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Italian Pages 353 [331] Year 1984
ISTITUTO DI STUDI E RICERCHE «CARLO CATTANEO»
TERRORISMI IN ITALIA
Contributi di Gian Carlo Caselli, Nando dalla Chiesa, Donatella della Porta, Franco Ferraresi, Rosario Minna, Angelo Ventura
a cura di Donatella della Porta
SOCIETÀ EDITRICE IL MULINO
ISBN 88-15-00583-8
Copyright © 1984 by Società editrice il Mulino, Bologna. È vietata la riproduzione anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.
INDICE
Ricordare e capire: una premessa, di Donatella della Porta
p. 11
P A R T E P R IM A : P E R U N A ST O R IA D E I T E R R O R ISM I
I.
Il terrorismo di destra, di Rosario Minna Premessa 1. Il problema delle fonti 2. Il problema politico del terrorismo di destra 3. Influenza delle situazioni storiche concrete sulle matrici comportamentali del terrorismo di destra 4. Prime manifestazioni eversive nell’area della D e stra 5. I principali gruppi del terrorismo di destra. Ordine nuovo e Avanguardia nazionale 6. I punti ideologici dell’eversione di destra 7. I legami internazionali dell’eversione di destra 8. La situazione italiana negli anni sessanta 9. 1969: esplode il terrorismo nero. Principali fatti compiuti dall’eversione di destra dal 1969 al 1975 10. Interpretazioni sui movimenti del terrorismo nero negli anni dal 1969 al 1975 11. 1974-1975: crisi dell’eversione di destra 12. 1975-1976: la fusione fra Ordine nuovo e Avan guardia nazionale 13. I fatti compiuti dal terrorismo di destra dal 1977 al 1980 14. Interpretazioni sui movimenti del terrorismo di de stra dal 1977 al 1980 " 15. 2 agosto 1980: la strage di Bologna 16. Problemi ancora aperti per la comprensione genera le del fenomeno del terrorismo di destra
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II.
Il problema delle origini del terrorismo di sini stra, di Angelo Ventura
p. 75
Premessa 1. La dimensione internazionale • 1.1. Il terrorismo strategico 1.2. Il contesto internazionale 1.3. Feltrinelli: una strategia globale antimperiali sta 1.4. Potere operaio e Brigate rosse: l’epicentro del movimento antimperialista dalla «periferia» alla «metropoli» 1.5. Il Proletariato Metropolitano contro lo Stato Imperialista delle Multinazionali 2. Incubazione e genesi 2.1. La responsabilità del soggetto storico 2.2. Un estremismo indotto dal processo riformi stico 2.3. L ’«autonomia operaia» matrice del partito ar mato ' 2.4. Le radici sociali dell’estremismo e la rottura del 68 * 2.5. Dal rifiuto della società industriale alla cultu ra della violenza 3. La fondazione del partito armato 3.1. Il contesto specifico 3.2. I soggetti politici: Potere operaio e il Cpm 3.3. La svolta insurrezionale 3.4. Il «partito armato dell’insurrezione» 3.5. L ’asse Potere operaio - Brigate rosse 3.6. Il partito come processo dialettico 3.7. La dialettica tra illegalità di massa e terrori smo e la doppiezza sistematica ' 3.8. L ’Autonomia operaia organizzata
III.
La storia delle Brigate rosse: strutture orga nizzative e strategie d’azione, di Gian Carlo Caselli e Donatella della Porta Premessa 1. La propaganda armata (1970-1973/74) 1.1. L ’organizzazione: la scelta della clandestinità 1.2. L ’azione: la proiezione sui problemi di fabbri ca 1.3. Linee interpretative: l’escalation della violen za
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2. L ’attacco al «cuore dello stato» (1974-1976) 2.1. L ’organizzazione: la dimensione nazionale 2.2. L ’azione: lo scontro con lo stato 2.3. Linee interpretative: il terrorismo nella crisi economica 3. La strategia dell’annientamento (1977-1978) 3.1. L ’organizzazione: il partito comunista com battente 3.2. L ’azione: la «disarticolazione del sistema» 3.3. Linee interpretative: violenza politica e movi mento del 77 4. Lo scontro militare con lo stato per la sopravviven za dell’organizzazione (1979-1982) 4.1. L ’organizzazione: frazionismo interno e guer ra per bande 4.2. L ’azione: una guerra «privata» per riafferma re la propria esistenza 4.3. Linee interpretative: la crisi dell’organizza zione clandestina N ote conclusive e metodologiche
P A R T E SE C O N D A : L E C U L T U R E P O L IT IC H E
I.
La destra eversiva, di Franco Ferraresi
p. 227
1. Introduzione: gli studi sulla destra eversiva 2. Dalle origini al Fronte nazionale 3. Avanguardia nazionale e Ordine nuovo fino allo scioglimento (metà anni settanta) 4. La galassia del terrore
II.
Il terrorismo di sinistra, di Nando dalla Chiesa
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1. Prima premessa: terrore e «speranza» 2. Seconda premessa: cultura politica e progetto poli tico 3. Album di famiglia, diciannovismo e altro ancora 4. La cultura politica in sei punti 5. Rovesciamento del marxismo o «legittima devian za»? 6. Il Sessantotto e il terrorismo 7. Problemi di ricerca: l’etica e la politica; le concezio ni e le condizioni 8. Alcune indicazioni di metodo
Riferimenti bibliografici
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RICORDARE E CAPIRE: UNA PREMESSA
Nel caso delle «formazioni sociali» — a differen za di quanto avviene per gli «organismi» — noi possiamo, oltre alla semplice determinazione di connessioni funzionali e di regole (cioè di «leggi») fornire qualcosa che rimane sempre irraggiungi bile da parte di qualsiasi «scienza naturale» — in tesa come determinazione di regole causali di av venimenti e di formazioni, e come «spiegazione» dei fenomeni particolari su tale base — e cioè la «comprensione» dell’atteggiamento degli indivi dui che ad essa partecipano. Max Weber (1922). Questo volume riunisce cinque delle relazioni presentate al convegno su violenza politica e terrorismo in Italia, promos so dalla Regione Emilia-Romagna e organizzato dall’istituto Cattaneo, nell’aprile del 1983 a Bologna. Due caratteristiche accomunano tutti gli interventi: la ricchezza del materiale esaminato e, tuttavia, il loro carattere preparatorio di future ricerche sul terrorismo. Un’altra caratteristica, questa volta attribuibile al volume nel suo complesso, è la varietà di aspetti empirici, approcci analitici, assunti di valore che con traddistinguono i singoli contributi, nonché la diversità delle esperienze professionali di cui essi sono frutto. Date queste premesse, troppo spazio richiederebbe riprendere l’ampia gamma di problematiche sollevate da ognuno dei cinque sag gi e infruttuoso sarebbe ogni tentativo di fornire un unico criterio di lettura, o di giustificare P«incoerenza» dell’insie me. Mi limiterò, invece, a ricostruire il corso degli eventi e delle scelte da cui gli interventi sono scaturiti e a sottolineare lo sforzo comune che li rende complementari e giustifica la 11
loro presentazione in un volume: l’esigenza cioè di porre le premesse per uno studio sul terrorismo che riporti alla me moria quegli anni della nostra storia e ci permetta di com prenderli. Sull’idea di dar vita ad un programma di indagine sulla vio lenza politica, idea nata nell’estate del 1981 e maturata nel 1982, hanno influito positivamente alcuni fattori. Si diffon deva, in primo luogo, la percezione che si stava finalmente per uscire dagli anni di piombo. Anche se i colpi di coda del terrorismo rosso allungavano ulteriormente l’elenco delle sue vittime, le formazioni clandestine della sinistra accusavano i segni delle sconfitte nel confronto armato con gli apparati re pressivi dello stato e del fallimento politico. Inoltre, le bande neofasciste apparivano indebolite dal venir meno di prote zioni interne e internazionali, sebbene gli insoddisfacenti ri sultati delle inchieste giudiziarie sulle stragi e l’impunità di molti colpevoli mantenessero attuale il pericolo di nuovi cruenti attentati. Cessata l’impellenza di arrestare la spirale della violenza, era cresciuta in alcuni attori sociali e politici la consapevolezza che la mobilitazione democratica contro il terrorismo entrava in una nuova fase. Occorreva, per prima cosa, contrastare la tendenza ad archiviare frettolosamente la più tragica esperienza politica vissuta dal paese nel secon do dopoguerra. Ogni soluzione basata sulla rimozione del passato poteva, infatti, avere influenze nefaste portando a dimenticare che a non tutte le vittime del terrorismo era sta ta resa giustizia; che molti erano i detenuti politici, alcuni ancora in attesa di giudizio, alcuni disponibili ad un ripensa mento radicale sulle loro scelte passate; che la violenza aveva per molto tempo impoverito la vitalità della società civile e in profondità trasformato l’ordinamento giuridico. La volontà di «non dimenticare» emersa nel paese si è som mata con l’allentarsi dell’esigenza di fornire immediate ri sposte politiche all’incalzare degli eventi, creando per la pri ma volta dopo molti anni un clima favorevole ad una rifles sione più serena e profonda sul terrorismo. Un altro elemento di novità che ora rendeva proficua l’inda 12
gine sul terrorismo era la crescente disponibilità di informa zioni. Le organizzazioni clandestine, a lungo presentate co me oscure creature dei servizi segreti o sette misteriose, di venivano possibili oggetti di studio. La celebrazione dei pro cessi rendeva pubblici i dati sulle strutture organizzative del le formazioni armate, sulle protezioni e gli aiuti di cui godet tero, sulla provenienza sociale e politica dei loro militanti. I memoriali e le pubblicazioni dei terroristi dissociatisi indivi dualmente o in gruppo dalla lotta clandestina cominciavano a fornire dettagli minuziosi sulle dinamiche del passaggio dall’impegno politico nella legalità al terrorismo e sul funzio namento interno delle organizzazioni armate. Il materiale raccolto dalle indagini giudiziarie permetteva di ricostruire non solo il trend d’attività dei gruppi armati ma anche le ideologie che erano servite a giustificare queste azioni, a ren dere un assassinio un mezzo di propaganda. Le nuove cono scenze disponibili aiutavano ad abbandonare lo sterile terre no delle interpretazioni dettate dal pregiudizio ideologico o dalla sollecitazione politica. I saggi presentati in questo volume condividono questa vo lontà emergente di stimolare ricerche approfondite su un fe nomeno che è sembrato a lungo poco adatto ad essere affron tato in modo scientifico. Essi condividono, inoltre, alcuni orientamenti metodologici che ne hanno influenzato la strut tura espositiva: in primo luogo la convinzione che la defini zione degli interrogativi rilevanti su cui impostare gli studi futuri dovesse passare attraverso un riesame delle riflessioni teoriche e delle conoscenze empiriche presenti nella vasta, seppur qualitativamente disomogenea, saggistica degli anni settanta sulla violenza politica. All’interno delle tematiche specifiche da ciascuno affrontate, gli studiosi che hanno con tribuito alla stesura di questo volume hanno dedicato una parte consistente del loro intervento alla rassegna selettiva della letteratura, dei dati disponibili e delle ipotesi da verifi care. La scelta comune è stata quella di non disperdere la mo le di materiale esistente, ma nel contempo di depurarlo dalle ideologie d’occasione, dalle manipolazioni propagandistiche, dalle «verità» rese obsolete da nuove acquisizioni, e di verifi care la capacità di generalizzazione delle diverse tesi esplica li
tive nel confronto con i dati empirici. Le nuove conoscenze disponibili hanno, mi sembra, inciso positivamente sull’inte resse delle riflessioni presentate nei cinque saggi contenuti nel volume. Giudicherà il lettore quale esito abbia avuto lo sforzo di rigore scientifico. Non si potrà comunque negare che, anche quando il giudizio è sensibilmente influenzato dalla tensione politica per la difesa delle istituzioni democra tiche, esso è parimenti maturato attraverso l’analisi sistema tica delle informazioni disponibili. In tutti i contributi presentati appare, cosi, l’esigenza di tro vare nuove proposte metodologiche e ipotesi esplicative più convincenti rispetto a quelle elaborate negli anni settanta. In assenza di dati sulle organizzazioni clandestine sono preval se, nel corso dell’ultimo decennio, le interpretazioni che at tribuivano l’emergenza della violenza alle tante presunte «di storsioni» dello sviluppo italiano: l’economia dualistica, la declinante legittimazione dello stato, l’inadeguatezza delle norme e dei valori prevalenti rispetto a esigenze sistemiche di integrazione sociale. Insieme ad esse, sono proliferate le spiegazioni monocausali: le ipotesi centrate sulle degenera zioni nel comportamento di alcuni apparati istituzionali co me determinanti dell’eversione nera, o sulla rigidità dei ca nali di trasmissione delle domande nel sistema politico come causa principale dell’eversione rossa, per fare solo due esem pi. Dal panorama degli studi dello scorso decennio sono, in vece, assenti le analisi sulle caratteristiche interne dei gruppi armati, della loro organizzazione, della loro ideologia, dei lo ro militanti. L ’attenzione all’attore terrorista è, invece, la principale direttrice d’indagine dei contributi presentati in questo volume. Ciò ha portato a privilegiare la ricerca delle differenze qualitative, delle specificità geografiche, delle periodizzazioni possibili rispetto alla costruzione di interpreta zioni onnicomprensive fondate su modelli interpretativi ge nerali poveri di dati. I risultati di questi lavori, pur nella loro provvisorietà, dimo strano l’utilità della scelta di approfondire la conoscenza del le caratteristiche interne del terrorismo e delle sue dinami che evolutive, per potere poi, in un secondo momento, me 14
glio coglierne le cause. Sia i contributi sull’eversione nera che quelli sull’eversione rossa mostrano quanto composita sia stata la realtà della violenza politica in Italia. Dentro un’unica categoria si sono fatti convergere fenomeni di natu ra diversa: le formazioni clandestine «organizzate» e i gruppi effimeri del terrorismo «diffuso», il «sindacalismo armato» e gli assassini politici, le stragi e gli scontri mortali tra fazioni avverse, il golpismo degli anni settanta e le piccole gang cri minali degli anni ottanta. L ’immagine cosi formatasi di un terrorismo che è innanzitutto un «sistema di terrorismi» sug gerisce la necessità di ricercare non una ma più determinanti alla base di quell’intreccio di fenomeni che sono stati sinte tizzati in un unico, troppo vasto, concetto. Proprio per la loro incompletezza, i dati presentati nei diver si saggi fanno emergere l’urgenza di ricostruire i tanti detta gli che ancora mancano alla descrizione della fisionomia dei principali protagonisti di quegli anni in cui la violenza politi ca raggiunse proporzioni allarmanti. La riflessione futura sul le cause e le conseguenze del terrorismo a livello macroanali tico andrà perciò necessariamente integrata dall’indagine mi nuziosa sull’insorgenza e l’evoluzione delle formazioni clan destine nei luoghi specifici in cui esse si sono presentate con maggiore virulenza: non solo nelle città più colpite dal feno meno, ma anche nelle fabbriche e nei quartieri teatro delle azioni dei gruppi armati e nelle organizzazioni politiche lega li in cui essi hanno reclutato i loro militanti. Un ulteriore sal to qualitativo nella comprensione del fenomeno potrà suc cessivamente venire — sembrano suggerire alcuni interventi — dalla verifica della generalizzabilità delle ipotesi interpre tative costruite, nel confronto comparato con i terrorismi emersi e diffusisi in molte democrazie occidentali negli anni sessanta e settanta. Se i suggerimenti sostantivi e di metodo contenuti nei cin que saggi riusciranno a far ripensare le interpretazioni finora elaborate sul terrorismo e ad influenzare, in qualche misura, positivamente le ricerche future sul fenomeno, questo volu me avrà raggiunto uno scopo non più solamente scientifico ma anche civile, in sintonia con le aspirazioni dei promotori 15
del convegno che all’elaborazione di questi interventi ha for nito l’occasione. Una pertinente riflessione scientifica sulle tragiche vicende attraversate dal paese nell’ultimo decennio appare infatti il complemento necessario di un’attenta co scienza collettiva che riaffermi l’esigenza di dare risposta agli interrogativi suscitati dall’insorgenza delle forme più estre me del conflitto politico e di porre rimedio ai guasti da esse prodotti nella convivenza civile. D O N A T ELLA D E L L A PORTA
P A R T E P R IM A
PER UNA STORIA DEI TERRORISMI
R O SA R IO M IN N A
IL TERRORISM O DI DESTRA
Premessa «Tutti sanno che il presente diventerà un giorno storia», ha scritto anni fa Sweezy Perciò — per avviare un’indagine sui movimenti che il terro rismo di destra ha compiuto in Italia in questi ultimi anni — bisogna comprendere il presente come storia proprio oggi, «mentre abbiamo ancora il potere di influenzare la forma e i risultati» della vita della comunità. Questa ricerca, quindi, si è mossa lungo le seguenti direttri ci: 1) individuazione dei punti di partenza del terrorismo di destra sia come enucleazione delle fonti dirette ed indirette, sia come prima ricognizione dei temi interni al fenomeno (v. paragrafi 1-2-3-4); 2) descrizione dei principali gruppi che hanno operato nel terrorismo di destra, della loro ideologia e dei loro collegamenti internazionali (v. paragrafi 5-6-7); 3) periodizzazione del terrorismo di destra in tre fasi: quella golpista dal 1969 al 1975 (v. paragrafo 9), quella fusionista tra vari gruppi in uno specifico momento di crisi (v. paragra fo 11), quella del radicalismo di destra (v. paragrafo 13); 4) interpretazione dei fatti compiuti dall’eversione nera, in re lazione a condizioni storiche generali (v. paragrafo 8) ed an che come esplicazione della periodizzazione data, degli inter na corporìs del terrorismo nero e delle correlazioni col terro rismo di sinistra (v. paragrafi 10-12-14); 5) significato della strage di Bologna del 2 agosto 1980 (v. paragrafo 15); 6) pro
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Sweezy (1962: 9).
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posizione dei problemi ancora aperti sull’intero fenomeno (v. paragrafo 16). La carenza di studi precedenti e specifici sul terrorismo di destra ha, doverosamente, portato la ricerca a un’attenzione costante per ricostruire e inquadrare storicamente il fenome no, con l’ausilio, ineliminabile, di dati processuali. Con aderenza allo stato delle cose e con la certezza che il ter rorismo nero non ha ancora finito la sua parabola, la ricerca è stata mantenuta il più possibile in termini di problematicità e di individuazione delle tematiche di fondo del fenomeno. 1. Il problema delle fonti Per chi intenda ricostruire per intero le mosse del terrorismo nero, ovvero per chi si proponga di individuare l’identità di quella serie complessa di accadimenti che va sotto il nome di terrorismo di destra, è d’obbligo confrontarsi, già agli inizi della ricerca, con alcuni problemi specifici. In primo luogo, scarse e di difficile e non completa utilizza zione appaiono le fonti sul terrorismo di destra. In generale, la pubblicistica su di esso — ovviamente più fol ta negli anni dal 1970 al 1975, fino a quando cioè non ot terrà la preminenza, anche di considerazione, il terrorismo di sinistra — ha considerato il terrorismo nero «sempre in qualche modo “terrorismo di stato” , subalterno ai poteri oc culti e separati dello stato»2. In questa ottica, se molti fatti non sono andati perduti per la memoria storica o se anche molte ipotesi e riflessioni di obiettivo valore sono state avan zate sull’intero fenomeno, è anche accaduto che siano andati persi o siano rimasti sfocati i caratteri originari e interni dei gruppi terroristici di destra. Di conseguenza, non completa risulta l’analisi che fino ad oggi si è fatta circa le finalità e le 2
Ciampi (1983); v. anche Bocca (1978b: 50).
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modalità concretamente perseguite da chi si è dedicato alla pratica del terrorismo di destra. Poi — fatta eccezione per Franco Freda, Pino Rauti, Giannettini, Clemente Graziani, Paolo Signorelli3 e pochissimi altri la cui produzione scritta non è priva di rilievo — la gran parte dei terroristi neri si è esibita — quasi sempre in forma anonima per impedire o rallentare l’individuazione durante le indagini istruttorie — in scritti di scarso valore. Soprattut to, molto di rado «i neri» hanno rivendicato (e quindi moti vato) per iscritto «le azioni» compiute; e certo è che nessuno s’è mai preso la paternità delle imprese terroristiche più rile vanti ma tutte unanimemente attribuite al terrorismo nero, dalla strage di piazza Fontana a Milano a quella di piazza della Loggia a Brescia, dalla strage sul treno Italicus a quella della stazione ferroviaria di Bologna. La quasi totalità, infine, delle fonti dirette sul terrorismo ne ro consistono in atti giudiziari, in quanto immancabilmente — per obbligo di legge — ogni e qualsiasi episodio criminoso realizzato dai terroristi neri è stato ed è oggetto di un distin to processo penale. Ma lo stato delle fonti giudiziarie sul terrorismo di destra non sempre risulta soddisfacente. Da un canto, se a volte è stato criticato l’operato tecnico e professionale di questo o quel giudice, più spesso la magistra tura intera è stata, anche aspramente, rimbrottata nel suo in sieme: le è stato addebitato, infatti, di avere adottato sul complesso del terrorismo nero una sorta di condiscendenza o un’aprioristica svalutazione del rilievo anche criminale del fenomeno4; che, anzi, il sistema processuale con cui trattare 3
Freda, Rauti e Giannettini sono stati processati anche in Assise, ma a tutt’oggi prosciolti con varie formule, per la strage di piazza Fontana. Graziani e Signorelli vengono ancor oggi processati in istruttoria per l’appartenenza a Ordine nuovo; per vari omicidi, da quelli dei magistrati Occorsio e Amato a quello di Leandri, vie ne sempre processato Signorelli, che figura anche fra gli imputati della strage di Bologna.
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V ., fra gli altri, Secchia (1971: 15-19) e Santarelli (1974: 247-290).
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i neri è stato uno dei momenti salienti nel dibattito che si è avuto all’interno della magistratura sul ruolo del giudice nel la società italiana, ai primi degli anni settanta5. Soprattutto, i giudici hanno sempre lavorato o per accertare chi abbia commesso quel tale omicidio, ovvero per indivi duare la persona fisica che ha piazzato la tale bomba. In que sta aderenza dei processi al dettato costituzionale per cui «la responsabilità penale è personale», sono andati perduti o so no rimasti schiacciati sul fondo tutta una serie di riferimenti che, al di fuori o al di là dello specifico procedimento, legava no persone e organizzazioni a fini d’eversione lungo tutto il territorio nazionale. Quasi sempre, poi, e sicuramente fino al 1977-78, la magi stratura ha proceduto contro i terroristi neri per il reato di ri costituzione del partito fascista, introdotto con la 1. n. 645 del 20 giugno 19526, meglio nota come la «legge Sceiba» dal ministro proponente. Ma, in questa maniera, i giudici urta vano contro un nuovo e non facile ostacolo: mentre non è ancora oggi terminato il dibattito storico sulla natura del «nuovo fascismo», la magistratura si faceva carico, e quasi sempre con risultati molto deludenti7, di inquadrare giuridi camente il neofascismo dentro schemi che richiamavano il partito nazionale fascista di Mussolini. Soltanto dopo che le norme — dettate dal fascistissimo Codice Rocco specificamente contro la sinistra — sui reati di associazione sovversi va e banda armata sono state ampiamente applicate ai terro risti di sinistra, le stesse sono venute in uso — soprattutto 5
V ., fra gli altri, «Q uale G iustizia» (1973), «G iustizia e Costituzione» (1974). Le due riviste sono espressione rispettivamente di Magistratura democratica e Unità per la Costituzione, le due correnti pili avanzate fra i giudici. Per un approccio glo bale sul come le differenti scuole giuridiche hanno affrontato in generale il proble ma del terrorismo, v. anche C otesta (1983).
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Per quanto attiene alle misure legislative predisposte o avanzate contro l’eversione di destra, v. anche Secchia (1973: 15-104).
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N on vorrei sbagliare, ma mi pare che l’unico pregiudicato (per sentenza definitiva) per ricostituzione del partito fascista sia Pierluigi Concutelli, dopo che Concutelli fu condannato all’ergastolo per l’omicidio del giudice Occorsio.
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dopo il 1977-78 — anche contro i terroristi neri, e con risul tati migliori che per il passato. Da ultimo, va ricordato che dopo il 1980 molti sono stati i terroristi neri che, col pentirsi, hanno dato notevoli contri buti alle azioni processuali contro il terrorismo di destra; ma, fino ad oggi, è mancato «il grande pentito», la persona cioè che — come invece è accaduto per il terrorismo di sinistra — abbia spiegato la gran parte delle vicende, soprattutto inter ne, delle organizzazioni clandestine di destra. 2. Il problema politico del terrorismo di destra Ogni atto di terrorismo è frutto di una «convinzione» politi ca, nel senso che «il delinquente politico», sicuro di avere ap puntamento con il destino, agisce perché «convinto della ve rità e della giustificazione delle proprie credenze altruisti che»8. Anche gli sciagurati che da destra hanno attuato la pratica barbara — e nel lungo periodo impolitica — del terrorismo, hanno agitato propositi politici. Se è stata loro data sempre l’etichetta generale di «fascisti», nella pratica però tutti indi stintamente hanno inquadrato il fenomeno del terrorismo di destra nel più ampio tema del «neofascismo o nuovo fasci smo o radicalismo di destra». Ciò è avvenuto perché, con la Liberazione d’Italia dopo la guerra della Resistenza, il 25 aprile del 1945 ha segnato la fine del «fascismo storico», ov vero di quel fascismo realizzato in Italia dalla dittatura di Mussolini a partire dal 1922. E inevitabile quindi — non foss’altro perché gli anni e le situazioni passano e si evolvono per tutti — che tutto quanto accaduto nell’area della Destra dopo il 1945 sia stato analizzato vuoi per sottolineare i moti vi di continuità vuoi per rimarcare le novità rispetto al fasci smo di Mussolini.
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Schafer (1972).
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Gli autori che hanno trattato il problema9 hanno evidenzia to, nella sostanza delle loro differenti argomentazioni, note voli concordanze su molte questioni. Il mosaico — ricco anche di contraddizioni interne — delle componenti che contribuiscono a formare il neofascismo è stato individuato: a) nella contiguità «biologica» del nuovo col vecchio fascismo, poiché numerosi protagonisti del ven tennio mussoliniano e soprattutto della repubblica di Salò hanno continuato a fare attivamente politica fino ai primi degli anni settanta, quando, per ragioni d’età, uno dietro l’altro sono morti quasi tutti; b) nel raccordo operativo fra le linee di tendenza dei neofascisti e precisi interessi strategici ed economici dei gruppi dominanti anche internazionali; c) nella capacità tutelata dai neofascisti di catturare — natural mente in proporzioni significative, ma ridotte — sia un ceto medio arcaico ed eversivo sia un sottoproletariato escluso dal meccanismo produttivo attorno ad alcuni miti trainanti, i quali vanno da un certo populismo ad un certo catonismo di provincia (come crisi delle identità collettive e susseguente orrore dello sradicamento individuale); dal nazionalismo alla mistica nazionalsocialista; dal principio gerarchico come uni co regolatore della società all’anticomunismo e all’antioperaismo più drastici. L ’ipotesi politica vagheggiata dai neofa scisti è stata, quindi, di eversione rispetto alle istituzioni de mocratiche e repubblicane che l’Italia s’è data in questo do poguerra; e l’eversione neofascista «viene dall’alto» in quan to trova il suo asse portante nello stato borghese dei tempi passati, e richiede — per diventare attuale — l’impiego di organizzazioni e mezzi squadristici contro gli avversari. Ma un altro versante del neofascismo riguarda più specificamente l’evolversi terroristico dello stesso. Per Galli il succes so e, al limite, l’esistenza stessa del neofascismo dipendono in modo «pressoché decisivo» dal rapporto che i neofascisti trovano con l’autorità statale e soprattutto con quel «gover
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Si cita per tutti — e si rinvia alle bibliografie da loro indicate — Santarelli (1974), Galli (1983), D e Luna (1978).
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no invisibile» che di fatto domina il funzionamento delle isti tuzioni ufficiali10. Per Santarelli, invece, se è parziale consi derare il neofascismo come una congiura o un’escrescenza ideologica, le relazioni tra neofascismo e organi dello Stato sono un momento molto importante ma non determinante ed assorbente delle mosse dei nuovi fascisti. Le problematiche, sin qui succintamente delineate, per il neofascismo riguardano anche il terrorismo di destra. Ma, con l’obbligatorio riguardo che si deve al reale accadimento dei fatti, il problema va esplicitato anche nel senso di chiari re ed individuare quali sono state le relazioni che l’eversione nera — chiaramente strutturata in forma clandestina al mas simo — ha avuto con le organizzazioni pubbliche ed ufficiali del neofascismo. Nel 1946 si costituì a Roma in partito il Movimento sociale italiano, che in breve assorbì altri preesistenti gruppuscoli e, approfittando anche dello sfascio dell’Uomo Qualunque11, approdò nel 1948 in Parlamento. Al di là delle polemiche e delle contingenze politiche, il Msi — che ha vissuto fino ad oggi anche una propria storia inter na molto intensa12— è l’unico partito pubblico che ha incar nato tutta la tematica del nuovo fascismo. Anzi, nel 1955 con una proposta Pci-Psi-Sinistra indipen dente, nel 1960 con un progetto di legge presentato da Fer ruccio Parri, nel 1973 con un ordine del giorno avanzato al Senato da Pietro Secchia, pivi volte il Parlamento italiano ha trattato — ma non approvato — lo scioglimento del Msi in quanto partito fascista e, dunque, vietato dalla Costituzione. 10
Sulla linea espressa da Galli si muovono in sostanza anche Gluksmann (1972), Rosenbaum (1975), Aa.Vv. (1970), Boato (1973), Fini e Barberi (1972), «N otizie del Consiglio Regionale del Piem onte» (1975), Majocchi (1975).
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Sul partito dell’Uomo qualunque e sui rapporti dello stesso con il neofascismo, ol tre agli autori citati alla nota 9, v. anche Setta (1975).
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Per una ricostruzione — ed in particolare per quanto concerne gli anni successivi al 1969 — della vita del M si, v. D e Luna (1978).
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Poi, nel 1971 Bianchi d’Espinosa — procuratore generale della Repubblica a Milano — iniziò un procedimento penale contro i dirigenti del Msi accusati, ai sensi della legge Sceiba, di ricostituzione del partito fascista, e nel 1973 la Camera dei deputati concesse l’autorizzazione a procedere contro l’on. Giorgio Almirante, segretario del Msi. Attualmente, il processo è in fase di trattazione istruttoria avanti i giudici di Roma. Occorre, perciò, investigare sui rapporti di «area» (intesa co me zona politico-ideologica) che il terrorismo di destra ha avuto con il neofascismo; ma è altresì necessario riguardare anche i momenti specifici di contatto fra i terroristi e i neo fascisti organizzati in pubblico partito. 3. Influenza delle situazioni storiche concrete sulle matrici comportamentali del terrorismo di destra Da quanto precede, a me sembra che il terrorismo di destra sia stato sempre strettamente e direttamente legato al porsi concreto della realtà italiana in determinati momenti storici. Dopo la fine della II Guerra mondiale nella primavera del 1945, i fascisti — che per Churchill erano stranamente sva niti nel nulla il 26 luglio 1943, dopo l’arresto di Mussolini e il governo affidato a Badoglio dal re — non erano affatto fi niti come generazione di viventi. Anzi, in questo dopoguerra fascisti dichiarati sono scesi in un’attività anche politica, marcata dalla forte presenza di molti che provenivano dalle fila di Salò. Mancò, in questo dopoguerra, l’epurazione del fascismo dal corpo dello stato italiano. Quell’epurazione diretta che pure fu tentata, falli quasi subito, se è vero che dai 40 000 fascisti circa che si trovavano in carcere verso l’ottobre del 1946 po chi mesi dopo si scese a circa 4 00 0 1}; che, anzi, il problema
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De Luna (1978: 575).
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fisico dell’epurazione fu risolto dalla cosiddetta «amnistia Togliatti», owerossia con un atto di clemenza — firmato dal ministro guardasigilli Togliatti — col quale, anche a fini di pacificazione, o vennero drasticamente ridotte pene già in flitte o fu sancita la pratica impunibilità per alcuni crimini compiuti dai fascisti14. Vennero cioè spazzati via soltanto i fascisti più coinvolti nella barbarie nazi-fascista del triennio 1943-1945. Ma, al di là di un riciclaggio nelle strutture amministrative dello stato dei funzionari protagonisti del fascismo imperiale — un riciclaggio strumentalizzato anche dalla mancanza di una classe dirigente di ricambio fra i funzionari stessi — non fu avviata in senso marcatamente antifascista l’impostazione generale da dare alla pubblica amministrazione: quindi il go verno reale dello stato repubblicano e democratico conservò — sotto forma di sistema normativo in vigore — molti ele menti di fascismo vero e proprio. Che, anzi, su questo — il tipo di amministrazione che doveva prendere il nuovo stato — vi fu uno dei momenti più alti del dibattito fra i democri stiani De Gasperi e Dossetti, che il primo risolse nel senso di privilegiare la continuità dello stato, soprattutto dopo che i risultati delle elezioni del 1948 sancirono una certa forma politica di stato15. In questa situazione, l’eversione di destra ebbe agio di svol gere i propri comportamenti pratici nell’ambito del «mussolinismo», inteso sia come il climax più idoneo anche come ci fra interpretativa a segnare la continuità e poi la novità nei rispetti del fascismo del ventennio, sia per l’operatività an che in questo dopoguerra delle tematiche tipiche del fasci smo di Mussolini. Il fascismo di Mussolini non ha mai avuto un’ideologia pro pria, ma è sempre vissuto lungo due connotati specifici: un 14
Sull am nistia Togliatti, v. anche Gam bino (1975: 219 ss). Sui problemi generali della mancata epurazione, v. anche Amendola (1976a: 178) e (1976b: 499 ss.).
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Sulla tematica politica dei rapporti Dossetti-De Gasperi, v. anche Baget Bozzo (1974) e Scoppola (1978).
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rapporto privilegiato con il Potere e una volontà di rivoluzio ne. Da una parte, il fascismo ha sempre tessuto sul piano opera tivo una fitta trama di incontri e di accordi e di scontri e di lotta con i gruppi dominanti — il padronato prima agrario e poi industriale, la massoneria, il cattolicesimo, il nazionali smo — che nel 1922 gli consegnarono il potere. Di conse guenza, il fascismo ha finito con l’identificarsi in un movi mento che non abbatteva o mutava radicalmente lo stato, ma che più propriamente intendeva imporre un regime autorita rio per irreggimentare la società di massa, con cui si era aper to per tutti il secolo XX. D ’altra parte, anche ai tempi del suo impero, Mussolini, che ai primi del secolo era stato un socialista non marxista e per ciò antiscientifico, conservò uno spirito anticapitalista nel senso di una generica presa di posizione per superare il mon do borghese. Questo volontarismo si affermò soprattutto dal 1943 al 1945 quando, durante la Repubblica di Salò, i sup porti delle classi dominanti vennero meno ad un fascismo or mai presente in Italia solo per assicurare il dominio del nazi smo. Su tutto, il mussolinismo si risolse sempre in «ducismo», e cioè nello spirito (ma allora anche nella mania) del capo asso luto che fa tutto perché è tutto. Tematiche comportamentali queste, su cui vedremo sempre agitarsi i movimenti dell’eversione di destra. 4. Prime manifestazioni eversive nell’area della Destra L ’eversione di destra esordisce in forma ufficiale — in atti burocratici, cioè, che sigillano un’altrimenti più complessa e ricca realtà sociale — nel 1951, quando a Roma si inizia un processo penale contro un gruppo di 36 persone accusate di aver dato vita ai Far, Fasci d’azione rivoluzionaria16. 16
Per una testimonianza di prima mano sul processo ai Far, v. Salierno (1976: 21 ss.). V. anche la preziosissima opera di Flamini (1981) e (1982).
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Fra i principali imputati si iscrivono l’ideologo Julius Evola, Clemente Graziani e Pino Rauti. Molti dei protagonisti dei Far rimarranno in testa anche alla successiva storia dell’eversione di destra, mentre tanti altri conserveranno comunque un ruolo preminente lungo il per corso di tutta la Destra italiana, inclusa anche quella demo cratica. Gli aderenti ai Far furono diversamente accusati: contro al cuni di loro fu mossa incriminazione di aver sabotato una na ve che, per il Trattato di Pace di Parigi, doveva venir conse gnata all’Unione Sovietica; ad essi, soprattutto, fu ascritta una larga catena di attentati con ordigni esplosivi a Roma ed in altre città. Interessante, in questa procedura, è che gli inizi e le fondamenta dell’eversione di destra si leghino a storie di bombe e di attentati in luoghi frequentati dal pubblico inavvertito. Al di là, poi, del processo contro i Far — importante perché in qualche modo aveva ad oggetto l’attività eversiva della Destra in tutta Italia — dal 1945 al 1968 i neri compiono, sempre in tutto il paese, una serie innumerevole di aggressio ni ad avversari politici, di manifestazioni di piazza illegali e violente, di attentati a monumenti della Resistenza o a sedi di partiti politici democratici. È praticamente impossibile, però, qualificare dette azioni — sicuramente criminali — per terroristiche in senso stretto, ovvero risulta improbabile la possibilità di individuare attra verso di esse una compiuta strategia della destra eversiva: si tratta quasi sempre di fatti locali che proprio nelle situazioni locali trovano cause, spiegazioni e conclusioni. Da queste azioni emerge come la volontà di arrivare ad uno scontro fisi co con gli avversari sia stata per l’eversione di destra dal 1945 al 1968, oltre che un’esplicitazione delle proprie pulsio ni ideali, soprattutto un bisogno disperato di affermare la propria esistenza in un momento storico dominato dai rap porti fra le grandi masse cattoliche e socialcomuniste. 31
D’altro canto, dal 1945 al 1968 la Destra — di misura battu ta nel referendum istituzionale il 2 giugno 1946 — ebbe e mantenne sempre una massiccia presenza nelle amministra zioni locali da Roma in giù17, e svolse nel Parlamento nazio nale un ruolo di liquidità e fluidità intorno ai governi centri sti fino ai primi anni sessanta. Difatti, in questo periodo nel Msi prevalse la linea legislativa (non aliena da velleità di go vernabilità) prima di De Marsanich e poi di Michelini, che sconfisse nettamente la linea (potremmo dire) rivoluzionaria di Almirante, che era stato il primo segretario nazionale del Msi fino al 195018. 5. I principali gruppi elei terrorismo di destra. Ordine nuovo e Avanguardia nazionale Dal 1970 al 1980 (soprattutto in conseguenza dei fatti acca duti in quegli anni) la pubblicistica inerente al terrorismo di destra si concentra su Ordine nuovo ed Avanguardia nazio nale, che vengono stimati i più importanti gruppi eversivi dell’area di destra. Davanti al tribunale di Roma furono cele brati nel 1973 e nel 1976 due importanti processi contro questi gruppi19. Proprio da questi procedimenti penali è pos sibile attingere la maggior parte delle notizie sulla struttura interna di Òn e An (che sono le sigle, diciamo «storiche», di quelle formazioni), gruppi i quali inevitabilmente risultano organizzati sulla base di criteri di segretezza. 17
Sul neofascismo come erede del vecchio notabilato meridionale, v. Tranfaglia ( 1982) e Farneti (1983: 112).
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Su i rapporti fra i gruppi De Marsanich-Michelini e Almirante, v. gli autori citati al la nota 9. Sul come il contrasto fra le due linee fosse vissuto in quegli anni dalla ba se del M si, v. Salierno (1976) il quale fornisce anche interessanti spunti sui tentati vi per uccidere W alter Audisio, che fucilò Mussolini a Dongo.
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V . sentenza contro Graziarli Clemente + 41 (Tribunale di Roma, 1973a), la quale sentenza concerne esclusivamente On. V., poi, sentenza contro Agnellini Roberto ■+ 63 (Tribunale di Roma, 1976), la quale sentenza concerne esclusivamente An. Entram be le sentenze, oltre che riferimenti ai fatti concreti concernenti le due or ganizzazioni, contengono anche differenti — ma perciò pure interessanti — inter pretazioni della Legge Sceiba sul significato di ricostituzione del partito fascista. T u tte le indicazioni fatte nel testo per O n e An rimandano alle indicate sentenze.
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Ma tanto On quanto An nacquero, invece, in anni molto precedenti. Nel 1956 un gruppo di giovani — che fino allora aveva mili tato come componente giovanile nel Msi, la neonata forma zione politica che apertamente reclutava tutti i nostalgici del fascismo — usci da quel partito e dette vita al gruppo di Or dine nuovo. Promotori dell’iniziativa furono, fra gli altri, Clemente Graziani e Pino Rauti. Proprio Rauti nel 1956 focalizzò la nascita di Ordine nuovo sui rapporti col Msi, in quanto gli ordinovisti sostenevano di «non poter avallare un atteggiamento che era estraneo agli scopi originali e ad una politica che tradiva la vocazione più alta del Msi, cioè la continuità delle battaglie combattute sotto le insegne della rsi (repubblica sociale italiana, più nota come repubblica di Salò)». Ma tra l’ottobre e il dicembre 1969, Rauti e Graziani, anche se ciascuno di essi espresse ap prezzamenti sulla serietà e la genuinità degli argomenti dell’altro, si divisero sempre e ancora una volta sul tema dei rapporti col Msi. Rauti — non tenero né col Msi né con l’on. Almirante, di quel partito ridivenuto segretario nazionale da non molto — «senza rinuncia dei principi dottrinali e delle istanze politi che» fin li agitati da On, affermò che nel 1969 «era cambiata la situazione politica italiana», «nel quadro di contingenze attuali che indicavano senza alcun dubbio una possibilità di rottura degli equilibri di estrema pericolosità», per cui, fra l’altro, si prospettava la «necessità per Ordine nuovo di usu fruire delle difese che il sistema offre». Rauti ed altri, quin di, rientrarono — «dalla finestra» del sistema da cui erano usciti «dalla porta» nel 1956 — ufficialmente ed apertamen te come esponenti di On, nel Msi. Graziani, sempre nel 1969, obiettò che il Msi non era un partito rivoluzionario e inoltre commetteva l’errore di voler sciogliere i gruppi extraparlamentari alla sua destra quando 33
invece i gruppuscoli servono a un partito rivoluzionario perché gli danno «maggiore possibilità di manovra e di con trattazione politica». A causa delle carenze del Msi, affermò allora Graziani, toccava agli extraparlamentari di destra as sumere il controllo della situazione rivoluzionaria, per potere poi condizionare il partito. Di conseguenza, tra la fine del 1969 e gli inizi del 1970 Gra ziani ed altri fondarono il Movimento politico Ordine nuovo (che come Ordine nuovo è stato processato sia di per sé che per le azioni dei suoi aderenti, tante volte dal 1970 in poi), come movimento politico fautore — sulla base di una conce zione antidemocratica antisocialista aristocratica ed eroica della vita — di una strategia globale nazional-rivoluzionaria che miri scientificamente alla conquista del potere. L ’On di Graziani (il Mpon, cioè) ebbe sedi — accertate in tribunale — in Roma, Parma, Mantova, Bergamo, Perugia, Milano, Napoli, Verona, Sassari, Firenze, Lucca, Pozzuoli, Salerno, Reggio Calabria, Agrigento, Messina, e nelle relati ve regioni. Anche per ovviare alla sua non facile esistenza ufficiale in quanto gruppo rivoluzionario, On ebbe la necessità di darsi una direzione politica fortemente centralizzata. Con segreta rio nazionale Clemente Graziani, la Direzione nazionale di On si divideva in vari settori: Organizzazione, Propaganda, Iniziativa finanziaria, Studenti medi, Universitari, Lavora tori, Organizzazioni parallele (affidata a Sandro Saccucci), Stampa, Esteri, Ideologia, Attivismo, Economia. La Direzione nazionale di On, poi, era affiancata da un Con siglio nazionale, comprendente anche i dirigenti regionali del gruppo. In tutta Italia, vi erano Direzioni regionali e provin ciali più o meno strutturate a imitazione di quella nazionale. Erano previsti anche tre Ispettorati di zona, per il Nord, per il Centro e per il Sud d’Italia rispettivamente. On tenne almeno di sicuro un congresso nazionale nel 1970 a Lucca, e si preoccupò di iniziare «corsi di formazione politi34
ca» per i quadri. In questi corsi erano previste almeno 15 le zioni, che concernevano soprattutto argomenti politici ed ideologici, ma anche: «teoria della guerra rivoluzionaria», «organizzazione di un gruppo operativo rivoluzionario», «tecniche per il reperimento di mezzi finanziari», «organiz zazione di autodifesa». Se questa è, per i risultati processuali, l’organizzazione di On a partire dal 1970 in poi, non è irragionevole opinare che l’organizzazione dei Centri politici di Ordine nuovo (l’On di Graziani e Rauti ancora insieme) dal 1956 al 1969 abbia avu to una strutturazione abbastanza similare. Nel 1959 a Roma fuoriuscì dal M si20 Avanguardia naziona le, che in tutti gli anni successivi ha avuto come leader cari smatico ed emblematico, Stefano Delle Chiaie. Nel 1965 An — sotto processo per apologia di fascismo dal 1962, oltre che con i propri esponenti più volte denunciati per vari reati — si autosciolse, per essere rifondata nel 1970 — con presidente onorario il Delle Chiaie — da Adriano Tilgher ed altri. Nel 1976, all’atto del processo cioè, An predicava ancora l’indispensabilità di una rivoluzione contro il sistema vigente per arrivare alla conquista del potere al fine di instaurare un Ordine Nuovo, o Ordine Naturale, o Ordine Superiore. Importanza centrale nell’azione politica di An viene data all’idea di rivoluzione, definita indispensabile in quanto ri sulta impossibile l’instaurazione di un ordine nuovo attraver so un processo di inserimento nel sistema vigente, a sua volta qualificato per plutocratico (e quindi antipopolare) e genera tore di regimi marxisti. In nome della rivoluzione nazionale (valida anche per superare un’esistenza individuale senza ar monia e senza speranza), An accetta anche il rischio di un di 20
Per una confluenza nel 1959 in An anche di elementi di O n fondato nel 1956, v. Flamini (1981: 77). E Flamini indica proprio Delle Chiaie come uno degli ordinovisti fondatori di An.
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sordine provvisorio, ma bisogna distruggere ciò che non è degno di sopravvivere e trasformare ciò che si può. L ’azione politica di An deve essere intransigente ed elastica, ovvero, adattando il mezzo al fine, deve risultare dura nella sostanza ma malleabile nella forma. Tale azione deve basarsi soprattutto — poiché gli uomini non sono uguali ma vi sono gerarchie naturali, ed il problema sociale deve sempre anco rarsi al principio etico informatore — sull’opera di piccoli nuclei di base che, operando dovunque in Italia, abbiano rea li funzioni di élites. Questi gruppi devono, fra l’altro, cono scere anche — siamo, all’epoca del processo contro An, a ca vallo fra il 1975 e il 1976 — le principali regole della guerra rivoluzionaria marxista per annullarle; comunque, nel 1970 a Petrella Salto e nel 1972 a Mezzocorona giovani di An prese ro parte a campeggi paramilitari. Molto carente, purtroppo21, mi pare la sentenza 5 giugno 1976 contro An per quanto attiene l’individuazione delle strutture interne di Avanguardia nazionale, probabilmente, però, dovendo farsi risalire tali limiti a una certa qual abilità dei dirigenti di An nell’occultare i momenti di vita reale di questo gruppo rivoluzionario. Da questa pronuncia giurisdi zionale apprendiamo, comunque, che in An vi era una fortis sima e centralizzata Direzione nazionale, dominata dal pro motore Delle Chiaie. Cinquecento nel 1976 erano, per la po lizia che li denunziava, gli aderenti ad An, con sedi (alcune volte, forse, indicative solo di recapiti personali di capi e ca petti) in Roma, Brescia, Catanzaro, Vibo Valentia, Lamezia Terme, Girifalco, Cosenza, Firenze, Latina, Napoli, Reggio Calabria, Taranto, Trieste, Milano, Bari, Bergamo, Chieti, Como, Foggia, La Spezia, Lecce, Lucca, Massa Carrara, Pa dova, Parma, Potenza, Rieti, Salerno, Trento. Da quanto precede, non mi pare possibile tracciare alcuna 21
C osi la sentenza 5 giugno 1976 manda assolto con formula piena G uido Giannettini — uno dei principali imputati per la strage di piazza Fontana — dall’accusa — credo mossagli dalla polizia — di far parte della Direzione nazionale di An, non trovando però nella parte motiva di detta sentenza adeguato spazio né il fonda mento dell’accusa né la ragione, demolitoria di un’accusa, del proscioglimento.
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scriminante fra On e An sul piano del loro congiunto porsi come momenti focali dell’eversione di destra. Mi sembra, invece, che sul piano dell’agire pratico On e An abbiano rivelato rimarchevoli differenze fra loro. Cosi, al processo romano del 1976 molti esponenti di An giungono già gravati da procedimenti in corso per «atti terroristici»; al cuni di An si trovano al centro di molti episodi di violenza politica accaduti a Brescia; altri di An agiscono a Trento per contrastare — afferma la polizia che li denunzia — l’attività di propaganda fra gli studenti avviata dai movimenti dell’estrema sinistra22; in una sede triestina di An vengono trovati elenchi ed indirizzi di gruppi dell’estrema destra in ternazionale. An, poi, molto più meridionale come struttura rispetto a On, esaltò, ancora nel processo del 1976, la propria esperienza nei moti di Reggio Calabria del 19712\ E forse proprio il vitalismo strumentale di An rappresenta la ragione di fondo delle accuse rivolte a Delle Chiaie — spes so, in polemiche solo giornalistiche — di avere mantenuto rapporti non chiari con i vari servizi segreti italiani: una po lemica questa che si è alimentata anche all’interno dell’area di destra, negli anni del processo per la strage di piazza Fon tana, quando vivacissimo fu lo scambio di accuse fra il Delle Chiaie medesimo ed i senatori del Msi Pisano e Tedeschi24. Alla nostra attenzione Ordine nuovo e Avanguardia nazio nale appaiono essere stati i più importanti gruppi nella storia dell’eversione di destra. Ma, al loro fianco, a partire dal 22
All’Università di Trento avevano studiato fino al 1968 i fondatori delle Brigate rosse Renato C u rd o e Margherita Cagol. A Trento fu sempre molto attiva Lotta continua, movimento, d ’origini cattoliche, della sinistra extraparlamentare.
23
V . paragrafo 9 della presente ricerca.
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E d è curioso, ma anche in certo senso significativo, che Delle Chiaie dica aperta mente di avere avuto rapporti con dirigenti del M si a cominciare da Almirante, se gretario nazionale dopo il 1969 di quel partito.
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1956 in poi, possiamo individuare tutto un pullulare anche spontaneo di gruppettini o, più spesso, di siglette o di sotto marche che, di frequente come unico segnale d’esistenza, dettero vita a svariate e microdiffuse pubblicazioni in tutta Italia. Non sono stati, però, fin qui rinvenuti elenchi ufficiali e definitivi perché completi di aderenti ai diversi gruppi dell’eversione di destra; quindi, non possiamo tracciare con assoluta precisione una mappa delle persone legate a questo o quel gruppo. Fra gli altri, però, è opportuno segnalare fin d’ora che nel 1963 a Padova Franco Freda organizzò un gruppo che, dal sanscrito, denominò Ar. A Freda si collegò anche Giovanni Ventura, un cui giornaletto dell’epoca recava come sottotito lo «Il nostro onore si chiama fedeltà», che è una delle parole d’ordine di Ordine nuovo25. Sappiamo anche che in questo periodo Freda e Ventura ebbero rapporti personali e diretti con Rauti e Delle Chiaie. Caratteristica comune, poi, a tutti i gruppi dell’eversione di destra dai primi anni cinquanta in poi è il reclutamento degli aderenti: poiché «la rivoluzione la fanno i giovani (salvo, ov viamente, le poche eccezioni tra noi rappresentate)» — come ebbe ad esprimersi nel 1970 Clemente Graziani — la massi ma attenzione venne riservata al mondo giovanile e qui, in particolare, all’ambiente studentesco e immediatamente agli studenti medi. Cosi, il Mpon (l’On di Graziani dopo il 1970) — oltre ad avere a livello di Direzione nazionale un Settore studenti medi — creò e favori al massimo il Fronte di azione studentesca (Fas) come strumento di penetrazione fra i ra gazzi della scuola mediai Ed è fisiologico (ovvero, rientra nella natura delle cose) che il reclutamento di aderenti ad On e An o ad altri gruppetti si milari sia avvenuto fra gruppi ufficiali e pubblici della Destra ed in primo luogo fra giovani e giovanissimi già iscritti al Msi.
25
V. Flamini (1981: 101).
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Cosi, il gruppo triestino di An risultò formato da giovani già espulsi dal Msi. Quasi tutti, poi, i giovani — molti poco più che ventenni — processati nel 1973 e nel 1976 perché ade renti a On e An, avevano iniziato il proprio percorso politico dentro i movimenti giovanili del M si26. Ciò provocò una situazione — pubblica e chiara per i fatti, ma convulsa e forse inestricabile (se non sul piano delle varie realtà locali dove si realizzò) per la natura dei fatti stessi — di amore/odio, riconducibile in parte al mussolinismo ch’è matrice comune, fra i molti giovani gruppettari di destra e la base del Msi: chi entra ed esce o è messo fuori, oppure si muove per ispirare o nascondersi, e chi si aspetta una difesa nelle sedi ufficiali dopo robusti aiuti in tutte le occasioni pubbliche, e chi espelle o prende le distanze in pubblico ma, poi, non rompe tutti i ponti fors’anche per ragioni affettive e comunque per evidentissime assonanze ideologiche di fon do 27. 6. I punti ideologici dell’eversione di destra La destra eversiva germina e si radica lungo temi culturali apertamente dichiarati. Esplicito è, in primo luogo, il nutritissimo richiamo alla folta pubblicistica del nazismo tedesco. Non a caso la sigla di Or dine nuovo è la migliore traduzione italiana delle parole te desche in cui si esprimeva il nuovo ordine hitleriano: e, all’opposto di una mera combinazione, i diversi gruppi inal berano simboli e praticano rituali derivati scopertamente dal feticismo nazista. Importantissimo è il ruolo della Repubblica di Salò, che spes so è anche un mito, inventato e bramato come spiegazione di 26
Su una fase prodromica di detto processo, e sicuramente precedente il 1956, v. Salierno (1976).
27
V. gli autori citati nelle note 9, 10 e 16.
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tutto, di patria svenduta e di onore tradito. Nel reliquiario di Salò, l’eversione di destra si appella in larga misura alla Car ta di Verona, ovvero ai principi propalati con un’esplicita ve na di socialità nel 1944 dal fascismo repubblichino. Il rifiuto degli orpelli del fascismo dell’impero lascia nell’eversione di destra largo spazio ai temi della cosiddetta cultura della tradizione: infatti il bagaglio di tutti gli eversori è sempre fornito dei testi di un Guénon, di un Codreanu, di un E vola. Da qui, dal praticare il mito della tradizione, molti eversori risalgono per li rami alla filosofia della crisi di un Nietzsche o di uno Spengler. Più spesso, o quanto più si scende verso i militanti di base nell’eversione di destra, risultano diffuse, perché di più facile lettura e di migliore penetrazione, le ope re di Céline o Drieu La Rochelle o Brasillach o Tolkien. Ma la tradizione, anche per il tramite dello gnosticismo, riporta l’eversione di destra ad un filone, parimenti importante ma rimasto soprattutto in Italia molto sotterraneo, classico per il mondo europeo: la necessità di recuperare un’immaginata sa pienza segreta di antichissima data, anche attraverso l’esote rismo e la magia. Ed il versante magico-esoterico di cui si ha notizia per l’ever sione di destra, esplicitato com’è nell’avvenuta celebrazione dei vari solstizi e nel fegato crudo di animali ingurgitato per la circostanza, può avere anche un valore operativo: non è da escludersi, cioè, che questi riti siano il segnale o il risultato di legami sotterranei e indistruttibili fra uomini che si sparpa gliano in vari gruppetti in lotta fra di loro, ma che al momen to giusto si ritroveranno sempre insieme. Molto più probabi le è che un mito cosiffatto abbia sempre avuto un valore trai nante come momento rivelatore di univoche affinità di par tenza. Alla fine, il progetto politico che da questi filoni culturali ri mane all’eversione di destra, mostra connotati massiccia mente antropocentrici e individualistici; risulta invece molto sfocato il versante di un programma di governo per una so40
cietà molto composita come l’attuale. Fine ultimo di tutti i gruppuscoli della destra eversiva è l’instaurazione di una dit tatura élitaria e antiegalitaria, che, non si dice mai bene co me, risolverà tutti i problemi. Nel discorso politico degli eversori, cioè, viene privilegiato quasi in esclusiva il momen to della conquista del potere. Da qui, un’ovvia preminenza viene riservata all’elemento militare che, anche nelle vesti di mito personale e di richiamo ideologico, rappresenta il cano ne di modellazione dei vari gruppi della destra eversiva. Da qui, ancora, l’abito mentale di ciascuno di questi gruppetti non può non essere quello della cospirazione, della congiura cioè dove il rivoluzionario di fede e professione può benissi mo convivere anche con quella parte dell’apparato di potere ufficiale che, non solo per identità di fini ultimi, può agevo larne con mezzi pubblici la scalata al potere. 7. I le&imi intemazionali dell’eversione di destra Fin dagli inizi l’eversione di destra italiana ha contato su ro busti rapporti con analoghi movimenti europei, si da ritro varsi anch’essa bene alloggiata nei ranghi della cosiddetta Orchestra nera28. In effetti, se il fascismo ha dominato l’Italia dal 1922 al 1943, la Germania dal 1933 al 1945, il Portogallo dal 1930 al 1975 e la Spagna dal 1939 al 1976, forti presenze fasciste si sono avute negli anni prebellici anche in Francia, in Belgio, in Inghilterra con qualche puntai ina in Scandinavia. A guer ra finita, nelle tradizionali e pur vittoriose democrazie euro pee i fascismi hanno continuato ad operare, molto spesso con l’ausilio vivacissimo degli europei che furono collaborazioni sti nei riguardi del nazifascismo di Hitler e Mussolini. L ’eversione di destra italiana ha sempre mantenuto contatti molto stretti e pubblici col regime di Franco in Spagna e con 28
Sui rapporti internazionali dell’eversione di destra, oltre alla bibliografia indicata nelle note 9, 10 e 16, v. anche Laurent (1978), Bocca (1978b), Flamini (1982: 25-27,50-53, 79-83).
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quello di Salazar in Portogallo: legami dichiarati risultano al tresì stabiliti con l’Oas, che campeggiò sulla scena france se dalla fine degli anni cinquanta per quasi tutti gli anni ses santa. Nel decennio iniziato nel 1960, si sono celebrati con la nutri ta e influente partecipazione di italiani molti convegni29 di tutta la destra eversiva europea, in Italia, in Francia, in Ger mania, in Svizzera. Ordine nuovo e Avanguardia nazionale hanno cosi avuto occasione e modo di aprire, fra gli altri, rapporti diretti con Ordre et tradition del francese Yves Guerin Serac e con Nouvel ordre européen dello svizzero Amaudruz, mentre Freda veniva chiamato a tenere confe renze in Germania. Il riferimento europeo, quindi, vale per l’eversione di destra italiana come il modo per creare reti di appoggio e basi logi stiche per individui e azioni, come mezzo per avviare uno scambio di ideologie e di esperienze, come sistema per pro cacciarsi finanziamenti. Proprio negli anni sessanta-settanta, i gruppettari della de stra italiana si infilano in una serie di società commerciali30 che radunando contemporaneamente e senza distinzioni ade renti ad Ordine nuovo ed Avanguardia nazionale, svolgono attività di import-export con paesi esteri. Ed anche se pur troppo non risultano compiuti in profondità accertamenti sulle attività di queste società di comodo, pare che nei loro traffici siano coinvolti anche organismi del Sud Africa e del Sud America. 8. La situazione italiana negli anni sessanta Nella primavera del 1960 Tambroni forma un Governo de29
Si segnala, senza pretese di completezza, il convegno di Venezia del 4 marzo 1962, il convegno di Barcellona del 5 aprile 1969, il convegno di Regensburg del 17 ago sto 1969.
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Per indicazioni specifiche, v. le società commerciali indicate nelle sentenze del Tri bunale di Roma di cui alla nota 19.
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mocristiano che passa alla Camera col voto determinante del Msi; ne scaturisce una decisa reazione di popolo, che, al prezzo di una catena di morti nelle manifestazioni di piazza da Genova all’Emilia alla Sicilia, fa cadere Tambroni. Nel 1963 Aldo Moro realizza il primo governo di centrosini stra in cui, accanto ai democristiani, figurano ufficialmente i socialisti di Pietro Nenni; è la prima volta — nei 70 anni uf ficiali di vita dei movimenti operai in Italia — che esponenti di un partito di lavoratori entrano nel governo e quindi pas sano nell’enfatizzata stanza dei bottoni da dove si vuole che si comandi in tota Italia. Il 21 aprile 1967 i colonnelli prendono le redini del comando in Grecia, dove questa dittatura militare va al potere impie gando materialmente il Piano Prometeo, che è un progetto studiato e preparato dalla Nato per far fronte ad eventuali eversioni interne nei paesi aderenti aU’Alleanza occidentale. Dal 1968 in poi, con un aperto richiamo a quanto già avve nuto negli Usa in ragione della guerra nel Vietnam, tutta l’Europa è attraversata da una ventata di sinistra rivoluzio naria a cominciare dal maggio francese. In Italia esplode l’au tunno caldo con i sindacati in prima linea nel chiedere rifor me di struttura. A questi imponenti movimenti degli operai seguono, sempre in Italia, le manifestazioni studentesche che, in polemica col Pei, si richiamano quasi esclusivamente alle esperienze cinesi di Mao e a quella sudamericana del Che. Soprattutto, gli anni sessanta sono caratterizzati in tutta Eu ropa da una serie di miracoli economici che migliorano rag guardevolmente le condizioni economiche delle popolazioni se rapportate non solo ai miserevoli anni del dopoguerra ma soprattutto ai ruggenti anni fra le due guerre mondiali. Sbar ca cosi nel Continente europeo il consumismo di produzione nordamericana che, se ha una vernice di divertimenti di mas sa nella swinging London e nell’epopea dei Beatles, produce giorno dopo giorno un’erosione dei vecchi valori culturali e 43
l’introduzione molto battagliata di nuovi rapporti sociali e individuali. Spinte e controspinte di gruppi sociali, singole personalità e occasioni concrete, manovre economiche a raggio interconti nentale, intromissione di interessi internazionali nella con duzione degli affari dei singoli paesi, accadono intanto aper tamente, com’è ovvio, in Europa e in Italia dal 1960 al 1970. Per prima cosa in Italia entra in crisi la maggioranza sostan ziale che dai tempi dell’unità nazionale governa il paese in appoggio alle classi dirigenti e dominanti. E un processo len to, o, meglio, si tratta di una serie di accadimenti quotidiani che possono passare uno per uno anche inavvertiti perché so no coperti, in generale, da una tenuta delle istituzioni e dal mantenimento del consenso popolare intorno ad esse. Ma la crisi c’è: il progetto politico generale espresso dal governo di centrosinistra — l’inserimento delle masse popolari nel go verno legale del paese — si sfilaccia e perde continuamente di peso corporeo di fronte al come concretamente esso può realizzarsi31. I gruppi che, anche al di fuori di raggruppamenti in partiti politici, compongono la maggioranza sostanziale non trova no un accordo chiaro e preciso, e perciò entrano in fase di rottura fra loro, esplicitata dal susseguirsi periodico di non facili e lunghe crisi di governo. Lo scollamento inizia a funzionare e muoversi anche nella comunità sociale, la quale, nel non vedere le proprie istanze affrontate all’interno di soluzioni politiche durature, inizia a prendere le distanze dal potere politico ufficiale. 31
Sulla crisi del centrosinistra, v. Tamburrano (1971) il quale a p. 307 ha scritto che nell’estate del 1964 «la classe dominante ritenne giunto il momento della prova di (orza decisiva col Psi: o il Psi entrava nell’area capitalistica, o il capitalismo usciva dall’area democratica». Per un nesso di causalità tra il fallimento del tentativo ri formistico del centrosinistra e l’insorgere del terrorismo di destra e di sinistra, v. Galli (1983: 38-39). Più d ’un pentito di sinistra, poi, negli ultimi tempi ha insistito sulla reazione al terrorismo di destra negli anni 1969-1975 come elemento prodromico dell’eversione di sinistra.
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Nulla di strano, quindi, se gruppi della maggioranza della classe dirigente, oltre a inasprire anche con colpi bassi la lot ta alle fazioni avversarie, prendono a intessere rapporti con le opposizioni anche extraparlamentari. Infatti, al di là dei movimenti sotterranei e contingenti della destra eversiva, negli anni sessanta vengono alla luce dei fatti che mostrano una chiara commistione fra la crisi nella maggioranza sostan ziale della classe dirigente e i percorsi individuali degli ever sori di destra. I generali Aloja e De Lorenzo, entrambi al ver tice delle forze armate italiane, si battono aspramente per ra gioni strategiche oltre che per beghe personali; si parla di una presenza militare nella quasi interminabile crisi di gover no del 1964; una Commissione parlamentare d’inchiesta ac certa, in un mare di omissis, scoperte deviazioni del Sifar, il servizio segreto italiano molto spesso descritto come un’ap pendice dei servizi americani32. Quasi contemporaneamente, il Sifar arruola Giannettini ed altri pubblicisti di destra e contatta Rauti. Nel 1965 l’istitu to Alberto Pollio di Roma33, nel quale è evidentissima la pre senza delle gerarchie militari italiane, tiene un significativo convegno su i sistemi e le tattiche de «La guerra rivoluziona ria», dove le relazioni sono tenute da esponenti delle aree culturali di destra, a principiare da Giannettini; a questo convegno presenziano parlamentari della maggioranza, alti gradi militari, e un gruppo di giovani studenti fra cui si tro vano anche Delle Chiaie e Merlino34, i quali, prima di rein contrarsi entrambi coinvolti nel processo per la strage di piazza Fontana, nel 1968 risulteranno legati ad una presenza in Roma di svariati chilogrammi di esplosivo.
32
Per un’illustrazione in dettaglio dei temi suesposti, v. gli autori citati alle note 9, 10 e 16. Sui servizi segreti italiani e i loro rapporti in generale con i servizi ameri cani, v. Craveri (1980), Fini-Faenza (1978). Per un’interessantissima ipotesi sulla presenza americana in Italia negli anni iniziali del terrorismo, v. anche Blondet (1978).
33
Sul convegno del maggio 1965 all’istituto Pollio di Roma, v. Flamini (1981: 83-94).
34
V. sentenza contro Delle Chiaie Stefano + 2, Tribunale di Roma (1977).
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Anzi, la destra extraparlamentare si arricchisce di contenuti e di sigle nuove. Nascono, infatti, gruppi di cattolici tradizionalisti in lotta con la Chiesa del Concilio Vaticano II e di marcate simpatie autoritarie, una parte dei quali saranno a vario titolo proces sati negli anni a venire insieme ai neri più sfegatati ed esplici ti. Pacciardi, capo dei repubblicani che accusa il Potere uffi ciale di avergli sottratto perché contrario al centrosinistra la leadership nel Pri a colpi di milioni, fonda Nuova repubbli ca, un movimento che propugna la repubblica presidenziale e col passare del tempo scivola sempre più a destra, tanto da arrivare a contatti personali con individui di On e An ” , Ordine nuovo e Avanguardia nazionale intensificano i rap porti internazionali a cominciare dal celebrato viaggio fatto da molti studenti capeggiati da Merlino nel 1968 nella Gre cia dei colonnelli e dai rapporti stretti con la Lega degli stu denti greci intanto organizzata dai colonnelli in Italia. Nelle università, contro la sinistra operano violentemente gruppi di destra dove convergono On e An; ma, nel pastic ciaccio culturale e ideologico di quegli anni influenzati anche troppo dai successi maoisti e guevaristi, a Roma sorge Lotta di popolo, che è, sotto una frase di Evola, un gruppo di de stra con accese venature populistiche. E il periodo in cui si annunciano gruppetti nazi-maoisti, che sono certamente per un verso una provocazione e un mezzo per far passare discor si apertamente fascisti, ma che pure risentono delle mode culturali del tempo56.
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V. gli autori citati alle note 9, 10 e 16.
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Per quanto attiene all’infiltrazione di studenti neofascisti nel movimento studente sco di sinistra, v. le pagine 5 e 10-11 della sentenza citata alla nota 34 e, sia pure in forma molto velata ma di grande interesse, la p. 4 del memoriale trasmesso da Del le Chiaie nel 1977 alla C orte d ’assise di Catanzaro che giudicava gli imputati per la strage di piazza Fontana. Per un gustosissimo episodio di un incarico fornito da un funzionario del M inistero dell’interno, il dr. D ’Amato, al Delle Chiaie per affigge re manifesti inneggianti a M ao in Roma, v. Barberi e Pagani (1981: 70).
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Da tutto ciò sembra che negli anni sessanta la destra extra parlamentare sia in preda al ducismo più sfrenato, visto che i gruppetti si battono e si rincorrono duramente fra loro; ma in realtà tutta l’eversione di destra ha il chiaro progetto poli tico di sovvertire l’ordinamento costituzionale italiano, e le lotte intestine hanno il senso di ricercare il momento vincen te per il coagulo di forze assolutamente omogenee. Il 13 settembre 1968, davanti a un notaio di Roma, Valerio Borghese, che nel 1951 era stato acclamato Presidente ono rario del Msi, fonda il Fronte nazionale rivoluzionario. Sotto le bandiere del principe Borghese, che è stato uno dei capi di Salò, accorrono in molti: reduci di Salò, iscritti a gruppi paramilitari di paracadutisti, o di reduci di tante guer re, militanti di On e An, gerarchie militari. Poi, Borghese troverà ampio credito e finanziamento sicuro presso gruppi industriali italiani, anche se alla fine scivolerà in uno stranis simo processo per bancarotta a causa di avventure finanzia rie e bancarie con ramificazioni verso il Sud America. Non è da escludersi che nei salotti romani il principe Borghese trovò intanto il modo di annodare fili di unità di intenti con esponenti del mondo politico ufficiale. Intanto Pino Rauti lascia Ordine nuovo a Clemente Graziani e rientra nel Msi. 9. 1969: esplode il terrorismo nero. Principali fatti compiuti dall’eversione di destra dal 1969 al 1975 Nel 1969, allo stillicidio di spedizioni neofasciste con raids di violenza nelle scuole e nelle università si sovrappone l’esplo sivo. Nel 1969 vengono compiuti in Italia 312 attentati con bom be: fra questi quelli all’ufficio istruzione dei tribunali di Mi lano e Torino, alla Fiera campionaria di Milano e ai treni del la notte fra l’8 e il 9 agosto sembrano essere stati confessati dal gruppo di Freda e Ventura nei relativi processi che, ricor diamo, non si sono ancora conclusi in via definitiva. 47
Dal 1969 al 1975 vengono compiuti in Italia 4 384 atti’7 di violenza contro persone o cose, ispirati tutti da una manife sta matrice politica. L ’85% di questi fatti si svolge in appena 16 province su 94, soprattutto a Roma, Milano e Torino. L ’83% di tutti i fatti di violenza politica accaduti in Italia dal 1969 al 1975 è dichiaratamente opera della destra eversi va, che negli stessi anni consuma 63 omicidi su un totale di 92 assassini politici. Dal 1969 al 1975 in Italia vengono compiute quasi tutte le stragi che dal 1969 al 1982 sono responsabili del 42% delle persone morte per fatti di terrorismo. Il 12 dicembre 1969 a Milano esplode, nella sede di piazza Fontana della Banca nazionale dell’agricoltura, una bomba che uccide 17 persone e ne ferisce 88. Il 22 luglio 1970 un treno di lavoratori per ragioni sindacali diretto in Calabria viene fatto saltare in aria nei pressi di Gioia Tauro: muoiono 6 persone e ne restano ferite 50. Il 31 maggio 1972 a Peteano una macchina imbottita di esplosivo ammazza 3 persone e ne ferisce 2. Il 17 maggio 1973 davanti alla questura di Milano Bertoli aziona una bomba, uccidendo 4 persone e ferendone 12. Il 28 maggio 1974 in piazza della Loggia a Brescia muoiono 8 persone e 94 rimangono ferite per l’esplosione di una bomba. Il 4 agosto 1974 nei pressi di Bologna viene fat to saltare in aria il treno Italicus e vi muoiono 12 persone mentre 105 risultano ferite. Ma, accanto alle violenze e agli attentati, all’eversione di de stra sono da ascriversi per gli anni che vanno dal 1969 al 1975 molti altri fatti di chiara importanza per una strategia di dichiarata sovversione. Dall’estate del 1970 alla primave ra del 1971, Reggio Calabria è infiammata da una rivolta po polare, ispirata e diretta dai «boia chi molla» della destra con presenza cospicua di noti elementi di Avanguardia naziona-
,7
Per le cifre in questo paragrafo esposte — come anche per quelle indicate nel suc cessivo paragrafo 10 — v. G alleni (1981).
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le 58. A più riprese, poi, si cercherà di inserire questi conati di piazza nella realtà milanese dove tenteranno di operare alcu ni dei protagonisti di Reggio,9. Inizia anche la stagione dei golpe. Il primo è fissato per l’im macolata del 1970 quando il principe Borghese di notte vuo le mettere i propri uomini al Ministero dell’interno, alla Rai e al Quirinale. Con Borghese per questo golpe saranno, in un lontano futuro rispetto al dicembre 1970, equamente proces sati anche esponenti di On e An. Ma il golpe fallisce perché a un certo punto della nottata il principe Borghese riceve una telefonata che annulla gli ordini già impartiti e le prime ope razioni già avviate. Comunque, i reduci dall’avventura di Borghese non si fer mano e vanno avanti fino a tutto il 1974 a programmare pia ni d’attacco contro il sistema istituzionale. Queste manovre si svolgono prevalentemente a Roma, dove il gen. Miceli, ca po dei servizi segreti, aveva avuto qualche sentore dei movi menti di Borghese, e dove nella trama cospirativa s’è trovata traccia di cattolici legati ad ambienti del Vaticano e di indi vidui collegati alla massoneria, come denunciato alla magi stratura romana dal Ministero dell’interno nel 1974 e 1975. Si è anche detto e pensato molto circa un golpe di destra che doveva realizzarsi a Roma nell’agosto 1974 dopo la strage dell’Italicus, ma che poi viene accantonato a seguito delle di missioni in quell’agosto del presidente americano Nixon. In tanto, nel 1974-75, altre trame eversive di colore golpista di destra vengono sviscerate dai giudici di Padova durante il processo contro la Rosa dei Venti e dai giudici di Torino du rante il processo contro Edgardo Sogno. Ed è importante 38
Per uno studio antropologico sulla rivolta di Reggio Calabria, v. Lombardi Satriani (1979). È opportuno annotare che in un primo tempo i neofascisti definirono «ramazzaglia» l’insorgente ribellismo reggino, che poi, invece, finirono per cercare di egemonizzare.
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In una di queste m anifestazioni, guidate dal reggino Ciccio Franco poi eletto sena tore del M si, dal corteo di neofascisti fu lanciata una bomba che uccise l’agente di Ps Marino, per individuare gli autori del quale omicidio la stampa riportò la possi bilità di indicazioni preziose da parte di dirigenti ufficiali del Msi.
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notare come le istruttorie di Padova e Torino vengano riuni te a quelle romane per Borghese e per i fatti della capitale in un unico processo, che si è già celebrato in primo grado da vanti alla Corte d’Assise di Roma.
10. Interpretazioni sui movimenti del terrorismo nero negli an ni dal 1969 al 1975 L ’attività del terrorismo di destra negli anni dal 1969 al 1975 non si presta, soprattutto in prima lettura, ad interpre tazioni univoche e definitive. Anzi — ai fini della presente ricerca — meglio è insistere sui problemi rimasti ancora irri solti. Per quanto attiene la tattica delle azioni diverse dalle stragi eseguite dai neri — ovvero, per quanto concerne il tipo dei bersagli colpiti, la forma stessa o la localizzazione delle azio ni medesime — certo è che dal 1969 al 1975 i terroristi di destra uccidono 20 persone e non ne feriscono nessuna, con sumano 2 156 violenze (come pestaggi o atti di guerriglia), ri vendicano esplicitamente 133 attentati a cose e persone mentre con una certa sicurezza sempre ai neri vengono attri buiti 1 339 attentati non rivendicati. Sembra, quindi, che in questi anni comportamentalmente il terrorismo di destra abbia avuto connotati «squadristici» co me il fascismo del 1920-22: per tipo e numero di azioni com piute prevale l’uso della violenza diretta, contro gli avversari politici. Notevole è il ricorso al tritolo usato in abbondanza, di notte, essenzialmente contro le sedi di partiti o organismi democratici. Escluse quasi del tutto da ogni assalto sono le persone e le sedi delle forze dell’ordine (le quali sedi, peral tro, nel periodo 1969-1975 lamentano solo 57 violenze, per la maggior parte opera del terrorismo di sinistra). Su 11 se questri di persona compiuti dai terroristi in generale dal 1969 al 1975, nessuno è da ascriversi ai neri; sono invece le organizzazioni clandestine di sinistra ad utilizzare il veicolo pubblicitario nuovissimo del sequestro politico — e quindi, 50
direi, svolto in pubblico — di dirigenti d’azienda o capi reparto. In merito alle organizzazioni che hanno firmato le azioni del terrorismo nero, certo è che dal 1969 al 1980 esse sono state in tutto 171, ed almeno l’80% di esse ha operato nel periodo 1969-1975. La gran parte di questi gruppi ha concentrato, anche per il periodo indicato, la propria attività su Roma e, in misura molto più ridotta, su Milano. Il rapporto fra gli attentati rivendicati dai neri (133) e quelli loro attribuiti (1 339) dimostra ad abundantiam che il terrori smo di destra ha scelto di gran lunga l’opzione delibazione coperta», ovverossia del fatto terroristico non dichiarato né come autori né come finalità. È la via che rende quanto mai problematiche le indagini giudiziarie e poliziesche verso per sone (obiettivamente desiderose di rimanere sconosciute) che non firmano l’atto nemmeno come gruppo (di per sé rela tivamente individuabile con maggiore facilità); è il sistema per lasciare sempre in piedi il nodo politico del «chi è» e del «cui prodest» per ogni atto terroristico. Molto raramente, per il 1969-1975, le azioni terroristiche dei neri risultano firmate da On o An. Spessissimo, accanto a sigle tanto sconosciute da sembrare di puro comodo, ap paiono le firme dei Giustizieri d’Italia o delle Squadre d’azione Mussolini, che il 26 gennaio 1969 a Milano compio no il primo atto terroristico rivendicato dalla destra contro un palazzo che ospita più organismi ed enti democratici. Dal 1969 al 1974 nella sola Milano 80 attentati sono consumati dalle Sam. In questa organizzazione militava Giancarlo Esposti la cui morte, avvenuta in un conflitto a fuoco coi ca rabinieri in Abruzzo mentre Esposti ben provvisto di esplo sivo pareva dovesse calare su Roma per la festa della Repub blica, sarà commemorata da Avanguardia nazionale. Numerose sono le sigle di gruppi eversivi di destra che com paiono per appena il tempo di scoppio di una bomba. Se tale comportamento deriva ovviamente in parte da manovre di fensive di depistaggio delle indagini, l’analisi deve però tene 51
re presenti anche problemi di portata più ampia. Esaminia mo ad esempio, al di là di ogni discorso sulle responsabilità penali dei singoli, il misteriosissimo Ordine nero. Sotto que sta sigla si compiono dal 1974 al 1976 (nei tre anni, cioè, per cui di essa si ha notizia) e soprattutto nell’Italia nel Nord, 32 attentati, di cui ben 21 consumati nel solo 1974. All’ambien te di Ordine nero — ripeto: ben al di là di specifiche vicende processuali — vengono ascritte due stragi, quella di piazza della Loggia a Brescia e quella del treno Italicus nei pressi di Bologna. Sono in totale 22 le persone che muoiono a causa di Ordine nero, sull’identità dei cui aderenti ancora oggi non si hanno buone certezze. Ebbene, nello stesso mondo della de stra eversiva feroci sono sempre rimaste le polemiche sulle origini e le finalità di Ordine nero: alcuni guardano ad una filiazione da Ordine nuovo di cui Ordine nero ripete le ini ziali simboliche On; altri credono a un gruppo spontaneo; al cuni pensano che noti gruppi eversivi abbiano deliberatamente scelto, proprio per allontanare da se stessi ogni re sponsabilità, un sistema per rovinare Ordine nuovo, fino ad allora non compromesso in fatti di sangue; altri, infine, vi vogliono vedere la mano di chissà quale servizio, segreto o non. Da tutto ciò discendono alcune chiare considerazioni: Ordine nero rimane un’entità pressoché sconosciuta; gli at tentati a suo nome sono, quindi, «azioni coperte», che pro ducono un panico diffuso e una generica richiesta d’ordine, al contrario delle «azioni dirette» nelle quali, con effetto di tipo squadristico, le organizzazioni di destra si firmano e quindi vogliono che la gente comune ricolleghi proprio a loro lo stato di terrore in cui la precipitano nemici conosciuti per forti e implacabili. Poi: l’«azione coperta» si presta ad usi di versi e intercambiabili; una strumentalizzazione può venire da «gente forte» (magari personalmente al corrente proprio di quelle azioni) che arriva a sostenere che è proprio quello il momento giusto per questo o quel pugno o polso di ferro. Certo: le «azioni coperte» provocano anche all’esterno un «effetto boomerang», perché sono le più idonee a indurre le istituzioni a reagire con ferma correttezza a qualsiasi provo cazione. Ma l’«effetto boomerang» può anche venir canaliz zato verso il mondo della stessa destra eversiva, in quanto inevitabilmente la repressione statuale, ignorando la vera 52
realtà sottostante l’«azione coperta», si indirizza verso l’eversione senza distinzione di gruppi o finalità o persone; da qui, è anche possibile che P«azione coperta» sia realizzata da gente di destra per costringere quelli della destra che non vogliono le bombe a subire una persecuzione, dall’ingiustizia della quale saranno necessitati a fare immediato e irretrattabile ricorso all’atto terroristico. Comunque, il modo torbido attraverso il quale si sono espresse dal 1969 al 1975 le organizzazioni del terrorismo di destra può pure dimostrare che in esse sono andate avanti anche tendenze soggettive: a volte avranno prevalso momen ti individuali in specie nella scelta degli obiettivi, all’interno però di un’unica strategia, quella del terrore. In ordine alle stragi accadute dal 1969 al 1975, il solo episo dio sicuramente compiuto da Bertoli mostra venature anar coidi, per quanto non si siano raggiunte sicurezze sulle matri ci di questo misteriosissimo e singolarissimo personaggio. Ma anche il coinvolgimento dell’anarchico Valpreda per la strage di piazza Fontana insieme a uomini della destra più scoperta come Freda, Ventura, Giannettini, Merlino, Delle Chiaie deve essere valutato, al di là delle vicende e dei risul tati processuali, non solo alla luce di una manovra di provo cazione e copertura usuale per quegli anni nel mondo della destra, ma anche nella prospettiva di alcune voci per cui, fuori dalla buonafede di Valpreda, i rapporti fra Valpreda stesso e i circoli anarchici della sua Milano erano stati chiusi e in malo modo da tempo. Per queste stragi i processi sono ancora in corso, con un’alta lena di risultati anche contraddittori 40. Emblematica soprattutto è la vicenda processuale della stra ge di piazza Fontana. Dalla Procura di Milano l’istruttoria iniziata contro l’anarchico Valpreda passa agli uffici giudi ziari di Roma, donde la Corte d’assise rimanda gli atti a Mi40
Per una prima bibliografia sulle stragi in particolare, v.: gli autori citati alle note 9, 10 e 16, Testa (1976), Chiarini e Corsini (1983).
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lano, dove intanto erano confluiti gli esiti di un’istruttoria iniziata a Padova contro i neofascisti Freda e Ventura; però, la Corte di cassazione, su istanza delle difese degli imputati, trasmette il processo a Catanzaro, dove il 23 febbraio 1979 la Corte d’assise riconosce colpevoli Freda, Ventura, Giannettini e li condanna all’ergastolo; ma nella primavera 1981 la Corte d’assise d ’appello di Catanzaro assolve tutti per in sufficienza di prove, decisione questa cassata nel 1983 dalla Suprema Corte che ha rimesso gli atti, per Freda e Ventura, alla Corte d’appello di Bari, la quale ancora non ha avuto modo di pronunziarsi, mentre a Catanzaro continua a tutt’oggi una formale istruttoria per la strage avvenuta nel dicembre 1969. Tutto ciò è lo specchio dell’enorme interesse suscitato ovun que da quel procedimento. Si tratta, certo, di una vicenda processuale che presenta notevoli problemi interni, i quali peraltro rivestono non poca utilità per una storia dell’ever sione di destra. Da un canto, con l’istruttoria per la strage di piazza Fontana è la prima volta che — in conseguenza di mo difiche legislative nate da alcune sentenze emesse nel 1970 dalla Corte costituzionale — i giudici da soli affrontano un’indagine, visto che la polizia giudiziaria, proprio in quei tempi privata del potere di interrogare gli arrestati, non af fronta d’iniziativa indagini a lunga gittata. Poi, quando il processo pende davanti al giudice istruttore di Milano, viene evidenziato che i servizi segreti italiani quantomeno proteg gevano gli imputati della strage: osservazione questa che i privati cittadini recepiscono in momenti in cui, per ragioni strettamente politiche, le forze politiche si scollano sempre più dalla realtà del Paese. Senza prendere qui partito in ordine alla responsabilità dei singoli, l’attribuzione delle stragi alla destra eversiva si radi ca, oltre che su dati processuali, su una serie di fatti incon trovertibili. Prima di tutto, l’esplosivo è sempre stato firma to dalla destra, e proprio per distinguersi anche sul piano pubblicitario e propagandistico i terroristi di sinistra non hanno mai fatto ricorso all’uso isolato di bombe. Poi, mentre i terroristi di sinistra hanno sempre inteso con le loro azioni 34
attaccare direttamente lo stato e i simboli dello stato, le stra gi di cui abbiamo discorso sono rivolte contro la inerme po polazione civile fra la quale devono produrre terrore cieco e perciò un’indiscriminata ricerca di una forza superiore e pro tettiva. Il tema dei golpe si presta a più angoli di osservazione. Per quello di Borghese41, v’è chi ritiene che fu lasciato andare abbastanza avanti perché rappresentava l’occasione buona per colpire, mani nel sacco, i residui fascisti; altri, invece, credono che un’ipotetica strumentalizzazione di un ciarpame fascista non abbia alcuna importanza, perché i veri mandanti di Borghese miravano esclusivamente a creare uno stato d’al larme generale su cui innestare un movimento militare o qualcosa del genere. Significativo mi sembra il fatto che la stagione dei golpe in furia dal 1970 al 1974, quando, cioè, Democrazia cristiana e Partito socialista — i partiti principi del governo di quei tempi — vengono ai ferri corti nel centrosinistra, un cui fal limento, anche per la situazione parlamentare italiana, sem brava avrebbe portato ad una netta apertura a destra o ad un drastico spostamento a sinistra. Intanto, le vicende personali di golpisti e «stragisti» ed ever sori (i personaggi più importanti come Graziani, Massagran de, Borghese, Delle Chiaie riparano in Grecia e in Spagna) aprono squarci su immediati e diretti contatti, negli anni 1969-1975, del terrorismo nero con l’Internazionale nera. Dalla Spagna franchista alla Grecia dei colonnelli non sono mancati aiuti espliciti o impliciti verso gli eversori nostrani di destra, sui quali, di servizio segreto in servizio segreto, ca lano pesanti sospetti di appartenenza a centrali internaziona li o sovranazionali. Cosi, Delle Chiaie risulta personalmente coinvolto nel tentato omicidio commesso a Roma nell’otto 41
Sul golpe Borghese, sull’inchiesta di Torino sulle trame nere e su quella padovana per la Rosa dei Venti, v. la sentenza n. 49/75-29/78 emessa il 14 luglio 1978 dalla C orte d'assise di Roma, senza che a tu tt’oggi abbia avuto luogo il processo di ap pello.
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bre 1975 contro l’esule cileno Leighton, scampato al golpe durante il quale i militari, all’ombra dell’americana C ia42, nel 1973 uccisero a Santiago del Cile il presidente Allende. Del resto, il 5 febbraio 1972 in un comizio pubblico a La Spezia l’on. Forlani, segretario politico della Democrazia cri stiana e perciò testimone diretto di più cose, avverti che vi erano stati grossi movimenti della destra reazionaria la quale aveva mostrato consistenti radici organizzative e finanziarie nonché proficue solidarietà internazionali43. Il tema-problema, comunque, che più ha appassionato sui movimenti della destra eversiva è stato e rimane quello dei rapporti fra terrorismo nero e stato. Tutti gli autori che si sono occupati dell’argomento44 hanno concordato sull’esistenza di tali rapporti. Certo è, poi, che i processi contro i terroristi neri hanno mes so in piazza vistose compromissioni personali che — signifi cativamente — hanno attraversato sia lo stato-persona che lo stato-amministrazione, ovvero e zone del potere politico e aree del potere amministrativo. Cosi, generali in pensione ne hanno avvicinati di quelli in at tività; ambasciatori hanno girato l’Italia per raccogliere con sensi verso piani antidemocratici; esponenti della massone ria 45 e del mondo cattolico e di quello finanziario non hanno inteso rimanere esterni ad avvenimenti che potevano sfocia re in un cambiamento generale del sistema italiano. 42
Sulla presenza della Cia in Italia negli anni settanta v. l’intervista all’agente C ia V. M archetti apparsa sul settimanale «Panoram a» datato 2 maggio 1974. Più in gene rale, oltre agli autori citati alle note 9, 10 e 16, v. Laurent (1978).
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V. Flamini (1982: 15).
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V. gli autori citati alle note 9, 10 e 16.
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Sulla compromissione di ambienti massonici in trame eversive, v. Barberi e Pagani (1981). V. anche sentenza contro Calore Sergio + 24, Tribunale di Firenze (1983).
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L ’esempio classico, comunque, di un filo conduttore che av viluppa insieme indissolubilmente la base e il vertice del si stema di potere italiano nei rapporti col terrorismo nero, è costituito dall’aiuto fornito dai servizi segreti italiani agli im putati del processo per la strage di piazza Fontana. Giannettini viene aiutato finanziariamente quando ripara all’estero; peggio, dopo che il giudice istruttore di Milano ha richiesto la cattura di Pozzan (un bidello padovano), i servizi italiani prendono Pozzan e lo portano in Spagna dove a Madrid lo consegnano a Delle Chiaie, anch’egli all’epoca latitante e ri cercato proprio per il processo su piazza Fontana. Su questi fatti non si hanno, a tutt’oggi, notizie di sanzioni ammini strative o politiche contro quei funzionari che tradirono in quei frangenti lo stato. Quindi, è praticamente impossibile che si sia trattato di iniziative estemporanee e personali di un capitano o di un generale46. Ma quello che principalmente non torna è l’atteggiamento di fondo che il potere esecutivo (ovvero il governo) ebbe contro il terrorismo di destra dal 1969 al 1975. L ’affare viene lascia to in gestione quasi esclusiva ai magistrati, i quali, però, per il sistema processualpenalistico in vigore, non hanno una competenza diffusa in tutta Italia né a loro volta sono diretti da un organismo unitario. Il governo, però, si astiene in que gli anni dal creare un organismo unitario di polizia che com pia indagini in tutta Italia e quindi abbia effetti propulsivi sui processi intanto sparpagliati fra mille giudici. Che, forse, la posizione geopolitica dell’Italia come paese di frontiera e di cerniera fra Est e Ovest costituisce la sostanza sia della strategia della tensione che della teoria degli opposti estremismi, che furono le linee politiche adottate dalla mag gioranza governativa anche contro l’eversione di destra negli anni dal 1969 al 1975; dentro queste linee, intanto, l’ever sione di destra vinse indisturbata parecchie battaglie. 46
D ’altra parte, su iniziativa della magistratura di Milano, pende davanti al Parla mento italiano procedura contro i ministri Andreotti e Tanassi per la formazione del segreto di stato sui rapporti tra servizi italiani e personaggi dell’eversione di de stra.
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Eppure, la congerie di fatti e di problemi sin qui incasellati in una forma passabilmente organica permette, comunque, di avanzare un’ipotesi di lavoro circa la strategia di fondo se guita dalla destra eversiva in Italia dal 1969 al 1975. A me non sembra che si siano rinvenute tracce concrete di un’unica centrale direttiva; rimane, invece, definitivamente accertata l’unitarietà di fondo delle manovre variamente compiute dai gruppetti di destra, esponenti dei quali non ca sualmente sono stati processati tutti insieme per episodi mol to eclatanti. Credo, poi, che in quegli anni i movimenti neofascisti abbia no sviluppato soprattutto la prima delle componenti che ho indicato nel mussolinismo, e cioè un rapporto privilegiato con i detentori del Potere ufficiale per prendere il potere. Le stragi a catena, gli attentati quotidiani e numerosissimi in più città d’Italia, le stesse violentissime manifestazioni di piazza sono tutti fatti che da soli non potevano alzare le so glie di quel verosimile 20% di italiani che sempre ha aperta mente simpatizzato per la destra, fino alla conquista legale del potere attraverso la maggioranza nelle elezioni. Che, se un’ipotesi politica del genere può anche essere stata avanzata o praticata fuori dell’eversione di destra, è più plausibile che gli eversori agitassero l’idea di una serie di movimenti clamo rosi anche se non sempre collegati fra loro, per arrivare ad elevare il livello dello scontro fra gruppi sociali fino al punto da provocare l’intervento e l’adozione di misure autoritarie e restrittive. Questa linea di tendenza vale anche a dar conto della presen za di esponenti di rango di On e An in questo o quel golpe, più o meno non sprovvisto in assoluto di possibilità di riu scita. E si tratta, poi, di ipotesi che collimano con quelli che abbia mo indicato come i progetti politici e gli scopi di tutti i grup petti dell’eversione di destra, che confluiscono e si ricono 58
scono nel pretendere di instaurare una dittatura autoritaria e antiegalitaria. 11. 1974-1975: crisi nell'eversione di destra Nel biennio 1974-75, però, l’eversione di destra fu attraver sata da una crisi profondissima. Nel dicembre 1973, appena conclusosi e solo in primo grado a Roma un processo contro Ordine nuovo, il Ministro dell’interno con proprio decreto sciolse coattivamente Ordi ne nuovo medesimo. Nella seconda parte del 1974, i servizi segreti, in sintonia con chiare direttive politiche, attivarono fonti confidenziali che dettero risultati concreti contro gli autori del golpe Bor ghese, il cui processo fu cosi riaperto con vigore. I giudici di Torino e di Padova iniziarono in quegli anni deci se istruttorie su scala nazionale contro l’eversione di destra. Per queste procedure giudiziarie, i capi storici di On, Graziani e Massagrande, ripararono all’estero da dove sembra non siano più tornati in Italia. Lo stesso Delle Chiaie, capo indiscusso di Avanguardia na zionale e con recapito fisso per quegli anni in Spagna, limitò i suoi lunghi e indisturbati soggiorni in Italia — che sono sempre avvenuti all’insegna di svariati mandati di cattura per fatti gravissimi — quando nel novembre 1975 iniziò a Roma il processo contro An con decine di arresti. II 20 maggio 1974 Giulio Andreotti, leader governativo e de mocristiano dal 1946 in poi, in un’intervista al settimanale «Il Mondo», deplora le deviazioni dei servizi segreti e affer ma: «In Italia ci sono esecutori, finanziatori. Ma la manovra parte e viene diretta da più lontano. C ’è una centrale chiave a Parigi».
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Nei fatti, da allora, il rapporto privilegiato con il Potere uffi ciale non può più essere coltivato con successo dagli eversori di destra dopo il 1974. In fondo sono anche gli anni in cui cresce nel Paese la forza elettorale della sinistra, che appare vicina a sorpassare eletto ralmente i gruppi di centro, ininterrottamente al potere dal 1948. Peraltro, vi è un’insoddisfazione generale circa l’anda mento delle cose; e, almeno come necessità di conoscenza, dentro alcuni settori della cultura ritorna in auge proprio la filosofia della crisi con un rinnovarsi di studi su Nietzsche e successori. Ma la crisi più inarrestabile gli eversori di destra la vivono proprio dal loro interno. Arrivano in scena i nuovi militanti nati dopo il 1950. Queste generazioni, prima di ogni discorso politico particolare, re spirano un’aria generale che dopo il 1970 è ormai di rottura irrisolvibile con il passato: nella società italiana è finito il do minio dell’ideologia della Chiesa cattolica e della famiglia pa triarcale nella determinazione dei modelli di vita; alla ricerca della piena occupazione, si diffonde l’idea di un benessere generale obbligatorio in cui sfogare il consumismo che è poi il volano di un nuovo sistema economico; scompare l’idea del sacrificio e si crea un distacco dal principio di prestazione, per cui il lavoro come principale motivazione dell’esistenza viene sostituito dall’incremento del benessere individuale47. E di palmare evidenza a questo punto che l’eversione di de stra, che ha sempre arruolato fra i giovani la quasi totalità dei propri quadri, non può più fare nuovi proseliti con di scorsi infarciti soltanto dei miti di Salò o delle furie hitle riane. Con significativa incidenza anche sul piano pratico, fortissi ma dopo il 1974 è la concorrenza dell’eversione di sinistra, 47
Per un nesso di causalità fra condizioni sociali e insorgere del terrorismo, v. della Porta e Pasquino (1983a).
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che dilaga a macchia d’olio in molti parti d’Italia e che inizia a riscuotere notevoli successi anche a livello propagandistico. E poiché il terrorismo è pur esso un fatto apprezzabile sul piano strettamente criminologico, il successo dell’eversione di sinistra provoca, come sempre per i reati che vanno bene ai loro primi autori, nella destra eversiva numerose e robuste spinte a copiare i modelli e gli schemi di quelle Brigate rosse che nel 1974-1975 appaiono ancora vittoriose. 12. 1975-1976: la fusione fra Ordine nuovo e Avanguardia na zionale A cavalcare la tigre di tutte queste contraddizioni provvedo no On e An che, nel settembre 1975 in una riunione ad Al bano nei pressi di Roma48, si fondono e danno vita ad un gruppo unitario. Il nuovo gruppo aveva al vertice una Direzione politica na zionale da cui dipendevano una serie di Settori; a questa Di rezione erano collegati organismi analoghi su scala regionale, provinciale e comunale. Il gruppo aveva una struttura operativa formata su linee ver ticali e articolata in linee orizzontali per compartimenti sta gni che non comunicavano fra loro ma solo col vertice, il quale aveva predisposto una serie di numeri telefonici che as sicuravano i collegamenti fra i vari settori. Di estremo interesse è uno scritto rinvenuto nel dicembre 1975 in un appartamento di via Sartorio a Roma che fungeva da base per la nuova organizzazione. In questo documento, probabilmente elaborato congiuntamente da Delle Chiaie e Concutelli, si propugna apertamente la guerra rivoluzionaria contro il potere ufficiale; e fra le righe dello stesso si legge una reinterpretazione della figura del «soldato politico» a suo 48
V. Tribunale di Firenze (1983).
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tempo mitizzata da Codreanu, che ora viene rivisitata sulla base di pensieri del presidente Mao e del Che Guevara. Nel luglio 1976 a Roma, Concutelli, capo militare di questo gruppo, uccide il magistrato Occorsio e compie una rapina per circa mezzo miliardo a danno del Ministero del lavoro. Entrambe queste azioni hanno un valore rilevante per l’in terpretazione del percorso dell’eversione di destra a partire dal 1975. Con l’uccisione di Occorsio, per la prima volta la destra eversiva intende dichiaratamente colpire un simbolo dello stato, oltre che consumare una vendetta personale con la pu nizione pubblica di una persona vista come nemica. Con la rapina da mezzo miliardo, gli eversori di destra trala sciano la via dei finanziamenti pivi o meno diretti e si dichia rano esplicitamente per atti di autofinanziamento, come ra pine o sequestri di persona. Molto evidente in questi schemi di comportamento è il richiamo ai comportamenti dell’ever sione di sinistra, che prima del luglio 1976 ha già compiuto rapine a iosa ed ha ucciso a Genova il magistrato Coco. 13. I fatti compiuti dal terrorismo di destra dal 1977 al 1980 Ma nell’autunno 1976, in conseguenza e in ragione dell’as sassinio di Occorsio, molti terroristi neri vengono arrestati; ed è soprattutto Ordine nuovo a vedere scompaginate le pro prie fila, tanto che dopo quegli arresti non si avrà più notizia di On come tale, anche se alcuni ordinovisti rimarranno, purtroppo, in attività. Pure An entra in difficoltà, non foss’altro perché il capo carismatico Delle Chiaie, finito il franchismo in Spagna, elegge a sede della propria attività l’America del Sud, dall’Argentina al Cile alla Bolivia, ovun que i militari al potere lo richiamino e lo accolgano per loro fini. Purtroppo, però, i processi per i fatti compiuti da terroristi 62
neri dal 1977 al 1980 sono ancora nella fase segreta dell’istruttoria, e quindi non hanno neppure affrontato, per corroborare la loro attendibilità, un primo dibattito pubbli co. Il quadro generale, quindi, è ancora allo stato fluido e va le più come indicatore di tendenze che non come analisi pun tuale di programmi perseguiti. Disponiamo, comunque, di dati49di indiscutibile valore. Dal 1975 al 1980 i terroristi d’ogni risma uccidono in Italia 270 persone, che rappresentano il 75% dei morti per terrori smo dal 1969 al 1980; di questi 270 assassinii 115 sono da at tribuirsi alla destra che ne consuma 85 soltanto nella strage di Bologna dell’agosto 1980. Dal 1975 al 1980 gli attentati contro persone e cose sono cir ca 8 400 e la gran parte di loro, ma anche la percentuale più rilevante del decennio iniziatosi nel 1970, viene consumata nel triennio 1977-1979. Su questi 8 400 attentati circa 3 000, e quindi poco più del 35%, sono attribuiti con sicu rezza alla destra eversiva. Non disponiamo di statistiche sulle rapine compiute dalle or ganizzazioni di destra, ma il loro numero, a giudicare dalle istruttorie in corso, deve essere abbastanza alto. La stragrande maggioranza dei fatti commessi dal terrorismo di destra per gli anni dal 1975 in poi è stata perpetrata nella zona di Roma, con delle puntate rimarchevoli nel Veneto e a Milano. 14. Interpretazioni sui movimenti del terrorismo di destra dal 1977 al 1980 Soprattutto per le azioni compiute dai terroristi di destra dal
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Per i dati indicati in questo paragrafo, come pure per quelli usati nel paragrafo suc cessivo, si rinvia a Gaileni (1981).
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1977 al 1980, sono più i problemi ancora aperti che non le conclusioni già accettate o vagliate. La stessa pubblicistica sul tema consiste per la maggior parte in articoli giornalistici, dove, per forza di cose, prevale «l’immediato giornalistico» ovvero la necessità di legare cause e fenomeni profondi all’evidenza ed al risalto di episodi quotidiani. La ricerca, perciò, deve orientarsi essenzialmente verso un’indicazione ed esplicitazione delle tematiche di fondo. I bersagli delle azioni dei terroristi di destra dal 1977 in poi continuano a rimanere, nella stragrande maggioranza, le sedi di partiti ed organismi democratici. Calano, invece, gli atti di violenza come pestaggi o forme di guerriglia urbana che, se sono stati 2 156 negli anni 1969-1975, risultano solo 740 dal 1976 al 1980. Ma, dal 1977 in poi, per la prima volta i terroristi neri attac cano direttamente e ripetutamente lo stato. Nella primavera 1979, fra aprile e maggio, con azioni riven dicate i terroristi di destra fanno esplodere a Roma bombe contro il Campidoglio (sede del Comune), il carcere di Regi na Coeli, la Farnesina (sede del Ministero degli esteri), il Consiglio superiore della magistratura. II 7 febbraio 1980 a Roma i terroristi di destra ammazzano l’agente di Ps Arnesano, di guardia all’ambasciata del Liba no. Il 2 giugno 1980 (data della festa della Repubblica) anco ra terroristi neri uccidono a Roma il giudice Amato, uno dei pochissimi magistrati romani allora impegnato in processi contro i terroristi fascisti. Il 26 novembre 1980 latitanti neo fascisti assassinano a Milano il brigadiere dei carabinieri Lu carelli. Il 5 febbraio 1981 a Padova terroristi fascisti consu mano l’omicidio dei carabinieri Codotto e Maronese. Il 20 ottobre 1981 a Roma è il capitano di Ps Straullu a cadere sot to i colpi dell’eversione di destra. Poi, dopo che in conflitto a fuoco con la polizia è morto il terrorista Vale, a Roma — per esplicita e dichiarata ritorsione — il 6 maggio 1982 i neri uc cidono l’appuntato di Ps Rapesta. Ancora a Roma il 24 mag gio 1982 l’agente di Ps Galluzzo è ucciso dai terroristi fasci
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sti, mentre fa la guardia alla casa di un esponente dell’Olp, l’organizzazione di liberazione palestinese. Questi fatti dimostrano che, in preponderante risalto sopra l’elemento punitivo sempre adorato e sublimato dai fascisti, con queste azioni i terroristi neri vogliono soprattutto e di speratamente difendersi. Mentre l’eversione di sinistra li in calza e li sovrasta per qualità ed effetti pubblicitari, essi ten tano di stroncare le possibilità concrete degli organismi sta tuali di venire a capo anche dei movimenti dell’eversione di destra. Nello stesso tempo, è direttamente lo stato che viene assunto dai neri come un nemico da abbattere. La riprova di un atteggiamento generale più sulla difensiva di quanto non sembri è data, poi, dall’assassinio, perché «tra ditori», dei neofascisti Mangiameli e Perucci, effettuato dai terroristi di destra nel gennaio 1981 a Roma. In raffronto agli anni 1969-1975 gli attentati a cose e perso ne consumati dai terroristi di destra nel periodo 1977-1980 nella sostanza non diminuiscono né crescono, segnando cosi, in un certo senso, una stasi nello sviluppo interno del terrori smo nero. Aumentano, però, considerevolmente gli attentati rivendicati esplicitamente da organizzazioni di destra: men tre le azioni rivendicate sono state solo 133 dal 1969 al 1975, esse salgono a 482 per gli anni dal 1976 al 1980. Più o meno stazionari rimangono, poi, gli attentati attribuiti alla destra con ragionevole sicurezza: 1 164 dal 1976 al 1980 contro i 1339 dal 1969 al 1975. Anche nel periodo dal 1977 in poi, le sigle usate dalle orga nizzazioni di destra per consumare azioni terroristiche sono numerose e, il più delle volte, ricorrenti per un solo episodio. E ovvio che questo proliferare di nomenclature ha essenzial mente valore strumentale per nascondere gli autori di crimi ni e depistare le indagini. Ma, lo stesso, questa frammenta zione vale come sintomo di un persistente «ducismo», ovve ro di uno sfrenato impulso al protagonismo. Le nuove organizzazioni della destra eversiva mantengono
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intanto fortissimi legami internazionali con gruppi analoghi. Ma, nel mutato clima internazionale segnato anche dalla ca duta del franchismo in Spagna e dei colonnelli in Grecia, questa volta i rapporti riguardano: 1) luoghi tradizionali, come la Gran Bretagna, la Francia, la Germania occidentale, dove i neri riparano quando inseguiti in Italia e dove — mi riferisco a Parigi — pare che il vecchio Delle Chiaie cercasse di intessere contatti diretti con i giova ni delle ultime leve naziste; 2) i nuovissimi luoghi caldi della scena internazionale, come il Libano dove alcuni estremisti di destra nostrani frequenta no campi d ’addestramento della Falange libanese, o il Sud Africa dove i terroristi neri colà nascostisi entrano nelle guerriglie contro i negri, o la Bolivia e il Sud America in ge nerale dove i militari li al potere continuano, come nel dopo guerra, ad accogliere fascisti d ’ogni risma e ne impiegano pivi d ’uno contro le organizzazioni di sinistra locali. Il reclutamento degli adepti del terrorismo di destra per il periodo 1977-1980 continua a svolgersi quasi esclusivamente fra i giovani e soprattutto fra gli studenti e i sottoccupati. Naturalmente, i terroristi neri pescano nell’area della Destra (anch’essa, però, in fase di autonoma riconsiderazione e ri strutturazione); ma, mentre fino al 1975 i vari Graziani, Giannettini, Rauti, Delle Chiaie, Signorelli hanno avuto un peso — quasi sempre esterno, ma a volte anche interno — nella storia e nei percorsi del Msi, ora, dal 1976 in poi, nes suno dei nomi (per la gran parte di giovanissimi), che la stam pa e i processi hanno indicato per i principali esponenti dell’eversione di destra, occupa posti di rilievo in quel parti to. Fanno eccezione Delle Chiaie e Signorelli (e quest’ultimo fino al 1976 fece parte del Comitato centrale del Msi per poi venirne estromesso) che troviamo imputati nei principali processi contro l’estremismo nero fino ai nostri giorni, ma non v’è neppure il minimo appiglio per affermare la sussi stenza di un qualche rapporto fra loro due e il Msi dopo il 1976.
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c I gruppi del terrorismo di destra più significativi per gli anni dal 1977 in poi appaiono essere tre: i Nuclei armati rivolu zionari, Terza posizione e il Movimento rivoluzionario po polare. I Nar sembrano sprovvisti di un valido supporto ideologico che vada al di là della generica lotta al sistema e dell’imma nente opposizione al governo di solidarietà nazionale, sorret to appunto negli anni 1977-1979 da Democrazia cristiana e Partito comunista. Più spesso i Nar appaiono come un polo d ’attrazione e uno sbocco per i singoli che dall’area della D e stra vogliano manifestare la loro volontà d ’opposizione a tut to; i Nar, quindi, possono avere offerto una sigla allo sponta neismo armato e a gruppuscoli non organizzati in proprio per il terrorismo. La prima azione pubblica dei Nar è del gennaio 1977 con attentati dinamitardi contro De e Pei; dal 1978 al 1980 ai Nar sono attribuiti 8 omicidi e più di 100 attentati. Terza posizione, che si appoggia alle esperienze in Roma dei Comitati rivoluzionari di quartiere e dei Comitati popolari di lotta, si pone in alternativa alla destra ufficiale e tratta te mi per quell’area decisamente nuovi, come i problemi della casa, dell’ecologia e della disoccupazione giovanile. Tp di chiara di voler superare gli schemi politici tradizionali e, ser vendosi di un contropotere organizzato su scala nazionale, di voler arrivare ad uno «Stato di popolo». Processualmente Tp è ancora sub judice in istruttoria a Roma, ma si ha fin da ora la certezza di numerosi arresti di suoi aderenti per manifesta zioni sediziose o porto d ’armi. II Movimento rivoluzionario popolare rifiuta l’etichetta di destra e rivolge un appello a tutte le forze rivoluzionarie per l’intensificazione di una pratica di contropotere che ricom ponga l’unità della rivoluzione. All’Mrp sono attribuiti un’ottantina di attentati, fra cui spiccano quelli contro il Campidoglio, un carcere romano, la Farnesina e il Consiglio superiore della magistratura, tutti realizzati con grande im piego di esplosivi e non senza perizia. Questi gruppi dell’eversione di destra sono stati influenzati 67
dal successo decisamente maggiore avuto dopo il 1975 dal terrorismo di sinistra, che cosi si segnalava per una maggio re, anche se apparente e superficiale, vicinanza ai problemi della società. Dopo il 1977, il modello di organizzazione interna e le mo dalità delle azioni del terrorismo di destra ricalcano sempre più i sistemi della sinistra eversiva. Ma le differenze perman gono notevoli; ad esempio, il 9 gennaio 1979 i Nar a Roma fanno irruzione nei locali di Radio Città Futura (un’emitten te privata, esplicitamente inserita nell’area dei gruppi extra parlamentari di sinistra), distruggono il distruggibile e feri scono anche gravemente cinque donne che vi si trovano. Par rebbe a tutta prima da questo episodio che i neri abbiano ri copiato le tante irruzioni in partiti ed uffici privati compiute in quegli anni da estremisti di sinistra; invece, al fondo è ine liminabile il connotato squadristico (da fascismo vecchio sti le) dell’operazione essendosi trattato di un’azione contro av versari di parte per un’egemonia di parte; ma naturalmente non va eluso il richiamo a quanto di squadristico in assoluto hanno saputo realizzare anche i gruppi terroristici di sinistra. I due terrorismi, poi, dopo il 1977 sono anche scesi in lotta aperta fra loro con numerosi scontri diretti in cui viene con sumato più d ’un omicidio. Molto interessante, però, è che i gruppi di destra hanno lanciato più volte proposte di tregua verso quelli di sinistra per unire le forze contro lo stato de mocratico. Ed è significativo che nel 1981 a Roma sia stato trovato un apparato logistico dove di armi e documenti falsi si rifornivano sia i terroristi di destra che quelli di sinistra. Sulla condotta e sulla tenuta in generale, poi, dei gruppi della destra eversiva, va detto che l’assenza di una chiara scelta ideologica per i terroristi di destra ha tagliato loro le gambe anche rispetto alla possibilità di formulare un progetto politi co preciso. Dalle azioni compiute dai terroristi neri dopo il 1977, infatti, non è dato di risalire ad alcun programma spe cifico che permetta perlomeno di intrawedere — dalla tatti ca sperimentata nei singoli episodi — l’operatività di una strategia globale e diffusa.
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Per quanto attiene il tema-problema dei rapporti dell’ever sione nera con il Potere dopo il 1977, è emblematico che si sia accertato come tutti i capi dei servizi segreti italiani ab biano fatto parte della loggia massonica P2 50, la quale a sua volta ha rappresentato (e non sembra abbia smesso di essere) uno dei momenti più gravi di attacco alle libere istituzioni democratiche; che, anzi, i protagonisti di quelle protezioni accordate agli imputati per la strage di piazza Fontana di cui s’è discorso innanzi, sono stati trovati iscritti in massa negli elenchi della P2. Questa volta però — mentre le deviazioni degli apparati dello stato in favore dei neri fino al 1975 sono arrivate all’incriminazione soprattutto politica di ministri dello stato — il coinvolgimento di estremisti neri nella nebu losa P2 è avvenuto, secondo notizie di stampa, ai livelli più bassi come l’impiego di un terrorista nero per uccidere nel 1979 a Roma il giornalista Pecorelli, anch’egli apparso, e non in seconda fila, nel pianeta P2. D ’altro canto, la comparsa sulla scena per legge di stato della figura del «terrorista pentito» — un istituto antropologico fondamentale51 per la comprensione dell’intero fenomeno terroristico — insieme a un miglioramento delle strutture della sola polizia, ha provocato verso il 1980 la sconfitta mili tare anche del terrorismo di destra con abbondanza di suoi militanti in galera. A me pare, in definitiva, che nei movimenti compiuti dal ter rorismo di destra dopo il 1975 abbia prevalso il secondo aspetto del mussolinismo: nell’eversione di destra si è irrobu stita in quegli anni la volontà della rivoluzione a tutti i costi. È la stagione del radicalismo, quella vissuta dal terrorismo di destra dal 1975 in avanti. Il fascismo epocale, quello di Mussolini cioè, viene prosciu gato di quasi tutti i suoi significati storici e viene idealizzato 50
V. Barberi e Pagani (1981) anche per i riferimenti concreti alla storia dell’eversio ne di destra.
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V ., per la definizione del pentitismo, Ferrarotti (1981).
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e dimensionato in una sorta di repulisti generale di questa so cietà marcia e corrotta che attraverso la violenza deve essere riportata ad un ordine fascista intransigente. Il dato più appariscente di questo radicalismo della destra eversiva è senz’altro fornito dal pullulare in essa della incul tura della disperazione: come apertamente predicano i Nar, la pistola è uno strumento di morte e di potenza; l’arma è lo status symbol della liberazione dell’uomo forte. Questo nuovo fascismo ribadisce i valori della Tradizione e l’anticomunismo sfegatato, ma colora il vecchio nazionali smo con accenti europei e con apprezzamenti verso le mino ranze etniche rivoluzionarie, come gli irlandesi dell’ira e i persiani in lotta contro lo Scià. Il disprezzo del capitalismo si specifica in un acceso populismo che viene presentato come il superamento del dilemma o marxismo o liberalismo. 15. 2 agosto 1980: la strage di Bologna Il 2 agosto 1980 dentro la stazione di Bologna l’esplosione di una bomba provoca 85 morti e 200 feriti. Su questo che è il maggiore reato commesso dalla destra in Italia, si è aperta un’istruttoria penale che per notizie pubbli che appare molto travagliata. Nel processo in corso figurano, a quello ch’è dato apprende re dai giornali, due gruppi di imputati: una serie di persone accusate della strage appartiene sicuramente all’area del radi calismo di destra di cui s’è appena parlato; un altro gruppo d ’imputati, fra cui figura Delle Chiaie, proviene invece dai movimenti storici della destra eversiva, ovvero da quei grup pi che hanno agito solo ed esclusivamente per la conquista del potere. Tornano qui le tematiche che da sempre occupano ogni di scorso sul terrorismo italiano, il quale, da parte sua, molto più spesso di quanto non si voglia e non si creda è stato un
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fenomeno indigeno perché legato a cause e vicende naziona li, ma poi ha sempre presentato delle appendici molto robu ste di legami internazionali e di rapporti con ambienti italia ni ufficialmente estranei alla sovversione. 16. Problemi ancora aperti per la comprensione generale del fe
nomeno del terrorismo di destra Mi sembra doveroso e nello stesso tempo opportuno chiude re questa ricerca col proporre alla riflessione successiva i pro blemi ancora aperti per una definizione dell’intero terrori smo di destra. Il primo è un problema apparentemente solo operativo. Il materiale delle fonti dirette sul terrorismo nero è ancora troppo disperso; manca una ricognizione anche solo cronolo gica delle azioni compiute dai terroristi e dei relativi proces si; soprattutto, devono essere accorpate le requisitorie e ar ringhe di parte e le sentenze emesse in tutti i gradi nei pro cessi contro i neri; deve altresì curarsi la raccolta di quegli at ti processuali comunque divenuti pubblici prima che su essi, per la definitività delle relative sentenze, cali la mannaia dell’ingresso negli archivi di stato dove il materiale resterà non consultabile per ben 70 anni. Ma questa non è solo rac colta di carta: è nei processi penali che i terroristi hanno par lato in prima persona; quindi, il recupero degli atti proces suali costituisce e rappresenta una vera e propria indagine sul campo per lo studioso del fenomeno del terrorismo di destra. Poi, servendosi delle ricostruzioni di singoli episodi, mi pare indispensabile uno studio su tattica e strategia usate nel tem po dalle varie organizzazioni. Credo che questa sia la via di retta per penetrare all’interno del fenomeno dell’eversione di destra. Anche importante mi sembrerebbe uno studio comparato sulle finalità intrecciate del terrorismo di destra e sinistra, vi sto che entrambi, per certi versi e in certi momenti, sono sta ti concausa l’uno dell’altro.
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Tema di estrema rilevanza è quello di un’indagine unitaria su tutte le stragi consumate in Italia dal dicembre 1969 in poi; si tratta degli episodi più gravi di terrorismo avutisi nel no stro Paese, nella scoperta e punizione dei quali hanno avuto peso anche tutte le manifestazioni del Potere. Un problema specifico, ma forse determinante, per inqua drare tutta la tematica dell’eversione di destra, è quello dei rapporti fra i neri e lo stato. Mi sembra, per chiudere, che al meno un’impostazione chiara e corretta di questi problemi rappresenti un deciso passo in avanti per la comprensione ge nerale del fenomeno del terrorismo di destra.
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ANGELO VENTURA
IL PRO BLEM A D E LLE O R IG IN I D E L TER R O R ISM O DI SIN ISTRA
ANGELO VENTURA
IL PRO BLEM A D E L L E O R IG IN I D E L T ER R O RISM O DI SIN ISTR A
Premessa La lunga stagione del terrorismo italiano abbraccia ormai un quindicennio, e non può certo considerarsi conclusa. È una storia terribilmente drammatica e complessa, ancora in parte oscura, che ha due protagonisti concorrenti, il terrorismo ne ro e il terrorismo rosso, e che si dispiega con spietata violen za in un torbido intreccio di trame eversive e di poteri occul ti, di rapporti con la criminalità organizzata, di collegamenti internazionali, di omertà e complicità, che rivelano consi stenti aree di fiancheggiamento politico e culturale, o di am bigua neutralità. In nessun altro paese dell’Occidente industriale e democrati co il terrorismo ha potuto incidere cosi a lungo e profonda mente come in Italia, condizionando le vicende politiche e sociali in una fase critica di trasformazione, sino ad insidiare la stessa sopravvivenza del regime democratico. Una storia complessa dunque, che richiede una lettura globa le, senza la quale non può darsi alcuna interpretazione stori ca corretta. In questa prospettiva si definiscono l’oggetto e i limiti della presente ricerca, che si propone di mettere a fuo co la genesi e la fase di fondazione del terrorismo di sinistra in Italia. E questa la fase più «creativa», di cui è protagonista la prima generazione del terrorismo, quella che nel quin quennio 1969-1973 ha inventato e introdotto la strategia della lotta armata rivoluzionaria nelle condizioni d’una so cietà industriale retta da un sistema democratico, dove di ne cessità la lotta armata assume immediatamente la forma ter roristica; che ne ha elaborato le premesse ideologiche e la li nea politica, i criteri organizzativi e i metodi d’azione; che
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ha formato i gruppi dirigenti e le strutture fondamentali del partito armato, nelle sue articolazioni clandestine e palesi. Come ogni fenomeno storico allo stato nascente, anche il ter rorismo osservato alle sue origini rivela più nitidamente i propri caratteri originari e le sue forme essenziali, tanto più che in questo caso è possibile sorprendere l’organizzazione eversiva alle sue prime esperienze, quando ancora non aveva perfezionato quelle sofisticate misure di compartimentazio ne e di mimetismo, che in seguito ne copriranno efficace mente la strategia complessiva e la rete occulta, specie nelle sue strutture connettive e di vertice. Da ciò il particolare in teresse storico di questo primo periodo. Il filo conduttore della ricerca si svolge all’interno del pro cesso di formazione del movimento eversivo, che costituisce il soggetto storico. Una strada obbligata questa, nel primo approccio al problema, e perfino ovvia, che quasi non var rebbe la pena di dichiarare, se tanta parte del dibattito sul terrorismo non fosse dominata da affrettate certezze ideolo giche, figlie del preconcetto politico e del disprezzo dei fatti. Attenendosi dunque a tale impostazione, la ricerca non con templa espressamente il problema, pur essenziale (ma quanto oscuro e difficile!), delle coperture e dei condizionamenti esterni. Cosi la dimensione internazionale è considerata sot to il profilo dello sviluppo politico e ideologico del movimen to eversivo, tralasciando il problema dei collegamenti pra tici. La ricerca ha un’impostazione storica, e pertanto non mira a costruire tipologie, o modelli volti a spiegare il fenomeno del terrorismo. Pur riconoscendo la validità e l’utilità del meto do sistemico, che ha ispirato contributi importanti e assai suggestivi, si deve però osservare che le diverse interpreta zioni sociologiche di carattere complessivo sin qui tentate, si risolvono nell’assunzione di elementi parziali a dignità di chiave esplicativa generale '. Sembra invece necessario riba 1
Per una rassegna di tali interpretazioni cfr. Bonanate (1979a), particolarmente pp. 163-179, e Laqueur (1978: 177-196).
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dire preliminarmente, contro ogni forma di semplificazione, il carattere estremamente complesso del fenomeno, determi nato dal concorso di diversi fattori in uno specifico contesto storico. La documentazione disponibile è assai ricca e per molti aspetti esauriente, anche se alcune vicende restano ancora oscure. Tuttavia la completezza della ricerca non è per il momento possibile, a causa della stessa vastità e della di spersione del materiale documentario, in parte costituito da atti processuali difficilmente accessibili, anche quando non siano coperti dal segreto giudiziario. Le fonti si posso no empiricamente classificare in quattro categorie. I) Perio dici dell’area eversiva. II) Documenti, opuscoli, saggi, me morialistica — ciclostilati, manoscritti e a stampa — pro dotti dalla stessa area. Ili) Atti giudiziari, in particolare re quisitorie del Pubblico ministero, ordinanze istruttorie e sentenze. IV) Giornali, periodici e altre pubblicazioni estranee all’area eversiva, limitatamente ai documenti e al le notizie controllabili. La letteratura sul terrorismo di sinistra è pure assai vasta, ma molto diseguale per affidabilità e rigore scientifico 2. La mag giore utilità si ricava da alcune inchieste e ricostruzioni di ta glio prevalentemente cronachistico, anche se non prive di in teressanti spunti interpretativi. Manca però, in genere, la vi sione complessiva del fenomeno. Anche una semplice rasse gna selettiva e ragionata richiederebbe un apposito saggio. Nel corso del lavoro saranno indicate le principali fonti pri marie e secondarie usate, secondo un criterio di essenzialità. Attenendosi a un duplice criterio problematico e di periodizzazione, l’esposizione si articola nei seguenti punti: 1) La di mensione intemazionale, nella quale si sviluppa il partito ar mato. 2) Incubazione e genesi, sino alla scelta di campo della
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La bibliografia internazionale sul terrorismo di Bonanate (1979c) può offrire un primo avviamento, assai lacunoso per l’Italia, specie, a causa dei criteri adottati, per quanto riguarda le fonti.
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lotta armata (dalla metà degli anni sessanta al 1969/70). 3) Fondazione del partito armato-, prime esperienze e processo di aggregazione; definizione della strategia e delle strutture politico-militari, attorno all’asse Potere operaio-Brigate ros se (1970-1973/74). 1. La dimensione intemazionale 1.1. Il terrorismo strategico Il terrorismo strategico contemporaneo è un fenomeno inter nazionale, che ha origine negli ultimi anni sessanta, con im pressionante sincronia, in molti paesi dell’antico e del nuovo continente. Il terrorismo italiano ne costituisce una variabile nazionale. Al di fuori di tale contesto internazionale esso sa rebbe inconcepibile. Questo è il dato di fatto più macrosco pico, il primo problema col quale deve misurarsi qualunque tentativo d ’interpretazione storica. Ed è significativo d ’un clima culturale denso di equivoci e di preconcetti ideologici e politici, che l’ormai fitta pubblicistica italiana sul terrorismo, salvo poche eccezioni, abbia rimosso radicalmente il proble m a3. La stessa dimensione, la lunga durata, la sistematicità, l’estrema violenza dell’ondata terroristica, danno l’immedia ta percezione di un fenomeno nuovo, sostanzialmente diver so rispetto ai movimenti terroristici del passato. Possiamo delinearne i caratteri originali, quali più compiutamente si manifestano nel terrorismo rivoluzionario di sinistra, ma av vertibili anche in quello di destra. I) Coscienza teorica, in quanto il terrorismo è concepito come metodo normale e necessario di lotta, funzione organica d ’una sorta di blocco teorico-pratico, forma specifica d ’una strategia politico-militare che rappresenta l’immediata deter
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O ltre a Bonanate (1979b), sono da ricordare Jarach (1979) e, limitatamente all’Ita lia, Ventura (1980a).
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minazione d ’una ben definita concezione della società e della storia. II) Carattere «strategico», nel senso che la pratica del terrore è assunta come forma principale di lotta4. Ili) Riferi mento alle masse e alle istituzioni della società complessa della strategia terroristica: alle masse, per trascinarle nella lotta ar mata rivoluzionaria (oppure per provocare effetti di paralisi e di sfiducia); alle istituzioni, per disgregare i corpi dello Sta to e le strutture portanti della società civile (o al contrario per provocarne una risposta autoritaria). IV) Dimensione in temazionale, che si manifesta sia nella prospettiva internazio nalistica dei movimenti eversivi e nei collegamenti tra orga nizzazioni di diversi paesi, sia nell’uso del terrorismo da par te degli stati, come strumento di politica estera. Si può anche non concordare con questo schematico tentati vo di definire i caratteri dal terrorismo contemporaneo, ma in ogni caso s ’impone il dato oggettivo della sua dimensione internazionale, nella quale s’inscrive il terrorismo italiano, con un rapporto che non può essere, e non è, soltanto crono logico. 1.2. Il contesto intemazionale L ’esame di questo contesto internazionale non rientra nei li miti della nostra ricerca. Nondimeno ad esso è indispensabi le riferirsi per tracciare le coordinate entro le quali si colloca il problema delle origini. Occorre cosi risalire alla contraddi zione di fondo tra la rigidità istituzionale dei blocchi forma tisi dopo la seconda guerra mondiale, e le crescenti spinte centrifughe e destabilizzanti, generate dai processi reali di trasformazione, che vanno modificando gli assetti economico-sociali e politici dei diversi paesi, all’interno e al di fuori dei sistemi, minandone la compattezza e insidiandone le posizioni egemoniche. Teatro decisivo del confronto inter nazionale divengono le aree instabili del terzo mondo afroasiatico e latino-americano e quelle marginali più deboli dei
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Sul carattere «strategico» cfr. Bonanate (1979a: 134-140).
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blocchi. In queste aree le potenze intensificano le forme d ’intervento indiretto o di impegno limitato, tali da evitare lo scontro militare aperto e generalizzato, che il reciproco deterrente nucleare e missilistico rende impraticabile5. Da questo contesto scaturisce il terrorismo strategico, quale forma di conflitto o d ’intervento politico-militare a bassa in tensità bellica ma di notevole efficacia politica, che può esse re promossa, favorita o comunque tollerata dalle potenze senza coinvolgerne direttamente la responsabilità, e quindi senza grave rischio di complicazioni internazionali. Una sor ta di guerra indiretta — come è stata definita con una certa enfasi — che si dispiega agendo sui movimenti rivoluzionari ed eversivi endogeni, i quali a loro volta, pur sviluppandosi autonomamente nelle condizioni sociali e politiche proprie di ciascun paese, si muovono consapevolmente in una pro spettiva internazionale, incuneandosi nelle linee di frattura del sistema di rapporti tra i blocchi e tra gli Stati. Consideriamo quindi schematicamente, sempre in relazione al problema delle origini del terrorismo, questi due versanti del contesto internazionale: la politica delle potenze e gli svi luppi dei movimenti rivoluzionari. I. Dal lato delle maggiori potenze appare determinante l’emer genza di alcuni fattori dinamici e destabilizzanti. Dalla parte dell’Occidente il quadro è caratterizzato dalla crisi dell’ege monia americana, soprattutto per le conseguenze della rivo luzione cubana e della guerra del Vietnam. Gli Stati Uniti abbandonavano, sotto la presidenza Kennedy, la politica del roll-back per adottare la strategia della «risposta flessibile» e della «controinsurrezione». La dottrina della counterinsurgency comportava l’intervento sistematico nelle vicende interne di altri paesi, spesso con i mezzi più spregiudicati, allo scopo di contrastare e prevenire il pericolo di mutamenti politici, che potessero modificarne in senso sfavorevole la collocazio ne internazionale. 5
Un primo approccio ai problemi qui accennati in Galli della Loggia (1982: 169-198) con ampia bibliografia.
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L ’area comunista è attraversata dalla frattura tra Cina e Unione Sovietica, che annovera tra le motivazioni principali il contrasto sulla strategia del movimento rivoluzionario in ternazionale. La tradizionale linea terzinternazionalista im posta dall’Urss, relativamente gradualistica e moderata, im perniata sull’alleanza democratica dei partiti comunisti con le borghesie nazionali in funzione «antimperialista», si scon trava con l’esperienza storica del comunismo cinese, del maoismo e della rivoluzione culturale (le masse rurali nuovo soggetto rivoluzionario, terzomondismo, teoria dell’imperia lismo «tigre di carta», radicalismo egualitario, ecc.). La sug gestione cinese influiva profondamente sui movimenti rivo luzionari del terzo mondo e sui gruppi estremistici delle me tropoli industriali. D ’altra parte la rivalità russo-cinese per l’egemonia si ripercuoteva nel movimento comunista e «an timperialista» internazionale, contribuendo a determinare una svolta radicale nella sua strategia. La Cina infatti, of frendo sostegno politico e materiale, promuoveva e rafforza va le tendenze estremistiche, che in polemica col «revisioni smo» filosovietico propugnavano la rivoluzione armata: cosi nel Vietnam del Sud, in America latina e nei confronti dei palestinesi6. A sua volta l’Unione Sovietica, specie dopo la caduta di Chruscev (1964) — che peraltro già agli inizi degli anni ses santa aveva avviato una politica di più deciso sostegno ai mo vimenti rivoluzionari — riaffermava la propria egemonia convertendosi alla linea della lotta armata nel terzo mondo (Conferenza tricontinentale dell’Avana, gennaio 1966; Con ferenza dell’Organizzazione latinoamericana di solidarietà, agosto 1967). Questa strategia s’inquadrava ora in una poli tica estera sovietica di più attivo intervento, sorretta da un crescente dispiegamento di mezzi, tra i quali spicca lo svilup po delle forze strategiche aereo-navali di pronto impiego. La crisi dell’egemonia sovietica all’interno del blocco comunista (dissenso, moti centrifughi in diversi paesi, culminati nella «primavera di Praga») e nei partiti comunisti esterni al siste 6
Marchese (1982a) ed anche Marchese (1982b); Carrère d ’Encausse e Schram (1972).
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ma sovietico (in particolare l’«eurocomunismo») era ulteriore stimolo ad una politica interventista. II. Dal lato dei movimenti rivoluzionari occorre considerare alcuni passaggi fondamentali nella genesi del terrorismo. 1. Il terrorismo algerino, pur svolgendo ancora prevalente mente una funzione complementare rispetto alla guerriglia nel territorio, rappresenta un esempio suggestivo e promuo ve una prima rete di solidarietà e di rapporti organizzativi, che avranno notevole importanza nel successivo sviluppo del terrorismo palestinese ed europeo. Come del resto, sull’op posto versante della destra, sarà fondamentale l’esperienza dell’Oas e, più in generale, quella dei militari francesi, che elaboreranno la teoria della «guerra rivoluzionaria». Si deve invece rilevare che l’azione terroristica nel Vietnam del Sud, per quanto importante, resta una variabile subordinata e complementare della classica guerriglia partigiana, condotta nel quadro d ’un conflitto convenzionale tra eserciti regolari.
2. La svolta decisiva nell’origine del terrorismo strategico si determina nel 1967-68 sui due principali teatri medio orientale e latinoamericano. La sconfitta araba nella guerra dei sei giorni, infatti, aveva per contraccolpo l’inasprimento e l’esportazione del terrorismo palestinese, che dal 1968 co minciò ad operare anche in Europa. Il nazionalismo palesti nese, appoggiato dai paesi comunisti, si radicalizza e cambia natura assumendo il carattere d ’un movimento rivoluziona rio nell’ambito dello schieramento antimperialista interna zionale. Si formano al suo interno organizzazioni terroristiche che s’ispirano all’ideologia marxista-leninista (Fplp e Fdplp). In America latina la morte di «Che» Guevara (1967) segna nel contempo la sconfitta decisiva, dopo altri tentativi falliti, della strategia guerrigliera, di tipo «cinese» e «fochista», d ’ispirazione castrista. La ricerca d’una strategia più effica ce, muovendo da precedenti esperienze parziali, specie quel la venezuelana, sfocia nella teoria e nella pratica della «guer riglia urbana», la quale, rinunciando al controllo del territo-
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rio — il requisito della «telluricità» proprio della guerra partigiana tradizionale7 — assume come centrale ed esclusiva la funzione terroristica. Nel 1968 i «Tupamaros» scatenano in Uruguay la campagna terroristica; nello stesso anno in Brasi le Carlos Marighella scrive il Minimanuale della guerriglia ur bana: due esperienze fondamentali, anche per le suggestioni e gli insegnamenti pratici che ne trarranno i terroristi di ogni paese, specie in Italia8. 3. Il movimento del 68 è un fenomeno complesso di radicalizzazione, che segna una svolta decisiva nella genesi del terro rismo nelle società industrializzate. Su di esso dovremo ri tornare, ma è qui necessario rilevare l’estensione internazio nale e l’ethos ideologico antimperialistico, antiamericano e internazionalistico, che ispirò il movimento in tutti i paesi e costituì la base d’un fitto intreccio di rapporti. 4. Il biennio 1969-70 è la stagione del grande rigoglio del ter rorismo nel mondo. Nei principali movimenti nazionalistici europei (Ira ed Età), si verifica una sorta di mutazione per il prevalere di correnti radicali d’ispirazione marxista-leni nista, analogamente a quanto accadeva nell’ambito del movi mento palestinese. L ’Ira intraprende nel 1969 la strategia della lotta armata terroristica. Negli stessi anni in molti altri paesi, prevalentemente industriali e democratici (Germania, Italia, Francia, Svizzera, Giappone, Usa, Turchia, ecc.) si formano organizzazioni terroristiche d ’estrema sinistra9. 5. Trame eversive di destra, colpi di stato militari tentati o riu sciti (Brasile, Argentina, Grecia), terrorismo nero (in parti colare in Italia e in Turchia) compongono pure il quadro en-
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Schmitt (1981: 14).
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Mi limito a rinviare, oltre a Laqueur (1978: 235-247), a Bambirra (1973), Halperin (1976), G ilio (1972).
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Sommarie notizie nei volumi di Laqueur (1978) e Jarach (1978); più informata Sterling (1981), ma per gli aspetti politici e ideologici è necessario ricorrere a saggi e sillogi documentarie di carattere monografico, in particolare Raf (1979 e 1980), Bichara e Naim Khader (1976), Bruni (1980).
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tro il quale, negli ultimi anni sessanta, monta l’onda lunga del terrore. Questo è l’orizzonte internazionale in cui si sviluppa, con i suoi caratteri specifici e i suoi autonomi processi, il terrori smo italiano. E un rapporto complesso, che non può essere dedotto meccanicamente dal quadro generale, e si determina in diverse forme: circolarità di concezioni ideologiche e stra tegiche; suggestione dell’esempio e dei miti rivoluzionari; collegamenti politici, organizzativi, logistici e operativi; in terferenze di poteri occulti. Non è nostro compito affrontare il problema complessivo delle connessioni internazionali, che d ’altra parte richiederebbe un’indagine estesa anche alle tra me eversive di destra e al terrorismo nero che pure fiorisco no in questi anni. Ci limiteremo pertanto ad esaminarne que gli aspetti che, specie sotto il profilo ideologico e politico, so no imprescindibili dal processo di formazione del terrorismo di sinistra. 1.3. Feltrinelli: una strategia globale antimperialista La connessione internazionale sembra quasi materializzarsi nel ruolo svolto da Giangiacomo Feltrinelli alle origini del terrorismo in Italia e in Europa. Una pubblicistica superfi ciale e tendenziosa ne ha fatto un personaggio grottesco, pa tetico e velleitario. Sarebbe sufficiente osservare che questa immagine non si accorda con la personalità d’un uomo che ha pur realizzato iniziative di grande rilievo in campo cultu rale e editoriale. C ’era certo qualcosa di morboso — condi zione del resto diffusa, specie tra estremisti e fanatici di ogni risma — nella sua ossessione cospirativa e rivoluzionaria. Ma, a giudicare dai risultati, non era del tutto velleitario il ruolo, che si era assunto, di promotore e mecenate della pri ma rete rivoluzionaria clandestina operante in Europa per avviare il movimento comunista sulla linea della lotta arma ta. La sua intelligenza, a quanto pare, non era acuta né ordi nata, ma Feltrinelli non era affatto quello sciocco che si vuo le rappresentare. La ricchezza smisurata, il prestigio perso nale, una certa attitudine all’organizzazione e al comando
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che gli veniva dal rango sociale, la vasta rete di relazioni in ternazionali lo rendevano idoneo come pochi altri a questo ruolo10. C ’è in proposito un’altra leggenda da sfatare, ed è singolare che la precisazione venga proposta, forse per la prima volta, dal comunicato letto al processo Gap-Feltrinelli, il 31 marzo 1979, da un gruppo d ’imputati, tra i quali i brigatisti Curcio e Semeria e quell’Augusto Viel, del gruppo gappista «X X II Ottobre» di Genova, che nel 1971, dopo l’assassinio di Ales sandro Floris nel corso d ’una rapina, il Feltrinelli aveva con dotto in salvo in Cecoslovacchia. «Si è detto che Feltrinelli inseguiva l’allucinazione di un “golpe fascista” , e che il suo discorso si risolveva di conseguenza nel riproporre meccani camente una frusta tematica resistenziale. Questo è comple tamente falso!» n. Non si può che concordare con questo giu dizio. In realtà Feltrinelli rappresenta un nodo delicato, nel quale s’intrecciano alcuni dei fili più solidi e rivelatori che for mano la trama del terrorismo nella fase delle origini: con nessioni internazionali, rapporti tra Gap, Br e Potere ope raio, complicità e coperture operanti da diverse sponde e per diversi fini, gravi responsabilità politiche e culturali. La teo ria del maniaco solitario, ossessionato dal timore del colpo di stato fascista, è suggestiva e rassicurante, ma è falsa, e serve solo a confondere le idee e cancellare molte tracce compro mettenti, stendendo una cortina di nebbia sulle origini del terrorismo. 10
M anca una biografia di Feltrinelli condotta con criteri scientifici; molto utili co munque e complessivamente attendibili: Punzo, Andriolo, D a Rold, Fanti, Viola e Balbo (1972), e soprattutto Duflot (1974). Per il suo ruolo nel terrorismo interna zionale e la vicenda dei G ap, la principale fonte edita resta la Requisitoria di G u i do Viola nel procedimento Gap-Feltrinelli in G uiso, Bonomi e Tommei, una tri murti davvero emblematica, (1975); per i legami internazionali la ricostruzione più organica e informata (anche se le fonti di alcune notizie restano non controllabili) è Sterling (1981: 30-57 e passim).
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Comunicato n. 4 al processo Gap-Feltrinelli, 31-3-1979, in «Controinformazione», 15, giugno 1979, pp. 77-82. Il documento è un’attenta e pertinente analisi dello svolgersi delle posizioni di Feltrinelli e dei G ap, che ne pone in luce le sostanziali convergenze e le differenze rispetto alle Br.
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Il ruolo di Feltrinelli meriterebbe certo una ricerca specifica, nondimeno esso si delinea nitidamente non appena se ne considerino gli aspetti essenziali. a) La strategia rivoluzionaria della lotta armata negli scritti di Feltrinelli. Non soltanto egli è il primo in Italia a propugnare il passaggio immediato alla «critica delle armi», ma concepi sce la lotta armata nella prospettiva d ’una strategia globale comunista e antimperialista. A parte un primo opuscolo ine dito, Italia 1968: guerriglia politica. Tesi e proposte per un’avanguardia comunista (gennaio 1968), del quale conosco soltanto alcune citazioni che non ho potuto controllare — ma molto esplicite in proposito12 — , questa linea è già chia ramente enunciata nello scritto Persiste la minaccia di un col po di stato in Italia (aprile 1968). In esso, dopo aver afferma to che «oggi noi viviamo di già la terza guerra mondiale», la quale «si sviluppa con le tecniche della guerriglia» nei paesi del terzo mondo e nei ghetti negri degli stessi Stati Uniti, e constatato che «solo i popoli d ’Europa non si sono ancora mossi», indica la necessità di intraprendere anche nelle me tropoli industriali europee «una lotta altrettanto dura, altret tanto lunga di quella dei popoli del terzo mondo»13. Nel ca pitolo intitolato significativamente In Italia come in Vietnam (anticipato con lo stesso titolo e lievi varianti nella rivista «La Sinistra»), Feltrinelli formula con impressionante antici po il principio dell’articolazione dialettica espansiva tra i di versi livelli, cardine della strategia terroristica negli anni set tanta. Compito delle «avanguardie marxiste-leniniste» è in fatti «sviluppare tattiche dialettiche fra azioni di avanguar dia e lotte di massa», capaci di portare le lotte «ad un livello più alto »14. 12
Si tratta dell’opuscolo Italia 1968, forse scritto a Cuba nel gennaio 1968, e del qua le pare siano circolate riservatamente alcune copie: Sterling (1981), Tedeschi (1973: 53-55), Punzo, Andriolo, D a Rol, Fanti, Viola e Balbo (1972: 127), C anto re, Rossella e Valentini (1978: 54). L'opuscolo è ricordato anche nella requisitoria Viola (1975: 134).
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Feltrinelli (1968: 8-12).
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Ìbidem, particolarmente pp. 21-22. N el testo pubblicato su «L a Sinistra», n.s. setti manale, III (1968), 8, p. 13, una variante rende più esplicito il concetto: «sviluppa-
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In questo scritto, come nel successivo più noto Estate 1969 (luglio 1969), l’eventualità d ’un colpo di stato, «di una radi cale ed autoritaria svolta a destra», è vista nell’ambito d’un processo di ristrutturazione capitalistica su scala mondiale — secondo quella che sarà la teoria specifica di Autonomia ope raia e delle Brigate rosse — e nella prospettiva del «definiti vo tramonto non solo del revisionismo — già condannato dalla storia — ma anche dell’ipotesi che si possa compiere una rivoluzione socialista senza la critica delle arm i»15. La strategia globale di Feltrinelli è ampiamente esposta in un articolo pubblicato sul mensile «Voce comunista» (luglio 1970), da lui diretto: articolo anonimo, ma che certamente esprime il suo pensiero16. L ’«esercito rivoluzionario interna zionale del proletariato» è costituito da un «immenso schie ramento di forze rivoluzionarie», che comprende: 1) le «avanguardie strategiche rivoluzionarie», rappresentate dalle forze della guerriglia in Asia, Africa e America latina. «La lo ro azione, anche se inizialmente condotta da gruppi limitati di avanguardia, tende a sviluppare un attacco sempre più ge neralizzato e articolato con lotte di massa...». 2) «Il grosso delle forze dell’esercito rivoluzionario» (forze regolari del Vietnam del Nord e dei Vietcong, della Corea popolare, di Cuba). 3) «La prima riserva strategica rivoluzionaria» (eser cito della Cina popolare). 4) «Il grosso della riserva strategica rivoluzionaria», costituito «dalla gloriosa Armata Rossa dell’Urss e dagli eserciti del Patto di Varsavia con i compiti specifici di deterrente a livello delle nuove armi strategiche nucleari, di arsenale delle forze rivoluzionarie». Questo schieramento di forze rivoluzionarie «ha un’indub bia superiorità sulle forze imperialiste», perché può utilizza re contemporaneamente «l’attacco irregolare (guerra di guer riglia, lotta di popolo) delle avanguardie armate del proletare tattiche nuove di lotta d ’avanguardia e un nuovo più avanzato rapporto dialetti co fra azioni di avanguardia e lotte di m assa», ecc. 15
Feltrinelli (1969: 18-19).
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La moda dell’antisovietismo, in «Voce comunista», 2, luglio 1970, pp. 14-16.
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riato», e insieme «le forze militari dei grandi paesi socialisti attestate sostanzialmente — e giustamente — sulla difensi va». Solo gli opportunisti, conclude il documento, non vedo no «la sostanziale unità strategica che unisce le forze rivolu zionarie internazionali». Questa concezione unitaria, che pone le forze dei paesi del «socialismo reale» nel campo rivoluzionario, non è condivisa da Potere operaio (e Autonomia) e dalle Brigate rosse, che considerano l’imperialismo occidentale e il socialimperialismo sovietico (fondato sul capitalismo di stato) due forme di verse e contraddittorie del sistema capitalistico e imperiali stico mondiale. Una distinzione teorica, che peraltro non sarà d ’ostacolo alla stretta collaborazione tra questi gruppi e Feltrinelli. La sua prospettiva appare inoltre da principio fortemente venata di terzomondismo: una venatura, però, che si viene rapidamente attenuando a mano a mano che, concorrendo anche l’esperienza della guerriglia urbana in America latina e l’influenza di Potere operaio e delle Brigate rosse, l’attenzione si concentra sulla lotta armata nelle me tropoli. Anche in Italia, affermerà alla fine Feltrinelli, la lot ta di classe ha assunto il carattere di «guerra di classe», e per tanto occorre creare immediatamente «una forza strategica, un contropotere politico-militare rivoluzionario», un «eserci to rivoluzionario del proletariato»17. b) II ruolo intemazionale di Feltrinelli e il trapianto culturale del terrorismo. Per tralasciare alcune esperienze precedenti, importanti ma poco documentate (come i contatti col terrori smo algerino), è necessario muovere dai suoi rapporti con Cuba e con i movimenti guerriglieri latinoamericani. La sto ria di questi rapporti presenta ancora molti lati oscuri, ma l’importanza determinante di essi emerge chiaramente — ol tre che dalle note vicende dei suoi viaggi in America latina — dall’intensa attività editoriale intesa a divulgare in Italia e 17
C osi l’ultimo documento scritto da Feltrinelli nell’ottobre 1971, Lotta di classe o guerra di classe, citato nel Comunicato n. 4 al processo Gap-Feltrinelli (cit. in nota 11, pp. 80-81); secondo Cantore, Rossella e Valentini (1978: 61), fu scritto da O berhof tra il novembre 1971 e il gennaio 1972.
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in Europa le esperienze dei movimenti rivoluzionari e gli scritti favorevoli alla lotta armata, nonché le tecniche della guerriglia e del terrorismo, sino alle dettagliate istruzioni operative e per la fabbricazione e l’uso di armi e ordigni esplosivi18. Non si tratta evidentemente d ’un puro interesse storico e politico di tipo culturale, e neppure d ’una semplice manife stazione di solidarietà politica. Considerata, com’è corretto, nel contesto delle idee e dei programmi sopra esposti e dei comportamenti pratici di Feltrinelli, questa attività editoria le appare concepita come strumento fondamentale del dise gno eversivo, volto a promuovere e organizzare in Italia e in Europa un movimento rivoluzionario armato, operante con i metodi della guerriglia e del terrorismo, secondo la strategia insurrezionale della «guerra civile di lunga durata», propria di tutto il partito della lotta armata. È significativo che agli inizi di questo profluvio di pubblica zioni eversive troviamo l’edizione italiana della rivista «Tricontinental», organo «teorico» (come precisa il sottotitolo) della Segreteria esecutiva dell’Organizzazione di solidarietà dei popoli d ’Asia, Africa e America latina, fondata al con gresso dell’Avana del gennaio 1966, col fine, come s’è visto, di sostenere e diffondere la linea della lotta armata (il primo fascicolo dell’edizione italiana è datato agosto-settembre 1967). Su questa rivista, assieme a istruzioni tecniche sulle armi, del tipo «fai da te», comparirà tra l’altro la traduzione integrale del Minimanuale della guerriglia urbana di Carlos Marighella, testo fondamentale di tutte le organizzazioni terroristiche, che fu pubblicato anche in opuscolo, forse dal lo stesso Feltrinelli, in edizione clandestina19. 18
Ad esempio I Tupamaros in azione. Testimonianze dei guerriglieri, Milano, Feltrinel li, 1971; «L a Sinistra», n.s., I l i (1968), 10, pp. 1 e 8-9; e diversi numeri della rivi sta «Tricontinental».
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«Tricontinental», IV (1970), 16-17, pp. 6-44. Nel 1967 la Libreria Feltrinelli co minciava anche la pubblicazione della collana «Documenti della rivoluzione nell’America Latina», nella quale comparivano tra l’altro, nello stesso anno; O las, Prima conferenza dell'Organizzazione latino-americana di solidarietà (contenente gli atti, con la «Dichiarazione generale» che proclama: «L a lotta rivoluzionaria armata
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In questo quadro si definisce la linea politica che caratterizza alcuni settori della casa editrice, la quale, anche dopo la mor te di Feltrinelli, continuerà a pubblicare scritti eversivi aper tamente incitanti alla lotta armata, tra cui diversi documenti e scritti di Toni Negri e la storia «ufficiale» delle Brigate ros se; e si chiarisce meglio la funzione della Libreria Feltrinelli, alla quale fu delegata la pubblicazione di alcune collane più scopertamente propagandistiche («Documenti della rivolu zione nell’America Latina», «Battaglie politiche», «Docu menti delle lotte operaie», «La politica al primo posto»). Un ruolo di primo piano ha pure svolto sino ad oggi la rete delle librerie Feltrinelli, assicurando la diffusione sistematica di ri viste e pubblicazioni del partito armato e delle frange fiancheggiatrici: una struttura davvero essenziale per l’irradia zione della cultura del terrorismo e l’aggregazione dell’area eversiva. In questo ambito di attività vanno pure considerati i finan ziamenti di Feltrinelli a riviste e movimenti estremistici, co me «La Sinistra» (nuova serie), «Potere operaio» e il gruppo trotzkista milanese di «Falce e martello», formato da nume rosi militanti usciti dal Pei e confluiti poi nei gruppi marxisti-leninisti filocinesi20. Per altro verso, però, questi interventi ineriscono all’azione più impegnata svolta da Fel trinelli sul terreno politico e organizzativo. c) Feltrinelli organizzatore della rete terroristica europea. Que sto è il terreno meno praticabile, per la difficoltà di racco gliere testimonianze sicure e controllabili. Nondimeno una serie impressionante di fatti documentati, grazie soprattutto all’importante inchiesta condotta dal magistrato Guido Vio la, consente di cogliere la funzione centrale di Feltrinelli nel gettare le basi dell’organizzazione terroristica in Italia e in costituisce la linea fondamentale della rivoluzione in America Latina», alla quale debbono essere subordinate tutte le altre forme di lotta, p. 149); e lo scritto di Régis Debray, Rivoluzione nella rivoluzione, testo fondamentale sul metodo e sull’organizzazione della guerriglia, che eserciterà una profonda influenza sul mo vimento della lotta armata in Italia e in Europa. 20
Viola (1975: 133 e passim)-, Sterling (1981: 50), e altri testi citati su Feltrinelli.
90
Europa. Vediamone alcuni, senza presunzione di completez za e di organicità. I) Sul piano intemazionale egli svolse un’intensa attività di collegamento tra diverse organizzazioni eversive e terroristiche europee e mediterranee, in specie tedesche, palestinesi, francesi e naturalmente italiane. In particolare va ricordata la costituzione sin dal 1968 della centrale di Zurigo, cui in seguito si sovrappose il Coordinamento internazionale di cui era magna pars l’Ufficio internazionale di Potere operaio, trasformatosi infine nel Coordinamento internazionale di Autonomia, facente capo a Negri. A questa centrale, e pro babilmente anche al finanziamento di Feltrinelli, si deve l’organizzazione del convegno di Firenze dell’«Internazionale rivoluzionaria» (ottobre 1971), indetto da Potere ope raio21. Frequenti rapporti risultano soprattutto con i gruppi eversivi e terroristici tedeschi, come la Rote Armee Fraktion di An dreas Baader e Ulrike Meinhof e il Movimento «2 Giugno» di Michael «Bommi» Baumann, pure da lui finanziati. In particolare, va ricordato un convegno di tre giorni svoltosi a Parigi nei primi mesi del 1970, tra Feltrinelli, Andreas Baa der, Renato Curcio e i capi della Gauche prolétarienne fran cese, per organizzare l’attività terroristica22. Quanto stretti fossero i suoi rapporti col terrorismo tedesco è dimostrato dal suo diretto coinvolgimento nell’attentato mortale contro il console boliviano ad Amburgo, Roberto Quintanilla, rite nuto responsabile della cattura e dell’uccisione di «Che» Guevara. Quintanilla fu infatti assassinato dalla terrorista tedesca Monika Hertl con un revolver appartenente a Feltri nelli (1° aprile 1971)2J.
Sterling (1981; 49-52); Procura di Padova (1981: 333-335). SterUng (1981: 49-50).
Ibidem, p. 47; Viola (1975: 66).
I finanziamenti all’organizzazione terroristica venivano in parte effettuati sul suo famoso conto «Robinson Crusoe», aperto presso la Banca Svizzera Italiana di Lugano. Su tale conto furono spiccati assegni in favore del terrorista tedesco Wolfgang Mayer (istruttore dei Gap per l’uso di radio rice trasmittenti), di Giambattista Lazagna (implicato nella costi tuzione dei Gap e delle Brigate rosse), nonché, per la cospi cua somma di 130 000 franchi svizzeri, a nome di certo Joachin Hans Hirche di Berlino (forse un nome di copertura), che risultò anche aver acquistato a Vaduz una pistola rinve nuta nel covo milanese dei Gap in via Subiaco. All’editore terrorista si deve pure la creazione di una solida rete di basi clandestine con appartamenti intestati a due società di como do costituite in Svizzera: una preziosa struttura logistica di supporto che sarebbe di per sé sufficiente a dimostrare il ruolo di primo piano svolto da Feltrinelli24. Infine la disponi bilità d ’una base in Cecoslovacchia, dove nel 1971 poteva mettere al sicuro il terrorista Augusto Viel, prova al di là di ogni dubbio i legami di Feltrinelli con i servizi segreti dei paesi comunisti 2\ II) In Italia Feltrinelli fu il primo, come s’è visto, a propugna re apertamente il passaggio immediato alla lotta armata, e fu anche il primo a metterla in pratica. Se la notizia circa la sua partecipazione ad un «campo militare» nell’estate del 1968 resta da verificare, certamente i Gap (Gruppi d ’azione partigiana) da lui costituiti e diretti, furono la prima formazione clandestina di sinistra per la lotta armata, che attuò pure i primi attentati (aprile-maggio 1970), precedendo anche le
24
Viola (1975: 76-77 e 81-86). L ’utilizzazione della rete logistica di Potere operaio da parte di Feltrinelli «nei suoi spostamenti semiclandestini» è attestata anche da Sergio Bologna (1979), uno dei fondatori di Po, staccatosi dal gruppo dopo la «svolta insurrezionalista».
25
II verbale della confessione di Viel, agli atti del processo Gap-Br-Feltrinelli, presso il Tribunale di Milano, è pubblicato in fotocopia in «G ente», 6 febbraio 1981, p. 5. Il Viel pochi giorni dopo il delitto fu fornito di documenti falsi e condotto a Praga, dove rimase nascosto in una villa dall’aprile al dicembre 1971. D a qui fu prelevato d a Feltrinelli e condotto in auto a Milano, nel covo di via Subiaco, dove fu arresta to il 15 aprile 1972.
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Brigate rosse26. Ma quanto a priorità — e a riprova materiale della strategia offensiva e non «resistenziale» di Feltrinelli — va pure ricordato il tentativo, nel 1968, di attizzare un foco laio di guerriglia in Sardegna, strumentalizzando il banditi smo e le tendenze autonomistiche dell’isola 21. Tentativo cer to velleitario, ma tutt’altro che stravagante, che s’inquadra piuttosto nella strategia destabilizzante del terrorismo inter nazionale, imperniata sul sistematico sfruttamento delle ten sioni etniche e nazionali. Sin dalle origini Gap, Brigate rosse e Potere operaio agivano in stretta collaborazione, specie sul terreno logistico e propa gandistico. La rete logistica di Feltrinelli era la più consisten te, ma anche l’editore terrorista utilizzò quella di Potere ope raio. Dopo la sua morte, armi, denaro, rete logistica e mili tanti passarono in eredità alle Br e a Potere operaio, che se li spartirono28. Ma non mancano neppure fondati indizi di rapporti tra Feltrinelli e Carlo Fumagalli, capo del Mar, un’organizzazione eversiva e terroristica di destra29. Resta no indubbiamente non pochi aspetti enigmatici nell’attività e nella personalità dell’editore terrorista.
26
Cantore, Rossella e Valentini (1978: 55-58).
21
Sterling (1981: 50).
28
Sui rapporti tra G ap Feltrinelli, Potere operaio e Brigate rosse, cfr. requisitoria Viola (1975), e, più ampiamente, requisitoria di Pietro Calogero, Procura di Pado va (1981: 840-859), parzialmente pubblicata in De Lutiis (1982: 69-76); ordinanza-sentenza di Francesco Amato, Tribunale di Roma (1981a: 765-776). Tra i documenti più importanti si segnalano le lettere scambiate tra Feltrinelli (nome di battaglia «O svaldo») e Franco Piperno (nomi di battaglia «Saetta» e «Elio»), sul problema dell’unificazione tra i G ap e l’organizzazione militare occulta di Po; e il documento «Pippo o della lucida follia», di provenienza Br, riguardante la trattati va tra queste e Po per spartirsi le spoglie dell’organizzazione di Feltrinelli. Sul rap porto Gap-Br e sul ruolo di Feltrinelli una testimonianza molto circostanziata di straordinario interesse è offerta dal «memoriale» di Marco Pisetta, agli atti del ci tato processo Gap-Br-Feltrinelli, pubblicato parzialmente in Tedeschi (1973: 340-361) e precedentemente edito ne «Il Borghese», gennaio 1973, non so se inte gralmente, non avendo potuto consultare quell’annata della rivista. Al di lì delle polemiche, ispirate in parte da preconcetti politici in parte dai sospetti suscitati dall’interferenza del Sid, la sostanziale veridicità del documento ì comprovata sen za possibilità di dubbio da un'infinita serie di puntuali riscontri oggettivi.
29
Lega e Santerini (1976: 213-226).
93
1.4. Potere operaio e Brigate rosse: l ’epicentro del movimento
antimperialista dalla «periferia» alla «metropoli» Feltrinelli non si muoveva nel vuoto. La sua prospettiva stra tegica internazionale era in sintonia con l’ethos ideologicopolitico che ispirava l’intera «sinistra rivoluzionaria» e coin volgeva profondamente larga parte della stessa sinistra stori ca. La discriminante, che separava nettamente Feltrinelli dalla restante area dell’estrema sinistra, consisteva nella sua decisione di introdurre immediatamente anche in Italia e in Europa, nelle metropoli industriali, la strategia della lotta ar mata, che il movimento rivoluzionario andava attuando nei paesi sottosviluppati del terzo mondo, alla «periferia» del si stema. In ciò egli sopravanzava anche i diversi gruppi marxisti-leninisti di osservanza cinese, i quali si limitavano a prospettare la lotta armata rivoluzionaria come una necessità storica anche per il proletariato dei paesi industriali demo cratici, ma non ritenevano che la situazione fosse matura per metterla in pratica. L ’iniziativa di Feltrinelli non era però isolata. Ai Gap, sulla linea della lotta armata, si affiancarono presto altre due orga nizzazioni: il Collettivo politico metropolitano/Brigate rosse e, con ben maggiore peso, Potere operaio. A differenza di Feltrinelli, la cui azione era ispirata in prevalenza dalla sug gestione del movimento rivoluzionario internazionale, ri spetto al quale si poneva come diretta propaggine e articola zione, le due organizzazioni approdavano alla lotta armata attraverso l’esperienza dell’operaismo e del neoleninismo na ti negli anni sessanta dalla polemica ideologica e politica con tro il «riformismo» della sinistra storica, e maturati nel vivo delle lotte studentesche e operaie del 67-69. Questa è l’espe rienza fondamentale, che determina, come vedremo meglio più avanti, il passaggio alla lotta armata come scelta imposta, per cosi dire, dalla logica interna della lotta di classe in Italia e negli altri paesi industriali, nella fase attuale di crisi genera le e ristrutturazione del capitalismo mondiale, anche se de terminante resta l’influenza della guerra del Vietnam e della guerriglia latinoamericana.
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Anche Potere operaio e Brigate rosse si pongono nella pro spettiva del movimento rivoluzionario internazionale. Di versamente però da Feltrinelli e dalla Rote Armee Fraktion tedesca, che vedevano nella «periferia» del terzo mondo il fronte principale e quindi nel proletariato e nei movimenti di guerriglia dei paesi afroasiatici e latinoamericani le forze protagoniste della lotta antimperialista, Potere operaio e Brigate rosse, muovendo dalla propria esperienza operaista, riconse gnano alla classe operaia dei paesi metropolitani «il suo ruolo egemonico nella conduzione della lotta contro il capitale»30. «Sul livello mondiale — , afferma un documento della segre teria di Po del dicembre 1970 — il fondamentale risultato delle lotte negli anni sessanta è quello di aver ricollocato la classe operaia dei paesi a capitalismo avanzato al centro dell’interesse strategico sia del processo capitalistico di con tenimento e di repressione, sia del progetto rivoluzionario di parte proletaria. [...] Dalla periferia, l’epicentro della lotta si è nuovamente spostato al centro del sistema, ed anche le per duranti lotte anticoloniali sono state riqualificate da questa possibilità di giocare il loro peso di rottura nei punti nevral gici del sistema. Attraverso questo incessante comunicarsi e riqualificarsi delle lotte si è dimostrato vero l’assunto di Marx, che il sistema è più debole laddove la classe operaia è più forte»31. Da questa concezione deriva il corollario dell’Europa, e in particolare dell’Italia, «anello debole» del sistema imperialistico: debole perché appunto il movimento operaio «autonomo» vi appare più forte e combattivo32. Po non risparmia frecciate contro le «mistificazioni ideologi che del terzomondismo». Anche il gruppo Cpm/Br — pur con diverse sfumature — denuncia l’opportunismo della sini stra «vittima dell’ideologia terzomondista», sia nella versio
30
Potere operaio (1970a: 43).
31
Ibidem, p. 41.
32
Anello debole l’Europa si intitola, ad esempio, una sezione del n. 49, giugno 1972 di «Potere operaio»; ma il tema è ricorrente nelle pubblicazioni e nei documenti dell’organizzazione (in particolare nelle Tesi sull’Europa, delle quali si parlerà in se guito).
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ne «che attribuisce al terzo mondo la funzione rivoluzionaria di cui la classe operaia dei paesi capitalisti sarebbe incapace», sia nell’altra interpretazione, «apparentemente» opposta, che attribuisce importanza alle lotte antimperialiste del terzo mondo soltanto in funzione della classe operaia occidentale, ritenuta l’unico soggetto rivoluzionario veramente comuni sta ,J. Questo opportunismo ha prodotto in Europa soltanto battaglie «verbali e impregnate di terzomondismo», mentre il problema è di «saldare strategicamente lotta anticapitalista e lotta contro il capitale imperialistico», sviluppando la lotta armata in tutte le aree M. Se nei primi documenti del gruppo, negli anni 1969-1974 — assai poveri del resto di analisi teo rica e di rigore — manca una chiara definizione del ruolo delle lotte in Europa nel contesto del movimento rivoluzio nario internazionale, essa è implicita nella convinzione che «nelle aree metropolitane nordamericana ed europea esisto no già le condizioni oggettive per il passaggio al comunismo», essendo perciò la lotta «essenzialmente rivolta a creare le condizioni soggettive» **. Ciò che accomuna Potere operaio e Brigate rosse è questa convinzione della «maturità del comunismo» nelle metropoli industriali, e quindi del ruolo decisivo del proletariato me tropolitano nella rivoluzione mondiale. Il superamento dell’ideologia terzomondista in auge negli anni sessanta sull’onda del pensiero di Mao e di Lin Piao e delle esperienze vietnamita e latinoamericana, costituisce quindi un passag gio essenziale nella formazione del partito armato, in quanto pone una premessa teorica indispensabile all’assunzione del la strategia della lotta armata nella metropoli. Questo passaggio si colloca all’interno d ’una concezione complessiva della fase attuale dello sviluppo capitalistico e 33
«Sinistra proletaria», n. 0, luglio 1970, p. 34.
34
Ibidem, n. 1-2, settembre-ottobre 1970, pp. 3-6.
35
Collettivo politico metropolitano (1970: 22); il corsivo è nel testo originale. Si trat ta del documento politico-ideologico più ampio e impegnativo elaborato dal gruppo sino alla prima Risoluzione della Direzione strategica delle Br (aprile 1975).
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della lotta di classe su scala mondiale. «Il capitale imperiali sta ha mondializzato il suo dominio; possiamo oggi dire che ci troviamo di fronte a un modo di produzione imperialistico all’interno del quale, dagli Stati Uniti all’Urss, le diverse bor ghesie nazionali, sempre più ridotte al ruolo di fantocci, si dividono i ruoli di repressione, divisione, controllo e integra zione del proletariato». Ma questa «mondializzazione» del capitale «ha prodotto il proletariato mondiale come soggetto pratico della rivoluzione»36. Anzi sono le lotte rivoluzionarie del terzo mondo e il movimento spontaneo delle masse in Europa nel biennio 1968-69 a determinare la rottura degli equilibri economico-politici mondiali, accelerando «quel pro cesso di ristrutturazione economica, politica e culturale che le parti più avvedute del capitalismo internazionale già da tempo vedevano necessario e funzionale allo sviluppo delle strutture produttive»37. Con maggiore spessore ideologico, e con un particolare ac cento sulla centralità della classe operaia, che è tipico della sua matrice operaistica, Potere operaio sviluppa questa tema tica precisandola nel senso che il capitale imperialistico usa il livello internazionale soprattutto per «giocare gli squilibri del mercato mondiale — in particolare del mercato della forza-lavoro — contro la classe operaia dei paesi capitalistici avanzati...»38. La dimensione internazionale delle lotte rivo luzionarie va cosi ben oltre l’orizzonte d’una solidarietà atti va, per assumere un carattere organico e un’immediatezza strategica, che non si ritrovano neppure nella concezione le ninista. 1.5. Il Proletariato Metropolitano contro lo Stato Imperialista
delle Multinazionali Fondamento teorico di questo internazionalismo organico è 36
«Sinistra proletaria», n. 1-2, p. 19.
37
Collettivo politico metropolitano (1970: 4-5 e 11).
38
Potere operaio (1970a: 41-42).
97
la revisione della teoria leninista dell’imperialismo, adeguata alla nuova realtà costituita dalle multinazionali. Secondo questa concezione, che si viene precisando nei primi anni settanta, lo stadio attuale del capitalismo è caratterizzato dall’«unità del ceto capitalistico mondiale, organizzato dalle multinazionali», sotto l’egemonia del capitale americano. Anche i ceti capitalistici dei paesi terzi sono integrati nel si stema delle multinazionali, segnando cosi, anche per questa via, il superamento del terzomondismo’9. « L ’imperialismo delle multinazionali — spiega a sua volta un documento delle Brigate rosse — si presenta perciò come un sistema di domi nio globale in cui i vari “capitalismi” nazionali sono sempli cemente sue articolazioni organiche, e le diverse “ aree nazio nali” sussistono come espressione geografica della divisione del lavoro da esso determinata»40. Sulla base di questa estrema semplificazione si definisce il concetto di «Stato delle multinazionali», recepito nei docu menti delle Brigate rosse con la nota formula di «Stato Impe rialista delle Multinazionali» (Sim), che compare per la prima volta nella Risoluzione della Direzione strategica dell’aprile 197541. Il passaggio teorico decisivo è compiuto in un docu mento intitolato Tesi sulla crisi: la multinazionale operaia, da tato 1° febbraio 1974, fatto circolare all’interno dell’orga nizzazione come base di discussione politica «tra le avan guardie dell’autonomia», «per fare un salto avanti nella mili tanza e nella centralizzazione», e certamente attribuibile a Toni Negri, sia perché copie dattiloscritte con correzioni di suo pugno, secondo il magistrato, furono rinvenute nella ba se Br di Robbiano di Mediglia nell’ottobre 1974 e nell’archi vio personale di Negri; sia perché lo stesso se ne dichiara au
59
Tesi sulla crisi, appendice a Negri (1976a: 172). Sulla natura e sul contenuto di que sto fondamentale documento cfr. più avanti e nota 42. Ripropongo qui in parte considerazioni già esposte in Ventura (1980).
40
Brigate rosse ( 1978: 76).
41
In «Controinform azione», 7-8, giugno 1976, p. 145.
98
tore (sia pure con la collaborazione «di molti compagni»), pubblicandolo in appendice ad un suo scritto42. Il concetto di «Stato delle multinazionali» costituisce la sin tesi originale di due diversi elementi teorici: la concezione dell’imperialismo come sistema globale di dominio organiz zato dalle multinazionali, e la teoria — elaborata dai leaders di Potere operaio e Autonomia — secondo la quale nello sta dio attuale del capitalismo il processo di riproduzione e valo rizzazione del capitale si estende dalla fabbrica all’intera so cietà (la «fabbrica diffusa»), e quindi il Capitale (inteso come Capitale complessivo) s’identifica con lo Stato, divenuto me ra funzione del «comando» del Capitale. Estimasi cosi la sfe ra della mediazione politica, il Capitale si fa Stato, lo «Stato delle multinazionali», mera espressione del dominio del capi tale multinazionale. In questa sintesi consiste l’originalità del concetto, che non ha riscontri, se non parziali, nella pur vasta e farraginosa letteratura sull’imperialismo 4). «Nei paesi a capitalismo sviluppato — recitano le Tesi sulla crisi — il progetto delle multinazionali assume articolazioni specifiche, nei confronti dell’organizzazione statale». Tra queste, in particolare, l’«estinguersi del concetto di sovranità nazionale e la fine conseguente della cosiddetta “autonomia del politico". Nel regime delle imprese multinazionali il poli tico, come sfera indipendente di determinazione del consen so, come sfera di mediazione fra forze sociali e politiche con flittuali, ha ben pochi spazi di permanenza. [...] Il governo di viene una funzione subordinata rispetto al sistema del co mando internazionale...»4''. «Lo Stato — afferma a sua volta la risoluzione Br del 1975 — diventa espressione diretta dei
42
Procura di Padova (1981: 480-491) e Negri (1976a, appendice 2, pp. 166-183).
4i
Non hanno alcuna attinenza con questa concezione, anzi sostengono tesi opposte, i saggi contenuti in «M onthly Review», 11 (1969) e 1-2 (1970), e in «Problemi del socialismo», 4 (1971), 5-6 (1971) e 13-14 (1973), citati, nel tentativo di dimostrare il contrario, dal giudice Giovanni Palombarini (1982: 152): nell’ordinanza istrutto ria del processo riguardante il troncone padovano deU’Autonomia.
44
Tesi sulla crisi, appendice a Negri (1976a: 175); il corsivo è nel testo.
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grandi gruppi imperialistici multinazionali, con polo nazio nale. Lo Stato diventa cioè funzione specifica dello sviluppo capitalistico nella fase dell’imperialismo delle multinazionali; diventa: Stato Imperialista delle Multinazionali», al quale si contrappone il Proletariato Metropolitano (equivalente dell’«operaio sociale» di Autonomia). Dovremo ritornare su questi concetti, che sono centrali nella genesi e nella strategia della lotta armata. È necessario però, a questo punto, coglierne tutte le implicazioni sul livello in ternazionale. Infatti, identificandosi lo Stato col Capitale, la lotta di classe del proletariato assume la forma della guerra di classe, dell’attacco diretto contro lo Stato; ma poiché questo è lo «Stato delle multinazionali», ne consegue che il suo anta gonista immediato diventa la «multinazionale proletaria»45, protesa in una lotta che è necessariamente politico-militare, è lotta armata, «solo momento strategico fondamentale» 46. Il capitalismo — spiegano i documenti del partito armato — nello stadio attuale è tutto percorso dal movimento crisiristrutturazione: crisi da caduta del saggio di profitto, deter minata principalmente dal cumulo delle lotte «da parte del proletariato internazionale contro il sistema del capitale»47. Alla crisi il capitale reagisce con un processo di ristruttura zione del comando, organizzato dalle multinazionali su scala mondiale, che s’incardina innanzitutto su una strategia inte sa a spezzare il cumulo delle lotte operaie nei diversi paesi, per batterle separatamente. Contrapporre a questo progetto di ristrutturazione l’unità del proletariato mondiale, la coo perazione sovversiva tra i movimenti rivoluzionari appare quindi condizione primaria e strada obbligata per imporre lo sviluppo di un nuovo ciclo di lotte: «se infatti la forma speci
45
Ibidem, p. 168.
46
Ìbidem, p. 182; il corsivo è nel testo.
47
Ibidem, p. 167; Brigate rosse (1976); Crisi dello Stato-piano, documento anonimo in «Potere operaio», 45, 25 settembre 1971, ripubblicato in opuscolo col nome dell’autore: A. N egri (1974); e N egri (1976b).
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fica del comando capitalistico sta riorganizzandosi nella ca pacità di isolamento e di separazione, è sulla rottura di que sto isolamento e di questa separazione che la multinazionale operaia potrà vincere. La genesi operaia della crisi va orga nizzativamente ripetuta nell’attacco: questo è il primo com pito dell’o ra»48. Una ricerca approfondita in questa direzione potrebbe util mente cogliere con maggiore precisione il processo di forma zione di queste teorie e il loro dispiegarsi sul piano ideologi co e politico-operativo. Di particolare interesse appaiono, sotto questo profilo, i rife rimenti al ruolo primario della Cina e alla sua linea rivoluzio naria internazionale come forza di «rottura del comando im perialistico a livello mondiale», costituito dalla «Santa Al leanza Usa-Urss». La Cina rappresenta il «faro ideale, incar nazione della lotta al revisionismo in un paese solo»49; il ri fiuto della «coesistenza pacifica» e delle «vie nazionali al so cialismo»50. Altrettanto significativi sono l’assidua attenzio ne e i giudizi, condivisi anche da Lotta continua, nei con fronti dei diversi movimenti rivoluzionari del terzo mondo e in Europa: in particolare i palestinesi, l’Eta basca, la Raf te desca, i Tupamaros come primo modello di guerriglia urba na, e l’ira come esempio di una strategia di lotta armata fon data sul rapporto dialettico tra terrorismo e azione di massa,
48
Tesi sulla crisi, appendice a Negri (1976a: 179); cfr. anche Brigate rosse (1976 e
49
Potere operaio (1970a: 45-46); cfr. anche, ad esempio, Mao Tse-Tung. Una lezione di tattica, in «Potere operaio del lunedi», 2, 28 febbraio 1972, e, con valutazione più cauta, data l'evoluzione della politica cinese, Tesi sulla crisi, appendice a Negri (1976a: 171-172). L ’espressione «Santa Alleanza Usa-Urss» è in Collettivo politico metropolitano (1970: 12). M a si vedano pure analoghi giudizi in «L otta continua» quindicinale, II, 22, 11 dicembre 1970: La politica estera dei compagni cinesi. Rivo
1978).
luzione e diplomazia. 50
«Sinistra proletaria», 1-2, settembre-ottobre 1970, pp. 18-19; Brigate rosse (1976: 145).
1 01
la cui influenza sulla strategia del partito armato in Italia ap pare non secondaria51. La prospettiva teorica e politica acquista spessore e significa to nel contesto dei concreti collegamenti internazionali tra diverse organizzazioni rivoluzionarie. In questo ambito la funzione centrale è svolta da Potere operaio e quindi da Au tonomia, col concorso iniziale di Feltrinelli, che per primo, come s’è visto, si era mosso su questo livello. Momento im portante nella costruzione d ’una rete internazionale appare il terzo convegno dell’«internazionale rivoluzionaria» organiz zato da Potere operaio a Firenze nell’ottobre 1971, con la partecipazione di rappresentanti di diversi gruppi americani ed europei, tra i quali l’ira. Scopo principale: «la costituzio ne di una direzione politica “ sovranazionale” », «in grado (...) di far marciare dentro un progetto complessivo la violenza del rifiuto operaio di tutte le grandi fabbriche europee insie me con l’attacco direttamente insurrezionale di tutti i sud d ’Europa». Come primo passo il convegno decise la costitu zione di due «centri di coordinamento», uno in Svizzera e uno in Inghilterra (quest’ultimo col compito di tenere i colle gamenti con i movimenti americani), e la definizione d’una piattaforma politica generale52. E forse qtìesta la genesi dell’Ufficio (poi Coordinamento) internazionale di Potere operaio, con sede a Zurigo53, per il quale nel marzo del 1973 fu elaborato il documento Tesi sull’Europa, che tracciava le direttive per lo sviluppo della lotta armata a livello europeo, secondo la strategia dell’articolazione dialettica tra i diversi livelli dell’illegalità di massa e del terrorismo54. La storia di questi collegamenti internazionali — una storia in gran parte sommersa e quindi scarsamente documentata 51
Superflue citazioni specifiche su questi temi ricorrenti nelle pubblicazioni periodi che di questi gruppi.
52
Al convegno è dedicato un intero inserto di «Potere operaio», 44, novembre 1971.
53
Procura di Padova (1981: 331-337).
54
Procura di Padova (1981: 337-371).
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— resta tutta da ricostruire. Essa non rientra nei limiti di questa ricerca, ma costituisce un aspetto essenziale nella vi cenda del terrorismo italiano. 2. Incubazione e genesi 2.1. La responsabilità del soggetto storico In questo contesto internazionale stanno dunque la prima ra dice e lo spazio vitale del terrorismo di sinistra in Italia. Di qui provengono suggestioni ideologiche e impulsi politici de cisivi, supporti e coperture indispensabili. Nondimeno il par tito armato nasce e si sviluppa attraverso esperienze originali e autonome di movimenti estremistici, maturati nelle condi zioni specifiche della lotta sociale e politica in Italia. La lun ga incubazione del terrorismo rosso avviene all’interno della «sinistra rivoluzionaria». Sarebbe però certamente fuorviante interpretare la storia complessa e contraddittoria dei mo vimenti e dei fermenti politici e ideologici, che si vengono sedimentando in quest’area nel corso degli anni sessanta, co me un processo lineare destinato a sfociare nella lotta arma ta. Soltanto un piatto determinismo sociologico potrebbe pretendere d ’istituire un rapporto causale necessitante tra l’esperienza della «nuova sinistra» e del movimento sessan tottesco, e le origini del terrorismo. A maggior ragione ille gittimo appare il tentativo di conferire significato immediato d ’origine a diverse ascendenze ideologico-politiche — siano esse il comuniSmo terzinternazionalista, o un certo filone di populismo cattolico avverso alla società industriale e allo sta to laico moderno — che pure è agevole individuare nel baga glio culturale dell’eversione armata. Le biografie di molti mi litanti e di gran parte dei leaders del terrorismo mettono in luce piuttosto una sorta di cortocircuito tra militanza cattoli ca e marxismo rivoluzionario, attraverso un passaggio repen tino, che esclude l’esperienza della cultura laica liberaldemocratica di matrice illuministica. Certo, al di fuori di questo contesto il fenomeno terroristico non sarebbe neppure immaginabile, ma esso ha origine e si
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definisce interamente nelle scelte autonome d ’un gruppo di rigente, nella responsabilità storica del soggetto collettivo e degli uomini che elaborarono una propria specifica concezio ne ideologica e politica, compiendo il salto nella lotta arma ta. Il partito armato si genera da una frattura nella conti nuità del movimento operaio e socialista, come rispetto ad altri retaggi storici. La genesi del terrorismo si riassume dun que, in ultima analisi, nella sua specifica dimensione ideolo gica e politica, nel percorso di quei gruppi estremistici che approdarono alla lotta armata. Lungo questo percorso, attra verso i problemi essenziali che a esso si annodano, si dipana necessariamente il filo conduttore della ricerca. 2.2. Un estremismo indotto dal processo riformistico Il primo problema da considerare riguarda i traumi e le ten sioni sociali provocati dal rapido processo di trasformazione industriale e di urbanizzazione del paese, in rapporto con l’insufficienza della risposta riformistica sul piano politico e istituzionale e col permanere di condizioni salariali e di lavo ro arretrate e oppressive. Il problema è oggetto di apposita ricerca (ipotesi del sistema politico bloccato come causa del terrorismo), ma è necessario in questa sede formulare un paio di considerazioni. In primo luogo questa sfasatura tra governo politico e trasformazione sociale è di per sé insuffi ciente a spiegare le origini del terrorismo. Si tratta con tutta evidenza d ’una precondizione, d’un elemento — certo es senziale — del contesto entro il quale il fenomeno potè svi lupparsi, in quanto contribuì piuttosto a determinare un pro cesso di radicalizzazione a sinistra. La sua efficacia immedia ta si esauriva nella formazione di un’ampia e variegata area di estremismo. In secondo luogo si pone la questione se e in quale misura i gruppi estremistici siano nati come reazione alla carenza di riformismo, o non siano invece sorti proprio per contrastare la politica riformistica. Dobbiamo sicuramente ammettere che l’insufficienza dell’innovazione, il troppo contrastato cammino delle riforme e il ripiegamento moderato dopo la
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crisi del 1964, il blocco del sistema politico che non ammette avvicendamenti al potere, hanno seminato frustrazioni e sfi ducia nella democrazia, aprendo uno spazio alle tendenze ri voluzionarie. Ma non è certo irrilevante osservare che i pri mi movimenti di estrema sinistra nascono agli inizi degli an ni sessanta, proprio mentre, dopo la caduta del governo Tambroni, si aprono con l’avvio del centro-sinistra concrete prospettive di riforma e di allargamento democratico del si stema di potere E nascono per iniziativa di nuclei dissi denti della sinistra comunista e socialista e di intellettuali ra dicali marxisti che insorgono contro la linea riformista della sinistra storica. Nell’ottobre del 1961 esce il primo numero dei «Quaderni rossi»; il 1962 vede la nascita del primo grup po marxista-leninista («Viva il leninismo») e della rivista «Quaderni piacentini». Nel 1963 da una scissione dei «Q ua derni rossi» si forma il gruppo (con Tronti, Asor Rosa, Ne gri, C acciari e Faina tra gli altri) che agli inizi del 1964 darà vita a «Classe operaia»56. Anche il Psiup, nato nel gennaio del 64 dalla scissione del partito socialista per opporsi al centro-sinistra, benché ovviamente non si possa annoverare tra i gruppi extra-parlamentari, cercherà uno spazio politico a sinistra del Pei, recando alla nuova stagione dell’estremi smo il contributo decisivo del massimalismo, dell’intransi genza dottrinaria e del rigido classismo che gli erano propri. La «sinistra rivoluzionaria» nasce dunque non dalla frustra zione per i ritardi e le insufficienze della politica riformista, ma dal rifiuto radicale e pregiudiziale delle riforme. Cosi co me il passaggio alla lotta armata sarà anche la risposta allo sbocco «riformistico» e sindacale dell’«autunno caldo» del 1969 che pure aveva consegnato alla classe operaia e ai sinda cati conquiste senza precedenti, in termini di potere e di mi glioramenti salariali e normativi.
55
Un giudizio equilibrato in G aeta (1977: 131-144).
56
L ’opera più completa e precisa sulla «nuova sinistra» è quella di Vettori (1975); cfr. anche Tobagi (1970), M affi (1976), Bechelloni (1973), Teodori (1976), Vallauri (1976). Un importante contributo è il numero monografico di «C lasse» (1980). U ti le l’antologia curata da Degli Incerti (1976).
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Entro certi limiti era naturale che nel suo processo di matu razione riformistica e di integrazione nel sistema politico de mocratico — che è innanzitutto necessario adeguamento alla società industriale complessa fondata sulle regole della me diazione e del consenso — il movimento operaio e socialista lasciasse per strada alcuni detriti legati a schemi tradizionali, magari rinverditi da nuovi miti, come quello cinese; e che in ducesse per reazione le fughe in avanti dell’estremismo. Sa rebbe fuori luogo in questa sede tentare un giudizio comples sivo, sia pure sommario, sulla storia della sinistra extra parlamentare, segnata da percorsi ed esiti assai diversi. E però necessario rilevarne la consistenza e il radicalismo, ec cedenti, per cosi dire, le condizioni reali della lotta sociale e politica in Italia. Questa «eccedenza», di matrice essenzial mente culturale, si spiega, in parte con lo spessore e la tena cia delle tradizioni rivoluzionarie e intransigenti del movi mento operaio e socialista, le quali affondano le radici in quei caratteri specifici della storia d ’Italia, che si riassumono nella frammentazione, arretratezza e difetto d ’egemonia del le classi dirigenti ” , e nella speculare estraneità allo stato del le masse popolari, aggravata dall’esperienza del fascismo. E un contesto al quale si connette anche l’estraneità allo stato che ispira alcune componenti integralistiche e sociali del mo vimento cattolico58. Ma l’impulso più profondo ed efficace allo sviluppo della «si nistra rivoluzionaria» negli anni sessanta — assieme, s’inten de, alle suggestioni cinesi e internazionali dianzi considerate — viene dalla drammatica contraddizione, interna alla sini stra storica, tra politica riformistica e ideologia rivoluziona ria rappresentata dal marxismo-leninismo, che non solo in formava la cultura e la mentalità dei militanti, ma imponeva la propria egemonia nel mondo intellettuale italiano. Una sorta di schizofrenia, fonte di frustrazione e d’insofferenza,
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C fr. Carocci (1975).
58
M i limito a segnalare, per la sua specifica attinenza ai problemi qui affrontati, l’in teressante intervento di Giovanni Bianchi sull’«operaismo cattolico» in D ’Agostini (1978: 131-148).
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che sollecitava la ricerca d’una via d’uscita nell’estremismo politico e dottrinario. Non a caso, infatti, il marxismoleninismo costituisce la koinè ideologica della sinistra extra parlamentare. Alla prassi riformistica e al «revisionismo» dei partiti socialista e comunista i movimenti estremistici oppo nevano il ritorno alla purezza originaria della teoria rivolu zionaria di Marx e di Lenin, variamente riletta e interpretata attraverso il filtro di diverse esperienze: dal maoismo alla scuola di Francoforte — in primo luogo Marcuse —, ai filoni più radicali del marxismo, in particolare la Rosa Luxemburg del Massenstreik59. Marxisti-leninisti sono, è ovvio, i gruppi «filocinesi» che tali legittimamente si autodefiniscono; ma anche il filone operai sta che ha origine dall’esperienza dei «Quaderni rossi» muo ve dalla «ripresa del marxismo-leninismo in Italia», come av verte il titolo assai pertinente apposto a un’antologia degli scritti di Raniero Panzieri60. Dichiaratamente marxista e neoleninista sarà Potere operaio, e su analoghi binari, benché in forme più sfumate e contraddittorie, si svolgerà l’operaismo di Lotta continua61. 2.3. L '«autonomia operaia» matrice elei partito armato Ma attraverso quali specifiche esperienze si vengono sedi mentando gli elementi teorici e pratici che sfoceranno nel partito armato? Molto schematicamente i diversi gruppi, che affollano l’area della sinistra extra-parlamentare, si possono ricondurre a due filoni fondamentali: quello «marxistaleninista» in senso stretto, e quello operaista dell’autonomia di classe. Al di là delle molteplici distinzioni teoriche, la dif ferenza essenziale tra i due filoni consiste nel diverso modo
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Un quadro assai denso e penetrante del clima ideologico degli anni sessanta in Col letti (1979).
60
Panzieri (1975).
61
Su quest’ultima cfr. Luigi Bobbio (1979) e Vettori (1975).
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d ’intendere il rapporto tra Partito e Classe, tra il ruolo dell’«avanguardia cosciente» organizzata e la spontaneità delle masse. Per i «marxisti-leninisti», fedeli al modello bol scevico e alla lettera del «Che farei» di Lenin, la priorità spet ta al partito. Si tratta innanzitutto di costituire il «nucleo d ’acciaio», armato di tutto punto d ’una compiuta teoria rivo luzionaria e d’una giusta strategia, organizzato ferreamente, capace di guidare le masse e di infondere in esse l’indispensa bile coscienza politica. Ideologia, programma, forme orga nizzative, tutto è preordinato e per cosi dire calato dall’alto. Questa impostazione spiega l’incredibile proliferazione di «partiti» marxisti-leninisti negli anni sessanta62. Per gli operaisti, invece, la costruzione del soggetto rivolu zionario va dalla classe al partito6’ . Dato primario è il movi mento reale del proletariato, l’istintivo radicale antagonismo della classe nei confronti del capitale, la spontaneità delle masse creatrici di nuove forme di organizzazione e di lotta, Xautonomia operaia. Il concetto di «autonomia operaia» è centrale: autonomia come irriducibilità al capitale e, insie me, come autenticità originaria della classe, che si contrap pone ai partiti storici del movimento operaio e ai sindacati, sovrastrutture burocratiche e ideologiche, o addirittura articolazioni dello stato del capitale dentro la classe, subdole istituzioni di controllo e di repressione nei confronti del pro
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Vettori (1975: 30-75, 133-140); Tobagi (1970: 79-110, 135-152).
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Fondamentali i saggi di M ario Tronti (1971), che costituiscono l’elaborazione teo rica più originale e organica dei principi dell’operaismo assoluto, e insieme il testo sacro sul quale si è (ormata un’intera generazione di operaisti; ed inoltre la raccolta della rivista «C lasse operaia» 1964-1967 (ora ripubblicata in reprint: Milano, M a china Libri, s.d. ma 1979), di «C lasse» 1969, di «Potere operaio», di «L otta conti nua», ecc., oltre naturalmente ai «Q uaderni rossi». Sul dibattito politico e ideologi co che si svolge su questi periodici offrono interessanti contributi gli articoli di F. Schenone, M. Isnenghi, M. Bertozzi, e R. Sbardella (che opportunamente rileva la matrice gentiliana dell’operaism o di Tronti) in «C lasse» (1980). Sulla storia dell’operaismo sono da vedere principalmente gli atti del convegno «Operaismo e centralità operaia» in D ’Agostini (1978), in particolare la relazione di Cacciari (1978) e il saggio in appendice di M agna (1978). Oltre naturalmente alle opere cita te nella nota 56. U n’interessante testimonianza di parte operaista: Negri (1979a). Sull’esperienza specifica di Potere operaio è da tener presente, anche per i paragra fi seguenti, soprattutto Galante (1981b).
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letariato rivoluzionario. Spontaneità non è però spontanei smo. Rileggendo Marx e Lenin con la chiave della nuova composizione di classe nel capitalismo maturo, il neolenini smo operaista raccoglie l’importanza decisiva dell’organizza zione di partito come passaggio necessario. Ma organizzazio ne e coscienza politica vivono nella maturità della classe ope raia e sono espressione del suo processo; in nessun modo pos sono costituire dati preordinati e imposti dall’esterno. Il rap porto leninista tra partito e classe viene in teoria rovesciato, nella formula trontiana, ripresa da Lotta continua e da Pote re operaio: «la strategia alle masse, la tattica al partito»64. E fin troppo facile rilevare l’aporia insuperabile in cui si dibat te questa teoria, tra spontaneità e organizzazione65; il carat tere puramente verbale e velleitario del principio dell’«avanguardia interna»; la clamorosa contraddizione tra la retorica dell’autonomia operaia e la realtà elitaria e davvero «ester na» di gruppi minoritari d’intellettuali borghesi che intendo no forzare le masse sulla via della rivoluzione66. Nondimeno queste farraginose teorie riflettono una prassi movimentista, che meglio si esprime nel concetto di organiz zazione come processo continuo ed espansivo, mai concluso se non nel comuniSmo realizzato, e che quindi non può mai definirsi e cristallizzarsi nella forma tradizionale del partito, depositario dell’ideologia, della linea politica, delle strutture e dei metodi di lotta definiti una volta per tutte. Possiamo ora rispondere al quesito proposto. Il partito arma to si colloca interamente nel filone dell’autonomia operaia, anche se, come vedremo, alla sua origine contribuiscono altri apporti marginali. La concezione dell’«autonomia operaia» è il fondamento ideologico e pratico di Potere operaio, e tro verà la sua più conseguente realizzazione nell’Autonomia
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Tronti (1971: 257-259 e passim); Negri (1977 - ma il testo è del 1972-73), partico larmente pp. 101-106, ma è questo un concetto chiave ricorrente in tutto il saggio.
65
Cacciati (1978: 58-60).
66
Bobbio (1979) rileva più volte la realtà di una direzione leaderistica.
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operaia organizzata. Quanto alle Brigate rosse, il documento di fondazione del Collettivo politico metropolitano si apre con un capitolo sul «movimento spontaneo delle masse e l’autonomia proletaria»67, e all’autonomia operaia si riferi scono costantemente i documenti delle Brigate rosse. L ’Au tonomia operaia, afferma recisamente la stessa storia «uffi ciale» dell’organizzazione, è «l’area da cui hanno preso origi ne le Brigate rosse»68. Anche Potere operaio riconosce espli citamente che «i compagni delle Br si muovono con piena lealtà all’interno del processo di costruzione della forza orga nizzata dell’autonomia operaia»69. Di conseguenza il partito — nel senso tradizionale — resta un’indicazione e una tendenza, rispetto alla quale Br e Pote re operaio si pongono come nucleo aggregante e propulsivo al livello più alto del movimento di classe. «Non abbiamo co struito un nuovo gruppo — chiariscono le Br nell’autointer vista del gennaio 1973 — ma abbiamo lavorato all’interno di ogni manifestazione dell’autonomia operaia per unificare i suoi livelli di coscienza intorno alla proposta strategica della lotta armata per il comuniSmo»70. «Le Brigate rosse — riba diranno nel febbraio 1978 — non sono il Partito comunista combattente, ma un’avanguardia armata che lavora all’inter no del proletariato metropolitano per la sua costruzione»71. Potere operaio tradurrà in pratica nella forma più conseguen te e originale questa concezione, superando fino in fondo la «logica dei gruppi», con la metamorfosi nell’Autonomia ope raia organizzata. Ritorneremo sul nodo dell’organizzazione, autentica chiave di volta della strategia della lotta armata. Basti per ora rile
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Collettivo politico metropolitano (1970: 4-8).
68
Soccorso rosso (1976: 250).
69
Chi è senza peccato, in «Potere operaio del lunedi», 46, 25 marzo 1973.
70
Soccorso rosso (1976: 145). Analogamente Brigate rosse (1976: 148).
71
Brigate rosse (1978: 93).
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vare che alla luce di questa concezione e di questa pratica dell’«autonomia» si scioglie l’arcano del Partito come istanza perenne, come processo sempre in atto e mai compiuto; dell’organizzazione ferrea e «cosciente» di «avanguardia», mai però «complessiva»; della «centralizzazione espansi va» 72: insomma l’esperienza assolutamente originale e com plessa d ’una nuova forma di partito, o, se si preferisce, di or ganizzazione. 2.4. Le radici sociali dell’estremismo e la rottura del 68 Seguiamo ancora il filo rosso dell’«autonomia». Benché il concetto denunci il marchio d’origine dell’astrattezza intel lettualistica, nella stessa complessità dei suoi sviluppi teorici, nella straordinaria efficacia pratica dispiegata lungo l’arco di quasi un ventennio, condizionando anche dall’interno i par titi storici della sinistra e soprattutto il movimento sindacale, si coglie un riflesso dell’intensa trasformazione sociale del paese. Il radicalismo rivoluzionario, la rottura con la sinistra storica e con i sindacati, il rifiuto della mediazione politica e le nuove forme violente di lotta; il massimalismo del «voglia mo tutto e subito», del «prendiamoci la città», delle «autori duzioni», della lotta alla selezione e alla meritocrazia - sino alla rozza vulgata immediatistica e consumistica della «teoria dei bisogni», e al «rifiuto del lavoro»: sono tutti atteggiamen ti che si annodano al fondamentale concetto operaistico dell’autonomia come irriducibile antagonismo e indipenden za del proletariato nei confronti del capitale e delle sue ragio ni. Ma le radici reali e la dimensione di massa di questi atteg giamenti stanno principalmente in due fenomeni emergenti dalla profonda trasformazione economico-sociale del paese. Innanzitutto una classe operaia industriale rapidamente in grossata (il 33% della popolazione attiva nel 1971 contro il
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«Centralizzazione (...) come struttura espansiva»: cfr. «Potere operaio», 50, no vembre 1973, pp. 2-3. C fr. oltre paragrafo 3.6. Galante (1981b: 494) definisce questo processo «partito tendenziale».
Ili
22.9 del 1951), massificata dall’introduzione generalizzata della catena di montaggio nelle fabbriche, sottoposta a inten si ritmi di lavoro, spesso in ambienti nocivi. Si trattava in gran parte d ’un proletariato affluito dalle campagne, specie del Mezzogiorno, e quindi sradicato dal suo ambiente e dalla sua cultura, che subiva drammaticamente il trauma del nuo vo lavoro in fabbrica e la dura esperienza dell’immigrato nei centri urbani, mentre era poco o punto integrato nella tradi zione e nella cultura del movimento operaio e socialista75. L ’altro fenomeno è rappresentato dall’emergere d’una picco la borghesia intellettuale di massa, di recente formazione, ir requieta e spesso frustrata, che affollava le scuole e le univer sità, passando di qua negli impieghi pubblici e privati. For matasi in buona parte attraverso un processo di acculturazio ne affrettato e superficiale, spesso delusa nelle sue attese, in soddisfatta d ’un ruolo sociale poco gratificante nel grigiore della prosa quotidiana, questa borghesia intellettuale avver tiva acutamente la crisi dei valori tradizionali nel trapasso al la società industriale. Il dissenso cattolico, e in particolare la tendenza diffusa a ridurre l’esperienza religiosa nei termini prevalenti, se non addirittura esclusivi, dell’impegno politico-sociale, rappresentano un’altra faccia di questa crisi culturale, che in Italia, più che in altri paesi europei, assume dimensioni di m assa74. Attenta considerazione meritano sotto questo profilo le com ponenti di matrice cattolica dei movimenti d’estrema sini-
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Sylos Labini (1974) in particolare p. 156; Pizzom o, Reyneri, Regini e Regalia (1974). Sul massiccio afflusso in quegli anni di manodopera giovane, prevalente mente meridionale, nelle fabbriche che furono al centro dei nuovi movimenti di lotta cfr., ad esempio, Assemblea autonoma dell’Alfa Romeo (1973: 167): il riferi mento è agli anni 1967-70. Per la Fiat cfr. Bobbio (1979: 27 e 32); nel 69, racconta un operaio della Fiat, «c’era la rabbia diffusa in tutta la fabbrica, l’avevano portata tutti i compagni del meridione che non ne potevano più di questo sistema di vive re»: Lotta continua (s.d.: 60). Più in generale cfr. Pizzorno (1971).
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Sugli atteggiamenti di rivolta e sulla cultura della violenza diffusi nella borghesia intellettuale, interessanti analisi e spunti in Acquaviva (1979a) e nei due volumi di Ferrarotti (1979 e 1980). Sul dissenso cattolico cfr. Sciubba e Sciubba Pace (1976).
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stra, specie di Lotta continua, nonché il forte sostrato di cul tura cattolica che impregna il marxismo-leninismo dei gruppi che più direttamente contribuiranno alla genesi del partito armato. Scaturiscono da questa complessa crisi sociale e culturale l’efficacia surrogatoria del mito politico, le tensioni utopiche e millenaristiche, la religione impropria dell’intransigenza dottrinaria e dell’impegno politico totale, il nichilismo e l’esaltazione vitalistica della lotta, la mistica della rivoluzio ne e della violenza risolutrice. Il movimento del 68 è la rottura storica che scatena queste tendenze e il crogiolo che le amalgama75. E a questo passag gio decisivo che emerge con prepotenza la specificità del caso italiano, dall’incontro della contestazione studentesca con un grande ciclo di lotte operaie d’inusitata durezza. Nulla di simile si verifica negli altri paesi industrializzati dell’Occidente, che avevano compiuto da tempo e con ritmi più diste si il cammino che ora la società italiana andava percorrendo con corsa precipitosa76. E questo incontro tra movimento studentesco e lotte operaie che agisce da moltiplicatore dell’estremismo, gli conferisce una base di massa e produce
Sul movimento del 68 e sul suo rapporto col terrorismo rinvio al saggio, intelligen te ed equilibrato, di Nando dalla Chiesa (1981). Un documento illuminante (Cur d o e Rostagno, 1980, specie pp. 70-75), scritto nel dicembre 1968, rivela con straordinaria e quasi brutale immediatezza il meccanismo psicologico elementare e il passaggio ideologico, altrettanto rudimentale, attraverso cui due protagonisti quali Renato Curcio, prossimo fondatore delle Br, e Mauro Rostagno, uno dei leaders di Lotta continua, oggi guru della setta mistico-affaristica «arancione», rove sciano le frustrazioni d ’un gruppuscolo di giovani intellettuali borghesi, pervasi da «nuovi bisogni radicali» e incompresi dagli operai, neU’esaltazione della violenza esemplare e nella proposta della lotta armata, «per spezzare la falsa coscienza delle m asse». L a coscienza dell’operaio, infatti, «si è falsificata reificandosi (...), incorpo randosi nelle istituzioni», contro le quali «la parola non può niente. Non si spezza una coscienza solidificata, reificata, con l’arma della critica, col pedagogismo, colle parole chiarificatrici. Occorre passare alla critica delle armi, alle “ azioni esem plari” contro le istituzioni». Una vera saldatura tra movimento studentesco e lotte operaie non si determina neppure in Francia, dove si ha piuttosto uno sviluppo parallelo di esperienze, che s’influenzano a vicenda, ma non convergono in una sintesi politica di movimento, e comunque restano circoscritte entro il breve arco di un anno.
un effetto di onda lunga, che attraverso l’«autunno caldo» del 69 si prolunga per un decennio con la conflittualità per manente e l’egualitarismo delle lotte sindacali, con la pratica della violenza nelle piazze, nelle fabbriche, nelle università e nelle scuole, saldandosi col movimento del 77. E in questo contesto che s’innesca un ulteriore processo di estrema radicalizzazione ideologica e politica, che sfocerà ra pidamente nella lotta armata. Certo, anche in altri paesi in dustriali alcuni gruppi scelgono la via del terrorismo. Ma si tratta sempre di qualche pugno di fanatici, completamente isolati (a parte l’ira e l’Eta che hanno radici nazionalistiche). In Italia invece l’area della lotta armata coinvolgerà alcune migliaia di militanti, conterà su una consistente frangia di fiancheggiatori e simpatizzanti, sulla «comprensione» e sull’ambigua neutralità di significativi settori intellettuali. E ancora una volta dallo specifico contesto della lotta politica e sociale in Italia, quale emerge alla fine degli anni sessanta, che deriva la consistenza e l’eccezionale durata del terrori smo italiano. 2.5. Dal rifiuto della società industriale alla cultura della vio
lenza Lucio Colletti ha descritto magistralmente l’avvento dell’Aomo ideologicus nel clima del lungo 68, il suo irrazionalismo e il suo rifiuto della società industriale avanzata77. Se il terro rismo non è movimento sociale in stretto senso, ma piuttosto fenomeno di radicalizzazione ideologico-politica, questa in vadenza totalizzante dell’ideologia ne è una condizione es senziale. Nondimeno l’allucinazione idèologica che ispira il partito armato appare anche un riflesso distorto e parossisti co dell’insofferenza con la quale alcuni strati sociali vivono il trauma dell’industrializzazione accelerata. E significativo che il «Grande Rifiuto» marcusiano trovi riscontro nel «ri fiuto del lavoro», che è uno dei cardini della concezione e
”
Colletti (1979).
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della strategia politica degli operaisti, e nel nichilismo del partito armato, che persegue la distruzione sistematica della società esistente, senza prefigurare in alcun modo una possi bile società futura. Questa rivolta contro la società industria le moderna, che migliaia di giovani vivono più semplicemen te come ribellione al principio della realtà, richiederebbe un’apposita ricerca storico-antropologica. L 'homo ideologicus ha nell’operaismo assoluto il suo atto di nascita e la sua celebrazione più conseguente. Il passaggio teorico decisivo consiste nella riduzione della teoria a mero momento della prassi, funzione della lotta di classe78. La cul tura, aveva proclamato nel 1966 Mario Tronti, massimo teo rico dell’operaismo degli anni sessanta, «è sempre borghese», «un fatto per sua natura reazionario, e come tale va tratta to». In nome della «scienza operaia» occorreva un «lavoro di dissoluzione di tutto quanto già c’è, rifiuto a costruire sul solco di questo passato. L ’Uomo, la Ragione, la Storia, que ste mostruose divinità vanno combattute e distrutte, come fossero il potere del padrone». Purtroppo, lamentava Tronti, «l’antiumanesimo, l’irrazionalismo, l’antistoricismo, da armi pratiche che potevano essere nelle mani della lotta operaia», sono ridotti a cultura e quindi resi innocui e servizievoli in mano alle ideologie capitalistiche. La conclusione è perento ria: «Teoria della rivoluzione vuol dire pratica diretta della lotta di classe»79. Non si trattava d ’una posizione individuale. Un altro espo nente del gruppo operaista, Alberto Asor Rosa, scriveva ne gli stessi anni un significativo Elogio della negazione, del qua le vai la pena di cogliere il concetto centrale. «Il punto di vista operaio è esente da valori, poiché [...] non partecipa di quella tendenza universalistica culturale, di cui i valori rappresenta no l’agglutinamento concettuale, la concrezione storica ed assoluta insieme. Il riferimento al punto di vista operaio di strugge quindi la possibilità di mantenere in piedi l’unità inVentura (1980b). Q uesto passaggio è colto anche da Asor Rosa (1975) con perti nente riferimento a Tronti (1971: 36).
Tronti (1971: 245-246).
tellettuale e spirituale della cultura, e, all’interno di ciascuna disciplina, mette in crisi l’atto di fede, su cui essa si fonda per avere valore. [...] L ’unico positivo al quale noi possiamo guardare, è un fatto materiale, da costruire, non da inventare: è l’organizzazione politica della classe, è la fondazione nelle cose di un processo rivoluzionario». A questo fine le discipli ne culturali andavano ridotte «a delle semplici tecniche, da usare con il massimo disprezzo secondo le opportunità che di volta in volta si presentano...»80. Come spiegherà chiaramente Toni Negri, dichiarando la «fi ne della dialettica» («questa formula eterna del pensiero giudaico-cristiano, questa perifrasi per dire — nel mondo oc cidentale — razionalità...»): «l’atto di pensiero qui non ha al cuna autonomia dalla forza collettiva, dalla prassi collettiva che costituisce il soggetto in quanto dinamismo verso il co muniSmo. L ’avversario va distrutto»81.
Autonomia operaia è anche ed essenzialmente questo: vo lontà di potenza illimitata, autonomia della prassi fondante la violenza, logica della guerra che non riconosce altra regola che la distruzione del nemico. Il soggetto, in teoria, è natu ralmente la Classe, nella realtà sono i gruppi estremistici, composti in grande maggioranza da giovani e intellettuali borghesi. Provvederà in seguito una disinvolta operazione ideologica ad arruolarli d ’ufficio nei ranghi della Classe, gra zie all’inedita categoria ,dell’«operaio sociale» (o «Proletaria to metropolitano» secondo la terminologia delle Br), fondata su un singolare concetto di «composizione di classe», che al criterio oggettivo della collocazione sociale sovrappone quel lo soggettivo della «coscienza politica». La cultura della violenza e del terrorismo ha dunque nell’ideologia dell’autonomia operaia la sua principale matri ce. Vero è che il tema della violenza rivoluzionaria, che ap partiene anche alla storia del movimento operaio e socialista, riacquista centralità e urgenza nel dibattito politico e ideolo80
Asor Rosa (1965); i corsivi sono nel testo originale.
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N egri (1979b: 197).
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gico di tutta l’estrema sinistra, dagli operaisti ai «marxistileninisti», dal Movimento studentesco al Manifesto. La ne cessità della violenza è implicita nel concetto di rivoluzione che ispira la «sinistra rivoluzionaria». Violenza rivoluziona ria contrapposta al gradualismo riformista, forza antagonista del proletariato contro il dominio del Capitale e dello Stato borghese. Nel biennio 1968-69 il moto studentesco e le dure lotte operaie fanno emergere la teoria e la pratica della vio lenza a livello di massa. Violenza significa certo trasgressione della legalità, non ne cessariamente lotta armata. Siamo ancora al di qua dell’in surrezione. Ma nel dibattito teorico e nella pratica della vio lenza s’innesca il processo, che condurrà rapidamente alcuni gruppi più radicali a varcare la soglia della lotta armata. La sinistra extraparlamentare non è certo rispettosa della «lega lità borghese» e del regime democratico, che ritiene mistifi cazioni del dominio capitalistico. Per essa le regole del gioco e le forme di lotta sono pura questione di rapporti di forza. Questa concezione è certo un presupposto indispensabile al lo sviluppo del terrorismo. Ma la gran parte dei gruppi con cepiscono la strategia rivoluzionaria secondo lo schema clas sico marxista e leninista, che gli ideologi del partito armato definiscono «teoria dei due stadi»: prima la lotta sociale e po litica, poi la rivoluzione armata come atto conclusivo, solo quando il movimento di massa avrà maturato le condizioni necessarie e l’occasione propizia82. L ’insurrezione armata è un postulato teorico e una necessità storica ma resta una pro spettiva, la cui attuazione è rinviata ad un futuro indetermi nato. Non è immediatamente all’ordine del giorno. La distinzione è fondamentale. Segna la discriminante tra lotta politica legale con fini rivoluzionari — che solo margi nalmente può assumere talvolta forme violente e illegali — e lotta armata insurrezionale. La soglia della rivoluzione arma ta sarà forzata tra la fine del 69 e il 70 da alcuni gruppi ap partenenti al filone operaista e neoleninista dell’autonomia: 82
C fr. ad esempio la prima «intervista» delle Br, in Soccorso rosso (1976: 104).
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Potere operaio, principalmente, preceduto di poco dal picco lo nucleo milanese del Collettivo politico metropolitano (che darà vita alle Brigate rosse). E significativo che apporti con sistenti al partito armato provengano pure in varie forme, come vedremo, da Lotta continua, l’altra maggiore organiz zazione formatasi nell’ambito del movimento dell’autono mia operaia. Soltanto il ruolo importante ma distinto di Fel trinelli — una figura per molti versi anomala — e dei suoi Gap, nonché alcuni isolati elementi veterocomunisti intro ducono variabili marginali in un processo, che dal filone ope raista dell’autonomia genera il partito della lotta armata.
3. La fondazione del partito armato 3.1. Il contesto specifico I presupposti teorici del passaggio immediato alla lotta arma ta insurrezionale sono tutti contenuti nell’ideologia dell’au tonomia operaia: nell’irriducibile antagonismo del soggetto rivoluzionario, il quale, dispiegando la sua volontà di poten za sul terreno della forza, nega ogni norma etico-giuridica della società «borghese» e rifiuta la mediazione politica. Ma questi impulsi ideologici e le suggestioni internazionali ac quistano efficacia pratica grazie ad una congiuntura di condi zioni storiche propizie. II contesto generale è naturalmente quello ricordato delle tensioni sociali e politiche insorte in forma acuta dal 1967. Ma per venire alle condizioni più specifiche, determinanti furono il clima di fanatismo e la pratica della violenza che si andavano rapidamente diffondendo nei movimenti di massa, creando nelle frange più radicali l’illusione d ’una fase rivolu zionaria. Ad alimentare questo inganno contribuì in maniera decisiva la risposta fiacca e incerta, sostanzialmente permis siva, sul terreno della difesa della legalità, da parte dello sta to e delle forze politiche, speculare alla carenza di risposta sul piano dell’iniziativa politica e istituzionale (ma con l’im portante eccezione dello Statuto dei lavoratori).
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Questi aspetti richiederebbero un’apposita ricerca. Basti qui sottolineare che l’eccessiva tolleranza nei confronti della vio lenza squadristica (di sinistra ma anche neofascista) e dei gruppi estremistici che apertamente la propugnavano e l’or ganizzavano, ebbe due effetti principali e complementari: da una parte accreditò l’immagine d’uno stato impotente che si poteva facilmente abbattere; dall’altra generò la pratica dell’impunità. Ogni violenza sembrava lecita e, per cosi dire, legittimata. Senza questa condizione sarebbe mancato al ter rorismo il terreno di cultura e di reclutamento indispensabile al suo sviluppo. Si deve ancora osservare che questa tolleranza della violenza era pure la risultante di due diversi fattori. Da parte della si nistra marxista costituzionale la coscienza d ’una affinità di matrici culturali, i riflessi condizionati dell’antica diffidenza verso lo stato e dei miti rivoluzionari non ancora superati, inducevano spesso ad atteggiamenti di «comprensione» ver so i gruppi estremistici, ispirati anche dall’esigenza di tentar ne il recupero politico, ma che in pratica finivano per coprir ne le violenze. In seguito, nei confronti del partito armato e dei suoi esponenti, da parte di ristretti ma significativi e in fluenti settori politico-culturali di sinistra non mancheranno processi di rimozione, ambigue manifestazioni di equidistan za fra stato democratico e terrorismo, e attive solidarietà, che svolgeranno un’efficace funzione di fiancheggiamento. Dall’altro versante, dall’interno dello schieramento modera to e degli apparati dello stato, alcune forze ritennero di poter usare l’estremismo, e poi il terrorismo rosso, per proseguire con altri strumenti la strategia della tensione; oppure sempli cemente preferirono lasciare mano libera alla violenza estre mistica, che imbarazzava, screditava e nel contempo incalza va ed erodeva da sinistra i partiti comunista e socialista e i sindacati, inficiandone la capacità di rappresentanza sociale. E certo che, senza queste spregiudicate coperture, né la vio lenza estremistica avrebbe potuto dispiegarsi impunita per un incredibile decennio, né il terrorismo rosso (e nero) svi lupparsi pressoché indisturbato sino al delitto Moro. Il terro rismo poteva essere stroncato sul nascere, almeno sin dal
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1972, e ridotto a fenomeno sporadico8}. Ecco un altro ordi ne di problemi che meriterebbe un’apposita ricerca. 3.2. I soggetti politici: Potere operaio e il Cpm Questo dunque è il contesto che andava necessariamente ri cordato, sia pure per cenni. Esso però non spiega di per sé la nascita del partito armato, che ci riconduce alla responsabi lità storica dei soggetti politici: ai gruppi che forzarono la so glia della lotta armata e alle ragioni della loro scelta. Alle ori gini, tra il 1969 e il 1970, la svolta fatale fu attuata da tre or ganizzazioni: i Gap di Feltrinelli, il Collettivo politico me tropolitano (Cpm) e Potere operaio. Ma i Gap (Gruppi d’azione partigiana) erano una banda raccogliticcia e priva di consistenza, che Feltrinelli era riuscito ad organizzare con i suoi mezzi finanziari illimitati, aggregando pochi elementi di disparata provenienza politica. Nulla di vitale in sé, se non fosse stato per il ruolo personale di Feltrinelli. Il Collettivo politico metropolitano e Potere operaio, invece, si muovevano all’interno dei nuovi movimenti collettivi, nell’esperienza dell’autonomia operaia: con essi prende cor po e vita il progetto del partito armato. Il Cpm era però un piccolo gruppo, formatosi a Milano nel settembre del 1969 dall’aggregazione di alcuni nuclei di fabbrica, per lo più com posti di tecnici e impiegati — Cub Pirelli, Gruppi di studio della Sit-Siemens e della Ibm — e altri elementi, tra i quali primeggiava Renato Curcio, appena venuto dalla Facoltà di sociologia di Trento con alcuni compagni. In tutto poche de cine di militanti, ai quali presto si unirono alcuni transfughi della Fgci di Reggio Emilia, con alla testa Alberto Franceschini, e che potevano contare anche sull’apporto di alcuni dissidenti del Pei e delusi nostalgici della Resistenza — pre 85
M i limito a rinviare alle considerazioni da me svolte nella relazione 11 terrorismo: le radici e il contesto, in Università di Catania, M essina e Palermo (1982: 44-52). Nel correggere le bozze aggiungo il rinvio alla mia successiva relazione su I poteri occul ti nella Repubblica italiana: il problema storico, in corso di pubblicazione presso l’editore M arsilio, negli atti del convegno sui poteri occulti (Venezia, dicembre 1983) organizzato dal Comune di Venezia.
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sunta rivoluzione tradita — come Giambattista Lazagna 84. Attraverso un processo di scissioni e aggregazioni, che ac compagnò la scelta della lotta armata, l’esperienza della Sini stra proletaria e infine la costituzione delle Brigate rosse (pri mavera 1970, ma il primo attentato è del 17 settembre), il gruppo non modificò sostanzialmente la sua consistenza e il suo insediamento. Certo non avrebbero fatto molta strada le Br con le proprie sole forze, se Potere operaio non avesse gettato il suo peso decisivo nel campo della lotta armata. Diversamente dal Cpm, Potere operaio era un’organizzazio ne nazionale presente nei principali centri, specie del Centro-Nord, e che annoverava migliaia di militanti, attivi nelle fabbriche, nelle scuole, nelle università e nei quartieri. Non se ne conosce esattamente la consistenza numerica, ma sappiamo che alla conferenza nazionale di Roma del settem bre 1971 partecipò un migliaio di delegati, in rappresentanza di 57 sezioni e 108 cellule; al convegno nazionale dei quadri dirigenti (Firenze, l°-3 giugno 1972) erano presenti 250 mi litanti M. La forza di Potere operaio stava inoltre in un grup po dirigente esperto e culturalmente attrezzato, dotato di notevole capacità d’elaborazione ideologica e progettualità politica, in grado di diffondere e radicare mediante l’azione di massa e con un’intensa attività pubblicistica, in particola re con i suoi periodici, le idee e la pratica della lotta armata. Nulla di simile possiederanno mai le Brigate rosse. Potere operaio (e successivamente l’Autonomia operaia orga nizzata che ne sarà l’erede) è perciò il principale vettore politico-ideologico della lotta armata, il terreno di cultura e il motore propulsivo del terrorismo, il ceppo originario dal quale rampolleranno i rami di diverse «formazioni combat tenti», le strutture dell’«illegalità di massa» e del terrorismo diffuso. Le stesse Brigate rosse troveranno qui supporti e 84
Soccorso rosso (1976: 26-58); requisitorie Viola e Caccia (1975); Silj (1977).
85
«Potere operaio», 44, novembre 1971, p. 2; «Potere operaio del lunedi», I, 14, 18 giugno 1972.
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collegamenti indispensabili; e quando più tardi, nel 1976, sa ranno ridotte allo stremo, da questa parte riceveranno i rin calzi della coppia Morucci-Faranda, con la «Skorpion» neces saria per assassinare il procuratore Coco, e usata poi per ucci dere Moro86. Se questi dunque furono i gruppi fondatori del partito arma to, determinante fu pure l’apporto di Lotta continua alla ge nesi e allo sviluppo del terrorismo. Non si tratta soltanto de gli slogans truculenti, dell’esaltazione e della pratica dello scontro fisico, della teorizzazione e dell’incitamento alla lot ta armata rivoluzionaria (significativa sotto questo aspetto l’entusiastica attenzione per l’ira), che diedero un sostanzia le contributo alla cultura della violenza, esercitando una po tente suggestione su migliaia di giovani87. Al convegno na zionale di Rimini (1-3 aprile 1972) anche Lotta continua, sotto «l’evidente influenza» di Potere operaio88, scelse la li nea della «militarizzazione», per «preparare il movimento a uno scontro generalizzato, con un programma politico che ha come avversario lo Stato, e che ha come strumento l’eserci zio della violenza rivoluzionaria, di massa e di avanguar dia»89. L ’indicazione del «lavoro illegale» e della lotta armata era più esplicita e attuale di quanto non ammetta la com prensibile cautela di Luigi Bobbio, ma non aveva tuttavia la pregnanza e l’immediatezza che assume nella teoria e nella pratica di Potere operaio. E soprattutto Lotta continua pren derà presto le distanze dagli episodi di terrorismo — appro vati invece apertamente da Potere operaio — e farà marcia 86
C fr. paragrafo 3.8 e nota 150; verbali degli interrogatori di Patrizio Peci, in «Lotta continua», 7 maggio 1980. Un caso assai significativo di grossolana mistificazione storica è rappresentato dallo scritto di Tranfaglia (1981) che cancella Potere ope raio dalle origini della lotta armata e rimuove Autonomia dalla storia del terrori smo, riducendone la funzione alla semplice sfera ideologica, su una presunta posi zione di «attesa-dialogo» nei confronti di chi ha scelto la lotta armata.
87
Bobbio (1979: 101-102).
88
Ibidem, p. 99.
89
Ibidem, pp. 97-106; il documento preparatorio del congresso di Rimini, autore Adriano Sofri, in Vettori (1975: 257-280): il passo citato a p. 259.
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indietro, lasciando cadere di fatto la linea della lotta armata. Rimini resta una parentesi. In quanto partito — e la distin zione è decisiva — Lotta continua non si porrà come orga nizzazione politico-militare, come partito armato; pur rima nendo fedele al suo estremismo, «dentro il movimento» as sieme ai «compagni» di Autonomia e delle Br. Da questa contraddizione alcuni militanti usciranno presto per dar vita ai Nuclei armati proletari. E quegli spezzoni dei «servizi d’ordine», che vorranno passare alla lotta armata, dovranno rompere con Lotta continua e confluire nelle strutture dell’Autonomia90. Un cenno merita infine il Partito comunista (marxistaleninista) italiano. Il suo ruolo rimane nell’ombra. La sua in dicazione programmatica, all’atto di fondazione nel 1972: «sulla via dell’insurrezione armata popolare», per quanto elo quente resta ambigua circa i tempi e le forme d’attuazione. Sulla «via» della lotta armata risulteranno però coinvolti al cuni suoi esponenti, e non è certo casuale che nel biennio 1976-77 numerosi documenti assai espliciti e comprometten ti, che propugnano «le forme di azione illegale e combatten te, le forme di organizzazione operaia e proletaria armata», siano emanati congiuntamente dal Partito comunista (m-1) italiano e dalle principali formazioni dell’Autonomia operaia organizzata91.
3.3. La svolta insurrezionale La svolta insurrezionale, che andava rapidamente maturan do, ebbe l’ultimo decisivo impulso dal contraccolpo delle lot90
Bobbio (1979: 99 e 103-106, 137-141). L ’itinerario di Marco Donat Cattin, Ro berto Sandalo, e altri del servizio d ’ordine torinese di Lotta continua attraverso i C om itati comunisti per il potere operaio sino a Prima linea è descritto in Stajano (1982) specie pp. 75-96. Sui N ap cfr. Soccorso rosso napoletano (1976) e Nuclei ar mati proletari, quaderno n. 1 di «Controinform azione», s.n.t.
91
Recupero (1978: 59-65, 72, 81-82, 96-98). Il documento del 1972 in Vettori (1975: 307-308).
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te operaie dell’«autunno caldo» del 196992. I gruppi estremi stici dell’autonomia operaia vi si erano impegnati con grande entusiasmo, trovando una limitata ma combattiva base di massa, ed esercitando sulle forme di lotta e sugli obiettivi dell’intero movimento un’influenza assai più incisiva di quanto comunemente si voglia ammettere (si pensi alla teoria del salario «variabile indipendente»), attraverso il noto mec canismo degli scavalcamenti a sinistra innescato dal «poten ziale d’intimidazione» dei gruppi più radicali, particolarmen te efficace in un sistema politico multipartitico estremamen te polarizzato come quello italiano 9\ Il successo senza precedenti di queste battaglie sindacali, in termini di aumenti salariali e di miglioramenti normativi; il mutamento dei rapporti di forza a favore della classe ope raia, che si consolidava sul terreno istituzionale con lo Statu to dei lavoratori (maggio 1970) e si traduceva nell’afferma zione d’un potere sindacale che non ha confronto in alcun al tro paese industriale, furono invece registrati da questi grup pi estremisti come una bruciante sconfitta. La presunta «au tonomia» della classe operaia sembrava eclissarsi, dopo una fugace apparizione, rifluendo sotto il controllo degli odiati riformisti e dei sindacati, braccio secolare del Capitale den tro la Classe, imprigionata nella «gabbia contrattuale». Il sin dacato, affermava la relazione introduttiva al convegno na zionale di Potere operaio (Firenze, gennaio 1970), era riusci to «a riportare dentro i cicli capitalistici l’autonomia operaia espressasi da due anni a questa parte»94. Il movimento spon taneo delle masse in Europa e in Italia, avverte il Collettivo politico metropolitano, «è stato arrestato dalla manovra a te naglia della repressione poliziesca e della repressione sindacal-partitica». Ma «sconfitto non è stato il movimento autonomo del proletariato europeo», bensì la sua «sponta
92
Ventura (1980b: 128-129).
95
C fr. Sartori (1973).
94
Potere operaio (1970b - Prima relazione: Classe e capitale dopo l'autunno).
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neità». Quindi «l’autonomia proletaria ha oggi un solo modo per svilupparsi: organizzarsi»95. Analoga la posizione di Potere operaio: un nuovo ciclo di lot te operaie spontanee, simile a quello del biennio 1968-69, non può più darsi; una nuova «occasione di scontro genera le», «non potrà d’ora in poi che essere ricostruita soggettiva mente»96. Organizzazione e centralizzazione divengono quindi i passaggi obbligati e urgenti del movimento. Questa forte esigenza d’organizzazione, già espressa con forza dallo stesso gruppo dirigente nel giornale «La Classe», e nella qua le si ravvisa nitidamente la matrice neoleninista, delinea una netta differenza d’impostazione rispetto all’anima movimen tista di Lotta continua (benché il leninismo non fosse certo estraneo alla teoria e alla prassi del movimento, dato che Lotta continua adotterà in seguito il «centralismo democrati co») 97. Potere operaio pone infatti l’esigenza di costruire un partito, «in grado di piegare il movimento alle indicazioni strategiche che l’organizzazione interpreta»98. Siamo ancora entro gli schemi classici del marxismo-leninismo. Il punto di rottura che segna la svolta della lotta armata si colloca in un altro passaggio teorico-pratico: il superamento della distinzione tra lotta economica e lotta politica, per cui le lotte operaie per il salario divengono immediatamente po litiche, scontro diretto contro lo stato99. Secondo Potere 95 96
Collettivo politico metropolitano (1970: 19). Potere operaio (1970b - Seconda relazione: Conquista dell'organizzazione e dittatura
proletaria). 97
«L otta di m assa per l’organizzazione» era il motto del giornale «L a Classe». Sull’anima movimentista di Lotta continua e sulle sue contraddizioni, oltre al fon damentale Bobbio (1979), un’efficace testimonianza offre Della M ea (1972). La di versità d ’ispirazione e di stile tra Potere operaio e Lotta continua i messa in luce anche da Violi (1977) attraverso un’acuta e suggestiva analisi del linguaggio.
98
«Potere operaio», 28, 11-18 luglio 1970.
99
Potere operaio (1970b - Intervento conclusivo); Collettivo politico metropolitano (1970: 22); Br, Autointervista settembre 1971, in Soccorso rosso (1976: 103-108).
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operaio sono le lotte autonome operaie degli anni sessanta, che rompendo la capacità capitalistica di controllo, impongo no al capitale un processo di ristrutturazione, che si attua principalmente in forma di mero comando, per mezzo della violenza dello stato. «Di qui la completa e definitiva riassun zione del livello economico (lo sviluppo capitalistico) dentro il livello statuale (la gestione politica complessiva dello sfrut tamento)» 10°. Il Capitale s’identifica con lo stato, il quale, «come organo tecnico di repressione si definisce in una fisio nomia sempre più estrema quanto più esso si afferma come istituzione diretta allo sfruttamento». Caduta ogni mediazio ne politica, «quando ogni azione operaia finisce per attaccare direttamente lo Stato, quando la lotta operaia contesta diret tamente i valori che legittimano l’esistenza stessa dello Stato [...], lo scontro è costretto ad un esito che è di per sé necessa riamente violento»101. Di conseguenza l’organizzazione ope raia, «nel momento stesso in cui si forma come tale», deve fornirsi «di un’organizzazione tecnica d ’attacco, che permetta alla totalità del progetto politico di mostrarsi come realmente perseguibile»; capace non solo «di rispondere con la forza ad ogni provocazione», ma anche di «attaccare le strutture del potere quando la direzione politica ne sottolinei la neces sità» 102. S ’impone quindi all’autonomia operaia «la questio ne discriminante e decisiva della violenza rivoluzionaria», la «costruzione del partito dell’insurrezione»10J, «con l’intera strumentazione necessaria al conseguimento di questo fine: partito, soviet, armata rossa...», capace di «comandare la spi rale della violenza»104, anticipando la violenza dello stato 105.
100
Potere operaio (1970a: 8-9).
101
Ibidem, pp. 16-17. Q uesta teoria è ampiamente sviluppata in Negri (1974) e si pre ciserà successivamente integrandosi col concetto di «fabbrica sociale», cui corri sponde quello di «operaio sociale», come nuova forma di «composizione di classe».
102
Potere operaio (1970a: 71); il corsivo è nel testo.
105
«Potere operaio», 35, 27 novembre-5 dicembre 1970.
104
Ibidem, 32, 24-31 ottobre 1970.
105
Ibidem, 3 5 ,2 7 novembre-5 dicembre 1970.
126
In questa prospettiva non ha alcun rilievo la minaccia del fa scismo e del colpo di stato. Il capitale — secondo Potere ope raio — punta invece sulla formazione «di un nuovo blocco storico fondato sugli ideali della democrazia progressiva e del “socialismo”», nel quale «si collocano validamente» anche «cattolici di sinistra, sindacati e comunisti». Anzi un intero paragrafo della piattaforma programmatica di Po è dedicata al «sindacato “nuovo” come motore del progetto capitalistic o »106. Per il Collettivo politico metropolitano il fascismo rappresenta soltanto una contraddizione interna al campo capitalistico, la cui tendenza di fondo sta invece nel «proget to socialcapitalista», alleanza tra la parte avanzata del capita le e le organizzazioni del movimento operaio, che si traduce in «un riformismo attivo che promuove le lotte, ne sollecita lo sviluppo controllandone l’esito». Di conseguenza «l’attacco al riformismo è oggi l’unica condizione per la difesa e lo svilup po dell’autonomia proletaria» 107. Contrariamente a quanto è stato sostenuto da qualche parte, l’antifascismo ha ben poco a che vedere con la svolta della lotta armata, anche se il cosiddetto «antifascismo militante» potè essere usato da questi gruppi come strumento di mobili tazione e di reclutamento sul terreno della violenza organiz zata. Come risulta dai documenti citati, almeno sin dagli ultimi mesi del 1970 Potere operaio assumeva la linea della lotta ar mata, proclamata apertamente, con toni sempre più concitati per tutto il 1971, sinché sarà formalizzata nella conferenza nazionale di Roma (settembre 1971) che deliberava: «il par tito armato è immediatamente all’ordine del giorno» m. La decisione divenne subito operativa con l’immediata costitu zione delle strutture militari clandestine («Lavoro illegale», 106
Potere operaio (1970a: 47-54).
107
Collettivo politico metropolitano (1970: 9-14). Sottolineato nel testo originale.
108
II congresso, il partito, le scadenze, in «Potere operaio», 44, novembre 1971. Sul con gresso di Rom a riferiscono ampiamente Procura di Padova (1981: 159-211) e T ri bunale di Rom a (1981a: 66-91) che riportano il testo dei principali interventi.
127
poi Faro: Fronte armato rivoluzionario operaio, che nel mar zo 1972 attuò i primi attentati)lw. Analoghe nella sostanza le analisi e le conclusioni ideologicopolitiche del Cpm, anche se, come il solito, assai meno orga niche di quelle uscite dai cervelli di Po. Il Collettivo milane se invece, con la scioltezza di movimenti possibile ad un pic colo gruppo omogeneo, potrà procedere più speditamente sulla via della lotta armata. Le Brigate rosse, appena costitui te, compiranno nel settembre 1970 la prima azione terrori stica, incendiando l’auto di un dirigente della Sit-Siemens; ma occorrerà arrivare al 3 marzo 1972 per la prima azione impegnativa (sequestro dell’ing. Macchiarini) no.
3.4. Il «partito armato dell’insurrezione» Se la lotta operaia è dunque immediatamente scontro violen to contro lo stato, essa assume necessariamente la forma dell’insurrezione armata. «L’unico terreno aperto, che la classe operaia ed il proletariato sanno come terreno percorri bile, è immediatamente quello dell’insurrezione»1U. «Insur rezione — precisa Potere operaio nel convegno nazionale di
109
Tribunale di Roma (1981a: 95-117); parzialmente anche in De Lutiis (1982: 41-52). Su queste vicende, e più in generale sui primi anni del terrorismo cfr. anche l’ottim a introduzione di Pansa (1980). L ’organizzazione cominciò presto a finan ziarsi con rapine e furti. La prima rapina nota fu attuata il 6 marzo 1973 in un’agenzia del Credito Varesino di Vedano Olona. Le bombe a mano di cui era ar mato il commando appartenevano a uno stock rubato il 16 novembre 1972 da un deposito di armi a Ponte Brolla in Svizzera, introdotto in Italia da Valerio Morucci. Dallo stesso stock provenivano altre bombe a mano rinvenute nei covi Br di Robbiano di Mediglia e di via Gradoli a Roma, base del sequestro M oro, e in covi dei N ap: Tribunale di Roma (1981a: 130-135) e Tribunale di Roma (1981b: 218). Altri particolari sulla rapina in «Panorama», 15 marzo 1973, p. 36, notevole perché vi risulta quanto chiara apparisse già allora, a chi voleva vedere, la linea insurrezio nale e l’attività terroristica di Potere operaio.
110
Collettivo politico metropolitano (1970) e Soccorso rosso (1976) specie pp. 59-84.
111
«Potere operaio», 43, 25 settembre-25 ottobre 1971, p. 2, editoriale, in cui si espongono le direttive programmatiche per il congresso nazionale di Roma.
128
Roma — come chiave di volta per aprire il processo rivolu zionario...» ll2. Occorre chiarire questo concetto. Insurrezione è «moto collettivo, violento e deciso, di ribel lione» U3, insurrezione armata contro i poteri dello stato. Ap pare quindi corretta la definizione di «partito dell’insurre zione» proposta da Potere operaio. Impugnare le armi per contendere allo stato il monopolio legittimo dell’uso della forza, col fine di abbatterlo, non può che essere definito in surrezione. Ma non si tratta necessariamente dell’assalto al Palazzo d’inverno. Il modello insurrezionale idoneo ad ab battere un governo autocratico e accentrato non è il solo pos sibile, e certo non è applicabile nei confronti di un regime democratico in una società complessa. Nelle nuove condizio ni storiche, caratterizzate, secondo gli stessi ideologi del par tito armato, da una sorta di «socializzazione del potere» (pre sunta conseguenza dell’identificarsi dello Stato col Capitale) l’insurrezione è un processo: «processo insurrezionale, lotta armata — che è un processo a lungo periodo, ma che va av viato, reso possibile, e verso il quale il movimento va forza to » 114. Come spiega Toni Negri, insurrezione significa co struzione graduale di «contropotere proletario», «distruzione molecolare, determinata, continua di tutti i gangli dell’orga nizzazione statale», condotta avanti contemporaneamente all’appropriazione della ricchezza sociale: «gradualità della conquista e della gestione del potere», e quindi «guerra civile permanente»115. Si tratta dell’identico concetto di «guerra
II congresso, il partito, le scadenze, in «Potere operaio», 44, novembre 1971, p. 3. «Vedere l’insurrezione non come ultimo ma come primo passo del processo rivolu zionario....» afferm ava Negri (1974: 45). D evoto e O li (1967).
Materiali per la formazione dei quadri. Che cos'è Potere operaio, in «Potere operaio», 45, dicembre 1971, pp. 37-39. N egri (1977: 102-103, 181); i corsivi sono nel testo. Che cosa s’intenda in concreto con queste formule è spiegato diffusam ente in diversi documenti, come ad esempio nell’articolo I proletari seggono la regola: castigpne uno educane cento (Lenin), in «P o tere operaio», 47-48, maggio-giugno 1972, p. 26. Nel suo stadio attuale, «il capita lismo maturo è prima di tutto un rapporto di forza tra le classi...». Quindi «lo stato
civile di lunga durata», o «guerra civile strisciante», che ri corre nei documenti delle Brigate rosse e di Autonomia ope raia. Se quindi il processo insurrezionale è l’«unico terreno per corribile», la porta stretta attraverso la quale deve passare il movimento di classe, ne derivano due conseguenze pratiche di grande momento. La prima è che, appunto, «il partito ar mato è immediatamente all’ordine del giorno». Vale a dire che l’organizzazione d’avanguardia si pone subito come or ganizzazione politico-militare. «Partito armato», «partito combattente», «partito guerriglia» sono formule diverse che esprimono questo identico concetto “ 6. La seconda conseguenza è che la lotta armata assume impor tanza strategica fondamentale e si pone come compito priori tario. Infatti la linea della lotta armata costituisce la scelta di campo decisiva, la discriminante posta da Potere operaio e
capitalistico è essenzialmente la garanzia, tramite l’organizzazione politico-militare della (orza, di questo rapporto politico». La struttura del potere non va individuata soltanto «nei suoi nodi ultimi: grandi industriali, ministri, altissimi (unzionari, ge nerali, ecc.», ma anche nelle sue articolazioni che lo rendono «operativo», in «un ceto sociale» che costituisce nel suo insieme «il corpo (isico del potere. C i riferiamo soprattutto a quelli che possono essere definiti i sergenti, i sottu((iciali dell’appara to di dominio capitalistico. Si tratta di tutti quelli che occupano un ruolo di puro comando e controllo sulle masse popolari [...]; si pensi agli ingegneri della divisione del personale in fabbrica, ai giudici, ai commissari di polizia, ai presidi, agli ufficiali dei corpi militari, ai (unzionari direttivi dell’apparato burocratico dello stato [...]. E ssi vanno ritenuti responsabili non solo per la loro cultura quotidiana, anoni ma, pavida, e determ inata repressione amministrativa; ma sono imputabili perché esistono, perché il loro mero esistere è il presupposto della violenza organizzata del dominio. Contro costoro (e non solo contro i ministri, o i generali) va diretta la vio lenza rivoluzionaria. Perché lo scollamento di questo tessuto di potere è una condi zione indispensabile perché la causa proletaria possa vincere [...]. E quindi noi di ciamo che contro costoro va esercitata la violenza e il terrore rivoluzionario. E non certo aspettando che siano loro i primi a colpire [...]. Perché dobbiamo essere noi a guidare la scalata della violenza: perché su questo terreno chi conduce si assicura già un vantaggio tattico». L ’articolo si conclude con la citazione (am osa di Lenin: «Il terrore deve (ondersi con il movimento di massa [...] ecco perché noi diciamo nella tradizione rivoluzionaria comunista: la proiessione di boia, di poliziotto, di preside, di capo fabbrica, di giudice sta diventando una professione rischiosa. Perché i proletari seguono la regola: castigane uno, educane cento». 116
Q ueste definizioni sono ricorrenti in numerosi documenti di Potere operaio, dell'Autonom ia operaia organizzata e delle Brigate rosse.
130
dalle Brigate rosse nei confronti di tutti gli altri gruppi della «sinistra rivoluzionaria»117. Si ha un bel predicare che «ca rattere armato e carattere di massa del partito della classe e del proletariato sono elementi inscindibili» U8. Questo, come vedremo, resta naturalmente un punto fermo nella strategia del partito armato in tutte le sue componenti. Ma almeno si no al 1977 radicare nelle masse l’idea e la pratica della lotta armata sarà il compito più urgente e prioritario. E questo non è affare delle masse stesse. «L’urgenza di dare una rispo sta a questo compito [la forza armata] non può misurarsi su un referendum. Non si è mai dato e non si darà mai — se non nella testa degli opportunisti e degli stupidi — consenso di massa alla lotta armata prima che la lotta armata sia avvia ta ed abbia cominciato a vincere» " 9. «Non è vero — chiari va nel 1971 un altro documento di Potere operaio — che la violenza va bene solo quando è “di massa” [...]. La violenza
Br, primo documento-intervista, settembre 1971, in Soccorso rosso (1976: 107); per Po, tra i molti documenti, cfr. ad esempio «Potere operaio», 46, febbraio 1972, p. 2 (editoriale), p. 14 (Un programma politico per ¿'organizzazione), pp. 33-34 (La li nea di demarcazione), ecc.
Il congresso, il partito, le scadenze, in «Potere operaio», 44, novembre 1971, p. 4. Proletari, è la guerra di classe!, in «Potere operaio», 47-48, maggio-giugno 1972, p. 34. Quello che s’intende per «organizzazione della violenza» e «m ilitarizzazione» è spiegato fuor di ogni equivoco nell’importante articolo La forza che abbiamo è di maggioranza, portiamola al potere; costruiamo il partito dell'insurrezione, in «Potere operaio», 40-41, 29 maggio-12 giugno 1971, pp. 18-19: «Quello che ci interessa a questo proposito definire, non è un atteggiamento giustificativo a questo proposito sulla violenza, che eluda il problema nascondendosi dietro il dito del “ si alla violen za di m assa” . Il vero problema in discussione — lo sappiamo bene — non è questo. Il problema non riguarda la violenza delle lotte, la violenza del movimento, che è una violenza sempre praticata ai livelli che il movimento possiede già. Il problema è quello di una violenza preordinata, esercitata dal partito, che deve avere un “ca rattere di m assa” nel senso che si innesta dentro alcuni passaggi del movimento e delle lotte, ma che al movimento non va meccanicamente incatenato. C ’è nella tradizione comunista tutto un ventaglio di esperienze che riguardano l’esercizio della violenza per i fini più diversi: autodifesa, espropriazione, protezione interna, esercizio della “ giustizia proletaria” come aspetto del potere operaio, danneggiamento materiale dell’organizzazione produttiva e sociale del padrone. Q uesto terreno compete inte ramente al partito, su queste cose è il partito che si muove, anticipando, forzando spesso i livelli a cui il movimento nel suo complesso è arrivato. Affiancare alla pra tica della violenza di massa la pratica di una violenza preordinata e d ’avanguardia, significa passare ad un comportamento eia partito» (corsivo mio).
del partito, la violenza di cui oggi la classe degli operai e dei proletari ha bisogno, è una violenza preordinata, comandata, specifica, il cui carattere di massa sta nella capacità di espri mere e di dare una risposta a un bisogno reale, a una neces sità politica e organizzativa dell’intero movimento rivoluzio nario di classe. Oggi lo scontro fra le classi è arrivato a un punto, che il compito di disorganizzare politicamente e mili tarmente lo stato borghese è un compito all’ordine del gior no» 120. La lotta armata — ribadiranno nel 1974 le Tesi sulla crisi, un documento interno al partito armato dovuto principalmente a Toni Negri — rappresenta «il solo momento strategico fon damentale, la sola possibilità cioè di pervenire al cumulo delle lotte ed alla ricomposizione proletaria, distruggendo di volta in volta gli strumenti capitalistici di provocazione, di repres sione e di contenimento [...]. Un nuovo ciclo di lotte espansi ve e cumulative è oggi immaginabile e proponibile solo se es so è percorso e sorretto da una forza armata del proletariato, che colpisca implacabilmente gli strumenti capitalistici, che metta alle strette i corpi separati, che impedisca al sistema lo sprigionamento della sua forza terroristica [...]. E ora di smetterla con le disquisizioni sul carattere più o meno di massa della lotta armata e di convalidarla a mille condizioni [...]. Qui il problema è un altro: solo la lotta armata nel suo progredire, nel suo consolidarsi, nel suo estendersi può per mettere alla lotta di massa di colpire il sistema. La lotta ar mata è il filo rosso dell’organizzazione dell’operaio multina zionale e del suo ciclo di lotte: dobbiamo dipanarlo»121. «È intorno alla guerriglia — diranno più sobriamente le Br — che si costruisce ed articola il movimento di resistenza e l’area dell’autonomia e non viceversa»122. E ancora: «La
120
Violenza proletaria e istituzioni, in «Potere operaio», 44 novembre 1971, p. 12.
121
Tesi sulla crisi, appendice a Negri (1976a: 182-183); il corsivo è nel testo. C fr. so pra paragrafo 1.5 e nota 42 del presente saggio.
122
Brigate rosse (1976).
132
guerriglia è la forma di organizzazione dell’internazionali smo proletario nelle metropoli»123. 3.5. L ’asse Potere operaio-Brigate rosse E evidente che questa preminenza strategica della lotta ar mata in questa fase iniziale del processo insurrezionale, com porta di fatto, necessariamente, la preminenza delle funzioni militari e dei livelli clandestini dell’organizzazione, ai quali le regole della segretezza e della compartimentazione, pro prie della clandestinità, e la specializzazione tecnica, che l’azione armata e terroristica richiede, conferiscono un’insopprimibile autonomia. Nondimeno la prospettiva del l’azione di massa resta il fondamento e il principio vitale del partito armato, che si pone — va qui ribadito con forza — come sviluppo al punto più alto dell’autonomia operaia. La stessa attività terroristica — con l’eccezione di alcune azioni di «autodifesa» dell’organizzazione, come l’assassinio dei giudici Alessandrini e Galli o del commissario Albanese — ha come referente le masse. Anche per le Br, come per Po, concezione politica e strategia erano imperniate sui principi dell’autonomia proletaria e sul le lotte sociali di massa. Tant’è che il gruppo, attraverso le fasi successive del Cpm e della Sinistra proletaria, e quando già ha dato vita alle Br, s’impegna a fondo a Milano nelle lot te per le occupazioni delle case e i trasporti gratuiti, facendo propria la parola d’ordine «prendiamoci la città», lanciata da Lotta continua124. Ancora nel settembre 1971 il documentointervista delle Br — che nella storia ufficiale dell’organizza zione è pomposamente definito «prima riflessione teorica» — respingendo la concezione «fochista» dell’avanguardia ar mata affermava che la lotta armata doveva essere «diretta espressione del movimento di classe e per questo stiamo la
123
Brigate rosse (1978).
124
Soccorso rosso (1976: 66-70).
133
vorando all’organizzazione dei nuclei operai di fabbrica e di quartiere...»125. La caduta del covo di via Boiardo (2 maggio 1972) e i primi arresti di militanti a seguito delle indagini messe in moto dal la misteriosa morte di Feltrinelli, costringeranno le Br a sce gliere la via della clandestinità totale, e ad abbandonare di conseguenza il terreno dell’azione di massa. La svolta della clandestinità, «condizione indispensabile per la sopravviven za di un’organizzazione politico-militare offensiva», non im pedisce però che l’organizzazione stessa «si svolga per linee interne alle forze dell’area dell’autonomia operaia»I26. Anzi, in questo modo si determina una sorta di divisione del lavoro all’interno dell’area della lotta armata - nella quale le Br (suc cessivamente affiancate da altre formazioni) finiscono per costituire il gruppo tecnicamente più attrezzato e specializ zato, il reparto d’assalto dell’organizzazione politico-militare complessiva. L ’attività terroristica delle Br infatti, non avrebbe alcun senso — iuxta propria principia — se non po tesse riferirsi ad un’organizzazione parallela che opera a li vello di massa, in un incerto territorio di confine fra legalità e illegalità, e che perciò, pur dovendo prendere formalmente le distanze dalle azioni terroristiche, le approva sostanzial mente e le legittima, operando appunto nel senso di radicare la coscienza e la pratica della lotta armata tra le masse. Que sta organizzazione è naturalmente rappresentata dai livelli palesi di Potere operaio — e quindi di Autonomia operaia — come del resto dichiarano con tutta chiarezza e mai smentita coerenza i documenti delle Br. Occorre cogliere tutta la portata di questo passaggio decisi vo. E appunto questa discesa forzata nella clandestinità tota le, questa impossibilità di praticare e gestire in proprio l’azione palese, politica e di massa, che costringe su nuovi bi nari i rapporti tra Brigate rosse e Potere operaio, che in pre 125
Ibidem, p. 105.
126
Ibidem, pp. 124-125. Identica espressione nel documento delle Br Alcune questioni per la discussione sull’organizzazione, in Caccia (1975: 340).
134
cedenza sembravano avviarsi lungo linee parallele. Diversamente da Potere operaio, la sparuta pattuglia brigatista non possedeva infatti le forze necessarie per sviluppare un’orga nizzazione complessa, articolata in strutture occulte e palesi, in grado di operare ai diversi livelli dell’azione terroristica e «di massa». Le Br erano costrette a optare, e una volta scelta la clandestinità armata, il rapporto con Potere operaio cam biava natura e assumeva importanza vitale, diveniva il cor done ombelicale con l’area dell’estremismo che ne costituiva la base sociale, il referente immediato capace di trasformare in forza espansiva, di massa l’impulso dell’azione terroristi ca. D ’altra parte Potere operaio, che muoveva ancora i primi passi nella costruzione, lunga e difficile, di proprie strutture clandestine armate, trovava nelle Brigate rosse un’organizza zione terroristica, piccola ma già sufficientemente esperta at trezzata ed efficiente, per realizzare la dialettica tra «azione combattente» e «illegalità di massa». Dall’identità di matrice e di concezione politico-ideologica, dalla comune scelta di campo della lotta armata, dalla stessa linea «di massa», al centro della quale però la lotta armata è assunta a «solo momento strategico fondamentale», si forma cosi l’asse Brigate rosse-Potere operaio/Autonomia. I due gruppi possono anche discutere e criticarsi garbatamente a vicenda, ma non possono non incontrarsi e cooperare127. Ciò che li unisce è di gran lunga più importante ed essenziale del le divergenze tattiche e delle rivalità personali, che pure non mancano. Rapporti tra le due organizzazioni esistevano del resto sin dalle origini, ma divengono ora più intensi e si traducono in uno stretto accordo politico e operativo, che trova il suo pri mo più significativo collaudo nelle lotte operaie alla Fiat (no
127
Potere operaio è l’unica organizzazione, tra tutte quelle della «sinistra rivoluziona ria», che esprime costantemente appoggio politico alle azioni terroristiche delle Br, e ne convalida la sostanziale «correttezza», pur muovendo — e non sempre — cau te riserve, nel senso che preciseremo nel paragrafo 3.7. Cfr. Soccorso rosso (1976: passim). Ben diversi sono il tono e la sostanza delle aspre polemiche che Br e Po esprimono nei confronti degli altri gruppi.
135
vembre 1972-aprile 1973), caratterizzate da violenze e ag gressioni, promosse da un’«organizzazione sotterranea», sor retta dal «supporto geniale delle iniziative di guerriglia di fabbrica e urbane condotte dalle Brigate rosse», tra le quali il sequestro di Bruno Labate, sindacalista della Cisnal128. L ’accordo tra Brigate rosse e Potere operaio trova chiaro ri scontro in alcuni fondamentali documenti. Nella loro secon da autointervista, del gennaio 1973, le Br ridefiniscono una propria strategia collimante con quella di Po: «far assumere alle spinte rivoluzionarie che vengono dal movimento di resi stenza una dimensione di potere», mediante «uno sviluppo organizzativo a livello di classe che sappia rispettare i livelli di coscienza che li operano, ma sappiano nello stesso tempo unificarli e farli evolvere nella prospettiva strategica della lotta armata per il comuniSmo»129. Il riconoscimento da par te di Potere operaio viene con un documento pubblicato nel marzo 1973 che, accogliendo favorevolmente l’autointervista delle Br, ne sanziona la strategia e la prassi. «Chi sono dunque i compagni delle Br?» — si chiede questo documento, attribuito a Toni Negri1}0. Riconosciuta «la ne cessità di costruire una organizzazione per la lotta armata», si constata che «è difficile sostenere che esista altra via che quella della clandestinità per costruirla». Ora «i compagni delle Br hanno sempre parlato chiaro [...]. Autonomia ed at tacco, organizzare la resistenza e contemporaneamente il po tere proletario armato: questi termini sono sempre usati as sieme nei documenti di questi compagni. Ma non solo nei 128
Ventura (1980b: 132-133), Procura di Padova (1981: 860-907). Il passo citato («supporto geniale...») è tratto da un documento di Autonomia rinvenuto nell’ar chivio di Toni Negri. Proprio a Torino, in relazione alle lotte alla Fiat, si svolse uno dei periodici convegni tra i vertici delle due organizzazioni, cui parteciparono Renato C u rd o e Toni Negri.
129
Soccorso rosso (1976: 144-149, specie 148); pubblicato per la prima volta in «Pote re operaio del lunedi», 44, 11 marzo 1973. Sull’accordo Br-Po cfr. Procura di Pa dova (1981: 371-377).
130
Requisitoria Calogero (Procura di Padova, 1981: 398-400), che riporta anche nelle pagine precedenti e successive i documenti qui citati.
136
documenti scritti: molto più interessante è notare che tutte le azioni delle Br sono azioni di giustizia proletaria, di con trattacco, di rappresaglia e, insieme, rappresentazioni del po tere proletario. Per questo esse parlano direttamente ai pro letari, agli studenti, agli operai, per questo sono cosi diverse dai miserabili conati terroristici...». Col loro metodo, «questi proletari delle Br sviluppano nel loro lavoro politico proprio quell’impressionante forza intellettuale che è propria del la voro produttivo quando si ribella [...]. Di questo abbiamo bi sogno tutti...». La conclusione è categorica: «Ora noi credia mo che i compagni delle Br si muovano con piena lealtà all’interno del processo di costruzione della forza organizza ta dell’autonomia»1J1. Un altro documento, redatto da Toni Negri nell’estateautunno del 1972, col contributo di altri compagni dell’orga nizzazione, fra i quali Franco Piperno e Luciano Ferrari Bra vo, proposto poi come una delle relazioni introduttive al congresso nazionale di Potere operaio (che dopo un lungo rinvio si terrà a Rosolina dal 31 maggio al 3 giugno 1973), in fine rielaborato e pubblicato dallo stesso Negri col titolo Par tito operaio contro il lavoro nel 1974 (ma datato 1° gennaio 1973), definendo «le articolazioni dialettiche dell’organizza zione di partito», ne individua esplicitamente i «tronconi» esistenti («possediamo alcuni tronconi della nuova organiz zazione»): «le basi rosse del potere operaio e proletario [cioè gli «organismi dell’avanguardia di massa»] e le brigate rosse dell’attacco operaio e proletario»132. L ’esperienza delle lotte alla Fiat segna dunque un salto di qualità nel progetto eversivo, verificando nella pratica la dia lettica tra azioni d’attacco armato e violenza di massa: il co151
Chi è senza peccato, in «Potere operaio del lunedi», 46, 25 marzo 1973. C fr. anche, nello stesso numero, l’articolo Non abbiamo complessi, che ribadisce e precisa le stesse posizioni, pur col contorno di sfumature diverse in valutazioni marginali.
152
N egri (1976a) specie pp. 136 e 157. Sulla genesi e la natura del documento cfr. no ta a pp. 99-100. Il riscontro testuale tra le pp. 145-146 e il passo della relazione N e gri per il congresso di Rosolina, nell’ordinanza Am ato (Tribunale di Roma 1981a: 180-181) ne rivela l’identità.
137
siddetto «partito di Mirafiori» w . E all’istanza di partito, co me confluenza e sintesi dialettica delle diverse funzioni di «avanguardia» sul terreno della lotta armata, corrisponderà in questa fase la formazione di organismi misti di brigatisti e autonomi, come la redazione della rivista «Controinforma zione» e la «brigata Ferretto» nel Veneto 1,4. Questa articolazione dialettica tra i diversi livelli non si esau risce però nel rapporto tra Br e Autonomia, ma informa tutto l’arco dello schieramento eversivo. Si ripropone cosi un pro blema centrale, al quale più volte si è alluso, ma che è qui neces sario affrontare espressamente: il nodo dell’organizzazione. 3.6. Il partito come processo dialettico S’è visto in un paragrafo precedente (2.4) come dall’origina ria impostazione movimentista del filone dell’autonomia operaia, nel quale s’inscrive l’area della lotta armata, derivi il concetto di organizzazione come processo espansivo mai concluso, e quindi l’arcano del partito come istanza perenne mai realizzata, eppure corpo reale sempre in costruzione. Esistono storicamente diversi modelli di partito: dal partito d’opinione al partito organizzato di tipo socialdemocratico, sino al partito leninista rigidamente centralizzato, verticistico e ferreamente disciplinato. Se si resta vincolati a questi schemi storici non si comprendono i termini nuovi in cui il problema del partito si pone nell’area della lotta armata. Tanto più che lo stesso vocabolo partito è usato anche qui con diversi significati. Talvolta, in un’accezione più specifi155
C fr. in particolare Articolazioni organizzative e organizzazione complessiva: il partito di Mirafiori, appendice 4 in N egri (1976a: 189-193), che corrisponde, con alcune varianti, al testo dell’intervento al «sem inario» di Padova del luglio-agosto 1973, momento di fondazione dell’Autonomia operaia organizzata, pubblicato anonimo in «Potere operaio», 50, novembre 1973, pp. 38-47.
154
Procura di Padova (1981: 908-952). In particolare sul «gruppo Ferretto» cfr. la te stimonianza di Michele G alati nella requisitoria del pm Pietro Calogero nel proce dimento contro Augier Anna M aria + 66 (Procura della Repubblica di Padova, n. 232/82 A PM , n. 137/82 A G l).
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ca, è il «partito d’attacco», sinonimo dell’organizzazione ar mata con funzione terroristica, distinta — anche se dialetti camente collegata con essi — dagli «organismi di massa», cui spetta il compito di promuovere e gestire appunto l’azione di massa, legale e illegale. Scrive ad esempio Toni Negri, nel citato documento Potere operaio contro il lavoro: «distinguiamo i due livelli della dialet tica della avanguardia di massa — e cioè l'organismo di massa del potere operaio e proletario, come soggetto della lotta per il salario e per l ’appropriazione, e l’organizzazione di partito come soggetto della lotta d ’attacco, della aggressione al comando». L ’«azione di partito», precisa, è «un’azione di attacco, che talora può e deve essere di terrore rosso [...] dialetticamente congiunta con l’emergenza del potere operaio». Su questa di stinzione tra i due livelli si fonda tutta la strategia politico militare e organizzativa enunciata nel documento1}5. Questo concetto, ricorrente in numerosi documenti, sarà nitidamen te ribadito alcuni anni più tardi dallo stesso Negri nel noto scritto II dominio e il sabotaggio: «il partito è funzione della forza proletaria intesa alla garanzia del processo di autovaloriz zazione. Il partito è l’esercito che difende la frontiera dell’in dipendenza proletaria [...]. È una funzione di potere, ma se parata, talora contraddittoria con il processo dell’autovalorizzazione». Il partito, precisa ancora con un’efficace meta fora, «è un ordine religioso combattente, non la totalità ec clesiale del processo» ° 6. Ma in senso più generale, quando nel corso d’un decennio si ripropone con insistenza la necessità e l’urgenza della costru zione del partito, si allude invece al partito come «organizza zione complessiva» politico-militare, aggregazione e sintesi dialettica di tutte le «avanguardie» del movimento, coscien za politica compiuta e definita, capace di condurre la lotta su 135
Negri (1976a) specie pp. 136*160. I passi citati alle pp. 149 e 151; il corsivo è nel testo. In questo senso il concetto di partito veniva inteso comunemente all’interno dell’organizzazione: cfr. la testimonianza di Antonio Romito in Procura di Padova (1981: 616), parzialmente edita in De Lutiis (1982: 147).
136
Negri (1978: 62 e in genere 61-65); il corsivo è nel testo.
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tutti i fronti. Ma questa forma di partito, una volta costitui ta, sarebbe contraddittoria rispetto ai principi ispiratori del movimento, e quindi non può darsi, ma resta un’istanza, che si traduce in una tensione continua e sempre rinnovantesi verso forme superiori di organizzazione e centralizzazione. Se però per partito intendiamo una nuova forma d’organizza zione politico-militare, sintesi dell’originaria ispirazione mo vimentista e dell’esperienza leninista, idonea a reggere le condizioni della clandestinità e della lotta illegale, allora il partito è un fatto reale. In questo senso, appunto, va inteso il concetto di «partito armato», che indica l’intreccio di rap porti politici, logistici e operativi, l’omogeneità ideologica e la convergenza unitaria in un disegno strategico complessivo tra le diverse esperienze e funzioni della lotta armata. Que sto è il significato concreto del «Partito di Mirafiori», di cui parlano Toni Negri e i documenti di Autonomia 117. Rispetto al modello classico di partito, questa nuova forma di organizzazione politico-militare differisce per tre aspetti essenziali. 1) È innanzitutto, come s’è visto, un processo. La sua co struzione «è un processo discontinuo e per salti qualitati vi» 138: vale a dire un processo dialettico, per l’appunto, che si sviluppa nel rapporto contraddittorio tra le diverse funzioni dell’illegalità di massa e dell’attacco armato, tra appropria zione e «autovalorizzazione» proletaria ed esercizio di con tropotere e di terrore rosso. 2) Di conseguenza, in quanto processo in atto, il partito è «informale», nel duplice senso che non può cristallizzarsi in strutture rigide e definite, e che ai livelli più bassi l’organizzazione tende a confondersi con la spontaneità del movimento. 3) E dunque, in terzo luogo, ar ticolato in una molteplicità di funzioni e di esperienze orga nizzative, percorse da una tensione incessante verso l’aggre gazione e la centralizzazione. 137
C fr. nota 133.
1)8
Preparare l'insurrezione, in «Potere operaio», 49, giugno 1972, p. 3.
140
«Il partito dell’autonomia — proclamerà «Rosso»139 — è l’unica forma moderna di organizzazione politica che la lotta di classe abbia determinato in Italia. Centralizzazione e plu ralismo nella forma-partito dell’autonomia. E Potere operaio affermava: «Riteniamo che il processo organizzativo sia si ar ticolato in funzioni distinte, dislocate su livelli diversi e an che organizzativamente separati. Ma siamo altresì convinti della fondamentale unità di tutte queste articolazioni. A questa riproposizione del partito come unità complessa, dia lettica, anche — talvolta — apparentemente contradditto ria, si lega tanta parte del nostro punto di vista sull’organiz zazione» 140. Sul versante delle strutture clandestine armate, questa forma duttile e articolata corrisponde anche alle esigenze della compartimentazione, la quale «è il requisito minimo organiz zativo per la clandestinità, e nello stesso tempo permette il pieno dispiegarsi deU’iniziativa politico-militare, della “fan tasia” rivoluzionaria dei nuclei...». Un modello che ricalca, significativamente, quello di una «rete indistruttibile» di gruppi di fuoco autonomi e coordinati, capaci di sviluppare il massimo dell’iniziativa, proposto dal Piccolo manuale del guerrigliero urbano, di Carlos Marighella, livre de ckevet del terrorismo italiano 141. Nella forma-partito dell’Autonomia operaia organizzata la «centralizzazione» non si pone in rigidi termini istituzionali, ma è «espansiva», è processo di coordinamento e direzione delle iniziative di lotta, scandito dalle scadenze successive che si pongono all’interno d’un progetto politico complessi vo 142. Al di là delle sottigliezze ideologiche, spesso fumose e 119
Per il partito dell'autonomia, in «R osso», n.s., 29-30, maggio 1978.
140
Non abbiamo complessi, in «Potere operaio del lunedi», 46, 25 marzo 1973, p. 6.
141
Proposta di lavoro, documento interno dell’Autonomia, maggio-giugno 1974, in Procura di Padova (1981) particolarmente p. 507; sulla «compartimentazione», ol tre naturalmente alle Br, insistono anche la relazione introduttiva e l’intervento conclusivo al convegno di fondazione dell’Autonor.iia: «Potere operaio», 50, no vembre 1973, pp. 3 e 106. C fr. anche Marighella (1969: 15-16).
142
T ra gli altri documenti cfr. «Potere operaio», 50, novembre 1973, pp. 2-3.
141
astruse, e delle distinzioni verbali — processo dall’alto o dal basso, organizzazione interna o esterna al movimento — nel la realtà concreta l’intero processo di partito presuppone però una rete di quadri e un gruppo dirigente che elabora il progetto politico, indica la strategia e le scadenze, collega e coordina le strutture e i diversi livelli del movimento. Non si tratta però di costituire una struttura burocratica, in compatibile col pluralismo unitario di questa forma-partito. «Non accingiamoci a fare il partito unico della Classe Ope raia, costruiamo il cervello unico della Classe Operaia», ave va avvertito Franco Piperno al convegno di Firenze dei qua dri dirigenti di Potere operaio (giugno 1972) 14}. Questa for mula incisiva ci riconduce al carattere «informale» dell’orga nizzazione, meglio espresso dal concetto che Carlo Fioroni attribuisce a Toni Negri: «Il problema è costruire una orga nizzazione informale ma ferrea capace di esprimere una pro duttività mafiosa» 144. Definizione pregnante, che designa un aggregato associativo illegale, fondato sull’omologia «cultu rale» i membri cooperanti ad uno stesso fine eversivo me diante la pratica della violenza e del terrore, cementato e re so impenetrabile dalla legge spietata dell’omertà, e nel quale la gerarchia, occulta agli stessi militanti nei suoi livelli più elevati, è imposta di fatto sulla base dell’egemonia politica e dei rapporti di forza. Questo tipo particolare di struttura alimenta naturalmente frazionismi e rivalità personali, come vuole del resto la risso sa tradizione dei movimenti estremistici. Ma alla radice di questi contrasti stanno anche le contraddizioni e le tendenze centrifughe che si determinano dalla diversità di livelli e di funzioni in cui si articola il partito della lotta armata.
14)
Procura di Padova (1981: 265).
144
Interrogatorio Fioroni, in Procura di Padova (1981: 1271); anche in diversi giornali, come il «Corriere della Sera», 27 dicembre 1979.
142
3.7. La dialettica tra illegalità di massa e terrorismo e la dop piezza sistematica Tutta la strategia politica e organizzativa della lotta arma ta è fondata infatti, come si è già osservato, sul principio dell’articolazione dialettica tra i diversi livelli dell’illegalità di massa e della lotta armata. Le Tesi sull’Europa, docu mento segreto di fondamentale importanza, elaborato dal Coordinamento internazionale di Potere operaio (5 marzo 1973) — e fatto proprio in seguito come piattaforma pro grammatica dalle strutture internazionali dell’Autonomia operaia —, spiegano che «l’organizzazione d’avanguardia deve essere in grado di esprimere tutti gli strumenti della violenza proletaria che la lotta spontanea non è in grado di produrre, dalla lotta armata, al terrorismo, alla violenza di massa». Ma «la violenza armata ha due facce e tutt’e due vanno perseguite ed organizzate con tenacia. Da una parte come violenza di massa, come braccio armato della lotta operaia e proletaria [...]. Dall’altra parte come azione diretta dei quadri dell’organizzazione d’avanguardia, come capacità di esplicitare, nella forma di un attacco armato al le istituzioni del capitale, il grado di violenza che lo scon tro richiede, come capacità di sbarazzare il terreno dei nu merosi ostacoli che l’organizzazione capitalistica della so cietà frappone allo scatenamento autonomo della lotta. E infine come terrore rosso, come capacità di individuare e colpire gli obiettivi singoli della lotta proletaria, di rispon dere colpo su colpo alla violenza dei padroni e dello stato (repressione, licenziamenti, attacchi fascisti, ecc.). Mentre nel primo caso [la violenza di massa] la costruzione e l’uti lizzazione degli strumenti della violenza proletaria è stret tamente, anche se non meccanicamente, connessa con la maturazione politica delle avanguardie di massa del movi mento, nel secondo caso [l’attacco armato terroristico] l’or ganizzazione si assume interamente e autonomamente la responsabilità politica e organizzativa di ogni azione. La verifica politica non può essere qui ricercata in una rispon denza diretta e immediata a livello di massa, ma solo all’interno di una prospettiva strategica sufficientemente lunga. Su questa l’organizzazione gioca tutto il suo essere 143
politico»145.
Da una parte la violenza di massa — definita anche «illega lità di massa» — serve a radicare nelle masse la coscienza e la pratica della lotta armata, è apprendistato e vivaio del terrorismo, ne forma il terreno di cultura e l’area di fian cheggiamento. Dall’altra il terrorismo rimuove gli ostacoli, colpisce gli avversari, e li paralizza col terrore, spianando la strada alla violenza di massa; innalza il livello dello scontro, coinvolgendo gradualmente le masse nella lotta armata. Senza violenza di massa il terrorismo sarebbe insensato, senza «terrore rosso» l’illegalità di massa non potrebbe dif fondersi e radicarsi. Ai diversi livelli di lotta corrispondono necessariamente di versi livelli dell’organizzazione, distinti e separati, anche se centralizzati al vertice. Lo impone ovviamente, anzitutto, la regola della «compartimentazione», di rigore per le strut ture clandestine e semiclandestine che praticano il «lavoro illegale» e il terrorismo. Ma questa articolazione corrispon de anche al differente grado di «maturità» e di iniziazione dei militanti, rispetto alle esigenze della lotta armata. Se l’intera organizzazione opera come anticipazione rispetto al la coscienza politica delle masse, il terrorismo, specie nelle forme più estreme, rappresenta una forzatura violenta, che programmaticamente, come s’è visto, non trova «risponden za diretta e immediata a livello di massa». In particolare le azioni più cruente ed efferate — si pensi all’eliminazione di Alceste Campanile o di Emilio Alessandrini — sono tipiche «azioni sporche», in tutto analoghe a quelle «operazioni speciali», che i servizi segreti effettuano con tutte le precau zioni necessarie, per consentire ai propri governi di opporre 145
Procura di Padova (1981: 360-363); principale autore del documento risulta Toni N egri (Ibidem-, pp. 337-338). C fr. anche l’importante Documento politico, in «R os so», n.s., 12, 25 ottobre 1976. Sul problema trattato in questo paragrafo rinvio a Ventura (1980b: 133-137). L ’errore di fondo del pur informato Acquaviva (1979a), per tacere di tanta pubblicistica meno degna di considerazione, consiste nel rappresentare un’artificiosa contrapposizione tra «partito armato» e «movi mento arm ato», che stravolge l’unità dialettica del processo reale, estrapolandone le determinazioni parziali.
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ad eventuali accuse di responsabilità una «smentita plausi bile». Cosi nei confronti di simili azioni i livelli palesi dell’organizzazione si cautelano con formali espressioni di estraneità, o addirittura di condanna, non solo per sottrarsi alle conseguenze penali, ma anche per evitare il turbamento e il distacco di militanti di base non abbastanza «maturi». Questa dialettica «talvolta apparentemente contraddittoria» 146, determina la doppiezza sistematica, che caratterizza i com portamenti di Potere operaio come dell’Autonomia operaia. Di fronte ad ogni azione terroristica, l’atteggiamento pubbli co ufficiale segue di regola un preciso cliché: l’azione è cor retta in quanto esprime una giusta indicazione verso la lotta armata e il bisogno proletario di violenza, ma ha il solo limite di non essere sufficientemente legata alle lotte di massa (per la scelta dell’obiettivo, per le motivazioni politiche, o altro). Esistono poi alcune varianti rispetto a questo schema, nel senso che le riserve talvolta riguardano il grado insufficiente di organizzazione e di esecuzione tecnica; talvolta invece si giudica l’impostazione troppo «difensiva», legata a una prati ca «giustizialista», mentre l’azione deve avere un carattere «offensivo», mirare cioè a colpire le funzioni di comando del Capitale o dello Stato147. 146
Non abbiamo complessi, in «Potere operaio del lunedi», 4 6 ,2 5 marzo 1973. «O ggi è necessario dividersi nella valutazione e nella pratica dei livelli di attacco per poter costruire un’unità politica della classe e del proletariato contro il progetto del com promesso storico e dello stato autoritario corporativo» scrive, per fare un altro fra i molti esempi possibili, l’editoriale di «Controinformazione», 1-2, febbraio-marzo 1974. Tra i «livelli» esemplificati figurano naturalmente anche le azioni delle Br.
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C osi nell’articolo La rivoluzione non è un pranzo di gpla: organizzazione e violenza, i primi attentati dei G ap e delle Br e la rapina di Genova conclusasi con l’assassinio del commesso Floris ad opera del nucleo X X II O ttobre collegato con i G ap, vengo no esaltati come «episodi di lotta», e mentre si ironizza cinicamente sul sacrificio della vittim a Floris, si osserva che ci si deve dolere soltanto per il «basso livello» e la «disorganizzazione» del movimento rivoluzionario («Potere operaio», 38-39, 17 a p rile-l° maggio 1971, pp. 3-4). Invece, a proposito del sequestro dell’ing. Mincuzzi da parte delle Br (28 giugno 1973) — in occasione del quale, come rileva la storia «ufficiale» delle Br, Potere operaio è l’«unico gruppo storico a dare il pieno appoggio alle Br», in aspra polemica con Lotta continua — «Potere operaio del lu nedi» (61, 16 luglio 1973) critica soltanto la «liturgia del “ processo” e della “ giusti zia proletaria” ». «Intendiam o dire che se il Mincuzzi fosse stato un sincero demo cratico piuttosto che quel fascista che è, non per questo sarebbe stato ingiusto col pirlo. Personalizzare un nemico può essere utile, ma diventa dannoso, e porta con-
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Si potrebbero citare centinaia di esempi. Ne vogliamo uno chiaro e inconfutabile? «Noi diciamo — afferma Potere ope raio — che i Gap, le Brigate rosse, il Faro, ecc. esprimono l’esigenza dei proletari di porre sul terreno della lotta armata il loro bisogno di liberazione, di potere politico. Che questa giusta esigenza di cui queste organizzazioni si fanno inter preti si traduca in una indicazione fragile, zoppicante e spes so ambigua è non solo vero, ma si può dire di più. L ’errore è assai più decisivo, sta nel programma politico»148. Dove la doppiezza più spregiudicata risulta senza possibilità di dub bio dal fatto che la critica viene rivolta esplicitamente anche al Faro, il quale altro non è che la struttura clandestina arma ta dello stesso Potere operaio, posta sotto la diretta responsa bilità dei suoi massimi dirigenti. È chiaro il carattere fittizio di queste critiche che mirano nella sostanza a legittimare il terrorismo, simulando nella forma una tenue linea di distinzione. Nondimeno questa dia lettica è pure riflesso d’una contraddizione reale, e può an che esprimere talvolta divergenze effettive: che però non ri guardano mai la necessità della lotta armata e la legittimità delle pratiche terroristiche, e tanto meno il principio secon do cui l’azione «combattente» deve svolgersi in rapporto con la lotta di massa, quanto piuttosto il modo in cui questo rap porto deve correttamente attuarsi nella pratica. Su questo terreno si gioca la dialettica interna tra le diverse correnti e fazioni del campo della lotta armata. Un gioco estremamente ambiguo e sofisticato, un autentico labirinto nel quale è faci le smarrirsi, e che serve anche mirabilmente a confondere le tracce. 3.8. L 'Autonomia operaia organizzata Se dunque il partito armato si costruisce attraverso questo processo dialettico tra diversi livelli — ai quali corrispondofusione, caricando di contenuto ideologico, o peggio, morale, funzioni di comando che per se stesse sono astratte e intercambiabili». 148
Noi e Feltrinelli, in «Potere operaio del lunedi», 6, 2 aprile, 1972.
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no diversi gradi di «maturità» e d’iniziazione — suscitando e aggregando via via militanti e spezzoni organizzati dell’auto nomia attorno alle strutture di comando e al gruppo dirigen te, la forma tradizionale di partito è un ostacolo da rimuove re. La logica dei «gruppi», in cui tale forma sopravvive, va definitivamente superata, è il nodo gordiano che deve essere tagliato. Quando la coscienza teorica e le condizioni pratiche di que sta originale forma-partito maturano e si precisano, nella pri mavera del 1973, Potere operaio si scioglie nell’Autonomia operaia organizzata: attuando in realtà una metamorfosi che rappresenta il compimento d’un processo che esso stesso ave va promosso e animato, contribuendo in misura determinan te all’avvio e alla gestione dell’esperienza delle assemblee au tonome 149. Il passaggio non avviene naturalmente senza contrasti, pre sto però superati e ricomposti, per dar luogo — in una inces sante concordia discors — ad una sostanziale continuità di gruppo dirigente e di quadri, che andranno a formare la com plessa geografia del terrorismo italiano: da «Rosso» alle For mazioni comuniste combattenti, ai Collettivi politici veneti e milanesi, ai Proletari armati per il comunismo; dai Comita ti comunisti per il potere operaio, ai Comitati comunisti ri voluzionari, a «Metropoli»; da «Senza Tregua» a Prima li 149
II ruolo di promotore e principale componente interna svolto da Potere operaio nell’esperienza delle Assemblee autonome, sfugge completamente a Palombarini (1982). D a questa incomprensione deriva la sua tesi paradossale d ’una genesi dell’Autonomia operaia organizzata al di fuori e contro l’azione e la linea di svilup po di Potere operaio. Sul congresso di Rosolina e il passaggio da Potere operaio all’Autonomia, ampia documentazione in Procura di Padova (1981: 606-657) e Tribunale di Roma (1981a: 175-197). Lo scioglimento di Potere operaio, scriveva no Gabriele Martignoni e Sergio Morandini, due militanti dell’area, «fu un mo mento dettato più da necessità tattiche d ’apparato che non da uno sbocco naturale sull’onda della lotta...» (Martignoni e M orandini, 1977: 71-72). Per una prima in formazione su Autonomia operaia organizzata cfr. l’ampia antologia documentaria a cura dei Com itati autonomi operai di Roma (1976), che ne descrive «il processo di centralizzazione politica e organizzativa», nella prospettiva della «necessità di organizzare e sviluppare l’azione com battente» (pp. 13-14 dell’introduzione). A s sai meno utile invece, e nell’insieme inattendibile, l’antologia a cura di Lucio C a stellano (1980) tesa a costruire una storia di comodo, rimuovendo gli aspetti (e i documenti) più compromettenti riguardanti la lotta armata.
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nea. Continuità ideologica e politica, che si realizza nella co mune strategia complessiva della lotta armata, e continuità ma teriale, che si verifica nel fitto intreccio di rapporti politici, logistici e operativi, nella continua osmosi di militanti, nell’intenso scambio di armi, attrezzature e documenti falsi ficati tra le diverse formazioni, compresi i Nuclei armati pro letari e le Brigate rosse, le quali anzi nell’Autonomia organiz zata trovano un indispensabile supporto politico. La storia dei rapporti tra Brigate rosse e Autonomia operaia or ganizzata attraverserà vicende complesse e contraddittorie, ancora in parte non chiarite nel loro reale significato, per la dif ficoltà di penetrare la fitta cortina di segreto elevata a copertu ra dei massimi livelli dirigenti, mediante una compartimenta zione sempre più rigorosa al vertice, specie dopo il 1974 150. Per
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Sulla geografia e la storia del terrorismo dal 1974 in avanti, e sui fitti rapporti tra le diverse formazioni, fonti fondamentali, oltre ai periodici e ai documenti dell’area della lotta armata, sono soprattutto gli atti delle inchieste giudiziarie. T ra le poche requisitorie e ordinanze istruttorie che ho potuto consultare, di particolare impor tanza per ricchezza di notizie e documenti e per lucidità di analisi e di ricostruzio ne storica, oltre a quelle Calogero (Procura di Padova, 1981) e Amato (Tribunale di Roma, 1981a), sono le due requisitorie di Armando Spataro concernenti, l'una, Prima linea, Com itati comunisti rivoluzionari e «M etropoli» (Procura della Repub blica di Milano, procedimenti n. 921/80 F G l e 228/81 F G l), l’altra, Formazioni combattenti comuniste, Guerriglia rossa, Brigata ventotto marzo (ivi, n. 225/81 F G l); la requisitoria di Luisa Dameno su «R osso» e Brigate comuniste (ivi, n. 229/81 F G l); la requisitoria di Gianfranco Avella e Federico De Siervo sui gruppi dell’Autonomia bergamasca: Prima linea, Proletari armati per il comuniSmo, «M e tropoli», Collettivi ecc. (Procura della Repubblica di Bergamo, procedimento con tro Albesano Franco + 151); e la citata ordinanza di Ferdinando Imposimato nell’istruttoria romana detta «M oro bis» (Tribunale di Roma, 198 lb). A questi do cumenti sarebbero certamente da aggiungere gli atti di altri importanti procedi menti delle magistrature di Torino, Roma, Milano, Firenze, Padova, Bologna, N a poli e altre sedi, peraltro ampiamente conosciuti attraverso i resoconti della stam pa. C fr. inoltre Soccorso rosso napoletano (1976), dal quale in particolare si trae la notizia del rapporto tra N ap e Autonomia, attraverso il coinvolgimento di elementi nappisti nell’attentato alla Face-Standard di Fizzonasco (Milano) nel 1974 (pp. 50-58); un rapporto che trova anche riscontri materiali in Tribunale di Roma (1 9 8 la : passim). N el correggere le bozze posso aggiungere altri tre documenti di fondamentale importanza: la sentenza del processo M oro, in larga parte pubblicata in «Q uaderni della giustizia», 27 e 28, ottobre e novembre 1983; l’ordinanzasentenza contro Piperno Francesco e altri del giudice istruttore Ferdinando Imposim ato (Tribunale di Roma, n. 1267/81 G l, n. 20/81 PG ); e la requisitoria del pub blico ministero [Pietro Calogero e Carmelo Ruberto] nel procedimento penale con tro Battiston Libero + 66 (Procura della Repubblica di Padova, n. 2025/83 A PM e n . 820/83 A G I).
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quanto riguarda invece le altre «organizzazioni combattenti», si deve sottolineare che esse sono espressione diretta dell’Autonomia organizzata, si muovono al suo interno e ne rappre sentano insomma le articolazioni armate. La loro storia, ormai sufficientemente nota, ne è chiara dimostrazione. Ma baste rebbe osservare che le polemiche di parte autonoma — quando verranno — riguarderanno esclusivamente le Brigate rosse, mai gli altri gruppi terroristici, neppure Prima linea. Tutto questo appartiene ad una nuova fase, che si apre nella se conda metà del 1973. Ma non sarà altro che lo sviluppo e la rea lizzazione di quanto era stato concepito, sperimentato e intra preso — ideologia e prassi, strategia e organizzazione, forme di lotta — da questa prima generazione del terrorismo in questa fase delle origini.
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GIAN CARLO CA SELLI - DONATELLA DELLA PORTA
LA STORIA DELLE BRIGATE ROSSE: STRUTTURE ORGANIZZATIVE E STRATEGIE D’AZIONE
Premessa Se si considera la storia più recente delle democrazie indu striali, il terrorismo politico di sinistra non appare come un fenomeno peculiarmente italiano; è tuttavia nel nostro paese che esso ha raggiunto capacità offensive di entità maggiore e più durature nel tempo. Dopo i primi anni di silenzio imba razzato o negligente, sulle vicende delle organizzazioni clan destine si è concentrata l’attenzione dei media e degli intel lettuali. La bibliografia sul terrorismo di sinistra in Italia si è cosi arricchita di decine di saggi, riguardanti oggetti specifici differenti: i percorsi di vita di militanti delle organizzazioni clandestine; le interazioni politiche nelle città in cui il feno meno si è maggiormente sviluppato; le radici ideologiche del la lotta armata; le condizioni istituzionali che facilitano l’emergere della violenza. Certamente vasta, la letteratura disponibile è però anche estremamente eterogenea come tipo di approccio e valore scientifico. Mentre mancano ricostru zioni storiche complessive, si dispone per adesso di un so vrabbondante materiale di riflessione etico-politica e di una considerevole quantità di lavori documentari-giornalistici. Rendere conto della storia del terrorismo di sinistra attraver so una rassegna della letteratura, nello spazio che qua ci è concesso, ci è sembrato un esercizio nel contempo troppo ar duo — per la grande quantità di informazioni che andrebbe ro riordinate — e insufficiente — per l’inadeguatezza scien tifica di gran parte del materiale disponibile. Nell’impostare il nostro lavoro, si è cosi scelto di concentrare l’attenzione su una sola organizzazione clandestina — le Bri gate rosse (Br) — e di ricostruire la sua storia utilizzando non solo fonti secondarie ma anche una parte del materiale 153
processuale non più coperto da segreto istruttorio. La ridu zione del campo d’analisi presenta come contropartita una migliore precisazione delle categorie analitiche e ipotesi in terpretative insieme ad una prima sperimentazione metodologica. Più che alla presentazione cronologica degli avveni menti si è mirato all’organizzazione dei dati disponibili at torno ad alcune variabili, allo scopo di individuare una periodizzazione coerente del fenomeno. Affrontando l’analisi del la dinamica evolutiva delle organizzazioni clandestine a par tire dall’ipotesi che l’azione violenta — pur avendo caratteri stiche sue proprie che ne fanno un fenomeno criminale — se gua la stessa logica di perseguimento dei fini comune alle al tre specie di comportamento collettivo \ si concentrerà l’at tenzione sul modo in cui le risorse sono state raccolte e mobi litate dal gruppo in riferimento ai suoi obiettivi, alle caratte ristiche della base potenziale di reclutamento, alle condizioni dell’ambiente esterno. Tralasciando l’analisi delle cause del terrorismo per le difficoltà di affrontare in modo scientifico l’argomento allo stadio attuale delle conoscenze, si può co munque considerare come un auspicabile prodotto collatera le di questo saggio l’elaborazione di alcune riflessioni che, a partire dai dati sulla storia delle Br, permettano la precisa zione delle ipotesi interpretative sulle ragioni della presenza del fenomeno e della sua evoluzione. Senza volere affrontare lo studio della cultura terroristica — che è oggetto del saggio di Nando dalla Chiesa, presentato in questo volume2 — e utilizzando però il materiale teorico dell’organizzazione come strumento per comprendere il sen so dell’agire terroristico, ciascun paragrafo sarà suddiviso in tre punti: 1. strutture organizzative, 2. strategie d’azione, 3. linee interpretative. In particolare, per quanto riguarda l’or ganizzazione, si prenderanno in esame le informazioni dispo1
Per una definizione della categoria «terrorism o» ed un’analisi della letteratura in ternazionale sull’argomento rinviamo a Donatella della Porta (1983). Ricordiamo inoltre due contributi usciti molto di recente e per questo non compresi in quella rassegna: Bolaffi (1982) e M oss (1983).
2
Sull’ideologia dei gruppi clandestini di sinistra si veda inoltre N ando dalla Chiesa (1981), Dini e Manconi (1981), Carlo M arietti (1979b).
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nibili relative a: modello organizzativo (cioè, grado di artico lazione, grado di centralizzazione, sistemi di reclutamento e presenza di frazioni interne); tipo di membership (dimensio ni, livello di impegno nell’organizzazione, estrazione socio geografica, provenienza politica); localizzazione socio geografica dell’organizzazione (in riferimento alle città e alle strutture sociali in cui il terrorismo ha trovato maggior segui to nei diversi periodi della sua vita). Per quanto riguarda l’azione si tenterà di individuare, e distinguere per perio do: il suo obiettivo strategico, il suo bersaglio (e, in relazione ad esso, la popolazione target dell’azione), le sue forme, la sua localizzazione. Alla fine di ciascun paragrafo, si tenterà di analizzare le interpretazioni possibili del terrorismo in rela zione alle sue caratteristiche e alle condizioni degli attori so ciali, del sistema politico e degli apparati repressivi dello sta to in quello specifico spazio temporale. Lo studio che qui viene presentato ha permesso di individua re quattro periodi distinti della storia delle Br: 1. la propa ganda armata (1970-1974); 2. l’«attacco al cuore dello stato» (1974-1976); 3. la strategia dell’annientamento (1977-1978); 4. lo scontro militare con lo stato per la sopravvivenza dell’organizzazione (1979-1982). E importante sottolineare che la periodizzazione riguarda soprattutto caratteristiche interne al gruppo clandestino (l’organizzazione, l’azione) e solo alcune ipotesi vengono avanzate sul rapporto tra evolu zione interna e situazione estera. Nel corso dell’esposizione si cercherà di evidenziare gli in terrogativi importanti a cui non è stata ancora data risposta e i campi d’indagine verso i quali con più urgenza dovrebbe in dirizzarsi l’analisi storica e sociologica. 1. La propaganda armata (1970-1973/74) Nella prima fase della loro esistenza — dalle origini al 1973/74 — le Brigate rosse limitano il proprio raggio opera tivo, in pratica, alle due maggiori città industriali del Nord: Milano e Torino. Le azioni dell’organizzazione — nei loro
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obiettivi e nelle forme d’intervento utilizzate — sembrano rivelare il proposito di mantenere un riferimento costante agli interessi di un più ampio movimento politico e sindacale sviluppatosi in quel periodo. In questo senso le Br si presen tano come frange estreme di una protesta collettiva articola ta, ampia ma certamente non omogenea. 1.1. L ’organizzazione: la scelta della clandestinità Le prime azioni firmate dalle Br risalgono all’autunno del 1970 ma — secondo il parere concorde degli studiosi che si sono occupati dell’argomento — la storia della principale or ganizzazione terroristica italiana affonda le sue radici nel movimento degli studenti del 1968 e nell’autunno caldo del 1969. Senza soffermarsi su dati ormai noti3, ci si può limitare a ri cordare come alle origini delle Br sia il Collettivo politico metropolitano (Cpm), costituitosi a Milano nel settembre 1969 col contributo, tra l’altro, di alcuni studenti universita ri provenienti da Trento e di vari organismi operai di base, facenti capo — in particolare — alla Pirelli, alla Sit Siemens e all’Alfa Romeo. Secondo molti, sarebbe un’assemblea or ganizzata dal Cpm a Chiavari nel 1969 ad aver fatto matura re la scelta del passaggio operativo alla lotta armata. Fino all’estate del 1970, tuttavia, l’intervento politico del gruppo apparentemente si mantiene entro i limiti comuni a molti collettivi nati dalle lotte del 1968: difatti, con l’obiettivo di generalizzare all’intera struttura sociale i conflitti sorti all’in terno delle fabbriche e dell’istituzione scolastica, il Cpm af fronta — senza inizialmente particolari peculiarità — il tema dell’insurrezione e dell’utilizzazione di forme d’azione vio lenta. Il dibattito sulla lotta armata tende invece ad appro-’ fondirsi e a porsi sempre più in termini di scelte concrete }
Le vicende delle Brigate rosse sin dalla loro origine vengono ricostruite, tra gli al tri, in Barbato (1980), Bello (1981), Bocca (1978a e 1978b), Gaileni (1981), Papa (1979), Soccorso rosso (1976), Sole (1979), Tessandori (1977), Weinberg (1982). Sono state inoltre utilizzate fonti dirette: Tribunale di Torino (1975a, 1978, 1979).
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quando alcuni militanti del Cpm si uniscono ad un gruppo di fuoriusciti dalla Fgci di Reggio Emilia, fondando Sinistra proletaria. Nel gennaio del 1971, l’omonimo giornale del gruppo proclama la necessità di «radicare nelle masse prole tarie in lotta il principio non si ha potere politico se non si ha potere militare, per educare attraverso l ’azione partigiana la si nistra proletaria e rivoluzionaria alla resistenza, alla lotta ar mata»4. «Sinistra proletaria» cessa poi le pubblicazioni, ma nell’aprile dello stesso anno un altro periodico riferibile al gruppo — «Nuova resistenza» — inizia a pubblicare intervi ste ai guerriglieri palestinesi e dell’America latina, articoli sui gruppi armati europei, comunicati delle Br e dei Gruppi armati proletari (Gap). Quando, dopo poco più di un mese, anche questo giornale cessa di esistere le Br sono ormai un’organizzazione strutturata in modo autonomo. L ’attività delle Br, inizialmente concentrata a Milano, si in dirizza soprattutto verso la grande fabbrica, dove le contrad dizioni sono più manifeste e i conflitti più acuti. La scelta del settore d’intervento viene esplicitamente motivata nel primo documento dell’organizzazione. Contrariamente ai Gap che, richiamandosi all’esperienza partigiana, parlano di resistenza sulle montagne, le Br dichiarano di mirare alla «costituzione di nuclei operai di fabbrica e di quartiere nei poli industriali e nelle metropoli ove maggiormente si condensano rivolta e sfruttamento»5. Mentre a Roma si costituisce un effimero gruppo spontaneo — che tra il 1970 e il 1971 firma con la sigla Br alcune azioni contro obiettivi fascisti — muovendo da Milano l’organizza zione cerca di estendere la sua presenza sul territorio nazio nale e intorno al 1972 si installa a Torino. E naturalmente la Fiat che — con la sua rilevanza simbolica, le difficoltà incon trate storicamente dal sindacato, il vigore della rivolta dei giovani operai immigrati — attira in particolare l’attenzione dei terroristi. Significativamente, poi, l’attività delle Br si 4
C itato in Alessandro Silj (1977: 89), corsivi nell’originale.
5
Brigate rosse (1971a).
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estende ad un altro grande polo industriale, Mestre, dove si svolge una delle imprese criminali (4 marzo 1974) che chiude il periodo in esame6. L ’esigenza di avere un terreno fertile per un primo recluta mento spinge le Br a concentrarsi in quelle fabbriche in cui maggiore sviluppo hanno avuto nel corso delle lotte degli an ni precedenti i gruppi autonomi e più violente sono state le polemiche contro le posizioni dei vertici sindacali. I primi volantinaggi si svolgono non casualmente alla Pirelli, dove un certo seguito ha avuto il Comitato unitario di base, e alla Sit Siemens, dove dal Gruppo di studio impiegati — che aveva organizzato il primo sciopero degli impiegati tecnici — era nato su posizioni estreme il Gruppo di studio operai impiegati7. La struttura organizzativa delle Br muta, com’è ovvio, nel corso del periodo. La principale trasformazione che il gruppo deve introdurre è il passaggio dalla semilegalità alla completa clandestinità. La pratica iniziale della «doppia militanza» — clandestinità dell’organizzazione e attività politica pubblica dei membri — non regge alle prime verifiche: nel maggio 1972 il gruppo subisce arresti e perquisizioni. I brigatisti so no costretti a riconoscere nei fatti l’impossibilità di praticare il doppio livello, del lavoro di massa e del lavoro clandestino. Si pone concretamente il problema della clandestinità di al cuni affiliati. Mentre, fino ad allora, la clandestinità era stata considerata nei suoi aspetti tattici e difensivi, si parla adesso della sua «portata strategica». Si legge in un documento in terno scritto dalle Br in questo periodo: la clandestinità è una condizione indispensabile per la sopravvivenza di un’organizzazione politica militare offensiva che operi all’interno delle me6
Nella fase in esame le Br tentano anche un inserimento in Emilia. M a senza succes so: ed i militanti qui distaccati saranno appunto trasferiti nel Veneto.
7
Informazioni sul reclutamento dei terroristi nelle fabbriche si trovano in Cavallini (1978).
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tropoli imperialiste. La condizione di clandesti nità non impedisce che l’organizzazione si svolga per linee interne alle forze dell’area dell’autono mia operaia. Oltre alle condizioni di clandestinità assoluta si presenta perciò, nella nostra esperien za, una seconda condizione in cui il militante, pur appartenendo all’organizzazione, opera nel movi mento ed è quindi costretto ad apparire e muover si nelle forme politiche che il movimento assume nella legalità... Operare a partire dalla clandesti nità consente un vantaggio tattico decisivo sul ne mico di classe che vive invece esposto nei suoi uo mini e nelle sue installazioni8. Ferma restando — per tutti — l’assoluta esigenza di clande stinità, fondamentale diviene dunque la distinzione tra «for ze regolari» e «forze irregolari». Sono militanti regolari quelli che «lavorano» a tempo pieno per l’organizzazione e vivono in clandestinità, sotto falso nome, anche quando non siano ancora ricercati. Sono militanti irregolari coloro la cui clan destinità è limitata all’appartenenza all’organizzazione: vivo no (apparentemente) nella legalità; hanno un normale lavoro o attività. Sul piano logistico, dopo gli arresti del 1972 le Br si struttu rano secondo criteri del tutto nuovi, ricercando una miglior «copertura» e sicurezza operativa. A tal fine, l’organizzazio ne acquista vari immobili e li attrezza come «basi». Intorno a ciascuna base ruota un gruppo di persone incaricate di stu diare le diverse realtà locali raccogliendo materiale informa tivo, per poi elaborare ed eseguire i piani criminosi via via decisi. Stanti le ridotte dimensioni raggiunte dalle Br fino al 1974 e la scarsa diffusione geografica dell’azione, si può ritenere che il modello organizzativo sia ancora grezzo e la strutturazione
Riportato in Soccorso rosso (1976: 125).
sperimentale9. È tuttavia innegabile lo sforzo costante di perfezionare tali strutture. Cosi, accanto alle «colonne» (or ganismi a carattere territoriale, articolati su varie «brigate») si costituiscono i «fronti», con l’obiettivo di centralizzare po liticamente i vari settori d’intervento. Si formano innanzi tutto il «fronte logistico» (con specifica competenza in mate ria di armi, basi, targhe auto e documenti) e il «fronte delle grandi fabbriche» o «fronte di massa»10. Di fatto, la direzio ne dell’organizzazione resta nelle mani dei suoi fondatori, ma nel contempo (nel 1972/73) si formalizza un nuovo orga nismo, il «comitato esecutivo», cui viene attribuito il compi to di dirigere e coordinare l’attività dei fronti e delle co lonne. Un ultimo elemento importante per un’analisi dell’organiz zazione riguarda le caratteristiche sociologiche degli apparte nenti al gruppo. Va subito detto che questo campo risulta an cora poco studiato; le inchieste giornalistiche esistenti11 ri guardano tuttavia proprio i primi militanti. I dati — certa mente non completi — rintracciabili sembrano confermare l’ipotesi che le frange terroristiche nascano all’interno di al cuni gruppi costituitisi alla fine degli anni sessanta nelle uni versità e nelle fabbriche. Molti dei brigatisti sono reclutati all’interno delle formazioni dell’estrema sinistra. I fondatori vengono, come si è detto, dal collettivo milanese Sinistra proletaria e dal reggiano Gruppo dell’appartamento. Mentre fra i membri milanesi sono numerosi coloro che — compresi Renato Curcio e Margherita Cagol — hanno avuto esperien ze nei gruppi marxisti-leninisti, gli emiliani invece vengono spesso da esperienze di militanza nel Pei (come Prospero Gallinari e Alberto Franceschini) o di impegno sindacale (co me Tonino Pároli). 9
M olte delle cose scritte nei documenti dell’organizzazione sono, in questa fase, più che altro previsioni o programmi da realizzare, non ancora realtà operanti.
10
La denominazione «fronte di m assa» si spiega col fatto che il «fronte fabbriche» aveva — a differenza del «logistico» — un referente esterno all’organizzazione.
11
Si vedano, per esempio, Agostini (1980), Manzini (1979), Pansa (1980) e Silj (1977).
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Dal punto di vista dell’estrazione sociale dei loro membri, poi, le Br non sembrano presentare particolari peculiarità ri spetto ad altre formazioni politiche dell’estrema sinistra. Se alcuni militanti appartengono a ceti medio-alti o alla piccola borghesia molti brigatisti del nucleo storico provengono da famiglie operaie o da strati sociali modesti12. Questi dati an drebbero, tuttavia, completati e confrontati con quelli dei periodi successivi. Un aspetto assai interessante, e fino ad oggi quasi sconosciu to, è quello concernente i processi di reclutamento messi in atto dall’organizzazione. Una particolare attenzione è rivolta — in questa prima fase — ai piccoli gruppi dell’estrema sini stra che sembrano più «promettenti» ai fini del proselitismo. Cosi, è anche grazie ai rapporti stabiliti con il Collettivo di Borgomanero che si forma un nucleo di brigatisti che ope rerà poi nella colonna di Torino. Mentre la Sinistra proleta ria lodigiana, costituitasi poi in Collettivo politico La Comu ne del Lodigiano (con centro in Casalpusterlengo), rappre senta certamente — vi sono prove anche documentali in tal senso — un ideale laboratorio di formazione di quadri da inserire nelle Br, dopo la necessaria selezione 13. Utile alla comprensione del processo di espansione, seppur relativa, delle Br in questo periodo potrebbe perciò essere la ricostruzione dei contatti — basati probabilmente spesso su conoscenze personali — che il gruppo terroristico riesce a co struire con collettivi politici i quali, per ideologie professate e forme d’azione teorizzate, non si differenziano di molto dalle numerose organizzazioni consimili nate nello stesso pe riodo. 12
Per fare qualche esempio tra i militanti di questo primo periodo, sono di estrazione borghese Margherita Cagol e Giorgio Semeria; di estrazione piccolo borghese Ro berto Ognibene, M ario M oretti e Arialdo Lintrami; di estrazione proletaria Alber to Franceschini, Alfredo Buonavita, Rocco Micaletto, Tonino Parali, Paolo M auri zio Ferrari, Prospero Gallinari.
15
E stato, per esempio, scoperto che testi relativi ad alcuni convegni organizzati dal gruppo venivano predisposti con una doppia versione in alcune parti: a seconda del loro supposto grado di disponibilità reale alla lotta armata, i militanti ricevevano l’una o l’altra delle due versioni.
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1.2. L ’azione: la proiezione sui problemi di fabbrica Il tipo di azioni compiute dalle Br nel periodo in esame ri specchia le esigenze di un’organizzazione che affronta i pro blemi iniziali della sua costituzione. Si evitano le forme d’azione troppo violente che potrebbero provocare una ri pulsa immediata della base da conquistare. Il terreno sul qua le più spesso si interviene è quello in cui si spera di poter re clutare militanti: la grande fabbrica delle città industriali del Nord. Numerose in questa fase sono anche le azioni contro obiettivi dell’estrema destra. E probabile che (al di là delle motivazioni ideologiche) questa scelta sia orientata dal biso gno di giustificare l’utilizzazione di forme d’azione violente presso una base sociale più disponibile ad accettare gli stru menti di intervento meno ortodossi nella lotta contro i fasci sti, piuttosto che nella contrattazione aziendale. Cercheremo di analizzare, al livello di conoscenza fino ad og gi raggiunto, gli obiettivi tattici, i bersagli, le forme delle azioni delle Br in questa prima fase della loro esistenza. La scelta della lotta armata viene giustificata, agli inizi, so prattutto come necessità di difesa contro il pericolo di svolte autoritarie. A questo tema si affianca (ed in progresso di tempo vi si sostituisce del tutto) quello della ristrutturazione massiccia attraverso cui il capitale, secondo le Br, tenterebbe di riassorbire le conquiste operaie. Di fronte al rifiuto del ri formismo da parte del proletariato e alle contraddizioni insi te nello sviluppo dell’imperialismo — scrivono i brigatisti — la borghesia «ha dovuto riorganizzare a destra l’intero appa rato di potere» M, cercando di riconquistare il controllo sulla forza lavoro attraverso «il dispotismo crescente del capitale, la militarizzazione progressiva dello stato e dello scontro di classe, l’intensificazione della repressione come fatto strate gico» 15. Nella fabbrica il progetto reazionario si esprimereb
14
Brigate rosse (1971a).
15
Ìbidem.
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be attraverso «l’intreccio di due linee che coesistono da sem pre: la ristrutturazione tecnico produttiva e la persecuzione politica»16. In questa situazione l’azione delle Br si orienta verso una sorta di appoggio armato alle lotte sindacali. L ’organizzazio ne cerca di intervenire nelle principali vertenze aziendali, con azioni provocatorie e gesti «esemplari» tesi a dimostrare che «i padroni sono vulnerabili nelle loro persone», che gli operai armati riescono a difendere le loro vittorie mentre le esitazioni di Pei e sindacato portano alla sconfitta. In relazione a queste funzioni le Br si autodefiniscono come: formazioni di propaganda armata il cui compito fondamentale è guadagnare la simpatia e l’appog gio delle masse proletarie alla rivoluzione comuni sta... rendere visibili le strutture più intime del potere, fare apparire le connivenze... tra gruppi di potere e/o istituzioni apparentemente distinte 17. Esse sottolineano inoltre — ed è una caratteristica peculiare di questa prima fase — che: l’azione delle Br ha dunque sempre come riferi mento imprescindibile obiettivi propri del movi mento di massa... E perciò necessario prestare la massima attenzione affinché le Br non tendano a costituirsi come «braccio militare delle masse», non si sostituiscano cioè ad esse nel corso della lotta. Loro compito è infatti quello di stimolare con l’azione il movimento, sforzandosi di incana larlo entro la prospettiva strategica della guerra di popolo, svilupparne la forza, restituirgli sicurezza ed una fiducia nuova nelle proprie possibilità 18. 16
Brigate rosse (1973).
17
Brigate rosse (1971b).
18
Ibidem.
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Contemporaneamente, però, si sostiene — e ben presto di verrà linea «ufficiale» delle Br — la tesi secondo cui «è intor no alla lotta armata che si aggrega l’autonomia di classe e non viceversa», perché «solo la lotta armata esprime potere di classe». Fin dalla Autointervista del settembre 1971, le Br af fermano una sorta di programma generale in cui, senza nega re l’adesione ad alcune forme di lotta che emergerebbero spontaneamente dal «movimento di classe» («organizzazione dell’autodifesa, prime forme di clandestinità, azioni diret te...»), si sostiene tuttavia la necessità di passare da questa «fase tattica necessaria», alla «fase strategica della lotta ar mata». Per questo passaggio occorre che le Br siano in grado «di realizzare due condizioni fondamentali: 1) misurarsi con il potere a tutti i livelli (liberare i detenuti politici, eseguire condanne a morte contro i poliziotti, espropriare i capitalisti, ecc.) e naturalmente dimostrare di saper sopravvivere a que sti livelli di scontro; 2) far nascere un potere alternativo nelle fabbriche e nei quartieri popolari»19. La storia e i documenti delle Br negli anni successivi dimostreranno lo sforzo costan te del gruppo per la realizzazione di queste due condizioni, con gli slogans sulla necessità di «portare l’attacco al cuore dello stato» e di costruire il partito armato (il «partito comu nista combattente») come struttura del «potere alternativo». Nella scelta dei bersagli dell’azione e delle forme d’interven to, le Br rivelano la loro aspirazione a collegarsi ad un con flitto sociale più ampio. I bersagli delle principali azioni sono tutti in qualche modo connessi alla fabbrica. La prima serie di azioni firmate dalle Br nel 1970 riguardano la Pirelli, mentre alla Sit Siemens — dove probabilmente sono maggiori i contatti iniziali — viene realizzato il primo attentato brigatista. È in occasione della scadenza contrattuale dell’autunno del 1972 che il gruppo terroristico si sposta da Milano e Torino. Gli obiettivi colpiti dalle Br sono in primo luogo i dirigenti più in contatto con la base operaia e i sindacati di destra. Frequenti sono le azioni 19
Brigate rosse (1971a).
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contro direttori del personale, guardie, capireparto, le cui «responsabilità» nella repressione delle lotte operaie sono più immediatamente identificabili. Nell’autunno del 1970 si re gistrano, per fare degli esempi, attentati contro le automobili del direttore centrale del personale della Sit Siemens, del ca po delle guardie e del capo del personale della Pirelli Bicocca; questo genere di attività proseguirà per tutto il periodo. Nu merosi sono inoltre gli incendi di auto di esponenti del sinda cato «giallo» dell’industria automobilistica (Sida) e le irruzio ni nelle sedi di tale associazione. Poiché la ristrutturazione in fabbrica si attua — secondo i documenti diffusi dalle Br — attraverso l’utilizzazione dei fascisti come strumenti di re pressione delle lotte operaie, l’attività del gruppo terroristico si rivolge in particolare contro i sindacalisti della Cisnal, per estendersi poi, in generale, a uomini ed organizzazioni dell’estrema destra20, cosi da perseguire anche quell’obietti vo di propaganda verso strati sociali più vasti del quale si è già detto. A proposito della scelta dell’obiettivo, va infine sottolineato che, per rendere il più possibile positiva la ricezione dell’azione da parte del gruppo al quale la propaganda si ri volge, i terroristi dedicano una grande attenzione alla denun zia delle pretese «colpe» personali del bersaglio colpito. Ciò risulta evidente se si prendono in esame i quattro sequestri messi in atto dalle Br tra il 1972 e il 1973: il primo sequestra to, il dirigente della Sit Siemens Idalgo Macchiarini, viene accusato di una «particolare rigidità anti-operaia» nella con trattazione aziendale; al secondo sequestrato, il segretario provinciale della sezione metalmeccanici della Cisnal di To rino Bruno Labate, viene addebitata l’assunzione di squadri sti di destra alla Fiat; un intero documento viene dedicato all’elencazione delle «responsabilità antioperaie» del terzo dei sequestrati, il dirigente dell’Alfa Romeo Michele Min-’ cuzzi; l’ultimo dei sequestrati, infine, il responsabile del per-
20
Un documento dossier sulla struttura dei gruppi neofascisti a Milano è contenuto in Brigate rosse (197 le).
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sonale alla Fiat Ettore Amerio, era stato nominato da Labate — o almeno cosi affermano i terroristi — come responsabile della schedatura dei militanti del sindacato nella fabbrica to rinese. Le azioni vengono inoltre giustificate da un obiettivo prati co: i «processi» ai quali vengono costretti i sequestrati cosi come i documenti rubati o rapinati nel corso delle irruzioni servono — spiegano i brigatisti — a raccogliere informazioni sulla struttura della repressione in fabbrica, sui processi di ri strutturazione, sui mandanti di alcuni episodi definiti dalle Br come provocazioni. Le notizie estorte vengono cosi im mediatamente «disvelate», attraverso volantini e documenti, all’ignara classe operaia. Da segnalare, infine, che l’evoluzione delle Br verso l’ado zione di forme d’azione più specificamente terroristiche (che oltrepassino la soglia — comune ad altri gruppi dell’estrema sinistra operanti in questo periodo — del generico impiego di tecniche violente) avviene in modo graduale. E difatti, nei primi due anni di esistenza delle Br la violenza si rivolge esclusivamente contro le cose. Le azioni più diffuse sono gli incendi di auto e gli attentati ad alcuni strumenti di produ zione, mentre si respinge con sdegno l’accusa di avere di strutto prodotti finiti. Tra il 1972 e il 1974 si registreranno alcune irruzioni — durate in genere pochi minuti — contro sedi del Msi, Cisnal, Unione cristiana imprenditori e dirigen ti (Ucid). Nella primavera del 1972 si ha la prima azione ri volta contro persone, il sequestro di Macchiarmi, mentre nell’anno successivo verranno realizzati gli altri tre rapimen ti a cui si è già accennato. In altre parole, nel periodo in esame le Br attraversano un momento preparatorio «in vista della fase strategica della lot ta armata»21, della quale il sequestro Amerio (durato otto giorni) rappresenta già una prima manifestazione. Con que-
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Brigate rosse (197la).
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sto reato l’organizzazione mostra infatti di perseguire nuovi, più ambiziosi obiettivi. Siamo di fronte ad un’impresa crimi nosa che non viene «soltanto» realizzata, ma anche gestita con tecnica sofisticata, attraverso la consegna ai grandi orga ni d’informazione di volantini che ottengono cosi una diffu sione grandissima, a livello nazionale ed oltre. Il messaggio non si rivolge più ad una cerchia ridotta di persone: interlo cutori sono la Fiat (vale a dire i vertici del potere economicopolitico per quanto concerne, di fatto, il nostro paese) e l’in tera classe operaia. I volantini con la rivendicazione del se questro Amerio, già diffusi dai mass media, vengono infatti distribuiti clandestinamente nelle fabbriche di molte città: Torino ovviamente, ma anche Milano, Genova, VeneziaPorto Marghera, Bologna, Piacenza, Firenze. Il sequestro Amerio, inoltre, non rientra più nel novero delle azioni «esemplari» che si esauriscono in se stesse. E un’azione pro lungata con la quale l’organizzazione vuole (o afferma di vo lere) ottenere un risultato ulteriore: la sospensione della cas sa integrazione guadagni alla quale la Fiat aveva allora fatto ricorso. 1.3. Linee interpretative: l'escalation della violenza Tra le interpretazioni avanzate per spiegare la nascita del terrorismo in Italia, tre meritano di essere discusse in rela zione a questo primo periodo di attività delle Br. La prima tende a stabilire un collegamento con la storia dei movimenti collettivi. La nascita e le prime azioni delle Br si collocano in una fase di vita del movimento sociale che non è certo di riflusso. Se è probabilmente vero che il movimento come utopia studentesca tende ad entrare in crisi, la protesta degli studenti si estende però in questi anni di città in città, raggiunge il Sud, si rafforza nella scuola media. Percependo l’insufficienza di un’azione che si rinchiuda all’interno dell’istituzione scolastica, l’attenzione si estende subito alle lotte operaie. Tra il 1969 ed il 1970 nascono cosi dei gruppi che si propongono di generalizzare i conflitti specifici, tra 167
sformando le spinte antiautoritarie in azioni anticapitalisti che. Il conflitto in fabbrica attraversa inoltre un momento di particolare asprezza. In molte fabbriche l’autunno caldo ha rotto gli argini dopo anni di repressione e le nuove strutture di base che gli operai si sono date mantengono viva la solida rietà interna, mentre compaiono forme di lotta spesso radi cali. Ora, in questo movimento sociale composito il sorgere di gruppi terroristici può essere uno degli esiti (certo grande mente distorto) delle tensioni collettive. Nella fase in esame le Br somigliano molto ad altri gruppi creatisi ai margini dei movimenti sociali alla fine degli anni sessanta: alla Rote Armee Fraktion tedesca, all’Esercito rosso giapponese, ai Weather Underground statunitensi, alla NouveUe resistence populaire in Francia. Come questi gruppi, le Br sono organizza zioni clandestine nate all’interno di un movimento sociale e che a questo si ispirano, almeno all’inizio della loro attività, per stabilire gli obiettivi da colpire e riprendere, estremiz zandole, le forme d ’azione. Come per gli altri gruppi, anche per le Br il percorso imboccato con la scelta della lotta arma ta porterà ad un progressivo allontanamento dai movimenti collettivi da cui erano nate in passato e ad un graduale e defi nitivo abbandono della logica d’intervento politico verso le forme pili estreme di militarizzazione del conflitto. Una seconda ipotesi sottolinea l’incapacità dello stato di for nire risposte adeguate alla protesta. L’appello (frequente nei documenti Br, ma presente anche — sia pure con connotati diversi — nell’ideologia dei Gap) alla difesa contro la riorga nizzazione dell’apparato repressivo statale si mescola col ti more di un possibile colpo di stato. Oltre a frequenti riferi menti alla strage di piazza Fontana, gli scritti delle Br richia mano spesso trame golpiste vere o presunte: il tentato golpe di Valerio Borghese, la Rosa dei Venti, i Mar di Fumagalli. Le manovre eversive della destra vengono spesso citate per giustificare la necessità della lotta armata. Spesso le manife stazioni di piazza si trasformano in sanguinose battaglie con le forze dell’ordine: la radicalizzazione degli scontri facilita la diffusione dell’ideologia della violenza. Di contro, i gover ni 68
ni Rumor e il centrodestra di Andreotti e Malagodi sembra no incapaci di garantire o rafforzare la fiducia nelle istituzio ni. Scrive Tranfaglia: «La coalizione di governo non oppose un riformismo moderno e aggressivo (come avvenne ad esempio in Francia) bensì il trasformismo conservatore [...], un metodo di gestione della cosa pubblica inadatto a far fronte alle difficoltà economiche risorgenti all’inizio degli anni settanta e al progrediente sfacelo dell’amministrazione pubblica» 22. Gli apparati dello stato — è questa la terza ipotesi sulle ra gioni dell’affermarsi delle Br — sono stati infine certamente carenti, in questo periodo, nell’articolare la lotta contro il terrorismo su basi di adeguata conoscenza del fenomeno in tutte le sue componenti. Mentre ancora oggi si discute circa l’entità della pressione repressiva esercitata sui gruppi dell’estrema sinistra, le Br — praticamente fino al 1974 — sono di fatto sottovalutate. Per quanto insufficiente a spie gare la diffusione del terrorismo nelle sue molteplici origini, è certo che la maggiore o minore efficacia della risposta dello stato si rivela determinante per il suo rafforzamento.
2. L ’attacco al «cuore dello stato» (1974-1976) Tre ci sembrano le caratteristiche più rilevanti di questo pe riodo, che inizia col sequestro di Mario Sossi e si conclude al la fine del 1976: a) l’organizzazione terroristica ricerca una dimensione nazionale; b) si fanno sempre più frequenti e ri levanti le azioni contro bersagli esterni alla fabbrica; c) si ac centua e si completa l’evoluzione delle forme d’azione verso strumenti più tipicamente terroristici.
22
Nicola Tranfaglia (1981: 491). Una analisi critica delle interpretazioni che sottoli neano il rapporto tra nascita del terrorismo e difettoso funzionamento del sistema politico si trova in Gianfranco Pasquino (1983b). Per un confronto tra questa ed altre interpretazioni sullo sviluppo delle organizzazioni clandestine di sinistra in Italia, si veda Donatella della Porta e Gianfranco Pasquino (1983b).
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Un dato, inoltre, di estremo rilievo sono i successi ottenuti contro l’organizzazione terroristica dalle forze dell’ordine. All’inizio del 1976 le Br appaiono stremate: molti covi sono stati scoperti, la maggior parte dei militanti è in carcere. Un primo ciclo di vita dell’organizzazione clandestina sembra concluso. 2.1. L ’organizzazione: la dimensione nazionale Il primo salto di qualità, indispensabile per un’organizzazio ne terroristica che si proponga obiettivi di trasformazione dell’intera struttura statale, è l’acquisizione di una dimensio ne nazionale. Riproponendo una tattica già anticipata nella gestione del sequestro Amerio, con il sequestro Sossi le Br cercano di dimostrare un radicamento diffuso in contesti geografici differenti: le rivendicazioni e la propaganda dell’episodio avvengono in diverse città dell’Italia centrale e settentrionale; per durata e caratteristiche l’azione assume come proprio interlocutore l’intera opinione pubblica nazio nale. In realtà, l’organizzazione è ancora sostanzialmente incen trata sulle colonne di Milano e Torino2’, mentre vanno raf forzandosi le strutture create in Veneto: ma una vera colon na non c’è neppure a Genova (e difatti il sequestro Sossi è opera di militanti confluiti da altre città, poiché in loco le Br possono unicamente contare, all’epoca, sull’appoggio di sin goli soggetti). Soltanto dopo il rapimento del magistrato ge novese (per meglio affrontare in futuro il «problema dello stato») si decide di «aprire un intervento» a Roma24. Progre disce nel frattempo di molto (ed è quasi concluso all’inizio
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Significativa, quanto alla colonna di Torino, è la costruzione di un retroterra logi stico nel Biellese: qui vengono reclutati numerosi militanti, ma nessuno di essi è mai impiegato in azioni. Alle strutture biellesi si ricorre, infatti, solo per depositar vi materiale o trovare rifugio fuori dalle zone operative.
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Trasferendovi uno dei fondatori dell'organizzazione, Alberto Franceschini, che verrà però arrestato poco dopo.
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del 1976) il processo di fusione fra Br e Nuclei armati prole tari (Nap): ma la rapida sconfitta di questi ultimi, le cui azio ni si rivolgevano agli strati più poveri della popolazione me ridionale, rallenta l’aspirazione delle Br ad estendere verso il Centro e il Sud la propaganda armata. Tanto più che ad un’organizzazione «pensata» con riferimento alle grandi zo ne industriali del Nord doveva ancora apparire poco proba bile, sia l’espansione nel Centro25, dove predominante è la piccola industria e l’impiego nel terziario pubblico, che un radicamento nel Mezzogiorno, dove nella composizione del proletariato prevale il tessuto marginale delle grandi città. Il desiderio dei brigatisti di radicarsi in un contesto geografi co più ampio si rispecchia in una maggiore centralizzazione e compartimentazione dell’organizzazione. E probabile che il processo evolutivo di una formazione clandestina spinga ine vitabilmente verso questo tipo di trasformazioni della strut tura organizzativa. Nella risoluzione della direzione strategi ca del 1975 si pone la necessità di muoversi verso la costru zione del «partito combattente», già definito come «partito di quadri combattenti... reparto avanzato della classe operaia e perciò nello stesso tempo distinto e parte organica di es sa»26. «Nell’immediato — scrivono le Br — l’aspetto fondamentale della questione rimane la costruzione del partito combattente come reale interprete dei bisogni politici e mili tari dello strato di classe “oggettivamente” rivoluzionario e l’articolazione di organismi di combattimento a livello di classe sui vari fronti della guerra rivoluzionaria»27. La struttura adottata dall’organizzazione in questa fase è de scritta in un ciclostilato intitolato «Alcune questioni per la discussione sull’organizzazione», trovato nell’ottobre del
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Nelle Marche e in Toscana le Br costituiranno solo dei Com itati regionali, struttu re di portata decisamente inferiore alle colonne, proprio per la mancanza in loco di un «referente» tale da consentire un insediamento più cospicuo.
26
Brigate rosse (1974: 25).
27
Documento delle Brigate rosse riportato in Soccorso rosso ( 1976: 277).
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1974 in un covo scoperto a Piacenza. Ribadita l’esigenza del la clandestinità, la distinzione tra «forze regolari» e «forze ir regolari» viene precisata nel senso che le prime «sono costi tuite dai quadri più consapevoli e disponibili che la lotta ar mata ha prodotto», mentre i compiti fondamentali degli «ir regolari» sono: «conquistare all’organizzazione il sostegno popolare, costruire i centri e le articolazioni del potere rivo luzionario». Ma le due componenti non sono fra loro in rap porto gerarchico28. La «direzione strategica» viene appunto proposta — segno che in precedenza non era stata ancora mai realizzata29 — nel citato documento del 1974, nel quale si legge: All’origine della nostra storia c’è un nucleo di compagni che operando scelte rivoluzionarie si è conquistato nel combattimento un ruolo indiscuti bile di avanguardia. Questo nucleo storico ha por tato fin qui l’organizzazione, sottoponendo nella misura del possibile ogni scelta fondamentale, le vittorie e le sconfitte, alla discussione dei compa gni delle forze regolari e delle forze irregolari. Og gi con la crescita dell’organizzazione e della sua influenza, della sua complessità e delle sue respon sabilità politiche e militari, questo nucleo storico è di fatto insufficiente. Si impone cioè una ridefini zione e un ampliamento del quadro dirigente com plessivo dell’organizzazione. Si propone pertanto alla discussione dei compagni la formazione di un consiglio rivoluzionario che raccolga e rappresenti
«D a un punto di vista politico — continua il documento — non vi è differenza tra i militanti delle forze regolari e delle forze irregolari. Entrambi concorrono con pa rità di diritti e di doveri a far rivivere la linea politica generale dell’organizzazione. Per questo anche i militanti delle forze irregolari possono fare parte della direzione strategica dell’organizzazione». Il documento ritrovato nel covo di Piacenza viene integralmente riprodotto in Tribunale di Torino (1975a). La prima riunione della Direzione strategica si tenne, infatti, sul finire del 1974, in Veneto, dopo l’arresto di Curcio e Franceschini (8 settembre 1974).
tutte le tensioni e le energie rivoluzionarie matu rate nei fronti, nelle colonne e nelle forze irregola ri. Questo consiglio dovrà essere la massima auto rità delle B r}0. Alla direzione strategica vengono cosi attribuiti compiti qua li la formulazione della linea politica, l’emanazione e l’appli cazione delle leggi che regolano la vita interna del gruppo, la gestione del bilancio. Ad essa spetta inoltre la nomina del co mitato esecutivo, cui resta delegato il governo quotidiano dell’organizzazione51. Nel periodo in esame, ai due fronti già esistenti (di fabbrica e logistico) se ne aggiunge un terzo: quello della «lotta alla controrivoluzione», istituito per portare l’offensiva delle Br anche fuori dai cancelli delle fabbriche, orientandola verso il «cuore dello stato» (a questo nuovo indirizzo si comincerà a dar corso col sequestro Sossi). A questo punto, la struttura organizzativa delle Br appare ormai delineata secondo schemi precisi: ma va subito sottoli neato il divario che in realtà ebbe ben presto a verificarsi fra teoria e prassi. In teoria, l’organizzazione Br dovrebbe essere composta da una struttura verticale (brigate -» colonna -* esecutivo) im prontata a livelli gerarchici, e da una struttura orizzontale (i fronti), caratterizzata rispetto ai contenuti e alle competenze specifiche di singoli militanti (fabbriche ecc.). Sempre in teo ria, i fronti avrebbero dovuto lavorare in continuità analiz zando i settori di loro competenza e trasformando le loro co noscenze in eventuali proposte di campagne, politicamente e
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Tribunale di Torino (1975a).
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Sorta di parlamento o di stati generali dell’organizzazione, la Direzione strategica assume come base della discussione al proprio interno gli elaborati scritti che le va rie colonne — ma anche i compagni detenuti — predispongono. Alla fine, la D ire zione strategica sintetizza e fissa in un documento apposito la linea politica prescel ta, che diviene cosi valida nel lungo periodo.
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socialmente motivate. Spetterebbe poi al Comitato esecuti vo di rendere esecutive — appunto — queste indicazioni, or ganizzando materialmente le campagne ed investendone (sul piano organizzativo) le singole colonne,2. In pratica, però, questo tipo di funzionamento fu inceppato da vischiosità e resistenze. Infatti, il modello teorico dei fronti (in base a cui l’operaio brigatista Fiat avrebbe dovuto discutere e decidere con l’operaio brigatista Alfa ecc.) si ri velò inconciliabile con la struttura dominante, di tipo gerar chico, basata sulle colonne. Soprattutto, poi, entrò in tensio ne con il principio della compartimentazione, ancora proprio della struttura per brigate e colonne. Con la conseguenza che il fronte logistico di fatto si ridusse ad essere una branca spe cializzata per problemi di servizi, senza più funzionare come vero e proprio fronte; mentre il fronte di massa fini per esi stere solo più sulla carta. In sostanza, l’organizzazione si ca ratterizzò sempre più per un’impostazione centralizzata e verticistica. Proprio su questi temi (l’aver lasciato morire i fronti, imponendo un soffocante «centralismo burocratico») si scatenerà alla fine degli anni settanta — come vedremo in seguito — una dura polemica contro i dirigenti dell’organiz zazione, ad opera dei compagni detenuti costituenti il cosid detto «nucleo storico» e dei vari gruppi dissidenti che emer geranno all’interno delle Br. Pressoché inesistenti — più ancora che per il periodo prece dente — sono i dati sulle caratteristiche dei militanti dell’or ganizzazione. Il processo di reclutamento avvenuto in questa fase non è stato ancora oggetto di indagine. Due ci sembrano le ipotesi possibili sulle origini politiche prevalenti dei mili tanti reclutati in questi anni: che essi provengano da alcuni gruppi dell’estrema sinistra entrati in crisi, oppure che le Br abbiano trovato nuovi adepti nelle grandi fabbriche del
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Per altro, la proposta di intervenire in determinati settori poteva ovviamente parti re anche «dal basso», in base alle segnalazioni delle brigate sulle esigenze del mo mento.
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Nord dove si era concentrata la loro propaganda33. Rispetto ad una variante della prima delle due ipotesiMavrebbe rile vanza in questa fase la crisi di Potere operaio (Po), avvenuta nel 1973. Effetto dello scioglimento del gruppo operaista sa rebbe, in questo caso, la costituzione di organizzazioni semi clandestine come articolazioni strategiche di un progetto ter roristico organico. In un’altra variante della stessa ipotesi, si sarebbero prodotti in alcuni casi — per esempio in occasione di scissioni avvenute in Lotta continua (Le) — dei travasi di retti di militanti da un’organizzazione legale ad un’organiz zazione clandestina. La verifica di questa ipotesi dovrebbe passare attraverso una ricostruzione dei percorsi compiuti dai militanti delle Br reclutati in questo periodo. Va poi menzionata la tesi (che renderebbe importante un vaglio ac curato della seconda ipotesi) secondo cui il crollo di Potere operaio avvenne soprattutto in concomitanza, o a seguito, del rafforzarsi dell’area dell’Autonomia operaia, cioè dell’affermarsi di un processo di autonomizzazione dei comitati di base e collettivi operai delle grandi fabbriche dalla tutela dei gruppi della sinistra extraparlamentare35. E forse in parte in questo clima di crescita, o almeno maggiore organizzazione, delle componenti più radicali del fronte di lotta nelle fabbri che che potrebbero verificarsi condizioni favorevoli ad un nuovo reclutamento. Una quota consistente dei militanti del le Br sono — è utile ricordarlo — ex operai36. 33
È im portante ricordare, quanto all’attività propagandistica, l’esperienza fatta dalle Br con il periodico «cONTRoinformazione», alla redazione e diffusione del quale contribuirono anche militanti di altri gruppi, il cui rapporto con le Br venne cosi ad essere assai stretto. La diffusione del messaggio ideologico attraverso l’utilizzazio ne dei normali canali commerciali per la vendita delle proprie pubblicazioni prose gue negli anni più recenti: basti ricordare il testo che ha suscitato maggiore scalpo re, Collettivo prigionieri comunisti delle Brigate rosse (1980).
34
Q uesta ipotesi è stata esposta, oltre che nella requisitoria del sostituto procuratore Pietro Calogero, Procura della Repubblica di Padova (1981), anche in Galante (1981a) e Angelo Ventura (1980).
35
Sulla seconda ipotesi si vedano, invece, l’ordinanza-sentenza del giudice istruttore Giovanni Palombarini, Tribunale di Padova (1981), parzialmente pubblicata in Palombarini (1982); e Giancarlo Scarpari (1981). Hanno lavorato in grandi fabbriche, per fare solo alcuni esempi, Giuliano Naria all’Ansaldo; Isa, Zuffada e M oretti alla Sit Siemens; Savino, Muraca, Raffaele, S a batino e Carnelutti alla Fiat.
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Un dato infine da tener presente nel valutare il potenziale di reclutamento e la forza mutevole dell’organizzazione nel cor so di questi anni sono i successi ottenuti dagli apparati statali nella lotta contro il terrorismo. Se la gestione del sequestro Sossi ha, secondo molti, fatto crescere l’area di non-ripulsa verso le Br, è però proprio in seguito ad esso che viene perce pito in tutta la sua portata il pericolo terroristico e si creano delle strutture coordinate di lotta contro l’eversione armata. Il vigore con cui gli apparati repressivi dello stato affrontano la lotta contro il terrorismo sortisce due effetti: da un lato spinge le Br verso un’accentuazione degli aspetti di difesa militare, facendo sensibilmente ridurre la possibilità di espandere ancora i contatti in fabbrica; dall’altro, le fila dei militanti regolari vengono scompaginate da una lunga catena di arresti che porterà l’organizzazione sull’orlo del collasso. L ’infiltrazione di «frate mitra» e il metodo dei controlli al ca tasto porteranno alla scoperta di numerosi covi dei brigatisti e all’arresto di moltissimi militanti,7. E ormai un dato certo che nella prima metà del 1976 le Br non possono contare che su una decina di membri effettivi in libertà. L ’organizzazione attraversa quindi una fase di crisi profonda, che potrebbe essere definitiva. Proprio in questo momento, però, si ha una ristrutturazione degli apparati re pressivi dello stato creati dopo il sequestro Sossi38 che ne ri duce sostanzialmente l’efficienza. 2.2. L ’azione: lo scontro con lo stato Si riscontrano, nel periodo in esame, alcuni mutamenti rile vanti nell’attività della formazione terroristica: i bersagli di37
Dei membri del primo com itato esecutivo (Curcio, Franceschini, Morlacchi, M o retti) soltanto quest’ultimo riuscirà a sfuggire in questo periodo all’arresto. Sono inoltre in carcere, alla fine del 1976, la maggior parte dei militanti «storici», sia mi lanesi che reggiani: Alfredo Buonavita, Attilio Casaletti, Pietro Bassi, Paolo Ferra ri, fra i primi; Roberto Ognibene, Fabrizio Pelli, Tonino Pároli, Pietro Bertolazzi, Prospero G allin a», fra i secondi. Renato Curcio, fuggito dal carcere di Casale nel febbraio del 1975, verrà nuovamente catturato nel gennaio 1976. Margherita Cagol perderà la vita in un conflitto a fuoco con i carabinieri nel giugno del 1976.
38
Si veda sul punto, Stefano Rodotà (1983). C fr. inoltre G ian Carlo Caselli (1979).
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vengono più politici, comincia a prevalere, nella gestione del le azioni, una tendenza «militarista» che si contrappone all’orientamento «populista» di preteso sostegno alle lotte di massa. Si assiste al progressivo imbarbarimento delle for me di azione. Innovazioni importanti riguardano innanzitutto la «logica» che guida le azioni: l’intervento si sposta dalla fabbrica verso obiettivi più direttamente politici, dalla difesa armata contro le pretese involuzioni autoritarie si passa all’attacco contro i cosiddetti tentativi neo-gollisti, mentre una quota consisten te delle risorse dell’organizzazione viene monopolizzata nel lo scontro con gli apparati repressivi dello stato. La maggior parte delle vittime vengono scelte, ancora in que sto periodo, all’interno della fabbrica mentre nella rivendica zione si sottolineano (spesso con spregiudicata deformazione del reale) gli aspetti che meglio si prestano ad una propagan da che vorrebbe imporsi sul piano della lotta allo sfruttamen to della classe operaia. Gli agguati di questi anni colpiscono — tra gli altri — Vincenzo Casabona, direttore del personale dell’Ansaldo, «accusato» di avere organizzato la ristruttura zione aziendale; un medico della Fiat, Luigi Solerà, sospetta to di avere permesso pretestuosi licenziamenti per assentei smo; un capo del personale della Fiat Mirafiori, Giuseppe Borello, preso di mira per avere avallato alcuni licenziamenti per scarso rendimento; il dirigente della Singer Enrico Boffa, denunziato come principale ispiratore della decisione di chiudere lo stabilimento di Leini. Anche le azioni contro i sindacalisti della Cisnal e del Sida hanno lo scopo evidente di raccogliere consensi, e le date delle azioni vengono scelte spesso in relazione alle scadenze della lotta sindacale39. Più che in passato, tuttavia, l’azione comincia a tenere conto del livello «politico» del sistema capitalistico. Allo spostamento dell’attenzione verso bersagli più diretta 39
Nel documento di rivendicazione del rapimento Sossi si sottolinea, per esempio, che l’azione è avvenuta il giorno dell’insediamento di Gianni Agnelli alla presiden za della Confindustria.
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mente politici si cerca di dare una giustificazione ideologica. L ’intervento dello stato nell’economia viene definito come un tentativo volto a combattere l’abbassamento del saggio di profitto: di fronte alla crisi, dovuta alla riduzione del capita le variabile, alle istituzioni statali verrebbe assegnato il com pito di rastrellare il plusvalore sociale per assegnarlo alle mul tinazionali: «lo stato — scrivono-le Br nella risoluzione della direzione strategica del 1975 — assume in campo economico le funzioni di una grossa banca al servizio dei grandi gruppi imperialistici multinazionali [...]. Diventa espressione diret ta dei grandi gruppi imperialistici multinazionali, con polo nazionale. Lo stato diventa cioè funzione specifica dello svi luppo capitalistico nella fase delle multinazionali; diventa stato imperialista delle multinazionali»40. Il perseguimento di nuovi obiettivi, più «politici» viene presentato come ri sposta alle manovre padronali: «Se nelle fabbriche l’autono mia operaia è abbastanza forte e organizzata per mantenere uno stato di permanente insubordinazione e conquistarsi un proprio spazio di potere via via crescente, fuori dalla fabbri ca essa è ancora debole al punto di non essere in grado di op porre una resistenza alle forze della controrivoluzione. Per questo le forze della controrivoluzione tendono a spostare la contraddizione principale fuori dalle fabbriche». «All’accer chiamento strategico delle lotte operaie — continua il docu mento — si risponde estendendo l’iniziativa rivoluzionaria ai centri vitali dello stato; questa non è una scelta facoltati va, ma una scelta indispensabile per mantenere l’offensiva anche nelle fabbriche»41. All’esterno delle fabbriche, l’obiettivo delle azioni diviene con sempre maggiore frequenza la De, ritenuta la principale responsabile del cosiddetto progetto neo-gollista di riforma istituzionale, di cui parlano diffusamente nei loro documenti i brigatisti. «Questo progetto — scrivono le Br riprendendo una tematica abbondantemente discussa in quel periodo —
40
Documento citato in Soccorso rosso (1976: 270).
41
Brigate rosse (1974).
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mira alla trasformazione della repubblica nata dalla Resisten za nel senso della creazione di una repubblica presidenzia le » 42. Poiché l’attuazione di questo programma prevederebbe la messa in atto di un ferreo controllo sulle forze sociali ed una crescente militarizzazione del potere, le Br propongono un «aggiustamento di mira» rispetto alla loro attività passata: «L ’iniziativa controrivoluzionaria — si sostiene — viene og gi assunta in prima persona da un blocco di potere interno al lo stato: è soprattutto contro queste forze che dobbiamo sferrare i nostri attacchi più duri» 4\ Della progettata attività contro i «tentativi neo-gollisti» fan no parte le irruzioni nelle sedi del «Centro di resistenza de mocratica» di Edgardo Sogno e del «Centro Studi Don Sturzo» di Torino (presieduto da un uomo politico della destra democristiana, Giuseppe Costamagna), nonché il ferimento del capogruppo consiliare della De a Milano, Massimo De Carolis. Accanto all’obiettivo di «battere la De, centro organizzativo della reazione, vettore del Sim», la risoluzione dell’organi smo direttivo sottolinea la necessità di «colpire lo stato nei suoi anelli più deboli, disarticolare i suoi centri, liberare i compagni in carcere, attuare la rappresaglia contro la magi stratura di regime». Viene perciò ideato ed attuato il seque stro del giudice Sossi. Ma i colpi che subito dopo le forze dell’ordine cominciano a mettere a segno pongono l’organiz zazione nella necessità di difendersi. Le Br si vedono costret te ad impostare anche un’attività rivolta contro obiettivi connessi a problemi interni all’organizzazione, che non ri specchiano le scadenze di lotta ed il livello di coscienza della base operaia che si vorrebbe influenzare. Alle azioni preme
42
Ibidem, p. 180.
43
Ibidem. Il documento citato prosegue affermando: «E tempo di forzare la ragnatela del passato e superare l’impostazione tradizionale dell’antifascismo militante. C ol pire i fascisti con ogni mezzo e in ogni luogo è giusto e necessario. M a la contraddi zione principale è oggi quella che si oppone al fascio di forze della controrivoluzio ne».
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ditate (attentati alle caserme, irruzione negli uffici dell’ispet torato distrettuale degli istituti di prevenzione e di pena di Milano, sequestro Sossi) vanno aggiunti, per completare il bilancio di questo tipo di attività, i sanguinosi conflitti a fuo co che i brigatisti ingaggiano con le forze dell’ordine per sot trarsi all’arresto44. Una grossa trasformazione subiscono, infine, le forme d ’azione. Continuano da un lato ad essere utilizzati tipi d ’in tervento già sperimentati nel periodo precedente: gli attenta ti alle automobili di quadri intermedi della gerarchia azien dale e sindacalisti di destra, che sono forse la tappa iniziale del processo di coinvolgimento dei simpatizzanti; le irruzioni nelle sedi di organizzazioni politiche o professionali, che vengono presentate come strumenti per reperire importanti informazioni sull’articolazione occulta della repressione; i se questri politici (Sossi, Casabona), che dovrebbero servire contemporaneamente a raccogliere notizie e a «punire» i «reazionari» più esposti. Se questi sono gli elementi di continuità, vi è tuttavia una grossa innovazione collegata all’uso delle armi. Nel periodo precedente mitra e pistole erano stati utilizzati solo come strumenti di intimidazione: immobilizzare il pubblico duran te le irruzioni, minacciare le vittime durante i sequestri. In questo secondo periodo, invece, le armi vengono usate diret tamente contro le persone per ferire e per uccidere. Le Br compiono e rivendicano cinque azioni di ferimento premedi tate45. L ’uso delle armi contro le persone è probabilmente 44
Si vedano, tra gli episodi più tragici: gli assassini del maresciallo Maritano nel covo di Robbiano di Mediglia; dell’appuntato dei carabinieri D ’Alfonso durante la libe razione dell’industriale Vallarino Gancia ad Acqui Terme; dell’agente N iedda a Ponte di Brenta; del comm. Cusano a Biella; del vicequestore Padovani e del mare sciallo Bazzega a Milano, durante l’irruzione in casa di Walter Alasia.
45
Nel periodo precedente l’assassinio del procuratore della Repubblica di Genova e degli uomini della sua scorta, le Br compiono quattro ferimenti contro obiettivi connessi alla fabbrica: Enrico Boffa, capo del personale alla Singer; Valerio Di M ar co, capo del personale alla Leyland-Innocenti; Luigi Solerà, medico alla Fiat Mirafiori; e M atteo Palmieri, capo delle guardie della Magneti Marcili. Un ferimento, quello già ricordato del consigliere M assimo De Carolis, colpisce un esponente po litico democristiano.
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una soglia oltrepassata la quale il fanatismo brigatista non ri conosce più limiti alla possibilità di colpire il bene dell’inte grità fisica. Insieme ai primi ferimenti si registrano cosi i pri mi assassini. A Padova, il 17 giugno del 1974, una irruzione nella sede provinciale del Msi termina con l’uccisione di due militanti di destra. L ’azione è rivendicata, ma l’assassinio viene presentato come un incidente sul lavoro. E tuttavia, nel volantino di rivendicazione dei due omicidi, le Br (ricor dando la strage di Piazza della Loggia di venti giorni prima) scrivono che «le forze rivoluzionarie sono da Brescia in poi legittimate a rispondere alla barbarie fascista con la giustizia armata del proletariato»46. Anche in seguito, fino all’assassinio del Procuratore generale di Genova e della sua scorta, gli omicidi non sono premedita ti: come si è ricordato, essi avvengono nel corso degli scontri ingaggiati con le forze dell’ordine nel tentativo di sottrarsi all’arresto. La strage di Genova, nel giugno del 1976, rappresenta il su peramento di una soglia ulteriore del processo di inarrestabi le imbarbarimento delle azioni verso le forme più tipicamen te terroristiche. Lungi dal rappresentare una prova di reale forza dell’organizzazione clandestina, il triplice assassinio costituisce una criminale «scommessa» sulla capacità dell’or ganizzazione di concentrare gli sforzi di tutti i militanti rego lari scampati all’arresto (meno di una decina, come si è già detto) nell’esecuzione di un’impresa cosi clamorosa da «ri lanciare» le Br, facendole apparire ancora ben salde ed in crescendo, nonostante l’incarcerazione dei «capi storici» (che proprio in quei giorni la Corte d ’assise di Torino aveva co minciato a processare). Purtroppo, il disegno delle Br avrà successo, grazie anche al cospicuo autofinanziamento otte nuto col sequestro dell’industriale Costa e la già ricordata ri strutturazione degli apparati di risposta dello stato (rispetto agli schemi di intervento adottati dopo il sequestro Sossi) sarà obiettivamente causa di ritardi nella lotta contro le rie mergenti Br. 46
Citato in Soccorso rosso (1976: 253).
181
2.3. Linee interpretative: il terrorismo nella crisi economica Per analizzare l’evoluzione delle Br in questo periodo occor re certamente tenere presenti sia variabili esterne all’orga nizzazione che variabili ad essa interne. In relazione al primo tipo di variabili, è possibile che sulle vi cende del gruppo terroristico si rifletta la crisi dei movimenti sociali emersi nel periodo precedente. La protesta ristagna nelle università; le fragili organizzazioni che compongono il panorama della sinistra extraparlamentare scompaiono, ten tano effimere alleanze, affrontano senza successo le scadenze elettorali; la «crisi del petrolio» del 1973 e la politica di au sterity ad essa succeduta pongono ai sindacati nuovi e diffici li problemi, connessi all’inflazione, alla cassa integrazione, al decentramento produttivo. La fase bassa del ciclo di lotte che conseguentemente si determina produce una «eccedenza di militanza»47, cioè libera un’area di ex militanti, delusi dal le forme legali del comportamento collettivo, che potrebbero costituire una base di reclutamento per le organizzazioni clandestine. Un altro elemento che potrebbe aver contribuito ad ampliare l’area dei delusi dalla politica tradizionale, potenziale ambito di riferimento delle organizzazioni sovversive, è stato da al cuni individuato nella linea del «compromesso storico» adot tata dal Pei. Secondo questa ipotesi la violenza terroristica emergerebbe come reazione al patto sociale, rappresentando una sorta di «surrogato simbolico della lotta di classe»48. Sempre in relazione ai problemi posti dal «compromesso sto rico», altri hanno invece riflettuto sul singolare attivarsi del le Br ogni volta che i rapporti di forza, nel nostro Paese, ten-
47
Si veda l’ipotesi illustrata da Alessandro Pizzorno in «M ondoperaio» (1978).
48
C fr. Ferrajoli (1979). Per alcuni spunti sul rapporto tra emergere del terrorismo e degenerazione dei movimenti collettivi, si vedano anche Alberto Melucci (1978) e Federico Stam e (1979).
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dono a modificarsi in senso diverso da quello tradizionale49. All’interno di questa ipotesi, è stata poi suggerita l’opportu nità di affrontare il tema del terrorismo come fenomeno an che solo parzialmente eterodiretto: tema questo ancora aper to, ma fuori dei limiti di questa trattazione50. Pur considerando di enorme rilevanza l’influenza delle varia bili esterne, crediamo si possa affermare che il processo evo lutivo delle Br in questa fase non potrà essere pienamente compreso se non si ricostruiranno le dinamiche interne alla organizzazione clandestina. Il percorso compiuto dalle Br — e, in modo ancora più rapido, dai N ap 5l, la cui avventura non dura più di un paio d ’anni — è del tutto simile a quello di altri gruppi armati nelle democrazie industriali. Per la lo gica stessa deU’agire clandestino le organizzazioni terroristiche perdono gradualmente ogni contatto — materiale e ideo logico — con la realtà. Il bisogno di sottrarsi alla repressione allontana dai luoghi dell’azione collettiva; molti dei militanti reclutati nelle fabbriche sono costretti a licenziarsi per paura di essere arrestati. Si riduce conseguentemente la capacità di — e la stessa aspirazione a — svolgere un’attività di agitazio ne politica per cercare di influenzare le scelte del movimento di massa. Per supplire alla debolezza organizzativa si accen tua l’utilizzazione della violenza terroristica, con il rischio di una stigmatizzazione senza appello da parte degli strati so ciali dei quali si vorrebbe il sostegno. Man mano che la so pravvivenza dell’organizzazione tende sempre più a dipen dere dall’esito degli scontri diretti con le forze dell’ordine, le sorti del gruppo sembrano segnate. Approfondiremo il punto nella parte finale della relazione. Per adesso, basti segnalare che già in questo periodo si manifestano segnali in tal senso: a dispetto del rilancio dell’organizzazione che la strage di Genova del 1976 apparentemente comporta.
49
Alcune riflessioni in questa direzione in G ian Carlo Caselli (1979).
50
Su questo tema si veda Luciano Violante (1983).
51
La storia dei Nap è stata ricostruita in Soccorso rosso di Napoli (1976).
183
3. La strategia dell’annientamento (1977-1978) È l’esistenza di questa nuova fase di recrudescenza che diffe renzia sostanzialmente il terrorismo italiano rispetto a feno meni — analoghi in una prima fase — presenti in altre de mocrazie industriali nel corso dello stesso decennio52. La de generazione violenta di alcuni fenomeni collettivi emersi tra la fine del 1976 e l’inizio del 1977 fornisce una nuova base potenziale alle organizzazioni clandestine che sembravano — alla fine del periodo precedente — in fase di declino. L ’emergere di una nuova area di riferimento produce ampie modificazioni sia nella struttura organizzativa che nell’entità e nel tipo delle azioni terroristiche.
3.1. L ’organizzazione: il partito comunista combattente Obiettivo dei militanti brigatisti diviene, all’inizio di questo periodo, la organizzazione di un’area tendenzialmente dispo nibile ad azioni armate, ampia ma disomogenea e disarticola ta. E in questa direzione che viene rilanciato il progetto di costituzione del partito combattente. Nell’aprile del 1977, le Br scrivono infatti che si è sviluppata all’interno degli strati proletari un’avanguardia che «ha fatto sua la linea della lotta armata per il comunismo... si è formato cosi un vero e pro prio movimento di resistenza armata che, seppure disperso nei mille rivoli di movimenti parziali di lotta, per la sua in tensità e per la sua maturità politica ha posto le premesse del la guerra civile e della guerra di popolo»55. Nel giugno dello stesso anno l’organizzazione sottolinea la necessità che da queste lotte venga espressa una direzione rivoluzionaria:
52
Per informazioni esaurienti sulla storia del terrorismo in Repubblica Federale T e desca, Stati Uniti d ’America e Giappone, tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta, rinviamo rispettivamente ai saggi di Iring Fetscher, Ted R. G urr e Hiroshi Kawahara, raccolti in della Porta e Pasquino (1983a). Per alcune ri flessioni comparate fra i tre casi storici citati e il caso italiano, si veda, nello stesso volume, G ianfranco Pasquino (1983a).
51
Brigate rosse (1977: 1).
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«Insieme a questa ricchezza e complessità permane ancora una notevole dispersione di forze, causata dalla collocazione particolaristica di molte avanguardie armate che si battono fondamentalmente entro i limiti ristretti delle situazioni spe cifiche di cui sono espressione»54. E questa funzione di parti to guida che le Br vorrebbero assolvere: «Per trasformare il processo di guerra civile strisciante — si legge nello stesso documento — ancora disperso e disorganizzato, in un’offen siva generale diretta da un disegno unitario, è necessario svi luppare e unificare il Movimento proletario di rèsistenza co struendo il partito combattente»55. Mentre le organizzazioni terroristiche emergenti tentano — differentemente da quanto avevano fatto i Nap — di darsi una struttura alternativa a quella sperimentata dai gruppi ar mati in passato, per l’attuazione del progetto sopra delineato i brigatisti ripropongono sostanzialmente lo stesso modello organizzativo56già espresso nel documento ritrovato nel covo di Piacenza quattro anni prima. Si registrano tuttavia alcune modifiche e le principali ci sembrano le seguenti: a) si precisa meglio la distinzione tra regolari e irregolari: non più esclusivamente collegata alla posizione di clandesti nità/non clandestinità degli individui, la suddivisione tra i due tipi di militanza riflette sempre più la gerarchia tra chi si dedica in modo completo all’organizzazione e chi svolge sol tanto compiti saltuari; difatti, viene introdotta la nuova figu ra del «regolare legale», considerando tale colui che continua a vivere con le sue generalità, pur «lavorando» a tempo pieno nell’organizzazione; b) l’articolazione geografica acquista dei referenti più precisi, potendo ora contare su cinque colonne: oltre a quelle «tradi
54
Ibidem, p. 4.
55
Ibidem.
56
La struttura organizzativa viene esposta in Brigate rosse (1978).
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zionali» di Milano, di Torino e del Veneto, l’ormai autono ma colonna di Genova, mentre una nuova colonna viene isti tuita a Roma; c) si cerca di reagire al profondo divario fra teoria e prassi che aveva impedito ai fronti — in passato — di funzionare in modo coerente con una visione decentrata dell’organizzazio ne: ma il rimedio escogitato si risolve in una meccanicistica riproposizione dei modelli precedenti, con l’unica variante che i fronti vengono ridotti a due (logistico e di massa; quest’ul timo detto anche della controrivoluzione), mentre il numero crescente di militanti imprigionati e la tendenza dei medesi mi ad organizzarsi nelle cosiddette «brigate di campo» fa si che cominci a porsi il problema della creazione di un fronte carceri57. Ancora una volta, però, finisce per prevalere l’impostazione verticistica e centralizzata: di fatto il potere è concentrato soprattutto nel Comitato esecutivo, mentre i fronti sono ri dotti ad una specie di «sottoesecutivo», senza essere real mente in grado di percorrere l’organizzazione per linee oriz zontali. Non basta, evidentemente, scrivere che «i fronti so no i vettori della linea politica dell’organizzazione, che en trano in rapporto dialettico con i poli d ’intervento (colonne), dove questi assumono il ruolo di terreno di classe in cui la li nea generale si media e si articola con la realtà di movimen to» ,8; in realtà, le Br assomigliano sempre più ad una monar chia assoluta, dove l’esecutivo tutto controlla, coordina e di rige. Anche se in questa fase le Br non riusciranno a realizzare la loro aspirazione a centralizzare e coordinare le diverse istan57
Se ne era parlato già nel 1975, ma non sembra che la proposta avesse poi avuto concreto seguito.
58
Brigate rosse (1978: 57). Va da sé che qui si affronta la questione unicamente dal punto di vista politico della corrispondenza tra realtà e modello teorico di organiz zazione delle Br. Resta invece del tutto estraneo alle considerazioni svolte nel testo il profilo delle responsabilità penali eventualmente ricollegabili all’appartenenza a questo e quell’organismo interno delle Br.
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ze del Movimento proletario resistenza offensiva (Mpro) verso la costituzione del partito comunista combattente, ci sembra si possa affermare che, nel medio periodo, i brigatisti coglieranno i frutti della loro migliore strutturazione orga nizzativa, sopravvivendo più a lungo degli altri gruppi del terrorismo diffuso. Già in questo periodo, comunque, la fre quenza e la diffusione geografica delle azioni rivendicate dal le Br rende più che credibile l’ipotesi di un notevole raffor zamento dell’organizzazione terroristica. Mentre nelle due fasi precedenti l’attività dei terroristi aveva avuto un anda mento sporadico, con concentrazione nei mesi invernali e lunghi silenzi tra un’azione e l’altra, sin dall’inizio del 1977 essa riprende con continuità e virulenza, concedendo solo brevissime pause tra la fine di luglio e l’inizio di settembre. All’intervento saltuario si sostituiscono le «campagne», cioè gli insiemi di azioni compiute contemporaneamente da di verse colonne contro obiettivi del medesimo settore. Interessante sarebbe a questo punto stabilire dove i brigati sti riescano a reclutare in questi anni, come essi abbiano po tuto ricostruire un’organizzazione che sembrava compro messa. Ancora una volta, mancano su questo soggetto degli studi a cui fare riferimento e avanzeremo, quindi, soltanto qualche ipotesi. Un luogo comune che emerge spesso nelle analisi sulla «seconda ondata» di terrorismo è la diversità tra brigatisti «storici» e brigatisti della nuova generazione. L ’af fermazione non sembra confutabile. Se, come confermano diverse testimonianze, polizia e carabinieri riescono — tra il 1975 ed il 1976 — ad infliggere duri colpi alla organizzazio ne delle Br, se meno di una decina di brigatisti regolari resta no alla fine del 1976 in libertà, è ovvio affermare che la membership della principale organizzazione del terrorismo di sinistra subisce subito dopo un ricambio quasi radicale. Pochissimi dei terroristi della prima generazione sono in li bertà 59. Anche se, all’inizio del periodo, sono i brigatisti di più antica militanza a mantenere i posti chiave della organiz 59
Solo M oretti, Micaletto, Azzolini, Bonisoli, Gallinari (che riesce ad evadere nel gennaio 1976).
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zazione, essi condivideranno la direzione con militanti re clutati in seguito60. Si rinnova, inoltre, grandemente, la composizione dei militanti di base e, forse, mutano alcune loro caratteristiche. E ovvio, innanzitutto, che i brigatisti che entrano in questi anni nell’organizzazione sono quasi sempre più giovani: mentre nel periodo precedente la data di nascita dei principali imputati nei processi Br oscillava tra il 1945 ed il 1950, le nuove reclute sono nate (ma si tratta pur sempre di informazioni frammentarie) tra il 1950 e il 1955. L ’atteggiamento più «militarista» potrebbe essere conse guenza del livello di evoluzione dell’organizzazione clande stina, piuttosto che di tendenze personali. Secondo ipotesi da verificare, infine, i brigatisti della seconda generazione dovrebbero differenziarsi dai precedenti in relazione all’estrazione sociale e alle esperienze politiche di provenien za. L ’analisi del processo di reclutamento andrebbe probabil mente articolata nei diversi contesti geografici. Se l’inter vento nelle fabbriche dei poli industriali ha portato ad un certo numero di adesioni fra gli operai61 è probabile che da altre situazioni siano invece venuti militanti di diversa estra zione sociale. Si potrebbe, per esempio, ipotizzare che la co lonna romana abbia trovato un certo seguito all’interno delle lotte dure dentro l’università, nei collettivi autonomi stu denteschi «forgiati» anche dagli scontri con le bande rivali dell’estrema destra. Solo una ricerca specifica sui percorsi politici dei militanti della lotta armata potrà dirci quale peso abbiano avuto nel reclutamento delle organizzazioni terroristiche la già ricor data crisi dei gruppi politici nati all’inizio degli anni settanta (soprattutto, Potere operaio e Lotta continua: a Lotta conti nua apparteneva, per fare un esempio fra tanti, il brigatista Walter Alasia, morto in un conflitto a fuoco con la polizia al la fine del 1976 e da Lotta continua provengono molti mili 60
Raffaele Fiore, Riccardo Dura, Luca Nicolotti, Cristoforo Piancone, tra gli altri.
61
Erano, per esempio, operai Panciarelli alla Lancia, Fiore alla Breda Fucine, Pianco ne, Iovine e Betassa alla Fiat, Bonisoli in una piccola fabbrica; e notevole è il nu mero degli operai fra gli arrestati per reati connessi al terrorismo (58 su 175, per esempio, nel primo semestre del 1980).
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tanti dei Nap e di Prima linea - PI) nonché i residui dei col lettivi autonomi nelle fabbriche e la degenerazione dei grup pi più violenti del movimento del 77 nell’università. 3.2. L ’azione: la «disarticolazione del sistema» Sotto l’influenza degli avvenimenti esterni e, in parte, in conseguenza di alcune dinamiche evolutive interne, le Br trasformano (talora accentuando un processo già in atto) molte delle parole d ’ordine relative alla strategia (dalla «pro paganda armata» alla «guerra civile dispiegata»); agli obietti vi (dalla fabbrica al «cuore dello stato»); alla definizione del nemico (dal neo-gollismo alla socialdemocrazia); alle tattiche (dal «mordi e fuggi» alla «disarticolazione degli apparati»); alle forme d ’intervento (dalle azioni punitive all’«annientamento»). Mutano conseguentemente i bersagli delle azioni62: con l’ac centuazione dello scontro tra le forze dell’ordine aumenta la porzione di attentati contro carabinieri e polizia; la scelta de gli obiettivi è indirizzata verso nuovi bersagli dal desiderio di far confluire verso l’organizzazione le simpatie dei mili tanti dell’area della lotta armata, ma contemporaneamente non vengono trascurati i bersagli politici più tradizionali e quelli connessi alla fabbrica. L ’assassinio del Procuratore generale Coco — che pure si colloca nella fase precedente — rappresenta un tragico «pon te» nel processo di passaggio dalle azioni di propaganda ar mata ad azioni che hanno come scopo la «disarticolazione» delle strutture dello stato. Obiettivo non è più soltanto il «disvelamento» delle manovre occulte del potere o la «puni zione» dei nemici del movimento collettivo; l’organizzazione terroristica si auto-attribuisce il compito di attaccare e di struggere il potere capitalistico. Se all’inizio della loro storia 62
Per una ricostruzione dell’attività delle Br in questa fase sono stati utilizzati, oltre a Gaileni (1981), Alberti e Caselli (1980); Barbano, Andruetto, Costanzo e Monticelli (1980). Sono stati consultati, inoltre: Tribunale di Torino (1980 e 1982), T ri bunale di Roma (1981c), Tribunale di Venezia (1982).
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le Br avevano cercato di arrogarsi il ruolo di avanguardia del movimento, comprendendovi anche le componenti istituzio nali, ora (e ormai da anni) la contrapposizione è assolutamen te insanabile, ed i «berlingueriani» vengono considerati alla stregua di nemici da battere. Lo stato borghese, si legge nella risoluzione della direzione strategica del 1978, utilizza alter nativamente fascismo e socialdemocrazia. Se in passato si so no avuti dei tentativi autoritari, il progetto attuale è invece il patto neo-corporativo, che assegna al Pei il compito di con trollare la classe operaia: in questa situazione, la lotta armata diverrebbe l’unico strumento di rivolta contro il sistema. Ma è evidente che queste elucubrazioni ideologiche delle Br, se rispecchiano in parte — deformandole — alcune trasfor mazioni negli assetti politici, servono soprattutto a raziona lizzare l’isolamento dell’organizzazione rispetto agli strati sociali a cui si richiama. Il passaggio dalla propaganda armata alla logica dell’«annientamento» coincide con una trasformazione nel tipo di bersa glio contro cui si indirizza l’azione. Nelle azioni di fabbrica emerge con notevole evidenza il contrasto rispetto all’atti vità iniziale: mentre prima la scelta di ogni vittima era minu ziosamente «giustificata» con l’elencazione delle «colpe» per sonali di cui essa si era macchiata (secondo l’ottica — s’in tende — delle Br), in questi anni si colpisce invece a caso fra le migliaia di dirigenti e quadri intermedi delle aziende più grandi. Nel corso del biennio le Br mettono cosi in atto 18 ferimenti e un assassinio tra il personale di Fiat e Lancia a Torino; Sit Siemens, Alfa, Breda e Pirelli a Milano; Italsider e Ansaldo a Genova. Due industriali vengono inoltre feriti dai brigatisti. In nessuna di queste azioni — ci sembra — ci si preoccupa più di tanto di sottolineare sia pure a fini propa gandistici, le «responsabilità» personali della vittima, che viene invece colpita solo perché — assolvendo ad un compi to in un complesso ingranaggio — diviene un simbolo del si stema che si vuole distruggere 63. Colpendo in maniera indi 63
Clam oroso, a Torino, è il caso del ferimento Ghirotto, dove per errore si ferisce un soggetto diverso («colpevole» soltanto di essere gemello della vittima designata)
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scriminata gli appartenenti a certi gruppi sociali si mira a dif fondere un terrore generalizzato in alcune categorie, al fine di inceppare in più punti il funzionamento di alcuni «sistemi di comando». Mentre la dinamica conflittuale all’interno della fabbrica si «raffredda», l’organizzazione terroristica si isola sempre più dalle scadenze delle lotte sindacali e l’azione dei brigatisti tende a rivolgersi con maggiore frequenza verso obiettivi po litici. Se i gruppi del terrorismo diffuso indirizzano la loro attività verso i simboli di un potere che penetra negli ambiti più privati della vita di ogni individuo — colpendo ginecolo gi, psichiatri, spacciatori di droga, per fare alcuni esempi — l’attività delle Br si concentra contro la De, individuata co me espressione nazionale dell’accordo tra i regimi capitalisti ci verso la costituzione dello «stato imperialista delle multi nazionali». Le azioni contro il maggiore partito di governo seguono in questo periodo due logiche distinte. Da un lato ben dodici ferimenti di consiglieri comunali e regionali de mocristiani 64 mostrano la volontà dei brigatisti di persevera re nel loro programma di disarticolazione dell’apparato stata le attraverso un’azione capillare di intimidazione del perso nale politico a livello intermedio. Dall’altro lato, a questa prima tattica esemplificata nella parola d ’ordine in quegli an ni già tristemente famosa «colpirne uno per educarne cento», i brigatisti iniziano ad affiancare azioni rivolte invece, in una logica maggiormente di scontro diretto, alla eliminazione fi sica degli avversari politici ritenuti personalmente più peri colosi per la realizzazione del progetto terroristico. Emble matico è, in questo senso, il delitto certamente più grave di tutto il periodo: il rapimento del Presidente della De Aldo Moro che costa la vita ai cinque uomini della scorta e, alla fi ne del lungo e drammatico sequestro, l’uccisione dell’ostagper poi scrivere — nel volantino di rivendicazione — che l’errore non cambia nul la, perché (trattandosi pur sempre di dipendenti Fiat) un gemello vale l’altro... an che politicamente. 64
Va poi ricordato, alla fine del periodo, l’agguato al deputato democristiano Galloni ed il ferimento di due agenti della sua scorta.
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g io 65. Incuranti del loro isolamento — o forse proprio in un estremo tentativo di reagire ad esso — i brigatisti tentano cioè di ingaggiare uno scontro con lo stato basato sulla logica militare della massimizzazione delle perdite reali del nemico. Com’era logico prevedere data l’enorme sproporzione delle forze in campo, l’ambizioso programma delle Br — si vedrà nel prossimo paragrafo — fallisce e l’esito del sequestro di Aldo Moro sarà anzi un dirompente fattore di crisi. Attra verso il rapimento i terroristi avevano mirato a raggiungere un duplice obiettivo: mobilitare i diversi gruppi armati ope ranti nel paese spingendoli ad intensificare le azioni ed eleva re il livello d’attacco suscitando un clima da guerra civile che facilitasse una qualche forma di legittimazione dell’organiz zazione da parte delle istituzioni statali. Tale progetto falli sce: non solo le Br non riescono ad ottenere nessun tipo di ri conoscimento da parte delle istituzioni, ma inoltre la decisio ne di uccidere l’ostaggio produce forti polemiche sia con i militanti di altre formazioni clandestine che all’interno stes so dell’organizzazione. In crisi nella loro aspirazione ad ottenere un più ampio con senso nelle fabbriche, per reclutare nuove forze le Br — si vedrà con più chiarezza nel periodo successivo — si rivolgo no inoltre ai nuovi gruppi che hanno scelto forme d ’azione violenta, ma si muovono su obiettivi esterni al mondo del la voro. L ’emergere del terrorismo diffuso sembra influenzare anche l’ideologia brigatista. Mentre in passato le formulazio ni teoriche si erano abbondantemente ispirate alle ideologie marxiste-leniniste, a partire dal 1977 — pur senza rinnegare le affiliazioni culturali delle origini — si ammette l’esistenza di un soggetto rivoluzionario non necessariamente interno alla fabbrica6é. Se in passato il compito dell’avanguardia ar-
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Molto è stato scritto sul più eclatante delitto compiuto dalle Br. Si vedano, tra gli altri, Giorgio Bocca (1978) e David M oss (1981).
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Q uesto processo appare direttam ente condizionato dal progressivo rafforzamento della colonna romana e dal porsi delle Br come organizzazione a carattere veramen te nazionale: ne derivano, ad esempio, l’intervento sul terziario e sul proletariato marginale ed emarginato, e l’ingresso nelle Br di una forte componente «spontanei-
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mata doveva essere quello di risvegliare all’obiettivo della ri voluzione la classe operaia, nei documenti di questo periodo si parla invece di un soggetto, in parte esterno alla fabbrica, che avrebbe già imboccato la via della guerra civile. Per dare dignità teorica alla ridefinizione della base di riferimento, la risoluzione della direzione strategica del 1978 contiene un lungo paragrafo dedicato all’analisi della struttura di classe nelle società del capitalismo maturo. Secondo quanto scrivo no i brigatisti, nella grande industria solo l’operaio-massa avrebbe interessi rivoluzionari, mentre l’operaio professio nale avrebbe invece aspirazioni riformiste. I migliori alleati dell’operaio-massa si troverebbero cosi all’esterno della fab brica: tra i lavoratori manuali dei servizi (per esempio, non casualmente, gli ospedalieri), nell’esercito industriale di ri serva, nel proletariato marginale. Da questi gruppi starebbe ro emergendo, secondo i brigatisti, quelle lotte, armate ma disperse, che il «partito comunista combattente» aspira a riu nificare. Al tentativo di influenzare questi gruppi sociali — in realtà, al tentativo di egemonizzare i gruppi clandestini nati dopo il movimento del 77 — si rivolgono alcune azioni: la più emblematica delle quali è forse il ferimento del preside della facoltà di Economia e commercio dell’ateneo romano, avvenuta nella fase più acuta dei disordini all’università. Forse anche nell’ottica di una acquisizione di «prestigio» da spendere verso l’egemonizzazione dei piccoli gruppi clande stini potrebbe essere interpretata la campagna contro i gior nalisti messa in atto nei primi tre giorni di giugno del 197767 con la tragica conclusione dell’agguato mortale al vicediret tore de «La Stampa», Casalegno. Va comunque aggiunto a questo proposito che la campagna contro i giornalisti ha an che obiettivi di intimidazione e «punizione» contro la stam pa che proprio in questo periodo — con più decisione e chiasta» form atasi nell’am bito dell’Autonomia. Q uesti fattori, che si accompagnano all’inizio della crisi del rapporto con le fabbriche (terreno di sviluppo delle prime esperienze Br), determinano il tipo di evoluzione dell'organizzazione clandestina che descriveremo nel paragrafo successivo. 67
Si ricordino i ferimenti del vicedirettore de «Il secolo X I X » di Genova, Bruno; del direttore de «Il giornale nuovo» di Milano, Montanelli; del direttore del telegior nale della Rete 1 della Rai, Rossi.
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rezza che in passato — si impegna nella lotta contro il terro rismo. Agli obiettivi di propaganda si sommano, infine, le azioni connesse alla guerra dichiarata dalle Br contro gli apparati repressivi dello stato. Elevatissimo è il bilancio degli assassi ni compiuti dai brigatisti contro le forze dell’ordine e la ma gistratura che pagano, in questo periodo, il tragico «prezzo» di ben quindici vite umane. Speciale menzione merita — in questo senso — l’impressio nante serie di delitti realizzati dalle Br per impedire che si celebrasse, a Torino, il processo contro i cosiddetti «capi sto rici» del quale vale la pena di ricordare brevemente le vicen de. Già l’omicidio Coco (giugno 76) aveva impedito — di fatto — la prosecuzione del dibattimento appena iniziato. Nell’aprile 1977 l’omicidio Croce impedisce nei fatti la forma zione della giuria popolare: ed il processo deve essere nuova mente rinviato. Nel marzo 1978, per la terza volta, la Corte d ’assise di Torino cerca di celebrarlo. La nuova tornata pro cessuale viene scandita — fuori dall’aula — da attentati pro grammati con cinismo inesorabile: l’omicidio del maresciallo Berardi, proprio all’inizio del processo; poi le tragiche vicen de connesse al sequestro dell’onorevole Moro; infine l’omici dio del commissario Esposito, «collocato» in modo da coinci dere con l’ingresso in camera di consiglio della Corte. Ma questa volta il processo si conclude (il 23 giugno 1978), e la sconfitta politica per le Br è pesante. Il gruppo terroristico aveva proclamato che quello di Torino non era «un» proces so, ma «il» processo alla lotta armata: e che la lotta armata non poteva — in realtà — essere processata. Perciò le Br si erano proposte due obiettivi: a) intimidire quanti (magistra ti, giudici popolari e difensori d’ufficio) dovevano assicurare lo svolgimento del processo; b) dimostrare che alla conclusio ne del processo lo stato avrebbe potuto arrivare soltanto ri nunciando all’applicazione delle regole democratiche, rive lando cosi la sua «vera» natura autoritaria, di stato fondato sull’arbitraria repressione di ogni «dissenso». Lo scrupoloso rispetto della legalità democratica, invece, contribuisce non poco ad incuneare nei gruppi terroristici elementi di crisi.
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Proprio nel momento in cui si rivela falsa la teoria delle Br secondo cui lo stato democratico sarebbe stato incapace di giudicare la lotta armata (se non a prezzo di imbarbarire il processo, venendo meno ai principi costituzionali e barando rispetto alle regole dello stato di diritto), nel medesimo tem po si incrina fortemente il «prestigio» delle Br rispetto a vari strati di «referenti» e si determinano — all’interno dello stesso gruppo — profondi dissensi. Ed è cosi che le Br devo no cominciare a misurarsi con le gravi difficoltà politiche ed organizzative di cui ci occuperemo nel prossimo paragrafo. Lo sforzo di disarticolazione è, inoltre, indirizzato verso il settore del Ministero di grazia e giustizia e delle carceri. Co stretti dalla creazione delle carceri di massima sicurezza a ri nunciare a qualunque progetto di liberazione dei compagni detenuti, i brigatisti ripiegano su un’impressionante sequen za di gravissimi delitti contro magistrati e agenti di custo d ia 6® che si conclude con una azione che è emblematica esemplificazione della nuova «logica» di intervento che guida l’attività criminale delle Br: l’uccisione, in un agguato sotto le mura delle carceri Nuove di Torino, di due agenti di Ps in servizio di sorveglianza esterna. Il tentativo di influenzare, con azioni di entità rilevante, l’area della lotta armata converge con l’accentuazione dell’entità dello scontro con gli apparati repressivi dello stato nel determinare un aggravamento delle forme dell’azione. La trasformazione del tipo di intervento viene giustificata ideo logicamente come passaggio dalla «pace armata» alla «guerra civile dispiegata»: Disarticolare le forze del nemico significa portare un attacco il cui obiettivo principale è ancora quello di propagandare la lotta armata e la sua ne cessità, ma in esso già comincia ad operare anche
Dal ferimento Traversi e dagli omicidi Palma e Tartaglione (magistrati operanti presso il Ministero) agli omicidi di Cutugno a Torino, De Cataldo a Milano e Santoro a Udine (tutti nel corpo degli agenti di custodia).
il principio tattico proprio della fase successiva: la distruzione delle forze del nemico... La disartico lazione delle forze del nemico è quindi l’ultimo periodo della fase della propaganda armata e in troduce progressivamente in quella della guerra ci vile rivoluzionaria69. In modo tragicamente coerente con la proclamazione di que sta riuova fase cresce ancora, rispetto agli anni precedenti, la violenza delle tattiche utilizzate. Diverse sono le ragioni ipo tizzabili per spiegare questo progressivo imbarbarimento. In primo luogo, i ferimenti e gli assassini servono probabilmen te a dimostrare la propria efficacia tecnica allo scopo di ege monizzare un’area già disponibile alla lotta armata; non sem bra ci sia invece più l’aspirazione ad attirare in quest’orbita anche nuovi soggetti (ad essa ancora estranei) cercando di convincerli — con la pratica della lotta armata — della «ine luttabilità» del ricorso a mezzi d ’azione violenti. In secondo luogo, rispetto ad una audience già assuefatta ad un certo li vello di violenza, gli assassini costituiscono lo strumento bie co che consente di mantenere l’attenzione del pubblico anco ra concentrata sulle attività dei terroristi. In terzo luogo, la crescente crudeltà delle forme d ’intervento utilizzate deriva dalla «rabbia» che l’incipiente crisi politica dell’organizzazio ne determina, scatenando la ferocia nell’illusione che tale crisi possa essere nascosta innalzando sempre più il livello «militare» di scontro. Va infine ricordato che il progetto di una maggiore efficacia militare delle azioni è stato esplicitamente teorizzato nei do cumenti dell’organizzazione. Scrivono le Br nel tentativo di razionalizzare in chiave ideologica l’escalation del terrore: All’inizio e per forza di cose operavamo per picco li nuclei e abbiamo praticato piccole azioni. Poi, crescendo la forza e il radicamento della guerri glia, siamo passati ad azioni più complesse che im 69
Brigati rosse (1978: 41-42).
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pegnano contemporaneamente, ma sempre in pic cole azioni, pili nuclei. Oltre ancora la guerriglia si è mossa per campagne e cioè contemporaneamen te in più poli sulla stessa linea di combattimento. Questa è una direttrice di crescita della guerriglia. Una seconda direttrice è stata quella del passaggio da azioni rapide («mordi e fuggi») ad «azioni pro lungate» (Amerio, Sossi, Costa). Ciò ci ha consen tito di svolgere una propaganda armata più incisi va e di dimostrare al movimento di resistenza i li velli raggiunti dalla guerriglia nell’organizzazione del potere proletario. Ci ha consentito inoltre di moltiplicare le contraddizioni all’interno dello Stato. Una terza direttrice, infine, è stata quella del rapido concentramento di forze numerose per attaccare il nemico in piccole battaglie (Casale, Coco). [...] La ristrutturazione dello Stato Impe rialista delle Multinazionali si caratterizza per la sua militarizzazione e per la concentrazione di forze militari a difesa dei suoi organismi vitali... Sviluppare l’iniziativa rivoluzionaria per disarti colare politicamente e militarmente questo appa rato comporta l’adozione di nuove tecniche di combattimento che prefigurino e facciano vivere fin da oggi l’aspetto fondamentale della guerra ci vile dispiegata: l’annientamento delle forze impe rialiste 70. 3.3. Linee interpretative: violenza politica e movimento del 77 Poiché la riorganizzazione delle Br dopo la grave crisi del pe riodo precedente è indubbiamente connessa all’emergere di nuovi fermenti collettivi che si indirizzano rapidamente ver so forme d’azione di una violenza estrema, il dibattito sulla storia della principale formazione del terrorismo in Italia coincide in parte con quello sulle origini della protesta nel 1977 e sulle ragioni della sua degenerazione. 70
Ibidem, pp. 42-43, passim.
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Secondo una delle possibili interpretazioni, la deviazione del movimento collettivo emerso all’inizio del periodo verso for me violente sarebbe collegata non alla natura intrinseca degli obiettivi di protesta, ma piuttosto al mettersi in moto di di namiche distruttive. Se U fattore scatenante della protesta sono alcune proposte di riforma dell’università, in cui gli stu denti denunciano una volontà restauratrice tendente a di struggere una serie di conquiste realizzate a partire dal 1968, nel movimento confluiscono, tuttavia — sin dalla prima fase della sua esistenza — tutta una serie di esperienze emerse in aree d’intervento esterne sia alla scuola che alla fabbrica: i circoli del proletariato giovanile, i consultori nati dal movi mento femminista, le ronde contro gli spacciatori di droga, i comitati per l’«autoriduzione» delle tariffe dell’elettricità co si come del prezzo del biglietto del cinema, le radio libere or ganizzate da collettivi di sinistra. Poco influenzata dall’eco nomicismo dei gruppi nati nel 1968, l’ideologia della nuova protesta è più aperta alle tematiche della società post industriale, dell’estensione del dominio degli apparati sugli ambiti più privati della vita dell’individuo, della riappropria zione dei bisogni repressi del corpo e della propria soggetti vità. Dei gruppi marxisti-leninisti si critica il modello orga nizzativo, mentre dalle passate esperienze di lotta viene la sfiducia verso alcune forme di agire politico più tradizionale. Due sono le soluzioni adottate nella ricerca di più efficaci strumenti d ’intervento. Una parte del movimento — la cui espressione saranno, nei giorni più intensi della protesta, gli «indiani metropolitani», ma i cui precursori vanno cercati nel movimento delle donne — sperimenta nuove forme d ’azione che valorizzano la spontaneità e la fantasia, gli happenings musicali sul modello di Parco Lambro, le maschera te, le azioni-eclat. Per un’altra componente del movimento, le esperienze passate di scontro con polizia e fascisti hanno contribuito a mettere in moto una escalation di violenza (dal le spranghe alle molotov, dalle molotov alle P38) sulla quale ha certamente influito la presenza di gruppi terroristici a cui ispirarsi nella giustificazione della violenza e nella scelta del le forme d’azione. Alcuni episodi di repressione nella prima vera del 1977 hanno probabilmente inciso — come era avve nuto qualche anno prima nella Rft — sulla radicalizzazione
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della protesta71. Nell’incapacità di trovare degli obiettivi in termedi sui quali fare maturare la protesta, e nell’isolamento rispetto alle altre forze politiche e sociali, sarà l’ala più vio lenta dei collettivi dell’Autonomia organizzata a prevalere ri spetto alle altre componenti. Dopo pochi mesi di vita il mo vimento è già irrimediabilmente spaccato al suo interno; le assemblee divengono impossibili quando l’ala più violenta inizia ad affrontare attraverso lo scontro fisico anche i con flitti interni; si rinuncia ad ogni tentativo di propagandare all’esterno le ragioni della protesta. Già nel 1978 il movi mento è in piena crisi: se una componente «rifluisce nel pri vato», alcune frange imboccano la strada senza ritorno della clandestinità. Sarà a questa area già propensa a pratiche ille gali di intervento politico che — come abbiamo detto — si rivolgeranno le Br nella loro opera di reclutamento. La nuo va tesi brigatista del passaggio dalla propaganda armata alla guerra civile dispiegata — a cui mostrano di credere in quel periodo anche alcuni osservatori72 — nasce proprio dall’estendersi oggettivo di quello che le Br definiscono come Movimento di resistenza proletario offensivo, «l’area dei comportamenti di classe antagonistici suscitati dall’inaspri mento della crisi economica e politica... l’area delle forze, dei gruppi e dei nuclei rivoluzionari che danno un contenuto politico militare alle loro iniziative di lotta anticapitalista, antiimperialista, antirevisionista e per il comunismo»73. La rapida degenerazione del movimento collettivo del 77 è stata anche analizzata in riferimento alle condizioni del siste71
T ra gli avvenimenti più spesso richiamati dalla stampa del movimento figurano la morte dello studente Francesco Lo Russo e di Giorgiana M asi, e ancora gli inciden ti verificatisi in occasione del comizio di Lama nefi’Ateneo romano (dei quali, per altro, sono state diffuse versioni assai contrastanti). In generale, non si può non os servare che l’influenza delle dinamiche interattive tra componenti violente del mo vimento ed intervento delle forze dell’ordine è materia ancora — sostanzialmente — del tutto inesplorata: per solito, ciascuno l’ha interpretata (fino ad oggi) come più gli conveniva. Sulle dinamiche di passaggio dalla violenza politica alla militanza nei gruppi clandestini, si vedano Calvi (1982) e Stajano (1982).
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Per esempio, Acquaviva (1979a).
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Brigate rosse (1978: 44).
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ma politico e alla composizione del movimento. Si è parlato, a questo proposito, di blocco del sistema politico e di assenza di una opposizione istituzionale: da un lato rilevando come la classe politica italiana sia caratterizzata dalla «incapacità a svolgere i suoi compiti se non in modo ripetitivo, di rinno varsi adeguandosi a nuove esigenze o nuovi stimoli, di svi lupparsi e di autoregolarsi» H; d ’altro lato analizzando l’inca pacità di assolvere ad una funzione di organizzazione degli interessi politici emergenti sia del Pei (impegnato in una poli tica di inserimento istituzionale), sia del sindacato (costretto a misurarsi con le difficoltà di gestire la crisi economica), sia delle formazioni dell’estrema sinistra (le cui potenzialità d ’intervento sono esaurite, anche per effetto del fallimento dell’esperienza elettorale della «nuova sinistra»). Questa interpretazione, tuttavia, andrebbe meglio verificata ed approfondita. Come quella — ancora diversa — secondo cui la protesta assume connotati violenti a causa delle carat teristiche stesse della sua base sociale. Il movimento del 77 è stato spesso descritto come movimento di marginali, precari, non-garantiti, talvolta sottolineando gli aspetti più specificamente economici di queste definizioni e tal’altra invece l’emergere di nuovi sistemi di valori. Una prima analisi delle caratteristiche dei brigatisti arrestati dopo il 1977 non sem bra confermare l’ipotesi di un radicamento del terrorismo tra i gruppi socialmente emarginati75. Mentre la percentuale di disoccupati tra gli arrestati è irrilevante, dai pochi dati di sponibili risulta che molti dei brigatisti erano — prima dell’eventuale passaggio alla clandestinità — inseriti nel mer cato centrale del lavoro (grande fabbrica, pubblico impiego),
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Bonanate(1979a: 177).
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Una connessione fra terrorismo e marginalità viene invece stabilita in Ferrarotti (1979). In altri casi è stata sostenuta l’ipotesi di un rapporto tra il disagio prodotto dalla crescita della disoccupazione giovanile e sviluppo del terrorismo politico. C a valli (1977). N essuna delle due interpretazioni, rispetto ai dati fino ad oggi dispo nibili, sembra in grado di spiegare esaurientemente un fenomeno peculiare al no stro paese e le cui origini devono, quindi, essere ricercate nello specifico intreccio di precondizioni, cause oggettive e fattori scatenanti, realizzatosi nella storia italia na nei due passati decenni.
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svolgendo spesso attività ad un livello professionale elevato (insegnanti, tecnici, ecc.). Per quanto infine riguarda la par tecipazione di studenti — che costituiscono una componente considerevole, anche se non necessariamente maggioritaria, della membership dell’organizzazione — ed ancora l’emerge re di nuovi soggetti collettivi, portatori di sistemi di valori alternativi rispetto sia a quelli proposti dalla cultura borghe se che a quelli diffusi nelle culture operaie, ci limitiamo ad osservare come la disoccupazione intellettuale ed il rifiuto della società industriale siano fenomeni non certo peculiari alla realtà italiana. Le teorie che tentano di spiegare il terro rismo come effetto meccanico della marginalità si rivelano, quindi, deboli per la loro incapacità di rendere conto delle specifiche conseguenze che questi fenomeni sembrano avere prodotto nel nostro paese. Ma il problema (anche in questo caso) è di quelli assai complessi, certamente da affrontare in modo più articolato in altra sede. 4. Lo scontro militare con lo stato per la sopravvivenza dell'or
ganizzazione (1979-1982) Questo periodo, che inizia con l’omicidio del sindacalista Guido Rossa nel gennaio del 1979, vede il secondo, ancor più marcato crollo politico e poi organizzativo delle Br. Mentre il progetto politico di coinvolgere a breve scadenza la classe operaia nel conflitto armato dimostra la sua imprati cabilità, la repressione statale comincia ad infliggere delle in cisive sconfitte alle organizzazioni clandestine. I gruppi ter roristici, dopo la rapida distruzione del movimento di prote sta nato nel 1977, si trovano ancor più isolati dalla crisi dell’azione collettiva e concentrano sempre più le loro risorse nella difesa militare dei propri membri e della sopravvivenza dell’organizzazione, degenerando sempre più nelle azioni di criminalità comune. Se nel 1979 le Br riescono, nonostante le sconfitte politiche, a mantenere una certa forza organizza tiva, a partire dal 1980 la caduta di capacità offensiva è ver ticale. L ’isolamento e le sconfitte accentuano il frazionismo interno e moltiplicano le defezioni. Nonostante alcune azio
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ni riuscite dal punto di vista militare ed un reclutamento consistente fra i reduci dei gruppi del terrorismo diffuso, le Br non riescono ad arrestare la propria crisi. L ’analisi di questo periodo è resa particolarmente ardua tan to dall’assenza — questa volta totale — di ricerche scientifi che e ricostruzioni giornalistiche a cui fare riferimento, quanto dalla non completa utilizzabilità dei dati processuali di più recente acquisizione, ancora in parte coperti da segre to. Si esporranno qui, dunque, alcune ipotesi basate sia su una prima ricostruzione della cronologia degli episodi terro ristici del periodo che su alcune informazioni fornite da ex terroristi dissociati dalla lotta armata, rese pubbliche dalla stampa. 4.1. L ’organizzazione: frazionismo intemo e guerra per bande Mentre fino al periodo precedente l’organizzazione si era mantenuta grosso modo compatta (ponendo comunque ogni cura nel cercare di apparire tale) gli anni che iniziano con il 1979 vedono una serie di fratture interne e scissioni, con lunghi strascichi di reciproci anatemi che si concludono a volte con minacce di morte, mentre nessun seguito avranno i patetici inviti a una sorta di federalismo dei gruppi armati. Mantenendo formalmente, per quel che si sa, la struttura compartimentata e centralizzata che l’aveva caratterizzata in passato, la vecchia organizzazione delle Br si rompe però sot to i colpi di un frazionismo esacerbato. Mentre con il rapido riflusso del movimento del 77 — e l’altrettanto rapida para bola dei gruppi del terrorismo diffuso — sfumano le speran ze di una guerriglia generalizzata, le Br si trovano al contem po con una certa disponibilità di militanti, ma senza referen te politico per la propria azione. La soluzione adottata è quella di rendere autonoma l’utilizzazione della lotta armata rispetto alle altre forme della lotta di classe, fino a conside rarla l’unica forma possibile di difesa delle masse proletarie. Le radici delle forti tendenze scissioniste del periodo vanno certamente ricercate nella manifesta situazione di crisi politi ca che le Br cominciano a sperimentare già nella fase imme-
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oliatamente successiva all’omicidio di Aldo Moro. I conflitti che frantumano la banda — oltre che come lotte personali stiche interne alla leadership76 — possono forse essere letti come sintomi di insoddisfazione rispetto al palese isolamen to dell’organizzazione. Elemento comune dei gruppi scissio nisti è stata infatti, probabilmente non casualmente, l’accusa ai dirigenti di «militarismo», inteso come distacco dalla logi ca politica di intervento. La prima frattura dell’organizzazione diviene manifesta nel 1979. In un documento pubblicato in luglio da «Lotta conti nua», un gruppo di dissenzienti — i nomi più conosciuti so no quelli di Adriana Faranda e Valerio Morucci, entrambi provenienti da Potere operaio — accusano i «capi storici» (quasi tutti rinchiusi all’Asinara) di avere interrotto ogni rap porto con la base di riferimento. Definiti dalla stampa come «movimentisti», gli scissionisti muovono alle Br ortodosse critiche di vetero-stalinismo, per la loro concezione del parti to come avanguardia esterna, e di vetero-operaismo, per la meccanica deduzione della concezione della centralità ope raia dalla nozione di lavoro produttivo. Lamentando il man cato funzionamento, di fatto, del fronte di massa, il gruppo di Faranda e Morucci afferma invece la necessità di interes sarsi ai «nuovi settori d’intervento politico che si sviluppano oltre la grande fabbrica e la figura egemonica dell’ “operaio massa” , settori in cui “già vive” il comuniSmo come afferma zione di un “individuo sociale” contrario ad ogni forma di delega, ricco di capacità critica e di volontà di godere delle ricchezze messe a disposizione dallo sviluppo delle forze pro-
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La realtà delle vicende connesse al tormentato arcipelago dell’eversione è ben espressa da uno dei suoi protagonisti: «...il rischio, e al tempo stesso il limite (di queste ricostruzioni) è che c ’è stato o c ’è un qualcosa che si aggrega, si struttura, trova momenti di coordinamento: ma spesso, passando attraverso scontri, lotte di potere, magari anche le «peggiori cose»: voglio dire che queste aggregazioni sono processi tu tt’altro che lineari o indolori e chi si muove a livello intermedio di base può non coglierli o coglierli solo parzialmente. Sono processi faticosi, che conten gono in sé anche lotte di potere, non solo fra organizzazioni diverse, ma anche talo ra entro la stessa organizzazione: rivalità tra capi e capi, a volte di carattere perso nale, sotto la copertura del linguaggio della politica».
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duttive»77. La lotta armata dovrebbe seguire, secondo i dis senzienti, i ritmi di crescita e di maturazione del nuovo sog getto sociale, mentre invece l’assassinio di Moro avrebbe rappresentato l’interruzione di ogni attenzione al lavoro di massa. Se la risposta delle Br ortodosse alle critiche de «il signorino Morucci e la signorina Faranda» è molto dura — e in un do cumento del luglio del 1979 i brigatisti detenuti nel carcere dell’Asinara ribadiscono, con toni particolarmente accesi, le critiche ai gruppi dell’Autonomia, riaffermando la centralità operaia contro le tesi sull’operaio sociale e sottolineando la necessità del partito contro lo «spontaneismo armato» — sa ranno appena pochi mesi dopo proprio i principali esponenti della prima generazione delle Br ad entrare in polemica con il gruppo esterno guidato da Mario Moretti. Chiedendo, nell’autunno di quello stesso anno, l’esautoramento del Co mitato esecutivo in carica, i fondatori dell’organizzazione ac cusano i nuovi dirigenti di deviazioni burocratiche e militariste, incapacità di intervenire fra le masse (e, in particolare, alla Fiat), cattiva gestione del sequestro Moro e, inoltre, di escludere i militanti carcerati dal dibattito interno all’orga nizzazione. Dopo un primo contrasto polemico la frattura viene diplomaticamente ricomposta per esigenze tattiche, ma i brigatisti del nucleo storico saranno tuttavia disponibili nel futuro immediato a sostenere il costituirsi di altri gruppi frazionisti all’interno dell’organizzazione. Secondo alcuni pareri concordanti, la costituzione della Co lonna Walter Alasia di Milano in gruppo clandestino autono mo in contrasto con le Br ufficiali è stata in qualche modo fa vorita dal gruppo di Curcio e/o Franceschini. Come avevano già fatto i brigatisti della prima generazione, anche un nucleo della Walter Alasia — nella riunione della direzione strategi ca del 1980 — chiede le dimissioni di Moretti e soci, accu sando i dirigenti di avere fatto perdere all’organizzazione i contatti con i luoghi di lavoro e con la classe operaia. Il grave 77
Cacciari (1980: 67).
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rischio costituito, per una struttura di tipo militare come le Br, dall’emergere dei primi sintomi di insubordinazione vie ne certamente percepito dai leader dell’organizzazione che, dopo l’espulsione della colonna ribelle, dedicano all’episodio un intero documento, significativamente intitolato Battere
l ’opportunismo liquidazionista e l ’ideologia della sconfitta. Mentre la Walter Alasia viene criticata per incompetenza teorica e disfattismo, la frattura all’interno dell’organizza zione viene interpretata come conseguenza delle difficoltà di gestire il passaggio dalla propaganda armata alla guerra civi le. Il frazionismo viene definito come la «reazione infantile di chi, di fronte alle difficoltà tattiche della rivoluzione, non ragiona più. [...] In questo modo la lotta politica si riduce allo scontro di potere banalmente personalizzato»78. Il «nucleo storico» appoggerà, infine, anche l’ultima e più grave scissione, maturata nella primavera-estate del 1981: quella del Fronte-carceri di Senzani, che darà poi vita al Par tito della guerriglia del proletariato metropolitano. Anche in questo caso, la principale accusa formulata contro il gruppo dirigente riguarderà la perdita di ogni contatto con il movi mento collettivo. Certamente in parte utilizzata come coper tura di conflitti di potere al vertice, questa argomentazione rispecchia probabilmente — cosi come è avvenuto negli altri casi — un disagio diffuso per l’inarrestabile perdita di ogni speranza di influenzare un più ampio movimento di protesta e l’allontanamento da ogni logica politica d’intervento. L ’aspirazione a ritrovare una base nuova di riferimento spin gerà il Partito-guerriglia a rivolgere la sua attenzione al pro letariato marginale della grande metropoli meridionale. Con cretamente — cosi come per la Walter Alasia — questa aspi razione non produrrà altro che un’accentuazione della fero cia delle azioni. Come si legge in un documento elaborato da alcuni ex terroristi, «in questa lotta di frazioni all’interno delle Br si evidenzia come la tendenza populista delle Occ (Organizzazioni comuniste combattenti, n.d.r.) ad andare verso le masse, conquistandone la simpatia con azioni di so78
Brigate rosse (1980: 6).
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stegno alla lotta di classe e la tendenza militarista ad attacca re le strutture politiche e militari del potere, in una sorta di guerra privata, non siano che facce di una stessa medaglia che vengono impersonate in tempi diversi dalla stessa orga nizzazione o frazione, o su cui le diverse organizzazioni o frazioni si contrappongono in un gioco continuo di inversio ne delle parti»79. La crisi politica dell’organizzazione non produce solo frazio nismo: sfiduciati dal palese naufragio dell’iniziale progetto che aveva motivato la scelta della lotta armata e incentivati dalle agevolazioni che una legge approvata «ad hoc» promet te a coloro che collaborano con la giustizia o pubblicamente rinnegano il proprio passato di terroristi, molti brigatisti rompono il loro patto associativo con l’organizzazione terro ristica. Le confessioni dei «pentiti» permettono arresti di ter roristi e fiancheggiatori, scoperte a catena di covi. A partire dal 1980 (anno dell’arresto e confessione di Patri zio Peci) l’erosione delle strutture Br, quale che sia la deno minazione nel frattempo assunta dai vari spezzoni, è conti nua ed inarrestabile ovunque: nonostante momenti di ripre sa — anche feroce — dell’offensiva criminale80, tra la fine del 1981 e l’inizio del 1982 il fallimento della campagna in centrata sul progettato sequestro Romiti e la liberazione del generale della Nato James Lee Dozier sanzioneranno un ulte riore crollo del Partito-guerriglia e della concorrente frazione Brigate rosse per la formazione del Partito comunista com battente. La rottura della rete di solidarietà interna all’organizzazione dovrebbe aver avuto, inoltre, effetti deleteri su quella rete di fiancheggiatori esterni che avevano in passato fornito un prezioso sostegno logistico. Deterioratasi l’immagine delle 79
Detenuti del carcere di Brescia (1982: 6).
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Si ricordino, tra la primavera e l’estate del 1981, i quattro sequestri, gestiti con temporaneamente, dell’assessore regionale Ciro Cirillo, del dirigente della Montedison Giuseppe Taliercio, del dirigente dell’Alfa Romeo, Renzo Sandrucci e di Ro berto Peci.
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Br, l’area della non-ripulsa verso il terrorismo, nel cui ambito i brigatisti avevano trovato nascondigli e coperture, tende a dissolversi. «La separatezza dei movimenti di classe che ridu ce il reclutamento e le basi di appoggio delle Occ nell’ambito di un ghetto ben noto alla controguerriglia — riconosce un documento di ex terroristi — si traduce in una cronica debo lezza logistica, visto poi che gli apparati clandestini delle Occ si fanno sempre più pesanti»81. La moltiplicazione delle «istanze» avvenuta nei mesi più re centi in alcuni gruppi di irriducibili e la lunghezza delle rela tive etichette82 sembrano voler coprire il vuoto che nuovi ar resti alla fine del 1982 riveleranno8J. Se all’inizio del 1983, in particolare a Roma, nuove forma zioni terroristiche sembrano in fase di riorganizzazione — ciò che non consente di considerare chiuso il capitolo deU’impiego della violenza come metodo di lotta politica — la dimostrata inefficacia della lotta armata ed i rischi connes si al moltiplicarsi della dissociazione e dei pentimenti do vrebbero però trattenere molti dal compiere scelte di pratica terroristica. Di grande rilevanza per la comprensione delle trasformazio ni subite dalle Br in questa fase sarebbe l’analisi delle carat teristiche sociologiche dell’ultima generazione del terrori81
Detenuti del carcere di Brescia (1982: 6). Nel determinare l’isolamento del gruppo un peso rilevante deve inoltre avere avuto l’azione svolta nel corso del periodo da un ampio arco di forze politiche sòciali e culturali impegnatesi in una serie di ini ziative volte a ridurre l’area di indifferenza o, talvolta, di appoggio alla lotta arma ta. Si vedano, fra le tante iniziative, le centinaia di assemblee sul terrorismo orga nizzate a Torino nelle fabbriche, nei quartieri, nelle scuole (cfr. Caselli, 1981).
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Quel che residua del Partito-guerriglia dopo l’arresto del leader del gruppo, G io vanni Senzani, istituisce — per esempio — un Fronte della guerra alla controrivo luzione globale armata (composto da un settore delle istituzioni armate, un settore logistico, un settore Sim-Dc o della politica internazionale e nazionale imperialisti ca) e un Fronte di massa (suddiviso in settore del proletariato di fabbrica, settore del proletariato terziario-servizi, settore del proletariato extra-legale).
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Si scoprirà, fra l’altro, che in realtà del Fronte della guerra ecc. facevano parte due soli militanti (un milanese e un sardo), uno dei quali (il sardo) sospeso per deviazio nismo.
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smo. Particolarmente carenti in generale, gli studi sulla pro venienza politica e l’estrazione sociale dei militanti dei grup pi clandestini sono quasi inesistenti per quanto riguarda il periodo più recente. E probabile che, soprattutto a partire dal 1980, quando le Br rimangono in pratica l’unica organiz zazione sopravvissuta dopo il rapido crollo degli altri gruppi terroristici, i brigatisti riescano a mettere in atto una massic cia opera di reclutamento tra coloro che hanno già passate esperienze di lotta armata. Questa ipotesi sembrerebbe con fermata da alcune storie individuali di brigatisti: per esem pio, Roberto Serafini e Walter Pezzoli, uccisi entrambi in uno scontro armato con i carabinieri alla fine del 1980, erano approdati alle Br dopo un periodo di militanza nelle Forma zioni comuniste combattenti e, poi, in PI il primo, in Azione rivoluzionaria il secondo; mentre il brigatista Umberto Catabiani, ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia nella pri mavera del 1982, proveniva dalle Brigate d ’assalto Dante di Nanni. Una rilevante percentuale delle «ultime leve» del bri gatismo sembra inoltre composta da ex detenuti, familiari di terroristi incarcerati da tempo, vecchi contatti o vecchi mili tanti riciclati dopo un periodo, anche lunghissimo, di «con gelamento» o disaffezione. Per quanto riguarda, invece, le caratteristiche sociologiche dei militanti brigatisti in questo periodo, è probabile che la ricerca porti ad evidenziare delle differenze tra le diverse co lonne. Ci si potrebbe, ad esempio, aspettare che la Walter Alasia — come parrebbero confermare alcuni recenti arresti — abbia reclutato più degli altri gruppi all’interno di alcune fabbriche, mentre il Partito-guerriglia si sia invece rivolto ai profughi del terrorismo di quartiere e agli strati più margina li della popolazione. In particolare in Veneto e a Roma, sa rebbe poi interessante controllare le dimensioni assunte dal travaso dall’Autonomia — prevalentemente studentesca — al terrorismo. Una ricostruzione dei dati biografici e della provenienza po litica dei militanti arrestati nel corso degli ultimi anni per metterebbe di verificare queste affermazioni che abbiamo proposto qui — lo ripetiamo — solo nella forma di ipotesi.
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4.2. L'azione: una guerra «privata», per riaffermare la propria
esistenza Nel corso di questo periodo prosegue, con andamento espo nenziale, il processo di concentrazione delle risorse del grup po nella lotta per la sopravvivenza dell’organizzazione. La maggior parte delle azioni84 sono rivolte alla riaffermazione dell’esistenza della banda, sia in termini di garanzie materiali (l’autofinanziamento avviene attraverso le rapine in banca, attività non specifica di questo periodo, in quanto da sempre praticata), sia come tentativi di ricostruzione psicologica del patto di solidarietà tra i membri delle varie frange in cui la formazione clandestina si è divisa, anche attraverso l’intimi dazione violenta e la rappresaglia nei confronti di quanti as sumano fattive posizioni di ostilità al terrorismo. Cosi, all’omicidio del coraggioso operaio genovese Guido Rossa — che aveva deposto alla magistratura contro il brigatista Berardi — vien fatta seguire una spietata campagna punitiva contro i compagni pentiti o sospettati di pentimento85. Tra gli episodi più tragici di questa campagna è il sequestro e l’as sassinio di Roberto Peci, compiuto dalla banda di Senzani nell’estate del 1981. Di pari ferocia sono soltanto gli omicidi dei due agenti Mondialpol perpetrati a Torino nell’ottobre 82, allo scopo di propagandare il supposto (ma successiva mente riconosciuto inesistente) tradimento di Natalia Ligas. Fenomeno peculiare della fase in esame sono le azioni contro l’esercito, rivolte contemporaneamente a dimostrare il livello
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Le informazioni sull’attività criminosa delle Br nel corso di quest’ultimo periodo sono state tratte, oltre che da fonti già citate, da due documenti della Direzione Pci-Sezione problemi dello Stato (1981 e 1982) e dalla consultazione della stampa quotidiana per gli ultimi due anni.
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II brigatista Liburno viene aggredito da suoi ex compagni nel corso di un processo nella primavera del 1981; nel dicembre dello stesso anno un militante di PI, G ior gio Soldati, viene assassinato nel carcere di Cuneo dal gruppo Terrore rosso; la bri gatista Gargiulo è ferita da altre detenute nel carcere di Palmi all'inizio del 1982; nel luglio, un altro brigatista, Ennio Di Rocco, verrà ucciso nel carcere di Trani; in dicembre verrà ferita la brigatista Anna M aria M assa, detenuta nel carcere di Vo ghera.
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di «guerra di classe» raggiunto nel conflitto e a reperire armi. L ’azione più grave di questo genere d ’intervento è l’attacco — a Salerno — ad un camion dell’esercito, che costa la vita a tre agenti di polizia e produce numerosi feriti. Inevitabile conseguenza dell’aggravarsi dello scontro privato tra l’organizzazione clandestina e lo stato è, poi, la crescita della frequenza degli scontri diretti tra terroristi e forze dell’ordine. Tristemente elevato è il numero di agenti dei servizi di Polizia o dei Carabinieri che perdono la vita o re stano gravemente feriti negli agguati brigatisti o nei conflitti a fuoco che spesso precedono gli arresti o seguono le azioni criminali. Commandi delle Br colpiscono anche — nella logi ca della guerra aperta in cui l’obiettivo propagandato è ap portare perdite consistenti al nemico — ai livelli più alti del la scala gerarchica: avvengono in questi anni gli assassini del tenente colonnello dei Carabinieri Varisco, del Commissario capo di Venezia Albanese, del dirigente di un Commissariato romano Vinci e del capo della Squadra mobile di Napoli Am mattirò. All’inizio del 1982 si registra, ancora, il ferimento del vicecapo della Digos romana De Simone. Numerosi sono inoltre gli attentati rivolti contro la magistra tura; tra gli altri, gli assassini del vicepresidente del Consi glio superiore della magistratura Vittorio Bachelet e dell’ex capo della Segreteria degli istituti di pena Girolamo Miner vini, avvenuti fra il febbraio e il marzo 198086. Ancora una volta, particolarmente colpito è il settore carcerario: nel cor so di una campagna contro i penitenziari speciali, che preve de anche due rivolte dei detenuti politici delle carceri di Trani e dell’Asinara, nel dicembre del 1980 viene rapito un alto funzionario degli Istituti di prevenzione e di pena, Giovanni D ’Urso, ed ucciso il generale Galvaligi, addetto alla vigilanza delle carceri di massima sicurezza. Se le risorse si concentrano sempre più sulla difesa dell’orga
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L ’omicidio del procuratore della Repubblica di Salerno, Giacum bi, sembra invece opera di un gruppo criminale non ancora inserito nelle Br.
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nizzazione, continuano ad esservi tuttavia — almeno nei pri mi due anni del periodo — azioni apparentemente rivolte al la propaganda politica. La differenziazione dei bersagli sem bra coincidere in parte con la suddivisione dei gruppi scissio nisti: la Walter Alasia si concentra nell’intervento in alcune fabbriche milanesi; la pressione del «nucleo storico» costrin ge ad una serie di azioni su obiettivi connessi alle carceri; il gruppo di Senzani mira ad ottenere appoggi nel movimento dei disoccupati di Napoli; i «veneti» cercano un sostegno in ternazionale con l’azione Dozier; altri tentano qualche azio ne di ricucitura, senza riuscire a trovare una specificità di obiettivo. Pur dimostratesi inefficaci, le azioni di «disarticolazione dei quadri intermedi» proseguono, sia nelle fabbriche che contro la De. Le vittime all’interno delle fabbriche vengono scelte ai livelli gerarchici più elevati rispetto al passato, ma sono meno numerose. Mentre nel 1979 (che, come si è detto, è un anno-ponte) e all’inizio del 1980 sembra persistere nelle Br una certa attenzione alla fabbrica — testimoniata da alcune sanguinose azioni alla Fiat di Torino e alla Meccanica Gene rale Navale di Genova — dopo la distruzione delle colonne torinese e genovese il bersaglio-fabbrica sarà pressoché mo nopolizzato dalla Walter Alasia e dalla colonna venetaortodossa87. Anche le azioni contro le forze politiche — concentratesi sulla De, con l’unica eccezione di un assessore comunista fe rito a Napoli — sono abbastanza numerose all’inizio del pe riodo, ma tendono a ridursi man mano che si accentua la pressione degli apparati repressivi dello stato contro la for mazione terroristica. Mentre tra il 1979 ed il 1980 la De con
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La W alter Alasia è responsabile, tra il 1980 e il 1981, di tre ferimenti di dirigenti dell’A lfa Romeo e dell’Italgraf; del sequestro del dirigente dell’ufficio organizza zione del lavoro dell’Alfa Romeo, Sandrucci; degli assassini del direttore del perso nale della M agneti Marcili, Briano, e del direttore tecnico della Falck, Mazzanti. Vengono uccisi dai brigatisti della colonna veneta-ortodossa due dirigenti indu striali di Porto Marghera: il vicedirettore tecnico del Petrolchimico, G ori, e il di rettore della M ontedison, Taliercio.
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tinua ad essere il bersaglio di numerose azioni88, gli episodi criminali contro il partito di maggioranza relativa che si regi strano nel biennio successivo sono «solo» due, entrambi a Napoli ed entrambi di particolare gravità89. Qualche debole tentativo viene compiuto, inoltre, in dire zione della propaganda verso i «nuovi soggetti emergenti». Al proletariato dei servizi cercano di rivolgersi i brigatisti ri belli della Walter Alasia con alcune azioni al Policlinico mila nese, la più grave delle quali è l’uccisione del direttore sani tario dell’Ospedale, Marangoni. Contro presunti «sfruttato ri» dei lavoratori precari si concentrano alcuni interventi del la colonna romana nella primavera del 1980: per esempio, i ferimenti di un funzionario del ministero del lavoro, di tre membri di una cooperativa di facchini, del titolare dell’uffi cio vendite di una casa editrice. Il rapimento del generale Dozier è stato, inoltre interpretato come un tentativo di rac cogliere simpatie nel nascente movimento per la pace. Con demagogismo populista, infine, i brigatisti della colonna na poletana guidata da Senzani chiedono, in cambio della libe razione del rapito Cirillo, la requisizione di case per gli sfol lati del terremoto e un’indennità di disoccupazione per tutti gli iscritti alle liste di collocamento. Anche queste azioni apparentemente propagandistiche sono mosse, tuttavia, da una strategia differente rispetto a quella dei periodi precedenti. Se le azioni contro la De, avvenendo tutte in periodi pre-elettorali, rispettano in un certo senso delle regole di «tempestività», quanto alle azioni in fabbrica scompare del tutto l’accorgimento di sforzarsi di mantenere un qualche collegamento formale con le scadenze del movi mento di massa, che del resto viene dimostrando — per mol88
La De viene colpita ripetutamente sia nei suoi esponenti (si ricordino i ferimenti a Genova, Milano e Roma, nonché gli assassini del consigliere provinciale romano Schettini e dell’assessore regionale campano Amato) che nelle sue sedi (si veda l’ir ruzione nei locali del comitato romano del partito in piazza Nicosia).
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Si ricordino il sequestro (con omicidio della scorta) dell’assessore regionale campa no Cirillo nel 1981, e il duplice assassinio — ancora a Napoli — dell’assessore re gionale Delcogliano e del suo autista, Iermano, nel 1982.
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te vie — di voler espellere definitivamente da sé ogni forma di violenza terroristica90. La reale motivazione di molti delitti compiuti dai terroristi in questo periodo ci sembra invece da ricercare, come si è già accennato, nella lotta fra le diverse frazioni, in conflitto per conquistare l’egemonia sui resti dell’organizzazione. In que sta ipotesi, il sequestro D ’Urso e l’omicidio Galvaligi sareb bero motivati dalla scelta della direzione dell’organizzazione di venire incontro ad alcune richieste avanzate dal «nucleo storico» nel tentativo di evitare una pericolosa frattura e di restituire ai militanti rimasti fedeli la fiducia nelle capacità dell’organizzazione gli assassini di Briano e Mazzanti sa rebbero stati (secondo alcune testimonianze) messi in atto dalla Walter Alasia per rafforzare il suo prestigio nel conflit to con il comitato esecutivo; i sequestri contemporanei dei due dirigenti industriali Taliercio e Sandrucci (il primo com piuto da uno spezzone delle Br operante nel Veneto; il se condo dalla Walter Alasia) sembrano essere un’ulteriore espressione della concorrenza tra i due tronconi dell’organiz zazione. Per tutte le frazioni in cui le Br si dividono, poi, l’obiettivo di azioni delittuose sempre meno razionalizzabili in termini di espressione di conflitti politici o sociali è la ricerca di una
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«È significativo — scrivono alcuni terroristi dissociati dalla lotta armata — il fatto che nelle giornate calde del contratto del 79 alla Fiat (la colonna torinese delle Br era ancora intatta) e nella lotta drammatica dell’80 contro i licenziamenti e la cassa integrazione, le Occ non avranno nulla da dire» (Detenuti del carcere di Brescia, 1982: 5).
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L e richieste di intervento dei compagni detenuti vanno infatti facendosi sempre più pressanti. Basti ricordare il comunicato n. 21 del 7 dicembre 1979 diramato al la fine del processo di appello di Torino dai «capi storici» dell’organizzazione che, con truculenza inversamente proporzionale alle reali potenzialità residue dell’orga nizzazione, promettono una «guerra di classe proletaria che è guerra senza quartie re, che va portata su tutto l’arco delle 24 ore e senza la tregua del week end. O vun que sia il nemico — in fabbrica o in casa, in caserma o a passeggio — egli deve sen tirsi braccato, spiato, esposto alle più fantastiche ed irreversibili trappole ed imbo scate». N ell’immediato i brigatisti incarcerati sollecitano — come è emerso dal m e moriale dell’ex militante terrorista Fenzi — i loro compagni ad intervenire sul fronte delle carceri.
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testimonianza disperata della sopravvivenza del gruppo e, con essa, della propria identità esistenziale. Da questa neces sità è condizionata anche la scelta delle forme d ’azione. Sulla riuscita militare dell’azione si concentrano cosi, in misura crescente, le aspettative dei terroristi. Delitti sempre più sanguinosi vengono perseguiti per conservare, fra i membri del gruppo, la fiducia nella scelta della lotta armata. Per mantenere, inoltre, l’attenzione dei media ancora concentra ta sulla propria attività, i brigatisti metteranno in atto nel corso del periodo sei sequestri, di durata variabile da uno a tre mesi e accompagnati da eventi od epiloghi spesso tragici. Le modalità di esecuzione divengono cosi feroci da suscitare persino — si veda il caso già ricordato delle due guardie pri vate trucidate a Torino — condanne all’interno della stessa organizzazione terroristica. Mentre si riducono gli attentati alle cose — che non servono più come strumenti di propa ganda in settori e luoghi specifici di intervento — aumenta il numero degli omicidi rivendicati dai brigatisti: 11 nel 1979, 8 nel 1980, 8 nel 1981,14 nel 1982. Al numero dei morti non corrisponde, abbiamo detto, un rafforzamento dell’organizzazione e i successi militari della campagna dell’estate 1981 (quattro sequestri contempora neamente) non si traducono in successi politici. Minati all’in terno dal susseguirsi delle dissociazioni e colpiti in modo dra stico e continuo dalle forze dell’ordine, i residui gruppi bri gatisti sono costretti, per negare la sconfitta, a costruire una nuova immagine della lotta armata come autonoma e suffi ciente a se stessa. I documenti più recenti ripropongono — in modo incomparabilmente più accentuato rispetto al passa to — un’immagine totalmente allucinata della realtà: il lin guaggio è criptico; incomprensibile all’esterno (e talora rifiu tata anche dall’interno dell’organizzazione) la logica che gui da azioni caratterizzate dalla più cieca ferocia. Si legge in un documento di terroristi dissociati: Col partito della guerriglia del proletariato metro politano e le azioni di questi ultimi mesi, finisce la lunga fase in cui la prassi combattente era vista in funzione dell’attivazione di un processo rivoluzio-
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nario sul terreno della lotta o comunque di inte ressi reali del proletariato. Inizia la fase della guer ra per bande fine a se stessa intesa come prassi di liberazione. Le recenti sintesi teoriche del Partito della guerriglia, ne sono la base ideologica più con seguente. [...] In esse non ci si limita, come nei vecchi documenti, ad analizzare la realtà in modo più o meno mistificato, traendone linee di tenden za in cui inserire la propria azione: le nuove teo rizzazioni non propongono un’analisi, ma piutto sto una nuova visione e modo di vivere la realtà a partire dalla condizione esistenziale della guerri glia metropolitana. Non si parla più, come prima, della guerra civile come fase storica della lotta di classe da promuovere con la guerriglia, si parla della «guerra» come dimensione fino ad ora tra scurata della realtà, unica espressione compiuta di coscienza e lotta politica del proletariato all’attua le livello di sviluppo del capitale, espressione di una nuova «assoluta inimicizia tra le classi». La guerriglia sarebbe l’unica forma di rottura di un controllo sociale totale che è prima di tutto con trollo delle coscienze, unica espressione di co scienza e lotta di classe a cui si contrappone lo sta to di sonnambulismo e follia in cui verserebbe il proletariato non combattente (chiamato proleta riato schizo-metropolitano). La guerra civile non è necessario raggiungerla, ma soltanto vederla in at to nella realtà quotidiana [...] Da questa guerra co me visione allucinata della realtà sociale, si passa poi alle azioni di guerriglia che trovano in sé la propria giustificazione come semplice attuazione di una potenzialità sociale presupposta92. Un’ultima osservazione riguarda la forza del terrorismo nel corso del periodo. Se il 1979 e il 1980 sono ancora gli anni in cui lo stillicidio delle azioni terroristiche continua vinolento 92
Detenuti del carcere di Brescia (1982: 8).
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in numerose province italiane, a partire dal 1981 l’attività dei brigatisti tende a ridursi in frequenza e a concentrarsi nella capitale, con qualche appendice nel napoletano. Anche se, con giusta prudenza, gli osservatori più avvertiti rifiutano per adesso di sentenziare la scomparsa definitiva delle Br, è certo che ciascuno dei diversi tronconi in cui l’organizzazio ne si è divisa ha subito delle sconfitte considerevoli. 4.3. Linee interpretative: la crisi dell'orymizzazione clandestina Senza dubbio vari elementi influiscono sulla crisi delle Br: le vicende dei gruppi del terrorismo diffuso, l’isolamento crescente ed irreversibile da parte della pubblica opinio ne, la legge sui pentiti varata nel 1981, una maggiore effi cienza degli apparati statali nella repressione dei gruppi clan destini 95. Il crollo dell’organizzazione terroristica sembra se guire, tuttavia, anche dinamiche interne, già sperimentate dai gruppi clandestini di altri paesi94. Nel corso della loro evoluzione, le organizzazioni terroristiche si allontanano — come si è già osservato alla fine del se condo paragrafo — dall’azione di propaganda politica, con centrandosi nella guerra «privata» con gli apparati dello sta to. Il processo di sviluppo delle organizzazioni clandestine, come abbiamo visto e come confermano diverse testimo nianze storiche, evolve verso una impasse. Stritolati nella contraddizione tra la necessità di prepararsi ad una battaglia di lungo periodo e quella di mantenere condizioni di clande-
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È stato ricordato il calo di efficienza nella lotta al terrorismo che derivò dal sostan ziale scioglimento dei Nuclei speciali dei carabinieri e della polizia dopo l’arresto dei «capi storici» delle Br (sul punto Caselli, 1979: 241 e 244 ss.). Solo a partire dal settem bre 1978 si registra un recupero di valori di professionalità e accentramento nella direzione delle indagini, testimoniato dalla creazione di un organismo investi gativo interforze guidato dal generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Nel periodo in esame si colgono, dunque, i risultati di una migliore organizzazione dell’azione di m agistratura e forze dell’ordine contro il terrorismo.
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C fr., su questo punto, le riflessioni di tre ex terroristi tedeschi: Baumann (1976), Klein (1980), Mahler (1980). Si veda, inoltre, Donatella della Porta (1982).
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stinità, i gruppi terroristici sono costretti a rinunziare agli strumenti di propaganda che nei regimi democratici vengono garantiti agli attori collettivi. In Italia, le Br si sono sempre più isolate dal conflitto sociale che si evolveva lontano da es se, perdendo ogni capacità di elaborare strategie pubblicita rie efficaci e di diffondere messaggi di rivolta sociale. Le or ganizzazioni terroristiche tendono, poi, ad accentuare il loro isolamento quando la logica stessa delle azioni programmate le costringe a scontrarsi con l’apparato repressivo dello stato. Stretto tra repressione e progressivo ridursi di eventuali sim patie iniziali, il gruppo terroristico abbandona tendenzial mente i propri obiettivi di propaganda sociale, invischiando si sempre più nelle azioni in difesa della organizzazione. La necessità di finanziarsi costringe i terroristi ad atti di bandi tismo comune che li espongono a scontri armati con la poli zia e pericolose concorrenze con la malavita (quando non a collusioni con la delinquenza organizzata), screditando ulte riormente l’immagine dell’organizzazione. I contatti con la criminalità comune si accentuano nelle carceri, dove i terro risti sono talora costretti ad entrare nel gioco delle alleanze (o patti di «non belligeranza») tra bande rivali che regolano i rapporti tra i detenuti. Costretti dalla pressione delle forze dell’ordine, i contatti con l’esterno vengono ridotti ad una incalzante richiesta di aiuto logistico. Le Br hanno attraversato in due periodi differenti la fase del lo scontro diretto con gli apparati repressivi dello stato. La differente entità della forza raggiunta dal terrorismo in que sti due cicli della sua esistenza appare evidente nel diverso sforzo che le istituzioni statali hanno dovuto compiere per sconfiggere le organizzazioni clandestine. Nella prima fase, tra il 1975 e il 1976, l’organizzazione delle Br — solida ma di en tità ridotta — viene incrinata in poco più di un anno da una catena di arresti; dal 1979 al 1982 occorrono invece quasi quattro anni perché le organizzazioni terroristiche, già poli ticamente in fase calante, si sfaldino sotto i colpi delle scon fitte militari. Nel secondo ciclo di evoluzione dell’organizza zione brigatista la sconfitta è inoltre passata attraverso l’in crinatura della solidarietà all’interno dell’organizzazione. In un momento in cui il terrorismo era già politicamente in cri-
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si, la legge che prevedeva sostanziali riduzioni di pena ai ter roristi che avessero collaborato con lo stato e un trattamento privilegiato per quelli che si fossero pubblicamente dissociati dalla lotta armata ha contribuito a rompere i legami di soli darietà interni all’organizzazione, ridotto di molto la possibi lità di aiuto dall’esterno, instaurato un clima di reciproco so spetto tra i membri della banda: permettendo cosi di sconfig gere le Br anche sul piano organizzativo, attraverso una lun ga catena di arresti. I movimenti sociali apparsi più di recente sembrano affron tare tematiche sulle quali il terrorismo non trova spazio per innestarsi. Anche in questo caso però — come si è già accen nato a proposito della protesta del 77 — non è da escludere che possano essere le condizioni del sistema politico, più che i contenuti difesi dal movimento collettivo, a determinare una evoluzione più o meno pacifica dell’azione collettiva.
Note conclusive e metodologiche Molti sono gli interrogativi emersi nel corso del nostro lavo ro e che attendono, da un approfondimento della ricerca, ri sposte esaurienti. Senza disperderci in una elencazione di sordinata dei quesiti rimasti aperti, ci preme invece sottoli neare uno dei principali insegnamenti provenienti da questa prima fase di studio. Una tendenza diffusa nelle interpreta zioni del terrorismo di sinistra in Italia è quella di compatta re all’interno della stessa definizione fenomeni dotati di ca ratteristiche, e prodotti da cause, differenti. Ma la ricerca di una determinante unica può essere assai ardua in relazione a un insieme di episodi di violenza che si estende per un arco di tempo molto lungo, nel corso del quale si sono notevol mente trasformate le condizioni politiche e sociali in cui il terrorismo si è sviluppato95. La comprensione del fenomeno passa invece in gran parte attraverso la ricostruzione minu
95
Per alcuni dati e prime riflessioni sul complesso intreccio dei «terrorism i» italiani, rinviamo a della Porta e Rossi (1983).
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ziosa delle interazioni tra le molte organizzazioni clandestine e i loro ambienti esterni, fra le molteplici frazioni della lotta armata e i gruppi politici e sociali a cui esse si sono riferite o che, in parte, riuscirono a coinvolgere nella loro azione. Compiuta questa prima fase indispensabile della ricerca non va però dimenticato che — come la storia delle Br sembra di mostrare — l’agire di ciascuna organizzazione terroristica è influenzata da principi legati alla sua propria evoluzione co me piccolo gruppo in clandestinità. Per la ricostruzione della storia del terrorismo di sinistra in Italia appare dunque indispensabile una ricerca che permetta di cogliere, nella loro specificità e nella molteplicità delle va riabili esplicative del fenomeno, i diversi frammenti di cui esso si compone. Per fare questo, numerose sono le temati che — non affrontate in questo contesto — meritevoli di urgenti approfondimenti. Ne sottolineiamo in particolare tre: A. l ’analisi comparata della storia delle diverse formazioni terrori stiche di sinistra, sia di quelle «minori» che delle tre più rile vanti (Br, PI, Nap). Si parla in genere del terrorismo di sini stra come di un fenomeno indifferenziato, prestando poca attenzione alle caratteristiche che pure i vari gruppi sembra no presentare in relazione a ideologia, localizzazione geogra fica, periodo di attività, caratteristiche sociologiche della membership, strutture organizzative. Un confronto delle storie dei gruppi terroristici — nelle loro peculiarità e nelle loro interazioni — permetterebbe probabilmente di com prendere meglio: a) le origini del fenomeno in relazione alle diverse precondizioni e ad un insieme complesso di concau se; b) le somiglianze nel tipo di evoluzione delle organizza zioni politiche clandestine in una società democratica; B . la proiezione del percorso del terrorismo e delle vicende elei siste ma politico italiano. Le differenti spiegazioni del terrorismo come derivato di particolari condizioni del sistema politico sono in genere monocausali. Ci si è cosi soffermati su ipotesi spesso contrapposte che collocano le origini del terrorismo
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in: timori di svolte autoritarie o reazioni ad aperture verso i partiti di sinistra; incapacità di recepire nuove esigenze o ec cessiva tolleranza del regime verso i gruppi più radicali; de bolezza delle istituzioni o onnipervasività del controllo stata le; reazioni all’istituzionalizzazione dell’azione collettiva o espressioni estreme di uno stato di effervescenza sociale; congelamento delle opposizioni o loro cooptazione al potere. Nel trattare di un fenomeno che permane e si trasforma per oltre un decennio è, invece, probabilmente più opportuno valutare il peso di avvenimenti differenti in momenti diffe renti, cercando di comprendere il modo in cui le trasforma zioni del sistema politico italiano — sia per quanto riguarda le vicende parlamentari che per le conseguenze dell’azione dei movimenti collettivi — abbiano eventualmente interagi to con l’evoluzione del fenomeno terroristico, contribuendo alla determinazione delle diverse fasi; C. l’approccio «micro»-sociologico alla spiegazione del terrorismo. Nell’analisi del terrorismo italiano si è spesso fatto riferi mento a variabili macro-sociologiche — crescita degli strati marginali; mutamenti nel sistema politico; crisi di un movi mento sociale; sconvolgimento dei sistemi culturali; innova zioni tecnologiche di grande entità — oppure a variabili di tipo psicologico relative alla personalità dei militanti. Un’in tegrazione proficua dei dati ottenibili attraverso l’utilizza zione dei due approcci potrebbe venire da un’analisi che si concentri — ad un livello più «micro» ma non individuale — sugli ambienti in cui il terrorismo è cresciuto, cercando nella storia del conflitto sociale nelle città o nelle fabbriche in cui il terrorismo si è maggiormente diffuso non le cause comples sive del fenomeno, ma almeno degli spunti interpretativi sul le ragioni del passaggio di alcuni militanti o di alcuni gruppi alla clandestinità. Una ricerca di questo tipo richiede l’utilizzazione integrata di differenti metodologie. Se la lettura degli atti processuali e lo spoglio sistematico di alcuni quotidiani costituiscono lo strumento indispensabile per la ricostruzione storica degli avvenimenti, le interviste in profondità a testimoni privile giati operanti nei luoghi di socializzazione politica e culturale
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dei terroristi sono, insieme alla produzione documentale di tipo ideologico dei gruppi terroristici e alle riflessioni sulla storia della lotta armata fatte da militanti o ex militanti nelle organizzazioni clandestine, le fonti indispensabili per un’analisi interpretativa del fenomeno.
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FR A N C O F E R R A R E S I
LA D E ST R A EVERSIV A
1. Introduzione: gli studi sulla destra eversiva 1.1. Lo studio della cultura politica del terrorismo di destra si presenta come particolarmente arduo, per un complesso di ragioni fra cui è innanzitutto da segnalare l’arretratezza delle conoscenze sulla Destra in generale. Questa affermazione può sembrare sorprendente, conside rando la moltitudine di materiali in argomento pubblicati ne gli ultimi venti anni in tutta Europa, a partire dal volume di Del Boca e Giovana, del 1965 *, fino ad opere più recenti, come quelle di Wilkinson, Théolleyre, Peters2, per fare solo alcuni esempi. Si tratta, naturalmente, di una pubblicistica piuttosto diseguale come valore, certo asistematica nell’im postazione e nei metodi, spesso legata alla cronaca e al repor tage di taglio giornalistico. Sarebbe però errato sottovalutare il suo contributo, soprattutto dal punto di vista informativo; anche da quello politico, questi lavori hanno svolto un ruolo importante nell’indicare la persistenza, la diffusione e i colle gamenti internazionali di un fenomeno che l’opinione pub blica democratica troppo spesso è stata disposta a relegare nel limbo del folclore nostalgico o pittoresco, in ogni caso inoffensivo. Se, dunque, la pubblicistica militante è nutrita e vivace, mol to più scoperto è il settore della ricostruzione teorica, dove sono presenti soprattutto studi americani, tedeschi e, in mi sura più ridotta, francesi3, i contributi e limiti dei quali sono 1
Del Boca e G iovana (1965).
2
Peters (1976), Wilkinson (1981), Théolleyre (1982).
3
Remond (1982).
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stati discussi in altre sedi, cui si rimanda per i necessari ap profondimenti 4. 1.2. Il panorama italiano è invece molto sguarnito. Le cau se di tale carenza sono molteplici, e non è possibile esaminar le qui. Almeno un elemento va menzionato, tuttavia, ed è l’importanza avuta dal Fascismo nella storia italiana di que sto secolo, che, comprensibilmente, ha indotto gli studiosi a concentrare l’analisi su di esso, a scapito, cioè, di altri aspetti del fenomeno Destra. A ciò si aggiunga il ben noto pregiudi4
G li studi americani si sono occupati soprattutto dei movimenti di destra radicale (Radicai Righi) comparsi negli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale (Mac cartism o, John Birch Society, ecc.). non senza qualche interessante excursus sui movimenti omologhi del passato. Quello americano è un filone dottrinale molto omogeneo, che si riconosce nell’uso degli strumenti metodologici e concettuali del la teoria pluralista. L'estrem ism o di destra vi è visto come una conseguenza delle tensioni che si determinano in una società in via di trasformazione-modernizza zione costante, e provocano minacce alla posizione di potere e prestigio sociale di consistenti gruppi e categorie; da cui status insecurity, perdita di senso di identità, ansie generalizzate, e simili, negli appartenenti a tali gruppi (thè dispossessed). Si ag giungano alcune costanti peculiari della cultura americana (intolleranza, antiintellettualismo, fondamentalismo, ecc.): in circostanze storiche favorevoli, le ten sioni di status potranno dar luogo a comportamenti estremisti, intesi come la viola zione delle procedure democratiche. Q uesta letteratura è esemplare nell’uso molto avanzato di strumenti teorici e metodologici fra i più proficui della scienza politica moderna — dall’analisi documentale al survey elettorale, al questionario, all’inter vista — che consentono di sottoporre il campo d ’indagine a una esplorazione asso lutamente sistem atica. Tuttavia, i presupposti ideologici degli autori li spingono spesso ad un uso contraddittorio e deform ato del loro medesimo bagaglio teorico metodologico (ad esempio, fornendo definizioni meramente «procedurali» del con cetto di democrazia, e quindi considerando «anti-democratica», «estrem ista», ogni violazione di tale procedura, quali che siano i suoi effetti circa la distribuzione del potere nel sistema), il che nuoce soprattutto alla possibilità di cogliere il significato e la portata globale dei fenomeni studiati (Ferraresi, 1974 e 1980). Naturalm ente più vicina alla situazione italiana è la letteratura tedesca sul radicali sm o postbellico di destra. La panoramica degli strumenti concettuali qui è molto diversificata: si va da studi di impostazione liberale a quelli marxisti; dagli epigoni della Scuola di Francoforte agli storici allievi di Abendroth; dalle analisi ideologi che alle polemiche di attualità, alle indagini di tipo socio-politologico. Si tratta co munque di studi che fanno ampio uso di alcuni paradigmi classici relativi al pensie ro conservatore e a quello nazista (Mannheim, Marcuse) e leggono la situazione contemporanea soprattutto in chiave di depoliticizzazione delle masse, crisi di le gittim ità, svuotamento della dialettica politica, gestione tecnocratica del potere, ecc. Oggetti dell’analisi sono soprattutto movimenti e gruppi come gli Jugendgruppe, le Landsmannschaften, le associazioni dei profughi dell’E st, le associazioni dei reduci, le associazioni studentesche, oltre naturalmente al partito neo-nazista (Npd), e alle associazioni fiancheggiatrici. Nella produzione ideologica di questi gruppi si cerca di cogliere l’esistenza di topoi e valori corrispondenti a quelli classici del Nazism o, mentre l’eziologia dei movimenti in esame, e in generale il potenziale
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zio idealista-storicista contro i tentativi di ricostruzione di tipo sociologico e, comunque, generalizzante. Mancano quindi, innanzitutto, quadri teorici di fondo sui caratteri generali della Destra, paragonabili, per esempio, a quelli di Mannheim o Marcuse per la Germania5; anche stu di di parte conservatrice, come il saggio di Mohler, sono sco nosciuti nella nostra letteratura6. Non c’è da stupirsi quindi che siano pure molto scarsi i materiali con ambizioni teorico sistematiche relativi alla situazione contemporanea (successi va alla seconda guerra mondiale). Una certa attenzione è stata rivolta al principale partito di destra, sul quale esiste almeno una monografia (non a caso dovuta a una studiosa tedesca)7, insieme a studi che, nel qua dro di analisi complessive del sistema politico italiano, dedi cano particolare attenzione ai partiti di destra '. Ancora meno per quanto riguarda la Destra eversiva. Qui, ai fattori già detti che ostacolano gli studi sulla Destra in gene rale, è da aggiungere, soprattutto a sinistra, un atteggiamen to fra il disinteressato e lo sprezzante, secondo cui la violen za nera (dallo squadrismo al golpismo al terrorismo) è un fe nomeno meramente subalterno agli interessi del capitale o degli apparati di stato, ed i suoi protagonisti sono, o gli eterfascista in Germ ania, sono spiegati facendo ricorso a formulazioni di tipo haber masiano. Il materiale esaminato è molto ampio, i risultati empirici spesso di note vole interesse, ma i quadri concettuali (mutuati, come si è detto, dagli autori classi ci) non sono molto originali, come non lo è l’uso di concettualizzazioni contempo ranee sul tipo di quelle di H aberm as. N e risultano lacune a vari livelli, e in partico lare un appiattim ento generalizzato proprio su uno dei temi cruciali per gli interes si della nostra ricerca, cioè la distinzione fra il radicalismo di destra contempora neo (rtio-nazismo e wo-fascism o) e i regimi storici di destra (Fascismo, Nazismo, Franchismo, ecc.), che molto raramente vengono problematizzati (Ferraresi, 1974, 1980 e 1982b). 5
Mannheim (1927), Marcuse (1969). Più recentemente, Greiffenhagen (1971).
6
Mohler (1950).
7
Rosenbaum (1975).
8
G alli (1972).
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ni cultori di fedi reazionarie, o mazzieri prezzolati - in en trambi i casi non meritevoli di attenzione9. Senza contare che il terrorismo rosso quasi sempre si proclama filiazione di retta (anzi, l’unica autentica) degli insegnamenti dei classici del pensiero marxista; da cui la ricerca angosciosa, mescolata a qualche senso di colpa, da parte degli studiosi di sinistra, di «come ciò sia potuto accadere» (le varie versioni dei «ritratti di famiglia»), non disgiunta dal tentativo di individuare pos sibilità di recupero per i giovani (o almeno per alcuni) che «hanno sbagliato» scegliendo la via delle armi. Tutto ciò de termina una concentrazione degli sforzi analitici nei con fronti dell’eversione rossa, a scapito ulteriore degli studi su quella di destra. In questo campo, uno dei pochi tentativi di elaborare catego rie sistematiche e schemi concettuali generalizzanti è quello di Giorgio Galli, diretto a ricostruire i caratteri principali della strategia della Destra a livello mondiale, dopo gli anni sessanta10. Tale strategia viene individuata da Galli soprat tutto nelle lotte contro i movimenti di liberazione del terzo mondo, e ha come protagonisti non più le formazioni paramilitari private in funzione anti-operaia, ma gli eserciti colo niali, i corpi speciali, i servizi segreti, i «governi invisibili», 9
Anche un attento osservatore dei fenomeni eversivi italiani, come Giorgio Bocca, in un volume di 180 pagine sul terrorismo, ne dedica solo otto al terrorismo nero, visto nella chiave interpretativa suesposta: avendo individuato nel M si una destra di comodo, sia per la De che, in parte, per la sinistra, in quanto «fa la voce grossa in piazza ma [...] è ricattabile ad ogni momento perché dipende in toto per i suoi fi nanziamenti dai partiti di governo; una organizzazione legale, controllabile, che in canala i residui del fascism o violento, la sovversione fisiologica...», l’autore prose gue: «Q ueste sono le ragioni di fondo per cui il terrorismo nero sarà sempre, in qualche modo, terrorismo di stato, subalterno ai poteri occulti e separati dello sta to, l’ufficio degli affari riservati del ministero degli interni, il servizio segreto mili tare, il comando dei carabinieri. [...] Le reclute abbondano: ci sono i giovani fasci sti naturali, gli eterni cultori di fedi reazionarie, e ci sono gli “ ascari” , i mercenari, gli avventurieri» (Bocca, 1978b). (Va detto che il volume risente, probabilmente, del momento in cui fu scritto, cioè il 1978, quando poteva sembrare che il terrori smo nero fosse relativamente in letargo, e l’attenzione generale era rivolta a quello rosso, allora in piena virulenza. In tempi recenti l’autore ha messo in luce un inte resse molto più accentuato per i fenomeni di destra, come testimoniano i suoi scrit ti giornalistici).
10
G alli (1975).
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che costruiscono la nuova filosofia della «guerra totale», per manente, segreta. La ricerca di Galli presenta elementi di notevole interesse, a cominciare dal recupero a dignità scientifica delle dimensio ni romanzesche delle strategie eversive, all’insistenza sulla dimensione internazionale-globale di tali strategie, per giun gere ad annotazioni più classicamente socio-politologiche, come il collegamento fra l’emergere di spinte di Destra e il fallimento delle politiche riformiste. Il modello di Galli non è però del tutto utilizzabile ai nostri fini, da un lato perché la sua ricostruzione giunge solo ai primi anni settanta e dedica relativamente poca attenzione allo specifico dei gruppi ever sivi neofascisti che costituiscono invece oggetto principale di questa analisi; dall’altro per alcune difficoltà metodologiche relative alla definizione di concetti come «governo invisibi le» e alla ricostruzione della sua strategia 11. Di impostazione e con interessi nettamente diversi è il volu me di Furio Jesi sulla cultura di Destra 12, molto più orientato in direzione «culturale» strido sensu. Il saggio fornisce indi cazioni e spunti molto stimolanti, come quelli, ad esempio, relativi alla tanatomania nell’immaginario fascista; centrale è poi la sottolineatura dell’importanza della dimensione esote rica nella cultura, anche politica, della Destra, e del suo po tenziale ruolo esplicativo di atti di violenza come «compiti inutili» in itinerari iniziatici (p. 85). Si tratta, però, di una ri cerca volutamente asistematica e frammentaria, che analizza documenti culturali marcatamente eterogenei fra loro1}, ed è poco interessata alle dimensioni più propriamente socio politiche dei fenomeni.
11
C fr. Ferraresi (1980).
12
Jesi (1979).
13
Ad esempio: «mitologia fascista in Spagna e in Romania», «il “ messaggio segreto” del professor Elaide»; «il linguaggio delle cose; simbologia funeraria»; ma anche: «lusso spirituale e lusso materiale. Due commemorazioni del Carducci. Liala e affi ni».
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A questi saggi ben poco è da aggiungere: uno scambio del 1971-72 fra Periini e Onofri sui contenuti della cultura di Destra e i loro rapporti con la cultura tecnocratica e la con trocultura 14; un articolo del 1973 in cui Umberto Eco, con la consueta eleganza e perspicuità, ricostruisce l’immaginario del picchiatore fascista attraverso l’analisi dei fumetti della violenza15: la rassegna dei tentativi di ricostruzione sistema tica dei contenuti ideologici della Destra eversiva in Italia si esaurisce sostanzialmente con questi materiali. Né le carenze si limitano a questo settore, in quanto manca no, in buona misura, anche i materiali secondari da cui parti re per elaborare modelli analitici e schemi concettuali. Mal grado, infatti, la notevole fioritura di inchieste e ricostruzio ni di episodi, strategie, vicende legate più o meno direttamente all’eversione di Destra, esistono ancora macroscopici vuoti di informazione; ad esempio non sono disponibili stu di, ma neppure inchieste giornalistiche, volte a ricostruire in forma monografica le vicende di alcune delle principali orga nizzazioni della Destra eversiva, come Avanguardia naziona le e Ordine nuovo. (La difficoltà di reperire i materiali neces sari, e la pericolosità delle indagini relative, hanno indubbia mente costituito un deterrente non secondario). 1.3. Se la panoramica sinora delineata è corretta, questa relazione non potrà andare oltre un livello prevalentemente descrittivo - quello, cioè, di presentare i contenuti ideologici e culturali dei gruppi più significativi della Destra eversiva, senza soverchie ambizioni di ricostruzione teorica. Anche cosi circoscritto il compito non è particolarmente agevole, per la difficile reperibilità dei materiali da cui ricavare le in formazioni necessarie. Ciò innanzitutto perché la produzio ne «letteraria» e teorica dei gruppi che qui interessano è mol to scarsa (in omaggio a un principio strategico generale che
14
O nofri (1971), Periini (1972).
15
E co (1973a).
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assegna assoluta priorità all’azione) e consiste prevalente mente in documenti interni, fogli d’ordine, «manuali» opera tivi, ecc., normalmente destinati a circolazione limitatissi ma, quando non clandestina. La fonte principale di accesso a tali materiali è costituita dagli atti dei procedimenti giudizia ri che li hanno avuti per oggetto. Come è noto, però, per quasi tutte le principali vicende che hanno coinvolto la D e stra, i procedimenti giudiziari hanno avuto un’altalena di ri sultati contraddittori, per effetto della quale i processi più importanti non sono ancora conclusi (ciò è vero in particola re per tutti i casi di strage: l’assoluzione per insufficienza di prove, nel luglio 1983, di tutti gli imputati per la strage del treno Italicus, risalente al 1974, ne è solo l’esempio più re cente). I materiali relativi, pertanto, sono in alcuni casi del tutto inaccessibili, in altri coperti da segreto, in genere di difficile reperibilità. Ciò significa, in sostanza, che non è di sponibile una documentazione sistematica, e che il quadro che segue sarà, necessariamente, poco omogeneo e lacunoso in diversi punti importanti.
2. Dalle origini al Fronte nazionale 2.1. Questa ricostruzione non vuole né potrebbe costituire una storia sistematica dell’eversione di Destra nel dopoguer ra, tema cui è dedicato un altro saggio del presente volume, che viene seguito nelle indicazioni fondamentalil6.1 materia li sono però organizzati in senso cronologico, a partire dagli an ni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale. La prima fase del neofascismo, infatti, ha inizio già negli an ni 1945-46, e vede la presenza (oltre al Msi) di una moltitu dine di gruppi, «movimenti», «partiti», raggruppamenti, fronti, caratterizzati dalla nomenclatura pittoresca17, dalla
16
Rosario M inna, in questo volume.
17
Ad esempio: Sfai (schieramento forze antibolsceviche italiane e internazionali); M aci (movimento anticomunista italiano); Mari (movimento azione rivoluzionaria italiana); C si (circolo solidarietà internazionale); Mna (missione nazionale antico-
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vita breve, turbolenta di scissioni e rotture, e dalla vicenda complessivamente oscura. Alcuni però acquistano una noto rietà non effimera: cosi le Sam (Squadre d ’azione Mussoli ni), i Far (Fasci d ’azione rivoluzionaria), mentre già com paiono i nomi di personaggi destinati a svolgere ruoli prota gonisti nelle vicende successive: ad esempio, Clemente Graziani e Pino Rauti, già nel 1951, sono coinvolti, insieme a Ju lius Evola, in un processo per aver dato vita ai Far. La cultura di questi gruppi, di livello concettuale piuttosto basso, benché inizi ad affiorare il riferimento ad Evola, è prevalentemente «nostalgica»: domina la rivendicazione di continuità rispetto al Fascismo storico, e soprattutto all’«epopea» della Rsi; intensissimo è l’odio contro i «tradito ri del 25 luglio». (Le faide interne sono spesso causate, alme no in superficie, da rivendicazioni di ortodossia, purezza, primogenitura fascista). I miti sono quelli del combattenti smo, del reducismo, della lotta contro il bolscevismo e il «marciume democratico». I gruppi dediti alla violenza com piono azioni di tipo nettamente squadristico: «spedizioni pu nitive», pestaggi, aggressioni, attentati contro sedi di partiti democratici e sindacati, sfregi a monumenti e simboli della Resistenza, e c c .18.
munista); Pii (partito fusionista italiano); Pr (partito del reduce); Pnf (partito na zionale fusionista: si osservi la sigla); Ail (armata italiana di liberazione); Fai (fron te antibolscevico italiano); Abirac (arditi bianchi italiani reparti anticomunisti); Raam (reparti di azione anticomunisti monarchici). Del Boca e G iovana (1965: 183); G iovana (1966: 29). Per un’analisi approfondita della situazione in un’im portante provincia industriale, cfr. Chiarini e Corsini (1982). 18
Summa di questo clima e di questa cultura politica può essere considerata l’autobio grafia di un militante, descritta in un'intervista condotta nel 1962 a Roma da An gelo Del Boca: «Perché nasconderlo? H o preso parte a tutte le spedizioni punitive dal 1949 al 1955. H o cominciato che avevo quindici anni, ho smesso che ne avevo ventuno. Mi sono battuto in via M argutta e davanti a Montecitorio. H o preso par te all’assalto della libreria “ Rinascita” . [...] H o imparato a costruire bombe con re siduati di guerra; ho lanciato “castagnole” ; ho usato pugni di ferro, manganelli, spranghe e catene di bicicletta negli scontri con poliziotti e i socialcomunisti. [...] A diciotto anni ero capo-sezione del Msi e i camerati mi chiamavano “ ducetto” . [...] Dopo la scuola, finivo immancabilmente in sezione. L i incontravo sempre qualcu no che era stato nelle forze repubblicane di Salò, ed era pronto a raccontare. [...] N on c ’era bisogno che i “ vecchi” ci facessero lezione di mistica fascista; per farci andare su di giri bastavano i loro ricordi. [...] Io feci carriera perché mi allenavo in
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Non esiste un progetto politico complessivo (i riferimenti al corporativismo, alla socializzazione, alla «carta di Verona» sono ritualistici ed esornativi) e neppure una strategia di con quista del potere. Manca anche un’ipotesi di «attacco allo Stato»: al contrario, le «squadre» compiono le loro violenze in un clima di tolleranza, se non addirittura di connivenza da parte delle forze dell’ordine, che colloca i mazzieri di destra in un ruolo di ausiliari nella lotta del blocco centrista contro la «sovversione rossa». Con variazioni nell’intensità della violenza (numerosissimi e particolarmente feroci, ad esempio, i pestaggi a Roma all’ini zio degli anni sessanta, di cui è protagonista soprattutto Avanguardia nazionale), tale «clima» perdura fino all’inne sco della «strategia della tensione». In questo periodo l’uni verso magmatico e fluido dei gruppuscoli si va riducendo e «razionalizzando»: si consolidano e assumono una posizione egemonica i due gruppi la cui presenza diverrà una costante in tutte le vicende eversive, Ordine nuovo e Avanguardia nazionale. 2.2. Non è evidentemente questo il luogo per ricostruire la storia e la logica della «strategia della tensione», su cui esiste ormai una pubblicistica ricchissima. Succintamente, come è noto, si trattava, di fronte all’emergere di rivendicazioni operaie senza precedenti per portata ed energia (l’autunno caldo), di «spostare a destra» l’asse politico del paese, con un uso spregiudicato di tutti gli strumenti politici, finanziari e propagandistici disponibili, mediante un intreccio fino ad al lora impensabile, e a tutt’oggi non ancora chiarito, fra corpi palestra a tirare di boxe, ed ero il più deciso. Il mio motto diceva: “ I diciotto punti di Verona li imporremo col m itra” . [...] né io né altri abbiamo mai saputo con pre cisione che cosa fossero questi diciotto punti. Ma non importava. C e ne fottevamo dell’ideologia. Ci bastava sentirci arrabbiati. [...] Si contano a migliaia le azioni che noi del Msi e degli altri gruppi abbiamo compiuto in quegli anni: devastazioni di sedi di partiti, distruzioni di lapidi di partigiani, violazioni di cimiteri ebraici, in cendi di Camere del lavoro, manifestazioni antisemite, attentati dinamitardi, ag gressioni, lancio di bombe-carta. [...] Il rischio, poi, non era cosi grande. C i hanno pescato più di una volta, ma non sono mai riusciti a mandarci a Regina Coeli. Pri ma che scadessero i sette giorni, siamo sempre riusciti a cavarcela. Col centrosini stra le cose sono un po’ cambiate [...], ma prima era una vera pacchia [...]» (Del Boca e G iovana, 1965: 190-192).
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separati, servizi segreti italiani e stranieri, settori compiacen ti della magistratura, polizie parallele, partiti ombra, ecc. In questo quadro, le ipotesi, le tattiche, le metodologie della Destra eversiva subiscono significative modifiche. La violen za squadristica non basta più, si giunge all’attentato mortale, alla strage; la strategia della «guerra totale», ipotizzata nel fa moso convegno dell’istituto Alberto Pollio, del 1965, confi gura anche la possibilità del golpe 19. Un tentativo in questo senso, messo in atto con modalità e connivenze non ancora chiarite nel dicembre 1970 dal Fron te nazionale del principe Junio Valerio Borghese (probabil mente il più serio tentativo di conquista del potere con la violenza in questo dopoguerra), costituisce forse il «canto del cigno» dell’antico fascismo reducista-repubblichino, con il quale però si vanno saldando le nuove leve dell’eversione di destra. Da un lato, infatti, i primi aderenti al Fronte sono re duci della Rsi, ufficiali in congedo, paracadutisti, notabili e «uomini d ’ordine» di varia collocazione; dall’altro, assumono presto un ruolo decisivo nel progetto le «formazioni giovani li», cioè appunto Ordine nuovo e soprattutto Avanguardia nazionale. L ’universo culturale e ideologico del Fronte è piuttosto ele mentare: suo scopo, secondo lo statuto depositato nel set tembre del 1968, è quello di perseguire «tutte le attività utili alla difesa e al ripristino dei massimi valori della civiltà italia na ed europea»20. Gli «orientamenti programmatici», del 1969, si richiamano ad «elevate conquiste dello spirito», e in dicano la volontà del movimento di instaurare un ordine po litico, in alternativa a quello vigente, che ripudi il «materiali smo e la massificazione», nonché «la lotta di classe, a benefi-
19
Beltrametti (1966). Malgrado quasi tutta la saggistica sulla strategia della tensione vi (accia riferimento, il vero ruolo e l’importanza di questo convegno non sono an cora stati adeguatamente analizzati.
20
Tribunale di Rom a (1978).
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ciò di una realistica e salutare collaborazione fra le categorie professionali», capace di garantire ai cittadini «aventi in co mune sentimenti patriottici», una vita «consona alle migliori tradizioni del popolo italiano». A questo scopo sarà necessa rio costruire uno Stato forte, «efficiente ed autorevole», capa ce di salvaguardare «gli interessi generali» e di eliminare i conflitti interni nocivi ad una disciplinata convivenza; sop primere i partiti politici e gli istituti parlamentari, fautori di «un’azione perniciosa», «germi di disintegrazione, focolai di corruzione... congreghe operanti a favore di interessi parti colari, spesso anche stranieri»; osservare le leggi e riconosce re il ruolo primario delle Forze armate, affrancate da interfe renze di comodo. Naturalmente, i richiami alla necessità di combattere il «terrore rosso», «l’azione sovversiva del Pei» sono costanti. Nella consapevolezza che non fosse possibile destabilizzare le istituzioni repubblicane tramite le azioni di reparti irrego lari armati privi dell’appoggio delle Forze armate, il piano del Fronte nazionale (nella ricostruzione della Corte d’assise di Rom a)21 prevedeva di porre in atto una moltitudine di atti di violenza, che determinassero uno stato di tensione e di al larme dell’opinione pubblica, mettendo in luce l’impotenza e la corruzione della classe dirigente, e ingenerando nei «ben pensanti» un forte desiderio di «ordine», da tutelare a ogni costo. In tale quadro, «soltanto le Forze armate, da troppo tempo umiliate da insensate campagne denigratorie e da mi seri giochi di vertice, avevano l’opportunità di intervenire per “ ristabilire la legge” , eliminare i focolai di turbamento, portare a termine una “ salutare” pulizia nei gangli vitali» (p. 98). Il Fronte nazionale, innescate le dinamiche della conflit tualità, si assegnava il ruolo di aperto fiancheggiatore dei mi litari, per rivendicare in seguito adeguati compensi, e in par ticolare il diritto di partecipare da protagonista alla costru zione dello «Stato forte» (p. 99). 21
Una C orte, si ricordi, che assolse tutti i principali imputati dei reati più gravi, mi nimizzando il tentativo del 7 dicembre 1970, a livello di una «isolata manifestazio ne, “eclatante” , violenta, ostile, ...“ gesto" [che] appare, oggi come allora, velleita rio, inutile e fallace» (pp. 113-114). (L'accusa era rappresentata dal P.M . Claudio Vitalone).
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Come si vede, siamo all’interno di una logica golpista del tut to tradizionale. L ’obiettivo di ristabilimento dell’ordine si coniuga con un sostanziale rispetto nei confronti dell’ordina mento esistente: lo Stato non è una controparte, né un av versario, ma l’istituzione che ci si propone di rafforzare tra mite l’eliminazione dei partiti e dei sindacati, cioè le rappre sentanze democratiche, vere nemiche. Questo rispetto risul ta ancora più marcato nel proclama che Borghese intendeva leggere dopo la conquista del potere 22, dove il riferimento ai
22
II testo del proclama, sequestrato dalla magistratura, è il seguente: «Italiani, «l’auspicata svolta politica, il lungamente atteso “colpo di stato” ha avuto luogo. «La formula politica che per un venticinquennio ha portato l’Italia sull’orlo dello sfacelo economico e morale, ha cessato di esistere. «Nelle prossime ore, con successivi bollettini, vi verranno indicati i provvedimenti più immediati ed idonei a fronteggiare gli attuali squilibri della Nazione. Le FF.AA. le Forze dell’Ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della na zione sono con noi; mentre, d ’altro canto, possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli, per intendersi, che volevano asservire la Patria allo straniero, sono stati resi inoffensivi. «Italiani, «lo Stato che insieme creeremo, sarà un'Italia senza aggettivi né colori politici. E s sa avrà una sola bandiera; il nostro glorioso Tricolore! Soldati di Terra, di Mare e dell’Aria, Forze dell’Ordine, a voi affidiamo la difesa della Patria ed il ristabili mento dell’ordine interno. «Non saranno promulgate leggi speciali né verranno istituiti tribunali speciali: vi chiediamo solo di far rispettare le Leggi vigenti. «Da questo momento, nessuno potrà impunemente deridervi, offendervi, ferirvi nello spirito e nel corpo, uccidervi. «Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso t r i c o l o r e vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno d ’amore: I t a l i a ! I t a l i a ! v i v a l ’i t a l i a » . Un altro appunto delineava gli orientamenti programmatici di un nuovo governo: 1) Mantenimento dell’attuale impegno militare e finanziario della Nato e messa a punto di un piano per incrementare la partecipazione italiana all’alleanza atlantica. 2) Presa di contatto coi governi della Grecia, Spagna e Portogallo per stabilire un patto economico-militare di mutua assistenza e di tutela degli interessi nel Mediterraneo. 3) Apertura di immediate relazioni diplomatiche colla Rhodesia ed il Sud Africa e avviare preliminari per accordi economico-politici. 4) Mantenimento degli impegni presi per la Comunità Europea in vista di una struttura politica futura nell’ambito del Mec. Revisione tuttavia delle norme co munitarie per quanto riguarda i momenti economici del Mercato comune. 5) Immediata destituzione di tutte le personalità politiche che svolgono incarichi diplomatici nel Mec, Consiglio d’Europa, Nato e Onu. 6) Adesione all’Onu nell’ambito di una revisione della partecipazione alla gestione della stessa organizzazione da parte di un consiglio di nazioni europee. 7) Nomina di un inviato speciale (possibilmente diplomatico di carriera) del Presi dente con mansioni di contatto diretto e continuo col Presidente degli Usa allo sco-
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simboli istituzionali dell’ordine è ribadito ed esplicito: «le Forze armate, le Forze dell’Ordine, gli uomini più compe tenti e rappresentativi della Nazione sono con noi...» (la de ferenza nei confronti delle Forze armate è ovvia in chi ne vuol fare le principali protagoniste del tentativo autoritario: fra l’altro l’esempio dei colonnelli greci era allora di grande attualità). Il mantenimento della collocazione internazionale dell’Italia all’interno della Nato ribadisce l’accettazione dello status quo da parte di questo progetto, mentre il richiamo ai con cetti di Patria, glorioso Tricolore, Nazione, e l’invettiva con tro «quelli, per intendersi, che volevano asservire la Patria allo straniero», non esclude un incredibile, ed umiliante, ge sto di subalternità nei confronti degli Stati Uniti: «partecipa zione militare italiana ai problemi del Sud Est Asiatico», e immediata richiesta di un prestito in dollari agli U sa2J.
po di concretare con rapidità i momenti di una partecipazione militare italiana ai problemi del Sud Est Asiatico. 8) A mezzo dell’inviato speciale avviare trattative per la richiesta di un prestito agli Usa in dollari per far fronte all’attuale crisi economica (secondo le indicazioni degli esperti finanziari). Tribunale di Roma (1978: 24-26). 25
Secondo alcune ricostruzioni, la presenza militare italiana in Viet-Nam sarebbe stata la contropartita per la promessa di appoggio al golpe, «garantita» da alcuni settori dell’Esecutivo americano. L ’ingenuità del «comandante» sarebbe consistita nel non rendersi conto di essere strumento di un piano che intendeva mandare allo sbaraglio gli ultras di destra — inclusi Ordine nuovo e Avanguardia nazionale — onde far posto a iniziative «golpiste moderate», basate su strumenti meno avventu rosi, politici e non militari, per realizzare la «seconda repubblica». Cfr. Flamini (1982: 228-229); sulla possibile strumentalizzazione di Borghese, cfr. anche Min na, in questo volume. Àncora più drastico il giudizio di Bocca: «Il golpismo di Bor ghese è sempre stato fallimentare e subalterno sin dai tempi della repubblica di Salò: anche allora egli ha minacciato sedizioni, “ marce su Salò” , cacciate dei mini stri corrotti, ricostituzione del partito delle medaglie d’oro; parole dentro il ferreo rapporto di sudditanza dai tedeschi da cui ha atteso gli ordini per qualsiasi opera zione militare. Adesso i suoi eroi sono invecchiati, e i nuovi padroni, i corpi separa ti dello stato, i servizi che rappresentano in Italia gli interessi della potenza impe riale e del comando della Nato non vogliono spingere il gioco oltre un certo limite: la democrazia cristiana non sembra sostituibile come partito di governo; basta con dizionarla a destra, rimetterla in giusta linea di navigazione quando sbanda» (Boc ca, 1978b: 52-53).
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3. Avanguardia nazionale e Ordine nuovo fino allo scioglimen
to (metà anni settanta) Come si è detto, i gruppi la cui presenza palese è più costante e continuativa nell’universo della Destra di battaglia sono Ordine nuovo, fondato nel 1956, e Avanguardia nazionale, fondata nel 1960, sciolta nel 1965, rifondata nel 1970. Il pri mo gruppo si muove prevalentemente su un piano di elabora zione politica, il secondo di attività operativa. La differen ziazione tende a sbiadire col tempo, mentre sono sempre for tissimi i collegamenti ed i vincoli personali e politici fra gli aderenti, che, malgrado il periodico emergere di contrasti anche profondi, affermano una sostanziale unità di strategie ed intenti nel movimento «nazionalrivoluzionario»24. 3.1. La storia di Ordine nuovo in quanto gruppo politico autonomo inizia nel 1956, quando, al congresso di Milano del Msi, un gruppo di aderenti guidato da Pino Rauti (e che include, fra gli altri, Clemente Graziani, Paolo Signorelli, Stefano Serpieri, Stefano Delle Chiaie), esce dal partito e fonda il Centro studi ordine nuovo. La segreteria del Msi è allora controllata da Michelini; Almirante, le cui posizioni sono vicine a quelle ordinoviste, rimane nel partito e svolge il ruolo di opposizione interna. Le motivazioni dell’uscita so no quelle classiche per questo tipo di diaspora: caduta della tensione ideale, della purezza, dello slancio del partito; suo inserimento nel sistema demoparlamentare e nel regime anti fascista; tradimento dell’idea e della Causa della rivoluzione nazionale; rinnegamento del passato fascista soprattutto repubblicano (ammesso senza infingimenti); personalismi, me schinità, intrighi di corridoio, piccole ambizioni «di arrivisti in fregola, di burocrati stipendiati, di borghesi melanconicàmente “patriottici” , di scaltri uomini d ’affari», privi delle doti di coerenza e di stile peculiari dell’uomo fascista, e che nella maggioranza dei casi non avevano neppure partecipato
24
Nunziata (1983).
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alla «sanguinosa epopea» della R si25. Nella prosa, l’invettiva si mescola al tono accorato di chi è costretto, suo malgrado, a lasciare la casa del padre. Negli anni che seguono, il «Centro studi» si orienta intellet tualmente sulle teorie evoliane e sul mito dell’Europa, riela bora concezioni hitleriane, riallacciando e intensificando i le gami con il neonazismo europeo, già stretti negli anni cin quanta. Nel decennio successivo il movimento vanta 10 000 aderenti, con roccheforti in Veneto (della cui sezione, alla fi ne degli anni sessanta, era responsabile Franco Freda), Cam pania, Sicilia; alla rivista «Ordine nuovo», diretta da Rauti, si affianca un periodico, «Noi Europa», un bollettino, «Eurafrica», e una «Europa-Korrespondenz»26. Alle attività culturali e di formazione (convegni, corsi, ecc.) si affianca la battaglia politica vera e propria, che vede On schierato al fianco di Avanguardia nazionale e delle altre for mazioni neofasciste in tutti gli scontri di piazza, nelle azioni squadristiche, nei campi paramilitari, negli stages per attivi sti, ecc. Quanto alla strategia della tensione, basti ricordare i pesanti sospetti emersi nei confronti del fondatore e capo storico di On, Pino Rauti, circa la sua partecipazione alla progettazione dell’attentato di Piazza Fontana a Milano. Della presenza di On, insieme con An, nelle attività del Fronte nazionale di Borghese, si è già parlato in un paragrafo precedente. 25
«Ordine nuovo», II (1956), 12, p. 19.
26
Del Boca e Giovana (1965: 206 ss.); Rosenbaum (1975: 80). Appartengono a que sta fase documenti come il seguente volantino, distribuito nelle scuole dalla «Cor porazione degli studenti di On» nel 1965: «Studenti! Mentre in Francia l’opinione pubblica si stringe intorno a Lagaillarde, alla “Jeune Nation” e agli “Ultras” , la mi gliore gioventù francese tiene alta la bandiera della civiltà europea battendosi con tro le orde della rivoluzione di colore, le organizzazioni socialcomuniste, unitamen te ai senzapatria e agli omossessuali della internazionale rosa radicalmarxista, mon tano in tutta Europa una campagna volgare di basse menzogne al fine di colpire alle spalle quanti in terra d’Africa si battono per l’Europa. L ’oro dell’internazionale moscovita sta dietro le manifestazioni studentesche e le capponesche proteste di un branco di cialtroni, sedicenti intellettuali, antifascisti». Riportato in Barbieri (1976: 67-68); il volume contiene un’utile ed accurata ricostruzione delle principali vicende del neofascismo in Italia fino al 1974-75.
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Il contatto con il Msi, però, non viene mai meno, e privilegia soprattutto i settori più critici della gestione Michelini, cioè l’ala almirantiana. Quando, alla morte di Michelini, Almi rante assume la segreteria (1969), Pino Rauti decide di rien trare nel partito. Questo crea una spaccatura all’interno di Ordine nuovo: coloro che disapprovano il rientro nel Msi, guidati da Clemente Graziani, danno vita al «Movimento politico ordine nuovo». (Ma alcuni osservatori ritengono che fra Rauti e Graziani vi sia stato un mero scambio di parti, per poter continuare a giocare su due scacchieri, quello legale-parlamentare e quello «rivoluzionario»)27. Il Mpon vi ve un’esistenza teoricamente pubblica, in realtà semiclande stina28, fino al 1973, quando viene condannato per ricostitu zione del partito fascista, e poi sciolto con decreto ministe riale. Dopo lo scioglimento entra in clandestinità, e si con fonde e mimetizza con altri gruppi e sigle. 3.1.1. La ricostruzione della cultura politica e dell’ideolo gia di questo gruppo, al di là degli aspetti più generici, non è agevole, in quanto On, come buona parte delle organizzazio ni di Destra, in questa fase non rivendica né fornisce una giustificazione teorico-ideologica delle azioni compiute. Buona parte dei documenti cui è stato possibile accedere provengono dal processo del 1973, sopra accennato. L ’impo stazione di questo procedimento però (che, fra l’altro, pren de in considerazione solo il periodo successivo al 1969), ha fatto si che i materiali utilizzati tanto dall’accusa quanto dal la difesa riguardino soprattutto la ricostruzione del partito fascista, e non la natura violenta e/o terroristica del gruppo, il che ne limita l’utilizzabilità ai nostri fini. Ciò vale in parti colare per il principale manifesto ideologico di On, la memo ria presentata al Tribunale da Clemente Graziani, e successi vamente pubblicata29: il documento infatti è dedicato so prattutto a differenziare le posizioni di On da quelle del par27
Barbieri (1976: 165).
28
Tribunale di Roma (1973b: 59, 69).
29
Graziani (1973).
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tito fascista, e ad affermare la natura legalitaria e non violenta del primo — con alcune punte francamente impu denti, come il tentativo di dimostrare la possibilità di una «rivoluzione» non violenta collocando Ordine nuovo sullo stesso piano di cristianesimo, buddhismo e movimento gandhiano. 3.1.1.1. Il rientro, nel 1969, dell’ala rautiana di On nel Msi era stato motivato dalla situazione di emergenza creata dall’autunno caldo. Rauti affermava che «una vera avanguar dia rivoluzionaria non può stare a guardare, arroccata sulle sue posizioni... La dispersione delle forze sarebbe un lusso letale»50. A ciò si aggiungevano ragioni di sopravvivenza, che ponevano la «necessità vitale... [di] inserirsi dalla fine stra nel sistema da cui eravamo usciti dalla porta, per poter usufruire delle difese che il sistema offre attraverso il Parla mento... E quale poteva essere lo strumento di questo inseri mento se non il M si?»31. La replica dell’ala non «entrista», di coloro che avrebbero dato vita al Mpon, fornisce alcune indicazioni sulla concezio ne che il movimento ha di se stesso. Il Msi — si afferma — non ha per fine politico l’abbattimento del sistema, ma piut tosto il suo mantenimento e rafforzamento attraverso il cor rettivo dello Stato forte e autoritario; non è pertanto un mo vimento rivoluzionario, e non può pretendere di inglobare On, «l’unico movimento politico fautore di una strategia glo bale nazional-rivoluzionaria, strategia espressa in un organi co lavoro di rielaborazione delle idee e della dottrina e della scelta di mezzi di lotta indicati nelle tecniche della guerra ri voluzionaria» 32. La natura rivoluzionaria del movimento è frequentemente ribadita: «Noi siamo un movimento rivoluzionario, la nostra 50
«Ordine nuovo», autunno 1969.
31
Bollettino «Europa», autunno 1969.
32
«Orientamenti», dicembre 1969.
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azione politica sarà quindi rivoluzionaria; i tempi correnti, la congiuntura sociale e politica sono maturi per un’azione ri voluzionaria... » ” . A sua volta l’azione rivoluzionaria si defi nisce come «quel complesso di azioni che, fuori dell’attività di partito e più specificamente politica, in una varietà sem pre più estesa di strutture e di formule, miri scientificamente alla conquista del potere»,4. Il nemico è innanzitutto il sistema della democrazia parla mentare partitica. La democrazia è la tomba della libertà, è il sistema «più illiberale e più ingiusto perché porta al potere i meno capaci e i più settari, in quanto emanazione dei parti ti... pone per assioma tutti gli uomini su un unico piano e ad un unico livello di eguaglianza falsa ed impossibile»” . Di particolare violenza sono le invettive contro il «letamaio par titocratico», il governo «dei ladri e dei vigliacchi», il regime politico «che niente e nessuno rappresenta fuorché i ladri e gli sfruttatori». Il sistema è marcio e corrotto, fautore di «in trallazzi clientelistici, di disordine morale ed economico»; la festa del 25 aprile è «uno straccio sporco di sangue e di ster co... degno simbolo della democrazia italiana»; il problema non è più di sostituire questo a quel partito, perché responsa bili sono tutti i partiti>6. A questo sistema, e a questa società, il movimento nazionalrivoluzionario contrappone «un mondo incentrato sui princi pi di una concezione antidemocratica, antisocialistica, aristo cratica ed eroica della v ita»J7. Per inquadrare adeguatamente il significato di queste catego rie, è necessario richiamare, seppure in maniera succinta, 33
Lettera aperta ai dirigenti ed ai militanti di On, citata in Tribunale di Roma (1973b: 50-51).
14 Ibidem. 35
Ibidem, p. 97.
36
Ibidem, pp. 79-85.
37
Ibidem, p. 84.
244
l’universo concettuale da cui esse provengono, cioè la dottri na di Julius Evola. Il riferimento ad Evola, infatti, è assolu tamente centrale nelle formulazioni teoriche e dottrinali di On. Da questo autore «noi abbiamo mutuato tutta la nostra impostazione dottrinale ed esistenziale... Il lavoro di Ordine nuovo dal 1953 ad oggi è stato quello di trasferire sul piano politico gli insegnamenti di Julius Evola... Gli uomini e le ro vine... può considerarsi il vangelo politico della gioventù nazionalrivoluzionaria»,8. Né ci si limita a riconoscimenti di principio: ad esempio, il programma di un corso di formazio ne ideologica per i quadri di On, esaminato dal Tribunale di Roma, si articola su una serie di lezioni i cui argomenti sono altrettanti capitoli di pubblicazioni evoliane,9. Data l’impor tanza che queste concezioni assumono anche per gli altri gruppi della Destra, conviene richiamarle, ovviamente in maniera molto sommaria. 3.1.1.2. Punto di partenza è il concetto di Tradizione, de finito dallo stesso Evola nel modo seguente: Per «civiltà tradizionale» si intende una civiltà or ganica, tale che in essa tutte le attività sono orien tate in modo unitario secondo un’idea centrale e, propriamente, «dall’alto e verso l’alto». «Verso l’alto» significa verso qualcosa di superiore a ciò che è naturalistico e semplicemente umano. Que sto orientamento presuppone un insieme di prin cipi aventi un’immutabile validità normativa e un carattere metafisico. A tale insieme, può darsi il nome di Tradizione al singolare, perché i valori e i
18
Graziani (1973: 26-27, 30).
J9
«Rivoluzione tradizionale e sovversiva»; «le due razze»; «impeto della vera cultu ra»; «orientamenti»; «da “Rivolta contro il mondo moderno" — la guerra santa»; «la contrapposizione di Oriente e Occidente»; «da “ Rivolta contro il mondo mo derno ” — scienza e scientismo»; «la plutocrazia come forza sovversiva». Non a ca so quasi tutta la bibliografia consigliata è costituita da opere di Evola. (Tribunale di Roma, 1973b: 74). Le opere sono: Rivolta contro il mondo moderno (1978a); Il Fascismo, con: Note sul Terzo Reich (1974); L'arco e la clava (1968); Il mito del san gue (l91Sb).
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principi di base sono essenzialmente gli stessi nel le singole tradizioni storiche, a parte una varietà di adattazioni e di formulazioni40. L ’antica dottrina delle quattro età (oro, argento, bronzo, fer ro), ben raffigura l’andamento discendente — in senso pro prio, il regresso — che caratterizza la storia dell’umanità co me noi la conosciamo41. Forse l’ultimo esempio, seppure molto imperfetto, di un ordinamento organico, gerarchico, ispirato ai principi trascendenti della tradizione, è quello dell’impero ghibellino, distrutto dalla ribellione dei comuni guelfi, in combutta col Papato — vicenda, questa, che una sprovveduta storiografia esalta per i suoi presunti valori «na zionali», come pure esalta altri momenti di disgregazione, quali il Rinascimento e il Risorgimento42. Negli ultimi secoli, le fasi della decadenza — liberalismo, poi democrazia, poi socialismo, poi radicalismo, infine comuni smo — si sono andate susseguendo con l’ineluttabilità di sta di diversi di un medesimo male: «senza la Rivoluzione fran cese e il liberalismo non vi sarebbero stati il costituzionali smo e la democrazia, senza la democrazia non vi sarebbe sta to il socialismo e il nazionalismo demagogico, senza la prepa razione del socialismo non vi sarebbero stati radicalismo e infine comunismo»4’ . E quindi illusorio pensare che queste forme siano antagoniste, e in particolare che democrazia e li beralismo siano l’antitesi del comunismo, e abbiano il potere di arginarlo. In questo senso, irrilevante risulta anche l’antitesi fra «Oriente» rosso e «Occidente» democratico, e tragicamente irrilevante anche un eventuale conflitto fra i blocchi. Tutta via, di fronte alla visione di un’Europa ridotta ormai al ran 40
Intervista del 1971, ripubblicata in Evola (1981: 30).
41
Evola (1978a: 221 ss.).
42
Evola (1978a: 350 ss.) e (1972: 141 ss.).
43
Evola (1981: 15).
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go di oggetto di politica mondiale, di fronte alla tenaglia ideologica che Russia e America stanno per rinchiuderle in torno, si riconosce comunque all’America la posizione di ma le minore, se non altro perché la vittoria militare dell’«Oriente» «implicherebbe la distruzione fisica immediata degli ulti mi esponenti della resistenza»44: ma l’«Occidente» non è esponente di nessuna idea superiore. La sua civiltà, «basata su di una negazione essenziale dei valori tradizionali, presen ta le stesse distruzioni e lo stesso sfondo nichilistico che è in evidenza nell’area marxista e comunista, seppure in forme e gradi diversi»45. La vera antitesi consiste nell 'idea gerarchica integrale, quindi nella costruzione di uno stato organico, da non confondere però con lo stato totalitario. Il primo infatti è differenziato e articolato, ammette zone di parziale autonomia, riconosce la libertà delle forze che coordina e fa partecipare a una supe riore unità; detiene un potere assoluto che fa valere in caso di necessità o nelle decisioni ultime, al di là del feticismo per il cosiddetto «Stato di diritto», ma non si intromette dapper tutto, non si sostituisce a tutto, non tende ad un irreggimentamento da caserma46. Queste sono le deformazioni dello stato totalitario, che il Fascismo non riuscì interamente ad evitare, come pure non evitò la degenerazione della gerar chia in gerarchismo. Tali strutture richiedono un centro, un supremo punto di ri ferimento, un nuovo simbolo di sovranità e autorità. Sulla natura di questo simbolo, dopo qualche oscillazione (proba bilmente di reazione al comportamento di Vittorio Emanue le III nei confronti della «congiura di palazzo» che rovesciò il Fascismo: «noi si può anche riconoscere l’inconcludenza del la soluzione monarchica»47), E vola assume una posizione di 44
Evola(1981: 16).
45
Evola (1971: 175).
46
Evola (1974: 36).
47
Evola (1981: 21-22).
247
principio molto netta: «si può con fondatezza affermare che una vera Destra senza la Monarchia risulta priva del suo na turale centro di gravitazione e cristallizzazione»48. Resta però che la soluzione monarchica non sembra molto pratica bile. Neppure il necessario carisma superiore può essere ga rantito da un qualsiasi revocabile «presidente», o da un tri buno o capo-popolo, poggiante sul prestigio precario eserci tato sulle forze irrazionali delle masse — il «bonapartismo», tentazione cui lo stesso Fascismo non seppe sottrarsi49. La guida di questo Stato dovrebbe essere espressa da un 'élite, un’aristocrazia dello spirito, che incarni l’idea superiore cui lo Stato deve ispirarsi (razzismo spiritualista in contrapposi zione al razzismo biologico). Nelle condizioni storiche attuali però non esistono le pre messe per un movimento che si muova in questa direzione, contrariamente a quanto Evola aveva sperato all’inizio degli anni cinquanta, a tale progetto dedicando uno dei suoi trat tati più importanti50. Tutto ciò, peraltro (programmi, pro blemi organizzatori partitici, ricette sociali ed economiche) appartiene al contingente, aU’inessenziale. La misura, inve ce, di ciò che può ancora essere salvato dipende, secondo Evola, dall’esistenza di uomini capaci di stare in piedi fra le rovine, «che ci siano dinanzi non per predicare formule, ma per esser esempi, non andando incontro alla demagogia ed al materialismo delle masse, ma per ridestare forme diverse di sensibilità e di interesse»M.
Evola (1974: 41). Questa presa di posizione conduce Evola a condannare recisa mente la proclamazione della repubblica, effettuata da Mussolini dopo la liberazio ne dalla prigionia sul Gran Sasso (una repubblica, per di più, che si definiva «socia le». Si trattò di una decisione aberrante, paragonabile «alle regressioni involutive che nel singolo spesso si verificano in seguito a traumi psichici». II risentimento di Mussolini nei confronti del Re è comprensibile sul piano umano; ma la legittima presa di posizione contro una persona non avrebbe mai dovuto coinvolgere il prin cipio che questa rappresenta (Evola, 1974: 51). Evola (1981: 59 ss.). Evola (1972). Evola (1981: 11).
Il compito principale che deve porsi chi rifiuta di accettare la società moderna è appunto quello di sviluppare in se stesso le virtù che gli consentano di avvicinarsi a questo modello. (Si tratta della «grande guerra santa», di ordine interno, spiri tuale, distinta dalla «piccola» guerra, quella materiale, che si combatte all’esterno contro un nemico)52. La traccia di tale orientamento esiste già, sotto forma di spirito legionario: l’at titudine di chi seppe scegliere la via più dura, di chi seppe combattere anche sapendo che la battaglia era materialmente perduta, seguendo l’antico adagio «fedeltà è più forte del fuoco», attraverso cui si affermò «l’idea tradizionale, che è il senso dell’onore e dell’onta... ciò che crea una differenza so stanziale, esistenziale fra gli esseri, quasi come fra una razza e un’altra razza»53. Lo stile che deve guadagnar risalto è quello di chi si tiene su posizioni in fedeltà a se stesso e ad un’idea, in una raccoltà intensità, in una repulsio ne per ogni compromesso, in un impegno totale che si deve manifestare non solo nella lotta politi ca, ma anche in ogni espressione dell’esistenza... Si deve giungere al punto che il tipo di cui parlia mo [...] sia ben riconoscibile, inconfondibile, diffe renziato... 54. Lo stile si specifica in direzione sia antiborghese che antipro letaria, sciolta dalle contaminazioni democratiche e dalle fisi me «sociali», privilegiando i valori eroici e spirituali, che fa voriscano uno stile di impersonalità attiva, in cui conta l’ope ra e non l’individuo55.
52
Evola (1978a: 153).
«
Evola (1981: 12).
54
Evola (1981: 13); corsivo aggiunto.
55
Evola (1981: 14); nelle formulazioni più tarde si giunge alla «apolitìa»; cfr. Evola (1971: 173 ss.).
249
In base a questa impostazione va rivisto anche il concetto di nazionalismo, e l’idea generica di patria. Al di là dei proble mi contingenti (anacronismo di tali idee in un quadro di blocchi sovrannazionali), va respinto in via di principio il concetto collettivistico della nazione, di origine giacobina, perché «nell’idea va riconosciuta la nostra vera patria. Non l’essere di una stessa terra o di una stessa lingua, ma l’essere della stessa idea è quel che oggi conta»56. La forma «organiz zativa» di tale realtà è YOrdine (in questo senso Ordine nuo vo) di «uomini fedeli a dei principi, testimoni di una superio re autorità e legittimità procedenti appunto dall’idea». «Idea, Ordine, élite, Stato, uomini dell’Ordine — in tali ter mini siano mantenute le linee, finché sia possibile»57. 3.1.1.3. L ’individuazione di questi concetti, o della loro volgarizzazione, nei documenti di Ordine nuovo, è quanto mai agevole. Frequentissimi, per esempio, nella memoria di Graziani, sono i riferimenti all’animus, allo spirito, allo stile legionario, eroico, combattente, ecc., spesso formulati con una prosa da cui è rigorosamente bandita ogni tentazione di understatement («Abbiamo sempre avuto il gusto per le scelte difficili»; «siamo gli uomini delle negazioni assolute e delle affermazioni assolute»; «temiamo troppo il giudizio della Storia per preoccuparci di quello del Tribunale»). Sulla stes sa linea i riferimenti all’aristocrazia politica e alla élite rivo luzionaria, in polemica col fenomeno del ducismo e bonapar tismo, stigmatizzato come controrivoluzionario e attribuito agli aspetti deteriori del Fascismo: Un movimento autenticamente rivoluzionario tende a spersonalizzare al massimo la figura dei suoi dirigenti ed educa il militante, il soldato poli tico, a servire e seguire, con fedeltà e onore, sol tanto l’idea per cui si batte [...]. Questo concetto pratico si unisce all’altro, spirituale, ascetico, per
’6
E vola (1981: 23).
57
Ibidem.
250
cui è l’azione spersonalizzata, condotta in piena li bertà da legami «suggestivi», che spesso s’instau rano nei riguardi di capi prestigiosi [...] quel che [...] più ha valore sul piano della «realizzazione in dividuale» 58. Il nazionalismo, il culto naturalistico della patria, viene di chiarato un non-valore, «la nostra patria essendo là dove si combatte per l ’idea!» (p. 20, corsivo nell’originale). Un para grafo intero è dedicato al significato di tradizione (pp. 23-25), e alla contrapposizione fra due visioni del mondo, quella aristocratica da una parte, e quella plebea, democrati ca, collettivista e materialista dall’altra (p. 24). Viene natu ralmente favorita la prima, «in nome di una superiore realtà metafisica, in nome dell’ascesi eroica e guerriera che reinte gra l’io nella sua dimensione più profonda e originaria...» (p. 20). Pure un paragrafo è dedicato alla differenziazione, in termini rigorosamente evoliani, fra Stato totalitario e Stato organico, naturalmente a favore del secondo (pp. 26-28). Un’ultima serie di considerazioni riguarda l’atteggiamento nei confronti della violenza. Dopo aver affermato che rivolu zione non è sinonimo di violenza, come dimostrano appunto le rivoluzioni non violente, Graziani sostiene che un vero movimento rivoluzionario, fin che può, cerca di affermare le sue idee in modo esclusivamente legale. Solo quando la vio lenza repressiva del sistema lo impedisce, «la volontà della ri voluzione di sopravvivere», provoca e legittima la consape volezza del proprio diritto alla contro-violenza. E questo il caso di On, che pur avendo finora subito angherie di ogni ge nere («l’unica forma di violenza che noi conosciamo — e per il momento subiamo — è [...] quella esercitata con ipocrita e cinica determinazione dalla società borghese e democratica [...]. Contro tutte queste forme di violenza, vere, concrete,
58
Graziani (1973: 30). Una caduta verticale dello stile legionario, ascetico, spersona lizzato, e presumibilmente cavalleresco, si verifica alcune pagine dopo, dove la re sponsabilità di certe denunce contro gli ordinovisti di Verona viene attribuita ad «una signora in preda all’ira e all’umiliazione per essere stata abbandonata dal suo giovane, troppo giovane amante» (pp. 32-53).
251
funeste, poiché spingono il Paese nel baratro della guerra ci vile, noi intendiamo reagire, virilmente, responsabilmente, ma reagire», pp. 48-49), si è sempre mosso nel quadro della legalità (p. 51). Si tratta di vedere sin quando ciò sarà possi bile: «siamo quindi in attesa, Signori del Tribunale, per sape re dal Vostro verdetto se abbiamo ragione o torto, se Ordine nuovo può continuare ad agire sul piano della legalità oppure se deve ricorrere ai mezzi di lotta previsti nei periodi di re pressione e di persecuzione democratiche» (p. 51). È questa la parte più smaccatamente strumentale della me moria, stesa a fini ovviamente difensivi” , e facilmente smentita dal tenore di altri documenti del movimento (ad esempio: «Dietro la fiera ascia di Ordine nuovo si sono cata lizzati uomini che non hanno paura, la cui forza violenta ca lerà implacabile sul gregge belante e schifoso»)60. E questo per non parlare, da un lato, della mitizzazione dei valori le gionari, guerrieri, combattentistici, eroici, ecc., dall’altro della prassi di organizzazione paramilitare che caratterizza buona parte delle attività anche «legali» del gruppo61. A que sto sono da aggiungere i veri e propri fatti di terrorismo at tribuiti a Ordine nuovo, fra cui il coinvolgimento nella stra ge di piazza Fontana (1969), in quella di Peteano (1972), in quella di piazza della Loggia a Brescia (maggio 1974), in quella del treno Italicus (agosto 1974)62 e successivamente l’assassinio, rivendicato, del giudice Occorsio, pubblico mi nistero al processo contro Ordine nuovo (1976), e numerosi altri episodi «minori».
59
Come pure un espediente difensivo va probabilmente individuato nell'ostentazio ne di deferenza nei confronti della Corte, che caratterizza tutta la memoria, non senza qualche concessione all’ironia: «Sul piano dell’erudizione accademica, della cultura ufficiale, mai ci sogneremmo — e soprattutto chi scrive questa memoria avendo interrotto gli studi regolari a livello medio inferiore (sic) — di competere con la somma del Vostro sapere» (p. 21).
60
Citato in Tribunale di Roma (1973b: 105-106).
61
Cfr. ad esempio Tribunale di Torino (1975).
62
Galleni (1981: 51-53).
252
3.1.1.4. Volendo a questo punto delineare, in maniera rias suntiva, gli elementi principali della cultura politica di Ordi ne nuovo fino allo scioglimento, come emergono dai docu menti ufficiali dell’organizzazione, i punti da segnalare sem brano i seguenti. Lo sfondo è costituito dalle dottrine del tradizionalismo evoliano, e quindi dal rifiuto del mondo moderno, dove sistema borghese-capitalista e sistema comunista sono dichiarati equivalenti, dal punto di vista dell’abbandono dei principi della,tradizione, anche se, di fronte alla necessità di una scel ta, il primo viene preferito in quanto «male minore». La po lemica contro il mondo moderno si articola in termini di antiegualitarismo, antidemocratismo, antisocialismo, in nome di una visione eroica, aristocratica, guerriera, legionaria, ecc. della vita. Viene compiuto uno sforzo consapevole (dovuto anche a mo tivi di carattere processuale) per differenziarsi dal Fascismo storico, di cui naturalmente si afferma l’importanza centrale nella storia di questo secolo, nello stesso tempo sottoponen dolo a critica, soprattutto dal punto di vista della dottrina tradizionale. L ’analisi della società italiana contemporanea è condotta sul filo dell’invettiva qualunquista: si parla di «letamaio partito cratico», di «regime dei ladri e sfruttatori», dei partiti come «covi di criminali». Oggetto dell’attacco, quindi, sono i par titi, il regime, il sistema democratico, il parlamentarismo, ecc., non lo Stato in quanto tale. Il modello di società che dovrà essere realizzato dalla rivolu zione nazionale resta nel vago: i concetti sono quelli di stato organico, gerarchico, integrale, di evidente e dichiarata deri vazione evoliana, che però non vengono articolati e resi ope rativi in un concreto progetto politico. Come si è detto, in questa fase le azioni di tipo terroristico non sono rivendicate, mentre viene compiuto un notevole
253
sforzo per presentare una facciata di movimento rivoluziona rio si, ma rispettabile: l’unica violenza è quella che Ordine nuovo subisce, ed alla quale è costretto «virilmente ma re sponsabilmente» a reagire; non si parla mai di lotta armata, e si tiene anzi un atteggiamento rispettoso, ed a volte deferen te, verso le autorità statuali. Questo, presumibilmente, per tre ordini di motivi: innanzitutto evidenti ragioni di strate gia processuale; poi una sorta di implicita sintonia di fondo tra questi sostenitori dello stato forte, ed i simboli, anche scaduti, dello Stato reale, benché avversario. Infine, su un piano più concreto, permangono (non a lungo, come si vedrà), i resti di un’effettiva solidarietà, da parte dei gruppi di destra, nei confronti di settori dei pubblici apparati che, fino ad allora, li avevano protetti e «coperti». Non a caso so no proprio questi tipi di comportamento a provocare le accu se più feroci di collusione con lo Stato da parte di quei grup pi che si attribuiscono maggiore purezza e rigore rivoluziona rio 63. Nei documenti cui è stato possibile accedere mancano anche, in questo periodo, precise indicazioni metodologiche per la conquista del potere, a parte il consueto rimando alle strate gie della «guerra rivoluzionaria», delineate nell’incontro cita to dell’istituto Pollio. In questo quadro appare fra l’altro pa radossale la mancanza di riflessione su un episodio come la rivolta di Reggio Calabria. Da un lato la partecipazione ai
65
Ad esempio, un documento del 1976 prodotto da un gruppo napoletano di ex ap partenenti a Lotta di popolo («il più radicale dei gruppi nati dalla riflessione meta politica sull'opera di Evola. ...Autodissoltosi nel 1973 per sfuggire alla repressio ne»), si chiedeva come fosse possibile, per dei militanti rivoluzionari, fare quanto avevano fatto Ordine nuovo ed Avanguardia nazionale, cioè esprimere fiducia nel la giustizia borghese: «per quanto riguarda i vertici romani delle due organizzazio ni, la risposta è molto semplice. Questi sono sempre stati al servizio dei corpi sepa rati dello Stato, da cui hanno ricevuto, periodicamente, coperture e finanziamenti. E evidente, di conseguenza, il loro rispetto per la loro magistratura e la loro polizia, cosi come la loro impressione di sentirsi traditi, adesso che le forze che li sovven zionavano sono costrette a sbarazzarsi di loro, per motivi di lotte intestine di pote re». Ripubblicato in Comité de solidarité pour Giorgio Freda (1978: 45); nella stes sa pubblicazione viene indicata come esempio di «conduite impeccable devant la “justice” bourgeoise» quella, successiva di Concutelli e Tuti, che «ont insulti les magistrats et ont, par avance, “jugé leurs juges”» (p. 6).
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moti è rivendicata enfaticamente («Reggio, la nostra rivol ta»; «Contro il governo dei ladri e dei vigliacchi i giovani di On combattono sulle barricate alla guida dei reggini per la ri voluzione di domani, che tutto distruggerà per tutto rico struire»)64; dall’altro però non è stato rinvenuto, fra i docu menti esaminati, alcuno sforzo per inquadrare la vicenda in un disegno strategico più ampio, per esempio di politica «me ridionalista». Manca, anche qualunque tentativo di confron tare questo episodio, chiaramente populista, di massa, ple beo, con i modelli dell’azione aristocratica, legionaria, asceti ca, ecc., postulati dalla dottrina del movimento. 3.2. L ’altro «gruppo storico» della Destra rivoluzionaria, come si è detto, è Avanguardia nazionale, fondata nel 1960 da un gruppo di appartenenti ad Ordine nuovo guidati da Stefano Delle Chiaie, sciolta nel 1965, rifondata nel 1970. 3.2.1. Secondo la ricostruzione dei protagonisti, An sorge il 25 aprile 1960 (si osservi il simbolo della data), ad opera di giovani «disillusi dall’azione sterile e puramente nostalgica dei partiti nazionali», ed intenzionati a costruire una forte organizzazione capace di riproporre, nella politica nazionale «principi e soluzioni che non trovano più uomini capaci d ’interpretarli e, quindi, in grado di prospettarli». Essi intendo no, altresì «formare un “ tipo umano” che, in una società vec chia e rilassata, priva di ogni riferimento spirituale, sappia assumere uno “ stile” preparandosi ad essere classe dirigen te »65. Malgrado il programma cosi delineato sia piuttosto vago, es so incontra grosse difficoltà di realizzazione, soprattutto 64
Citato in Tribunale di Roma (1973b: 79-80).
65
Raggiunta un’effettiva forza organizzativa, prosegue il documento, «An dovrebbe assumere, nei confronti delle masse, il ruolo politico di reale interprete dei senti menti, delle angustie, e delle speranze del popolo italiano, prospettando ad Esso soluzioni di antitesi alle vecchie concezioni ed ai miti della moda» (Avanguardia nazionale, s.d .:l, maiuscole nell’originale). Si osservi l’assenza di contenuti specifi ci in queste formulazioni ed in quelle riportate nel testo: quali sono i «principi e so luzioni che non trovano più uomini capaci» ecc.? quali sono «i sentimenti, le angu stie e le speranze del popolo italiano»?
255
perché «le provocazioni continue trascinarono An a ripetuti scontri con i sovversivi» (p. 1). Anche la stampa contribuisce a criminalizzare An, dipingendola come una banda di maz zieri visceralmente dediti alla violenza66. Per questi motivi l’organizzazione fu costretta a «disperdere le proprie ener gie» nell’autodifesa, «trascurando, per i continui scontri ed i numerosissimi fermi subiti, la preparazione dei militanti» (p. 2), e soprattutto l’elaborazione di chiari obiettivi politici67. L ’evoluzione del quadro politico generale, poi, si muoveva in direzione difforme dagli orientamenti di An, soprattutto per quanto riguarda la percezione del pericolo comunista, che «gli altri» (leggi, la Destra ufficiale) tendevano a minimizza re: mentre An affermava la necessità di attaccare il sistema, visto come l’anticamera del comuniSmo, «gli altri ribadivano che bisognava combattere il centro-sinistra per riportare il paese ad equilibri politici diversi» (Ibidem). In questa situa zione, senza mezzi, senza stampa, attaccati e denunciati, rappresentavamo soltanto un inconscio strumento da scatenare nelle piazze contro i sovversivi quan do «certi piani» avessero avuto necessità, di volta in volta, di richiamarsi all’antifascismo o alla co moda tesi degli opposti estremismi (pp. 2-3). (Si rilevi il contrasto fra questa incredibile ammissione, e le precedenti dichiarazioni difensive, secondo cui An sarebbe stata vittima di una continua serie di attacchi e provocazioni da parte dei «sovversivi» e del sistema). In base a queste considerazioni, nel 1965 viene deciso lo scioglimento di An, che non ne comporta, tuttavia, la totale 66
«Mai furono rivelate le centinaia di aggressioni subite dai militanti di An, che, pur rispondendo, molte volte, soltanto per una legittima difesa, venivano indicati co me fomentatori di violenza e di disordine» (Ibidem).
67
Ciò non ostante, «la disciplina interna forgiava ragazzi meravigliosi, e lo spirito ca meratesco cementava le ansie dei militanti» (Ibidem, p. 2; tutto in maiuscole nell’originale).
256
scomparsa: «negli anni che seguirono c’impegnammo a tene re unito l’ambiente per inevitabili future lotte, e, senza fare più politica attiva, teorizzammo... Yassenteismo attivistico». (.Ibidem, corsivo aggiunto). Il sorgere del Movimento studentesco, alla fine degli anni sessanta, pone la leadership «ombra» di An di fronte ad un dilemma: da un lato non si doveva intervenire in scontri con tro il Movimento studentesco «(errore effettuato a Roma)», perché questo avrebbe trasformato i «giovani nazionali» in difensori di un sistema che è la mera anticamera del Pei; dall’altro, soprattutto di fronte all’attrattiva che il Ms aveva anche per «molti del nostro mondo... abbagliati dal verbo ni hilista e rivoluzionario, senza tesi e prospettive, della rivolu zione culturale cinese» (p. 3), era necessario ribadire Pantiteticità del Ms nei confronti della concezione nazionalrivoluzionaria del mondo.
Nel frattempo, Pei e Psi, preoccupati di non riuscire a con trollare la violenza di un movimento che assorbiva le loro unità giovanili, «cercarono di addossare a noi una pretesa azione di provocazione che battezzarono l a s t r a t e g i a d e l l a t e n s i o n e » . A sua volta il numero dei gruppuscoli filocine si si estendeva, aiutato da forti finanziamenti e coperture editoriali: in ogni città «crearono una rete di appartamenti... che presero il nome di “comuni” ». La crescente estremizza zione politica creava «profondo malessere tra quei giovani anti-comunisti che, stanchi della violenza, auspicavano la na scita di un’organizzazione che potesse accoglierli e farli ritro vare. Fu a questo punto che decidemmo di ridare vita ad a v a n g u a r d i a n a z i o n a l e (p. 4, maiuscole originali). 3.2.2. In verità, Avanguardia nazionale è probabilmente la massima protagonista dello squadrismo neofascista degli an ni sessanta; le sue azioni di pestaggio, soprattutto all’univer sità di Roma, sono innumerevoli, e provocano 126 denunce contro il movimento da parte di studenti democratici per le-
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sioni personali, nessuna delle quali ha seguito68; anche la po lizia è tollerante, quando non addirittura connivente69. Se, nei documenti ufficiali, l’organizzazione tende a proclamarsi vittima di aggressioni e costretta ad usare la forza solo per le gittima difesa, i suoi biglietti da visita militanti hanno ben altro tenore: Mettere una bomba davanti ad una sezione del Pei vuota è un atto cretino. Noi siamo per lo scon tro uomo contro uomo. Prima di partire i nostri [i «ragazzi meravigliosi», n.d.a.] vengono preparati moralmente, perché imparino a spaccare le ossa anche ad uno che si inginocchia e piange70. La preparazione e l’allenamento dei membri avvengono nelle palestre del movimento; la disciplina interna è rigidissima: un ritardo alle riunioni viene punito con cinquanta flessioni. 68
Mariotti e Scialoja (1975). Gli episodi sono molto numerosi. Ad esempio, «il 25 aprile 1964, durante le celebrazioni della Resistenza, [i fascisti di Avanguardia na zionale] assaltano gli studenti di sinistra, sotto gli occhi dei poliziotti impassibili, e la notte del 26, guidati da Serafino di Luia, irrompono nella Casa dello studente per farsi consegnare tre “sinistri” , ne feriscono gravemente due e se ne vanno indi sturbati, cantando in faccia ai poliziotti che non sono intervenuti: “il 25 aprile è nata una puttana, e gli hanno messo nome Repubblica Italiana” . ... La polizia rifiu ta sempre di intervenire, cosi come il rettore Ugo Papi al quale si sono rivolti alcuni docenti democratici. ... Il 12 aprile 1965 arrivano al punto di interrompere la lezio ne che Ferruccio Parri sta tenendo all'istituto di Storia Moderna. Inneggiano al Fascismo, lanciano candelotti lacrimogeni nell’aula, picchiano degli studenti e in sultano e prendono a spintoni lo stesso Parri. Il rettore Papi non interviene. La po lizia ferma ed identifica gli studenti aggrediti, lascia che gli aggressori si allontani no indisturbati» (Aa.Vv., 1970: 52-53).
69
I casi di «collegamento» tra le forze dell’ordine ed An sono stati ampiamente de nunciati dalla pubblicistica militante. Uno dei più famosi si ebbe nel 1963, durante la visita al Papa di M. Ciombè, il leader congolese responsabile dell’assassinio di P. Lumumba. «A caricare gli studenti di sinistra che manifestano la loro protesta... ci sono, a fianco dei poliziotti e delle SS (le Squadre Speciali di agenti in borghese agli ordini del commissario Santillo), i fascisti di An, che per l’occasione sono ar mati degli stessi manganelli neri usati dalla polizia. Presente anche stavolta Mario Merlino che con il suo capo Delle Chiaie è attivissimo nell’indicare agli agenti quali sono gli studenti più in vista da inseguire e picchiare. ...Dell’esplicita connivenza tra fascisti e poliziotti parlò diffusamente anche la stampa estera. Per soffocare lo scandalo il Ministero degli Interni sciolse le squadre speciali in borghese e trasferì il commissario Santillo... alla questura di Reggio Calabria» (Aa.Vv., 1970: 51 e 59 nota 5).
70
Volantino del 1969 citato in Rosenbaum (1975: 82).
258
Nel 1963 Delle Chiaie e gli altri dirigenti, denunciati alla Procura per ricostituzione del Partito fascista, vengono mol to blandamente condannati per «apologia di fascismo». I tempi sono comunque poco propizi e, come si è visto, poco dopo il movimento si scioglie, almeno ufficialmente. In ve rità, come ammette lo stesso Delle Chiaie nelle affermazioni riportate più sopra, si tratta di una mera mossa tattica: alcuni dei militanti più compromessi scompaiono dalla circolazione per qualche tempo onde rifarsi una sorta di maquillage politi co che li renda presentabili per il futuro; altri rientrano nel Msi dove assumono posizioni di responsabilità; il leader principale, insieme ad alcuni collaboratori, rimane nell’om bra, con funzioni di coordinamento generale71. Risale al periodo in cui il movimento è ufficialmente sciolto il suo coinvolgimento in alcuni episodi clamorosi, come gli scontri violentissimi del 27 aprile 1966 davanti alla Facoltà di lettere dell’Università di Roma, nel corso dei quali muore lo studente Paolo Rossi (un momento di svolta nella storia del Ms). Forse più importante è l’intervento degli «avanguardisti» nelle fasi principali della catena eversiva, a cominciare dalla loro partecipazione, nel 1965, al convegno dell’istituto Pollio, in cui vengono discusse le basi teoriche della «guerra ri voluzionaria». Nel 1968, insieme ai colleghi di «Ordine nuo vo» (Pino Rauti) e di «Europa Civiltà» (Loris Facchinetti), organizzano un famoso stage di addestramento per militanti nei campi paracadutisti dei colonnelli greci. Quando, a parti re dal 1968, si innesca la strategia della tensione, intervengo no massicciamente come infiltrati e provocatori in alcune delle vicende più torbide, fra cui buona parte degli attentati, incluso quello di piazza Fontana: la loro connivenza con set tori degli apparati di sicurezza e dei corpi speciali può diffi cilmente essere negata72. 71
Aa.Vv. (1970: 53-54).
72
In una ricerca come la presente, dedicata alla ricostruzione della cultura politica dei gruppi di destra, non è stato evidentemente possibile svolgere indagini di tipo in-
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La rifòndazione del movimento, nel 1970, gli consente di partecipare, con ruolo da protagonista, insieme a Ordine nuovo, alle vicende del Fronte nazionale di Junio Valerio vestigativo su episodi specifici — per le quali, d’altronde, mancano a chi scrive gli strumenti necessari. Alcune informazioni, provenienti dalle fonti più accessibili ed attendibili, vanno comunque riportate, per fornire un obiettivo riscontro alle mis sioni propriamente «culturali» dei gruppi. Cosi, ad esempio, la denunciata collusio ne fra An (ed in particolare Stefano Delle Chiaie) ed il Ministero dell’interno ha causato, all'inizio degli anni settanta, una vera e propria rissa negli «ambienti na zionali», di cui sono stati protagonisti soprattutto il direttore del «Candido» e se natore Msi, Giorgio Pisano, e lo stesso Delle Chiaie. All’inizio del 1973, infatti, il settimanale aveva pubblicato dei servizi in cui si dava credito alle «voci» di un lega me tra An e l’Ufficio affari riservati del Ministero — notoriamente uno dei più «chiacchierati» fra gli organi di sicurezza. Ciò provoca: a) due furiose repliche epi stolari di Delle Chiaie dove all’insulto si mescola l’insinuazione di basso conio («Come ci giudicherebbe Lei [Pisanò] se tentassimo di intravvedere contatti inte ressati o illecite manovre durante i Suoi non eccessivamente remoti viaggi, con o senza roulotte, nella terra calabrese, in cui non mancarono gustosi pranzi?»); b) una lettera circolare di autodifesa di An inviata a tutti i deputati, senatori, federali pro vinciali del Msi, nonché alle direzioni dei giornali «Il Secolo», «Il Borghese», «Il Candido»; c) un volantino a firma di A. Tilgher, F.G. Zerbi e «tutti i militanti di An», garbatamente intitolato «Pisanò sei un infame», e nel quale il Senatore missi no viene definito: vigliacco, delatore, profittatore, provocatore, ricattatore, menti tore, sciacallo, traditore, infame. (Delle Chiaie aveva sfidato Pisanò: a) a compari re davanti a un giuri d ’onore; b) a battersi a duello; Pisanò aveva irriso alle propo ste). Cfr. Avanguardia nazionale, Cronistoria di un'infamia, Roma, ciclostilato a cu ra del settore stampa e propaganda di An, s.d. Gli episodi che avevano dato una «cattiva reputazione» a Delle Chiaie sono della natura del seguente, riportato da Aa.Vv. (1970: 52): «Testimonianza n. 8 - “ Mario Merlino mi disse che lui, Delle Chiaie e altri due erano stati avvicinati da un uffi ciale dei carabinieri e da un sottufficiale [...] i quali gli avevano proposto di nascon dere dell'esplosivo in alcune sezioni del Pei che loro poi avrebbero provveduto a far perquisire. Aggiunse che gli suggerirono, come obiettivi ideali per degli attenta ti, la sede romana della De, quella della Confindustria [...] e quella della Rai” . La provocazione contro il Pei non riesce... ma le bombe alla Rai e alla sede della De mocrazia cristiana scoppiano davvero. Per questi attentati vengono arrestati e con dannati i fratelli Strippoli, Nerio Leonori, Antonio Insàbato e Carmelo Pailadino, tutti di An. Quando dopo qualche mese escono di prigione, i cinque accusano Delle Chiaie di averli traditi perché gli aveva garantito una “copertura” che in realtà non c’è stata» (Cfr. anche Barbieri, 1976: 121). Più grave la vicenda di Antonino Aliotti, un picchiatore di An che, entrato in crisi durante il servizio militare, al suo ritorno a Roma aveva cominciato ad accusare Delle Chiaie di non essere un vero rivoluzionario ma un mazziere al servizio del si stema: «Dopo qualche giorno, Aliotti riceve il primo avvertimento. Viene fermato dalla polizia che gli perquisisce l’automobile: nel cofano vengono trovati degli esplosivi che lui giura di non aver messo. E deve esser vero visto che, processato, è assolto per insufficienza di prove. A questo punto Aliotti si è chiarito le idee sino in fondo. Affronta Delle Chiaie e lo minaccia di rivelare pubblicamente i rapporti che lui, Delle Chiaie, mantiene col Ministero degli interni. Passano pochi giorni. Il mattino del 25 febbraio 1967, Antonino Aliotti, ragazzo sbandato, viene trovato morto a bordo della sua auto che ancora una volta è carica di armi ed esplosivo.
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Borghese73. Delle Chiaie, pupillo del «comandante», assume la carica di «responsabile militare nazionale» del Fronte, quale organizzatore delle formazioni giovanili che avevano il compito specifico di provocare «scontri di piazza» e «decise azioni di violenza». Negli anni successivi, i rapporti fra i vari gruppi neofascisti si infittiscono, e in particolare quelli con le formazioni minori, che la polizia tende a considerare, spesso, come mere etichet te dietro cui agisce la dirigenza di Avanguardia: le azioni dei Mar di Carlo Fumagalli (a Brescia, poco prima della strage di piazza della Loggia); i numerosi attentati delle Sam a Mila no, e altri episodi analoghi, vengono abbastanza pacifica mente attribuiti al disegno di Avanguardia nazionale74. Dove la presenza del gruppo è esplicita e dichiarata è a Reg gio Calabria, durante la «rivolta»: buona parte delle azioni di guerriglia urbana sembra diretta e coordinata da dirigenti di An, che comunque se ne attribuiscono il merito7’ . Nel 1973, a tre anni dalla rifondazione, su An gravano alme no 105 denunce per reati come: «lancio di bombe», «attentaSuicidio, dice subito l’inchiesta della polizia...» (Aa.Vv., 1970: 55-56). Quale che sia la verità relativamente a questi episodi, resta che la reputazione di Stefano Delle Chiaie non è mai stata interamente ripulita dai sospetti che aveva fatto nascere. Anche in tempi recenti, alcuni dei gruppi neri che pretendono una maggiore purezza rivoluzionaria, come il «Comitato di solidarietà per Giorgio Freda», lo definiscono in termini tutt’altro che lusinghieri: «Tout d’abord provocateur attitré des services speciaux italiens, puis aventurier et tueur professione). A la sui te de l’enquète sur le grotesque putsch Borghese, [...] Delle Chiaie put fuir tranquillement en Espagne, où il prépara et participa à differents assassinats politiques. [...] Aux dernières nouvelles, il serait au Service de Pinochet» (Cfr. Comité de solidarité pour Giorgio Freda, 1978: 45). 73
«Tra i più solerti ad affermare che il momento favorevole non doveva essere di sperso furono indiscutibilmente i capi di Avanguardia nazionale. ... Non v’è dub bio che Borghese tenne in grande considerazione il Delle Chiaie e i suoi uomini, ammirandone la rigida ortodossia, la spregiudicata spavalderia, l’audacia delle im prese» (Tribunale di Roma, 1978: 94-95).
74
Mariotti e Sci aloja (1975: 59).
75
Avanguardia nazionale (s.d.: 2).
261
ti dinamitardi», «incendi dolosi», e cosi via. La questura di Roma si muove, e in un rapporto non privo di vuoti e lacune (ad esempio fra i componenti del direttivo nazionale non è indicato Stefano Delle Chiaie)76, accusa il gruppo di ricosti tuzione del partito fascista; il presidente del Consiglio, Andreotti, dichiara l’intenzione di sciogliere il movimento, ma, per le reazioni suscitate, non mette in atto il proposito. Nel 1976, però, si svolge in prima istanza il processo contro An, che si conclude con una condanna e, poco dopo, il movimen to viene sciolto dal Ministero dell’interno. La magistratura tuttavia, come si vedrà meglio in seguito, ritiene che, a parti re dalla fine degli anni settanta, si sia operato un tentativo di riorganizzazione clandestina di tutta l’area eversiva di de stra, e che in tale tentativo Avanguardia e Ordine nuovo svolgano un ruolo egemonico. 3.2.3. L ’ideologia e la cultura politica di An, quali emergo no dai suoi documenti ufficiali, si collocano indubbiamente ad un livello di elaborazione più rozzo ed elementare di quel lo dei paragonabili scritti di Ordine nuovo. Il documento più volte citato (La lotta politica di Avanguardia nazionale, presumibilmente opera di Stefano Delle Chiaie, che comunque ne firma la presentazione) vuole essere un ma nuale per l’azione politica ad uso dei militanti, e, oltre a pre sentare un compendio storico delle vicende di An fino alla ri fondazione, fornisce indicazioni operative su problemi che vanno dal rapporto fra «la marcia verso l’obiettivo politico e la definizione dei principi» (i due «dati fondamentali dell’azione politica») (p. 5), alla definizione della metodolo gia, organizzazione, tecnica politica77, per giungere ad un enciclopedico esame dei principi reali e miti alla moda.
76
Barbieri (1976: 252).
77
I precetti sono di questo genere: Sub: «regole per un tipo di metodo — polemica politica: ...si devono avere, attraverso notizie e confidenze, elenchi aggiornati del le eventuali manchevolezze degli avversari: ciò permetterà di rispondere sempre appropriatamente alle loro menzogne ed infamie» (p. 7). «Il metodo marxista è na to in Russia ed in Cina, e, quindi, è estraneo alla civiltà europea» (p. 12).
262
Lo stile della scrittura è faticoso e sciatto, l’argomentazione pesante e farraginosa78; il testo è infarcito di banalità altiso nanti e vuote79, in alcune delle quali, tuttavia, è forse possi bile cogliere l’eco, remota e volgarizzata, del pensiero di au tori come Bergson e Heidegger ®°. I topoi che si possono ricavare da questa elaborazione sono quelli ormai consueti del pensiero di destra. Punto di parten za è un orientamento drasticamente antiegualitario, gerarchi co, elitario, antidemocratico: considerare tutti eguali gli uomi ni è un’astrazione perniciosa; il dato fondamentale che carat terizza la razza umana è la differenza fra individui e fra grup pi, cui deve essere consentito di svilupparsi, dando luogo a naturali gerarchie-, la democrazia è «la sopraffazione fondata sul doppio alibi del diritto e dell’eguaglianza» (p. 27). L ’unità politica fondamentale è la Nazione, individuata co me «una realtà etnica e culturale che si colloca nella storia at traverso una fondamentale unità di Destino» (p. 13, tutto in maiuscole nel testo). (Si osservi che il principale criterio di identificazione, quello di «unità di Destino» — concetto che ritorna frequentemente nel testo, e in generale nel pensiero
78
Ad esempio: la definizione dei principi «è duplice: a) sotto forma di slogans com prensibili alle masse; b) l’altra più elaborata e precisa» (p. 5); «il termine “sociale” può essere nel contempo un programma o un inganno» (p. 17); «il liberalismo pre dica agli uomini che sono liberi di fare ciò che vogliono, ma non propone loro alcu na fede, alcun fervore, alcuno scopo all’infuori della libertà di non fare niente che non sia pura astrazione dialettica» (p. 29); la guerra rivoluzionaria «è una tecnica fraudolenta dell’espressione della volontà dei popoli fondata sul terrore» (p. 34). L ’esemplificazione potrebbe continuare.
79
Ad esempio: «Ogni esistenza umana, individuale e di popolo, è una lotta tragica tra ciò che è spontaneo e ciò che è difficile» (p. 13); «nella scala dei miracoli che innal zano gli uomini al di sopra della condizione animale, la coscienza è, senza dubbio, uno dei più importanti» (p. 14); «l’azione senza il pensiero è pura barbarie, il pen siero senza l'azione è puro delirio!» (p. 20, maiuscolo nel testo).
80
Ad esempio: «la Storia è una cronaca delle azioni degli uomini, e, di conseguenza, soltanto degli avvenimenti che misurano il tempo. Dapprima vi i la riflessione, poi l’azione dalla quale nasce l’avvenimento. La Storia registra, ma gli uomini sono al centro del processo “riflessione-azione-avvenimento"» (p. 20, la prima frase nel te sto è maiuscola).
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di D estra81 — si sottrae a qualunque possibilità di definizio ne). La nazione fonda il tipo principale di solidarietà che è invece «illusoria e falsa» quando è rivolta ad un mondo lonta no, non riguarda cioè «chi è della tua stessa stirpe, ...chi con divide le tue stesse tradizioni e lotta per un comune Destino» (p. 14). Lo stato che ne costituisce l’ossatura politica deve essere to talitario, organico, e corporativo; qualunque fattore che ne minaccia la compattezza va eliminato. Ciò riguarda in primo luogo i partiti, elementi, per definizione, frazionistici e di sgregatori; poi la lotta di classe, illecita in quanto «non esi stono lavoratori opposti ad altri lavoratori, poiché tutti, a se conda della propria naturale collocazione, cooperano alla rea lizzazione della produzione nazionale» (p. 16, originariamen te in maiuscole). Inserendosi nella lotta di classe, anche i sin dacati risultano dannosi: «non sono uno strumento di difesa del mondo del lavoro, ma una forza tattica del marxismo o del capitalismo, che viene utilizzata... in funzione demagogi ca o disgregatrice dell’Unità nazionale» (p. 60)82.
81
Si pensi, per esempio, ad una tipica frase di Kern, il mistico leader del gruppo ter roristico che doveva assassinare Rathenau: «Non sopporterei... che dal materiale fracassato, marcito di quest’epoca, sorgesse ancora una volta qualcosa di grande. Rathenau insegue forse ... una politica di adempimento. A noi non importa; noi ci battiamo per cose più alte, non già perché il popolo sia felice, ma per spingerlo sulla strada del suo destino» (Cfr. Von Salomon, 1979). È appena il caso di ricordare che Von Salomon è uno dei punti di riferimento principali della Destra italiana con temporanea (Cfr. Revelli, 1982a).
82
In questo contesto va superata anche la distinzione fra Destra e Sinistra, «utile alla toponomastica del sistema [...] [per] infrangere l’Unità Nazionale* (p. 32). L ’argo mentazione non è molto perspicua: «Nel suo naturale rigetto di un totalitarismo or ganico, il sistema si frantuma nelle varie interpretazioni dell’esistenza che, ponen dosi in permanente contrasto tra di loro, sfuggono, nell’inevitabile valutazione re lativistica, ogni visione sintetica ancorata ad un retroterra di Valori perenni». La distinzione sembra basarsi sul fatto che a destra si ritiene necessario imbavagliare gli istinti negativi dell’uomo per consentirgli uno sviluppo superiore; a sinistra si ri tiene che qualunque «bavaglio» comporti una coercizione abusiva. Questione irre solubile: l’obiettivo è di «liberare gli uomini dalle coercizioni, proteggendoli, nel contempo, dalle inclinazioni negative mediante un lungo ritorno verso i Principi inamovibili. Principi che sono oltre la pleonastica definizione di destra e sinistra». Il sistema però se ne serve, dando luogo ad «una specie di tiro alla fune che esauri-
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Il concetto di Nazione non va limitato all’Italia, ma esteso all’Europa. Si deve però fare attenzione perché esistono oggi almeno tre Europe: quella, conservatrice, «degli archeologi prigionieri di nozioni decadute, che sopravvive alle pratiche del pensiero, ai sospetti, alle gelosie ed ai rancori ereditati da secoli già morti»; poi quella marxista, «un’Europa di deliri che sognano di gettare alla rinfusa come in un formicaio gli uomini nati su un continente che ha insegnato al mondo la verità metafisica della parola “Libertà” ... L ’una è l’Europa delle verità morte, l’altra quella delle verità assassinate». C ’è infine una terza Europa, «l’Europa di quelle generazioni che si cercano e si chiamano da oltre frontiera, si chiamano per creare, nella devozione e nella difesa dei Valori eterni della stirpe, una Nazione granitica che, nel rispetto reciproco che si devono gli uomini e i popoli, sappia ridare giovinezza al vecchio continente, proiettandosi audacemente alla conqui sta del proprio Destino... Di fronte all’Europa della dispera zione, agonizzante tra le contese e le menzogne, noi siamo l’Europa della speranza» (p. 36). Europa è sinonimo di Civiltà (occidentale), patria ed origine degli Eterni Principi, dei Valori Perenni, che si manifestano «nel senso dell’Onore, dell’autodisciplina, della Giustizia, generosità, rispetto degli uomini degni, disprezzo di ogni meschinità, senso del Dovere e della responsabilità, lealtà, coraggio... “ Rettitudine” , non svincolata da quella visione volontaristica ed eroica della vita che sta alla base della Tra dizione europea» (p. 16, l’uso delle maiuscole è nell’origina le). (Non viene chiarito perché questi valori dovrebbero ap partenere solo alla civiltà occidentale. E resta comunque il problema di conciliare la difesa dei «valori europei» con la presa di posizione fortemente pro-araba e pro-islamica assun ta da Avanguardia nazionale, in polemica con «la grossolana idiozia della nostra classe politica», che nulla ha fatto per realizzare una seria intesa con questo mondo - p. 52). sce, nell’illusione di vicendevoli successi contingenti, le energie di quanti, portatori di alternative radicali, vengono invece imprigionati nello schema prefissato e scioc camente accettato. Destra e sinistra significano volontà di riforma e non di rivolu zione, spostamento di equilibri e non ribaltamento di strutture» (p. 32).
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La società occidentale è però in crisi: «cento milioni di euro pei sono materialmente schiavi del bolscevismo»; i rimanen ti, «a parte alcune eccezioni come Spagna, Portogallo e Gre cia» (p. 40), vivono nella decadenza, in un sistema di vita condizionato dall’americanismo e dagli altri falsi miti con temporanei: la democrazia, il liberalismo-capitalismo («l’in ganno fondato sul doppio alibi della tolleranza e del profitto» - p. 29), il marxismo («la sopraffazione fondata sul doppio alibi della scienza e della giustizia» - p. 23). Non sorprenden temente, vi divampa la contestazione, causata anche dall’in sana estensione delle città e dall’aumento della popolazione, che accumulano «il potenziale esplosivo di risentimento, di odio, di frustrazione e di corruzione» (p. 41) nello stesso tempo in cui, con la rovina dell’agricoltura, si distruggono le «naturali ricchezze della nostra ubertosa terra» (p. 61) e si trasforma il Meridione in deserto (p. 57: qui non sono nasco ste ambizioni meridionaliste, collegate proprio all’esperienza reggina). Nella crisi generale dell’Occidente, la situazione dell’Italia è fra le più gravi: la demo-pluto-partitocrazia, priva di valori, corrotta e corruttrice, capace solo di produrre scandali a get to continuo, la sta conducendo alla rovina, mentre vengono meno i pilastri dell’antico ordine: la magistratura sta caden do nelle mani dei componenti più eversivi che «legiferano (sic!) con la faziosità propria dei famigerati “ tribunali del po polo” (mentre) i giudici benpensanti... tremano all’idea di opporsi validamente a tale perverso disegno» (p. 47); la Chie sa «dà l’impressione, anche attraverso i domenicali sermoni di Paolo VI, di essere la reale governante, non più occulta, di questa Italia prigioniera di evirati e di incapaci» (p. 51); le Forze armate sono inconsistenti (p. 54). «G li omicidi, le ra pine, i furti ed ogni altro tipo di malessere sociale turbano l’operosità e la sicurezza della stragrande maggioranza d?l Popolo, che... ha compreso che deve cominciare a pensare seriamente alla propria autodifesa, “equipaggiandosi” alla bi sogna, per salvaguardare la Libertà» (p. 51). Qui si colloca il ruolo delle «forze sane»: «le nazioni ne cessitano... nei momenti di pericolo o di crisi, di un’idea for-
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za, e di una minoranza onesta e capace, ad Essa misticamen te votata» (p. 46, maiuscolo originale). Avanguardia può co stimire questa minoranza, proponendosi come classe diri gente per la rinascita, a condizione di muoversi, con rigore e disciplina, in maniera inflessibile: «Molti camerati confondo no l’atto rivoluzionario con il gusto dell’azione per l’azione. Seppure quest’ultimo comportamento si mostri come carat teristica positiva in un mondo rinunciatario ed invigliacchi to, non è, però, compatibile con le esigenze di una strategia ferrea, alla quale tutti i militanti devono adeguarsi» (p. 68). In queste condizioni, è legittimo parlare di Rivoluzione: «il popolo italiano necessita di una Rivoluzione, di una profon da trasformazione nazionale e sociale, anche con mezzi non legali nel caso di un avvento al potere del comunismo, che imporrebbe, inevitabilmente, il metodo violento come legit tima difesa» (p. 48). Deve però trattarsi di una Rivoluzione «costruttiva»: «la rivoluzione nazionale tende a rimpiazzare un disordine congelato, pessimista, tetro e quasi esasperato, con un ordine vivo, ottimista, entusiasta» (p. 23): è dunque una rivoluzione in difesa dell’Ordine, una Rivoluzione Con servatrice 85. 3.4. L ’obiettivo di ristabilimento dell’Ordine, cosi formu lato, suggella con una notazione finale da maggioranza silen ziosa l’ideologia di Avanguardia nazionale. Ed in verità i concetti presentati, la loro strutturazione, i modelli argo mentativi (qui, per ovvie ragioni, compressi e compattati), non sembra vadano molto oltre l’insieme di luoghi comuni che costituiscono il patrimonio dei «benpensanti», dei «bloc chi d ’ordine», delle «maggioranze silenziose» appunto. 85
II pensiero di Destra rifugge in generale dal concetto di rivoluzione, che è «di sini stra», e viene identificato, storicamente, con la Rivoluzione francese (origine di ogni male della società contemporanea), e, concettualmente, con una situazione di caos, disordine, insicurezza, ecc., che è profondamente ostile alla Weltanschauung della Destra. Quando questa è «costretta» ad usare il termine «rivoluzione», si af fretta ad aggiungervi aggettivi rassicuranti («conservatrice»), o a spiegare che il suo obiettivo principale è «distruggere per ricostruire», come nell’affermazione di Or dine nuovo riportata più sopra (p. 20). La tematizzazione principale di questo pro blema si trova, naturalmente, in Mohler (1950), dove in particolare il nihilismo germanico viene caratterizzato come intermedio tra quello francese e quello russo, proprio per la sua propensione a «far piazza pulita per ricostruire».
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Si tratta di un’elaborazione priva di originalità e spregiudica tezza, a-problematica, anche all’interno dell’universo con cettuale della Destra. Si confronti, per esempio, la recezione piatta e tralatizia dei concetti di Patria-Nazione che qui com pare, con la rimessa in discussione dei medesimi concetti, operata dai colleghi di Ordine nuovo, sulla falsariga del pen siero evoliano. Ciò vale anche per i concetti di Europa e Ci viltà Occidentale, che pure in Evola subiscono una pesante messa a punto critica, mentre Avanguardia ne recepisce l’ac cezione più banale (non a caso Evola non è mai citato nel te sto, anche se qua e là affiorano riferimenti alla Tradizione, allo «stile», e simili). L ’aspetto più originale di questo documento, in confronto ad analoghe elaborazioni della Destra italiana, riguarda un aspetto deteriore, che lo colloca a fianco delle Destre concet tualmente più povere, come quella americana. Si tratta di una visione cospiratoria degli accadimenti storici (la cosiddet ta conspiracy theory) M secondo cui la sovversione rossa è in agguato ad ogni passo, tutto quanto vi si riferisce è sinistro, ogni sua azione configura una minaccia oscura e misteriosa: «crearono una rete di appartamenti in ogni città, che presero il nome di “comuni” . Ogni fenomeno di (asserita) disgrega zione della società contemporanea va attribuito all’azione voluta e consapevole, delle forze della sovversione, mentre le «forze sane» subiscono la violenza, sono perseguitate ed op presse. Che questo valga per la contestazione giovanile è pa lese ad ognuno: la contestazione, nata come ribellione spon tanea, è oggi «controllata in misura sempre maggiore, dai centri di azione del marxismo... tutto il lavoro di agitazione e propaganda è opera di elementi marxisti, che perseguono fini marxisti» (p. 41). Ma non ci si ferma qui: i sindacati «so no oggi [...] arma di ricatto e di disordine in funzione ed al servizio della strategia marxista» (p. 50); la politica sociale è usata «come strumento di ricatto, di rottura, o di conserva zione», per raggiungere la repubblica conciliare, «obiettivo 84
Cfr., fra gli altri, Hofstadter (1967), Bell (1963), Lipset e Raab (1970); su questa letteratura, in generale, Ferraresi (1974).
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strategico» del comuniSmo e dei «rossi di sagrestia» (p. 58). Neppure le campagne si salvano dal «disegno comunista che vuole un flusso sempre maggiore verso i centri urbani indu strializzati, onde disporre di masse facilmente inquadrabili e già potenzialmente scontente. La sovversione conosce [...] l’istintiva avversità (sic!) di quanti, vivendo nelle campagne, le sono, per concezione e prassi di vita, naturalmente nemi ci» (p. 61). 4. La galassia del terrore 4.1. Con la metà degli anni settanta, la panoramica com plessiva dell’eversione di destra subisce delle significative trasformazioni, che ne coinvolgono la struttura organizzati va e gli orientamenti strategici e tattici, conducendo ad una accentuata radicalizzazione delle forme di lotta, che diventa no indiscutibilmente (e in alcuni casi dichiaratamente) terro ristiche, e non arretrano di fronte alle manifestazioni più atroci (le stragi). I fattori che hanno portato a queste trasformazioni sono di versi, non tutti ancora individuati dalle ricostruzioni che so no state operate. Un ruolo importante va senz’altro attribui to al modificarsi dell’atteggiamento del potere ufficiale, al meno in alcuni suoi settori (parte della magistratura, delle forze dell’ordine, dei servizi di sicurezza) nei confronti della Destra. Vien meno il rapporto privilegiato che era esistito negli anni precedenti, cadono alcune coperture e solidarietà, inizia una serie di importanti processi (Ordine nuovo, Fron te nazionale, Avanguardia nazionale, ecc.), che mettono in luce la gravità di episodi fino ad allora minimizzati, e la loro matrice di destra. Ordine nuovo e Avanguardia nazionale vengono sciolti e la loro dirigenza storica ripara all’estero; numerose altre figure dell’eversione nera sono colpite da provvedimenti di varia gravità; la presenza di una rete ever siva di destra viene dimostrata in maniera sempre più esplici ta. Di fronte a questa situazione, muta anche l’atteggiamen to dell’eversione nera nei confronti dello Stato e dei settori che maggiormente si sono distinti nel perseguire le trame ne-
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re: non più deferenza, rispetto, o comunque non belligeranza verso magistratura e forze dell’ordine, ma strategia di elimi nazione dei «nemici della rivoluzione». L ’assassinio del giu dice Vittorio Occorsio, nel luglio 1976, segna l’inizio di que sta «svolta» sanguinosa. Un secondo fattore di cambiamento è costituito dall’esplo sione del terrorismo di sinistra, e dalla dimostrazione di effi cienza, capacità operativa, spietatezza bellica che questo for nisce. La Destra ne rimane colpita, e sottopone a riesame le proprie modalità di organizzazione e di lotta alla luce dei mo delli forniti dalla Sinistra. E importante ricordare infine il ricambio generazionale e l’esplosione del giovanilismo che comporta l’instaurarsi di una certa corrispondenza fra estremismo nero e la nuova contestazione di sinistra. Alcuni settori della destra rivolu zionaria operano di questa fase una lettura del tutto parallela a quella dell’estrema sinistra: l’emergere di nuovi bisogni (femminismo, omosessualità, rifiuto del lavoro, ecc.) porta all’apparizione dei «nuovi soggetti rivoluzionari», non ridu cibili alla lotta operaista, in conflitto permanente con gli strumenti della repressione e della marginalizzazione. Nei bersagli (tutto il sistema) e nelle forme di lotta (spontanei smo, autonomia) di questi soggetti, alcune frange della de stra si riconoscono85 e cercano di ricavarne modelli operati vi, quando non addirittura collegamenti strategici e tattici86.
85
Ingravalle (1979).
86
Queste prese di posizione erano state in parte anticipate da raggruppamenti come la menzionata «Organizzazione lotta di popolo», attiva a Roma tra la (ine degli an ni sessanta ed il 1973 (v. retro, n. 61). La presa di posizione iniziale ha una tonalità insolita nel pensiero di destra: «Il popolo ha deciso di esprimersi al di (uori e contro le istituzioni borghesi — partiti e sindacati — che non rappresentano le sue aspira zioni legittime, ma che sono al contrario emanazione degli interessi economici e politici dell’imperialismo russo-americano, del Vaticano, e del Sionismo interna zionale» (Gennaio 1970; citato in Bessarione, 1979: 79 ss.). In altri termini, qui il popolo è individuato come realtà in movimento, che cerca di darsi un’unità di de stino, di cultura e d ’azione, attraverso le avanguardie politiche che nascono dalla lotta, cioè al di (uori di ogni struttura rappresentativa: si noti la terminologia in
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4.2. Al mutare degli elementi sociopolitici di sfondo, corri sponde anche una modifica nella mappa dei gruppi in cui si era precedentemente organizzata l’eversione nera. Sostan zialmente sembra si possa parlare di un processo di ristrutturazione-riorganizzazione generale delle forze, i cui contorni sono ancora molto incerti e fluidi, ma che comun que dà luogo a un fitto reticolo di collegamenti fra i gruppi, di intercambiabilità e sovrapposizioni fra le sigle, di apparte nenze multiple dei personaggi più importanti, di iniziative strategiche collegate, di alleanze, collaborazioni, solidarietà strette e multiformi. Nella ricostruzione della magistratura bolognese, questa galassia costituisce anzi «una medesima as sociazione sovversiva qualificata come movimento nazionalrivoluzionario e costituente la riorganizzazione del disciolto movimento Ordine nuovo, essendo tale associazione artico lata in vari gruppi operanti con sigle diverse, in maniera indipendente gli uni dagli altri, conformando [gli imputati per la strage di Bologna] la loro condotta alle direttive politiche e agli obiettivi eversivi decisi da una medesima direzione stra tegica...»87. Non è evidentemente questa la sede in cui ricostruire tale processo; alcune indicazioni, peraltro congetturali data l’in certezza che regna sulla materia, sono però necessarie, per individuare i referenti delle indagini di tipo culturale e ideo logico che saranno svolte nei paragrafi seguenti.
tutto identica a quella della sinistra estrema. La dicotomia destra/sinistra, fasci smo/antifascismo viene respinta come prodotto di manipolazione dello stato demo cratico borghese, sorta di forma generalizzata della teoria degli opposti estremismi (Ingravalle, 1979: 43). Anche sul piano internazionale si cerca di tradurre in prati ca la linea definita da Ar: «punto di riferimento strategico, e non dottrinale, come è evidente» (Ibidem, p. 44: si noti ancora una concettualizzazione nella quale potreb be ritrovarsi il marxismo strutturalista) è quello dei paesi non allineati (soprattutto la Cina), che rappresenta l’antitesi reale, pratica (benché non priva di contraddi zioni sul piano teorico: ancora una volta la distinzione fra livello delle pratiche e li vello della teoria ha delle origini concettuali ben individuabili), al mondo di Yalta. Per un esame più approfondito del «clima» di questo periodo, cfr. Ferraresi (1982c) e Revelli (1982a). 87
Cfr. anche Nunziata (1983).
271
Il tentativo di riorganizzazione di Ordine nuovo e .Avan guardia nazionale sembra inizi nel 1974, con un incontro cui avrebbe partecipato la dirigenza di entrambi i gruppi; il pia no viene perfezionato nel 1976, ed affida incarichi di premi nenza a Franco Freda. L ’ipotesi più articolata di riorganizza zione compare in un documento del 1977 (Prospettive dell’azio ne rivoluzionaria), che prevede la formazione di un movimen to organizzato, nel cui ambito una minoranza di quadri legio nari avrà il compito di scegliere forme di lotta radicali, aven do come punto di riferimento l’azione delle avanguardie esterne, che si muoveranno nel partito, soprattutto inseren dosi nelle formazioni giovanili. Il movimento dovrebbe esse re Terza posizione, i quadri legionari quelli dello spontaneismo armato, le avanguardie membri del Mpon, molti dei quali rientreranno nel M si88. Fra il 1979 e il 1980 si sarebbero strette le fila del movimen to, eliminando il più possibile le diversificazioni fra i gruppi. Franco Freda, in posizione primaria, e Mario Tuti avrebbero assunto una funzione di indirizzo; è dal primo che, tramite il secondo, sarebbe stato emanato l’ordine di passare all’orga nizzazione su basi gerarchiche delle forze formatesi con lo spontaneismo armato. Compaiono nel frattempo i «Fogli d ’ordine del Mpon», e, su direttiva di Freda, viene fondato «Q u ex»89 come periodico di collegamento fra le varie forze, alla cui redazione provvedono soprattutto i detenuti. Nel 1980 la dirigenza di Terza posizione (la cui costituzione aveva precedentemente ricevuto l’assenso di Freda) viene cooptata nel\Ordine dei ranghi, la ristrettissima confraternita dei più vicini collaboratori di Freda. Contemporaneamente si infit tiscono i rapporti di collaborazione fra i periodico «Costruia mo l’azione», espressione delle Comunità orgflniche di popolo (composte da elementi di Terza posizione), il cui braccio ar mato era il Mrp (.Movimento rivoluzionario popolare) e P«area» raccolta intorno a «Quex». 88
Ibidem, p. 11.
89
Una importante ricostruzione del «progetto» di «Quex», cui è stato fatto ampio ri ferimento in questa ricerca, si trova in Nozza (1982).
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Come si vede, la situazione è molto fluida, l’intercambiabi lità fra le sigle elevata, i passaggi da un gruppo all’altro molto frequenti. Per rendere più evidente questa dimensione di fluidità, si è ritenuto di ricostruire alcuni passaggi di una «carriera esemplare», quella di uno dei personaggi più rap presentativi della «galassia», Paolo Signorelli, insegnante di filosofia a Roma. Ma indubbiamente lo stesso esercizio po trebbe essere applicato ad altri. Signorelli compare alle cro nache per la prima volta nel 1951, imputato di ricostituzione del partito fascista, per aver partecipato alla fondazione dei Far (Fasci d’azione rivoluzionaria). Nel 1956 è fra coloro che escono dal Msi dando vita al Centro studi ordine nuovo. Nel 1971 è autore di un importante documento teorico per la ri strutturazione e riorganizzazione del Msi (in cui era nel frat tempo rientrato, pur restando in On). Nel 1973, dopo lo scioglimento del Mpon e la conseguente emigrazione della dirigenza in America latina, ne diviene responsabile organiz zativo in Italia, insieme a Concutelli; dopo l’arresto di que st’ultimo per l’assassinio del giudice Occorsio, ne è coordina tore unico. Nel 1974 partecipa alla riunione di riorganizza zione di On e An. Nel 1976 esce dal Msi (espulso?); secondo le più recenti ricostruzioni giudiziarie, è uno dei responsabili della progettazione dell’assassinio di Occorsio. Partecipa alla redazione dei «Fogli d ’ordine del Mpon». Il giudice Amato (poi assassinato dai Nar) lo accusa di essere un quadro diret tivo dei Nar. E fra i fondatori di Terza posizione, delle Comu nità organiche di popolo, di «Costruiamo l’azione», per cui stende diversi articoli; progetta la campagna di attentati del Mrp dopo il 78 (Campidoglio, Regina Coeli, Consiglio supe riore della magistratura, ecc.). Dalla Corte d’assise di Roma è condannato all’ergastolo per l’assassinio di Leandri, ucciso per errore nel 1979 da un commando di Nar che intendeva giustiziare un «infame». E imputato come uno dei principali organizzatori della strage di Bologna. Se questa situazione non è del tutto eccezionale nell’univer so terrorismo nero dopo la seconda metà degli anni settanta, ne deriva l’impossibilità di individuare posizioni fisse e pre cise, nitidamente attribuibili a un gruppo con l’esclusione di altri. Si è piuttosto di fronte a un’area magmatica, all’inter27 3
no della quale circola un certo numero di idee-forza comuni, mentre su numerosi problemi esistono divergenze e contrap posizioni. Il quadro è ulteriormente complicato dal fatto che, oltre alle differenziazioni di carattere strategico e operativo fra i diversi orientamenti, esistono anche differenze genera zionali all’interno dei gruppi, che si incrociano con le prime. Le analisi che seguono, per mancanza di documentazione adeguata e di spazio descrittivo, non potranno indicare che grossolanamente queste sfaccettature e differenziazioni. E s se vanno, pertanto, considerate meramente come prime esplorazioni della materia. 4.3.1. I principali referenti metapolitici di quest’area, come era facilmente prevedibile, provengono dalle dottrine evoliane. L ’atteggiamento nei loro confronti, tuttavia, non è privo di qualche espressione di rispettoso scetticismo, per la natura un poco rarefatta e remota dell’insegnamento che esse con tengono, a volte definito addirittura velleitario90, e soprat tutto per la diffusa e capillare presenza di evolomani che pare infestino l’ambiente di destra91. Fuori discussione è invece la leadership intellettuale e teorica (ma, come si è visto, non solo quella) di Franco Freda: Vogliamo [...] fin d ’ora precisare che «Quex» si ri conosce in grandissima parte nelle posizioni rivo90
«Qui il compito di un’avanguardia [quello di adattare la strategia dell'azione ad una posizione teorica che indichi chiaramente gli obiettivi della piccola guerra san ta] è estremamente facilitato da ciò che è stato detto e prodotto finora negli am bienti dell’opposizione radicale al sistema. In particolare le posizioni ultime di Evola, e le interpretazioni politiche di Freda, nella fredda logica che le anima, — indipendentemente dai fallimenti delle strategie politiche seguite tanto da Freda quanto da chi, come Graziarli, in altri modi ha tentato di seguire le indicazioni evoliane, che spesso sono state incredibilmente velleitarie e distaccate dalla realtà — ci sembrano particolarmente adeguate» («Quex», 3, 1979, p. 9).
91
In particolare vengono attaccati gli eroi da poltrona, quanti mancano di coerenza fra pensiero ed azione. Per loro, nel primo numero di «Quex», Maurizio Murelli conia l’epiteto politico-zoologico di «suino verticale», distinto in due sottospecie: il «suino ascetico», che predica la «via del distacco», e il «maiale da combattimento», che predica la «via del guerriero»: l’origine evoliana di entrambi i tipi è evidente. («Quex», 1, p. 8).
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luzionarie espresse da Freda nella «Disintegrazio ne del sistema», più in generale nelle posizioni me tapolitiche indicate dai testi scelti e pubblicati da A r 92. È quindi necessario richiamarne brevemente i punti princi pali. La teorizzazione di Freda, per certi rispetti, può essere considerata una volgarizzazione del pensiero evoliano, for mulata peraltro in toni di accentuata violenza verbale. E il caso, per esempio, del concetto di Europa e di cultura euro pea: Agli inizi [...] credevamo che l’Europa fosse vera mente un mito, e rappresentasse un’idea-forza: (... gli stessi ragazzotti neofascisti guaiscono: Eu ropa - fascismo - rivoluzione!)... senza verificare... se esista in realtà un’omogenea civiltà europea... alla luce di una situazione storica mondiale per cui il guerrigliero latinoamericano aderisce alla nostra visione del mondo molto più dello spagnolo infeu dato ai preti e agli Usa; per cui il popolo guerriero del Nord Viet-Nam, col suo stile sobrio, spartano, eroico di vita, è molto più affine alla nostra conce zione dell’esistenza che il budello italiota o franzoso o tedesco occidentale; per cui il terrorista pa lestinese è più vicino alle nostre vendette dell’in glese (europeo? ma io ne dubito!) giudeo o giudeizzato... Con l’Europa illuminista noi non abbiamo nulla a che fare. Con l’Europa democratica e giacobina noi non abbiamo nulla a che vedere. Con l’Europa mercantilistica, con l’Europa del colonialismo piùtocratico: nulla da spartire. Con l’Europa giudea o giudeizzata noi abbiamo solo vendette da fare... L ’Europa è una vecchia baldracca che ha puttaneggiato in tutti i bordelli e che ha contratto tutte 92
«Quex», 2, maggio 1979, p. 32.
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,
le infezioni ideologiche — da quelle delle rivolte medioevali dei comuni a quelle delle monarchie nazionali antimperiali; dall’illuminismo al giacobi nismo, alla massoneria, al giudaismo, al sionismo, al liberalismo, al marxismo. Una baldracca, il cui ventre ha concepito e generato la rivoluzione bor ghese e la rivolta proletaria; la cui anima è stata posseduta dalla violenza dei mercanti e dalla ribel lione degli schiavi. E noi, a questo punto, vorrem mo redimerla?...93 Il prodotto di questa Europa è la dittatura borghese, che mantiene «da circa duecento anni inalterato l’unico rapporto che leghi il borghese ad un uomo: rapporto che è da padrone a servo, da sfruttatore a sfruttato» (p. 16). Il ricorso alla con cettualizzazione marxista non è casuale: l’analisi del funzio namento del sistema borghese utilizza ampiamente il quadro «che già nel 1849 Marx tracciava magistralmente nel Manife sto» (ibidem). Alla dittatura borghese si contrappone il vero Stato, quello che può ricondurre l’uomo alla riconquista del super-mondo, al ristabilimento della sua dimensione eroica, che provoca il reintegrarsi del cittadino nella realtà divina che lo trascende (p. 34). La realizzazione di questo stato comporta l’eversione di tutto quello che oggi esiste come si stema politico, e quindi la distruzione del mondo borghese, il cui male è inguaribile (p. 43). Quando il sistema presente sarà distrutto, si potrà costruire lo Stato Popolare, basato sull’abolizione della proprietà privata, su una articolazione di rappresentanze organiche di tipo fondamentalmente corporativo-consigliare, su un’educazione funzionalizzata al le esigenze produttive, rispetto a cui saranno «rigorosamente programmate» anche le nascite (p. 56). L ’orientamento di ta le stato sarà rigidamente anticapitalista e antimperialista: La denunzia del Patto Atlantico [...] cosi come la recisione dei vincoli che legano [...] l’Italia alle strutture neocapitalistiche supernazionali (Mec, 93
Frcda (1969: 9-12).
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etc.) dovrà provocare l’attivo inserimento dello Stato Popolare nell’area degli stati che rifiutano di ancorarsi alla politica dei blocchi imperialistici di potenza. Lo Stato Popolare stringerà alleanza con tutti gli stati autenticamente anticapitalisti e favo rirà con decisione... i movimenti di lotta contro il capitalismo e le complicità revisionistiche (pp. 58-59). La conseguenza strategica di questa analisi è la necessità di rivolgersi «a coloro che rifiutano radicalmente il sistema, si tuandosi oltre la sinistra del regime, sicuri che anche con loro potrà essere realizzata una leale unità di azione nella lotta contro la società borghese» (p. 69). Ciò non significa ignora re che costoro mancano di supporti metafisici, non perseguo no direzioni super-umane, metapolitiche e metastoriche; ma l’obiettivo di entrambi è il medesimo: distruggere il sistema borghese. Occorre pertanto costituire «un unico fronte ope rativo», e che «la lotta unitaria al sistema per l’eversione del sistema precisi i propri veri obiettivi in modo radicale [...] in quei termini coerenti, drastici e risolutivi che solo la violenza possiede» (p. 71; sono le ultime parole dell’opuscolo). 4.3.2. Questo insieme di insegnamenti eterodossi (rifiuto globale del sistema borghese; utilizzazione anche di strumen ti d ’analisi marxista, solidarietà con i movimenti di lotta an ticapitalistica e antimperialista; proposta di alleanza con le forze rivoluzionarie di sinistra) vien in larga misura recepito dai vari settori dell’area che ci interessa. Una delle conseguenze è la rimessa in discussione, e il concla mato superamento, della dicotomia destra-sinistra, e la pro posta di unificazione strategica con tutti i veri rivoluzionari, individuabili non dalle etichette, ma dalla volontà di abbat tere il sistema. Per alcuni gruppi si tratta di indicazioni asso lutamente centrali: è il caso di Terza posizione (il cui stesso nome vuole simbolizzare il rifiuto degli schieramenti tradi zionali) e soprattutto di «Costruiamo l’azione», che reca scritti con titoli come: «fronte unito»; «uno il nemico una la 277
lotta»; «per il fronte unito, contro l’egemonismo, il settari smo, il dogmatismo, per l’unità dell’area rivoluzionaria»; e simili. Il discorso è rivolto soprattutto ai gruppi di Autono mia, con appelli continui, pressanti, scritti con un linguaggio che si sforza di essere quello degli interlocutori: Da parte nostra abbiamo capito i nostri errori, e diciamo agli Autonomi: sveglia ragazzi, non fatevi inculare un’altra volta, basta di fare le scimmie ammaestrate dell’antifascismo per elemosinare il plauso e la simpatia dei merdaiuoli. I nemici sono comuni e stanno tutti ammucchiati insieme...94 Più cauta invece la posizione di «Quex», che ai «camerati» di «Costruiamo l’azione» rivolge un monito dal titolo eloquen te, «piano coi “ fronti uniti”»: lo sfruttamento di parole d ’or dine comuni (ad es., né Usa né Urss) non ha potere unifican te se non corrisponde a un eguale modo di sentire, che può esser dato solo dalla esistenza di un movimento, che parta da posizioni esistenziali omogenee. La distinzione fra destra e sinistra non può essere ancora considerata superata, anche se l’uso dei termini fa il gioco del sistema, alza steccati fra i ri voluzionari: si deve quindi prestare particolare attenzione ai settori «più recuperabili». Alla fine però (marzo 1980) è gio coforza ammettere che questa «strategia dell’attenzione» non ha dato risultati incoraggianti (lo aveva riconosciuto lo stesso Freda in un’intervista del 1977): Il processo di maturazione imposto alla sinistra ri voluzionaria da Negri e Scalzone sembra essersi esaurito. Se cosi fosse, occorrerebbe inquadrare con precisione il nuovo ruolo degli autonomi nello schieramento avversario9’ . Nei loro confronti, l’obiettivo più realistico sarà di ottenere la non-belligeranza, per evitare di cadere nella trappola del 94
«Costruiamo l’azione», 1, aprile 1978, p. 1.
95
«Quex», 3, p. 5.
278
divide et impera gestito dal sistema. (Nei confronti delle Bri gate rosse, invece, non si va oltre un atteggiamento di rispet to distaccato per l’elevata efficienza operativa, insieme ad una critica per la strategia d ’attacco al cuore dello stato — lo stato essendo, secondo l’insegnamento di Freda, un mero budello, privo di cuore). Nello stesso universo di discorso va collocato il problema delle alleanze internazionali. Il punto di riferimento qui sono i movimenti di liberazione del terzo mondo, e in generale dei popoli oppressi (irlandesi, pellirosse, occitani, ecc.) cui è ri volta la solidarietà di «Terza posizione» e «Costruiamo l’azione». Si ammira non solo la battaglia antimperialista, ma anche e soprattutto l’immagine eroica del combattente; in particolare dei guerriglieri islamici si esalta la mescolanza di valori religiosi e virtù guerresche96. Anche in questo caso non mancano le cautele e le prese di distanza («Terza posi zione» è critica dell’avvicinamento all’Urss compiuto da Gheddafi; «Quex» porta dei sorprendenti attacchi a Komeiny, ecc.). Prevedibilmente omogenee sono le posizioni dei vari gruppi nell’identificazione dei nemici: a livello metastorico il mon do moderno, a livello internazionale il blocco Usa-Urss (con alcune divagazioni sull’establishment multinazionale del po tere occulto, guidato dalla Trilateral) 97; a livello nazionale ne mico è il marcato sistema borghese degli opposti estremismi, del compromesso storico, aguzzino dei veri rivoluzionari. Una sorprendente unanimità si rivela fra i gruppi nell’assegnare al Msi il ruolo dell’«infame»: maschera rivoluzionaria su un volto reazionario, servo sciocco del sistema, rotto a tutte le bassezze dello spionaggio e della delazione, ha di strutto generazioni di giovani con l’illusione di essere forza alternativa98: 96
II recupero della cultura islamica è una costante della Destra di questi anni; cfr., fra gli altri, Mutti (1978).
97
«Costruiamo l’azione», 1, p. 4.
98
«Costruiamo l’azione», 5, p. 12.
279
Almirante e i suoi accoliti vengono al vostro fune rale, al capezzale del vostro letto all’ospedale, perché hanno bisogno di martiri da pubblicizzare al fine di alimentare l’immagine di «partito vitti ma», ma vi vendono per trenta denari ogni volta che il sistema esige un paio di «teste calde»99. 4.3.3. Un aspetto decisivo nella riflessione dei gruppi rivo luzionari riguarda ovviamente le forme di lotta. I gruppi della galassia nera contemporanea partono dal ripudio della strate gia golpista seguita a suo tempo da Avanguardia nazionale e Ordine nuovo, considerata responsabile di aver condotto al la strumentalizzazione dei gruppi rivoluzionari da parte delle forze interne al sistema, in funzione dei disegni e propositi di queste ultime: «col potere non si può coabitare, almeno a fini rivoluzionari». L ’alternativa elaborata dalle formazioni attuali configura due fasi, di cui solo la prima è stata finora praticata: quella dello spontaneismo armato, e quella, successiva, della guerri glia e insurrezione. A sua volta lo spontaneismo armato si presenta con due modalità: la prima è interna alla concezione del soldato politico e dell 'azione legionaria ed esemplare; la se conda, molto più fine a se stessa, è di tipo espressivo e libera torio 10°. 4.3.3.1. Il concetto di soldato politico risale all’universo mitico-ideologico della Guardia di ferro di Codreanu. Evola ne ha ripreso diversi aspetti, nella teorizzazione del compor tamento legionario (azione eroica, spersonalizzata, inflessibi lità dei principi, ecc.). In forma affine (di soldato controrivo luzionario che sa mantenersi al di sopra dei sentimenti e del le passioni esaltando i valori dello spirito) la nozione è stata riformulata da Beltrametti nel corso del convegno dell’Istitu 99
«Quex», 4, p. 40.
100
Alla luce dei materiali d’indagine, soprattutto giudiziari, recentemente divenuti ac cessibili, questa distinzione risulta impropria. Per un approfondimento della tema tica, cfr. Ferraresi (1984:75 ss.).
280
to Pollio, più volte citato. Infine, Franco Freda ne ha indica to gli elementi essenziali negli appunti per la stesura di un opuscolo su «La teoria del soldato politico e la guerra rivolu zionaria»: Freddezza lucida e fanatica da parte del soldato politico, e odio feroce da parte delle popolazioni. Drastica selettività del soldato politico. Apassionalità del soldato politico. Egli non deve odiare né amare. A quest’ultimo sentimento egli deve sosti tuire la fedeltà verso gli amici e gli ideali; la fredda eliminazione dei nemici [...] Costoro devono esse re eliminati per una semplice questione di igiene. Chi deve invece odiare il nemico deve essere l’am biente (le popolazioni) teatro della lotta101. Questa impostazione viene ampiamente ripresa dai gruppi nazionalrivoluzionari: «Costruiamo l’azione», nell’indicare le regole per il comportamento rivoluzionario sottolinea aspetti come: evitare tutte le forme di azione inquinate dal sentimento o dalla sovreccitazione psicologica; il personale, il sentimentale, l’eccezione, se hanno una loro dignità in mondi diversi, sono ora tradimenti alla causa del popolol02. Chi dedica particolare attenzione alla chiosa di questo con cetto sono però i redattori di «Quex»: Per noi la lotta è uno stile di vita, una via di realiz zazione: la via del guerriero. [...] Essere legionario per noi significa essere militi di forze luminose di contro a tutto ciò che è tellurismo e caos. [...] Il legionario si attiene fanaticamente a un preciso stile di vita, la cui forza vitale è data da onore, fe deltà, coraggio e lealtà. [...] Il legionario è al di sopra di qualsivoglia legge di questa civiltà degenerata... azione purificatrice. 101
Citato in Coordinamento comitati antifascisti di Milano (1981: 3).
102
«Costruiamo l’azione», 0, p. 1.
281
Il legionario giunge a realizzare pienamente il pro prio essere nella morte eroica [...] tiene sempre nel suo cuore il pensiero della morte per essere pronto in ogni istante a intraprendere serenamente con essa il viaggio trionfale verso il Walhalla [...] o Re gno degli E r o i103. Orbene, nella società contemporanea, l’uomo differenziato, colui che voglia cavalcare la tigre, ha due alternative per di fendere la propria dignità e il proprio onore 104. La prima consiste nel proporsi il rovesciamento della società presente: ma questo richiede un lavoro organizzativo estremamente complesso, che attualmente le forze nazionalrivoluzionarie non sono in grado di produrre («come “organizzazione” sia mo un bluff» - p. 12). L ’altra alternativa consiste nel «mime tizzarsi nella società stessa... reagendo tuttavia tutte le volte che il proprio onore e la propria dignità lo esigono, e quin di... sempre» (p. 9). Azioni di questo genere sono possibili anche se portate avanti da militanti isolati o da gruppuscoli non collegati di due o tre persone, «che per un fenomeno di spontaneismo potrebbero estendersi a macchia d’olio» (ibi dem,I. Il tema è ripreso in un altro articolo sullo stesso nume ro di «Quex»: «esistono le premesse per la lotta spontanea. s p o n t a n e i s m o ! sia allora la parola d’ordine che le avanguar die lanciano ai camerati. Per far nascere un Cuib, tre o quat tro camerati sono sufficienti» (p. 7) (il Cuib — nido, in ru meno — era la cellula base della Guardia di ferro: ancora Codreanu, dunque). Concetti affini vengono espressi su «Co struiamo l’azione», dove si parla di «nuclei rivoluzionari di lotta al sistem a»105. Lo sbocco naturale dello spontaneismo come forma di lotta è l’azione esemplare, su cui si concentra ripetutamente l’atten
103
«Quex», 3, p. 6. Sulla tanatomania di alcuni fascismi — quello spagnolo, quello te desco, ma non, tipicamente, quello italiano — cfr. Jesi (1979).
104
«Quex», 2, p. 8.
105
«Costruiamo l’azione», 1, p. 2.
282
zione di «Quex». Essa va distinta tanto dal beau geste di tipo anarchico, liberante ed éclatante («l’azione legionaria non è fatta per soddisfare esigenze liberatorie del militante, che non devono esistere»)106, quanto dalla strategia leninista e gramsciana, la cui essenza è «il lavoro della formica». La scelta dell’azione esemplare non deriva da considerazioni immediate, ma da «canoni di natura esistenziale prima che politica»: non è verso il potere che noi tendiamo, né, neces sariamente, verso la creazione di un ordine nuovo. Queste sono possibilità remote, cui occorre neces sariamente anteporre una pratica politica che sia innanzitutto pratica esistenziale. E la lotta che ci interessa, è l’azione in sé, il battersi quotidiano per l’affermazione della propria natura di contro a una società che tenta costantemente di soffocarci. [...]
L ’essenza dell’azione legionaria deve rifarsi al bi nomio piccola/grande guerra san ta...107. Le caratteristiche dell’azione esemplare devono essere in nanzitutto la pericolosità, che tempra i singoli e cementa i gruppi, poi il disinteresse e l’impersonalità, cioè l’esclusione di impulsi passionali o ambiziosi personali. Il successo imme diato è irrilevante: «può essere anche molto valido il gesto esemplare destinato al fallimento sul piano materiale», purché, naturalmente, non sia compiuto per esibizionismo o altri bassi motivi. Il tutto nella prospettiva, ribadita, che il risultato immediato ha scarso p eso 108. Questo processo dovrà essere guidato da uomini che non misurino la loro azione sugli obiettivi
106
«Quex», 3, p. 8.
107
Ibidem, pp. 6-8. «Quex», 4, pp. 11-12.
283
exoterici della lotta, e che invece trovino «nella lotta» e nell’azione motivo di vita e tensione idea le pura 109. (Si noti l’accenno implicito alla distinzione fra obiettivi exo terici ed esoterici, peraltro non ripreso). Alcuni inquirenti hanno visto in questa concezione la «pedagogia del compito inutile» ipotizzata da Jesi, e sottolineano il credito che essa può avere tra militanti detenuti, che trascorrono il loro tem po a elaborare «compiti inutili» (quando non organizzano stragi). In verità questa concezione dello spontaneismo ar mato, dell’azione che può anche allontanare dalla prospetti va del potere, purché formi degli uomini di un certo tipo, compare in numerosi documenti sciolti, oltre che in «Quex» e «Costruiamo l’azione», e va ritenuta del tutto prevalente nei gruppi che si raccolgono intorno a queste due sigle. Ad essa si contrappone l’azione di tipo espressivo liberatorio, nei cui confronti, infatti, si sono già visti alcuni accenni pole mici. Questo secondo tipo di azione spontanea è, comprensibil mente, molto meno analizzato e teorizzato della prima. Con molta cautela si può forse attribuirne la pratica soprattutto a gruppi come i Nar, che peraltro mancano di produzione ideologica e concettuale tale da consentire una ricostruzione dei loro orientamenti in quest’area. Un’indicazione di ciò che si intende raffigurare può essere fornita dalle parole di uno dei più noti killers dei Nar, raccolte in sede giudiziaria: Né io né i miei camerati abbiamo un progetto po litico ben preciso nel quale iscrivere la lotta arma ta, né abbiamo obiettivi definiti di carattere poli tico da raggiungere, tipo la modificazione deU’as setto dello stato e della società. [...] Non abbiamo più niente a che fare con l’idea tradizionale del ri voluzionario e della rivoluzione di destra «golpi sta», che persegue la realizzazione di uno stato 109
Ibidem, pp. 3-4.
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forte e di un ferreo ordine sociale... perché ci sia mo resi conto che porsi soltanto il problema di prendere il potere non era sufficiente; [...] quello che ci è sembrato importante è la ricerca di mezzi per cambiare l’uomo... che non ha più quel fer mento e quella volontà di progredire di una volta [...] Non ritengo che un cambiamento cosi radicale possa esser raggiunto da movimenti politici fonda ti sulle tradizionali dottrine, come il capitalismo, il fascismo, il comuniSmo, dottrine che privilegia no l’aspetto economico, che non è il più importan te [...] In questa prospettiva, la lotta armata è una delle strade da imboccare; nel lavoro per cambiare l’uomo bisognerà cambiare [...] il sentimento della paura, della paura della morte, della perdita della libertà [...] la lotta armata mette in discussione proprio il sentimento di queste paure... mi sono trovato a fare la lotta armata per le mie caratteri stiche personali [...] era l’unica cosa che io potevo fare e che la mia mente arrivasse a concepire e a realizzare come atto di liberazione... Rispetto all’azione esemplare, che viene argomentata in ter mini del significato pedagogico di costruzione della discipli na rivoluzionaria e di formazione dell’uomo nuovo, qui ci si muove evidentemente su un terreno molto diverso. La diffe renza non si colloca tanto nel tipo di azioni, né negli obietti vi da colpire. Nell’un caso come nell’altro non si concepisce la lotta armata come parte di un progetto politico chiaramen te configurato negli obiettivi tattici e strategici, non ci si at tende di scalzare il potere né di preparare concretamente la rivoluzione. Quello che cambia nel secondo tipo di sponta neismo è il significato dell’azione stessa. Laddove nella peda gogia del compito inutile è comunque rintracciabile una struttura teleologica, qui la lotta armata è completamente fi ne a se stessa, perché sganciata da qualsiasi progetto di costi tuzione del gruppo. L ’assenza di scopo e significato, al di là dell’affermazione simbolica della soggettività antagonista al sistema, fa si che molto esile sia il confine fra questo tipo di
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spontaneismo e la pura e semplice criminalità a fine di lucro, come riconosce l’autore delle dichiarazioni citate. 4.3.3.2. Nelle menti più «lungimiranti» (o presbiti) del ter rorismo nero, tuttavia, lo spontaneismo armato costituisce pur sempre solo una parte di una strategia più ampia e com plessa. Le ipotesi strategiche generali sono naturalmente va rie nel tempo e nello spazio. Una delle formulazioni più luci de ed accreditate in sede inquirente nel periodo successivo alla strage di Bologna è contenuta in un documento che è sta to fatto rinvenire ai carabinieri, appunto a Bologna, in una cabina telefonica alla fine d’agosto 1980. (Brani del docu mento sono apparsi in un articolo di «Noi Europa», giugno 1979, a firma di M. Tuti; da altra fonte risulta che la sua ste sura, oltre che a Tuti, è dovuta ad un gruppo redazionale di «Quex»), La strategia ivi configurata si articola in varie fasi, di cui la prima è rappresentata dallo spontaneismo armato, basato su gruppuscoli di poche persone che, solo dopo essersi provate in progressive azioni di lotta, potranno tendere ad ampliarsi e ramificarsi, nonché collegarsi tra loro, con una tecnica ana loga a quella delle cellule comuniste. I vari gruppuscoli do vranno poi essere coordinati da una organizzazione extrapar lamentare, con funzioni di copertura e propaganda. Benché la «guerra rivoluzionaria» (il riferimento è al solito convegno dell’istituto Pollio) configuri diversi campi d’azione (ideolo gico, economico, tecnico, morale, ecc.) il settore assolutamente privilegiato, «il centro ed il fondamento di ogni pro gramma nazional-rivoluzionario di attacco al sistema» deve essere la lotta armata. Solo con l’uso delle armi il movimento scende veramente in campo, ed il singolo militante può rag giungere «quella purezza trascendentale che costituisce una vera forma di ascesi eroica e guerriera» (p. 11). La scelta del la lotta armata viene anche contrapposta alle «elucubrazioni socio-politico-economiche» ed alle «smanie culturali» dei professorini; altrove si attribuirà parte della sconfitta dei «rossi» al loro essersi «persi dietro le dissertazioni dialettiche e gli studi teorici»: siamo, cioè, in presenza di un atteggia mento fortemente anti-teorico e anti-ideologico, che assegna 286
una posizione di assoluto privilegio all’azione rispetto alla ri flessione: atteggiamento, questo, comune a tutto lo schiera mento nero e ribadito in tutte le pubblicazioni (è il precetto di «costruire l’azione» invece di elaborare ideologia). Nella fase successiva dell’azione rivoluzionaria possono esse re configurate varie tattiche, ma fondamentale è il ricorso al terrorismo «sia indiscriminato che contro obiettivi ben indi viduati nel suo potenziale offensivo» (è stato definito «l’ae reo da bombardamento del popolo»), al fine di «scatenare l’offensiva contro le forze del regime da parte di gruppi di militanti ancora poco numerosi e quasi isolati tra di loro» (p. 11). Questo dovrebbe provocare un estendersi della lotta ar mata, favorita anche dal prevedibile accentuarsi della repres sione scatenata dal regime. Anche perché il regime attuale, amorfo, spugnoso, è privo di centri nervosi e di organi vitali, non si regge, cioè su «uomini chiave» né su strutture ben in dividuate, cosi che il «cecchinaggio», valido dal punto di vi sta tattico, strategicamente non è in grado di mettere in crisi le istituzioni. A tale scopo si presta il terrorismo, che ha il vantaggio ulteriore di coinvolgere la popolazione che, origi nariamente neutrale, sarà in seguito portata «a temerci ed ammirarci disprezzando nel contempo lo stato per la sua in capacità a difendersi e a difenderla [...] Con specifici attac chi, poi, non necessariamente rivendicati dalla nostra parte, si potranno aumentare fino ad un limite insostenibile per il tessuto dello stato le tensioni...» (p. 12). Anche questa è una posizione condivisa dai neri: un docu mento sequestrato dopo la strage di Bologna riporta i se guenti brani: «Bisogna arrivare al punto che non solo gli ae rei, ma le navi e i treni e le strade siano insicure, bisogna ri pristinare il terrore e la paralisi della circolazione. [...] Diamo un segno inequivocabile della nostra presenza [...] occorre un’esplosione da cui non escano che fantasmi» "°.
11°
Lg citazione sembra provenire da Occidente di Ferdinando Camon, ma ne sarebbe stato (atto uso a (ini di pedagogia rivoluzionaria.
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In un periodo più avanzato della lotta comparirà la guerriglia urbana, di élite e poi eventualmente di massa; suo obiettivo è di portare l’offensiva nel cuore del territorio nemico, pren dendo direttamente a bersaglio uomini, mezzi e strutture del regime. La natura specifica del contesto urbano (presenza di masse di emarginati, studenti, sottoproletariato, disoccupati, ecc.) creerà le condizioni sociopolitiche per potere sfruttare le contraddizioni del sistema pluto-marxista, allargando la base dei simpatizzanti. Uno stadio successivo, infine, è quello della guerriglia in montagna, non ancora in atto nel contesto della lotta rivolu zionaria di destra o di sinistra in Italia: è invece uno sbocco importantissimo, perché corrisponde al modello su cui più intensa è stata la mitizzazione: «chi per primo porterà in Ita lia la guerriglia sui monti e sulle campagne, diverrà automati camente padrone delle energie che in più di trent’anni sono state accumulate su questo “ mito” » (p. 15). Sarà allora possi bile pretendere il riconoscimento dello status di combattente regolare per i militanti, estendere i fronti di lotta, «scatenare spietate offensive terroriste, [...] colpendo dove, come e quando vorremo» (p. 15). Saranno questi i prodromi del tra collo del sistema, configurabile secondo varie modalità — dalla guerra civile all’insurrezione contro lo stato, fino al semplice sfascio della classe dirigente a seguito di qualche vittoria del movimento (p. 17). L ’importanza di questo documento sta nel fatto che esso dà una forma sistematica ed unitaria a frammenti di indicazioni strategiche ricavabili da una molteplicità di altre fonti di na tura giudiziaria, pubblicistica, e documentaria: esso costitui sce, cioè, una sorta di summa della visione strategica di un importante settore dell’eversione nera. Ne emerge una con cezione del terrorismo radicalmente diversa, sia nel bersaglio che nei fini, da quella del terrorismo rosso. Esso infatti è di chiaratamente e programmaticamente indiscriminato, perché non riconosce nello stato l’esistenza di punti strategici il cui annientamento possa avere un effetto destabilizzante decisi vo; di conseguenza lo scopo non può essere quello di «colpire
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al cuore il sistema», ma quello di seminare il terrore fra gli inermi: contro l’odiosità di questa concezione si afferma il diritto del rivoluzionario di sollevarsi al di sopra della morale borghese. Il picchiatore di Avanguardia nazionale veniva educato a «spaccare le ossa» anche a chi si inginocchia e pian ge; il «soldato politico» del nuovo fascismo realizza l’ascesa legionaria mediante la strage degli inermi.
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NANDO DALLA CHIESA
IL TER R O R ISM O DI SIN ISTRA
1. Prima premessa: terrore e «speranza» Parlando della cultura politica del terrorismo di sinistra è a mio avviso utile attenersi a una distinzione metodologica di fondo. Assai spesso la genesi e la morfologia di questa cultu ra sono state analizzate e spiegate ricercandone elementi di contatto e simiglianza con le visioni della trasformazione e del potere che hanno caratterizzato alcune fondamentali esperienze rivoluzionarie. Più in particolare ci si è sovente riferiti all’esperienza giaco bina e all’esperienza staliniana come antecedenti storici in grado di gettar luce sul percorso culturale del nostro terrori smo di sinistra. E ciò perché in ambedue le esperienze il ter rore costituisce in qualche misura la categoria e la pratica ri solutiva delle contraddizioni sociali e politiche, il piano pri vilegiato di scorrimento della storia; o, se si preferisce, l’asse intorno a cui ruota l’orizzonte del possibile nel processo della trasformazione rivoluzionaria. Non solo qui sta d ’altronde il legame di parentela. Vi sono altri punti di comunicazione supplementari, non marginali, tra le culture politiche implicite in quelle due esperienze sto riche e la cultura politica del terrorismo e che non si esauri scono nel capovolgimento della densità utopica in fanatismo. Su di essi, specie per quanto concerne lo stalinismo, ci soffer meremo più oltre. Qui mi preme proporre un’avvertenza: che benché questi piani di comunicazione o di sovrapposizione esistano, la comprensione storica rischia di essere pregiudicata da un’operazione concettuale che amalgami tipologie di cultura
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politica tra loro differenti, quella cioè della speranza rivolu zionaria (in cui ricade il terrorismo italiano di sinistra) e quella della realizzazione rivoluzionaria (giacobinismo e stali nismo). La prima rinvia infatti a un obiettivo di conquista del potere; la seconda a un obiettivo di gestione e consolidamen to del potere. E sicuramente vero che la logica che sorregge la conquista del potere non può, in nessun caso, non riflet tersi sul suo eventuale esercizio. Ma a parte l’ovvia considerazione che la «trasmissione» delle categorie dal contropotere al potere può verificarsi in mille modi, il problema è nel nostro caso di comprendere come si formi in una società democratica una visione della presa del potere, della «rottura» rivoluzionaria fondata sull’uso del terrore; e di comprendere quale lettura dei processi storici, quali culture generali, quali condizioni socio-politiche con corrano ad alimentarla. In tal senso considerare come unità organica speranza e realizzazione (o il «prima» e il «dopo») può diventare fonte di confusione. I processi che hanno pre parato il «dopo» nelle due esperienze storiche citate non han no ad esempio ruotato intorno all’uso del terrore. I momenti di continuità esistenti non sottendono quindi una conse quenzialità totale e necessaria.
2. Seconda premessa: cultura politica e progetto politico Naturalmente nel momento in cui si parla di cultura politica è doveroso precisare che col termine «cultura politica» si in tende un sistema di concezioni e principi che abbraccia un’area eterogenea di questioni: dagli obiettivi finali alle strategie per perseguirli, agli attori determinanti di queste strategie; dal modo di concepire il proprio rapporto con gli alleati, con gli avversari e con gli «altri», all’attenzione rivol ta alla questione dell’egemonia; dall’impostazione del rap porto fra teoria e ideologia ai modi di formazione del gruppo dirigente, ecc. La cultura politica è dunque qualcosa di più ampio e al tempo stesso di più ristretto del «progetto politico». Vi è un rappor
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to fra cultura e progetto, ma esso non è di perfetta specularità. Una medesima cultura politica può albergare, per molti o pochi suoi aspetti compositivi primari, all’interno di più progetti. Un elemento importante della cultura politica come il centralismo democratico vive ad esempio entro esperienze di partiti comunisti portatori di progetti politici tra loro assai distanti. Al tempo stesso più culture politiche possono convi vere all’interno di un medesimo progetto, come è possibile inferire dalle diverse nozioni elaborate, ad esempio, del com promesso storico o dell’alternanza socialista. Ciò non toglie che la cultura possa orientare o condizionare il progetto e an che, talora, identificarvisi. Nel nostro caso è possibile dire che ci si trova di fronte a cul ture politiche differenziate — radicate in filoni ideologici ora operaisti, ora marxisti-leninisti, ora luxemburghisti, ecc. — unificate però da un sistema di principi organizzati intor no alla scelta assolutamente discriminante della lotta armata. E in tal senso che quando parleremo di «terrorismo» o di «partito armato», lo si farà con riferimento a un’esperienza complessiva che ingloba il «grande» e il «piccolo» terrorismo, quello clandestino e quello che muove dall’«illegalità di mas sa». E ciò non perché si voglia accreditare la tesi di un’unica strategia dotata di più facce strumentali (che semmai esisto no dentro alcune delle linee strategiche presenti nel partito armato), ma perché ciò risponde all’esigenza di definire un universo di elementi culturali e ideologici unificanti; fermo restando che, laddove sarà opportuno, si terrà presente la di versità di riferimenti ideologici e di impostazioni teoriche. Due ulteriori annotazioni mi paiono infine necessarie sull’ar gomento. La prima è che gli elementi di cultura politica che prenderemo in considerazione non sono isolabili e circoscri vibili all’esperienza terroristica, ma, singolarmente presi, la oltrepassano non di rado. Il che spiega l’ampiezza del retro terra culturale di simpatie o di neutralità su cui il fenomeno ha potuto a lungo contare prima di condensarsi rigidamen te in progetto politico vero e proprio.
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La seconda è che questa cultura è stata oggetto di scarse ri flessioni (e autoriflessioni), ancor meno delle «linee politi che», delle «ideologie» e delle «interpretazioni di fase», cui in qualche misura è sottesa. Di conseguenza essa verrà ana lizzata non riferendosi solo ai documenti ufficiali o agli scrit ti dei dirigenti di maggior prestigio, ma sarà osservata anche attraverso i suoi messaggi più diretti, i simboli, i gesti e le scelte concrete, in genere parte di un materiale culturale non scritto. E , sempre di conseguenza, nell’awiare la discussione non si potrà dare per «conosciuto» — come è d ’uso — ciò su cui esiste un’ampia convergenza di letteratura. Più semplicemente si riterrà tale ciò che ragionevolmente ap pare acquisito — o suscettibile di acquisizione — presso il senso comune «colto». E collateralmente riflessioni sistematizzabili alla stregua di conoscenze di base andranno intrec ciandosi nell’esposizione con spunti e suggerimenti di ricer ca, rendendo più inquieto di quanto potrebbe avvenire in una ricostruzione della storia solo organizzativa del terrori smo il confine fra i due livelli dell’analisi e della prospettiva di ricerca.
3. Album di famiglia, diciannovismo e altro ancora Data la scarsa attenzione accordata dal dibattito alla cultura politica dei terroristi, una rassegna delle tesi che si sono con frontate sull’argomento richiede una estrapolazione e orga nizzazione di spunti sovente impliciti, col rischio, che neces sariamente affronterò, di far torto mio malgrado a qualche autore. In alcuni casi, ad esempio nell’ambito della teoria del complotto, la cultura politica peraltro non necessitava affat to d’essere indagata, bastando in sé l’ideologia antidemocra tica a render ragione dell’agire terroristico («in quanto anti democratici si prestano a essere strumentalizzati»). È comunque possibile raggruppare le tesi esposte in base a due criteri, a seconda cioè che 1) si tratti di tesi volte a quali ficare la cultura politica del terrorismo italiano ricollegando la ad aree o sistemi di cultura politica già presentatisi sulla
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storia; o 2) si tratti di tesi volte a compiere una analisi «inter na» (ossia logica) dell’impianto categoriale, magari per giun gere da li a stabilire derivazioni teoriche o ideologiche. Nella prima classe si concentra soprattutto la polemica politi ca anche se — per le conclusioni cui giungono — inseriremo qui pure gli autori di studi o riflessioni più analitiche. Nel complesso sono tre i fondamentali filoni genealogici che è possibile isolare. Il primo filone è quello che è stato convenzionalmente chia mato dell’album di famiglia, secondo la nota formulazione usata da Rossana Rossanda. La tesi che viene sostenuta è che il terrorismo non sia limpido prolungamento del leninismo o, più in particolare, dell’esperienza del movimento comunista italiano; e che però esso amalgami materiali di cultura politi ca che dentro quell’esperienza hanno potuto trascinarsi in virtù del permanere irrisolto di alcune ambiguità di fondo, presenti e alimentate nel senso comune dei militanti benché in contrasto con la linea politica effettuale del partito. Vicina a questa posizione, anche se formalmente distante, è la tesi di Nicola Tranfaglia secondo il quale esiste una tra dizione comunista segnata dalle esperienze dello stalinismo, della clandestinità e dalla «delusione» per i decenni repubbli cani che riemerge nel nuovo mito resistenziale dei primi anni settanta. Sarebbe questo humus che, insieme a una certa ver sione italiana del marxismo diffusasi negli anni sessanta, congiurerebbe, per vie diverse, a legittimare modi di pensare la rivoluzione, lo Stato, ecc., non estranei al bagaglio delle formazioni terroristiche. Nel perimetro di questo filone (con qualche sconfinamento nel successivo) possiamo poi ritrovare autori come Luigi Fer rajoli (che denuncia il pesante retaggio del terzinternazionalismo)2, Federico Stame, il quale nel ricordare le simpatie di 1 Tranfaglia (1981). 2
Ferrajoli (1979).
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Engels per Von Clausewitz, scorge nelle Br una combinazio ne di arretratezza (la forma-partito) e di modernità (l’internità a nuovi movimenti collettivi)3, Franco Ferrarotti, alme no nei limiti in cui denuncia il «marxismo lirico» di alcune formazioni terroristiche4, e Luigi Manconi, che nell’ambito di una vivace polemica identifica il punto di congiunzione fra tradizione comunista e terrorismo nel principio àeWauto nomia del politico5. Un secondo filone è quello che possiamo definire tout court della paternità (o continuità) leninista. In tal caso dottrina, progetto e cultura politica fanno tutt’uno, traducendo il det tato leninista nelle nuove condizioni storico-politiche e libe randolo dai cappi della doppiezza togliattiana. E questa una posizione che trova spazio in particolare nella seconda metà del decennio settanta, talora definendosi nella sua variante più generale per cui il terrorismo è figlio diretto dell’idea di rivoluzione. È un’interpretazione che, sviluppata in una numerosa serie di articoli, interviste e discorsi accomuna, con diverse sfuma ture, intellettuali come Alberto Ronchey, Giorgio Bocca6, Francesco Alberoni e Luciano Pellicani ad autorevoli diri genti politici democristiani e socialisti, da Giovanni Galloni a Bettino Craxi. Un terzo filone viene alimentato in particolare dai dirigenti politici del Pei. Il suo nucleo concettuale è il «diciannovismo», termine con cui prima Giorgio Amendola e poi Enrico Berlinguer designarono gli elementi di cultura politica carat teristici non tanto del terrorismo clandestino quanto, più specificamente, dell’area dell’«illegalità di massa» (Autono 3
Stame (1979); v. anche Stame (1978).
4
Ferrarotti (1980).
5
Cfr. Lerner, Manconi e Sinibaldi (1978).
6
In Bocca l’influenza del filone leninista si sposa però con l’influenza dell’integrali smo cattolico (cfr. Bocca, 1978b).
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mia e dintorni) nel periodo 77-787. L ’avanguardismo, il di sprezzo per le procedure democratiche, l’antisindacalismo, il ribellismo contro le organizzazioni storiche del movimento operaio, costituirebbero i tratti analogici di questo movi mento con quello della fase postbellica prefascista. Le radici sociali di questa cultura politica sarebbero, ancora una volta, i processi di crisi e decomposizione di settori di ceti piccolo-borghesi. Si tratta di una tesi che viene coerente mente sviluppata, ad esempio, da Biagio De Giovanni8 e da Adalberto Minucci9. Non identiche ma con punti di contatto con questa tesi sono le analisi o le riflessioni proposte da Corrado Stajano10, da Carlo M arletti11 o da Franco Ferrarotti12 specie in ordine al gusto estetizzante o al soggettivismo dei terroristi. Tali con siderazioni trovano nell’ambito della letteratura internazio nale un loro ancoraggio nell’ipotesi di Habermas sull’emergere di un nuovo populismo, intriso di romanticismo e radi cato nella piccola borghesia; e godono di efficace rappresen tazione letteraria nell’omologazione della gioventù italiana all’universo piccolo-borghese di cui argomenta nelle sue Let tere luterane Pier Paolo Pasolini. Nel quadro dei filoni «genealogici» un posto a parte merita per la sua originalità l’approccio di Luigi Ferrajoli13. La tesi 7 È dunque un filone interpretativo parziale. La parzialità è spiegabile con il fatto che mentre di fronte alle formazioni clandestine il Pei Ha potuto a lungo tralasciare di produrre analisi (al riparo della teoria del complotto), di fronte a un movimento di massa ha comunque dovuto offrire spiegazioni che, per quanto via via pii affina te, difficilmente hanno «aperto» a una logica interpretativa generale del terrorismo. Ciò che invece (li si condivida o no) sono in grado di fare i primi due filoni. 8
De Giovanni (1977).
9
Minucci (1978).
10
Stajano (1982).
11
Marietti (1979a).
12
Ferrarotti (1980).
»
Ferrajoli (1979).
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di Ferrajoli è che esistano due modelli di violenza: uno politico-giacobino, caratterizzato dalla natura strumentale della violenza e dall’attribuzione del suo esercizio a una «avanguardia»; e un altro politico-attivistico, ove la violenza, trasformata in valore, viene praticata individualmente o da piccoli gruppi. Tutti e due i modelli, per l’autore, apparten gono a pieno titolo «all’universo storico-culturale della politi ca moderna», laddove l’esasperato soggettivismo politico che li contraddistingue si situa nella medesima tradizione teorico-politica del pensiero e della storia borghese, e secon dariamente anche in quella del movimento operaio, a misura che essa è subalterna all’altra (l’imputato, per semplificare, non è Marx ma Machiavelli). Da cui l’invito a rifondare, a si nistra, il modello stesso della politica. Il secondo gruppo di tesi è uniformato dal tentativo di defi nire quale (originale?) miscela di singoli elementi di cultura politica innervi di sé l’esperienza terroristica. Lo sforzo è al lora, più che di descrizione/catalogazione, di astrazione con cettuale, e si lega maggiormente alla fase «matura» della ri flessione, quella a cavallo tra i decenni settanta e ottanta. In particolare mi pare si possano indicare tre piani su cui la ri flessione avviene a più voci. Il primo è quello del particolare rapporto che viene istituito fra guerra e politica, laddove la guerra viene vista nel terrori smo come l’unica forma politicamente sensata nella quale possa esprimersi la «lotta di classe» (Bolaffi14, e, in senso equivalente, Stame 15), dotata ormai di proprie leggi che la rendono incapace di comunicare con quelle della politica (C acciari16). Il punto di partenza della riflessione è cioè che questa cultura politica ruota intorno al «discorso delle armi»: come rilevano Luigi Manconi e Vittorio Dini " , la violenza 14
Bolaffi (1982).
15
Stame (1979).
16
Cacciati (1980).
17
Manconi e Dini (1981).
300
diventa insieme forma di lotta (l’unica), programma, strate gia, molla e verifica della coscienza di classe. In questo me desimo quadro è anche possibile collocare le riflessioni appe na abbozzate da Ferrajoli18 e M anconi19, sulle regole che in formano, nell’impianto culturale del terrorismo, i rapporti vita-politica ed etica-politica. Il secondo piano concerne i concetti incrociati di avanguardia e di egemonia. A venire messi in luce sono soprattutto il decisionismo e l’autoritarismo impliciti nel modo di intendere questi due concetti che è proprio del terrorista, il quale non chiede partecipazione ma sudditanza. Ferrajoli20, M arletti21 e Manconi, Lerner e Sinibaldi22, analizzano con differenti linguaggi e strumenti il processo di crescente selezione dei propri potenziali interlocutori attuato dalle formazioni terro ristiche. Queste finiscono per ingaggiare una sorta di guerra privata con lo Stato, da cui le divide un mare magnum sempre più incline a trasformarsi, sotto i loro colpi, in acqua territo riale dello Stato medesimo. Il terzo piano, infine, è quello dell’influenza che ha la presun zione di legittimità su scelte, tattiche e agire politico del terro rismo. Manconi e D ini25 hanno in proposito sottolineato co me il terrorismo si intenda istituzionalizzare come parzialità antagonista, attivando meccanismi giustizialisti di trasfor mazione del «diritto alternativo» in istituto, secondo i per corsi (controprocesso, tribunali popolari, ecc.) paventati dal Foucault di Microfisica del potere. Questo piano di analisi è tanto più importante se è vero che proprio in questa presun zione di legittimità — e nel correlativo primato attribuito al 18 Ferrajoli (1979). ”
Manconi (1979: 7-19).
20
Ferrajoli (1979).
21
Marletti (1979b: 181-253).
22
Lerner, Manconi e Sinibaldi (1978).
23
Manconi e Dini (1981).
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la legittimità rispetto alla «legalità» — sta una delle cause fondamentali della crisi del terrorismo (da cui la tesi della «legalità come plusvalore» avanzata da Bolaffi24). Va infine segnalata una costellazione di spunti analitici, di considerazioni marginali che, talvolta inintenzionalmente, finiscono per fornire un’immagine della cultura politica del terrorismo anziché come insieme di elementi tra loro ordina ti sintatticamente, come magma di aspirazioni e disposizioni psicologiche. In tal senso penso all’«uomo senza dimora» di Horst M ahler25, o, nel caso italiano, alle osservazioni di Ferrarotti sul neoleninismo dell’autonomia romana del 7 7 26, a quelle di Manconi sulla nuova spontaneità27 (con connesso riferimento all’esistenzialismo armato di Roth), all’ironia di Filippo Barbano sui «moderni catilinari»28 o alle considera zioni svolte da Federico M ancini29 o da Manconi e D ini30 sulla schizofrenia tra gesto e discorso politico, particolar mente emblematica nel volantino stilato da Prima linea per rivendicare l’assassinio del giudice Alessandrini. Benché quest’ottica possa — a sé stante — produrre notevo li (e interessate) distorsioni interpretative, tuttavia mi pare, specie per i risvolti relativi a molte storie individuali, che si tratti di un piano di analisi da non sottovalutare.
24 Bolaffi (1982). «
Mahler (1980).
26
Ferrarotti (1979).
27
Manconi (1979).
2* Barbano (1979). 29
Mancini (1979).
30
Manconi e Dini (1981).
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4. La cultura politica in sei punti Le tesi che abbiamo fin qui rapidamente ripercorso conten gono sia pure in ordine sparso diversi elementi di verità. Il tentativo che mi pare debba essere fatto a questo punto è quello di enucleare gli elementi fondamentali della cultura politica terroristica, di organizzarli entro una rete di rapporti causali o di influenza e di tentare successivamente di coglier ne le radici storiche e intellettuali. A tal fine riprenderò bre vemente il filo dell’analisi che ho condotto in altra sede sui rapporti che tra Sessantotto e terrorismo si istituiscono sul piano della cultura politica31. La scelta mi pare offrire due vantaggi: riassumere e integrare gli spunti di analisi già esa minati e, grazie al collegamento con le «contraddizioni» del Sessantotto, aprire un canale di comunicazione con le vicen de storico-politiche che permetta di introdurre meglio la di mensione dinamica (o «evolutiva») del discorso. La mia opinione è che i principali elementi della cultura poli tica del terrorismo di sinistra possano essere raccolti in sei gruppi. 1) Il primo può essere chiamato della sovranità dell’ideologia sul la teoria. In esso si manifesta, o precipita, l’incapacità di ela borare una cultura critica proprio nel momento in cui si pre tende di sviluppare la «critica critica» della cultura borghese o di quella revisionista. Il «primato della politica» si affer ma come primato del «principio di autorità» sulla realtà delle cose; o come primato dell’ideologia sulla conoscenza, ma non nel senso che la prima suggerisca i campi di sviluppo della se conda o le fornisca alcune coordinate interpretative (in ogni caso sempre riverificabili) bensì nel senso che la coarta fino a sostituirvisi32. Questo elemento rappresenta la condizione prima e necessa ria su cui si sviluppano tutti i successivi. La sua collocazione 51
dalla Chiesa (1981).
32
Cfr. anche Ferrajoli (1979) e Marletti (1979a).
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al primo posto non obbedisce allora solo a una gerarchia di importanza ma anche e soprattutto a un ordine consequen ziale (ossia è importante perché prius logico). E esso fra l’al tro che — privando l’ideologia dell’apporto del momento conoscitivo-critico — alimenta un quadro di confusione ideologica in cui specifiche valutazioni o concezioni, altri menti erronee ma innocue (es. la tesi della maturità del co munismo o quella della germanizzazione), diventano suscet tibili di sviluppi terroristici. 2) Il secondo gruppo rinvia alla visione della rivoluzione come «immediato» (la mitologia della rivoluzione dietro l’angolo). È questo in realtà un portato della storia del movimento ope raio italiano. Riaffiora la classica mitologia dell’«ora X » che nella tradizione comunista si è alimentata della doppiezza togliattiana e che fa perno su una visione dell’internazionali smo proletario in forza della quale la rivoluzione può o deve essere esportata; è il richiamo all’intervento «fratello» sem pre pronto a realizzarsi non appena se ne verifichino le con dizioni interne e internazionali e che aiuta a tenere desta la speranza nella palingenesi rivoluzionaria. Il punto 1 agisce qui potentemente, favorendo una visione incredibilmente semplificata dei processi della transizione e della trasformazione, che si nutre di una vasta produzione ideologica, da quella sulla putrefazione del capitalismo a quella sulla proletarizzazione generalizzata. E fra l’altro si gnificativo che questa visione insurrezionalistica si rafforzi in sintonia con gli avvenimenti internazionali della prima metà degli anni settanta (dal Vietnam al Portogallo all’Ango la), sposando una lettura della crisi mondiale e della crisi ita liana come crisi «finale», ove è possibile imporre fulminea mente, con una repentina e massiccia concentrazione di for ze, il passaggio rivoluzionario. Naturalmente, va aggiunto, l’essere sempre la rivoluzione «dietro l’angolo» e il constatare che gli altri non la ritengono tale agevola il dilatarsi della presenza nella cultura terroristi ca di una fondamentale categoria, che diventa insieme inter pretativa e di valore: quella del «tradimento».
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3) Il terzo gruppo si identifica con la visione della democrazia come problema «formale». C ’è qui un nesso sequenziale col punto precedente. La certezza che il passaggio rivoluzionario avvenga e che avvenga molto rapidamente mette infatti in mora la questione della natura delle forme in cui gestirlo (la rapidità rendendo del tutto legittima la subordinazione dei mezzi ai fini). Il problema strategico che si pone è dunque uno, prendere il potere o, espresso in termini più mediati, «avere la linea corretta»; ciò autorizza l’invalidamento effet tuale della «forma» democratica. Ne scaturisce, attraverso una progressione dal decisionismo al sostitutismo, una tendenza alla conquista militare dell’ege monia che convive talora con il riferimento verbale e ideolo gico alla democrazia di massa, ma che in realtà nega recisa mente alle masse ogni «primato metodologico». Questo at teggiamento verso il problema generale della democrazia si salda peraltro a livello concettuale con una visione dello stato (anch’essa ereditaria) come semplice comitato d ’affari, pura espressione di comando, di cui la forma democratica serva soltanto a mascherare la natura (lo stato come «macchina»). Dunque la democrazia diventa «forma» o velo, non punto di equilibrio di rapporti materiali (pur sempre entro una lettura della forma istituzionale quale espressione della supremazia di una classe). Si ingenera cosi una visione degli apparati re pressivi come immediate articolazioni del comando, simili — dunque — a truppe d’assedio. Laddove il punto «alto» (nel senso che ne rappresenta il culmine) di questa cultura sta nel la conseguente convinzione che sia appunto questa «forma» a ingannare le masse, ottundendone la coscienza genuinamente rivoluzionaria. Sicché basterà strappare la maschera perché lo stato mostri il suo vero volto e si inneschi la scintilla della ri voluzione. Qui interviene un’ulteriore saldatura. Nel senso che gli elementi culturali descritti producono una visione eroica e neoattualista della politica, partendo dall’avanguar dismo e muovendo attraverso la mediazione del sostituti smo. E questo l’anello mancante perché si realizzi quella concezione in forza della quale un manipolo di persone può arrogarsi il diritto di decidere che le libertà democratiche va
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dano liquidate: nella convinzione, coerente con l’analisi su vista (separatezza assoluta di masse e stato), che ciò provochi un crescente acutizzarsi delle contraddizioni fra stato e mas se fino a sfociare nel processo rivoluzionario. 4) Un quarto elemento è la visione antropomorfica del capitale, dello stato e degli apparati repressivi3}. E un’eredità vecchia di tutta una cultura comunista che ha plasmato decenni di pro paganda e di «ideologia elementare». Grazie agli elementi descritti al punto 3 ha agio di svilupparsi una precisa conce zione. Che è la seguente: se lo stato è puro comando, se il ca pitale è sfruttamento immediato, ambedue macchine in mo vimento prive di nessi e rapporti culturali e ideologici con la società, ne consegue che i loro esponenti, ai diversi livelli, so no coloro che li fanno intenzionalmente funzionare contro le aspirazioni delle masse, a ciò guidati da propria volontà sog gettiva, e dunque operando da pure articolazioni; essi nemici oggettivi a misura che le macchine che articolano sono «ester ne» alle masse e da esse totalmente separate, insensibili ai mutamenti reali dei rapporti di forza come ai mutamenti de gli orientamenti culturali di chi agisce al loro stesso interno. Questa cultura può tendere, a seconda dei casi, a privilegiare il versante «capitale» o il versante «stato», a seconda degli schemi ideologici più complessivi in cui si determina. In ogni caso si ingenera quella che Weber riteneva la visione della ri voluzione tipica delle società tradizionali, ove il potere coer citivo si identificava di fatto con una persona o una famiglia. La riproduzione nella società odierna di un tale modello di insubordinazione recide il legame tra gesto e obiettivo, de gradando ambedue a simbolo e consacrando il terrorismo a variabile del sistema politico non tanto intrinsecamente quanto, soprattutto, come variabile dello spettacolo politico. 5) Un quinto elemento consiste nel disprezzo per la vita umana e nella presunzione della sua disponibilità. A produrlo sono de cisivi gli elementi 2, 3, 4, dunque — mediatamente — l’ele-
35
Su ciò vedi anche Bolaffi (1982) e Ferrajoli (1979).
306
mento l e i retaggi culturali della tradizione terzinternazionalista. Anzitutto si ha un’analisi dello stato e del capitale eccezionalmente semplificata, che si associa alla cultura an tropomorfica. Ciò porta a considerare i rappresentanti dello stato o del capitale soggettivamente schierati contro le masse («potevano cercarsi un altro lavoro»), e dunque contribuisce a instaurare verso di essi un rapporto intriso di odio e di di sprezzo, tanto più forti quanto più intense si fanno la co scienza della natura oppressiva della società e la conseguente volontà di cambiamento. In secondo luogo agisce la scissione che si consuma fra politi ca e morale, che tocca qui il suo triste apogeo, e che va intesa come distacco totale della politica da quei principi etici co munemente professati e che potremmo definire universali (il rispetto della libertà, della vita, ecc.). Si tratta di un distacco che la politica opera — ovviamente producendo una sua nuo va etica — senza preoccuparsi di costruire mediazioni, nean che di «immagine», tra sé e quei principi (come si vede ri spunta sempre il tema dell’egemonia). Il conseguente scatenamento della logica secondo cui «il fine giustifica i mezzi» (ancora elemento 3) trova peraltro occa sione di esprimere tutti i suoi contenuti devastanti a misura che la rivoluzione venga considerata a portata di mano (ele mento 2). In questo caso infatti la vita viene posta come «merce di scambio» per giungere alla rivoluzione. Di fronte alla prospettiva della rivoluzione «dietro l’angolo», cioè, an che il peso della vita umana diventa lieve, sia quantitativa mente (il tempo che separa dalla meta essendo poco), sia qua litativamente (la meta essendo certa). Tanto più la vita può essere merce di scambio se appunto si pensa che lo stato o il capitale esistano in quanto esistono, tra loro gerarchicamen te e funzionalmente ordinate, quelle persone e che la soppres sione di alcune di esse, oltre ad assumere un valore quasi reli gioso (la «giustizia proletaria»)J4, serva anche a inceppare il funzionamento della macchina statale o del capitale. 34
Cfr. Ferrajoli (1979), che imputa efficacemente alla cultura terroristica un’«etica del sacrificio».
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È per questo che l’etica terroristica rompe con ogni sistema di valori, compreso quello che si riassume nell’immagine po polare dell’«angelo sterminatore». Non è la qualità morale dell’uomo infatti a trasformarlo in vittima, ma il suo ruolo, al punto che — specie nella logica di alcune formazioni — la combinazione fatale diventa esattamente quella di riformi smo + efficienza. Va da sé che collateralmente giocano un ruolo nell’alimenta re queste concezioni l’avanguardismo e il neoattualismo di cui abbiamo parlato al punto 3; i quali si esprimono sia im mediatamente nel disprezzo per l’intelligenza e la volontà delle masse, sia mediatamente nel disprezzo per il «grigiore» e l’«inutilità» della vita quotidiana della persona che non fa parte del proprio schieramento. 6) L ’ultimo elemento compositivo del sistema di cultura politi ca che stiamo indagando è la mistica della violenza. Si tratta ovviamente di altra cosa dal ricorso a forme di lotta anche dure sperimentate storicamente dai movimenti operai o con tadini. E un fenomeno dotato di una sua relativa autonomia rispetto a quelli analizzati ai punti 3 e 5, anche se vi ha colle gamenti intensi; più organici con i primi (punto 3), in realtà, poiché non necessariamente la «mistica della violenza» af fonda le sue radici nel disprezzo per la vita. Essa è un ele mento che piuttosto, in generale, deriva dal disprezzo per la democrazia e dalla visione militare della lotta per l’egemo nia. Il legame col punto 1 è poi saldissimo. Non solo perché nell’assenza di teoria è più facile degradare, ridurre la lotta politica rivoluzionaria a puro uso della forza (condizione suf ficiente), ma anche perché conseguentemente l’essere rivolu zionari, in assenza di orizzonti teorici strategici, viene misu rato essenzialmente sulla base del ricorso ai metodi di lotta più duri (condizione necessaria).
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5. Rovesciamento del marxismo o «legittima devianza»? Questo sistema di cultura politica, come si è visto, scompo sto nei suoi singoli elementi, non apporta una innovazione radicale rispetto a principi, dottrine, schemi della storia del pensiero rivoluzionario e più in generale del movimento ope raio. E tuttavia si lega a un’esperienza concreta che rompe — essa si — radicalmente rispetto alla storia di questo movi mento. Come è possibile allora individuare un luogo di sutu ra tra novità e tradizione che sia sufficientemente rispettoso a un tempo delle singole concezioni e della totalità del «siste ma» culturale? Un rapporto cioè che rifugga dalla duplice partigiana tentazione di assolvere benevolmente la tradizio ne o di imputarle ingenerosamente tutto il nuovo? La tesi di fondo da cui mi pare si possa partire è che la cultu ra politica del terrorismo sia esattamente... la cultura politica del terrorismo, munita di una sua identità storica e in ogni caso irriducibile a un padre. In buona parte del dibattito, specie giornalistico, degli ultimi anni, si è teso a convenire che nel leninismo andasse ricercata la radice prima del terro rismo. Ma ne è stata anche prospettata una radice di natura guevarista, cosi come si sono indicate possibili ascendenze maoiste, soreliane, trotskiste o, potenza della tradizione, an che blanquiste e bakuniniane.
La molteplicità (e la parziale fondatezza) di ascendenze cosi diverse per corpi teorici e contesti storici di sviluppo, depone però per una tesi eziologica più articolata, che si attenga a due convenzioni: a) che si parli non di teoria ma, per l’ap punto, di cultura politica, visto che ciò viene suggerito pe rentoriamente dal fatto che ogni teoria (o dottrina) rivoluzio naria ha di fatto prodotto nel caso italiano un suo filone ter roristico (dall’operaismo all’«emmellismo»); b) che questa cultura politica è il frutto di una miscela di condizioni sociali e politiche nuove e di molteplici paternità — o ascendenze — teoriche e ideologiche, fra l’altro di non sola ispirazione rivoluzionaria, come cercheremo di esemplificare.
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È questa specifica e probabilmente irripetibile miscela che produce un effetto di fusione tra vecchio e nuovo. Non siamo cioè di fronte alla semplice «distorsione» di una dottrina fin allora «innocente» (sotto il profilo della produzione di terro rismo, si intende), ma a un fenomeno complesso dove il vec chio stesso assume valenze nuove. Il terrorismo italiano non si ispira più infatti al filone anarchico, ma a filoni — come ad esempio quello leninista — che lo avevano esplicitamente combattuto sul piano teorico35; al punto che esso riesce a sta bilire un inquietante contatto con fondamentali elementi della più tradizionale cultura politica dello stesso Pei. Più in particolare mi sembra possibile sostenere che la cultu ra politica del terrorismo presenti a) un livello di omogeneità con la tradizione comunista «reale», ossia quella incarnata nella prassi, nelle aspirazioni e nel senso comune di intere ge nerazioni di militanti, con specifico riferimento alla visione dell’evento «rivoluzione»; b) un livello di eterogeneità rispet to ai grandi teorici della rivoluzione con riferimento ad alcu ni piani, problemi e categorie. È però importante sottolineare che esiste comunque una con nessione intellettuale tra i due livelli indicati, poiché l’etero geneità non si determina rispetto a un sistema di principi ca nonici rigorosamente formulato ma rispetto a un sistema dottrinario sviluppato dagli stessi autori con numerose ambi guità. E un’eterogeneità relativa, che origina perciò non un fenomeno di «rovesciamento teorico», ma un fenomeno che chiameremo di «legittima devianza». Tali ambiguità mi paio no coinvolgere fondamentalmente — anche se in misura di versa — cinque piani concettuali, lungo i quali le eteroge neità del terrorismo trovano spazio e ragione per svilupparsi. 1) Il primo piano riguarda il concetto di contraddizione. Il pen siero marxiano, ma anche quello leniniano, riposano su una visione della società e della storia come intrecci mobili di contraddizioni, ove un fenomeno o un soggetto entrano in 35
Vedi ad esempio Bravo (1978).
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costante contraddizione con altri ma ove anche si riformano continuamente congiunzioni originali di interessi o di ten denze. Nella cultura politica del terrorismo il concetto di contraddizione subisce una drastica riduzione del proprio campo di azione. La contraddizione è infatti quella tra capitalisti e proletari, integrata da altre solo nella misura in cui la credibilità del terrorismo lo richieda (cosi ecco che per giustificare l’isola mento politico si ricorre allo schema delle contraddizioni in seno al popolo). La storia diventa in questa logica un conti nuo succedersi di mosse intenzionali condotte su una im mensa scacchiera da due attori contrapposti; in essa nulla vi è di oggettivo, bensì solo il fronteggiarsi di due astuzie in grado di decidere soggettivamente il corso degli avvenimen ti. L ’astuzia del capitale, che dispone della proprietà dei mezzi materiali, è però infinitamente maggiore. Ne consegue l’idea di un capitale in grado di tutto sussumere e pianificare. Le riforme sono uno strumento per ingabbiare il movimento operaio. Lo stesso progresso tecnologico è prodotto da un’astuzia su periore, la stessa che presiede e gestisce il «piano del capita le». La mitologia del calcolatore come simbolo dell’oppres sione pianificata condensa in immagine una vasta letteratura sulla strategia di razionalizzazione, dietro la quale emerge — a seconda dei filoni — lo Stato-piano o il Sim, lo Stato impe rialista delle multinazionali. Tutto ciò che accade è «funzio nale». Lo stesso sottosviluppo, o la crisi economica è sempre funzionale e mai termine, anche, di disfunzionalità. D a cui la via di uscita, quasi necessaria, di un proletariato in armi, a maggior misura vincente se sostenuta dall’inserimen to nel proprio schema di un’altra «utile» contraddizione del capitalismo, quella cioè della progressiva proletarizzazione delle classi medie. Tutto questo spiega d ’altronde anche il consolidarsi di quella visione «antropomorfica» cui si è accennato prima: e la scel ta, come «obiettivo», proprio dei magistrati democratici. E
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qui che si esalta la logica del «ruolo» e della perenne «funzio nalità». Essi aiutano infatti lo stato a funzionare meglio, nel mentre stesso ne incrinano la vecchia natura di «comitato d ’affari». Parimenti non è vista contraddizione alcuna fra lo gica di azione del potere democristiano e istanze e valori cat tolici. Come si vede, siamo distanti dal metodo di analisi marxiano. Ma è innegabile che questo abbia lasciato, al terrorismo, al cune porte aperte: da una teoria semplificata del ruolo dello stato nel processo storico alle raffigurazioni paraboliche del «funzionario del capitale»; dalla visione della sfera cultu rale come «sovrastruttura» limpidamente determinata fino a una insistita teoria dicotomica (sia pure solo a livello filosofico) della stratificazione sociale. 2) Un secondo piano riguarda, tra loro combinati, i concetti di egemonia e di avanguardia. Nel terrorismo l’egemonia giunge a una perversa valenza «negativa». Nella sua ultima fase l’in vito non è infatti tanto quello di «partecipare» alla lotta ar mata, quanto quello di «starne fuori», di non «intromettersi» nello scontro armato assumendo le ragioni dello stato (questo mi pare il senso più profondo dell’omicidio di Guido Rossa). L ’egemonia è puramente militare e obbedisce/discende da un’autoproclamazione dei terroristi in vera «classe per sé», forma organizzata di una coscienza di classe superiore di fronte al cedimento revisionista del maggiore partito operaio. Specularmente, come si è detto, tale concezione dell’ege monia induce a leggere in modo del tutto aberrante il rappor to stato-cittadini. Naturalmente questo tipo di approccio al problema è estra neo alla storia del movimento operaio, in particolare di quel lo italiano, sul quale grande è l’influenza degli apporti teorici di Gramsci e di Togliatti nella formulazione del rapporto politica-cultura-consenso. Tuttavia appare difficilmente con trovertibile che dalla «armonia prestabilita» fra proletariato e comunisti argomentata nel noto passo del Manifesto sia di sceso nella tradizione rivoluzionaria un uso della «classe per sé» come principio che, partendo da un procedimento di au
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toascrizione (ossia arbitrario), fonda un sistema di imperativi validi per l’intera società, sia prima sia dopo la rivoluzione. La classe per sé, cioè, che da attributo della storia si trasfigu ra in «principio istituzionale» autonomo che regola a suo ar bitrio gerarchia e legittimità di interessi e valori; un princi pio tanto più pericoloso quanto più rimanga aperto — per definizione — il contenzioso su chi siano i veri comunisti e dunque su chi abbia titolo ad agire in nome e per conto del proletariato}6. 3) Un terzo concetto è quello di democrazia. Qui si sconta per intero l’eredità terzinternazionalista, in cui si risolve un’am biguità perennemente presente nel pensiero dei grandi teori ci marxisti. C ’è però un salto netto rispetto a questi ultimi; si realizza cioè il passaggio da una visione della democrazia par lamentare come forma ingannevole entro cui si sviluppa il do minio borghese — dunque da superare con nuove forme di democrazia — e che però si innerva di elementi costitutivi materiali (si da essere giudicata la migliore forma istituziona le borghese per il proletariato), a una visione della democra zia come problema formale, che dunque è lecito non porsi in virtù di una contrapposizione assoluta (e un po’ idealistica, come rileva giustamente Bobbio)37 della «forma» alla «so stanza». Precipita dunque in questo disprezzo per le procedure e i va lori democratici l’ambivalenza leniniana, prolungata anche nella cultura politica del Pei: quella per cui la democrazia proletaria (sostanziale) oscilla tra il modello comunardo (o dei soviet) e quello costruito sul comando del partito, rappre sentante «naturale» del proletariato (e in cui si esprime ap punto l’elemento di autoascrizione implicito nella «classe per sé»).
Cfr. sull’argomento Nando dalla Chiesa (1983). 57
Norberto Bobbio (1976).
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4) Un quarto piano di eterogeneità relativa riguarda il concetto di processo storico, implicitamente già introdotto discutendo il concetto di contraddizione. L ’impianto marxiano è co struito intorno alla dimensione del progresso. Non per nulla Marx apprezza la portata «rivoluzionaria» del capitalismo e dell’agire borghese. La sua polemica, condotta sul Manifesto, contro i fautori del cosiddetto «socialismo feudale» bene esprime questo rifiuto dell’antimodernità, che si coniuga con una visione della storia come mutamento «processuale», in cui si saldano contraddizioni e spostamenti in avanti. Nella cultura politica del terrorismo, grazie al primato asso luto attinto dall’ideologia, il mutamento storico, cosi inteso, non esiste. Il cambiamento, come detto, viene «pensato» e artatamente subordinato alle ragioni dell’ortodossia della formula. Si decretano cosi, in una gigantesca tappa a crono metro, proletarizzazioni a raffica (da quella degli impiegati a quella degli studenti, dall’operaio sociale al proletariato me tropolitano). Ma lo stato e il modo di produzione restano sin golarmente tali e quali quelli di cent’anni prima. La realtà so ciale e istituzionale è immobile in avanti se non per forzatura armata; il che trova espressione nitida in quelle varianti del terrorismo che si legittimano come forme di resistenza arma ta agli arretramenti istituzionali (il golpe) visti come risposta necessaria all’avanzata della sinistra. Sotto il profilo culturale vi è insomma un denominatore co mune tra presunzione di immobilità e antimodernità. Quest’ultima si manifesta, sul versante della fabbrica, nell’iden tificazione (e conseguente rifiuto) di ogni innovazione tecno logica con l’intensificazione dello sfruttamento, e — sul ver sante dello stato — con l’alleanza con quei fenomeni come la camorra (e in pectore la mafia) visti puramente quali soggetti antistatuali indipendentemente dal carattere regressivo e culturalmente premoderno della loro antistatualità. Qui l’eterogeneità fa platealmente aggio sull’ortodossia. Marx bandisce dal novero delle alleanze i soggetti criminali cosi co me il sottoproletariato. Il terrorismo, nella prevalenza dei suoi filoni, li assume ad interlocutori privilegiati. Le innova zioni teoriche, come si vede, là dove si realizzano sono detta
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te dalla necessità dell’azione, ossia dalla ristrettezza degli spazi politici, più che dalla realtà dei processi storici58. L ’uso distorto del concetto di contraddizione, infine, si salda con questa antimodernità (e con la ricordata visione della de mocrazia) proponendo un’organica teorizzazione del «tanto peggio tanto meglio». Vero è che per la ragion dialettica dal male può nascere il bene. Ma in questo caso alcune contrad dizioni marxiane si eclissano. Sicché, come fonte di progresso, rispetto allo sviluppo delle forze produttive viene privilegia ta la loro distruzione (anche in chi parla di comuniSmo matu ro); rispetto all’espansione della democrazia viene privilegia ta la sua restrizione; ecc. Ciò non toglie che, come ai punti precedenti, i varchi teorici non manchino: dal crollo del capi talismo come formazione «rigida» ad alcune polemiche con tro il riformismo a una vasta letteratura sul rapporto uomomacchina-sfruttamento . 5) Vi è infine l’ultimo piano, che riguarda il rapporto fra violen za e politica. Va da sé che tale rapporto non sia per nulla estraneo, ma che sia anzi totalmente interno a ogni progetto rivoluzionario, sia pure modellandovisi in forme diversifica te. In proposito parlano celebri pagine dei rivoluzionari più classici, fino al recente e tanto citato aforisma di Mao sulla rivoluzione che «non è un pranzo di gala». Ma alcuni rilievi dovrebbero bastare a cogliere la distanza che separa quelle pagine dalla visione del terrorismo (non so lo italiano, certo). Se in questo infatti la vita dell’avversario di classe è merce di scambio, lo scambio non si realizza, co me nell’ideologia marxista, nel momento in cui la politica si è espansa fino alle sue ultime contraddizioni, ma, per delibera ta strategia, mira ad innescare molecolarmente le contraddi zioni (finali e non) della politica; la violenza, dunque, non ri solve le contraddizioni finali ma viene posta in essere anzi tutto per aprirle; non la «guerra» come prolungamento della 38
Questo concetto viene sostenuto con estrema chiarezza (e direi credibilità) da Ven tura (1980b) con riferimento alla nota teoria dell’«operaio sociale».
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politica, ma la guerra come propedeutica alla politica (anche se poi, ovviamente, finisce per identificarsi con quest’ultima). Lo scambio vita umana dell’avversario-rivoluzione non è pensato quindi e non si attiva entro un rapporto diretto delle masse con il loro avvenire, di fronte a una concreta scelta sto rica rispetto alla quale ciascuno si schiera mobilitandosi in vi sta di una rottura traumatica. Lo scambio, invece, viene rea lizzato entro un arbitrario rapporto di dominio che un singo lo (o un gruppo che agisce come singolo) instaura mediante la violenza fisica verso un altro singolo, in vista di un evento astratto rispetto al quale si schiera la sola parte che opera l’astrazione, tanto più non essendo rilevante — dell’altra parte — l’orientamento ideologico bensì il ruolo. È dunque la negazione dell’«uso democratico delle istituzio ni» proposto dalla tradizione comunista, benché l’essere con cepito quest’uso come particolare «astuzia rivoluzionaria» non funga certo da vaccino (congiunto con altre ambiguità) contro un ricorso alla violenza intesa come miccia buona a fare «esplodere» le contraddizioni di classe. E questa con giunzione plurima di ambiguità, dunque, che «libera» un si stema di cultura politica eterogeneo rispetto a quello della tradizione comunista, anche se non «totalmente altro» da quest’ultima. Rispetto alla quale, anzi, esso istituisce più punti di contatto, assumendone praticamente per intero la visione della rivoluzione. E qui infatti che si realizza quello che abbiamo definito il livello di omogeneità. Più precisamente sono quattro i requisiti tradizionalmente attribuiti al concetto di rivoluzione che vengono mutuati e che sono tra loro organicamente correlati: l’immediatezza (e maturità), la visibilità, l’identificazione con la forzatura arma ta, il costituire passaggio risolutivo dalla catastrofe alla palin genesi. Sono cioè i caratteri che fanno della rivoluzione fran cese (se si esclude il quarto carattere) e di quella bolscevica i modelli per eccellenza di rivoluzione politica. Con questa integrazione abbiamo ora la possibilità di indivi duare il campo di origine della cultura politica terroristica
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sotto il profilo, estremamente frastagliato, delle sue ascen denze storico-teoriche. Esso è indicato dalla tabella 1 ed è dato dall’incrociarsi dei vari livelli di eterogeneità con il li vello di omogeneità, articolato nelle sue componenti. È anzi lecito ipotizzare (e ciò potrebbe costituire importante oggetto di ricerca) che si possa definire la natura più specifica della cultura politica delle più importanti aree terroristiche (Brigate rosse, Prima linea e formazioni ruotanti nella sua or bita, Autonomia armata e dintorni) in ragione concreta delle modalità di incrocio — la «miscela» — tra il livello generale di omogeneità e quello di eterogeneità. Naturalmente tra i due livelli esistono o possono esistere intime connessioni. Ad esempio una particolare declinazione del processo storico può esaltare la visione della rivoluzione come forzatura ar mata; cosi come una certa declinazione dell’egemonia, dell’avanguardia o ancora del processo storico concede mag giore spazio alla visione della rivoluzione come «palingenesi da catastrofe», e viceversa. Tabella 1 Livello di eterogeneità rispetto ai «classici»
Livello di omogeneità con la tradizione comunista «reale» (caratteri dell’evento «rivoluzione») Immediatezza Visibilità (e sua maturità)
Forzatura armata
Palingenesi da catastrofe
Contraddizione Egemonia/ avanguardia Democrazia Processo storico Violenza politica
Quanto abbiamo fin qui visto da un lato puntualizza meglio la specifica identità storica della cultura politica terroristica;
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dall’altro consente di evitare un pericolo in cui, a mio avviso, si è incorsi più volte: quello di imputare, in fondo, ai terrori sti la colpa di non essere «veri» marxisti e leninisti. Ciò in certo senso è sicuramente vero. La distanza su alcuni piani primari, dall’analisi delle classi al ruolo dell’avanguardia, è fin troppo evidente. Tuttavia la tesi che mi sentirei di soste nere è che in qualche misura dall’esperienza del terrorismo escano «malconci» un po’ tutti i filoni marxisti classici, lad dove l’imputazione fondamentale è di avere sopperito, nelle diverse fasi storiche, con l’ambivalenza concettuale (e corre lativo «continuismo») ad un vistoso deficit di teoria politica. 6. Il Sessantotto e il terrorismo Occorre infine spiegare il motivo, o meglio il luogo storico sociale della reductio ad unum di quegli elementi di cultura politica. A tal fine l’approccio più pertinente mi pare quello di porre sotto la lente di ingrandimento il rapporto Sessantotto-terrorismo, col termine Sessantotto intendendo un ci clo politico munito di propria identità complessiva. Sulla na tura di questo rapporto sono state avanzate tre ipotesi: dell’«identità», della «filiazione organica» e dell’«alterità». Rinviando ad altro scritto per una loro discussione39, pare qui possibile sostenere comunque che il «vecchio» — che mai finora aveva prodotto in Italia terrorismo — lo produca pro prio incontrandosi col «nuovo» del Sessantotto. E in quel pe riodo infatti che il fenomeno terroristico, in Italia come in Germania, nasce e si organizza, per candidarsi e agire succes sivamente come modello di comportamento politico. Ora, come mai il Sessantotto rielabora queste categorie dan do loro questo sbocco? Precisato che il terrorismo è non il frutto ma un frutto del Sessantotto, delle cui contraddizioni rappresenta un precipitato, si possono individuare alcuni fat tori sulla cui influenza il consenso appare oggi sufficientemente collaudato.
39
dalla Chiesa (1981).
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Un primo fattore è lo sviluppo degli avvenimenti internazio nali, sulla scia dei quali si ha uno straordinario rilancio della dimensione ideologica. Il secondo fattore è la radicalità del conflitto sociale e politico che si apre e che indica come cre dibili ipotesi di una rivoluzione alle porte. Un terzo fattore è la modalità accelerata con cui vengono socializzate alla poli tica grandi masse giovanili, ciò che provoca una ipertrofia della medesima dimensione ideologica. Il quarto fattore, collegato col precedente, è l’estrazione so ciale piccolo-borghese che prevale in questa nuova estesa area di militanza. Da questo fattore conseguono: a) un neofitismo tanto più pericoloso quanto più è esposto ai meccani smi propri dei fenomeni di mobilitazione di massa; b) dove è dominante l’estrazione culturale cattolica, una repentina riconversione di modelli integralistici che, in omaggio a un progetto di alterità totale, contribuisce non poco a recidere il nesso fra politica e morale (e ciò testimonia come non tutte le spinte verso questa cultura politica vengano dall’alveo della tradizione rivoluzionaria); c) un affermarsi di atteggiamenti neoattualistici. Il quinto fattore, infine, è la qualità dei sistemi di cultura po litica offerti dalla sinistra, inabili a dar risposta alla domanda politica che emerge, la quale per conseguenza finisce per in dirizzarsi a quelle categorie di cultura politica, le più vecchie e ormai minoritarie, che appaiono in quella situazione le più rivoluzionarie e le più adatte a interpretare la «rottura» (da cui l’estremismo come malattia senile del comuniSmo). Sistema politico e cultura politica peraltro interagiscono. La qualità del conflitto fa da crogiolo a questa cultura politica ma anche da argine al suo organizzarsi in progetto terroristico. Vi è insomma un intervallo di circa sette-otto anni in cui la cultura politica che assume cittadinanza di massa col Ses santotto non si dimensiona ancora in progetto politico di mas sa, galleggiando in una sorta di limbo ideologico. Finché la fase della solidarietà nazionale, mandando in frantumi le li nee politiche della nuova sinistra, agevola l’assunzione di di mensioni relativamente di massa da parte del fenomeno ter-
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roristico e la sua capacità di dar sintesi alle polarità negative delle contraddizioni del Sessantotto, secondo percorsi indi viduali e di gruppo non facilmente decifrabili (e tuttora da indagare). Fin qui ho cercato di isolare i fattori che agiscono dentro il li vello più proprio dei processi politici che definiscono l’iden tità del Sessantotto. Ma mi pare che occorra anche segnalare l’autonoma influenza che specifiche caratteristiche della mo derna società occidentale e di quella italiana in particolare possono esercitare sul grado di esposizione del sistema a una cultura politica terroristica (o utilizzabile dal terrorismo). A titolo di esempio se ne enucleano alcune qui di seguito, di diverso peso specifico e diversa natura, le quali possono co stituire nel loro insieme un originale campo di ricerca. 1) Caratteristiche socio-politiche. La nuova società appare assai più complessa, stabile e fornita di legittimazione delle prece denti. La teoria marcusiana rileva esattamente, enfatizzan dola, questa novità. In tale contesto la presa del potere per la via rivoluzionaria «classica», ossia attraverso l’accumulazio ne delle forze rivoluzionarie all’interno del sistema parla mentare, appare sicuramente di più difficile praticabilità. Ciò naturalmente dà luogo ad alcune curiose contraddizioni: tra l’«integrazione» della classe operaia e la sua «centralità» teorizzate in seno al medesimo movimento politico; il fatto che la via più «semplice» alla rivoluzione finisca per diventa re la più indicata per una società più complessa, ecc. 2) Caratteristiche storiche. Nella nuova società industriale tro va modo di affermarsi l’idea di una «maturità» della contrad dizione. Diversi fenomeni, tra cui ad esempio il rafforza mento del potere di contrattazione e di controllo del sindaca to o la massiccia immissione nel sistema scolastico e universi tario dei figli delle famiglie non agiate, inducono a pensare che lo sviluppo delle forze produttive sia ormai tale da con sentire di rompere la camicia di forza capitalistica. L ’idea del comuniSmo maturo orienta a lungo l’azione politica di ampie aree di militanti. Qui si ingenera una contraddittoria salda
320
tura. La maturità della rivoluzione è in contrasto con le teo rie dell’integrazione ma si accorda benissimo con le conse guenze di tali teorie sul piano dell’agire politico (la scorcia toia). 3) Caratteristiche bio-antropologiche. Mi rifaccio a una ipotesi sollevata in un intervento in sede giornalistica da Umberto Eco (contro cui però depongono le tesi di Fromm e di Storr40). Il suo nucleo è che le prolungate condizioni di pace potrebbero avere accumulato un bisogno sociale di scaricare il «normale» potenziale di aggressività elaborato dal sistema. Il terrorismo sarebbe allora esito, attraverso le necessarie (e storicamente facilitate) mediazioni culturali, anche di questo bisogno. 4) Caratteristiche antropologico-culturali. La modernizzazione accelerata della società italiana induce un mutamento nella qualità delle relazioni sociali e una profonda alterazione dei valori. In questo quadro si realizza un deperimento «relati vo» del senso della vita umana (avvertito in senso più genera le da Richardson41, W ertham42 o Guiducci43), che spinge ad accettare più di prima l’omicidio come metodo di risoluzione dei conflitti e dei contrasti. Si tratterebbe di un veleno sotti le, rispetto al quale l’organismo sociale produce meno anti corpi di prima, e che troverebbe manifestazione e conferma anche nella trasformazione cruenta degli schemi delinquen ziali, nella crescita di fenomeni come mafia e camorra, nella maggiore assuefazione sociale al delitto. 5) Caratteristiche socio-culturali. Sono in qualche modo il rove scio di quelle socio-politiche. Esse si esprimono nell’influen za qualitativamente nuova dei mass media, grazie alla quale
40
Cfr. Storr (1968) e Fromm (1973).
41
Richardson (1979).
42
Wertham (1969).
43
Guiducci (1979).
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la politica acquista, quasi necessariamente, connotazioni spettacolari. È quindi naturale che un attore politico assolu tamente «spettacolare» quale il terrorismo trovi condizioni di sviluppo, accrescendo il proprio fascino e credito di poten ziale soggetto rivoluzionario. Peraltro la strettissima interdi pendenza che si realizza nell’universo politico tra valori e simboli concorre dal suo canto a rendere il sistema politico ancora più «vulnerabile» dall’azione di pochi. Va però tenuto presente il risvolto contrario: se il fenomeno è frutto della «società di massa», quest’ultima si pone comunque — con i suoi caratteri di stabilità e legittimazione — come la tomba ultima del progetto terroristico.
7. Problemi di ricerca: l’etica e la politica; le concezioni e le condizioni I problemi di ricerca posti dallo stato attuale della riflessione sulla cultura politica del terrorismo sono naturalmente molti. Alcuni li abbiamo già indicati, anche esplicitamente, nel cor so stesso della discussione fin qui svolta. E d’altronde più te mi che abbiamo dato per «acquisiti» o «acquisibili» aprono a loro volta potenziali campi di ricerca. I campi possibili — già «acquisiti» o nuovi — che si segnala no per la produttività teorico-interpretativa che sono in gra do di sviluppare, sono: 1) Il rapporto del terrorismo con i filoni marxisti. Più precisamente: quali sono le principali «innovazioni» teoriche opera te dal terrorismo e quale uso esso fa delle ambiguità del pen siero rivoluzionario «classico»? 2) Il peso storico degli integralismi (o dell’integralismo) nella cultura italiana. Modalità di contrapposizione fra terrorismo e valori laici nel quadro di una società culturalmente non se colarizzata. 3) Le condizioni psicologiche che spingono certi individui piut tosto che altri ad aderire alla cultura politica del terrorismo.
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La ricerca empirica si avvarrebbe in tal caso di studi di per sonalità, dell’analisi dell’influenza di stati di marginalità e frustrazione, di ambizione o delusione (anche familiare o sen timentale) sui comportamenti politici. Al centro dell’indagi ne sarebbero gli ambienti di formazione di diverso ordine e grado che «plasmano» la personalità del terrorista e le loro forme di interazione (l’approccio sarebbe dunque diverso da quello, più orientato all’analisi dell’humus politico, adottato da Kent e Nichols)44. 4) Il rapporto etica-politica: il suo funzionamento nella cultura politica del terrorismo e le concezioni, le dottrine, i back groundi socio-culturali che lo favoriscono o lo determinano. 5) Il rapporto tra le concezioni terroristiche e le condizioni in cui queste si affermano, inteso come piano di analisi dinami co del sistema di cultura politica che abbiamo in precedenza tratteggiato. Si propone di scegliere il quarto e il quinto filone perché rite nuti maggiormente in grado, se sviluppati, di offrire anticor pi culturali efficaci contro il fenomeno terroristico. Il primo filone rischia infatti, condotto oltre una certa soglia e se non inquadrato entro una ricostruzione evolutivo-causale, di da re vita a una sorta di «accademia della crusca» marxista. Il secondo appare eccessivamente situato, rispetto ai nostri scopi, a livello di «massimi sistemi». Il terzo, pur estremamente concreto, apre scarse prospettive operative: come im pedire o combattere infatti «culturalmente» stati di margina lità e frustrazione? Di conseguenza si indicano alcuni indirizzi di ricerca con specifico riferimento agli ultimi due filoni.
44
Kent e Nicholls (1978).
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A) Rapporto etica-politica Ha almeno due attrattive, già in partenza: è un tema eccezio nalmente controverso ed è un tema eccezionalmente attuale. La controversia, a più riprese riaperta, ruota intorno al di lemma se il terrorismo azzeri (Habermas)45 o dilati fino al fa natismo (Moravia46, Shafer47, Acquaviva48, Beria d ’Argentin e 49) la dimensione etica. E possibile d’altronde che la rispo sta vada cercata dentro una nuova formulazione del dilemma medesimo. L ’attualità è legata all’emergere di correnti filosofiche che ri pristinano un primato dell’etica nell’organizzazione della vi ta sociale e anche al presentarsi in forme decisamente nuove del rapporto etica-politica nella società italiana contempora nea. In tal senso il terrorismo, che agisce a pieno titolo come va riabile del sistema politico, non è indifferente al cinismo del sistema con cui interagisce (uso politico del terrorismo); ciò può contribuire a corrompere, col tempo, la sua medesima etica (sequestro Cirillo, rapporti con l’estrema destra o coi servizi segreti), fino a provocarne — anche per questa via — l’isolamento definitivo. In particolare punti di approccio o livelli di analisi pertinenti con questo filone di ricerca potrebbero essere 1) La funzione del messianesimo politico e il legame con il mo ralismo rivoluzionario marxista.
45
Habermas (1978 e 1980); vedi anche Habermas (1973).
46
Moravia (1977).
47
Shafer (1972).
48
Acquaviva (1979b).
49
Beria d ’Argentine (1982).
324
2) La scissione tra morale politica e valori universali (tesi a più riprese sostenuta da Alberoni). 3) Le condizioni in cui deperisce la sacralità della vita umana (carattere della società moderna, teorie della rivoluzione, ecc.). 4) La funzione del simbolismo, del gesto e la mitologia del «ruo lo» (su ciò vedi, ad esempio, l’analisi di M arletti50). 5) L ’uso del concetto di tradimento, assai denso per le implica zioni politiche e culturali nell’esperienza terroristica. 6) Il peso della cultura integralista nell’Italia degli anni sessanta e settanta. 7) L ’uso e la funzione dei concetti di «giustizia» e «vendetta». Analisi delle spinte esistenti nella società moderna a valoriz zare e legittimare lo spirito di giustizia privata. 8) L ’originalità — anche su questo piano — dell’esperienza ter roristica: coniugazione di linguaggi e culture propri del ban ditismo sociale (Robin Hood) con le dottrine rivoluzionarie «scientifiche».
B) Rapporto concezioni-condizioni È un rapporto assai poco analizzato’ 1. Per anni lo schiera mento istituzionalista ha infatti teso a privilegiare la lotta contro le concezioni, mentre quello garantista preferiva pri vilegiare la lotta contro le condizioni. In realtà appare oppor-
50
Vedi le osservazioni contenute in Marletti (1979b)
51
Uno dei pochi e interessanti contributi reperibili sull’argomento è quello di Rosset ti (1980). Qui il rapporto generale fra concezioni e condizioni viene sviluppato lun go una specifica linea interpretativa, quella della correlazione fra crisi della Ratio e delegittimazione dello Stato. Spunti di interesse, inquadrati in una sistematica ri flessione sul dibattito internazionale, sono contenuti in della Porta (1983).
325
tuno studiare come, dove e quando maturano le concezioni portanti della cultura politica terroristica (e in tal senso è possibile recuperare, finalizzandolo, il primo campo di ricer ca indicato). — Si propone quindi di definire gli elementi di cultura poli tica delle tre grandi aree (Brigate rosse, Prima linea e dintor ni, Autonomia armata e dintorni), le loro differenze di fondo e anche le loro ramificazioni interne in relazione a due grandi gruppi di variabili contestuali che definiremo indipendenti. Il primo gruppo si compone delle seguenti variabili ascrittivi. contesto urbano di formazione, contesto socio-organizzativo di formazione (fabbrica, università, ecc.), estrazione e for mazione socio-professionale del gruppo dirigente, estrazione culturale del gruppo dirigente, estrazione sociale dei militan ti, sistema politico locale. Il secondo gruppo si compone di variabili dinamiche, la cui influenza va cioè verificata a seconda delle diverse fasi stori che considerate: sistema politico nazionale (es. livelli di con flittualità, coalizioni di governo e teorie della società «bloc cata»); azione istituzionale verso il terrorismo (es. effetto delle supercarceri o della legge sui pentiti su linee, alleanze e categorie di analisi adottate dal terrorismo); azione del siste ma politico verso il terrorismo (es. suo «uso politico», accet tazione o rifiuto della trattativa); situazione internazionale (es. euromissili e sequestro Dozier); relazioni industriali (es. scioperi Fiat o ristrutturazione all’Alfa); mercato del lavoro (es. crescita della disoccupazione intellettuale); grado di suc cesso o sviluppo del terrorismo (es. il rapporto fra crisi politi ca del terrorismo e pratica dell’omicidio o fra crisi e scelta degli interlocutori); variabili entelechiane (es. effetto del ter remoto dell’80 sulla concentrazione geografica delle forze); atteggiamento di opinione pubblica o intellettuali verso il terrorismo. Dallo studio del rapporto fra andamento di queste ultime va riabili, carattere di quelle ascrittive (nel complesso, quindi, le condizioni) e le concezioni sviluppate nelle tre aree terroristi-
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che sarà possibile non solo una ricostruzione della storia «cul turale» delle principali organizzazioni ma una più precisa comprensione del multiforme complesso delle cause del terro rismo e l’individuazione delle condizioni (o congiunzioni) di scriminanti per imprimere svolte verso l’alto o verso il basso all’intensità del fenomeno terroristico, sia sul piano operativo sia su quello della credibilità dei suoi presupposti teorici.
8. Alcune indicazioni di metodo Dando per scontate le conoscenze dei fondamenti della pro duzione teorico-politica rivoluzionaria sviluppata prima del Sessantotto (anche se regressioni saranno necessarie), il ma teriale di riflessione già elaborato esistente sull’argomento è estremamente parco. In ogni caso gran parte del materiale che si propone di utiliz zare è comune ai due filoni privilegiati. Esso è solo esemplifi cativo e lo stesso prosieguo della ricerca potrebbe suggerire ampliamenti o riclassificazioni. Un primo gruppo di materiali di ricognizione e di analisi è co stituito da — Volantini e documenti delle formazioni terroristiche. — Stampa legata alle diverse aree terroristiche: «Rosso», «Metropoli», «Potere operaio», «Controinformazione», «Senza tregua», «Sinistra proletaria», «I Volsci», ecc.52.
Pubblicazioni legate alle diverse aree terroristiche come L ’ape e il comunista, o scritti dei teorici delle diverse espe
52
Spunti di interesse possono d ’altronde rintracciarsi, sotto lo specifico profilo anali tico delle aree di incubazione della cultura politica, anche nella stampa dell’estrema sinistra (vedi ad esempio Violi, 1977).
327
rienze di lotta armata (da quelli assai noti di Antonio N egri55 a quello di Fiora Pirri e Lanfranco Caminiti,4). — Stampa nazionale e locale, insostituibile per consentire: a) l’analisi dell’azione e delle strategie del terrorismo in relazio ne ai diversi contesti storici e socio-politici; b) la ricostruzione delle biografie dei terroristi e le caratteristi che delle variabili ascrittive (con possibile compilazione di osservazioni statistiche), secondo l’approccio seguito, per il terrorismo irlandese, da Boyle, Chesney e H edden55; c) l’analisi delle motivazioni ideali o psicologiche (attraverso le deposizioni ai processi, per esempio) e l’individuazione dei collegamenti fra le diverse formazioni nonché dei rapporti personali (di milizia, di amicizia ecc.) tra i singoli esponenti delle formazioni armate; d) l’analisi del linguaggio e l’intepretazione del significato dei «gesti». Un secondo gruppo di materiali, coerente con gli obiettivi della ricerca e in grado di integrare decisivamente il prece dente, è costituito da altro tipo di pubblicazioni. Oltre, ov viamente, alla letteratura teorico-interpretativa si rendono necessari: — Libri di analisi (anche monodimensionale) di alcuni con testi urbani, politici, locali, rilevanti: vedi la ricerca di Mar tinetti et al. sugli studenti universitari milanesi o quella del Cespe sui lavoratori F ia t56, ecc.
53
Per tutti Negri (1976b e 1978).
54
Pirri e Caminiti (1979).
55
Boyle, Chesney e Hedden (1976: 299 ss.).
56
Cfr. Draghi, Mannheimer, Martinotti e Mingione (1973); Cespe (1982).
328
— Ricostruzioni storiche di organizzazioni armate, come quella di Severino Galante Sull’Autonomia57. — Libri-inchiesta multimethod, quali quelli di Giorgio M anzini58, Giampaolo Pansa59 o Corrado Stajano60. — Atti giudiziari. — Un posto a parte sotto il profilo metodologico meritano poi le interviste a dirigenti e militanti che hanno partecipato, in certi fasi, a esperienze contigue al terrorismo o che hanno agito o si sono riconosciuti in una delle sue aree. Si tratta certo di uno strumento di indagine più complesso e delicato degli altri, oltre che di più problematica praticabilità, ma of frirebbe alcune conoscenze preziose in più; non solo sui per corsi di vita, ma anche sulle valutazioni compiute «dall’inter no» su alcuni fatti storicamente cruciali, quali l’espulsione di Lama dall’università di Roma, gli scontri armati alle manife stazioni del 77, l’assassinio di Moro (quali valori vengono qui comparati, e cosa induce a privilegiarne alcuni piuttosto che altri?). Su questo piano di analisi si muovono, sia pure per frammenti, alcune pubblicazioni già note, dalle intervi ste di Alessandro Silj61 a familiari e amici di brigatisti e nappisti, all’intervista a Lazagna su antifascismo e partito arma to 62, alle interviste fatte da Ida Faré e Franca Spirito63 ad al cune protagoniste della lotta armata clandestina. In parte i due gruppi di materiali indicati si sovrappongono naturalmente a quelli indicati nell’ambito di altre prospetti57
Galante (1980), Ventura (1980b).
58
Manzini (1979).
59
Pansa (1980).
60
Stajano (1982).
61
Silj (1977).
62
Lazagna (1979).
63
Fare e Spirito (1979).
329
ve di ricerca (es. la storia organizzativa o politica del terrori smo). E inutile dire che sarà l’oggetto stesso dell’analisi a sta bilire diverse priorità di interesse e diverse chiavi di lettura nell’ambito del medesimo tipo di pubblicazioni.
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