Tesi Solllima e Musica Popolare [PDF]

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Zitiervorschau

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea in Scienze della Comunicazione

GIOVANNI SOLLIMA: TRADIZIONE MUSICALE COLTA E STRATEGIE DI COMUNICAZIONE DI MASSA

Tesi in STORIA DELLA MUSICA MODERNA E CONTEMPORANEA

Relatore

Candidato

Dott.

Chiara Renino

Massimiliano Locanto Correlatore Dott. Alfonso Amendola Anno Accademico 2007/2008

Mat. 035/100394

GIOVANNI SOLLIMA: TRADIZIONE MUSICALE COLTA E STRATEGIE DI COMUNICAZIONE DI MASSA

Premessa ....................................................................................................5

PARTE PRIMA - MUSICA E SOCIETÀ DI MASSA 1.1 - Introduzione...................................................................... 12 1.2 - I linguaggi della musica pop ............................................. 18 1.3 - I generi del pop .................................................................. 21 1.4 - Il vincolo commerciale dell’arte ...................................226 1.5 - Musica pop e consumo ..................................................... 33 1.6 - La musica pop come esperienza narrativa. .................... 35 1.7 - I sei luoghi del racconto musicale.................................. 41 • 1.7.1 - La canzone .....................................................................41 • 1.7.2 - La musica messa in scena ..............................................45 • 1.7.3 - La musica scritta ...........................................................49 • 1.7.4 - La musica parlata .........................................................53 • 1.7.5 - La musica immaginata e interagita ................................60

2

PARTE SECONDA - GIOVANNI SOLLIMA: VITA E OPERE

2.1 - Biografia............................................................................. 74 • 2.1.1 - Palermo, anni Sessanta ........................................................74 • 2.1.2 - Eliodoro Sollima ..................................................................81 • 2.1.3 - Da violoncellista a compositore-interprete...............................91 • 2.1.4 - Da musicista a comunicatore ................................................98 2.2 - Opere ............................................................................... 103 • 2.2.1 - Violoncelles, vibrez! ...........................................................103 • 2.2.2 - Spasimo .............................................................................114 • 2.2.3 - Aquilarco ...........................................................................129 • 2.2.4 - I Canti ..............................................................................138 • 2.2.5 - Viaggio in Italia ................................................................143 • 2.2.6 - J. Beuys Song ......................................................................162 • 2.2.7 - Tempeste e ritratti ...............................................................177 • 2.2.8 - Ellis Island ........................................................................196 • 2.2.4 - Songs from the Divine Comedy ..........................................220

3

Bibliografia.............................................................................2234 Catalogo delle opere ............................................................... 254 Discografia ............................................................................... 260 Sitografia................................................................................... 261 Filmografia............................................................................... 262

4

PREMESSA

Nel film Fauteuils d’orchestre1 di Danièle Thompson, un pianista, all’apice del successo, sta eseguendo il più celebre dei concerti di Beethoven, l’Imperatore. È un’interpretazione ispirata: nell’adagio canta il tema e il pubblico è ipnotizzato, nel finale brillante mette in luce tutte le sue doti di grande virtuoso. Eppure, quasi sul finire dell’esecuzione, si interrompe bruscamente e si spoglia di giacca, panciotto e papillon bianco del suo impeccabile frac, e riprende a suonare soltanto con una maglietta. Gli ascoltatori in sala restano allibiti, ma non lo spettatore del film: già in precedenza il personaggio del pianista, Jean-François Lefort, nel corso della pellicola, ha manifestato i segni di quella crisi che esploderà nell’episodio descritto. Non è un rifiuto verso la musica in sé, né verso il suonare o l’esibirsi, quanto nei confronti del mondo che c’è intorno alla tradizione musicale colta: la platea paludata, i rituali vecchi di secoli, il tono di autoreferenziale elitarietà che aleggia intorno alla musica generalmente definita “classica”. “I concerti sono una grande muraglia fra la musica e le persone” dirà il pianista 1

Il titolo italiano è Un po’ per caso, un po’ per desiderio, Francia, 2006.

5

ad un’attonita intervistatrice cinese, o ancora “ho voglia di suonare per cinquemila, diecimila persone che non sanno niente di musica, ma non voglio più questi rituali, queste mascherate!”. Lefort può considerarsi un personaggio che emblematicamente rappresenta il musicista di tradizione colta, ma che sente sulla propria pelle di essere uno degli ultimi sopravvissuti a riti del passato. Egli si rende conto di rivolgersi ad un pubblico quasi del tutto estinto, e per tale ragione si pone il problema fondamentale della divulgazione. Non pensa affatto di cambiare l’oggetto in sé della sua arte, ma ha la piena volontà di rivoluzionare tutto ciò che riguarda la comunicazione di essa. Del resto, assiomi infondati, secondo i quali il grande pubblico rifiuta la cultura, sono presto confutati da incoraggianti dati dell’attualità: come si spiegherebbe, infatti, il “sorpasso” del numero di spettatori - e degli incassi - del teatro su quelli del calcio2? Leggevo un articolo sul Venerdì de La Repubblica3 che trattava di questo argomento, proprio il giorno dopo aver incontrato Giovanni Sollima a Ravello - all’indomani di un suo concerto a Villa Rufolo, in cui divideva il palco con tanti musicisti, provenienti da differenti

2

Dati Siae del 2006 relativi al numero di spettatori e di incassi per il teatro

(rispettivamente 22.506.695 e 358.387 milioni di euro) e per il calcio (20.447.398 e 271.033 milioni di euro). 3

Emilio Marrese, E quest’estate mettiamo in piazza il meglio di noi, da «Il Venerdì» de «La

Repubblica», p. 20, 22 Luglio 2007, n° 1010.

6

tradizioni artistiche – per spiegargli l’oggetto del mio lavoro di tesi4. Quest’articolo – che tra l’altro citava anche quel concerto a cui avevo assistito - ha rappresentato per me una chiave di lettura e un filo conduttore che avrei seguito per la stesura di questa tesi: capire se e come la cultura – in genere – e in particolare la tradizione musicale colta possa essere divulgata ad un pubblico ampio e diversificato. Ma questa benedetta cultura come deve agghindarsi per farsi un giro in piazza? Come riesce a darsi un appeal per rendersi appetibile anziché indigesta alle folle? Ecco i principali ingredienti della formula giusta, secondo chi l’ha applicata con successo: Coerenza: contrariamente a quanto si possa immaginare, non occorre «prostituirsi» o volgarizzare troppo per venire incontro alle esigenze del pubblico. Gli spettatori non amano essere trattati da stupidi.[…] Chiarezza: Naturalmente la coerenza non deve escludere un linguaggio chiaro e diretto […] Carisma: Il personaggio che si esibisce deve avere un pizzico di magnetismo. […] Scenografia: il contesto incide, eccome. […] 4

In questa intervista, Sollima mi ha raccontato di come da ragazzo, in uno dei suoi

primi concerti, già stufo dell’ufficialità e pedanteria dell’ambiente musicale colto, si fosse tolto la giacca e strappato la camicia, continuando a suonare con una maglietta di Jimi Hendrix, quasi come il personaggio di Lefort.

7

Contaminazione: Bisogna mischiare i generi e le espressioni artistiche. […] Unicità: […] C’è l’esigenza del nuovo e del diverso, […] il pubblico deve sentire che quello che accade può avvenire solo qui e in questo momento.[…]5

Se l’articolo di Marrese riguarda la cultura in genere, è ancor più vero che l’attualità sta dando ampio risalto alla necessità di divulgare in particolare la musica di tradizione colta; esempi evidenti sono i concerti o e le rare apparizioni televisive di Uto Ughi, in cui prima di ogni brano ne spiega le caratteristiche fondamentali per facilitarne l’ascolto anche da parte di un pubblico non specializzato, o la recentissima intervista televisiva a Maurizio Pollini a Che tempo che fa - la nota trasmissione di Fabio Fazio - in cui il pianista, oltre a pubblicizzare il suo ultimo disco, ha cercato di comunicare al pubblico differenti caratteristiche dell’opera mozartiana. Anche grandi musicisti, non certo di questa generazione, hanno dunque considerato una necessità avvicinarsi al grande pubblico proprio perché esso ha manifestato una sempre maggior diffidenza nei confronti dell’ambiente che circonda la musica di tradizione colta, e di conseguenza anche della musica stessa. Oggi, quindi, nel tentativo di mediazione tra arte e mercato, sono nati nuovi fenomeni, intercettando i bisogni di un pubblico che non vuol più rinunciare a ciò che viene percepito come “musica 5

Ibidem, pp. 22 - 25.

8

classica”, a patto di venire a contatto con un ambiente che non comunichi elitarietà, difficoltà, astrusità. Per citare soltanto degli esempi palesi di tale volontà del mercato, si possono ricordare Giovanni Allevi – di cui si parlerà più avanti – o Anna Netrebko, cantante d’opera che riempie i teatri di tutto il mondo, dotata di un’immagine da modella che, in un video musicale, canta Dvorak in costume da bagno6. È pur vero che canali e modi di comunicazione, rispetto al prodotto da comunicare, non siano elementi tra loro indipendenti, tutt’altro: vi è una continua osmosi tra essi, anzi, di fatto, costituiscono parti integranti di un fenomeno complessivo. Per una simile ragione, con questo lavoro, si è andati ad indagare nelle forme di produzione di Giovanni Sollima, un musicista contemporaneo che – seppur proveniente dalla tradizione colta – sfrutta i media e “vive” la comunicazione come fattore fondante del suo essere artista. Ciò per dimostrare se – e come – l’uso di strategie di comunicazione di massa possa convivere con strutture musicali profondamente ancorate alla tradizione colta, senza farne perdere definitivamente le caratteristiche. Tale scelta è stata anche supportata dalla possibilità di avere a disposizione una grande quantità di materiale sul compositore – in genere di difficile reperimento - grazie alla mia esperienza lavorativa 6

Cfr. Charles McGrath, Traviata formato pop star, da «D» de «La Repubblica», XIII/ 22

Marzo 2008, n°590, p.90.

9

precedente. Al termine dei miei studi pianistici presso il Conservatorio, infatti, ho seguito un master in Tecniche di Produzione e promozione nel settore musicale nella città di Milano, a seguito del quale ho potuto effettuare un periodo di stage presso la Casa Musicale Sonzogno. Nella nota casa editrice musicale milanese, sono venuta a conoscenza di molta parte del catalogo dei compositori contemporanei da loro editi, per scrivere brevi recensioni delle loro opere a scopo promozionale. Tornata ai miei studi universitari, quindi, già a conoscenza del catalogo di Sollima, ho potuto attingere – senza alcuna riserva, grazie alla disponibilità di Piero e Nandi Ostali7 – a tutto il materiale, edito e non, fatto di partiture, incisioni, filmati, e di tutta la rassegna stampa che riguardava il violoncellista-compositore. Proprio perché si tratta di un autore contemporaneo della nuova generazione, la bibliografia in merito è quasi del tutto inesistente, fatta appunto eccezione per la rassegna stampa e per un non troppo nutrito numero di programmi di sala – delle esecuzioni di brani di Sollima – conservati negli archivi di Casa Sonzogno. Questo, dunque, è uno dei primi lavori di raccolta e di analisi del materiale su e di Giovanni Sollima; per questa ragione, mi auguro che in futuro possa servire ad altri come punto di partenza per ulteriori ricerche.

7

Sono i direttori e proprietari di Casa Musicale Sonzogno.

10

PARTE PRIMA MUSICA E SOCIETÀ DI MASSA

11

MUSICA E SOCIETÀ DI MASSA

1) INTRODUZIONE

È possibile ricucire il divario fra grande pubblico e musica colta? È

plausibile affermare che tale rottura, sicuramente dovuta anche a fattori storici, sia legata soltanto alla struttura intrinseca della musica stessa, oppure è ragionevole credere che questa diffidenza generalizzata del pubblico derivi anche da fattori legati al contesto, al mezzo e ai linguaggi con la quale viene diffusa? Non si può negare che viviamo in un villaggio globale, né si può fingere che non esistano le forme mediali entro cui siamo immersi in ogni istante della nostra esistenza. A tale proposito, come la musica pop, che per sua necessità deve confrontarsi con i media, adattando specifici linguaggi ai diversi canali - oltre che ai diversi pubblici -, anche la musica di tradizione colta dovrebbe fare proprie simili strategie comunicative; anzi, non si comprende perché tale prassi dovrebbe costituire un attentato all’arte. Del resto, come

12

Abruzzese suggerisce8 - per un ambito differente da quello musicale, in particolare quello televisivo – bisogna considerare le fratture che costantemente il nostro tempo ci pone innanzi, guardando all’interno delle voragini create, senza volerne negare, ma, al contrario, prendendone atto. Spesso ci si chiede se la diffidenza del grande pubblico nei confronti della musica colta derivi proprio dal modo in cui essa viene proposta: con un’ingiustificata aura di elitarietà, quasi a legittimare, da parte di chi la fa e di chi l’ascolta, uno status di superiorità intellettuale, e a sottolineare un divario incolmabile fra sé e la massa. Bisogna anche evidenziare, oltre tutto, che molto spesso, la distinzione tra classica e pop è fatta lapidariamente proprio a seconda delle forme di comunicazione e dei linguaggi utilizzati, senza minimamente prendere in considerazione la musica: sono i canali, il mezzo, le forme espressive, i contesti e non i contenuti e le strutture a determinare - soprattutto nei confronti del grande pubblico differenti classificazioni. Con questo non si vuole di certo affermare che non esistano distinzioni tra musica di tradizione e non, tutt’altro: si vuole soltanto sottolineare che spesso non si prendono in considerazione gli elementi fondanti di tali differenze ma, al contrario, tali distinzioni vengono fatte superficialmente. La modalità tipica della tradizione classico-romantica di concepire la composizione è basata sull’idea che la mente creatrice di un autore 8

Alberto Abruzzese, Lo splendore della TV, Costa&Nolan, 1995, passim.

13

si sedimenti in un testo scritto, sia esso più o meno controllato, aperto, soggetto a delle chance. È un’attività intorno alla quale si configura l’esperienza musicale nel suo complesso, basata su tre momenti separati: ideazione, testo e esecuzione. Ciò rende possibile la trasmissione dell’opera, delegata al testo, che può essere sempre recuperato e ri-costituito da un interprete, a patto che egli conosca il codice dei segni, ossia la notazione. Nella musica pop e rock – senza prendere in considerazione le trascrizioni, descrittive come può esserlo un ritratto, ma non prescrittive9 – non c’è un autore che compone, ma è presente un’attività congiunta di intelligenze creative - siano essi strumentisti, cantanti, poeti, tecnici del suono – che contribuiscono, tutte, a costituire non un testo, non una partitura, ma direttamente un brano, una performance. Questa può a sua volta essere registrata, quindi fissata su un supporto tecnologico. La performance è un atto vissuto che riassume in un unico momento le due fasi cruciali che, nella tradizione basata sulla scrittura, sono scisse dal testo: la produzione e l’esecuzione. In tali condizioni il testo viene a svolgere una funzione essenziale per la trasmissione. Comporre ed eseguire coincidono nella performance, ciò che consente di scindere in due tali momenti è la partitura stessa, intesa come livello neutro, alla cui sinistra ci sono i compositori e alla cui destra 9

La distinzione è stata introdotta per la rima volta da Charles Seeger, Prescriptive and

Descriptive Music-Writing in «The Musical Quarterly», XLIV/2, 1958, pp. 184 – 195

14

gli esecutori, momento neutro caratterizzato anche dai “punti di indeterminazione”, spazi vuoti - così come li definisce Roman Ingarden10 - che lasciano aperta la scena all’esecutore. Hermann Danuser, in Musikalische Interpretation11, introduce una distinzione tra i concetti di esecuzione, interpretazione e performance: quest’ultima è la modalità normale di tutte quelle culture musicali che non sono basate sul testo, inoltre ha tanti aspetti non ancora codificati – quello spaziale, fisico e corporeo – che non rappresentano dimensioni sovrastrutturali, ma sono parti integranti e essenziali dell’opera stessa dell’artista. I concetti di esecuzione e di interpretazione sono, invece, intimamente legati a quello di testo. Quando l’attività del comporre è distinta da quella dell’eseguire, sono possibili sia esecuzione che interpretazione. Per esecuzione Danuser intende la realizzazione del testo nella maniera più fedele possibile. Interpretare, invece, non significa soltanto mettere in atto 10

Roman Ingarden, L’opera musicale e il problema della sua identità, Flaccovio, Palermo,

1989, traduzione italiana di A. Fiorenza. Cfr. anche Il problema dell’identità dell’opera musicale, in L’esperienza musicale. Teoria e storia della ricezione, a cura di G. Borio e M. Garda, EDT, Torino, 1989, pp. 51 – 68. In ambito letterario Wolfgang Iser ha ridefinito la nozione di punti di indeterminazione di Ingarden e ha chiamato blanks “quei vuoti, quelle lacune che il lettore deve riempire per ricostruire il significato del testo”. Cfr., ad esempio,

M. Garda, Teoria della ricezione e musicologia, in

L’esperienza musicale, cit., pp 1-34. 11

Hermann Danuser, Musikalische Interpretation, in Neues Handbuch der Musikwissenschaft,

11, Laaber, 1992.

15

tutte le indicazioni prescrittive date dalla notazione, ma giungere ad un livello ermeneutico superiore, che possa ricondurre allo spirito del compositore, attraverso un’opera di immaginazione, di ricongiungimento ideale, oppure immaginare una sfera ideale nuova, non insita nel solo testo. Anche le performance sono ripetibili, ma non è più importante la memorizzazione di un testo, quanto quella della tecnica, la quale rappresenta una sorta di grammatica generativa in senso chomskiano: in qualsiasi performance c’è una componente fissa – ad esempio, negli standard jazz, i real books indicano la struttura armonica di un tema – e una da ricreare di volta in volta, in base alle regole della grammatica. In seguito subentra la tecnologia: il disco fissa un momento, mette una sola performance sul microsolco o su supporto ottico; sicuramente non si tratta di un testo, perché quest’ultimo è una struttura ideale che necessita di una ricreazione, mentre il disco è una performance, o meglio è la sua istantanea. Ma, come detto sopra, elemento essenziale della performance è la corporeità, cosa che non può essere presente su un microsolco - o su altri supporti - che quindi può considerarsi come una sola performance ricodificata, un passaggio drastico, da un codice all’altro, legato al mezzo tecnico. Per tentare, quindi, di rispondere, almeno parzialmente, agli interrogativi posti sopra, è utile analizzare in dettaglio prima quali siano, nello specifico, i diversi contesti e linguaggi di quella che

16

viene generalmente definita musica pop, per poi comprendere se sia possibile

generalizzare

un

simile

discorso

alla

musica

tradizionalmente definita colta, o classica. A tale scopo, in questo lavoro, si ricercheranno i linguaggi tipici della musica pop nella produzione artistica di un musicista legato alla tradizione colta: Giovanni Sollima. Ciò per dimostrare se e come i linguaggi tipici del pop possano convivere con strutture musicali profondamente ancorate alla tradizione colta, senza perderne definitivamente le caratteristiche.

17

2) I LINGUAGGI DELLA MUSICA POP

Gianni Sibilla12 sostiene che esistano differenti linguaggi della musica pop - non uno soltanto, generico e universale - poiché essa è un fenomeno intertestuale e intermediale che si esprime modificando il proprio codice a seconda dei contesti sociali e mediali entro cui appare. È evidente, infatti, che la musica pop, nel corso della sua storia, abbia sviluppato una serie di riti, miti e modi di comunicare caratterizzati da tre momenti fondanti: la creazione del prodotto, il consumo di esso e la sua diffusione. A questo proposito, caratteristica fondamentale della musica pop è proprio tale adattamento a diversi luoghi della comunicazione: essa modifica il proprio linguaggio a seconda dei contesti; ogni canale entro cui si diffonde è tutt’altro che neutro, anzi, implica codici comunicativi differenti, frutto della mediazione tra contenuti e forme specifiche del medium. Altro aspetto importante della musica pop è sicuramente quello “narrativo”: è indubbio che essa si sia sviluppata e affermata come grande racconto sociale: “i personaggi sono i musicisti, sorta di moderni bardi che autoreferenzialmente cantano e mettono in scena 12

Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, Bompiani, Milano, 2003, p.11.

18

se stessi e le proprie gesta. Essi raccontano una visione del mondo a un pubblico disposto all’ascolto e all’identificazione13”. Tale dimensione narrativa ha acquistato sempre più importanza nel corso del tempo, in particolare negli ultimi due decenni, quando è stata sfruttata strategicamente dalle case discografiche, che attraverso il marketing, gestiscono gli artisti alla stregua di merci da mettere sul mercato. Da ciò deriva, evidentemente, che la musica pop sia un’espressione artistica il cui successo presso il pubblico deriva in larga misura da fenomeni che esulano dalle proprietà estetiche delle opere, e che riguardano, piuttosto, le strategie e i progetti di comunicazione. Affinché un artista diventi noto al grande pubblico, è fondamentale costruirne una storia individuale che crei riconoscibilità e, allo stesso tempo, empatia e immedesimazione. Del resto, è sicuramente un’esigenza dei media generalisti di grande diffusione narrare la storia personale di un artista: è molto più facile che parlare della musica in sé - che necessiterebbe, sia da parte di chi scrive che di chi legge, di una conoscenza specifica della terminologia musicale - e suscita maggiore interesse. Se la storia del personaggio è ben costruita e articolata, se le caratteristiche del protagonista riescono a creare commozione, curiosità, sorpresa da parte del pubblico, è più probabile che i media ne parlino, e quindi che il musicista cresca in popolarità e, conseguentemente, in vendite. Ed è quello che 13

Ibidem, p. 12.

19

puntualmente si verifica: “della musica in quanto tale si parla pochissimo. Le parole diffuse dai media raccontano soprattutto ciò che le sta attorno: i pettegolezzi sui cantanti, il suo ruolo in questo o quell’altro fenomeno di costume. Parole che si sprecano soprattutto su quotidiani e rotocalchi…”14. Questo aspetto narrativo, inoltre, può sicuramente essere di volta in volta

applicato

alle

singole

opere

dell’artista,

con

scopi

promozionali: parlare di com’è nato un lavoro, descrivere aneddoti stravaganti o, ancora, approfittare di un evento di attualità dal forte riscontro mediatico ad esso collegato, può fare la differenza fra il successo e l’insuccesso. Tali racconti costituiscono singole parti del percorso complessivo di un musicista e tutte contribuiscono, come pezzi di un puzzle, a creare, nell’immaginario collettivo, varie sfaccettature nel macro-racconto del musicista-personaggio. Si vedrà in seguito come l’oggetto del nostro studio – il musicista Giovanni Sollima – farà spesso proprie, in maniera più o meno volontaria, tali strategie comunicative.

14

Ibidem, p. 18

20

3) I GENERI DEL POP

Con il termine “musica pop” si indica un macrogenere musicale che include tutti i sottogeneri specifici della canzone popolare sviluppatasi a partire dall’avvento del rock’n’roll e contraddistinti dalla diffusione intermediale su supporti fonografici e attraverso i mezzi di comunicazione. Essa si definisce a partire dal periodo storico produttivo, dalla forma testuale – che ha nella canzone la sua unità comunicativa di base – e dagli attori sociali che ne costruiscono l’identità. Tuttavia è utile, soprattutto dal punto di vista delle strategie comunicative, considerare all’interno della musica pop i generi particolari in cui si differenzia. Definiti come “la particolare scelta e combinazione di codici che concorrono a definire un testo”15, i generi sono una vera e propria bussola per il sistema dei media in generale; rappresentano una realtà concreta, determinata soprattutto dall’uso che ne fa chi produce i testi, chi li distribuisce e chi ne fruisce. Poiché sono individuabili mediante caratteristiche definite e ben riconoscibili, sia nei contenuti che nelle forme, favoriscono fedeltà e attaccamento da parte del pubblico e, di fatto, 15

Gianfranco Bettetini, Teoria della comunicazione, Franco Angeli, Milano, 1994, p. 28.

21

costituiscono un ponte tra il mondo della produzione e quello del consumo, un luogo comune in cui artista e pubblico vengono ad incontrarsi. Nel caso di Giovanni Sollima, il genere viene comunque affermato, ma mediante la sua stessa negazione: le regole sono puntualmente violate, le aspettative non vengono soddisfatte, creando – in luogo della fidelizzazione, del riconoscimento e della “rassicurazione” del pubblico – un effetto di straniamento, ugualmente efficace dal punto di vista comunicativo, poiché desta interesse e curiosità. Il rifiuto delle norme diventa esso stesso un genere definito, che ben si presta a un trattamento di tipo narrativo, contribuendo, in maniera essenziale, alla costruzione del personaggio. Al riguardo basta ricordare alcune descrizioni del compositore da parte della stampa generalista: “Sollima, Palermitano, violoncellista. Detta così è già catalogato: musica classica. Errore. Da Sinopoli a Abbado, da Elisa a Battiato, da Carolyn Carlson a Bob Wilson, non c’è luogo artistico che Sollima non abbia esplorato”16 e ancora, “è agli antipodi rispetto al cliché del compositore di musica seria, magari in frac”17. La rottura di ogni codice e confine di genere, quindi, nel musicistapersonaggio Sollima, è evidente: è un compositore che proviene dalla tradizione colta, ha fatto studi accademici ed è un grande 16

Maurizio Iorio, Con il violoncello per le contraddizioni della mia vita, «Il Tempo», 24

Marzo 2005. 17

Marco Rigamonti, Giovanni Sollima: violoncello rock, «Trax», Giugno 2005.

22

virtuoso del violoncello; insieme a Bach adora Hendrix, scrive partiture per La Scala di Milano e suona con Patty Smith, collabora con Philip Glass e Bob Wilson ed è il protagonista di videoclip di successo. Tale effetto-straniamento non è sicuramente nuovo; innumerevoli sono i casi di “ibridazione” tra classica e pop, basti pensare - in particolare di recente - a Giovanni Allevi, Paul McCartney, Roger Waters, Elvis Costello, Sting, fino al recentissimo Music for the spheres di Mike Oldfield18, il quale suona insieme all’orchestra Euskadi e alla Sociedad Coral, per non parlare dei precursori: Concert for Group & Orchestra dei Deep Purple e - più nostrano e ruspante - Concerto Grosso dei New Trolls, celebre colonna sonora del film-culto del ’71, La vittima Designata di Maurizio Lucidi. Bettetini e Fumagalli19 definiscono quattro livelli di articolazione del genere: linguistico-semiotico, storico, psicologico, sociologicoindustriale. Il primo livello, nell’ambito della musica pop, corrisponde alla combinazione di norme tecnico-formali – utilizzate per la scelta dei suoni –, semiotiche – riguardanti il piano verbale – e comportamentali, corrispondenti alla prossemica della performance.

18

Cfr. Giuseppe Videtti, Oldfield scopre la grande orchestra, «La Repubblica», 18 Marzo

2008. 19

Cfr. Gianfranco Bettetini, Armando Fumagalli, Quel che resta dei media. Idee per

un’etica della comunicazione, Franco Angeli, Milano, 1998, p. 56.

23

L’effetto di genere della musica di Sollima è derivato, dunque, dalla combinazione assolutamente contraddittoria di questi tre elementi, creando quell’effetto di straniamento di cui si parlava sopra: su una struttura musicale riconducibile in molti casi alla tradizione colta, i cui testi verbali - quando presenti – sono generalmente trattati alla stregua di una canzone pop20, il compositore utilizza, nel corso della performance, una prossemica degna di una star del rock. Il secondo livello va a individuare quelle caratteristiche, soprattutto strutturali, che riconducono l’artista a una determinata tradizione storico-produttiva, e il piano su cui viene costruito tale effetto è quello metalinguistico, ossia mediante la codificazione di un lessico usato per parlare delle opere e degli artisti, riconducendoli a stili o a personaggi del passato (ad esempio: “Il nuovo Philip Glass”, “Un violoncello rock”). Generalmente “la coscienza autoriale della musica pop rifiuta una classificazione in generi”21 e gli artisti vivono nel mito dell’autenticità, accogliendo malvolentieri paragoni con sottogeneri più precisi, rivendicando l’originalità della propria opera. A tale riguardo anche Sollima nega ogni tipo di classificazione:

20

Cfr. Viaggio in Italia, p. 143 - 161. In particolare si veda il trattamento del testo del

madrigale di Michelangelo Bella e Crudele, pp. 146 - 147. 21

Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p. 37.

24

“Non mi do etichette, ho paura di entrare in un universo claustrofobico e di sentirmi vincolato”22. I livelli sociologico-industriale e psicologico, definiti da Bettetini e Fumagalli, sono strettamente connessi al ruolo della discografia, che opera delle codificazioni, raggruppando per generi i vari prodotti, per posizionarli più facilmente sul mercato. “Il ruolo dell’industria musicale è quello dell’intermediario. L’opera di mediazione si svolge tra le istanze artistiche dei musicisti, produttive dell’industria, interpretative della critica e quelle di consumo del pubblico. Insomma, l’industria sarebbe il luogo dove vengono rielaborati i codici di genere linguistico-semiotici, storico-interpretativi e sociologici, secondo un fine che è tipicamente di marketing: la creazione di un prodotto facilmente riconoscibile e, quindi, vendibile”23. Ne consegue che l’industria discografica lavora per ottenere effetti di genere sulle categorie di precomprensione da parte dell’ascoltatore e, in questo modo, diventano labili i rapporti di causa e effetto: ci si domanda se sia la cultura a generare l’industria culturale, o viceversa.

22

Giovanni Sollima in Rossella Simone, Violoncello Rock, Giovanni Sollima: jazz scirocco e

profumo di limoni, «D, La Repubblica delle donne», 30 Giugno 1998. 23

Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p. 39.

25

4) IL VINCOLO COMMERCIALE DELL’ARTE

Una delle peculiarità della musica pop è l’accentuazione della dicotomia alla base di ogni industria culturale: il rapporto tra arte e mercificazione. Già nell’opera di Adorno la musica ha rappresentato, sin dall’inizio della sua produzione, un punto di osservazione privilegiato dei fenomeni sociali prodotti dall’avvento dei mass media. Quando nel 1938 redasse il suo primo saggio sull’argomento - Il carattere di feticcio in musica e la regressione dell’ascolto - la musica viene ad assumere il valore di un paradigma dei destini di una società dominata dai monopoli capitalistici. Accanto alla conclusione di Adorno, Benjamin, partendo da posizioni analoghe, giungeva a conclusioni opposte: nel suo saggio pubblicato nel 1936, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, l’argomento riguardava le arti figurative e le ripercussioni estetiche e sociali della loro riproduzione mediante fotografia. Eppure il complesso delle osservazioni di Benjamin coinvolgeva comunque, in forma indiretta, la discussione sulla musica, tanto che il saggio di Adorno sul feticismo in musica nacque appunto come risposta a Benjamin.

26

Al centro della teoria di Benjamin è posto il concetto di aura, nel quale si compendiano quei caratteri di sacralità, di irripetibilità che costituivano gli attributi dell’opera d’arte nella concezione estetica ottocentesca, come manifestazione e, insieme, garanzia della sua autenticità. La contemplazione dell’oggetto artistico assumeva, infatti, il carattere di un evento straordinario, di un atto mistico riservato a pochi iniziati e lontano dall’esperienza quotidiana, quindi “irripetibile” . La diffusione di massa dell’arte procedeva in un senso esattamente opposto alla sacralità dell’aura: la possibilità di riprodurre un’opera d’arte in un numero illimitato di copie, toglieva significato al concetto di autenticità e annullava quei caratteri di lontananza

e

di

ritualità

che,

nell’immaginario

collettivo,

contraddistinguevano la contemplazione estetica. La moltiplicazione tecnica dell’oggetto artistico assumeva dunque, secondo Benjamin, un significato democratico e anti-individualistico. Liberata dell’alone auratico, l’opera d’arte poteva finalmente essere compresa criticamente nella sua realtà vera: “L’opera d’arte riprodotta diventa la riproduzione di un’opera d’arte predisposta alla riproduzione. Nell’istante in cui il criterio dell’autenticità nella produzione dell’arte viene meno, si trasforma anche l’intera funzione dell’arte; in luogo della sua fondazione nel rituale, si instaura la fondazione su di un’altra prassi: vale a dire il suo fondarsi sulla politica”24. 24

Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi,

Torino, 1966.

27

Partendo da premesse vicine a quelle di Benjamin, Adorno ne capovolgeva le conclusioni e tendeva a vedere nei modi d’ascolto propagati dai mezzi di comunicazione di massa, non una forma di emancipazione, ma appunto una componente feticistica. Secondo Adorno

il

concetto

di

“feticcio”,

benché

simile

all’aura

benjaminiana, era connaturato alla produzione consumistica, ingenerata dall’industria culturale di massa. Nel momento stesso in cui il prodotto musicale si trasforma in merce, subentra, a nascondere il suo carattere mercificato, un valore estetico fittizio, di facciata, il quale non si definisce all’interno di un reale rapporto di ricezione della musica, ma viene imposto dal di fuori e viene feticisticamente propagandato come “qualità” dell’oggetto stesso. Di qui una “regressione dell’ascolto”, che si rivela soprattutto nella incapacità di penetrare nella struttura autentica dell’opera d’arte; a questa si sostituisce una sorta di patente di artisticità rilasciata dal mercato, il quale diviene così il vero depositario dei criteri di giudizio estetico. E di qui, infine, un tipo di fruizione musicale distratta, che tende a separare i singoli dettagli espressivi dall’insieme strutturale della composizione. A questo punto Adorno non poteva che proclamare l’incompatibilità, nella società di massa, fra autenticità e comunicazione, e trovare, nel rifiuto di quest’ultima, l’estrema via di salvezza della musica di fronte ai processi inesorabili della mercificazione. Delle due teorie fu quella di Adorno a esercitare maggiore influsso sulle avanguardie del dopoguerra,

28

spesso usata a giustificazione ideologica di un’attitudine a vedere nella ricerca del nuovo un fine in sé e nell’impopolarità una garanzia di validità estetica. Soltanto più tardi si è assistito a un recupero delle posizioni benjaminiane, allorché l’impasse in cui era venuta a trovarsi l’avanguardia, ha spinto numerosi musicisti ad affrontare in concreto la problematica dei mass media e della formazione di una coscienza musicale collettiva attorno ai nuovi linguaggi elaborati dalla sperimentazione. Tra i compositori che sono tornati a dialogare con il pubblico e che hanno ricucito il divario fra creatore e fruitore, c’è Giovanni Sollima: “Paghiamo certe scelte fatte negli anni Cinquanta e Sessanta, quando i musicisti decisero che potevano fare a meno del pubblico. Oggi, per fortuna, la situazione sta migliorando…”25, “credo di fare parte di una fascia di musicisti che ha fatto dell’ibridazione la propria cifra. M’interessa molto la comunicazione, senza scendere, beninteso, a compromessi di mercato”26. Eppure, la musica pop è anche un mercato sul quale evidentemente si è sviluppata un’industria, quindi, per forza di cose, è soggetta a condizionamenti derivati dal contesto economico.

25

Giovani Sollima in Alice Bertolini, Intervista a Sollima, «Suonare News», Ottobre

1999. 26

Giovani Sollima in Maria Lombardo, L’inferno che musica! Dante così moderno, La

Sicilia, 30 Dicembre 1999.

29

Sibilla richiama l’attenzione sul potere detenuto, nella società attuale, dalle grandi multinazionali. Egli si riferisce alle cosiddette “cinque grandi sorelle”, che possiedono praticamente il totale delle quote di mercato, lasciando alle etichette indipendenti - spesso a queste vincolate da accordi di mercato - praticamente solo briciole. Nell’organizzazione aziendale delle case discografiche sono stabilmente definite alcune figure e strutture, la cui influenza è rilevante sulla creazione dei prodotti musicali. Fondamentale è il reparto artistico – in cui si scelgono protagonisti e i brani musicali – e il dipartimento marketing e promozione, che gestisce la comunicazione d’immagine del musicista su un piano intermediale e multimediale. Le case discografiche lavorano su diversi canali promozionali: stampa, radio, televisione, new media. Da questo sistema promozionale dipendono tecniche di collocazione del prodotto in fasce precise del mercato, attraverso la definizione di una sua identità e il successivo posizionamento in canali di comunicazione e distribuzione. Il mercato musicale è intimamente legato allo sviluppo tecnologico: la nascita del disco è un evento fondamentale per la musica pop, perché ha innescato il processo di manipolazione della musica stessa, di distribuzione sui media e di allontanamento dalla sua espressione più pura, l’esecuzione dal vivo. Più in generale, l’invenzione del disco è stato l’evento che ha avuto le più vaste ripercussioni nella vita musicale del secolo scorso. Il

30

primo ingresso sul mercato dei mezzi tecnici di riproduzione sonora interessò, quindi, principalmente il jazz, la canzonetta, la musica da ballo e gli altri generi di musica leggera, che seppero immediatamente utilizzare le nuove tecniche e l’industria come formidabili veicoli di diffusione, a differenza della musica colta, che ne usufruì solo marginalmente. Anche in seguito, del resto, la musica leggera rimase assai più duttile nel recepire gli elementi di novità - sia sul piano funzionale che su quello estetico - insiti nel fenomeno della riproducibilità tecnica. La ragione è il maggior interesse dell’industria culturale per i prodotti più facilmente commerciabili e, in qualche misura, si deve anche a pregiudizi del compositore di tradizione colta verso l’industria culturale. Anche quando non nutriva disprezzo verso i nuovi mezzi, tendeva comunque a relegarne l’impiego a una funzione ausiliaria, di semplice conservazione o di surrogato dell’esecuzione dal vivo, rimanendo indifferente dinanzi alle nuove possibilità di intervento sul suono e di allargamento della base del pubblico. Al contrario, nella musica pop, si riconobbe gradualmente al prodotto discografico una sua autonomia rispetto all’esecuzione diretta, anzi, la perfezione esecutiva raggiunta con la riproduzione tecnica diventò di gran lunga superiore a quella ottenibile in un’esecuzione dal vivo. Si è dunque verificato qualcosa di simile all’ipotesi benjaminiana: la copia appare più perfetta dell’originale verso cui si impone come modello.

31

Ma le conseguenze più rilevanti di questo capovolgimento si hanno sul piano della composizione: la realizzazione sonora acquista, infatti, un’oggettività ben superiore a quella della partitura. Da ciò deriva, come detto in precedenza, la nascita di brani musicali che esistono soltanto nella loro oggettivazione sonora su disco o su nastro, con un conseguente distacco fra suono e scrittura sino a relegare quest’ultima alla funzione di puro schema descrittivo.

32

5) MUSICA POP E CONSUMO

Le forme di fruizione della musica leggera, pop e rock vengono generalmente associate al gruppo sociale dei “giovani”. Il disco, negli anni Cinquanta, diviene “insieme con alcuni tipi di abbigliamento […] il prodotto simbolo dell’emergere di una cultura generazionale distinta da quella adulta”27. Questa corrispondenza biunivoca tra giovani e musica pop, ha dato vita a una sorta di rinforzo reciproco tra i sistemi di costruzione dell’identità giovanile e la nascita di un fenomeno culturale ibrido, che, sulle sonorità del rock, ha veicolato una metanarrazione della gioventù, basata sulla ribellione al mondo adulto28; per contro, tale mondo adulto percepito antipodicamente come altro da sé da parte della cultura giovanile - è stato associato alla musica colta, derivandone da ciò una totale estraneità da essa. In tempi recenti si è cercato, quindi, per ricucire quella frattura nata con le Avanguardie, di riconquistare un rapporto con il pubblico e, in particolare, con quello giovanile. 27

Peppino Ortoleva, Mass media. Nascita e industrializzazione, Editori Riuniti, Roma,

1995, p. 147 28

Cfr. Maria Teresa Torti, Giovani e popular music nella ricerca sociale italiana, «Rassegna

Italiana di sociologia», XLI, n°2, 2000.

33

Giovanni Sollima è, appunto, uno di questi musicisti, sicuramente per il suo stile fatto di commistione di idiomi diversi - dalla classica al jazz, dal minimalismo alla world music, dal rock al barocco - ma anche per la sua trascinante prossemica durante le performance e, soprattutto, perché, da un punto di vista narrativo, il suo personaggio comunica e, quindi, racconta e fa raccontare ai media, caratteristiche che creano riconoscibilità nell’universo giovanile: la ribellione, la rottura degli schemi, il rifiuto del formalismo. Tale modo di porsi, dunque, anche da un punto di vista dell’immagine – si vedano le magliette con il volto Hendrix che indossa ai concerti, insieme ai jeans e alle scarpe da ginnastica – da fatto puramente formale diventa un punto di forza fondante e sostanziale per rompere muri di diffidenza nei confronti della tradizione musicale colta. La stampa generalista, infatti, quando parla di Sollima, non manca mai di porre in rilievo proprio questo aspetto; su tutti, basta ricordare al riguardo il titolo eloquente di un noto quotidiano: “Sollima: Classica? Ai giovani piaccio perché sono rock29”

29

Vincenzo Celletti, Sollima: Classica? «Ai giovani piaccio perché sono rock», «Avvenire», 11

Novembre 2006.

34

6)LA MUSICA POP COME ESPERIENZA NARRATIVA

La musica pop crea i suoi significati a partire da un testo30 a monte, dal consumo che se ne fa di essa, e dal canale di comunicazione in cui si diffonde, quindi, come detto in precedenza,31 è un fenomeno complesso, costituito da una parte testuale, da una sociale e da quella mediale. Ne consegue che i prodotti della musica pop non sono fruibili in modo neutro: sono i modi e i luoghi in cui essa si manifesta che “mettono in scena dei linguaggi diversi e generano esperienze di fruizione diverse32”. Mai come per la musica, quindi, la tesi di McLuhan pare verificarsi pienamente: sono i media e i contesti a determinarne contenuti e linguaggi33. Per analizzarli, tenendo presente tale complessità, significa utilizzare una chiave di 30

Si parla qui e oltre di “testo”, inteso nell’accezione usata da Gianni Sibilla ne I

linguaggi della musica pop: non si intende semplicemente “testo” come presente su un supporto, ma quale prodotto e manifestazione di un’attività artistica o di pensiero non riconducibile ad un solo linguaggio, ma ad una somma di essi. Ad esempio, il “testo” della canzone pop è costituito da tre macro-elementi: la musica, le parole e l’interpretazione. 31

Cfr. p. 18.

32

Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p. 98

33

Cfr. Ibidem.

35

lettura socio-semiotica e mediale; ciò significa considerare la musica stessa come un’esperienza narrativa. Se si prende in considerazione la canzone come unità comunicativa di base del pop, ci si rende conto che si tratta di un racconto attraverso il quale la musica propone

un’esperienza

comunicativa, organizzata

in

forme

narrative. Attraverso questo racconto, la musica elabora dei valori culturali, interpreta quelli sociali, propone delle forme di identità a chi la fruisce. È la stessa musica, quindi, a costruire il suo fruitore, attraverso linguaggi intertestuali – ossia fatti di continui rimandi ad altri testi – e intermediali, cioè che appaiono su media differenti. Per analizzare la musica pop, dunque, è indispensabile tenere presente la natura molteplice dei suoi linguaggi: bisogna, allora, prendere in considerazione contemporaneamente testi, forme del racconto, contesti e mezzi di diffusione, poiché il racconto prende vita nell’atto stesso della narrazione, la performance. La narrazione avviene attraverso la selezione di materiale proveniente dall’esperienza individuale e sociale di chi narra, dalla riorganizzazione di tale materiale in schemi comprensibili, e dalla comunicazione a chi è disposto a ascoltare; ciò, generalmente, nel pop si esplicita attraverso i testi delle canzoni, e mediante una particolare scelta stilistico-musicale.

36

Nelle opere di Giovanni Sollima, come si vedrà in dettaglio più avanti, solo in rari casi è presente un testo verbale34, nondimeno, l’aspetto narrativo è sempre presente nei suoi lavori, grazie a “testi esterni” al fenomeno musicale propriamente detto, che diventano, però, parte integrante dell’opera: si tratta, di solito, di recensioni, interviste, sinossi, che forniscono dettagli sulle fonti d’ispirazione del compositore, sulla storia che c’è dietro ogni brano, e sulle occasioni – spesso di risonanza mediatica – per le quali tali lavori nascono. È a partire da simili racconti che l’artista si rappresenta come personaggio ed esplicita la propria visione del mondo. Più riesce in questo intento, maggiore sarà la sua popolarità, poiché la propria storia personale – potendo essere notiziabile all’infuori del fenomeno musicale – sarà meglio veicolata dai media generalisti, in particolare se sarà capace di intercettare pulsioni e bisogni di identificazione del target di riferimento. Il testo verbale di una canzone, la trasposizione di un brano in una recensione, l’intervista, la trasformazione in un testo audiovisivo (il videoclip) – contribuiscono a creare il macro-racconto del musicista, in realtà protagonista assoluto di tutte le sue opere. La figura del musicista come personaggio va letta a livello micronarrativo – se si considerano gli elementi contenuti all’interno di ogni singola opera – e macronarrativo, che riguarda tutti quegli 34

Si vedano, a titolo d’esempio, le analisi dei brani Viaggio in Italia, Ellis Island, Songs

from the Divine Comedy, rispettivamente a pp. 143 - 161; 196 - 219; 220 - 233.

37

elementi rintracciabili nell’insieme di testi riconducibili alla sua produzione. Da ciò deriva la mitizzazione dell’artista, che diventa portatore e simbolo di valori socialmente condivisi, in particolare dalla comunità di ascoltatori. In definitiva il musicista è “un mediatore intertestuale: grazie al suo talento narrativo, raccoglie, seleziona, e riarticola dei messaggi provenienti da diverse fonti e li esprime attraverso diversi media”35. Il racconto della musica pop, quindi, si esplica in luoghi differenti, attraverso la presenza diretta, o meno, della musica stessa: il concerto, la performance, la trasmissione radiofonica, televisiva o attraverso internet, costituiscono momenti in cui essa si manifesta direttamente; le recensioni dei brani e le immagini dell’artista – sulla carta stampata, su internet o in televisione – sono i luoghi in cui viene soltanto evocata. Dagli anni Ottanta in poi, la musica pop ha iniziato a moltiplicare i propri racconti in funzione promozionale, adottando strategie di marketing sempre più sofisticate. Da qualche tempo tali strategie sono state applicate anche alla classica, o meglio, a quella divisione marketing delle case discografiche indicata con il nome di cross-over: un nuovo genere che travalica norme e aspettative - in passato cristallizzate - ora volontariamente violate. È opportuno, in questa sede, citare a titolo di esempio e di paragone un caso emblematico di questi mesi: Giovanni Allevi, pianista e 35

Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p.118.

38

compositore, acclamato come una star del pop, che piace al pubblico giovanile e indossa scarpe Converse e jeans, il tutto unito a un’aria stralunata e a una folta chioma riccia e corvina. Il motivo del suo enorme successo va visto alla luce di quanto detto finora e, in particolare, proprio riguardo alla dimensione narrativa del personaggio-Allevi, si può individuare la differenza di successo tra questi e Sollima - musicista sì molto amato, ma non ancora noto a tutto il pubblico, anche quello meno interessato alla musica. Sicuramente si potrebbe obiettare che la differenza sostanziale risieda nella diversa struttura della loro produzione musicale, in particolare perché i brani di Allevi - brevi, semplici, orecchiabili possono paragonarsi a tipiche canzoni pop, prive del testo. A mio parere, però, la reale linea di demarcazione non va rintracciata nella musica, quanto nel diverso uso della dimensione narrativa. Il macroracconto di Allevi è costruito volontariamente e a priori: è breve, incisivo e riconoscibile; non c’è bisogno di unire i pezzi della sua produzione artistica, poiché è lui stesso che, in ogni concerto, in ogni intervista, reitera esplicitamente la narrazione del personaggio che rappresenta. Al contrario, se si volesse individuare un macroracconto del personaggio-artista Sollima, bisognerebbe inferirlo a posteriori, analizzando la sua produzione artistica negli anni, la sua biografia, il suo repertorio, le differenti fasi compositive e i diversi temi della sua poetica, succedutisi in un complesso

39

divenire36.

Tale

macroracconto,

quindi,

non

esplicitato

volontariamente, né costruito, non è portatore di un messaggio breve e riconoscibile; per tali ragioni il personaggio-Sollima non suscita né immediata empatia, né immedesimazione. Al contrario, la storia di Allevi – fatta di aneddoti, di tic e di stranezze – è nota ancora prima della sua stessa musica, che diventa quasi un accessorio, un fattore d’interesse secondario. Come afferma Sibilla: Nella sempiterna battaglia tra arte e commercio, tipica dell’industria culturale, in questo periodo prevale, almeno quantitativamente, la produzione di testi dichiaratamente orientati alla commercializzazione. I prodotti di consumo diventano onnipresenti sui media; anche quelli più sbilanciati verso la dimensione artistica pura si devono adeguare per avere visibilità. La musica pop diventa un fenomeno propriamente intermediale, quando si adegua alle leggi dello star system e quando il musicista diventa un personaggio che ha bisogno di raccontare non soltanto attraverso la musica […] ma anche attraverso i media37.

Fondamentale, quindi, è progettare, come fa Allevi, il contesto comunicativo che sta attorno alla musica, ossia i modi e i luoghi in cui essa si fa presente a un pubblico disposto a ascoltarla. È proprio in questo processo comunicativo che ha luogo il racconto musicale. 36

Tale, del resto, è il lavoro svolto nella seconda parte di questa tesi.

37

Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p.118.

40

7) I LUOGHI DEL RACCONTO MUSICALE

Gianni Sibilla individua38 differenti luoghi narrativi della musica pop, ognuno dei quali dà vita a specifici testi musicali e linguaggi, rielabora i testi originari del racconto musicale in una forma di narrazione originale, e contribuisce a creare il macro-racconto del musicista-personaggio.

7.1- La canzone

L’unità narrativa e comunicativa della musica pop è senz’altro costituita dalla canzone; essa è “la punta dell’iceberg della comunicazione […] è ciò di cui è fatto essenzialmente il pop, ciò che si dà da ascoltare”39. È un oggetto intermediale poiché prende vita in forma diverse e su media diversi: dal supporto fonografico registrato alle versioni pensate per i mass-media. Il suo successo esplode negli anni Cinquanta, con l’avvento del rock ’n’roll:

38

Cfr. Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p. 118.

39

Ibidem, p. 129, corsivo dell’autore.

41

La nuova musica, per essere un richiamo così irresistibile e potente, non poteva fare a meno di compendiare caratteristiche afroamericane, country e pop, di evocare la possessione estatica dei canti da chiesa, così come lo sfrenato edonismo che improvvisamente travolse i giovani americani, ma quello che è impressionante è proprio la potenza di novità, di cambiamento radicale ottenuto, sul piano musicale, con un lievissimo spostamento stilistico. Lievissimo eppure sconvolgente. Proprio come nella reazioni chimiche, quanti più elementi rintracciamo, quello che conta è la sintesi finale, in un periodo in cui la storia sembra voler compiere un deciso passo in avanti40.

Tali commistioni, che dunque decretarono allora il grande successo della canzone pop, oggi rappresentano il tratto caratteristico della scrittura di Sollima e il motivo fondamentale dei vasti consensi suscitati

dalla

sua

musica,

da

parte

di

un

pubblico

sorprendentemente eterogeneo. Il successo della canzone si deve, inoltre, alla sua incisività e brevità, e alla sua struttura – spesso riconducibile a un numero limitato di schemi formali standardizzati – costituita, in genere, dall’alternanza di strofe e ritornelli. Tale brevità impone, da un punto di vista verbale, la “densità”: le parole devono racchiudere il maggior numero di significati possibili in una frase. Poi sono ritmo, melodia

40

Gino Castaldo, La terra promessa. Quarant'anni di cultura rock, Feltrinelli, 1994, p. 48.

42

e armonia a imporre alla canzone i tempi del discorso e quelli della fruizione. La canzone presenta una struttura micro-testuale che le consente di essere trasmessa al proprio ascoltatore sempre in macro-testi fatti di aggregati multipli e, per queste sue caratteristiche strutturali, può essere riprodotta in diversi canali di diffusione: singolo radiofonico, rielaborazione per immagini in un videoclip, performance televisive. Proprio a causa della sua struttura, costituita dall’alternanza di pattern ripetuti, è spesso oggetto di differenti trattamenti: può essere citata solo in parte – ad esempio si può usare il solo ritornello – per scopi diversi e, soprattutto, in svariati contesti: nel cinema, nella pubblicità, in trasmissioni televisive. Questa caratteristica della musica leggera, ovvero la modularità delle strutture, è spesso fatta propria da Sollima in molti suoi lavori. Egli stesso dichiara, infatti, di creare volutamente strutture modulari, in particolare in quelle sue opere che considera dei work-in-progress, per poter sostituire, eliminare o aggiungere di volta in volta materiale, senza alterare i brani nella loro organizzazione fondamentale. Molte delle composizioni di Sollima, inoltre, sono costituite da brani brevi, incisivi e ripetitivi - non certo delle canzoni pop, perché prive di testo - che hanno, però, ugualmente riscosso un grande successo di pubblico.

43

Come per una canzone pop, inoltre, di un brano in particolare41 è stato girato un video musicale - di cui lo stesso Sollima è protagonista - che ha stabilito il record mondiale di contatti su YouTube, per quanto riguarda un videoclip al di fuori dell’ambito poprock. Ogni brano di un musicista contribuisce, così, a crerare il proprio macro-racconto e rappresenta uno dei mattoni di una storia più complessa e articolata, espressa tramite altri lavori, canzoni, dischi, performance, immagini, blog e così via.

41

Si tratta di Terra Aria, tratto da J. Beuys Song. Il video musicale s’intitola DayDream,

ed è girato dal giovane regista emergente Lasse Gjertsen. Cfr. pp. 66 -69; 173 – 176.

44

7.2 - La musica messa in scena

L’aura della musica, venuta meno con il disco - un supporto creato per essere prodotto in milioni di copie identiche - viene recuperata, nell’estetica dell’ascolto pop, nella performance dal vivo. È nell’esecuzione di fronte a un pubblico che risiede l’aura della musica nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, poiché è il momento in cui essa si riappropria di quei caratteri perduti di unicità, originalità, autenticità. Eppure la musica pop, più che performing art, va intesa come recording art: si basa su un processo di creazione e poi fissazione di un’idea su un supporto. Questo processo avviene nello studio di registrazione, dove i brani vengono pensati, sviluppati, eseguiti e poi registrati, per essere successivamente riprodotti. Come suggerisce Fabbri, pensando a Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles, “la lezione di quel modello si può dare per acquisita in tutti i generi della popular music: in studio di registrazione si crea, non si riproduce”42. Solo successivamente la musica, da recording art, diventa performing art, ossia quando la vita del brano non si esaurisce nella riproduzione ad 42

Franco Fabbri, Il suono in cui viviamo. Inventare produrre e diffondere musica, Feltrinelli,

Milano, 1996, p. 92.

45

libitum della sua versione originaria, ma quando viene eseguita in diversi luoghi e in diversi modi. Nel corso del tempo la performance della musica pop si è codificata in una serie di forme, della quale, la più rappresentativa, nell’immaginario collettivo, è senza dubbio il concerto dal vivo: il musicista produce la propria musica “in diretta”, in presenza del pubblico. Il carattere auratico della musica, in questo caso, viene preservato43, poiché la performance dal vivo rappresenta un evento sociale fortemente ritualizzato, che esula dalla routine quotidiana. Le performance mediali, invece, sono tutte quelle esecuzioni fatte con i media, per i media e sui media. Nascono, generalmente, per scopi promozionali, e la musica diventa un contenuto da veicolare ovunque, in modo tale da raggiungere più ascoltatori possibili. Dagli anni Ottanta in poi, secondo i rigidi standard di marketing delle case discografiche, il percorso produttivo vede prima l’incisione del disco, poi la pubblicazione, e in seguito la sua promozione mediante performance, nelle forme di concerti, tour, apparizioni sui media, interviste. Si tratta di una routine che, tuttavia, non si verifica sempre: capita che vengano organizzati tour e performance prima della pubblicazione del disco, e spesso i brani vengono incisi proprio durante tali esibizioni dal vivo, appunto i cosiddetti “dischi live”. Giovanni Sollima, nella sua produzione musicale, fa più volte esperienza di tali processi produttivi. Se, in molti casi, i lavori di 43

Cfr. Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., pp. 158 – 161.

46

Sollima si pongono come “opere”, intese come composizioni tipiche della tradizione classica, - si considerino ad esempio Tempeste e Ritratti, Violoncelles, vibrez! - si vedrà più avanti come, ad esempio per Aquilarco44, non si possa parlare più di “opera”, ma, piuttosto, di “oggetto-disco”: nasce in studio di registrazione, grazie al progetto dell’autore, coadiuvato da un’attività congiunta di intelligenze creative che, insieme, concorrono alla realizzazione non di una partitura, ma direttamente di un brano. Nella musica pop, e in tutte quelle culture musicali che non sono basate sul testo ma sulla performance, essenziali sono l’aspetto spaziale, fisico e prossemico. “Il corpo viene usato come uno strumento di comunicazione, manipolato e gestito come un testo45”, la performance pop è “un rito in cui non la musica, non la canzone ma il performer è al centro dell’attenzione […] La performance non è l’ascolto dell’interpretazione di un repertorio di canzoni […] è la visione di una messa in scena drammatizzata della musica e di un attore che la interpreta, il musicista.46” Allevi, in tutti i suoi concerti dal vivo, parla direttamente

al

pubblico e reitera gli aneddoti del suo percorso artistico, con tutti i cliché del caso.

44

Cfr. Aquilarco, pp. 129 – 137.

45

Cfr. Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p. 164.

46

Ibidem, corsivo dell’autore.

47

Giovanni Sollima, invece, durante le sue performance, “racconta” la sua storia, ma non certo con le parole: attraverso il linguaggio del corpo, la prossemica, la sua presenza scenica egli comunica che è un virtuoso del violoncello, ma che, allo stesso tempo non è un accademico e che rifiuta le forme del concerto tipiche della tradizione colta. Sul palco lo si vede danzare insieme al suo strumento e nella sua musica si possono ascoltare commistioni di stili, che rimandano ora al rock, ora alla world music o, ancora, al minimalismo americano.

48

7.3 - La musica scritta

La critica musicale è il luogo in cui la musica subisce la trasformazione più drastica: non è mai presente, ma è evocata da un linguaggio completamente diverso, quello verbale. Alcuni celebri personaggi

della

musica

pop

hanno

addirittura

contestato

l’opportunità di una simile prassi: “scrivere di musica è come danzare di architettura”47, pare avesse risposto Elvis Costello ad un giornalista. Eppure, parlare di musica può considerarsi una forma di mediazione culturale tra chi la produce e chi deve fruirne: una guida alla scelta e all’ascolto. È tuttavia evidente la differenza che, di fatto, esiste tra la critica del pop rispetto a quella della musica di tradizione colta: ancora sopravvive una netta linea di demarcazione tra le due, quasi a sottolineare l’incompatibilità tra i rispettivi generi e pubblici. In merito alla musica pop, le forme di mediazione culturale della critica e dell’informazione si sono sviluppate rispecchiando e, allo stesso tempo, contribuendo ad aumentare il crescente status di 47

Questo aforisma è generalmente attribuito a Elvis Costello, anche se in una recente

intervista ne ha smentito la paternità.

49

fenomeno sociale della musica stessa. Soprattutto sulla stampa generalista, si parla ovunque dei personaggi della musica pop, se non in quanto musicisti, sicuramente come “divi”, con i connessi pettegolezzi, curiosità e quant’altro serva ad alimentare il macroracconto del musicista. Per quanto riguarda la musica di tradizione colta, - a parte le riviste di settore - minimi spazi, in particolare sulle più importanti testate, sono riservati al critico musicale specializzato in “classica”, che assume di diritto una legittimazione di “esperto” che erudisce il pubblico, utilizzando una dialettica ricercata e sublime. Nelle forme più disparate, auliche e poetiche si tenta, con ogni sorta di locuzione, di descrivere sinesteticamente la musica, si inventano neologismi ad ogni pie’ sospinto, ma alle volte – a parte la forma verbale utilizzata – sorgono dubbi sulla reale competenza musicale di chi scrive. Se Gorge Steiner48 troppo drasticamente, in Linguaggio e silenzio, immagina una “repubblica utopica” dove è bandito ogni discorso su musica, arti e letteratura, è pur vero che molti - incluso Elvis Costello – esprimono reticenze, più o meno manifeste sui critici in generale. Su tutti, mi diverte ricordare Nanni Moretti nel celebre Caro Diario, il quale, in una scena del film, esce da un cinema nauseato per la troppa violenza di una pellicola49, osannata, invece, 48

Gorge Steiner, Linguaggio e silenzio, Garzanti, Milano, 1967.

49

Si tratta di Henry, pioggia di sangue, film del 1986, diretto da John McNaughton.

50

da un critico. Nella scena successiva Moretti, in una sorta di nonviolento autodafé contemporaneo, costringe lo stesso critico a fare pubblica ammenda per le espressioni usate e, come una condanna corporale, gli infligge le parole delle sue peggiori recensioni: … quel film coreano era un melodramma in costume, vestiti e

soprattutto

cappelli

deliranti,

e

Superfemminista,

fiammeggiante e demoniaco, girato come se fosse un trip alla Spielberg entrato nei ritmi e negli spazi futuristi. E poi c’è il pasto nudo di Cronenberg, puro pus underground ad alto costo…

Alla fine il regista conclude “Ecco, penso, ma chi scrive queste cose non è che la sera, magari prima di addormentarsi, ha un momento di rimorso?50”. È possibile pensare lo stesso, soprattutto se si è alle prese con una recensione sulla musica colta, poiché troppo spesso le parole usate dai critici appaiono autoreferenziali e autocelebrative, utili soltanto a un discutibile esercizio stilistico e responsabili, troppe volte, di creare quella diffidenza del pubblico nei confronti della musica di tradizione colta, di cui si è parlato in precedenza. Giovanni Sollima deve molto alla stampa generalista, poiché, come detto più volte, pone in rilievo le caratteristiche tipiche del compositore: la sua apertura a differenti generi, la sua volontà di 50

Tratto dal film Caro Diario di Nanni Moretti, Italia, 1993.

51

rottura con la tradizione, tutti aspetti che ben si prestano a un trattamento di tipo narrativo. Non mancano, comunque, nella rassegna stampa di Sollima, recensioni tipiche della critica specializzata in musica di tradizione, su tutte si ricordino la parole scritte per Violoncelles, vibrez!: “Una melodia madida di mille echi magici […] un tema fantastico dalla maliosità quasi intimidatoria”…51 Eppure c’è bisogno ancora della critica, ma come scrive Piero Ottone: Vorrei che l’alta cultura italiana, quando non si esprime in riviste specializzate, non desse per scontato che il lettore già sappia tutto. Vorrei, in altre parole, che gli specialisti […] fossero capaci, e sentissero il piacere, di divulgare. Uscire dalla torre d’avorio per mescolarsi con la gente. […] Altrimenti si scrive solo per pochi eletti. Gli altri si arrangino: col rischio che rinuncino a leggere. 52

51

Angelo Foletto, Il volo magico della melodia, «Suonare News», IV/6, 1998.

52

Piero Ottone, Parmenide, chi era costui? Per favore, spiegatelo, nella rubrica Vizi e virtù,

«Il Venerdì» de «La Repubblica», n°1046 del 4 Aprile 2008, corsivo mio.

52

7.4 - La musica parlata

La radio è il canale di trasmissione della musica più consolidato: è stato il primo mezzo a diffonderla su larga scala, contribuendo a definirne le forme di produzione e di consumo. Anche con l’avvento della televisione, la radio ha comunque mantenuto la sua egemonia sulla comunicazione della musica, fino all’avvento delle televisioni musicali degli anni Ottanta prima, e di Internet poi. Nel rapporto tra radio e musica, tuttavia, non bisogna dimenticare il ruolo fondamentale rivestito da un altro attore: l’industria discografica. Essa ha da subito colto le grandi potenzialità promozionali di questo mezzo, ben superiori a quelle della stampa: la radio è in grado di far ascoltare direttamente la musica, contestualizzandola in un flusso sonoro fatto di contaminazioni linguistiche. Da tale potere promozionale, ne consegue la rilevanza strategica dell’assegnazione degli spazi: in molti sostengono che il successo di un brano sia direttamente influenzato dai passaggi in radio e non si

53

può negare che sia la stessa radio, con tali scelte, a creare il proprio pubblico, più che assecondarlo53. In radio, dunque, la musica assume significati diversi a partire dalla contestualizzazione in un universo sonoro composito, e i suoi linguaggi si definiscono attraverso i processi mediante i quali la musica stessa si inserisce in un macro-testo più ampio - fatto di suoni e linguaggio verbale - a cui è affidato il ruolo narrativo, ricoperto, in genere, dallo speaker, o dal DJ. Come si è visto in precedenza, il macro-racconto di Sollima non è collegabile ad un genere in particolare, al contrario: travalicando i generi, crea quell’effetto di straniamento che dà impulso all’elemento narrativo e rende il personaggio appetibile a più pubblici e a più media. Per quanto riguarda il medium radiofonico, invece, la caratteristica tipica di Sollima della “non-etichettabilità” ha costituito, almeno per ora, uno svantaggio per il compositore, poiché ha escluso passaggi radiofonici dei suoi lavori sia nelle radio tipicamente pop, che in quelle classiche, salvo rare eccezioni. Tali eccezioni, comunque, confermano la regola, poiché quelli eseguiti in radio, sono stati i brani più facilmente inquadrabili in un genere preciso: si veda su tutti Tempeste e Ritratti54 – assimilabile in pieno alla tradizione colta – commissionato ed eseguito dalla Filarmonica della Scala, trasmesso in diretta in occasione della prima 53

Cfr. Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., pp. 227 – 239.

54

Cfr. pp. 177 – 195.

54

assoluta su Radio Rai Tre e seguito da un’intervista all’autore in merito alla sua nuova opera55. All’opposto si colloca, invece, una recente “ospitata” radiofonica di Sollima su Radio DeeJay. Pur trattandosi entrambe di interviste, vanno a mettere in luce aspetti opposti: la prima verte quasi esclusivamente sulle caratteristiche strutturali e stilistiche del brano, - commissionato e eseguito in prima assoluta alla Scala - la seconda presenta Sollima come personaggio, affrontando l’argomento musicale solo sporadicamente e, in particolare, come un attributo del personaggio stesso. La trasmissione su Radio DeeJay va a indagare, attraverso la conversazione con il compositore, il carattere della persona, sui suoi gusti e modi di essere, senza parlare della musica, che viene ascoltata nelle brevi interruzioni del flusso del parlato: DJ: Questa puntata è ad altissimo rischio, perché abbiamo un ospite di una levatura che non ci appartiene […] Veramente oggi abbiamo messo su il puntatone! Visto che abbiamo passato Jimi Hendrix, avremo il “Jimi Hendrix of the cello”. Quindi ragazzi, oggi vi riportiamo a casa extralusso, rientro a casa a cinque stelle stasera. Rifatevi un po’ il trucco, datevi una sistemata, perché è veramente un musicista pazzesco, si chiama Giovanni Sollima, […] il livello si alza improvvisamente, per cui preparatevi, […] 55

Cfr. pp. 178 – 181.

55

parleremo di musica e del fatto che appunto, molto spesso certa musica, che è quella poi dei concerti, delle grandi sale, non è vero che sia per forza una prerogativa di un certo tipo di persone, ma che può venir molto vicina e che può delle volte suonare anche nelle casse di Radio DeeJay56. Noi almeno stasera ci proviamo. […]. Giovanni Sollima è uno dei più grandi violoncellisti, è compositore, poi anche atleta, perché il modo in cui suona al violoncello, riguarda proprio tutto il corpo, è un corpo a corpo tra lui e lo strumento. […] Tra l’altro, giusto per tirarcela, perché sai com’è, noi non è che ne abbiam’ spesso la possibilità, vogliam’ dire che il tuo violoncello è veramente un signor violoncello, antico… Sollima: sì, sì, ha trecento e qualcosa, di anni… DJ: trecento e passa di anni e lui lo sbatacchia! Sollima: è come il fondo del vino rosso… quando lo suono mi dà questa sensazione, mi lascia questo sapore… DJ: e si sente! si vede che ti piace. Senti parliamo di musica e d’amore, visto che in qualche modo poi tu hai questo corpo a corpo con il tuo strumento. Noi abbiamo questa indagine sull’amore […] Hanno stilato una classifica dei pezzi più suonati ehmm… ecco, per intenderci […] Mi chiedo, uno come te che fa il musicista, che suona, che è compositore, che dischi compra, quali sono i dischi che gli hanno in qualche modo, nella confusione del tuo disordine, …? Sollima: Guarda, c’è di tutto, c’è veramente di tutto. Pensavo… con l’amore … non lo so, mi capita di fare 56

Corsivo mio.

56

ascolti … ehmm ascolti… di avere sotto qualcosa di molto impegnativo tipo Human Behaviour di Bjork… ma poi io ho un problema, perché ho il mio i-pod con un omino pazzo dentro che mi cambia le sequenze, allora poi io gli ho detto vabbè, c****, la scrivo io la musica! DJ: Allora magari ci fai sentire qualcosa… qualcosa che potrebbe essere adatta… comunque qualcosa che secondo te potrebbe funzionare in un match sessuale… Sollima: ahmm, sì, non so, è una cosa che può avere una sua come dire… linea in crescendo, o aerodinamica, non lo so, ma poi cambia ogni volta DJ: vediamo! [Sollima improvvisa al violoncello un breve pezzo] DJ: Abbiamo fatto l’amore con Giovanni Sollima su Radio DeeJay! Gente, qui i brividi! Noi ve l’avevamo detto […] Brividi lungo la schiena, mi ribolle il sangue sentendolo! […] Che sballo, che sballo! Che stile! […]. Noi ringraziamo e salutiamo Giovanni Sollima per essersi così prontamente interfacciato con dei microcefali come noi […] Non siamo il pubblico pettinato e composto magari a cui sei abituato… Sollima: No, no, no, ma il mio pubblico non è pettinato e composto… magari entra così, poi esce… DJ: però il fatto che tu ti sia trovato bane qui non getta una bella luce su di te, io te lo dico… [ride]57

57

Il brano è tratto dalla trascrizione della trasmissione radiofonica andata in onda

Lunedì 12 Febbraio 2007 su Radio DeeJay, alle ore 16:59. Corsivo mio.

57

Come si può evincere da questa citazione, fondamentale è l’elemento narrativo, al contrario poco presente nell’intervista di Radio Rai58. Il racconto del personaggio si sviluppa soprattutto grazie agli elementi impliciti della conversazione: ad esempio, lo stile del parlato di Sollima - molto simile a quello della speaker della radio colloquiale, ricco di espressioni prese dal mondo giovanile, comunica l’appartenenza del compositore allo stesso mondo dei conduttori e, quindi, degli ascoltatori. Invece, dopo aver suonato il violoncello, - e quindi aver ribadito la provenienza da un mondo musicale accademico, estraneo alle aspettative del target di riferimento - Sollima ha creato proprio quell’effetto-straniamento di cui si è parlato più volte. Dopo lo straniamento, Sollima ha saputo “ricucire lo strappo” e ha creato un meccanismo di rassicurazione verso il pubblico, poiché - tra le righe - ha comunicato, che pur provenendo dalla tradizione colta, non deve far paura: anche lui, infatti, usa espressioni molto informali, ascolta Hendrix e Bjork, non si scandalizza per discussioni futili, anzi, vi partecipa attivamente; il suo pubblico non è quello tipico delle sale da concerto - ossia pomposo e paludato - e se pure lo fosse, la sua

58

Si veda in Tempeste e Ritratti, pp. 178 – 181.

58

musica fa l’effetto di una “cura”, rendendolo più disinvolto e “scapigliato”59. Queste due interviste, agli antipodi per forme e contenuti, sono entrambe di approfondimento e hanno la caratteristica di essere un evento speciale, non seriale: costituiscono, infatti, da parte del fruitore, una scelta precisa. A tal riguardo, seppur utili da un punto di vista promozionale, non sfruttano al meglio le potenzialità del mezzo radiofonico, in particolare la reiterazione, generalmente applicata ad un brano musicale. Questo trattamento - che avviene grazie alla rotation60 all’interno di una playlist - invece, è parte integrante di quell’ascolto non-intenzionale, che contribuisce ad un tipo di diffusione più massiccia nei confronti di un pubblico molto più eterogeneo.

59

Si veda quando dice: “no, ma il mio pubblico non è pettinato e composto… magari entra così, poi esce…”. 60 Cfr. Enrico Menduni, I linguaggi della radio e della televisione, Laterza, Roma – Bari, 2002, pp. 80 – 82.

59

7.5 - La musica immaginata e interagita

L’affermarsi di numerose forme visive nalla musica pop ha determinato, per i suoi protagonisti, maccanismi di diffusione e di narrativizzazione molto diversi da quelli preesistenti nella musica popolare d’inizio Novecento. Il video ha, infatti, creato star musicali che non hanno più soltanto una voce, ma anche un’immagine. Con il pop si afferma, così, un meccanismo di integrazione iconica del messaggio sonoro, che ha cambiato ogni regola: la commistione di suoni e immagini è ormai parte integrante della musica pop, che nasce non solo per essere ascoltata, ma anche per essere vista. Sibilla61 sostiene che tale caratteristica non è propria di nessun altro genere musicale contemporaneo. Come la radio, anche i media iconici sono stati sfruttati dall’industria discografica, che li ha prontamente utilizzati a scopi promozionali. La motivazione artistica di un abbinamento musicaimmagine, è passata, così, in secondo piano rispetto a quella dovuta a necessità industriali, le quali, di fatto, hanno modificato le sorti e le motivazioni di questo abbinamento62. 61

Cfr. Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p. 256.

62

Cfr. Gino Castaldo, La terra promessa. Quarant'anni di cultura rock, cit., p. 276 -277.

60

Le varie forme dell’immagine, legate alla musica pop, hanno quindi una grande importanza promozionale, poiché aiutano a veicolare un messaggio con un fine dichiaratamente orientato al consumo. Ma l’immagine è soprattutto un fattore comunicativo: l’associazione di essa con la musica rappresenta un incontro di due linguaggi diversi, che si fondono per creare nuove forme testuali, né solo musicali, né audiovisive. Diversi settori della musica pop basano la maggior parte delle proprie strategie comunicative proprio sulla diffusione di messaggi visivi; da ciò, evidentemente, deriva una significativa rilevanza delle immagini nella costruzione dell’identità narrativa di un musicista. L’immagine, oltre ad essere uno strumento per l’identificazione dell’artista, costituisce anche un canale di rappresentazione dei significati culturali legati alla musica. Tali immagini, nella prassi, si esplicitano in varie forme, la prima delle quali è sicuramente la fotografia. Le foto della musica pop sono, di solito, dedicate ai musicisti; esse sono fatte per l’utilizzo in altri contesti: pubblicità, poster e copertine. Le foto hanno storicamente narrativizzato i protagonisti del pop ritraendoli nel mezzo di azioni significative della loro attività e, attraverso la scelta del look e di una gestualità particolare, si riesce a collocare il personaggio all’interno di un ben preciso spazio narrativo.

61

Prima e meglio di ogni spiegazione, questa fotografia comunica perfettamente il macro-racconto di Sollima: è un violoncellista quindi proviene dalla tradizione colta - ma usa una mimica facciale tipica di un musicista rock-pop. Ecco

che

puntualmente

il

personaggio-Sollima

induce

a

quell’effetto-straniamento di cui si è parlato più volte: se guardassimo soltanto l’espressione del viso del soggetto in foto,

62

difficilmente saremmo indotti a considerarlo come un violoncellista, cosa che, al contrario viene confermata dalla parte restante dell’immagine. In definitiva nel pop - e vale anche per Sollima - la fotografia “è il tentativo di rappresentare l’autenticità e l’unicità di un artista, e di comunicare tutto ciò tramite un’immagine pregnante che sia una metonimia per l’intera identità dell’artista e per la sua autenticità63”. Per quanto riguarda le immagini in movimento, la presenza della musica sullo schermo cinematografico ha avuto una notevole importanza, sia dal punto di vista storico, che linguistico. Al riguardo, il cinema è stato fondamentale per lo sviluppo del marketing della musica, grazie alla centralità di quest’ultima nei film muti e alla popolarità del musical negli anni Trenta e Quaranta. Nel cinema, inoltre, si sono sperimentati linguaggi nuovi derivati dall’interazione sinestetica tra musica e immagini che hanno contribuito in maniera determinante alla nascita di formati audiovisivi originali come il videoclip. La presenza della musica in un testo cinematografico è una tradizione ben consolidata che, come detto, risale alle colonne sonore del cinema muto. Tali erano, di solito, improvvisazioni al pianoforte, che avvenivano dal vivo durante le proiezioni cinematografiche, e rivestivano un ruolo fondamentale, poiché la 63

Keith Negus, Producing Pop: Culture and Conflict in the Popular Music Industry, Edward

Arnold, London, 1992, p. 72.

63

loro funzione era quella di completare con la musica l’azione narrativa messa in scena dalle sole immagini. Oggi, del resto, la funzione della colonna sonora è simile a quella di un tempo, anche se la musica - dall’avvento del sonoro - ha perso il suo ruolo centrale. Tuttavia è importante fare una distinzione tra score e colonne sonore “non-originali”, ossia tra i brani nati per una pellicola in particolare e quelli riproposti in un film, ma già scritti in precedenza. Senza dubbio è più interessante indagare come nascano e si sviluppino, nelle intenzioni di un compositore, le frasi musicali che accompagneranno le immagini, e come i loro rispettivi linguaggi si vadano ad influenzare vicendevolmente. Morricone, nel raccontare la sua carriera scrive: La musica di un film è influenzata dal film stesso, dai personaggi, dalla vicenda narrata, ma è soprattutto influenzata dal rapporto fra il musicista e il regista. Ogni regista ha una sua cultura speciale, ha una sua esperienza del mondo e dell’arte e anche una sua esperienza musicale. E la musica deve saper interpretare tutto questo: il regista dà la struttura culturale di fondo allo spettacolo; la musica non può né smentirla, né esserne indifferente, se vuol essere buona musica filmica64. 64

Ennio Morricone, Un compositore dietro la macchina da presa, in Enciclopedia della musica

vol. 1. Il Novecento, a cura di Jean – Jacques Nattiez, Einaudi, Torino, 2001 p. 665.

64

Dunque è nel dialogare sinestetico di note, immagini, idee che prende forma, parallelamente al film, la musica che lo accompagna. Morricone, ancora, sostiene: la creatività della musica cinematografica deve essere, paradossalmente, priva di un orientamento stilistico proprio e univoco; un musicista che voglia fare buona musica per film non deve specializzarsi solo in musica classica o sinfonica, vecchia o nuova, non deve essere solo un musicista pop, un jazzista o un rocchettaro: deve specializzarsi in tutto e deve saper anche maneggiare bene le contaminazioni fra generi musicali diversi65.

Queste parole paiono rappresentare in pieno le caratteristiche musicali e stilistiche di Giovanni Sollima, la cui musica è stata più volte utilizzata in diversi film. Eppure, almeno per ora, il violoncellista ha scritto una sola colonna sonora originale, quella per lo sceneggiato televisivo, Il bell’Antonio di Maurizio Zaccaro66, poiché tutti gli altri brani, che hanno fatto da commento musicale a più film, erano già stati scritti in precedenza.

65

Ibidem.

66

È ancora in fase di produzione il film di Wim Wenders, The Palermo Shooting, di cui

Sollima è l’autore della colonna sonora e fa parte del cast degli attori.

65

Sollima racconta, nell’affrontare la stesura della colonna sonora del film di Zaccaro, di aver lavorato prima sulla sceneggiatura e poi sui “premontati”, e di aver preso “molti spunti dalle conversazioni col regista67” quasi a confermare la tesi di Morricone, vista sopra. Se le colonne sonore non-originali non possono di certo mettere in luce l’influenza delle immagini sugli sviluppi musicali, comunque svolgono una funzione importante: fanno sì che le opere di un compositore – specie se “di nicchia” – vengano conosciute da un pubblico più vasto ed eterogeneo. Al riguardo, si vedrà più avanti, come i film di Marco Tullio Giordana, La meglio gioventù e I cento passi, siano paradigmatici anche per la costruzione del macroracconto del personaggio-Sollima68. Questo racconto, basato innanzitutto sulla dicotomia tradizione colta-linguaggi pop, trova un “narratore” emblematico nel videoclip DayDream, girato dal giovane regista emergente Lasse Gjertsen. Il videoclip, in generale, è un audiovisivo costruito a partire da un brano pop già esistente e nasce dall’incrocio delle esigenze promozionali dell’industria con l’iconografia musicale. Al riguardo, in molti si chiedono se il videoclip sia spettacolo o, piuttosto,

67

Giovanni Sollima in Gigi Razete, La mia musica ha seguito il ritmo di Dante, «La

Repubblica», 23 Marzo 2005. 68

Cfr. pp. 100 – 101; 136 – 137.

66

fenomeno meramente pubblicitario69. Non si può negare, infatti, che il videoclip nasca per lanciare gli artisti come in una sorta di radio per immagini e molti dei suoi elementi ricordano, in tutto e per tutto, messaggi pubblicitari. In primo luogo, nelle loro fasi iniziali e conclusive, vengono indicati titolo del brano, cantante e etichetta discografica. Spesso poi, nel videoclip, strategicamente si mostra un certo stile di vita, un tipo di persone caratterizzato da un’identità specifica, in modo da favorire un meccanismo di riconoscimento e immedesimazione, atto a creare la doppia implicazione che, comprando il disco, associato a quel mondo, si acquisisce tale identità. Ma la strategia pubblicitaria che maggiormente caratterizza questa forma audiovisiva consiste nel far apparire il protagonista del brano come un divo; “se il videoclip riesce a far desiderare di essere il più possibile in sintonia con la star, da questo celebrata, chi è in preda a tale desiderio cercherà di acquistare tutto ciò che sente legato a tale star70”. Eppure il videoclip è anche una forma di spettacolo, una canzone visualizzata caratterizzata a tre elementi: testo verbale, musica e performance71. I suoi linguaggi, spesso, sono presi a prestito da molti 69

Cfr. Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p. 272 - 285 e cfr. e Luca Marconi,

Muzak, jingle, videoclips, in Enciclopedia della musica vol. 1. Il Novecento, a cura di Jean – Jacques Nattiez, Einaudi, Torino, 2001, p. 689. 70

Luca Marconi, Muzak, jingle, videoclips, cit., p. 692.

71

Cfr. Andrew Goodwin, Dancing in the Distraction Factory: Music, Television and Popular

Culture, Routledge, London, 1993, pp. 60 – 71.

67

generi di spettacolo audiovisivo già esistenti, cercando comunque di apparire come una nuova forma di spettacolo. Attraverso il tipo di immagini scelte e mediante il montaggio di esse, si cerca di fare in modo che lo spettatore viva emozioni intense e insolite. A questo riguardo, molte analogie sono state individuate tra le caratteristiche del videoclip e quelle del sogno72: entrambi condividono una certa discontinuità strutturale, fanno leva su ricordi e sono caratterizzati dall’onnipresenza dello spettatore. Proprio a tale riguardo, il video in cui Sollima è protagonista fa esplicito riferimento al sogno, a partire dal titolo: DayDream – sogno ad occhi aperti73. Sulle note di Terra Aria – brano per tre violoncelli - il compositore comincia a suonare tutte e tre le parti su un solo violoncello: le sue braccia si sdoppiano, attribuendo

al

protagonista

assoluto

doti

soprannaturali.

“Nell’atmosfera onirica evocata dal videoclip, si fa in modo che la star appaia come un personaggio che tale atmosfera valorizza (può essere, ad esempio, […], dotato di sapere e potere […])74. Tali artifici, usati in genere nei video delle star del pop, hanno fatto sì che DayDream, diramato su YouTube, stabilisse il record mondiale di contatti, per quanto riguarda un video musicale al di fuori dell’ambito strettamente pop-rock.

72

Luca Marconi, Muzak, jingle, videoclips, cit., p. 693.

73

http://www.youtube.com/watch?v=ldPf3yqq3-8&feature=related.

74

Luca Marconi, Muzak, jingle, videoclips, cit., p. 693.

68

In tal senso, fondamentale per la diffusione di questo video - e quindi del brano di Sollima - è stato un nuovo medium, che ormai ha acquisito una valenza essenziale per la musica: Internet. Grazie a quello che si chiama marketing virale, infatti, si è potuta verificare quest’enorme “propagazione” del video – e quindi del brano – di Sollima, non certo pubblicizzato massicciamente né in radio, né, tanto meno in televisione, ma “pubblicizzato” dal buzz75 virtuale. La diffusione della musica in rete ha cambiato totalmente alcuni paradigmi fondamentali e consolidati della comunicazione musicale e della sua fruizione. Per prima cosa, un nuovo supporto, questa volta immateriale, è entrato in scena, ed ha scardinato le tradizionali distinzioni tra hardware e software imposte dall’industria discografica. “Il computer si è infatti progressivamente affermato come un particolare hardware musicale, una sorta di lettore universale in grado di produrre indistintamente i diversi supporti, materiali (Cd, Dvd) e immateriali (i file digitali)76”. Il computer, allora, sfruttando il processo di digitalizzazione, crea ruoli e rapporti assolutamente nuovi tra gli attori principali dello scenario musicale: artisti, case discografiche e audience. Ai primi viene data la possibilità di non dover passare per i mediatori culturali e diffondere direttamente al pubblico la propria opera; le seconde devono reinventare il loro ruolo di intermediari tra artisti e pubblico e a quest’ultimo si apre la 75

Passaparola, brusio.

76

Cfr. Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p. 292.

69

possibilità di usufruire di nuove forme di fruizione immateriale. Come sostiene Sibilla, questo fenomeno di smaterializzazione della musica ha fatto sì che si invertisse il processo di concretizzazione cominciato con l’avvento del fonografo; la musica torna alla sua natura originaria, quella di bene immateriale. Questo bene immateriale è rappresentato dalla trasformazione della musica in “file” trasmissibili e fruibili a piacimento a prescindere dalla loro concretizzazione su un supporto 77”.

Internet si è dimostrato, allora, un medium capace di inglobare in sé tutti gli attori implicati nel processo di produzione, promozione e fruizione musicale, creando una rivoluzione soprattutto nell’ambito del consumo. Privati del supporto, i prodotti musicali - soprattutto dallo sviluppo dei sistemi peer-to-peer in poi - hanno del tutto marginalizzato il ruolo delle case discografiche, mettendone in discussione la loro stessa esistenza e creando notevoli problemi per quel che riguarda il diritto d’autore. Tali cambiamenti stanno avendo e, in particolare, avranno fortissime ripercussioni nel modo di produrre la musica, ma anche di ascoltarla. Le possibilità di interazione fornite dai nuovi media, rendono indispensabili ripensamenti su più fronti; addirittura si profilano 77

Ibidem, pag 293.

70

ribaltamenti dei ruoli: la creatività passa dall’artista al pubblico. “È l’ora della musica fai da te”78, titolava di recente un noto quotidiano nazionale, in merito all’iniziativa dei Radiohead, di mettere su ITunes un brano del loro ultimo album, Nude, diviso in singole tracce per ogni strumento, in modo da remixare la canzone a piacimento degli utenti, creando, in definitiva, brani del tutto nuovi da mettere, a loro volta, in rete. Similmente i R.E.M., per quanto riguarda il videoclip, hanno reso disponibile on-line il materiale girato per il video del loro ultimo album, affidandone il montaggio al loro stesso pubblico. Lo spettatore, così, acquisisce un ruolo creativo e, per contro, l’artista diventa fruitore, poiché

ha bisogno di ascoltare e di

interagire con il pubblico. Anche Giovanni Sollima sfrutta costantemente le potenzialità della rete, anzitutto - come testimonia lui stesso in più interviste – per reperire materiale da utilizzare come fonte di ispirazione o documentazione per le sue opere, su tutti si veda il caso di Ellis Island79. Questo lavoro di Sollima - l’unico riconducibile al melodramma – è nato da un’accurata ricerca del compositore, in particolare nel sito web di Ellis Island, in cui ha reperito “materiale,

78

Ernesto Assante, È l’ora della musica “fai da te”, «La Repubblica», 8 Aprile 2008.

79

Cfr. p. 196 – 219.

71

testimonianze, immagini, video, parole, prima ancora della scrittura80”. Inoltre, il linguaggio di Internet, in alcuni casi, influenza direttamente la struttura delle composizioni di Sollima: spesso è evidente - specie nelle opere a carattere di work-in-progress – una costruzione di tipo ipertestuale. Come egli stesso racconta, volontariamente crea strutture modulari - collegate da una sorta di link - per permettere l’aggiunta o la sostituzione di materiale, senza alterare l’opera nella sua organizzazione fondamentale81.

80

Giovanni Sollima in Intorno a Ellis Island: una conversazione con Giovanni Sollima, a cura

di Dario Olivieri, curatore del libretto dell’opera, Edizioni del Teatro Massimo di Palermo, Ottobre 2002. 81

Si vedano I Canti, pp. 138 – 142 e Songs from the Divine Comedy, pp. 220 – 232.

72

PARTE SECONDA GIOVANNI SOLLIMA: BIOGRAFIA E LAVORI FONDAMENTALI

73

BIOGRAFIA

1) PALERMO, ANNI SESSANTA

Il fatto di abitare a Palermo è uno dei motivi che mi ha spinto a fare il compositore. Palermo è un luogo che esprime suoni ed è per me una fonte inesauribile di idee: vivendo qui non ho mai l’impressione di lavorare dentro una sfera creativa privata, credo anzi che la città sia essa stessa un’unica, gigantesca sfera creativa82. Giovanni Sollima nasce a Palermo nell’autunno del 1962. Sono gli anni della post-ricostruzione, della speculazione edilizia e della connivenza tra potere politico e criminalità organizzata. Gli anni degli interventi straordinari per il Mezzogiorno, della prima guerra di mafia, dei grandi cambiamenti della società e della crescita demografica

esponenziale:

da

trecentocinquantamila

abitanti

Palermo passa in sette anni a seicentosessantacinquemila. Dalla campagna cala nelle città una massa appartenente a tutti i ceti, alla ricerca di un’attività, un’occupazione, un impiego. L'avanzata del

82

G. Sollima. Da Sei domande all’autore a cura di Dario Olivieri.

74

cemento armato tonifica l'industria dell'edilizia, l'unica in grado di assicurare un salario, un utile, un facile arricchimento83. Dopo le elezioni comunali di Palermo del ’63 escono vincitori, tra gli altri, Salvo Lima e Vito Ciancimino – rispettivamente sindaco ed assessore ai lavori pubblici -, due dei maggiori referenti nel rapporto tra DC e mafia84 e protagonisti del sacco urbanistico di Palermo85, sul quale si costituisce l’intreccio tra edilizia, politica e criminalità organizzata86. Obiettivo della politica nazionale, in quegli stessi anni, è attuare nel Mezzogiorno – e quindi in Sicilia – il passaggio definitivo al modello proprio di una società urbana, fondata preminentemente sulla produzione industriale. Tale modello, però, non si realizza nella prassi, poiché rimane il netto divario economico fra Settentrione e Meridione, che si concretizza nella costante emigrazione verso il nord d’Italia e verso i paesi forti dell’Europa continentale. I Sessanta sono anche gli anni del boom delle automobili – la cittadina italiana negli anni ’60 con più auto per abitante, dopo Milano, è Cinisi -, se altrove emblemi di progresso e di miracolo economico, simboli a Palermo di morti ammazzati, di sangue e di 83

Cfr. M. Pantaleone, 1969.

84

Cfr. O. Barrese, I complici. Gli anni dell’antimafia, Feltrinelli, Milano, 1973.

85

Cfr. Curzio Maltese, I padroni delle città, Feltrinelli, Milano, 2007, pp. 21-26.

86

Cfr. Salvatore Lupo, Che cos’è la mafia. Sciascia e Andreotti, l’antimafia e la politica,

Donzelli, Roma, 2007, p. 5.

75

vendette: saranno proprio le “Giuliette al tritolo”, fatte saltare in aria dall’inizio del ’63, ad inaugurare la cosiddetta “prima guerra di mafia”. È un periodo particolare, denso di avvenimenti e di contraddizioni poiché, accanto alle speculazioni, alle mani sulla città, alla definitiva sconfitta del movimento di massa contadino, nasce l’antimafia, se pur come lotta di minoranze e di gruppi di sinistra. La Chiesa e la DC, infatti, sono impegnate entrambe a negare l’esistenza stessa della mafia, e soltanto voci marginali rompono il silenzio, tra le quali, la più autorevole, è quella de L’Ora di Palermo - quotidiano indipendente di sinistra, dove scrivono personaggi del calibro di Danilo Dolci e Michele Pantaleone - in cui, accanto alla cronaca rosa e a raffinati articoli di letteratura, musica e arte, trovano spazio coraggiosi servizi investigativi sulla criminalità organizzata e sulla corruzione. Il 30 giugno del 1963, però, quando salta in aria a Ciaculli un’altra "Giulietta al tritolo”, che uccide sette uomini dello Stato87, si mettono in piedi i primi processi e viene convocata la Commissione Parlamentare Antimafia. L’autobomba di Ciaculli, rappresenta, per la prima volta, un “punto di non-ritorno”: se fino ad allora la mafia viene 87

negata,

considerata

come

un

comportamento88,

non

Cfr. John Dickie, Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, Laterza, Roma – Bari, 2004,

pp. 321-324. 88

Cfr. Salvatore Lupo, Che cos’è la mafia., cit.

76

un’organizzazione criminale, in seguito “l’Italia comincia a ricordare, e anche – lentamente, dolorosamente, confusamente – a imparare.”89 Anche da un punto di vista culturale la Sicilia sarà emblema di contrasti: nel decennio tra la metà degli anni Cinquanta e Sessanta è stata definita come “laboratorio”

90

di fermenti diversi, molti dei

quali riflesso della società nazionale. Nel 1958 viene, infatti, pubblicato postumo Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, romanzo che rappresenta l’ideale chiusura di un ciclo della letteratura siciliana, iniziato circa un cinquantennio prima, intriso di pessimismo e della convinzione nell’immutabilità della storia siciliana. Specchio letterario dell’apertura al nuovo, e quindi del cambiamento, è, invece, l’opera di Sciascia, in cui, tra eredità del passato e mutamenti del presente, si fa meno univoco il destino della Sicilia. Da un punto di vista più strettamente musicale, in quegli stessi anni, viene fondato, presso l’Università di Palermo, l’Istituto di Storia della Musica, legato all’attività didattica e al nome di Luigi Rognoni, con lo scopo di portare un forte impulso alla vita musicale e culturale siciliana. Frutto importante di tale iniziativa è la creazione del Gruppo Universitario per la Nuova Musica nel ’59, con la presidenza di Nino Tidone e la direzione artistica di Daniele Paris. Esito spontaneo della nascita del Gruppo sarà la realizzazione, nell’estate 89

John Dickie , Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, cit., p. 324.

90

G. Giarrizzo, Sicilia Oggi, in Storia d’Italia, Einaudi,1990.

77

del ’60, di una manifestazione legata alla neoavanguardia, la Settimana Internazionale della Nuova Musica, che conta sull’appoggio degli enti locali, del Teatro Massimo e della SIMC, la Società Internazionale di Musica Contemporanea. Palermo - praticamente esclusa in precedenza dall’aggiornamento culturale e musicale - si trova così a fruire di un evento innovatore di portata europea, che si propone di fare il punto della situazione internazionale nel campo della sperimentazione musicale. Si promuovono gli incontri tra il pubblico e gli autori della Nuova Musica, si fanno conoscere il pensiero e le pagine di Bussotti, Clementi, Donatoni, Nono, Macchi e Sciarrino. A tali incontri, come momento teorico legato alle Settimane, si aggiunge la pubblicazione della rivista Collage, grazie a musicologi

del

calibro

di

Paolo

Emilio

Carapezza.

Le

programmazioni delle successive Settimane di Nuova Musica si fanno sempre più radicali, tanto da rendere l’iniziativa qualcosa di unico per l’Italia, anche per l’impegno che continua a manifestarsi nel coinvolgere il pubblico, da parte degli stessi autori, attraverso concerti, conferenze e dibattiti. La complessa realtà della Nuova Musica si esprime appieno proprio a Palermo: qui se ne coglie la diffusione tra i giovani musicisti italiani e si trovano risposte concrete alle premesse teoretiche poste al Congresso sulla musica sperimentale ed elettronica tenutosi a Venezia nel ’61. Nel corso della quarta edizione delle Settimane, inoltre, prende vita un movimento il Gruppo ’63 - nel quale confluiscono le forze più vive della nuova

78

avanguardia letteraria e poetica, con critici, scrittori, poeti, studiosi di estetica quali Alberto Arbasino, Nanni Balestrini, Umberto Eco, Angelo Guglielmi, Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti, Adriano Spatola. Essi entrano in polemica con la letteratura borghese degli anni Quaranta e Cinquanta, si volgono alla produzione di forme espressive di rottura e mettono in discussione il neorealismo, percorrendo la via della sperimentazione dei linguaggi estetici. Dalla nascita del Gruppo ’63 in poi, le Settimane di Nuova Musica si trasformano, da festival puramente musicale, in una mostra panoramica della neoavanguardia artistica e letteraria, poetica e figurativa, come se gli stessi intellettuali impegnati considerassero scontata la convergenza della musica con tutte le altre arti, rendendo Palermo, ancora una volta, luogo d’incontro privilegiato dell’arte e della cultura. Questa, dunque, è una città ricca di sapori differenti, oggi come in passato. René Bazin scriveva nel 1894: Ha proprio l'aria di una capitale, di vecchia città sovrana, questa Palermo bianca, circondata da aranci. […]. I monumenti sono ovunque: appartengono a tutte le età, raccontano ciascuno il paesaggio, e l'umore sontuoso, poetico o guerriero, e l'anima così diversa delle razze che si sono succedute nell'isola. Poiché ha molto spesso cambiato padrone, la Sicilia non ne ha amato nessuno, forse ha sempre avuto in fondo al cuore un sogno deluso di libertà. Essi, al contrario, l'hanno abbellita e ornata a piacere:

79

Saraceni, Normanni, Spagnoli. […]. Ivi è tutta la poesia del nord e quella del mezzogiorno che si incontrano e si mescolano. […]

Tali commistioni e assolute diversità trovano profonda eco nelle pagine musicali di Sollima: proprio Palermo fa da sfondo ai suoi lavori, è citata, implicitamente o esplicitamente, nelle sue opere. Sollima ha sempre lo sguardo rivolto alla Sicilia, allo scirocco, all’Africa ed al sapore speziato e misto di questa terra. Philip Glass, al primo ascolto del brano di Sollima Spasimo91, notando la presenza di elementi differenti - da ebraici a nordafricani, da siciliani ad arabi - ha affermato: “credo che Palermo sia un osservatorio particolare. È piena di vuoti di memoria, per cui ogni elemento perde le sue radici e può coesistere con altri di natura completamente diversa”. Palermo è un crocevia di culture e Sollima radica profondamente il suo pensiero artistico in questa città, che descrive come un luogo sospeso tra Occidente, Oriente, Cristianesimo, Islam, invasioni, mafia, tragedie, nascite, rinascite92.

91

Cfr pp. 114 – 128.

92

Testo di un’intervista a G. Sollima in Enrico Girardo, MW – di Giovanni Sollima,

musica nuova dalla Sicilia, (programma di sala).

80

2) ELIODORO SOLLIMA

Giovanni Sollima nasce in una famiglia di musicisti. Suo padre, Eliodoro Sollima (Marsala 1926, Palermo 2000) era compositore, pianista, insegnante di composizione presso il

conservatorio

Vincenzo Bellini, critico musicale del quotidiano L’Ora di Palermo e presidente del Gruppo Universitario Nuova Musica. Il fatto di essere nato tra le note ha significato per Sollima il non ricordarsi di quando si è imparato a leggere la musica. Avere un rapporto quasi animalesco con gli oggetti che producono suoni. Affrontarli con la stessa libertà con cui si impara a parlare93. Il compositore racconta che la musica è sempre stata il suo cammino, il suo mestiere, fin da quando ha iniziato a respirare: da piccolissimo stavo per ore su un seggiolone ad ascoltare le prove che mio padre faceva con un violoncellista che è diventato il mio maestro. […]Io ero sedotto dal registro medio-grave del violoncello, bambino che non andava neppure a scuola e che si nutriva delle sonate di Brahms o Beethoven. Volevo fare musica ed insistetti con una forza incredibile94. Giovanni si appropria delle note, quindi, così come impara a parlare, assorbe 93

Testo di un’intervista a G. Sollima in Rossella Simone, Violoncello Rock, da D – «La

Repubblica delle Donne», 10 Giugno 1998. 94

Testo di un’intervista a G. Sollima in Sergio Albertini, Un Siciliano a New York, «Il

Giornale della musica», Novembre 1998.

81

profondamente tutto ciò che respira durante la sua prima infanzia e, sicuramente, per la sua formazione musicale, di grande rilievo è la figura del padre Eliodoro. Questi scrive così di sé in un autoritratto: Se in una sola parola dovessi trovare una formula che, seppur

riduttivamente,

dovesse

definirmi

come

compositore, molto lapidariamente scriverei: non allineato. Consapevole anche di quanto questo non allineamento abbia comportato in termini di ostracismo. Ho pagato, ribaltandola in un appartato isolamento creativo, la mia non accettazione dell’impatto che le neoavanguardie ebbero, in special modo nella mia città, con le Settimane di Nuova Musica intorno agli anni Sessanta. Tutto il contrario, invece: quest’ondata di provocazione e di svecchiamento fu per me benvenuta, perché l’impatto non potè che essere positivo. Ma non fu certo la rivoluzione – ed il tempo ne ha dato conferma -, bensì un episodio che doveva servire ad una evoluzione. Non è certo un caso se molte delle mie composizioni, seguite a quegli anni burrascosi, sono titolate “Evoluzioni”, numerate in ordine progressivo. Non la violenza e la rottura, non il gesto gratuito – come molte performances di allora – ma una presa di coscienza che consentisse uno sviluppo. Sono degli anni Sessanta le mie “Variazioni concertanti” dove esprimo una mia visione molto aperta del Novecento; non abbandono la serialità, che è presente, seppure filtrata dal mio approccio compositivo, c’è piuttosto – ed è qualcosa a cui non ho mai rinunciato,

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neppure negli anni successivi – un impegno strumentale. […] Ho cercato, a partire dalla mia “Sonata per violoncello e pianoforte” del 1948, di disegnare una poetica capace di non escludere alcuna eredità linguistica, tradizionale o innovativa che fosse, soprattutto al servizio di una prioritaria e raffinatissima ricerca timbrica. La volontà di indagare gli orizzonti schiusi dalla Nuova Musica si è ampliata nella tecnica compositiva delle “Evoluzioni” già citate prima che, come ho scritto nel mio “Come nasce la musica” riflette esperienza di acquisizioni più recenti con un inevitabile svolgimento semiografico. Nelle “Evoluzioni n. 6”, ad esempio, del 1972, che per certi versi considero fra le mie composizioni tecnicamente e linguisticamente più avanzate, l’impiego della tecnica dodecafonica si estrinseca in una struttura a incastro, sostenuta da un crescendo ritmico e timbrico. È un intento estetico evolutivo che si era già evidenziato nei miei “Tre movimenti” (per pianoforte, violino e violoncello) del 1968, in cui, come ha scritto Pina Sciacca su “Cronache musicali”, “immette fortemente nella complessa linearità contemporanea, incorniciata tuttavia dai soliti tratti di un’ineludibile classicità”. […]Dalle mie opere credo emergano altre due mie facce creative, quella emotivamente sofferta verso la crudeltà del vivere, a cui potrei collegare “Trenodia” per violoncello e orchestra (1989) dedicata ai giovani cinesi che protestarono in Piazza Tien-an-Men contro il regime di Pechino o “Attesa” per piano, due corni, percussioni ed archi (1998) scaturita dalla notte passata a sperare che venisse concessa la grazia al

83

condannato a morte Joseph O’Dell; dall’altra il piacere dell’ammiccamento, della citazione tematica, dell’ironia. In quest’altro aspetto includerei certamente il “Divertissement de vieillesse” per flauto, violoncello, pianoforte e orchestra (1992) che a partire da un pretesto rossiniano dà lieve sfogo alla

tecnica

compositiva

della

variazione

e

della

sovrapposizione contrappuntistica. Qui trovo davvero il gusto ed il piacere del divertimento in musica, e non è un caso se il ciclo dei miei “A la maniere de…” dal 1980 non si è mai interrotto attraverso un affettuoso omaggio ora a Bach e a Ravel, ora a Sostakovic e a Gershwin. Ma tra tanto comporre, quel che forse mi sta più a cuore sono le pagine che ho dedicato al flauto dolce, uno strumento che il nostro secolo sembra aver dimenticato, […]; mi ha affascinato il suo timbro, mi ha conquistato a tal punto che ho voluto mettere alla prova la sua tradizione antica con una scrittura nuova. […] Concluderei qui, con una riflessione: nuovo? Vecchio? Credo che debba esserci un solo termine per la musica: valido. Io ci ho provato95.

Proprio da Eliodoro, in forma di continuità, Giovanni prende parte della sua poetica: non una cesura netta, ma un’evoluzione – alla luce del mutamento dei tempi, degli influssi esterni e delle nuove correnti – della strada tracciata dal padre, se non necessariamente 95

Sergio Albertini, Eliodoro Sollima. L’autobiografia mai pubblicata, «Il Mediterraneo»,

Palermo, 2000.

84

per lo stile compositivo, senz’altro per una visione della musica ugualmente ampia e non allineata. Prendendo in esame alcuni scritti di e su Eliodoro Sollima, e considerando alcuni suoi brani, si possono evidenziare similitudini tra la poetica del padre e del figlio. Spesso si può evincere, anche in Eliodoro, un forte radicamento culturale nella sua terra d’origine – la Sicilia, appunto - ed allo stesso tempo una forte commistione con influssi circostanti sempre vari e con forme originali e stilisticamente riconoscibili. Si pensi, ad esempio, a quanto scrive Lanza Tomasi a proposito di Eliodoro Sollima, definendolo “un musicista siciliano più mitteleuropeo di quanto ricordassi”, oppure a Danilo Dolci, che parla di Eliodoro come “un uomo che ha un intimo che canta, che vuol cantare, in una terra i cui canti si spengono, un canto che non evade, acutamente consapevole, cioè col senso del tragico e del comico, coerente ma aperto alla ricerca di una vita nuova”. Del resto, anche per quanto riguarda l’impatto con la realtà musicale circostante, entrambi affrontano con il medesimo approccio le neoavanguardie – il padre – e ciò che restava di esse – il figlio - : Giovanni reagirà al serialismo e alla dodecafonia allo stesso modo in cui, una generazione prima, Eliodoro affrontava le neoavanguardie, durante gli incontri delle Settimane di Nuova Musica a Palermo, ossia con apertura, per un forte desiderio di conoscenza, ma non certo con un’accettazione acritica: la rottura del linguaggio musicale “classico”,

85

tonale, è diventata alla lunga una forma di accademismo claustrofobico96, dirà più tardi Giovanni in un’intervista. Nonostante ciò, tuttavia, elementi portanti della cosiddetta Nuova Musica sono pienamente assimilati da Eliodoro e poi da Giovanni, primo fra tutti il legame simbiotico tra compositore ed esecutore. Tale rapporto va considerato senz’altro come uno dei dati più originali della Nuova Musica, e uno dei suoi strumenti più importanti di affermazione presso il pubblico. Già negli anni Cinquanta, con la musica seriale, si era introdotto nelle composizioni il concetto di improvvisazione attraverso quello di alea, mediante il quale, in qualche misura, si delegava all’interprete una componente creativa nell’istante della performance. Si trattava, in ogni caso, di un’alea controllata dall’alto, come da un burattinaiocompositore, il quale lasciava che l’interprete del suo testo adoperasse determinate soluzioni nell’hic et nunc, sulla base di un numero di scelte che prospettava all’esecutore. Dagli anni Sessanta in poi, con la Nuova Musica, dal concetto di alea – inteso come un margine minimo di scelta dato all’esecutore – si giunge all’interprete che si riappropria della funzione di compositore. Se questo avviene in parte, nei casi in cui l’autore asseconda e sfrutta le disponibilità dell’esecutore, il quale finisce per diventare il vero strumento da eccitare mediante opportuni congegni e codici comunicativi – caso 96

Giovanni Sollima, da Sollima incontra Baricco per una City in musica, «Time Out –

Roma», Novembre 2002.

86

emblematico è quello di Berio con la Berberian, in cui gli elementi linguistici delle sue pagine sono basati sulle caratteristiche vocali della cantante, per cui l’opera si identifica con le caratteristiche dell’esecutrice – ciò si realizza appieno nelle esperienze di Nuova Consonanza, in quelle di Giacinto Scelsi – secondo il quale l’esecuzione

deve coincidere

con

il

vecchio

concetto

di

improvvisazione – nella musica di Vinko Globokar, nelle azioni Fluxus, e nel rock progressive degli anni ‘60 -‘70. Al riguardo, sia nelle composizioni di Eliodoro che in quelle di Giovanni, vi è sempre un impegno strumentale, poiché, né il padre prima, né il figlio poi, rinunciano alla loro figura di compositori – interpreti: pur scontrandosi con le resistenze e le dure critiche di chi li circonda, il loro essere anche strumentisti ha costituito di fatto un punto di forza della loro carriera più che di debolezza. Lo stesso Giovanni97 racconta di aver iniziato lo studio del violoncello a dieci anni e già da allora stufo di corde vuote e di note tenute, ho scritto un piccolissimo pezzo e l’ho presentato ad un ristretto pubblico. Un vecchio prete, presente all’esecuzione, molto duramente mi disse: “Non puoi scrivere e suonare al tempo stesso: bisogna scegliere[…]”. Anche dopo, per qualche anno, sono stato considerato valente violoncellista ma compositore a tempo perso […]. Dunque le prime esperienze di Sollima sono da strumentista, studiando al Conservatorio di Palermo con Giovanni Perriera, primo violoncello dell’Orchestra Sinfonica Siciliana e del Teatro Massimo, 97

Dario Olivieri, Sei domende all’autore, 1994, (programma di sala).

87

nonché violoncellista del Trio di Palermo, con Eliodoro Sollima al pianoforte, appunto, e Salvatore Cicero al violino. Il debutto di Giovanni, da solista, è con un Concerto per Violoncello di Vivaldi proprio con Salvatore Cicero ed i Cameristi Siciliani. Solo a quattordici anni entra a far parte dell’European Community Chamber Orchestra, fondata e diretta da Claudio Abbado, e registra da solista un concerto di Porpora per l’etichetta Helios. Nel frattempo compone, ma in gran segreto, materiale piuttosto improbabile, una mescolanza di Stravinskij e Deep Purple, di Haendel e Pink Floyd. Ben presto, però, Sollima inizia a proporsi nella veste di compositore – esecutore: da quel momento la composizione si è sempre più imposta nella mia vita, […] rompendo la barriera tra chi scrive musica e chi la suona. Diplomatosi a soli diciassette anni con il massimo dei voti prima in violoncello - appunto con Perriera - e poi in composizione con il padre, Giovanni segue i corsi di perfezionamento con Antonio Janigro, a Salisburgo, e con Milko Kelemen - compositore iugoslavo, formatosi prima a Parigi con Messiaen, Milhaud e Aubin e poi durante i corsi estivi di perfezionamento a Darmstadt, dove ha lavorato con Stockhausen - presso la Musikhochschule di Stoccarda. Questa città è una dei centri della dodecafonia in quegli anni, ma già Giovanni manifesta segni di “insofferenza” a quel tipo di mondo, sentendo molto più affine alla sua poetica il sound del Mediterraneo ed il minimalismo americano. La sua formazione, infatti,

88

parallelamente agli istituti accademici, avviene grazie ad una continua ricerca personale e attraverso un

apprendistato da

spettatore: segue Bob Wilson un po’ dappertutto, cerca qualsiasi cosa nei negozi di dischi della sua città, sfoglia cataloghi musicali sconosciuti. E proprio in quelle “peregrinazioni” culturali senza esplicita meta, Giovanni scopre Steve Reich, allora poco conosciuto a Palermo. Sollima racconta che in Italia c’erano delle tendenze espressive escluse dai canali ufficiali della musica contemporanea, tutta sotto controllo, contraddistinta dall’ermetismo: un grande alibi per non comunicare veramente98. Già allora, quindi, mentre studia serialismo e dodecafonia a Stoccarda, considera entrambi i linguaggi ormai datati e si spinge verso la contaminazione ed il minimalismo: il minimalismo mi ha mostrato che è possibile fare cose come il contrappunto con meno materiale. A Stoccarda la filosofia era esattamente l’opposto99. Eppure ci vorrà del tempo affinché si disegni con chiarezza il suo stile, la sua declinazione assolutamente personale - potremmo dire mediterranea del minimalismo americano. In realtà è stato proprio suo padre ad indicargli la strada: a Stoccarda scrissi un’ampia partitura per orchestra con molti contrappunti per i fiati e per gli ottoni; ma sotto c’era questa strana linea melodica del basso, non un “a solo”, ma soltanto una figurazione ripetuta. Mio padre disse che era interessante e divertente. A Stoccarda erano più interessati al 98

G. Sollima in Un po’ di rock per il suo violoncello, Francesca Pini, «Sette» del «Corriere

della Sera», Francesca Pini, 5 Novembre 1998. 99

Ken Smith, The Palermo beach story, «Time out-NY », Ottobre 1997.

89

contrappunto, ma in queste due battute del basso mio padre ha fondato il mio stile.

90

3) DA VIOLONCELLISTA A COMPOSITORE - INTERPRETE

Il catalogo delle opere di Giovanni Sollima s’inaugura già dalla fine degli anni settanta; il primo brano è un inedito Concerto Grosso per orchestra d’archi, datato 1976. Molte delle sue composizioni giovanili, scritte tra la fine dei Settanta e gli inizi degli Ottanta, già mostrano la spiccata propensione di Sollima a scrivere per violoncello solo o per orchestra d’archi o, ancora, per ensemble, non rinunciando mai alla contaminazione: si veda ad esempio Musica per sonar a più stromenti dialogando fra antica et moderna del 1979, per pianoforte, clavicembalo, tre flauti, flauto dolce soprano, tre corni francesi, percussioni, due violini, un violoncello. Ma la vera svolta come compositore, la sua ufficializzazione, avviene nel 1993: Sollima si mette in luce scrivendo l’Agnus Dei del Requiem per le vittime della mafia, una messa composta da diversi autori, su testo di Vincenzo Consolo, presentata nella Cattedrale di Palermo ad un anno esatto dalla strage di Capaci e dedicata ai giudici Giovanni Falcone

e Paolo Borsellino. È un’opera che

suscita, in quel momento, grande seguito, soprattutto dal punto di vista mediatico, sia per la carica di suggestione e di commozione che porta con sé, sia per le polemiche che nascono all’indomani di tale successo: il gruppo degli autori del Requiem, Lorenzo Ferrero, Carlo

91

Galante, Paolo Arcà, Matteo D’Amico, Marco Betta, Marco Tutino e lo stesso Sollima, rappresentanti di una corrente allora definita neoromantica, sono accusati - dai compositori contemporanei legati alla tradizione seriale ed alla neoavanguardia - di opportunismo, nello sfruttare la tragicità di questi eventi a scopo di visibilità. Tali critiche rimandano sicuramente ad una delle più importanti questioni dibattute nell’ambito della neoavanguardia: la legittimità, o meno, di una simile strategia commerciale; ossia se questa possa considerarsi opportuna e corretta, se il concetto di arte possa esserne intaccato e, ancora, se sia plausibile considerare l’arte come assoluta, oppure se sia intimamente connessa alla propria commercializzazione. Proprio questa polemica, dunque, - nata a torto o a ragione - decreta ancor di più il successo del Requiem, che rende il trentenne Sollima promessa del panorama musicale italiano, poi mantenuta con la commissione nel 1995 - da parte dell’Assessorato al Centro Storico della città di Palermo - di un brano per la riapertura della chiesa palermitana di Santa Maria dello Spasimo, complesso monumentale dallo stile gotico – iberico, per secoli teatro di diverse identità e poi nel dopoguerra discarica a cielo aperto. Quest’opera – intitolata appunto Spasimo – ed il Requiem per le vittime della mafia sono due pagine legate, in maniera opposta, alla storia recente di Palermo. L’Agnus Dei rappresenta il segno del vivo dolore e dello sdegno di tutta la città nei giorni tragici degli attentati, mentre Spasimo è il simbolo della restituzione della città ai suoi

92

abitanti, una colonna sonora che può illustrare il rinascimento culturale di Palermo, il tentativo della città di guardare avanti, recuperando le proprie radici. Al restauro della Chiesa dello Spasimo, fanno seguito l’apertura del Teatro Garibaldi, dei Magazzini della Zisa, del Teatro Massimo e di tante altre realtà, che per Sollima rappresentano un moto d’orgoglio dei palermitani: credo che la gente abbia imparato a pensare, a essere meno sospettosa. Stiamo imparando a riconoscere la nostra città. Spasimo ben presto perde i connotati di “colonna sonora”, di musica ancilla di un avvenimento, divenendo musica assoluta e l’evento, seppur importante, diventa pretesto nel momento in cui il brano, per scopi commerciali, diventa oggetto fruibile; segue un successo fuori dal comune per Sollima: il suo editore, Piero Ostali di Casa Sonzogno, decide di pubblicare il disco omonimo da portare in giro per il mondo. Grazie a Spasimo, il compositore realizza il suo primo progetto discografico e inaugura una stagione di concerti a cui segue la sua consacrazione negli Stati Uniti. Il 18 Ottobre 1997 nell’ambito dell’evento New Music from Italy - viene presentato Spasimo a New York nella prestigiosa Merkin Concert Hall, grazie all’Istituto Italiano di Cultura a cui segue una lunga tournée per gli Stati Uniti e Canada: dopo New York, seguono Filadelfia, Washington, Boston e Montreal. Il successo è totale, osannato sia dal pubblico che dalla critica, Sollima viene appellato da Robert Hilfety sul The

93

Village Voice come “The most exciting Sicilian musician since Bellini”. Il Ministero degli Esteri italiano gli concede una borsa di studio per un perfezionamento di sei mesi a New York. Nel 1998 svolge un’attività intensissima, molti progetti si realizzano: registra il disco Aquilarco100 in America con la supervisione artistica di Philip Glass, per la sua casa discografica, la Point Music, con la voce recitante di Bob Wilson. Il disco viene pubblicato l’11 Agosto in America e presentato in concerto in prima assoluta al Festival di Taormina Arte alla sezione Musica e Danza, diretta da Gioacchino Lanza Tomasi. Sollima, quindi, è il primo italiano ammesso alla “corte” della Point Music, nel cui catalogo trovano spazio musicisti riuniti sotto l’egida della trasversalità: da Gavin Bryars con i suoi incredibili affreschi post minimal, a Graham Haynes sulle orme dei griots africani, fino a Jon Gibson con il suo sassofono che non conosce confini di stile e di tempo. E quello del viaggio è proprio il tema centrale di Aquilarco, poiché per Sollima il melting pot newyorkese è davvero fecondo: un lavoro in bilico tra due culture, tra due terre. Questa permanenza negli States ha significato per Sollima l’incontro con molti artisti - da David Lang a Michael Gordon - e con forme d’arte differenti, dalla danza contemporanea al cinema indipendente, una sorta di terra che sta in mezzo, il cui porto d’approdo è comunque una grande anticamera comune a

100

Cfr. pp. 129 – 137.

94

tutti. A New York ho ritrovato in me il senso di libertà, dal punto di vista espressivo, senza alcun senso di colpa nel sentirmi libero101. Registrato assieme a musicisti palermitani ed americani - tra i quali la tastierista della band di Bang On A Can e con il percussionista dello Steve Reich Ensemble - tra New York, Palermo e Milano, nella Suite del Grand Hotel et de Milan - in cui Caruso incise con Leoncavallo, che lo accompagnava al pianoforte, il primo disco della storia della musica - Aquilarco è la realizzazione del progetto, e del sogno, di Sollima di collaborare con Bob Wilson, regista teatrale di calibro internazionale, nonché coreografo, scultore, pittore e designer. Conosco Wilson dal 1987. Siamo sempre stati in contatto scrivendoci, ma non coltivando i canoni di un rapporto “ufficiale”, quanto piuttosto poetico, artistico. Mi piaceva l’idea del suono della voce di un uomo che ha sempre fatto teatro d’immagine, come lui. […] in dieci anni ci saremmo detti sì e no venti parole. Ma lui è così, un visivo, un visionario, in tutti i sensi. Il suo è un teatro d’immagini in cui il testo è ridotto ad una esilissima linea essenziale[…]102. Già verificatasi ai suoi esordi con il Requiem per le vittime della mafia, la tendenza di Sollima ad associare un brano musicale ad un fatto di risonanza mediatica – come avviene comunemente nella musica pop – è evidente anche nel ‘98, quando compone un pezzo per ensemble intitolato John Africa, eseguito insieme al gruppo Sentieri 101

«Il giornale della Musica », Novembre 1998.

102

Ibidem.

95

Selvaggi, per la causa di Amnesty International a favore di un nuovo processo al giornalista nero Abu Jamal. Ciò dimostra come al centro della poetica di Sollima vi sia anche l’impegno civile; egli non perde mai di vista il rapporto con il villaggio globale né con la sua città: per me […] che vivo a Palermo la forma d’arte è intrinseca al luogo. Palermo è stupenda, ma anche molto drammatica per i fatti accaduti negli ultimi anni, quindi essere un musicista o un artista e vivere lì significa fare una scelta: morire o reagire103. Le vicende dell’attualità, dunque, non lo lasciano indifferente, fatto questo, ancora una volta, ereditato, seppure in parte, dal padre: si vedano, ad esempio, i già citati brani Trenodia ed Attesa, composti da Eliodoro l’uno per i giovani cinesi di piazza Tien-an-Men, l’altro durante i giorni che precedono la condanna a morte di Joseph O’ Dell. Da un punto di vista più strettamente musicale, il 1998 non vede soltanto la realizzazione di un progetto importante quale Aquilarco, infatti Sollima consolida il suo successo con l’incisione, assieme a Mario Brunello, del suo brano più celebre: Violoncelles, Vibrez!104. Questa pagina, dedicata allo stesso Brunello - compagno di studi del compositore al Mozarteum di Salisburgo - e ispirata dalle parole del loro comune insegnante Antonio Janigro, diventerà il brano classico, di un autore italiano vivente, più eseguito al mondo. Con l’incisione di Violoncelles, Vibrez!, Sollima ottiene riconoscimenti 103

Eleonora Bagarotti, Sul violoncello i respiri dell’anima, «Libertà», 5 Ottobre 2006.

104

Cfr. pp. 103 – 113.

96

entusiastici da parte di tutta la stampa italiana ed estera, mettendo d’accordo pubblico e critica, come raramente era avvenuto in precedenza,

in

particolare

riguardo

alla

musica

classica

contemporanea. In seguito, il brano verrà eseguito in concerto da violoncellisti di fama mondiale - da Yo-Yo Ma a Mischa Maisky, da Julius Berger a David Geringas - e da orchestre prestigiose: I Solisti di Mosca diretti da Yuri Bashmet, la Kremerata Baltica di Gidon Kremer, che inciderà il brano nel 2001 per la Warner nel disco Tracing Astor. Sempre nel ‘98, a seguito di una commissione del Festival di Ravenna, nell’ambito della rassegna Genius Voci – Progetto Etiopia, Sollima presenta in prima assoluta I Canti105, un lavoro progettato da molti anni, frutto di ricerche sulle antiche voci della Sicilia, rielaborate in chiave strumentale. Quest’opera rappresenta l’attrattiva che il compositore ha per il parlato espressivo, interesse che trova profondo radicamento in Sicilia; egli sicuramente subisce l’influenza della tradizione culturale della sua terra: dall’etnomusicologo Alberto Favara, che raccoglie una notevole quantità di canti popolari, ad Ottavio Tiby che nel ’57 li pubblica nel Corpus di Musiche Popolari Siciliane, dal Folkstudio, che registra su nastro magnetico i relitti della tradizione orale, all’Archivio Musicale Regionale, che oggi li conserva.

105

Cfr. pp. 138 – 142.

97

4) DA MUSICISTA A COMUNICATORE

A seguito del grande successo internazionale, arrivano per Sollima le grandi committenze dai più prestigiosi istituti musicali di tradizione e, in parallelo, si consolida la tendenza del musicista a creare progetti fuori dagli schemi della tradizione musicale colta o, ancora a collaborare con personaggi legati alla musica pop, al teatro, alla danza ed al cinema. È opportuno sottolineare che tali opposte tendenze, come vedremo in seguito, avranno un riscontro tangibile nell’ottica strutturale stessa delle sue composizioni. Le opere commissionate da teatri ed istituti di tradizione - seppur ricche di moduli compositivi derivati da commistioni ed ibridazioni - sono forme chiuse, caratterizzate da una partitura, prive - in genere di momenti improvvisativi, il cui esempio più rappresentativo è sicuramente

il

brano

per

orchestra

Tempeste

e

Ritratti106,

commissionato dalla Filarmonica della Scala diretta da Riccardo Muti per la chiusura della stagione 2001 o, ancora, Viaggio in Italia107, scritto per l’ottantesimo anniversario di attività dell’azienda del gioielliere Gianmaria Buccellati, eseguito in prima assoluta alla Carnegie Hall di New York. 106

Cfr. pp. 177 – 195.

107

Cfr. pp. 143 – 161.

98

Sul versante opposto si collocano, invece, le opere che lo stesso Sollima definisce come work in progress, di solito brani che scrive per sé stesso, sui quali egli esercita un maggior “potere”, soprattutto perché ne è l’esecutore – interprete: può sempre rivedere, ritoccare, cambiare i suoi lavori, sia nella partitura, quanto soprattutto nella prassi esecutiva, addirittura durante la performance, come momento improvvisativo. Esempi sono il già citato I Canti ed il brano Songs from the Divine Comedy108, ispirato alla Commedia dantesca, commissionato da Franco Battiato per il suo festival di musica contemporanea, il Violino e la Selce: entrambi rappresentano per Sollima una piacevole precarietà109, un cantiere aperto, un progetto che realizzo per me e che considero un laboratorio infinito110. Tale “precarietà” è ancora più manifesta negli spettacoli basati sulla performance, nei quali – come nella musica pop – conta l’hic et nunc: al riguardo, memorabili sono le performance con Patty Smith alla Queen Elizabeth Hall di Londra, oppure quelle per i reading teatrali di Alessandro Baricco, il City Reading Project al Teatro Valle di Roma e l’Iliade all’Auditorium della Musica. Aperto sempre di più ad ogni esperienza musicale, scrive e collabora anche con Larry Coryell, Vinicio Capossela, Eduardo Bennato ed Elisa, cantante alla quale affida il ruolo di protagonista della sua 108 109 110

Cfr. pp. 220 – 232. Maria Lombardo, Lo strumento sul corpo, fino a farmi male, «La Sicilia», 22 Marzo 2005. Ugo Bacci, Sollima, il poliglotta della musica, «L’Eco di Bergamo», 29 Marzo 2005.

99

prima opera musicale, Ellis Island111. E’ l’unico lavoro di Sollima che può ricondursi al melodramma – ma che in realtà non è né propriamente un’opera, né un musical – e da esso si evincono con forza due elementi preponderanti della produzione del compositore: la sua abilità, involontaria o meno, nel gestire il rapporto con i media per attrarre l’attenzione (la scelta di Elisa come protagonista potrebbe apparire non casuale dal punto di vista mediatico: pochi mesi prima dell’allestimento di Ellis Island, la cantante è al culmine della popolarità, grazie alla sua vittoria del Festival di Sanremo) e l’interesse

per

temi

delicati

dell’attualità,

in

questo

caso

l’emigrazione. Quelle di

Sollima sono pagine di musica “impegnata”, le note

evocano argomenti cari all’autore, come in J. Beuys Song – balletto commissionato dalla Biennale di Venezia per la più nota coreografa vivente, Carolyn Carlson – in cui si affronta il tema del disastro ecologico. È un lavoro paradigmatico, poiché in esso confluiscono più elementi caratterizzanti la poetica di Sollima: l’impegno civile, la performance, la sperimentazione, che si realizza nella commistione con le altre forme d’arte, commistione che si verifica spesso, allorquando brani scritti in precedenza – e definiti dallo stesso Sollima musica pura – sono in seguito utilizzati per la danza, per installazioni – si veda ad esempio quella di Peter Greenaway ad Amsterdam in occasione del quarto centenario rembrandtiano – , 111

Cfr. pp. 196 – 219.

100

per lavori teatrali – Imagining Prometheus di Bob Wilson -, e per il cinema. Da ricordare, su tutte, le colonne sonore dei film di Peter Greenaway, Nightwatch, e di Marco Tullio Giordana, La Meglio Gioventù ed I Cento Passi. Quest’ultimo film lega ancora di più ed indissolubilmente l’arte di Sollima alla sua terra ed all’impegno civile, poiché il lavoro di Giordana è sicuramente un simbolo forte, nell’immaginario collettivo, di commovente e partecipata reazione alla mafia, così come specchio dei contrasti, delle contraddizioni e delle profonde ferite della Sicilia. Sempre più evidente, dunque, la padronanza nella gestione dei media e, al contrario, sempre meno percepibile la cesura tra il fenomeno musicale propriamente detto e quello comunicativo, nella fase della maturità di Sollima, si individua un percorso che giunge a una forma d’arte non definibile, né etichettabile, in cui non si distingue più il confine tra mezzo e messaggio, ma questi diventano una sola cosa, o, meglio il messaggio privo del mezzo, non ha motivo di esistere. Partendo dal retaggio della tradizione colta, Sollima fa proprie le modalità di produzione - e quindi fruizione - tipiche del nostro tempo: se per i grandi Enti Lirici – si veda La Scala di Milano – scrive ancora una partitura per orchestra, è anche capace di fare il DJ al Teatro Valle di Roma, o il musicista pop, che recita in un video musicale, come in Daydream112 del giovane regista Lasse Gjertsen – 112

Cfr. pp. 66 -69; 173 – 176.

101

video poi diramato su YouTube che realizza il record assoluto di contatti per un musicista di tradizione colta – o, ancora, l’attore nell’ultimo film di Peter Greenaway, The Palermo Shooting, senza porsi vincoli di legittimità ma, al contrario, semplicemente assecondando e utilizzando il potere dei media per farne un punto di forza sia per la diffusione che per la produzione delle sue opere.

102

OPERE

V IOLONCELLES , VIBREZ ! (1993) Prima versione: 1993 Organico: due violoncelli solisti e orchestra d'archi Edizione: Sonzogno, n° 6275. Seconda versione: 1999 Organico: otto violoncelli, oppure due violoncelli solisti e orchestra di violoncelli Edizione: Sonzogno, n° 6292, parti staccate 6292P.

***

Violoncelles, vibrez!, è un brano ispirato da una fotografia scattata a Salisburgo nell’81: Mario Brunello e Giovanni Sollima – allora compagni di studio presso il Mozarteum - suonano insieme e il loro

103

comune maestro, il violoncellista e direttore d’orchestra Antonio Janigro, con grande intensità del gesto, li esorta a “vibrare”. Scontato è il riferimento alla prassi esecutiva violoncellistica del “vibrato”, ma, dai racconti di Sollima e Brunello, si comprende che tale esortazione, per Janigro, assumeva un’accezione molto più ampia: in realtà, il grande maestro voleva spingere i suoi allievi a far vibrare intensamente soprattutto la vita113. Violoncelles, vibrez! ha una seconda versione per otto violoncelli, ed è stata scritta proprio per un concerto - Otto violoncelli per Antonio Janigro - dedicato al grande musicista e didatta milanese, nel decimo anniversario della morte. Rappresenta chiaramente un omaggio al maestro dai suoi alunni, oggi tutti grandi violoncellisti, uniti, a loro volta, dalle note di un altro compagno di studi. Il brano è stato eseguito in prima assoluta nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano da Julius Berger, Mario Brunello, Thomas Demenga, Enrico Dindo, Michael Flaksman, Antonio Meneses, Giovanni Sollima e Gustavo Neiva Tavares. Il brano rappresenta, forse più di ogni altro, la doppia anima di Sollima: quella di compositore e quella di interprete e, a tal proposito, l’autore racconta che con questo pezzo è iniziato un periodo nuovo, in cui sono riuscito a trovare un equilibrio tra questi mestieri; se mai in

113

Tratto da un’intervista televisiva a Giovanni Sollima e Mario Brunello.

104

passato c’è stata una qualche dissociazione, con Violoncelles, vibrez! ho inaugurato un nuovo rapporto a tre tra me, la composizione e il violoncello114. Altra fonte d’ispirazione, derivata dall’amore di Sollima per le arti visive - dalle quali spesso trae una serie di stimoli collaterali - è una videoscultura, vista per la prima volta al Centre Pompidou di Parigi, in cui il violoncello gioca un ruolo fondamentale: si tratta di TV-cello di Naim June Park, lavoro dei primi anni Settanta, in cui il videoartista newyorkese, secondo Sollima, stabilisce un contatto con il violoncello, immerso in una sorta di liquido amniotico. Mi interessava molto riproporre questo tipo d’immagine: due violoncelli – le cui figure sono molto nitide immersi in un liquido, rappresentato in questo caso dalle armonie, dagli archi che hanno un ruolo più evanescente, una sorta di tappeto, di fondale115. Le parole di Sollima hanno un chiaro riferimento in partitura: proprio con un tappeto d’archi inizia il prologo, in cui, ripetitivamente risuona una semplice polimetria di due contro tre,

114

Nicola Campogrande, L’anima latina del minimalismo, I Concerti dell’Unione

Musicale di Torino, 19 Dicembre 1998, (programma di sala) 115

Ibidem.

105

prima

eseguita

dai

primi

violini

e

dai

violoncelli116

e poi ripresa dai secondi e dalle viole:

116

Tutti i seguenti esempi musicali sono riportati per gentile concessione di Casa

Musicale Sonzogno di Piero Ostali, partitura n° 6275.

106

Segue, alla ventiquattresima battuta, l’entrata dei due solisti, in pausa nelle battute introduttive e, a questo punto, la scansione metrica degli archi cambia, secondo uno schema ritmico ossessivo di 3 + 3 + 2, tipico del thaqìl thànì, una delle figurazioni ritmiche caratteristiche della musica araba117,

117

Cfr. New Grove Dictionary of music, 2000, ad vocem Arab Music.

107

scansione ritmica che continua per altre trenta misure, come sottofondo al canto lirico dei due violoncelli solisti. È interessante notare come tali polimetrie e ripetizioni ossessive sicuramente rimandano alla minimal music, ma sono trasfigurate dallo stile di Sollima, in cui tali echi convivono con evidenti richiami a ritmi arabeggianti e, soprattutto, con una prassi compositiva che nasce preventivamente sullo strumento.

108

Tale caratteristica è evidente se si leggono le parti dei solisti: sono le specificità timbriche e tecniche del violoncello a determinare l’aspetto melodico. Mettere in luce al meglio le possibilità dello strumento è senza dubbio il nucleo generatore del brano. Sollima stesso, infatti, afferma che il brano ha un suo filo narrativo al di là del suo impianto strutturale: potrebbe essere la storia del vibrato118.

118

Da un’intervista televisiva a Giovanni Sollima su Violoncelles, vibrez!.

109

A tale scopo è molto più plausibile che il compositore abbia creato queste semplici frasi liriche direttamente sul violoncello, piuttosto che sulla carta. Dalla partitura, inoltre, è anche evidente che, di fatto, non vi sia un tema nel senso strutturale, ma piuttosto un’idea melodica, un nucleo di base caratterizzato da spunti intervallari, che viene portato aventi in dialogo dai due strumenti, senza che uno dei due esponga un tema e l’altro l’accompagni. Tali evidenze trovano riscontro anche nella parole di Sollima che, a questo proposito definisce Violoncelles, vibrez! più che un duetto, una forma di simbiosi tra due strumenti, strutturata in modo tale che non ci sia un tema. Anche a volerla cercare non c’è una melodia, che nasce dall’interazione, dall’unione di due strumenti - due voci e due personalità anche diverse - che dialogano in un intreccio continuo; è un pezzo che, mancando di una delle due parti, non potrebbe esistere119. Quello citato, il Più lento, è dunque il momento centrale del brano, in cui i due solisti dialogano con progressioni ascendenti in cui risalta

119

Ibidem.

110

tutta la lirica cantabilità del violoncello, mentre gli archi eseguono un tappeto di terzine, sempre sulla stessa nota. In seguito la musica perviene al punto culminante, attraverso una stessa, semplice figurazione - di chiara matrice minimalista - che si ripete ossessivamente con un andamento sempre più accelerato: da moduli di 4 + 2 si passa a sestine e poi, ancora a gruppi di otto note,

punto culminante il cui esito è un ampio glissando in fortissimo eseguito dai solisti, mentre gli archi riprendono la semplice polimetria iniziale, questa volta di tre contro quattro (anziché di due contro tre):

111

Gli archi poi, rimasti da soli, dissolvono gradatamente ogni tensione e il pezzo, più che concludersi, si sospende, sfumando, con un’indicazione dinamica in quattro p. Proprio per questa repentina sospensione, nella prassi esecutiva il brano - è ormai consuetudine - viene sempre bissato, poiché, come racconta Mario Brunello,120 “è talmente intenso il coinvolgimento degli esecutori e degli ascoltatori, fino al finale tronco, che non si può non aver voglia di ascoltarlo una seconda volta”. *** Violoncelles, vibrez! è un brano che contiene in sé elementi fortemente radicati nella tradizione colta – basti pensare all’organico, o ancor di più alla scrittura del brano, tutta improntata all’esaltazione del violoncello nella sua prassi esecutiva tradizionale, a cominciare proprio dalle note lunghe del Più lento, in cui gli esecutori possono 120

Mario Brunello, in un’intervista televisiva.

112

usare costantemente la tecnica del “vibrato”, - ma, allo stesso tempo, si coglie nella ballata una nuova scrittura per violoncello, basata sulla fusione di elementi tipici del minimalismo, ma trasfigurati da un’anima lirica e melodica, dal forte sapore e mediterraneo. Dalla lettura della partitura e, in particolare, dall’ascolto della performance, si comprende appieno l’ispirazione di Sollima, e più che al compagno di studi, il brano appare dedicato al violoncello, alle sue possibilità timbriche, tecniche e espressive. Sicuramente importante è il momento narrativo dell’opera, con tutte le implicazioni emotive che porta con sé: i ricordi degli anni formativi, dei compagni di studio, della figura di un maestro carismatico, eppure questa pagina – a differenza di altre che, se private dell’elemento narrativo non hanno quasi motivo di esistere – brilla comunque di luce propria. Ciò è sicuramente testimoniato dal fatto che la composizione è entrata nel repertorio dei più grandi violoncellisti contemporanei – da Yo-Yo Ma a Mischa Maisky – poiché sfrutta al meglio le potenzialità dello strumento, suscita consensi entusiastici della critica e colpisce il pubblico fin dal primo ascolto. Proprio per tali ragioni Violoncelles, vibrez! è, ad oggi, il brano classico, di un autore italiano vivente, più eseguito al mondo.

113

S PASIMO (1995) Prima versione (1995): Titolo: Spasimo Organico: violoncello solista, trio d’archi, tastiere e percussioni con base registrata. Tempi: De Harmonia Peste Raffaello: il naufragio Porta dei Greci De Harmonia, Via dolorosa Edizione: Sonzogno n° 6186, parti staccate 6186 P. Seconda versione (2003): Titolo: Spasimo fragments Organico: sax in Mi bemolle e pianoforte. Trascrizione e arrangiamento di Mario Marzi e Paolo Giannini

114

Edizione: Sonzogno, n° 3154. Terza versione (2006): Titolo: Spasimo Suite Organico: flauto solista, violino, violoncello, contrabbasso e percussioni. Trascrizione e arrangiamento di Emilio Galante Edizione: Sonzogno, n° 6294, parti staccate 6294 P.

***

Spasimo è il nome di una chiesa di Palermo, meraviglioso complesso monumentale,

riaperto

-

e

finalmente

riconquistato

dalla

popolazione - nell’estate del 1995, ma è anche il nome dell’opera che Sollima compone, su commissione del Teatro Massimo e dell’Assessorato al Centro Storico della città, per celebrarne la fine dei lavori di restauro. Quando mi fu proposto da Marco Betta un concerto per la riapertura dello Spasimo, pensai a un recital normale di violoncello. Un pomeriggio di Maggio andai per Porta dei Greci allo Spasimo. Entrai nell’Ospedale, c’erano operai, e

115

di lì alla chiesa, e l’impatto fu fortissimo. Potevo essere dovunque, a Damasco, a Gerusalemme, in Francia: uno stile tardo-gotico in una chiesa del Cinquecento, con impronte islamiche […] L’emozione fu così forte che mi resi conto che il concerto non poteva essere un normale recital. Entrai in crisi perché il materiale storico era enorme, ma c’erano molte lacune nella storia che potevo colmare solo col mio istinto121. […] La storia della chiesa di Santa Maria dello Spasimo inizia nel 1506, anno in cui un giureconsulto donava ai Padri di Monte Oliveto terreni e rustici per costruirvi una chiesa. Il nome deriva dalla devozione per la Madonna sofferente dinanzi al Cristo in croce, che viene rappresentata nell’opera commissionata a Raffaello Sanzio nel 1516. La chiesa si presentava alla fine del Cinquecento come un impianto unico a Palermo, costituita da una concezione spaziale tipica dell’architettura gotico-settentrionale. Successivamente fu spazio di rappresentazioni teatrali a fine ‘500, lazzaretto in occasione della peste del 1624, poi deposito di cereali fino al 1881, quando divenne l’Ospedale Principe Umberto, di cui sopravvisse il reparto geriatrico fino al 1986. Punto di partenza per l’interpretazione di Spasimo potrebbe essere l’osservazione dello stesso Sollima, il quale afferma che si tratta di un brano scritto come sotto dettatura, semplicemente ascoltando e raccogliendo gli echi dei suoni del passato che quelle antiche pietre 121

In Sara Patera, Giovanni Sollima: “Lo Spasimo è come un campo magnetico nel cuore

profondo di Palermo”, «Giornale di Sicilia», 25 Luglio 1995.

116

hanno saputo conservare attraverso i secoli. Tale affermazione, probabilmente, sta a indicare che le suggestioni suscitate dalla chiesa avessero “dettato” a Sollima un’improvvisazione nata ex tempore. Questo carattere estemporaneo della composizione si potrebbe ravvisare nella componente formale del brano, la quale procede in maniera molto rapsodica. Cinque quadri fatti di storia e leggenda compongono il brano intriso del riverbero di suoni e voci che circondano questo luogo carico di magia. Riverbero che risuona tormentato nel tema che apre il primo movimento, De armonia, un adagio cantato dal solo violoncello, in cui si ascolta una melodia rapsodica che si sviluppa su intervalli tipici della scala maggiore orientale, caratterizzata dal 2°, 5° e 7° grado abbassati di un semitono122:

122

Tutti i seguenti esempi musicali sono riportati per gentile concessione di Casa

Musicale Sonzogno di Piero Ostali, partitura n° 6294. L’inciso è in chiave di violino poiché è preso dalla trascrizione di Emilio Galante per flauto e ensemble, inciso per altro identico, a parte il cambiamento d’ottava, a quello del violoncello nella versione del ’95.

117

Tale disegno melodico conferisce un carattere dolente all’inciso che, grazie al particolare timbro del violoncello, appare molto vicino alla vocalità umana. Il carattere lamentevole di un disegno basato su una scala il cui 2° grado è abbassato, è molto evidente ad un orecchio occidentale, poiché era particolarmente usato nella

musica

operistica napoletana del Seicento, nei momenti in cui si doveva esprimere dolore, tristezza, appunto lamento. Il 2° grado abbassato era, infatti, usato nella costruzione dell’accordo di “Sesta napoletana”, sul 4° grado al basso. A tal proposito è interessante evidenziare che lo stesso Sollima dice, con questo brano, di voler restituire alla musica ciò che essa fornì agli antichi architetti123, riferendosi proprio alle scale musicali, all’armonia delle forme e al metro. Egli dunque, per la propria ispirazione, cerca di creare una similitudine tra le regole architettoniche e quelle musicali. Carico di drammaticità è il secondo movimento, ispirato dalla lettura de La Peste di Camus. Come racconta l’autore, con Peste vuole evocare il ricordo della terribile malattia che si abbatté su Palermo nel XVII secolo, quando lo Spasimo si trasformò in lazzaretto. Parte con un a solo di percussioni poi interrotte dal violoncello solo che esegue una figurazione in 4/4, nelle cui prime

123

Giovanni Sollima, Spasimo, Programma di sala della prima esecuzione assoluta,

1995.

118

due misure vi è un ribattuto di semicrome senza accenti, dopo di che si evidenzia un gioco polimetrico:

su una battuta di 16 semicrome, vi è una scansione ritmica in 5, per cui si crea una sfasatura, che, se calcolata, andrebbe a ricomporsi soltanto dopo 80 battute. Interessante è evidenziare come questo non avvenga – infatti il battere viene a ricomporsi già nella battuta successiva – e ciò è un chiaro segno della prassi compositiva di Sollima: sebbene tutto ciò potrebbe apparire il risultato di calcolo fatto a tavolino, tale figurazione è senza dubbio il risultato di un’improvvisazione. Ciò, del resto, è più volte testimoniato da Sollima in molteplici interviste, in cui riferisce di comporre sempre al violoncello e mai prima sulla carta col camice bianco. Proprio perché frutto di improvvisazione, quindi, il passo viene riportato in notazione non prescrittivamente, ma descrittivamente, ossia la partitura è una sorta di descrizione di ciò che è eventualmente

119

avvenuto nella performance, basata a sua volta su tecniche molto interiorizzate, che riconducono comunque a un’astrattezza del procedimento compositivo. Subito dopo il violoncello esegue un modulo ripetuto, con piccole variazioni, per più di quaranta battute, in cui il metro è alternato in scansioni di tre e due:

dove è evidente il riferimento al minimalismo americano. A differenza della minimal music, però, – molto vicina al serialismo, proprio perché caratterizzata dalla progettazione preliminare e su ampia scala del decorso temporale della composizione – il brano, e molta della musica di Sollima, sono resi più vitali proprio dall’improvvisazione, prassi compositiva, come appena detto, tipica dall’autore. Entra poi tutto l’ensemble, in un ritmo sempre più incalzante e ossessivo, culminando con una corona su un accordo di undicesima non risolto, che fa da sottofondo alle parole, declamate in italiano e

120

in algerino, che descrivono “quell’eccellente putredine che è la peste”. Eppure Sollima racconta di volersi riferire con Peste, non solo al terribile virus del passato, le cui sofferenze consumano i corpi e lacerano lo spirito, ma soprattutto agli orrori del presente: la violenza del cemento, che copre e cancella gli stili, lentamente ammassati nel tempo, quella delle guerre sante e dei morti di mafia. È ancora la storia a scorrere nel terzo movimento, Raffaello: il naufragio. È il canto, leggero e senza posa, della speranza, della rinascita, del destino che ha voluto miracolosamente salvare il quadro - intitolato Santa Maria dello Spasimo - di Raffaello Sanzio (oggi conservato nel Museo del Prado) da un naufragio, mentre veniva trasportato a Palermo per essere esposto nell’omonima Chiesa. Per questo brano Sollima utilizza un tamburello basco, capovolto e riempito di palline di piombo che, amplificato, cerca di simulare il rumore del mare, mentre violoncello e tastiere si concedono la melodia, contrapponendo e sovrapponendo ritmi binari e ternari. È un brano lirico, in cui convivono alla perfezione le due anime di Sollima: viene sfruttata al meglio la cantabilità del violoncello dal compositore nello scrivere, e dall’esecutore nella struggente performance. Ritmi arabi, mutuati dallo stile orientaleggiante, sono costitutivi del quarto movimento, Porta dei Greci: altra contaminazione, altra commistione di lingue ed emozioni, in cui l’animo gioioso e

121

danzante convive con una profonda amarezza. Qui è ripreso il tema di una danza orientale dietro una struttura ancora una volta minimal, con andamento a tratti danzante e con una certa concitazione, poi ripresa del canto iniziale, ma con un’evoluzione inaspettata: un clima vertiginoso conduce in un vortice di suoni che s’interrompe nel suono sordo di un tamburo sempre più lontano. Porta dei Greci rappresenta il desiderio di Sollima di creare un ponte musicale tra Porta dei Greci a Palermo e Porta Giudaica a Gerusalemme124. Nell’ultimo movimento, De Harmonia, Via dolorosa, ritorna il tema iniziale ora arricchito di nuovi dolori, come sostiene il compositore, se vi è una via dolorosa da percorrere, dovrà essere dei Palermitani la forza per affrontarla, e la rinascita di un monumento insieme della città che lo accoglie saranno l’immagine di un nuovo possibile risveglio della città. Con De Harmonia si apre e poi si chiude il cerchio con un violoncello dolente, questa volta senza più illusioni, accompagnato nel suo lamento dal complesso, nel quale spiccano le dolenti note del violino che, sommesse e lontane, riecheggiano e si fanno sempre più serrate in una frenetica danza araba che mantiene un’indiscussa vena di malinconia nonostante la sua sfrenatezza. È una via dolorosa quella percorsa da colui che, amando questo luogo-leggenda a Palermo, vuole assolutamente ricomporne i pezzi sparpagliati125.

124

Ibidem.

125

Ibidem.

122

Recuperata quindi come luogo di inquietanti e intatte magie architettoniche, la Chiesa dello Spasimo è stata riportata alla comunità con l’accompagnamento delle voci e dei suoni scritti da Sollima e rappresenta il trauma della rinascita, un trauma che avvolge l’ascoltatore fin dalle prime battute del brano. Per esso Sollima scrive

una musica senza confini, articolata in cinque

movimenti simmetrici attorno a un terzo, perno centrale, in cui emerge il tema del viaggio, della perdita e della dimenticanza. Le voci e i suoni sono inevitabilmente mediterranei, privi di nazionalità e di stili definiti; sono note sospese tra Oriente e Occidente, con citazioni recitate in arabo che suonano intrise delle inflessioni parlanti del violoncello solo. Sollima trova equilibrio tra musica tradizionale - attenta a sfruttare la mediterraneità nelle scelte melodiche e armoniche - e soluzioni che si possono ricondurre al linguaggio musicale contemporaneo, in una commistione originale. Utilizza una scrittura in cui la tradizione convive con moduli dal ritmo ossessivo, echi di minimalismo e momenti melodici. Commistioni, dunque, per i cinque movimenti del brano, così come è commistione tutto ciò che riguarda la Sicilia, terra dai tanti volti e dalle mille contraddizioni. In queste pagine c’è la sicilianità dalle forti tinte, che affonda le radici nel Mediterraneo delle grandi passioni e ha ancora il Medio Oriente nell’anima, c’è tutta la storia dolce e prepotente di Palermo e tutto l’amore di Sollima che nutre

123

per lei: sento di crescere con le scoperte che vado facendo su Palermo. Mi piace questa città perché è come se camminassi nella foresta australiana. Mi provoca un senso d’imprevedibilità, di stupore, di voglia di scoprirla. In questo Spasimo riaperto, vedo come un campo magnetico nel cuore di Palermo. E’ una riscoperta importante, perché significa che si torna al cuore della città, e potrà funzionare come forza trainante in un cammino finalmente verso il centro126. *** Spasimo e il Requiem per le vittime della mafia sono due opere che legano indissolubilmente la storia recente di Palermo a Giovanni Sollima. La prima è una messa composta nel 1993 da diversi autori Lorenzo Ferrero, Carlo Galante, Paolo Arcà, Matteo D’Amico, Marco Betta, Marco Tutino - dedicata ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ed eseguita in prima assoluta nella Cattedrale di Palermo ad un anno dalla strage di Capaci, la seconda è la musica per l’inaugurazione di una chiesa restituita, dopo un lungo restauro, ai palermitani. Entrambe rappresentano due pagine opposte e emblematiche della storia di questa città, l’una segno di dolore e sgomento, di rabbia e di commemorazione, l’altra della reazione all’ingiustizia, della volontà dei palermitani onesti di riappropriarsi in 126

In Sara Patera, Giovanni Sollima: “Lo Spasimo è come un campo magnetico nel cuore

profondo di Palermo”, «Giornale di Sicilia», 25 Luglio 1995

124

modo tangibile della propria città. Sono opere dal grande seguito mediatico, soprattutto per la forte carica di suggestione e di commozione che suscitano. Questi due lavori, infatti, danno voce a quelli che John Dickie chiama minoranza virtuosa, i Falcone e i Borsellino, gli uomini della scorta ma anche i palermitani, gli italiani senza nome disperati ai funerali dei loro concittadini, e i rappresentanti della cultura, che con le armi del sapere e dell’arte danno il loro contributo. Le due pagine, opposte nei toni, sono i due rovesci della stessa medaglia, poiché la gente onesta, se alla strage di Capaci soccombe alla disperazione, ben presto comincia a reagire, per trasformare il dolore in motore del cambiamento. “Malgrado il loro stupefatto smarrimento, quindi, molti palermitani trovarono la forza di protestare […] per alcuni straordinari mesi la minoranza virtuosa s’impadronì di Palermo e convinse gran parte della popolazione dell’urgenza della causa della lotta contro la mafia127”. Spasimo rappresenta questa forza, la sua riapertura può considerarsi il segno di quella che viene indicata come “primavera di Palermo”; è simbolo di palingenesi, è la colonna sonora del rinascimento culturale della città. Nonostante il profondo valore simbolico di Spasimo, poiché opera legata a un particolare evento - quindi musica di commento, se non 127

John Dickie, Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, cit., p. 434, corsivo mio.

125

proprio descrittiva - in seguito trova dignità autonoma rispetto all’occasione che l’ha ispirata, diventando pretesto nel momento in cui il brano diventa oggetto fruibile. Ben presto, infatti, Sollima incide il disco Spasimo e porta il suo brano in giro per il mondo: da New York a Filadelfia, da Washington, a Montreal. Il successo è totale, Sollima viene osannato sia dal pubblico che dalla critica. Testimonianza del fatto che Spasimo si emancipi dall’evento che lo ha generato, sono anche le successive versioni del brano, l’una per sax e pianoforte, dal titolo Spasimo fragments, e l’altra, Spasimo suite, per flauto solista, violino, violoncello, contrabbasso e percussioni, entrambe edite da Sonzogno. La prima è la trascrizione e l’arrangiamento di parti di Spasimo, nella versione del ’95, dei movimenti De Armonia, Peste e Porta dei Greci, a opera di Mario Marzi, sassofonista di fama internazionale, e del pianista Paolo Zannini. Entrambi i musicisti, legati da lunga collaborazione, hanno inciso Spasimo Fragments nel disco L’Arte del Funambolo, per l’etichetta Stradivarius nel 2003, in cui è presente anche un brano di Emilio Galante, a sua volta autore della terza versione di Spasimo, Spasimo Suite, del 2006. Tale trascrizione, mancante anch’essa del terzo movimento, Raffaello: il naufragio, sostituisce al violoncello solista il flauto, e, come la versione per sassofono, assume tutte le caratteristiche di un brano prettamente virtuosistico, proprio perché privata del tempo di mezzo, più lirico e cantabile. Inoltre la collaborazione di Sollima con Emilio Galante risale a molti anni

126

prima, basti pensare alla rassegna Suoni e Visioni del 1999, in cui insieme hanno partecipato al progetto di scrivere le colonne sonore rispettivamente dei cortometraggi Day of the Fight di Stanley Kubrick e Primo Carnera di Fabrizio Varesco, rassegna che vedeva anche la partecipazione del compositore Carlo Galante, fratello di Emilio, il quale aveva già lavorato con Sollima in occasione della già citata Messa da Requiem per le Vittime della mafia, e al quale Sollima aveva commissionato il brano per “violoncello parlante” Cinque sketches per Orlando il Paladino128 in cui l’esecutore recita la parte del puparo, muove marionette, racconta sketches e canticchia melodie. Importante è il significato di tali collaborazioni, proprio perché evidenziano gli stretti rapporti di Sollima con musicisti e compositori che afferiscono alla sfera colta. *** Per Sollima è importante, in ogni sua opera, raccontare una storia. Forse si tratta di un’esigenza personale, probabilmente per trarne ispirazione nel momento compositivo. Vero è che la dimensione narrativa129 è uno degli elementi fondanti del linguaggio della musica pop; raccontare una storia, sottesa a un brano musicale, lo rende più fruibile, in particolare dal grande pubblico, e più facilmente 128

Edito da Sonzogno, n° di catalogo 3034. E’ inciso per l’etichetta Scatola Sonora.

129

Cfr. Gianni Sibilla, I Linguaggi della musica pop, cit, passim.

127

“comunicabile” da parte dei media. E la storia di Spasimo affascina poiché è avvolta nel mistero dei miti siciliani. Eppure non è la sola da raccontare; un’altra è quella della profonda ispirazione del compositore, avvertita nel momento in cui egli entra per la prima volta allo Spasimo, che sapientemente rievoca in un’intervista “come un moderno bardo, che autoreferenzialmente canta e mette in scena se stesso e le proprie gesta130”: poggiare l’arco sulle corde del violoncello e provare per la prima volta, di notte, l’acustica dello Spasimo, luogo che da troppo tempo non “suona” più: un fremito. Il forte impatto e la sorpresa per ciò che questo spazio esprime mi “costringono” a comporre di getto, febbrilmente, giorno e notte, come sotto dettatura, mi perdo nella ricerca di una musica “mai sentita”, scritta, eseguita e infine svanita secoli fa tra quelle “liriche pietre cadute”. Ascolto suoni e voci che circondano il luogo, voci antiche e moderne, senza tempo. Una musica “contaminata” dalle sovrapposizioni architettoniche, linguistiche e sonore provenienti dall’antica e multietnica Palermo si esprime sul pentagramma. Musica dai forti contrasti, in bilico tra il canto islamico e la cruda iperespressività del rock; leggenda, mistero, desiderio di tradurre in note il gesto, l’immagine stessa della sofferenza da spasmo, quasi in forma di danza131.

130

Ibidem, p. 12.

131

Giovanni Sollima, Spasimo, Programma di sala della prima esecuzione assoluta, cit.

128

A QUILARCO (1998)

Organico: Violoncello solo, flauto, violino, viola, violoncello, chitarra, basso elettrico, tastiera, percussioni, CD con voce recitante. Testi: Christopher Knowles Voce registrata: Robert Wilson Brani: 1. Aquilarco I 2. Aquilarco II 3. Aquilarco III 4. Aquilarco IV 5. Aquilarco V 6. Aquilarco VI 7. Aquilarco VII 8. Aquilarco VIII 9. Aquilarco IX 10. Loof and Let Dime 11. Di Di 12. Give You Up

129

Edizione: Sonzogno CD Point Music/Universal (1998)

*** Aquilarco nasce a New York nel 1998, durante i sei mesi di perfezionamento che Sollima trascorre in questa città e dopo il suo incontro artistico con Philip Glass. La vicenda è raccontata dalla stampa che, in questo caso, sfrutta al meglio l’elemento narrativo: La sua storia è il sogno di ogni musicista: un giorno sa che Philip Glass è a Palermo, la moglie [di Sollima] Patrizia lo incita a lasciare al grande compositore una sua cassetta. Lui è timido, infine riesce ad incontrarlo. Glass ascolta la musica e dice:”Ti cercavo e ti ho trovato”. Non è una frase a effetto. Infatti lo chiama a New York e gli propone un contratto per tre cd132.

A New York la commistione di lingue e generi, culture e suoni è la regola. È un luogo in cui le espressioni linguistiche si contagiano, essa dà al musicista la possibilità di leggere e di interpretare, attraverso la musica, gli stimoli che offre e, a tal proposito lo stesso 132

Lina Sotis, E Palermo scopre la sua irresistibile «movida», «Sette

» del «Corriere della

Sera», 30 Marzo 2000.

130

Sollima racconta: è quasi un metodo di lavoro consolidato quello di partire da elementi indipendenti, spesso non ha nulla a che fare con lo specifico musicale, da un abbozzo emotivo si trasforma poi in qualcosa di diverso, così nel caso di Aquilarco133. Il progetto Aquilarco nasce inizialmente dal desiderio di Sollima di collaborare con Bob Wilson, figura importante per la formazione del compositore. Del grande regista teatrale Sollima ama la sua totale libertà, e, al tempo stesso, dipendenza dal mondo: sulla scena osservi i nostri deliri e i nostri sogni riportati in modo assolutamente glaciale. Il nucleo emotivo di Wilson si trova in cose inaspettate134. Il teatro di Wilson, infatti, ha scomposto i contenuti delle storie e li ha ricomposti in una

nuova

sintesi

procedimento per

dell’immaginario sequenze lineari

che di

rifiuta

il

causa-effetto,

scandendo il nostro tempo interiore e rileggendo la storia secondo percorsi elicoidali135.

133

Giovanni Sollima in Francesca Guerrini, Musica Contaminata, «America Oggi», 16

Maggio 1999. 134

Tratto da un programma di sala: Teatro Politeama Garibaldi, Palermo, 22

Gennaio 1999. 135

Alfonso Amendola, Frammenti d’immagine. Scene, schermi, video per una sociologia della

sperimentazione, Liguori, Napoli 2006.

131

La volontà di Sollima era elaborare la voce del grande regista teatrale, e trattarla come puro strumento sonoro, per ricercare linee melodiche all’interno delle parole pronunciate, prescindendo dal significato o dalla recitazione. Questa ricerca sulla voce rappresenta la cellula generatrice del lavoro, a cui poi si affiancano altri temi fondamentali, che ricorrono frequentemente nelle opere di Sollima, primo su tutti quello del viaggio. Il compositore racconta che con Aquilarco ha voluto evocare un viaggio compiuto volando, viaggio in cui mille vortici si intrecciano, da quelli di una trottola, a quelli dei testi di Christopher Knowles, rotatori e matematici, fatti di parole sconnesse, che gravitano oltre il significato. Sollima, nel comporre il brano, dice di ispirarsi a idee e oggetti aerodinamici, all’aria, agli uccelli e alle macchine volanti di Leonardo, al mare, al matematico vittoriano Charles H. Hinton che sviluppò una stravagante teoria sulla quarta dimensione - alla voce di Bob Wilson e ad un frammento della sua terra, l’isola di Sicilia, un antico porto per navigatori inquieti136. Per questa ragione Sollima immagina uno strumento nuovo, che ha in sé parte del violoncello e parte del volo: l’aquilarco, un aquilone che fa vibrare un archetto, una sorta di violoncello con un’appendice aerea, che è diventato il pretesto poetico e metaforico, per raccontare in musica una serie di viaggi immaginari137. 136

Giovanni Sollima in Alessandra Griffini, Aquilarco, Orchestra Sinfonica e Coro sinfonico

di Milano Giuseppe Verdi, 26 Ottobre 2003, (programma di sala). 137

Ibidem.

132

Per realizzare questi viaggi il compositore usa scale tipiche di differenti culture, che diventano punti di riferimento, sequenze per viaggiare proprio nel cuore di queste culture, poiché, come afferma in molte interviste lo stesso Sollima, è nelle scale musicali che si può trovare l’essenza stessa di una civiltà. *** Improvvisazione al violoncello, performance e testo descrittivo sono gli elementi predominanti e caratterizzanti il brano, o meglio, il disco, nato direttamente in studio di registrazione. Il retaggio della musica colta in questo lavoro si può rintracciare in particolare nell’uso del violoncello e nella forma dell’opera, poiché si tratta di una suite in cui si alternano brani lenti e veloci. Tale contrasto ritmico era tipico della suite barocca e delle sonate da chiesa e da camera, forme musicali caratterizzate dalla successione di danze stilizzate, fuse dall’unità tonale e strutturale. Aquilarco è un affresco in dodici parti che si snoda tra percussioni mediorientali, sulle quali il canto del violoncello emerge tra virtuosismo e lirismo, tra struggenti legato e violenze percussive. Il minimalismo, spesso presente, è posto in secondo piano, sotto la voce del violoncello stesso, che rimane il protagonista assoluto della suite, è un cantore solitario che dialoga con un ensemble formato da viole e violini, che convivono con chitarra elettrica, tastiere,

133

sintetizzatore, mbira africana, e con una seconda voce che interviene: quella di Bob Wilson, che “canta” tre poesie nonsense di Chris Knowles. Ciò che si ascolta in Aquilarco è un gioco di rotazioni, di immagini che si ripropongono attraverso prismi differenti. La ripetizione sistematica, che deve molto al minimalismo di Reich e Glass, alla modularità lirica di Nyman, è filtrata da una vitalità tutta mediterranea, sonora e ritmica che arriva dalla tradizione popolare. Sollima mescola tarantelle siciliane al rock metallico, jazz frenetico all’elettronica. Fili arabi e africani sono intrecciati in una tessitura dinamica, che porta l’impronta del soggiorno di due anni a New York. C’è un evidente rivolgersi ai molti suoni del mondo – siano essi una trottola o un distorsore – con la capacità di riassumerli in musica. Suoni ma anche e soprattutto voci - in particolare negli ultimi tre brani della suite - che Sollima tratta alla maniera di linee melodiche, estraendo, dalla traccia del parlato, melodie cantate dal violoncello. Il compositore si lascia ispirare da Bob Wilson che recita poesie del ragazzo autistico Chris Knowles, il cui testo è articolato su una sorta di nonsense organizzato, in cui le parole sono scritte, poi girate, fino a perdere il significato originario, incedendo in una sorta di movimento rotatorio, centrifugo, come se si perdessero in un vortice.

134

*** Il progetto Aquilarco si concretizza in un CD prodotto su espressa richiesta di Philip Glass per la propria etichetta, la Point Music/Polygram. Alla stregua di un disco pop, quindi, Aquilarco deve molto alla struttura produttiva che lo sorregge. Fondamentale è l’importanza degli interpreti, poiché non costituiscono una fase successiva al momento creativo, ma fanno essi stessi parte della fase compositiva: spicca Sollima come autore e solista, poi i membri dell’ensemble di Sollima, i Soni Ventorum, la tastierista della band di Bang-on-a Can, Lisa Moore e Bob Wilson, la voce recitante negli ultimi tre brani: Loof and Let Dime, DiDi, Give You Up. Il disco viene quindi presentato a New York ed è accolto con un successo entusiastico, viene definito dalla rivista Time Out come “un lavoro di brillante e sensuale musica che emana una particolare commistione siciliana del nuovo a dell’antico”138. Aquilarco, presentato in seguito anche in Italia, riscuote consensi e viene acclamato come “il piacevole respiro della storia regalato con la gioia della contemporaneità”139. 138

Ken Smith, Don Giovanni. Cellist Giovanni Sollima gives his Sicilian music a New York

twist, «Time out – New York», 20 - 27 Maggio 1999. 139

Nicola Campogrande, Sollima, in volo alla corte di Glass, «Musica!» di «Repubblica»,

29 Ottobre 1998.

135

Proprio perché Aquilarco rappresenta il segno della contaminazione, perché è ispirato dal contatto con le altre arti e culture, ben presto viene scelto come musica per la danza e poi viene consacrato, anche presso un pubblico molto più vasto, quando alcuni dei suoi brani diventano i temi principali delle colonne sonore dei film di Marco Tullio Giordana I cento passi e La meglio gioventù, nel quale il brano Aria - uno struggente assolo di violoncello - sottolinea i momenti più drammatici delle vite dei protagonisti. Il fatto che le note di Sollima accompagnino un film come I cento passi, non ha valore solo da un punto di vista dell’esposizione mediatica, e quindi della notorietà del brano nei confronti di un pubblico più vario e ampio, ma assume un significato importantissimo nella poetica di Sollima, poiché rappresenta emblematicamente l’impegno civile del compositore e il suo legame indissolubile alla Sicilia. Aquilarco diventa, infatti, parte integrante di un film diventato fenomeno culturale di grande significato; ne I cento passi i rappresentanti della cultura si espongono in prima persona nella lotta alla mafia, nella ricerca della giustizia, con i mezzi di cui dispongono. Questo film rappresenta un caso emblematico in cui la cultura lotta proficuamente per una causa e riesce a influenzare gli eventi dell’attualità: il film esce, infatti, nel 1999, anno in cui una

136

commissione parlamentare stava ancora indagando sulla morte di Peppino Impastato, per conoscerne i veri mandanti e mentre è ancora in corso il processo a Tano Badalamenti140, accusato, appunto, di essere il mandante dell’omicidio. Con la vittoria del Leone d’Oro alla Mostra cinematografica di Venezia per la migliore sceneggiatura e grazie alla commozione suscitata nell’opinione pubblica, il film smuove le coscienze e porta alla ribalta la figura e il tragico assassinio di Peppino Impastato,

vicenda trascurata

e

insabbiata per circa vent’anni. Così, nell’Aprile del 2002 arriva la condanna definitiva all’ergastolo di Tano Badalamenti, riconosciuto finalmente il mandante dell’omicidio di un uomo - nato in una famiglia collusa, la cui casa distava appena cento passi da quella del boss di Cinisi – che trova il coraggio di ribellarsi e di lottare con tutte le sue forze contro la mafia.

140

Cfr. John Dickie, Cosa Nostra. Storia della mafia siciliana, cit., p. 367 - 377.

137

I C ANTI Prima versione: 1998 Organico: Violoncello solista, flauto, violino, chitarra e basso elettrico, tastiere e percussioni, con amplificazione, campionatore, DAT o CD Brani: 1. Nascita- Per i Canti 2. Per i canti 2, 3. Salina: Numeri e Santi, 4. Intersong I, 5. Ummelelere: Asta al mercato del pesce 6. Per I Canti 3, 7. Lamentu, 8. Intersong II, 9. Salina: Numeri e Santi 2, 10. Per i canti 4 Seconda versione: 2002 Revisione dell’opera per la messa in scena al Teatro San Carlo di Napoli

138

Edizione: Sonzogno *** I Canti è una performance per violoncello, strumenti e nastro preregistrato, in cui Sollima studia i rituali sacri e profani della Sicilia, vista come luogo in cui si sovrappongono culture. Nasce in un periodo molto fecondo di progetti per il compositore, durante il suo soggiorno Newyorkese. Nascono su commissione del Ravenna Festival di Riccardo Muti, e inaugurano nel ‘98 la manifestazione Genius Voci – Progetto Etiopia, una rassegna dedicata alle voci del mondo. Sollima suona il violoncello solista e l’ensemble è quella dei Soni Ventorum, un gruppo composto da flauto, violino, chitarra e basso elettrico, tastiere e percussioni, con amplificazione che lo accompagna abitualmente nelle sue esecuzioni in giro per il mondo. Una seconda versione, rinnovata con tagli e inserimenti di nuovo materiale de I Canti, è stata elaborata da Sollima nel Maggio del 2002, in occasione della messa in scena presso il Teatro San Carlo di Napoli. Il tema di fondo, come per molti altri lavori dell’autore, è il suo interesse per l’espressività del parlato, ossia dei suoni che si

139

producono parlando. Sollima stesso racconta141 che nella sua mente c’è sempre un diagramma invisibile prodotto dalle voci che ascolta. La sua attività compositiva è fatta anche di peregrinazione per le strade, armato di registratore, come un fotografo con la sua macchina, rubando frammenti e “sonogrammi”. Quindi, ancora una volta, ricorre il tema del viaggio; Sollima racconta di essersi ispirato a The Songlines di Bruce Chatwin, soprattutto nel seguire i percorsi tracciati dallo scrittore, per poi inventarsi mappe e itinerari. Il libro di Bruce Chatwin, ambientato in Australia, racconta delle indagini svolte dallo scrittore sulla tradizione aborigena dei canti rituali, tramandati di generazione in generazione come conoscenza iniziatica e segreta. Il libro sviluppa la tesi secondo cui i canti aborigeni sono, allo stesso tempo, rappresentazione di miti della creazione e mappe del territorio. Il titolo - The Songlines - si riferisce alle migliaia di linee immaginarie che, secondo le conclusioni di Chatwin, attraversano l'intero continente; ogni canto tradizionale sarebbe

la

rappresentazione

musicale

delle

caratteristiche

geografico-topografiche di un tratto di una di queste vie. Sollima racconta di lavorare su materiali che trova in archivi e nastroteche, o che provengono direttamente dalla sua memoria: abito in Sicilia e ho abitato a New York, le miserie, promiscuità culturali, processioni, mercati, aste, feste, piazze, lamenti, messe, rosari, famiglie, cori, 141

Cfr. Intervista a Giovanni Sollima, Fotogrammi sonori, a cura di Sara Zurletti,

Programma di Sala del Teatro di San Carlo, Stagione concertistica 2001/2002.

140

ambulanti, imbonitori, invasati, poeti, campane, rituali metropolitani e rurali, tutti transitano sulla via del canto142. Sollima, al pari di Chatwin, studia le linee melodiche tracciate da un parlato, dalla tonalità, dal ritmo, dalla voce come pura fonte sonora, infatti afferma che rabbia, dolore, euforia, hanno precise altezze, salti di ottava, seconde minori, velocità, dinamiche, pause, reperti che, organizzati e riassemblati, campionati, irrompono nell’equilibrio musicale143. Per esempio ne I Canti, si percepisce nettamente la traccia che si è depositata nelle fibre della musica, della violenza vocale di certe manifestazioni siciliane: le lamentazioni di massa durante le ritualità sacre, le intonazioni dei venditori ambulanti, i canti dei salinari. La ricerca di Sollima, come lo stesso autore racconta, dunque, parte dalla Sicilia, per allargarsi a tutto il Mediterraneo, fino a trarre ispirazione oltreoceano, a partire dal Bronx. Questa rielaborazione e trasfigurazione delle voci avviene grazie a una variegata tavolozza timbrica, in cui le sonorità del violoncello, degli archi e dei fiati, si intrecciano a quelle della chitarra elettrica. Sollima considera I Canti come un’opera collettiva composta quasi per strada, “impacchettando” luoghi, persone, fatti, fotografando voci. È un lavoro che il compositore aggiorna costantemente, quindi l’opera assume il carattere di work-in-progress, e allo scopo, alcuni 142

Ibidem.

143

Ibidem.

141

movimenti - Intersong I e II - hanno una struttura modulare, il che permette l’aggiunta o la sostituzione di materiale senza alterare i brani nella loro organizzazione fondamentale. Sollima mette insieme tante suggestioni dell’immaginario sonoro della sua isola, riplasmandole e reinventandole entro un flusso strumentale di forte animazione. Mischia tradizione – si veda l’Ummelelere, un canto del battitore dell’asta del pesce in Sicilia, e il Lamentu, canto funebre della vedova sul letto di morte del marito - e modernità con Intersong II, in cui sono evidenti suggestioni minimaliste alla Steve Reich. I virtuosismi del violoncello, delle percussioni e degli insieme, pieni di esaltato dinamismo delle sonorità e dei ritmi, si alternano a pause liriche e sognanti, al canto flebile su una corda, a frasi arpeggiate. Rintocchi registrati di campane precedono le arcate del violoncello, presto divise in ossessive cellule ritmiche, intrecciate da violino, viola, flauto e percussione; pizzicati dividono la linearità del canto in cui irrompe il virtuosismo tzigano del violoncello. La sua è una musica che si guarda intorno, che deruba modi, ritmi e suoni – dal mondo popolare, dal jazz, dal rock – e li restituisce in un insieme unitario.

142

V IAGGIO IN I TALIA (2000) Organico: Voce maschile, violoncello solista, due violini, una viola, un violoncello - DAT o CD Testi: di Michelangelo Buonarroti, Francesco Borromini e Giordano Bruno Brani: 1. Federico II - per quartetto d'archi 2. Giotto Dante - per violoncello e CD 3. Bella e crudele - per voce maschile e quartetto d'archi 4. Campo dei miracoli - per quintetto d'archi 5. Ritratto di musico - per violoncello 6. L'ortolano - per quartetto d'archi 7. Borromini - per voce maschile e quartetto d'archi 8. L'isola Ferdinandea - per quintetto o quartetto d'archi 9. Campo de' fiori - per voce maschile, violoncello e quartetto d'archi 10. La tempesta - per violoncello 11. Zobeide - per quartetto d'archi 12. Casanova sonata - per quintetto d'archi e CD 13. Cretto - per quartetto d'archi 14. La camera bianca - per quintetto d'archi

143

Edizione: Sonzogno, n° 6258. *** Viaggio in Italia nasce su commissione di un mecenate milanese, Gianmaria Buccellati. All’inizio del 2000, Casa Sonzogno - la casa editrice di Sollima cercava sponsor per una nuova tournée americana del compositore. A tale scopo il gioielliere Buccellati, in cambio di un brano dedicato agli

ottant’anni

di

attività

della

sua

azienda,

supportò

finanziariamente il progetto. L’idea di Buccellati era quella di un brano in cui compiere un percorso ideale attraverso la cultura italiana. Poiché la materia da affrontare era vastissima, Sollima decise di dare l’idea di un possibile viaggio, volutamente lacunoso, nella storia dell’arte italiana, analizzandone i contrasti e gli aspetti enigmatici e ambigui. Questi, come egli stesso sostiene, hanno da sempre accompagnato la storia dell’arte italiana, dai quesiti non risolti, dagli aspetti a volte drammatici, a volte giocosi. Sono partito non dalla perfezione dell’opera d’arte, ma dal concetto che tale perfezione sia frutto dell’imperfezione dell’uomo […]. A questo scopo Sollima crea un brano fatto di sollecitazioni in ordine sparso, di campi lunghi sul medioevo e sul rinascimento e di primi piani su singole opere e personaggi.

144

La partitura di Sollima, una sorta di esplorazione-memoria nella storia dell’Italia, è sviluppata con un’alternanza di quadri per violoncello solo e altri per voce e quartetto o per quintetto. Viaggio in Italia è stato eseguito in prima assoluta alla Carnegie Hall di New York e portata in tournée da Washington a Strasburgo, da Istanbul a Venezia – in occasione della Biennale danza musica teatro - al Palazzo Ducale di Genova e a Milano presso il prestigioso Palazzo Clerici, dalla Filarmonica della Scala.

*** In Viaggio in Italia la dimensione narrativa assume un aspetto fondamentale: le quattordici tappe di questo percorso immaginario hanno ognuna qualcosa da raccontare. Sollima sceglie pezzi inusuali della storia italiana, episodi e opere non troppo noti che raccontano alcuni dei più grandi artisti, di cui Sollima usa alcuni testi originali. Il primo brano della composizione, Federico II, è un omaggio all’illuminato imperatore tedesco, che scelse Palermo come sua residenza ufficiale. Il compositore rende in forma di danza il clima gioioso della sua corte multietnica, attraverso l’uso, già dalle prime battute

dell’Allegro,

di

scale

tipicamente

orientaleggianti,

caratterizzate, in genere, dall’abbassamento del 2°, 5° e 7° grado di una comune scala maggiore:

145

Nel secondo movimento, Giotto Dante, l’atmosfera si fa sacra e spirituale, con un gregoriano scoperto da Sollima nella biblioteca della Basilica di Assisi. La base registrata che fa da sottofondo al violoncello solo, è stata incisa all’interno della Basilica durante il Giubileo, nella Basilica affollata di pellegrini. Bella e crudele, per voce maschile e quartetto d'archi, è un brano musicale scritto su un madrigale di Michelangelo, dedicato alla bella principessa Vittoria Colonna: S’ egli è che 'n dura pietra alcun somigli Talor l’ immagin d’ ogni altri a se stesso, Squalido e smorto spesso Il fo, com’ i’ son fatto da costei; E par ch’ esempro pigli Ogni or da me, ch’ i’ penso di far lei. Ben la pietra potrei, Per l’ aspra suo durezza, In ch’ io l’ esempro, dir c’ a lei s’ assembra. Del resto non saprei, Mentre mi strugge e sprezza, Altro sculpir che le mie afflitte membra:

146

Ma se l’ arte rimembra Agli anni la beltà, sol per durare ella, Farà me lieto, ond’io le’ farò bella144

Sollima, per quel che riguarda il trattamento del testo, non rispetta le caratteristiche formali tipiche del madrigale. Questa è, infatti, una forma generalmente caratterizzata da otto a quattordici versi, per lo più endecasillabi, rimati secondo schemi variabili e accomunati da una coda di due distici a rima baciata, composta per essere musicata. L’autore, invece, suddivide e ripete più volte i versi di Buonarroti a suo piacimento, per dare ritmo e memorabilità alla frase musicale, così come avviene tipicamente nelle canzoni pop. Il quartetto fa da accompagnamento ad una sorta di declamato molto ritmico145:

144

Michelangelo Buonarroti, Rime, Universale Laterza, Bari, 1967, Basata sul testo

critico di Girardi. 145

Tutti i seguenti esempi musicali sono riportati per gentile concessione di Casa

Musicale Sonzogno di Piero Ostali, partitura n° 6258.

147

Al Borromini, Sollima si rifà in due brani del lavoro, in Campo dei miracoli, quarto movimento, e nel settimo, Borromini, appunto. Il primo è un andantino in cui vengono messe in evidenza le possibilità liriche degli archi che, in un dialogo ininterrotto, si dividono la semplicissima melodia. Nel settimo brano, l’autore dà vita ad un arioso tragico e struggente, sul testo dell’ultima pagina di diario scritta dal grande architetto sul letto di morte, dopo essersi trafitto con una spada. Con drammatiche parole Borromini ripercorre la sua esistenza vissuta nell’incomprensione della sua arte, giudicata troppo ardita dai suoi contemporanei. Sopraffatto dall’antagonismo del più celebrato Bernini, scrive dolorosamente:

148

La spada qui incammera, a capo del letto, et appesa a queste candele benedette, ho preso la spada, il manico di essa appuntato nel letto, la punta sul mio fianco, e poi mi son butato con la forza che ho facta, acciò che entrasse nel mio corpo, caduto, giù, giù.

Il testo, in questo caso, è utilizzato sequenzialmente - a differenza del brano di Michelangelo in cui l’incisività è conferita dalla ripetizione ossessiva di brevi frasi - per dare più importanza, evidentemente, al significato delle parole che alla ritmicità del suono nel pronunciarle. Ciò avviene per rendere ben comprensibile il testo letterario e per conferire realismo al brano. È interessante notare che il testo di Buonarroti - tratto dal diario manoscritto del grande architetto, scoperto nel monastero di Wiener Neustadt, cittadina austriaca nei pressi di Vienna – è usato anche dal conterraneo di Sollima, Salvatore Sciarrino, per il suo brano Morte di Borromini, per voce recitante e orchestra. Ritratto di musico è il pezzo della raccolta dedicato al grande Leonardo da Vinci. Si tratta di un brano per violoncello solo, ritmico e percussivo, dal carattere virtuosistico, in cui Sollima mette in luce tutte le sue doti di grande esecutore. Il brano, come racconta l’autore, s’ispira al superbo dipinto di Leonardo che ritrae il compositore

149

Franchino Gaffurio, maestro di cappella del Duomo di Milano, e amico del genio italiano. 146 L’Ortolano è uno dei famosi quadri di Arcimboldi – vero alchimista dell’arte – in cui la natura, in questo caso frutta e ortaggi, come un mosaico compone il volto di un uomo. Il brano – forse a voler richiamare la complessità della realizzazione del dipinto – è altrettanto complesso, soprattutto da un punto di vista esecutivo, per il virtuosismo delle singole parti, e, ancor più per il loro intreccio. L’ottavo brano, per quintetto d’archi, come racconta il compositore, è ispirato alla storia dell’isola Ferdinandea: emersa dal mare di fronte alla Sicilia nel Luglio del 1831, in seguito ad un’eruzione vulcanica, divenne subito oggetto delle mire di più “Potenze”, ben presto costrette a ritornar in patria senza ottenere nulla, poiché l’isola svanì in un sol giorno - così com’era nata - tra i flutti del Mediterraneo. Anche nella partitura è evidente il riferimento a quest’evento singolare: dall’immobilità iniziale degli archi nelle prime misure, quasi a descrivere la calma del mare,

146

Salvatore Taormina, Il viaggio Italiano di Sollima: trionfo Usa, «Il Giornale di Sicilia», 3

Novembre 2000.

150

si passa immediatamente ad un disegno in sestine di semicrome, come a rendere l’agitarsi dei flutti,

151

figurazione che, con lievi variazioni intervallari o cambi di tonalità si ripeterà molte volte nel dispiegarsi della composizione. Questo disegno, di chiara derivazione minimalista – pur se nato evidentemente sullo strumento, prima che in partitura – viene interrotto soltanto nella parte centrale del brano, che si caratterizza per virtuosismo, incisività ritmica e violenze percussive. Il brano termina con un finale in diminuendo, una volta che l’isola viene nuovamente sommersa dalle onde:

152

153

Del filosofo Giordano Bruno, mandato al rogo nel 1600 dall’Inquisizione, nel brano Campo de’ fiori, Sollima ha musicato brevi passaggi presi da alcune delle sue opere: Con l’ali l’immensità dello spazio147 Santà asinità148 Pregiudizio149 Cieco chi non vede il Sole150 Falso principio affinché fossimo come rinchiusi151 Non mi porranno avanti gli occhi il velo152 Ma fendo i cieli all’infinito m’ergo153 Si i dissecca il corpo e mi s’umetta il cervello; nascono i tofi e mi cascano gli denti; s’inora la carne […] mi si contrae la vista; s’indebolisce il fiato […] mi si fa fermo il sedere; trepido camminar mi trema il polso; si saldano le coste mi s’assottigliano gli articoli […] S’indurano i talloni e mi s’ammolla il contrappeso154.

147

Tratto da De innumerabilibus, immenso et infigurabili.

148

Tratto da Sonetto in lode de l’asino.

149

Tratto da De innumerabilibus, immenso et infigurabili.

150

Tratto da Spaccio della bestia trionfante.

151

Tratto da De innumerabilibus, immenso et infigurabili.

152

Tratto da De l’infinito, universo e mondi.

153

Tratto da De l’infinito, universo e mondi.

154

Tratto da Spaccio della bestia trionfante.

154

MAJORI FORSAN CUN TIMORE SENTENTIAM IN ME FERTIS QUAM155 EGO ACCIPIAM156 è forse maggior la vostra paura nel pronunciare la sentenza, della mia nel riceverla

Sollima, come si può evincere dalla citazione, prende vari stralci da differenti opere di Giordano Bruno e li assembla quasi alla stregua di un copia-incolla. Tale uso del testo rimanda a una formula tipica della musica pop degli anni ’90, il cut-up: una sorta di “patchwork di frasi sconnesse senza un vero e proprio filo logico157”. Le parti procedono in contrappunto – il quartetto d’archi e il solista, che alterna voce e violoncello – e l’andamento, all’inizio molto calmo, va accelerando lentamente. A battuta 41, improvvisamente, subentra il più mosso e l’andamento si fa vorticoso, poi violento e percussivo, in un crescendo e accelerando in fortissimo che culminano soltanto sul finale tronco del brano:

155

“Quan” nel testo musicale.

156

Si tratta della frase che venne attribuita a Giordano Bruno poco prima che fosse

arso vivo. 157

Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p. 134.

155

156

Il decimo brano, la Tempesta è una pagina virtuosistica dallo stile toccatistico-improvvisativo

per

violoncello

solo,

in

cui

il

compositore si è ispirato al celebre dipinto di Giorgione conservato all’Accademia di Venezia. Da un passato glorioso dell’arte italiana, Sollima giunge ai nostri giorni, prendendo ispirazione dalla raccolta di novelle di Italo Calvino Le città invisibili, una sorta di guida a luoghi immaginari e fantastici, a città dai fantasiosi nomi femminili che evocano una mappa di desideri, utopie, paure, in bilico tra sogno e incubo. Di tutte, per questo quartetto, Sollima sceglie Zobeide, città-sogno bianca e lunare. Il primo violino canta la melodia e gli altri strumenti

157

fungono da accompagnamento, tranne che in un breve passo, nella parte centrale158, in cui un frammento della melodia principale, in una sorta di breve fugato, è diviso tra le parti. Subito dopo riprende il tema iniziale, sempre affidato al primo violino. Da luoghi a dipinti, da madrigali a racconti, Sollima si fa sceneggiatore e racconta di immaginare, per Casanova Sonata, una scena gioiosa e sfrenata in cui si incontrano in un convito Casanova, Lorenzo da Ponte, il mago Cagliostro e il compositore Domenico Scarlatti, il quale improvvisa al cembalo una delle sue celebri sonate. Proprio da una di queste parte la composizione, trasfigurata e contaminata da una base registrata in cui emergono suoni sintetizzati e batteria elettronica, in cui è evidente il riferimento a sonorità tipiche del rock. Ritmo ossessivo e moduli ripetitivi della prima parte cedono il passo a un brano evidentemente dedicato al celebre libertino italiano: si tratta di una furlana, una danza popolare di corteggiamento nata a Venezia nel XVI secolo, poi affermatasi in Francia e nelle corti europee come ballo di moda soprattutto nel XVII e XVIII secolo. Il penultimo movimento, un breve quartetto, è ispirato al Cretto di Ghibellina di Alberto Burri, un incredibile labirinto costruito sulle rovine del paese siciliano distrutto nel 1968 dal devastante terremoto del Belice. Sollima racconta, per questo brano, di essersi

158

Da battuta 97 fino a battuta 112.

158

ispirato al suono del vento ascoltato in questi luoghi, che immerge l’uomo in una dimensione metafisica e onirica159. Viaggio in Italia si conclude con la ripresa del tema iniziale di Federico II, primo brano della raccolta, questa volta in forma di quintetto anziché quartetto. L’ultimo movimento prende il nome da quello dell’involucro – chiamato camera bianca – in cui recentemente è stato avvolto il sepolcro dell’Imperatore, nel quale un gruppo di scienziati ha scoperto, grazie a una sonda inserita nella pietra, che il sovrano non riposa solo, ma è abbracciato a una donna misteriosa.

***

Nella mia musica c’è una curiosità patologica per elementi non necessariamente musicali, per esempio i parlati, e la forza emotiva che hanno dentro160. In Viaggio in Italia, Sollima si dimostra, non solo autore di musica, ma anche cantastorie. Per il difficile compito che gli viene affidato, ossia quello di compiere viaggio nello smisurato patrimonio artistico italiano, sceglie una strada evocativa; non segue fili logici di tempo o di spazio, ma mette insieme, senza apparenti legami, ciò che più lo incuriosisce del nostro patrimonio culturale. Trova brani - dai versi 159

Salvatore Taormina, Il viaggio Italiano di Sollima: trionfo Usa, «Il Giornale di Sicilia», 3

Novembre 2000. 160

Raffaella Grassi, Sollima, la musica è anche impegno, «Il Secolo XIX», 20 Giugno 2001.

159

di Borromini al madrigale di Michelangelo - nascosti ai più, cita episodi dimenticati dalla grande storia, immagina conviti gioiosi degni della più originale delle sceneggiature. Per rendere questa varietà di epoche e personaggi, Sollima crea un complesso equilibrio di molteplicità linguistiche. Un polistilismo che prende corpo, combinando e disordinando, arcaismi ritmici e gregoriano, stratificazioni del patrimonio colto europeo e una sicilianità sonora carica di echi mediterranei, tensioni percussive da rock duro e apparenti staticità new age. ***

Viaggio in Italia, soprattutto in America, ha consacrato il successo di Sollima, rendendolo ancor più noto oltreoceano che nel nostro paese, sia come compositore che come grande virtuoso del violoncello. Nel brano, inoltre, importante è la collaborazione con la formazione che accompagna Sollima nel Viaggio, il Lark Quartet, composto da musiciste di fama internazionale che rendono possibile l’esecuzione di quest’opera, in cui è necessaria la padronanza assoluta degli strumenti ad arco. In questo lavoro è evidente, ancora una volta, il forte radicamento nella tradizione colta delle pagine di Sollima, eppure sono presenti notevoli riferimenti ai linguaggi tipici della musica leggera: dal già approfondito elemento narrativo, alle caratteristiche della performance

160

di Viaggio in Italia. Il compositore, infatti, nel brano è il perno centrale della prassi esecutiva: è sì il violoncello solista, ma è anche il cantante che – senza impostazione vocale e con un forte accento siciliano – dà voce ai versi di Michelangelo, di Borromini e di Giordano Bruno, enfatizzando il tutto con una gestualità riconducibile senza dubbio a performance tipiche del concerto rock. I consensi entusiastici del pubblico sono stati confermati anche dalla critica. Per Viaggio in Italia, infatti, Sollima è stato appellato da Robert Hilferty, su The Village Voice, come “The most exciting Sicilian musician since Bellini”.

161

J. B EUYS SONG (2001) Organico: violoncello e base registrata Balletto e coreografia di Carolyn Carlson Brani: 1. Terra Aria 2. Terra Danza 3. J. Beuys Song 4. Terra Acqua 5. Animali 6. Distorted Destroy 7. Slow 8. Fast 9. Cello Tree 10. Terra Fuoco 11. Tema Testo tratto e versificato da J. Beuys ***

162

Se voglio creare un concetto rivoluzionario di uomo, devo parlare di tutte le forze che hanno una relazione con lui. Se voglio dare all’uomo una nuova posizione antropologica, devo anche dare una nuova posizione a tutto quanto lo concerne. Devo collegarlo verso il basso con gli animali e le piante, la natura, così come verso l’alto, con gli angeli o gli spiriti. Devo, dunque, mettere l’uomo in questo insieme, solo allora potrà acquistare la sua grandezza di uomo e la forza di fare la rivoluzione. Nelle mie azioni ho sempre esemplificato l’identità arte = uomo… (Joseph Beuys)

A queste parole dell’artista tedesco Joseph Beuys è ispirato l’omonimo balletto, commissionato per una coreografia di Carolyn Carlson dalla Biennale Danza Musica Teatro di Venezia, prodotto in collaborazione con la Fondazione Lirica Siciliana. Il tema centrale, a cui tutto il lavoro fa riferimento, è quello del disastro ecologico, e ciò avviene attraverso uno spettacolo che unisce in sé diverse forme d’arte, non soltanto musica e balletto, ma anche teatro, inchiesta sociale, mimica, simbologia e tutto il loro interscambio. Dall’Agnus Dei per le vittime della Mafia, dedicato a Falcone e Borsellino, a Spasimo, da John Africa - in cui si schiera contro la pena di morte - a Ellis Island, Sollima non rinuncia all’impegno sociale nelle sue opere, e, grazie alle parole di Beuys, riscopre la natura e protesta, insieme alla Carlson, contro l’indifferenza umana, un

163

richiamo al miracolo della vita e della riproduzione: l’aria, gli alberi, la terra. Per Sollima, quest’opera è un lavoro in progress, uno spazio di idee percorso da frammenti e stratificazioni attraverso un viaggio personale, nell’universo di Beuys, che mi riporta inconsciamente alla Sicilia, a Gibellina161… l’uomo, la natura, le devastazioni fisiche e spirituali162. J. Beuys Song riguarda, ancora più apertamente del passato, l’amore della Carlson per tutto ciò che è vivo sulla Terra, e che, invece “l’uomo, con la sua indifferenza, la sua freddezza, fa morire. Uno spettacolo assurdo: ordine e caos, precisione di gesti ed energia che si scatena”163. Il balletto J. Beuys Song è andato in scena in prima assoluta a Venezia per la Biennale Musica e Danza all’inizio di Giugno del 2001, poi subito replicato per l’apertura della stagione estiva del Teatro Massimo di Palermo e, ancora, portato a Parigi al Teatro Chaillot. L’allestimento scenico prevedeva visioni scostanti, volutamente negative: rami d’albero rinsecchiti e plastica ovunque che assumeva mille fogge, pietre, terra, ma anche acqua putrida, cartaccia. Sulla

161

Sollima fa riferimento al centro medievale di Ghibellina, formatosi nel

Quattordicesimo secolo, e poi distrutto dal terremoto del 1968. Su queste rovine è stata edificata un’opera in cemento, creata dall’artista Alberto Burri detta cretto di Ghibellina. 162 163

Biennale, corpo a corpo di Suoni, «Il Gazzettino», 7 Giugno 2001. Intervista a Carolyn Carlson in Claudia Provvedini, Danzo contro i nemici della

Natura, «Corriere della Sera», 2 Giugno 2001.

164

scena danzatori in tailleurs e ballerine in abiti color argento o rosso, gli Urlatori Finlandesi e Giovanni Sollima, con il suo violoncello. Pur se si tratta di un lavoro su commissione, quindi annoverabile fra le opere chiuse, in realtà costitutiva di tutta l’opera è la performance. È Sollima stesso a sostenere e sollecitare i ritmi del variegato spettacolo, è egli stesso una sorta di ballerino: si trova sul palco ed esegue la propria musica, in un “corpo a corpo”164 con i danzatori. “Giovanni è una forza della natura. Lui recita, lotta, gioca con la musica”, dirà di lui in un’intervista165 Carolyn Carlson. *** In scena do libero sfogo alla mia fisicità intramata di musica e contrasti.[…]. Realtà stridenti e sonorità estreme, che giungono da antipodi, la Sicilia e la Finlandia, diversissimi nei ritmi, nei colori, nei timbri cromatici166. Queste parole di Sollima, - usate per descrivere la sua opera - riassumono i caratteri fondamentali del balletto scritto per la Carlson e, del resto, di ogni suo lavoro: la cifra stilistica predominante è quella dei contrasti derivanti da commistioni, a volte inaspettate. Da I Canti a Tempeste e Ritratti, da Songs from the Divine Comedy a J. Beuys Song, ricercare le scale e gli intervalli tipici delle tradizioni 164

Biennale, corpo a corpo di Suoni, cit.

165

Claudia Provvedini, Danzo contro i nemici della Natura, cit.

166

Biennale, corpo a corpo di suoni, cit.

165

musicali di differenti culture, per poi rielaborarle in ogni sua opera, è un tratto pertinente di Sollima. In questo lavoro, infatti, come l’autore stesso spiega, vuole mettere insieme le voci della Finlandia e quelle della Sicilia. Ciò è evidente in particolare nell’alternanza dei brani di questa particolare suite167: in alcuni si ascoltano frasi musicali che rimandano alla scale arabe e orientali, in altri è evidente la ricerca di Sollima per la musica tradizionale finlandese. In particolare, le “voci” della Sicilia si ascoltano chiaramente in Cello Tree – brano per tre violoncelli, uno live e gli altri due preregistrati – in cui cellule tematiche ripetitive sono basate su una scala che presenta il 2° e il 6° grado abbassati di un semitono168:

167

Sulla suite, cfr. p. 133.

168

Tutti i seguenti esempi musicali sono riportati per gentile concessione di Casa

Musicale Sonzogno di Piero Ostali, partitura n° 6275.

166

Tale disegno169, dunque, conferisce un carattere tipicamente arabeggiante all’inciso, carattere in seguito confermato anche dalla suddivisione metrica dell'accompagnamento, - che si prolunga per tutto il brano - affidato ai due violoncelli registrati. Questi, infatti, eseguono uno schema ritmico ossessivo in cui si alternano battute in 6 e 5/4, queste ultime con una scansione di 3 + 3 + 2 + 2, tipica del samàì, figurazione ritmica tradizionale araba170:

169

Già si è discusso in precedenza sul 2° grado abbassato e sull’accordo di “sesta

napoletana”, cfr. p. 118. 170

Cfr. New Grove Dictionary of music, 2000, ad vocem Arab Music.

167

Questo accompagnamento ossessivo rappresenta al meglio la cifra stilistica di Sollima, quasi sempre caratterizzata da elementi riconducibili alla minimal music, trasfigurati però da una vocazione fortemente mediterranea. Echi della musica popolare siciliana risuonano anche nel penultimo brano della suite, Terra fuoco, in cui la cellula melodica principale è basata su una scala che presenta il 2° e il 7° grado abbassati di un semitono:

168

Colori, timbri cromatici e ritmi molto differenti si possono invece ascoltare nel brano Animali, in cui sono i suoni e, soprattutto, le voci della Finlandia a costituirne il nodo tematico. Su un tappeto armonico statico - costituito prevalentemente da accordi dissonanti che non risolvono - mentre il violoncello solo esegue semplici figurazioni,

169

si stagliano lamenti (non presenti in partitura perché lasciati all’improvvisazione) degli “Urlatori Finlandesi” Huutajat. Queste grida rappresentano richiami pastorali vocali e sono il retaggio della più antica tradizione musicale finlandese; in particolare si ricordano quelli tipici della Carelia, gli huhuilut (grida) e i kurjan-kutsunnat (richiami)171. Echi minimalisti, dunque, tradizione Siciliana e Finlandese convivono insieme nelle pagine di Sollima, ma non sono le uniche commistioni presenti in quest’opera: si possono individuare rimandi al jazz, come in Terra Danza, in cui è evidente l’uso di scale modali, in particolare quella dorica:

171

Cfr. Dizionario della Musica e dei Musicisti, Il Lessico vol. II, Utet, ad vocem

“Finlandia”, p. 231.

170

o ibridazioni con la tradizione pop. Si veda, in particolare, il brano Slow, tutto giocato sull’effetto di delay172,

che fa risuonare il violoncello di Sollima come una chitarra elettrica. Assimilabile in tutto e per tutto ad una canzone pop è il brano che dà il titolo a tutta l’opera, appunto J. Beuys Song. Alla stregua di un 172

Il delay, - dall'inglese, “ritardo” - è un effetto usato per modificare il suono di

strumenti musicali generalmente elettrici o amplificati. La funzione generale del delay consiste nel registrare il suono in ingresso e riprodurlo con un determinato ritardo temporale.

171

cantautore, Sollima intona un testo dalla struttura strofica e si accompagna con uno strumento – non un pianoforte, né una chitarra, ma un violoncello – a cui è affidata l’armonia.

Il testo della canzone è tratto e versificato da quello di Beuys citato all’inizio del paragrafo173: 173

Cfr. p. 163.

172

Se voglio creare un concetto rivoluzionario di uomo Devo collegarlo verso il basso con gli animali, le piante, la natura Devo collegarlo verso l’alto con gli angeli, gli spiriti Se voglio creare un concetto rivoluzionario di uomo L’uomo in questo insieme, solo allora potrà acquistare grandezza, la forza di fare le rivoluzioni.

Come si può evincere dalla citazione, Sollima versifica parte del testo di Beuys, creando tre strofe delle quali le prime due sono uguali. All’inizio di ognuna di esse, ripete due volte la prima frase dello scritto di Beuys, per conferire memorabilità alla frase musicale, così come avviene nelle canzoni pop174. Inoltre sono state scelte le frasi più “piene” di significato, proprio per rendere quella caratteristica fondamentale del testo della canzone pop che è la densità: “le parole tentano di racchiudere il maggior numero di significati possibili in una frase”175. L’opera chiude con il brano d’inizio, il celebre Terra Aria. Tre violoncelli - di cui due su base registrata - creano un intreccio in cui cellule tipicamente minimaliste 174

Cfr. Gianni Sibilla, I linguaggi della musica pop, cit., p. 142

175

Ibidem.

173

fungono da accompagnamento a

frasi musicali dall’intensa

vocazione melodica.

174

*** J. Beuys Song è diventato uno dei lavori più noti di Sollima, in particolare il primo brano della suite, Terra Aria, reso celebre prima dal film The Tulse Luper Suitcases di Peter Greenway e dalla fiction di Rai Uno Il bell’Antonio, dei quali è stato scelto come parte della

175

colonna sonora, e poi dal video musicale di Lasse Gjertsen, DayDream176, nel quale Sollima è il protagonista. DayDream, diramato su YouTube, ha stabilito il record mondiale di contatti per quanto riguarda un video musicale al di fuori dell’ambito pop-rock.

176

Cfr. pp. 66 – 69.

176

T EMPESTE E R ITRATTI (2001) Brano sinfonico per orchestra da camera Brani: 1. Tempeste 2. Prospero 3. Miranda Edizione: Sonzogno, n°6216 *** Tempeste e Ritratti è uno dei brani di Sollima più fortemente ancorati alla tradizione classica: è per orchestra da camera, nasce dalla commissione della Filarmonica della Scala ed è stato eseguito in prima assoluta in uno dei più importanti templi della musica colta – il Teatro alla Scala, appunto - per il concerto di chiusura della stagione 2001, nel periodo in cui era ancora direttore Riccardo Muti. Eppure, nonostante questi elementi siano saldamente legati alla tradizione, Sollima non rinuncia a portare nel brano sinfonico i temi a lui più cari: il viaggio, le migrazioni e la Sicilia, il Mediterraneo e l’Oriente, la ricerca dei suoni e delle voci dei popoli.

177

Contemporaneo di Ellis Island, Tempeste e Ritratti, segue la stessa cifra stilistica di tipo evocativo che l’autore utilizza nell’opera-oratorio anche perché Sollima collega il tema dei migranti e dell’approdo al mare e alla tempesta - ma questa volta il musicista si lascia ispirare, invece che da un luogo e da vicende reali, dalla storia fantastica della Tempesta177 di Shakespeare. Del resto, proprio nello stesso periodo in cui gli veniva commissionato il brano, il compositore lavorava alla stesura di un’opera da camera sulla commedia del Grande Bardo, non più portata a termine. Inoltre, per la scelta dell’organico, ha tenuto conto del “contesto musicale” in cui il brano sinfonico doveva essere eseguito in prima assoluta: tra la Gran Partita di Mozart e la Sinfonia n° 104 di Haydn. Mi sono ispirato al colore così particolare che in quest’ultima hanno legni e archi. Lavoro sempre molto sul colore, riducendo archi, fiati e timpani all’essenziale, perché mi piace pensare

177

La vicenda narra di Prospero, duca di Milano il quale, spodestato dal fratello, si

rifugia con la figlia su un’isola selvaggia, dominata dal mostruoso Calibano, simbolo della forza bruta. Ma Prospero, con l’intelligenza e, soprattutto con la magia, riesce a liberare le forze buone della natura e trasforma l’isola in una sorta di Paradiso Terrestre. Quando capita il duca usurpatore sull’isola, vittima di un naufragio dovuto alla tempesta invocata dallo stesso Prospero, quest’ultimo non si vendica ma perdona il fratello.

178

all’orchestra come a una sorta di quartetto allargato. Il colore ottenibile da un grande organico sinfonico mi avrebbe portato fuori strada178. Come racconta lo stesso Sollima in un’intervista radiofonica, Tempeste e Ritratti è ispirato da una delle tante letture che il compositore ha fatto dell’opera di Shakespeare. Poco alla volta, prima della stesura, emergevano nella mia mente certi elementi, piuttosto che altri, e la lettura andava scarnificandosi col tempo, lasciando intatti solo alcuni elementi: la caratterizzazione dei personaggi - soprattutto per quanto riguarda il gioco di congiure - e il collegamento con gli indizi sudisti, in particolare l’idea di isola, perché vivo in un’isola e sono molto sensibile alle terre galleggianti179.[…] Io, del resto, ho la tendenza, o il vizio, di spingere il più a Sud possibile le informazioni che ricevo, anche da una lavoro di Shakespeare, cerco di rimuovere, tenere a bada questa componente, che invece si ripresenta puntualmente, ogni volta che scrivo qualcosa. È come se queste tracce mi perseguitassero. La Sicilia per me è una sorta di osservatorio: posso decidere una mattina di guardare a Oriente, un’altra a Occidente. La cosa che mi piace di questa terra - che è anche un aspetto estremamente violento, crudele - è questo meccanismo di ibridazione, di stratificazione di culture: accolte, metabolizzate e poi modificate del tutto. Quindi c’è una sorta di sublime confusione genetica che a me piace. È un meccanismo che oggi avviene in una città coma New York, proiettato nel futuro, 178

Giovanni Sollima, tratto dall’intervista al compositore su Radio Rai Tre, prima della

prima esecuzione assoluta di Tempeste e Ritratti, in diretta dal Teatro alla Scala, 3 Giugno 2001. 179

Ibidem.

179

mentre a Palermo tutto ciò è avvenuto nel passato, è più memoria, più macerie, ma allo stesso tempo è un meccanismo anche moderno, che mi stimola180. Proprio l’idea dell’isola e, contemporaneamente, i personaggi di Shakespeare, forniscono dunque a Sollima gli spunti stilistici e tematici che costituiranno l’idea generatrice di tutto il brano: conciliare gli echi della musica inglese, con quelli della Sicilia. Tale meccanismo di ibridazione, del resto, è tipico di quasi tutti i lavori del compositore; egli è alla ricerca di scale e intervalli di ogni popolo, per poi rielaborarli nelle sue opere: Cerco di approfondire la mia idea di etnico attraverso la conoscenza delle musiche di altre culture. La scala è un elemento che mi colpisce sempre molto, è un po’ una sorta di codice genetico di popoli, di razze, di luoghi, ancor più del canto popolare, che in fondo è una sorta di elaborazione, quindi si tratta già di una composizione a tutti gli effetti. A me interessa invece la radice, la parte selvaggia e incontrollata; la scala è in fondo la molecola della melodia, è tutto ciò che sta alla base. Possiedo ormai un archivio di materiali abbastanza corposo, ma l’interesse vero è rivolto alle scale da cui i canti spesso scaturiscono. C’è una sorta di diagramma espressivo, non solo delle scale ma anche dei parlati, una sorta di speech music che mi suggerisce un diagramma, una linea melodica. Ho raccolto questo materiale e ho disegnato una mappa in cui al posto delle città ci sono frammenti di temi popolari ed è incredibile scoprire come per centinaia di chilometri, attraversando anche zone di conflitti etnici, gli intervalli di una scala siano gli stessi. Ho scoperto dei paralleli curiosi, delle scale molto simili tra loro che abbracciavano territori sterminati, 180

Ibidem.

180

attraversando etnie diverse, religioni, guerre. […]Nella terra in cui vivo, la Sicilia, tutto ciò arriva abbastanza confuso e mescolato, ci sono delle scale estremamente ibride: è proprio qui che si può veramente trovare un condensato di culture. Sollima, per Tempeste e Ritratti, parla di “mediterraneizzazione” del materiale musicale: certe atmosfere sono frutto di un gioco sul materiale tematico, che dalla radice inglese si trasforma gradatamente. È come se le linee melodiche un po’ spigolose si smussassero col tempo fino a diventare mediterranee181. L’opera è divisa in tre tempi collegati: Tempeste, Prospero e Miranda. Sollima definisce il brano introduttivo come un pezzo ritmico, motore della tempesta182, e effettivamente, dalla partitura è evidente tale ritmicità, quasi descrittiva del fenomeno atmosferico183:

181

Ibidem.

182

Sono riportate solo le parti degli archi perché gli altri strumenti sono in pausa.

183

Tutti i seguenti esempi musicali sono riportati per gentile concessione di Casa

Musicale Sonzogno di Piero Ostali, partitura n° 6216.

181

182

Già dalle prime battute sono evidenti, da un punto di vista intervallare, rimandi all’oriente e alla musica siciliana, in particolare nella parte degli archi184 (battuta 1) - in cui Sollima utilizza la tecnica del tapping185 - e nel tema affidato ai legni (battuta 19),

in cui si può effettivamente notare il graduale effetto di “mediterraneizzazione” di cui parla il compositore, poiché, attraverso l’uso di alterazioni, il tema si avvicina sempre di più a 184

Si vedano le prime misure del primo esempio musicale citato.

185

Corde pizzicate sulla tastiera con la mano sinistra.

183

sonorità arabeggianti; in particolare si veda da battuta 28 in poi, in cui compaiono un 2° e 6° grado abbassati di un semitono:

184

Questa cellula tematica, variata nella scansione ritmica e, come visto, negli intervalli, non è l’unica a ripetersi molte volte lungo il dispiegarsi della composizione. Tali ripetizioni - parti integranti della cifra stilistica di Sollima - in cui sono evidenti i rimandi alla minimal music, compaiono più volte in questo primo movimento dell’opera, si veda ad esempio da battuta 154, in cui tale figurazione affidata ai violini

[…] si ripete fino a battuta 177, quando gli stessi violini giungono in sforzato su due note lunghe, creando un bicordo di seconda minore:

185

Il primo tempo, Tempeste, non presenta una chiusa poiché è direttamente collegato all’adagio di Prospero, movimento lento, in netta contrapposizione con il primo, che evoca un personaggio immaginato dal compositore come statico, fermo, solo in un’isola186. Mentre legni e ottoni sono in pausa e gli archi eseguono un accordo vuoto di Do, emerge il canto solista del violoncello, strumento protagonista della sezione centrale:

186

Giovanni Sollima, tratto dall’intervista al compositore su Radio Rai Tre, cit.,

Giugno 2001.

186

La staticità del movimento ispirato a Prospero, si interrompe soltanto nella parte finale, quando, così come afferma Sollima, il personaggio entra in una sorta di tempesta interiore che, paradossalmente, dovrebbe essere anche più forte di quella ambientale187. A questo scopo, dopo un lungo crescendo eseguito dall’orchestra, ritorna il tema iniziale del primo movimento (battuta 162):

187

Ibidem.

187

188

Il terzo movimento, Miranda, è basato sul tema di un’Allemanda elaborata dal virginalista Giles Farnaby, sul brano originale di Robert Johnson, compositore inglese della prima metà del Seicento, celebre per le sue canzoni scritte per il teatro Shakespeariano188. L’Allemanda è tratta dal Fitzwilliam Virginal Book, una raccolta di composizioni per virginale che include brani dello stesso Farnaby e di John Bull, William Byrd, Orlando Gibbons, datati tra il 1562 e il 1612189. 188

Cfr. New Grove Dictionary of Music, cit., ad vocem Shakespeare.

189

Cfr. DEUMM, cit., ad vocem Fitzwilliam Virginal Book.

189

Anche in questo caso evidente è in partitura l’ibridazione di cui parla Sollima: il materiale tematico inglese viene trasfigurato dalla scrittura del compositore, che ne “mediterraneizza” gli intervalli. Si veda, al riguardo, il tema dell’Allemanda, che all’inizio del movimento, viene eseguito dall’oboe con il 2°, il 6° e il 7° grado abbassati di un semitono rispetto all’originale:

Il tema di Farnaby viene poi ripreso nei suoi intervalli originali a battuta 45 dai primi violini,

190

e la variazione, questa volta, non coinvolge il rapporto intervallare tra le note della melodia, ma si esplica in una differente armonizzazione: si può osservare in partitura che il brano si sviluppa attraverso una serie di progressioni ascendenti che non risolvono mai

191

192

Tale meccanismo, come afferma lo stesso Sollima, è usato per evocare la metamorfosi del personaggio: Miranda è vittima e artefice di un gioco, una sorta di centrifuga lenta, in cui il tema principale entra nel gioco delle armonie. La progressione è usata proprio per evocare la metamorfosi, il cambiamento di Miranda, che, come Prospero, entra in una sorta di tempesta interiore190. *** Curioso è osservare come nelle cronache, in particolare sulla stampa nazionale, all’indomani della prima assoluta alla Scala, molti giornalisti si siano soffermati sulla reazione del pubblico, in particolare nel mettere in luce il divario tra aspettative e reazioni effettive: in molti articoli, infatti, si è posto l’accento sulla questione del rapporto - quanto meno di diffidenza - tra pubblico e musica contemporanea, diffidenza ben presto abbandonata in seguito all’ascolto del brano. Tra gli altri hanno scritto: C’è musica contemporanea e musica contemporanea. Quella comprensibile ai comuni mortali. E quella che richiede tre teste – possibilmente di quelle fini - per essere capita. Il pubblico normale di solito tiene duro i primi cinque minuti – per curiosità o per educazione? – e poi inizia a volgere lo 190

Giovanni Sollima, tratto dall’intervista al compositore su Radio Rai Tre, cit.,

Giugno 2001.

193

sguardo altrove, a sfogliare il programma di sala, insomma, a ammazzare il tempo. Ed è in genere questa l’immagine che si ha della musica contemporanea. Ecco perché un titolo classe 2001 poteva alimentare il canonico quesito: riuscirò a resistere? Eccome se ha resistito il pubblico a Tempeste e Ritratti! […]191

Giovanni Sollima – e i critici musicali fanno di tutto per evidenziarlo – nonostante sia un compositore di formazione “classica”, piace al pubblico, che è conquistato dal suo minimalismo di declinazione mediterranea, in cui ritmi ossessivi di derivazione asiatica e est-europea dell’inizio, cedono il passo a momenti melodici e cantabili, e poi, ancora a cellule tematiche cinqueseicentesche che vengono trasfigurate dall’orientalismo. A tal riguardo anche il M° Riccardo Muti, in un’intervista televisiva192, pone l’accento sulla scrittura musicale di Sollima, nella quale convivono tradizione accademica e facilità d’ascolto: In questi anni noi193 abbiamo commissionato molti lavori a musicisti contemporanei e ci siamo sempre preoccupati di rivolgerci a musicisti dai linguaggi diversi. Quindi non siamo settari né fondamentalisti in un senso o nell’altro. 191

Piera Anna Franino, Incanta la musica nuova di Sollima, «Il Giornale», 5 Giugno 2001.

192

Si tratta della trasmissione televisiva andata in onda su Rete 4, in occasione della

Prima al Teatro alla Scala di Tempeste e Ritratti. 193

Si riferisce alla Filarmonica della Scala.

194

Sollima è oggi un musicista molto apprezzato, non solo in Italia, ma soprattutto all’estero. È uno straordinario violoncellista, è uno che conosce molto bene la musica, e lo si sente appunto dalla scrittura. L’orchestra e i musicisti l’hanno molto amato, tanto è vero che alla fine hanno applaudito molto il compositore e anche il pubblico credo sia stato molto trascinato da questo pezzo, proprio per questa grande comunicativa che la musica di Sollima ha. Pezzo di grande fattura e di grande difficoltà, poi non so se ad alcuni questa comunicazione immediata della sua musica possa sembrare un difetto o un pregio, certamente è un pezzo di musica scritto molto bene che noi abbiamo amato eseguire e che probabilmente eseguiremo anche in qualche tournée perché è importante far conoscere musicisti italiani di oggi.

195

E LLIS I SLAND (2002)

Opera in due atti per voci, electric midi, violoncello solo, sax tenore, percussioni, sintetizzatore, archi e base registrata Testi: Libretto originale di Roberto Alajmo con poesie di William Carlos Williams e Bengin Aksu Personaggi: Felicita, voce femminile pop/rock; il Funzionario, tenore; il Medico, tenore; Alesi, tenore; John Martin, baritono. Coro: uomini, donne, ragazzi Edizione: Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali. Altre versioni: Beri – trascrizione per orchestra dell’omonima aria del secondo atto Edizione: Casa Musicale Sonzogno Beri – trascrizione per voce e pianoforte dell’omonima aria del secondo atto Edizione: Casa Musicale Sonzogno

196

Beri – trascrizione per pianoforte dell’omonima aria del secondo atto Edizione: Casa Musicale Sonzogno, n°3208 Mi chiamo Sapegno Felicita – trascrizione per voce femminile e pianoforte dell’omonima aria del primo atto Edizione: Casa Musicale Sonzogno, n°3209 They changed my name – trascrizione per orchestra sola dell’omonima aria Edizione: Casa Musicale Sonzogno The waves – trascrizione per voce femminile e pianoforte dell’omonima aria del primo atto Edizione: Casa Musicale Sonzogno, n°3210

*** Il viaggio e le voci del mondo sono due temi con i quali Giovanni Sollima si confronta in vario modo nelle sue composizioni: è il caso, ad esempio, di brani quali Aquilarco, Hell, Viaggio in Italia, I Canti. Queste partiture costituiscono le tappe di un percorso che culmina nell’opera Ellis Island, lavoro in cui l’idea del viaggio assume la

197

dimensione epica e corale della diaspora e dell’esodo immenso di popoli, e dove risuonano le mille diverse voci e lingue di coloro che approdavano sulle sponde dell’America all’inizio del secolo scorso e quelle degli immigrati clandestini che ancora oggi sbarcano sui confini del vecchio continente. Proprio l’idea di un lavoro sulle lingue e sulla rielaborazione delle voci, alla ricerca di linee melodiche all’interno di esse, è il nucleo iniziale di questo progetto, nato nel 1997, quando Sollima soggiornava a New York e si lasciò affascinare dalla storia di Ellis Island, l’anticamera per l’America, il transito obbligato per chi arrivava dall’Europa in cerca di una nuova vita. Da allora Sollima iniziò a raccogliere materiale fatto di appelli con liste di nomi, di racconti, di aneddoti, di voci conservate in archivi audio, in definitiva di schegge di memoria che abbracciavano un lungo arco di tempo, dalla fine dell’Ottocento fino ai primi trent’anni del Novecento. Da questo materiale il giornalista Roberto Alajmo, con la supervisione dello stesso Sollima, ha tratto un libretto multilingue, assemblando anche un testo di un’emigrata anonima inciso sulle pareti interne della Statua della Libertà, la poesia del 1913 Sicilian emigrant’s Song del poeta William Carlos Williams, i versi dell’immigrata curda Bengin Aksu, la lingua sporca di Tommaso Bordonaro194 e gli spezzoni delle voci di alcuni emigranti siciliani, 194

Roberto Alaimo, nel libretto dell’opera, cita brani tratti da La Spartenza di

Tommaso Bordonaro, a cura di Santo Lombardo, Torino, Einaudi.

198

conservate in un archivio sonoro californiano, che raccoglie testimonianze sull’emigrazione. Come racconta lo stesso Sollima195, il suo scopo, con questo lavoro, è evocare quei venticinque milioni di emigranti passati per Ellis Island, attraverso una drammaturgia fatta di “numeri chiusi”, rinunciando però ad ogni altro rapporto con l’opera lirica tradizionale, avvicinandosi, pur se nell’assenza totale di una trama, all’oratorio. La composizione assume quasi i tratti di un finto reportage musicale, è un grande affresco corale dal quale emergono, senza mai interagire, le voci e i destini emblematici dei personaggi: Felicita, Alesi e John Martin, ai quali si sovrappone il canto più duro del Medico e quello del Funzionario. Essi non raccontano storie individuali, ma danno voce a milioni di persone; apparenti protagonisti, hanno in realtà funzione di coro: Felicita Sapegno è tutti i Sapegno, Spegni e Sapagno passati da Ellis Island196. ***

Nell’immaginario collettivo Ellis Island rappresenta la Porta d’Oro, l’isola ai confini della Terra Promessa. In questa sottile striscia di 195

Giovanni Sollima in Intorno a Ellis Island: una conversazione con Giovanni Sollima, a

cura di Dario Olivieri, curatore del libretto dell’opera, Edizioni del Teatro Massimo di Palermo, Ottobre 2002, p. 35. 196

Ibidem, p. 35.

199

terra posta di fronte ai grattacieli di Manhattan, a breve distanza dalla Statua della Libertà, veniva fondata nel 1892 una stazione della Federal Bureau of Immigration, destinata a trasformarsi, nel giro di pochi anni, in un luogo emblematico della storia americana del XX secolo. La stazione di Ellis Island è stata, di volta in volta, dogana, centro di smistamento e casa di prima accoglienza, ospedale, asilo nido, camera mortuaria, e tanto altro ancora. A volte descritta come soglia dorata, porta d’accesso alla libertà, approdo delle speranze, altre come anticipazione, più che del sogno, dell’incubo americano, ossia quale inizio di una vita fatta di stenti, di abusi e di marginalità. Ellis Island è stata, di là delle più disparate interpretazioni, un luogo di burocrazia, di esami fisici e psichici spesso scioccanti, di interrogatori, di lunghe e snervanti attese. La moltitudine di gente che transitava per quegli edifici ha lasciato dietro di sé un immenso patrimonio di testimonianze, immagini, lettere, e graffiti, oggi in parte raccolti nel museo dislocato nel Main Building a Ellis Island, che custodisce centinaia di fotografie, circa duemila testimonianze orali e innumerevoli oggetti d’epoca. Proprio attingendo a questo repertorio di memorie, anche attraverso la costante consultazione di internet, Giovanni Sollima, senza vincoli di natura filologica, ha dato vita al primo nucleo dell’opera. Non voglio raccontare le motivazioni che hanno spinto questi uomini ad abbandonare la loro terra d’origine, quanto

200

evocare le emozioni ed il sentire degli emigranti nel recidere il cordone ombelicale con la loro terra d’origine197. Ellis Island è in definitiva un luogo-limbo in cui si giunge dopo un viaggio spaventoso e irrevocabile, in cui prevale la dimensione dell’interrogativo poliziesco e si perde il senso dell’individualità. La città illuminata, i grattacieli, sono tutti vicinissimi e, allo stesso tempo, infinitamente lontani. Si vive nella speranza di un sì e nel terrore di un no, si attende, inermi ed impotenti, un segno del destino. Appena arrivati sull’isola, infatti, gli immigrati venivano numerati come bestiame - mediante targhette poste sulle loro vesti e poi indirizzati alla Sala di Registrazione, dove affrontavano ispettori che li interrogavano, e dottori che li esaminavano, cercando i sintomi di innumerevoli malattie. Tutti questi aspetti ricorrono ossessivamente nel testo di Alajmo: la malattie, il terrore della selezione, gli appelli senza fine e, soprattutto, le incessanti domande del questionario. *** L’opera Ellis Island prevede cinque solisti, una voce femminile rockpop, tre tenori ed un baritono. La voce femminile, nel primo atto, interpreta il personaggio di Felicita Sapegno, una giovane immigrata, un viso qualunque fra gli 197

Ibidem, p. 36.

201

altri visi, che racconta del terribile viaggio affrontato, trascorso tragicamente: Mi chiamo Sapegno Felicita Anni ventisei Un viaggio lungo dieci giorni. Forse un mese forse due. Mare, mare sempre mare. Ho perso mia madre, ho perso mio padre. Prigioniera io di loro, prigioniera io…[…]

Confusione, umidità, tonfi di corpi gettati in mare. Buio, confusione umidità. Puzza di corpi, sudore di nave. Risse, bagagli, fame, muffa, pane gommoso, panni stesi vomito, bambini, pianti, odori, urla, sangue. […]198

Di questo brano esiste anche una trascrizione per canto e pianoforte. Alla fine del primo atto, questa volta anche in inglese, la stessa Felicita, descrive il dolore che prova nel recidere il legame con il suo 198

Tratto dal libretto dell’opera, a cura di Dario Olivieri, cit, p. 68.

202

passato, nel rinunciare al suo nome, “come figlia di nessuno. Nuova donna senza storia… Denied the songs, the smells, the colours, the earth”199. Nel secondo atto, il personaggio di Felicita smarrisce i suoi contorni storici e la sua voce si trasforma in quella di un’Immigrata senza nome, che, con estrema nostalgia, parla della bellezza della sua terra d’origine, un paradiso ormai perduto per sempre. Di questo brano, intitolato Beri, vi sono differenti versioni, una per pianoforte solo, una per orchestra e una per voce femminile e pianoforte. Un altro immigrato è Alesi, uno dei tenori, il quale recita per molte volte lo stesso testo: Non tossire. Non starnutire. Non fissare nel vuoto. Non tenere gli occhi chiusi. Non grattarsi. Non fissare nel vuoto. Non sorridere. […] Controllare il respiro”200.

199

Negando le canzoni, gli odori, i colori, la terra.

200

Tratto dal libretto dell’opera, a cura di Dario Olivieri, cit., p. 72.

203

Il baritono interpreta John Martin, un personaggio realmente esistito; immigrato di origine italiana - Giovanni Martino è il suo vero nome - è stato prima garibaldino, poi immigrato, poi, ancora, trombettiere nel settimo Cavalleggeri del generale Custer e unico sopravvissuto alla tragica battaglia di Little Big Horn. Egli parla delle sue avventure e poi del suo destino di uomo qualunque coinvolto, suo malgrado, nei disegni della storia: Ventisei Giugno 1876. Il generale sceglie me. Mezzogiorno nel Montana. Little Big Horn. Ventisei Giugno settantasei. Tornare indietro, servono rinforzi. Mezzogiorno nel Montana. Little Big Horn. Bivio della mia vita. Battaglia persa. Sopravvissuto. Cavallo Pazzo. Da seppellire soltanto corpi. Niente medaglie o trombe. […] Donne, bambini, cavalli e vacchi.

204

Troppo tardi: tutto finito. Duecentododici corpi Senza capelli. Duecentododici corpi Rossi d’orgoglio, rossi di sangue. […] Moglie irlandese, figli italiani, soldato in pensione, bigliettaio. Morto a settant’anni: broncopolmonite Niente frecce, niente bombe. Niente eroi o medaglie201.

I personaggi del Medico e del Funzionario, entrambi tenori, sono le incarnazioni senza tempo dell’apparato burocratico di Ellis Island e scandiscono liberamente e ossessivamente – come in una sorta di rap, in inglese e poi in italiano – il testo delle ventinove semplici domande in cui si articolava il questionario per l’accesso al territorio americano: Cognome? Nome? Età? Provenienza? 201

Ibidem, p. 77.

205

Destinazione? Religione? Stato civile? Parenti in america? Quanto denaro possiede? Come se l’è procurato? Chi ha pagato la sua traversata? Qualcuno può farle da garante? Mestiere? Ha già un contratto di lavoro in America? Si impegna a non vivere della pubblica carità? Anarchico? Poligamo? È mai stato in carcere? Intende rovesciare il governo con la forza? Intende uccidere il Presidente?202

Come si può evincere dai passi del libretto citati, è evidente che Alajmo fa un uso della lingua in cui emerge quella che Hebdige203 chiama “densità referenziale”, tipica dei testi verbali delle canzoni pop: nel breve spazio di una strofa si devono condensare più significati possibili. In contrapposizione alla “coerenza narrativa”204

202

Ibidem, p. 67.

203

Cfr. Dick Hebdige, La lambretta e il videoclip, EDT, Torino, 1991, cap. 7.2.

204

Ibidem.

206

tradizionale, infatti, il testo del giornalista, con una scrittura scarna ma incisiva, racchiude sinteticamente storie e emozioni. Ai cinque solisti si affiancano due cori – uno di adulti e uno di ragazzi dagli otto ai diciott’anni –, gli attori e

l’orchestra.

Quest’ultima è composta da una sorta di concertino “elettrico” - con due tastiere elettroniche con campionatore digitale, due chitarre elettriche, un violoncello-midi e un cd-player - in contrapposizione ai tutti tipici di una normale orchestra sinfonica, costituita da ottavino, due flauti, due oboi, due clarinetti, sassofono tenore e due fagotti; due corni, due trombe, due tromboni e bassotuba, un pianoforte, percussioni e archi. *** Ellis Island è un lavoro antinarrativo, evocativo e corale, è un’opera intesa non nella connotazione tipicamente italiana di melodramma, quanto piuttosto nel senso di opera come lo sono i lavori teatrali di Steve Reich, di Philip Glass, di Robert Ashley, le azioni Fluxus. Come lo stesso Sollima afferma, Ellis Island si colloca in una “zona bianca”, neutra, riceve input dal musical, dall’album di canzoni, dall’oratorio, dal melodramma, dalla cantata barocca…205.

205

Giovanni Sollima in Intorno a Ellis Island: una conversazione con Giovanni Sollima, cit.,

p. 34.

207

È una composizione che tende a rifiutare le forme della drammaturgia classica, non ci sono gli ingredienti dell’opera tradizionale: manca un antefatto, non ci sono colpi di scena, non c’è climax, nessuna consecutio: la forma di Ellis Island deriva dal sovrapporsi di storie e voci individuali che non s’incontrano e non dialogano mai, ma che coralmente evocano e danno voce a milioni di persone. Dalle pagine musicali di Sollima si evince un’estrema libertà estetica: un uso costante della ripetizione, come criterio compositivo fondamentale, si innesta a volte su di un’intensa vocazione melodica. Già dalle prime battute, infatti, sono evidenti gli echi del rigore della minimal music, quando il pianoforte esegue un modulo ripetitivo con una lieve variazione negli accenti e nell’armonia (poiché procede in progressione discendente) - sul quale si dispiega il canto su una sola nota - di un’immigrata206:

206

Tutti i seguenti esempi musicali sono riportati per gentile concessione di Casa

Musicale Sonzogno di Piero Ostali. Il primo esempio è tratto dalla trascrizione del brano The waves, per canto e pianoforte, n° 3210.

208

209

Segue un duetto tra il Medico e il Funzionario i quali, in una sorta di declamato ritmico, introducono le “diciannove semplici domande del questionario”, testo che ricorrerà ossessivamente per tutto il primo atto:

210

Poi, su una melodia discendente eseguita dagli archi, si ascolta una voce campionata che declama una serie di nomi, luoghi e date di nascita di persone passate per Ellis Island. A questo punto la stessa voce femminile del Prologo intona la “canzone di sortita” del personaggio principale femminile, Felicita Sapegno e, a differenza della partitura iniziale che, come visto, rimanda con evidenza al minimalismo americano, questa pagina è

211

assimilabile in tutto e per tutta a una canzone pop207: l’accompagnamento è eseguito dalla chitarra elettrica,

la struttura del brano è costituita da un’alternanza tipica di strofe e ritornello e, del resto, il canto è affidato ad una voce femminile pop – rock.

207

È lo stesso Sollima ad affermare che tutta l’opera trae spunto da elementi

differenti, tra i quali, appunto, le canzoni pop. Cfr. p. 207, quando dice che Ellis Island “riceve input” anche dall’album di canzoni.

212

Nell’opera si alternano voci campionate che leggono testi – reportage, il coro che “racconta semplicemente quel che accade e dà voce al dolore di un distacco che si vorrebbe differire fino all’ultimo istante”208, e, ancora, si declamano liste di nomi, alcuni celebri, altri sconosciuti, passati per il Main Building, il grande edificio di mattoni rossi che domina ancora oggi il paesaggio di Ellis Island. A metà del primo atto il coro, accompagnato da figurazioni ripetitive in crome affidate al pianoforte, esegue un canone a quattro 208

Dario Olivieri, Per una guida all’ascolto di Ellis Island, in Intorno a Ellis Island: una

conversazione con Giovanni Sollima, cit. p. 21.

213

parti basato su una sola nota, in cui si frammenta il racconto di un uomo marchiato con una “x”, che nel codice di Ellis Island corrisponde a una diagnosi di malattia mentale. Sono evidenti, ancora una volta, i rimandi al minimalismo americano:

214

Dal piano documentaristico si passa alternativamente al racconto biografico, quando in un pezzo dalla vocalità mista, Felicita e Alesi (uno dei due tenori) cantano in duetto su testi rispettivamente in inglese e in italiano, o quando John Martin, accompagnato dall’orchestra, intona un brano il cui stile è assimilabile ad una romanza tipica del teatro d’opera tradizionale209:

209

L’esempio musicale è tratto dalla versione per canto e pianoforte.

215

In questa sorta di collage, costituito da canzoni pop, pezzi strumentali, voci registrate, brani operistici, trovano spazio anche due remix in cui si possono ascoltare le vere voci dei testimoni che sono realmente passati per Ellis Island: quella di un certo Francisco Sanfilippo, che nel 1930 incise una canzone d’amore poi raccolta, frammentata e ricomposta al computer da Sollima, o, ancora, la voce di un’anziana donna, emigrata a suo tempo in America e perseguitata per la sua parentela con Galeazzo Ciano. Come per altri lavori del compositore,210 anche in Ellis Island Sollima non rinuncia a dedicare una parte solistica al suo strumento d’elezione, il violoncello. Quest’ultimo ricorre non solo nel momento compositivo-creativo, ma anche in quello esecutivo: alla fine del primo atto c’è l’entrata in scena del violoncello-midi che esegue un assolo lirico con due cadenze improvvisate. Un altro brano che rappresenta al meglio la cifra stilistica dell’ibridazione è la canzone che chiude il primo atto, eseguita dalla protagonista femminile, They changed my name. Pur avendo le caratteristiche di una canzone pop, sia per quanto riguarda la vocalità che la struttura del brano, si può notare che, nel trattamento degli archi – i quali fungono da accompagnamento - vi è un evidente rimando al minimalismo di Michael Nyman211:

210

Cfr. in Tempeste e Ritratti p. 186.

211

L’esempio musicale è la versione per canto e piano.

216

L’inizio del secondo atto si ricollega simmetricamente al primo con la ripresa del Prologo, e si assiste a una repentina transizione di tempi e luoghi: dall’America del primo Novecento, si passa al dramma contemporaneo dei clandestini che sbarcano sulla nostre coste. Il

217

personaggio femminile diventa quello di un’immigrata senza nome, che in lingua curda canta le bellezza della propria terra perduta; l’opera chiude con un episodio che richiama il Questionario del primo atto, in cui risuonano le ossessive domande che ancora oggi vengono poste a coloro che intendono accedere negli Stati Uniti.

***

Commissionata dal Teatro Massimo di Palermo, Ellis Island è andata in scena in prima assoluta nell’Ottobre del 2002 e, sia per l’organico utilizzato, sia per l’“irruzione” di una stella del pop tra i protagonisti, ha rappresentato sicuramente un momento inusuale rispetto agli schemi del teatro d’opera tradizionale. Giovanni Sollima ha infatti voluto come protagonista, per quell’allestimento, - per adesso ancora non replicato - la cantante pop Elisa, in quel periodo al culmine della popolarità, poiché reduce dalla vittoria al Festival di Sanremo, avvenuta l’anno appena precedente. Ciò ha causato al compositore velate critiche di opportunismo, poiché si sosteneva che quella scelta fosse dovuta allo scopo di un miglior lancio mediatico del suo lavoro. Sollima, piuttosto noncurante rispetto a questa questione, pone invece l’accento sull’importanza che l’opera

218

ha per lui da un punto di vista morale212. Egli non rinuncia nei suoi lavori all’impegno e a temi che gli stanno a cuore: punto nodale dell’opera è infatti, il paragonare la dolorosa esperienza dei nostri antenati di un secolo fa, a quella degli immigrati di oggi che sbarcano sulle nostre coste: uomini di razze, religioni, culture ed epoche diverse che si trovano a vivere le medesime esperienze. Ellis Island si configura come un ingranaggio emotivo che mira a scuotere le coscienze, induce alla partecipazione commossa per creare empatia con le moltitudini dei migranti: dalle Felicite e dai John Martin, ai curdi e ai cingalesi di oggi. Laddove la cronaca perde la sua efficacia, è ancora una volta la poesia a intervenire213.

212

Giovanni Sollima in Intorno a Ellis Island: una conversazione con Giovanni Sollima, cit.,

p. 36. 213

Ibidem.

219

S ONGS FROM THE D IVINE C OMEDY (2004) Opera da camera per voci soliste, voce recitante e ensemble elettroacustico. Testi tratti da: Divina Commedia di Dante Alighieri Divine Comedy, versione inglese della Divina Commedia di Dante Alighieri di Henry Waldworth Longfellow La profezia di Dante di George Gordon Byron, tradotta da Lorenzo Da Ponte. Edizione: Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali *** Songs from the Divine Comedy è un work in progress scritto nel 2004 su commissione de Il violino e la Selce, il festival diretto da Franco Battiato e rappresenta il punto d’arrivo di un viaggio nel capolavoro dantesco che Sollima ha intrapreso quattro anni prima con Hell, Inferno - commissionatogli nel ’99 dal Festival di Palermo sul Novecento alla quale si uniscono le altre due cantiche della Commedia: Purgatorio e Paradiso.

220

Hell nasce da un progetto sulla poesia, sulla parola, sulla speech music iniziato in precedenza con Aquilarco214 e portato avanti con I Canti215. Questi lavori sono basati sulla ricerca delle linee melodiche all’interno delle lingue e delle voci raccolte da Sollima. L’idea di mettere in musica il poema dantesco affonda le sue origini nel periodo di perfezionamento trascorso dal compositore nella Grande Mela, come egli stesso racconta: Ho incontrato Dante a New York216, un incontro folgorante per il compositore. Si trovava in questa città, quando gli veniva commissionata un’opera per l’edizione ‘99 del Festival di Palermo sul Novecento. Una sera a New York avevo in programma di recarmi al Jackie ‘60, un locale di Manhattan dove si fa musica di tutti i generi: è un ex mattatoio, che si sviluppa in profondità, a differenza dei grattacieli che svettano verso l’alto. Si scende, si scende sempre verso le viscere della terra, quasi i gironi dell’Inferno dantesco217. Un imbuto nero in cui, man mano che si scende si è colpiti da musica di ogni tipo: una sorta di bolgia infernale da terzo millennio, torre di Babele dove ritmi si mescolano a voci che suonano anche come lamenti, grida e digrignar di denti. Mi dissi: questo è un girone di fine millennio.

214

Cfr. p. 129 – 137.

215

Cfr. p. 138 – 142.

216

Maria Lombardo, Io Dante e New York, «La Sicilia», 20 Gennaio 2000.

217

Ibidem.

221

Uscito dal locale avevo trovato il titolo della mia nuova composizione: Hell, Inferno218. Il compositore voleva comprendere come la Commedia “suonasse” nella lingua inglese: che tipo di lavoro è stato fatto nelle tradizioni su ritmo, metro e velocità219. Dopo un periodo di ricerca, Sollima trovò una traduzione inglese pubblicata dalla Penguin negli anni Quaranta, la cui lingua oscilla tra l’inglese letterario arcaico di Shakespeare e quello di Joyce e di Eliot, con un ritmo secco e contratto, pur nel rispetto maniacale dell’endecasillabo dantesco220: è la versione di Henry Waldworth Longfellow, intellettuale che fondò a Boston, nel secondo Ottocento, il Circolo Dante, proprio per tradurre e divulgare nell’America del tempo la Divina Commedia. Da Hell poi deriva il progetto di Songs from the Divine Comedy, una suite con dei collegamenti che possono formare un unico disegno, spesso rimaneggiato da Sollima, attraverso limature continue. È un work in progress che sfrutta tutte le possibilità dell’endecasillabo dantesco: ho scoperto, facendo questo lavoro sul ritmo, che si potrebbero sostituire le terzine che ho scelto io con altre, e la musica calzerebbe ugualmente

218

Ibidem.

219

Ibidem.

220

Ibidem.

222

a perfezione221. Ciò dà la possibilità al compositore di prevedere un canovaccio dalla struttura modulare, facilmente modificabile. Mi piace l’idea della malleabilità della musica, la sua capacità di contenere testi intercambiabili, mi piace questo margine di libertà222. Songs From the Divine Comedy è composto da dodici brani di cui tre strumentali e nove cantati. In questi ultimi ci sono varie combinazioni: la versione italiana, quella inglese o entrambe, e tutte sono affidate agli stessi musicisti della band, per l’esplicita scelta di Sollima di sfruttare le possibilità espressive di voci non educate. Proprio perché a cantare sono gli stessi musicisti, viene accentuato l’effetto di straniamento fra parole e musica, reso già del tutto singolare dalla scelta di alcune versioni in inglese di Dante. Oltre a Hell, che comprende sei brani, tre sono tratti dal Purgatorio, tre dal Paradiso e vi sono passi tratti dalla Profezia di Dante di Byron nella traduzione di Lorenzo Da Ponte, fatta negli anni in cui il geniale librettista mozartiano risiedeva a New York e guardava con nostalgia alla patria. Per Sollima The Prophecy of Dante di Byron rappresenta l’elemento politico della sua opera, poiché il poeta inglese dedicò alcuni dei suoi canti ai palermitani, per incitarli a staccarsi dal Regno di Napoli. Questo è il testo che legge la voce recitante: 221

Sergio Garbato, La Divina Commedia secondo Sollima, «Il Resto del Carlino», 22

Marzo 2005. 222

Ibidem.

223

Ho presso di me la traduzione in italiano di un italiano in America, stampata a New York, de La Profezia di Dante: la singolare circostanza di un inglese che compone un poema con Dante come personaggio, in Italia e sull’Italia, e di un italiano che la traduce in America… cosa che in Italia non osano fare: … “Supponga il lettore che Dante si indirizzi a lui nel tempo che passò tra il compimento della Divina Commedia e la morte di lui, e presagisca, poco innanzi quest’ultimo evento, le vicende dell’Italia nelle età successive. Con tutto questo, io, lontano da più di quarante anni dalla mia Patria, arrivato al settantesimo terzo di una vita ognor travagliata e poco felice, e fatto l’abitante d’America, dove da pochi si parla e si legge la lingua d’Italia, non ho potuto resistere alla tentazione di tradurre la vostra Profezia di Dante e qualunque sia questa traduzione, di pubblicarla”. Rapporto del regio Commissario di Volterra al Presidente del Buon Governo di Firenze, 9 Febbraio 1822: “Illustrissimo, alcuni esemplari della Profezia di Dante, lavoro poetico di Lord Byron, sono venuti in questa città. L’opera non è sicuramente scritta nello spirito del nostro Governo, né di alcuno Governo d’Italia. Mi sembra anzi detta per aumentare le agitazioni dei popoli abbastanza, forse, agitati. Lord Byron introduce Dante a vaticinare l’intendenza e la democrazia per l’Italia, come i veri beni per questo paese. La disseminazione di queste cattive

224

opere è tanto più dannosa quanto mendotti son coloro per le cui mani van circolando”223.

Nell’opera si ascoltano, dunque, commistioni e ibridazioni, questa volta non solo stilistico-musicali – come è d’abitudine nelle pagine di Sollima – ma anche tra lingue, testi e autori citati, che si avvicendano in un continuo gioco di specchi. I versi di Dante in lingua inglese assumono un ritmo concitato: la Commedia è totalmente musicale, è un’avventura incredibile. Soprattutto lavoro sulle lingue. Non è un’operazione così blasfema come può sembrare. In fondo noi recitiamo Shakespeare in italiano. Dante in inglese ha tutto un altro approccio, è atemporale così come lo è La Commedia224. Non c’è nessuna ricerca filologica, non potevo e non volevo fare musica che richiamasse a livello temporale l’epoca dantesca. Ritrarre Dante e il suo mondo non credo possa essere l’obiettivo di un musicista contemporaneo. Il mio è un viaggio emozionale. In alcuni momenti il ritmo che nasce dalla combinazione di rime e suono è serrato, quasi vorticoso225. ***

223

Da Songs from the Divine Comedy.

224

Maria Lombardo, L’Inferno che musica! Dante così moderno, «La Sicilia», 30 Dicembre,

1999. 225

Ibidem.

225

Hell, primo nucleo della composizione, è caratterizzato da un’alternanza di alcuni momenti dalla esasperata furia ritmica e di altri lenti e statici. I frammenti scelti per Hell sono presi dai Canti III, XVIII, XXV, e XXXIV dell’Inferno, ossia sono i passi in cui il Divino Poeta, dopo essersi addentrato nella “selva oscura” ed aver cominciato con Virgilio la discesa nell’imbuto infernale, descrive quel che si trova intorno a lui, suoni orridi, lamenti, grida226: Here sighs and lamentations and loud cries Were echoing across the starless air, so that, as soon as I set out, I wept. Strange utterances, horrible pronouncements, accents of anger, words of suffering, and voices shrill and faint, and beatine hands. All went to make a tumult that will whirl Forever through that turbid, timeless air, like sand that eddies when a whirlwind swirls. And now, across the turbid waves, there passed 226

Si tratta del testo utilizzato nel brano Hell II e posto in esergo sulla partitura dello

stesso brano, p.4. (Per gentile concessione di Casa Musicale Sonzogno). Si tratta della traduzione di Henry Waldworth Longfellow (1807 – 1882) di parte del Canto III dell’Inferno (Quivi sospir, pianti e alti guai…) e del Canto XVIII (Le ripe eran grommate d’una muffa…).

226

a reboantic fracas – horrid sound, enough to make bothof the shorelines quake. And exhalations, rising from below, stuck to the blanks, encrusting them with mold, and so waged war against both eyes and nose. And while my eyes searched that abysmal sight, I saw one with a head so smeared with shit, one could not see if he were lay or cleric.

L’opera inizia con un cupo assolo di violoncello in Mi minore, il cui disegno, privato della sensibile (poiché il settimo grado non è alterato) assume una particolare carattere lamentevole227, dalla vaga eco orientaleggiante:

227

Tutti i seguenti esempi musicali sono riportati per gentile concessione di Casa

Musicale Sonzogno di Piero Ostali.

227

Al violoncello, protagonista di tutto il primo brano, subentrano, in Hell II, gli altri strumenti – viola e violino, secondo violoncello, chitarra elettrica, flauto, tastiere e percussioni – in cui viene evocato il quadro dell’abisso infernale: si ascoltano esasperazioni sonore228

228

I seguenti esempi sono tratti da Hell II, Casa Musicale Sonzogno, pp. 8 e 9.

228

e interventi vocali che smembrano le parole229,

il tutto accompagnato a una fisicità prorompente, parte integrante della performance. Da suoni stridenti, dissonanze, rimbombi, iterazioni date dalla scansione sillabata dei versi che popolano l’incubo angoscioso di 229

I seguenti esempi sono tratti da Hell II, cit., p. 11 e 12.

229

Hell, i cui canti sono letti in chiave rap, hip hop, creando un’insolita commistione di elettronica e musica da camera, in Purgatorio e Paradiso la musica cambia radicalmente: c’è un progressivo dilatare del tempo e del colore; si passa a sonorità rarefatte, a volte dolcissime, una volta che, dissolto l’impeto furioso, l’esile suono della chitarra elettrica, cui si associano gli altri strumenti, crea un’atmosfera pacata. Ad esempio in Thousand Jubilant Angels, il cui testo è un frammento del XXXI Canto del Paradiso, dove in un’atmosfera

rarefatta,

la

chitarra

elettrica

e

le

tastiere

accompagnano Sollima che canta di “angeli festanti, ciascun distinto di fulgore e d’arte”230:

230

Sono musicati i seguenti versi del XXXI Canto del Paradiso, sia nella versione

originale dantesca, che in quella tradotta da Henry Waldworth Longfellow: e a quel mezzo, con le penne sparte,/vid’io più di mille angeli festanti,/ciascun distinto di fulgore e d’arte; and at that centre, with their wings expanded,/more than a thousand jubilant Angels saw I,/each differing in effulgence and in Kind.

230

Questa coda è stata aggiunta in seguito al nucleo originario di Hell: si tratta della dedica del compositore al padre Eliodoro, scomparso proprio in quel periodo. Proprio da questo dualismo deriva un effetto di straniamento, appunto ottenuto dal repentino passaggio da ritmi duri dal sapore rock – attraverso atmosfere e psichedeliche e underground – a momenti lirici e melodici, che richiamano antiche liturgie orientali. Sollima racconta di aver costruito la partitura lavorando sulla versione inglese del testo, cercando di individuare un diagramma di base, suggerito dal suono delle parole: una sorta di linea melodica primitiva, attraverso un approccio emotivo, non intellettuale e neanche filologico. Non mi sono posto problemi di carattere storico, ma ho cercato di metabolizzare

231

qualcosa di patologico, … Sono sempre curioso e attento nei confronti dei deragliamenti stilistici231. La performance del lavoro è, infatti, arricchita - in un’ottica tutta sinestetica - da un progetto visivo che funge da coreografia fortemente antinarrativa: Sollima gestisce le immagini, che scorrono su uno schermo, “suonandole”. Per questo lavoro ha creato un software con cui ha campionato immagini e sequenze di fotogrammi e li ha assegnati ai tasti del piano elettrico attraverso il quale, in tempo reale, comanda le immagini che vengono rimandate su un grande schermo, con le stesse dinamiche utilizzate per le note: può dilatare le figure con il pedale e, con la percussione dei tasti in modo più o meno forte, creare di volta in volta dissolvenze o sfumature. Secondo il compositore, la Commedia è un’opera atemporale232, poiché si stacca da quel tempo lontano per proiettarsi nella nostra attualità: essa ha una forza, ha una dimensione vitale così vasta da andare ben oltre l’epoca in cui è stata concepita233. ***

231

Gigi Razete (2005), La mia musica ha seguito il ritmo di Dante, «La Repubblica», 23

Marzo. 232

Ibidem.

233

Ibidem.

232

In Songs from the Divine Comedy è fondamentale l’elemento della performance, sia per la struttura del brano - un work in progress che ben si presta all’improvvisazione - che per la figura centrale del compositore con la sua band234: Sollima è anche l’interprete solista del lavoro e il vero e proprio regista di tutta la rappresentazione. Lo spettacolo

di Sollima - non un concerto inteso nel senso

tradizionale del termine - è fatto di musica, gesti, voci e mimica. Luci rosse e lampeggianti per l’Inferno, vasti squarci blu e arancio per il Purgatorio e cieli azzurri per il Paradiso, immagini, suoni e voci sovrapposte, proiezioni di membra umane - perfino una pioggia di nasi - si susseguono sullo schermo, il tutto per creare un’iconografia che Sollima ha voluto del tutto fuori dagli schemi descrittivi o oleografici. I Canti diventati Songs, hanno tutt’altro sapore e significato. Sono pezzi strumentali virtuosistici, accompagnati da testi in inglese in italiano, recitati da voci ora cupe e distorte, ora infantili, creando un clima onirico, popolato a volte da incubi, a volte da atmosfere celestiali e gioiose.

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Si tratta della Giovanni Sollima’s band.

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CATALOGO DELLE OPERE Musica per ensemble Musica per sonar a più stromenti dialogando fra antica et moderna (1979) Notturno (1980) Maithuna (1981) Orgy (1982) Tantra (1983) La forza che urgendo nel verde calamo guida il fiore da Dylan Thomas (1985) La luna (1986) Variazioni su un plastico (1986) 4 opere di Andy Warhol (1987) 6 capricci (1987) Flowers (1987) Primo frammento da "Empedocle", testo di Michele Perriera (1989) Siciliana con variazione (1989) E gli alberi germinarono, e gli uomini e le donne... (1990) In Si (1991) Match Suite (1991) Segno, in memoria delle vittime della strage di Capaci (1992) Anno uno, in memoria delle vittime di via D'Amelio (1993)

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Violoncelles, vibrez!, versione per 6 Violoncelli (1993) Heimat-terra (1993) The Songlines (1993) Angeli nel vulcano (1994) A gift (1994) Spasimo (1995) Sento il canto in curva (1995) Il Tracciato di Marta (1995) Voyage (1995) John Africa (1996) Studio per Aquilastro (1997) Chi è (1997) Lam (1997) Yafù (1997) Aquilarco, testi di Christopher Knowles (1997-98) Lamentatio (1998) Pasolini fragments (1998) Lamentatio (1998) Reperto n. 12, da un frammento di Schubert (1998) S'ota love dance (1998) A view from the bottom, testo di Mumia Abu Jamal (1998) Concerto rotondo (1998) I Canti (1998) The meetings of the waters (1999)

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Millennium Bug (1999) Intersong I (1999) Subsongs (1999) L'interpretazione dei sogni (1999) Leonardo's ornithoptherus (1999) Alone (1999) Hell (2000) Contrafactus (2000) Il Tracciato (2000) Viaggio in Italia, testi di Michelangelo Buonarroti, Giordano Bruno, Francesco Borromini (2000) Intersong II (2001) J. Beuys Song (2001) Vram, testo di Alessandro Baricco (2002) Pillole (2002) Bêri, da Ellis Island (2002) Terra Aria, da J. Beuys Song (2003) Terra Danza, da J. Beuys Song (2003) Cello Tree, da J. Beuys Song (2003)

Lavori per orchestra, soli e orchestra, coro e orchestra Concerto grosso (1976)

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Il concerto per archi (1978) II concerto per archi (1979) Raccapriccio (1979) Le Paradis Submergé (1981) Due Notturni (1984) Musivum (1987) Le notti bianche (1988) The Columbus Egg (1990) In si, versione per Jazz Band (1991) Concerto per violoncello (1992) Africa (1992) Agnus Dei, dal Requiem per le vittime della mafia (1993) Violoncelles, vibrez! (1993) Sinfonia in luoghi aperti (1994) MW (1994) Angeli (1994) Adagio (1995) Cartolina (1995) Aria in rosso (1996) Lam & Dan (1998) All the W (1998) Guitar chemistry (1999) Alleluja (1999) Casanova (2000)

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Canti rocciosi, testi di Dino Buzzati, Dante Alighieri, Ernest Hemingway e rime popolari in siciliano, italiano e ladino (2001) Contrafactus (2001) Tempeste e ritratti (2001)

Lavori per il teatro Match (1990) Cordelia & co. (1991) 3 pezzi per " Il sogno spezzato di Rita Atria" (1993) 3 pezzi per "Pippo Fava" (1994) I Pavoni (1997)

Installazioni Imagining Prometheus (2003) Luminaria (2003)

Opere e balletti Notti di Grazia, melodramma in un atto, libretto di Dario Oliveri (1991)

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Mittersill 10, variazioni sul caso Anton Webern, video opera, testo di Dario Oliveri da Goethe (1996) Cenerentola Azzurro, testo di Dario Oliveri (1994) Casanova, coreografia di Karole Armitage (2000) Matteo Ricci - Li Madou, melologo, testo di Filippo Mignini (2001) J. Beuys song, coreografia di Carolyn Carlson (2001) Elllis Island, opera in 2 atti, libretto di Roberto Alajmo (2002)

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DISCOGRAFIA

AQUILARCO, Polygram Records, (1998) VIOLONCELLES, VIBREZ!, Agorà, (1998) JOHN AFRICA in La formula del fiore, Sensible Records, (1999) SPASIMO, Agorà, (2000) VIAGGIO IN ITALIA, Agorà, (2000) TRACING ASTOR in Tracing Astor: Gidon Kremer Plays Astor Piazzolla, Nonesuch, (2001) REMINISCENCE e BETWEEN THOSE ROCKS in B for Bang, KML (2007) WORKS, Sony BMG (2005) WE WERE TREES, Sony BMG, (2008)

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SITOGRAFIA

http://www.giovannisollima.it http://www.sonzogno.it/index.htm http://sollima.splinder.com http://www.jazzitalia.net/articoli/Int_GiovanniSollima.asp http://en.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Sollima http://www.ilportoritrovato.net/html/giovannisollima.html http://www.primissima.it/trade/articolo.html?id-articolo=280 www.mnemes.com www.philipglass.com www.atelierdeparis.org www.robertwilson.com

Da youtube: Trailer Nightwatch: http://www.youtube.com/watch?v=RahQdmKFSak&mode=relate d&search= Daydream: http://www.youtube.com/watch?v=ldPf3yqq3-8 http://www.youtube.com/watch?v=I3NkQ00_ZbI

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FILMOGRAFIA

STANLEY KUBRICK, Day of the Fight, (1951), [Colonna sonora composta da Sollima nel 2000] MARCO TULLIO GIORDANA, I cento passi, 2000, [Brani di Sollima sono utilizzati nella colonna sonora] MARCO TULLIO GIORDANA, La meglio gioventù, 2003, [Brani di Sollima sono utilizzati nella colonna sonora] PETER GREENAWAY, The Tulse Luper Suitcases, 2003, [Brani di Sollima sono utilizzati nella colonna sonora] FRANCO BATTIATO, Bitte Keine Reklame, 2004, [Colonna sonora composta da Sollima] MAURIZIO ZACCARO, Il bell'Antonio, 2005, [Colonna sonora composta da Sollima] LASSE GJERTSEN, Daydream - Sogno ad occhi aperti, 2007, [Video musicale: Sollima è l’attore del video e l’autore della musica] PETER GREENAWAY, Nightwatching, 2007, [Brani di Sollima sono utilizzati nella colonna sonora] WIM WENDERS, The Palermo Shooting, in produzione, [Sollima è l’autore della colonna sonora e fa parte del cast degli attori]

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RINGRAZIAMENTI

Dopo tanti esami, poi ricerche, riflessioni, partiture lette, brani ascoltati, tasti pigiati (innumerevoli volte quelli del computer… pochissime quelli del piano), sono giunta – incredula – alla fine di questo lavoro, che porta con sé anche il termine di un periodo della mia formazione. Sì, credo di poterlo dire, accantonando per una volta la scaramanzia che – da napoletana e da pianista – mi contraddistingue. Prendendo fiato, dunque, in questo momento di lieve spaesamento - in bilico tra leggerezza e pesantezza, tra allegria e sospetto - mi dedico ai ringraziamenti di tutte quelle persone che mi hanno permesso di provare adesso queste sensazioni che non so descrivere. In primo luogo il professor Massimiliano Locanto, che mi ha spinto ad affrontare questo lavoro e che poi mi ha seguito per tutta la lunga stesura di questa tesi. Molte e molte volte si è trattenuto nel suo studio parlandomi dell’approccio da seguire, degli strumenti teorici con cui realizzare il lavoro, poi nel correggere le tante pagine di questa tesi, tutto ciò ben oltre il suo orario di ricevimento e sempre con grande attenzione e precisione. Il professore Gino Frezza, che mi ha concesso di realizzare questa tesi inusuale, su un argomento che va dalla musica alla

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comunicazione. Mille ringraziamenti vanno al professor Alfonso Amendola, che mi ha dato più volte suggerimenti importanti sia per la correzione del lavoro, sia per la sua discussione, il tutto con grandissima disponibilità e gentilezza; disponibilità che mi ha dimostrato più volte, sempre con il sorriso sulle labbra, anche la professoressa Nadia Riccio. Come ho già scritto molte volte, questa tesi non si sarebbe potuta realizzare senza la piena disponibilità di Casa Sonzogno. Ciò significa ringraziare tutte le persone che lavorano lì, a cominciare da Piero e Nandi Ostali, i due proprietari e direttori, che per settimane mi hanno concesso liberamente di muovermi tra i loro archivi, di masterizzare cd, di prendere tutte le partiture che volevo, di fare fotocopie. Ma i miei ringraziamenti vanno anche al dottor Giorgio Vitali, mio tutor d’azienda nel periodo dello stage, che con disponibilità costante mi ha dato utili suggerimenti, o, ancora, al Maestro Giacomo Zani, grande direttore d’orchestra, che mi ha raccontato aneddoti dei più grandi artisti, protagonisti insieme a lui della vita musicale di qualche anno fa, e anche del signor Guido Zenini, che mi ha insegnato con pazienza i segreti della macchina fotocopiatrice… E poi non posso dimenticare tutte le persone che mi sono state vicine, che mi hanno supportato non soltanto nel corso della stesura di questa tesi, ma in tutto il lungo percorso della mia formazione.

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La professoressa Giovanna Ferrara, che per prima ha alimentato la mia passione per la storia della musica, e ha sempre rappresentato per me un esempio, sia come studiosa che come persona. La professoressa Titti Marrone, che ho sempre considerato un punto di riferimento e una presenza sicura a cui chiedere opinioni e, soprattutto, consigli. Un grazie particolare va al Maestro Giuliano Guidone, perché mi ha sempre sostenuto con la sua presenza dolce, costante e spesso indulgente, e perché ha letto pazientemente tutta la tesi, e, con lo sguardo pronto del musicista, ha corretto gli inenarrabili errori di battitura - più e più volte lampanti - purtroppo invisibili alla mia vista: è solo grazie a lui se ora, sull’intestazione della tesi, a caratteri cubitali e in grassetto non si legge più “Università degli SUDI di Salerno”… A mamma e papà, dopo più di duecento pagine e di lungaggini perfino nei ringraziamenti - non so cosa dire, se non che tutto quello che ho fatto, che ho imparato e che sono, lo devo soltanto a voi. Spesso fantasticavo su questo momento, convinta di trovarmi libera da un peso e soddisfatta del traguardo, pronta a rendervi orgogliosi con le mie parole, ma mi ritrovo solo commossa, nel pensare di scrivere un ringraziamento che potesse rendere giustizia ai vostri sacrifici e al vostro amore, senza trovare alcuna espressione per farlo. Vi dico, allora, semplicemente grazie di tutto: per il vostro affetto, per il vostro sostegno e per la vostra cura incondizionata.

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