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1. Diritto penale e diritto processuale penale. La legge penale definisce i “tipi di fatto” che costituiscono reato e le sanzioni previste per coloro che li commettono. La legge processuale penale regola il procedimento mediante il quale si accerta se e` stato commesso un fatto di reato, se l’imputato ne e` l’autore e, in caso positivo, quale pena debba essergli applicata. Una volta che e` stato commesso un reato, occorre accertare le modalita` del fatto, scoprirne il responsabile (o i responsabili) e applicare le sanzioni. Questo compito in una societa` ordinata spetta allo Stato in base al diritto; non si puo` lasciare che i cittadini, le persone offese o i loro familiari si facciano Giustizia da soli. L’uso della coercizione e della forza deve restare monopolio dello Stato. Il compito di accertare se un imputato e` responsabile di un reato e` demandato al giudice. Le modalita` di svolgimento del processo penale non devono essere lasciate alla discrezione di quest’ultimo, bensı` devono essere regolate dalla legge (si veda la riserva di legge contenuta nell’art. 111 Cost., nuovo comma 1 introdotto con la riforma del 1999, della quale si trattera` nel prossimo capitolo). Il diritto processuale penale e` il complesso delle norme di legge che disciplinano le attivita` dirette all’attuazione del diritto penale nel caso concreto. In questo senso comunemente si afferma che il diritto processuale ha una funzione strumentale rispetto al diritto penale sostanziale. Il giudice accerta se il fatto commesso dall’imputato rientra nella fattispecie (tipo di fatto) prevista dalla legge penale incriminatrice; in caso positivo, l’imputato deve essere condannato; in caso negativo, l’imputato deve essere assolto.
2. Il sistema inquisitorio. Con i termini sistema accusatorio e sistema inquisitorio ci si riferisce a “tipi” ideali di processo che sono niente altro che “modelli”: essi sono stati ricavati mediante astrazione a partire da alcuni caratteri reali che sono riscontrabili nei singoli ordinamenti processuali in determinati momenti della storia. Il sistema inquisitorio si basa sul principio di autorita`, secondo il quale la verita` e` tanto meglio accertata quanto piu` potere e` dato al soggetto inquirente. In
CAPITOLO I – I SISTEMI PROCESSUALI
lui si cumulano tutte le funzioni processuali: egli opera al tempo stesso come giudice, come accusatore e come difensore dell’imputato. Accolto questo postulato, ne deriva che ad un unico soggetto devono essere concessi pieni poteri in ordine sia all’iniziativa del processo, sia alla formazione della prova. Tale soggetto nella storia assume varie denominazioni, delle quali la piu` nota e` quella di “giudice inquisitore”. Non importa se si tratta di un giudice singolo o collegiale (anche se e` un organo eletto democraticamente); quello che conta e` il “tipo” di potere che gli e` concesso. Si pensa che, se l’autorita` facilita l’accertamento del vero e del giusto, tanto maggiore sara` quella, tanto migliore sara` questo. In definitiva, si crede nel “cumulo” delle funzioni processuali in un unico organo. Correlativamente, si tende a non riconoscere alcun potere alle parti; l’offeso e l’imputato sono meri “oggetti” del giudizio, poiche´ tutti i poteri risiedono nel giudice. Dal principio del cumulo dei poteri processuali derivano le principali caratteristiche del sistema inquisitorio. Iniziativa d’ufficio. L’iniziativa del processo penale deve spettare al giudice. Poiche´ e` il depositario del vero e del giusto, egli non deve essere ostacolato dalla inattivita` delle parti. Iniziativa probatoria d’ufficio. La ricerca delle prove non deve spettare alle parti, bensı` al giudice stesso, perche´ egli ha piu` poteri e, quindi, meglio puo` conoscere il vero e il giusto. Segreto. L’inquisitore e` una persona (o un organo) che ricerca la verita` senza utilizzare la contrapposizione dialettica tra le parti. Assume le deposizioni in segreto e non ha necessita` di confrontare la sua ricostruzione della verita` con le posizioni dell’accusa e della difesa dell’imputato. Costoro, limitando i suoi poteri, potrebbero soltanto ostacolare la ricerca del vero. Scrittura. Delle deposizioni raccolte dall’inquisitore e` redatto un verbale. Questo riporta l’interpretazione che l’inquisitore da` alle frasi pronunciate. Si ritiene accettabile che non vengano riportate le parole effettive, bensı` la versione data dall’inquirente, perche´ soltanto lui e` in grado di comprenderne il vero significato. Nessun limite all’ammissibilita` delle prove. Quello che conta e` il risultato da raggiungere, e cioe` la verita`, e non il metodo con cui la si persegue. Pertanto ogni modalita` di ricerca e` ammessa; anche la tortura dell’imputato. E se l’inquisitore ritiene che il testimone dica il falso, anche quest’ultimo puo` essere sottoposto a tortura. La presunzione di reita`. E` sufficiente aver raccolto alcuni indizi contro un imputato, o anche soltanto una denuncia anonima, perche´ questi sia chiamato a “discolparsi”. In questo sistema deve essere l’imputato a dimostrare la sua innocenza mediante prove; se fallisce in tale compito, deve essere condannato. Carcerazione preventiva. Poiche´ l’imputato e` presunto colpevole, in mancanza di prove di innocenza puo` essere sottoposto a custodia preventiva in carcere. Il sistema inquisitorio fa ampio uso di tale strumento; e` denominato carcerazione “preventiva” perche´ costituisce l’anticipazione di quella sanzione, che poi viene irrogata a seguito della decisione. In attesa di questa, l’imputato lan-
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guisce in carcere senza che gli siano rese note ne´ l’accusa formulata, ne´ le prove raccolte. Molteplicita` delle impugnazioni. Il regime totalitario da` ampi poteri al giudice inquisitore; nel momento in cui egli li esercita, non puo` essere controllato dalle parti, pena la sconfessione del postulato che fonda il sistema. Una volta che e` stata pronunciata la sentenza, il sistema si ricorda che anche il giudice e` un uomo e puo` sbagliare. Ed allora il regime permette che le parti possano presentare impugnazione, sulla quale deve decidere un giudice superiore che e` dotato dei medesimi poteri inquisitori che sono concessi al primo giudice.
3. Il sistema accusatorio. Il sistema accusatorio e` costruito come modello contrapposto a quello inquisitorio. Esso si basa su di un principio opposto a quello di autorita`, e cioe` sul principio dialettico. Si prende atto dei limiti della natura umana e si ritiene che nessuna persona sia depositaria del vero e del giusto; la verita` si puo` accertare tanto meglio quanto piu` le funzioni processuali sono ripartite tra soggetti che hanno interessi antagonisti. Al giudice, che deve essere indipendente ed imparziale, spetta di decidere sulla base di prove ricercate dall’accusa e dalla difesa. La scelta operata dal giudice tra le diverse ricostruzioni del fatto storico e` stimolata dalla dialettica che si svolge tra soggetti spinti da interessi contrapposti. Lo scontro tra le tesi sostenute da ciascun interlocutore e` una tecnica che consente di valutare la fondatezza degli argomenti che le sorreggono e costituisce il metodo meno imperfetto per avvicinarsi alla verita`. Accettato tale principio, occorre che nel processo penale i poteri di un soggetto siano bilanciati da quelli riconosciuti ad un altro soggetto. E` necessario che un giudice imparziale sia in grado di dirimere i momenti di contrasto inevitabile tra i due antagonisti del processo penale, restando in una posizione di assoluta neutralita` psichica. Il sistema delineato, che puo` essere definito “separazione delle funzioni processuali”, vuole evitare che l’uso di un potere degeneri in abuso. Dal principio di separazione delle funzioni processuali derivano le caratteristiche essenziali del sistema accusatorio, che vengono a delinearsi in contrapposizione logica con quelle che connotano il sistema inquisitorio. Iniziativa di parte. Il giudice non puo` procedere d’ufficio nel determinare l’oggetto della controversia, perche´ altrimenti si dimostrerebbe parziale. L’iniziativa del processo penale deve spettare soltanto alle parti. La presenza di un “accusatore” da` nome a questo sistema processuale. In origine il potere di azione (e cioe` di chiedere una decisione al giudice) spettava ad un accusatore privato, e cioe` alla persona offesa dal reato o a qualunque cittadino. Successivamente il potere e` stato attribuito ad un organo pubblico: il pubblico ministero. Iniziativa probatoria di parte. Una volta che sia accolto il principio dialettico, ne derivano alcune conseguenze in tema di prova. I poteri di ricerca, ammissione e valutazione della prova non possono essere attribuiti ad un unico soggetto (ne´ al giudice, ne´ all’accusatore), bensı` devono essere divisi e ripartiti tra
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il giudice, l’accusa e la difesa in modo che nessuno di essi possa abusarne. In questo sistema e` indispensabile una dettagliata regolamentazione della prova. Colui che accusa ha l’onere di ricercare le prove e di convincere il giudice della reita` dell’imputato. La difesa deve avere il potere di ricercare le prove in base alle quali possa convincere il giudice che l’imputato non e` colpevole, o che le modalita` di svolgimento del fatto addebitato devono essere ricostruite in modo diverso da quanto ha fatto l’accusa. Il giudice deve soltanto decidere se ammettere, o meno, il mezzo di prova che viene richiesto; nel corso dell’esame deve di regola limitarsi a valutare l’ammissibilita` delle domande formulate da una parte. L’istituto che esprime nel modo piu` limpido la filosofia del sistema accusatorio e` l’esame incrociato, nel quale sono distribuiti in modo dettagliato i poteri di iniziativa spettanti alle parti ed i poteri di controllo attribuiti al giudice. Contraddittorio. La separazione delle funzioni processuali si attua mediante il principio del contraddittorio. Questo assicura che, prima della decisione, il giudice permetta alla parte interessata di sostenere le proprie ragioni (audiatur et altera pars); riferito alla materia della prova, il principio tende a far sı` che ciascuna delle parti possa contribuire alla formazione della prova ponendo le domande al testimone (o altro dichiarante). Il contraddittorio adempie a due funzioni essenziali: tutela i diritti di ciascuna parte e costituisce una tecnica di accertamento dei fatti. Quanto maggiore e` il contraddittorio, tanto meglio potra` essere accertata la verita`. Ad ogni parte deve essere data la possibilita` di mettere in dubbio l’esistenza del fatto che e` affermato dalla controparte. Cio` comporta che non puo` essere utilizzata per la decisione la dichiarazione di una persona citata da una parte, se alla controparte non e` permesso di interrogarla in sede di controesame. Oralita`. Si ha oralita` in senso pieno soltanto quando coloro che ascoltano possono porre domande ed ottenere risposte da colui che ha reso una dichiarazione. L’oralita` permette di valutare in modo pieno la credibilita` e l’attendibilita` di un testimone (o di altro dichiarante). Da cio` deriva la regola di esclusione secondo cui, in linea di principio, ai fini della decisione non sono utilizzabili le dichiarazioni scritte. Limiti di ammissibilita` delle prove. Nel sistema accusatorio si ritiene che sia molto importante il metodo attraverso il quale si giunge a formare una prova; soltanto se questo e` rispettato, la prova puo` essere attendibile e, quindi, utile allo scopo di ricostruire l’esistenza di un fatto storico. Presunzione di innocenza. Chiunque accusa una persona deve convincere il giudice, mediante prove, che costei e` colpevole; fino a che il giudice non ha accertato la reita` mediante un processo regolato dalla legge e rispettoso del diritto di difesa, l’imputato e` presunto innocente. Non gli puo` essere chiesto di “discolparsi”, bensı` spetta a colui che accusa portare prove che dimostrino la reita`. Il giudice puo` condannare l’imputato soltanto quando l’accusa ha provato la reita` “al di la` di ogni ragionevole dubbio”. Il punto merita di essere approfondito. Oggetto di prova, nel processo di tipo accusatorio, e` non l’innocenza dell’imputato, bensı` la sua colpevolezza in relazione a quel fatto che e` descritto nell’imputazione. Se l’accusa non riesce a convincere il giudice della reita` dell’imputato “al di la` di ogni ragionevole dubbio”,
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questi deve essere semplicemente dichiarato “non colpevole”. Non occorre che l’imputato sia “assolto” perche´ egli e` presunto innocente fin dall’inizio del processo. Limiti alla custodia cautelare. Se l’imputato e` presunto innocente fino alla condanna definitiva, non puo` essere trattato come un colpevole; pertanto la sanzione penale non puo` essere anticipata in via provvisoria. Quella che puo` essere applicata e` soltanto una misura cautelare se ed in quanto vi siano prove che dimostrino che in concreto esistono esigenze cautelari. Pertanto, l’accusa deve dimostrare che vi e` il pericolo che l’imputato inquini le prove, fugga o commetta gravi reati; ma soprattutto deve convincere il giudice, sia pure “allo stato degli atti” (e cioe` sulla base di indagini non complete), che vi sono prove o gravi indizi che dimostrano la reita` dell’imputato. La presunzione di innocenza impone che il quantum di prova sia considerevole e sia proporzionato alla gravita` delle restrizioni poste alla liberta` personale. Limiti alle impugnazioni. Nel sistema accusatorio i controlli funzionano nel momento stesso in cui si forma la prova davanti al giudice. L’esame incrociato sfrutta “l’effetto sorpresa”; se l’esame viene compiuto una seconda volta sulle medesime domande, ha scarse possibilita` di essere utile. Le impugnazioni, che pure esistono nel sistema accusatorio, hanno soprattutto lo scopo di controllare se in primo grado il giudice ha osservato i diritti delle parti e, segnatamente, il diritto alla prova; possono avere anche lo scopo di valutare se il giudice di primo grado ha motivato la decisione in modo ragionevole.
4. Il sistema misto. Come abbiamo anticipato, la contrapposizione tra sistema inquisitorio e accusatorio ha un valore meramente astratto; in concreto nella storia sono stati addottati ordinamenti che presentano caratteristiche dell’uno o dell’altro sistema. Soltanto raramente si e` verificato che un determinato ordinamento abbia condensato in se´ tutte le caratteristiche di un unico sistema. La maggior parte degli ordinamenti sono misti; grazie alla distinzione menzionata si puo` valutare se prevalgono gli elementi inquisitori o accusatori. Dobbiamo dare atto che nel corso della storia vi e` stato un momento nel quale si e` voluto combinare le caratteristiche dei due sistemi al fine di cumularne i vantaggi. Cio` e` avvenuto in seguito alla Rivoluzione francese ed al tentativo, effettuato nel 1790, di accogliere il sistema accusatorio puro cosı` come esso si era manifestato in Inghilterra. Il tentativo ha avuto un esito negativo per svariati motivi, che non e` possibile in questa sede approfondire. Nel corso dei successivi venti anni in Francia sono stati sperimentate le piu` varie soluzioni di compromesso finche´, grazie alle elaborazioni dei giuristi presenti nel Consiglio di Stato, tra il 1804 ed il 1808 e` stato formulato un codice che teneva conto della esperienza legislativa rivoluzionaria. Il Code d’instruction criminelle, promulgato nel 1808 ma entrato in vigore nel 1811, ha accolto quello che, da allora, e` stato definito il sistema processuale “misto” per eccellenza. La fase anteriore al dibattimento, denominata istruzione,
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era prevalentemente inquisitoria, ma era temperata in aspetti fondamentali da istituti del sistema accusatorio. La fase del dibattimento era prevalentemente accusatoria, salvo alcuni temperamenti in senso inquisitorio. Il sistema misto era caratterizzato da una netta “separazione” tra le funzioni della accusa e del giudice. La fase della raccolta delle prove (istruzione) era segreta e veniva svolta dal giudice istruttore. Non si trattava della inquisizione tipica dello Stato assoluto perche´ vi erano i seguenti temperamenti: 1) l’istruzione iniziava dopo che il pubblico ministero aveva fatto formale richiesta al giudice istruttore; 2) essa terminava dopo che il pubblico ministero medesimo aveva chiesto il rinvio a giudizio o il proscioglimento; 3) il giudice non poteva rifiutarsi di compiere l’istruzione; 4) era garantito all’imputato il controllo giurisdizionale sulla richiesta di rinvio a giudizio; tale controllo era svolto da una sezione della corte d’appello composta da giudici togati (Chambre d’accusation). Nella fase istruttoria il sistema misto si caratterizzava per il fatto che l’assunzione delle prove era affidata al giudice, e cioe` ad un organo comunque separato dal potere esecutivo; tale organo era sotto il controllo della corte d’appello, dalla quale ricavava al tempo stesso la “forza” di opporsi all’ufficio del pubblico ministero. Soltanto il giudice istruttore aveva poteri coercitivi sulla liberta` delle persone. Al pubblico ministero non si e` voluto attribuire poteri coercitivi poiche´ egli dipendeva dal potere esecutivo. Soltanto in presenza della flagranza di reato il principio veniva meno: il pubblico ministero e la polizia giudiziaria potevano arrestare l’imputato e potevano disporre la perquisizione. A sua volta, la fase del dibattimento era prevalentemente accusatoria; tuttavia essa era temperata dai seguenti princı`pi: 1) le domande ai testimoni erano rivolte dal presidente del collegio giudicante; 2) gli atti compiuti prima del dibattimento potevano essere letti e su di essi il giudice poteva fondare la sua decisione. Il sistema misto, “inventato” dal codice del 1808 ed esportato in tutta l’Europa continentale dalle armate napoleoniche, mirava a fondere in un’unica struttura processuale i caratteri del sistema inquisitorio e di quello accusatorio, cercando (almeno nei propositi) di sommarne gli aspetti positivi e, al tempo stesso, di contemperare la difesa della societa` e la tutela dell’imputato. L’istruzione era una “assunzione” della prova, mentre il dibattimento costituiva una “critica” ed un “controllo” sulla medesima. Dopo il 1815 negli Stati europei tornarono al potere i sovrani assoluti, i quali immediatamente ripristinarono il processo inquisitorio con tutte le caratteristiche che abbiamo esposto. Con fatica il movimento liberale nel corso dell’800 e` riuscito ad ottenere che fosse accolto il sistema misto. Attualmente la maggior parte degli Stati dell’Europa continentale adottano sistemi misti riferibili all’originario modello francese. In Italia il sistema misto e` stato accolto con il codice di procedura penale del 1865 in aderenza all’originario modello napoleonico. Successivamente, del sistema misto e` stata attuata una versione prevalentemente accusatoria con il codice del 1913 ed una versione prevalentemente inquisitoria con il codice del 1930.
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CAPITOLO II DALLA COSTITUZIONE AL CODICE DI PROCEDURA PENALE
GUIDA 1. I princı`pi del processo penale nella Costituzione del 1948 2. Dalla legge-delega al codice di procedura penale 3. Le linee generali del processo penale 4. I princı`pi del “giusto processo” 5. I princı`pi attinenti ad ogni processo 6. I princı`pi inerenti al processo penale 7. Cenni sulla successione delle norme processuali nel tempo 8. Le fonti internazionali del diritto processuale penale 9. Effetti delle sentenze di condanna pronunciate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo
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1. I princı`pi del processo penale nella Costituzione del 1948. La Costituzione, entrata in vigore il 1o gennaio 1948, ha introdotto molte novita` rispetto allo Statuto albertino, che trascurava quasi completamente i princı`pi attinenti al processo penale. L’Assemblea costituente ha voluto intervenire in questa materia seguendo una precisa strategia. A causa del tempo limitato a loro disposizione, i costituenti hanno posto soltanto le garanzie fondamentali che riguardavano i punti nevralgici del processo penale. Nel fare cio`, hanno dato per scontato che alcuni princı`pi fondamentali (quali, ad esempio, la pubblicita` del dibattimento penale) costituissero ormai una conquista consolidata e, pertanto, non necessitassero di espressa previsione nella Costituzione. E` importante porre una premessa ulteriore. Nella Costituzione si esprimono i differenti orientamenti ideologici che hanno contribuito ad elaborare la Carta fondamentale. Infatti, nel corso dei lavori preparatori della Assemblea costituente (1946-1947) hanno portato un contributo sinergico vari partiti di matrice ideologica profondamente differente. All’orientamento liberale si devono le norme costituzionali che introducono la separazione dei poteri dello Stato, riaffermata con particolare enfasi a garanzia dell’ordine giudiziario: fra tutte le norme della Costituzione, le meglio congegnate sono state quelle sulla magistratura (titolo IV, parte II; v. infra, parte II, cap. 1, § 2). Al medesimo orientamento si possono ricondurre quelle disposizioni che stabiliscono la separazione delle funzioni nel processo penale: il diritto di difesa, proclamato « inviolabile in ogni stato e grado del procedimento » (art. 24, comma 2; v. infra, parte II, cap. 1, § 6); l’azione penale spettante al pubblico ministero (art. 112; v. infra, parte III, cap. 2, § 2); il principio del « giudice naturale » precostituito per legge (art. 25, comma 1; v. infra, parte II, cap. 1, § 2.6). L’insieme di queste norme dimostra in modo netto che il costituente ha ritenuto che le attivita` relative al processo penale dovessero spettare ad organi distinti. All’orientamento personalistico si ricollegano le norme che riconoscono i diritti inviolabili della persona umana (art. 2). L’elenco e` dettagliato anche nelle garanzie di riserva di legge e di giurisdizione, che vengono precisate in singoli articoli a tutela della liberta` personale (art. 13; v. infra, parte II, cap. 4, § 2); della liberta` di domicilio (art. 14), di corrispondenza (art. 15; v. infra, parte II, cap. 5,
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§ 5) e di circolazione (art. 16). Il quadro e` completato dalla presunzione di innocenza, affermata nell’art. 27 comma 2 (v. infra, parte II, cap. 3, § 5) sia pure con una formula non limpida, che voleva salvare la legittimita` della custodia cautelare applicabile in pendenza del processo penale (art. 13, comma 2). Infine, l’orientamento solidaristico trova la sua consacrazione negli articoli 2 e 3 della Costituzione. A tale orientamento si possono ricondurre tutte le norme che tendono a rimuovere gli ostacoli di carattere economico che impediscono l’eguaglianza sostanziale: l’art. 24, comma 3 (« sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione »; v. infra, parte II, cap. 1, § 6); l’art. 24, comma 4 (« la legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari »; v. infra, parte V, cap. 4, § 2); l’art. 112, che nel porre come « obbligatoria » l’azione penale vuole garantire che l’iniziativa del processo prescinda dalle condizioni economiche svantaggiate della persona offesa dal reato. Sempre all’orientamento solidaristico fanno capo quegli obblighi che la legge processuale impone al testimone, al denunciante ed al cittadino chiamato a svolgere le funzioni di giudice popolare; sotto quest’ultimo profilo, l’art. 102, comma 3 dispone che « la legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della Giustizia ».
2. Dalla legge-delega al codice di procedura penale. Con la legge-delega 16 febbraio 1987 n. 81 il Parlamento italiano ha precisato i criteri direttivi che il Governo doveva seguire nell’elaborare il codice di procedura penale. I criteri sono riconducibili a tre direttive fondamentali. In primo luogo, attuare i princı`pi della Costituzione; quindi, adeguare le norme processuali alle Convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona; infine, « attuare i caratteri del sistema accusatorio » secondo i centocinque princı`pi direttivi enunciati nella legge-delega. Da quest’ultima notazione si puo` ricavare che e` stato accolto un sistema accusatorio non di tipo “puro”, bensı` parzialmente attenuato sulla base dei princı`pi direttivi voluti dal Parlamento italiano. Una Commissione nominata dal Ministro della Giustizia Giuliano Vassalli e presieduta dal Prof. Gian Domenico Pisapia ha redatto il progetto preliminare. Il 22 settembre 1988 il Governo ha approvato il testo del nuovo codice, che e` stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 24 ottobre 1988 ed e` entrato in vigore il 24 ottobre 1989.
3. Le linee generali del processo penale. La separazione delle funzioni e delle fasi del procedimento. Il nuovo processo penale e` fondato su tre princı`pi fondamentali: 1) il principio della separazione delle funzioni; 2) il principio della netta ripartizione delle fasi processuali; 3) il principio della semplificazione del procedimento. Il principio della separazione delle funzioni processuali svolge un ruolo di garanzia; esso impone che il giudice abbia soltanto il compito di dirigere l’assun-
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zione delle prove e di decidere senza cumulare in se´ l’ulteriore potere di svolgere indagini. Stabilisce inoltre che il pubblico ministero si limiti a ricercare le prove e non cumuli in se´ il potere di assumerle. In tal modo viene assicurata una maggiore dialettica tra accusa e difesa, che espongono le proprie ragioni in una situazione di tendenziale equilibrio sotto il controllo del giudice. Questi e` in una posizione di imparzialita` perche´ il suo compito non e` quello di indagare, bensı` di decidere sulla base delle richieste formulate dalle parti. In base al principio della netta ripartizione in fasi, il procedimento penale vede susseguirsi le indagini preliminari svolte dal pubblico ministero, l’udienza preliminare ed il dibattimento. Questa struttura, che costituisce lo svolgimento ordinario del procedimento, vuole tutelare alcuni valori che sono propri del sistema accusatorio (vedi schema 1). In primo luogo, si vuole che la prova utilizzabile nella decisione in dibattimento sia quella che viene assunta nel pieno contraddittorio delle parti, e cioe` davanti al giudice ed alla presenza del pubblico ministero e del difensore dell’imputato. Pertanto, almeno come regola, la prova assunta prima del dibattimento e` inutilizzabile. In secondo luogo, si vuole tutelare il diritto dell’imputato a che un giudice controlli la necessita` del rinvio a giudizio e, quindi, la fondatezza dell’accusa formulata dal pubblico ministero. Infatti, il rinvio a giudizio, gia` in forza della pubblicita` che caratterizza tale fase, costituisce una sofferenza per l’imputato innocente ed e` per lui fonte di spese processuali; pertanto costituisce un danno da evitare. A tal fine e` predisposta una udienza preliminare, nella quale il giudice esamina gli atti raccolti dal pubblico ministero e decide se rinviare a dibattimento l’imputato o pronunciare una sentenza di non luogo a procedere. Le indagini preliminari. Nella fase delle indagini preliminari il pubblico ministero svolge funzioni investigative, che consistono nella ricerca di elementi di prova e nella identificazione del colpevole. Puo` disporre perquisizioni, sequestri e accertamenti tecnici ed ha il potere di ordinare il fermo di un soggetto gravemente indiziato quando vi e` pericolo di fuga. Tutte le altre misure coercitive nei confronti dell’imputato (custodia in carcere, arresto domiciliare, misure obbligatorie o interdittive) possono essere disposte soltanto dal giudice, su richiesta del pubblico ministero. Nella fase in esame le funzioni di garanzia sono svolte da un nuovo organo, denominato « giudice per le indagini preliminari »; questi differisce dal giudice istruttore del codice del 1930 in quanto non ha poteri di iniziativa probatoria, e cioe` non ha il compito di “investigare”, bensı` soltanto di decidere sulle richieste delle parti. Nella fase delle indagini preliminari il pubblico ministero non ha, di regola, il potere di assumere prove direttamente utilizzabili per la decisione finale. Se occorre assumere subito prove non rinviabili al dibattimento, il pubblico ministero o l’indagato possono farne domanda al giudice. Se questi la accoglie, le prove sono assunte dinanzi a lui in una udienza denominata « incidente probatorio » e possono essere successivamente utilizzate ai fini della decisione. L’incidente probatorio e` ammesso, ad esempio, quando e` necessario per raccogliere la deposizione di un testimone che e` sottoposto a minaccia o che si trova in gravi condizioni di salute.
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La richiesta di archiviazione. Quando sono concluse le indagini, il pubblico ministero deve scegliere entro un termine prefissato se chiedere al giudice per le indagini preliminari il rinvio a giudizio o l’archiviazione. Egli chiede l’archiviazione se la notizia di reato e` infondata. Occorre sottolineare che il pubblico ministero non puo` decidere di archiviare il caso di propria iniziativa; deve necessariamente rivolgere al giudice una richiesta. Cio` costituisce un’applicazione del principio costituzionale (art. 112) in base al quale l’azione penale e` obbligatoria. Ne consegue che il pubblico ministero e` tenuto a valutare se « gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari » sono « idonei a sostenere l’accusa in giudizio » (art. 125 disp. att.); se non li ritiene idonei, deve chiedere l’archiviazione al giudice per le indagini preliminari. Quest’ultimo, quando accoglie la richiesta del pubblico ministero, dispone l’archiviazione. Nel caso contrario, e cioe` quando il giudice non accoglie la richiesta di archiviazione, (o quando la persona offesa ha presentato opposizione ammissibile), deve svolgersi una udienza in camera di consiglio alla quale possono partecipare il pubblico ministero ed i difensori della persona offesa e dell’indagato. Il giudice svolge una penetrante funzione di controllo, all’esito della quale puo` adottare tre diversi provvedimenti (art. 409): se ritiene che la notizia sia infondata, dispone l’archiviazione. Altrimenti, se ritiene necessarie ulteriori indagini, le indica al pubblico ministero, fissando il termine per il compimento di esse. Infine, qualora ritenga che gli elementi raccolti siano gia` idonei a sostenere l’accusa in giudizio, puo` ordinare al pubblico ministero di formulare l’imputazione e fissa la data dell’udienza preliminare (c.d. imputazione coatta). La richiesta di rinvio a giudizio. Nel caso in cui il pubblico ministero, terminate le indagini, intenda chiedere il rinvio a giudizio, egli e` obbligato a depositare il fascicolo e a notificare all’indagato e al suo difensore un « avviso di conclusione delle indagini » (art. 415-bis, introdotto nel 1999). Tale atto contiene la descrizione del reato addebitato e l’invito all’indagato ad esercitare determinati diritti. Quindi il pubblico ministero, se non intende chiedere l’archiviazione, presenta richiesta di rinvio a giudizio e formula l’imputazione. L’udienza preliminare. Il giudice fissa la data dell’udienza preliminare, che si svolge in contraddittorio, ma senza la presenza del pubblico. Al giudice spetta di verificare se esistono elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio; ove tali elementi non sussistano, il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere. Viceversa, se esistono elementi idonei a sostenere l’accusa in dibattimento, il giudice emana il decreto che dispone il giudizio e suddivide l’originario fascicolo delle indagini in due distinti fascicoli. Si tratta di un punto che caratterizza il codice del 1988. Nel dibattimento si segue la regola secondo cui l’organo giudicante deve decidere sulla base delle prove assunte nel contraddittorio tra le parti e non deve essere influenzato dalle prove raccolte in segreto. La formazione di due distinti fascicoli e` prevista per rendere effettivo il principio appena enunciato. Un primo fascicolo « per il dibattimento » contiene i verbali degli atti assunti in contraddittorio (ad esempio, nell’incidente probatorio) ed i verbali degli atti non ripetibili assunti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria. Detti ver-
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bali sono conosciuti dal giudice e possono essere letti in dibattimento ed utilizzati ai fini della decisione. L’altro fascicolo, denominato « del pubblico ministero », ha un contenuto residuale: in esso sono ricompresi i verbali degli atti assunti dal pubblico ministero, dalla polizia giudiziaria e dal difensore. Il fascicolo e` conosciuto soltanto dalle parti e non dal giudice; gli atti in esso contenuti, di regola, non sono utilizzabili per la decisione dibattimentale. In casi eccezionali, i verbali sono utilizzabili come prova del fatto rappresentato. Il dibattimento. Nel dibattimento il principio del contraddittorio e` attuato attraverso quell’istituto di origine anglosassone che e` l’esame incrociato. Le domande sono poste direttamente dal pubblico ministero e dai difensori; il presidente del collegio giudicante ha il potere di ammetterle o meno. Il presidente ha poteri piu` ampi di quelli che esercita nel processo angloamericano; puo` intervenire per assicurare « la lealta` dell’esame e la correttezza delle contestazioni »; puo` rivolgere direttamente domande e perfino indicare « temi di prova nuovi o piu` ampi » che siano utili alla completezza dell’esame. Quando e` terminata l’assunzione delle prove richieste dalle parti, il giudice puo` ordinare anche d’ufficio che siano assunti nuovi mezzi di prova. In definitiva, il codice del 1988 respinge quella concezione meramente “agonistica” del processo, che domina il modello angloamericano. I procedimenti semplificati. Il terzo principio, che sta alla base del nuovo codice, consiste nella semplificazione del procedimento. Lo svolgimento ordinario del processo penale impone ampie garanzie e richiede tempi lunghi, specialmente nella fase dibattimentale. Non e` pensabile che si possano avere uomini, mezzi e risorse cosı` abbondanti da far svolgere tutti i processi per tutti i reati secondo lo schema ordinario appena delineato. Ed infatti e` noto che gli ordinamenti che adottano un sistema processuale accusatorio prevedono altresı` meccanismi di semplificazione che riservano la procedura piu` garantita soltanto ai casi veramente controversi o ai reati gravi. Il nuovo codice ha previsto vari riti speciali, dei quali si trattera` nel capitolo ad essi appositamente dedicato (Parte IV, cap. 1). 1) L’imputato puo` chiedere che il processo sia definito nell’udienza preliminare sulla base degli atti raccolti nel fascicolo delle indagini (giudizio abbreviato). Nell’udienza preliminare il giudice puo` pronunciare una sentenza di proscioglimento o di condanna. In quest’ultimo caso vi e` un incentivo per l’imputato: la pena e` ridotta di un terzo. 2) L’imputato si puo` accordare con il pubblico ministero sulla specie e sulla misura di pena da applicare (c.d. patteggiamento); l’accordo tiene conto della possibilita`, prevista dalla legge, di ridurre la pena fino ad un terzo. Il massimo di sanzione, che poteva essere patteggiata in base al testo originario del codice, era la detenzione fino a due anni; non vi e` alcun limite per la pena pecuniaria. Con la legge n. 134 del 2003 il massimo di pena patteggiabile e` stato portato a cinque anni. Il giudice ha il potere di controllare la correttezza della qualificazione giuridica del fatto e la congruita` della pena. 3) Se la prova e` evidente e l’imputato e` stato invitato a rendere interrogatorio, il pubblico ministero puo` chiedere al giudice per le indagini preliminari il rinvio
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a giudizio senza udienza preliminare (giudizio immediato). Il giudice, se respinge la richiesta, restituisce gli atti al pubblico ministero; se la accoglie, ordina il rinvio a giudizio. Entro quindici giorni dalla notificazione della citazione, l’imputato puo` chiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento. Se l’imputato non presenta richiesta, ha luogo il dibattimento. 4) Dopo che il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio, l’imputato puo` chiedere al giudice di essere rinviato a dibattimento senza udienza preliminare (giudizio immediato). In tal caso il giudice e` obbligato a pronunciare il decreto che dispone il giudizio. 5) Quando una persona e` arrestata in flagranza o quando l’indagato ha confessato nel corso dell’interrogatorio, il pubblico ministero puo` condurlo direttamente davanti al giudice in dibattimento (giudizio direttissimo). 6) Per i reati meno gravi il pubblico ministero puo` presentare al giudice per le indagini preliminari richiesta motivata di emissione di un decreto penale di condanna ad una pena pecuniaria (procedimento per decreto). Il pubblico ministero chiede l’applicazione di una pena diminuita fino alla meta` rispetto al minimo edittale. Il giudice puo` accogliere la richiesta o respingerla, restituendo gli atti alla pubblica accusa. L’imputato, al quale e` notificato il decreto penale di condanna a pena pecuniaria, puo` proporre opposizione chiedendo lo svolgimento del dibattimento o, in alternativa, il patteggiamento o il giudizio abbreviato. L’incentivo a non proporre l’opposizione e` forte: l’imputato potrebbe perdere la diminuzione della pena e gli altri benefici collegati al decreto.
4. I princı`pi del “giusto processo”. Nel testo originario del codice il principio di oralita` era affermato in modo assoluto. Le dichiarazioni rese dal possibile testimone alla polizia giudiziaria non erano utilizzabili in dibattimento. Se, ad esempio, il teste decedeva in conseguenza del reato del quale era stato vittima, le sue dichiarazioni erano inutilizzabili. Lo stesso avveniva quando il testimone era minacciato ed in aula diceva di non ricordare piu` nemmeno se nel giorno del delitto c’era il sole o pioveva. “Questo e` il costo che si deve pagare all’oralita`”, si diceva; ma si ometteva di riferire che gli ordinamenti giuridici, che storicamente avevano adottato tale principio, prevedevano eccezioni nelle situazioni menzionate. La Corte costituzionale nel 1992 ha risposto alle scelte del nuovo codice con un massimalismo di segno inverso. Alla oralita`, affermata in senso assoluto, il Giudice delle leggi ha contrapposto il principio di “non dispersione della prova raccolta prima del dibattimento” e ne ha sostenuto la rilevanza costituzionale. Con le sentenze n. 254 e 255 del 1992 sono diventate utilizzabili le dichiarazioni rese prima del dibattimento alla polizia ed al pubblico ministero. Si trattava sempre di posizioni assolute, perche´ la Corte era composta da persone imbevute della medesima cultura, sia pure su posizioni contrapposte. Dal 1992 al 1998 si sono succedute prese di posizione di segno opposto da parte del Legislatore e della Corte costituzionale, fino al punto che si e` rasentato un con-
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flitto tra poteri dello Stato. Il Legislatore nel 1997 ha ritenuto di dover affermare il principio del contraddittorio “nella formazione della prova”, con conseguente inutilizzabilita` delle dichiarazioni raccolte in segreto. La Corte costituzionale, viceversa, ha ritenuto sufficiente garantire il contraddittorio “sulla prova” gia` formata in segreto (sentenza n. 361 del 1998). Ad avviso del Giudice delle leggi il contraddittorio era da ritenersi assicurato quando l’imputato poteva fare contestazioni alla persona che lo aveva accusato: le precedenti dichiarazioni, rese in segreto, diventavano utilizzabili in dibattimento se vi erano riscontri. Si tratta di un dibattito il cui senso il lettore comprendera` meglio quando avra` approfondito i princı`pi fondamentali attinenti alla materia della prova. Sta di fatto che il legislatore, di fronte ad una interpretazione del principio del contraddittorio che era stata data dal Giudice delle leggi e che riteneva non corretta, e` stato capace di portare a compimento la prima riforma della Costituzione in materia di processo penale. Il Parlamento ha preso in esame quella parte del progetto della Commissione bicamerale 1997 (art. 130) che aveva cercato di rendere effettive le norme della Convenzione europea sui diritti dell’uomo. Poiche´ la nostra giurisprudenza si rifiutava di riconoscere valore costituzionale a tali norme, la Bicamerale aveva proposto di inserire direttamente nella Carta fondamentale il nucleo centrale delle garanzie, e cioe` i princı`pi del “giusto processo”. Tra questi, fondamentale e` il principio del contraddittorio “nella formazione della prova”. Il Parlamento ha discusso un disegno di legge che si proponeva di introdurre espressamente nella Costituzione detti princı`pi. Il 10 novembre 1999 e` stata definitivamente approvata la riforma dell’art. 111 Cost.: si tratta della legge cost. 23 novembre 1999, n. 2, recante l’« inserimento dei princı`pi del giusto processo nell’art. 111 della Costituzione ». Cosı` inquadrato dal punto di vista delle “origini”, il nuovo testo dell’art. 111 mostra la sua vera natura di interpretazione “autentica” della Costituzione: sono stati resi espliciti quei princı`pi che, a giudizio di molti studiosi, erano gia` ricavabili dalla Carta fondamentale.
5. I princı`pi attinenti ad ogni processo. Il Parlamento ha introdotto nell’art. 111 Cost. cinque nuovi commi che consacrano i princı`pi cardine ai quali deve informarsi ogni processo ed, in particolare, quello penale. Si tratta dei princı`pi che sono incisivamente sintetizzati nell’espressione “giusto processo” e che consistono, tra l’altro, nella riserva di legge in materia processuale, nella imparzialita` del giudice, nella parita` delle parti e nella ragionevole durata dei processi. La riserva di legge. Il primo comma dell’art. 111 sancisce che « la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge ». Anzitutto occorre sottolineare che la disposizione prevede una riserva di legge: soltanto il legislatore puo` regolare lo svolgimento del processo; tale compito non puo` essere svolto da organi amministrativi ne´ giurisdizionali. Il “giusto processo”. Viene da chiedersi a che cosa alluda l’espressione “giu-
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sto processo”. Alcuni ritengono che la locuzione sintetizzi i princı`pi sanciti nei commi successivi. A nostro avviso, il “giusto processo” si riferisce ad un concetto ideale di Giustizia, che preesiste rispetto alla legge e che e` direttamente collegato a quei diritti inviolabili di tutte le persone coinvolte nel processo, che lo Stato, in base all’art. 2 Cost., si impegna a riconoscere. Il contenuto dei diritti puo` essere ricavato dai patti internazionali ai quali l’Italia ha aderito (A. GIARDA). Il contraddittorio “debole”. Anche nel secondo comma sono enunciati princı`pi che si riferiscono a tutti i tipi di processo, e quindi anche al processo penale. In particolare viene menzionato il principio del contraddittorio nella sua accezione classica, comportante la necessita` che la decisione del giudice sia emanata audita altera parte. Si tratta di quel significato “debole” del principio secondo cui il soggetto, che subira` gli effetti di un provvedimento giurisdizionale, deve essere messo in grado di esporre le sue difese prima che il provvedimento stesso sia emanato. Cio` avviene quando il medesimo soggetto conosce i presupposti di fatto e di diritto sui quali il giudice basera` la decisione. Il contraddittorio e` menzionato anche dal comma 4 della norma in esame, del quale tratteremo tra poco; si tratta in tal caso del significato “forte” del principio in oggetto, inteso come contraddittorio nella formazione della prova. La parita` delle parti. Successivamente, il comma 2 dell’art. 111 Cost. sancisce quel canone di “parita` tra le parti” che, ovviamente, ha una potenzialita` diversa nel processo civile e in quello penale. Nel processo civile, infatti, e` possibile attuare la piena parita` delle armi tra attore e convenuto. Nel processo penale, viceversa, parita` significa non identita`, bensı` equilibrio di poteri. La sentenza della C. Cost. n. 26 del 2007 ha affermato che il principio di ragionevolezza puo` giustificare una qualche asimmetria tra le parti quando questa e` dovuta alla posizione istituzionale del pubblico ministero e alle esigenze di una corretta amministrazione della giustizia. Nella successiva sentenza n. 184 del 2009 la Corte ha ritenuto giustificata una diseguaglianza in favore dell’imputato « avuto riguardo alle disparità di segno opposto riscontrabili » durante la fase delle indagini. Il giudice imparziale. Ancora, il processo deve svolgersi « davanti a giudice terzo e imparziale ». La dottrina maggioritaria sostiene che si tratta di espressione sovrabbondante. La Corte costituzionale, in passato, era pervenuta ad attribuire al concetto di imparzialita` il significato di “terzieta`” rispetto alle parti e di “non pregiudicatezza” rispetto all’oggetto del giudizio. La stessa Convenzione europea utilizza esclusivamente l’espressione « imparziale ». Anche in questo caso, il fatto che il principio di terzieta` del giudice sia affiancato a quello del contraddittorio e` indicativo: la piena attuazione del contraddittorio postula un determinato assetto della giurisdizione. La ragionevole durata. L’ultimo principio sancito al comma 2 e` quello della « ragionevole durata » del processo, la cui attuazione e` rimessa al legislatore. Si tratta, e` noto, del recepimento di un precetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, il cui mancato rispetto in Italia ha comportato molteplici condanne del nostro Paese da parte della Corte europea. Non sfugge come un principio del genere sia perfettamente consentaneo al sistema processuale accusatorio, che richiede la concentrazione e la continuita` nella trattazione dei pro-
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cessi. Va peraltro ribadito che quello dell’efficienza processuale e` un valore, che non puo` in alcun modo compromettere le garanzie dell’imputato e la qualita` dell’accertamento processuale. Del resto, il bilanciamento tra le due opposte istanze e` gia` implicito nel termine « ragionevole », che si riferisce alla durata del processo. Vi e` una notevole differenza tra la formulazione della Convenzione europea (« ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole ») ed il comma 2 dell’art. 111, in base al quale « la legge (…) assicura la ragionevole durata (del processo) ». Mentre la Convenzione attribuisce un vero e proprio diritto soggettivo immediatamente azionabile, la Costituzione pone un vincolo alla legge ordinaria. Come e` stato osservato, « la scelta e` conseguente al tipo di controllo svolto dalla Corte costituzionale (italiana, che) non puo` sindacare la durata del singolo processo, ma esclusivamente le disposizioni che prevedono tempi lunghi, inutili passaggi di atti da un organo all’altro, formalita` superflue, non giustificate ne´ da esigenze repressive, ne´ da garanzie difensive » (FERRUA).
6. I princı`pi inerenti al processo penale. I diritti dell’accusato. I commi successivi enunciano princı`pi che si riferiscono esclusivamente al processo penale. Il comma 3 e` dichiaratamente modellato sull’art. 6, comma 3, lett. d della Convenzione europea e contiene il catalogo dei diritti spettanti « nel processo penale » alla « persona accusata di un reato ». Occorre premettere un rilievo di natura metodologica. Da un lato, la parola “accusato” non ha un preciso significato tecnico e sembra potersi riferire sia alla persona sottoposta alle indagini, sia all’imputato. Da un altro lato, e per contro, la parola “processo”, se intesa in senso stretto, sembra non ricomprendere la fase delle indagini preliminari. Una interpretazione razionale, a nostro avviso, deve attribuire di volta in volta ai due termini il significato che li rende coerenti con il tipo di diritto che viene riconosciuto. Passiamo adesso all’esame analitico dei singoli diritti. Anzitutto la persona sottoposta alle indagini deve essere « informata riservatamente della natura e dei motivi » dell’accusa « nel piu` breve tempo possibile ». Una disposizione del genere, all’evidenza, si colloca nel punto di frizione tra il diritto di difesa dell’accusato e l’esigenza di segretezza delle indagini. Da una parte vi e` l’indagato che ha interesse a conoscere quanto prima l’esistenza di procedimenti nei suoi confronti per poter raccogliere elementi a discarico che successivamente potrebbero disperdersi. Dall’altra parte vi e` il pubblico ministero che, per svolgere indagini efficaci, deve poter compiere atti a sorpresa (perquisizioni, intercettazioni ecc.). Il bilanciamento tra le due opposte istanze, a nostro avviso, e` attuato dall’espressione « nel piu` breve tempo possibile », che non ha un significato meramente fattuale, bensı` una piu` pregnante accezione normativa. In altre parole, la predetta espressione non significa “immediatamente”, bensı` “non appena l’avviso all’indagato e` compatibile con l’esigenza di genuinita` e di efficacia delle indagini”.
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