottospazio discreto di R è numerabile.

3.6 Prodotti topologici Siano P, Q spazi topologici, denotiamo con P × Q il loro prodotto cartesiano e con p : P × Q → P , q : P × Q → Q le proiezioni sui fattori. La collezione T delle topologie su P × Q che rendono continue p e q è non vuota poiché contiene la topologia discreta e l’intersezione di tutte le topologie in T è la meno fine tra quelle che rendono p e q continue. Definizione 3.60. La topologia prodotto su P × Q è la topologia meno fine tra quelle che rendono continue entrambe le proiezioni. Teorema 3.61. Nelle notazioni precedenti: 1. I sottoinsiemi della forma U × V , al variare di U e V tra gli aperti di P e Q, formano una base, che chiameremo base canonica, della topologia prodotto. 2. Le proiezioni p, q sono applicazioni aperte e per ogni (x, y) ∈ P × Q le restrizioni p : P × {y} → P , q : {x} × Q → Q sono omeomorfismi. 3. Un’applicazione f : X → P × Q, è continua se e solo se le sue componenti f1 = pf e f2 = qf sono continue. Dimostrazione. (1) Indichiamo momentaneamente con P la topologia prodotto. Siccome (U1 × V1 ) ∩ (U2 × V2 ) = (U1 ∩ U2 ) × (V1 ∩ V2 ), per il Teorema 3.7 i sottoinsiemi della forma U × V , con U e V aperti in P e Q rispettivamente, sono una base di una topologia T . La proiezione p : P × Q → P è continua rispetto alla topologia T : infatti per ogni aperto U ⊂ P l’insieme p−1 (U ) = U × Q appartiene alla base ed a maggior ragione appartiene alla topologia T . Allo stesso modo si dimostra che q è continua rispetto alla topologia T e dunque T è più fine di P. D’altra parte, se U ⊂ P e V ⊂ Q sono aperti, allora U × V = p−1 (U ) ∩ q −1 (V ) ∈ P. Dunque ogni aperto di T è unione di aperti della topologia prodotto e questo implica che T è meno fine di P. In definitiva T coincide con la topologia prodotto. (2) Sia y ∈ Q, allora per ogni coppia di aperti U ⊂ P , V ⊂ Q si ha  U × {y} se y ∈ V (U × V ) ∩ (P × {y}) = ∅ se y ∈ V e quindi gli aperti del sottospazio topologico P ×{y} sono tutte e sole le unioni di U × {y} al variare di U tra gli aperti di P . Ne segue che p : P × {y} → P è

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3 Strutture topologiche

un omeomorfismo. Sia A un aperto di P ×Q: per dimostrare che p(A) è aperto basta scrivere p(A) = ∪y∈Q p(A ∩ P × {y}) e notare che ogni p(A ∩ P × {y}) è aperto in P . Per quanto riguarda (3), si ha che f è continua se e solo se la controimmagine di ogni aperto di una base è ancora aperto. Dunque f è continua se e solo se per ogni coppia di aperti U ⊂ P e V ⊂ Q il sottoinsieme f −1 (U × V ) = f1−1 (U ) ∩ f2−1 (V ) è aperto in X.   Esempio 3.62. Sul prodotto cartesiano di due spazi metrici (X, h), (Y, k), le metriche equivalenti d1 , d2 e d∞ (Esempio 3.51) inducono la topologia prodotto. La costruzione precedente si estende al prodotto di un qualsiasi insieme finito P1 , . . . , Pn di spazi topologici. La topologia prodotto su P1 × · · · × Pn è la meno fine tra tutte le topologie che rendono le proiezioni continue. La base canonica della topologia prodotto è data dai sottoinsiemi della forma U1 × · · · × Un , al variare di Ui tra gli aperti in Pi . Esempio 3.63. La topologia euclidea su Rn coincide con la topologia prodotto di n copie di R. Esempio 3.64. La proiezione sul primo fattore p : R2 → R non è un’applicazione chiusa. Infatti l’iperbole C = {xy = 1} ⊂ R2 è il luogo di zeri dell’applicazione continua f (x, y) = xy − 1 ed è quindi un sottoinsieme chiuso. D’altra parte p(C) = R − {0} non è un chiuso.

Esercizi 3.49. Siano f : X → Y e g : Z → W due applicazioni di spazi topologici e denotiamo f × g : X × Z → Y × W,

(f × g)(x, z) = (f (x), g(z)).

1. Provare che se f e g sono continue, allora f × g è continua. 2. Provare che se f e g sono aperte, allora f × g è aperta. 3. Mostrare con un esempio che, se f e g sono chiuse, allora f × g può non essere chiusa. 3.50. Dimostrare che il prodotto di spazi topologici è associativo, ossia che dati tre spazi topologici X, Y e Z, gli spazi (X × Y ) × Z, X × (Y × Z) e X × Y × Z hanno la stessa topologia. 3.51. Siano X, Y spazi topologici, A ⊂ X, B ⊂ Y sottoinsiemi. Dimostrare che A × B = A × B. In particolare se A e B sono chiusi allora A × B è chiuso nel prodotto.

3.7 Spazi di Hausdorff

63

3.52. Sia (X, d) uno spazio metrico. Mostrare che l’applicazione d : X×X → R è continua rispetto alla topologia prodotto. 3.53. Mostrare che se Y ha la topologia discreta, allora la topologia prodotto su X × Y coincide con la topologia dell’unione disgiunta ∪y∈Y X × {y}. 3.54. Sia g : R → [0, 1] un’applicazione continua tale che g(1) = 1 e g(t) = 0 se |t − 1| ≥ 1/2. Consideriamo l’applicazione f : R2 → [0, 1] definita come f (x, 0) = 0,

f (x, y) = g(xy −1 )

se

y = 0.

Dimostrare che f non è continua ma che per ogni x, y le restrizioni t → f (x, t), t → f (t, y) sono continue.

3.7 Spazi di Hausdorff Definizione 3.65. Uno spazio topologico si dice di Hausdorff o T2 se punti distinti ammettono intorni disgiunti. In altri termini, uno spazio topologico X è di Hausdorff se per ogni coppia di punti distinti x, y ∈ X, esistono due intorni U ∈ I(x) e V ∈ I(y) tali che U ∩ V = ∅. Non tutti gli spazi topologici sono di Hausdorff: ad esempio la topologia banale non è di Hausdorff, tranne il caso banale in cui lo spazio è vuoto oppure possiede un solo punto. Esempio 3.66. Ogni spazio metrico è di Hausdorff. Se d indica la distanza e x = y allora d(x, y) > 0. Se 0 < r < d(x,y) 2 , allora le palle B(x, r) e B(y, r) sono disgiunte: infatti se esistesse z ∈ B(x, r) ∩ B(y, r), dalla disuguaglianza triangolare seguirebbe d(x, y) ≤ d(x, z) + d(z, y) < 2r < d(x, y). Non tutti gli spazi di Hausdorff sono metrizzabili: rimandiamo agli Esercizi 3.61 e 3.62) per due esempi di spazi di Hausdorff ma non metrizzabili. Lemma 3.67. In uno spazio di Hausdorff i sottoinsiemi finiti sono chiusi. Dimostrazione. Basta dimostrare che i punti sono chiusi, ossia che se X è di Hausdorff e x ∈ X, allora X − {x} è aperto. Se y ∈ X − {x}, allora esistono intorni disgiunti U ∈ I(x), V ∈ I(y); a maggior ragione V ⊂ X − {x} e quindi X − {x} è intorno di ogni suo punto.   Proposizione 3.68. Sottospazi e prodotti di spazi di Hausdorff sono di Hausdorff. Dimostrazione. Siano X uno spazio di Hausdorff, Y ⊂ X un sottospazio e x, y ∈ Y punti distinti. Esistono allora due aperti disgiunti U, V ⊂ X tali che x ∈ U e y ∈ V . I sottoinsiemi U ∩ Y e V ∩ Y sono aperti disgiunti di Y .

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3 Strutture topologiche

Siano X, Y spazi di Hausdorff e (x, y), (z, w) ∈ X × Y punti distinti; supponiamo per fissare le idee che x = z, esistono allora due aperti disgiunti U, V ⊂ X tali che x ∈ U e z ∈ V . Ne segue che (x, y) ∈ U × Y , (z, w) ∈ V × Y e U × Y ∩ V × Y = (U ∩ V ) × Y = ∅.   Teorema 3.69. Uno spazio topologico è di Hausdorff se e solo se la diagonale è chiusa nel prodotto. Dimostrazione. La diagonale di uno spazio topologico X è il sottoinsieme Δ = {(x, x) | x ∈ X} ⊂ X × X. Supponiamo che X sia uno spazio di Hausdorff e consideriamo un punto (x, y) ∈ X × X − Δ. Per definizione di diagonale si ha x = y e dunque esistono due aperti U, V di X tali che x ∈ U , y ∈ V e U ∩ V = ∅. Quindi (x, y) ∈ U × V ⊂ X × X − Δ. Questo prova che X × X − Δ è intorno di ogni suo punto e che la diagonale è chiusa. Viceversa se Δ è chiusa in X × X e x = y, allora esistono due aperti U, V ⊂ X tali che (x, y) ∈ U × V ⊂ X × X − Δ e quindi x ∈ U , y ∈ V e U ∩ V = ∅.   Corollario 3.70. Siano f, g : X → Y due applicazioni continue, con Y spazio di Hausdorff. Allora l’insieme C = {x ∈ X | f (x) = g(x)} è chiuso in X. Dimostrazione. L’applicazione (f, g) : X → Y × Y,

(f, g)(x) = (f (x), g(x))

è continua e vale C = (f, g)−1 Δ, dove Δ è la diagonale di Y .

 

Esempio 3.71. Se f : X → X è un’applicazione continua di uno spazio topologico in sé, diremo che x ∈ X è un punto fisso per f se f (x) = x. Se X è di Hausdorff, allora l’insieme dei punti fissi per f è un sottoinsieme chiuso: basta infatti applicare il Corollario 3.70 con X = Y e g uguale all’identità. Lemma 3.72. Sia X uno spazio topologico di Hausdorff e sia p1 , . . . , pn una successione finita di punti distinti di X. Allora esiste una successione finita U1 , . . . , Un di aperti di X tali che pi ∈ Ui per ogni i e Ui ∩ Uj = ∅ per ogni i = j. Dimostrazione. Per ogni coppia 1 ≤ i < j ≤ n possiamo trovare due aperti disgiunti Uij e Uji tali che pi ∈ Uij e pj ∈ Uji . Basta allora considerare, per ogni indice i fissato, l’aperto Ui = ∩{Uij | j = i}.  

3.7 Spazi di Hausdorff

65

Esercizi 3.55. Dire, motivando la risposta, se un insieme infinito con la topologia cofinita è di Hausdorff. 3.56. Siano X, Y spazi topologici, con Y di Hausdorff. Dimostrare che se esiste un’applicazione continua ed iniettiva f : X → Y allora anche X è di Hausdorff. 3.57. Siano f, g : X → Y applicazioni continue, Y di Hausdorff e A ⊂ X un sottoinsieme denso. Dimostrare che se f (x) = g(x) per ogni x ∈ A, allora f = g. 3.58. Determinare la cardinalità dell’insieme di tutte le applicazioni continue f : R → R. (Sugg.: le funzioni continue sono univocamente determinate dai valori assunti su Q.) 3.59. Dimostrare che uno spazio topologico è di Hausdorff se e solo se per ogni suo punto x vale  {x} = U. U ∈I(x)

3.60. Sia f : X → Y continua con Y di Hausdorff. Provare che il grafico Γ = {(x, f (x)) ∈ X × Y | x ∈ X} è chiuso nel prodotto. 3.61 (Golomb [9], K, ♥). Per ogni coppia di numeri naturali a, b ∈ N relativamente primi denotiamo Na,b = {a + kb | k ∈ N0 } ⊂ N. Dimostrare: 1. La famiglia B = {Na,b | a, b ∈ N, M CD(a, b) = 1} è una base di una topologia T su N. 2. La topologia T è di Hausdorff. 3. Ogni multiplo di b appartiene alla chiusura di Na,b . 4. Per ogni coppia di aperti non vuoti A, B ∈ T vale A ∩ B = ∅. 5. La topologia T non è metrizzabile. 3.62 (K, ♥). Indichiamo con RSf la retta di Sorgenfrey (Esempio 3.9). Dimostrare che RSf e X = RSf × RSf sono di Hausdorff e che il sottospazio Y = {(x, y) ∈ RSf × RSf | x + y = 0} è chiuso e discreto in X. Si assuma per assurdo che esista una distanza d su X. Dimostrare che esiste una funzione f : R → ]0, +∞[ tale che B((t, −t), f (t)) ∩ B((s, −s), f (s)) = ∅ per ogni t = s. Dedurre che esiste una funzione h : R → ]0, +∞[ tale che     [t, t + h(t)[ ×[−t, −t + h(t)[ ∩ [s, s + h(s)[ ×[−s, −s + h(s)[ = ∅ per ogni t = s e che ciò porta ad una contraddizione.

4 Connessione e compattezza

La nozione di spazio topologico è troppo generica per dimostrare risultati interessanti e sempre validi. Quando i matematici si trovano di fronte a nozioni utili ma troppo generali la cosa da fare è una sola: la classificazione. Senza voler entrare in faccende che, sebbene interessanti, riguardano più la metodologia della scienza che la matematica mostriamo, con un semplice esempio, come il concetto di classificazione si applica alla topologia, tenendo però presente che lo stesso schema di ragionamento è comune a tutta la matematica. Supponiamo di avere due spazi che l’intuito ci dice essere topologicamente non equivalenti e di voler dimostrare in modo rigoroso che non sono omeomorfi. Per prima cosa guardiamo alle cardinalità dei due spazi: se esse sono diverse abbiamo finito il lavoro, ma se le cardinalità sono uguali non possiamo dedurre alcunché. Per ovvie ragioni di tempo e di spazio, l’idea malsana di scrivere tutte le applicazioni bigettive e per ognuna di esse verificare o meno se è un omeomorfismo, viene tralasciata. Il modo classico di procedere del matematico è il seguente: Passo 1. Si introducono delle proprietà degli spazi topologici che sono invarianti per omeomorfismo. Ad esempio, le proprietà di essere metrizzabile o di Hausdorff hanno tale caratteristica. In certi casi l’invarianza per omeomorfismo è chiara dalle definizioni; in altri casi non è affatto ovvia (caso tipico è la dimensione di una varietà topologica) e richiederà molto lavoro teorico alla base. Passo 2. Si testano le proprietà del Passo 1 sui due spazi: se siamo abbastanza bravi da trovare, e qui entra in gioco l’intuito matematico, una proprietà facilmente valutabile rispetto alla quale i due spazi si comportano diversamente, allora possiamo dedurre che i due spazi non sono omeomorfi. In questa fase la teoria ci permette di risparmiare tempo e verifiche con l’utilizzo di teoremi con enunciati del tipo: se uno spazio ha le proprietà x1 , x2 , . . ., allora ha anche le proprietà y1 , y2 , . . .. In questo capitolo studieremo due importanti proprietà topologiche invaM. Manetti: Topologia, 2a edizione, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 78, DOI: 10.1007/978-88-470-5662-6_4, © Springer-Verlag Italia 2014

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4 Connessione e compattezza

rianti per omeomorfismo: la connessione e la compattezza. Altre proprietà topologiche saranno illustrate nei capitoli seguenti.

4.1 Connessione Fa parte dell’intuizione umana rispondere immediatamente “due” alla domanda “Da quanti pezzi è formato lo spazio X = R − {0}?”. Questo è possibile perché riusciamo a distinguere in X due parti, X− = {x < 0} e X+ = {x > 0}, che nelle nostra mente ben si adattano al vocabolo “pezzo” usato nella domanda. Le strutture topologiche permettono di definire i modo matematicamente preciso le nozioni di spazio connesso e di componente connessa, che corrispondono rispettivamente ai concetti intuitivi di “oggetto tutto d’un pezzo” e di “pezzo di torta”, dove la torta è intesa già tagliata. Definizione 4.1. Uno spazio topologico X si dice connesso se gli unici sottoinsiemi contemporaneamente aperti e chiusi sono ∅ e X. Uno spazio topologico che non è connesso si dice sconnesso. Lemma 4.2. Per uno spazio topologico X le seguenti proprietà sono equivalenti: 1. X è sconnesso. 2. X è unione disgiunta di due aperti propri. 3. X è unione disgiunta di due chiusi propri. Dimostrazione. (1)⇒(2)+(3). Sia A ⊂ X aperto, chiuso e non vuoto. Se A = X allora il complementare B = X − A è aperto, chiuso e non vuoto e X è l’unione disgiunta di A e B. (2)⇒(1). Se A1 ∪ A2 = X, con A1 , A2 aperti, non vuoti e disgiunti, allora A1 = X − A2 è anche chiuso. (3)⇒(1). Se C1 ∪ C2 = X, con C1 , C2 chiusi, non vuoti e disgiunti, allora C1 = X − C2 è anche aperto.   Esempio 4.3. Lo spazio topologico X = {x ∈ R | x = 0} è sconnesso. Infatti i due sottoinsiemi non vuoti X− = X∩ ] − ∞, 0[,

X+ = X∩ ]0, +∞[,

sono aperti nella topologia di sottospazio, sono disgiunti e la loro unione è X. Diremo che un sottospazio topologico è connesso se lo è per la topologia indotta. Lemma 4.4. Siano X uno spazio topologico ed A ⊂ X un sottoinsieme aperto e chiuso. Allora per ogni sottospazio connesso Y ⊂ X vale Y ⊂ A oppure Y ∩ A = ∅.

4.1 Connessione

69

Dimostrazione. L’intersezione Y ∩ A è aperta e chiusa in Y . Siccome Y è connesso deve essere Y ∩ A = Y (e quindi Y ⊂ A) oppure Y ∩ A = ∅.   Esempio 4.5. Siano X uno spazio topologico, K ⊂ X un sottoinsieme chiuso e U ⊂ X un aperto che contiene K. Se X e U − K sono connessi, allora anche X − K è connesso. Infatti, supponiamo per assurdo che X − K = A ∪ B, con A, B aperti disgiunti e non vuoti. Siccome U − K è un sottospazio connesso di X − K, per il Lemma 4.4 si ha U − K ⊂ A oppure U − K ⊂ B; supponiamo tanto per fissare le idee che U − K ⊂ A e U − K ∩ B = ∅. Allora vale A ∪ K = A ∪ U , U ∩ B = ∅ e quindi X = (A ∪ K) ∪ B = (A ∪ U ) ∪ B è unione di due aperti disgiunti e non vuoti, in contraddizione con le ipotesi. Teorema 4.6. L’intervallo [0, 1] è connesso nella topologia euclidea. Dimostrazione. Siano C e D due sottospazi chiusi e non vuoti di [0, 1] tali che C ∪ D = [0, 1]; vogliamo dimostrare che C ∩ D = ∅. Supponiamo per fissare le idee che 0 ∈ C e indichiamo con d ∈ [0, 1] l’estremo inferiore di D: ci basterà dimostrare che d ∈ C ∩ D. Poiché D è chiuso deve essere d ∈ D e quindi, se d = 0 abbiamo finito. Se invece d > 0, poniamo E = C ∩ [0, d]: dato che E è   chiuso e contiene [0, d[ si ha che d ∈ E e quindi d ∈ C. Teorema 4.7. Sia f : X → Y un’applicazione continua. Se X è connesso, allora f (X) è connesso. Dimostrazione. Sia Z ⊂ f (X) un sottoinsieme non vuoto, aperto e chiuso in f (X). Per definizione di topologia di sottospazio, esistono un aperto A ⊂ Y ed un chiuso C ⊂ Y tali che Z = f (X) ∩ A = f (X) ∩ C. Siccome f è continua si ha che f −1 (Z) = f −1 (A) è aperto, ed anche che f −1 (Z) = f −1 (C) è chiuso. Dato che X è connesso e ne consegue che f −1 (Z) = X e quindi che Z = f (X).   Definizione 4.8. Uno spazio topologico X si dice connesso per archi1 se per ogni coppia di punti x, y ∈ X esiste un’applicazione continua α : [0, 1] → X tale che α(0) = x e α(1) = y. È chiaro che l’immagine continua di uno spazio connesso per archi è ancora connessa per archi. Notiamo che la nozione intuitiva di connessione di un grafo data nel Capitolo 1 corrisponde alla connessione per archi. Lemma 4.9. Ogni spazio connesso per archi è connesso. Dimostrazione. Siano X uno spazio connesso per archi ed A, B ⊂ X due aperti non vuoti tali che A∪B = X: vogliamo dimostrare che A∩B = ∅. Scegliamo due punti x ∈ A, y ∈ B ed un’applicazione continua α : [0, 1] → X tale che α(0) = x e α(1) = y. Gli aperti α−1 (A), α−1 (B) sono non vuoti, la loro unione 1

In inglese path-connected, letteralmente ‘cammino-connesso’, ossia connesso per cammini.

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4 Connessione e compattezza

è [0, 1] e quindi esiste t ∈ α−1 (A) ∩ α−1 (B). Il punto α(t) appartiene a A ∩ B che quindi è non vuoto.   Dimostreremo più avanti, come conseguenza della Proposizione 10.5, che ogni aperto connesso di Rn è anche connesso per archi. Se n ≥ 2, allora esistono sottoinsiemi chiusi e connessi di Rn che non sono connessi per archi (vedi Esercizio 4.20). L’esempio più perverso di sottoinsieme connesso ma non connesso per archi è invece dato, a mio avviso, dall’Esercizio 8.6. Lemma 4.10. Siano A e B sottospazi connessi per archi di uno spazio topologico. Se A ∩ B = ∅, allora A ∪ B è connesso per archi. Dimostrazione. Basta dimostrare che se x ∈ A e y ∈ B (o viceversa) allora esiste un’applicazione continua α : [0, 1] → A∪B tale che α(0) = x e α(1) = y. Sia z ∈ A ∩ B e scegliamo due cammini β : [0, 1] → A e γ : [0, 1] → B tali che β(0) = x, β(1) = γ(0) = z, γ(1) = y. Basta adesso definire α nel modo seguente:  β(2t) se 0 ≤ t ≤ 1/2. α(t) =   γ(2t − 1) se 1/2 ≤ t ≤ 1. Esempio 4.11. Gli spazi Rn e le sfere S n sono connessi per archi per ogni n > 0. Infatti, un possibile cammino che congiunge due qualsiasi punti x, y ∈ Rn è dato dalla parametrizzazione standard del segmento di estremi x, y, ossia α(t) = tx + (1 − t)y, mentre la sfera S n , n > 1, è unione (congiunta) di due aperti omeomorfi a Rn per proiezione stereografica e la tesi segue dal Lemma 4.10. Ricordiamo che un sottoinsieme A ⊂ Rn si dice convesso se per ogni x, y ∈ A ed ogni t ∈ [0, 1] si ha tx + (1 − t)y ∈ A. Ad esempio, gli intervalli sono tutti e soli i sottoinsiemi convessi di R. Come altro esempio, per ogni p ∈ Rn ed ogni r > 0 la palla aperta B(p, r) = {x ∈ Rn | p − x < r} è un sottoinsieme convesso. Infatti se x, y ∈ B(p, r) e t ∈ [0, 1], allora per la disuguaglianza triangolare si ha p − (tx + (1 − t)y) = t(p − x) + (1 − t)(p − y) ≤ t(p − x) + (1 − t)(p − y) = t p − x + (1 − t) p − y < tr + (1 − t)r = r. e quindi tx + (1 − t)y ∈ B(p, r) Corollario 4.12. Ogni sottoinsieme convesso di Rn è connesso per archi e quindi connesso. Dimostrazione. Sia A un sottoinsieme convesso di Rn ; per ogni x, y ∈ A l’applicazione α : [0, 1] → A data da α(t) = tx + (1 − t)y è continua.  

4.1 Connessione

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Corollario 4.13. Per un sottoinsieme I ⊂ R le seguenti condizioni sono equivalenti: 1. I è un intervallo, ossia un sottoinsieme convesso. 2. I è connesso per archi. 3. I è connesso. Dimostrazione. L’unica implicazione non banale è la (3) ⇒ (1). Se I ⊂ R non è un intervallo, allora esistono a < b < c tali che a, c ∈ I e b ∈ I. I due aperti disgiunti I∩ ]−∞, b[ e I∩ ]b, +∞[ sono non vuoti e quindi I non è connesso.   Siamo adesso in grado di dare le prime applicazioni della connessione. Esempio 4.14. Sia f : [0, 1] → [0, +∞[ continua tale che f (1) = 0. Allora esiste x ∈ [0, 1] tale che f (x) = x. Infatti l’immagine dell’applicazione [0, 1] → R, x → f (x) − x, è un connesso che contiene i punti f (1) − 1 = −1 e f (0) − 0 ≥ 0. Esempio 4.15. L’intervallo ]0, 1[ non è omeomorfo a [0, 1[. Supponiamo per assurdo che f : [0, 1[→]0, 1[ sia un omeomorfismo, allora f induce per restrizione un omeomorfismo f : ]0, 1[→]0, 1[−{f (0)}. La contraddizione si ottiene osservando che ]0, 1[ è connesso mentre ]0, 1[−{f (0)} è sconnesso. Per prevenire un errore comune, osserviamo che la connessione di uno spazio topologico non impedisce che vi siano sottospazi aperti e non vuoti omeomorfi a sottospazi chiusi. Ad esempio, nella topologia euclidea gli intervalli [0, 1[ e [1, 2[ sono omeomorfi; il primo è aperto ed il secondo è chiuso nello spazio connesso [0, 2[ . Lemma 4.16. Siano n > 0 ed f : S n → R un’applicazione continua. Allora esiste x ∈ S n tale che f (x) = f (−x). In particolare f non è iniettiva. Dimostrazione. Consideriamo l’applicazione continua g : S n → R,

g(x) = f (x) − f (−x).

Essendo n > 0, la sfera S n è connessa, l’immagine g(S n ) è un sottoinsieme connesso di R ed è quindi convesso. Scelto un qualsiasi punto y ∈ S n l’intervallo g(S n ) contiene g(y), g(−y) e quindi anche la combinazione convessa 1 1 1 1 g(y) + g(−y) = (f (y) − f (−y)) + (f (−y) − f (y)) = 0. 2 2 2 2 Dunque 0 ∈ g(S n ) ed esiste x ∈ S n tale che g(x) = 0.

 

Esempio 4.17. Aperti di R non sono omeomorfi ad aperti di Rn , per ogni n > 1. Infatti ogni aperto di Rn contiene al suo interno un sottoinsieme omeomorfo alla sfera S n−1 e basta applicare il Lemma 4.16. Lemma 4.18. Siano Y uno spazio topologico connesso ed f : X → Y un’applicazione continua e surgettiva tale che f −1 (y) è connesso per ogni y ∈ Y . Se f è aperta oppure se f è chiusa, allora anche X è connesso.

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4 Connessione e compattezza

Dimostrazione. Supponiamo che f sia aperta e siano A1 , A2 ⊂ X due aperti non vuoti tali che X = A1 ∪ A2 . Dato che Y = f (A1 ) ∪ f (A2 ) e che Y è connesso, esiste y ∈ f (A1 ) ∩ f (A2 ) e dunque f −1 (y) ∩ Ai = ∅ per i = 1, 2. Siccome f −1 (y) è connesso ne segue che f −1 (y) ∩ A1 ∩ A2 = ∅ ed a maggior ragione A1 ∩ A2 = ∅. Se invece f è chiusa basta ripetere il ragionamento precedente con A1 e A2 chiusi.   Teorema 4.19. Il prodotto di due spazi topologici connessi è connesso. Dimostrazione. Bisogna dimostrare che se X e Y sono spazi topologici connessi, allora anche X × Y è connesso. A tal fine è sufficiente osservare che la proiezione X ×Y → Y è continua, surgettiva, aperta e le fibre sono omeomorfe ad X. La tesi segue dal Lemma 4.18.   Per induzione si deduce immediatamente che il prodotto di un numero finito di spazi connessi è connesso.

Esercizi 4.1 (♥). Siano p, q ∈ R2 i punti di coordinate (1, 0) e (−1, 0) rispettivamente. Quali dei seguenti sottospazi di R2 sono connessi? A = {x ∈ R2 | x − p < 1 oppure x − q < 1}; B = {x ∈ R2 | x − p < 1 oppure x − q ≤ 1}; C = {x ∈ R2 | x − p ≤ 1 oppure x − q ≤ 1}. 4.2. Quali sono i sottospazi connessi di uno spazio topologico dotato della topologia discreta? 4.3. Siano A, B sottospazi di uno spazio topologico tali che A ∪ B e A ∩ B sono connessi. Provare che se A, B sono entrambi chiusi o entrambi aperti, allora anche A e B sono connessi. 4.4. Per ogni terna di punti p, q, v ∈ Rn , il cammino αp,q,v : [0, 1] → Rn ,

αp,q,v (t) = (1 − t)p + tq + t(1 − t)v,

è un arco di parabola (possibilmente degenere) che ha p e q come suoi estremi. Dimostrare che se p = q, allora per ogni x ∈ Rn − {p, q} esiste al più un vettore v perpendicolare a p − q e tale che x appartenga all’immagine del cammino αp,q,v . 4.5 (♥). Provare che se n ≥ 2, allora il complementare di un sottoinsieme numerabile di Rn è connesso per archi. 4.6. Siano n ≥ 2 e f : S n → R un’applicazione continua. Denotiamo con A l’insieme dei punti t ∈ f (S n ) tali che la fibra f −1 (t) ha cardinalità finita. Dimostrare che A contiene al più due punti. Trovare inoltre tre esempi di applicazioni siffatte e tali che A abbia cardinalità 0,1 e 2 rispettivamente.

4.2 Componenti connesse

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4.7. Dimostrare che il prodotto di due spazi connessi per archi è connesso per archi. 4.8. Un sottoinsieme A di Rn si dice stellato rispetto ad un punto a ∈ A se per ogni b ∈ A il segmento che unisce a e b è interamente contenuto in A. Dimostrare che i sottoinsiemi stellati sono connessi per archi. 4.9. Sia X ⊂ R2 un sottoinsieme limitato e convesso. Dimostrare che R2 − X è connesso per archi. 4.10 (K,♥). Sia A un aperto convesso di R2 e sia p un punto non appartenente ad A. Dimostrare che esiste una retta passante per p che non interseca A. 4.11 (K). Sia X uno spazio topologico di Hausdorff con la proprietà che X −A è connesso per ogni sottoinsieme finito A ⊂ X. Dimostrare che per ogni n > 0 lo spazio delle configurazioni Conf n (X) = {(x1 , . . . , xn ) ∈ X n | xi = xj per ogni i = j} è connesso.

4.2 Componenti connesse Definizione 4.20. Sia X uno spazio topologico. Un sottospazio C ⊂ X si dice una componente connessa di X se soddisfa le seguenti due proprietà: 1. C è connesso. 2. Se C ⊂ A ed A è connesso, allora C = A. Quindi, con altre parole, una componente connessa è un elemento massimale della famiglia dei sottospazi connessi, ordinata per inclusione. Esempio 4.21. Siano X uno spazio topologico e C ⊂ X un sottospazio aperto, chiuso, connesso e non vuoto. Allora C è una componente connessa di X. Infatti C è connesso per ipotesi e, se C ⊂ A, allora C è aperto, chiuso e non vuoto in A; quindi se A è connesso ne consegue che C = A. Lemma 4.22. Sia Y un sottospazio connesso di uno spazio topologico X e sia Y ⊂ W ⊂ Y . Allora W è connesso. In particolare la chiusura di un sottospazio topologico connesso è connessa. Dimostrazione. Sia Z ⊂ W un sottoinsieme non vuoto, aperto e chiuso in W . A maggior ragione Z ∩ Y è aperto e chiuso in Y . Dato che Y è denso e Z è aperto in W , si ha Z ∩ Y = ∅. Dato che Y è connesso ne consegue Y ⊂ Z. Dato che Y è denso e Z è chiuso in W si ottiene Z = W .   Lemma 4.23. Sia x un punto di uno spazio topologico X e sia {Zi | i ∈ I} una famiglia di sottospazi connessi di X che contengono x. Allora W = i Zi è connesso.

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4 Connessione e compattezza

Dimostrazione. Sia A ⊂ W contemporaneamente aperto, chiuso e non vuoto; per il Lemma 4.4 per ogni indice i vale Zi ⊂ A oppure Zi ∩ A = ∅. Siccome A non è vuoto esiste un indice i tale che A ∩ Zi = ∅, dunque Zi ⊂ A ed in particolare x ∈ A. Siccome il punto x appartiene a tutti i sottospazi Zj si ha che Zj ∩ A non è vuoto per ogni j, dunque Zj ⊂ A per ogni j e di conseguenza W = A.   Corollario 4.24. Siano A, B sottospazi connessi di uno spazio topologico. Se A ∩ B = ∅, allora A ∪ B è connesso. Dimostrazione. Sia x ∈ A ∩ B. Basta applicare il Lemma 4.23 alla famiglia {A, B}.   Lemma 4.25. Sia x un punto di uno spazio topologico X e denotiamo con C(x) l’unione di tutti i sottospazi connessi di X che contengono x, ossia C(x) = ∪{Y | x ∈ Y ⊂ X, Y connesso }. Allora C(x) è una componente connessa di X che contiene il punto x. Dimostrazione. Notiamo innanzitutto che {x} è un sottospazio connesso e quindi x ∈ C(x). Applicando il Lemma 4.23 alla famiglia di tutti i sottospazi connessi contenenti x, si ricava che C(x) è un sottospazio connesso. Sia A ⊂ X un sottospazio connesso che contiene C(x), in particolare x ∈ A, per definizione di C(x) si ha A ⊂ C(x) e quindi C(x) = A.   Definizione 4.26. Nelle notazioni del Lemma 4.25, chiameremo C(x) la componente connessa di X che contiene x, oppure la componente connessa di x in X. Teorema 4.27. Ogni spazio topologico è unione delle sue componenti connesse. Ogni componente connessa è chiusa ed ogni punto è contenuto in una ed una sola componente connessa. Dimostrazione. Per il Lemma 4.25 ogni punto è contenuto in almeno una componente connessa. Se C, D sono due componenti connesse e C ∩ D = ∅, allora per il Corollario 4.24, il sottospazio C ∪ D è connesso e le due ovvie inclusioni C ⊂ C ∪ D, D ⊂ C ∪ D implicano C = C ∪ D = D. Infine, se C è una componente connessa, allora per il Lemma 4.22 il sottospazio C è connesso e contiene C; ne consegue che C = C.   Le componenti connesse non sono in generale aperte (vedi Esercizio 4.12); tuttavia in molti casi concreti saranno aperte in virtù del seguente risultato. Lemma 4.28. Se ogni punto di uno spazio topologico X possiede un intorno connesso, allora le componenti connesse di X sono aperte.

4.2 Componenti connesse

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Dimostrazione. Sia C ⊂ X una componente connessa, x ∈ C ed U un intorno connesso di x. Poiché x ∈ C ∩ U , l’unione C ∪ U è ancora connessa e quindi C ∪ U ⊂ C, ovvero U ⊂ C e C è un intorno di x.   Ogni omeomorfismo trasforma componenti connesse in componenti connesse e quindi due spazi omeomorfi devono avere lo stesso numero di componenti connesse. Esempio 4.29. X = R − {0} non è omeomorfo a Y = R − {0, 1}. Infatti X ha due componenti connesse ] − ∞, 0[ e ]0, +∞[, mentre Y ne ha tre, ] − ∞, 0[ , ]0, 1[ e ]1, +∞[.

Esercizi 4.12 (♥). Si consideri il sottospazio Q ⊂ R formato da tutti i numeri razionali. Descrivere le componenti connesse di Q e dedurne che, in generale, le componenti connesse in uno spazio topologico non sono aperte. 4.13 (♥). Sia Y ⊂ X un sottospazio connesso e sia {Zi | i ∈ I} una famiglia  di sottospazi connessi di X che intersecano Y . Dimostrare che W = Y ∪ i Zi è connesso. 4.14 (♥). Siano X, Y spazi topologici connessi e A ⊂ X, B ⊂ Y sottoinsiemi propri. Dimostrare che lo spazio X × Y − A × B è connesso. 4.15. Dimostrare che i due sottospazi di R2 (vedi Figura 4.1): A ={(x, y) ∈ R2 | y = 0} ∪ {(x, y) ∈ R2 | x2 + y 2 = 1 e y ≥ 0}, R ={(x, y) ∈ R2 | y = 0} ∪ {(x, y) ∈ R2 | x2 + (y − 1)2 = 1}, non sono omeomorfi. (Suggerimento: studiare quante componenti connesse si possono ottenere togliendo un punto ad entrambi gli spazi.)

Figura 4.1. Due sottospazi del piano non omeomorfi

4.16. Sia {An | n ∈ Z} una famiglia numerabile di sottospazi connessi di uno spazio topologico X tali che An ∩ An+1 = ∅ per ogni n. Dimostrare che A = ∪n An è connesso.

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4 Connessione e compattezza

4.17. {Ai | i ∈ I} una famiglia di sottospazi non vuoti e connessi di uno spazio topologico X. Dimostrare che: 1. La famiglia A ⊂ P(I), formata da tutti i sottoinsiemi J ⊂ I tali che l’unione ∪{Aj | j ∈ J} è connessa, possiede elementi massimali rispetto all’inclusione. 2. Se per ogni coppia i, j ∈ I esiste una successione di indici i1 , i2 , . . . , in ∈ I tale che i1 = i, in = j e Aik ∩ Aik+1 = ∅ per ogni k = 1, . . . , n − 1, allora l’unione ∪{Ai | i ∈ I} è connessa. 4.18 (♥). Sia {An | n ∈ N} una famiglia numerabile di sottospazi connessi di uno spazio topologico X tali che An+1 ⊂ An per ogni n. È vero o falso che ∩n An è connesso? 4.19. Dimostrare che ogni omeomorfismo f : R → R di ordine finito, ossia tale che f p = Id per qualche p > 0, possiede almeno un punto fisso. (Sugg.: siano b = max(0, f (0), f 2 (0), . . . , f p−1 (0)) ed a = f −1 (b). Provare che f ha un punto fisso nell’intervallo [a, b].) 4.20 (K,♥). Sia X ⊂ R2 l’unione del segmento {x = 0, |y| ≤ 1} e dell’immagine dell’applicazione f : ]0, +∞[→ R2 , f (t) = (t−1 , cos(t)). Provare che X è chiuso in R2 , che è connesso e che non è connesso per archi.

4.3 Ricoprimenti Definizione 4.30. Un ricoprimento di un insieme X è una famiglia A di sottoinsiemi tali che X = ∪{A | A ∈ A}. Diremo che il ricoprimento è finito se A è una famiglia finita; numerabile se A è una famiglia numerabile. Se A e B sono ricoprimenti di X e se A ⊂ B, allora diremo che A è un sottoricoprimento di B. Spesso è conveniente lavorare con ricoprimenti A = {Ui | i ∈ I} definiti mediante famiglie indicizzate. In tal caso, e salvo avviso contrario, è consentito che l’applicazione surgettiva I → A, i → Ui , possa essere non iniettiva. Molte importanti proprietà degli spazi topologici riguardano il comportamento rispetto ai ricoprimenti Definizione 4.31. Un ricoprimento A di uno spazio topologico X si dice: 1. Aperto se ogni A ∈ A è aperto. 2. Chiuso se ogni A ∈ A è chiuso. 3. Localmente finito se per ogni punto x ∈ X esiste un aperto V ⊂ X tale che x ∈ V e V ∩ A = ∅ per al più un numero finito di A ∈ A. Ad esempio, ogni base della topologia è un ricoprimento aperto. La famiglia {[n, n + 1] | n ∈ Z} è un ricoprimento chiuso localmente finito di R.

4.3 Ricoprimenti

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Definizione 4.32. Sia A un ricoprimento di uno spazio topologico X. Se accade che un sottoinsieme U ⊂ X è aperto se e solo se U ∩ A è aperto in A, per ogni A ∈ A, allora diremo che il ricoprimento A è fondamentale. Non tutti i ricoprimenti sono fondamentali: ad esempio {{x} | x ∈ R} è un ricoprimento chiuso di R che non è fondamentale. Proposizione 4.33. Sia f : X → Y un’applicazione tra spazi topologici e sia A un ricoprimento fondamentale di X. Allora f è continua se e solo se per ogni A ∈ A la restrizione f|A : A → Y è continua. Dimostrazione. Sia U ⊂ Y un aperto; se la restrizione f|A : A → Y è continua −1 (U ) è aperto in A e quindi f −1 (U ) per ogni A ∈ A, allora f −1 (U ) ∩ A = f|A è aperto in X.   Teorema 4.34. I ricoprimenti aperti ed i ricoprimenti chiusi localmente finiti sono fondamentali. Dimostrazione. Sia A un ricoprimento aperto di X e sia U ⊂ X. Se U ∩ A è aperto in A per ogni A ∈ A, allora U ∩ A è aperto anche in X e dunque U = ∪{A ∩ U | A ∈ A} è aperto. Consideriamo adesso un ricoprimento chiuso finito X = C1 ∪ · · · ∪ Cn e sia U ⊂ X tale che U ∩ Ci è aperto in Ci per ogni i. Denotando B = X − U si ha che B ∩ Ci = Ci − (U ∩ Ci ) è chiuso in Ci , e quindi in X, per ogni i. Dunque B = ∪ni=1 (B ∩ Ci ) è chiuso. Se {Ci | i ∈ I} è un ricoprimento chiuso localmente finito, allora possiamo trovare un ricoprimento aperto A di X tale che {Ci ∩ A | i ∈ I} è un ricoprimento chiuso finito di A, per ogni A ∈ A. Dunque, se U ∩ Ci è aperto in Ci per ogni i, allora U ∩ Ci ∩ A è aperto in A ∩ Ci per ogni A ∈ A, quindi U ∩ A è aperto in A per ogni A ∈ A e dunque U è aperto in X.  

Esercizi 4.21. Sia A un ricoprimento aperto di uno spazio topologico X e consideriamo la famiglia B degli aperti di X che sono contenuti in qualche elemento di A. Provare che B è una base della topologia. 4.22. Provare che {[−n, n] | n ∈ N} è un ricoprimento fondamentale di R. 4.23. Sia A un ricoprimento di uno spazio topologico X tale che ∪{Ao | A ∈ A} = X. Dimostrare che A è un ricoprimento fondamentale.

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4 Connessione e compattezza

4.4 Spazi topologici compatti Definizione 4.35. Uno spazio topologico si dice compatto se ogni suo ricoprimento aperto possiede un sottoricoprimento finito. Un sottospazio di uno spazio topologico si dice compatto se è compatto per la topologia indotta. Equivalentemente, un sottospazio K di uno spazio topologico X è compatto se e solo se per ogni famiglia A di aperti di X tali che K ⊂ ∪{A | A ∈ A}, esistono A1 , . . . , An ∈ A tali che K ⊂ A1 ∪ · · · ∪ An . Esempio 4.36. Lo spazio Rn non è compatto per ogni n > 0; per dimostrarlo basta trovare un ricoprimento aperto che non ammette un sottoricoprimento finito. Possiamo considerare ad esempio il ricoprimento formato da tutte le palle aperte di centro 0 e raggio numero naturale Rn = ∪+∞ m=1 B(0, m). Se tale ricoprimento ammettesse un sottoricoprimento finito, esisterebbero m1 , . . . , mk ∈ N tali che Rn = ∪ki=1 B(0, mi ) = B(0, max(m1 , . . . , mk )), il che è palesemente falso. Esempio 4.37. Ogni insieme finito è compatto, indipendentemente dalla topologia su di esso: infatti, dato un qualunque ricoprimento aperto, possiamo ottenere un sottoricoprimento finito scegliendo per ogni punto un aperto che lo contiene. Uno spazio topologico discreto è compatto se e solo se è finito: infatti in uno spazio discreto X la famiglia delle singolette {{x} | x ∈ X} è un ricoprimento aperto che possiede un sottoricoprimento finito se e solo se X è finito. Teorema 4.38. Sia f : X → Y un’applicazione continua. Se X è compatto, allora la sua immagine f (X) è un sottospazio compatto di Y . Dimostrazione. Sia A una famiglia di aperti di Y che ricopre f (X). La famiglia {f −1 (A) | A ∈ A} è un ricoprimento aperto di X e quindi esistono A1 , . . . , An ∈ A tali che X = f −1 (A1 ) ∪ · · · ∪ f −1 (An ). Di conseguenza f (X) ⊂ A1 ∪ · · · ∪ An .   Teorema 4.39. L’intervallo chiuso [0, 1] è un sottospazio compatto di R. Dimostrazione. Sia A una famiglia di aperti di R che ricopre l’intervallo [0, 1]: [0, 1] ⊂ ∪{A | A ∈ A}. Indichiamo con X ⊂ [0, +∞[ l’insieme dei punti t tali che l’intervallo chiuso [0, t] è contenuto nell’unione di un numero finito di aperti di A.

4.4 Spazi topologici compatti

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L’intervallo [0, 0] è contenuto in un aperto della famiglia A e quindi 0 ∈ X: denotiamo con b l’estremo superiore di X. Se b > 1 allora esiste t ∈ X tale che 1 ≤ t ≤ b e quindi [0, 1] ⊂ [0, t] è contenuto nell’unione di un numero finito di aperti di A. Supponiamo adesso b ≤ 1 e mostriamo che tale ipotesi conduce ad una contraddizione. Infatti, se b ≤ 1, allora esiste A ∈ A tale che b ∈ A e, dato che A è aperto, esiste un δ > 0 tale che ]b − δ, b + δ[⊂ A. D’altra parte, per le proprietà dell’estremo superiore, esiste t ∈ X tale che b − δ < t ≤ b. Segue dalla definizione di X che l’intervallo [0, t] è contenuto in una unione finita di aperti del ricoprimento, diciamo [0, t] ⊂ A1 ∪ · · · ∪ An . Ne consegue che, se 0 ≤ h < δ, allora [0, b + h] = [0, t] ∪ [t, b + h] ⊂ [0, t]∪ ]b − δ, b + δ[ ⊂ A ∪ A1 ∪ · · · ∪ An , e quindi b + h ∈ X per ogni numero reale 0 ≤ h < δ.

 

Esempio 4.40. La retta R non è omeomorfa all’intervallo [0, 1]. Infatti [0, 1] è compatto, mentre R non lo è. Proposizione 4.41. 1. Ogni sottospazio chiuso di uno spazio compatto è compatto. 2. Unione finita di sottospazi compatti è compatta. Dimostrazione. Dimostriamo la (1). Sia Y un sottospazio chiuso di uno spazio topologico compatto X. Bisogna dimostrare che per ogni famiglia A di aperti di X tale che Y ⊂ ∪{A | A ∈ A}, esistono finiti aperti A1 , . . . , An ∈ A tali che Y ⊂ A1 ∪ · · · ∪ An . La famiglia di aperti A ∪ {X − Y } è un ricoprimento del compatto X e dunque possiamo trovare A1 , . . . , An ∈ A tali che X = (X−Y )∪A1 ∪· · ·∪An . È allora immediato osservare che Y ⊂ A1 ∪· · ·∪An . Dimostriamo adesso la (2). Siano K1 , . . . , Kn sottospazi compatti di uno spazio topologico X e sia A una famiglia di aperti di X che ricopre K = K1 ∪ · · · ∪ Kn . Per ogni indice h = 1, . . . , n esiste una sottofamiglia finita Ah ⊂ A che ricopre il compatto Kh e quindi K ⊂ ∪{A | A ∈ A1 ∪· · ·∪An }.~   Corollario 4.42. Un sottospazio di R è compatto se e solo se è chiuso e limitato. Dimostrazione. Osserviamo per prima cosa che la definizione di compattezza coinvolge solamente le nozioni di aperto e di ricoprimento ed è quindi invariante per omeomorfismo, cioè ogni spazio omeomorfo ad un compatto è compatto. Sia A ⊂ R chiuso e limitato, allora A ⊂ [−a, a] per qualche a > 0. L’intervallo [−a, a] è omeomorfo a [0, 1] e quindi compatto. Dunque A è un chiuso di un compatto ed è quindi compatto.

80

4 Connessione e compattezza

Viceversa, se A ⊂ R è un sottospazio compatto, allora la famiglia di intervalli aperti { ] − n, n[ | n ∈ N} ricopre A e quindi possiamo trovare un sottoricoprimento finito A ⊂ ] − n1 , n1 [ ∪ · · · ∪ ] − ns , ns [ . Ne segue che A ⊂ ] − N, N [, dove N è un il massimo di n1 , . . . , ns , e quindi A è limitato. Per ogni p ∈ A, l’applicazione f (x) = 1/(x − p) è continua e definita in R − {p}. L’immagine f (A) è compatta e quindi limitata; da questo segue che p ∈ A e quindi che A è chiuso.   Corollario 4.43. Sia X uno spazio topologico compatto. Allora ogni funzione continua f : X → R ammette massimo e minimo. Dimostrazione. L’immagine f (X) è compatta in R e quindi chiusa e limitata. Ogni sottoinsieme chiuso e limitato di R ammette massimo e minimo.   Teorema 4.44. Sia f : X → Y un’applicazione. Se Y è compatto e se f −1 (y) è compatto per ogni y ∈ Y , allora anche X è compatto. Dimostrazione. A meno di sostituire Y con f (X) non è restrittivo supporre che f sia surgettiva; per ogni sottoinsieme A ⊂ X definiamo A = {y ∈ Y | f −1 (y) ⊂ A} . Siccome Y − A = f (X − A) ed f è chiusa, ne segue che se A è aperto, allora anche A è aperto. Sia A un ricoprimento aperto di X e denotiamo con B la famiglia delle unioni finite di elementi di A. La famiglia di aperti B  = {B  | B ∈ B} è un ricoprimento aperto di Y . Infatti se y ∈ Y , la fibra f −1 (y) è compatta e quindi esistono A1 , . . . , Am ∈ A tali che f −1 (y) ⊂ A1 ∪ · · · ∪ Am e dunque y ∈ B  , dove B = A1 ∪ · · · ∪ Am . Dato che Y è compatto, esistono B1 , . . . , Bn ∈ B tali che Y = B1 ∪· · ·∪Bn . Allora X = B1 ∪ · · · ∪ Bn , e siccome ogni Bi è una unione finita di elementi di A, abbiamo trovato un sottoricoprimento finito di A.   Proposizione 4.45. Sia B una base di uno spazio topologico X. Se ogni ricoprimento di X fatto con elementi di B ammette un sottoricoprimento finito, allora X è compatto. Dimostrazione. Per ogni aperto U ⊂ X indichiamo BU = {B ∈ B | B ⊂ U }. Per ipotesi B è una base e quindi per ogni aperto U vale U = ∪{B | B ∈ BU }. Sia A un ricoprimento aperto di X e consideriamo la famiglia di aperti C = ∪A∈A BA . È chiaro che C è un ricoprimento di X fatto con aperti della base B e, per le ipotesi fatte, possiede un sottoricoprimento finito F . Per ogni aperto U ∈ F scegliamo un aperto A(U ) ∈ A tale che U ∈ BA(U ) , ossia tale che U ⊂ A(U ). Ne consegue che famiglia {A(U ) | U ∈ F } è un sottoricoprimento finito di A.   Proposizione 4.46. Sia K1 ⊃ K2 ⊃ · · · una catena discendente numerabile di chiusi non vuoti e compatti di uno spazio topologico. Allora ∩{Kn | n ∈ N} = ∅.

4.4 Spazi topologici compatti

81

Dimostrazione. Per ogni n ∈ N l’insieme K1 − Kn è aperto in K1 . Basta adesso osservare che l’intersezione dei chiusi Kn è vuota se e solo se gli aperti K1 − Kn formano un ricoprimento di K1 .  

Esercizi 4.24. Si consideri lo spazio metrico formato dall’insieme Q dei numeri razionali dotato della distanza euclidea. Dimostrare che  √  K= x∈Q|0≤x≤ 2 è chiuso e limitato ma non è compatto. 4.25 (♥). Diremo che una famiglia di sottoinsiemi A di un insieme X ha la proprietà dell’intersezione finita se per ogni sottofamiglia finita e non vuota F ⊂ A vale ∩{A | A ∈ F } = ∅. Dimostrare che uno spazio topologico è compatto se e solo se ogni famiglia di chiusi con la proprietà dell’intersezione finita ha intersezione non vuota. Convincersi che la Proposizione 4.46 è un caso particolare del presente esercizio. 4.26. Siano X uno spazio topologico compatto, U ⊂ X un sottospazio aperto e {Ci | i ∈ I}, una famiglia di sottospazi chiusi di X tale che 

Ci ⊂ U .

i∈I

Dimostrare che esiste un insieme finito di indici i1 , . . . , in ∈ I tale che Ci1 ∩ · · · ∩ Cin ⊂ U. 4.27. Dimostrare che lo spazio topologico dell’Esercizio 3.3 è compatto di Hausdorff. Dedurre che ogni insieme possiede una topologia che lo rende uno spazio topologico compatto di Hausdorff. 4.28. Denotiamo con Rscs la retta reale dotata della topologia della semicontinuità superiore (Esempio 3.3). Provare che ogni compatto non vuoto in Rscs ammette massimo. Dedurne che se X è uno spazio topologico compatto, allora ogni applicazione f : X → R semicontinua superiormente (Esercizio 3.28) ammette massimo. 4.29 (K, ♥). Siano X uno spazio topologico compatto e f : R → X un’applicazione continua e chiusa. Dimostrare che esiste x ∈ X tale che f −1 (x) contiene infiniti elementi.

82

4 Connessione e compattezza

4.30 (K, ♥). Siano X uno spazio compatto e {fi : X → [0, +∞[ | i ∈ I} una famiglia non vuota di funzioni continue. Provare che la funzione f : X → [0, +∞[ ,

f (x) = inf{fi (x) | i ∈ I},

ammette massimo in X. Mostrare con un esempio che in generale non ammette minimo.

4.5 Il teorema di Wallace Siano X, Y spazi topologici e A ⊂ X, B ⊂ Y sottoinsiemi. Allora A × B è un sottoinsieme di X ×Y ed è possibile definire una struttura topologica su A×B in due modi distinti. Nel primo considerando A × B come un sottospazio dello spazio topologico X × Y , nel secondo considerando A × B come il prodotto dei sottospazi A e B. Tuttavia è immediato osservare che la restrizione della base canonica di X × Y a A × B coincide con la base canonica di A × B e quindi le due procedure danno luogo alla stessa topologia. Teorema 4.47 (Wallace). Siano X, Y spazi topologici, A ⊂ X, B ⊂ Y sottospazi compatti e W ⊂ X × Y un aperto tale che A × B ⊂ W . Allora esistono due aperti, U ⊂ X e V ⊂ Y , tali che A ⊂ U,

B⊂V

e

U × V ⊂ W.

Dimostrazione. Consideriamo dapprima il caso particolare in cui A è formato da un solo punto, diciamo A = {a}. Per ogni b ∈ B esiste una coppia di aperti Ub ⊂ X, Vb ⊂ Y tali che (a, b) ∈ Ub × Vb ⊂ W. La famiglia di aperti {Vb | b ∈ B} ricopre B e per compattezza esistono b1 , . . . , bn ∈ B tali che B ⊂ Vb1 ∪ · · · ∪ Vbn . Introduciamo adesso gli aperti U = Ub1 ∩ · · · ∩ Ubn e V = Vb1 ∪ · · · ∪ Vbn : allora vale {a} × B ⊂ U × V ⊂ ∪i Ubi × Vbi ⊂ W. Nel caso in cui A è un compatto arbitrario, abbiamo dimostrato che per ogni a ∈ A esiste una coppia di aperti Ua , Va tali che {a} × B ⊂ Ua × Va ⊂ W. La famiglia {Ua | a ∈ A} è un ricoprimento aperto di A; per compattezza esistono a1 , . . . , am ∈ A tali che A ⊂ Ua1 ∪ · · · ∪ Uam e dunque gli aperti U = Ua1 ∪· · · ∪Uam e V = Va1 ∩· · · ∩Vam sono tali che A×B ⊂ U ×V ⊂ W .   Il teorema di Wallace è utile soprattutto perché ha molti interessanti corollari.

4.5 Il teorema di Wallace

83

Corollario 4.48. Ogni sottospazio compatto di uno spazio topologico di Hausdorff è chiuso. Dimostrazione. Sia X uno spazio di Hausdorff e sia K ⊂ X un sottospazio compatto. Per mostrare che K è chiuso proviamo che se x ∈ K, allora esiste un aperto U ⊂ X tale che x ∈ U e U ∩ K = ∅. Il prodotto {x} × K non interseca la diagonale Δ ⊂ X × X e quindi, essendo X di Hausdorff, {x} × K è contenuto nell’aperto W = X × X − Δ. Per il Teorema di Wallace esistono due sottoinsiemi aperti U, V ⊂ X tali che {x} × K ⊂ U × V ⊂ W . In particolare x ∈ U e U ∩ K = ∅.   Corollario 4.49. Siano X, Y spazi topologici: 1. Se X è compatto, allora la proiezione p : X × Y → Y è un’applicazione chiusa. 2. Se X e Y sono compatti, allora X × Y è compatto. Dimostrazione. Per quanto riguarda la (1), sia C ⊂ X × Y un chiuso fissato. Se p(C) = Y non c’è nulla da dimostrare, altrimenti sia y ∈ p(C) e dimostriamo che il punto y possiede un intorno che non interseca p(C). Dato che X × {y} ⊂ X × Y − C, per il teorema di Wallace esiste un intorno aperto V di y tale che X × V ∩ C = ∅ e quindi V ∩ p(C) = ∅. Per dimostrare la (2) basta applicare il Teorema 4.44 alla proiezione sul secondo fattore X × Y → Y .   Per induzione si deduce che il prodotto di un numero finito di spazi compatti è compatto. Corollario 4.50. Un sottospazio di Rn è compatto se e solo se è chiuso e limitato. Dimostrazione. Se A ⊂ Rn è chiuso e limitato, allora A ⊂ [−a, a]n per qualche a > 0. L’intervallo [−a, a] è omeomorfo a [0, 1] e quindi compatto. Per il Corollario 4.49 il prodotto cartesiano [−a, a]n è compatto e quindi anche ogni suo sottospazio chiuso è compatto. Viceversa, se A ⊂ Rn è un sottospazio compatto, allora la funzione d0 : A → R, d0 (x) = x , è continua e quindi ammette massimo, ossia A è limitato. Inoltre Rn è di Hausdorff e quindi A è chiuso.   Esempio 4.51. Le sfere S n ed i dischi Dn sono chiusi e limitati nello spazio euclideo e quindi sono compatti. Corollario 4.52. Sia f : X → Y un’applicazione continua, con X compatto e Y di Hausdorff. Allora f è un’applicazione chiusa. Se f è anche bigettiva, allora è un omeomorfismo. Dimostrazione. Sia A ⊂ X un sottoinsieme chiuso, allora A è compatto, quindi anche f (A) è compatto e di conseguenza chiuso in Y . Ogni applicazione continua, bigettiva e chiusa è un omeomorfismo.  

84

4 Connessione e compattezza

Esercizi 4.31. Siano K ⊂ Rn un sottospazio compatto ed U ⊂ Rn un aperto non vuoto che contiene K. Dimostrare che U ∩ (Rn − K) = ∅. 4.32. Sia Dn ⊂ Rn il disco chiuso unitario e sia U ⊂ Dn un aperto contenente il bordo ∂Dn = S n−1 . Provare che esiste un numero reale r < 1 tale che Dn = B(0, r) ∪ U . 4.33 (♥). Sia f : R → S n continua e chiusa. Dimostrare che f non è iniettiva. 4.34. Dimostrare che un’applicazione tra due spazi compatti di Hausdorff è continua se e solo se il grafico è chiuso nel prodotto. 4.35 (Spazi compattamente generati). Uno spazio topologico si dice compattamente generato se è di Hausdorff e se la famiglia di tutti i suoi sottospazi compatti forma un ricoprimento fondamentale.2 Dimostrare che se ogni punto di uno spazio topologico X possiede un intorno compatto, allora X è compattamente generato. 4.36 (Applicazioni proprie). Un’applicazione continua f : Y → Z tra due spazi topologici si dice propria se per ogni compatto K ⊂ Z la sua controimmagine f −1 (K) è compatta. Sia X uno spazio topologico di Hausdorff. Dimostrare che X è compattamente generato (Esercizio 4.35) se e solo se ogni applicazione propria f : Y → X è chiusa. 4.37 (♥). Siano (X, d) uno spazio metrico ed ε un numero reale positivo. Chiameremo ε-cammino in (X, d) una successione finita x0 , x1 , . . . , xn ∈ X tale che d(xi−1 , xi ) < 2ε per ogni i = 1, . . . , n; in tal caso diremo che gli “estremi” x0 e xn sono ε-collegati. Si può pensare che i punti di un ε-cammino siano le impronte lasciate da un omettino dalle gambe di lunghezza ε che passeggia in X. Dimostrare che: 1. Se X è connesso, allora ogni coppia di punti di X è ε-collegata, qualunque sia ε > 0. 2. Se X è compatto e se, per qualsivoglia ε > 0, ogni coppia di punti di X è ε-collegata, allora X è connesso. 3. Mostrare con un esempio che il punto 2 è generalmente falso senza l’ipotesi di compattezza. 4.38 (K). Sia (X, T ) uno spazio topologico di Hausdorff e sia K la famiglia dei sottoinsiemi A ⊂ X tali che A ∩ K è aperto in K per ogni compatto 2

Per ulteriori informazioni sugli spazi compattamente generati e sulla loro utilità in topologia rimandiamo all’articolo di Steenrod [23].

4.6 Gruppi topologici

85

K ⊂ X. Dimostrare: 1. La famiglia K è una topologia più fine di T e vale K = T se e solo se (X, T ) è compattamente generato (Esercizio 4.35). 2. Lo spazio topologico (X, K) è di Hausdorff e compattamente generato. 3. Siano Y uno spazio topologico compattamente generato e f : Y → (X, T ) un’applicazione continua. Allora anche f : Y → (X, K) è continua. La topologia K viene detta estensione di Kelley della topologia T e lo spazio topologico (X, K) viene detto il Kelleyficato di (X, T ).

4.6 Gruppi topologici Un gruppo topologico è un insieme G nel quale convivono una struttura di gruppo ed una struttura topologica: convivere significa che le operazioni di prodotto G × G → G, (g, h) → gh, e di inverso G → G,

g → g −1

sono continue. Per ogni h ∈ G fissato, l’applicazione Rh : G → G

definita come Rh (g) = gh

è la composizione del prodotto in G e dell’inclusione G → G × G data da g → (g, h). Pertanto, l’applicazione Rh , detta moltiplicazione destra per h, è composizione di applicazioni continue ed è quindi continua. Inoltre Rh è bigettiva con inversa Rh−1 ed è quindi un omeomorfismo. In modo del tutto simile si prova che, per ogni h ∈ G, la moltiplicazione sinistra per h Lh : G → G

definita come Lh (g) = hg

è un omeomorfismo con inverso Lh−1 . Lemma 4.53. Dati comunque due punti g e h in un gruppo topologico G, esiste un omeomorfismo ϕ di G in sé tale che ϕ(g) = h. Dimostrazione. Possiamo considerare ϕ = Rg−1 h , oppure ϕ = Lhg−1 .

 

Esempio 4.54. Ogni gruppo, dotato della topologia discreta è un gruppo topologico. Esempio 4.55. I gruppi additivi (Rn , +) e (Cn , +), con la topologia euclidea, sono gruppi topologici. 2

Esempio 4.56. Il gruppo GL(n, R) è un aperto dello spazio Rn e quindi ha una naturale struttura topologica. Con tale struttura è un gruppo topologico: infatti i coefficienti del prodotto di due matrici A, B dipendono in maniera continua dai coefficienti di A e B; anche i coefficienti della matrice A−1 dipendono in maniera continua dai coefficienti di A.

86

4 Connessione e compattezza

Lemma 4.57. Sia G un gruppo topologico con elemento neutro e. Allora G è di Hausdorff se e solo se l’insieme {e} è chiuso. Dimostrazione. Una implicazione è chiara poiché negli spazi di Hausdorff i punti sono chiusi. Supponiamo viceversa che {e} sia chiuso in G e sia φ : G × G → G l’applicazione φ(g, h) = gh−1 ; essa è composizione di applicazioni continue ed è quindi continua. Siccome φ(g, h) = e se e solo se g = h, la controimmagine di {e} è esattamente la diagonale che risulta quindi essere chiusa. Per concludere basta adesso applicare il Teorema 3.69.   Vediamo adesso alcune caratteristiche topologiche dei principali gruppi lineari, cioè dei gruppi: GL(n, R) = {A ∈ Mn,n (R) | det(A) = 0}, SL(n, R) = {A ∈ Mn,n (R) | det(A) = 1}, SO(n, R) = {A ∈ Mn,n (R) | AAT = I, det(A) = 1}, GL(n, C) = {A ∈ Mn,n (C) | det(A) = 0}, SL(n, C) = {A ∈ Mn,n (C) | det(A) = 1}, T

U(n, C) = {A ∈ Mn,n (C) | A A = I}, SU(n, C) = U(n, C) ∩ SL(n, C). 2

2

Essendo tali gruppi sottospazi topologici di Rn o Cn , essi sono tutti metrizzabili e quindi di Hausdorff. Proposizione 4.58. I gruppi GL+ (n, R) = {A ∈ GL(n, R) | det(A) > 0} e GL(n, C) sono connessi. Dimostrazione. Proviamo solamente la connessione di GL+ (n, R): quella di GL(n, C) si dimostra in modo del tutto simile. Il gruppo GL+ (1, R) coincide con l’intervallo ]0, +∞[ ed è quindi connesso; per induzione possiamo supporre n > 1 e assumere GL+ (n − 1, R) connesso. Consideriamo l’applicazione p : Mn,n (R) → Rn che associa ad ogni matrice la sua prima colonna: se in ogni matrice separiamo la prima colonna dalle altre, possiamo scrivere Mn,n (R) = Rn × Mn,n−1 (R) e quindi p coincide con la proiezione sul primo fattore del prodotto. Dunque l’applicazione p è continua ed aperta e quindi anche la sua restrizione all’aperto GL+ (n, R) ⊂ Mn,n (R) è aperta; inoltre vale p(GL+ (n, R)) = Rn − {0}. Dimostriamo adesso che le fibre di p : GL+ (n, R) → Rn − {0} sono tutte connesse: da questo e dal Lemma 4.18 seguirà la connessione di GL+ (n, R). La fibra p−1 (1, 0, . . . , 0) è il prodotto Rn−1 × GL+ (n − 1, R) ed è quindi connessa. Dato un qualsiasi y ∈ Rn −{0} la fibra p−1 (y) non è vuota, sia A ∈ GL+ (n, R) tale che p(A) = y. La moltiplicazione sinistra per A, che ricordiamo definita come LA (B) = AB, è un omeomorfismo di GL+ (n, R) in sé. Dalla relazione

4.6 Gruppi topologici

87



 p(AB) = Ap(B) segue che LA p−1 (1, 0, . . . , 0) = p−1 (y) e quindi le fibre di p sono tutte omeomorfe tra loro.   Corollario 4.59. I gruppi topologici SL(n, R) e SL(n, C) sono connessi. Il gruppo topologico GL(n, R) ha esattamente due componenti connesse. Dimostrazione. Abbiamo dimostrato che GL(n, C) e GL+ (n, R) sono connessi. La divisione della prima colonna per il determinante ci dà le applicazioni GL(n, C) → SL(n, C) e GL+ (n, R) → SL(n, R) che sono continue e surgettive. Il gruppo GL(n, R) è l’unione disgiunta dei due aperti GL+ (n, R) e − GL (n, R) = det−1 (] − ∞, 0[); la moltiplicazione per una qualsiasi matrice a determinante negativo induce un omeomorfismo tra GL+ (n, R) e GL− (n, R).   Per lo studio dei gruppi ortogonali ed unitari abbiamo bisogno di un risultato preliminare. Lemma 4.60. Sia f : X → Y un’applicazione continua e surgettiva di spazi topologici, con X compatto e Y connesso di Hausdorff. Se la fibra f −1 (y) è connessa per ogni y ∈ Y , allora X è connesso. Dimostrazione. L’applicazione f è chiusa e quindi basta applicare il Lemma 4.18.   Proposizione 4.61. I gruppi topologici SO(n, R), U(n, C) e SU(n, C) sono compatti e connessi. Dimostrazione. Vediamo solamente il caso SO(n, R): per U(n, C) e SU(n, C) la dimostrazione è del tutto analoga. Consideriamo l’applicazione continua Mn,n (R) → Mn,n (R) × R,

A → (AAT , det(A));

allora SO(n, R) è la controimmagine di (I, 1) e quindi è chiuso in Mn,n (R). Siccome in una matrice ortogonale i vettori colonna hanno tutti 1, il  norma 2 gruppo SO(n, R) è contenuto nell’insieme limitato {(aij ) | a = n} e ij i,j questo prova la compattezza. L’applicazione p : SO(n, R) → S n−1 che associa ad ogni matrice il primo vettore colonna è continua; inoltre per ogni A, B ∈ SO(n, R) si ha p(AB) = Ap(B), LA (p−1 (v)) = p−1 (Av), e da questo segue che le fibre sono tutte omeomorfe tra loro. La fibra sul punto (1, 0, . . . , 0) è il gruppo SO(n − 1, R). Siccome SO(n, R) è compatto e S n−1 è connessa e di Hausdorff, la connessione si dimostra per induzione su n tenendo presente il Lemma 4.60 e che SO(1, R) = {1}.  

88

4 Connessione e compattezza

Esercizi 4.39. Provare che l’applicazione SU(2, C) × U(1, C) → U(2, C),

 (A, z) → A ·

z0 01



è un omeomorfismo. 4.40. Dimostrare che i gruppi topologici SL(n, R) e SL(n, C) non sono compatti per ogni n > 1. 4.41 (♥). Dimostrare che per ogni n, m ≥ 2 lo spazio topologico X = {A ∈ Mn,n (R) | Am = I} non è connesso. 4.42. Siano A, B ⊂ Rn due chiusi e denotiamo W (A, B) = {g ∈ GL(n, R) | g(A) ∩ B = ∅}. Dimostrare che se A è compatto, allora W (A, B) è un sottospazio chiuso di GL(n, R); mostrare con un esempio che se A e B non sono compatti allora W (A, B) può non essere chiuso. 4.43. Siano G un gruppo topologico e H ⊂ G un sottogruppo. Dimostrare che se la parte interna di H è non vuota, allora H è aperto e chiuso in G. (Sugg.: scrivere sia H che il suo complementare come unione di aperti del tipo Rg (H o ) per opportuni g ∈ G.) 4.44. Sia G un gruppo topologico con elemento neutro e. Dimostrare che: 1. Se H ⊂ G è un sottogruppo, allora anche H è un sottogruppo. 2. La componente connessa di e in G è un sottogruppo chiuso. 4.45. Sia H un sottogruppo chiuso e connesso di (Rn , +). Provare che H è un sottospazio vettoriale di Rn . (Sugg.: provare che H = ∩n Hn , dove Hn è il sottospazio vettoriale generato da B(0, 1/n) ∩ H.) 4.46. Sia G un gruppo topologico. Se A, B ⊂ G sono sottoinsiemi, definiamo A−1 = {a−1 | a ∈ A}, AB = {ab | a ∈ A, b ∈ B}. Provare che per ogni sottoinsieme A ⊂ G vale A = ∩AU = ∩AU −1 , dove U varia tra tutti gli intorni dell’elemento neutro. 4.47. Siano G un gruppo topologico di Hausdorff e H ⊂ G un sottogruppo discreto (cioè i punti di H sono aperti nella topologia di sottospazio). Dimostrare che H è chiuso in G e confrontare questo risultato con quello dell’Esercizio 3.43. (Sugg.: usare l’Esercizio 4.46; mostrare che esiste un intorno U dell’elemento neutro e tale che U U −1 ∩ H = {e}; per ogni x ∈ HU esiste un unico h ∈ H tale che x ∈ hU .)

4.7 Esaustioni in compatti

89

4.48. Dimostrare che: 1. Ogni sottogruppo discreto del gruppo additivo dei reali (R, +) è del tipo Za, per qualche a ∈ R. 2. Ogni sottogruppo discreto di U(1, C) è ciclico finito.

4.7 Esaustioni in compatti Definizione 4.62. Una esaustione in compatti di uno spazio topologico X è una successione di sottospazi compatti {Kn | n ∈ N} tale che: ◦ per ogni n. 1. Kn ⊂ Kn+1 2. ∪n Kn = X.

Notiamo che, per ogni esaustione in compatti {Kn } di uno spazio X, la famiglia delle parti interne Kn◦ è un ricoprimento aperto di X e quindi, per ogni compatto H ⊂ X, esiste n tale che H ⊂ Kn◦ ⊂ Kn . Esempio 4.63. Per ogni n ∈ N poniamo Kn = {(x, y) | x2 + y 2 ≤ n2 } ⊂ R2 . La successione {Kn } è una esaustione in compatti di R2 . Esempio 4.64. Usiamo l’esaustione dell’Esempio 4.63 per dimostrare che R2 non è omeomorfo a Y = R2 − {0}. Supponiamo per assurdo che esista un omeomorfismo f : R2 → Y , allora la successione Dn = f (Kn ) è una esaustione in compatti di Y e, per quanto visto sopra, esiste un intero N tale che il compatto S 1 = {(x, y) | x2 + y 2 = 1} è contenuto in DN . La funzione f (x, y) = x2 + y 2 ,

f : Y → ]0, +∞[ ,

possiede sul compatto DN un valore massimo M > 1 ed un valore minimo 1 > m > 0. Quindi {(x, y) ∈ Y | x2 + y 2 < m} ⊂ {(x, y) ∈ Y − DN | x2 + y 2 < 1}, {(x, y) ∈ Y | x2 + y 2 > M } ⊂ {(x, y) ∈ Y − DN | x2 + y 2 > 1}, e Y − DN è unione disgiunta dei due aperti non vuoti {(x, y) ∈ Y − DN | x2 + y 2 < 1}

e

{(x, y) ∈ Y − DN | x2 + y 2 > 1}.

Abbiamo quindi trovato una contraddizione, perché Y − DN = f (R2 − KN ) e R2 − KN è connesso. In un certo senso, con le esaustioni in compatti possiamo descrivere il “comportamento all’infinito” degli spazi topologici. Il metodo standard per far rientrare il “comportamento all’infinito” di uno spazio topologico X tra le proprietà topologiche usuali è di ricorrere alla com definita nel modo seguente. pattificazione di Alexandroff X,

90

4 Connessione e compattezza

Sia X uno spazio topologico, sia ∞ un punto non appartenente a X e  = X ∪ {∞}. Su X  consideriamo la seguente famiglia T di sotdefiniamo X toinsiemi:  − K | K chiuso e compatto in X}. T = {A | A aperto in X} ∪ {X Si verifica facilmente che T è la famiglia degli aperti di una topologia e che  è una immersione aperta. Dimostriamo adesso l’inclusione naturale X → X   = ∪Ui è un ricoprimento aperto, che lo spazio topologico X è compatto. Se X allora esiste un indice, chiamiamolo 0 tale che ∞ ∈ U0 e dunque ∪i=0 Ui è un  −U0 . Se U1 ∪· · ·∪Un è un sottoricoprimento ricoprimento del compatto K = X  finito di K si ha che X = U0 ∪ U1 ∪ · · · ∪ Un .  è di Hausdorff se e solo Proposizione 4.65. Nelle notazioni precedenti, X se X è di Hausdorff ed ogni punto di X possiede un intorno compatto.  due punti di X hanno intorni diDimostrazione. Sicome X è aperto in X,  Se x ∈ X, allora x, ∞ sgiunti in X se e solo se hanno intorni disgiunti in X.  se e solo se esiste un chiuso compatto K ⊂ X ed hanno intorni disgiunti in X  − K) = ∅. Fissato K, un aperto U come un aperto U tali che x ∈ U e U ∩ (X sopra esiste se e solo se x appartiene alla parte interna di K e quindi x, ∞  se e solo se esiste un chiuso compatto K ⊂ X hanno intorni disgiunti in X tale che x ∈ K o .   Proposizione 4.66. Sia f : X → Y una immersione aperta di spazi topologici di Hausdorff. Allora l’applicazione  x se y = f (x),  g : Y → X, g(y) = ∞ se y ∈ f (X). è continua. In particolare ogni spazio topologico compatto di Hausdorff Y coincide con la compattificazione di Alexandroff di Y − {y}, per ogni y ∈ Y .  Se U ⊂ X allora g −1 (U ) = f (U ). Se Dimostrazione. Sia U un aperto di X.  invece U = X − K per qualche compatto K ⊂ X, allora g −1 (U ) = Y − f (K). Nel caso particolare in cui Y è compatto di Hausdorff, X = Y − {y} e f è l’inclusione, si ha che g è continua e bigettiva tra spazi compatti di Hausdorff e quindi è un omeomorfismo.  

Esercizi 4.49 (♥). Utilizzare l’esaustione dell’Esempio 4.63 per dimostrare che R2 non è omeomorfo a R × [0, 1]. 4.50. Dimostrare che R × [0, 1] non è omeomorfo a R × [0, +∞[.

4.7 Esaustioni in compatti

91

4.51. Dimostrare che il cilindro aperto {x2 + y 2 < 1} ⊂ R3 non è omeomorfo al cilindro chiuso {x2 + y 2 ≤ 1} ⊂ R3 . 4.52 (♥). Dimostrare che i seguenti sottospazi di R3 non sono omeomorfi: X = {(x, y, z) | z > 0} ∪ {(x, y, z) | x2 + y 2 < 1, z = 0}, Y = {(x, y, z) | z > 0} ∪ {(x, y, z) | x2 + y 2 > 1, z = 0}. 4.53. Interpretare lo spazio topologico dell’Esercizio 3.3 come una compattificazione di Alexandroff. 4.54. Sia f : X → Y un’applicazione propria (Esercizio 4.36). Dimostrare che  → Y . f si estende in modo naturale ad un’applicazione continua fˆ: X 4.55. Sia Y un sottospazio di uno spazio topologico compatto di Hausdorff. Dimostrare che Y è compatto se e solo se per ogni spazio topologico X la proiezione X × Y → X è chiusa. 4.56 (K, ♥). Sia U ⊂ S n un aperto omeomorfo a Rn . Dimostrare che il complementare S n − U è connesso.

5 Quozienti topologici

5.1 Identificazioni Il concetto duale di immersione è quello di identificazione.1 Definizione 5.1. Un’applicazione continua e surgettiva f : X → Y si dice una identificazione se gli aperti di Y sono tutti e soli i sottoinsiemi A ⊂ Y tali che f −1 (A) è aperto in X. Notiamo che f −1 commuta con il passaggio al complementare e quindi un’applicazione continua e surgettiva f : X → Y è una identificazione se e solo se i chiusi di Y sono tutti e soli i sottoinsiemi C ⊂ Y tali che f −1 (C) è chiuso in X. Sia f : X → Y un’applicazione continua; ricordiamo che un sottoinsieme A ⊂ X si dice saturo rispetto a f (o anche f -saturo) se ogniqualvolta x ∈ A, y ∈ X e f (x) = f (y), allora y ∈ A. Equivalentemente A è f -saturo se è del tipo f −1 (B) per qualche B ⊂ Y . Dire che f è una identificazione equivale a dire che gli aperti di Y sono tutti e soli gli insiemi della forma f (A), al variare di A tra gli aperti saturi di X. Per prevenire un errore comune, osserviamo che non tutti gli aperti di X sono saturi e quindi non è detto che le identificazioni siano applicazioni aperte. Esempio 5.2.  Sia A un ricoprimento di uno spazio topologico X ed indichiamo con Y = {A | A ∈ A} l’unione disgiunta di tutti i sottospazi del ricoprimento. Allora l’applicazione naturale Y → X è continua, surgettiva ed è una identificazione se e solo se il ricoprimento è fondamentale. Definizione 5.3. Una identificazione chiusa è una identificazione che è anche un’applicazione chiusa. 1

Il nome identificazione non è universalmente utilizzato: alcuni utilizzano i termini proclusione e applicazione quoziente con lo stesso significato.

M. Manetti: Topologia, 2a edizione, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 78, DOI: 10.1007/978-88-470-5662-6_5, © Springer-Verlag Italia 2014

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5 Quozienti topologici

Una identificazione aperta è una identificazione che è anche un’applicazione aperta. Una identificazione può essere contemporaneamente aperta e chiusa: ad esempio gli omeomorfismi hanno questa proprietà. Lemma 5.4. Sia f : X → Y un’applicazione continua e surgettiva. Se f è chiusa, allora f è una identificazione chiusa. Se f è aperta, allora f è una identificazione aperta. Dimostrazione. Siccome f è surgettiva, vale f (f −1 (A)) = A per ogni sottoinsieme A ⊂ Y . Dunque se f è un’applicazione aperta ed A ⊂ Y è tale che f −1 (A) è aperto, allora A = f (f −1 (A)) è aperto e quindi f è una identificazione. Discorso del tutto simile per le applicazioni chiuse.   Esempio 5.5. L’applicazione continua f : [0, 2π] → S 1 = {(x, y) | x2 + y 2 = 1},

f (t) = (cos(t), sin(t)),

è una identificazione chiusa. Infatti è surgettiva ed è continua da un compatto ad un Hausdorff, e quindi chiusa. Se volessimo dimostrare direttamente che f è chiusa, si può osservare che le due restrizioni f : [0, π] → S 1 ∩ {y ≥ 0},

f : [π, 2π] → S 1 ∩ {y ≤ 0},

sono omeomorfismi e quindi, se C ⊂ [0, 2π] è un sottoinsieme chiuso, allora f (C)∩{y ≥ 0} = f (C ∩[0, π]) e f (C)∩{y ≤ 0} = f (C ∩[π, 2π]) sono entrambi chiusi e dunque anche f (C) è chiuso. Osserviamo che f non è un’applicazione aperta: infatti [0, 1[ è aperto in [0, 2π] ma la sua immagine in S 1 non è aperta. Lemma 5.6 (Proprietà universale delle identificazioni). Siano f: X → Y una identificazione e g : X → Z un’applicazione continua. Allora esiste un’applicazione continua h : Y → Z tale che g = hf se e solo se g è costante sulle fibre di f . g /Z X ~> f ~~  ~ h Y Dimostrazione. Dire che g è costante sulle fibre di f significa dire che se x, y ∈ X e f (x) = f (y), allora g(x) = g(y). Tale condizione è chiaramente necessaria per l’esistenza di h; proviamo che è anche sufficiente. Siccome f è surgettiva, possiamo definire h : Y → Z come h(y) = g(x), dove x ∈ X è un qualsiasi punto tale che f (x) = y: segue dalle ipotesi che h è ben definita e vale g = hf . Bisogna dimostrare che h è continua. Sia U ⊂ Z un sottoinsieme aperto, allora f −1 (h−1 (U )) = g −1 (U ) è aperto in X e, siccome f è una identificazione, ne segue che h−1 (U ) è aperto in Y .  

5.1 Identificazioni

95

Esempio 5.7. Scriviamo il disco e la sfera di dimensione n come Dn = {x ∈ Rn | x 2 ≤ 1}, e consideriamo l’applicazione f : Dn → S n ,

S n = {(x, y) ∈ Rn × R | x 2 + y 2 = 1},  f (x) = (2x 1 − x 2 , 2 x 2 − 1).

Tale applicazione è continua e surgettiva. La sua restrizione f : {x ∈ Dn | x < 1} → {(x, y) ∈ S n | y < 1} è un omeomorfismo e f (∂Dn ) = (0, 1) ∈ S n , cioè f contrae il bordo del disco ad un punto della sfera. Siccome Dn è compatto e S n di Hausdorff, f risulta essere una identificazione chiusa.

Esercizi 5.1. Provare che composizione di identificazioni è ancora una identificazione. 5.2. Siano f : X → Y una identificazione e g : Y → Z un’applicazione continua. Dimostrare che se gf : X → Z è una identificazione, allora anche g è una identificazione. 5.3 (♥). Siano f : X → Y e g : Z → W due identificazioni aperte. Dimostrare che l’applicazione f × g : X × Z → Y × W,

(f × g)(x, z) = (f (x), g(z)),

è una identificazione aperta. (Osservazione: se f e g non sono entrambe aperte, allora f × g potrebbe non essere una identificazione, vedi Esercizio 5.12.) 5.4 (♥). Sia f : X → Y una identificazione. Dimostrare che se le componenti connesse di X sono aperte, allora anche le componenti connesse di Y sono aperte. 5.5. Sia f : X → Y una identificazione tale che le fibre f −1 (y) siano tutte connesse. Provare che ogni sottoinsieme aperto, chiuso e non vuoto di X è saturo. Dedurre che se Y è connesso, allora anche X è connesso. 5.6 (♥). Siano f : X → Y una identificazione aperta ed A ⊂ X un sottoinsieme saturo; dimostrare che Ao e A sono saturi. Mostrare con un esempio che ciò è generalmente falso se f è una identificazione chiusa. 5.7 (K). Siano X, Y, Z spazi topologici di Hausdorff, f : X → Y una identificazione aperta, g : X → Z un’applicazione continua e D ⊂ Y un sottoinsieme denso. Dimostrare che se g è costante su f −1 (y) per ogni y ∈ D, allora esiste h : Y → Z tale che g = hf . (Sugg.: dimostrare che l’applicazione {(x1 , x2 ) ∈ X × X | f (x1 ) = f (x2 )} → X,

(x1 , x2 ) → x1 ,

è aperta e utilizzare i risultati degli Esercizi 3.26 e 3.57.)

96

5 Quozienti topologici

5.2 Topologia quoziente Siano X uno spazio topologico, Y un insieme e f : X → Y un’applicazione surgettiva. Poiché f −1 commuta con le operazioni di unione ed intersezione, la famiglia dei sottoinsiemi A ⊂ Y tali che f −1 (A) è aperto in X, forma una topologia su Y . Tale topologia viene detta topologia quoziente rispetto all’applicazione f . La topologia quoziente è l’unica topologia su Y che rende f una identificazione ed è la topologia più fine tra quelle che rendono continua f . Supponiamo di avere una relazione di equivalenza ∼ su uno spazio topologico X. Denotiamo con X/ ∼ l’insieme delle classi di equivalenza e con π : X → X/ ∼ l’applicazione surgettiva che ad ogni elemento x ∈ X associa la sua classe π(x) = [x]. Lo spazio topologico X/ ∼, dotato della topologia quoziente rispetto a π, viene detto spazio quoziente. Proposizione 5.8. Siano f : X → Y un’applicazione continua, ∼ una relazione di equivalenza su X e π : X → X/ ∼ la proiezione al quoziente. Allora esiste g : X/ ∼ → Y continua tale che gπ = f se e solo se f è costante sulle classi di equivalenza. Dimostrazione. Conseguenza immediata del Lemma 5.6.

 

Esempio 5.9. Sia f : X → Y un’applicazione continua e, per x, y ∈ X, definiamo x ∼ y se f (x) = f (y). La relazione ∼ è di equivalenza e per la Proposizione 5.8, l’applicazione f induce al quoziente un’applicazione continua ed iniettiva f : X/ ∼ → Y . Segue immediatamente dalla definizione di topologia quoziente che f è una identificazione se e solo se f è un omeomorfismo. Una classe di quozienti topologici particolarmente interessante è quella delle contrazioni: siano X uno spazio topologico, A ⊂ X un sottoinsieme e consideriamo la più piccola relazione di equivalenza ∼ su X che possiede A come classe di equivalenza. In altri termini, per x, y ∈ X vale x∼y

se e solo se

x = y oppure x, y ∈ A.

È consuetudine indicare con X/A il quoziente topologico di X per la relazione ∼; diremo anche che la proiezione al quoziente X → X/A contrae A ad un punto. Esempio 5.10. L’applicazione f : S n−1 × [0, 1] → Dn ,

f (x, t) = tx,

è continua e surgettiva. Dato che S n−1 × [0, 1] è compatto e Dn di Hausdorff, ne segue che f è chiusa e quindi f è una identificazione. Siccome f (x) = f (y) se e solo se x = y oppure x, y ∈ S n−1 × {0}, segue dall’Esempio 5.9 che f induce un omeomorfismo tra il quoziente S n−1 × [0, 1]/S n−1 × {0} ed il disco Dn .

5.2 Topologia quoziente

97

Esempio 5.11. Consideriamo l’ipercubo I n = [0, 1]n ⊂ Rn e la contrazione del suo bordo ∂I n = [0, 1]n − ]0, 1[n ad un punto. Il quoziente topologico I n /∂I n è omeomorfo alla sfera S n . Infatti l’ipercubo I n è omeomorfo al disco Dn ed abbiamo visto nell’Esempio 5.7 che esiste una identificazione Dn → S n che contrae il bordo del disco ad un punto. Esempio 5.12. Il nastro di Moebius si ottiene prendendo una striscia rettangolare di materiale flessibile (carta, cuoio, sottile lamiera ecc.) ed incollando tra loro due lati opposti dopo aver fatto fare mezzo giro ad uno di essi. Topologicamente parlando, il nastro di Moebius M si ottiene prendendo il quadrato Q = [0, 1] × [0, 1] ⊂ R2 ed identificando il punto (0, y) con (1, 1 − y), per ogni y ∈ [0, 1]: per visualizzare meglio tale identificazione può essere utile il modello di sartoria della Figura 1.5. Esempio 5.13. La bottiglia di Klein, si definisce come il quoziente del quadrato Q = [0, 1] × [0, 1] ⊂ R2 per la relazione che identifica (0, y) con (1, 1 − y) e (x, 0) con (x, 1), per ogni x, y ∈ [0, 1]. Osserviamo infine che ogni quoziente di un compatto è compatto e che ogni quoziente di un connesso è connesso. In generale il quoziente di uno spazio di Hausdorff non è di Hausdorff (vedi Esercizio 5.8). Se f : X → Z è una identificazione, allora Z è di Hausdorff se e solo se per ogni coppia di punti x, y ∈ X tali che f (x) = f (y) esistono due aperti saturi e disgiunti A, B ⊂ X tali che x ∈ A e y ∈ B. Per l’Esercizio 5.6, se f è aperta, allora la condizione che A e B siano aperti può essere sostituita con quella di essere intorni di x e y rispettivamente. Ancora più semplice è la situazione nel caso compatto. Teorema 5.14. Sia f : X → Y una identificazione, con X spazio topologico compatto di Hausdorff. Allora le seguenti condizioni sono equivalenti: 1. Y è di Hausdorff. 2. f è una identificazione chiusa. 3. L’insieme K = {(x1 , x2 ) ∈ X × X | f (x1 ) = f (x2 )} è chiuso nel prodotto. Dimostrazione. L’implicazione (1)⇒(3) segue dal fatto che K è la controimmagine della diagonale tramite l’applicazione continua f ×f : X ×X → Y ×Y . Mostriamo adesso che (3) implica (2), dimostriamo cioè che per ogni chiuso A ⊂ X, il sottoinsieme f −1 (f (A)) è ancora chiuso. Siccome X è compatto le due proiezioni p1 , p2 : X × X → X sono applicazioni chiuse e dalla formula f −1 (f (A)) = p1 (K ∩ p−1 2 (A)) segue che se A e K sono chiusi, allora anche f −1 (f (A)) è chiuso. Per finire, resta da dimostrare l’implicazione (2)⇒(1): siano a, b ∈ Y punti distinti, allora i due chiusi A = f −1 (a), B = f −1 (b) sono compatti e disgiunti. Siccome

98

5 Quozienti topologici

X è di Hausdorff, per il teorema di Wallace esistono due aperti U, V ⊂ X tali che A×B ⊂U ×V ⊂X ×X −Δ, ossia tali che A ⊂ U , B ⊂ V , U ∩ V = ∅, (X − U ) ∪ (X − V ) = X. Per ipotesi f è chiusa e quindi U  = Y − f (X − U ), V  = Y − f (X − V ) sono due intorni aperti disgiunti di a e b rispettivamente.  

Esercizi 5.8 (♥). Sullo spazio topologico R, dotato della topologia euclidea, consideriamo la relazione di equivalenza x ∼ y se x = y oppure se |x| = |y| > 1. Provare che il quoziente topologico R/ ∼ non è di Hausdorff e che ogni suo punto possiede un intorno aperto omeomorfo all’intervallo ] − 1, 1[. 5.9. Mostrare che, al variare di A tra i sottoinsiemi di [0, 1] formati da due punti distinti, lo spazio quoziente [0, 1]/A può assumere tre diverse classi di omeomorfismo. 5.10. Sia D2 = {x2 + y 2 ≤ 1} ⊂ R2 il disco unitario. Dimostrare che R2 /D2 è omeomorfo a R2 . 5.11. Siano X uno spazio topologico di Hausdorff, K ⊂ X un sottospazio compatto e X/K la contrazione di K ad un punto. Dimostrare che: 1. X/K è di Hausdorff. 2. (Proprietà di escissione.) Sia A un aperto di X contenuto in K. Allora l’applicazione naturale (X − A)/(K − A) → X/K è un omeomorfismo. 3. Se X è compatto, allora X/K coincide con la compattificazione di Alexandroff di X − K. 5.12 (♥). Sia f : R → X una identificazione tale che f (x) = f (y) se e solo se x = y oppure x, y ∈ Z. Denotiamo con C ⊂ R × Q l’insieme dei punti √ 2 appartenenti all’unione delle rette di equazioni x + y = n + , al variare di n n ∈ N. Dimostrare che: 1. f è una identificazione chiusa. 2. C è chiuso ed è saturo rispetto all’applicazione f × Id : R × Q → X × Q. 3. (f × Id)(C) non è chiuso nella topologia prodotto; più precisamente il punto (f (0), 0) appartiene alla chiusura di (f × Id)(C). 4. f × Id non è una identificazione.

5.3 Quozienti per gruppi di omeomorfismi

99

5.3 Quozienti per gruppi di omeomorfismi Denotiamo con Omeo(X) l’insieme di tutti gli omeomorfismi di uno spazio topologico X in sé. Il prodotto di composizione induce su Omeo(X) una struttura di gruppo, con l’identità su X come elemento neutro. Se G ⊂ Omeo(X) è un qualsiasi sottogruppo e, per x, y ∈ X definiamo x∼y

se esiste g ∈ G tale che y = g(x),

allora ∼ è una relazione di equivalenza su X, le classi di equivalenza vengono dette orbite di G ed il relativo spazio quoziente viene indicato X/G. Proposizione 5.15. Sia G ⊂ Omeo(X) un gruppo di omeomorfismi di uno spazio topologico X e sia π : X → X/G la proiezione al quoziente. Allora π è un’applicazione aperta. Se il gruppo G è finito, allora π è anche un’applicazione chiusa. Dimostrazione. Dato un qualunque sottoinsieme A ⊂ X si ha π −1 (π(A)) = ∪{g(A) | g ∈ G}. Se A è aperto, allora g(A) è aperto per ogni g ∈ G, dunque π −1 (π(A)) è unione di aperti e quindi aperto; per definizione di topologia quoziente ne consegue che π(A) è aperto. Se G è finito si ripete lo stesso ragionamento con A chiuso.   Anche il quoziente di uno spazio di Hausdorff per un gruppo di omeomorfismi non è detto che sia di Hausdorff (vedi Esercizio 5.13). Rispetto al caso di quozienti arbitrari esistono però degli utili criteri per verificare una tale proprietà: Proposizione 5.16. Sia G un gruppo di omeomorfismi di uno spazio topologico X. Allora il quoziente X/G è di Hausdorff se e solo se l’insieme K = {(x, g(x)) ∈ X × X | x ∈ X, g ∈ G} è chiuso nel prodotto. Dimostrazione. La proiezione π : X → X/G è aperta e surgettiva. Ne segue che anche l’applicazione p : X × X → X/G × X/G,

p(x, y) = (π(x), π(y)),

è aperta e surgettiva e dunque una identificazione. Notiamo che p(x, y) appartiene alla diagonale Δ di X/G × X/G se e solo se x e y appartengono alla stessa orbita, ossia se e solo se (x, y) ∈ K. Abbiamo dimostrato che p−1 (Δ) = K e, dal fatto che p è una identificazione, deduciamo che Δ è chiusa se e solo se K è chiuso.  

100

5 Quozienti topologici

Proposizione 5.17. Sia G un gruppo di omeomorfismi di uno spazio di Hausdorff X e indichiamo con π : X → X/G la proiezione al quoziente. Si assuma che esista un sottoinsieme aperto A ⊂ X tale che: 1. La proiezione π : A → X/G è surgettiva. 2. L’insieme {g ∈ G | g(A) ∩ A = ∅} è finito. Allora il quoziente X/G è di Hausdorff. Dimostrazione. Indichiamo con g1 , . . . , gn tutti e soli gli elementi del gruppo G tali che g(A) ∩ A = ∅. Siano p, q ∈ X/G due punti distinti e scegliamo due loro rappresentanti x, y ∈ A: π(x) = p, π(y) = q. Siccome X è di Hausdorff, per ogni indice i = 1, . . . , n possiamo trovare una coppia (Ui , Vi ) di aperti di X tali che x ∈ Ui , gi (y) ∈ Vi e Ui ∩ Vi = ∅. Consideriamo adesso i due aperti n

U = A ∩ ∩ Ui , i=1

n

V = A ∩ ∩ gi−1 (Vi ) i=1

e proviamo che U ∩ g(V ) = ∅ per ogni g ∈ G. Se g(A) ∩ A = ∅, allora, poiché U, V ⊂ A si ha U ∩g(V ) ⊂ A∩g(A) = ∅. Se invece g = gi per qualche i, allora, poiché U ⊂ Ui e V ⊂ g −1 (Vi ) si ha U ∩ g(V ) ⊂ Ui ∩ Vi = ∅. Siccome x ∈ U e y ∈ V , per dimostrare che x, y appartengono ad aperti saturi disgiunti basta dimostrare che     ∪ g(U ) ∩ ∪ h(V ) = ∪ (g(U ) ∩ h(V )) = ∅. g∈G

h∈G

g,h∈G

Se fosse g(U ) ∩ h(V ) = ∅ per qualche g, h ∈ G, allora avremmo U ∩ g −1 h(V ) = g −1 (g(U ) ∩ h(V )) = ∅ in contraddizione a quanto dimostrato precedentemente.

 

Esempio 5.18. Sia G ⊂ Omeo(Rn ) il gruppo delle traslazioni per vettori a coordinate intere, ossia g ∈ G se e solo se esiste a ∈ Zn tale che g(x) = x+a per ogni x ∈ Rn . Allora il quoziente Rn /G è di Hausdorff. Infatti, se consideriamo l’aperto A = {(x1 , . . . , xn ) ∈ Rn | |xi | < 1 per ogni i}, la proiezione A → Rn /G è surgettiva. Inoltre, se a = (a1 , . . . , an ) ∈ Zn , vale A ∩ (A + a) = ∅ solo se |ai | ≤ 1 per ogni i. Basta quindi applicare la Proposizione 5.17. Corollario 5.19. Sia G un gruppo finito di omeomorfismi di uno spazio di Hausdorff X. Allora il quoziente X/G è di Hausdorff. Dimostrazione. Basta applicare la Proposizione 5.17 all’aperto A = X.

 

5.4 Gli spazi proiettivi

101

Esercizi 5.13. Provare che per ogni intero n > 0, il quoziente Rn / GL(n, R) non è di Hausdorff. 5.14. Sia G ⊂ Omeo(X) un sottogruppo di omeomorfismi di uno spazio topologico di Hausdorff X. Dimostrare che, se per ogni coppia di punti x, y ∈ X esistono un intorno U di x ed un intorno V di y tali che g(U ) ∩ V = ∅ per al più un insieme finito di elementi g ∈ G, allora X/G è di Hausdorff. (Sugg.: imitare la dimostrazione della Proposizione 5.17.) 5.15 (♥). Dimostrare che l’applicazione e2πi− : R → S 1 ,

x → e2πix = (cos(2πx), sin(2πx))

è una identificazione e quindi induce un omeomorfismo R/Z ∼ = S 1 , dove Z è inteso come il sottogruppo degli omeomorfismi di R generato dalla traslazione x → x + 1. Mostrare inoltre che l’applicazione e2πi− è aperta ma non è chiusa. 5.16. Siano X uno spazio di Hausdorff e g : X → X un omeomorfismo. Sia G  Z il gruppo degli omeomorfismi di R×X generato da (t, x) → (t+1, g(x)). Dimostrare che il quoziente (R × X)/G è di Hausdorff.

5.4 Gli spazi proiettivi Tra gli esempi più importanti di quozienti per gruppi di omeomorfismi troviamo lo spazio proiettivo reale Pn (R). Per definizione, Pn (R) è il quoziente di Rn+1 − {0} per il gruppo delle omotetie, ossia per la relazione di equivalenza x ∼ y se esiste λ ∈ R − {0} tale che x = λy. Notiamo che Pn (R) è in bigezione naturale con l’insieme dei sottospazi vettoriali di dimensione 1 di Rn+1 . Dato un vettore (x0 , . . . , xn ) ∈ Rn+1 − {0}, la sua classe di equivalenza in Pn (R) viene indicata solitamente [x0 , . . . , xn ]. Poniamo su Pn (R) la corrispondente topologia quoziente; per la Proposizione 5.15 la proiezione naturale π : Rn+1 − {0} → Pn (R) è una identificazione aperta. La composizione dell’inclusione i : S n → Rn+1 − {0} e della proiezione π è un’applicazione continua e surgettiva che si fattorizza ad un’applicazione continua e bigettiva f : S n / ∼ → Pn (R), dove, per x, y ∈ S n si definisce x ∼ y se x = ±y. Vogliamo dimostrare che la bigezione f è un omeomorfismo; a tal fine consideriamo il diagramma commutativo r

i

S⏐n −→ Rn+1⏐− {0} −→ S⏐n ⏐  ⏐π ⏐  π  π , f

S n / ∼ −→

Pn (R)

f −1

−→ S n / ∼

r(x) =

x . x

102

5 Quozienti topologici

Poiché sia l’inclusione i che l’applicazione r sono continue, anche le composizioni πi e π  r sono continue e, per la Proposizione 5.8, le applicazioni f ed f −1 risultano continue. Siccome S n / ∼= S n / ± Id, dove ±Id ⊂ Omeo(S n ) è il sottogruppo di ordine due formato dall’identità e dall’antipodo, segue dal Corollario 5.19 che gli spazi proiettivi reali sono di Hausdorff. Esempio 5.20. Consideriamo lo spazio topologico X ottenuto quozientando il disco bidimensionale D2 = {x ∈ R2 | x ≤ 1} per la relazione che identifica i punti del bordo opposti: per meglio dire X = D2 / ∼, dove x∼y

se

x=y

oppure se

x = y = 1, x = −y.

Vogliamo mostrare che X è omeomorfo al piano proiettivo reale P2 (R). Per iniziare identifichiamo il disco D2 con la calotta sferica superiore 2 = {(x, y, z) ∈ R3 | x2 + y 2 + z 2 = 1, z ≥ 0} ⊂ S 2 S+ 2 tramite l’omeomorfismo S+ → D2 dato da (x, y, z) → (x, y). Lo spazio X 2 è quindi omeomorfo a S+ / ∼, dove ∼ è la relazione che identifica il punto 2 2 (x, y, 0) ∈ S+ con il suo antipodo (−x, −y, 0). Denotando con i : S+ → S2 2 2 2 l’inclusione e con π : S → P (R), p : S+ → X le proiezioni al quoziente, abbiamo un diagramma commutativo di applicazioni continue i

2 S⏐+ −→ ⏐p 

S⏐2 ⏐π 

j

X −→ P2 (R) L’applicazione j è inoltre bigettiva e va da un compatto ad uno spazio di Hausdorff: dunque j è un omeomorfismo. Esempio 5.21. Per ogni indice i = 0, . . . , n il sottoinsieme Ai = {[x0 , . . . , xn ] ∈ Pn (R) | xi = 0} è un aperto omeomorfo a Rn ed il ricoprimento {A0 , . . . , An } è fondamentale. Infatti, denotando con π : Rn+1 − {0} → Pn (R) la proiezione al quoziente, si ha che π −1 (Ai ) = {(x0 , . . . , xn ) ∈ Rn+1 − {0} | xi = 0} è un aperto. L’applicazione f : Rn → A0 ,

f (y1 , . . . , yn ) = [1, y1 , . . . , yn ]

è continua e bigettiva. Inoltre f −1 π : π −1 (A0 ) → Rn ,

f −1 π(x0 , x1 , . . . , xn ) =



x1 xn ,..., x0 x0

 .

5.4 Gli spazi proiettivi

103

è continua e per la proprietà universale delle identificazioni, anche f −1 è continua. Infine, una semplice permutazione degli indici ci dà un omeomorfismo A0  Ai per ogni indice i. Gli spazi proiettivi complessi si definiscono in modo del tutto simile a quelli reali. Per definizione Pn (C) è il quoziente di Cn+1 − {0} per la relazione di equivalenza x ∼ y se esiste λ ∈ C − {0} tale che x = λy, e quindi P (C) = (Cn+1 − {0})/G, dove G è il gruppo delle omotetie complesse. Poniamo su Pn (C) la topologia quoziente. n

Proposizione 5.22. Gli spazi proiettivi, reali e complessi, sono spazi topologici connessi, compatti e di Hausdorff. Dimostrazione. Le applicazioni di proiezione S n → Pn (R),

S 2n+1 = {z ∈ Cn+1 | z = 1} → Pn (C)

sono continue e surgettive; questo prova che gli spazi proiettivi sono compatti e connessi. Abbiamo già dimostrato che gli spazi proiettivi reali sono di Hausdorff, consideriamo quindi il caso complesso. Per la Proposizione 5.16, lo spazio Pn (C) è di Hausdorff se e solo se K = {(x, y) ∈ (Cn+1 − {0}) × (Cn+1 − {0}) | x = λy} è chiuso. Interpretando ogni elemento di Cn+1 come un vettore colonna, si ha che (Cn+1 − {0}) × (Cn+1 − {0}) coincide con lo spazio delle matrici (n + 1) × 2 con entrambe le colonne non nulle e di conseguenza K corrisponde all’intersezione di (Cn+1 − {0}) × (Cn+1 − {0}) con l’insieme delle matrici di rango 1. Tale insieme è chiuso in quanto è definito dall’annullarsi dei determinanti minori di ordine 2.  

Esercizi 5.17. Dimostrare che le applicazioni di proiezione S n → Pn (R),

S 2n+1 = {z ∈ Cn+1 | z = 1} → Pn (C)

sono identificazioni chiuse. 5.18. Verificare che l’applicazione P1 (R) → S 1 ,   2 x0 − x21 2x0 x1 [x0 , x1 ] → , x20 + x21 x20 + x21 è un omeomorfismo.

104

5 Quozienti topologici

5.19. Verificare che l’applicazione P1 (C) → S 2 ,   |z0 |2 − |z1 |2 z 0 z1 − z 1 z0 z 0 z1 + z 1 z0 , , [z0 , z1 ] → |z0 |2 + |z1 |2 |z0 |2 + |z1 |2 |z0 |2 + |z1 |2 è un omeomorfismo. 5.20. Una proiettività di Pn (R) è un’applicazione Pn (R) → Pn (R) indotta per passaggio al quoziente da un’applicazione lineare iniettiva Rn+1 → Rn+1 . Dimostrare che le proiettività sono omeomorfismi. 5.21. Si consideri il sottoinsieme Z ⊂ P1 (R)×R4 formato dalle coppie ([x0 , x1 ], (a1 , a2 , a3 , a4 )) tali che x40 + a1 x30 x1 + a2 x20 x21 + a3 x0 x31 + a4 x41 = 0 Dimostrare che Z è chiuso nel prodotto e dedurne che l’insieme dei vettori (a1 , a2 , a3 , a4 ) ∈ R4 tali che il polinomio monico t4 + a1 t3 + a2 t2 + a3 t + a4 possiede almeno una radice reale è chiuso in R4 . 5.22 (Le Grassmanniane, K). Dati due interi 0 < k < n denotiamo con G(k, Rn ) l’insieme dei sottospazi vettoriali di Rn che hanno dimensione k e con Xn,k = {A ∈ Mn,k (R) | rango(A) = k} l’insieme delle matrici n × k di rango massimo. Esiste una ovvia applicazione surgettiva π : Xn,k → G(k, Rn ) che ad ogni matrice associa il sottospazio generato dalle proprie colonne. Dotiamo Xn,k della topologia di sottospazio e G(k, Rn ) della topologia quoziente. Dimostrare che: 1. L’applicazione GL+ (n, R) → Xn,k di proiezione sulle prime k colonne è aperta e surgettiva. Dedurre che G(k, Rn ) è uno spazio topologico connesso. 2. Si ha π(A) = π(B) se e solo se A = BC per qualche C ∈ GL(k, R). Dedurre che π è una identificazione aperta. 3. La ovvia composizione SO(n, R) → GL+ (n, R) → Xn,k → G(k, Rn ) è surgettiva; dedurre che G(k, Rn ) è compatto. 4. Lo spazio topologico G(k, Rn ) è di Hausdorff. (Sugg.: per una data coppia di matrici (A, B) ∈ Xn,k × Xn,k vale π(A) = π(B) se e solo se la matrice (A, B) ∈ Mn,2k ha rango ≤ k.) 5. Dato un sottospazio H ⊂ Rn di dimensione n − k, l’insieme dei sottospazi V ∈ G(k, Rn ) tali che V ∩ H = 0 è un aperto denso di G(k, Rn ). 6. Usare i determinanti dei minori  per definire un’applicazione continua Xn,k → RN − {0}, con N = nk , che si fattorizza ad un’applicazione continua ed iniettiva p : G(k, Rn ) → PN −1 (R).

5.5 Spazi localmente compatti

105

5.23 (K). Siano X uno spazio topologico, n un intero fissato e sia dato, per ogni punto x ∈ X un sottospazio proiettivo Lx ⊂ Pn (R). Si assuma inoltre che il sottoinsieme Z = {(x, p) ∈ X × Pn (R) | p ∈ Lx } sia chiuso nel prodotto. Dimostrare che per ogni k ≤ n il sottoinsieme Uk = {x ∈ X | dim Lx < k} è aperto in X. (Sugg.: x ∈ Uk se e solo se esiste un sottospazio proiettivo H ⊂ Pn (R) di dimensione n − k tale che L ∩ Lx = ∅.) Come può essere usato tale risultato per studiare l’applicazione che ad ogni matrice A ∈ Mn,n (R) associa il sottospazio vettoriale LA delle matrici B ∈ Mn,n (R) tali che AB = BA?

5.5 Spazi localmente compatti Definizione 5.23. Uno spazio topologico si dice localmente compatto se ogni suo punto possiede un intorno compatto. Esempio 5.24. Gli aperti di Rn sono localmente compatti. Infatti se U ⊂ Rn è un aperto e x ∈ U esiste r > 0 tale che B(x, r) ⊂ U ; per ogni 0 < R < r la palla chiusa B(x, R) è un intorno compatto di x in U . Segue immediatamente dalla definizione che ogni spazio compatto è localmente compatto. Proposizione 5.25. Ogni sottospazio chiuso di uno spazio localmente compatto è localmente compatto. Il prodotto di due spazi localmente compatti è localmente compatto. Dimostrazione. Sia Y un sottospazio chiuso di uno spazio localmente compatto X. Per ogni punto y ∈ Y esiste un intorno compatto y ∈ U ⊂ X. L’intersezione Y ∩ U è un intorno di y in Y ed è anche compatto in quanto sottoinsieme chiuso di U . Se X, Y sono due spazi localmente compatti ed (x, y) ∈ X × Y , allora, presi due intorno compatti x ∈ U ⊂ X e y ∈ V ⊂ Y , il loro prodotto U × V è un intorno compatto di (x, y).   Al pari della compattezza, la locale compattezza diventa una proprietà particolarmente utile quando riguarda gli spazi di Hausdorff. Teorema 5.26. In uno spazio topologico localmente compatto di Hausdorff ogni punto possiede un sistema fondamentale di intorni compatti.

106

5 Quozienti topologici

Dimostrazione. Siano x un punto di uno spazio di Hausdorff X e K un suo intorno compatto; dimostriamo che la famiglia degli intorni compatti di x contenuti in K è un sistema fondamentale di intorni. Sia U un aperto di X che contiene x, consideriamo il compatto A = K − U e le inclusioni {x} × A ⊂ K × K − Δ ⊂ K × K, dove Δ è la diagonale. Per il teorema di Wallace esistono due aperti disgiunti V, W ⊂ K tali che x ∈ V e A ⊂ W . Il sottoinsieme V ∩ K o è aperto in K o e quindi è aperto anche in X. Siccome K è chiuso in X, anche K − W è chiuso in X e quindi la chiusura di V in X è contenuta in K − W . Dunque x ∈ V ∩ Ko ⊂ V ⊂ K − W ⊂ K − A = K ∩ U e V è un intorno compatto di x contenuto in K ∩ U .

 

Corollario 5.27. Siano f : X → Y una identificazione e Z uno spazio topologico localmente compatto di Hausdorff. Allora anche f × Id : X × Z → Y × Z,

(x, z) → (f (x), z),

è una identificazione. Dimostrazione. Indichiamo per semplicità notazionale F = f × Id. L’osservazione chiave è la seguente: se A ⊂ X × Z è F -saturo, allora per ogni B ⊂ Z, il sottoinsieme (A : B), che ricordiamo essere definito come (A : B) = {x ∈ X | {x} × B ⊂ A}, è f -saturo. Dobbiamo dimostrare che se x ∈ (A : B), x ∈ X e f (x) = f (x ), allora anche x ∈ (A : B): questo è del tutto chiaro poiché per ogni b ∈ B si ha (x, b) ∈ A, F (x, b) = F (x , b) e siccome A è saturo ne consegue (x , b) ∈ A. Sia dunque U ⊂ Y ×Z un sottoinsieme tale che A = F −1 (U ) è un aperto di X × Z e sia (y, z) ∈ U ; vogliamo trovare due intorni V ⊂ Y e W ⊂ Z tali che (y, z) ∈ V × W ⊂ U . Scegliamo un punto x ∈ X tale che f (x) = y. Siccome Z è localmente compatto, per il Teorema 5.26 possiamo trovare un intorno compatto W di z tale che {x} × W ⊂ A. Adesso la proiezione π : X × W → X è chiusa e quindi (A : W ) = X − π(X × W − A) è un aperto che abbiamo visto essere f -saturo. Per definizione di identificazione V = f ((A : W )) è un aperto e vale (y, z) ∈ V × W ⊂ U . Osserviamo infine che se f è aperta, allora anche f ×Id è aperta ed il risultato è banalmente vero senza alcuna ipotesi sulla locale compattezza di Z.   Abbiamo visto nell’Esercizio 5.12 che il risultato del Corollario 5.27 è falso senza l’ipotesi di locale compattezza di Z.

5.6 Il teorema fondamentale dell’algebra 

107

Esercizi 5.24. Sia A ⊂ R2 l’unione delle rette di equazione y = nx, al variare di n tra tutti gli interi positivi. Dimostrare che A non è localmente compatto e che l’applicazione surgettiva R×N → A, (t, n) → (t, nt), non è una identificazione. Mostrare inoltre che R × N è localmente compatto di Hausdorff e che il suo quoziente R × N/{0} × N è di Hausdorff ma non localmente compatto. 5.25. Sia Y = X/ ∼ un quoziente topologico; dimostrare che se X è compattamente generato (Esercizio 4.35) e Y è di Hausdorff, allora anche Y è compattamente generato. 5.26. Sia X uno spazio topologico localmente compatto. Dimostrare che ogni sottospazio compatto possiede un intorno compatto, ossia che per ogni compatto K ⊂ X esiste un compatto H ⊂ X tale che K ⊂ H ◦ . 5.27. Sia Y un sottospazio denso di uno spazio di Hausdorff X. Dimostrare che se Y è localmente compatto, allora Y è aperto in X. 5.28 (K). Sia f : X → Y un’applicazione continua tra spazi localmente compatti di Hausdorff e sia K ⊂ Y un sottospazio compatto tale che f −1 (K) è compatto in X. Dimostrare che esistono due aperti f −1 (K) ⊂ U , K ⊂ V tali che f (U ) ⊂ V e la restrizione f : U → V è un’applicazione propria (Esercizio 4.36). (Sugg.: sia W un intorno compatto di f −1 (K); si osservi che K ∩ f (∂W ) = ∅ e si consideri U = W − f −1 (f (∂W )).)

5.6 Il teorema fondamentale dell’algebra  Abbiamo tutti gli ingredienti per illustrare la più classica dimostrazione del teorema fondamentale dell’algebra, che utilizza metodi di topologia generale. In seguito ne daremo un’altra che utilizza la teoria dell’omotopia (Corollario 15.26). Lemma 5.28. Sia p(z) un polinomio di grado positivo a coefficienti complessi. Se p(0) = 0, allora esiste z ∈ C tale che |p(z)| < |p(0)|. Dimostrazione. Indichiamo con k > 0 la molteplicità di 0 come radice del polinomio p(z) − p(0). Possiamo quindi scrivere p(z) = p(0) − z k (b0 + b1 z + · · · + br z r ),

con b0 = 0.

p(0) e consideriamo la funzione continua b0   r     k k+1 k+i i−1  bi c t  . g(t) = |p(ct)| = p(0) − t p(0) − t  

Sia c una radice k-esima di g : [0, 1] → R,

i=1

108

5 Quozienti topologici

Per la disuguaglianza triangolare g(t) ≤ |p(0)|(1 − t ) + t k

k+1

 r     k+i i−1  bi c t  .    i=1

Per ipotesi |p(0)| > 0 e quindi per t positivo e sufficientemente piccolo vale g(t) < g(0).   Teorema 5.29. Sia p(z) un polinomio di grado positivo a coefficienti complessi. Allora esiste z0 ∈ C tale che p(z0 ) = 0. Dimostrazione. Non è restrittivo supporre che p(z) sia un polinomio monico, ossia p(z) = z n + an−1 z n−1 + · · · + a0 , n > 0. Consideriamo la funzione continua f : C → [0, +∞[ definita come f (z) = |p(z)| e mostriamo che possiede un punto di minimo assoluto. Dalla disuguaglianza triangolare segue che  n−1  |ai |  . f (z) = |p(z)| ≥ |z | − |ai ||z| = |z | 1 − |z|n−i i=0 i=0 n

n−1 

i

n

Scegliamo un numero reale R > 0 sufficientemente grande e tale che |a0 | 1 < , n R 2

n−1  i=0

|ai | 1 < . n−i R 2

Per ogni z ∈ C tale che |z| ≥ R vale  n−1  |ai |  |z|n Rn f (z) ≥ |z n | 1 − ≥ ≥ |a0 | = f (0) ≥ Rn−i 2 2 i=0 e quindi il minimo assoluto della funzione f sul compatto {z | |z| ≤ R} è anche un minimo assoluto per la funzione f definita su tutto il piano complesso. Abbiamo quindi dimostrato che la funzione |p(z)| possiede un punto, chiamamolo z0 , di minimo assoluto. Dunque la funzione g(z) = |p(z + z0 )| possiede 0 come punto di minimo assoluto; per il Lemma 5.28 il polinomio q(z) = p(z + z0 ) si annulla in 0 e quindi p(z0 ) = 0.   Definizione 5.30. Per ogni intero positivo n, le funzioni simmetriche elementari σ1 , . . . , σn : Cn → C sono le funzioni definite dalla relazione tn + σ1 (z1 , . . . , zn )tn−1 + · · · + σn (z1 , . . . , zn ) =

n 

(t + zi ).

i=1

5.6 Il teorema fondamentale dell’algebra 

109

Per meglio dire, i valori delle funzioni simmetriche elementari calcolate su di una n-upla di numeri complessi (a1 , . . . , an ) sono i coefficienti del polinomio monico di grado n che ha come radici −a1 , . . . , −an . Per n = 3 le funzioni simmetriche elementari sono σ1 = z1 + z2 + z3 ,

σ2 = z1 z2 + z2 z3 + z3 z1 ,

σ3 = z1 z2 z3 .

Lemma 5.31. L’applicazione σ : Cn → C n ,

σ(z) = (σ1 (z), . . . , σn (z)),

è una identificazione chiusa. Dimostrazione. Segue dal teorema fondamentale dell’algebra che σ è surgettiva; dimostriamo che è un’applicazione chiusa. Denotiamo con Vn ∼ = Cn+1 lo spazio vettoriale dei polinomi omogenei di grado n a coefficienti complessi nelle variabili t0 , t1 e con P(Vn ) ∼ = Pn (C) il suo proiettivizzato. L’applicazione g : Cn → P(Vn ),

g(a1 , . . . , an ) = [tn1 + a1 t0 tn−1 + · · · + an tn0 ] 1

induce un omeomorfismo tra Cn e l’aperto U = {[h(t0 , t1 )] ∈ P(Vn ) | h(0, 1) = 0}. Se denotiamo con p : P(V1 )n → P(Vn ) l’applicazione indotta dal prodotto p([u1 t1 + z1 t0 ], . . . , [un t1 + zn t0 ]) = [(u1 t1 + z1 t0 ) · · · (un t1 + zn t0 )], allora, essendo P(V1 )n compatto e P(Vn ) di Hausdorff, l’applicazione p è chiusa e, per la formula di proiezione, anche la restrizione p : p−1 (U ) → U è chiusa. Basta adesso osservare che l’applicazione f : Cn → p−1 (U ),

f (z1 , . . . , zn ) = ([t1 + z1 t0 ], . . . , [t1 + zn t0 ])

è un omeomorfismo e che il seguente diagramma è commutativo σ

−→

C⏐n ⏐f 

C⏐n ⏐g 

 

p

P(V1 ) −→ P(Vn ). n

Ogni permutazione τ di {1, . . . , n} induce, per permutazione degli indici, un omeomorfismo τ : Cn → Cn definito dalla relazione τ −1 (z1 , . . . , zn ) = (zτ (1) , . . . , zτ (n) ). Esiste dunque una rappresentazione del gruppo simmetrico Σn come un sottogruppo di Omeo(Cn ) ed ha senso considerare lo spazio quoziente Cn /Σn .

110

5 Quozienti topologici

Teorema 5.32. Nelle notazioni precedenti l’applicazione σ induce, per passaggio al quoziente, un omeomorfismo Cn /Σn  Cn . In particolare σ è una identificazione aperta e chiusa. Dimostrazione. Segue dalla definizione delle funzioni simmetriche elementari che σ è costante sulle orbite di Σn e quindi, per la Proposizione 5.8, esiste un diagramma commutativo di applicazioni continue. Cn

/ Cn w; w w ww ww h w w σ

 Cn /Σn

Sappiamo dall’algebra che ogni polinomio di grado n determina univocamente n radici a meno dell’ordine e quindi l’applicazione h è bigettiva. Per il Lemma 5.31 l’applicazione σ è una identificazione e di conseguenza h è un omeomorfismo. Per la Proposizione 5.15, la proiezione Cn → Cn /Σn è aperta e chiusa e quindi anche σ è aperta e chiusa.  

Esercizi 5.29. Consideriamo l’insieme Y ⊂ Rn formato dai vettori (a1 , . . . , an ) tali che il polinomio tn + a1 tn−1 + · · · + an possiede almeno un fattore multiplo. Dimostrare che Y è chiuso in Rn . (Sugg.: denotiamo con Vd lo spazio vettoriale dei polinomi omogenei di grado d a coefficienti reali nelle variabili t0 , t1 . L’applicazione g : Rn → P(Vn ),

g(a1 , . . . , an ) = [tn1 + a1 t0 tn−1 + · · · + an tn0 ] 1

è continua e Y = ∪2d≤n g −1 (Zd ), dove Zd è l’immagine dell’applicazione chiusa P(Vd ) × P(Vn−2d ) → P(Vn ),

([p], [q]) → [p2 q].)

5.30 (K). Dimostrare che, per n ≥ 2, non esiste alcuna applicazione continua s : Cn → Cn tale che σs = Id. (Sugg.: può risultare utile restringere l’applicazione σ allo spazio delle configurazioni introdotto nell’Esercizio 4.11). 5.31 (K,♥). Denotiamo con C[t]n lo spazio dei polinomi monici a coefficienti complessi di grado n; la struttura di spazio affine lo rende naturalmente uno spazio topologico omeomorfo a Cn . Dimostrare che: 1. Il sottospazio di C[t]n formato dai polinomi che hanno radici multiple è chiuso e connesso, il suo complementare è denso e connesso per archi.

5.6 Il teorema fondamentale dell’algebra 

111

2. L’applicazione Mn,n (C) → C[t]n ,

A → det(A + tI),

è una identificazione aperta. 3. Il sottoinsieme di Mn,n (C) formato dalle matrici diagonalizzabili contiene un aperto denso (si noti che la matrice nulla contiene in ogni suo intorno matrici non diagonalizzabili).

6 Successioni

I primi termini di una celebre successione della filmografia italiana del XX secolo sono: fischio maschio senza raschio, vischio maschio senza fischio, rischio maschio senza whisky, fischi maschio senza raschio, whiskio fischio senza maschio, . . . È ragionevole attendersi che questa successione converga? che abbia punti di accumulazione? che ammetta sottosuccessioni convergenti? Questo capitolo ci aiuterà a capire tali domande ed a fornire plausibili risposte.

6.1 Proprietà di numerabilità Definizione 6.1. Uno spazio topologico si dice a base numerabile se esiste una base della topologia formata da una quantità numerabile di aperti. Alcuni autori chiamano secondo assioma di numerabilità la proprietà di essere a base numerabile. Esempio 6.2. La retta euclidea R è a base numerabile: la famiglia { ]c, d[ | c, d ∈ Q} degli intervalli aperti ad estremi razionali è numerabile ed è una base della topologia euclidea. Infatti ogni aperto di R è unione di intervalli aperti, e per ogni intervallo ]a, b[ vale ]a, b[=



{ ]c, d[ | a ≤ c < d ≤ b, c, d ∈ Q}.

Esempio 6.3. Ogni sottospazio di uno spazio a base numerabile è a base numerabile: infatti se B è una base numerabile di uno spazio X e Y ⊂ X, allora {A ∩ Y | A ∈ B} è una base numerabile del sottospazio Y . M. Manetti: Topologia, 2a edizione, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 78, DOI: 10.1007/978-88-470-5662-6_6, © Springer-Verlag Italia 2014

114

6 Successioni

Esempio 6.4. Il prodotto di due spazi topologici a base numerabile è ancora a base numerabile. Difatti si mostra facilmente che se A è una base di aperti di X e B è una base di aperti di Y , allora la famiglia C = {A × B | A ∈ A, B ∈ B} è una base di aperti del prodotto X × Y . Se A e B sono entrambe numerabili, anche C è numerabile. È invece facile esibire esempi dove il quoziente di uno spazio a base numerabile non è a base numerabile, come ad esempio nell’Esercizio 6.1. Ricordiamo (Definizione 3.14) che un sottoinsieme di uno spazio topologico si dice denso se interseca ogni aperto non vuoto. Definizione 6.5. Uno spazio topologico si dice separabile se contiene un sottoinsieme denso e numerabile. Lemma 6.6. Ogni spazio topologico a base numerabile è separabile. Dimostrazione. Sia B una base numerabile di uno spazio topologico X; per ogni aperto U ∈ B scegliamo un punto pU ∈ U . Allora l’insieme di tali punti E = {pU | U ∈ B} è numerabile, interseca ogni aperto della base ed è quindi denso.   Lemma 6.7. Ogni spazio metrico separabile è a base numerabile. Dimostrazione. Sia (X, d) uno spazio metrico separabile e scegliamo un sottoinsieme E ⊂ X denso e numerabile. È sufficiente dimostrare che la famiglia numerabile di palle aperte B = {B(e, 2−n ) | e ∈ E, n ∈ N} è una base della topologia. Siano U un aperto di X ed x ∈ U ; sia inoltre n ∈ N un intero tale che B(x, 21−n ) ⊂ U . Poiché E è denso esiste e ∈ E ∩ B(x, 2−n ); per simmetria il punto x appartiene alla palla B(e, 2−n ) e per la disuguaglianza triangolare B(e, 2−n ) ⊂ B(x, 21−n ) ⊂ U .   Esempio 6.8. Indichiamo 2 (R) l’insieme di tutte le successioni {an } di  con 2 numeri reali tali che n an < +∞ e, per ogni a = {an } ∈ 2 (R), denotiamo !∞ ! a = " a2 . n

n=1

Siccome per ogni a, b ∈ R vale (a + b)2 + (a − b)2 = 2(a2 + b2 ), è immediato dimostrare che 2 (R) è un sottospazio vettoriale dello spazio di tutte le successioni.

6.1 Proprietà di numerabilità

115

Date due successioni {an }, {bn } ∈ 2 (R), per ogni N > 0 vale la disuguaglianza triangolare !N !N !N ! ! ! " " 2 2 (an − bn ) ≤ an + " b2n . n=1

n=1

n=1

Passando al limite per N → ∞ troviamo la relazione a − b ≤ a + b e quindi 2 (R) è uno spazio metrico dotato della distanza d(a, b) = a − b . Consideriamo il sottoinsieme numerabile E ⊂ 2 (R) formato dalle successioni di numeri razionali definitivamente nulle. Data una qualsiasi successione a = {an } ∈ 2 (R) ed un qualunque numero reale ε > 0, possiamo trovare un intero N > 0 e N numeri razionali b1 , . . . , bN tali che  ε per ogni n ≤ N. a2n < ε, (an − bn )2 < N n>N

Se consideriamo la successione b = (b1 , b2 , . . . , bN , 0, 0, . . .) si ha   (an − bn )2 + a2n < 2ε . a − b 2 = n≤N

n>N

Abbiamo quindi dimostrato che E è un sottoinsieme denso, lo spazio metrico 2 (R) è separabile e, per il Lemma 6.7, è anche a base numerabile. Proposizione 6.9. In uno spazio topologico a base numerabile, ogni ricoprimento aperto ammette un sottoricoprimento numerabile. Dimostrazione. Siano X uno spazio topologico a base numerabile e A un suo ricoprimento aperto. Fissiamo una base numerabile B della topologia, e per ogni x ∈ X si scelgano un aperto Ux ∈ A ed un elemento Bx ∈ B tali che x ∈ Bx ⊂ Ux . La famiglia di aperti B = {Bx | x ∈ X} è un sottoricoprimento di B ed è quindi numerabile. Possiamo trovare un sottoinsieme numerabile E ⊂ X tale che B = {Bx | x ∈ E} e di conseguenza la famiglia {Ux | x ∈ E} è un sottoricoprimento numerabile di A.   Definizione 6.10. Uno spazio topologico soddisfa il primo assioma di numerabilità se ogni punto possiede un sistema fondamentale di intorni numerabile. Diremo anche che uno spazio topologico è primo-numerabile1 per indicare che soddisfa il primo assioma di numerabilità. 1

Primo-numerabile è la traduzione brutale del termine first-countable usato in lingua inglese. Lo abbiamo preferito a base locale numerabile per evitare possibili confusioni con il secondo assioma di numerabilità.

116

6 Successioni

Se uno spazio topologico soddisfa il secondo assioma di numerabilità, allora soddisfa anche il primo. Infatti, se B è una base numerabile, allora gli aperti di B che contengono un dato punto x formano un sistema fondamentale di intorni di x. Lemma 6.11. Gli spazi metrici soddisfano il primo assioma di numerabilità. Dimostrazione. Sia x un punto in uno spazio metrico, allora la famiglia di palle   aperte {B(x, 2−n ) | n ∈ N} è un sistema fondamentale di intorni di x. Il prossimo esempio mostra che non tutti gli spazi primo-numerabili sono metrizzabili. Esempio 6.12. La retta di Sorgenfrey (Esempio 3.9), che indicheremo con RSf , è separabile e primo-numerabile, ma non è a base numerabile. In particolare non è metrizzabile. Infatti il sottoinsieme dei numeri razionali è denso in RSf e quindi la retta di Sorgenfrey è separabile. Per ogni numero reale a, la famiglia numerabile di aperti {[a, a + 2−n [ | n ∈ N} è un sistema fondamentale di intorni di a. Sia B una base di aperti di RSf ; per ogni x ∈ RSf l’aperto [x, +∞[ contiene x e quindi esiste U (x) ∈ B tale che x ∈ U (x) e U (x) ⊂ [x, +∞[. In particolare, se x < y, allora x ∈ U (y) e quindi U (x) = U (y): dunque l’applicazione RSf → B, x → U (x), è iniettiva e B non è numerabile. Teorema 6.13. Sia X uno spazio topologico localmente compatto di Hausdorff a base numerabile. Allora esiste una esaustione in compatti di X, ossia esiste una successione di sottospazi compatti K1 ⊂ K 2 ⊂ · · · ◦ che ricopre X e tale che Kn ⊂ Kn+1 per ogni n.

Dimostrazione. Sia B una base numerabile di X e denotiamo con Bc ⊂ B la sottofamiglia degli aperti che hanno chiusura compatta. Siccome X è localmente compatto di Hausdorff, la famiglia Bc è un ricoprimento di X. Denotiamo con A la famiglia delle unioni finite di elementi di Bc . Per costruzione A è al più numerabile, ogni A ∈ A ha chiusura compatta e per ogni compatto K ⊂ X esiste A ∈ A tale che K ⊂ A. Fissiamo un’applicazione surgettiva g : N → Bc e definiamo per ricorrenza una successione di compatti K1 ⊂ K2 ⊂ · · · ponendo K1 = g(1),

Kn = An ∪ g(n),

dove An è un aperto di A scelto tra quelli che contengono Kn−1 . La famiglia Kn è una esaustione in compatti di X.  

6.1 Proprietà di numerabilità

117

Esercizi 6.1 (♥). Dati due numeri reali x, y ∈ R, definiamo x ∼ y se x = y oppure se x, y ∈ Z. Dimostrare che R/ ∼ non soddisfa il primo assioma di numerabilità. 6.2. Sia B una base di uno spazio topologico a base numerabile. Dimostrare che esiste una sottofamiglia numerabile C ⊂ B che è una base della topologia. 6.3. Sia f : X → Y continua e surgettiva. Provare che se X è separabile allora anche Y è separabile. Se in aggiunta f è aperta e X ha una base numerabile, allora anche Y ha una base numerabile. 6.4. Provare che il prodotto di due spazi separabili è separabile. Trovare un esempio di spazio separabile e di un suo sottospazio non separabile. (Sugg.: Esercizio 3.62.) 6.5. Siano X, Y due spazi topologici e sia f : X → Y un’applicazione continua, chiusa e surgettiva tale che f −1 (y) è compatto per ogni y ∈ Y . Si dimostri che se X è a base numerabile, allora anche Y è a base numerabile. 6.6 (K). Consideriamo una famiglia di copie disgiunte Ra della retta reale parametrizzate da a ∈ ] − π/2, π/2[ e le applicazioni continue fa : (Ra − {0})× ] − 1, 1[ → R2 ,   sin(a) cos(a) − t sin(a), + t cos(a) . fa (x, t) = x x Indichiamo con X il quoziente topologico dell’unione disgiunta di R2 e di tutte le strisce Ra × ] − 1, 1[: X=

R2 ∪a Ra × ] − 1, 1[ ∼

per la più piccola relazione di equivalenza tale che (x, t) ∼ fa (x, t),

per

(x, t) ∈ (Ra − {0})× ] − 1, 1[.

Dimostrare che: 1. X è connesso, separabile, di Hausdorff ed ogni punto possiede un intorno aperto omeomorfo a R2 . 2. X contiene un sottoinsieme discreto di cardinalità più che numerabile. In particolare X non è a base numerabile. 3. X non è unione numerabile di compatti.

118

6 Successioni

6.2 Successioni Una successione in uno spazio topologico X è un’applicazione a : N → X; è consuetudine considerare il dominio come insieme di indici e scrivere ai in luogo di a(i). Definizione 6.14. Sia {an } una successione in uno spazio topologico X. Diremo che: 1. La successione converge ad un punto p ∈ X se per ogni intorno U di p esiste N ∈ N tale che an ∈ U per ogni n ≥ N . 2. Un punto p ∈ X è di accumulazione della successione, se per ogni intorno U di p e per ogni N ∈ N esiste n ≥ N tale che an ∈ U . Se una successione converge a p allora p è anche un punto di accumulazione; il viceversa è generalmente falso. In uno spazio di Hausdorff ogni successione converge al più ad un punto. Supponiamo che la successione {an } converga a due punti distinti p e q; se X è di Hausdorff, allora esistono due intorni disgiunti p ∈ U , q ∈ V e due numeri interi N, M tali che an ∈ U per ogni n ≥ N e an ∈ V per ogni n ≥ M ; perciò per ogni n ≥ max(N, M ) si ha an ∈ U ∩ V in contraddizione con l’ipotesi U ∩ V = ∅. Definizione 6.15. Diremo che una successione {an } in X è convergente se converge a qualche punto p ∈ X. Se inoltre X è di Hausdorff, diremo anche che p è il limite di {an } e scriveremo an → p,

oppure

lim an = p.

n→∞

Definizione 6.16. Una sottosuccessione di una successione a : N → X è la composizione di a con un’applicazione k : N → N strettamente crescente. Lemma 6.17. Sia {an } una successione in uno spazio topologico X. Se esiste una sottosuccessione {ak(n) } che converge ad un punto p ∈ X, allora p è un punto di accumulazione di {an }. Dimostrazione. Sia U un intorno di p. Per definizione di convergenza esiste un intero N tale che ak(n) ∈ U per ogni n ≥ N . Dato un qualsiasi intero M possiamo trovare un intero m tale che ak(m) ∈ U e k(m) ≥ M : quindi p è di accumulazione per {an }.   Negli spazi che soddisfano gli assiomi di numerabilità, molte proprietà topologiche possono essere definite in termini di successioni e sottosuccessioni. Per non annoiare troppo il lettore affronteremo tale aspetto solamente per quanto riguarda chiusura e compattezza.

6.2 Successioni

119

Proposizione 6.18. Sia X uno spazio topologico che soddisfa il primo assioma di numerabilità e sia A ⊂ X un sottoinsieme. Per un punto x ∈ X, le seguenti condizioni sono equivalenti: 1. Esiste una successione a valori in A che converge ad x. 2. Il punto x è di accumulazione di una successione a valori in A. 3. Il punto x appartiene alla chiusura di A. Dimostrazione. L’implicazione (1)⇒(2) è chiara; dimostriamo che (2)⇒(3). Supponiamo che x sia un punto di accumulazione di una successione a : N → A e denotiamo A = a(N); per ogni intorno U di x si ha U ∩ A = ∅ e quindi x ∈ A ⊂ A. Per quanto concerne (3)⇒(1), sia {Un | n ∈ N} un sistema fondamentale numerabile di intorni di x. Sicome x ∈ A, per ogni n vale U1 ∩ · · · ∩ Un ∩ A = ∅ e possiamo scegliere un punto an ∈ U1 ∩ · · · ∩ Un ∩ A. La successione {an } converge ad x: difatti se U è un intorno di x, allora esiste un intero N tale che UN ⊂ U e quindi an ∈ UN ⊂ U per ogni n ≥ N .   Lemma 6.19. In uno spazio topologico compatto, ogni successione possiede punti di accumulazione. Dimostrazione. Siano X uno spazio compatto e a : N → X una successione. Per ogni m definiamo Cm = {an | n ≥ m} ⊂ X. Per definizione un punto x ∈ X è di accumulazione per la successione a se x ∈ Cm per ogni m. Per la Proposizione 4.46, la catena discendente numerabile di chiusi non vuoti Cm ha intersezione non vuota.   Definizione 6.20. Uno spazio topologico X si dice compatto per successioni se ogni successione in X possiede una sottosuccessione convergente. Lemma 6.21. Uno spazio topologico primo-numerabile è compatto per successioni se e solo se ogni successione possiede punti di accumulazione. In particolare ogni spazio topologico compatto primo-numerabile è anche compatto per successioni. Dimostrazione. Il “solo se” segue direttamente dalle definizioni e dal Lemma 6.17. Viceversa, supponiamo che ogni successione abbia punti di accumulazione e mostriamo che X è compatto per successioni. Sia {an } una qualsiasi successione in X; dobbiamo dimostrare che possiede una sottosuccessione convergente. Sia p un punto di accumulazione di {an } e sia {Um } un sistema fondamentale numerabile di intorni di p. A meno di sostituire Um con U1 ∩ · · · ∩ Um non è restrittivo supporre Um+1 ⊂ Um per ogni m. Il fatto che p sia di accumulazione permette di definire per ricorrenza una successione di interi k(m) tale che k(m + 1) > k(m) e ak(m) ∈ Um per ogni m. In particolare la sottosuccessione ak(m) converge a p.  

120

6 Successioni

Proposizione 6.22. Per uno spazio topologico X a base numerabile le seguenti condizioni sono equivalenti: 1. Lo spazio X è compatto. 2. Ogni successione in X possiede punti di accumulazione. 3. Lo spazio X è compatto per successioni. Dimostrazione. Abbiamo già dimostrato che l’implicazione (1)⇒(2) è sempre vera e che (2)⇒(3) è vera per ogni spazio che soddisfa il primo assioma di numerabilità. Rimane da dimostrare che se X ha una base numerabile, allora (3)⇒(1). Supponiamo che X non sia compatto e mostriamo che esiste una successione in esso senza sottosuccessioni convergenti. Sia A un ricoprimento aperto di X che non possiede sottoricoprimenti finiti; per la Proposizione 6.9 il ricoprimento A possiede un sottoricoprimento numerabile {An | n ∈ N}. A maggior ragione {An | n ∈ N} non possiede sottoricoprimenti finiti; dunque per ogni n ∈ N esiste an ∈ X −∪nj=1 Aj . Proviamo che ogni sottosuccessione di {an } non è convergente. Per qualunque applicazione strettamente crescente k : N → N e qualsivoglia p ∈ X esiste N tale che p ∈ AN , quindi ak(n) ∈ AN per ogni k(n) ≥ N ; in particolare {ak(n) } non converge a p.   Osservazione 6.23. Esistono spazi compatti che non sono compatti per successioni (Esercizio 7.7) ed esistono spazi compatti per successioni che non sono compatti (Esercizio 7.8).

Esercizi 6.7. Sia a : N → R una bigezione tra i numeri naturali ed i numeri razionali. Determinare i punti di accumulazione della successione a. (Sugg.: ogni aperto non vuoto di R contiene infiniti numeri razionali.) 6.8. Siano X e Y spazi topologici primo-numerabili di Hausdorff. Dimostrare che un’applicazione f : X → Y è continua se e solo se trasforma successioni convergenti in successioni convergenti. 6.9 (♥). Dimostrare che ogni spazio di Hausdorff primo-numerabile è compattamente generato (Esercizio 4.35). 6.10. Un punto x di uno spazio topologico X si dice un punto di accumulazione di un sottoinsieme A ⊂ X se ogni intorno di x contiene punti di A diversi da x. Dimostrare che un punto x ∈ X è di accumulazione di una successione {an } se e soltanto se (x, 0) ∈ X × [0, 1] è un punto di accumulazione del sottoinsieme {(an , 2−n ) | n ∈ N} ⊂ X × [0, 1].

6.3 Successioni di Cauchy

121

6.11 (♥). Se uno spazio topologico non soddisfa il primo assioma di numerabilità, allora l’implicazione (2) ⇒ (1) della Proposizione 6.18 è generalmente falsa: il seguente esempio è di R. Arens (1950). Su X = N0 × N0 consideriamo la topologia in cui un sottoinsieme C ⊂ X è chiuso se e solo se (0, 0) ∈ C oppure C ∩ ({n} × N0 ) è infinito per al più finiti valori di n. Si consideri il sottoinsieme A = X − {(0, 0)} e si dimostri: 1. Il punto (0, 0) è di accumulazione per una successione a valori in A. 2. Non esiste alcuna successione a valori in A che converge a (0, 0).

6.3 Successioni di Cauchy Definizione 6.24. Una successione {an } in uno spazio metrico (X, d) si dice una successione di Cauchy se per ogni ε > 0 esiste un intero N tale che d(an , am ) < ε per ogni n, m ≥ N . Ogni successione convergente è di Cauchy: infatti se p è il limite di una successione {an }, per ogni ε > 0 esiste N tale che an ∈ B(p, ε/2) per ogni n ≥ N ; la disuguaglianza triangolare implica allora che d(an , am ) < ε per ogni n, m ≥ N . Lemma 6.25. Una successione di Cauchy è convergente se e solo se possiede punti di accumulazione. In particolare, ogni successione di Cauchy in uno spazio metrico compatto per successioni è convergente. Dimostrazione. Sia {an } una successione di Cauchy in uno spazio metrico (X, d) e sia p ∈ X un suo punto di accumulazione. Vogliamo dimostrare che per ogni ε > 0 esiste N ∈ N tale che d(p, an ) < ε per ogni n ≥ N . Poiché la successione è di Cauchy, esiste M ∈ N tale che d(an , am ) < ε/2 per ogni n, m ≥ M ; siccome p è di accumulazione esiste N ≥ M tale che d(p, aN ) < ε/2. Per la disuguaglianza triangolare d(p, an ) ≤ d(p, aN ) + d(aN , an ) < ε per ogni n ≥ M. Se una successione di Cauchy possiede una sottosuccessione convergente, allora per il Lemma 6.17 possiede punti di accumulazione.   Definizione 6.26. Uno spazio metrico si dice completo se, in esso, ogni successione di Cauchy è convergente. Per il Lemma 6.21 ogni spazio metrico compatto è compatto per successioni e quindi, per il Lemma 6.25, è anche completo. Teorema 6.27. Gli spazi Rn e Cn , dotati della distanza euclidea, sono spazi metrici completi.

122

6 Successioni

Dimostrazione. Siccome Cn = R2n basta dimostrare il teorema per gli spazi Rn . Sia {an } una successione di Cauchy in Rn e sia N ∈ N tale che an − aN < 1 per ogni n ≥ N. Se indichiamo con R = max{ a1 , a2 , . . . , aN }, allora, per la disuguaglianza triangolare, la successione di Cauchy è contenuta nel sottospazio compatto D = {x ∈ Rn | x ≤ R + 1}  

e quindi, per il Lemma 6.25, la successione è convergente.

Lemma 6.28. Sia {fn : N → An | n ∈ N} una famiglia numerabile di applicazioni di insiemi. Se An è un insieme finito per ogni n ∈ N, allora esiste un’applicazione strettamente crescente g : N → N tale che fn (g(m)) = fn (g(n)) per ogni m ≥ n. Dimostrazione. L’insieme A1 è finito e quindi almeno una delle fibre di f1 contiene infiniti elementi. Per il Lemma 2.3 esiste un’applicazione strettamente crescente g1 : N → N che rende f1 g1 costante. Per lo stesso motivo almeno una fibra di f2 g1 è infinita e possiamo trovare un’applicazione strettamente crescente g2 : N → N che rende f2 g1 g2 costante. Proseguendo, otteniamo una successione di applicazioni strettamente crescenti gn : N → N tali che, per ogni n, l’applicazione fn g1 g2 · · · gn è costante. Consideriamo adesso l’applicazione “diagonale” g : N → N,

g(n) = g1 · · · gn (n),

e mostriamo che ha le proprietà richieste. Dati n, m ∈ N, con n < m, poniamo l = gn+1 · · · gm (m); allora si ha l ≥ m e vale fn (g(m)) = fn g1 · · · gn (l) = fn g1 · · · gn (n) = fn (g(n)).

 

Nel Teorema 6.27 abbiamo dimostrato la completezza di R come conseguenza della compattezza per successioni di [0, 1]. È istruttivo dimostrare l’implicazione opposta, ossia provare la compattezza per successioni di [0, 1] come conseguenza della completezza di R. A tal fine basta dimostrare che ogni successione in [0, 1] possiede una sottosuccessione di Cauchy. Supponiamo di avere una successione {an } a valori nell’intervallo [0, 1]. Denotiamo con An l’insieme formato dai 2n intervalli [0, 2−n [ , . . . , [i2−n , (i + 1)2−n [ , . . . , [1 − 2−n , 1],

0 ≤ i < 2n ,

e con fn : N → An l’applicazione tale che am ∈ fn (m) per ogni m. Per il Lemma 6.28 esiste un’applicazione strettamente crescente g : N → N tale che fn (g(n)) = fn (g(m)) per ogni n ≤ m. La sottosuccessione {bn = ag(n) } è tale che |bn − bm | ≤ 2−n per ogni n ≤ m e quindi è di Cauchy.

6.3 Successioni di Cauchy

123

Proposizione 6.29. Un sottospazio di uno spazio metrico completo è chiuso se e soltanto se è completo rispetto alla metrica indotta. Dimostrazione. Siano (X, d) uno spazio metrico completo e A ⊂ X un sottoinsieme chiuso. Ogni successione di Cauchy in A è di Cauchy anche in X e quindi converge ad un limite a ∈ A; di conseguenza se A è chiuso, allora (A, d) è completo. Viceversa ogni successione a valori in A che converge a a ∈ A è di Cauchy in (A, d) e quindi, se (A, d) è completo, allora a ∈ A.  

Esercizi 6.12 (♥). Mostrare con un esempio che la completezza di uno spazio metrico non è invariante per omeomorfismo. 6.13. Definire una distanza d su R − Z per cui lo spazio metrico (R − Z, d) sia completo ed omeomorfo a R × Z. 6.14. Dimostrare che lo spazio metrico 2 (R) introdotto nell’Esempio 6.8 è completo. 6.15. Sia ∞ (R) lo spazio di tutte le successioni limitate {an } di numeri reali dotato della distanza d({an }, {bn }) = sup |an − bn |. n

Dimostrare che ∞ (R) è uno spazio metrico completo e che non è separabile. 6.16 (Teorema delle contrazioni, ♥). Sia (X, d) uno spazio metrico. Un’applicazione f : X → X di dice una contrazione se esiste un numero reale γ < 1 tale che d(f (x), f (y)) ≤ γ d(x, y)

per ogni

x, y ∈ X.

Dimostrare che se (X, d) è uno spazio metrico completo non vuoto e f : X → X è una contrazione, allora esiste un unico punto z ∈ X tale che f (z) = z. Mostrare inoltre che per ogni x ∈ X la successione {f n (x)} converge a z. 6.17 (♥). Trovare un’applicazione f : R → R senza punti fissi e tale che |f (x) − f (y)| < |x − y| per ogni x, y. 6.18 (K). Sia A un sottospazio aperto di uno spazio metrico completo (X, d). Dimostrare che esiste una distanza h su A che induce la topologia di sottospazio e tale che (A, h) è uno spazio metrico completo.

124

6 Successioni

6.4 Spazi metrici compatti Definizione 6.30. Uno spazio metrico si dice totalmente limitato se, per ogni numero reale positivo r, è possibile ricoprire tale spazio con un numero finito di palle aperte di raggio r. Ogni spazio metrico totalmente limitato è anche limitato: infatti se X è unione di un numero finito di palle B(x1 , 1), . . . , B(xn , 1) e M è la massima distanza tra due centri xi , allora per la disuguaglianza triangolare, la distanza tra due punti qualsiasi di X è al più M + 2. Ogni spazio discreto ed infinito, dotato della distanza dell’Esempio 3.34 è uno spazio metrico limitato ma non totalmente limitato. Lemma 6.31. Ogni spazio metrico compatto per successioni è totalmente limitato. Dimostrazione. Sia (X, d) uno spazio metrico compatto per successioni e supponiamo, per assurdo, che esista r > 0 tale che non sia possibile ricoprire X con un numero finito di palle aperte di raggio r. Costruiamo per ricorrenza una successione {an }, scegliendo a1 ∈ X a piacere e, per ogni n > 1, scegliendo come an un qualsiasi elemento del chiuso non vuoto n−1

X − ∪ B(ai , r). i=1

Siccome vale d(an , am ) ≥ r per ogni n > m, ne segue che ogni sottosuccessione di {an } non può essere convergente.   Lemma 6.32. Ogni spazio metrico totalmente limitato è a base numerabile. Dimostrazione. Sia X uno spazio metrico totalmente limitato. Per ogni n ∈ N, esiste un sottoinsieme finito En ⊂ X tale che X = ∪{B(e, 2−n ) | e ∈ En }. Se ne deduce che l’insieme numerabile E = ∪En è denso e quindi che X è separabile. Per il Lemma 6.7, lo spazio X è a base numerabile.   Teorema 6.33. Per uno spazio metrico X le seguenti condizioni sono equivalenti: 1. 2. 3. 4.

Lo spazio X è compatto. Ogni successione in X possiede punti di accumulazione. Lo spazio X è compatto per successioni. Lo spazio X è completo e totalmente limitato.

Inoltre, se tali condizioni sono soddisfatte, allora X è a base numerabile. Dimostrazione. Denotiamo con d la distanza su X. Poiché ogni spazio metrico soddisfa il primo assioma di numerabilità, le implicazioni (1)⇒(2) e (2)⇒(3) le abbiamo già dimostrate.

6.4 Spazi metrici compatti

125

Per quanto riguarda (3)⇒(1), i due lemmi precedenti (6.31 e 6.32) provano che ogni spazio metrico compatto per successioni è a base numerabile; possiamo quindi applicare la Proposizione 6.22. Si ha che (2)+(3)⇒(4): infatti per il Lemma 6.31 lo spazio è totalmente limitato e per il Lemma 6.25 lo spazio è completo. Per provare l’implicazione (4)⇒(3), basta provare che, in uno spazio metrico totalmente limitato, da ogni successione si può estrarre una sottosuccessione di Cauchy. Sia {an } una successione; per ogni n sia An un insieme finito di palle aperte di raggio 2−n che ricoprono X e scegliamo un’applicazione fn : N → An con la proprietà che, per ogni i, fn (i) sia una palla che contiene ai . Per il Lemma 6.28 esiste una sottosuccessione {ag(n) } con la proprietà che se n < m allora ag(n) e ag(m) appartengono ad una medesima palla di raggio 2−n . Quindi {ag(n) } è una successione di Cauchy.   Lemma 6.34. Un sottospazio A di uno spazio metrico è totalmente limitato se e solo se A è totalmente limitato. Dimostrazione. Supponiamo che A sia totalmente limitato e sia r > 0; esistono quindi a1 , . . . , an ∈ A tali che A ⊂ ∪ni=1 B(ai , r/2). Scegliendo per ogni i = 1, . . . , n un punto bi ∈ B(ai , r/2) ∩ A, segue dalla disuguaglianza triangolare che A ⊂ A ⊂ ∪ni=1 B(bi , r). Supponiamo adesso che A sia totalmente limitato e sia r > 0; esistono quindi a1 , . . . , an ∈ A tali che A ⊂ ∪ni=1 B(ai , r/2) e quindi A ⊂ ∪ni=1 B(ai , r/2) ⊂ ∪ni=1 B(ai , r).

 

Definizione 6.35. Un sottospazio A di uno spazio topologico X si dice relativamente compatto se è contenuto in un sottospazio compatto di X. Notiamo che se X è di Hausdorff, un sottoinsieme A ⊂ X è relativamente compatto se e soltanto se A è compatto. Corollario 6.36. Un sottospazio di uno spazio metrico completo è relativamente compatto se e soltanto se è totalmente limitato. Dimostrazione. Sia X completo e A ⊂ X totalmente limitato; allora, per la Proposizione 6.29 ed il Lemma 6.34 il sottospazio A è completo e totalmente limitato, quindi compatto. Viceversa se A è compatto, allora è anche totalmente limitato e quindi A è totalmente limitato.  

126

6 Successioni

Esercizi 6.19. Mostrare che lo spazio R, dotato della limitazione standard della distanza euclidea (Esempio 3.40) è uno spazio metrico limitato ma non totalmente limitato. 6.20 (♥). Siano (X, d) uno spazio metrico compatto e f : X → X un’isometria, ossia un’applicazione che preserva le distanze. Dimostrare che f è un omeomorfismo. (L’unica verifica non banale riguarda la surgettività di f .) 6.21. Provare che le immagini continue di sottospazi relativamente compatti sono relativamente compatte. 6.22. Sia (X, d) uno spazio metrico: per ogni sottoinsieme C ⊂ X ed ogni numero reale r > 0 indichiamo con  B(C, r) = B(y, r). y∈C

Dimostrare che ∩r>0 B(C, r) = C e che B(C, r) = {x ∈ X | dC (x) < r}, dove dC è la funzione distanza da C (Esempio 3.47). 6.23 (Distanza di Hausdorff ). Sia (X, d) uno spazio metrico e indichiamo con X la famiglia dei sottospazi chiusi, non vuoti e limitati di X: per ogni C, D ∈ X poniamo, nelle notazioni dell’Esercizio 6.22, h(C, D) = inf{r | C ⊂ B(D, r), D ⊂ B(C, r)}. Dimostrare che: 1. Vale h(C, D) < r se e solo se per ogni z ∈ C ed ogni w ∈ D esistono x ∈ D e y ∈ C tali che d(z, x) < r e d(w, y) < r. 2. h è una distanza su X (distanza di Hausdorff ). 3. (X, d) è totalmente limitato se e solo se è limitato e per ogni r > 0 esiste un sottoinsieme finito S ⊂ X tale che h(X, S) < r. 4. Siano C, D ∈ X . Se h(C, D) < r e A ⊂ C, allora h(A, D ∩ B(A, r)) < r. 5. Se (X, d) è totalmente limitato, allora (X , h) è totalmente limitato. 6. Sia {An } una successione in X tale che h(An , An+1 ) < 2−n per ogni n. Dimostrare che ogni xN ∈ AN si può estendere ad una successione {xn } tale che xn ∈ An e d(xn , xn+1 ) < 2−n per ogni n. 7. Se (X, d) è completo, allora (X , h) è completo. (Sugg.: sia {An } una successione in X tale che h(An , An+1 ) < 2−n e indichiamo con A l’insieme dei limiti delle successioni {xn } tali che xn ∈ An e d(xn , xn+1 ) < 2−n . Dimostrare che An converge alla chiusura di A.) 8. Se (X, d) è compatto, allora (X , h) è compatto.

6.5 Il teorema di Baire

127

6.5 Il teorema di Baire Definizione 6.37. Un sottoinsieme di uno spazio topologico si dice raro se la sua chiusura non ha punti interni. Un sottoinsieme di uno spazio topologico si dice magro se è contenuto nell’unione di una famiglia numerabile di sottoinsiemi rari. Si noti che, per un sottospazio C ⊂ X, il fatto di essere raro o magro non è una proprietà intrinseca, ossia dipende anche da X. Ad esempio, il punto {0} è raro come sottoinsieme di R ma non è raro (e nemmeno magro) come sottoinsieme di Z; dunque ha senso parlare di sottospazi rari e magri ma non ha senso parlare di spazi topologici rari e magri. Possiamo, ironicamente, distinguere i sottoinsiemi magri tra veri magri, che non hanno parte interna, e falsi magri. Uno spazio di Baire è uno spazio senza falsi magri, più precisamente: Definizione 6.38. Uno spazio topologico X si dice uno spazio di Baire se ogni suo sottoinsieme magro ha parte interna vuota. Per verificare che uno spazio è di Baire basta chiaramente dimostrare che l’unione numerabile di chiusi rari non ha parte interna o, equivalentemente, che l’intersezione numerabile di aperti densi è un sottoinsieme denso. Esempio 6.39. L’insieme vuoto è uno spazio di Baire. Ogni insieme non vuoto e dotato della topologia discreta è uno spazio topologico di Baire: infatti l’unico sottoinsieme raro è il vuoto. Lo spazio Q non è uno spazio di Baire: infatti ogni punto è un chiuso raro e Q è unione numerabile dei suoi punti. Teorema 6.40 (di Baire). Gli spazi metrici completi e gli spazi topologici localmente compatti di Hausdorff sono spazi di Baire. Dimostrazione. I due casi richiedono dimostrazioni distinte, ma accomunate dalla stessa idea base. Consideriamo prima il caso in cui X è uno spazio localmente compatto di Hausdorff. Siano {Cn | n ∈ N} una famiglia numerabile di chiusi rari di X ed U0 ⊂ X un aperto non vuoto: bisogna dimostrare che U0 ⊂ ∪n Cn . Costruiamo per ricorrenza una successione di aperti di X: U 0 ⊃ U1 ⊃ U2 ⊃ U3 ⊃ · · · tale che per ogni n ≥ 1 valgano le condizioni: 1. 2.

Un =

∅. Un è compatto e contenuto in Un−1 − Cn .

Per ipotesi C1 è un chiuso raro di X, in particolare U0 − C1 è un aperto non vuoto; scegliamo un qualsiasi punto x ∈ U0 − C1 . Per il Teorema 5.26, il punto

128

6 Successioni

x possiede un sistema fondamentale di intorni compatti e quindi possiamo trovare un aperto U1 contenente x (dunque non vuoto) e tale che U1 è compatto e contenuto in U0 − C1 . Il passo ricorsivo è del tutto simile: se abbiamo Un , il ragionamento precedente ci permette di trovare un aperto non vuoto Un+1 tale che Un+1 è compatto e contenuto in Un − Cn+1 . Se A = ∩n>0 Un ⊂ U0 , allora per costruzione vale A ⊂ X − Cn per ogni n, mentre per la Proposizione 4.46 vale A = ∅ e quindi U0 non è contenuto nell’unione dei chiusi rari Cn . Supponiamo adesso che {Cn | n ∈ N} sia una famiglia numerabile di chiusi rari di uno spazio metrico completo (X, d) e assumiamo per assurdo che esista una palla aperta B(x0 , r) ⊂ ∪n Cn . Per ipotesi ogni Cn ha parte interna vuota e quindi per ogni palla B(x, s), con s > 0, ed ogni n vale B(x, s) − Cn = ∅. Scegliamo un punto x1 ∈ B(x0 , r/3) − C1 ed un numero reale 0 < r1 ≤ r/3 tale che B(x1 , r1 ) ∩ C1 = ∅. Estendiamo x1 e r1 a due successioni {xn }, {rn } definite nel seguente modo ricorsivo: scegliamo x2 ∈ B(x1 , r1 /3) − C2 ed 0 < r2 ≤ r1 /3 tali che B(x2 , r2 ) ∩ C2 = ∅. Proseguiamo poi allo stesso modo incrementando gli indici di una unità. Per la disuguaglianza triangolare, se n < m vale 1 d(xn , xm ) ≤ d(xn , xn+1 ) + · · · + d(xm−1 , xm ) ≤ (rn + · · · + rm−1 ) 3 rn  1 rn r 1 rn + · · · + m−n−1 ≤ rn ≤ n . ≤ 3 3 3 2 3 Quindi la successione {xn } è di Cauchy ed è quindi convergente: indichiamo con h il suo limite. Passando al limite per m → ∞ le disuguaglianze precedenti si ottiene d(xn , h) ≤ rn /2 e quindi h ∈ Cn per ogni n. D’altronde d(x0 , h) < r e quindi h ∈ B(x0 , r) ⊂ ∪Cn .   Osservazione 6.41. I due enunciati del teorema di Baire sono indipendenti. Infatti esistono spazi compatti di Hausdorff che non sono metrizzabili ed esistono spazi metrici completi che non sono localmente compatti (ad esempio ogni spazio di Banach di dimensione infinita). Il nome “Baire” si pronuncia alla francese, alla stessa maniera di “faire”. René Baire (1874-1932) è noto anche per aver introdotto, nel 1899, la nozione di funzione semicontinua ed aver dimostrato che ogni funzione semicontinua inferiormente su di un intervallo chiuso e limitato ammette minimo. La terminologia italiana introdotta nella Definizione 6.37 segue fedelmente quella francese e si differenzia da quella inglese, dove i sottoinsiemi rari e magri vengono detti rispettivamente “nowhere dense” e “meager”. Corollario 6.42. Sia {Fm | m ∈ N} una famiglia numerabile di sottoinsiemi di Rn . Se ∪m Fm = Rn , allora esiste un intero m tale che il chiuso Fm ha parte interna non vuota (nella topologia euclidea). Dimostrazione. Lo spazio topologico Rn è di Baire.

 

6.6 Completamenti 

129

Esercizi 6.24. Dimostrare che lo spazio Rn non è unione numerabile di sottospazi vettoriali propri. 6.25. Dimostrare quanto abbiamo affermato nell’Osservazione 3.32, e cioè che Q non è intersezione numerabile di aperti di R. 6.26. Sia X = ∪Ui un ricoprimento aperto di uno spazio topologico X. Dimostrare che le seguenti condizioni sono equivalenti: 1. Lo spazio X è di Baire. 2. Ogni aperto Ui è di Baire. 3. Ogni chiuso Ui è di Baire. 6.27 (♥). È possibile definire sull’insieme dei numeri naturali una topologia di Hausdorff che lo renda: 1. Compatto? 2. Connesso? 3. Compatto e connesso? 6.28 (K, ♥). Sia A ⊂ R un sottoinsieme denso e numerabile (ad esempio Q). Data una qualunque applicazione di insiemi f : R →]0, +∞[, dimostrare che esistono a ∈ A e b ∈ R − A tali che min(f (a), f (b)) > |a − b|.

6.6 Completamenti  ˆ due spazi metrici. Un’applicazione  d) Definizione 6.43. Siano (X, d) e (X,  Φ : X → X si dice un completamento di (X, d) se: ˆ 1. Φ è una isometria, ossia d(Φ(x), Φ(y)) = d(x, y) per ogni x, y ∈ X. ˆ  2. Lo spazio metrico (X, d) è completo.  3. Φ(X) è denso in X. Esempio 6.44. Le inclusioni (Q, d) ⊂ (R, d) e (]0, 1[ , d) ⊂ ([0, 1], d) sono completamenti, dove d denota la distanza euclidea. In questa sezione mostreremo esistenza, unicità e principali proprietà dei completamenti. Lemma 6.45. Siano {an }, {bn } due successioni di Cauchy in uno spazio metrico (X, d). Allora esiste, ed è finito, il limite lim d(an , bn ) ∈ [0, +∞[.

n→∞

130

6 Successioni

Dimostrazione. Per la disuguaglianza quadrangolare (Esercizio 3.32) si ha |d(an , bn ) − d(am , bm )| ≤ d(an , am ) + d(bn , bm ) e quindi la successione di numeri reali d(an , bn ) è di Cauchy.

 

Dato uno spazio metrico (X, d), denotiamo con c(X, d) l’insieme di tutte le successioni di Cauchy in esso. Su c(X, d) possiamo considerare la relazione di equivalenza {an } ∼ {bn }

se e solo se

lim d(an , bn ) = 0.

n→∞

 = c(X, d)/ ∼ il corrispondente insieme quoziente, denoIndichiamo con X  la classe di equivalenza della successione {an }. Per ogni tando con [an ] ∈ X  la classe di equivalenza della successione coa ∈ X denotiamo con Φ(a) ∈ X stante a, a, a, . . .; si noti che [an ] = Φ(a) se e solo se limn→∞ an = a e quindi l’inclusione naturale  Φ: X → X è surgettiva se e soltanto se (X, d) è uno spazio metrico completo. Il Lemma 6.45 ci dice in particolare che l’applicazione ˆ n ], [bn ]) = lim d(an , bn )  ×X  → R, dˆ: X d([a n→∞

 non dipende solamente da X ma anche dalla è ben definita. Si noti che X distanza d. Lemma 6.46. Sia A un sottoinsieme denso di uno spazio metrico (X, d). →X  è bigettiva. Allora l’applicazione naturale A Dimostrazione. L’unica verifica non banale è quella della surgettività, cioè che ogni successione di Cauchy in X è equivalente ad una successione di Cauchy a valori in A. Sia {xn } una successione di Cauchy in X e, per ogni n scegliamo an ∈ A tale che d(an , xn ) ≤ 2−n . Per la disuguaglianza quadrangolare, d(an , am ) ≤ d(xn , xm ) + 2−N ,

per ogni

n, m > N

e quindi la successione {an } è di Cauchy. È infine chiaro che [an ] = [xn ].

 

Teorema 6.47 (Esistenza del completamento). Nelle notazioni preceden e l’inclusione Φ è un completamento. ti, l’applicazione dˆ è una distanza su X ˆ n ], [bn ]) ≥ 0 Dimostrazione. Segue immediatamente dalla definizione che d([a ˆ e vale d([an ], [bn ]) = 0 se e solo se [an ] = [bn ]. Date comunque tre successioni di Cauchy {an }, {bn }, {cn } si ha: ˆ n ], [an ]). ˆ n ], [bn ]) = lim d(an , bn ) = lim d(bn , an ) = d([b d([a n→∞

n→∞

ˆ n ], [bn ]) = lim d(an , bn ) ≤ lim (d(an , cn ) + d(cn , bn )) d([a n→∞

n→∞

ˆ n ], [cn ]) + d([c ˆ n ], [bn ]). ≤ lim d(an , cn ) + lim d(cn , bn ) = d([a n→∞

n→∞

6.6 Completamenti 

131

Dunque dˆ è una distanza; per ogni a, b ∈ X vale ˆ d(Φ(a), Φ(b)) = lim d(a, b) = d(a, b) n→∞

e quindi Φ è una isometria.  ossia che per ogni ε > 0 Dimostriamo adesso che Φ(X) è denso in X, ˆ n ], Φ(b)) ≤ ε. Siccome {an } è di  esiste b ∈ X tale che d([a ed ogni [an ] ∈ X Cauchy, esiste un indice N tale che d(aN , an ) ≤ ε per ogni n ≥ N ; è quindi sufficiente considerare b = aN . ˆ Siccome X → Φ(X) è una  d). Rimane da dimostrare la completezza di (X,  le due applicazioni isometria bigettiva e Φ(X) è un sottospazio denso di X, naturali → #  → Φ(X)  X X  = #  e questo equivale a dire che X  è comsono bigettive. In particolare X X pleto.   Teorema 6.48 (Unicità del completamento). Siano h : (X, d) → (Y, δ),

k : (X, d) → (Z, ρ)

due completamenti dello stesso spazio metrico (X, d). Allora esiste un’unica isometria bigettiva f : (Y, δ) → (Z, ρ) tale che k = f h. Dimostrazione. L’unicità di f segue dal fatto che h(X) è denso in Y . Per  sia il completadimostrare l’esistenza non è restrittivo supporre che Y = X mento costruito nel Teorema 6.47. L’isometria k : X → Z ha immagine densa e quindi induce una isometria bigettiva  → Z.  kˆ : X  è una isometria bigettiva e Inoltre, siccome (Z, ρ) è completo, Φ : Z → Z −1 ˆ quindi f = Φ k soddisfa le condizioni richieste.   Corollario 6.49 (Proprietà universale dei completamenti). ˆ un completamento. Allora per ogni spazio metrico  d) Sia Φ : (X, d) → (X, completo (Y, δ) ed ogni isometria h : (X, d) → (Y, δ) esiste un’unica isometria ˆ → (Y, δ) tale che kΦ = h.  d) k : (X, Dimostrazione. L’applicazione h : X → h(X) è un completamento e basta applicare il teorema di unicità 6.48.  

Esercizi 6.29. Sia X uno spazio topologico e indichiamo con BC(X, R) l’insieme di tutte le applicazioni continue e limitate f : X → R. Si noti che che BC(X, R)

132

6 Successioni

possiede una naturale struttura di spazio metrico con la distanza ˆ g) = sup |f (x) − g(x)|. d(f, x∈X

Supponiamo adesso che X sia uno spazio metrico con distanza d e fissiamo un punto a ∈ X. Dimostrare che l’applicazione Ψ : X → BC(X, R),

Ψ (x)(y) = d(x, y) − d(a, y),

è ben definita ed è una isometria. Osservazione 6.50. Si può dimostrare, in maniera del tutto simile al prosˆ è uno spazio metrico completo. Di simo Teorema 6.51, che (BC(X, R), d) conseguenza la chiusura di Ψ (X) è un completamento di X. 6.30. Sia K[x] l’anello dei polinomi a coefficienti in un campo K. Dimostrare che l’applicazione d : K[x] × K[x] → R,

d(p, q) = inf{2−n | xn divide p(x) − q(x)},

è una distanza e che il completamento di (K[x], d) è canonicamente isomorfo all’anello delle serie di potenze formali K[[x]].

6.7 Spazi di funzioni e teorema di Ascoli–Arzelà  Se X, Y sono spazi topologici denotiamo con C(X, Y ) l’insieme di tutte le applicazioni continue da X in Y ; su tale insieme è possibile introdurre delle topologie naturali e ne vedremo alcune in seguito (Esempio 7.4, Sezione 8.5). In questa sezione ci occuperemo del caso particolare in cui X è uno spazio topologico compatto e (Y, d) uno spazio metrico; in tal caso, date comunque due applicazioni continue f, g : X → Y , l’applicazione X → R,

x → d(f (x), g(x))

è continua e quindi ammette massimo e minimo su X. Teorema 6.51. Siano X uno spazio topologico compatto e (Y, d) uno spazio metrico. Allora l’applicazione ρ : C(X, Y ) × C(X, Y ) → R,

ρ(f, g) = max{d(f (x), g(x)) | x ∈ X},

è una distanza su C(X, Y ). Inoltre: 1. L’applicazione di valutazione e : C(X, Y ) × X → Y,

e(f, x) = f (x),

è continua. 2. Lo spazio metrico (C(X, Y ), ρ) è completo se e solo se (Y, d) è completo. Dimostrazione. Per mostrare che ρ è una distanza, l’unica verifica non banale è la disuguaglianza triangolare. Siano f, g, h ∈ C(X, Y ) e scegliamo un punto

6.7 Spazi di funzioni e teorema di Ascoli–Arzelà 

133

x ∈ X tale che d(f (x), h(x)) = ρ(f, h); per la disuguaglianza triangolare su Y abbiamo ρ(f, h) = d(f (x), h(x)) ≤ d(f (x), g(x)) + d(g(x), h(x)) ≤ ρ(f, g) + ρ(g, h). Siano f ∈ C(X, Y ), x ∈ X ed ε > 0. Scegliamo un intorno U di x tale che d(f (x), f (y)) < ε/2 per ogni y ∈ U . Se ρ(f, g) < ε/2, allora d(f (x), g(y)) ≤ d(f (x), f (y)) + d(f (y), g(y)) < ε e questo prova la continuità dell’applicazione di valutazione nel punto (f, x). Supponiamo adesso che (Y, d) sia uno spazio metrico completo e sia fn una successione di Cauchy in C(X, Y ). Per ogni punto x ∈ X vale d(fn (x), fm (x)) ≤ ρ(fn , fm ) e quindi fn (x) è una successione di Cauchy in Y ; denotando con f (x) il limite della successione fn (x), bisogna dimostrare che f : X → Y è continua in ogni punto x0 ∈ X e che fn → f in C(X, Y ). Dati x0 ∈ X ed ε > 0, scegliamo un intero positivo n tale che ρ(fn , fm ) ≤ ε/3 per ogni m ≥ n ed un intorno U di x0 tale che d(fn (x), fn (x0 )) ≤ ε/3 per ogni x ∈ U . Per la disuguaglianza triangolare d(f (x), f (x0 )) = lim d(fm (x), fm (x0 )) m

≤ lim d(fn (x), fm (x)) + lim d(fn (x0 ), fm (x0 )) + d(fn (x), fn (x0 )) ≤ ε m

m

per ogni x ∈ U e quindi f è continua in x0 . Per dimostrare che fn → f in C(X, Y ), per ogni ε > 0 fissiamo un intero N tale che ρ(fn , fm ) ≤ ε per ogni n, m ≥ N ; allora per ogni x ∈ X ed ogni n ≥ N vale d(fn (x), f (x)) = lim d(fn (x), fm (x)) ≤ ε m

e di conseguenza ρ(fn , f ) = max{d(fn (x), f (x)) | x ∈ X} ≤ ε. Infine notiamo che (Y, d) è isometricamente isomorfo al sottospazio chiuso delle applicazioni costanti da X in Y .   Corollario 6.52. Sia (Y, d) uno spazio metrico completo. Allora, per ogni intero positivo n, lo spazio metrico (Y n , ρ), dove ρ((x1 , . . . , xn ), (y1 , . . . , yn )) = max d(xi , yi ), i

è completo. Dimostrazione. Lo spazio metrico (Y n , ρ) è canonicamente isometrico allo spazio metrico completo C({1, . . . , n}, Y ).   Il teorema di Ascoli–Arzelà è la generalizzazione del Corollario 6.36 agli spazi C(X, Y ); premettiamo una definizione. Definizione 6.53. Siano X uno spazio topologico, (Y, d) uno spazio metrico e F ⊂ C(X, Y ) una famiglia di applicazioni continue. La famiglia F si dice

134

6 Successioni

equicontinua se per ogni x0 ∈ X ed ogni ε > 0 esiste un intorno U di x0 tale che d(f (x), f (x0 )) < ε per ogni f ∈ F ed ogni x ∈ U . La famiglia F si dice puntualmente totalmente limitata se per ogni x ∈ X l’insieme {f (x) | f ∈ F } è totalmente limitato in Y . Osserviamo che le nozioni di equicontinuità e di totale limitatezza puntuale dipendono entrambe dalla distanza d. Teorema 6.54 (Ascoli–Arzelà). Siano X uno spazio topologico compatto e (Y, d) uno spazio metrico completo. Una famiglia di applicazioni continue F ⊂ C(X, Y ) è relativamente compatta in C(X, Y ) se e soltanto se: 1. F è equicontinua. 2. F è puntualmente totalmente limitata. Dimostrazione. Mostriamo prima che le condizioni 1 e 2 sono necessarie. Se F è contenuta in un sottospazio compatto K ⊂ C(X, Y ), allora, poiché per ogni x ∈ X l’applicazione di valutazione in x: ex : C(X, Y ) → Y,

ex (f ) = f (x),

è continua, ne segue che {f (x) | f ∈ F } = ex (F ) è contenuto nel compatto ex (K). Sia adesso x0 ∈ X un punto fissato e consideriamo l’applicazione continua α : C(X, Y ) × X → [0, +∞[,

α(f, x) = d(f (x0 ), f (x)).

Per ogni ε > 0 il compatto K × {x0 } è contenuto nell’aperto α−1 ([0, ε[) e per il teorema di Wallace possiamo trovare un aperto U ⊂ X tale che x0 ∈ U e K × U ⊂ α−1 ([0, ε[); in particolare d(f (x0 ), f (x)) < ε per ogni f ∈ F ed ogni x ∈ U. Mostriamo adesso che se la famiglia F soddisfa le condizioni 1 e 2, allora è relativamente compatta nello spazio metrico completo C(X, Y ). Per il Corollario 6.36 è sufficiente dimostrare che F è totalmente limitata. Fissiamo un numero reale ε > 0; l’equicontinuità di F implica che per ogni punto x ∈ X esiste un intorno aperto Ux tale che d(f (x), f (y)) < ε per ogni y ∈ Ux ed ogni f ∈ F. Lo spazio X è compatto e quindi possiamo trovare x1 , . . . , xn ∈ X tali che X = Ux 1 ∪ · · · ∪ Ux n . L’immagine dell’applicazione F → Y n, f → (f (x1 ), . . . , f (xn )) $ è contenuta nel prodotto exi (F ) di sottospazi totalmente limitati ed è quindi totalmente limitata. Possiamo trovare un sottoinsieme finito F ⊂ F tale

6.8 Insiemi diretti, reti e successioni generalizzate 

135

che, per ogni f ∈ F esiste g ∈ F tale che d(f (xi ), g(xi )) < ε per ogni i. Mostriamo che F è contenuta nell’unione delle palle aperte di centro g ∈ F e raggio 3ε: siano f ∈ F e g ∈ F tali che d(f (xi ), g(xi )) < ε per ogni i, allora per ogni x ∈ X esiste un indice i tale che x ∈ Uxi e quindi d(f (x), g(x)) ≤ d(f (x), f (xi )) + d(f (xi ), g(xi )) + d(g(xi ), g(x)) < 3ε.

 

Esercizi 6.31. Dire se la famiglia di applicazioni continue {fn } ⊂ C([0, 1], R),

fn (x) = xn .

è equicontinua e se possiede punti di accumulazione in C([0, 1], R). 6.32 (Lemma di Dini). Siano X uno spazio compatto e {fn }, n ∈ N, una successione in C(X, R) tale che: 1. Per ogni x ∈ X ed ogni m vale fm (x) ≥ fm+1 (x). 2. Per ogni x ∈ X vale limn fn (x) = 0. Dimostrare che la successione {fn } converge a 0 in C(X, R). (Sugg.: per ogni ε > 0 si consideri la famiglia di aperti Un = {x ∈ X | fn (x) < ε}.) 6.33 (♥). Siano X uno spazio topologico compatto ed I un ideale proprio dell’anello C(X, R). Dimostrare che esiste un punto x ∈ X tale che f (x) = 0 per ogni f ∈ I.

6.8 Insiemi diretti, reti e successioni generalizzate  Le reti, dette anche successioni generalizzate, ampliano la nozione di successione in uno spazio topologico e permettono di generalizzare buona parte dei risultati di questo capitolo a spazi che non soddisfano il primo assioma di numerabilità. Definizione 6.55. Un insieme ordinato (I, ≤) si dice un insieme diretto se per ogni i, j ∈ I esiste h ∈ I tale che h ≥ i e h ≥ j. In altri termini, un insieme ordinato è diretto quando ogni sottoinsieme finito possiede maggioranti. Vediamo qualche esempio di insieme diretto: 1.

2.

L’insieme N dei numeri naturali con l’ordinamento usuale e, più in generale, Nn con l’ordinamento (a1 , . . . , an ) ≤ (b1 , . . . , bn ) se e solo se ai ≤ bi per ogni i. L’insieme P0 (A) delle parti finite di un insieme A con la relazione di inclusione.

136

3.

6 Successioni

L’insieme I(x) di tutti gli intorni di un punto x in uno spazio topologico, con la relazione d’ordine U ≤ V se e solo se V ⊂ U .

Definizione 6.56. Un’applicazione p : J → I di insiemi diretti si dice un morfismo cofinale se conserva le relazioni di ordine (cioè p(j) ≥ p(j  ) se j ≥ j  ) e se per ogni i ∈ I esiste j ∈ J tale che p(j) ≥ i. Esempio 6.57. Sia I la famiglia dei sottoinsiemi finiti con un numero pari di elementi di un insieme A. Allora l’inclusione I → P0 (A) è un morfismo cofinale. La composizione di due morfismi cofinali è ancora un morfismo cofinale. Definizione 6.58. Una rete in uno spazio topologico X è un’applicazione f : I → X, dove I è un insieme diretto. Se I = N, allora una rete f : I → X non è altro che una successione in X. Il nome rete è motivato dagli esempi con I = Nn . Definizione 6.59. Siano X uno spazio topologico, f : I → X una rete e x un punto di X. Diremo che: 1. La rete f converge ad x se per ogni intorno U ∈ I(x) esiste un indice i ∈ I tale che f (j) ∈ U per ogni j ≥ i. 2. Il punto x è di accumulazione della rete f se per ogni intorno U ∈ I(x) e per ogni indice i ∈ I esiste j ≥ i tale che f (j) ∈ U . Come nel caso delle successioni, se una rete converge ad x, allora x è anche un punto di accumulazione mentre il viceversa è generalmente falso. Lemma 6.60. Sia data una rete f : I → X. Un punto x ∈ X è di accumulazione della rete f se e solo se esiste un morfismo cofinale p : J → I tale che la rete f p : J → X converge ad x. Dimostrazione. Se f p converge ad un punto x, allora, poiché p è cofinale, il punto x è di accumulazione per f . Supponiamo viceversa che x sia un punto di accumulazione di f e denotiamo, come al solito, con I(x) la famiglia degli intorni di x. Consideriamo l’insieme J = {(i, U ) ∈ I × I(x) | f (i) ∈ U }, dotato della relazione d’ordine (i, U ) ≤ (j, V )

se

i ≤ j e V ⊂ U.

L’insieme (J, ≤) è diretto: infatti se (i, U ), (j, V ) ∈ J, allora esiste h ∈ I tale che h ≥ i e h ≥ j. Per definizione di punto di accumulazione, esiste k ≥ h tale che f (k) ∈ U ∩ V e quindi (k, U ∩ V ) ≥ (i, U ), (k, U ∩ V ) ≥ (j, V ). La proiezione sul primo fattore p : J → I è surgettiva ed è quindi a maggior ragione un morfismo cofinale: basta infatti osservare che p(i, X) = i per ogni i ∈ I. Sia U un intorno di x e sia i ∈ I tale che f (i) ∈ U . Per ogni (j, V ) ≥ (i, U ) vale f p(j, V ) ∈ U e f p converge ad x.   Siamo adesso in grado di generalizzare il risultato della Proposizione 6.18.

6.8 Insiemi diretti, reti e successioni generalizzate 

137

Proposizione 6.61. Sia A un sottoinsieme di uno spazio topologico X. Per un punto x ∈ X le seguenti condizioni sono equivalenti: 1. Esiste una rete a valori in A che converge ad x. 2. Il punto x è di accumulazione di una rete a valori in A. 3. Il punto x appartiene alla chiusura di A. Dimostrazione. L’implicazione (1)⇒(2) è banale. Se x ∈ X è un punto di accumulazione di una rete f : I → A, allora per ogni intorno U di x esiste un indice i ∈ I tale che f (i) ∈ U ; dunque U ∩ f (I) = ∅, ossia x appartiene alla chiusura di f (I). Dato che f (I) ⊂ A ne segue che x ∈ A e questo prova l’implicazione (2)⇒(3). Dimostriamo che (3)⇒(1). Se x ∈ A e I(x) è l’insieme diretto degli intorni di x, allora per l’assioma della scelta esiste una rete f : I(x) → A tale che f (U ) ∈ U ∩ A per ogni intorno U di x. Si osserva immediatamente che f converge ad x.   Teorema 6.62. Uno spazio topologico X è compatto se e solo se ogni rete in X possiede punti di accumulazione. Dimostrazione. Supponiamo che X sia compatto ed esista una rete f : I → X senza punti di accumulazione: dimostriamo che queste ipotesi portano ad una contraddizione. Per ogni punto x ∈ X, non essendo di accumulazione, esistono un intorno U (x) ∈ I(x) ed un indice i(x) ∈ I tali che f (j) ∈ U (x) per ogni j ≥ i(x). Per ipotesi X è compatto e quindi esistono x1 , . . . , xn ∈ X tali che X = U (x1 ) ∪ · · · ∪ U (xn ). Sia h ∈ I un maggiorante di i(x1 ), . . . , i(xn ), allora f (h) ∈ U (xi ) per ogni i = 1, . . . , n, il che è assurdo. Viceversa, supponiamo che X non sia compatto e scegliamo un ricoprimento aperto X = ∪{Ua | a ∈ A} che non ammette sottoricoprimenti finiti. Consideriamo l’insieme diretto P0 (A) delle parti finite di A. Per l’assioma della scelta esiste una rete f : P0 (A) → X tale che f (B) ∈ Ua per ogni B ∈ P0 (A) ed ogni a ∈ B. Se x ∈ Ua ⊂ X fosse un punto di accumulazione, allora esisterebbe un sottoinsieme finito B ⊂ A che contiene a e tale che f (B) ∈ Ua . Questo è assurdo e quindi la rete f non ha punti di accumulazione.   Esempio 6.63. Per avere un’idea delle possibili applicazioni delle reti, diamo un condensato della dimostrazione che ogni sottospazio di dimensione finita di uno spazio vettoriale topologico è chiuso. Sarà un utilissimo esercizio per lo studioso espandere questo esempio inserendo i dettagli mancanti. Consideriamo per semplicità espositiva il caso di spazi vettoriali reali, per gli spazi definiti sul campo dei numeri complessi la dimostrazione è del tutto simile. Uno spazio vettoriale topologico V è uno spazio vettoriale dotato di una topologia di Hausdorff che rende continue le operazioni di combinazione lineare; in particolare, per ogni n-upla v1 , . . . , vn di vettori  linearmente indipendenti, l’applicazione lineare f : Rn → V , f (x1 , . . . , xn ) = xi vi è continua ed iniettiva: dimostriamo che f è una immersione chiusa. Siano C ⊂ Rn un chiuso e v ∈ f (C); dobbiamo dimostrare che v ∈ f (C). Sia s : I → f (C) una

138

6 Successioni

rete che converge a v ∈ V e denotiamo t = f −1 ◦ s : I → C. Immergiamo Rn nella sua compattificazione di Alexandroff Rn ∪ {∞}  S n ed a meno di una nuova composizione con un morfismo cofinale possiamo supporre che esista limi t(i) ∈ Rn ∪ {∞}. Sono possibili due casi: nel primo il limite di t è contenuto in Rn ; siccome C è chiuso in Rn si ha v = f (limi t(i)) ∈ f (C). Nel secondo caso limi t(i) = ∞, dunque  limi t(i) = +∞ e quindi s(i) s(i) t(i) t(i) e la rete i → t(i)

= 0. D’altronde t(i)

= f t(i)

ha almeno limi t(i)

un punto di accumulazione a ∈ S n−1 . Si ha quindi f (a) = 0 in contraddizione con l’iniettività di f .

Esercizi 6.34. Dimostrare che uno spazio topologico è di Hausdorff se e solo se ogni rete in esso converge al più ad un punto. 6.35. Dire se esistono i limiti delle seguenti reti a : N × N → R e, in caso di risposta affermativa, calcolarli: 1 1 a(n, m) = , a(n, m) = , a(n, m) = ne−m . n+m (n − m)2 + 1 6.36. Siano S un insieme non vuoto e a : S →R una qualsiasi applicazione. Dare un significato all’espressione “la serie s∈S f (s) converge”. (Sugg.: considerare l’insieme diretto delle parti finite di S.) 6.37 (K). Sia {an } una successione di numeri reali. Consideriamo l’insieme diretto P0 (N) delle parti finite di N e la rete  f : P0 (N) → R, f (A) = an . n∈A

Dimostrare che la rete f è convergente se e solo se la serie tamente convergente.

+∞ n=1

an è assolu-

7 Varietà, prodotti infiniti e paracompattezza

7.1 Prebasi e teorema di Alexander Definizione 7.1. Una prebase di uno spazio topologico è una famiglia P di aperti tale che la famiglia delle intersezioni finite di elementi di P è una base della topologia. Ogni base di uno spazio topologico è anche una prebase. Esempio 7.2. Una prebase della topologia euclidea su R è formata dagli aperti ] − ∞, a[ , ]b, +∞[ al variare di a, b ∈ R. Infatti gli intervalli aperti ]a, b[ sono una base della topologia e possiamo scrivere ]a, b[ = ] − ∞, b[ ∩ ]a, +∞[ . Lemma 7.3. Siano X, Y spazi topologici e P una prebase di Y . Un’applicazione f : X → Y è continua se e solo se f −1 (U ) è aperto per ogni U ∈ P. Dimostrazione. Basta osservare che f −1 commuta con le operazioni di unione ed intersezione.   Sia P un ricoprimento di un insieme X e consideriamo la famiglia B delle intersezioni finite di elementi di P. Se A, B ∈ B, allora A∩B ∈ B e gli elementi di B ricoprono X. Per il Teorema 3.7 la famiglia B è base di una topologia su X che ha P come prebase. È facile dimostrare che tale topologia è la meno fine tra quelle che hanno gli elementi di P come aperti. Esempio 7.4. Siano S un insieme ed X uno spazio topologico; sull’insieme X S di tutte le applicazioni f : S → X consideriamo la famiglia P formata dai sottoinsiemi P (s, U ) = {f : S → X | f (s) ∈ U } al variare di s ∈ S e di U tra gli aperti di X. La topologia su X S meno fine tra quelle che contengono P si dice topologia della convergenza puntuale ed ha P come prebase. M. Manetti: Topologia, 2a edizione, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 78, DOI: 10.1007/978-88-470-5662-6_7, © Springer-Verlag Italia 2014

140

7 Varietà, prodotti infiniti e paracompattezza

Teorema 7.5 (Alexander). Sia P una prebase di uno spazio topologico X. Se ogni ricoprimento di X fatto con elementi di P ammette un sottoricoprimento finito, allora X è compatto. Dimostrazione. Supponiamo che X non sia compatto e dimostriamo che esiste un ricoprimento di X fatto con elementi di P che non ammette sottoricoprimenti finiti. Denotiamo con T la famiglia di tutti gli aperti di X e con Z la collezione delle sottofamiglie A ⊂ T che ricoprono X ma che non possiedono sottoricoprimenti finiti. Siccome X non è compatto la famiglia Z non è vuota. Consideriamo su Z l’ordinamento per inclusione, ossia definiamo A ≤ A se A ⊂ A . Sia C ⊂ Z una catena, allora C = ∪{A ∈ C} ∈ Z e quindi C è un maggiorante di C: infatti se esistesse un sottoricoprimento finito {A1 , . . . , An } ⊂ C, allora ogni Ai appartiene ad un elemento Ai della catena C ed avremmo la contraddizione {A1 , . . . , An } ⊂ max(A1 , . . . , An ). Per il Lemma di Zorn esiste quindi un elemento massimale Z ∈ Z. Proviamo adesso che la famiglia P ∩ Z è un ricoprimento aperto di X, ossia che per ogni punto x esiste P ∈ P ∩ Z tale che x ∈ P . Sia x ∈ X un punto e scegliamo A ∈ Z tale che x ∈ A; per definizione di prebase esistono P1 , . . . , Pn ∈ P tali che x ∈ P1 ∩ · · · ∩ Pn ⊂ A: vogliamo dimostrare che Pi ∈ Z per qualche i = 1, . . . , n. Supponiamo il contrario, allora per ogni i = 1, . . . , n il ricoprimento Zi = Z ∪ {Pi } è strettamente maggiore di Z e quindi non appartiene a Z; di conseguenza esiste un sottoricoprimento finito X = Pi ∪Ai,1 ∪· · ·∪Ai,si , dove Ai,j ∈ Z. Se ne deduce che X = (∩i Pi )∪i,j Ai,j e quindi X = A ∪ ∪i,j Ai,j è un sottoricoprimento finito di Z. Riepilogando, la famiglia P ∩ Z è un ricoprimento aperto di X fatto con aperti della prebase; d’altra parte, essendo contenuta in Z, tale famiglia non ammette sottoricoprimenti finiti e questo è esattamente quello che volevamo dimostrare.   Giova osservare che, per quanto visto nell’Esempio 2.8, uno spazio topologico è a base numerabile se e solo se possiede una prebase numerabile.

Esercizi 7.1. Sia P(N) la famiglia di tutti i sottoinsiemi di N. Per ogni coppia di sottoinsiemi finiti e disgiunti A, B ⊂ N definiamo U (A, B) = {S ∈ P(N) | A ⊂ S, S ∩ B = ∅}. Dimostrare che: 1. I sottoinsiemi U (A, B) formano, al variare di A e B, una base di aperti di una topologia T su P(N).

7.2 Prodotti infiniti

141

2. I sottoinsiemi P (n) = {S ∈ P(N) | n ∈ S},

Q(n) = {S ∈ P(N) | n ∈ S},

formano, al variare di n ∈ N, una prebase della topologia T . 3. Lo spazio topologico (P(N), T ) è compatto di Hausdorff. (Sugg.: se P(N) = ∪n∈A P (n) ∪m∈B Q(m), allora B ∈ ∪n∈A P (n) e di conseguenza A ∩ B = ∅; applicare il teorema di Alexander.) 4. Per ogni r > 1 l’applicazione % &  1 1 f : P(N) → 0, , f (S) = , r−1 rn n∈S

è continua. Se r > 2 allora f è anche iniettiva. 7.2 (♥). Si consideri lo spazio X di tutte le applicazioni f : R → R dotato della topologia della convergenza puntuale (Esempio 7.4). Dimostrare che X è di Hausdorff e non soddisfa il primo assioma di numerabilità.

7.2 Prodotti infiniti Data una famiglia $ qualsiasi {Xi | i ∈ I} di insiemi, si definisce il prodotto cartesiano X = i∈I Xi come l’insieme di tutte le applicazioni x : I → ∪i Xi tali che $xi ∈ Xi per ogni indice i ∈ I. In altre parole, ogni elemento del prodotto i∈I Xi è una collezione {xi }i∈I indicizzata da I e tale che xi ∈ Xi per ogni i. L’assioma della scelta garantisce che, se ogni Xi è non vuoto, allora anche il prodotto X è non vuoto. Le proiezioni pi : X → Xi sono definite come pi (x) = xi . Xi sono tutti uguali ad un insieme X0 allora il prodotto $ $ Se gli insiemi I X = X le applicazioni I → X0 . i 0 coincide con l’insieme X0 di tutte$ i∈I i∈I Per ogni insieme Y e per ogni applicazione f : Y → i∈I Xi denotiamo con fi la composizione di f con la proiezione pi . Notiamo che f è univocamente determinata dalla famiglia di applicazioni {fi : Y → Xi | i ∈ I}. Se ogni Xi è uno spazio topologico, definiamo la topologia prodotto in X come la meno fine tra quelle che rendono tutte le proiezioni continue. Questo equivale a dire che i sottoinsiemi p−1 i (U ), al variare di i ∈ I e U negli aperti di Xi , formano una prebase che chiameremo prebase canonica . Chiameremo base canonica gli aperti che sono intersezione finita di elementi della prebase canonica. Se gli spazi Xi coincidono tra loro, la topologia prodotto coincide con la topologia della convergenza puntuale (Esempio 7.4), avendo tali topologie la stessa prebase. $ Lemma 7.6. Nelle notazioni precedenti, un’applicazione f : Y → i∈I Xi è continua se e solo se tutte le componenti fi : Y → Xi sono continue.

142

7 Varietà, prodotti infiniti e paracompattezza

Dimostrazione. Poiché le proiezioni pi sono continue, se f è continua, allora anche le componenti fi = pi f sono continue. Viceversa supponiamo che ogni componente fi sia continua. Allora per −1 −1 ogni aperto p−1 (pi (U )) = fi−1 (U ) e i (U ) della prebase canonica si ha f quindi f è continua.   Teorema 7.7 (Tyconoff ). Il prodotto di una famiglia qualsiasi di spazi topologici compatti è compatto. $ Dimostrazione. Sia X = i∈I Xi dotato della topologia prodotto e supponiamo ogni Xi compatto. Verifichiamo la compattezza di X utilizzando il teorema di Alexander 7.5. Consideriamo una collezione A di aperti della prebase canonica: dare A equivale a dare, per ogni i, una collezione Ai di aperti in Xi tale che A = {p−1 i (U ) | i ∈ I, U ∈ Ai }. Supponiamo che A sia un ricoprimento, allora Ai è un ricoprimento di Xi per qualche i. Infatti, se Ci = Xi − ∪{U | U ∈ Ai } fosse non vuoto per ogni indice i, per l’assioma della scelta esisterebbe x ∈ X tale che xi ∈ Ci per ogni i e quindi x ∈ ∪{p−1 i (U ) | i ∈ I, U ∈ Ai } = ∪{V | V ∈ A}. Sia dunque i ∈ I un indice tale che Ai è un ricoprimento di Xi . Per compattezza possiamo trovare un sottoricoprimento finito Xi = U1 ∪ · · · ∪ Un , con Uj ∈ Ai , e quindi {p−1   i (Uj )} ⊂ A è un sottoricoprimento finito. Osservazione 7.8. Esistono dimostrazioni del Teorema 7.7 che non utilizzano Alexander; però tutte le dimostrazioni utilizzano l’assioma della scelta o enunciato equivalente: questo perché il teorema di Tyconoff è equivalente all’assioma della scelta (Esercizio 7.6). Teorema 7.9. Il prodotto di una famiglia qualsiasi di spazi topologici connessi è connesso. Dimostrazione. Abbiamo già dimostrato che il prodotto di due spazi connessi è connesso. Segue dunque per induzione che il prodotto di una famiglia $ finita di spazi connessi è connesso. Consideriamo adesso il prodotto X = i∈I Xi di una famiglia arbitraria di spazi connessi. Se X è vuoto non c’è nulla da dimostrare. Supponiamo quindi X = ∅ e scegliamo un punto x ∈ X. Denotiamo con F (x) ⊂ X il sottoinsieme dei punti y tali che yi = xi per al più un numero finito di indici i ∈ I. Siccome la chiusura di un sottoinsieme connesso è connessa, basta dimostrare le seguenti due affermazioni: 1. 2.

F (x) è connesso. F (x) è denso in X.

7.2 Prodotti infiniti

Per ogni sottoinsieme finito J ⊂ I denotiamo con pJ : X → iezione sulle J-coordinate e definiamo l’applicazione   zi se i ∈ J hJ : Xj → X, hJ (z)i = xi se i ∈ J

$ j∈J

143

Xj la pro-

j∈J

Poiché ogni hJ è continua, l’immagine di hJ è un sottospazio connesso che contiene il punto x. Per definizione F (x) è l’unione delle immagini di hJ , al variare di J tra tutti i sottoinsiemi finiti di I e per il Lemma 4.23 si ha che F (x) è connesso. Dalla definizione di topologia prodotto segue che la famiglia degli aperti p−1 (U ), al variare di J tra i sottoinsiemi finiti di I e di U tra gli aperJ $ ti di j∈J Xj , contiene la base canonica ed è quindi una base. Inoltre vale −1 −1 h−1 J (pJ (U )) = U e quindi se U non è vuoto si ha F (x) ∩ pJ (U ) = ∅: in particolare F (x) interseca ogni aperto non vuoto della base canonica.  

Esercizi 7.3. Dimostrare che il prodotto di una famiglia arbitraria di spazi di Hausdorff è ancora di Hausdorff. 7.4. Dimostrare che il prodotto di una famiglia numerabile di spazi a base numerabile è ancora a base numerabile. 7.5. Mostrare che l’insieme P(N), con la topologia introdotta nell’Esercizio 7.1, è omeomorfo al prodotto di N copie di {0, 1}. 7.6. Sia g : Y → X un’applicazione surgettiva di insiemi e consideriamo su Y la topologia i cui chiusi sono Y ed i sottoinsiemi della forma g −1 (A), con A sottoinsieme finito di X. Dimostrare che Y è compatto. Identificando lo spazio di tutte le applicazioni f : X → Y con il prodotto di X copie di Y , per il teorema di Tyconoff la precedente topologia induce una struttura topologica compatta sull’insieme S = {f : X → Y }. Se A ⊂ X è un sottoinsieme finito, allora esistono applicazioni f : X → Y tali che g(f (x)) = x per ogni x ∈ A: notiamo che per dimostrare l’esistenza di una tale f è richiesto un numero finito di scelte e quindi non è necessario l’assioma della scelta. Provare che, al variare di A tra i sottoinsiemi finiti di X, i sottospazi F (A) = {f ∈ S | g(f (x)) = x per ogni x ∈ A} sono chiusi nel prodotto e formano una famiglia con la proprietà dell’intersezione finita (Esercizio 4.25). Dedurre che il Teorema di Tyconoff implica l’assioma della scelta.

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7 Varietà, prodotti infiniti e paracompattezza

7.7 (K, ♥). Sia S l’insieme di tutte le applicazioni a : N → {−1, 1}. Provare che il prodotto di S copie di [−1, 1] è compatto ma non è compatto per successioni. 7.8 (K). Sia I l’intervallo [0, 1] e X = I I = {f : I → I} dotato della topologia prodotto. Per il teorema di Tyconoff X è compatto di Hausdorff. Sia B ⊂ X il sottospazio di tutte le funzioni f : I → I tali che f (x) = 0 per al più una quantità numerabile di punti x ∈ I. Dimostrare che B è denso in X, che non è compatto ma che è compatto per successioni.

7.3 Raffinamenti e paracompattezza  La nozione di finitezza locale si estende in modo naturale a famiglie arbitrarie di sottoinsiemi di uno spazio topologico. Definizione 7.10. Una famiglia A di sottoinsiemi di uno spazio topologico X si dice localmente finita se per ogni punto x ∈ X esiste un intorno V ∈ I(x) tale che V ∩ A = ∅ per al più un numero finito di A ∈ A. Dato che ogni intorno contiene un aperto, e che un aperto interseca un sottoinsieme A se e soltanto se interseca la sua chiusura, ne segue che una famiglia {Ai | i ∈ I} è localmente finita se e solo se la famiglia {Ai | i ∈ I} è localmente finita. Lemma 7.11. Per ogni famiglia localmente finita {Ai } di sottoinsiemi di uno spazio topologico X vale ∪ Ai = ∪ Ai . i

i

In particolare l’unione di una famiglia localmente finita di chiusi è un chiuso. Dimostrazione. La relazione ∪i Ai ⊂ ∪i Ai è sempre soddisfatta in quanto il chiuso ∪i Ai contiene Ai e quindi Ai per ogni i. Rimane da dimostrare che se {Ai } è localmente finita, allora ∪i Ai è un sottoinsieme chiuso di X. Possiamo trovare un ricoprimento aperto X = ∪j Uj tale che Uj interseca al più finiti Ai e quindi (∪i Ai ) ∩ Uj = ∪i (Uj ∩ Ai ) è chiuso in Uj . Adesso basta ricordare che ogni ricoprimento aperto è fondamentale.   Definizione 7.12. Siano {Ui | i ∈ I} e {Vj | j ∈ J} due ricoprimenti di uno spazio topologico. Diremo che {Ui | i ∈ I} è più fine, o anche un raffinamento di {Vj | j ∈ J}, se per ogni i ∈ I esiste j ∈ J tale che Ui ⊂ Vj . In tale situazione chiameremo funzione di raffinamento qualsiasi applicazione f : I → J tale che Ui ⊂ Vf (i) per ogni i ∈ I. Esempio 7.13. Siano {Ui | i ∈ I} e {Vj | j ∈ J} due ricoprimenti di uno spazio topologico. Il ricoprimento {Ui ∩ Vj | (i, j) ∈ I × J} è un raffinamento di entrambi. Come funzioni di raffinamento è possibile prendere le proiezioni I × J → I e I × J → J.

7.3 Raffinamenti e paracompattezza 

145

Definizione 7.14. Uno spazio topologico si dice paracompatto se ogni ricoprimento aperto possiede un raffinamento aperto localmente finito. È chiaro che ogni spazio compatto è anche paracompatto. Qualcuno può porsi la domanda del perché chiediamo un raffinamento e non un sottoricoprimento localmente finito: il motivo è che se in X ogni ricoprimento ammette un sottoricoprimento localmente finito, allora X è compatto (facile esercizio). Similmente, se in X ogni ricoprimento ammette un raffinamento finito, allora X è compatto (facilissimo esercizio). Teorema 7.15. Sia X uno spazio topologico di Hausdorff: 1. Se X possiede una esaustione in compatti, allora X è paracompatto e localmente compatto. 2. Se X è connesso, paracompatto e localmente compatto, allora X possiede una esaustione in compatti. Dimostrazione. Per quanto riguarda (1), sia K1 ⊂ K2 ⊂ · · · una esaustione in compatti e sia B una qualunque base di aperti della topologia. Dimostriamo che per ogni ricoprimento aperto A di X esiste una sottofamiglia C ⊂ B che è un raffinamento localmente finito di A. Poniamo per convenzione Kn = ∅ se n ≤ 0. Per ogni n ∈ N e per ogni ◦ x ∈ Kn − Kn−1 scegliamo un aperto A ∈ A tale che x ∈ A ed un aperto ◦ della base B(n, x) ∈ B tale che x ∈ B(n, x) e B(n, x) ⊂ A ∩ (Kn+1 − Kn−2 ). ◦ Gli aperti B(n, x) ricoprono il compatto Kn − Kn−1 e possiamo trovare un ◦ sottoricoprimento finito Kn − Kn−1 ⊂ B(n, x1 ) ∪ · · · ∪ B(n, xs ). L’unione, al variare di n, di tali ricoprimenti fornisce la famiglia C richiesta. Dimostriamo adesso la (2); supponiamo X connesso, paracompatto e localmente compatto. La locale compattezza ci dice che possiamo trovare un ricoprimento aperto A di X tale che A è compatto per ogni A ∈ A e per paracompattezza possiamo trovarne un raffinamento B localmente finito: chiaramente B è compatto per ogni B ∈ B. Osserviamo infine che, in base al Lemma 7.11, per ogni sottofamiglia C ⊂ B, l’unione ∪{B | B ∈ C} è un sottoinsieme chiuso di X. Sia B1 un qualsiasi sottoinsieme finito di B tale che il compatto K1 = ∪{B | B ∈ B1 } sia non vuoto. Esiste allora una famiglia finita B2 ⊂ B tale che K1 ⊂ ∪{B | B ∈ B2 }. Possiamo procedere in maniera ricorsiva e costruire una successione di sottofamiglie finite Bn ⊂ B tali che per ogni n vale Kn = ∪{B | B ∈ Bn } ⊂ ∪{B | B ∈ Bn+1 }.

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7 Varietà, prodotti infiniti e paracompattezza

Per dimostrare che {Kn } è una esaustione in compatti di X resta da provare che ∪n Kn = X. Siccome ∪n Kn = ∪{B | B ∈ ∪n Bn } = ∪{B | B ∈ ∪n Bn }  si ha che ∪n Kn è un sottospazio aperto e chiuso nello spazio connesso X.  Corollario 7.16. Ogni spazio topologico localmente compatto di Hausdorff a base numerabile è paracompatto. Dimostrazione. Per il Teorema 6.13 ogni spazio topologico localmente compatto di Hausdorff a base numerabile possiede una esaustione in compatti e quindi è paracompatto per il Teorema 7.15.   Lemma 7.17. In uno spazio topologico paracompatto di Hausdorff ogni punto possiede un sistema fondamentale di intorni chiusi. Dimostrazione. Sia X paracompatto di Hausdorff; bisogna dimostrare che se U ⊂ X è un aperto che contiene x, allora esiste un aperto V ⊂ X tale che X − U ⊂ V e x ∈ V . Ne seguirà che il chiuso X − V è un intorno di x ed è contenuto in U . Denotiamo C = X − U ; dato che X è di Hausdorff, ogni punto y ∈ C possiede un intorno aperto Wy ∈ I(y) tale che x ∈ Wy . Dato che X è paracompatto, il ricoprimento aperto X = U ∪ {Wy | y ∈ C} ammette un raffinamento localmente finito X = ∪{Vi | i ∈ I}. Consideriamo l’aperto V = ∪{Vi | i ∈ I, Vi ∩ C = ∅}: se Vi ∩ C = ∅ allora Vi è contenuto in Wy per qualche y ∈ C, dunque x ∈ Vi e quindi x ∈ V = ∪{Vi | Vi ∩ C = ∅}.   Teorema 7.18 (di restringimento). Sia X = ∪{Ui | i ∈ I} un ricoprimento aperto di uno spazio topologico paracompatto di Hausdorff. Esiste allora un ricoprimento aperto localmente finito X = ∪{Vi | i ∈ I} tale che Vi ⊂ Ui per ogni i ∈ I. Dimostrazione. Per ogni x ∈ X scegliamo i(x) ∈ I tale che x ∈ Ui(x) ed un intorno aperto W (x) ∈ I(x) tale che W (x) ⊂ Ui(x) . Se X = ∪{Aj | j ∈ J} è un raffinamento localmente finito del ricoprimento aperto X = ∪{W (x) | x ∈ X}, allora esiste una funzione di raffinamento f : J → I tale che Aj ⊂ Uf (j) per ogni j ∈ J. Consideriamo, per ogni i ∈ I, l’aperto Vi = ∪{Aj | f (j) = i}: poiché la famiglia {Aj } è localmente finita si può applicare il Lemma 7.11 e quindi vale Vi = ∪{Aj | f (j) = i} ⊂ Ui .   Enunciamo infine un teorema di A.H. Stone. Il lettore interessato può trovarne la dimostrazione in [5, 18]. Teorema 7.19 (Stone). Ogni spazio metrizzabile è paracompatto.

7.4 Varietà topologiche

147

Esercizi 7.9. Sia B una base di uno spazio topologico X. Dimostrare che ogni ricoprimento aperto di X possiede raffinamenti fatti con aperti di B. 7.10. Dimostrare che ogni sottospazio chiuso di uno spazio paracompatto è paracompatto. 7.11 (K). Dimostrare che il prodotto di uno spazio compatto per uno spazio paracompatto è paracompatto. 7.12 (K). Dimostrare che per ogni a < b l’intevallo [a, b[ è paracompatto nella topologia di Sorgenfrey (Esempio 3.9). Dedurre che che la retta di Sorgenfrey è paracompatta. (Sugg.: può essere utile osservare che ogni ricoprimento formato da aperti disgiunti è localmente finito.)

7.4 Varietà topologiche Definizione 7.20. Uno spazio topologico M si dice una varietà topologica di dimensione n se: 1. Lo spazio M è di Hausdorff. 2. Ogni punto di M possiede un intorno aperto omeomorfo ad un aperto di Rn . 3. Ogni componente connessa di M è a base numerabile. Esempio 7.21. Ogni sottoinsieme aperto di Rn è una varietà topologica di dimensione n, mentre ogni sottoinsieme aperto di Cn è una varietà topologica di dimensione 2n. Esempio 7.22. La sfera S n è una varietà topologica di dimensione n. Infatti ogni punto x è contenuto nell’aperto S n − {−x} che è omeomorfo a Rn per proiezione stereografica. Esempio 7.23. Lo spazio proiettivo reale Pn (R) è una varietà topologica di dimensione n. Infatti ogni suo punto è contenuto nel complementare di un iperpiano H e Pn (R) − H è un aperto omeomorfo a Rn . Esempio 7.24. Lo spazio proiettivo complesso Pn (C) è una varietà topologica di dimensione 2n. Infatti ogni suo punto è contenuto nel complementare di un iperpiano H e Pn (C) − H è un aperto omeomorfo a Cn . Osservazione 7.25. Le tre condizioni della Definizione 7.20 sono indipendenti, cioè due di esse non implicano la terza: lo spazio descritto nell’Esercizio 5.8

148

7 Varietà, prodotti infiniti e paracompattezza

è connesso a base numerabile, ogni suo punto possiede un intorno omeomorfo a R, ma non è di Hausdorff. L’Esercizio 6.6 mostra un esempio di spazio connesso di Hausdorff, localmente omeomorfo a R2 ma non a base numerabile. In molti testi, nella definizione di varietà topologica, la condizione che ogni componente connessa abbia base numerabile viene sostituita con la condizione di paracompattezza; dimostriamo che queste due definizioni sono del tutto equivalenti. Lemma 7.26. Sia M uno spazio topologico in cui ogni suo punto possiede un intorno aperto omeomorfo ad un aperto di Rn . Allora M è localmente compatto e localmente connesso. Dimostrazione. Sia x un punto di M ; per ipotesi esiste un intorno aperto U di 0 in Rn ed una immersione aperta f : U → M tale che f (0) = x. Se B(0, r) ⊂ U per qualche r > 0, allora gli insiemi f (B(0, t)) formano, al variare di 0 < t < r, un sistema fondamentale di intorni chiusi, compatti e connessi di x.   Proposizione 7.27. Sia M una varietà topologica. Allora M è uno spazio localmente compatto di Hausdorff, ogni sua componente connessa è aperta e possiede una esaustione in compatti. Dimostrazione. Per il Lemma 7.26 M è localmente connessa e locamente compatta di Hausdorff. Per il Lemma 4.28, le componenti connesse di una varietà topologica sono aperte, mentre per il Teorema 6.13, ogni componente connessa possiede esaustioni in compatti.   Corollario 7.28. Ogni varietà topologica è paracompatta. Dimostrazione. Ogni varietà topologica connessa è localmente compatta di Hausdorff a base numerabile ed è quindi paracompatta per il Corollario 7.16. Ogni varietà topologica è l’unione disgiunta delle sue componenti connesse ed è chiaro dalle definizioni che l’unione disgiunta di spazi paracompatti è paracompatta.   Corollario 7.29. Sia M uno spazio paracompatto di Hausdorff tale che ogni punto di M possiede un intorno aperto omeomorfo ad un aperto di Rn . Allora M è una varietà topologica. Dimostrazione. Abbiamo già dimostrato nel Lemma 7.26 che M è localmente compatto ed ogni componente connessa è aperta. Sia M0 una componente connessa fissata; per il Teorema 7.15 M0 possiede una esaustione in compatti Kn . Possiamo ricoprire ogni compatto Kn con un numero finito di aperti omeomorfi ad aperti di Rn e quindi M0 è unione numerabile di aperti, ognuno dei quali è a base numerabile. Quindi anche M0 è a base numerabile.  

7.5 Spazi normali 

149

Esercizi 7.13. Provare che le varietà topologiche di dimensione 0 sono tutti e soli gli spazi topologici discreti. 7.14. Provare che un sottoinsieme aperto di una varietà topologica è ancora una varietà topologica della stessa dimensione. 7.15. Provare che il prodotto di due varietà topologiche è una varietà topologica. 7.16. Siano M una varietà topologica connessa di dimensione maggiore di 1 e K ⊂ M un sottoinsieme finito. Dimostrare che M − K è connesso. (Sugg.: vedi Esempio 4.5.) 7.17 (K). Sia M una varietà topologica connessa e siano p, q ∈ M . Dimostrare che esiste un omeomorfimo f : M → M tale che f (p) = q. 7.18 (K). Dati due interi k, n, con 0 < k < n, denotiamo con G(k, n) la famiglia dei sottospazi vettoriali di dimensione k di Rn e con p : GL(n, R) → G(k, n) l’applicazione che associa ad ogni matrice invertibile il sottospazio generato dai primi k vettori colonna. Poniamo su G(k, n) la topologia quoziente rispetto a p. Dimostrare che l’identificazione p è aperta e che G(k, n) è una varietà topologica compatta e connessa di dimensione k(n − k).

7.5 Spazi normali  Definizione 7.30. Uno spazio topologico si dice normale se è di Hausdorff e se chiusi disgiunti sono contenuti in aperti disgiunti. In altri termini, uno spazio di Hausdorff X è normale se per ogni coppia di chiusi disgiunti A, B ⊂ X esistono due aperti U, V ⊂ X tali che A ⊂ U , B ⊂ V e U ∩ V = ∅. Proposizione 7.31. 1. Ogni spazio metrizzabile è normale. 2. Ogni spazio topologico paracompatto di Hausdorff è normale. Dimostrazione. (1) Supponiamo (X, d) spazio metrico; già sappiamo che X è di Hausdorff. Se A e B sono chiusi disgiunti di X, consideriamo la funzione f : X → [0, 3] definita come f (x) =

3dA (x) , dA (x) + dB (x)

dove

dY (x) = inf d(x, y). y∈Y

Per quanto abbiamo visto nell’Esempio 3.47, la funzione f è continua, gli aperti U = f −1 ([0, 1[) e V = f −1 (]2, 3]) sono disgiunti e contengono rispettivamente A e B.

150

7 Varietà, prodotti infiniti e paracompattezza

(2) Supponiamo X paracompatto di Hausdorff e siano A e B chiusi disgiunti di X. Consideriamo il ricoprimento aperto X = (X − A) ∪ (X − B); per il teorema di restringimento 7.18 esistono due aperti U, V tali che U ∪ V = X,

U ⊂X −A

e

V ⊂ X − B.

Ne segue che A ⊂ X − U , che B ⊂ X − V e che (X − U ) ∩ (X − V ) = ∅.

 

Definizione 7.32. Siano X = ∪{Ui | i ∈ I} e X = ∪{Vj | j ∈ J} due ricoprimenti aperti. Diremo che {Vj | j ∈ J} è un raffinamento stellato di {Ui | i ∈ I} se per ogni x ∈ X l’aperto V (x) = ∪{Vj | x ∈ Vj } è contenuto in Ui per qualche indice i. Uno spazio topologico si dice pienamente normale se è di Hausdorff ed ogni ricoprimento aperto ammette un raffinamento stellato. Ogni spazio pienamente normale è anche normale. Infatti se C, D sono chiusi disgiunti possiamo considerare un raffinamento stellato {Vj } del ricoprimento X = (X − C) ∪ (X − D) e osservare che gli aperti U = ∪{Vj | Vj ∩ C = ∅},

W = ∪{Vj | Vj ∩ D = ∅}

sono disgiunti. Teorema 7.33. Ogni spazio topologico paracompatto di Hausdorff è pienamente normale. Dimostrazione. Sia X = ∪{Ui } un ricoprimento aperto di uno spazio paracompatto di Hausdorff del quale vogliamo trovare un raffinamento stellato. A meno di passare ad un raffinamento non è restrittivo supporre X = ∪{Ui } localmente finito. Per il teorema di restringimento esiste un ricoprimento chiuso X = ∪{Ci } tale che Ci ⊂ Ui per ogni i; in particolare anche {Ci } è localmente finito. Per ogni x ∈ X sia W (x) un suo intorno aperto che interseca finiti chiusi della famiglia {Ci }. A meno di restringere ulteriormente W (x) possiamo assumere che: 1. 2.

Se x ∈ Ci , allora W (x) ∩ Ci = ∅. Se x ∈ Ci , allora W (x) ⊂ Ui .

Sia ora x ∈ X un punto fissato; esiste un indice i tale che x ∈ Ci e quindi, se x ∈ W (y), allora W (y) ∩ Ci = ∅, y ∈ Ci e W (y) ⊂ Ui . Abbiamo dunque provato che {W (x)} è un raffinamento stellato di {Ui }.  

7.6 Proprietà di separazione 

151

Esercizi 7.19. Dimostrare che ogni sottospazio chiuso di uno spazio normale è normale. 7.20. Utilizzare il teorema di Wallace per dimostrare direttamente che ogni spazio compatto di Hausdorff è normale. 7.21. Sia {An | n ∈ N} una famiglia numerabile di sottospazi connessi e compatti di uno spazio topologico di Hausdorff X tali che An+1 ⊂ An per ogni n. Dimostrare che ∩n An è connesso. (Sugg.: non è restrittivo supporre X = A1 . Se ∩n An fosse contenuto nell’unione di due aperti disgiunti applicare l’Esercizio 4.26.) 7.22. Sia X uno spazio topologico compatto connesso di Hausdorff. Dimostrare che per ogni sottoinsieme A ⊂ X, la famiglia dei sottospazi di X compatti e connessi che contengono A possiede elementi minimali rispetto all’inclusione. 7.23 (K, ♥). Sia {Ui | i ∈ I} un ricoprimento aperto localmente finito di uno spazio topologico normale X. Dimostrare che esiste un ricoprimento aperto {Vi | i ∈ I} tale che Vi ⊂ Ui per ogni i. (Sugg.: applicare il lemma di Zorn all’insieme formato dalle coppie (J, {Vj | j ∈ J}) dove J ⊂ I, Vj ⊂ X aperto tale che Vj ⊂ Uj per ogni j ∈ J e (∪j∈J Vj ) ∪ (∪i∈J Ui ) = X.) 7.24 (K). Usare l’Esercizio 6.28 e gli argomenti usati nella soluzione dell’Esercizio 3.62 per dimostrare che il quadrato di Sorgenfrey RSf × RSf non è normale, e quindi che non è paracompatto.

7.6 Proprietà di separazione  Le proprietà per uno spazio topologico di essere di Hausdorff o normale sono le più note tra quelle che in letteratura vengono dette proprietà di separazione.1 Naturalmente la fantasia dei matematici ne ha inventate molte altre: la prossima definizione riepiloga le più celebri, introdotte da Tietze nel 1921 con il nome di Trennbarkeitsaxiome. Definizione 7.34. Uno spazio topologico: Si dice T0 (o di Kolmogoroff ) se punti distinti hanno chiusure distinte. Si dice T1 se i punti sono sottoinsiemi chiusi. Si dice T2 (o di Hausdorff, o separato) se per ogni coppia di punti distinti c = d esistono due aperti U, V tali che c ∈ U , d ∈ V e U ∩ V = ∅. Si dice T3 se per ogni chiuso C ed ogni punto d ∈ C esistono due aperti U, V tali che C ⊂ U , d ∈ V e U ∩ V = ∅.

• • • • 1

In inglese separation axioms, a volte tradotto in “assiomi di separazione”.

152



7 Varietà, prodotti infiniti e paracompattezza

Si dice T4 se per ogni coppia di chiusi disgiunti C, D esistono due aperti U, V tali che C ⊂ U , D ⊂ V e U ∩ V = ∅.

Si noti che la separabilità (Definizione 6.5) non è una proprietà di separazione: quasi tutti concordano, con il senno di poi, che usare il termine separabile per indicare un assioma di numerabilità non è stata un’idea particolarmente brillante. Definizione 7.35. Uno spazio topologico si dice regolare se soddisfa le proprietà T1 e T3. Se vale T1, ossia se i punti sono chiusi, allora T3 è un caso particolare di T4 e T2 è un caso particolare di T3. In particolare uno spazio topologico è normale se e solo se soddisfa T1 e T4 e quindi metrizzabile ⇒ normale ⇒ regolare ⇒ Hausdorff ⇒ T1 ⇒ T0. Teorema 7.36. Ogni spazio regolare a base numerabile è normale. In particolare, sottospazi e prodotti finiti di spazi normali a base numerabile sono ancora normali. Dimostrazione. Sia X uno spazio topologico regolare con base numerabile di aperti B e siano C, D chiusi disgiunti di X. La condizione di regolarità implica che per ogni x ∈ C esiste U ∈ B tale che x ∈ U ⊂ U ⊂ X − D; proprietà simile per i punti y ∈ D. Consideriamo le due sottofamiglie C = {U ∈ B | U ∩ D = ∅},

D = {V ∈ B | V ∩ C = ∅}.

Poiché C e D sono entrambe numerabili possiamo scrivere C = {Un | n ∈ N} e D = {Vn | n ∈ N}; si ha C ⊂ ∪{Un | n ∈ N} e D ⊂ ∪{Vn | n ∈ N}. Per ogni n consideriamo gli aperti A n = Un − ∪ V j , j≤n

Bn = Vn − ∪ Uj . j≤n

Se m ≥ n, allora Am ∩ Vn = Bm ∩ Un = ∅ e quindi Am ∩ Bn = Bm ∩ An = ∅. Quest’ultima relazione equivale a dire che An ∩ Bm = ∅ per ogni scelta di n, m ∈ N. Infine se A = ∪An e B = ∪Bn si ha C ⊂ A, D ⊂ B e A ∩ B = ∅. Per finire osserviamo che sottospazi e prodotti di spazi regolari sono ancora regolari (Esercizio 7.25).   Solitamente il Teorema 7.36 viene abbinato al seguente risultato, che riportiamo senza dimostrazione. Teorema 7.37 (Urysohn). Ogni spazio normale a base numerabile è metrizzabile. La dimostrazione originale si trova in [25] ed è stata scritta da Alexandroff basandosi sugli appunti lasciati da Urysohn, morto annegato all’età di 26 anni. Per altre dimostrazioni vedi [5, 18].

7.6 Proprietà di separazione 

153

Tra i vari risultati preliminari, necessari alla dimostrazione del teorema, uno è particolarmente celebre: viene comunemente detto lemma di Urysohn (Lemma 8.29) e si trova dimostrato in quasi tutti i testi di topologia generale.

Esercizi 7.25 (♥). Dimostrare che sottospazi e prodotti di spazi Tx sono ancora Tx per x=1,2,3. 7.26. Sia X uno spazio topologico regolare ma non normale. Dimostrare che esiste un sottospazio chiuso A ⊂ X tale che il quoziente X/A è di Hausdorff ma non regolare. 7.27. Usare il il fatto che la retta di Sorgenfrey RSf è normale (Esercizio 7.12), mentre il prodotto RSf × RSf non è normale (Esercizio 7.24) per dedurre che le implicazioni inverse di metrizzabile ⇒ normale ⇒ regolare ⇒ Hausdorff . sono tutte generalmente false. 7.28 (K, ♥). Sia {Yn } una famiglia numerabile di sottospazi chiusi di uno spazio normale. Dimostrare che Y = ∪n Yn , con la topologia di sottospazio, è normale.

8 Complementi di topologia generale 

8.1 Il paradosso di Russell Secondo la definizione intuitiva ed ingenua, per cui un insieme è dato semplicemente dai suoi elementi (senza ulteriori condizioni), risulterebbe essere un insieme anche l’insieme di tutti gli insiemi, ossia quello i cui elementi sono tutti i possibili insiemi. Un tale insieme, indichiamolo con X, avrebbe la strana proprietà che X ∈ X; se vogliamo accettare che abbia senso che un insieme appartenga a se stesso, possiamo fare un passo avanti e considerare il sottoinsieme Y = {A ∈ X | A ∈ A} . Adesso riflettiamo: se Y ∈ Y , allora (per la definizione di Y ) segue che Y ∈ Y ; se Y ∈ Y , allora segue (sempre per la definizione di Y ) che Y ∈ Y . Abbiamo appena esposto l’arcinoto paradosso di Russell. Esso ci insegna che non esiste l’insieme degli insiemi e ci invita a non dimenticare mai il seguente comandamento: l’insieme di tutti gli insiemi è privo di valenza ontologica. Quando siamo tentati di parlare di esso, bisogna sempre cercare il modo per evitare di farlo. Poiché ogni insieme possiede topologie, ne consegue che non esiste l’insieme degli spazi topologici.

Esercizi 8.1. Sia X uno spazio topologico di Hausdorff. Chiameremo compattificazione di Stone–Čech di X un’applicazione continua f : X → c(X), con c(X) compatto di Hausdorff che gode della seguente proprietà universale: per ogni spazio compatto di Hausdorff Y ed ogni applicazione continua g : X → Y vi è un’unica applicazione continua h : c(X) → Y tale che g = hf . M. Manetti: Topologia, 2a edizione, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 78, DOI: 10.1007/978-88-470-5662-6_8, © Springer-Verlag Italia 2014

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8 Complementi di topologia generale 

Mostriamo adesso una pseudodimostrazione dell’esistenza della compattificazione di Stone–Čech che contiene un ERRORE MICIDIALE: a voi il compito di individuarlo. Per la dimostrazione corretta rimandiamo invece ai libri di Kelley [12, pag.53] e Dugundji [5, Th. 8.2]. Pseudodimostrazione Indichiamo con A l’insieme di tutte le coppie (Z, φ), con Z spazio compatto di Hausdorff e φ : X → Z applicazione continua. Consideriamo adesso lo spazio topologico prodotto  W = Z, (Z,φ)∈A

che per il teorema di Tychonoff è compatto di Hausdorff. Denotiamo con π(Z,φ) : W → Z le proiezioni sui fattori e con f : X → W l’applicazione continua di componenti π(Z,φ) f = φ. Poniamo infine c(X) = f (X). Il sottospazio c(X) è chiuso in W ed è quindi compatto di Hausdorff. Se g : X → Y è continua con Y compatto di Hausdorff, allora basta considerare h = π(Y,g) per avere g = hf . L’unicità di h segue dal fatto che Y è di Hausdorff e f (X) è denso in c(X).

8.2 L’assioma della scelta implica il lemma di Zorn Abbiamo già osservato che il Lemma di Zorn implica l’assioma della scelta. In questa sezione mostreremo che vale anche il viceversa, ossia che l’assioma della scelta implica il lemma di Zorn. Definizione 8.1. Sia X un insieme. Una famiglia F ⊂ P(X) di sottoinsiemi di X si dice strettamente induttiva se per ogni catena non vuota C ⊂ F si ha  A∈F . A∈C

Teorema 8.2. Sia F una famiglia strettamente induttiva di sottoinsiemi di X e sia f : F → F un’applicazione tale che A ⊂ f (A) per ogni A ∈ F. Allora, per ogni Q ∈ F esiste P ∈ F tale che Q ⊂ P e f (P ) = P . Dimostrazione. Basta trovare un elemento P ∈ F tale che Q ⊂ P e f (P ) ⊂ P . Chiameremo torre una qualunque sottofamiglia A ⊂ F che soddisfa le seguenti condizioni S1, S2 ed S3: S1: Q ∈ A. S2: f (A) ⊂ A.  S3: Per ogni catena non vuota C ⊂ A si ha A∈C A ∈ A. Indichiamo con T la collezione delle torri in F ; la famiglia T non è vuota perché contiene F . Osserviamo che  M= A A∈T

8.2 L’assioma della scelta implica il lemma di Zorn

157

soddisfa le tre condizioni precedenti e pertanto M ∈ T. Notiamo anche che la famiglia {B ∈ F | Q ⊂ B} appartiene ad T e quindi Q ⊂ B per ogni B ∈ M. Diremo, provvisoriamente, che un sottoinsieme T di X è buono se T ∈ M e se per ogni A ∈ M, A  T , vale f (A) ⊂ T ; ricordiamo che il simbolo A  B indica che A è un sottoinsieme proprio di B. Ad esempio Q è un sottoinsieme buono. Lemma 8.3. Per ogni sottoinsieme buono T ∈ M e per ogni A ∈ M si ha A ⊂ T oppure f (T ) ⊂ A. Dimostrazione. Sia T ∈ M buono e consideriamo la famiglia N = {A ∈ M | A ⊂ T oppure f (T ) ⊂ A}. Siccome N ⊂ M, per dimostrare che N = M basta mostrare che N soddisfa le proprietà S1, S2 ed S3. Per quanto riguarda S1 abbiamo già osservato che Q ⊂ B per ogni B ∈ M; in particolare Q ⊂ T e quindi Q ∈ N . Per dimostrare S2, ossia che f (A) ∈ N per ogni A ∈ N consideriamo la seguente casistica: 1. Se A  T allora, dato che T è buono si ha f (A) ⊂ T e quindi f (A) ∈ N . 2. Se A = T , allora f (T ) = f (A); a maggior ragione f (T ) ⊂ f (A) e quindi f (A) ∈ N . 3. Se f (T ) ⊂ A, allora f (T ) ⊂ A ⊂ f (A) e quindi f (A) ∈ N .  Per dimostrare S3, sia C una catena non vuota contenuta in N e sia H = A∈C A ∈ M. Se H ⊂ T allora H ∈ N , altrimenti esiste A ∈ C che non è contenuto in T e quindi deve valere f (T ) ⊂ A; a maggior ragione f (T ) ⊂ H e quindi H ∈ N .   Lemma 8.4. Ogni elemento di M è un sottoinsieme buono. Dimostrazione. Indichiamo con T la famiglia dei sottoinsiemi buoni, ossia: T = {T ∈ M | f (A) ⊂ T per ogni A ∈ M, A  T }. Come nel precedente lemma, per dimostrare che T = M basta mostrare che T soddisfa le condizioni S1,S2 ed S3; abbiamo già osservato che Q è buono e quindi che T soddisfa S1. Per quanto riguarda S2 occorre dimostrare che se T è buono, allora anche f (T ) è buono, ossia che f (A) ⊂ f (T ) per ogni A ∈ M, A  f (T ). Per il Lemma 8.3 le condizioni A ∈ M, A  f (T ), implicano che A ⊂ T e quindi basta applicare f per ottenere f (A) ⊂ f (T ). Mostriamo  adesso che T soddisfa la condizione S3. Siano C ⊂ T una catena e H = A∈C A ∈ M. Dobbiamo provare che H è buono, e cioè che se A ∈ M e A  H, allora f (A) ⊂ H. Siccome H non è contenuto in A esiste T ∈ C tale che T ⊂ A e quindi, a maggior ragione f (T ) ⊂ A. Per il Lemma 8.3 si ha A ⊂ T , che assieme alla condizione T ⊂ A implica A  T . Dato che T è buono si ha f (A) ⊂ T ⊂ H.  

158

8 Complementi di topologia generale 

Tornando alla dimostrazione del Teorema 8.2, osserviamo che è sufficiente dimostrare che M è una catena di X. Infatti, in tal caso per le proprietà S3 ed S2 si ha  P := A ∈ M, f (P ) ∈ M, A∈M

e quindi f (P ) ⊂ P . Siano dunque S, T ∈ M e supponiamo che S ⊂ T . Per il Lemma 8.4 T è buono e dunque, per il Lemma 8.3, si ha f (T ) ⊂ S; siccome T ⊂ f (T ) a maggior ragione si ha T ⊂ S.   Osservazione 8.5. È importante osservare che nella dimostrazione del Teorema 8.2 non abbiamo fatto uso né dell’assioma della scelta, né del Lemma di Zorn; d’altra parte, utilizzando il Lemma di Zorn la dimostrazione si sarebbe ridotta a poche righe, essendo ogni elemento massimale di F necessariamente un punto fisso per f . Corollario 8.6. Sia F ⊂ P(X) una famiglia non vuota e strettamente induttiva di sottoinsiemi di un insieme X. Allora F possiede elementi massimali. Dimostrazione. Consideriamo la famiglia R ⊂ F × F formata dalle coppie (A, B) tali che A  B. Se, per assurdo, F non contiene elementi massimali, allora la proiezione sul primo fattore R → F è surgettiva e quindi, per l’assioma della scelta, possiamo trovare un’applicazione f : F → F tale che A  f (A) per ogni A ∈ F, in contraddizione con il Teorema 8.2.   Corollario 8.7 (Principio del massimo di Hausdorff ). La famiglia delle catene in un insieme ordinato è strettamente induttiva. In particolare, in un insieme ordinato ogni catena è contenuta in una catena massimale. Dimostrazione. Sia F ⊂ P(X) la famiglia di tutte le catene di un insieme ordinato (X, ≤). Data una catena C ⊂ F, occorre dimostrare che il sottoinsieme di X  E= H H∈C

è una catena. Se x, y ∈ E, allora esistono due catene H, K ∈ C tali che x ∈ H e y ∈ K. Poiché C è una catena di P(X) si ha H ⊂ K oppure K ⊂ H; se ad esempio H ⊂ K allora x, y ∈ K e, dato che K è una catena di X si ha x ≤ y oppure y ≤ x; questo prova che E è una catena di X. Per completare la dimostrazione basta adesso applicare il Corollario 8.6.   Corollario 8.8 (Lemma di Zorn). Un insieme ordinato e non vuoto, in cui ogni catena possiede maggioranti, possiede elementi massimali. Dimostrazione. Sia (X, ≤) un insieme ordinato e non vuoto in cui ogni catena possiede maggioranti. Per il Corollario 8.7 esiste una catena massimale C ⊂ X. Sia m un maggiorante di C e dimostriamo che m è un elemento massimale di X. Se così non fosse esisterebbe x ∈ X con x > m e C ∪ {x} sarebbe una catena strettamente maggiore di C.  

8.3 Il teorema di Zermelo

159

Esercizi 8.2 (♥). Sia X uno spazio topologico infinito. Indichiamo con A l’anello delle funzioni continue f : X → R e con D ⊂ A il sottoinsieme delle funzioni continue che si annullano in infiniti punti. Dimostrare che esistono ideali primi di A che sono contenuti in D. 8.3 (K). Kilgore Trout è riuscito a pubblicare il suo ultimo romanzo di fantascienza. Vi si narrano le avventure del dottor Zorn, ministro dei trasporti di un universo parallelo: un universo che contiene infiniti pianeti abitati e collegati tra loro con un efficiente sistema di navette spaziali. Ogni navetta percorre, sia in andata che in ritorno, una rotta ben definita che unisce direttamente due pianeti. Tale sistema permette di spostarsi da un qualsiasi pianeta ad un altro con un numero finito di viaggi interplanetari ed un numero finito di scali intermedi. I tagli della legge finanziaria costringono il dottor Zorn a cancellare alcune rotte in modo tale che, per ogni coppia di pianeti, esista un unico modo di spostarsi dall’uno all’altro senza prendere più di una volta la stessa navetta. – Se i pianeti fossero in numero finito – disse Billy – allora il mio cervello terrestre troverebbe certamente una soluzione; ma così più ci penso e meno ne capisco. Nonostante le perplessità del povero Billy il dottor Zorn riesce a portare a termine il lavoro. Secondo voi, come ha fatto?

8.3 Il teorema di Zermelo Siano (X, ≤) un insieme ordinato e S ⊂ X un sottoinsieme: un elemento s ∈ X si dice il minimo di S, ed in tal caso si scrive s = min(S), se s ∈ S e se s ≤ x per ogni x ∈ S. Per la proprietà antisimmetrica degli ordinamenti, se esiste il minimo di un sottoinsieme, allora esso è unico. Definizione 8.9. Una relazione di ordine su di un insieme X si dice un buon ordinamento se ogni sottoinsieme non vuoto A di X possiede minimo, cioè se per ogni ∅ = A ⊂ X esiste a ∈ A tale che a ≤ b per ogni b ∈ A. Un insieme dotato di un buon ordinamento si dice bene ordinato. Ad esempio, il principio del minimo intero afferma che l’insieme dei numeri naturali, con l’usuale relazione di ordine, è un insieme bene ordinato. Denotiamo con P(X) la famiglia dei sottoinsiemi non vuoti di un insieme X. Ad ogni buon ordinamento su X è associata la corrispondente applicazione di minimo min : P(X) → X

160

8 Complementi di topologia generale 

che gode delle proprietà: 1. min(A) ∈ A per ogni A ∈ P(X) . 2. min(A ∪ B) = min(min(A), min(B)) per ogni A, B ∈ P(X) . Dall’applicazione di minimo si può risalire alla relazione di ordine: dati due elementi x, y vale x ≤ y se e solo se x = min(x, y), mentre vale y ≤ x se e solo se y = min(x, y). In particolare ogni insieme X bene ordinato è anche totalmente ordinato. Lemma 8.10. Sia X un insieme non vuoto e sia λ : P(X) → X un’applicazione tale che: 1. λ(A) ∈ A per ogni A ∈ P(X) . 2. λ(A ∪ B) = λ(λ(A), λ(B)) per ogni A, B ∈ P(X) . Allora esiste un unico buon ordinamento su X per il quale λ è l’applicazione minimo. Dimostrazione. Poniamo x ≤ y se x = λ(x, y): verifichiamo che (X, ≤) è un insieme bene ordinato e che λ = min. Vale λ(x, x) = λ(x) = x per ogni x ∈ X e quindi ≤ è riflessiva. Se x ≤ y e y ≤ x allora per definizione x = λ(x, y) e y = λ(x, y) da cui segue x = y. Se x ≤ y e y ≤ z allora x = λ(x, y) = λ(λ(x), λ(y, z)) = λ(x, y, z) = λ(λ(x, y), λ(z)) = λ(x, z) da cui segue x ≤ z. Infine, se A ⊂ X è un qualsiasi sottoinsieme non vuoto e a = λ(A) ∈ A, allora per ogni x ∈ A possiamo scrivere A = {x} ∪ A e quindi a = λ(A) = λ(A ∪ {x}) = λ(λ(A), λ(x)) = λ(a, x) che implica a ≤ x.

  

Teorema 8.11. Per ogni insieme X esiste un’applicazione λ : P(X) → X tale che: 1. λ(A) ∈ A per ogni A ∈ P(X) . 2. λ(A ∪ B) = λ(λ(A), λ(B)) per ogni A, B ∈ P(X) . Dimostrazione. Se X = ∅ non c’è nulla da dimostrare. Se X = ∅ consideriamo la famiglia A formata da tutte le coppie (E, λE ) con E sottoinsieme non vuoto di X e λE : P(E) → X che soddisfa le condizioni 1 e 2. Se x ∈ X allora ({x}, {x} → x) ∈ A e quindi A non è vuoto. Poniamo su A la relazione di ordine (E, λE ) ≤ (F, λF ) se e solo se E ⊂ F e λE (E ∩ A) = λF (A) per ogni sottoinsieme A ⊂ F tale che A ∩ E = ∅. Proviamo, con l’aiuto del Lemma di Zorn, che A possiede elementi massimali. Sia C una catena in A e definiamo la coppia (C, λC ) nel modo seguente:  C = {E | (E, λE ) ∈ C} λC (A) = λE (A ∩ E) per qualche (E, λE ) ∈ C tale che A ∩ E = ∅.

8.3 Il teorema di Zermelo

161

Lasciamo al lettore il semplice esercizio di dimostrare che (C, λC ) ∈ A è un maggiorante della catena C. Sia dunque (M, λM ) un elemento massimale e supponiamo per assurdo che esista m ∈ X − M . Possiamo allora considerare la coppia (N, λN ), dove N = M ∪ {m}, λN ({m}) = m e λN (A) = λM (A ∩ M ) per ogni sottoinsieme A di N diverso da ∅ e {m}. Dato che (M, λM ) < (N, λN ) abbiamo contraddetto la massimalità di (M, λM ).   Si noti che la condizione 1 del Teorema 8.11 è del tutto equivalente all’assioma della scelta (vedi Esercizio 2.13). Corollario 8.12 (Teorema di Zermelo). Sia X un insieme non vuoto. Allora esiste un buon ordinamento ≤ su X tale che per ogni x ∈ X l’insieme {y ∈ X | y < x} ha cardinalità strettamente minore di |X|. Dimostrazione. Per il Teorema 8.11 ed il Lemma 8.10 esiste su X un buon ordinamento . Per ogni x ∈ X indichiamo con L(x) = {z ∈ X | z ≺ x}. Se per ogni x la cardinalità di L(x) è strettamente minore della cardinalità di X basta prendere ≤ uguale a . Altrimenti indichiamo con a ∈ X il minimo del sottoinsieme non vuoto {x ∈ X | |L(x)| = |X|}. Per costruzione l’insieme L(a) ha la stessa cardinalità di X e  induce su L(a) un buon ordinamento con l’ulteriore proprietà che per ogni x ∈ L(a) vale |L(x)| < |L(a)|. Basta quindi prendere una qualsiasi applicazione bigettiva f : X → L(a) e definire x≤y

se e solo se f (x)  f (y).

 

Esercizi 8.4. Sia K ⊂ R2 un sottoinsieme connesso. Dimostrare che se K contiene almeno due punti, allora K ha la cardinalità del continuo. 8.5. Sia A ⊂ R2 un sottoinsieme sconnesso per archi. Dimostrare che R2 − A ha la cardinalità del continuo. 8.6 (K). Denotiamo con C la famiglia dei chiusi di R2 che hanno la cardinalità del continuo, ossia C ∈ C se e solo se C è chiuso e |C| = |R|. 1. Dimostrare che se C, D ∈ C e C ∪ D = R2 , allora C ∩ D ∈ C (sugg.: se nessuno dei due chiusi è contenuto nell’altro usare l’Esercizio 8.5). 2. Dimostrare che C ha la cardinalità del continuo (sugg.: R2 è uno spazio a base numerabile).

162

8 Complementi di topologia generale 

3. Fissiamo un ordinamento ≤ su C che soddisfa le condizioni del teorema di Zermelo. Diremo che U ⊂ C è un segmento iniziale se per ogni x ∈ U ed ogni y ≤ x vale y ∈ U. Indichiamo con A l’insieme formato dalle triple (U, f, g), dove U è un segmento iniziale di C e f, g : U → R2 sono applicazioni tali che: a) f (U) ∩ g(U) = ∅. b) Per ogni chiuso C ∈ U vale f (C), g(C) ∈ C. Dimostrare che A, ordinato per estensione, possiede elementi massimali. Usare il punto (2) per dedurre che esistono due sottoinsiemi disgiunti A, B ⊂ R2 tali che per ogni C ∈ C vale C ∩ A = ∅, C ∩ B = ∅. 4. Utlilizzare i punti precedenti e l’Esercizio 8.4 per dimostrare che esiste un sottoinsieme A ⊂ R2 denso, connesso e tale che ogni cammino continuo α : [0, 1] → A è costante. Osservazione 8.13. Chi conosce la teoria della misura può dimostrare che i sottoinsiemi A, B dell’Esercizio 8.6 non sono misurabili secondo Lebesgue. 8.7 (K, ♥). Sia X un insieme infinito. Si dimostri che esiste una famiglia A di sottoinsiemi di X con le seguenti proprietà: 1. |A| = |X| per ogni A ∈ A. 2. |A ∩ B| < |X| per ogni A, B ∈ A, A = B. 3. |X| < |A|. (Sugg.: considerare una famiglia massimale tra quelle di cardinalità maggiore od uguale a quella di X e che soddisfano le precedenti condizioni 1 e 2.)

8.4 Ultrafiltri Questa sezione può essere omessa sia ad una prima che ad una seconda lettura del libro: gli argomenti trattati devono essere considerati esclusivamente come folklore topologico e curioso esercizio. Il concetto di ultrafiltro è stato introdotto da Henri Cartan nel 1937 e trova applicazioni in topologia, logica e teoria della misura. Tra l’altro è stato utilizzato da Gödel nella sua “dimostrazione” dell’esistenza di Dio! Per la precisione, la definizione che daremo non è quella standard, ma è comunque equivalente ad essa. Definizione 8.14. Siano X un insieme e U una famiglia non vuota di sottoinsiemi di X. Diremo che U è un ultrafiltro in X se valgono le seguenti quattro condizioni: 1. 2. 3. 4.

A = ∅ per ogni A ∈ U. Se A ⊂ B sono sottoinsiemi di X e A ∈ U, allora B ∈ U. Se A, B ∈ U, allora A ∩ B ∈ U. Se U ⊂ X e A ∩ U = ∅ per ogni A ∈ U, allora U ∈ U.

8.4 Ultrafiltri

163

Esempio 8.15. Siano X un insieme e p un suo elemento. Allora la famiglia U = {A ⊂ X | p ∈ A} è un ultrafiltro. Lemma 8.16. Sia U un ultrafiltro in un insieme X. Allora per ogni sottoinsieme A ⊂ X vale A ∈ U oppure X − A ∈ U. Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che A ∈ U e X − A ∈ U. Per la condizione 4 esistono C, D ∈ U tali che A ∩ C = ∅, D ∩ (X − A) = ∅. Allora C ∩ D = (C ∩ D) ∩ X = (C ∩ D) ∩ (A ∪ (X − A)) = ∅ in contraddizione con le condizioni 1 e 3 della Definizione 8.14.

 

Teorema 8.17 (Lemma degli ultrafiltri). Sia A una famiglia di sottoinsiemi non vuoti di un insieme X. Allora esiste un ultrafiltro che contiene A se e soltanto se ogni sottofamiglia finita di A ha intersezione non vuota. Dimostrazione. Una implicazione è banale. Viceversa, supponiamo che per ogni A1 , . . . , An ∈ A vale A1 ∩ · · · ∩ An = ∅, allora la famiglia F di tutti i sottoinsiemi che contengono una intersezione finita di elementi di A soddisfa le condizioni 1, 2 e 3 della Definizione 8.14. Sia U la collezione di tutte le sottofamiglie G ⊂ P(X) che contengono F e che soddisfano le condizioni 1, 2 e 3 della Definizione 8.14. La collezione U è ordinata per inclusione e per il lemma di Zorn possiede elementi massimali. Sia U un elemento massimale di U e dimostriamo che soddisfa la condizione 4 della Definizione 8.14. Sia A un sottoinsieme di X, se A∩U = ∅ per ogni U ∈ U, allora la famiglia dei sottoinsiemi di X che contengono A ∩ U per qualche U ∈ U appartiene alla collezione U e per la massimalità di U vale A ∈ U.   Prima di passare agli esercizi, che suggeriamo di svolgere nella sequenza proposta, abbiamo bisogno della definizione di convergenza di un ultrafiltro. Definizione 8.18. Sia U un ultrafiltro in uno spazio topologico X. Diremo che U converge ad un punto x ∈ X se ogni intorno di x appartiene a U .

Esercizi 8.8. Mostrare che ogni ultrafiltro in un insieme finito è del tipo descritto nell’Esempio 8.15. 8.9. Sia A un ricoprimento aperto di uno spazio topologico X che non ammette alcun sottoricoprimento finito. Dimostrare che esiste un ultrafiltro U in X tale che A ∩ U = ∅. Dedurre che non tutti gli ultrafiltri sono del tipo descritto nell’Esempio 8.15.

164

8 Complementi di topologia generale 

8.10. Sia U un ultrafiltro in uno spazio topologico che non converge ad alcun punto. Dimostrare che la famiglia degli aperti che non appartengono a U è un ricoprimento che non possiede sottoricoprimenti finiti. Dedurre che uno spazio topologico è compatto se e soltanto se ogni ultrafiltro in esso è convergente. 8.11. Siano P una prebase di uno spazio topologico X e U un ultrafiltro in X. Dimostrare che U converge ad x se e solo se {P ∈ P | x ∈ P } ⊂ U. 8.12. Siano P una prebase di uno spazio topologico X ed U un ultrafiltro in X. Supponiamo che U non converga ad alcun punto di X. Dimostrare che P −U è un ricoprimento aperto di X che non ammette alcun sottoricoprimento finito. 8.13. Utilizzare i risultati degli esercizi precedenti per una dimostrazione alternativa del teorema di Alexander 7.5. 8.14. Siano U un ultrafiltro in un insieme X, f : X → Y un’applicazione surgettiva e denotiamo f (U) = {f (A) | A ∈ U }. Dimostrare che f (U ) è un ultrafiltro in Y , che f (U) = {A ⊂ Y | f −1 (A) ∈ U } e che per ogni ultrafiltro V in Y esiste un ultrafiltro U in X tale che f (U ) = V. $ 8.15. Sia X = i Xi un prodotto di spazi topologici e siano pi : X → Xi le proiezioni. Dimostrare che un ultrafiltro U in X è convergente se e solo se pi (U) è convergente per ogni i. 8.16. Utilizzare i risultati degli Esercizi 8.10 e 8.15 per dimostrare il teorema di Tyconoff 7.7. Attenzione: il lemma degli ultrafiltri non è equivalente all’assioma della scelta. Nella dimostrazione del teorema di Tyconoff proposta nell’Esercizio 8.16, il lemma degli ultrafiltri non sostituisce completamente l’assioma della scelta, il quale è necessario, ad esempio, per risolvere l’Esercizio 8.15.

8.5 La topologia compatta-aperta Riprendendo le notazioni introdotte nella Sezione 6.7, dati due spazi topologici X, Y denotiamo con C(X, Y ) l’insieme di tutte le applicazioni continue da X in Y . La topologia compatta-aperta su C(X, Y ) è per definizione la topologia che ha come prebase tutti i sottoinsiemi W (K, U ) = {f ∈ C(X, Y ) | f (K) ⊂ U }, al variare di K tra i compatti di X e di U tra gli aperti di Y . In questa sezione mostreremo che se X è localmente compatto di Hausdorff, allora la topologia compatta-aperta su C(X, Y ) ha buone proprietà.

8.5 La topologia compatta-aperta

165

Lemma 8.19. Siano X, Y due spazi topologici, con X localmente compatto di Hausdorff, e sia P una prebase della topologia su Y . Allora la famiglia dei sottoinsiemi W (K, U ), al variare di K tra i compatti di X e di U in P, è una prebase della topologia compatta-aperta su C(X, Y ). Dimostrazione. Bisogna dimostrare che per ogni f : X → Y continua, per ogni compatto K ⊂ X e per ogni aperto U ⊂ Y tale che f (K) ⊂ U , esistono dei compatti K1 , . . . , Kn e degli aperti U1 , . . . , Un ∈ P tali che f ∈ W (K1 , U1 ) ∩ · · · ∩ W (Kn , Un ) ⊂ W (K, U ). Sia B la famiglia delle intersezioni finite di aperti della prebase P. Allora B è una base di aperti di Y e, siccome f (K) è compatto, possiamo trovare V1 , . . . , Vm ∈ B tali che f (K) ⊂ V1 ∪ · · · ∪ Vm ⊂ U. Ogni punto x ∈ K possiede un intorno compatto Kx tale che f (Kx ) ⊂ Vi per qualche i. Siccome la famiglia delle parti interne dei Kx è un ricoprimento aperto di K, esiste un sottoinsieme finito S ⊂ K tale che K ⊂ ∪{Kx | x ∈ S}. Se denotiamo, per ogni i = 1, . . . , m, con Ki = ∪{Kx | x ∈ S, f (Kx ) ⊂ Vi }, si ha che ogni Ki è compatto e vale f ∈ W (K1 , V1 ) ∩ · · · ∩ W (Km , Vm ) ⊂ W (K, U ). Per ogni indice i esistono Ui1 , . . . , Uis ∈ P tali che Vi = Ui1 ∩ · · · ∩ Uis e basta usare l’ovvia relazione W (Ki , Ui1 ) ∩ · · · ∩ W (Ki , Uis ) = W (Ki , Vi ) per concludere la dimostrazione.

 

Teorema 8.20 (Legge esponenziale). Siano X, Y, Z spazi topologici, e dotiamo tutti gli spazi di applicazioni continue della topologia compatta-aperta. Allora esiste un’applicazione naturale iniettiva · : C(X × Y, Z) → C(X, C(Y, Z)). Inoltre: 1. Se Y è localmente compatto di Hausdorff, allora · è bigettiva. 2. Se X è localmente compatto di Hausdorff, allora · è continua. 3. Se X, Y sono localmente compatti di Hausdorff, allora · è un omeomorfismo.

166

8 Complementi di topologia generale 

Dimostrazione. Per ogni f : X × Y → Z continua è ben definita un’applicazione f: X → C(Y, Z), f(x)(y) = f (x, y). Si dimostra facilmente che f è continua: sia infatti W (K, U ) un elemento della prebase di C(Y, Z) e sia x ∈ X tale che f(x) ∈ W (K, U ), ossia tale che f ({x} × K) ⊂ U . Per il teorema di Wallace esiste un aperto A ⊂ X tale che x ∈ A e A × K ⊂ f −1 (U ), ossia f(A) ⊂ W (K, U ) che è quanto richiesto per provare la continuità di f. Abbiamo dunque definito un’applicazione naturale ed iniettiva · : C(X × Y, Z) → C(X, C(Y, Z)). Se Y è localmente compatto, allora l’applicazione · è bigettiva. Bisogna dimostrare che per ogni g : X → C(Y, Z) continua, l’applicazione f : X × Y → Z,

f (x, y) = g(x)(y),

è continua. Siano U ⊂ Z un aperto e (x, y) ∈ f −1 (U ); l’applicazione g(x) è continua e Y è localmente compatto di Hausdorff. Ne segue che esiste un intorno compatto B di y tale che g(x)(B) ⊂ U e quindi g(x) ∈ W (B, U ). L’applicazione g è continua e quindi esiste un intorno A di x in X tale che g(A) ⊂ W (B, U ) e questo implica che f (A × B) ⊂ U . Per il Lemma 8.19, se X è localmente compatto di Hausdorff, una prebase della topologia compatta-aperta su C(X, C(Y, Z)) è data dagli aperti W (H, W (K, U )), al variare di H e K tra i compatti di X e Y rispettivamente e di U tra gli aperti di Z. Dato che l’applicazione · identifica W (H × K, U ) con W (H, W (K, U )), ne segue che · è continua. Per concludere, dimostriamo che se X, Y sono entrambi localmente compatti di Hausdorff, allora l’applicazione · è un omeomorfismo: a tal fine basta provare che gli aperti W (H × K, U ) formano una prebase della topologia compatta aperta su C(X × Y, Z). Siano dunque T ⊂ X × Y un compatto e f ∈ W (T, U ). Per ogni t ∈ T esistono due compatti Kt ⊂ X e Ht ⊂ Y tali che f (Kt × Ht ) ⊂ U e t è un punto interno di Kt × Ht . Passando ad un sottoricoprimento finito troviamo due successioni finite di compatti K1 , . . . , Kn ⊂ X, H1 , . . . , Hn ⊂ Y tali che T ⊂ ∪ Ki × Hi , i

f (Ki × Hi ) ⊂ U,

e dunque f ∈ W (K1 × H1 , U ) ∩ · · · ∩ W (Kn × Hn , U ) ⊂ W (T, U ).

 

8.5 La topologia compatta-aperta

167

Esercizi Salvo avviso contrario, nei prossimi esercizi tutti gli spazi di applicazioni continue saranno dotati della topologia compatta-aperta. 8.17. Siano X, Y, Z spazi topologici, con X localmente compatto di Hausdorff. Dimostrare che C(X, Y × Z) è omeomorfo a C(X, Y ) × C(X, Z). 8.18. Siano X, Y spazi topologici, con X localmente compatto di Hausdorff. Dimostrare che l’applicazione C(X, Y ) × X → Y,

(f, x) → f (x),

è continua. 8.19. Sia X un insieme finito di n punti dotato della topologia discreta. Dimostrare che lo spazio C(X, Y ) è omeomorfo al prodotto Y n . 8.20. Siano X, Y, Z, W spazi topologici. Dimostrare che per ogni coppia di applicazioni continue F : Z → X, G : Y → W , l’applicazione C(X, Y ) → C(Z, W ),

f → G ◦ f ◦ F,

è continua. 8.21 (K, ♥). Siano X uno spazio topologico compatto di Hausdorff e (Y, d) uno spazio metrico. Provare che la distanza (vedi Teorema 6.51) δ : C(X, Y ) × C(X, Y ) → R,

δ(f, g) = max{d(f (x), g(x)) | x ∈ X},

induce la topologia compatta-aperta. 8.22 (K). 1. Siano X, Y, Z spazi topologici localmente compatti di Hausdorff. Provare che il prodotto di composizione C(Y, Z) × C(X, Y ) → C(X, Z),

(f, g) → f g,

è continuo nella topologia compatta-aperta. 2. Sia X uno spazio topologico compatto di Hausdorff. Provare che la topologia compatta-aperta induce una struttura di gruppo topologico su Omeo(X), vedi Sezione 5.3 (Suggerimento: si ha f (A) ⊂ B se e solo se f −1 (X − B) ⊂ X − A). 3. Provare che la topologia compatta-aperta induce una struttura di gruppo topologico su Omeo(R).

168

8 Complementi di topologia generale 

8.6 Spazi topologici Noetheriani La prossima proposizione è molto usata in geometria algebrica ed algebra commutativa. Proposizione 8.21. Per un insieme ordinato (X, ≤) sono equivalenti: 1. Ogni sottoinsieme non vuoto di X possiede elementi massimali. 2. Ogni catena ascendente numerabile {x1 ≤ x2 ≤ · · · } ⊂ X è stazionaria. (Stazionaria significa che esiste m ∈ N tale che xn = xm per ogni n ≥ m.) Dimostrazione. Per quanto riguarda l’implicazione (1)⇒(2) basta osservare che ogni catena ascendente numerabile {x1 ≤ x2 ≤ · · · } possiede un elemento massimale, diciamo xm , e necessariamente xn = xm per ogni n ≥ m. Dimostriamo che (2)⇒(1). Si assuma per assurdo che esista un sottoinsieme non vuoto S ⊂ X senza elementi massimali, ossia che {y ∈ S | y > x} = ∅ per ogni x ∈ S. Per l’assioma della scelta esiste un’applicazione f : S → S tale che f (x) > x per ogni x ∈ S. Sia x0 ∈ S, allora la catena {xn = f n (x0 ) | n ∈ N} è ascendente e non stazionaria.   Definizione 8.22. Uno spazio topologico si dice Noetheriano se ogni famiglia non vuota di aperti in esso possiede un elemento massimale rispetto all’inclusione. Per la Proposizione 8.21 uno spazio topologico è Noetheriano se e solo se ogni catena numerabile ascendente di aperti è stazionaria. Esempio 8.23. Per ogni campo K, lo spazio affine Kn dotato della topologia di Zariski (Esempio 3.11) è uno spazio topologico Noetheriano. La dimostrazione è una semplice conseguenza del teorema della base di Hilbert1 ed è quindi rimandata ai corsi di geometria algebrica e/o algebra commutativa. Lemma 8.24. Sia X uno spazio topologico Noetheriano. Allora: 1. Lo spazio X è compatto. 2. Ogni immagine continua di X è Noetheriana. 3. Ogni sottospazio topologico di X è Noetheriano. Dimostrazione. Per provare (1) bisogna mostrare che ogni ricoprimento aperto U possiede un sottoricoprimento finito: a tal fine basta prendere un elemento massimale nella famiglia delle unioni finite di aperti di U . La proprietà (2) è banale e per quanto riguarda la (3) sia Y ⊂ X un sottospazio fissato. Denotiamo con T (X) e T (Y ) le famiglie di aperti di X e Y rispettivamente e con r : T (X) → T (Y ), 1

r(U ) = U ∩ Y,

Teorema della base di Hilbert. Ogni famiglia non vuota di ideali dell’anello K[x1 , . . . , xn ] possiede elementi massimali rispetto all’inclusione.

8.6 Spazi topologici Noetheriani

169

l’applicazione di restrizione. Siano F ⊂ T (Y ) una collezione non vuota di aperti ed U ∈ T (X) un elemento massimale della famiglia r−1 (F ); proviamo che r(U ) = U ∩Y è massimale in F . Sia V un aperto di X tale che r(U ) ⊂ r(V ) e r(V ) ∈ F; allora U ∪ V ∈ r−1 (F ), per la massimalità di U vale V ⊂ U e quindi r(U ) = r(V ).   Definizione 8.25. Uno spazio topologico si dice irriducibile se ogni coppia di aperti non vuoti ha intersezione non vuota. Equivalentemente, uno spazio è irriducibile se non è unione finita di chiusi propri. Un sottospazio di uno spazio topologico si dice irriducibile se è irriducibile per la topologia indotta. Ad esempio l’insieme vuoto, i punti e, più in generale, qualsiasi spazio topologico dotato della topologia banale è irriducibile. Lemma 8.26. Siano X uno spazio topologico e Y ⊂ X un sottospazio irriducibile. Allora: 1. La chiusura topologica Y è irriducibile. 2. Se U ⊂ X è un aperto, allora Y ∩ U è irriducibile. 3. Se f : X → Z è continua, allora f (Y ) è irriducibile. Dimostrazione. Mostriamo solo il primo punto, lasciando i rimanenti per esercizio al lettore. Siano U, V due aperti non vuoti di Y ; siccome ogni sottospazio è denso nella sua chiusura, anche gli aperti U ∩Y e V ∩Y sono non vuoti. Se Y è irriducibile allora (U ∩ Y ) ∩ (V ∩ Y ) = ∅ ed a maggior ragione U ∩ V = ∅.   Definizione 8.27. Le componenti irriducibili di uno spazio topologico sono gli elementi massimali della famiglia dei chiusi irriducibili, ordinata rispetto all’inclusione. Notiamo che la famiglia dei chiusi irriducibili non è mai vuota perché contiene l’insieme vuoto. L’Esercizio 8.29 mostra che ogni spazio topologico è unione delle sue componenti irriducibili. Nel prossimo teorema analizzeremo questo fatto nel caso Noetheriano. Teorema 8.28. Ogni spazio topologico Noetheriano X possiede un numero finito di componenti irriducibili. Denotando X1 , . . . , Xn tali componenti, si ha X = X1 ∪ · · · ∪ Xn e, per ogni indice i, la componente Xi non è contenuta nell’unione delle componenti Xj , per j = i. Dimostrazione. Dimostriamo per cominciare che ogni chiuso di X si può scrivere come unione finita di chiusi irriducibili; a tal fine consideriamo la famiglia C di tutti i chiusi di X e la sottofamiglia F ⊂ C dei chiusi che sono unioni finite di chiusi irriducibili. Se per assurdo F = C, allora esiste Z ∈ C − F minimale; poiché Z ∈ F, il chiuso Z non è irriducibile e quindi esistono due chiusi propri Z1 , Z2 tali che Z = Z1 ∪ Z2 . Per la minimalità di Z si ha che Z1 , Z2 ∈ F e quindi anche Z ∈ F.

170

8 Complementi di topologia generale 

Possiamo quindi scrivere X = X1 ∪ · · · ∪ Xn , dove ogni Xi è un chiuso irriducibile; a meno di eliminare alcuni chiusi superflui si può supporre ogni Xi non contenuto nell’unione dei rimanenti Xj . Dimostriamo che X1 , . . . , Xn sono tutte e sole le componenti irriducibili di X. Sia Z ⊂ X un chiuso irriducibile, allora Z = (Z ∩ X1 ) ∪ · · · ∪ (Z ∩ Xn ) e quindi i chiusi Z ∩ Xi non possono essere tutti propri, ossia esiste un indice i tale che Z ⊂ Xi . Lo stesso vale se Z è una componente irriducibile e quindi, tenendo presente la massimalità, deduciamo che ogni componente irriducibile di X è uguale ad Xi per qualche i. Viceversa, se qualche Xi non è una componente irriducibile, allora esiste una inclusione propria Xi ⊂ Z con Z irriducibile; per l’argomento precedente Z è contenuto in qualche Xj in contraddizione con quanto assunto precedentemente.  

Esercizi 8.23. Dimostrare che, in ogni insieme, la topologia cofinita è Noetheriana. 8.24. Dimostrare che unione finita di spazi topologici Noetheriani è Noetheriana. 8.25. Dimostrare che in uno spazio topologico di Hausdorff ogni sottospazio irriducibile non vuoto è formato da un solo punto. 8.26. Provare che se K è un campo infinito, allora per ogni n > 0 lo spazio Kn , dotato della topologia di Zariski, è irriducibile. 8.27 (♥). Siano dati due spazi topologici irriducibili X, Y ed una topologia sul prodotto cartesiano X ×Y tale che, per ogni (x0 , y0 ) ∈ X ×Y , le inclusioni X → X × Y,

x → (x, y0 ),

Y → X × Y,

y → (x0 , y),

e sono continue. Dimostrare che X × Y è irriducibile. 8.28. Sia f : X → Y un’applicazione continua ed aperta. Dimostrare che se le fibre di f sono irriducibili e Z ⊂ Y è irriducibile, allora f −1 (Z) è irriducibile. 8.29 (♥). Sia C la famiglia dei chiusi irriducibili di uno spazio topologico X ordinata per inclusione. Provare che ogni punto di X è contenuto in almeno un elemento massimale di C.

8.7 Un lungo esercizio: il teorema di estensione di Tietze

171

8.7 Un lungo esercizio: il teorema di estensione di Tietze Ricordiamo che uno spazio topologico si dice normale se è di Hausdorff e se chiusi disgiunti hanno intorni disgiunti. Gli esercizi di questa sezione, svolti nella sequenza proposta, forniranno una dimostrazione dei seguenti risultati. Lemma 8.29 (di Urysohn). Siano A, C chiusi disgiunti in uno spazio normale X. Esiste allora una funzione continua f : X → [0, 1] tale che f (x) = 0 per ogni x ∈ A e f (x) = 1 per ogni x ∈ C. Teorema 8.30 (di estensione di Tietze). Siano B un chiuso in uno spazio normale X, J ⊂ R un sottospazio convesso e f : B → J una funzione continua. Esiste allora g : X → J continua tale che g(x) = f (x) per ogni x ∈ B. Per gli spazi metrici il lemma di Urysohn è del tutto banale: basta ripetere il ragionamento fatto nella dimostrazione della Proposizione 7.31. Notiamo che il Lemma 8.29 è un caso particolare del Teorema 8.30 con J = [0, 1] e B = A∪C. La dimostrazione classica del Teorema 8.30, per la quale rimandiamo il lettore a [18, 5], utilizza il lemma di Urysohn e la completezza dello spazio BC(X, R) delle funzioni reali continue e limitate su X.

Esercizi 8.30. Siano f : B → [0, 1] un’applicazione continua, S ⊂ [0, 1] un sottoinsieme denso e per ogni s ∈ S denotiamo B(s) = {x ∈ B | f (x) < s}. Dimostrare che per ogni x ∈ B vale  f (x) = inf{s ∈ S | x ∈ B(s)} se x ∈ ∪{B(s) | s ∈ S} f (x) = 1 altrimenti. 8.31 (♥). Siano X uno spazio topologico e S ⊂ [0, 1] un sottoinsieme denso. Supponiamo che per ogni s ∈ S sia dato un aperto X(s) ⊂ X in modo tale che, se s, t ∈ S e s < t, allora X(s) ⊂ X(t). Definiamo un’applicazione g : X → [0, 1] ponendo  g(x) = inf{s ∈ S | x ∈ X(s)} se x ∈ ∪{X(s) | s ∈ S} g(x) = 1 altrimenti. Dimostrare che g è continua. 8.32 (♥). Siano A, B, C chiusi di uno spazio normale X e f : B → R un’applicazione continua. Si supponga che A ∩ C = ∅ e che esistano due numeri reali a < c tali che: A ∩ B ⊂ {x ∈ B | f (x) ≤ a},

C ∩ B ⊂ {x ∈ B | f (x) ≥ c}.

172

8 Complementi di topologia generale 

Dimostrare che per ogni b ∈ ]a, c[ esistono due aperti disgiunti U, V ⊂ X tali che: A ⊂ U,

U ∩ B = {x ∈ B | f (x) < b},

U ∩ B ⊂ {x ∈ B | f (x) ≤ b},

C ⊂ V,

V ∩ B = {x ∈ B | f (x) > b},

V ∩ B ⊂ {x ∈ B | f (x) ≥ b}.

(Sugg.: scrivere A ∪ {x ∈ B | f (x) < b} e C ∪ {x ∈ B | f (x) > b} come unioni numerabili di chiusi e usare un argomento simile alla dimostrazione del Teorema 7.36.) 8.33. Sia B un chiuso di uno spazio normale X e sia f : B → [0, 1] un’applicazione continua. Indichiamo con Δ ⊂ [0, 1] l’insieme dei numeri razionali della forma 2rn , con n ≥ 0 e 0 ≤ r ≤ 2n . Per ogni s ∈ Δ poniamo B(s) = {x ∈ B | f (x) < s}; scegliamo poi un aperto X(1) ⊂ X tale che X(1) ∩ B = B(1) e denotiamo X(0) = ∅. Dimostrare che si può estendere la coppia X(0), X(1) ad una famiglia {X(s) | s ∈ Δ} di sottospazi aperti tali che X(s) ∩ B = B(s),

X(s) ∩ B ⊂ {x ∈ B | f (x) ≤ s}

per ogni s ∈ Δ e, se s < t, allora X(s) ⊂ X(t). Suggerimento: ogni elemento di Δ − {0, 1} si scrive in modo unico come r/2n con n > 0 e r intero dispari. Costruire gli aperti X(r/2n ) per induzione su n applicando l’Esercizio 8.32 al dato     r+1 r−1 , C = X − X , A=X 2n 2n r−1 r r+1 a= n , b = n, c= n . 2 2 2 8.34. Sia B un chiuso di uno spazio normale X e sia f : B → [0, 1] un’applicazione continua. Combinare i risultati degli esercizi 8.33, 8.31 e 8.30 per dimostrare che f si estende ad una funzione continua g : X → [0, 1]. 8.35. Dimostrare il lemma di Urysohn. 8.36. Siano B un sottoinsieme chiuso di uno spazio normale X, J un aperto convesso di [0, 1] e f : B → J un’applicazione continua. Sia k : X → [0, 1] una estensione continua di f e denotiamo A = k −1 ([0, 1] − J). Sia h : X → [0, 1] continua e tale che h(A) = 0, h(B) = 1. Sia j ∈ J un qualsiasi punto e consideriamo la combinazione convessa g(x) = h(x)k(x) + (1 − h(x))j. Dimostrare che g : X → J è una estensione continua di f . 8.37. Dimostrare il Teorema 8.30. 8.38. Siano B un chiuso di uno spazio normale X e f : B → S n un’applicazione continua. Dimostrare che f si estende ad un intorno aperto di B in X.

8.7 Un lungo esercizio: il teorema di estensione di Tietze

173

8.39 (♥). Sia X uno spazio topologico normale. Mostrare che X possiede una esaustione in compatti se e solo se esiste un’applicazione propria f : X → R. 8.40 (K). Sia B un sottospazio chiuso di uno spazio topologico normale X e siano f : X → S n , F : B × [0, 1] → S n due applicazioni continue tali che f (x) = F (x, 0) per ogni x ∈ B. Dimostrare che l’applicazione g : B → Sn,

g(x) = F (x, 1),

si estende ad un’applicazione continua X → S n . (Sugg.: estendere F ad un opportuno aperto di X × [0, 1] e poi considerarne la restrizione al grafico di un’opportuna applicazione continua X → [0, 1].)

9 Intermezzo 

In questo breve capitolo abbasseremo momentaneamente il livello di rigore matematico e di precisione dei concetti per illustrare in modo intuitivo, e a tratti semiserio, alcune idee fondamentali di quella branca della matematica nota come “topologia algebrica”.

9.1 Gli alberi Nel Capitolo 1 abbiamo introdotto la nozione intuitiva di grafo, di grafo connesso e di cammino in un grafo. Chiameremo lunghezza di un cammino il numero di lati che lo compongono. Una stringa è un cammino senza nodi ripetuti. In un grafo connesso, due nodi distinti comunque presi sono estremi di una stringa: basta infatti considerare un cammino di lunghezza minima tra quelli che hanno tali nodi come estremi. Diremo che un cammino è chiuso se i suoi nodi estremi coincidono. Chiameremo ciclo un cammino chiuso senza lati ripetuti. Un albero è un grafo connesso che non contiene cicli. Definizione 9.1. Sia Γ un grafo con V nodi e S lati. Il numero e(Γ ) = V − S si dice caratteristica di Eulero–Poincaré di Γ . Teorema 9.2. Sia Γ un grafo connesso, allora e(Γ ) ≤ 1 e l’uguaglianza vale se e solo se Γ è un albero. Dimostrazione. Se un grafo Γ contiene un ciclo, allora togliendo da Γ un qualsiasi lato del ciclo si ottiene un nuovo grafo Γ  che è ancora connesso e e(Γ ) = e(Γ  ) − 1. Questo mostra in particolare che, se un grafo Γ contiene cicli, allora possiamo togliere da esso un numero finito di lati in modo da ottenere un albero Λ. In tal caso e(Γ ) < e(Λ) e per concludere la dimostrazione basta quindi dimostrare che se Γ è un albero allora e(Γ ) = 1. Dimostriamo per induzione sul numero dei nodi che gli alberi hanno caratteristica di Eulero–Poincaré uguale ad 1; gli alberi con un solo nodo non hanno lati ed in tal caso l’asserto è banalmente dimostrato. M. Manetti: Topologia, 2a edizione, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 78, DOI: 10.1007/978-88-470-5662-6_9, © Springer-Verlag Italia 2014

176

9 Intermezzo 

Ogni albero Γ contiene delle stringhe (ad esempio i singoli nodi) e la lunghezza di ogni stringa è limitata dal numero dei lati. Sia H l’insieme dei nodi di una stringa di lunghezza massima contenuta in Γ e sia v0 ∈ H un nodo estremo; v0 è collegato con un lato l1 a v1 ∈ H. Affermiamo adesso che l1 è l’unico lato di Γ passante per v0 : infatti se v0 fosse collegato ad un nodo u con un lato l = l1 si avrebbe o che u ∈ H, ed in tal caso Γ conterrebbe un ciclo, oppure u ∈ H ed in tal caso potremmo allungare la stringa aggiungendo il lato l ed il nodo u. In ogni caso giungiamo ad una contraddizione. Dunque, il grafo Γ  ottenuto da Γ togliendo l1 e v0 è ancora connesso, non contiene cicli e per l’ipotesi induttiva e(Γ ) = e(Γ  ) = 1.  

Esercizi 9.1. Dimostrare che vale anche il viceversa del Teorema 1.1, cioè che se un grafo connesso possiede al più due nodi di grado dispari allora esso è Euleriano. (Sugg.: la dimostrazione è simile a quella del Teorema 9.2.)

9.2 Polimattoncini e numeri di Betti Questa sezione contiene alcuni concetti tipici dei corsi avanzati di topologia e può risultare poco comprensibile al lettore meno esperto. Ad ogni modo, il materiale esposto non è propedeutico al resto del libro e la sua omissione non reca alcun danno. Billy possiede una splendida collezione di mattoncini Lego, di forma parallelepipedale, splendidamente colorati e tutti numerati, dal numero 1 al numero n. Egli dedica molte ore della sua giornata a giocare con i mattoncini e dà sempre sfoggio di creatività nell’unirli assieme fino a formare oggetti X ⊂ R3 che chiameremo polimattoncini, ed è talmente soddisfatto delle sue costruzioni che non esita a prendere nota di tutte le posizioni relative dei singoli pezzi per poter ricostruire le sue opere migliori durante i congressi internazionali di optometria. A seguito di interessanti conversazioni con il signor Čech, Billy ha iniziato a prendere nota, per ogni polimattoncino costruito X, dell’insieme N0 ⊂ {1, . . . , n} dei mattoncini utilizzati e dell’insieme N1 ⊂ N0 × N0 delle coppie (a, b) tali che a < b ed i mattoncini a e b si toccano in almeno un punto. Più in generale, per ogni i ≥ 0 si denota con Ni la famiglia delle i + 1-uple (a0 , a1 , . . . , ai ) ∈ N0i+1 tali che a0 < a1 < · · · < ai ed i mattoncini a0 , . . . , an si toccano tutti in almeno un punto. La ricetta del signor Čech prevede adesso di indicare con C i lo spazio vettoriale di tutte le applicazioni f : Ni → R e di definire, per ogni indice i

9.2 Polimattoncini e numeri di Betti

177

l’applicazione lineare di : C i → C i+1 : d0 f (a, b) = f (b) − f (a),

d1 f (a, b, c) = f (b, c) − f (a, c) + f (a, b),

e più in generale di f (a0 , . . . , ai+1 ) =

i+1 

(−1)j f (a0 , . . . , aj , . . . , ai+1 ),

j=0

dove il cappello  indica l’omissione della variabile sottostante. Grazie alla consulenza del suocero, Billy è riuscito a dimostrare che la composizione di di con di+1 è sempre uguale a 0 (esercizio per il lettore) ed è quindi possibile definire gli spazi vettoriali H i (X) =

Nucleo di di : C i → C i+1 , Immagine di di−1 : C i−1 → C i

i ≥ 0.

Un fatto abbastanza sorprendente è che le dimensioni degli spazi H i (X) dipendono solamente dalla classe di omeomorfismo del polimattoncino X. I numeri bi (X) = dim H i (X), per i = 0, 1, . . . , si chiamano numeri di Betti, in onore di Enrico Betti (Pistoia 1823 - Pisa 1892) precursore, assieme a Riemann, della moderna topologia. Il lettore può dimostrare per esercizio che b0 coincide con il numero delle componenti connesse; invece, la dimostrazione completa rigorosa che tutti i numeri di Betti sono invarianti per omeomorfismo non è affatto banale e si è avuta attorno al 1940. La caratteristica di Eulero–Poincaré di un polimattoncino si definisce come la somma alterna dei numeri di Betti e(X) = b0 (X) − b1 (X) + b2 (X) + · · · + (−1)i bi (X) + · · · ed è un invariante topologico. La sua proprietà fondamentale è che (esercizio di algebra lineare per il lettore) essa è uguale alla somma alterna delle cardinalità degli insiemi Ni , ossia e(X) = |N0 | − |N1 | + |N2 | + · · · + (−1)i |Ni | + · · · e quindi si calcola molto facilmente. Supponiamo di avere un polimattoncino con la proprietà che ogni punto è adiacente a non più di due mattoncini, ossia N2 = ∅. Un tale oggetto può essere rappresentato con un grafo avente come vertici N0 e come lati N1 (nel senso che due verici a, b ∈ N0 sono uniti da uno spigolo se e solo se una delle due coppie ordinate (a, b), (b, a) appartiene ad N1 .) In questo caso le caratteristiche di Eulero–Poincaré del polimattoncino e del grafo coincidono. È possibile generalizzare la definizione dei numeri di Betti a qualsivoglia spazio topologico come dimensioni di opportuni spazi vettoriali ed in modo che siano invarianti topologici. Sfortunatamente tali spazi vettoriali possono avere dimensione infinita, ragion per cui in generale bi (X) ∈ N0 ∪ {+∞}.

178

9 Intermezzo 

9.3 Che cos’è la topologia algebrica Supponiamo di avere una famiglia F di spazi topologici e di voler studiare la relazione di omeomorfismo tra elementi di F ; tanto per fissare le idee la famiglia F potrebbe essere formata da tutti i sottospazi connessi di R3 . Vogliamo trovare delle funzioni f : F → I tali che se X, Y ∈ F sono omeomorfi, in simboli X ∼ Y , allora f (X) = f (Y ). Una tale funzione viene detta un invariante topologico in F ed il suo grado di utilità dipende dal prodotto di due fattori: il grado di completezza ed il grado di concretezza. Ogni applicazione costante f : F → I è un invariante che però ha utilità nulla; all’altro estremo ci sono i cosiddetti invarianti completi f : F → I caratterizzati dal fatto che X ∼ Y se e solo se f (X) = f (Y ). Un invariante completo esiste sempre: basta prendere I = F / ∼ ed f la proiezione al quoziente. Tuttavia lo scopo di trovare degli invarianti è quello di capire meglio la struttura di F / ∼, in genere assai complessa e misteriosa. Ecco quindi che agli invarianti si richiede anche di essere concreti, ossia che il codominio I sia un insieme più semplice di F / ∼ e che l’applicazione f corrisponda a qualche procedura o criterio geometrico. Nei precedenti capitoli abbiamo definito molti invarianti siffatti dove I = {vero, falso} e dove le f rappresentavano le proprietà di compattezza, connessione, metrizzabilità eccetera. Un altro esempio di invariante è il b0 : F → I = N0 ∪ {+∞} che associa ad ogni spazio il numero delle sue componenti connesse. Più in generale ogni numero di Betti bn è un invariante topologico a valori in I = N0 ∪ {+∞}. A partire da Poincaré, i matematici hanno trovato una gran quantità di invarianti topologici f : F → I in cui gli elementi dell’insieme I sono enti algebrici, ossia gruppi, spazi vettoriali, polinomi eccetera. Un esempio è dato dagli spazi di coomologia di Čech H i (X) che abbiamo visto nella sezione precedente per i polimattoncini e la cui definizione può essere estesa ad ogni spazio topologico paracompatto di Hausdorff: un’introduzione eccellente alla coomologia di Čech si trova nella Sezione 3.3 del libro di Kodaira [13]. La topologia algebrica si occupa di questo tipo di invarianti e delle problematiche ad essi collegate. Nei prossimi capitoli ci occuperemo del gruppo fondamentale: si tratta di un invariante introdotto da Poincaré e denotato π1 : F → I, dove F è la famiglia degli spazi topologici connessi per archi e I è la famiglia delle classi di isomorfismo di gruppi.

10 Omotopia

Esiste in topologia una nozione intuitiva di “equivalenza di forme” che è più ampia della nozione di omeomorfismo. Due sottoinsiemi connessi e regolari di R2 , dove regolare è inteso in senso intuitivo, come opposto di complicato, bizzaro, patologico, perverso ecc., hanno forme equivalenti se hanno lo stesso numero di buchi. Ad esempio le lettere che formano la parola OMOTOPIA, pensate ciascuna come un’unione connessa di linee e segmenti di R2 , si dividono in 2 classi di equivalenza di forme: difatti, le tre lettere O,P,A hanno forme equivalenti perché aventi un solo buco, mentre M,T,I hanno forme equivalenti perché senza buchi. Come altro esempio, hanno forme equivalenti la lettera B, l’unione della circonferenza e di un diametro dello stesso cerchio e l’unione di due circonferenze tangenti (Figura 10.1). In questo capitolo definiremo in termini matematicamente precisi la nozione di omotopia: avere lo stesso tipo di omotopia corrisponderà alla nozione intuitiva di avere forme equivalenti.

10.1 Spazi localmente connessi e funtore π0 Definizione 10.1. Uno spazio topologico si dice localmente connesso se ogni punto possiede un sistema fondamentale di intorni connessi.

B ∼





Figura 10.1. Sottoinsiemi del piano con forme equivalenti M. Manetti: Topologia, 2a edizione, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 78, DOI: 10.1007/978-88-470-5662-6_10, © Springer-Verlag Italia 2014

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10 Omotopia

Segue dal Lemma 4.28 che negli spazi localmente connessi le componenti connesse sono aperte. In generale uno spazio connesso può non essere localmente connesso (Esercizio 10.1). Gli aperti di Rn sono tutti localmente connessi. Il prodotto di due spazi localmente connessi è ancora localmente connesso. Definizione 10.2. Sia X uno spazio topologico. Si definisce π0 (X) = X/ ∼, dove ∼ è la relazione che identifica due punti se e solo se essi sono gli estremi di un cammino in X. Se vogliamo essere più precisi, per ogni spazio topologico X e per ogni coppia di punti x, y ∈ X definiamo Ω(X, x, y) = {α : [0, 1] → X | α continua, α(0) = x, α(1) = y} e π0 (X) = X/ ∼,

dove

x ∼ y ⇐⇒ Ω(X, x, y) = ∅.

Dobbiamo verificare che ∼ è una relazione di equivalenza. Riflessività. Per mostrare che x ∼ x è sufficiente considerare il cammino costante 1x : [0, 1] → X,

1x (t) = x per ogni t ∈ [0, 1].

Simmetria. Per ogni coppia di punti x, y ∈ X è definito l’operatore “di inversione” i : Ω(X, x, y) → Ω(X, y, x),

i(α)(t) = α(1 − t),

che è chiaramente bigettivo. In particolare Ω(X, x, y) è vuoto se e solo se Ω(X, y, x) è vuoto. Transitività. È sufficiente considerare l’operatore “di giunzione” ∗ : Ω(X, x, y) × Ω(X, y, z) → Ω(X, x, z), 

dove α ∗ β(t) =

(α, β) → α ∗ β,

α(2t) se 0 ≤ t ≤ 1/2. β(2t − 1) se 1/2 ≤ t ≤ 1.

Definizione 10.3. Siano X uno spazio topologico e α : [a, b] → X un’applicazione continua, con a, b numeri reali. Chiameremo parametrizzazione standard di α il cammino α ˜ ∈ Ω(X, α(a), α(b)),

α ˜ (t) = α((1 − t)a + tb).

Ad esempio, se α ∈ Ω(X, x, y) e β ∈ Ω(X, y, z), allora α coincide con la parametrizzazione standard della restrizione di α ∗ β all’intervallo [0, 1/2].

10.1 Spazi localmente connessi e funtore π0

181

Appare chiaro come la scelta dell’intervallo [0, 1] nella definizione della relazione ∼ sia puramente convenzionale e nulla di sostanziale sarebbe cambiato se avessimo scelto di lavorare con cammini definiti in un generico intervallo chiuso e limitato [a, b], con a < b; sarebbero invece cambiate (in peggio) le formule nelle definizioni dell’inversione e della giunzione. Le classi di equivalenza della relazione ∼ si dicono le componenti connesse per archi di X. In generale, tali componenti non sono né aperte né chiuse. Quindi il π0 di uno spazio topologico è l’insieme delle sue componenti connesse per archi. Definizione 10.4. Uno spazio topologico X si dice localmente connesso per archi se ogni punto possiede un sistema fondamentale di intorni connessi per archi. Ad esempio, ogni aperto di Rn è localmente connesso per archi: infatti se X ⊂ Rn è aperto e x ∈ X, allora esiste r > 0 tale che B(x, r) ⊂ X. Ne segue che le palle B(x, t), con 0 < t < r, formano un sistema fondamentale di intorni connessi per archi. Proposizione 10.5. Sia X uno spazio topologico localmente connesso per archi. Allora le componenti connesse per archi di X sono aperte e coincidono con le componenti connesse. Dimostrazione. Sia x ∈ X un punto fissato e sia A = {y | Ω(X, x, y) = ∅} la sua componente connessa per archi. Vogliamo dimostrare che A è aperto, o equivalentemente che è intorno di ogni suo punto. Sia y ∈ A e scegliamo un cammino α ∈ Ω(X, x, y); per ipotesi esiste un intorno U di y che è connesso per archi e quindi per ogni z ∈ U esiste β ∈ Ω(U, y, z). La giunzione α ∗ β appartiene a Ω(X, x, z) e dunque z ∈ A, da cui segue U ⊂ A. Il complementare di A è l’unione di tutte le componenti connesse per archi diverse da A, dunque è unione di aperti e di conseguenza A è chiuso. Sia C(x) la componente connessa di x. Siccome A ∩ C(x) è aperto e chiuso in C(x) ne segue che C(x) ⊂ A. D’altra parte A è connesso per archi, quindi A è connesso e A ⊂ C(x).   Si consideri adesso un’applicazione continua f : X → Y . Siccome la composizione di un cammino continuo α : [0, 1] → X con f è un cammino continuo f α : [0, 1] → Y , se x1 , x2 ∈ X appartengono alla stessa componente connessa per archi, allora anche f (x1 ), f (x2 ) appartengono alla stessa componente connessa per archi e quindi f induce per passaggio al quoziente un’applicazione π0 (f ) : π0 (X) → π0 (Y ),

π0 (f )([x]) = [f (x)].

Le seguenti proprietà sono di immediata verifica: F1 Sia Id : X → X l’identità. Allora anche π0 (Id) : π0 (X) → π0 (X) è l’identità.

182

10 Omotopia

F2 Se f : X → Y e g : Y → Z sono applicazioni continue, allora π0 (gf ) = π0 (g)π0 (f ) : π0 (X) → π0 (Z). La validità di F1 ed F2 autorizza a chiamare funtore la costruzione π0 : { spazi topologici } → { insiemi }. Non possiamo chiamare π0 applicazione perché dominio e codominio non sono insiemi ma categorie: daremo le definizioni precise di funtore e categoria nella Sezione 10.4. Esempio 10.6. Sia K1 ⊂ K2 ⊂ · · · una esaustione in compatti di uno spazio topologico X tale che, per ogni n, l’inclusione i : X − Kn+1 → X − Kn induce un’applicazione bigettiva

π0 (i) : π0 (X − Kn+1 ) −→ π0 (X − Kn ). Allora la cardinalità di π0 (X −Kn+1 ) è un invariante topologico di X, cioè non dipende dalla particolare esaustione. Supponiamo infatti che H1 ⊂ H2 ⊂ · · · sia un’altra esaustione con le medesime proprietà. Allora possiamo trovare interi n < m e h < k tali che Hn ⊂ Kh ⊂ Hm ⊂ Kk . Di conseguenza abbiamo una serie di inclusioni α

β

γ

X −Kk −→ X −Hm −→ X −Kh −→ X −Hn . Applicando il funtore π0 si ottiene π0 (α)

π0 (β)

π0 (γ)

π0 (X − Kk ) −→ π0 (X − Hm ) −→ π0 (X − Kh ) −→ π0 (X − Hn ). Per ipotesi π0 (β)π0 (α) e π0 (γ)π0 (β) sono bigettive ed è facile dedurre che π0 (α) è bigettiva (vedi anche il Lemma 11.21). Esempio 10.7. Come promesso precedentemente, dimostriamo che, se m > 1 e s = t, allora Rm −{s punti} non è omeomorfo a Rm −{t punti}. Siano p1 , . . . , pt punti distinti in Rm e proviamo che il numero t + 1 è un invariante topologico di Rm − {p1 , . . . , pt }. Per ogni n > 0 consideriamo il compatto '  1 m Kn = x ∈ R | x ≤ n, x − pi ≥ . n Se n >> 0, allora Rm −Kn ha esattamente t+1 componenti connesse e l’inclusione X−Kn+1 → X−Kn induce una bigezione tra i rispettivi π0 . L’invarianza topologica di t + 1 segue quindi dall’Esempio 10.6.

10.2 Omotopia

183

Esercizi 10.1. Sia X ⊂ R2 l’unione di tutte le rette di equazione ax = by, con a, b ∈ Z non entrambi nulli. Provare che X è connesso ma non localmente connesso. 10.2 (♥). Sia X uno spazio topologico con la proprietà che per ogni punto x ∈ X e per ogni intorno U di x, esiste un intorno V di x tale che ogni coppia di punti di V può essere congiunta con un cammino in U . Dimostrare che X è localmente connesso per archi. 10.3. Sia A ⊂ Rn un aperto connesso. Provare che per ogni p, q ∈ A esiste un cammino continuo e lineare a tratti γ : [0, 1] → A tale che γ(0) = p e γ(1) = q. 10.4 (Il π0 locale, K). Siano X uno spazio topologico, x ∈ X un suo punto ed A un sistema fondamentale di intorni di x. Definiamo l’insieme  π0 (X − {x}, x) = {s ∈ π0 (U − {x}) | s è coerente }, U ∈A

dove s coerente significa che per ogni U, V ∈ A tali che U ⊂ V si ha π0 (i)(sU ) = sV , con i : U − {x} → V − {x} morfismo di inclusione. Dimostrare che π0 (X − {x}, x) non dipende dal sistema fondamentale di intorni scelto. 10.5. Sia X ⊂ R2 il luogo di equazione xy(x + y)(x2 − 4)(y 2 − 1) = 0 (Figura 10.2). Utilizzare il risultato dell’Esercizio 10.4 per dimostrare che ogni omeomorfismo di X in sé lascia fisso il punto (0, 0). ?? ?? ?? ?? ??(0,0) ?? ?? ?? ?? ?? Figura 10.2. Ogni omeomorfismo lascia fisso il punto (0, 0)

10.2 Omotopia Definizione 10.8. Due applicazioni continue f0 , f1 : X → Y si dicono omotope se esiste un’applicazione continua F : X × [0, 1] → Y tale che F (x, 0) = f0 (x) e F (x, 1) = f1 (x) per ogni x ∈ X. Un’applicazione F come sopra viene detta omotopia tra f0 ed f1 .

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10 Omotopia

Per visualizzare meglio il contenuto intuitivo della definizione, scriviamo ft (x) = F (x, t) per ogni (x, t) ∈ X × [0, 1]. Per ogni t ∈ [0, 1] l’applicazione ft : X → Y è continua. Per t = 0 abbiamo l’applicazione f0 che, al variare di t, si deforma in maniera continua fino ad arrivare, per t = 1, a coincidere con l’applicazione f1 . Esempio 10.9. Sia Y ⊂ Rn un sottospazio convesso. Allora, qualunque sia lo spazio X, due qualsiasi applicazioni continue f0 , f1 : X → Y sono omotope. Basta infatti definire l’omotopia F : X × [0, 1] → Y,

F (x, t) = (1 − t)f0 (x) + tf1 (x).

Esempio 10.10. Siano f, g : X → Rn − {0} due applicazioni continue tali che f (x) − g(x) < f (x) per ogni x ∈ X. Allora f e g sono omotope: infatti t(f (x) − g(x)) < f (x) per ogni t ∈ [0, 1] e possiamo considerare come omotopia l’applicazione F : X × [0, 1] → Rn − {0}, F (x, t) = (1 − t)f (x) + tg(x) = f (x) − t(f (x) − g(x)) . Notazione. Da ora in poi, salvo avviso contrario, con la lettera I indicheremo sempre l’intervallo chiuso [0, 1] dotato della topologia euclidea. Lemma 10.11. Siano X, Y due spazi topologici. Allora la relazione di omotopia è una relazione di equivalenza nell’insieme C(X, Y ) di tutte le applicazioni continue da X in Y . Dimostrazione. Siano f : X → Y continua ed I = [0, 1], allora l’applicazione F : X × I → Y,

F (x, t) = f (x),

è un’omotopia tra f ed f . Se F (x, t) è una omotopia tra f e g, allora F (x, 1−t) è una omotopia tra g ed f . Infine, se F (x, t) è una omotopia tra f e g, e se G(x, t) è una omotopia tra g ed h, allora l’applicazione  F (x, 2t) se 0 ≤ t ≤ 1/2. H : X × I → Y, H(x, t) = G(x, 2t − 1) se 1/2 ≤ t ≤ 1. è una omotopia tra f ed h.

 

Esempio 10.12. Sia f : S n → S n l’applicazione antipodo, ossia f (x) = −x. Se n è dispari, allora f è omotopa all’identità: se n = 2k − 1 possiamo scrivere S n = {z ∈ Ck | z = 1} ed una omotopia è data da F (z, t) = zeπit . Se n è pari, allora f non è omotopa all’identità ma questo, come potete immaginare, è molto più difficile da dimostrare.

10.2 Omotopia

185

La relazione di omotopia è stabile per composizione, nel senso meglio precisato dal prossimo lemma. Lemma 10.13. Siano date quattro applicazioni continue come nel diagramma f0

g0

)

f1

)

5Z.

5Y

X

g1

Se f0 è omotopa a f1 e se g0 è omotopa a g1 , allora g0 f0 è omotopa a g1 f1 . Dimostrazione. Siano F : X × I → Y e G : Y × I → Z le due omotopie, cioè F (x, 0) = f0 (x), F (x, 1) = f1 (x), G(y, 0) = g0 (y) e G(y, 1) = g1 (y). Si verifica immediatamente che l’applicazione H : X × I → Z,

H(x, t) = G(F (x, t), t),

è una omotopia tra g0 f0 e g1 f1 .

 

Definizione 10.14. Un’applicazione continua f : X → Y si dice una equivalenza omotopica se esiste un’applicazione continua g : Y → X tale che f g è omotopa all’identità su Y e gf è omotopa all’identità su X. Due spazi topologici si dicono omotopicamente equivalenti se esiste un’equivalenza omotopica tra di loro. Segue subito dalla definizione che spazi topologici omeomorfi sono anche omotopicamente equivalenti. Il prossimo esempio mostra che il viceversa è generalmente falso. Esempio 10.15. Tutti i sottoinsiemi convessi e non vuoti di Rn sono omotopicamente equivalenti. Siano infatti X ⊂ Rn ed Y ⊂ Rm due sottoinsiemi convessi e non vuoti: scegliamo due applicazioni continue qualsiasi (ad esempio costanti) f : X → Y e g : Y → X. Per ipotesi X è convesso e abbiamo dimostrato nell’Esempio 10.9 che l’applicazione gf : X → X è omotopa all’identità. Similmente, siccome Y è convesso, anche f g è omotopa all’identità. Lemma 10.16. Siano f, g : X → Y due applicazioni continue. Se f e g sono omotope, allora vale π0 (f ) = π0 (g) : π0 (X) → π0 (Y ). In particolare se f : X → Y è un’equivalenza omotopica, allora π0 (f ) è bigettiva. Dimostrazione. Dire che π0 (f ) = π0 (g) equivale a dire che per ogni x ∈ X i punti f (x) e g(x) appartengono alla stessa componente connessa per archi

186

10 Omotopia

in Y . Sia F : X × I → Y un’omotopia tra f e g, allora f (x) e g(x) sono gli estremi del cammino Fx : I → Y,

Fx (t) = F (x, t).

Supponiamo adesso che f : X → Y sia un’equivalenza omotopica e sia g : Y → X continua e tale che le composizioni gf e f g siano entrambe omotope all’identità. Allora, per la prima parte del lemma le due applicazioni: π0 (f g) = π0 (f )π0 (g) : π0 (Y ) → π0 (Y ), π0 (gf ) = π0 (g)π0 (f ) : π0 (X) → π0 (X), sono uguali all’identità e quindi π0 (f ) è invertibile con inversa π0 (g).

 

Definizione 10.17. Uno spazio topologico si dice contrattile se è omotopicamente equivalente al punto. Equivalentemente, uno spazio X è contrattile se l’identità su X è omotopa ad una applicazione costante. Spesso si dice che due spazi sono omotopi, oppure che hanno lo stesso tipo di omotopia se sono omotopicamente equivalenti. Per il Lemma 10.16 ogni spazio contrattile è connesso per archi e viene naturale domandarsi se esistono spazi topologici connessi per archi che non sono contrattili. La risposta è sì, anche se dovremo faticare un po’ per dimostrare che la circonferenza S 1 non è contrattile. È anche vero che la sfera S n , per ogni n ≥ 2, non è contrattile, ma la dimostrazione di tale fatto va oltre gli obiettivi di questo libro.

Esercizi 10.6. Dimostrare, come affermato nella Definizione 10.17, che per uno spazio topologico non vuoto X le seguenti condizioni sono equivalenti: 1. X ha il tipo di omotopia di un punto. 2. Per ogni p ∈ X l’applicazione f : X → X, f (x) = p, è omotopa all’identità. 3. Esiste p ∈ X tale che l’applicazione f : X → X, f (x) = p, è omotopa all’identità. 10.7. Siano X, Y spazi topologici e sia A ⊂ C(X, Y ) una famiglia di applicazioni continue da X in Y . Diremo che f0 , f1 ∈ A sono omotope in A se esiste un’omotopia F : X × I → Y tra f0 ed f1 tale che ft ∈ A per ogni t ∈ I, dove ft (x) = F (x, t). Mostrare che l’omotopia in A è una relazione di equivalenza. 10.8. Nelle notazioni della Definizione 10.14, l’applicazione g viene detta inversa omotopica di f . Sia dunque f : X → Y una equivalenza omotopica. Dimostrare che l’inversa omotopica di f è unica a meno di omotopia.

10.3 Retrazioni e deformazioni

187

10.9. Dimostrare che l’equivalenza omotopica è transitiva, e cioè che se X ha il tipo di omotopia di Y e Y ha il tipo di omotopia di Z, allora X ha il tipo di omotopia di Z. 10.10. Dati due spazi topologici X, Y si denota con [X, Y ] l’insieme delle classi di omotopia di applicazioni da X a Y . Mostrare che se X è contrattile esiste una bigezione naturale [X, Y ] = π0 (Y ). 10.11. Provare che il prodotto di due spazi contrattili è ancora contrattile. 10.12. Sia X uno spazio topologico e siano f, g : X → S n due applicazioni continue. Utilizzando l’espressione algebrica tf (x) + (1 − t)g(x) , tf (x) + (1 − t)g(x)

t ∈ [0, 1],

mostrare che se f (x) = −g(x) per ogni x ∈ X, allora f è omotopa a g. 10.13 (K). Sia S ∞ ⊂ 2 (R) (vedi Esempio 6.8) lo spazio delle successioni a quadrato sommabile e di norma 1, ossia  S ∞ = {{an } ∈ 2 (R) | a2n = 1}. Estendere gli argomenti usati nello svolgimento dell’Esercizio 10.12 per dimostrare che l’identità su S ∞ e l’applicazione costante (a1 , a2 , . . .) → (1, 0, . . .) sono entrambe omotope all’applicazione (a1 , a2 , a3 , . . .) → (0, a1 , a2 , a3 , . . .). Dedurre che S ∞ è contrattile.

10.3 Retrazioni e deformazioni Definizione 10.18. Sia X uno spazio topologico. Un sottospazio Y ⊂ X si dice un retratto di X se esiste un’applicazione continua r : X → Y , detta retrazione, tale che r(y) = y per ogni y ∈ Y . Esempio 10.19. Siano A, B ⊂ R2 due circonferenze tangenti in un punto p. Allora l’applicazione  x se x ∈ A, r : A ∪ B → A, r(x) = p se x ∈ B, è una retrazione.

188

10 Omotopia

Definizione 10.20. Sia X uno spazio topologico. Un sottospazio topologico Y ⊂ X si dice un retratto per deformazione di X se esiste un’applicazione continua R : X × I → X, detta deformazione di X su Y , tale che: 1. R(x, 0) ∈ Y e R(x, 1) = x per ogni x ∈ X. 2. R(y, t) = y per ogni y ∈ Y e t ∈ I. Esempio 10.21. Sia A ⊂ Rn un sottoinsieme stellato rispetto ad un punto p ∈ A (Esercizio 4.8). Allora p è un retratto per deformazione di A: si ha ad esempio la deformazione R : A × I → A,

R(x, t) = tx + (1 − t)p .

Proposizione 10.22. Siano X uno spazio topologico e Y ⊂ X un retratto per deformazione di X. Allora Y è un retratto di X e l’inclusione i : Y → X è una equivalenza omotopica. Dimostrazione. Indichiamo con R : X × I → X la deformazione di X su Y . Indicando con r : X → Y l’applicazione tale che R(x, 0) = i(r(x)), ne segue che r : X → Y è una retrazione e R è una omotopia tra ir e l’identità su X. Siccome ri = IdY , si ha che i e r sono equivalenze omotopiche.   Esempio 10.23. La sfera S n è un retratto per deformazione di Rn+1 −{0}. Si ha infatti la deformazione x . R : (Rn+1 −{0}) × I → Rn+1 −{0}, R(x, t) = tx + (1 − t) x Esempio 10.24. Sia Y l’unione di due lati di un triangolo X. Allora Y è un retratto per deformazione di X. Non è restrittivo supporre che X sia definito in R2 dall’intersezione dei tre semipiani x ≥ 0, y ≥ 0, x + y ≤ 1 e che Y sia l’intersezione di X con l’unione dei due assi cartesiani x = 0, y = 0. Una deformazione possibile di X su Y è R(x, y, t) = t(x, y) + (1 − t)(x − min(x, y), y − min(x, y)). In maniera del tutto simile si dimostra che ogni simplesso non degenere X ⊂ Rn si retrae per deformazione all’unione di m sue facce X1 , . . . , Xm , per ogni 1 ≤ m ≤ n. Infatti, a meno di affinità e permutazioni di indici possiamo scrivere X = {(x1 , . . . , xn ) ∈ Rn | xi ≥ 0, x1 + · · · + xn ≤ 1}, ?? ?? ??  ?? ??  ?? ??  ?? ?    Figura 10.3. Retrazione per deformazione di un triangolo su due suoi lati

10.3 Retrazioni e deformazioni

189

Xi = X ∩ {xi = 0}, i = 1, . . . , m, e considerare la deformazione R(x, t) = x − (1 − t)(min(x1 , . . . , xm ), . . . , min(x1 , . . . , xm ), 0, , . . . , 0).

Esercizi 10.14 (♥). Provare che in uno spazio di Hausdorff ogni retratto è chiuso. 10.15 (♥). Mostrare che il bicchiere vuoto è un retratto per deformazione del bicchiere pieno. Più precisamente, mostrare che Y = D2 ×{0}∪S 1 ×[0, 1] ⊂ R3 è un retratto per deformazione di X = D2 × [0, 1] ⊂ R3 . 10.16 (♥). Sia X = {(tx, t) ∈ R2 | t ∈ [0, 1], x ∈ Q}. Provare che: 1. Il punto (0, 0) è un retratto per deformazione di X: in particolare X è contrattile. 2. Il punto (0, 1) non è un retratto per deformazione di X. 10.17. Sia X = {(p, q) ∈ S n × S n | p = q}. Dimostrare che X ha il tipo di omotopia di S n . (Sugg.: provare che il grafico dell’antipodo è un retratto per deformazione.) 10.18. Mostrare che SL(n, R) è un retratto per deformazione di GL+ (n, R). 10.19. Indichiamo con S 1 ∨ S 1 lo spazio topologico ottenuto come unione di due circonferenze con un punto in comune. Provare che gli spazi R2 − {2 punti}, S 2 − {3 punti}, S 1 × S 1 − {1 punto} 1 e S ∨ S 1 hanno lo stesso tipo di omotopia. Non è richiesta una dimostrazione formale ma solamente intuitiva. (Sugg.: mostrare che ognuno dei primi tre spazi possiede un retratto per deformazione omeomorfo a S 1 ∨ S 1 ; interpretare S 1 × S 1 − {1 punto} come il quoziente di I 2 − {1 punto interno} per la relazione di equivalenza illustrata nella sartoria topologica.) 10.20 (K, ♥). Mostrare che X = {(a, b, c) ∈ R3 | b2 > 4ac} ha il tipo di omotopia di S 1 . 10.21 (K, ♥). Sia X lo spazio delle matrici reali n×(n−1) di rango massimo. Dimostrare che X è omotopicamente equivalente a GL+ (n, R). 10.22 (K, ♥). Sia X ⊂ Omeo(Dn ) l’insieme degli omeomorfismi del disco in sé che sono l’identità su S n−1 . Dotiamo X della topologia di sottospazio di C(Dn , Dn ) (Teorema 6.51). Dimostrare che l’identità Id ∈ X è un retratto per deformazione di X.

190

10 Omotopia

10.4 Categorie e funtori L’utilizzo in matematica dei termini di categoria e funtore inizia intorno al 1940 sotto forma di un linguaggio in grado di semplificare concettualmente alcuni fenomeni di topologia algebrica. Successivamente, grazie soprattutto ad alcune idee geniali di A. Grothendieck, la teoria delle categorie ha consentito enormi progressi nei settori più astratti (per capirci: logica, topologia, algebra e geometria algebrica) tanto da diventarne una parte imprescindibile. Attualmente si assiste ad una lenta ma inesorabile espansione della teoria delle categorie a tutti i campi del sapere matematico. Dare una categoria A significa dare: 1. Una certa collezione Ob(A), i cui elementi sono detti oggetti della categoria A. 2. Per ogni coppia di oggetti X, Y di A, un insieme MorA (X, Y ) i cui elementi sono detti morfismi tra X e Y nella categoria A. 3. Per ogni terna di oggetti X, Y, Z ∈ Ob(A), un’applicazione, che chiameremo legge di composizione, MorA (X, Y ) × MorA (Y, Z) → MorA (X, Z),

(f, g) → gf.

Il tutto deve soddisfare i seguenti assiomi: 1. MorA (X, Y ) ∩ MorA (Z, W ) = ∅ a meno che X = Z e Y = W . 2. Per ogni oggetto X esiste il morfismo identità 1X ∈ MorA (X, X) con la proprietà che 1X f = f e g1X = g per ogni f ∈ MorA (Y, X) ed ogni g ∈ MorA (X, Z). 3. La composizione di morfismi è associativa: per ogni f ∈ MorA (X, Y ), g ∈ MorA (Y, Z) e h ∈ MorA (Z, W ) vale h(gf ) = (hg)f . Alla stessa maniera di come si dimostra che l’elemento neutro di un gruppo è unico, si dimostra che il morfismo identità è unico. Un morfismo f ∈ MorA (X, Y ) si dice un isomorfismo se esiste f −1 ∈ MorA (Y, X) tale che f f −1 = 1Y e f −1 f = 1X . Il morfismo f −1 se esiste è unico e viene detto inverso di f . Quasi sempre, con un abuso di notazione, si scrive X ∈ A per indicare che X è un oggetto nella categoria A. Esempio 10.25. La categoria degli aperti di uno spazio topologico X è la categoria che ha come oggetti gli aperti di X e come morfismi le inclusioni. Esempio 10.26. La categoria Set degli insiemi è la categoria che ha come oggetti gli insiemi e come morfismi le applicazioni. Esempio 10.27. La categoria Grp dei gruppi ha come oggetti i gruppi e come morfismi gli omomorfismi di gruppi.

10.4 Categorie e funtori

191

Esempio 10.28. La categoria Top degli spazi topologici ha come oggetti gli spazi topologici e come morfismi le applicazioni continue. Esempio 10.29. La categoria KTop ha come oggetti gli spazi topologici e come morfismi le classi di omotopia di applicazioni continue. Il Lemma 10.13 garantisce che la legge di composizione è ben definita. Esempio 10.30. Ad ogni insieme S possiamo associare una categoria che ha S come collezione degli oggetti ed ha come morfismi le identità e nient’altro. Esempio 10.31. Ad ogni gruppo G possiamo associare la categoria G che ha un solo oggetto, chiamiamolo ∗, e come morfismi MorG (∗, ∗) = G. La legge di composizione è data dal prodotto in G. Osservazione 10.32. Nella definizione di categoria e negli esempi precedenti abbiamo implicitamente assunto assunto l’esistenza di una relazione gerarchica tra la nozione matematica di insieme e quella linguistica di collezione: ogni insieme è una collezione, ma esistono collezioni che non sono insiemi, come ad esempio la collezione di tutti gli insiemi. Talvolta è utile allungare la gerarchia all’interno delle collezioni introducendo le classi, i conglomerati ecc. secondo lo schema intuitivo { Insiemi } ⊂ { Classi } ⊂ { Conglomerati } ⊂ · · · . Ogni collezione di insiemi è una classe, ogni collezione di classi è un conglomerato. Il vantaggio di questa ulteriore specificazione sta nel fatto che, in un certo senso, possiamo trattare le classi alla stessa maniera degli insiemi: ad esempio possiamo assumere valido l’assioma della scelta per le classi. Ovviamente tutto questo può essere fatto non solo verbalmente ma all’interno di consolidate teorie assiomatiche degli insiemi [6]. Molti autori richiedono nella definizione di categoria che la collezione degli oggetti sia una classe. L’osservazione che gli assiomi di categoria sono preservati dal “cambiamento di verso” di tutti i morfismi, porta alla definizione di categoria opposta. Definizione 10.33. Sia C una categoria. La categoria opposta di C è la categoria, denotata con Co , che ha gli stessi oggetti Ob(C) = Ob(Co ) e tale che MorCo (X, Y ) = MorC (Y, X) Notiamo che (Co )o = C.

per ogni

X, Y ∈ Ob(C) = Ob(Co ).

192

10 Omotopia

Definizione 10.34. Siano A e B due categorie; un funtore da A in B si indica con F : A → B e consiste di due funzioni (entrambe indicate con la lettera F ): 1. La funzione sugli oggetti, ossia una certa legge che ad ogni oggetto X di A associa uno ed un solo oggetto F (X) di B. 2. La funzione sui morfismi che consiste, per ogni coppia X, Y di oggetti di A, di un’applicazione F : MorA (X, Y ) → MorB (F (X), F (Y )),

f → F (f ).

Inoltre la funzione sui morfismi deve preservare le identità e le leggi di composizione, ossia F (1X ) = 1F (X) e F (f g) = F (f )F (g). Esempio 10.35. Il π0 è un funtore dalla categoria degli spazi topologici alla categoria degli insiemi. Esempio 10.36. Siano G, H due gruppi. Nelle notazioni dell’Esempio 10.31, esiste una bigezione naturale tra l’insieme degli omomorfismi F : G → H e quello dei funtori F : G → H. Osservazione 10.37. Fino a qualche anno fa, un funtore come alla Definizione 10.34 veniva detto funtore covariante. Si dava poi la nozione di funtore controvariante F : A → B che si differenzia da uno covariante dal fatto che, se f ∈ MorA (X, Y ), allora F (f ) ∈ MorB (F (Y ), F (X)) e la conservazione della composizione diventa F (f g) = F (g)F (f ). Ad ogni funtore controvariante F : A → B corrisponde in maniera tautologica un funtore covariante F : Ao → B e viceversa. Oggi si preferisce, di norma, non considerare funtori controvarianti ma introdurre quando necessario le categorie opposte. Esempio 10.38. Sia VectK la categoria degli spazi vettoriali su di un campo K: gli oggetti sono tutti gli spazi vettoriali su K ed i morfismi le applicazioni lineari. L’applicazione HomK (−, K) che ad ogni spazio vettoriale V associa il suo duale HomK (V, K) definisce un funtore HomK (−, K) : VectoK → VectK .

Esercizi 10.23. Per ogni intero n ≥ 0 denotiamo con [n] la categoria che ha come oggetti i numeri 0, 1, . . . , n e come morfismi  ∅ se a > b Mor[n] (a, b) = un solo morfismo se a ≤ b Mostrare che esiste una bigezione naturale tra funtori [n] → [m] ed applicazioni non decrescenti {0, 1, . . . , n} → {0, 1, . . . , m}.

10.4 Categorie e funtori

193

10.24. Dimostrare che due spazi topologici sono omotopicamente equivalenti se e solo se sono isomorfi nella categoria KTop. 10.25. Sia Y uno spazio topologico fissato. Mostrare che la costruzione che associa ad ogni spazio topologico X l’insieme C(Y, X) delle applicazioni continue Y → X è un funtore dalla categoria degli spazi topologici alla categoria degli insiemi. 10.26. Per ogni intero n ≥ 0 denotiamo con [n] = {0, 1, . . . , n}. Indichiamo con Δ la categoria degli ordinali finiti, e cioè la categoria che ha come oggetti Ob(Δ) = {[n] | n ≥ 0} e come morfismi MorΔ ([n], [m]) = {f : [n] → [m] non decrescenti}. Per ogni n ≥ 0 definiamo il simplesso standard di dimensione n come il sottospazio topologico di Rn+1  Δn = {(t0 , . . . , tn ) ∈ Rn+1 | ti ≥ 0, ti = 1}. Verificare che l’applicazione [n] → Δn definisce un funtore dalla categoria Δ alla categoria degli spazi topologici, dove ad ogni morfismo f : [n] → [m] è associata l’applicazione continua      f∗ : Δ n → Δ m , f∗ (t0 , . . . , tn ) = ti , ti , . . . , ti , f (i)=0

e la sommatoria



f (i)=j ti

f (i)=1

f (i)=m

si intende uguale a 0 se f (i) = j per ogni i ∈ [n].

10.27 (Prodotti). Un diagramma di tre oggetti e due morfismi

A

~~ ~~ ~ ~ ~

P @ @@ @@ @@ 

B

in una categoria C viene detto un prodotto se per ogni altro diagramma A ← X → B esiste un unico morfismo X → P che rende commutativo il diagramma ∃! X @U_U_UU_ _ _ _ _/ P @ @@ @@ UUUUU ~~ UU~~UU @ @@ U ~ @@ UUUU @@@ UUU*  ~~ A B In tal caso diremo che l’oggetto P è il prodotto di A e B nella categoria C e si scrive P = A × B. Il prodotto di due oggetti può anche non esistere, ma se esiste è unico a meno di isomorfismo.

194

10 Omotopia

Verificare che nelle categorie Set, Grp e Top i prodotti esistono sempre e corrispondono rispettivamente al prodotto cartesiano di insiemi, al prodotto di gruppi ed al prodotto topologico. Dimostrare che l’intersezione di due aperti coincide con il loro prodotto nella categoria dell’Esempio 10.25. Dire infine se esiste il prodotto di [1] × [1] nella categoria degli ordinali finiti (Esercizio 10.26). 10.28. Sia CGHaus la categoria che ha come oggetti gli spazi topologici di Hausdorff compattamente generati (Esercizio 4.35) e come morfismi le applicazioni continue. Si può mostrare che il prodotto topologico di due spazi compattamente generati non è in generale compattamente generato.1 Ciò nonostante, usare la Kelleyficazione (Esercizio 4.38) per provare che esistono i prodotti nella categoria CGHaus. 10.29 (Coprodotti). Un diagramma di tre oggetti e due morfismi A→Q←B in una categoria A viene detto un coprodotto se è un prodotto nella categoria opposta Ao . Enunciare la proprietà universale dei coprodotti. Verificare che nelle categorie Set e Top i coprodotti esistono sempre e corrispondono all’unione disgiunta.

10.5 Una digressione  A volte le grandi idee matematiche nascono da semplici, se non banali, osservazioni. Consideriamo lo spazio topologico {∗} formato da un solo punto. Allora ogni spazio topologico Y è omeomorfo in modo naturale allo spazio C({∗}, Y ) di tutte le applicazioni continue da {∗} in Y dotato della topologia compatta-aperta e di conseguenza π0 (Y ) = π0 (C({∗}, Y )). Chi ci dice che dobbiamo limitarci allo spazio {∗}? Nulla ci impedisce di fissare uno spazio topologico localmente compatto di Hausdorff X, di considerare lo spazio C(X, Y ) di tutte le applicazioni continue f : X → Y , di dotarlo della topologia compatta-aperta e di definire l’insieme [X, Y ] = π0 (C(X, Y )). 1

Si tratta di esempi per nulla banali. Risultati analoghi alla legge esponenziale (Teorema 8.20) ed agli Esercizi 8.17 e 8.18 valgono nella categoria degli spazi topologici compattamente generati senza ipotesi aggiuntive di locale compattezza, e questa è forse la ragione principale per l’introduzione di CGHaus, vedi [23].

10.5 Una digressione 

195

Ogni omeomorfismo Y ∼ = Z induce un omeomorfismo C(X, Y ) ∼ = C(X, Z) e di conseguenza una bigezione di insiemi [X, Y ] ∼ = [X, Z]. Ecco quindi che per dimostrare ad esempio che la sfera S 2 non è omeomorfa al toro S 1 ×S 1 , basterà provare che [S 2 , S 1 × S 1 ] è formato da un solo punto, mentre [S 2 , S 2 ] è un insieme infinito numerabile. L’idea è certamente stimolante ed il Teorema 8.20 implica che due applicazioni continue f0 , f1 : X → Y appartengono alla stessa componente connessa per archi di C(X, Y ) se e solo se sono omotope. Per ragioni tecniche che saranno chiare in seguito, conviene lavorare con gli spazi topologici puntati, ossia con le coppie (X, x0 ), dove X è uno spazio topologico e x0 ∈ X. Definiremo quindi [(X, x0 ), (Y, y0 )] = π0 (C((X, x0 ), (Y, y0 ))), dove C((X, x0 ), (Y, y0 )) = {f ∈ C(X, Y ) | f (x0 ) = y0 }. Particolarmente interessante risulterà il caso in cui X = S n è una sfera ed x0 = N il suo polo. Per ogni n ≥ 0, si denota con πn (Y, y0 ) = [(S n , N ), (Y, y0 )] e non è difficile dimostrare che, se n ≥ 1, allora πn possiede una struttura di gruppo, chiamato n-esimo gruppo di omotopia. Del gruppo π1 ci occuperemo nei prossimi capitoli, mentre lo studio dei gruppi πn , per n ≥ 2, va al di là degli obiettivi di questo volume.

11 Il gruppo fondamentale

Continuiamo ad indicare con I l’intervallo chiuso [0, 1]. Dato un cammino continuo α : I → X, i punti α(0) e α(1) ne sono detti gli estremi; chiameremo α(0) punto iniziale e α(1) punto finale. Se α(0) = α(1) = a, allora diremo che il cammino α è chiuso con punto base a ∈ X.

11.1 Omotopia di cammini Per ogni spazio topologico X e per ogni coppia di punti a, b ∈ X abbiamo già introdotto lo spazio dei cammini Ω(X, a, b) = {α : I → X | α continua, α(0) = a, α(1) = b}. Abbiamo inoltre definito le operazioni di giunzione ed inversione rispettivamente come ⎧ 1 ⎪ ⎨ α(2t) se 0 ≤ t ≤ , 2 ∗ : Ω(X, a, b)×Ω(X, b, c) → Ω(X, a, c), α∗β(t) = 1 ⎪ ⎩ β(2t − 1) se ≤ t ≤ 1. 2 i : Ω(X, a, b) → Ω(X, b, a),

i(α)(t) = α(1 − t).

Notiamo che i(i(α)) = α e che i(α ∗ β) = i(β) ∗ i(α). Definizione 11.1. Diremo che α, β ∈ Ω(X, a, b) sono cammini omotopicamente equivalenti se esiste un’applicazione continua F : I × I → X tale che: 1. F (t, 0) = α(t), F (t, 1) = β(t) per ogni t ∈ I. 2. F (0, s) = a, F (1, s) = b per ogni s ∈ I. Una tale applicazione F viene detta una omotopia di cammini. M. Manetti: Topologia, 2a edizione, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 78, DOI: 10.1007/978-88-470-5662-6_11, © Springer-Verlag Italia 2014

198

11 Il gruppo fondamentale α

α >

a

>

b

F

−−−−−→

b ⊂X

a >

>

β

β

Figura 11.1. Omotopia di cammini

Notiamo immediatamente che la nozione di omotopia di cammini è più restrittiva della nozione di omotopia di applicazioni continue. Infatti si richiede in aggiunta che tutti i cammini Fs : I → X,

Fs (t) = F (t, s),

devono avere, al variare di s ∈ I, lo stesso punto iniziale e lo stesso punto finale. Scriveremo α ∼ β per indicare che α e β sono cammini omotopicamente equivalenti. Abbiamo dimostrato che l’omotopia di applicazioni continue è una relazione di equivalenza. La stessa dimostrazione, con lievi modifiche, si applica per dimostrare che l’omotopia di cammini è una relazione di equivalenza. Esempio 11.2. Sia X ⊂ Rn un sottoinsieme convesso e siano α, β ∈ Ω(X, a, b) due cammini con gli stessi estremi. Allora α e β sono cammini omotopicamente equivalenti: infatti l’applicazione F : I × I → X,

F (t, s) = sβ(t) + (1 − s)α(t),

è una omotopia di cammini. Le operazioni di giunzione ed inversione commutano con la relazione di equivalenza omotopica. Questo significa che: 1. 2.

Dati quattro cammini α, α ∈ Ω(X, a, b), β, β  ∈ Ω(X, b, c), se α ∼ α e β ∼ β  , allora α ∗ β ∼ α ∗ β  . Se α, α ∈ Ω(X, a, b) e α ∼ α , allora i(α) ∼ i(α ).

Infatti, se F (t, s) è un’omotopia tra α ed α , e se G(t, s) è un’omotopia tra β e β  , allora F (1 − t, s) è un’omotopia tra i(α) e i(α ), mentre la “giunzione di omotopie”  F (2t, s) se 0 ≤ t ≤ 1/2, F ∗ G(t, s) = G(2t − 1, s) se 1/2 ≤ t ≤ 1. è un’omotopia di cammini tra α ∗ β e α ∗ β  . Lemma 11.3. Sia α : I → X un cammino e sia φ : I → I una qualsiasi applicazione continua tale che φ(0) = 0 e φ(1) = 1. Allora il cammino α(t) è omotopicamente equivalente al cammino β(t) = α(φ(t)).

11.1 Omotopia di cammini

199

Dimostrazione. È sufficiente considerare l’omotopia F : I × I → X,

F (t, s) = α(sφ(t) + (1 − s)t).

 

Proposizione 11.4. Il prodotto ∗ è associativo a meno di omotopia di cammini, e cioè, dati uno spazio topologico X e tre cammini α ∈ Ω(X, a, b), β ∈ Ω(X, b, c) e γ ∈ Ω(X, c, d) vale: α ∗ (β ∗ γ) ∼ (α ∗ β) ∗ γ. In particolare è ben definita la classe di omotopia del cammino α ∗ β ∗ γ. Dimostrazione. Il cammino (α ∗ β) ∗ γ è ottenuto da α ∗ (β ∗ γ) tramite un cambio di parametro. Per essere più precisi vale ⎧ 1 ⎪ ⎪ per 0 ≤ t ≤ ⎪ 2t ⎪ 4 ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎨ 1 1 1 ((α ∗ β) ∗ γ)(t) = (α ∗ (β ∗ γ))(φ(t)), dove φ(t) = t + per ≤ t ≤ ⎪ 4 4 2 ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎪ ⎩ t + 1 per 1 ≤ t ≤ 1. 2 2  

Basta quindi applicare il Lemma 11.3.

Lemma 11.5. Siano p1 , p2 , p3 ∈ Rn ed indichiamo con T ⊂ Rn il triangolo (possibilmente degenere) di vertici p1 , p2 , p3 , ossia T = {t1 p1 + t2 p2 + t3 p3 | t1 , t2 , t3 ≥ 0, t1 + t2 + t3 = 1}. Data un’applicazione continua f : T → X, indichiamo con fij la parametrizzazione standard della restrizione di f al lato di estremi pi , pj : più precisamente fij : [0, 1] → X,

fij (t) = f ( (1 − t)pi + tpj ). f23

+3

f12

Allora vale f13 ∼ f12 ∗ f23 .

   KS ;C f  13   

f

+X

Dimostrazione. Consideriamo l’applicazione F : I × I → X,

F (t, s) = f (q(t, s)),

dove q : I × I → T è data da ⎧ ⎨(1 − t − ts)p1 + 2tsp2 + (t − ts)p3 q(t, s) = ⎩(1 − t − s + ts)p + 2(1 − t)sp + (t − s + ts)p 1 2 3

per t ≤

1 2

per t ≥

1 2

200

11 Il gruppo fondamentale

Si ha: F (t, 0) =

F (t, 1) =

⎧ ⎨f ((1 − t)p1 + tp3 ) = f13 (t) ⎩f ((1 − t)p + tp ) = f (t) 1 3 13 ⎧ ⎨f ((1 − 2t)p1 + 2tp2 ) = f12 (2t)

t≤

1 2

t≥

1 2

t≤

1 2

⎩f ((1 − (2t − 1))p + (2t − 1)p ) = f (2t − 1) t ≥ 2 3 23

1 2

F (0, s) = f (p1 ),

F (1, s) = f (p3 ),

e quindi F è un’omotopia tra i cammini f13 e f12 ∗ f23 .

 

Proposizione 11.6. Per un qualsiasi cammino α ∈ Ω(X, a, b) si ha: 1. 1a ∗ α ∼ α ∗ 1b ∼ α, 2. α ∗ i(α) ∼ 1a , dove 1a e 1b sono i cammini costanti in a e b rispettivamente. Dimostrazione. I cammini 1a ∗ α e α ∗ 1b sono ottenuti da α con un cambio di parametro. Più precisamente  0 per 0 ≤ t ≤ 12 (1a ∗ α)(t) = α(ψ(t)), dove ψ(t) = 2t − 1 per 12 ≤ t ≤ 1.  2t per 0 ≤ t ≤ 12 (α ∗ 1b )(t) = α(η(t)), dove η(t) = 1 per 12 ≤ t ≤ 1. Per il Lemma 11.3 si hanno quindi le equivalenze 1a ∗ α ∼ α ∗ 1b ∼ α. Consideriamo l’omotopia F : I × I → X definita da /

/ αo  /// //  /Wα/ 1a αG  1a  //  //  /  α

⎧ ⎪ ⎨α(2t) F (t, s) = α(s) ⎪ ⎩ α(2 − 2t)

per 0 ≤ t ≤ s/2 per s/2 ≤ t ≤ 1 − s/2 per 1 − s/2 ≤ t ≤ 1.

7X F

1a

Siccome F (t, 0) = 1a (t) e F (t, 1) = α ∗ i(α)(t) per ogni t nell’intervallo [0, 1], ne segue che α ∗ i(α) ∼ 1a . Una dimostrazione alternativa si ottiene interpretando l’intervallo I come il triangolo degenere in R di vertici p1 , p2 , p3 ∈ {0, 1}, con i pi non tutti uguali tra loro, ed applicare il Lemma 11.5 al cammino α : I → X: si ottengono le sei omotopie di cammini descritte nella Tabella 11.1.  

11.1 Omotopia di cammini

201

Tabella 11.1. Il Lemma 11.5 applicato ad un triangolo con due vertici coincidenti p1 p1 p1 p2 p3 p2

= p2 = 0, = p3 = 0, = 0, = p3

= 0, p3 p2 = p3 = 0, p2 p1 = p3 p1 = p2 = 0, p1

=1 =1 =1 =1 =1 =1

α ∼ 1a ∗ α α ∼ α ∗ 1b 1a ∼ α ∗ i(α) 1b ∼ i(α) ∗ α i(α) ∼ 1b ∗ i(α) i(α) ∼ i(α) ∗ 1a

Corollario 11.7. Sia α ∈ Ω(X, a, b) un cammino e sia p ∈ [0, 1] un qualsiasi punto dell’intervallo. Denotiamo d = α(p) ∈ X e con α0 ed α1 le parametrizzazioni standard delle restrizioni di α agli intervalli [0, p] e [p, 1] ripettivamente, ossia α0 ∈ Ω(X, a, d), α0 (t) = α(tp), α1 ∈ Ω(X, d, b),

α1 (t) = α((1 − t)p + t).

Allora: 1. Vale α0 ∗ α1 ∼ α. 2. Per ogni punto c ∈ X e per ogni cammino β ∈ Ω(X, d, c) vale α0 ∗ β ∗ i(β) ∗ α1 ∼ α. Dimostrazione. Per definizione si ha α0 ∗ α1 (t) = α(φ(t)), dove  2tp se 0 ≤ t ≤ 1/2 φ(t) = p + (2t − 1)(1 − p) se 1/2 ≤ t ≤ 1. e dunque l’equivalenza α0 ∗ α1 ∼ α segue dal Lemma 11.3. Il prodotto ∗ è associativo a meno di omotopia e si ha quindi: α0 ∗ β1 ∗ i(β1 ) ∗ α1 ∼ (α0 ∗ (β1 ∗ i(β1 ))) ∗ α1 ∼ (α0 ∗ 1d ) ∗ α1 ∼ α0 ∗ α1 ∼ α.   Corollario 11.8. Siano α : I → X un cammino e p1 , . . . , pn ∈ [0, 1] una qualsiasi successione finita. Poniamo p0 = 0, pn+1 = 1 e per ogni i = 0, . . . , n sia αi la parametrizzazione standard della restrizione di α all’intervallo [pi , pi+1 ], cioè αi (t) = α((1 − t)pi + tpi+1 ). Allora α è un cammino omotopicamente equivalente al prodotto α0 ∗ · · · ∗ αn . Dimostrazione. Applicando il Lemma 11.5 al triangolo T ⊂ R di vertici pn−1 , pn , 1 ed all’applicazione α : T → X troviamo che il prodotto αn−1 ∗ αn è omotopicamente equivalente alla parametrizzazione standard della restrizione di α all’intervallo [pn−1 , 1]. Si prosegue per induzione su n.   Infine, osserviamo che la relazione di omotopia e gli operatori ∗ ed i si comportano bene rispetto alla composizione con applicazioni continue.

202

11 Il gruppo fondamentale

Proposizione 11.9. Sia f : X → Y un’applicazione continua: 1. Dati α, β ∈ Ω(X, a, b), se α ∼ β, allora f α ∼ f β. 2. Siano α ∈ Ω(X, a, b) e β ∈ Ω(X, b, c). Allora f (α ∗ β) = f α ∗ f β e i(f α) = f (i(α)). Dimostrazione. Se F : I 2 → X è una omotopia di cammini, allora anche f F : I 2 → Y è una omotopia di cammini. Gli operatori di giunzione ed inversione coinvolgono esclusivamente operazioni sul dominio I e pertanto commutano con la composizione con applicazioni continue.  

Esercizi 11.1. Provare che i due cammini α, β : I → R2 − {(0, 0)}, α(t) = (1 + t)(sin(8t), cos(8t)),

β(t) = (1 + t2 )(sin(8t), cos(8t)),

sono omotopicamente equivalenti. 11.2. Provare che i cammini αc : I → S 2 , αc (t) = (sin(c) sin(πt), cos(c) sin(πt), cos(πt)), sono, al variare di c ∈ R, tutti omotopicamente equivalenti. 11.3. Siano dati due cammini α, β ∈ Ω(X, a, b). Dimostrare che α ∼ β se e solo se α ∗ i(β) ∼ 1a . 11.4 (♥). Siano α, β, γ ∈ Ω(X, a, a) tali che α ∗ (β ∗ γ) = (α ∗ β) ∗ γ. Provare che se X è di Hausdorff, allora α, β e γ sono costanti.

11.2 Il gruppo fondamentale Dato uno spazio topologico X ed un suo punto a ∈ X, definiamo π1 (X, a) come il quoziente di Ω(X, a, a) per la relazione di equivalenza omotopica. Per ogni α ∈ Ω(X, a, a) denotiamo con [α] ∈ π1 (X, a) la classe di omotopia corrispondente. Teorema 11.10. L’insieme π1 (X, a) possiede una struttura di gruppo con elemento neutro [1a ] e con le operazioni di prodotto ed inverso definite come [α][β] = [α ∗ β],

[α]−1 = [i(α)].

Dimostrazione. Conseguenza immediata delle Proposizioni 11.4 e 11.6.

 

11.2 Il gruppo fondamentale

203

Definizione 11.11. Il gruppo π1 (X, a) viene detto gruppo fondamentale, o anche primo gruppo di omotopia, o anche gruppo di Poincaré, di X con punto base a. Notiamo che π1 (X, a) dipende solamente dalla componente connessa per archi di a in X. Esempio 11.12. Sia X ⊂ Rn un sottospazio convesso. Allora per ogni a ∈ X vale π1 (X, a) = 0. Infatti, se α ∈ Ω(X, a, a), allora F : I 2 → X,

F (t, s) = sa + (1 − s)α(t),

è una omotopia tra α ed il cammino costante 1a . Quindi ogni cammino chiuso è omotopo in X al cammino costante. Cosa succede al gruppo fondamentale se cambiamo il punto base? È chiaro che se a, b appartengono a diverse componenti connesse per archi, allora non c’è alcuna relazione tra π1 (X, a) e π1 (X, b). Viceversa si ha: Lemma 11.13. Sia γ ∈ Ω(X, a, b) e definiamo γ : π1 (X, a) → π1 (X, b),

γ [α] = [i(γ) ∗ α ∗ γ].

Allora γ è ben definito ed è un isomorfismo di gruppi. Dimostrazione. Abbiamo già osservato che il prodotto ∗ commuta con l’equivalenza omotopica e quindi l’applicazione γ : π1 (X, a) → π1 (X, b) è ben definita. Inoltre γ è un omomorfismo di gruppi perché γ [α]γ [β] = [i(γ) ∗ α ∗ γ][i(γ) ∗ β ∗ γ] = [i(γ) ∗ α ∗ γ ∗ i(γ) ∗ β ∗ γ] = [i(γ) ∗ α ∗ 1a ∗ β ∗ γ] = [i(γ) ∗ α ∗ β ∗ γ] = γ [α][β] . Infine vale i(γ) (γ [α]) = [γ ∗ i(γ) ∗ α ∗ γ ∗ i(γ)] = [1a ∗ α ∗ 1a ] = [α] e quindi γ è un isomorfismo con inverso i(γ) .   Grazie al Lemma 11.13 è possibile dire che il gruppo fondamentale di uno spazio connesso per archi è, a seconda dei casi, isomorfo oppure non isomorfo ad un dato gruppo G, senza bisogno di specificare il punto base. Se uno spazio topologico X è connesso per archi si denota con π1 (X) la classe di isomorfismo del suo gruppo fondamentale, calcolato rispetto ad un qualsiasi punto base. Definizione 11.14. Uno spazio topologico si dice semplicemente connesso se è connesso per archi e se il suo gruppo fondamentale è banale.

204

11 Il gruppo fondamentale

Equivalentemente, uno spazio topologico X è semplicemente connesso se è connesso per archi e se π1 (X, a) = 0, con a punto di X comunque scelto. Esempio 11.15. L’ipercubo I n è semplicemente connesso. Infatti è un sottospazio convesso di Rn e basta applicare l’Esempio 11.12. Da questo momento in poi, per comodità, considereremo la circonferenza S 1 come l’insieme dei numeri complessi di norma 1, ossia identificheremo S 1 con il gruppo topologico U (1, C). Esempio 11.16. Per ogni intero n ∈ Z denotiamo con αn : I → S 1 il cammino αn (t) = exp(2iπnt) = e2iπnt . Allora l’applicazione Z → π1 (S 1 , 1),

n → [αn ],

è un omomorfismo di gruppi (dimostreremo più avanti che è un isomorfismo). Infatti α0 è il cammino costante, mentre il Corollario 11.7 implica che αn+m è omotopicamente equivalente a αn ∗ αm per ogni n, m ≥ 0. Infine osserviamo che α−n = i(αn ) per ogni n ∈ Z. Proposizione 11.17. Il gruppo fondamentale del prodotto è isomorfo al prodotto dei gruppi fondamentali, ossia π1 (X × Y, (a, b)) = π1 (X, a) × π1 (Y, b). Dimostrazione. Ogni cammino α : I → X × Y è univocamente determinato dalle sue componenti α1 : I → X e α2 : I → Y . Esiste quindi una bigezione naturale Ω(X × Y, (a, b), (a, b)) = Ω(X, a, a) × Ω(Y, b, b). Similmente ogni omotopia F : I 2 → X × Y è univocamente determinata dalle sue componenti F1 : I 2 → X e F2 : I 2 → Y e la precedente bigezione induce per passaggio ai quozienti un isomorfismo di gruppi π1 (X × Y, (a, b)) = π1 (X, a) × π1 (Y, b).

 

Esercizi 11.5. Dimostrare che A = {(x, y) ∈ R2 | y ≥ x2 } e B = {(x, y) ∈ R2 | y ≤ x2 } sono semplicemente connessi. 11.6. Siano X uno spazio topologico connesso per archi e a, b ∈ X due punti. Dimostrare che π1 (X, a) è un gruppo abeliano se e solo se l’isomorfismo γ : π1 (X, a) → π1 (X, b) non dipende dalla scelta di γ ∈ Ω(X, a, b).

11.3 Il funtore π1

205

11.7. Siano G un gruppo topologico connesso e f : R → G un omomorfismo continuo di gruppi topologici. Indichiamo con e l’elemento neutro di G e, per ogni n ∈ Z, con αn : I → G il cammino αn (t) = f (nt). Dimostrare che se Z ⊂ ker(f ) = f −1 (e), allora l’applicazione Z → π1 (G, e),

n → [αn ],

è un omomorfismo di gruppi. 11.8 (♥). Siano X uno spazio topologico ed a ∈ X un punto base. Mostrare che esiste una bigezione naturale tra lo spazio dei cammini chiusi Ω(X, a, a) e l’insieme delle applicazioni continue f : S 1 → X tali che f (1) = a. 11.9 (K). Sia X uno spazio topologico connesso per archi e denotiamo con [S 1 , X] l’insieme delle classi di omotopia di applicazioni continue S 1 → X. Dimostrare che per ogni a ∈ X esiste un’applicazione naturale surgettiva π1 (X, a) → [S 1 , X]. Mostrare inoltre che [S 1 , X] è in bigezione con l’insieme delle classi di coniugio del gruppo π1 (X, a).

11.3 Il funtore π1 La Proposizione 11.9 implica in particolare che, per ogni applicazione continua f : X → Y e per ogni punto base a ∈ X, l’applicazione π1 (f ) : π1 (X, a) → π1 (Y, f (a)),

π1 (f )([α]) = [f α],

è ben definita ed è un omomorfismo di gruppi. Per semplificare le notazioni, se non vi sono ambiguità si usa solitamente il simbolo f∗ in luogo di π1 (f ). Esempio 11.18. Siano X uno spazio topologico, i : A → X l’inclusione di un suo sottospazio ed a ∈ A un punto base. In generale l’omomorfismo di gruppi i∗ : π1 (A, a) → π1 (X, a) non è iniettivo perché possono esistere cammini omotopicamente non banali in A che sono omotopicamente banali in X. Si ha tuttavia che: 1. Se A è un retratto di X, allora i∗ : π1 (A, a) → π1 (X, a) è iniettiva. 2. Se A è un retratto per deformazione di X, allora i∗ : π1 (A, a) → π1 (X, x) è un isomorfismo di gruppi. Sia infatti α un cammino chiuso in A con punto base a tale che i∗ [α] = 0, allora esiste una omotopia di cammini F : I 2 → X tale che F (t, 0) = α(t) e F (t, 1) = a. Se r : X → A è una retrazione, allora rF : I 2 → A è ancora una omotopia di cammini e quindi [α] = 0 in π1 (A, a). Supponiamo adesso che R : X × I → X sia una deformazione di X su A e sia β ∈ Ω(X, a, a). Definiamo l’applicazione continua F : I 2 → X,

F (t, s) = R(β(t), s).

206

11 Il gruppo fondamentale

Si osserva subito che F è una omotopia di cammini tra β e rβ ∈ Ω(A, a, a), dove r = R(−, 0). Abbiamo quindi dimostrato che i∗ ([rβ]) = [β] e quindi che i∗ è surgettiva. Sono del tutto evidenti le proprietà funtoriali di f → f∗ , ossia: 1. Se Id : X → X denota l’identità, allora per ogni punto base a ∈ X l’omomorfismo Id∗ : π1 (X, a) → π1 (X, a) è l’identità. 2. Siano f : X → Y e g : Y → Z due applicazioni continue e a ∈ X un punto base. Allora vale g∗ f∗ = (gf )∗ : π1 (X, a) → π1 (Z, gf (a)). È istruttivo usare le precedenti proprietà funtoriali per ridimostrare che, se r : X → X → A, A ⊂ X, è una retrazione, allora per ogni punto a ∈ A l’omomorfismo r∗ : π1 (X, a) → π1 (A, a) è surgettivo. Infatti se i : A → X denota l’inclusione si ha r∗ i∗ = (ri)∗ = (Id|A )∗ = Id e di conseguenza r∗ deve essere surgettiva e i∗ iniettiva. Per quanto riguarda l’invarianza omotopica la situazione è leggermente più complicata rispetto al π0 . Proposizione 11.19. Sia F : X × I → Y un’omotopia tra due applicazioni continue f = F (−, 0) e g = F (−, 1), e sia a ∈ X un punto base. Denotando con γ ∈ Ω(Y, f (a), g(a)) il cammino γ(s) = F (a, s), il diagramma π1 (X, a) MMM q q MMM q q q M q q g∗ MM q f ∗ M& xqq γ / π1 (Y, f (a)) π1 (Y, g(a)) è commutativo. Dimostrazione. Bisogna dimostrare che per ogni α ∈ Ω(X, a, a) i cammini γ ∗ gα e f α ∗ γ sono omotopicamente equivalenti. Guardiamo le restrizioni ai lati del quadrato dell’applicazione continua gα

/

I 2 → Y,

(t, s) → F (α(t), s),

γ

   δ  O Oγ ?       / fα

Il Lemma 11.5, applicato ai due triangoli in figura, ci dà le due equivalenze omotopiche γ ∗ gα ∼ δ e δ ∼ f α ∗ γ, dove δ è il cammino δ(t) = F (α(t), t). Basta adesso utilizzare la transitività dell’equivalenza omotopica.  

11.3 Il funtore π1

207

Corollario 11.20. Siano X uno spazio topologico e g : X → X un’applicazione continua omotopa all’identità. Allora per ogni punto a ∈ X l’applicazione g∗ : π1 (X, a) → π1 (X, g(a)) è un isomorfismo di gruppi. Dimostrazione. Sia F : X×I → X un’omotopia tra le applicazioni F (x, 0) = x e F (x, 1) = g(x). Se γ denota il cammino γ(t) = F (a, t), la Proposizione 11.19 implica che g∗ = γ : π1 (X, a) → π1 (X, g(a))  

e quindi g∗ è un isomorfismo.

Siamo adesso in grado di dimostrare che la classe di isomorfismo del gruppo fondamentale è un invariante omotopico; prima abbiamo bisogno di un semplice lemma insiemistico. Lemma 11.21. Siano date tre applicazioni di insiemi f

g

h

A− →B− →C− → D. Se gf è bigettiva e hg è iniettiva, allora f è bigettiva. Dimostrazione. Siccome gf e hg sono iniettive, a maggior ragione anche f e g sono iniettive. Siccome gf è surgettiva, per ogni b ∈ B esiste a ∈ A tale che gf (a) = g(b) e dalla iniettività di g segue che f (a) = b; dunque f è surgettiva.   Teorema 11.22. Sia f : X → Y un’equivalenza omotopica di spazi topologici. Allora per ogni a ∈ X l’applicazione f∗ : π1 (X, a) → π1 (Y, f (a)) è un isomorfismo di gruppi. Dimostrazione. Sia g : Y → X una inversa omotopica di f , cioè un’applicazione continua tale che f g e gf siano entrambe omotope all’identità. Si hanno gli omomorfismi di gruppi f∗

g∗

f∗

π1 (X, a) −→ π1 (Y, f (a)) −→ π1 (X, gf (a)) −→ π1 (Y, f gf (a)). Per il Corollario 11.20 le composizioni f∗ g∗ e g∗ f∗ sono isomorfismi e quindi per il Lemma 11.21 f∗ è bigettivo.  

Esercizi 11.10. Dimostrare che se, in via del tutto ipotetica, la circonferenza S 1 fosse semplicemente connessa (in realtà non lo è), allora π1 (X) = 0 per ogni spazio topologico X. 11.11. Provare che ogni applicazione continua omotopa ad una costante induce l’omomorfismo nullo tra i rispettivi gruppi fondamentali.

208

11 Il gruppo fondamentale

11.12 (♥). Sia X uno spazio topologico connesso per archi. Dimostrare che X è semplicemente connesso se e solo se ogni applicazione continua f : S 1 → X si estende ad un’applicazione continua D2 → X. 11.13. Sia f : X → Y un’applicazione continua. Dimostrare che per ogni cammino γ ∈ Ω(X, a, b) si ha un diagramma commutativo di omomorfismi di gruppi γ π1 (X, ⏐ a) −→ π1 (X, ⏐ b) ⏐f ⏐f ∗ ∗ (f γ)

π1 (Y, f (a)) −→ π1 (Y, f (b)). 11.14. Siano X, Y spazi topologici connessi per archi e f : X → Y un’applicazione continua. Provare che la eventuale iniettività o surgettività dell’omomorfismo f∗ : π1 (X, a) → π1 (Y, f (a)) non dipende dalla scelta del punto base a. 11.15 (♥). Siano Y un retratto di X, y ∈ Y e denotiamo con i : Y → X l’inclusione. Dimostrare che se i∗ π1 (Y, y) è un sottogruppo normale di π1 (X, x), allora per ogni retrazione r : X → Y esiste un isomorfismo di gruppi π1 (X, y)  π1 (Y, y) × ker(r∗ ).

11.4 Semplice connessione di S n (n ≥ 2) In questa sezione mostreremo che per ogni n ≥ 2 la sfera S n è semplicemente connessa. L’idea della dimostrazione è abbastanza semplice: prendiamo un cammino α ∈ Ω(S n , a, a) e facciamo l’ipotesi che l’applicazione α : I → S n non sia surgettiva, ossia che esista b ∈ S n tale che α(I) ⊂ S n − {b}. Siccome S n − {b} è omeomorfo allo spazio semplicemente connesso Rn , ne segue che α è omotopicamente banale in S n − {b} ed a maggior ragione è omotopicamente banale in S n . Siccome I ha “dimensione 1” mentre S n ha “dimensione n”, per n ≥ 2 l’ipotesi che α non sia surgettiva non è del tutto assurda. Sfortunatamente, per ogni n ≥ 2, esistono dei cammini I → S n che sono continui e surgettivi: sono le cosiddette curve di Peano (Teorema 15.16 ed Esercizio 15.9). Fortunatamente, esistono alcuni sistemi per ovviare a questo inconveniente; i due più noti sono: 1. Mostrare che α è omotopo ad un cammino di classe C ∞ ; dopo di che utilizzare il teorema di Sard per dimostrare che ogni cammino I → S n di classe C ∞ non è surgettivo se n ≥ 2. 2. Mostrare che α è omotopicamente equivalente alla giunzione di un numero finito di cammini chiusi non surgettivi.

11.4 Semplice connessione di S n (n ≥ 2)

209

Qui percorreremo la seconda strada, dimostrando un risultato più generale noto al pubblico come teorema di Van Kampen. Rimandiamo invece alla lettura di [17, 11] per maggiori informazioni sul primo dei due metodi menzionati. Teorema 11.23 (del numero di Lebesgue). Siano (Y, d) uno spazio metrico compatto, f : Y → X un’applicazione continua ed A un ricoprimento aperto di X. Esiste allora un numero reale positivo δ tale che per ogni y ∈ Y l’insieme f (B(y, δ)) è interamente contenuto in un aperto del ricoprimento A. Dimostrazione. Per ogni intero positivo n denotiamo con Yn l’insieme dei punti y ∈ Y per cui esiste U ∈ A tale che B(y, 2−n ) ⊂ f −1 (U ). È sufficiente dimostrare che Yn = Y per qualche n. Chiaramente Yn ⊂ Yn+1 per ogni n e, siccome A è un ricoprimento, si ha ∪n Yn = Y . Inoltre, il sottospazio Yn è contenuto nella parte interna di Yn+1 : sia infatti y ∈ Yn e scegliamo U ∈ A tale che B(y, 2−n ) ⊂ f −1 (U ). Per la disuguaglianza triangolare, se d(y, z) < 2−n−1 allora B(z, 2−n−1 ) ⊂ B(y, 2−n ) ⊂ o f −1 (U ) e di conseguenza z ∈ Yn+1 . Si ha quindi Yn ⊂ Yn+1 e ∪n Yno = Y . o Dato che Y è compatto si ha Y = Yn per qualche n ed a maggior ragione Y = Yn .   Corollario 11.24. Sia α : I → X un cammino continuo e sia A un ricoprimento aperto di X. Allora esiste un intero positivo ( )n tale che, per ogni i = 0, . . . , n − 1, l’immagine dell’applicazione α : ni , i+1 → X è interamente n contenuta in un aperto del ricoprimento A. Dimostrazione. L’intervallo I è uno spazio metrico compatto e possiamo applicare il Teorema 11.23.   Teorema 11.25 (Van Kampen: prima parte). Siano A, B due aperti di uno spazio topologico X tali che X = A ∪ B. Sia x0 ∈ A ∩ B un punto e denotiamo con f∗ : π1 (A, x0 ) → π1 (X, x0 ) e g∗ : π1 (B, x0 ) → π1 (X, x0 ) gli omomorfismi di gruppi indotti dalle inclusioni A ⊂ X e B ⊂ X. Se gli aperti A, B ed A ∩ B sono connessi per archi, allora il gruppo π1 (X, x0 ) è generato dalle immagini di f∗ e g∗ . Ricordiamo che un gruppo G si dice generato da un sottoinsieme S ⊂ G se è possibile scrivere ogni elemento di G come un prodotto di elementi di S ∪ S −1 , dove S −1 = {g −1 | g ∈ S}. Similmente diremo che G è generato da due sottoinsiemi S1 ed S2 se è generato dalla loro unione S = S1 ∪ S2 . Dimostrazione. Sia α ∈ Ω(X, x0 , x0 ) un cammino, bisogna mostrare che α è omotopicamente equivalente alla giunzione di un numero finito di cammini γ1 , . . . , γn ∈ Ω(X, x0 , x0 ), ognuno dei quali interamente contenuto in A oppure in B. Per il Corollario 11.24 ( ) esiste n > 0 tale che la restrizione di α ad i ognuno degli intervalli i−1 , n n , per i = 1, . . . , n, è contenuta interamente in A o in B. Indichiamo con α ( ) i la parametrizzazione  i−1+t  standard della restrizione i di α all’intervallo i−1 , ossia α . , (t) = α i n n n

210

11 Il gruppo fondamentale

Per ogni i = 1, . . . , n − 1 denotiamo xi = α(i/n). Poiché gli aperti A, B e A ∩ B sono per ipotesi connessi per archi, per ogni indice i possiamo trovare un cammino βi ∈ Ω(X, xi , x0 ) in modo tale che: 1. Se xi ∈ A ∩ B, allora βi ∈ Ω(A ∩ B, xi , x0 ). 2. Se xi ∈ A − B, allora βi ∈ Ω(A, xi , x0 ). 3. Se xi ∈ B − A, allora βi ∈ Ω(B, xi , x0 ). Le precedenti tre condizioni implicano in particolare che: 1. Se xi ∈ A, allora βi ∈ Ω(A, xi , x0 ). 2. Se xi ∈ B, allora βi ∈ Ω(B, xi , x0 ). Ecco quindi che α è omotopicamente equivalente a γ1 ∗ · · · ∗ γn , dove

γn−1

γ1 = α1 ∗ β1 , γ2 = i(β1 ) ∗ α2 ∗ β2 , . . . , γj = i(βj−1 ) ∗ αj ∗ βj , . . . = i(βn−2 ) ∗ αn−1 ∗ βn−1 , γn = i(βn−1 ) ∗ αn .

Ogni γi appartiene a Ω(A, x0 , x0 ) ∪ Ω(B, x0 , x0 ) e quindi il teorema è dimostrato.   Corollario 11.26. Siano A, B due aperti di uno spazio topologico X tali che X = A ∪ B e A ∩ B = ∅. Se gli aperti A, B, A ∩ B sono connessi per archi e se A, B sono semplicemente connessi, allora anche X è semplicemente connesso. Dimostrazione. Che X è connesso per archi è evidente. Sia x0 ∈ A ∩ B un punto base; siccome π1 (A, x0 ) = π1 (B, x0 ) = 0, per il Teorema 11.25 il gruppo π1 (X, x0 ) è generato dall’elemento neutro ed è quindi banale.   Corollario 11.27. La sfera S n è semplicemente connessa per ogni n ≥ 2. Dimostrazione. Possiamo scrivere S n = A ∪ B, dove A = S n − {(1, 0, . . . , 0)} e B = S n − {(−1, 0, . . . , 0)}. Gli aperti A e B sono omeomorfi a Rn e sono quindi semplicemente connessi, mentre A ∩ B è omeomorfo a Rn − {0} che è connesso per ogni n ≥ 2.   Corollario 11.28. Il complementare di un insieme finito in Rn è semplicemente connesso per n ≥ 3. Dimostrazione. Supponiamo n ≥ 3 e dimostriamo per induzione su m che lo spazio X = Rn −{p1 , . . . , pm } è semplicemente connesso, dove p1 , . . . , pm sono punti distinti. Per m = 0 lo spazio X è convesso ed è quindi semplicemente connesso. Per m = 1 la sfera {x ∈ Rn | x − p1 = 1}  S m−1 è un retratto per deformazione di X e la tesi segue dal Corollario 11.27. Supponiamo adesso m ≥ 2 ed il risultato valido per Rn − {k punti} per ogni k < m. Siccome p1 = p2 esiste un’applicazione lineare f : Rn → R tale

11.4 Semplice connessione di S n (n ≥ 2)

211

che f (p1 ) = f (p2 ); a meno di cambiare f con −f (o p1 con p2 ) non è restrittivo supporre f (p1 ) < f (p2 ). Adesso scriviamo X = A ∪ B, dove A = {x ∈ X | f (x) < f (p2 )},

B = {x ∈ X | f (x) > f (p1 )}.

Gli aperti A, B, A ∩ B sono tutti omeomorfi a Rn − {k punti} con k < m e basta applicare l’ipotesi induttiva ed il Corollario 11.26.   Corollario 11.29. Lo spazio proiettivo complesso Pn (C) è semplicemente connesso per ogni n ≥ 0. Dimostrazione. Induzione su n, osservando che P0 (C) è lo spazio formato da un punto ed è quindi semplicemente connesso. Sia z0 , . . . , zn un sistema di coordinate omogenee su Pn (C) e denotiamo con H ⊂ Pn (C) l’iperpiano di equazione z0 = 0. Siccome H ∼ = Pn−1 (C), per l’ipotesi induttiva possiamo supporre che H sia semplicemente connesso. Scriviamo adesso Pn (C) = A ∪ B, dove A e B sono gli aperti A = Pn (C) − H,

B = Pn (C) − {[1, 0, . . . , 0]}.

Osserviamo poi che: 1. L’applicazione Cn → A, (z1 , . . . , zn ) → [1, z1 , . . . , zn ], è un omeomorfismo e quindi A è semplicemente connesso. 2. L’intersezione A ∩ B, vista come un sottoinsieme A, è omeomorfa a Cn − {0} ed è quindi connessa. 3. L’applicazione R : B × I → B,

R([z0 , z1 , . . . , zn ], t) = [tz0 , z1 , . . . , zn ],

è una deformazione di B su H e di conseguenza B è semplicemente connesso. Segue dal Corollario 11.26 che Pn (C) è semplicemente connesso.   La dimostrazione precedente non funziona con gli spazi proiettivi reali poiché per n = 1 lo spazio A∩B ∼ = R−{0} non è connesso. In effetti si dimostrerà che per ogni n > 0 lo spazio Pn (R) non è semplicemente connesso. Tuttavia la costruzione utilizzata nella dimostrazione del Corollario 11.29, applicata agli spazi proiettivi reali dimostra che π1 (Pn ), n > 0, è generato dal gruppo fondamentale di una sua retta (Esercizio 11.20).

Esercizi 11.16. Siano A, B due aperti di uno spazio topologico. Dimostrare che se A ∪ B e A ∩ B sono connessi per archi, allora A e B sono connessi per archi.

212

11 Il gruppo fondamentale

11.17 (♥). Calcolare il gruppo fondamentale del sottospazio di R3 unione della sfera S 2 e dei tre piani coordinati. 11.18. Provare che per ogni coppia di interi 0 ≤ n ≤ m − 3, il complementare in Rm di un sottospazio vettoriale di dimensione n è semplicemente connesso. 11.19. 1) Sia {Ui }i∈N una famiglia di aperti semplicemente connessi di uno spazio topologico tali che Ui ⊂ Ui+1 per ogni i. Mostrare che la loro unione  U è semplicemente connessa. i i 2) Sia U = (−a, a)n un ipercubo aperto in Rn , n ≥ 3, e sia A un sottoinsieme finito di U . Mostrare che U − A è semplicemente connesso. 3) Mostrare che il complementare di un sottoinsieme chiuso e discreto in Rn , n ≥ 3, è semplicemente connesso. 11.20. 1) Dimostrare che, se in aggiunta alle ipotesi del Teorema 11.25, l’inclusione A ∩ B → B induce un omomorfismo surgettivo tra i rispettivi gruppi fondamentali, allora l’omomorfismo f∗ : π1 (A, x0 ) → π1 (X, x0 ) è surgettivo. 2) Siano a un punto dello spazio proiettivo Pn (R) ed H ⊂ Pn (R) un iperpiano che contiene a. Provare che, se n ≥ 2, allora l’inclusione H → Pn (R) induce un’applicazione surgettiva π1 (H, a)  π1 (Pn (R), a). 11.21 (♥). Sia K1 ⊂ K2 ⊂ · · · una esaustione in compatti di uno spazio topologico X. Provare che se Kn è semplicemente connesso per ogni n, allora anche X è semplicemente connesso. Più in generale, dimostrare che se x ∈ K1 e se l’inclusione Kn ⊂ Kn+1 induce un isomorfismo π1 (Kn , x)  π1 (Kn+1 , x) per ogni n, allora ogni inclusione Kn ⊂ X induce un isomorfismo di gruppi π1 (Kn , x)  π1 (X, x). 11.22 (K, ♥). Dimostrare che gli spazi (vedi Figura 11.2): S = {(x, y, z) ∈ R3 | x2 + y 2 = sin2 (πz) },  C = {(x, y, z) ∈ R3 | x2 + y 2 = max(0, sin(πz)) }, sono semplicemente connessi. ···

··· ,

···

··· .

Figura 11.2. Le salsicce e la collana

11.5 Monoidi topologici  Definizione 11.30. Uno spazio A2 è una terna (X, μ, e), dove X è uno spazio topologico, μ : X × X → X è un’applicazione continua ed e è un punto di X, che chiameremo unità, tale che μ(x, e) = μ(e, x) = x

11.5 Monoidi topologici 

213

per ogni x ∈ X. Uno spazio A2 si dice un monoide topologico se μ è un prodotto associativo, ossia se μ(x, μ(y, z)) = μ(μ(x, y), z) per ogni x, y, z ∈ X. Notiamo che l’unità e è univocamente determinata dal prodotto μ: infatti se e1 , e2 ∈ X hanno la proprietà che μ(x, e1 ) = μ(e2 , x) = x per ogni x, allora si ha e2 = μ(e2 , e1 ) = e1 . Ogni gruppo topologico è un monoide topologico; ogni retratto di uno spazio A2 che contiene l’unità è ancora uno spazio A2 . Teorema 11.31. Sia (X, μ, e) uno spazio A2 . Allora: 1. Il gruppo π1 (X, e) è abeliano. 2. Tramite l’isomorfismo naturale π1 (X × X, (e, e)) = π1 (X, e) × π1 (X, e) l’omomorfismo μ∗ si identifica con il prodotto in π1 (X, e), ossia μ∗ : π1 (X, e) × π1 (X, e) → π1 (X, e),

μ∗ ([α], [β]) = [α][β].

Dimostrazione. Dati due cammini α e β con punto base e, per definizione si ha μ∗ ([α], [β]) = [δ] dove δ(t) = μ(α(t), β(t)). Considerando l’applicazione /

α

F : I 2 → X,

F (t, s) = μ(α(t), β(s)),

β

    δ  ? O Oβ        / α

il Lemma 11.5 ci dà le equivalenze omotopiche α ∗ β ∼ δ ∼ β ∗ α.

 

Osservazione 11.32. Tra le nozioni di monoide e spazio A2 ci sono molte nozioni intermedie. Ad esempio uno spazio A3 è una quaterna (X, μ, e, h) dove (X, μ, e) è uno spazio A2 ed h : X 3 × I → X è una omotopia tra le due applicazioni (x, y, z) → μ(μ(x, y), z),

(x, y, z) → μ(x, μ(y, z)).

In particolare in uno spazio A3 il prodotto è associativo a meno di omotopia. Un’altra nozione intermedia (troppo avanzata per essere esposta in questo volume) è quella di spazio A∞ , introdotta negli anni ’60 da J. Stasheff [22], che ha la notevole proprietà di essere invariante per omotopia: questa ed altre proprietà hanno fatto sì che gli spazi A∞ ed i suoi analoghi (algebre A∞ , categorie A∞ ) siano un argomento di grande interesse e dalle molte applicazioni nella matematica contemporanea.

214

11 Il gruppo fondamentale

Esercizi 11.23. Dimostrare che i gruppi fondamentali di SL(n, C), U(n, C), SL(n, R) e SO(n, R) sono abeliani. 11.24. Sia (X, μ, e) un monoide topologico ed indichiamo con pn : X → X l’elevazione alla n-esima potenza, n > 0. Dimostrare che l’omomorfismo di gruppi (pn )∗ : π1 (X, e) → π1 (X, e) coincide con l’elevazione alla n-esima potenza nel gruppo abeliano π1 (X, e). 11.25. Sia G un gruppo topologico connesso per archi con elemento neutro e. Per ogni g ∈ G definiamo l’applicazione continua Inng : G → G,

Inng (a) = gag −1 .

Dimostrare che gli omomorfismi (Inng )∗ : π1 (G, e) → π1 (G, e) sono uguali all’identità. 11.26. Sia X uno spazio topologico localmente compatto di Hausdorff. Provare che lo spazio C(X, X), con la topologia compatta-aperta ed il prodotto di composizione è un monoide topologico.

12 Rivestimenti

Fino a questo momento sappiamo solamente dimostrare che certi spazi sono semplicemente connessi, ed infatti è solitamente difficile dimostrare direttamente l’esistenza di cammini chiusi non omotopi al cammino costante. Esistono però dei metodi indiretti ed il presente capitolo è dedicato ad uno di questi. Introdurremo la nozione di rivestimento di uno spazio topologico e dimostreremo che i rivestimenti di uno spazio topologico semplicemente connesso sono tutti di un certo tipo che chiameremo “banale”. Sarà poi immediato osservare che esistono rivestimenti non banali di alcuni spazi topologici di uso comune, come le circonferenze e gli spazi proiettivi reali.

12.1 Omeomorfismi locali e sezioni Definizione 12.1. Un’applicazione continua f : X → Y si dice un omeomorfismo locale se per ogni x ∈ X esistono due aperti A ⊂ X e B ⊂ Y tali che x ∈ A, f (A) = B e la restrizione f : A → B è un omeomorfismo. Esempio 12.2. Ogni applicazione continua, iniettiva ed aperta è un omeomorfismo locale. Lemma 12.3. Ogni omeomorfismo locale f : X → Y è un’applicazione aperta e le fibre f −1 (y), y ∈ Y , sono discrete. Dimostrazione. Sia V ⊂ X un aperto. Vogliamo dimostrare che f (V ) è intorno di ogni suo punto, ossia che per ogni y ∈ f (V ) esiste un aperto U ⊂ Y tale che y ∈ U ⊂ f (V ). Sia x ∈ V tale che f (x) = y, per ipotesi esistono due aperti A ⊂ X, B ⊂ Y tali che x ∈ A, f (A) = B e la restrizione f : A → B è un omeomorfismo. In particolare y ∈ f (V ∩ A), U = f (V ∩ A) è aperto in B e quindi anche in Y . M. Manetti: Topologia, 2a edizione, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 78, DOI: 10.1007/978-88-470-5662-6_12, © Springer-Verlag Italia 2014

216

12 Rivestimenti

Per ogni y ∈ Y ed ogni x ∈ f −1 (y) esiste un intorno aperto x ∈ A tale che la restrizione f : A → Y è iniettiva. Dunque f −1 (y) ∩ A = {x} e questo prova che la topologia di sottospazio sulla fibra f −1 (y) è discreta.   Se p : X → Y è un’applicazione di insiemi, diremo che s : Y → X è una sezione di p se p(s(y)) = y per ogni y ∈ Y . Condizione necessaria affinché p possieda sezioni è che p sia surgettiva; viceversa, l’assioma della scelta dice esattamente che ogni applicazione surgettiva possiede sezioni. Passando al caso topologico, si verifica che in generale non esistono sezioni continue di applicazioni continue surgettive. Proposizione 12.4. Siano p : X → Y un’applicazione continua e s : Y → X una sezione continua di p, ossia un’applicazione continua tale che p(s(y)) = y per ogni y ∈ Y . Allora: 1. L’applicazione p è una identificazione. 2. Se X è di Hausdorff, allora s è una immersione chiusa. Dimostrazione. (1) È chiaro che p deve essere surgettiva. Per dimostrare che p è una identificazione bisogna provare che, se A ⊂ Y è un sottoinsieme tale che p−1 (A) è aperto, allora A è aperto in Y . Siccome s−1 (p−1 (A)) = A, e s è continua, ne consegue che A è aperto in Y . (2) È chiaro che s è iniettiva; occorre dimostrare che se X è di Hausdorff, allora s è chiusa. Siccome s(C) = s(Y ) ∩ p−1 (C) per ogni sottoinsieme C ⊂ Y , basta dimostrare che s(Y ) è un sottoinsieme chiuso di X. Dato che x ∈ s(Y ) se e solo se x = sp(x), possiamo scrivere s(Y ) = f −1 (Δ), dove Δ ⊂ X × X è la diagonale e f : X → X × X, f (x) = (x, sp(x)). Basta adesso ricordare che in uno spazio di Hausdorff la diagonale è chiusa nel prodotto.   Dunque condizione necessaria affinché un’applicazione continua p abbia una sezione continua è che p sia una identificazione. Tale condizione non è tuttavia sufficiente. Ad esempio, l’applicazione chiusa e surgettiva p : [0, 1] → S 1 ,

p(t) = (cos(2πt), sin(2πt)),

non ammette sezioni: se per assurdo esistesse una sezione continua, per motivi insiemistici la sua immagine dovrebbe essere [0, 1[ oppure ]0, 1], mentre per motivi topologici ogni immagine continua di S 1 è compatta. Similmente, siccome non esistono applicazioni continue ed iniettive s : S 1 → R (Lemma 4.16), l’applicazione aperta e surgettiva e| : R → S 1 , non ammette sezioni continue.

p(t) = (cos(2πt), sin(2πt)),

12.2 Rivestimenti

217

Esercizi 12.1. Dire, motivando la risposta, se l’applicazione f dell’Esercizio 3.47 è un omeomorfismo locale. 12.2 (♥). Sia p : E → X un omeomorfismo locale, con E di Hausdorff. Dimostrare che: 1. La diagonale di E × E è aperta e chiusa in E ×X E = {(e1 , e2 ) ∈ E × E | p(e1 ) = p(e2 )}. 2. Sia Y uno spazio connesso e siano f, g : Y → E due applicazioni continue tali che pf = pg. Allora f = g oppure f (y) = g(y) per ogni y ∈ Y . 3. Sia U ⊂ E un aperto connesso tale che la restrizione p : U → X è iniettiva. Allora U è una componente connessa di p−1 (p(U )). 12.3. Sia f : X → Y un omeomorfismo locale. Dimostrare che: 1. Se Y soddisfa il primo assioma di numerabilità, allora anche X soddisfa il primo assioma di numerabilità. 2. Se Y è separabile e ogni fibra di f è al più numerabile, allora X è separabile. 12.4. Siano f : X → Y e g : Y → Z due applicazioni tra spazi topologici tali che g, gf sono continue e g è un omeomorfismo locale. Dimostrare che l’insieme dei punti dove f è continua è un aperto di X. 12.5 (♥). Dimostrare che per ogni intero positivo n la proiezione naturale p : S n → Pn (R) non possiede sezioni continue.

12.2 Rivestimenti Definizione 12.5. Sia X uno spazio topologico connesso. Un’applicazione continua p : E → X si dice un rivestimento di X se ogni punto x ∈ X è contenuto in un aperto V ⊂ X tale che p−1 (V ) è unione disgiunta di aperti Ui con la proprietà che p : Ui → V è un omeomorfismo per ogni i. Lo spazio X viene detto la base del rivestimento, lo spazio E viene detto spazio totale del rivestimento, mentre gli insiemi p−1 (x), al variare di x ∈ X, sono detti le fibre del rivestimento. Diremo che un aperto V ⊂ X è un aperto banalizzante di p se soddisfa la condizione della Definizione 12.5. In altri termini un aperto V ⊂ X è

218

12 Rivestimenti

banalizzante se p−1 (V ) = ∪i Ui , dove: 1. Ogni Ui è aperto in E e le restrizioni p : Ui → V sono omeomorfismi. 2. Ui ∩ Uj = ∅ per ogni i = j. Chiaramente ogni aperto contenuto in un aperto banalizzante è ancora banalizzante. Diremo che il rivestimento è banale se la base X è un aperto banalizzante. Se p : E → X è un rivestimento, segue dalla definizione che ogni punto e ∈ E possiede un intorno aperto omeomorfo ad un intorno aperto di p(e). Per uso futuro osserviamo che da ciò segue che se X è localmente connesso per archi, anche E è localmente connesso per archi. Definizione 12.6. Diremo che un rivestimento p : E → X è connesso se lo spazio totale E è connesso. Esempio 12.7. Siano X uno spazio connesso ed F uno spazio discreto e non vuoto. Allora la proiezione sul primo fattore X × F → X è un rivestimento banale che è connesso se e solo se F è formato da un solo punto. Esempio 12.8. Identifichiamo la circonferenza S 1 con l’insieme dei numeri complessi di modulo 1. L’applicazione e| : R → S 1 ,

e| (t) = e2πit = cos(2πt) + i sin(2πt)

è un rivestimento connesso. Infatti e| è un omeomorfismo locale surgettivo e per ogni intervallo aperto ]a, b[ ⊂ R si ha e| −1 (e| ( ]a, b[ )) = ∪{ ]a + n, b + n[ | n ∈ Z}. Se |b − a| < 1, allora per ogni n ∈ Z l’intervallo ]a + n, b + n[ è un aperto di R e l’applicazione e| : ]a + n, b + n[ → S 1 è un omeomorfismo sull’immagine.

t → (cos(2πt), sin(2πt), t) y p R

x

Figura 12.1. Identificando R con l’elica regolare E = {(z, t) ∈ C × R | z = e| (t)} tramite l’omeomorfismo t → (e| (t), t), il rivestimento e| : R → S 1 coincide con la restrizione all’elica della proiezione p : C × R → C

12.2 Rivestimenti

219

Esempio 12.9. La proiezione naturale p : S n → Pn (R) è un rivestimento. Infatti per ogni x ∈ S n l’aperto U = {y ∈ S n | (x · y) = 0} è saturo rispetto a p ed ha come componenti connesse gli aperti {y ∈ S n | (x · y) > 0},

{y ∈ S n | (x · y) < 0}.

La restrizione di p ad ognuna delle due componenti connesse è un omeomorfismo sull’immagine. Esempio 12.10. L’applicazione p : C−{0} → C−{0}, p(z) = z 2 , è un rivestimento. Infatti un aperto U ⊂ C − {0} è banalizzante se e solo se ammette una determinazione continua della radice quadrata. Siccome la determinazione continua della radice quadrata esiste sul complementare di ogni semiretta reale del piano di Gauss con estremo nel punto 0, ne segue che gli aperti banalizzanti ricoprono C−{0}. Esempio 12.11. L’applicazione e| : C → C−{0},

e| (z) = exp(2πiz) = e2πiz ,

è un rivestimento. Gli aperti banalizzanti sono esattamente gli aperti dove esiste la determinazione continua del logaritmo. Alcuni autori usano il termine esponenziale tagliato per indicare l’applicazione e| . Proposizione 12.12. Sia p : E → X un rivestimento. Allora: 1. L’applicazione p è un omeomorfismo locale; in particolare p è un’applicazione aperta e le fibre sono discrete. 2. Per ogni coppia di punti x, y ∈ X, le fibre p−1 (x) e p−1 (y) hanno la stessa cardinalità. 3. Per ogni sottospazio Y ⊂ X connesso , la restrizione p : p−1 (Y ) → Y è ancora un rivestimento. Dimostrazione. (1) Se V ⊂ X è un aperto banalizzante di p, allora segue dalla definizione di rivestimento che la restrizione p : p−1 (V ) → V è un omeomorfismo locale. Siccome gli aperti p−1 (V ), con V aperto banalizzante, ricoprono E, ne segue che anche p : E → X è un omeomorfismo locale. (2) Sia x0 ∈ X un punto fissato e denotiamo con A ⊂ X l’insieme dei punti x ∈ X tali che p−1 (x) ha la stessa cardinalità di p−1 (x0 ). Siccome X è connesso ed A non è vuoto, basta dimostrare che A è aperto e chiuso. Osserviamo che, se V ⊂ X è un aperto banalizzante, le fibre p−1 (x), per x ∈ V , hanno tutte la stessa cardinalità. Infatti, se scriviamo p−1 (V ) = ∪Ui , al variare di i in un insieme di indici J, con Ui aperti disgiunti e p : Ui → V omeomorfismo, allora ogni fibra interseca ogni aperto Ui in esattamente un punto ed esiste quindi una bigezione tra p−1 (x) e J. Di conseguenza si ha V ⊂ A oppure V ∩ A = ∅. Siccome gli aperti banalizzanti ricoprono X, questo prova che A e X − A sono entrambi aperti. (3) Basta osservare che la restrizione di un aperto banalizzante a Y è ancora un aperto banalizzante per l’applicazione p : p−1 (Y ) → Y .  

220

12 Rivestimenti

Definizione 12.13. Se ogni fibra di un rivestimento p : E → X è finita ed ha cardinalità d, allora diremo che p è un rivestimento di grado d. Ad esempio: la proiezione S n → Pn (R) è un rivestimento di grado 2, l’applicazione p : S 1 → S 1 , p(z) = z 3 , è un rivestimento di grado 3, mentre l’applicazione S 1 × S 1 → S 1 × S 1 , (z1 , z2 ) → (z12 , z22 ), è un rivestimento di grado 4. Lemma 12.14. Sia p : E → X un rivestimento, allora per ogni aperto banalizzante V ⊂ X ed ogni punto e ∈ p−1 (V ) esiste una sezione continua se : V → p−1 (V ) dell’applicazione p : p−1 (V ) → V tale che se (p(e)) = e. Se V è connesso, allora se è unica. Dimostrazione. Siccome V è banalizzante possiamo scrivere p−1 (V ) = U ∪ W dove U, W sono aperti disgiunti, e ∈ U e p|U : U → V è un omeomorfismo. La sua inversa se = p−1 |U è una sezione con le proprietà richieste. Se V è connesso, anche U è connesso ed è inoltre una componente connessa di p−1 (V ). Se u : V → E è un’altra sezione continua tale che u(p(e)) = e, allora, siccome u(V ) ⊂ p−1 (V ) e V è connesso, ne consegue che u(V ) è contenuto nella componente connessa di p−1 (V ) che contiene e, ossia u : V → U ed è necessariamente uguale all’inverso di p|U .   Il Lemma 12.14 permette di definire, per ogni x ∈ X ed ogni aperto connesso e banalizzante V ⊂ X tale che x ∈ V , un’applicazione continua p−1 (x) × V −→ p−1 (V ), Φ

Φ(e, y) = se (y).

Non è difficile dimostrare che Φ è aperta e bigettiva, e quindi un omeomorfismo.

Esercizi 12.6. Siano X, F spazi topologici, con X connesso. Dimostrare che la proiezione sul primo fattore X × F → X è un rivestimento se e solo se F ha la topologia discreta. 12.7. Sia p : E → X un rivestimento. Provare che se X è di Hausdorff, allora anche E è di Hausdorff. 12.8. Siano p : E → X e q : F → Y due rivestimenti. Dimostrare che p × q : E × F → X × Y, è un rivestimento.

(p × q)(e, f ) = (p(e), q(f ))

12.3 Quozienti per azioni propriamente discontinue

221

12.9. Sia p : E → X un rivestimento. Dimostrare che per ogni spazio connesso Y e per ogni applicazione continua f : Y → X, l’applicazione f ∗ p : {(e, y) ∈ E × Y | p(e) = f (y)} → Y,

f ∗ p(e, y) = y,

è un rivestimento. (Sugg.: identificare Y con il grafico di f .) 12.10 (♥). Per ogni a, b ∈ R, con a < b, l’applicazione e| : ]a, b[ → S 1 ,

e| (t) = cos(2πt) + i sin(2πt)

è un omeomorfismo locale ma non è un rivestimento. Perché? 12.11 (♥). Dimostrare che i gruppi topologici moltiplicativi S 1 e C−{0} sono isomorfi come gruppi abeliani ma non sono omeomorfi come spazi topologici. 12.12 (K, ♥). Sia p : E → X un omeomorfismo locale di spazi connessi di Hausdorff. Dimostrare che se E è compatto allora p è un rivestimento di grado finito.   ab una matrice 2 × 2 a coefficienti interi e consi12.13 (K, ♥). Sia A = cd deriamo l’applicazione pA : S 1 × S 1 → S 1 × S 1 ,

pA (z1 , z2 ) = (z1a z2b , z1c z2d ).

Dimostrare che se det(A) = 0, allora pA è un rivestimento di grado uguale a | det(A)|.

12.3 Quozienti per azioni propriamente discontinue Definizione 12.15. Sia G un sottogruppo del gruppo Omeo(E) degli omeomorfismi di uno spazio topologico E in sé. Diremo che G agisce in modo propriamente discontinuo se ogni punto e ∈ E possiede un intorno U tale che g(U ) ∩ U = ∅ per ogni g ∈ G diverso dall’identità. Esempio 12.16. La traslazione t → t + 1 genera un sottogruppo di Omeo(R), isomorfo a Z, che agisce in modo propriamente discontinuo. Esempio 12.17. Il sottogruppo di Omeo(R2 − {0}) generato dalla moltiplicazione per uno scalare λ > 1 agisce in modo propriamente discontinuo. Teorema 12.18. Siano E uno spazio topologico e G ⊂ Omeo(E) un sottogruppo che agisce in modo propriamente discontinuo. Se il quoziente E/G è connesso, allora la proiezione al quoziente p : E → E/G è un rivestimento.

222

12 Rivestimenti

Dimostrazione. Fissiamo un punto e ∈ E e scegliamo un aperto U ⊂ E tale che e ∈ U e g(U ) ∩ U = ∅ per ogni g diverso dall’identità. Per la Proposizione 5.15, la proiezione p : E → E/G è un’applicazione aperta e si ha p−1 (p(U )) = ∪{g(U ) | g ∈ G}. Basta quindi dimostrare che gli aperti g(U ) sono, al variare di g ∈ G, disgiunti e che, per ogni g ∈ G, la proiezione p : g(U ) → p(U ) è un omeomorfismo. Siccome g(U )∩h(U ) = h(h−1 g(U )∩U ), si ha che g(U )∩h(U ) = ∅ per ogni g = h. La proiezione p : U → p(U ) è aperta e bigettiva ed è quindi un omeomorfismo. La proiezione p : g(U ) → p(U ) è la composizione dell’omeomorfismo g −1 : g(U ) → U e dell’omeomorfismo p : U → p(U ).   Proposizione 12.19. Sia G ⊂ Omeo(E) un sottogruppo di omeomorfismi di uno spazio topologico di Hausdorff E. Se: 1. G agisce liberamente, ossia g(e) = e per ogni e ∈ E e per ogni g diverso dall’identità. 2. Ogni punto e ∈ E possiede un intorno aperto U tale che g(U ) ∩ U = ∅ per al più un insieme finito di g ∈ G. (Si noti che questa condizione è automaticamente soddisfatta se G è finito.) Allora G agisce in modo propriamente discontinuo. Dimostrazione. Siano e ed U come nell’enunciato; bisogna provare che esiste un intorno V di e tale che g(V ) ∩ V = ∅ per ogni g diverso dall’identità. Indichiamo con {g1 , . . . , gn } = {g ∈ G | g(U ) ∩ U = ∅}. Siccome E è di Hausdorff e G agisce liberamente, per il Lemma 3.72 esistono n aperti disgiunti U1 , . . . , Un ⊂ E tali che gi (e) ∈ Ui per ogni i. Dunque il punto e appartiene all’aperto V = U ∩ g1−1 (U1 ) ∩ · · · ∩ gn−1 (Un ). Per mostrare che g(V ) ∩ V = ∅ per ogni g diverso dall’identità, supponiamo per fissare le idee che g1 = Id e quindi che V ⊂ U ∩U1 . Per ogni i = 2, . . . , n si ha gi (V ) ⊂ Ui e quindi gi (V ) ∩ V = ∅; se g ∈ {g1 , . . . , gm } si ha g(V ) ⊂ g(U ) e quindi g(V ) ∩ V = ∅.   Osservazione 12.20. Il quoziente di uno spazio di Hausdorff per un gruppo che agisce in modo propriamente discontinuo potrebbe non essere di Hausdorff. Rimandiamo il lettore al libro di Massey [15, pag. 167] per un esempio con E = R2 , con il gruppo G = Z che agisce in modo propriamente discontinuo ed il quoziente E/G non di Hausdorff.

12.3 Quozienti per azioni propriamente discontinue

223

Esempio 12.21. Sia G ⊂ Omeo(R2 ) il sottogruppo di omeomorfismi generato dalle due traslazioni a, b : R2 → R2 ,

a(x, y) = (x + 1, y),

b(x, y) = (x, y + 1).

Notiamo che ab = ba, che l’applicazione Z2 → G, (n, m) → an bm , è un isomorfismo di gruppi e che, se U ⊂ R2 è un aperto contenuto in una palla di raggio < 1/2, allora g(U ) ∩ U = ∅ per ogni g diverso dall’identità. Il quoziente R2 /G è omeomorfo al toro S 1 × S 1 : infatti l’applicazione R2 → S 1 × S 1 ,

(x, y) → (e| (x), e| (y)),

si fattorizza ad una applicazione continua e bigettiva R2 /G → S 1 × S 1 . Basta adesso osservare che R2 /G è compatto ed il prodotto di circonferenze è di Hausdorff. Esempio 12.22. Sia G ⊂ Omeo(R2 ) il sottogruppo di omeomorfismi generato dalle due isometrie a, b : R2 → R2 ,

a(x, y) = (x + 1, 1 − y),

b(x, y) = (x, y + 1).

Notiamo che bab = a e che gli elementi di G sono le isometrie della forma g(x, y) = (x + n, (−1)n y + m) per qualche n, m ∈ Z. Dunque, se U ⊂ R2 è un aperto contenuto in una palla di raggio < 1/2, allora g(U ) ∩ U = ∅ per ogni g diverso dall’identità. La proiezione p : R2 → R2 /G è quindi un rivestimento connesso. Lo stesso ragionamento usato nell’Esempio 5.18 mostra che il quoziente R2 /G è di Hausdorff e che la composizione dell’inclusione [0, 1]2 ⊂ R2 con la proiezione p si fattorizza ad un omeomorfismo tra R2 /G e la bottiglia di Klein.

Esercizi 12.14. Sia G un gruppo di omeomorfismi di uno spazio di Hausdorff che agisce in modo propriamente discontinuo. Dimostrare che le orbite di G sono insiemi chiusi e discreti. (Sugg.: ogni punto possiede un intorno che interseca ogni orbita al più una volta.) 12.15. Sia G un gruppo di omeomorfismi di uno spazio localmente compatto di Hausdorff E. Si assuma che: 1. G agisce liberamente su E. 2. Per ogni sottospazio compatto K ⊂ E, si ha g(K) ∩ K = ∅ per al più un numero finito di g ∈ G. Dimostrare che G agisce in modo propriamente discontinuo e che il quoziente E/G è localmente compatto di Hausdorff.

224

12 Rivestimenti

12.16. Sia G un gruppo di isometrie di uno spazio metrico (E, d). Dimostrare che G agisce in modo propriamente discontinuo se e solo se per ogni e ∈ E esiste l > 0 tale che d(e, g(e)) ≥ l per ogni g ∈ G diverso dall’identità. 12.17. Siano 0 < p < q due interi relativamente primi e fissiamo una radice primitiva q-esima dell’unità ξ ∈ C. Provare che il gruppo degli omeomorfismi di S 3 = {(z1 , z2 ) ∈ C2 | z1 2 + z2 2 = 1} generato da (z1 , z2 ) → (ξz1 , ξ p z2 ) è isomorfo al gruppo ciclico di ordine q ed agisce in modo propriamente discontinuo. Lo spazio quoziente viene detto spazio lenticolare. 12.18. Sia n un intero positivo e denotiamo con μn ⊂ C il sottogruppo delle radici n-esime dell’unità. Per ogni ξ ∈ μn denotiamo con Γξ ⊂ D2 × C il grafico dell’applicazione D2 = {z ∈ C | |z| ≤ 1} → C,

z → (1 − |z|)ξ .

Dimostrare che l’unione Γ = ∪ξ∈μn Γξ è semplicemente connessa e che l’azione μn × Γ → Γ,

(ξ, (z, w)) → (ξz, ξw)

è propriamente discontinua. 12.19 (K). Siano H ⊂ C l’insieme dei numeri complessi z con parte immaginaria maggiore di 0 e G ⊂ Omeo(H) l’insieme degli omeomorfismi della forma az + b z → , con a, b, c, d ∈ Z, ad − bc = 1. cz + d Dimostrare che G è un sottogruppo che agisce in modo propriamente discontinuo su H − (Gi ∪ Gω), dove Gi e Gω sono rispettivamente le orbite delle radici quadrate e cubiche di −1, ossia i2 + 1 = 0 e ω 2 − ω + 1 = 0. (Sugg.: può essere utile dimostrare che la parte immaginaria di (az + b)/(cz + d) è uguale alla parte immaginaria di z diviso |cz + d|2 . Usare l’Esercizio 12.15.)

12.4 Sollevamento dell’omotopia Definizione 12.23. Sia p : E → X un rivestimento e sia f : Y → X un’applicazione continua. Diremo che un’applicazione continua g : Y → E è un sollevamento di f se f = pg, ossia se il diagramma >E ~~ ~ p ~~ ~~ f  /X Y g

è commutativo.

12.4 Sollevamento dell’omotopia

225

Lemma 12.24. Per ogni rivestimento p : E → X, la diagonale Δ ⊂ E × E è aperta e chiusa nel prodotto fibrato E ×X E = {(u, v) ∈ E × E | p(u) = p(v)}. Dimostrazione. Sia (e, e) ∈ Δ e scegliamo un aperto U ⊂ E tale che e ∈ U e la restrizione p : U → X è iniettiva. Allora (U × U ) ∩ (E ×X E) = U ×X U è un intorno apero di (e, e) nel prodotto fibrato. D’altra parte (U × U ) ∩ (E ×X E) = {(u, v) ∈ U × U | p(u) = p(v)} ⊂ Δ e questo prova che Δ è intorno di ogni suo punto nel prodotto fibrato. Viceversa, se (e1 , e2 ) ∈ E ×X E − Δ scegliamo un aperto banalizzante V che contiene il punto p(e1 ) = p(e2 ). Siccome e1 = e2 esistono due aperti disgiunti U1 , U2 ⊂ p−1 (V ) tali che e1 ∈ U1 , e2 ∈ U2 . Dunque (e1 , e2 ) ∈ (U1 × U2 ) ∩ (E ×X E) ⊂ E ×X E − Δ e questo prova che la diagonale è chiusa nel prodotto fibrato.

 

Teorema 12.25 (Unicità del sollevamento). Siano p : E → X un rivestimento, Y uno spazio topologico connesso e f : Y → X un’applicazione continua. Allora per ogni coppia g, h : Y → E di sollevamenti di f vale g = h oppure g(y) = h(y) per ogni y ∈ Y . Dimostrazione. Siano g, h : Y → E due sollevamenti di f e consideriamo l’applicazione continua Φ : Y → E ×X E,

Φ(y) = (f (y), h(y)).

Per il Lemma 12.24 l’insieme A = {y ∈ Y | g(y) = h(y)} = Φ−1 (Δ) è aperto e chiuso in Y e, siccome Y è connesso, ne consegue che A = Y oppure A = ∅.   Corollario 12.26. Siano p : E → X un rivestimento, Y uno spazio topologico connesso e f : Y → X un’applicazione continua. Allora per ogni y ∈ Y ed ogni e ∈ E tali che p(e) = f (y) esiste al più un sollevamento g : Y → E di f tale che g(y) = e. Dimostrazione. Conseguenza immediata del Teorema 12.25.   È facile capire che non sempre i sollevamenti esistono: infatti ogni sollevamento dell’identità è una sezione continua ed abbiamo osservato che il rivestimento e| : R → S 1 non possiede sezioni continue.

226

12 Rivestimenti

Teorema 12.27 (Sollevamento di cammini). Siano p : E → X un rivestimento, α : I → X un cammino continuo ed e ∈ E un punto tale che p(e) = α(0). Allora esiste un unico sollevamento αe : I → E di α tale che αe (0) = e. Dimostrazione. L’unicità segue dal Corollario 12.26 ed è sufficiente dimostrare l’esistenza del sollevamento. Siccome gli aperti banalizzanti formano un ricoprimento, per il Corollario 11.24 esistono un intero positivo n ed n aperti banalizzanti ( i−1 i )V1 , . . . , Vn ⊂ X tali che l’immagine della restrizione di α all’intervallo n , n è contenuta in Vi per ogni i = 1, . . . , n. Definiamo per ricorrenza una successione di n applicazioni continue & % i−1 i , → E, γi : n n tali che p(γi (t)) = α(t), γ1 (0) = e e γi (i/n) = γi+1 (i/n) per ogni i. L’incollamento delle applicazioni γi ci fornirà il cammino αe richiesto. Supponiamo di aver definito γi , denotiamo con ei = γi (i/n) e con si+1 : Vi+1 → p−1 (Vi+1 ) una sezione di p tale che si+1 (α(i/n)) = ei (Lemma 12.14). Basta definire γi+1 (t) = si+1 (α(t)) per i/n ≤ t ≤ (i + 1)/n e tutto funziona.   Lemma 12.28. Indichiamo con L = {(t, s) ∈ I 2 | ts = 0} l’unione di due lati contigui del quadrato e con i : L → I 2 il morfismo di inclusione. Sia p : E → X un rivestimento e siano date due applicazioni continue F : I 2 → X e f : L → E tali che pf = F i. Esiste allora un sollevamento G : I 2 → E di F tale che Gi = f . f _ i  y

y

y

Gy y y F

y

/E y< p  /X

Dimostrazione. Consideriamo prima il caso particolare in cui l’immagine di F è interamente contenuta in un aperto banalizzante V . Dalla condizione pf = F i segue che f (L) ⊂ p−1 (V ) e, siccome V è banalizzante possiamo scrivere p−1 (V ) come unione disgiunta di due aperti U, W tali che f (0, 0) ∈ U e p : U → V è un omeomorfismo. Si ha quindi L = f −1 (U ) ∪ f −1 (W ) e, siccome L è connesso ne segue che f (L) è contenuto in U . Indicando con s : V → U l’inverso dell’omeomorfismo p : U → V e ponendo G = sF si ha pG = psF = F e

12.4 Sollevamento dell’omotopia

227

quindi G è un sollevamento di F . Inoltre, f = spf = sF i = Gi come volevasi dimostrare. Passiamo adesso al caso generale; per il Corollario 11.24 esistono un intero positivo n ed n2 aperti banalizzanti Vij ⊂ X tali che & % & % j−1 j i−1 i , × , , F (Q(i, j)) ⊂ Vij , dove Q(i, j) = n n n n per ogni i, j = 1, . . . , n. Dotando N2 dell’ordinamento totale (i, j) ≤ (h, k)

se i + j < h + k oppure i + j = h + k, j ≤ k,

si osserva che per ogni coppia (h, k), con 1 ≤ h, k ≤ n, l’intersezione    Q(i, j) Q(h, k) ∩ L ∪ (i,j) } k } q }} p } }  } f  /X S2 I2

h

 

Esercizi 12.20. Sia p : E → X un rivestimento. Dimostrare che: 1. Ogni applicazione continua f : D2 → X possiede un sollevamento. 2. Ogni applicazione continua f : R2 → X possiede un sollevamento. 3. Sia q : I 2 → Y una identificazione tale che la fibra q −1 (y) è connessa per ogni y ∈ Y . Allora ogni applicazione continua f : Y → X possiede un sollevamento. 12.21. Sia f : C → C − {0} continua. Dimostrare che per ogni n > 0 esiste g : C → C − {0} continua e tale che g n = f . 12.22. Dimostrare che ogni applicazione continua S 2 → S 1 è omotopa ad una costante. 12.23 (♥). Sia p : G → H un omomorfismo continuo di gruppi topologici connessi e localmente connessi per archi. Dimostrare che, se p è un rivestimento, allora il suo nucleo è contenuto nel centro di G, ossia kg = gk per ogni g ∈ G ed ogni k ∈ ker(p). 12.24. Siano p : E → F e q : F → X applicazioni continue e surgettive di spazi topologici connessi e localmente connessi per archi. Dimostrare:

230

12 Rivestimenti

1. Se qp : E → X è un rivestimento, allora anche p e q sono rivestimenti. 2. Se p e q sono rivestimenti e q ha grado finito, allora anche qp è un rivestimento. 3. Se p e q sono rivestimenti e se ogni punto di X possiede un intorno aperto semplicemente connesso, allora anche qp è un rivestimento.

12.5 I teoremi di Brouwer e Borsuk Teorema 12.34 (Borsuk). Non esistono applicazioni continue f : S 2 → S 1 tali che f (−x) = −f (x) per ogni x ∈ S 2 . In questo libro vedremo quattro distinte dimostrazioni del Teorema 12.34, ognuna delle quali metterà in luce un diverso aspetto della teoria. Dimostrazione (Prima dimostrazione del Teorema 12.34). Sia f : S 2 → S 1 un’applicazione continua, vogliamo dimostrare che esiste x0 ∈ S 2 tale che f (−x0 ) = −f (x0 ). Consideriamo il rivestimento e| : R → S 1 ; per il Corollario 12.33 esiste un’applicazione continua g : S 2 → R che solleva f , ossia tale che e| g = f . Per il Lemma 4.16 esiste x0 ∈ S 2 tale che g(x0 ) = g(−x0 ) e di conseguenza f (x0 ) = f (−x0 ): in particolare f (−x0 ) = −f (x0 ).   Corollario 12.35. Per ogni applicazione continua g : S 2 → R2 esiste un punto x ∈ S 2 tale che g(x) = g(−x). Dimostrazione. Se per assurdo fosse g(x) − g(−x) = 0 per ogni x ∈ S 2 , allora l’applicazione continua f : S2 → S1,

f (x) =

g(x) − g(−x) , g(x) − g(−x)

sarebbe tale che f (−x) = −f (x) per ogni x, in contraddizione con il teorema di Borsuk.   Corollario 12.36. Siano n ≥ 3 ed A ⊂ Rn un aperto non vuoto. Allora ogni applicazione continua f : A → R2 non è iniettiva. Dimostrazione. Basta osservare che A contiene un sottospazio omeomorfo a S 2 ed applicare il Corollario 12.35.   Corollario 12.37. Non esistono applicazioni continue r : D2 → S 1 tali che r(−x) = −r(x) per ogni x ∈ S 1 . Dimostrazione. Tanto per fissare le notazioni, poniamo D2 = {(x1 , x2 ) ∈ R2 | x21 + x22 ≤ 1},

S 1 = {(x1 , x2 ) ∈ R2 | x21 + x22 = 1},

S 2 = {(x1 , x2 , x3 ) ∈ R3 | x21 + x22 + x23 = 1}.

12.5 I teoremi di Brouwer e Borsuk

231

Supponiamo che esista r : D2 → S 1 continua e tale che r(−x) = −r(x) per ogni x ∈ S 1 . Allora l’applicazione  se x3 ≥ 0, r(x1 , x2 ) 2 1 f: S →S , f (x1 , x2 , x3 ) = −r(−x1 , −x2 ) se x3 ≤ 0,  

contraddice il Teorema 12.34.

Corollario 12.38. La circonferenza S 1 non è un retratto del disco D2 , ossia non esistono applicazioni continue r : D2 → S 1 tali che r(x) = x per ogni x ∈ S1. Dimostrazione. Conseguenza immediata del Corollario 12.37. Un’altra dimostrazione si ottiene osservando che, se S 1 fosse un retratto di D2 , allora, per quanto visto nell’Esempio 11.18, l’inclusione S 1 → D2 indurrebbe un omomorfismo iniettivo tra i rispettivi gruppi fondamentali.   Corollario 12.39 (Teorema del punto fisso di Brouwer). Ogni applicazione continua f : D2 → D2 possiede almeno un punto fisso. Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che f (x) = x per ogni x, allora possiamo definire un’applicazione r : D2 → S 1 tramite la formula r(x) = x + t(x − f (x)) ,

dove t ≥ 0 e r(x) = 1.

In altri termini, r(x) è il punto della circonferenza che si incontra partendo da x e muovendosi in direzione opposta a f (x) (Figura 12.2). L’applicazione r è continua (vedi anche Esercizio 12.31) e r(x) = x per ogni x ∈ S 1 . Dunque r è una retrazione del disco sul bordo e questo contraddice il Corollario 12.38.   Corollario 12.40. Sia f : R2 → R2 un’applicazione continua. Si assuma che esistano due costanti positive a, b, con a < 1 e tali che x − f (x) ≤ a x + b per ogni x ∈ R2 . Allora f è surgettiva. Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che esista p ∈ R2 non appartenente all’immagine di f e scegliamo un numero reale positivo R sufficientemente grande e tale che aR + b < R − p .

r(x)

• f (x)    • x   •

Figura 12.2. Dimostrazione del teorema del punto fisso di Brouwer

232

12 Rivestimenti

Siano D = {x ∈ R2 | x ≤ R}, S = {x ∈ R2 | x = R}; siccome R > p , il punto p appartiene alla parte interna di D e quindi, per ogni x ∈ S il triangolo di vertici x, −x e p possiede un angolo ottuso in p. Consideriamo l’applicazione continua r : D → S,

r(x) = p + t(f (x) − p),

dove t > 0, r(x) = R ,

ossia r(x) è il punto di intersezione di S con la semiretta affine passante per f (x) e con estremo in p. Se x ∈ S, allora x − f (x) ≤ a x + b = aR + b < R − p = x − p ≤ x − p e quindi f (x) non appartiene al segmento di estremi p e −x. Da questo segue che r(x) = −x e di conseguenza l’applicazione h : D → D, h(x) = −r(x), è continua e senza punti fissi, in contraddizione con il teorema di Brouwer.  

Esercizi 12.25. Mostrare che ad ogni istante, esistono sulla superfice terrestre due punti antipodali con la stessa temperatura e la stessa pressione atmosferica. 12.26. Sia f : S 2 → R2 un’applicazione continua tale che f (−x) = −f (x) per ogni x ∈ S 2 . Dimostrare che esiste x ∈ S 2 tale che f (x) = 0. 12.27 (Teorema del cocomero). Siano dati un cocomero (di volume finito e funzione densità continua e limitata) ed un suo punto c. Dimostrare che è possibile trovare un piano passante per c che divide sia la polpa che i semi in parti uguali (in peso). (Sugg.: fissiamo un sistema di assi cartesiani in R3 con origine nel punto c; per ogni x ∈ S 2 consideriamo il vettore f (x) = (p+ −p− , s+ −s− ), dove p+ è la quantità di polpa contenuta nel semipiano {y ∈ R3 | (x · y) ≥ 0} ecc.) 12.28 (Teorema del pane, prosciutto e formaggio, ♥). Siano dati nello spazio R3 tre aperti limitati B (la fetta di pane), H (il prosciutto) e C (il formaggio). Si assuma inoltre che B sia connesso. Dimostrare che esiste un piano in R3 che divide ognuno dei tre aperti in due parti dello stesso volume. 12.29 (Teorema di Lusternik-Schnirelmann). Siano A1 , A2 , A3 ⊂ S 2 tre chiusi tali che A1 ∪ A2 ∪ A3 = S 2 . Dimostrare che esiste almeno un indice i tale che il chiuso Ai contiene una coppia di punti antipodali. (Sugg.: siano Bi = {−x | x ∈ Ai } e supponiamo A1 ∩ B1 = A2 ∩ B2 = ∅. Si consideri l’applicazione   dA2 (x) dA1 (x) , , f : S 2 → R2 , f (x) = dA1 (x) + dB1 (x) dA2 (x) + dB2 (x)

12.6 Un esempio di gruppo fondamentale non abeliano

233

dove dZ indica la distanza dal chiuso Z. Mostrare che se f (x) = f (−x) allora x ∈ A3 ∩ B3 .) 12.30. Siano A1 , A2 , A3 ⊂ S 2 tre chiusi connessi tali che A1 ∪ A2 ∪ A3 = S 2 . Dimostrare che esiste almeno un indice i tale che, per ogni numero reale 0 ≤ d ≤ 2, il chiuso Ai contiene una coppia di punti x, y tali che x − y = d (Sugg.: Esercizio 12.29). 12.31 (♥). Scrivere l’espressione analitica della funzione r(x) introdotta nella dimostrazione del Corollario 12.39 12.32. Siano f, g : S 1 → S 1 due applicazioni continue tali che f (x) = g(x) per ogni x. Provare che f e g sono omotope. 12.33. Dimostrare che R2 non è omeomorfo a R × [0, +∞[. 12.34 (K). Dimostrare che il gruppo degli omeomorfismi di R2 in sé, dotato della topologia compatta-aperta è un gruppo topologico. (Sugg.: per l’Esercizio 8.22 basta dimostrare che l’applicazione che ad ogni omeomorfismo associa il suo inverso è continua nell’identità. Ragionare come nella dimostrazione del Corollario 12.40.)

12.6 Un esempio di gruppo fondamentale non abeliano Consideriamo lo spazio topologico X unione di due circonferenze tangenti. Conviene pensare X come ad un grafo formato da un vertice e e da due lati a, b. Fissiamo delle orientazioni dei due lati; sono allora ben definiti due elementi [a], [b] ∈ π1 (X, e) corrispondenti alle classi di omotopia dei cammini semplici chiusi ottenuti percorrendo i lati nel verso indicato dalle rispettive orientazioni. Vogliamo dimostrare che [a][b] = [b][a] e quindi che il gruppo fondamentale di X non è abeliano. Consideriamo il rivestimento connesso p : E → X di grado 3 descritto graficamente in Figura 12.3. I vertici e1 , e2 , e3 del grafo E (a sinistra nella figura) vengono mandati tramite p nell’unico vertice e di X, mentre la parte interna di ogni lato di E viene mandata omeomorficamente nella parte interna del lato di X indicizzato dalla stessa lettera. Si noti che ogni vertice dei due grafi e2

ck



b



a

 KS •

e3

b

e1•

a

3;

KS

a

p

−→

b



b

Figura 12.3. Un rivestimento dell’otto

e



KS

a

234

12 Rivestimenti

possiede un lato a entrante, un lato a uscente, un lato b entrante ed un lato b uscente. Il sollevamento del cammino a ∗ b ∈ Ω(X, e, e) con punto iniziale e1 è il prodotto di a ∈ Ω(E, e1 , e1 ) e b ∈ Ω(E, e1 , e2 ) e quindi ha come punto finale e2 . Il sollevamento del cammino b ∗ a ∈ Ω(X, e, e) con punto iniziale e1 è il prodotto di b ∈ Ω(E, e1 , e2 ) e a ∈ Ω(E, e2 , e3 ) e quindi ha come punto finale e3 . Siccome i due sollevamenti hanno lo stesso punto iniziale ma diversi punti finali, segue dal Lemma 12.30 che a ∗ b non è omotopo a b ∗ a in Ω(X, e, e).

Esercizi Nei seguenti esercizi manteniamo le notazioni usate nella sezione. 12.35. Dimostrare che p∗ π1 (E, e1 ) = p∗ π1 (E, e2 ) e che p∗ π1 (E, e1 ) non è un sottogruppo normale di π1 (X, e). 12.36. Dimostrare che ([a][b])n = ([b][a])n in π1 (X, e) per ogni n > 0.

13 Monodromia

Per rendere più agile la teoria e più semplici enunciati e dimostrazioni, da questo momento in poi supporremo, salvo avviso contrario, che dato un qualunque rivestimento E → X, gli spazi topologici E, X siano localmente connessi per archi. In particolare, dato un rivestimento connesso E → X, gli spazi topologici E, X saranno entrambi connessi per archi. In certe situazioni è ben definita un’azione, detta monodromia, del gruppo fondamentale su di un opportuno insieme. Di conseguenza, cammini con monodromia non banale sono di necessità omotopicamente non banali. In questo capitolo ci occuperemo delle monodromie derivanti dai rivestimenti e mostreremo che in alcuni casi tali azioni permettono di descrivere completamente il gruppo fondamentale.

13.1 Monodromia del rivestimento Sia p : E → X un rivestimento e siano x, y ∈ X due punti. Chiameremo monodromia l’applicazione Mon : p−1 (x) × Ω(X, x, y) → p−1 (y),

Mon(e, α) = αe (1),

dove αe : I → E è l’unico sollevamento del cammino α tale che αe (0) = e. Osserviamo che per ogni cammino β ∈ Ω(X, y, z) si ha (α ∗ β)e = αe ∗ βαe (1) e quindi Mon(e, α ∗ β) = Mon(Mon(e, α), β). Il Lemma 12.30 implica che Mon(e, α) dipende solo dalla classe di omotopia del cammino α. In particolare Mon(e, α ∗ i(α)) = Mon(e, 1x ) = e e quindi, per ogni cammino α ∈ Ω(X, x, y) fissato, l’applicazione p−1 (x) → p−1 (y),

e → Mon(e, α),

è bigettiva con inversa p−1 (y) → p−1 (x),

u → Mon(u, i(α)).

M. Manetti: Topologia, 2a edizione, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 78, DOI: 10.1007/978-88-470-5662-6_13, © Springer-Verlag Italia 2014

236

13 Monodromia

Sempre per l’invarianza omotopica della monodromia, quando y = x si ottiene per passaggio al quoziente un’applicazione p−1 (x) × π1 (X, x) → p−1 (x),

(e, [α]) → e · [α] = Mon(e, α).

Segue facilmente dalle definizioni che valgono le identità e · [1x ] = e.

e · ([α][β]) = (e · [α]) · [β],

per ogni [α], [β] ∈ π1 (X, a) ed ogni e ∈ p−1 (x). Teorema 13.1. Siano p : E → X un rivestimento connesso, e ∈ E un punto base e x = p(e). Allora: 1. L’omomorfismo di gruppi p∗ : π1 (E, e) → π1 (X, x) è iniettivo e vale p∗ π1 (E, e) = {[α] ∈ π1 (X, x) | e · [α] = e}. 2. Esiste una bigezione tra la fibra p−1 (x) e l’insieme dei laterali destri di p∗ π1 (E, e) in π1 (X, x). 3. Per ogni [α] ∈ π1 (X, x) vale [α]−1 p∗ π1 (E, e)[α] = p∗ π1 (E, e · [α]). In particolare i sottogruppi {p∗ π1 (E, u) | p(u) = x} sono tutti e soli i coniugati di p∗ π1 (E, e) in π1 (X, x). Ricordiamo che i laterali destri di un sottogruppo H in un gruppo G sono i sottoinsiemi di G del tipo Hg, con g ∈ G. Equivalentemente, i laterali destri di H in G sono le classi di equivalenza della relazione “ g1 ∼ g2 se g1 g2−1 ∈ H”. Dimostrazione. Ricordiamo quanto osservato all’inizio del capitolo: siccome abbiamo ipotizzato E, X localmente connessi per archi, ne consegue che gli spazi connessi E, X sono anche connessi per archi. Dimostrazione di (1). L’iniettività è una conseguenza immediata del Lemma 12.30 (con a = b = x). Se [α] ∈ p∗ π1 (E, e), allora esiste un cammino β : I → E con β(0) = β(1) = e e tale che [α] = [pβ]; per l’unicità del sollevamento vale β = αe e quindi β(1) = αe (1), e·[α] = e. Viceversa se α ∈ Ω(X, x, x) e Mon(e, α) = e · [α] = e, allora il sollevamento αe è chiuso e di conseguenza [α] = [pαe ] ∈ p∗ π1 (E, e). Dimostrazione di (2). La monodromia permette di definire l’applicazione π1 (X, x) → p−1 (x),

[α] → e · [α] = Mon(e, α).

Dimostriamo che l’applicazione [α] → e·[α] è surgettiva e che e·[α] = e·[β] se e solo se [α][β]−1 ∈ p∗ π1 (E, e). Se u ∈ p−1 (x), allora poiché per ipotesi E è uno spazio connesso per archi, esiste un cammino γ : I → E tale che γ(0) = e e γ(1) = u. Per l’unicità del sollevamento vale γ = (pγ)e e segue quindi dalla definizione di monodromia che u = e · [pγ]. Osserviamo infine che, date due classi di omotopia di cammini [α], [β] ∈ π1 (X, x), vale e · [α] = e · [β] se e solo se e · [α] · [β]−1 = e, che vale se e solo se [α][β]−1 ∈ p∗ π1 (E, e).

13.1 Monodromia del rivestimento

237

Dimostrazione di (3). Basta far vedere che per ogni α ∈ Ω(X, x, x) vale [α]−1 p∗ π1 (E, e)[α] ⊂ p∗ π1 (E, e · [α]). Sia αe : I → E il sollevamento di α tale che αe (0) = e; allora αe (1) = e · [α] e vale i(αe ) ∗ Ω(E, e, e) ∗ αe ⊂ Ω(E, e · [α], e · [α]).   Corollario 13.2. Il gruppo fondamentale di Pn (R) è isomorfo a Z/2 per ogni n ≥ 2. Dimostrazione. La proiezione p : S n → Pn (R) è un rivestimento connesso di grado 2. Siano e ∈ S n un punto e x = p(e) la sua immagine; il Teorema 13.1 implica che il sottogruppo p∗ π1 (S n , e) ⊂ π1 (Pn (R), x) ha esattamente due laterali destri. Se n ≥ 2, allora la sfera S n è semplicemente connessa, il sottogruppo p∗ π1 (S n , e) è banale e quindi il gruppo π1 (Pn (R), x) ha esattamente due elementi. Basta adesso osservare che, a meno di isomorfismo, esiste un unico gruppo con due elementi.   Le azioni di monodromia commutano con le applicazioni continue: Proposizione 13.3. Sia dato un diagramma commutativo di applicazioni continue ϕ /F E p

 X

q f

 /Y

con p e q rivestimenti. Allora, per ogni e ∈ E ed ogni [α] ∈ π1 (X, p(e)) vale ϕ(e · [α]) = ϕ(e) · f∗ ([α]). Dimostrazione. Siano α : I → X un cammino chiuso con punto base p(e) e αe : I → E l’unico sollevamento di α tale che αe (0) = e. Per definizione di monodromia vale αe (1) = e · [α] e quindi ϕ(e · [α]) = ϕ(αe (1)). Consideriamo adesso il cammino β : I → F , β(t) = ϕ(αe (t)). Siccome q(β(t)) = qϕαe (t) = f pαe (t) = f α(t) per ogni t, si ha che β è il sollevamento di f α tale che β(0) = ϕ(e) e quindi ϕ(e) · f∗ ([α]) = ϕ(e) · [f α] = β(1) = ϕαe (1).

 

238

13 Monodromia

Esercizi 13.1. Mostrare che il quoziente di R3 per il gruppo generato dall’involuzione (x, y, z) → (−x, −y, −z) non è omeomorfo a R3 . 13.2 (K, ♥). Calcolare il gruppo fondamentale dello spazio delle matrici reali 3 × 3 di rango 1.

13.2 Azioni di gruppi su insiemi Definizione 13.4. Siano G un gruppo e T un insieme. Una azione sinistra di G su T è un’applicazione G × T → T,

(g, t) → g · t ,

tale che: 1. 1 · t = t per ogni t ∈ T , dove 1 ∈ G è l’elemento neutro. 2. (gh) · t = g · (h · t) per ogni t ∈ T , g, h ∈ G. Esempio 13.5. Siano E uno spazio topologico e Omeo(E) il gruppo degli omeomorfismi di E in sé dotato del prodotto di composizione. Allora l’applicazione Omeo(E) × E → E,

φ · e = φ(e),

è un’azione sinistra. Se G agisce a sinistra su T , per ogni g ∈ G possiamo definire l’applicazione Lg : T → T,

Lg (t) = g · t.

Poiché Lg Lh = Lgh , si ha che per ogni g l’applicazione Lg è bigettiva con inversa Lg−1 . Definizione 13.6. Una azione destra di un gruppo G su di un insieme T è un’applicazione T × G → T, (t, g) → t · g , tale che: 1. t · 1 = t per ogni t ∈ T , dove 1 ∈ G è l’elemento neutro. 2. t · (gh) = (t · g) · h per ogni t ∈ T , g, h ∈ G. Esempio 13.7. Sia p : E → X un rivestimento. Allora per ogni x ∈ X l’applicazione di monodromia p−1 (x) × π1 (X, x) → p−1 (x), è un’azione destra.

(u, [α]) → u · [α],

13.2 Azioni di gruppi su insiemi

239

Se G agisce a destra su T , per ogni g ∈ G possiamo definire l’applicazione Rg : T → T,

Rg (t) = t · g.

Dalla formula Rg Rh = Rhg segue in particolare che per ogni g l’applicazione Rg è bigettiva con inversa Rg−1 . Osserviamo infine che ogni azione destra induce in modo canonico un’azione sinistra, e viceversa, mediante la regola g · t = t · g −1 . Definizione 13.8. Sia G un gruppo che agisce a sinistra su un insieme non vuoto T . Diremo che G agisce: 1. F edelmente se per ogni g = 1 esiste t ∈ T tale che g · t = t. 2. Liberamente se per ogni g = 1 ed ogni t ∈ T vale g · t = t. 3. Transitivamente se per ogni t, s ∈ T esiste g ∈ G tale che g · t = s. Analoghe definizioni si hanno per le azioni destre. Notiamo che ogni azione libera è fedele, mentre se G agisce liberamente e transitivamente su T , allora per ogni t, s ∈ X esiste un unico g ∈ G tale che g · t = s. Definizione 13.9. Siano dati un insieme T , un’azione sinistra di G su T ed un’azione destra di H su T . Diremo che tali azioni sono compatibili se per ogni t ∈ T , g ∈ G e h ∈ H vale g · (t · h) = (g · t) · h. Esempio 13.10. Sia G un gruppo; il prodotto G×G → G può essere pensato sia come azione destra che come azione sinistra di G su se stesso. L’associatività del prodotto equivale a dire che tali azioni sono compatibili. Esempio 13.11. Siano V, W spazi vettoriali e Hom(V, W ) l’insieme di tutte le applicazioni lineari da V a W . Il gruppo GL(W ) agisce a sinistra su Hom(V, W ), il gruppo GL(V ) agisce a destra su Hom(V, W ) e le due azioni sono compatibili. Proposizione 13.12. Siano dati due gruppi G e H, un insieme T , un’azione sinistra libera e transitiva di G su T ed un’azione destra di H su T compatibile con l’azione di G. Per ogni e ∈ T definiamo l’applicazione θe : H → G,

θe (h) = l’unico g ∈ G tale che g · e = e · h.

Allora θe è un omomorfismo di gruppi e l’insieme {h ∈ H | e · h = e} è un sottogruppo normale di H. Dimostrazione. Siccome le due azioni sono compatibili, per ogni h, k ∈ H vale θe (hk) · e = e · hk = (e · h) · k = (θe (h) · e) · k = = θe (h) · (e · k) = θe (h) · (θe (k) · e) = θe (h)θe (k) · e

240

13 Monodromia

e quindi θe (hk) = θe (h)θe (k). L’insieme {h ∈ H | e · h = e} è esattamente il nucleo di θe .   L’omomorfismo θe dipende dalla scelta di e ∈ T . Infatti se u ∈ T e g ∈ G è l’unico elemento tale che g · e = u, allora per ogni h ∈ H vale u · h = θu (h) · u = θu (h) · (g · e),

u · h = (g · e) · h = g · (θe (h) · e),

da cui segue θu (h)g = gθe (h). Dunque θu è uguale alla composizione di θe con l’automorfismo interno G → G, gˆ → gˆ g g −1 .

Esercizi 13.3. Sia G un sottogruppo di omeomorfismi di uno spazio topologico X. Mostrare che esiste un’azione destra naturale di G sullo spazio delle funzioni continue f : X → R. 13.4. Siano dati due gruppi G e H, un insieme T , un’azione sinistra di G su T ed un’azione destra di H su T compatibile con l’azione di G. Mostrare che G agisce a sinistra sul quoziente T /H, che H agisce a destra sul quoziente T /G e che esistono delle bigezioni naturali (T /H)/G = (T /G)/H = T / ∼ , dove t ∼ s se e solo esistono g ∈ G, h ∈ H tali che t = g · s · h. Talvolta si usa la notazione G\T /H per denotare il doppio quoziente (T /H)/G = (T /G)/H.

13.3 Un teorema di isomorfismo Sia G un gruppo di omeomorfismi di uno spazio topologico E che agisce in modo propriamente discontinuo. Supponiamo che X = E/G sia connesso e denotiamo con p : E → X la proiezione al quoziente che, per il Teorema 12.18, è un rivestimento. Dato un punto x ∈ X, per ogni coppia di punti u, v ∈ p−1 (x) esiste un unico elemento g ∈ G tale che g(u) = v. Di conseguenza l’azione G × p−1 (x) → p−1 (x),

(g, u) → g(u),

è libera e transitiva. Lemma 13.13. Nelle notazioni precedenti, l’azione sinistra di G su p−1 (x) è compatibile con l’azione destra di monodromia p−1 (x) × π1 (X, x) → p−1 (x),

(e, [α]) → e · [α].

13.3 Un teorema di isomorfismo

241

Dimostrazione. Siano e ∈ p−1 (x), g ∈ G e α : I → X un cammino chiuso con punto base x. Dobbiamo dimostrare che g(e·[α]) = g(e)·[α] ed a tal fine basta applicare la Proposizione 13.3 al diagramma commutativo E

g

p

 X

/E p

Id

 / X.

 

Adesso fissiamo un punto e ∈ p−1 (x) e definiamo l’applicazione θe : π1 (X, x) → G,

θe ([α]) = l’unico g ∈ G tale che g(e) = e · [α].

In altri termini, se αe : I → E è il sollevamento del cammino α tale che αe (0) = e, allora θe ([α]) è l’unico elemento di G tale che θe ([α])(e) = αe (1). Teorema 13.14. Nelle notazioni precedenti, l’applicazione θe : π1 (X, x) → G è un omomorfismo di gruppi che ha come nucleo p∗ π1 (E, e); in particolare p∗ π1 (E, e) è un sottogruppo normale di π1 (X, x). Se E è connesso, allora θe si fattorizza ad un isomorfismo di gruppi θe :

π1 (X, x) ∼ −→ G. p∗ π1 (E, e)

Dimostrazione. Che θe è un omomorfismo di gruppi con nucleo p∗ π1 (E, e) segue immediatamente dal Lemma 13.13 e dalla Proposizione 13.12. Se E è connesso allora θe è surgettivo. Infatti, per ogni g ∈ G esiste un cammino β in E tale che β(0) = e e β(1) = g(e). Il cammino α = pβ è chiuso e vale g(e) = e · [α], ossia θe ([α]) = g.   È spesso utile descrivere l’inverso di θe : nelle notazioni precedenti, e supponendo E connesso, si ha ∼

θe−1 : G −→

π1 (X, x) , p∗ π1 (E, e)

θe−1 (g) = [pγ] dove γ ∈ Ω(E, e, g(e)).

Possiamo quindi dire che θe−1 (g) è la classe laterale contenente la classe di omotopia dell’immagine tramite p di un qualunque cammino in E con punto iniziale e e punto finale g(e). Corollario 13.15. Sia E uno spazio topologico semplicemente connesso e sia G un gruppo di omeomorfismi di E che agisce in modo propriamente discontinuo. Allora il gruppo fondamentale di E/G è isomorfo a G. Dimostrazione. Conseguenza immediata del Teorema 13.14.

 

242

13 Monodromia

Esempio 13.16. Il gruppo fondamentale della circonferenza è isomorfo a Z. Infatti possiamo scrivere S 1 = R/Z, dove Z agisce a sinistra tramite la formula n·x = n + x, e la proiezione al quoziente coincide con l’esponenziale tagliato. Per il Corollario 13.15 l’applicazione π1 (S 1 , 1) → Z,

[α] → 0 · [α] ∈ Z,

è un isomorfismo di gruppi. Esempio 13.17. Applicando il Corollario 13.15 alla costruzione dell’Esempio 12.22, si deduce che il gruppo fondamentale della bottiglia di Klein è isomorfo al gruppo generato da due generatori a, b soggetti alla relazione bab = a. Notiamo che tale gruppo non è abeliano. Abbiamo visto che il gruppo fondamentale di S 1 è isomorfo a Z; possiamo usare questo fatto per dare un’altra dimostrazione del teorema di Borsuk. Dimostrazione (seconda dimostrazione del Teorema 12.34). Supponiamo per assurdo di avere un’applicazione continua f : S 2 → S 1 tale che f (−x) = −f (x) per ogni x. Identifichiamo S 1 con l’insieme dei numeri complessi di modulo 1 e consideriamo il rivestimento a due fogli h : S 1 → S 1 , h(z) = z 2 . Sia α : I → S 2 un cammino che ha come estremi due punti antipodali. Allora hf α : I → S 1 è un cammino chiuso che non è omotopicamente banale poiché il suo sollevamento f α non è chiuso. Se denotiamo con β : I → S 2 il cammino β(t) = −α(t), allora hf β = hf α, il cammino α ∗ β è chiuso in S 2 e quindi omotopicamente banale. Abbiamo dunque 0 = [hf (α ∗ β)] = [hf α][hf β] = [hf α][hf α] che è una contraddizione poiché il gruppo π1 (S 1 ) non contiene elementi non banali di ordine 2.  

Esercizi 13.5. Calcolare il gruppo fondamentale di   R3 − {x = y = 0} ∪ {z = 0, x2 + y 2 = 1} . (Sugg.: tale sottoinsieme è ottenuto facendo ruotare attorno all’asse x = y = 0 la porzione di semipiano {(r, z) ∈ R2 | r > 0, (r, z) = (1, 0)}.) 13.6. Calcolare il gruppo fondamentale del nastro di Moebius. Dimostrare inoltre che non esiste alcuna retrazione del nastro di Moebius sul suo bordo. 13.7. Calcolare il gruppo fondamentale del quoziente dell’azione descritta nell’Esercizio 12.18.

13.4 Sollevamento di applicazioni qualsiasi

243

13.8. Calcolare, per ogni n ≥ 3, il gruppo fondamentale di X = {(x0 , . . . , xn ) ∈ S n | x20 + x21 < 1}. 13.9. Sia f : S 1 × S 1 → S 2 un’applicazione continua e sia Γ ⊂ S 1 × S 1 × S 2 il grafico di f . Determinare il gruppo fondamentale di S 1 × S 1 × S 2 − Γ . 13.10. Sia X = {(x, y, z) ∈ R3 | x2 + y 2 = z 2 , z = 0} e sia G ⊂ Omeo(X) il sottogruppo generato da a, b : X → X, dove a(x, y, z) = (−x, −y, z),

b(x, y, z) = (x, y, −z).

Dimostrare che G è isomorfo a Z/2 × Z/2 ed agisce in modo propriamente discontinuo. Dire inoltre, motivando la risposta, se il quoziente X/G è omeomorfo a R2 − {(0, 0)}. 13.11 (♥). Dimostrare che il gruppo fondamentale di GL(n, C) è infinito. 13.12 (K, ♥). Siano α : I → I 2 e β : I → I 2 due cammini tali che α(0) = (0, 0), α(1) = (1, 1), β(0) = (1, 0) e β(1) = (0, 1). Dimostrare che i due cammini si intersecano, ossia che esistono t, s ∈ I tali che α(t) = β(s). 13.13 (K). Sia X ⊂ R2 un sottoinsieme omeomorfo ad S 1 . Si assuma che esistano un punto x ∈ X ed un numero reale r > 0 tali che l’itersezione di X con la palla B(x, r) sia uguale all’intersezione di una retta con B(x, r). Provare che R2 − X non è connesso. (Sugg.: identificare il piano con la sfera meno un punto; per ogni 0 < t ≤ r il chiuso S 2 − B(x, t) è omeomorfo a I 2 ; applicare l’Esercizio 13.12 per dimostrare che π0 (B(x, r) − X) → π0 (S 2 − X) è iniettiva.)

13.4 Sollevamento di applicazioni qualsiasi Consideriamo un rivestimento p : E → X, uno spazio topologico connesso e localmente connesso per archi Y ed un’applicazione continua f : Y → X. Vogliamo determinare una condizione necessaria e sufficiente affinché esista un sollevamento di f . Sia y0 ∈ Y un punto fissato e supponiamo che esista g : Y → E tale che pg = f ; se denotiamo e0 = g(y0 ) e x0 = f (y0 ) = p(e0 ), allora l’omomorfismo di gruppi f∗ : π1 (Y, y0 ) → π1 (X, x0 ) è uguale alla composizione dei due omomorfismi g∗ p∗ π1 (Y, y0 ) −→ π1 (E, e0 ) −→ π1 (X, x0 ) e quindi l’immagine di f∗ è contenuta nell’immagine di p∗ . Teorema 13.18. Siano f : Y → X un’applicazione continua di spazi topologici connessi e localmente connessi per archi, p : E → X un rivestimento e y0 ∈ Y , e0 ∈ E due punti tali che f (y0 ) = p(e0 ). Allora esiste un’applicazione continua g : Y → E tale che pg = f e g(y0 ) = e0 se e solo se f∗ π1 (Y, y0 ) ⊂ p∗ π1 (E, e0 ).

244

13 Monodromia

Dimostrazione. Abbiamo già osservato che tale condizione è necessaria, bisogna dimostrare che è anche sufficiente. Denotiamo x0 = f (y0 ) e, per ogni punto y ∈ Y , scegliamo un cammino α : I → Y tale che α(0) = y0 e α(1) = y. La composizione di f α : I → X è un cammino con inizio in f (y0 ); consideriamo la monodromia Mon : p−1 (x0 ) × Ω(X, x0 , f (y)) → p−1 (f (y)) e poniamo g(y) = Mon(e0 , f α). Dimostriamo che g è ben definita: se β : I → Y è un altro cammino tale che β(0) = y0 e β(1) = y, allora il cammino α ∗ i(β) è chiuso con punto base y0 e la classe di omotopia di f α∗i(f β) = f (α∗i(β)) appartiene a f∗ π1 (Y, y0 ). Dunque per ipotesi [f α ∗ i(f β)] ∈ p∗ π1 (E, e0 ) e questo equivale a dire che Mon(e0 , f α) = Mon(e0 , f β). Dimostriamo adesso che g è continua in ogni punto. Siano y ∈ Y ed A ⊂ E un intorno aperto di g(y). Scegliamo un aperto banalizzante V ⊂ X che contiene f (y) e indichiamo con U ⊂ p−1 (V ) un aperto di E che contiene g(y) e tale che la restrizione p : U → V è un omeomorfismo. In particolare p(U ∩ A) è aperto e per la continuità di f esiste un aperto connesso per archi W ⊂ Y tale che y ∈ W e f (W ) ⊂ p(U ∩ A) ⊂ V ; vogliamo provare che g(W ) ⊂ A. Fissiamo un cammino α ∈ Ω(Y, y0 , y), allora per ogni punto w ∈ W possiamo trovare un cammino β : I → W di estremi y e w. Il sollevamento di f β con inizio in g(y) è interamente contenuto in U ∩ A e poiché g(y) = Mon(e0 , f α), g(w) = Mon(e0 , f (α ∗ β)) = Mon(g(y), f β), ne segue che g(w) ∈ U ∩ A.   Esempio 13.19. Il gruppo topologico SU(2, C) è omeomorfo alla sfera S 3 (Esempio 1.16) ed è quindi compatto e semplicemente connesso. Consideriamo adesso un omomorfismo continuo di gruppi f : SU(2, C) → S 1 : vogliamo dimostrare che f (A) = 1 per ogni A ∈ SU(2, C). Indichiamo con Id ∈ SU(2, C) la matrice identità; siccome f (Id) = 1, per il Teorema 13.18 esiste un unico sollevamento g : SU(2, C) → R tale che e| g = f e g(Id) = 0. Vogliamo dimostrare che g è un omomorfismo di gruppi, o equivalentemente che l’applicazione G : SU(2, C) × SU(2, C) → R,

G(A, B) = g(AB) − g(B) − g(A),

è identicamente nulla. Siccome e| è un omomorfismo di gruppi, si ha e| G(A, B) = f (AB)f (B)−1 f (A)−1 = 1, e quindi G è il sollevamento di un’applicazione costante. La connessione di SU(2, C) implica che G è costante e vale identicamente G(Id, Id) = 0. L’immagine di g è un sottospazio compatto di R e quindi limitato; d’altronde per ogni A ∈ SU(2, C) ed ogni n ∈ Z vale g(An ) = ng(A) e questo implica che g(A) = 0, e cioè che g è costante. Dimostrazione (terza dimostrazione del Teorema 12.34). Supponiamo che esista un’applicazione continua f : S 2 → S 1 tale che f (−x) = −f (x) per ogni x e mostriamo che questa ipotesi conduce ad una contraddizione.

13.4 Sollevamento di applicazioni qualsiasi

245

Denotiamo con q : S 2 → P2 (R) e p : S 1 → P1 (R) le proiezioni e consideriamo il diagramma commutativo di applicazioni continue f

S⏐2 −→ ⏐q 

S⏐1 ⏐p 

dove

g([x]) = [f (x)].

g

P2 (R) −→ P1 (R) Notiamo adesso che il gruppo fondamentale di P2 (R) è isomorfo a Z/2, mentre la retta proiettiva P1 (R) è omeomorfa a S 1 e quindi ha gruppo fondamentale isomorfo a Z. Siccome ogni omomorfismo da Z/2 in Z è banale, per il Teorema 13.18 l’applicazione g si solleva ad una applicazione continua h : P2 (R) → S 1 tale che ph = g. Scegliamo un punto x ∈ S 2 , allora vale hq(x) = ±f (x): di conseguenza hq(x) = f (x) oppure hq(−x) = hq(x) = −f (x) = f (−x); in entrambi i casi le applicazioni hq e f coincidono in almeno un punto. Ne segue che f e hq, essendo sollevamenti di pf = gq, coincidono ovunque e questo contraddice il fatto che f (x) = f (−x).  

Esercizi 13.14 (♥). Consideriamo un diagramma commutativo di applicazioni continue di spazi connessi e localmente connessi per archi f

A ⏐ −→ ⏐q 

E ⏐ ⏐p 

F

Y −→ X. Dimostrare che, se p è un rivestimento e q induce un omomorfismo surgettivo tra i gruppi fondamentali, allora esiste un’applicazione continua G : Y → E tale che pG = F e Gq = f . 13.15 (♥). Sia α : [0, 1] → C−{0} un cammino chiuso con punto base 1 e tale che α(t) = α(t + 1/2) per ogni 0 ≤ t ≤ 1/2. Dimostrare che [α] è un multiplo pari del generatore di π1 (C − {0}, 1). 13.16. Sia α : [0, 1] → C − {0} un cammino chiuso con punto base 1 e tale che α(t) = −α(t + 1/2) per ogni 0 ≤ t ≤ 1/2. Dimostrare che [α] è un multiplo dispari del generatore di π1 (C − {0}, 1). (Sugg.: si consideri il rivestimento C − {0} → C − {0}, z → z 2 , e sia α1 il sollevamento di α tale che α1 (0) = 1. Dimostrare che vale α1 (t + 1/2) = iα1 (t) oppure α1 (t + 1/2) = −iα1 (t) per ogni 0 ≤ t ≤ 1/2.) 13.17 (Quarta dimostrazione del Teorema 12.34). Utilizzare il risultato dell’Esercizio 13.16 per dimostrare che non esiste alcuna applicazione continua f : D2 → S 1 tale che f (−x) = −f (x) per ogni x ∈ S 1 .

246

13 Monodromia

13.18. Determinare tutti gli omomorfismi di gruppi S 1 → S 1 che sono continui. (Sugg.: classificare preliminarmente gli omomorfismi continui da (R, +) in sé e da (R, +) a S 1 .) 13.19. Sia p : E → G un rivestimento connesso di un gruppo topologico G con elemento neutro 1 ∈ G. Dato un qualsiasi punto e ∈ E tale che p(e) = 1, dimostrare che esiste un unico prodotto E × E → E che rende E un gruppo topologico con elemento neutro e e p un omomorfismo. Provare inoltre che se G è un gruppo abeliano, allora anche E è abeliano. 13.20 (K). Sia G un gruppo topologico connesso, localmente connesso per archi e compatto con elemento neutro e. Dimostrare che ogni omomorfismo continuo f : G → S 1 è univocamente determinato dall’omomorfismo di gruppi abeliani f∗ : π1 (G, e) → π1 (S 1 , 1).

13.5 Rivestimenti regolari  Continua a valere l’ipotesi che tutti gli spazi topologici coinvolti sono localmente connessi per archi. Lemma 13.20. Siano X uno spazio topologico connesso per archi, x1 , x2 ∈ X due punti e f : X → Y un’applicazione continua. Allora esiste un isomorfismo di gruppi γ : π1 (Y, f (x1 )) → π1 (Y, f (x2 )) tale che γ (f∗ π1 (X, x1 )) = f∗ π1 (X, x2 ). In particolare f∗ π1 (X, x1 ) è un sottogruppo normale di π1 (Y, f (x1 )) se e solo se f∗ π1 (X, x2 ) è un sottogruppo normale di π1 (Y, f (x2 )). Dimostrazione. Sia δ : [0, 1] → X un cammino continuo tale che δ(0) = x1 , δ(1) = x2 e denotiamo γ = f δ : [0, 1] → Y . Per il Lemma 11.13 si hanno due isomorfismi di gruppi: δ : π1 (X, x1 ) → π1 (X, x2 ), γ : π1 (Y, f (x1 )) → π1 (Y, f (x2 )),

δ [β] = [i(δ) ∗ β ∗ δ], γ [α] = [i(γ) ∗ α ∗ γ].

Mostriamo che γ ha le proprietà richieste: se β ∈ Ω(X, x1 , x1 ), allora γ f∗ [β] = γ [f β] = [i(f δ) ∗ f β ∗ f δ] = [f (i(δ) ∗ β ∗ δ)] = f∗ δ [β].

 

Definizione 13.21. Un rivestimento connesso p : E → X si dice regolare se p∗ π1 (E, e) è un sottogruppo normale di π1 (X, p(e)), dove e è un qualsiasi punto di E. Il Lemma 13.20 implica che la 13.21 è una buona definizione. Esempio 13.22. 1. Se E è uno spazio semplicemente connesso, allora ogni rivestimento p : E → X è regolare.

13.5 Rivestimenti regolari 

247

2. Se X è uno spazio connesso e π1 (X) è abeliano, allora ogni rivestimento connesso p : E → X è regolare. 3. Ogni rivestimento connesso di grado 2 è regolare: è infatti ben noto dai corsi di algebra che ogni sottogruppo di indice 2 è normale. 4. Il rivestimento di grado 3 descritto nella Sezione 12.6 non è regolare. Segue dal Teorema 13.14 che se un gruppo G agisce in modo propriamente discontinuo su uno spazio connesso E, allora il rivestimento E → E/G è regolare. In questa sezione dimostreremo che vale anche il viceversa e quindi che i rivestimenti regolari sono tutti e soli quelli ottenuti per quozienti di azioni propriamente discontinue. Definizione 13.23. Siano p1 : E1 → X, p2 : E2 → X due rivestimenti di uno stesso spazio topologico. Diremo che un’applicazione continua ϕ : E1 → E2 è un morfismo di rivestimenti se commuta con p1 e p2 , ossia se il diagramma E1 A AA AA p1 AAA

ϕ

X

/ E2 } } }} }} p2 } ~}

è commutativo. Possiamo anche dire che i morfismi di rivestimenti ϕ : E1 → E2 sono tutti e soli i sollevamenti di p1 . In particolare, se E1 è connesso, allora dati due morfismi distinti ϕ, ψ : E1 → E2 vale ϕ(e) = ψ(e) per ogni e ∈ E1 . La composizione di due morfismi di rivestimenti è ancora un morfismo di rivestimenti. Con la precedente nozione di morfismo ha senso parlare della categoria dei rivestimenti di un dato spazio topologico; da ciò ne consegue una naturale nozione di isomorfismo. Definizione 13.24. Siano p1 : E1 → X, p2 : E2 → X due rivestimenti di uno stesso spazio topologico. Diremo che un morfismo di rivestimenti ϕ : E1 → E2 è un isomorfismo se esiste un morfismo di rivestimenti ψ : E2 → E1 tale che le composizioni ϕψ e ψϕ sono uguali all’identità. Definizione 13.25. Denotiamo con Aut(E, p) il gruppo degli automorfismi di un rivestimento p : E → X, ossia l’insieme degli isomorfismi di rivestimento ϕ : E → E, dotato del prodotto di composizione. Il gruppo Aut(E, p) agisce su E; notiamo che p è costante sulle orbite e quindi, per la proprietà universale dei quozienti topologici, si ha una fattorizzazione p /9 X E ss s s ss ss  ss p˜ E/Aut(E, p)

248

13 Monodromia

con p˜ applicazione aperta e surgettiva. Ne deduciamo che p˜ è un omeomorfismo se e solo se il gruppo Aut(E, p) agisce transitivamente sulle fibre di p. Teorema 13.26. Sia p : E → X un rivestimento connesso. Allora: 1. Dati due punti e1 , e2 ∈ E, esiste un automorfismo ϕ ∈ Aut(E, p) tale che ϕ(e1 ) = e2 se e solo se p(e1 ) = p(e2 ),

p∗ π1 (E, e1 ) = p∗ π1 (E, e2 ).

2. Aut(E, p) agisce su E in modo propriamente discontinuo. Dimostrazione. (1) Se esiste ϕ ∈ Aut(E, p) tale che ϕ(e1 ) = e2 , allora vale p(e2 ) = pϕ(e1 ) = p(e1 ) e p∗ π1 (E, e2 ) = p∗ ϕ∗ π1 (E, e1 ) = p∗ π1 (E, e1 ). Viceversa, se p(e1 ) = p(e2 ) e p∗ π1 (E, e1 ) = p∗ π1 (E, e2 ), per il Teorema 13.18 esistono due morfismi di rivestimenti ϕ, ψ : E → E tali che ϕ(e1 ) = e2 e ψ(e2 ) = e1 . Siccome ψϕ(e1 ) = e1 , e ϕψ(e2 ) = e2 , per l’unicità del sollevamento deve essere ϕψ = ψϕ = Id. (2) Sia e ∈ E fissato; scegliamo un aperto banalizzante V ⊂ X che contiene p(e) e sia U ⊂ p−1 (V ) un aperto di E tale che e ∈ U e la restrizione p : U → V è iniettiva. Vogliamo dimostrare che se ϕ ∈ Aut(E, p) e U ∩ ϕ(U ) = ∅, allora ϕ = Id. Scegliamo un punto u ∈ U ∩ ϕ(U ), allora u, ϕ−1 (u) ∈ U e, siccome p : U → X è iniettiva, si ha u = ϕ−1 (u). L’unicità del sollevamento implica che ϕ = Id.   Corollario 13.27. Un rivestimento connesso p : E → X è regolare se e solo se il gruppo Aut(E, p) agisce transitivamente sulle fibre di p. In tal caso vale E/ Aut(E, p)  X e per ogni e ∈ E esiste un isomorfismo di gruppi π1 (X, p(e))  Aut(E, p). p∗ π1 (E, e) Dimostrazione. La prima parte segue immediatamente dal Teorema 13.26 e dal fatto che, per ogni e1 ∈ E fissato, i sottogruppi p∗ π1 (E, e2 ), al variare di e2 tra i punti di E tali che p(e2 ) = p(e1 ), sono tutti e soli i coniugati di p∗ π1 (E, e1 ). Se Aut(E, p) agisce transitivamente sulle fibre, abbiamo già osservato che E/ Aut(E, p)  X e l’isomorfismo πp1∗(X,p(e)) π1 (E,e)  Aut(E, p) segue dal Teorema 13.14.   Osservazione 13.28. Esiste una interessante analogia tra la teoria dei rivestimenti e la teoria delle estensioni algebriche di campi. Secondo tale analogia le estensioni di Galois corrispondono ai rivestimenti regolari: per tale motivo i rivestimenti regolari vengono talvolta detti Galoisiani.

13.6 Rivestimenti universali 

249

Esercizi 13.21. Sempre nell’ipotesi che tutti gli spazi topologici considerati siano localmente connessi per archi, mostrare che un morfismo di rivestimenti è un isomorfismo se e solo se è bigettivo. 13.22. Sia ϕ : E1 → E2 un morfismo di rivestimenti. Dimostrare che se E2 è connesso, allora ϕ è un rivestimento. 13.23. Dato un gruppo G ed un sottogruppo H ⊂ G, il normalizzatore di H in G è definito come N (H) = {g ∈ G | gHg −1 = H}. 1. Dimostrare che N (H) è un sottogruppo di G, che H è un sottogruppo normale di N (H) e che N (H) è il più grande sottogruppo di G che contiene H come sottogruppo normale. In particolare vale N (H) = G se e solo se H è un sottogruppo normale di G. 2. Siano p : E → X un rivestimento connesso ed e ∈ E. Allora per ogni [α] ∈ N (p∗ π1 (E, e)) esiste un unico automorfismo ϕ ∈ Aut(E, p) tale che ϕ(e) = e · [α]. Dimostrare che l’applicazione N (p∗ π1 (E, e)) → Aut(E, p) che ne deriva è surgettiva ed induce un isomorfismo di gruppi N (p∗ π1 (E, e))  Aut(E, p). p∗ π1 (E, e)

13.6 Rivestimenti universali  * → X si dice universale se X * è Definizione 13.29. Un rivestimento u : X connesso e semplicemente connesso. Abbiamo già osservato nell’Esempio 13.22 che ogni rivestimento universale * → X è universale, allora Aut(X, * u) agisce è regolare. In particolare, se u : X liberamente e transitivamente sulle fibre ed esiste un isomorfismo di gruppi * u). π1 (X)  Aut(X, Proposizione 13.30 (Proprietà universale del rivestimento universa* → X un rivestimento universale. Allora, per ogni rivestimento le). Sia u : X * e ∈ E, tali che u(˜ p : E → X ed ogni coppia di punti x ˜ ∈ X, x) = p(e), esiste * un unico morfismo di rivestimenti φ : X → E tale che φ(˜ x) = e. In particolare, i rivestimenti universali di uno spazio topologico X sono tutti isomorfi tra loro. * x Dimostrazione. Siccome 0 = u∗ π1 (X, ˜) ⊂ p∗ π1 (E, e), l’esistenza di φ segue dal Teorema 13.18. Se in aggiunta anche p : E → X è universale, il prece* dente argomento mostra che esiste un morfismo di rivestimenti ψ : E → X

250

13 Monodromia

* ed E sono connessi per definizione, l’unicità tale che ψ(e) = x ˜. Siccome X del sollevamento implica che le due composizioni φψ e ψφ sono uguali alle identità.   Abbiamo dimostrato l’unicità del rivestimento universale. Il resto di questa sezione è interamente dedicato allo studio dell’esistenza; iniziamo con la descrizione di una semplice condizione necessaria. Definizione 13.31. Uno spazio topologico X si dice semilocalmente semplicemente connesso se ogni punto x ∈ X possiede un intorno connesso per archi V tale che i∗ π1 (V, x) = 0 in π1 (X, x) dove i : V → X denota l’inclusione. Quindi, uno spazio localmente connesso per archi X è semilocalmente semplicemente connesso se e solo se ogni suo punto è contenuto in un aperto V tale che ogni cammino chiuso in V è omotopicamente banale in X. Lemma 13.32. Sia X uno spazio topologico connesso e localmente connesso per archi. Se X possiede un rivestimento universale, allora X è semilocalmente semplicemente connesso. * → X un rivestimento universale, sia U ⊂ X un Dimostrazione. Sia u : X aperto banalizzante e indichiamo con i : U → X l’inclusione. Siccome esiste * per ogni x ∈ U si ha una sezione continua s : U → X, * s(x)) = 0. i∗ π1 (U, x) = u∗ s∗ π1 (U, x) ⊂ u∗ π1 (X,

 

Esempio 13.33. Esistono degli spazi topologici connessi e localmente connessi per archi che non sono semilocalmente semplicemente connessi e quindi non possiedono alcun rivestimento universale. Un esempio è dato da X = R2 − {(2−n , 0) | n ∈ N}. Sia infatti U ⊂ X un qualunque intorno di 0 e fissiamo un numero irrazionale r > 0 tale che {x ∈ X | x ≤ 2r} ⊂ U. Scegliamo un intero N tale che 2−N < 2r e si considerino i sottospazi Y = {x ∈ R2 | x − (r, 0) = r},

Z = R2 − {(2−N , 0)}.

Le inclusioni 0 ∈ Y ⊂ U ⊂ X ⊂ Z inducono un isomorfismo di gruppi π1 (Y, 0) → π1 (Z, 0) e quindi il morfismo π1 (U, 0) → π1 (X, 0) non può essere banale. * → X il rivestimento universale di uno spazio X. Ogni scelta di Sia u : X * determina una bigezione un punto x ˜∈X  * −→ Φ: X π(X, x, y), y∈X

13.6 Rivestimenti universali 

251

dove x = u(˜ x) e π(X, x, y) = Ω(X, x, y)/ ∼ è l’insieme delle classi di omo* esiste una topia dei cammini di estremi x e y. Infatti, dato un punto y˜ ∈ X * unica classe di omotopia ξ ∈ π(X, x ˜, y˜) ed è quindi ben definito Φ(˜ y ) = u∗ (ξ). L’inversa di Φ è data dalla monodromia del rivestimento. Teorema 13.34. Uno spazio topologico, connesso e localmente connesso per archi, possiede un rivestimento universale se e soltanto se è semilocalmente semplicemente connesso. Dimostrazione. Una implicazione segue dal Lemma 13.32. Resta da dimostrare che se X è connesso, localmente connesso per archi e semilocalmente * → X. semplicemente connesso, allora esiste un rivestimento universale u : X Il ragionamento precedente ci suggerisce di scegliere un punto x ∈ X e di considerare l’insieme *= X



π(X, x, y),

dove π(X, x, y) =

y∈X

Ω(X, x, y) . omotopia di cammini

Per definizione l’omotopia di cammini conserva gli estremi e quindi è ben definita un’applicazione surgettiva * → X, u: X

u([α]) = α(1).

Si noti che esiste una bigezione naturale tra u−1 (x) e π1 (X, x). Vogliamo * in modo tale che u sia un rivestimento adesso definire una topologia su X universale. Dato un cammino α ∈ Ω(X, x, y) ed un intorno aperto y ∈ U , * come l’insieme delle classi di omotopia di cammini definiamo W (α, U ) ⊂ X del tipo α ∗ α , dove α è un cammino in U con punto iniziale y. È chiaro che W (α, U ) = W (α, U  ), dove U  è la componente connessa di U che contiene α(1) e che, se β ∈ W (α, U ) e V ⊂ U è un aperto contenente β(1), allora W (β, V ) ⊂ W (α, U ). * Infatti I sottoinsiemi W (α, U ) formano una base di una topologia su X. ogni [α] ∈ π(X, x, y) appartiene a W (α, X) e, se [γ] ∈ W (α, U ) ∩ W (β, V ), allora γ(1) ∈ U ∩ V e [γ] ∈ W (γ, U ∩ V ) ⊂ W (α, U ) ∩ W (β, V ). * → X è continua e aperta, infatti per In tale topologia l’applicazione u : X ogni aperto connesso U ⊂ X vale  u−1 (U ) = W (α, U ), u(W (α, U )) = U. α(1)∈U

Supponiamo adesso che U ⊂ X sia un aperto connesso tale che ogni cammino chiuso in U sia omotopicamente banale in X. Fissato un cammino α : I → X con punto iniziale x e tale che α(1) = u([α]) ∈ U , la proiezione

252

13 Monodromia

u : W (α, U ) → U è un omeomorfismo. Infatti, se u([α ∗ β]) = u([α ∗ γ]), il cammino i(β) ∗ γ è chiuso in U , quindi β e γ sono omotopi in X e [α ∗ β] = [α ∗ γ] * ossia u è iniettiva su W (α, U ). in X, Dati due cammini α, β in X con punto iniziale x e punto finale in U , vale W (α, U ) = W (β, U ) oppure W (α, U ) ∩ W (β, U ) = ∅. Infatti se esiste un cammino γ in X tale che [γ] ∈ W (α, U ) ∩ W (β, U ), allora possiamo scrivere [α] = [γ ∗ α ], [β] = [γ ∗ β  ] e quindi [β] = [α ∗ i(α ) ∗ β  ] ∈ W (α, U ). Ne segue che W (β, U ) ⊂ W (α, U ) e per simmetria W (α, U ) ⊂ W (β, U ). Abbiamo quindi dimostrato che u è un rivestimento. Dato un cammino α ∈ Ω(X, x, y), consideriamo i cammini αs : [0, 1] → X,

αs (t) = α(ts),

s ∈ [0, 1],

e definiamo * α ˆ : [0, 1] → X,

α ˆ (s) = [αs ] ∈ π(X, x, α(s)).

Fissiamo s ∈ [0, 1] ed un aperto U contenente il punto α(s). Allora esiste un numero reale positivo ε tale che α(t) ∈ U per ogni s − ε ≤ t ≤ s + ε. Per il Corollario 11.7 vale [αt ] ∈ W (αs , U ) per ogni s − ε ≤ t ≤ s + ε. Abbiamo * è connesso per ardimostrato che l’applicazione α ˆ è continua e quindi che X chi. Notiamo inoltre che u(ˆ α(s)) = α(s) e dunque α ˆ è il sollevamento di α tale che α ˆ (0) = [1x ]. Questo dimostra che [α] = α ˆ (1) = Mon([1x ], α); in particolare l’azione di monodromia del rivestimento u è libera e di conseguenza * [1x ]) = 0. u∗ π1 (X,  

Esercizi 13.24. Siano p : E → F e q : F → X applicazioni continue e surgettive di spazi topologici connessi. Dimostrare che se p e q sono rivestimenti e se X possiede un rivestimento universale allora anche qp è un rivestimento. 13.25. Provare che ogni applicazione continua X → Y si solleva ad una ap* → Y* tra i rispettivi rivestimenti universali (ammesso plicazione continua X che esistano). 13.26. Sia X il quoziente della sfera S 2 ottenuto identificando il polo sud con il polo nord. Determinare il rivestimento universale ed il gruppo fondamentale di X. (Sugg.: considerare il quoziente delle salsicce, Esercizio 11.22, per un’azione propriamente discontinua.)

13.7 Rivestimenti con monodromia assegnata 

253

13.7 Rivestimenti con monodromia assegnata  Supponiamo che p : E → X sia un rivestimento, sia x ∈ X e consideriamo l’azione di monodromia p−1 (x) × π1 (X, x) → p−1 (x). È facile dimostrare che E è connesso se e solo se l’azione di monodromia è transitiva. Infatti, se E è connesso, allora per ogni coppia di punti a, b ∈ p−1 (x) possiamo trovare un cammino α ∈ Ω(E, a, b) e di conseguenza b = a · [pα]. Viceversa, se la monodromia è transitiva, allora la fibra p−1 (x) è contenuta in una componente connessa per archi. Dato un qualsiasi punto a ∈ E scegliamo un cammino α : I → X tale che α(0) = p(a), α(1) = x: il sollevamento αa : I → E connette il punto a ad un punto di p−1 (x) e quindi a appartiene alla stessa componente connessa che contiene p−1 (x). Abbiamo già dimostrato nel Teorema 13.1 che per ogni e ∈ p−1 (x) il suo stabilizzatore, ossia il sottogruppo Stab(e) = {a ∈ π1 (X, x) | e · a = e}, coincide con p∗ π1 (E, e). In particolare il rivestimento p : E → X è universale se e solo se l’azione di monodromia è libera e transitiva. Infine il rivestimento è regolare se e solo se l’azione di monodromia è transitiva e gli stabilizzatori sono sottogruppi normali. Teorema 13.35. Sia X uno spazio topologico connesso, localmente connesso per archi e semilocalmente semplicemente connesso. Per ogni insieme non vuoto T e per ogni azione destra •

T × π1 (X, x) −→ T esiste un rivestimento p : E → X ed una bigezione φ : T → p−1 (x) tale che φ(t • a) = φ(t) · a per ogni t ∈ T ed ogni a ∈ π1 (X, x). Inoltre la coppia (p, φ) è unica a meno di isomorfismo. Prima di passare alla dimostrazione spieghiamo meglio l’enunciato del teorema. Dire che la coppia (p, φ) è unica a meno di isomorfismo significa che se q : F → X e ψ : T → q −1 (x) è un’altra coppia rivestimento-bigezione come nella prima parte del teorema, allora esiste un isomorfismo di rivestimenti E → F che estende ψφ−1 . Dimostrazione. Daremo prima una dimostrazione dell’unicità che, per come è strutturata, ci fornirà alla fine anche la prova dell’esistenza. Siano dunque p : E → X un rivestimento e φ : T → p−1 (x) una bigezione tali che φ(t • a) = φ(t) · a per ogni t ∈ T ed ogni a ∈ π1 (X, x). Denotiamo * → X il rivestimento universale e fissiamo un punto x con u : X ˜ ∈ u−1 (x).

254

13 Monodromia

Per la Proposizione 13.30, per ogni e ∈ p−1 (x) esiste un unico morfismo di * → E tale che ηe (˜ x) = e. Si ha poi un isomorfismo di gruppi rivestimenti ηe : X * u) → π1 (X, x), θ : Aut(X,

x ˜ · θ(g) = g(˜ x).

La monodromia commuta con i morfismi di rivestimenti e quindi, per ogni * u) vale e ∈ p−1 (x) e g ∈ Aut(X, x) · θ(g) = ηe (˜ x · θ(g)) = ηe (g(˜ x)) e · θ(g) = ηe (˜ e quindi ηe g = ηe·θ(g) . Dotiamo T della topologia discreta e denotiamo con * → X la composizione di u e della proiezione T × X * → X. * L’appliq: T × X cazione * → E, η: T × X η(t, y˜) = ηφ(t) (˜ y) è un morfismo di rivestimenti di X. Notiamo che η è surgettivo e, per ogni * u) vale g ∈ Aut(X, y )) = ηφ(t)·θ(g) (˜ y ) = η(t • θ(g), y˜). η(t, g(˜ y )) = ηφ(t) (g(˜ * u) come un sottogruppo del gruppo degli Possiamo quindi considerare Aut(X, * omeomorfismi di T × X che commutano con η, facendo corrispondere ad ogni * u) l’applicazione g ∈ Aut(X, * → T × X, * T ×X

(t, y˜) → (t • θ(g)−1 , g(˜ y )).

* u) agisce in modo propriamente discontinuo su X * e quinIl gruppo Aut(X, * di, a maggior ragione, agisce in modo propriamente discontinuo su T × X. −1 −1 * L’azione di Aut(X, u) sulla fibra q (x) = T × u (x) è libera e ogni orbita interseca T × {˜ x} in un unico punto. D’altra parte vale η(t, x ˜) = φ(t) e quindi η induce per passaggio al quoziente un’applicazione bigettiva * u) → p−1 (x). q −1 (x)/ Aut(X, Come consequenza η induce per passaggio al quoziente un isomorfismo di rivestimenti * T ×X  E. * u) Aut(X, * Aut(X, * u) → X è stato costruito utilizzando Il rivestimento h : T × X/ solamente X e l’azione • senza riferimento alcuno ad E. Quindi abbiamo dimostrato l’unicità e contemporaneamente anche l’esistenza.   Corollario 13.36. Sia X uno spazio topologico connesso, localmente connesso per archi e semilocalmente semplicemente connesso. Dato un punto x ∈ X ed un sottogruppo H ⊂ π1 (X, x), esiste un rivestimento p : E → X ed un punto e ∈ p−1 (x) tali che p∗ π1 (E, e) = H.

13.7 Rivestimenti con monodromia assegnata 

255

Dimostrazione. Sia T = {Ha | a ∈ π1 (X, x)} l’insieme dei laterali destri di H. Esiste una ovvia azione destra •

T × π1 (X, x) −→ T,

Ha • b = Hab,

e per il Teorema 13.35 esiste un rivestimento p : E → X tale che p−1 (x) = T per cui • è uguale all’azione di monodromia. Se definiamo e ∈ T ⊂ E come il punto corrispondente al laterale banale, ossia e = H, si ha p∗ π1 (E, e) = {a ∈ π1 (X, x) | H • a = H} = H.

 

Esercizi 13.27. Siano p : E → X un rivestimento connesso, A ⊂ X un sottoinsieme aperto ed e ∈ p−1 (A). Dimostrare che p−1 (A) è connesso se e solo se l’immagine di π1 (A, p(e)) → π1 (X, p(e)) interseca ogni laterale destro di p∗ π1 (E, e). 13.28. Sia X uno spazio topologico connesso, localmente connesso e semilocalmente semplicemente connesso che contiene un retratto omeomorfo alla circonferenza S 1 . Dimostrare che X possiede rivestimenti connessi e regolari di grado d, per ogni intero d > 0. 13.29 (K, ♥). Si consideri il gruppo delle matrici 3 × 3 reali triangolari superiori unipotenti (cioè con coefficienti uguali ad 1 sulla diagonale), ed il sottogruppo Γ delle matrici di G con coefficienti interi. Dire, motivando la risposta, se G/Γ o qualche suo rivestimento è omeomorfo al prodotto (S 1 )3 di tre circonferenze.

14 Il teorema di Van Kampen

In questo capitolo useremo la seguente notazione: se G è un gruppo e S ⊂ G un sottoinsieme, denotiamo con S ⊂ G, o anche con s | s ∈ S ⊂ G, il sottogruppo normale generato da S, ossia l’intersezione di tutti i sottogruppi normali di G contenenti S. È facile dimostrare che S coincide con il sottogruppo generato da tutti gli elementi del tipo gsg −1 , al variare di s ∈ S e g ∈ G.

14.1 Van Kampen in versione universale Siano A, B due aperti di uno spazio topologico X tali che X = A ∪ B; supponiamo che A, B ed A ∩ B siano connessi per archi; supponiamo inoltre che A ∩ B = ∅ e sia x0 ∈ A ∩ B un punto fissato. Le inclusioni A ⊂ X, B ⊂ X, A∩B ⊂ A e A∩B ⊂ B inducono un diagramma commutativo di omomorfismi di gruppi: α∗ / π1 (A, x0 ) π1 (A ∩ B, x0 ) β∗

 π1 (B, x0 )

f∗

g∗

 / π1 (X, x0 ) .

Abbiamo visto nella Sezione 11.4 che quando A e B sono semplicemente connessi, allora anche X è semplicemente connesso. Con un po’ di attenzione è facile vedere che lo stesso ragionamento usato nella dimostrazione del Teorema 11.25 implica che se α∗ è surgettivo, allora anche g∗ è surgettivo. In generale, il teorema di Van Kampen afferma che il gruppo fondamentale di X è univocamente determinato, a meno di isomorfismo, dai gruppi fondamentali di A, B, A ∩ B e dagli omomorfismi α∗ , β∗ . È conveniente dare una formulazione del teorema in cui π1 (X, x0 ) è la soluzione di un problema universale.

M. Manetti: Topologia, 2a edizione, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 78, DOI: 10.1007/978-88-470-5662-6_14, © Springer-Verlag Italia 2014

258

14 Il teorema di Van Kampen

Teorema 14.1 (Van Kampen). Nelle notazioni precedenti, per ogni gruppo G ed ogni coppia di omomorfismi h : π1 (A, x0 ) → G, k : π1 (B, x0 ) → G tali che hα∗ = kβ∗ , esiste un unico omomorfismo di gruppi ϕ : π1 (X, x0 ) → G che rende commutativo il diagramma π1 (A ∩ B, x0 )

/ π1 (A, x0 )

α∗

β∗

 π1 (B, x0 )

f∗

 / π1 (X, x0 ) H H

g∗

k

h



H

H$  /G

Dimostrazione (Parziale). Abbiamo già visto, nella dimostrazione del Teorema 11.25, che ogni cammino in Ω(X, x0 , x0 ) è omotopo al prodotto di un numero finito di cammini chiusi interamente contenuti in A o in B. Questo significa che per ogni γ ∈ π1 (X, x0 ) possiamo trovare a1 , . . . , an ∈ π1 (A, x0 ), b1 , . . . , bn ∈ π1 (B, x0 ) tali che γ = f∗ (a1 )g∗ (b1 ) · · · f∗ (an )g∗ (bn ). Dunque, se vogliamo ϕ come nell’enunciato, si dovrà avere ϕ(γ) = h(a1 )k(b1 ) · · · h(an )k(bn ). Abbiamo quindi dimostrato l’unicità di ϕ e ne abbiamo anche dato una definizione, della quale dobbiamo però verificare la sensatezza, ossia che ϕ(γ) non dipende dalla scelta degli ai e dei bj . Questa è la parte più complicata della dimostrazione, per la quale rimandiamo il lettore ai libri di Massey [15, 16]. Tuttavia, come per il lemma di Zorn, le applicazioni del teorema di Van Kampen sono molto più istruttive della dimostrazione. Nella Sezione 15.7, mostreremo invece che, sotto alcune lievi ipotesi aggiuntive, il Teorema 14.1 segue facilmente dal Teorema 13.35.   Corollario 14.2. Nelle notazioni precedenti, se β∗ : π1 (A∩B, x0 ) → π1 (B, x0 ) è surgettivo, allora anche l’omomorfismo f∗ : π1 (A, x0 ) → π1 (X, x0 ) è surgettivo ed ha come nucleo il sottogruppo normale generato da α∗ (ker β∗ ). In altri termini π1 (A, x0 ) . π1 (X, x0 ) ∼ = α∗ (ker β∗ ) (A,x0 ) Dimostrazione. Indichiamo con h : π1 (A, x0 ) → απ∗1(ker β∗ ) la proiezione al quoziente. L’omomorfismo hα∗ annulla il nucleo di β∗ e quindi esiste un omomorfismo di gruppi

k : π1 (B, x0 ) 

π1 (A ∩ B, x0 ) π1 (A, x0 ) → ker β∗ α∗ (ker β∗ )

14.1 Van Kampen in versione universale

259

tale che kβ∗ = hα∗ . Per il Teorema 14.1 esiste un unico omomorfismo di π1 (A, x0 ) gruppi ϕ : π1 (X, x0 ) → che rende commutativo il diagramma α∗ (ker β∗ ) π1 (A ∩ B, x0 )

α∗

β∗

 π1 (B, x0 )

/ π1 (A, x0 ) f∗

g∗

h  / π1 (X, x0 ) LLL LLL ϕ LLL L&  k . π1 (A, x0 ) . α∗ (ker β∗ )

Siccome h è surgettivo, anche ϕ è surgettivo. Poiché f∗ α∗ = g∗ β∗ , il nucleo di f∗ α∗ contiene il nucleo di β∗ , quindi α∗ (ker β∗ ) ⊂ ker f∗ e di conseguen(A,x0 ) za f∗ si fattorizza ad un omomorfismo ψ : απ∗1(ker β∗ ) → π1 (X, x0 ). Dunque f∗ = ψh, ψkβ∗ = ψhα∗ = f∗ α∗ = g∗ β∗ e dalla surgettività di β∗ ne deduciamo che ψk = g∗ , ossia che si ha un diagramma commutativo π1 (A ∩ B, x0 )

α∗

β∗

 π1 (B, x0 )

/ π1 (A, x0 ) f∗

g∗

h  / π1 (X, x0 ) fLLL LLL ψ LLL L  (A, x0 ) π 1 k . . α∗ (ker β∗ )

Per l’unicità la composizione ψϕ deve essere l’identità e quindi ϕ è iniettivo.   Corollario 14.3. Nelle notazioni precedenti, se β∗ : π1 (A∩B, x0 ) → π1 (B, x0 ) è un isomorfismo, allora anche f∗ : π1 (A, x0 ) → π1 (X, x0 ) è un isomorfismo. Esempio 14.4. Sia X ⊂ Rn un aperto connesso e siano p, q ∈ X due punti distinti. Allora l’omomorfismo f∗ : π1 (X − {p}, q) → π1 (X, q) indotto dall’inclusione X − {p} ⊂ X è: 1. Surgettivo per n = 2. 2. Bigettivo per n ≥ 3.

260

14 Il teorema di Van Kampen

Ai fini della dimostrazione, consideriamo un numero reale positivo r tale che la palla B = {x ∈ Rn | x − p < r} sia interamente contenuta in X. Denotando con A = X − {p}, se n ≥ 2 allora A, B e A ∩ B sono connessi e vale X = A ∪ B. Scegliamo adesso un punto x0 ∈ A ∩ B ed un cammino γ ∈ Ω(X − {p}, q, x0 ). Abbiamo un diagramma commutativo γ

π1 (A, ⏐ q) −→ π1 (A, ⏐ x0 ) ⏐f ⏐f ∗ ∗ γ

π1 (X, q) −→ π1 (X, x0 ). e, siccome l’omomorfismo π1 (A ∩ B, x0 ) → π1 (B, x0 ) è surgettivo per n ≥ 2 e bigettivo per n ≥ 3, basta applicare i due corollari precedenti. Esempio 14.5. Lo stesso ragionamento dell’Esempio 14.4 si applica, con lievi modifiche lasciate per esercizio al lettore, anche nel caso più generale di X varietà topologica connessa di dimensione n. Esempio 14.6. Sia X ⊂ R3 il complementare di una circonferenza; abbiamo osservato nell’Esempio 1.15 che X è omeomorfo a R3 − (retta ∪ punto). Per l’Esempio 14.4 l’inclusione R3 − (retta ∪ punto) ⊂ R3 − (retta) induce un isomorfismo tra i rispettivi gruppi fondamentali e quindi si ha π1 (X)  π1 (R3 − (retta)). D’altra parte, il complementare di una retta è ottenuto facendo ruotare un semipiano aperto attorno ad una retta. Quindi R3 − (retta) è omeomorfo a S 1 × {(x, y) ∈ R2 | y > 0} ed il suo gruppo fondamentale è isomorfo a Z. Esempio 14.7. Si può dimostrare l’isomorfismo π1 (R3 − (circonferenza)) ∼ =Z applicando direttamente il Corollario 14.3. Supponiamo infatti che K sia la circonferenza in R3 di equazione y = 0,

(x − 4)2 + z 2 = 1

e scriviamo R3 − K = A ∪ B dove: 1. B è il complementare del disco chiuso che ha come bordo K, ossia B = R3 − {(x, y, z) | y = 0, (x − 4)2 + z 2 ≤ 1}. 2. A è il toro pieno ottenuto facendo ruotare attorno all’asse z la palla aperta di centro (4, 0) e raggio 1, ossia, nelle coordinate cilindriche (r, θ, z) A = {(r − 4)2 + z 2 < 1},

x = r cos(θ), y = r sin(θ).

14.2 Gruppi liberi

261

A

K

È chiaro che B ha il tipo di omotopia di S 2 ed è quindi semplicemente connesso, mentre A ∩ B è contrattile. Dunque, per il Corollario 14.3, l’inclusione A ⊂ R3 − K induce un isomorfismo tra i rispettivi gruppi fondamentali.

Esercizi 14.1 (♥). Calcolare il gruppo fondamentale del complementare in R3 di {(x, y, z) | y = 0, x2 + z 2 = 1} ∪ {(x, y, z) | y = z = 0, x ≥ 1}. 14.2. Calcolare il gruppo fondamentale dell’unione di tre sfere S 2 tangenti due a due.

Figura 14.1. Esercizio 14.2: qual è il gruppo fondamentale?

14.3. Calcolare il gruppo fondamentale del complementare in R3 di {(x, y, z) | y = 0, x2 + z 2 = 1} ∪ {(x, y, z) | z = 0, (x − 1)2 + y 2 = 1}. 14.4. Calcolare il gruppo fondamentale dell’unione della sfera S 2 ⊂ R3 con un numero finito di piani passanti per l’origine.

14.2 Gruppi liberi Definizione 14.8. Sia S un insieme. Un gruppo libero generato da S è il dato di un gruppo F e di un’applicazione φ : S → F che gode della seguente proprietà universale: per ogni gruppo H e per ogni applicazione ψ : S → H

262

14 Il teorema di Van Kampen

esiste un unico omomorfismo di gruppi η : F → H tale che ψ = ηφ. ψ

S φ

 ~ F

/H ~>

~ ~ ∃! η

Esempio 14.9. Il gruppo banale F = 0 è il gruppo libero generato dall’insieme vuoto. Se S è formato da un solo elemento, diciamo S = {∗}, allora il gruppo F = Z con l’applicazione φ : {∗} → Z, φ(∗) = 1, definisce un gruppo libero generato da S. Assumiamo per il momento l’esistenza dei gruppi liberi, che dimostreremo più avanti, e studiamo le loro proprietà: Lemma 14.10. Sia φ : S → F un gruppo libero generato da S. Allora l’applicazione φ è iniettiva e la sua immagine φ(S) genera il gruppo F . Dimostrazione. Siano a, b ∈ S due elementi distinti e consideriamo un’applicazione ψ : S → Z tale che ψ(a) = 0, ψ(b) = 1. Segue dalla definizione di gruppo libero che esiste un omomorfismo η : F → Z tale che ψ = ηφ e questo implica che φ(a) = φ(b). Indichiamo con G ⊂ F il sottogruppo generato da φ(S) e con i : G → F il morfismo di inclusione; vogliamo dimostrare che i è surgettivo. Dato che φ(S) ⊂ G, possiamo decomporre φ = iψ per qualche ψ : S → G e per la proprietà universale esiste un unico omomorfismo di gruppi η : F → G tale che ηφ = ψ. Consideriamo adesso i due omomorfismi Id : F → F,

iη : F → F.

Siccome Id φ = iηφ = φ, per l’unicità essi devono coincidere, ossia Id = iη e di conseguenza i è surgettivo.   Lemma 14.11. Due gruppi liberi generati dallo stesso insieme sono canonicamente isomorfi: più precisamente, se φ : S → F e φ : S → F  sono due gruppi liberi generati dallo stesso insieme S, allora esiste un unico isomorfismo di gruppi η : F → F  tale che ηφ = φ . Dimostrazione. Dal fatto che φ : S → F è un gruppo libero segue che esiste un omomorfismo di gruppi η : F → F  tale che ηφ = φ . Similmente, dal fatto che φ : S → F  è un gruppo libero segue che esiste un omomorfismo di gruppi η  : F  → F tale che η  φ = φ. Dunque ηη  φ = φ e per unicità si ha ηη  = Id. Similmente η  η = Id e quindi η è un isomorfismo.   Lemma 14.12. Siano F e G i gruppi liberi generati da due insiemi S e T , almeno uno dei quali finito. Se F è isomorfo a G allora S e T hanno la stessa cardinalità.

14.2 Gruppi liberi

263

Dimostrazione. Segue dalla definizione di gruppo libero che esiste una bigezione naturale tra l’insieme delle applicazioni S → Z/2, che ha cardinalità 2|S| , e l’insieme degli omomorfismi F → Z/2. Quindi il gruppo libero F determina 2|S| e, per gli stessi motivi, il gruppo libero G determina 2|T | . Se F e G sono isomorfi, allora 2|S| = 2|T | .   Osservazione 14.13. Il risultato del Lemma 14.12 è vero anche se S, T sono entrambi infiniti: per provare ciò serve però una diversa dimostrazione, vedi Esercizio 14.8. Teorema 14.14. Per ogni insieme esiste il gruppo libero da esso generato. Dimostrazione. La dimostrazione che presentiamo non è la più semplice possibile ma ha il vantaggio di fornire una descrizione esplicita del gruppo libero: dato un qualunque insieme S costruiremo un suo soprainsieme S ⊂ FS ed una struttura di gruppo su FS ; proveremo poi che la coppia formata da FS e dall’inclusione S → FS soddisfa la proprietà universale della Definizione 14.8. Definiamo FS come l’insieme delle parole ridotte nell’alfabeto S ∪S −1 . Ciò significa che l’insieme FS è formato dalla parola vuota, che denoteremo 1, e da tutte le espressioni finite del tipo sa1 1 sa2 2 · · · sann al variare di si ∈ S, con ai ∈ Z − {0} e si = si+1 per ogni i. Ad esempio, se S = {a, b}, allora appartengono a FS le parole a, a2 , ab, aba, ab2 a−1 b, . . ., mentre non vi appertengono (perché non ridotte) le parole aa−1 , aab2 , . . .. La struttura di gruppo su FS è definita ponendo 1 come elemento neutro; definendo l’inversione tramite la formula 2 −a1 n (sa1 1 sa2 2 · · · sann )−1 = s−a · · · s−a s1 n 2

e definendo il prodotto in maniera ricorsiva ⎧ ⎪ sa1 · · · sann tb11 · · · tbmm se sn = t1 , ⎪ ⎪ ⎨ 1 a1 b (s1 · · · sann )(t11 · · · tbmm ) = sa1 1 · · · sann +b1 tb22 · · · tbmm se sn = t1 , an + b1 =

0, ⎪ ⎪ ⎪ a1 an−1 b2 ⎩ (s1 · · · sn−1 )(t2 · · · tbmm ) se sn = t1 , an + b1 = 0. È intuitivo e non difficile da dimostrare che FS soddisfa gli assiomi di gruppo. A dire il vero, la verifica rigorosa della proprietà associativa è un po’ noiosa; per questo, in molti testi di teoria dei gruppi, viene adottato il trucco di Van der Waerden (Esercizio 14.6) oppure l’argomento di Artin [1]. Risulta spesso utile ragionare per induzione sulla lunghezza, dove la lunghezza l(u) di una parola ridotta u ∈ FS è definita dalla formula l(1) = 0,

l(sa1 1 · · · sann ) = |a1 | + · · · + |an |.

264

14 Il teorema di Van Kampen

È chiaro che S genera FS . Inoltre ogni applicazione ψ : S → G a valori in un gruppo G si estende all’omomorfismo η : FS → G,

η(sa1 1 sa2 2 · · · sann ) = ψ(s1 )a1 ψ(s2 )a2 · · · ψ(sn )an .

 

Esempio 14.15. Il gruppo libero generato da due elementi a, b è infinito ma esistono al più finiti elementi di lunghezza fissata. Esempio 14.16. Sia G ⊂ SO(3, R) il sottogruppo generato dalle matrici √ ⎞ ⎛ ⎛ ⎞ 3 0 0√ 1 −2 2 0 1⎝ √ 1 1 −2 2⎠ . A= B = ⎝0 √ 2 2 1 0⎠ , 3 3 0 0 3 02 2 1 Allora G è un gruppo libero generato da A, B: ciò equivale a dire che l’omomorfismo di gruppi F{A,B} → SO(3, R) è iniettivo. Diamo solo la traccia della dimostrazione, lasciando la verifica dei dettagli al lettore interessato. Sia g = g1 g2 · · · gk una parola ridotta di lunghezza k, con k ≥ 2 e dove ogni gi appartiene all’insieme di quattro elementi {A, A−1 , B, B −1 }; dato che A e B sono coniugate, per dimostrare che g è diversa dall’identità basta di√ mostrare che se gk = A±1 , allora g(1, 0, 0) = (a, b 2, c)/3k con a, b, c interi e b non divisibile per 3. Per induzione su k si ha √ √ (a , b 2, c ) (a , b 2, c ) g3 g4 · · · gk (1, 0, 0) = , g g · · · g (1, 0, 0) = 2 3 k 3k−2 3k−1 con b non divisibile per 3. Adesso dobbiamo fare 12 verifiche, al variare di g1 g2 tra i prodotti A±2 ,

B ±2 ,

A±1 B ±1 ,

B ±1 A±1 .

Mostriamo in dettaglio due casi, essendo i rimanenti 10 del tutto simili. Se g1 = g2 = A, allora b = 2a + b = 4a − 7b ,

b = 2a + b

ed eliminando a otteniamo b = 2b − 9b ; dato che b non è divisibile per 3, anche b non è divisibile per 3. Se g1 = B, g2 = A, allora b = b − 2c e c = 3c da cui segue che b = b − 6c .

14.2 Gruppi liberi

265

Esercizi 14.5 (♥). Sia FS il gruppo libero generato da un insieme S. Dimostrare che se a, b ∈ S, a = b, allora ab = ba. 14.6. Dato un insieme S, poniamo A = S ∪ S −1 dove S −1 è l’insieme degli inversi formali degli elementi di S. Indichiamo con P (A) l’insieme di tutte le successioni finite ridotte a1 , a2 , . . . , an in A: ridotte significa che se ai = s ∈ S allora ai−1 , ai+1 = s−1 . L’insieme P (A) contiene anche la successione vuota ∅. Denotiamo con Σ il gruppo di tutte le applicazioni bigettive σ : P (A) → P (A). Possiamo definire un’applicazione iniettiva φ : S → Σ tramite la regola  s, a1 , a2 , . . . se a1 = s−1 , φ(s)(∅) = s, φ(s)(a1 , a2 , . . .) = a 2 , a3 , . . . se a1 = s−1 . Verificare che φ è ben definita ed iniettiva e dimostrare che il sottogruppo di Σ generato dall’immagine di φ è in bigezione naturale con FS . 14.7. Mostrare che in un gruppo libero non esistono elementi di ordine finito diversi da 1. (Sugg.: se up = 1, considerare il coniugato di u di lunghezza minima.) 14.8. Dato un qualsiasi gruppo G indichiamo con G(x2 ) ⊂ G il sottogruppo generato da {a2 | a ∈ G}. Dimostrare che: 1. G(x2 ) è un sottogruppo normale di G, il quoziente G/G(x2 ) è abeliano ed ogni suo elemento ha ordine 2. 2. Sia φ : G → H un omomorfismo di gruppi, allora φ(G(x2 )) ⊂ H(x2 ). In particolare se G è isomorfo ad H, allora G/G(x2 ) è isomorfo ad H/H(x2 ). 3. G/G(x2 ) ha una naturale struttura di spazio vettoriale su Z/2 e la sua dimensione (la cardinalità di una sua base) dipende solo dalla classe di isomorfismo di G. 4. Sia FS il gruppo libero generato da un insieme S, allora l’applicazione S → FS /FS (x2 ) è iniettiva e la sua immagine è una base come spazio vettoriale su Z/2. 14.9 (Il paradosso di Hausdorff ). Seguire la traccia proposta per dimostrare che l’assioma della scelta implica l’esistenza di un sottoinsieme numerabile D ⊂ S 2 , di quattro sottoinsiemi disgiunti M1 , M2 , M3 , M4 ⊂ S 2 − D e di due rotazioni A, B ∈ SO(3, R) tali che M1 ∩ A(M2 ) = ∅,

M1 ∪ A(M2 ) = S 2 − D ,

M3 ∩ B(M4 ) = ∅,

M3 ∪ B(M4 ) = S 2 − D .

266

14 Il teorema di Van Kampen

Siano A, B le rotazioni descritte nell’Esempio 14.16 e G il gruppo libero da esse generato. Per ogni φ ∈ {A, A−1 , B, B −1 } indichiamo con Gφ il sottoinsieme degli elementi di G corrispondenti a parole ridotte che iniziano con φ. Abbiamo tre partizioni: 1. G = {Id} ∪ GA ∪ GA−1 ∪ GB ∪ GB −1 . 2. G = GA ∪ AGA−1 . 3. G = GB ∪ BGB −1 . Sia D ⊂ S 2 l’unione delle intersezioni di S 2 con gli assi delle rotazioni di G. L’insieme D è numerabile e G agisce liberamente su S 2 − D. Per l’assiona della scelta esiste un sottoinsieme K ⊂ S 2 − D che interseca ogni orbita di G in uno ed un solo punto. Per ogni sottoinsieme H ⊂ G indichiamo con H(K) = {g(x) | g ∈ H, x ∈ K}. Si ha G(K) = S 2 − D e se H, L sono sottoinsiemi disgiunti di G si ha H(K) ∩ L(K) = ∅. Basta allora prendere M1 = GA (K), M2 = GA−1 (K), M3 = GB (K) e M4 = GB −1 (K).

14.3 Prodotti liberi di gruppi La definizione di prodotto libero di gruppi è molto simile a quella di gruppo libero ed in un certo senso la generalizza. Definizione 14.17. Sia {Gs | s ∈ S} una famiglia di gruppi. Il prodotto libero della famiglia {Gs | s ∈ S} è il dato di un gruppo F e, per ogni s ∈ S, di un omomorfismo φs : Gs → F in modo tale che sia soddisfatta la seguente proprietà universale: per ogni gruppo H e per ogni famiglia di omomorfismi ψs : Gs → H, s ∈ S, esiste un unico omomorfismo di gruppi η : F → H tale che ψs = ηφs per ogni s. Gs φs

 } F

ψs

/H }>

} } ∃! η

È facile mostrare che gli omomorfismi φs sono necessariamente tutti iniettivi: per ogni s ∈ S fissato possiamo considerare H = Gs , ψs = Id e ψi = 0 per i = s, se ne deduce che ogni φs è iniettivo. Esempio 14.18. Il prodotto libero di due gruppi G1 , G2 è il dato di un gruppo G1 ∗G2 e due omomorfismi φi : Gi → G1 ∗G2 , i = 1, 2, tali che per ogni gruppo H e per ogni coppia di omomorfismi ψi : Gi → H esiste un unico omomorfismo

14.3 Prodotti liberi di gruppi

267

η : G1 ∗ G2 → H che fa commutare il diagramma G; 1 ∗ GcH2 vv  HHH φ2 v HH vv HH  vv H vv  ∃! η G1 H G2  HH v v HH  vv H vvψ2 v ψ1 HHH  v $  zv H φ1

Proposizione 14.19. Ogni famiglia di gruppi possiede il prodotto libero. Dimostrazione. Sia {Gs | s ∈ S} una famiglia di gruppi e per semplicità notazionale supponiamo che ogni coppia abbia in comune solamente l’elemento neutro 1, ossia Gs ∩ Gh = {1} per ogni s = h. Su ∪s Gs − {1} consideriamo la relazione di equivalenza g ∼ h se g, h ∈ Gs per qualche s ∈ S. Definiamo F come l’insieme delle parole ridotte nell’alfabeto ∪s Gs . Ciò significa che F è formato dalla parola vuota 1 e da tutte le successioni finite g1 · g2 · · · · · gn al variare di gi ∈ ∪s Gs ; si richiede inoltre che per ogni i si abbia gi = 1 e gi ∼ gi+1 . La struttura di gruppo su F è definita ponendo 1 come elemento neutro, definendo l’inversione tramite la formula (g1 · g2 · · · gn )−1 = gn−1 · · · g2−1 · g1−1 e definendo il prodotto in maniera ricorsiva ⎧ g1 · · · gn · t1 · · · · tm ⎪ ⎪ ⎨ (g1 · · · gn ) · (t1 · · · tm ) = g1 · · · gn−1 · gn t1 · t2 · · · tm ⎪ ⎪ ⎩ (g1 · · · gn−1 ) · (t2 · · · tm )

se gn ∼ t1 , se gn ∼ t1 , gn t1 = 1, se gn ∼ t1 , gn t1 = 1.

In maniera del tutto simile al caso dei gruppi liberi si dimostra che F è il prodotto libero della famiglia {Gs | s ∈ S}.  

Esercizi 14.10. Siano Gs , s ∈ S, dei gruppi isomorfi a Z. Dimostrare che il prodotto libero della famiglia {Gs | s ∈ S} è isomorfo al gruppo libero generato da S. 14.11. Dimostrare che il prodotto libero di una famiglia di gruppi liberi è ancora un gruppo libero. 14.12. Dimostrare che il prodotto libero di due gruppi non banali è infinito.

268

14 Il teorema di Van Kampen

14.13. Dimostrare che il gruppo delle permutazioni su n elementi è un quoziente del prodotto libero di n − 1 copie di Z/2. 14.14. Dimostrare che il nucleo dell’omomorfismo naturale Z/2 ∗ Z/2 → Z/2 × Z/2 è isomorfo a Z. 14.15. Dimostrare che il prodotto libero di due gruppi coincide con il coprodotto nella categoria dei gruppi (Esercizio 10.29).

14.4 Prodotti liberi e teorema di Van Kampen Esiste una certa similitudine tra l’enunciato del Teorema 14.1 e la proprietà universale del prodotto libero di due gruppi. È quindi possibile, ed è quello che faremo in questa sezione, sostituire la proprietà universale che caratterizza il teorema di Van Kampen con una costruzione più esplicita che utilizza opportuni quozienti di un prodotto libero di gruppi. Ritorniamo alla stessa situazione della Sezione 14.1, e cioè supponiamo di avere uno spazio topologico X che sia unione di due aperti A, B tali che A, B ed A ∩ B siano connessi per archi. Sia x0 ∈ A ∩ B un punto; le inclusioni A ⊂ X, B ⊂ X, A∩B ⊂ A e A∩B ⊂ B inducono un diagramma commutativo di omomorfismi di gruppi fondamentali: π1 (A, x0 ) MMM o7 o o MMfM∗ α∗ oo o MMM oo o M& o o π1 (X, x0 ) π1 (A ∩ B, x0 ) OOO q8 OOO qqq q OOO q q g∗ OO' β∗ qqq π1 (B, x0 )

Per definizione di prodotto libero esiste un unico omomorfismo di gruppi h : π1 (A, x0 ) ∗ π1 (B, x0 ) → π1 (X, x0 ) che rende commutativo il diagramma π1 (A, x0 ) RRR RRR f∗ RRR RRR R(  h / π1 (X, x0 ) π1 (A, x0 ) ∗ π1 (B, x0 ) O 6 l l ll l l l lll g∗ lll π1 (B, x0 )

14.4 Prodotti liberi e teorema di Van Kampen

269

dove le due frecce verticali denotano le inclusioni dei gruppi nel loro prodotto libero. L’immagine di h è esattamente il sottogruppo di π1 (X, x0 ) generato dalle immagini di f∗ e g∗ . Quindi, siccome abbiamo assunto A, B, A ∩ B connessi per archi, per la prima parte del teorema di Van Kampen l’omomorfismo h è surgettivo. In generale h non è iniettivo: indichiamo con α ˆ e βˆ le composizioni di α∗ e β∗ con i morfismi di inclusione nel prodotto libero: / π1 (A, x0 ) π1 (A ∩ B, x0 ) SSS RRR SSS RRR f∗ SSS RRR SSS RRR α ˆ SS) R(  h / π1 (X, x0 ) π1 (A, x0 ) ∗ π1 (B, x0 ) O 5 6 k l k l ll βˆ kkkk l l k l k lll g∗ kkk lll kkk / π1 (B, x0 ) π1 (A ∩ B, x0 ) α∗

β∗

ˆ −1 ), al variare Il nucleo di h contiene tutti gli elementi della forma α ˆ (γ) · β(γ ˆ α = f∗ α∗ = g∗ β∗ = hβ e quindi di γ ∈ π1 (A ∩ B, x0 ). Infatti si ha hˆ −1 ˆ −1 )) = (hˆ ˆ ˆ −1 )) = h(ˆ α(γ))h(β(γ α(γ))(hβ(γ)) = 1. h(ˆ α(γ) · β(γ

Teorema 14.20 (Van Kampen). Nelle notazioni precedenti, se A, B ed A ∩ B sono connessi per archi, allora il nucleo di h è il più piccolo sottogruppo ˆ −1 ), con γ ∈ π1 (A ∩ B, x0 ). normale contenente tutti gli elementi α ˆ (γ) · β(γ Dimostrazione. Indichiamo con N ⊂ π1 (A, x0 ) ∗ π1 (B, x0 ) il sottogruppo norˆ −1 ). Abbiamo visto che N ⊂ ker(h) male generato da tutti gli elementi α ˆ (γ)β(γ e che, per costruzione vale α ˆ ≡ βˆ (mod N ). Abbiamo quindi un diagramma commutativo π1 (A, x0 ) PPP mm6 m PPP f m α∗ mmm PP∗P m m m PPP m m  m PP mmm π1 (A, x0 ) ∗ π1 (B, x0 ) h / ' π1 (A ∩ B, x0 ) π1 (X, x0 ) QQQ n7 NO n QQQ n nn QQQ QQQ ngn∗n n n QQQ β∗ n Q( nnn π1 (B, x0 ) e per il Teorema 14.1 esiste un unico omomorfismo di gruppi ϕ : π1 (X, x0 ) →

π1 (A, x0 ) ∗ π1 (B, x0 ) N

270

14 Il teorema di Van Kampen

che rende commutativo il diagramma π1 (A, x0 ) PPP m6 m m PPP f α∗ mmmm PP∗P m m m PPP mm  m PP' m mm π1 (A, x0 ) ∗ π1 (B, x0 ) o ϕ π1 (A ∩ B, x0 ) π1 (X, x0 ) QQQ NO nn7 QQQ n n QQQ nnn QQQ nnng∗ QQQ β∗ n n Q( nn π1 (B, x0 ) Per l’unicità hϕ deve essere l’identità e quindi ϕ è iniettivo. D’altra parte 1 (B,x0 ) è generato dalle immagini di π1 (A, x0 ) e π1 (B, x0 ) il gruppo π1 (A,x0 )∗π N e quindi ϕ è anche surgettivo.   Corollario 14.21. Nelle notazioni precedenti, si assuma che A, B ed A ∩ B siano connessi per archi, e sia S un insieme di generatori di π1 (A ∩ B, x0 ). Allora vale π1 (A, x0 ) ∗ π1 (B, x0 ) π1 (X, x0 ) = . ˆ −1 ) | s ∈ S ˆ α(s)β(s Dimostrazione. Denotiamo con ˆ −1 ) | s ∈ S, H = ˆ α(s)β(s

ˆ −1 ∈ H}. T = {γ ∈ π1 (A ∩ B, x0 ) | α ˆ (γ)β(γ)

Per il Teorema 14.20 basta dimostrare che T = π1 (A ∩ B, x0 ); siccome S ⊂ T , e S genera il gruppo π1 (A ∩ B, x0 ), basta dimostrare che T è un sottogruppo. Poiché T = ∅ basta dimostrare che per ogni γ, δ ∈ T vale γδ −1 ∈ T : ˆ −1 ) = α(γ)ˆ ˆ β(γ) ˆ −1 α ˆ (γδ −1 )β(δγ ˆ α(δ)−1 β(δ) ˆ −1 ) (β(γ) ˆ β(δ) ˆ −1 ) (ˆ ˆ −1 )−1 (β(γ) ˆ β(δ) ˆ −1 )−1 . = (ˆ α(γ)β(γ) α(δ)β(δ) Siccome H è un sottogruppo normale, ne segue che il membro più a destra nella precedente equazione appartiene ad H.   Corollario 14.22. Nelle notazioni precedenti, se A ∩ B è semplicemente connesso, allora π1 (X, x0 ) = π1 (A, x0 ) ∗ π1 (B, x0 ). Dimostrazione. Ovvia conseguenza del Teorema 14.20.

 

Esempio 14.23. Consideriamo lo spazio X formato da due circonferenze tangenti e calcoliamone il gruppo fondamentale. Conviene pensare ad X come ad un grafo contenuto nel piano e formato da un vertice x0 e da due lati a, b. Una scelta dei sensi di percorrenza dei due lati definisce in modo naturale due cammini chiusi e quindi due elementi del gruppo fondamentale π1 (X, x0 ).

14.4 Prodotti liberi e teorema di Van Kampen

a

x0



KS



A

271

b

B

Figura 14.2. Calcolo del gruppo fondamentale di due circonferenze tangenti usando Van Kampen

Prendiamo come A e B due piccoli intorni aperti dei lati a e b rispettivamente come nella Figura 14.2. Allora A ∩ B è contrattile, mentre sia A che B hanno il tipo di omotopia della circonferenza. Dunque π1 (X, x0 ) = π1 (A, x0 ) ∗ π1 (B, x0 ) = (Za) ∗ (Zb) ed il gruppo fondamentale di X è il gruppo libero su due generatori. Usando lo stesso ragionamento ed induzione su n si dimostra che il gruppo fondamentale dell’unione di n circonferenze con un punto in comune è isomorfo al gruppo libero su n generatori.

Esercizi 14.16. Siano X1 , X2 due spazi topologici disgiunti e connessi per archi. Denotiamo con X lo spazio topologico ottenuto congiungendo X1 e X2 con un cammino γ. γ • X1 • X2 Dimostrare che π1 (X)  π1 (X1 ) ∗ π1 (X2 ). 14.17. Calcolare il gruppo fondamentale del complementare in R3 di {(x, y, z) | y = 0, (x + 2)2 + z 2 = 1} ∪ {(x, y, z) | y = 0, (x − 2)2 + z 2 = 1}. 14.18 (♥). Calcolare il gruppo fondamentale del complementare in R3 dell’unione dei 3 semiassi coordinati {z = y = 0, x ≥ 0} ∪ {z = x = 0, y ≥ 0} ∪ {y = x = 0, z ≥ 0}. 14.19. Calcolare il gruppo fondamentale del complementare di n punti in S 2 .

272

14 Il teorema di Van Kampen

14.20. Sia K ⊂ S 2 = {(x, y, z) ∈ R3 | x2 + y 2 + z 2 = 1} un sottoinsieme chiuso tale che: 1. S 2 − K è connesso. 2. {(x, y, z) ∈ K | x > 0} è un insieme finito di n punti. Dimostrare che, se n ≥ 2 allora π1 (S 2 − K) = 0, mentre se n ≥ 3 allora π1 (S 2 − K) non è abeliano. 14.21. Sia X il complementare in R3 di una circonferenza e di n rette parallele passanti internamente ad essa. Dimostrare che: se n ≥ 1, allora π1 (X) non è un gruppo libero, mentre se n ≥ 2, allora π1 (X) non è abeliano.

14.22 (♥). Sia F il gruppo libero generato da due elementi. Dimostrare che per ogni n > 0 esiste un sottogruppo G ⊂ F di indice n che è un gruppo libero a n + 1 generatori.

14.5 Attaccamenti e grafi topologici Le nozioni di cucitura e incollamento che abbiamo trattato in maniera intuitiva nel Capitolo 1 possono essere formalizzate utilizzando i quozienti topologici secondo il seguente schema generale. Siano X, Y spazi topologici disgiunti, K ⊂ X un sottospazio e f : K → Y un’applicazione continua. Dotiamo X ∪Y della topologia dell’unione disgiunta (Esempio 3.10), ossia della topologia per la quale le inclusioni X → X ∪ Y e Y → X ∪ Y sono immersioni aperte. Definiamo un nuovo spazio topologico X ∪f Y = (X ∪ Y )/ ∼, dove ∼ è la più piccola relazione di equivalenza tale che x ∼ f (x) per ogni x ∈ K; è utile osservare che la definizione di X ∪f Y ha senso anche per K = ∅. Diremo che X ∪f Y è ottenuto attaccando X ad Y via f ; l’applicazione f viene detta funzione di attaccamento. Esempio 14.24. Nel caso in cui la funzione di attaccamento f : K → Y è surgettiva si ha X ∪f Y = X/ ≈, dove ≈ è la più piccola relazione di equivalenza in X tale che x ≈ y se x, y ∈ K e f (x) = f (y). In particolare, se Y è formato da un solo punto e K = ∅, allora X ∪f Y = X/K.

14.5 Attaccamenti e grafi topologici

273

Lemma 14.25. Nelle notazioni precedenti, se H ⊂ X e se g : H ∩ K → Y è la restrizione di f , allora l’inclusione naturale Φ : H ∪g Y → X ∪f Y è continua. Se H ∪ K = X e se H, K sono entrambi chiusi oppure entrambi aperti, allora Φ è un omeomorfismo. Se K = X allora X ∪f Y = Y . Dimostrazione. L’inclusione H ∪Y ⊂ X ∪Y induce per passaggio al quoziente l’inclusione Φ che, per la proprietà universale delle identificazioni è continua. Indichiamo con i : Y → X ∪f Y q : X → X ∪f Y, le restrizioni ad X e Y della proiezione al quoziente p : X ∪ Y → X ∪f Y . Allora i è iniettiva ed un sottoinsieme A ⊂ X ∪f Y è aperto (risp.: chiuso) se e solo se i−1 (A) e q −1 (A) sono entrambi aperti (risp.: chiusi). Indichiamo con j : Y → H ∪g Y,

r : H → H ∪g Y

le applicazioni naturali, allora per ogni sottoinsieme A ⊂ H ∪g Y vale i−1 (Φ(A)) = j −1 (A),

q −1 (Φ(A)) = r−1 (A) ∪ f −1 (j −1 (A)).

Quindi se H e K sono entrambi aperti, allora l’applicazione Φ è aperta, mentre se H e K sono entrambi chiusi, allora l’applicazione Φ è chiusa. Per concludere la dimostrazione basta osservare che se H ∪ K = X, allora Φ è bigettiva.   Gli attaccamenti commutano con le retrazioni e con le retrazioni per deformazione. Proposizione 14.26. Nelle notazioni precedenti, se K ⊂ Z ⊂ X e se Z è un retratto per deformazione di X, allora Z ∪f Y è un retratto per deformazione di X ∪f Y . Dimostrazione. Sia R : X×I → X una deformazione di X su Z e consideriamo l’applicazione continua  g(x, t) = R(x, t), per x ∈ X, g : (X ∪ Y ) × I → X ∪ Y, g(y, t) = y, per y ∈ Y. Per il Corollario 5.27, la proiezione (X ∪ Y ) × I → (X ∪f Y ) × I è una identificazione e, per la proprietà universale delle identificazioni, l’applicazione g induce per passaggio al quoziente un’applicazione continua G : (X ∪f Y ) × I → X ∪f Y che è una deformazione di X ∪f Y su Z ∪f Y .

 

274

14 Il teorema di Van Kampen

Esempio 14.27. Sempre nelle notazioni precedenti, consideriamo il caso in cui X è un quadrato meno un punto interno, mentre Z e K sono rispettivamente il perimetro ed un lato del quadrato. Tanto per fissare le idee poniamo X = [−1, 1]2 − {(0, 0)} e K = {−1} × [−1, 1]. Siccome Z è un retratto per deformazione di X, segue dalla Proposizione 14.26 che Z ∪f Y è un retratto per deformazione di X ∪f Y . O _ Y o 

• ?

• 

/ X 

Y ∼

Z •

Consideriamo adesso due numeri reali −1 < b < a < 0 ed i due aperti di X ∪f Y : A = ([−1, a[×[−1, 1]) ∪f Y, B =]b, 1] × [−1, 1]. A

B

Y •

Poiché A∩B è semplicemente connesso, possiamo applicare il Corollario 14.22 e dedurre che π1 (X ∪f Y ) = π1 (A) ∗ π1 (B) = π1 (A) ∗ Z. D’altra parte K è un retratto per deformazione di [−1, a[×[−1, 1]; quindi Y = K ∪f Y è un retratto per deformazione di A. In conclusione π1 (Z ∪f Y ) = π1 (X ∪f Y )  π1 (Y ) ∗ Z. Esempio 14.28. Dal punto di vista combinatorio, un grafo (possibilmente infinito) è il dato di un insieme di lati L, di un insieme di nodi V e di un’applicazione f : L × {0, 1} → V che ad ogni lato l associa i suoi estremi f (l, 0) e f (l, 1). Per passare dal punto di vista combinatorio al punto di vista topologico occorre far corrispondere i nodi ai punti ed i lati agli archi di curva “regolare”. Definiamo un grafo topologico come lo spazio G = (L × [0, 1]) ∪f V, dove L e V sono dotati della topologia discreta. Si noti che per ogni lato l l’applicazione naturale {l} × [0, 1] → G definisce un cammino ql : [0, 1] → G

14.5 Attaccamenti e grafi topologici

275

di estremi ql (0) = f (l, 0), ql (1) = f (l, 1) e la cui immagine coincide con la nozione intuitiva di lato che abbiamo dato nel Capitolo 1. Siccome L e V hanno la topologia discreta, ne segue che un sottoinsieme A ⊂ G è aperto (risp.: chiuso) se e solo se ql−1 (A) è aperto (risp.: chiuso) per ogni l ∈ L. In particolare, un’applicazione φ : G → X è continua se e solo se le composizioni φql sono tutte continue, e questo implica che la topologia di un grafo topologico è più fine delle sue eventuali rappresentazioni come sottoinsieme di Rn : vedi in proposito l’Esercizio 14.24. Un grafo topologico si dice un albero se è semplicemente connesso; si dice un bouquet di circonferenze se ha un solo nodo.

Esercizi 14.23. Sia G = (L × [0, 1]) ∪f V un grafo topologico (Esempio 14.28). Dimostrare che: 1. G è di Hausdorff ed ogni punto possiede un sistema fondamentale di intorni contrattili. 2. Ogni sottografo (H × [0, 1]) ∪f S, dove H ⊂ L e f (H × {0, 1}) ⊂ S ⊂ V , è chiuso in G. 3. I sottospazi V e L × { 21 } sono chiusi e discreti. Dedurne che G è compatto se e solo se V ed L sono insiemi finiti. 14.24. Trovare un esempio di grafo topologico G e di un’applicazione continua ed iniettiva G → R2 che non è un omeomorfismo sull’immagine (Sugg.: Esercizio 10.16) 14.25. Siano X, Y spazi topologici di Hausdorff, U ⊂ X un aperto e C ⊂ U , D ⊂ Y due compatti. Sia poi f : Y − D → U − C un omeomorfismo: lo spazio topologico Y ∪f (X − C) è ottenuto “trapiantando” D al posto di C. Dimostrare che Y ∪f (X − C) è di Hausdorff. Mostrare con un esempio che Y ∪f X non è di Hausdorff in generale. 14.26. Poniamo Y = S 1 = {(x, y) ∈ R2 | x2 + y 2 = 1}, X = Y × [0, 1] e K = Y × {0, 1}. Consideriamo le due funzioni f, g : K → Y f (x, y, t) = (x, y),

g(x, y, t) = (x, (−1)t y).

Mostrare che X ∪f Y è omeomorfo al toro S 1 ×S 1 , mentre X ∪g Y è omeomorfo alla bottiglia di Klein. 14.27 (K). Dimostrare che un albero topologico si retrae per deformazione ad ogni suo punto.

276

14 Il teorema di Van Kampen

14.6 Attaccamenti di celle Definizione 14.29. Siano Y uno spazio topologico e f : S n−1 → Y un’applicazione continua. Diremo che lo spazio Dn ∪f Y è ottenuto per attaccamento di una n-cella ad Y . Esempio 14.30. Ogni grafo topologico finito è ottenuto attaccando un numero finito di 1-celle (i lati) ad un insieme finito dotato della topologia discreta (i nodi). Esempio 14.31. La sfera S n è ottenuta attaccando una n-cella allo spazio formato da un solo punto. Infatti Dn ∪f {∗} coincide con il quoziente Dn /S n−1 . Esempio 14.32. Lo spazio proiettivo reale Pn (R) si può ottenere attaccando una n-cella a Pn−1 (R). Infatti se f : S n−1 → Pn−1 (R) è la proiezione naturale, allora Dn ∪f Pn−1 (R) coincide con il quoziente di Dn per la relazione che identifica punti del bordo antipodali. Esempio 14.33. Le lavorazioni di sartoria descritte nella Sezione 1.2 sono ottenute attaccando una 2-cella (la parte interna del poligono) ad un grafo finito (il quoziente del bordo del poligono per la relazione di equivalenza). Vogliamo adesso investigare gli effetti sul gruppo fondamentale dell’attaccamento di una n-cella ad uno spazio topologico connesso per archi. Tratteremo separatamente i tre casi n = 1, n = 2 e n ≥ 3. Attaccamento di 1-celle Sia Y uno spazio connesso per archi: attaccare una 1-cella ad Y significa scegliere due punti y0 , y1 (non necessariamente distinti), e prendere l’unione di Y e dell’intervallo [0, 1] con il punto 0 identificato a y0 ed il punto 1 identificato a y1 . Per ipotesi Y è connesso per archi e possiamo trovare un cammino γ : [−1, 1] → Y tale che γ(−1) = y0 , γ(1) = y1 . Consideriamo il quadrato bucato X = [−1, 1]2 − {(0, 0)}, un suo lato K = {−1} × [−1, 1] e la funzione di incollamento f : K → Y, f (−1, t) = γ(t). Abbiamo visto nell’Esempio 14.27 che X ∪f Y ha il tipo di omotopia dello spazio ottenuto attaccando ad Y una 1-cella con estremi in y0 , y1 e quindi π1 (D1 ∪f Y ) = π1 (Y ) ∗ Z. • • •

Figura 14.3. Due 1-celle attaccate alla sfera S 2

14.6 Attaccamenti di celle

277

Attaccamento di 2-celle Attacchiamo adesso ad Y una 2-cella D2 = {z ∈ C | |z| ≤ 1} con funzione di attaccamento f : S 1 → Y e denotiamo y0 = f (1). L’applicazione f definisce un cammino chiuso γ ∈ Ω(Y, y0 , y0 ),

γ(t) = f (e| (t)).

Dimostriamo che l’inclusione Y ⊂ D2 ∪f Y induce un omomorfismo surgettivo π1 (Y, y0 )  π1 (D2 ∪f Y, y0 ) il cui nucleo è il sottospazio normale generato dalla classe di omotopia di γ. Possiamo scrivere infatti D2 ∪f Y = A ∪ B, dove A = (D2 − {0}) ∪f Y,

B = D2 − S 1 .

L’aperto B è semplicemente connesso, mentre l’intersezione A ∩ B è connessa ed il suo gruppo fondamentale è isomorfo a Z. Per il Corollario 14.2 π1 (D2 ∪f Y ) =

π1 (A) , a

dove a è l’immagine in π1 (A) del generatore di π1 (A ∩ B). Basta adesso osservare che Y è un retratto per deformazione di A e che, tramite l’isomorfismo indotto π1 (Y )  π1 (A), l’elemento a corrisponde alla classe di omotopia del cammino γ. Attaccamento di 3-celle, n ≥ 3 Se attacchiamo ad Y la n-cella Dn = {x ∈ Rn | x ≤ 1} si può scrivere Dn ∪f Y = A ∪ B, dove A = (Dn − {0}) ∪f Y,

B = Dn − S n−1 .

Se n ≥ 3, allora sia B che A ∩ B sono semplicemente connessi e per il Corollario 14.3 si ha π1 (Dn ∪f Y ) = π1 (A). D’altronde, come abbiamo già osservato Y è un retratto per deformazione di A e quindi π1 (Dn ∪f Y ) = π1 (Y ).

Esercizi 14.28. Provare che se Y è uno spazio topologico di Hausdorff, allora anche Dn ∪f Y è di Hausdorff, qualunque sia la funzione di attaccamento f . 14.29. Calcolare i gruppi fondamentali dei grafi descritti alla Figura 14.4.

278

14 Il teorema di Van Kampen

?? ??  ? ?  ???  

?? ??  ? ?   ???  

?? ??  ??  ???  

5 vertici, 8 lati

5 vertici, 9 lati

5 vertici, 8 lati

Figura 14.4. Tre grafi topologici finiti contenuti in R2

14.30 (♥). Sia X un grafo connesso con v vertici, l lati e caratteristica di Eulero–Poincaré e(X) = v − l. Dimostrare che il gruppo fondamentale di X è un gruppo libero a 1 − e(X) generatori. 14.31 (Formula di Eulero per i poliedri). Sia G ⊂ S 2 un grafo finito, di l lati e v vertici, immerso nella sfera e sia F ⊂ S 2 − G un insieme non vuoto e finito di f punti distinti. Dimostrare che se S 2 − F si retrae per deformazione a G, allora v − l + f = 2. (Sugg.: S 2 − F ha il tipo di omotopia di un bouquet di f − 1 circonferenze.) 14.32 (Formula di Eulero per le ciambelle). Sia G ⊂ S 1 × S 1 un grafo finito, di l lati e v vertici, immerso nella sfera e sia F ⊂ S 1 ×S 1 −G un insieme non vuoto e finito di f punti distinti. Dimostrare che se S 1 × S 1 − F si retrae per deformazione a G, allora v − l + f = 0. (Sugg. S 1 × S 1 − F ha il tipo di omotopia di un bouquet di f + 1 circonferenze.) 14.33 (K). Siano L ⊂ P2 (R) una retta proiettiva ed X uno spazio topologico connesso il cui gruppo fondamentale è finito ciclico di ordine dispari. Dimostrare che se f : L → X induce un omomorfismo surgettivo tra i rispettivi gruppi fondamentali, allora P2 (R) ∪f X è semplicemente connesso. 14.34 (K, ♥). Usare la teoria dei rivestimenti ed il teorema di Van Kampen per dimostrare che il nucleo dell’omomorfismo naturale Z/3 ∗ Z/2 → Z/3 × Z/2 è un gruppo libero a due generatori. Più precisamente, se a è il generatore di Z/2 e b è il generatore di Z/3, allora il nucleo è il gruppo libero generato da abab2 , ab2 ab.

15 Complementi di topologia algebrica 

15.1 Trasformazioni naturali ed equivalenza di categorie Tra i concetti maggiormente interessanti in teoria delle categorie troviamo quello di trasformazione naturale e quello di equivalenza di categorie; molta della matematica degli ultimi 60 anni non potrebbe esistere senza queste due nozioni. Citando Mac Lane [14], si può dire che i funtori sono stati introdotti per definire le trasformazioni naturali e le categorie sono state introdotte per definire i funtori. Siano A, B due categorie e F, G : A → B due funtori. Dare una trasformazione naturale γ : F → G, significa dare, per ogni oggetto X di A, un morfismo γX ∈ MorB (F (X), G(X)) tale che, per ogni morfismo f ∈ MorA (X, Y ) si abbia un diagramma commutativo F (f )

F (X) ⏐ −→ F (Y ⏐ ) ⏐γ ⏐γ  X  Y G(f )

G(X) −→ G(Y ). Diremo inoltre che una trasformazione naturale γ : F → G è un isomorfismo di funtori se γX è un isomorfismo nella categoria B per ogni X ∈ A. Esempio 15.1. Per ogni funtore F : A → B si definisce l’identità su F come la trasformazione naturale 1F : F → F tale che (1F )X = 1F (X) per ogni X ∈ A. Esempio 15.2. Siano X, Y due insiemi della stessa cardinalità. Allora i due funtori F, G : Set → Set,

F (Z) = Z × X,

G(Z) = Z × Y,

sono isomorfi. Se f : X → Y è un’applicazione bigettiva, allora la trasformazione naturale γ : F → G, γZ (z, x) = (z, f (x)), è un isomorfismo di funtori. M. Manetti: Topologia, 2a edizione, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 78, DOI: 10.1007/978-88-470-5662-6_15, © Springer-Verlag Italia 2014

280

15 Complementi di topologia algebrica 

Esempio 15.3. Dato un qualunque spazio toplogico X possiamo definire una categoria π(X) che ha come oggetti i punti di X e come morfismi Morπ(X) (x, y) =

Ω(X, x, y) . omotopia di cammini

La composizione di morfismi è data dal prodotto di giunzione: ogni cammino α è quindi invertibile come morfismo nella categoria π(X) con inverso i(α). Per ogni x ∈ X vale π1 (X, x) = Morπ(X) (x, x) ed ogni applicazione continua f : X → Y determina in maniera naturale un funtore f∗ : π(X) → π(Y ). Siano adesso X, Y spazi topologici e F : X × I → Y un’omotopia tra f e g. Esiste allora un isomorfismo di funtori γ : f∗ → g∗ , dove per ogni punto x ∈ X, il morfismo γx ∈ Morπ(Y ) (f (x), g(x)) è la classe di omotopia del cammino t → F (x, t). Osservazione 15.4. La categoria π(X) definita nell’Esempio 15.3 possiede le seguenti proprietà: 1. La classe degli oggetti è un insieme. 2. Ogni morfismo è invertibile, e quindi un isomorfismo. In generale, una categoria che soddisfa le precedenti due condizioni si dice un gruppoide. La categoria π(X) viene detta gruppoide fondamentale dello spazio topologico X. Le trasformazioni naturali si possono comporre: se γ : F → G e δ : G → H sono due trasformazioni naturali, la loro composizione δγ : F → H è definita dalla regola δγX = δX γX , per ogni X ∈ A. A volte le trasformazioni naturali vengono dette morfismi di funtori. Lemma 15.5. Siano F, G : A → B due funtori. Una trasformazione naturale γ : F → G è un isomorfismo di funtori se e solo se esiste una trasformazione naurale δ : G → F tale che δγ = 1F , γδ = 1G . Dimostrazione. Se esiste δ : G → F tale che δγ = 1F e γδ = 1G , allora per ogni X ∈ A si ha γX δX = 1G(X) , δX γX = 1F (X) e quindi γX è un isomorfismo. −1 Viceversa se γ è un isomorfismo basta definire δX = γX per ogni oggetto X ∈ A.   Definizione 15.6. Un funtore F : A → B si dice: 1. Pienamente fedele se per ogni coppia di oggetti X, Y ∈ A l’applicazione F : MorA (X, Y ) → MorB (F (X), F (Y )) è bigettiva. 2. Essenzialmente surgettivo se ogni oggetto Z ∈ B è isomorfo a F (X) per qualche X ∈ A.

15.1 Trasformazioni naturali ed equivalenza di categorie

281

Esempio 15.7. Sia f : X → Y un’applicazione continua. Allora il funtore f∗ : π(X) → π(Y ) è essenzialmente surgettivo se e solo se l’applicazione f∗ : π0 (X) → π0 (Y ) è surgettiva. Il funtore f∗ è pienamente fedele se e solo se f∗ : π0 (X) → π0 (Y ) è iniettiva e se per ogni x ∈ X l’applicazione f∗ : π1 (X, x) → π1 (Y, f (x)) è bigettiva. Definizione 15.8. Un funtore F : A → B si dice una equivalenza di categorie se esiste un funtore G : B → A tale che le composizioni GF e F G sono isomorfe ai funtori identità (in A e B rispettivamente). Due categorie si dicono equivalenti se esiste una equivalenza tra di loro. Esempio 15.9. Se due spazi topologici X, Y hanno lo stesso tipo di omotopia, allora i loro gruppoidi fondamentali π(X), π(Y ) sono equivalenti come categorie. Teorema 15.10. Un funtore F : A → B è una equivalenza di categorie se e solo se è pienamente fedele ed essenzialmente surgettivo. Dimostrazione. Supponiamo che F : A → B sia un’equivalenza di categorie. Per definizione, esistono un funtore G : B → A e due isomorfismi di funtori γ : 1A → GF , δ : 1B → F G. Sia Z ∈ B un oggetto, allora δZ : Z → F G(Z) è un isomorfismo: questo prova che F è essenzialmente surgettivo. Dati due −1 oggetti X, Y ∈ A, per ogni morfismo f : X → Y vale GF (f ) = γY f γX . In particolare l’applicazione GF : MorA (X, Y ) → MorA (GF (X), GF (Y )) è bigettiva, ossia GF è pienamente fedele. Analogamente si dimostra che anche F G è pienamente fedele e lo stesso argomento utilizzato nel Lemma 11.21 mostra che F e G sono pienamente fedeli. Supponiamo adesso che F sia pienamente fedele ed essenzialmente surgettivo. Per ogni oggetto Z ∈ B scegliamo1 un oggetto G(Z) ∈ A ed un isomorfismo δZ : Z → F (G(Z)). Siccome F è pienamente fedele, dato un morfismo h : Z → W nella categoria B è ben definito un morfismo G(h) : G(Z) → G(W ) −1 tale che F G(h) = δW hδZ . Lasciamo al lettore il semplice compito di verificare che G è un funtore da B ad A e che δ : 1B → F G è un isomorfismo di funtori. Per ogni X ∈ A sia γX : X → GF (X) l’unico isomorfismo tale che F (γX ) = δF (X) : F (X) → F GF (X); la piena fedeltà di F implica che γ è un isomorfismo di funtori.   Esempio 15.11. Il teorema di esistenza e unicità di rivestimenti con monodromia assegnata (Teorema 13.35) può essere interpretato come una equivalenza di categorie. Sia X uno spazio topologico connesso e semilocalmente semplicemente connesso e sia x0 ∈ X un punto fissato. Consideriamo la categoria RivX dei 1

Qui abbiamo bisogno dell’assioma della scelta per le classi.

282

15 Complementi di topologia algebrica 

rivestimenti di X: gli oggetti di RivX sono i rivestimenti di X ed i morfismi in RivX sono i morfismi di rivestimenti. Indichiamo con B la categoria i cui oggetti sono le coppie (T, •), dove T è un insieme e • : T × π1 (X, x0 ) → T è un’azione destra. Una freccia f : (T, •) → (Tˆ, ˆ•) definisce un morfismo in B se f : T → Tˆ è un’applicazione di insiemi tale che f (t • a) = f (t)ˆ•a per ogni t ∈ T ed ogni a ∈ π1 (X, x0 ). Possiamo riscrivere il Teorema 13.35 in un enunciato completamente equivalente dicendo che il funtore RivX → B,

Rivestimento → Monodromia,

è una equivalenza di categorie.

Esercizi 15.1. Sia F : A → B un funtore pienamente fedele. Dimostrare che F è essenzialmente iniettivo, ossia che se X, Y ∈ A e F (X) è isomorfo a F (Y ), allora X è isomorfo ad Y . 15.2 (Lemma di Yoneda). Sia A una categoria. Per ogni oggetto X ∈ A denotiamo con hX il funtore la cui funzione sugli oggetti è hX : A → Set,

hX (Y ) = MorA (X, Y ).

e hX (f ) = composizione con f , per f morfismo in A. Precisare meglio la funzione sui morfismi di hX e verificare che si tratta di un funtore. Dato un funtore K : A → Set denotiamo con Nat(hX , K) l’insieme delle trasformazioni naturali γ : hX → K. Dimostrare che per ogni oggetto X ∈ A l’applicazione Nat(hX , K) → K(X), γ → γX (1X ), è bigettiva. Dimostrare inoltre che hX è isomorfo ad hY se e solo se X è isomorfo ad Y . 15.3. Sia VectK la categoria degli spazi vettoriali sul campo K e denotiamo con D : VectK → VectK il funtore che ad ogni spazio vettoriale V associa il suo doppio duale D(V ) = V ∗∗ . Dimostrare che le inclusioni naturali iV : V → V ∗∗ definiscono una trasformazione naturale tra il funtore identità ed il funtore D. 15.4. Interpretare il teorema di Van Kampen (Teorema 14.1) come un’equivalenza di categorie.

15.2 Automorfismi interni ed esterni

283

15.2 Automorfismi interni ed esterni Per ogni gruppo G indichiamo con Aut(G) l’insieme dei suoi automorfismi, ossia l’insieme degli isomorfismi di G in sé. Con il prodotto di composizione Aut(G) è un gruppo ed è un sottogruppo del gruppo di tutte le permutazioni di G. Esempio 15.12. Il gruppo Aut(Zn ) è isomorfo al gruppo delle matrici n × n a coefficienti interi e determinante ±1. Dato un gruppo G, esiste un omomorfismo di gruppi Inn : G → Aut(G),

g → Inng ,

dove Inng è la coniugazione per g, ossia Inng (a) = gag −1 per ogni a ∈ G. Infatti, per ogni g ∈ G, l’applicazione a → gag −1 è un automorfismo di G. Definizione 15.13. Gli automorfismi di G della forma Inng si dicono automorfismi interni; gli automorfismi di G che non sono interni si dicono esterni. Il sottogruppo Inn(G) ⊂ Aut(G), immagine dell’omomorfismo Inn, viene detto gruppo degli automorfismi interni di G. Il sottogruppo Inn(G) ⊂ Aut(G) è normale: sia infatti φ un automorfismo di G, allora per ogni g, a ∈ G si ha φ Inng φ−1 (a) = φ(gφ−1 (a)g −1 ) = φ(g)aφ(g)−1 = Innφ(g) (a) e quindi in Aut(G) vale la relazione φ Inng φ−1 = Innφ(g) . Il relativo gruppo quoziente viene indicato con il simbolo Out(G) =

Aut(G) . Inn(G)

Nella lingua inglese, gli automorfismi interni ed esterni vengono chiamati rispettivamente inner and outer automorphisms.

Esercizi 15.5. Se G è abeliano, allora Inn(G) = 0. Più in generale, dimostrare che il nucleo dell omomorfismo Inn è uguale al centro di G. Ricordiamo che il centro di un gruppo G è l’insieme {a ∈ G | ab = ba ∀b ∈ G} degli elementi che commutano con tutti gli altri. 15.6. Sia X uno spazio topologico connesso per archi e sia x ∈ X un punto base. Mostrare che è ben definito un omomorfismo naturale di gruppi r : Omeo(X) → Out(π1 (X, x)). Mostrare inoltre che gli omeomorfismi omotopi all’identità sono contenuti nel nucleo di r.

284

15 Complementi di topologia algebrica 

15.7. Un sottogruppo H di un gruppo G si dice caratteristico se φ(H) = H per ogni φ ∈ Aut(G). Dimostrare che: 1. Ogni sottogruppo caratteristico è normale. 2. Il centro di un gruppo è un sottogruppo caratteristico. 3. Il sottogruppo G dei commutatori di G, ossia il sottogruppo generato da tutti gli elementi aba−1 b−1 , al variare di a, b ∈ G, è un sottogruppo caratteristico. 4. Per ogni gruppo G esiste un omomorfismo naturale Out(G) → Aut(G/G ), dove G è il sottogruppo dei commutatori di G.

15.3 Insieme di Cantor e curve di Peano Indichiamo con X lo spazio di tutte le successioni a : N → {0, 1}. Possiamo pensare X come il prodotto di N copie dello spazio discreto {0, 1} e quindi, con la topologia prodotto, risulta essere uno spazio topologico compatto di Hausdorff. Data una successione a ∈ X, gli insiemi U (N, a) = {b ∈ X | bn = an per ogni n ≤ N },

N ∈ N,

formano un sistema fondamentale di intorni di a. In particolare, lo spazio X soddisfa il primo assioma di numerabilità e quindi è anche compatto per successioni. Lemma 15.14. Nelle notazioni precedenti: 1. Per ogni intero positivo n e per ogni numero reale r > 1 l’applicazione f : X → Rn ,

f (a) =

∞  1 (akn+1 , akn+2 , . . . , akn+n ), rk

k=0

è continua. 2. Per ogni intero positivo n l’applicazione p : X → [0, 1]n ,

p(a) =

∞  k=0

1 (akn+1 , akn+2 , . . . , akn+n ), 2k+1

è continua e surgettiva. 3. L’applicazione g : X → [0, 1],

g(a) =

∞  2 ak , 3k

k=1

è continua e iniettiva.

15.3 Insieme di Cantor e curve di Peano

Dimostrazione. Consideriamo su Rn la distanza d(x, y) = b ∈ U (nN, a), allora vale d(f (b), f (a)) ≤

 i

285

|xi − yi |. Se

∞  nr n . = N rk r (r − 1)

k=N

La surgettività di p segue dal fatto che ogninumero reale x ∈ [0, 1] può essere scritto (in maniera non unica) come x = k>0 ak /2k per una opportuna successione ak a valori in {0, 1}. Siano a, b ∈ X due successioni distinte e sia N il massimo intero tale che ai = bi per ogni i < N . Supponiamo per fissare le idee che aN = 0 e bN = 1. Allora vale g(b) − g(a) =

 2  2 2 2 1 + (bk − ak ) ≥ N − = N > 0. N k 3 3 3 3k 3 k>N

 

k>N

Definizione 15.15. L’immagine C = g(X) ⊂ [0, 1] dell’applicazione g definita nel Lemma 15.14 viene detta insieme di Cantor. In altri termini, l’insieme di Cantor è l’insieme dei numeri compresi tra 0 e 1, nel cui sviluppo decimale in base 3 non compare mai la cifra 1. Poiché X è compatto e [0, 1] di Hausdorff, segue dal Corollario 4.52 che C è un sottoinsieme chiuso dell’intervallo [0, 1]. È possibile dimostrare direttamente che C è chiuso senza usare la compattezza di X. Per ogni intero positivo n denotiamo con Un ⊂ [0, 1] il sottoinsieme formato dai 2n numeri del tipo n  1 ak , 3k

ak = 0, 2 .

k=1

Due punti distinti di Un distano tra loro almeno 2 · 3−n e siccome vale  k −n , ne segue che per ogni x ∈ C e per ogni n > 0 vi è un k>n 2/3 = 3 unico xn ∈ Un tale che xn ≤ x ≤ xn + 3−n . Viceversa, se x ∈ [0, 1] − C, considerando il suo sviluppo decimale in base 3 x=

 bk , 3k

bk = 0, 1, 2,

k>0

n ed il massimo intero n tale che xn = k=1 3bkk ∈ Un , si ha che bn+1 = 1 e x ∈ [xn + 2 · 3−n−1 , xn + 3−n ]. Dunque C = ∩n Cn , dove ogni Cn è il chiuso  Cn = [x, x + 3−n ] . x∈Un

Notiamo inoltre che C è la chiusura dell’insieme numerabile ∪n Un .

286

15 Complementi di topologia algebrica 

Teorema 15.16 (Curve di Peano). Per ogni intero n > 0 esiste un’applicazione continua e surgettiva [0, 1] → [0, 1]n . Dimostrazione. Siano p e g le applicazioni introdotte nel Lemma 15.14. Siccome X è compatto e C = g(X) ⊂ [0, 1] è di Hausdorff, l’applicazione bigettiva g : X → C è un omeomorfismo e quindi l’applicazione pg −1 : C → [0, 1]n è continua e surgettiva. Il teorema di estensione di Tietze (Teorema 8.30), applicato alle componenti di pg −1 , ci assicura che pg −1 si estende ad una applicazione continua [0, 1] → [0, 1]n .   Per un altro approccio alle curve di Peano, basato sulla completezza dello spazio metrico C(I, I n ), rimandiamo il lettore a [18, Thm. 44.1].

Esercizi 15.8. Per ogni numero reale x ∈ R definiamo per ricorrenza la successione {pn (x)} ponendo p1 (x) = x e   3  3  pn+1 (x) = − 3pn (x) −  . 2 2 Denotiamo poi con A l’insieme dei punti x tali che la successione pn (x) è limitata. Dimostrare: 1. A è un sottoinsieme chiuso  di [0, 1]. +∞ 2. x ∈ A se e solo se vale x = n=1 a3nn dove an è uguale a 0 o 2 per ogni n. 3. A coincide con l’insieme di Cantor C. 15.9. Usare l’omeomorfismo S n  I n /∂I n per dedurre che per ogni n > 0 esiste un cammino chiuso e surgettivo α : I → S n .

15.4 Topologia di SO(3, R) In questa sezione ci occuperemo del gruppo topologico SO(3, R), sulla cui importanza, specialmente in meccanica dei solidi ed in fisica delle particelle, non abbiamo nulla da aggiungere. Sappiamo già che SO(3, R) è compatto, connesso e di Hausdorff. A breve mostreremo che è anche una varietà topologica di dimensione 3 e ne calcoleremo il gruppo fondamentale. Ogni A ∈ SO(3, R), A = Id, è una rotazione attorno ad una retta di R3 e quindi è ben definita un’applicazione r : SO(3, R) − {Id} −→ P2 (R),

r(A) = asse di rotazione di A.

Per ogni retta L ⊂ R3 , la simmetria sL rispetto ad essa appartiene a SO(3, R) ed è quindi definita un’applicazione s : P2 (R) −→ SO(3, R) − {Id}, tale che rs = Id.

L → sL

15.4 Topologia di SO(3, R)

287

Proposizione 15.17. Nelle notazioni precedenti le applicazioni r ed s sono continue. Inoltre non esiste alcuna applicazione continua f : SO(3, R) − {Id} −→ R3 − {0} tale che Af (A) = f (A) per ogni A ∈ SO(3, R), A = Id. Dimostrazione. Consideriamo lo spazio Z = {(A, x) ∈ (SO(3, R) − {Id}) × S 2 | Ax = x} e siano p : Z → SO(3, R) − {Id}, q : Z → S 2 → P2 (R) le proiezioni. Per ogni sottoinsieme chiuso C ⊂ P2 (R) vale r−1 (C) = p(q −1 (C)): siccome S 2 è compatto e Z è chiuso nel prodotto, l’applicazione p è chiusa e quindi anche r−1 (C) è chiuso. Per ogni A ∈ SO(3, R) possiamo trovare una base ortonormale rispetto alla quale A si rappresenta con una matrice del tipo ⎞ ⎛ 1 0 0 ⎝ 0 cos(α) − sin(α) ⎠ 0 sin(α) cos(α) e quindi A appartiene all’immagine di s se e solo se traccia(A) = −1. Dunque l’immagine di s è il compatto W = {A ∈ SO(3, R) | traccia(A) = −1} e s è l’inversa dell’applicazione bigettiva r|W : W → P2 (R). Dato che W è compatto e P2 (R) è di Hausdorff, l’applicazione r|W è un omeomorfismo. Supponiamo che esista un’applicazione f come nell’enunciato; a meno di dividere per f (A) non è restrittivo supporre f : SO(3, R) − {Id} → S 2 . Ma allora la composizione f s sarebbe una sezione del rivestimento non banale S 2 → P2 (R).   Teorema 15.18. Il gruppo topologico SO(3, R) è omeomorfo allo spazio proiettivo P3 (R). L’applicazione r : SO(3, R) − {Id} → P2 (R) è un’equivalenza omotopica. Dimostrazione. Sia o ∈ P3 (R), allora P3 (R) − {o} si retrae per deformazione a qualunque piano proiettivo non passante per o e quindi, per dimostrare il teorema, basta trovare un omeomorfismo SO(3, R) ∼ = P3 (R), che fa corrispondere il sottospazio W delle simmetrie ad un piano proiettivo. Definiamo un’applicazione surgettiva f : S 2 × R → SO(3, R) nel modo seguente: consideriamo un vettore unitario x ∈ S 2 , apriamo la mano destra ed infiliamola in R3 con il pollice sovrapposto ad x, definiamo f (x, α) come la rotazione di angolo α attorno alla retta Rx nel senso di rotazione che si ottiene chiudendo la mano a pugno. Poiché f (x, α) = f (−x, 2π − α) = f (x, 2π + α), la restrizione f : S 2 × [0, π] → SO(3, R)

288

15 Complementi di topologia algebrica 

è continua e surgettiva; siccome S 2 × [0, π] è compatto e SO(3, R) di Hausdorff, l’applicazione f è una identificazione chiusa. Si dimostra facilmente che f (x, α) = f (y, β) se e solo se α = β e x = y, oppure α = β = 0, oppure α = β = π e x = −y. Notiamo in proposito che f (x, 0) è l’identità per ogni x ∈ S 2 , mentre f (x, π) è la simmetria rispetto al sottospazio vettoriale generato da x. Consideriamo poi l’applicazione g : S 2 × [0, π] → P3 (R),

g((x1 , x2 , x3 ), α) = [αx1 , αx2 , αx3 , π − α].

È facile dimostrare che g è surgettiva e che g(x) = g(y) se e solo se f (x) = f (y). Per la proprietà universale delle identificazioni esiste quindi un omeomorfismo φ : SO(3, R) → P3 (R) tale che g = φf . Vale inoltre g(Id) = [0, 0, 0, 1] e g(W ) = f ({α = π}) = {[x1 , x2 , x3 , 0]}.   Il gruppo PSU(n, C) è per definizione il quoziente di SU(n, C) per il sottogruppo ciclico finito dei multipli dell’identità a determinante 1: in particolare PSU(2, C) = SU(2,C) ±Id . Con la topologia quoziente, i gruppi PSU(n, C) sono gruppi topologici compatti, connessi e di Hausdorff. Proposizione 15.19. Esiste un isomorfismo di gruppi PSU(2, C)  SO(3, R) che è anche un omeomorfismo. Dimostrazione. Basta dimostrare che esiste un omomorfismo di gruppi continuo e surgettivo ρ : SU(2, C) → SO(3, R) tale che ker ρ = {±Id}. Dato che SU(2, C) e SO(3, R) sono spazi compatti di Hausdorff, la fattorizzazione al quoziente SU(2,C) → SO(3, R) risulterà essere un omeomorfismo. ±Id Per definire ρ introduciamo lo spazio vettoriale reale H ⊂ M (2, 2, C) delle matrici Hermitiane a traccia nulla. Esiste un isomorfismo naturale di spazi vettoriali reali   t2 + it3 t1 3 φ : R → H, . φ(t1 , t2 , t3 ) = t2 − it3 −t1 Tramite l’isomorfismo φ, la forma bilineare H × H → R,

(A, B) →

1 traccia(AB), 2

coincide con il prodotto scalare canonico in R3 . Inoltre, per ogni U ∈ SU(2, C) l’applicazione ρ(U ) : H → H, ρ(U )(A) = U AU −1 è un’isometria e quindi, tramite φ definisce un omomorfismo di gruppi ρ : SU(2, C) → O(3, R). Dal punto di vista topologico l’applicazione ρ è continua e quindi l’immagine è contenuta nella componente connessa dell’identità che è uguale a SO(3, R). Mostriamo adesso che ρ : SU(2, C) → SO(3, R)

15.4 Topologia di SO(3, R)

289

è un omomorfismo surgettivo che ha come nucleo il sottogruppo {±Id}. Abbiamo osservato nell’Esempio 1.16 che le matrici del gruppo speciale unitario SU(2, C) sono tutte e sole quelle della forma   a −b , con a, b ∈ C tali che |a|2 + |b|2 = 1. b a Per semplicità notazionale denotiamo con   a −b ρ(a, b) = ρ b a e con p : SO(3, R) → S 2 la proiezione sulla prima colonna. Allora, dalla formula       a −b |a|2 − |b|2 a b 2ab 1 0 = , 0 −1 b a |b|2 − |a|2 −b a 2ab segue che pρ(a, b) = (1, 0, 0) se e solo se b = 0 e, con un pizzico di trigonometria, otteniamo pρ(cos(α), sin(α)eiβ ) = (cos(2α), sin(2α) cos(β), sin(2α) sin(β)). In particolare, la composizione pρ è surgettiva e se ρ(a, b) = Id, allora b = 0. Un facile conto che omettiamo mostra inoltre che ⎞ ⎛ 1 0 0 ρ(eiα , 0) = ⎝ 0 cos(2α) − sin(2α) ⎠ 0 sin(2α) cos(2α) e quindi ρ(a, b) = Id se e solo se b = 0 e a = ±1. Adesso è facile provare che ρ è surgettiva, sia infatti A ∈ SO(3, R) e scegliamo una matrice U ∈ SU(2, C) tale che p(A) = pρ(U ). Se poniamo B = ρ(U )−1 A, allora p(B) = (1, 0, 0) e quindi B = ρ(eiα , 0) per qualche α.   La Proposizione 15.19 può essere utilizzata per un’altra dimostrazione dell’omeomorfismo SO(3, R) ∼ = P3 (R). Infatti SU(2, C) è omeomorfo alla sfera S 3 e la moltiplicazione in SU(2, C) per la matrice −Id corrisponde all’involuzione antipodale in S 3 . Ne deduciamo che il gruppo PSU(2, C) = SU(2,C) ±Id , dotato 3 della topologia quoziente, è omeomorfo allo spazio proiettivo P (R).

Esercizi 15.10. Se sapete cosa sono gli angoli di Eulero, utilizzateli per una dimostrazione alternativa della surgettività di ρ : SU(2, C) → SO(3, R).

290

15 Complementi di topologia algebrica 

15.11. Sia G ⊂ SO(3, R) il sottogruppo delle matrici che hanno come prima riga il vettore (1, 0, 0). Dimostrare che G non è un retratto di SO(3, R). 15.12. Dimostrare ogni omomorfismo continuo di gruppi SO(3, R) → S 1 è banale. 15.13. Descrivere, per ogni n > 2 un omomorfismo continuo ed iniettivo di gruppi topologici PSU(n, C) → SO(n2 − 1, R). 15.14 (K). Sia n un intero positivo e denotiamo con p : SO(n + 1, R) → S n la proiezione sulla prima colonna, ossia p(A) = Ae1 , dove e1 è il primo vettore della base canonica. Per ogni α ∈ Rn+1 , α = 0, denotiamo con Sα ∈ SO(n + 1, R) la riflessione rispetto all’iperpiano perpendicolare ad α: in formule Sα (x) = x − 2

(x · α) α. (α · α)

Si noti che se u, v ∈ S n , allora Su−v (u) = v. 1. Dimostrare che per ogni u ∈ S n esiste un’applicazione continua s : S n − {u} → SO(n + 1, R) tale che ps(v) = v per ogni v ∈ S n − {u}. 2. Dimostrare che per ogni u ∈ S n esiste un omeomorfismo φ : (S n − {u}) × SO(n, R) → p−1 (S n − {u}) tale che pφ è uguale alla proiezione sul primo fattore. 3. Usare il Corollario 14.3 per dimostrare che π1 (SO(n, R)) = Z/2 per ogni n ≥ 3. 4. Ripetere il ragionamento precedente nel caso complesso per dimostrare che SU(n, C) è semplicemente connesso per ogni n ≥ 2. 15.15 (Trasformata di Cayley). Siano A, B due matrici quadrate con B invertibile. Provare che se AB = BA allora vale anche AB −1 = B −1 A; scriveremo in tal caso A = AB −1 = B −1 A. B Sia n un intero positivo fissato e denotiamo con U ⊂ Mn,n (R) il sottoinsieme delle matrici A tali che det(I + A) = 0. Dimostrare che per ogni A ∈ U vale I−A I+A ∈ U e che l’applicazione f : U → U,

f (A) =

I −A I +A

15.5 La sfera impettinabile

291

è un omeomorfismo involutivo (ossia f 2 = Id). Dimostrare inoltre che: 1. La matrice f (A) è ortogonale se e solo se A è antisimmetrica. 2. Se una matrice ortogonale E appartiene ad U , allora det(E) = 1. Dedurre che il gruppo topologico SO(n, R) è una varietà topologica di dimensione n(n − 1)/2. 15.16 (K, ♥). Siano n ≥ 3 e D ⊂ SO(n, R) × SO(n, R) il sottoinsieme delle coppie (A, B) ∈ D tali che matrici A, B generano un sottogruppo libero. Dimostrare che D è denso.

15.5 La sfera impettinabile Definizione 15.20. Diremo che una sfera S n è pettinabile se esiste un’applicazione continua f : S n → S n tale che f (x) è ortogonale a x per ogni x ∈ Sn. Il termine “pettinabilità” appare chiaro quando consideriamo ogni punto x ∈ S n come un vettore normale uscente alla sfera nel punto x ed ogni vettore ortogonale ad x come un vettore tangente alla sfera nel punto x. Esempio 15.21. Se n = 2m − 1 è dispari, allora S n è pettinabile. Infatti basta considerare S 2m−1 ⊂ Cm e definire l’applicazione f come la moltiplicazione per l’unità immaginaria. Se n è pari, allora S n non è pettinabile; come al solito, per n > 2 dobbiamo rimandare il lettore ai corsi di topologia algebrica (è una delle prime applicazioni dell’omologia). Teorema 15.22. La sfera S 2 non è pettinabile. Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che esista f : S 2 → S 2 continua e tale che (x · f (x)) = 0 per ogni x ∈ S 2 . Consideriamo l’applicazione continua g : S2 → S2,

g(x) = x ∧ f (x),

dove ∧ indica il prodotto esterno: ⎞ ⎛ ⎞ ⎛ ⎞ ⎛  a bc − cb a ⎝ b ⎠ ∧ ⎝ b ⎠ = ⎝ca − ac ⎠ . c c ab − ba I vettori di norma 1 ed ortogonali ad x sono tutti e soli quelli del tipo cos(α)f (x) + sin(α)g(x). Interpretando x, f (x) e g(x) come vettori colonna, possiamo definire un’applicazione continua e bigettiva F : S 2 ×S 1 → SO(3, R): F (x, eiα ) = (x, cos(α)f (x) + sin(α)g(x), − sin(α)f (x) + cos(α)g(x)).

292

15 Complementi di topologia algebrica 

Siccome dominio e codominio sono compatti di Hausdorff, ne segue che F è un omeomorfismo. Questo non è possibile perché il gruppo fondamentale di SO(3, R) è isomorfo a Z/2, mentre il gruppo fondamentale di S 2 × S 1 è isomorfo a Z.   Corollario 15.23. Sia g : S 2 → R3 un’applicazione continua. Allora esiste un punto x ∈ S 2 tale che g(x) è un multiplo scalare di x. Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che per ogni x ∈ S 2 il vettore g(x) sia linearmente indipendente con x. Possiamo allora effettuare l’ortonormalizzazione g(x) − (g(x) · x)x f : S2 → S2, f (x) = g(x) − (g(x) · x)x che contraddice la non pettinabilità di S 2 .

 

Una versione divulgativa del Corollario 15.23 afferma che esiste almeno un punto sulla superfice terrestre in cui il vento soffia in direzione perpendicolare al suolo.

Esercizi 15.17 (♥). Dimostrare che ogni applicazione continua P2 (R) → P2 (R) possiede un punto fisso. 15.18. Dimostrare che se una sfera S n è pettinabile allora l’applicazione antipodale in S n è omotopa all’identità. 15.19 (K). Sia p : SO(3, R) → S 2 l’applicazione che ad ogni matrice associa il primo vettore colonna. Dimostrare che per ogni cammino α : I → S 2 esiste un cammino β : I → SO(3, R) tale che pβ = α.

15.6 Funzioni polinomiali complesse Lemma 15.24. Siano U ⊂ C un intorno di 0 e f : U → C un’applicazione definita dalla formula f (z) = z n g(z), dove n è un intero positivo e g : U → C è un’applicazione continua tale che g(0) = 0. Allora l’immagine f (U ) è un intorno di 0. Dimostrazione. Non è restrittivo supporre che U sia una palla chiusa di centro 0, ossia U = {z | |z| ≤ r}, r > 0; in particolare il cammino t → re| (t) è omotopicamente banale in U . A meno di restringere U possiamo supporre che la parte reale di g(z) g(r) sia maggiore di 1/2 per ogni z ∈ U e a meno di moltiplicazione per una costante possiamo supporre g(r) = 1: dimostriamo

15.7 La dimostrazione di Grothendieck del teorema di Van Kampen

293

n

che f (U ) contiene la palla aperta di centro 0 e raggio r2 . Supponiamo per n assurdo che esista un punto p ∈ C tale che |p| < r2 e p ∈ f (U ). Allora si ha f (U ) ⊂ C − {p} ed il cammino α(t) = f (re| (t)) è omotopicamente banale in C − {p}. Dimostriamo adesso che il cammino α è omotopicamente equivalente al cammino β(t) = (re| (t))n , dove l’omotopia è data dalla combinazione convessa F (t, s) = sα(t) + (1 − s)β(t). Per verificare che p non appartiene all’immagine di F scriviamo F (t, s) = (re| (t))n (sg(re| (t)) + (1 − s)) : per ogni s ∈ [0, 1], il numero complesso sg(re| (t)) + (1 − s) ha parte reale maggiore od uguale ad 1/2 e quindi il valore assoluto di F (t, s) è sempre maggiore od uguale a rn /2. Osserviamo adesso che la classe di omotopia di β in π1 (C − {p}, f (r)) è non banale, in quanto potenza n-esima del generatore. Abbiamo trovato una contraddizione.   Teorema 15.25. Sia f (z) ∈ C[z] un polinomio a coefficienti complessi di grado positivo. Allora l’applicazione associata f : C → C è continua, aperta e chiusa. Dimostrazione. La continuità è chiara e l’apertura segue immediatamente dal Lemma 15.24. Per dimostrare la chiusura osserviamo che f si estende ad un’applicazione continua fˆ: P1 (C) → P1 (C) ponendo fˆ(∞) = ∞. Siccome C = fˆ−1 (C) e fˆ è un’applicazione chiusa (da compatto a Hausdorff), segue dalla formula di proiezione che anche f è un’applicazione chiusa.   Corollario 15.26. Ogni polinomio di grado positivo a coefficienti complessi possiede radici complesse. Dimostrazione. Sia f polinomio di grado positivo. Per il teorema precedente l’applicazione f : C → C è aperta e chiusa. In particolare f (C) è un sottoinsieme aperto e chiuso e quindi, siccome C è connesso, f è surgettiva.  

15.7 La dimostrazione di Grothendieck del teorema di Van Kampen Vogliamo adesso dimostrare una versione leggermente più debole del Teorema di Van Kampen 14.1 utilizzando la teoria dei rivestimenti. Fonti autorevoli [7, 8] indicano che tale dimostrazione si deve a Grothendieck. Siano A, B due aperti di uno spazio topologico X tali che X = A ∪ B; supponiamo che A, B ed A ∩ B siano connessi per archi e sia x0 ∈ A ∩ B un

294

15 Complementi di topologia algebrica 

punto fissato. Le inclusioni A ⊂ X, B ⊂ X, A ∩ B ⊂ A e A ∩ B ⊂ B inducono un diagramma commutativo di omomorfismi di gruppi π1 (A ∩ B, x0 )

α∗

β∗

 π1 (B, x0 )

/ π1 (A, x0 ) f∗

g∗

 / π1 (X, x0 )

Teorema 15.27. Nelle notazioni precedenti, si assuma che ogni punto di X possieda un sistema fondamentale di intorni semplicemente connessi. Allora per ogni gruppo T ed ogni coppia di omomorfismi h : π1 (A, x0 ) → T , k : π1 (B, x0 ) → T tali che hα∗ = kβ∗ , esiste un unico omomorfismo di gruppi π : π1 (X, x0 ) → T che rende commutativo il diagramma π1 (A ∩ B, x0 )

/ π1 (A, x0 )

α∗

β∗

 π1 (B, x0 )

f∗

 / π1 (X, x0 ) H H

g∗

h



k

H

H$  /T

Osservazione 15.28. Il Teorema 15.27 richiede, rispetto al Teorema 14.1, l’ipotesi aggiuntiva che X sia localmente semplicemente connesso. Tale ipotesi è, fortunatamente, soddisfatta dalla stragrande maggioranza degli spazi topologici di uso comune. Dimostrazione. Abbiamo già dimostrato che π1 (X, x0 ) è generato dalle immagini di f∗ e g∗ e questo implica immediatamente l’unicità di π. Ogni sottoinsieme aperto di X è localmente connesso per archi e semilocalmente semplicemente connesso e quindi si possono applicare tutti i risultati di teoria dei rivestimenti, compreso il teorema di esistenza e unicità di rivestimenti con monodromia assegnata. Gli omomorfismi h, k permettono di definire due azioni destre T × π1 (A, x0 ) → T, T × π1 (B, x0 ) → T,

(t, a) → t • a = th(a), (t, b) → t • b = tk(b),

compatibili con l’azione sinistra data dal prodotto T × T → T . Per il Teorema 13.35 esistono due rivestimenti p : E → A,

q : F → B,

e due bigezioni ϕ : T → p−1 (x0 ), ψ : T → q −1 (x0 ) che fanno corrispondere le precedenti azioni alle azioni di monodromia. Consideriamo adesso l’azione di monodromia associata al rivestimento p : p−1 (A ∩ B) → A ∩ B.

15.8 Un lungo esercizio: il teorema di Poincaré–Volterra

295

Per ogni a ∈ π1 (A ∩ B, x0 ) e t ∈ T si ha chiaramente ϕ(t) · a = ϕ(t • α∗ (a)) = ϕ(th(α∗ (a))). Similmente, considerando l’azione di monodromia associata al rivestimento q : q −1 (A ∩ B) → A ∩ B si ottiene ψ(t) · a = ψ(t • β∗ (a)) = ψ(tk(β∗ (a))). Per ipotesi hα∗ = kβ∗ e quindi le due azioni di monodromia sono isomorfe; per il Teorema 13.35 esiste un omeomorfismo Φ : p−1 (A ∩ B) → q −1 (A ∩ B) che rende commutativo il diagramma p−1 (A ∩ B) MMM t: ϕ tt MMpM t MMM tt t t M& tt Φ T JJ A∩B JJ qq8 q JJ q JJ qqqq ψ JJ$  qqq q −1 (A ∩ B) Incolliamo assieme E e F utilizzando come funzione di attaccamento Φ: otteniamo un rivestimento E ∪Φ F → X con la fibra su x0 isomorfa a T e di conseguenza un’azione di monodromia T × π1 (X, x0 ) → T. Indichiamo con 1 ∈ T l’elemento neutro e definiamo π : π1 (X, x0 ) → T come π(a) = 1 · a. Osserviamo che se a ∈ π1 (A, x0 ) allora 1 · f∗ (a) = 1 • a = h(a), mentre se b ∈ π1 (B, x0 ) allora 1 · g∗ (b) = 1 • b = k(b). L’azione sinistra data dalla moltiplicazione T ×T → T è compatibile con la restrizione della monodromia ai sottogruppi f∗ π1 (A, x0 ) e g∗ π1 (B, x0 ). Siccome tali sottogruppi generano π1 (X, x0 ) ne segue che l’azione di monodromia T × π1 (X, x0 ) → T è compatibile con la moltiplicazione T × T → T . Per la Proposizione 13.12 l’applicazione π è un omomorfismo di gruppi e questo conclude la dimostrazione.  

15.8 Un lungo esercizio: il teorema di Poincaré–Volterra Gli esercizi di questa sezione, svolti nella sequenza proposta, forniranno le dimostrazioni dei seguenti risultati: Teorema 15.29 (Poincaré–Volterra classico). Sia E uno spazio topologico connesso di Hausdorff e sia p : E → Rn un omeomorfismo locale. Allora ogni fibra di p è al più numerabile ed E è a base numerabile.

296

15 Complementi di topologia algebrica 

Teorema 15.30 (Poincaré–Volterra per rivestimenti). Sia p : E → X un rivestimento. Se X è una varietà topologica, allora anche E è una varietà topologica.

Esercizi 15.20. Se non lo avete già fatto, risolvete gli esercizi 12.2, 12.3 e 12.7. 15.21. Sia B una base numerabile di uno spazio topologico localmente connesso. Dimostrare che le componenti connesse degli aperti di B formano una famiglia numerabile. 15.22. Siano E uno spazio topologico di Hausdorff e separabile, X uno spazio topologico localmente connesso a base numerabile e p : E → X un omeomorfismo locale. Dimostrare che E è a base numerabile. (Sugg.: siano S ⊂ E denso e numerabile, A la famiglia delle componenti connesse degli aperti di una base numerabile di X e B la famiglia degli aperti U ⊂ E tali che p(U ) ∈ A e p : U → p(U ) è un omeomorfismo. Dimostrare che B è una base di E e che per ogni coppia (V, s) ∈ A × S esiste al più un aperto U ∈ B tale che p(U ) = V e s ∈ U .) 15.23. Sia E uno spazio topologico connesso per archi e sia p : E → Rn un omeomorfismo locale. Dimostrare che per ogni coppia di punti e1 , e2 ∈ p−1 (0) esiste un cammino α ∈ Ω(E, e1 , e2 ) tale che pα è una poligonale chiusa con vertici in Qn . (Sugg.: prendere un cammino qualsiasi con estremi e1 , e2 e ricoprirlo con un numero finito di aperti Ui tali che gli aperti p(Ui ) siano convessi.) 15.24. Dimostrare il Teorema 15.29. 15.25. Mostrare con un esempio che il teorema di Poincaré–Volterra classico diventa falso senza l’ipotesi di Hausdorff. 15.26. Sia X una varietà topologica connessa. Dimostrare che esiste un ricoprimento di X formato da una famiglia numerabile di aperti contrattili. 15.27. Siano X una varietà topologica connessa, S ⊂ X un sottoinsieme denso e numerabile ed A un ricoprimento numerabile di X formato da aperti semplicemente connessi. Consideriamo l’insieme numerabile P = {(U, x, y) | U ∈ A, x, y ∈ S ∩ U } e per ogni ξ = (U, x, y) ∈ P scegliamo un cammino αξ : [0, 1] → U tale che α(0) = x, α(1) = y. Dimostrare che ogni cammino in X con estremi in S è omotopo ad un prodotto finito di cammini αξ , con ξ ∈ P . Dedurne che il gruppo fondamentale di X è numerabile.

15.8 Un lungo esercizio: il teorema di Poincaré–Volterra

297

15.28. Siano X una varietà topologica connessa ed E → X un rivestimento connesso. Dimostrare che E è a base numerabile. 15.29. Dimostrare il Teorema 15.30. 15.30 (K). Nelle stesse ipotesi del Teorema 15.29, per ogni e ∈ E denotiamo con R(e) l’insieme dei numeri reali positivi r tali che esiste un intorno aperto e ∈ U con la proprietà che p : U → B(p(e), r) è un omeomorfismo. Dimostrare che se l’applicazione p non è bigettiva, allora per ogni e ∈ E l’insieme R(e) è limitato superiormente e l’applicazione f : E → R, è continua.

f (e) = sup R(e),

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

Riportiamo suggerimenti e soluzioni degli esercizi segnalati con il simbolo ♥.

Capitolo 1 1.1 La risposta al Problema 1.1 è positiva, indipendentemente dal numero di ponti che unisce ogni coppia di zone “continentali”. Quello che invece dipende dai tre numeri interi p, q, r sono le possibili zone di partenza ed arrivo della gita in bicicletta. Ad esempio, se p, q ed r sono tutti pari oppure tutti dispari, allora la gita dovrà iniziare al Colosseo e finire a San Pietro, o viceversa. Se invece il signor B. parte da Montecitorio (zona Colosseo), q ed r sono pari e p è dispari, allora necessariamente il signor B. termina la sua gita a Rebibbia. 1.4 Siano p, q ∈ Γ gli estremi di un lato l e sia Γ  = Γ − l: siccome Γ è connesso basta dimostrare che p, q sono gli estremi di un cammino in Γ  . Se p = q non c’è nulla da dimostrare; se p = q allora p, q sono gli unici vertici di grado dispari di Γ  e quindi devono appartenere alla stessa componente connessa. Più precisamente possiamo scrivere Γ  come unione disgiunta di grafi connessi, ognuno dei quali ha un numero pari di vertici di grado dispari, e quindi p, q appartengono ad uno stesso sottografo connesso di Γ  . 1.8 Tagliando il quadrato lungo la diagonale

a

 / a

    ? b  a       / a

    b? ?   a    b     / a

M. Manetti: Topologia, 2a edizione, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 78, DOI: 10.1007/978-88-470-5662-6_16, © Springer-Verlag Italia 2014

300

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

e poi invertendo l’ordine delle cuciture ?? ??     ??     ?? a   b ? ? Ob  b   b   a   a C  ??   b  ??   ??   ?  

Ob

ritroviamo il nastro di Moebius. 1.18 Ad esempio S n × R → Rn+1 − {0},

(x, t) → et x,

con inverso v → (v/ v , log v ). 1.19 Supponiamo di avere un’applicazione continua Φ : Rn → R tale che: 1. Φ(tx) = t Φ(x) per ogni t ≥ 0. 2. Esistono due costanti m, M > 0 per cui valgono le disuguaglianze: m x ≤ Φ(x) ≤ M x ,

per ogni

x ∈ Rn .

Allora le applicazioni f, g : Rn → Rn : f (x) = x

Φ(x) , x

g(y) = y

y , Φ(y)

sono continue, sono una l’inversa dell’altra e inducono un omeomorfismo tra il sottoisieme {x | Φ(x) ≤ 1} ed il disco unitario {y | y ≤ 1}. Poiché per ogni x = (x1 , . . . , xn ) ∈ Rn valgono le disuguaglianze x √ ≤ max(|x1 |, . . . , |xn |) ≤ x , n considerando l’applicazione Φ(x) = max(|xi |), la costruzione precedente ci fornisce un omeomorfismo tra il disco unitario e l’ipercubo [−1, 1]n = {x ∈ Rn | max(|x1 |, . . . , |xn |) ≤ 1}. 1.28 Le due applicazioni {z ∈ C | z = a + ib, b > 0} → {z ∈ C | |z| < 1}, {z ∈ C | |z| < 1} → {z ∈ C | z = a + ib, b > 0}, sono continue e sono una l’inversa dell’altra.

z → z → i

z−i , z+i 1+z , 1−z

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

301

Capitolo 2 2.4 Le formule 2,4 e 6 sono sempre vere, mentre le 1,3 e 5 sono generalmente false: basta considerare ad esempio f : R → R, f (x) = x2 , A = {x ≤ 0}, B = {x ≥ 0}. 2.6 Ad esempio √ 2

3

  2 2 = sup x ∈ R | xn ≤ 3min{m∈N | m ≥2n } per ogni n ∈ N .

2.7 Indicando con P, D ⊂ N i sottoinsiemi dei numeri pari e dispari rispettivamente, definiamo in maniera ricorsiva g : N → N ponendo g(1) = 1 e ⎧ n (−1)g(i) ⎨min(P − {g(1), g(2), . . . , g(n)}) se ≤ x, i=1 g(i) g(n + 1) = n (−1)g(i) ⎩ > x. min(D − {g(1), g(2), . . . , g(n)}) se i=1 g(i) Siccome

 1  1 = = +∞ n n

n∈P

l’applicazione g è bigettiva e vale lim g(n) = +∞,

n→∞

n∈D

  n   (−1)g(i)   − x = 0. lim  n→∞   g(i) i=1

2.11 Suggerimento: indichiamo con {pn } la successione dei numeri primi: p1 = 2, p2 = 3, p3 = 5 eccetera. Ad ogni successione finita a1 , . . . , an di numeri naturali possiamo associare il prodotto pa1 1 pa2 2 · · · pann . 2.12 Suggerimento: per ogni numero reale x ∈ [1, 10[ consideriamo l’applicazione fx : N → N, fx (n) = [10n x], dove [−] indica la parte intera, e cioè [t] = max{n ∈ Z | n ≤ t}. Provare che limn fx (n)/10n = x e che, siccome 10n ≤ fx (n) < 10n+1 , ogni x ∈ [1, 10[ è univocamente determinato dall’immagine di fx . Mostrare infine che se vale fx (n) < fy (n), allora fx (m) < fy (m) per ogni m ≥ n. 2.14 Per l’assioma della scelta possiamo scegliere per ogni i ∈ I un’applicazione bigettiva fi : Xi → Yi . Basta allora considerare l’applicazione f : X → Y,

f (x) = fi (x) se x ∈ Xi .

2.16 Suggerimento: considerare la famiglia {(U, V ) ∈ B × A | U ⊂ V }. 2.23 Per il Lemma di Zorn, basta dimostrare che ogni catena C ⊂ B possiede maggioranti: a tal fine è sufficiente dimostrare che ∪{A | A ∈ C} ∈ B.

302

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

Se B ⊂ ∪{A | A ∈ C} è un sottoinsieme finito, allora esiste C ∈ C tale che B ⊂ C e quindi, siccome C ∈ B ne segue che B ∈ B. Abbiamo quindi provato che ogni sottoinsieme finito di ∪{A | A ∈ C} appartiene a B e di conseguenza ∪{A | A ∈ C} ∈ B. 2.31 Suggerimento: considerare prima il caso in cui K è numerabile, utilizzando il risultato dell’Esercizio 2.30. Se F è un sottocampo di K, allora, mediante l’inclusione naturale F I ⊂ KI , ogni sottoinsieme A ⊂ F I linearmente indipendente su F è anche linearmente indipendente su K.

Capitolo 3 3.1 Le 1,2 e 4 sono vere. La 3 è invece falsa. 3.6 Occorre dimostrare che la famiglia delle progressioni Na,b soddisfa le ipotesi del Teorema 3.7: questo segue immediatamente dalle formule N0,1 = Z,

Na,b ∩ Nc,d = ∪{Ns,bd | s ∈ Na,b ∩ Nc,d }.

Sicccome Na,b è il complementare in Z dell’unione di aperti Na+1,b ∪ Na+2,b ∪ · · · ∪ Na+b−1,b , ne consegue che l’aperto Na,b è anche chiuso. Osserviamo infine che ogni aperto non vuoto contiene almeno una progressione aritmetica e quindi è infinito. 3.7 Ad esempio A = [0, 1[ e B = R − A. 3.8 Siccome A ⊂ A ∪ B si ha A ⊂ A ∪ B; similmente B ⊂ A ∪ B e quindi A ∪ B ⊂ A ∪ B. D’altra parte A ∪ B è un chiuso che contiene A ∪ B e quindi A ∪ B ⊂ A ∪ B. 3.9 Siccome A ∩ U ⊂ U si ha anche U ∩ A ⊂ U ; basta quindi dimostrare U ⊂ U ∩ A o equivalentemente che il chiuso U ∩ A contiene U . Il sottoinsieme V = U ∩ (X − U ∩ A) è aperto e dato che A ∩ V = ∅ dalla densità di A segue V = ∅. 3.14 Definiamo una topologia T su X ponendo come aperti i sottoinsiemi che sono intorni di ogni loro punto, ovvero A ∈ T se e solo se A ∈ I(x) per ogni x ∈ A. Verifichiamo che con questa scelta le condizioni (A1), (A2) e (A3) della Definizione 3.1 sono soddisfatte. L’insieme vuoto, non avendo punti, è intorno di ogni suo punto, mentre la condizione 1 implica che X è aperto. Sia {Ai | i ∈ I} una famiglia di aperti e indichiamo con A = ∪{Ai | i ∈ I} la loro unione. Se x ∈ A, allora x ∈ Aj per qualche j, quindi Aj è un intorno di x e, per 3, anche A è un intorno di x. Se A e B sono aperti e x ∈ A ∩ B, allora A, B ∈ I(x) e per la 4 anche A ∩ B ∈ I(x). Abbiamo finora dimostrato che T è una topologia, denotiamo momentaneamente con J(x) la famiglia degli intorni di x relativi alla topologia T .

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

303

Vogliamo dimostrare che I(x) = J(x). Se U ∈ J(x) significa che esiste un aperto A tale che x ∈ A e A ⊂ U . Per definizione A ∈ I(x) e quindi per 3 anche U ∈ I(x). Viceversa sia U ∈ I(x) e sia V come alla condizione 5, allora V ∈ T e quindi U ∈ J(x). 3.24 Supponiamo che f (A) sia aperto in Y per ogni elemento A della base B. Se U ⊂ X è un aperto, possiamo trovare una sottofamiglia {Ai } di aperti della base B tale che U = ∪i Ai . Dunque f (U ) = ∪i f (Ai ) è unione di aperti in Y . 3.29 Ad esempio

 f (x) =

x 0

se x ∈ Q , se x ∈

Q.

3.30 Scriviamo A come unione di una famiglia numerabile {An }, n ∈ N, di insiemi finiti e definiamo ⎧ ⎨0 se x ∈ A, 1 f : R → [0, 1], f (x) = ⎩ se x ∈ A. min{n | x ∈ An } 3.31 Suggerimento: per ogni n > 0 considerare l’insieme An ⊂ X dei punti x che possiedono un intorno U tale che |f (y) − f (z)| < 1/n per ogni y, z ∈ U . Considerare inoltre l’insieme Bn dei punti x che possiedono un intorno U tale che |f (y) − f (x)| < 1/n per ogni y ∈ U . Mostrare che ∩An = ∩Bn . 3.32 Supponiamo per fissare le idee che d(x, y) ≥ d(z, w). Per la disuguaglianza triangolare si ha d(x, y) ≤ d(x, z) + d(z, w) + d(y, w) e quindi d(x, y) − d(z, w) ≤ d(x, z) + d(z, w) + d(y, w) − d(z, w) = d(x, z) + d(y, w). 3.33 Se X contiene un solo punto non c’è nulla da dimostrare. Possiamo quindi supporre che X sia un insieme finito con almeno due punti. Sia x ∈ X e poniamo r = min{d(x, y) | y ∈ X, y = x}. È chiaro che r > 0 e che B(x, r) = {x}; da questo segue che la topologia su X è discreta ed ogni sottoinsieme è aperto e chiuso. Osserviamo inoltre che, nelle notazioni precedenti, esiste y ∈ X tale che d(x, y) = r e quindi {x} = B(x, r) = {y ∈ X | d(x, y) ≤ r}. t è tale che f −1 (0) = 0. Inoltre f è concava 3.39 La funzione f (t) = 1+t crescente per t ≥ 0 e quindi αf (t) ≤ f (αt) per ogni t > 0, α ∈ [0, 1]. In particolare, per ogni 0 ≤ c ≤ a + b si ha

f (c) ≤ f (a + b) =

a b f (a + b) + f (a + b) ≤ f (a) + f (b) a+b a+b

304

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

e questo implica che δ = f ◦ d è una distanza. Per dimostrare che è equivalente a d basta osservare che d(x, y) ≥ δ(x, y) ≥ d(x, y)/2, dove d è la limitazione standard di d, ed applicare il Corollario 3.50. 3.40 Dalla continuità di f in 0 segue che la topologia indotta da d è più fine di quella indotta da h. Viceversa, notiamo che f è non decrescente e che per ogni intero positivo n vale f (1/n) ≥ f (1)/n. Dunque per ogni ε > 0 consideriamo un intero n tale che 1/n < ε. Se h(x, y) < f (1)/n, allora f (d(x, y)) ≤ f (1/n) e di conseguenza d(x, y) < ε; per il Corollario 3.48 la topologia indotta da h è più fine di quella indotta da d. 3.42 Una dimostrazione completa si trova alla Proposizione 7.31. 3.43 Sono false entrambe le affermazioni. Un possibile controesempio è dato dal sottospazio discreto {1/n | n ∈ N} ⊂ R. 3.44 Siccome A ∩ B è un chiuso di A che contiene A ∩ B si ha Z ⊂ A ∩ B. Se C ⊂ X è un sottoinsieme chiuso tale che Z = A ∩ C, allora il sottoinsieme D = C ∪ (X − A) è chiuso e D ∩ A = Z; siccome B ⊂ D ne segue che B ⊂ D e quindi A ∩ B ⊂ A ∩ D = Z. 3.45 Sia Z localmente chiuso e sia z ∈ Z; per ipotesi esiste un aperto U ⊂ X tale che Z ∩ U è chiuso in U . Per l’Esercizio 3.44 si ha Z ∩ U = Z ∩ U , ossia Z ∩ U ⊂ Z e questo prova che Z è aperto in Z. Dire che Z è aperto in Z significa dire che esiste un aperto U ⊂ X tale che Z = Z ∩ U e quindi Z è intersezione di un chiuso e di un aperto. Infine, l’implicazione (3) ⇒ (1) è ovvia. 3.48 Vogliamo dimostrare che ogni sottospazio discreto X ⊂ R è numerabile. Per ogni x ∈ X scegliamo un numero reale positivo h(x) tale che X ∩ B(x, h(x)) = {x} e per ogni intero n > 0 consideriamo il sottoinsieme Xn = {x ∈ X | |x| < n, h(x) > 1/n}. Siccome X = ∪n Xn basta dimostrare che ogni Xn è finito. Per ogni coppia di punti distinti x, y ∈ Xn si ha |x − y| ≥ max(h(x), h(y)) ≥ 1/n e quindi Xn contiene al più 2n2 punti. 3.61 Dati quattro numeri naturali a, b, c, d tali che M CD(a, b) = 1 e M CD(c, d) = 1, il prodotto bd è relativamente primo con ogni elemento dell’intersezione Na,b ∩ Nc,d : infatti se n = a + kb = c + hd e p è un numero primo che divide bd, allora o p divide b e quindi M CD(p, n) = M CD(p, a) = 1,

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

305

oppure p divide d e quindi M CD(p, n) = M CD(p, c) = 1. Dunque possiamo scrivere N = N1,1 ,

Na,b ∩ Nc,d = ∪{Nn,bd | n ∈ Na,b ∩ Nc,d }

e questo prova che B è base di una topologia T . Dati due interi positivi distinti n, m, per ogni numero primo p > max(n, m) si ha n ∈ Nn,p , m ∈ Nm,p , Nn,p ∩ Nm,p = ∅ e dunque la topologia T è di Hausdorff. Siano a, b relativamente primi, fissiamo un multiplo hb di b e proviamo che se hb ∈ Nc,d , allora Na,b ∩ Nc,d = ∅. Dalla condizione hb ∈ Nc,d segue che b e d non hanno fattori comuni ed è possibile trovare due interi positivi t, s tali che tb − sd = c − a. Dunque a + tb = c + sd ∈ Na,b ∩ Nc,d . Siano A, B due aperti non vuoti; esistono allora quattro numeri naturali a, b, c, d tali che M CD(a, b) = M CD(c, d) = 1 e Na,b ⊂ A,

Nc,d ⊂ B.

Per quanto visto sopra, bd ∈ Na,b ∩ Nc,d ⊂ A ∩ B. In ogni spazio metrico (X, d) con almeno due punti, è sempre possibile trovare due aperti non vuoti con chiusure disgiunte: infatti, per ogni punto x ∈ X ed ogni numero reale positivo r si ha B(x, r) ⊂ {z ∈ X | d(x, z) ≤ r}. Presi due punti distinti x, y ed un numero reale r < d(x, y)/2, segue dalla disuguaglianza triangolare che B(x, r) ∩ B(y, r) = ∅. 3.62 Siccome Y è chiuso nella topologia euclidea, a maggior ragione è chiuso nella topologia di Sorgenfrey. Siccome Y ∩ [t, t + 1[×[−t, −t + 1[= {(t, −t)} la topologia su Y è quella discreta. Per ogni t ∈ R il sottoinsieme Y − {(t, −t)} è chiuso in X e come funzione f basta prendere 1 dY −{(t,−t)} (t, −t) 2 e come h(t) un qualsiasi numero positivo tale che f (t) =

[t, t + h(t)[ ×[−t, −t + h(t)[⊂ B((t, −t), f (t)) . Per ogni intero n > 0 l’insieme {t ∈ [−n, n] | h(t) > 1/n} contiene al più 2n2 + 1 punti e quindi l’insieme {t ∈ R | h(t) > 0} risulta essere numerabile: contraddizione.

306

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

Capitolo 4 4.1 Gli spazi B e C sono connessi, lo spazio A è sconnesso. 4.5 Suggerimento: sia X ⊂ Rn il complementare di un insieme numerabile. Per ogni p, q ∈ X esiste un’infinità non numerabile di archi di parabola αp,q,v , definiti nell’Esercizio 4.4, con il vettore v perpendicolare a p − q 4.10 Non è restrittivo supporre p = 0; indichiamo con B l’opposto di A, ossia B = {−x | x ∈ A}. Risolvere l’esercizio equivale a dimostrare che esiste una semiretta uscente da 0 che non interseca A ∪ B; la convessità di A implica che per ogni semiretta L uscente da 0 si ha L ∩ A = ∅ oppure L ∩ B = ∅. Passando in coordinate polari, l’applicazione f : ]0, +∞[ ×R → R2 − {0},

f (r, θ) = (r cos θ, r sin θ),

è continua e quindi f −1 (A), f −1 (B) sono aperti. La proiezione sul secondo fattore p : ]0, +∞[ ×R → R è aperta e quindi pf −1 (A), pf −1 (B) sono aperti disgiunti di R. Per connessione esiste t ∈ R − (pf −1 (A) ∪ pf −1 (B)) e dunque la semiretta r → (r cos t, r sin t) non interseca A ∪ B. 4.12 Ogni sottoinsieme di Q che contiene almeno due punti distinti è sconnesso. Infatti se X ⊂ Q e a, b ∈ X, allora preso un qualsiasi numero irrazionale ξ compreso tra a e b si ha che X è l’unione dei due aperti non vuoti e disgiunti X = (X∩ ] − ∞, ξ[ ) ∪ (X∩ ]ξ, +∞[ ). Dunque ogni componente connessa di Q è formata da un solo punto. 4.13 Basta applicare il Lemma 4.23 alla famiglia di sottospazi {Wi = Zi ∪Y }. 4.14 Siano x0 ∈ X − A e y0 ∈ Y − B fissati. I sottospazi {x0 } × Y e X × {y0 } sono connessi ed si intersecano in (x0 , y0 ). Dunque la loro unione Z = {x0 }×Y ∪X ×{y0 } è connessa. Osserviamo che X ×Y −A×B è l’unione di tutti i sottospazi connessi {x}×Y e X×{y} al variare di x ∈ X−A e y ∈ Y −B. tali sottospazi intersecano Z e basta quindi applicare l’Esercizio 4.13 4.18 È falso: considerare ad esempio come An il complementare in R2 del segmento y = 0, |x| ≤ n. 4.20 Denotiamo con Y ⊂ X l’immagine dell’applicazione f : ]0, +∞[→ R2 , f (t) = (t−1 , cos(t)). Chiaramente Y è connesso per archi e quindi è anche connesso. Per dimostrare che X è connesso basta far vedere che X è la chiusura di Y in R2 . Il complementare di X è l’unione dei tre aperti {x < 0},

{|y| > 1} e

{(x, y) | x > 0, y = cos(x−1 )},

quindi X è chiuso in R2 e basta dimostrare che i punti di X − Y sono aderenti a Y . Sia p ∈ X − Y un punto fissato e scegliamo t > 0 tale che p = (0, cos(t));

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

307

allora per ogni intorno U del punto p ed ogni intero n sufficientemente grande il punto f (t + 2πn) appartiene ad U ∩ Y . Supponiamo adesso per assurdo che X sia connesso per archi e scegliamo un cammino continuo α : [0, 1] → X tale che α(0) = (0, 0) e α(1) ∈ Y . Indichiamo con α1 , α2 : [0, 1] → R le componenti di α e sia c il massimo dell’insieme chiuso e limitato {t ∈ [0, 1] | α1 (t) = 0}. Supponiamo, per fissare le idee, che α2 (c) ≥ 0: il caso α2 (c) ≤ 0 è perfettamente speculare. Per continuità deve esistere un δ > 0 tale che se t ∈ [c, c + δ], allora α2 (t) ≥ −1/2. D’altra parte α1 ([c, c + δ]) è un connesso che contiene almeno due punti e quindi esiste γ > 0 tale che [0, γ] ⊂ α1 ([c, c + δ]). In particolare possiamo trovare t ∈]c, c + δ] tale che α1 (t) > 0 e cos((α1 (t))−1 ) = −1. Osserviamo adesso che se α1 (t) = a > 0, allora α(t) = (a, cos(a−1 )): contraddizione. 4.25 Sia A la famiglia dei complementari degli elementi di A. Allora A ha intersezione vuota se e solo se A è un ricoprimento; inoltre A ha la proprietà dell’intersezione finita se e solo se A non possiede sottoricoprimenti finiti. 4.29 La famiglia di chiusi Kn = f ([n, +∞[), n ∈ N, soddisfa le condizioni della Proposizione 4.46 e quindi esiste x ∈ ∩n Kn . Se f −1 (x) fosse un sottoinsieme finito esisterebbe un intero n tale che f −1 (x) ⊂ ] − ∞, n[ e quindi x ∈ Kn . 4.30 Per ogni indice i ∈ I si ha f (x) ≤ fi (x) e la funzione fi è limitata; a maggior ragione anche la funzione f è limitata e possiede estremo superiore M = sup f (x). x∈X

Consideriamo, per ogni indice i ∈ I ed ogni intero positivo n, il sottoinsieme aperto Ui,n = {x ∈ X | fi (x) < M − 1/n}. Supponiamo per assurdo f (x) < M per ogni x ∈ X. Allora per ogni x ∈ X esiste un intero positivo n tale che f (x) < M − 1/n ed un indice i ∈ I tale che fi (x) < M − 1/n. Di conseguenza {Ui,n } è un ricoprimento aperto di X e possiamo estrarne un sottoricoprimento finito X = Ui1 ,n1 ∪ · · · ∪ Uis ,ns . Se N = max(n1 , . . . , ns ), allora f (x) < M − 1/N per ogni x ∈ X, in contraddizione con la definizione di M . Come controesempio all’esistenza del minimo possiamo considerare la famiglia di funzioni gn : [0, 1] → [0, 1], n ∈ N,  1 − (n − 1)t se 0 ≤ t ≤ 1/n , gn (t) = t se 1/n ≤ t ≤ 1 . 4.33 È un caso particolare dell’Esercizio 4.29. 4.37 Fissato ε > 0, la relazione x ∼ y se x ed y sono ε-collegati è una relazione di equivalenza e le classi di equivalenza sono aperte. Dunque X è unione

308

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

disgiunta di classi di equivalenza aperte e, se X è connesso, allora esiste una sola classe. Se X è compatto e sconnesso, allora esso è unione di due chiusi disgiunti non vuoti C1 , C2 . Il prodotto C1 × C2 è compatto e quindi esiste r=

min

x∈C1 ,y∈C2

d(x, y).

È allora chiaro che se 2ε < r, i punti di C1 non possono essere ε-collegati a punti di C2 . 4.41 Notiamo che X contiene matrici diverse dall’identità, ad esempio le rotazioni di 2π/m radianti attorno ad un sottospazio di codimensione 2. Basta quindi dimostrare che l’insieme {I} formato dalla sola matrice identità è aperto in X, ossia che esiste un aperto U ⊂ Mn,n (R) tale che X ∩ U = {I}. Siccome (A − I)(Am−1 + · · · + A + I) = 0 per ogni A ∈ X basta considerare U = {A ∈ Mn,n (R) | det(Am−1 + · · · + A + I) = 0}. 4.49 Supponiamo per assurdo che esista un omeomorfismo f : R2 → R × [0, 1] e denotiamo Dn = f (Kn ). Allora {Dn } è una esaustione in compatti ed esiste un intero N tale che {0} × [0, 1] è contenuto in DN . D’altra parte, essendo DN compatto, la sua proiezione sul primo fattore è un sottoinsieme limitato di R e quindi entrambi gli aperti ] − ∞, 0[×[0, 1] − DN e ]0, +∞[×[0, 1] − DN sono non vuoti. Ne segue che R × [0, 1] − DN non è connesso, in contraddizione con la connessione di R2 − KN . 4.52 Suggerimento: considerare in X l’esaustione in compatti K1 ⊂ K2 ⊂ · · · data da: '  1 Kn = (x, y, z) | || x2 + y 2 ≤ 1 − , 0 ≤ z ≤ n ∪ n '  1 ≤z≤n . ∪ (x, y, z) | || x2 + y 2 ≤ n, n 4.56 Supponiamo che il chiuso S n − U sia sconnesso. Possiamo quindi scrivere S n − U come unione di due chiusi disgiunti e non vuoti C1 , C2 . Siccome S n è compatto e di Hausdorff anche i chiusi C1 , C2 sono compatti e per il teorema di Wallace possiamo trovare due aperti disgiunti A1 , A2 ⊂ S n tali che C1 ⊂ A1 , C2 ⊂ A2 . Sia f : Rn → U un omeomorfismo, siccome S n − (A1 ∪ A2 ) è un compatto contenuto in U , esiste un numero reale r sufficientemente grande tale che S n − (A1 ∪ A2 ) ⊂ f (B(0, r)). Denotiamo K = f (B(0, r)); tale sottoinsieme è compatto e quindi chiuso. A meno di sostituire Ai con Ai −K non è restrittivo supporre che Ai ∩ K = ∅ per i = 1, 2. Il connesso U − K = f (Rn − B(0, r)) è contenuto in A1 ∪ A2 ; per arrivare ad una contraddizione basta mostrare che (U − K) ∩ A1 = U ∩ A1 = ∅,

(U − K) ∩ A2 = U ∩ A2 = ∅.

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

309

Se fosse A1 ∩ U = ∅ si avrebbe A1 ⊂ C1 ∪ C2 e siccome A1 ∩ C2 = ∅ ne segue A1 ⊂ C1 . Dunque A1 = C1 in contraddizione con la connessione di S n e quindi U ∩ A1 = ∅. Similmente si dimostra che U ∩ A2 = ∅.

Capitolo 5 5.3 Le applicazioni f e g sono surgettive e quindi anche f × g è surgettiva. Per il Lemma 5.4 basta dimostrare che se U ⊂ X × Z è un aperto, allora anche (f × g)(U ) è aperto. Possiamo scrivere U come unione di aperti della base canonica, diciamo U = ∪i Ai × Bi . Quindi (f × g)(U ) = ∪i f (Ai ) × g(Bi ) è unione di aperti. 5.4 Suggerimento: per ogni componente connessa C ⊂ Y , dimostrare che p−1 (C) è unione di componenti connesse di X. 5.6 Per ipotesi l’applicazione f è aperta, quindi f (Ao ) ⊂ f (A)o . Di conseguenza Ao ⊂ f −1 (f (A)o ) ⊂ A e quindi Ao = f −1 (f (A)o ). Che A è saturo si dimostra passando al complementare, tenendo presente che A = X −(X −A)0 ed il complementare in X di un sottoinsieme saturo è ancora saturo. Come controesempio è possibile considerare l’identificazione dell’Esempio 5.5 ed i sottoinsiemi saturi A = {0}∪ ]1, 2π], B = ]0, 1]. 5.8 Indichiamo con π : R → R/ ∼ la proiezione al quoziente. Siccome vale π(1) = π(−1), ma 1 e −1 non hanno intorni saturi disgiunti, ne segue che R/ ∼ non è di Hausdorff. Per ogni x ∈ R, la restrizione π : ]x − 1, x + 1[ → X è una immersione aperta e quindi ogni punto π(x) possiede un intorno omeomorfo ad un intervallo aperto. 5.12 L’unico punto non banale è il terzo. Bisogna dimostrare che per ogni aperto U ⊂ Q tale che 0 ∈ U ed ogni aperto f -saturo V ⊂ R tale che 0 ∈ V vale (f (V ) × U ) ∩ (f × Id)(C) = (f × Id)((V × U ) ∩ C) = ∅. √ Sia n ∈ N sufficientemente grande e tale che [0, 2/n] ∩ Q ⊂ U e scegliamo un numero reale√ε > 0 sufficientemente piccolo e tale che [n,√n+ε] ⊂ V . Poiché [n, n + ε] × ([0, 2/n] ∩ Q) interseca la retta x + y = n + 2/n, ne segue che (V × U ) ∩ C = ∅. 5.15 L’inclusione [0, 1] → R e l’applicazione e| si fattorizzano a due applicazioni continue e bigettive [0, 1]/{0, 1} → R/Z → S 1 . Abbiamo già dimostrato che la restrizione di e| all’intervallo [0, 1] è una identificazione e quindi la composizione delle due applicazioni [0, 1]/{0, 1} → R/Z → S 1 è un omeomorfismo. Di conseguenza [0, 1]/{0, 1} ∼ = R/Z ∼ = S1.

310

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

La proiezione R → R/Z è aperta e quindi anche e| è aperta. Il sottoinsieme C = {n + n1 | n ∈ N, n ≥ 2} ⊂ R è chiuso, mentre e| (C) possiede (1, 0) come punto di accumulazione. 5.31 Suggerimento: usare il risultato del Theorema 5.32 e restringere l’applicazione A → det(A + tI) al sottospazio delle matrici triangolari superiori.

Capitolo 6 6.1 Indichiamo con p : R → R/ ∼ la proiezione al quoziente e con z = p(Z) la classe di equivalenza dei numeri interi. Si supponga che z abbia un sistema fondamentale numerabile Un , n ∈ N, di intorni e scegliamo per ogni n ∈ N un numero 0 < dn < 1/2 tale che [n − dn , n + dn ] ⊂ p−1 (Un ). L’aperto / 0  1 −∞, | |[ ∪ | |]n − dn , n + dn 2 n∈N

è saturo e quindi corrisponde ad un intorno di z che però non contiene alcuno degli intorni Un . 6.9 Sia X di Hausdorff e primo numerabile e sia C un sottoinsieme di X tale che K ∩ C è chiuso in K per ogni compatto K; bisogna dimostrare che C è chiuso in X. Sia p ∈ C e scegliamo una successione {an } in C che converge a p. Osserviamo che K = {p} ∪ {an | n ∈ N} è un sottospazio compatto di X. Infatti se K ⊂ ∪Ai , con ogni Ai aperto in X, allora esiste un indice, chiamiamolo i0 , tale che p ∈ Ai0 . Siccome {an } converge a p, esiste un intero N tale che an ∈ Ai0 per ogni n > N . Per ogni n < N scegliamo un indice in tale che an ∈ Ain e quindi K ⊂ Ai0 ∪ Ai1 ∪ · · · ∪ AiN . Per ipotesi C è chiuso in K e quindi p ∈ C. 6.11 Per ogni intorno U di (0, 0) l’intersezione U ∩ A è infinita e quindi (0, 0) è di accumulazione per ogni a : N → A surgettiva. Se b : N → A converge a (0, 0), allora per ogni n, si ha bm ∈ X − ({n} × N0 ) definitivamente e quindi b(N) ∩ ({n} × N0 ) è un insieme finito. Dunque b(N) è chiuso in X e la successione b non può convergere a (0, 0). 6.12 Lo spazio metrico (R, d), dove d(x, y) = |x − y|, è completo ed è omeomorfo allo spazio metrico ( ]0, 1[ , d), che però non è completo. 6.16 Se esistessero due punti fissi z1 , z2 , allora d(z1 , z2 ) = d(f (z1 ), f (z2 )) ≤ γd(z1 , z2 ). Siccome γ < 1 e d(z1 , z2 ) ≥ 0 ne segue che d(z1 , z2 ) = 0, ossia z1 = z2 .

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

311

Sia x ∈ X un punto; allora la successione x1 = f (x), x2 = f (x1 ), . . . è di Cauchy. Infatti per ogni n vale d(xn , xn+1 ) ≤ γ n d(x, x1 ) e per la disuguaglianza triangolare, dato m > n si ha d(xn , xm ) ≤ d(xn , xn+1 ) + · · · + d(xm−1 , xm ) ≤ d(x, x1 )

m−1  i=n

γi ≤ γn

d(x, x1 ) . 1−γ

Denotiamo con z il limite della successione xn . Dalla continuità di f segue che f (z) = lim f (xn ) = lim xn+1 = z. 6.17 Suggerimento: sia h : R →]0, +∞[ derivabile con derivata 0 < h < 1 (ad esempio h(x) = 1 + arctan(x) ) e considerare l’applicazione f (x) = x − h(x). 2 6.20 Suppuniamo per assurdo che f non sia surgettiva, scegliamo un punto x0 ∈ X − f (X) e denotiamo xn = f n (x0 ) per ogni n > 0. Se h > 0 è la distanza di x0 dal sottoinsieme chiuso f (X), allora d(x0 , xn ) ≥ h per ogni n > 0. Per ipotesi f è una isometria e quindi d(xn , xm ) = d(x0 , xm−n ) ≥ h per ogni m > n; ne consegue che la successione xn non contiene alcuna sottosuccessione di Cauchy. 6.27 Le risposte sono: 1. Sì. 2. Sì (sugg.: Esercizio 3.61). 3. No (sugg.: teorema di Baire). 6.28 Suggerimento: considerare gli insiemi Fn = {x ∈ R − A | f (x) ≥ 1/n},

n ∈ N,

ed usare il Corollario 6.42 per mostrare che esiste a ∈ A ∩ Fn per qualche n sufficientemente grande. 6.33 Per ogni f ∈ I denotiamo D(f ) = {x ∈ X | f (x) = 0}. Siccome f è invertibile in C(X, R) se e solo se D(f ) = X, dal fatto che I è un ideale proprio segue che D(f ) = X per ogni f ∈ I. Se per assurdo {D(f ) | f ∈ I} fosse un ricoprimento, per compattezza possiamo estrarre un sottoricoprimento finito X = D(f1 ) ∪ · · · ∪ D(fn ); in tal caso la funzione g = f12 + · · · + fn2 appartiene all’ideale I e non si annulla in alcun punto.

Capitolo 7 7.2 Consideriamo due applicazioni distinte f, g : R → R e scegliamo un punto s ∈ R tale che f (s) = g(s). Prendiamo poi due aperti disgiunti U, V ⊂

312

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

R tali che f (s) ∈ U e g(s) ∈ V . Allora le applicazioni f, g appartengono rispettivamente ai due aperti disgiunti P (s, U ) = {h ∈ X | h(s) ∈ U },

P (s, V ) = {h ∈ X | h(s) ∈ V }.

Supponiamo per assurdo che il punto 0 ∈ X, corrispondente all’applicazione identicamente nulla, possieda un sistema fondamentale numerabile di intorni {Vn }. Essendo X di Hausdorff, per ogni f = 0 esiste n tale che f ∈ Vn e quindi ∩n Vn = {0}. D’altra parte, per ogni n esiste un numero finito di aperti della prebase P (s1 , U1 ), . . . , P (sk , Uk ) tali che 0 ∈ P (s1 , U1 ) ∩ · · · ∩ P (sk , Uk ) ⊂ Vn e possiamo dedurre che {0} è intersezione numerabile di aperti della prebase. Questo è assurdo perché R non è numerabile. 7.7 Suggerimento: per ogni applicazione strettamente crescente k : N → N scegliere un’applicazione ak : N → {−1, 1} tale che ak (k(n)) = (−1)n per ogni n. Considerare la successione {xn } in [−1, 1]S data da xn : S → [−1, 1],

xn (a) = a(n).

7.23 Sia X = ∪{Ui | i ∈ I} un ricoprimento aperto localmente finito di uno spazio topologico normale X. Indichiamo con A la collezione i cui oggetti sono le coppie (J, {Vj | j ∈ J}) tali che J ⊂ I, {Vj | j ∈ J} è una famiglia di aperti di X, Vj ⊂ Uj per ogni j ∈ J e (∪j∈J Vj ) ∪ (∪i∈J Ui ) = X. L’insieme A è ordinato per estensione, ossia (J, {Vj | j ∈ J}) ≤ (H, {Wh | h ∈ H}) se e solo se J ⊂ H e Vj = Wj per ogni j ∈ J. Vogliamo dimostrare che A possiede elementi massimali, per il lemma di Zorn basta dimostrare che ogni catena C in A possiede maggioranti. Sia dunque C = {(Js , {Vj | j ∈ Js }) | s ∈ S} una catena e consideriamo il candidato naturale alla maggiorazione (∪s Js , {Vj | j ∈ ∪s Js }). Per dimostrare che il candidato naturale appartiene ad A l’unica verifica non banale è mostrare che      Vj Uj = X. j∈∪s Js

j∈∪s Js

Sia x ∈ X fissato, siccome il ricoprimento {Ui } è localmente finito, 

 l’insieme I(x) = {i ∈ I | x ∈ Ui } è finito. Se I(x) ⊂ ∪s Js , allora x ∈ j∈∪s Js Uj . Altrimenti esiste s ∈ S tale che I(x) ⊂ Js e quindi      x∈X− Uj ⊂ Vj ⊂ Vj . j∈Js

j∈Js

j∈∪s Js

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

313

Prendiamo un elemento massimale (J, {Vj | j ∈ J}) di A e dimostriamo che J = I: questo concluderà la dimostrazione. Supponiamo che esista un indice i ∈ J e consideriamo il chiuso      Ai = X − Vj Uj . j∈J∪{i}

j∈J

Vale Ai ⊂ Ui e per la normalità di X possiamo trovare un aperto Vi tale che Ai ⊂ Vi ⊂ Vi ⊂ Ui . Dunque (J ∪ {i}, {Vj | j ∈ J ∪ {i}}) ∈ A in contraddizione con la massimalità di (J, {Vj | j ∈ J}). 7.25 Dimostriamo il caso T3, i casi T1 e T2 sono completamente analoghi. Siano X, Y due spazi T3, C ⊂ X × Y un chiuso e (x, y) ∈ C. Esistono quindi due aperti U ⊂ X e V ⊂ Y tali che (x, y) ∈ U × V ⊂ X × Y − C. Inoltre esistono aperti A ⊂ X e B ⊂ Y tali che x ∈ A ⊂ A ⊂ U,

y∈B⊂B⊂V

e quindi (x, y) ∈ A × B ⊂ A × B ⊂ X × Y − C. 7.28 Suggerimento: sia X lo spazio normale contenente i chiusi Yn e siano A, B due chiusi di X tali che A ∩ B ∩ Y = ∅. Per ogni n, si considerino i chiusi An = A ∩ Yn e Bn = B ∩ Yn osservando che An ∩ B = A ∩ Bn = ∅. Ragionare come nella dimostrazione del Teorema 7.36, oppure come nella soluzione dell’Esercizio 8.32.

Capitolo 8 8.2 Suggerimento: sia D la famiglia di tutti gli ideali contenuti in D, la quale non è vuota perché contiene l’ideale nullo. Sia P ∈ D massimale rispetto all’inclusione e supponiamo che f g ∈ P . Se per assurdo gli ideali P + (f ) e P + (g) sono entrambi non contenuti in D, allora esistono quattro funzioni continue a, b ∈ A, c, d ∈ P , tali che af + c e bg + d si annullano entrambe in un numero finito di punti; il loro prodotto appartiene a P e si annulla in un numero finito di punti: contraddizione. 8.7 Siccome X ha la stessa cardinalità di X × X, l’insieme di tutte le fibre della proiezione X × X → X mostra che esistono famiglie B di sottoinsiemi di X che soddisfano le condizioni: 1. |A| = |X| per ogni A ∈ B, 2. |A ∩ B| < |X| per ogni A, B ∈ B, A = B, 3. |X| ≤ |B| e per il lemma di Zorn ne esiste una massimale A; vogliamo dimostrare che |X| < |A|. Supponiamo per assurdo che |X| = |A|, allora per il teorema di

314

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

Zermelo possiamo trovare un buon ordinamento in A tale che per ogni A ∈ A vale |{B ∈ A | B ≺ A}| < |A| = |X| = |A|,   da cui segue | {A∩B ∈ A | B ≺ A}|  < |A| e quindi A ⊂ {B ∈ A | B ≺ A}. Per ogni A ∈ A scegliamo xA ∈ A− {B ∈ A | B ≺ A}; chiaramente xA = xB se A = B e quindi l’insieme C = {xA | A ∈ A} ha la stessa cardinalità di X. D’altra parte per ogni A ∈ A vale C ∩ A ⊂ {xA } ∪ {xB | B ≺ A} e quindi |C ∩ A| < |X|, in contraddizione con la massimalità di A. 8.21 Per chiarezza espositiva indichiamo con B(y, r) le palle aperte in (Y, d) e con B(f, r) le palle aperte in (C(X, Y ), δ). Siano K un compatto di X, U un aperto di Y e f ∈ W (K, U ). Siccome f (K) è compatto, esiste  > 0 tale che d(f (x), y) ≥  per ogni x ∈ K ed ogni y ∈ Y − U . Dunque f ∈ B(f, ) ⊂ W (K, U ) e questo prova che la topologia indotta dalla metrica è più fine della topologia compatta aperta. Viceversa siano f ∈ C(X, Y ) ed  > 0, allora ogni punto x ∈ X possiede un intorno compatto x ∈ Kx tale che f (Kx ) ⊂ B(f (x), ). Per compattezza, X è ricoperto da un numero finito di tali intorni, diciamo X = Kx1 ∪ · · · ∪ Kxn e quindi f ∈ W (Kx1 , B(f (x1 ), )) ∩ · · · ∩ W (Kxn , B(f (xn ), )) ⊂ B(f, 2). 8.27 Siano U1 , U2 ⊂ X × Y aperti non vuoti, (x1 , y1 ) ∈ U1 , (x2 , y2 ) ∈ U2 . Per ipotesi i sottoinsiemi V1 = {y ∈ Y | (x1 , y) ∈ U1 },

V2 = {y ∈ Y | (x2 , y) ∈ U2 }

sono aperti non vuoti di Y e di conseguenza esiste un punto y0 ∈ Y tale che (x1 , y0 ) ∈ U1 e (x2 , y0 ) ∈ U2 . Da questo segue che W1 = {x ∈ X | (x, y0 ) ∈ U1 } e W2 = {x ∈ X | (x, y0 ) ∈ U2 } sono aperti non vuoti di X e quindi esiste x0 ∈ X tale che (x0 , y0 ) ∈ U1 ∩ U2 . 8.29 Sia x ∈ X fissato e denotiamo con Cx ⊂ C la la famiglia dei chiusi irriducibili che contengono x; l’insieme Cx non è vuoto perché contiene la chiusura del sottospazio irriducibile {x} (vedi Lemma 8.26). Per il lemma di Zorn è sufficiente dimostrare che ogni catena A in Cx possiede maggioranti; l’insieme Y = ∪{Z | Z ∈ A} è irriducibile poiché per ogni coppia di aperti non vuoti U, V ⊂ Y esiste Z ∈ A tale che U ∩ Z = ∅ e V ∩ Z = ∅. Quindi il chiuso Y è irriducibile ed è un maggiorante di A. 8.31 Suggerimento: per ogni a ∈ ]0, 1[ vale g −1 ([0, a[) =

 sa

X(s).

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

315

8.32 Per ogni intero positivo n possiamo trovare due aperti Un , Vn tali che: A ∪ {x ∈ B | f (x) ≤ b − 1/n} ⊂ Un ,

U n ∩ ({x ∈ B | f (x) ≥ b} ∪ C) = ∅,

C ∪ {x ∈ B | f (x) ≥ b + 1/n} ⊂ Vn ,

V n ∩ ({x ∈ B | f (x) ≤ b} ∪ A) = ∅.

Gli aperti U=

 n

Un −



 Vi ,

i≤n

V =



Vn −

n



 Ui ,

i≤n

hanno le proprietà richieste. 8.39 Se f : X → R è propria, allora Kn = f −1 ([−n, n]) è una esaustione in compatti. Supponiamo viceversa che esista una esaustione in compatti {Kn }; per il lemma di Urysohn possiamo trovare una successione di funzioni contio nue f n : X → [0, 1] tali che fn = 0 su Kn e fn = 1 su X − Kn+1 . La funzione f = n fn è ben definita, continua e propria.

Capitolo 10 10.2 Siano x ∈ X e U un intorno di x. Bisogna dimostrare che esiste un intorno W di x che è contenuto in U e che è connesso per archi. A meno di considerare la parte interna di U , non è restrittivo supporre U aperto. Sia W la componente connessa per archi di U contenente il punto x: è sufficiente dimostrare che W è aperto in U e quindi che è un intorno di x. Per ogni y ∈ W esiste un intorno V di y tale che ogni coppia di punti di V può essere unita con un cammino in U e quindi V ⊂ W . 10.14 Suggerimento: utilizzare l’Esempio 3.71. 10.15 L’applicazione R : X × [0, 1] → X,

R(x, t) = tx + (1 − t)r(x),

dove r(x) è il punto di intersezione di Y con la retta passante per i punti x e (0, 0, 2), è una deformazione di X su Y . 10.16 L’applicazione X × I → X, (x, y, t) → (tx, ty), è una deformazione di X su (0, 0). Supponiamo per assurdo che esista una deformazione R : X × I → X di X sul punto (0, 1) e consideriamo l’aperto U = {(x, y) ∈ X | y > 0}. Per ogni numero razionale a = 0, i due punti (0, 1), (a, 1) appartengono a diverse componenti connesse di U . L’aperto R−1 (U ) contiene {(0, 1)} × I e per il teorema di Wallace esiste un aperto V ⊂ X tale che (0, 1) ∈ V e

316

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

V × I ⊂ R−1 (U ), ossia R(x, y, t) ∈ U per ogni t ∈ I ed ogni (x, y) ∈ V . Fissato un qualunque numero razionale a = 0 tale che (a, 1) ∈ V , il cammino α : I → U , α(t) = R(a, 1, t), ha come estremi (0, 1) e (a, 1): contraddizione. 10.20 Possiamo riscrivere l’equazione nella forma b2 + (a − c)2 > (a + c)2 e quindi, ponendo z = b + i(a − c), x = a + c, possiamo identificare X con l’insieme {(z, x) ∈ C × R | |z|2 > x2 }. Il sottospazio Y = {(z, x) ∈ C × R | |z|2 = 1, x = 0} è omeomorfo a S 1 ed è un retratto per deformazione di X. Una possibile deformazione è   z R(z, x, t) = tz + (1 − t) , tx . |z| 10.21 Suggerimento: denotare con p : GL+ (n, R) → X la proiezione sui primi n − 1 vettori colonna. Utilizzare lo sviluppo di Laplace del determinante per dimostrare che esiste s : X → GL+ (n, R) continua tale che ps = IdX . Mostrare che sp è omotopa all’identità. 10.22 Suggerimento: considerare l’applicazione  R : X × I → X,

R(f, t)(x) = max( x , t)f

x max( x , t)

 .

Capitolo 11 11.4 Mostriamo che il cammino α è costante; la dimostrazione che anche β e γ sono costanti è del tutto simile. Dalla relazione α ∗ (β ∗ γ) = (α ∗ β) ∗ γ segue in particolare che per ogni t ≤ 1/4 vale α(2t) = α(4t). Ponendo 4t = s si ottiene che per ogni s ∈ I vale

s  α(s) = α(s/2) = α(s/4) = · · · = lim α n = α(0). n→∞ 2 11.8 L’applicazione q : [0, 1] → S 1 , q(t) = e2iπt , è una identificazione. Per la proprietà universale delle identificazioni, la composizione con q induce una bigezione tra le applicazioni continue f : S 1 → X ed i cammini α : [0, 1] → X tali che α(0) = α(1). 11.12 Suggerimento: esiste una identificazione I 2 → D2 che contrae tre lati del quadrato ad un unico punto del bordo. 11.15 Per semplicità di notazioni denotiamo G = i∗ π1 (Y, y) e K = ker(r∗ ). Per funtorialità, la retrazione r induce un omomorfismo di gruppi fondamentali r∗ : π1 (X, y) → G tale che r∗ (a) = a per ogni a ∈ G. Dimostriamo che se G è un sottogruppo normale, allora vale ab = ba per ogni a ∈ G ed ogni b ∈ K. Infatti si ha r∗ (aba−1 b−1 ) = aa−1 = 1 e dunque aba−1 b−1 ∈ K; d’altra parte, siccome G è normale, vale ba−1 b−1 ∈ G e quindi

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

317

anche il prodotto a(ba−1 b−1 ) ∈ G. In conclusione aba−1 b−1 ∈ K ∩ G = 1 e quindi ab = ba. Possiamo quindi definire un omomorfismo di gruppi Φ : G × K → π1 (X, y),

Φ(a, b) = ab ,

e lasciamo al lettore la semplice verifica della sua bigettività. 11.17 Suggerimento: considerare il sottospazio X formato dalla della sfera unitaria e dai tre piani coordinati di R3 come l’unione dei due aperti A = {x ∈ X | x > 0},

B = {x ∈ X | x < 1}.

11.21 Fissiamo un qualsiasi intero positivo N ; per ogni n ≥ N denotiamo con fn : π1 (KN , x) → π1 (Kn , x) e g : π1 (KN , x) → π1 (X, x) gli omomorfismi di gruppi indotti dalle inclusioni naturali. Supponiamo che fn sia un isomorfismo per ogni n e dimostriamo che anche g è un isomorfismo. g è surgettivo: Sia a ∈ π1 (X, x) e sia α : I → X un cammino chiuso tale che [α] = a. Siccome α(I) è un sottospazio compatto, esiste un intero n sufficientemente grande tale che α(I) ⊂ Kn e dunque [α] ∈ π1 (Kn , x). Siccome fn è surgettivo, esiste un cammino chiuso β : I → KN che è omotopo ad α in Kn ; a maggior ragione α è omotopo a β in X e quindi a = g([β]). g è iniettivo: Sia α : I → KN tale che g([α]) = 0: ciò significa che esiste una omotopia di cammini F : I 2 → X tra α ed il cammino costante. Siccome F (I 2 ) è compatto esiste n > N tale che F (I 2 ) ⊂ Kn e quindi α è omotopicamente banale in Kn , ossia fn ([α]) = 0. Però fn è iniettivo per ipotesi e quindi [α] = 0. 11.22 Suggerimento: per ogni intervallo chiuso e limitato J ⊂ R denotiamo con S(J) = {(x, y, z) ∈ R2 × J | x2 + y 2 = sin2 (πz) },  C(J) = {(x, y, z) ∈ R2 × J | x2 + y 2 = max(0, sin(πz)) }. Per l’Esercizio 11.21 è sufficiente dimostrare che se J ∩ Z = ∅, allora S(J) e C(J) sono semplicemente connessi. Se J contiene esattamente un intero, allora S(J) è contrattile. Usare Van Kampen e induzione sul numero di interi contenuti in J. Per C(J) la situazione è del tutto simile.

Capitolo 12 12.2 1) Per ipotesi E è di Hausdorff, quindi la diagonale Δ è chiusa in E × E ed a maggior ragione è chiusa in E ×X E. Per dimostrare che è aperta, sia e ∈ E un qualsiasi punto e scegliamo un aperto U ⊂ E tale che e ∈ U e f : U → X è iniettiva. Allora (e, e) ∈ U × U ∩ E ×X E = {(e1 , e2 ) ∈ U × U | p(e1 ) = p(e2 )} ⊂ Δ.

318

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

2) Sia Y connesso e siano f, g : Y → E continue tali che pf = pg. Allora l’applicazione (f, g) : Y → E ×X E,

(f, g)(y) = (f (y), g(y)),

è continua e (f, g)−1 (Δ) è aperto e chiuso in Y . 3) Per quanto osservato nell’Esempio 4.21 basta dimostrare che U è chiuso nell’aperto V = p−1 (p(U )). Sia y ∈ V − U un punto qualsiasi e sia x ∈ U tale che p(y) = p(x). Siccome E è di Hausdorff esistono due aperti disgiunti A, B tali che x ∈ A ⊂ U , y ∈ B ⊂ V ; a meno di restringere B non è restrittivo supporre p(B) ⊂ p(A). Allora p(U ∩ B) = p((U − A) ∩ B) ⊂ (p(U ) − p(A)) ∩ p(B) = ∅ e quindi U ∩ B = ∅. 12.5 Sia s : Pn (R) → S n una ipotetica sezione e indichiamo con C ⊂ S n la sua immagine. Dato che Pn (R) è compatto e S n è di Hausdorff, ne segue che C ed il suo opposto D = −C = {−x | x ∈ C} sono sottospazi chiusi di S n . Siccome C ∪ D = S n e S n è connessa per n > 0, deve essere C ∩ D = ∅, ossia devono esistere y, z ∈ Pn (R) tali che s(y) = −s(z). Adesso basta osservare che y = p(s(y)) = p(−s(z)) = p(s(z)) = z per cadere in contraddizione. 12.10 Se b − a ≤ 1, allora l’applicazione non è surgettiva. Se invece b − a > 1, dimostriamo che non tutte le fibre hanno la stessa cardinalità. Indichiamo con n il massimo intero tale che a + n < b. Se x ∈]a, b − n[, allora la fibra di e| (x) contiene esattamente gli n + 1 punti x, x + 1, . . . , x + n. Poiché b − n − 1 ≤ a, la fibra di e| (b − n) contiene esattamente gli n punti b − n, b − n + 1, . . . , b − 1. 12.11 Suggerimento: mostrare che esiste un isomorfismo di Q-spazi vettoriali f : R → C tale che f (1) = 1 e considerare l’applicazione di esponenziale tagliato. 12.12 Suggerimento: l’applicazione p è aperta perché omeomorfismo locale ed è chiusa perché da un compatto ad un Hausdorff. In particolare p(E) è aperto e chiuso in X e quindi p è surgettiva. Sia x ∈ X; la fibra p−1 (x) è discreta e chiusa in uno spazio compatto e quindi è finita. Per ogni e ∈ p−1 (x) scegliamo due aperti e ∈ Ue ⊂ E e x ∈ Ve ⊂ X tali che p : Ue → Ve sia un omeomorfismo. Siccome E è di Hausdorff non è restrittivo supporre gli aperti Ue disgiunti tra loro. Consideriamo poi il chiuso C = E − ∪e∈p−1 (x) Ue ; allora la sua immagine p(C) è chiusa in X. L’aperto V = X − p(C) è banalizzante e contiene x. 12.13 Suggerimento: dimostrare che a meno di omeomorfismi in partenza ed in arrivo non è restrittivo supporre A diagonale. La dimostrazione di questo fatto si semplifica notevolmente usando alcuni risultati di teoria dei moduli su

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

319

anelli ad ideali principali, come ad esempio il teorema di riduzione di Smith per le matrici a coefficienti interi. 12.23 Sia k ∈ ker(p). L’applicazione G → G, g → kgk−1 è un sollevamento di p. 12.28 Traccia di dimostrazione: Sia R > 0 sufficientemente grande e tale che gli aperti B, H e C siano contenuti nella palla B(0, R). Per ogni coppia (v, t) ∈ S 2 × [−R, R] siano: 1. 2. 3. 4. 5. 6.

b+ (v, t) il volume di B ∩ {x | (v · x) ≥ t}. b− (v, t) il volume di B ∩ {x | (v · x) ≤ t}. h+ (v, t) il volume di H ∩ {x | (v · x) ≥ t}. h− (v, t) il volume di H ∩ {x | (v · x) ≤ t}. c+ (v, t) il volume di C ∩ {x | (v · x) ≥ t}. c− (v, t) il volume di C ∩ {x | (v · x) ≤ t}.

Il sottoinsieme Z ⊂ S 2 × [−R, R] dei punti z tali che b+ (z) = b− (z) è chiuso e la proiezione π : Z → S 2 è bigettiva e quindi un omeomorfismo; inoltre (v, t) ∈ Z se e solo se (−v, −t) ∈ Z. Basta adesso applicare il Corollario 12.35 all’applicazione continua f : S 2 → R2 ,

f = gπ −1 ,

g(z) = (h+ (z) − h− (z), c+ (z) − c− (z)).

12.31 Consideriamo l’applicazione continua g : D2 → S 1 ,

g(x) =

x − f (x) . x − f (x)

Dalle relazioni r(x) = x + tg(x), t ≥ 0 e r(x) 2 = 1 si ricava  t2 + 2t(x · g(x)) + x 2 = 1, t = −(x · g(x)) + (x · g(x))2 + 1 − x 2 .

Capitolo 13 13.2 Suggerimento: provare che tale spazio è la base di un rivestimento di grado 2 con spazio totale E = S 2 × (R3 − {0}). 13.11 Suggerimento: trovare due applicazioni continue S 1 → GL(n, C) e GL(n, C) → S 1 la cui composizione è l’identità su S 1 . 13.12 Siano α : I → I 2 e β : I → I 2 due cammini tali che α(0) = (0, 0), α(1) = (1, 1), β(0) = (1, 0) e β(1) = (0, 1). Consideriamo l’applicazione f : I 2 → R2 ,

f (t, s) = α(t) − β(s),

e supponiamo per assurdo che il punto (0, 0) non appartenga all’immagine di f .

320

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

Sia L ⊂ I 2 un lato del quadrato; dimostriamo che la classe di omotopia del cammino f : L → R2 − {(0, 0)} non dipende da α e β: supponiamo per fissare le idee che L = {(t, 0) | t ∈ I}; per gli altri tre lati del quadrato la situazione è del tutto simile. Si ha f (t, 0) = α(t) − β(0) = α(t) − (1, 0), quindi f (L) è contenuto nel sottospazio convesso {(x, y) ∈ R2 | x ≤ 0, y ≥ 0, (x, y) = (0, 0)} ed il cammino f|L è omotopicamente equivalente a g(t, 0) = (t−1, t). Ripetendo il ragionamento per gli altri tre lati del quadrato di trova che il cammino chiuso f : ∂I 2 → R2 − {(0, 0)} è omotopicamente equivalente a g : ∂I 2 → R2 − {(0, 0)}, dove g(t, 0) = (t − 1, t), g(t, 1) = (t, t − 1),

g(1, s) = (s, 1 − s), g(0, s) = (s − 1, −s).

Ma il cammino g è un generatore del gruppo fondamentale di R2 − {(0, 0)}, mentre il cammino f|∂I 2 è omotopicamente banale perché si estende a tutto il quadrato. 13.14 Scegliamo a ∈ A e denotiamo e = f˜(a), y = q(a), x = F (y) = p(e). Per funtorialità abbiamo un diagramma commutativo di omomorfismi di gruppi f˜∗

π1 (A, ⏐ a) −→ π1 (E, ⏐ e) ⏐q∗ ⏐p∗   F

∗ π1 (Y, y) −→ π1 (X, x).

Per ipotesi q∗ è surgettivo e quindi F∗ π1 (Y, y) = F∗ q∗ π1 (A, a) = p∗ f˜∗ π1 (A, a) ⊂ p∗ π1 (E, e). Per il Teorema 13.18 esiste un unico sollevamento F˜ : Y → E di p tale che F˜ (y) = e. Siccome f˜ e F˜ q sono sollevamenti di pf˜ = F q e f˜(a) = F˜ q(a) = e, dalla connessione di A segue che f˜ = F˜ q. 13.15 Basta osservare che α = β ∗ β, dove β(t) = α(t/2). 13.29 Siccome (S 1 )3 è compatto, ogni suo sottospazio discreto è finito e quindi ogni possibile rivestimento (S 1 )3 → G/Γ ha grado finito. Siccome G è semplicemente connesso ed il gruppo fondamentale di G/Γ è isomorfo a Γ , per mostrare che il problema ha risposta negativa è sufficiente dimostrare che Γ non possiede sottogruppi abeliani di indice finito. A tal fine basta considerare le matrici ⎞ ⎛ ⎞ ⎛ 1 1 0 1 0 0 A = ⎝0 1 0⎠ , B = ⎝0 1 1⎠ , 0 0 1 0 0 1 e osservare che per ogni n > 0 vale An B n = B n An .

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

321

Capitolo 14 14.1 Denotiamo con A il complementare in R3 di {(x, y, z) | y = 0, x2 + z 2 = 1} ∪ {(x, y, z) | y = z = 0, x ≥ 1}. Per dimostrare che π1 (A) = Z posssiamo considerare l’aperto semplicemente connesso. B = {(x, y, z) | x2 + y 2 + z 2 > 1}. Dato che A ∩ B è semplicemente connesso, l’inclusione A ⊂ A ∪ B induce un isomorfismo tra i rispettivi gruppi fondamentali: basta adesso osservare che A ∪ B è il complementare di una circonferenza e quindi π1 (A) = Z. 14.5 Siano G un qualsiasi gruppo non abeliano e τ, σ ∈ G tali che στ = τ σ (ad esempio G può essere il gruppo delle permutazioni su tre elementi e σ, τ due distinte trasposizioni). Per la proprietà universale esiste un omomorfismo di gruppi φ : FS → G tale che φ(a) = σ e φ(c) = τ per ogni c ∈ S − {a}. Dunque φ(ab) = φ(ba) ed a maggior ragione ab = ba. 14.18 Il complementare dei tre semiassi si retrae per deformazione a S 2 − {(1, 0, 0), (0, 1, 0), (0, 0, 1)} , che per proiezione stereografica è omeomorfo al complementare di due punti in R2 . Dunque il gruppo fondamentale è il gruppo libero a due generatori. 14.22 Suggerimento: sia p : C → C, p(z) = z n , e si consideri il rivestimento p

C − p−1 ({0, 1}) −→ C − {0, 1}. 14.30 Ogni albero è contrattile e quindi semplicemente connesso. D’altra parte ogni grafo è ottenuto attaccando 1-celle ad un albero. Ogni albero ha caratteristica di Eulero–Poincaré uguale ad 1 ed ogni attaccamento di una 1-cella abbassa tale caratteristica di 1. 14.34 Indichiamo con μn = {z ∈ C | z n = 1} e con S 3 = {w ∈ C2 | w = 1}. Il gruppo μn agisce in modo propriamente discontinuo per moltiplicazione su S 3 ed il quoziente è uno spazio lenticolare Ln che ha come gruppo fondamentale μn . Il prodotto libero μ3 ∗ μ2 è allora il gruppo fondamentale dello spazio L3 ∪ L2 / ∼, dove la relazione ∼ identifica un punto di L2 con un punto di L3 (vedi Esercizio 14.16). Il gruppo μ3 × μ2 agisce in modo propriamente discontinuo sui due spazi X = S 3 × μ2 ,

Y = μ3 × S 3 ,

ponendo per (ξ, η) ∈ μ3 × μ2 , (u, ρ) ∈ X e (γ, v) ∈ Y (ξ, η)(u, ρ) = (ξu, ηρ),

(ξ, η)(γ, v) = (ξγ, ηv).

322

16 Suggerimenti e soluzioni di alcuni esercizi

Fissiamo un punto p ∈ S 3 e consideriamo lo spazio E = X ∪ Y / ∼ dove la relazione identifica il punto α(p, 1) ∈ X con α(1, p) ∈ Y , per ogni α ∈ μ3 × μ2 . Il gruppo fondamentale di E è libero a due generatori, il gruppo μ3 ×μ2 agisce in modo propriamente discontinuo ed il quoziente è omeomorfo a L3 ∪ L2 / ∼. Lo stesso ragionamento può essere usato per dimostrare che il nucleo dell’omomorfismo naturale μn ∗μm → μn ×μm è un gruppo libero a (n−1)(m−1) generatori.

Capitolo 15 15.16 Suggerimento: applicando la trasformata di Cayley, il principio di identità per i polinomi e l’Esempio 14.16, si ottiene che per ogni parola ridotta as1 br1 · · · nelle lettere a, b, a−1 , b−1 , l’insieme delle coppie (A, B) di matrici speciali ortogonali tali che As1 B r1 · · · = I è un chiuso raro. La densità di D segue dal teorema di Baire. 15.17 Ogni applicazione continua f : P2 (R) → P2 (R) si solleva ad un’applicazione continua tra i rispettivi rivestimenti universali, esiste cioè un diagramma commutativo di applicazioni continue S⏐2 ⏐  P2 (R)

g

−→

S⏐2 ⏐ 

f

−→ P2 (R)

e per il Corollario 15.23 esiste x ∈ S 2 tale che g(x) = ±x.

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M. Manetti: Topologia, 2a edizione, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 78, DOI: 10.1007/978-88-470-5662-6, © Springer-Verlag Italia 2014

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Indice analitico

A2 , 212 A∞ , 213 , vii e| , 218 ♥, v π0 , 180 – funtore -, 182 – locale, 183 π1 , 202 πn , 195 P(X),P0 (X), 27 K, vi aderente, 7 aderenti – punti -, 46 – sottoinsiemi -, 51 albero, 175, 275 Alexander, teorema di -, 140 Alexandroff, compattificazione di -, 89 aperto, 42 – banalizzante, 217 applicazione – continua, 49 – aperta, 50 – chiusa, 50 – continua, 9 – continua in un punto, 50 – propria, 84 applicazioni – omotope, 183 Ascoli–Arzelà, teorema di -, 134 Assioma della scelta, 30, 31

assiomi di separazione, 151 attaccamento, 272 – di celle, 276 – funzione di -, 272 Baire – spazio di -, 127 – teorema di -, 127 Banach–Tarski, paradosso di -, 32 base – canonica del prodotto, 61, 141 – di un rivestimento, 217 – di uno spazio topologico, 43 – di uno spazio vettoriale, 37 – locale di intorni, 47 – numerabile, 113 Betti, numeri di -, 177 Borsuk, teorema di -, 230 bouquet di circonferenze, 275 Brouwer, teorema del punto fisso di -, 231 cammino – chiuso, 197 Cantor – insieme di -, 284 – teorema di -, 27 Cantor–Schröder–Bernstein, 28 caratteristica di Eulero–Poincaré, 175, 278 cardinalità, 26 categoria, 182, 190 – opposta, 191

M. Manetti: Topologia, 2a edizione, UNITEXT – La Matematica per il 3+2 78, DOI: 10.1007/978-88-470-5662-6, © Springer-Verlag Italia 2014

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Indice analitico

Cayley, trasformata di -, 290 celle, attaccamento di -, 276 chiuso, 42 chiusura, 46 ciclo, 175 compatta-aperta, topologia -, 164 compattificazione – di Alexandroff, 89 – di Stone–Čech, 155 completamento (di uno spazio metrico), 129 componente – connessa, 73, 74 – connessa per archi, 181 – irriducibile, 169 configurazioni, spazio delle -, 73 connessione – di un grafo, 3 – locale -, 179 – locale - per archi, 181 – semplice -, 203 contrattile, spazio topologico -, 186 contrazioni – di sottospazi, 96 – teorema delle -, 123 coprodotto – in una categoria, 194 De Morgan, formule di -, 23 denso, sottoinsieme -, 46 diagonale, 64 distanza, 53 – da un sottoinsieme, 55 – euclidea, 53 disuguaglianza – quadrangolare, 57 – triangolare, 8, 53 – di Cauchy–Schwarz, 8 divisione di insiemi, 23 equicontinua, 134 equipotenti, insiemi -, 26 equivalenza – di categorie, 281 – classe di -, 31 – di distanze, 56 – omotopica, 185 di cammini, 197 – relazione di -, 30

esaustione in compatti, 89 esponenziale – tagliato, 219 – legge -, 165 estremo – inferiore, 25 – superiore, 25 fibra, 22 – del rivestimento, 217 frontiera, 47 funtore, 192 – covariante, 192 – essenzialmente surgettivo, 280 – controvariante, 192 – pienamente fedele, 280 giunzione di cammini, 180, 197 grado, di un rivestimento, 220 grafo, 3 – topologico, 274 gruppi di omotopia, 195 gruppo – fondamentale, 203 – libero, 261 – topologico, 85 gruppoide, 280 – fondamentale, 280 Hausdorff – distanza di -, 126 – paradosso di -, 32, 265 – principio del massimo di -, 158 – spazio di -, 63 Hilbert, teorema della base di -, 168 identificazione, 93 immersione, 59 – aperta, 60 – chiusa, 60 indicizzazione, 23 insieme, 21 – diretto, 135 – bene ordinato, 159 – convesso, 70 – di rappresentanti, 31 – finito, 21 – infinito, 21 – numerabile, 26

Indice analitico – ordinato, 34 – stellato, 73 – totalmente ordinato, 34 intervallo, 11, 70 intorno, 47 invariante – completo, 178 – topologico, 178 inversa omotopica, 186 inversione di cammini, 180, 197 inverso, 190 isomorfismo, 190 – di funtori, 279 – di rivestimenti, 247 Kelley, estensione di -, 85 Kelleyficazione, 85 Klein, bottiglia di -, 6, 97 Kuratowski – proprietà di -, 48 Lebesgue, numero di -, 209 leggi distributive, 24 lenticolare, spazio -, 224 limitato(a) – applicazione -, 57 – sottoinsieme -, 57 limitazione standard di una distanza, 54 magro, sottoinsieme -, 127 Mandelbrot, insieme di -, 12 Moebius, nastro di -, 6 moltiplicazione – destra, 85 – sinistra, 85 monodromia, 235 monoide topologico, 213 morfismo – cofinale, 136 – di funtori, 280 – di rivestimenti, 247 normalizzatore, 249 numerabile, 26 omeomorfismo, 50 – locale, 215 omotopia – di applicazioni, 183

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– di cammini, 197 – di spazi topologici, 186 – primo gruppo di -, 203 – sollevamento dell’-, 227 – tipo di -, 186 operatore di chiusura, 48 orbite, 99 ordinali finiti, 193 palla aperta, 54 parametrizzazione, 23 – standard, 180 parte interna, 46 Peano, curve di -, 208, 284 pettinabilità delle sfere, 291 Poincaré, 203 Poincaré-Volterra, 295 polimattoncini, 176 prebase – canonica del prodotto, 141 – di uno spazio topologico, 139 primo assioma di numerabilità, 115 prodotto – cardinalità del -, 37 – di spazi topologici, 61 – in una categoria, 193 – libero di gruppi, 266 proiezione – al quoziente, 31 – formula di -, 22 propriamente discontinua, azione -, 221 proprietà – dell’intersezione finita, 81 – di Kuratowski, 48 – di numerabilità, 113 – di separazione, 151 – universale dei gruppi liberi, 261 del prodotto libero, 266 delle identificazioni, 94 dello spazio quoziente, 96 punti – di accumulazione di un sottoinsieme, 120 – aderenti, 46 – di accumulazione di una rete, 136 di una successione, 118 – interni, 46

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Indice analitico

punto base di un cammino, 197 punto fisso, 64 – teorema del -, 231 puntualmente totalmente limitata, 134 quoziente, 31 – topologico, 96 raffinamento, 144 – funzione di -, 144 – stellato, 150 raro, sottoinsieme -, 127 relazione, 30 – di equivalenza, 30 – di ordine, 34 rete, 136 retrazione, 187 – per deformazione, 188 ricoprimento, 76 – aperto, 76 – chiuso, 76 – fondamentale, 77 – localmente finito, 76 rivestimento, 215, 217 – banale, 218 – connesso, 218 – Galoisiano, 248 – universale, 249 Russell, paradosso di -, 155 Sard, teorema di -, 208 saturo, sottoinsieme -, 22 secondo assioma di numerabilità, 113 semilocale, semplice connessione -, 250 separabile, spazio topologico -, 114 separati, sottoinsiemi -, 60 sezione, 216 simplesso standard, 193 singoletta, 21 sistema fondamentale di intorni, 47 sollevamento, 224 Sorgenfrey, retta di -, 44, 116 sottoinsieme – chiuso, 42 – denso, 46 – aperto, 42 – chiuso, 10 – localmente chiuso, 60 sottoricoprimento, 76

sottospazio – topologico, 58 – relativamente compatto, 125 sottosuccessione, 118 spazio dei cammini, 197 spazio metrico, 53 – completo, 121 – totalmente limitato, 124 spazio proiettivo – complesso, 103 – reale, 101 spazio quoziente, 96 spazio topologico, 42 – compattamente generato, 84 – connesso per archi, 69 – Noetheriano, 168 – separabile, 114 – compatto, 78 – connesso, 68 – di Baire, 127 – di Hausdorff, 63, 151 – di Kolmogoroff, 151 – irriducibile, 169 – localmente compatto, 105 – metrizzabile, 56 – normale, 149 – paracompatto, 145 – pienamente normale, 150 – regolare, 152 – sconnesso, 68 – separato, 151 spazio totale, del rivestimento, 217 stereografica, proiezione -, 15 Stone, teorema di -, 146 stringa, 175 successione, 118 – compattezza per -, 119 – convergente, 118 – di Cauchy, 121 – generalizzata, 135 – limite di -, 118 – punto di accumulazione di -, 118 T0,T1,T2,T3,T4, 151 T1, spazio topologico -, 48 Tietze, teorema di -, 171 topologia, 42 – quoziente, 96 – banale, 42

Indice analitico – cofinita, 43 – della convergenza puntuale, 139 – della semicontinuità superiore, 42 – di sottospazio, 58 – di Zariski, 44 – discreta, 42 – euclidea, 42 – indiscreta, 42 – prodotto, 61 trasformazioni naturali, 279 Tukey, lemma di -, 36 Tyconoff, teorema di -, 142 ultrafiltro, 162 unione disgiunta, 44

Urysohn – lemma di -, 171 – teorema di metrizzabilità di -, 152 Van Kampen, 209, 258, 269, 294 varietà topologica, 147 Wallace, teorema di -, 82 Yoneda, lemma di -, 282 Zariski, topologia di -, 44 Zermelo – postulato di -, 33 – teorema di -, 161 Zorn, lemma di -, 34, 158

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Collana Unitext – La Matematica per il 3+2 A cura di: A. Quarteroni (Editor-in-Chief) L. Ambrosio P. Biscari C. Ciliberto M. Ledoux W.J. Runggaldier Editor in Springer: F. Bonadei [email protected] Volumi pubblicati. A partire dal 2004, i volumi della serie sono contrassegnati da un numero di identificazione. I volumi indicati in grigio si riferiscono a edizioni precedenti. A. Bernasconi, B. Codenotti Introduzione alla complessità computazionale 1998, X+260 pp, ISBN 88-470-0020-3 A. Bernasconi, B. Codenotti, G. Resta Metodi matematici in complessità computazionale 1999, X+364 pp, ISBN 88-470-0060-2 E. Salinelli, F. Tomarelli Modelli dinamici discreti 2002, XII+354 pp, ISBN 88-470-0187-0 S. Bosch Algebra 2003, VIII+380 pp, ISBN 88-470-0221-4 S. Graffi, M. Degli Esposti Fisica matematica discreta 2003, X+248 pp, ISBN 88-470-0212-5 S. Margarita, E. Salinelli MultiMath – Matematica Multimediale per l’Università 2004, XX+270 pp, ISBN 88-470-0228-1

A. Quarteroni, R. Sacco, F.Saleri Matematica numerica (2a Ed.) 2000, XIV+448 pp, ISBN 88-470-0077-7 2002, 2004 ristampa riveduta e corretta (1a edizione 1998, ISBN 88-470-0010-6) 13. A. Quarteroni, F. Saleri Introduzione al Calcolo Scientifico (2a Ed.) 2004, X+262 pp, ISBN 88-470-0256-7 (1a edizione 2002, ISBN 88-470-0149-8) 14. S. Salsa Equazioni a derivate parziali - Metodi, modelli e applicazioni 2004, XII+426 pp, ISBN 88-470-0259-1 15. G. Riccardi Calcolo differenziale ed integrale 2004, XII+314 pp, ISBN 88-470-0285-0 16. M. Impedovo Matematica generale con il calcolatore 2005, X+526 pp, ISBN 88-470-0258-3 17. L. Formaggia, F. Saleri, A. Veneziani Applicazioni ed esercizi di modellistica numerica per problemi differenziali 2005, VIII+396 pp, ISBN 88-470-0257-5 18. S. Salsa, G. Verzini Equazioni a derivate parziali – Complementi ed esercizi 2005, VIII+406 pp, ISBN 88-470-0260-5 2007, ristampa con modifiche 19. C. Canuto, A. Tabacco Analisi Matematica I (2a Ed.) 2005, XII+448 pp, ISBN 88-470-0337-7 (1a edizione, 2003, XII+376 pp, ISBN 88-470-0220-6) 20. F. Biagini, M. Campanino Elementi di Probabilità e Statistica 2006, XII+236 pp, ISBN 88-470-0330-X

21. S. Leonesi, C. Toffalori Numeri e Crittografia 2006, VIII+178 pp, ISBN 88-470-0331-8 22. A. Quarteroni, F. Saleri Introduzione al Calcolo Scientifico (3a Ed.) 2006, X+306 pp, ISBN 88-470-0480-2 23. S. Leonesi, C. Toffalori Un invito all’Algebra 2006, XVII+432 pp, ISBN 88-470-0313-X 24. W.M. Baldoni, C. Ciliberto, G.M. Piacentini Cattaneo Aritmetica, Crittografia e Codici 2006, XVI+518 pp, ISBN 88-470-0455-1 25. A. Quarteroni Modellistica numerica per problemi differenziali (3a Ed.) 2006, XIV+452 pp, ISBN 88-470-0493-4 (1a edizione 2000, ISBN 88-470-0108-0) (2a edizione 2003, ISBN 88-470-0203-6) 26. M. Abate, F. Tovena Curve e superfici 2006, XIV+394 pp, ISBN 88-470-0535-3 27. L. Giuzzi Codici correttori 2006, XVI+402 pp, ISBN 88-470-0539-6 28. L. Robbiano Algebra lineare 2007, XVI+210 pp, ISBN 88-470-0446-2 29. E. Rosazza Gianin, C. Sgarra Esercizi di finanza matematica 2007, X+184 pp, ISBN 978-88-470-0610-2 30. A. Machì Gruppi – Una introduzione a idee e metodi della Teoria dei Gruppi 2007, XII+350 pp, ISBN 978-88-470-0622-5 2010, ristampa con modifiche

31 Y. Biollay, A. Chaabouni, J. Stubbe Matematica si parte! A cura di A. Quarteroni 2007, XII+196 pp, ISBN 978-88-470-0675-1 32. M. Manetti Topologia 2008, XII+298 pp, ISBN 978-88-470-0756-7 33. A. Pascucci Calcolo stocastico per la finanza 2008, XVI+518 pp, ISBN 978-88-470-0600-3 34. A. Quarteroni, R. Sacco, F. Saleri Matematica numerica (3a Ed.) 2008, XVI+510 pp, ISBN 978-88-470-0782-6 35. P. Cannarsa, T. D’Aprile Introduzione alla teoria della misura e all’analisi funzionale 2008, XII+268 pp, ISBN 978-88-470-0701-7 36. A. Quarteroni, F. Saleri Calcolo scientifico (4a Ed.) 2008, XIV+358 pp, ISBN 978-88-470-0837-3 37. C. Canuto, A. Tabacco Analisi Matematica I (3a Ed.) 2008, XIV+452 pp, ISBN 978-88-470-0871-3 38. S. Gabelli Teoria delle Equazioni e Teoria di Galois 2008, XVI+410 pp, ISBN 978-88-470-0618-8 39. A. Quarteroni Modellistica numerica per problemi differenziali (4a Ed.) 2008, XVI+560 pp, ISBN 978-88-470-0841-0 40. C. Canuto, A. Tabacco Analisi Matematica II 2008, XVI+536 pp, ISBN 978-88-470-0873-1 2010, ristampa con modifiche 41. E. Salinelli, F. Tomarelli Modelli Dinamici Discreti (2a Ed.) 2009, XIV+382 pp, ISBN 978-88-470-1075-8

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