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Italian Pages 691 Year 2006
Piano
dell'opera:
STORIA D'ITALIA Voi. I 476-1250 STORIA D'ITALIA Voi. II 1250-1600 STORIA D'ITALIA Voi. I l i 1600-1789 STORIA D'ITALIA Voi. IV 1789-1831 STORIA D'ITALIA Voi. V 1831-1861 STORIA D'ITALIA Voi. VI 1861-1919 STORIA D'ITALIA Voi. VII 1919-1936 STORIA D'ITALIA Voi. V i l i 1936-1943 STORIA D'ITALIA Voi. IX 1943-1948 STORIA D'ITALIA Voi. X 1948-1965 STORIA D'ITALIA Voi. XI 1965-1993 STORIA D'ITALIA Voi. XII 1993-1997
MONTANELLI
GERVASO
STORIA D'ITALIA I25011600 INDRO MONTANELLI | ROBERTO G E R V A S O
L'ITALIA DEI SECOLI D'ORO Il Medio Evo dal uso al 1492 INDRO MONTANELLI | ROBERTO GERVASO
L'ITALIA DELLA CONTRORIFORMA Dal
1492
al
1600
STORIA D'ITALIA Voi. II EDIZIONE PER OGGI pubblicata su licenza di RCS Libri S.p.A., Milano © 2006 RCS Libri S.p.A., Milano Questo volume è formato da: Indro Montanelli - Roberto Gervaso LItalìa dei secoli d'oro © 1967 Rizzoli Editore, Milano © 1997 RCS Libri S.p.A., Milano Indro Montanelli - Roberto Gervaso LItalìa della Controriforma © 1968 Rizzoli Editore, Milano © 1997 RCS Libri S.p.A... Milano Progetto grafico Studio Wise Coordinamento redazionale: Elvira Modugno Fotocomposizione: Compos 90 S.r.L, Milano
Allegato a OGGI di questa settimana NON VENDIBILE SEPARATAMENTE Dh'ettore responsabile: Pino Belleri RCS Periodici S.p.A. Via Rizzoli 2 - 20132 Milano Registrazione Tribunale di Milano n. 145 del 12/7/1948
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£~>f e volessimo riassumere brevemente gli anni che vanno dal 1250 al 1600, potremmo definirli "crescila, apogeo e decaK^J denza dell'Italia". Sebbene divisa in piccoli Stati sovrani e rissosi tra loro, in questo periodo l'Italia raggiunge in campo artistico e letterario uno splendore senza precedenti nella storia. Dopo la solitaria lezione di Dante, Petrarca e Boccaccio dettano i canoni letterari che saranno seguiti dall'Europa per ben tre secoli, i pittori italiani stupiscono per i capolavori con cui adornano le chiese e le corti dei potenti, gli architetti rielaborano la grande lezione greca e romana per giungere a una sua nuova interpretazione. La quasi totalità del commercio del Mediterraneo è in mano ai mercanti italiani e fiumi dì denaro affluiscono nelle mani dei banchieri e dei signori delle diverse corti della penisola. Ma a questa grandezza artistica e economica si accompagna una debolezza polìtica che verrà a galla dopo la morte, nel 1492, di Lorenzo il Magnifico e nello stesso anno la scoperta dell'America avrebbe cambiato per sempre le rotte del grande commercio mondiale. Nel 1494 la calata in Italia di Carlo Vili di Francia avrebbe posto fine all'effimera libertà italiana. In questo periodo, inoltre, si diffondeva in Europa la Riforma di Lutero, insorto contro la Chiesa di Roma. Un messaggio che non raggiunse l'Italia che abbracciò (o subì) la Controriforma, piombando in un oscurantismo spirituale e culturale che l'avrebbe segnata nei secoli a venire.
INDRO MONTANELLI (Fucecchio 1909 - Milano 2001) è stato il più g r a n d e giornalista italiano del Novecento. Laureato in legge e in scienze politiche, inviato speciale del «Corriere della Sera», fonda-
tore del «Giornale nuovo» nel 1974 e della «Voce» nel 1994, è tornato nel 1995 al «Corriere» come editorialista. Ha scritto migliaia di articoli e oltre cinquanta libri. Tra i suoi ultimi successi, tutti pubblicati da Rizzoli, ricordiamo: Le stanze (1998), LItalìa del Novecento (con Mario Cervi, 1998), La stecca nel coro (1999), LItalìa del Millennio (con Mario Cervi, 2000), Le nuove stanze (2001). ROBERTO GERVASO è nato a Roma nel 1937. Ha studiato in Italia e negli Stati Uniti. Collabora a quotidiani e periodici, alla radio e alla televisione, e da decenni si dedica alla divulgazione storica. I suoi libri sono stati tradotti in numerosi Paesi. Tra le sue opere ric o r d i a m o : La bella Rosina (1991), I destri (1999), Appassionate (2001), Amanti (2002).
Indro Montanelli - Roberto Gervaso
L'ITALIA DEI SECOLI D'ORO // Medio Evo dal 1250 al 1492
AVVERTENZA
Questa Italia d e i secoli d ' o r o segue a L'Italia d e i C o m u n i , che a sua volta seguiva L'Italia dei secoli bui. Si tratta cioè della terza puntata di una ricostruzione della nostra civiltà che, almeno nell'intenzione degli autori, dovrebbe arrivare sino ai giorni nostri. Il periodo che questo volume abbraccia è quello compreso fra la morte di Federico II (1250) e la scoperta dell'America (1492). È un periodo splendido, forse il più splendido del nostro passato, ma che tuttavia prepara la miseria di quelli successivi. Noi abbiamo appunto cercato di chiarire per quali motivi ciò che fece lì per lì la grandezza dell'Italia ne propiziò anche la decadenza. E perciò, invece di correre dietro alle vicende dei singoli staterelli italiani, alla loro complicata diplomazia e alle loro guerricciòle, che mai o quasi mai superarono i limiti della piccola cronaca, e spesso del pettegolezzo, abbiamo preferito seguire le grandi linee dello sviluppo civile del nostro popolo, l'evoluzione del suo costume, del suo pensiero, della sua arte: che furono le grandi palestre in cui gl'italiani sfogarono le loro energie, purtroppo dispensate dall'impegno di costruire una Nazione e uno Stato. Non abbiamo avuto dì mira nessuna tesi preconcetta. Abbiamo solo accettato e registrato le lezioni die ì fatti c'impartiscono, cercando di non farci influenzare dai soliti miti e luoghi comuni. Come al solito ci diranno che abbiamo esagerato l'importanza, di certi avvenimenti e personaggi a scapito di altri. E come al solito noi rispondiamo che non c'è libro di Storia che non sì presti a queste critiche. Ci diranno anche che il nostro modo dì raccontare non rispetta abbastanza i canoni della storiografia ufficiale e accademica. E noi rispondiamo che non li rispetta affatto perché dì proposito non in5
tendiamo rispettarli. Noi ci rivolgiamo a quella grande massa di lettori che solo ora si svegliano alla coscienza della propria Storia appunto perché la storiografia ufficiale e accademica li ha sempre da essa esclusi. E in che misura siamo riusciti a raggiungerli lo dimostrano le tirature di questi libri, tutti al di là delle centomila copie e qualcuno (la Storia di R o m a , per esempio) delle duecentomila. Il successo, siamo d'accordo, non è l'unico metro su cui si debba misurare il valore di un'opera; ma la sua efficacia, sì. A questo volume seguirà L'Italia della Controriforma, cioè il Cinquecento. Ma non sappiamo se riusciremo ad approntarlo per il Natale dell'anno venturo. La Controriforma è l'avvenimento che decise la nostra sorte di Nazione, cioè che la fece abortire. E grazie alla nuova atmosfera introdotta dal Concilio, crediamo che sia finalmente suonata l'ora di ricostruire quel grande dramma della coscienza cristiana non più in termini di ortodossia ed eresia, ma di Storia, pura e semplice, un'impresa in cui siamo impegnati già da un anno, ma che forse ce ne richiederà altri due per condurla a termine. Ringraziamo il lettore dì averci accompagnato fin qui. È lui non solo il destinatario, ma anche il vero ispiratore di quest'opera. Se ci avesse abbandonato, noi avremmo già smesso di scriverla. I.M. R.G. Ottobre '67
Ad Augusto Guerriero alias Ricciardetto per la sua amicizia per la sua lezione
PARTE PRIMA
LA SCENA ITALIANA
CAPITOLO PRIMO
RINASCIMENTO E UMANESIMO
Fu il Vasari che nelle sue Vite de'più eccellenti Architetti, Pittori e Scultori italiani diede il n o m e di Rinascimento al p e r i o d o che va dall'inizio del Tre alla fine del C i n q u e c e n t o . Su q u e s t e d a t e fervono a n c o r a le discussioni. C'è chi fa cominciare il Rinascimento un p o ' d o p o , c'è chi lo fa finire un p o ' p r i m a . Ma a noi tutto questo s e m b r a piuttosto ozioso. Un p o ' m e n o oziosa ci s e m b r a la polemica sul significato da a t t r i b u i r e alla p a r o l a , p e r c h é vi s o n o coinvolti i motivi che p r o v o c a r o n o questo straordinario f e n o m e n o e fecero sì che avesse p e r patria l'Italia. Il Vasari lo c h i a m ò Rinascenza p e r c h é ai suoi occhi a p p a r v e c o m e la p u r a e s e m p l i c e r e s u r r e z i o n e della c u l t u r a classica d o p o mille a n n i di t e n e b r e medievali. Secondo lui, si trattava d u n q u e di u n a specie di v e n d e t t a che l'elemento latino si p r e n d e v a , d o p o averle assimilate, sulle o r d e gotic h e , l o n g o b a r d e e f r a n c h e , c h e lo a v e v a n o s o g g i o g a t o e schiavizzato. Q u e s t a concezione è s o l i d a m e n t e fondata. N o n c'è d u b bio che, fra le p r o v i n c e dell'antico I m p e r o r o m a n o , l'Italia fu quella c h e p e r p r i m a assorbì gl'invasori t e d e s c h i n o n o stante la loro politica di segregazione razziale, e li convertì alle civili s t r u t t u r e che R o m a aveva d a t o alla società. Q u e s t o avvenne un p o ' p e r c h é le invasioni furono in Italia m e n o alluvionali che in tutto il resto dell'Occidente; un p o ' p e r c h é il nostro Paese era, p e r ovvi motivi geografici, il p i ù profond a m e n t e intriso di civiltà r o m a n a , e finalmente p e r c h é Roma, a n c h e se n o n era p i ù la capitale d e l l ' I m p e r o , o r m a i trasferitasi a Costantinopoli, era rimasta la capitale della Chie11
sa. Via via che i b a r b a r i si convertivano al cristianesimo, ne diventavano v i r t u a l m e n t e vassalli. Per p r e g a r e Dio e parlare col Papa, i tedeschi d o v e v a n o i m p a r a r e il latino. E, u n a volta i m p a r a t o l o , c o m p r e s e r o la s u p e r i o r i t à delle leggi e dell'organizzazione r o m a n e , e dovettero rivolgersi a legislatori e funzionari latini. Da quel m o m e n t o essi rimasero p r i gionieri d i u n a c u l t u r a cui n o n a v e v a n o n u l l a d a c o n t r a p p o r r e se n o n la primitiva poesia della «Saga» e la rozza legge della «Faida». Ma c r e d e r e che il Rinascimento n o n sia stato che la riscop e r t a della civiltà classica sarebbe un diminuirlo. Q u e s t a riscoperta n o n ne r a p p r e s e n t a che un capitolo: quello che si chiama «Umanesimo», e che ebbe in Petrarca il suo maggiore protagonista. Umanisti furon detti a p p u n t o quei diligenti topi di biblioteca, quegli impavidi sommozzatori di archivi, che si d e d i c a r o n o alla scoperta dei testi classici scampati alle d i s t r u z i o n i e alle d i s p e r s i o n i del M e d i o Evo, li disseppellirono dagli scantinati dei conventi dove i monaci, specie i benedettini, li avevano preservati e spesso trascritti. E che ciò avvenisse s o p r a t t u t t o in Italia è logico, p e r c h é soprattutto in Italia quei testi si trovavano. Q u e s t a r e s u r r e z i o n e della c u l t u r a classica fu u n o degli elementi del Rinascimento, forse il p r i m o , c e r t a m e n t e u n o dei maggiori. Cicerone d i e d e la sintassi ai prosatori italiani di allora, Virgilio la metrica ai poeti, Vitruvio le nozioni agli architetti. Ma questi prosatori, poeti, architetti eccetera n o n si limitarono alla semplice imitazione dei modelli classici. Fu quello c h e vi a g g i u n s e r o a fare del R i n a s c i m e n t o la p i ù g r a n d e esplosione del genio u m a n o che la Storia abbia registrato d o p o il secolo d ' o r o ateniese. E a questo contribuirono a n c h e altri fattori. Anzitutto, l ' u r b a n e s i m o . I tedeschi, finché r i m a s e r o isolati dalle loro discriminazioni razziali, n o n e b b e r o vita u r b a na. Vissero in c a m p a g n a e nei castelli, d o v e s v i l u p p a r o n o quello che oggi si chiama un way of life, un m o d o di vita, ma n o n u n a «civiltà», t e r m i n e derivato da quello di «città». Ro12
ma e Atene e r a n o state civiltà p e r c h é e r a n o città. La Macedonia era stata solo un esercito p e r c h é n o n era che un cont a d o agricolo e pastorale. Le città italiane f u r o n o le p r i m e , in t u t t o l'Occidente, a r i d i v e n t a r e p r o t a g o n i s t e della vita del Paese d o p o la l u n g a parentesi r u r a l e del Medio Evo. L'Italia n o n fu mai complet a m e n t e feudalizzata, cioè ruralizzata. S e b b e n e d e c a d e n t i e mezzo disabitate, le città avevano resistito. U n a vita u r b a n a q u i n d i n o n dovette in Italia ricominciare da zero. Ma, a p r o c u r a r e a quelle italiane u n a posizione di avang u a r d i a , ci fu a n c h e un fatto geografico. Il M e d i t e r r a n e o e r a a quei t e m p i la strada maestra di tutti i commerci: e n o n soltanto di quelli materiali, ma a n c h e di quelli culturali. Era i n q u e s t o m a r e c h e s ' i n c o n t r a v a n o l ' O c c i d e n t e latino-germ a n i c o , l ' O r i e n t e g r e c o di Bisanzio, e q u e l l o d e l l ' I s l a m . Questi incontri e r a n o talvolta scontri. Ma p i ù spesso e r a n o scambi. L'Oriente, allora, e r a p i ù avanti d e l l ' O c c i d e n t e . In tutto: sia nella p r o d u z i o n e industriale che in quella intellettuale. Di lì venivano all'Europa le sete, i damaschi, le spezie, i segreti p e r la lavorazione delle stoffe e le formule chimiche p e r colorarle. Ma di lì venivano a n c h e la g e o m e t r i a , l'algeb r a , la logica aristotelica: t u t t e cose che l ' E u r o p a aveva dimenticate da un pezzo e di cui i p o r t i italiani d i v e n t a r o n o i privilegiati e obbligatori p u n t i di raccolta. T u t t o ciò significava ricchezza, c h e della c u l t u r a n o n è u n a condizione sufficiente; ma necessaria, sì. D u r a n t e il Medio Evo l'unica seria industria italiana e r a stata la Chiesa. In tutto l'Occidente cristiano gli «oboli» dei fedeli p r e n d e v a n o la s t r a d a di R o m a , e di qui si d i f f o n d e v a n o nella Penisola, d o v e un p o ' di capitalismo sopravvisse s e m p r e . In Italia la m o n e t a si rarefece, ma n o n scomparve mai del tutto, com'era accaduto nei Paesi c o m p l e t a m e n t e ruralizzati, dove si era tornati allo scambio in n a t u r a . Q u e s t i rivoletti o rivoloni d ' o r o seguitavano ad affluire. Ma ad essi o r a si a g g i u n g e v a n o b e n altre fonti. Anzitutto, i noli marittimi. G e n o v a e Venezia avevano le più belle flotte 13
del t e m p o , gli ammiragli più sagaci, i più esperti equipaggi. Essi d o v e v a n o sfidare i gravi rischi delle t e m p e s t e e dei pirati, ma se li facevano b e n r i p a g a r e . E le m a t e r i e p r i m e e i manufatti c h e viaggiavano sui loro «dromoni» e «galee» fac e v a n o t a p p a in Italia ad a l i m e n t a r v i l ' i n d u s t r i a e il c o m mercio. Il Rinascimento n o n sarebbe stato concepibile senza q u e s t o a c c ù m u l o di capitale. Fu il d e n a r o dei tessitori, dei m e r c a n t i e dei b a n c h i e r i fiorentini c h e p e r m i s e a Giotto e Arnolfo di fare quel che fecero. Un altro stimolo f u r o n o le ambizioni sociali della p l u t o crazia cittadina, cui l'industria, la banca e il c o m m e r c i o avev a n o d a t o l'aìre. I l m o n d o e r e d i t a t o dal M e d i o Evo e r a d i caste chiuse a s t r u t t u r a p i r a m i d a l e . S e b b e n e politicamente ed e c o n o m i c a m e n t e d e c a d u t a , la nobiltà formava il vertice di questa g e r a r c h i a ereditaria. Il n u o v o ricco n o n aveva altro mezzo di scalata sociale che il mecenatismo. N o n a v e n d o p o t u t o p r o c u r a r s i u n blasone a r r u o l a n d o s i i n u n a Crociata, si g u a d a g n a v a un m e r i t o finanziando la costruzione o l'abb e l l i m e n t o di u n a chiesa. Il R i n a s c i m e n t o d e v e m o l t o allo snobismo dei borghesi. Gli d e v e oltre tutto la sua secolarizzazione. Fino a quel m o m e n t o l'arte e r a stata soltanto sacra p e r c h é solo la Chiesa e r a stata in g r a d o di p a g a r e gli artisti. O r a che le «commesse» venivano dalla borghesia, architetti, pittori e scultori p o t e v a n o p e r s e g u i r e ideali di bellezza n o n p i ù ispirati solo a motivi sacri e sottoposti alla c e n s u r a d e i preti. Ma a far sì che il Rinascimento assumesse la cittadinanza italiana, ci fu a n c h e un altro e decisivo fatto: la m a g g i o r e rap i d i t à d i m a t u r a z i o n e c o n s e n t i t a d a i circuiti p i ù ristretti. Nel D u e c e n t o , all'avanguardia n o n e r a l'Italia, ma la Francia. Lo era nella sua lingua provenzale, già molto più perfez i o n a t a del n o s t r o «volgare». Lo e r a nella poesia, d o v e i «Trovatori» d e t t a v a n o la loro legge e i loro modelli a tutto il m o n d o . Lo e r a nell'architettura, che aveva già elaborato col «gotico» i suoi p i ù alti modelli. Lo e r a nella filosofia, di cui A b e l a r d o aveva s p a l a n c a t o le p o r t e a l l ' a v e r r o i s m o , cioè al 14
razionalismo aristotelico filtrato attraverso la c u l t u r a araba di C o r d o v a e di Saragozza. M a l a Francia n o n p o t è m a n t e n e r e q u e s t o p r i m a t o p e r ché le sue energie furono subito assorbite da un altro compito: la fondazione dell'unità nazionale e la creazione di u n o Stato. Era un c o m p i t o i m m e n s o , specie p e r quei t e m p i , che infatti i m p e g n ò le risorse del Paese e le e n e r g i e dei suoi Re fino a quasi tutto il C i n q u e c e n t o . In questo p e r i o d o la palestra de\V intellighenzia francese furono l'esercito, la b u r o c r a zia e la diplomazia, n o n le lettere, le scienze e le arti. L'Italia, s o p r a t t u t t o p e r via della Chiesa che p e r meglio d o m i n a r l a la voleva divisa, n o n si p r o p o s e n e m m e n o questo t r a g u a r d o dello Stato u n i t a r i o . Si c o n t e n t ò p r i m a dei Com u n i e p o i d e i Principati. E d e n t r o questi ristretti o r g a n i smi le nostre élites, dispensate da altri compiti, p o t e r o n o più r a p i d a m e n t e integrarsi e m a t u r a r e . Firenze, Venezia, Milano fecero c o m e Atene: in d u e secoli p a s s a r o n o da u n a condizione s e m i b a r b a r a alla p i ù alta civiltà del m o n d o p e r c h é o p e r a r o n o nel r i s t r e t t o p e r i m e t r o d e l l e m u r a c i t t a d i n e . M e n t r e Francia, Spagna, I n g h i l t e r r a p r o d u c e v a n o generali, ammiragli e funzionari, noi p r o d u c e v a m o artisti e li esportavamo a n c h e nel resto del m o n d o . Ecco p e r c h é questo è un libro più di u o m i n i che di vicend e . Q u a n d o u n p o p o l o n o n h a u n a Nazione, n o n h a n e m m e n o u n a storia. E infatti il nostro Rinascimento n o n è che u n a collezione d i c r o n a c h e m a che h a n n o p e r protagonisti D a n t e , Petrarca, Boccaccio. I n s o m m a , dei giganti. E o r a r i p r e n d i a m o il filo del nostro r a c c o n t o da dove lo avevamo lasciato con «LItalia dei C o m u n i » .
CAPITOLO SECONDO
L'EREDITÀ DI F E D E R I C O
C o r r e v a l ' a n n o 1250. Sul suo letto di m o r t e , a F i o r e n t i n o , in Puglia, dove la dissenteria lo divorava, Federico il G r a n de forse ricapitolava m e n t a l m e n t e il suo fallimento. Era nato a Iesi presso A n c o n a cinquantasei a n n i p r i m a , sotto u n a t e n d a militare d r i z z a t a sulla piazza del m e r c a t o , m a n o n aveva nulla d'italiano. Nelle sue vene s c o r r e v a n o c o n g i u n t a m e n t e il s a n g u e degli H o h e n s t a u f e n di Svevia e quello dei N o r m a n n i di Sicilia. Era cresciuto orfano a Palermo, e n o n aveva mai p o t u t o disintossicarsi di quell'isola allora all'apice del suo s p l e n d o r e e centro di u n a civiltà cosmopolita grecoarabo-ebraico-fenicia. Varie volte e r a a n d a t o in G e r m a n i a . Ma n o n era mai riuscito a restarci p i ù di qualche mese. La G e r m a n i a era un caos di reucci, principi, vescovi, conti e vescovi-conti, concordi solo nell'impedire che u n o di loro emergesse sugli altri e che l ' I m p e r a t o r e n o m i n a l e diventasse effettivo. Federico aveva r i n u n z i a t o a mettervi o r d i n e n o n p e r c h é l'impresa fosse impossibile, c o m e aveva s e m p r e detto agli altri e a se stesso, ma p e r c h é n o n gli piaceva vivere che in Italia. A quei suoi compatrioti rozzi e rissosi, le rar e volte c h e t o r n a v a t r a l o r o , c h i e d e v a s o l t a n t o t r e g u a , l a c o m p r a v a con l'oro, e ridiscendeva a precipizio le Alpi. L'Italia, n o n vedeva e n o n palpitava che p e r l'Italia. Era questo il Paese di cui aveva v o l u t o fare u n a N a z i o n e , t u t t a la vita aveva p e r s o dietro a questo sogno. Per realizzarlo, aveva affidato la c o r o n a di G e r m a n i a a suo figlio C o r r a d o , e con gli altri d u e figli, Enzo e Manfredi, p e r c o r r e v a la penisola b a t t e n d o un esercito d o p o l'altro. Ma era come v u o t a r e il m a r e . I nemici gli si a r r e n d e v a n o 16
solo p e r t r a d i r l o alla p r i m a occasione. Il Papa, d o p o averlo s c o m u n i c a t o , seguitava a l a n c i a r e a n a t e m i c o n t r o di lui e s u b o r n a v a i principi tedeschi che m o n t a v a n o u n a ribellione d o p o l'altra. Gli ultimi cinque a n n i e r a n o stati di g u e r r a senza q u a r t i e r e . C h i u n q u e fosse amico d e l l ' I m p e r a t o r e veniva s c o m u n i c a t o d a l P a p a e d e s t i n a t o d'ufficio all'inferno. Ma c h i u n q u e fosse amico del Papa veniva t o r t u r a t o , accecato e mutilato d a l l ' I m p e r a t o r e . E o r a e r a finita. E n z o , c a d u t o p r i g i o n i e r o , l a n g u i v a in u n a t o r r e d i B o l o g n a , d a cui n o n s a r e b b e uscito mai p i ù . M a n f r e d i , alla testa di un m a n i p o l o di v e t e r a n i p e r lo p i ù saraceni, seguitava a vincere battaglie. Ma e r a costretto ad accamparsi fuori dalle m u r a delle città che, sebbene sconfìtte, n o n gli aprivano le p o r t e . Il m o r e n t e doveva chiedersi in cosa aveva sbagliato. Era l'unico Signore che del suo Regno italiano (un R e g n o che si chiamava di Sicilia, ma che c o m p r e n d e v a tutto il Sud-Italia, N a p o l i inclusa) aveva fatto u n o Stato c o n le s u e leggi, coi suoi tribunali laici, con la sua o r d i n a t a amministrazione, con la sua m o n e t a , con le sue strade, con u n a polizia efficiente, con un solido esercito. Alla sua corte e r a nata la lingua italiana. E r a stato u n g r a n d i p l o m a t i c o e u n g r a n g e n e r a l e . Aveva vinto tutte le battaglie. E p p u r e aveva p e r s o la g u e r r a . Chissà se in quegli ultimi m o m e n t i Federico ne c o m p r e se il p e r c h é , che p u r e era abbastanza semplice. Aveva p e r s o la g u e r r a p e r c h é aveva scelto male il Paese in cui combatterla. L'amore dell'Italia lo aveva t r a d i t o . Essa n o n poteva div e n t a r e u n a N a z i o n e p e r c h é aveva i n c o r p o i l P a p a . L a Chiesa n o n poteva dividere R o m a con nessun p o t e r e laico. E p e r t e n e r l i tutti l o n t a n i , li aveva r e g o l a r m e n t e giuocati l'uno c o n t r o l'altro, a p p o g g i a n d o i bizantini c o n t r o i goti, i l o n g o b a r d i c o n t r o i bizantini, i franchi c o n t r o i l o n g o b a r d i , e negli ultimi tre secoli i liberi C o m u n i indigeni c o n t r o l'Imp e r o . Q u a n d o Federico aveva cinto la corona, e r a ormai tardi p e r avviare quel processo di unificazione che avrebbe fatto di Francia, S p a g n a e I n g h i l t e r r a delle nazioni m o d e r n e e 17
le future protagoniste della storia e u r o p e a . I C o m u n i e r a n o t r o p p o forti. Alcuni di essi, c o m e Venezia, Genova, Milano e F i r e n z e , e r a n o a d d i r i t t u r a delle p o t e n z e m o n d i a l i . S i e r a sviluppato u n o spirito municipale t r o p p o vivo, si e r a n o costituiti t r o p p i e t r o p p o solidi interessi particolari p e r c h é accettassero di dissolversi in un organismo nazionale. A n c h e se n o n li formulò c h i a r a m e n t e , Federico dovett'essere sfiorato da questi pensieri, p e r c h é già p r i m a di a m m a larsi aveva rinunziato alla lotta. In quel m o m e n t o , essa sembrava volgere a suo favore. Suo figlio Manfredi e suo g e n e ro Ezzelino stavano r i p o r t a n d o notevoli successi in Emilia e L o m b a r d i a , e il Re di Francia Luigi IX, c a d u t o p r i g i o n i e r o dei m u s s u l m a n i in u n a e n n e s i m a Crociata, aveva supplicato p a p a I n n o c e n z o IV di riconciliarsi con l ' I m p e r a t o r e in m o do che costui potesse v e n i r e in suo soccorso. Ma Federico, invece di convocare ambasciatori e generali, convocò il confessore e gli chiese l'assoluzione dai suoi peccati. Fu il pentim e n t o o la ragion di Stato a ispirargli quel gesto? N o n si sa. C o m u n q u e , fu quello di un g u e r r i e r o vinto che in p u n t o di m o r t e affidava l'anima al suo vincitore. Tuttavia si lasciava d i e t r o u n ' e r e d i t à i m p o r t a n t e : un sistema di g o v e r n o , destinato a estendersi in tutta Italia. Per a f f e r m a r e il p o t e r e c e n t r a l e , nel suo Regno, egli aveva distrutto i privilegi dei signori feudali e le a u t o n o m i e dei Com u n i . Tutto e r a stato livellato da u n o Stato che s'incarnava nella sua p e r s o n a . Sindaci, funzionari e magistrati e r a n o n o minati da lui e solo a lui r i s p o n d e v a n o senza intermediazione di altri poteri. Aveva inventato il catasto con cui controllava le p r o p r i e t à e i redditi, e li tassava. Aveva «pianificato» l'economia r e g o l a n d o d'autorità p r o d o t t i , c o n s u m i e prezzi. Aveva creato u n a n u o v a aristocrazia di burocrati, selezionati in base alle loro qualità individuali, e n o n più al titolo e r e d i t a r i o . L a sua C o r t e , f o r m a t a solo d a u o m i n i d i legge, d i scienza, di cultura, fu di e s e m p i o a quelle dei Signori del Rin a s c i m e n t o . Essi c o p i a r o n o t u t t o da lui. P u r t r o p p o , copiar o n o a n c h e la sua crudeltà, il suo dispotismo e l'abitudine di 18
servirsi di m e r c e n a r i stranieri. Federico e r a ricorso ai Saraceni. In Sicilia ce n ' e r a n o rimasti molti. Egli ne aveva istallato u n a forte colonia a Lucerà, e da questo vivaio aveva tratto il nucleo del suo esercito. L'esempio e r a destinato a fare scuola t r a i S i g n o r i italiani d e l T r e c e n t o . Essi c h i a m a r o n o tedeschi, inglesi, svizzeri, u n g h e r e s i , e d i e d e r o loro in a p palto la difesa dei p r o p r i Stati. Così cominciò, o p e r meglio d i r e si a c c e n t u ò , la d e c a d e n z a militare d e l n o s t r o Paese, i cui effetti d u r a n o a n c o r a . Gl'Italiani si d i s a b i t u a r o n o semp r e p i ù alle a r m i , d i v e n t a r o n o imbelli e s e m p r e disposti a p a t t e g g i a r e con gli a v v e n t u r i e r i c h e , alla testa delle l o r o b a n d e , m e t t e v a n o a sacco il Paese, talvolta al servizio di un S i g n o r e , talaltra t r a d e n d o l o e o g n i t a n t o u c c i d e n d o l o e p r e n d e n d o n e il posto. L'ultima incarnazione d e l l ' I m p e r o , residuo dei bui t e m p i medievali, aveva a n t i c i p a t o la storia d ' I t a l i a e d e t t a t o , nel b e n e e nel male, un modello ai p r o p r i successori. L ' a v v e n t u r a degli H o h e n s t a u f e n n o n finì t u t t a v i a c o n la m o r t e di Federico. P a p a I n n o c e n z o IV, c h ' e r a scappato in Francia, c r e d e n do di aver o r m a i partita vinta, t o r n ò in Italia, s'istallò a Napoli, p r o c e d e t t e all'annessione del Regno agli Stati Pontifici, e intrigò con la sua diplomazia p e r i n d u r r e a n c h e i C o m u n i del N o r d a riconoscere la sua sovranità. Ma questi C o m u n i , p u r b a t t e n d o s i c o n t r o M a n f r e d i e Ezzelino i n n o m e della Chiesa, alla Chiesa n o n i n t e n d e v a n o affatto sacrificare le loro a u t o n o m i e . Era s e m p r e la vecchia storia c h e d u r a v a dai t e m p i di C a r l o m a g n o . Il Papa poteva c o n t a r e sulle città italiane finché si trattava di aiutarle a resistere al p o t e r e centralizzatore di un I m p e r a t o r e o di un Re. Ma se tentava di sottometterle al suo, se le trovava n e m i c h e . Il figlio di Federico, asceso al t r o n o in G e r m a n i a col n o me di C o r r a d o IV, valicò le Alpi con n u o v e forze, riconquistò il Regno senza colpo ferire, e s'istallò nella reggia di suo p a d r e , m a solo p e r esservi ucciso dalla m a l a r i a . M a n f r e d i 19
assunse il c o m a n d o del suo esercito e a n n i e n t ò le disordinate b a n d e papaline. I n n o c e n z o ne m o r ì di c r e p a c u o r e . Il suo successore, A l e s s a n d r o IV, b a n d ì a d d i r i t t u r a u n a crociata c o n t r o gl'imperiali. A fame le spese fu Ezzelino che, rimasto isolato nel N o r d , fu alla fine soverchiato. Q u e s t o piccolo nobile di Verona, dal volto pallido e dal c o r p o meschinello, che aveva sposato u n a b a s t a r d a di Federico, era un asceta del t e r r o r e . Vestiva c o m e un frate, m a n giava da vegetariano, d o r m i v a su u n a b r a n d a , e n o n aveva altre passioni che quella della lotta e del p o t e r e . L'unica arc h i t e t t u r a c h e gli piaceva e r a quella delle fortezze e delle prigioni. Ne aveva costruite d o v u n q u e a Vicenza, a Padova, a Feltre, a Belluno. Boia e aguzzini e r a n o i suoi sudditi p r e feriti. Assisteva alle t o r t u r e senza batter ciglio. E nell'escogit a r n e di n u o v e e s e m p r e p i ù raffinate, la sua fantasia dava il meglio di sé. Il s a n g u e lo r i e m p i v a di u n a gelida esaltazion e , c h e n o n gli v e n n e m e n o n e p p u r e q u a n d o s i t r a t t ò del s a n g u e suo. Crivellato di colpi e c a d u t o prigioniero, rifiutò d o t t o r e , confessore e cibo, si s t r a p p ò con le p r o p r i e m a n i le b e n d e dalle ferite, e si lasciò m o r i r e l e n t a m e n t e , come aveva imposto alle sue vittime, di d i s s a n g u a m e n t o e di fame. Suo fratello Alberico, che ne aveva con zelo secondato le crudeltà, assistè impassibile al suo supplizio e a quello di t u t t a la famiglia, p r i m a di essere a sua volta t o r t u r a t o con le pinze e strascicato p e r t e r r a da un cavallo fino alla m o r t e . Restava Manfredi alla testa del suo esercito di tedeschi e saraceni. T u t t e le forze ghibelline si coalizzarono i n t o r n o a lui, e a coagularle furono le città toscane in rivolta c o n t r o la s u p r e m a z i a di Firenze, che capeggiava invece le forze guelfe. Lo scontro a v v e n n e a M o n t a p e r t i nel 1260. I fiorentini, tratti in i n g a n n o - p a r e - dai senesi che avevano finto di essersi lasciati c o m p r a r e , e t r a d i t i da u n o d e i l o r o c a p i t a n i , Bocca degli Abati, subirono un rovescio che assicurò a Manfredi sei a n n i di assoluta signoria sul vecchio Regno. Papa U r b a n o IV si rese conto che l'Italia, divisa com'era, n o n s a r e b b e m a i v e n u t a a c a p o degli H o h e n s t a u f e n . E, ri20
p r e n d e n d o la vecchia politica della Chiesa di o p p o r r e stran i e r o a s t r a n i e r o , si rivolse al Re di Francia, Luigi IX, off r e n d o g l i la c o r o n a delle D u e Sicilie. Luigi, t r o p p o i m p e g n a t o nel suo Paese, la rifiutò; m a , essendo m o l t o devoto e n o n volendo dispiacere al Papa, la d i e d e al p r o p r i o fratello, C a r l o di A n g i ò . Q u e s t i scese in Italia c o n 3 0 . 0 0 0 u o m i n i . M a n f r e d i n o n n e aveva n e m m e n o l a m e t à . M a accettò u g u a l m e n t e la battaglia che si svolse in c a m p o a p e r t o a Ben e v e n t o nel 1266. Q u a n d o vide la partita persa, si gettò nel folto della mischia e vi m o r ì con l ' a r m a in p u g n o : fine d e l t u t t o in c a r a t t e r e con la sua n a t u r a di p r o d e e r o m a n t i c o g u e r r i e r o , ultima incarnazione della Cavalleria medievale. D u e a n n i d o p o , il figlio di C o r r a d o , C o r r a d i n o , scese dalle Alpi p e r ritentare l'avventura del p a d r e e riconquistare il Regno del n o n n o Federico. Aveva a p p e n a quindici a n n i , e i nobili tedeschi n o n gli a v e v a n o d a t o che p o c h e migliaia di u o m i n i . Carlo d'Angiò, o r m a i Re delle D u e Sicilie e b e n deciso a restarlo, lo attese a Tagliacozzo, e facilmente lo sconfisse. «Padre - scrisse a p a p a C l e m e n t e IV -, vi p r e g o : alzatevi e cibatevi della cacciagione del figliuol vostro: uccidemmo tale moltitudine di nemici...» C o r r a d i n o e r a c a d u t o prig i o n i e r o . C o n d o t t o a N a p o l i in c a t e n e , fu d e c a p i t a t o sulla piazza del mercato. C o n questo infanticidio, d e b u t t ò il Regno angioino.
L'Italia verso il 1300
CAPITOLO TERZO
I VESPRI S I C I L I A N I
Seguiamolo ancora, questo R e g n o angioino, nei suoi p r i m i passi. A Carlo si presentava la g r a n d e occasione di fare ciò che n o n era riuscito a Federico e ai suoi successori. Quello di Sicilia e r a l'unico R e a m e italiano che aveva già u n a tradizione unitaria, u n g o v e r n o centralizzato, u n ' o s s a t u r a amministrativa e militare. Palermo e r a la più rigogliosa e popolosa città italiana. Carlo n o n aveva da sprecare energie p e r conquistare o d i f e n d e r e u n a c o r o n a imperiale, né p e r t e n e r e a b a d a u n a p a t r i a inquieta: suo fratello Luigi, s a l d a m e n t e sul tron o , gli p r o t e g g e v a le spalle e all'occorrenza, anzi, a v r e b b e p o t u t o a i u t a r l o . A R o m a la C o r t e pontificia e r a d o m i n a t a dai Cardinali francesi, che infatti si d a v a n o quasi ininterrott a m e n t e il c a m b i o sul Soglio. Carlo e r a il loro u o m o , né vi e r a in t u t t a E u r o p a un altro Principe, cui la Chiesa potesse c o m e al solito rivolgersi p e r fargli da c o n t r a p p e s o . La Germ a n i a e r a p i ù di s e m p r e in p r e d a alle convulsioni. Le città italiane del N o r d , che avevano t e n u t o viva la resistenza agli H o h e n s t a u f e n , consideravano Carlo un amico n a t u r a l e . Mil a n o lo aveva p r o c l a m a t o suo s i g n o r e e gli aveva chiesto di m a n d a r l e un Vicario che la governasse in suo n o m e . Torin o , Brescia e Piacenza ne avevano seguito l'esempio. Firenze lo aveva acclamato podestà. La Lega Guelfa toscana si era ribattezzata «guelfo-angioina». R o m a lo aveva n o m i n a t o senatore. M a C a r l o n o n e r a c h e u n soldataccio, c o r a g g i o s o , m a grossolano e ottuso. Invece di concentrarsi su u n a realistica politica italiana, m i r ò a e s t e n d e r e i suoi d o m i n i in Grecia e 23
in Tunisia, a m m i n i s t r ò malissimo il suo R e a m e suscitandovi grave m a l c o n t e n t o , e coi suoi soprusi fece p e r d e r e alla diplomazia francese la sua carta migliore: il Papato. Alla m o r t e di C l e m e n t e IV, francese c o m e U r b a n o , fu indetto a Viterbo un Conclave, che d u r ò tre anni fra tresche, imbrogli e intimidazioni. T a n t o che alla fine i viterbesi p e r sero la pazienza, s c o p e r c h i a r o n o il tetto del palazzo, e minacciarono i Cardinali di lapidazione se n o n la facevano finita. Ma la lotta fra i candidati delle varie p o t e n z e e u r o p e e era t a l m e n t e a coltello che il vicario a n g i o i n o p e r la Toscana, Guy de Montfort, lo usò a d d i r i t t u r a contro Enrico d ' I n ghilterra, p u g n a l a n d o l o in p i e n a chiesa d u r a n t e la messa e t r a s c i n a n d o n e p e r i capelli il cadavere in piazza. Era v e r a m e n t e t r o p p o . I C a r d i n a l i italiani r i u s c i r o n o fin a l m e n t e a g i u n g e r e a un a c c o r d o ed elessero T e b a l d o Visconti di Piacenza che si trovava allora in T e r r a s a n t a . Rientrato di lì a poco, p r e s e il n o m e di G r e g o r i o X e si rese conto c h e , se n o n si s o t t r a e v a alle p r e p o t e n z e dei francesi quelli di Parigi e quelli di Napoli -, rischiava di d i v e n t a r e il loro c a p p e l l a n o . M a n o n aveva c h e u n m o d o p e r farlo: ric h i a m a r e nel giuoco politico i vecchi alleati d e g l ' i m p e r a t o r i di G e r m a n i a , che p e r essi si e r a n o battuti c o n t r o la Chiesa ed e r a n o stati sconfitti: i ghibellini. E r a la solita diplomazia del Papato, p r o n t o ad allearsi col nemico vinto, q u a n d o l'amico vinceva t r o p p o e minacciava di d i v e n t a r e p a d r o n e assoluto nella Penisola. I signori di Saluzzo e del M o n f e r r a t o furono indotti a r i p u d i a r e l'alleanza con gli Angiò. Il ghibellino O t t o n e Visconti fu n o m i n a t o arcivescovo di Milano. Fir e n z e fu invitata a r i p o r t a r la pace fra le d u e fazioni in m o do che i guelfi n o n p r e n d e s s e r o un decisivo sopravvento sui ghibellini. E la c o r o n a d ' I m p e r a t o r e , rimasta senza titolare d o p o la m o r t e di C o r r a d i n o , e c h e i francesi c e r c a v a n o di far a s s e g n a r e a u n o dei l o r o Principi, v e n n e d a t a c o n u n a m a n o v r a sotto b a n c o a Rodolfo d'Asburgo, c h ' e r a stato alleato degli H o h e n s t a u f e n . Ma questo intermezzo di Papato italiano d u r ò poco. Nel 24
1276 G r e g o r i o m o r ì . I suoi q u a t t r o successori s c o m p a r v e r o u n o d o p o l'altro nello spazio di q u a t t r o anni. E nel Conclave del 1280 i C a r d i n a l i francesi, sostenuti dalle soldataglie di Carlo, r i e b b e r o il sopravvento e i m p o s e r o l'elezione di u n o dei loro: Simone de Brie, che prese il n o m e di Martino IV. Di n u o v o si presentava agli Angiò la g r a n d e occasione di r i d u r r e la penisola in loro p o t e r e . Ma il Regno n o n e r a p i ù quale lo aveva lasciato il g r a n d e Federico. Le finanze e r a n o dissestate, l'amministrazione in d i s o r d i n e , le strade in rovina, il c o n t a d o i m p o v e r i t o . Il m a l c o n t e n t o e r a g r a n d e specialmente a P a l e r m o . Carlo aveva istallato la sua capitale a Napoli, e la vecchia m e t r o p o l i siciliana e r a d e c a d u t a a p r o vincia. Per p r e v e n i r v i q u a l c h e i n s u r r e z i o n e , la polizia a n gioina la t e n e v a in u n a specie di p e r p e t u o stato d'assedio, con coprifuoco, divieto di a s s e m b r a m e n t o e p e r q u i s i z i o n e dei passanti. Il 31 m a r z o d e l 1282, s e t t i m a n a di P a s q u a , m o l t a folla gremiva le piazze e le chiese della città. Un sergente francese, certo Douet, n o n si sa se p e r malizia o p e r zelo, estese le m i s u r e p r e c a u z i o n a l i a n c h e alle d o n n e e mise le m a n i a d dosso a u n a che transitava a braccio del marito. Questi, ferito nel suo orgoglio di maschio siciliano, gli s t r a p p ò la s p a d a dal fodero e lo stese m o r t o . La folla fu subito p e r l'uccisore e si scatenò contro gli angioini al grido di «Mora, mora!» Per tutta la n o t t e fu la caccia all'uomo, la sollevazione si p r o p a gò a tutta l'isola, e i pochi francesi c h e riuscirono a salvarsi dal massacro dovettero cercare scampo sulle navi. Questi furono i famosi Vespri siciliani, che p o i p a s s a r o n o alla Storia c o m e la seconda manifestazione, d o p o il «Carroccio», di patriottismo italiano. Essi furono u n a bella impresa, p i e n a m e n t e giustificata dai soprusi angioini. Ma il patriottismo n o n ci aveva nulla a che fare. Gl'insorti si a p p e l l a r o n o al P a p a p e r c h é assumesse l'alto p a t r o n a t o d e l l ' i n d i p e n d e n z a isolana. Ma Martino n o n poteva o n o n voleva mettersi c o n t r o i suoi compatrioti francesi, cui doveva la sua elezione, e d i e d e a Carlo m a n o libera p e r 25
d o m a r e la ribellione. Carlo spedì u n a flotta con un esercito che un cronista siciliano valutò di novantamila fanti e ventiquattromila cavalieri. L'assurdità è evidente: con un esercito di tal forza, a q u e i t e m p i , si conquistava l ' E u r o p a . La cifra vera è quella che dà Villani: cinquemila u o m i n i in tutto, fra cui cinquecento fiorentini. Ma e r a già rispettabile, p e r le misure di allora. Messina, dove lo sbarco doveva avvenire, r e sistette b r a v a m e n t e sotto il c o m a n d o di R u g g e r o di L a u r i a . E i n t a n t o i capi della rivolta, vistisi a b b a n d o n a t i dal Papa, avevano sollecitato l'aiuto di Pietro il G r a n d e d'Aragona, offrendogli la c o r o n a dell'isola. Q u e l l o di A r a g o n a e r a un R e a m e c h e si stava vigorosam e n t e affermando in S p a g n a e mirava a estendere la sua influenza sul M e d i t e r r a n e o p e r bilanciarvi quella francese. Proprio allora Pietro aveva deciso di tentare u n a spedizione contro quella che allora si chiamava la Barberia e che corris p o n d e all'Algeria a t t u a l e . D i r o t t ò le navi su T r a p a n i . Vi sbarcò l'esercito. Fece p r o s e g u i r e p e r Messina la flotta che vi sorprese e distrusse quella angioina. E si c o r o n ò Re di Sicilia. Q u i s'inserisce u n c u r i o s o e p i s o d i o c h e , p e r q u a n t o d i scarsi risultati pratici, i l l u m i n a la crisi di u n ' e p o c a e di un costume. Carlo chiese al Papa di scomunicare Pietro e i suoi sudditi isolani, e il Papa, succubo dei francesi, lo fece. Ma la misura n o n sortì n e s s u n effetto. E allora Carlo, sebbene fosse orm a i sulla s e t t a n t i n a , sfidò a d u e l l o P i e t r o p e r d e c i d e r e la controversia s e c o n d o il vecchio codice della cavalleria feudale. Perché secondo lui si trattava di un affare personale e privato fra d u e gentiluomini, di cui la Sicilia e il suo p o p o l o r a p p r e s e n t a v a n o soltanto l'oggetto. Lo s c o n t r o doveva avv e n i r e a B o r d e a u x , città n e u t r a p e r c h é t u t t o r a sotto la sovranità della c o r o n a d ' I n g h i l t e r r a . E i c o n t e n d e n t i dovevano presentarvisi il 12 giugno (1283), ciascuno con un seguito di n o v a n t a n o v e cavalieri. Doveva essere u n a bella festa, cui e r a n o invitate a n c h e le signore dell'alta aristocrazia europea. 26
Carlo fu p u n t u a l e . Ma Pietro, sebbene si fosse i m p e g n a t o con g i u r a m e n t o , n o n si m o s t r ò . Dichiarato c o d a r d o e squalificato dal codice cavalleresco, rispose p e r lettera che a Bord e a u x egli era a n d a t o fin dal 31 maggio, ma travestito e in i n c o g n i t o ; e c h e ci aveva c o n t a t o o l t r e t r e m i l a bravacci di Carlo, intenti a p r e p a r a r g l i un'imboscata. Carlo replicò che n o n e r a vero nulla, la polemica fece molto chiasso, e la p u b blica o p i n i o n e si divise: il Papa fu p e r l'Angiò, Dante p e r l'Ar a g o n a . S e n e p a r l ò p e r a n n i . M a l'episodio c o m u n q u e dim o s t r ò che le regole cavalleresche o r m a i e r a n o in liquidazione. Avevano fatto legge p e r tutto il Medio Evo, e n e s s u n o avrebbe osato contravvenirvi p e r c h é e r a n o u n a delle architravi su cui si reggeva tutta l ' i m p a l c a t u r a feudale. O r a anc h e i Signori c o m i n c i a v a n o a infischiarsene. I r a p p o r t i tra loro n o n obbedivano più alla regola dell'onore, ma a quella, più prosaica e utilitaria, della «ragion di Stato». La diatriba sboccò in u n a g u e r r a bell'e b u o n a . L'anno d o po la s q u a d r a a r a g o n e s e s o r p r e s e e b a t t é nella baia di Napoli quella angioina, c o m a n d a t a dal principe ereditario. Subito d o p o s c o m p a r v e r o a m b e d u e i protagonisti di quella lotta: Carlo e Pietro. Al posto del p r i m o , salì sul t r o n o di Napoli Carlo II lo z o p p o o «il ciotto», c o m e lo chiamavano, che aveva già d a t o la m i s u r a delle s u e capacità c o m e a m m i r a glio, lasciandosi sconfìggere nella p r o p r i a b a s e . A P i e t r o s u c c e d e t t e r o d u e figli: il p r i m o g e n i t o , Alfonso, si t e n n e il R e a m e d ' A r a g o n a ; il s e c o n d o , G i a c o m o , s ' i n c o r o n ò Re di Sicilia. Ma Alfonso p e r motivi suoi t r o v ò p i ù c o n v e n i e n t e mettersi d'accordo con la Francia p r o m e t t e n d o la restituzione della Sicilia agli A n g i ò alle spalle d e l fratello. Costui si p r e p a r a v a a resistere, q u a n d o Alfonso m o r ì , lasciando vacante il t r o n o di Aragona, che p e r legge ereditaria toccava a G i a c o m o . Il q u a l e , a p p e n a istallatovisi, r i c o n o b b e validi i motivi che avevano suggerito ad Alfonso di restituire la Sicilia agli angioini, ratificò l'accordo, e anzi sposò la figlia di Carlo. Ma a ribellarsi furono i siciliani. Essi d i e d e r o la c o r o n a al 27
t e r z o g e n i t o a r a g o n e s e , F e d e r i c o , e il c o m a n d o delle forze a r m a t e a R u g g e r o di Lauria, l'intrepido capitano che aveva difeso Messina. Seguì un guazzabuglio in cui t e m i a m o che a n c h e il lettore p e r d a la testa. Federico sollecitò u n a flotta d a l fratello Giacomo, e si p r e p a r a v a a festeggiarne l'attracco a Palermo, q u a n d o la vide sfilare verso Napoli p e r mettersi al servizio di Carlo. In u n o scontro navale presso le coste calabresi, il p r o d e R u g g e r o di L a u r i a saltò dalla p r o p r i a nave a m m i r a g l i a su quella degli a n g i o i n i p e r g u i d a r l i c o n t r o i suoi e sconfiggerli a C a p o d ' O r l a n d o , dove seimila siciliani m o r i r o n o senza p i ù capire chi fosse il loro c o m a n d a n t e e chi il l o r o n e m i c o . Per t e r r a invece Federico b a t t é a n c o r a u n a volta Carlo, le cui t r u p p e o r a e r a n o c o m a n d a t e da suo cugin o , il Principe di Valois. Solo nel 1302 fu stipulata finalmente la pace di Caltabellotta. Federico fu riconosciuto Re di Sicilia c o n l'intesa c h e alla sua m o r t e l'isola s a r e b b e t o r n a t a sotto la corona angioina. Ma poi i fatti e la tenacia dei siciliani decisero altrimenti.
CAPITOLO QUARTO
LA SCENA ITALIANA
Per seguire gli avvenimenti di Napoli e Sicilia, abbiamo fatto un salto di m e z z o secolo: quello c h e va dalla m o r t e d e l g r a n d e Federico e dalla liquidazione dei suoi successori alla r o t t u r a del suo vecchio Regno fra Angioini a N a p o l i e Aragonesi in Sicilia. L'episodio e r a decisivo, p e r la storia d'Italia. Segnava l'ultimo tentativo di istaurarvi o restaurarvi un p o t e r e imperiale. D ' I m p e r a t o r i n e v e d r e m o a n c o r a scendere nel nostro Paese. Ma s a r a n n o tutte figure fatiscenti: i loro conati di r e s t a u r a z i o n e r i m a r r a n n o s e m p r e velleitari ed effimeri. E con l ' I m p e r o , di cui n o n r i m a n e che il titolo, è finita la s u p r e m a z i a tedesca in Italia, p e r c e d e r e m o m e n t a n e a m e n t e il posto a quella francese. Ecco cos'è avvenuto nel mezzo secolo che segue la m o r t e di Federico. E o r a v e d i a m o n e i riflessi sul resto della p e n i sola. Sulla fine del D u e c e n t o , l'Italia è i r r e p a r a b i l m e n t e r o t t a e divisa. Ma nel pulviscolo dei suoi piccoli p o t e n t a t i , alcuni p r e n d o n o slancio e cominciano a esercitare u n a certa forza di attrazione sul vicinato. Nel P i e m o n t e ce ne sono tre che si c o n t e n d o n o la s u p r e mazia: quello dei Savoia, quello dei Monferrato, e quello dei Saluzzo. Ma la storia delle loro lotte n o n ha p e r il m o m e n t o n e s s u n riflesso s u quella n a z i o n a l e : n o n t a n t o p e r r a g i o n i geografiche, q u a n t o p e r c h é si svolge, p e r così dire, su un alt r o p i a n o . Q u e s t a provincia h a c o n s e r v a t o u n ' i m p a l c a t u r a feudale, che n o n dice nulla al resto d'Italia, dove essa ha p o co attecchito, e quel poco è m o r t o da un pezzo. I C o m u n i in 29
Piemonte h a n n o avuto scarsa fioritura, le città sono rimaste rachitiche, e Torino n o n è che un borgo di m o n t a n a r i . A d o m i n a r e n o n s o n o le b o r g h e s i e u r b a n e coi l o r o m u n i c i p i e m a g i s t r a t u r e d e m o c r a t i c h e , ma i signorotti franchi dai loro castelli in cui si r e s p i r a a n c o r a un p r o f u m o di cavalleria. Conti e Marchesi si alleano tra loro, si uniscono in m a t r i m o nio, si tradiscono e si c o m b a t t o n o p e r a g g i u n g e r e u n a p r o vincia o u n a fortezza ai loro possessi. Ma t u t t o ciò resta in un «giro» regionale, p e r c h é oltre il Ticino comincia un altro m o n d o : quello dei liberi C o m u n i che già da un pezzo h a n no sconfitto il castello e sovrapposto u n a società cittadina e mercantile a quella agraria e militare del Medio Evo. Al c e n t r o della ricca p i a n a l o m b a r d a , Milano aveva già conquistato u n a posizione di p r e m i n e n z a con le sue i n d u strie, q u a n d o P a p a G r e g o r i o X , p e r sottrarla all'influenza a n g i o i n a , vi n o m i n ò Arcivescovo il ghibellino O t t o n e Visconti. I Visconti e r a n o già u n a famiglia potentissima, la più p o t e n t e di Milano insieme con i Della T o r r e . Quella n o m i n a decise la sorte della rivalità che divideva le d u e casate, e diede l'avvio a u n a straordinaria avventura politica e dinastica. O t t o n e e r a un g r a n d e p e r s o n a g g i o cui n o n resistettero né i Della T o r r e , ch'egli disinvoltamente i m p r i g i o n ò in gabbie di acciaio, né le istituzioni d e m o c r a t i c h e , cui i milanesi e r a n o m e n o affezionati dei fiorentini. Essi accettarono il nipote del C a r d i n a l e , M a t t e o , i n s i e m e c o m e Vicario d e l l ' i m p e r a t o r e Rodolfo d'Asburgo e d e l e g a t o del p o p o l o al g o v e r n o : cioè in parole p o v e r e gli conferirono i pieni poteri, avallati dallo zio O t t o n e , l'Arcivescovo, in n o m e del P a d r e t e r n o . Matteo li usò s p r e g i u d i c a t a m e n t e n o n solo p e r rafforzare il p r o p r i o p o t e r e su Milano, ma anche quello di Milano sulla L o m b a r dia. Tra la fine del D u e e il principio del Trecento si era a p p e n a all'inizio di q u e s t a i m p r e s a espansionistica. Ma essa già si profilava e faceva di Milano u n a delle capitali d'Italia. U n ' a l t r a e r a G e n o v a . L o e r a d i v e n t a t a alla chetichella, c o m e notava un p o ' offeso e scandalizzato un suo cronista, J a c o p o da Varazze: «Siamo stupiti che m e n t r e vi sono molte 30
città in Italia, delle quali gli antichi storici p a r l a n o spesso, di Genova, t a n t o ìnclita, p o t e n t e e nobile, poco o quasi nulla si legga». E vero. Ma la colpa è dei genovesi che delle loro vic e n d e n o n h a n n o lasciato traccia n e m m e n o nei d o c u m e n t i . Di G e n o v a si sa soltanto che all'origine della sua storia ci fu u n a famiglia nobile, gli O b e r t e n g h i , che poi si divise nei rami degli Spinola, degli Embriaci, d e i Castello e dei Vento. I n c a r n a v a n o gli interessi terrieri del c o n t a d o , m e n t r e il Vescovo r a p p r e s e n t a v a quelli cittadini dei m a r i n a i , pescatori, artigiani e mercanti. Ma il dialogo fra loro n o n diventò mai o quasi mai lotta di fazione, c o m ' e r a capitato a Firenze. Anzi, i d u e e l e m e n t i si fusero in u n a campagna, cioè in u n a «compagnia» che fu il f o n d a m e n t o del C o m u n e , e p p o i addirittura lo assorbì c o m e le arti avevano assorbito quello fior e n t i n o . Ecco p e r c h é quella genovese è s e m p r e stata un'aristocrazia m e r c a n t i l e e i m p r e n d i t o r i a l e : p e r c h é fin d'allora assunse i suoi posti di c o m a n d o in u n a società di tipo borghese, dove il m e t r o di m i s u r a n o n era il blasone, ma l'efficienza. La g r a n d e fortuna di Genova fu la geografia: e n o n solo p e r lo s t u p e n d o golfo che le metteva a disposizione, ma anc h e p e r c h é con la sua cerchia di m o n t a g n e la t e n e v a al di fuori e al r i p a r o dalle lotte fra I m p e r a t o r i , Papi e C o m u n i . E infatti il n o m e di Genova n o n c o m p a r e mai o quasi mai nelle «Leghe» c h e si f o r m a r o n o via via p e r c o m b a t t e r e gli u n i o gli altri. Rincantucciata in quel suo angolo eccentrico fra le Alpi e il m a r e e n o n p o t e n d o cercare avventure in un e n t r o t e r r a così i m p e r v i a m e n t e sbarrato, G e n o v a poteva dedicarsi soltanto alla costruzione di un i m p e r o m a r i t t i m o . E fu ciò che fece. L'unica rivale che le faceva c o n c o r r e n z a in quel m o m e n to era Pisa, il g r a n d e p o r t o toscano del Medio Evo (Livorno n o n e r a a n c o r a nata). Era u n a vecchia città ghibellina, in cui l ' I m p e r a t o r e si faceva r a p p r e s e n t a r e da un Visconte. Ma anche qui e r a nata c o m e a Genova u n a C o m p a g n i a in cui, uniti dai c o m u n i interessi marittimi, si e r a n o fusi nobili, a r m a 31
tori e mercanti, e che p r a t i c a m e n t e governava lo Stato. L'imp e r a t o r e Enrico IV p e r garantirsi la fedeltà di Pisa, che gli faceva c o m o d o nella sua lotta c o n t r o la Chiesa c o m e cont r a p p e s o alla p a p a l i n a Firenze, le aveva a sua volta garantito l'autonomia. I n s i e m e a quelle di G e n o v a e di Amalfi, la flotta p i s a n a aveva i m p e d i t o lo sbarco degli arabi siciliani nell'Italia continentale, e p e r un b u o n secolo e r a rimasta p a d r o n a quasi incontrastata del T i r r e n o : Corsica e S a r d e g n a furono pratic a m e n t e colonie di Pisa c h e vi t e n e v a i suoi Consoli. Ma a differenza di Genova, Pisa aveva da b a d a r e a n c h e a un ent r o t e r r a , che u n a m e n o benevola geografia offriva all'ingordigia delle città rivali, Lucca e Firenze, ansiose di u n o sbocco al m a r e . Fu questo che fece la debolezza di Pisa. Essa n o n s e p p e decidersi a u n a politica soltanto m a r i t t i m a p e r c h é doveva g u a r d a r s i le spalle. E così la rovina le v e n n e c o n t e m p o r a n e a m e n t e da u n a p a r t e e dall'altra. Nel 1283 Genova mosse g u e r r a a Pisa, o p e r meglio dire t r a s f o r m ò i n «calda» l a g u e r r a f r e d d a c h e d a d e c e n n i imp e r v e r s a v a fra le d u e flotte. La posta e r a n o la Corsica e la S a r d e g n a , dalle quali G e n o v a si sentiva imbottigliata. Pisa allestì settantadue navi, ne diede il c o m a n d o all'ammiraglio v e n e z i a n o M o r o s i n i e le m a n d ò a s a c c h e g g i a r e R a p a l l o e Portofino a p p r o f i t t a n d o dell'assenza della s q u a d r a genovese g u i d a t a da O b e r t o Doria. Q u e s t a fu r i c h i a m a t a in g r a n fretta e a n d ò ad appostarsi alla Meloria, p o c h e miglia al largo di Pisa. Morosini, che r i e n t r a v a alla base, fu i n g a n n a t o dalla scarsa consistenza dell'avversario che aveva nascosto m e t à delle sue navi dietro gli scogli dell'arcipelago. Attaccò s c o n s i d e r a t a m e n t e e ci rimise v e n t i t r é galee e a l c u n e m i gliaia di uomini. Per q u a n t o g r a v e , la sconfitta n o n e r a i r r e p a r a b i l e . Ma p r o p r i o in quel m o m e n t o su Pisa si avventavano Lucca e Fir e n z e . La scusa era ideologica: i guelfi fiorentini e lucchesi dicevano di voler abbattere il g o v e r n o ghibellino di Pisa. Per d i s a r m a r l i , Pisa m u t ò r e g i m e affidandosi al C o n t e guelfo 32
Ugolino della Gherardesca. Questi riuscì a p a r a r e la minaccia. Ma c o m e tutto r i n g r a z i a m e n t o , nel 1288, q u a n d o Carlo d'Angiò m o r ì e il guelfismo sembrava in ribasso, il ghibellin o Arcivescovo R u g g e r o degli U b a l d i n i fece r i n c h i u d e r e nella t o r r e U g o l i n o a m o r i r e di fame i n s i e m e a d u e figli e tre nipoti. E r a n o a quei t e m p i - intendiamoci - fatti di ordinaria amministrazione. Noi li conosciamo e ne i n o r r i d i a m o solo p e r c h é D a n t e ce li ha raccontati con tutta la v e e m e n z a della sua indignazione. La g u e r r a con Firenze e Lucca riprese, e si concluse nel '93 con u n a pace che lasciava le cose c o m ' e r a n o . Ma la grande Repubblica m a r i n a r a , che aveva b a t t u t o la flotta nemica degli arabi e poi distrutto quella alleata di Amalfi, e r a finita. Q u a l c u n o dice che Pisa fu tradita dal m a r e che, c o m e a Rav e n n a , si ritirava di c o n t i n u o lasciandosi dietro u n o strascico di sabbie. Ma n o n è così. Per le navi di quei tempi, l'Arno bastava e i porti t a n t o più e r a n o favoriti, q u a n t o più e r a n o internati. In realtà fu Pisa che, risucchiata d a l l ' e n t r o t e r r a e dai suoi p r o b l e m i , t r a d ì il m a r e . Si c h i u s e in sé e d i v e n t ò u n a città di arte e di studio. La sua gloria n o n fu più la flotta, ma l'Università. Alla fine del D u e c e n t o le g r a n d i p o t e n z e marittime italiane s o n o d u n q u e d u e : G e n o v a e Venezia, che a n t i c i p a n o di un paio di secoli le g r a n d i fortune imperiali di Spagna, Inghilterra, Portogallo e O l a n d a . Se, invece di combattersi fra loro, avessero agito di c o m u n e accordo, avrebbero assicurato all'Italia un i m p e r o m o n d i a l e . Ma ciò p r e s u p p o n e v a l'Italia, cioè un s e n t i m e n t o di solidarietà nazionale che allora n o n c'era. A n c h e Venezia doveva in p a r t e la sua f o r t u n a al fatto di trovarsi estromessa p e r ragioni geografiche dalla zona di un conflitto s q u i s i t a m e n t e t e r r e s t r e e c o n t i n e n t a l e c o m ' e r a quello fra P a p a t o e I m p e r o . Se G e n o v a aveva, a difesa del suo i s o l a m e n t o , il b a s t i o n e delle m o n t a g n e , Venezia aveva quello delle l a g u n e . Sicure d e n t r o quell'intrico di sabbie di cui solo i suoi ammiragli conoscevano i fondali, le flotte ve33
neziane si e r a n o impossessate di t u t t e le coste d à l m a t e , Par e n z o , U m a g o , Capodistria, e giù giù fino all'Albania e alla Grecia. Era da qui in poi ch'esse e n t r a v a n o in conflitto con quelle genovesi, lanciate a n c h ' e s s e alla c o n q u i s t a d e i m e r c a t i orientali. Venezia se ne e r a i m p a d r o n i t a con le Crociate, in cui n o n aveva versato u n a goccia del suo s a n g u e . D o p o essersi arricchita coi noli p e r il t r a s p o r t o delle t r u p p e ed essersi assicurata il più grosso «dividendo» nei saccheggi delle varie città, aveva b a d a t o soltanto a i m p i a n t a r e case c o m m e r ciali, fóndachi e banchi. La sua forza e r a n o u n a m o n e t a stabile, solidamente ancorata all'oro, il «ducato», in c o n c o r r e n za di pregiatezza col «fiorino» di Firenze, e il più m o d e r n o sistema bancario di quei tempi. E così, m e n t r e la b a n c a fior e n t i n a conquistava l ' E u r o p a continentale, quella veneziana si a n n e t t e v a l ' O r i e n t e in c o m p a r t e c i p a z i o n e c o n quella genovese. Le d u e città sono p r a t i c a m e n t e p a d r o n e di tutto, dall'Adriatico e dal T i r r e n o al M a r N e r o . Galata sul C o r n o d ' O r o e Caffa in C r i m e a h a n n o un Podestà e un Abate del Popolo genovesi che r e g o l a n o i r a p p o r t i e gli scambi coi T a r t a r i , i Russi e i Persiani. Veneziane sono g r a n p a r t e delle isole greche e interi quartieri di Costantinopoli. «Sono - dice di loro il francese Vitry - u o m i n i p o t e n t i , ricchi, b e n e a r m a t i , coraggiosi, con splendide navi che s a n n o benissimo g u i d a r e in tutti i tempi.» Nel 1261 p a r t o n o da Venezia Niccolò e Matteo Polo. D o p o poco li segue Marco che da solo, a piedi, raggiunge il Giappone, compiendo un'impresa n o n meno grandiosa di quella di Cristoforo Colombo. L a lotta fra q u e s t e d u e g r a n d i R e p u b b l i c h e r i m a n e u n pezzo nella fase della c o n c o r r e n z a ma condita di episodi da g u e r r a «di corsa». O g n i flottiglia v e n e t a che i n c o n t r a v a un cargo genovese lo catturava, e viceversa. C ' e r a n o stati anche degli scontri fra s q u a d r e m i n o r i a Laiazzo e in M a r N e r o . Ma p r o p r i o sul finire del secolo, nel 1298, ci fu la p r i m a vera g r a n d e battaglia. Settantotto galee genovesi al c o m a n d o 34
di L a m b a Doria, p e n e t r a t e a r d i t a m e n t e in Adriatico, ne aff r o n t a r o n o cento veneziane c o m a n d a t e d a A n d r e a D a n d o l o p r e s s o l'isola di C u r z o l a , ne a f f o n d a r o n o sessantacinque e lasciarono quindicimila cadaveri a galleggiare sulle a c q u e . Fra di essi c'era a n c h e quello del D a n d o l o che, p r e s o prigioniero, si avventò a testa bassa c o n t r o l'albero maestro e vi si sfracellò. Ma Venezia n o n e r a Pisa: invece di a b b a n d o n a r e la lotta, si p r e p a r ò a restituire la partita. La storia delle d u e città seguitò tuttavia a svolgersi fuor della penisola, che fu b e n poco influenzata dalle loro vicend e . Genova e Venezia, agl'inizi del Trecento, n o n h a n n o u n a politica italiana. Si c o m b a t t o n o d o v u n q u e , fuorché nel loro Paese e p e r il loro Paese. Un'altra capitale e r a Firenze, che p r o p r i o in questi a n n i affermava la p r o p r i a e g e m o n i a sulla Toscana. La sua politica i n t e r n a e r a fra le p i ù t u r b o l e n t e p e r la violenza delle fazioni che s'intitolavano ai d u e g r a n d i partiti che allora divid e v a n o tutta l'Italia: i guelfi e i ghibellini. Ma ad essa se ne mescolava a n c h e u n a sociale, resa più acuta dallo stesso p r o gresso industriale ed economico. Quella che si e r a affermata e r a la grossa b o r g h e s i a m e r c a n t i l e e b a n c a r i a , p a d r o n a delle Arti, che a loro volta e r a n o p a d r o n e della città. Q u e s t a borghesia aveva d o v u t o d u r a m e n t e lottare p e r lib e r a r s i dalla servitù della vecchia aristocrazia t e r r i e r a e g u e r r i e r a che dai suoi castelli disseminati nel c o n t a d o aveva p e r secoli d o m i n a t o il C o m u n e . Sin dal principio Firenze fu guelfa p e r c h é i nobili che la circondavano e minacciavano e c h ' e r a n o stati investiti dei loro feudi e privilegi dagl'imperatori, e r a n o ghibellini. I p o p o l a n i fiorentini, raccolti sotto i l o r o «gonfaloni», li avevano attaccati u n o alla volta e costretti a venire ad abitare in città a l m e n o p e r parecchi mesi d e l l ' a n n o . Solo così p o tevano controllarli e impedirgli di d i s t u r b a r e le vie di c o m u nicazione e intralciare i commerci come s e m p r e avevano fatto. I Signori d o v e t t e r o a c c e t t a r e q u e s t e c o n d i z i o n i . Ma a n c h e a Firenze avevano p o r t a t o le loro passioni politiche e 35
il loro spirito di violenza. Vi c o s t r u i r o n o palazzi c h e somigliavano a fortezze, facendo a g a r a a chi innalzava le t o r r i più alte e meglio g u a r n i t e , e vi f o r m a r o n o quelle «consorterie» c h ' e r a n o in realtà delle vere e p r o p r i e «mafie». I d e o l o g i c a m e n t e p e r ò si divisero. Alcuni, c o m e i C o n t i Guidi, rimasero ghibellini. Molti altri, p e r p o t e r intervenire efficacemente nella politica di u n a città guelfa, si fecero guelfi a n c h e loro e cominciarono a mescolarsi, a n c h e p e r bisogno di d e n a r o , con la grossa borghesia mercantile. I d u e partiti si combattevano con tutte le armi, a p p r o f i t t a n d o della debolezza di un g o v e r n o che era un groviglio d'istituti intenti solo a paralizzarsi l'uno con l'altro. I d u e più alti magistrati, il Podestà e il C a p i t a n o del Popolo, d o v e v a n o essere p e r legge s t r a n i e r i a p p u n t o p e r i m p e d i r e c h e u n a p a r t e , q u a n d o vinceva, esercitasse violenze sull'altra. Ma ciò avveniva u g u a l m e n t e p e r c h é lo Stato n o n aveva il mezzo p e r impedirlo e r i m a n e v a esso stesso prigioniero del più forte. O g n i r i v o l g i m e n t o significava lo s t e r m i n i o o la proscrizione della p a r t e sconfitta. L'ultimo e r a avvenuto nel 1260, cioè d o p o la battaglia di M o n t a p e r t i che aveva visto il trionfo delle forze ghibelline di Manfredi, c a p e g g i a t e da Siena, su quelle guelfe c a p e g g i a t e da F i r e n z e . Il c o n t r a c c o l p o fu i m m e d i a t o a n c h e all'interno. Gli esuli ghibellini t o r n a r o n o in città, e a p r e n d e r e la via dell'esilio furono i guelfi. Ma d u rò p o c o . La calata in Italia di C a r l o d ' A n g i ò , n u o v o Re di Napoli, e le battaglie di B e n e v e n t o e Tagliacozzo dove morir o n o i d u e ultimi H o h e n s t a u f e n , Manfredi e C o r r a d i n o , inflissero un colpo definitivo all'idea ghibellina e ai suoi sostenitori fiorentini. N o n o s t a n t e questi travagli interni, Firenze aveva seguitato ad affermare la p r o p r i a p r e m i n e n z a in Toscana. La rivale più potente, Pisa, n o n si e r a più ripresa d o p o la disfatta della Meloria. La stella di Siena, che aveva brillato d o p o la vittoria di Montaperti, era t r a m o n t a t a insieme alle fortune degli H o h e n s t a u f e n e d e l l ' I m p e r o . C o n abile diplomazia, Fir e n z e aveva l e g a t o al s u o c a r r o Lucca e Pistoia. Restava 36
Arezzo, roccaforte della vecchia aristocrazia terriera, dov'er a n o ghibellini tutti, a n c h e il Vescovo Degli Libertini. La partita decisiva fu giocata nel 1289, a C a m p a l d i n o . Alla testa delle forze guelfe del c e n t r o Italia, i fiorentini vinsero. E da allora in poi p o t e r o n o a b b a n d o n a r s i con più i m p e g n o di p r i m a alle loro industrie, alle loro b a n c h e e alle loro risse. Ecco: questo è all'ingrosso, molto all'ingrosso, il p a n o r a m a dell'Italia al d e b u t t o del p r i m o dei suoi secoli d ' o r o . G e n o va, Milano, Venezia, Firenze e Napoli ne sono i poli. R o m a esiste u n i c a m e n t e in funzione della Corte Pontificia, e conta solo in q u a n t o vi risiedono i Papi. Q u a n d o costoro si trasferiscono ad Avignone, c o m e sta p e r succedere, l'Urbe scade a città di s e c o n d a c a t e g o r i a , e lo r i m a n e sino alla fine del T r e c e n t o . E un b o r g o squallido, infestato dalla malaria, con venti o trentamila abitanti sudici e affamati, le strade disselciate e i m o n u m e n t i in rovina, dove n o n fiorisce che un p o ' di retorica aizzata dai g r a n d i ricordi della R o m a augustea. Tuttavia questo mosaico di Stati, divisi e in p e r p e t u a lotta t r a loro, p r e s e n t a un f e n o m e n o di cui sono tutti dal più al m e n o partecipi: la crisi degl'istituti comunali. Sui suoi motivi si è sparso inchiostro a fiumi. Ma essi sono in fondo abbastanza semplici. Il p r i m o e più i m m e d i a t o è che questi istituti, con le loro m a g i s t r a t u r e elettive, n o n sono riusciti ad assicurare la condizione f o n d a m e n t a l e di u n a civile convivenza: l'ordine. Se Firenze ne r a p p r e s e n t a v a il caso-limite, un p o ' d o v u n q u e la libertà c o m u n a l e si e r a confusa c o n quella delle fazioni e delle loro risse. E il p o p o l o , stanco, era disposto a barattarla con la sicurezza, a n c h e condita di qualche sopruso. Il secondo motivo è che, p e r q u a n t o la democrazia avesse s e m p r e p i ù «aperto a sinistra», c o m e oggi si dice, le masse n o n c'erano mai r e a l m e n t e e n t r a t e con poteri dirigenziali, e q u i n d i vi si sentivano estranee. In u n a città c o m e Firenze, p e r e s e m p i o , i veri «cittadini» di p i e n o diritto, cioè c h e 37
c o n t a v a n o qualcosa, e r a n o c i n q u e o diecimila. Gli altri sessanta o settantamila e r a n o «sudditi». Un t e r z o m o t i v o e r a la d i l a t a z i o n e e la c r e s c e n t e c o m plessità dei r a p p o r t i economici. Il C o m u n e era nato nel Medio Evo, cioè in u n a fase di arteriosclerosi della vita italiana ed e u r o p e a . Era un microcosmo di b o t t e g h e artigiane a circuito chiuso o quasi: esse rifornivano di manufatti il contad o , c h e a sua volta le riforniva di m a t e r i e p r i m e e vettovaglie. Ma poi si e r a sviluppato il capitalismo ed e r a v e n u t o il «miracolo economico» con l e sue c o n s e g u e n z e : a u m e n t o della p r o d u z i o n e , q u i n d i necessità di i m p o r t a z i o n i e di esportazioni, cui l ' i m m e d i a t o c o n t a d o n o n poteva più sopp e r i r e . Il vecchio circuito chiuso era scoppiato, la sua impalc a t u r a autarchica cadeva in pezzi, s'imponeva u n a «pianificazione» più in g r a n d e . D a p p r i m a si e r a cercato di c r e a r e delle f e d e r a z i o n i fra C o m u n i , cioè di f o r m a r e dei piccoli MEC su p i e d e di parità. Ma il tentativo e r a fallito. N o n restava q u i n d i che la g a r a a chi sviluppava più forza di attrazione sui C o m u n i circostanti e m e g l i o si qualificava a u n a p a r t e di «Stato-guida» nei loro confronti. E p e r r a g g i u n g e r e questo t r a g u a r d o , il p o t e r e concentrato in u n a m a n o ferma, a n c h e se p r e p o t e n t e , si m o s t r a v a più i d o n e o di quello c h e n o n riuscivano mai a esercitare le effimere e p r e c a r i e magistrature elettive. Ma a questi motivi di sostanza, ne va a g g i u n t o un altro di n a t u r a ideologica: la crisi d e l guelfismo. Esso e r a stato la b a n d i e r a dei liberi C o m u n i nella lotta c o n t r o g l ' I m p e r a t o r i che cercavano di ridurli in loro p o t e r e , e c o n t r o l'aristocrazia feudale che in n o m e d e l l ' I m p e r o cercava di t e n e r e i m u nicipi tributari dei castelli. Firenze era stata guelfa n o n p e r d e v o z i o n e alla Chiesa, ma p e r c h é la C h i e s a b e n e d i c e v a i suoi «gonfaloni» q u a n d o m u o v e v a n o all'assalto dei m a n i e r i in cui si t r i n c e r a v a n o i nobili, investiti d a l l ' I m p e r a t o r e dei loro feudi e privilegi. Dalla m o r t e di Federico e dei suoi d u e figli, questa lotta e r a p r a t i c a m e n t e risolta: l ' I m p e r o , ridotto a un p u r o titolo onorifico, n o n r a p p r e s e n t a v a più u n a mi38
naccia, e la nobiltà ghibellina e r a s c o m p a g i n a t a e dispersa. Tuttavia il guelfismo restava c o m e mito della rivoluzione com u n a l e che si e r a svolta tutta sotto il suo segno, ne r a p p r e s e n t a v a il «sacro p r i n c i p i o » , c o m e la libertà, f r a t e r n i t à e uguaglianza lo sarebbero state della rivoluzione francese. Ma questa situazione si e r a capovolta con l'arrivo in Italia degli Angiò. Costoro, p u r senza avere il titolo imperiale, minacciavano di fare ciò che n o n e r a riuscito a g l ' I m p e r a t o r i di G e r m a n i a : cioè d'istaurare su tutta la penisola quel potere centrale laico c o n t r o cui, q u a n d o si era incarnato in Enrico IV, B a r b a r o s s a e Federico, i C o m u n i a v e v a n o lottato in n o m e a p p u n t o del guelfismo, cioè della Chiesa. Ma gli Angiò invece dalla Chiesa e r a n o stati chiamati. C o m e si poteva in n o m e di essa combatterli? Q u e s t o d r a m m a scoppiò p r o p r i o n e l l ' a n n o del Giubileo che i n a u g u r a v a il n u o v o secolo, ed ebbe a protagonisti, com e v e d r e m o , d u e p e r s o n a g g i d i eccezione: p a p a Bonifacio V i l i e Dante Alighieri. Ma intanto aveva p o r t a t o il suo contributo alla liquidazione del r e g i m e c o m u n a l e . A esso veniva a m a n c a r e la b a n d i e r a sotto cui si e r a formato e sviluppato. E le b a n d i e r e h a n n o la loro i m p o r t a n z a . La trasformazione dei C o m u n i in Signorie era già avviata alla fine del secolo. Fra P i e m o n t e e L o m b a r d i a b e n venti città si s o t t o m e t t o n o s p o n t a n e a m e n t e al Marchese di M o n ferrato. I Visconti sono già p a d r o n i di Milano e i Della Scala di Verona. Si affermano i Da C a m i n o a Treviso, i Colleoni a B e r g a m o , gli Este a Ferrara, i Bonacolsi a Mantova e M o d e na, i C o r r e g g i o a P a r m a , i Malatesta a Rimini, gli Ordelaffi a Forlì. L'età dei liberi C o m u n i è al c r e p u s c o l o . Albeggia quella dei despoti.
PARTE SECONDA
LA C A T T I V I T À DI B A B I L O N I A
CAPITOLO Q U I N T O
BONIFACIO V i l i
Il Trecento d e b u t t ò con u n a grandiosa festa: il Giubileo. Essa n o n esisteva nel c a l e n d a r i o della Chiesa, c h e fin allora n o n l'aveva mai c e l e b r a t a . La i n v e n t ò il P a p a che in q u e l m o m e n t o sedeva sul Soglio: Bonifacio V i l i . Il m o m e n t o era favorevole a u n a p r o v a di forza, diciamo così, organizzativa e s p e t t a c o l a r e . Sia p u r e a t t r a v e r s o m o m e n t a n e e crisi ed eclissi, la Chiesa e r a uscita b e n e dalle d u re p r o v e degli ultimi d e c e n n i . Il g r a n d e pericolo di venire asservita al p o t e r e laico era scomparso con Federico I I , «ultima possanza dell'Impero», c o m e Dante lo chiamò con u n a sfumatura di r i m p i a n t o . Da I n n o c e n z o I I I che aveva indossato la tiara nel 1198 a G r e g o r i o X c h ' e r a m o r t o nel 1276, e r a stato un seguito di Pontefici vigorosi e risoluti, che avevano d a t o al Papato forza e prestigio. Bonifacio s e m b r a v a l ' u o m o p i ù a d a t t o a r a c c o g l i e r n e i frutti. E r a r o m a n o . Veniva dall'orgogliosa e p r e p o t e n t e dinastia dei Conti Caetani. E di che pasta fosse, lo si vide dal m o d o con cui s'istallò sul Soglio. Alla m o r t e di Niccolò IV e r a n o seguiti d u e a n n i e mezzo d ' i n t e r r e g n o p e r c h é i Cardinali n o n e r a n o riusciti a mettersi d'accordo sul successore. E c o m e spesso capita in questi casi, si e r a scesi a un c o m p r o messo r i c o r r e n d o a u n a figura scialba che n o n desse noia a n e s s u n o : u n p o v e r o fraticello abruzzese, Pietro d a M o r r o n e , vissuto s e m p r e da a n a c o r e t a in un e r e m o vicino a Sulmona. Q u a n d o s e p p e cosa gli stava c a p i t a n d o , Pietro cercò di sottrarvisi con la fuga. Ma lo c a t t u r a r o n o , lo trascinarono di forza a Napoli, e lo c o r o n a r o n o col n o m e di Celestino V. Fra 43
gl'intrighi della Curia, il s a n t ' u o m o si sentì perso. La n o t t e udiva u n a voce che gli r o m b a v a nell'orecchio: «Io sono l'angelo che ti sono m a n d a t o a p a r l a r e , e cornandoti dalla p a r t e d i Dio grazioso c h e t u i m m a n t a n e n t e d e b b i r i n u n z i a r e a l Papato e ritorna' ad essere romito». Quella voce n o n e r a dell'angelo, m a del C a r d i n a l e Caetani c h e aveva istallato nella p a r e t e u n a specie di r u d i m e n tale telefono. I l p o v e r o C e l e s t i n o n o n c h i e d e v a d i m e g l i o che «ritorna' ad essere romito». Ma, d i g i u n o c o m ' e r a di diritto canonico, n o n sapeva c o m e c o m p i e r e quel gesto di rinunzia che n o n aveva p r e c e d e n t i nella storia della Chiesa. A fornirgli gli a r g o m e n t i p e r il «gran rifiuto» - c o m e lo chiamò Dante - fu il Caetani, che invece di diritto canonico e r a m a e s t r o e nel Codice si rigirava molto meglio che nel Vangelo. Così, sei mesi d o p o averla assunta, Celestino d e p o s e la tiara e r i d i v e n t ò frate P i e t r o da M o r r o n e senza m a i aver messo p i e d e a R o m a . In capo a u n d i c i giorni il C a e t a n i gli s u c c e d e t t e col n o m e di Bonifacio V i l i e c o m e p r i m a cosa m a n d ò a d a r r e s t a r e frate Pietro, t o r n a t o nel f r a t t e m p o a l suo e r e m o . Lo s v e n t u r a t o cercò di fuggire oltre Adriatico. Ma fu catturato e rinchiuso nel castello di F u m o n e , dove p o co d o p o m o r ì di stenti. N o n risulta che Bonifacio abbia avuto il m i n i m o trasalim e n t o d i r i m o r s o . Egli n o n e r a o b e r a t o d a u n a coscienza che potesse p r o c u r a r g l i e n e . E, q u a n t o a u n a giustizia divina cui r e n d e r e conto dei p r o p r i atti, ne negava risolutamente e a p e r t a m e n t e l'eventualità. L'inferno e il p a r a d i s o , diceva, sono già su questa terra. Il p r i m o è r a p p r e s e n t a t o dalla vecchiaia, dagli acciacchi e dall'impotenza; il secondo dalla gioventù, dalla salute, dalle d o n n e e dai bei guaglioni, p e r c h é verso i d u e sessi era imparziale. U n a volta, a un cappellano che implorava l'aiuto di Gesù, gridò inviperito: «Stolto, stolto! Gesù fu un u o m o c o m e noi. Se n o n potè nulla p e r sé, cosa vuoi che possa p e r gli altri?» Era un Papa del Rinascimento un p o ' in anticipo sui tempi, un Borgia avanti lettera, cinico e g a g l i a r d o , d i s p o t i c o , 44
teatrale e terrestre. Coltivava scrupolosamente tutti i peccati. E r a i n g o r d o : un g i o r n o di d i g i u n o maltrattò il cuoco perché gli aveva servito solo sei pietanze. Era avido di ricchezze: si faceva t r a p u n g e r e le vesti di g e m m e , e la sua tavola e r a a d d o b b a t a con quindici alberelli d ' o r o . Era superstizioso e d e d i t o ai sortilegi: i suoi coltelli a v e v a n o p e r m a n i c o c o r n a di s e r p e n t e , in tasca p o r t a v a u n a piastrella d ' o r o egiziana, e al dito un anello s t r a p p a t o al c a d a v e r e di re Manfredi: tutti amuleti c o n t r o il malocchio. Era un giocatore arrabbiato: si e r a fatto fare dei d a d i d ' o r o , ma guai all'avversario c h e osava b a t t e r l o . Ed e r a s o p r a t t u t t o assetato di d o m i n i o . Il g i o r n o dell'elezione, indossò la tiara e chiese agli astanti se lo c o n s i d e r a v a n o r a p p r e s e n t a n t e di Dio in t e r r a . A v u t a n e conferma, si mise in testa u n a c o r o n a , b r a n d ì u n a spada, e chiese se lo consideravano a n c h e I m p e r a t o r e . Dato il tipo, n e s s u n o osò n e g a r l o . La sua politica p r e s e avvio da quel gesto. Q u e s t o Papa m i s c r e d e n t e e blasfemo incarnava la maestà della C h i e s a e n o n a m m e t t e v a c h e il suo p r i m a t o t e r r e n o fosse r e v o c a t o in d u b b i o . Essa e r a , s e c o n d o lui, p a d r o n a e p r o p r i e t a r i a n o n solo delle a n i m e , m a d i tutto. Q u i n d i anche i troni le a p p a r t e n e v a n o : i re n o n ne e r a n o che m o m e n tanei appaltatori. Figuriamoci se poteva tollerare dissidenze d e n t r o gli Stati pontifici. I C o l o n n a , che ne t e n t a r o n o u n a , furono scomunicati e costretti alla fuga. Bonifacio ne confiscò le t e r r e , fece r a d e r e al suolo la loro roccaforte, Palestrina, e ne cosparse di sale le rovine in segno di purificazione. Q u a n d o l ' i m p e r a t o r e Alberto d'Austria gli m a n d ò c o m e ambasciatore un semplice frate, Bonifacio gli r u p p e il naso con u n calcio p r o c u r a n d o g l i u n a grave e m o r r a g i a . Ma n a t u r a l m e n t e n o n tutti e r a n o disposti a subire simili p r e p o t e n z e , e re Filippo di Francia, p e r esempio, vi rispose a t o n o p r o i b e n d o al clero d ' i n v i a r e a R o m a le d e c i m e raccolte nei suoi Stati. E r a un colpo grave p e r le finanze della Chiesa p e r c h é la Francia e r a la loro fonte più grassa. Ma lo e r a a n c h e p e r il prestigio del Papato. Fu allora che Bonifa45
ciò indisse il Giubileo: un p o ' p e r rivalersi dello smacco politico, un p o ' p e r colmare i vuoti in cassaforte. E l'iniziativa n o n poteva essere più c o n g e n i a l e al c a r a t t e r e teatrale dell'uomo e alla sua vocazione di g r a n d e regista. Il lancio p u b b l i c i t a r i o fu p e r f e t t o . Per mesi e mesi, dai pulpiti di tutta E u r o p a , i p r e d i c a t o r i b a n d i r o n o il pellegrinaggio v a n t a n d o i benefici che c'era da aspettarsene: la salvezza dell'anima e i diletti turistici. Allo s t a m b u r e g g i a n t e ric h i a m o , si m o s s e r o c e n t i n a i a di migliaia di p e r s o n e , chi a piedi, chi su carri, chi a cavallo. I più, data la lunghezza e i rischi del viaggio, fecero p r i m a t e s t a m e n t o . E p a r e c c h i infatti m o r i r o n o p e r s t r a d a , ma sicuri di volare in p a r a d i s o . Da un capo all'altro dell'anno, l'Urbe registrò un m o v i m e n to di trentamila pellegrini al giorno. A n d a v a n o in colonna a p r o s t e r n a r s i sulle t o m b e degli Apostoli, d o v e r i c e v e v a n o l'indulgenza p l e n a r i a e lasciavano c a d e r e il loro obolo, che d u e diaconi a r m a t i di pala si affrettavano a r a s t r e l l a r e . La m e d i a g i o r n a l i e r a degl'introiti fu di mille libbre al g i o r n o : cifra, p e r quei tempi, colossale. Dove gli ospiti alloggiassero e d o r m i s s e r o , n o n si sa. Ma a q u a n t o p a r e i r o m a n i ci fecero affari d ' o r o . Finalmente la città t o r n ò a sentirsi caput mundi, la capitale del m o n d o , e ad a s s a p o r a r e il g u s t o delle folle poliglotte e multicolori, dell'abbondanza e della gozzoviglia. Fra i pellegrini ce ne f u r o n o di g r a n m a r c a , p o t e n t i Sig n o r i , P r i n c i p i d e l s a n g u e . Ma a noi p r e m e s e g n a l a r e sop r a t t u t t o d u e fiorentini, il cui n o m e n o n aveva a n c o r a varcato le m u r a della loro città. U n o è D a n t e Alighieri che lì a R o m a e in quella circostanza, si dice, trovò l'ispirazione p e r l a sua g r a n d e o p e r a . Q u a n t o sia v e r o , n o n s a p p i a m o . M a che sia stato pellegrino del Giubileo è certo p e r c h é più tardi lo r i c o r d ò in d u e terzine famose in cui ci dice a n c h e c h e il traffico e r a stato regolato con la circolazione a destra. L'avv e n i m e n t o suscitò in lui, che aveva allora t r e n t a c i n q u ' a n n i , u n ' i m p r e s s i o n e indelebile. N o n a l t r e t t a n t o invece se ne lasciò a b b a g l i a r e il s u o c o m p a t r i o t a G i o v a n n i Villani c h e , 46
m e r c a n t e e figlio di m e r c a n t i , g u a r d ò lo spettacolo con occhi p i ù realistici. Egli scrisse poi di a v e r t r o v a t o a R o m a i suoi maestri di stile: Virgilio, Tito Livio e Sallustio, sebbene le s u e Croniche r i c o r d i n o p o c o questi m o d e l l i . Ma sotto la g r a n d i o s a messinscena di quelle celebrazioni, colse i sintomi della d e c a d e n z a r o m a n a e li a n n o t ò . Di fiorentini p e r ò ce n ' e r a n o molti altri, alcuni a n c h e in incognito. Fra costoro e r a Corso Donati, il capo della fazione N e r a , che Firenze aveva proscritto, e il Papa sollecitamente accolto. D i r e m o p i ù tardi che razza d ' u o m o fosse. Per o r a ci basti sapere che stava t r a m a n d o con Bonifacio, il quale aveva m i r e annessionistiche sulla Toscana. N o n a v e n d o forze p e r realizzarle, aveva allacciato trattative con re Filippo di Francia. L'operazione n o n e r a nuova. Alla Francia il Papato si era già rivolto t r e n t ' a n n i p r i m a p e r c h é gli m a n d a s s e un esercito a liberarlo dalla minaccia dei figli di Federico, M a n f r e d i e C o r r a d o . E n ' e r a seguita quella s p e d i z i o n e di C a r l o d'Angiò, fratello d e l Re, c h e con le battaglie di B e n e v e n t o e di Tagliacozzo aveva eliminato le forze tedesche degli H o h e n staufen e f o n d a t o il R e g n o a n g i o i n o delle d u e Sicilie. O r a p e r ò di Sicilie n ' e r a r i m a s t a u n a sola p e r c h é quella vera si era ribellata coi «Vespri» e si e r a data agli A r a g o n a . E sul trono di Napoli c'era Carlo lo z o p p o o «ciotto», che n o n riusciva a riconquistare l'isola. Bonifacio p r o p o s e a Filippo di m a n d a r e in aiuto dell'Angiò un altro esercito che p a s s a n d o p e r Firenze la sottomettesse alla Chiesa. E i «Neri» di Donati d o v e v a n o facilitare il colpo d a l l ' i n t e r n o . Filippo e r a un Re a v a r o e r a g i o n a t o r e che n o n a m a v a le a v v e n t u r e e detestava i p r e t i . Però aveva un fratello senza «posto» né stipendio, Carlo di Valois, ober a t o da q u a t t o r d i c i figli, fra cui dieci f e m m i n e a cui far la dote. Anche p e r levarselo di t o r n o , Filippo accettò che Carlo si mettesse al servizio del Papa c o m e C a p i t a n o generale e Paciere p e r la Toscana. Ma lesinò u o m i n i e d e n a r o . Bonifa47
ciò allora c o m b i n ò a Carlo un m a t r i m o n i o con C a t e r i n a di Courtenay, e r e d e (in teoria) d e l l ' I m p e r o di Costantinopoli. Carlo, che i fiorentini c h i a m a v a n o con s c h e r n o «Senzaterra», rimase abbagliato da quel miraggio - destinato a restar tale - e persuase il fratello a fornirgli aiuti p i ù consistenti. Il b a r a t t o fu concluso p r o p r i o m e n t r e si chiudeva il Giubileo, alla fine d e l l ' a n n o . I fiorentini, invece di unirsi nella resistenza, si divisero v i e p p i ù . Fra loro s c o p p i a r o n o risse, saccheggi e incendi. E Carlo, con un p u g n o di uomini, p o t è e n t r a r e in città accolto quasi c o m e un pacificatore vero. Ma t u t t a l ' o p e r a z i o n e si risolse in u n a massiccia v e n d e t t a d e i «Neri» c o n t r o i «Bianchi», di cui a n c h e D a n t e fece le spese, p e r c h é il p i a n o d e l P a p a fallì in s e g u i t o al v i o l e n t o litigio scoppiato frattanto fra lui e Filippo. In u n o dei soliti accessi di a u t o r i t a r i s m o , Bonifacio aveva m a n d a t o al Re u n a bolla in cui ribadiva la p r o p r i a p r e t e sa al p a t r o n a t o su tutti i Sovrani t e m p o r a l i . Filippo, c h e su questo p u n t o e r a intrattabile, lesse il messaggio davanti alla C o r t e r i u n i t a , i n v o c ò la m a l e d i z i o n e di Dio su c h i u n q u e avesse r i c o n o s c i u t o u n ' a u t o r i t à t e r r e n a a l d i s o p r a d e l l a sua, e fece b r u c i a r e il d o c u m e n t o sulla pubblica piazza. Bonifacio lanciò la scomunica c o n t r o di lui. Filippo rispose ind i c e n d o un Concilio c h e i n c r i m i n ò il P a p a di e m p i e t à , sim o n i a , stregoneria, a d u l t e r i o e assassinio. Ma n o n c o n t e n to di q u e s t o , incaricò il suo m i n i s t r o N o g a r e t di a n d a r e a R o m a e di organizzarvi coi C o l o n n a u n a c o n g i u r a c o n t r o il Pontefice. N o g a r e t e r a il p e r s o n a g g i o p i ù indicato p e r quell'impresa. Aveva da r e g o l a r e c o n la Chiesa un vecchio c o n t o : suo p a d r e e sua m a d r e e r a n o stati bruciati c o m e eretici dal trib u n a l e dell'Inquisizione. Di complici r o m a n i , d a t o il caratt e r e s a t r a p e s c o di Bonifacio, ne t r o v ò a iosa. I n s i e m e a Sciarra Colonna, nella notte fra il 6 e il 7 settembre (1303), p e n e t r ò negli a p p a r t a m e n t i del Papa ad A n a g n i i n t i m a n d o gli di p r e s e n t a r s i al Concilio. I n t r e p i d a m e n t e il vecchio Pontefice, carico di vizi e di peccati, ma a n c h e di coraggio e 48
di o r g o g l i o , rispose: «Ecco il m i o collo, ecco la mia testa!» Ma n o n cedette né alle minacce né alle violenze. Q u a l c u n o dice che Sciarra lo schiaffeggiò, ma p a r e che n o n sia vero. I c o n g i u r a t i l o t e n n e r o p r i g i o n i e r o f i n q u a n d o i n suo aiuto accorse il cardinale Fieschi con u n a b a n d a di armati. Il p o polino di Anagni, che fino a quel m o m e n t o aveva fatto bald o r i a u r l a n d o : «Morte a Bonifacio e,viva il Re di Francia!», c a m b i ò b a n d i e r a , i n v e r t ì il g r i d o , e costrinse il N o g a r e t a u n a fuga precipitosa. D u e settimane d o p o , Bonifacio r i e n t r ò a R o m a insanguin a t a dalle fazioni. E r a d i l a n i a t o d a i calcoli r e n a l i , e i suoi gridi di dolore si udivano in tutta piazza San Pietro. La folla aveva saccheggiato il L a t e r a n o a s p o r t a n d o perfino il fieno dalle stalle. Nell'agonia Bonifacio seguitò a lanciare maledizioni e m i n a c c e c o n t r o tutti. E m o r ì c o m e visse: b e s t e m miando.
CAPITOLO SESTO
ARRIGO VII
N e m m e n o la m o r t e di Bonifacio placò l'odio di Filippo p e r lui. A n c o r a p e r sette a n n i q u e l Re r a n c o r o s o e vendicativo r e c l a m ò l'indizione di un processo c o n t r o il P a p a d e f u n t o , e alla fine la s p u n t ò . Un c o n c i s t o r o r i u n i t o a G r o s e a u nel 1310 a p r ì l'istruttoria, e sei p r e l a t i suffragarono c o n le loro t e s t i m o n i a n z e le accuse più gravi. Bonifacio, riferirono, n e g a v a l a r e s u r r e z i o n e sia d e l c o r p o c h e d e l l ' a n i m a . Sec o n d o lui i d o g m i n o n e r a n o che invenzioni p e r t e n e r e i n rispetto il p o p o l i n o r i c a t t a n d o l o con la minaccia dell'infern o . Aveva definito a s s u r d a l'idea che Dio fosse insieme divino e u m a n o , u n o e t r i n o . Trovava ridicolo c h e la M a d o n na avesse p a r t o r i t o in stato di verginità e c h e u n a sfoglietta d i f a r i n a , solo p e r c h é c o n s a c r a t a , p o t e s s e t r a m u t a r s i n e l c o r p o di Cristo. «Solo gl'imbecilli p o s s o n o c r e d e r e a q u e ste stupidaggini» aveva d i c h i a r a t o . «Le p e r s o n e intelligenti d e v o n o fingere di c r e d e r c i , e poi r a g i o n a r e col p r o p r i o cervello». Q u e s t e accuse somigliavano t r o p p o a l p e r s o n a g g i o p e r essere del tutto infondate. Ma a n c h e i più accaniti avversari di Bonifacio capivano che la loro divulgazione sarebbe stata un colpo m o r t a l e n o n soltanto a lui e al suo n o m e , ma a tutta la Chiesa e all'ordine costituito. Alla fine a n c h e Filippo se ne p e r s u a s e e accettò c h e il p r o c e s s o fosse d e m a n d a t o al Concilio e c u m e n i c o d e l l ' a n n o d o p o . Q u i i Cardinali d e p o sero all'unanimità in favore del m o r t o , della sua ortodossia e della sua moralità. S e c o n d o le regole d e l l ' o n o r e , d u e Cavalieri lanciarono sul b a n c o dei testimoni i loro g u a n t i cont r o chi avesse osato affermare il contrario. N e s s u n o raccolse 50
la sfida. La p r o v a fu considerata conclusiva, e il dibattimento si chiuse con un «non luogo a procedere». Anche così liquidato, il processo tuttavia era stato, p e r la Chiesa, un disastro. Essa n o n vi si sarebbe mai prestata, se nel 1305 n o n fosse s o p r a v v e n u t o un a v v e n i m e n t o di eccezionale i m p o r t a n z a e di conseguenze destinate a farsi risentire nei secoli: il t r a s f e r i m e n t o del P a p a t o a Avignone. Ved i a m o un p o ' c o m e ci si e r a arrivati. Noi n o n s a p p i a m o se tutti i delitti, morali e ideologici, attribuiti a Bonifacio fossero veri. Ma un misfatto lo aveva commesso c e r t a m e n t e , a n c h e se i n v o l o n t a r i a m e n t e : aveva reso necessario, o a l m e n o possibile, questo fatale trasloco. Il suo autoritarismo e n e p o t i s m o avevano rianimato gli odi e le rivalità fra le fazioni dell'aristocrazia r o m a n a . C ' e r a n o t r o p p i conti da saldare, t r o p p e v e n d e t t e da t r a r r e . L'aria dell'Urbe e r a diventata irrespirabile c o m e ai t e m p i di Marozia. Il successore di Bonifacio, B e n e d e t t o XI, aveva fatto del suo meglio p e r calmare le acque. Era Niccolò Boccasini, un d o m e n i c a n o di Treviso. Veniva da u n a m o d e s t a famiglia di borghesia notarile, da giovane aveva fatto il p r e c e t t o r e a Venezia, poi aveva p r e s o gli o r d i n i e si e r a g u a d a g n a t o fama di g r a n teologo. Ma aveva a n c h e b u o n e qualità diplomatiche e le sfoggiò nelle sue missioni di Legato in U n g h e r i a , Slesia e Polonia. Al C o n c l a v e d e l 1303 m a n o v r ò con accortezza. Q u a n d o vide che l'ispirazione dello Spirito S a n t o n o n bastava a procurargli il successo, la «integrò» con 50.000 fiorini. Ma n o n bisogna scandalizzarsene: e r a la prassi n o r m a l e . B e n e d e t t o agì c o n m o l t o b u o n senso. Per ristabilire il p r e s t i g i o della Chiesa, inflisse castighi ai r e s p o n s a b i l i dei d i s o r d i n i di A n a g n i . Ma nello stesso t e m p o c e r c ò un accom o d a m e n t o con Filippo p e r d i s s u a d e r l o dal processo contro Bonifacio. N o n riuscendovi, cercò a l m e n o di g u a d a g n a r t e m p o e di sottrarsi p e r i n t a n t o alla soffocante tutela francese che incombeva su R o m a e l'Italia sia da Parigi che da Napoli. La sua p i ù pericolosa «quinta colonna» e r a la fazione 51
N e r a d i Firenze, r i m a s t a o r m a i p a d r o n a della città. B e n e d e t t o v i m a n d ò u n suo L e g a t o d i f i d u c i a p e r i m p o r r e u n a riconciliazione coi fuorusciti Bianchi c h e consentisse a costoro di r i e n t r a r e in p a t r i a e di ristabilirvi un c e r t o equilibrio politico. Ma i N e r i p r e v e n n e r o il colpo s c a t e n a n d o tumulti e a p p i c c a n d o i n c e n d i di cui d i e d e r o la colpa agli avversari. B e n e d e t t o , sdegnato, scomunicò la città e ingiunse ai cap o r i o n i di p r e s e n t a r s i a Perugia p e r discolparsi. L'interrogatorio cominciò il 6 luglio (1304). Il 7, il Papa e r a m o r t o , n o n si è mai s a p u t o di che. Corse voce che un giovane travestito da suora gli aveva p o r t a t o un cesto di fichi avvelenati. Forse l'episodio n o n è vero. Ma il carattere dei p e r s o n a g gi lo r e n d e verosimile. Di n u o v o il Soglio diventò la posta di un giuoco di fazioni che se lo contesero con la violenza, gl'imbrogli e gl'intrighi. S t a n d o al Villani, l'elezione d e l 1305 fu decisa da un complotto fra l'Orsini e Niccolò da Prato, che elusero la regola d e l l ' i s o l a m e n t o cui i C a r d i n a l i son t e n u t i d u r a n t e il Conclave incontrandosi di notte in un gabinetto di decenza. T a n t o che, d o p o la p r o c l a m a z i o n e del vincitore, coloro che gli avevano negato il voto u r l a r o n o : «Roba da latrina!» I l vincitore e r a B e r t r a n d d e Got, Arcivescovo d i B o r d e a u x , che assunse il n o m e di C l e m e n t e V La Storia ha trattato con p o c a m i s e r i c o r d i a q u e s t o Pontefice a t t r i b u e n d o a lui la catastrofica decisione di trasferire il Papato ad Avignone e di r e n d e r l o p e r oltre s e s s a n t a n n i prigioniero del Re di Francia. Ma il fatto è che, q u a n d o indossò la tiara, C l e m e n t e e r a già egli stesso p r i g i o n i e r o di Filippo e d e i C a r d i n a l i francesi che o r m a i formavano la m a g g i o r a n z a del Conclave. F u r o n o loro a vietargli di a n d a r e a Roma. C l e m e n t e d o v e t t e c e d e r e . Era u n u o m o frugale, p i o e malinconico, roso d a l l ' i n s o n n i a e dalla n e v r a s t e n i a , e insidiato da un lupulus che p r o b a b i l m e n t e e r a u n a fistola, e che di lì a p o c h i a n n i Io a v r e b b e ucciso. P u r in mezzo a questi triboli, cercò di fare gl'interessi della Chiesa, e la scelta di 52
Avignone fu p r o b a b i l m e n t e un c o m p r o m e s s o . La città n o n a p p a r t e n e v a alla c o r o n a di Francia, ma agli Angiò di N a p o li. C l e m e n t e s p e r ò di g o d e r v i p i ù sicurezza c h e a R o m a e p i ù libertà che a Parigi. Dalle i n v a d e n z e di Filippo si difese c o m e p o t è , o r a c o m p i a c e n d o g l i , o r a resistendogli, m a mai a r r e n d e n d o s i a discrezione. Il processo c o n t r o Bonifacio lo subì con riluttanza, poi lo fece a g g i o r n a r e , e infine riuscì a insabbiarlo. Fu u n o dei suoi meriti, ma n o n il solo. Tre a n n i p r i m a infatti aveva fornito u n ' a l t r a p r o v a d ' i n d i p e n d e n z a , che aveva avuto u n a grossa ripercussione politica s p e c i a l m e n t e in Italia. La c o r o n a di Sacro R o m a n o I m p e r a t o r e e r a r i m a s t a senza titolare. A q u e s t a carica, lo abb i a m o già d e t t o , n o n c o r r i s p o n d e v a p i ù n e s s u n p o t e r e effettivo. Però essa faceva s e m p r e gola, specie a quei Reucci e Principi che, n o n a v e n d o né g r a n d i Stati né g r a n d i eserciti, a m b i v a n o a d a r r i c c h i r e a l m e n o i l b l a s o n e . Filippo c h e u n g r a n d e Stato e un g r a n d e esercito (per quei tempi) li aveva, di quella c o r o n a n a t u r a l m e n t e s'infischiava. Ma aveva ancora da sistemare q u e l d i s o c c u p a t o fratello C a r l o , c h e aveva t e r m i n a t o la sua avventura italiana c o m e g e n e r a l e dei cugini Angiò. Alla testa delle loro t r u p p e , aveva cercato di riconq u i s t a r e la Sicilia, ma gli a r a g o n e s i lo a v e v a n o b a t t u t o , ed egli era t o r n a t o in Francia più «senzaterra» di p r i m a . Filippo pensava che la c o r o n a imperiale gli avrebbe dato, se n o n a l t r o , un r a n g o , e s o p r a t t u t t o a v r e b b e liberato la C o r t e di Parigi dalla sua i n g o m b r a n t e e q u e r u l a presenza. Ma la parola decisiva spettava al P a p a p e r c h é era il Papa che c o r o n a v a g l ' I m p e r a t o r i . E C l e m e n t e , p e r q u a n t o francese, n o n volle un francese. Preferì un c a n d i d a t o n e u t r o come A r r i g o di L u s s e m b u r g o che, a n c h e se fosse sceso in Italia, n o n aveva a b b a s t a n z a forze p e r i m p o r l e u n giogo. N e aveva solo p e r c r e a r e un c o n t r a p p e s o agli angioini di N a p o li che s e m p r e più intrigavano a R o m a . Purtroppo, Arrigo era un principe romantico e un po' 53
s p r o v v e d u t o , cui quell'inatteso titolo d i e d e il capogiro. Decise di a n d a r e a c i n g e r e la c o r o n a a R o m a , c o m e a v e v a n o fatto C a r l o m a g n o e il B a r b a r o s s a , e il P a p a gli p r o m i s e di r a g g i u n g e r v e l o p e r c o n s a c r a r l o s o l e n n e m e n t e . Bastò l'ann u n z i o della sua discesa in Italia nel 1310 p e r c h é la penisola i m m e d i a t a m e n t e si dividesse, c o m e s e m p r e aveva fatto e a v r e b b e s e g u i t a t o a fare n e i secoli a l l ' a r r i v o di qualsiasi s t r a n i e r o . Per lui f u r o n o quasi t u t t e le n u o v e S i g n o r i e del S e t t e n t r i o n e : i Visconti, i Della Scala, i G o n z a g a , gli Este, i Malatesta, i Polenta eccetera. C o n t r o , furono n a t u r a l m e n t e gli Angiò di N a p o l i e i N e r i di Firenze, t u t t o r a p a d r o n i della città. Per l'occasione fu ritirata fuori la vecchia n o m e n c l a t u r a ideologica del Guelfismo e del Ghibellinismo. Ma p r o p r i o allora si vide q u a n t o sfasate e fuori corso fossero queste parole. A r r i g o , è v e r o , i n c a r n a v a il p o t e r e laico d e l l ' I m p e r o . M a l a Chiesa, stavolta, e r a dalla sua p a r t e c o n t r o u n altro p o t e r e laico: quello d e i Re francesi di Parigi e di Napoli. I r e g i m i c o m u n a l i , c h e a v e v a n o c o n q u i s t a t o l e loro a u t o n o mie in n o m e del Papa, n o n potevano più sventolarne la b a n d i e r a . E se questo n o n provocò il loro d e c a d i m e n t o , dovuto ad altre cause, lo affrettò. Arrigo si mise in marcia con la moglie Margherita di Brab a n t e , i fratelli Valeramo e Baldovino, i cognati A m e d e o di Savoia e G u i d o di F i a n d r a , e altri gentiluomini di g r a n n o m e , ma di p o c o seguito. Forse la scarsezza di forze n o n sar e b b e risultata decisiva, se fosse stata c o m p e n s a t a dall'abb o n d a n z a di mezzi. Ma gl'italiani s e p p e r o subito che a n c h e la cassa e r a miserella: stava tutta su un carretto, di cui qual u n q u e b a n c h i e r e fiorentino, a n c h e il più m o d e s t o , avrebbe p o t u t o da solo fornire l'eguale. Nel N o r d , le accoglienze furono festose, perfino entusiastiche. I Marchesi di Savoia e M o n f e r r a t o a n d a r o n o incontro ad Arrigo, Milano gli accese le luminarie; Dino C o m p a gni, C i n o da Pistoia, Francesco da B a r b e r i n o , gl'inviarono infiammati messaggi di b e n v e n u t o , sui quali fece spicco p e r 54
biblica s o l e n n i t à quello di D a n t e . La bella festa fu t u r b a t a solo d a u n piccolo, m a significativo i n c i d e n t e . P r i m a della c o r o n a d ' I m p e r a t o r e , la cosiddetta «prassi» voleva che Arrigo cingesse, lì a Milano, quella di Re d'Italia. E r a un rozzo aggeggio di ferro, in seguito arricchito di pietre preziose da Teodolinda, e lo si diceva ricavato da un chiodo della Croce. Per cui lo si considerava sacro e lo si conservava nel D u o m o di Monza. Ma q u a n d o a n d a r o n o a cercarlo p e r p o r l o sulla testa d i A r r i g o , n o n l o t r o v a r o n o . Era s p a r i t o , n e s s u n o n e sapeva nulla, e solo a n n i d o p o un robivecchi e b r e o lo ritirò fuori: lo aveva avuto in p e g n o , disse, da G u i d o della T o r r e p e r un piccolo prestito. In questo conto gli italiani tenevano o r m a i il titolo di Re d'Italia. Arrigo dovette contentarsi di un'altra corona, che un orafo senese gli confezionò lì p e r lì. Era molto p i ù bella e fin e m e n t e cesellata di quella persa. C'era più o r o , c'erano più gioielli. Ma in m e n o c'erano alcuni secoli di Storia. La cerimonia n o n era a n c o r a finita che già p e r il p o v e r o A r r i g o c o m i n c i a v a n o i g u a i . D o v e t t e a r b i t r a r e il dissidio scoppiato lì a Milano fra i Visconti e i Della T o r r e , ed essendosi p r o n u n c i a t o in favore d e i p r i m i , e b b e c o n t r o di sé la m e t à della popolazione. C r e m o n a , Lodi, Pavia e Brescia gli chiusero le p o r t e in faccia, Bologna ne imitò l'esempio, e re R o b e r t o di N a p o l i mobilitò. Ma il cervello e la cassaforte della resistenza e r a F i r e n z e , c o n t r o cui D a n t e scagliò u n a r o v e n t e invettiva. A r r i g o e r a t r o p p o c a n d i d o p e r venire a capo di quell'imb r o g l i o . N o n aveva t o r t o un capello a n e s s u n o , n o n aveva i m p o s t o tasse n é servitù, c h i e d e v a solo u n r i c o n o s c i m e n t o formale del suo titolo, e n o n capiva p e r c h é più di mezza Italia glielo contestasse. N o n p o t e n d o a t t r a v e r s a r l a via t e r r a p e r c h é B o l o g n a e Firenze gli s b a r r a v a n o gli A p p e n n i n i , si trasferì a G e n o v a col p r o p o s i t o di r a g g i u n g e r e R o m a via m a r e . N o n voleva m a n c a r e l ' a p p u n t a m e n t o col Papa in San Pietro, ma p e r strada s e p p e che C l e m e n t e aveva rinunziato al viaggio e delegato a un C a r d i n a l e il c o m p i t o d ' i n c o r o n a r e 55
l ' I m p e r a t o r e , in seguito a un p e r e n t o r i o o r d i n e di re Filipp o . Tutto il N o r d Italia era in subbuglio. E i più forti sostenitori di Arrigo, con C a n g r a n d e della Scala alla testa, avevano d o v u t o a b b a n d o n a r l o p e r c o r r e r e a difendere i loro Stati dall'attacco di quelli vicini. A Genova lo aspettava il colera che gli p o r t ò via la giovane e bella moglie M a r g h e r i t a . Ma n e m m e n o questo valse a sottrarlo al miraggio della c o r o n a che lo attendeva a R o m a . La voleva a ogni costo, con infantile ostinazione, attribuend o l e chissà quali t a u m a t u r g i c i p o t e r i . N a t o e cresciuto in L u s s e m b u r g o , A r r i g o e r a un parvenu fra i r e g n a n t i del suo t e m p o , un nobile di provincia, un «vitellone» del Gotha, che credeva ai simboli, ai blasoni e alle «precedenze». U n a nave lo c o n d u s s e a Pisa, d o v e e r a n o c o n v e n u t i tutti i fuorusciti Bianchi di Firenze, fra cui D a n t e e un certo Messer Petracco, che teneva p e r m a n o un bimbetto di sette a n n i : il futuro Francesco Petrarca. Di lì Arrigo ripartì p e r Roma, dove il 29 g i u g n o (1312) t r e C a r d i n a l i f i n a l m e n t e l o c o r o n a r o n o i n Laterano. Ma all'emozione seguì subito la d e l u s i o n e . Invitato a riconoscersi vassallo d e l l ' I m p e r o , re Roberto di Napoli n e m m e n o rispose. Arrigo ricorse alla m a n i e r a forte: chiese aiuto a Genova e a Pisa che gli fornirono novanta galee p e r attaccare Napoli. Ma da Avignone giunse un veto del Papa, che in realtà e r a di Filippo. A r r i g o licenziò la flotta, a d u n ò l'esercito e lo condusse su Firenze. La città aveva già mobilitato 10.000 fanti e 5.000 cavalieri: il d o p p i o di quelli di cui l ' I m p e r a t o r e disponeva. Sconfortato, Arrigo fece dietro-front p e r p u n t a r e nuovam e n t e su N a p o l i . Forse ve lo aveva consigliato q u a l c u n o . Forse voleva s o l t a n t o c o n c l u d e r e in bellezza, c a d e n d o sul c a m p o di battaglia, la sua r o m a n t i c a e anacronistica avvent u r a . Ma la s o r t e n o n gli concesse n e m m e n o q u e s t o . A B u o n c o n v e n t o in provincia di Siena, fu colto da u n a febbre violenta, e il 24 agosto m o r ì . La voce pubblica accusò un frate, B e r n a r d i n o da M o n t e p u l c i a n o , di avergli messo il veleno 56
d e n t r o l'ostia consacrata. Forse n o n è vero, ma l'ipotesi era resa attendibile dal largo uso che si faceva di questi metodi. Il cordoglio fu g r a n d e in tutta l'Italia antifrancese e antiangioina. C i n o da Pistoia inviò il suo c o m p i a n t o a G u i d o da Polenta, Sennuccio del B e n e a Moroello Malaspina; Dante p i a n s e p e r c o n t o suo sugli ultimi capitoli del De Monarchia, il saggio che stava c o m p o n e n d o p e r d i m o s t r a r e la validità delle p r e t e s e di A r r i g o . Pisa ghibellina, fino all'ultimo rimasta fedele a l l ' I m p e r a t o r e , ne rivendicò le spoglie e trib u t ò loro solenni o n o r a n z e . Così finì l'ultimo t e n t a t i v o d ' i s t a u r a z i o n e d i u n p o t e r e laico sull'Italia, che o r a poteva t o r n a r e ad a b b a n d o n a r s i alla sua vera e unica vocazione: il fratricidio.
CAPITOLO SETTIMO
DANTE
Di questi subbugli e convulsioni, D a n t e n o n fu soltanto il tes t i m o n e , m a a n c h e u n p r o t a g o n i s t a . Sulla sua d e p o s i z i o n e ci sono da fare m o l t e riserve. E quella di u n a p a r t e lesa, e p e r di p i ù f i o r e n t i n a , cioè p a r z i a l e e i n g i u s t a . Ma n e s s u n p o e t a h a m a i i n c a r n a t o p i ù d i lui i l p r o p r i o t e m p o con l e sue g r a n d e z z e e miserie, con le sue c r e d e n z e e superstizioni, coi suoi aneliti e i suoi pregiudizi. La sua vita è un docum e n t o in cui, sia p u r e deformate dalla passione, si ritrovano tutte le vicende di Firenze e dell'Italia di allora. E r a n a t o nel 1265, cioè c i n q u e a n n i d o p o la battaglia di M o n t a p e r t i , q u a n d o i ghibellini avevano r i p r e s o il sopravvento in u n a Firenze sconfitta dalle forze di Siena e dei suoi alleati imperiali, e il suo vero n o m e era D u r a n t e . La famiglia era guelfa. Ma n o n era stata bandita p e r c h é n o n era di quelle che p o t e v a n o i m p e n s i e r i r e i nuovi p a d r o n i . Gli Alighieri un t e m p o si e r a n o chiamati Elisei e avevano un'origine nobiliare. U n o di loro, Cacciaguida, e r a stato Crociato in Terrasanta: il che allora equivaleva a un blasone. Poi la dinastia si era divisa in d u e rami, gli Alighieri e i Del Bello, ma nessuno di essi e r a diventato cospicuo. Il p a d r e di Dante, Alighiero, aveva un p o ' di t e r r a e delle case. Ma n o n ne ricavava di che tirare avanti la famiglia, e p a r e che s'ingegnasse p r a t i c a n d o a n c h e un p o ' d ' u s u r a , ma su modestissima scala. Desumiamo la sua pochezza s o p r a t t u t t o dal silenzio di D a n t e che di lui n o n parlò mai: il che ci fa p e n s a r e che n o n abbia n u t r i t o nei suoi r i g u a r d i né affetto né rispetto. Alighiero aveva sposato u n a certa Bella di cui s a p p i a m o solo che, d o p o avergli dato quel figlio, morì. Il b a m b i n o d o 58
veva avere fra i tre e i cinque a n n i , e n e m m e n o di lei ha mai parlato forse p e r c h é n o n la ricordava. In casa gli piovve u n a matrigna, L a p a , che diede a Alighiero altri tre figli: un maschio e d u e femmine. Molti biografi dicono che D a n t e ebbe un'infanzia infelice fra quella m a m m a che n o n e r a la sua e quei fratelli che lo e r a n o solo a metà. Ma n o n s a n n o a d d u r ne altra p r o v a che il carattere di Dante, rimasto s e m p r e o m broso, chiuso e malinconico. In realtà, dai pochi e vaghi acc e n n i c h e D a n t e ci ha lasciato di questi p a r e n t i , si d i r e b b e anzi ch'essi gli furono molto vicini e solidali, specie nei m o m e n t i difficili. La sorellastra Tana, c o m e a p p a r e da un passaggio della Vita nova, lo c u r ò a m o r o s a m e n t e d u r a n t e u n a malattia, e il fratellastro Francesco gli p r e s t ò parecchi soldi e poi v o l o n t a r i a m e n t e lo a c c o m p a g n ò sulla via dell'esilio. A Firenze c'è a n c o r a la «casa di Dante». Ma n o n è certam e n t e quella in cui egli n a c q u e e crebbe, p e r c h é questa fu d e m o l i t a q u a n d o v e n n e b a n d i t o : l a d i s t r u z i o n e della casa faceva p a r t e del castigo c h e s'infliggeva ai n e m i c i politici vinti. P e r ò sorgeva nelle vicinanze, in q u e l l o c h e allora si chiamava il «sesto di Porta San Piero». N o n s a p p i a m o come fosse fatta, ma s a p p i a m o che le case di Firenze, a quei tempi, lasciavano piuttosto a d e s i d e r a r e in fatto di comfort. N o n avevano acqua c o r r e n t e né gabinetti, i pianciti e r a n o di terra b a t t u t a cosparsa di paglia che marciva e puzzava, le finestre e r a n o delle assi di legno, l'illuminazione affidata a torce e il riscaldamento a bracieri. Firenze n o n era allora la s t u p e n d a e r i d e n t e città che oggi conosciamo. Avrà a v u t o un c i n q u a n t a m i l a abitanti. Sebb e n e avesse già costruito u n a seconda cerchia di m u r a p e r potersi d i s t e n d e r e un p o ' di più, era ancora piuttosto soffocata, con straduzze strette e a gomiti. Di edifici i m p o n e n t i e artisticamente pregevoli aveva solo il Battistero di San Giovanni, ma n o n a n c o r a rivestito di m a r m i . L'insieme e r a severo e arcigno, grazie alle torri costruite dai nobili, l u n g h e , strette e minacciose, che le d a v a n o u n a aria di c a m p o trincerato. Di bello, c'era solo il paesaggio: quella c o r o n a di col59
line, fra cui si srotolava l'Arno. L'abitato si s t e n d e v a t u t t o sulla s p o n d a destra del fiume. C o n quella sinistra e r a collegato da un solo p o n t e : il Ponte Vecchio. Le scuole e r a n o tutte in m a n o ai p r e t i e includevano d u e corsi: quello inferiore o trivio, e quello s u p e r i o r e o quadrivio. D a n t e d o v e t t e seguirli e n t r a m b i p r o b a b i l m e n t e p r e s s o l a c o n f r a t e r n i t a d e i l a u d e s i in S. Maria Novella, d o v e aveva studiato a n c h e C i m a b u e . N o n c'è da p e n s a r e che ne profittasse molto, a n c h e p e r c h é m a n c a v a n o i libri. Pochi se ne conosceva oltre il Vangelo p e r c h é le o p e r e latine scampate alle invasioni b a r b a r i c h e e r a n o a n c o r a seppellite negli archivi dei m o n a s t e r i s o p r a t t u t t o b e n e d e t t i n i , e d u r a n t e il M e d i o Evo n o n si e r a scritto quasi nulla. D a n t e , q u a n d o ebbe term i n a t o i suoi corsi, sapeva leggere e scrivere, fare le q u a t t r o operazioni, t r a d u r r e alla meglio dal latino, ma più da quello corrotto del Medio Evo che da quello classico di Virgilio e Cicerone, e forse aveva qualche idea, piuttosto vaga, di storia e filosofia, che allora era soltanto teologia. Ma nulla più. Di tutta la sua infanzia, conosciamo solo un episodio, che p e r ò doveva r e s t a r e decisivo p e r la sua vita e la sua o p e r a : l'incontro c o n Beatrice. Gli storici h a n n o discusso a l u n g o sulla r e a l t à d i q u e s t o p e r s o n a g g i o : a l c u n i h a n n o r i t e n u t o c h e fosse di p u r a fantasia. Ma o r m a i è o p i n i o n e c o m u n e m e n t e accettata che si trattasse della figlia di un Folco Portinari, b a n c h i e r e molto stimato a Firenze. Era quasi coetanea di D a n t e , p i ù t a r d i a n d ò sposa a S i m o n e d e ' Bardi, e m o r ì nel 1290, p r o b a b i l m e n t e di un p a r t o a n d a t o a male. Dante colloca il suo i n c o n t r o con lei nel 1274, a u n a festa di bambini, q u a n d o entrambi avevano nove anni. Ma su queste date bisogna a n d a r cauti poiché egli aveva più la superstizione dei n u m e r i che il rispetto della loro esattezza. Il d e b o l e c h e aveva p e r il n o v e c o m e m u l t i p l o del t r e , da lui considerato n u m e r o perfetto, lo si v e d e a n c h e nella Commedia coi suoi versi in terzine, le sue tre cantiche divise o g n u n a in t r e n t a t r é canti, i n o v e gironi d e l l ' I n f e r n o , i n o v e balzi del Purgatorio, e così via. Il fatto che, d o p o aver visto Beatrice a 60
n o v e a n n i , egli ci dice di averla rivista solo a diciotto, ci fa d u b i t a r e che abbia m a n o m e s s o un p o ' il calendario p e r farne q u a d r a r e le date coi suoi aritmetici simboli. Nella Vita nova, sua p r i m a o p e r a , egli r a c c o n t a che, t r o vandosi accanto a quella b a m b i n a vestita di bianco, rimase folgorato dalla sua sommessa e v e r e c o n d a bellezza al p u n t o da n o n p o t e r l a mai p i ù d i m e n t i c a r e . È possibile, d a t a l'età, c h e di fronte a lei abbia p r o v a t o il suo p r i m o t u r b a m e n t o di sensi, e che perciò il r i c o r d o gli sia r i m a s t o i m p r e s s o nella m e m o r i a . Il r e s t o ve lo a g g i u n s e r o p r o b a b i l m e n t e le convenzioni poetiche del suo t e m p o , di cui p a r l e r e m o . D o p o la scuola, dove aveva i m p a r a t o b e n poco, ebbe un altro m a e s t r o , c h e g l ' i n s e g n ò m o l t o d i p i ù : B r u n e t t o Latini. E r a costui un notaio che godeva di notevole prestigio, e n o n solo p e r l e sue qualità professionali. L a g r a n c u l t u r a , l a signorilità, i l «tatto», n e facevano a n c h e u n u o m o d i m o n d o , un idolo dei salotti, e un diplomatico di p r i m a scelta. Il C o m u n e se n ' e r a infatti servito a p i ù r i p r e s e , e lo avev a m a n d a t o a m b a s c i a t o r e i n S p a g n a a l t e m p o della lotta c o n t r o Siena e Manfredi. Si trovava a p p u n t o là, q u a n d o le forze imperiali vinsero a M o n t a p e r t i e i ghibellini r i e n t r a r o n o a Firenze p e r fare le loro v e n d e t t e . Il guelfo B r u n e t t o n o n vi t o r n ò . Rimase fra Montpellier e Parigi, e c o m p o s e in francese un Tesoretto, cioè u n a specie di enciclopedia in cui cercò di r i a s s u m e r e lo scibile dei suoi t e m p i . R i e n t r ò in pat r i a d o p o l a battaglia d i B e n e v e n t o , c h e aveva r i m e s s o i n sella il suo partito. E vi p o r t ò un soffio della n u o v a c u l t u r a razionalista, di cui si e r a r i e m p i t o i p o l m o n i in F r a n c i a . N o n aveva o r i g i n a l i t à d i p e n s i e r o , m a aveva m o l t o visto, m o l t o viaggiato, m o l t o letto, e sapeva p a r l a r n e . E r a a n c h e u n b u o n cittadino, u n funzionario capace e i n t e g r o , u n coer e n t e u o m o di p a r t e . Solo la vita privata lasciava a l q u a n t o a d e s i d e r a r e p e r la sua imparzialità verso i d u e sessi. Ma q u e sto, nella F i r e n z e di allora (e a n c h e in quella d'oggi), n o n faceva molta impressione. Il fatto che D a n t e , i n c o n t r a n d o l o p i ù t a r d i nell'Inferno, 61
dove lo aveva collocato a p p u n t o p e r quel vizio, chiami affett u o s a m e n t e B r u n e t t o suo «maestro», ha fatto c r e d e r e a molti ch'egli sia a n d a t o m a t e r i a l m e n t e a lezione da lui. In realtà il r a p p o r t o n o n fu scolastico in senso stretto. D a n t e fu soltanto u n o dei giovani letterati che i n t o r n o a B r u n e t t o si raccoglievano e che formavano quella che oggi si c h i a m e r e b b e la nouvelle vague della poesia italiana, cui D a n t e stesso doveva d a r e il n o m e , passato alla Storia, di stil novo. E q u i d o b b i a m o a p r i r e u n a p a r e n t e s i p e r r i t r a c c i a r e la genealogia di questa scuola. La poesia italiana n o n e r a che u n a succursale di quella p r o venzale, n a t a i n F r a n c i a circa u n p a i o d i secoli p r i m a . L a Francia e r a stata il p r i m o Paese e u r o p e o a riconoscere u n a v e r a dignità di l i n g u a a quella che veniva p a r l a t a dal «volgo» ( d o n d e la qualifica di «volgare»), e c h ' e r a u n a mescolanza del latino importatovi dai r o m a n i , del celtico parlato dalle a n t i c h e t r i b ù di V e r c i n g e t o r i g e , e d e l g e r m a n i c o i n t r o dottovi dai Franchi. Anzi, di queste lingue volgari ne aveva elaborate d u e , che p r e n d e v a n o il n o m e da quello della parola sì. Il p r i m o vagito letterario di queste arcaiche lingue francesi e r a stata la Canzone di gesta, epica, religiosa e g u e r r i e r a , n a t a al t e m p o della Cavalleria e delle Crociate. In Italia aveva attecchito male, e solo d'imitazione, p e r vari motivi: anzitutto p e r c h é la Cavalleria n o n vi aveva messo radici e scarsa era stata la partecipazione alle Crociate; e p p o i p e r c h é il latin o , d a noi, n o n e r a stata lingua d ' i m p o r t a z i o n e , m a d i p o polo, e q u i n d i e r a più d u r o a m o r i r e , a n c h e se o r a il p o p o l o n o n lo parlava più. Ma sulla fine d e l Millecento, il g r a n d e slancio mistico e conquistatore che aveva ispirato le a v v e n t u r e in T e r r a s a n t a a n c h e in Francia si esaurì. E nelle Corti dei Signori che tutt o r a s i d i v i d e v a n o q u e l Paese, v e n n e d i m o d a u n a n u o v a poesia i r o n i c a , l e g g e r a , anticlericale e v e n a t a d ' i n f l u e n z e a r a b e . I suoi p i ù alti p a t r o n i f u r o n o il c o n t e G u g l i e l m o di 62
Poitiers e di Aquitania che, a n d a t o a G e r u s a l e m m e p e r dif e n d e r v i la F e d e , ce l'aveva p e r d u t a , e sua figlia L e o n o r a , d e s t i n a t a a d i v e n t a r e d u e volte r e g i n a : p r i m a di Francia e poi d'Inghilterra. Furono d u e spregiudicati e impenitenti libertini, c h e misero nei piaceri dei sensi e dell'intelletto lo stesso i m p e g n o che i loro predecessori avevano messo nelle g u e r r e e nello zelo religioso. Si c h i a m ò gai saber, o gaia scienza, questa n u o v a poesia. E trovatori furono detti i suoi b a r d i , che n a t u r a l m e n t e riecheggiavano i gusti e la mentalità dei loro protettori. A quei tempi i poeti n o n p o t e v a n o c o n t a r e sui «diritti d'autore». Dovev a n o farsi m a n t e n e r e da qualche p o t e n t e , s e c o n d a n d o n e le p r o p e n s i o n i . In c o m p e n s o a v e v a n o vita facile a C o r t e , god e v a n o le simpatie e spesso le grazie delle g e n t i l d o n n e e, a furia di mescolarsi coi g e n t i l u o m i n i , si c o n s i d e r a v a n o tali anch'essi, si vestivano c o m e loro con sontuosi mantelli ricamati d ' o r o e orlati di pelliccia, e partecipavano a cacce e tornei. Di solito, p e r il piacere dei loro regali anfitrioni, oltre ai versi, c o m p o n e v a n o aiiche la musica, e alla fine dei banchetti d e c l a m a v a n o le loro strofe a c c o m p a g n a n d o s i sul liuto. L e loro poesie e r a n o d i diversi g e n e r i . D ' a m o r e , e r a l a canzone; di filosofia o di moralità, la tenzone. Il sirventese e r a un canto di g u e r r a ; il pianto, di dolore o di m o r t e . La ballata era un racconto col «fatto»; la serenata un o m a g g i o serale; la pastorella un dialogo. Q u a n t o alla metrica, il colmo della brav u r a e r a r a p p r e s e n t a t o dalla sestina, complicata sequenza di sei stanze, o g n u n a di sei versi, inventata da un A r n a l d o Daniello, che D a n t e a m m i r ò molto e studiò a t t e n t a m e n t e . Q u e s t a poesia e r a molto più esportabile della Canzone di gesta p e r c h é tutta di m a n i e r a e affidata p i ù alla tecnica che all'ispirazione. I temi e r a n o convenzionali e prestabiliti. L'am o r e coniugale essendo s e v e r a m e n t e b a n d i t o p e r c h é t r o p po b a n a l e p e r essere oggetto di galanteria, colei che ispirava il p o e t a doveva restare senza connotati in m o d o che nessun marito potesse riconoscervi la p r o p r i a moglie. Di qui l'allusività di questi c o m p o n i m e n t i tutti in t o n o sospiroso e evasi63
vo. A d a r loro u n ' i m p r o n t a o r i g i n a l e r i u s c i r o n o in p o c h i : B e r n a r d d e V e n t a d o u r (che P e t r a r c a d o v e v a r i c o n o s c e r e , b o n t à sua, inferiore solo a se stesso), R a m b a l d o de Vaqueiras, Peire R a m o n , Folquet de R o m a n s . Fu la Crociata c o n t r o gli Albigesi a s p a r g e r e il seme dei Trovatori a n c h e in Italia. Gli Albigesi avevano trovato p r o tezione presso i Signori della Francia m e r i d i o n a l e , g r a n d i p a t r o n i della poesia: n o n p e r c h é costoro s'interessassero di questioni teologiche: n o n c r e d e n d o in nulla, n o n c r e d e v a n o n e m m e n o nell'eresia. M a l'eresia era u n b u o n pretesto p e r affermare l ' i n d i p e n d e n z a dai poteri centrali: sia quello spirituale della Chiesa che i m p o n e v a le sue tasse, d e t t e decime, e ficcava il n a s o d o v u n q u e ; sia quello t e m p o r a l e d e i Re di Parigi che si chiamavano, senza esserlo, Re di Francia, e che p r e t e n d e v a n o r i d u r r e tutto il Paese sotto il loro scettro. Distinguersi da costoro a n c h e sul p i a n o religioso era, p e r i vari Conti di Provenza, di Aquitania eccetera, un m o d o c o m e un altro p e r r i b a d i r e la p r o p r i a a u t o n o m i a . Così questi Sig n o r i si t r o v a r o n o coinvolti nella lotta c o n t r o gli Albigesi. Alcuni ci rimisero la vita, altri i d o m i n i , le loro Corti furono disperse. I Trovatori d o v e t t e r o cercare ospitalità altrove. E molti la t r o v a r o n o in Italia. Q u i ce n ' e r a già stato u n o , in veste di p r e c u r s o r e : Sordello da Goito, p e r cui D a n t e professò u n a g r a n d e ammirazione. Era il figlio di un piccolo nobile m a n t o v a n o , che alla vita di c a m p a g n a aveva preferito quella girovaga del poeta, e si e r a accasato dal C o n t e di San Bonifacio a Verona. Bello, elegante, facondo, intrepido donnaiolo, si era sdebitato con l'anfitrione s e d u c e n d o n e la moglie Cunizza, sorella di Ezzelino da R o m a n o , e gliel'aveva p o r t a t a via, p e r poi a b b a n d o narla, o e s s e r n e a b b a n d o n a t o : n o n si sa. Un p o ' p e r p a u r a dei sicari del C o n t e inferocito, ma più a n c o r a forse p e r c h é vi si sentiva più a suo agio, era e m i g r a t o in Provenza, patria dei Trovatori, si e r a i m b r a n c a t o con loro e ne aveva adottato la lingua. Era stato u n o dei migliori r a p p r e s e n t a n t i di quella scuola 64
poetica. Ma n o n fu lui a i m p o r t a r l a in Italia. F u r o n o quelli che v e n n e r o a cercarvi r i p a r o . Alcuni lo t r o v a r o n o nelle regioni d e l N o r d , d o v e il f e u d a l e s i m o aveva m a g g i o r m e n t e attecchito c r e a n d o v i u n a vita di castello n o n m o l t o diversa da quella di Francia. S p e c i a l m e n t e le s i g n o r e , che vi si annoiavano a m o r t e , furono felici di spalancare le p o r t e a questi girovaghi menestrelli che p o r t a v a n o coi loro versi un soffio di fantasia, di m o d e r n i t à , di esotismo e di e r o t i s m o : un pretesto di «evasione», i n s o m m a , c o m e oggi si direbbe. Altri invece p r e s e r o la strada del Sud, attratti dal mecenatismo di Federico I I , alla cui C o r t e t r o v a r o n o larga ospitalità. Federico si piccava di poesia. Ne c o m p o n e v a egli stesso. Ne comp o n e v a n o i suoi figli Manfredi e Enzo, il suo P r i m o Ministro Pier delle Vigne, alcuni g e n t i l u o m i n i del suo seguito c o m e Rinaldo d'Aquino, Giacomino Pugliese, G u i d o delle Colonn e , J a c o p o d a Lentini. Costoro v a n n o ricordati p e r c h é furono i p r i m i a c o m p o r re versi in u n a lingua che n o n e r a p i ù latina, a n c h e se n o n si p u ò d i r e che fosse del tutto italiana. Era u n a specie di siciliano «illustre», che lo fu p a r t i c o l a r m e n t e in Ciullo d'Alcam o , il p i ù originale e s p o n t a n e o di questi pionieri. Ma i temi li avevano portati i Trovatori e restavano q u i n d i d'imitazione. Per acquistare u n c a r a t t e r e v e r a m e n t e italiano, q u e sta poesia doveva arrivare a Firenze. E c'era arrivata, poco p r i m a che D a n t e nascesse. Guittone d'Arezzo, Folcacchiero dei Folcacchieri, Arrigo Testa, Bon a g i u n t a Orbiciani, Paolo Lanfranchi, Ciacco dell'Anguillara, p e r n o n citare che i p i ù noti, avevano d e b u t t a t o anch'essi c o m e imitatori dei provenzali. Ma b e n p r e s t o il clima della città fornì loro altri motivi. A Firenze la vita n o n r u o t a v a i n t o r n o ai capricci dei castellani e delle loro mogli, ma int o r n o alle passioni di p a r t e politica. E perciò il «messaggio», c o m e oggi si direbbe, di questi suoi p r i m i poeti, si fece subito civile e ideologico, cioè « i m p e g n a t o » . I p i ù bei versi di Guittone sono quelli dedicati alla battaglia di M o n t a p e r t i . Ma siccome a Firenze n o n si p u ò f o n d a r e u n a scuola che 65
n o n susciti i m m e d i a t a m e n t e un'antiscuola, a distanza di p o chi a n n i n a c q u e quella nouvelle vague, in cui Dante poi s'imb r a n c ò . È difficile, si sa, ricostruire con esattezza l'albero genealogico di u n a scuola poetica. Forse il titolo di f o n d a t o r e spetta in q u e s t o caso al figlio di Federico I I , E n z o . Prigioniero dei bolognesi, egli sfogava la malinconia della sua solit u d i n e in versi che r i c o r d a v a n o quelli dei Trovatori acquartierati nella Corte di suo p a d r e Federico. La sua voce giunse all'orecchio d e i fiorentini n o n p e r via d i r e t t a , ma a t t r a verso il giurista e filosofo G u i d o Guinizelli. C o n la c a n z o n e «A cor gentil r e p a r a s e m p r e amore», questi c o m p o s e il vero «manifesto» dello Stil novo. La novità, p e r ridurla all'essenziale, consisteva in questo. L'amore dei provenzali era stato estetico e sensuale, ma a n o n i m o . L'identità di colei che lo aveva suscitato veniva nascosta sotto il senhal o p s e u d o n i m o . Ed è n a t u r a l e p e r c h é si trattava solitamente di un t r i b u t o alla p a d r o n a di casa, e bisognava salvare il prestigio coniugale del m a r i t o , cioè di colui che forniva l'ospitalità al poeta. Gli stilnovisti fecero il c o n t r a r i o . Tolsero a l l ' a m o r e o g n i c o n t e n u t o carnale. E, resolo in tal m o d o inoffensivo, poter o n o metterci s o p r a l'indirizzo della destinataria. A chi p o teva d a r noia? Disincarnata e angelicata, l'ispiratrice n o n è più la moglie né la figlia né la sorella di n e s s u n o . E solo un simbolo di perfezione spirituale e u n o s t r u m e n t o di elevazione a Dio. Ciò c h e c o n t a n o n è lei, ma il s e n t i m e n t o c h e suscita. Ed è infatti su di esso che gli stilnovisti si accaniscon o , vivisezionandolo e rivoltandolo con u n a casistica p u n t i gliosa e, a d i r e il vero, abbastanza uggiosa. I cultori di questo n u o v o credo poetico e r a n o Cino da Pistoia, G u i d o Cavalcanti, L a p o G i a n n i , G i a n n i Alfani, D i n o Frescobaldi. E r a n o degli esteti, i cui equivalenti si ritrovano a scadenza di o g n i d u e o t r e g e n e r a z i o n i , e o g n i volta cred o n o d ' i n v e n t a r e chissacché. Predicavano quella che oggi si c h i a m e r e b b e «l'arte p e r l'arte», cioè u n a poesia «disimpegnata» da tutto, a n c h e dal bisogno di piacere ai Signori che 66
avevano m a n t e n u t o i Trovatori nei p r o p r i castelli. E potevano p e r m e t t e r s e l o p e r c h é e r a n o di famiglia aristocratica o della ricca b o r g h e s i a . C o s t i t u i v a n o i n s o m m a la «gioventù dorata» di Firenze. D a n t e n o n e r a d e i loro n é c o m e nascita n é c o m e mezzi. Scontroso, piuttosto m i n g h e r l i n o , con un g r a n ciuffo di capelli n e r i a g r o n d a sulla fronte, a m m i r a v a di l o n t a n o quei giovani che lo sopravanzavano in tutto, nel n o m e e nei mezzi. A m m i r a v a specialmente Cavalcanti, che aveva dieci a n n i p i ù di lui, a p p a r t e n e v a a u n a casata fra le p i ù cospicue di Firenze, ed era già celebre c o m e poeta. G u i d o aveva un car a t t e r e altero, solitario e i m p e t u o s o . In u n a delle tante paci che si e r a n o fatte tra i d u e partiti in lotta, lo avevano sposato d ' a u t o r i t à , a d o d i c i a n n i , c o n la figlia di F a r i n a t a degli Uberti, il prestigioso capo ghibellino. Il m a t r i m o n i o politico era rimasto senza a m o r e . Ma G u i d o se ne consolava con u n a Giovanna. Autoritario e impaziente, nelle discussioni p r e n deva a sassate i suoi contraddittori. E p p u r e fu p r o p r i o lui che a p r ì le p o r t e di quel ristretto circolo d'iniziati a Dante, q u a n d o questi gli m a n d ò u n a p o e sia nello stile di cui G u i d o e r a considerato il maestro. Certam e n t e D a n t e l'aveva scritta p e r c h é , c o m e i fatti a m p i a m e n t e d i m o s t r a r o n o in seguito, la poesia l'aveva nel s a n g u e . Ma a ispirargliela ci fu p r o b a b i l m e n t e a n c h e l'ansia di u n a «promozione» sociale. I Trovatori avevano in un certo senso nobilitato il m e s t i e r e , esercitandolo nelle Corti. Gli e r o i delle loro canzoni e r a n o tutti Cavalieri, e cavallereschi i loro ideali di o n o r e , di fedeltà, di giustizia. Così fra aristocrazia e poesia si e r a creata u n a sostanziale solidarietà. O r a , a n c h e nelle città mercantili c o m e Firenze, le caste e r a n o chiuse. Le 250 famiglie nobili della città facevano vita a sé e a v e v a n o un club esclusivo che si chiamava «Società delle Torri». I borghesi, p e r esservi accolti, s p e n d e v a n o miliardi, p e r c h é erano terribilmente snob. Lo era a n c h e D a n t e , specie da giovan e . E il sonetto m a n d a t o a G u i d o e r a l'unico p a s s a p o r t o di 67
cui poteva valersi p e r e n t r a r e in un «giro» più alto di quello da cui p e r nascita proveniva. G u i d o , che aveva del talento e q u i n d i e r a sensibile a n c h e a quello altrui, gli tese u n a m a n o e gli dette il b e n v e n u t o . C o m i n c i a r o n o p e r D a n t e a n n i felici, gli unici a n n i felici della sua tribolata esistenza. O r a a p p a r t e n e v a a n c h e lui alla «gioventù dorata» di Firenze. A n c h e se il suo borsellino era p i u t t o s t o s g u a r n i t o e le m a n i c h e del suo vestito (segno inc o n f o n d i b i l e , a q u e i t e m p i , di r a n g o e c o n o m i c o e sociale) m e n o sgargianti di quelle dei suoi n u o v i c o m p a g n i , faceva p a r t e del l o r o g r u p p o , aveva v e n t ' a n n i , e le r a g a z z e p e r strada se lo a d d i t a v a n o c o m e l ' a u t o r e di poesie che già circolavano p e r la città. Più che p e r la perfezione dei versi e p e r il loro c o n t e n u to, esse forse e r a n o popolari grazie alla musica. C o m e tutti i suoi c o n t e m p o r a n e i , D a n t e m u s i c a v a l e s u e strofe. N o n c o m p o n e v a da sé, sebbene p a r e che di musica s'intendesse. Ma s a p e v a scegliere a b b a s t a n z a b e n e i suoi c o l l a b o r a t o r i . «Amor che nella m e n t e mi ragiona» glielo musicò Casella, e «Deh, Violetta, che in o m b r a d'amore», Socchetto. C h e vita c o n d u c e s s e coi n u o v i amici, n o n si sa. Ma si sa c h e c o s t o r o r a z z o l a v a n o i n m a n i e r a assai diversa d a c o m e p r e d i c a v a n o coi loro versi, tutti intesi ad angelicare la d o n na e a spiritualizzarla. G u i d o , d o p o aver g o d u t o in esclusiva quelle di G i o v a n n a , divideva con L a p o G i a n n i le grazie di u n a L a p a , in un ménage a t r e d e g n o del p i ù s p r e g i u d i c a t o t e a t r o francese del Novecento; e Dino Frescobaldi e r a sulla bocca di tutti p e r via delle a v v e n t u r e galanti che il n o m e , il portafogli e l'atletica m u s c o l a t u r a gli facilitavano. Essi si riunivano p e r discutere con teologico i m p e g n o i p r o b l e m i m o rali dello Stil novo. Per e s e m p i o : la d a m a t r a d i t a da un a m a n t e ha diritto di p r e n d e r s e n e un altro p i ù fedele? Eccet e r a . Ma n o n rifuggivano da p a s s a t e m p i di salotto e di taverna. Tuttavia i cànoni a n d a v a n o rispettati. E quelli dell'«amor cortese» caro agli stilnovisti esigevano che a n c h e Dante eleg68
gesse u n a d a m a a ideale poetico e di vita. Probabilmente fu soprattutto p e r questo che si r i c o r d ò di Beatrice. N o n ci sarebbe nulla di bizzarro se l'amore, in Dante, fosse n a t o dalla poesia, e n o n viceversa. E nulla toglierebbe alla g r a n d e z z a dei suoi risultati. N o n aveva p i ù a v u t o occasione di avvicinarla. Egli dice c h e , p e r t e n e r l a al r i p a r o dalle m a l d i c e n z e , aveva finto di corteggiare un'altra e poi un'altra ancora. Dovette farlo tuttavia con poca discrezione p e r c h é a Firenze se ne parlò come di tresche bell'e b u o n e . E la voce dovette arrivare a n c h e all'orecchio di Beatrice che, incontratolo un g i o r n o p e r strada, n o n gli ricambiò il saluto. Ciò p o t r e b b e far sospettare che a n c h e lei fosse i n n a m o rata di D a n t e e perciò se ne sentisse tradita. Ma n o n è così. S e m p l i c e m e n t e , essa sapeva che D a n t e l'aveva p r o m o s s a a Ideale, parlava di lei c o m e della sua ispiratrice, e sapeva che tutti lo sapevano. Avere un p o e t a ai suoi piedi, senza corrispettivo, la lusingava. E scoprire a un tratto che costui, voltato l'angolo di strada, a n d a v a a consolarsi con altre, la indispettì. Nulla di male. E u m a n o . Fecero la pace a n n i d o p o , q u a n d o t o r n a r o n o a incontrarsi a u n a festa di nozze, c h e forse e r a n o quelle di lei con Sim o n e d e ' Bardi. Egli racconta che, rivedendola, a tal p u n t o sbiancò e fu assalito dal t r e m o r e c h e un a m i c o lo t r a s c i n ò via, m e n t r e le altre d o n n e ammiccavano a Beatrice che sorrideva p e r la bella rivincita. N o n si rividero, p a r e , mai più. Alcuni storici dicono che subito d o p o D a n t e a n d ò a completare i suoi studi a Bologna, c h ' e r a la più r i n o m a t a Università italiana. In quella città soggiornò di certo p e r c h é vi lasciò a n c h e un sonetto - scherzoso, rugginoso e m e d i o c r e - sulla T o r r e della Garisenda; ma n o n si sa q u a n d o . C o m u n q u e , la laurea n o n la prese. E l'unico vantaggio che ritrasse da q u e l soggiorno, fu l'amicizia con Cino, scacciato da Pistoia e rifugiatosi lì p e r vicende politiche. 69
A q u e s t e v i c e n d e D a n t e , fin allora, si e r a m a n t e n u t o e s t r a n e o , a n c h e p e r c h é il credo estetico degli stilnovisti n o n obbligava a i m p e g n a r v i s i , anzi ne scoraggiava. Ma Firenze seguitava ad essere agitata dalle passioni. I guelfi a v e v a n o ripreso il sopravvento d o p o la fine degli H o h e n s t a u f e n . Ma, c o m e a b b i a m o già d e t t o , p a p a G r e g o r i o X , che n o n voleva r e s t a r e alla m e r c é dei francesi di Parigi e di N a p o l i , aveva salvato lì p e r lì i ghibellini dalle solite vendette. Nel '73 c'era stato un c o m p r o m e s s o fra le d u e parti, ma Carlo d'Angiò lo aveva fatto abortire i n t e r v e n e n d o di p e r s o n a e obbligando i ghibellini alla fuga. Nel '79 v e n n e il Cardinale Latino a cercar di stabilire u n a p a c e definitiva. Fu costituita u n a n u o v a m a g i s t r a t u r a , quella dei 14 «Buoniuomini», di cui otto d o vevano essere guelfi e sei ghibellini, controllati da tre «Priori», i quali poi d i v e n t a r o n o sei. E impossibile r a c c a p e z z a r s i n e l m u t e v o l e i n t r i g o delle m a g i s t r a t u r e f i o r e n t i n e . O g n u n a d i esse r a p p r e s e n t a v a u n a conquista della democrazia. Ma il suo unico effetto era quello di c o n t r i b u i r e all'impotenza di tutte, c o m e p u r t r o p p o la democrazia s e m b r a esigere, a l m e n o in Italia. Q u e s t o n u o v o g o v e r n o , i m p e r n i a t o sul C a p i t a n o del Popolo, sul Podestà ( e n t r a m b i stranieri p e r legge) e sui Priori, che in b r e v e risucchiarono i poteri dei B u o n i u o m i n i , si chiamò «Signoria». E c o m e in pratica funzionasse, n o n si sa. Si sa solo che funzionava male. M a l g r a d o q u e s t e i n t e r n e debolezze, F i r e n z e aveva cond o t t o u n a e n e r g i c a politica e s t e r a . C a p e g g i a v a l a «Lega Guelfa» delle città toscane su cui aveva affermato la sua leadership. A farle resistenza e r a n o a n c o r a r i m a s t e solo Pisa e Arezzo. Pisa, che significava lo sbocco al m a r e , e r a stata orm a i r i d i m e n s i o n a t a d a G e n o v a . Restava Arezzo, c e n t r o d i t u t t o il ghibellinismo toscano, anzi italiano, capeggiato dal Vescovo Degli l i b e r t i n i , un p r e t e che preferiva il m a n g a n e l lo alla Croce. Il 2 g i u g n o d e l l " 8 9 l'esercito fiorentino, c o m a n d a t o dal generale angioino A m e r i g o di N a r b o n a e rafforzato dai con70
t i n g e n t i delle altre città guelfe di Toscana, scese sulla città n e m i c a p e r l i q u i d a r e la p a r t i t a . C o n t a v a 12.000 u o m i n i , e fra di essi c'era il v e n t i q u a t t r e n n e Dante. Il n e m i c o , forte di novemila u o m i n i al c o m a n d o dell' l i b e r t i n i , d i u n M o n t e f e l t r o e d i u n G u i d i , a t t e n d e v a nella piana di Campaldino. Lo scontro avvenne I T I giugno. E, s t a n d o al Villani, cominciò p i u t t o s t o m a l e p e r i fiorentini, che al c e n t r o dello s c h i e r a m e n t o f u r o n o sopraffatti e sband a r o n o . Ma le ali t e n n e r o , e si richiusero sugli aretini che si e r a n o gettati nella falla. Essi l a s c i a r o n o sul t e r r e n o quasi d u e m i l a m o r t i , fra cui il vescovo Libertini, t r e Uberti, Bonc o n t e di M o n t e f e l t r o , i n s o m m a i c o m a n d a n t i p i ù in vista. Fra i fiorentini c h e si s e g n a l a r o n o ci f u r o n o Vieri Cerchi e Corso Donati, destinati e n t r a m b i a far p a r l a r e di sé. A Poppi e a Bibbiena m o s t r a n o a n c o r a un anfratto dove si dice che Dante, colto dal panico, si sarebbe rifugiato. N o n è vero. Si era trovato nel p u n t o critico della mischia e aveva corso un b r u t t o rischio. P u ò a n c h e darsi che di p a u r a ne abbia a v u t a , e s e m b r a c h e lo abbia confessato in u n a lettera, p u r t r o p p o a n d a t a persa, in cui descriveva la battaglia e ne faceva a n c h e u n grafico. M a n o n s c a p p ò . L ' u o m o e r a impressionabile, m a n o n c o d a r d o . E p r o b a b i l e c h e in q u e s t a o c c a s i o n e abbia c o n o s c i u t o Cecco Angiolieri, c h e faceva p a r t e d e l c o n t i n g e n t e senese. Cecco e r a u n «poeta m a l e d e t t o » avanti lettera, che faceva d i s p e r a r e la sua famiglia ricca, a v a r a e b i g o t t a . R i b a l d o e manesco, c'era in lui del Sordello, ma da taverna, invece che da C o r t e . Aveva p r e s s a p p o c o l'età di D a n t e , ma e r a già un avanzo di galera. A m a v a solo il vino, i d a d i e le p r o s t i t u t e . T r a d i v a u n a moglie litigiosa e b r u t t a con u n a p o p o l a n a di n o m e Becchina, figlia di un calzolaio, che gli restituiva, p a n p e r focaccia in fatto di p r e p o t e n z e , t u r p i l o q u i o e c o r n a . Si m a n g i ò tutto il p a t r i m o n i o , e finì a R o m a in miseria. Era talm e n t e o b e r a t o dai debiti, che i figli ne rifiutarono l'eredità. P e r ò p o e t a lo e r a , forse p i ù di molti stilnovisti. Sotto le sue r i m e arruffate e le sue schiamazzanti invettive, si sente 71
la tristezza di un u o m o sbagliato p e r la sua vita sprecata. E forse egli stesso si descrisse, p e r polemica, peggiore di q u a n to fosse. N o n è storicamente sicuro che con D a n t e si sia p e r s o n a l m e n t e i n c o n t r a t o . Però se ciò avvenne, n o n p o t è essere che sotto le m u r a di Arezzo, p e r c h é le loro vite n o n ebber o altre coincidenze. C e r t o , n o n e r a n o fatti p e r i n t e n d e r s i . In seguito Cecco dedicò a D a n t e tre sonetti di corbellatura r i m p r o v e r a n d o g l i q u a l c h e c o n t r a d d i z i o n e fra p r e d i c h e e razzolamenti. E l'accusa n o n era infondata. Il r i t o r n o a F i r e n z e n o n significò p e r D a n t e la fine d e l servizio m i l i t a r e . Egli p r e s e a n c o r a p a r t e alle o p e r a z i o n i c o n t r o Pisa, e c e r t a m e n t e partecipò all'assedio e al sacco del castello di C a p r o n a , com'egli stesso più tardi ricordò. Finalmente c o n g e d a t o , giaceva in letto a m m a l a t o , q u a n do s e p p e della m o r t e di Folco Portinari, p a d r e di Beatrice. Firenze tributò solenni esequie a quel b a n c h i e r e filantropo, che fra l'altro aveva fondato l'ospedale di Santa Maria Maggiore, «colonna dello Stato». Pochi mesi d o p o , la figlia lo seguì nella tomba, e n o n aveva che venticinque anni. D a n t e dice di esser r i m a s t o a n n i e n t a t o dalla s c o m p a r s a di Beatrice, di a v e r n e d a t o l'annunzio in u n a lettera a p e r t a «ai Principi della Terra», che p e r ò n o n si è mai trovata, e di essersi i n d i g n a t o v e d e n d o dalla finestra alcuni passanti che si c o m p o r t a v a n o c o m e se nulla fosse successo. P u ò darsi. Olt r e ai passanti p e r ò egli vide, affacciata a u n a casa dirimpetto, u n a d o n n a che lo g u a r d a v a con espressione di pietà e di tenerezza. Ne p r o v ò un s e n t i m e n t o di g r a t i t u d i n e . E siccome da cosa nasce cosa, ne v e n n e fuori u n a «relazione» bella e b u o n a . Molti d a n t i s t i d i c o n o c h e q u e s t a d o n n a n o n e r a che il simbolo della Filosofia in cui D a n t e si sarebbe rifugiato p e r trovar conforto. Ma noi n o n abbiamo mai s a p u t o che la filosofia si chiami a n c h e Lisetta. E che si trattasse di u n a c r e a t u r a in c a r n e ed ossa lo d i m o s t r a il fatto c h e , q u a n d o volle o c c u p a r e nel c u o r e di D a n t e il posto di Beatrice, egli la scacciò: cosa che c o n la filosofìa n o n avrebbe avuto r a g i o n e di fare. D o p o d i c h é si a m m o g l i ò . 72
Boccaccio, suo p r i m o biografo, dice che fu la famiglia a sposarlo quasi di forza nel vederlo d i m a g r i t o , i n s o n n e e disfatto; e che lui lasciò fare p e r m a n c a n z a di forze. La verità è p i ù semplice. E e m e r s a da un d o c u m e n t o del 1277, che rip r o d u c e l'impegno di nozze, con tanto di notaio, fra il dodic e n n e D a n t e Alighieri e la sua quasi c o e t a n e a G e m m a Donati. Lo avevano steso i d u e rispettivi genitori, c o m ' e r a l'uso del t e m p o . A n c h e G u i d o Cavalcanti si e r a sposato così con la Uberti. G e m m a a p p a r t e n e v a a u n a casata fra le più nobili, e aveva a n c h e u n a certa d o t e . Boccaccio la descrive egoista, m e diocre, arida e q u e r u l a , u n a mezza S a n t i p p e . Ma Boccaccio, in odio alla sua, era un n e m i c o giurato di tutte le mogli. Dai fatti r i s u l t a c h e G e m m a s i c o m p o r t ò m o l t o b e n e n e i confronti del m a r i t o . Lo aiutò nei m o m e n t i di bisogno, allevò i figli dei quali egli b e n p o c o si c u r ò , e lo stesso Boccaccio le riconosce il m e r i t o - che forse n o n le c o m p e t e - di aver salvato i p r i m i sette Canti della Commedia. S e m m a i , fu D a n t e c h e la r i p a g ò p i u t t o s t o m a l e , p e r c h é subito d o p o le nozze cominciò p e r lui un p e r i o d o di dissipatezze, che G u i d o in questa vita e Beatrice nell'altra dovev a n o a s p r a m e n t e r i m p r o v e r a r g l i . Si e r a i m b r a n c a t o in u n a b r u t t a c o m p a g n i a : quella di Forese Donati, d e t t o Bicci, cugino di G e m m a . E trascorreva il t e m p o tra Fiorette, Violette e Pargolette, che n o n dovevano essere ragazze di costumi p r e c i s a m e n t e illibati. Ciò n o n gl'impedì di m e t t e r e al m o n d o c o n G e m m a u n certo n u m e r o d i f i g l i : d u e o t r e maschi, Pietro, J a c o p o , e forse un Giovanni, e d u e f e m m i n e , A n t o nia e Beatrice, che p e r ò forse sono la stessa p e r s o n a . Di che vivesse, n o n s a p p i a m o . C o m e tutti coloro che volevano god e r e di pieni diritti politici, si era iscritto a n c h e lui a un'Arte, q u e l l a d e i Medici e Speziali. P e r c h é abbia fatto q u e s t a scelta, è incerto. Forse p e r c h é a p p u n t o n o n praticava r e g o l a r m e n t e n e s s u n mestiere e q u i n d i poteva sceglierne, c o m e etichetta, u n o q u a l u n q u e . O forse p e r c h é ai Medici e Speziali p o t e v a n o a d e r i r e tutti i c o n s u m a t o r i di g e n e r i chimici. 73
Giotto vi si era iscritto p e r c h é consumava colori; D a n t e , p e r c h é c o n s u m a v a i n c h i o s t r o . C o m u n q u e , d o v e t t ' e s s e r e sop r a t t u t t o G e m m a a m a n d a r e avanti la famiglia con la sua dote. Egli dice c h e a m e t t e r e fine a q u e s t o s c a p e s t r a t o i n t e r mezzo fu un sogno in cui gli a p p a r v e la «mirabile visione» di Beatrice. Svegliandosi, g i u r ò a se stesso di dire di lei ciò che n e s s u n u o m o aveva d e t t o d i n e s s u n ' a l t r a d o n n a a l m o n d o . Forse gli era nata in testa l'idea della Commedia. Ma, oltre al s o g n o , ci fu a n c h e u n ' a l t r a cosa a t r a r r e la sua vita p e r un altro verso: la politica. Q u e s t a e r a o r a e n t r a t a i n u n a fase acuta, s e b b e n e n o n avesse più n e s s u n c o n t e n u t o ideologico. Ne aveva avuto al t e m p o della lotta fra Guelfi e Ghibellini, q u a n d o si era trattato della scelta fra la Chiesa e l ' I m p e r o . Ma o r a m a i l ' I m p e ro n o n e r a più che un ricordo e i Ghibellini, d o p o la battaglia di C a m p a l d i n o , ridotti all'impotenza. Restavano p e r ò le rivalità personali, di ambizione, di orgoglio, d'interessi. C h e n o n si trattasse d'altro, lo dimostra il m e t o d o che l e m a g i s t r a t u r e s e g u i v a n o p e r i s t a u r a r e q u a l che tregua: i m a t r i m o n i . Essi e r a n o imposti dallo Stato p e r c h é r a p p r e s e n t a v a n o a p p u n t o u n affare d i Stato. Q u a n d o un nemico sposava u n a nemica, si s u p p o n e v a che l'odio, fra le d u e famiglie, cedesse il p o s t o alla solidarietà, a n c h e se spesso succedeva il contrario. E questo m o d o d ' i n t e n d e r e la politica c o m e fatto p e r s o n a l e è rimasto nel s a n g u e fiorentino fino a Fanfani. O r a i Guelfi, n o n a v e n d o p i ù da combattere i Ghibellini, si e r a n o divisi p e r c o m b a t t e r s i fra l o r o . Le d u e fazioni si c h i a m a r o n o dei Bianchi e dei Neri su imitazione di quelle di Pistoia, dove u n a famiglia, quella dei Cancellieri, si era a p p u n t o divisa in un r a m o bianco e in un r a m o nero trascinando nei suoi odi e i n s a n g u i n a n d o tutta la città. A Firenze la rissa e r a scoppiata p e r u n a questione di prim a t o economico e sociale fra d u e dinastie di Magnati. Q u e l l a Bianca e r a c a p e g g i a t a d a Vieri C e r c h i , quella N e r a d a 74
Corso Donati, fratello di Forese e cugino di G e m m a Alighieri. L'odio e r a d i v a m p a t o p e r futili motivi di prestigio. I Cerchi, c h ' e r a n o d e i n u o v i ricchi p i e n i d i soldi, m a p o v e r i d i b l a s o n e , a v e v a n o c o m p r a t o il p i ù bel palazzo di P o r t a San Piero, dove abitavano a n c h e i Donati che sin allora l'avevano fatta da p a d r o n i in q u e l sestiere. E li a v e v a n o offuscati coi loro sfarzi. Corso n o n era u o m o da subire un simile oltraggio. Di antica nobiltà g u e r r i e r a , aveva conservato l'orgoglio e l'insolenza della sua casta. Era bello, coraggioso e beffardo. Lo chiam a v a n o «il b a r o n e » , e nella «società delle Torri», gli si riconosceva autorità di capo. Egli n o n ammetteva che questa posizione di p r e m i n e n z a gli venisse insidiata da un figlio di contadini come Vieri Cerchi che, arricchitosi col commercio e la banca, si era c o m p r a t o il titolo nobiliare di Cavaliere. Ma Vieri, a n c h e se n o n aveva s a n g u e blu, aveva i soldi e sapeva usarli. M e n o tracotante e pittoresco del suo avversario, e r a p e r ò altrettanto coraggioso, tenace e accorto. Tolse a Corso, a t t r a e n d o l i nel vasto giro dei p r o p r i affari di b a n ca, molti alleati di g r a n n o m e e p o t e n z a c o m e i Cavalcanti, i Tornaquinci, i Pazzi, p a r t e dei Frescobaldi. E fin qui, era tutto n o r m a l e , c o m p r e s o il s a n g u e che ogni poco correva fra le d u e fazioni: a Firenze le fazioni c'erano s e m p r e state, e il s a n g u e era s e m p r e corso. Ma il conflitto di d i n a s t i e si t r a s f o r m ò in g u e r r a civile, q u a n d o Bonifacio V i l i pretese di servirsene p e r le sue ambizioni di p o t e r e t e m p o r a l e . Egli voleva - lo abbiamo già detto - a n n e t t e r e la Toscana agli Stati della Chiesa. E p e r c i ò aveva c h i a m a t o Carlo di Valois. In q u e l m o m e n t o , a F i r e n z e , e r a al p o t e r e la fazione Bianca. Il D o n a t i , c h e aveva c e r c a t o di rovesciarla con la c o r r u z i o n e e la violenza, e r a stato b a n d i t o . Ma il P a p a lo aveva accolto e n o m i n a t o g o v e r n a t o r e di u n a delle sue p r o vince. Così la fazione N e r a e r a d i v e n t a t a il p a r t i t o della Chiesa e del Valois, che scendeva dalla Francia, c o n t r o l'ind i p e n d e n z a fiorentina difesa dalla fazione Bianca. 75
Fu, p e r sua disgrazia, i n q u e s t a e m e r g e n z a c h e D a n t e v e n n e alla ribalta politica. Per quali motivi si trovasse imb r a n c a t o coi Bianchi, n o n si sa. I legami di famiglia avrebb e r o d o v u t o spingerlo dalla p a r t e dei Neri p e r c h é , grazie al m a t r i m o n i o con G e m m a , e r a d i v e n t a t o c u g i n o dei Donati. Ma forse a t r a r l o coi Bianchi f u r o n o un p o ' l ' i n d i g n a z i o n e p e r le p r e p o t e n z e di Corso e molto - c r e d i a m o - la solidarietà col suo vecchio amico G u i d o Cavalcanti, che il «barone» aveva tentato di fare assassinare. D a n t e , in politica, aveva d e b u t t a t o a t r e n t ' a n n i , n e l ' 9 5 . Ma n o n aveva ricoperto che cariche minori. La sua carriera p r e s e l'aìre solo d o p o la vittoria dei Cerchi. E il fatto ch'egli si mettesse s e m p r e più in vista via via che svanivano le possibilità di c o m p r o m e s s o fra le d u e fazioni, d i m o s t r a ch'egli vi svolse u n a p a r t e di oltranzista, del r e s t o in c a r a t t e r e col suo carattere. Nel maggio del '300 lo m a n d a r o n o ambasciatore a S. G i m i g n a n o . E nella sala del Consiglio di quella città c'è u n a lapide che ricorda la v e n u t a del Poeta. A leggerla, si direbbe che D a n t e abbia r i p o r t a t o lì il suo p r i m o trionfo. Invece risulta che la missione fallì. Ma l'insuccesso n o n gl'impedì di essere, il 15 g i u g n o , n o m i n a t o Priore. Era la p i ù alta carica elettiva, e n o n d u r a v a che d u e mesi. Ma quei d u e mesi gli b a s t a r o n o p e r a s s u m e r e u n a responsabilità t r e m e n d a che d o v e v a costargli cara: l o sterminio della fazione N e r a di Pistoia, che ostacolava la politica estera della Firenze Bianca. E difficile d i r e fino a che p u n t o il s a n g u e che corse (e ne corse molto) ricada su Dante. P e r ò n o n c'è d u b b i o c h e l e sue m a n i n e u s c i r o n o m a c chiate. E forse questo contribuì ad accentuare la sua intransigenza. Egli o r m a i e r a il n e m i c o d i c h i a r a t o d e l P a p a c h e aveva s c o m u n i c a t o la città, e d e l Valois c h e in s u o n o m e marciava su di essa. Ci s e m b r a q u i n d i p o c o attendibile la notizia, t r a m a n d a taci da Dino C o m p a g n i , che il C o m u n e incaricò p r o p r i o lui di un'ambasceria di pace a Bonifacio. Boccaccio, suo p r i m o biografo, racconta che il Poeta, ai Priori che gli p r o p o n e v a 76
no quella missione, rispose perplesso: «Se io vado, chi rimane? Se io r i m a n g o , chi va?» Sono p a r o l e c h e somigliano al p e r s o n a g g i o e al suo i m m e n s o orgoglio. Ma n o n c r e d i a m o che le abbia p r o n u n c i a t e p e r c h é escludiamo che la missione venisse p r o p o s t a p r o p r i o a l l ' u o m o m e n o indicato ad assolverla. La Storia ha accolto la versione di C o m p a g n i solo perc h é la scena di D a n t e e Bonifacio di f r o n t e e ai ferri corti esercita u n a suggestione d r a m m a t i c a cui nessun biografo rin u n z i a volentieri. C o m u n q u e , l'ambasceria fallì. Firenze, che poteva m e t t e r e in c a m p o migliaia di u o m i n i b e n e a r m a t i , si a r r e s e alle p o c h e c e n t i n a i a di cavalieri d e l Valois. Il D o n a t i t o r n ò coi suoi squadristi n e r i , e subito com i n c i ò la «purga». D a n t e fu t r a i p r i m i n o v e a essere cond a n n a t o al r o g o , e ciò d i m o s t r a il rilievo che aveva assunto nella fallita resistenza. La sentenza p o r t a la d a t a del 27 gennaio 1302, e si p u ò a n c o r a leggere nel sinistro Libro del chiodo conservato negli archivi fiorentini. Ma fu p r o n u n c i a t a in c o n t u m a c i a p e r c h é il Poeta e r a già fuggito col fratellastro Francesco, suo volontario c o m p a g n o di esilio. La v e n d e t t a si a b b a t t é sulla casa d e l b a n d i t o . C o m ' e r a uso fiorentino, i picconieri la p r e s e r o d'assalto sotto l'occhio vigile del Podestà e quello - i m m a g i n i a m o - b a g n a t o di lac r i m e d i G e m m a . I l t e t r o edificio t r e c e n t e s c o c h e a n c o r a q u a l c u n o si ostina a c o n s i d e r a r e la casa di D a n t e , n o n è q u i n d i di certo la sua. Da allora cominciò p e r lui u n a vita girovaga, di cui è impossibile ritracciare con esattezza gl'itinerari. D a p p r i m a fu cert a m e n t e ad Arezzo, rifugio dei Bianchi, e p e r un certo tempo p r e s e p a r t e attiva ai tentativi degli esuli di r i e n t r a r e in patria con la forza. Ma i tentativi fallirono, e p a r e che la responsabilità fosse a d d e b i t a t a a D a n t e , che aveva consigliato di affidare la c o n d o t t a delle o p e r a z i o n i al suo a m i c o Scarpetta Ordelaffi. N o n sono c h e voci e supposizioni. Ma è acc e r t a t o c h e D a n t e a b b a n d o n ò p r e s t o quella « c o m p a g n i a malvagia e scempia», com'egli la c h i a m ò , p e r fare «parte p e r 77
se stesso», c o m ' e r a scritto del resto nel suo destino, cioè nel suo carattere solitario, sprezzante e scostante. Prese la via del N o r d e si stabilì a Verona, ospite di Bartolomeo della Scala (o di suo figlio Alboino, n o n si sa). Verona aveva già trasformato il r e g i m e c o m u n a l e in Signoria abb a n d o n a n d o s i nelle m a n i di quella ricca e p o t e n t e casata. Il Poeta fu amichevolmente accolto nel palazzo e si sdebitò col suo anfitrione svolgendo p e r lui alcune missioni diplomatic h e in altre città. A P a d o v a e b b e la v e n t u r a d ' i n c o n t r a r e Giotto, ch'era v e n u t o a dipingervi gli affreschi della Chiesa dell'Annunziata. Si e r a n o già conosciuti a Firenze, e si rivid e r o con piacere. Poco d o p o si trasferì in Lunigiana, dai Malaspina. A quei t e m p i gli esuli e r a n o s e m p r e b e n e accolti p r i m a di tutto p e r ché c h i u n q u e poteva diventarlo da un m o m e n t o all'altro, e q u i n d i tutti a v e v a n o interesse a r i s p e t t a r e la regola dell'ospitalità; e p p o i p e r c h é , q u a n d o e r a n o di un certo livello cult u r a l e c o m e D a n t e , facevano c o m o d o : di g e n t e che sapesse leggere e scrivere, fuori del clero, ce n ' e r a poca. Infatti Dant e , a n c h e p e r c o n t o dei M a l a s p i n a , svolse trattative d i p l o matiche e notarili col Vescovo di Luni, e così si g u a d a g n ò il pane. Boccaccio racconta, di questo p e r i o d o , u n a strana storia. Dice che G e m m a , nel v u o t a r e la casa p r i m a della demolizion e , aveva t r o v a t o i n u n forziere u n m a n o s c r i t t o i n versi. D a p p r i m a li mise da p a r t e senza c u r a r s e n e . Poi li fece legg e r e a Dino Frescobaldi c h e se n ' e n t u s i a s m ò e, s a p u t o che D a n t e e r a in Lunigiana, glieli rispedì con la raccomandazione di c o n t i n u a r e . E r a n o i p r i m i sette canti della Commedia che D a n t e considerava o r m a i p e r d u t i . N o n p o t è subito r i m e t t e r c i s i p e r c h é d o v e t t e a n d a r e i n Casentino, chiamatovi dal C o n t e G u i d i di Dovadola. D a n t e aveva con lui legami quasi di famiglia p e r c h é i loro rispettivi bisavoli - il C o n t e G u i d o G u e r r a e Cacciaguida - e r a n o stati, p a r e , amici. E q u i gli capitò u n a b r u t t a d i s a v v e n t u r a s e n t i m e n t a l e . S ' i n n a m o r ò p e r d u t a m e n t e d i u n a «femmina 78
bella e ria», di cui Boccaccio dice c h ' e r a «gozzuta». Altro di lei n o n si sa, se n o n c h e si divertì alle spalle d e l Poeta p i ù che q u a r a n t e n n e a t t i r a n d o l o e negandoglisi con femminile crudeltà. Q u i si p e r d e ogni traccia di lui, e l'ipotesi più accreditata è che abbia s o g g i o r n a t o p e r un a n n o a Parigi. Così dicono Villani e Boccaccio, m e n t r e il figlio J a c o p o , n e i suoi c e n n i biografici sul p a d r e , n o n fa p a r o l a di q u e s t o viaggio. N e l 1881 un filologo francese trovò negli archivi di Montpellier il m a n o s c r i t t o di un p o e m a in italiano, Il fiore, firmato Dur a n t e , cioè col vero n o m e di D a n t e . Era lo stringato riadatt a m e n t o d i u n prolisso p o e m a francese d i c o n t e n u t o p o r n o grafico. I dantisti h a n n o n a t u r a l m e n t e s e m p r e respinto con o r r o r e l'ipotesi che fosse o p e r a di D a n t e . Ma vi c o m p a r e un s o n e t t o , p i u t t o s t o r i b a l d o , c h e il Poeta aveva c o m p o s t o in Casentino. Sicché a l m e n o il d u b b i o r i m a n e . N e l 1308 D a n t e e r a i n T o s c a n a , n u o v a m e n t e i m m e r s o nella politica. Ve lo aveva r i c h i a m a t o la discesa in Italia di Arrigo V I I che voleva, c o m e a b b i a m o già visto, r e s t a u r a r v i il p o t e r e imperiale. L'impresa e r a impossibile, ma D a n t e se ne infiammò fino a bruciarvi le sue ultime possibilità di perd o n o . I n d i r i z z ò u n a l e t t e r a s o l e n n e «a tutti e' singoli regi d'Italia e a' senatori dell'alma cittade, a' d u c h i e a' marchesi e a tutti i popoli» p e r invitarli a sottomettersi a l l ' I m p e r a t o r e . E a n d ò - p a r e - a Milano p e r consegnarla di p e r s o n a ad A r r i g o , c h e c e r t a m e n t e i g n o r a v a chi fosse q u e l l ' u o m o e a quale titolo parlasse in n o m e della N a z i o n e . La quale Nazione d i m o s t r ò subito q u a n t a poca intenzione avesse di sottomettersi. E, c o m e a b b i a m o già detto, i p i ù protervi di tutti furono p r o p r i o i compatrioti del Poeta. Agli «scelleratissimi fiorentini» D a n t e scrisse allora un'altra lettera invocando sulla loro testa m o r t e e distruzione. E u n a t e r z a indirizzò ad A r r i g o p e r sollecitarlo a castigare la città ribelle. Ne invocava la resa incondizionata, il massacro, l'incenerimento. Probabilmente Arrigo n o n lesse mai queste missive. Ma i 79
fiorentini, sì. E q u i n d i c'è a n c h e da capirli se, q u a n d o di lì a p o c o decisero di p r o m u l g a r e u n ' a m n i s t i a , ne esclusero il Poeta, cui n o n rimase altra speranza che l'esercito di Arrigo. Ma quell'esercito era debole, e Arrigo di lì a poco morì. Era la fine delle speranze di D a n t e . «Povero assai, trapassò il resto della vita d i m o r a n d o in vari luoghi p e r L o m b a r d i a e Toscana e p e r R o m a g n a sotto il sussidio di vari Signori», dice spicciativamente il più serio e doc u m e n t a t o d e i suoi p r i m i biografi, il B r u n i . E p u r t r o p p o n o n abbiamo molto d a a g g i u n g e r e . È quasi certo che il p r i m o di questi Signori fu C a n g r a n d e della Scala a Verona, u n o dei più pittoreschi e splendidi despoti d e l l ' e p o c a . T e n e v a C o r t e fastosa e a p e r t a a tutti gli ospiti di p a s s a g g i o . Ma a p p u n t o p e r q u e s t o lo s c o n t r o s o D a n t e n o n d o v e t t e trovarcisi m o l t o b e n e e , p u r r e s t a n d o agli stipendi del Signore, si ritrasse in u n a casetta p e r conto suo, d o v e lo r a g g i u n s e r o i figli. Essi e r a n o stati a loro volta banditi p e r c h é D a n t e aveva declinato l'invito a r i e n t r a r e in p a t r i a f a c e n d o «offerta», cioè r i c o n o s c e n d o s i colpevole e c h i e d e n d o p e r d o n o . Lo sdegnoso rifiuto del Poeta è docum e n t a t o in u n a lettera, che p e r ò s e m b r a apocrifa. Forse n o n rispose n e m m e n o . N o n si sa con esattezza q u a n d o lasciò Verona, né p e r c h é . Il Petrarca, capitato a n n i d o p o nella città scaligera, vi raccolse la voce che C a n g r a n d e aveva preso in uggia D a n t e e si divertiva a umiliarlo. Q u e s t o è c e r t a m e n t e falso: e lo d i m o stra la t e n a c e g r a t i t u d i n e che il Poeta n u t r ì s e m p r e p e r il suo anfitrione cui p o r t a v a in visione i Canti della sua Commedia. La chiacchiera del dissidio doveva esser nata dal fatto che D a n t e a Verona n o n era mai diventato p o p o l a r e a n c h e se b u o n a p a r t e della sua o p e r a vi aveva acquistato u n a certa notorietà. L'uomo n o n suscitava simpatie e n o n ne provava p e r nessuno. N o n si e r a appastato con la vita di Corte, n o n aveva amici nello Studio, cioè nell'Università, dove forse aveva invano sperato di o t t e n e r e u n a cattedra. 80
F u r o n o questi p r o b a b i l m e n t e i motivi che lo i n d u s s e r o ad accogliere l'invito di G u i d o Novello da Polenta di stabilirsi a R a v e n n a . G u i d o era anche lui u n o di quei Signori del Trecento che un p o ' con la violenza, un po' con l'astuzia avevano affossato gl'istituti democratici del C o m u n e e istaurato un p o t e r e personale. Ma lo esercitava in m a n i e r a diversa da C a n g r a n d e , cioè con m e n o fasto e più tatto. In gioventù e r a stato u o m o d ' a r m i piuttosto avventuroso ma ora, con la maturità e col «posto» assicurato, si era convertito alla cultura. Viveva in un palazzo molto m e n o s p l e n d i d o di quello scalig e r o , ma accogliente e foderato di libri. Egli stesso c o m p o neva versi, piuttosto bruttini, ma rispettosissimi della g r a m matica e della sintassi. Forse aveva già conosciuto D a n t e in occasione di qualche m i s s i o n e d i p l o m a t i c a c h e il Poeta a v r à svolto a n c h e a Rav e n n a p e r conto di C a n g r a n d e . Forse v e n n e a sapere di lui da q u a l c h e terzina c h e sarà g i u n t a al suo orecchio dell'Inferno, già a b b a s t a n z a c o n o s c i u t o n e l r i s t r e t t o a m b i t o della intellighenzia di allora. Forse era grato al Poeta di aver trattato con t a n t o affetto Francesca da Rimini, c h ' e r a sua zia. N o n si sa. D a n t e v e n n e c o m u n q u e su suo invito a insegnar retorica - p a r e - nello Studio, cui G u i d o d e d i c a v a c u r e particolari. La quiete, il silenzio la criptica bellezza di quella città tombale, chiusa nelle m e m o r i e del suo glorioso passato, dovett e r o piacergli n o n m e n o dell'affabilità del suo Signore. L a stima e la cordialità con cui si vide accolto sciolsero un p o ' i n o d i del suo carattere angoloso. N o n è accertato dove p r e n desse casa: p a r e d a v a n t i al c o n v e n t o dei francescani, d o v e p o i doveva essere sepolto. C o m u n q u e , vi si fece subito ragg i u n g e r e dai figli Piero e J a c o p o , e dalla figlia Antonia, che gli d i e d e r o il calore della famiglia. Questi ultimi a n n i furono forse i più sereni della sua vita tribolata, certo i più redditizi come lavoro. G u i d o lo colmava di cortesie, e gli amici di affetto. In l o r o c o m p a g n i a il Poeta faceva l u n g h e p a s s e g g i a t e nella s t u p e n d a p i n e t a di 81
Chiassi, soste sui sagrati delle cento chiese fra i m o n u m e n t i bizantini e gotici, e amichevoli visite al palazzo. O g n i tanto G u i d o lo incaricava di q u a l c h e missione, ma r i s e r v a n d o g l i solo quelle più delicate p e r n o n distrarlo dalle sue carte. Fu così che u n a volta lo m a n d ò a Venezia p e r risolvere u n a spinosa diatriba che minacciava di sfociare in u n a g u e r r a fra le d u e città. S'ignora c o m e D a n t e se la cavasse. Forse n o n fece n e m m e n o in t e m p o a svolgere il suo compito p e r c h é c a d d e a m m a l a t o e, s e n t e n d o approssimarsi la fine, affrettò il ritorn o . Doveva trattarsi d i u n a f o r m a a c u t a d i m a l a r i a p e r c h é aveva la febbre altissima e delirava. Q u a n d o arrivò a Ravenna era già allo stremo. N o n si sa n e m m e n o se riconoscesse i volti dei figli e degli amici c h e si a v v i c e n d a v a n o al suo capezzale. Spirò nella notte fra il 13 e il 14 s e t t e m b r e del 1321. I c o n t e m p o r a n e i n o n si accorsero molto di quella scomparsa: D a n t e e r a m o l t o m e n o c o n o s c i u t o e a m m i r a t o di certi m e d i o c r i latinisti c o m e Giovanni del Virgilio; e a n c h e t r a i poeti lo si considerava inferiore a un Guinizelli che Bologna aveva l a u r e a t o ad honorem. La sua g r a n d e z z a fu s c o p e r t a molto p i ù tardi. Il p r i m o a farsene u n ' i d e a abbastanza esatta, bisogna riconoscerlo, fu Boccaccio. Ma gli studi critici veri e p r o p r i su di lui cominciarono solo nel Settecento. Il Poeta n o n aveva sparpagliato il suo talento in u n a vasta p r o d u z i o n e . Aveva d e b u t t a t o con la Vita nova, scritta fra i diciotto e i ventinove a n n i , e h ' è il r o m a n z o poetico del suo a m o r e p e r Beatrice secondo la convenzione (ahi, q u a n t o visibile!) stilnovista. Alcune di quelle r i m e furono poi incluse nel Canzoniere, i n s i e m e ad altre, p i ù schiette e i m m e d i a t e , composte nello stesso p e r i o d o . Il suo p r i m o lavoro organico è il Convivio, che forse D a n t e cominciò all'inizio del suo lungo esilio p e r accreditarsi c o m e u o m o di d o t t r i n a presso coloro alla cui p o r t a avrebbe bussato. È u n o zibaldone che in 15 trattati doveva sviscerare tutto lo scibile del t e m p o . Grazie a Dio, il Poeta lo ridusse a tre soli forse p e r c h é a n c h e lui 82
ci si a n n o i ò . Più i m p o r t a n t e è il De vulgari eloquentia, p r i m a trattazione scientifica di lingua italiana. È i n c o m p i u t a e, dal p u n t o di vista filologico, grossolana e rozza. Per spiegare la diversità delle lingue, D a n t e si rifa alla t o r r e di Babele. Ma, accanto a queste ingenuità, ci sono a n c h e delle stupefacenti intuizioni. D a n t e ha c o m p r e s o che il latino o r m a i è u n a ling u a m o r t a . M a t e m e c h e q u e l l a «volgare» sia t r a v o l t a d a i dialetti p e r m a n c a n z a d i un'«aula», cioè d i u n a C o r t e , c h e elabori un «volgare» nazionale e illustre. Egli ha già previsto la tragedia della lingua italiana, che è p r o p r i o questa di n o n essersi mai formata. Il ghibellinismo di D a n t e e il suo sentim e n t o m o n a r c h i c o sono meglio espressi in questo trattato, d o v e s'invoca l'«aula», cioè l'unità nazionale i n t o r n o a u n a Corte laica, che nel De monarchia, c o m p o s t o in o n o r e di Arrigo V I I e p e r d a r e un f o n d a m e n t o filosofico e giuridico alle sue p r e t e s e di r e s t a u r a z i o n e imperiale. Q u i D a n t e ci a p p a r e solo c o m e un nostalgico c h e sogna l'impossibile ritorno alla concezione medievale di un I m p e r o e di un Papato c h e si d i v i d o n o f r a t e r n a m e n t e il p o t e r e spirituale e quello t e m p o r a l e sul m o n d o . Di lui r e s t a n o a n c h e 13 Epistole, delle molte centinaia che c e r t a m e n t e scrisse n e l c o r s o della sua vita p e r a n n o d a r e amicizie e s o p r a t t u t t o p e r r o m p e r n e . L e o n a r d o B r u n i dice di averne viste molte altre e ce ne descrive a n c h e la calligrafia: « m a g r a e l u n g a e m o l t o c o r r e t t a » . I n f i n e , le m e d i o c r i Egloghe che scambiò con G i o v a n n i del Virgilio e u n a Quaestio de aqua et terra c h e d o c u m e n t a i n s i e m e il suo interesse p e r la scienza e la sua ignoranza, c h ' e r a poi quella del tempo in cui visse. S o n t u t t e o p e r e t t e c h e a v r e b b e r o conferito a D a n t e u n r a n g o pari a quello di Cavalcanti, se a illuminarle di riflesso n o n ci fosse la Commedia. I dati anagrafici del capolavoro sono incerti. Boccaccio dice che D a n t e ne aveva già composto sette C a n t i p r i m a di lasciare Firenze. P r o b a b i l m e n t e l'idea di quella g r a n d e o p e r a gli v e n n e a R o m a , q u a n d o vi a n d ò p e r il Giubileo del '300. E D a n t e lo c o n f e r m a nel verso d'i83
nizio, «Nel mezzo del c a m m i n di nostra vita», cioè trentacinq u ' a n n i , q u a n t i ne aveva a p p u n t o a quella data. Ma n o n è d e t t o c h e , c o n c e p i t a l'idea, vi p o n e s s e subito m a n o . E p i ù p r o b a b i l e che gli sia m a t u r a t a in c o r p o p i a n o p i a n o . L'imp r e s s i o n e c h e se ne ricava, l e g g e n d o l a , è di qualcosa c h e , l u n g a m e n t e m e d i t a t o , sia stato poi colato di getto. E questo a v v e n n e d i c e r t o negli a n n i dell'esilio, p r o b a b i l m e n t e fra Verona e R a v e n n a , p e r c h é quella c h e vi alita dal p r i m o all'ultimo verso è la d i s p e r a z i o n e del p e r s e g u i t a t o che fa a p pello alla giustizia di Dio c o n t r o quella degli u o m i n i . N o n è q u e s t a la s e d e p e r r i t r a c c i a r e il c o n t e n u t o della Commedia, che tutti del resto conoscono nelle sue f o n d a m e n tali linee architettoniche. Boccaccio dice che la p r i m a intenzione di D a n t e fu quella di scriverla in latino. E impossibile n o n solo p e r c h é questo sarebbe stato c o n t r a r i o alle sue convinzioni letterarie, ma a n c h e p e r c h é il latino lo m a n e g g i a v a male. Il meraviglioso viaggio nell'oltretomba è diviso in tre cantiche (Inferno, P u r g a t o r i o e Paradiso), o g n u n a di trentatré canti che, con quello di p r o l o g o , f o r m a n o un insieme di c e n t o , n u m e r o p e r f e t t o . O g n i c a n t o a sua volta è diviso in terzine di endecasillabi fra loro legate: il p r i m o verso fa rima col terzo, il secondo col p r i m o della terzina successiva. D a n t e n o n p o t e v a p r o p o r s i un «piano» più rigido e scabroso. Ma egli era il c o n t e m p o r a n e o di Giotto e di Arnolfo, cioè d e i g r a n d i c o s t r u t t o r i di C a t t e d r a l i , e a n c h e lui volle elevarne u n a concepita secondo gli stessi r a p p o r t i e simmetrie. Poteva farlo p e r c h é aveva u n a p a d r o n a n z a assoluta del verso: egli stesso soleva dire che talvolta si e r a trovato in imbarazzo davanti a un'idea, ma mai davanti a u n a rima. E lo ha dimostrato coi suoi virtuosismi, r i u s c e n d o p e r e s e m p i o a c h i u d e r e tutt'e t r e le Cantiche con la parola «stelle». La Commedia n o n è u n ' o p e r a originalissima. Il Medio Evo e r a p i e n o di racconti, derivati s o p r a t t u t t o dalla favolistica a r a b a , di viaggi n e l l ' o l t r e t o m b a . D a n t e vi attinse, ma a g g i u n g e n d o v i qualcosa che lui solo possedeva: la Poesia. Essa n o n è p r e s e n t e in tutti i quindicimila versi del suo p o e m a , 84
che q u a e là divaga o sbadiglia. Ma n e s s u n o ne ha profusa di p i ù e più alta di lui. D a n t e fa s o r r i d e r e q u a n d o s'impanca nella filosofia. C r e d e v a di e s s e r e un t e o l o g o e di scrivere u n a specie di Summa o c o m p e n d i o d e l p e n s i e r o cristiano. Viceversa i n q u e s t o c a m p o e r a r i m a s t o a l q u a n t o a r r e t r a t o a n c h e in c o n f r o n t o a molti suoi c o e t a n e i c h e già a v e v a n o u n a q u a l c h e dimestichezza con le n u o v e c o r r e n t i razionalistiche n a t e in Francia alla scuola di Abelardo e diffuse in Italia da San T o m m a s o . D a n t e e r a rimasto al Medio Evo, con le sue superstizioni, i suoi t e r r o r i e la sua c o n c e z i o n e d e l m o n d o c o m e di un g r a n mistero, di cui solo Dio poteva fornire la chiave. Il suo orologio si era fermato al 1300, l ' a n n o del suo esilio. D o p o , n o n aveva vissuto c h e di ricordi, ripiegato su se stesso e sul suo passato. Per tutta la vita i suoi pensieri avevano seguitato a r u o t a r e su Firenze, Bonifacio, Corso, Vieri, G u i d o , Beatrice. Ma q u a n d o attinge a questo pozzo, la sua poesia è sublime, e lo è i m p a r z i a l m e n t e nella p r e g h i e r a e nella bestemmia. I suoi stessi difetti u m a n i - l'orgoglio, l'egocentrismo, la passionalità - sono la condizione della sua grandezza. N o n fu un p r e c u r s o r e del Risorgimento e dell'unità nazionale, c o m e q u a l c u n o scioccamente h a d e t t o . I n politica e r a soltanto un reazionario che sognava l'impossibile restaur a z i o n e d e l l ' u n i t à i m p e r i a l e . M a d i e d e agl'italiani l o s t r u m e n t o p i ù n e c e s s a r i o a d i v e n t a r tali: la l i n g u a . In q u e s t o Paese d ' i n s o p p o r t a b i l i r e t o r i l a t i n e g g i a n t i , il «volgare» diventò nobile solo grazie a D a n t e . A n c h e se n o n avesse altri meriti, questo basterebbe a far di Lui il g r a n d e «Padre della Patria».
CAPITOLO OTTAVO
LA « C A T T I V I T À DI BABILONIA»
Il trasferimento della sede apostolica ad Avignone nel 1305 e r a stato giustificato da C l e m e n t e V col fatto che R o m a n o n forniva g a r a n z i e di sicurezza e di moralità. La città, aveva detto, era in m a n o a nobili rissosi e p r e p o t e n t i , e la sua vita e r a c o r r o t t a fino alle midolla. Era abbastanza vero. Ma Avig n o n e n o n p r o m e t t e v a d i essere meglio, p e r c h é d o v u n q u e la C o r t e p a p a l e si acquartierasse, si scatenava la lotta di fazioni e d'influenze p e r i m p a d r o n i r s i del Soglio o p e r asservirlo c o n tutt'i mezzi, violenti o ritorti. La verità è che Clem e n t e e r a francese e francese e r a la m a g g i o r a n z a dei Cardinali, ligi alla volontà del loro Re che n o n voleva trovarsi di fronte a un altro Bonifacio V I I I . N o n aveva q u i n d i del tutto torto chi considerava il P a p a p r i g i o n i e r o e c h i a m ò il p e r i o do di Avignone «la cattività di Babilonia». Al timido, introverso e t o r m e n t a t o C l e m e n t e era succeduto lo scaltro e i n t r a p r e n d e n t e Giovanni X X I I , che considerò la Chiesa c o m e u n a g r a n d e i m p r e s a d'affari, e c o m e tale bisogna d i r e che la g o v e r n ò benissimo r e s t i t u e n d o alle casse vaticane tutta la loro floridezza. Un p o ' m e n o brillò come pastore di a n i m e e teologo. S'intromise in u n a disputa sugli attributi divini della Vergine Maria e p r o c l a m ò che anch'essa, p e r essere a s s u n t a in cielo, d o v e v a a s p e t t a r e il g i o r n o del giudizio universale. C ' e r a n o dei poveracci che, p e r bestemmie molto m e n o gravi, e r a n o finiti sul r o g o . Giovanni se la cavò p e r c h é era Papa e p e r c h é aveva novant'anni. Ma suscitò un u r a g a n o di p r o t e s t e , la sua affermazione fu definita eretica da un sinodo di Vincennes, ed egli n o n fu costretto a ritrattarla solo perché, vecchio com'era, n o n fece in t e m p o . 87
Il suo successore, B e n e d e t t o X I I , t e n t ò di r i m e d i a r e i guasti che Giovanni aveva provocato con la sua disinvoltura nel distribuire cariche a chi le pagava meglio. Era così ch'egli aveva r i m p i n g u a t o le sue finanze, ma aveva a n c h e deteriorato i q u a d r i della Chiesa. B e n e d e t t o cercò di bonificarli, ma p o t è farlo p e r c h é Giovanni aveva r i m p i n g u a t o le finanze. La lotta c o n t r o il s o t t o g o v e r n o e le b u s t a r e l l e n o n gli p r o c u r ò nessuna popolarità. O r m a i affezionati a quei m e t o di, t u t t i t r a s s e r o u n r e s p i r o d i sollievo q u a n d o B e n e d e t t o p r e m a t u r a m e n t e m o r ì (1342), e furono concordi nell'elegg e r e u n successore c h e t o r n a s s e alla vecchia b u o n a r e g o l a delle m a n c e e delle c a m o r r e . Clemente VI, a n c h e lui francese, e r a nato signore, da sig n o r e aveva vissuto, e d i c h i a r ò subito che n o n capiva p e r ché da signore n o n avrebbe d o v u t o c o n t i n u a r e a vivere anche c o m e Papa. I soldi, disse, o r a c ' e r a n o ; e invitò tutti ad approfittarne. Un testimone racconta che furono oltre centomila i preti che v e n n e r o a bussare alla sua porta, e nessuno t o r n ò via a m a n i vuote. Ma a beneficiarne furono a n c h e i laici, soprattutto gli artisti e i poeti, le d o n n e , che ebbero lib e r o i n g r e s s o a C o r t e , e p e r f i n o i cavalli. C l e m e n t e fu un g r a n d e allevatore, u n a specie di Tesio dei suoi t e m p i : e i maligni dicevano che se si fosse inteso di Santi c o m e s'intendev a d i p u l e d r i , s a r e b b e stato c e r t a m e n t e a n c h e u n g r a n d e t e o l o g o . Era logico c h e P e t r a r c a avesse p e r lui u n d e b o l e . Ma se Io meritava p e r c h é era un u o m o s t r a o r d i n a r i a m e n t e simpatico, g e n e r o s o , liberale, colto, senza p r e g i u d i z i e talm e n t e galante da d e l e g a r e alla Contessa di T u r e n n e , che ne fece il più sfacciato commercio, le p r o m o z i o n i nella carriera ecclesiastica. L'unica cosa c h e n o n si capiva è p e r c h é egli stesso l'avesse scelta. Ma, o l t r e c h e ai piaceri, si d e d i c ò a n c h e all'organizzazione e agli a b b e l l i m e n t i . C o n lui la C h i e s a p e r f e z i o n ò la sua m a c c h i n a b u r o c r a t i c a e a m m i n i s t r a t i v a , e il m a e s t o s o Palazzo dei Papi, già iniziato da B e n e d e t t o , si sviluppò olt r e il p i a n o o r i g i n a r i o . C l e m e n t e aveva il mal della p i e t r a 88
e il p a l a t o fine. In s o s t i t u z i o n e di G i o t t o c h e aveva chiam a t o ma c h e e r a m o r t o , invitò S i m o n e M a r t i n i , i cui affreschi fecero scuola a tutti gli artisti francesi e c h e , fra un a n g e l o e u n a M a d o n n a , r i t r a s s e - p a r e - a n c h e la L a u r a di P e t r a r c a . N a t u r a l m e n t e q u e s t e colossali i m p r e s e p r o s c i u g a r o n o le casse c h e G i o v a n n i aveva r i e m p i t o , e o b b l i g a r o n o Clem e n t e a r i n c r u d i r e le m i s u r e fiscali. La situazione n o n e r a allegra. L'Italia, o r a che il P a p a stava ad Avignone e q u i n d i n o n e r a più o e r a molto m e n o in g r a d o di d i s p e n s a r e favori e di esercitare r a p p r e s a g l i e , n o n m a n d a v a quasi più nulla: le S i g n o r i e e r a n o m e n o ligie alla C h i e s a di q u a n t o lo fossero stati i C o m u n i guelfi. I m p e g n a t e in u n a lotta m o r tale destinata a d u r a r e c e n t ' a n n i , la Francia e l ' I n g h i l t e r r a r a s t r e l l a v a n o t u t t o p e r i loro eserciti e al clero n o n lasciavano che gli occhi p e r p i a n g e r e . I p r e t i tedeschi e r a n o ostili a un P a p a t o c h e p a r l a v a francese. Per s u p e r a r e q u e s t e difficoltà, G i o v a n n i e B e n e d e t t o a v e v a n o già p o r t a t o al lim i t e e s t r e m o la p r e s s i o n e fiscale. O g n i n u o v o vescovo o abate doveva anticipare al Papa, p e r un a n n o , un terzo delle s u e r e n d i t e . Se d i v e n t a v a Arcivescovo, d o v e v a p a g a r e u n a s o m m a iperbolica p e r il m a n t o , che solo la C u r i a e r a a u t o r i z z a t a a fornirgli. A o g n i elezione di Pontefice, o g n i beneficio ecclesiastico doveva rimettergli u n ' a n n u a l i t à d'introiti. Alla m o r t e di o g n i C a r d i n a l e o Vescovo o Abate, tutti i suoi beni personali e r a n o confiscati dal Papa, cui a n d a vano a n c h e t u t t e le r e n d i t e del beneficio finché il successore n o n e r a n o m i n a t o , e a p p u n t o p e r c i ò le n o m i n e si facevano molto a s p e t t a r e . O g n i n u o v o designato e r a responsabile delle s o m m e d o v u t e dal suo p r e d e c e s s o r e . Chi adiva i tribunali pontifici p e r far valere i p r o p r i diritti doveva sobbarcarsi alle più gravose parcelle, e la vittoria costava semp r e p i ù della posta in gioco. Più che il malcostume, furono questi soprusi fiscali a fom e n t a r e il m a l c o n t e n t o c o n t r o A v i g n o n e . Alvaro Pelavo scrisse un « L a m e n t o sulla Chiesa» in cui si leggono frasi di 89
q u e s t o g e n e r e : «Ogni volta c h e e n t r o nella C o r t e P a p a l e , n o n trovo che p r e t i intenti a c o n t a r e i soldi rapinati... Sono i lupi che h a n n o assunto il controllo della Chiesa e succhiano il s a n g u e del gregge...» Il clero tedesco si r i u n ì in un sin o d o che decise di rifiutare le decime agli agenti del Papa e li a b b a n d o n ò alla furia del p o p o l o che ne linciò parecchi. Il p a r l a m e n t o inglese p r o m u l g ò leggi c o n t r o le tassazioni del P a p a e l ' e s p o r t a z i o n e di valuta. E t u t t o q u e s t o c r e ò u n ' a t mosfera favorevole al fiorire di u n a protesta p i ù p r o f o n d a , che rimetteva in discussione n o n solo i costumi della Chiesa, ma la Chiesa stessa. Q u e s t o fremito di rivolta, q u e s t o anelito di r i t o r n o alle p u r e fonti evangeliche e r a antico, d u r a v a - si p u ò dire - da s e m p r e , e n o n c'era stata p e r s e c u z i o n e che fosse riuscita a s p e g n e r l o del t u t t o . Gli scoppi p i ù violenti e r a n o avvenuti negli ultimi d u e secoli a o p e r a dei càtari, dei valdesi e d e i patarini. E p e r v e n i r n e a capo si e r a d o v u t o r i c o r r e r e all'Inquisizione. M a t o r t u r e , r o g h i e m a s s a c r i n o n a v e v a n o dis t r u t t o c h e l'organizzazione d i questi m o v i m e n t i ereticali. L'ispirazione era rimasta, e covava sotto la cenere. Al principio del '300, d i v a m p ò di n u o v o . Un frate di N o vara, D o l a n o , con le sue infiammate p r e d i c h e istruì un p r o cesso a l P a p a t o , d e n u n z i a n d o n e l ' i n a r r e s t a b i l e c a n c r e n a . D o p o il pontificato di Silvestro nel IV secolo, diceva, di Papi v e r a m e n t e cristiani n o n c ' e r a stato c h e Celestino V, e a p p u n t o p e r c i ò aveva d e p o s t o la t i a r a . O r a , si e r a toccato il fondo della d e g r a d a z i o n e . C o n la sorella Margherita, D o l a no fondò la «Apostolica Confraternita» di P a r m a . Era un ord i n e p r o m i s c u o in cui o g n u n o e r a autorizzato a vivere con la sua c o m p a g n a , ma i m p e g n a t o alla più rigorosa castità, e che rifiutava o g n i d i p e n d e n z a dalla Gerarchia. Il Papa o r d i n ò al Tribunale dell'Inquisizione di convocare i ribelli. Essi r i f i u t a r o n o di c o m p a r i r e e si r i t i r a r o n o armati sulle Alpi piemontesi. Alla testa di un grosso esercito di m e r c e n a r i , gli Inquisitori b l o c c a r o n o le valli. Dolcino e i suoi m a n g i a r o n o e r b a , 90
g h i a n d e , cavalli, topi, ma n o n si a r r e s e r o . Un migliaio cadd e r o c o m b a t t e n d o nell'assalto finale. Gli altri furono cattur a t i e avviati al r o g o . N o n o s t a n t e i p a t i m e n t i , M a r g h e r i t a e r a ancora così bella che u n o dei capi papalini le offrì la salvezza e il m a t r i m o n i o , se abiurava. M a r g h e r i t a rifiutò e si lasciò d i v o r a r e dalle fiamme. Dolcino e il s u o l u o g o t e n e n t e L o n g i n o subirono un t r a t t a m e n t o speciale. F u r o n o fatti sfilare su un c a r r o p e r le s t r a d e di Vercelli m e n t r e i carnefici l e n t a m e n t e li dilaniavano con tenaglie roventi e lanciavano al p o p o l o festante i brandelli del loro c o r p o . C o m e s e m p r e nei suoi m o m e n t i p i ù critici, la Chiesa trovò, a difenderla dagli eretici, i Santi. Era successo a n c h e al tempo dei valdesi, dei catari e dei patarini, q u a n d o e r a n o sorti T o m m a s o , Francesco e D o m e n i c o . Q u e s t a coincidenza n o n è affatto fortuita: Santi ed eretici t r a g g o n o ispirazione dagli stessi t u r b a m e n t i , i n c a r n a n o le m e d e s i m e aspirazioni, e gli eretici somigliano ai Santi molto più di q u a n t o i Santi somiglino ai conformisti e alla loro ortodossia. Solo p e r un pelo infatti Santa C a t e r i n a evitò di far la fine di M a r g h e r i t a . E r a nata a Siena, la p i ù medievale di tutte le città italiane, i m m o b i l e n e l t e m p o e c h i u s a nelle s u e m u r a . I suoi architetti e pittori - L o r e n z o Maitani, A n d r e a Pisano, Duccio di B u o n i n s e g n a , Simone Martini - le avevano d a t o u n a bellezza t o m b a l e e assoluta, così assoluta c h e n e s s u n o ha più osato metterci le m a n i . La Piazza del C a m po col suo Palazzo Pubblico, con la sua T o r r e del Mangia e c o n gli s t u p e n d i palazzi c h e l e facevano c o r n i c e , n o n e r a un c e n t r o cittadino, ma un m o n d o e u n a civiltà, il cui o r o logio si e r a f e r m a t o (e lo è t u t t o r a ) . Q u i , a n c o r a p i ù c h e a Firenze, e r a vivo lo spirito di q u a r t i e r e e di fazione, sopravvissuto fino a o g g i nel Palio. E q u i si seguitava a r e s p i r a r e l ' a u r a religiosa, intrisa di misticismo e di f a n a t i s m o , delle Crociate. C a t e r i n a ne fu l'incarnazione. A quindici a n n i si fece terziaria d o m e n i c a n a , il che le consentiva di c o n t i n u a r e a vi91
vere la vita secolare. I suoi genitori, p e r s t r a p p a r l a alla vocazione, le a d d o s s a r o n o i lavori domestici p i ù p e s a n t i , obbligandola a spazzare, a lavare, a p o r t a r e legna. Essa assolse questi compiti g a i a m e n t e , p a g a delle beatitudini che l'att e n d e v a n o di n o t t e nella sua c a m e r e t t a , a s c e t i c a m e n t e arr e d a t a c o m e u n a cella di m o n a c a , che a n c o r a si p u ò visitar e . Lì essa aveva le sue estasi e visioni. G o d e v a nel sentire la p r o p r i a c a r n e trafitta d a i c h i o d i c h e a v e v a n o m a r t o r i a t o Gesù sulla croce e si sentiva c h i a m a t a da Lui c o m e sposa. Q u a n d o s i r i t e n n e a b b a s t a n z a t e m p r a t a p e r r e s i s t e r e alle tentazioni del m o n d o , vi s'immerse, ma solo p e r r e c a r e aiuto e c o n f o r t o a chi ne aveva b i s o g n o . Doveva s p r i g i o n a r e u n a s u g g e s t i o n e irresistibile p e r c h é a n c h e i p e c c a t o r i p i ù incalliti nella ribalderia e nell'empietà ascoltavano con river e n z a la sua parola. Q u a n d o scoppiò la peste, assistè gl'infermi, contrasse il m o r b o e ne rimase sfigurata, ma sopravvisse. La fama della sua santità si sparse t u t t ' i n t o r n o . Mont e p u l c i a n o la c h i a m ò a r i m e t t e r e p a c e fra le fazioni c h e si d i s s a n g u a v a n o . Pisa e Lucca s o l l e c i t a r o n o i suoi consigli. F i r e n z e le offrì di a n d a r e c o m e sua a m b a s c i a t r i c e ad Avig n o n e . C a t e r i n a consentì, e ciò che vide la r i e m p ì di o r r o r e e di disperazione. Lo disse, anzi lo g r i d ò al p a p a G r e g o r i o XI in t e r m i n i così violenti («Qui si r e s p i r a p u z z o d'inferno!» u r l ò a un c e r t o p u n t o ) c h e alcuni Cardinali, p r e s e n t i al colloquio, p r o p o s e r o di arrestarla. Ma il Papa, più intelligente di loro, la protesse. T o r n a t a nella sua cella, Caterina i n o n d ò di lettere esaltate e d i s p e r a t e il m o n d o della Chiesa. N o n le scriveva lei, p e r c h é era analfabeta. Le dettava, in u n a lingua semplice e d i s a d o r n a , ma in cui a r d e v a un fuoco che incuteva rispetto e t i m o r e anche ai destinatari m e n o ricettivi. La parola riformazione t o r n a v a di c o n t i n u o in questi suoi appassionati a p pelli: e di lì a pochi a n n i si sarebbe visto q u a n t o era profetica. N o n volle p i ù uscire da quella a n a c o r e t i c a r e c l u s i o n e . Ma di lì mise a s o q q u a d r o Papi, Cardinali, Vescovi e Re. La sua energia rimase i n d o m i t a a n c h e q u a n d o , s p i n g e n d o al92
l'estremo limite l'ascetismo, essa n o n accettò altro n u t r i m e n to che l'ostia consacrata. Solo lo scisma della Chiesa la stroncò. Morì di d i s p e r a z i o n e nel 1380, e n o n aveva che t r e n t a tré a n n i . Fu fatta Santa p e r c h é quel famoso g i o r n o G r e g o rio XI si e r a rifiutato di farla a r r e s t a r e . Se al posto di G r e gorio ci fosse stato Bonifacio V i l i , forse essa sarebbe finita eretica c o m e la sorella di Fra' Dolcino, con cui aveva in com u n e i motivi di rivolta.
CAPITOLO N O N O
COLA DI RIENZO
I r o m a n i n o n avevano t a r d a t o ad accorgersi che, col Papato, avevano perso l'unica loro industria. La Chiesa amministrava male il suo d e n a r o , ma ne p o m p a v a molto da tutta E u r o pa. Esso n o n si t r a d u c e v a in scuole, in ospedali, in s t r a d e ; ma si diffondeva con elemosine e «bustarelle», cui il popolino o r m a i si e r a abituato. C o n esse e r a v e n u t o a m a n c a r e l'alt r o g r a n d e introito: il t u r i s m o . N e s s u n o aveva p i ù r a g i o n e di venire in u n a città che n o n era p i ù capitale di nulla. La d e c a d e n z a fu r a p i d a e d r a m m a t i c a . T u t t o quel m o n do cosmopolita di prelati e di notai che gravitava i n t o r n o alla C u r i a e c h e a l i m e n t a v a n e l l ' U r b e la c o r r u z i o n e , ma vi r a p p r e s e n t a v a a n c h e u n a fonte di ricchezza e le conferiva u n a n o t a di vivacità intellettuale, aveva seguito il P a p a ad A v i g n o n e . E di f r o n t e e r a n o r i m a s t e u n ' a r i s t o c r a z i a a r r o gante e u n a plebe cenciosa. N o n c'era un tecnico né un soldo p e r r i p a r a r e i selciati. Un i n c e n d i o scoppiato in Laterano si m a n g i ò m e z z o palazzo senza che n e s s u n o riuscisse a spengerlo: m a n c a v a n o i p o m p i e r i . Insieme alla capitale, e r a n o tutti gli Stati della Chiesa che si d e c o m p o n e v a n o . I signorotti che fin allora avevano a m m i n i s t r a t o le città di Lazio, U m b r i a , M a r c h e , Emilia e Rom a g n a in n o m e dei Papa, approfittavano o r a della sua lont a n a n z a p e r r e n d e r s i s e m p r e più i n d i p e n d e n t i . E r a n o i Malatesta, gli Ordelaffi, i Montefeltro, i Varano, i Trinci. I Consoli e i S e n a t o r i r o m a n i p o r t a v a n o un titolo p o m p o s o , ma n o n avevano n e a n c h e il p o t e r e di r i p a r a l e u n a fogna. Nella penisola, i poli di attrazione e r a n o tutt'altri: Venezia, Milan o , Genova, Firenze, Napoli. 94
L'Urbe aveva m a n d a t o messaggi su messaggi a C l e m e n t e e Giovanni p e r indurli a t o r n a r e . Ma quei Papi francesi, che si t r o v a v a n o b e n i s s i m o in casa p r o p r i a , a v e v a n o risposto evasivamente, o n o n avevano risposto affatto. Del resto, anche s e avessero voluto, n o n a v r e b b e r o p o t u t o . Essi e r a n o p r i g i o n i e r i d i u n a schiacciante m a g g i o r a n z a d i C a r d i n a l i francesi, più ligi al loro Re che alla loro Chiesa. Fu in odio a loro che R o m a accolse con entusiasmo il successore di Arrigo V I I , Ludovico IV il Bàvaro, che nel 1327 scese nella Penisola p e r cingere le d u e c o r o n e : quella di Re d'Italia a M i l a n o , e quella i m p e r i a l e a R o m a . Lo r e n d e v a simpatico la s c o m u n i c a che c o n t r o di lui aveva lanciato da A v i g n o n e p a p a G i o v a n n i . L u d o v i c o aveva p o c h i u o m i n i e poco d e n a r o , c o m e il suo p r e d e c e s s o r e . Ma in a b b o n d a n z a gliene f o r n i r o n o i Visconti, i Della Scala e il C a s t r a c a n i di Lucca. Q u a n t o a R o m a , p i ù i n e r m e e squattrinata di lui, lo colmò di battimani e di titoli onorifici. Lo scomunicato Ludovico fu proclamato I m p e r a t o r e da un Vescovo a sua volta s c o m u n i c a t o , e acclamato S e n a t o r e e C a p i t a n o del Popolo in Campidoglio. Davanti a u n a folla p l a u d e n t e in piazza San Pietro p r o c l a m ò d e p o s t o «l'anticristo J a c o p o da Cahors, che si dice G i o v a n n i X X I I » e gli d i e d e c o m e successore frate Pietro da C o r v a r o col titolo di Niccolò V, da cui si fece riconsacrare. Fu il solito fuoco di paglia. Q u a n d o i r o m a n i s e n t i r o n o che da Sud accorreva R o b e r t o d'Angiò con un esercito p i ù forte (e ci voleva poco) di quello del Bàvaro, cominciarono a n u t r i r e qualche d u b b i o sulla legittimità della c o r o n a di Ludovico e della tiara di Niccolò. Q u e s t i d u b b i d i v e n t a r o n o s e m p r e p i ù forti via via che R o b e r t o si avvicinava. E si tras f o r m a r o n o nell'assoluta certezza che il Papa vero e r a Giovanni, q u a n d o videro i tedeschi s g o m b r a r e precipitosamente e r i p r e n d e r e la via del N o r d . Niccolò ne seguì l'esempio e, c o n t a n d o sul loro ghibellinismo, chiese asilo ai pisani. Costoro lo i m p a c c h e t t a r o n o e lo s p e d i r o n o ad Avignone c o m e grazioso d o n o a p a p a Giovanni. Q u e s t o Pontefice m e r c a n t e 95
e s i m o n i a c o n o n c r e d e v a i n Dio, m a a p p u n t o p e r q u e s t o n o n dava molta i m p o r t a n z a alle offese contro il suo Vicario. Si c o n t e n t ò d ' i m p o r r e a Niccolò un'autocritica con cui il poveraccio si riconobbe peccatore e si dichiarò pentito. Poi lo confinò in un'ala del palazzo, e lì lo lasciò invecchiare e m o rire in pace. L u d o v i c o f r a t t a n t o aveva risalito la p e n i s o l a facendosi p a g a r e da varie città, in sonanti fiorini, la rinunzia al diritto di saccheggiarle. Ed e r a sparito di là dalle Alpi, lasciandosi d i e t r o un discredito che investiva n o n solo la sua p e r s o n a , ma anche il titolo ch'egli aveva i n d e g n a m e n t e incarnato. La d e c a d e n z a di R o m a continuava, s e m p r e più l'orgogliosa capitale sì riduceva a villaggio. Nel ' 4 3 la p o p o l a z i o n e , d e l u s a d a l l ' i n c a p a c i t à d e i suoi blasonati governanti a ripristinarvi il Papato, decise di agire di p r o p r i a iniziativa m a n d a n d o ad Avignone un'ambasceria speciale. La capeggiava un giovane notaio, Nicola di Rienzo Cabrini, c o m u n e m e n t e c h i a m a t o Cola di Rienzo. Figlio di un oste e di u n a l a v a n d a i a , n a t o e c r e s c i u t o nel q u a r t i e r e più proletario di Trastevere, incarnava gli u m o r i sanguigni e protestatari di u n a plebe i g n o r a n t e e a m a r e g g i a t a dal confronto fra le antiche g r a n d e z z e e le presenti miserie. Era un miscuglio di Mussolini e di La Pira: un tipico arruffa p o p o lo italiano che p a r l a n d o si ubriaca delle p r o p r i e parole e finisce p e r c r e d e r c i s m a r r e n d o v i il senso della realtà e della misura. Ad Avignone, p r i m a ancora che dal Papa, Cola a n d ò dal Petrarca, che sapeva molto b e n e i n t r o d o t t o e assai influente in C u r i a . Il Poeta aveva s e m p r e c e r c a t o di s t a r e alla larga dalla politica e n o n vi si era mai c o m p r o m e s s o . Ma Cola se lo conquistò parlandogli di R o m a , d e l l ' I m p e r o , di Augusto, degli archi, delle colonne, delle aquile, della Gloria. D u e anni p r i m a Petrarca era stato c o r o n a t o in Campidoglio, aveva pianto sulle rovine dell'Urbe e ne aveva invocato la r e s u r r e zione. In Cola, che parlava il suo stesso linguaggio, gli par96
ve di v e d e r e l'unico u o m o capace di realizzarla, e lo a p p o g giò senza riserve. G i o v a n n i X X I I e r a m o r t o . E al suo p o s t o c'era o r a Clem e n t e VI, g r a n signore, ma a n c h e g r a n d e scettico. Accolse p a t e r n a m e n t e l'avvocato r o m a n o , si accorse subito c h ' e r a un esaltato, ma p r e s t ò benevolo orecchio alla sua requisitoria c o n t r o i nobili r o m a n i che avevano fatto dell'Urbe e del suo c o n t a d o u n ' a r e n a , diceva Cola, delle loro b a n d e e delle loro risse. Il Papa gli diede ragione, lo incoraggiò a organizzare u n a resistenza c o n t r o i loro soprusi. E, fedele alla sua r e s o l a di n o n r i m a n d a r e mai indietro n e s s u n o a m a n i vuote, lo provvide di un po' di quei fiorini che il suo p r e d e c e s sore aveva accumulato con tanta ostinazione. Rientrato a R o m a con quei soldi e quel crisma, Cola passò all'azione. Rivestita u n a toga bianca di S e n a t o r e con un bizzarro c o p r i c a p o ricamato di s p a d e , indisse p e r il g i o r n o di Pentecoste (1347) un p a r l a m e n t o di p o p o l o che lo p r o clamò R e g g e n t e insieme al Vicario pontificio e «Liberatore della Sacra R e p u b b l i c a R o m a n a » : titolo vago, a cui n o n si sapeva quali poteri corrispondessero. Ma Cola lo i n t e r p r e t ò nel senso più lato. A r m ò u n a milizia p o p o l a r e p e r richiamare alla r a g i o n e le s q u a d r a c c e dei nobili. C o s t o r o finsero di sottomettersi, e si r i t i r a r o n o nei loro castelli dei d i n t o r n i a p r e p a r a r e la controffensiva. Cola sulle p r i m e n o n a m m i n i s t r ò male. R i o r d i n ò il fisco e fece f u n z i o n a r e la giustizia. A n c h e il p r i n c i p e Pietro Col o n n a d o v e t t e subire un processo e fu gettato in p r i g i o n e . Ma q u e s t i successi u b r i a c a r o n o il t r i b u n o c h e c o m i n c i ò a p a r l a r e di sé come del « R e d e n t o r e del Sacro I m p e r o Romano p e r volontà di Cristo». Il giorno di ferragosto si fece cingere in Santa Maria Maggiore di sei c o r o n e , alzò u n a palla d'argento come simbolo di p o t e r e m o n d i a l e , vietò a q u a l u n q u e esercito straniero di p o r r e piede sul suolo italiano, convocò tutti i sovrani della t e r r a a R o m a p e r eleggervi un Imp e r a t o r e , che n a t u r a l m e n t e sarebbe stato lui, e cominciò a comportarsi come se lo fosse di già. Volle l'investitura di Ca97
valiere, a n d ò in g r a n p o m p a al battistero del L a t e r a n o , e si gettò tutto vestito d e n t r o la g r a n d e pila, dove si diceva che Costantino si fosse p u r g a t o del suo p a g a n e s i m o . Poi, avvolto nella toga bianca, trascorse la notte su un giaciglio fra i pilastri della basilica. L'indomani p r o c l a m ò libere tutte le città d'Italia, conferì loro la qualifica di «romane», e con la spada fece tre segni in aria izi t u t t e le d i r e z i o n i g r i d a n d o : « Q u e s t o a p p a r t i e n e a m e , e a n c h e quest'altro, e quest'altro». I n a u g u r ò u n a n u o v a divisa di seta c o n f r a n g e d ' o r o . Cavalcò un cavallo b i a n c o con un baldacchino reale facendosi scortare da cento cavalieri armati. E q u a n d o Stefano C o l o n n a scosse la testa ridacc h i a n d o , lo fece a r r e s t a r e con altri nobili, se li fece t r a d u r r e in catene sul Campidoglio, chiese e o t t e n n e dal p a r l a m e n t o la loro d e c a p i t a z i o n e , li p e r d o n ò e affidò loro a l c u n e cariche del g o v e r n o . Essi s c a p p a r o n o , e organizzarono un esercito p e r rovesciare il t r i b u n o impazzito. Fino a quel m o m e n t o p a p a C l e m e n t e , che p e r i nobili rom a n i n o n aveva simpatia, aveva trattato Cola con u n a certa indulgenza. Ma o r a si rese conto a n c h e lui che si trattava di u n o squilibrato ed e m a n ò u n a «bolla» in cui si diceva che se il t r i b u n o n o n si ritirava, la festa del Giubileo in p r o g r a m m a di lì a tre anni, nel '50, sarebbe stata annullata e R o m a n o n avrebbe mai più p o t u t o i n d i r n e altre. A q u e l l ' a n n u n z i o i n o bili si fecero sotto le m u r a della città con le loro b a n d e . Cola fece s u o n a r le c a m p a n e p e r c h i a m a r e il p o p o l o a raccolta. Ma quasi n e s s u n o si p r e s e n t ò . Il p o p o l o e r a a n c o r a p e r lui p e r c h é nella sua retorica aveva trovato un diversivo alla fam e . Ma la p a u r a di p e r d e r e il Giubileo, unica occasione che restava a R o m a di sentirsi a n c o r a u n a città i m p o r t a n t e e di rimpannucciarsi coi turisti, fu ancora più forte. Il t r i b u n o lasciò la città m e n t r e le b a n d e dei nobili vi facevano i r r u z i o n e . A v v e n t u r o s a m e n t e , fra mille triboli e p e ricoli, risalì l'Italia, sconfinò in G e r m a n i a , e chiese ospitalità alla Corte d e l l ' I m p e r a t o r e di t u r n o , c h ' e r a Carlo IV di Boemia. Gli disse che la colpa di tutto era del Papa, che fomen98
fava l'anarchia di Roma. L'Imperatore lo zittì. Però q u a n d o C l e m e n t e gli chiese la consegna di Cola, gliela rifiutò. Fu lo stesso t r i b u n o che, d o p o un a n n o di s t r u g g i m e n t i , p r e s e la via di Avignone. Arrivato lì, chiese subito di Petrarca, certo fidando nel suo p a t r o n a t o . Il Poeta e r a a Vaucluse e n o n si mosse. Però c o m p o s e u n a lettera in difesa di Cola, proclam a n d o l o e n f a t i c a m e n t e c a m p i o n e della g r a n d e z z a e delle libertà di R o m a . Forse a n c h e p e r questo alto intervento, il t r i b u n o fu salvo. Lo t e n n e r o in custodia nella t o r r e del palazzo p a p a l e e gli d i e d e r o da leggere e m e d i t a r e le Sacre Scritture. D u e anni d o p o un altro p o p o l a n o di R o m a , Baroncelli, cercò di rip e t e r e l'impresa di Cola, s c a t e n a n d o il p o p o l o , cacciando i nobili e p r o c l a m a n d o s i Vicario d e l l ' I m p e r a t o r e . C l e m e n t e e r a m o r t o . Il n u o v o p a p a I n n o c e n z o VI p e n s ò che soltanto Cola p o t e v a n e u t r a l i z z a r e q u e l n u o v o flagello e lo s p e d ì a R o m a c o m e aiuto e consigliere del C a r d i n a l e Albornoz, incaricato di ripristinarvi l'autorità pontificia. Alla notizia d e l l ' i m m i n e n t e r i t o r n o del t r i b u n o , la folla scacciò Baroncelli che fino al g i o r n o p r i m a aveva acclamato, e innalzò archi di trionfo al vecchio idolo. Questi v e n n e nom i n a t o senatore e g o v e r n a t o r e da Albornoz che trovò conveniente sfruttare la sua popolarità. I r o m a n i tuttavia rimasero un p o ' delusi, q u a n d o lo videro sul C a m p i d o g l i o e ne u d i r o n o le parole. Sebbene avesse di poco s u p e r a t o la quar a n t i n a , e r a i n g r a s s a t o e flaccido, e a n c h e la sua o r a t o r i a aveva p e r s o lo smalto. P r o n u n c i ò u n a specie di autocritica c o n d a n n a n d o e ridicolizzando n o n senza arguzia le p r o p r i e follie di gioventù e la p r o p r i a m e g a l o m a n ì a . E nel finale ci ricascò in pieno p a r a g o n a n d o se stesso a N a b u c o d ò n o s o r e a n n u n z i a n d o il r i t o r n o delle aquile imperiali sui colli fatali d i R o m a . I n s t a u r ò u n r e g i m e d i polizia che p r o c e d e t t e a d a r r e s t i a r b i t r a r i e a esecuzioni s o m m a r i e . E coglieva o g n i pretesto p e r affacciarsi al balcone e sciorinare discorsi in cui i m p a r z i a l m e n t e si alternavano le più rosee speranze, le p r e visioni più catastrofiche, le minacce e le vanterie. 99
La gente cominciò a sospettare che il t r i b u n o n o n avesse la testa a p o s t o . In r e a l t à n o n l'aveva mai avuta. Ma o r a a sconvolgergliela c'era a n c h e l'alcool. Cola beveva c o m e u n a s p u g n a , e c o m e u n a s p u g n a era infatti diventato. «Haveva u n a ventresca t o n n a , trionfale a m o d o che u n o abate» scrive il cronista Fortifiocca. D o p o settanta giorni di quel r e g i m e in cui ne a v v e n n e r o di tutti i colori, il p o p o l i n o del s u b u r b i o si sollevò, forse a n c h e su istigazione e p e r le «bustarelle» dei nobili. Cola t e n t ò di placarlo c o n u n o dei soliti discorsi, si avvide che il suo mito e r a m o r t o , e tentò di fuggire travestito da pastore e con la faccia tinta di nerofum o . Ma fu riconosciuto dal braccialetto d ' o r o che portava al polso, a g g u a n t a t o e trascinato ai piedi del Campidoglio dove tante teste e r a n o rotolate in suo n o m e . Chiese di parlare. Ma un artigiano, t e m e n d o che riuscisse a stregare di n u o v o la folla, gli troncò la parola in bocca con u n a pugnalata. Altri cento lo imitarono. Il c o r p o crivellato rimase d u e giorni a p p e s o a un balcone. «Grasso e r a orribilmente - dice il Fortifiocca. - Bianco c o m e latte, insanguinato. Tanta era la sua grassezza, che p a r e a u n o smesurato bufalo, o vero vacca da maciello».
CAPITOLO DECIMO
PETRARCA
C o m e a b b i a m o già d e t t o , nel 1302, in seguito all'arrivo di Carlo di Valois e con la benedizione di p a p a Bonifacio V i l i , i Neri di Firenze capeggiati da Corso Donati avevano regolato i conti coi Bianchi capeggiati da Vieri Cerchi. Fra costoro, a p r e n d e r e la via dell'esilio, ci fu un certo Messer Petracco che, insieme a Dante Alighieri, infilò quella di Arezzo. Petracco a p p a r t e n e v a alla b u o n a borghesia fiorentina, ed e r a u n notaio molto stimato. Doveva a n c h e avere u n certo p a t r i m o n i o , ma lo p e r s e t u t t o o quasi t u t t o . Al seguito si p o r t ò tuttavia il b e n e a cui forse p i ù teneva: la bella moglie Eletta, molto più giovane di lui, che aveva sposato da poco. Ad Arezzo, ebbe subito u n a p a r t e i m p o r t a n t e nella «Università Bianca», l'organizzazione politica e militare dei fuorusciti che si p r e p a r a v a n o alla controffensiva. E nella p r i m a v e r a del 1304 fu u n o dei d u e delegati che i Bianchi m a n d a r o n o a Firenze p e r trattare coi Neri le condizioni del loro r i e n t r o e di u n a generale pacificazione. Carlo di Valois aveva lasciato la Toscana, Bonifacio e r a m o r t o , e il n u o v o Papa, B e n e d e t t o XI, aveva rinunciato a e s t e n d e r e il d o m i n i o della Chiesa su F i r e n z e . Voleva soltanto che si p o n e s s e fine alla lotta di fazioni. Petracco svolse b e n e la sua missione diplomatica, e d o p o u n a solenne cerimonia in piazza Santa Maria Novella scambiò il bacio della pace coi delegati dei Neri in mezzo a un festoso s c a m p a n i o . Ma p u r t r o p p o la p a c e si limitò al bacio. P r o f i t t a n d o della m o r t e di B e n e d e t t o , i N e r i s c a t e n a r o n o dei disordini con saccheggi e incendi, ne d i e d e r o la colpa ai Bianchi, e ribadirono la loro c o n d a n n a . Agli esuli n o n rima101
se che t e n t a r e il colpo di forza. Ma l'azione fu mal sincronizzata p e r l'indisciplina di u n o dei loro capi, che volle agire da solo p r i m a che il grosso dell'esercito fosse riunito, e venne schiacciato. D o v e t t ' e s s e r e u n b r u t t o colpo p e r Petracco, c h e nello stesso t e m p o vedeva fallire la sua azione diplomatica e svanire la sua speranza di un ritorno in patria. Ma ad attenuar e l a sua a m a r e z z a p r o v v i d e Eletta r e g a l a n d o g l i p r o p r i o quel g i o r n o , 20 luglio 1304, un bel figlio maschio, che venne battezzato col n o m e di Francesco. E possibile che D a n t e , amico del n o t a i o e a n c h e lui in quel m o m e n t o ad Arezzo, abbia fatto le congratulazioni alla p u e r p e r a e visto il fantolino in culla. Il piccolo n o n ebbe t e m p o di familiarizzarsi c o n la città in cui e r a n a t o . D o v e v a e s s e r e a n c o r a in fasce, q u a n d o i suoi si trasferirono nel paese di origine di Petracco, Incisa Val d ' A r n o . Q u i c r e b b e fino ai sette o otto a n n i , e qui p r o b a b i l m e n t e gli n a c q u e un fratellino, G h e r a r d o . La sua infanzia d o v e t t ' e s s e r e p i u t t o s t o selvatica in q u e l villaggio di p o c h e centinaia di a n i m e e di ristretti orizzonti. Ma a otto a n n i gli capitò la p r i m a delle molte s t r a o r d i n a r i e a v v e n t u r e della sua vita: suo p a d r e lo c o n d u s s e a Pisa, d o v e a n d a v a per incontrare l'imperatore Arrigo VII, ultima speranza dei fuorusciti Bianchi. Costoro e r a n o tutti lì ad aspettarlo. C'era a n c h e D a n t e . E in u n a lettera al Boccaccio di sessant a n n i d o p o , Petrarca racconta d i averlo a p p u n t o conosciuto allora. Più che Dante p e r ò , di cui n o n poteva m i s u r a r e la grandezza, fu Pisa a fargli i m p r e s s i o n e . La città n o n e r a p i ù la «regina del mare» c o m e u n a volta: Genova aveva d i s t r u t t o la sua flotta nella battaglia della Meloria del 1284, e Firenze aveva rosicchiato e ridotto al lumicino il suo e n t r o t e r r a . Ma la vecchia gloriosa Repubblica aveva trovato i suoi c o m p e n si nell'arte e nella c u l t u r a . P r o p r i o allora nascevano la stup e n d a c a t t e d r a l e , il famoso c a m p a n i l e , lo s p l e n d i d o C a m p o s a n t o che Giotto e L o r e n z e t t i stavano p e r affrescare. E 102
l'Università era già celebre, grazie s o p r a t t u t t o a Bartolo di Sassoferrato, l u m i n a r e del Diritto. Il soggiorno a Pisa fu breve, c o m e l'avventura di Arrigo. Alla sua m o r t e gli esuli fiorentini si s b a n d a r o n o . D a n t e tornò a Verona, dove già si e r a accasato, ospite di C a n g r a n d e della Scala. E Petracco con la famiglia s'imbarcò p e r Avignone, dove C l e m e n t e V, lo abbiamo già detto, aveva trasferito fin dal 1305 la sede del Papato. Petracco ebbe c e r t a m e n t e un i m p i e g o alla Corte Pontificia. Ma n o n riuscì a trovare un alloggio in quella città t r o p po piccola p e r o s p i t a r e le migliaia di prelati, di dignitari e di diplomatici che vi e r a n o accorsi da ogni p a r t e . Così la famiglia v e n n e d i r o t t a t a nella vicina C a r p e n t r a s , dove Francesco visse fino ai quindici anni, felice e piuttosto i g n o r a n t e . Q u e s t o beato i n t e r m e z z o finì nel '19 q u a n d o suo p a d r e , che voleva avviarlo alla sua stessa professione, lo m a n d ò a scuola di Diritto, p r i m a a Montpellier, poi a Bologna. E fu qui che Francesco scoprì la p r o p r i a vocazione. L'Università di Bologna era o r m a i la più accreditata d'Europa. C ' e r a n o diecimila studenti di tutte le parti del m o n d o , che d a v a n o a quella città di cinquantamila abitanti (o giù di lì: i censimenti a quei tempi n o n c'erano) un tono cosmopolita e spregiudicato. E r a n o divisi in «nazioni» secondo il Paese di p r o v e n i e n z a e organizzati in «corporazioni» o n n i p o t e n t i , dalle quali il c o r p o accademico dipendeva. A esse il professore - in «cappa» color p o r p o r a col cappuccio - prestava giur a m e n t o , e da esse riceveva lo stipendio, le m u l t e p e r le assenze ingiustificate, e il licenziamento q u a n d o le sue lezioni n o n soddisfacevano più. Ma ciò che dava forza e prestigio a quell'Ateneo, oltre al fatto di avere già quasi d u e secoli di storia, e r a la sua i m p r o n t a laica. Esso e r a sorto n e l m o m e n t o più d r a m m a t i c o della lotta fra Papato e I m p e r o . E l ' I m p e r o lo aveva aiutato e finanziato p e r formarvi u n a sua classe dirigente e amministrativa da c o n t r a p p o r r e a quella ecclesiastica. Laicismo significa libertà. E la libertà è la condizione di ogni progresso, ma specialmente di quello culturale. 103
Petrarca a p p r e z z ò tutto di Bologna, fuorché gli studi giuridici p e r i quali suo p a d r e ce l'aveva m a n d a t o . C o m e disse più tardi, il mestiere di avvocato n o n si deve fare disonestam e n t e , ma o n e s t a m e n t e n o n si p u ò . Così, invece di frequentare le lezioni di Diritto, seguì i corsi di letteratura, e soprattutto sprofondò in quella classica, che p r o p r i o allora veniva rilanciata. Virgilio, Cicerone e Seneca furono p e r lui folgor a n t i scoperte. Sui loro testi perfezionò il suo latino, c h ' e r a già a b b a s t a n z a b u o n o . E da allora fu c o n t a g i a t o da u n a ghiottoneria di manoscritti rari, che doveva far di lui un collezionista raffinato, un esploratore di archivi, in u n a p a r o l a il p r i m o g r a n d e umanista d ' E u r o p a . N o n s a p p i a m o n i e n t ' a l t r o della sua vita di goliardo. Ma tutto lascia c r e d e r e che quasi nient'altro ci fu. Egli n o n dovette p a r t e c i p a r e alle gozzoviglie dei suoi c o m p a g n i di scuola, e le t a v e r n e le bazzicava poco. E r a già t r o p p o elegante, t r o p p o esigente, t r o p p o snob, p e r trovarcisi a suo agio. Vestiva con ricercatezza, e gli piaceva m o l t o farsi a m m i r a r e , ma più dai dotti che dalle cortigiane. Avrà avuto a n c h e lui i suoi i n t e r m e z z i di r i b a l d e r i a , ma la sua vita d i m o s t r a c h e c'era p o c o p o r t a t o . Era u n bel g i o v a n e , m a p i ù esteta che sensuale, e n o n si lasciò mai a n d a r e in balìa di passioni, ammesso che ne abbia avute. Q u a n d o v e n n e a Bologna, era già orfano di m a d r e , m o r ta nel ' 1 8 : egli l'aveva p i a n t a a l u n g o e le aveva d e d i c a t o i suoi p r i m i versi latini. Nel '26 m o r ì a n c h e Petracco, e con lui s p a r i r o n o i motivi che obbligavano Francesco a fingere di s t u d i a r d i r i t t o . C o n sollievo b u t t ò via i codici sui quali n o n aveva che sbadigliato, e t o r n ò ad Avignone. Per risolvere il p r o b l e m a del p a n e , e n t r ò in sacerdozio, ma limitandosi a p r e n d e r e gli o r d i n i m i n o r i che lo qualificavano a ricevere dei benefici ecclesiastici. E infatti, colto, brillante e salottiero com'era, n o n stentò a p r o c u r a r s e n e in quella C u r i a di Cardinali m o n d a n i z z a t i c h e a p p r e z z a v a n o a l m a s s i m o q u e s t e qualità. P e t r a r c a n o n e r a u o m o da rifiutare i piaceri c h e quella 104
città o r a offriva. C o m e s e m p r e , si scelse i p i ù raffinati: le c o m p a g n i e più e r u d i t e , le m e n s e più squisite, e anche un'am a n t e che gli d i e d e d u e f i g l i n a t u r a l m e n t e illegittimi. M a ciò n o n gl'impedì di d e p l o r a r e il malcostume e la corruzione del clero, cui egli stesso contribuiva, e di lanciare richiami alla necessità di r i p o r t a r e la sede p a p a l e a R o m a : il che gli valse la simpatia e l'affettuosa protezione dei d u e potenti fratelli C o l o n n a - il C a r d i n a l e Giovanni e il Vescovo Giacomo -, a m e n o che n o n sia stata la loro protezione a ispirargli i richiami. C o m u n q u e , ne ricavò i benefici ecclesiastici a cui aspirava, e ne visse agiatamente. C o m e n o n gl'impedivano di fare il moralista, la relazione e la paternità n o n g l ' i m p e d i r o n o d ' i n n a m o r a r s i di L a u r a , la m u s a che doveva ispirargli le più belle poesie. Chi fosse costei e se sia r e a l m e n t e esistita, è rimasto a l u n g o i n c e r t o , e a n c o r a è oggetto di contestazione. Ma in un a p p u n t o scritto su u n a copia dell'Eneide di Virgilio, c h e a p p a r t e n n e a Petrarca e c h e o r a è g e l o s a m e n t e conservata nella Biblioteca A m b r o s i a n a di Milano c o m e suo cimelio, egli stesso ci ha fornito di sua m a n o alcuni dati anagrafici. In q u e l l ' a p p u n t o sono fissate la data e le circostanze dell'incontro con L a u r a : alla messa di Pasqua del 1327, cioè un a n n o d o p o il r i t o r n o di Petrarca ad Avignone, nella chiesa di Santa Chiara. Nella stessa o r a dello stesso giorno del 1348, egli a g g i u n g e , L a u r a m o i i . Da questi dati gli storici h a n n o d e s u n t o che doveva trattarsi della Marchesa L a u r a de Sade, lontana progenitrice di un altro de Sade, che doveva d a r e il suo n o m e a un vizio assai diffuso: il sadismo. In L a u r a p e r ò di vizi, a q u a n t o p a r e , n o n c'era n e a n c h e l'ombra. La tradizione riconosce i suoi connotati in u n a min i a t u r a attribuita a Simone Martini, che o r a si trova alla Biblioteca L a u r e n z i a n a di Firenze: un bel volto dal profilo delicato, soffuso di p u d o r e e di m o d e s t i a . N o n s a p p i a m o se q u a n d o Petrarca la vide era già sposata. S a p p i a m o p e r ò che regalò a suo m a r i t o dodici figli. E q u i n d i , s e m p r e in ballo c o m e d o v e v a essere fra g r a v i d a n z e e a l l a t t a m e n t i , n o n 105
a v r e b b e t r o v a t o il t e m p o di d e d i c a r s i al suo s p a s i m a n t e n e a n c h e se ne fosse stata tentata. Ma forse in un senso carnale n o n lo fu n e a n c h e Petrarca, che di L a u r a s ' i n n a m o r ò un p o ' c o m e Dante si era i n n a m o rato di Beatrice: cioè p e r u n a specie di coscrizione poetica. Lì in P r o v e n z a si r e s p i r a v a a n c o r a l'aria dei trovatori. Egli stesso p i ù t a r d i e b b e a d i r e che p o e t a v a n o tutti, p e r f i n o i teologi, tanto da stupirsi che a n c h e le m u c c h e n o n muggissero in versi. E n a t u r a l m e n t e si seguitava a farlo s e c o n d o i vecchi schemi prefabbricati, che esigevano anzitutto la scelta di u n a ispiratrice cui d e d i c a r e le p r o p r i e r i m e . Petrarca c e d e t t e a n c h e lui alla t e n t a z i o n e , e p e r L a u r a c o m p o s e il Canzoniere, senza m i n i m a m e n t e sospettare che quello sarebbe stato il suo p a s s a p o r t o a l l ' i m m o r t a l i t à . Egli c r e d e v a di passare ai posteri p e r i suoi meriti - indiscutibili - di g r a n d e g r a m m a t i c o , di g r a n d e latinista, di scrittore aulico e cattedratico. Le d u e c e n t o s e t t e poesie del Canzoniere r a p p r e s e n t a r o n o , p e r u n a v e n t i n a d ' a n n i , i l suo p a s s a t e m p o . F u r o n o invece il suo capolavoro, l'unico motivo p e r cui ancora oggi si parla di lui c o m e poeta. Fra un sonetto e l'altro, tirava a c a m p a r e , e a c a m p a r e il m e g l i o possibile. A l t e r n a v a la vita salottiera di A v i g n o n e , d o v ' e r a ospite fisso dei Colonna, con viaggi su commissione, che p e r ò e r a n o a n c h e di piacere, a Parigi, nelle F i a n d r e , in G e r m a n i a . Oltre al tatto e al cosiddetto «uso di m o n d o » che facevano di lui un eccellente diplomatico, aveva il fiuto delle p e r s o n e da v e d e r e , e di quelle i m p o r t a n t i p e r la c u l t u r a n o n gliene sfuggiva u n a . Oltre che conoscerle, forse gli piaceva farsene conoscere. M a n t e n e v a con loro fitte corrispond e n z e in latino. Era i n s o m m a un maestro di public relations, e infatti il suo n o m e e r a n o t o , negli a m b i e n t i intellettuali d ' E u r o p a , già molto p r i m a che il suo talento venisse a u t e n ticato. N e l '36 a n d ò a R o m a , s e m p r e ospite dei C o l o n n a . L'Urbe lo impressionò p e r la grandezza del suo passato e la miseria del suo p r e s e n t e . Si a g g i r ò in m e z z o ai Fori, d o v e pascolavano le p e c o r e , si esaltò fra le rovine del Colosseo, e 106
scrisse infiammati appelli al Papa p e r c h é lasciasse Avignone e tornasse a R o m a . D o p o averli scritti p e r ò lasciò R o m a p e r t o r n a r s e n e ad Avignone. Aveva c o m p r a t o u n a casetta nei d i n t o r n i , a Vaucluse. La passione m o n d a n a gli e r a u n p o ' passata, quella p e r L a u r a l'aveva sfogata in versi. E o r a preferiva u n a vita più semplice e più raccolta. Aveva p e r c o m p a g n i d u e servitori, un can e , la n a t u r a e i libri. Lanciò la m o d a dell'alpinismo scalando - forse p e r p r i m o - il m o n t e V e n t o u x . Pescava. Faceva del giardinaggio. Ma s o p r a t t u t t o i n o n d a v a il m o n d o di lettere nel più p u r o stile ciceroniano. Latinizzava a n c h e i n o m i dei destinatari, c h i a m a n d o n e u n o Lelio, u n altro Scipione, un altro Ovidio. Li spronava a frugare gli archivi alla ricerca di testi classici. Q u a n d o s a p e v a c h e n ' e r a stato t r o v a t o u n o , n o n aveva pace f i n c h é n o n s e n ' e r a fatto m a n d a r e u n a copia o l'originale che poi copiava da sé. Dalla Grecia ricevette u n O m e r o . Spasimò p e r u n E u r i p i d e . Scriveva, p u r d i scrivere, a n c h e ai m o r t i : a T i t o Livio, a Virgilio eccetera. Q u e s t a p e r la l e t t e r a t u r a classica era la sua unica vera passione. Per l e d o n n e n o n ebbe m a i tali t r a s p o r t i d a n o n poterli controllare. Ne diffidava, e infatti a n e s s u n a di loro sacrificò i piaceri intellettuali e la q u i e t e della sua vita di g r a n d e e raffinato egoista. N o n gli si c o n o s c o n o altre relazioni oltre quella, p u r a m e n t e poetica, con L a u r a e quella con la m a d r e dei suoi d u e bastardi. D o p o i q u a r a n t a n n i , a q u a n t o scrive egli stesso, n o n ebbe più desideri, o p e r lo m e n o rinunziò a soddisfarli: n o n c'è forza vitale, dice, che possa far fronte insieme alle esigenze della l e t t e r a t u r a e a quelle d e l sesso. E fra le d u e egli n o n aveva mai avuto esitazioni. A m a v a la musica e s u o n a v a a b b a s t a n z a b e n e il liuto. Q u a n t o ai p r o b l e m i religiosi, tirava più a evaderli che a risolverli. Faceva un p o ' di fronda ai Papi d i s a p p r o v a n d o i costumi della Corte avignonese e profittando della loro facilità. Ma col d o g m a n o n voleva storie. E a chi gli chiedeva cosa ne pensasse, r i s p o n d e v a che lui dubitava di tutto, eccetto 107
delle cose sulle quali il d u b b i o diventava sacrilegio. In q u e sto cauto equilibrio stava il segreto della sua felicità, ma anche il limite della sua ispirazione poetica. Era molto più colto e miglior stilista di D a n t e , ma n o n ne ebbe gl'impeti sublimi e i lirici a b b a n d o n i , la divorante sete di assoluto, il sacro fuoco. Ed egli stesso lo sentì. Di D a n t e parlò s e m p r e con r i s p e t t o , ma a v a n z a n d o a l c u n e riserve sotto cui t r a p e l a la gelosia. Nel 1341 t o r n ò a R o m a p e r essere c o r o n a t o p o e t a in Campidoglio. La p r o p o s t a di quella consacrazione e r a stata fatta dal c a r d i n a l e G i o v a n n i C o l o n n a . Il Senato d e l l ' U r b e , capeggiato da un altro C o l o n n a , l'accolse subito: n o n tanto forse p e r a m m i r a z i o n e del poeta, q u a n t o p e r c h é la cerimonia era un b u o n pretesto a riaffermare un p r i m a t o r o m a n o a l m e n o i n c a m p o c u l t u r a l e . O r a che n o n e r a più s e d e d e l P a p a t o , la città n o n sapeva p i ù cosa i n v e n t a r e p e r a t t i r a r e l ' a t t e n z i o n e del m o n d o . I l m a l c o n t e n t o d e l p o p o l i n o e r a g r a n d e . A corto di p a n e , voleva a l m e n o un po' di festa. P r i m a di a n d a r c i , Petrarca fece sosta a Napoli, ospite di re R o b e r t o di Angiò, suo fervido a m m i r a t o r e , che gli r e s e g r a n d i o n o r i e lo fece scortare fino a R o m a . Petrarca se ne sdebitò p r o p a g a n d a n d o il n o m e del Re c o m e quello di un illuminato m e c e n a t e quale n o n era. Egli conosceva l'importanza del «protocollo» e aveva il genio della messinscena. L'8 aprile, avvolto nel rosso m a n t o che R o b e r t o gli aveva xegalato, e seguito da un l u n g o e pittoresco corteo di senatori in t o g a e di giovani in abiti sgargianti, salì sul C a m p i d o g l i o , dove lo attendeva Stefano C o l o n n a con u n a c o r o n a in m a n o e u n ' o r a z i o n e in bocca. Da q u e l m o m e n t o P e t r a r c a fu «il Poeta» p e r a n t o n o m a s i a e lo rimase fin q u a n d o questo titolo passò a Dante a furor di critica. L'elezione di C l e m e n t e VI d o p o la m o r t e di B e n e d e t t o X I I l o r i c h i a m ò a d Avignone. Bisognava r e n d e r e o m a g g i o al n u o v o Papa e o t t e n e r e , se possibile, qualche altro beneficio ecclesiastico. C l e m e n t e si m o s t r ò comprensivo. Gli d i e d e un p r i o r a t o a Pisa, un c a n o n i c a t o a P a r m a e u n a missione 108
diplomatica a Napoli. Q u i si fermò qualche mese p e r poi rimettersi in viaggio e visitare Bologna, P a r m a e Verona, dove f r u g a n d o nell'archivio di u n a chiesa scoprì il manoscritto delle lettere di C i c e r o n e ad Attico. N o n e r a n u o v o a questi ritrovamenti. A Liegi, a n n i p r i m a , aveva disseppellito un altro testo di Cicerone: l'orazione Pro Archia. I g r a n d i eventi della sua vita e r a n o questi. Dalle vicende politiche si teneva alla larga. L'unica in cui si lasciò coinvolgere fu quella di Cola di Rienzo. C h e la plebe r o m a n a si fosse fatta a b b i n d o l a r e da quello squilibrato d e m a g o g o , n o n fa meraviglia. Ma un p o ' ne desta il fatto che a quella suggestione abbia partecipato a n c h e un intellettuale lucido e cauto c o m e Petrarca. E p p u r e è così. Il Poeta era a tal p u n t o infatuato di Cola che p e r seguitare a sostenerlo n o n solo si giuoco l'amicizia e la p r o t e z i o n e dei C o l o n n a , ma nel ' 4 7 , al t e m p o del p r i m o t r i b u n a t o di Cola, aveva lasciato Vaucluse p e r a c c o r r e r e a R o m a a dargli m a n forte. N o n fece in t e m p o , p e r c h é a Genova s e p p e della sua caduta. Ma grazie a quella coincidenza si trovò in Italia p r o p r i o nel m o m e n t o in cui vi si abbatteva il flagello della peste. L'infezione veniva p e r m a r e dal Medio O l i e n t e dove aveva già m i e t u t o centinaia di migliaia di vittime. Mosche e topi la diffusero in E u r o p a dove la popolazione, indebolita da alcuni a n n i di cattivi raccolti e di carestie, offriva poca resistenza. S i manifestò i n d u e f o r m e : u n a p o l m o n a r e c o n e m o r r a g i e che in t r e giorni d i s s a n g u a v a n o il malato, e u n a bubbonica che riempiva il c o r p o di pustole e ascessi, e lo demoliva in cinque giorni. Le descrizioni che ce ne h a n n o lasciato i cronisti s o n o terrificanti. Il senese A g n o l o di T u r a dice che, p e r la saturazione dei cimiteri, i cadaveri dovettero essere infoibati d e n t r o t r i n c e e scavate alla svelta nelle piazze, e ch'egli stesso seppellì con le p r o p r i e m a n i c i n q u e suoi figliuoli. Boccaccio afferma che a Firenze ci furono centomila m o r t i : il che è impossibile, visto che tanti e r a n o gli abitanti. Villani scrive che ne m o r i r o n o sessantamila, ma an109
che questa è un'esagerazione. Tuttavia il salasso fu p a u r o s o in tutta E u r o p a . E fra le altre vittime, ne fece u n a che toccava da vicino Petrarca: L a u r a . Il poeta, che aveva un debole p e r le c o i n c i d e n z e , assicura ch'essa c h i u s e gli occhi nella stessa o r a dello stesso g i o r n o e dello stesso mese in cui vent u n a n n i p r i m a si e r a rivelata ai suoi. E p r o p r i o da q u e s t o dato anagrafico si è d e s u n t o che si trattasse di L a u r a de Sad e , elencata a p p u n t o t r a i m o r t i di peste ad A v i g n o n e il 3 aprile 1348. Egli sfuggì al c o n t a g i o , grazie forse alle m i s u r e di sicurezza c h e doveva aver a d o t t a t o il suo anfitrione: J a c o p o II da C a r r a r a , Signore di Padova. Era costui un illuminato sat r a p o , u g u a l m e n t e ghiotto di p o t e r e , di d e n a r o e di cultura. Padova attraversava un p e r i o d o di s p l e n d o r e . Era u n a delle città che più a l u n g o avevano difeso le loro libertà c o m u n a li, ma a p p u n t o p e r questo si e r a trovata a disagio nella lotta con C a n g r a n d e della Scala che l'aveva resa tributaria di Ver o n a . Per sottrarsi a q u e s t a servitù si e r a d a t a in braccio a J a c o p o I da C a r r a r a che l'aveva difesa con lo stesso p u g n o di ferro con cui la tiranneggiava. J a c o p o II gli e r a succeduto nel '45 a c c o p p a n d o l o , secondo u n a legge di famiglia che lasciava all'assassinio la r e g o l a m e n t a z i o n e delle eredità. Egli stesso doveva soccombervi q u a t t r o a n n i d o p o , q u a n d o venne p u g n a l a t o . Ciò che s o p r a t t u t t o dovette piacere a Petrarca, in questo suo soggiorno p a d o v a n o , fu l'Università, n a t a da poco, ma già in p i e n a fioritura. Egli dice di essere rimasto piuttosto scandalizzato dall'averroismo, cioè dal razionalismo aristotelico che vi dominava, e ci assicura di aver sentito alcuni professori affermare che l'anima n o n e r a affatto i m m o r t a l e e che il cristianesimo e r a u n a superstizione che poteva c o n t e n t a r e solo le plebi ignoranti. Petrarca n o n amava avventurarsi in diatribe che p o t e s s e r o m e t t e r l o nei g u a i con la Chiesa: egli m e t t e v a nell'incredulità lo stesso i m p e g n o che nella fede, cioè b e n poco. Ma in quell'aura di studi umanistici, i n t r a m e z z a t i e rallegrati dalle feste di corte, si trovò b e n e , e infatti ci rimase un a n n o , cioè fino a peste fini110
ta. Poi girovagò, s e m p r e alla ricerca di p e r s o n e i m p o r t a n t i e di manoscritti preziosi, fra Mantova e Ferrara. E finalmente volle a n d a r e a v e d e r e la t e r r a dei suoi p a d r i : Firenze. Q u i lo attendeva Boccaccio, che aveva da poco cominciato a scrivere il Decamerone. S i m p a t i z z a r o n o , d i v e n t a r o n o amici, e lo rimasero p e r tutta la vita, sebbene n o n si siano rivisti che u n a volta, o forse p r o p r i o p e r q u e s t o . Diversi com ' e r a n o di carattere e di gusto, difficilmente avrebbero pot u t o a n d a r d ' a c c o r d o . Ma, a p p e n a r i p a r t i t o Petrarca, Boccaccio indusse il g o v e r n o fiorentino a restituire al figlio dell'esule i beni c h ' e r a n o stati confiscati a suo p a d r e nel 1303. Il g o v e r n o a n n u l l ò il sequestro e offrì a Petrarca u n a catted r a all'Università. Petrarca la rifiutò, e il g o v e r n o ripristinò il sequestro. Nel '51 era di n u o v o a Vaucluse, intento a scrivere un piccolo saggio, De vita solitaria. E p e r la p r i m a volta lo t r o v i a m o i m p e g n a t o in u n a polemica stizzosa che gli p r o c u r ò p a r e c chi nemici. Il p r e t e s t o glielo fornì la cattiva salute di Clem e n t e VI, un Papa che lo aveva b e n trattato e con cui e r a in b u o n i r a p p o r t i . Il Poeta gli scrisse e s o r t a n d o l o a diffidare dei dottori che sono, gli disse, un b r a n c o di ciarlatani e basta. Era il p r o l o g o di un libello che poco d o p o compose contro di loro, così acrimonioso e acido da farci sospettare che sotto ci fosse un caso personale. Forse n o n stava b e n e n e m m e n o lui e se la rifaceva coi medici c h e n o n riuscivano a g u a r i r l o . C ' i n d u c e a p e n s a r l o a n c h e il fatto c h e , a n d a t o a trovare suo fratello G h e r a r d o , m o n a c o in un convento, manifestò il p r o p o s i t o di rinchiudervisi anche lui. Ma poi sfogò quella tentazione in un saggio, De olio religiosorum. Il fatto è che ad A v i g n o n e o r m a i si trovava a disagio. E ancora più ci si sentì d o p o la m o r t e di C l e m e n t e , che aveva c o n t i n u a t o la t r a d i z i o n e di t o l l e r a n z a e di m e c e n a t i s m o i n a u g u r a t a da Giovanni. Il suo successore I n n o c e n z o VI era u n a bella figura di sacerdote ascetico e frugale, ma poco ricettivo alle suggestioni della cultura. Era n a t u r a l e che n o n 111
amasse Petrarca e che Petrarca n o n l'amasse. Al suo naso il Poeta puzzava di p a g a n e s i m o , e minacciò di s c o m u n i c a r l o c o m e seguace di Virgilio. Fu il cardinale Talleyrand che s'int e r p o s e . Ma Petrarca capì che quella n o n e r a p i ù aria p e r i suoi p o l m o n i . E c o n gioia accettò l'invito di G i o v a n n i Visconti di a n d a r e suo ospite a Milano. Giovanni era un b e l l ' u o m o , g r a n signore e g r a n seduttor e . Q u a n d o P e t r a r c a g i u n s e e gli chiese c o m e p o t e v a r e n dergli servizio, Giovanni rispose: «Solo con la vostra presenza, che o n o r a me e il mio regno». Petrarca n o n se lo fece dir e d u e volte. O n o r ò i l suo r e g n o p e r otto a n n i d i seguito, restandovi a n c h e d o p o che Giovanni fu m o r t o . La p r i m a missione p e r conto dei suoi anfitrioni la svolse presso l'imperatore Carlo IV di Boemia che nel '54 scese in Italia. Il p o e t a n o n lo conosceva. Ma subito d o p o la p r i m a caduta di Cola di Rienzo, gli aveva scritto u n a lettera solenne e aulica, invitandolo a venire nel «giardino dell'Impero» p e r ripristinarvi la pace, l'ordine e la gloria. Era u n a lettera stilisticamente molto più bella di quella che D a n t e aveva inviato ad Arrigo V I I , n o n n o di Carlo. Ma invano vi si cercher e b b e l'accento della p a s s i o n e , c h e riscaldava l ' i m p e r v i a p r o s a latina d e l l ' e s u l e fiorentino. L ' I m p e r a t o r e e il p o e t a s ' i n c o n t r a r o n o a M a n t o v a . P e t r a r c a r i p e t è c o n magnifica e l o q u e n z a l'esortazione, e C a r l o l'ascoltò con cortese compiacimento. Ma e n t r a m b i e r a n o consci di recitare u n a commedia. Q u e l sovrano di s a n g u e ghiaccio e di cervello lucido sapeva benissimo che il «giardino dell'Impero» e r a un n i d o di v i p e r e . E il p o e t a sapeva che il s o v r a n o lo sapeva. Si lasciarono tuttavia d a b u o n i amici: t a n t o che d u e a n n i d o p o Petrarca t o r n ò in ambasceria a P r a g a p e r conto di Milano. In quello stesso a n n o a n d ò a n c h e a Venezia a svolgervi, c o m e r a p p r e s e n t a n t e d e i Visconti, u n c o m p i t o d i conciliazione con Genova. La guerriglia fra le d u e città seguitava a i m p e r v e r s a r e , e di lì a qualche a n n o sarebbe sboccata in un conflitto mortale. Il poeta ci poteva far poco. Ma rimase impressionato da Venezia, dalla forza della sua flotta, dalla ric112
chezza e varietà dei suoi c o m m e r c i , dalla vivacità della sua vita. E ne fece u n ' a m p i a e s o n o r a descrizione t e s s e n d o un ampolloso elogio di d u e Dogi che n o n lo m e r i t a v a n o p u n t o . Già p r i m a di questo viaggio aveva cominciato a c o m p o r re u n a serie di p o e m i in terzine, / Trionfi, forse c o m e contraltare alla Divina Commedia in r a p i d a e a l l a r m a n t e (per lui) crescita di n o t o r i e t à e di q u o t a z i o n e . I trionfi s o n o quello del desiderio sul sentimento, della castità sul desiderio, della m o r t e sulla castità, della gloria sulla m o r t e , del t e m p o sulla gloria, dell'eternità sul t e m p o . C'è a n c h e il finale congedo da L a u r a , con un'invocazione al p e r d o n o p e r la carnalità del suo a m o r e e la speranza di un r i c o n g i u n g i m e n t o con lei in p a r a d i s o . P u r t r o p p o , l ' a m b i z i o n e n o n è p r o p o r z i o n a t a alla ispirazione che fa capolino b e n di r a d o . P e t r a r c a r i m a s e a n c o r a sei a n n i ospite d e i Visconti, salt u a r i a m e n t e svolgendo altre missioni, ma soprattutto inteso a c o m p o r r e e a perfezionare le sue o p e r e . Nel '62, forse p e r sfuggire a u n a n u o v a epidemia, t o r n ò a Padova e di lì a Venezia, dove la Repubblica gli diede u n a casa sulla riva degli Schiavoni. Stavolta la peste gli aveva p o r t a t o via il figlio Giovanni, di cui a dire il vero n o n si e r a molto occupato. Gli restava la figlia Francesca che aveva sposato Francescuolo da Brossano e gli aveva d a t o u n a nipotina, Eletta. Il Poeta ebbe nostalgia di loro, q u a n d o un leggero attacco apoplettico lo avvertì che gli a n n i e r a n o passati a n c h e p e r lui e che la fine e r a i m m i n e n t e . Li c h i a m ò , e con essi si stabilì ad A r q u à sui colli E u g a n e i . T e m p o p r i m a in u n a lettera si e r a a u g u r a t o che la m o r t e lo s o r p r e n d e s s e m e n t r e leggeva o scriveva. Fu esaudito. Lo t r o v a r o n o con la testa reclinata su un libro. E in ossequio alla sua predilezione p e r le coincidenze, ciò avv e n n e il 20 luglio 1374, suo settantesimo anniversario. Nel t e s t a m e n t o lasciava 50 fiorini p e r c o m p r a r e un c a p p o t t o a Boccaccio, che moriva di freddo (e di fame). Nel suo cassetto c'erano molte o p e r e c o m p i u t e e incompiute p e r c h é ne tirava avanti p a r e c c h i e alla volta e n o n finiva 113
mai di c o r r e g g e r l e e polirle. C o m e ne trovasse il t e m p o in quella sua e r r a b o n d a vita p i e n a di missioni d i p l o m a t i c h e e culturali, di c e r i m o n i e , d'incontri, di amicizie, di relazioni, di conversazioni, n o n si capisce. Doveva essere un lavoratore instancabile, ma certo c'influì a n c h e il m e t o d o e la disciplina che sapeva imporsi. I c o n t e m p o r a n e i a m m i r a r o n o soprattutto i suoi versi e le sue p r o s e latine: le Epistolae metricae, il Bucolicum Carmen, i 24 libri Familiarum rerum, il De viris illustribus, gli Psalmipoenitentìales eccetera. Un g r a n d e successo, q u a n d o fu pubblicato, ebbe a n c h e il p o e m a p o s t u m o Africa, in cui egli aveva c e r c a t o d i r i n v e r d i r e l e f o r m e d e l poema-classico. C e r t a m e n t e son t u t t e o p e r e di altissimo p r e g i o stilistico. Ma chi cerca un ritratto d e l l ' u o m o e l'impronta di un carattere p u ò contentarsi, fra tutta questa p r o d u z i o n e latina, del Secretum in cui, a p p u n t o p e r c h é destinato a restare segreta, Petrarca ci ha lasciato la confessione delle sue i n q u i e t u d i n i , dei suoi cedimenti morali, della debolezza della sua fede in Dio, rosa dai dubbi e da un sostanziale scetticismo. Delle lettere le p i ù belle sono quelle raccolte sotto il titolo Seniles, p e r c h é composte negli ultimi a n n i di vita. Ma a n c h e di esse si sente che sono scritte più p e r i posteri che p e r i destinatari. La g r a n d e z z a del P e t r a r c a scrittore e p o e t a sta t u t t a in quel Canzoniere ch'egli aveva considerato solo un passatempo e di cui forse perfino si vergognava un p o ' c o m e di u n ' o p e r e t t a fatua. C o m e Dante, che si p r e n d e v a p e r un teologo, a n c h e Petrarca si e r a i n g a n n a t o su se stesso, c r e d e n d o s i il c o n t i n u a t o r e della c u l t u r a classica e il r i p r i s t i n a t o r e della l i n g u a latina. E r a invece u n p o e t a m o d e r n o e s o p r a t t u t t o un grandissimo stilista italiano, forse il p i ù g r a n d e di tutti. L e g g e n d o l o , si trasecola all'idea che fra lui e Dante n o n corr e s s e r o n e m m e n o q u a r a n t ' a n n i . S e m b r a c h e n e siano trascorsi q u a t t r o c e n t o , t a n t o è c a m b i a t a l'ispirazione, t a n t o il verso si è addolcito e disteso. La forza, il furore, il s a n g u e , l ' i m m a g i n a t i v a di D a n t e s o n d i l e g u a t i . Ma al l o r o p o s t o è nata un'estetica. 114
Ma, oltre c h e u n m o d e l l o d i poesia, P e t r a r c a n e d e t t ò u n o di vita. Egli è un p e r s o n a g g i o a s s o l u t a m e n t e n u o v o : il g r a n d e «umanista» del Rinascimento. N o n è vero che fosse solo un cinico e frigido calcolatore, c o m e q u a l c u n o lo ha d e scritto, intento solo al p r o p r i o t o r n a c o n t o , al successo e alla c a r r i e r a . C e r t o , l'immortalità del suo n o m e gli stette p i ù a c u o r e di quella della sua anima, checché ne dica nei Trionfi; fu un abile p r o p a g a n d i s t a di se stesso; e n o n lesinò in piaggerie. Ma ebbe i suoi t o r m e n t i , le sue angosce e malinconie. La sua serenità, c o m e quella di G o e t h e , e r a p i ù nei suoi versi e nelle sue prose che nella sua coscienza e nei suoi sentimenti. Tuttavia, a differenza d e l l ' u o m o medievale, e r a interiorm e n t e libero. Per lui il m o n d o n o n e r a affatto un «sogno di Dio», ma u n a cosa b e n solida; e la vita n o n u n a t o r m e n t a t a penitenza, ma u n ' a p p a s s i o n a n t e a v v e n t u r a da gustare e d e libare nel migliore dei m o d i . Gli piaceva piacere alla g e n t e p e r c h é la gente gli piaceva. Perciò fu s e m p r e ansioso di con o s c e r n e e tanto viaggiò e a tanti eventi si trovò mescolato. Se n o n vi s'impegolò mai sino a soffrirne di d e n t r o e di fuori c o m ' e r a capitato a D a n t e , n o n fu t a n t o p e r m a n c a n z a di c o r a g g i o e di c o n v i n z i o n e , q u a n t o p e r c h é i suoi interessi e r a n o solo di c u l t u r a . E nella c u l t u r a egli vedeva un sacerdozio fine a se stesso, che esentava da q u a l u n q u e altro imp e g n o . A un manoscritto di Virgilio egli avrebbe sacrificato n o n solo u n ' i d e a politica, ma perfino L a u r a . E forse si lasciò coinvolgere nella vicenda di Cola solo p e r c h é Cola forniva un b u o n p r e t e s t o a scrivere epistole e a p p e l l i in gloria di Roma. Nel '42, q u a n d o e r a già un p e r s o n a g g i o altolocato e alla m o d a , si mise u m i l m e n t e a studiare il greco col m o n a c o calabrese Barlaam, cui p e r riconoscenza fece assegnare un Vescovato. N o n si consolò m a i di n o n s a p e r e quella lingua, e p a g ò di tasca p r o p r i a Leonzio Pilato p e r t e n e r e dei corsi a Firenze in m o d o che q u a l c u n o potesse i m p a r a r l a e t r a d u r r e in latino l'Iliade e l'Odissea. Q u e s t ' u o m o che n o n a v r e b b e 115
rischiato u n a m u l t a p e r un Papa o p e r un I m p e r a t o r e , si sar e b b e giuocata l'anima p e r un testo di O m e r o . Era vanitoso, ma n o n meschino. Fu generosissimo p e r e s e m p i o c o n Boccaccio fino a t r a d u r r e u n a novella del suo Decamerone in latino p e r c h é i l e t t e r a t i di t u t t o il m o n d o p o t e s s e r o g u s t a r l a p u r g a t a - disse - dalla sua volgarità. Egli seguitava a c r e d e re che solo in latino si potesse essere scrittori eleganti. P u r t r o p p o fornì a n c h e i l m o d e l l o d i u n a c o r t i g i a n e r i a destinata a restare nel costume della intellighenzia nazionale, a n c h e q u a n d o questa ebbe p e r s o ciò che lui possedeva p e r riscattarla: il talento.
CAPITOLO UNDICESIMO
BOCCACCIO
A Boccaccio, i cinquanta fiorini che gli aveva lasciato Petrarca fecero un c o m o d o birbone. Era finito male, povero, solo e malato. E fra le sue afflizioni, oltre a un eczema che gli divorava il c o r p o , c'erano a n c h e quelle dello spirito. Si considerava un fallito. E si vergognava di aver scritto il Decamerone. E r a n a t o s e s s a n t a n n i p r i m a a Parigi, frutto di u n a relazione illegittima fra un m e r c a n t e fiorentino a n d a t o lassù a v e n d e r e stoffe e u n a d o n n a di cui n o n è d u b b i o soltanto il n o m e , m a a n c h e i c o s t u m i . Forse q u e s t a o r i g i n e b a s t a r d a n o n è e s t r a n e a al c a r a t t e r e d e l l ' u o m o e al suo destino. Suo p a d r e t u t t a v i a r i c o n o b b e il piccolo G i o v a n n i , e se lo c o n d u s s e in p a t r i a , a C e r t a l d o , d o v e il r a g a z z o c r e b b e a b b a stanza m a l i n c o n i c a m e n t e sotto le scarse a t t e n z i o n i di u n a matrigna. All'età di quindici a n n i - ed era il 1328 - lo m a n d a r o n o a Napoli a far p r a t i c a di contabilità c o m m e r c i a l e p r e s s o u n a succursale dei b a n c h i e r i f i o r e n t i n i B a r d i , c o n cui m e s s e r Boccaccio e r a in r a p p o r t i di affari. Giovanni p r e s e la comp u t i s t e r i a e i libri m a s t r i nella stessa u g g i a in cui P e t r a r c a aveva t e n u t o il Diritto e i codici. Ma Napoli gli piacque e ne serbò s e m p r e la nostalgia. Quella città r u m o r o s a , colorata e gaia e r a congeniale al suo t e m p e r a m e n t o estroverso, disordinato e sensuale. Per fortuna, a tenerlo un po' in briglia, c'era la vocazione letteraria, che gli si rivelò subito. Perse la testa p e r Ovidio. Per leggerlo in lingua originale, studiò il latino. Trascorse le notti a d e c l a m a r e a m e m o r i a le Metamorfosi. E la mattina ar117
rivava in ufficio così a s s o n n a t o e intontito che alla fine d o vettero licenziarlo. Suo p a d r e si arrese all'evidenza e r i n u n ziando all'idea di ricavare da quel r a m p o l l o un b a n c h i e r e o un m e r c a n t e , gli g a r a n t ì l'assegno m e n s i l e a p a t t o che s'iscrivesse alla facoltà di diritto canonico. Giovanni p r o m i s e e seguitò a fornicare con Ovidio e la letteratura. Alla messa del Sabato Santo del 1331 (o 1336), cioè nelle stesse circostanze i n cui q u a t t r o a n n i p r i m a L a u r a e r a a p p a r s a a Petrarca, vide p e r la p r i m a volta Fiammetta e ne rimase incenerito. Ecco un'altra identità difficile da accertare e di cui tuttora si discute. Ma p a r e che si trattasse di u n a certa Maria, figlia n a t u r a l e di Re R o b e r t o , a n d a t a sposa a un C o n t e d'Aquino. Boccaccio, p o v e r o ragazzo, si p r o v ò a g u a r d a r l a con gli stessi occhi con cui D a n t e aveva g u a r d a t o Beatrice. Ci riuscì soltanto nelle poesie, piuttosto b r u t t i n e , che subito cominciò a c o m p o r r e p e r lei secondo i modelli, t u t t o r a i m p e r a n t i , del «dolce stile» e della Vita nova, che già conosceva. Ma era un po' difficile restare su quei toni sospirosi: sia p e r la natura della passione di lui, sia p e r il carattere di colei che l'aveva accesa. Sebbene e d u c a t a in convento, o forse p r o p r i o p e r questo, Maria aveva p r e s o il m a t r i m o n i o n o n c o m e un imp e g n o , ma c o m e u n a liberazione. E a distanza di pochi mesi dalle nozze, il p o v e r o m a r i t o aveva già p e r s o il c o n t o delle c o r n a c h e la moglie gli aveva p i a n t a t o in testa. A suo m o d o tuttavia essa e r a u n a d o n n a abbastanza avveduta che cercava di u n i r e l'utile al dilettevole scegliendosi degli a m a n t i che n o n fossero forniti soltanto di virilità, ma a n c h e di depositi in banca. Lo s t u d e n t e Giovanni, col m a g r o assegno che gli passava m e s s e r Boccaccio, cercava d i p a g a r e i n m o n e t a l e t t e r a r i a . N o n p o t e n d o l e c o m p r a r e il visone, la s o m m e r s e sotto un diluvio di c o m p o n i m e n t i in prosa e in versi. Per lei tradusse la r o m a n z a di «Fiore e Biancofiore» in un noiosissimo Filocolo. Per lei scrisse il Filostrato, c h ' e r a un p o ' meglio, ma che p u r t r o p p o fornì il modello e spianò la strada a quel facile, piat118
to e volgare versaiolismo italiano che, attraverso Metastasio e i «librettisti» d ' o p e r a , doveva arrivare fino ai cantautori di Piedigrotta e di S a n r e m o . E alla fine ne travolse le resistenze schiacciandola sotto un autentico m a t t o n e : u n a Teseide di quasi diecimila versi sul modello dell'Eneide, che raccontava la rivalità di d u e fratelli, Palèmone e Areite, p e r u n a Emilia che, raccolto sul seno l'ultimo rantolo dello sconfitto ferito a m o r t e , e seppellitolo con tutti gli onori, concede le sue grazie al vincitore. F i a m m e t t a decise di fare altrettanto col suo spasimante, n o n si sa se p e r chetarlo, o p e r p r e m i a r l o di quei cinque anni di attesa. P u r t r o p p o n o n aveva p e r s o il vizio di prosciug a r e i portafogli, e quello di Giovanni n o n resistette molti mesi a i suoi p o t e n t i d r e n a g g i . C o n tattica s q u i s i t a m e n t e femminile, cominciò a t r a d i r l o accusandolo di tradirla. Seg u i r o n o scene b u r r a s c o s e , litigi, riconciliazioni. Boccaccio naufragò nei debiti e n o n ebbe n e m m e n o m o d o di contrarne degli altri con la banca B a r d i p e r c h é anch'essa fallì. C o n u n a valigia p i e n a di m a n o s c r i t t i e c o n F i a m m e t t a a n c o r a nel s a n g u e , m a senza n é u n d i p l o m a d i contabile n é u n a l a u r e a i n d i r i t t o c a n o n i c o , r i p r e s e l a via d i F i r e n z e . Peccato. E r a il m o m e n t o in cui la r e g i n a G i o v a n n a saliva sul t r o n o e i n a u g u r a v a a n c h e a C o r t e l'èra della dolce vita e delle «messe nere». Boccaccio aveva tutto p e r d i v e n t a r e il cronista di quella vicenda v e r a m e n t e «boccaccesca», e chissà c h e meraviglioso r a c c o n t o ne avrebbe ricavato. Ma n o n aveva p i ù un soldo e le infedeltà di F i a m m e t t a lo facevano t r o p p o soffrire. D u e mesi d o p o la sua p a r t e n z a , a N a p o l i giunse Petrarca, c o m e «osservatore» del Papa. Altro incontro m a n c a t o . La F i r e n z e in cui t o r n a v a era m o l t o cambiata dai t e m p i della sua infanzia. N o n nella politica, c h ' e r a s e m p r e rimasta in balìa delle fazioni. Esse o r a si c o m b a t t e v a n o con m i n o r e violenza di q u a n d o e r a n o capeggiate dai Donati, dai Cerchi e a n c h e da Dante che, sebbene s e m p r e rimasto in posizione subalterna, q u a n t o a spirito di p a r t e n o n era stato da m e n o 119
degli altri e alla fine ne aveva fatto le spese. Però le divisioni seguitavano tra famiglie e clientele, in gara p e r un p r i m a t o che n e s s u n a riusciva a i m p o r r e in m a n i e r a definitiva. Ma n o n si poteva d i r e che la città ci avesse scapitato. Le sue ottanta b a n c h e facevano di Firenze la Wall Street d ' E u r o p a . Le finanze di Francia e d ' I n g h i l t e r r a d i p e n d e v a n o dai loro prestiti, e q u a n d o un Peruzzi o u n o Strozzi a n d a v a n o a Parigi o a L o n d r a venivano ospitati a Corte con gli o n o r i di sovrani. Il r e d d i t o globale della g r a n d e I n g h i l t e r r a della regina Elisabetta e r a inferiore a quello della sola città di Fir e n z e nella metà del '300. Nella storia del m o n d o n o n si era mai visto né mai più si r i p e t e r à un simile miracolo. Q u a n t o l'infuocata atmosfera di p a r t e e di fazione abbia contribuito ad aizzare lo spirito creativo fiorentino, è difficile dire. Ma è facile, p e r c h é d o c u m e n t a t o nei fatti, riconoscere che p e r lo m e n o n o n lo scoraggiò. E curioso v e d e r e c o m e con tutte quelle lotte e risse convivesse un orgoglioso senso civico c h e s p i n g e v a u o m i n i , d i t t e e b a n c h e in u n a g a r a di m e c e n a t i s m o . Per u n palazzo d a t o alle f i a m m e d a l l ' o d i o partigiano, altri d u e ne nascevano più belli. Invece di finanziare u n a s q u a d r a di calcio, il miliardario di allora si accollava la p a v i m e n t a z i o n e di u n a s t r a d a , la c o s t r u z i o n e di un ospedale o di u n a scuola, la decorazione di u n a chiesa. Così l'urbanistica e l ' a r c h i t e t t u r a di Firenze uscivano dalla loro medievale tetraggine. Di tasca p r o p r i a i B a r d i e i Peruzzi a v e v a n o commissionato a Giotto gli affreschi che n a r r a n o la storia di San Francesco, San Giovanni Battista e San Giovanni Evangelista in Santa Croce. E con u n a pubblica sottoscrizione si e r a n o già raccolti i fondi p e r p o r r e m a n o al campanile che Giotto aveva d i s e g n a t o e che, d i c e v a n o i Priori, doveva s u p e r a r e p e r magnificenza, altezza ed eccellenza i capolavori compiuti da Grecia e R o m a allo zenit della loro grandezza. Per decorarlo e r a stato assoldato A n d r e a Pisano, che aveva già inciso i d u e p o r t a l i d i b r o n z o d e l Battistero. Più c h e u n a f i o r i t u r a era, nel c a m p o delle arti plastiche, u n a rivoluzione, l'addio 120
alla i m m o t a e m e s t a r i g i d i t à d e l l ' a r t e b i z a n t i n a c h e aveva d o m i n a t o e attristato tutto il Medio Evo. U n a rivoluzione n o n m e n o profonda era avvenuta nel c a m p o della letteratura. In pochi a n n i il poetico ma oscuro e impreciso balbettio di Cavalcanti e di Guinizelli era diventato u n a lingua concreta e di solido i m p i a n t o . Lo dimostrava il fatto c h e si e r a volta alla p r o s a , c h ' è s e m p r e frutto di un'età matura. In tutt'Europa n o n ce n'era nessuna che stesse alla p a r i , q u a n t o a efficacia, di quella di un Villani e delle sue Croniche fiorentine. Giovanni Villani, il fratello Matteo e il n i p o t e Filippo sono i p r i m i memorialisti in senso m o d e r n o : i p r i m i , voglio d i r e , c h e f a n n o p o s t o all'economia, alla sociologia e alle loro statistiche p e r spiegare gli avvenimenti. Solo grazie a essi s a p p i a m o che Firenze e il suo cont a d o a v e v a n o a l p r i n c i p i o d e l T r e c e n t o 105.000 abitanti, 17.000 m e n d i c a n t i , sei scuole e l e m e n t a r i con diecimila scolari e q u a t t r o s e c o n d a r i e c o n seicento s t u d e n t i . I n s o m m a , coi Villani già si delinea quella che doveva restare la caratteristica della p r o s a fiorentina: l'asciuttezza, l'aderenza ai fatti, e s o p r a t t u t t o quel m o d o di g u a r d a r l i disincantato e amaro, che Machiavelli e Guicciardini dovevano più tardi portare ad altezza d ' a r t e . Lo spirito realistico si s o v r a p p o n e v a a quello poetico in cui D a n t e aveva trovato la sua ispirazione. Q u e s t a n u o v a aria e r a congeniale ai p o l m o n i di Boccaccio. Per u n p o ' d i t e m p o , a n c o r a intossicato d i F i a m m e t t a , seguitò a sospirare p e r lei in versi, e c o m p o s e in terzine l'Amorosa visione e il Ninfale fiesola.no. Ma poi si volse al r o m a n zo e ne scrisse u n o del g e n e r e che oggi si c h i a m e r e b b e «psicologico», che ha p e r titolo e p r o t a g o n i s t a F i a m m e t t a . Essa racconta la storia dei loro amori, e ne attribuisce la fine a lui che d o p o averla sedotta l'avrebbe a b b a n d o n a t a , lasciandoci così nel d u b b i o se Boccaccio fosse un g r a n g e n t i l u o m o o un g r a n fanfarone. Tuttavia fu solo d o p o la peste del 1348 ch'egli si a b b a n d o n ò i n t e r a m e n t e alla p r o p r i a v o c a z i o n e d i n a r r a t o r e . Q u e l l a t r e m e n d a s c i a g u r a d o v e t t e colpirlo a f o n d o . Lo si 121
sente dalla descrizione che ne fa nel p r o l o g o del Decamerone. Egli dice di aver visto i passanti c a d e r e p e r s t r a d a e m o rirvi senza che n e s s u n o , n e m m e n o i genitori o i figli, osasse soccorrerli p e r t i m o r e d e l c o n t a g i o . R a c c o n t a d i c a d a v e r i tenuti nascosti a p u t r e f a r e dai familiari p e r c h é i vicini n o n a p p i c c a s s e r o il fuoco alla casa, di g e n t e c h e viveva a p p o l laiata in c i m a agli alberi o in f o n d o ai pozzi p e r sfuggire l'infezione. Scrive che a F i r e n z e ci f u r o n o c e n t o m i l a vittim e : cioè, s t a n d o al c e n s i m e n t o di Villani, solo c i n q u e m i l a sopravvissuti. N a t u r a l m e n t e è impossibile. Ma a n c h e q u e sto s f o n d o n e statistico d i m o s t r a quale t r a u m a la catastrofe gli p r o c u r ò . E n o n c'è da m e r a v i g l i a r s e n e . Effettivamente la peste del '48 fu u n o spaventoso flagello, che impoverì l'Italia di un b u o n t e r z o d e l l a sua p o p o l a z i o n e e r i d u s s e la F r a n c i a a un d e s e r t o «dove n o n si sentiva p i ù c a n t a r e né gallo né gallina». Da questo q u a d r o di desolazione p r e n d e l'avvìo il capolavoro della n a r r a t i v a italiana che se ne serve c o m e di cont r a p p u n t o . Il Decamerone infatti è u n a specie di canto di r e s u r r e z i o n e , u n a v e n d e t t a della vita sulla m o r t e , u n atto d i fede c o n t r o la disperazione del m o n d o , u n a larga risata che c o p r e i singhiozzi dei sopravvissuti. All'uscita da u n a messa in Santa Maria Novella, alla vista di quelle piazze d e s e r t e , di quelle s t r a d e solcate solo da fun e b r i cortei e i n t r o n a t e dal rintocco delle c a m p a n e a m o r t o , sette giovani e belle d o n n e d e c i d o n o di fare un piquenique nelle loro ville di c a m p a g n a insieme a tre giovanotti. Nella p u r a aria dei boschi, sterilizzata dai bacilli, p e r i n g a n n a r e il t e m p o o g n u n o r a c c o n t a ogni g i o r n o u n a storia. E siccome la gaia b r i g a t a è c o m p o s t a di dieci p e r s o n e e dieci s o n o i giorni che d u r a la s c a m p a g n a t a ( d o n d e il titolo Decamerone dal greco deka hemerai c h e significa a p p u n t o «dieci giorni»), ne risulta un complesso di cento novelle. Boccaccio soggiaceva a n c o r a alla m a g i a m e d i e v a l e d e i n u m e r i . A n c h e lui, a l p a r i d i D a n t e , s i c o n s i d e r a v a i m p e gnato a quel rigore architettonico che aveva ispirato le Cat122
tedrali. T u t t o doveva essere a r m o n i c o e funzionale, rigidam e n t e i n q u a d r a t o in un «sistema». E infatti tutte le p r o p o r zioni s o n o r i s p e t t a t e : dieci g i o r n i , dieci novelle al g i o r n o , dieci p a g i n e p e r o g n i novella: ecco c o m e si articola questa «commedia u m a n a » . Ma sotto la sua tradizionale s t r u t t u r a , l'ispirazione e gli u m o r i s o n o del t u t t o n u o v i e diversi. Boccaccio p r e n d e a prestito anche spunti di Fabliaux francesi e di racconti orientali. Ma li cucina con le salse sue. Fra le cento novelle ce ne sono di scurrili e volgari, che ci d i m o s t r a n o c o m e il gusto e i l t a l e n t o n o n siano affatto costretti a d a n d a r e d ' a c c o r d o . Q u e l l a p e r e s e m p i o delle stallonesche i m p r e s e d i Masetto c h e riesce a soddisfare un i n t e r o c o n v e n t o di m o n a c h e è f r a n c a m e n t e oscena, e ci fa d u b i t a r e della castità e del p u d o r e delle sette gentili s i g n o r e che ascoltano q u e s t a storia da fureria e da taverna senza b a t t e r ciglio, solo a r r o s s e n d o u n poco, m a poco. P e r ò , p u r così c o n t a m i n a t a e mescolata, la v e n a di Boccaccio h a u n r i t m o , u n r e s p i r o , u n vigore, u n u m o r e , u n a pienezza d'inventiva, di muscoli e di s a n g u e , u n a scioltezza, u n a sincerità, u n ' a d e r e n z a alle cose che gli scrittori della gen e r a z i o n e p r e c e d e n t e n o n si s a r e b b e r o m a i s o g n a t i e c h e quelli delle generazioni successive, italiani e stranieri, n o n si s t a n c h e r a n n o d'imitare. Sachs e Lessing in G e r m a n i a , Molière e La Fontaine in Francia, vi attinsero. Il g r a n d e C h a u cer vi pescò molti motivi dei suoi Canterbury tales. Boccaccio riecheggia la grossa e larga risata di Cecco Angiolieri e anticipa quella di Rabelais. Si fa beffe di superstizioni, di m o n a ci e perfino di Santi. Dà l'imbeccata a Voltaire q u a n d o fa dire all'ebreo J e h a n n a t che la Chiesa dev'essere p r o p r i o divina p e r riuscire a sopravvivere ai suoi preti. E m o s t r a verso le altre religioni u n a tolleranza c h e a D a n t e sarebbe p a r s a sacrilega. Boccaccio resta il g r a n d e m a e s t r o e u r o p e o del racconto. Ma l'unico a n o n capirlo o a d u b i t a r n e fu lui, che scrisse il Decamerone c o m e il Petrarca aveva scritto il Canzoniere: cre123
olendo che fosse solo un passatempo. Aveva trentacinque anni q u a n d o vi pose m a n o . Ma dovette pubblicarlo, come oggi si dice, a «dispense», p e r c h é nella i n t r o d u z i o n e alle novelle della q u a r t a giornata confuta le critiche che dovevano avergli rivolte per le altre tre, e v i d e n t e m e n t e già in circolazione. C o m u n q u e , l'opera sembra che sia stata composta in cinque a n n i e gli valse u n a popolarità mescolata di riprovazione. Lì p e r lì egli godette della p r i m a e n o n soffrì della seconda p e r c h é e r a ancora giovane e pieno di appetiti. La peste, p o r t a n d o s i via F i a m m e t t a , lo aveva liberato dall'ossessione di lei. Egli l'aveva rimpiazzata con d u e mogli che gli avevano d a t o u n a d o p o l'altra il d i s g u s t o del m a t r i m o n i o , e un certo n u m e r o di a m a n t i che n o n gli avevano a p p a g a t o il d e siderio di p r o c u r a r s e n e di n u o v e . L'omaggio che aveva reso alle virtuose e p u d i c h e raccontatrici del Decamerone era soltanto di maniera. In realtà detestava quel tipo di d o n n e , nella loro virtù a n n u s a v a soltanto i n g a n n o e malizia, e di g r a n lunga preferiva le prostitute. N o n e r a socialmente ambizioso c o m e D a n t e né m o n d a n o c o m e il Petrarca. Ma le sue dissolutezze e r a n o riscattate da u n d i s a r m a n t e c a n d o r e . N o n era n é u n vizioso n é u n ipocrita, ma un sano e gagliardo peccatore, un sensuale cui la passione bruciava il s a n g u e e offuscava il cervello. C o m e con Fiammetta, in ogni a v v e n t u r a finiva s e m p r e p e r rimetterci lui, di tasca e di c u o r e . Per cui, a p p a g a t o il desiderio e fatti i conti che risultavano r e g o l a r m e n t e in passivo, si lanciava in violente requisitorie c o n t r o il bel sesso, c o m e nel Corbaccio, che gli h a n n o valso u n a fama, del tutto infondata, di misògino. Tutto questo p e r ò n o n gl'impedì di cavarsela abbastanza b e n e a n c h e c o m e c a r r i e r a . La sincerità, la schiettezza e il contagioso b u o n u m o r e gli valevano molte simpatie. Tutti ric o n o s c e v a n o in lui un b u o n a m i c o , i n c a p a c e di malizia e senza meschinità e gelosie. Ostasio da Polenta e Francesco Ordelaffi lo c h i a m a r o n o al loro servizio e gli affidarono missioni abbastanza importanti. I fiorentini lo fecero camerlen124
go, carica di t u t t o r i s p e t t o , e lo m a n d a r o n o a m b a s c i a t o r e , p r i m a in R o m a g n a , poi dal Papa ad Avignone. Forse a n c h e questi incarichi che d a v a n o «tono» ed esigevano u n a certa solennità c o n t r i b u i r o n o a convertire Boccaccio a studi più severi. Ma a dargli la spinta decisiva in questo senso fu Petrarca, q u a n d o nel '50 s'incontrarono a Firenze. L'amicizia fra letterati è r a r a . E q u i n d i logico c h e si p o r t i a e s e m p i o quella, autentica e sincera, che legò i d u e u o m i n i . Ma p e r Boccaccio i suoi effetti f u r o n o d e v a s t a t o r i . Egli rimase a bocca a p e r t a davanti alla cultura, al tratto signorile, alla grazia m o n d a n a di Petrarca che, p u r a p p r e z z a n d o l'ing e g n o di Boccaccio (ma più ancora, c r e d i a m o , l'ammirazione di cui si vedeva oggetto da p a r t e sua), avanzò qualche riserva sulle o p e r e in cui costui lo aveva t r a d o t t o e specialm e n t e sulla l i n g u a in cui lo aveva espresso. Petrarca, si sa, n o n attribuiva validità che al latino e n o n riconosceva altro stile che l'imitazione dei classici. Boccaccio, che già nutriva qualche d u b b i o sulla «volgarità» (in tutti i sensi) del Decamerone, dovette sentirsene a d d i r i t t u r a mortificato davanti al Poeta laureato, all'aulico Maestro c o n t i n u a t o r e di Virgilio, di cui scrisse u n a esaltata biografia. E p e r sua e nostra disgrazia a b b a n d o n ò il volgare, la n a r r a t i v a e la fantasia p e r c o m p o r r e in latino o p e r e d o t t e , inutili e noiose sulla genealogia degli dèi p a g a n i , sulla vita dei p e r s o n a g g i dell'antichità, e perfino sulla geografia delle m o n t a g n e , mari, fiumi, boschi, paludi eccetera. Così la letter a t u r a italiana perse un r o m a n z i e r e e g u a d a g n ò un p e d a n t e . Ma n o n fu colpa solo di Petrarca. Ci si mise a n c h e un frate certosino, Pietro Petroni, che nel '62, in p u n t o di m o r t e , gli m a n d ò un messaggio invitandolo a fare a m m e n d a della sua vita licenziosa e dei suoi irriverenti scritti che, se n o n li avesse in t e m p o ripudiati, gli sarebbero costati, diceva, l'inferno. Boccaccio, che dell'inferno si e r a s e m p r e fatto beffe, stavolta se ne i m p a u r ì , e p e n s ò di m a n d a r c i tutti i suoi manoscritti bruciandoli e di v e n d e r e la biblioteca. Da allora cominciò p e r lui u n a q u a r e s i m a p i e n a di p e n i t e n z e . A spese 125
p r o p r i e , sebbene il suo borsellino n o n gli consentisse davvero di l a r g h e g g i a r e , fece v e n i r e a F i r e n z e L e o n z i o Pilato e p e r far piacere a Petrarca gli commissionò la t r a d u z i o n e dei p o e m i omerici. Era diventato molto «rispettabile», e a lui faceva capo tutta la n u o v a leva degli u m a n i s t i fiorentini. Ma era a n c h e immalinconito e tribolato dagli acciacchi. Per d u e volte t o r n ò a Napoli n e l l ' a s s u r d a s p e r a n z a di ritrovarvi gli u m o r i dei suoi vent'anni. Ne rimase deluso e ne d i e d e colpa alla città. La Signoria gli affidò qualche altra missione diplomatica ad Avignone e a Roma. Ma o r m a i si m u o v e v a malvolentieri, e la m a g g i o r p a r t e dell'anno la passava a Certaldo. In volgare n o n scrisse più nulla, salvo un Commento alla Divina Commedia e un Trattatello in laude di Dante. Né l ' u n a né l'altra o p e r a v a l g o n o m o l t o . Il Commento è p i a t t o , e ci m o s t r a un Boccaccio c h e a m m i r a D a n t e p e r il verso sbagliato cioè p r e n d e n d o l o p e r u n g r a n d e f i l o s o f o , teologo e scienziato, quale di certo n o n era, invece che p e r un p o e t a . Ma secondo Boccaccio la poesia in sé n o n conta; vale solo c o m e s t r u m e n t o di cultura e di p e n s i e r o . Q u a n t o al Trattatello, d e p l o r i a m o c h e l ' i m p e g n o della laude abbia prevalso sullo scrupolo della biografia. Per la vicinanza dei t e m p i e p e r la conoscenza dell'ambiente, Boccaccio e r a ancora in g r a d o di ricostruire la vita di D a n t e . Ce ne fornisce infatti a l c u n e p r e z i o s e notizie, m a t a l m e n t e m e s c o l a t e d i chiacchiere, di l e g g e n d a e di agiografia da r e n d e r e sospette a n c h e quelle che forse sono vere. Tuttavia questi lavori ci m o s t r a n o u n o dei lati u m a n a m e n t e più simpatici e amabili d e l l ' u o m o : la sua generosità e onestà intellettuale, la sua capacità di a m m i r a r e i colleghi rivali, sino a d i v e n t a r n e l ' a m a n u e n s e e l'esaltatore. Su Petrarca il latinista aveva scritto un libro in latino, De vita et moribus F.P. E p a r e che sia stato soprattutto p e r le sue insistenze c h e la Signoria fiorentina istituì u n a cattedra di studi danteschi. Fu lui a ogni m o d o a occuparla nel '73 e a tenerla con g r a n de i m p e g n o , sia p u r e p e r pochi mesi. Ragioni di salute l'obbligarono di lì a poco a lasciarla. 126
Doveva e s s e r e stato un p e s s i m o a m m i n i s t r a t o r e di se stesso, c o m e di solito lo s o n o i g e n e r o s i p e r c h é , con tutti gl'incarichi e occasioni di g u a d a g n a r e c h e aveva a v u t e , si era r i d o t t o p o v e r o in c a n n a , e n o n sapeva c o m e sbarcare il l u n a r i o . I c i n q u a n t a fiorini di P e t r a r c a f u r o n o p e r lui la m a n n a del cielo. Morì a s e s s a n t a d u e a n n i , poco p r i m a del Natale del ' 7 5 , p i e n o di rimorsi, e con la convinzione di aver sbagliato la p r i m a m e t à della sua vita, m e n t r e invece aveva sbagliato la seconda.
CAPITOLO DODICESIMO
UN MERCANTE DEL T R E C E N T O
A Prato, davanti al Palazzo Pretorio, si erge un m o n u m e n t o che raffigura u n u o m o i n t a b a r r a t o con u n b e r r e t t o t o n d o i n testa e un m u c c h i o di fogli in m a n o . E F r a n c e s c o Datini, m e r c a n t e del Trecento, che n o n ebbe solo il m e r i t o di guad a g n a r e un sacco di soldi, ma a n c h e quello di lasciarli alla sua città insieme a un archivio di c e n t o c i n q u a n t a m i l a lettere, cinquecento registri e altri d o c u m e n t i . Q u e s t o i m p o n e n te materiale ha consentito ad alcuni storici, fra cui la signora Iris O r i g o , di r i c o s t r u i r e u n a tipica figura di finanziere di q u e l secolo, il m o d o con cui lo si d i v e n t a v a , le c o n d i z i o n i dell'industria e del c o m m e r c i o . In Datini, che aveva la m a nia di scrivere e di conservare ciò che scriveva, c'è tutto. Ecco p e r c h é abbiamo pensato di p r e n d e r l o a protagonista del p r e s e n t e capitolo. E r a nato nel 1335, figlio di un p o v e r o oste, che la peste del '48 si p o r t ò via insieme alla moglie e a d u e bambini. Così a tredici a n n i si trovò orfano insieme al suo fratellino Stefano, con u n a casa, un p o ' di t e r r a e q u a r a n t a s e t t e fiorini. U n a brava d o n n a , Piera Boschetti, raccolse i d u e ragazzi e si p r e s e c u r a di loro, che la c o n s i d e r a r o n o s e m p r e c o m e m a m ma. L'anno d o p o Francesco s'impiegò c o m e g a r z o n e in u n a b o t t e g a di F i r e n z e , e lì sentì i discorsi che facevano i m e r canti di r i t o r n o da Avignone diventata, coi Papi, la più imp o r t a n t e «piazza» del c o m m e r c i o fiorentino. C o m p i u t i quindici a n n i e raggranellati c e n t o c i n q u a n t a fiorini con la vendita della sua p a r t e di eredità, vi e m i g r ò . A v i g n o n e e r a p r o p r i o c o m e gliel'avevano descritta: i l c e n t r o degli scambi fra le d u e g r a n d i p o t e n z e industriali e 128
m a n i f a t t u r i e r e del t e m p o : l'Italia e le F i a n d r e . La C o r t e Pontificia e r a la migliore cliente. Solo p e r le p r o p r i e vesti, p a p a Giovanni X X I I s p e n d e v a 1300 fiorini l'anno; e p e r le livree dei suoi servi, fino a 8000. Tutto il vasellame e r a d'or o , lavorato dagli òrafi fiorentini. I C a r d i n a l i si rifiutavano di b e r e in c o p p e che n o n fossero di metallo prezioso con fig u r e intarsiate di serpentelli che, secondo loro, li avrebbero t e n u t i al r i p a r o dai veleni. P e r c h é a Dio n o n ci c r e d e v a n o , ma alle stregonerie sì. D ' o r o e r a n o financo i morsi delle loro cavalcature. «E d'oro», diceva Petrarca, «fra p o c o saranno a n c h e i loro zoccoli.» O r a poi che sul Soglio sedeva Clem e n t e VI lo scialone, il fasto n o n conosceva p i ù limiti. Avig n o n e era quasi u n a città toscana. Toscani e r a n o quasi tutti gli artigiani che rifornivano la C u r i a , d o v e a v e v a n o il loro alto p a t r o n o nel c a r d i n a l e Niccolò da P r a t o , cui C l e m e n t e doveva la p r o p r i a elezione. Toscani e r a n o i pittori che decor a v a n o chiese e palazzi: p r i m o fra t u t t i S i m o n e M a r t i n i , istallatosi lì con tutta la sua famiglia e i suoi a p p r e n d i s t i . Toscani e r a n o tutti i banchieri e cambiavalute. Toscani i pellicciai che lavoravano le pelli di ermellino, di cui p a p a Giovanni aveva orlato perfino i p r o p r i guanciali. Toscano era l'archiatra, cioè il medico pontificio, N a d d i n o Bovattieri. Datini n o n dovette q u i n d i sentirsi spaesato, e c e r t a m e n t e trovò aiuti e solidarietà p e r l ' i m p i a n t o di u n ' a z i e n d a commerciale. I suoi p r i m i traffici furono di armi. Devastata dalla p e s t e e dalla g u e r r a d e i C e n t ' a n n i , la F r a n c i a e r a alla m e r c é di b a n d e di p r e d o n i , da cui gli stessi Papi e r a n o minacciati e d o v e v a n o d i f e n d e r s i . F r a n c e s c o , da b r a v o m e r cante di c a n n o n i , rifornì i m p a r z i a l m e n t e gli agenti dell'ord i n e e quelli del disordine, e nei suoi libri troviamo a n n o t a ta la vendita di c i n q u a n t a «corazze p e r briganti», i m p o r t a t e da Milano e da Lione, g r a n d i fucine dell'industria di g u e r ra. Alla p r i m a bottega a p e r t a in Piazza dei Cavalieri, ne aveva a g g i u n t e altre tre, con u n a filiale a Barcellona. Dai registri risulta che gli affari f u r o n o subito p r o s p e r i . Ma Datini resistè alla tentazione di lanciare u n a g r a n d e c o m p a g n i a in130
ternazionale in c o n c o r r e n z a con quelle che avevano fondato altri toscani c o m e i Soderini e i Guinigi, che facevano a n c h e da b a n c h i e r i e da collettori di tasse in n o m e del Papa. Da b u o n pratese, Datini preferiva g u a d a g n a r e molto sul p o co che poco sul molto. N o n aveva le larghe visioni dei g r a n di finanzieri fiorentini c h e lo a v e v a n o p r e c e d u t o , c o m e i B a r d i e i Peruzzi. Preferiva u n a m i r i a d e di piccole i m p r e s e t a c c a g n a m e n t e a m m i n i s t r a t e , in m o d o da t e n e r e i rischi rip a r t i t i e limitati. L'incetta d e l sale, p e r e s e m p i o , gli a n d ò m a l e . Ma ne c o m p e n s ò le p e r d i t e con l ' e s p o r t a z i o n e a Fir e n z e degli smalti francesi a fondo d ' o r o e con l'importazione di zafferano e di vino, che invece gli a n d a r o n o benissim o . I suoi magazzini si moltiplicavano e ingigantivano, ma restavano sul livello di quelli di un robivecchi. C'era di tutto: pelletterie, gioielli, lino di Genova, fustagno di C r e m o na, z e n d a d i di Lucca, biancheria da sposa, cofanetti da viaggio e soprattutto p a r a m e n t i ecclesiastici. Datini n o n b a d a v a né a qualità né a p r o v e n i e n z a di m e r c e p u r c h é l'affare p r o mettesse. L'oscura storia di u n a tovaglia d'altare che costava 3500 fiorini ci fa sospettare che ricettasse a n c h e m e r c e r u bata. Trafficava a n c h e in q u a d r i , ma senza b a d a r e ad altro che al loro valore commerciale. In un ordinativo spedito ai suoi c o r r i s p o n d e n t i fiorentini chiedeva un q u a d r o di g r a n de formato dove ci fosse un Cristo in Croce, u n a M a d o n n a di bell'aspetto, alberi con foglie e un bel p a n o r a m a . Il suo conto in banca cresceva r a p i d a m e n t e , ma egli restava ancorato ai criteri del piccolo cabotaggio basato sulla furberia e sull'avarizia. Era un curioso u o m o : un miscuglio di coraggio e di p r u d e n z a , di g r a n d e z z a e m e s c h i n e r i a . Dalla sua c e n t r a l e avig n o n e s e dirigeva p e r lettera le operazioni più varie e complesse su tutti i mercati e u r o p e i . Q u e s t a prodigiosa attività era aizzata da un c o n t i n u o senso di angoscia. T r e m a v a p e r il risultato di ogni transazione, p e r la spedizione della m e r c e , p e r i pericoli c h e c o r r e v a d u r a n t e il viaggio p e r t e r r a e in m a r e , p e r le tasse con cui era in p e r p e t u a lotta, e soprattut131
to p e r i furti cui si r i t e n e v a esposto da p a r t e di tutti, comp r e s i i suoi soci. Per n o n d a r l o r o il t e m p o di p e r p e t r a r l i , e r a lui c h e li d e r u b a v a sui d i v i d e n d i . Q u e s t ' a n s i a , ch'egli c h i a m a v a « m a n i n c o n i a » , gli si acuì c o n gli a n n i , q u a n d o in lui s o p r a v v e n n e quella della m o r t e e dell'aldilà. C o m e Rockefeller, visse n e l t e r r o r e dell'inferno, e p e r salvarsene fece d i g i u n i , p e l l e g r i n a g g i , e d i v e n t ò p e r f i n o g e n e r o s o di donativi a chiese e conventi. Era g r a f ò m a n e . N o n b a s t a n d o gli la c o r r i s p o n d e n z a d'ufficio, scriveva lettere a tutti, e specialmente agli amici di Prato, cui a n n u n z i a v a o g n i poco il rit o r n o . Voleva a m m o g l i a r s i , diceva, con u n a c o m p a e s a n a e ritirarsi dagli affari. Invece gli affari seguitò a moltiplicarli e, in attesa della c o m p a e s a n a , collezionò un certo n u m e r o di concubine che gli r e g a l a r o n o a n c h e alcuni bastardi. Solo verso i q u a r a n t ' a n n i si decise, e sposò u n a ragazza fiorentin a , M a r g h e r i t a B a n d i n i , c h e ne aveva sedici e viveva lì ad Avignone. A n c h e quell'affare gli a n d ò b e n e . P u r con quella differenza di età, Margherita n o n solo gli fu fedele, ma sopp o r t ò le infedeltà di lui e, n o n r i u s c e n d o a dargli un figlio legittimo, si p r e s e c u r a di quelli illegittimi ch'egli aveva confezionato fuori casa. La cerimonia nuziale fu fastosa. Ecco il menu del b a n c h e t t o : 406 p a g n o t t e , 250 uova, 50 chili di form a g g i o , m e z z o b u e , d u e m o n t o n i , 3 7 c a p p o n i , 1 1 galline, oltre le varie leccornìe di c o n t o r n o . L'anno d o p o , 1375, altro colpo di fortuna. Restio a r i p o r tare la Sede Apostolica a R o m a d o p o l'infelice tentativo già fatto dal suo predecessore U r b a n o V nel '67, p a p a G r e g o r i o X I , lo a b b i a m o già d e t t o , aveva affidato l ' a m m i n i s t r a z i o n e degli Stati Pontifici in Italia C e n t r a l e a dei L e g a t i francesi che vi avevano suscitato solo la rivolta. E a guidarla e finanziarla era la città rimasta s e m p r e più fedele alla Chiesa: Fir e n z e . La r a p p r e s a g l i a del P a p a n o n si fece a t t e n d e r e e si tradusse nella solita scomunica che autorizzava tutti i governi a confiscare le p r o p r i e t à dei fiorentini. Ad A v i g n o n e costoro avevano in m a n o il c o m m e r c i o e la banca. Dovettero p r e c i p i t o s a m e n t e a b b a n d o n a r e le loro b o t t e g h e e a z i e n d e . 132
E molti, p e r salvarle dal sequestro, p a r e che le affidassero al Datini che, essendo di Prato, n o n ricadeva sotto le sanzioni e che ad ogni m o d o aveva fatto professione di fedeltà a G r e g o r i o . N o n è c h i a r o c o m e egli si sia c o m p o r t a t o in q u e s t a circostanza. Ma un suo p e n e t r a n t e biografo, il Sapori, afferma che da allora i suoi capitali si moltiplicarono b r u s c a m e n te. Dato il tipo, n o n ce ne meravigliamo. C o n d o t t a a t e r m i n e q u e s t ' u l t i m a proficua o p e r a z i o n e , Datini si rese conto tuttavia che, col r i t o r n o del Papato a Roma, la piazza di Avignone si avviava al crepuscolo. Vi lasciò u n a bottega affidata al suo impiegato Boninsegna, spedì p e r m a r e il grosso della mercanzia, con la moglie e i servi attraversò le Alpi a cavallo, e d o p o un mese di viaggio, p e r Milano e C r e m o n a , g i u n s e a P r a t o , giusto in t e m p o p e r r i a b bracciare M a m m a Piera, unica p e r s o n a forse che abbia ver a m e n t e a m a t o , e ad ogni m o d o l'unica con cui si era semp r e m o s t r a t o g e n e r o s o . Essa m o r ì subito d o p o , felice d i averlo rivisto. P r a t o o r a e r a u n a c i t t a d i n a d i d o d i c i m i l a a n i m e , quasi tutti artigiani e mercanti. Molto più del C o m u n e e dei suoi Magistrati, p a d r o n a di tutto e r a l'Arte della Lana, che riuniv a i n u n a u n i c a c o r p o r a z i o n e tessitori, f i l a t o r i , c a r d a t o r i , tintori e mercanti. E p a d r o n i dell'Aite e r a n o i capitalisti che controllavano tutte le fasi della lavorazione e ne monopolizz a v a n o il p r o d o t t o . N e s s u n o p o t e v a v e n d e r e o a c q u i s t a r e p e r p r o p r i o c o n t o , n e s s u n o poteva i m p i a n t a r e u n ' a z i e n d a i n d i p e n d e n t e . L'Arte stabiliva o r a r i , prezzi, salari, e teneva t u t t a la città in u n a tale a t m o s f e r a di c a m p o di c o n c e n t r a m e n t o e di lavori forzati, che un pratese, r i t o r n a n d o v i d o p o molti a n n i di assenza, scrisse: «Parmi che chi q u i vive, verg o g n a abbia dell'esser vivo». Per Datini, r e d u c e dalla fastosa, s o n a n t e e colorata Avig n o n e , l'impressione dovett'essere forte. N e s s u n o più lo conosceva, ed egli n o n t e n n e a farsi conoscere, a n c h e p e r via delle tasse, sua e t e r n a ossessione. D e n u n z i ò un p a t r i m o n i o di 3 0 0 0 fiorini. Ma n o n resse alla t e n t a z i o n e di costruirsi 133
u n a casa che gliene costò seicento e fece spalancare gli occhi ai suoi parsimoniosi c o m p a e s a n i , specie p e r via del g r a n d e giardino di cui la volle c i r c o n d a r e . Lì istallò il suo fóndaco, il suo scrittoio e i suoi registri, che sulla c o p e r t i n a portavano iscritto il m o t t o della sua azienda: «Cho 7 nome di Dio e di Ghuadagno». Di lì r i a n n o d ò le fila con tutte le succursali diss e m i n a t e in S p a g n a , Francia, I n g h i l t e r r a , G e r m a n i a e Medio O r i e n t e . Poi s'iscrisse all'Arte ed e n t r ò in società con u n o che già vi g o d e v a un certo prestigio. N o n s'immischiò di lavorazione, in q u e s t o lasciando fare al socio. Ma con la sua organizzazione a raggio e u r o p e o g a r a n t ì i rifornimenti di m a t e r i a p r i m a , cioè di lana. Q u e l l a locale e r a s c a d e n t e . Datini mise le m a n i su quella inglese, c h ' e r a di g r a n l u n g a la migliore del m o n d o , a s s i c u r a n d o s e n e cospicui e costanti quantitativi. E questo rese imbattibile il suo p r o d o t t o . P r e s t o p e r ò s i accorse c h e P r a t o e r a u n c e n t r o t r o p p o piccolo e retrivo p e r fare al caso suo. Vi m a n t e n n e la casa e la moglie, ma con gli uffici si trasferì a Firenze, dove s'iscrisse all'Arte della Seta e istallò un fondaco in Por Santa Maria, che a q u a n t o p a r e fece testo p e r la sua attrezzatura e funzionalità. Le m u r a e r a n o foderate di legno e l'ammobiliamento consisteva di u n a fila di p a n c h e , un desco da scrivere con sedile, u n a cassaforte b e n s b a r r a t a c o n grossi lucchetti e chiavistelli, u n a stadera, d u e paia d i forbici, u n a c a n n a p e r m i s u r a r e , u n a p e n t o l a di r a m e e u n a lucerna di ferro. Finestre e p o r t a e r a n o m u n i t e di grosse sbarre. Nel r e t r o b o t t e g a c'era un letto p e r il g a r z o n e che, secondo gli Statuti dell'Arte, doveva d o r m i r c i la n o t t e . Il p e r s o n a l e si c o m p o n e v a di u n o scrivano, che stava in un angolo davanti a u n a g r a n d e tavola divisa in caselle che ne r i p r o d u c e v a n o in piccolo il disegno. E r a n o , l'una e le altre, divise in sette colonne: la prima r a p p r e s e n t a v a i d e n a r i , la seconda i soldi, la terza le lire, la q u a r t a le ventine di lire, la q u i n t a le centinaia, la sesta le migliaia, la settima le decine di migliaia. Oltre allo scrivano, che aveva in m o n o p o l i o la contabilità, c'erano d u e o t r e ragazzi a p p r e n d i s t i che facevano «pratica». 134
Niente altro. Da questi buchi e con questo staffi mercanti fiorentini dirigevano transazioni di miliardi su tutte le piazze del m o n d o . O g n i t a n t o e n t r a v a l'ispettore dell'Arte a controllare l'esattezza della canna e della stadera. O g n i tanto ven i v a n o altri m e r c a n t i a d i s c u t e r e le notizie d e l g i o r n o e le f l u t t u a z i o n i dei prezzi. O g n i t a n t o arrivava u n c o r r i e r e con la b o r s a delle lettere attaccata alla c i n t u r a , e q u e s t o e r a un avvenimento saliente. Per alcune destinazioni c o m e Venezia, le F i a n d r e e la Sciampagna, i mercanti fiorentini avevano un v e r o e p r o p r i o servizio postale c o n d u e c o r r i e r i al g i o r n o , istituito dall'Arte di Calimala. Ma Datini, che aveva filiali e interessi a n c h e in S p a g n a e nel Levante, ne usava a n c h e di privati, e nella loro scelta era meticolosissimo. Il mestiere infatti era difficile. Occorrevano uomini nello stesso t e m p o audaci e p r u d e n t i , di g r a n d e resistenza fisica, abili e coscienziosi. Datini, a q u a n t o p a r e , ebbe la m a n o felice nel selezionarli. Dall'archivio risulta che in tre giorni i suoi postini r a g g i u n gevano Genova e in sei Venezia. Tuttavia, p e r mettersi al rip a r o da disguidi e sorprese, egli usava spesso spedire le lettere in diverse copie affidate a corrieri differenti. Le scriveva da sé, n o n fidandosi di n e s s u n o . E, d a t a la moltiplicazione delle sue filiali e la vastità dei loro interessi, n o n doveva far altro dalla m a t t i n a alla sera, c o m e del resto l'archivio d i m o stra. Da questa c o r r i s p o n d e n z a si p o s s o n o ricostruire le vie del traffico, marittime e terrestri, dalla Spagna all'Oriente, le incidenze delle p e r d i t e , c h ' e r a n o frequenti e gravi, p e r via dei pirati sul m a r e e dei banditi in terraferma. Ai suoi svariati commerci, Datini ora ne aveva aggiunto un altro, sia p u r e in m i s u r a ridotta: quello degli schiavi, la cui centrale di a p provvigionamento e r a n o le Baleari. L'importazione era consentita a n c h e a Firenze, p u r c h é si trattasse d'«infedeli», cioè m u s s u l m a n i o ebrei. Ecco u n a l e t t e r a c h e r i g u a r d a u n a schiava incinta: «... Noi abbiam p a r l a t o al c a p p e l l a n o di cui fu la schiava c h e avete; e dice che lei e ciò che ha in c o r p o gettiate in m a r e , p e r ò che n o n è sua la creatura...» Piccoli lampi sul costume di quel t e m p o e di quel clero. 135
Datini agiva p e r compagnie. Un t e m p o esse e r a n o state delle piccole a z i e n d e familiari limitate a p a d r e , figli e fratelli, cioè a p e r s o n e che m a n g i a v a n o lo stesso pane, d o n d e a p p u n t o il n o m e di compagnia. Poi esse c o m i n c i a r o n o a inglobare a n c h e degli estranei in veste di soci. Quelle di Datini e r a n o del s e c o n d o tipo, ma egli p r e t e n d e v a e c h i e d e v a che i soci considerassero il vincolo dell'interesse n o n m e n o stretto di quello del sangue. N a t u r a l m e n t e p e r ò il p a d r e e r a s e m p r e lui che, alla testa delle varie aziende, ne riuniva t u t t e le fila nel p r o p r i o p u g n o . Esigeva dai suoi collaboratori u n ' o b b e d i e n z a filiale e la contraccambiava con sollecit u d i n i paternalistiche. Ecco c o m e p a r l a d i u n suo g a r z o n e m o r t o : «Checco m i o è a n d a t o a Paradiso... D u e b u o n i m e dici f u r o n o s e m p r e a la sua malattia, e tutti quelli della casa, s e m p r e , e dì e notte, al suo servigio... B e n e , me ne d u o le; altro n o n posso. E r a b u o n o giovane e fedele». Ma di suo n i p o t e Maso così scrive al d i r e t t o r e della filiale di Barcellona che se ne lamentava: «Castigatelo p e r ogni via e m o d o e d u r a t e c i fatica...» Sulla fine d e l secolo, o r m a i coi capelli b i a n c h i , Datini sembrava aver r a g g i u n t o tutti i suoi obbiettivi e poteva ritirarsi, ricco e felice, nella sua bella casa di P r a t o . Invece seg u i t ò a t e n e r c i , sola, la m o g l i e cui scriveva u n a l e t t e r a al giorno. Ma lui rimase nel suo fondaco di Por Santa Maria a sviluppare vieppiù la sua vasta rete di affari e a s e g u i r n e le sorti con la consueta trepidazione. Era dei pochi che si sobb a r c a v a n o a spese i n g e n t i p e r assicurare la sua mercanzia, ma n e m m e n o q u e s t o bastava a c a l m a r e le sue a p p r e n s i o n i p e r c h é i r i s a r c i m e n t i , in caso di p e r d i t a , e r a n o difficili da incassare. Scriveva alla moglie: « Q u a n d o fanno dette sicurtà, è loro dolce cosa toccare il d a n a i o ; ma q u a n d o viene il d i s a s t r o della p e r d i t a , c i a s c u n o tira il culo i n d i e t r o . . . » . E s e m b r a n o p a r o l e scritte oggi. P e r ò a n c h e dal disastro egli sapeva t r a r r e qualche vantaggio. Scriveva subito a M a r g h e rita di raccontarlo a tutti e di s p a r g e r l o , d e b i t a m e n t e m a g giorato, ai q u a t t r o venti, in m o d o che l'agente del fisco, sua 136
costante ossessione, ne tenesse conto. E a n c h e q u e s t e semb r a n o parole scritte oggi. Sulla fine del secolo, forse p e r facilitare il p r o p r i o finanziamento, s'iscrisse a n c h e all'Arte dei C a m b i a t o r i e mise su u n a b a n c a . Gliene derivò un m a r e di guai n o n soltanto col fisco che lo colpì a n c o r a p i ù d u r a m e n t e , ma a n c h e coi suoi amici p i ù timorati che gli r i m p r o v e r a r o n o di esercitar l'usura. Datini aveva u n a specie di d i r e t t o r e di coscienza in L a p o Mazzei, e s e m p l a r e g a l a n t u o m o , le cui lettere affettuose, ma a n c h e severe, r i m a n g o n o a d o c u m e n t o di un'amicizia devota ma senza servilismo, di dirittura m o r a l e e di u m a n a comp r e n s i o n e . Mazzei e r a la sola p e r s o n a che Datini temeva, la sola c o m u n q u e da cui subiva a n c h e i rabbuffi. Dalle lettere che ne ricevette in questa occasione risulta quale confusione regnasse allora i n t o r n o al concetto del d e n a r o e dell'interesse, s o p r a t t u t t o p e r colpa della Chiesa. Nell'alto Medio Evo, q u a n d o aveva il quasi assoluto m o n o p o l i o del d e n a r o , essa lo aveva d a t o a prestito ai tassi più esosi. Ma d a c c h é si e r a formato il capitalismo privato e laico, la Chiesa si e r a ricordata di Sant'Agostino e di San Girolamo che consideravano u s u r a q u a l u n q u e g e n e r e di utile ricavato d a l d e n a r o e la c o n d a n n a v a n o c o m e peccato m o r t a l e . Ciò n o n aveva i m p e dito ai p r e t i di c o n t i n u a r e a esercitarla. Ma consentiva loro di scagliare a n a t e m i c o n t r o i laici c h e facevano a l t r e t t a n t o . San T o m m a s o aveva cercato d i m e t t e r e u n p o ' d ' o r d i n e i n queste contraddizioni riconoscendo la legittimità di un «giusto prezzo» del d e n a r o . M a e r a u n a r e g o l a o p i n a b i l e c h e consentiva tutto e il contrario di tutto. U n a banca si era sottratta alla c o n d a n n a s o s t e n e n d o che il peccato p r e s u p p o n e u n ' a n i m a , e q u i n d i quello dell'usura è tale q u a n d o a esercitarla è u n a singola p e r s o n a . Ma u n a banca, essendo qualcosa d ' i m p e r s o n a l e , l'anima n o n l'ha, e q u i n d i il peccato n o n p u ò c o m m e t t e r l o . N o n s a p p i a m o c o m e fu accolta, nel caso specifico, l'obbiezione. S a p p i a m o soltanto che nell'opinione c o r r e n t e , «banchiere» e «usuraio» e r a n o sinonimi. E lo erano a n c h e in quella di L a p o Mazzei che metteva in g u a r d i a 137
Datini dallo «strozzare» i suoi clienti. Alla fine questi ne fu talmente stufo che, alla m o r t e del suo socio Cambioni, liquidò la b a n c a s e b b e n e fosse o r m a i u n a delle p i ù forti e agguerrite d'Europa. C o m e trovasse il m o d o , con gli a n n i e gli affari che gli p e savano sulle spalle, di d e d i c a r e a n c o r a e n e r g i e alle d o n n e , Dio solo lo sa. E p p u r e , il viziaccio n o n gli e r a passato. C o n M a r g h e r i t a n o n aveva d a a n n i altri r a p p o r t i c h e l e quasi q u o t i d i a n e lettere, rivelatrici più di malintesi che di affetto. Margherita aveva d i s p e r a t a m e n t e cercato di dargli un figlio. S'era perfino fatta m a n d a r e u n a cintola miracolosa da farsi allacciare alla vita - diceva la prescrizione - da un b a m b i n o vergine e d o p o aver detto tre Paternostri e tre Avemmarie a o n o r e di Dio, della S a n t a T r i n i t à e di S a n t a C a t e r i n a . Ma n e a n c h e questo ritrovato sortì effetto, e la p o v e r a d o n n a ne r i m a s e d e l u s a e inasprita. Fu c e r t o a n c h e p e r sottrarsi alla sua p e t u l a n z a c h e Francesco si trasferì da P r a t o a Firenze. O g n i mercoledì le m a n d a v a a dire che il sabato sarebbe torn a t o a passare la fine della settimana a casa, ma - si l a m e n t a Margherita in u n a lettera - «parmi che o g n i v e n e r d ì sera ti ripenti». E m a g a r i si fosse r i p e n t i t o s e m p r e . Q u a l c h e volta invece tornava, e l'occhio gli cascava su u n a servotta q u i n d i c e n n e di n o m e Ghirigora cui a un certo p u n t o occorse p r o c u r a r e con u n a bella d o t e di 165 fiorini un m a r i t o che si accollasse la responsabilità di un b a m b i n o già concepito da sei mesi, e che ne sopravvisse altri sei. Datini lo fece seppellire nella sua cappella privata ai piedi dell'altare, posto riservato ai figli legittimi. Poi la G h i r i g o r a rimase vedova e chiese al vecchio p a d r o n e di r i p r e n d e r l a in casa. Ma Datini rifiutò. Di lì a n o n molto, un'altra d o n n a di casa, la schiava ventenne Lucia, subì il m e d e s i m o incidente. Margherita si p r e s e la bimba che nacque, Ginevra, e l'allevò c o m e figlia sua. Q u i n dici a n n i d o p o il Datini la d i e d e in sposa a un giovanotto di Prato con u n a bella d o t e di 1000 fiorini. Ma q u a n d o , a nozze concluse, si trattò di versarli, ne detrasse 840 p e r le spese della cerimonia, c h ' e r a stata sfarzosa, e con la clausola che, 138
se Ginevra fosse m o r t a e n t r o d u e a n n i , il vedovo doveva restituirgli i mille fiorini. Q u e s t o e r a il m e r c a n t e Datini. Le sole spese su cui n o n lesinava mai e r a n o quelle p e r la casa e p e r i vestiti. Possedeva - lusso i n a u d i t o p e r quei t e m p i - sei camicie di lino, e o g n i g i o r n o ne voleva u n a di b u c a t o ; sei paia di b r a c h e ; q u a t t r o farsetti foderati di b a m b a g i a , dieci cioppe o giacconi foderati di pelliccia o di p a n n o rosso; e b e n cinque mantelli l u n g h i fino ai piedi. N o n aveva invece camicie da notte o pigiama. Sia lui che sua moglie d o r m i v a n o insieme, ma n u d i , solo con b e r r e t t e da notte. La casa, che esiste ancora, più che di g r a n linea architettonica, e r a solida e c o m o d a , con le stanze a volta, d u e cucine, e alcune c a m e r e p e r gli ospiti. Datini ne ricevette di famosi dall'ambasciatore di Francia a Luigi II di Angiò e li trattò da g r a n d e anfitrione c o n s i d e r a n d o l e spese di r a p p r e s e n t a n z a che contribuivano al prestigio della ditta. A n c h e la sua m e n s a e r a famosa p e r la v a r i e t à e la ricchezza d e i piatti. D a t i n i e r a g h i o t t o , specialmente di cacciagione. E n t r a t o nella sessantina, d o v e t t e u n p o ' r i d u r r e i l suo f o r s e n n a t o r i t m o d i l a v o r o . M a l'ansietà, d a cui e r a stato s e m p r e afflitto, invece di migliorare, p e g g i o r ò . A quella p e r l ' a n d a m e n t o degli affari, si aggiunse quella p e r le «morìe», cioè p e r le pestilenze. Ne aveva già viste s c o p p i a r e sei, da q u a n d o e r a nato, e dalla p r i m a , che gli aveva p o r t a t o via gen i t o r i e fratelli, e r a r i m a s t o t r a u m a t i z z a t o . N e l 1399 ne scoppiò un'altra. Per i m m u n i z z a r s e n e , Datini indossò il rozzo saio del m o n a c o e scalzo e c o n u n a c a n d e l a in m a n o , se ne a n d ò in pellegrinaggio propiziatorio. Era un anticlericale e più volte si era fatto beffe dei preti. Però credeva in Dio, o a l m e n o nell'inferno, si e r a s e m p r e r e g o l a r m e n t e confessato e aveva spesso allentato i c o r d o n i della borsa p e r elemosine a chiese e conventi. Seguiva a n c h e le p r e d i c h e , e specialm e n t e quelle d i San B e r n a r d i n o d a Siena, c h e p e r p r o c u rarsi un pubblico si a n n u n z i a v a i m i t a n d o il canto del gallo e delle r a n e , e p e r t e n e r n e avvinta l ' a t t e n z i o n e lardellava i suoi discorsi di a n e d d o t i e battute. 139
Col cognato, i soci e altra gente di casa, o r a Datini cercava di s t o r n a r e il pericolo a piedi n u d i e s a l m o d i a n d o : Misericordia, e t e r n o Dio. Pace, pace, Signor pio, N o n g u a r d a r e il nostro e r r o r e . Misericordia a n d i a m g r i d a n d o Misericordia n o n sia in b a n d o Misericordia I d d i o p r e g a n d o Misericordia al peccatore. Ma misericordia n o n ci fu. Ancora u n a volta la peste n e r a si abbatté sull'Europa, e la sua mareggiata di m o r t e investì anche P r a t o . Datini vi cercò scampo avviandosi a d o r s o di m u lo a t t r a v e r s o gli A p p e n n i n i v e r s o B o l o g n a . Lo s e g u i v a n o Margherita, Ginevra, d u e impiegati e alcuni servitori. E r a il 1400. A Bologna rimase q u a t t r o mesi, e il fedele Mazzei n o n gli fece m a n c a r e le notizie. E r a n o agghiaccianti. «Ieri m o r i r o no qui 2 0 1 , senza gli spedali, preti, frati e monasteri, e gente che fanno senza b e c c a m o r t o » . L a p o stesso ne fu colpito n e i f i g l i : gliene m o r i r o n o d u e u n o sull'altro. L e sue descrizioni di Firenze n o n fanno r i m p i a n g e r e quella di Boccaccio p e r la peste del '48: le b o t t e g h e chiuse, le strade deserte, le campane a morto. Datini t o r n ò a Prato a flagello finito, e stavolta n o n sé ne mosse più. C o m e in tutte le altre città italiane, un b u o n terzo della popolazione e r a stato falciato. Il vecchio m e r c a n t e , sebbene a n c o r a fisicamente valido, e r a scosso. L a p o , m i r a colosamente sopravvissuto al contagio, lo a m m o n i v a : «Questo n o s t r o vivere è un c o r r e r e alla morte». E il p r e d i c a t o r e fra' Giovanni Dominici Io esortava a consacrare a Dio il tempo che gli restava da vivere. Datini fece t e s t a m e n t o . Al n o taio rivelò che la sua f o r t u n a a m m o n t a v a a 70.000 fiorini, q u a n t i a quel t e m p o il Re di Francia n o n ne ricavava in un a n n o da tutti i suoi Stati. Li lasciò, su consiglio di Mazzei, al 140
pio istituto della «Casa del C e p p o dei Poveri» di Prato, salvo u n a r e n d i t a di cento Fiorini all'anno alla vedova e alcuni altri legati m i n o r i a Ginevra e ai famigli. Fatto q u e s t o investimento in a r e e fabbricabili di p a r a d i so, t o r n ò a dirigere i p r o p r i affari e seguitò a farlo fino alla m o r t e che lo sorprese nel 1410. N o n e r a stato u n g r a n d e u o m o . M a aveva c o m p i u t a m e n te incarnato il n u o v o tipo di capitalista p r o d o t t o dalla società del T r e c e n t o e aveva avuto l'accortezza di lasciarcene nel suo archivio il preciso ritratto. A differenza del m e r c a n t e o del b a n c h i e r e del Duecento, c h ' e r a s e m p r e figlio dell'«Arte» o della «parte» o del «clan» di famiglia, Datini era, c o m e oggi si dice, un self mode man, un u o m o che si era fatto da solo, quale n o n e r a stato nessun Acciaioli o Bardi o Peruzzi o Cerchi o Frescobaldi: e q u e s t o d i m o s t r a q u a n t o l ' i n d i v i d u o si fosse o r m a i affrancato dal «gruppo». Inoltre, a differenza di q u e i suoi p r e d e c e s s o r i c h e a v e v a n o s e m p r e c o n s i d e r a t o il d e n a r o c o m e s t r u m e n t o di p o t e r e e di p r e s t i g i o , lo aveva p r e s o c o m e f i n e . N o n s e n ' e r a mai servito p e r p r o c u r a r s i u n b l a s o n e n o b i l i a r e o p e r fare u n a c a r r i e r a politica. L'unica carica pubblica che aveva rivestito fu, p e r p o c o t e m p o e di mala voglia, quella di Gonfaloniere di Giustizia a Prato. Era indifferente alla politica, anzi la disprezzava c o m e un m e stiere di «chiacchieroni» intesi solo a intralciare il lavoro della g e n t e seria, cioè di quella che badava a p r o d u r r e o ad acc u m u l a r e p a l a n c h e . E a n c h e in questo atteggiamento «qualunquista» e r a b u o n p r e c u r s o r e del capitalista m o d e r n o . Ma egli lo fu a n c h e nella tecnica degli affari. I mercanti e i banchieri del D u e c e n t o e r a n o stati dei pionieri, u o m i n i d ' a r m e e d ' a v v e n t u r a , che da soli avevano tracciato e a p e r t o le vie del traffico in t e r r a e in m a r e . Avevano d o v u t o far tutto di p e r s o n a , animati da u n o spirito i m p r e n d i t o r i a l e pionieristico ed eroico. Datini n o n conosceva altre città che Avignone, Prato e Firenze, e n o n si e r a mai mosso dal suo «scrittoio». E r a già inserito in un «sistema» c h e lo e s e n t a v a d a l l ' i n t e r vento p e r s o n a l e . Aveva i suoi «direttori generali», le sue «fi141
liali», i suoi c o r r i s p o n d e n t i , i suoi corrieri. Ma aveva soprattutto le sue «lettere di cambio» che gli consentivano di spostare con relativa facilità i suoi capitali. Con lui s'inaugura un capitalismo n u o v o , basato più sulla tecnica e l'efficienza che sulla fantasia, l'inventiva e il coraggio. C o m e dice il Sapori, con gli u o m i n i alla Datini il vol u m e degli affari nell'economia italiana n o n si contrasse; ma si contrasse lo spirito degli u o m i n i d'affari. E ora r i p r e n d i a m o il filo del nostro racconto.
CAPITOLO TREDICESIMO
IL PAPATO T O R N A A R O M A
P u ò darsi c h e a n c h e le s u p p l i c h e e le minacce di C a t e r i n a avessero influito sulla decisione di r i p o r t a r e la sede apostolica a Roma. Ma i motivi che più i m m e d i a t a m e n t e vi contrib u i r o n o furono altri d u e . Il p r i m o e r a che il Re di Francia in quel m o m e n t o n o n aveva abbastanza forza p e r i m p e d i r lo. Si era lanciato contro l'Inghilterra in u n a g u e r r a che doveva d u r a r e c e n t ' a n n i e che allora volgeva d e c i s a m e n t e in suo sfavore. Il paese era invaso dagli eserciti nemici e strem a t o dalle pestilenze e dalle carestie. E a n c h e la succursale angioina di Napoli, sotto il dissennato r e g i m e di Giovanna, n o n era in g r a d o di esercitare pressioni. Il s e c o n d o motivo e r a n o le a l l a r m a n t i condizioni in cui versava l'Italia, e p a r t i c o l a r m e n t e gli Stati Pontifici. L'anarchia nella penisola e r a e n d e m i c a , m a o r a r a g g i u n g e v a u n a delle sue fasi critiche. Le Signorie proliferavano, si combattevano, si distruggevano e si riformavano. O g n i tanto scendeva in Italia u n o di q u e i fatiscenti I m p e r a t o r i c h e i t e d e schi seguitavano a eleggere, ma col sottinteso che n o n esercitassero il p o t e r e . Nel 1354 era stata la volta di Carlo IV di Boemia. A differenza di Ludovico, e r a d ' a c c o r d o col P a p a che Io fece c o r o n a r e dal C a r d i n a l e B e r n a r d i . S'incontrò, lo abbiamo detto, con Petrarca. E p p o i a n c h e lui risalì la penisola v e n d e n d o a varie città - fra cui Firenze, che lo c o m p r ò p e r centomila fiorini - il diritto di restare tranquille. Mai il prestigio della c o r o n a che aveva cinto la testa di C a r l o m a gno, di Barbarossa e di Federico II e r a c a d u t o così in basso. L'Imperatore o r m a i n o n e r a più che l'esoso a g e n t e di un fisco arbitrario. Però molti Signori italiani se n ' e r a n o serviti 143
p e r farsi d a r e il titolo di Vicari, che b e n e o male serviva a legittimare il loro p o t e r e . In n o m e di quel fantomatico I m p e r o , n e l l ' i n t e r m e z z o fra le s p e d i z i o n i di L u d o v i c o e C a r l o , Cola di Rienzo aveva indossato la toga di Augusto e a n n u n ziato il r i t o r n o delle aquile e dei fasci littori sui «colli fatali» dell'Urbe. Cola era matto. Ma molto m e n o matti e r a n o quei Signori e Signorotti che profittavano di tutto questo t r a m e stìo p e r spartirsi l'Italia, c o m p r e s a quella c e n t r a l e c h e la Chiesa c o n s i d e r a v a sua esclusiva riserva di caccia. Malate sta, Ordelaffi, Montefeltro, Varano, Trinci si stavano m a n g i a n d o gli Stati Pontifici. E i Visconti di Milano cominciavano a s p r i g i o n a r e u n a pericolosa forza di attrazione su tutta la penisola. La stessa G e n o v a e r a c a d u t a in m a n o loro nel 1353. E Genova più Milano p o t e v a n o benissimo, con cinque secoli di anticipo sul Piemonte, fare l'Italia, cioè la cosa che la Chiesa più paventava. Fu questo pericolo che inquietò i Papi di Avignone, sebb e n e fossero francesi. C l e m e n t e VI aveva cercato di restaur a r e la sua a u t o r i t à su R o m a s e r v e n d o s i di Cola. E fu p e r q u e s t o che il t r i b u n o , p r o c e s s a t o ad A v i g n o n e d o p o la sua p r i m a caduta, v e n n e assolto e trattato p i ù da ospite che da prigioniero. Subito d o p o C l e m e n t e morì, e al suo posto venn e eletto I n n o c e n z o V I , u o m o d i b e n diversa stoffa, t a n t o m o d e s t o e frugale q u a n t o il suo p r e d e c e s s o r e e r a stato fastoso e s p e n d a c c i o n e , ma a l t r e t t a n t o f e r m o nella difesa dei diritti della Chiesa. Fu lui c h e , i n g a n n a t o d a l l ' a p p a r e n t e saggezza che Cola s e m b r a v a aver acquistato d o p o tre a n n i di esilio avignonese, lo rispedì a R o m a c o m e suo emissario. Ma al fianco gli mise un C a r d i n a l e , che a v r e b b e benissimo figurato fra i l u o g o t e n e n t i di S. D o m e n i c o , dal cui O r d i n e d ' a l t r o n d e proveniva. Gli Alvarez Carrillo de A l b o r n o z d i s c e n d e v a da u n a famiglia dì aristocratici spagnoli, e il suo seminario era stata la caserma. Per le sue i m p r e s e in g u e r r a , lo avevano fatto Arcivescovo di Toledo. O r a che lo m a n d a v a n o c o m e C a r d i n a l e in Italia, si p r e p a r ò a fare il G e n e r a l e . E infatti, lasciando 144
Cola p r o s e g u i r da solo p e r R o m a i n c o n t r o a un n u o v o accesso di d e m e n z a e al linciaggio, si fermò a Firenze e la persuase a dargli i fondi p e r organizzare un esercito. N o n eran o c h e u n p u g n o d i u o m i n i , m a gli b a s t a r o n o p e r giocare u n o c o n t r o l'altro i vari signorotti che si e r a n o divisi gli Stati della Chiesa. Invitava l'avversario a negoziare, e d u r a n t e le trattative gli faceva d e m o l i r e di s o r p r e s a le piazzeforti. Così successe a Giovanni di Vico che v e n n e da lui c o m e Sig n o r e di Viterbo, Orvieto, Amelia, N a r n i e Terni; e alla fine dei colloqui si accorse di n o n avere p i ù nulla, salvo il titolo di Vicario della Chiesa a C o r n e t o . La sua tattica e r a quella di t r a t t a r e coi piccoli p o t e n t a t i e di p e r s u a d e r l i che un pat r o n a t o r e m o t o come quello della Chiesa li avrebbe messi al sicuro dalla rapacità di quelli vicini e g r a n d i . In questo m o do riuscì a isolare i Malatesta e gli Ordelaffì c o n t r o cui n o n c'era che la g u e r r a . Il Malatesta, d o p o u n a p r i m a sconfìtta, s'impaurì e trattò. Albornoz fu i n d u l g e n t e . T r a s c u r a n d o il fatto che il suo avversario era a n c h e scomunicato, gli lasciò Rimini, Pesaro e Fano, ma da a m m i n i s t r a r e c o m e Vicario della Chiesa. Con I'Ordelaffi fu più d u r o . E i a un t i r a n n o t e m u t o dai suoi sudditi p e r la sua spietatezza, ma a n c h e rispettato p e r le sue indubbie capacità. E p e r di più aveva al suo servizio un generale d'eccezione: la moglie Cia degli Ubaldini, reincarnazione di Minerva. Per venire a c a p o di questa pericolosa c o p pia, I n n o c e n z o la scomunicò, e l'Albornoz b a n d ì a d d i r i t t u r a u n a crociata p r o m e t t e n d o la più larga i n d u l g e n z a a chi vi partecipava, quali che fossero i suoi peccati, a n c h e i più orr e n d i . L a d r i e assassini accorsero da tutte le parti a ingrossare l'esercito papalino. Gli Ordelaffì risposero facendo b r u ciare sulla piazza di Forlì fantocci di paglia che raffiguravano il Papa e i cardinali. «Ecco che sono scomunicato - gridò il t i r a n n o -, n o n p e r t a n t o la c a r n e , lo p a n e , lo vino che bevemo ci fa buono.» L'Albornoz o t t e n n e alcuni successi iniziali fra cui la p r e s a di Cesena che Cia difese s t r a d a p e r strada con maschio co145
raggio. Ma v e n n e i m p r o v v i s a m e n t e r i c h i a m a t o ad Avignone e n o n si è mai s a p u t o p e r quale motivo, e il suo successore A n d r o i n de la Roche riperse tutto. T o r n ò l'Albornoz l'anno d o p o (1357). E d o p o venti mesi di a s p r a lotta gli O r d e laffi dovettero capitolare. A n c h e Bologna si consegnò al vinc i t o r e e c o n s a c r ò la d e d i z i o n e c o n un plebiscito in cui la scheda elettorale era r a p p r e s e n t a t a da u n a fava: 1644 furono quelle b i a n c h e e 5 sole le n e r e . O r a c h e Emilia, R o m a g n a , M a r c h e , U m b r i a e Lazio erano ridiventati Stati della Chiesa (e Firenze era g a r a n t e della fedeltà d e l l a T o s c a n a al P a p a ) , A l b o r n o z scese a R o m a p e r ripristinarvi l'ordine. Il g o v e r n o fu affidato a un Senat o r e d i n o m i n a p a p a l e che doveva fornire s o p r a t t u t t o u n a g a r a n z i a : quella d i n o n essere r o m a n o . L o s p a g n o l o , evid e n t e m e n t e , aveva c a p i t o t u t t o . Egli e r a a s s e c o n d a t o d a sette riformatori della Repubblica, tutti di elezione popolar e , con esclusione dei nobili. E Albornoz c o m p l e t ò quest'op e r a riformatrice d e t t a n d o le famose «Costituzioni egidiane» c h e p r a t i c a m e n t e r e g o l a r o n o lo Stato Pontificio fino aH"800. La strada era libera per il ritorno del Papa nell'Urbe. Questo Papa non era più Innocenzo VI, morto da poco, ma U r b a n o V, che gli era succeduto nel '62, e ne c o n t i n u a va l ' o p e r a moralizzatrice e risanatrice. N e l '67 a n n u n z i ò il ripristino della sede apostolica a R o m a . E significativo c h e questa decisione coincidesse con u n a e n n e s i m a batosta della Francia che s e m b r a v a definitiva p e r c h é il suo Re e r a cad u t o p r i g i o n i e r o in m a n o agl'inglesi. I Cardinali, quasi tutti francesi, i n o r r i d i r o n o all'idea d e l trasloco e a c c u s a r o n o U r b a n o di essere succubo della retorica di Petrarca e delle m i n a c c e d i C a t e r i n a . M a U r b a n o r i m a s e f e r m o n e i suoi propositi. N e l l ' a p r i l e del '67 s ' i m b a r c ò a Marsiglia, g i o i o s a m e n t e scortato da un codazzo di galee genovesi. Roma, che da sess a n t a q u a t t r o a n n i n o n vedeva più un Papa, lo accolse trionfalmente. I p i ù g r a n d i Signori italiani, da A m e d e o di Savoia 146
agli Este e ai Malatesta, vi si e r a n o dati convegno. Alcuni di loro ressero il m o r s o del bianco m u l o su cui U r b a n o fece ingresso in città, e tutti, b a r d a t i nelle più belle a r m a t u r e , con séguiti in divise sgargianti, b a n d i e r e e baldacchini, lo scortar o n o fino a San Pietro. Mancava solo Albornoz, m o r t o p r o p r i o alla vigilia di quel r i t o r n o che r a p p r e s e n t a v a il suo p e r sonale trionfo. Q u e s t o spagnolo è stato forse l'unico g r a n d e u o m o politico italiano del Trecento. Ma, finita la festa, il P a p a fu colto dallo s g o m e n t o . R o m a n o n e r a c h e u n m o n u m e n t a l e c i m i t e r o . L a basilica d i San Paolo era in rovine, quella di San Pietro tatuata di c r e p e , il L a t e r a n o s e m i d i s t r u t t o d a u n r e c e n t e i n c e n d i o , palazzi cadenti, casupole a m m u c c h i a t e alla rinfusa, selciati sconnessi e cariati di p a n t a n i , n e s s u n a industria, plebi cenciose. Così aveva r i d o t t o la città il m a l g o v e r n o della p i ù a r r o g a n t e e inetta aristocrazia e u r o p e a . I n c a p a c e di acclimatarsi in quell'area d e p r e s s a , U r b a n o stanziò cospicui f o n d i p e r o p e r e p u b b l i c h e d i e m e r g e n z a che lasciò in appalto al governo; e si ritirò a Montefiascone. Ma a n c h e lì la nostalgia della Francia seguitò a c o n s u m a r l o . II P e t r a r c a , v e n u t o a s a p e r l o , gli m a n d ò l e t t e r e su l e t t e r e p e r incitarlo a resistere. Santa Brigida di Svezia gli predisse che se lasciava l'Italia, sarebbe m o r t o . Carlo IV fece solenne r i n u n z i a ai diritti imperiali sull'Italia c e n t r a l e , su cui l'Imp e r o aveva s e m p r e conservato u n a teorica sovranità, v e n n e di p e r s o n a a R o m a , u m i l m e n t e t e n n e il m o r s o al cavallo di U r b a n o e gli servì messa in San Pietro. U r b a n o resse fino al '70. Poi, s e n t e n d o a p p r o s s i m a r s i la fine, n o n volle c h i u d e r e gli occhi p r i m a di aver rivisto la sua diletta A v i g n o n e , e lì, p o c o p r i m a del Natale del '70, m o r ì rivestito nel suo saio di m o n a c o b e n e d e t t i n o sul pagliericcio di u n a stanzetta che somigliava a u n a cella. Il suo successore G r e g o r i o XI e r a un n i p o t e di C l e m e n t e V I , che lo aveva fatto c a r d i n a l e a diciott'anni. E a n c h e lui, come lo zio, preferiva Cicerone al Vangelo e il carnevale alla q u a r e s i m a . D i r i p e t e r e l ' e s p e r i e n z a d i U r b a n o n o n aveva 147
n e s s u n a voglia, e p e r sette a n n i rimase s o r d o all'eloquenza di Petrarca e alla disperazione di Santa Caterina. Per m a n t e n e r e in piedi l ' o p e r a di Albornoz, aveva affidato gli Stati della Chiesa ai suoi Cardinali francesi in veste di Legati Pontifici, i quali si c o m p o r t a r o n o c o m e p r o c o n s o l i in t e r r a di conquista. Gli effetti del loro m a l g o v e r n o n o n t a r d a r o n o a farsi sentire. A Perugia il n i p o t e del L e g a t o p e r s e g u i t ò con tale insistenza u n a s i g n o r a c h e costei, p e r n o n cedergli, si b u t t ò da u n a finestra e m o r ì . Scoppiò un subbuglio. A u n a d e p u t a z i o n e che chiedeva un castigo, il Legato rispose a r r o g a n t e m e n t e : «Cosa c r e d e t e ? C h e noi francesi siamo e u n u chi?» La città si rivoltò, seguita da molte altre d e l l ' U m b r i a delle M a r c h e e della R o m a g n a . Nel '75, tutta l'opera di Alb o r n o z e r a in r o v i n e . Di s e s s a n t a q u a t t r o città che a v e v a n o riconosciuto la sovranità del Papa, u n a sola vi e r a r i m a s t a fedele. E alla testa d e l l ' i n s u r r e z i o n e c'era quella che al pagliaio del Papa aveva s e m p r e m o n t a t o la più ringhiosa guardia: Firenze. Essa o r a guidava, e n a t u r a l m e n t e finanziava, la coalizione antipontificia sventolando u n a b a n d i e r a su cui e r a scritto Libertas. G r e g o r i o cercò di resistere senza muoversi da Avignone. Scomunicò Firenze autorizzando così Francia e I n g h i l t e r r a , che n o n se lo fecero dir d u e volte, a sequestrare gl'immensi p a t r i m o n i dei b a n c h i e r i e m e r c a n t i fiorentini che o p e r a v a no in q u e i d u e Paesi. P u r coi suoi c o m m e r c i e finanze sull'orlo del collasso, Firenze rispose confiscando i b e n i della Chiesa sul suo territorio, c h i u d e n d o i tribunali ecclesiastici, d i s t r u g g e n d o gli edifici d e l l ' I n q u i s i z i o n e , i n c a r c e r a n d o i p r e t i che n o n si s o t t o m e t t e v a n o , a v v i a n d o i p i ù riottosi al patibolo e lanciando un appello a R o m a p e r c h é si unisse alla rivolta. G r e g o r i o dovette c o r r e r e ai ripari. M a n d ò a dire ai r o m a n i che, se rifiutavano l'invito, sarebbe t o r n a t o fra lor o . E solo così si assicurò la fedeltà dell'Urbe. O r a che aveva p r o m e s s o , doveva m a n t e n e r e . M a p r i m a di m a n t e n e r e , doveva ristabilire l'autorità pontificia sugl'insorti, e p e r farlo n o n aveva più un A l b o r n o z . Dovette affì148
darsi a quei capitani di v e n t u r a , di cui da qualche d e c e n n i o l'Italia era diventata la mecca e su cui in seguito t o r n e r e m o . F u r o n o soprattutto d u e che in suo n o m e c o m b a t t e r o n o e si distinsero p e r ferocia e c r u d e l t à . U n o era un a v v e n t u r i e r o inglese, J o h n Hawkwood, che gl'italiani ribattezzarono Giov a n n i A c u t o , m a a n c h e «Io s c a n n a t a r e » . C o m a n d a v a u n a b a n d a di p r e d o n i che, p e r il fatto di servire il Papa, si chiamò « C o m p a g n i a Santa», e d i m o s t r ò q u a n t o lo fosse a Faenz a d o v e s c a n n ò t r e c e n t o i n e r m i n o n p e r c h é ribelli m a p e r semplice sospetto che lo diventassero, e scacciò tutta la p o polazione fuor di città « r i t e n e n d o s o l a m e n t e quelle d o n n e che p i a c q u e r o a lui e ai suoi». Ma n o n migliore fu il suo collega e c o m p a r e Roberto di Ginevra, sebbene fosse C a r d i n a le. Alla testa di u n a m a s n a d a di B r e t o n i , s ' i m p a d r o n ì c o n l'inganno di Cesena, vi massacrò quattromila p e r s o n e , e dep o r t ò tutte le altre d o p o il solito prelievo delle ragazze più giovani e avvenenti. Fu allora che Firenze m a n d ò a Gregorio c o m e ambasciatrice Caterina e che costei p r o n u n c i ò di fronte al Papa la fam o s a r e q u i s i t o r i a p e r cui rischiò l ' a r r e s t o e la s c o m u n i c a . Q u a n t o quel violento appello influisse su di lui, è impossibile dire. Ma fatto sta che subito d o p o G r e g o r i o , p u r c o n t r o voglia, s'imbarcò a Marsiglia, e ai p r i m i del '77 r a g g i u n s e Roma. N o n vi trovò l'accoglienza che vi aveva trovato il suo predecessore. Anzi, vi si sentì così poco sicuro che d o p o p o che settimane si ritirò ad A n a g n i e di lì cercò di r i p o r t a r e la pace nei suoi Stati n o n più con la forza, ma con la diplomazia. La fiducia nel Papato e r a t a l m e n t e scossa che gli ci volle parecchio t e m p o p e r i n d u r r e le città a rovesciare i governi ribelli e a riconoscere la sua sovranità. L'ultima a c e d e r e fu Firenze, p e r la quale si dovette r i c o r r e r e all'arbitrato di Bern a b ò Visconti. Questi se ne fece p r o f u m a t a m e n t e r i p a g a r e r i m e t t e n d o c o m e parcella la m e t à della s o m m a che avrebbe estorto ai fiorentini c o m e i n d e n n i z z o della rimessa scomunica. E p p e r c i ò li c o n d a n n ò a versare 800.000 fiorini. Ma il Papa li ridusse a 250.000. 149
G r e g o r i o n o n visse a b b a s t a n z a p e r v e d e r e l a p a c e i n t e r a m e n t e ristabilita nei suoi Stati. Sulla fine del '77 t o r n ò a Roma, e pochi mesi d o p o morì m o r m o r a n d o la parola: «Francia». Così si e r a concluso il p e r i o d o del P a p a t o avignonese, passato alla storia c o m e la «cattività di Babilonia». E n o n c'è d u b b i o ch'esso abbia avuto un'influenza d e t e r m i n a n t e sulla t e r r i b i l e crisi dello scisma c h e stava p e r a p r i r s i e c h e p e r p o c o c o n d u s s e la C h i e s a alla catastrofe: la q u a l e d e l r e s t o n o n v e n n e evitata, m a solo d i l a z i o n a t a . I l P a p a t o a d Avig n o n e fu u n a j a t t u r a p e r c h é lo espose al sospetto di essere d i v e n t a t o u n o s t r u m e n t o nelle m a n i d e l p o t e r e t e m p o r a l e francese, c o m e la Chiesa o r t o d o s s a g r e c o - o r i e n t a l e lo e r a nelle m a n i del p o t e r e t e m p o r a l e di Bisanzio. C ' e r a insomma il pericolo che s'istaurasse a n c h e in O c c i d e n t e un cesar o p a p i s m o con un Papa ridotto a cappellano del Re di Francia c o m e il Patriarca di C o s t a n t i n o p o l i lo e r a nei confronti del suo I m p e r a t o r e . E che il Re di Francia mirasse a questo, è probabile. C o m e è probabile che ci sarebbe riuscito, se n o n si fosse imbarcato nella disastrosa g u e r r a dei cent ' a n n i con l'Inghilterra. C h e su 134 C a r d i n a l i n o m i n a t i in t u t t o d a i Papi di Avig n o n e , b e n 113 fossero francesi, d i m o s t r a a p p u n t o che l a Francia i n t e n d e v a accaparrarsi il Papato e strumentalizzarlo a uso della sua politica nazionale. Ciò n a t u r a l m e n t e fornì i migliori a r g o m e n t i a tutti coloro che, specie in I n g h i l t e r r a e in G e r m a n i a , p r e p a r a v a n o la rivolta c o n t r o il p o t e r e centrale della Chiesa e il suo m o n o l i t i s m o . Senza d u b b i o i g e r m i della Riforma che doveva spaccare in d u e la cristianità occid e n t a l e f u r o n o seminati da Avignone. E infatti è da questo m o m e n t o che d a t a il p r i m o assalto c o n t r o la s t r u t t u r a teocratica e totalitaria della Chiesa: quello di Wycliff in Inghilterra. Ma n o n anticipiamo. Per il m o m e n t o , r i p o r t a n d o la sua sede nell'Urbe, la Chiesa si salvò. I fatti avevano d i m o s t r a t o 150
ch'essa n o n poteva accasarsi altrove. N o n già p e r c h é , c o m e dicono i retori, solo R o m a è investita da Dio di u n a missione universale. Ma p e r c h é essa n o n e r a - e n o n è mai diventata - la capitale di u n a Nazione che su quelli della Chiesa possa far valere i suoi diritti temporali e laici. D o v u n q u e altrove la Chiesa avrebbe d o v u t o vedersela con u n o Stato. In Italia essa è riuscita a i m p e d i r e che lo Stato si formasse; e q u a n d o si f o r m ò , lo t e n n e p r i g i o n i e r o . C'è u n a r a g i o n e p e r cui da t e m p o i m m e m o r a b i l e i Papi v e n g o n o scelti solo fra i Cardinali italiani. Sono gli unici «apolidi». E q u i n d i forniscono la garanzia di servire soltanto gl'interessi della Chiesa.
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
LO SCISMA E IL C O N C I L I O
A p p e n a r i a v u t o il P a p a t o , i r o m a n i si a f f r e t t a r o n o a m o strarsene indegni. Assediarono il L a t e r a n o dove si teneva il Conclave p e r l'elezione del successore di G r e g o r i o , e minacciarono di m o r t e i Cardinali se n o n sceglievano un r o m a n o , o a l m e n o un italiano. I Cardinali e r a n o sedici, di cui dodici stranieri, in m a g g i o r a n z a francesi. Si affrettarono ad elegg e r e l'Arcivescovo di Bari, B a r t o l o m e o P r i g n a n o , e fuggirono atterriti r i m p i a n g e n d o i bei t e m p i di Avignone. Il n u o v o Papa p r e s e il n o m e di U r b a n o VI, e volle subito d i m o s t r a r e che la Provvidenza p u ò a n c h e servirsi delle intimidazioni e dei ricatti p e r collocare l ' u o m o adatto nel posto a d a t t o . N o m i n ò Consoli e S e n a t o r i di sua fiducia, ma sop r a t t u t t o organizzò u n a b u o n a polizia p e r far c a p i r e ai r o m a n i che il carnevale e r a finito. Poi a n n u n z i ò u n a riforma della Chiesa d i c e n d o c h e l'avrebbe iniziata dal vertice cioè dall'alto clero di cui, nelle sue p u b b l i c h e p r e d i c h e , d e n u n ziò il m a l c o s t u m e in t e r m i n i violenti. Abolì le p a r c e l l e e le «bustarelle» c h e i p r e l a t i di C u r i a si facevano p a g a r e p e r q u a l u n q u e «pratica». E q u a n d o il cardinale Orsini v e n n e a p r o t e s t a r e , lo scacciò d a n d o g l i dello «zuccone». Ma a n c h e peggio capitò al Cardinale di Limoges che lo aveva c o n t r a d d e t t o . U r b a n o gli si a v v e n t ò a d d o s s o p e r schiaffeggiarlo. Santa C a t e r i n a gli scrisse p e r raccomandargli un p o ' di m o derazione. Ma U r b a n o n o n le b a d ò e, p e r aver m a n o libera nelle sue spicciative riforme, fece u n ' i n f o r n a t a di nuovi Cardinali in m o d o da r i d a r e agl'italiani e a se stesso la maggior a n z a nel Conclave. Quelli francesi, v e d e n d o c o m p r o m e s s o il loro p r i m a t o , si 152
r i u n i r o n o ad A n a g n i e i n v a l i d a r o n o l'elezione di U r b a n o , p e r c h é s t r a p p a t a a forza dalla popolazione. Molti altri p r e lati sottoscrissero la dichiarazione, e il 20 s e t t e m b r e (1378) c o r o n a r o n o a d A v i g n o n e R o b e r t o d i G i n e v r a col n o m e d i C l e m e n t e V I I . Costui fu i m m e d i a t a m e n t e riconosciuto dal Re di Francia, che aveva sobillato sotto b a n c o la rivolta, e da quelli di Napoli, S p a g n a e Scozia. Ma il r e s t o d ' E u r o p a rimase fedele a U r b a n o . E così cominciò il g r a n d e scisma, che p e r d e c e n n i doveva fare della Chiesa un c a m p o di battaglia. A n c h e i Santi si divisero. C a t e r i n a cui, m a l g r a d o tutto, il caratteraccio e il severo moralismo di U r b a n o piacevano, diede di Giuda a Clemente. Vincenzo Ferreri ritorse la qualifica contro U r b a n o . O g n u n a delle d u e parti ritenne nulli i sacram e n t i somministrati dall'altra. E u n a intera generazione eur o p e a visse senza sapere se era stata r e g o l a r m e n t e battezzata e morì nel dubbio di aver ricevuto u n a valida assoluzione. Alcuni storici h a n n o visto in U r b a n o u n a r e i n c a r n a z i o n e di Bonifacio. E n t r a m b i , col loro autoritarismo, p r o v o c a r o n o u n a catastrofe. Ma il m i s c r e d e n t e e cinico Bonifacio n o n vedeva, nell'autorità della Chiesa, che u n a proiezione di quella sua. U r b a n o se ne c o n s i d e r a v a solo un soldato. L ' u o m o e r a frugale, devoto, senza esibizionismi né ambizioni personali. Sbagliò p e r eccesso di zelo, n o n p e r smania di p o t e r e . Ma c o m e tutti i fanatici, fu a n c h e c r u d e l e . Fece a r r e s t a r e , t o r t u r a r e e u c c i d e r e sette C a r d i n a l i ribelli e o s t i n a t a m e n t e rifiutò qualsiasi c o m p r o m e s s o con la p a r t e avversa. D ' a l t r o n d e l o scisma, p i ù c h e colpa degli u o m i n i , e r a frutto di u n a certa situazione politica: e cioè della progressiva affermazione degli Stati nazionali, o g n u n o dei quali voleva un Papa suo. E lo si vide q u a n d o , morti i d u e p r o t a g o n i sti, lo scisma c o n t i n u ò . Al p o s t o di U r b a n o , il C o n c l a v e di R o m a elesse Pietro Tomacelli col n o m e di Bonifacio IX. Al posto di C l e m e n t e , il Conclave di Avignone elesse P e d r o de L u n a col n o m e di B e n e d e t t o X I I I . Il Re di Francia p r o p o s e che a m b e d u e rinunziassero. Ma B e n e d e t t o rifiutò, e le cose rimasero c o m e p r i m a . 153
Così si e r a giunti alla fine del secolo, e Bonifacio indisse il Giubileo. Era la p r o v a di forza fra i d u e Papi, e Bonifacio vi si m o s t r ò del t u t t o d e g n o d e l n o m e c h e p o r t a v a . L u i sì che somigliava davvero al suo o m o n i m o di un secolo p r i m a . N o n r i n u n z i ò a malizie, e n e m m e n o a bassezze, p e r assicurarsi un successo di prestigio e di d e n a r o . P r e v e d e n d o che Francia, N a p o l i e Scozia a v r e b b e r o f r a p p o s t o ostacoli alla p a r t e n z a dei pellegrini, attraverso i suoi predicatori p r o m i se la remissione dei peccati a coloro che avessero p a g a t o a lui le spese del viaggio, a n c h e senza i n t r a p r e n d e r l o . Molti di questi p r e d i c a t o r i i n t a s c a r o n o i soldi senza n e a n c h e esig e r e la confessione, e Bonifacio li r i m p r o v e r ò . Ma quelli che t e n t a r o n o di a p p r o p r i a r s i dei fondi raccolti li fece t o r t u r a r e f i n c h é n o n e b b e r o r i s p u t a t o f i n l'ultimo c e n t e s i m o . C e n e f u r o n o c h e , sottoposti a q u e l t r a t t a m e n t o su semplice sospetto, ci rimisero del loro p e r sottrarvisi. Ed altri che venn e r o linciati dal popolino dell'Urbe p e r c h é avevano esentato i b e n i n t e n z i o n a t i dal venire a R o m a e dal farsi spogliare dai tavernieri di Trastevere. C o m e «presenze», il Giubileo del Q u a t t r o fu m e n o trionfale di quello del Trecento. Ma come introito, p e r le casse del Papa, lo equivalse. Bonifacio se ne servì p e r rafforzare il suo p o t e r e p e r s o n a l e . I C o l o n n a gli si r i b e l l a r o n o e, aiutati dai francesi, r e c l u t a r o n o un esercito di ottomila u o m i n i p e r r o vesciarlo. Bonifacio si chiuse d e n t r o il castello di Sant'Angelo, fin q u a n d o la folla si rivoltò contro gli assalitori. U n a trentina dei loro capi v e n n e r o catturati. A u n o di essi Bonifacio promise la salvezza p u r c h é facesse da boia agli altri. Lo sciag u r a t o accettò e impiccò anche suo p a d r e e un suo fratello. Poco d o p o Bonifacio morì, il suo posto fu p r e s o da I n n o cenzo V I I , e i C o l o n n a t o r n a r o n o all'offensiva. Il Papa fuggì a V i t e r b o , e la volubile p l e b e mise a sacco il Vaticano, cosparse di fango e di sterco le insegne pontificie, violò gli archivi g e t t a n d o dalla finestra e s p a r p a g l i a n d o p e r le s t r a d e registri e storici d o c u m e n t i . Poi rifece pace con I n n o c e n z o e lo richiamò a R o m a a p p e n a in t e m p o p e r vedervelo spirare. 154
Seguì u n altro conclave c o n l'elezione d i G r e g o r i o X I I , che p r o p o s e un accordo al suo rivale di Avignone, Benedetto. Costui si dichiarò p r o n t o a dimettersi se Gregorio faceva a l t r e t t a n t o . G r e g o r i o esitò, ma la sua famiglia i n t e r v e n n e con un p e r e n t o r i o divieto. Allora alcuni suoi cardinali indissero un Concilio p e r eleggere un Papa che ricucisse nel suo n o m e la Chiesa. Stavolta fu B e n e d e t t o a rifiutare. Ma fu abb a n d o n a t o dal Re di Francia, e molti suoi Cardinali si u n i r o n o a quelli che a loro volta avevano a b b a n d o n a t o G r e g o rio. Tutti insieme indissero un Concilio risolutore e ne fissar o n o il luogo e la data: Pisa, 25 m a r z o 1409. La decisione n o n era stata dettata soltanto dall'emergenza. Già da un secolo un «movimento conciliare» si e r a delineato in seno alla Chiesa, che intendeva m e t t e r n e in discussione la s t r u t t u r a monolitica e autoritaria. Guglielmo di Occam aveva sostenuto che la Chiesa n o n è il Papa, e n e m m e no il clero, ma la c o m u n i t à dei fedeli. Essa p u ò d e l e g a r e la p r o p r i a volontà a un Concilio, ma r i m a n e s e m p r e la depositaria di ogni p o t e r e , c o m p r e s o quello di eleggere, c e n s u r a r e e d e p o r r e il Papa. Marsilio da Padova aveva riecheggiato le m e d e s i m e tesi. Il Concilio, diceva, è la cristianità stessa. Come tale, n o n p u ò essere m o n o p o l i o dei preti. I laici h a n n o altrettanto diritto di parteciparvi. E il Papa n o n è che l'esecutore delle sue delibere. Un teologo tedesco, Langenstein, aveva scritto su questo a r g o m e n t o un trattato, che aveva messo in subbuglio l'Università di Parigi. Q u a l i c h e p o s s a n o essere le n o s t r e i d e e , aveva d e t t o , i fatti s o n o p i ù e l o q u e n t i . Essi ci d i m o s t r a n o che Papi e C a r d i n a l i n o n r i e s c o n o a s u p e r a r e lo scisma. Q u i n d i è chiaro che il loro p o t e r e di decisione n o n basta a s c o n g i u r a r e le crisi e che, q u a n d o q u e s t e s c o p p i a n o , bisog n a a t t i n g e r e a u n a volontà s u p e r i o r e o p e r lo m e n o al di fuori della Gerarchia, quella del Concilio. Gerson aveva aud a c e m e n t e ribadito questi a r g o m e n t i dinanzi allo stesso papa Benedetto. Molto p r o b a b i l m e n t e e r a n o stati questi concentrici attac155
chi alla tradizionale s t r u t t u r a della Chiesa che avevano spinto i Cardinali d e l l ' u n a e dell'altra p a r t e a indire il Concilio. Ma essi lo v e d e v a n o c o m e un mezzo p e r t r a r r e la Chiesa dal vicolo cieco in cui si e r a cacciata, n o n c o m e un fine. Il loro scopo era di restituirle insieme con l'unità la sua fisionomia monolitica, n o n di smantellarla a beneficio di u n a specie di p a r l a m e n t o d e m o c r a t i c o , c o m e volevano O c c a m e gli altri riformatori. Era il p r i m o atto della d r a m m a t i c a r o t t u r a che sarebbe sopravvenuta un secolo d o p o con L u t e r o . C o m e tutti i Concili, a n c h e quello di Pisa si a p r ì infatti all'insegna dell'equivoco. La vecchia città ghibellina, cui Gen o v a aveva affondato la flotta e F i r e n z e aveva tolto l'indip e n d e n z a , n o n aveva mai visto pioversi a d d o s s o tanti turisti, e n o n riusciamo a i m m a g i n a r e dove li alloggiasse. C'erano ventisei Cardinali, q u a t t r o Patriarchi, dodici Arcivescovi, ottanta Vescovi, ottantasette Abati, i Generali dei g r a n d i ordini monastici, i delegati di t u t t e le p i ù g r a n d i Università, t r e c e n t o Dottori di diritto canonico, le missioni d i p l o m a t i che di quasi tutti i governi d ' E u r o p a , con u n o stuolo di consiglieri, segretari, a m a n u e n s i , scribi, g u a r d i e e servitori. Il Concilio si p r o c l a m ò «canonico», cioè qualificato a p r o m u l g a r e leggi valevoli p e r tutta la Chiesa, ed «ecumenico», cioè i n t e r p r e t e di tutta la cristianità. Di fatto, mancavano i r a p p r e s e n t a n t i della C h i e s a g r e c o - o r t o d o s s a . Ma costoro o r m a i , da quasi q u a t t r o secoli, e r a n o considerati n o n già «fratelli separati», c o m e si c h i a m a n o oggi, ma «fratelli p e r d u t i » . E all'appello m a n c a v a n o a n c h e i d u e Papi in carica, B e n e d e t t o e G r e g o r i o . Il Concilio rivolse loro s o l e n n e invito a p r e s e n t a r s i . E siccome essi n o n c o m p a r v e r o , li d e pose, ed elesse Papa il C a r d i n a l e Arcivescovo di Milano col n o m e di Alessandro V d a n d o g l i m a n d a t o d ' i n d i r e un altro Concilio. L'unico risultato di questo p r i m o round fu che, invece di d u e Papi, la Chiesa ne ebbe tre, p e r c h é B e n e d e t t o e G r e g o rio i g n o r a r o n o Alessandro. Costui, p e r complicare maggiorm e n t e le cose, m o r ì quasi subito. E al suo p o s t o fu eletto il 156
cardinale Baldassarre Cossa che p r e s e il n o m e di Giovanni XXIII. Cossa aveva tutte le qualità che un sacerdote n o n dovrebbe avere: era un politicante ambizioso e accorto, un a m m i nistratore abile e rapace, un generale sagace e spietato. Perché avesse fatto il p r e t e invece che il condottiero, n o n si sa. Ancora m e n o si sa p e r c h é lo elessero Papa, e in un m o m e n to c o m e quello. S t a n d o al suo segretario, egli aveva sedotto d u e c e n t o fra ragazze, spose, vedove e s u o r e . Né i n t e n d e v a a b b a n d o n a r e questa piacevole attività, ora che aveva indossato la tiara. Aveva ereditato da Alessandro l ' i m p e g n o d'indire il Concilio. Ma lo ritardò finché potè, cioè fin q u a n d o il n u o v o i m p e r a t o r e Sigismondo ve lo costrinse. T r o v i a m o s u p e r f l u o r i c o s t r u i r e l ' i n g a r b u g l i a t a matassa delle successioni che avevano p r o c u r a t o la c o r o n a imperiale a questo Re v a g a b o n d o fra Polonia, U n g h e r i a e Boemia. 11 platonico titolo, lo abbiamo già detto, esisteva ancora, p o m o di discordia fra le case r e g n a n t i soprattutto di G e r m a n i a . E ogni tanto si trovava q u a l c u n o come Arrigo V I I che p r e t e n deva ridargli un c o n t e n u t o . Sigismondo e r a di questi. C r e d e t t e c h e la crisi del P a p a t o gli facilitasse l ' i m p r e s a e ci si cacciò in mezzo a t t e g g i a n d o s i a s u p r e m o a r b i t r o delle s u e lotte i n t e r n e col piglio di un Costantino. Forse p r o p r i o p e r r i c h i a m o di q u e s t o p r e s t i g i o s o n o m e , indisse il Concilio a C o s t a n z a p e r il n o v e m b r e del 1414, se ne a u t o p r o c l a m ò Presidente, e v'invitò tutto il G o t h a della Chiesa, dell'aristocrazia e della cultura. A c c o r s e r o circa c i n q u e m i l a p e r s o n e di cui, s t a n d o a C r e i g h t o n , m i l l e c i n q u e c e n t o p r o s t i t u t e . E r a ( m e n o , s'int e n d e , le prostitute) la p i ù i m p o n e n t e assise cristiana che si fosse vista d o p o quella di Nicea del 3 2 5 . Ma si trovò subito di fronte a un d r a m m a t i c o imprevisto: la fuga di p a p a Giov a n n i . Q u a l c u n o lo aveva i n f o r m a t o c h e il Concilio stava p e r incriminarlo di a d u l t e r i o , delitto ed e m p i e t à ; e che l'unico m o d o p e r lui di sottrarsi al processo e r a di fare atto di r i n u n z i a alla tiara insieme a B e n e d e t t o e a G r e g o r i o . Gio157
v a n n i d a p p r i n c i p i o aveva a d e r i t o . Ma poi alla chetichella p r e s e il largo p e r rifugiarsi a Sciaffusa, p r e s s o l'Arciduca d ' A u s t r i a F e d e r i c o , n e m i c o di S i g i s m o n d o . E di lì e m a n ò un d e c r e t o , Sacrosancta, che q u a l c u n o ha definito «il più rivoluzionario dei d o c u m e n t i ufficiali della Chiesa». Esso diceva che il Concilio r a p p r e s e n t a v a la Chiesa Militante, d e rivava la sua autorità d i r e t t a m e n t e da Dio, e q u i n d i doveva essere c o n s i d e r a t o u n a specie di Costituente della Cristianità. Le sue d e l i b e r e e r a n o vincolanti p e r tutti, c o m p r e s o il Papa, p e r q u a n t o r i g u a r d a v a sia l'interpretazione del d o g ma, sia la riforma e l'organizzazione della Chiesa, che d ' o r a in poi solo nel Concilio avrebbe avuto la sua unica e assoluta fonte d'ispirazione. Il colpo era d e g n o d e l l ' u o m o , della sua astuzia e spregiudicatezza. Giovanni cercava di r i p r e n d e r e il mestolo in mano m e t t e n d o s i alla testa del m o v i m e n t o conciliare. La manovra, a n c h e se n o n gli riusciva, era u n a bella v e n d e t t a contro i Cardinali che lo avevano estromesso. Essi e r a n o n a t u r a l m e n t e avversi all'onnipotenza del Concilio, che li avrebbe e s a u t o r a t i . E infatti si o p p o s e r o c o n risolutezza riafferm a n d o il loro esclusivo diritto a eleggere il Papa. Ma furono sopraffatti. E p e r un m o m e n t o p a r v e che la Chiesa imboccasse la strada di u n a volontaria riforma in senso d e m o c r a tico e antiautoritario. Il Concilio invitò Giovanni ad abdicare. N o n o t t e n e n d o u n a risposta soddisfacente, lo c h i a m ò a r i s p o n d e r e di cinq u a n t a q u a t t r o reati fra cui c ' e r a n o il t r a d i m e n t o , il furto e la simonìa. Ma lasciò c a d e r e altre sedici accuse a n c o r a p i ù gravi. Il 29 maggio (1415) Giovanni fu d e p o s t o e confinato nel castello di Heidelberg, di dove uscì tre a n n i d o p o grazie a un i n t e r v e n t o di C o s i m o d e ' Medici, c h e l'ospitò e m a n t e n n e p e r il resto dei suoi giorni. Il Concilio solennizzò il p r o p r i o trionfo con un i m p o n e n te c o r t e o . Ma q u a n d o r i p r e s e i lavori, si t r o v ò di fronte al solito d i l e m m a . L'elezione di un altro Papa avrebbe ribadito la triplice divisione della Chiesa p e r c h é B e n e d e t t o e G r e g o 158
rio si ostinavano a restare in carica, e ciascuno di loro aveva i p r o p r i fedeli. G r e g o r i o p e r ò ebbe un l a m p o di m a g n a n i mità, che forse e r a solo accortezza. Accettò di abdicare p u r ché il Concilio a sua volta accettasse di essere n u o v a m e n t e i n d e t t o e consacrato da lui. Cioè disse: «Prima voi mi ricon o s c e t e P a p a c o n tutti i diritti c h e ne c o n s e g u o n o , fra cui quello d ' i n d i r e un Concilio. Io lo indico, e abdico nelle sue m a n i a tutti i miei poteri». C o n questa sottile m a n o v r a , egli ribadì che la fonte dell'autorità era il Papa, e il Concilio p o teva esercitarla solo p e r sua delega. Era il rovesciamento del Sacrosancta. I Cardinali gli restituirono il servigio n o m i n a n dolo Legato e G o v e r n a t o r e di Ancona. Restava da liquidare B e n e d e t t o che si ostinava a considerarsi Papa. Ma n o n aveva p i ù seguaci. Il Concilio lo d e p o s e senza c o r r e r e rischi di scissioni. E il p o v e r ' u o m o si ritirò in u n a specie di fortezza di famiglia vicino a Valencia dove tutti lo c h i a m a v a n o Santo P a d r e . Ci rimase fino a n o v a n t a n n i , q u a n d o m o r ì , senza mai uscirne forse p e r t i m o r e che qualc u n o gli negasse quel titolo. O r a la strada era a p e r t a all'elezione di un Papa che fosse riconosciuto da tutti. Fu costui il cardinale O d d o n e Colonna che nel 1417 salì al Soglio col n o m e di Martino V. Lo scisma era finito.
CAPITOLO QUINDICESIMO
LA R I V I N C I T A D E L PAPATO
Da b u o n Papa r o m a n o , Martino p e n s ò anzitutto a sistemare i p a r e n t i , f a c e n d o n e q u a l c u n o C a r d i n a l e , q u a l c h e altro Senatore, qualche altro Generale. Ma vi era costretto anche dall'emergenza. L'Urbe era in un tale caos ch'egli stesso n o n p o t è insediarvisi e d o v e t t e v a g a b o n d a r e fra Ginevra, M a n tova e F i r e n z e . Aveva b i s o g n o di u o m i n i c h e r i m e t t e s s e r o un p o ' d ' o r d i n e nell'Urbe, e n a t u r a l m e n t e li scelse fra i suoi. L'impresa n o n e r a facile. Gli Stati Pontifici, lo a b b i a m o già d e t t o , si e r a n o d e c o m p o s t i in t a n t e piccole Signorie gestite da dittatori che dicevano di a m m i n i s t r a r l e in n o m e del Papa. Ma lo dicevano soltanto, p e r c h é nei fatti si c o m p o r t a v a n o da sovrani assoluti. T u t t e le s t r a d e che a d d u c e v a n o a R o m a e r a n o sotto il c o n t r o l l o di un c a p o b r i g a n t e , Braccio da M o n t o n e , c h e i n t e r c e t t a v a i r i f o r n i m e n t i della città e a suo piacere l'affamava. P r i m a il trasferimento ad Avignone, poi lo scisma avevano d e t e r i o r a t o gli s t r u m e n t i del g o v e r n o p a p a l i n o . Esso n o n aveva p i ù u n esercito, n é u n c o r p o d i polizia, né un catasto, né u n ' a n n o n a . N o n aveva più funzionari. E s o p r a t t u t t o n o n aveva più un Tesoro: le casse e r a n o v u o t e . N o n c ' e r a n e a n c h e d i c h e largire u n p o ' d i p a n e a quella popolazione immiserita e abituata al parassitismo. M a r t i n o affrontò con c o r a g g i o e sagacia u n a situazione che n o n era difficile soltanto a R o m a . Egli doveva il p o t e r e a un Concilio che glielo aveva affidato con l ' i m p e g n o di ridim e n s i o n a r l o grazie a u n a riforma intesa a d e c e n t r a r e il com a n d o unico. Era s t r a n o che avessero delegato questo c o m pito a u n C a r d i n a l e r o m a n o , e r e d e d i u n a tradizione a u t o ritaria, anzi assolutista. C e r t a m e n t e a v e v a n o a v u t o d a lui 160
p r o m e s s e e affidamenti. E M a r t i n o n o n vi c o n t r a v v e n n e . Si limitò ad aggirarli. A n z i t u t t o , a p p e n a eletto, estromise l ' i m p e r a t o r e Sigis m o n d o dal Concilio d i c e n d o g l i c h e la sua p r e s i d e n z a e r a plausibile solo finché m a n c a v a il P a p a . Ma o r a c h e il P a p a c'era, la presidenza toccava a lui. Poi intavolò serie trattative coi P a d r i Conciliari, m a g i u o c a n d o o g n i g r u p p o nazionale contro l'altro. Così sbriciolò quella che avrebbe d o v u t o essere la g r a n d e r i f o r m a della Chiesa in u n a serie di c o n t r a t t i parziali, avvolti in oscure formule che o g n u n o poteva interp r e t a r e a m o d o suo. Q u e s t o m e t o d o suscitò resistenze. Martino aspettò che si logorassero. Il Concilio d u r a v a già da tre a n n i : t r e a n n i di fatiche, di spese, di l o n t a n a n z a dalla p r o p r i a casa, dalla p r o p r i a famiglia, dai p r o p r i affari. Alla fine tutti si a r r e s e r o a quel Papa paziente e tergiversante che invece aveva t e m p o da sprecare p e r d a r e ai suoi fiduciari quello di rimettergli in sesto R o m a , e che del resto aveva p r e s o i m p e g n o d'indire un altro Concilio e n t r o cinque anni. Martino t o r n ò nell'Urbe nel 1420, con u n tesoro a n c o r a e s a n g u e , m a con u n a milizia già a b b a s t a n z a efficiente p e r t e n e r e in briglia i banditi che infestavano l'Agro. La cerimonia i n a u g u r a l e del suo Pontificato fu infatti la decapitazione di alcuni loro caporioni catturati a M o r l u p o . E i r o m a n i assistettero soddisfatti al rito, v e d e n d o v i un r i t o r n o ai b u o n i vecchi metodi. Poi il Papa si diede a r i n s a n g u a r e le finanze, e a n c h e p e r q u e s t a i m p r e s a t o r n ò ai vecchi, se n o n b u o n i , metodi, della vendita delle cariche e degli uffici. Si r a m m a ricava egli stesso di dovervi r i c o r r e r e ; ma n o n aveva altre risorse, m e n t r e i bisogni crescevano. Bisognava p u n t e l l a r e i m o n u m e n t i in r o v i n a , r i c o s t r u i r e p o n t i , r i p a r a r e s t r a d e e fogne. Ci volevano fondi, e q u a l c u n o r i m p r o v e r ò a Martino di n o n p r e o c c u p a r s i che di questo invece di p e n s a r e un p o ' anche all'invocata riforma. «Ma senza riforme - r i s p o n d e v a M a r t i n o c o n r o m a n o b u o n senso - la C h i e s a va avanti da quattordici secoli. Senza d e n a r o , rischia di n o n sopravviver e u n a settimana». 161
Ligio tuttavia agl'impegni, indisse il Concilio che si riunì a Pavia nel 1 4 2 3 . Ma n o n fu u n a o c e a n i c a a d u n a t a c o m e quelle di Pisa e di Costanza. La peste, di n u o v o scoppiata, t r a t t e n n e molti dall'intervenire, consigliò un trasferimento di s e d e a Siena e infine un p r e m a t u r o s c i o g l i m e n t o . L'assemblea aveva reclamato ancora u n a volta il d e c e n t r a m e n t o dei poteri. M a r t i n o la c o n t e n t ò ma soltanto in c a m p o a m m i nistrativo. Quel P a p a t e r r e s t r e aveva altre cose a cui pensar e . Più che della Chiesa, si p r e o c c u p a v a dello Stato della Chiesa e della sua capitale. Aveva chiamato a R o m a Gentile da Fabriano, Pisanello e Masaccio p e r affrescare Santa Maria Maggiore e San Giovanni in L a t e r a n o . Si e r a p r e s o c o m e segretario Poggio Bracciolini, u n o dei p i ù famosi u m a n i s t i del t e m p o . E aveva r i m p o l p a t o il collegio dei Cardinali con u o m i n i c o m e P r o s p e r o Colonna, Giuliano Cesarini e D o m e nico C a p r a n i c a che di teologia s a p e v a n o p o c o , ma di letter a t u r a moltissimo. I n s o m m a , quello che avrebbe d o v u t o essere il P a p a del Concilio c o n t r o la C u r i a fu - sia p u r e c o n molto tatto e sagacia - il Papa della Curia c o n t r o il Concilio. Forse egli sarebbe riuscito nel suo i n t e n t o di a d d o r m e n tare e disossare il m o v i m e n t o riformista, se ne avesse avuto il t e m p o . Ma nel 1431 m o r ì , e il Conclave elesse al suo posto u n o degli u o m i n i m e n o attrezzati a o c c u p a r l o . G a b r i e l e C o n d u l m e r , che p r e s e il n o m e di E u g e n i o IV, era un agostin i a n o d i Venezia, n i p o t e p e r p a r t e m a t e r n a d i B e n e d e t t o X I I . Sul suo zelo e rigore n o n c'era nulla da dire. Anche da p o r p o r a t o aveva vissuto asceticamente, facendo della semplicità e della p r e g h i e r a la sua legge. P u r t r o p p o , n e m m e n o la stretta dieta lo aveva salvato dalla gotta. Q u e l m a l a n n o gli p r o c u r a v a triboli che lo r e n d e v a n o impaziente e poco socievole. Inoltre e r a cocciuto: u n o di quei cocciuti pieni di umiltà, che p a r l a n o s e m p r e a occhi bassi, ma senza mai ascoltare l'interlocutore. I Cardinali che Io avevano eletto, avevano imposto, c o m e prezzo dei loro voti, alcuni capitoli p e r s a l v a g u a r d a r e i loro privilegi specie in fatto di «posti» e di s t i p e n d i , i s t a u r a n d o 162
così un m e t o d o d e s t i n a t o a r e s t a r e nei secoli. S o p r a t t u t t o i C o l o n n a avevano preteso che E u g e n i o garantisse loro le p o sizioni di favore o t t e n u t e sotto il pontificato d e l loro Martin o . Ma E u g e n i o n o n m a n t e n n e g l ' i m p e g n i , e t r a s f o r m ò i suoi elettori in nemici, p r o p r i o nel m o m e n t o in cui il Concilio, già i n d e t t o dal suo predecessore, si riuniva a Basilea, più battagliero e più che mai deciso alla riforma. E u g e n i o ne o r d i n ò lo scioglimento. Esso rispose o r d i n a n do a lui di presentarsi. I C o l o n n a colsero l'occasione p e r organizzare u n a rivolta a R o m a . Il P a p a fuggì in barca l u n g o il T e v e r e , inseguito a sassate dal p o p o l i n o . Trovò rifugio a Firenze, poi a Bologna. E a n c o r a u n a volta, p e r nove a n n i , R o m a rimase senza Papa. A Basilea si stava c o n s u m a n d o u n ' a u t e n t i c a rivoluzione. I delegati e r a n o in m a g g i o r a n z a francesi. E i loro propositi li riassunse nella m a n i e r a più franca e b r u t a l e l'Arcivescovo di Tours. «O s t r a p p i a m o - egli disse - la Santa Sede agl'italiani, o r i d u c i a m o l a a tale i m p o t e n z a che la scelta della sua capitale n o n abbia più n e s s u n a importanza». A quest'ultima alternativa si a t t e n n e r o . Decreto su d e c r e t o , u n a d o p o l'altra, il Concilio assunse t u t t e le p r e r o g a t i v e del Papa, comp r e s e la distribuzione delle cariche e la riscossione delle decime. Da Bologna, E u g e n i o invalidò le decisioni e r i n n o v ò l'ordine di scioglimento. Il Concilio lo p r o c l a m ò d e c a d u t o e gli c o n t r a p p o s e un altro Papa, A m e d e o di Savoia, che p r e s e il n o m e di Felice V. Era un altro scisma che cominciava. Il Re di Francia, Carlo V I I , ne approfittò c o m e aveva tentato Sig i s m o n d o c o n v o c a n d o a B o u r g e s u n ' a s s e m b l e a di prelati, p r i n c i p i e giuristi. C o s t o r o e m a n a r o n o u n a « p r a m m a t i c a sanzione» che rovesciava quella di Costantino: essa conferiva al clero di o g n i Diocesi il diritto di e l e g g e r e alle cariche ecclesiastiche locali, ma t e n e n d o c o n t o delle «raccomandazioni» del Re, che così ne diventava l'arbitro c o m e succedeva a Bisanzio. Era proibito r i c o r r e r e al P a p a e versargli l'introito delle decime. 163
Il giuoco s e m b r a v a fatto. Il vecchio edificio m o n a r c h i c o della Chiesa a n d a v a in pezzi. La p r a m m a t i c a sanzione dava il via a u n a Chiesa i n d i p e n d e n t e gallicana, di cui il vero Papa e r a il Re, m e n t r e u n ' a l t r a ne nasceva a P r a g a , d o v e il C a r d i n a l e t u o n a v a dal p u l p i t o c o n t r o il Papa c h i a m a n d o l o «la bestia dell'Apocalisse». Pareva che la Riforma avesse vinto p r i m a che L u t e r o fosse nato. Il P a p a fu salvo (per il m o m e n t o ) grazie al suo p e g g i o r e n e m i c o : i «fratelli p e r d u t i » della C h i e s a g r e c o - o r t o d o s s a . Costantinopoli e r a minacciata dai T u r c h i che o r m a i avevano assunto, grazie alle loro superiori qualità militari, la leadership del m o n d o islamico. L ' i m p e r a t o r e Giovanni e il suo P a t r i a r c a p e n s a r o n o c h e solo l ' O c c i d e n t e cattolico p o t e v a salvarli. Avevano già m a n d a t o un messaggio a Martino, p o c o p r i m a che questi morisse, p r o p o n e n d o u n Concilio p e r la riunificazione delle d u e Chiese cristiane. E u g e n i o p r e s e la palla al balzo. Un simile Concilio avrebbe relegato in sec o n d o p i a n o , d a t a l ' i m p o r t a n z a della posta, quello di Basilea, che se ne rese conto e corse ai ripari. Così Giovanni si vide a r r i v a r e d u e offerte: quella di Eugenio che s'impegnava a i n d i r e i m m e d i a t a m e n t e il Concilio a F e r r a r a s o t t i n t e n d e n d o che sarebbe stato lui a presiederlo e dirigerlo in m o d o da r i a f f e r m a r e la p r o p r i a sovranità; e quella di Basilea, che si p r o c l a m a v a unico valido interlocutore a n c h e p e r c h é aveva la p r o t e z i o n e d e l l ' i m p e r a t o r e Sigismondo, mentre il Papa n o n godeva di nessun appoggio t e m p o r a l e e n o n c o n t a v a p i ù nulla. G i o v a n n i s o p p e s ò , d a bravo m e r c a n t e gréculo, le d u e p r o p o s t e e decise di accettare quella di Eugenio, che gli p a r v e più sicura. Fu la fine di Basilea. I suoi u o m i n i migliori, cioè quelli a cui la riunificazione del m o n d o cristiano s e m b r a v a un trag u a r d o più alto della lotta contro il Papato, accorsero a Ferrara, dove si p u n t a v a lo s g u a r d o di tutta l ' E u r o p a cristiana che aveva s e m p r e considerato lo scisma del 1054 u n a j a t t u r a p e r la vera Fede. Eugenio fece eccezione alla sua solita scontrosità e al suo proverbiale ascetismo p r e d i s p o n e n d o solenni 164
e festose accoglienze a l l ' i m p e r a t o r e Giovanni, al P a t r i a r c a G i u s e p p e e ai diciassette Metropoliti, c h e a r r i v a r o n o nel 1438 con un folto seguito di Vescovi, monaci e teologi. Aveva vinto. Nessuno si occupò più del Concilio di Basilea, che p o co alla volta perse tutti i suoi delegati, finché si sciolse. Quello di F e r r a r a si p r e s e n t a v a irto di difficoltà, che venn e r o p e r così dire appaltate a speciali Commissioni. Il grosso ostacolo e r a s e m p r e quello dello Spirito Santo che i cattolici facevano procedere d a l P a d r e e dal Figlio, m e n t r e i greci s'intestardivano a farlo p r o c e d e r e dal P a d r e attraverso il Figlio. A complicare le cose, d o p o alcuni mesi di puntigliose diatribe, scoppiò lì a F e r r a r a un'altra e p i d e m i a di peste. Cosimo d e ' Medici offrì l'ospitalità di Firenze al Concilio, c h e si affrettò ad accettarla. Le discussioni r i p r e s e r o in riva all'Arno, e nel 1439 un p r i m o a c c o r d o fu r a g g i u n t o . Le d u e parti c o n v e n n e r o che fra i rispettivi p u n t i di vista n o n c'era in fondo n e s s u n a differenza. Ex Patre Filioque procedit, c o m e dicevano i cattolici, e Ex Patre per Filium procedit, c o m e dicevano gli ortodossi, significavano la stessa cosa, e q u i n d i eran o e n t r a m b e valide. Restava d a s p i e g a r e c o m e m a i c i s e n'accorgeva solo d o p o q u a t t r o c e n t ' a n n i di divorzio. Ma lo si capì q u a n d o si vide la barca del Concilio sbattere sullo scoglio d e l p r i m a t o del Papa. Altro che il d o g m a ! La vera posta del giuoco e r a quella. E su quella infatti le d u e parti s'irrigid i r o n o . Il P a p a fu i r r e m o v i b i l e , e l ' i m p e r a t o r e G i o v a n n i aveva già impartito ai suoi Metropoliti l'ordine di far fagotto, q u a n d o l'arcivescovo B e s s a r i o n e d i Nicea escogitò u n c o m p r o m e s s o che riconosceva al Papa u n ' a u t o r i t à e c u m e n i ca cioè universale, ma confermava i privilegi o r m a i acquisiti dalle Chiese orientali. La f o r m u l a fu accettata s e b b e n e n e s s u n o capisse c o n esattezza cosa significava, o forse p r o p r i o p e r questo. Il 6 luglio (1439) il d e c r e t o che proclamava la r i u n i o n e delle d u e g r a n d i C h i e s e cristiane v e n n e s o l e n n e m e n t e letto nella m a e s t o s a c a t t e d r a l e s u cui d a a p p e n a t r e a n n i svettava l a s t u p e n d a cupola del Brunelleschi, in greco da Bessarione, e 165
in latino dal C a r d i n a l e Cesarini. I d u e prelati si scambiarono il bacio della pace. Poi tutti, sull'esempio d e l l ' I m p e r a t o r e , p i e g a r o n o il ginocchio davanti al P a p a che sino a p o c h i mesi p r i m a e r a sembrato il r o t t a m e di un naufragio. La gioia p e r la ristabilita c o n c o r d i a cristiana d u r ò p o c o . Il p o p o l o e il clero di Costantinopoli accolsero il loro I m p e r a t o r e e i suoi preti con fischi, insulti e pallòttole di sterco. Il p a t r i a r c a G r e g o r i o , c h e aveva avallato il «tradimento», d o vette darsi alla fuga, e solo nel 1452 riuscì a d a r e lettura del decreto nella cattedrale di Santa Sofia. In segno di protesta, i fedeli s m i s e r o di f r e q u e n t a r e quella c h ' e r a stata la l o r o chiesa favorita. I Patriarchi di Alessandria, Antiochia e Ger u s a l e m m e r i p u d i a r o n o «il sinodo dei ladroni», c o m e v e n n e chiamato quello di Firenze. I partigiani dell'unità, o «Uniati», si accorsero di essere u n a m i n o r a n z a , e n o n fecero a d e p ti n e m m e n o q u a n d o il Papa, fedele agl'impegni presi, spedì al soccorso di C o s t a n t i n o p o l i un esercito c h e , i n s i e m e a quello del Re d ' U n g h e r i a , batté i turchi a Nish, riconquistò Sofia, ma poi si fece sbaragliare a Varna. Uniati e ortodossi s e g u i t a r o n o a scomunicarsi a vicenda sul p r o b l e m a del Filioque fino all'anno d o p o (1453), q u a n d o a tagliar corto sopraggiunse M a o m e t t o IL Egli trasformò la capitale d e l l ' I m p e r o d ' O r i e n t e in quella dell'Islam, ma ricon o b b e ai Cristiani p i e n a libertà di p r e g a r e c o m e volevano e di scannarsi q u a n t o volevano. Il Papa era t o r n a t o a R o m a in trionfo. Ve lo aveva preced u t o il cardinale Vitelleschi, che aveva represso le turbolenze c o n m e t o d i n o n m o l t o diversi da quelli di Alarico e di Genserico. Del Concilio di Basilea e della sua pretesa di sostituire la p r o p r i a direzione collegiale all'autocrazia del Papa, n o n si ricordava più n e s s u n o . Per il m o m e n t o . E o r a v e d i a m o cos'era successo, in t u t t o q u e s t o p e r i o d o di t r a m b u s t i ecclesiastici, nel resto d'Italia dove, da t e m p o , l'istituto c o m u n a l e e r a e n t r a t o in crisi, e u n a n u o v a f o r m a di g o v e r n o - la Signoria - si stava sviluppando.
PARTE TERZA
LA CIVILTÀ DEI SECOLI D'ORO
CAPITOLO SEDICESIMO
FRA C O M U N E E S I G N O R I A
C o m e abbiamo raccontato nell'«Italia dei Comuni», la cellula della d e m o c r a z i a c o m u n a l e fu l'«adunanza dei vicini», o «vicinanza», un r u d i m e n t a l e p a r l a m e n t o p o p o l a r e che si riuniva sul sagrato della chiesa e aveva p e r simbolo l'olmo che vi sorgeva in mezzo. I partecipanti vi dibattevano i temi dei loro r a p p o r t i col f e u d a t a r i o del l u o g o che, p e r investitura imperiale, esercitava p o t e r i quasi assoluti sulle t e r r e di suo a p p a n n a g g i o e sui loro abitanti. Era a p p u n t o p e r definire e s e m p r e più limitare questi poteri che le «vicinanze» si riunivano. O g n u n a di esse formava un «popolo» che eleggeva i suoi r a p p r e s e n t a n t i presso il Signore. Si chiamavano buoni uomini o rettori, e in n o m e della collettività t r a t t a v a n o con lui o col suo r a p p r e s e n t a n t e , o gastaldo, le q u e s t i o n i di c o m u n e interesse: l'esazione delle tasse, la riscossione dei dazi, l'allestimento delle corvées, l ' a r r u o l a m e n t o delle milizie. Nelle città p i ù popolose, o g n i q u a r t i e r e aveva la sua «vicinanza». A F i r e n z e , ad e s e m p i o , ce n ' e r a n o q u a t t r o c h e p r e n d e v a n o i l n o m e dalle sue q u a t t r o p o r t e ( D u o m o , San P a n c r a z i o , S a n t a Maria e San Pietro), c o n q u a t t r o b e n distinti popoli. C i a s c u n o faceva c a p o alla p r o p r i a chiesa, e in un c e r t o senso vi s o v r i n t e n d e v a affiancando al p a r r o c o un rettore laico, cui era affidata la raccolta delle imposte. Lo stesso accadeva p e r i pubblici servizi. O g n i «popolo» p r o v v e d e va alla m a n u t e n z i o n e dei suoi p o n t i e delle sue s t r a d e e al d r e n a g g i o dei suoi canali di scolo. A u n a «pianificazione» generale n o n si riuscì ad arrivare quasi mai. Fu solo m o l t o p i ù t a r d i , e n o n senza gravi opposizioni, 169
che si f o r m a r o n o dei poteri centrali. Essi tuttavia n o n riuscir o n o a s o v r a p p o r s i a quelli periferici r i d u c e n d o l i all'obbed i e n z a ; vi si g i u s t a p p o s e r o s o l t a n t o . Q u e s t a fu u n a delle cause dell'endemica debolezza dell'istituto c o m u n a l e e della sua inefficienza. L'unificazione fu r a g g i u n t a solo al vertice q u a n d o i rettori si trasformarono in consoli. Ma questa n u o v a m a g i s t r a t u r a n o n fu mai in g r a d o di funzionare p e r c h é venne r e g o l a r m e n t e t e n u t a in scacco dagli altri poteri che n o n a c c e t t a r o n o di s u b o r d i n a r s i ad essa. L'interesse collettivo, i n s o m m a , n o n riuscì mai ad avere la meglio su quelli particolari. Q u e s t o p e r ò n o n i m p e d ì lo sviluppo del C o m u n e , favorito a n c h e dalla l o n t a n a n z a del Signore. Il suo p o t e r e , agli albori del Mille, n o n era più quello d ' u n t e m p o , q u a n d o i re l o n g o b a r d i e franchi, in cambio dei servigi ch'egli aveva reso sui c a m p i di battaglia, gli a v e v a n o d a t o in a p p a l t o u n a provincia, sulla quale egli s'era affermato p a d r o n e assoluto, d i s p o n e n d o a suo piacimento del territorio ch'essa inglobava e dei suoi abitanti. Le ascendenze quasi s e m p r e «barbare», cioè g e r m a n i c h e , e l'origine g u e r r i e r a lo p o r t a v a n o a disprezzare la vita cittad i n a e a isolarsi nei t u r r i t i castelli del c o n t a d o con le s u e d o n n e , i suoi a r m i g e r i e i suoi cavalli. E così a c c a d d e c h e , finché la società r u r a l e prevalse su quella u r b a n a e la t e r r a fu l'unica fonte di ricchezza, la sua supremazia fu incontrastata. Ma q u a n d o le città si svegliarono dal loro letargo, il castello e n t r ò in crisi e il S i g n o r e si t r o v ò di fronte a u n a r e a l t à n u o v a , c h e n o n aveva p r e v i s t o e c h e finirà c o n lo schiacciarlo. Fu allora che i consoli p r e s e r o il sopravvento su di lui e i suoi funzionari e d i v e n t a r o n o di fatto i p a d r o n i della città. Fin d a p p r i n c i p i o essi v e n n e r o scelti in base al censo. Erano i cittadini più r a g g u a r d e v o l i e i n t r a p r e n d e n t i e di solito a p p a r t e n e v a n o a quella classe dei m e r c a n t i che, d o p o il Mille, a v e v a n o d a t o vita a u n a n u o v a e c o n o m i a , a p e r t a , d i n a mica e competitiva che s'affacciava al di là dei confini citta170
clini. La sua forza poggiava sulle corporazioni mercantili, o arti, che f u r o n o n o n soltanto le organizzazioni di categoria di q u e i t e m p i , ma il pilastro d e l l ' o r g a n i z z a z i o n e politica e sociale. All'inizio dell'XI secolo, a Firenze, i b a n c h i e r i , i medici, gli speziali, i mercanti della lana e quelli della seta, i giudici, i notai avevano già le loro arti. D a p p r i n c i p i o , queste e r a n o limitate ai datori di lavoro e condizionavano l'intera economia cittadina. D e t e r m i n a v a n o i salari e i prezzi, fissavano gli o r a r i di lavoro e s o s t e n e v a n o i p r o p r i p r o d o t t i t a s s a n d o quelli forestieri o a d d i r i t t u r a i m p e d e n d o n e l'importazione. Col t e m p o , le loro c o m p e t e n z e s'estesero al vettovagliamento della città, alla costruzione di o p e r e p u b b l i c h e , alla vigilanza u r b a n a . D i v e n t a r o n o i n s o m m a degli Stati nello Stato, c o n t r o i quali le organizzazioni sindacali operaie, che esistevano a p p e n a allo stato e m b r i o n a l e e si chiamavano capitudini, n o n avevano alcun p o t e r e , né di diritto né di fatto. O g n i c o r p o r a z i o n e aveva il suo palazzo con tanto d'uffici, archivi, cancellieri, tesorieri, e il suo tribunale che giudicava in p r i m a istanza p e r c h é p e r gli «appelli» si faceva ricorso alla m a g i s t r a t u r a o r d i n a r i a . Gli associati dovevano, in caso di bisogno, soccorrersi vicendevolmente, p a g a r e il riscatto se un m e m b r o veniva rapito dai briganti, versare la cauzione se finiva in prigione, risarcire i creditori se falliva. La c o r p o r a z i o n e aveva un codice m o r a l e assai rigoroso che n o n si limitava a d e t t a r e le n o r m e di condotta ma stabiliva perfino c o m e i suoi a d e r e n t i dovevano vestirsi; aveva il suo santo p a t r o n o che festeggiava u n a volta l ' a n n o con processioni e l u m i n a r i e , e cui quasi s e m p r e e r a dedicata u n a chiesa, che spesso ne custodiva u n a reliquia e in taluni casi le spoglie. T u t t e le c o r p o r a z i o n i c o n t r i b u i v a n o alla c o s t r u z i o n e della cattedrale o al suo abbellimento, e versavano p u n t u a l m e n t e il loro obolo al vescovo. Facevano a n c h e del mecenatismo fin a n z i a n d o spettacoli teatrali e r a p p r e s e n t a z i o n i sacre, e sovvenzionavano ospedali, brefotrofi, lazzaretti, ospizi p e r vecchi. Ai capi di ogni arte e r a n o tributati o n o r i pari a quelli ri171
servati ai consoli, di cui nei cortei municipali essi f o r m a v a n o il seguito issando b a n d i e r e e labari con lo s t e m m a e il m o t t o della corporazione a cui a p p a r t e n e v a n o . L'egemonia dei m e r c a n t i d u r ò fino al dodicesimo secolo q u a n d o anche i lavoratori indipendenti costituirono prop r i e associazioni di c a t e g o r i a : d e i sellai, d e i macellai, d e i conciatori, dei falegnami, dei bottai, dei c o r d a r i eccetera. In opposizione a quelle dei mercanti, dette arti maggiori, queste si c h i a m a r o n o minori, o dei mestieri. Avevano anch'esse il loro santo p r o t e t t o r e , la loro chiesa, i loro uffici, il loro stemma, il loro statuto, il quale fissava i prezzi, i salari e l'orario di lavoro, che n o n doveva protrarsi oltre le sei del p o m e r i g gio e vietava l'impiego di d o n n e e b a m b i n i . O g n i c o r p o r a zione, m a g g i o r e o m i n o r e , contrassegnava i p r o p r i p r o d o t t i con un «marchio di fabbrica» e comminava severissime amm e n d e ai falsificatori. I suoi m e m b r i e r a n o i n q u a d r a t i ger a r c h i c a m e n t e . Gli avventizi n o n a v e v a n o i n m e d i a p i ù d i dodici-tredici a n n i , lavoravano dieci o r e al g i o r n o e p e r tutto l'apprendistato, che durava dai tre ai tredici anni, n o n venivano pagati, o riscuotevano un salario m i n i m o . In cambio, ricevevano vitto, alloggio e vestiario. Alla fine del tirocinio venivano n o m i n a t i lavoratori a g i o r n a t a e d i v e n t a v a n o p a d r o n i dei loro attrezzi. Se avevano un p o ' di d e n a r o potevano allora a p r i r e u n a bottega, diventare maestri e iscriversi alle corporazioni dei mestieri. Era inevitabile c h e col t e m p o le arti maggiori, che formavano il popolo grasso, e quelle minori, che costituivano il popolo minuto, venissero in u r t o . Violenti moti sociali scoppiarono nel corso del X I I I secolo in n u m e r o s i C o m u n i . Nella lotta s'inserì a n c h e la classe dei nobili che la borghesia m e r c a n tile aveva c e r c a t o d ' e s c l u d e r e d a l g o v e r n o della città, e in molti casi c'era riuscita. E r a n o gli antichi abitatori dei castelli che, divisi fra guelfi e ghibellini e s e m p r e in lotta t r a loro p e r r a g i o n i di prestigio e di p r i m a t o , n o n a v e v a n o s a p u t o mai organizzare u n a resistenza collettiva alle forze cittadine. Queste, d o p o essersi 172
e m a n c i p a t e da loro, s'erano lanciate alla conquista del contado obbligando i Signori a inurbarsi almeno per quattro mesi all'anno. Fra costoro ci fu chi scese a un c o m p r o m e s s o con la città, g i u r a n d o l e fedeltà e o t t e n e n d o in cambio il ric o n o s c i m e n t o d i u n a p a r t e delle p r o p r i e t e r r e . Quelli c h e p r e f e r i r o n o la resistenza a oltranza e b b e r o i castelli distrutti, e in città furono obbligati a istallarsi p e r s e m p r e . N a t u r a l m e n t e , n o n si c o n t e n t a r o n o della casetta di l e g n o e di p a glia. Si c o s t r u i r o n o palazzotti di p i e t r a simili a piccole fortezze con t o r r i q u a d r a t e alte fino a 140 braccia, cioè u n ' o t t a n t i n a di m e t r i . A t t o r n o ad essi si a d d o s s a v a n o le case dei p a r e n t i e clienti sottolineando la solidarietà che univa questi g r u p p i e li r e n d e v a ostili alla classe b o r g h e s e d o m i n a n t e . C o n u n ' a c c o r t a e d e m a g o g i c a p r o p a g a n d a questi nobili s e p p e r o m a n o v r a r e c o n t r o d i essa i l p o p o l o m i n u t o , col quale s'allearono p e r d a r e la scalata al p o t e r e . Ciò provocò lo s c a t e n a m e n t o delle fazioni c h e m i s e r o in crisi gl'istituti m u n i c i p a l i e s c a v a r o n o la fossa al C o m u n e d o v e , v e r s o la m e t à d e l X I I secolo, il p o t e r e esecutivo e r a p a s s a t o dalle m a n i dei consoli in quelle del podestà e del capitano del popolo. Q u e s t i aveva i n g u e r r a i l c o m a n d o s u p r e m o dell'esercito, che veniva reclutato in città e nel c o n t a d o ; quello e r a in pratica il C a p o dello Stato, ma i suoi p o t e r i e r a n o limitati dai consigli cittadini, che l'avevano eletto ma che spesso, dilaniati dalle discordie i n t e r n e , g l ' i m p e d i v a n o di g o v e r n a r e . I n o l tre, e r a lui stesso un u o m o di partito, e ciò lo r e n d e v a inviso alle opposizioni che di c o n s e g u e n z a m i r a v a n o a paralizzarne l'attività. Per ovviare a questo inconveniente molti C o m u n i pensar o n o di r i c o r r e r e a podestà forestieri, e s t r a n e i alle fazioni e alle b e g h e cittadine. Costoro v e n n e r o scelti fra i magistrati e i funzionari di un C o m u n e vicino o l o n t a n o , ma più spesso lontano, Firenze ne reclutò parecchi a Milano e a R o m a , l'Emilia ne fece venire dalla Toscana, la L o m b a r d i a dal Veneto e dalla Liguria. Il prescelto, p r i m a d'accettare, doveva otten e r e il consenso della p r o p r i a città, che di r a d o glielo nega173
va. Con un anticipo di cinque-sei giorni a n n u n c i a v a la data del suo arrivo p e r consentire al Consiglio cittadino di organizzare i festeggiamenti in suo o n o r e . Il p o d e s t à uscente e il vescovo gli a n d a v a n o i n c o n t r o a cavallo fuori delle m u r a con u n a scorta di dignitari. Il p o p o l o faceva ala al suo passaggio, agitando fiori e ramoscelli d'ulivo, ma se il n u o v o arrivato n o n era di suo g r a d i m e n t o b r a n d i v a bastoni e minacciosi cartelli. All'atto dell'insediamento, egli doveva g i u r a r e lo statuto d a v a n t i al Consiglio e al p o p o l o e la d o m e n i c a successiva p r o n u n c i a r e il «discorso p r o g r a m m a t i c o » . La costituzione gli vietava di i n t r a t t e n e r e relazioni con privati cittadini p e r t i m o r e che si facesse c o r r o m p e r e , di uscire di casa d o p o cena, di fare o a c c e t t a r e inviti, di lasciare la città senza u n o speciale p e r m e s s o . Allo s p i r a r e del m a n d a t o d o v e v a p r e s e n t a r e al Consiglio un dettagliato r e n d i c o n t o del suo o p e r a t o , e solo se questo veniva a p p r o v a t o egli e r a libero di andarsene. T e o r i c a m e n t e , q u e s t o e s p e d i e n t e costituzionale d o v e v a s a l v a g u a r d a r e i p r i n c i p i d e m o c r a t i c i , ma da un pezzo essi a v e v a n o cessato d ' e s s e r e tali, o lo e r a n o rimasti solo sulla carta. Né poteva essere altrimenti p e r c h é il C o m u n e italiano fu oligarchico, corporativo e gerarchico. Q u a e là ci furono tentativi p e r r e n d e r l o democratico e p o p o l a r e , ma quasi tutti a b o r t i r o n o sul nascere o ebbero vita breve. Il più d u r a t u r o fu quello c o m p i u t o nel 1292 a Firenze da Giano della Bella, un ricco aristocratico. Ricopriva la carica di Priore, e r a cioè u n o dei tredici magistrati eletti ogni d u e mesi con l'incarico di vigilare sull'esecutivo. F a c e n d o leva sulla piazza riuscì a i m p o r r e ai colleghi i cosidetti Ordinamenti di giustizia, coi quali t u t t e le arti venivano parificate e r i u n i t e in u n a federazione u n i c a a difesa del C o m u n e . Ma dai posti direttivi Giano radiò tutti i grandi, o magnati, cioè i capi di quelle maggiori: in tutto circa tremila cittadini furono ostracizzati. Esclusi da o g n i carica politica, essi d i v e n t a r o n o dei «sorvegliati speciali». Su d e n u n c i a di q u a l u n q u e popola174
no, p o t e v a n o venire arrestati e gettati in u n a t o r r e accanto al Bargello, che d'allora in poi si c h i a m ò infatti «Pagliazza dei Magnati». E n t r o c i n q u e giorni dalla d e n u n c i a , il Podestà d o v e v a p r o c e d e r e . Se n o n lo faceva, le arti d o v e v a n o p r o c l a m a r e lo sciopero g e n e r a l e c h i u d e n d o b o t t e g h e e laboratori. La p r i m a r e a z i o n e dei magnati agli Ordinamenti fu a n a r chica e s c o m p o s t a . N o n o s a n d o rifarsela sui p o p o l a n i , ormai protetti da quelle leggi di ferro, sfogarono i p r o p r i mal u m o r i fra loro. Ma alla fine s'accorsero che q u e l l ' a n a r c h i a n o n conduceva a nulla, e riuscirono alla bell'e meglio a trovare fra loro un accordo in vista di u n ' a z i o n e c o m u n e contro il c o m u n e nemico. Sul finire del '94 s c o p p i ò u n a s o m m o s s a , ci s c a p p ò il m o r t o , e G i a n o fu accusato d'averla f o m e n t a t a p e r i m p a d r o n i r s i d e l p o t e r e . Fu il segnale della riscossa dei grandi che di lì a poco t o r n e r a n n o a s p a d r o n e g g i a r e . Giano riuscì a lasciare la città, che lo c o n d a n n ò a m o r t e in contumacia. U n a delle cause che avevano reso possibile il piccolo colpo di Stato era stata la lotta delle fazioni in cui i magnati erano divisi e che paralizzavano l'attività dell'esecutivo. Q u e s t o n o n succedeva solo a Firenze, ma un p o ' in tutti i C o m u n i , dove i podestà e r a n o p r a t i c a m e n t e esautorati dai capi-partito. E fu p r o p r i o in q u e s t o clima settario e t u r b o l e n t o c h e germogliò il seme da cui n a c q u e la Signoria, a l l o r q u a n d o il Podestà o il C a p i t a n o del p o p o l o , g i o c a n d o le fazioni u n a c o n t r o l'altra, riuscirono a farsi r i n n o v a r e il m a n d a t o , a ott e n e r e i pieni p o t e r i e a diventare di fatto gli arbitri della situazione. Le popolazioni n o n si ribellarono. Stanche di u n a libertà che si confondeva con l'anarchia, le p r e f e r i r o n o l'ordine, a n c h e se si confondeva con l'arbitrio. Dai d o c u m e n t i d e l l ' e p o c a risulta che già verso la m e t à del D u e c e n t o in alcuni C o m u n i il Podestà e r a designato come «dominus civitatis», cioè Signore della città, e la sua carica da t e m p o r a n e a era diventata p e r m a n e n t e . Ferrara, a e s e m p i o , fra il 1230 e il 1240, fu i n i n t e r r o t t a m e n t e gover175
n a t a dal ghibellino Salinguerra. A Treviso, Ezzelino da Rom a n o , aizzando il p o p o l o m i n u t o c o n t r o quello grasso, riuscì a farsi p r o c l a m a r e Signore, e cose a n a l o g h e accaddero a Milano, a C o m o , ad Arezzo. N o n siamo a n c o r a alla g r a n d e Signoria del Rinascimento che s'instaurerà solo con l'introduzione del principio dell'ereditarietà q u a n d o il «dominus civitatis», in p u n t o di m o r t e , trasmetterà titolo e carica al figlio p r i m o g e n i t o , ma già s'int r a v e d o n o quelle che s a r a n n o le linee maestre e i p r e s u p p o sti giuridico-costituzionali del n u o v o o r d i n a m e n t o . S e g u i a m o n e l'evoluzione nelle più i m p o r t a n t i città.
CAPITOLO DICIASSETTESIMO
M I L A N O DAI V I S C O N T I AGLI SFORZA
A Milano, l'arcivescovo O t t o n e aveva designato suo successore il nipote Matteo, a cui Arrigo V I I , dietro p a g a m e n t o di cinquantamila fiorini, aveva conferito il titolo di Vicario imp e r i a l e : un titolo che lo qualificava a esercitare il d o m i n i o n o n solo su Milano e sul suo t e r r i t o r i o ma a n c h e su quelle città che, dilaniate dalle discordie i n t e r n e e dalle lotte di fazione, s'erano poste sotto l'egida milanese. A Matteo successe il figlio Galeazzo e poi il n i p o t e Azzone. Ma a gettare le basi della Signoria vera e p r o p r i a , concepita in senso rinascimentale c o m e Stato monolitico e patrim o n i o privato di u n a dinastia, fu L u c h i n o . Infatti, q u a n d o costui m o r ì p e r lasciare il posto al fratello Giovanni, il Consiglio g e n e r a l e di Milano p r o c l a m ò l'ereditarietà del s u p r e mo p o t e r e nella famiglia Visconti. Era l'atto di decesso della d e m o c r a z i a , la fine d e l C o m u n e e la svalutazione dei suoi istituti. S e c o n d o il m a l a u g u r a t o sistema visconteo, che ignorava il maggiorascato, Giovanni spartì l'eredità fra i suoi d u e nipoti B e r n a b ò e Galeazzo IL Al p r i m o t o c c a r o n o C r e m o n a , B e r g a m o , Brescia e il d i s t r e t t o a Est d e l l ' A d d a , L o d i , Piacenza e P a r m a . Galeazzo II ebbe C o m o , Pavia, Asti, Tortona, Alessandria, Novara, Vigevano e Bobbio. Milano fu tagliata in d u e : a B e r n a b ò a n d a r o n o i q u a r t i e r i di Porta Rom a n a , Tosa e O r i e n t a l e ; a Galeazzo quelli di Porta Comasina, Vercellina e Ticinese. B e r n a b ò fissò la sua capitale a Milano, Galeazzo a Pavia. Galeazzo m o r ì all'età di c i n q u a n t a n o v e a n n i , n e l 1378, d e s i g n a n d o successore il figlio Gian Galeazzo, passato alla 177
La signoria dei Visconti
Storia c o m e il C o n t e di Virtù, n o n p e r c h é di virtù avesse mai d a t o molte p r o v e , m a dal n o m e d i Vertus i n C h a m p a g n e , il cui titolo comitale faceva p a r t e della d o t e della m o glie, Isabella di Valois. A Milano B e r n a b ò s'era r e s o i m p o p o l a r e i n a s p r e n d o i vecchi balzelli e i n v e n t a n d o n e di nuovi. Gli abitanti e r a n o scontenti e c'era aria di fronda. Ne approfittò Gian Galeazzo p e r m a r c i a r e c o n c i n q u e c e n t o u o m i n i sulla città in cui p e n e t r ò senza colpo ferire. Davanti a Sant'Ambrogio incontrò B e r n a b ò cui aveva dato a p p u n t a m e n t o e che si p r e s e n t ò a c c o m p a g n a t o dai figli. I soldati di Gian Galeazzo s'avventar o n o su di loro, l'immobilizzarono e li t r a s c i n a r o n o nel castello di p o r t a Giovia. Q u i n d i , Gian Galeazzo occupò la città, accolto al g r i d o : «Viva il Conte, a m o r t e le gabelle». I milanesi n o n se lo fecero d i r e d u e volte. D i e d e r o l'assalto agli uffici delle imposte, saccheggiarono gli archivi e b r u c i a r o n o nelle piazze gli elenchi della Vanoni. R i s p a r m i a m o al l e t t o r e le g u e r r i c c i o l e c o m b a t t u t e da Gian Galeazzo p e r i n g r a n d i r e il Ducato, i cui confini alla fine del secolo r a c c h i u d e v a n o Milano, Pavia, B e r g a m o , Brescia, C o m o , Lodi, C r e m o n a , Novara, Vercelli, Alessandria, Valenza, T o r t o n a , Piacenza, P a r m a , Reggio, B o r g o San D o n n i n o , Pontremoli, Verona, Vicenza, Feltre, Belluno fino a Pieve di C a d o r e e le valli del Boite. Era, a p a r t e il R e g n o di Napoli, la più p o t e n t e e vasta Signoria italiana. Gian Galeazzo la g o v e r n ò da despota sagace e illuminato. L'ideale che incarnò n o n era ancora quello del Rinascimento, m a n o n e r a p i ù n e m m e n o quello del Medio Evo. Gian Galeazzo intuì che i C o m u n i avevano esaurito la loro f u n z i o n e e c h e le b a r r i e r e m u n i c i p a l i n o n e r a n o p i ù a d e g u a t e alla realtà del n u o v o m o n d o , in cui si f o r m a v a n o le g r a n d i unità nazionali. Vagheggiò u n o Stato unitario sotto lo s t e m m a visconteo, ma lo concepì c o m e un p a t r i m o n i o privato, da a m m i n i s t r a r e c o m e un b e n e di famiglia e a suo esclusivo beneficio. Istituì il Consiglio s e g r e t o e quello di Giustizia. Il p r i m o era al t e m p o stesso u n a specie di ministe179
ro degli Esteri e della Difesa, designava i p r o p r i ambasciatori e accreditava quelli forestieri, compilava il cerimoniale e dettava il protocollo. Funzionava anche come alta corte di giustizia, ma solo in m a t e r i a penale, p e r c h é le cause civili rient r a v a n o nella giurisdizione del Consiglio di giustizia. U n a giustizia, s'intende, a uso e c o n s u m o del Signore. Per p u n i r e un o p p o s i t o r e politico, se n o n c'erano p r o v e , s'inventavano. Le t o r t u r e p i ù raffinate venivano i m p i e g a t e p e r estorcere le confessioni. La p i ù orribile e r a quella della Q u a r e s i m a : il c o n d a n n a t o subiva successivamente la mutilazione di un a r t o , della l i n g u a , del n a s o , degli orecchi. E r a c h i a m a t a Q u a r e s i m a p e r c h é , nelle intenzioni dei carnefici, doveva d u r a r e q u a r a n t a giorni, m a e r a r a r o c h e l a vittima sopravvivesse ai p r i m i dieci. Un supplizio n o n m e n o atroce fu quello applicato al cancelliere Pasquino Capelli accusato di t r a d i m e n t o : Gian Galeazzo lo fece a v v o l g e r e n u d o in u n a pelle di b u e e p o i lo m u r ò vivo in u n a cella del castello di Pavia. Analoghi sistemi a d o t t ò c o n t r o i feudatari del c o n t a d o c h e n o n volevano riconoscere la sua signoria. Fece i m p r i g i o n a r e i più indocili, a b b a t t e r e i loro castelli, m o z z a r e le t o r r i . Revocò in p a r t e i privilegi e le i m m u n i t à di cui g o d e v a n o e vietò ai feudatari suoi vassalli di t e n e r e nei loro m a n i e r i carceri private. N o n visse abbastanza p e r liquidare il feudalesimo, le cui radici a f f o n d a v a n o n e i secoli b u i e n o n e r a n o facilmente estirpabili, ma gl'inflisse un colpo mortale. Lottò a n c h e cont r o i privilegi e le franchigie d e l clero, ma n o n s o p p r e s s e i tribunali ecclesiastici e n o n interferì negli affari della Chiesa se questi n o n l e d e v a n o gli interessi dello Stato. Anzi, incoraggiò le manifestazioni religiose, d o p o ogni vittoria faceva celebrare Te Deum di r i n g r a z i a m e n t o , finanziò pellegrinaggi, inasprì le p e n e c o n t r o gli eretici, c o m m i n ò m u l t e severe ai bestemmiatori, protesse i monaci e sovvenzionò la costruzione di n u m e r o s e chiese, tra cui la Certosa di Pavia, cui p o se p e r s o n a l m e n t e la p r i m a p i e t r a (l'ultima vi s a r e b b e stata collocata un secolo più tardi). Nel 1383 d i e d e il p r i m o con180
t r i b u t o alla fabbrica del D u o m o d i Milano. I n tredici a n n i e r o g ò 12.416 fiorini, senza c o n t a r e la concessione di gratuito sfruttamento delle cave di Candoglia, e il suo esempio fu imitato da tutti i milanesi che v e r s a r o n o il loro obolo p e r l'erezione del g r a n d e t e m p i o gotico. Era s e m p r e stato fragile e delicato, ma con l'età e r a n o aum e n t a t i gli acciacchi, propiziati da u n ' a c u t a ipocondria. Viveva chiuso g i o r n a t e i n t e r e i n u n a delle stanze i n t e r n e del castello di p o r t a Giovia o di Pavia, i m m e r s o nei suoi pensieri, s p r o f o n d a t o nella l e t t u r a dei classici. Q u a n d o m o r ì , nel 1402, ucciso dalla peste, lasciò p e r t e s t a m e n t o il c u o r e a S. Michele a Pavia e il resto dei visceri al convento di S. Antonio a Vienne. Da b u o n Visconti, aveva voluto spartire a n c h e le frattaglie. E r a stato un u o m o difficile, c u p o e sgradevole. Ma, n o n o s t a n t e le bizzarrie, le crudeltà e i soprusi, e r a grazie a lui che Milano e r a diventata u n a m e t r o p o l i di r a n g o e dimensioni e u r o p e e . La città, che d u e secoli e mezzo p r i m a e r a stata letteralm e n t e spianata al suolo dal Barbarossa, era rinata più fastosa e o p u l e n t a . A ricostruirla e r a n o stati chiamati i p i ù rinomati architetti. Un autentico boom edilizio aveva moltiplicato i suoi quartieri. Le case e r a n o circa quattordicimila, le chiese oltre d u e c e n t o , c e n t o t r e n t a i campanili, u n a quindicina i conventi e altrettanti gli ospedali. La p o p o l a z i o n e s'aggirav a sulle d u e c e n t o c i n q u a n t a m i l a a n i m e . C ' e r a n o u n a q u a r a n t i n a di medici e oltre c e n t o c i n q u a n t a c h i r u r g h i . I notai e r a n o circa m i l l e c i n q u e c e n t o m e n t r e i m a e s t r i e l e m e n t a r i n o n a r r i v a v a n o a c e n t o . La città p u l l u l a v a di macellerie più di q u a t t r o c e n t o - e di p a n e t t e r i e - oltre trecento - a cui bisognava a g g i u n g e r e un migliaio di altre b o t t e g h e di generi vari. C'era lavoro e p a n e p e r tutti e lo s p e t t r o della carestia n o n faceva più p a u r a c o m e u n t e m p o , q u a n d o u n cattivo raccolto o u n a calamità n a t u r a l e affamavano la città p e r mesi. Milano aveva già scelto il suo destino di g r a n d e e m p o r i o commerciale. Vi affluivano m e r c a n t i n o n solo dalle altre cit181
tà della Penisola ma dall'intero C o n t i n e n t e . E r a un via vai di u o m i n i d'affari inglesi, francesi, tedeschi, veneziani, fior e n t i n i . Vi si p o t e v a n o a c q u i s t a r e le m e r c i p i ù d i s p a r a t e : dalle spezie ai broccati, dalle sete ai tappeti, agli animali esotici. La periferia e r a costellata di b o t t e g h e di fabbri, di fucin e , d ' a r m e r i e , da cui uscivano spade, lance, scudi, celate, elmi che venivano v e n d u t i in t u t t ' E u r o p a . Ma la città s a p e v a a n c h e divertirsi. Feste, t o r n e i , balli pubblici allietavano la vita dei suoi abitanti, che vi dovevano r i n u n c i a r e solo in t e m p o di g u e r r a , di pestilenze o di gravi t o r b i d i , c o m e quelli che s e g u i r o n o alla m o r t e di G i a n Galeazzo. Questi, come al solito, aveva diviso lo Stato fra i vari figli, legittimi e bastardi. A Giovanni Maria aveva assegnato, col titolo d i D u c a d i Milano, Milano, C o m o , L o d i , C r e m o n a , Piacenza, P a r m a , Reggio, B e r g a m o , Brescia, Siena e Perugia. A Filippo Maria, n u o v o C o n t e di Pavia, aveva lasciato Pavia, N o v a r a , Vercelli, T o r t o n a , Alessandria, Verona, Vicenza, Feltre, Belluno, Bassano e la riviera di T r e n t o . Al figlio illegittimo Gabriele, Pisa e C r e m a . La moglie Caterina fu n o m i n a t a r e g g e n t e e tutrice dei figli. Era u n a d o n n a ancora giovane e piacente, ma assolutam e n t e incapace di g o v e r n a r e . I maligni le attribuivano u n a relazione col p r i m o c a m e r a r i o di Gian Galeazzo, Francesco B a r b a v a r a , a cui essa affidò lo Stato. La C o r t e si divise in d u e fazioni: u n a favorevole a G i o v a n n i Maria, l'altra alla m a d r e , che ebbe la p e g g i o , dovette a b b a n d o n a r e Milano e rifugiarsi nel castello di Pavia dove nel 1404 m o r ì , p a r e avvelenata. Ma sorte migliore n o n toccò a Giovanni che il 16 m a g g i o 1412 fu assassinato m e n t r e s'avviava al t e m p i o di San G o t t a r d o , p e r assistere alla messa. Filippo Maria, r i m a s t o u n i c o S i g n o r e , aveva e r e d i t a t o l'ambizione e l'astuzia del p a d r e , ma a n c h e il suo c a r a t t e r e c u p o , sospettoso e bigotto. Figlio di cugini p r i m i , e r a cresciuto gracile e m i n g h e r l i n o , e fino all'età di dieci a n n i e r a stato n u t r i t o con p a p p e . Q u a n d o diventò C o n t e di Pavia si 182
seppellì nel castello avito, dove trascorreva le sue giornate a leggere T i t o Livio e Petrarca. Parlava c o r r e n t e m e n t e il francese e s'entusiasmava alle chansons de geste. I suoi passatempi preferiti e r a n o il gioco della palla e le passeggiate l u n g o il Ticino, d u r a n t e le quali raccoglieva fiori e virgulti, che poi d o n a v a agli efebici paggi che egli stesso reclutava e alla cui e d u c a z i o n e p e r s o n a l m e n t e presiedeva. E r a n o i soli che potessero avvicinarlo in q u a l u n q u e o r a del g i o r n o e della n o t t e e gli unici di cui egli si fidasse. Ma dal m o m e n t o in cui passavano al suo servizio dovevano troncare ogni r a p p o r t o con la famiglia. Guai se venivano scoperti a p a r l a r e con qualche cortigiano senza l'autorizzazione del Signore che li impiegava c o m e segretari, consiglieri e talvolta come ministri e ambasciatori. N o n l ' a b b a n d o n a v a n o mai. La m a t t i n a l'aiutavano a vestirsi, c o n s u m a v a n o con lui i pasti, con lui cavalcavano e a n d a v a n o a caccia. Q u a n d o Filippo Maria si ritirava nei suoi a p p a r t a m e n t i lo seguivano. II D u c a viveva nel t e r r o r e d'essere avvelenato o assassin a t o nel s o n n o . N o n toccava cibo senza p r i m a averlo fatto assaggiare ai suoi m a g g i o r d o m i . Con l'età s'appesantì; mise su pancia e acquistò un aspetto greve e r i p u g n a n t e . La sera, p r i m a di coricarsi, chiudeva e r m e t i c a m e n t e p o r t e e finestre, e faceva d i s p o r r e a c o r o n a i n t o r n o alla sua alcova u n a barr i e r a di letti p e r le g u a r d i e del c o r p o . Per p a u r a del b u i o , d o r m i v a con le candele accese. Vedeva d o v u n q u e fantasmi e spesso, in p i e n a notte, si svegliava di soprassalto, b r a n d i v a la s p a d a che teneva a p o r t a t a di m a n o sotto il cuscino e cominciava a m e n a r e fendenti nell'aria, s c h i u m a n d o bava dalla bocca e p r o n u n c i a n d o frasi sconnesse. Talvolta cambiava a d d i r i t t u r a camera, e solo la luce dell'alba riusciva a placare le sue angosce. Se d u r a n t e la n o t t e aveva a v u t o un i n c u b o , la m a t t i n a s'inginocchiava volgendosi p r i m a a O r i e n t e e poi a Occidente, si batteva il petto e recitava le orazioni. Faceva spesso voti ma n o n s e m p r e li m a n t e n e v a . Parlava poco e n o n g u a r d a va m a i in faccia l ' i n t e r l o c u t o r e . I suoi a r g o m e n t i preferiti 183
e r a n o la g u e r r a , i cani e i cavalli. Q u a n d ' e r a di b u o n u m o r e - ma lo e r a di r a d o - raccontava barzellette scurrili, ma poi si pentiva e ricominciava a p r e g a r e . Gli piaceva la b u o n a tavola, e r a un bevitore accanito, ma scontava r e g o l a r m e n t e i suoi peccati di gola con violente coliche di fegato, e alla fine ne morì, nel 1447, senza aver fatto in t e m p o a scrivere il testamento e a designare un successor e . Il giorno d o p o , un g r u p p o di nobili, al grido di «Viva la libertà», dichiarò d e c a d u t o il Ducato e fondò la Repubblica Ambrosiana. Il p o p o l i n o chiese la d i m i n u z i o n e delle tasse e smantellò il castello di p o r t a Giovia. Molte città s u d d i t e a p profittarono di quel caos p e r riacquistare la libertà. Venezia, acerrima nemica di Milano, occupò Piacenza e Lodi. I governanti ambrosiani affidarono allora l'esercito al gen e r o di Filippo Maria, Francesco Sforza, signore di C r e m o na. E r a figlio del c o n d o t t i e r o Muzio Attendolo e aveva fatto c a r r i e r a c o m e capitano di v e n t u r a , al soldo di Venezia, Milano e Firenze. Fu il più g r a n d e generale del suo t e m p o . Era alto, possente, bello e coraggioso. Imbattibile nel maneggiare la s p a d a e n e l t i r a r e d ' a r c o , d o r m i v a sotto la t e n d a coi suoi soldati, mangiava alla loro mensa, e r a s e m p r e il p r i m o a cacciarsi nelle mischie e l'ultimo a uscirne. E r a u n o stratega n a t o e con le sue b a n d e sgominò interi eserciti. Talvolta bastava la sua presenza a volgere in fuga il nemico. E quasi i n c r e d i b i l e c h e la R e p u b b l i c a A m b r o s i a n a affidasse la p r o p r i a difesa p r o p r i o a lui che, c o m e m a r i t o dell'unica figlia del Duca, ne era il n a t u r a l e e r e d e . Egli riconquistò Piacenza e L o d i , b a t t e n d o i veneziani. Ma poi si acc o r d ò in segreto con loro cedendogli il Bresciano, la G h i a r a d ' A d d a e C r e m a , e o t t e n e n d o in c a m b i o il r i c o n o s c i m e n t o dei suoi titoli alla successione del suocero. Q u i n d i p u n t ò su Milano e la cinse d'assedio. D o p o u n a b r e v e resistenza, la città, vinta dalla f a m e , gli s p a l a n c ò le p o r t e e lo i n c o r o n ò Duca. C o r r e v a l'anno 1450. G o v e r n ò fino al 1466 c o n u n a m a g n i f i c e n z a allergica a o g n i preoccupazione di contabilità. Portò il Ducato sull'orlo 184
del fallimento e solo i prestiti b a n c a r i fiorentini lo salvaron o . Favorì l'immigrazione, proibì l'esodo della m a n o d o p e r a locale, p r e m i ò i cittadini p i ù prolifici, b a n d ì c a m p a g n e d e m o g r a f i c h e c o n t r i b u e n d o v i c o n u n o stuolo d i f i g l i , d i cui u n a ventina bastardi e otto legittimi. Dissanguò l'erario. Ma fece d i M i l a n o ciò ch'essa a n c o r a n o n e r a : u n a s p l e n d i d a metropoli, di cui il castello Sforzesco e l'ospedale Maggiore r a p p r e s e n t a r o n o i gioielli. Ebbe un d e b o l e p e r il sesso d e b o l e e r i e m p ì di c o r n a la moglie, c h e da b u o n a Visconti si vendicò u c c i d e n d o g l i l'am a n t e . L'età gli ridestò i r e u m a t i s m i , c h e l'affliggevano fin dagli a n n i giovanili. O g n i estate passava le acque in quel di B o r m i o , a d o t t a v a d i e t e r i g o r o s e , si s o t t o p o n e v a a salassi. S e b b e n e le g u e r r e e gli affari di Stato gli i m p e d i s s e r o di colt i v a r e gli s t u d i , s e p p e i n c o r a g g i a r e quelli a l t r u i . I n v i t ò a Milano l'umanista Filelfo, protesse le lettere e le arti, stimolò le scienze, finanziò u n a scuola di p i t t u r a e c h i a m ò a dirigerla Vincenzo F o p p a da Brescia. Morì nel 1466 d ' i d r o p i sia, lasciandosi dietro un coro di r i m p i a n t i e u n a m o n t a g n a di debiti. Nel figlio Galeazzo Maria c h e gli successe, il s a n g u e «caliente» dei Visconti aveva avuto il sopravvento su quello pat e r n o , e aveva lasciato il segno. S e c o n d o il Corio, che lo definì «sozzo e libidinoso», il giovane d u c a teneva un harem, si c i r c o n d a v a di p r o s t i t u t e e p r o s s e n e t i , p a r t e c i p a v a a o r g e e s'abbandonava alla c r a p u l a più sfrenata. Affetto da m a n i a di g r a n d e z z a s p e r p e r ò tesori i m m e n s i p e r abbellire la sua Corte, a r r u o l ò battaglioni di n a n i , buffoni, comici, musici, organizzò feste da «Mille e u n a notte». Q u a n d o viaggiava si faceva scortare da u n a moltitudine di nobili e cortigiani che indossavano vesti sontuose e m o n t a v a n o cavalli s u p e r b a m e n te i n g u a l d r a p p a t i e irti di p e n n a c c h i . Nel 1471 a n d ò a Fir e n z e c o n u n seguito d i d u e m i l a cavalieri, d u e c e n t o m u l i , c i n q u e c e n t o coppie di cani, centinaia di falconi e sparvieri. Spese, in quella sola volta, la bellezza di duecentomila ducati d ' o r o . Q u a n d o e r a al v e r d e - e con q u e l t r e n o di vita lo 185
e r a spesso - a u m e n t a v a le i m p o s t e e p u n i v a col c a r c e r e e talvolta con la m o r t e chi n o n le pagava. I sudditi l'odiavano ed era inviso a n c h e ai nobili. La mattina del 26 d i c e m b r e 1476, m e n t r e ascoltava la messa nella chiesa di S a n t o Stefano, t r e giovani patrizi, G e r o l a m o Olgiati, A n d r e a L a m p u g n a n i e Carlo Visconti, lo a g g r e d i r o n o e lo m a s s a c r a r o n o a colpi di p u g n a l e . Il L a m p u g n a n i fu a sua volta assalito dalle g u a r d i e del c o r p o del Duca e linciato. Il Visconti e l'Olgiati riuscirono a darsi alla fuga, ma d o po un l u n g o i n s e g u i m e n t o furono acciuffati, processati «per direttissima» e squartati vivi. Galeazzo Maria lasciava un figlio di sette a n n i , Gian Galeazzo, sotto la tutela della m a d r e , B o n a di Savoia, che affidò il Consiglio di r e g g e n z a al sagace e i n t r a p r e n d e n t e ministro Cicco S i m o n e t t a , assistito d a d u e fratelli d e l m a r i t o : Sforza M a r i a , d u c a di B a r i , e L u d o v i c o M a u r o , c o n t e di Mortara. Ludovico era il q u a r t o figlio di Francesco Sforza. I milanesi lo chiamavano «Il Moro» p e r il colorito b r u n o , i capelli e gli occhi n e r i . Ludovico, lungi dall'offendersi, s'era compiaciuto di q u e l n o m i g n o l o e p e r r e n d e r l o p i ù p e r t i n e n t e aveva adottato costumi ed e m b l e m i moreschi e s'era circond a t o d i schiavi m a u r i t a n i . N o n p o t e v a dirsi u n b e l l ' u o m o . E r a p r e s t a n t e , di statura s u p e r i o r e alla media, ma aveva lin e a m e n t i aspri e irregolari: il naso l u n g o e falcato, il m e n t o p r o m i n e n t e , le labbra sottili e tirate, l'espressione imperiosa e accigliata di chi è a b i t u a t o a c o m a n d a r e . A m a v a le belle d o n n e e la b u o n a tavola, ma detestava gli eccessi. Era ambizioso e spavaldo, scettico e superstizioso, m a g n a n i m o e diffidente. Grazie al Filelfo che l'aveva avviato allo studio dei classici, conosceva il latino e il francese, discuteva di filosofia ed e r a sensibile alle arti. Cicco Simonetta tentò di sbarazzarsene, ma Ludovico gli sobillò c o n t r o la C o r t e , d o v e aveva molti amici, t r a cui un certo A n t o n i o Tassino, che g o d e v a i favori della R e g g e n t e . Questa riuscì a i n d u r r e il suo ministro a s c e n d e r e a patti col 186
cognato, che p e r tutta ricompensa decapitò il Simonetta, esiliò la Duchessa, e assunse la tutela del n i p o t e , con quali propositi è facile i m m a g i n a r e . Gian Galeazzo, che il Guicciardini definì «incapacissimo», n o n aveva a n c o r a n o v e a n n i . D e b o l e , malaticcio, t i m i d o e scontroso, viveva in un'ala del palazzo circondato da precettori, e c o m p a r i v a in pubblico solo nelle c e r i m o n i e ufficiali, c o n i n d o s s o lo scettro e la s p a d a e al dito il sigillo, simboli dell'autorità ducale. Morì, n o n si sa b e n e di che, nel 1494 lib e r a n d o dalla sua remissiva, ma i n c o m o d a p r e s e n z a lo zio sotto il quale Milano toccherà l'apogeo del suo s p l e n d o r e . Ma lasciamo q u e s t a storia c h e esula da quella n o s t r a e p u n t i a m o il cannocchiale al di là dei confini sforzeschi in direzione di Venezia.
CAPITOLO DICIOTTESIMO
V E N E Z I A DOGALE
Alla fine del Trecento la Repubblica di Venezia e r a lo Stato più p o t e n t e della Penisola. Le l a g u n e sulle quali e r a sorta ne a v e v a n o fatto un allev a m e n t o di navigatori e di m e r c a n t i . Già ai p r i m i del Mille le sue navi solcavano trionfalmente l'Adriatico e il Mediterr a n e o , t r a s p o r t a n d o da un capo all'altro m e r c i e passeggeri. Venezia d i v e n t ò il p r i n c i p a l e e m p o r i o e u r o p e o . Sui suoi moli v e n i v a n o o g n i g i o r n o scaricati t a p p e t i , spezie, d a m a schi, schiavi p r o v e n i e n t i dall'Oriente; e ne r i p a r t i v a n o lane e manufatti. L'astuzia dei suoi a r m a t o r i , la spregiudicatezza dei suoi a m m i r a g l i , l'abilità dei suoi diplomatici le c o n q u i s t a r o n o i mercati della Balcania e dell'Asia Minore. Dovunq u e s p u n t a r o n o «fondachi» veneziani, piccole città coi loro depositi, alberghi, ospedali e chiese. G o d e v a n o d ' i m m u n i t à e privilegi e lo Stato che li ospitava preferiva n o n ficcarci il naso. Il Balivo c h e li governava, u n a specie di magistrato n o m i n a t o dal D o g e , aveva p o t e r i di vita e di m o r t e sugli abitanti, amministrava la giustizia, e svolgeva a n c h e funzioni di console. Questi avamposti commerciali fecero la f o r t u n a di Venezia e g e t t a r o n o le basi della sua s u p r e m a z i a economica. Ma la s u p r e m a z i a sarebbe stata assai effìmera se n o n fosse stata sostenuta all'interno da quella solida costituzione, di cui a b b i a m o già fornito i l i n e a m e n t i ne «L'Italia d e i c o m u ni». F o r m a l m e n t e essa e r a i n c a r n a t a nel D o g e , ma di fatto chi c o m a n d a v a e r a u n ' o l i g a r c h i a aristocratica. Dalla m e t à del sec. X I I il Doge fu assistito da un Consiglio dei Sapienti, o Consiglio M a g g i o r e , f o r m a t o all'inizio da t r e n t a c i n q u e m e m b r i , al quale si aggiunse b e n p r e s t o un ristretto Consi189
glio M i n o r e (6 m e m b r i ) . Il n u m e r o degli a p p a r t e n e n t i al Maggior Consiglio a u m e n t ò poi g r a d u a l m e n t e . Essi decidevano su tutte le questioni n o n solo legislative ma a n c h e politiche e militari. Il Doge, assistito da un comitato ristretto di sei Saggi, si limitava a ratificare gli atti di coloro che l'avevano eletto e che p o t e v a n o in q u a l u n q u e m o m e n t o d e p o r l o . Egli n o n era che un altissimo simbolo cui venivano tributati o n o r i quasi divini a n c h e p e r t e n e r l o al r i p a r o da tentazioni e ambizioni terrestri. Al Doge spettava la n o m i n a del Patriarca di Venezia e dei canonici di San Marco, e fra i suoi titoli aveva a n c h e quello di «Serenissimo Principe». Abitava il Palazzo Ducale, sfavill a n t e di ori, m a r m i e mosaici, f o d e r a t o di sete e t a p p e t i e che s u p e r a v a in sfarzo e m o n u m e n t a l i t à la r e g g i a del Basileus b i z a n t i n o , di cui ricalcava il p u n t i g l i o s o c e r i m o n i a l e . O g n i suo gesto era un rito. Indossava vesti sontuose. La sua uscita era a n n u n c i a t a da squilli di t r o m b a , dal s u o n o delle c a m p a n e , dai b a n d i degli araldi. Si faceva p r e c e d e r e da un corteo di trombettieri, di p o r t a b a n d i e r a e di dignitari. C o m pariva issato s u u n seggio, r i c o p e r t o d i u n d r a p p o d o r a t o , sotto un pesante e sgargiante parasole. Lo seguivano i m e m b r i del Maggior Consiglio, le alte cariche dello Stato, gli ambasciatori stranieri e il Capitolo di San Marco. Un siffatto a p p a r a t o era destinato a colpire la fantasia del p o p o l i n o e a consolarlo della p e r d i t a di quelle p r e r o g a t i v e di cui un t e m p o aveva g o d u t o q u a n d o , nel V I I secolo, gl'isolotti della laguna si e r a n o confederati p e r difendersi dagli assalti delle o r d e b a r b a r i c h e . I p r i m i Dogi, infatti, q u a n d o cessarono di essere dei funzionari di Bisanzio e d i v e n t a r o n o elettivi, e r a n o designati dalla Concio publica o assemblea del p o p o l o . Ma q u a n d o il p o p o l o cominciò a crescere e a differenziarsi in classi, il cosidetto «potere decisionale» passò nelle m a n i di quelle p i ù r i c c h e e o g n i o m b r a di d e m o c r a z i a scomparve. Sulla fine del D u e c e n t o , la c o s t i t u z i o n e v e n e z i a n a subì u n a n u o v a s p i n t a i n senso oligarchico. Fin allora, a l m e n o 190
sulla carta, tutti i cittadini p o t e v a n o essere eletti al Maggior Consiglio. Di fatto vi accedevano solo i c o m p o n e n t i di quelle d u e o trecento famiglie nelle cui m a n i e r a concentrata la ricchezza della Repubblica: b a n c h i e r i , a r m a t o r i , g r a n d i m e r canti. Essi costituivano l'aristocrazia del d e n a r o , c h ' e r a a Venezia un titolo di nobiltà s u p e r i o r e a quello del s a n g u e . Ma questo m o n o p o l i o , a p p u n t o p e r c h é tale, poteva suscitare invidia in coloro che ne e r a n o esclusi. Bisognava legittimarlo. Nel 1297 il Doge Pietro G r a d e n i g o fece votare dal Maggior Consiglio u n a legge che dichiarava p r a t i c a m e n t e eleggibili soltanto coloro che dell'alto consesso, il quale veniva rinnovato a n n u a l m e n t e , già avessero fatto p a r t e o i cui a n t e n a ti ne fossero stati m e m b r i . I loro n o m i f u r o n o trascritti nel Libro d ' O r o della Serenissima, u n a specie di Gotha venezian o . Un altro giro di vite si ebbe nel 1319 q u a n d o fu abolito il r i n n o v o a n n u a l e dell'Assemblea e a u m e n t a t o il n u m e r o dei seggi. Il Maggior Consiglio diventò pletorico, si appesantì e dovette d e l e g a r e a organi p i ù ristretti molte delle sue funzioni. Il Senato dei Pregadi v e n n e istituito v e r s o la m e t à d e l X I I I secolo c o n funzioni d a p p r i m a soltanto a m m i n i s t r a t i ve. I suoi p o t e r i a u m e n t a r o n o d u r a n t e tutto il X I I I secolo, finché nel X I V e b b e a n c h e la d i r e z i o n e degli affari politici p e r delega del Maggior Consiglio. R e g o l a m e n t a v a tutto ciò che c o n c e r n e v a navigazione e c o m m e r c i o , esercito e flotta, n o m i n a v a gli ambasciatori, eccetto quello a Costantinopoli; ma il suo c o m p i t o p r e m i n e n t e era la direzione della politica e s t e r a . E r a il S e n a t o c h e d e c i d e v a la p a c e e la g u e r r a , che negoziava i trattati e le alleanze, che dava istruzioni agli ambasciatori, che ne riceveva i r a p p o r t i settimanali. Davanti a esso v e n i v a n o lette le n o t e degli a g e n t i diplomatici, le famose relazioni c h e d a v a n o un q u a d r o c o m p l e t o delle varie corti d ' E u r o p a e dei r a p p o r t i c h e c o n esse Venezia int r a t t e n e v a . I n s o m m a , t u t t a l ' a u t o r i t à della R e p u b b l i c a risiedeva nel Senato. U n o r g a n o n u o v o f u invece istituito n e l 1310. I n q u e l 191
l ' a n n o u n patrizio, B a i a m o n t e T i e p o l o , o r d ì u n a c o n g i u r a p e r i m p a d r o n i r s i del p o t e r e e i n s t a u r a r e a Venezia u n a ditt a t u r a personale. Facendo leva sul m a l c o n t e n t o suscitato in mezzo alla plebe dal colpo di Stato oligarchico di Pietro Grad e n i g o riuscì a g u a d a g n a r e alla sua causa un certo n u m e r o di p o p o l a n i . Q u a n d o fu s c o p e r t o si c o n s e g n ò s p o n t a n e a m e n t e al Doge. Gli fu r i s p a r m i a t a la vita, ma d o v e t t e emig r a r e in Dalmazia. Fu allora che il Maggior Consiglio, p e r i m p e d i r e che simili incidenti avessero a ripetersi, n o m i n ò un comitato di salute pubblica, o Consiglio dei Dieci. I suoi m e m b r i f u r o n o dotati di poteri pressoché illimitati e di un'assoluta i n d i p e n d e n z a . Vigilavano su o g n i aspetto della vita pubblica e privata dei cittadini, i n d a g a v a n o su quelli sospetti, ne spiavano le mosse, vagliavano le d e n u n c e a n o n i m e , d a v a n o corso a quelle fondate, raccoglievano testimonianze, incoraggiavano le d e lazioni. D a p p r i n c i p i o i consiglieri venivano eletti o g n i d u e mesi, in seguito ogni d u e anni. La loro scelta era assai accurata e passava attraverso rigorosi tests. La loro lealtà verso la R e p u b b l i c a d o v e v a essere a p r o v a di b o m b a e a l t r e t t a n t o s p e r i m e n t a t a la loro incorruttibilità. A p p e n a designati, i Dieci s ' a m m a n t a v a n o d ' u n a l o n e di mistero, diventavano inaccessibili, m i s u r a v a n o gesti e p a r o le, d i s e r t a v a n o feste e c e r i m o n i e p u b b l i c h e , si r i u n i v a n o ogni g i o r n o a p o r t e chiuse, e nulla trapelava dei loro convegni. N o n potevano lasciare Venezia se n o n in casi eccezionali, e tre volte la settimana concedevano u d i e n z e alle spie e ai confidenti. Era i n s o m m a u n a vera e p r o p r i a polizia segreta, u n a Ghepeu avanti lettera. Il Consìglio dei Dieci salvaguardò la costituzione oligarchica, ma instaurò nella Repubblica un r e g i m e di t e r r o r e . Nel 1355 sventò la c o n g i u r a di Marin Faliero, e s p o n e n t e di u n a delle più cospicue famiglie veneziane che l'anno p r i m a era successo al D o g e A n d r e a D a n d o l o . S p a v a l d o e ambizioso, n o n s'accontentava di fare il simbolo. Voleva il p o t e r e , e come Baiamonte Tiepolo tentò di realizzare il suo disegno aiz192
zando il p o p o l i n o c o n t r o la nobiltà, cui p e r ceto e censo egli stesso a p p a r t e n e v a . A r r u o l ò a l c u n e centinaia di m a r i n a i e scaricatori di p o r t o c h e nella n o t t e fra il 15 e il 16 a p r i l e avrebbero d o v u t o spargere p e r le calli della città la voce che la flotta genovese muoveva in assetto di g u e r r a alla volta di Venezia. L'annuncio avrebbe seminato il panico fra la p o p o lazione e richiamato i nobili in piazza San Marco. Dalle viuzze a d i a c e n t i i c o n g i u r a t i a v r e b b e r o fatto i r r u z i o n e nella piazza e li avrebbero trucidati. O g n i cosa era stata p r e d i s p o sta con c u r a q u a n d o , p o c o p r i m a d e l l ' o r a f i s s a t a , u n o d e i congiurati d e n u n c i ò il complotto, senza tuttavia fare apertam e n t e il n o m e d e l Faliero, a un m e m b r o del Consiglio dei Dieci, che si precipitò dal Doge. Questi c a d d e in gravi contraddizioni, p r i m a n e g a n d o i fatti e poi d i c e n d o di esserne già stato messo al c o r r e n t e . Ma q u a n d o i cospiratori furono arrestati e interrogati, il Faliero dovette gettare la m a s c h e r a e a m m e t t e r e la sua colpevolezza. Il g i o r n o d o p o c o m p a r v e davanti a un t r i b u n a l e s t r a o r d i n a r i o formato dai Dieci e da u n o speciale collegio di venti giudici. C o n d a n n a t o a m o r t e , v e n n e decapitato la mattina del 17 aprile sulla Scala dei Giganti, nello stesso luogo dove aveva ricevuto il «corno» d u cale. Ai Dieci facevano c a p o a n c h e le spie della R e p u b b l i c a . E r a n o sguinzagliate d a p p e r t u t t o , m a s p e c i a l m e n t e p u l l u lavano a Genova, la più temibile c o n c o r r e n t e di Venezia a cui p e r secoli contese il d o m i n i o sui m a r i . La p o s t a in gioco era i m m e n s a : i mercati dell'intero bacino m e d i t e r r a n e o . E n t r a m b e le Repubbliche avevano fondato colonie nei principali p o r t i del Mare nostrum. Gl'incidenti fra genovesi e veneziani e r a n o a l l ' o r d i n e del g i o r n o , e a provocarli era il m o n o p o l i o del traffico m a r i t t i m o . La lotta e b b e a l t e r n e v i c e n d e . N e l 1298, nelle a c q u e di C u r z o l a , la flotta v e n e ziana fu s g o m i n a t a da quella genovese. Ma nel 1380 le galere genovesi, t e m e r a r i a m e n t e spintesi fino nelle l a g u n e di Chioggia, vi f u r o n o imbottigliate dai d r o m o n i della Serenissima e colate quasi t u t t e a picco. L'anno successivo veni193
va stipulato il t r a t t a t o di T o r i n o c h e riconosceva a Venezia la s u p r e m a z i a m a r i n a r a , c o n d i z i o n e del p r i m a t o navale ed economico. Nel XV secolo Venezia e r a la città più p r o s p e r a della Penisola, la più fastosa e festosa. I suoi favolosi palazzi sul Canal G r a n d e , d i m o r e di m e r c a n t i assurti con la ricchezza al r a n g o patrizio, d a v a n o alla città un fascino inimitabile. U n a architettura magica li aveva ispirati. Le sottili colonne tortili, gli esili balconi a rosoni, le finestrelle binate conferivano a questi edifìci la preziosa levità di un merletto e li facevano s o m i g l i a r e alle cesellate m i n i a t u r e di un orefice. E r a n o il c o m p e n d i o di d u e stili raffinatissimi: il bizantino e il gotico, p e r f e t t a m e n t e fusi. Gli i n t e r n i n o n e r a n o m e n o s o n t u o s i delle facciate. Rigurgitavano di suppellettili squisite e di mobili di g r a n p r e gio. Le pareti e r a n o foderate di mosaici, di arazzi, di tele, le volte decorate di affreschi, gli zoccoli sfavillanti di m o n o c r o mi d o r a t i . Per e r i g e r e le l o r o m a g i o n i e p e r d e c o r a r l e , i C o n t a r i n i , i Gritti, i Foscari, i T i e p o l o , i L o r e d a n a v e v a n o a r r u o l a t o il fior fiore degli artisti veneziani, imitati dai Dogi e dai Patriarchi in u n a g a r a di magnificenza e di sfarzo. La scuola dei Bellini contribuì a fare di Venezia u n o dei massimi templi dell'arte del Q u a t t r o c e n t o . Il fondatore, J a copo, d o p o u n tirocinio presso Gentile d a Fabriano, dipinse a Verona, a F e r r a r a e a Padova, dove c o n o b b e il g r a n d e And r e a M a n t e g n a , e gli d i e d e in sposa la figlia. T o r n a t o a Venezia, aprì u n a «bottega» dove i figli Gentile e Giovanni a p p r e s e r o i p r i m i r u d i m e n t i dell'arte p a t e r n a . F u r o n o i d u e p i ù geniali pittori del t e m p o . Gentile subì l'influsso del cognato nel disegno delle figure e nell'arditezza degli scorci, ma col passare degli a n n i il suo stile acquistò u n ' i m p r o n t a del t u t t o p e r s o n a l e . A rivelarlo f u r o n o i p a n nelli che eseguì nella Sala del G r a n Consiglio, a n d a t i p u r t r o p p o distrutti nel 1577 in seguito a un incendio. Fortunat a m e n t e ne conserviamo gli schizzi di u n a squisita linea n a r rativa. Abile a n c h e c o m e ritrattista, fu invitato a Costantino194
poli dal sultano M a o m e t t o I I , di cui in un bellissimo «olio» t r a m a n d ò ai posteri l'effige. Q u a n d o t o r n ò in patria, fu s o m m e r s o da u n a valanga di ordinazioni. La Scuola di San Giovanni Evangelista gli commissionò t r e p a n n e l l i c h e d o v e v a n o raffigurare u n a g u a r i gione miracolosa, u n a processione del Corpus Domini e il rit r o v a m e n t o d i u n f r a m m e n t o della croce. Gentile d i e d e a i temi un a m p i o svolgimento e a m b i e n t ò le scene nella Venezia c o n t e m p o r a n e a . I pannelli sono popolati di folle devote, sfilanti in processione p e r piazza San Marco o di g r u p p i di fedeli c h e si accalcano nelle calli in attesa d e g l i e v e n t i sop r a n n a t u r a l i . Il tocco dell'artista è intenso, la tavolozza smagliante e variegata, i dettagli sono colti con fedeltà e saporoso realismo. L'ultima fatica di Gentile fu un «San Marco» che p r e d i c a ad Alessandria. La m o r t e n o n gli lasciò il t e m p o di c o n d u r l o a t e r m i n e . Lo finì il fratello Giovanni. Di d u e a n n i p i ù giovane di Gentile, cui sopravvisse di otto, G i o v a n n i aveva assimilato la tecnica d e l M a n t e g n a c h e mise al servizio del colore. Il suo g e n i o fu s o p r a t t u t t o crom a t i c o m a a l suo m e g l i o d i m o s t r ò d i p o s s e d e r e a n c h e s t r a o r d i n a r i e qualità psicologiche e un autentico magistero narrativo. Diventò l'idolo dei veneziani e il pittore più ricercato della Serenissima. Dipinse decine di M a d o n n e che disseminò in chiese, palazzi, conventi. N o n c'è m u s e o al m o n d o che n o n n e possegga u n a . Fu il p i t t o r e ufficiale e aulico della Repubblica, ed ebbe in a p p a l t o la ritrattistica dei Dogi. A l u n g o a n d a r e quei vecc h i o n i s o l e n n i e i n g u a l d r a p p a t i d o v e t t e r o venirgli a noia, p e r c h é a un certo p u n t o m u t ò ispirazione e cercò nuovi temi n e l pantheon della m i t o l o g i a classica, c h e i n t e r p r e t ò in chiave allegorica. Nella «Festa degli dei» raffigurò un vero e p r o p r i o pique-nique di d o n n e avvenenti e discinte e di u o m i ni e b b r i e s e m i n u d i . N e l d i p i n t o , c o n s e r v a t o alla National Gallery di Washington, c'è un senso della vita p a g a n o e sensuale, specchio fedele di quella Venezia q u a t t r o c e n t e s c a di cui i Bellini furono i mirabili interpreti. 195
Ma anche le arti cosiddette m i n o r i c o n t r i b u i r o n o ai fasti della Serenissima. Dai laboratori dei mosaicisti nel XV secolo uscivano composizioni di squisita fattura, destinate a decorare le pareti delle chiese e dei palazzi. Capolavori di cristallo - vasi, tazze, calici - venivano forgiati nelle vetrerie di M u r a n o , sottoposte alla stretta vigilanza dello Stato, geloso c u s t o d e dei segreti di lavorazione. U n ' a l t r a fiorente i n d u stria era quella delle armi che riforniva le corti di mezz'Eur o p a di elmi, corazze, scudi, p u g n a l i a b i l m e n t e cesellati e s t u p e n d a m e n t e intarsiati d ' o r o e d ' a r g e n t o . Q u e s t o rigoglio n o n si limitò alle arti figurative. Investi a n c h e le lettere, sebbene a Venezia l ' u m a n e s i m o abbia attecchito p i ù t a r d i che altrove. Se nella S e r e n i s s i m a n o n ci fu q u e l p u l l u l ì o di scuole e di a c c a d e m i e c h e seguì al movim e n t o umanista a Firenze, n o n m a n c ò u n a viva adesione alle idee che esso p r o p u g n a v a . La cultura era t e n u t a in g r a n de o n o r e . N o n c'era patrizio che n o n possedesse u n a biblioteca o n o n spalancasse le p o r t e del suo palazzo a letterati e poeti. La d a m e dell'alta società accoglievano nei loro salotti teologi e filosofi. Le scuole n o n e r a n o a p e r t e solo ai r a m p o l li dell'aristocrazia e della ricca b o r g h e s i a . A n c h e i figli del p o p o l o potevano accedervi. L'invenzione della s t a m p a aveva allargato le maglie della c u l t u r a , d i v u l g a n d o i m p a r z i a l m e n t e gli a u t o r i classici e quelli m o d e r n i . Venezia diventò u n a delle capitali dell'editoria. I libri che nella s e c o n d a m e t à del Q u a t t r o c e n t o usciv a n o dai suoi torchi e r a n o p e r eleganza di caratteri, qualità di c a r t a e p e r f e z i o n e di s t a m p a degli a u t e n t i c i gioielli. Alla fine del XV secolo solo a Venezia e r a n o stati editi 2835 volumi. La m a g g i o r p a r t e r e c a v a n o la firma di un geniale tipografo: Aldo M a n u z i o . Era n a t o a Bassiano vicino a Velletri nel 1449, ma si era trasferito giovanissimo a Roma, dove s'era sprofondato nello studio dei classici latini. Poi aveva soggiornato a Ferrara, e qui aveva tradotto quelli greci e t e n u t o d o t t e c o n f e r e n z e su P l a t o n e , T u c i d i d e e C i c e r o n e . Per un 196
certo t e m p o aveva a n c h e insegnato, e fra i suoi allievi ci fu Pico della M i r a n d o l a c h e , colpito dal suo s a p e r e , lo voile p r e c e t t o r e dei nipoti Lionello e Alberto, che poi d i v e n t a r o no i p r i m i finanziatori delle sue s t r a o r d i n a r i e i m p r e s e editoriali. Manuzio si p r o p o s e di s t a m p a r e i classici greci in edizioni economiche, alla p o r t a t a di tutti. Ma quella del costo n o n e r a l'unica difficoltà. Bisognava a n c h e r e p e r i r e i testi e collazionarli. Le i n n u m e r e v o l i trascrizioni li avevano contaminati e fatti oggetto di interminabili contestazioni. Poi occorreva - c o m e si d i r e b b e oggi - l a n c i a r e il p r o d o t t o , c r e a r e cioè un m e r c a t o . E fu p e r questo che M a n u z i o si trasferì a Venezia, a r r u o l ò u n o stuolo di filologi e di dotti, e affidò loro la scelta e il c o m m e n t o dei testi. Fece affari d'oro, e q u a n do m o r ì la sua o p e r a fu continuata dai figli. Forse solo nella F i r e n z e dei Medici l'iniziativa del tipografo a v r e b b e riscosso un successo a l t r e t t a n t o strepitoso e immediato. Nel XV secolo era infatti l'unica città che potesse c o m p e t e r e con Venezia nella cultura e nell'arte.
CAPITOLO DICIANNOVESIMO
IL PADRE DELLA PATRIA
N e s s u n o è mai riuscito a spiegare in m a n i e r a convincente i motivi del p r i m a t o di Firenze n o n solo in Italia, ma in tutta E u r o p a , fra il T r e e il C i n q u e c e n t o . Dire che fu d o v u t o alla ricchezza n o n ha senso p e r c h é a n c h e la ricchezza di Firenze aspetta u n a convincente spiegazione. La città n o n godeva di n e s s u n vantaggio n a t u r a l e . Era al c e n t r o di un c o n t a d o p o vero, o m e n o ricco di tanti altri. N o n aveva m a t e r i e p r i m e . N o n aveva u n a posizione geografica privilegiata. N o n aveva n e m m e n o u n g r a n d e f i u m e navigabile p o i c h é T A r n o è i n secca p e r b u o n a p a r t e d e l l ' a n n o . A n c h e la sua vita politica garantiva tutto, fuorché l'ordine e la pace. La Signoria, c o m e si chiamava il G o v e r n o , era t u t t ' a l t r o c h e stabile. Le varie m a g i s t r a t u r e , l u n g i da divid e r s i r a z i o n a l m e n t e il p o t e r e , se lo c o n t e n d e v a n o paralizzandosi a vicenda. C ' e r a un Gonfaloniere di giustizia cui e r a affidata l'esecuzione delle leggi e delle s e n t e n z e giudiziarie; c ' e r a n o otto Priori che f o r m a v a n o u n a specie di Minis t e r o ; c'era un P a r l a m e n t o r a p p r e s e n t a t o d a l Consiglio del Popolo. Sulla carta, u n a simile organizzazione p o t r e b b e s e m b r a r e democratica e funzionale. Ma solo p e r effetto della n o m e n clatura. La p a r o l a popolo, a Firenze, n o n aveva il significato che noi le d i a m o . E r a riservata solo agl'iscritti alle arti, cioè alle corporazioni di mestiere. Q u e s t e e r a n o divise in maggiori e minori. Le maggiori e r a n o sette e c o m p r e n d e v a n o le p r o fessioni p i ù nobili e ricche: i giudici e notai, g l ' i n d u s t r i a l i della lana, della seta e dell'abbigliamento, i mercanti, i banchieri, i medici e speziali eccetera. Le minori e r a n o quattor198
dici e c o m p r e n d e v a n o i mestieri più poveri: i fabbri, i beccai, i falegnami, i vinai, i m u r a t o r i eccetera. Q u e s t e d u e categorie avevano insieme l u n g a m e n t e lottato p e r s t r a p p a r e il p o t e r e alla vecchia aristocrazia terriera, e sulla fine del D u e c e n t o c'erano riuscite. G r a n p a r t e dei turriti m a n i e r i che dall'alto dei colli t e n e v a n o in soggezione la città e ne m i n a c c i a v a n o le c o m u n i c a z i o n i e i r i f o r n i m e n t i e r a n o stati demoliti dai p o p o l a n i fiorentini. Altri e r a n o rimasti orfani p e r c h é il g o v e r n o borghese di Firenze ne aveva obbligato i p r o p r i e t a r i a trasferirsi in città p e r p o t e r l i m e glio c o n t r o l l a r e . Il m u n i c i p i o i n s o m m a aveva vinto la sua secolare battaglia contro il castello, e i ceti u r b a n i con le loro i n d u s t r i e avevano p r e s o il s o p r a v v e n t o su quelli r u r a l i con la loro agricoltura. Ma, u n a volta r a g g i u n t o questo t r a g u a r d o , la solidarietà delle Arti, cioè delle categorie p r o d u t t i v e , si e r a rotta. Solo gl'iscritti nei l o r o elenchi e r a n o cittadini di p i e n o diritto; e questa era già u n a discriminazione abbastanza grave, come risulta dalle liste elettorali: a m e t à del T r e c e n t o , su 90 mila abitanti - se è esatta la cifra che fornisce Villani - solo poco p i ù d i t r e m i l a p o t e v a n o v o t a r e . Ma, a n c h e d e n t r o q u e s t a privilegiata m i n o r a n z a , c ' e r a n o grosse s p e r e q u a z i o n i testim o n i a t e a n c h e dai n o m i : il popolo grasso delle Arti Maggiori e il popolo minuto delle Arti Minori. Il p o p o l o grasso aveva già in m a n o tutto il p o t e r e economico poiché ad esso facevano capo l'industria, la b a n c a e il c o m m e r c i o . Ma d e t e n e v a a n c h e le leve di q u e l l o politico p e r c h é a l m e n o q u a t t r o degli otto Priori e la m e t à del Consiglio d e l P o p o l o d o v e v a n o a p p a r t e n e r e alle Arti M a g g i o r i . Quelle minori, molto più n u m e r o s e , n o n avevano quindi u n a r a p p r e s e n t a n z a a d e g u a t a alla loro vera forza. La Costituzione fiorentina era d u n q u e ben lontana da quel modello di democrazia che alcuni storici h a n n o c r e d u to di ravvisarvi. Si trattava di u n o Stato corporativo in cui le masse n o n si e r a n o affatto i n t e g r a t e . E lo d i m o s t r a n o i torbidi che o g n i poco scoppiavano. Nel 1345 Cinto B a n d i n i e 199
nove altri agitatori furono messi a m o r t e p e r un tentativo di rivolta. Nel 1368 ci furono altre teste mozzate p e r lo stesso motivo. E dieci a n n i d o p o d i v a m p ò il «tumulto dei Ciompi», cioè dei salariati dell'Aite della L a n a che, guidati da Michel e d i L a n d ò , s ' i m p a d r o n i r o n o del p o t e r e . L o t e n n e r o p e r poco p e r c h é lo esercitarono malissimo. Ma il disagio rimase, anzi fu acuito dalla reazione che ne seguì. E p p u r e , n o n o s t a n t e q u e s t e i n q u i e t u d i n i politiche e sociali, il «miracolo economico» di Firenze n o n aveva equivalenti in t u t t ' E u r o p a . Q u e s t a piccola città, da sola, aveva un r e d d i t o s u p e r i o r e a quello di tutta l'Inghilterra ai t e m p i della g r a n d e Elisabetta. Il re E d o a r d o I I I era indebitato con alc u n e delle ottanta g r a n d i b a n c h e fiorentine p e r u n milione e mezzo di fiorini, che c o r r i s p o n d e v a n o - all'ingrosso - a oltre venti miliardi di lire attuali. Sebbene dichiarasse bancarotta c o m e un m e r c a n t e qualsiasi, la finanza fiorentina n o n crollò. Essa si rifece sugli altri mercati grazie alla sua super i o r e o r g a n i z z a z i o n e . Aveva i n v e n t a t o le polizze, cioè gli chéques, le lettere di credito, i buoni del tesoro, e il sistema della d o p p i a contabilità. Ma s o p r a t t u t t o si e r a stabilmente legata con l'industria attraverso le partecipazioni azionarie. L'industria tessile fiorentina aveva s g o m i n a t o qualsiasi c o n c o r r e n z a specie da q u a n d o si era i m p a d r o n i t a dei segreti chimici della t i n t o r i a . Federico Oricellari p r e s e il n o m e a p p u n t o dalla orchella, un lichene da lui scoperto in O r i e n t e che forniva un p r e g i a t o p i g m e n t o violetto, con cui fece miliardi. Coi capitali forniti dalle b a n c h e di cui e r a n o azionisti, i tintori attrezzarono i loro stabilimenti in m o d o che le loro lane subivano fino a t r e n t a processi di lavorazioni successive, o g n u n o sovrinteso da m a e s t r a n z e specializzate. La fase artigianale aveva c e d u t o il passo a quella industriale vera e propria. Il n a s c e n t e capitalismo s'incarnava in u n a n u o v a aristocrazia del d e n a r o . Già al t e m p o di D a n t e essa aveva conteso il p r i m a t o cittadino a quella del blasone: l'una e r a r a p p r e sentata dai b a n c h i e r i Cerchi, l'altra dal «barone» Donati. E 200
la lotta fra i d u e aveva i n s a n g u i n a t o Firenze p e r d e c e n n i . O r a questi protagonisti e r a n o scomparsi, e al loro posto ce n ' e r a n o altri, ma tutti di o r i g i n e b o r g h e s e e m e r c a n t i l e : i Bardi, i Peruzzi, gli Strozzi, i Pitti, i Rucellai, i Ricci, i Ridolfi, i Valori, i C a p p o n i , i Soderini, gli Albizzi. Questi ultimi, p e r un pezzo, t e n n e r o il mestolo in m a n o , ma quasi s e m p r e p e r interposta p e r s o n a e senza farsene accorgere. Erano t r o p p o avveduti per mettersi in mostra e r o v e s c i a r e gl'istituti p o p o l a r i . Si c o n t e n t a v a n o di m a n o vrarli sotto b a n c o in m o d o da n o n stuzzicare la suscettibilità dei fiorentini, attaccatissimi a u n a democrazia che da un pezzo n o n e r a p i ù tale, e anzi n o n lo e r a mai stata. Fra gli ultimi d e c e n n i del T r e c e n t o e i p r i m i del Q u a t t r o c e n t o , gli Albizzi f u r o n o i g r a n d i maestri del s o t t o g o v e r n o . E lo usar o n o p e r t e n e r e al r i p a r o i ricchi dalle riforme giustizialiste dei poveri. Ma Firenze n o n sarebbe stata Firenze se la concordia delle classi capitaliste fosse d u r a t a all'infinito. Nel 1421 esse vid e r o con c o m p i a c i m e n t o la n o m i n a di Giovanni d e ' Medici a Gonfaloniere di Giustizia. Aveva u n a grossa banca, e quindi era dei loro. Ma il c o m p i a c i m e n t o si trasformò in sbigott i m e n t o e poi in furore, q u a n d o Giovanni impose sul capitale u n a tassa del sette p e r cento che si c h i a m ò catasto. Oggi vien da s o r r i d e r n e : il fisco ci ha abituato a b e n altro. Ma allora parve un ladrocinio, un insopportabile sopruso. E Giovanni fu considerato un «traditore della Confindustria». Veniva da u n a famiglia di r e c e n t e potenza. N o n si è mai s a p u t o c o n esattezza né l'origine del n o m e , forse d o v u t o a qualche a n t e n a t o medico, né quella dello stemma: sei palle - poi ridotte a tre - in c a m p o d'oro. All'inizio del D u e c e n t o c'era stato un Medici consigliere c o m u n a l e . Ma il vero fond a t o r e della dinastia e del p a t r i m o n i o e r a stato, ai p r i m i del T r e c e n t o , A v e r a r d o , grazie a u n ' i n d u s t r i a che n o n gii fa molto o n o r e : l'epurazione. Era accaduto al t e m p o di Dante, q u a n d o i N e r i a v e v a n o p r e s o il s o p r a v v e n t o sui Bianchi. Averardo, che si era schierato dalla p a r t e dei vincitori, ave201
va r e d a t t o un elenco aggiornatissimo dei «collaborazionisti» ricchi, e si e r a fatto d a r e in a p p a l t o il saccheggio delle loro case. E vero che la politica in Italia n o n è mai servita ad alt r o . Ma A v e r a r d o ne fu un b r i l l a n t e p i o n i e r e . E dalle s u e i m p r e s e casa Medici p r e s e l'aìre. Sulla p r e d a bellica fu fondata la banca. La banca p r o c u r ò i miliardi. I miliardi fruttar o n o il p o t e r e . E il p o t e r e moltiplicò i miliardi. Q u a n d o G i o v a n n i m o r ì n e l 1428, suo f i g l i o C o s i m o s i trovò ad essere insieme il più forte capitalista della Toscana con un p a t r i m o n i o di quasi 200 mila fiorini, oltre tre miliardi di lire, e il p i ù p o p o l a r e p o r t a b a n d i e r a d e l p r o l e t a r i a t o fiorentino p e r via del catasto applicato da suo p a d r e contro i ricchi. Aveva u n a q u a r a n t i n a d ' a n n i , e li aveva i m p i e g a t i n o n soltanto a investire, ma a n c h e a s p e n d e r e b e n e il p r o prio d e n a r o , e a d o m i n a r e le p r o p r i e impazienze e ambizioni. Anche lui infatti si astenne dal far p e s a r e il p r o p r i o poter e . L o esercitò attraverso u n a delle m a g i s t r a t u r e m e n o a p pariscenti, c o m e semplice m e m b r o del Consiglio dei Dieci, u n a specie di gabinetto militare che funzionava solo in tempo di g u e r r a . Ma di g u e r r a a p p u n t o era t e m p o in quel m o m e n t o , poiché si trattava di r i d u r r e alla r a g i o n e Lucca, ribelle alla leadership fiorentina. Cosimo n o n solo assunse la direzione delle o p e r a z i o n i , ma le finanziò di tasca p r o p r i a quasi si fosse trattato di u n ' i m p r e s a privata. E vinse senza a p p e s a n t i r e di u n a lira il bilancio dello Stato. Così il figlio di colui che aveva inventato la tassa c o n t r o i ricchi diventò a n c h e il creditore della Signoria. E la sua popolarità salì a picco. Il p o p o l o grasso capì che, se n o n lo fermava in t e m p o , il gioco e r a fatto. E la controffensiva partì n a t u r a l m e n t e dalla famiglia cui il successo dei Medici p i ù bruciava la pelle. Rin a l d o degli Albizzi accusò Cosimo di ambizioni dittatoriali, e riuscì a s t r a p p a r e al Gonfaloniere G u a d a g n i un m a n d a t o d ' a r r e s t o c o n t r o di lui. Cosimo n o n tentò né la resistenza né la fuga, che gli sarebbero state u g u a l m e n t e facili. Docilmente si costituì, e lasciò a n c h e c h e un parlamento a d u n a t o in 202
Piazza della Signoria decretasse, sotto la minaccia degli arm i g e r i di R i n a l d o , la sua c o n d a n n a a m o r t e . Si limitò a m a n d a r e sotto banco u n a «bustarella» al G u a d a g n i . E questi si r i m a n g i ò la sentenza, trasformandola in un b a n d o al confino di dieci anni. C o s i m o si trasferì a Venezia, d o v e aveva già d e p o s i t a t o g r a n p a r t e della sua f o r t u n a . E a n c h e lì d o v e t t e investirla molto b e n e , p e r c h é poco d o p o il Doge in p e r s o n a sollecitò a Firenze il richiamo dell'esule. Ma n o n ce n'era bisogno perc h é la n u o v a Signoria l'aveva già deciso p e r suo conto. Cosim o r i e n t r ò i n trionfo, m a m o s t r a n d o s i d o l o r o s a m e n t e stupito della fuga degli Albizzi. Disse c h e n o n si s a r e b b e m a i s o g n a t o di v e n d i c a r s i c o n t r o di l o r o , e p r o b a b i l m e n t e e r a sincero nel senso che n o n lo a v r e b b e mai fatto di p e r s o n a . Lo avrebbe solo lasciato fare dai suoi seguaci, frattanto moltiplicatisi. L'uomo aveva il s a n g u e ghiaccio, ma la m e m o r i a lunga. N e m m e n o stavolta, p u r p o t e n d o l o facilmente, sovvertì le m a g i s t r a t u r e d e m o c r a t i c h e . Anzi, d o p o a v e r n e esercitata qualcuna, si ritirò d i c e n d o che il p o t e r e c o r r o m p e l'anima e il c o r p o . Ma tutte le cariche e r a n o occupate da u o m i n i suoi, le masse e r a n o c o n lui, e b u o n a p a r t e della plutocrazia e r a indebitata con la sua banca. Fu un d i t t a t o r e m o d e r a t o e benevolo. Ma q u a n d o qualc u n o a n d ò da lui a p r o t e s t a r e p e r c h é i suoi amici Priori, avendo scoperto un complotto, ne avevano precipitato da u n a t o r r e il capo, B e r n a r d o d'Anghiari, Cosimo rispose sos p i r a n d o : «Gli Stati n o n si g o v e r n a n o coi paternostri». Tuttavia aveva capito u n a cosa f o n d a m e n t a l e : e cioè che si poteva c o m p i e r e u n a rivoluzione sociale senza s p a r g e r e u n a goccia di s a n g u e , solo servendosi del fisco. Fu, c r e d i a m o , il primo u o m o di Stato c h e abbia a p p l i c a t o in E u r o p a la «scala mobile» e l'imposta progressiva sul r e d d i t o . Q u e s t a fruttò al bilancio, in v e n t ' a n n i , quasi c i n q u e milioni di fiorini, qualcosa c o m e o t t a n t a m i l i a r d i di lire. Molti ricchi, e specialm e n t e quelli terrieri, n o n p o t e n d o o n o n volendo p a g a r e le 203
loro quote, lasciarono la città p e r t o r n a r e nei loro castelli di c a m p a g n a . E r a n o quelli della vecchia aristocrazia c h e form a v a n o la «Società delle Torri» e d a v a n o un t o n o signorile alla vita f i o r e n t i n a . Ma C o s i m o n o n si m o s t r ò d e s o l a t o di q u e s t o e s o d o . « P r o v v e d e r e m o » , disse, «a sostituirli. O g g i , p e r fare un nobile, basta qualche m e t r o di p a n n o rosso». C o m e b a n c h i e r e , n o n sbagliava un affare, e s o p r a t t u t t o n o n sbagliava u n investimento. U n g i o r n o u n suo socio gli r i m p r o v e r ò di aver prestato u n a forte s o m m a al Vescovo di Bologna che n o n offriva n e s s u n a garanzia. Ma di lì a p o c o q u e l vescovo d i v e n t ò p a p a Niccolò V, e d i e d e in a p p a l t o a Cosimo le finanze del Vaticano. Per t e n e r dietro a tutti i suoi i m p e g n i , si alzava all'alba, a n d a v a a letto coi polli, mangiava e beveva con m o d e r a z i o n e e questa regola lo t e n n e giovane e attivo fino ai settantacinqu'anni. A n c h e la sua vita di famiglia e r a o r d i n a t a . Solo u n a volta si concesse qualche libertà con u n a serva e n'ebbe un figlio illegittimo. Per sé, e r a spar a g n i n o . M a p e r c o n t r i b u i r e agli a b b e l l i m e n t i della città, n o n lesinava. Spese di tasca p r o p r i a 400 mila fiorini, p i ù di sei miliardi di lire, p e r finanziare architetti c o m e il B r u n e l leschi, scultori c o m e D o n a t e l l o e il G h i b e r t i , p i t t o r i c o m e Botticelli, Gozzoli, Filippo Lippi e l'Angelico, filosofi e letterati c o m e Pico della M i r a n d o l a , Marsilio Ficino, l'Alberti. Q u a n d o il più g r a n d e bibliofilo del t e m p o , Niccolò d e ' Niccoli, si fu c o m p l e t a m e n t e rovinato p e r acquistare manoscritti greci, Cosimo gli a p r ì un credito illimitato p r e s s o la p r o pria banca, e q u a n d o m o r ì rilevò p e r seimila fiorini gli ottocento testi che il bibliofilo aveva raccolto, p e r regalarli quasi tutti alla libreria di San Marco. E r a l'idolo di t u t t a l'intellighenzia f i o r e n t i n a . Botticelli, P o n t o r m o e Gozzoli ce ne h a n n o lasciato coi loro p e n n e l l i un ritratto p r o b a b i l m e n t e abbellito dall'ammirazione e dall a g r a t i t u d i n e raffigurandolo c o m e u n u o m o d i m e d i a stat u r a , dal volto olivastro e marcato, con d u e occhi fondi e p e n e t r a n t i , e un naso in rilievo e a tutto sbalzo. Ma a n c h e gli storici di p a r t e democratica riconobbero in lui il più illumi204
n a t o dei d i t t a t o r i , e Varchi ne fa a d d i r i t t u r a il p i ù g r a n d e protagonista della rinascita culturale italiana ed e u r o p e a . Fu a n c h e un abile diplomatico. Capì che il destino dell'Italia e r a c o n d i z i o n a t o dall'equilibrio fra le q u a t t r o g r a n d i p o t e n z e che vi si e r a n o formate: Milano, Venezia, Firenze e Napoli. E cercò con o g n i mezzo di rafforzarlo. Q u a n d o Milano e n t r ò in crisi d o p o la m o r t e di Filippo Maria Visconti e Venezia tentò di approfittarne, Cosimo a p r ì i m m e d i a t a m e n te la borsa a Francesco Sforza p e r metterlo in condizione di resistere. Venezia volle v e n d i c a r s e n e facendo lega con Napoli c o n t r o Firenze. Cosimo si sottrasse alla minaccia semp l i c e m e n t e r i c h i a m a n d o tutti i crediti c h e aveva nelle d u e città, dove le più i m p o r t a n t i ditte si t r o v a r o n o di colpo sull'orlo del fallimento. Lo c h i a m a r o n o «Padre della Patria», c e r t a m e n t e alludendo a u n a patria fiorentina. Ma Cosimo lo fu di tutta l'Italia. Forse egli carezzò un sogno di unità nazionale. Ma capì ch'era irrealizzabile, e q u i n d i si c o n t e n t ò d e l l ' u n i c o t r a g u a r d o che un u o m o di Stato italiano, a quei tempi, poteva p r o p o r si: un Direttorio dei «quattro grandi» solidali nel p r o p o s i t o di m a n t e n e r e la Penisola al r i p a r o da intrusioni straniere. Q u e s t a fu la politica d e i Medici sino alla fine del Q u a t trocento. Ad essa l'Italia è debitrice di quei d e c e n n i di relativa p a c e e di meravigliosa p r o s p e r i t à c h e c o n s e n t i r o n o il miracolo del Rinascimento.
CAPITOLO VENTESIMO
LORENZO E GIROLAMO
Q u a n d o Cosimo m o r ì , nel 1464, gli successe il figlio Piero, che da lui aveva ereditato la ricchezza, il p o t e r e ma soprattutto la gotta cui dovette il s o p r a n n o m e di «Gottoso» e u n a fine precoce. Di Cosimo aveva a n c h e la laboriosità, il mecenatismo e l'ordinatezza, ma n o n certo l'intuito e il tatto. Di r i t o r n o dai funerali del p a d r e , richiamò subito i prestiti che q u e s t i aveva a b i l m e n t e fatto alle p o t e n t i casate f i o r e n t i n e p e r legarle al p r o p r i o c a r r o . Minacciati dal fallimento, i d e bitori t e n t a r o n o u n a rivoluzione in n o m e di u n a libertà che, disse poi Machiavelli, faceva soltanto da c o p e r t u r a delle loro cambiali in p r o t e s t o . Ma q u e s t e e r a n o t a n t e che Piero a fatica riuscì a riconquistare il p o t e r e e a m a n t e n e r l o fino alla m o r t e che lo colse nel 1469. Accortosi della cattiva salute di suo figlio e p r e v e d e n d o n e l a b r e v e d u r a t a , C o s i m o aveva p a r t i c o l a r m e n t e c u r a t o l'educazione del nipote L o r e n z o , u n ragazzo che p r o m e t t e va b e n e . Gli aveva dato i migliori istruttori: A r g i r o p u l o p e r il greco, Ficino p e r la filosofia, e se stesso p e r la politica e il c o m m e r c i o . L o r e n z o aveva solo v e n t ' a n n i q u a n d o suo pad r e m o r ì ; e suo fratello Giuliano, sedici. Il p a r t i t o m e d i c e o t e m e t t e di esser rimasto senza un capo responsabile, specie q u a n d o Lorenzo dichiarò che n o n intendeva occuparsi di politica p e r c h é i suoi affari privati n o n gliene lasciavano il t e m p o . U n a d e p u t a z i o n e di cittadini a n d ò a supplicarlo di r i n u n z i a r e a questi p r o p o s i t i di ritiro: e r a n o t u t t e p e r s o n e che d o v e v a n o ai Medici la loro f o r t u n a e i loro posti. D o p o molte esitazioni, L o r e n z o si lasciò convincere. E da c o m e in s e g u i t o si c o m p o r t ò , è c h i a r o c h e n o n c h i e d e v a di m e g l i o 207
ma da b u o n nipote di Cosimo n o n volle mostrarlo. Egli offrì tuttavia a Giuliano di p a r t e c i p a r e al p o t e r e . Ma Giuliano, che aveva p e r lui u n a sottomessa a d o r a z i o n e e preferiva la poesia, la musica, le giostre e le d o n n e , rifiutò. Fisicamente, L o r e n z o n o n aveva nulla d ' a t t r a e n t e . E r a alto e robusto, di colorito olivastro come il n o n n o ; ma il volto aveva qualcosa di volgare p e r via della mascella pesante e delle narici l a r g h e , schiacciate c o m e quelle di un p u g i l e e con u n a distorsione del setto che dava alla sua voce un tono sgradevolmente nasale. Ma tutti i testimoni sono concordi nel riconoscere che bastava p a r l a r e c i n q u e m i n u t i con lui p e r essere i m m e d i a t a m e n t e conquistati dalla sua cortesia e dalla sua s t r a o r d i n a ria capacità d ' a d e r i r e all'interlocutore. Col poeta, era poeta, con l'ambasciatore, u o m o di Stato, con la canaglia, canaglia e mezzo. A v e n t ' a n n i la m a d r e , Lucrezia T o r n a b u o n i , che Cosimo c h i a m a v a «l'unico u o m o della famiglia», lo aveva sposato d'autorità con u n a principessa r o m a n a , Clarice Orsini, scelta soprattutto p e r c h é era di «ricipiente grandezza e bianca». Lucrezia, p r e o c c u p a t a di migliorare il s a n g u e dei Medici tarato dalla gotta ereditaria, a n d ò a scegliersi quella sposa come si va a scegliere u n a giovenca al m e r c a t o : le d o n n e r o m a n e a v e v a n o fama d i essere p i ù g r o s s o l a n o t t e m a a n c h e p i ù «baliose» delle fiorentine. «Giudichiamo la fanciulla assai p i ù del c o m u n a l e - scrisse al m a r i t o d o p o il s o p r a l l u o go - ... L o r e n z o l'ha veduta: intendi da lui se la li piace». A L o r e n z o n o n piacque molto, ma la sposò u g u a l m e n t e ; un po' p e r far contenta la m a d r e , un p o ' p e r c h é a n c h e lui si p r e o c c u p a v a di rinfrescare il s a n g u e della dinastia, un p o ' p e r c h é il m a t r i m o n i o , specie a q u e i t e m p i , n o n implicava nessuna rinuncia. D o p o le nozze c o n t i n u ò ad a m a r e Lucrezia D o n a t i , ma senza t r a s c u r a r e i suoi d o v e r i con Clarice, c o m e d i m o s t r a n o i sei figli ch'essa gli d i e d e : Lucrezia, Piero, Maddalena, Giovanni, Luisa e Giuliano. C o m e i l n o n n o , L o r e n z o p r e f e r ì r e s t a r e ufficialmente 208
un privato cittadino, rifiutando o g n i carica. Ma p e r d a r e ai suoi u o m i n i il m o d o di g o v e r n a r e un po' meglio fece nomin a r e u n a balia che da t e m p o r a n e a si t r a s f o r m ò in o r g a n o p e r m a n e n t e di d i r e z i o n e collegiale: il Consiglio dei Settanta, eletti a vita. I suoi inizi n o n furono tutti fortunati. Q u a n do Volterra pretese delle royalties sulle p r o p r i e m i n i e r e che L o r e n z o aveva nazionalizzato a benefìcio di Firenze, egli le inflisse un s a n g u i n o s o castigo da cui Cosimo si sarebbe cert a m e n t e g u a r d a t o . Ma subito se ne avvide e cercò di r i m e diare. Forse u n altro e r r o r e d i d i p l o m a z i a , c h e p e r p o c o n o n costò a lui il p o t e r e e a Firenze l ' i n d i p e n d e n z a , lo commise c e r c a n d o di a n n e t t e r e Imola alla Signoria fiorentina. L'impulsivo e p r e p o t e n t e Sisto IV, avido di t e r r e da distribuire ai suoi nipoti, reagì togliendo ai Medici la supervisione sulle finanze pontificie p e r darla ai loro p i ù irriducibili avversari: i Pazzi. N o n solo, ma incoraggiò questi ultimi a o r d i r e u n a congiura contro Lorenzo. Il «colpo» fu tentato in Santa Maria del Fiore d u r a n t e la messa del Sabato Santo del 1478. L o r e n z o vi era intervenuto da solo, d i s a r m a t o e senza seguito. Giuliano, c h ' e r a rimasto a casa, fu i n d o t t o dai cospiratori a r a g g i u n g e r l o . Al m o m e n t o dell'elevazione, m e n t r e il p r e t e b e n e d i v a gli astanti c o n l'ostia c o n s a c r a t a , i c o n g i u r a t i , fra i quali c'era a n c h e l'Arcivescovo Salviati, s'avventarono sui d u e fratelli. Giulian o , trafitto dal Bandini, v e n n e finito a p u g n a l a t e da Francesco d e ' Pazzi. L o r e n z o riuscì a proteggersi col braccio e, legg e r m e n t e ferito, venne circondato dagli amici che lo spinsero d e n t r o la sacrestia s b a r r a n d o n e le p o r t e . Il Salviati, Francesco e J a c o p o Pazzi e altri capoccioni si p r e c i p i t a r o n o in piazza della Signoria e t e n t a r o n o di sollevare il p o p o l o al solito g r i d o di «Libertà! Libertà!». Ma il p o p o l o rispose: «Le palle!... Le palle!... », c h ' e r a n o l'emblema dei Medici. Il castigo fu d u r o . U n ' o t t a n t i n a di teste c a d d e r o . L'Arcivescovo che aveva b r a n d i t o il p u g n a l e in chiesa, e p r o p r i o nel m o m e n t o c u l m i n a n t e della messa, fu impiccato insieme 209
c o n Francesco d e ' Pazzi (e un giovane pittore di ventisei anni, L e o n a r d o da Vinci, si mise a r i t r a r l o d a l di sotto della piazza, in t u t t ' i suoi p a r t i c o l a r i , p e n c o l a n t e nel v u o t o ) . Il c o r p o di J a c o p o , capo della casata, fu disseppellito d u e volte, trascinato p e r le strade e gettato in A r n o . L o r e n z o compose gli epitaffi in versi p e r le vittime e o r d i n ò a Botticelli di e t e r n a r l e in un affresco p e r Palazzo Vecchio. S e m b r a c h e p a p a Sisto, p u r a p p r o v a n d o i l c o m p l o t t o , n o n avesse autorizzato l'attentato. Tuttavia l'impiccagione di un Arcivescovo gli fornì il p r e t e s t o p e r s c o m u n i c a r e Lor e n z o c o n tutti i magistrati della città, s o s p e n d e r e i servizi religiosi e b a n d i r e u n a specie di g u e r r a santa c o n t r o Firenze. Re F e r d i n a n d o di Napoli vi aderì e lanciò un u l t i m a t u m alla Signoria: o essa c o n s e g n a v a L o r e n z o al Papa, o il suo esercito avrebbe invaso la Toscana. C o n m e d i c e a abilità, L o r e n z o consigliò ai Priori di piegarsi all'ingiunzione e si offrì c o m e c a p r o espiatorio. Ma la S i g n o r i a rifiutò s d e g n o s a m e n t e , e fu la g u e r r a . L'esercito f i o r e n t i n o fu b a t t u t o a Poggibonsi, occorse a p p e s a n t i r e le tasse p e r r e c l u t a r n e un a l t r o , e L o r e n z o c o m p r e s e che a l u n g o a n d a r e il p o p o l o a v r e b b e mal s o p p o r t a t o di sacrificarsi p e r lui. Allora, con u n a m a g n a n i m i t à condita di astuzia, ma a n c h e di coraggio, p a r t ì in segreto e da solo, a Pisa s'imbarcò su u n a n a v e c h e lo c o n d u s s e a N a p o l i , p e r p r e sentarsi al Re suo nemico. F e r d i n a n d o g o d e v a d i u n a p e s s i m a r e p u t a z i o n e . Poco p r i m a aveva invitato c o m e ospite il c o n d o t t i e r o J a c o p o Piccinino, e poi lo aveva fatto p r o d i t o r i a m e n t e assassinare. Se questo e r a il suo c o n t e g n o verso gli ospiti, c'era da chiedersi c o m e a v r e b b e t r a t t a t o u n n e m i c o con cui e r a i n stato d i g u e r r a d i c h i a r a t a e già mezza vinta. L'esercito n a p o l e t a n o infatti c o n t i n u a v a a m i e t e r e successi, e il P a p a r e c l a m a v a con insistenza la c o n s e g n a di L o r e n z o . Ma questi in p o c h i giorni aveva già a n n o d a t o , un po' grazie al suo fascino personale, un p o ' grazie al suo conto in banca, solide amicizie. S o p r a t t u t t o il p o t e n t e conte Carafa, ministro degli Esteri, si 210
era schierato dalla sua p a r t e . L o r e n z o l'aveva convinto che l'indebolimento di Firenze significava il rafforzamento degli Stati Pontifici c h e pesavano sui confini di quelli napoletani, e che lo stato di g u e r r a metteva tutta l'Italia alla m e r c é dei Turchi ora che costoro, p a d r o n i di Costantinopoli, lanciavano le loro flotte alla conquista del M e d i t e r r a n e o . F e r d i n a n d o , c h e già e r a r i m a s t o i m p r e s s i o n a t o dall'audacia di quel suo avversario e ne aveva subito l'ascendente, finì p e r a r r e n d e r s i a questi a r g o m e n t i . E invece di consegnarlo al Papa, firmò con lui un trattato di pace e di alleanza, e lo r i m a n d ò a godersi il trionfo a Firenze. Sisto fu colto da u n a crisi di furore. Ma anch'egli dovette a r r e n d e r s i agli avvenimenti: un esercito turco era sbarcato a O t r a n t o e minacciava di t r a v o l g e r e la Penisola, se q u e s t a restava divisa dalle g u e r r e intestine. L o r e n z o m a n d ò ambasciatori al Pontefice con un messaggio ispirato a devozione e umiltà. Sisto li accolse malissimo, li colmò di vituperi. Poi, recitata la sua p a r t e , li p e r d o n ò , ricambiò a L o r e n z o il messaggio d'amicizia, e gli chiese di equipaggiare quindici galere p e r la spedizione c o n t r o i Turchi. Da allora, il p o t e r e di L o r e n z o n o n fu più s e r i a m e n t e minacciato da nessuno, fino al Savonarola. Girolamo Savonarola era nato a Ferrara nel 1452 e giovanissimo aveva a b b a n d o n a t o la famiglia p e r il c o n v e n t o . E r a piuttosto b r u t t o e, quel che è peggio, sgraziato, in u n ' e p o c a in cui la grazia r a p p r e s e n t a v a u n a specie di undicesimo com a n d a m e n t o . Aveva la fronte schiacciata e fin da ragazzo agg r o n d a t a , il volto olivastro e rincagnato, il naso grosso e deformato, la bocca larga, le labbra carnose e renitenti al sorriso. In quel volto rozzo, temporalesco e chiuso c o m e un p u gno chiuso, solo gli occhi e r a n o belli: grigioscuri, intensi, o r a fiammeggianti d'ira, o r a d e l i c a t a m e n t e malinconici. Forse quello s g u a r d o chiedeva simpatia, ma Girolamo n o n ne ispirava. La timidezza e l'orgoglio, che v a n n o s e m p r e in coppia, lo r e n d e v a n o malaccorto e refrattario agli a b b a n d o n i . 211
D o p o un p e r i o d o di tirocinio c o m e novizio nel convento di San D o m e n i c o a Bologna, nel 1481 e r a stato trasferito in quello di San Marco a Firenze, u n a delle istituzioni cittadine che più dovevano al m e c e n a t i s m o dei Medici. Cosimo l'aveva fatto r e s t a u r a r e dal Michelozzi, p r o f o n d e n d o v i di tasca sua t r e n t a s e i m i l a fiorini, ne aveva fatto affrescare le m u r a dal Beato Angelico, e lo aveva dotato di u n a ricchissima biblioteca, trasformandolo in un centro d'arte e di cultura. L o r e n z o aveva seguito l'esempio del n o n n o , a g g i u n g e n dovi u n o s t u p e n d o g i a r d i n o d o v e aveva raccolto centinaia di statue a n t i c h e , c h e tutti gli scultori fiorentini p o t e v a n o s t u d i a r e e copiare. Fra coloro c h e v e n n e r o a scoprirvi i segreti dello scalpello c'era già, ai t e m p i di Savonarola, un ragazzetto di n o m e Michelangelo B u o n a r r o t i . Il Priore di San Marco assegnò a Girolamo il compito di lettore, cioè d ' i s t r u t t o r e dei novizi. E r a un c o m p i t o i m p o r tante cui p r o b a b i l m e n t e il Savonarola si e r a qualificato poco t e m p o p r i m a , a un Capitolo d e l l ' O r d i n e d o m e n i c a n o , che si e r a t e n u t o a Reggio Emilia. Egli c'era a n d a t o da Padova, e vi aveva t r o v a t o r a d u n a t i , a d i s c u t e r e di d o g m a , n o n solo dei religiosi ma a n c h e dei laici di g r a n dottrina, fra cui faceva spicco Pico della Mirandola, a p p e n a diciottenne, ma già r i c o n o s c i u t o «Fenice degli ingegni». Fu lì, p r o b a b i l m e n t e , che i d u e si c o n o b b e r o . Finché la discussione rimase su un p i a n o p u r a m e n t e acc a d e m i c o , fra' G i r o l a m o se ne stette m u t o e rinsaccato n e l suo saio, e n e s s u n o si accorse di lui. Ma q u a n d o il dibattito scantonò nei r a p p o r t i fra la Chiesa e il m o n d o , egli balzò in p i e d i c o m e azionato da u n a molla e p r o n u n c i ò u n a feroce requisitoria c o n t r o la mondanizzazione e c o r r u z i o n e del cler o . L'uditorio ne r i m a s e f u l m i n a t o e sconvolto, ma p i ù di o g n i altro lo fu Pico c h e , a l l e n a t o dagli s t u d i umanistici a b e n altra e l o q u e n z a , n o n d o v e v a m a i p i ù s c o r d a r e quella del frate. A r r i v a t o a F i r e n z e sulle ali di q u e l successo, e forse sul suo contraccolpo, e r a fatale che il frate, d o p o un po' di cat212
t e d r a , fosse rimesso a n c h e sul p e r g a m o . Ma quello che gli a s s e g n a r o n o d i m o s t r a in che p o c o c r e d i t o lo t e n e s s e r o come p r e d i c a t o r e . I g r a n d i teatri che facevano i g r a n d i tenori d e l l ' o r a t o r i a sacra f i o r e n t i n a e r a n o il D u o m o , cioè S a n t a M a r i a del F i o r e , e S a n L o r e n z o . Su un g r a d i n o p i ù basso e r a n o Santa Maria Novella e Santa Croce. Savonarola fu relegato nella chiesetta delle m o n a c h e ben e d e t t i n e delle M u r a t e , e in quella di Orsanmichele. E p p u r e , p e r q u a n t o di bocca b u o n a , n e a n c h e quel pubblico di periferia a p p r e z z ò quel p r e d i c a t o r e che teneva i suoi s e r m o n i «all'apostolesca, senza dividerli», c o m e scrisse un cronista, e diceva mi e ti. Col t e m p o e l ' e s p e r i e n z a d o v e t t e tuttavia far q u a l c h e p r o g r e s s o , a n c h e p e r c h é risulta c h e si s o t t o p o s e a i n t e n s i esercizi fonetici p e r m i g l i o r a r e la voce e g u a r i r l a dal rozzo accento f e r r a r e s e : il c h e d i m o s t r a q u a n t o forte fosse il suo i m p e g n o e diciamo p u r e la sua ambizione oratoria. Fra' Gir o l a m o voleva il successo, e il Priore gliene fornì l'occasione offrendogli il pulpito di San L o r e n z o . Ma fu un disastro. Q u i l'uditorio era c o m p o s t o d'intellettuali scettici e smaliziati, che in p o c h e settimane si ridussero a u n a ventina, che forse gli rimasero i n t o r n o solo p e r il gusto, t i p i c a m e n t e toscano, di m e t t e r l o in imbarazzo col loro s g u a r d o ironico e il sorriso beffardo. Fu forse a n c h e in seguito a questi fiaschi che il Priore di San M a r c o , nel 1486, ne o t t e n n e il t r a s f e r i m e n t o in L o m b a r d i a d o v e il frate a b b a n d o n ò lo stile a r c i g n o e didattico c h e t a n t o i m p o p o l a r e l'aveva r e s o a F i r e n z e e a c q u i s t ò quello a p p a s s i o n a t o , i m m e d i a t o , requisitorio e apocalittico, che n e avrebbe fatto u n c a m p i o n e della g r a n d e oratoria r e ligiosa. D o p o q u a t t r o a n n i di «esilio», Girolamo t o r n ò a Firenze. A r i c h i a m a r l o fu il Magnifico, che p r o b a b i l m e n t e n e p p u r e lo conosceva, su richiesta di Pico. Il Priore di San Marco gli affidò n u o v a m e n t e l ' i n s e g n a m e n t o ai novizi. Ma la voce, subito sparsasi in giro, ch'egli e r a t o r n a t o p e r i n t e r e s s a m e n t o 213
p e r s o n a l e di L o r e n z o , e le cose meravigliose che di lui aveva raccontato Pico nei salotti e nei circoli intellettuali, avevano suscitato g r a n curiosità e attirato alle sue lezioni a n c h e molti laici, c o m e il Poliziano e il Ficino. In pochi giorni anzi la ressa fu tale che Savonarola dovette trasferire la sua catted r a in giardino, all'ombra di un boschetto di rose damaschin e , p e r c h é n o n c'era aula capace di tanta scolaresca. Ma n o n e r a n o lezioni, a n c h e se cominciavano c o m e tali. O r a che il pubblico aveva smesso d'intimorirlo, fra' Girolamo ricreava subito quel clima di magia di cui o r m a i e r a insieme artefice e vittima ogni volta che p r e n d e v a la parola. E la lezione si trasformava in u n a predica che suscitava le reazioni più diverse e c o n t r a d d i t t o r i e , ma che c o m u n q u e n o n mancava mai di suscitarne, ed era questo che sempre più infoltiva l ' u d i t o r i o . Molti lo t r o v a v a n o g r o s s o l a n o ed elem e n t a r e , altri r e t o r i c o e m e l o d r a m m a t i c o . Ma tutti e r a n o d o m i n a t i dall'empito, dal calore dalla sincerità di quell'eloq u i o c h e n o n p r e n d e v a a p r e s t i t o d a n i e n t e s e n o n dalla Bibbia, e in cui n o n trapelava nulla di studiato e letterario. Firenze n o n era p i ù abituata da d e c e n n i , forse da secoli, a u n ' o r a t o r i a così rozza, ma a n c h e così g e n u i n a . Essa scandalizzava, seduceva e fomentava discussioni che richiamavano altro p u b b l i c o i n t o r n o a l c o n t r o v e r s o p r e d i c a t o r e . F i n c h é alcuni suoi ascoltatori gli fecero p r e m u r a di risalire sul p e r gamo. La «rentrée» fu salutata da u n a folla strabocchevole che p r e s e l e t t e r a l m e n t e d'assalto la chiesa di San M a r c o . Il Savonarola dovette sentirsene subito rinfrancato: quelle a t m o sfere di t e n s i o n e e r a n o le p i ù c o n g e n i a l i al s u o t e m p e r a m e n t o . Salì sul pulpito con passo sicuro, spalancò le braccia, e attaccò subito quell'uditorio f r o n t a l m e n t e e con v e e m e n za. Aveva scelto il t e m a che meglio si prestava alle sue cord e : l'Apocalisse. Forse n o n fece c h e r i p e t e r e ciò c h e p e r q u a t t r o a n n i era a n d a t o p r o c l a m a n d o dai p e r g a m i lombardi. Ma agl'ignari fiorentini p a r v e u n ' i m p r o v v i s a z i o n e , tale fu l ' i m p e t o con cui quel procelloso frate flagellò la Chiesa 214
p e r la sua c o r r u z i o n e e i suoi vizi, le a n n u n z i ò il castigo e le p r o m i s e la «rinnovazione». A q u a n t o p a r e l'uditorio, avvezzo a essere b l a n d i t o e sed o t t o p i ù c h e a g g r e d i t o e i n t i m o r i t o , d a p p r i m a resistè a q u e l f o r s e n n a t o u r l a n t e e gesticolante. Ma p o i gli s'abband o n ò , c o m e ipnotizzato. E alla fine della p r e d i c a , n o n p o t e n d o l o con gli applausi, manifestò la p r o p r i a c o m m o z i o n e con un m o r m o r i o che valeva più di un'ovazione. Ma ora, p e r il frate, veniva il m o m e n t o più difficile. Il successo aveva fatto di lui u n a ghiotta p r e d a p e r gl'intellettuali fiorentini. A n c h e quelli fra l o r o c h e lo c o n s i d e r a v a n o un grosso istrione, c h e copriva con le sue u r l a e m i n a c c e un vuoto di dottrina, p e n s a r o n o ch'era meglio averlo dalla p r o pria p a r t e , e n o n lesinarono in seduzioni. U n o d o p o l'altro, quasi tutti v e n n e r o a t r o v a r l o in c o n v e n t o , sicuri c h e q u e l soggiogatore di folle fosse u n o sprovveduto interlocutore nel colloquio a tu p e r tu, dove le suggestioni sono più difficili da esercitare. Ma le conversazioni col S a v o n a r o l a li s e d u s s e r o più di q u a n t o n o n li avessero sedotti le p r e d i c h e . C a p i r o n o che q u e l l ' u o m o n o n disprezzava l a c u l t u r a p e r i g n o r a n z a , ma p e r c h é la considerava pervertitrice dei costumi. Ma sop r a t t u t t o c a p i r o n o ch'egli n o n era corrompibile col successo m o n d a n o . Q u e l frate n o n aspirava a diventare, in quel secolo cortigiano, un cortigiano, né un favorito dei salotti e delle accademie. La sua sfiducia nella filosofia n o n e r a che un riflesso della sua sfiducia negli u o m i n i e nella ragione. Fra' Girolamo seguitò a p r e d i c a r e in San Marco p e r circa un a n n o e mezzo, sino alla fine del '90. Poi quella chiesa n o n bastò a c o n t e n e r e t a n t a folla e il suo e n t u s i a s m o . E quasi a furor di p o p o l o , p e r la q u a r e s i m a del ' 9 1 , egli v e n n e issato sul p e r g a m o d e l D u o m o . Alcuni suoi aficionados f u r o n o compiaciuti ma a n c h e p r e o c c u p a t i di quella p r o m o z i o n e : il p e r g a m o del D u o m o era u n a t r i b u n a i m p e g n a t i v a , d a essa si parlava a tutta Firenze, bisognava m i s u r a r e le parole e Gir o l a m o n o n si era mai m o s t r a t o molto esperto nell'arte delle r e t i c e n z e e delle s f u m a t u r e . C e r c a r o n o di m e t t e r l o in 215
g u a r d i a , gli dissero che quel c o n t ì n u o a n n u n c i a r e guai e flagelli, che già gli e r a valso il n o m i g n o l o di « p r e d i c a t o r e d e i disperati», rischiava di farlo passare p e r un m e n a g r a m o bell'e b u o n o ; lo a m m o n i r o n o che i riferimenti alle sue «visioni» p o t e v a n o metterlo nei pasticci con la stessa Chiesa, la quale c o n s i d e r a di frodo t u t t e quelle che n o n sono da essa a u t o rizzate. Ma s o p r a t t u t t o gli r a c c o m a n d a r o n o la p r u d e n z a e di n o n sconfinare dal c a m p o della religione e della m o r a l e in quello della politica. Il frate accettò quei consigli trovandoli del tutto giustificati, e p r o m i s e di seguirli. G r a n d e d o v e t t ' e s s e r e q u i n d i lo sconcerto dei suoi amici c h e lo a t t e n d e v a n o alla p r o v a n e l g r a n d e D u o m o g r e m i t o di gente e vibrante di attesa, q u a n do lo sentirono invece avventarsi in u n a requisitoria p i ù fer o c e d e l solito e p i ù c h i a r a m e n t e del solito rivolta a n c h e c o n t r o il p o t e r e t e m p o r a l e , cioè c o n t r o i Medici: «... O r m a i n o n v'è grazia, n o n v'è d o n o dello Spirito Santo che n o n si v e n d a e n o n si c o m p r i , m e n t r e i poveri sono oppressi dalle tasse, e con c i n q u a n t a di r e n d i t a d e v o n o p a g a r e cento d'imposta... Pensateci b e n e , o ricchi, p e r c h é su di voi r i c a d r à il castigo. Q u e s t a città n o n si c h i a m e r à più Firenze, ma t u r p i t u d i n e , s a n g u e , covo di ladroni... Io n o n volevo più p a r l a r e in t u o n o m e , o S i g n o r e . Ma tu sei stato p i ù forte di m e , la t u a p a r o l a è diventata fuoco che brucia le midolla delle mie ossa nelle quali s'è chiuso... » Più tardi, nel Compendio delle rivelazioni, egli stesso spiegò il p e r c h é di q u e l b r u s c o voltafaccia: «Ricordo che p r i m a di p r e d i c a r e in D u o m o l'anno 1491 q u a n d o già avevo c o m p o sto un s e r m o n e sulle mie visioni, decisi di s o p p r i m e r l e e di n o n farvi mai p i ù ricorso n e m m e n o in futuro. Dio mi è testimone che tutto il giorno di sabato e l'intera notte mi logorai nella ricerca d i u n ' a l t r a i s p i r a z i o n e . M a n o n n e trovai n e s s u n a . Sul far dell'alba, e s a u s t o dalla l u n g a vigilia, udii m e n t r e p r e g a v o u n a voce c h e diceva: Stolto, non vedi che il Signore vuole che tu seguiti per la medesima stradai Per il che feci quel g i o r n o stesso u n a terribile predica». 216
Gli amici r i m a s e r o costernati, ma il successo p o p o l a r e fu i m m e n s o . E r a la p r i m a volta da oltre mezzo secolo che qualc u n o osava alzar la voce in pubblico c o n t r o i governanti. Ma c o s t o r o , c e r t o su s u g g e r i m e n t o di L o r e n z o , o a l m e n o col suo consenso, risposero alla provocazione del frate invitandolo c o r t e s e m e n t e a t e n e r e un s e r m o n e a d d i r i t t u r a in Palazzo Vecchio agli stessi e s p o n e n t i e funzionari della Signoria. La «trovata» era d e g n a del Magnifico, della sua eleganza e accortezza. Infatti, colse un p o ' in c o n t r o p i e d e il Savonarola, c h e c o m i n c i ò il suo discorso c o n q u e s t e i m b a r a z z a t e parole: «Davanti ai Signori n o n mi sento p a d r o n e di me come in chiesa. Mi conviene essere più u r b a n o e misurato come Cristo in casa del Fariseo. Ma vi dirò che il b e n e e il male della Città d i p e n d o n o dai suoi capi, e perciò in essi g r a n de è la responsabilità dei peccati a n c h e piccoli...». E fin qui il discorso e r a d a v v e r o u r b a n o e m i s u r a t o , c o m e G i r o l a m o se l'era r i p r o m e s s o . Ma poi, c o m e trascinato da u n a misteriosa forza, a g g i u n s e : «I t i r a n n i sono incorreggibili p e r c h é s u p e r b i : a m a n o le a d u l a z i o n i e si r i f i u t a n o di r e s t i t u i r e il mal tolto. N o n ascoltano i miseri, n o n c o n d a n n a n o i ricchi, p r e t e n d o n o che i poveri e i contadini lavorino gratis p e r lor o , c o m p r a n o i voti e v e n d o n o le gabelle p e r o p p r i m e r e il popolo...». Q u e l l o c h e riferiamo n o n è il testo dell'allocuzione, ma solo il s u n t o che n'è p e r v e n u t o . Tuttavia esso r i s p o n d e cert a m e n t e alla sostanza dell'apostrofe, che dovette lasciare gli ascoltatori p i u t t o s t o perplessi. S a v o n a r o l a aveva d e t t o fra l'altro: «Voi dovete e l i m i n a r e le discordie, fare giustizia, ripristinare l'onestà». E forse quei professionisti della politica, cresciuti alla scuola medicea del b u o n senso senza illusioni, a v r a n n o s o r r i s o di q u e l l e p a r o l e e c o n s i d e r a t o chi le p r o nunziava u n o sprovveduto visionario. Più scettico di loro, ma a n c h e più l u n g i m i r a n t e , L o r e n z o dovette invece p r e o c c u p a r s e n e p e r c h é incaricò cinque cittadini di g r a n n o m e e prestigio di r i n n o v a r e al frate, c o m e se 217
venisse d a loro, l ' a m m o n i m e n t o che, c o n t i n u a n d o d i quel passo, poteva a n c h e essere b a n d i t o da F i r e n z e . Ma il frate capì subito da chi partiva l'iniziativa, e rispose: «Io n o n me ne c u r o , faccia lui. Ma sappia questo: che io sono forestiero, lui cittadino, e il p r i m o della città. E p p u r e io ho da stare e lui se n ' h a a a n d a r e , io a stare, e n o n lui». Forse, più che dalla minaccia, L o r e n z o fu disturbato dall ' i n u r b a n i t à del frate. Ma col suo abituale tatto, n e m m e n o stavolta volle replicare d i r e t t a m e n t e . Preferì affidarne l'incarico a un altro celebre frate di n o m e Mariano commissionandogli un s e r m o n e polemico c o n t r o il Savonarola. I m p a sto di cortigianeria e d'invidia, M a r i a n o accettò con entusias m o la p r o p o s t a c h e gli p e r m e t t e v a nello stesso t e m p o di compiacere al Signore e di rintuzzare un pericoloso rivale. I n f o r m a t a del r e t r o s c e n a , F i r e n z e accorse in massa alla chiesa di San Gallo p e r assistere al duello. C ' e r a n o tutti, da L o r e n z o stesso a Pico a Poliziano. Fosse un eccesso di zelo a t r a d i r l o , o fossero quella folla e quell'atmosfera di attesa a dargli le vertigini, fatto sta che M a r i a n o p e r s e il senso della misura e delle p r o p o r z i o n i . Si lanciò in u n a requisitoria contro Girolamo, p i ù da t a v e r n a che da chiesa, lardellata di basse accuse, volgari insinuazioni e grossolani vituperi, che disgustarono l'uditorio. L o r e n z o fu il p r i m o a esserne nauseato, ma più ancora p r e o c c u p a t o . Egli c o m p r e s e che quell'insuccesso di M a r i a n o era il più g r a n d e successo del Savonarola che, a n c h e se n o n e r a un gigante, d o p o quel confronto lo sarebbe a tutti sembrato. Passò un mese, si era di luglio, e il posto di Priore di San Marco si rese vacante. N o n esiste n e s s u n a p r o v a che l'Ordine interpellasse L o r e n z o p e r la n o m i n a del titolare. Ma ci s e m b r a p o c o verosimile c h e potesse r e s t a r s o r d o a un suo veto, se il Magnifico l'avesse p r o n u n c i a t o . Noi c r e d i a m o che se n o n fu L o r e n z o a p r o v o c a r e la n o m i n a di G i r o l a m o a Priore, c e r t a m e n t e si a s t e n n e dall'impedirla, c o m e avrebbe p o t u t o . E Savonarola gli d i m o s t r ò la sua g r a t i t u d i n e , rifiutandosi di a n d a r e a r e n d e r g l i la visita di cortesia che tutti i 218
nuovi Priori di San Marco avevano s e m p r e reso ai Medici a r i c o n o s c i m e n t o del loro alto p a t r o n a t o sul c o n v e n t o . A chi gli r i c o r d a v a l'uso e gli faceva n o t a r e c h e la q u e s t i o n e e r a solo d i b u o n a c r e a n z a , r i s p o s e asciutto: «Chi m i h a eletto Priore? Dio o Lorenzo? E Dio mio Signore voglio ringraziar e , n o n L o r e n z o » . M a L o r e n z o , q u a n d o q u e s t e p a r o l e gli v e n n e r o riferite, scosse la testa e c o m m e n t ò con u n a p u n t a di rassegnato r a m m a r i c o : «Vedete? Un frate forestiero è ven u t o ad abitare in casa mia, e n o n s'è d e g n a t o di venirmi a visitare». E il Burlamacchi, g r a n d e apologeta del Savonarola, a riferire questo episodio, c r e d e n d o che faccia o n o r e al frate. E invece fa o n o r e al Signore, e d i m o s t r a q u a n t o il frate avesse torto a qualificarlo t i r a n n o . I sentimenti del Magnifico verso quell'intrattabile person a g g i o r i m a r r a n n o s e m p r e u n g r a n mistero. I l fascino che il p r e d i c a t o r e esercitava dal p e r g a m o sulla folla n o n e r a certo da sottovalutare. Ma il r e g i m e dei Medici in quel m o m e n to e r a solido, e L o r e n z o g o d e v a di u n ' a u t o r i t à e di un p r e stigio che gli a v r e b b e r o consentito di eliminare con tutta facilità qualsiasi oppositore, a n c h e se c o p e r t o dalla tonaca. All ' o c c o r r e n z a , a v r e b b e a v u t o dalla sua a n c h e il P a p a , c h e considerava L o r e n z o «l'ago della bilancia» cioè il p u n t e l l o di quella coalizione fra i g r a n d i Stati italiani che aveva fruttato alla Penisola d e c e n n i di pace e di prosperità. Firenze e r a la città che p i ù ne aveva g o d u t o : ciò che aveva p e r s o in libertà lo aveva g u a d a g n a t o in o r d i n e e a n c h e in giustizia sociale p e r c h é , q u a l u n q u e cosa dicesse il Savonarola, il fisco m e d i ceo era p e r quei t e m p i un modello, e i poveri di Firenze erano i m e n o poveri d'Italia. L'opposizione i n s o m m a aveva p o chi pretesti e si riduceva a u n a fronda ispirata alla nostalgia di u n a libertà che di fatto n o n c'era mai stata o era stata solo quella delle fazioni. E p r o b a b i l e che q u e s t a sicurezza di sé e del suo r e g i m e abbia contribuito alla tolleranza del Magnifico verso il frate t u r b o l e n t o e screanzato. Ma ci doveva essere a n c h e dell'alt r o , p e r c h é egli n o n si limitò a s o p p o r t a r l o . A p i ù r i p r e s e 219
v e n n e da s e m p l i c e p r i v a t o in San M a r c o ad a s c o l t a r e gli apocalittici s e r m o n i del p r e d i c a t o r e . N o n s a p p i a m o se Girolamo lo vedeva e lo riconosceva nella folla in mezzo a cui se ne stava confuso. C o m u n q u e , n o n se ne sentì mai intimidito né frenato, p e r c h é m a i smise di t u o n a r e c o n t r o il g o v e r n o c o r r o t t o , c o n t r o le feste, i giochi, il carnevale (questa e r a la sua bestia n e r a ) , i n s o m m a c o n t r o t u t t o ciò di cui L o r e n z o e r a l'incarnazione. E p p u r e , m a l g r a d o questi continui sgarbi, il Magnifico seguitava a frequentare San Marco, e mai ne usciva senza d e positare qualche offerta nella cassetta delle elemosine. U n a volta i frati ci t r o v a r o n o a d d i r i t t u r a un sacchetto di m o n e t e d ' o r o . Il Priore, c o m p r e n d e n d o i m m e d i a t a m e n t e da chi veniva, m a n d ò il d o n a t i v o ai B u o n i U o m i n i di S a n M a r t i n o p e r i loro «poveri vergognosi», e a m o ' d'indiretto ringraziam e n t o p r o n u n z i ò dal p e r g a m o un apologo: «Il c a n e fedele n o n s m e t t e d ' a b b a i a r e a difesa d e l p a d r o n e , q u a n d o gli si getta un osso». Ma sembrava che queste insolenze incuriosissero L o r e n zo più di q u a n t o lo ferissero. Un g i o r n o v e n n e a passeggiar e nello s p l e n d i d o g i a r d i n o del convento, a p p a r e n t e m e n t e p e r a m m i r a r e le statue ch'egli stesso aveva d o n a t o e che facevano d i quel p a r c o u n m u s e o . I n realtà sperava d'incont r a r e il frate, che mai gli si e r a p r e s e n t a t o . Era convinto che u n a chiacchierata fra loro avrebbe a p p i a n a t o tutto: n e s s u n o aveva mai resistito al calore di simpatia che il Magnifico irr a g g i a v a , al suo t a t t o , al s u o b o n a r i o u m o r i s m o , alla sua contagiosa cordialità. Ma forse c'era in lui a n c h e l'ansia di v e d e r e in faccia l'uomo che sembrava i n c a r n a r e la smentita a t u t t e le s u e convinzioni sugli u o m i n i . N o n n o C o s i m o gli aveva insegnato con la parola e con l'esempio che amicizia e inimicizia n o n e r a n o che un p r o b l e m a di tariffe. Era chiaro che con l'oro il frate n o n si c o m p r a v a . Ma u n a m o n e t a , anche p e r la sua anima, ci doveva essere. Quale? Per o r e e o r e , L o r e n z o trascinò l u n g o i viali la sua gamba gonfia e d o l e n t e , c h e o g n i t a n t o l'obbligava a sedersi. I 220
novizi a d d e t t i al giardinaggio, i n c o n t r a n d o l o e riconoscend o l o , c o r r e v a n o d a l P r i o r e a i n f o r m a r l o e a c h i e d e r g l i se n o n e r a il caso che venisse a dargli il b e n v e n u t o «Ha chiesto di me?» d o m a n d a v a il Priore. «No» «E allora che seguiti a girare.» Il Magnifico s e g u i t ò p e r t u t t a la m a t t i n a t a . Poi s'avviò r a s s e g n a t a m e n t e all'uscita. Aveva capito c h e il frate sapeva della sua presenza e di proposito n o n si mostrava. Ma sapeva a n c h e che il loro incontro sarebbe u g u a l m e n t e avvenuto, e presto. Negli u l t i m i t e m p i la sua salute e r a p e g g i o r a t a ed egli n o n si faceva illusioni p e r c h é il male che lo c o n s u m a v a e r a quello stesso che aveva distrutto suo p a d r e , e ne conosceva il decorso a m e m o r i a . In aprile del '92 si fece p o r t a r e in lettiga nella sua fastosa villa di Careggi dove u o m i n i politici e letterati venivano a fargli c o m p a g n i a . Da essi s e p p e che fra' G i r o l a m o l'aveva già d a t o p e r spacciato p r o f e t a n d o la sua m o r t e e n t r o l'anno, insieme con quella di p a p a I n n o c e n z o e del Re di Napoli. Per costoro, data l'età, il pronostico e r a facile. Ma L o r e n z o n o n aveva che q u a r a n t a t r e a n n i . A mezzanotte del 7 aprile, racconta Poliziano, gli a n n u n ziarono il p r e t e che recava il viatico. «Non sia detto che Gesù», rispose L o r e n z o , «venga in questa stanza. Toglietemi di qui, vi p r e g o , che gli vada incontro.» Aveva già il blocco renale e alzarsi e r a p e r lui un grosso repentaglio, oltre che un terribile sforzo. Ma se n o n la pietà, certo l'abituale cortesia gl'imponeva di ricevere il Signore da signore. Si fece portare a braccia nel salotto, si p r o s t e r n ò ai piedi del sacerdote, e ricevette la C o m u n i o n e . Subito d o p o , u n m e d i c o d i g r a n fama, T i c i n o L o g a r i o , volle s p e r i m e n t a r e un suo r i m e d i o : u n a specie di «frullato» di pietre preziose e triturate. L'effetto fu quale o g n u n o p u ò i m m a g i n a r e . Ma il m o r e n t e o r m a i aveva r i p o s t o o g n i speranza, sembrava t u r b a t o da b e n altri affanni. A un tratto, di p u n t o in bianco, chiese di Savonarola, e p r e g ò di m a n d a r l o a chiamare. 221
I suoi biografi r a c c o n t a n o che, q u a n d o ricevette il messaggio, il Priore di San Marco esitò e mosse obbiezioni. Com u n q u e , a n d ò . E su q u e l l ' e s t r e m o colloquio ci sono d u e versioni. II Poliziano, u n i c o t e s t i m o n e della scena, r a c c o n t a c h e L o r e n z o , d o p o aver d e t t o a d d i o e i m p a r t i t o le u l t i m e racc o m a n d a z i o n i al figlio Piero, stava affettuosamente c o n g e d a n d o s i a n c h e da Pico della Mirandola, q u a n d o Savonarola e n t r ò . N o n ci furono convenevoli; la situazione li r e n d e va superflui. Il frate esortò il m o r e n t e a m a n t e n e r s i fermo nella fede; a vivere d'allora in poi senza peccato, se Dio gli c o n c e d e v a di vivere; e ad a c c e t t a r e la m o r t e con s e r e n i t à , se Dio gli c o m m i n a v a la m o r t e . L o r e n z o rispose che la sua fede era salda, la sua r i n u n z i a al peccato irrevocabile, il suo coraggio senza t e n t e n n a m e n t i . Il frate a c c e n n ò allora a ritirarsi, ma Lorenzo lo fermò chiedendogli la benedizione, a b b a s s a n d o la testa e gli occhi in a t t e g g i a m e n t o d e v o t o , e r i s p o n d e n d o «secondo il rito e a m e m o r i a alle p a r o l e e alle p r e g h i e r e » di fra' Girolamo. Uscito costui, ricevette l'estrema u n z i o n e , e attese la fine b a c i a n d o e p a l p a n d o un crocifisso. Era un crocifisso d ' a r g e n t o o r n a t o di p e r l e e di gemme che doveva d a r e , al tatto del Magnifico, u n a gradevole sensazione. Ma gli apologeti di Savonarola n o n si c o n t e n t a r o n o di un «finale» così semplice, e ne descrissero un altro, molto p i ù drammatico. Essi dicono che il frate esigette la p i e n a confessione del m o r e n t e e p e r i m p a r t i r g l i l'assoluzione gli pose t r e c o n d i zioni. A n z i t u t t o un atto di fede nella m i s e r i c o r d i a di Dio, che L o r e n z o subito p r o n u n z i ò . Poi un i m p e g n o a restituire tutto il mal tolto e a farlo restituire dagli eredi; e il Magnifico acconsentì, ma d o p o u n a l u n g a esitazione e c o n visibile sforzo. D o p o d i c h é S a v o n a r o l a si s a r e b b e levato in piedi, e con voce terribile e in t o n o ultimativo gli avrebbe ingiunto: «Terzo: vi bisogna r e n d e r e la libertà al p o p o l o di Firenze». Il m o r i b o n d o fissò q u e l l ' u o m o che lo fissava senza n e s s u n a 222
pietà, e r a c c o g l i e n d o le forze c h e gli r e s t a v a n o gli volse le spalle. E il frate si rifiutò di benedirlo. C r e d i a m o che gli apologeti del Savonarola - n e s s u n o dei quali e r a p r e s e n t e alla scena - a b b i a n o m e n t i t o e ce lo aug u r i a m o p e r lui. Q u e l ricatto a un m o r i b o n d o n o n gli far e b b e o n o r e . Ma, p u r t r o p p o , d o b b i a m o riconoscere che gli somiglia.
CAPITOLO VENTUNESIMO
LA C I V I L T À M E D I C E A E I S U O I P R O T A G O N I S T I
Q u a n d o i Medici ne e r a n o diventati i p a d r o n i , Firenze e r a già l'indiscussa capitale della c u l t u r a e u r o p e a . Gli storici si sono affannati e t u t t o r a si affannano a s t u d i a r e i motivi di questo p r i m a t o . Q u a l c u n o lo attribuisce alla geografìa, qualche altro alla storia, qualche altro a n c o r a allo sviluppo i n d u striale, che a sua volta a t t e n d e u n a spiegazione. Lasciamoli alle loro discussioni, che ci s e m b r a n o poco convincenti e restiamo ai fatti. A Firenze era nata la g r a n d e poesia con Dante, la g r a n d e narrativa con Boccaccio, la g r a n d e e r u d i z i o n e con Petrarca, la g r a n d e p i t t u r a con C i m a b u e e Giotto, la g r a n d e architett u r a con Arnolfo. E v i d e n t e m e n t e c'era in questa città qualcosa che la evocava n a t u r a l m e n t e alle arti e alle lettere. Ma n o n c'è dubbio che i Medici se ne accorsero, e s e c o n d a r o n o questa vocazione con un i m p e g n o , un'intelligenza e u n a liberalità che li fanno meritevoli dell'universale a m m i r a z i o n e . «Nel p a t r o n a t o della cultura», dice il D u r a n t , «nessun'altra famiglia al m o n d o ha mai eguagliato i Medici.» E r a stato C o s i m o a i n a u g u r a r e q u e s t a t r a d i z i o n e nelle lettere, nella poesia, nella filosofia e nelle arti. Spese un patrimonio p e r l'incetta di manoscritti originali ad Atene, Costantinopoli e Alessandria. Ma a n c h e un'altra cosa egli fece, c h e in seguito doveva d i m o s t r a r s i decisiva p e r gli o r i e n t a m e n t i d e l p e n s i e r o italiano e e u r o p e o : istituì l'Accademia Platonica. Gl'italiani di filosofia greca n o n sapevano nulla, o quasi. Conoscevano quel p o ' di Aristotele che gli era arrivato n o n d i r e t t a m e n t e , ma attraverso San T o m m a s o e gli altri maestri 224
della Scolastica, i quali della logica aristotelica avevano assorbito q u a n t o gli faceva c o m o d o e scartato q u a n t o l'imbarazzava. La filosofia, in E u r o p a , e r a solo teologia. E la teologia n o n era a p p u n t o che un miscuglio di Bibbia e di logica aristotelica, o meglio un tentativo di m e t t e r e la logica aristotelica al servizio della Bibbia, p e r d i m o s t r a r e che la verità rivelata dai sacri testi n o n contrastava affatto con la r a g i o n e , anzi vi trovava u n a conferma e un avallo. Q u a n t o a Platone, in E u r o p a se ne sapeva ancora di m e n o . E a ogni m o d o nessuno aveva capito in cosa si distinguesse da Aristotele. Nel 1439 p e r ò a v v e n n e un fatto n u o v o . Su richiesta di Cosimo, a Firenze si r i u n ì il g r a n d e Concilio Ecumenico p e r la riconciliazione delle d u e Chiese cristiane: quella cattolicor o m a n a e quella greco-ortodossa che si e r a n o separate quatt r o c e n t ' a n n i p r i m a . L ' I m p e r a t o r e d ' O r i e n t e G i o v a n n i Paleologo v'intervenne di p e r s o n a , p o r t a n d o s i al seguito i suoi p i ù g r a n d i d o t t r i n a r i fra cui lo Scolari, il Bessarione e Gemisto. C o m e abbiamo già riferito nel cap. XV, l'accordo alla meglio r a b b e r c i a t o là p e r là sul p i a n o del d o g m a p r o v o c ò l'insurrezione del clero di Costantinopoli, e il tentativo di riconciliazione sfumò, anzi il suo fallimento aggravò il contrasto. Però l'intellighenzia fiorentina, che si e r a appassionata al dibattito, rimase conquistata dalla dialettica degli ospiti greci, c h e a sostegno delle l o r o tesi citavano a m e m o r i a i d u e g r a n d i Maestri dell'antichità e a r g o m e n t a v a n o con u n a logica di cui in Italia n o n c'era n e m m e n o il sospetto. Fu u n a rivelazione. Gli sconfitti del Concilio d i v e n t a r o n o i trionfatori della cultura: specialmente Gemisto che, accortosi dell'ignoranza degl'italiani, pubblicò un opuscolo divulgativo in latino p e r spiegare la differenza fra Platone e Aristotele. Si trattava di u n a spiegazione piuttosto parziale perché G e m i s t o e r a u n p l a t o n i c o a r r a b b i a t o , t a n t o c h e aveva assunto perfino lo p s e u d o n i m o di Pletone. E infatti i suoi colleghi aristotelici, Scolari e Gaza, lo r i m b e c c a r o n o vivamente. Ne n a c q u e u n a polemica che sconfinò p e r s i n o nella volgarità q u a n d o v'intervenne il Trapezunzio, detto anche 225
Giorgio da Trebisonda, che se la rifece n o n con Pletone, ma a d d i r i t t u r a con Platone, accusandolo perfino di omosessualità e ladrocinio. Il che costrinse Bessarione a u n a replica in difesa del g r a n d e Maestro. Ma la cosa più s t r a o r d i n a r i a (e a n c h e un p o ' comica) fu la passione con cui gl'intellettuali italiani, che n ' e r a n o quasi c o m p l e t a m e n t e a d i g i u n o , si g e t t a r o n o in quella d i a t r i b a . Parlare di Platone e di Aristotele «faceva fino», ma i fiorentini furono in m a g g i o r a n z a p e r quello che a loro riusciva più n u o v o , cioè p e r Platone, che c o m i n c i a r o n o a v e n e r a r e prima a n c o r a di averlo letto. Stupito e commosso da tanto zelo, Gemisto p e n s ò di a p profittarne. A n d ò da Cosimo e gli p r o p o s e di r e s t a u r a r e lì a Firenze la famosa «Accademia Platonica», che t a n t o prestigio aveva g o d u t o in Grecia. Cosimo ne vide subito la convenienza, e designò a n c h e l'alto sacerdote del n u o v o culto: un g i o v a n o t t o di n o m e Marsilio Ficino, figlio del suo m e d i c o personale, che mostrava un'autentica vocazione a quelle discipline. Q u e s t o curioso p e r s o n a g g i o incarnava il perfetto «umanista» d e l Q u a t t r o c e n t o . E r a così bello c h e t u t t e le d o n n e p e r d e v a n o la testa p e r lui. Ma egli n o n ne ricambiò nessuna, p e r c h é nessuna trovò più attraente dei suoi libri. Era così i n n a m o r a t o del suo Maestro che si rivolgeva ai suoi discepoli c h i a m a n d o l i «fratelli in Platone» invece che «fratelli in Cristo». Q u e s t o n o n gl'impedì, a q u a r a n t ' a n n i , di farsi p r e t e è di d i v e n t a r e c a n o n i c o . Ma a n c h e d o p o aver p r e s o i voti, seguitò ad a c c e n d e r e c a n d e l e sotto il busto di Platone, che teneva a pie' del letto al posto del Crocefisso. Passò p e r un filosofo eccelso senza esserlo p e r m a n c a n z a d'idee originali. Il suo stile era farraginoso, e il suo a c u m e critico scarso. Ma fu un g r a n d e e r u d i t o e c o m p i l a t o r e che p e r p r i m o affondò le m a n i e d i e d e u n a veste latina a tutta l'opera di esegesi che gli alessandrini avevano c o m p i u t o del p e n s i e r o greco, i l l u m i n a n d o i p u n t i di contrasto fra le d u e g r a n d i scuole. Gli aristotelici sostenevano che la n a t u r a o p e 226
ra senza r e n d e r s i ragione di ciò che fa, m e n t r e i platonici le a t t r i b u i v a n o u n o spirito e u n a consapevolezza. Si t r a t t a v a d u n q u e di decidere se il m o n d o e r a regolato dalla ragione o dal caso, ed e r a abbastanza chiaro che solo la p r i m a ipotesi - quella s o s t e n u t a da P l a t o n e - e r a conciliabile con la tesi cristiana di un Creato inteso come manifestazione dello spirito, divino e universale, del C r e a t o r e . Aristotele invece n o n vi riconosceva che il cieco effetto delle leggi che g o v e r n a n o la materia. E p p u r e Ficino n o n vide la gravità di questo dissenso su cui si e r a i m p e r n i a t a la polemica fra i d o t t r i n a r i greci venuti a Firenze. Facendo di o g n i e r b a un fascio e p r e n d e n d o a prestito a n c h e da Confucio e Zoroastro, egli cercava di conciliare l'inconciliabile, p a g a n e s i m o e c r i s t i a n e s i m o , in un'arruffata Theologia Platonica che testimonia solo la g r a n de confusione in cui versavano i cervelli occidentali a q u e l loro p r i m o schiudersi al p e n s i e r o filosofico. Un dissennato entusiasmo p e r tutto ciò che avevano detto e scritto gli antichi lo spingeva a cercare di giustificarli tutti, a n c h e q u a n do si c o n t r a d d i c e v a n o fra l o r o . Qualsiasi banalità, p u r c h é s o s t e n u t a da u n o di essi, gli s e m b r a v a u n a r i v e l a z i o n e . E q u a l u n q u e rivelazione, c o m p r e s a quella di Cristo, p e r essere valida e persuasiva, doveva trovar conforto in q u a l c u n o dei loro testi. L'Accademia Platonica diventò con lui la g r a n d e palestra di questa n u o v a ginnastica. E i lettori d'oggi n o n riusciranno m a i a i m m a g i n a r e di c h e febbre c o n t a g i ò tutta l'intellighenzia e u r o p e a che vi a c c o r r e v a da o g n i p a r t e d'Italia, di Francia, di G e r m a n i a , d ' I n g h i l t e r r a . C ' e r a n o tutti: da Pico della Mirandola al Poliziano al giovane Michelangelo. Si riunivano nella stessa sontuosa d i m o r a dei Medici, quella che o r a si c h i a m a Palazzo Riccairli. O g n u n o p r e n d e v a le p a r t i di questo o di quel personaggio dei Dialoghi di Platone, e ne sosteneva le tesi con un i m p e g n o che spesso scantonava nell'aggressività e provocava baruffe. Il difficile era far q u a d r a re quelle teorie con gl'insegnamenti cristiani, q u a n d o di es227
si ci si ricordava: il che n o n s e m p r e avveniva, m a l g r a d o la p r e s e n z a di molti prelati. In tal caso si r i c o r r e v a a q u a l c h e sofisma o a sottili e contorte allegorie. O g n i poco si rivolgeva u n a a p o s t r o f e o si scioglieva un i n n o al b u s t o d e l l ' I m m o r t a l e che sovrastava, i n g h i r l a n d a t o d i alloro, d a u n alto piedistallo. Il 27 n o v e m b r e , g i o r n o in cui si riteneva che Plat o n e fosse n a t o e fosse m o r t o , era celebrato c o m e u n a festa religiosa. E q u a l c u n o degli accademici avanzò a n c h e il p r o getto di c h i e d e r e al Papa la canonizzazione del Maestro. L o r e n z o , che del Ficino e r a stato allievo, figurava fra i p i ù assidui p a r t e c i p a n t i a questi dibattiti e riti, che facevano di F i r e n z e l ' e p i c e n t r o del p e n s i e r o o c c i d e n t a l e . Ne aveva il t e m p o p e r c h é o r m a i aveva sistemato nella m a n i e r a p i ù accorta i suoi affari politici. D o p o la d u r a p r o v a della g u e r r a con Napoli, egli e r a riuscito a c o n v i n c e r n e il Re F e r d i n a n d o , Galeazzo Sforza di Milano e p a p a I n n o c e n z o a f o r m a r e con lui u n a Lega p e r il m a n t e n i m e n t o della pace, cui aderir o n o p e r forza di gravità gli staterelli m i n o r i . Solo Venezia rimase in d i s p a r t e , ma t e n u t a in rispetto dalle forze coalizzate degli altri q u a t t r o . Per la politica i n t e r n a , L o r e n z o lasciava fare ai Settanta che si d a v a n o il cambio nelle cariche, e si limitava a u n a generica supervisione. Il suo vero i m p e g n o e r a n o le arti, le lettere e la vita sociale di Firenze, cui dettava il costume. E fu questo a valergli il titolo con cui la Storia doveva adottarlo. Di Magnifico, a quei t e m p i , si dava a o g n i Signore. Ma L o r e n z o lo fu p e r eccellenza e antonomasia. O l t r e che p e r la c u l t u r a , la città impazziva p e r i cortei e l e m a s c h e r a t e , c h e facevano d e l suo c a r n e v a l e u n avvenim e n t o n a z i o n a l e . L o r e n z o s e c o n d ò questi gai p a s s a t e m p i , ma ne perfezionò il gusto e lo stile. Assoldò i più g r a n d i artisti del t e m p o p e r d i p i n g e r e i carri su cui i giovani sfilavano da Ponte Vecchio a Piazza del D u o m o in bizzarri ed evocativi c o s t u m i e sovrintese di p e r s o n a alla regia d e i Trionfi c o n cui si c o n c l u d e v a n o queste p a r a t e . Ne c o m p o s e a n c h e le canzoni, i famosi Canti carnascialeschi, che tanto dovevano 228
m a n d a r e in bestia il S a v o n a r o l a , q u a n d o li sentì, c o m e un satanico incentivo alla p e r v e r s i o n e m o r a l e . In realtà il carnascialismo e r a u n a vocazione del p o p o l o e n o n infuriava soltanto a Firenze. L o r e n z o si limitò a elevarne il livello. Egli aveva il genio della g r a n d e festa di massa e ne g o d e va. Nella sua c o m p l e s s a p e r s o n a l i t à c ' e r a p o s t o p e r t u t t o . L'uomo che con Ficino dibatteva i p r o b l e m i filosofici del platonismo e r a lo stesso che discuteva di raccolti col fattore, di t r a v a t u r e con L e o n Battista Alberti e di musica con Squarcialupi. Tuttavia c r e d i a m o che la c o m p o n e n t e più forte del suo ricco c a r a t t e r e fosse quella popolaresca. Lo d i m o s t r a il debole che, fra tutti i suoi amici e protetti, ebbe s e m p r e p e r Luigi Pulci, l'autore del Margarite Maggiore. Pulci e r a u n C e r v a n t e s p l e b e o c h e o d o r a v a d i t a v e r n a . La sua satira n o n si esercitava soltanto sugli eroi delle «canzoni di gesta» b u r l e s c a m e n t e parodiati nel suo famoso poem a . Aveva, da vero fiorentino, un senso vivo del grottesco, lo spirito p o l e m i c o e m o r d a c e , la p a r o l a sboccata, la risata gorgogliante e rabelaisiana, la replica tagliente e colorita, i m o d i rozzi e grossolani. Ma a L o r e n z o piaceva a p p u n t o p e r questi u m o r i . «Gigi» e r a il suo c o m p a g n o di ribotta. «E l'anim e l l a delle v o s t r e palle» scriveva in t o n o di r i m p r o v e r o a L o r e n z o il C a p p e l l a n o di casa, a l l u d e n d o - sia chiaro - alle palle dello s t e m m a m e d i c e o . II fatto è c h e , p u r f a v o r e n d o gli studi del latino e del greco, p u r finanziando l'Accademia Platonica, il Magnifico avvertiva il pericolo che la cultura fosse sopraffatta dall'erudizione e diventasse tutta u n a rimastic a t u r a d e i classici, c o m e in realtà a v v e n n e p e r n o s t r a d a n nazione. Amava il Pulci p e r c h é n o n seguiva questo andazzo, cui egli stesso si sottrasse nelle sue poesie: fra le pochissime d i quel t e m p o che d e n u n z i n o un'ispirazione schiettamente p o p o l a r e e perfino u n o squisito s e n t i m e n t o della n a t u r a , rari a trovarsi in u n a l e t t e r a t u r a c o m e quella nostra, rimasta accademica, professorale, aulica e cortigianesca fin q u a n d o sopraggiunse il giornalismo a stimolarla e ravvivarla. Fu grazie a L o r e n z o che l'italiano m a n t e n n e il r a n g o di 229
lingua colta che D a n t e gli aveva dato e che, se fosse stato p e r i latineggianti umanisti, avrebbe probabilmente p e r d u t o . Anzi, fu p r o p r i o alla Corte di L o r e n z o ch'esso ricevette quei ritocchi che, secondo il Varchi, ne fecero la più dolce, ricca e raffinata di tutte le lingue n o n d'Italia, ma - p e r quei tempi - del m o n d o intero. Il Magnifico n o n ne parlava altra, p u r l e g g e n d o e scrivendo b e n e quelle antiche, né voleva che altre se ne parlasse alla m e n s a , dove p u r e e r a n o ospiti abituali tutt'i g r a n d i eruditi di allora, infatuati di greco e di latino. Fra costoro faceva spicco il Poliziano c h e di L o r e n z o era d u e volte c r e d i t o r e : p e r avergli i n s e g n a t o a p o e t a r e e p e r avergli salvato la vita. Era stato lui infatti che, q u a n d o il Magnifico v e n n e assalito dai Pazzi in C a t t e d r a l e , lo aveva sottratto ai loro p u g n a l i e sospinto in sacrestia s b a r r a n d o n e la p o r t a . E r a u n p e r f e t t o c o r t i g i a n o n e l senso m i g l i o r e della p a r o l a : u o m o di m o n d o colto e raffinato, c o n v e r s a t o r e incantevole, i m p e n i t e n t e parassita cresciuto nella serra di Palazzo Medici, ma s i n c e r a m e n t e affezionato e fedelissimo al suo S i g n o r e fino alla m o r t e . Egli i n c a r n a v a tuttavia la m a linconica a v v e n t u r a spirituale della nouvette vague umanistica. Era passato p e r un ragazzo p r o d i g i o q u a n d o , a poco più di v e n t ' a n n i , aveva c o m p o s t o q u e l l e s t u p e n d e ottave sulla giostra d i Giuliano d e ' Medici c h e s e m b r a v a n o d e s i g n a r l o alla successione del Petrarca del Canzoniere. Poi, a p p u n t o come il suo maestro, soggiacque alla febbre del classicismo che o r m a i aveva contagiato tutti, e il p o e t a d e p e r ì in lui via via che fioriva l'erudito. Si mise a c o m p o r r e in latino p o e m i d e rivati d a m o d e l l i greci, d i v e n t ò u n p e r f e t t o p r o f e s s o r e d i m e t r i c a e filologia, e n o n p r o d u s s e p i ù nulla di o r i g i n a l e . Ma fino all'ultimo restò un c o m p i u t o g e n t i l u o m o e un amico devoto, i m m u n e da bassezze, miserie e invidie. Alla sua p e n n a d o b b i a m o a n c h e il più gradevole e a m m i rativo ritratto di un altro c a m p i o n e della élite medicea: Pico della Mirandola. Poliziano lo descrive bellissimo, slanciato, di lineamenti delicati, di m a n i e r e soavi e illuminato da u n a luce i n t e r i o r e c h e aveva qualcosa di divino. Q u e s t o aristo230
cratico che alla vita di C o r t e aveva preferito quella di biblioteca a B o l o g n a e a Parigi, e r a c o n s i d e r a t o il f e n o m e n o d e l t e m p o . L o c h i a m a v a n o «Fenice d e g l ' i n g e g n i » p e r c h é u n a d i v o r a n t e sete di c u l t u r a lo aveva spinto a s t u d i a r e di tutto in un anelito di universalità. I posteri h a n n o poi a p p u r a t o che di tutto, sì, sapeva, ma poco e male. Anche di molte delle ventisette lingue che si vantava di conoscere, in realtà n o n c o m p r e n d e v a c h e q u a l c h e p a r o l a . Ma le m o l t e l e t t u r e e la ferrea m e m o r i a gli consentivano di lardellare il suo discorso di citazioni che in quella società di eruditi gli valevano la generale ammirazione. Pico aveva scelto Firenze c o m e sua patria di elezione, qui a t t e n d e v a sotto il p a t r o n a t o di L o r e n z o a un t e n t a t i v o di c o n d e n s a r e tutto lo scibile u m a n o , di cui si riteneva (a torto) d e p o s i t a r i o , in n o v e c e n t o p r o p o s i z i o n i . E si e r a d i c h i a r a t o p r o n t o a d i f e n d e r e in un t o r n e o oratorio, c o n t r o c h i u n q u e , quel suo farraginoso «digesto» scientifico-filosofico. Ma ness u n o aveva raccolto la sfida. Questi e r a n o i principali protagonisti della vita culturale fior e n t i n a , cui Palazzo Medici e l'Accademia Platonica d a v a n o il la. In questi d u e epicentri si accendevano e d i v a m p a v a n o , con u n a violenza di cui oggi s t e n t i a m o a r e n d e r c i r a g i o n e , le g r a n d i dispute d o t t r i n a r i e che poi si r i p e r c u o t e v a n o crep i t a n d o n e i salotti, nelle s t r a d e e p e r f i n o nelle b e t t o l e di quella città che, n o n a v e n d o più u n a lotta politica in cui imp e g n a r e le p r o p r i e e s u b e r a n t i e n e r g i e , le smaltiva in o r g e i d e o l o g i c h e . Cos'è l'anima? U n ' i d e a , c o m e dice Platone; o u n a forma, c o m e dice Aristotele? E la d a n n a z i o n e c o m e p u ò essere e t e r n a , e q u i n d i infinita, c o m e corrispettivo di qualcosa di finito c o m e il peccato? Ecco i p r o b l e m i che p r e o c c u p a v a n o i fiorentini di L o r e n zo. M a e r a u n a p r e o c c u p a z i o n e s o l t a n t o i n t e l l e t t u a l e , u n giuoco dialettico, un fatto m o n d a n o , e basta. Vi p a r t e c i p a vano a n c h e le d o n n e , alcune delle quali c o m p o n e v a n o saggi e poesie in latino o a d d i r i t t u r a in g r e c o . T u t t o q u e s t o n o n 231
era limitato alle classi alte. L o r e n z o - e questo fu il suo g r a n de merito di statista - n o n lesinò sforzi e mezzi alla divulgazione. A differenza e c o n t r o i consigli di Poliziano che, da b u o n intellettuale italiano, voleva fare della cultura un m o nopolio di casta, egli a p r ì i m m e d i a t a m e n t e la borsa a Bern a r d o C e n n i n i q u a n d o istituì a Firenze la p r i m a stamperia; e fece r e g a l a r e un palazzo a Cristoforo L a n d i n o c h e si e r a rovinato p e r p u b b l i c a r e l'edizione c o m p l e t a delle o p e r e di Orazio, Virgilio, Plinio e Dante, con relativi c o m m e n t i . Egli aveva a c u o r e la c u l t u r a del p o p o l o e c o m p r e s e q u a n t o le n u o v e tecniche di diffusione avrebbero giovato ad alzarne il livello. Fu infatti sotto di lui che si formò quella tradizione dell'artigianato colto che a n c o r oggi a Firenze d u r a . M e n t r e i g r a n d i pittori, scultori, architetti l a v o r a v a n o nei palazzi e nelle chiese ogni più piccolo laboratorio di orafo o di incisore aveva il suo «maestro» in un Finiguerra, o in un Baldini o in un R a i m o n d i che inventavano nuovi metodi di lavorazione e discutevano con gli allievi quelli degli antichi. Si facevano p a r a g o n i tra le varie scuole e i vari stili, si citava da Vitruvio di cui L o r e n z o aveva fatto pubblicare il De architectura e da L e o n Battista Alberti, il p r i m o critico d'arte italiano. Alberti e r a nato a Genova da u n a famiglia di esuli fiorentini. Era bello, alto e vigoroso. Aveva studiato i classici, citava Platone e Virgilio, possedeva vaste cognizioni di m a t e m a tica, astronomia, musica e geometria, sapeva cavalcare e tir a r e d'arco. La sua conversazione scintillante, dotta e spregiudicata, aveva c o n q u i s t a t o i salotti di Firenze d o v e s'era trasferito, chiamato da Cosimo. Le d a m e dell'alta società se lo c o n t e n d e v a n o e facevano a g a r a nel c o l m a r l o di favori. L e o n Battista le ricambiava g a l a n t e m e n t e , ma con gli amici n o n p e r d e v a occasione p e r corbellarle. Amava le d o n n e , ma ai piaceri dell'alcova preferiva quelli dello spirito. Passava le notti chino su Aristotele e Lucrezio, avvolto in u n a pelliccia, al l u m e di u n a candela. Era solito ripetere: «L'uomo sa fare t u t t o , se vuole», e ne fornì la p r o v a . I n v e s t i g ò o g n i r a m o 232
dello scibile e fu scrittore assai prolifico. Compilò un trattato sulla pittura, a cui attinsero Piero della Francesca e Leon a r d o da Vinci, al q u a l e l'Alberti fu p a r a g o n a t o p e r il suo ingegno enciclopedico e proteiforme. Fu a n c h e un discreto pittore, esigente e pignolo. Q u a n d o finiva un q u a d r o , lo m o s t r a v a ai b a m b i n i , e solo se costoro lo giudicavano bello lo esponeva. Ma fu p e r la sua attività di architetto che acquistò fama. Patito dell'antichità classica, c o m p ì l u n g h i e minuziosi sop r a l l u o g h i a R o m a p e r studiare i r u d e r i , m i s u r a r e i m o n u menti, c o p i a r e i fregi e le decorazioni del P a n t h e o n , del Colosseo, del t e a t r o di M a r c e l l o . C o n p r o d i g i o s a r a p i d i t à la sua matita t r a d u c e v a sulla carta l'idea p e r la facciata di u n a cattedrale, p e r gli i n t e r n i di un palazzo. Fu c h i a m a t o a Rimini p e r r i a d a t t a r e la chiesa di San Francesco, che trasformò in un s u p e r b o t e m p i o p a g a n e g g i a n t e . Ma fu soprattutto a Firenze che egli o p e r ò . La facciata in m a r m o di Santa M a r i a Novella p o r t a la sua firma. Su s u o p r o g e t t o fu costruita la cappella gentilizia dei Rucellai nella chiesa di San Pancrazio. Molte città italiane gli c o m m i s s i o n a r o n o edifici religiosi e civili. A M a n t o v a d i s e g n ò la facciata della chiesa di S a n t ' A n d r e a , che abbellì di un g r a n d e arco trionfale d'is p i r a z i o n e r o m a n a . Il Vasari, nelle Vite, lo c e l e b r a c o m e u n o d e i p i ù geniali a r c h i t e t t i d e l t e m p o , i n f e r i o r e solo a l s o m m o Brunelleschi. Filippo Brunelleschi fu p e r il Q u a t t r o c e n t o ciò c h e Michelangelo fu p e r il secolo successivo: l'inventore di u n o stile architettonico n u o v o che r i p u d i ò i tradizionali canoni gotici, c o n s e r v a n d o n e tuttavia alcuni m o d u l i e assimilandoli in u n a concezione m o d e r n a e vitale dello spazio. «Si p u ò dire», scrisse il Vasari, «che Filippo Brunelleschi ci fu d o n a t o dal cielo p e r d a r e u n a n u o v a f o r m a a l l ' a r c h i t e t t u r a , d a centinaia d'anni smarrita.» Era nato a Firenze nel 1377 da u n a facoltosa famiglia. Il p a d r e faceva il notaio e avrebbe voluto che Filippo seguisse le sue o r m e . Ma il r a g a z z o passava g i o r n a t e i n t e r e a dise233
g n a r e e a c o n t e m p l a r e le chiese e i palazzi. Poco più che d e c e n n e fu assunto c o m e g a r z o n e nella b o t t e g a di un orefice che gl'insegnò la difficile arte del cesello. In quegli a n n i con o b b e Donatello e i m p a r ò a n c h e a scolpire. Ma ciò che più l'appassionava era l'architettura. I n s i e m e con Donatello visitò r i p e t u t a m e n t e R o m a e frugò nelle sue reliquie con la pazienza di un certosino e l ' a r d o r e di un archeologo. I R o m a n i , v e d e n d o i d u e artisti girovagare p e r i fori con l'aria intenta e assorta li scambiavano p e r g e o m a n t i e li c h i a m a v a n o «quelli del tesoro». Brunelleschi fu colpito dalla mole del P a n t h e o n e dalla maestosa cupola, che gli servì da modello q u a n d o fu chiamato a innalzare quella di Santa Maria del Fiore. La c o p e r t u r a del D u o m o di Firenze era diventata un autentico r o m p i c a p o p e r gli architetti e gli ingegneri fiorentini incaricati di p r o g e t t a r l a . I c o m m i t t e n t i la volevano alta, slanciata, g r a n d i o s a : doveva sovrastare tutti gli altri edifici cittadini e stagliarsi all'orizzonte a d o c u m e n t a r e l'afflato religioso e l'empito spirituale della città. La base doveva poggiare sul t a m b u r o ottagonale del t e m p i o , largo quarantasei m e t r i ma privo di contrafforti all'esterno e di travi all'intern o . Ma la debolezza delle s t r u t t u r e sconsigliava l'erezione di un'alta cupola, la cui fragilità avrebbe messo in pericolo l'incolumità della chiesa e quella dei fedeli. Brunelleschi diseg n ò u n a c o p e r t u r a dalle linee ricurve a sesto acuto e la m o strò agli architetti fiorentini, i quali obiettarono che n o n sar e b b e stata in piedi. Filippo si fece allora p o r t a r e un u o v o , ne appiattì u n a delle estremità e lo p i a n t ò sul tavolo, intorno al quale e r a n o seduti i colleghi. Q u a l c u n o eccepì che u n a cupola n o n e r a u n uovo, m a l a m a g g i o r p a r t e d i e d e r a g i o n e al Brunelleschi. Per realizzarla l'artista i m p i e g ò q u a t t o r d i c i a n n i , d a l 1420 al 1434. La costruzione si rivelò più difficile del previsto, a causa a n c h e dell'alto costo dei materiali e delle gelosie dei rivali. Q u a n d o la cupola, che si ergeva q u a r a n t a q u a t t r o metri sopra i m u r i di sostegno, fu finita, tutti i fiorentini cor234
sero ad a m m i r a r l a , e anche molti forestieri v e n n e r o in città p e r vederla. Ad essa s'ispirerà Michelangelo p e r la c o p e r t u ra di San Pietro «più grande», com'egli scrisse, «ma n o n più bella di quella del Duomo». La c u p o l a di S a n t a Maria del Fiore fu il c a p o l a v o r o del Brunelleschi, c h e tuttavia legò il p r o p r i o n o m e a n c h e a inn u m e r e v o l i altre i m p r e s e architettoniche. I Pazzi, gli irriducibili a n t a g o n i s t i dei Medici, gli affidarono la c o s t r u z i o n e della cappella di famiglia nel chiostro di Santa Croce. Filipp o i m m a g i n ò u n p o r t i c o , slanciato a l c e n t r o d a u n a r c o , scandito all'esterno da colonne, articolato all'interno da lesene e s o r m o n t a t o da u n a specie di tettoia con u n a cupoletta sovrastante. Nello stesso stile classico disegnò la chiesa di Santo Spirito a croce latina e a tre navate. Fu questa l'ultima fatica d e l B r u n e l l e s c h i c h e m o r ì p r i m a c h e l'edificio fosse c o m p i u t o . La sua salma fu esposta sotto la cupola del D u o mo e Firenze gli t r i b u t ò esequie solenni, alle quali partecip a r o n o tutti gli artisti fiorentini, tra cui Donatello. Donatello e r a il diminutivo di D o n a t o di Niccolò di Betto Bardi. Era nato a n c h e lui a Firenze, cinque a n n i d o p o Filipp o . Poco s a p p i a m o della sua famiglia e della sua infanzia. Lo troviamo giovinetto nella bottega del Ghiberti, il decoratore delle p o r t e del Battistero, ma il suo tirocinio d u r ò poco p e r c h é , a p p r e s i i p r i m i r u d i m e n t i della scultura, a b b a n d o nò il maestro e si mise a lavorare in p r o p r i o . A v e n t i d u e anni, il suo scalpello era conteso dalle fabbriche e dai mecenati fiorentini. I capi delle c o r p o r a z i o n i m a g g i o r i lo invitarono a d e c o r a r e la chiesa di O r s a n m i c h e l e , l'inestimabile reliquiario della scultura fiorentina del Q u a t t r o c e n t o . L'artista vi eseguì d u e p o d e r o s e statue di Apostoli. Q u a n d o Michel a n g e l o vide quella di S a n M a r c o e s c l a m ò : «Sarebbe stato impossibile rifiutare di c r e d e r e al Vangelo p r e d i c a t o da un simile u o m o » . A ventitré a n n i il Capitolo del D u o m o gli o r d i n ò u n a statua di David, che d i v e n t e r à un t e m a r i c o r r e n t e e il soggetto p r e d i l e t t o di Donatello. Ne eseguì p a r e c c h i altri, e in u n o , 235
quello conservato al m u s e o del Bargello, r a g g i u n s e un grado ineguagliato di perfezione. Il vincitore del gigante Golia cinge c o n la d e s t r a u n a l u n g a s p a d a e ha ai piedi un e l m o greco. Il braccio è p u n t a t o ad a n g o l o sul fianco e il ginocchio sinistro, l e g g e r m e n t e piegato, fa g r a v a r e su quello destro tutto il peso del corpo, n u d o , liscio, flessuoso, modellato dal chiaroscuro, e in cui si sente l'influenza della statuaria greca di Fidia e Prassitele. Scolpì p e r il Battistero e p e r il C a m p a n i l e di Giotto, visitò Roma, Siena e Venezia, e nel 1444 si trasferì a Padova d o ve attese al p r i m o m o n u m e n t o e q u e s t r e del Rinascimento. E r a s m o G a t t a m e l a t a s'ispira al M a r c ' A u r e l i o a cavallo in Campidoglio, ma è più mosso e d r a m m a t i c o . Il c o n d o t t i e r o v e n e t o è r i t r a t t o in t u t t a la sua p o s s a n z a , i l i n e a m e n t i d e l volto s o n o marcati e vigorosi, l'espressione virile, il braccio è atteggiato a un gesto di c o m a n d o . Il m o n u m e n t o , che si e r g e in piazza del Santo, fu c o m p i u t o in sei a n n i e costò ai committenti 1650 ducati d ' o r o . Donatello t o r n ò a Firenze d o p o dodici a n n i chiamato da Cosimo, che lo alluvione di ordinazioni p e r le chiese di San L o r e n z o e di Santa C r o c e . Artista e m e c e n a t e d i v e n t a r o n o amici i n s e p a r a b i l i e t r a s c o r s e r o i n s i e m e i n t e r e g i o r n a t e a discutere di scultura, di poesia, di filosofia. Cosimo passava allo scultore un lauto stipendio che Donatello depositava in un cesto a p p e s o al soffitto della bottega, a cui tutti p o t e v a n o l i b e r a m e n t e a t t i n g e r e . Sotto la p r o t e z i o n e di casa Medici visse felice fino a o t t a n t ' a n n i , e q u a n d o m o r ì fu t u m u l a t o con molti o n o r i nella cripta di San L o r e n z o . Fu il p i ù g r a n d e plastico d e l Q u a t t r o c e n t o . A p r ì n u o v i orizzonti alla scultura, specialmente a quella del ritratto, riscoprì il n u d o che l'arte medievale, d'ispirazione religiosa e d'intonazione edificante, aveva r i p u d i a t o , e fu il capostipite di quell'indirizzo realistico che in pittura ebbe nel Masaccio il suo più c o m p i u t o i n t e r p r e t e . Masaccio si chiamava in realtà T o m m a s o Guidi ed era nato a San Giovanni Valdarno nel 1401. Gli avevano storpiato 236
il n o m e p e r la sua sciatteria e sbadataggine. Cominciò a dip i n g e r e in t e n e r a età, fu allievo di Masolino da Panicale che gl'insegnò le regole della p r o s p e t t i v a , in cui eccelse, e freq u e n t ò a n c h e la bottega del Ghiberti, dove studiò anatomia. Di lui possediamo p o c h e o p e r e , poiché m o r ì a soli ventisette a n n i . Il suo capolavoro è il ciclo d'affreschi ispirati alla vita di San Pietro che decora la Cappella Brancacci in Santa Maria del C a r m i n e . Nel «Tributo a Cesare» s o n o s t u p e n d a m e n t e c o m p e n d i a t e l e q u a l i t à p i t t o r i c h e del Masaccio: l a nobiltà del d i s e g n o , la maestosità delle figure, l'unità della composizione, la misura prospettica e l'intensità psicologica. Il Vasari definì m o d e r n o lo stile di q u e s t o artista geniale e solitario, che spianò la via a tutta la p i t t u r a toscana successiva. La C a p p e l l a Brancacci d i v e n t ò m e t a e scuola dei m a g giori pittori del t e m p o : dal Beato Angelico al Lippi e al Botticelli. G u i d o di Pietro da Vicchio di Mugello, ribattezzato Beato Angelico p e r la sua p i e t à e m a n s u e t u d i n e , e n t r ò a v e n t'anni nell'ordine d o m e n i c a n o . D o p o un p e r i o d o di noviziato in v a r i c o n v e n t i della Toscana, fu a s s e g n a t o a quello di San Marco, dove trascorse g r a n p a r t e della vita a p r e g a r e e a d i p i n g e r e . Affrescò il refettorio, i chiostri, il d o r m i t o r i o , le celle del c o n v e n t o con scene t r a t t e dai Vangeli e dalle Vite dei Santi. P r i m a di i m p u g n a r e il p e n n e l l o , faceva la c o m u n i o n e e recitava le orazioni, e n o n accettava commissioni senza l'autorizzazione del Priore. I suoi dipinti sono intrisi di un idealismo soave e mistico, le figure, specialmente quelle femminili, s p r i g i o n a n o dolcezza e umiltà, le carni sono b i a n c h e e m o r b i d e , i profili delicati, le m a n i l u n g h e e affusolate, gli occhi l a n g u i d i , i gesti c o m p o s t i e devoti, le vesti o r l a t e da u n a fettuccia d o r a t a e doviziosamente ricamate. Niccolò V lo c h i a m ò a R o m a p e r affidargli la decorazione della sua cappella privata, ma la vita di curia, fastosa, festosa e depravata, n o n era fatta p e r il mite e furtivo m o n a c o che, d o p o un a n n o , t o r n ò a Firenze. Morì nel 1455 a sessan237
t o t t ' a n n i , e l ' u m a n i s t a Valla coniò p e r lui q u e s t o epitaffio: «Non sia mia lode p e r c h é fui un secondo Apelle, ma p e r c h é diedi i miei g u a d a g n i ai tuoi fedeli, o Cristo». Lo stile mistico ed edificante dell'Angelico acquista un s a p o r e s o m m e s s a m e n t e m o n d a n o i n Filippo Lippi. E r a f i glio di un macellaio fiorentino, ma a d u e a n n i rimase orfano e fu allevato da u n a zia che a otto lo chiuse in c o n v e n t o dove, sotto la guida dei suoi superiori, studiò disegno e pittura. Le sue p r i m e o p e r e sono a n d a t e p e r d u t e , ma il Vasari dice c h e e g u a g l i a v a n o p e r bellezza e perfezione quelle del Masaccio della C a p p e l l a Brancacci. A ventisei a n n i lasciò il c o n v e n t o , ma c o n s e r v ò la tonaca, che tuttavia n o n bastò a salvarlo dalle t e n t a z i o n i . E r a u n g a g l i a r d o p e c c a t o r e semp r e p r o n t o a d a b b a n d o n a r e colori e p e n n e l l o p e r c o r r e r dietro a u n a sottana. Un giorno Cosimo d e ' Medici gli commissionò un dipinto, ma v e d e n d o che l'artista, distratto dalle d o n n e , n o n si decideva a porvi m a n o , lo chiuse a chiave nello studio. La n o t t e successiva il Lippi, in p r e d a a un accesso erotico, fuggì calandosi con le lenzuola dalla finestra p e r r i p a r a r e i n u n bordello. I suoi principali c o m m i t t e n t i e r a n o i conventi, e prediligeva quelli femminili. Nel m o n a s t e r o di Santa Margherita a P r a t o c o n o b b e u n a suora, Lucrezia Buti, la sedusse e la rapì. Lucrezia diventò la sua modella, e le sue fattezze sono rip r o d o t t e in molte delle s t u p e n d e M a d o n n e del Lippi, fra le più soavi e delicate del Rinascimento. Nel 1461 Pio I I , su richiesta di C o s i m o , sciolse il m o n a c o dai voti. F i l i p p o , c h e n o n aveva p e r d u t o la foga giovanile, r i p u d i ò Lucrezia, che c o n l'età e r a diventata grassa e p i e n a di acciacchi, e s'invaghì di u n a «lolita». La sedusse, e p e r v e n d e t t a i genitori della fanciulla lo avvelenarono. Lasciò molte o p e r e , disseminate in chiese, conventi, edifici pubblici e privati, e un allievo, che diventò più famoso del maestro. S a n d r o Filipepi e r a n a t o a Firenze da u n a m o d e s t a famiglia. Poiché aveva p o c a voglia di s t u d i a r e , il p a d r e l'aveva messo c o m e a p p r e n d i s t a nella bottega dell'orafo Botticelli. 238
Il piccolo S a n d r o i m p a r ò così b e n e l'arte del cesello che gli affibbiarono il n o m e del p a d r o n e , col q u a l e è p a s s a t o alla storia. Filippino Lippi, che lo conobbe, lo descrive scorbutico e sensuale, dai lineamenti sgraziati e irregolari, elegante e con u n a l u n g a c h i o m a inanellata. A v e n t ' a n n i a p r ì u n o studio di cui i Medici d i v e n t a r o n o i più assidui clienti. Per L o r e n z o e Giuliano, di cui fu amico e c o m p a g n o d i ribotta, d i p i n s e i n n u m e r e v o l i q u a d r i d i soggetto mitologico e d'ispirazione p a g a n e g g i a n t e . Nella «Prim a v e r a » , la sua o p e r a p i ù famosa, celebrò m i r a b i l m e n t e il s o g n o r i n a s c i m e n t a l e della bellezza e della gioia di vivere che L o r e n z o aveva c a n t a t o n e l l ' i n n o a Bacco. Ma la grazia e p i c u r e a di questi dipinti s c o m p a r e nelle o p e r e successive in seguito - p a r e - a un t r a u m a spirituale. I n t o r n o al 1485 l'artista, ascoltando u n a p r e d i c a del Sav o n a r o l a , fu t a l m e n t e colpito d a l l ' o r a t o r i a apocalittica del frate di San Marco che decise di m e t t e r e la sua arte al servizio della religione. Illustrò in 88 disegni la Divina Commedia, e dipinse M a d o n n e , Santi, Apostoli. P u r t r o p p o - c o m e dice Gide - le b u o n e intenzioni n o n bastano a fare le b u o n e o p e re d ' a r t e . Il suo p e n n e l l o diventò agiografico e d e c l a m a t o rio, il vigore e lo smalto di un t e m p o s ' a p p a n n a r o n o e il talento p e r s e ciò che la fede aveva g u a d a g n a t o . La m o r t e del Savonarola a m a r e g g i ò la vecchiaia dell'artista, che a sessantasei a n n i calò nella t o m b a , solo e d i m e n t i c a t o da tutti. Fu l'ultimo g r a n d e pittore del Q u a t t r o c e n t o . C o n lui l'arte fior e n t i n a del XV secolo toccò il suo a p o g e o . Ma è giunto il m o m e n t o di r i p r e n d e r e il nostro giro d'Italia e di far t a p p a in u n a delle città più vive, colte e festose del t e m p o : Ferrara, dove r e g n a v a n o i Signori d'Este.
CAPITOLO VENTIDUESIMO
GLI ESTE A FERRARA
Este e r a u n a piccola c o n t e a d a t a in feudo verso la fine del 900 d a l l ' i m p e r a t o r e O t t o n e I a un c o n t e Azzo di Canossa, a n t e n a t o della famosa Matilde di Toscana. Gli e r e d i s e p p e ro b a r c a m e n a r s i con abilità fra Papato e I m p e r o , che da secoli si c o n t e n d e v a n o u n a teorica sovranità su quelle t e r r e al c e n t r o del t r i a n g o l o Bologna-Milano-Venezia. E infatti fu in n o m e d e l l ' u n o e d e l l ' a l t r o , cioè g i o c a n d o l ' u n o c o n t r o l'altro, che gli Estensi fin dai p r i m i del D u e c e n t o diventar o n o Signori di F e r r a r a , e poi la g o v e r n a r o n o col titolo di Marchesi. F e r r a r a era allora poco più di un borgo. Ma la geografia la favoriva, e gli Estensi s e p p e r o sfruttare con molta accortezza questo privilegio. C o m e tutti i Signori del loro t e m p o , n o n e r a n o afflitti da molti scrupoli e n o n si sentivano vincolati dalle leggi ch'essi stessi p r o m u l g a v a n o . Il r i c o r s o alla c o p p a avvelenata o al p u g n a l e d e l sicario p e r s o p p r i m e r e gli oppositori interni o liberarsi da fastidiosi vicini a n n e t t e n d o s e n e le t e r r e , r i e n t r a v a nelle a b i t u d i n i di famiglia. Ma n o n vi d i v e n t ò mai un vizio o un p a s s a t e m p o . Gli Estensi uccidevano con m o d e r a z i o n e , e quasi s e m p r e p e r ragion di Stato, a n c h e se poi questa n o n era che la r a g i o n e estense. Più che assetati di s a n g u e , e r a n o avidi di soldi. Ma n o n p e r cucirli d e n t r o il materasso. Al c o n t r a r i o , li s p e n d e v a n o g e n e r o s a m e n t e , a n c h e se in o p e r e p i ù di pubblica voluttà che di pubblica utilità. Il p o p o l o , p e r q u a n t o tassato e tartassato, n o n sembrava affatto scontento di quegli sciali, che a l m e n o a p p a g a v a n o l'occhio e lusingavano l'orgoglio m u n i cipale. T a n t ' è vero che q u a n d o il p a p a C l e m e n t e V, ai p r i m i 241
del Trecento, volle cacciare da F e r r a r a quegl'indocili vassalli, la città gli si ribellò, e il suo successore dovette revocare la «purga». Gli Estensi t o r n a r o n o in trionfo i m p e g n a n d o s i solo a p a g a r e un t r i b u t o in d e n a r o alla Chiesa. E la dinastia spiccò il volo verso n u o v i e p i ù luminosi destini r a m p o l l a n do fra l'altro dal suo t r o n c o d u e t r a le famiglie reali di p i ù l u n g a d u r a t a e di più alto prestigio e u r o p e o : i Brunswick e gli H a n n o v e r . Il S i g n o r e c h e meglio i n c a r n ò i c a r a t t e r i della casata fu Niccolò I I I , che g o v e r n ò p e r quasi c i n q u a n t ' a n n i , dal 1393 al 1441, g u e r r e g g i a n d o , s p e n d e n d o e s p o s a n d o con identica generosità. I suoi sudditi dicevano che, sul p i a n o d e m o grafico, le sue g u e r r e e r a n o costate molto m e n o di q u a n t o avessero reso le sue attività galanti. Forse fu grazie a lui che F e r r a r a conquistò il p r i m a t o nazionale dei figli bastardi che ha m a n t e n u t o fino ai nostri giorni. Q u e s t o i m p e n i t e n t e d o n n a i o l o t r o v ò tuttavia, p r o p r i o nell'alcova, il suo castigo q u a n d o , rimasto vedovo p e r la terza volta, i m p a l m ò la bella Parisina Malatesta, di quasi vent'anni più giovane di lui. Essa s ' i n n a m o r ò p e r d u t a m e n t e del figliastro Ugo, suo coetaneo. E Niccolò, da b u o n m a r i t o italiano, reagì all'adulterio con un furore p a r i alla disinvoltura con cui egli stesso lo aveva s e m p r e praticato. N o n soltanto fece d e c a p i t a r e i d u e a m a n t i , m a p r o m u l g ò u n a legge c h e c o n d a n n a v a a m o r t e tutte le spose riconosciute infedeli. Un brivido di t e r r o r e corse la città, che t e m e t t e di r i d u r s i a un a n d r o c e o . In realtà, l ' a s s u r d a legge fu a p p l i c a t a u n a sola volta ai d a n n i della m o g l i e di un g i u d i c e c h e n o n riuscì a convincere della p r o p r i a innocenza il Signore p e r il semplice motivo c h ' e r a la sua a m a n t e . Poi v e n n e revocata con g r a n sollievo dei mariti ferraresi che, c o m e tutti i mariti, preferivano le c o r n a alla vedovanza. A p a r t e questo d r a m m a t i c o e sanguinoso intermezzo coniugale, Niccolò fu un principe m a g n a n i m o , brillante e gaud e n t e . F a c e n d o eccezione alla r e g o l a dei p a d r i , r i d u s s e le tasse invece di a u m e n t a r l e ; e q u e s t a m i s u r a d i e d e l'aìre a 242
u n a fioritura di c o m m e r c i e d'industrie che fecero di Ferrara u n a pericolosa c o n c o r r e n t e di Venezia e di Milano. Niccolò n o n e r a colto: le g u e r r e e le d o n n e n o n gli avevano lasciato il t e m p o p e r diventarlo. Ma aveva il rispetto della cult u r a , o a l m e n o ne avvertiva l'importanza e l'utilità. F e r r a r a aveva già avuto u n ' U n i v e r s i t à , che poi e r a stata chiusa p e r m a n c a n z a di fondi. Niccolò la r i a p r ì , ne ricoprì le c a t t e d r e con maestri di g r a n prestigio in tutte le discipline e ne fece u n o dei più i m p o r t a n t i atenei italiani. Fra le s u e t a n t e f o r t u n e e b b e a n c h e quella di t r e figlioli u n o m e g l i o dell'altro, s e b b e n e illegittimi, o forse a p p u n t o p e r questo. Leonello, che p e r p r i m o gli successe, fu u n a rara combinazione d'intelligenza speculativa e di pratica saggezza, cioè la perfetta i n c a r n a z i o n e d e l l ' u o m o del Rinascim e n t o . C o m e statista e diplomatico, n o n ebbe di m i r a che la pace, e riuscì ad assicurarla n o n soltanto al suo Marchesato. N e l l ' e n d e m i c a lotta c h e i m p e r v e r s a v a in Italia fra le varie Signorie, egli svolse con g r a n d e discrezione u n a funzione di a r b i t r o , u n p o ' c o m e p i ù t a r d i a v r e b b e fatto L o r e n z o d e ' Medici. Ma al prestigio che gliene derivò, c o n t r i b u i r o n o anche l ' a m m i r a z i o n e che p e r lui avevano gli u o m i n i di cultura, cioè gli «umanisti», dei quali e r a considerato l'alto p a t r o n o . U n o dei p i ù celebri fra loro, il Filelfo, dichiarò di essere r i m a s t o s o g g i o g a t o dalla d i s i n v o l t u r a c o n cui il M a r c h e s e maneggiava il latino e il greco. E a q u a n t o p a r e fu Leonello a d e n u n z i a r e p e r p r i m o , c o m e apocrifa, u n a certa raccolta di lettere di Seneca a San Paolo c h e a quei t e m p i tutti riten e v a n o autentica. A g o v e r n a r e gli b a s t a r o n o le leggi, senza bisogno di ricorso né alla c o p p a né al p u g n a l e . Sicché q u a n do nel '50 m o r ì , che aveva a p p e n a q u a r a n t ' a n n i , tutta l'Italia lo pianse c o m e il p i ù illuminato Signore di quel p e r i o d o . Il fratello B o r s o , c h e ne p r e s e il p o s t o , e r a forse m e n o c o m p l e t o di lui, e c e r t a m e n t e m e n o amabile. Di greco e di latino sapeva p o c o , forse p u n t o . I suoi interessi e r a n o solt a n t o politici, e il suo c a r a t t e r e risentito e a u t o r i t a r i o . Però a n c h e lui p e r s e g u ì , con successo, u n a politica di p a c e e se243
guitò a p r o t e g g e r e gli u o m i n i di cultura che Leonello aveva c h i a m a t o a F e r r a r a . E r a abbastanza accorto p e r c a p i r e che c'era bisogno a n c h e di quegli s t r u m e n t i p e r a p p a g a r e l'ambizione, che lo rodeva, di un r a n g o più alto. E, n o n riuscendo a o t t e n e r e dal P a p a la p r o m o z i o n e a D u c a di F e r r a r a , c o m p r ò d a l l ' I m p e r a t o r e quella a Duca di M o d e n a e Reggio, che il p a d r e Niccolò si era annesse. La m a n o v r a fu costosa, l u n g a e complicata. Ma finalmente, nel 1452, a n d ò in p o r t o . E il n u o v o D u c a ne c e l e b r ò il successo con feste p r o p o r z i o n a t e ai sacrifìci che gli e r a costato. Per mesi la città fu t e n u t a in stato di giubilante mobilitazione. T u t t a la nobiltà italiana vi accorse c o n le sue divise sgargianti e i suoi rutilanti seguiti. L'eco di quelle celebrazioni fu tale in t u t t o il m o n d o c h e q u a n d o , di lì a q u a l c h e a n n o , B o r s o fu riconosciuto D u c a a n c h e di F e r r a r a , molti sovrani stranieri gli m a n d a r o n o ambascerie e d o n i intestati al «Re d'Italia». Q u a n d o , nel 1471, Borso calò nella tomba, gli successe il fratello Ercole. Munifico e magnifico, spese s o m m e favolose p e r p e r p e t u a r e la t r a d i z i o n e g a u d e n t e e festaiola degli Estensi. Colto, brillante e raffinato, n o n lesinò sovvenzioni ad artisti e letterati, ai quali a m a v a mescolarsi. Fu p r o d i g o a n c h e col clero, finanziò la costruzione di chiese e conventi e protesse i monaci. Sposò p e r p r o c u r a la figlia del re di Napoli, E l e o n o r a , e ne festeggiò l'arrivo a F e r r a r a con fuochi d'artificio e balli pubblici. Ma q u a n d o il suocero, istigato dal P a p a , d i c h i a r ò g u e r r a a F i r e n z e , c h e aveva c o n d a n n a t o a m o r t e gli a t t e n t a t o r i di L o r e n z o e G i u l i a n o , n o n esitò a schierarsi dalla p a r t e dei Medici. Nel 1482, il Pontefice, alleatosi con Venezia, si vendicò a s s e d i a n d o F e r r a r a . Ercole, immobilizzato a letto da un attacco di gotta, n o n p o t è n e m m e n o a c c o r r e r e a difesa della città, c h e o p p o s e al n e m i c o u n a resistenza disperata e riuscì a salvarsi. Poiché la g u e r r a aveva dissestato le finanze del Ducato, a u m e n t ò le tasse e i n a s p r ì le m u l t e ai b e s t e m m i a t o r i e ai profanatori di luoghi sacri, grazie ai quali o g n i a n n o afflui244
vano nelle casse dello Stato seimila c o r o n e . Aveva b i s o g n o d i d e n a r o a n c h e p e r c h é negli ultimi t e m p i l a p o p o l a z i o n e di F e r r a r a era cresciuta a un r i t m o vertiginoso e la città aveva fame d'alloggi. Il boom demografico minacciava di p a r a lizzarla. Ercole fece tracciare un n u o v o p i a n o regolatore, allargò la cinta m u r a r i a , creò n u o v i q u a r t i e r i , s v e n t r ò quelli vecchi, ampliò le strade e di alcune rettificò il corso. F e r r a r a diventò, in p o c h i a n n i , u n a delle città più m o d e r n e , funzionali e razionali d ' E u r o p a . La n u o v a urbanistica n o n m u t ò le abitudini dei suoi abitanti. Il p o p o l o continuava a darsi c o n v e g n o nella piazza del D u o m o , i nobili nel castello fatto costruire da Niccolò. I suoi dedali s o t t e r r a n e i e r a n o adibiti a galere m e n t r e i piani sup e r i o r i o s p i t a v a n o s o n t u o s i saloni dalle volte d e c o r a t e a stucchi, dalle p a r e t i affrescate e dai p a v i m e n t i f o d e r a t i di soffici tappeti. Q u i si svolgeva la vita di Corte in un vortice di feste, b a n chetti, balli m a s c h e r a t i , concerti. I g e n e r a l i si mescolavano ai n a n i , gli ufficiali di Stato ai buffoni, gli artisti ai cantastorie. Le d a m e , nelle loro stanze, ricevevano i cavalieri e si facevano d e c l a m a r e le chansons de geste. Eleonora teneva salotto e i n t o r n o a lei ruotava la café society di Ferrara. llintellighenzia si raccoglieva nelle aule dell'Università e nello studio del G u a r i n o . Veronese di nascita ma ferrarese d ' a d o z i o n e , f u u n o degli u o m i n i p i ù colti d e l s u o t e m p o . Era n a t o nel 1370, aveva studiato il greco a Costantinopoli, dove aveva passato cinque a n n i , ed e r a t o r n a t o in Italia con alcune casse di manoscritti greci. Si racconta che, a v e n d o n e p e r d u t a u n a d u r a n t e la traversata, p e r il d o l o r e i capelli gli d i v e n t a r o n o bianchi. Prima di trasferirsi a F e r r a r a aveva insegnato a Venezia, a Verona, a Padova, a Bologna e a Firenze. Niccolò gli affidò l'istruzione d e i figli e lo n o m i n ò p r o fessore di retorica e di greco all'Università. Richiamati dalla sua fama vi accorrevano studenti da tutte le p a r t i d'Italia e a n c h e dall'estero. Le sue lezioni e r a n o s e m p r e affollate e p e r assistervi si doveva fare la coda. Ri245
spolverò il teatro classico, tradusse le c o m m e d i e di Plauto e di T e r e n z i o e le fece r a p p r e s e n t a r e , c u r a n d o n e p e r s o n a l m e n t e l'esecuzione. Viveva m o d e s t a m e n t e in u n a casa semplice e d i s a d o r n a e q u e l c h e g u a d a g n a v a l o s p e n d e v a p e r a i u t a r e gli s t u d e n t i p i ù bisognosi coi quali divideva il tetto e la m e n s a . La sua d o v e v a essere m o l t o frugale se - c o m e riferisce un c r o n i sta - n o n p r e v e d e v a c h e un p a s t o al g i o r n o , spesso a base solo di fave. C o m e facesse a m a n t e n e r e a n c h e u n a moglie e tredici figli n o n s a p p i a m o . A b b a n d o n ò la cattedra nel 1460 q u a n d o , n o v a n t e n n e , calò nella tomba. Grazie a lui, F e r r a r a d i v e n t ò u n a delle capitali intellettuali del Rinascimento, centro di richiamo di letterati e artisti: dal Boiardo al T u r a , dal Cossa al d e ' Roberti. Matteo Maria Boiardo, conte di Scandiano, ambasciatore degli Estensi, a p p a r t e n e v a a u n a delle famiglie più p o t e n t i d e l D u c a t o . Possedeva u n a vasta c u l t u r a u m a n i s t i c a e t r a u n a missione e l'altra indirizzava madrigali alle d a m e di corte. Aveva un debole p e r il gentil sesso e le d o n n e spasimavan o p e r lui. Q u a n d o sposò T a d d e a G o n z a g a cessò d i c o m p o r r e madrigali e scrisse un p o e m a epico. MOrlando innamorato, c o m p i u t o nel 1486, n a r r a la storia dell'amore t o r m e n t a t o e contrastato di O r l a n d o p e r Angelica. Sono sessantamila versi infarciti di duelli, t o r n e i , scene di g u e r r a e di m o r t e . La vicenda dei protagonisti s'intreccia con quelle di eroi fantastici e di d o n n e bellissime. M a n o a m a n o che finiva un canto, l'autore lo declamava al cospetto della C o r t e . Il p o e m a infatti va sorbito a piccole dosi. Esso servirà da modello a Ludovico Ariosto, che ne t r a r r à ispirazione p e r il suo Orlando furioso. C o s m é T u r a fu pittore di Corte dal 1458 al 1495. Ritrasse i n t e r e generazioni di Estensi e d e c o r ò lo s p l e n d i d o palazzo Schifanoia, residenza estiva dei d u c h i . Le sue figure austere, c o n t e g n o s e e massicce d e s t a r o n o l ' a m m i r a z i o n e del p a d r e di Raffaello, p i t t o r e alla C o r t e dei M o n t e f e l t r o , c h e a n n o v e r ò il T u r a fra i migliori artisti del t e m p o . Fra i suoi 246
allievi, il più geniale fu Francesco Cossa, di cui conserviamo d u e bellissimi affreschi in u n a delle sale di palazzo Schifanoia: il «Trionfo di Venere» e «Le corse». A questi maestri faceva da c o n t o r n o u n a folla di «minori» - arazzieri, miniaturisti, orefici - che lasciarono l ' i m p r o n t a della loro arte nelle chiese e nei palazzi di u n a città che sembrava costruita a p p o s t a p e r fare da cornice e da palcoscenico a u n a festa che r a g g i u n g e v a l'acme di carnevale, ma che n e m m e n o la quaresima interrompeva, perché perfino le funzioni religiose e i s e r m o n i del p e r g a m o serbavano alcunché di t e r r e s t r e e di teatrale. R i t r o v e r e m o un pizzico di q u e s t ' a t m o s f e r a g a u d e n t e e aristocratica a n c h e se tinta di colori p i ù foschi in u n ' a l t r a città italiana: Napoli.
CAPITOLO VENTITREESIMO
IL REGNO DI NAPOLI
Q u a n d o nel 1343 Roberto d'Angiò calò nella t o m b a la n i p o te G i o v a n n a ne raccolse la successione e p e r q u a r a n t ' a n n i g o v e r n ò , o p e r m e g l i o d i r e s g o v e r n ò , il R e g n o di N a p o l i . Sedicenne, lo zio l'aveva data in sposa ad A n d r e a d ' U n g h e ria, un p r i n c i p e g r o s s o l a n o , volgare e strabico. G i o v a n n a , bellissima e sensuale, lo detestava s e b b e n e si fossero c o n o sciuti da b a m b i n i e avessero giocato insieme a Corte. Si raccontava che la notte si chiudeva in c a m e r a da letto p e r n o n farlo e n t r a r e . Doveva essere un u o m o v e r a m e n t e r i p u g n a n te se la moglie gli negava quei favori che n o n rifiutava a ness u n o . Paggi, scudieri, m a g g i o r d o m i , dignitari, ministri, generali s'avvicendavano nella sua alcova, sotto la quale aveva fatto scavare u n a botola d o v e si diceva c h e precipitasse gli a m a n t i indiscreti, d o p o averli avvelenati. C o m e facesse, con queste abitudini, a t r o v a r n e s e m p r e di nuovi, n o n si sa. Più che di amanti, doveva trattarsi di kamikaze. A n d r e a chiudeva un occhio e se la rifaceva sulle cameriere della moglie che ne p r e s e pretesto p e r farlo strangolare, ma n o n certo p e r gelosia. Il delitto aveva b e n altro m o v e n te: G i o v a n n a e r a incinta e voleva s p o s a r e il suo n u o v o a m a n t e Luigi, principe di T a r a n t o . Il p o p o l o ne fu indignato e chiese la p u n i z i o n e degli assassini, b e n s a p e n d o che la • m a g g i o r e responsabile del delitto e r a lei. G i o v a n n a t e m e n do di p e r d e r e il t r o n o fece a r r e s t a r e la p r o p r i a c a m e r i e r a Filippa la Catanese e il notaio da Melizzano, che essa aveva coinvolto nel complotto, e li c o n d a n n ò a essere squartati vivi. Poco d o p o scodellò un m a s c h i e t t o , c h e il P a p a t e n n e a battesimo. 248
Il Re d ' U n g h e r i a , Luigi, informato dell'uccisione del fratello, marciò su Napoli p e r vendicarlo. E n t r ò in città, di d o ve Giovanna e r a fuggita, alla testa di un n u m e r o s o esercito assetato di v e n d e t t a e di r a p i n a . Dio sa q u a n t o sarebbe d u rato il saccheggio se n o n fosse s o p r a v v e n u t a u n ' e p i d e m i a di peste che costrinse Luigi a u n a precipitosa ritirata. Giovanna riprese allora la via di Napoli dove si p r e s e n t ò al fianco del p r i n c i p e di T a r a n t o , sposato c o n t r o il p a r e r e della C o r t e e senza il consenso del Papa. D o p o p o c h i a n n i anche Luigi m o r ì , stroncato dagli appetiti sessuali della m o glie. Q u e s t a si consolò i m p a l m a n d o il p r i n c i p e di Maiorca, un play-boy bello, a i t a n t e , simpatico e s q u a t t r i n a t o . La sua gagliardia e virilità s e m b r a v a n o a p r o v a di b o m b a . Ma d o p o sette a n n i di Giovanna, a n c h e lui restò vittima del male che aveva p o r t a t o alla t o m b a il suo p r e d e c e s s o r e . L'insaziabile R e g i n a l o r i m p i a z z ò c o n O t t o n e d i B r u n swick che p e r n o n fare la stessa fine c o n t e n n e le sue effusion i a l p u n t o c h e G i o v a n n a , s e b b e n e avesse v a r c a t o d a u n pezzo le soglie della m e n o p a u s a , si sentì autorizzata a p r e n dersi un a m a n t e ufficiale, di cui p o c o d o p o si sbarazzò p e r sostituirlo con u n o più giovane. I napoletani d a v a n o segni di m a l c o n t e n t o . N o n avevano mai a m a t o la loro sovrana, n o n già p e r la sua dissolutezza sulla quale e r a n o a n c h e allora abbastanza corrivi, ma p e r la sua ferocia così antitetica al l o r o b o n a r i o c a r a t t e r e . Sicché q u a n d o nel 1382 Carlo di Durazzo con un colpo di stato la depose e la fece strangolare, esultarono. Nel 1386 anche Carlo calò nella tomba e il t r o n o passò al f i g l i o Ladislao che d o v e v a restarvi assiso p e r b e n v e n t o t t o anni. Gli successe la sorella Giovanna che d a l l ' o m o n i m a zia aveva ereditato l'insaziabile lussuria. D o p o l'incoronazione, sposò Giovanni della Marca che p e r impedirle di g o v e r n a r e la relegò in un'ala del palazzo e p e r a n n i ve la t e n n e prigioniera. La liberò solo q u a n d o il popolino, intenerito dall'infelice sorte della Regina, lo costrinse a restituirla al suo r a n g o . G i o v a n n a n e a p p r o f i t t ò p e r farsi a m a n t e S e r g i a n n i Ca249
racciolo, un giovane atletico e ambizioso, ma timido. O g n i volta infatti c h e v e d e v a la R e g i n a arrossiva e s c a n t o n a v a . Giovanna allora gli tese un tranello. S a p e n d o che Sergianni aveva p a u r a dei topi, lo invitò a giocare a scacchi nel suo a p p a r t a m e n t o e d u r a n t e la p a r t i t a ne fece sguinzagliare u n a coppia. Il Caracciolo, in p r e d a al panico, cercò r i p a r o nella c a m e r a da letto della sovrana e si ficcò sotto le c o p e r t e dove, un attimo d o p o , fu r a g g i u n t o dalla spasimante. Da quel m o m e n t o egli diventò il p i ù intimo consigliere di Giovanna che n o n p r e n d e v a alcuna decisione senza il suo consenso. Fu lui che le fece a d o t t a r e e n o m i n a r e legittimo e r e d e Alfonso d'Ar a g o n a , re di Sicilia, in m o d o da ricostituire il vecchio Regno, e poi la indusse ad a n n u l l a r e la designazione in favore di R e n a t o d'Angiò. La sua i n v a d e n z a p e r ò aveva finito p e r allarmare la Corte e la stessa Giovanna che, u n a volta superata la cotta, decise di liberarsi di lui. Nell'agosto del 1432, d u r a n t e u n a g r a n d e festa in o n o r e della sovrana, Sergianni fu p u g n a l a t o a t r a d i m e n t o e poi a b b a n d o n a t o in u n a pozza di s a n g u e ai piedi del letto. Tre a n n i d o p o m o r ì Giovanna e la corona passò sul capo di Renato. Ci restò p o c o p e r c h é Alfonso, d o p o averlo cacciato da Napoli, gliela s t r a p p ò , riunificando in tal m o d o l'Italia del Sud, p e n i n s u l a r e e insulare. C o n lui cominciò, alla fine del 1442, la d o m i n a z i o n e aragonese destinata a d u r a r e fino al 1501. B e n e d e t t o Croce nella sua Storia del Regno di Napoli scrisse: «Ad Alfonso d ' A r a g o n a , N a p o l i n o n p o r t ò l'affetto che aveva s e m p r e n u t r i t o p e r i suoi re d'Angiò e a n c h e p e r l'ultima regina, che quasi filialmente proteggeva. Alfonso rimaneva straniero e serbava m o d i da straniero e conquistatore, e faceva sentire la p r o p r i a p o t e n z a di sovrano che era di vasti d o m i n i , in g r a d o di t e n e r e il R e g n o c o n la forza soverc h i a r n e , e Io si v e d e v a a t t o r n i a t o da u n a folla di catalani, aragonesi e castigliani, ai quali conferiva gli uffici che gli antichi re d a v a n o ai regnicoli; e quella g e n t e , p e r le sue "superbie, mali m o d i et tirannie grandissime" era odiata e faceva o d i a r e il re». 250
E p p u r e fu un sovrano s p l e n d i d o , avveduto e illuminato che fece di Napoli u n a capitale fastosa ed efficiente. Demolì i quartieri vecchi e fatiscenti e c h i a m ò a e r i g e r n e di n u o v i i più famosi architetti del t e m p o , affidandone la decorazione agli scultori e ai pittori più in voga. Ricostruì il Maschio Angioino i n n a l z a n d o n e l c e n t r o u n g r a n d i o s o a r c o trionfale disegnato da Luciano Laurana. Ampliò il molo, restaurò l'arsenale, allargò le s t r a d e , scavò n u o v e fogne, bonificò i bassi. Abbellì la C o r t e a r r e d a n d o l a s o n t u o s a m e n t e con arazzi, q u a d r i , t a p p e t i e damaschi. Aveva un debole p e r le feste e n e d i e d e d i favolose p r o f o n d e n d o v i s o m m e i m m e n s e . Amava la cultura e protesse letterati, poeti, filosofi, artisti: il Filelfo, il Manetti, il Fazio e il più celebre di tutti, L o r e n z o Valla. Valla e r a n a t o a R o m a nel 1407 e aveva studiato alla scuola di L e o n a r d o B r u n i che l'aveva avviato allo studio dei classici. Da b u o n u m a n i s t a , e r a infatuato del latino al p u n t o di p r o p u g n a r e l'abolizione della l i n g u a italiana e il r i t o r n o a quella di Cesare e Quintiliano. Aveva insegnato p e r un certo t e m p o r e t o r i c a a Pavia, ma in seguito a u n a d i s p u t a col giurista Bartolo dovette a b b a n d o n a r e la cattedra. Si mise a scrivere opuscoli polemici e dotti trattati, e nel 1431 pubblicò un dialogo intitolato De voluptate et vero borio p e r dimostrare c h e tutti i piaceri s o n o sani finché n o n d i v e n t a n o abusi. L'autore vi c o n d a n n a la castità g i u d i c a n d o l a inutile e disum a n a . C e n t o m o n a c h e - dice - n o n valgono u n a cortigiana, la continenza fa male alla salute e n o n giova alla società. L o r e n z o razzolò c o m e p r e d i c ò , s i c i r c o n d ò d i a m a n t i , a m ò il lusso e la crapula. Violento e attaccabrighe ebbe molti nemici, fu spesso disoccupato e vagò p e r l'Italia in cerca di l a v o r o . Lo t r o v ò alla C o r t e di Alfonso c h e l'accolse con molti o n o r i e gli diede un lauto stipendio. A Napoli scrisse il De falso eredita et ementita Constantini donatione, la sua o p e r a più famosa, in cui dimostra in m o d o i n o p p u g n a b i l e la falsità della d o n a z i o n e di Costantino, da lui definita u n a colossale mistificazione della Chiesa p e r legittimare e giustificare 251
il suo p o t e r e t e m p o r a l e . Se a n c h e - c o m m e n t a il Valla - Costantino avesse d a t o alla Chiesa questo p o t e r e , i delitti, l'avidità e la corruzione dei preti lo avrebbero invalidato. E r a u n a n t i c l e r i c a l e feroce. «Io», diceva, « n o n attacco solo i m o r t i , ma a n c h e i vivi». Si scagliò c o n i n a u d i t a violenza c o n t r o i Papi a d d i t a n d o l i c o m e la fonte di tutti i guai da cui e r a afflitta l'Italia e invitò i R o m a n i a p r e n d e r e le a r m i c o n t r o il g o v e r n o pontificio e ad a b b a t t e r l o . E u g e n i o IV lo d e n u n z i ò a l l ' I n q u i s i z i o n e . P r o v e alla m a n o , il Valla d i m o s t r ò che la lettera di A b g a r o a Cristo e r a u n a volgare truffa e che gli Apostoli e r a n o dei p o v e r i diavoli, semianalfabeti e c o m p l e t a m e n t e d i g i u n i di t e o l o g i a . L ' u m a n i s t a n o n e r a u o m o d a far m i s t e r o delle p r o p r i e idee m a certam e n t e n o n le a v r e b b e messe p e r iscritto se Alfonso n o n ve 10 avesse istigato. Il Re odiava il Papa e ne e r a ricambiato; ma da b u o n p o litico, q u a n d o ebbe bisogno di lui, n o n esitò a riconciliarsi. 11 Valla, fiutando il m u t a r e del vento, si r i m a n g i ò tutto quello che aveva detto e scritto c o n t r o la Chiesa e in u n a lettera i m p e t r ò il p e r d o n o del Pontefice. E u g e n i o glielo n e g ò , ma il successore Niccolò V lo n o m i n ò segretario della Curia e gli affidò t r a d u z i o n i dal latino e dal g r e c o . Calisto I I I lo fece c a n o n i c o d i San G i o v a n n i i n L a t e r a n o , d o v e l ' e x - m a n g i a p r e t i m o r ì circondato dai preti e p r e t e egli stesso, nel 1457. Alfonso lo seguì nella t o m b a l ' a n n o d o p o , p i a n t o dai letterati e artisti che p e r il suo mecenatismo l'avevano s o p r a n n o m i n a t o «Il M a g n a n i m o » . N o n o s t a n t e le r o v e n t i d i s p u t e con la Chiesa, fu a suo m o d o un b u o n cattolico, specialmente negli ultimi anni, d o p o la pace col Papa. Studioso di storia sacra, lesse q u a r a n t a volte la Bibbia, c h e t e n e v a sul com o d i n o e di cui s a p e v a a m e m o r i a l u n g h i b r a n i . U n ' a l t r a sua p a s s i o n e f u r o n o le d o n n e , c o n l'unica eccezione della m o g l i e M a r i a d i Castiglia. N e e b b e moltissime, m a u n a i n particolare ne a m ò : Lucrezia d'Alagno, u n a bella e formosa amalfitana di diciotto a n n i . Alfonso ne aveva molti di p i ù e l'avrebbe sposata se il Pontefice gli avesse concesso il divor252
zio da Maria. La istallò a Corte, la trattava da Regina e nelle cerimonie ufficiali se la teneva al fianco. Il Capaccio la definì «la castissima Venere» e il p a p a Piccolomini scrisse che «Alfonso n o n si c o n g i u n s e mai seco lei». Ma questo ci semb r a poco credibile, d a t o il t e m p e r a m e n t o d e l l ' u o m o e la nidiata di figli illegittimi che aveva messo al m o n d o . Fra di essi pescò a n c h e il p r o p r i o successore: Don F e r r a n t e . Lo aveva avuto da Margarita di Hijar, u n a d o n n a di facili c o s t u m i . S e c o n d o il P o n t a n o , c h e fu p e r l u n g h i a n n i segretario del Re, F e r r a n t e e r a figlio n o n di Alfonso, ma di un m a r r a n o spagnolo, cioè di un e b r e o convertito al cristianesimo. Fisicamente n o n poteva dirsi un bell'uomo. Era goffo e t a r c h i a t o , aveva un volto largo e flaccido, occhi piccoli e p u n g e n t i , naso l u n g o e bitorzoluto, gote cascanti. E r a diffid e n t e , t a c i t u r n o , a u t o r i t a r i o , m a n o n sprovvisto d i qualità politiche. Fu un a m m i n i s t r a t o r e oculato e sagace e riassestò le casse dello Stato che la prodigalità di Alfonso aveva svuotato. I n c e n t i v ò l'industria, i n c r e m e n t ò il c o m m e r c i o , incoraggiò l'iniziativa privata, diminuì le tasse, e p e r alcuni a n n i abolì il dazio di uscita sulle merci. Favorì l'insediamento nel R e g n o di colonie genovesi, veneziane, fiorentine e catalane. Spalancò le p o r t e a n c h e agli ebrei sebbene la popolazione li vedesse di malocchio e n o n p e r d e s s e occasione p e r dargli addosso. Nel 1490 alcuni frati fanatici sobillarono il popolino c o n t r o di essi, scoppiò un t u m u l t o , ci scappò il m o r t o e i n a p o l e t a n i chiesero al s o v r a n o la l o r o espulsione. Ma Ferr a n t e s'oppose. L'afflusso di forestieri, l ' a p e r t u r a di fondachi e filiali, l'es o d o dalla c a m p a g n a dei cafoni c h e s ' i n u r b a v a n o p e r sottrarsi al giogo dei baroni, fecero salire la popolazione a oltre centomila abitanti e o b b l i g a r o n o il Re ad allargare la cinta delle m u r a e a far edificare n u o v i q u a r t i e r i . Il R e g n o p r o sperò, favorito dalla pace che F e r r a n t e si assicurò con un'accorta politica di alleanze matrimoniali. Diede la figlia naturale Maria in sposa al d u c a di Amalfi, Antonio Piccolomini, o t t e n n e p e r il figlio Alfonso la m a n o di Ippolita Sforza, s'im253
p a r e n t e con la m o n a r c h i a u n g h e r e s e m a r i t a n d o un'altra figlia a Mattia Corvino. G o v e r n ò trentasei a n n i e solo u n a volta il suo t r o n o vacillò, in seguito alla «congiura dei baroni». R a p p r e s e n t a v a n o costoro la nobiltà feudale del R e g n o , discendevano dai L o n g o b a r d i , dai N o r m a n n i , dai Tedeschi, dai Francesi e dagli Spagnoli, e vivevano nelle c a m p a g n e , a r r o c c a t i n e i l o r o t u r r i t i castelli. I p i ù ricchi p o s s e d e v a n o i m m e n s i latifondi, m a l a m a g g i o r p a r t e c a m p a v a s u p o c h i ettari di t e r r a , coltivata da c o n t a d i n i affamati e ridotti allo stato di schiavi. I b a r o n i d i s p r e z z a v a n o la vita c i t t a d i n a , snobbavano i borghesi e d i s d e g n a v a n o il c o m m e r c i o e le arti. La loro unica o c c u p a z i o n e e r a la g u e r r a . Se la facevano tra loro e si coalizzavano p e r farla al Re. Protervi, violenti, riottosi, «uomini», c o m e disse Machiavelli, «al t u t t o nimici di o g n i civiltà», t r i b o l a v a n o il R e g n o con guerricciole fratricide, rivolte, colpi di m a n o . Molti dei mali che ancora affliggono il Mezzogiorno v a n n o addebitati a questi ambiziosi, i n t r i g a n t i e indocili signorotti che i n d e bolirono lo Stato fino a sfasciarlo. Per tenerli a b a d a i sovrani li e s o n e r a v a n o da molti servizi, t r a cui quello militare, li esentavano dalle tasse e riconoscevano loro il diritto di farsi giudicare d a p r o p r i tribunali. L'anarchia d e i b a r o n i f u sul p u n t o d i e s s e r e d o m a t a q u a n d o Federico II ne fece a b b a t t e r e i castelli e ne vietò la ricostruzione. Ma alla m o r t e d e l l ' I m p e r a t o r e svevo essi rialz a r o n o la cresta, né l'abbassarono q u a n d o nel R e g n o t o r n ò l'ordine con gli Angioini. Alfonso d'Aragona concesse ai bar o n i n u m e r o s i privilegi, t r a cui quello d i t o r t u r a r e i l r e o «senza limite di t e m p o » e di c o m m i n a r e p e n e s u p e r i o r i a q u e l l e stabilite dalla l e g g e . F e r r a n t e li a l l e g g e r ì di a l c u n e imposte, ma nel 1485 essi t e n t a r o n o di spodestarlo. L'esercito dei b a r o n i si scontrò con quello regio, e b b e la p e g g i o e mise i suoi capi alla m e r c é del s o v r a n o . Sulle p r i me F e r r a n t e si m o s t r ò m o l t o m a g n a n i m o coi ribelli. Ma alcuni giorni d o p o li invitò a C o r t e p e r festeggiare la riconciliazione. Tutti p u n t u a l m e n t e vi si p r e s e n t a r o n o . F e r r a n t e in 254
p e r s o n a li a c c o m p a g n ò in u n a g r a n d e sala, ma a un segnale c o n v e n u t o fece c h i u d e r e le p o r t e di uscita, d i e d e o r d i n e di d i s a r m a r e gli ospiti e li fece cacciare in prigione. L'indomani confiscò i loro b e n i e d o p o u n a settimana li fece processare e c o n d a n n a r e a m o r t e . Il p r i m o a c a d e r e sotto la s c u r e del boia fu un certo Francesco de Petruciis che fu decapitato e poi squartato: la g a m b a sinistra fu esposta sul p o n t e della M a d d a l e n a , u n a spalla fu a p p e s a a un gancio a Casa Nova e l'altra a Chiaia. Fino alla m o r t e del sovrano, avvenuta nel 1494, il R e g n o n o n fu p i ù funestato dalle sommosse dei b a r o n i . Ma n o n si trattò che di u n a t r e g u a . Col successore di F e r r a n t e , infatti, esse t o r n a r o n o a d i v a m p a r e .
CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO
ROMA DOPO AVIGNONE
L'esilio del P a p a t o ad A v i g n o n e , lo a b b i a m o già d e t t o , e r a stato p e r R o m a u n a catastrofe. All'alba del Q u a t t r o c e n t o , la città occupava u n a superfìcie dieci volte inferiore a quella dei t e m p i d'Aureliano e coi suoi sessantamila abitanti era m e n o popolosa di Milano, Venezia e Firenze. Le m u r a e r a n o diroccate, le t o r r i mozze e sbrecciate, le s t r a d e disselciate e affogate in p o z z a n g h e r e fetide e melmose, gli acquedotti intasati e slabbrati r e n d e v a n o difficoltoso e p r e c a r i o il rifornimento idrico, e molti R o m a ni e r a n o ridotti a b e r e l'acqua del Tevere. Pestilenze e carestie decimavano la popolazione più delle g u e r r e . Lo stato di disfacimento e di a b b a n d o n o n o n era limitato ai rioni p o p o l a r i e di periferia. Investiva a n c h e il c e n t r o . I Fori e r a n o trasformati in p u t r i d i catini, il Colosseo e il teat r o di Marcello e r a n o adibiti a depositi d ' i m m o n d e z z a , e il C a m p i d o g l i o e r a costellato di c a t a p e c c h i e sbilenche e m a l e o d o r a n t i . Vacche, p e c o r e , maiali p a s c o l a v a n o sui sagrati delle chiese. Molte chiese, sebbene a p e r t e al culto, avevano l'aspetto di r u d e r i , e i palazzi apostolici avevano p e r d u t o il nitore e il fasto d ' u n t e m p o . Col buio n e s s u n o osava uscir di casa e avventurarsi p e r le strade, propizie agli agguati e infestate dai briganti. La vigilanza n o t t u r n a e r a scarsa e complice di coloro sui quali doveva esercitarsi. Ciascuna delle consorterie p i ù p o t e n t i , che facevano capo agli Orsini, ai C o l o n n a , ai Caetani, aveva il suo esercito di «bravi», i suoi castelli, i suoi fortilizi e la sua «ragione di Stato». F o m e n t a v a n o sommosse, t r a m a v a n o complotti, aizzavano il p o p o l i n o s e m p r e p r o n t o a s c e n d e r e in piazza e a 256
m e n a r e l e m a n i p e r u n tozzo d i p a n e . L e lotte d i fazione e r a n o l'unica i n d u s t r i a fiorente in u n a città priva di fabbriche e dedita esclusivamente alla pastorizia e al m i n u t o comm e r c i o . Tagliata fuori dalla g r a n d e rivoluzione c o m u n a l e , l'Urbe m a n c a v a di u n a borghesia mercantile e i m p r e n d i t o riale capace d'inserirla in un circuito economico vasto e dinamico, c o m ' e r a avvenuto a Firenze, a Milano e nella m a g gior p a r t e delle città del N o r d . La plebe viveva d'elemosine, i nobili di r e n d i t a e di r a p i n e , il clero di decime, di u s u r a e di simonia. Col t r a s f e r i m e n t o del Soglio ad A v i g n o n e molti tesori e capitali avevano preso la via della Francia. Q u a n d o Gregorio XI decise il ritorno a Roma, le finanze della Chiesa e r a n o in p i e n o dissesto e n o n p o t e v a n o certo c o n t a r e sulle risorse di u n a città che n o n ne aveva p u n t e . Ma in c o m p e n s o c'erano quelle, tutt'altro che trascurabili, dello Stato Pontificio: vasto territorio che c o m p r e n d e v a tutto il Lazio e larghe fette dell ' U m b r i a , delle M a r c h e e della R o m a g n a , i n g l o b a n d o u n a t r e n t i n a di città, g o v e r n a t e da Legati. Esso vantava inoltre diritti feudali sul Regno di Napoli e sui beni matildini di Toscana, che si t r a d u c e v a n o in oboli e tributi, ma p e r riscuoterli i Pontefici dovevano spesso r i c o r r e r e alla minaccia di scom u n i c a . Q u a n d o a n c h e questa si rivelava inefficace, facevano a p p e l l o alle milizie m e r c e n a r i e , p e r c h é di r e g o l a r i la Chiesa n o n ne aveva e le p o c h e g u a r d i e che i Papi tenevano n e l l ' U r b e bastavano a p p e n a - q u a n d o bastavano - a difend e r e il Vicario di Cristo dalle violenze dei nobili e dai t u m u l ti del p o p o l o . Fu solo grazie all'energia, al coraggio, alla sagacia dei successori di Gregorio, Niccolò V, Pio II e Sisto IV, che Roma fu restituita al suo r a n g o di Capitale e s'avviò a diventare u n o dei massimi centri del Rinascimento. Niccolò V si chiamava T o m m a s o Parentucelli ed era nato a Pisa, figlio di un c h i r u r g o , ma aveva studiato e si era laureato in teologia a Bologna. Q u i conobbe l'arcivescovo Niccolò degli Albergati, che gli assegnò u n ' i m p o r t a n t e carica di s o v r i n t e n d e n t e e lo condusse con sé a Firenze, dove v e n n e a 257
c o n t a t t o c o n gli u m a n i s t i e s p r o f o n d ò negli s t u d i classici. Leggeva a v i d a m e n t e gli autori latini e greci, partecipava alle dispute letterarie e filosofiche e s p e n d e v a tutto quello che g u a d a g n a v a in manoscritti. Conquistato dalla sua erudizion e , C o s i m o l'assunse c o m e bibliotecario e gli a s s e g n ò un lauto stipendio. Fu u n i c a m e n t e p e r questi meriti culturali - e il fatto è rivelatore di un certo costume della Chiesa - che lo fecero prima Cardinale e poi Papa. Gli umanisti esultarono e Niccolò li r e c l u t ò in massa t r a s f o r m a n d o il Vaticano in u n a v e r a e p r o p r i a Accademia. Affidò a L o r e n z o Valla la t r a d u z i o n e in latino di Tucidide, commissionò a G u a r i n o da Verona quella di S t r a b o n e , p a g ò a Niccolò Perotti c i n q u e c e n t o d u c a t i p e r quella di Polibio. Il p i ù f o r t u n a t o fu il Filelfo c h e in cambio della versione latina dei p o e m i omerici ricevette u n a bellissima casa a R o m a e u n a vasta t e n u t a in c a m p a g n a . Q u a n d o viaggiava, Niccolò si faceva seguire da u n o stuolo di letterati, artisti, t r a d u t t o r i , scrivani, coi quali familiarm e n t e discuteva di O r a z i o , di Virgilio, di Aristotele. Se li portava dietro anche q u a n d o scoppiava un'epidemia, e a Corte dava loro la p r e c e d e n z a sui prelati coi quali poco se la diceva. Le questioni ecclesiastiche l'interessavano m e n o di quelle filosofiche e letterarie, e alla Bibbia preferiva i Carmi di Catullo e le Metamorfosi di Ovidio. La sera si chiudeva nel suo studio e fino all'alba rileggeva le t r a d u z i o n i che gli u m a nisti gli a p p r o n t a v a n o , e che p o i faceva r i l e g a r e in velluto rosso e r i p o r r e in eleganti scaffali. C o m e tutti i Signori del Rinascimento, aveva il mal della pietra e spese s o m m e i m m e n s e p e r r i d a r e a R o m a il suo antico volto architettonico. Riparò le m u r a , r e s t a u r ò conventi, chiese, palazzi, i n n a l z ò n u o v i edifici, costruì fogne, p o n t i , acquedotti, p a v i m e n t ò strade. Affidò a L e o n Battista Alberti il p r o g e t t o di piazze e palazzi, incaricò B e r n a r d o Rossellino di ripristinare San Giovanni in L a t e r a n o , Santa Maria Maggiore, San Paolo e San L o r e n z o fuori le m u r a . Spalancò le sale vaticane ad A n d r e a d e l C a s t a g n o e al B e a t o Angelico 258
p e r c h é le decorassero. Investì quasi tutti gli introiti del Giubileo del 1450 p e r abbellire la città che in quell'occasione vide affluire centomila pellegrini, e p e r facilitarne l'accesso a San Pietro fece d e m o l i r e n u m e r o s e case, d o p o a v e r n e sfrattato gl'inquilini. N o n a n d a v a p e r il sottile q u a n d o c'era da far soldi, e se le casse l a n g u i v a n o n o n esitava a i n a s p r i r e i balzelli. E p p u r e i R o m a n i gli furono s e m p r e ostili. Inscenar o n o v i o l e n t e manifestazioni d i piazza p e r o t t e n e r e l a r e s t a u r a z i o n e della Repubblica, infiammati d a l l ' o r a t o r i a d e magogica di un certo Stefano Porcaro, che Niccolò fece esiliare a B o l o g n a e poi d e c a p i t a r e . Fu q u e s t o l'unico e v e n t o d r a m m a t i c o di un pontificato senza scosse. Niccolò m o r ì a c i n q u a n t o t t o a n n i di gotta e di c r e p a c u o r e , d o p o aver tentato invano di lanciare i principi cristiani d ' E u r o p a alla riconquista di Costantinopoli, c a d u t a nelle m a n i dei Turchi. Un cronista gli d e d i c ò q u e s t o epitaffio: «Fu giusto, saggio, b e nevolo, m a g n a n i m o , pacifico, affettuoso, caritatevole, u m i le, virtuoso», gratificandolo così di elogi sbagliati, e defraud a n d o l o di quelli c h e meritava. Gli successe, col n o m e di Pio I I , Enea Silvio Piccolomini, un s e n e s e di famiglia nobile e d e c a d u t a . A n c h e lui veniva n o n dal s e m i n a r i o , ma dagli s t u d i umanistici fiorentini. A ventisette a n n i fu assunto c o m e segretario dal cardinale Cap r a n i c a c h e a c c o m p a g n ò in l u n g h e e delicate missioni dip l o m a t i c h e in Italia e fuori, r i v e l a n d o doti n o n c o m u n i di negoziatore. E r a raffinato, brillante e ambizioso. S p e n d e v a tutto quello c h e g u a d a g n a v a , e divideva i m p a r z i a l m e n t e il suo t e m p o fra biblioteche, osterie e bordelli. Le d o n n e impazzivano p e r lui, ma egli evitava a c c u r a t a m e n t e quelle che volevano farsi sposare p e r c h é l'idea del m a t r i m o n i o l'atterriva. U n o stuolo di c o n c u b i n e gli d i e d e r o u n a m o l t i t u d i n e di figli ch'egli affidava al p r o p r i o p a d r e , p e r c h é n o n aveva t e m p o né voglia d'allevarli. Sfogò la sua sensualità in versi scurrili e racconti boccacceschi. Scrisse un r o m a n z o p o r n o g r a f i c o , c h e i nemici n o n si stancarono p e r tutta la vita di rinfacciargli, ma di cui d u 259
bitiamo che l'Autore ebbe mai a pentirsi. Si cimentò nei gen e r i l e t t e r a r i p i ù d i s p a r a t i e fu scrittore prolifico, vivace, elegante e piacevole. Lasciò u n a mole sterminata di poesie, e p i g r a m m i , dialoghi, r o m a n z i , m e m o r i a l i , n o t e d i viaggio, saggi, c o m p o s t i quasi tutti in latino. La sua c o n v e r s a z i o n e n o n e r a m e n o deliziosa e scintillante della sua prosa, i salotti alla m o d a se lo c o n t e n d e v a n o e le d a m e dell'alta società a n d a v a n o in visibilio p e r i motti di spirito e i p a r a d o s s i di q u e s t o T a l l e y r a n d del Q u a t t r o c e n t o , che n o n d o r m i v a p i ù di cinque o r e p e r notte e n o n restava mai inoperoso. Nel 1455 l ' i m p e r a t o r e Federico, di cui era diventato p u pillo, lo spedì ambasciatore a R o m a dove in p o c h e settimane conquistò la Curia, e dove si fece p r e t e . Gli agiografi dic o n o che da q u e l m o m e n t o visse in castità, s e b b e n e avesse a p p e n a varcato le soglie della q u a r a n t i n a . Alla corte pontificia dispiegò il suo eccezionale t a l e n t o d i p l o m a t i c o riconciliando il clero tedesco con quello r o m a n o . Il P a p a p e r p r e mio lo n o m i n ò vescovo di Siena e nel 1456 lo fece cardinale. Q u a n d o il Pontefice morì, il Sacro collegio elevò E n e a Silvio al Soglio, c h i u d e n d o un occhio sul suo passato. N o n aveva che c i n q u a n t a t r é a n n i m a n e dimostrava molti di più. Era pallido, s m u n t o , p i e n o di r u g h e e di acciacchi. Soffriva di gotta, di calcoli renali e di tosse. «A volte», scrisse Platina «se n o n avesse p a r l a t o , n e s s u n o avrebbe p o t u t o dire c h e e r a vivo». I peccati di g i o v e n t ù a v e v a n o lasciato il seg n o , e a p o c o s e r v i v a n o o r a le d i e t e , i salassi e le c u r e dei medici. Q u a n d o poteva si ritirava in c a m p a g n a , seguito da u n o stuolo di umanisti, e organizzava bucolici convegni lungo le rive di un ruscello o n e l l ' o m b r o s a q u i e t e di un boschetto. C o m e Niccolò, aveva in u g g i a i p r e t i , alle d i s p u t e teologiche preferiva quelle filosofiche e l e t t e r a r i e , e aveva un debole p e r gli scrittori p a g a n i e in particolare p e r Cicerone. Ficcò i suoi p a r e n t i d o v u n q u e , i n v e n t a n d o n u o v e cariche p e r c h é quelle esistenti n o n bastavano ad accoglierli tutti, e fece del Vaticano u n a colonia di Piccolomini. Ma fu un b u o n 260
Papa. T e n t ò di arginare l'avanzata dei T u r c h i nei Balcani, e nel 1459 convocò a Mantova i principi e u r o p e i p e r indurli a p r e n d e r e la croce c o n t r o gli Infedeli. Ma n e s s u n o vi si recò e Pio, n o n r i u s c e n d o a d o m a r e i m u s s u l m a n i con la spada, cercò di convertirli con la p e n n a . «Se tu», scrisse a Maometto I I , «dovessi farti cristiano, nessun principe ti s u p e r e r e b b e in gloria o ti eguaglierebbe in potenza. Noi ti riconosceremmo I m p e r a t o r e dei Greci e d e l l ' O r i e n t e , e ciò che hai otten u t o con la violenza e conservi con l'ingiustizia d i v e n t e r e b be t u o legittimo possesso... Se tu ti unissi a n o i , t u t t o l'Or i e n t e si convertirebbe a Cristo e u n a volontà sola - la t u a d a r e b b e pace al m o n d o intero.» M a o m e t t o , s e b b e n e q u a l c u n o l o facesse n a t o d a m a d r e cristiana, n o n raccolse l'invito e il Papa richiamò alle a r m i i sovrani e u r o p e i . Ma n o n ebbe più f o r t u n a che col Sultano. Solo Venezia rispose all'appello e m a n d ò u n a piccola flotta a d A n c o n a d o v e , u n p a i o d i s e t t i m a n e p r i m a , n e l luglio 1464, e r a a p p r o d a t a quella pontificia, g u i d a t a dal P a p a in p e r s o n a . Q u a n d o Pio l'avvistò, p r o v ò tale e m o z i o n e che ne m o r ì . C o n lui fu sepolto l'utopistico sogno crociato. Il suo posto fu preso, col n o m e di Sisto IV da Francesco Della Rovere, un ligure di u m i l e famiglia c o n t a d i n a . Aveva assunto il c o g n o m e Della Rovere d o p o aver fatto il precettore n e l l ' o m o n i m a famiglia. Poco si conosce di lui p r i m a dell'ascesa al Soglio. S a p p i a m o solo che aveva studiato filosofia a Pavia, a Bologna, a Padova, e che p e r un certo t e m p o aveva fatto l'insegnante. Q u a n d o , a cinquantasette anni, fu eletto Papa godeva di u n a vasta e meritata fama di e r u d i t o e di letterato. N o n p o t è dedicare allo studio il t e m p o e le c u r e di Niccolò V e di Pio II p e r c h é il suo pontificato fu difficile e contrastato. Vagheggiò a n c h e lui u n a spedizione c o n t r o gli O t t o m a n i , m a l'accresciuta p o t e n z a t u r c a l o dissuase d a l porvi m a n o . Spese tutte le sue energie a rafforzare e i n g r a n dire lo Stato pontifìcio e a r i d u r r e all'obbedienza la facinorosa nobiltà e la riottosa plebe r o m a n a . Ci riuscì, ma si guad a g n ò l'odio dei sudditi, offesi a n c h e dal suo sfacciato n e p o 261
tismo. Forse solo Alessandro Borgia lo eguagliò nell'elargire uffici e nel distribuire r e n d i t e e p r e b e n d e a congiunti prossimi e lontani. Nel 1471 elesse cardinale il n i p o t e venticinq u e n n e P i e t r o Riario e gli a s s e g n ò q u a t t r o vescovati e un a p p a n n a g g i o a n n u o di sessantamila ducati. N o m i n ò il fratello di Pietro c o m a n d a n t e dell'esercito pontificio e un altro nipote prefetto di R o m a . Salendo al Soglio, aveva trovato le casse p i e n e d ' o r o , ma in tredici a n n i le svuotò fino all'ultimo centesimo. Il d e n a r o che n o n spese in g u e r r a o n o n d o n ò ai nipoti lo profuse in o p e r e d ' a r t e . A n c h e lui abbellì R o m a , innalzò nuovi edifici pubblici e n u o v e chiese, r e s t a u r ò e ampliò l'ospedale di Santo Spirito, r i o r g a n i z z ò l'Università. L e g ò il s u o n o m e alla Cappella Sistina, di cui affidò il p r o g e t t o all'architetto Giov a n n i n o d e ' Dolci e la decorazione delle pareti al Perugino, al Signorelli, al Pinturicchio, al Ghirlandaio, al Botticelli, al Rosselli e al Cosimo, che vi raffigurarono scene della vita di Mose e di Gesù. Si circondò di umanisti e arricchì di oltre mille volumi la Biblioteca vaticana che già ne c o n t e n e v a oltre d u e m i l a c i n quecento; affidò al R e g i o m o n t a n o la riforma del calendario giuliano, rimasta incompiuta per la p r e m a t u r a m o r t e del m a t e m a t i c o ; invitò a R o m a G i o v a n n i A r g i r o p u l o a t e n e r e un ciclo di c o n f e r e n z e sulla l e t t e r a t u r a g r e c a e i n c o r a g g i ò o g n i iniziativa volta a diffondere la cultura e l'arte. Sognava di r i p o r t a r e l ' U r b e ai fasti a u g u s t e i ma nel 1484 la malaria lo uccise. E a questi tre splendidi Papi che R o m a dovette la sua rinascita. La Chiesa forse n o n ha verso di loro altrettanti m o tivi di g r a t i t u d i n e . Essi c o n t r i b u i r o n o in m a n i e r a decisiva a trasformarla in u n a vasta i m p r e s a artistica e culturale spos t a n d o n e gl'interessi sul p i a n o t e m p o r a l e e m o n d a n o a tutto scapito di quelli spirituali. C o n loro il Rinascimento e n t r ò nelle basiliche e nelle cattedrali dell'Urbe. Dio ne uscì.
CAPITOLO VENTICINQUESIMO
ALLA M E R C É DEI M E R C E N A R I
N e l tracciare le v i c e n d e delle p i ù i m p o r t a n t i città italiane nel T r e e Q u a t t r o c e n t o abbiamo tralasciato le infinite g u e r ricciole che ne a c c o m p a g n a r o n o lo sviluppo. Il lettore si rassicuri: esse n o n m u t a r o n o l e sorti d e l n o s t r o Paese, o r m a i spaccato in c i n q u e Stati - visconteo, veneziano, fiorentino, pontificio, a n g i o i n o - a r a g o n e s e - e in u n a galassia di staterelli. Spesso queste guerricciole n o n furono che scaramucce volte alla p r e s a di un castello, all'aleatoria rettifica di un confine, alla conquista di u n a piazzaforte. Ma da t e m p o Com u n i e Signorie avevano smesso di combatterle con milizie r e g o l a r i , il cui r e c l u t a m e n t o , o l t r e a essere m o l t o costoso, distoglieva i s u d d i t i dalle attività civili, e a v e v a n o fatto a p pello a t r u p p e m e r c e n a r i e , o c o m p a g n i e di v e n t u r a . Le p r i m e si f o r m a r o n o con lo sgretolamento del feudalesimo e il trionfo del municipio sul castello. Molti nobili atti solo alle armi, piuttosto che inurbarsi con le loro m a s n a d e e d i v e n t a r e dei s e d e n t a r i b o r g h e s i , p r e f e r i r o n o m e t t e r s i a l soldo di questo o quel C o m u n e , di questo o quel Signore, e p e r esso g u e r r e g g i a r e . A r r u o l a v a n o nelle loro b a n d e avanzi d i g a l e r a , fuorilegge, crociati rovinati dalle g u e r r e s a n t e , soldati calati in Italia con gli eserciti imperiali e travolti dall e l o r o disfatte. C o m p a g n i e d i v e n t u r a s p u n t a r o n o u n p o ' d a p p e r t u t t o i n E u r o p a , m a f u s o p r a t t u t t o n e i Paesi c o m e l'Italia e la G e r m a n i a , dove mancava un p o t e r e centrale, che esse più rigogliosamente p r o s p e r a r o n o . Ciascuna e r a formata da alcune migliaia di fanti e cavalieri divisi in condotte, o s q u a d r e , m u n i t i di elmo e corazza, a r m a t i di spada, p u g n a l e e giavellotto. Aveva il p r o p r i o mot263
to e la p r o p r i a b a n d i e r a e assumeva il n o m e del suo c o m a n d a n t e . Quella di fra' Moriate disponeva di tesorieri e di giudici, che avevano il c o m p i t o di d i r i m e r e le liti che regolarm e n t e scoppiavano tra i soldati alla spartizione del bottino. Q u a n d o i n t e m p o d i p a c e esso m a n c a v a , l e c o m p a g n i e ricattavano le città, e solo in cambio di forti s o m m e di d e n a ro s ' a s t e n e v a n o d a l l ' a g g r e d h i e e dal saccheggiarle. Pisa e Firenze dovettero sborsare rispettivamente sedicimila e ventimila fiorini a fra' Moriale p e r t e n e r n e d u e a n n i l o n t a n o dalle loro m u r a le soldatesche. Avide di g u a d a g n o , a n i m a t e da un insaziabile uzzolo di r a p i n a , i m m u n i dalle sanzioni della legge, le c o m p a g n i e di v e n t u r a si mettevano al servizio della città o del Signore che le pagava di più e n o n esitavano a tradire se il nemico le allettava con un soldo più vantaggioso. Giovanni Acuto militò sotto le insegne di Pisa, di Milano, del Pontefice e di Firenze e con molti voltafaccia diventò il più p o t e n t e e t e m u t o cond o t t i e r o del T r e c e n t o . L a sua vicenda r i a s s u m e e s e m p l a r m e n t e il m a r a s m a italiano. Il suo vero n o m e era J o h n H a w k w o o d ed era nato in un villaggio dell'Essex, in Inghilterra, nel 1320. Suo p a d r e era un conciatore che m o r e n d o gli lasciò un piccolo gruzzolo. C o n esso J o h n acquistò un cavallo, u n a corazza, u n a s p a d a e si a r r u o l ò nell'esercito del re E d o a r d o III che attraversava la Manica p e r a n d a r e a combattere in Francia. Era di statura s u p e r i o r e alla media, aveva spalle q u a d r a te, collo t a u r i n o , braccia possenti, naso l u n g o e i r r e g o l a r e , labbra sottili e nervose, g u a n c e accese e mascella d u r a . U n a c h i o m a castana e riccioluta gli scendeva sulle orecchie e folte sopracciglia gli s g r o n d a v a n o sugli occhi b r u n i e profondi. Fin da b a m b i n o aveva avuto la passione delle armi e u n o zio gli aveva insegnato a cavalcare, a t e n d e r e l'arco e a m a n e g giare la spada. In Francia prese p a r t e alla battaglia di Crécy, dove p e r la p r i m a volta gli inglesi fecero uso dell'artiglieria, e dieci anni d o p o , sul c a m p o di Poitiers, fu fatto cavaliere. D o p o la pace 264
di Bretigny, con un centinaio di c o m p a g n i passò in Italia e si mise al soldo del c o n d o t t i e r o tedesco Alberto Sterz, che c o m a n d a v a la famosa «Compagnia Bianca». N o n passava g i o r n o che le sue soldatesche n o n compissero scorrerie nelle fertili p i a n u r e piemontesi e l o m b a r d e , dis t r u g g e n d o le messi, s c a n n a n d o le greggi, svaligiando le cascine, violentando le d o n n e . Era la vita che Giovanni Acuto aveva s e m p r e sognato. Lo Sterz ne fece il suo l u o g o t e n e n t e e q u a n d o Pisa a r r u o l ò la C o m p a g n i a Bianca c o n t r o Firenze fu lui a d e t t a r e le condizioni dell'ingaggio e a c o n d u r r e le o p e r a z i o n i d i g u e r r a . Q u a n d o esse c e s s a r o n o , o t t e n n e d a Pisa che il b o t t i n o del n e m i c o fosse assegnato alla C o m p a gnia e che i suoi u o m i n i fossero liberi di muoversi nel territorio della Repubblica e di svernarvi. In segno di gratitudine le t r u p p e d e p o s e r o lo Sterz e l'acclamarono c o m a n d a n te. Pisa gli mise a disposizione u n a g u a r d i a del c o r p o e u n o stuolo di paggi. Alla r i p r e s a delle ostilità, l'Acuto reclutò forze fresche e le lanciò c o n t r o i fiorentini i quali, n o n r i u s c e n d o a contenerle, inviarono al c o m a n d a n t e inglese ambasciatori p e r ind u r l o a passare dalla loro p a r t e . Giunti al cospetto del cond o t t i e r o , i messi estrassero dalle loro b o r s e fiaschi di vino colmi di fiorini. L'Acuto li s o p p e s ò a l u n g o . Poi c o n v o c ò i soldati e chiese cosa volevano fare. Tutti si trasferirono nel c a m p o nemico. Al servizio di Pisa rimase solo l'Acuto con ottocento inglesi. Ma n o n p e r fedeltà. Poco p r i m a egli aveva ricevuto p r o p o s t e b e n p i ù allettanti d a u n ricco m e r c a n t e , Giovanni Agnello, che profittando del caos in cui era piombata Pisa, m i r a v a a i m p a d r o n i r s i della città. In cambio del suo aiuto, l'Acuto avrebbe ricevuto trentamila fiorini. Il colpo di Stato riuscì e l'inglese, oltre alla s o m m a pattuita, ebbe u n a lauta mancia. Ne aveva bisogno p e r c h é t e m p i d u r i s'annunciavano p e r le c o m p a g n i e di v e n t u r a . Il p a p a U r b a n o V, d o p o aver lanciato c o n t r o di esse l'anatema, aveva invitato i principi d'Eur o p a a coalizzarsi p e r combatterle. Tutti avevano risposto al265
l'appello, e u n a p o t e n t e lega si era costituita. Al m o m e n t o di p a s s a r e all'azione, p e r ò , la m a g g i o r p a r t e dei suoi m e m b r i aveva fatto m a r c i a i n d i e t r o . Lo stesso Pontefice, a l l a r m a t o dalle notizie che g i u n g e v a n o dalla Terrasanta, accantonò l'id e a di u n a crociata c o n t r o le milizie m e r c e n a r i e . L'Acuto aveva nel f r a t t e m p o raccozzato a l c u n e migliaia di u o m i n i e s'era abboccato s e g r e t a m e n t e con agenti di Bern a b ò Visconti, che Io voleva al suo servizio. Il c o n d o t t i e r o inglese vi si pose volentieri un p o ' p e r c h é il d u c a di Milano gli faceva ponti d'oro, un po' p e r c h é si trattava di combattere c o n t r o il Papa, suo mortale nemico. La C o m p a g n i a , forte di oltre q u a t t r o m i l a u o m i n i , s'avventò sugli Stati pontifici mettendoli a ferro e fuoco. L'Acuto o r d i n ò di incendiare e r a d e r e al suolo chiese e conventi e di t r u c i d a r e gli abitanti senza r i g u a r d o al sesso e all'età. Le s c o r r e r i e c e s s a r o n o solo q u a n d o B e r n a b ò r i c h i a m ò il m a s n a d i e r e a Milano p e r lanciarlo alla conquista di Firenze e di Pisa. Ma quest'impresa fallì p e r c h é le soldatesche m e r c e n a r i e a l soldo delle d u e r e p u b b l i c h e toscane e r a n o m o l t o p i ù n u m e r o s e . Il fiasco i n d u s s e l'ambizioso d u c a a r i d u r r e 10 stipendio all'Acuto. E questi p e r ripicca passò col Pontefice che gli d o n ò i feudi di Bagnacavallo, Cotignola e Conselice, fra Rimini e Bologna, col titolo di Signore. Egli li cinse di m u r a , vi eresse torri, e di lì svolse con e n comiabile zelo i suoi c o m p i t i di s b i r r o del P a p a . Q u a n d o u n a rivolta antipapale scoppiò a Faenza, o r d i n ò di metterla a sacco e di d e p o r t a r n e gli abitanti, escluse le d o n n e giovani, sulle quali i soldati c o m m i s e r o ogni sorta di abusi. Anche 11 l o r o c o m a n d a n t e s ' a b b a n d o n ò a violenze i n a u d i t e . Un g i o r n o , v e d e n d o d u e m e r c e n a r i che s i c o n t e n d e v a n o u n a m o n a c a , fece c o n d u r r e la p o v e r e t t a al p r o p r i o c o s p e t t o e con un colpo di s p a d a la spaccò a metà, d i c e n d o : «Ciascuno abbia la sua». T o r n ò p o i nei suoi p o s s e d i m e n t i , ma n o n ci restò a l u n g o . Cesena si era ribellata al g o v e r n o pontificio e a n d a v a p u n i t a . Il c o n d o t t i e r o l'assalì e in n o m e d e l p a p a trucidò d u e m i l a c i n q u e c e n t o abitanti. Poi la rase al suolo. 266
Negli ultimi t e m p i i suoi r a p p o r t i col Pontefice si e r a n o raffreddati. Il P a p a n o n p a g a v a , e la C o m p a g n i a d a v a segni di scontento. Ne p r o f i t t a r o n o B e r n a b ò Visconti e la repubblica di Firenze p e r s t r a p p a r e al Pontefice il capitano e a r r u o l a r l o al p r o p r i o servizio. Il d u c a di Milano gli offrì add i r i t t u r a in sposa la figlia D o n n i n a con u n a d o t e di diecimila fiorini. L'Acuto accettò s e b b e n e veleggiasse verso la sessantina. Era a n c o r a un u o m o vigoroso e n o n aveva p e r d u t o l'agilità e la baldanza di un t e m p o . I capelli gli si e r a n o incanutiti ma egli li nascondeva con l'elmo e con un b e r r e t t o di velluto. Aveva p e r d u t o alcuni d e n t i e sulla fronte e r a n o comparse le r u g h e , ma nel complesso m a n t e n e v a un aspetto giovanile. D o n n i n a e r a bellissima. Aveva occhi e capelli neri, m a n i l u n g h e e affusolate e un'espressione dolce e intensa. Il m a t r i m o n i o fu celebrato con g r a n p o m p a al cospetto del Duca e della C o r t e e si concluse con u n a pittoresca giostra che suggellò il passaggio dell'Acuto al servizio di B e r n a b ò . Ma d o p o un a n n o i d u e e r a n o già in r o t t a , e l'Acuto si trasferì a Firenze che lo aveva n o m i n a t o C a p i t a n o generale. Il c o n d o t t i e r o sfilò p e r le vie della città pavesata a festa tra gli squilli delle t r o m b e e i r i n t o c c h i delle c a m p a n e i m p u g n a n d o un piccolo scettro. La Signoria gli assegnò u n a sontuosa d i m o r a in città, lo esentò dalle tasse e p e r u n a decina d ' a n n i lo i m p i e g ò in scorrerie e scaramucce da un capo all'altro della Penisola. Nel 1390 scoppiò u n ' e n n e s i m a g u e r r a coi Visconti. Per l'Acuto fu l'ultima, e a n c h e la più sfortunata. L'esercito d u cale, forte di ventiseimila u o m i n i , ebbe r a g i o n e della C o m p a g n i a inglese, che n e c o n t a v a a p p e n a settemila. S e b b e n e sconfitto, l'Acuto ebbe un a u m e n t o di stipendio dalla Signoria che concesse la cittadinanza fiorentina a tutti i suoi parenti. Aveva o r m a i settant'anni, p i ù di c i n q u a n t a ne aveva passati sui c a m p i di battaglia, e r a stanco e sentiva il bisogno di un p o ' di pace. Aveva d u e figlie in età da m a r i t o e voleva ac267
casarle: u n a la diede in sposa al conte di Porcia, l'altra a un c a p i t a n o di v e n t u r a tedesco. Poi gli v e n n e la nostalgia dell'Inghilterra e del villaggio dov'era nato e p e n s ò di t o r n a r e in patria. N o n l'aveva mai dimenticata e q u a n d o ne sentiva p a r l a r e si c o m m u o v e v a fino alle lacrime. Aveva conservato le abitudini del suo p o p o l o e n o n aveva mai voluto i m p a r a re l'italiano. O g n i cosa e r a o r m a i p r o n t a p e r l a p a r t e n z a q u a n d o f u s t r o n c a t o da un colpo a p o p l e t t i c o . F i r e n z e gli t r i b u t ò esequie solenni. Il Gonfaloniere, i Priori e i cittadini più r a g guardevoli seguirono in gramaglie il funerale. Dopo u n a l u n g a processione p e r le vie della città, il corteo r a g g i u n s e Santa Maria del Fiore, d o v e fu c e l e b r a t a u n a messa di r e q u i e m . Il feretro restò alcuni giorni esposto nel mezzo della navata centrale p e r essere poi i n u m a t o nel coro, di dove fu rimosso su richiesta del re Riccardo I I , che fece traslare la salma in Inghilterra. Alcuni decenni più tardi, Paolo Uccello ritrasse su u n a p a r e t e del D u o m o il c o n d o t t i e r o a cavallo, i m m o r t a l a n d o n e nei secoli la fama. Q u a n d o l'Acuto m o r ì , Francesco Bussone aveva q u a t t r o anni. C a r m a g n o l a , u n a piccola città a sud di Torino, situata sulla riva destra del Po, gli aveva d a t o i natali nel 1394. Figlio di un pastore, forse avrebbe seguitato p e r tutta la vita a pascolare greggi se il capitano di v e n t u r a Facino C a n e n o n l'avesse a r r u o l a t o tra i suoi m e r c e n a r i . Era un ragazzo tarchiato e sveglio, dai l i n e a m e n t i grossolani, con g r a n d i occhi castani e d u e gote b i a n c h e e rosse. Il p a d r e n o n aveva p o t u t o m a n d a r l o a scuola, né Francesco aveva sentito il bisogno di a n d a r c i . Aveva u n a sola passion e : l e a r m i . Q u a n d o p e r l a p r i m a volta b r a n d ì u n a spada, p e r poco n o n infilzò un cavaliere. Nella C o m p a g n i a di Facino si segnalò p e r l'eccezionale coraggio e il n u m e r o di nemici trafitti. L'eco delle sue gesta giunse all'orecchio di Filippo Maria Visconti che s'accingeva a r e c u p e r a r e i territori a n d a t i p e r d u t i alla m o r t e del p a d r e Gian Galeazzo. Il d u c a di Milano 268
lo convocò a corte, l'assunse al p r o p r i o servizio e lo lanciò alla riconquista di fortezze, castelli e città. Francesco Busson e , che i suoi soldati ribattezzarono il C a r m a g n o l a , r i p o r t ò tali vittorie che Filippo Maria lo n o m i n ò C o n t e di Casteln u o v o Scrivia e S i g n o r e di Vespolate, gli a s s e g n ò le vaste t e r r e circostanti e ne fece il suo confidente. Il c o n d o t t i e r o p i e m o n t e s e diventò u n a specie di e m i n e n z a grigia, t e m u t o e invidiato dagli intriganti e ambiziosi cortigiani del Duca, che lo c o n s i d e r a v a n o un i n t r u s o . L'odio p e r il brillante ufficiale s'acuì q u a n d o fu a n n u n c i a t o il suo m a t r i m o n i o c o n A n t o n i a Visconti, f i g l i a b a s t a r d a d e l d u c a G i a n Galeazzo. Essa aveva sposato i n p r i m e nozze u n a g u a r d i a del c o r p o del p a d r e , e r a ricca, giovane e bella. Le nozze furono celeb r a t e con g r a n fasto nel D u o m o . Gli sposi s'istallarono nel palazzo m u n i c i p a l e dove, poco t e m p o d o p o , il C a r m a g n o l a fu r a g g i u n t o dalla n o m i n a a g o v e r n a t o r e civile di Genova. L a p r o m o z i o n e e r a i n realtà u n a r i m o z i o n e dal c o m a n d o d e l l ' e s e r c i t o , di cui il c o n d o t t i e r o n o n s a p e v a s p i e g a r s i i motivi. C o n u n a piccola scorta di u o m i n i egli si recò al castello di A b b i a t e g r a s s o d o v e si t r o v a v a il D u c a e chiese di essere c o n d o t t o al suo cospetto. Gli fu risposto che Filippo M a r i a n o n p o t e v a riceverlo. I l C a r m a g n o l a , s d e g n a t o , rim o n t ò in sella, ma p r i m a di p a r t i r e scorse il D u c a che lo spiava s o g g h i g n a n d o d a u n a feritoia della t o r r e . A v r e b b e voluto a n d a r e a Milano d o v e aveva lasciato m o g l i e e figli, ma p e r s t r a d a s e p p e che il Visconti li aveva fatti a r r e s t a r e . N o n gli r i m a n e v a che la fuga. D a p p r i m a offrì i p r o p r i servigi al d u c a di Savoia A m e d e o V I I I , che li rifiutò p e r c h é n o n voleva inimicarsi Filippo Maria. Allora si rivolse a Venezia, che c o n t r a s t a v a a Milano la s u p r e m a z i a sull'Italia del N o r d . Il d o g e Francesco Foscari e i s e n a t o r i l'accolsero con molti o n o r i , gli affidarono il com a n d o di t u t t e le forze di t e r r a f e r m a , lo r i v e s t i r o n o delle insegne di San Marco e gli affiancarono d u e commissari col compito di seguirlo e di p r o t e g g e r l o , ma a n c h e di spiarlo. La g u e r r a con Milano n o n t a r d ò a scoppiare q u a n d o Fi269
r e n z e e la Serenissima si u n i r o n o in lega p e r r i n t u z z a r e le m i r e espansionistiche viscontee. Alla testa di un esercito di sedicimila cavalieri e di seimila fanti, il C a r m a g n o l a mosse alla conquista di Brescia che capitolò d o p o u n a fiacca difesa. T o r n a t o a Venezia, fu p o r t a t o in trionfo sul Canal G r a n d e . Ma q u a n d o il D o g e gli c o m a n d ò di r i p a r t i r e p e r il fronte, Francesco chiese u n rinvio. Alcuni mesi p r i m a c a d e n d o d a cavallo aveva b a t t u t o m a l a m e n t e la schiena, che o r a gli d o leva t a n t o da i m p e d i r g l i di m o n t a r e in sella, e i m e d i c i gli avevano consigliato u n a c u r a termale. D o p o un paio di settimane di fanghi riprese s t a n c a m e n t e le armi, ma subito d o po t o r n ò a d e p o r l e . In aprile il Senato gli o r d i n ò di marciare sulla L o m b a r d i a , ma egli rispose che nei prati l'erba n o n e r a abbastanza alta p e r sfamare i cavalli, e c h e q u i n d i bisognava aspettare l'estate. A g i u g n o , finalmente, levò le t e n d e , ma a settembre le ripiantò. Stavolta il Doge p e r s e la pazienza e minacciò di n o n p a g a r e la cinquina alle t r u p p e . Il Bussone dovette a r r e n d e r s i e attaccare i milanesi. I d u e eserciti si s c o n t r a r o n o I T I ottobre 1427 nella p i a n a d i Maclodio. Q u e l l o v e n e t o r i p o r t ò u n a vittoria strepitosa: diecimila ducali furono fatti prigionieri e t u t t e le loro a r m i v e n n e r o a m m u c c h i a t e d a v a n t i alla t e n d a del C a r m a g n o l a , nelle cui m a n i c a d d e a n c h e la b a n d i e r a viscontea, che fu d e posta ai piedi di quella della Serenissima. In u n a b r u t t a tragedia il Manzoni ha descritto questa battaglia che segnò l'apice della f o r t u n a militare d e l C a r m a g n o l a e l'inizio della sua rovina, e s a l t a n d o la g e n e r o s i t à d e l c o n d o t t i e r o , che la sera stessa della vittoria liberò i prigionieri. In realtà li liberò secondo alcuni p e r c h é n o n sapeva d o v e metterli, secondo altri p e r ingraziarsi Filippo Maria. A Venezia la sconfitta viscontea fu accolta con t r i p u d i o . Il G r a n Consiglio d o n ò al C a r m a g n o l a un bellissimo palazzo sul C a n a l G r a n d e e gli offrì p e r altri d u e a n n i il c o m a n d o s u p r e m o dell'esercito. D a p p r i n c i p i o il Bussone nicchiò, ma poi f i n ì p e r accettare. Aveva d a p o c o c o m p i u t o t r e n t a s e t t e a n n i , e a p a r t e la schiena a m m a c c a t a e r a nel p i e n o del suo 270
vigore fisico. Ma qualcosa in lui era cambiato. Era diventato taciturno, evitava gli amici, si faceva v e d e r e di r a d o in giro, n o n frequentava d o n n e e n o n partecipava ai sontuosi balli in Palazzo Ducale. Passava l u n g h e o r e a l e g g e r e i messaggi c h e Filippo Maria d a u n p o ' d i t e m p o gli inviava d a n d o g l i notizie della moglie e dei figli e p r o m e t t e n d o g l i di r e i n t e grarlo nei suoi d o m i n i milanesi. Il C a r m a g n o l a consegnava q u e l l e l e t t e r e al S e n a t o , a l i m e n t a n d o i sospetti c h e , d o p o Maclodio, s'erano venuti a p p u n t a n d o su di lui. Perché m a n teneva r a p p o r t i epistolari col nemico? La risposta i veneziani la videro, o a l m e n o c r e d e t t e r o di vederla, nelle successive c a m p a g n e c o n t r o Milano, risoltesi p e r loro in rotte clamorose. Nel m a r z o 1432, il Doge r i u n ì il Consiglio dei Dieci p e r giudicare lo sconcertante c o m p o r t a m e n t o del C a r m a g n o l a , c h e in quel m o m e n t o si trovava a Brescia. Fu deciso di richiamarlo a Venezia con un pretesto. Di n u l l a s o s p e t t a n d o , il c o n d o t t i e r o si p r e s e n t ò . G i u n t o a Venezia fu accolto c o n molti o n o r i da u n a d e l e g a z i o n e di nobili che lo s c o r t a r o n o fino al Palazzo Ducale. Ma a p p e n a varcata la soglia le g u a r d i e lo sospinsero nei sotterranei d o ve si trovavano le prigioni, e lo g e t t a r o n o in u n a l u r i d a cella dal soffitto basso, l u n g a poco più di un m e t r o , dove n o n p o teva né distendersi né stare in piedi. Per tre giorni n o n volle m a n g i a r e . Il q u a r t o fu c o n d o t t o in c a m e r a di t o r t u r a , d e n u d a t o , a p p e s o p e r i polsi al soffitto e ustionato con un ferro r o v e n t e . Alla fine «confessò» e fu c o n d a n n a t o a m o r t e p e r alto t r a d i m e n t o . Francesco Bussone salì sul palco dell'esecuzione con passo incerto, le m a n i legate dietro la schiena e con u n a sbarra di ferro in bocca a m o ' di m o r s o . Era pallido, scarmigliato e aveva il c o r p o cosparso di croste e lividi. Lo seguiva l'inseparabile cane bracco che gli aveva t e n u t o c o m p a g n i a a n c h e in c a r c e r e . La piazza t r a b o c c a v a di folla m u t a e a t t o n i t a , m e n t r e un coro di preti cantava inni funebri. A un d a t o segnale il carnefice fece inginocchiare il C a r m a g n o l a e gli sistemò il c a p o sul c e p p o . Poi levò la m a n n a i a e p e r b e n t r e 271
volte la lasciò c a d e r e sul collo del Bussone. Finalmente, recisa dal tronco, la testa rotolò in un fiotto di sangue. Il cane g u a i o l a n d o le si avvicinò e cominciò a leccarla. La sera stessa i resti del C a r m a g n o l a furono ricomposti in u n a rozza bara e consegnati alla moglie. Il Machiavelli, nel Principe, gli dedicò questo epitaffio: «I Viniziani, v e d u t o l o virtuosissimo, b a t t u t o che loro e b b o n o sotto il suo g o v e r n o el d u c a di Milano, e conoscendo dall'altra p a r t e c o m e egli e r a raffreddo nella g u e r r a , i u d i c o r o n o n o n p o t e r e con lui più vincere p e r c h é n o n voleva, né potere licenziarlo p e r n o n r i p e r d e r e ciò che a v e a n o acquistato: o n d e che furono necessitati p e r assicurarsene ammazzarlo». A q u a n t o p a r e il Machiavelli trovava d u n q u e del tutto logico, anzi inevitabile, che il C a r m a g n o l a finisse a quel m o d o , sebbene egli lo giudicasse i n n o c e n t e e perfino «virtuosissimo». Da b u o n italiano del Rinascimento, egli considerava p i e n a m e n t e legittimo il delitto commesso p e r «ragion di Stato». Ma se il giudizio m o r a l e nel nostro Paese era sceso così in basso, la colpa era a n c h e del m e r c e n a r i s m o . Esentandoli dal servizio militare, le c o m p a g n i e di v e n t u r a n o n soltanto avev a n o reso imbelli gl'italiani, ma avevano a n c h e distrutto in loro il senso di quei valori che solo gli eserciti nazionali teng o n o vivo. La m a n c a n z a d'ideali, l'ambizione di p o t e r e , la c u p i d i g i a di d e n a r o , la disponibilità al d o p p i o giuoco e al t r a d i m e n t o di un Acuto e di un Bussone n o n facevano scand a l o agli occhi di un p o p o l o che p i ù n o n sapeva, che anzi n o n aveva mai saputo cosa fossero patria, o n o r e , lealtà, p e r il semplice motivo che gli era m a n c a t a la palestra in cui ten e r e in a l l e n a m e n t o queste virtù: l'esercito. L'Italia è il paradiso dei «condottieri» p e r c h é n o n ha «soldati». Ma un Paese senza soldati è a n c h e un Paese senza «cittadini».
PARTE QUARTA
I NUOVI MONDI
CAPITOLO VENTISEIESIMO
LA CADUTA DI C O S T A N T I N O P O L I
Alla fine di m a g g i o del 1453, u n a notizia folgorò l ' E u r o p a cristiana: Costantinopoli e r a c a d u t a sotto le vigorose spallate degli eserciti t u r c h i di M a o m e t t o II il Conquistatore. Ma l'avvenimento colpì soprattutto le fantasie p e r la sua d r a m maticità. N e s s u n o ne colse le decisive e catastrofiche implicazioni politiche, n e m m e n o gli italiani che p u r e e r a n o quelli destinati a pagarle a p i ù caro prezzo. Solo gli ambasciatori veneti n e d i e d e r o , nei l o r o r a p p o r t i , u n a lucida p r e m o n i zione. C o m e quello d ' O c c i d e n t e , l ' I m p e r o R o m a n o d ' O r i e n t e aveva a m p i a m e n t e meritato la sua sorte. Da d u e secoli si sopravviveva intento solo a g o d e r e le delizie di u n o s p l e n d i d o t r a m o n t o . Esso e r a incominciato con l'invasione crociata di Costantinopoli nel 1204 che, d o p o aver sbalzato dal t r o n o il Basileus Isacco A n g e l o , aveva s m e m b r a t o il Paese r i d u c e n dolo a u n a galassia di staterelli i n d i p e n d e n t i , in lotta p e r p e tua t r a loro: gli i m p e r u n c o l i di T r e b i s o n d a e di Nicea, il d e spotato di Epiro, i principati di Filadelfia e di Rodi, l ' I m p e ro di Costantinopoli, il r e g n o di Tessalonica, il ducato d'Atene, il p r i n c i p a t o d'Acacia, oltre al pulviscolo di signorie veneziane disseminate l u n g o l'arcipelago. Nel 1 2 6 1 , d o p o c i n q u a n t a s e t t e a n n i d i caos, l a p o t e n t e famiglia dei Paleologi aveva r e s t a u r a t o la m o n a r c h i a . Ma la l u n g a vacanza imperiale aveva o r m a i provocato guasti insanabili. L'economia e r a in p i e n o sfacelo. L'agricoltura, che ne costituiva l'architrave, n o n aveva s a p u t o a d e g u a r s i a quello che oggi si c h i a m e r e b b e lo «sviluppo tecnologico». Legata a sistemi di coltivazione arcaici e improduttivi, irretita nel la275
tifondo, aveva dato vita a u n a specie di sottoproletariato r u rale, riottoso, iniettato di odio di classe, facile esca di d e m a gogiche «istanze» egalitarie. Gli agrari, dal canto loro, ostili a o g n i riforma c h e m e t t e s s e in discussione i l o r o privilegi feudali, e r a n o f e r m a m e n t e decisi a m a n t e n e r e lo status quo. U n a minaccia n o n m e n o grave e r a costituita dalle contin u e scorrerie dei popoli confinanti con l ' I m p e r o : gli O t t o m a n i , i Serbi, i Bulgari, q u a n d ' e r a n o a corto di viveri, e lo e r a n o r e g o l a r m e n t e alla vigilia d e i raccolti, i r r o m p e v a n o con voracità di locuste nelle p r o v i n c e bizantine e facevano razzia di messi e di bestiame. Lo stesso uzzolo di saccheggio animava gli eserciti imperiali nei loro spostamenti da un capo all'altro del Paese, e n o n solo in t e m p o di g u e r r a . Il Basileus assisteva i m p o t e n t e a queste devastazioni, limitandosi a minacciare sanzioni che n o n venivano mai applicate. I n condizioni n o n m e n o p r e c a r i e versava i l c o m m e r c i o , che aveva fatto la fortuna d e l l ' I m p e r o e p e r secoli aveva d o m i n a t o i n c o n t r a s t a t o nel L e v a n t e . L'espansione a macchia d'olio dell'Islam nel bacino del M e d i t e r r a n e o aveva inferto sin d a l IX secolo un d u r o colpo ai traffici m a r i t t i m i greci, ma la p o t e n t e flotta mercantile bizantina, m o d e r n i z z a n d o le p r o p r i e attrezzature, s'era a d e g u a t a alla realtà n u o v a e aveva, in m e n o di un secolo, riconquistato l'antico p r i m a t o . Il v e r o declino cominciò con le crociate, sulla cui o n d a v e n e ziani, genovesi e pisani c o n s o l i d a r o n o le loro colonie commerciali, s p u n t a t e c o m e funghi sulle coste g r e c h e , d o p o il Mille. C o m e a b b i a m o visto ne «L'Italia d e i C o m u n i » , esse g o d e v a n o di franchigie, esenzióni fiscali e i n n u m e r e v o l i altri privilegi c h e n e facevano Stati nello Stato, c o n p r o p r i quartieri, tribunali e chiese. I Balivi, che le g o v e r n a v a n o in n o m e della m a d r e p a t r i a , n o n esitavano, q u a n d o v e n i v a n o in conflitto con l ' I m p e r a t o r e , a f o m e n t a r e c o n t r o di lui sommosse e talvolta a d d i r i t t u r a a capeggiarle. Il Basileus, t e m e n d o l e r a p p r e s a g l i e delle r e p u b b l i c h e m a r i n a r e , n o n osava r e p r i m e r e i t u m u l t i , c h e spesso ne g e n e r a v a n o altri t r a la popolazione greca, violentemente xenofoba. 276
L'agricoltura esausta e il c o m m e r c i o d i v e n u t o m o n o p o l i o di m e r c a n t i stranieri, n o n t a r d a r o n o a p r o v o c a r e il collasso finanziario d e l l ' I m p e r o , i cui principali cespiti e r a n o a p p u n to le imposte fondiarie e quelle doganali. I g r a n d i p r o p r i e tari terrieri, che dovevano pagare le prime, n o n avevano difficoltà a c o r r o m p e r e gli agenti fiscali incaricati di riscuoterle; i Veneziani, i Genovesi e in m i s u r a m i n o r e gli S p a g n o li e i Francesi e r a n o e s e n t a t i dalle s e c o n d e , o a l m e n o da quelle più gravose. Per far q u a d r a r e i bilanci, i Paleologi r i d u s s e r o le spese militari e r i d i m e n s i o n a r o n o l'esercito, senza r e n d e r s i conto che in tal m o d o avviavano il Paese al suicidio. S g u a r n e n d o le frontiere essi d i e d e r o baldanza a quelle popolazioni slave e t u r c h e , affamate di t e r r e e s m a n i o s e di facili c o n q u i s t e , che s'ammassavano minacciose ai confini d e l l ' I m p e r o , p r o n te a varcarli n o n a p p e n a un q u a l u n q u e capotribù ne avesse d a t o il segnale. A ogni battaglia p e r d u t a facevano eco nei favolosi saloni del palazzo r e a l e di C o s t a n t i n o p o l i b a n c h e t t i sontuosi e feste da «Mille e u n a notte». Per finanziarli, il Basileus attingeva a p i e n e m a n i nelle casse dello Stato, prosciug a n d o l e . Il t r e n o di vita della C o r t e e r a s p l e n d i d o , c o m e ai t e m p i d ' o r o di G i u s t i n i a n o e T e o d o r a . Inflazione e ricevim e n t i si s u s s e g u i v a n o allo stesso i n c a l z a n t e r i t m o . N u o v i edifici s o r g e v a n o o g n i g i o r n o nel recinto i m p e r i a l e . Quelli vecchi venivano ridipinti e abbelliti. Il Palazzo Sacro e r a u n a f a n t a s m a g o r i a d i ori, mosaici, arazzi, d r a p p i d i d a m a s c o , tappeti t r a p u n t i di g e m m e . L ' I m p e r a t o r e e l ' I m p e r a t r i c e indossavano vesti sfarzose dagli a m p i p a n n e g g i , tempestate di pietre preziose. Lo stesso sfarzo ostentavano dignitari e cortigiani. Un cronista riferisce c h e nel 1347, in occasione del m a t r i m o n i o di Giovanni Paleologo, i cibi del b a n c h e t t o nuziale furono serviti su piatti di terracotta e di stagno e che i diad e m i degli sposi e r a n o incrostati di p i e t r e vili e di cocci di bottiglia. Ma questa testimonianza n o n c o n c o r d a con quelle che ci h a n n o lasciato la m a g g i o r p a r t e degli storici dell'epo277
ca, u n a n i m i nel d e n u n c i a r e lo sfoggio di p o m p a d e l l ' I m p e r a t o r e e della sua C o r t e . Q u a l e spettacolo offrisse invece il resto della città alla vigilia d e l l a c a d u t a ce lo dice il d i p l o m a t i c o s p a g n o l o Ruy G o n z à l e z de Clavijo: «la C a p i t a l e r i g u r g i t a di edifici fatiscenti, di chiese e m o n a s t e r i in stato di c o m p l e t o a b b a n d o no». Q u e s t a descrizione richiama alla m e m o r i a l ' i m m a g i n e di R o m a ai t e m p i dei Goti e dei L o n g o b a r d i , con le s t r a d e t r a s f o r m a t e in f o g n e , le piazze a d i b i t e a pascoli, le chiese convertite in bivacchi. La periferia di Bisanzio e r a ridotta a u n a fetida bidonville, infestata dai topi e dai pidocchi, p o p o lata di sciuscià e di b a r b o n i . Le carestie e le pestilenze decim a v a n o a t u r n o la p o p o l a z i o n e , scesa a poco p i ù di c e n t o mila a n i m e . La società e r a in p i e n o disfacimento. Solo la filosofia e le arti n o n avevano p e r d u t o tutto il loro smalto. Per m a n c a n z a di s t u d e n t i a l c u n e scuole a v e v a n o c h i u s o i b a t t e n t i , ma la m a g g i o r p a r t e f u n z i o n a v a n o r e g o l a r m e n t e , a n c h e se i freq u e n t a t o r i si facevano s e m p r e più rari. Dotti filosofi tenevano d o t t e lezioni su Platone e Aristotele, p r e n d e n d o a n i m o s a m e n t e partito a favore d e l l ' u n o o dell'altro. Il Basileus Giovanni VI Cantacuzene, migliore come studioso che come sovrano, sosteneva la superiorità di Aristotele su Platone. A n c h e l'arte, sullo sfondo del generale d e c a d i m e n t o , ebbe un e s t r e m o guizzo di vita. I temi e i motivi ai quali essa s'ispirava e r a n o ancora quelli religiosi - il Vecchio e il N u o vo Testamento, le vite dei santi - e il t o n o quello edificante e agiografico, ma un soffio di n a t u r a l i s m o aveva cominciato a p e r v a d e r l a e a r e n d e r l a m e n o uggiosa. Accanto a scene della Passione e a l e g g e n d e miracolose, gli artisti bizantini ritraevano bozzetti di vita quotidiana in grandiosi e policromi affreschi. Ma tutto questo n o n bastava a far da scudo c o n t r o la s p a d a dell'Islam, b r a n d i t a dai bellicosi Turchi O t t o m a n i . E r a n o costoro u n a p o p o l a z i o n e originaria dell'Asia centrale, da cui e r a n o refluiti verso sud. D o p o l u n g h e ed esten u a n t i m a r c e attraverso m o n t i e p i a n u r e , s'erano accampati 278
sugli altipiani dell'Anatolia. Vivevano in t e n d e e in rozze cap a n n e di paglia. La pastorizia era la loro principale fonte di s o s t e n t a m e n t o , possedevano r u d i m e n t a l i cognizioni d'agricoltura e d e r a n o cavalieri formidabili. Q u a n d o s'acquartier a r o n o nell'Asia M i n o r e e r a n o p a g a n i . I n v a n o i missionari bizantini c e r c a r o n o di convertirli al cristianesimo. F u r o n o invece i califfi arabi, q u a n d o a r r i v a r o n o da quelle parti nella loro folgorante diaspora, che li convertirono all'Islam: un credo molto più congeniale al loro t e m p e r a m e n t o anche p e r c h é lo si praticava con la scimitarra. Nella s e c o n d a m e t à d e l X I V secolo, i l l o r o s u l t a n o O r k h a n chiese e o t t e n n e la m a n o di u n a principessa greca. I n t o r n o al 1350, suo figlio Solimano, in seguito a u n a contesa scoppiata t r a i Paleologi e l ' I m p e r a t o r e in carica, Cantacuzene, fu da quest'ultimo a r r u o l a t o con il suo esercito cont r o la d i n a s t i a rivale. Da allora, i T u r c h i n o n c e s s a r o n o di profittare delle c o n t i n u e lotte fratricide c h e i n s a n g u i n a r o n o , fino al crollo finale, il t r o n o di Bisanzio, e cominciarono a p r e n d e r s i degli anticipi sull'eredità a n n e t t e n d o s i u n a d o po l'altra le province balcaniche d e l l ' I m p e r o . Il protagonista di questo prodigioso m o t o d'espansione a n o r d - o v e s t fu il S u l t a n o M u r a d , il v e r o f o n d a t o r e d e l l ' I m p e r o ottomano, u n o dei più intrepidi condottieri del suo t e m p o . In lui le virtù g u e r r i e r e s'allearono a eccezionali d o ti politiche e diplomatiche. Divise i sudditi in cittadini di prima e di seconda categoria: alla p r i m a assegnò i t u r c h i e tutti coloro che si convertivano all'Islam, alla seconda i cristiani, che seguitavano a vivere secondo i loro costumi e le loro leggi, l i m i t a n d o s i a p a g a r e al s u l t a n o speciali tasse. Se in t e m p o di g u e r r a u n a città o p p o n e v a resistenza i suoi abitanti venivano fatti schiavi e, se d o n n e , diventavano concubine. Poiché la condizione di schiavo, di concubina e di cittadino di s e c o n d a c a t e g o r i a p r e s e n t a v a molti i n c o n v e n i e n t i e sop r a t t u t t o impediva di far carriera, le conversioni e r a n o n u merose. Fu grazie alla politica religiosa di M u r a d che l ' I m p e r o ot279
t o r n a n o , nel suo e t e r o g e n e o e p i t t o r e s c o c o s m o p o l i t i s m o , trovò coesione e unità. Q u e s t o spregiudicato e l u n g i m i r a n t e m o n a r c a legò il s u o n o m e a n c h e all'istituzione dei famosi giannizzeri, specie di g u a r d i a p r e t o r i a n a , i cui c o m p o n e n t i venivano reclutati in t e n e r a età, allevati secondo u n a rigida disciplina militare nell'assoluta lealtà verso il s o v r a n o e addestrati nell'uso di tutte le a r m i . G o d e v a n o di speciali privilegi e ricevevano u n o speciale soldo, molto s u p e r i o r e a quello che veniva corrisposto alle c o m u n i milizie di carriera. Essi furono il p r i m o c o r p o organizzato dell'esercito turco, che fino al principio del Trecento e r a stato poco più di u n ' o r d a . Q u a n d o n e l 1451 d i v e n t ò S u l t a n o M a o m e t t o I I , quello o t t o m a n o e r a già u n I m p e r o p r o s p e r o , p o t e n t e e t e m u t o . D o m i n a v a b u o n a p a r t e della Penisola balcanica e u n a grossa fetta dell'Asia Minore. Solo Costantinopoli era rimasta ind i p e n d e n t e , ma c o m e p u ò esserlo un castello assediato. Sulla carta era ancora la Capitale di un I m p e r o , ma i suoi confini ormai coincidevano col p e r i m e t r o delle sue m u r a . Alla vigilia di Pasqua del 1453, i suoi abitanti furono messi in allarme dall'annunzio che u n ' a r m a t a turca di centoquarantamila uomini, in p i e n o assetto di g u e r r a , stava marciando alla volta della città. Alcuni fuggirono e r i p a r a r o n o nelle c a m p a g n e circostanti t e m e n d o c h e un assedio e u n a l u n g a carestia li facesse p e r i r e , ma i più si accinsero alla difesa. Il 2 aprile a p p a r v e minacciosa all'orizzonte l'avanguardia nemica. L ' i m p e r a t o r e C o s t a n t i n o XI Paleologo o r d i n ò la sortita d i u n o s q u a d r o n e d i cavalieri i quali, d o p o aver s e m i n a t o un p o ' di panico tra le file n e m i c h e , v e d e n d o approssimarsi il grosso dell'esercito, b a t t e r o n o p r e c i p i t o s a m e n t e in ritirata. Tutti i p o n t i levatoi furono alzati, sigillate le p o r t e di accesso alla Capitale. E p e r i m p e d i r e che la flotta turca gettasse le a n c o r e nella baia del C o r n o d ' O r o , la bocca del p o r t o fu s b a r r a t a c o n u n a t r i n c e a di t r o n c h i galleggianti, t e n u t i insieme da pesanti catene di ferro. Il 5 aprile, il S u l t a n o s ' a t t e n d ò con il suo v a r i o p i n t o seguito in c a m p o a p e r t o a circa un miglio e mezzo dalla Capi280
tale, ma il g i o r n o successivo spostò avanti l ' a c c a m p a m e n t o di alcune centinaia di metri. Costantino rivolse un appello a tutti gli stranieri residenti a Bisanzio affinché concorressero alla difesa della città. I mercanti veneziani e genovesi, al com a n d o dei l o r o rispettivi Balivi, i m p u g n a r o n o le a r m i e si a t t e s t a r o n o a difesa delle posizioni l o r o assegnate. A n c h e i m o n a c i f u r o n o mobilitati e scaglionati l u n g o le m u r a c o m e ufficiali di c o l l e g a m e n t o . I p r e t i f u r o n o invitati a t e n e r s i p r o n t i a confessare i vivi e a r e c a r e il viatico ai m o r i b o n d i . Il c o m a n d a n t e della piazza fece p u n t a r e i c a n n o n i in dir e z i o n e d e l c a m p o n e m i c o , m a alla p r i m a b o r d a t a d o v e t t e r i m u o v e r l i p e r c h é i contraccolpi a v e v a n o a p e r t o p r o f o n d e c r e p e nei m u r i delle torri sulle quali e r a n o stati issati. Al rip a r o così dall'artiglieria b i z a n t i n a , i T u r c h i a v a n z a r o n o di qualche altro centinaio di metri. II Sultano spostò p e r la terza volta la sua t e n d a r o s s o - o r o e offrì ai Greci u n a t r e g u a che fu s d e g n o s a m e n t e respinta. Allora o r d i n ò ai c a n n o n i e r i di b o m b a r d a r e le m u r a le quali in più p u n t i subirono gravi brecce, che gli assediati s'affrettarono a t a m p o n a r e alla bell'e meglio. Le artiglierie o t t o m a n e c r e p i t a r o n o p e r sei settim a n e . Q u a n d o cessavano il fuoco, gli arieti, le testuggini e altre pesanti m a c c h i n e da g u e r r a venivano spinte a ridosso delle m u r a , m e n t r e i difensori precipitavano dall'alto macigni, pece e olio bollente. Il 28 maggio M a o m e t t o II o r d i n ò ai trombettieri, ai tamb u r i n i e ai pifferai di d a r e il segnale dell'assalto. Le campane di tutte le chiese di Costantinopoli s u o n a r o n o a distesa s e m i n a n d o il panico fra il p o p o l i n o che a b b a n d o n ò le p r o p r i e case p e r c e r c a r e rifugio tra le n a v a t e di Santa Sofia o sul suo sagrato. Per l'occasione furono riesumate tutte le reliquie e i m p e t r a t a l'intercessione dei santi e dei martiri più in voga. Q u a l c u n o si r i c o r d ò di u n ' a n t i c a profezia secondo la quale un angelo, m u n i t o di u n a l u n g a spada, avrebbe ricacciato gli Infedeli e liberato la città. Ma la profezia n o n si avverò. D o p o u n a resistenza disperata, Bisanzio fu e s p u g n a t a da un battaglione di giannizzeri 281
che d i l a g a r o n o nelle sue s t r a d e con l'impeto e il fragore di un t o r r e n t e . Costantino, vistosi p e r d u t o , si spogliò delle insegne imperiali e, lancia in resta, si avventò con alcuni comp a g n i c o n t r o i Turchi. I cronisti c o n t e m p o r a n e i n o n ci dicono se uscì vivo dalla mischia. Probabilmente vi perì, suggell a n d o con un gesto nobile e p r o d e la liquidazione di u n a dinastia che in d u e secoli n o n ne aveva c o m p i u t o n e s s u n o . M a o m e t t o varcò l e m u r a d i C o s t a n t i n o p o l i a l c u n e o r e d o p o che il suo esercito l'aveva conquistata p e r c o n s e n t i r e alla soldataglia di sfogare il suo uzzolo di saccheggio. Al suo ingresso i massacri e le r a p i n e cessarono, a n c h e p e r c h é da uccidere e da svaligiare c'era rimasto b e n poco. Le strade e le piazze della città e r a n o lastricate di c a d a v e r i , molti d e i quali o r r e n d a m e n t e mutilati. Anche i monasteri e r a n o stati presi d'assalto e i loro inquilini, senza distinzione di sesso, violentati e poi scannati. Alcune m o n a c h e , p e r n o n c a d e r e nelle m a n i dei vincitori, si e r a n o affogate g e t t a n d o s i nei pozzi dei c o n v e n t i , altre si e r a n o sfracellate dalle finestre, altre ancora si e r a n o avvelenate. D o p o aver profanato i luoghi sacri, gli O t t o m a n i avevano invaso le biblioteche, d e p r e d a n d o l'immenso e inestimabile p a t r i m o n i o di codici e manoscritti che esse custodivano. Decine di migliaia di volumi furono dati alle fiamme o gettati in m a r e . Q u a n d o finalmente, d o p o tre giorni, t o r n ò la calma, il Sultano diede o r d i n e di convertire in moschee un certo n u m e r o di chiese. Gli Ulema s'arrampicarono sui pulpiti e annunciar o n o che Allah e r a il vero dio e M a o m e t t o il suo profeta. Q u i n d i , il Sultano convocò i suoi generali e al loro cospetto procedette alla spartizione del bottino, di cui s'aggiudicò u n a parte cospicua. Esso consisteva n o n solo in armi, trofei, gioielli, argenteria e altri oggetti preziosi, ma c o m p r e n d e v a anche i m e m b r i superstiti della famiglia imperiale e un certo n u m e r o di ufficiali, dignitari e d a m e di corte, scampati alla carneficina. Maometto concesse m a g n a n i m a m e n t e la libertà alle donne m e n o avvenenti e assegnò al p r o p r i o serraglio le altre. Q u i n d i s'accinse a r i m e t t e r e un p o ' d ' o r d i n e in città. No282
m i n ò u n n u o v o Patriarca nella p e r s o n a del teologo G e n n a dio, al quale affidò i cristiani di Bisanzio, su cui egli doveva vigilare c o m e suo r a p p r e s e n t a n t e . Ai p r i m i di g e n n a i o 1454, G e n n a d i o ricevette dalle m a n i di M a o m e t t o le insegne dell'alto ufficio: la l u n g a veste, il b a s t o n e e la croce p e t t o r a l e . D o p o la cerimonia, il Patriarca salì su un cavallo bianco, dono d e l S u l t a n o , e s'avviò verso la chiesa dei Santi Apostoli, dove fu i n c o r o n a t o dal Metropolita di Eraclea. Infine g u i d ò u n a l u n g a processione p e r le vie della città. Col titolo d i Patriarca, G e n n a d i o o t t e n n e d a M a o m e t t o n u m e r o s i privilegi: l'inviolabilità p e r s o n a l e , l'esenzione fiscale, l'inamovibilità e il diritto di t r a s m e t t e r e queste p r e r o gative ai successori. I n o l t r e , riuscì a s t r a p p a r e a m p i e concessioni in m a t e r i a giudiziaria, assicurando alla chiesa ortodossa il diritto n o n solo di giudicare le controversie religiose, ma a n c h e le cause c o n c e r n e n t i il m a t r i m o n i o , il divorzio e la tutela dei minori. All'assetto religioso seguì quello e c o n o m i c o di Costantinopoli, che M a o m e t t o elesse a capitale d e l l ' I m p e r o ottomano al posto di Adrianopoli. Invitò i c o m m e r c i a n t i greci a ripristinare i loro traffici e gli artigiani a riaprire le loro botteg h e , lanciò un a p p e l l o agli A r m e n i , agli E b r e i e ai T u r c h i r e s i d e n t i in altre p a r t i d e l l ' I m p e r o affinché e m i g r a s s e r o a Bisanzio, reclutò u n a schiera di valenti architetti e affidò loro la ricostruzione della città e l'erezione di un palazzo reale in p i e n o c e n t r o , dove s'installò con la C o r t e e un dovizioso harem. In p o c h i a n n i la città resuscitò, q u a d r u p l i c ò la sua popolazione, e riacquistò il r a n g o e il t o n o di Capitale. Q u a n d o C o s t a n t i n o p o l i c a d d e , i c o n t e m p o r a n e i n o n si r e s e r o c o n t o c h e l a storia d ' E u r o p a a v r e b b e p r e s o , d o p o quell'evento, un n u o v o corso. C o n Bisanzio n o n era infatti crollata solo u n a Capitale, che n o n aveva fatto nulla p e r restare tale. Era c a d u t o l'ultimo bastione r o m a n o , e q u i n d i occidentale, nella Penisola balcanica e nell'Asia M i n o r e , p e r ché la C o s t a n t i n o p o l i dei Paleologi n o n era solo l ' e r e d e di Giustiniano, ma a n c h e dei Cesari. 283
La g r a n d e sconfitta fu p e r ò la Chiesa cristiana che si vide definitivamente soppiantata da quella fede m u s s u l m a n a che p e r secoli aveva c o m b a t t u t o , e con le crociate aveva cercato d'estirpare. La s p a d a dell'Islam aveva c o m p i u t o la v e n d e t t a a f f o n d a n d o la sua l a m a fin sulla soglia della cristianissima Ungheria. Ma quella o t t o m a n a fu u n a rivincita n o n solo religiosa, ma a n c h e economica. A farne le spese furono soprattutto le r e p u b b l i c h e m a r i n a r e di Venezia e di Genova che dal Mille in p o i a v e v a n o s p a d r o n e g g i a t o nell'Adriatico e n e l l ' E g e o m o n o p o l i z z a n d o i c o m m e r c i , arricchendosi s m i s u r a t a m e n te, facendo e disfacendo alleanze e l a c e r a n d o con la loro sete di g u a d a g n o e le l o r o s a n g u i n o s e b e g h e il d e b o l e e corrotto I m p e r o d ' O r i e n t e . N o n tutti i valori della g r a n d e civiltà bizantina a n d a r o n o tuttavia p e r d u t i p e r l'Occidente. La resa di Costantinopoli provocò l'esodo in Francia e in Italia di u n o stuolo di filosofi, letterati, artisti greci che fecero conoscere all'Ovest i tesori d e l p e n s i e r o e della c u l t u r a della M a d r e p a t r i a . F u r o n o costoro a spargere nel nostro Paese i semi di quella rinascita umanistica che contrassegnò i «secoli d'oro».
CAPITOLO VENTISETTESIMO
LA SCOPERTA D E L L A M E R I C A
La c a d u t a di Costantinopoli chiuse all'Europa le vie del Med i t e r r a n e o orientale, e la obbligò a volgere gli occhi a Ovest. Nella fantasia p o p o l a r e , l'Ovest e r a la sconfinata distesa d'acqua al di là dello stretto di Gibilterra, le cosiddette «col o n n e d'Ercole», c h e s e g n a v a n o il limite d e l m o n d o c o n o sciuto. Chi le varcava n o n faceva più r i t o r n o , inghiottito dai flutti di un m a r e inaccessibile. Cosa n a s c o n d e v a n o i suoi abissi? Fin d o v e s ' e s t e n d e v a n o le s u e p r o p a g g i n i ? A questi inquietanti interrogativi e r a n o state date le risposte p i ù bizz a r r e e fantastiche. Per molti secoli, filosofi, teologi e scienziati avevano sostenuto, p u r senza d a r n e u n a plausibile m o tivazione, che l'Oceano, c o m e nell'antichità e r a stato battezzato l'Atlantico, n o n e r a navigabile. Ma nel 986, i N o r m a n n i a v e v a n o osato affrontarlo s p i n g e n d o s i fin sulle coste della G r o e n l a n d i a . Nel 1000, r i p e t e n d o l'impresa, a v e v a n o scop e r t o u n n u o v o C o n t i n e n t e : ma, trovatolo deserto, avevano volto n u o v a m e n t e le p r u e verso i loro fiordi di p a r t e n z a . Q u e s t e gesta, t r a m a n d a t e nelle saghe n o r d i c h e , in E u r o pa n o n t r o v a v a n o m o l t o credito. Ma accesero la fantasia di u n g i o v a n e m a r i n a i o g e n o v e s e , c h e n e i suoi viaggi aveva sfiorato le coste della Scandinavia, d o n d e cinquecento a n n i p r i m a i vascelli n o r m a n n i avevano preso l'avvio. Cristoforo C o l o m b o e r a nato a G e n o v a nel 1451 da u n a p o v e r a famiglia di tessitori e b r e i e m i g r a t i dalla S p a g n a in Liguria e convertiti. Q u a n d ' e r a b a m b i n o , il p a d r e , p e r sfuggire ai c r e d i t o r i , aveva d o v u t o trasferirsi a Savona, d o v e aveva trovato lavoro c o m e oste. Le precarie finanze gli avevano i m p e d i t o di m a n d a r e a scuola i figli che, giunti alle so285
glie della p u b e r t à , s'imbarcarono c o m e mozzi su un vecchio mercantile. N e l 1471 C o l o m b o fu p r o m o s s o c a p i t a n o . C i n q u e a n n i d o p o , il suo vascello, veleggiando verso Lisbona, fu assalito dai pirati e affondato. Cristoforo si salvò p e r miracolo n u o t a n d o p e r sei o r e a g g r a p p a t o a u n a tavola di l e g n o . N e l 1477 visitò la Scandinavia, e fu in quell'occasione che sentì p a r l a r e delle i m p r e s e t r a n s o c e a n i c h e dei v i c h i n g h i . Egli n o n pensava che costoro avessero scoperto un n u o v o contin e n t e . C r e d e v a che avessero trovato la via occidentale verso l'India e la Cina, cioè il m o d o di e l u d e r e lo s b a r r a m e n t o ott o m a n o di Costantinopoli. N a v i g a n d o , nelle l u n g h e p a u s e d'ozio, aveva letto Xlmago Mundi di Pietro d'Ailly, YHistoria rerum ubique gestarum di Pio I I , la t r a d u z i o n e italiana dell'Historia naturalis di Plinio e il Milione di Marco Polo, le cui favolose descrizioni della Cina e del G i a p p o n e a v e v a n o i n f i a m m a t o la sua vivida i m m a g i n a z i o n e . Marco Polo fissava a cinquemila miglia a Ovest di Lisbona la più vicina isola del c o n t i n e n t e asiatico. La stessa distanza - secondo il medico fiorentino Paolo Toscanelli - si doveva p e r c o r r e r e p e r r a g g i u n g e r e dalle coste p o r t o g h e s i , e p e r la via p i ù breve, l'India. I biografi di C o l o m b o riferiscono che furono q u e s t e valutazioni a far nascere nel navigatore genovese l'idea di sfidare l'Oceano. C r i s t o f o r o , c h e d o p o il n a u f r a g i o si e r a accasato a Lis b o n a , scrisse a l r e d e l P o r t o g a l l o c h i e d e n d o g l i t r e c a r a velle e s o t t o l i n e a n d o i v a n t a g g i c h e s a r e b b e r o d e r i v a t i alla F e d e cristiana dalla c o n v e r s i o n e d e g l ' i n d i g e n i dell'Asia. Il b i g o t t o s o v r a n o s o t t o p o s e la richiesta a u n a c o m m i s s i o n e di geografi i quali la g i u d i c a r o n o inaccettabile p e r c h é - sec o n d o l o r o - la d i s t a n z a t r a il Portogallo e l ' e s t r e m o lembo o r i e n t a l e dell'Asia, che n e s s u n o a q u e i t e m p i sospettav a fosse divisa d a l l ' E u r o p a d a u n a l t r o C o n t i n e n t e , e r a m o l t o s u p e r i o r e a quella indicata da C o l o m b o . Il c a p i t a n o si rivolse allora a G e n o v a e a Venezia, ma le d u e r e p u b b l i c h e m a r i n a r e italiane gli n e g a r o n o o g n i a i u t o . Bussò alla 287
p o r t a dei sovrani di S p a g n a , F e r d i n a n d o e Isabella, i q u a li n o m i n a r o n o u n a commissione di esperti, che ribadì le obiezioni sollevate dai geografi p o r t o g h e s i . Deluso, ma n o n scoraggiato, p e n s ò d i recarsi i n Francia, alla c o r t e d i Carlo V i l i . Ma un amico, l'abate Perez, riuscì a dissuad e r l o fissandogli u n ' u d i e n z a c o n Isabella. A n c h e il m i n i stro Luis de Santander, un e b r e o battezzato, intercesse p r e s s o la R e g i n a affinché accordasse la sua p r o t e z i o n e all ' i m p r e s a , c h e egli stesso s ' i m p e g n a v a a finanziare q u a l o ra i s o v r a n i si fossero rifiutati di s o v v e n z i o n a r l a col p u b blico d e n a r o . F i n a l m e n t e , Isabella e F e r d i n a n d o si decisero a d a r e il loro c o n s e n s o . In pochi giorni furono raccolti d u e milioni di m a r a v e d ì e allestite t r e caravelle: la Pinta, la Nifia e la S a n t a Maria. Q u e s t ' u l t i m a e r a l a n a v e a m m i r a g l i a , stazzava d u e c e n t o t r e n t a t r é t o n n e l l a t e e d e r a l u n g a circa t r e n t a c i n q u e m e t r i . Tutt'e tre e r a n o d o t a t e di b o m b a r d e caricate a palle di granito e dì s p i n g a r d e , piccole artiglierie che s p a r a v a n o proiettili di p i o m b o , e sui p e n n o n i issavano u n a c r o c e . Le stive e r a n o state colmate di vino, acqua e g e n e r i alimentari p e r c h é o g n i m a r i n a i o aveva d i r i t t o a u n a d o s e q u o t i d i a n a di t r e c e n t o c i n q u a n t a g r a m m i d i biscotto, d u e c e n t o t t a n t a d i c a r n e o pesce e d u e litri di vino. Inoltre, e r a n o stati imbarcati alcuni quintali di ortaggi, cipolle, formaggi e n u m e r o s e casse di p e r l e di v e t r o , specchi, b e r r e t t i v a r i o p i n t i , spilli e aghi da distribuire agli abitanti del Catai e del C i p a n g o , come allora e r a n o chiamati la Cina e il G i a p p o n e . L'Ammiraglio, istallatosi sulla S a n t a Maria, affidò il com a n d o della Pinta a Martin Alonso Pinzon e quello della Nifia a Vicente Yanez Pinzon, u n o d e i p i ù g r a n d i n a v i g a t o r i spagnoli del t e m p o ; e il 3 agosto 1492 la piccola flotta, salutata dagli abitanti in festa, salpò dal p o r t o di Palos. D o p o alcuni giorni di navigazione, la Pinta subì un'avaria e dovette essere rimorchiata fino alle isole Canarie, dove Colombo fece gettare le a n c o r e e r i p a r a r e l'imbarcazione. Solo d o p o un mese, a causa della bonaccia e dei venti contrari, le tre navi 288
p o t e r o n o r i p r e n d e r e il m a r e p u n t a n d o diritte verso p o n e n te, cioè verso l'Ignoto. Al t r a m o n t o , l'equipaggio s'ammassava sul p o n t e a recit a r e l'Ave Maria e a c a n t a r e le lente n e n i e castigliane e andaluse. Col passare dei giorni, m a n o a m a n o che le caravelle s'inoltravano nell'Oceano, gli animi dei naviganti si facev a n o agitati e d u b b i o s i . O g n i t a n t o q u a l c u n o , colto dallo sconforto, si gettava in ginocchio, levava le m a n i al cielo e invocava la t e r r a , o p p u r e , in p r e d a a un miraggio, la p u n t a va col dito all'orizzonte. Ma q u a n d o la visione svaniva, rip i o m b a v a i n u n c u p o s g o m e n t o . E r a n o quelli m o m e n t i d i terribile angoscia p e r l'Ammiraglio. U n a sera, alcuni m a r i n a i gli dissero che volevano t o r n a r e indietro. «Perdete il vostro tempo», rispose Colombo, «perc h é io sono partito p e r il Catai e c o n t i n u e r ò a navigare finc h é , c o n l'aiuto d i Dio, n o n l o a v r ò r a g g i u n t o . » N o n r i u scendo con le b u o n e a convincerlo a m u t a r rotta, l'equipaggio minacciò di a m m u t i n a r s i . Il c o m p l o t t o v e n n e scoperto, e Pinzon consigliò C o l o m b o di impiccare i ribelli. «Se n o n lo fate voi», avvertì, «lo faccio io.» Solo allora i m a r i n a i della Santa Maria t o r n a r o n o all'obbedienza. LT1 o t t o b r e , l ' e q u i p a g g i o della Pinta pescò u n a c a n n a , un b a s t o n e intagliato, u n a tavoletta di l e g n o e un ciuffo d'erba. I marinai i n t o n a r o n o un Te Deum e l'Ammiraglio ord i n ò alla v e d e t t a n o t t u r n a d i t e n e r e gli occhi b e n e a p e r t i , p e r c h é l ' a p p r o d o sarebbe stato i m m i n e n t e . Alle d u e , un colpo di c a n n o n e s p a r a t o da b o r d o della Pinta d e s t ò gli equipaggi delle tre navi. Un certo R o d r i g o de T r i a n a aveva avvistato la t e r r a , g u a d a g n a n d o s i i mille m a r a v e d ì che re Ferdin a n d o aveva p r o m e s s o a chi p e r p r i m o avesse scorto l'Asia. All'alba, le caravelle g e t t a r o n o le ancore al largo di un'isola boscosa e lussureggiante, orlata di u n a l u n g a spiaggia dalla sabbia sottilissima, popolata da uccelli esotici e da u o m i n i n u d i . C o l o m b o fece calare in acqua u n a lancia e in c o m p a gnia del Pinzon, del notaio e dell'ispettore della flotta, raggiunse la costa. C o n la destra i m p u g n a v a lo s t e n d a r d o reale, 289
m e n t r e gli altri d u e capitani sventolavano u n a b a n d i e r a con la croce. Tutti e r a n o avvolti in vesti sontuose, ricamate d ' o r o e d'argento, e indossavano cappelli con ricchi pennacchi. A p p e n a toccò t e r r a , l'Ammiraglio dichiarò che p r e n d e v a possesso dell'isola in n o m e di F e r d i n a n d o e Isabella. Q u i n d i a p r ì u n a borsa e distribuì il c o n t e n u t o - p e r l e di vetro, sonagli, berretti rossi e altre cianfrusaglie - agli indigeni che si e r a n o fatti i n t o r n o agli spagnoli e m o s t r a v a n o u n a g r a n d e curiosità p e r i loro abiti e le luccicanti s p a d e che cingevano ai fianchi. Colombo c h i a m ò quella t e r r a G u a n a h a n i . Era sicuro che essa si trovava in Asia, n o n l o n t a n o dalla città del G r a n K h a n . Per un paio di settimane vagò p e r le isole che facevano corona a Guanahani, battezzandole con nomi spagnoli di p r i n c i p i e di santi: S a n t a M a r i a de la C o n c e p t i o n , Fern a n d i n a , Isabela. Annotava nel diario ogni cosa che vedeva. Ciò che p i ù l'aveva colpito, oltre alla bellezza del luogo e al t e p o r e del clima, e r a stata la docilità degli indigeni. «Devon o essere b u o n i servi», scrisse d u e g i o r n i d o p o l o s b a r c o . «Se i Sovrani lo d e s i d e r a n o possono farli venire in Castiglia o c h i u d e r l i prigionieri nell'isola, p e r c h é con c i n q u a n t a u o mini a r m a t i li t e n g o n o tutti in loro dominio.» C o m e esempio di carità cristiana n o n c'era male. L'Ammiraglio o r d i n ò di a r r e s t a r e un certo n u m e r o di selvaggi, specialmente d o n n e , e di battezzarli. Poi fece rizzare all'imboccatura del p o r t o u n a g r a n d e croce, che fosse visibile a molti chilometri di distanza. Alcuni giorni d o p o , t o r n ò a scrivere nel suo diario: «Io dico che la cristianità farà b u o n i affari c o n q u e s t i p o p o l i , s o p r a t t u t t o la S p a g n a , alla q u a l e tutti d e v o n o essere soggetti. E dico che le Altezze Vostre n o n d o v r a n n o p e r m e t t e r e ad alcun forestiero di praticare o metter p i e d e qui eccetto i cristiani cattolici, p e r c h é q u e s t o fu il p r i n c i p i o e la fine d e l l ' i m p r e s a , c h e p r o d u c e s s e l'accrescim e n t o e la gloria della r e l i g i o n e cristiana, né d e v e v e n i r e qui alcuno che n o n sia un b u o n cristiano». L'Ammiraglio c o n t i n u ò a esplorare l'arcipelago e il 28 ot290
t o b r e sbarcò a C u b a . U n o stuolo di i n d i g e n i c i r c o n d ò gli spagnoli e q u a n d o costoro, c o m e s e m p r e facevano q u a n d o p r e n d e v a n o possesso d i u n n u o v o t e r r i t o r i o , i n t o n a r o n o l'Ave Maria, s ' u n i r o n o al c o r o e alcuni p r o v a r o n o a n c h e a fare il segno della croce suscitando l'ilarità di Colombo e dei suoi c o m p a g n i . Q u a n d o i l c a p o t r i b ù , a l l u d e n d o all'isola, p r o n u n c i ò il n o m e di C u b a n a c a m , che significa C u b a dell'interno, C o l o m b o , che aveva capito El G r a n K h a n , esultò c r e d e n d o di essere g i u n t o finalmente nel Paese del Signore della Cina. Spedì subito d u e ambasciatori alla ricerca di quel fantomatico sovrano, e d o p o alcuni giorni essi fecero ritorno con un r a p p o r t o circostanziato di quello che avevano visto. I n v e c e del G r a n K h a n a v e v a n o t r o v a t o altri i n d i g e n i n u d i e b r u n i che sprigionavano fumo dal naso, da cui s p u n tavano l u n g h e foglie accartocciate. Dissero di essere stati accolti da quei selvaggi con m o l t e feste e di avere assaporato a n c h e loro l ' a r o m a di quelle foglie r i c a v a n d o n e u n a s t r a n a sensazione di piacere. La scoperta del tabacco dovette semb r a r e a i d u e s p a g n o l i m o l t o p i ù i m p o r t a n t e d i quella d e l Nuovo Mondo. N o n sappiamo se anche Colombo si ficcò quei cartocci nel naso e se ci p r o v ò gusto. C o n o s c e n d o l'uom o n e d u b i t i a m o . E r a u n asceta d o m i n a t o d a u n p e n s i e r o fisso, quasi m o n o m a n i a c o : scoprire il Catai e moltiplicare i fedeli di Gesù Cristo e i sudditi del Re di Spagna. Era stato questo a intorbidare i suoi r a p p o r t i con Martin Pinzon. Il c o m a n d a n t e della Pinta perseguiva tutt'altri ideali e, a b b a n d o n a t a la N i n a e la Santa Maria, era a n d a t o a cercare o r o nelle innumerevoli isole disseminate i n t o r n o a Cuba. N e a n c h e a Colombo, intendiamoci, l'oro dispiaceva. Ne aveva trovato u n a certa quantità nell'isola di Haiti, dove era a p p r o d a t o ai p r i m i di d i c e m b r e , e seguitava a dargli la caccia. Ma u n a notte, a causa di un fortunale, la nave a m m i r a glia s'incagliò e inabissò. G r a n p a r t e del carico fu salvato e i m b a r c a t o sulla N i n a , lanciatasi al soccorso. I m a r i n a i e gli ufficiali r a g g i u n s e r o a n u o t o la riva di un'isola e furono rifocillati dai suoi abitanti. 291
Il 16 gennaio, lasciata ad Haiti u n a g u a r n i g i o n e di u o m i ni, l'Ammiraglio dette o r d i n e alla Nina e alla Pinta di salpare alla volta dell'Europa. F u u n a l u n g a t r a v e r s a t a , tribolata d a violente procelle. Q u a n d o le caravelle g i u n s e r o nei pressi delle Azzorre, Pinzon si staccò dalla Nina. Voleva a r r i v a r e p r i m a di C o l o m b o in S p a g n a e d a r e ai S o v r a n i la notizia c h e l'Asia e r a stata raggiunta. A t t a r d a t o da certi guasti, l'Ammiraglio n o n p o t è seguirlo. Alcuni m a r i n a i scesero a t e r r a e si r e c a r o n o in pellegrin a g g i o a un s a n t u a r i o della Vergine p e r sciogliere un voto che avevano fatto q u a n d o la caravella, in p i e n o O c e a n o , e r a stata investita da un u r a g a n o che p e r poco n o n l'aveva colata a picco. A p p e n a vi giunsero, furono circondati da soldati p o r t o g h e s i , e i m p r i g i o n a t i . Solo d o p o q u a t t r o giorni, il com a n d a n t e dell'isola li rimise in libertà e li r i s p e d ì a b o r d o della N i n a che, r i p r e s a la navigazione, fu n u o v a m e n t e colpita da un ciclone che ne sconquassò le vele. L'equipaggio fece voto di d i g i u n a r e un g i o r n o i n t e r o a p a n e e a c q u a se fosse scampato a quel cataclisma. Il 3 m a r z o , la N i n a giunse in vista del Portogallo. Poiché le vele della caravella e r a n o ridotte a un colabrodo e il porto di Palos distava a n c o r a oltre 220 miglia, C o l o m b o decise di a p p r o d a r e a Lisbona, d o v e r i p a r ò i d a n n i . Il 15, finalm e n t e , la Nina gettò l'ancora nella baia di Palos salutata da u n a folla o s a n n a n t e . Colombo trovò un messaggio di Ferdin a n d o e Isabella c h e lo invitavano a Barcellona. I Sovrani a v e v a n o già s a p u t o da P i n z o n il felice esito d e l l ' i m p r e s a . Ma, con regale correttezza, si e r a n o rifiutati di riceverlo prima di Colombo. Questi si p r e s e n t ò a C o r t e seguito da u n o stuolo di indig e n i c h e r e c a v a n o cassette d ' o r o e v a r i o p i n t i p a p p a g a l l i . Q u a n d o il Re gli chiese a chi doveva c o n s e g n a r e i mille mar a v e d ì che egli aveva p r o m e s s o al m a r i n a i o che p e r p r i m o avesse avvistato la t e r r a , Colombo rispose che anche quell'on o r e spettava a lui. Per sei mesi visse a Palazzo e o t t e n n e dai 292
sovrani fondi p e r u n a n u o v a spedizione. Allestì u n a flotta di diciassette navi con milleduecento u o m i n i , viveri, munizioni e un certo n u m e r o di animali p e r p o p o l a r e di fauna eur o p e a quelle selvagge c o n t r a d e , che u n a bolla p a p a l e aveva allora battezzato «Indie». I m b a r c ò a n c h e c i n q u e confessori p e r convertire al Cristianesimo gli indigeni. Il 25 s e t t e m b r e 1493, il convoglio salpò dal p o r t o di Siviglia e d o p o n e p p u r e q u a r a n t a giorni di navigazione a p p r o d ò alle coste d i un'isola c h e C o l o m b o c h i a m ò D o m i n i c a , p e r c h é vi g i u n s e di d o m e n i c a . Di lì p e n e t r ò nelle Piccole Antille, che battezzò Isole Vergini. Poi scoprì Portorico e fin a l m e n t e fece vela p e r Haiti, d o v e aveva lasciato il piccolo presidio di spagnoli. Ne ritrovò u n o solo. Tutti gli altri erano morti: alcuni e r a n o stati uccisi dagli indiani, ai quali avev a n o rapito le d o n n e , altri si e r a n o scannati tra loro. Istallò u n a n u o v a g u a r n i g i o n e nell'isola di Isabela e si accinse a c i r c u m n a v i g a r e C u b a , ma un ciclone r i s o s p i n s e le navi al p u n t o di partenza. Ritrovò a n c h e questo presidio lett e r a l m e n t e d e c i m a t o ; gli spagnoli avevano c a t t u r a t o alcuni giovinetti p e r farne degli schiavi, e gl'indigeni, p e r v e n d e t ta, avevano assalito l'accampamento dei coloni e ne avevano trucidato la m a g g i o r p a r t e . C o l o m b o restò nelle I n d i e d u e a n n i e mezzo a r e c l u t a r e schiavi e nel m a r z o del 1496 t o r n ò in S p a g n a . Un cronista riferisce che su cinquecento indigeni che v a r c a r o n o l'Atlantico, d u e c e n t o m o r i r o n o d u r a n t e la traversata e gli altri, incapaci di adattarsi al clima e alle usanze del Vecchio M o n d o , p e r i r o n o d o p o pochi anni. Nel maggio del 1498 rivalicò l'Oc e a n o alla scoperta di n u o v e t e r r e . F o n d ò altri insediamenti e a u t o r i z z ò i coloni a r a p i r e e ad a s s o g g e t t a r e gli i n d i a n i senza distinzione di sesso e di età. Ciò p r o v o c ò violente rivolte che Colombo soffocò nel s a n g u e , c o s p a r g e n d o le isole di forche. I l g r a n d e A m m i r a g l i o e r a u n pessimo g o v e r n a t o r e , irac o n d o , crudele e vendicativo. Anche i suoi collaboratori com i n c i a v a n o a d e t e s t a r l o e n o n p e r d e v a n o occasione, nei 293
L'Europa nel 1492
r a p p o r t i che inviavano a M a d r i d , di criticarlo a s p r a m e n t e . Nel 1500, F e r d i n a n d o e Isabella, preoccupati, n o m i n a r o n o un commissario reale e lo m a n d a r o n o nelle I n d i e con pieni poteri. Francisco de Bobadilla ne fece l'uso m e n o discreto. A r r e stò C o l o m b o , lo s c a r a v e n t ò in p r i g i o n e con le m a n e t t e ai polsi e le catene ai piedi, e lo rispedì in Spagna, dove il prigioniero fu t e n u t o altre sei settimane in catene, e p p o i condotto dinanzi al Re. F e r d i n a n d o gli rinfacciò gli e r r o r i commessi dal g o v e r n a t o r e , lo dichiarò d e c a d u t o dalla carica, ma gli lasciò le sue p r o p r i e t à nel N u o v o M o n d o . C o l o m b o ribatté le accuse e al m o m e n t o del c o n g e d o chiese al sovrano di mettergli a disposizione u n ' a l t r a flotta p e r c o n t i n u a r e le sue esplorazioni. Nel m a g g i o 1502, p e r la q u a r t a volta, Colombo spiegò le vele. Visitò l ' H o n d u r a s , il Nicaragua, la Costa Rica e la Giamaica dove, in seguito a un u r a g a n o , le navi s u b i r o n o tali d a n n i che p e r oltre un a n n o n o n p o t e r o n o r i p r e n d e r e il largo. Q u a n d o g i u n s e r o gli aiuti da Santo D o m i n g o , i naufrag h i spagnoli e r a n o allo s t r e m o delle forze e l'Ammiraglio, t o r t u r a t o dall'artrite, n o n vedeva l'ora di t o r n a r e in patria, dove sbarcò nel n o v e m b r e del 1505. Aveva c o m p i u t o da poco cinquantotto a n n i , ma ne d i m o strava parecchi di più. I capelli gli si e r a n o fatti bianchi, p e santi r u g h e gli solcavano il viso cotto dal sole e s e g n a t o da p r o f o n d e occhiaie. Si m u o v e v a con difficoltà a causa degli acciacchi che l'affliggevano e che l'avevano p i o m b a t o in u n a c u p a malinconia. A p p e n a la sua nave gettò l'ancora, chiese di n u o v o u d i e n z a a F e r d i n a n d o , c h e lo ricevette alla C o r t e di Segovia. Colombo supplicò il Sovrano di r e i n t e g r a r l o nei suoi antichi privilegi e di restituirgli la carica di g o v e r n a t o re, ma il Re si limitò a offrirgli u n a vasta t e n u t a in Castiglia. Colombo rispose che n o n sapeva che farsene, e aveva ragione. D o p o pochi mesi la m o r t e pose fine al suo a m a r o e solitario crepuscolo. Fra i g r a n d i protagonisti della Storia, Colombo n o n è dei 295
più coloriti e avvincenti. Le sue delusioni n o n furono solo il frutto d e l l ' i n g r a t i t u d i n e altrui, ma a n c h e della sua grettezza, aridità e avidità. Ma la sua i m p r e s a resta tuttavia fra le più g r a n d i e decisive di tutti i tempi. Il 1492, con cui molti studiosi fanno finire il M e d i o Evo e cominciare quello m o d e r n o , è davvero u n a data fondamentale. Essa segna lo spos t a m e n t o d e l b a r i c e n t r o m o n d i a l e d a l M e d i t e r r a n e o all'Atlantico. La g r a n d e a v v e n t u r a delle Repubbliche m a r i n a r e italiane finisce. Comincia quella di Spagna, Portogallo, Inghilterra. La n u o v a geografia relega il nostro Paese in u n a p a r t e di comprimario.
Indro Montanelli - Roberto Gervaso
L'ITALIA DELLA CONTRORIFORMA (1492-1600)
AVVERTENZA
Questa Italia della Controriforma è la quarta puntata di un'unica opera che, iniziata con L'Italia dei secoli bui, L'Italia dei Com u n i e L'Italia dei secoli d ' o r o , si propone di giungere fino ai giorni nostri. Sappiamo benissimo quali sono i pericoli che presentano queste imprese. Chiunque tenti di condensare un periodo di due o tre secoli in un volume di cinque o seicento pagine è costretto fatalmente a una certa sommarietà di sintesi che offre agli specialisti i più comodi pretesti di critica. Essi potranno facilmente contestare l'inesattezza di qualche particolare e la soggettività di certi giudizi. Potranno denunziare errori di proporzioni nel rilievo dato a certi avvenimenti e personaggi a scapito di altri. Potranno soprattutto lamentare l'insufficiente approfondimento di certi temi. Non ci siamo mai illusi di sfuggire a queste accuse, da cui del resto ci sembra che nessuno storico, per quanto grande, sia al riparo. E non intendiamo confutarle. Certamente i nostri libri hanno delle pecche. Ma siamo convinti che abbiano anche un merito: quello di farci leggere piacevolmente e capire con facilità. Chi li comincia, li finisce. E, arrivato infondo, non dico che sappia tutto quello che si può e si deve sapere su quei dati argomenti; ma l'essenziale, sì. Di quanti libri di storia italiani si può dire altrettanto ? Di tutti quelli che abbiamo scritto finora, questa Italia della C o n t r o r i f o r m a sarà probabilmente il più bersagliato: sia per il tema che tratta, sia per il modo in cui lo fa. Dichiariamo con la massima franchezza che, di fronte a personaggi quali Wycliff, Huss, Lutero, Calvino, Zuinglio, ci siamo sentiti in obbligo di rinunziare a ogni pregiudiziale cattolica nel tentativo di rappresentarli, in tutta la loro verità umana e di pensiero. Quanto ci siamo riusciti non so; 299
ma ci siamo provati, pur sapendo a cosa ci esponevamo. Ci si obbietterà che anche da noi esistono già altre opere ispirate alla stessa imparzialità. E vero. Ma si tratta di opere di specialisti per specialisti. In quelle destinate al grande pubblico e più ancora ai giovani delle scuole, la Riforma e i suoi protagonisti sono visti soltanto sotto l'angolatura della Chiesa e liquidati alla svelta sotto le voci «eretici» ed «eresie». Noi invece abbiamo dedicato loro il grosso di questo libro, e abbiamo cercato di farlo da una posizione di assoluta equidistanza, convinti che all'Italia proprio questo è mancato: la conoscenza obbiettiva dei problemi e degli uomini che provocarono il grande scisma del mondo cristiano. Non sappiamo se la Chiesa reagirà a questo nostro tentativo col silenzio o con le confutazioni. Ma contro queste ultime vogliamo comunque cautelarci presso il lettore. Specialmente ì gesuiti dispongono di uomini agguerritissimi su tutte le questioni di dottrina, esperti di testi, puntigliosi, cavillosi, rotti a ogni malizia polemica e avvezzi a mettere nel sacco qualunque interlocutore. Quando Erasmo pubblicò la sua versione in latino del Nuovo Testamento, che dava loro molto fastidio, i pedanti vi rilevarono quattromila inesattezze. E può anche darsi che avessero ragione. Ma questo non impedì all'opera di Erasmo di raggiungere il suo obbiettivo che era quello di risvegliare la pubblica opinione ai problemi teologici e di divulgarne i temi fondamentali, spianando così la strada a Lutero e a Calvino. Perciò il nome di Erasmo rimane scolpito nella Storia, malgrado le sue quattromila inesattezze. Quello dei suoi pedanti censori, malgrado la loro precisione, ne è stato cancellato. Per scrupolo di onestà, dobbiamo aggiungere che anche i protestanti troveranno da ridire su questo libro, anzi lo hanno già detto per bocca dì due docenti della Facoltà Valdese di Teologia, i Professori Corsani e Vinay. Chiamali a leggere il manoscritto e a darne un giudizio, hanno così concluso la loro relazione. «Gli autori sono scrittori di Storia provenienti dal giornalismo. Noi siamo degli studiosi (e docenti) di teologia provenienti dal pastorato protestante: dal nostro punto di vista e con la nostra forma mentis avremmo probabilmente scritto questa opera (per lo meno alcune delle sue pagine) con un diverso stile. Non soltanto le pagine che parlano del 300
Protestantesimo, ma anche quelle che parlano della Chiesa romana, sono molto spesso in una vena giocosa o ironica che non permette al lettore sprovveduto di rendersi conto che le miserie degli uomini e delle istituzioni sono in realtà la tragedia della Chiesa e dell'Evangelo di Dio nel mondo; che il dramma religioso dell'Italia nel secolo XVI fu un dramma terribilmente serio, di cui il nostro Paese ancora oggi paga le conseguenze». Accettiamo la critica, e la troviamo del tutto logica. E naturale che due docenti di teologia avrebbero scritto questo libro in modo del tutto diverso. Ma lasciamo giudicare al lettore se siamo riusciti, o no, a fargli capire, malgrado la vena giocosa, la terribilità del dramma religioso nell'Italia del Cinquecento. Noi non siamo mai stati tanto seri come nello scrìvere queste giocosità. Altro avvertimento. Qualche lettore, arrivato infondo all'ultima pagina, forse si chiederà come mai questo libro, che si propone di narrare le vicende italiane, ha così a lungo divagato in quelle straniere. Purtroppo, dal Cinquecento in poi, non si può seguire altro metodo. Per quasi tre secoli, cioè con la fine delle invasioni barbariche e l'inizio dell'era comunale, l'Italia è stata la protagonista della storia europea. Lo è stata non solo politicamente, grazie al Papato uscito vittorioso dalla lotta contro l'Impero; ma anche sul piano economico e culturale, grazie alla superiorità dei suoi istituti municipali e alla vigoria dei suoi ceti mercantili e industriali. Militarmente debole, anzi imbelle, essa è alla mercé degli eserciti tedeschi degli Ottoni e degli Hohenstaufen, di quelli francesi degli Angioini, di quelli spagnoli degli Aragona. Ma regolarmente conquista i suoi conquistatori. Le sue flotte dominano il Mediterraneo, la sua moneta e le sue banche dettano legge su tutti i mercati, la sua arte e letteratura forniscono i modelli a tutti gli altri Paesi. Chi voglia studiare la vita europea di questo periodo, specie alla sua acme dell'Umanesimo e del Rinascimento, deve rifarsi all'Italia e può anche limitarvisi perché è l'Italia che le dà il la. Ma col Cinquecento il rapporto si rovescia: da protagonista, l'Italia viene degradata a oggetto delle vicende europee. Da allora la nostra storia nazionale perde la sua autonomia, diventa un riflesso di quelle altrui, e per ricostruirla bisogna andare a rintracciarne le 301
fila in Francia, in Spagna, in Germania. Riforma e Controriforma segnano appunto lo spartiacque: ed ecco perché su questi temi abbiamo insistito. Un'ultima cosa. Se siamo andati tanto avanti nella stesura di quest'opera e ci proponiamo di continuare, è perché i lettori ce l'hanno chiesto e quasi imposto col loro sempre più vivo interessamento, documentato dalle «tirature» quasi astronomiche dei volumi pubblicati fin qui. Il «Premio Bancarella» assegnatoci nel '67 dai librai di Pontremoli per il libro di più grande successo ne è stata la definitiva conferma. A questi lettori vogliamo esprimere il nostro grazie più schietto e affettuoso. Ottobre '68 I.M. R.G.
PARTE PRIMA
LA P E N I S O L A
CAPITOLO PRIMO
LA SCENA ITALIANA
Riassumiamo la situazione a cui e r a v a m o arrivati con LItalia dei secoli d'oro, un'Italia f r a n t u m a t a in u n a galassia di Stati e staterelli in lotta fra loro p e r un impossibile p r i m a t o . Il p i ù vasto e r a , a s u d , il R e g n o di N a p o l i , p a s s a t o nel 1443 dagli A n g i o i n i di Francia agli A r a g o n e s i spagnoli. Il p r i m o sovrano di questa casa, Alfonso, g o v e r n ò con sagacia e m a g n a n i m i t à . Fu sotto di lui che Napoli diventò u n a capitale fastosa e m o d e r n a . Alfonso d i e d e alla città un volto arc h i t e t t o n i c o n u o v o , d e m o l ì i vecchi q u a r t i e r i , fatiscenti e malsani, i n c r e m e n t ò l'edilizia p o p o l a r e , costruì strade, scavò fogne, eresse chiese e palazzi, r e s t a u r ò il Maschio Angioin o , i n n a l z a n d o nel c e n t r o un g r a n d i o s o arco trionfale. Abbellì la corte, la riempì di q u a d r i , tappeti, ori, arazzi e ne fece il fulcro della vita sociale, m o n d a n a e c u l t u r a l e del Reg n o . Vi chiamò poeti, artisti, filosofi, letterati, fra cui il celeb r e u m a n i s t a L o r e n z o Valla. Ma p e r realizzare q u e s t ' o p e r a d i l a p i d ò s o m m e favolose e p o r t ò il R e g n o sull'orlo della bancarotta. Per r i n s a n g u a r e le casse esauste inasprì le tasse e si r e s e assai i m p o p o l a r e fra i s u d d i t i , c h e alla sua m o r t e trassero un respiro di sollievo. Il figlio e successore Ferdinando I (Don Ferrante) p e r riassestare le finanze introdusse un r e g i m e di austerità, ridusse gli stipendi ai cortigiani e ai letterati, e c o n c e n t r ò gl'investim e n t i sulla industria e il commercio. Diminuì le tasse, e p e r alcuni a n n i abolì il dazio di uscita sulle m e r c i . S p a l a n c ò i p o r t i d e l R e g n o , s o p r a t t u t t o quello di Napoli, ai m e r c a n t i veneziani, genovesi e catalani e concesse l'immigrazione agli ebrei, s e b b e n e il clero e il p o p o l i n o li v e d e s s e r o di maloc305
chio. Favorì a n c h e l'esodo dalle c a m p a g n e d e i cafoni, c h e s ' i n u r b a r o n o in così g r a n n u m e r o che il sovrano dovette allargare la cinta delle m u r a e innalzare nuovi quartieri. Fu a s t u t o e l u n g i m i r a n t e a n c h e in politica. A t t r a v e r s o u n a serie di m a t r i m o n i si g u a d a g n ò p o t e n t i alleati e consolidò il t r o n o . Ma fu specialmente la sua lotta c o n t r o i b a r o n i che ne r a c c o m a n d ò la fama ai posteri. I b a r o n i costituivano la nobiltà feudale del R e g n o , discendevano dai conquistatori n o r m a n n i , tedeschi, francesi e spagnoli che si e r a n o dati il cambio in questa c o n t r a d a e vivevano nelle c a m p a g n e , arroccati nei loro turriti castelli. I più potenti possedevano immensi latifondi e stuoli di schiavi, che sfruttavano e sottopon e v a n o a ogni sorta d ' a n g h e r i e , né conoscevano altra legge che quella della violenza e dell'arbitrio. Su costoro il Re n o n e r a in g r a d o d'esercitare alcun p o t e r e , né di far valere i suoi diritti. Per accattivarseli Alfonso aveva loro concesso n u m e rosi privilegi e lo stesso F e r r a n t e li alleggerì di alcuni balzelli. Ma i b a r o n i odiavano il Re, e nel 1485 o r d i r o n o u n a congiura p e r sbalzarlo dal t r o n o . E b b e r o la peggio, e il sovrano li fece decapitare in massa. Q u a n d o nel 1494 calò nella tomba, il cordoglio d e i s u d d i t i fu sincero. Il R e g n o e r a saldo e p r o s p e r o , e sicuri i suoi confini, c h e a n o r d lo d i v i d e v a n o dal r a p a c e e t u r b o l e n t o Stato pontificio. Il Papa, che vi aveva fatto r i t o r n o nel 1377 d o p o la l u n g a p a r e n t e s i di A v i g n o n e , l'aveva t r o v a t o in p r e d a alle solite lotte di fazione fra le facinorose famiglie d e l l ' U r b e e le n o n m e n o riottose c o n s o r t e r i e c a m p a g n o l e . All'alba del XV secolo, la città occupava u n a superficie dieci volte inferiore a quella dei t e m p i d ' A u r e l i a n o , e la sua p o p o l a z i o n e n o n sup e r a v a le sessantamila a n i m e . Le m u r a e r a n o r i d o t t e a r u deri, le strade a trazzere polverose e i n g o m b r e di rifiuti, gli acquedotti e r a n o intasati, le case tatuate di c r e p e e rivestite di muffa, i Fori trasformati in p u t r i d i catini, il Colosseo e il teatro di Marcello adibiti a depositi d ' i m m o n d e z z a , il Camp i d o g l i o costellato di l u r i d e bidonvilles. Vacche, p e c o r e , maiali pascolavano sui sagrati delle chiese. Di notte la città 306
e r a infestata dai briganti, le r a p i n e e gli a m m a z z a m e n t i erano all'ordine del giorno. La plebe viveva d'elemosine, i n o bili di privilegi e di soprusi, il clero d ' i n d u l g e n z e , di decime e di u s u r a . Q u a n d o G r e g o r i o XI vi ritrasferì la sua sede, le finanze della Chiesa e r a n o in pieno dissesto e i suoi Stati - che inglobavano pressappoco Lazio, U m b r i a , Marche e R o m a g n a - in totale decomposizione. Sembrava che n e s s u n a forza u m a n a potesse m e t t e r r i p a r o allo sfacelo. E p p u r e , grazie a tre g r a n di pontefici, il Papato riacquistò in pochi decenni il fasto, lo s p l e n d o r e e la p o t e n z a dei t e m p i di m a g g i o r a u g e . Niccolò V r i d i e d e a R o m a l'antico fulgore, p r o f o n d e n d o s o m m e imm e n s e . R i p a r ò l e m u r a , r e s t a u r ò c o n v e n t i , chiese, palazzi, innalzò n u o v i edifici, costruì p o n t i , a c q u e d o t t i , p a v i m e n t ò strade. Affidò a L e o n Battista Alberti il p r o g e t t o di piazze e palazzi, incaricò A n d r e a del Castagno e il Beato Angelico di d e c o r a r e le sale del Vaticano. Investì in abbellimenti quasi tutti gl'introiti del Giubileo del 1450, e si circondò di artisti e u o m i n i di cultura, che t e n n e ai p r o p r i stipendi e colmò di favori. Fra i suoi successori Pio II imitò il suo esempio, finanziò gli studi umanistici e t e n n e u n a d o t t a corte di letterati, artisti e filosofi; e Sisto IV spese tutte le sue energie a rafforzare e i n g r a n d i r e lo Stato pontificio e a r i d u r r e all'obbedienza la p r o t e r v a nobiltà e la t u r b o l e n t a plebe r o m a n a . Nepotista e s p e n d a c c i o n e , o r n ò R o m a di chiese, m o n u m e n t i e palazzi, r e s t a u r ò l'ospedale di Santo Spirito, riorganizzò l'Università. L e g ò il s u o n o m e alla C a p p e l l a Sistina, di cui affidò il p r o g e t t o all'architetto G i o v a n n i n o d e ' Dolci e la decorazione delle p a r e t i al P e r u g i n o , al Signorelli, al Pinturicchio, al Ghirlandaio, al Botticelli, al Rosselli e a Piero di Cosimo. A questi tre magnifici e munifici Pontefici R o m a dovette la riconquista di quel r a n g o che, in seguito alla cattività avig n o n e s e , aveva p e r d u t o e che p e r quasi tutto il Q u a t t r o c e n to e r a stato a p p a n n a g g i o di Firenze. Abbiamo visto ne Lltalia dei secoli d'oro chi f u r o n o gli artefici dello s p l e n d o r e di 307
questa città. Cosimo d e ' Medici ne fece u n a p o t e n z a economica, finanziaria e politica di livello e u r o p e o . P u r n o n ricop r e n d o nella Repubblica cariche ufficiali, ne condizionò la vita e ne d e t e r m i n ò le vicende. Le s m i s u r a t e ricchezze, lo straordinario i n g e g n o , la g r a n d e ambizione ne fecero il p e r fetto s i g n o r e del R i n a s c i m e n t o di cui, col n i p o t e L o r e n z o , magnificamente incarnò gl'ideali. A n c h e L o r e n z o cercò d'occuparsi di politica il p i ù indir e t t a m e n t e possibile. Ufficialmente, preferì r e s t a r e un privato cittadino ma fino alla m o r t e , avvenuta nel 1492, il suo p o t e r e fu p r a t i c a m e n t e i n c o n t r a s t a t o . Sotto di lui la città toccò il suo a p o g e o artistico e d i v e n t ò l'indiscussa capitale della cultura e u r o p e a . Il n o n n o vi aveva r e s t a u r a t o la famosa «Accademia platonica», che diventò la più attrezzata palestra filosofica del Rinascimento. Nelle sue aule c o n v e n n e r o il fior fiore deW intellighenzia italiana, francese, inglese, tedesca, e lo stesso L o r e n z o ne fu un f r e q u e n t a t o r e assiduo. In lui l'amore p e r la cultura s'accompagnò a un e d o n i s m o paganeggiante, di cui fornì ai suoi concittadini il modello. Assoldò i più g r a n d i artisti del t e m p o p e r d i p i n g e r e i carri su cui i giovani sfilavano da Ponte Vecchio a Piazza del D u o m o in bizzarri ed evocativi costumi e sovrintese di p e r s o n a alla regia dei Trionfi con cui si c o n c l u d e v a n o queste p a r a t e . Fu amico e p r o t e t t o r e del Pulci, del Poliziano, di Pico della Mir a n d o l a e di u n o stuolo di altri umanisti. Col suo c u o r e cessò un p o ' di battere a n c h e quello di Firenze. A n o r d della Repubblica toscana, i d u e Stati p i ù p o t e n t i e r a n o quello milanese e quello veneziano. Milano, d o p o un effimero intermezzo repubblicano, nel 1450 era passata p e r m a t r i m o n i o dal d o m i n i o dei Visconti a quello degli Sforza. La n u o v a dinastia era stata i n a u g u r a t a dal d u c a Francesco, signore di C r e m o n a , che aveva sposato l'unica e r e d e di Fil i p p o Maria Visconti, e g o v e r n ò fino al 1466 con u n a m a gnificenza allergica a o g n i p r e o c c u p a z i o n e di contabilità. Portò il d u c a t o sull'orlo del fallimento e solo i prestiti delle b a n c h e fiorentine lo salvarono. Favorì l'immigrazione, proi308
bì l'esodo della m a n o d o p e r a locale, p r e m i ò i cittadini p i ù prolifici, b a n d ì c a m p a g n e demografiche, c o n t r i b u e n d o v i di p e r s o n a . D i s s a n g u ò l'erario, ma fece di Milano ciò ch'essa a n c o r a n o n e r a : u n a fastosa m e t r o p o l i , di cui il Castello Sforzesco e l'Ospedale Maggiore r a p p r e s e n t a r o n o i gioielli. Sullo scorcio del secolo, la città era u n a delle più p o p o l o se, a n i m a t e e i n t r a p r e n d e n t i d ' E u r o p a . Un a u t e n t i c o boom edilizio aveva moltiplicato i suoi quartieri. Le case e r a n o oltre quindicimila, centinaia le taverne, migliaia le b o t t e g h e . I suoi mercati traboccavano di ogni b e n di Dio. Vi affluivano u o m i n i d'affari inglesi, francesi, tedeschi, veneziani, fiorentini. Vi si p o t e v a n o acquistare le merci p i ù d i s p a r a t e : dalle spezie ai broccati, dalle sete ai t a p p e t i , agli animali esotici. La periferia e r a disseminata di fucine, laboratori, a r m e r i e , da cui uscivano s p a d e , lance, scudi, celate, elmi che venivano v e n d u t i in t u t t o il m o n d o . Ma la città a m a v a a n c h e divertirsi: feste, t o r n e i , balli pubblici allietavano la vita d e i suoi abitanti. L'altro g r a n d e Stato del n o r d era Venezia. La sua stabilità politica poggiava su u n a costituzione originale a carattere oligarchico, di cui abbiamo già fornito i lineamenti nei p r e cedenti volumi. La sua p o t e n z a economica su u n a flotta m o d e r n a e p e r f e t t a m e n t e addestrata, su u n a classe di m e r c a n t i abili, dinamici, audaci, su u n a capillare rete di scali internazionali, o fondachi. Fino al 1453, la sua e g e m o n i a sull'Adriatico e il M e d i t e r r a n e o orientale fu assoluta; ma q u a n d o , sotto le spallate degli eserciti o t t o m a n i , C o s t a n t i n o p o l i c a d d e nelle m a n i dei Turchi, Venezia p e r s e b u o n a p a r t e dei vecchi mercati balcanici e asiatici e dovette contrarsi e volgersi alla t e r r a f e r m a , d o v e fatalmente s a r e b b e v e n u t a in u r t o con le altre p o t e n z e italiane, e soprattutto con Milano. Accanto a questi c i n q u e Stati m a g g i o r i ce n ' e r a u n a mir i a d e di m i n o r i , b r a m o s i d ' a l l a r g a r e i p r o p r i confini, gioc a n d o i vicini gli u n i c o n t r o gli altri, e m e t t e n d o di volta in volta al servizio del più p o t e n t e le p r o p r i e m a s n a d e e i p r o p r i condottieri. Per tutto il Q u a t t r o c e n t o la Penisola fu tea309
t r o di scaramucce e guerricciole cittadine che i n d e b o l i r o n o le parti ostacolando e r i t a r d a n d o di secoli il processo d ' u n i ficazione del Paese. I n c a p a c e di d i v e n t a r e u n a Nazione, esso finirà infatti, c o m e v e d r e m o , p e r trasformarsi in un campo di battaglia e di r a p i n a di eserciti stranieri, in u n a t e r r a di conquista alla m e r c é del vincitore di t u r n o . Il p r i m o capitolo di q u e s t o a s s e r v i m e n t o lo scrisse n e l 1494 il re di Francia, Carlo V i l i , chiamato in Italia da Ludovico il Moro.
CAPITOLO SECONDO
IL M O R O E CARLO V i l i
Ludovico era il q u a r t o figlio di Francesco Sforza. I milanesi lo c h i a m a v a n o «il Moro» p e r la pelle b r u n a , i capelli e gli occhi n e r i . L u n g i dall'offendersi, Ludovico s'era c o m p i a c i u t o di q u e l n o m i g n o l o e p e r r e n d e r l o p i ù p e r t i n e n t e aveva a d o t t a t o fogge e simboli m o r e s c h i e r i e m p i t o la c o r t e di schiavi negri. Fisicamente era piuttosto b r u t t o sebbene fosse robusto e di statura s u p e r i o r e alla media. Aveva lineamenti aspri e irregolari: il naso l u n g o e bitorzoluto, il m e n t o p r o m i n e n t e , le labbra sottili e tese, la grinta volitiva e i m p e r i o sa. La m a d r e Bianca gli aveva d a t o c o m e p r e c e t t o r e l'umanista Filelfo, che l'aveva avviato allo studio dei classici, spec i a l m e n t e latini. Ma fin da b a m b i n o egli aveva m o s t r a t o m a g g i o r predilezione p e r gli sport: dalla caccia alla pesca, al tiro d e l l ' a r c o , a l l ' e q u i t a z i o n e . Si c i r c o n d a v a di m a g h i e astrologi, di cui sollecitava e temeva gli oroscopi. Aveva un debole p e r le d o n n e e la b u o n a tavola, ma detestava gli eccessi. Q u a n d o il fratello p r i m o g e n i t o Galeazzo Maria Sforza, e r e d e legittimo del D u c a t o , fu p u g n a l a t o nella chiesa di Santo Stefano, Ludovico diventò r e g g e n t e di Milano in n o me del nipote Gian Galeazzo, un b a m b i n o di dieci a n n i malaticcio e abulico. Lo zio gli lasciò t u t t e le i n s e g n e esteriori del c o m a n d o , ma lo privò del p o t e r e effettivo, che concentrò i n t e r a m e n t e nelle p r o p r i e mani. A Milano si rese subito p o p o l a r e e d a p p r i n c i p i o i sudditi, abituati ai capricci e agli arbitri dei Visconti, c r e d e t t e r o d'aver trovato in lui il signore ideale. Era un u o m o affabile, gen e r o s o e alla m a n o , che aveva a c u o r e il b u o n funzionamen311
to dello Stato e lo sviluppo della sua e c o n o m i a . D i e d e imp u l s o all'agricoltura, i n c r e m e n t ò l'allevamento del bestiam e , fece scavare canali d ' i r r i g a z i o n e , favorì la coltivazione del riso, della vite e del gelso. Incoraggiò l'industria di trasformazione, specialmente quella casearia, e incentivò quella serica, che già a q u e i t e m p i e r a la p r i n c i p a l e risorsa del Ducato, dava lavoro a ventimila o p e r a i e i suoi p r o d o t t i avevano conquistato i mercati italiani e internazionali. Sotto di lui, la popolazione salì a 130 mila abitanti. La città conobbe un p e r i o d o di g r a n d e p r o s p e r i t à e diventò più bella. Furono costruiti nuovi palazzi, tracciati n u o v i viali, u n a fungaia di n u o v e b o t t e g h e s p u n t ò . La vita di corte d i v e n t ò p i ù fastosa e p i ù gaia in u n a g i r a n d o l a di balli, feste e t r a t t e n i m e n t i cui p a r t e c i p a v a il fior fiore dell'aristocrazia e della cultura e u r o p e a . Nel 1491 nelle s o n t u o s e sale d e l Castello Sforzesco si svolse il ricevimento di nozze in o n o r e della giovane sposa di Ludovico, la q u a t t o r d i c e n n e Beatrice d'Este. Fu u n o degli a v v e n i m e n t i m o n d a n i p i ù clamorosi del secolo, con int e r v e n t o di p r i n c i p i , a m b a s c i a t o r i , prelati, p o e t i , letterati. Beatrice n o n era p a r t i c o l a r m e n t e bella, ma possedeva spensieratezza, vivacità e brio. Era cresciuta a Napoli, e ne aveva assimilato lo spirito allegro e festaiolo. Amava le vesti sgargianti, i balli, il gioco. Ludovico aveva venticinque a n n i p i ù di lei, ma questo n o n gl'impedì, d o p o le nozze, di m a n t e n e re le vecchie relazioni, in particolare quella con l'avvenente Cecilia Galleranì, ch'egli aveva alloggiato a C o r t e con tutti gli onori. Solo q u a n d o la moglie minacciò di a b b a n d o n a r l o , si rassegnò a salvare a l m e n o le a p p a r e n z e . Beatrice a m a v a sentirsi al c e n t r o dell'universo. La p o m pa e lo sfarzo, di cui si circondò a Milano, sono stati descritti dal cronista B e r n a r d i n o Corio: «La corte era splendidissim a , p i e n a di n u o v e m o d e , abiti e piaceri. Quivi v'era scuola di greco, quivi risplendevano la poesia e la prosa latina, quivi e r a n o le m u s e nel rimeggiare, quivi i maestri nello scolpir e , quivi i più famosi nella p i t t u r a e r a n o accorsi da lontani 312
paesi; quivi e r a n o soavi e dolcissime a r m o n i e d'ogni g e n e r e di canti e di suoni che s e m b r a v a n o fossero m a n d a t i dal cielo all'eccellente Corte». Ma, c o m e tutte le feste, a n c h e questa d u r ò poco. E a int e r r o m p e r l a fu p r o p r i o il piccolo, sbiadito e a s s e n t e Gian Galeazzo, in n o m e del quale Ludovico governava, o p e r m e glio dire la moglie che gli avevano dato: Isabella d'Aragona, figlia di Alfonso, a sua volta figlio di re F e r d i n a n d o di N a p o li: u n a ragazza ambiziosa che, n o n rassegnandosi alla p a r t e di Duchessa di c o m p l e m e n t o , invocò l'aiuto dei suoi p e r far valere i p r o p r i diritti. I n realtà F e r d i n a n d o , g r a n canaglia m a n o n p r i v o d i b u o n senso, si r e n d e v a benissimo conto che Gian Galeazzo e r a m e g l i o c h e restasse d o v ' e r a : in un castello di Pavia a giuocare con cani, gatti e bambole. Ma Alfonso, che p r i m a o poi gli s a r e b b e successo, prestava c o m p i a c e n t e orecchio ai disperati appelli di sua figlia, secondo cui il M o r o , p e r sbarazzarsi di lei e del nipote, li stava l e n t a m e n t e avvelenando. Cosa che p r o b a b i l m e n t e il M o r o n o n faceva ma che, dato il tipo, avrebbe p o t u t o fare. Ad a p p i a n a r e questi dissapori fra Milano e Napoli aveva s e m p r e p r o v v e d u t o L o r e n z o d e ' Medici, c h e g i u s t a m e n t e vedeva nell'armonia fra i cinque più g r a n d i Stati l'unica garanzia d e l l ' i n d i p e n d e n z a italiana. Ma il suo successore, Piero, n o n seguì l'esempio del p a d r e e allineò Firenze con Napoli. Analoga m a n o v r a c o m p i r o n o il Papa, che voleva tenersi b u o n o Alfonso, il cui territorio confinava con quello p o n tificio, e Venezia c h e d o p o la c a d u t a di C o s t a n t i n o p o l i in m a n o t u r c a mirava a d i v e n t a r e u n a p o t e n z a di t e r r a f e r m a in competizione con Milano. La p a u r a spinse così Ludovico a fare quello c h e del resto tutti i p o t e n t i italiani a v e v a n o s e m p r e fatto e p e r secoli a v r e b b e r o seguitato a fare: cioè a c h i a m a r e in p r o p r i o aiuto c o n t r o gli altri italiani un p a d r o ne straniero. Delle nazioni che circondavano l'Italia, la più p o t e n t e era la Francia, dove re Luigi XI aveva completato l'opera d'uni313
Reazione d e b e l l a n d o le resistenze dei suoi marchesi, conti e b a r o n i , chiamati a ricoprire cariche di Corte e di g o v e r n o , o assorbiti nell'esercito c o m e ufficiali. Q u e s t o esercito e r a il m i g l i o r e d ' E u r o p a c o m e u o m i n i , mezzi e disciplina. Luigi n o n lo aveva mai sprecato in i m p r e s e fuor dei confini. Egli aveva seguito u n a rigorosa politica del p i e d e di casa, b a d a n do solo a costruire u n o Stato efficiente. Ma o r a gli e r a succ e d u t o i l f i g l i o C a r l o V i l i , c h e d a l p a d r e aveva e r e d i t a t o quella s t u p e n d a m a c c h i n a a m m i n i s t r a t i v a e m i l i t a r e , ma n o n il b u o n senso e la sagacia. Il cronista fiorentino B a r t o l o m e o Masi descrive il Sovrano francese «piccolo di p e r s o n a , b r u t t o di viso, le spalle grosse, il naso aquilino et a n c o r a aveva pie ad uso d'oca, le dita appiccate insieme». Di quest'ultimo particolare n o n abb i a m o t r o v a t o c o n f e r m a in n e s s u n d o c u m e n t o . Ma c h e si trattasse d ' u n a mezza cartuccia n o n c'è d u b b i o , e forse il suo velleitarismo n o n e r a c h e l o sfogo d i u n c o m p l e s s o d'inferiorità fisica. Q u e s t o g n o m o buffo e semi-analfabeta, ma n u trito di poesia cavalleresca, sognava le gesta di C a r l o m a g n o in E u r o p a e di San Luigi in T e r r a s a n t a . C h e il M o r o si rivolgesse a lui e r a n a t u r a l e : n o n solo p e r sollecitarne l'aiuto, ma a n c h e p e r p r e v e n i r n e l'ostilità. Carlo infatti poteva ricordarsi che fra i principi del sangue - del suo s a n g u e - c'era un Duca d ' O r l é a n s che vantava dei diritti su Milano come discendente di Valentina Visconti andata sposa a un suo bisnonno. Nel contratto di matrimonio era scritto che, se la dinastia Visconti fosse un giorno rimasta senza eredi maschi, Milano sarebbe diventata a p p a n n a g g i o degli Orléans. La condizione si era realizzata d o p o la m o r t e dell'ultimo Visconti, Filippo Maria. Ma, come abbiamo già detto, il Ducato era passato al marito della figlia, Francesco Sforza, che inaugurava la n u o v a dinastia. Luigi X I , c o n t r a r i o alle a v v e n t u r e fuori di Francia, n o n aveva avanzato rivendicazioni. Ma Carlo, dato il suo t e m p e r a m e n t o , poteva farlo. E il Moro, sospettoso com'era e portato agl'intrighi, pensò di mettersi al riparo da questo pericolo offrendo al Re un'altra esca: Napoli. 314
A n c h e qui i Francesi avevano molto da r i v e n d i c a r e . Napoli e r a stata data dal Papa nel 1266 ai Duchi di Angiò, che ne e r a n o rimasti Re p e r oltre un secolo e mezzo, e n o n avev a n o r i n u n c i a t o alla c o r o n a n e m m e n o q u a n d o gli A r a g o n a gliel'avevano tolta. L'ultimo di essi, R e n a t o , aveva lasciato i suoi diritti, o m e g l i o le s u e p r e t e s e , a Luigi X I , e questi a suo figlio. Il M o r o n o n dovette i n c o n t r a r e g r a n d i difficoltà a p e r s u a d e r e C a r l o c h e il R e a m e di N a p o l i di d i r i t t o e r a suo, e avrebbe r a p p r e s e n t a t o un ideale t r a m p o l i n o di lancio p e r l'avventura in Terrasanta. Così s'illuse di p r e n d e r e d u e piccioni a u n a fava salvando se stesso dalle peste e m e t t e n doci il p r o p r i o nemico. Tuttavia sarebbe ingiusto e storicamente semplicistico far r i c a d e r e solo su di lui e le sue m a n o v r e la responsabilità di quella catastrofe cui tutti gl'Italiani collaborarono con quella c o n c o r d i a ch'essi t r o v a n o solo nella discordia e che li fa s e m p r e p r o n t i a dividersi p e r azzannarsi tra loro. All'ambasciatore di Firenze, che lo scongiurava in n o m e dell'Italia, il M o r o rispose: «Di che Italia parlate? Io n o n la conosco». Ma 10 stesso ambasciatore avvertiva il suo g o v e r n o che in fondo 11 M o r o aveva ragione a b a d a r e ai p r o p r i affari, e che a n c h e Firenze doveva fare altrettanto: se si fosse o p p o s t a alla calata di Carlo, questi si sarebbe rivalso sui m e r c a n t i fiorentini in Francia. Lo stesso Papa t e n n e u n a condotta incerta. Parigi formicolava di fuorusciti italiani che spingevano il Re all'impresa: c ' e r a n o quelli n a p o l e t a n i rimasti legati agli Angiò, c'erano quelli fiorentini capeggiati da Piero C a p p o n i che volevano rovesciare i Medici, ci v e n n e a n c h e il C a r d i n a le della Rovere che sperava di disfarsi del Papa Borgia, che odiava, e p r e n d e r n e il posto. L'unica seria opposizione la fecero i g r a n d i dignitari francesi, un p o ' p e r atavica ostilità alle a v v e n t u r e e alle annessioni, un p o ' p e r sfiducia nel l o r o Re. L'invio dell'esercito oltre confine - d i c e v a n o - a v r e b b e lasciato il Paese alla m e r c é d e i suoi d u e p o t e n t i vicini, la S p a g n a e la G e r m a n i a ; e a n c h e se la s p e d i z i o n e n o n fosse costata molto s a n g u e , sarebbe costata molto d e n a r o . Meglio 315
valeva seguire la tradizionale politica di n o n i n g e r e n z a nelle faccende altrui, che aveva p e r m e s s o alla Francia di diventare u n a Nazione u n i t a e u n o Stato organico. Ma ormai Carlo si era i n n a m o r a t o dell'idea, e p e r realizzarla nessun sacrificio gli p a r v e esagerato. D o p o aver p r e s o a prestito dal Moro e dalle b a n c h e genovesi, i m p e g n ò perfino i gioielli della c o r o n a . E p e r cautelarsi c o n t r o eventuali attacchi della S p a g n a e d e l l ' i m p e r a t o r e tedesco Massimilian o , cedette alla p r i m a P e r p i g n a n o e il Rossiglione, al secondo l'Artois, così disfacendo in p a r t e quella unità geopolitica c h e suo p a d r e aveva c o s t r u i t o c o n t a n t a fatica. Fra i suoi consiglieri il m a l u m o r e e r a g r a n d e . Ma anch'essi d o v e t t e r o a r r e n d e r s i davanti ai r a p p o r t i dei messi francesi in Italia. Q u e s t i dicevano che solo il R e g n o di N a p o l i si a p p a r e c chiava a u n a resistenza, che sarebbe stata tuttavia facile da debellare specie ora che il vecchio re F e r d i n a n d o era m o r t o e sul t r o n o era salito il debole e incerto Alfonso. Altri eserciti c o n cui vedersela n o n ce n ' e r a n o , salvo dei piccoli corpi m e r c e n a r i o r m a i disabituati - c o m e più tardi avrebbe d e t t o Machiavelli - a «morire di ferro». Morivano solo p e r c a d u t e da cavallo, q u a n d o m o r i v a n o ; ma di solito n o n m o r i v a n o affatto p e r c h é i loro c o m b a t t i m e n t i e r a n o solo da giostra. La Penisola e r a i n e r m e , divisa, e le popolazioni piuttosto favorevoli all'invasione, in cui o g n u n o vedeva il pretesto di u n a v e n d e t t a e di un saccheggio ai d a n n i del vicino. Q u e s t a diagnosi p u r t r o p p o era vera alla lettera, e gli avv e n i m e n t i l o d i m o s t r a r o n o . Solo a l c u n e m e n t i i l l u m i n a t e c o m e Machiavelli e Guicciardini m i s u r a r o n o la gravità della catastrofe, ma ne c o m p r e s e r o a n c h e l'ineluttabilità. L'Italia n o n e r a la vittima di nessuno, se n o n di se stessa. N o n era il M o r o che l'aveva c o n d a n n a t a . E r a n o gl'Italiani che seguivano la loro vocazione alla discordia e al servilismo. Solo molti secoli p i ù tardi, e p i ù p e r imitazione e s u g g e r i m e n t o altrui che d i forza p r o p r i a , s a r e b b e d i v e n t a t a u n a N a z i o n e . Ammesso che lo sia mai diventata. Nel m a r z o del '94, C a r l o , alla testa di un esercito di di316
ciottomila cavalieri e ventiduemila fanti, partì da Lione e si mise in m a r c i a alla volta dell'Italia. Valicò le Alpi e g i u n s e ad Asti, dove trovò ad a t t e n d e r l o il M o r o , che l'accolse con g r a n d i o n o r i e gli consegnò u n a forte s o m m a in d e n a r o . Ma un improvviso attacco di vaiolo costrinse il re di Francia a mettersi a letto. D o p o alcune settimane r i p r e s e il c a m m i n o e, attraverso il Milanese, p u n t ò su Firenze. Piero d e ' Medici gli a n d ò i n c o n t r o , gli c o n s e g n ò a l c u n e i m p o r t a n t i fortezze e lo festeggiò. La t a p p a successiva fu R o m a , d o v e Carlo giunse nel d i c e m b r e , facendosi p r e c e d e re da u n a flotta c h e g e t t ò le a n c o r e nel p o r t o di Ostia. All'avvicinarsi dei francesi, il P a p a Borgia aveva cercato rifugio in Castel S a n t ' A n g e l o , di d o v e s p e d ì u n ' a m b a s c i a t a di pace a Carlo. Fra il Sovrano e il Pontefice n o n correva b u o n s a n g u e , ma il p r i m o aveva bisogno del sostegno e della neutralità del secondo p e r c o n d u r r e a felice esito la spedizione. A l e s s a n d r o e C a r l o s ' i n c o n t r a r o n o in Vaticano. Il Re di Francia s'inginocchiò t r e volte d a v a n t i al Papa, che gli garantì il libero passaggio delle t r u p p e n e i t e r r i t o r i pontifici. Il 22 febbraio, senza i n c o n t r a r e resistenza, i Francesi e n t r a r o n o a Napoli tra le acclamazioni della p o p o l a z i o n e . Carlo varcò le m u r a a b o r d o di u n a sontuosa p o r t a n t i n a , s o r m o n tata da un ricco baldacchino t r a p u n t o di ori e di g e m m e , e s o s t e n u t a da q u a t t r o nobili. Per ingraziarsi gli a b i t a n t i distribuì elemosine, ridusse le tasse, e su richiesta dei b a r o n i istituì la schiavitù nelle c a m p a g n e . L ' i n c r u e n t a i m p r e s a e r a stata c o r o n a t a d a l successo, e C a r l o decise di g o d e r s e l o . Fece a c c a m p a r e in città e nelle i m m e d i a t e vicinanze le soldatesche e s ' a b b a n d o n ò ai piaceri della m e n s a e dell'alcova, favoriti dalla b u o n a stagione e da un clima tiepido e propizio agli ozi. Negli intervalli si dedicò con meticolosa c u r a al sistematico saccheggio della città. Spogliò i c o n v e n t i d e l l e r e l i q u i e p i ù r a r e , le chiese delle o p e r e d ' a r t e p i ù p r e z i o s e , i palazzi delle suppellettili di maggior pregio, che caricò sulle navi e spedì a Parigi. Ma le razzie suscitarono lo s d e g n o dei n a p o l e t a n i , offesi 317
dalla tracotanza degli invasori e dall'eccessiva galanteria che m o s t r a v a n o verso le loro d o n n e . A n c h e i nobili cominciarono a d a r segno di scontento. Avevano aiutato Carlo a cacciare l ' A r a g o n e s e e o r a il Re m i n a c c i a v a di p r i v a r l i d e i loro possedimenti in favore degli antichi titolari angioini. Anche in tutto il resto d'Italia si a n d a v a d e l i n e a n d o un m o v i m e n t o d'opposizione alla Francia. Ne e r a l'anima il Papa, allarmato dall'invadenza e dalla cupidigia di Carlo. Nel m a r z o del '95 Alessandro b a n d ì u n a Santa Alleanza c o n t r o di lui, alla quale a d e r i r o n o Venezia, Milano, il Re di S p a g n a e l'imper a t o r e Massimiliano. L'improvviso voltafaccia di L u d o v i c o e r a stato p r o v o c a t o da un'effimera e i n c o n c l u d e n t e calata del Duca d'Orléans, Luigi, in L o m b a r d i a . Nel maggio, Carlo affidò il R e g n o di Napoli al cugino, e alla testa dell'esercito si mise in marcia verso il n o r d . G i u n t o nei pressi di P a r m a , a Fornovo, s'imbattè in quello della lega, molto superiore di n u m e r o , ma poco affiatato e male arm a t o . Fu u n a battaglia senza vincitori né vinti. I Francesi riuscirono ad aprirsi un varco e a ripassare indisturbati le Alpi. Nel N a p o l e t a n o , i m m e d i a t e furono le c o n s e g u e n z e della ritirata. La g u a r n i g i o n e francese fu cacciata, e gli A r a g o n e s i riebbero il t r o n o . N o n o s t a n t e lo smacco, la Francia n o n d e p o s e le sue mire sull'Italia. Nel 1498, d i v e n t ò Re lo stesso D u c a d ' O r l é a n s , Luigi, che rispolverò il vecchio sogno di conquista del Milanese. Ludovico chiese rinforzi a Venezia, ma la Repubblica, che n o n gli aveva mai p e r d o n a t o l'invito a Carlo, si g u a r d ò b e n e dal fornirglieli. Il M o r o allora si precipitò alla corte di Massimiliano e ne invocò l'aiuto. L ' I m p e r a t o r e gli mise a disposizione un esercito raccogliticcio di m e r c e n a r i svizzeri e tedeschi coi quali Ludovico p o t è r i p r e n d e r e Milano, c a d u ta d u r a n t e la sua assenza nelle m a n i dei Francesi. C o s t o r o c e r c a r o n o rifugio con le artiglierie nel Castello Sforzesco, di dove cominciarono a b o m b a r d a r e la città. Gli abitanti t e r r o rizzati obbligarono il Duca a trasferire la capitale a Pavia. I Francesi riacquistarono b a l d a n z a e Ludovico incaricò il co318
g n a t o Gianfrancesco Gonzaga di sloggiarli dal Milanese: cosa che costui si g u a r d ò b e n e dal fare. Anzi, s'intese col nemico, imitato dai m e r c e n a r i svizzeri al servizio del M o r o , che c o n s e g n a r o n o il D u c a ai Francesi. Ludovico fu c o n d o t t o a L i o n e e r i n c h i u s o nel castello di Lys-Saint-Georges, d o v e , stanco e p r e c o c e m e n t e invecchiato, passò le giornate a legg e r e la Bibbia, a p r e g a r e e a giocare con u n o dei suoi i n n u m e r e v o l i n a n i che l'aveva seguito fin lì. Dal castello di Lys v e n n e successivamente trasferito a quello di Loches, di dove cercò di fuggire travestito da c o n t a d i n o su un c a r r o carico di paglia. Smascherato, fu relegato nei sotterranei, e qui la m o r t e lo colse il 17 maggio del 1508, all'età di cinquantasette a n n i . C o n t r a d d i t t o r i sono i giudizi degli storici su di lui. Per alcuni fu un t r a d i t o r e , p e r altri un t i r a n n o astuto e illum i n a t o , p e r altri a n c o r a un a v v e n t u r i e r o volubile, ambizioso e senza scrupoli. In realtà, fu un miscuglio di t u t t o q u e sto, c o m e tutti i despoti del suo t e m p o .
CAPITOLO TERZO
SAVONAROLA
La resa di Piero a Carlo V i l i n o n e r a piaciuta ai fiorentini. O d i a v a n o il figlio del Magnifico, lo chiamavano II fatuo e con q u e s t o n o m i g n o l o a n c h e la Storia lo a d o t t ò . Ma forse Piero lo dovette solo, o soprattutto, alla sfortuna. N o n aveva che v e n t ' a n n i q u a n d o gli p i o m b ò sulle spalle u n a responsabilità, cui suo p a d r e n o n l'aveva p r e p a r a t o . Bel ragazzo dal c o r p o d'atleta, un p o ' bighellone e avventato, ma abbastanza colto grazie alla pedagogia del Poliziano, sapeva improvvisare versi con u n a certa facilità e s o p r a t t u t t o e r a un camp i o n e nel gioco d e l calcio, nella sassaiola, nella s c h e r m a e nella giostra. T u t t o q u e s t o a v r e b b e p o t u t o f a r n e u n idolo della sportiva gioventù fiorentina, c o m e già lo e r a stato suo zio Giuliano assassinato dai Pazzi, se egli n o n vi avesse portato u n a p r o t e r v i a che i suoi concittadini, c o n squisito pat r i o t t i s m o , a d d e b i t a v a n o a l s a n g u e r o m a n o d i sua m a d r e Orsini. All'opposto di L o r e n z o , g r a n maestro nell'arte di p e r d e r e , Piero voleva s e m p r e v i n c e r e . E q u e s t o gli valse u n ' a u reola d'alterigia, c h ' e r a p r o p r i o la più pericolosa in u n a città c o m e Firenze dove il successo, p e r farsi p e r d o n a r e , deve a m m a n t a r s i di modestia. I Medici avevano s e m p r e praticato questa virtù e p r o p r i o alla loro m a n c a n z a d ' o s t e n t a z i o n e e alla semplicità dei m o d i avevano d o v u t o la loro p e r d u r a n t e fortuna. Piero faceva onesti sforzi p e r fingerla. Al Re di Napoli, c h e gli offriva un f e u d o e un titolo n o b i l i a r e nel suo R e g n o , rispose: «Io n o n sono d e g n o di sì g r a n d e o n o r e , né voglio essere b a r o n e » . La risposta fu a p p r e z z a t a , in quella città b o r g h e s e . Ma fu a d d e b i t a t a p i ù all'orgoglio c h e all'u321
miltà. E r a n o tuttavia difetti di gioventù da cui avrebbe p o tuto e m e n d a r s i , se ne avesse avuto il t e m p o . Ma gli eventi lo m i s e r o subito di fronte a u n a situazione che s a r e b b e stata un d u r o banco di p r o v a a n c h e p e r il p a d r e e il b i s n o n n o . Anzitutto, la dissestata situazione p a t r i m o n i a l e . I Medici avevano s e m p r e amministrato con la stessa accortezza la cosa pubblica e quella privata, b e n s a p e n d o c h e la ricchezza senza il p o t e r e era malsicura, ma il p o t e r e senza la ricchezza impossibile. Il Magnifico, p e r magnificenza, aveva d e r o g a to, a b b a n d o n a n d o s i a liberalità s p r o p o r z i o n a t e , ma sopratt u t t o c o n v e r t e n d o quasi t u t t a la sua sostanza in t e r r e c h e , i m p e g n a n d o l o m o l t o m e n o , gli c o n s e n t i v a n o d i d e d i c a r s i i n t e r a m e n t e alla politica e alla cultura, le sue vere vocazioni. Le fattorie che lasciava in e r e d i t à al figlio e r a n o s p l e n d i d e . Ma n o n r e n d e v a n o c o m e la banca e le industrie, quasi inter a m e n t e liquidate. Ancora più minacciosa e r a la situazione politica, a cominciare da quella i n t e r n a z i o n a l e . «La p a c e d ' I t a l i a è finita» aveva esclamato I n n o c e n z o V i l i alla notizia della m o r t e del Magnifico, che l'aveva costruita con un capolavoro d'accortezza, di pazienza e di tatto, sulla difficile concordia dei cinq u e Stati p i ù p o t e n t i . Ma e r a a p p u n t o u n a p a c e che si reggeva solo sulle doti del suo tessitore. Di queste doti il figlio Piero era privo. Alla notizia della calata dei Francesi, invece di p r e p a r a r s i alla difesa, cercò di c o m p r a r e Carlo V i l i con duecentomila fiorini, e ci riuscì. Ma i fiorentini n o n gli p e r d o n a r o n o quella c o d a r d i a , e q u a n d o Piero t o r n ò da Sarzana, dove era a n d a t o a i n c o n t r a r e il Re di Francia, gli sbarrar o n o le p o r t e di Palazzo Vecchio e lo costrinsero ad a b b a n d o n a r e in fretta e furia la città. Poi d e c i s e r o di d a r s i u n a n u o v a costituzione. Fra coloro che furono chiamati a tracciarne i lineamenti, ci fu a n c h e il Priore di San Marco, Girolamo Savonarola. Ne L'Italia dei secoli d'oro a b b i a m o già a m p i a m e n t e p r e s e n t a t o questo apocalittico p e r s o n a g g i o . D o p o la m o r t e di L o r e n z o , la sua p o t e n z a a Firenze s'era n o t e v o l m e n t e accresciuta. In 322
seguito alla fuga di Piero, che odiava e che a sua volta detestava il frate, era diventato il p a d r o n e della Repubblica, a n che se n o n ricopriva cariche ufficiali. Fu lui a d e t t a r e la n u o va costituzione, sul modello di quella veneziana, i m p e r n i a t a su un Maggior Consiglio di tremila m e m b r i scelti fra i cittadini che avessero già ricoperto pubblici uffici o discendessero da ex funzionari dello Stato. Il Maggior Consiglio elesse la Signoria, cioè il g o v e r n o , c o m p o s t o da o t t o p r i o r i e un gonfaloniere, che d u r a v a n o in carica d u e mesi. La riforma, illustrata dal Savonarola dal p u l p i t o e nelle piazze, o t t e n n e un autentico plebiscito p o p o l a r e . Il 10 giug n o del '95 la Nuova Repubblica e n t r ò in vigore. C o m e primo atto d e c r e t ò l'amnistia dei seguaci di Piero, che p o t e r o no t o r n a r e indisturbati a Firenze. Poi abolì quasi tutte le imposte. Ad a v v a n t a g g i a r s e n e furono s o p r a t t u t t o i m e r c a n t i , sui quali m a g g i o r m e n t e il fisco gravava. Il c o m m e r c i o r i p r e se aìre. Fu invece m a n t e n u t a la tassa sugli immobili che colpiva i g r a n d i p r o p r i e t a r i terrieri, ma a n c h e il c o n t a d i n o dis e r e d a t o . Su p r o p o s t a del Savonarola fu istituito un M o n t e Pegni, che concedeva prestiti al tasso del cinque-sei p e r cento, c o n t r o il t r e n t a che solitamente esigevano gli usurai. Ma fu s o p r a t t u t t o c o n t r o il d i l a g a n t e m a l c o s t u m e c h e i n u o v i g o v e r n a n t i , ispirati dal frate, s ' a c c a n i r o n o . F u r o n o proibiti tutti i p a s s a t e m p i che avevano deliziato la Signoria medicea e avevano fatto di Firenze u n a raffinata Mecca d'ed o n i s m o cosmopolita. F u r o n o messi al b a n d o i canti carnascialeschi che avevano r i e m p i t o la città ai t e m p i di L o r e n z o , aboliti i giochi d ' a z z a r d o , le scommesse, i balli, le corse dei cavalli. I c o n t r a v v e n t o r i i n c o r r e v a n o in p e n e severissime, che venivano c o m m i n a t e d o p o estenuanti interrogatori, acc o m p a g n a t i spesso dalla t o r t u r a . Ai b e s t e m m i a t o r i veniva tagliata la lingua. Sorte n o n migliore e r a riservata agli o m o sessuali, di cui - p a r e - a n c h e a quei t e m p i la città pullulava. Mai, c o m e in q u e s t ' o p e r a di moralizzazione, fu fatto t a n t o scialo di zelo. Nulla stava a c u o r e a Girolamo e ai Piagnoni (com'erano stati battezzati i suoi seguaci p e r c h é p i a n g e v a n o 323
ascoltando le p r e d i c h e del frate) c o m e la castità e la sobrietà dei cittadini. Per garantirle il Savonarola istituì le cosiddette « C o m p a g n i e della speranza». Attraverso u n a r e t e d i inform a t o r i e di spie, queste vigilavano sulla vita privata dei fior e n t i n i e alla m i n i m a infrazione li d e n u n c i a v a n o al frate, che a sua volta li d e n u n c i a v a alla Signoria. Q u e s t a specie di esercito della salvezza, che impiegava m e t o d i da «rivoluzione culturale» cinese, veniva a c c u r a t a m e n t e selezionato. I suoi m e m b r i d o v e v a n o a n d a r e o g n i g i o r n o a messa, fare la loro b r a v a c o m u n i o n e , t e n e r s i l o n t a n i dai locali n o t t u r n i e dai bordelli, l e g g e r e libri edificanti, p o r t a r e i capelli corti, c h i e d e r e l'elemosina p e r le strade, r e d a r g u i r e le d o n n e scollate e s t r a p p a r e loro di dosso le vesti t r o p p o succinte. Le fiorentine accettarono il r e g i m e d'austerità instaurato dal frate, s c a m b i a n d o l o p e r u n a n u o v a m o d a , d e s t i n a t a a t r a m o n t a r e con la stessa r a p i d i t à con cui e r a s p u n t a t a . Smisero d'imbellettarsi, di tingersi le labbra, di truccarsi gli occhi e p e r s i n o di fare il b a g n o , considerato un atto di lussuria e un'esca del d e m o n i o . A n c h e il p o p o l i n o s'adeguò. R i n u n ciò ai pittoreschi, festosi e un p o ' sguaiati cortei carnascialeschi, che d e g e n e r a v a n o spesso in orge e gozzoviglie, ma che costituivano u n o svago e un t r i p u d i o p e r tutti, e si consacrò al culto, alla p r e g h i e r a e alla penitenza. O g n i g i o r n o la città e r a p e r c o r s a d a p r o c e s s i o n i . L e piazze r i m b o m b a v a n o d i sermoni, le chiese echeggiavano di p r e d i c h e , i confessionali r i g u r g i t a v a n o di fedeli, le reliquie d e i santi e r a n o m e t a di c o n t i n u i p e l l e g r i n a g g i , gli oboli e le e l e m o s i n e fioccavano. «La riforma - n o n si stancava di r i p e t e r e ai fiorentini il Savonarola - deve iniziare dalle cose dello spirito, e il benessere t e m p o r a l e lo dovete dedicare al servizio della vostra salute m o r a l e e religiosa, dalla q u a l e esso d i p e n d e . E se avete u d i t o d i r e che "gli Stati n o n si g o v e r n a n o coi p a t e r n o s t r i " , r i c o r d a t e che questa è la f o r m u l a dei t i r a n n i , u n a formula p e r o p p r i m e r e e n o n p e r l i b e r a r e u n a città. S e d e s i d e r a t e un b u o n G o v e r n o , lo dovete r i d a r e a Dio.» Di Dio egli si considerava il portavoce in t e r r a . Mirava a 324
t r a s f o r m a r e la R e p u b b l i c a fiorentina in u n a teocrazia c h e avrebbe d o v u t o fornire un modello di g o v e r n o alle altre città italiane, c o m p r e s a R o m a , c h ' e r a quella che di u n a riforma p i ù aveva bisogno. Ma c o m e ogni teocrazia, a n c h e quella v a g h e g g i a t a d a l frate aveva i suoi limiti. P r i m a di t u t t o e r a noiosa c o n t u t t e quelle sue r i n u n c e e p e n i t e n z e . D a p principio i fiorentini accettarono queste e quelle, trascinati dall'oratoria magnetica del Savonarola. Ma d o p o pochi m e si c o m i n c i a r o n o a d a r segni d'insofferenza e a r i m p i a n g e r e il g a u d e n t e e festaiolo r e g i m e di L o r e n z o . I p i ù accaniti oppositori del Savonarola e r a n o gli Arrabbiati. Dicevano che tali li aveva resi il Priore con le sue riforme e le sue p r e d i c h e . L'accusavano d'immischiarsi negli affari dello Stato e di occuparsi p i ù delle cose t e m p o r a l i che di quelle della chiesa. Q u a n d o , ai p r i m i del '96, u n o di loro, Filippo Corbizzi, riuscì a farsi e l e g g e r e g o n f a l o n i e r e , d e n u n c i ò p u b b l i c a m e n t e il S a v o n a r o l a di attività disdicevole alla sua condizione di frate. Il Priore si difese m a l a m e n t e cit a n d o alcuni versetti della Bibbia. Alla d o m a n d a se le sue p r e d i c h e fossero ispirate da Dio, si g u a r d ò b e n e dal rispond e r e e preferì t o r n a r s e n e in convento. I nemici gli rinfacciav a n o le s i m p a t i e p e r la Francia, l'accusavano di essere un cattivo a m m i n i s t r a t o r e e di aver p i o m b a t o la città sull'orlo della bancarotta. G i u n s e r o p e r s i n o a farne il c a p r o espiatorio della siccità che nel '96 s'abbattè sulla Repubblica, decim a n d o il raccolto e affamando la popolazione. Dalle p a r o l e , A r r a b b i a t i e P i a g n o n i v e n n e r o p r e s t o alle m a n i . Il giorno dell'Ascensione del 1497, m e n t r e predicava, il frate fu assalito dai nemici, che t e n t a r o n o di tirarlo giù dal p e r g a m o e rapirlo, ma le sue g u a r d i e del c o r p o riuscirono a t r a r l o in salvo. U n o dei capi del p a r t i t o avverso chiese alla Signoria di b a n d i r l o da Firenze. La p r o p o s t a fu messa ai voti, e p e r u n o solo n o n o t t e n n e la maggioranza. Ma al frate n o n e r a n o ostili solo i suoi concittadini. Anche il P a p a lo detestava. Alessandro VI Borgia e r a da t e m p o il principale bersaglio dei suoi sermoni. Il Priore lo tacciava 325
di c o r r u z i o n e , di simonia, di e m p i e t à e n o n p e r d e v a occasione p e r lanciare c o n t r o la curia r o m a n a gli strali della sua a r r o v e n t a t a oratoria. N o n e r a n o c e r t a m e n t e queste accuse c h e p r e o c c u p a v a n o A l e s s a n d r o , ma p i u t t o s t o i l e g a m i d e l Savonarola con la Francia, dove si e r a rifugiato il p i ù pericoloso nemico del Papa, il cardinale Giuliano della Rovere, che faceva pressioni su re Carlo p e r c h é indicesse un Concilio e d e p o n e s s e il Borgia c o m e infedele ed eretico. Nel luglio del '95, il P a p a scrisse al frate invitandolo a Rom a . Il P r i o r e rispose c h e la m a l f e r m a salute g l ' i m p e d i v a d ' i n t r a p r e n d e r e il viaggio. Il Papa gl'ingiunse allora d'astenersi dal p r e d i c a r e e incaricò un vescovo d o m e n i c a n o d'es a m i n a r e u n o p e r u n o i s e r m o n i del frate e di sottoporli a u n r i g o r o s o vaglio teologico. Dal p u n t o d i vista d e l l ' o r t o dossia essi r i s u l t a r o n o impeccabili. Le accuse c h e c o n t e n e v a n o c o n t r o l a d e p r a v a z i o n e d e l clero e r a n o s p i e t a t e , m a n o n p u z z a v a n o d ' e r e s i a . A l e s s a n d r o r e v o c ò i l veto, m a q u a n d o il Savonarola a n n u n c i ò che avrebbe ricominciato a p r e d i c a r e spedì a Firenze un messo p e r offrirgli il cappello cardinalizio. Il frate accolse i n u r b a n a m e n t e il n u n z i o pontificio e gli disse c h e gli a v r e b b e d a t o u n a r i s p o s t a n e l suo prossimo s e r m o n e . Il 17 febbraio del '96 tutta Firenze si d i e d e c o n v e g n o in D u o m o p e r ascoltare i l P r i o r e che, d o p o u n a n n o d i silenzio, risaliva sul p e r g a m o . «Il p a p a - e s o r d ì - n o n p u ò com a n d a r m i contro alla carità e c o n t r o al Vangelo. Io n o n credo che il p a p a voglia mai farlo; ma q u a n d o lo facesse io gli direi: Tu, ora, n o n sei p a s t o r e , tu n o n sei R o m a n a Chiesa, tu erri...» Girolamo era un osso d u r o e il Papa, che aveva in quel m o m e n t o altre gatte da pelare, lasciò che col frate se la v e d e s s e r o gli A r r a b b i a t i , a r r a b b i a t i p i ù c h e m a i e p i ù c h e mai decisi a cacciare il Priore da Firenze. Nel '97, in occasione del carnevale, essi a n n u n c i a r o n o che a v r e b b e r o celebrato l'avvenimento con sfilate di carri, balli pubblici, sassaiole, giochi e banchetti. I Piagnoni risposero sguinzagliando p e r la città i «Compagni della speranza», che a n d a v a n o bussan326
do a tutte le p o r t e p e r farsi c o n s e g n a r e le «vanità»: bracciali, anelli, orecchini, p a r r u c c h e , cosmetici, carte da gioco, dadi, s t r u m e n t i musicali, i m m a g i n i oscene, libri pornografici, fra cui il Decamerone e il Morgante Maggiore. Il 7 febbraio i seguaci d e l frate, i n t o n a n d o i n n i sacri, s ' i n c a m m i n a r o n o in processione verso la piazza della Signoria e v ' a m m u c c h i a r o no le «vanità». P r e c e d e n t e m e n t e vi a v e v a n o innalzato u n a p i r a di legna, resina e pece, su cui rovesciarono gli oggetti incettati, fra i quali manoscritti rari e pregiate o p e r e d'arte. Q u i n d i a p p i c c a r o n o il fuoco, m e n t r e le c a m p a n e di tutte le chiese cittadine s u o n a v a n o a festa. Venne la quaresima, e i Piagnoni si scatenarono. «Fatti in q u a , r i b a l d a Chiesa» t u o n ò il S a v o n a r o l a d a l p u l p i t o d e l D u o m o . «Io ti avevo dato, dice il Signore, le belle vestimenta e tu ne hai fatto idolo. I vasi desti alla s u p e r b i a ; i sacram e n t i alla simonia; nella lussuria sei fatta meretrice sfacciata, tu sei p e g g i o c h e bestia; tu sei un m o s t r o a b o m i n e v o l e . U n a volta t i v e r g o g n a v i d e i t u o i peccati, m a o r a n o n più! U n a volta i sacerdoti c h i a m a v a n o nipoti i loro figliuoli; o r a n o n più nipoti ma figliuoli, figliuoli p e r tutto... E così, o m e retrice Chiesa, tu hai fatto v e d e r e la tua bruttezza a tutto il m o n d o e il t u o fetore è salito al cielo. Molti di voi dicono che v e r r a n n o s c o m u n i c h e . . . Per me ti p r e g o , o S i g n o r e , c h e la v e n g a presto... Portatela in su u n a lancia questa scomunica e a p r i t e l e le p o r t e . . . O S i g n o r e io voglio s o l a m e n t e la t u a c r o c e : f a m m i p e r s e g u i t a r e . I o t i d o m a n d o q u e s t a grazia: che tu n o n mi lasci m o r i r e in sul letto; ma che io ti r e n d a il s a n g u e mio, c o m e tu hai fatto p e r me.» Stavolta il frate aveva passato il segno, e fu scomunicato davvero. Il che n o n gl'impedì, il giorno di Natale, di celebrare u g u a l m e n t e la messa e di somministrare la c o m u n i o n e ai Piagnoni. Nel febbraio scomunicò a sua volta il Pontefice, il quale minacciò l'interdetto su Firenze nel caso che la Signoria n o n avesse impedito al frate di p a r l a r e in pubblico. In seguito a n c h e alle pressioni dei mercanti fiorentini residenti a Roma, la Repubblica vietò a Girolamo di risalire sul pulpito. 327
Ma il frate n o n si d i e d e p e r vinto. La Signoria gli aveva t a p p a t o la bocca, ma n o n poteva impedirgli di scrivere. Prese la p e n n a e indirizzò ai re di Francia, Spagna, U n g h e r i a e G e r m a n i a q u e s t a missiva: «Il m o m e n t o della v e n d e t t a è g i u n t o , il S i g n o r e vuol c h ' i o riveli n u o v i segreti, e c h e sia manifesto al m o n d o il p e r i c o l o in cui versa la navicella di Pietro, a cagione della vostra l u n g a negligenza. La Chiesa è tutta p i e n a d ' a b o m i n a z i o n e dal capo alle p i a n t e , e voi n o n s o l a m e n t e n o n p o n e t e m a n o a l r i m e d i o , m a a d o r a t e l a cagione stessa del m a l e che la c o n t a m i n a . O n d e il Signore s'è g r a n d e m e n t e adirato e più t e m p o ha lasciato la Chiesa senza pastore... E io vi testifico che questo Alessandro n o n è papa, né p u ò esser r i t e n u t o tale; i m p e r o c c h é lasciando da parte il suo scelleratissimo p e c c a t o della simonia, c o n cui ha c o m p e r a t o la sedia papale, ed ogni dì, a chi più ne dà, vende i benefizi ecclesiastici, e lasciando gli altri suoi manifesti vizi; io affermo ch'egli n o n è cristiano e n o n c r e d e esservi alcun Dio». Concludeva con l'invito a indire un Concilio p e r d e p o r r e il Borgia e riformare la Chiesa. U n a d i q u e s t e lettere f i n ì nelle m a n i d i A l e s s a n d r o , che ne fu allarmato, sebbene a Firenze, specialmente fra i francescani, n o n gli mancassero alleati. U n o di costoro, un certo fra' Giuliano Rondinelli, sfidò il S a v o n a r o l a alla p r o v a del fuoco. E r a c e r t o di s o c c o m b e r e alle fiamme ma e r a altrettanto certo ch'esse a v r e b b e r o divorato a n c h e il Priore e liber a t o la città dalla sua i n g o m b r a n t e p r e s e n z a . Ma G i r o l a m o rifiutò il c e r t a m e e in sua vece si p r e s e n t ò fra' D o m e n i c o da Pescia. Il giorno del giudizio tutta la città s'assiepò in piazza della Signoria, nel cui c e n t r o e r a n o state e r e t t e d u e p i r e . Domenico, seguito dal Savonarola che i m p u g n a v a un crocifisso, si p r e s e n t ò con in m a n o un'ostia consacrata. Indossava un saio rosso di cui d o v e t t e spogliarsi q u a n d o si s p a r s e la voce c h ' e r a stregato. Fra' Giuliano avrebbe voluto c h e il rivale d e p o n e s s e a n c h e l'ostia, ma Domenico rifiutò. I francescani dissero che con la particola s a r e b b e a n d a t o d i s t r u t t o 328
a n c h e il c o r p o di Cristo. I d o m e n i c a n i risposero che ciò era impossibile. La discussione d u r ò alcune o r e , e cessò solo sul far della sera, q u a n d o la S i g n o r i a d e c r e t ò la s o s p e n s i o n e della sfida. Nella piazza scoppiò il finimondo. Gli Arrabbiati a d d o s s a r o n o ai P i a g n o n i la colpa del m a n c a t o s p e t t a c o l o . Alcuni e n e r g u m e n i c e r c a r o n o d i i m p a d r o n i r s i del Savonarola, che a stento riuscì a porsi in salvo in San Marco. L'ind o m a n i , alcune migliaia d'Arrabbiati, a r m a t i di bastoni, forconi e s p a d e , c i r c o n d a r o n o il c o n v e n t o d o m e n i c a n o . I suoi inquilini, assai inferiori di n u m e r o , s u o n a r o n o a distesa le c a m p a n e p e r c h i a m a r e in soccorso gli abitanti. Ma n e s s u n o si mosse. La Signoria ne approfittò p e r far a r r e s t a r e il Priore, D o m e n i c o e un altro frate di n o m e Silvestro, che tra gli sberleffi e i lazzi osceni del p o p o l i n o furono condotti in Palazzo Vecchio e imprigionati. Il Papa chiese alla Repubblica di far giudicare da un tribunale r o m a n o i tre monaci, ma la S i g n o r i a rispose c h e il p r o c e s s o d o v e v a essere c e l e b r a t o a Firenze. Esso fu p r e c e d u t o da u n ' i n t e r m i n a b i l e sede d ' i n t e r r o g a tori d u r a n t e i quali Girolamo, D o m e n i c o e Silvestro furono sottoposti alle più orribili t o r t u r e . Silvestro fu il p r i m o a ced e r e e a m m i s e tutti i capi d ' i m p u t a z i o n e c h e gli v e n n e r o contestati. A n c h e il Savonarola, d o p o deboli resistenze, finì p e r riconoscersi colpevole. Solo Domenico t e n n e d u r o p r o c l a m a n d o senza t e n t e n n a m e n t i la santità del suo s u p e r i o r e . Sotto l'accusa d'eresia e di scisma furono tutt'e tre c o n d a n nati all'impiccagione. Alessandro avallò la sentenza, ma concesse m a g n a n i m a m e n t e l'assoluzione ai frati. L'esecuzione v e n n e fissata p e r il 23 maggio (1498). Tutti i fiorentini vollero assistere allo spettacolo, che si svolse in piazza della Signoria, nello stesso luogo dove l'anno p r e c e d e n t e e r a n o state bruciate le «vanità». Il Savonarola e i suoi c o m p a g n i vi v e n n e r o condotti scalzi e senza saio. S t r i n g e n d o un crocifisso s'avviarono con passo f e r m o verso il c a p e s t r o : G i r o l a m o e Silvestro m u t i e gli occhi fìssi nel vuoto, D o m e n i c o col volto radioso e c a n t a n d o 329
il Te Deum. Il boia cinse i colli col laccio ed eseguì la sentenza. Gli spettatori, ai quali d u r a n t e la c e r i m o n i a la Signoria aveva offerto un rinfresco, s'accalcarono i n t o r n o alle forche e bersagliarono con sputi, sassi ed escrementi i poveri corpi penzolanti. Sotto i capestri furono q u i n d i a m m u c c h i a t e fascine di legna e accesi tre roghi, tra le cui fiamme i frati abb r u s t o l i r o n o . Per o r d i n e della Signoria, che t e m e v a diventassero oggetto di v e n e r a z i o n e , le c e n e r i f u r o n o gettate in Arno. «Col Savonarola - ha scritto il D u r a n t - calò nella t o m b a il M e d i o Evo che sopravviveva al Rinascimento.» E v e r o . N e s s u n o meglio del frate d o m e n i c a n o c o m p e n d i ò gl'ideali dell'età di mezzo: il misticismo, l ' a r d o r e evangelico, l'intransigenza d o g m a t i c a , l'anelito m o r a l e . E p p u r e , q u e s t ' u o m o del passato fu a n c h e l'anticipatore dell'avvenire e a n n u n z i ò , se n o n le istanze teologiche, quelle morali di cui la Riforma a v r e b b e fatto, di lì a pochi d e c e n n i , il suo p r o g r a m m a e la sua b a n d i e r a . Tutto s o m m a t o , il suo Medio Evo era più m o d e r n o del Rinascimento. Il fatto che q u e s t ' u o m o vissuto da santo e m o r t o da m a r t i r e sia stato a n c h e un d e m a g o g o visionario e arruffapopolo n o n toglie nulla alla sua g r a n d e z za. E chi voglia c o n v i n c e r s e n e n o n ha che da l e g g e r e il sup e r b o , esemplare Savonarola di Roberto Ridolfì.
CAPITOLO QUARTO
I BORGIA
Q u a n d o il Savonarola salì sul r o g o , Alessandro VI r e g n a v a da sei anni. Aveva cinto la tiara nel '92, d o p o la m o r t e di Innocenzo V i l i , di cui era stato il più stretto collaboratore e il più ascoltato consigliere. La sua elezione fu u n a delle m e n o contrastate nella torbida storia dei conclavi. Q u a t t r o giorni b a s t a r o n o a dargli n o n la m a g g i o r a n z a , ma a d d i r i t t u r a l'unanimità dei voti m e n o u n o , quello del cardinale Della Rovere. Tutti furono compensati, anche i suoi rivali: lo Sforza ebbe la vice-cancelleria, e c o m e m a n c i a il palazzo degli stessi Borgia; l'Orsini il seggio (e le rendite) di C a r t a g e n a e il gov e r n a t o r a t o delle Marche. Alessandro poteva fare tutti i regali che voleva, d o p o quelli ch'egli stesso aveva ricevuto dai c i n q u e Papi c h e aveva c o n t r i b u i t o a e l e g g e r e e servito nei posti di più alta responsabilità e sicuro r e d d i t o . N e s s u n cardinale di C u r i a era mai stato ricco c o m e lui. Mai i n c o r o n a zione fu p i ù solenne e fastosa della sua. I cronisti dell'epoca ce n ' h a n n o lasciato un minuzioso resoconto. L u n g o il tragitto del corteo furono distesi d u e chilometri di sontuosi tappeti, i palazzi furono pavesati a festa e foderati di raso; archi di trionfo, o r n a t i di g h i r l a n d e e d'iscrizioni cortigiane, costellarono l'itinerario pontificio. Allo spettacolo, a c c o m p a g n a t o da balli, canti e salve di c a n n o n e , p a r t e c i p a r o n o diecimila cavalieri, centinaia di diplomatici e ambasciatori giunti a R o m a da ogni p a r t e d'Italia e d ' E u r o pa, u n o stuolo di nobili e la C o r t e vaticana al g r a n completo. Al n u o v o Papa piaceva fare le cose in g r a n d e e strabiliare 331
i sudditi. L'amore del lusso e dell'esteriorità tradiva la sua origine spagnola, sebbene venisse da u n a famiglia di piccola nobiltà e di pochi mezzi, che certo n o n gli e r a stata di ness u n a i u t o nella c a r r i e r a : la via d e l p a p a t o è s e m p r e stata particolarmente impervia agli stranieri. R o d r i g o , c o m e si chiamava p r i m a di assurgere al Soglio, d o v e v a il successo alle sue q u a l i t à intellettuali, c h ' e r a n o g r a n d i , e ai suoi difetti morali, c h ' e r a n o u g u a l m e n t e g r a n di. Fu p r e t e solo a trentasette a n n i , ma cardinale già a venticinque; e q u a n d o v e n n e a R o m a aveva un paio di figlioli, di cui n o n si conoscono le m a d r i . Insistette nella sua spensierata poligamia a n c h e d o p o essere e n t r a t o in Curia, e in un viaggio ad Ancona, al seguito di Pio I I , contrasse u n a malattia v e n e r e a « p e r c h é - disse p u d i c a m e n t e il suo m e d i c o n o n aveva d o r m i t o da solo». Era bello, elegante, g r a n signor e , di s a n g u e caldo e di m a n i e r e soavi. Ma, c o m e tutti i sed u t t o r i , a n c h e lui alla fine trovò la sua seduttrice: u n a Vannozza d e ' C a t t a n e i che, p u r e s s e n d o già sposata, gli d i e d e q u a t t r o figli: G i o v a n n i , C e s a r e , L u c r e z i a e Giuffredo. Da quel m o m e n t o gli affetti p a t e r n i p r e s e r o in lui il sopravvento su q u a l u n q u e altro sentimento. Q u a n d o d i v e n t ò P a p a aveva già passato la sessantina e n o n era più il bell'uomo d ' u n a volta: il corpo si era appesantito, le g u a n c e si e r a n o fatte flaccide e cascanti, gli occhi acquosi e bovini. Ma le facoltà mentali e r a n o rimaste intatte. Il 31 agosto, cinque giorni d o p o l'incoronazione, convocò un concistoro e n o m i n ò il figlio Cesare arcivescovo di Valenza c o n u n a r e n d i t a a n n u a d i sedicimila d u c a t i , i n a u g u r a n d o quella sfacciata politica nepotistica che trasformerà la Curia r o m a n a i n u n a colonia b o r g i a n a . Distribuì cariche, o n o r i , p r e b e n d e , benefìci, sinecure a figli, cugini, nipoti, pronipoti. Ma n o n s'accontentò di sistemare i parenti. Spalancò le porte del Vaticano anche a conoscenti, amici, amici degli amici, che fece affluire a frotte dalla Castiglia, dall'Aragona, dalla Catalogna. Un c o n t e m p o r a n e o c o m m e n t ò : « N e m m e n o dieci p a p a ti basterebbero a s b r a m a r e questo parentado». 332
Ma, n e p o t i s m o a p a r t e , Alessandro d e b u t t ò b e n e . I p r e d e c e s s o r i gli a v e v a n o lasciato m o l t e gatte da p e l a r e : le fin a n z e in dissesto; l ' U r b e in p r e d a alle lotte di fazione t r a i soliti O r s i n i , C o l o n n a , G a e t a n i , Savelli; lo Stato Pontificio s m e m b r a t o e in balia di tirannelli locali sui quali il p o t e r e c e n t r a l e n o n e r a p i ù d a t e m p o i n g r a d o d'esercitare alcun controllo; il clero dilaniato dalla c o r r u z i o n e e dalla simonia. Alessandro si mise subito all'opera. R i n s a n g u ò le casse vaticane, sfoltendo la b u r o c r a z i a e bloccando i salari. Limitò al massimo le uscite, a u m e n t ò con n u o v e tasse le e n t r a t e e impose alla C u r i a un r e g i m e d'austerità, cui essa n o n e r a abituata, e al quale egli stesso si sottopose. O r d i n a v a p e r sé pasti di u n a sola p o r t a t a e quasi n o n toccava vino. I maligni insinuavano che questa dieta gli e r a stata imposta dai medici e c h e n e s s u n o accettava volentieri i suoi inviti a p r a n z o . Ma sul suo e s e m p i o molti ecclesiastici r i d u s s e r o le spese e a b bassarono il t r e n o di vita. Più difficoltà i n c o n t r ò n e l r i p o r t a r e l ' o r d i n e a R o m a . N e l l ' U r b e r e g n a v a la p i ù completa anarchia. I nobili, divisi in c o n s o r t e r i e , s p a d r o n e g g i a v a n o e aizzavano il p o p o l i n o c o n t r o i rivali e c o n t r o lo stesso Pontefice. Furti, omicidi, rap i n e , violenze d ' o g n i g e n e r e e r a n o a l l ' o r d i n e d e l g i o r n o . Alessandro a u m e n t ò il n u m e r o degli sbirri, mise a setaccio i bassifondi della città, fece a r r e s t a r e gli elementi più facinorosi e inasprì le p e n e c o n t r o i criminali. Invitò i nobili a n o n f o m e n t a r e torbidi, p e n a la confisca dei beni, il b a n d o e il capestro. Amo' di m o n i t o , a p p e n a cinta la tiara, fece impiccare u n a coppia di omicidi e o r d i n ò che i loro corpi penzolassero p e r d u e giorni dalla forca issata in u n a pubblica piazza. Ma ciò che p i ù lo p r e o c c u p a v a e r a il caos in cui e r a piombato Io Stato Pontificio, dove n o n si trattava solo di r i d u r r e alla r a g i o n e i despotelli che ne avevano u s u r p a t o i territori, ma a n c h e di ricacciare dai suoi confini le p o t e n z e straniere che li avevano varcati e che n o n i n t e n d e v a n o ripassarli: Napoli, i m p a d r o n i t a s i di Sora e dell'Aquila, e Milano, installatasi a Forlì. Accanto ai tirannelli locali i m p e r v e r s a v a n o i pic333
coli nobili riottosi, avidi, i n g o v e r n a b i l i c h e s e m i n a v a n o il t e r r o r e nelle c a m p a g n e , a n g a r i a v a n o le popolazioni, d e p r e d a v a n o le carovane, guastavano i pascoli. Molti Papi s'erano provati a d o m a r l i e a r i d a r e un assetto agli Stati della Chiesa, ma senza f o r t u n a . Alessandro ci riuscirà, ma d o p o lunghi a n n i di r e g n o . Fin dall'inizio i r o m a n i p r e s e r o a benvolerlo, p e r d o n a n dogli la s m o d a t a cupidigia, lo stuolo di a m a n t i di cui si circondava e lo sviscerato a m o r e p e r i figli, soprattutto p e r Lucrezia, la cui figura egli fece i m m o r t a l a r e dal p e n n e l l o d e l P i n t u r i c c h i o : un volto pallido e angelico, gli occhi a m a n d o r l a , il n a s o sottile e a p p u n t i t o , la bocca piccola, il collo l u n g o e levigato, le m a n i diafane e affusolate, i capelli biondi e l u n g h i s s i m i (così l u n g h i e p e s a n t i c h e le p r o c u r a v a n o violente e m i c r a n i e ) . I l p i t t o r e u m b r o , c h e f u p e r u n c e r t o p e r i o d o agli stipendi del Papa, e r a n o t o p e r la sua cortigianeria. Dubitiamo perciò che questo ritratto sia fedele all'originale a n c h e p e r c h é da d o c u m e n t i scritti risulta che i cont e m p o r a n e i n o n si trovavano affatto d'accordo sull'avvenenza di Lucrezia. Se c o m u n q u e essa n o n fu la s t u p e n d a creat u r a d i p i n t a dal P i n t u r i c c h i o , e b b e m o l t e a l t r e d o t i c h e l a resero u n a delle d o n n e p i ù affascinanti del Rinascimento, e u n a delle più discusse. Ebbe u n a b u o n a educazione, studiò - c o m e si c o n v e n i v a alle r a g a z z e altolocate d e l t e m p o - in un m o n a s t e r o , e trascorse un'infanzia gaia e spensierata. A tredici a n n i , p e r accattivarsi il d u c a di M i l a n o , il p a d r e la d i e d e in sposa al nipote di Ludovico il Moro, Giovanni Sforza, signore di Pesaro, che ne aveva ventisei. Lucrezia lasciò R o m a e si trasferì nella città m a r c h i g i a n a , dove visse alcuni mesi. G i o v a n n i le preferiva di g i o r n o la caccia c o n gli amici e di notte n o n la d e g n a v a n e m m e n o di u n o s g u a r d o . Offesa e assalita dalla nostalgia, L u c r e z i a a p p r o f i t t ò d i u n a n u o v a r o t t u r a politica fra i d u e Stati p e r t o r n a r e a R o m a . Alessand r o n o n solo la riaccolse a Corte ma chiese a Giovanni di acconsentire a l l ' a n n u l l a m e n t o del m a t r i m o n i o col riconoscer334
si i m p o t e n t e . Il giovane Sforza rispose a c c u s a n d o il Borgia di aver r a p p o r t i incestuosi con la figlia. Nella disputa intervenne Lucrezia, proclamandosi vergine. A questo p u n t o , Alessandro incaricò d u e cardinali di s o t t o p o r r e la figlia a un s o p r a l l u o g o a n a t o m i c o . Il v e r d e t t o d i e d e r a g i o n e a Lucrezia. Per salvare l ' o n o r e d e l n i p o t e , L u d o v i c o invitò allora Giovanni a d i m o s t r a r e pubblicamente, in p r e s e n z a di un legato pontificio, la sua virilità. Il giovane rifiutò, e p o c o d o p o a m m i s e ufficialmente che il m a t r i m o n i o n o n e r a stato consumato. Fu subito rimpiazzato col d u c a di Bisceglie, d o n Alfonso, figlio b a s t a r d o d e l l ' e r e d e al t r o n o di Napoli. A n c h e q u e s t o secondo m a r i t o lo scelse Alessandro, che voleva tenersi b u o n o r e F e d e r i c o . Alfonso aveva diciassette a n n i , u n o m e n o della sposa. Lucrezia se ne i n n a m o r ò p e r d u t a m e n t e e q u a n do Alfonso, in seguito a un rapprochement del Borgia col re d i Francia, a c e r r i m o n e m i c o d i Federico, l ' a b b a n d o n ò p e r t o r n a r s e n e a Napoli, c a d d e in un tale stato di p r o s t r a z i o n e che il p a d r e , p e r distrarla, la n o m i n ò r e g g e n t e di Spoleto e indusse Alfonso a ricongiungersi con lei. Ma fu u n ' u n i o n e breve. Pochi mesi d o p o , i sicari del fratello Cesare soffocarono nel s o n n o lo sventurato con un cuscino. Vedova p e r la seconda volta, Lucrezia si sposò p e r la terza con Alfonso d'Este, figlio del d u c a di F e r r a r a , Ercole. La r a g i o n di Stato d e t t ò a n c h e q u e s t o m a t r i m o n i o , che fu p i ù felice e d u r a t u r o dei p r e c e d e n t i . F e r r a r a e r a u n o d e i potentati italiani più forti e costituiva p e r la Chiesa u n a salda c o p e r t u r a in caso di g u e r r a c o n t r o l'antipapale Bologna. M a Lucrezia n o n s a r e b b e stata solo u n a p e d i n a politica del p a d r e . S e c o n d o l e m a l e l i n g u e n e f u a n c h e l ' a m a n t e . U n o storico la definì: «figlia, moglie e n u o r a del Papa». Forse n o n si tratta che di un'infame calunnia, e noi n o n ci sentiamo di avallarla. I r a p p o r t i fra il Borgia e la figlia n o n fur o n o c o m u n q u e m a i m o l t o chiari. E u n fatto c h e a d Aless a n d r o la l o n t a n a n z a di Lucrezia riusciva intollerabile e lo p i o m b a v a in cupi p e n s i e r i , ch'egli cercava di scacciare im335
m e r g e n d o s i negli affari di Stato. E r a un lavoratore infaticabile. S'alzava la m a t t i n a all'alba e si coricava a n o t t e fonda. Voleva essere messo al c o r r e n t e di tutto e su tutto vegliava. Riceveva ogni g i o r n o principi, ambasciatori, ministri, cardinali, leggeva e d e t t a v a d e c i n e di r a p p o r t i , e m a n a v a bolle, ordiva intrighi. Di religione n o n s'occupava p u n t o . La lettura delle Sacre Scritture lo annoiava, ed e r a c o m p l e t a m e n t e d i g i u n o di teologia. Considerava la Fede un instrumentum regni p e r i n g r a n d i r e lo Stato pontificio, r e n d e r l o più p o t e n t e e più ricco. Nel 1500, t r o v a n d o s i a c o r t o di q u a t t r i n i , p r o m u l g ò il Giubileo e largì a p i e n e m a n i d i s p e n s e e i n d u l g e n z e . A re Ladislao V I I d ' U n g h e r i a concesse l ' a n n u l l a m e n t o del m a trimonio con Beatrice di Napoli in cambio di trentamila ducati. Poiché l'anarchia che r e g n a v a nei territori pontifici limitò l'afflusso dei p e l l e g r i n i e gl'introiti f u r o n o inferiori alle previsioni, indisse un concistoro e v e n d e t t e ai migliori offerenti dodici galeri cardinalizi, r i c a v a n d o n e un bel gruzzolo. Aveva i m p e l l e n t e bisogno di d e n a r o p e r finanziare la riconquista degli Stati pontifici, cui m i r a v a da q u a n d o e r a asceso al Soglio. Alla fine del 1499 aveva o r d i n a t o la p r i m a spedizione c o n t r o Forlì e Imola, p o n e n d o v i a c a p o il figlio Cesare. Cesare e r a un giovane bello e atletico, dal volto l u n g o , la fronte alta, gli occhi falcati, il naso aguzzo, le labbra sottili e serrate, la chioma-bionda, lo s g u a r d o p e n e t r a n t e e i m p e r i o so. U n a r a d a b a r b e t t a gl'incorniciava le mascelle e il m e n t o . Dotato di un'eccezionale forza fisica ( u n a volta con le m a n i piegò un ferro di cavallo), e r a un cacciatore dalla m i r a infallibile, un cavaliere infaticabile, e da b u o n spagnolo un torero invincibile. D u r a n t e u n a c o r r i d a in piazza San Pietro abbatté d u e tori. Un'altra volta ne decapitò u n o con un sol colpo di spada. Fuori della lizza e dell'arena, era un g e n t i l u o m o dai m o di cortesi e raffinati, un p a r l a t o r e forbito, un p a d r o n e di casa s p l e n d i d o e g a l a n t e . Le d o n n e se lo c o n t e n d e v a n o sog336
giogate, oltre che dalla sua avvenenza, dall'alone di mistero di cui si circondava. N o n e r a colto e n o n sentiva il bisogno di diventarlo. Aveva seguito svogliatamente i corsi di legge all'università di B o l o g n a , leggeva p o c o , e solo p o e s i e . Ne c o m p o n e v a egli stesso, e p a r e di b u o n a fattura. Sensibile all'arte, si circondava di pittori e li sovvenzionava. Nel ' 9 3 , il p a d r e lo fece cardinale. Ma Cesare si sentiva così poco votato alla vita ecclesiastica che q u a t t r o a n n i d o p o chiese e ott e n n e da Alessandro di t o r n a r e allo stato laico. Nel m a g g i o del '99, su consiglio del Papa, sposò la sorella del re di Navarra, Carlotta d'Albret che gli p o r t ò in d o t e il d u c a t o di Valentinois e l'alleanza del Re di Francia. Affidando al figlio il c o m a n d o d e l l ' e s e r c i t o pontificio, A l e s s a n d r o n o n p o t e v a fare u n a scelta m i g l i o r e . C e s a r e si lanciò alla riconquista degli Stati della Chiesa con l'impeto e la d e t e r m i n a t e z z a di un g r a n d e generale. Luigi X I I gli aveva m e s s o a disposizione t r e c e n t o arcieri. Il P a p a gli aveva fornito q u a t t r o m i l a m e r c e n a r i svizzeri e guasconi p i ù d u e mila italiani, e in u n a bolla aveva proclamato u s u r p a t o r i i signori di Forlì e di Imola. Q u e s t a città fu la p r i m a a capitolar e , senza o p p o r r e resistenza. Forlì ne seguì l'esempio, cons e g n a n d o s i s p o n t a n e a m e n t e al d u c a Valentino, c o m e Cesare s'era fatto c h i a m a r e d o p o le nozze con Carlotta. Solo Caterina Sforza, signora della città, n o n abbassò le a r m i . Asserragliata nella rocca con un p u g n o di fedeli, v a l o r o s a m e n t e rintuzzò gli assalti del nemico, ma d o p o alcuni giorni dovette a r r e n d e r s i . Il vincitore m a g n a n i m a m e n t e le r i s p a r m i ò la vita, la spedì a R o m a e la fece r i n c h i u d e r e in convento. Avrebbe voluto o c c u p a r e altri capisaldi, ma la defezione degli arcieri francesi lo consigliò di t o r n a r e a Roma, dove fu accolto con o n o r i d e g n i di un sovrano. Il p a d r e gli a n d ò inc o n t r o , lo n o m i n ò vicario p a p a l e delle città sottomesse e gli mise a disposizione u n a forte s o m m a di d e n a r o p e r arruolare n u o v e t r u p p e e assoldare u n o dei condottieri più prestigiosi d e l t e m p o , Vitellozzo Vitelli, cui C e s a r e affidò il com a n d o dell'artiglieria. 337
Nell'ottobre dello stesso '500, il d u c a Valentino g u i d ò la s e c o n d a s p e d i z i o n e c o n t r o i n e m i c i della Chiesa. P r i m a di p u n t a r e sulle M a r c h e e la R o m a g n a , assalì i castelli laziali d e i C o l o n n a e d e i Savelli, li e s p u g n ò e vi lasciò a g u a r d i a p r e s i d i a r m a t i . G u i d a v a o r a u n esercito d i q u a t t o r d i c i m i l a u o m i n i p e r f e t t a m e n t e a d d e s t r a t i , seguito d a u n o stuolo d i p r e t i , p r o s t i t u t e , buffoni e giullari. D o v u n q u e passò fu festeggiato dalle popolazioni e salutato c o m e un liberatore. Al suo avvicinarsi, P a n d o l f o Malatesta, s i g n o r e di Rimini, e G i o v a n n i Sforza, s i g n o r e di Pesaro, fuggirono lasciando le rispettive città in balìa dei papalini. Faenza, invece, sotto la g u i d a di Astorre Manfredi e del fratello, sostenne un durissimo assedio e solo d o p o alcuni mesi inalberò il vessillo della resa. A n c h e stavolta Cesare si m o s t r ò c l e m e n t e . C h i a m ò al p r o p r i o c o s p e t t o i d u e M a n f r e d i e ne l o d ò il c o r a g g i o . Astorre e il fratello ne furono t a l m e n t e lusingati che chiesero di porsi al servizio del vincitore. S e c o n d o i maligni s'erano e n t r a m b i i n n a m o r a t i di Cesare, al cui fianco vissero p e r circa un a n n o . Nel 1501, p e r motivi che i g n o r i a m o , il d u c a Valentino li fece i m p r i g i o n a r e e l'anno successivo a n n e g a r e nelle acque del Tevere. Nella p r i m a v e r a d e l 1502, C e s a r e allestì la t e r z a spedizione c o n t r o C a m e r i n o e U r b i n o . G o v e r n a v a q u e s t a città Guidobaldo da Montefeltro, despota illuminato, umanista squisito, m e c e n a t e munifico. Q u a n d o gli fu a n n u n c i a t o che l'esercito pontificio stava m a r c i a n d o su U r b i n o , si alzò dal letto, d o v e giaceva m a l a t o , e a b b a n d o n ò il D u c a t o , c h e si s o t t o m i s e p a c i f i c a m e n t e a l Borgia. U n m e s e d o p o , u g u a l sorte toccò a C a m e r i n o . Mai c a m p a g n a ebbe esito p i ù rapido e fortunato. Troppo rapido e troppo fortunato per non allarmare e insospettire quegli Stati italiani, i cui interessi gravitavano ai confini dei territori riconquistati dal d u c a Valentino: Venezia g u a r d a v a con a p p r e n s i o n e al r e i n s e d i a m e n t o di guarnigioni pontificie l u n g o la costa adriatica, e Firenze paventava m i r e b o r g i a n e sulla T o s c a n a . U n a c e r t a i n q u i e t u d i n e ser338
peggiava a n c h e t r a quei condottieri postisi al servizio di Cesare, i cui t e r r i t o r i n o n p o t e v a n o n o n far gola al P a p a e al suo bellicoso figlio. Li capeggiava quel Vitellozzo Vitelli, che t a n t o aveva c o n t r i b u i t o c o n le s u e artiglierie alle vittorie pontificie. Nel settembre del 1502, costui convocò in u n a località chiamata «La Magione» sul lago T r a s i m e n o alcuni nemici di vecchia d a t a dei Borgia. Fu c o n v e n u t o di m u o v e r e g u e r r a a Cesare, togliergli il titolo di D u c a di R o m a g n a , di cui s'era insignito, e restituire agli spodestati t i r a n n i i loro staterelli. A g e n t i f u r o n o sguinzagliati nelle varie città p e r sollevare le p o p o l a z i o n i c o n t r o C e s a r e e appelli alla diserzione furono lanciati alle t r u p p e pontificie. Il d u c a Valentino chiese rinforzi al p a d r e . Alessandro, in quel m o m e n t o a corto di quattrini, mise all'asta alcuni benefici ecclesiastici e s ' a p p r o p r i ò dell'eredità del cardinale Ferrali, c i n q u a n t a m i la ducati, che spedì al Valentino, il quale p o t è così a r r u o l a r e seimila m e r c e n a r i . C o n t e m p o r a n e a m e n t e il Pontefice si abboccò coi c o n g i u r a t i e riuscì, c o n b l a n d i z i e e p r o m e s s e , a farli desistere dai loro piani e a riconciliarsi col figlio. La rappacificazione avvenne nella città di Senigallia. Cesare invitò nel palazzo del G o v e r n a t o r e i capi del complotto: Vitellozzo Vitelli, Oliverotto di F e r m o , Paolo e Francesco O r s i n i . A un segnale, nella sala in cui si svolgeva il c o n v e g n o , i r r u p p e r o le g u a r d i e a r m a t e del Duca, c h e a r r e s t a r o n o gli ospiti e l ' i m p r i g i o n a r o n o . La n o t t e stessa Vitellozzo e Oliverotto furono strangolati. I d u e Orsini sopravvissero di poco ai c o m p a g n i e il 18 g e n n a i o del 1503 v e n n e r o c o n d a n nati a m o r t e . Fu un colpo maestro, che sbalordì i principi di t u t t ' E u r o p a e r i e m p ì d ' a m m i r a z i o n e gli storici c o n t e m p o r a nei. Il Machiavelli lo definì u n a «impresa r a r a e mirabile», Luigi X I I u n ' « a z i o n e d e g n a d e l l ' a n t i c a R o m a » , il vescovo Paolo Giovio un «bellissimo inganno». P r i m a di c o n g e d a r e le t r u p p e , Cesare volle d a r e u n a lezione ai nobili del Lazio che profittando della sua l o n t a n a n za avevano rialzato la cresta, capeggiati da Giulio Orsini. Ne e s p u g n ò le fortezze e obbligò gl'inquilini a c e d e r e i loro ter339
ritori al Papa. Q u i n d i t o r n ò a R o m a e si riacquartierò in Vaticano. Aveva a p p e n a c o m p i u t o v e n t o t t ' a n n i e il suo n o m e e r a sulla bocca di tutti, s e b b e n e vivesse r i t i r a t o e di r a d o uscisse dai suoi a p p a r t a m e n t i . Q u a n d o ne varcava la soglia si celava il volto sotto u n a m a s c h e r a di seta n e r a p e r n o n farsi riconoscere, o forse p e r n a s c o n d e r e le ulcere v e n e r e e che 10 d e t u r p a v a n o . L a v o r a v a g i o r n o e n o t t e e si t e n e v a in cos t a n t e c o n t a t t o coi suoi l u o g o t e n e n t i in R o m a g n a e nelle M a r c h e . Parlava poco, impartiva o r d i n i laconici e p e r e n t o r i e p u n i v a con la m o r t e chi li trasgrediva. Il m i s t e r o di cui s'avvolgeva accese la fantasia d e i c o n t e m p o r a n e i , che gli a t t r i b u i r o n o - ma p i ù con a m m i r a z i o n e c h e con biasimo - i delitti p i ù efferati. Fu accusato di aver fatto a r r e s t a r e facoltosi prelati e di averli liberati dietro esosi riscatti; e i suoi p i ù accaniti d e n i g r a t o r i g i u n s e r o p e r s i n o a i m p u t a r g l i l'assassinio del ricchissimo cardinale Michiel e di altri p o r p o r a t i , spogliati dei loro averi d o p o essere stati sottoposti a t o r t u r a . A n c h e sulla sua c r u d e l t à se ne raccontavano di tutti i colori. Il veneziano Capello riferisce che un giorno il Duca fece c o n d u r r e nel cortile del suo palazzo dei prigionieri e da u n a finestra li trafisse a u n o a u n o coll'arco. 11 c e r i m o n i e r e del Papa assicura che a un b a n c h e t t o d a t o in o n o r e del p a d r e e della sorella, egli invitò alcune prostitute, le fece s p o g l i a r e , e p p o i le obbligò a r a c c o g l i e r e c a s t a g n e ch'egli si divertiva a lanciare sul p a v i m e n t o . E difficile stabilire l'autenticità di questi episodi. Forse i nemici di C e s a r e e s a g e r a r o n o m a , dati i t e m p i e i tipi, n o n ci s t u p i r e m m o se alla C o r t e pontificia certe cose r e a l m e n t e a c c a d d e r o . Se Cesare n o n fu l'Anticristo dipinto da alcuni storici, c e r t a m e n t e n o n fu u n o stinco di s a n t o . C o m e c e r t a m e n t e n o n lo fu il p a d r e Alessandro. Il vecchio Papa, riconquistati gli Stati pontifici, si godette b e a t a m e n t e gli u l t i m i a n n i d i r e g n o . S c o p p i a v a d i salute, aveva a b b a n d o n a t o le diete impostegli dai medici, seguitava a circondarsi di a m a n t i e, n o n o s t a n t e l'età, a esigerne p u n t u a l m e n t e i favori, che ricambiava con la consueta liberalità. 340
In un afoso p o m e r i g g i o d'agosto del 1503, fu invitato a cena col figlio dal cardinale C o r n e t o , che possedeva u n a bellissima villa a un tiro di schioppo dal Vaticano. Alcuni giorni d o p o quasi tutti i commensali furono assaliti da u n a violenta febbre, a c c o m p a g n a t a da s u d o r e e vomito. I r o m a n i nat u r a l m e n t e p a r l a r o n o di veleno. Si sparse la voce che Cesare e Alessandro avevano assaggiato p e r e r r o r e il cibo ch'essi stessi avevano fatto spruzzare d'arsenico p e r sbarazzarsi dell'anfitrione e impossessarsi delle s u e ricchezze. Ma q u e s t a volta l'accusa e r a i n f o n d a t a . In quei giorni s u l l ' U r b e s'era a b b a t t u t a la m a l a r i a e i suoi a b i t a n t i m o r i v a n o c o m e m o sche. La perniciosa colpì a n c h e i d u e Borgia. Per u n a settim a n a A l e s s a n d r o fu t r a la vita e la m o r t e . Poi si r i p r e s e e concesse p e r s i n o alcune u d i e n z e . Il 13 agosto le sue condizioni p e g g i o r a r o n o . Il 18, un attacco apoplettico lo stroncò. Pochi Papi nella storia ebbero, d o p o morti, un t r a t t a m e n to p e g g i o r e del Borgia; ma, a distanza di secoli, la sua m e m o r i a è stata p a r z i a l m e n t e riabilitata. Il m a g g i o r e storico della Chiesa, il tedesco Pastor, ha scritto: «Alessandro fu da tutti d i p i n t o c o m e un m o s t r o e gli fu attribuita ogni sorta di feroci delitti. Le ricerche della critica m o d e r n a l ' h a n n o fatto giudicare in m o d o più clemente e h a n n o respinto alcune delle accuse peggiori mosse c o n t r o di lui... Dal p u n t o di vista dei cattolici è impossibile biasimarlo t r o p p o severamente». «Quali c h e fossero i suoi delitti - ha scritto lo storico p r o t e s t a n t e Roscoe - n o n ci p u ò essere d u b b i o che essi sono stati esagerati. E certo che egli si dedicò alla g r a n d e z z a della sua famiglia e che usò dell'autorità della sua alta posizione p e r stabilire in Italia un d o m i n i o p e r m a n e n t e nella p e r s o n a del figlio; ma mi s e m b r a ingiusto bollare il carattere di Aless a n d r o col m a r c h i o di un'infamia particolare e s t r a o r d i n a ria, q u a n d o quasi tutti i sovrani d ' E u r o p a t e n t a v a n o di soddisfare le loro ambizioni con mezzi u g u a l m e n t e delittuosi.» Q u e s t o è a n c h e il nostro giudizio. Alessandro fu figlio del suo t e m p o e al s u o t e m p o s ' a d e g u ò . U s ò gli stessi m e t o d i impiegati dai rivali: il sotterfugio, il t r a d i m e n t o , l ' i n g a n n o , 341
il veleno. Ma li usò meglio e quasi s e m p r e riuscì a giocare i p r o p r i nemici. Ebbe molte debolezze, si macchiò di simonia, praticò i m p u d e n t e m e n t e e i m p u n e m e n t e il n e p o t i s m o . Ma al p a r i d ' I n n o c e n z o I I I , di G r e g o r i o V I I e di Bonifacio V i l i , ebbe altissimo il senso dello Stato. Di u n o Stato t e m porale di cui, a spese di quello spirituale, p e r s e g u ì con ogni mezzo, lecito e illecito, l ' i n g r a n d i m e n t o . E la Fede, a n c o r a u n a volta, ne fu la vittima. Nell'Urbe, la notizia della m o r t e del Papa fu accolta con giubilo, sebbene in passato i r o m a n i l'avessero a m a t o . Qualcuno p r o p o s e a d d i r i t t u r a di r i e s u m a r n e le spoglie e d a r l e in pasto ai cani. U n a d o n n e t t a giurò d'aver visto il diavolo port a r e all'inferno l'anima di Alessandro. Il p o p o l i n o , volubile e avido, d i e d e l'assalto alle case degli spagnoli, le saccheggiò e le rase al suolo. I C o l o n n a e gli Orsini p i o m b a r o n o in città dal Lazio e con le loro m a s n a d e vi s e m i n a r o n o il t e r r o r e . Dal letto in cui giaceva t u t t o r a a m m a l a t o , Cesare e r a imp o t e n t e a f r o n t e g g i a r e la situazione. Dalla R o m a g n a gli g i u n g e v a n o notizie allarmanti. Aizzati dagli Stati del N o r d , e specialmente da Venezia, i tirannelli r o m a g n o l i e marchigiani a v e v a n o riacquistato b a l d a n z a e s e m b r a v a n o decisi a r i p r e n d e r s i le loro t e r r e . All'orizzonte s'andava profilando un n u o v o conclave. Chi ne sarebbe uscito eletto? Il favorito e r a q u e l c a r d i n a l e Della R o v e r e , n e m i c o a c e r r i m o d i casa Borgia, c h e i n p a s s a t o aveva r i p e t u t a m e n t e t e n t a t o d i far d e p o r r e Alessandro. Bisognava impedirlo, ma n o n era facile. Cesare ci p r o v ò e ci riuscì. Aveva dalla sua i cardinali spagnoli, il cui voto fu decisivo nella scelta nel n u o v o Papa, il cardinale Francesco Piccolomini, un u o m o di sessantaquattro a n n i , oberato dai figli e dagli acciacchi che, d o p o n e p p u re un mese, lo c o n d u s s e r o alla tomba. Il d u c a Valentino n o n osò o p p o r s i u n a s e c o n d a volta al potentissimo Della Rovere. Preferì venire a patti con lui. Gli offrì i voti dei p o r p o r a t i spagnoli in cambio della riconferma del titolo di Duca di R o m a g n a e c o m a n d a n t e delle t r u p 342
pe pontificie. Il Della Rovere accettò, o finse di accettare, e o t t e n n e la tiara. Q u a n d o C e s a r e gli r a m m e n t ò l'intesa, il Pontefice, c h e aveva p r e s o il n o m e di Giulio I I , gli c o m a n d ò di recarsi a Imola a reclutare un n u o v o esercito. Cesare obb e d ì . Ma al m o m e n t o di p a r t i r e fu r a g g i u n t o da un messo p a p a l e c h e gli o r d i n ò di c o n s e g n a r e alla Chiesa le sue fortezze r o m a g n o l e . Il D u c a rifiutò, fu a r r e s t a t o e c o n d o t t o a R o m a , d o v e Giulio l o t e n n e p r i g i o n i e r o f i n c h é n o n n e ott e n n e la capitolazione. Liberato, Cesare decise di cambiar aria, fuggì a Napoli e si d i e d e ad a r r u o l a r e un piccolo esercito p e r r i c o n q u i s t a r e le piazzeforti p e r d u t e . A p p e n a il Papa ne fu informato, chiese a re F e r d i n a n d o di a r r e s t a r e il Duca, che fu c o n d o t t o in Spagna, dove languì in carcere d u e a n n i . Nel n o v e m b r e del 1506 evase e r i p a r ò alla corte di N a v a r r a , p o n e n d o s i al servizio d e l s u o r e , G i o v a n n i d'Albret, fratello della m o g l i e C a r l o t t a . G i o v a n n i gli affidò un esercito e lo s p e d ì c o n t r o un suo vassallo, che s'era ribellato. Cesare attaccò la fortezza dove il nemico s'era asserragliato, ma d u r a n t e un combattim e n t o fu ferito a m o r t e . Aveva t r e n t u n anni. Il Machiavelli lo p r e s e a modello del suo Principe. Nessun o , meglio di Cesare, ne i n c a r n ò i vizi e le virtù. Fu un grande condottiero, un abile stratega, un politico spregiudicato, u n d i p l o m a t i c o a c c o r t o , u n d e s p o t a l u n g i m i r a n t e e senza scrupoli. D u b i t i a m o che covasse l'ambizione - attribuitagli dal g r a n d e storico fiorentino - di unificare l'Italia. Ma anche se l'avesse covata, d u b i t i a m o che ci sarebbe riuscito. La Chiesa n o n gliel'avrebbe consentito, né gliel'avrebbero consentito la S p a g n a e la Francia, di cui l'Italia s'avviava a div e n t a r e u n a colonia. Dodici a n n i p i ù tardi, nel 1519, d o p o aver d a t o alla luce il settimo figlio, calò nella t o m b a Lucrezia. Da q u a n d o e r a diventata la moglie del Duca di F e r r a r a , n e s s u n pettegolezzo l'aveva p i ù sfiorata. A C o r t e la c h i a m a v a n o Pulcherrima virgo, bellissima vergine, i poeti c o m p o n e v a n o versi in suo o n o r e , i musicisti canzoni, i diplomatici la c o l m a v a n o di lo343
di. Lucrezia ricambiava questi atti di devozione e di o m a g gio s o v v e n z i o n a n d o le arti, c i r c o n d a n d o s i di u m a n i s t i , lett e r a t i e filosofi, l e g g e n d o i classici e i m p a r a n d o le l i n g u e . Negli ultimi a n n i aveva subito u n a p r o f o n d a crisi religiosa, s'era fatta terziaria francescana, si c o m u n i c a v a o g n i mattina e passava l u n g h e o r e del g i o r n o in p r e g h i e r a . Se p e r un certo p e r i o d o e r a vissuta d a peccatrice, c e r t a m e n t e m o r ì d a santa.
CAPITOLO Q U I N T O
GIULIO II
Q u a n d o cinse la tiara, Giulio aveva s e s s a n t a n n i ma ne dim o s t r a v a p a r e c c h i di m e n o . I ritrattisti c o n t e m p o r a n e i lo r a p p r e s e n t a n o aggrottato e maestoso: naso robusto, fronte a m p i a , occhi scuri e p r o f o n d i , mascelle d u r e . Era n a t o ad Albissola, presso Savona, da u n ' u m i l e famiglia, ma giovanissimo s'era trasferito a R o m a , chiamato dallo zio, il p a p a Sisto IV, che a ventisette a n n i lo fece cardinale. Amava la vita all'aria aperta, cavalcava, tirava d'arco, era un cacciatore dalla m i r a infallibile e, da b u o n ligure, un vog a t o r e instancabile. I m b a n d i v a sontuosi b a n c h e t t i ai quali intervenivano le più belle d a m e dell'Urbe. Sebbene fosse di m o d i r u d i e d'approccio brusco, o forse p r o p r i o p e r questo, l e d o n n e i m p a z z i v a n o p e r lui, c h e impazziva p e r loro. N e ebbe moltissime. U n a gli diede tre figlie, un'altra u n a malattia v e n e r e a che assieme alla gotta lo t o r m e n t ò sino alla fine dei suoi giorni. Q u a n d o diventò Papa i m p e d ì a c h i u n q u e di baciargli il piede, d e t u r p a t o dalla lue, che nel Cinquecento, d o p o la scoperta dell'America, era diventata il «male del secolo». Alcuni storici h a n n o fatto di Giulio l'antitesi di Alessand r o , ma a torto. Se, c o m e u o m i n i , il Della Rovere e il Borgia e b b e r o poco in c o m u n e - il p r i m o e r a scorbutico e collerico, il s e c o n d o gioviale e affabile - c o m e Pontefici mirar o n o e n t r a m b i a l l ' i n n a l z a m e n t o della p r o p r i a famiglia, oltre che della Chiesa. In Alessandro il n e p o t i s m o fu più sfacciato, ma a n c h e Giulio n o n lesinò ai p a r e n t i benefici, p r e b e n d e e privilegi. T r e giorni d o p o l'incoronazione convocò un concistoro e n o m i n ò cardinali il n i p o t e Galeotto e il cu345
gino C l e m e n t e Grosso. C o l m ò di favori e di cariche il n i p o te p r e d i l e t t o Francesco Maria, cui p r o c u r ò in moglie Eleon o r a Gonzaga. A n c h e in politica le idee di Alessandro e di Giulio coincisero. T u t t ' e d u e p e r s e g u i r o n o la grandeur della Chiesa e il suo p r i m a t o t e m p o r a l e : il Borgia l a n c i a n d o il figlio alla riconquista degli Stati pontifici, Giulio g u i d a n d o l a di p e r s o n a . Q u a n d o ascese al Soglio c u p e n u b i s'erano a d d e n s a t e sugli Stati pontifici. Faenza, R i m i n i e R a v e n n a e r a n o c a d u t e nelle m a n i di Venezia, Giovanni Sforza aveva riconquistato Pesaro, i Bentivoglio s ' e r a n o reinstallati a B o l o g n a e i Baglioni a Perugia. Per r e i n t e g r a r e nel Patrimonio di San Piet r o i t e r r i t o r i u s u r p a t i ci volevano mezzi e u o m i n i . Giulio n o n aveva né gli u n i né gli altri p e r c h é le g u e r r e d e l d u c a Valentino a v e v a n o p r o s c i u g a t o l'erario. Il Della R o v e r e lo r i n s a n g u ò v e n d e n d o cariche e d i s p e n s a n d o indulgenze. Ma i nemici e r a n o potenti e p e r batterli bisognava cercare alleati. Giulio si rivolse alla Francia, che u n ì i suoi eserciti a quello p a p a l i n o , c o m p o s t o di q u a t t r o c e n t o cavalieri, di a l c u n e centinaia di g u a r d i e svizzere, di q u a t t r o cardinali e c a p e g giato dal d u c a di U r b i n o , G u i d o b a l d o , al cui fianco si pose il P a p a stesso a cavallo, m u n i t o di corazza e a r m a t o di lancia e spada. All'avvicinarsi delle t r u p p e della lega, Giampaolo Baglioni fu colto dal panico, a n d ò i n c o n t r o al Pontefice e, d o p o esserglisi sottomesso, gli chiese p e r d o n o . Giulio gliel'accordò. Poi, in tono minaccioso, gli disse: «Ti assolvo dai tuoi peccati m o r t a l i , ma al p r i m o fallo veniale c h e c o m m e t t e r a i , p a g h e r a i a n c h e p e r tutti gli altri». Risposta d e g n a di un guerriero, più che di un Papa. Ma Giulio e r a più un u o m o d'armi che un pastore d ' a n i m e . Si mescolava alla t r u p p a , consumava il rancio coi soldati, ne condivideva i disagi e i r e p e n tagli, dirigeva le operazioni, presiedeva p e r s o n a l m e n t e alle fortificazioni l a n c i a n d o moccoli e p e r c u o t e n d o c o n un n o doso bastone chi contravveniva ai suoi ordini. D o p o la resa del Baglioni o c c u p ò Perugia, q u i n d i p u n t ò 346
su Bologna cingendola d'assedio dalla p a r t e orientale m e n t r e i francesi la investivano da quella occidentale. Poiché la città n o n si decideva a capitolare, ne scomunicò i g o v e r n a n ti. Poi invitò la p o p o l a z i o n e a insorgere offrendo in cambio di ogni testa nemica l'indulgenza plenaria. Ne elargì p a r e c chie e p o t è e n t r a r e trionfalmente in città, issato su u n a p o r tantina foderata di d a m a s c o e tempestata di g e m m e . Per cel e b r a r e la vittoria o r d i n ò a Michelangelo u n a statua c h e lo raffigurasse in atteggiamento marziale davanti alla chiesa di S a n P e t r o n i o . Q u i n d i t o r n ò a R o m a , d o v e fu accolto c o n o n o r i solenni. Restavano da conquistare Faenza, Rimini e R a v e n n a . Ma Venezia era un osso assai più d u r o di Perugia e di Bologna. Possedeva u n a delle migliori flotte d ' E u r o p a , d i s p o n e v a di eccellenti fanterie e aveva u n ' a b b o n d a n t e scorta di a r m i e m u n i z i o n i . Sfidarne la p o t e n z a senza l ' a p p o g g i o di alleati altrettanto potenti e r a u n a follia. Il 10 d i c e m b r e 1508 si costituì a C a m b r a i u n a lega, alla quale a d e r i r o n o l ' i m p e r a t o r e Massimiliano, il re di Francia, Luigi X I I , quello di S p a g n a , F e r d i n a n d o , e il Papa. Tutti avevano conti aperti con Venezia. Massimiliano e r a stato privato dalla Repubblica di San M a r c o , di Gorizia, P o r d e n o n e , Trieste e F i u m e ; Luigi n o n e r a soddisfatto della s p a r t i z i o n e dell'Italia d e l n o r d , c h e aveva d a t o luogo a u n a violenta lite con la Serenissima; Ferd i n a n d o rivendicava alcuni p o r t i pugliesi, tra cui Brindisi e O t r a n t o , che nel 1495 i Dogi avevano s t r a p p a t o al R e g n o di N a p o l i . Alla lega p a r t e c i p ò a n c h e F e r r a r a , a l l a r m a t a dalle m i r e espansionistiche di Venezia sulla t e r r a f e r m a . A l l ' a n n u n c i o della coalizione il S e n a t o della Repubblica rispose offrendo la restituzione al Pontefice di Faenza e Rim i n i . Ma Giulio la rifiutò, anzi r i s p o s e a d d i r i t t u r a con la scomunica, cui seguì l'invio di un esercito in R o m a g n a . La g u e r r a d i v a m p ò su p i ù fronti i m p e g n a n d o i v e n e z i a n i al c e n t r o e al n o r d . Lo scontro decisivo a v v e n n e il 14 m a g g i o 1509 in L o m b a r d i a , d o v e l'esercito della S e r e n i s s i m a si s c o n t r ò c o n quello francese n e i pressi d i A g n a d e l l o r i p o r 347
t a n d o u n a s a n g u i n o s a disfatta. I n u n solo g i o r n o p e r i r o n o seimila uomini. La Repubblica richiamò le t r u p p e e a b b a n d o n ò nelle mani d e l n e m i c o la L o m b a r d i a , la R o m a g n a , la Puglia e u n a p a r t e d e l V e n e t o . N e profittò Massimiliano p e r a s s e d i a r e Padova che o p p o s e u n a s t r e n u a resistenza, obbligando l'Imp e r a t o r e a r i n u n z i a r e all'impresa e a t o r n a r s e n e in G e r m a nia. Luigi, o t t e n u t a la sua p a r t e di b o t t i n o , rivalicò le Alpi. Venezia r i n n o v ò al Papa la p r e c e d e n t e offerta, a r r i c c h e n d o la di altre cospicue concessioni. Stavolta Giulio, rimasto solo, accettò. Ma il rafforzamento delle posizioni francesi nella Penisola lo impensieriva: t e m e v a c h e esse m i n a s s e r o quelle della Chiesa. C o n un disinvolto e improvviso voltafaccia capovolse allora le alleanze e si schierò c o n t r o la Francia, alla quale e r a r i m a s t a fedele F e r r a r a , c h e d o p o l e nozze d i L u c r e z i a con Alfonso, il Borgia aveva esentato dal p a g a m e n t o dei trib u t i alla Chiesa. Il Pontefice si pose n u o v a m e n t e alla testa dell'esercito e marciò su Mirandola. D o p o d u e settimane l'es p u g n ò . Poiché fra i difensori c'erano molti francesi, o r d i n ò di ucciderli tutti, ma poi si p e n t ì e li fece fuggire. Vietò ai soldati di m e t t e r e a sacco la città e n o n a v e n d o d e n a r o sufficiente p e r p a g a r loro il soldo mise all'asta otto cardinalati. Da M i r a n d o l a r a g g i u n s e Bologna, ma dovette fuggirne subito sotto l'incalzare delle t r u p p e di Luigi, che l'obbligarono a r i p a r a r e a Rimini. Sulle lance francesi i Bentivoglio t o r n a r o n o al p o t e r e , festosamente accolti dalla popolazione, esacerbata dai soprusi pontifici. L'odio p e r il Papa e r a tale che la sua statua davanti a San Petronio fu abbattuta e v e n d u t a come r o t t a m e al d u c a d'Este. Questi la fuse e ne fece un cann o n e , che in s c h e r n o al Pontefice fu battezzato «la Giulia». Il Della R o v e r e scomunicò i bolognesi e q u a n d o a p p r e s e che alcuni cardinali filo-francesi volevano c o n v o c a r e a Pisa un concilio p e r d e p o r l o t o r n ò a R o m a d o v e a n n u n c i ò p e r l'aprile d e l l ' a n n o successivo u n a solenne assise ecumenica nel palazzo del L a t e r a n o . 348
N e l l ' o t t o b r e d e l 1511 costituì c o n s p a g n o l i e v e n e z i a n i u n a lega santa c o n t r o la Francia. Fu in quell'occasione che decise di farsi crescere la b a r b a e di n o n tagliarsela finché i francesi n o n fossero stati cacciati dalla Penisola. M e n t r e e r a i n t e n t o a tessere la t r a m a della n u o v a alleanza s'ammalò. I medici lo d i e d e r o p e r spacciato e i cardinali si r i u n i r o n o in conclave p e r eleggere il successore. Ma grazie alla sua forte fibra e ad a b b o n d a n t i b e v u t e di vino, ingollato all'insaputa dei sanitari, Giulio s u p e r ò la crisi e p o t è a t t e n d e r e n u o v a m e n t e alla lega, a cui aveva aderito a n c h e l'Inghilterra. Re Luigi rispose r i u n e n d o il Concilio p r i m a a Pisa e poi a Milano. LT1 aprile 1512 l'esercito francese sbaragliò quello n e m i c o e dilagò in R o m a g n a , m e n t r e i cardinali scismatici dichiaravano d e p o s t o il Pontefice. Questi, senza d a r s e n e p e r inteso, i n a u g u r ò il 2 m a g g i o il Concilio l a t e r a n e n s e e quindici giorni d o p o potè trionfalmente a n n u n c i a r e che a n c h e i tedeschi e gli svizzeri e r a n o scesi in c a m p o dalla sua p a r t e . R i p e t u t a m e n t e battuti, i francesi furono costretti a evacuare Milano, B o l o g n a e R a v e n n a . Ma Giulio n o n ebbe il t e m p o di g o d e r s i il trionfo. D o p o p o c h i mesi d o v e t t e m e t t e r s i di n u o v o a letto, e questa volta p e r n o n rialzarsi più. La mattina del 4 febbraio (1513), chiamò il cerimoniere e d i e d e istruzioni sul funerale. Disse c h e n o n doveva essere t r o p p o sfarzoso, m a n e m m e n o scalcagnato c o m e quello d i Alessandro. I cardinali n o n v e d e v a n o l'ora che il Pontefice li liberasse dalla s u a i n c o m o d a p r e s e n z a , m a Giulio, n o n o stante i c o n t i n u i collassi, n o n si decideva ad accontentarli. Negl'intervalli di lucidità riceveva a m b a s c i a t o r i e p r e l a t i , d e t t a v a l e t t e r e , i m p a r t i v a o r d i n i . T e n e v a sotto il letto u n a bottiglia di malvasia che t r a c a n n a v a di nascosto ai medici, i quali i n v a n o t e n t a v a n o di p r o p i n a r g l i i c o m u n i farmaci. O g n i p o c o faceva c a p o l i n o nella stanza il confessore, ma Giulio r e g o l a r m e n t e lo cacciava b e s t e m m i a n d o e b r a n d e n do l'inseparabile bastone. Il 20 febbraio, p r e s a g e n d o la fine, si decise finalmente a r i c e v e r e il viatico, q u i n d i c h i a m ò al capezzale i cardinali e al loro cospetto dichiarò di essere un 349
g r a n peccatore e di aver m a l g o v e r n a t o la Chiesa. Fu il suo ultimo - e unico - gesto di umiltà. Il cordoglio dei r o m a n i p e r la sua m o r t e fu sincero. Lo p i a n s e r o s o p r a t t u t t o i n u m e r o s i artisti di cui egli s'era circ o n d a t o , da Michelangelo a Raffaello, dal S o d o m a a Giulio R o m a n o , al Penni, al Peruzzi. Q u e s t o Papa bellicoso, r u d e e p r e p o t e n t e , fu infatti u n o dei più splendidi e munifici m e cenati della Chiesa. Sotto il suo pontificato R o m a s t r a p p ò a Firenze il p r i m a t o nel c a m p o delle arti figurative e diventò la Mecca dei più insigni pittori, scultori e architetti del Cinq u e c e n t o . Ma su Giulio I I , p a t r o n o e i m p r e s a r i o di artisti, t o r n e r e m o nei capitoli dedicati a Michelangelo e a Raffaello, che a questo Papa d o v e t t e r o la loro fama.
CAPITOLO SESTO
LEONE X
A r a c c o g l i e r n e la successione fu c h i a m a t o un c a r d i n a l e di t r e n t a s e t t e a n n i , Giovanni d e ' Medici, che assunse il n o m e di L e o n e X. Figlio del Magnifico L o r e n z o e fratello di Piero, era nato e vissuto a F i r e n z e fino al 1 4 9 1 , salvo u n a b r e v e p a r e n t e s i p e r gli studi a Pisa. A sette a n n i aveva ricevuto la t o n s u r a e un n u m e r o imprecisato di benefici ecclesiastici. A q u a t t o r d i ci e r a stato fatto cardinale. Cresciuto nella colta e g a u d e n t e società m e d i c e a , ne aveva assimilato i gusti raffinati, l'eleganza e la miscredenza. Marsilio Ficino l'aveva avviato allo studio della filosofia classica, D e m e t r i o Calcondila gli aveva insegnato il greco, il q u o t i d i a n o contatto coi dotti fiorentini che f r e q u e n t a v a n o la casa p a t e r n a gli aveva volto la m e n t e a ogni r a m o dello scibile: dalla poesia alla storia, dall'arte alla scienza, dalla matematica all'astronomia. Alle letture, alle conversazioni e r u d i t e , alle visite ai musei a l t e r n a v a esercizi all'aria a p e r t a , l u n g h e cavalcate nei b o schi, partite di caccia e di pesca. Nel '92 si trasferì a R o m a e s'istallò in un bellissimo palazzo c o n u n o s t u o l o di servi e u n a piccola corte d'amici. I fiorini p a t e r n i , i privilegi di cui godeva c o m e principe della Chiesa e la sua spensierata p r o digalità fecero di lui u n o dei p o r p o r a t i più in vista del Sacro Collegio. La sua d i m o r a diventò un elegante c e n t r o di ritrovo di letterati, artisti e filosofi. T r a u n a l e t t u r a di Virgilio e u n a d i s p u t a su P l a t o n e vi si t e n e v a n o luculliani b a n c h e t t i con c o n t o r n o di musiche, canti e balli. Le d o n n e v'intervenivano di r a d o p e r c h é a differenza dei suoi colleghi di Curia, il giovane cardinale e r a poco sensibile al fascino mulie351
b r e . I maligni insinuavano che soggiaceva volentieri a quello maschile, ma si t r a t t a v a di u n a c a l u n n i a s e b b e n e a q u e i t e m p i l'imparzialità verso i d u e sessi fosse assai f r e q u e n t e e giudicata con indulgenza. Q u a n d o , d o p o la m o r t e di L o r e n z o , la Signoria Medici e n t r ò in crisi, Giovanni a b b a n d o n ò in fretta e furia l'Urbe e t o r n ò a F i r e n z e a d a r m a n forte al fratello P i e r o c o n t r o il quale il Savonarola e i suoi Piagnoni avevano aizzato i cittadini. Malgrado il suo aiuto, Piero fu costretto a lasciare p r e cipitosamente la Repubblica e a r i p a r a r e con tutta la famiglia a Bologna. Giovanni cercò con ogni mezzo di farlo rient r a r e a Firenze e p e r sei a n n i batté alla p o r t a di principi, re e i m p e r a t o r i p e r i m p e t r a r n e l'aiuto a favore del fratello. Nel 1500 t o r n ò a R o m a , r i a p r ì casa e p e r u n a d e c i n a d ' a n n i visse s p l e n d i d a m e n t e e senza scosse. Nel 1511 Giulio II lo n o m i n ò legato pontificio e lo spedì in R o m a g n a , dove c a d d e nelle m a n i dei francesi che lo c o n d u s s e r o prigioniero a M i l a n o . Ne fuggì p o c o d o p o c o r r o m p e n d o col d e n a r o i suoi custodi, si ricongiunse all'esercito ispano-papalino che stava assediando Firenze e p o t è assistere alla r e s t a u r a z i o n e di Piero. Q u i n d i riprese la via dell'Urbe. N e l m a r z o d e l 1513 p a r t e c i p ò a l C o n c l a v e c h e d o v e v a d a r e un successore a Giulio. Tra i candidati alla tiara si facev a n o molti n o m i , ma n o n il suo. La giovane età e l'odio che n u m e r o s i cardinali n u t r i v a n o p e r la sua famiglia sembravano p r e c l u d e r g l i il Soglio. Invece, a dispetto dei pronostici, vinse. Q u a n d o il cugino Giuliano si recò da lui p e r congratularsi della n o m i n a , L e o n e rispose: «Poiché Dio ci ha concesso il Papato, godiamocelo». E fu di parola. Per sette a n n i profuse i m m e n s e ricchezze in c o m m i s s i o n i agli artisti p i ù famosi, in acquisti di manoscritti, di tappeti, di ori, di arazzi, in stipendi a letterati, umanisti, filosofi, in feste da «Mille e u n a notte». «Orgia di l e t t e r a t u r a » definì il suo pontificato lo storico tedesco G r e g o r o v i u s . Pochi mesi d o p o l'ascesa al Soglio, unificò lo Studium sacri palatii e lo Studium urbis e ne fece 352
l'università d i R o m a , cui a s s e g n ò u n c o r p o a c c a d e m i c o d i ottantotto professori, r i g o r o s a m e n t e selezionati e profumat a m e n t e pagati. Finanziò la t r a d u z i o n e dall'ebraico al latino della Bibbia e favorì la r i p r e s a degli studi greci, f o n d a n d o u n ' A c c a d e m i a e f a c e n d o v e n i r e in Italia d a l l ' E l i a d e u n o s t u o l o di d o t t i . S o v v e n z i o n ò A l d o M a n u z i o , il p i ù g r a n d e e d i t o r e del Rinascimento, che s t a m p ò u n a bellissima edizione dei Dialoghi di Platone. C o m m i s s i o n ò all'umanista Varino C a m e r t i un dizionario di latino e greco, incoraggiò ogni sorta di ricerche filologiche, promosse convegni di studi classici, dibattiti, conferenze. R i c o m p e n s ò con forti s o m m e di d e n a r o , p r e b e n d e e benefici gli scopritori di antichi codici e sguinzagliò p e r l ' E u r o p a t o r m e di e r u d i t i alla caccia di manoscritti classici. Arricchì la biblioteca vaticana di migliaia di volumi rari e i suoi scrigni di preziose reliquie, tra cui un osso di T i t o Livio donatogli dai veneziani. N o m i n ò bibliotec a r i o u n o degli u o m i n i p i ù d o t t i e b r i l l a n t i d e l t e m p o , il poeta T o m m a s o I n g h i r a m i , di cui Raffaello ci ha lasciato un bellissimo ritratto. N o n c'era letterato, n o n c'era e r u d i t o che n o n ottenesse da L e o n e un p r e m i o p e r le p r o p r i e fatiche. Il B e m b o fu n o m i n a t o segretario pontificio, il Bibbiena cardinale. I n c a r n a va costui il tipo del perfetto u o m o del Rinascimento: colto, scettico e raffinato. C o m p o n e v a versi, scriveva c o m m e d i e , era un conversatore squisito e un finissimo i n t e n d i t o r e d'arte. Giulio II lo aveva c h i a m a t o a R o m a , L e o n e lo spedì come n u n z i o apostolico in Francia alla c o r t e di Francesco I. Un altro u m a n i s t a che g o d e t t e della fiducia e dell'intimità del Pontefice fu Paolo Giovio, un ex m e d i c o , a u t o r e di u n a storia d'Italia dalla calata di Carlo V i l i all'ascesa al Soglio di L e o n e , aulica e agiografica. D o p o averla letta, il Papa assegnò al Giovio u n a lauta p e n s i o n e . Nel c a m p o dell'arte, L e o n e p r o m o s s e u n m o v i m e n t o d i r e c u p e r o e r e s t a u r o delle o p e r e antiche. Da t e m p o nell'Urbe, col beneplacito dei Pontefici, si abbattevano allegramente vetusti edifici classici p e r ricavare materiale da costruzio353
ne. Antichi capitelli, are, colonne e frontoni venivano i m p u n e m e n t e divelti e fusi. Paolo II aveva fatto erigere il palazzo di San Marco con pietre del Colosseo, Sisto IV aveva smontato un p o n t e sul Tevere p e r farne proiettili p e r le sue catapulte. L e o n e pose fine a questi atti di vandalismo, spalancò le sale del Vaticano a r u d e r i e reliquie architettoniche, e nel 1515 n o m i n ò Raffaello s o v r i n t e n d e n t e ai m o n u m e n t i . La letteratura e l'arte n o n distolsero L e o n e dalla politica, s e b b e n e egli cercasse d ' o c c u p a r s e n e il m e n o possibile. Era un d i p l o m a t i c o a c c o r t o e d e t e s t a v a la g u e r r a , ma n o n gli sfuggivano i pericoli di u n ' e g e m o n i a francese o s p a g n o l a sulla Penisola. Per s c o n g i u r a r l a v a g h e g g i ò u n a c o n f e d e r a zione alla q u a l e a v r e b b e r o d o v u t o a d e r i r e n u m e r o s e città, tra cui Firenze, che vi si sarebbe posta a c a p o , Milano, Piacenza, P a r m a , M o d e n a , F e r r a r a e U r b i n o . N e l 1 5 1 5 , col c o n c o r s o di p o t e n t i alleati, allestì un esercito p e r fronteggiare il Re di Francia e ne affidò il c o m a n d o al Duca d'Urbin o , Francesco M a r i a Della R o v e r e . Ma, a p p e n a a s s u n t a l a g u i d a dell'esercito pontificio, il Duca tradì e passò al n e m i co. L e o n e lo scomunicò, e q u a n d o il Re di Francia se ne tornò oltr'Alpe, lanciò le sue t r u p p e alla conquista di U r b i n o , d e p o s e Francesco e n o m i n ò d u c a della città il n i p o t e L o r e n zo. Poco d o p o si rappacificò col sovrano francese e p e r suggellare la riconciliazione p r o p o s e il m a t r i m o n i o di L o r e n z o con la bella e ricchissima M a d d a l e n a de la T o u r d'Auvergne, a p p a r t e n e n t e a u n a delle più potenti famiglie di Francia. Fu u n ' u n i o n e b r e v e e infausta p e r c h é d o p o u n a n n o Maddalena e L o r e n z o c a l a r o n o nella t o m b a : L e o n e ne profittò p e r i n c o r p o r a r e U r b i n o allo Stato pontificio. Le c a m p a g n e militari, il lusso di Corte, lo s p l e n d i d o m e cenatismo avevano letteralmente dissanguato l'erario. Le uscite s u p e r a v a n o le e n t r a t e , che a m m o n t a v a n o a circa 420 mila d u c a t i a n n u i . Il flusso di d e n a r o d a i Paesi s t r a n i e r i s ' a n d a v a p a u r o s a m e n t e c o n t r a e n d o . Per r i m p o l p a r e l e esauste casse vaticane, L e o n e mise all'asta 1353 n u o v e caric h e , c h e gli f r u t t a r o n o quasi n o v e c e n t o m i l a d u c a t i , incre354
m e n t o la v e n d i t a delle i n d u l g e n z e e nel 1517 sfornò t r e n t u n cardinali. Poiché n e p p u r e questi espedienti riuscivano a far q u a d r a r e i bilanci, ricorse al credito privato, indebitandosi fino al collo con t u t t e le b a n c h e r o m a n e che gli fecero prestiti all'interesse strozzinesco del q u a r a n t a p e r cento. Per g a r a n t i r l i il Pontefice d o v e t t e i m p e g n a r e suppellettili, argenteria, tappeti, arazzi, ori. Per m a n c a n z a di fondi ridusse e poi sospese gli stipendi ai professori dell'Università e delle varie a c c a d e m i e . A n c h e il soldo dell'esercito subì gli alti e bassi di quella traballante finanza. La vita di c o r t e invece seguitò a svolgersi fastosamente. La sua o p u l e n z a finì con lo scandalizzare gli stessi r o m a n i . «Leone - scrisse un a n o n i m o c o n t e m p o r a n e o - si è mangiato tre pontificati: il tesoro di Giulio I I , le r e n d i t e di L e o n e e q u e l l e d e l suo successore.» I n o t t o a n n i d i r e g n o spese l a bellezza di q u a t t r o milioni e mezzo di ducati, p r e c i p i t a n d o la C h i e s a sull'orlo della b a n c a r o t t a . La sua m o r t e , il 2 dic e m b r e 1 5 2 1 , all'età d i q u a r a n t a q u a t t r o a n n i , f u s a l u t a t a con sollievo da tutti. L e o n e spirò d o p o u n a l u n g a agonia, stroncato dalla febb r e malarica e da u n a fistola anale. Q u a l c u n o avanzò il sospetto che fosse stato avvelenato, ma m a n c a n o gli e l e m e n t i p e r suffragare questa ipotesi, p u r avvalorata da storici c o m e il Guicciardini. La scomparsa del p r o d i g o Papa segnò la r o vina dei suoi creditori: i Bini ci rimisero d u e c e n t o m i l a d u cati, i G a d d i t r e n t a m i l a , il c a r d i n a l e Pucci c e n t o c i n q u a n t a mila. E p p u r e L e o n e fu un g r a n d e Papa, n o n o s t a n t e fosse indifferente ai p r o b l e m i d e l l ' a n i m a , preferisse la l e t t u r a di Ovidio e di Cicerone a quella dei Padri della Chiesa e si sentisse p i ù a suo agio nelle a u l e di u n ' a c c a d e m i a , fra artisti, letterati e filosofi, che in mezzo ai prelati o sull'altare. Trasformò la Chiesa in un p r i n c i p a t o , ne fece un t e m p i o delle arti, g o v e r n a t o dalle Muse. Col suo fulgore t r a m a n d ò ai p o steri la p r o p r i a fama. Al suo n o m e gli storici g i u s t a m e n t e h a n n o intitolato un secolo. 355
Ma la Riforma e b b e in lui, c h e n o n ne avvertì n e p p u r e l o n t a n a m e n t e la minaccia, un formidabile alleato. Insensibile al travaglio m o r a l e della Chiesa, si p r e o c c u p ò solo del suo abbellimento esteriore e del suo p r i m a t o culturale, in competizione coi munifici principi e le d o t t e corti del t e m p o . I valori del Rinascimento, nel b e n e e nel male, t r o v a r o n o in questo Papa il più perfetto e raffinato c o m p e n d i o . Il bellissimo ritratto di Raffaello ce ne offre la t e r r e s t r e testimonianza: L e o n e è raffigurato in c a p p a e c a m a u r o d ' e r m e l l i n o su u n a s o n t u o s a p o l t r o n a , affiancato dai c a r d i n a l i Giulio d e ' Medici e Luigi d e ' Rossi. Il c o r p o è obeso e solenne, il volto r o t o n d o e paffuto, gli occhi bovini, la bocca carnosa, il naso forte, il m e n t o cascante, l'espressione fissa e intensa, le m a n i b i a n c h e e levigate. La destra stringe u n a spessa lente, la sinistra è posata su u n a Bibbia miniata. Sullo sfondo è diseg n a t o un i m p o n e n t e scorcio di basilica. Ma nel ritratto n o n c'è n i e n t e di mistico. Da esso sprigiona quello spirito m o n d a n o e p a g a n e g g i a n t e che contrassegnò la Chiesa del Rinascimento e le costò lo scisma p r o t e s t a n t e .
PARTE SECONDA
LA R I F O R M A
CAPITOLO SETTIMO
LA FINE DI UN M O N D O
Sullo scorcio del Q u a t t r o c e n t o , col r i t o r n o del Papato a Roma e la fine dello scisma, la Chiesa credeva di essere v e n u t a a capo dei suoi guai. Gravi accuse seguitavano a a p p u n t a r s i c o n t r o di essa. Ma n o n c o n t e n e v a n o , a l m e n o in a p p a r e n z a , nulla di n u o v o . La p i ù insistente e r a quella della c o r r u z i o n e , che aveva trovato i suoi accenti più aspri e appassionati nella bocca di A r n a l d o da Brescia, di Gioacchino da Fiore, di Savonarola, p e r limitarci agl'italiani. Dei Papi c o m e il Borgia, Giulio I I , e a n c h e L e o n e X, n o n o s t a n t e le sue i n d u b b i e qualità u m a n e e intellettuali, n o n e r a n o i p i ù indicati a d i s a r m a r e le critiche dei moralisti. «I costumi del clero - diceva il Vescovo di Torcerlo - sono a tal p u n t o marci da r a p p r e s e n t a r e un'offesa alla m o r a l e dei laici.» E a n c h e degli storici d'ineccepibile ortodossia cattolica, c o m e il Pastor e La Tour, n o n lesinano la l o r o severità. «La C u r i a r o m a n a - scrive il p r i m o - e r a u n a centrale d'infezione. Qualsiasi atto o d o c u m e n t o vi p o teva essere m a n i p o l a t o coi p r o c e d i m e n t i più disonesti. N o n c'è q u i n d i da meravigliarsi che da tutte le p a r t i della Cristianità si levassero le p i ù i n d i g n a t e r e c r i m i n a z i o n i . » E il La Tour: «Le i n n u m e r e v o l i testimonianze dell'epoca - a n e d d o ti, requisitorie, satire di poeti, ma a n c h e bolle papali - sono c o n c o r d i nella d e n u n z i a degli scandali. L a vita m o n a s t i c a e r a quasi c o m p l e t a m e n t e scomparsa. Le antiche roccheforti della contemplazione e della p r e g h i e r a si e r a n o trasformate in focolai di d i s o r d i n e e dissipazione. Dalle inchieste giudiziarie c o n d o t t e nelle g r a n d i abbazie si rileva che la maggioranza dei m o n a c i e r a n o ladri e viziosi». 359
Si p o t r e b b e r o r i e m p i r p a g i n e di citazioni. Ma sarebbe un superfluo p e r d i t e m p o visto che n e m m e n o gli storici più indulgenti verso la Chiesa contestano il malcostume in cui era p i o m b a t a . Esso affondava la sua r a d i c e n e i secoli p e r c h é , t u t t o s o m m a t o , r a r i e solo t e m p o r a n e i e r a n o stati i p e r i o d i in cui la Chiesa si e r a m o s t r a t a all'altezza della m o r a l e che predicava. Ma stavolta la piaga e r a aggravata da d u e circostanze. Anzitutto, essa n o n investiva più soltanto il vertice. Certo, il cattivo e s e m p i o e r a s e m p r e v e n u t o di lì. Ma la Chiesa medievale aveva trovato un correttivo nel clero basso e specialmente nei g r a n d i o r d i n i monastici, spietati d e n u n z i a t o r i di ogni deviazionismo. O g n i t a n t o essa era costretta a riconoscere come Santo un Francesco o un Domenico che la m e t t e v a n o alla frusta, o ad accettare c o m e Papi dei Gregori (il V I I e il IX) che l'obbligavano a un b a g n o di purificazione. I n s o m m a , essa aveva in se stessa i p r o p r i contravveleni. Stavolta invece la d e c a d e n z a investiva tutto il suo organismo, dal vertice alla base, c o m e conseguenza di un fenomeno difficilmente reversibile dal di d e n t r o : la sua m o n d a n i z zazione. Se Cosimo d e ' Medici aveva detto che le Repubbliche n o n si g o v e r n a n o coi paternostri, il suo bisnipote L e o n e X poteva d i r e che coi p a t e r n o s t r i n o n si g o v e r n a n o n e m m e no le Chiese. Egli stesso ne forniva la p r o v a c o m p o r t a n d o s i più da g r a n d e b a n c h i e r e che da g r a n d e prelato. E il daffare n o n gli mancava p e r c h é la Chiesa era forse la più disordinata, ma a n c h e la p i ù vasta e p o t e n t e i m p r e s a finanziaria del tempo. All'accumulo della sua ricchezza avevano contribuito varie cose. Anzitutto, quelle che i m i s c r e d e n t i c h i a m a v a n o le «assicurazioni antincendio», cioè c o n t r o il fuoco dell'infern o . Specie nel Medio Evo il p r e t e , a v e n d o in a p p a l t o a n c h e le funzioni del notaio, riusciva a estorcere t e s t a m e n t i in favore della p a r r o c c h i a o della diocesi in c a m b i o dell'assoluzione. Molti p e r ò n o n a s p e t t a v a n o l a m o r t e p e r c o m p i e r e questa operazione. Poiché i beni della Chiesa e r a n o gli unici 360
relativamente al sicuro dal saccheggio dei banditi e dei soldati e dalle requisizioni dei t i r a n n i , i privati spesso intestavano ad essa i p r o p r i p a t r i m o n i c o n t e n t a n d o s i di gestirli come suoi usufruttuari. U n a seconda causa di a r r i c c h i m e n t o e r a n o state le C r o ciate. I Crociati n o n avevano «cinquina». Dovevano autofinanziarsi. E siccome allora la ricchezza e r a quasi esclusivam e n t e immobiliare, p e r convertirla i n m o n e t a , n o n restava che la vendita. Ma solo la Chiesa e r a in condizione di comp r a r e , specie le p r o p r i e t à dei g r a n d i feudatari. E così si e r a costituito, a prezzi di liquidazione, il g r a n d e latifondo ecclesiastico, di rinforzo a quello faticosamente (e o n e s t a m e n t e ) accumulato dagli ordini monastici con le loro o p e r e di bonifica e d'irrigazione. Q u e s t o i m m e n s o p a t r i m o n i o n o n solo e r a inalienabile, ma a n c h e esente da tasse. O g n i t a n t o , è vero, un Re p r e p o t e n t e o un signorotto indocile se ne a p p r o p r i a v a n o qualche fetta infischiandosi delle l a m e n t e l e d e l Vescovo e financo della scomunica del Papa. Ma si trattava di r a r e e isolate eccezioni alla regola. In tutti i Paesi d ' E u r o p a il tesoro della Chiesa n o n aveva fatto che moltiplicarsi. A q u a n t o a m m o n t a s s e nei vari Paesi è impossibile calcol a r e . S e c o n d o la Dieta di N o r i m b e r g a del 1522, la C h i e s a disponeva di m e t à del r e d d i t o nazionale tedesco, e La T o u r le attribuisce i d u e terzi di quello francese. Sull'esattezza di q u e s t e statistiche facciamo le n o s t r e riserve, e molti storici infatti le contestano. Ma che si trattasse c o m u n q u e di grosse aliquote in tutt'i Paesi, è i n d u b b i o . T u t t o q u e s t o , r i p e t i a m o , n o n aveva n u l l a d i n u o v o . L a Chiesa aveva sviluppato ricchezza e c o r r u z i o n e - d u e cose che si t e n g o n o s e m p r e p e r m a n o - nel corso dei secoli. E i suoi pastori p o t e v a n o a n c h e p e n s a r e che il g r e g g e , p u r p r o testando c o m e aveva s e m p r e fatto, vi fosse abituato e solo in casi sporadici la critica potesse t r a d u r s i in a p e r t a ribellione. Ma p r o p r i o questo fu il loro tragico eri^ore. Essi n o n cap i r o n o c h e se la Chiesa era s e m p r e quella, mostratasi nella 361
sua l u n g a storia p i ù forte dei mali che la m i n a v a n o e che ormai p o t e v a n o considerarsi p a r t e della sua fisiologia, n o n più quella era la società in cui essa operava. La g r a n d e rivoluzione stava a v v e n e n d o lì. E a d e t e r m i narla e r a n o d u e fattori. Il p r i m o era l'urbanesimo. Il m o n d o arcaico e r u r a l e del Medio Evo era stato p e r la Chiesa di facile g o v e r n o . Il c o n t a d i n o n o n chiede spiegazioni; a t t e n d e miracoli, e ne vede d o v u n q u e : nella pioggia che ammorbidisce la t e r r a p e r la semina, nel sole che fa m a t u r a re le messi, nella v e n d e m m i a , nel raccolto. N o n solo. Ma la stessa s t r u t t u r a gerarchica e militaresca del feudalesimo lo p r e d i s p o n e alla sottomissione. In u n a società siffatta, il p r e t e ha la vita facile. O l t r e al m o n o p o l i o della verità rivelata, egli ha a n c h e quello della cultura, che n e s s u n o gl'insidia n e m m e n o al vertice della pir a m i d e p e r c h é gli stessi Signori sono analfabeti. Egli q u i n d i p u ò c o m o d a m e n t e confiscare la coscienza dei fedeli e dis p o r n e a p i a c i m e n t o . E q u a n t o si è a b i t u a t o a fare, fino a c o n t r a r v i u n a specie d i d e f o r m a z i o n e p r o f e s s i o n a l e c h e gl'impedisce di a d e g u a r s i alla n u o v a situazione. L'urbanesimo infatti trasforma r a d i c a l m e n t e t u t t o il pan o r a m a . L'operaio, l'artigiano, il m e r c a n t e , il b a n c h i e r e , viv o n o in un m o n d o di macchine, a n c h e se r u d i m e n t a l i , e di processi regolati dalla legge delle cause e degli effetti. E tutto questo li spinge a i n d a g a r e i p e r c h é naturali delle cose, n o n quelli s o p r a n n a t u r a l i , cioè a rivolgersi alla Scienza, n o n più alle Scritture. Essi n o n si riuniscono sul sagrato della pieve a l l ' o m b r a dell'olmo e sotto la g u i d a spirituale del p a r r o c o , c o m e facevano le «vicinanze» medievali. Il loro p u n t o d'incontro è l'Arte o corporazione, dove la parola è al manager o al tecnico p e r il dibattito di problemi che p e r la p r i m a volta, d o p o i l u n g h i secoli bui, p r e s c i n d o n o t o t a l m e n t e da quelli dell'anima e di Dio. Questi nuovi «fedeli», anche q u a n d o sono v e r a m e n t e tali, n o n lo sono più come quelli di u n a volta. 362
Il p r i m o c o n t r a c c o l p o di q u e s t o m u t a m e n t o si ha n e l c a m p o del diritto. La legge canonica, che fin qui ne è stata l'unica fonte e ha dato ai tribunali ecclesiastici u n a posizion e d i assoluta p r e m i n e n z a , n o n h a n o r m e p e r r e g o l a r e i r a p p o r t i d i u n a società u r b a n a . I g n o r a l'associazione p r o fessionale che di questa società è diventata il pilastro. I g n o ra le transazioni commerciali più semplici p e r c h é è rimasta allo scambio in n a t u r a d e l l ' e c o n o m i a a g r a r i a o «curtense». Si ostina a c o n d a n n a r e c o m e «usura» il prestito a interesse che lo s v i l u p p o i n d u s t r i a l e r e n d e n e c e s s a r i o . E i n s o m m a s e m p r e p i ù si lascia sopraffare dalla legge civile, ricalcata sui codici r o m a n i c h e sono stati r i e s u m a t i dagli scantinati delle chiese e dei conventi. Il Vescovo p e r d e quegli attributi di legislatore e di giudice che t a n t o avevano c o n t r i b u i t o al suo prestigio. Ma fra le conseguenze dell'urbanesimo ce n'è u n a p e r la Chiesa ancora p i ù grave: il distacco della cultura. Fino a Dante - Dante c o m p r e s o - il pensiero è teologia, e la teologia è - si capisce - m o n o p o l i o della Chiesa. Per l'uomo dell'alto M e d i o Evo la vita n o n è che l ' a n t i c a m e r a dell'aldilà, un «sogno di Dio», un g r a n d e mistero di cui solo il sacerdote ha la chiave; e anche chi dubita che quella chiave sia giusta, n o n ne ha altre cui r i c o r r e r e . N o n conosce gli s t r u m e n t i della logica e della ragione p e r c h é n o n ha ancora riscoperto la filosofia greca che li aveva elaborati. I g n o r a il sillogismo che del pensiero è a p p u n t o la sintassi. Si affida al p r e t e che m o n o p o l i z z a il r u d i m e n t a l e sistema scolastico e che sin da b a m b i n o lo abitua a p r o c e d e r e , n o n p e r p r e m e s se, induzioni e deduzioni, ma p e r parabole, rivelazioni e miracoli. Poi sopravviene la g r a n d e rivoluzione che a b b i a m o cercato di raccontare ne Eltalia dei Comuni. Sono gli Arabi che, al t e r m i n e della loro l u n g a cavalcata attraverso il nord-Africa, i m p o r t a n o in S p a g n a la cultura greca. Gli Ebrei che li seg u o n o , fin d'allora cosmopoliti e poliglotti, t r a d u c o n o in latino Aristotele e i suoi c o m m e n t a t o r i e d i v u l g a t o r i a r a b i , 363
Averroè e Avicenna, e li regalano alla rozza E u r o p a del d o dicesimo secolo. La Chiesa cerca i m m e d i a t a m e n t e d ' i m p a d r o n i r s e n e , e p e r un certo t e m p o ci riesce. Essa p r e n d e , del razionalismo greco, ciò che le fa c o m o d o e scarta ciò che la imbarazza. In m a n o a San T o m m a s o , il sillogismo aristotelico serve a d i m o s t r a r e che fra la fede e la r a g i o n e n o n c'è contrasto, che anzi la r a g i o n e è stata concessa da Dio all'uom o p e r c h é s i p e r s u a d a a n c o r a meglio delle verità e t e r n e della fede. E siccome scuola e cultura sono a n c o r a in m a n o alla Chiesa, la teologia conserva il m o n o p o l i o del pensiero, anzi s'identifica con esso. Ma a n c h e a q u e s t o m o n o p o l i o l ' u r b a n e s i m o p o n e fine. La società artigiana, mercantile, industriale della città cons e n t e la nascita di u n a categoria di p e r s o n e affrancate dal bisogno, che possono dedicarsi allo studio. Sono gli «umanisti». Essi si g e t t a n o alla riscoperta e alla divulgazione della letteratura e del p e n s i e r o classici. E nasce così, grazie ad essi, u n a cultura laica. Il colpo, p e r la Chiesa, è mortale. Essa ha s e m p r e proclam a t o che fuori dal suo ambito nel c a m p o dello spirito n o n c'è nulla. E invece il m o n d o s'avvede a un tratto che p r i m a e senza di essa è fiorita u n a g r a n d e civiltà che t u t t o r a si p u ò p r e n d e r e a m o d e l l o . La Chiesa cerca di c o r r e r e ai r i p a r i a d o t t a n d o l a , e t u t t o il Q u a t t r o c e n t o t r a s c o r r e nello sforzo di battezzare Aristotele e Platone p r e s e n t a n d o l i c o m e p r e cursori di Gesù e del Vangelo. Ma la battaglia è p e r d u t a . La n u o v a cultura se ne va p e r conto suo. La Ragione si rifiuta al r u o l o s u b a l t e r n o di strum e n t o della Fede, ed elabora quella specie di teologia laica che si c h i a m a Filosofia n o n p i ù al servizio, ma in c o n c o r r e n z a con quella della Chiesa. L e t t e r a t u r a e poesia n o n att i n g o n o p i ù ai g r a n d i motivi religiosi che avevano ispirato D a n t e : d i v e n t a n o p r o f a n e . La Storia si fa s c o p e r t a m e n t e secolare: Nicola di Cusa e L o r e n z o Valla rivelano, p r o v e alla m a n o , la truffa della cosiddetta «Donazione di Costantino». E la Chiesa che fonda su quella grossolana «patacca» il 364
suo diritto al p o t e r e t e m p o r a l e , ne esce discreditata a n c h e come Stato. Savonarola è l'unico ad avvertire l u c i d a m e n t e i pericoli che il «nuovo corso» p r e s e n t a p e r la Fede. Ed è questa coscienza che a n i m a e riscalda le sue terribili requisitorie contro gli umanisti di Firenze e il loro p r o t e t t o r e L o r e n z o . Ma finisce sul r o g o p e r c h é a n c h e la Chiesa o r m a i si è lasciata c o n t a m i n a r e dall'umanesimo, di cui anzi i Papi sono diventati i g r a n d i i m p r e s a r i . Q u e s t i Papi raffinati e colti, politicanti e g u e r r i e r i , p i e n i di mogli, di a m a n t i e di figli, sono t r o p p o i m p e g n a t i a c o n d u r r e eserciti, a innalzare basiliche, ad a r r i c c h i r e p i n a c o t e c h e e biblioteche, p e r sentire la crisi che li minaccia. N o n si p r e o c c u p a n o n e m m e n o dell'altra g r a n d e rivoluzione che m a t u r a nel m o n d o , e che sarà il decisivo fattore di r o t t u r a del fronte cattolico: la nascita degli Stati nazionali, cioè di centri di p o t e r e in c o n c o r r e n z a con quello ecclesiastico. Per tutto il Medio Evo la Chiesa n o n ha conosciuto rivali. Ha conosciuto soltanto dei ribelli, di cui è s e m p r e v e n u t a facilmente a capo. Pochi e r a n o i t e m e r a r i disposti a sfidare la scomunica in un m o n d o che n o n offriva, p e r così d i r e , sostegni di r i c a m b i o . Per l ' u o m o m e d i e v a l e il c o n v e n t o n o n e r a soltanto la tinozza d e l l ' a n i m a , ma a n c h e il rifugio del corpo, il lazzaretto, l'ospizio. Sul sagrato della chiesa i «vicini» r e g o l a v a n o i loro r a p p o r t i , il p a r r o c o e r a spesso l'unica p e r s o n a che sapesse leggere e scrivere, e il t r i b u n a l e ecclesiastico era l'unico che garantisse un m i n i m o di giustizia. Nel Q u a t t r o c e n t o p e r ò già si delinea un p o t e r e laico che n o n si c o n f o n d e p i ù con la p e r s o n a del titolare. N a t u r a l m e n t e n o n s i p u ò p a r l a r e d i u n o Stato i n senso m o d e r n o con la sua divisione in tre poteri - il legislativo, l'esecutivo e il giudiziario - la cui i n d i p e n d e n z a g a r a n t i s c e i diritti del cittadino. Per arrivare a questo t r a g u a r d o , ci v o r r a n n o parecchi secoli e fiumi di sangue. Ma nell'Inghilterra del Trecento ce n'è già a l m e n o il p r e s e n t i m e n t o . Nel p o r g e r e la co365
r o n a al n u o v o Re, l'Arcivescovo di Canterbury, s u p r e m a autorità religiosa del Paese, lo s o t t o p o n e a un i n t e r r o g a t o r i o : «Sire, v ' i m p e g n a t e con g i u r a m e n t o a rispettare le leggi e le c o n s u e t u d i n i del p o p o l o inglese?» E il Re, se vuole infilarsi in testa quella c o r o n a , d e v e i m p e g n a r s i a farlo. L a s c i a m o stare se poi a q u e l l ' i m p e g n o t e r r à fede solo fino a un certo p u n t o . E già molto i m p o r t a n t e , e in anticipo sui tempi, ch'egli sia costretto a p r e n d e r l o con u n a formula in cui riconosce e s'inchina a u n a volontà s u p e r i o r e alla sua. Né si tratta solo di u n a formula. Fra le leggi e consuetudini che il Re giura di rispettare c'è a n c h e quella di astenersi d a l l ' i m p o s i z i o n e di n u o v e tasse o balzelli c h e n o n siano p r i m a approvati dai r a p p r e s e n t a n t i del p o p o l o . Ciò n o n significa che in I n g h i l t e r r a ci sia già un r e g i m e p a r l a m e n t a r e nel senso che oggi d i a m o a questa locuzione. Q u e i r a p p r e sentanti n o n r a p p r e s e n t a v a n o tutto il p o p o l o e il loro assenso e r a richiesto solo p e r le m i s u r e fiscali. Ma, p e r q u a n t o tim i d o , e r a già il p r i n c i p i o di un g o v e r n o d e m o c r a t i c o , condizionato a l m e n o p e r c e r t e cose dalla volontà p o p o l a r e . E ciò bastava a fare degl'inglesi n o n più soltanto dei «sudditi», ma dei «cittadiiri» che, sia p u r e limitatamente al costo della spesa, partecipavano alla cosa pubblica e al suo g o v e r n o . Ins o m m a essi e r a n o , c o m e oggi si d i r e b b e , «integrati». I n t e grati in u n a c o m u n i t à laica che, a l m e n o sul piano t e m p o r a le, garantiva ciò che fin qui aveva garantito solo la c o m u n i t à religiosa: u n a solidarietà u m a n a , u n a legge, dei tribunali rispettosi dei diritti del singolo, e n o n soltanto di quelli privati, ma a n c h e di quelli civili e politici. Q u e s t o crea un n u o v o tipo di «fedele» p e r il quale la sottomissione alla Chiesa n o n è più u n a condizione di sopravvivenza, ma u n a scelta della coscienza. Anche p e r lui la dissidenza, la rottura, la scomunica c o m p o r t a n o parecchie scomodità. Ma n o n ne fanno un «apolide» p e r c h é egli ha già in tasca u n a cittadinanza di ricambio: quella riconosciutagli da u n o Stato di cui egli è, c o m e elettore, p a r t e attiva, n o n soltanto passiva, e che già si p o n e al di sopra del Sovrano e dei 366
suoi arbitri e capricci. L'inglese scacciato d a l t e m p i o n o n è alla m e r c é di c h i u n q u e , c o m e l'italiano. Egli ha un rifugio nella famiglia laica di cui è riconosciuto m e m b r o . N a t u r a l m e n t e , r i p e t i a m o , nel T r e c e n t o q u e s t o processo n o n è a n c o r a m a t u r o n e m m e n o in I n g h i l t e r r a . Fra i giuram e n t i che il Re p r o n u n z i a all'atto dell'incoronazione, c'è anche quello di usare il p o t e r e «per restare d'accordo e in pace con Dio e con la Santa Chiesa». Ufficialmente d u n q u e anche lì lo Stato è ancora confessionale. Ma i fatti stanno p e r dimos t r a r e che q u a n t o p i ù q u e s t o Stato p r e n d e coscienza di sé, t a n t o p i ù esso s v i l u p p a u n a forza c o n c o r r e n z i a l e n e i confronti della Chiesa, che incoraggia la protesta contro di essa. Le vicende di J o h n Wycliff e di H u s s r i a s s u m o n o e illum i n a n o questa d r a m m a t i c a svolta. C h i e d i a m o scusa al lettore se l'obblighiamo a un balzo i n d i e t r o nel t e m p o . Ma esso è necessario p e r chiarire i «precedenti» della crisi che sta p e r scoppiare.
CAPITOLO OTTAVO
WYCLIFF
Nel 1366 il Papa aveva sollecitato al Re d ' I n g h i l t e r r a Edoard o I I I u n e n n e s i m o t r i b u t o . Q u e s t e richieste e r a n o o r m a i d i v e n t a t e u n ' a b i t u d i n e d a q u a n d o , u n secolo e m e z z o p r i ma, re Giovanni aveva stabilito la regola di soddisfarle. Ma i l suo successore n o n e r a a l t r e t t a n t o a r r e n d e v o l e , a n c h e p e r c h é egli aveva qualche motivo di d u b i t a r e che il suo den a r o finisse effettivamente nelle casse della Chiesa. Q u e s t a infatti, c o m e r i c o r d e r e t e , n o n aveva p i ù la sua sede a R o m a , ma ad Avignone, cioè in Francia: un Paese con cui l ' I n g h i l t e r r a e r a i m p e g n a t a i n u n a g u e r r a c h e d u r a v a da d e c e n n i . E francesi e r a n o i Papi che si s u c c e d e v a n o sul Soglio. N o n si p u ò dire ch'essi facessero p i ù gl'interessi della Francia che quelli della Chiesa; o p e r lo m e n o n o n si p u ò dirlo di tutti. Ma si p u ò capire che gl'inglesi lo sospettassero e che perciò temessero di finanziare, attraverso di essi, il lor o nemico. Già nel 1353 E d o a r d o aveva o p p o s t o u n p r i m o rifiuto. Ma nel '66 volle d i v i d e r n e la responsabilità col P a r l a m e n t o c h i a m a n d o l o a p r o n u n z i a r s i sulla questione. Forse egli stesso n o n capì l'importanza rivoluzionaria di quel gesto. Il cas o d i u n R e c h e r e s p i n g e v a l a richiesta d e l P a p a n o n e r a n u o v o . Ma fin allora questi dissensi avevano coinvolto solo i d u e p r o t a g o n i s t i . O r a p e r l a p r i m a volta, con l ' a p p e l l o a l p o p o l o , veniva mobilitata l'opinione pubblica, e il conflitto fra S o v r a n o t e m p o r a l e e S o v r a n o spirituale si trasformava in un conflitto tra Stato e Chiesa. I l P a r l a m e n t o inglese avallò l ' o p i n i o n e d e l R e c o n u n o slancio c h e a v r e b b e d o v u t o m e t t e r e sull'avviso la C u r i a di 369
A v i g n o n e . Esso n o n solo r i s p o s e c h e il d e n a r o d e i c o n t r i b u e n t i inglesi doveva restare in Inghilterra, ma volle giustificare questa tesi a n c h e sul p i a n o del d o g m a , e ne affidò l'incarico a un teologo di Oxford, J o h n Wycliff, che si era fatto un n o m e n o n solo p e r la sua d o t t r i n a , ma a n c h e p e r il suo anticonformismo. Wycliff aveva allora quarantasei a n n i e, da q u a n d o aveva p r e s o i voti, n o n poteva c e r t o lagnarsi del t r a t t a m e n t o che la Chiesa gli aveva fatto. Aveva ricevuto dal P a p a vari b e n e fici, cioè la r e n d i t a di alcune parrocchie, senza obbligo di risiedervi: il che gli aveva consentito di dedicarsi i n t e r a m e n t e allo studio e all'insegnamento. Ma questo n o n aveva scoraggiato la sua i n d i p e n d e n z a critica, che rasentava la spregiudicatezza. N o n aveva nulla dei mistici ribelli del dodicesimo e t r e d i c e s i m o secolo, sia di quelli r i m a s t i nei r a n g h i nella Chiesa c o m e San Francesco, sia di quelli c h e n ' e r a n o usciti c o m e Valdo. E r a piuttosto u n u o m o d'azione, u n organizzatore, un g u e r r i e r o , che sfogava le sue traboccanti energie e il suo spirito p u g n a c e in libri e libelli. Li scriveva in un imp e r v i o latino che a v r e b b e fatto a c c a p p o n a r e la pelle al Pet r a r c a . Ma d e n t r o c ' e r a n o delle i d e e c h e di lì a c e n t o c i n q u a n t ' a n n i a v r e b b e r o dimostrato la loro esplosiva vitalità. S e c o n d o lui, la Chiesa n o n e r a né il P a p a né il clero, ma tutta la c o m u n i t à cristiana, c o m e del resto era stato nei primi secoli d o p o Cristo: quelli dell'apostolato e della fede militante. Il fedele, dice Wycliff, n o n ha bisogno d ' u n sacerdote c h e gli faccia da i n t e r m e d i a r i o col S i g n o r e : egli è già in r a p p o r t o diretto con Lui, e q u i n d i è il sacerdote di se stesso, a n c h e se n o n è o r d i n a t o e consacrato. Il Signore conosce le sue pecorelle, e ha già deciso quali di esse m e r i t i n o di essere salvate, e quali d a n n a t e . Q u e s t e ultime n o n s'illudano di sottrarsi al loro destino con le p r e g h i e r e o con le b u o n e azioni. Le b u o n e azioni n o n servono a p r o c u r a r e la Grazia. Servono solo a d i m o s t r a r e che vi si è predestinati. H a n n o u n valore indicativo, n o n s t r u m e n t a l e . Soltanto A d a m o e d Eva e r a n o stati d o t a t i d i libero a r b i t r i o , cioè 370
a v r e b b e r o p o t u t o d e t e r m i n a r e , c o n la p r o p r i a c o n d o t t a , la p r o p r i a sorte. Ma, essendo caduti in peccato, avevano p e r s o questa facoltà p e r se stessi e p e r i loro discendenti. C'è da chiedersi c o m e Wycliff avesse p o t u t o s o s t e n e r e e diffondere i m p u n e m e n t e simili idee. P o t r e m m o citare i n o mi di parecchi suoi coetanei che p e r molto m e n o e r a n o finiti sul r o g o . Se Wycliff n o n ci aveva rimesso n e a n c h e la tonaca e la cattedra, forse lo doveva p r o p r i o agli e r r o r i di g r a m matica e di sintassi c h e l a r d e l l a v a n o la sua confusa e lutulenta p r o s a latina e la r e n d e v a n o oscura al lettore. Ma furono gli avvenimenti a chiarirne il significato. C h i a m a t o in servizio dallo Stato p e r m o t i v a r e sul p i a n o teologico il rifiuto del Re e del P a r l a m e n t o , Wycliff sostenne in un t r a t t a t o c h e il S i g n o r e , i m p o n e n d o ai suoi Apostoli l'obbligo della povertà, aveva inteso c o n d a n n a r e la ricchezza c o m e u n a condizione del peccato. La Chiesa q u i n d i n o n p u ò p r e t e n d e r e tributi; e se li p r e t e n d e , p e r d e o g n i diritto al suo magistero e all'amministrazione dei sacramenti. Anzi, i n u n m o n d o v e r a m e n t e cristiano, o g n i forma d i p r o p r i e t à dovrebb'essere abolita. Dio è l'unico vero legittimo p r o p r i e tario. Di t u t t o . Solo ai p r e d e s t i n a t i alla Grazia è concesso «amministrare» qualche briciola di questo p a t r i m o n i o . Le ultime proposizioni i n t r o d u c e v a n o nel discorso teologico u n a v e n a t u r a politica, a mezza strada fra l'anarchismo e il c o m u n i s m o , c h e p i ù t a r d i s a r e b b e risultata fatale a Wycliff e alla sua causa. Ma in quel m o m e n t o il partito anticlericale, capeggiato a C o r t e da J o h n G a u n t , trovò c o m o d o a d o t t a r e la d o t t r i n a del teologo e fece di lui il p r o p r i o camp i o n e , invitandolo a sostenere a n c h e il diritto dello Stato a confiscare i b e n i della Chiesa. Wycliff consentì, e spalleggiò quel p r o g e t t o in u n a serie di p r e d i c h e che o t t e n n e r o il p i ù vivo successo p o p o l a r e . La minaccia concreta ai loro benefici, stipendi e r e n d i t e sollevò l'indignazione dell'alto clero inglese, mostratosi così tollerante nei confronti delle teorie, p e r q u a n t o eretiche, di Wycliff. Questi fu convocato da un concilio di Vescovi riuni371
to nella chiesa di San Paolo, ma vi si p r e s e n t ò accompagnato da G a u n t coi suoi a r m i g e r i . La discussione d e g e n e r ò in un tafferuglio che i n d u s s e i prelati a r i m a n d a r e ogni decisione. Ma essi s p e d i r o n o al Papa un r a p p o r t o in cui venivano t e s t u a l m e n t e riferite le tesi del r e p r o b o . Il P a p a Io cond a n n ò con u n a «bolla», e o r d i n ò all'Arcivescovo S u d b u r y e al Vescovo Courtenay di arrestare il «deviazionista» in attesa di ulteriori istruzioni. Ma a q u e s t o p u n t o in favore di Wycliff scattò quella sec o n d a «cittadinanza» con cui la Chiesa n o n era abituata a fare i conti. Per arrestarlo, ci volevano i g e n d a r m i ; i g e n d a r m i e r a n o al servizio dello Stato; e lo Stato e r a solidale con Wycliff. Il P a r l a m e n t o che p r o p r i o allora si riuniva m o s t r ò la più viva simpatia p e r la confisca dei beni della Chiesa che il t e o l o g o aveva c a l d e g g i a t o , specie q u a n d o s e p p e ch'essi a m m o n t a v a n o a u n a b u o n a m e t à del p a t r i m o n i o nazionale. Wycliff, a n c o r a u n a volta sollecitato a e s p r i m e r e il suo p a r e re, rispose: «Il R e a m e d ' I n g h i l t e r r a , secondo le parole della Scrittura, d e v ' e s s e r e c o n s i d e r a t o u n c o r p o , d i cui l'aristocrazia, il clero e il p o p o l o sono le m e m b r a » . E r a c o m e dire c h e a n c h e il clero a p p a r t e n e v a al R e a m e , n o n alla Chiesa, cioè doveva essere - c o m e oggi d i r e m m o - «nazionalizzato» c o n t u t t ' i suoi b e n i . C e n t o c i n q u a n t ' a n n i d o p o r i u d r e m o quasi le stesse parole in bocca a Enrico V I I I p e r giustificare la definitiva separazione della Chiesa d ' I n g h i l t e r r a da quella di Roma. I p r e l a t i r i s p o s e r o p u b b l i c a n d o la bolla e o r d i n a n d o al R e t t o r e d e l l ' U n i v e r s i t à d i O x f o r d d i p r o c e d e r e all'arresto del ribelle secondo gli o r d i n i del Papa. Ma essi avevano dim e n t i c a t o che già da quasi c i n q u a n t ' a n n i q u e l l ' U n i v e r s i t à aveva risolto il conflitto fra le d u e cittadinanze o p t a n d o p e r quella dello Stato e dichiarandosi i n d i p e n d e n t e dalla Chiesa. La m a g g i o r a n z a d e g l ' i n s e g n a n t i si p r o n u n c i ò c o n t r o le idee di Wycliff, ma a favore del suo diritto di esprimerle e di sostenerle. Il Rettore si rifiutò di arrestarlo e si limitò a consigliargli di tenersi p e r un certo t e m p o in disparte. 372
Nel '78 Wycliff fu convocato da un'altra assemblea di Vescovi, e stavolta vi si p r e s e n t ò solo, da u o m o sicuro del fatto suo. Infatti sul p i ù bello del dibattito la folla sfondò le p o r t e e i r r u p p e nell'aula u r l a n d o che in I n g h i l t e r r a n o n c'era p o sto p e r l'Inquisizione e i suoi metodi. I Vescovi i m p a u r i t i rim a n d a r o n o a n c o r a u n a volta o g n i decisione, e subito d o p o f u r o n o r i d o t t i a l l ' i m p o t e n z a dallo scisma d e l P a p a t o c h e p r a t i c a m e n t e li p r i v a v a di s o s t e g n o e d i r e t t i v e . Wycliff ne approfittò p e r c o m p o r r e e diffondere diecine e diecine di libelli in cui, oltre che al suo p e n s i e r o , d i e d e f o n d o ai suoi polemici u m o r i . C h i a m ò il Papa «la bestia dell'Apocalisse» e p a r a g o n ò i c o n v e n t i ad «allevamenti di ladri» e a «nidi di s e r p e n t i » . D e n u n z i ò la r a p a c i t à e la lussuria dei p r e t i «sed u t t o r i di r a g a z z e , di vedove, di spose e p e r f i n o di m o n a che» e p r o p o s e che i loro delitti venissero perseguiti dai tribunali laici. Ma queste scompostezze anticlericali e grossolanità di linguaggio n o n e r a n o che l'involucro di u n a problematica che a n d a v a molto al di là del pretesto che le ispirava. Per il suo b e n e , dice Wycliff, la Chiesa d e v e r i n u n c i a r e n o n solo a o g n i m a t e r i a l e possesso, ma a n c h e a o g n i p o t e re. Essa c a d e in peccato m o r t a l e q u a n d o p r e t e n d e di d o m i n a r e gli Stati. Q u e s t o d i r i t t o s p e t t a solo al Re c h e ne ris p o n d e d i r e t t a m e n t e a Dio, dal quale deriva la sua investitura. Perciò al Re spetta a n c h e o r d i n a r e i p r e t i che gli d e b b o n o o b b e d i e n z a c o m e tutti gli altri s u d d i t i . Q u e s t i p r e t i sono tenuti soltanto a u n a vita di p r e g h i e r a e a un e s e m p i o d i carità. I l fedele, e s s e n d o a n c h e lui i n r a p p o r t o d i r e t t o con Dio, n o n ha bisogno di loro n e m m e n o p e r la confessione che, caso mai, d o v r e b b ' e s s e r e pubblica c o m e lo e r a presso i p r i m i cristiani. Q u a n t o all'assoluzione, a n c h e un laico p u ò darla, p u r c h é sia p u r o e in stato di Grazia. M e n t r e i sac r a m e n t i a m m i n i s t r a t i d a u n s a c e r d o t e i n stato d i peccato sono invalidi. Un'altra p r e t e s a a cui la Chiesa deve r i n u n z i a r e è quella di t r a s f o r m a r e nel c o r p o e nel s a n g u e di Cristo il p a n e e il vino d e l l ' E u c a r e s t i a . Q u e s t o «miracolo» n o n è, s e c o n d o 373
Wycliff, che un abominevole sortilegio. Si capisce, egli dice, che Cristo è p r e s e n t e . Lo è s e m p r e , in tutto ciò che si fa. Ma n o n sono il p a n e e il vino che si t r a n s u s t a n z i a n o in Lui p e r i l p o t e r e carismatico d i u n p r e t e m a g a r i p r e d e s t i n a t o alla dannazione. Q u e s t o p u n t o , che intaccava u n o dei d o g m i f o n d a m e n t a li della Chiesa, allarmò gli stessi sostenitori di Wycliff. G a u n t si precipitò da lui p e r i n d u r l o a ritrattarsi sulla faccenda dell'Eucarestia, ma l'irriducibile teologo respinse il consiglio, e anzi ribadì le sue opinioni in u n a confessione ancora più p o lemica. Per sua disgrazia p r o p r i o in quel m o m e n t o scoppiava u n a rivoluzione nella quale egli si trovò involontariamente coinvolto. I ribelli p r e s e r o sul serio le sue teorie sull'abolizione del diritto di p r o p r i e t à e p r e t e s e r o applicarle. Invano egli cercò di s e p a r a r e le p r o p r i e responsabilità da quelle loro d i c h i a r a n d o che il suo e r a soltanto un ideale religioso. Il n u o v o re Riccardo I I , cui quella rivoluzione p e r poco n o n e r a costata la vita e il t r o n o , u n a volta che l'ebbe d o m a t a , ord i n ò al rettore di Oxford di espellere Wycliff. Questi tuttavia n o n subì altre persecuzioni e p o t è contin u a r e a scrivere libri e libelli: n o n p i ù nel suo cattivo latino, m a i n u n r o b u s t o , p o p o l a r e s c o , g o r g o g l i a n t e inglese, c h e a n c o r a m e g l i o si p r e s t a v a alla sua vocazione p o l e m i c a . II successo che riscosse lo spinse a i n t r a p r e n d e r e a n c h e la trad u z i o n e della Bibbia p e r darla ai fedeli come l'unico infallibile règolo della loro c o n d o t t a . A n c h e questo e r a un attentato ai privilegi della Chiesa che aveva s e m p r e c o m b a t t u t o le versioni dei Sacri Testi in lingua volgare p e r riservare a se stessa il m o n o p o l i o dell'interpretazione. M e n t r e a t t e n d e v a al suo lavoro, il Papa lo convocò a Rom a . Ma la m o r t e n o n gli dette il t e m p o di disobbedire. Tutto ciò ch'egli aveva i n t r a p r e s o e r a rimasto i n c o m p i u t o . Ma n u l l a e r a d e s t i n a t o a d a n d a r e p e r s o . Senza l a r i v o l u z i o n e che aveva spinto il Re e le classi privilegiate a far causa com u n e con l'alto clero, forse l'Inghilterra si sarebbe staccata dalla Chiesa con un secolo e mezzo di anticipo. Ma Wycliff 374
gliene aveva c o m u n q u e spianato la strada. Nella sua teologia sono anticipati molti elementi della Riforma: la predestinazione, il rifiuto della transustanziazione nell'Eucarestia, la n e g a z i o n e del p r e t e c o m e insostituibile i n t e r m e d i a r i o fra Dio e il fedele; e infine - decisivo e l e m e n t o di vittoria - l'aff e r m a z i o n e della illimitata s o v r a n i t à dello Stato laico n e l c a m p o t e m p o r a l e , il suo diritto di sottrarsi ai tributi e di nom i n a r e i suoi Vescovi. Era chiaro che d'ora in poi i ribelli della Chiesa p o t e v a n o c o n t a r e s u l l ' a p p o g g i o dello Stato, a l m e n o n e i Paesi in cui u n o Stato cominciava a nascere. La scomunica n o n li r e n d e va «apolidi». O r m a i p o t e v a n o sfidarla.
CAPITOLO N O N O
HUSS
Fra gii a m m i r a t o r i di Wycliff c ' e r a n o stati alcuni giovani b o e m i andati a Oxford con borse di studio. La Boemia era, insieme alla Polonia, il p r i m o Paese in cui la f l u t t u a n t e m a r c a slava si e r a solidificata fino a f o r m a r e qualcosa di simile a u n a n a z i o n e : il resto e r a a n c o r a un liq u i d o m a g m a che dalle sterminate steppe dell'Est ogni tanto i r r o m p e v a al di q u a dell'Elba, spariva, r i c o m p a r i v a , ma n o n riusciva a darsi un o r d i n a m e n t o più stabile e consistente di quello dell'orda. La Boemia invece, incuneata nel cuore dell'Europa, si era inserita a n c h e nella sua storia e, sotto u n ' a v v e d u t a d i n a s t i a dal n o m e impossibile, i Przemyslid, era diventata u n R e a m e . Nel T r e c e n t o questa dinastia si e r a estinta, e a f o n d a r n e u n ' a l t r a e r a stato c h i a m a t o G i o v a n n i di L u s s e m b u r g o . Come g o v e r n a n t e e a m m i n i s t r a t o r e , la scelta n o n si rivelò fort u n a t a : Giovanni a P r a g a ci stava solo nei ritagli di t e m p o , era allergico alle «scartoffie», il suo ufficio era il cavallo, dalla cui g r o p p a scendeva di r a d o . Ma come a g e n t e pubblicitario, i suoi sudditi n o n p o t e v a n o t r o v a r n e u n o più efficiente e redditizio. «Nulla si p u ò fare senza l'aiuto di Dio e del Re di Boemia» era u n o slogan che aveva corso in tutta E u r o p a . Giovanni se l'era g u a d a g n a t o alla n o r m a n n a , cioè cacciandosi in t u t t e le g u e r r e , a n c h e le più l o n t a n e dal suo Paese ed estranee ai suoi interessi, p e r il solo gusto di combatterle e di vincerle. A n c h e q u a n d o u n a malattia - p r o b a b i l m e n t e la lue - l'ebbe lasciato c o m p l e t a m e n t e cieco, seguitò ad arr u o l a r s i in t u t t e le crociate alla difesa del d e b o l e c o n t r o il forte. 376
Fu così che volò in soccorso della Francia, alla notizia che vi era sbarcato l'esercito inglese. Alla battaglia di Crécy, solo i suoi c i n q u e c e n t o cavalieri b o e m i , fra cui suo figlio Carlo, r e s s e r o a l l ' u r t o del n e m i c o . Q u a n d o s e p p e che t u t t o e r a p e r d u t o , Giovanni o r d i n ò a d u e dei suoi di legare i loro cavalli al suo e di lanciarli c o n t r o gl'inglesi «perché n o n si dica che il Re di Boemia ha a b b a n d o n a t o il c a m p o dell'onore». Il suo c o r p o crivellato di ferite fu p o r t a t o come trofeo di vittoria a re E d o a r d o che lo rispedì a Carlo con questo messaggio: «Oggi è caduto il fiore della Cavalleria». Carlo fu un s o v r a n o m o l t o m e n o pittoresco, m a n e s c o e a v v e n t u r o s o di suo p a d r e , ma più saggio e illuminato a m ministratore. Fu grazie a lui che Praga diventò n o n soltanto u n a delle più splendide capitali di E u r o p a , qual è ancor oggi, ma a n c h e u n o dei più p r o g r e d i t i centri di cultura u m a nistica. Egli consegnò a suo figlio Venceslao un Paese ricco, o r d i n a t o , già avanti nella industrializzazione, e provvisto di così eccellenti università da d a r e il suo n o m e , «la Bohème», a un m o d o di vita goliardico. Gli studenti di Praga lo esport a r o n o d o v u n q u e , in Italia, in Francia, in G e r m a n i a , in Ing h i l t e r r a . Fu q u i c h e alcuni di loro c o n o b b e r o Wycliff, ne tradussero le o p e r e e t r a p i a n t a r o n o in patria il seme del suo anticonformismo. Esso fiorì all'ombra di u n a chiesa, la Cappella di B e t l e m m e , che nel 1402 chiamò sul pulpito un giovane e appassionato p r e d i c a t o r e : Giovanni Huss. H u s s derivava il p r o p r i o n o m e dal villaggio in cui era nato, H u s i n e t z . E r a di umilissime origini, ma la p o v e r t à n o n gli aveva i m p e d i t o di studiare. Voleva g u a d a g n a r s i i galloni di s a c e r d o t e n o n , c o m e tanti altri, p e r s b a r c a r e il l u n a r i o , ma p e r a u t e n t i c a vocazione. Fu questa a s o r r e g g e r l o nella lotta contro il freddo e i digiuni. Passò d ' u n balzo dal banco di scolaro alla c a t t e d r a di professore, e q u a n d o p r e s e i voti la r e g i n a Sofìa se lo scelse come confessore. Più tardi, q u a n d o c a d d e in o d o r e di eresia, i suoi accusatori dissero c h e , p r i m a a n c o r a di c e l e b r a r e la messa, egli aveva manifestato alcuni dubbi sul d o g m a della transustan377
ziazione nella Eucarestia: il t e m a di cui Wycliff aveva fatto il suo cavallo di battaglia. Certo, di Wycliff conosceva le o p e r e . E al processo confessò di aver esclamato, leggendole: «Ecco u n u o m o p r e d e s t i n a t o alla Grazia. Ma, fosse a n c h e d a n n a to, io vorrei che la mia a n i m a raggiungesse la sua». C o m u n q u e , è accertato c h e le sue p r e d i c h e d a l p u l p i t o della Cappella o t t e n n e r o u n o strepitoso successo a n c h e p e r ché, invece di p r o n u n c i a r l e in latino c o m ' e r a uso allora, le p r o n u n c i a v a in b o e m o , la lingua di tutti, che tutti capivano. Q u a n t o a l c o n t e n u t o , p o s s i a m o facilmente d e s u m e r l o dai q u a r a n t a c i n q u e b r a n i che a un certo p u n t o il «capitolo» della cattedrale, cioè i p r e t i che vi s o v r i n t e n d e v a n o , isolarono dai suoi scritti - a n d a t i quasi tutti distrutti - p e r sottoporli al c o r p o accademico dell'Università c h e n e giudicasse l'ortodossia. Ci fu, t r a i professori, battaglia grossa. Ma alla fine la m a g g i o r a n z a c o n d a n n ò le tesi di H u s s e ne vietò la circolazione sia in pubblico che in privato. E v i d e n t e m e n t e H u s s i g n o r ò il divieto, p e r c h é di lì a poco v e n n e d e n u n z i a t o all'Arcivescovo c o m e p r o p a g a n d i s t a del p e n s i e r o di Wycliff. L'Arcivescovo scomunicò il r e p r o b o e i suoi seguaci, o r d i n ò la confisca di t u t t e le sue o p e r e - circa d u e c e n t o manoscritti - che v e n n e r o p u b b l i c a m e n t e bruciate; e siccome il ribelle seguitava c o m e se n u l l a fosse a d i r messa in u n a chiesa g r e m i t a di fedeli, lanciò l'interdetto sulla città, cioè vi proibì le funzioni religiose: m i s u r a gravissim a , specie a q u e i t e m p i , p e r c h é implicava u n a specie di b a n d o dalla c o m u n i t à cristiana. H u s s si appellò al Papa, che lo convocò a R o m a . Ma si rifiutò di andarci. E q u a n d o di lì a poco lo stesso P a p a b a n d ì u n a e n n e s i m a vendita di i n d u l g e n z e p e r r i m p a n n u c c i a r e le sue v u o t e casse, H u s s e il suo più fedele l u o g o t e n e n t e , Ger o l a m o da Praga, t o r n a r o n o sul p u l p i t o p e r incitare i fedeli al rifiuto. Il p u r g a t o r i o , dissero, n o n c'è. E a n c h e se ci fosse, n o n è certo coi soldi che si p o t r e b b e evitarlo. I soldi servono soltanto alla Chiesa p e r i suoi lussi e i suoi vizi. S p a v e n t a t o da t a n t a audacia e a n c o r p i ù dal fatto che la 378
ribellione di H u s s trovava nella popolazione i p i ù vasti consensi, il Re gli p r o i b ì di p r e d i c a r e e fece a r r e s t a r e tre suoi seguaci. Al processo, H u s s p e r o r ò in loro favore dichiarandosi unico responsabile della loro condotta. Ma le sue p a r o le furono ignorate e i tre accusati v e n n e r o decapitati. Scomunicato a n c h e dal Papa, e su consiglio di Venceslao, H u s s si ritirò nel c o n t a d o , e p e r d u e a n n i attese soltanto alla stesura dei suoi libri, alcuni in latino, altri in b o e m o . Anc h e lui c r e d e nella p r e d e s t i n a z i o n e , ribadisce i concetti di Marsilio e di O c c a m che n e g a n o alla Chiesa il diritto di poss e d e r e b e n i t e r r e n i , e p r e c o r r e Calvino a f f e r m a n d o c h e la Chiesa n o n è né il Papa né il clero e n e m m e n o la c o m u n i t à di t u t t i fedeli, ma solo la piccola aliquota privilegiata dalla Grazia. Nel suo furore polemico p r e n d e perfino sul serio e avalla la l e g g e n d a della papessa Giovanna, il cui sesso, dice, fu scoperto q u a n d o diede alla luce un b a m b i n o . Questo, p e r d i m o s t r a r e c h e il P a p a p u ò sbagliare. E q u a n d o sbaglia, «disobbedirgli è o b b e d i r e al Signore». I cristiani n o n devono p r e n d e r l o p e r guida. La loro bussola è la Bibbia, e basta. C o m e si vede, sono p r e s s a p p o c o le tesi di Wycliff. H u s s vi a g g i u n g e solo, p e r ragioni politiche c o n t i n g e n t i , u n a n o t a p i ù m a r c a t a m e n t e nazionalista, anzi razzista. Negli ultimi t e m p i la Boemia aveva subito u n a massiccia infiltrazione di elementi tedeschi. Già allora fra le d u e popolazioni si accend e v a n o conflitti. Lo slavo H u s s e r a v i o l e n t e m e n t e a n t i g e r manico, e questa patriottica colorazione contribuiva alla p o polarità delle sue tesi. La sua richiesta di u n a Chiesa nazionale n o n si a p p u n t a v a solo c o n t r o la Curia r o m a n a , ma anche c o n t r o l'alto clero in b u o n a p a r t e tedesco. E questa tesi nazionalistica è un e l e m e n t o che r i t r o v e r e m o in tutti i Paesi solidali con la Riforma. Ed eccoci a l l ' a n n o fatale. Ne LItalìa dei secoli d'oro abbiamo già n a r r a t o le vicende del Concilio che nel 1414 si r i u n ì a Costanza p e r m e t t e r e fine allo scandaloso scisma dei t r e Papi che si c o n t e n d e v a n o la tiara. L'occasione era b u o n a p e r s a n a r e a n c h e la r o t t u r a c h e si e r a d e t e r m i n a t a p e r via di 379
H u s s nella Chiesa b o e m a . A Praga, Venceslao n o n aveva figli che potessero c o n t i n u a r e la dinastia lussemburghese. Alla sua m o r t e , il R e a m e e r a d e s t i n a t o a e n t r a r e a far p a r t e della c o r o n a d e l Sacro R o m a n o I m p e r a t o r e S i g i s m o n d o . Costui n o n v o l e n d o i n t o p p i con la Chiesa che avrebbe d o vuto consacrare l'operazione, pensò di approfittare del Concilio p e r cercar di r i p o r t a r e in Boemia la pace religiosa. Propose a Huss di a n d a r e a Costanza p e r t e n t a r e u n a riconciliazione, p r o m e t t e n d o g l i un pubblico e libero dibattito sulle sue tesi e g a r a n t e n d o g l i il salvacondotto p e r il r i t o r n o . N o n o s t a n t e gli a m m o n i m e n t i dei suoi seguaci, H u s s si mise in viaggio scortato da alcuni di loro e da tre nobili. Fu accolto c o r t e s e m e n t e , t r a t t a t o c o m e ospite di r i g u a r d o , e d o p o qualche g i o r n o invitato a e s p o r r e il suo pensiero alla confer e n z a episcopale. Ma qui gli u m o r i dei Padri conciliari camb i a r o n o di colpo. Accusato di eresia e dichiarato colpevole, v e n n e arrestato su d u e piedi. Il t r a t t a m e n t o c h e subì in p r i g i o n e fu tale c h e p e r d u e volte i medici lo salvarono a stento dalla m o r t e . L'uomo che d o p o sette mesi r i c o m p a r v e davanti al Concilio n o n era più in g r a d o di d i f e n d e r e il p r o p r i o p e n s i e r o . Tuttavia e b b e la forza di n o n r i n n e g a r l o p r o p r i o del tutto, dicendosi p r o n t o a ritrattare ciò c h ' e r a in contrasto con le Scritture. Il Concilio n o n se ne c o n t e n t ò e gli chiese u n a sconfessione completa. Per q u a n t o sfinito, il ribelle la rifiutò. Lo r i c o n d u s s e r o in p r i g i o n e s p e r a n d o di v e n i r e a c a p o della sua ostinazione c o n la fame e le minacce. Ma i n v a n o . In u n a cella accanto alla sua, languiva il fido G e r o l a m o , arr e s t a t o a n c h e lui p e r a v e r p r e d i c a t o c o n t r o i m e t o d i del Concilio nei confronti del suo Maestro. Il 5 luglio (1415) fu p r o n u n z i a t a la sentenza: Huss e r a p r o c l a m a t o eretico al pari di Wycliff, le sue o p e r e d o v e v a n o essere bruciate e il suo c o r p o affidato al braccio secolare. Il relitto u m a n o salì sul r o g o con passo fermo e scomparve tra le fiamme i n t o n a n d o inni. L'anno d o p o fu la volta di G e r o l a m o . Sotto gl'interroga380
tori, i n u n m o m e n t o d i t e r r o r e , aveva r i n n e g a t o H u s s . M a q u a n d o lo ricondussero davanti ai suoi giudici, ritrattò la ritrattazione con sì appassionata eloquenza che per un mom e n t o il tribunale ne parve sopraffatto. Gli offrirono la salvezza se si pentiva e chiedeva p e r d o n o . G e r o l a m o rifiutò e m o r ì sullo stesso r o g o che aveva divorato il suo Maestro, anche lui c a n t a n d o . Sigismondo aveva protestato c o n t r o la violazione del salvac o n d o t t o che aveva dato a Huss. Ma il Concilio gli aveva secc a m e n t e risposto che la Chiesa, q u a n d o si trattava di p e r s e g u i r e i suoi n e m i c i , n o n aveva conti d a r e n d e r e a l p o t e r e t e m p o r a l e né p o t e v a e s s e r n e c o n d i z i o n a t a . E S i g i s m o n d o aveva chinato la testa p e r c h é , n o n o s t a n t e il suo titolo i m p e riale, egli n o n aveva, c o m e i Re d ' I n g h i l t e r r a , u n o Stato cui fare appello. Q u e s t o spiega la diversa sorte toccata a Wycliff e a Huss. Tuttavia n o n finì lì. Alla notizia del r o g o di Costanza, la Boemia p r e s e fuoco, e i seguaci di Huss assunsero il p o t e r e , sia p u r e i n n o m e d i Venceslao. Q u a n d o questi m o r ì d i u n attacco di c u o r e , essi offrirono la c o r o n a a S i g i s m o n d o , a p a t t o che riconoscesse i cosiddetti « q u a t t r o articoli di Praga»: u n a specie di Costituzione religiosa che sanciva le p r i n cipali tesi di H u s s . Sigismondo rifiutò e invase col suo esercito il Paese, c o n t r o cui il n u o v o Papa, M a r t i n o V, lanciò la scomunica. Da quel m o m e n t o la causa di H u s s s'identificava con quella d e l l ' i n d i p e n d e n z a nazionale: pericoloso fenomeno che v e d r e m o ripetersi in tutt'i Paesi della Riforma. Per d u e volte i patrioti ribelli s b a r a g l i a r o n o le forze imperiali, e p e r diciassett'anni r i m a s e r o p a d r o n i della Boemia. Poi si divisero in sètte e cominciarono a combattersi tra loro g a r e g g i a n d o in radicalismo p u r i t a n o . Il r e g i m e c h e lo inc a r n ò fu u n a specie di c o m u n i s m o che, p e r q u a n t o si chiamasse «evangelico», era già viziato di tutti peggiori attributi totalitari. Esso pretese realizzare un utopico «Regno di Dio» basato sull'assoluta uguaglianza dei cittadini e su u n a Chie381
sa nazionale il cui rituale ricopiava pari pari quello delle prime ecclesiae dei t e m p i apostolici. Esso rifiutava tutt'i sacramenti, salvo il battesimo e la c o m u n i o n e , i Santi, il p u r g a t o rio e il culto delle immagini e delle reliquie. L'intolleranza e gli eccessi polizieschi finirono p e r p r o v o care il m a l c o n t e n t o della p o p o l a z i o n e , che accolse con sollievo u n a p r o p o s t a del Concilio p e r l ' a p p i a n a m e n t o del conflitto. I fanatici, che avevano la loro roccaforte nella città di Tabor, la r e s p i n s e r o . Ma f u r o n o sopraffatti dalla m a g g i o ranza che alla fine accettò un c o m p r o m e s s o , sia p u r e basato su un testo piuttosto equivoco che autorizzava qualsiasi interpretazione, e riconobbe c o m e re Sigismondo. Q u e s t o poscritto a H u s s confermava che solo dove esisteva a l m e n o un e m b r i o n e di Stato, la Riforma poteva trionfar e . La Chiesa aveva ancora a disposizione un secolo p e r evitare che gli Stati, il cui avvento era c h i a r a m e n t e inevitabile, trovassero nella Riforma il p r o p r i o p u n t e l l o e a loro volta glielo fornissero. Ma sprecò quella specie di «condizionale» che la Storia le aveva concesso. E ora, ai p r i m i del C i n q u e c e n t o , i n o d i venivano al pettine.
CAPITOLO DECIMO
ERASMO
Un u o m o più di ogni altro aveva presentito la g r a n d e tempesta, in cui doveva trovarsi egli stesso sballottato e p e r lungo t e m p o incerto sul partito da p r e n d e r e , E r a s m o si chiamò da R o t t e r d a m a p p u n t o p e r c h é era nato in quella città, n o n si sa b e n e se nel 1466 o nel '69. Egli è stato p i u t t o s t o a v a r o d ' i n f o r m a z i o n i sulle p r o p r i e o r i g i n i p e r c h é era il figlio n a t u r a l e di un p r e t e , e p e r tutta la vita se ne v e r g o g n ò e cercò di n a s c o n d e r l o . M o r e n d o , il p a d r e lasciò a lui e a suo fratello un certo capitale in m o d o che p o tessero m a n t e n e r s i agli studi. Ma i tutori glielo m a n g i a r o n o e si liberarono dei d u e ragazzi mettendoli in convento. Erasmo, che già maneggiava s p l e n d i d a m e n t e il latino, compose in q u e s t a l i n g u a un saggio c h e p o r t a v a lo stesso titolo di quello con cui aveva d e b u t t a t o S a v o n a r o l a : De contempli! mundi, sul disprezzo del m o n d o . Ma la somiglianza fra i d u e scritti si ferma lì. Il frate ferrarese il m o n d o lo disprezzava d a v v e r o ; E r a s m o fingeva soltanto p e r c o m b a t t e r n e il desiderio. E infatti, presi i voti, a b b a n d o n ò il m o n a s t e r o p e r and a r a fare il segretario del Vescovo di Cambrai. Q u e s t o Vescovo e r a un b r a v ' u o m o c h e capì subito i talenti del g i o v a n o t t o , e li s e c o n d ò . E r a s m o , un p o ' c o m e il Petrarca - cui p e r tanti aspetti somiglia - era d o m i n a t o dalla passione dei libri e da u n a specie di delirio psico-motorio che p e r tutta la vita lo c o n d u s s e r a m i n g o p e r mezza E u r o pa. C h i e s e di p e r f e z i o n a r e i suoi s t u d i a Parigi, e il b u o n prelato accondiscese e ce lo m a n t e n n e . E r a s m o se ne d i m o strò meritevole, a l m e n o sul piano del profìtto. Divorò intere biblioteche, affinò il suo latino fino a c o m p o r r e con p i ù 383
e l e g a n z a di C i c e r o n e , s ' i n n a m o r ò di Seneca e di E p i c u r o , a n d ò in b r o d o di giuggiole p e r L o r e n z o Valla e i suoi libelli anticlericali. Ma q u a n t o a condotta, lasciò parecchio a desid e r a r e . F r e q u e n t ò a s s i d u a m e n t e le ragazze allegre del q u a r tiere e avanzò qualche d u b b i o a proposito della transustanziazione nell'Eucarestia. A quei t e m p i i libri n o n e r a n o m e n o costosi delle d o n n e , anzi forse lo e r a n o di più. E r a s m o , s e m p r e a corto di quattrini, n o n faceva c h e c h i e d e r n e al suo Vescovo e, n o n r i u scendo a forzarne la generosità oltre i limiti della p a r s i m o nia, cercò altri mecenati. U n a fu la m a d r e di un suo a l u n n o , la nobile fiamminga A n n a de Vere, che lo t e n n e ospite nel suo castello e gli fece un cospicuo d o n o . Subito d o p o un alt r o suo allievo, Mountjoy, se lo c o n d u s s e al s e g u i t o in I n g h i l t e r r a e lo mise in c o n t a t t o c o n T o m m a s o M o r o , c h e a sua volta lo p r e s e n t ò al futuro re Enrico V i l i e a tutti i più alti e s p o n e n t i della cultura umanistica britannica. C o m e testimoniano le sue lettere, fu quello u n o dei m o m e n t i più felici della vita di E r a s m o . Egli trovò incantevole la società di cui i Mountjoy e r a n o il c e n t r o e squisiti i suoi m o d i . F u s e d o t t o d a M o r o , allora p o c o p i ù c h e v e n t e n n e , forse a n c h e p e r c h é M o r o e r a sedotto da lui; e giunse perfino a e n t u s i a s m a r s i di un t e o l o g o di O x f o r d , Colet, n o n o stante la sua ortodossia. Ma n e m m e n o t u t t e q u e s t e delizie riuscirono a calmare la sua smania peripatetica. Di lì a poco volle t o r n a r e a Parigi, e a Dover i d o g a n i e r i gli g u a s t a r o n o il r i c o r d o di quel b e a t o soggiorno s e q u e s t r a n d o g l i le sterline di cui i suoi amici lo avevano m u n i t o p e r il viaggio. E r a s m o n o n se ne consolò mai. E d'allora in poi in fondo a ogni suo elogio dell'Inghilterra a g g i u n g e r à a m o ' di correttivo: «Purt r o p p o la sua dogana...» A Parigi pubblicò la sua p r i m a o p e r a d ' i m p e g n o , u n ' a n tologia di adagi o moralità tratte da a u t o r i classici e debitam e n t e c o m m e n t a t e . E difficile oggi r e n d e r s i r a g i o n e del clam o r e che il lavoro sollevò. Le citazioni e r a n o , c o m e tutte le citazioni, di seconda m a n o , e i c o m m e n t i intonati a u n a sag384
gezza un p o ' facilona e filistea o, c o m e oggi si direbbe, qualunquistica. E p p u r e quel libro, t r a d o t t o in cinque lingue, fu il best-seller del t e m p o , forse p e r c h é i lettori lo p r e s e r o p e r u n c o m o d o m a n u a l e cui a t t i n g e r e , nei loro c o m p o n i m e n t i l e t t e r a r i e o r a t o r i , delle frasi già c o n s a c r a t e . Fatto sta c h e E r a s m o ci c a m p ò sopra p e r a n n i , cioè avrebbe p o t u t o camp a r n e , se n o n avesse avuto le m a n i bucate. Di n u o v o al verd e , si rivolse a n c o r a alla signora de Vere, e con un'insistenza c h e g e t t a p u r t r o p p o q u a l c h e o m b r a sulla sua d i g n i t à . Per c o m m u o v e r l a , si attribuì p e r f i n o u n a grave malattia di occhi che n a t u r a l m e n t e guarì a p p e n a ricevuto il sussidio. Nel frattempo E r a s m o aveva ricevuto allettanti offerte di «benefici», cioè di b e n retribuiti incarichi ecclesiastici. Ma li aveva rifiutati. Preferiva fare il m e n d i c a n t e e lo scroccone piuttosto che il sacerdote: lo riteneva, si vede, più c o n s o n o alla sua qualità e libertà d'intellettuale. E impossibile, e forse a n c h e di p o c a utilità, s e g u i r l o in tutte le t a p p e del suo inquieto girovagare. Da Parigi a Lovanio, da Lovanio di n u o v o a Parigi, di qui a n c o r a in Inghilterra, dall'Inghilterra in Italia come guida e tutore di d u e ragazzi, figli del medico di Enrico VII, coi quali rimase un a n n o a B o l o g n a f r u g a n d o biblioteche e archivi, e c h e poi riacc o m p a g n ò a C a m b r i d g e , dove t e n n e un ciclo di conferenze. M a subito d o p o t o r n ò i n Italia, r i c h i a m a t o v i d a l rigoglio della c u l t u r a umanistica, dalla facilità della vita, ma sopratt u t t o da A l d o M a n u z i o , il famoso s t a m p a t o r e di Venezia. E r a s m o adorava la bottega di questo geniale artigiano, dove trascorreva giorni e notti a discutere i caratteri tipografici, a c o m p o r n e di sua m a n o , a i m p a g i n a r e , a c o r r e g g e r e bozze. C o m e trovasse, con questi continui spostamenti, il t e m p o d i l a v o r a r e , è u n m i s t e r o . E p p u r e l a sua p r o d u z i o n e n o n subiva soste. M e n t r e t r a d u c e v a Cicerone, la Ecuba di Euripide, i Dialoghi di Luciano, c o m p o n e v a i Colloqui, e i n o n d a va gli amici di lettere: ne scriveva fino a q u a r a n t a al giorno. N o n c'è n e a n c h e da dire che tutto il t e m p o che n o n trascorreva in carrozza o a cavallo lo passasse a tavolino: partecipa385
va anzi attivamente alla vita di società, n o n p e r d e v a occasione di conoscere, di farsi conoscere e soprattutto di farsi amm i r a r e . Per m a g g i o r libertà aveva a b b a n d o n a t o il saio e adottato abiti civili d i c e n d o di a v e r n e avuto il p e r m e s s o dal p a p a Giulio II, che aveva i n c o n t r a t o a Bologna. Tutti sapevano che n o n era vero, ma n e s s u n o mosse obbiezioni, n e m m e n o i Cardinali di C u r i a soggiogati dalla sua c u l t u r a , dal suo spirito, e forse più ancora dalla sua impertinenza: finalm e n t e avevano trovato q u a l c u n o che credeva in Dio a n c o r a m e n o d i l o r o , m a t r a d u c e v a l'eresie i n a p o l o g h i salottieri p u r g a n d o l e di o g n i s a p o r e di b e s t e m m i a e r e n d e n d o l e accettabili a n c h e all'orecchio più timorato. Per g r a t i t u d i n e gli offrirono di d i v e n t a r e d e i loro. E stavolta E r a s m o si lasciò quasi t e n t a r e : u n a sinecura a R o m a nei q u a d r i di u n a Curia che gli concedeva tutto q u a n t o a libertà di vita, di p e n s i e r o o di espressione, senza chiedergli nulla, poteva a n c h e convenirgli. Ma m e n t r e ci r i p e n s a v a , gli g i u n s e u n a lettera di Mountjoy: Enrico VII e r a m o r t o e il successore Enrico V i l i , l'amico suo, di Moro e degli umanisti, gli rivolgeva un indeclinabile invito: «Tornate in I n g h i l t e r r a , mio caro E r a s m o , e stabilitene voi stesso le condizioni. Noi c o n s i d e r i a m o la vostra p r e s e n z a qui c o m e il p i ù p r e z i o s o dei d o n i . E n o n vi c h i e d e r e m o n i e n t e , se n o n di fare del n o s t r o r e a m e la vostra casa». Sia p u r e a m a l i n c u o r e , E r a s m o disse a d d i o a R o m a e ai suoi amici C a r d i n a l i . Ma a p p e n a a r r i v a t o a L o n d r a se ne p e n t ì . Enrico gli porse un saluto che somigliava poco al caloroso invito che gli aveva rivolto; eppoi, a c c a m p a n d o i suoi i m p e g n i di lavoro, si disinteressò c o m p l e t a m e n t e di lui. Erasmo dovette contentarsi delle r e n d i t e di u n a parrocchia del K e n t , m a g g i o r a t e da u n o s t i p e n d i o di p r o f e s s o r e a C a m b r i d g e . Date le sue abitudini s p e n d a c c i o n e n o n gli sarebbe bastato, se n o n ci fosse stata la solita risorsa dei sussidi da p a r t e degli amici cui, p e r sdebitarsi, egli dedicava via via i suoi nuovi scritti. C o m e al solito, ne tirava avanti p a r e c c h i alla volta. Ma 386
quello c h e p i ù l o assorbiva e r a u n l u n g o saggio intitolato Laus stultitiae, o «elogio della follia», cui lavorò p e r d u e anni. Nello stile brillante e paradossale che sarà poi a n c h e quello di Voltaire, E r a s m o sostiene che tutto ciò che l ' u o m o ha fatto nel corso dei secoli lo deve n o n alla r a g i o n e , alla saggezza, al calcolo, all'intelletto, ma solo alla sua «follia», p e r tale i n t e n d e n d o l'istinto, l a p a s s i o n e , l ' e n t u s i a s m o , i n s o m m a o g n i irrazionale impulso. U n a esistenza governata dalla logica, dice Erasmo, sarebbe insopportabile: n o n conoscerebbe né poesia, né eroismo, né sogni e n e m m e n o a m o r e . Ecco p e r c h é bisogna liberarsi - m a n d a n d o l i a combattere contro i T u r c h i c h e f u g g i r e b b e r o a t t e r r i t i alla loro vista - di tutti coloro c h e i n t e n d o n o pianificare la vita, a c o m i n c i a r e dai teologi, q u e s t i m i l l a n t a t o r i di c r e d i t o , c h e si a r r o g a n o dei poteri che n o n h a n n o , in n o m e di un Dio che n o n gliene ha delegato n e s s u n o . E via, c o n t r o tutte le autorità costituite a cominciare dal Papa, su questo t o n o fra la satira e la r a m p o gna. Il libro ebbe un successo che batté l a r g a m e n t e quello degli adagi. In dodici lingue ne furono stampate q u a r a n t a edizioni, q u a n t e forse n o n ne aveva avute n e m m e n o la Bibbia in quindici secoli. Lo stesso Erasmo dovette esserne stupito. Ma il fatto è che, con perfetto t e m p i s m o , egli aveva anticipato (la p r i m a edizione è del 1511, sei a n n i p r i m a delle «Tesi» di L u t e r o ) , nello stile più gradito e accessibile al pubblico, u n a polemica c h ' e r a già nell'aria. E difficile dire se il lett o r e gustasse di p i ù la d e n u n z i a c o n t r o la C h i e s a e la sua pretesa di spiegare razionalmente Dio e di a m m i n i s t r a r n e il castigo e il p e r d o n o , o p p u r e lo sfavillio delle arguzie, delle «trovate», dei paradossi di cui E r a s m o condiva la sua requisitoria. Ch'egli sentisse p r o f o n d a m e n t e il p r o b l e m a religioso, c'è da d u b i t a r n e , anzi è da escludere senz'altro. Ma sentì che lo sentiva la pubblica opinione, di cui colse e r a p p r e s e n tò gli u m o r i nel m o m e n t o e nei m o d i più indovinati. I fatti p o i d i m o s t r a r o n o ch'egli n o n i n t e n d e v a f o m e n t a r e scismi d e n t r o la Chiesa. Ma, a v e n d o n e presentito la crisi, n o n ave387
va resistito alla t e n t a z i o n e di farsene l'araldo, in tal m o d o c o n t r i b u e n d o a precipitarla. N o n i m m a g i n a v a di certo c h e di quella polemica, in cui era e n t r a t o p e r a m o r di successo, e r a d e s t i n a t o a r e s t a r e egli stesso p r i g i o n i e r o , il g i o r n o in cui L u t e r o , Zuinglio e Calvino l ' a v r e b b e r o t r a s f o r m a t a in u n a d r a m m a t i c a g u e r r a d i r e l i g i o n e p e r l a q u a l e egli n o n era tagliato. Ma n o n anticipiamo. Visto che aveva toccato il tasto giusto, E r a s m o v'insistè p u b b l i c a n d o nel 1514, ma senza firma, u n a corbellatura di Giulio II e dei suoi furori militareschi che n o n d e p o n e tanto a d i s o n o r e di q u e l Papa, q u a n t o a o n o r e della sua tolleranza. Il libello infatti avrebbe meritato un castigo n o n foss'altro c h e p e r il suo cattivo g u s t o . Giulio aveva effettivam e n t e più la stoffa del soldato che del p r e t e . Ma era un gen e r a l e , n o n un caporale c o m e E r a s m o lo r a p p r e s e n t a v a . E lo d i m o s t r ò fingendo d ' i g n o r a r e l'identità del suo calunniat o r e sebbene fosse arcinota e lo stesso E r a s m o , sul quale la vanità p o t e v a quasi p i ù della p r u d e n z a , facesse b e n p o c o p e r serbare il segreto. Alcuni a n n i più t a r d i , nel 1518, egli d i e d e alle s t a m p e i Colloqui, che veniva c o m p o n e n d o da oltre tre lustri e ch'egli stesso definisce «modelli di c o n v e r s a z i o n e familiare, utili n o n soltanto al p e r f e z i o n a m e n t o dello stile dei giovani, ma a n c h e alla f o r m a z i o n e del l o r o carattere». S e b b e n e n o n vi m a n c h i n o le banalità, a p p a r t i e n e all'Erasmo moralista degli «adagi», cioè al miglior E r a s m o . Ma a n c h e in q u e s t ' o p e r a egli trovò il m o d o di scandalizzare, b e n s a p e n d o che lo scandalo e r a la fonte del successo. Infatti se ne v e n d e t t e r o ventiq u a t t r o m i l a copie: cifra e n o r m e p e r q u e i t e m p i d i diffuso analfabetismo (e a n c h e p e r quelli nostri). Ma o r a Erasmo e r a i m m e r s o in un altro e più impegnativo lavoro: u n a t r a d u z i o n e dal testo greco del N u o v o Testam e n t o . Q u a n d o a n d ò a Basilea p e r p a r l a r n e allo stampatore Froben, questi esitò. U n a t r a d u z i o n e di quel testo esisteva già: e r a la c o s i d d e t t a Vulgata di San G i r o l a m o , c h e la Chiesa considerava definitiva e intoccabile. E d'altra p a r t e 388
su quale clientela laica un simile libro p o t e v a c o n t a r e ? Ma e r a E r a s m o , il più v e n d u t o degli a u t o r i , F r o b e n n o n volle lasciarselo s c a p p a r e e vide giusto p e r c h é E r a s m o aveva ancora u n a volta azzeccato l'impresa e il m o m e n t o di tentarla. Il pubblico, stufo di teologia, e r a assetato di Bibbia, e di u n a Bibbia restituita alle sue dimensioni di testo scritto da uomini, m a g a r i ispirati, ma p e r altri u o m i n i . E r a s m o vi riuscì s p l e n d i d a m e n t e s o p r a t t u t t o con l e n o t e d i c o m m e n t o che f u r o n o pubblicate in un v o l u m e a p a r t e . Esse n o n c o n t e n g o n o nulla di eretico. Ma n o n p e r d o n o occasione di sottolin e a r e la differenza fra la Chiesa di Cristo e quella dei Papi. Dice E r a s m o in u n a di esse su Matteo: «Niente si attaglia meglio alla n a t u r a d e l l ' u o m o che la filosofia di Cristo, il cui solo fine è di r e n d e r l e la sua innocenza e integrità. La Chiesa ci aggiunse parecchie cose, del tutto s u p e r f l u e alla fede, c o m e p e r e s e m p i o le d o t t r i n e sulla Deità e la sua distinzione in più p e r s o n e . E q u a n t e regole, e q u a n t e superstizioni e q u a n t i inutili fasti a p p e s a n t i s c o n o il rituale! C h e p e n s a r e dei voti, dell'autorità attribuita al Papa e dell'uso che si fa di dispense e assoluzioni? Meglio v a r r e b be lasciare che Cristo governi secondo le leggi del Vangelo i m p e d e n d o agli u o m i n i di rafforzare coi loro decreti la p r o pria oscurantistica tirannide». E r a il benservito alla teologia, cioè a tutta l ' i m p a l c a t u r a ideologica della Chiesa, e infatti sollevò violente p r o t e s t e . Ma a silenziarle p r o v v i d e il n u o v o p a p a L e o n e X, cui Erasmo si e r a in p r e c e d e n z a rivolto p e r o t t e n e r n e la d i s p e n s a dagli obblighi monastici. L e o n e n o n solo gliela concesse, ma a c c o m p a g n ò l'esenzione con u n a lettera personale in cui l'um a n i s t a aveva, c o m e al solito, p r e s o la m a n o al Pontefice: «Amato figlio, salute e apostolica benedizione. La vostra rara e r u d i z i o n e e gli alti meriti, testimoniati n o n soltanto dai m o n u m e n t i dei vostri studi, ma a n c h e dalla g e n e r a l e a p p r o vazione degli u o m i n i più colti, ci d a n n o motivo di riservarvi un t r a t t a m e n t o di particolare favore...» Anche il Papa d u n q u e s'inchinava al successo di Erasmo, 389
e lo consacrava. Carlo V, tuttora Re di S p a g n a e Signore dei Paesi Bassi in attesa di d i v e n t a r e I m p e r a t o r e , gli scrisse a sua volta offrendogli la carica di consigliere privato presso la sua Corte di Bruxelles. Per ragioni di concorrenza, Francesco I di Francia gli fece identica p r o p o s t a . E r a s m o scelse Carlo, ma di consigli gliene diede pochi. La politica n o n e r a il s u o p a n e , e il t r a t t a t o c h e le d e d i c ò p e r giustificare alla meglio i suoi stipendi, l'Educazione di un principe cristiano, è un compituccio che deve aver fatto s o r r i d e r e Machiavelli. Erasmo sfiorava o r m a i la cinquantina, e aveva ai suoi piedi l'Europa. I più potenti sovrani se ne disputavano i favori. I p i ù g r a n d i e r u d i t i e r a n o in c o r r i s p o n d e n z a con lui, e T o m m a s o M o r o gli scriveva: «L'unica cosa che mi dà qualche diritto di s p e r a r e di essere ricordato ai posteri è il fatto che voi mi abbiate r i t e n u t o d e g n o delle vostre lettere». I più g r a n d i pittori facevano a g a r a nel r i t r a r l o . H o l b e i n batté i rivali p e r verità e p o t e n z a di r a p p r e s e n t a z i o n e . Fisicamente, E r a s m o n o n aveva nulla di suggestivo. E r a piccolo, fragile, e s a n g u e . Sul suo volto emaciato, malinconico e assorto - il volto dell'intellettuale - facevano spicco un l u n g o naso a becco e gii occhi azzurri, vivaci e inquieti. N o n si e r a mai sposato, forse p e r egoismo, forse p e r bisogno di libertà e di raccoglimento. E p u r trovandosi a suo agio nel lusso delle case altrui, quella sua la preferiva semplice, come del resto e r a n o i suoi gusti. Soffriva d'insonnia, e forse questo è il segreto della sua meravigliosa p r o d u z i o n e . Sebb e n e u n a congenita debolezza di stomaco l'obbligasse a u n a dieta rigorosa, detestava i digiuni e rifiutava il pesce a n c h e nei giorni di m a g r o . P r o b a b i l m e n t e , dice D u r a n t , fu la sua bile a c o l o r a r e la sua teologia. In c o m p e n s o beveva m o l t o vino e lo s o p p o r t a v a benissimo: n e s s u n o lo vide mai ubriaco. Diceva d'infischiarsi del d e n a r o , e forse è vero nel senso che n o n cercò mai di a c c u m u l a r n e . Ma q u a n d o ne aveva bisogno - e gli succedeva spesso -, n o n si vergognava di chied e r n e a dritta e a m a n c a . A n c h e della gloria diceva d'infischiarsi, ma n o n p e r d o n a v a a chi n o n gliela riconosceva. 390
C h i u n q u e gli r e n d e s s e servizio poteva c o n t a r e sulla sua ingratitudine, e in alcune occasioni si dimostrò spietato, e perfino cinico, come q u a n d o , alla notizia che alcuni eretici erano stati bruciati, esclamò: «Che noia, questi roghi! P r o p r i o o r a che siamo alle p o r t e dell'inverno, rischiamo di far rialzare il prezzo della legna!» Il tratto p i ù caratteristico del suo talento e r a u n a straord i n a r i a capacità di c o n c e n t r a z i o n e . All'opposto di L e o n a r d o , i suoi interessi e r a n o limitatissimi. Q u e s t o instancabile viaggiatore n o n si fermò mai ad a m m i r a r e l'architettura di u n a basilica, un affresco di Raffaello, u n a statua di Michelangelo o di Donatello; n o n sapeva nulla di scienza, sorrideva dell'astronomia, n o n riuscì mai a convincersi che la t e r r a fosse r o t o n d a , e ai c o n c e r t i si a n n o i a v a m o r t a l m e n t e . Le u n i c h e sue passioni e r a n o la l e t t e r a t u r a e la filosofìa classiche. N o n che le conoscesse a fondo, o p e r lo m e n o in estensione. L e g g e v a il greco con fatica, di ebraico sapeva p o c h e p a r o l e a p p e n a . M a era u n o d i quei f i l o l o g i che, sorretti d a un gusto e da un intuito infallibili, riescono a p e n e t r a r e anche ciò che n o n riescono a l e g g e r e . Spesso citava a m e m o ria, senza t r o p p o curarsi dell'esattezza. Nella sua traduzion e del N u o v o T e s t a m e n t o , gl'inveleniti teologi c o n t a r o n o q u a t t r o m i l a e r r o r i . Forse a v e v a n o r a g i o n e . M a n e s s u n o d i loro sarebbe stato e fu mai in g r a d o di d a r e a un testo biblico la splendida forma che gli diede E r a s m o e di affezionarvi la massa dei lettori. Di questi lettori c'è da stupirsi c h e E r a s m o riuscisse ad a v e r n e tanti, e così entusiasti, p u r scrivendo in latino, cioè i n u n a l i n g u a c h e , o r m a i n o n p i ù «parlata», a n c h e letterar i a m e n t e cominciava a c e d e r e il posto a quelle volgari, dalle quali E r a s m o n o n fu mai t e n t a t o . Egli m a n e g g i a v a malissimo n o n solo il francese e l'inglese, ma a n c h e il suo fiammingo. In c o m p e n s o p e r ò il suo latino e r a un m o d e l l o , e n o n d'imitazione. Se la s t r u t t u r a del p e r i o d o e r a classicamente c i c e r o n i a n a , d e n t r o c ' e r a n o u n o spirito, u n ' o r i g i n a l i t à , un'immediatezza, che avevano il p o t e r e di trasformare quel391
la lingua m o r t a in u n a lingua viva, p i ù viva a n c h e di quella del Petrarca. Q u e s t o fu il p r i m o motivo del suo successo di scrittore, ma n o n il solo. La verità è che E r a s m o , più che un g r a n d e e r u d i t o e p r o f o n d o p e n s a t o r e , fu un magnifico, inimitabile giornalista, che «sentiva» il pubblico e r i s p o n d e v a p u n t u a l m e n t e alle sue aspettative. Poteva sbagliare l'impostazione o la soluzione di un p r o b l e m a , ma m a i il «tempo» di affrontarlo. Il giubilo con cui nella s t a m p e r i a di M a n u z i o assiste, fra torchi e inchiostri, alla nascita della pagina, l'impazienza con cui ne sollecita la composizione p e r p a u r a ch'essa p e r d a di «attualità», sono indicativi. Altrettanto lo è la «misura» dei suoi scritti. E r a s m o sbaglia il «trattato», n o n s e m p r e azzecca il «saggio», ma brilla i m m a n c a b i l m e n t e neh'«articolo», c o m e testimoniano le lettere, insuperati modelli di altissimo reportage, il suo vero capolavoro. Del giornalista ebbe a n c h e i limiti, e lo dimostra il seguito della sua vita su cui t o r n e r e m o . Per o r a lasciamolo qui a Bruxelles, di dove, a p p e n a arrivatoci, scrisse al C a r d i n a l e di York: «In q u e s t a p a r t e d e l m o n d o i l m i o n a s o a v v e r t e u n g r a n puzzo di rivoluzione». Q u e s t a lettera p o r t a la data del 9 settembre 1517, e a n c o r a u n a volta dimostra che il suo naso n o n s'ingannava mai. La rivoluzione scoppiò infatti di lì a d u e mesi, a n c h e se in G e r m a n i a invece che in Belgio. Ma il naso di Erasmo, sebbene così l u n g o e sensibile, n o n lo fu abb a s t a n z a da fargli p r e s e n t i r e le p r o p o r z i o n i di un avvenim e n t o destinato a sorpassare a n c h e lui, che tanto aveva contribuito a provocarlo. Era la sorte, c o m u n e a p p u n t o a tanti giornalisti, dell'app r e n d i s t a stregone.
CAPITOLO UNDICESIMO
W I T T E N B E R G , 1517
Il g r a n d e d r a m m a della coscienza cristiana p r e s e avvio da un futile pretesto. A R o m a sedeva sul Soglio L e o n e X, il figlio di L o r e n z o d e ' Medici, n o n m e n o Magnifico di suo p a d r e . Abbiamo già d e t t o c h e , cresciuto fra gli sfarzi e le raffinatezze della Fir e n z e quattrocentesca, egli possedeva le migliori qualità del Signore rinascimentale: la cultura, il gusto, il mecenatismo, la tolleranza. A v e n d o ereditato dal suo p r e d e c e s s o r e Giulio II u n a cassaforte p i e n a di soldi, n o n aveva esitato ad attingervi g e n e r o s a m e n t e p e r restituire all'Urbe il suo r a n g o di caput mundi. Venne il m o m e n t o in cui le casse furono in secco. E p e r rifornirle, il P a p a ricorse al t r a d i z i o n a l e sistema collaudato nei secoli. 1115 m a r z o 1517 p r o m u l g ò YIndulgenza, cioè invitò tutti i fedeli a riscattare i p r o p r i peccati con un'offerta di d e n a r o . N e s s u n o dei suoi consiglieri cercò di dissuaderlo. La Curia r o m a n a aveva s e m p r e risolto, in caso di bisogno, i suoi p r o b l e m i f i n a n z i a r i i m p o n e n d o quella specie d i p e d a g g i o p e r l'accesso al p a r a d i s o . Gli unici che facevano opposizion e , o a l m e n o m o s t r a v a n o un c e r t o m a l u m o r e , e r a n o i Re stranieri, scontenti di v e d e r e il d e n a r o dei loro sudditi p r e n d e r e la via di R o m a . Ma L e o n e , figlio di b a n c h i e r e , aveva già p r o v v e d u t o ad assicurarsene l'appoggio, g a r a n t e n d o loro u n a partecipazione agli utili dell'operazione. Enrico V i l i d ' I n g h i l t e r r a e r a a u t o r i z z a t o a t r a t t e n e r e u n q u a r t o della s o m m a raccolta; circa altrettanto veniva concesso a Francesco I di Francia; e q u a n t o a Carlo I di S p a g n a (quello che di lì a poco sarebbe diventato l ' i m p e r a t o r e Carlo V), che a n n a 393
spava fra gravi angustie di bilancio, fu tacitato con un anticipo di 175.000 ducati sul gettito del suo Paese. Alla G e r m a n i a fu riservato un t r a t t a m e n t o m e n o g e n e r o s o p e r c h é n o n c'era u n p o t e r e c e n t r a l e che potesse n e g o ziarlo. L'imperatore Massimiliano, c o m e tutti g l ' I m p e r a t o r i , contava poco m a l g r a d o la solennità del titolo - n o n ereditar i o , m a elettivo - , e q u i n d i e b b e s o l t a n t o u n a m a n c i a d i 3.000 fiorini. Più laborioso fu l'accordo con la p o t e n t e dinastia dei banchieri Fugger, che p r a t i c a m e n t e avevano in mano il portafoglio del Paese. Essi p e r ò avevano in p r e c e d e n z a prestato 20.000 fiorini al p r i n c i p e Alberto di B r a n d e b u r g o , il quale li aveva versati al Papa p e r o t t e n e r n e l'investitura all'Arcivescovato di Magonza. L e o n e accettò che Alberto restituisse ai suoi finanziatori quella s o m m a sul gettito dell'indulgenza, e p e r dargli il m o d o di raggranellarla gli affidò la raccolta degli oboli delle tre diocesi di Magonza, M a g d e b u r go e Halberstadt. C o m e suo a g e n t e e collettore, Alberto n o m i n ò un frate d o m e n i c a n o , Giovanni Tetzel, che in quel g e n e r e d'incarichi si e r a già distinto. Era un piazzista p i e n o d ' e n t u s i a s m o p e r il p r o d o t t o che doveva smerciare: la Grazia. E p e r reclamizzarlo aveva dato p r o v a di un autentico genio pubblicitario. D o v u n q u e andasse, con l'aiuto del clero locale, si faceva accogliere da folle p l a u d e n t i che lo scortavano con canti e b a n d i e r e . M o s t r a n d o la bolla d e l l ' i n d u l g e n z a posata su un cuscino di velluto, egli ne decantava agli astanti le virtù redentrici. Dice un g r a n d e storico cattolico, il Pastor, che n o n p u ò essere sospettato di simpatie protestanti: «Non c'è d u b bio che Tetzel spacciava p e r d o t t r i n a cristiana l'assicurazione che un'offerta di d e n a r o bastava a lavare il peccato, anche senza bisogno di confessione e di p e n t i m e n t o . Egli anche insegnava, secondo l'opinione c o r r e n t e , che l'indulgenza e r a valida c o n t r o q u a l u n q u e peccato. P a r t e n d o da questa premessa, Tetzel dava c o r p o al p r o v e r b i o p o p o l a r e : Appena il quattrino in cassa tinnisce - dal purgatorio l'anima fiorisce». E il francescano Miconio, forse a n c h e p e r antipatia verso i d o 394
menicani, d o p o aver udito Tetzel, osservò: «E incredibile cosa p u ò dire quel m o n a c o i g n o r a n t e . Secondo lui, il Papa ha più p o t e r e degli Apostoli e dei Santi, e forse a n c h e della Madonna». Tuttavia, p e r q u a n t o i g n o r a n t e , Tetzel n o n lo e r a più di tanti altri monaci, che p r o p a g a n d a v a n o l'indulgenza press a p p o c o allo stesso m o d o . E q u i n d i la Storia n o n a v r e b b e avuto alcun motivo di accoglierlo fra i suoi p r o t a g o n i s t i , e n e m m e n o fra i suoi c o m p r i m a r i , se il caso n o n gli avesse assegnato, c o m e collegio elettorale, a n c h e la Sassonia. Q u e s t a r e g i o n e , in seguito a u n a complicata eredità, era stata divisa in d u e province: quella Albertina, sotto la signoria del d u c a Alberto di Wettin, e quella Ernestina, sotto la signoria di suo fratello Federico. Q u e s t ' u l t i m o era un principe saggio e m o d e r a t o in tutto fuorché nella pietà, che sconfinava a d d i r i t t u r a nella b a c c h e t t o n e r i a . Aveva d i l a p i d a t o il suo p a t r i m o n i o p e r incettare reliquie di Santi, delle quali in t u t t o il m o n d o si seguitava a fare i n d e g n o m e r c a t o fin dai t e m p i d e i secoli b u i , e a c o l l e z i o n a r n e migliaia nelle sue chiese. Era u n o dei pochi signori che n o n si o p p o n e v a n o alle i n d u l g e n z e , t r o v a n d o l e del tutto giustificate. Anzi, si e r a servito p r o p r i o di Tetzel p e r caldeggiare quella b a n d i t a sedici a n n i p r i m a dal p a p a Borgia p e r finanziare u n a crociata contro i Turchi. Ma siccome poi la crociata n o n si e r a fatta, Federico si e r a rifiutato di versare i soldi a R o m a e li aveva destinati invece al p o t e n z i a m e n t o dell'università di Wittenberg. Ne e r a derivata fra lui e il Vaticano u n a piccola «guerr a fredda» c h e o r a i n d u c e v a q u e s t o P r i n c i p e d e v o t o , m a ostinato, a proibire l'ingresso di Tetzel nei suoi d o m i n i . Tuttavia a Wittenberg essendosi saputo che il frate si aggirava nei p a r a g g i , molti sconfinarono p e r r a g g i u n g e r l o e procurarsi l'indulgenza, e p p o i t o r n a r o n o col loro bravo certificato di assoluzione. Ma n o n tutti gli acquirenti e r a n o p e r suasi della sua validità. Q u a l c u n o , d u b i t a n d o n e , a n d ò a mostrarlo a un professore di teologia, che allora andava p e r la maggiore: Martin L u t e r o . Costui n o n volle p r o n u n c i a r s i né 395
rilasciare perizie. Il suo rifiuto giunse all'orecchio di Tetzel. E questi lo d e n u n z i ò all'Arcivescovo p e r indisciplina e ribellione. L u n g i dallo s g o m e n t a r s e n e , L u t e r o si p r e p a r ò a difendere i suoi p u n t i di vista. Li riassunse in u n a Disputatio prò declaratione virtutis indulgentiarum, d i s p u t a sul p o t e r e delle indulgenze, divisa in n o v a n t a c i n q u e Tesi o capitoli. E il 31 ottobre (o forse il 1° n o v e m b r e : la data è incerta) di quell'anno 1517 li affisse sulla p o r t a della chiesa del castello in m o d o c h e tutti n e p r e n d e s s e r o visione. Così a l m e n o dice l a m a g g i o r a n z a degli storici. Ma secondo altri, le Tèsi n o n fur o n o affisse, ma m a n d a t e in lettura ai Vescovi tedeschi. C o m u n q u e , il gesto n o n aveva in sé nulla di rivoluzionario. L'affissione delle tesi era un vecchio uso delle Università medievali, che se ne servivano p e r r i c h i a m a r e l'attenzione della g e n t e su q u a l c h e dibattito di particolare i m p o r t a n z a . E anche il c o n t e n u t o n o n implicava atteggiamenti di rivolta e di eresia. L u t e r o diceva che la corrività con cui si concedeva il perd o n o sminuiva il peccato facendone materia di facili e disinvolti c o m p r o m e s s i , e a n d a v a a tutto scapito della contrizione e della penitenza. Egli n o n negava la facoltà del Papa di amnistiare il p e c c a t o r e dai castighi inflittigli dal sacerdote; ma q u a n t o a quelli inflitti dal Signore a base di soggiorni in p u r g a t o r i o , L u t e r o n e faceva d i p e n d e r e l a grazia n o n dal p o t e r e discrezionale del Papa, ma da quello d'intercessione delle sue p r e g h i e r e , le quali p o t e v a n o essere accolte, ma anche r e s p i n t e , d a l l ' O n n i p o t e n t e . Tutti i cristiani, egli dice, possono beneficiare della R e d e n z i o n e p a g a t a da Gesù, p e r conto di tutti, col suo martirio, a n c h e senza bisogno di u n a «raccomandazione» papale. Tuttavia, egli a g g i u n g e , il Somm o Pontefice n o n p u ò essere t e n u t o responsabile delle ass u r d e p r e t e s e che gli attribuiscono i suoi p r e d i c a t o r i , alter a n d o n e la p a r o l a e le intenzioni. C o s t o r o , con la loro frenetica inflazione di p e r d o n i , finiscono p e r d i s c r e d i t a r e lo stesso Papa e s p o n e n d o l o senza difesa alla insidiosa d o m a n 396
da dei miscredenti: «Perché d u n q u e n o n svuota il Purgatorio r e d i m e n d o n e in blocco le a n i m e penitenti in n o m e dell'Amore p r e d i c a t o da Cristo, questo Papa che ha il p o t e r e di farlo p e r u n a miserabile manciata di quattrini?» L u t e r o diceva p e r ò d i voler d i s c u t e r e questi p r o b l e m i p e r a m o r e della Fede e col proposito di r e n d e r n e più chiari i precetti. Anzi, p e r evitare che sorgessero equivoci e malintesi sulla loro i n t e r p r e t a z i o n e fra la g e n t e p o c o e s p e r t a di latino, t r a d u s s e le Tesi in tedesco e d i e d e al d o c u m e n t o la più a m p i a diffusione fra i tremila abitanti di Wittenberg. Ne m a n d ò u n a copia anche all'arcivescovo Alberto di Magonza. E il gesto ci dimostra q u a n t o fosse lontano dal p r e v e d e r e le conseguenze della sua polemica. Questa infatti rimase p e r il m o m e n t o circoscritta fra lui e Tetzel, che r e p l i c ò alle Tesi con un d o c u m e n t o intitolato «Centosei Antitesi». Ma q u a n d o un suo emissario v e n n e a diffonderne il testo fra gli studenti di Wittenberg, costoro lo m a l m e n a r o n o e b r u c i a r o n o tutta la sua m e r c a n z i a . L u t e r o d i s a p p r o v ò la violenza con p a r o l e che tuttavia t r a d i v a n o il suo c o m p i a c i m e n t o , e confutò le accuse del suo avversario con un «Sermone sulle i n d u l g e n z e e la Grazia» che terminava c o n queste p a r o l e di sfida: «Finché a tacciarmi di eresia sono coloro che dalle mie verità v e d o n o minacciate le loro borse, n o n me ne c u r o : la loro reazione deriva soltanto dal fatto che n o n conoscono la Bibbia». Ma questa replica ebbe u n a tale eco in tutta la G e r m a n i a , che alcuni grossi calibri della Chiesa si v i d e r o indotti a intervenire. Silvestro Prierias pubblicò a R o m a un Dialogo che rabbiosamente ribadiva l'assoluto p r i m a t o del P a p a e la validità delle sue indulgenze. E Giovanni Eck, vice-rettore dell'Università di Ingolstadt, c o m p o s e un Obelisci che additava in L u t e r o u n o spacciatore del «veleno boemo», cioè un p r o pagandista delle eresie di Huss. L u t e r o ribatté con un opuscolo in latino, Resolutiones, dal tono piuttosto a s p r o , ma che ancora u n a volta scagionava il P a p a e lo escludeva dalla diatriba, anzi zie tesseva l'elogio. 397
«Ora che finalmente abbiamo un eccellente Pontefice c o m e L e o n e X, la cui integrità e sapienza fanno la delizia di tutte le p e r s o n e dabbene...» E con s u p r e m a abilità a g g i u n g e v a : «... in un p e r i o d o arruffato e c o r r o t t o c o m e quello attuale, d e g n o soltanto di Papi c o m e Giulio II e A l e s s a n d r o VI...» Ancora più r i g u a r d o s a era la lettera che scrisse d i r e t t a m e n te a L e o n e m a n d a n d o g l i copia del suo opuscolo: «Beatissimo P a d r e , mi offro p r o s t r a t o ai p i e d i della Vostra Santità, con tutto ciò che io sono ed h o . A p p r o v a t e m i o disapprovatemi, c h i a m a t e m i o respingetemi, c o m e più Vi s e m b r a giusto: io riconoscerò la Vostra voce c o m e la voce di Cristo, e n o n mi ci sottrarrò». Il P a p a lo p r e s e in p a r o l a e lo convocò a R o m a . Molto p r o b a b i l m e n t e n o n aveva n e s s u n a i n t e n z i o n e di fargli fare l a f i n e d i H u s s p e r c h é quei m e t o d i r i p u g n a v a n o n o n solo alla sua u m a n i t à , ma a n c h e alla sua intelligenza. Ma L u t e r o riflettè che un u o m o si p o t e v a u c c i d e r e a n c h e senza r o g o , p e r e s e m p i o n o m i n a n d o l o Abate d i u n bel m o n a s t e r o dell'Urbe e lasciandovelo funghire p e r il resto dei suoi giorni. Tuttavia a n c h e il rifiuto di p r e s e n t a r s i era un gesto d'insub o r d i n a z i o n e che implicava u n a confessione di colpevolezza. Prima di decidersi, scrisse a Giorgio Spalatino, cappellano del duca Federico, p e r c h é si facesse p r o m o t o r e di un atto che tutt'i Principi tedeschi avrebbero d o v u t o sottoscrivere p e r g a r a n t i r e i loro s u d d i t i da e v e n t u a l i estradizioni in Italia su richiesta della Chiesa. Era l'appello allo Stato: u n o Stato c h e in G e r m a n i a s'identificava col Land, cioè con la r e g i o n e , invece che con la nazione; ma che già t e n d e v a all'assolutismo. Federico accolse la richiesta e la inoltrò a l l ' i m p e r a t o r e Massimiliano p e r ché l'avallasse in n o m e di tutta la G e r m a n i a . Massimiliano probabilmente non ne comprese l'importanza. Ma pensò che L u t e r o poteva diventare u n a b u o n a carta nel suo giuoco diplomatico con Roma. E rispose a Federico a p p r o v a n d o la sua decisione e consigliandogli di «prendersi b u o n a cura di quel monaco». 398
Così il conflitto uscì dall'ambito personale p e r investire i r a p p o r t i fra Stato e Chiesa. Ma p r i m a d'inoltrarci nella sua vicenda, cerchiamo di capire chi era l'uomo che ne assumeva la p a r t e di protagonista e p e r quali circostanze politiche, e c o n o m i c h e , sociali, oltre c h e spirituali, p o t è c o n d u r l a in porto.
CAPITOLO DODICESIMO
IL R I B E L L E
P r i m o g e n i t o di u n a n i d i a t a di sette fratelli, M a r t i n L u t e r o e r a n a t o a Eisleben nel 1 4 8 3 . Suo p a d r e H a n s e r a u n e x c o n t a d i n o fattosi m i n a t o r e : u n u o m o severo, d u r o , collerico, avaro e furiosamente anticlericale. Sua m a d r e Grete era al c o n t r a r i o t u t t a casa e chiesa. Ma in c o m u n e col m a r i t o aveva un'incrollabile fede nell'efficacia pedagogica della frusta. Martino più tardi confessò di avere a un certo m o m e n t o odiato i suoi genitori p e r via delle busse che ne riceveva. E in quest'odio alcuni suoi biografi inclini alla psicanalisi h a n no c r e d u t o di ravvisare il t r a u m a infantile che avrebbe originato la sua rivolta c o n t r o la Chiesa: nel suo subconscio egli «trasferì» il p a d r e nel Papa e ne fece l'oggetto di un inestinguibile r a n c o r e . E u n a tesi su cui n o n ci s e n t i a m o di p r o n u n c i a r c i . Ma è c o m u n q u e m o l t o p r o b a b i l e che l a p r i m a i m m a g i n e ch'egli si raffigurò di Dio - e se la raffigurò abbastanza p r e s t o - riflettesse in q u a l c h e m o d o quella c h e col l o r o e s e m p i o gli avevano suggerito i genitori: n o n un t e n e r o P a d r e disposto al p e r d o n o , ma u n o spietato Giudice più largo di passaporti p e r l'inferno che p e r il p a r a d i s o . Il ragazzo e r a cresciuto a u n a stretta dieta di digiuni e p e n i t e n z e . H a n s aveva t e n u t o la famiglia a stecchetto a n c h e d o p o esser diventato un facoltoso m e r c a n t e p e r c h é secondo lui la ricchezza n o n consisteva nei soldi che si g u a d a g n a n o , ma in quelli che n o n si spend o n o . Tuttavia i successi scolastici di Martino lo i n d u s s e r o a fargli c o n t i n u a r e gli studi d a p p r i m a a M a g d e b u r g o , e poi a Eisenach. Per la p r i m a volta a quattordici anni, il ragazzo conobbe 400
la tenerezza. Gliela p r o d i g ò Frau Cotta, la m a t e r n a affittac a m e r e da cui l'avevano messo a dozzina. Essa soleva ripetere che in questo m o n d o l'unica felicità consentita all'uomo è u n a b u o n a moglie, e lo dimostrava con le sue sollecitudini. Su q u e l l ' i n s e g n a m e n t o M a r t i n o rifletté fino a q u a r a n t a d u e anni. Ma poi lo mise in pratica. A n c h e i risultati dei suoi studi secondari furono così brillanti, che H a n s decise di allargare la borsa e lo m a n d ò all'Università a Erfurt. La sua ambizione e r a di fare di quel p r o m e t t e n t e r a m p o l l o u n avvocato, e p r o b a b i l m e n t e M a r t i n o finse di assecondarla p e r evitare il r i t o r n o in famiglia. I suoi condiscepoli lo r i c o r d a r o n o in seguito c o m e un c o m p a g n o socievole e spensierato, p e r nulla allergico alle ribotte, semp r e p r o n t o a u n i r e la sua voce b a r i t o n a l m e n t e aggraziata ai cori goliardici a c c o m p a g n a n d o s i sul liuto. Ma n o n altrettanto soddisfatti e r a n o i suoi professori, L'insegnamento a quei t e m p i e r a a n c o r a i n t e r a m e n t e basato sulla teologia, cioè su quel miscuglio di Vangelo e di logica aristotelica che si chiama «Scolastica». L u t e r o lo trovò indigeribile. Ma n o n m e n o disgustato fu dagli umanisti che volevano instillargli il culto di Virgilio e di C i c e r o n e , cui il r a g a z z o p r e f e r i v a la rozza prosa di Tertulliano. Tuttavia perfezionò il suo latino, imparò a n c h e un p o ' di greco e di ebraico. E questo gli bastò p e r c o n s e g u i r e il suo b r a v o titolo di «Maestro delle Arti» o, come oggi d i r e m m o , di «Dottore». Suo p a d r e ne fu a tal p u n to inorgoglito che in p r e m i o gli m a n d ò u n a costosa edizione del Corpus Juris, convinto che suo figlio ne avrebbe fatto u n a miniera di «parcelle». L'irascibile u o m o rischiò un travaso di bile q u a n d o s e p p e che l'ingrato aveva fatto un solo fagotto di quel prezioso libro, del certificato di l a u r e a e dei suoi abiti civili p e r c h i e d e r e ospitalità nel convento degli Agostiniani di Erfurt e p r e n d e r e il saio. I biografi di L u t e r o attribuiscono quella brusca decisione a un t e m p o r a l e . Fino a quel m o m e n t o Martino e r a stato un r a g a z z o c o m e tutti gli altri, c h e s e m b r a v a a c c e t t a r e , senza farne un d r a m m a di coscienza, le debolezze di cui tutti sia401
mo i m p a s t a t i . V i g o r o s o , s a n g u i g n o e s e n s u a l e , p r o b a b i l m e n t e aveva avuto le n o r m a l i e s p e r i e n z e dei giovani della sua età, sebbene alcuni suoi biografi lo n e g h i n o . E probabile che il peccato gli procurasse rimorso. Ma n e m m e n o il rim o r s o lo tratteneva dal peccato. Un giorno p e r ò che da casa sua t o r n a v a a Erfurt, fu s o r p r e s o dalla t e m p e s t a e quasi investito da un fulmine che si schiantò a p o c h i passi da lui. Egli ci vide un a m m o n i m e n t o del tutto in carattere col terribile e vendicativo Dio di cui suo p a d r e gli aveva suggerito il modello. E colto dal t e r r o r e , fece voto di obbedire al richiam o , c h i u d e n d o s i nel chiostro. E u n a versione a cui possiamo c r e d e r e , p u r c h é n o n se ne forzi il significato. E probabile che il fulmine abbia provocato in M a r t i n o u n a b r u s c a resipiscenza. Ma q u e s t a s a r e b b e v e n u t a a n c h e senza il fulmine. S'egli ci vide un segno di Dio, è p e r c h é un segno lo aspettava. Il ragazzo, c o n t r a r i a m e n t e alle a p p a r e n z e , doveva essere t o r m e n t a t o e inquieto, scontento di sé e ansioso di riscattarsi. Fu infatti con giubilo che, a r r i v a t o a d e s t i n a z i o n e , invitò i suoi amici al festino di addio, p e r l'ultima volta bevve e c a n t ò con loro, e infine a n n u n c i ò la sua decisione. Il c o n v e n t o c h e aveva scelto e r a dei p i ù r i g o r o s i . Ma il novizio fu a n c o r a più rigoroso del convento. Spesso gli altri monaci lo trovavano riverso sul piancito della sua gelida cella, sopraffatto dai digiuni e dalle flagellazioni che s'infliggeva, forse p e r sfuggire alla t e n t a z i o n e d e l l ' o n a n i s m o c o m e Sant'Antonio. Reclamava p e r sé i servizi più umili e le penitenze più d u r e d i c e n d o che solo così poteva r i p a r a r e le sue colpe. I n v a n o i suoi c o m p a g n i cercavano di p e r s u a d e r l o che Cristo col suo m a r t i r i o aveva già saldato il c o n t o p e r tutti. Alla fine, p e r metterlo al r i p a r o da quegli eccessi masochisti, gli a b b r e v i a r o n o il noviziato. N e l s e t t e m b r e del 1506 egli p r e s e i voti di p o v e r t à , castità e o b b e d i e n z a ; e nel m a g g i o successivo fu o r d i n a t o prete. La n u o v a condizione sembrò rappacificarlo con se stesso e gli p e r m i s e di r i p r e n d e r e gli studi. Ma a n c o r a u n a volta 402
rifiutò di tuffarsi nella teologia, cui preferì la lettura dei mistici t e d e s c h i . Un g i o r n o gli capitò fra le m a n i un testo di H u s s , chissà c o m e scampato alla distruzione o r d i n a t a dalla Chiesa, e ne rimase p r o f o n d a m e n t e scosso. «Chiusi il libro s e n t e n d o m i ferito n e l l ' a n i m a all'idea che u n u o m o capace di scrivere con tanta passione cristiana avesse p o t u t o essere bruciato c o m e eretico.» Se ne confidò col Vicario Provinciale d e l l ' O r d i n e , Staupitz, che m o l t o p a t e r n a m e n t e cercò di placare il suo t u r b a m e n t o e gli dette da leggere Sant'Agostin o . Ma i n v a n o . Le p a r o l e di H u s s gli t o r n a v a n o c o n insistenza alla m e m o r i a , e specialmente quelle sulla predestinazione. S c o r r e n d o le l e t t e r e di San Paolo ai R o m a n i aveva trovato un passaggio che sembrava c o n f e r m a r e quella tesi: «E grazie alla fede che il giusto sopravvivrà». D u n q u e , argom e n t a v a Lutero, n o n sono né le b u o n e azioni né le p r e g h i e re che fanno da viatico alla Grazia. E la fede: quella fede che solo Dio p u ò d a r e . Egli ha scelto, nel suo gregge, le pecore da salvare e quelle da d a n n a r e , come dice Huss. Staupitz, cui L u t e r o seguitava a confidare questi suoi torm e n t i , finì p e r a l l a r m a r s e n e e lo fece t r a s f e r i r e a W i t t e n berg, s p e r a n d o che il n u o v o ambiente servisse a distrarlo. Il cambio n o n piacque al m o n a c o che trovò la città «un pover o , insignificante villaggio con piccole, vecchie, b r u t t e case di legno» e i suoi tremila abitanti «rozzi, ignoranti, ubriaconi». Era l o n t a n o le mille miglia d a l l ' i m m a g i n a r e che quella sarebbe stata la sua Medina. Nel 1510 i c o n v e n t i a g o s t i n i a n i lo m a n d a r o n o a R o m a insieme a un altro m o n a c o p e r risolvere u n a complicata bega coi confratelli di Sassonia. Alla vista della città, c a d d e in ginocchio, levò le braccia al cielo e gridò: «Salute a te, santa Roma! » Per giorni e giorni visse r a m i n g a n d o , in stato di rap i m e n t o , fra chiese e fori, salì in ginocchio la Scala Santa, e fece u n a tale collezione di indulgenze che a un certo p u n t o si sorprese a d e s i d e r a r e che i suoi genitori fossero già morti p e r poterli riscattare dal p u r g a t o r i o . I m o n u m e n t i della Rinascenza con le loro doviziose architetture, sculture e affre403
schi n o n lo interessarono. Ma n o n risulta che a l m e n o lì p e r lì lo scandalizzassero. Solo dieci a n n i d o p o , q u a n d o o r m a i e r a i m p e g n a t o nella sua mortale lotta, r i c o r d a n d o quel viaggio, disse che R o m a gli e r a p a r s a «un abominio», descrisse i Papi c o m e satrapi da basso I m p e r o e raccontò ch'essi si facevano servire il p r a n z o «da dozzine di ragazze nude». Prob a b i l m e n t e e r a n o storie raccattate dalla bocca del p o p o l i n o di Trastevere p e r c h é n o n risulta che avesse f r e q u e n t a t o gli ambienti della Curia. E sul m o m e n t o n o n ci aveva c r e d u t o . Vi p r e s t ò fede solo q u a n d o gli c o n v e n n e p e r r a g i o n i polemiche. Il fatto stesso c h e , a p p e n a t o r n a t o , fu p r o m o s s o vicario provinciale e incaricato di t e n e r e un corso sulle S c r i t t u r e , dimostra che n o n aveva offerto pretesti a dubbi sul suo zelo; né e r a u o m o da tenersi in c o r p o l'indignazione, se ne avesse covata. Il suo distacco dalle d o t t r i n e ufficiali della Chiesa ebbe tutt'altra origine, avvenne p e r gradi, e forse sulle prime egli stesso n o n se ne rese conto. Q u a n t o ai suoi superiori e confratelli, c o m i n c i a r o n o a n u t r i r e qualche inquietudine solo q u a n d o lo v i d e r o p u b b l i c a r e , col titolo di Teologia germanica, un a n o n i m o manoscritto tedesco da lui trovato in fondo a un archivio. All'orecchio dei cattolici ortodossi quel germanica s u o n a v a m a l e : di teologia ce n ' e r a u n a sola, che n o n si prestava alle nazionalizzazioni. Ma, a n c h e se glielo fecero o s s e r v a r e , L u t e r o n o n se ne c u r ò . Nelle sue lezioni egli parlava a p e r t a m e n t e della Fede c o m e dell'unica condizione p e r la salvezza dell'anima, attribuiva i vizi e la c o r r u z i o n e della società a quelli del clero, e accusava i piazzisti d ' i n d u l g e n z e di a p p r o f i t t a r e della d a b b e n a g g i n e del p o p o l o . Forse fin d'allora sarebbe i n c a p p a t o in qualche guaio disciplinare, se a far da diversivo n o n fosse sopravvenuta u n a t r e m e n d a e p i d e m i a d i peste. I n quell'occasione la condotta dell'irrequieto m o n a c o fu e s e m p l a r e p e r coraggio e slancio cristiano. Q u a n d o alla fine il flagello dileg u ò , il d u c a Giorgio della Sassonia Albertina invitò L u t e r o a t e n e r e un ciclo di p r e d i c h e a Dresda. L u t e r o ne approfittò 404
p e r e s p o r r e la sua teoria sulla Grazia e la d a n n a z i o n e , cioè sulla p r e d e s t i n a z i o n e . Il Duca ne fu t u r b a t o : n o n p e r c h é ci vedesse un a t t e n t a t o al d o g m a , di cui p r o b a b i l m e n t e nulla sapeva e poco gl'importava; ma p e r c h é , dal suo p u n t o di vista di sovrano t e m p o r a l e , gli p a r v e pericoloso i n s e g n a r e ai suoi sudditi che la salvezza della loro a n i m a n o n d i p e n d e v a dalla loro b u o n a condotta. Ma in quel m o m e n t o Tetzel e r a già in viaggio col suo carico d ' i n d u l g e n z e , che avrebbe scatenato la famosa polemica fra i d u e m o n a c i . E o r a v e d i a m o p e r c h é essa stava p e r avere lì in G e r m a n i a tanta risonanza.
CAPITOLO TREDICESIMO
LE D U E G E R M A N I E
C o m e R e a m e , quello tedesco e r a allora il p i ù p o t e n t e , o alm e n o il più esteso d ' E u r o p a . R i s p a r m i a m o al lettore italiano l'ingarbugliata matassa dei conflitti dinastici che lo avevano travagliato nel corso dei secoli. Gli basti s a p e r e che alla fine del Q u a t t r o c e n t o il titolare della C o r o n a , che c u m u lava a n c h e quella di Sacro R o m a n o I m p e r a t o r e , e r a Massimiliano d ' A s b u r g o , in cui Machiavelli riconosceva un m o dello di saggezza, di p r u d e n z a e di giustizia. N o n e r a n o elogi gratuiti. C o n lui, dice il D u r a n t , «era come se un Principe italiano dell'alto Rinascimento fosse salito sul t r o n o di Germania». E da Rinascimento infatti era la sua passione p e r la cultura, la poesia, l'arte, la musica. Fu grazie a questo sovrano poliglotta, perfetto conoscitore del greco e del latino, che u n a schiera di filologi e grammatici riuscirono a fondere i vari dialetti tedeschi in un gemeines Deutsch, in un idioma c o m u n e : quello in cui L u t e r o tradusse poi la sua Bibbia, d a n d o g l i così un testo scritto definitivo e ricevendone in cambio quel r a n g o di «padre della lingua» che da noi viene riconosciuto a Dante. E fu a n c h e questo un e l e m e n t o che contribuì alla sua vittoria. Ma il capolavoro di Massimiliano fu la sua politica matrim o n i a l e . D a n d o in moglie al figlio Filippo l'unica e r e d e di F e r d i n a n d o di S p a g n a , assicurò agli A s b u r g o la c o r o n a di quel Paese; e r i p e t e n d o l ' o p e r a z i o n e c o n d u e suoi n i p o t i , a g g i u n s e ai loro vari troni quelli di B o e m i a e di U n g h e r i a . O r a i d o m i n i della sua dinastia e r a n o così vasti ch'egli poteva v e r a m e n t e considerarsi il p a d r o n e d e l l ' E u r o p a e accarezzare il sogno - che in realtà lo t e n t ò - di d i v e n t a r l o a n c h e 406
sul p i a n o spirituale d e p o n e n d o Giulio II e i n c o r o n a n d o s i P a p a al suo posto. D o v e t t e r i n u n z i a r v i p e r c h é la Dieta n o n g l i e n e d i e d e i mezzi. E questo rifiuto ci dice a p p u n t o q u a n t o condizionato fosse il suo p o t e r e , che territorialmente sembrava illimitato. La Dieta e r a il P a r l a m e n t o d e i p r i n c i p i t e d e s c h i , d a i quali l ' I m p e r a t o r e derivava la sua elezione e ai quali doveva r e n d e r e c o n t o delle s u e decisioni. P a d r o n i q u a s i assoluti n e i p r o p r i d o m i n i , e r a n o l o r o che gli f o r n i v a n o l e r e c l u t e p e r f o r m a r e l'esercito. Cioè in sostanza e r a n o essi i p a d r o n i del padrone. Q u e s t o assetto f e u d a l e aveva fatto della G e r m a n i a , al p r i n c i p i o d e l Q u a t t r o c e n t o , u n Paese i n r i t a r d o d i a l m e n o un secolo sull'Italia. Il castello seguitava a sopraffare il m u nicipio, e la prevalenza della c a m p a g n a sulla città faceva di quella tedesca u n a società lenta e conservatrice senz'articolazioni né ricambi, e legata a u n ' e c o n o m i a p u r a m e n t e agraria. Era il p a r a d i s o dei «baroni ladri», piccoli signorotti feudali che, in m a n c a n z a di leggi, di tribunali, di forze di polizia, infine di u n o Stato, alla testa dei loro «bravi» tartassavano la p o p o l a z i o n e i m p o n e n d o l e a r b i t r a r i balzelli, sacchegg i a n d o le diligenze, ricattando, a m m a z z a n d o e ostacolando lo sviluppo di u n a vita u r b a n a . Le condizioni della massa e r a n o q u a n t o mai p r e c a r i e . E forse le maggiori vittime di questo assetto n o n e r a n o tanto i servi della gleba che, n o n a v e n d o nulla da p e r d e r e , di nulla p o t e v a n o essere spogliati, e un tozzo di p a n e b e n e o male lo avevano assicurato dal p a d r o n e ; q u a n t o i m e z z a d r i e i piccoli p r o p r i e t a r i , che invece e r a n o sottoposti ai più i n u m a n i salassi da p a r t e di tutti, compresi i preti che si a r r o g a v a n o il diritto a un decimo dei loro m a g r i raccolti. C ' e r a n o state rivolte che p e r ò n o n e r a n o riuscite a divent a r e v e r e e p r o p r i e rivoluzioni p e r m a n c a n z a di capi e d'idee, e s'erano risolte in tumulti seguiti da feroci repressioni. U n a d i esse, n e l 1 4 3 1 , aveva i n a l b e r a t o c o m e vessillo u n o zoccolo e perciò si chiamava Bundschuh, la lega della scarpa. 407
Nel '76 un'altra ne scatenò H a n s B o e h m , u n a specie di rozzo profeta, che si p r e s e n t ò c o m e un inviato della M a d r e di Dio p e r a n n u n z i a r e l'imminente avvento del R e g n o del cielo. Ma la più violenta fu quella che d i v a m p ò lo stesso a n n o 1517 in cui L u t e r o scese in c a m p o con Tetzel. Più di centomila contadini misero a s o q q u a d r o l'Austria, e specialmente la Stiria e la Carinzia, facendovi piazza pulita di tutta l'impalcatura feudale. I castelli furono abbattuti, e i loro inquilini massacrati. Massimiliano, cui in fondo n o n dispiaceva ved e r penzolare dalla forca q u a l c u n o dei suoi indocili vassalli, lasciò fare p e r oltre tre mesi. I n t e r v e n n e solo q u a n d o si p r o filò il pericolo che l'incendio si p r o p a g a s s e a t u t t o il Paese. L'ordine che fu r e s t a u r a t o e r a quello del cimitero. Ma sotto le sue a p p a r e n z e seguitò a covare u n a ribellione che di lì a poco avrebbe mescolato le sue sorti a quelle della Riforma, a l i m e n t a n d o s e n e e alimentandola. M e n t r e la c a m p a g n a si a b b a n d o n a v a a q u e s t e sterili e a n a r c h i c h e jacqueries, le città c o m p i v a n o u n a r i v o l u z i o n e molto più silenziosa e incruenta, ma decisiva p e r il riassetto della società. Il loro sviluppo era a r r e t r a t o . N e s s u n a vera e p r o p r i a i n d u s t r i a si e r a s o v r a p p o s t a alle piccole b o t t e g h e a r t i g i a n e , c h e a v r e b b e r o fatto s o r r i d e r e p e r i l o r o arcaici m e t o d i i fiorentini del Trecento. Ma d'improvviso e r a accad u t o qualcosa che aveva provocato un autentico t e r r e m o t o . L'Europa, in p i e n o boom economico, aveva bisogno di molte cose, ma soprattutto di u n a m o n e t a universalmente accettata che facilitasse gli scambi. E la G e r m a n i a scoprì nelle sue viscere ricchi filoni d ' o r o e d ' a r g e n t o . Molti Principi, fra cui quelli della Sassonia - p r o v i n c i a di L u t e r o - si t r o v a r o n o d ' u n tratto con le casse rigurgitanti delle royalties che gli d e rivavano dall'appalto delle m i n i e r e , c o m e oggi capita col petrolio a certi Re e Sceicchi del Medio O r i e n t e . E questo li rese vieppiù i n d i p e n d e n t i dalle autorità centrali. Ma ad arricchire furono a n c h e gli appaltatori, che in b r e v e volger d i t e m p o r a g g r a n e l l a r o n o q u a n t o occorreva p e r d a r e l'aìre a u n a p o t e n t e organizzazione bancaria. Fin allo408
ra e r a n o stati gli e b r e i ad a v e r e il m o n o p o l i o della scarsa m o n e t a c h e circolava in G e r m a n i a : ed e r a stato q u e s t o a r e n d e r l i invisi alla popolazione. Ma da quel m o m e n t o furono le dinastie cristiane d e i Welser, degli H o c h s t e t t e r e sop r a t t u t t o dei Fugger ad accaparrarselo. I F u g g e r furono dei Medici senza s p l e n d o r e . Agirono di p a d r e in figlio secondo il criterio che t u t t o r a regola i p o t e n tati finanziari dei Mitsuhi in G i a p p o n e e dei Du P o n t in A m e r i c a . Essi cioè n o n si c o n s i d e r a v a n o i p r o p r i e t a r i , ma solo i funzionari, o p e r meglio dire i sacerdoti del tesoro di famiglia p e r il quale e r a n o p r o n t i ai p i ù d u r i sacrifici. In tre g e n e r a z i o n i a c c u m u l a r o n o il p i ù ricco p a t r i m o n i o p r i v a t o d ' E u r o p a , in g r a d o di far prestiti a tutti, d a l l ' I m p e r a t o r e in giù. Giacobbe I I , che fu l'esponente m a g g i o r e della casata, a p r ì un credito di 150.000 fiorini all'Arciduca d'Austria, ma n e g ò a se stesso e ai p a r e n t i u n a c a p p a di ricambio a quella che solitamente p o r t a v a d'estate e d ' i n v e r n o . T u t t o e r a p o sposto al s u p r e m o interesse della ditta, a n c h e l ' a m o r e . Fu così c h e c o n u n a serie di azzeccati m a t r i m o n i i F u g g e r assorbirono i p o t e n t a t i rivali, c o m p r e s o quello dei T h u r z o s di Cracovia, e c r e a r o n o dei trusts o cartelli in g r a d o di controllare t u t t a l a p r o d u z i o n e m i n e r a r i a d i G e r m a n i a , B o e m i a , U n g h e r i a e Spagna. P o t e n d o attingervi q u a n t o o r o e argento volevano, estesero il loro i m p e r o a t u t t e le industrie manifatturiere, dai tessili alle armi, v a r a r o n o intere flotte, e organizzarono perfino un loro p r o p r i o servizio postale. Mai si vide un m o n o p o l i o p i ù esoso e sopraffattore di quello dei Fugger. L'unica l o r o bussola e r a il profitto. Un affare c h e desse un utile inferiore al c i n q u a n t a p e r c e n t o e r a da essi considerato in perdita. Per rialzare i prezzi, n o n esitavano a p r o v o c a r e artificialmente carestie, i m b o s c a n d o i p r o d o t t i , a n c h e se di assoluta necessità. E il bello è che questo capitalismo di r a p i n a , c u p i d o e senza scrupoli, conviveva con un s i n c e r o s e n t i m e n t o religioso. Gli unici i n v e s t i m e n t i p e r i quali n o n b a d a v a n o al profitto furono quelli ch'essi fecero, o c r e d e t t e r o di fare, in a r e e fabbricabili di Paradiso. Lo stes409
so Giacobbe che si lesinava la z u p p a e le scarpe n o n b a d ò a spese p e r r e g a l a r e alla sua città, A u g u s t a , u n a chiesa e un ospizio p e r i poveri, la Fuggerei, che a n c o r a esiste. Q u e s t e liberalità n o n b a s t a r o n o tuttavia a p r o c u r a r g l i le simpatie della g e n t e , che lo considerava u n o strozzino. Ma Giacobbe n o n se ne curava. I m p e r a t o r i , Papi e Re gli m a n d a v a n o ambasciatori c o m e a un l o r o p a r i ; Massimiliano lo n o m i n ò conte; e i più grandi pittori del tempo, D ù r e r e H o l b e i n , facevano a g a r a p e r ritrattarlo. M o r e n d o , egli lasciò un capitale di oltre d u e milioni di fiorini, qualcosa che in t e r m i n i attuali p o t r e b b e c o r r i s p o n d e r e a più di t r e n t a miliardi di lire: tre volte p i ù del r e d d i t o nazionale inglese sec o n d o le valutazioni di allora. Mancava solo la cosa più imp o r t a n t e : u n f i g l i o che potesse raccogliere q u e l l ' i m p o n e n t e eredità e continuarla. I F u g g e r fecero la ricchezza della G e r m a n i a , ma la ricchezza della G e r m a n i a n o n fece la ricchezza d e i t e d e s c h i , fra i quali n o n si diffuse. Essa diede avvìo a u n a n u o v a casta di «Principi mercanti» che se la t e n n e r o stretta c o m e i Principi g u e r r i e r i e terrieri si t e n e v a n o stretto il p o t e r e politico. Le d u e aristocrazie f o r m a r o n o anzi u n a specie di santa alleanza, basata sui m a t r i m o n i fra doti e blasoni, p e r la difesa dei privilegi. Ed è q u e s t o u n o dei motivi p e r cui la nobiltà tedesca ha conservato più a l u n g o di t u t t e le altre il m o n o polio di certi servizi c o m e quello delle armi, che costa più di q u a n t o r e n d a , ma in u n a società militare c o m e quella t e d e sca conferisce il più alto r a n g o e prestigio. La massa rimase ancora più impoverita da questo sposalizio di «vertice» che metteva il d e n a r o a disposizione del p o t e r e e il p o t e r e a d i s p o s i z i o n e del d e n a r o a solo beneficio della classe c h e d e t e n e v a l ' u n o e l'altro. Ma fu a p p u n t o la sfacciataggine delle d i s u g u a g l i a n z e e c o n o m i c h e e sociali a p r o v o c a r e la r e a z i o n e . Ulrich von H u t t e n a d d i t ò alla furia p o p o l a r e q u a t t r o categorie di ladroni: i nobili, i preti, i mercanti e i giuristi c h e fornivano un avallo legale alla p r e p o t e n z a e c u p i d i g i a degli altri t r e . E Geiler v o n K e i s e r b e r g 410
p r o p o s e che tutti questi profittatori fossero cacciati c o m e lupi «perché n o n h a n n o rispetto né di Dio né degli u o m i n i e ingrassano solo sulla fame, la sete e la miseria di tutti». La più g r a n d e j a t t u r a della Chiesa fu di trovarsi coinvolta, in questa lotta, dalla p a r t e del privilegio. E r a fatale che così fosse p e r c h é g r a n p a r t e della nobiltà tedesca e r a comp o s t a di Vescovi c h e g l ' I m p e r a t o r i a v e v a n o fatto C o n t i o Principi p e r a c c a p a r r a r s e n e la fedeltà, e di Conti e Principi che il Papa aveva n o m i n a t o Vescovi p e r assicurarsene i servigi. Il basso clero invece, mal p a g a t o e m a l trattato, e r a in m a g g i o r a n z a dalla p a r t e d e l p o p o l o , di cui c o n d i v i d e v a le miserie. E n a t u r a l m e n t e la pubblica o p i n i o n e identificava la Chiesa negli alti prelati, e n o n già nei piccoli parroci. Ma a n c h e un altro f e n o m e n o si delineava, che poi doveva rivelarsi d e t e r m i n a n t e . Fino all'esplosione dei F u g g e r e c o m p a g n i , l'economia e la cultura tedesche n o n e r a n o state che u n ' a p p e n d i c e di quelle italiane. Il capitalismo e r a n a t o ad Augusta a p p u n t o p e r c h é questa città a ridosso delle Alpi e r a la sede di tutte le c o m p a g n i e di esportazione e d ' i m p o r tazione con la nostra penisola. E l ' u m a n e s i m o si e r a svilupp a t o e aveva il suo q u a r t i e r g e n e r a l e a N o r i m b e r g a , altra città s t r e t t a m e n t e legata all'Italia. A Venezia c'era un «Fondaco Tedesco» che aveva affidato la decorazione dei suoi interni a Giorgio ne e a Tiziano. I F u g g e r infersero un colpo m o r t a l e a questi legami fra i d u e Paesi q u a n d o , p e r rialzare il prezzo del r a m e , di cui erano i maggiori p r o d u t t o r i , ne bloccarono la vendita ai veneziani. C o s t o r o r i s p o s e r o con la r a p p r e s a g l i a , c h i u d e n d o il p o r t o alle navi dei Fugger. P r o p r i o in quel m o m e n t o i Turchi, o r m a i istallati a Costantinopoli, affermavano il loro controllo sull'Egeo e sul M e d i t e r r a n e o o r i e n t a l e , facendo dell'Adriatico un b u d e l l o strozzato; m e n t r e la scoperta dell'America apriva immense prospettive ai porti del Mare del N o r d , dove i F u g g e r trasferirono le loro sedi commerciali. Q u e s t a inversione di poli provocò sull'economia tedesca effetti rivoluzionari. Fin allora le capitali dell'industria, del411
la finanza e del c o m m e r c i o e r a n o state le città meridionali, più a contatto con l'Italia. Le province settentrionali e r a n o «area depressa». Ma q u a n d o i F u g g e r vi trasferirono i loro fondaci, A n v e r s a , B r e m a , A m b u r g o d i v e n t a r o n o i n p o c h i a n n i quello che nell'Italia d'oggi è il c o s i d d e t t o «triangolo industriale », s o p p i a n t a n d o Augusta e N o r i m b e r g a . E fu a p p u n t o quest'altra G e r m a n i a , p i ù rozza, m e n o intrisa di c u l t u r a latina, e s o p r a t t u t t o i n d i p e n d e n t e dall'econ o m i a italiana, anzi in p o s i z i o n e c o n c o r r e n z i a l e c o n essa, che fornì a L u t e r o i seguaci più a r d e n t i , i mezzi p e r alimentare la sua battaglia, e le protezioni p e r tenerlo al r i p a r o dalla furia del Papa e d e l l ' I m p e r a t o r e .
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
LA S C O M U N I C A
Papa L e o n e e r a rimasto contrariato dal rifiuto di L u t e r o di p r e s e n t a r s i a R o m a , ma n o n gli aveva attribuito m o l t a imp o r t a n z a . P r o b l e m i m o l t o p i ù gravi lo assillavano. Voleva lanciare u n a crociata c o n t r o i Turchi, e p e r finanziarla avev a p r o p o s t o a l l ' I m p e r a t o r e d ' i m p o r r e a i suoi s u d d i t i u n a n u o v a tassa sul r e d d i t o del dieci p e r cento p e r il clero e del dodici p e r i laici. Massimiliano convocò la Dieta p e r s e n t i r n e il p a r e r e . E la Dieta n o n solo rifiutò, ma colse il p r e t e s t o p e r stigmatizzare nei t e r m i n i più aspri e risoluti il sistematico «saccheggio» c h e l a C u r i a r o m a n a o p e r a v a sulle f i n a n z e t e d e s c h e a d d u c e n d o a pretesto Dio e la religione, ma in realtà - disse - al solo scopo d'ingrassare i p r e t i italiani. Q u e s t o diniego n o n e r a n u o v o , ma n o n si e r a mai espresso in forma tanto categorica e i r r i g u a r d o s a . Nel riferirne al Papa, l ' I m p e r a t o r e consigliò l a m a s s i m a c a u t e l a , a n c h e p e r q u a n t o rig u a r d a v a le eventuali sanzioni c o n t r o L u t e r o , che sulle d e cisioni della Dieta n o n aveva influito d i r e t t a m e n t e ; ma ind i r e t t a m e n t e , sì. L e o n e accolse il s u g g e r i m e n t o . Dispensò il ribelle dal venire a R o m a , p u r c h é si presentasse ad Augusta presso il Legato Pontificio, cardinale C a e t a n o . A costui d i e d e istruzioni di cercare un accordo col m o n a c o , offrendogli p i e n o p e r d o no e allettanti promozioni se riconosceva il p r o p r i o e r r o r e e lo ritrattava, ma facendogli anche capire che, se si ostinava, R o m a avrebbe chiesto alle autorità temporali la sua estradizione. E p e r d a r e corpo, alla minaccia, cominciò subito a circuire il pio d u c a Federico, dal quale la sorte di L u t e r o diret413
t a m e n t e d i p e n d e v a , p r o m e t t e n d o g l i la p i ù alta di t u t t e le d e c o r a z i o n i ecclesiastiche, la Rosa d'Oro, che quel Principe sospirava da t e m p o . L u t e r o si p r e s e n t ò ad A u g u s t a il 12 o t t o b r e (del 1518), m u n i t o di un salvacondotto imperiale. E si trovò di fronte a un prelato che brillava più p e r austerità di vita e profondità di cultura che p e r diplomazia. A s s u m e n d o , in contrasto con le istruzioni ricevute, atteggiamenti inquisitoriali, egli si rifiutò di discutere le idee del m o n a c o . Sì limitò a contestargli con a s p r e p a r o l e il diritto di criticare le decisioni della Ger a r c h i a , e s p e c i a l m e n t e d e l P a p a . E p e r c o n c l u d e r e gl'ingiunse di riconoscersi colpevole d'insubordinazione. F u u n m a r c h i a n o e r r o r e psicologico. P o r t a t a sul p i a n o della teologia, la discussione a v r e b b e a n c h e p o t u t o r e c a r e qualche frutto. Ma il fatto che il C a e t a n o n o n volesse n e m m e n o intavolarla c o m e se n o n ne considerasse all'altezza il suo interlocutore solo p e r c h é era soltanto un p o v e r o m o n a co, ferì a m o r t e l'orgoglio di L u t e r o , che di orgoglio traboccava (anche se nei suoi scritti e discorsi si sciolgono molti inni all'umiltà). Il colloquio si a r e n ò b r u s c a m e n t e . R i p r e s o d u e volte nei g i o r n i successivi, servì soltanto a i r r i g i d i r e vieppiù le o p p o s t e posizioni. E si concluse con un fiasco. L u t e r o si affrettò a i n f o r m a r n e la pubblica o p i n i o n e con u n riassunto dei colloqui, n o n s a p p i a m o q u a n t o esatto, m a c h e e b b e u n a larghissima diffusione e p r o v o c ò u n a vasta eco. N e l m a n d a r n e copia al suo amico Wenzel, gli scrisse: «Da tutto questo p o t e t e vedere se ho o no il diritto di pensare che a t e n e r e la C o r t e di R o m a sotto la sua s p a d a è l'Anticristo in p e r s o n a . Io lo considero p e g g i o r e di qualsiasi Turco». E in u n ' a l t r a lettera al d u c a Giorgio di Sassonia, di cui e r a stato ospite a D r e s d a , s u g g e r ì « u n a r i f o r m a c h e finalm e n t e segni in m a n i e r a chiara il limite fra il p o t e r e t e m p o rale e quello spirituale». Era la p r i m a volta ch'egli usava questa parola Riforma, cui la Storia avrebbe intestato la sua ribellione. L e o n e seguitava a considerare quella faccenda «un pette414
golezzo di m o n a c i » . C o m i n c i ò a r e n d e r s i c o n t o della sua gravità solo q u a n d o il C a e t a n o riferì in un secondo r a p p o r to che il d u c a Federico si rifiutava di e s t r a d a r e L u t e r o a Rom a . E allora cercò di c o r r e r e ai ripari. In u n a bolla, che r a p p r e s e n t a v a un'implicita ritrattazione, affermò che le indulg e n z e n o n r i s c a t t a v a n o il p e c c a t o e la colpa, ma v a l e v a n o soltanto p e r le p e n i t e n z e inflitte dalla Chiesa. Per q u a n t o rig u a r d a v a la liberazione dal p u r g a t o r i o , riconobbe che il Papa poteva influirvi soltanto con le sue p r e g h i e r e . Era esattam e n t e quello che aveva sostenuto L u t e r o , di cui n o n si faceva il n o m e , ma di cui si ratificavano le tesi. I n s i e m e a questo d o c u m e n t o , L e o n e spedì in G e r m a n i a un giovane nobile tedesco, c h e faceva in C u r i a il suo noviziato negli ordini minori, Carlo von Miltitz, p e r c o n s e g n a r e la Rosa d ' O r o a Federico e r i p r e n d e r e i colloqui col ribelle su un t o n o p i ù amichevole. L u t e r o vi si m o s t r ò f a v o r e v o l m e n t e d i s p o s t o . Si disse p r o n t o ad a b b a n d o n a r e la polemica se i suoi c o n t r a d d i t t o r i smettevano di provocarlo, a scrivere u n a lettera di sottomissione al Papa, a riconoscere p u b b l i c a m e n t e l'influenza delle p r e g h i e r e p e r il riscatto delle a n i m e dal p u r g a t o r i o , e a racc o m a n d a r e dal pulpito l'obbedienza ai precetti della Chiesa. Poneva soltanto u n a condizione: che gli altri particolari della controversia venissero sottoposti al giudizio di un Vescovo tedesco gradito ad a m b e d u e le parti. Sembrava che tutto si mettesse al meglio. E a fare le spese di questa insperata schiarita fu il p o v e r o Tetzel. Miltitz lo convocò a Lipsia, gli rinfacciò di aver ecceduto gli o r d i n i del Papa e lo accusò di m e n d a c i o . Il poveraccio si ritirò nel suo m o n a s t e r o , ma n o n si riebbe più dal colpo. Sul letto di m o r te ricevette un'affettuosa lettera di L u t e r o . C h e n o n si r a m maricasse, gli diceva, p e r quella storia delle indulgenze. Essa n o n era stata la causa, ma solo il pretesto di un incidente «che n o n e r a f i g l i o d i quella m a d r e » : l e sue o r i g i n i e r a n o m o l t o più p r o f o n d e e complesse. Il m o n a c o di W i t t e n b e r g aveva le sue generosità ed eleganze. 415
Cosa egli p e n s a s s e in q u e l m o m e n t o , n o n ci è c h i a r o , e forse n o n lo e r a n e m m e n o a lui. C o n t e m p o r a n e a m e n t e a u n a l e t t e r a p i e n a d i d e v o z i o n e a l P a p a , n e scrisse u n a a l confessore del duca Federico, Spalatino, in cui diceva: «Ver a m e n t e n o n so se il Papa è l'Anticristo o il suo vicario». Com u n q u e , q u a n d o L e o n e r i s p o n d e n d o alla sua lettera in term i n i amichevoli e p a t e r n i lo invitò p e r la s e c o n d a volta a R o m a , p e r la seconda volta L u t e r o rifiutò. Alcuni storici dicono che in quel m o m e n t o egli esitava di fronte alla responsabilità di r o m p e r e il fronte cristiano e che si sarebbe rassegnato a q u a l u n q u e ritrattazione p u r di evitare lo scisma. E probabile, o a l m e n o possibile. Ma le cose p r e s e r o u n ' a l t r a piega grazie a un n u o v o i n t e r v e n t o di Eck, il vice r e t t o r e dell'Università di Ingolstadt, che nel suo Obelisci aveva tacciato L u t e r o di eresia. L u t e r o , a b b i a m o già d e t t o , aveva r i b a t t u t o a quel libello con un altro libello, le Resolutiones. Ma ancora p r i m a di lui, e in suo favore, aveva replicato A n d r e a Bodenstein, chiamato c o m u n e m e n t e Carlstadt dal suo luogo di origine: un giovane teologo, p r o f e s s o r e di filosofia tomista lì a W i t t e n b e r g , c h e d a p p r i m a aveva c o m b a t t u t o L u t e r o , m a p o i n ' e r a div e n t a t o u n e n t u s i a s t a s o s t e n i t o r e . L a p o l e m i c a Eck-Carlstadt si era sviluppata e invelenita p r o p r i o nel m o m e n t o in cui Miltitz c r e d e v a di c o r o n a r e la sua missione di p a c e . E i d u e avversari a v e v a n o finito p e r sfidarsi a un pubblico dibattito. Il t e m a della controversia e r a questo: se il Vescovo di Roma, cioè il Papa, avesse s e m p r e avuto il r a n g o di C a p o della Chiesa in qualità di successore di San Pietro e Vicario di Cristo, c o m e sosteneva Eck in a r m o n i a con la tradizione ortodossa; o p p u r e se lo fosse diventato p e r m a n o v r e politiche c o m e sosteneva Carlstadt. Ma in realtà Carlstadt aveva derivato questa tesi dalle Resolutiones di L u t e r o . Il quale o r a si trovava di fronte a u n a p e n o s a scelta: o disconoscere la p a t e r n i t à di quell'affermazione, lasciando il suo allievo solo a difenderla; o p p u r e rivendicarla a se stesso e i n t e r v e n i r e nel dibattito. Nel p r i m o 416
caso c o m m e t t e v a u n a d i s e r z i o n e ; nel s e c o n d o m a n d a v a a m o n t e la missione di pace che Miltitz stava svolgendo e che forse egli stesso d e s i d e r a v a . Scelse la s e c o n d a a l t e r n a t i v a : n o n solo p e r senso di responsabilità e orgoglio, ma forse anche perché temette, non presentandosi, di deludere una pubblica o p i n i o n e che già p a r t e g g i a v a massicciamente p e r lui, e di p e r d e r e il suo prestigio di Fùhrer di quella rivolta. La disputa si svolse a Lipsia fra la fine di g i u g n o e i p r i m i di luglio (del 1519). L u t e r o si p r e s e n t ò in c o m p a g n i a di C a i i s t a d t e di altri sei teologi, scortati da 2 0 0 s t u d e n t i di W i t t e n b e r g . T e a t r o del d i b a t t i t o fu il castello di Pleissenb u r g , g r e m i t o di folla. Lo presiedeva lo stesso d u c a Giorgio, e l'atmosfera era carica di suspense. Alle tesi di Eck, sottile arg o m e n t a t o r e e o r a t o r e efficacissimo, r i s p o s e p e r p r i m o Carlstadt, e ne uscì piuttosto malconcio. Allora lo stesso Lutero scese in lizza. Prove alla m a n o (e la Storia gliene forniva a bizzeffe), egli dimostrò che nei primi secoli dell'era cristiana il Vescovo di R o m a e r a stato il Vescovo di R o m a e basta, c o m e d i m o s t r a v a il fatto ch'egli veniva eletto soltanto dal p o p o l o e dal clero dell'Urbe, al pari di tutti gli altri Vescovi. Eck ribatté che questa era la tesi di H u s s , c o n d a n n a t a c o m e eretica p r o p r i o da u n o di quei Concili - quello di Costanza - cui lo stesso L u t e r o attribuiva u n ' a u t o r i t à s u p e r i o r e a quella del Papa, e q u i n d i decisiva in fatto di dottrina. Era u n ' a b i l e risposta. Ma L u t e r o con a l t r e t t a n t a abilità replicò ch'egli, sì, a t t r i b u i v a al Concilio u n ' a u t o r i t à s u p e r i o r e a quella del Papa, ma n o n il d o n o dell'infallibilità, esclusiva prerogativa di Dio. Anche il Concilio, disse, poteva e r r a r e , e lo aveva dimostrato p r o p r i o c o n d a n n a n d o certe proposizioni di H u s s , che invece e r a n o giuste. Il p r o b l e m a rimase insoluto, ma Eck aveva r a g g i u n t o il suo scopo. Egli infatti aveva p r o p o s t o la d i s p u t a n o n p e r dare u n a risposta a q u e l l ' i n t e r r o g a t i v o , ma p e r i n c h i o d a r e il suo avversario su u n a posizione eretica. S c h i e r a n d o s i c o n H u s s , L u t e r o c'era cascato. La sua ribellione c o n t r o le ind u l g e n z e , su cui la Chiesa poteva transigere e in realtà ave417
va già transatto, si e r a trasformata in u n a negazione del sup r e m o Magistero p a p a l e . E su questo n e s s u n c o m p r o m e s s o era possibile. Col resoconto del dibattito, Eck si precipitò a R o m a p e r sottometterlo a L e o n e , che tuttavia si rifiutò di a d o t t a r e d r a stiche misure. Anzi, l'unica decisione che p r e s e fu quella di n o n p r e n d e r n e nessuna, nella speranza che col t e m p o le cose si aggiustassero. Q u e l Papa tollerante, g a u d e n t e e ottimista n o n conosceva la G e r m a n i a , la considerava un Paese di b a r b a r i analfabeti, e n o n i m m a g i n a v a che un «pettegolezzo di monaci», c o m e lui si ostinava a considerare quel bisticcio, potesse metterla a fuoco. E invece era p r o p r i o quello che stava a c c a d e n d o . Da Dùr e r a P i r k h e i m e r in giù, quasi tutta l'Intellighenzia tedesca si e r a schierata dalla p a r t e d i L u t e r o . Ulrico v o n H u t t e n n e diventò il più e l o q u e n t e b a r d o . N o n c o n t e n t o di a v v e n t a r e le sue schiamazzanti satire c o n t r o la Chiesa e il Papa, scovò e pubblicò un vecchio manoscritto tedesco in cui si sostenevano le ragioni di Enrico IV nella sua lotta c o n t r o G r e g o r i o V I I (di cui abbiamo a l u n g o parlato ne L'Italia dei Comuni). E lo d e d i c ò al n u o v o i m p e r a t o r e Carlo V, p r o p r i o allora succ e d u t o a Massimiliano, s u g g e r e n d o g l i di vendicare l'affronto fatto allora da R o m a alla G e r m a n i a . E r a il sentimento nazionale che si mobilitava dietro la disputa religiosa: u n a miscela pericolosamente esplosiva. Un altro p o t e n t e alleato la c u l t u r a aveva fornito a L u t e ro con Filippo Schwarzert, g r a n d e u m a n i s t a che aveva ellenizzato i l p r o p r i o n o m e i n M e l a n t o n e : u n o m e t t o fragile, di p o c a salute, dalla voce i n c e r t a e dallo s g u a r d o t i m i d o , che tuttavia esercitava dalla c a t t e d r a un tale fascino, che lo stesso L u t e r o a n d a v a sovente a s e n t i r n e le lezioni, confond e n d o s i fra gli a l u n n i . «Non c'è virtù c h e gli sia estranea» diceva. Gli n e g a v a s o l t a n t o il m o r d e n t e , quella «rabbia in corpo» che caratterizza il lottatore, e che lui invece sentiva di p o s s e d e r e in s o m m o g r a d o . E forse e r a a n c h e p e r questo che, n o n e s s e n d o n e geloso, riconosceva l e a l m e n t e la s u p e 418
r i o r i t à i n t e l l e t t u a l e di M e l a n t o n e e ne fece l ' i d e o l o g o d e l suo scisma. P e r c h é o r m a i , n o n c ' e r a p i ù d a d u b i t a r n e , d i scisma s i t r a t t a v a . I n u n a violenta Epitome, L u t e r o definiva R o m a «una Babilonia i m p o r p o r a t a » e la C u r i a «la sinagoga di Satana». E a Spalatino scriveva: «Ho tratto il d a d o . M'infischio della rabbia di L e o n e q u a n t o dei suoi favori, e mai p e r l'eternità mi riconcilierò con lui. N o n lo t e m o più e mi accingo a pubblicare un libro sulla riforma cristiana u s a n d o c o n t r o il Papa lo stesso linguaggio che userei c o n t r o l'Anticristo». Trascinatovi p e r i capelli da questi attacchi, nel g i u g n o di q u e l l ' a n n o 1520 L e o n e e m a n ò u n a Bolla, Exurge Domine, che c o n d a n n a v a q u a r a n t u n proposizioni d i L u t e r o , ordinava di b r u c i a r e i relativi testi e invitava il ribelle ad a b i u r a r e i suoi e r r o r i . Se e n t r o sessanta giorni n o n obbediva, sarebbe stato s c o m u n i c a t o , le a u t o r i t à t e m p o r a l i e r a n o invitate a consegnarlo a Roma, e in q u a l u n q u e c o m u n i t à che gli avesse dato asilo i servizi divini sarebbero stati sospesi. L u t e r o impiegò quei sessanta giorni di ultimatum a scrivere, in lingua tedesca, u n a «lettera a p e r t a alla nobiltà cristiana della Nazione tedesca». E c o m e principale destinatario si rivolse al «nobile giovane» che pochi mesi p r i m a e r a salito al t r o n o imperiale col n o m e di Carlo V. O g n i cristiano, egli dice, riceve col battesimo la consacrazione, e q u i n d i è un p r e te. Il fatto che poi egli faccia di questa condizione u n a «carriera» e diventi a n c h e vescovo o p a p a , n o n impedisce che rim a n g a un cristiano c o m e gli altri e c o m e gli altri sia sottoposto, nei r a p p o r t i civili, alle autorità secolari e alle loro leggi. Egli n o n ha nessun privilegio: n e m m e n o quello di decid e r e l'interpretazione dei sacri testi p e r c h é q u a l u n q u e fedele, in q u a n t o p r e t e a n c h e lui, ha diritto di leggerli e d'interpretarli a m o d o suo. Questi testi r a p p r e s e n t a n o la s u p r e m a a u t o r i t à , cui n e m m e n o il P a p a p u ò s o v r a p p o r r e la sua. In essi n o n si trova nulla che lo qualifichi a indire o a i m p e d i r e i Concili. Se cerca di farlo b r a n d e n d o l'arma della scomunica, «i fedeli h a n n o il diritto di trattarlo da pazzo e di r i d u r l o 419
alla ragione con tutt'i mezzi, a n c h e coercitivi». E ora, egli dice, di un Concilio c'è bisogno, che p r e n d a in e s a m e la verg o g n o s a a n o m a l ì a d i u n a C u r i a c o r r o t t a f i n nelle m i d o l l a dagli s p l e n d o r i m o n d a n i e ingrassata dalle r a p i n e c o m p i u t e sulla G e r m a n i a . «E qui - s o g g i u n g e - v e n i a m o al nòcciolo della questione. Si calcola che o g n i a n n o oltre trecentomila gulden affluiscano dalla tasca del c o n t r i b u e n t e tedesco nelle casse del Papa. Se noi impicchiamo i ladri, p e r c h é d o v r e m mo trattare d i v e r s a m e n t e i romani?» A p a r t e gli eccessi v i t u p e r a t i v i , c h e d e l r e s t o facevano p a r t e del costume polemico del t e m p o , quella «lettera a p e r ta», e r a u n o scampolo di b r a v u r a giornalistica. C o n s o m m a abilità, L u t e r o a c c a n t o n a v a i p r o b l e m i teologici, di cui egli stesso c o m p r e n d e v a lo scarso fascino sui suoi interlocutori; e si accaniva sul p u n t o su cui li sapeva sensibili. Il suo e r a un demagogico appello al s e n t i m e n t o nazionale, c o n t r o cui n e a n c h e i tedeschi p i ù timorati e ossequiosi verso la Chiesa p o t e v a n o schierarsi senza passare p e r traditori. E infatti suscitò u n ' e c o i m m e n s a . La popolarità che gliene derivò e r a tale che, q u a n d o Yultimatum scadde e la bolla della sua scomunica fu pubblicata, egli n o n ne risentì n e s s u n a conseguenza e in tutta tranquillità p o t è a t t e n d e r e alla compilazione di altri d u e opuscoli: La cattività babilonese della Chiesa e un Trattato sulla libertà cristiana. Questi li scrisse in latino p e r c h é e r a n o un r i a s s u n t o della sua d o t t r i n a , destinato ai teologi. Ma subito d o p o a n ch'essi furono tradotti, e d i v e n t a r o n o il p a n e q u o t i d i a n o dei suoi seguaci. H u s s , egli dice, aveva r a g i o n e : il p r e t e n o n è d o t a t o del taumaturgico p o t e r e di trasformare, nell'Eucarestia, il p a n e e il vino nel c o r p o e n e l s a n g u e di Gesù. Questi è p r e s e n t e insieme col p a n e e col vino, cioè p e r consustanziazione, e n o n p e r transustanziazione. Il m a t r i m o n i o n o n è un s a c r a m e n t o . N o n lo è p i ù di q u a n t o lo fosse il m a t r i m o n i o p a g a n o e di q u a n t o lo siano quelli ebrei e m u s s u l m a n i . Esso è solo u n o s t r u m e n t o p e r la p r o c r e a z i o n e dei figli, q u i n d i si p u ò benis420
simo c o n t r a r l o a n c h e con un n o n cristiano, e in caso d'imp o t e n z a o adulterio, scioglierlo. Ciò che r e n d e cristiani n o n s o n o né le p r e g h i e r e né le o p e r e b u o n e , ma la fede in Cristo, che solo Cristo p u ò d a r e . O g n i u o m o nasce così col suo destino, che nulla e n e s s u n o p u ò m u t a r e . Q u e s t o , in sintesi, il s u o p e n s i e r o . Egli lo aveva già espresso. Ma o r a gli d a v a la sua formulazione definitiva in d o c u m e n t i scritti che r e n d e v a n o p a t e n t e l'eresia. Ciò malg r a d o Miltitz, che n o n aveva cessato di p e r s e g u i r e la sua missione di p a c e , a n d ò a t r o v a r l o e lo supplicò di scrivere u n a lettera al Papa. L u t e r o accettò. Ma, invece di r e d i g e r l a nei contriti toni che Miltitz gli aveva consigliato, la ispirò a u n a specie di p a t e r n a indulgenza: «Chi ti dice che sei un semidio e c h e p u o i fare t u t t o ciò che vuoi è u n a sirena che ti trae in i n g a n n o , mio caro Leone...» scriveva a un certo p u n t o . E via di questo passo. C o m e reagisse il Papa, a q u e s t o confidenziale t u p p e r t ù di un semplice m o n a c o , e scomunicato p e r giunta, n o n sappiamo, ma possiamo immaginarlo. C o m u n q u e , oramai la g u e r r a fredda si era trasformata in g u e r r a calda, e n e s s u n o e r a p i ù in g r a d o di a r r e s t a r l a . In m o l t e città, gli ortodossi e b b e r o la meglio e i libri del ribelle furono bruciati. L u t e r o rispose b r u c i a n d o a sua volta u n a copia della bolla c h e lo scomunicava davanti agli studenti di Wittenberg. Il m o n a c o dava di eretico al Papa.
CAPITOLO QUINDICESIMO
WORMS
Il «nobile giovane» di cui L u t e r o aveva fatto il principale d e stinatario della sua «lettera aperta» era salito al t r o n o i m p e riale col n o m e di Carlo V p r o p r i o nei giorni in cui il ribelle si e r a s c o n t r a t o con Eck a Lipsia. E s s e n d o n a t o col secolo, n o n aveva che vent'anni, ed era il frutto di u n o di quei mat r i m o n i con cui suo n o n n o Massimiliano - Arciduca di Austria, Re di U n g h e r i a e Boemia, e I m p e r a t o r e di G e r m a n i a aveva a c c a p a r r a t o alla casa di Asburgo più di mezza E u r o pa. Per q u a n t o sia u n ' i m p r e s a a r d u a , c e r c h e r ò di semplific a r n e la genealogia, e il lettore mi scusi se n o n ci riesco. Suo p a d r e Filippo, figlio a p p u n t o di Massimiliano, aveva sposato l'erede del t r o n o di Spagna, Giovanna, figlia di Ferd i n a n d o e d'Isabella, che poi fu detta La loca, la pazza, perché le d i e d e di volta il cervello. La c o r o n a di S p a g n a comportava anche quella di Sicilia, di S a r d e g n a , di Napoli e del n u o v o continente latino-americano che Cortéz e Pizarro stav a n o c o n q u i s t a n d o . A questo i m m e n s o r e a m e di p a r t e materna, Carlo aggiunse quelli di p a r t e p a t e r n a , Belgio, Olanda e Franca C o n t e a che subito d o p o la m o r t e di Filippo erano stati dati in r e g g e n z a a Margherita di Asburgo, figlia anch'essa di Massimiliano e zia di Carlo. Questi n o n aveva che sedici a n n i q u a n d o assunse il g o v e r n o di quelle sparpagliate province e pose la p r o p r i a c a n d i d a t u r a al titolo imperiale, il g i o r n o che il n o n n o Massimiliano, o r m a i al declino, lo avesse lasciato vacante. C ' e r a un rivale: F r a n c e s c o I di F r a n c i a c h e g o d e v a di molte simpatie presso gli elettori tedeschi, cioè i Principi che c o m p o n e v a n o la Dieta, o P a r l a m e n t o , cui spettava l'elezio422
n e . C o s t o r o c e r c a v a n o r e g o l a r m e n t e di evitare la scelta di u n I m p e r a t o r e a b b a s t a n z a forte d a r i d u r l i i n s o g g e z i o n e . Cosa sarebbe successo se su quel t r o n o che comportava, oltre alla c o r o n a di G e r m a n i a , a n c h e quelle di Austria, Boemia e U n g h e r i a , fosse salito un Sovrano c o m e Carlo già titolare d i t u t t o q u e l b e n d i d i o ? C o s t u i s a r e b b e d i v e n t a t o u n nuovo Carlomagno o un nuovo Barbarossa, insomma un «padrone». La lotta e r a q u i n d i molto incerta. E Carlo ne v e n n e a capo solo allargando la borsa, cioè v u o t a n d o l a c o m p l e t a m e n t e nelle tasche degli Elettori, che a q u e l l ' a r g o m e n t o e r a n o sensibilissimi. Ma ci vollero la bellezza di 850.000 fiorini. Carlo n o n li aveva. Glieli d e t t e r o gli unici che fossero in g r a d o di darglieli: i Fugger. Ma n a t u r a l m e n t e n o n si trattò di un regalo, p e r c h é i F u g g e r n o n avevano mai regalato nulla a ness u n o . Essi e b b e r o in cambio i diritti di d o g a n a nel p o r t o di A n v e r s a e l ' a p p a l t o di t u t t e le m i n i e r e s p a g n o l e . Da q u e l m o m e n t o la causa d e l l ' I m p e r o fu quella dei F u g g e r e viceversa: il che doveva far sentire i suoi effetti a n c h e sulle sorti di L u t e r o e della Riforma. I l nobile giovane n o n aveva d u n q u e c o m p i u t o v e n t ' a n ni, q u a n d o s'infilò in testa quella c o r o n a imperiale che semb r a v a s p r o p o r z i o n a t a n o n solo alla sua v e r d e età, ma a n c h e al suo fisico. Piccolo, pallido, slavato, di caratteristico aveva soltanto un n a s o a becco che quasi faceva arco col m e n t o . Soffriva di un sacco di m a l a n n i , dalla colite all'artritismo, i suoi m o d i e r a n o impacciati e la voce stridula. Ma e r a n o in pochi ad averla udita, p e r c h é Carlo taceva, sia p u r e in cinq u e lingue: fiammingo, tedesco, francese, s p a g n o l o e italian o . C h e cosa pensasse, p e r i suoi c o n t e m p o r a n e i fu s e m p r e un g r a n m i s t e r o e in p a r t e lo è r i m a s t o a n c h e p e r n o i p o steri. Il p r e c e t t o r e che gli avevano d a t o , il vescovo A d r i a n o di U t r e c h t , che p i ù tardi fu Papa, aveva cercato d'iniziarlo alla filosofia, ma il r a g a z z o vi si e r a m o s t r a t o allergico. Le u n i c h e m a t e r i e che lo i n t e r e s s a v a n o e r a n o quelle che avev a n o a t t i n e n z a con l'arte di g o v e r n o , e s p e c i a l m e n t e la di423
plomazia e la g u e r r a . Q u a n t o alla religione, di cui A d r i a n o gli aveva istillato i p r e c e t t i , C a r l o si m o s t r ò s e m p r e u n o scrupoloso osservante. Ma se fosse a n c h e un c r e d e n t e , n o n si sa. Il n u n z i o apostolico A l e a n d e r , q u a n d o p e r la p r i m a volta lo i n c o n t r ò , così ne riferì in un r a p p o r t o a L e o n e : «Mi s e m b r a d o t a t o di u n a p r u d e n z a m o l t o al di s o p r a dei suoi a n n i . E ho l'impressione che d e n t r o la sua testa ci sia molto più di q u a n t o la faccia n o n dica». Forse n o n era m o l t o intelligente. Ma capiva gli u o m i n i , che sono la cosa più diffìcile e p i ù i m p o r t a n t e da capire, specie p e r un g o v e r n a n t e . E il suo s a n g u e restava ghiaccio a n c h e nei p i ù gravi r e p e n tagli. Molti lo c o n s i d e r a v a n o i n d o l e n t e p e r la r i p u g n a n z a che di solito m o s t r a v a a p r e n d e r e le decisioni. Ma in certi f r a n g e n t i agiva c o n u n a risolutezza c h e lasciava t u t t i d i stucco. Aveva s e m p r e in serbo q u a l c h e sorpresa, a n c h e p e r q u e i suoi i n t i m i c h e c r e d e v a n o d i c o n o s c e r l o . O g n i t a n t o nella sua taciturna malinconia faceva capolino l ' u m o r i s m o : c o m e q u a n d o , a n d a t o a visitare i suoi s u d d i t i sardi, d o p o averli g u a r d a t i dal b a l c o n e , sotto il q u a l e lo a c c l a m a v a n o , c o m m e n t ò : «Pochi, matti e divisi». A l z a n d o la m a n o , p r o clamò: «Todos caballeros, tutti cavalieri!» e n o n si fece mai più v e d e r e nell'isola. Ora questo imperscrutabile e imprevedibile personaggio, a p p e n a c o r o n a t o I m p e r a t o r e , si trovò alle p r e s e con la «grana» di L u t e r o . Il N u n z i o Apostolico, d o p o a v e r n e invano sollecitato l'arresto al d u c a Federico, da cui il ribelle dir e t t a m e n t e d i p e n d e v a , p o r t ò la q u e s t i o n e d a v a n t i a Carlo che si trovò in grave imbarazzo. U n o degli i m p e g n i ch'egli aveva p r e s o con gli Elettori p e r a c c a p a r r a r s e n e il voto e r a quello d ' i m p e d i r e l'estradizione di cittadini tedeschi p r i m a ch'essi fossero processati e riconosciuti colpevoli da un trib u n a l e tedesco. Ma d'altra p a r t e egli e r a a n c h e Re di Spagna, la patria degl'Inquisitori e del fanatismo cattolico, che n o n tollerava i n d u l g e n z e e c o m p r o m e s s i con gli eretici. Il cauto Carlo decise di lavarsene le m a n i , r i m e t t e n d o il «caso» a u n a Dieta c h e v e n n e c o n v o c a t a a W o r m s p e r g e n n a i o 424
(1521). Essa n o n doveva soltanto occuparsi di L u t e r o , che anzi r a p p r e s e n t a v a un dettaglio. C ' e r a n o dei p r o b l e m i molto più gravi da discutere: la g u e r r a con la Francia e coi Turchi, p e r esempio. Il giovane I m p e r a t o r e dovette quindi restare un p o ' sorpreso, q u a n d o vide che, agli occhi degli Elettori, quei grossi fatti politici passavano in secondo piano rispetto alla vicenda teologica del m o n a c o . Worms e r a letteralmente i n o n d a t a di manifesti e libelli che inneggiavano a L u t e r o e m e t t e v a n o alla berlina il Papa e i preti. «Non posso girare p e r le strade - scriveva il N u n z i o a L e o n e -. Tutti a p p e n a mi v e d o n o mett o n o m a n o al p u g n a l e e mi m o s t r a n o i denti. S p e r o che Vostra Santità m'invù u n ' i n d u l g e n z a plenaria e si p r e n d a c u r a della mia famiglia se mi succede qualcosa.» La partita p e r la Chiesa si m e t t e v a così male che il confessore di Carlo si rivolse a Spalatino, s a p e n d o l o amico di L u t e r o , p e r c h é cercasse u n a conciliazione in extremis. Ma L u t e r o rifiutò. Il 3 m a r z o ebbe inizio il dibattito del suo caso. A l e a n d e r r e c l a m ò un v e r d e t t o di c o n d a n n a . La Dieta rispose che la c o n d a n n a p r e s u p p o n e v a un processo, e che p e r il processo ci voleva l'imputato. Carlo, che presiedeva l'assemblea, spiccò m a n d a t o di c o m p a r i z i o n e e inviò a L u t e r o un salvacond o t t o c o n l ' o r d i n e di p r e s e n t a r s i . Gli amici di W i t t e n b e r g c o n s i g l i a r o n o al ribelle di d i s o b b e d i r e , r i c o r d a n d o g l i l'esempio di Huss che il salvacondotto di Sigismondo n o n aveva salvato dal r o g o . E n o n avevano tutt'i torti, p e r c h é Adriano di U t r e c h t aveva già scritto al suo ex pupillo che gl'imp e g n i presi con un eretico n o n valgono: si p u ò , diceva, anzi si deve contravvenirvi. Ma L u t e r o aveva già deciso: la Dieta era u n a t r i b u n a nazionale che valeva q u a l u n q u e rischio. Il 2 aprile si mise in viaggio. Le città in cui passò lo accolsero e s a l u t a r o n o c o m e un e r o e avviato al m a r t i r i o . Alle p o r t e di Worms ricevette un messaggio di Spalatino che lo supplicava di t o r n a r e indietro. Rispose: «Anche se a Worms ci fossero più diavoli che tegole sui tetti, ci a n d r ò » . Un m a n i p o l o di cavalieri gli v e n n e i n c o n t r o p e r scortarlo e migliaia di p e r 425
seme fecero acclamante risacca i n t o r n o a lui. Egli c o m p r e s e che poteva p e r d e r e la vita, ma n o n la battaglia. Il 17 aprile c o m p a r v e d a v a n t i alla Dieta, solo, rivestito del suo saio. Dapprincipio rimase visibilmente smarrito allo spettacolo d e l l ' I m p e r a t o r e i n p a r a m e n t i , c i r c o n d a t o d a q u e l l ' i m p o n e n t e a s s e m b l e a di P r i n c i p i e p r e l a t i . Q u a n d o l'accusatore gli chiese se si r i t e n e v a colpevole di eresia ed e r a p r o n t o ad abiurarvi, esitò c o m e se il coraggio lo avesse di colpo a b b a n d o n a t o , e p p o i con incerta voce chiese t e m p o p e r riflettere. Carlo gli a c c o r d ò v e n t i q u a t t r ' o r e e rinviò la seduta all'indomani. L'indomani quello che si p r e s e n t ò in sala era un altro Lut e r o , cioè il L u t e r o di s e m p r e , a p p a s s i o n a t o , risoluto e p u gnace. All'accusatore, che gli r i p r o p o n e v a in latino il quesito della vigilia, rispose con voce ferma e in tedesco che, p e r q u a n t o r i g u a r d a v a gli abusi e la c o r r u z i o n e della Chiesa, la sua d e n u n z i a era condivisa da tutti e q u i n d i era da ritenersi giusta. L'Imperatore lo i n t e r r u p p e con un secco: «Non è vero!» Ma, sebbene p r o n u n c i a t o da u n a sì alta cattedra, n e m m e n o q u e l l ' i n t e r v e n t o sconcertò il m o n a c o c h e ribatté con t u t t a la forza della sua c o n v i n z i o n e : «Se ritrattassi q u e s t o p u n t o , mi a r r e n d e r e i alla t i r a n n i a e a l l ' e m p i e t à . E la cosa sarebbe a n c o r a p i ù grave se risultasse che vi sono stato costretto dal Sacro R o m a n o I m p e r a t o r e » . Nella sala gremita e vibrante di attesa si p r o p a g ò un m o r m o r i o di s g o m e n t o , ma a n c h e di a m m i r a z i o n e p e r l'audacia di quel m o n i t o . L u t e r o si volse di n u o v o all'accusatore p e r t e r m i n a r e la sua replica. Era p r o n t o , disse, a riconoscere eretiche le p r o p r i e tesi e ad abiurarvi, se qualcuno gli dimostrava se e in che cosa e r a n o contrarie alle Scritture. «Martino - ribatté l'accusatore s e m p r e in latino -, ti faccio osservare che questo è l ' a r g o m e n t o a d d o t t o da tutti gli eretici, compresi Wycliff e Huss... C o m e p u o i p r e s u m e r e di essere il solo a capire il senso delle Scritture, come p u o i p r e t e n d e r e di s o v r a p p o r r e la t u a i n t e r p r e t a z i o n e a quella di t a n t i u o m i n i famosi?... Ti c h i e d o , M a r t i n o , e t'invito a ri426
s p o n d e r e s c h i e t t a m e n t e e senza perifrasi: r i p u d i o n o n rip u d i i tuoi libri con tutti gli e r r o r i ch'essi contengono?» Ci fu un a t t i m o di silenzio: il p i ù decisivo a t t i m o , dice Carlyle, nella storia del m o n d o m o d e r n o . Poi, s e m p r e in tedesco, L u t e r o disse, volto a l l ' I m p e r a t o r e : «Poiché Vostra Maestà e le loro eccellentissime Signorie p r e t e n d o n o u n a risposta schietta e senza perifrasi, eccola: io n o n accetto ness u n a a u t o r i t à , n e m m e n o quella dei Papi e dei Concili c h e già tante volte si sono fra loro c o n t r a d d e t t i . Perciò, al di fuori delle Sacre Scritture, n o n r i s p o n d o che alla mia coscienza, p e r c h é senza o c o n t r o di essa sento che n o n c'è salvezza né sicurezza. Dio mi aiuti. Amen». Ci fu ancora, fra accusatore e i m p u t a t o , qualche scambio di battute, che Carlo i n t e r r u p p e con un p e r e n t o r i o : «Basta. Visto che l'imputato n e g a perfino i Concili, n o n c'è bisogno di fargli ulteriore d o m a n d e » . Lo scisma si era a p e r t o . L u t e r o r i e n t r ò n e i suoi a l l o g g i a m e n t i visibilmente scosso dalla terribile p r o v a . M a n o n m e n o t u r b a t o doveva essere l ' I m p e r a t o r e c h e l ' i n d o m a n i m a t t i n a convocò gli E l e t t o r i nelle p r o p r i e stanze p e r s o t t o m e t t e r g l i u n a d i c h i a r a z i o n e stilata di sua m a n o , d u r a n t e la n o t t e . Essa diceva c h e , in o m a g g i o alle tradizioni della sua famiglia, egli era deciso a restare fino in fondo fedele alla Chiesa e p r o n t o a giuocare su questa carta «le mie t e r r e , le mie amicizie, il mio corpo, la mia vita e la mia anima». R i s p e t t a n d o il salvacondotto che gli aveva rilasciato, aggiunse, consentiva a L u t e r o di t o r n a r sene a casa indisturbato, p u r c h é a sua volta egli n o n disturbasse p r o n u n z i a n d o p r e d i c h e e p r o v o c a n d o t u m u l t i . Ma d o p o , concluse, «procederò c o n t r o di lui come si usa con gli eretici confessi, e c h i e d o a voi di p r o n u n z i a r v i nello stesso senso». Dei sei Elettori lì presenti, q u a t t r o a d e r i r o n o e cont r o f i r m a r o n o . Ludovico del Palatinato e Federico di Sassonia, del quale L u t e r o e r a suddito, rifiutarono. Il giuoco delle parti si delineava. Reincarnazione del Sa427
ero R o m a n o I m p e r o , Carlo n o n poteva schierarsi c o n t r o la Chiesa. Per t u t t o il M e d i o Evo le d u e istituzioni si e r a n o spesso combattute, ma r i m a n e n d o s e m p r e legate da un vincolo di solidarietà, più forte di q u a l u n q u e motivo di attrito: l ' e c u m e n i s m o . L'una e l'altra p e r s e g u i v a n o u n a organizzazione del m o n d o s u p e r n a z i o n a l e , l'una e l'altra p a r l a v a n o quella specie di e s p e r a n t o c h ' e r a il latino, l ' u n a e l'altra combattevano tutto ciò che invece L u t e r o , a p a r t e i suoi fondamentali motivi di dissenso sul p i a n o teologico, evocava: la c o m u n i t à nazionale organizzata in Stato con le sue leggi, la sua lingua e perfino la sua Chiesa. Q u e s t o e r a il p u n t o su cui si sarebbero decise le sorti della g r a n d e battaglia. Per il m o m e n t o s e m b r a v a impossibile che un piccolo m o n a c o potesse t e n e r e in sacco le forze cong i u n t e del P a p a e d e l l ' I m p e r a t o r e . Ma il piccolo m o n a c o c a m m i n a v a con la Storia; Papa e I m p e r a t o r e , contro.
CAPITOLO SEDICESIMO
LA GRANDE RIVOLTA
L u t e r o si e r a rimesso in viaggio p e r W i t t e n b e r g , ma senza n e s s u n a certezza d i arrivarci. I g n o r a v a che frattanto p a p a L e o n e , con u n a c o r r e t t e z z a c h e gli fa o n o r e , aveva raccom a n d a t o a Carlo di rispettare il salvacondotto. Ma siccome questo stava p e r scadere, il d u c a Federico persuase L u t e r o a lasciarsi r a p i r e p e r strada da u o m i n i suoi e a farsi «imboscare» nel castello della Wartburg. Ci d o m a n d i a m o se Carlo credette al ratto. S a p p i a m o soltanto che, d o p o aver firmato la messa al b a n d o dell'eretico, n o n fece nulla p e r a p p u r a r e dove fosse finito. E p a p a L e o ne n o n sollecitò notizie. E n t r a m b i e r a n o u n i c a m e n t e p r e o c cupati della g u e r r a con la Francia e a n e s s u n o dei d u e piaceva fare il p e r s e c u t o r e . Appollaiata sull'alto di u n a collina, la W a r t b u r g n o n e r a u n a piacevole r e s i d e n z a . M a r t i n o n o n aveva altra c o m p a gnia c h e quella d i u n d r a p p e l l o d i g u a r d i e n é altro svago che la caccia. Per n o n farsi r i c o n o s c e r e , aveva c a m b i a t o il n o m e in quello di J u n k e r J ò r g , a b b a n d o n a t o il saio e inaug u r a t o u n a folta barba. L'inazione gli p r o c u r a v a insonnia e incubi. U n a notte credette di veder Satana e gli lanciò contro u n a bottiglia. Per liberarsi dalla sua persecuzione restava a tavolino fino all'alba, a t r a d u r r e in tedesco la Bibbia. L'unico sollievo a tanti triboli e r a n o le lettere dei pochi intimi che conoscevano il suo rifugio. Q u e l l e l e t t e r e p o r t a v a n o b u o n e notizie. I frati del convento agostiniano in cui egli aveva militato avevano abbracciato il luteranesimo. M e l a n t o n e stava c o m p o n e n d o un trattato d i d o g m a t i c a . C a r l s t a d t , p r o m o s s o a r c i d i a c o n o della 429
Cattedrale, officiava in lingua tedesca e aveva messo in p r a tica la tesi di L u t e r o , s e c o n d o cui i p r e t i p o t e v a n o a m m o gliarsi, s p o s a n d o a q u a r a n t a n n i u n a r a g a z z a d i q u i n d i c i . L u t e r o ne fu molto soddisfatto, ma, «Santo cielo - scrisse -, è p r o p r i o sicuro che i nostri bravi wittenberghesi siano disposti a d a r le loro figlie a dei monaci?» S e m b r a v a tuttavia di sì, p e r c h é gli agostiniani del suo c o n v e n t o si e r a n o accasati senza difficoltà. S e n o n c h é , in mezzo a queste incoraggianti n u o v e , ce n'er a n o a n c h e d'inquietanti. Alcuni studenti e p o p o l a n i avevano scacciato i preti ortodossi dagli altari in cui stavano officiando, altri ne avevano lapidato, e infine avevano saccheggiato il m o n a s t e r o francescano. L u t e r o capì subito il pericolo. C o m e tutte le rivoluzioni, a n c h e quella sua rischiava di cader p r e d a degli elementi più estremisti e d eversivi. Allora, m e t t e n d o d a p a r t e o g n i p r u denza, p i o m b ò clandestinamente a Wittenberg e t e n n e consiglio coi suoi p e r metterli in g u a r d i a c o n t r o gli eccessi. Ma n o n tutti si m o s t r a r o n o sensibili al richiamo, e fra i p i ù irriducibili c'era Carlstadt. T o r n a t o a W a r t b u r g con m o l t e p r e o c c u p a z i o n i , L u t e r o i n o n d ò d i lettere mezza G e r m a n i a p e r r i c h i a m a r e all'ordine i deviazionisti. A Zwickau, u n o d e i p i ù forti centri i n d u striali, la Riforma religiosa si e r a confusa con u n a specie di m o v i m e n t o socialista ispirato agli stessi principi dei taboriti b o e m i . Sedicenti apostoli del n u o v o c r e d o b a t t e v a n o la G e r m a n i a sobillando gli ascoltatori a d i s t r u g g e r e gli affreschi delle chiese e perfino gli o r g a n i , a d i s e r t a r e le scuole, e a t e n t a r e i più a r d i t i e s p e r i m e n t i sociali. La Riforma rischiava di d e c o m p o r s i in u n a galassia di sètte in polemica l ' u n a con l'altra. E d e r a p r o p r i o s u q u e s t o c h e R o m a contava. L u t e r o p i a n t ò definitivamente il suo rifugio, si tagliò la barba, riprese il saio, r i c o m p a r v e sul pulpito di Wittenberg, e in otto giorni p r o n u n z i ò otto s e r m o n i , che r a p p r e s e n t a n o forse la g e m m a della sua ricchissima oratoria. «Ascoltatemi. 430
Io sono il p r i m o ad aver ricevuto il messaggio del Signore. Io sono l'unico a cui Egli ha rivelato il senso delle Sue p a r o le.» Gli o b i e t t a r o n o che, d o p o aver t a n t o sproloquiato contro il Papa, egli parlava come il Papa. Ma alla fine la sua convinzione convinse tutti. Tutti, m e n o Carlstadt che, dimessosi dal suo posto, si ritirò a O r l a m u n d e , e di lì fulminò il suo vecchio m a e s t r o , c h i a m a n d o l o «il n u o v o infallibile di Wittenberg». Questo appassionato e turbolento quacchero avanti lettera officiava o r a vestito da laico, rifiutava c o m p e n si p e r il suo m i n i s t e r o , si g u a d a g n a v a da vivere l a v o r a n d o da c o n t a d i n o , anticipò la Christian Science n o n riconoscendo p o t e r e curativo che alle p r e g h i e r e a n c h e p e r le malattie del c o r p o . E alla fine, p e r s e g u i t a t o dalla polizia p e r istigazione alla rivolta, t o r n ò a cercare rifugio presso L u t e r o che fratern a m e n t e lo accolse e poi gli p r o c u r ò un posto di professore a Basilea. M a i l pericolo m a g g i o r e , p e r L u t e r o , n o n e r a n o q u e s t e d i s s i d e n z e i n d i v i d u a l i c h e r e s t a v a n o c o n f i n a t e sul p i a n o ideologico; e r a di farsi coinvolgere nella ribellione sociale, c o m ' e r a capitato a Wycliff. Nell'estate del '22 un g r u p p o di d i s e r e d a t i c a d e t t i della piccola nobiltà feudale l a n c i a r o n o un appello al p o p o l o e attaccarono l'Arcivescovo di Treviri i n n o m e della Riforma, m a i n r e a l t à p e r i m p a d r o n i r s i d e l p a t r i m o n i o diocesano. L u t e r o fece in t e m p o a dissociare le p r o p r i e dalle loro responsabilità, p r i m a ch'essi fossero battuti e dispersi. Ma l'episodio, aveva a l l a r m a t o t u t t a la Germ a n i a c o n s e r v a t r i c e e b e n p e n s a n t e . Per q u a n t o L u t e r o si affannasse a sconfessarle, d o v u n q u e scoppiassero rivolte - e ne scoppiavano in c o n t i n u a z i o n e - esse inalberavano il suo vessillo. T u t t a la G e r m a n i a p r o l e t a r i a e r a in s u b b u g l i o . In varie città si stabilirono governi comunisti che si c h i a m a r o no «Fratellanze Evangeliche». Esse istituirono u n a specie di soviet avanti lettera a M e m m i n g e n , e r e d a s s e r o u n a costituzione d e t t a dei «dodici articoli», strano e inquietante miscuglio di biblicismo e di radicalismo populista, e lo m a n d a r o no a L u t e r o p e r o t t e n e r n e l'avallo. 431
La scelta, p e r lui, e r a d r a m m a t i c a . Egli n o n poteva cond a n n a r e u n a rivoluzione che s'ispirava ai principi della Bibbia: n o n era stato lui a dire c h ' e r a quella l'unica bussola p e r tutto e p e r tutti? D'altra p a r t e n o n poteva giuocarsi le amicizie e le s i m p a t i e d e i Principi, a c o m i n c i a r e d a l suo d u c a Federico, che seguitavano a dargli m a n forte c o n t r o l ' I m p e r a t o r e e il Papa. Alcuni di essi, c o m e Filippo di Assia, Casim i r o di B r a n d e b u r g o , Ernesto di Liineborg, avevano già abbracciato il suo c r e d o . Vi si e r a convertita perfino u n a sorella dello stesso Carlo, Isabella. Nella sua risposta, L u t e r o cercò di conciliare la ragion di Dio con quella di Stato. Elogiò i «dodici articoli» p e r il loro costante r i f e r i m e n t o alle S c r i t t u r e , m a n e criticò l'appello alla violenza. Biasimò i potenti p e r n o n avere in t e m p o o p e r a t o le necessarie r i f o r m e , ma c o n f e r m ò il l o r o d i r i t t o a m a n t e n e r e l'ordine. E concluse lanciando agli elementi più ragionevoli d e l l ' u n a e dell'altra p a r t e un appello alla conciliazione: «Voi, Principi, a b b a n d o n a t e la vostra ostinazione, r i n u n z i a n d o a un po' dei vostri p o t e r i e p a t r i m o n i in m o d o c h e la p o v e r a g e n t e abbia di c h e vivere e r e s p i r a r e . E voi, contadini, a b b a n d o n a t e le p r e t e s e incompatibili con la legalità». T r o p p o tardi. L a rivolta o r m a i d i v a m p a v a . F u u n a gara di violenze, u n ' o r g i a di s a n g u e . L u t e r o cercò i n v a n o di arrestarla r i n n o v a n d o i suoi disperati richiami alla r a g i o n e e alla carità. Q u a n d o i ribelli, c r e d e n d o di avere o r m a i partita vinta, i n c r u d e l i r o n o a n c o r a d i p i ù a b b a n d o n a n d o s i a i p i ù orribili eccessi, egli p u b b l i c ò un manifesto d ' i n a u d i t a violenza «contro le o r d e assassine e saccheggiatrici dei contadini», i n v i t a n d o i Principi alla r e p r e s s i o n e e autorizzandoli a usare qualsiasi mezzo. E poco verosimile che sia stato questo intervento a p r o p i ziare la rivincita delle forze c o n s e r v a t r i c i . Ma la s f o r t u n a volle che, p e r via d ' u n r i t a r d o di composizione, il manifesto fosse p u b b l i c a t o p r o p r i o n e l m o m e n t o in cui i Principi rip r e n d e v a n o l'iniziativa. Il loro esercito riuscì a isolare gl'in432
sorti e li obbligò a u n a battaglia campale: l'unica ch'essi n o n p o t e v a n o v i n c e r e . I n realtà, p i ù c h e u n a b a t t a g l i a , f u u n massacro, di cui L u t e r o a p p a r v e c o m e l'ispiratore e il complice. Alla resa finale dei conti risultò c h e la ribellione aveva p a g a t o la p r o p r i a sconfitta con 130.000 cadaveri. Ma il passivo n o n si limitava solo a questo. La repressione aveva fatto piazza pulita di t u t t o : a n c h e delle istituzioni d e m o c r a t i c h e che b e n e o m a l e da quella t o r m e n t a sociale avevano p r e s o avvio, a n c h e del r i n n o v a m e n t o c h e si stava d e l i n e a n d o in senso umanistico. La stessa Riforma ne fu r i d o t t a allo s t r e m o . I d i s p e r a t i tentativi c o m p i u t i da L u t e r o p e r dissociarsene gli e r a n o serviti solo ad a p p a r i r e come il t r a d i t o r e di u n a rivoluzione che si richiamava alle sue d o t t r i n e evangeliche. Gli scampati al m a s s a c r o lo c h i a m a v a n o r a n c o r o s a m e n t e Doctor Lùgner, il d o t t o r b u g i a r d o . M e n t r e , dall'altra p a r t e , Carlo aveva facile giuoco nel definire quella rivolta «un m o v i m e n t o luterano». Molti Principi cattolici si avvalsero di questa identificazione p e r e s t e n d e r e la v e n d e t t a ai seguaci del n u o v o c r e d o , a n c h e se estranei alla ribellione. «Tutto quello che Dio ha fatto p e r gli u o m i n i attraverso di m e , è d i m e n t i c a t o - scriveva L u t e ro -. Principi, preti e contadini sono d'accordo su u n a cosa sola: nel volere la mia morte.» Fu b u o n p e r lui che W i t t e n b e r g gli restasse fedele. L'amabile e leale d u c a Federico e r a m o r t o . Ma il suo success o r e G i o v a n n i , s e b b e n e avesse e n e r g i c a m e n t e c o m b a t t u t o la rivolta, aveva a b b r a c c i a t o la R i f o r m a . L u t e r o q u i n d i , d e n t r o le m u r a della città, e r a al s i c u r o . Ma fuori di esse n o n osava m e t t e r e p i e d e , n e m m e n o p e r visitare l a t o m b a del p a d r e , c o m e s e m p r e aveva fatto. L'amarezza e la d e l u sione g l ' i s p i r a r o n o terribili libelli, specie c o n t r o i c o n t a d i n i c h e l o a v e v a n o r i n n e g a t o c r e d e n d o s i r i n n e g a t i d a lui. «Ritengo preferibile - scriveva a un amico - c h e siano loro a p e r i r e , p i u t t o s t o che i p r i n c i p i e i magistrati: Dio n o n ha mai autorizzato questa rustica plebe a p r e n d e r e la spada.» Parole spaventose, ispirate d a u n r a n c o r e che n o n gli p e r 433
m e t t e v a n e a n c h e d i v e d e r e q u a n t o p r o s s i m a fosse l a sua rivincita. Ma questa, p i ù c h e m e r i t o suo, fu la c o n s e g u e n z a della situazione politica, cui ora conviene t o r n a r e .
CAPITOLO DICIASSETTESIMO
FRA CARLO E F R A N C E S C O
S e m b r a un g h i g n o della sorte che la Chiesa abbia p e r s o la battaglia c o n L u t e r o p r o p r i o nel m o m e n t o in cui al Soglio salivano, u n o d o p o l'altro, alcuni dei migliori Papi della sua l u n g a storia. L e o n e X , A d r i a n o V I , C l e m e n t e V I I , Paolo I I I , p u r n o n essendo i m m u n i d a difetti, e r a n o senza d u b b i o u o m i n i di qualità. E p p u r e furono p r o p r i o loro i responsabili di u n a sconfìtta che, con un p o ' più di sagacia, si sarebbe p o t u t o evitare. I motivi che l'indussero in e r r o r e n o n sono tuttavia difficili da capire. Il p r i m o e il p i ù grosso è da i m p u t a r e più ai t e m p i che a loro. Nei l u n g h i secoli della Fede conquistatrice e trionfante - quelli che v a n n o all'incirca dai t e m p i di G r e gorio M a g n o a quelli di D a n t e - i Papi n o n si e r a n o molto occupati del loro Stato: lo t e n e v a n o p r e s s a p p o c o nel conto di un «beneficio», cioè di u n a fattoria d i o c e s a n a a disposizione del Vescovo di R o m a p e r attingervi i suoi mezzi di sussistenza. A n c h e i Pontefici p i ù risoluti e p r e p o t e n t i c o m e G r e g o r i o V I I e G r e g o r i o IX d i f e n d e v a n o , sì, q u e s t o l o r o feudo, la cui i n d i p e n d e n z a e r a la garanzia di quella loro materiale. Ma si c u r a v a n o p o c o d ' i n g r a n d i r l o , p e r c h é la loro forza n o n l a d e r i v a v a n o d a q u e l b o c c o n e d i t e r r a ; veniva d a l l ' a u t o r i t à ch'essi esercitavano, c o m e Vicari del S i g n o r e , sulla coscienza di tutta la c o m u n i t à cristiana, dal più umile dei contadini al p i ù p o t e n t e d e g l ' i m p e r a t o r i , che al Signore ci c r e d e v a n o e q u i n d i ai suoi vicari gli obbedivano. Ma nel Q u a t t r o c e n t o , di questa fede o p e r a n t e n o n era rimasto c h e un pallido r i c o r d o , s p e c i a l m e n t e in Italia, e p i ù specialmente a n c o r a nella C u r i a r o m a n a . O r m a i i n t e r a m e n 435
te c o n q u i s t a t a alla c u l t u r a u m a n i s t i c a , essa valorizzava, a spese di quelli spirituali, gl'interessi t e r r e n i . E gl'interessi t e r r e n i e r a n o s o p r a t t u t t o interessi politici, gl'interessi dello Stato. Da questo s p o s t a m e n t o di valori e r a n a t o , fra l'altro, il f e n o m e n o d e l «nepotismo». I Papi favorivano i p a r e n t i p e r acquisire alla p r o p r i a dinastia Io Stato e r e n d e r l o semp r e più p o t e n t e . Essi cioè si c o m p o r t a v a n o c o m e tutti gli altri Signori italiani d e l R i n a s c i m e n t o - gli Sfqrza, gli Este, i Gonzaga, i Medici, eccetera - che concepivano i loro possed i m e n t i c o m e u n p a t r i m o n i o p e r s o n a l e e d i famiglia, n e a d o t t a v a n o i m e t o d i di lotta - il complotto, il t r a d i m e n t o , il p u g n a l e , il veleno - e con loro e r a n o in g a r a p e r la conquista del p r i m a t o politico nella Penisola. Giulio II sapeva molto p i ù di a m m i n i s t r a z i o n e , di d i p l o m a z i a e s o p r a t t u t t o di g u e r r a c h e n o n d i teologia, d i cui anzi n o n s a p e v a nulla. N o n aveva di m i r a c h e lo Stato. E voleva c h e quello della Chiesa fosse il p i ù forte d'Italia. Ma a n c h e i suoi successori n o n b a d a v a n o ad altro. Per loro, lo Stato della Chiesa contava più della Chiesa. E questa deformazione m e n t a l e li i n d u ceva a p r e o c c u p a r s i p i ù della difesa dello Stato dalle altre p o t e n z e t e m p o r a l i , c h e di quella della Chiesa da L u t e r o e dalla Riforma. Vediamolo nei fatti. Bisogna r i p r e n d e r e il filo del racconto che abbiamo lasciato in sospeso alla fine della p r i m a p a r t e . Il lettore ci p e r d o n e r à se d o v r e m o r i p e t e r e cose già d e t t e nei capitoli p r e c e d e n t i . Ma o r a bisogna i n q u a d r a r e quegli avvenimenti nel contesto e u r o p e o , fuori del quale essi r i m a r r e b b e r o m o n c h i . Allo s c a d e r e d e l Q u a t t r o c e n t o la s i t u a z i o n e è q u e s t a : Massimiliano d'Asburgo è a n c o r a sul t r o n o i m p e r i a l e , e di lui abbiamo già detto c o m e badasse a e s t e n d e r e i p r o p r i domini più coi m a t r i m o n i che con gli eserciti (che n o n aveva). Sul t r o n o francese è invece salito Luigi X I I , sovrano molto p i ù accorto e d e n e r g i c o del suo p r e d e c e s s o r e C a r l o V i l i . Fra i titoli ch'egli eredita ci sono a n c h e quello di Re di Na436
poli e di Sicilia, lasciatogli dal c u g i n o R e n a t o , u l t i m o r a m pollo di quella dinastia Angiò che, p u r scacciata dagli Arag o n a , n o n aveva m a i r i n u n z i a t o alle sue p r e t e s e su quelle province; e quello di Duca di Milano p e r via del famoso tes t a m e n t o dei Visconti s e c o n d o cui, se un g i o r n o questa casata n o n avesse p i ù a v u t o e r e d i maschi, i suoi b e n i e titoli s a r e b b e r o passati agli e r e d i di Valentina, a n d a t a sposa, un paio di generazioni p r i m a , al Duca di O r l é a n s . La condizione si era realizzata: i Visconti e r a n o rimasti senza eredi maschi, ma il Ducato, invece di a n d a r e agli Orléans, e r a a n d a to c o m e d o t e di Bianca agli Sforza. E Luigi X I I , p r o n i p o t e di Valentina, lo rivendicava in base al testamento. Ma a n c h e Massimiliano vi p r e t e n d e v a , p e r c h é Milano e r a storicamente un feudo imperiale, tant'è vero che il suo attuale titolare, L u d o v i c o il M o r o , aveva chiesto p r o p r i o a lui c h e gliene confermasse l'investitura. E q u i n d i , in caso di contestazione, stava a lui d i s p o r n e . Inutile cercare da che p a r t e fosse la ragione. Ciò che contava e r a da c h e p a r t e stesse la forza c h e in q u e l m o m e n t o sembrava stare dalla p a r t e della Francia. Q u e s t o Paese scoppiava di salute, aveva la migliore organizzazione statale e il miglior esercito. P r o p r i o negli ultimi mesi del secolo, Luigi X I I scese in Italia. Ed ecco c o m e i vari potentati si disposero nei suoi confronti. Venezia aveva già firmato un trattato di alleanza con lui p e r la spartizione della p r e d a , cioè di Milano: essa si sarebbe presa C r e m o n a e i territori a est dell'Adda. Firenze si era anch'essa allineata coi francesi in cambio della loro garanzia alla sua libertà r e p u b b l i c a n a c o n t r o le m i r e di Cesare Borgia. A costui, p e r g u a d a g n a r s i i suoi favori e di conseguenza quelli del Papa suo p a d r e , Luigi diede u n a moglie francese di s a n g u e reale insieme al titolo di Duca di Valentino e mano libera p e r la riconquista degli Stati Pontifici. C o m e abbiamo già d e t t o , Ludovico n o n tentò n e m m e n o di resistere e cercò scampo in Austria. Tutti i piccoli Principati del c e n t r o - n o r d fecero atto di sottomissione. Solo Vene437
zia sotto i suoi Dogi e Napoli sotto i suoi Re aragonesi cons e r v a r o n o la loro i n d i p e n d e n z a . Ma p e r Napoli Luigi tessè u n a sottile combinazione diplomatica p r o p o n e n d o al Re di S p a g n a F e r d i n a n d o il Cattolico di spartirsene con lui il Ream e . S e b b e n e s t r e t t o p a r e n t e degli A r a g o n a , F e r d i n a n d o n o n esitò a tradirli f i r m a n d o con Luigi un patto segreto. Abb a n d o n a t o da tutti, a cominciare dai suoi sudditi, re Federico di Napoli si a r r e s e e accettò in cambio della sua rinuncia il Ducato di Angiò in Francia. Ma, scomparso lui, francesi e spagnoli si t r o v a r o n o di fronte; e n a t u r a l m e n t e , m a l g r a d o i patti, v e n n e r o in conflitto. Fu m e n t r e si c o m b a t t e v a q u e s t a s e c o n d a g u e r r a , c h e si svolse quella famosa «disfida di Barletta» che ha fornito il pretesto a t a n t a retorica. C o m e al solito, gl'italiani si e r a n o divisi: alcuni militavano sotto le b a n d i e r e spagnole di G o n zalo de C o r d o b a , detto «il g r a n capitano», altri sotto quelle francesi di d'Aubigny. Un subalterno di costui disse che gl'italiani e r a n o c o d a r d i . E gl'italiani di p a r t e s p a g n o l a allora s f i d a r o n o i francesi a s c e n d e r e sul t e r r e n o , tredici c o n t r o tredici. La g u e r r a fu di c o m u n e accordo m o m e n t a n e a m e n te sospesa p e r c e d e r e il passo a quel duello collettivo che si risolse coi tredici francesi feriti e fatti prigionieri dai tredici italiani. Palpiti di un patriottismo, che tuttavia n o n impediva ai nostri di scannarsi fra loro, a r r u o l a n d o s i c o m e m e r c e nari in eserciti stranieri e nemici, invece di unirsi c o n t r o di essi a difesa del loro paese. La g u e r r a , d a p p r i m a favorevole ai francesi, fu alla fine vinta da Gonzalo. Col trattato di Blois del 1505, Luigi riuscì solo a salvare la faccia a s s e g n a n d o la sua fetta di R e a m e italiano a G e r m a i n e de Foix, che p e r ò doveva p o r t a r l a in d o t e a F e r d i n a n d o , suo futuro marito. Così la c o r o n a di Napoli e di Sicilia fu u n i t a a quella di S p a g n a , e tale doveva r e s t a r e p e r oltre d u e secoli, cioè fino al 1707. Su q u e s t o sfondo di u n ' I t a l i a divisa fra d u e vassallaggi, quello spagnolo al sud, quello francese al n o r d , va vista l'azione d i p l o m a t i c a e militare di Giulio IL D e l l ' u o m o , delle 438
sue terrestri ambizioni, del suo t e m p e r a m e n t o autoritario e g u e r r i e r o , a b b i a m o già d e t t o . Ricapitoliamone le gesta. Alcuni storici di p a r t e cattolica lo p r e s e n t a n o c o m e un g r a n patriota p e r c h é a un certo p u n t o lanciò il grido: «Fuori i barbari», cioè i francesi e gli spagnoli. Ma d a p p r i n c i p i o Giulio con questi b a r b a r i s'intese p e r eliminare l'ultima p o t e n z a italiana rimasta i n d i p e n d e n t e d o p o Blois: Venezia. Fu lui infatti ad a r c h i t e t t a r e nel 1508 la Lega di C a m b r a i con Luigi, Ferdin a n d o e Massimiliano, cioè c o n le t r e p i ù g r a n d i p o t e n z e straniere, p e r lo s m e m b r a m e n t o della gloriosa Repubblica, in favore della quale nessuno Stato italiano si mosse. D o p o che i francesi e b b e r o a n n i e n t a t o il suo esercito ad Agnadello, Venezia ritirò t u t t e le sue g u a r n i g i o n i dalla terr a f e r m a d i s p o n e n d o s i all'assedio. Ma Luigi, i n c o r p o r a t a la sua p a r t e di bottino, r i c h i a m ò il p r o p r i o esercito; Massimiliano fece a l t r e t t a n t o ; e Giulio, soddisfatto a n c h e lui della p r o p r i a p r e d a , c o n s e n t ì a f i r m a r e la p a c e . Fu allora c h e , g u a r d a n d o s i i n t o r n o e a c c o r g e n d o s i q u a n t o p e s a v a n o sui suoi Stati i francesi, p a d r o n i di un D u c a t o di M i l a n o c h e aveva i n c o r p o r a t o quasi t u t t o il Veneto e t u t o r i di u n a Toscana l e g a t a c o n essi a filo d o p p i o lanciò il famoso g r i d o . N o n p e r l i b e r a r e l'Italia dai b a r b a r i ch'egli stesso vi aveva chiamato, ma p e r farne u n o Stato della Chiesa. Eccolo d u n q u e a m a c c h i n a r e u n ' a l t r a lega, la cosiddetta « U n i o n e Santa» (!) stavolta c o n S p a g n a , Venezia e Svizzera c o n t r o la Francia. Quest'ultima aveva à Milano u n a g u a r n i gione a l c o m a n d o d i u n g e n e r a l e d i v e n t i d u e a n n i , Gaston de Foix, che r i p o r t ò u n a brillante vittoria, ma la p a g ò con la vita sua e q u e l l a d e i suoi u o m i n i migliori. I resti del suo esercito n o n p o t e r o n o sfruttare il successo e d o v e t t e r o ritirarsi dalla penisola. I vincitori si divisero le spoglie al congresso di Mantova, dove Giulio fu salutato c o m e il «liberatore d'Italia». In realtà l'Italia aveva solo cambiato p a d r o n e . Il Ducato di Milano s t r a p p a t o ai francesi veniva assegnato a Massimiliano Sforza, figlio del M o r o , ma c o m e f e u d o i m p e r i a l e degli Asbur439
go; gli svizzeri si a n n e t t e v a n o L u g a n o c h e fin allora aveva fatto p a r t e del milanese; Firenze doveva accettare la restaur a z i o n e dei Medici sotto la p r o t e z i o n e s p a g n o l a che o r a si estendeva a n c h e su Verona e Vicenza. Ecco la situazione che Giulio aveva creato e che, m o r e n d o , lasciava ai successori. Al suo posto saliva L e o n e X che, da b u o n Medici, c r e d e va p i ù alla diplomazia che alla g u e r r a , e forse sarebbe riuscito a t e n e r l a l o n t a n a dall'Italia, se p r o p r i o in quegli a n n i n o n fosse m o r t o a n c h e il saggio Luigi X I I p e r lasciare il trono al p i ù a v v e n t a t o e s v e n t a t o F r a n c e s c o I. C o s t u i volle i n a u g u r a r e il suo R e g n o r i c o n q u i s t a n d o Milano. B r a n t ó m e dice che l'ambizione politica n o n c'entrava. Francesco aveva sentito d i r e che a Milano c'era u n a certa signora Clarice (o Clerici?), che passava p e r la p i ù bella f e m m i n a d ' E u r o p a ; e da quel donnaiolo che era, voleva g u a d a g n a r s e n e le grazie. La cosa n o n è m o l t o verosimile, ma somiglia al p e r s o n a g gio. Nell'estate del '15 a t t r a v e r s ò le Alpi alla testa di 4 0 . 0 0 0 u o m i n i . Lo Sforza e i suoi p r o t e t t o r i Asburgo misero in campo 25.000 svizzeri, c h e p a s s a v a n o p e r la m i g l i o r e fanteria del m o n d o e si battevano in falangi chiuse, irte di lunghissime picche, c o m e q u e l l e m a c e d o n i di Filippo e di Alessand r o . Lo scontro avvenne a M e l e g n a n o (che allora si chiamava M a l i g n a n o ) , e fu la più l u n g a e sanguinosa battaglia che si fosse svolta in Italia da parecchi decenni. La notte s o r p r e se i d u e eserciti, d o p o u n a g i o r n a t a di carneficina, a n c o r a avvinghiati nel c o r p o a c o r p o . Francesco, c h e si e r a b a t t u t o con l'abituale spavalderia in mezzo ai suoi nobili, d o r m ì sul fusto d ' u n c a n n o n e , e l'indomani fu il p r i m o a ricominciare. La c h i a m a r o n o «battaglia di giganti», e p e r gli svizzeri che vi p e r i r o n o quasi tutti n o n fu soltanto u n a disfatta; fu la fine del loro p r i m a t o militare in E u r o p a . Francesco riebbe il suo Ducato di Milano, e forse a n c h e la bella Clarice. Q u a n t o a Massimiliano Sforza, fu d e p o r t a t o in Francia c o m e suo pad r e . Solo che, invece della prigione, Francesco gli c o m m i n ò u n a pensione, sia p u r e modesta. 440
L e o n e aveva parteggiato p e r gli sconfitti p e r motivi di famiglia: i francesi e r a n o i p r o t e t t o r i dei r e p u b b l i c a n i di Fir e n z e che n o n si rassegnavano alla restaurazione dei Medici. Ma, a p p u n t o p e r c h é a n c h e lui e r a un Medici, n o n si lasciò s o r p r e n d e r e dagli a v v e n i m e n t i ; e al tavolo della p a c e che fu c o n c o r d a t a a Bologna, si trovò schierato dalla p a r t e del vincitore, cioè di Francesco, p e r il m o m e n t o arbitro della penisola. Gli Asburgo infatti e r a n o cancellati dal n o r d ; gli spagnoli confinati al R e a m e di Napoli. La p o t e n z a e g e m o n e e r a la Francia, p a d r o n a della L o m b a r d i a , di G e n o v a e dei Ducati di P a r m a e Piacenza. M a n o n e r a che u n a sistemazione provvisoria, u n a delle t a n t e «figure» dell'interminabile quadriglia che l'Italia d a n zava p a s s a n d o dal braccio di un cavaliere all'altro e t r a d e n doli tutti p e r restare alla fine tradita. N o n e r a n o infatti trascorsi tre a n n i che la rivalità fra le d u e Potenze si riaccese. A scatenarla, fu la lotta p e r la c o r o n a imperiale (di cui a b b i a m o già detto). Senza d u b b i o Francesco cercò di accaparrarsi il titolo p e r ambizione personale: quel giovane sovrano e r a assetato di gloria, di galloni, di p e n n a c chi, e n o n accettava di essere secondo a n e s s u n o . Ma a spingerlo c o n t r i b u ì a n c h e u n a motivata p r e o c c u p a z i o n e politica. Finché e r a rimasta sulla testa di Massimiliano d'Asburgo, in pratica la c o r o n a imperiale e r a stata soltanto la c o r o n a di G e r m a n i a : Paese vasto, ma disunito e ribelle al p o t e r e centrale. Se p e r ò essa diventava a p p a n n a g g i o del successore, il nipote Carlo, già p e r eredità m a t e r n a Re di S p a g n a e di Napoli, n o n c h é p a d r o n e delle F i a n d r e , la Francia rischiava di venire soffocata. Per p r e v e n i r e questa catastrofe, Francesco pose la sua c a n d i d a t u r a al titolo, spese un m u c c h i o di soldi p e r c o r r o m p e r e i Principi-Elettori t e d e s c h i c h e d o v e v a n o d e c i d e r n e le sorti nella l o r o Dieta, e p e r s e . C a r l o spese di p i ù e vinse. Da quel m o m e n t o il conflitto diventava inevitabile. Fu Francesco a p r e n d e r e l'iniziativa, s p e r a n d o di coglie441
r e c o n t r o p i e d e l'avversario, i n q u e l m o m e n t o s e r i a m e n t e minacciato da disordini politici in S p a g n a e dalla rivoluzione religiosa in G e r m a n i a . Egli spedì un esercito oltre i Pirenei e un altro in Italia p e r presidiare Milano. Il p r i m o p e r s e la battaglia. Il s e c o n d o p e r s e il suo capo, il Duca di B o r b o n e , «conestabile» di Francia (cioè p r e s s a p p o c o capo di stato maggiore), che disertò p e r mettersi agli o r d i n i di Carlo. Q u e s t o D u c a n o n e r a u n t r a d i t o r e . Aveva c o m b a t t u t o b r a v a m e n t e a M a r i g n a n o e finanziava di p e r s o n a le p r o p r i e t r u p p e . F r a n c e s c o lo aveva r i p a g a t o i n v a l i d a n d o il testam e n t o di sua moglie e i n c a m e r a n d o l'immenso p a t r i m o n i o ch'essa aveva lasciato al m a r i t o . C a r l o sfruttò t e m p e s t i v a m e n t e la collera d e l Duca offrendogli la carica di l u o g o t e n e n t e g e n e r a l e p e r l'Italia e la m a n o della p r o p r i a sorella Eleonora. Il B o r b o n e accettò, passò sotto la b a n d i e r a i m p e riale, rifece di Milano un feudo asburgico, batté i francesi a R o m a g n a n o , e si fece p r o m o t o r e di un'alleanza fra Carlo ed Enrico V i l i d ' I n g h i l t e r r a p e r un'invasione simultanea della Francia. L'impresa fallì. E Francesco, s c h i u m a n t e di rabbia vendicativa, assunse di p e r s o n a il c o m a n d o delle forze francesi in Italia p e r infliggere al fellone il castigo. Mal consigliato, nell'estate d e l '24 mise assedio a Pavia c h e gli resisteva. E sotto le m u r a della città fu attaccato di s o r p r e s a dalle forze coalizzate d e l B o r b o n e , d e l viceré di Napoli L a n n o y e del Marchese di Pescara. C o m e a Marignan o , combatté da p r o d e s e m p r e nel folto della mischia. Ma il suo difetto e r a p r o p r i o questo: che, p e r fare il soldato, egli spesso si dimenticava di fare il g e n e r a l e . L'avversario lo sup e r ò sul p i a n o tattico, e alla fine lo sopraffece. N e l l ' a n n u n ziare p e r lettera a sua m a d r e e a sua sorella la t r e m e n d a disfatta, F r a n c e s c o scrisse la famosa frase: «Tutto è p e r d u t o , fuorché l'onore», c h e t e s t u a l m e n t e s u o n a v a così: «Di t u t t o n o n m ' è rimasto che l'onore e la vita, che è salva». Salva, ma n o n libera p e r c h é , crivellato di ferite, e r a cad u t o p r i g i o n i e r o del fellone ch'egli voleva castigare e c h e lo relegò nella fortezza di Pizzighettone. Di lì Francesco in442
viò un umile appello a Carlo, rimasto a M a d r i d : «Se v o r r e te - gli diceva - g a r a n t i r e l'incolumità che m e r i t a un re di Francia p r i g i o n i e r o , p o t e t e c o n t a r e che costui, p e r gratitud i n e , r i m a r r à tale p e r s e m p r e » . L o s p a v a l d o g i o v a n o t t o , c o r a g g i o s i s s i m o i n b a t t a g l i a , n o n l o e r a a l t r e t t a n t o nella sconfìtta. Carlo n o n si lasciò inorgoglire, ma n e a n c h e c o m m u o v e r e d a l m e s s a g g i o . Lasciò p a s s a r e q u a l c h e m e s e p r i m a d i far trasferire il prigioniero a M a d r i d , dove gli dette il b e n v e n u to con u n a lettera f r e d d a e cortese, ma lo r i n c h i u s e in u n a c u p a fortezza. E i n t a n t o m a n d ò alla m a d r e d i F r a n c e s c o , Luisa, che aveva a s s u n t o la R e g g e n z a del R e g n o , u n a p r o p o s t a di p a c e c h e p r e v e d e v a , fra l'altro, la r i n u n z i a della Francia a ogni pretesa sull'Italia e sulla B o r g o g n a che doveva diventare provincia d e l l ' I m p e r o , alla Provenza e al Delfin a t o c h e a v r e b b e r o f o r m a t o Stati i n d i p e n d e n t i , alla N o r m a n d i a , A n g i ò e G u a s c o g n a c h e s a r e b b e r o t o r n a t e all'Inghilterra. D o p o d i c h é Francia e I m p e r o a v r e b b e r o coalizzato le loro forze p e r u n a crociata c o n t r o i Turchi. Luisa rispose che la Francia n o n avrebbe c e d u t o un palm o del suo t e r r i t o r i o , s e g r e t a m e n t e inviò u n messaggio a l sultano Solimano p e r i n d u r l o ad attaccare i Balcani e intrigò coi suoi ambasciatori a R o m a e a L o n d r a p e r convincere il P a p a ed Enrico V i l i che la s t r a p o t e n z a di Carlo e r a u n a minaccia p e r tutti. Il c o m p l i c a t o g i u o c o d i p l o m a t i c o si concluse nel 1526, q u a n d o Francesco, demoralizzato dalla prigionia e dalla cattiva salute, tagliò c o r t o a c c e t t a n d o n o n solo le c o n d i z i o n i d e t t a t e d a Carlo, m a a n c h e l a c o n s e g n a a l l ' I m p e r a t o r e dei suoi d u e figli maggiori in qualità di ostaggi. In più egli s'imp e g n a v a a sposare la sorella del suo m o r t a l e n e m i c o , Eleon o r a , g i u r a n d o p e r iscritto di r i c o n s e g n a r s i p r i g i o n i e r o se n o n avesse t e n u t o le p r o m e s s e . Ma q u a n t o avesse in a n i m o di farlo è d i m o s t r a t o dalla d i c h i a r a z i o n e da lui r e d a t t a in p r e c e d e n z a e spedita s e g r e t a m e n t e a Parigi con cui invalidava « q u a l u n q u e p a t t o e concessione incompatibili con l'o443
n o r e e c o n gl'interessi della c o r o n a » c h e gli fossero stati strappati in Spagna. Infatti, r i e n t r a t o a Parigi, r i n n e g ò subito gl'impegni, del tutto indifferente alla sorte dei suoi figli Francesco ed Enrico, che avevano p r e s o il suo posto a M a d r i d . Carlo disse che chi n o n o t t e m p e r a v a a l p r o p r i o g i u r a m e n t o n o n aveva diritto alla qualifica di «gentiluomo». Ma il P a p a ( C l e m e n t e VII) ritorse che un g i u r a m e n t o sotto costrizione è nullo, e a n n o d ò con Francesco la «Lega di Cognac» in cui trascinò a n c h e Milano, Genova, Firenze e Venezia p e r u n a crociata di liberazione dell'Italia dagli spagnoli. Per quali motivi la Chiesa avesse o p e r a t o quell'ennesimo rovesciamento di alleanze, lo d i r e m o d o p o . Per o r a fermiamoci a questa fatale svolta della politica e u r o p e a , che tuttavia r i s u l t e r e b b e i n c o m p r e n s i b i l e senza un c e n n o agli altri d u e suoi protagonisti: Enrico V i l i d ' I n g h i l t e r r a , e Solimano di Turchia. T r o v i a m o inutile diffonderci sulle v i c e n d e i n t e r n e dell'Inghilterra che n o n r i g u a r d a n o la nostra storia. Basti dire che il Paese era a p p e n a uscito da u n a l u n g a a n a r c h i a feudale grazie alla n u o v a dinastia dei Tudor. Il fondatore, Enrico V I I , ristabilì l ' o r d i n e e la p a c e . Il suo successore, E n r i c o V i l i , s e m b r a v a il m e g l i o qualificato a r i c a l c a r n e le o r m e . E s s e n d o stato i n i z i a l m e n t e avviato n o n al t r o n o , ma al sacerdozio, aveva u n a discreta cultura specie di teologia. U n o dei suoi p r i m i gesti fu, c o m e a b b i a m o visto, l'invito a Erasmo di stabilirsi in I n g h i l t e r r a . Tutti coloro che lo avvicinavano restavano incantati, oltre che dalla sua atletica p r e s t a n za, dalla sua grazia e cortesia. Nei primi a n n i di r e g n o si occupò poco di politica, prefer e n d o lasciarla in a p p a l t o al cardinale Wolsey, di cui l'ambasciatore v e n e t o Giustiniani ci ha t r a m a n d a t o nei suoi r a p p o r t i u n mirabile ritratto: u n b e l l ' u o m o , dice, che h a t u t t e le qualità, m e n o quelle morali. A m a in egual m i s u r a e serve con lo stesso i m p e g n o il Re, la patria, la p r o p r i a carriera e il p r o p r i o p a t r i m o n i o . Ambizioso, avido, geniale e snob, e r a 444
i n s o m m a u n miscuglio d i Richelieu, d i Bonifacio V i l i , d i B r u m m e l e di Winston Churchill, che aveva la s u p r e m a abilità di far c o i n c i d e r e s e m p r e gl'interessi dello Stato c o n quelli suoi personali. La sua politica e u r o p e a ricordava un p o ' quella italiana di L o r e n z o il Magnifico: egli fece dell'Inghilterra «l'ago della bilancia» nel g r a n d e giuoco fra i Valois di F r a n c i a e gli A s b u r g o i s p a n o - t e d e s c h i . Per r a g g i u n g e r e q u e s t o scopo si servì delle d o n n e di casa reale. La sorella di Enrico la diede in sposa a Luigi X I I di Francia; la figlia M a r i a , c h e aveva d u e a n n i , la fidanzò al f u t u r o F r a n c e s c o I c h e aveva sette mesi. T u t t o questo, p e r c r e a r e u n c o n t r a p p e s o a l m a t r i m o nio s p a g n o l o di Enrico, che aveva sposato C a t e r i n a di Aragona, zia di Carlo V. E il lettore n o n pensi che si tratti di dettagli: questo intreccio coniugale avrà, c o m e v e d r e m o , la sua importanza. Q u a n d o esplose l a r i b e l l i o n e d i L u t e r o , Wolsey s p i e g ò nel combatterla molta più accortezza dei Papi. Egli conosceva benissimo gli abusi del clero, a n c h e p e r c h é ne era p a r t e cipe egli stesso che godeva di n u m e r o s i e immensi benefici e - s e c o n d o lo storico H u g h e s - intascava un terzo di tutte le r e n d i t e ecclesiastiche inglesi. E sapeva a n c h e che nella patria di Wycliff il s e m e della Riforma a v r e b b e t r o v a t o b u o n t e r r e n o p e r attecchire. Perciò, invece di affrontarla c o n la p e r s e c u z i o n e , m i r ò a silenziarla t o g l i e n d o l e i p i ù efficaci pretesti di p r o p a g a n d a . Allontanò i prelati che più d a v a n o scandalo e chiuse i m o n a s t e r i che violavano la regola. Q u a n to agli eretici, b a d ò p i ù a r e c u p e r a r l i c h e a p e r s e g u i t a r l i . Sotto di lui in Inghilterra ci furono pochi roghi. E fu grazie a questo m e t o d o che la Riforma p e r il m o m e n t o n o n vi attecchì. Enrico secondò la politica ortodossa del suo Cancelliere, anzi sottolineò la fedeltà alla Chiesa c h i a m a n d o a raccolta i suoi ricordi di teologia e c o m p o n e n d o u n a «Asserzione dei sette Sacramenti c o n t r o Martin Lutero», che q u a l c u n o p e r ò attribuisce a Wolsey. Q u e s t o gli valse, da p a r t e di L u t e r o , la 445
taccia di «Re delle bugie, s o m a r o e pazzo»; e da p a r t e di papa L e o n e il titolo di «Difensore della Fede». Ma intanto, fra il Sovrano e il Cancelliere, e r a n o sopravvenuti dei fatti nuovi. Anzitutto Wolsey, c o n t r a v v e n e n d o alla sua diplomazia dei c o n t r a p p e s i , aveva alleato l'Inghilterra a C a r l o nella g u e r r a c o n t r o F r a n c e s c o e m a n d a t o un esercito a i n v a d e r e la Francia. Si e r a deciso a q u e s t o passo p e r c h é ambiva a d i v e n t a r P a p a e sperava che l ' I m p e r a t o r e lo aiutasse. A n c h e q u a n d o la c a m p a g n a si risolse in un inutile d i s p e n d i o di d e n a r o e di vite u m a n e , Wolsey v'insistè e i m p o s e n u o v e tasse. Q u e s t o gli p r o c u r ò u n a forte i m p o p o larità che diventò a n c o r a p i ù forte q u a n d o , con la battaglia di Pavia, Carlo ebbe realizzato quell'egemonia e u r o p e a , c h e Wolsey aveva s e m p r e cercato d ' i m p e d i r e facendo l'ago della bilancia fra le d u e p o t e n z e rivali. Per r i m e d i a r e , Wolsey r o vesciò il fronte alleandosi con la Francia c o n t r o C a r l o . Ma costui era il nipote della regina, dalla quale o r a Enrico voleva divorziare. Ed è a q u e s t o p u n t o c h e i dettagli coniugali c o m i n c i a n o a far s e n t i r e il l o r o p e s o , c o m e p i ù t a r d i d i r e mo. M e n t r e l ' I n g h i l t e r r a cercava di ristabilire l'equilibrio tra C a r l o e F r a n c e s c o , a n c h e S o l i m a n o s'inseriva in q u e s t o giuoco. E p e r esercitarvi un peso decisivo. Ne LItalia dei secoli d'oro abbiamo già succintamente riepilogato la vicenda dei Turchi O t t o m a n i che, ultimi convertiti alla fede e alla civiltà dell'Islam, ne e r a n o diventati i p a d r o ni e le a v e v a n o restituito il g u e r r i e r o m o r d e n t e d e i p r i m i Califfi. Verso la m e t à del Q u a t t r o c e n t o avevano d a t o la definitiva spallata a l l ' I m p e r o d ' O r i e n t e c o n q u i s t a n d o Costantinopoli e facendone la p r o p r i a capitale. C o m e vastità di possedimenti e r a n o l a più g r a n d e p o t e n z a m o n d i a l e . I n E u r o pa essi inglobavano o r m a i la Bulgaria, la Grecia - salvo alc u n e isole - la R o m a n i a e un b u o n boccone della Jugoslavia, p r e m e n d o così e m i n a c c i a n d o le province u n g h e r e s i e boem e d e l l ' I m p e r o asburgico. Nel 1520 il titolo di Sultano fu assunto da Solimano, che 446
p o i i Turchi c h i a m a r o n o «il legislatore» e gli e u r o p e i «il magnifico». N o n aveva che ventisei a n n i , ma p o s s e d e v a già la stoffa d e l g r a n d e c a p o politico e militare. N a t u r a l m e n t e la l e g g e n d a cristiana dipinge a n c h e lui, c o m e tutti gli «infedeli», un m o s t r o di c r u d e l t à . Ed effettivamente S o l i m a n o da u l t i m o lo fu nei suoi r a p p o r t i domestici, sotto l'influsso di u n a moglie ambiziosa che lo spinse a uccidere il figlio natogli da un p r e c e d e n t e m a t r i m o n i o , e p p o i a n c h e il n i p o t e . Ma il duplice delitto ha l ' a t t e n u a n t e della vecchiaia e della passione. Nel p i e n o possesso delle sue facoltà, Solimano fu un S o v r a n o autoritario ma saggio, l u n g i m i r a n t e e m a g n a n i m o a n c h e coi suoi avversari. Inflessibile g u e r r i e r o e mussulmano zelante, r e n d e v a o m a g g i o al n e m i c o vinto, trattava con u m a n i t à i prigionieri cristiani, e mai p e r s e g u i t ò p e r motivi religiosi. Il conflitto dell'Islam con l ' E u r o p a cristiana era, c o m e si suol dire, «scritto nelle stelle», e infatti d u r a v a da noveceirto a n n i , cioè da q u a n d o , nel settimo secolo, gli eserciti di Maom e t t o e r a n o traboccati dall'Arabia e d o p o la fantastica cavalcata conquistatrice l u n g o il nord-Africa, e r a n o sbarcati in S p a g n a . I cristiani a v e v a n o p r e s o la controffensiva c o n le Crociate; l'Islam aveva r e p l i c a t o a n n e t t e n d o s i l ' i m p e r o di Bisanzio, c o m p r e s a la sua capitale, e s p i n g e n d o c o m e abbiamo detto i suoi eserciti fin nel c u o r e dei Balcani. N o n c'era stato un P a p a che n o n avesse b a n d i t o la sua b r a v a crociata c o n t r o l'Islam; e n o n c'era stato un S u l t a n o che n o n avesse p r o m e s s o ai suoi Ulema di fondare u n a moschea a R o m a . Ma a questi a n t i c h i « p r e c e d e n t i » , o r a si a g g i u n s e u n a n u o v a t e n t a z i o n e . Nel 1525 Solimano ricevette u n a lettera di Francesco I. Prigioniero a M a d r i d , il Re francese invitava il S u l t a n o a i n v a d e r e l ' U n g h e r i a , p r o v i n c i a d e l l ' I m p e r o , s p e r a n d o così d ' i n d u r r e Carlo a s c e n d e r e a patti con lui. Il Sultano rispose: «Il n o s t r o cavallo è sellato, la n o s t r a s p a d a affilata». E d o p o pochi mesi p r e s e la strada di B u d a p e s t alla testa di centomila u o m i n i . Il Papa lanciò un appello a tutti i Principi cristiani p e r un fronte c o m u n e . Ma, di questi Prin447
cipi, u n o e r a quello c h e aveva istigato S o l i m a n o ; u n altro, E n r i c o V i l i d ' I n g h i l t e r r a , stava r o v e s c i a n d o i l fronte p e r allearsi con lui. Restava Carlo V, il m a g g i o r e interessato p e r ché l'invasione aveva di mira p r o p r i o le sue province i m p e riali. Ma q u a n d o chiese ai Principi t e d e s c h i di fornirgli le t r u p p e , quelli p r o t e s t a n t i vi si rifiutarono su istigazione di L u t e r o . Il m o n a c o ribelle p r o c l a m ò a d d i r i t t u r a che i T u r c h i e r a n o m a n d a t i dal b u o n Dio, e che p e r t a n t o resistere a loro era c o m e resistere a Lui. Il motivo di questa dissidenza n o n e r a difficile da capire. L u t e r o n o n voleva r e s t a r e i n balìa d i u n C a r l o t r i o n f a n t e che, d o p o essere v e n u t o a capo del nemico esterno, avrebbe p o t u t o rivolgere le sue a r m i vittoriose c o n t r o quello intern o , cioè c o n t r o la Riforma. Così gli U n g h e r e s i , a b b a n d o n a t i a se stessi, f u r o n o facilmente sopraffatti. E così S o l i m a n o , piantate le sue b a n d i e r e a B u d a p e s t , era diventato u n o degli arbitri d e l l ' E u r o p a . Q u e s t a e r a all'ingrosso la situazione i n t e r n a z i o n a l e nel m o m e n t o in cui si serrava il giuoco fra la Chiesa e L u t e r o . E o r a cerchiamo di capire c o m e la si vedeva e misurava da Roma.
CAPITOLO DICIOTTESIMO
IL SACCO DI R O M A
Abbiamo detto che la pace di Bologna del 1516 aveva lasciato l'Italia p r a t i c a m e n t e in balìa di Francesco. Papa L e o n e si era piegato, ma n o n rassegnato a questa situazione. Tuttavia, q u a n d o tra Francesco e Carlo fu in giuoco la c o r o n a i m p e riale, il suo atteggiamento fu ambiguo, o q u a n t o m e n o indeciso. E del resto la scelta era difficile, p e r u n a Chiesa che ancora s'illudeva di fare u n a politica t e m p o r a l e . P r o p r i o in quel m o m e n t o L u t e r o bruciava la bolla con cui il Papa lo aveva scomunicato e il suo scisma faceva passi da gigante. Ma a R o m a n o n ci s'inquietava di q u e s t o . Ci si p r e o c c u p a v a solo della sorte degli Stati Pontifici, e ci si chiedeva se essi sarebb e r o stati più sicuri con un I m p e r a t o r e p a d r o n e soltanto della Francia, o con u n o che già lo era della Spagna, delle Fiand r e , di Napoli, dell'Austria, dell'Ungheria e della Boemia. L'indecisione del Papa fece sì che Carlo si g u a d a g n a s s e il titolo senza il suo a p p o g g i o e q u i n d i n o n gliene fosse p u n t o debitore. Il che spinse L e o n e a p r o p o r r e un'alleanza militare a Francesco. Q u e s t i tergiversò d a n d o t e m p o a C a r l o di a t t r a r r e il P a p a nel suo c a m p o facendogli le p i ù allettanti offerte: la restituzione di P a r m a e di Piacenza, la r e s t a u r a zione a Milano della dinastia Sforza, l ' i m p e g n o alla difesa degli Stati Pontifici e di Firenze c o n t r o qualsiasi attacco, la p r o m e s s a di u n a lotta a oltranza c o n t r o L u t e r o e la sua eresia. Ma q u e s t a e r a forse la clausola c h e m e n o interessava a L e o n e , il quale si affrettò a firmare, fece a n c o r a in t e m p o a v e d e r e realizzate tutte le p r o m e s s e che Carlo gli aveva fatto, e m o r ì convinto di avere definitivamente risolto in suo favore il giuoco diplomatico. 449
Q u e s t o giuoco subì u n a p a u s a grazie ad A d r i a n o VI, destinato a r e s t a r e , fra i Papi d e l R i n a s c i m e n t o , u n a i n c o m prensibile anomalia. S t a n d o al R a n k e , fu il cardinale Giulio d e ' Medici, cugino di L e o n e , a p r o p o r r e c o m e suo successore A d r i a n o Dedel, Arcivescovo di Utrecht, che n o n era n e m m e n o p r e s e n t e al Conclave. Ma è probabile che il n o m e gli fosse stato suggerito sotto banco dallo stesso I m p e r a t o r e , di cui A d r i a n o e r a stato il p r e c e t t o r e e godeva l'intera fiducia. N o n c'è d u b b i o c o m u n q u e che il più stupito di tutti dall'elezione fu q u e s t o s a c e r d o t e severo e pio, che n o n aveva fatto nulla p e r p r o c u r a r s e l a , n o n aveva m a i messo p i e d e a R o m a , e t a n t o p o c o conosceva gli usi splendidi della C u r i a che, p r i m a d'installarcisi da Papa p o r t a n d o s i al seguito u n a sola p e r s o n a - la sua vecchia g o v e r n a n t e olandese -, scrisse a un a m i c o d e l p o s t o p r e g a n d o l o di trovargli u n a casetta possibilmente con giardino. La vista del Vaticano gli tolse il r e s p i r o . Ma p i ù a n c o r a lo tolse ai r o m a n i l ' a p p a r i z i o n e di q u e s t ' u o m o c h e s e m b r a v a i n c a r n a r e , nella sua m o d e s t i a e a u s t e r i t à , l ' a n t i r i n a s c i m e n t o . Peggio a n c o r a fu q u a n d o lo u d i r o n o p a r l a r e in un latino g u t t u r a l e e impervio, e gli sent i r o n o d i r e c h e p e r i l p r o p r i o m a n t e n i m e n t o n o n voleva s p e n d e r e più di un ducato al giorno, cioè qualcosa come sei o settemila lire d'oggi. La famosa statua di Pasquino, dove i r o m a n i u s a v a n o affiggere le l o r o p r o t e s t e e c o r b e l l a t u r e c o n t r o le a u t o r i t à costituite, si coprì di sferzanti satire contro il n u o v o Pontefice. A d r i a n o n o n se ne c u r ò . Egli n o n e r a affatto lo sprovved u t o b a r b a r o , l'incolto p a r r o c o di c a m p a g n a che i suoi cal u n n i a t o r i , e s o p r a t t u t t o l'Aretino e il B e r n i , descrivevano. Era stato professore di filosofia e teologia nell'Università di L o v a n i o , e r a a m i c o di E r a s m o c o n cui si t e n e v a in stretta c o r r i s p o n d e n z a , si o r i e n t a v a b e n i s s i m o fra le c o r r e n t i d e l p e n s i e r o c o n t e m p o r a n e o . Ma era soprattutto u o m o di Chiesa, che alla Chiesa e r a deciso a sacrificare a n c h e la cultura, q u a n d o paganeggiava, c o m ' e r a il caso di quella umanistica italiana. Licenziò gli allievi di Raffaello c h e s e g u i t a v a n o a 450
d e c o r a r e le Stanze vaticane, mise alla p o r t a i poeti che vivev a n o a sbafo della C o r t e , e dei c e n t o stallieri c h e a v e v a n o accudito ai cavalli di L e o n e ne t r a t t e n n e solo q u a t t r o . I n t r o d u s s e usi s p a r t a n i g e t t a n d o lo s c o m p i g l i o fra i C a r d i n a l i , c h e si v e d e v a n o convocati da lui alle sei d e l m a t t i n o , cioè p r i m a d e l l ' o r a in cui e r a n o abituati a coricarsi. E i n g a g g i ò f r o n t a l m e n t e u n a d i s p e r a t a lotta c o n t r o i privilegi che si e r a n o incrostati negli ultimi d e c e n n i . Voleva c o m b a t t e r e la Riforma c o n u n a r i f o r m a della Chiesa c h e vi r i p r i s t i n a s s e o r d i n e m o r a l e , pulizia, carità, umiltà, spiritualità. Ma i n c o n t r ò la resistenza che in Italia sono destinati a inc o n t r a r e tutt'i riformatori. A d r i a n o voleva eliminare le caric h e abusive; m a q u e l l e c a r i c h e e r a n o state r e g o l a r m e n t e c o m p r a t e dai titolari che o r a esigevano il r i m b o r s o . Voleva abolire la scandalosa vendita delle i n d u l g e n z e , su cui la p e n sava c o m e L u t e r o . Ma q u a l c u n o gli fece osservare che q u e sta m i s u r a n o n avrebbe riconquistato alla Chiesa la G e r m a nia, le avrebbe solo fatto p e r d e r e a n c h e l'Italia. Del tutto indifferente alle sorti dello Stato, rifiutava o g n i politica che n o n fosse quella, lineare, della difesa del m o n d o cristiano, in quel m o m e n t o g r a v e m e n t e minacciato dai turchi, c o m e a b b i a m o detto. Solo le forze c o n g i u n t e del Re di Francia e d e l l ' I m p e r a t o r e avrebbero potuto fermarli. E A d r i a n o lavorò i n q u e s t o senso, senza m o s t r a r e n e s s u n a parzialità p e r il suo ex p u p i l l o . Si s c h i e r ò c o n C a r l o solo q u a n d o s'accorse che Francesco trescava col nemico ottoman o servendosi, p e r q u e s t o d i s e g n o fellone, p r o p r i o d i u n o dei pochi cardinali italiani in cui egli aveva riposto fiducia: Francesco Soderini. Forse fu questa delusione che inferse il colpo definitivo alla sua malferma salute. Q u a n d o morì, d o po solo tredici mesi di pontificato, i r o m a n i , convinti ch'egli fosse stato avvelenato d a l suo m e d i c o , affissero sulla p o r t a di costui, in s e g n o di g r a t i t u d i n e , l'iscrizione: Liberatori patriae, al liberatore della patria, e c e l e b r a r o n o il lutto con m a nifestazioni di gioia. «Fu un g r a n peccato - dice il D u r a n t c h e A d r i a n o n o n riuscisse a c a p i r e il R i n a s c i m e n t o . Ma fu 451
a d d i r i t t u r a u n a sciagura che il Rinascimento n o n riuscisse a tollerare un Papa cristiano.» U n a sciagura e un presagio di rovina. Al conclave che si riunì alla fine del '23 la lotta p e r la successione fu aspra e d u r ò quasi d u e mesi. Ma tutti furono sin d a p p r i n c i p i o d'accordo che la tiara dovesse t o r n a r e a p p a n naggio di qualche C a r d i n a l e italiano della vecchia scuola rinascimentale, cioè esente da p u n t i g l i moralistici, incline al m e c e n a t i s m o , disponibile a o g n i c o m p r o m e s s o e soprattutto sollecito dello Stato, cioè della p o t e n z a t e m p o r a l e , dei soldi della politica. E chi poteva in questo senso fornire più garanzie, a n c h e p e r il n o m e che portava, di Giulio d e ' Medici? Era figlio di quell'amabile Giuliano, fratello di L o r e n z o , r i m a s t o vittima della c o n g i u r a dei Pazzi. S e b b e n e illegittim o , il Magnifico lo aveva allevato insieme ai figli p r o p r i , fra i quali c'era il futuro L e o n e X. Costui se l'era p o r t a t o a Roma, lo aveva fatto C a r d i n a l e e gli aveva d a t o le p i ù i m p o r tanti cariche a m m i n i s t r a t i v e . Giulio le aveva esercitate alla Medici, cioè con intelligenza, tatto e spregiudicatezza. C o n lui, incoronato col n o m e di C l e m e n t e V I I , r i p r e s e r o possesso del Vaticano i pittori, i poeti, i cortigiani, i parassiti e a n c h e le vecchie b u o n e a b i t u d i n i dell'intrallazzo e delle «bustarelle» c h e A d r i a n o aveva c e r c a t o di l i q u i d a r e . Egli c o m p e n s ò i suoi elettori con u n a larga distribuzione di benefici che c o m p o r t a v a n o r e n d i t e fino ai sessantamila ducati a n n u i , a p p a g ò c o n feste e liberalità l'inesausta s m a n i a di gozzoviglia dei r o m a n i , e accantonò ogni p r o p o s i t o di riforma della Chiesa p e r consacrarsi u n i c a m e n t e al giuoco che p i ù lo interessava e p e r il quale si sentiva meglio attrezzato: quello politico. L a s i t u a z i o n e e r a quella c h e a b b i a m o già d e s c r i t t o nei p r e c e d e n t i capitoli. Nel suo motivo centrale, il conflitto fra Carlo e Francesco, C l e m e n t e s'inserì s p e r a n d o a n c h e lui di fare l'ago della bilancia con u n ' a m b i g u i t à c h ' e r a un p o ' nella sua stessa n a t u r a e nella tradizione della famiglia Medici, m a u n p o ' a n c h e nelle c o n t r a d d i z i o n i o g g e t t i v e della sua 452
posizione. Da q u a n d o i Papi avevano dimenticato di essere al servizio di Dio e si consideravano solo al servizio dei loro Stati, i l p e r i c o l o c h e p i ù a v e v a n o s e m p r e p a v e n t a t o e r a quello di restare nella m o r s a di u n a Potenza che li chiudesse t e r r i t o r i a l m e n t e a n o r d e a sud. E p r o p r i o questo e r a avven u t o d a q u a n d o C a r l o e r a d i v e n t a t o p a d r o n e nello stesso t e m p o di Milano e di Napoli. Sconfitto F r a n c e s c o e c a d u t o p r i g i o n i e r o a Pavia, Clem e n t e si e r a affrettato a r i t r a t t a r e l'alleanza c h e aveva seg r e t a m e n t e c o n t r a t t o con lui. Ma C a r l o aveva s c o p e r t o la tresca e se n ' e r a indignato. «Scenderò in Italia - p r o r u p p e -, e la farò p a g a r e a tutti, ma specialmente a quel cialtrone di Papa. Forse è s u o n a t a l'ora di Lutero.» E queste ultime parole dovevano terribilmente pesare sul seguito degli avvenimenti. Per il m o m e n t o p e r ò , minacciato c o m ' e r a da Solimano, C a r l o n o n n e fece d i n u l l a . Inflisse a l P a p a u n a m u l t a d i c e n t o m i l a d u c a t i , m a c o n f e r m ò l a S i g n o r i a d e i Medici s u F i r e n z e , c h ' e r a q u a n t o p i ù stava a c u o r e d i C l e m e n t e . I l quale tuttavia n o n r i n u n z i ò p e r questo al suo d o p p i o giuoco. Liberò Francesco d a l l ' i m p e g n o d e l g i u r a m e n t o che aveva fatto a C a r l o di r i s p e t t a r e il t r a t t a t o di M a d r i d , e sotto banco si d i e d e a tessere le fila di u n a coalizione di Stati italiani c o n t r o l ' I m p e r a t o r e a cui c e r c ò di s o t t r a r r e a n c h e il miglior g e n e r a l e , Pescara. Costui e r a italiano ma si consid e r a v a s p a g n o l o , e lo e r a p e r formazione, vocazione e lealtà. F i n g e n d o di a b b o c c a r e all'offerta, ne avvertì s u b i t o il suo sovrano. Carlo, n o n p o t e n d o l o con l'esercito d u r a m e n t e i m p e g n a to dai T u r c h i , r i s p o s e c o n la d i p l o m a z i a . Il P a p a aveva in R o m a un irriducibile nemico nei potentissimi C o l o n n a . Attraverso il suo ambasciatore M o n c a d a , Carlo li scatenò. Essi attaccarono il L a t e r a n o con cinquemila armati, obbligarono C l e m e n t e a rifugiarsi in Castel Sant'Angelo e ne saccheggiar o n o gli a p p a r t a m e n t i . M o n c a d a s'intromise c o m e paciere, fece restituire tiara e p o t e r e al Papa, ma d o p o avergli estor453
to il p e r d o n o ai C o l o n n a e un n u o v o i m p e g n o di lealtà verso l ' I m p e r a t o r e . C l e m e n t e subì il Diktat. Ma, a p p e n a p a r t i t o il M o n c a d a , s g u i n z a g l i ò le s u e milizie in s p e d i z i o n i p u n i t i v e c o n t r o i C o l o n n a , o r d i n ò al suo famoso e fedele c o n d o t t i e r o , Giov a n n i dalle B a n d e N e r e , di scacciare da Milano lo Sforza, vassallo di C a r l o , e lanciò un a p p e l l o a Francesco di F r a n cia e a Enrico d ' I n g h i l t e r r a p e r u n a lotta a o l t r a n z a c o n t r o gli A s b u r g o . Stavolta Carlo accantonò ogni scrupolo di devozione alla Chiesa. P r o p r i o in q u e l m o m e n t o si e r a r i u n i t a a S p i r a la Dieta d e i Principi t e d e s c h i p e r p o r r e f i n e c o n u n a c c o r d o alle dissidenze religiose che agitavano la G e r m a n i a . L'Imper a t o r e , t r a t t e n u t o in Spagna, vi si fece r a p p r e s e n t a r e da suo fratello F e r d i n a n d o d'Austria. S e b b e n e cattolico di stretta osservanza, costui e r a a n c h e u n A s b u r g o fedele alla d i n a stia, che n o n si sentì di d i f e n d e r e a oltranza gli interessi di un P a p a così a p e r t a m e n t e ostile a quelli della sua Casa. Egli lasciò che ortodossi e protestanti svolgessero liberamente le loro tesi. E alla fine p r o p o s e u n a risoluzione conclusiva in cui, senza alcuna parola di o m a g g i o al Pontefice, anzi senza n e m m e n o nominarlo, era detto che d'allora in poi ogni Principe e r a libero di scegliere p e r il p r o p r i o Stato la confessione più g r a d i t a . E r a la legalizzazione della Riforma, il riconoscimento della sua cittadinanza a parità di diritti con quella cattolica. Ma la v e n d e t t a di Carlo n o n si limitò a questo. Dalla battaglia di Pavia, egli aveva lasciato in Italia un esercito com a n d a t o d a Giorgio v o n F r u n d s b e r g . E r a costui u n signorotto tirolese che alla Riforma n o n si e r a convertito, ma simpatizzava p e r essa in odio a R o m a e a tutto ciò ch'era italian o . Aveva v e n d u t o le s u e t e r r e , il s u o castello e p e r f i n o i gioielli di sua moglie p e r assoldare a p r o p r i e spese diecimila m e r c e n a r i - i famosi «lanzichenecchi» -, che a Pavia avevano d a t o il colpo di grazia a Francesco. Protestanti a r r a b biati, e r a n o convinti che quella fosse solo la p r i m a t a p p a di 454
u n a marcia su Roma, e molti, a v e n d o p r e s o sul serio le parole di Carlo («E l'ora di Lutero»), si e r a n o m u n i t i di c o r d e p e r i m p i c c a r e il P a p a e m e t t e r e al s u o p o s t o il m o n a c o di Wittenberg. D a u n a n n o bivaccavano nella p i a n u r a p a d a n a , inaspriti dall'inazione e dalla m a n c a n z a di «cinquina». Forse Carlo n o n conosceva i loro u m o r i , q u a n d o o r d i n ò a F r u n d s b e r g la spedizione p u n i t i v a sull'Urbe, e s'illudeva di poterla, all'occorrenza, f e r m a r e . C o n t r o quella t u r b a carica d'odio si fece solo, alla testa di scarsi drappelli, Giovanni dalle B a n d e N e r e . Era l'ultimo g r a n d e c o n d o t t i e r o italiano e lo c h i a m a v a n o così p e r c h é da q u a n d o e r a m o r t o il suo g r a n d e p a t r o n o L e o n e X, n o n aveva più smesso il lutto. Fu l'ultima a v v e n t u r a di q u e s t o p r o d e e leale c a p i t a n o , in cui rivivevano l'audacia e la spavalderia di sua m a d r e , Caterina Sforza. C a d d e con la s p a d a in p u g n o c o m ' e r a vissuto, e n o n aveva che ventott'anni. D o p o di lui, F r u n d s b e r g n o n doveva i n c o n t r a r e più ostacoli sulla rotta della sua Strafexpedition, e l a sua soldataglia n e a p p r o f i t t ò l a r g a m e n t e p e r fare della L o m b a r d i a «la più devastata c o n t r a d a della Cristianità», com e a n n i d o p o l a definì u n v i a g g i a t o r e inglese c a p i t a t o d a quelle parti. A lui si u n ì la g u a r n i g i o n e imperiale di Milano, o r a c o m a n d a t a da quel conestabile di B o r b o n e di cui abbiamo già detto. E insieme essi discesero la via Emilia sacchegg i a n d o c a m p a g n e e d i s t r u g g e n d o paesi. C l e m e n t e , atterrito, fece appello al viceré di Napoli, Lannoy, p e r la stipulazione di un armistizio. L a n n o y gl'impose di versare 60.000 ducati a F r u n d s b e r g e ai suoi u o m i n i . Ma costoro n o n ne vollero sapere; e siccome il B o r b o n e cercava di convincerli, gli si rivoltarono obbligandolo alla fuga. Nel disperato tentativo di ristabilire un p o ' di disciplina, F r u n d s b e r g fu colto da un colpo apoplettico che lo mise fuori causa. Il conestabile p o t è r i p r e n d e r e il c o m a n d o , ma solo f o r m a l m e n t e : anche lui, c o m e C l e m e n t e e Roma, e r a o r m a i in balìa di q u e l l ' o r d a assetata di v e n d e t t a e di r a p i n a c h e n o n obbediva più a n e s s u n o , n e m m e n o a l l ' I m p e r a t o r e . U n a coltre di p a u r a e di d i s p e r a z i o n e calò sull'Urbe co455
me ai t e m p i di Alarico e Genserico. Un e r e m i t a scalzo, chiam a t o B r a n d a n o , a r r i n g a v a le folle a p o s t r o f a n d o il P a p a : «Tu, b a s t a r d o di S o d o m a ! Per i tuoi peccati R o m a sarà distrutta!» C l e m e n t e lanciava inutili m e s s a g g i di a i u t o alla Francia, all'Inghilterra, agli Stati italiani, e p r o c e d e v a a u n a massiccia distribuzione di galeri cardinalizi p e r p r o c u r a r s i mezzi con cui reclutare un esercito. Ma n o n riuscì a raggranellare più di 4000 uomini, t r o p p o pochi p e r arrestare i 20.000 del B o r b o n e . Costui, d o p o u n inutile tentativo s u Firenze, b e n difesa dalle sue m u r a e dalle sue milizie cittadine, aveva saccheggiato Viterbo e o r a dilagava nella c a m p a g n a r o m a n a . Al primo assalto c o n t r o le m u r a d e l l ' U r b e fu ferito e m o r ì subito d o p o . Senza p i ù il c o m a n d a n t e , cioè senza più alcun freno, gli assalitori si a v v e n t a r o n o sulla città, ne travolsero le d e b o li resistenze, e si a b b a n d o n a r o n o a un saccheggio da far impallidire quelli di Attila. C h i u s o in Castel Sant'Angelo, C l e m e n t e cercò i n v a n o di fermarli a c a n n o n a t e . Ai pezzi c'era a n c h e B e n v e n u t o Cellini che nella sua Vita doveva poi attribuirsi il m e r i t o di aver ucciso il conestabile. I lanzichenecchi si v e n d i c a r o n o sulla popolazione a b b a n d o n a n d o s i a un indiscriminato massacro. In poco t e m p o p i ù di diecimila cadaveri lastricarono il selciato e altri d u e m i l a g a l l e g g i a r o n o sul T e v e r e . Il bersaglio p r e f e r i t o f u r o n o San P i e t r o e il Vaticano. I saccheggiatori e r a n o persuasi che le ricchezze ammassate lì d e n t r o fossero r u b a t e nel l o r o Paese da q u e i l a d r o n i di Papi e C a r d i n a l i , secondo quanto andava dicendo Lutero; e tutto quel che n o n p o t e r o n o a s p o r t a r e d i s t r u s s e r o nel loro f u r o r e iconoclasta. A eccezione della Cancelleria, dove si e r a n o rifugiati i C o l o n n a c h e c o m p r a r o n o l a p r o p r i a salvezza p e r 5 0 . 0 0 0 d u c a t i , t u t t ' i palazzi v e n n e r o devastati e i l o r o inquilini - Principi, prelati, servitori - uccisi. Le basiliche furono trasformate in a c c a m p a m e n t i e bordelli, e le Stanze di Raffaello ridotte a stalle. N o n furono risparmiati n e m m e n o i Cardinali s p a g n o l i e t e d e s c h i c h e , c o m e s u d d i t i d e l l ' I m p e r o , 456
c r e d e v a n o di essere al r i p a r o dalle violenze. A ispirare t a n t a furia n o n e r a n o solo istinti s a n g u i n a r i e avidità di p r e d a . A loro m o d o quegli scatenati b a r b a r i c r e d e v a n o , a b b a t t e n d o altari, d i s t r u g g e n d o statue e affreschi, b r u c i a n d o librerie e s t u p r a n d o m o n a c h e , di servire Dio. Essi p r o c l a m a r o n o Papa L u t e r o , e fu in suo n o m e che c e l e b r a r o n o quell'orgia d e vastatrice. Carlo, q u a n d o ne fu informato, declinò le p r o p r i e responsabilità; m a approfittò dell'accaduto p e r i m p o r r e u n a p a c e u m i l i a n t e al disfatto P a p a . C o s t u i d o v e v a versargli 400.000 ducati e consegnargli Piacenza, P a r m a , M o d e n a , le fortezze di Ostia, Civita Vecchia, Civita Castellana e Castel Sant'Angelo, dove egli stesso doveva restare prigioniero finché n o n avesse p a g a t o l a p r i m a r a t a d i quelle r i p a r a z i o n i . C l e m e n t e , che dal suo rifugio aveva assistito alla rovina, d o vette a r r e n d e r s i , e p e r far fronte agl'impegni v e n d e t t e il p o co vasellame c h ' e r a riuscito a salvare. N o n poteva più cont a r e n e m m e n o sull'aiuto finanziario di F i r e n z e , che p e r la t e r z a volta aveva espulso i Medici e si e r a costituita in Repubblica: u n a strana Repubblica che aveva p r o c l a m a t o Gesù Cristo suo Re. Inebetito, m o r m o r a v a le parole di Giobbe: «Perché, Signore, mi hai tratto dal g r e m b o ? Potessi essermi c o n s u m a t o , p r i m a di v e d e r m i r i d o t t o così!» N o n si e r a p i ù raso, e fino alla m o r t e avrebbe p o r t a t o quella b a r b a espiatoria. In tutto il m o n d o cattolico il raccapriccio fu g r a n d e . Erasmo, che p u r e aveva rivolto t a n t e critiche al malcostume r o m a n o , scrisse a Sadoleto: «Roma n o n e r a solo il t e m p i o della fede cristiana, la nutrice delle a n i m e nobili e il rifugio delle Muse, ma la m a d r e delle nazioni. Questa n o n è la rovina di u n a città, ma della civiltà». E r a n o p r e s s a p p o c o le stesse parole risuonate undici secoli p r i m a nella bocca di Agostino e di G e r o l a m o d o p o il saccheggio di Alarico.
CAPITOLO DICIANNOVESIMO
L O SCISMA I N G L E S E
Quelle che r i e m e r s e r o dalla catastrofe n o n e r a n o più né la Chiesa né l'Italia di p r i m a . R o m a specialmente era ridiventata il desolato e squallido b o r g o dei t e m p i di Avignone: tutto ciò che vi avevano costruito i Papi del Rinascimento era in rovina. Il colera, che già l'aveva visitata pochi a n n i p r i m a , vi t o r n ò coi l a n z i c h e n e c c h i m i e t e n d o i m p a r z i a l m e n t e vinti e vincitori p e r poi spargersi in tutto il resto della Penisola, già devastata dalle battaglie tra imperiali e francesi. La culla della civiltà e dell'arte si avviava a diventare il cimitero d'Europa. A p o r g e r e aiuto al Papa prigioniero furono Francesco ed Enrico, ma mossi più dall'interesse che dalla devozione. Ent r a m b i e r a n o più che mai p r e o c c u p a t i dalla s t r a p o t e n z a di Carlo, e p e r di più Enrico, smanioso di divorziare da Caterina, capiva di n o n p o t e r n e o t t e n e r e il consenso da un Papa prigioniero del nipote di costei. I d u e Re si a c c o r d a r o n o p e r offrire a l l ' I m p e r a t o r e , s e m p r e alle prese con le difficoltà di bilancio, d u e milioni di ducati in cambio della restituzione della libertà a C l e m e n t e , t u t t o r a sotto sorveglianza in Castel S a n t ' A n g e l o , e della sua r e i n t e g r a z i o n e nei p r o p r i Stati. C a r l o rifiutò, e fu di n u o v o la g u e r r a fra l ' I m p e r a t o r e da u n a p a r t e ; Francia, Inghilterra, Venezia e Firenze dall'altra. I francesi attaccarono Genova e Pavia, ne fecero ciò che i l a n z i c h e n e c c h i a v e v a n o fatto d i R o m a ; m a n o n o s a r o n o marciare sull'Urbe, tuttora ben presidiata dagl'imperiali, a n c h e p e r c h é n o n avevano di che p a g a r e la cinquina alle lor o t r u p p e . S e m p r e b u o n calcolatore, Carlo b a d ò p i ù a disgregare con la diplomazia che a battere sul c a m p o la coali458
zione avversaria. Fece l i b e r a r e C l e m e n t e a c o n d i z i o n e che n o n porgesse aiuto ai suoi nemici e che pagasse di sua tasca la g u a r n i g i o n e che lo t e n e v a p r i g i o n i e r o . Per r a c i m o l a r e quella s o m m a il P a p a v e n d e t t e tutto ciò che aveva un prezzo, compresi molti galeri cardinalizi. E n o t t e t e m p o , travestito da servo, a b b a n d o n ò la città p e r rifugiarsi a Orvieto e poi a Viterbo. Contava ancora di giuocar d o p p i o fra l'una e l'altra p a r t e , e q u a n d o vide che i francesi marciavano su Roma e N a p o l i p e r s l o g g i a r n e gl'imperiali, s p e r ò che le forze in c a m p o tornassero a bilanciarsi. Ma i francesi furono falciati dalla malaria, a n c h e il loro c o m a n d a n t e m o r ì , e l'iniziativa n o n ebbe seguito. A C l e m e n t e n o n restava che u n a resa senza condizioni. Carlo tergiversò p r i m a di accettarla. S e m b r a c h e carezzasse il p r o g e t t o di a n n e t t e r e gli Stati della Chiesa al suo R e a m e di Napoli, di fare di R o m a la capitale del suo I m p e ro e del Papa il p r o p r i o cappellano. Ma rinunziò al p r o g e t t o nel fondato t i m o r e che la cattolicissima S p a g n a gli si ribellasse lasciandolo in balìa dei protestanti tedeschi. Le condizioni ch'egli i m p o s e a C l e m e n t e col t r a t t a t o di B a r c e l l o n a del 1529 furono relativamente miti. Il Papa riconosceva definitivamente il R e a m e spagnolo di Napoli. In c o m p e n s o veniva r e i n t e g r a t o nei p r o p r i Stati e - cosa che gli stava più a c u o r e di t u t t e - la signoria Medici veniva r e s t a u r a t a in Firenze. Poco d o p o a n c h e la Francia scendeva a patti con l ' I m p e r a t o r e . A c o m b i n a r e la pace furono d u e d o n n e , Luisa di Savoia p e r suo figlio Francesco, e M a r g h e r i t a d ' A u s t r i a p e r suo n i p o t e Carlo. Perciò fu d e t t a paix des Dames, p a c e delle d u e d a m e . C o n essa la Francia rinunziava a ogni sua p r e t e sa su p r o v i n c e italiane, cioè riconosceva n e l n o s t r o p a e s e u n a colonia spagnola. P a p a e I m p e r a t o r e s ' i n c o n t r a r o n o a B o l o g n a sulla fine del '29 p e r suggellare questa n u o v a situazione. Strano a dirsi, era la p r i m a volta che Carlo scendeva in Italia. S'inginocchiò e baciò la pantofola di colui che aveva trascinato nella 459
polvere e che o r a e r a p r a t i c a m e n t e suo suddito e prigioniero. Si m o s t r ò e q u a n i m e e g e n e r o s o . Costrinse Venezia a restituire i t e r r i t o r i che aveva s t r a p p a t o al Papa, ma a costui impose di p e r d o n a r e al Della Rovere che lo aveva tradito e di confermarlo nel Ducato di U r b i n o . Riconsacrò su Milano la signoria dello Sforza come suo vassallo. E infine ingiunse a tutti i Principati italiani di unirsi in u n a specie di fronte nazionale. Le spese d e l l ' o p e r a z i o n e le p a g ò Firenze che, appassion a t a m e n t e attaccata alla sua Repubblica, n o n volle a r r e n dersi al Diktat i m p e r i a l e . Per r e c u p e r a r l a alla sua famiglia, C l e m e n t e versò settantamila ducati al p r i n c i p e Filiberto di O r a n g e che la conquistasse con le sue t r u p p e . Filiberto era colui che gli aveva fatto da c a p o c a r c e r i e r e in Castel Sant'Angelo; e le sue t r u p p e e r a n o i lanzichenecchi che avevano devastato R o m a e proclamato Papa L u t e r o . Assediata, Firenze distrusse tutti i suoi s t u p e n d i giardini p e r i m p e d i r e che gli assalitori vi trovassero r i p a r o , e p e r otto mesi ne rintuzzò gli attacchi. O r o , argenteria, gioielli fur o n o s p o n t a n e a m e n t e offerti da chiese e famiglie private e fusi p e r fame m o n e t a con cui p r o c u r a r s i a r m i e munizioni. La carestia ridusse i fiorentini a nutrirsi di g h i a n d e e di topi. C o n le sue p r e d i c h e in cui r i s u o n a v a n o accenti savonaroliani, fra' B e n e d e t t o da Foiano fu l'anima di questa resistenza. Michelangelo a b b a n d o n ò le sue sculture nella c a p pella medicea p e r costruire forti e bastioni. Francesco Ferrucci riuscì a e v a d e r e , raccolse nel c o n t a d o d u e m i l a armati, attaccò t e m e r a r i a m e n t e gli assedianti alle spalle, fu disfatto e finito a p u g n a l a t e dal calabrese M a r a m a l d o m e n t r e già agonizzava. Forse il coraggio e la tenacia di Firenze sarebbero stati premiati, se il generale a cui essa aveva affidato il com a n d o delle p r o p r i e milizie, Malatesta Baglioni n o n avesse t r a d i t o . Egli volse le s u e artiglierie c o n t r o la s t r e m a t a città che da quel m o m e n t o fu alla m e r c é del nemico. Alessandro d e ' Medici fu il n u o v o D u c a di F i r e n z e che n o n ravvisò in lui n e s s u n a somiglianza con Cosimo e L o r e n z o . La r e p r e s 460
sione riempì i cimiteri e le galere. Fra' B e n e d e t t o fu spedito c o m e s t r e n n a a C l e m e n t e che lo fece m o r i r di fame in Sant'Angelo. Ne a n d ò di mezzo perfino la bella squillante camp a n a di Palazzo Vecchio, che i fiorentini chiamavano «la vacca», e ai cui rintocchi veniva convocato il P a r l a m e n t o . Aless a n d r o la fece fondere p e r c h é - scrisse un cronista - la gente p i ù n o n sentisse il dolce s u o n o della libertà. A questo risultato aveva condotto la politica dei Papi e la loro cupidigia di p o t e r e t e m p o r a l e . A saldare il conto dei loro e r r o r i e r a l'Italia, ridotta a colonia della Spagna. Ma anche alla Chiesa essi e r a n o costati u n a bella parcella: qualche milione di a n i m e inglesi. Abbiamo già fuggevolmente accennato a Enrico V I I I e alle sue v i c e n d e c o n i u g a l i . M a o r a c o n v i e n e d i p a n a r e u n p o ' meglio questa complicata matassa che, se n o n la causa p r o fonda, fu certo il pretesto dello scisma britannico. C a t e r i n a di Aragona, zia di Carlo, era v e n u t a dalla S p a g n a in Inghilt e r r a a i p r i m i del C i n q u e c e n t o , q u a n d o aveva sedici a n n i , c o m e fidanzata del p r i n c i p e e r e d i t a r i o A r t u r o , fratello prim o g e n i t o di Enrico, c h ' e r a invece avviato alla c a r r i e r a ecclesiastica. Pochi mesi d o p o le nozze A r t u r o m o r ì , e Caterina si affrettò a d i c h i a r a r e che il m a t r i m o n i o n o n e r a stato c o n s u m a t o p e r p o t e r r e c u p e r a r e i 200.000 ducati che aveva p o r t a t o i n d o t e . I l vecchio r e E n r i c o V I I , u n p o ' p e r n o n p e r d e r e l a bella s o m m a , u n p o ' p e r c o n s e r v a r e l'amicizia della S p a g n a , p r o p o s e che la vedova sposasse l'altro suo figlio Enrico, d i v e n t a t o o r a e r e d e al t r o n o , s e b b e n e sei a n n i più giovane di lei. Ma il p r o g e t t o provocò u n a controversia teologica, p e r c h é la Bibbia è in proposito a l q u a n t o contraddittoria: s e c o n d o un passaggio del D e u t e r o n o m i o , il matrim o n i o con la vedova del p r o p r i o fratello è lecito; s e c o n d o un passaggio del Levitico, è sacrilego. I prelati inglesi si mos t r a r o n o n e l l ' i n t e r p r e t a z i o n e n o n m e n o discordi della Bibbia; ed Enrico si appellò al Papa (Giulio II) che tagliò corto a c c o r d a n d o il p e r m e s s o . Le nozze furono tuttavia posposte 461
p e r c h é lo sposo aveva a p p e n a dodici anni e poco d o p o chiese c h e il f i d a n z a m e n t o venisse a n n u l l a t o . Ma suo p a d r e lo c o n v i n s e c h e la r a g i o n di Stato i m p o n e v a q u e l l ' u n i o n e . Il ragazzo vi si rassegnò, e subito d o p o l'avvento al t r o n o m a n t e n n e la promessa. D o p o poco, Caterina abortì, e nei q u a t t r o a n n i successivi diede alla luce tre figli che p e r ò tutti m o r i r o n o in fasce. Enrico p e n s ò d ' i n v o c a r e il Levitico p e r un a n n u l l a m e n t o del m a t r i m o n i o . C a t e r i n a se la cavò con u n a q u i n t a gravidanza che finalmente d e t t e un frutto vitale. Ma q u e s t o frutto fu u n a femmina, Maria, che all'età di d u e a n n i v e n n e fidanzata al «Delfino», cioè al principe ereditario di Francia. Per la sesta volta C a t e r i n a t e n t ò di d a r e un e r e d e maschio all'impaziente marito. Ma un secondo aborto deluse le sue ultime speranze, lasciando tutto c o m e p r i m a , anzi peggio di p r i m a p e r c h é Maria, e s s e n d o l'unica qualificata alla successione, avrebbe p o r t a t o in dote il t r o n o al Delfino, facendo così dell'Inghilterra u n a provincia francese. Enrico, che n o n aveva mai avuto molti trasporti p e r quella moglie devota e virtuosa ma n o n p r o p r i o avvenente, n o n ne aveva più n e s s u n o o r a ch'essa toccava la q u a r a n t i n a ed e r a sfasciata dalle gravidanze a n d a t e a male. Egli stesso n o n e r a p i ù il delicato, colto, cortese giovane che tutti avevano tanto esaltato. La voracità e la sensualità avevano appesantito il suo c o r p o diventato tracagnotto, s a n g u i g n o e volgare, e ottuso il suo spirito. Aveva già avuto delle diversioni coniugali, q u a n d o c o n o b b e certe Boleyn o Bolena, m a d r e e d u e figlie. Secondo q u a l c u n o , d a p p r i m a si p r e s e p e r a m a n t e la m a d r e . Poi la rimpiazzò con la figlia Maria. Ma q u a n d o da Parigi, dove l'avevano m a n d a t a a far l'ancella di Margherita di N a v a r r a (e d o v e , a q u a n t o p a r e , aveva c o n t r a t t o m o l t e simpatie p e r i protestanti) t o r n ò la secondogenita Anna, Enrico p e r s e a d d i r i t t u r a la testa p e r lei. Q u a n t o abbia influito questa passione sui suoi progetti di divorzio è difficile dire. Egli ne aveva già manifestati p r i m a , giustificati dalla ragion di Stato che reclamava un e r e d e . Ma 462
n o n c'è d u b b i o che A n n a contribuì a r e n d e r l i più impazienti. La ragazza n o n era bella. Aveva le g a m b e t r o p p o corte, il collo t r o p p o l u n g o , la bocca t r o p p o larga. Ma aveva a n c h e u n a carica di sesso «da r i d a r la vita a un morto» e u n a divor a n t e ambizione. N o n le bastava essere l'amante del Re; voleva essere regina. O l t r e a C a t e r i n a , fu Wolsey la vittima di questa vicenda coniugale. Il g r a n d e Cardinale aveva secondato le intenzioni divorziste di Enrico, ma nella convinzione che costui volesse s p o s a r e u n a p r i n c i p e s s a francese. E r a lui che voleva i m p o r r e quella scelta a Enrico, o e r a Enrico che fingeva di stare al giuoco del Cardinale p e r poi beffarlo a divorzio ottenuto? N o n s a p p i a m o . S a p p i a m o solo che, m e n t r e Wolsey trattava con Parigi, Enrico m a n d ò un suo emissario segreto a C l e m e n t e con d u e richieste. L a p r i m a e r a c h e , n o n r i u scendo Caterina a dargli un e r e d e e nello stesso t e m p o n o n volendo divorziare, fosse consentito a lui p r e n d e r s i u n a sec o n d a moglie. La seconda era c h e il Papa gli desse dispensa di m a t r i m o n i o con u n a d o n n a con la cui sorella aveva avuto u n a p r e c e d e n t e relazione (e n a t u r a l m e n t e n o n poteva trattarsi che di A n n a Bolena). Per s t r a d a p e r ò il messo fu r a g g i u n t o d a u n c o n t r o r d i n e : Enrico gl'ingiungeva d i p r e s e n tare solo la seconda richiesta, la p r i m a essendogli p a r s a - e a r a g i o n e - scandalosa fino alla p r o v o c a z i o n e . C l e m e n t e si dichiarò disposto a c o n c e d e r e l'invocato p e r m e s s o , ma - agg i u n s e - a p a t t o c h e p r i m a fosse a n n u l l a t o il m a t r i m o n i o con Caterina. E n r i c o p r e s e quella risposta p e r u n a c o r b e l l a t u r a , q u a l e r a in realtà visto che d e l l ' a n n u l l a m e n t o lo stesso Papa era arbitro. Ma C l e m e n t e n o n poteva agire diversamente. S'era alla fine del '27, l ' a n n o del sacco di R o m a , il P a p a era p r i gioniero di Carlo, e Carlo n o n voleva quel divorzio. Enrico p e r ò n o n si arrese e avanzò u n a terza proposta: che la decisione s u l l ' a n n u l l a m e n t o venisse delegata a un tribunale ecclesiastico inglese p r e s i e d u t o da Wolsey e dal Legato pontificio a L o n d r a . C l e m e n t e accettò e investì il cardinale Cam463
peggi della delicata missione, ma o r d i n a n d o g l i s e g r e t a m e n te di p r o c r a s t i n a r e il più possibile il v e r d e t t o e di n o n emetterlo che dietro sua istruzione. Carlo infatti aveva già p r o t e stato c o n t r o la delega; e il Papa, c o m e al solito, voleva vedere c o m e si m e t t e v a n o le cose p r i m a di decidere. A p p e n a a L o n d r a , C a m p e g g i tentò di i n d u r r e C a t e r i n a a accettare l ' a n n u l l a m e n t o e a ritirarsi in un m o n a s t e r o . Caterina vi si disse disposta p u r c h é Enrico facesse altrettanto. A sua volta Enrico accettò p u r c h é il Papa s'impegnasse a liberarlo dal voto s'egli in seguito lo richiedeva. C a m p e g g i si rifiutò di t r a s m e t t e r e la proposta, conscio che il Papa n o n p o teva accoglierla n o n solo p e r c h é oltraggiava la più e l e m e n tare decenza, ma a n c h e p e r c h é si e r a alla vigilia del trattato di B a r c e l l o n a , e solo C a r l o p o t e v a r e s t i t u i r e R a v e n n a agli Stati della Chiesa e Firenze alla casa dei Medici. Il tribunale di Wolsey e C a m p e g g i convocò il Re e la Regina alla fine di maggio del '29. C a t e r i n a si gettò ai piedi di Enrico, gli r i c o r d ò la p r o p r i a devozione e fedeltà, e lo s u p plicò di n o n r i p u d i a r l a . Enrico la rialzò affettuosamente, e s p i e g ò c h e il divorzio gli e r a i m p o s t o solo dalla r a g i o n di Stato. Ella si ritirò in lacrime e si rifiutò di c o m p a r i r e alle successive u d i e n z e , affidando la sua difesa al vescovo Fisher, che in seguito doveva p a g a r l a con la vita. Giuste le istruzioni r i c e v u t e , C a m p e g g i tirò in l u n g o i dibattiti, finché Clem e n t e riavocò il caso a R o m a . Wolsey si trovò di fronte a un d r a m m a t i c o d i l e m m a . Sapeva di essere odiato da A n n a che, se fosse diventata regina, a v r e b b e p r o v o c a t o la sua c a d u t a . Ma sapeva a n c h e c h e , se n o n lo fosse d i v e n t a t a , E n r i c o si s a r e b b e rivalso su di lui. M a n d ò «bustarelle» a R o m a p e r s t r a p p a r e un v e r d e t t o positivo; ma R o m a e r a p i a n t o n a t a dall'esercito di Carlo. T u t t o congiurava c o n t r o l ' o n n i p o t e n t e cancelliere: egli si e r a attir a t o le generali antipatie i m p o n e n d o tasse e balzelli p e r fin a n z i a r e u n a politica e s t e r a c h e si e r a risolta in un totale n a u f r a g i o . E o r a n o n riusciva n e m m e n o a o t t e n e r e un divorzio p e r il suo Re. 464
C e r t a m e n t e istigato da A n n a , Enrico scelse la via più subd o l a p e r disfarsi di lui. Lo fece d e n u n z i a r e p e r violazione dello statuto del praemunire che proibiva ai cittadini inglesi di c o l l a b o r a r e con tribunali ecclesiastici p e r risolvere q u e stioni di c o m p e t e n z a del Re. Wolsey poteva r i s p o n d e r e che aveva collaborato con C a m p e g g i su richiesta dello stesso Re e nel suo interesse. Ma capì che con un simile u o m o era inutile invocare la legge. Meglio valeva appellarsi alla sua g e n e rosità, m a n d a n d o g l i u n a lettera di dimissioni in cui riconosceva a n c h e gli sbagli che n o n aveva commesso e i m p e t r a v a p e r d o n o . Il Re i n c a m e r ò il suo i m m e n s o p a t r i m o n i o , ma gli lasciò le r e n d i t e dell'arcivescovato di York, di cui lo confermò titolare. Wolsey si c o n s i d e r ò miracolato. Ma l ' a n n o seg u e n t e fu n u o v a m e n t e incriminato d'intelligenza col n e m i co - l'ambasciatore di Carlo - e di complotto c o n t r o lo Stato e le sue istituzioni. N o n si è mai saputo q u a n t o ci fosse di ver o . Ma, d a t o il carattere dei personaggi, tutto è possibile: sia che Wolsey avesse r e a l m e n t e c o m p i u t o il t r a d i m e n t o , sia che il Re lo avesse i n v e n t a t o p e r sfogare sino in f o n d o la sua v e n d e t t a e quella di A n n a . Il Cardinale sfuggì al patibolo solo p e r c h é un violento attacco di dissenteria lo stroncò m e n tre lo t r a d u c e v a n o a L o n d r a . Shakespeare gli attribuisce sul letto di m o r t e le famose parole: «Se avessi servito Dio con la stessa lealtà con cui ho servito il mio Re, Egli n o n mi avrebbe a b b a n d o n a t o » . A sostituirlo c o m e C a n c e l l i e r e e r a già stato c h i a m a t o T o m m a s o M o r o , il g r a n d e u m a n i s t a a m i c o di E r a s m o e c o m p a g n o di giuochi dello stesso Enrico. Il p i a n o del Re ormai era chiaro. Forte di un m a n d a t o del P a r l a m e n t o che lo autorizzava a r i d u r r e la ricchezza e la p o t e n z a del clero, egli indisse u n a «Convocazione», specie di conferenza episcopale c h e di q u a n d o in q u a n d o si a d u n a v a a L o n d r a sotto la p r e s i d e n z a dei d u e più alti prelati, gli Arcivescovi di C a n t e r b u r y e di York, e le sottopose il quesito: se essa riconosceva nel Re il p r o t e t t o r e e la s u p r e m a g u i d a della Chiesa d ' I n ghilterra. 465
I convocati c e r c a r o n o di t e r g i v e r s a r e p r o p o n e n d o form u l e a m b i g u e e polivalenti che p e r m e t t e s s e r o di conciliare la loro d o p p i a lealtà di sacerdoti sottomessi al Papa e di sudditi obbedienti al Re. Ma Enrico le scartò tutte r e c l a m a n d o u n a risposta inequivocabile che si c o m p e n d i a s s e in un sì o un n o . Il vecchio arcivescovo W a r h a m cercò di salvare il salvabile a g g i u n g e n d o la sfumata clausola c h e riconosceva il p r i m a t o del Re a n c h e in materia religiosa p u r c h é esercitato «in a r m o n i a con la legge di Cristo». L'assemblea accolse la p r o p o s t a in silenzio. Il silenzio fu considerato consenso. E il c o n s e n s o fu i n t e r p r e t a t o c o m e risposta positiva al quesito del Re: la Chiesa d ' I n g h i l t e r r a riconosceva in lui il suo p r o p r i o Papa. Quello di R o m a era già p r a t i c a m e n t e estromesso, anche se il cosiddetto «Atto di Supremazia» che sanciva il definitivo distacco s o p r a v v e n n e solo tre a n n i d o p o , nel 1534. Così, con un atto del P a r l a m e n t o e un tratto di p e n n a , si c o n s u m ò u n o scisma che privava la già indebolita Chiesa r o m a n a di u n a delle sue p r o v i n c e p o l i t i c a m e n t e p i ù stabili e s p i r i t u a l m e n t e più fertili. L'autore di questa dissidenza e r a colui che p a p a L e o n e aveva c h i a m a t o «Difensore della Fede» e L u t e r o «Re delle bugie». E n r i c o n o n e r a c e r t a m e n t e un p r o t e s t a n t e , né lo diventò n e m m e n o d o p o la ribellione. La Chiesa anglicana da lui fondata rimase sostanzialmente cattolica nello spirito, nei d o g m i , nel rituale, nella s t r u t t u r a organizzativa, in tutto. In tutto, m e n o che nella cosa che ai Papi stava più a c u o r e : la sua d i p e n d e n z a . Essa accettava la p r o p r i a cittadinanza in u n o Stato laico, nel cui capo riconosceva il suo. La cosa n o n finì lì, n a t u r a l m e n t e . La Chiesa r o m a n a trovò in I n g h i l t e r r a dei difensori che n o n meritava in u o m i n i c o m e M o r o e Fisher, c h e p e r essa salirono il p a t i b o l o . Per q u a n t o legalizzato dal p a r l a m e n t o , lo scisma i n c o n t r ò resistenze accanite, specie in Scozia, e seguitò a p r o v o c a r e p e r d e c e n n i lotte, p e r s e c u z i o n i e vittime p e r s i n o t r a i R e . Ma sbagliano i faciloni che ne fanno risalire la causa u n i c a m e n 466
te alle vicissitudini coniugali di Enrico e alla sua cieca passione p e r A n n a . La ribellione c o n t r o R o m a , il suo malcostum e , i suoi abusi, la sua cupidigia, le sue prevaricazioni sullo Stato d a t a v a n o dai t e m p i di Wycliff, e nei capricci d e l Re t r o v a r o n o solo il pretesto e lo s t r u m e n t o p e r farsi valere. U n a volta riconosciuto capo della Chiesa anglicana, p e r Enrico fu facile farne invalidare il m a t r i m o n i o con Caterina e rimpiazzarla con A n n a . C l e m e n t e m o r ì l ' a n n o d o p o . Forse, se n o n fosse stato p r i g i o n i e r o di Carlo, a v r e b b e trovato un c o m p r o m e s s o p e r conservare a R o m a la fedeltà dell'Inghilterra. Si dirà che in quella condizione si era ridotto p e r i suoi e r r o r i . In realtà a q u e l l ' u o m o a m b i g u o , ma p e r nulla sprovveduto e p e r certi tratti generoso e amabile, e r a toccato p a g a r e a n c h e i conti degli altri. C o n lui, era tutta la politica della Chiesa, di u n a Chiesa da secoli i n t e n t a solo a far politica, che o r a faceva le spese delle p r o p r i e colpe. E t o r n i a m o a L u t e r o , o r m a i prossimo al trionfo.
CAPITOLO VENTESIMO
LUTERO TRIONFANTE
A c o n s e n t i r e la vittoria della Riforma in G e r m a n i a , lo a b b i a m o già d e t t o , fu a n z i t u t t o l'impossibilità in cui C a r l o si trovò di combatterla. O l t r e che con la Francia di Francesco I, egli d o v e v a v e d e r s e l a coi T u r c h i c h e in p i e n o slancio di c o n q u i s t a dal t r a m p o l i n o d i C o s t a n t i n o p o l i e r a n o dilagati nei Balcani, avevano s o m m e r s o l ' U n g h e r i a e o r a a d d i r i t t u ra investivano Vienna, cioè il c u o r e stesso d e l l ' I m p e r o . Per far fronte all'emergenza, Carlo aveva bisogno dei tedeschi, n e r b o d e l suo esercito. N o n p o t e v a c o n s e n t i r s i i l lusso d i discriminarli s e c o n d o il l o r o c r e d o , e lanciarli gli u n i contro gli altri. Ma se la m a n c a t a persecuzione spiega c o m e mai la Riforma n o n fu schiacciata, n o n spiega affatto p e r c h é seguitò a diffondersi e a far proseliti. M e l a n t o n e su questo p u n t o n o n n a s c o n d e v a il suo scetticismo. «Questi nostri seguaci - scriveva - s'infischiano della religione: essi vogliono soltanto liberarsi dalla tutela dei Vescovi e a p p r o p r i a r s i i loro beni.» C ' e r a del v e r o . Specie fra i Principi, la molla della l o r o s e m p r e p i ù massiccia c o n v e r s i o n e e r a p r o p r i o questa. Essi volevano che gli oboli e le decime dei loro sudditi, invece di p r e n d e r e la via di R o m a , restassero a disposizione del loro fisco; volevano g o v e r n a r e i p r o p r i d o m i n i senza interferenze ecclesiastiche; e s e n t i v a n o c h e , s o t t r a e n d o s i alla t u t e l a della Chiesa, si sottraevano a n c h e a quella d e l l ' I m p e r a t o r e . Il clero l u t e r a n o e r a il frutto dello Stato e la sua esaltazione. Esso obbediva al Principe e ne diventava lo s t r u m e n t o . Era logico c h e a sua volta i P r i n c i p i lo p r o t e g g e s s e r o e ne abbracciassero il c r e d o . 468
N o n p e r nulla infatti furono loro a c o n d u r r e la crociata. Si e r a n o riuniti in u n a Lega che, finché rimase minoritaria, b a d ò esclusivamente a rintuzzare le velleità repressive della m a g g i o r a n z a cattolica. Nel '29 l ' I m p e r a t o r e aveva e m a n a t o un editto che consentiva il rito l u t e r a n o negli Stati che già lo praticavano, p u r c h é lasciassero libertà di praticare a n c h e ai cattolici; negli Stati cattolici invece il rito l u t e r a n o e r a p r o i bito. La L e g a insorse c o n t r o il t r a t t a m e n t o discriminatorio e f o r m u l ò u n a p r o t e s t a c h ' e b b e un duplice effetto: i m p e d ì l'applicazione del d e c r e t o e d i e d e il n o m e n o n solo ai luterani, ma a tutt'i transfughi del cattolicesimo, che d'allora in poi si c h i a m a r o n o infatti, g e n e r i c a m e n t e , protestanti. Ma u n a volta d i v e n t a t a m a g g i o r i t a r i a e n o n p i ù m i n a c ciata di p e r s e c u z i o n e , la L e g a si a r r o g ò a n c h e i c o m p i t i di un v e r o e p r o p r i o Concilio p e r d a r e alla Riforma l'assetto o r g a n i z z a t i v o e ritualistico n e c e s s a r i o a f a r n e u n a v e r a e p r o p r i a Chiesa. Il g r a n d e pericolo ch'essa aveva corso e tutt o r a c o r r e v a e r a stato infatti, lo a b b i a m o già d e t t o , la sua d i s p e r s i o n e in sètte. E r a un pericolo insito nella sua stessa n a t u r a . L u t e r o si e r a ispirato a u n a democrazia ecclesiastica, in cui ogni congregazione aveva il diritto n o n solo di n o m i n a r e il p r o p r i o sacerdote o ministro, ma a n c h e di d e t e r m i n a r e i l p r o p r i o r i t o . E r a fatale c h e q u e s t a e s t r e m a libertà p r o v o c a s s e specie d a p p r i n c i p i o u n grosso g u a z z a b u g l i o d'interpretazioni, c o n t r o cui invano M e l a n t o n e cercò di lottare d e t t a n d o principi e formule. L'anarchia d u r ò un pezzo f o r n e n d o b u o n i a r g o m e n t i ai cattolici p e r d i m o s t r a r e all'Imp e r a t o r e e ai Principi che quel caos e r a destinato a sconfinare dal p i a n o religioso a quello politico e sociale p r o v o c a n d o la disintegrazione di tutto. A questo p u n t o furono i Principi stessi che i n t e r v e n n e r o , e ciascuno nel p r o p r i o Stato avocò a sé, cioè al p o t e r e temporale, le prerogative che in origine L u t e r o aveva attribuito alle singole congregazioni. F u r o n o essi a stabilire il rito sec o n d o gli schemi a p p r o n t a t i da M e l a n t o n e , e i ministri che t e n t a r o n o d i r e s i s t e r e f u r o n o scacciati. L u t e r o , i n b u o n a 469
p a r t e r i n n e g a n d o s i , a p p r o v ò quell'atto di forza. E la Chiesa che ne trasse origine si c h i a m ò su suo s u g g e r i m e n t o Evangelica. O r a insorgeva tuttavia un terzo pericolo: ed era che il n u o v o clero, così i n t i m a m e n t e legato al p o t e r e t e m p o r a l e , si trasformasse in u n a p u r a e semplice b u r o c r a z i a d o m i n a t a soltanto dagl'interessi di casta o, nel migliore dei casi, dalla «ragion di Stato». Ed e r a p r o p r i o ciò che i cattolici si aspettavano e si a u g u r a v a n o . Ma n o n avvenne. C o n t r a r i a m e n t e a quello che diceva Melantone, sotto le conversioni n o n c'era u n i c a m e n t e la molla del t o r n a c o n t o e della cupidigia. Nelle masse agiva a n c h e l ' a u t e n t i c a a s p i r a z i o n e a un c r e d o p i ù semplice e sincero, a u n a Chiesa in c o m u n i o n e m o l t o p i ù diretta coi fedeli, che parlasse nella loro lingua - n o n in latino - alle l o r o coscienze, e invece di escluderli, li r e n d e s s e partecipi del rito. I ministri l u t e r a n i s e n t i r o n o questo anelito di d e c e n z a e di partecipazione, e vi si a d e g u a r o n o . Salvo p o c h e e insignificanti eccezioni, essi d i e d e r o un edificante e s e m p i o di b u o n c o s t u m e . E r a n o m o l t o m e n o colti dei p r e t i cattolici, l'umanesimo n o n li aveva n e m m e n o sfiorati, di teologia sapevano poco o nulla. Ma le Scritture le conoscevano b e n e , e a l m e n o l'umiltà ve l'avevano attinta. Le loro chiese n o n p o t e v a n o certo rivaleggiare in a d o r n a m e n t i artistici con quelle italian e . La loro a r c h i t e t t u r a sobria e severa s'ispirava n o n a can o n i estetici, ma all'esigenza di un p i ù i n t i m o c o n t a t t o fra officiante e fedeli. Il rito infatti aveva r i t e n u t o molto di quello cattolico: l'altare, la croce, le c a n d e l e , i p a r a m e n t i . Ma a d o m i n a r e n o n e r a p i ù la cerimonia sacrificale, sibbene il serm o n e . Ecco p e r c h é il t r a t t o caratteristico di q u e s t e chiese sono le gallerie, studiate a n c h e p e r il c a n t o corale, decisivo s t r u m e n t o di partecipazione collettiva. Diceva un gesuita: «I p r o t e s t a n t i h a n n o a v v e l e n a t o p i ù a n i m e coi l o r o i n n i c h e con le loro prediche». Così, m e n t r e il cattolicesimo italiano si esteriorizzava nella p i t t u r a e nella scultura, il p r o t e s t a n t e simo tedesco s'interiorizzava nella musica, c o m e d e l r e s t o 470
e r a logico d i u n a r e l i g i o n e c h e s i p r o p o n e v a d i r i p o r t a r e Dio nelle coscienze. Lo stesso L u t e r o contribuì alla g r a n d e musica sacra della Riforma t r a s f o r m a n d o s i in c o m p o s i t o r e e sfogando in inni gagliardi e marziali la sua esplosiva carica di passione. Perc h é il g r a n d e ispiratore della Riforma restava lui. Essa d o veva la sua vittoria ai fattori politici che a b b i a m o d e t t o ; ma della sua a n i m a restava debitrice u n i c a m e n t e a L u t e r o , che vi aveva trasfuso la sua. C h e u o m o e r a questo s t r a o r d i n a r i o p r o t a g o n i s t a che aveva cambiato il corso della Storia? Fino a qualche a n n o fa, in c a m p o cattolico, ci si ostinava a farlo p a s s a r e p e r u n o psicopatico t o r m e n t a t o d a incubi, t e r r o r i e fobìe. J o h n O s b o r n e lo p r e s e n t a a d d i r i t t u r a c o m e un maniaco depressivo, spinto alla ribellione dal «complesso del p a d r e » e dai triboli che gli p r o c u r a v a n o la stitichezza e le e m o r r o i d i . L u t e r o stesso ha fornito a m p i o m a t e r i a l e a q u e s t e ipotesi diffondendosi nei suoi scritti sui p r o p r i m a lanni. U n a volta, racconta, u n a colica r e n a l e lo ridusse a tal p u n t o di d i s p e r a z i o n e , da i n d u r l o a lanciare u n a specie di u l t i m a t u m al Signore: «Mio Dio - urlò -, se questo spasimo si p r o l u n g a , n o n riconoscerò p i ù la T u a onnipotenza». Ma negli ultimi t e m p i gli storici cattolici p i ù intelligenti h a n n o r i n u n z i a t o alla s t u p i d a e o t t u s a p r e t e s a di r i d u r r e L u t e r o a un semplice caso patologico e c o m i n c i a n o a ricon o s c e r n e la g r a n d e z z a . «Era un g e n i o - dice il gesuita Courtnay M u r r a y -, un genio traboccante di retorica, ma a n c h e p i e n o d'illuminazioni.» E m o l t o p r o b a b i l e che nella n u o v a a t m o s f e r a i n a u g u r a t a dal Concilio l a riabilitazione continui. E sarebbe ora. C r a n a c h ci ha lasciato d u e suoi ritratti. U n o è del 1526, e c i m o s t r a u n L u t e r o poco p i ù che q u a r a n t e n n e , robusto m a s e n z ' a d i p e , a n c o r a n e r o di capelli, di tratti contadineschi e marcati, mascella larga, naso carnoso, gli occhi scuri e p e n e tranti «in cui il d e m o n i o sghignazza» dicevano i suoi nemici. 471
L'altro è di sei a n n i d o p o : un L u t e r o a p p e s a n t i t o e o b e s o , ma t u t t o r a gagliardo, con un'espressione cordiale, che suggerisce l'ottimismo e la gioia di vivere. Ne aveva da v e n d e re, infatti, m a l g r a d o i suoi guai: i calcoli renali, l'ulcera, l'insonnia, la colite, tutte conseguenze dei suoi eccessi dietetici. O g n i tanto si castigava della p r o p r i a ghiottoneria i m p o n e n dosi a n c h e tre giorni di assoluto d i g i u n o . Ma poi l'ingordigia r i p r e n d e v a il sopravvento. Era a n c h e un robusto bevitor e , e M e l a n t o n e r i c o r d a d i averlo sentito t u o n a r e p e r o r e c o n t r o il vizio nazionale della b i r r a , v u o t a n d o n e boccali su boccali. A chi gli faceva osservare l'incongruenza, r i s p o n d e va con un sospiro: «Se il b u o n Dio mi p e r d o n a di averlo tradito p e r v e n t ' a n n i c o m e m o n a c o cattolico, p u ò a n c h e p e r d o n a r m i un bicchierozzo t r a n g u g i a t o alla Sua salute». Da un p e z z o aveva a b b a n d o n a t o il saio e n e l '25 si e r a sposato. A M e l a n t o n e , che si meravigliava di vedergli compiere quel passo, rispose che vi si e r a deciso p e r fare un piacere a suo p a d r e e un dispetto al diavolo. Ma n o n e r a così. In realtà egli aveva s e m p r e r i t e n u t o che il sesso è un peccato, a n c h e nel m a t r i m o n i o . «E se Dio mi avesse consultato su questo p u n t o - aggiungeva -, Gli avrei consigliato di assicur a r e la continuazione della specie col vecchio m e t o d o usato p e r A d a m o . » M a siccome o r m a i a l t r o mezzo n o n c'è, aggiungeva, e il bisogno sessuale richiede soddisfazione c o m e quello del cibo, rassegnamoci al m a t r i m o n i o . Il peccato con u n a moglie sarà s e m p r e m e n o grave di quello con u n a concubina. Per conto suo aveva deciso di restare scapolo e casto. Ma a un certo p u n t o dovette occuparsi della sorte di certe m o n a c h e c h e , e s s e n d o s i c o n v e r t i t e a l suo c r e d o , a v e v a n o abb a n d o n a t o il c o n v e n t o e n a t u r a l m e n t e cercavano u n a sistem a z i o n e c o n i u g a l e . Riuscì a t r o v a r m a r i t o a t u t t e , m e n o u n a , C a t e r i n a von Bora. L e p r o p o s e u n certo d o t t o r Glatz. Ma la ragazza rifiutò, d i c e n d o che avrebbe accettato soltanto un tale di n o m e Amsdorf, o p p u r e il d o t t o r L u t e r o . Q u e sti interpellò Amsdorf, ma lo trovò r e n i t e n t e . Ci r i p e n s ò , e 472
forse r i c o r d a n d o ciò che gli aveva d e t t o la sua vecchia pad r o n a di casa Frau Cotta, c h e u n a b u o n a m o g l i e è l'unica felicità consentita all'uomo, decise di tentarla. Caterina aveva ventisei a n n i , sedici m e n o dei suoi q u a r a n t a d u e , e p o c h e attrattive. Ma il suo c a r a t t e r e e r a pacioso, e infatti si rivelò u n a sposa eccellente. Il g e n e r o s o e b e n e v o l o D u c a di Sassonia, c o m e d o n o di nozze, d i e d e alla coppia l'intero convento agostiniano dove L u t e r o aveva vissuto da m o n a c o . L u t e r o si affrettò a r i p o polarlo con sei figli e u n a dozzina di nipoti, di cui si assunse il m a n t e n i m e n t o e l'educazione. Pare che C a t e r i n a n o n gradisse m o l t o la t r a s f o r m a z i o n e della sua casa in un asilo infantile che doveva darle n o n poco da fare. Ma vi si rassegnò p e r c h é tutti quei ragazzi e r a n o la gioia del m a r i t o che a d o r a v a la l o r o g à r r u l a c o m p a g n i a . E a n c h e q u e s t o t r a t t o dimostra q u a n t o lontana dal vero sia l'immagine di un L u t e r o solitario, severo, scontroso e t o r m e n t a t o dal diavolo. Alcuni di questi suoi pupilli, via via c h e crescevano, c o m i n c i a r o n o a p r e n d e r e n o t a di ciò che diceva L u t e r o nell'intimità della famiglia. E n e v e n n e fuori u n m o n u m e n t a l e v o l u m e d i Tischreden, o conversazioni da tavola, che ci forniscono forse il più veridico ritratto d e l l ' u o m o : p a d r e eccellente, affabile, comprensivo, s e m p r e p r o n t o alla battuta, alla risata, alla favola. La m o r t e della sua b a m b i n a p r e d i l e t t a fu p e r lui u n a t r a g e d i a . Per giorni e notti, p r o s t r a t o a t e r r a , p r e g ò p e r la sua guarigione. Q u a n d o vide che tutto era inutile, chiese alla piccola: «Figliolina mia, vuoi restare qui con t u o p a d r e , o a n d a r e da q u e l l ' a l t r o P a d r e , c h e ti c h i a m a di là?» «Se mi chiama, voglio andare» rispose in un soffio la b a m b i n a . Per tutto il resto dei suoi giorni, L u t e r o seguitò a p a r l a r e con lei c h i a m a n d o l a du liebes Lenichen, tu m i a a m a t a L e n u z z a . E o g n i t a n t o diceva: «Che s t r a n o , s a p e r e che lei è p i ù viva e felice di noi, e soffrirne u g u a l m e n t e » . I suoi r a p p o r t i con Caterina n o n a n d a v a n o altrettanto lisci. S e b b e n e di b u o n c a r a t t e r e , essa talvolta si spazientiva p e r la totale m a n c a n z a di senso pratico del m a r i t o . L u t e r o 473
s'infischiava del d e n a r o , dissipava tutto ciò che g u a d a g n a v a , rifiutava i diritti d ' a u t o r e sui suoi libri che avevano fatto la f o r t u n a dell'editore, e spesso la p o v e r a d o n n a n o n sapeva c o m e m a n d a r e avanti la famiglia che Martino le aveva caricato sulle spalle. Egli aveva c o m p r a t o u n a fattoria con polli m u c c h e , maiali e o r t o . Ma e r a lei che d o v e v a p r o v v e d e r e a n c h e a quella, p e r c h é lui n o n s a p e v a d i s t i n g u e r e u n a cipolla da u n a patata. Per di più essa doveva s o p p o r t a r e i b r u schi salti d ' u m o r e di Martino, le sue collere improvvise. Epp u r e , dalle lettere ch'egli le scrisse o che scrisse su di lei, risulta che il m a t r i m o n i o fu sostanzialmente felice e c h e l'affetto fra i d u e n o n fece che crescere con gli a n n i . Per celia egli parla s e m p r e di Caterina c o m e del «mio signor Katie», facendo capire che il vero p a d r o n e di casa era lei. A n c h e all'acme del successo, i suoi m o d i e r a n o rimasti semplici. Si rifiutava di c h i a m a r luterani i seguaci d e l suo c r e d o ; voleva c h e si c h i a m a s s e r o evangelici. E scoraggiò la pubblicazione della sua opera omnia, d i c e n d o che quella lett u r a p o t e v a a n d a r e a d e t r i m e n t o della Bibbia, u n i c o testo che valesse la p e n a di leggere. N o n si considerava affatto un Apostolo, un Santo, un fondatore di religioni, e a chi lo trattava come tale r i s p o n d e v a b r u s c a m e n t e che Dio n o n gli aveva dato n e m m e n o il p o t e r e di p r o c u r a r s i u n a b u o n a defecazione. Il suo u m o r i s m o conservava qualcosa di rurale e insisteva su questi motivi c o r p o r a l i . «I miei n e m i c i - diceva n o n si stancano di spiarmi. Se faccio un peto a Wittenberg, a R o m a ne s e n t o n o subito il puzzo.» Gli scrupoli di Melantone, i suoi dubbi, le sue timoratezze, qualche volta lo facevano sorridere, ma più spesso lo m a n d a v a n o in bestia. «Pecca, pecca! - gli gridava - Dio rispetta i g r a n d i peccati, è spietato solo c o n quelli piccoli.» E r a p i e n o di c o n t r a d d i z i o n i . Esaltava gli studi matematici come quelli che allenano «a ragionare p e r dimostrazioni e prove sicure», ma rifiutava il sistema c o p e r n i c a n o p e r c h é c o n t r a r i o alla Bibbia, e c r e d e v a nei diavoli e nelle streghe. La sua teologia n o n e r a del t u t t o originale. Discendeva 474
in linea diretta da quella di Wycliff e di Huss. Tutti e tre avevano attinto le nozioni della p r e d e s t i n a z i o n e e della Grazia in Sant'Agostino, che a sua volta ne aveva tratto ispirazione da San Paolo. Q u e s t o è, p e r così dire, l'albero genealogico del P r o t e s t a n t e s i m o , d i cui L u t e r o n o n e r a che l ' u l t i m a fronda, ma a n c h e la più vigorosa. Per usare il suo linguaggio, egli r e d i m e il C r i s t i a n e s i m o da tutti gli a p p o r t i della c u l t u r a p a g a n a , che s p e c i a l m e n t e gli u m a n i s t i gli avevano appiccicato a d d o s s o . L u t e r o r i n n e g a sia Aristotele che Platone e si rifa ai Profeti. C a d e n d o in u n ' e n n e s i m a c o n t r a d d i zione, egli odia gli ebrei, c o n t r o i quali p r o n u n z i e r à in vecchiaia p a r o l e d e g n e di Hitler, ma nello stesso t e m p o la sua concezione di Dio è tipicamente ebraica. Con lui, Dio p e r d e gli attributi u m a n i che la Chiesa gli aveva appiccicato, e ridiventa J e o v a h : l'Altissimo, l'Assoluto, il Giudice Vendicatore c h e ha scagliato sugli u o m i n i il diluvio u n i v e r s a l e , distrutto S o d o m a , e o r a si p r e p a r a a un Giudizio in cui «pochissimi s a r a n n o gli eletti, moltissimi i dannati». T u t t o s o m m a t o , e r a u n r i t o r n o alla teologia m e d i e v a l e coi suoi incubi e t e r r o r i . L u t e r o e r a convinto di vivere in un m o n d o p o p o l a t o di diavoli all'agguato, asseriva di conoscere p e r s o n a l m e n t e Satana e si piccava di t e n e r l o a b a d a col suo flauto. Egli aveva d e l l ' u o m o la stessa sconsolata concezione dei g r a n d i quaresimalisti del dodicesimo e tredicesimo secolo: lo c o n s i d e r a v a u n a p o v e r a debole c r e a t u r a imp o t e n t e di fronte al peccato, e destinata a r e s t a r n e vittima. «Siamo i figli della colpa - diceva, m e t t e n d o nel mazzo anche se stesso. - N o n c'è nessuno, in g r a d o di redimersene.» N o n ebbe mai la civetteria demagogica di presentarsi come un i n n o v a t o r e . Si considerava anzi un r e s t a u r a t o r e , e il suo s o g n o s a r e b b e stato di p e r p e t u a r e la società r u r a l e in cui e r a n a t o . C h i a m a v a il c o m m e r c i o «uno s p o r c o affare», c o n d a n n a v a l'interesse c o m e u s u r a , e a b b i a m o già riferito in che t e r m i n i si espresse c o n t r o i contadini che si e r a n o ribellati ai Principi. Li chiamò delinquenti, li fulminò di anatemi, ne reclamò lo sterminio. 475
Questi eccessi reazionari si fecero s e m p r e più frequenti via via che la sua salute si deteriorava. Negli ultimi anni, riconosce u n o dei suoi biografi p i ù devoti, il Bainton, e r a div e n t a t o «un vecchiaccio irascibile, p e t u l a n t e , m a l d i c e n t e e talvolta a d d i r i t t u r a scurrile». Nel febbraio del '46 la sua ulcera si aggravò improvvisamente. Capì subito ch'era alla fin e , e chiamò i suoi amici. U n o di loro gli chiese: «Reverendo P a d r e , resti fedele a Cristo e alla d o t t r i n a che hai p r e d i cato in Suo nome?» Il m o r e n t e rispose: «Sì», e subito d o p o si accasciò colpito da apoplessia. I suoi difetti ed e r r o r i e r a n o stati g r a n d i . Nella polemica c o n t r o i suoi nemici smarriva n o n soltanto il senso della giustizia, ma a n c h e quello della d e c e n z a , e il suo l i n g u a g g i o scadeva nel turpiloquio. Col nemico vinto poteva essere generoso, c o m e lo fu con Tetzel; ma con chi n o n si a r r e n d e v a e r a incapace di carità. Le sue incoerenze e r a n o state clamorose e s t r i d e n t i . «Aveva l i b e r a t o - dice D u r a n t - i suoi seguaci da un Papa infallibile, ma p e r sottometterli a un infallibile libro - la Bibbia - c h e , a differenza d e l P a p a , n o n si poteva cambiare.» Della lotta c o n t r o il d o g m a aveva fatto un altro d o g m a , e nel combattere l'intolleranza dei preti si m o strava p i ù i n t o l l e r a n t e di loro. N o n c'è d u b b i o che fu lui a istillare nei tedeschi quella «rabbia teologica», che a n c o r oggi li s p i n g e ad a r r u o l a r e Dio a n c h e nelle loro crociate p i ù sfacciatamente anticristiane come quella del genocidio. Ma tutti questi lati negativi n o n e r a n o che il rovescio di quelli positivi, e n o n m e n o di q u e s t i c o n t r i b u i r o n o al suo successo. Le passioni lo accecavano, ma solo un u o m o accecato dalle passioni poteva s c e n d e r e in g u e r r a c o n t e m p o r a n e a m e n t e contro il Papato e contro l ' I m p e r o . Sul p i a n o filosofico e d o t t r i n a r i o M e l a n t o n e e r a m o l t o p i ù attrezzato di lui, p i ù e q u o nei giudizi, più sottile, p i ù p e n e t r a n t e . Ma le circostanze n o n richiedevano un intellettuale. Richiedevano s o p r a t t u t t o un lottatore, e L u t e r o lo fu con tutti i p r e g i e i difetti che un lottatore deve avere: il t e m e r a r i o coraggio, la forza di convinzione, l ' i m p e t o aggressivo, l'eloquenza gla476
diatoria, l'allergia al c o m p r o m e s s o . Guai se egli avesse avuto il senso critico e lo s c r u p o l o della giustizia: p r i m a o p o i a v r e b b e finito p e r a r r e n d e r s i alle minacce o alle blandizie dei suoi avversari, e la Riforma s a r e b b e stata «riassorbita» da u n a Chiesa allenatissima a questo g e n e r e di operazioni. N o n c'è cristiano, credo, che n o n consideri u n a catastrofe la r o t t u r a della Cristianità provocata dalla Riforma. Lutero stesso d i m o s t r ò , con le sue esitazioni, q u a n t o fosse conscio e atterrito della responsabilità che si assumeva. La sua e s e m p l a r e milizia di m o n a c o a g o s t i n i a n o , la sua umiltà, la sua indifferenza a ogni ambizione di carriera, d o c u m e n t a n o che n o n agì p e r interesse personale. Il suo anelito di riportare la Chiesa alle sue p u r e fonti evangeliche e r a sincero e vibrante. N o n fu il p r i m o , n o n fu il solo a covarlo. Ma l'eccezionalità della sua figura sta nel fatto di averlo realizzato. O g n u n o p u ò giudicare il suo c r e d o c o m e vuole. Ma n o n c'è d u b b i o che da esso p r e s e avvio il m o n d o m o d e r n o . Facendo del c r e d e n t e «il s a c e r d o t e di se stesso», senza l'intermediario del p r e t e , l'obbligò ad assumersi le p r o p r i e responsabilità, senza possibilità di m e t t e r s e n e al r i p a r o d i e t r o le spalle d e l confessore: giuoco c h e si p r e s t a a g l ' i m b r o g l i c h e tutti noi cattolici v e d i a m o , s a p p i a m o , e p u r t r o p p o p r a t i c h i a m o . E infine s e p a r a n d o in m a n i e r a definitiva e p e r e n t o r i a , sec o n d o il principio dei «due regni», lo spirituale dal t e m p o rale, egli fondò lo Stato laico m o d e r n o r e d e n t o da o g n i ipoteca e vassallaggio clericale. Questi sono i g r a n d i m e r i t i di L u t e r o nei c o n f r o n t i d e l m o n d o cristiano e della sua etica. Ma i tedeschi h a n n o ragione di riconoscergliene a n c h e degli altri. Coi suoi scritti, e specialmente con la sua s p l e n d i d a t r a d u z i o n e della Bibbia, egli fu p e r loro ciò che D a n t e e r a stato p e r l'Italia e C h a u cer p e r l'Inghilterra: il p a d r e della lingua. N o n ne fornì solt a n t o il vocabolario, ma a n c h e lo stile, il r i t m o , il calore. N e s s u n o scrittore tedesco, n e m m e n o G o e t h e , è stato p i ù tedesco di L u t e r o nella sua c o m p a t t a densità, nel suo p u g n a ce a r d o r e , nei suoi furori apocalittici, nella sua risata gorgo477
gliante, e se si vuole a n c h e sca rozzezza. I n s o m m a , u n a t i p o c h e , a l m e n o sul p i a n o d e i suoi d u e g r a n d i rivali Zuinglio e Calvino.
nella sua marziale e c o n t a d i n e figura a tutto sbalzo, un a r c h e u m a n o , sovrasta a n c h e q u e l l o nella leadership della Riforma:
CAPITOLO VENTUNESIMO
ZUINGLIO
Ai p r i m i del C i n q u e c e n t o , un Paese chiamato Svizzera ancora n o n c'era. Ma c'era, nel cantuccio di t e r r a dove poi esso s a r e b b e s o r t o , rinsaccato fra i m o n t i e cariato di laghi, un insieme di c o m u n i t à valligiane, d e t t e «Cantoni», c h e fra loro si e r a n o unite in u n a Confederazione t u t t o r a l o n t a n a dal f o r m a r e u n o Stato, ma sulla via p e r diventarlo. T u t t o s o m m a t o , i C a n t o n i ne avrebbero fatto volentieri a m e n o . O g n u n o d i essi e r a gelosissimo della p r o p r i a i n d i p e n d e n z a , e n o n avrebbe chiesto di meglio che di continuare a vivere e a svilupparsi p e r conto p r o p r i o . Fu l'istinto di conservazione che li obbligò p r i m a ad allearsi tra loro e poi a fondersi, ma mai fino al p u n t o di r i n u n z i a r e alla p r o p r i a personalità. Sulla fine del Q u a t t r o c e n t o avevano d o v u t o difendersi dalle mire della Borgogna, che allora formava u n o Stato i n d i p e n d e n t e , e che cercava di annetterseli. Ma q u a n do essa fu inghiottita dalla Francia, i C a n t o n i t o r n a r o n o a dividersi e anzi furono sull'orlo di u n a g u e r r a fratricida p e r la spartizione delle spoglie del nemico vinto. Subito d o p o p e r ò di nemici se ne profilò un altro, che li costrinse n u o v a m e n t e a u n i r s i : Massimiliano d ' A s b u r g o . Q u e s t o Sacro R o m a n o I m p e r a t o r e , l o a b b i a m o già d e t t o , mirava a i n g r a n d i r e il suo R e a m e p i ù coi m a t r i m o n i che con le conquiste. Ma n o n c'era ereditiera che potesse p o r t a r e in d o t e i Cantoni, p e r c h é questi n o n e r a n o p a t r i m o n i o privato d i n e s s u n P r i n c i p e . A p p a r t e n e v a n o alle singole c o m u n i t à che se li a m m i n i s t r a v a n o ciascuno col p r o p r i o g o v e r n o . Da questo p e r ò il lettore n o n tragga l'affrettata deduzione che la Svizzera avesse già realizzato quel modello di paci479
fica democrazia di cui oggi tutti a m m i r i a m o l'ordine, la saggezza e l'efficienza. N o . Alcuni C a n t o n i a v e v a n o assorbito con la forza i t e r r i t o r i circonvicini e li t e n e v a n o in stato di vassallaggio coloniale. E q u a n t o alla pace, n o n ne fornivano un g r a n d e esempio. Anzi, siccome la p o v e r t à della t e r r a ne faceva u n ' a r e a d e p r e s s a , i suoi figli e m i g r a v a n o p e r a r r u o larsi c o m e m e r c e n a r i in tutti gli eserciti stranieri. Inutile dire che l'imbelle Italia, dove il soldato n o n voleva né sapeva farlo n e s s u n o , e r a la loro mecca. Gli svizzeri e r a n o le migliori t r u p p e di cui disponessero i nostri turbolenti Signori p e r scannarsi tra loro e seguitare a far dell'Italia u n a zattera della m e d u s a . E q u e s t o va detto p e r dissipare un grosso equivoco. Noi italiani c o m u n e m e n t e c r e d i a m o che il modello di d e m o c r a z i a e di p a c e che gli svizzeri forniscono al m o n d o derivi da u n a tradizione di r e n i t e n z a alla leva. E invece deriva d a u n a g r a n d e t r a d i z i o n e militare e c o n f e r m a quello c h e a n c h e Machiavelli diceva, e cioè c h e solo chi sa fare il soldato sa essere un cittadino. Ma d o p o la battaglia di M a r i g n a n o del 1515, dove il loro c o n t i n g e n t e subì le p i ù forti p e r d i t e , gli svizzeri si r e s e r o conto che quella di d o n a t o r i di s a n g u e e r a l'industria m e n o redditizia. Smisero di praticarla, volsero le l o r o collaudate virtù g u e r r i e r e a scopi pacifici trasformandosi in artigiani e mercanti, e d i e d e r o avvio a u n a delle più o r d i n a t e e funzionali civiltà d ' E u r o p a . C h e la Riforma abbia attecchito tra loro p r o p r i o in questo p e r i o d o , n o n è un caso. Essa fu anzi il p u n t o di p a r t e n z a e lo s t r u m e n t o m o r a l e di q u e s t a evoluzione. Le cose si e r a n o svolte in m a n i e r a quasi pacifica, senza d r a m m i né sussulti. In Svizzera c'era un clero che nel campo della cultura aveva grossi meriti. Ne aveva p o r t a t o il soffio fra quei rozzi boscaioli, e fatto di Basilea, Zurigo e Ginevra dei centri di studi umanistici. Ma, q u a n t o a corruzione, faceva il p a i o con quello italiano. A s e n t i r e lo Schaff, n o n c'era p r e t e che n o n avesse il suo h a r e m di c o n c u b i n e , e un 480
Vescovo che m u l t ò quelli della sua diocesi di q u a t t r o fiorini p e r ogni figlio n a t u r a l e che avevano messo al m o n d o , di fiorini ne raccolse oltre 1.500 in un a n n o . Alcuni governi cantonali, e specialmente quello di Ginevra, decisero di m e t t e re un p o ' d ' o r d i n e in questo d i s o r d i n e s o t t o p o n e n d o i preti, i c o n v e n t i e i m o n a s t e r i alla s u p e r v i s i o n e di u n a specie di consiglio del b u o n costume formato da funzionari e cittadini integerrimi. Era in pratica la sovrapposizione dell'autorità t e m p o r a l e a quella ecclesiastica, cui la Chiesa si era semp r e violentemente ribellata. E i Vescovi infatti fecero appello al P a p a p e r c h é l'impedisse. Ma il P a p a in q u e l m o m e n t o e r a Giulio I I , c h e aveva p i ù p a s s i o n e a c o m a n d a r e i suoi eserciti e a i n g r a n d i r e i suoi Stati che a d i f e n d e r e le p r e r o gative dei preti. Egli chiese a Ginevra un paio di r e g g i m e n t i p e r p o r t a r e avanti le sue conquiste, e in cambio le riconobbe pieni p o t e r i sul suo clero. La Svizzera aveva già risolto in senso m o d e r n o il r a p p o r t o fra Stato e Chiesa. Q u a n d o q u e s t o a v v e n n e , Ulrico Zuinglio aveva ventisei anni. E r a n a t o a San Gallo, terzo di u n a nidiata di dieci tra fratelli e sorelle, da u n a famiglia della b u o n a b o r g h e s i a di provincia. Suo p a d r e era un magistrato, che aveva già deciso il d e s t i n o di Ulrico avviandolo al sacerdozio. Il ragazzo aveva s e c o n d a t o il suo desiderio e studiato con a r d o r e prima a Basilea, poi a Berna, poi a Vienna, e infine di n u o v o a Basilea, d o v e seguì i corsi di W y t t e n b a c h , un t e o l o g o c h e molto p r i m a di L u t e r o aveva espresso parecchie riserve sia sul celibato dei preti che sulla vendita delle indulgenze. Ulrico p e r ò a questi p r o b l e m i si e r a a p p a s s i o n a t o poco. Il suo interesse a n d a v a tutto alla g r a n d e letteratura classica. Per p o t e r l a s t u d i a r e a f o n d o i m p a r ò p e r c o n t o p r o p r i o il greco, e i n t r a t t e n n e u n a fitta c o r r i s p o n d e n z a con E r a s m o e Pico della Mirandola. Anche d o p o ch'ebbe p r e s o i voti e ottenuto un canonicato a Glarus, seguitò a p e n s a r e e a scrivere che un p e r i o d o di Cicerone e u n a strofa di P i n d a r o valevano più di un versetto del Vangelo e che a n c h e nell'ai di là avrebbe preferito trovarsi in c o m p a g n i a di un Seneca che di 481
un Papa. Era i n s o m m a il tipo classico del p r e t e u m a n i s t a e ne condivideva a n c h e la moralità, cioè l'immoralità. Peccava g e n e r o s a m e n t e , specie con le d o n n e , e senza p r o v a r n e nessun rimorso. Q u a n d o Ginevra, p e r o t t e n e r e il diritto di m e t t e r e sotto controllo laico il suo clero, m a n d ò un c o n t i n g e n t e di soldati a Giulio I I , Zuinglio vi si a r r u o l