Storia di Roma antica [PDF]

  • 0 0 0
  • Gefällt Ihnen dieses papier und der download? Sie können Ihre eigene PDF-Datei in wenigen Minuten kostenlos online veröffentlichen! Anmelden
Datei wird geladen, bitte warten...
Zitiervorschau

«Non intendo accettare né respingere le leg­ gende correnti sull'età anteriore alla fonda­ zione di Roma oppure sulla stessa fondazio­ ne, perché sono favole poetiche piuttosto che testimonianze sicure sui fatti avvenuti. Concediamo volentieri agli antichi l'usanza di rendere più nobili le origini della città, mescolando i fatti degli uomini con quelli degli dèi. E se mai un popolo ha avuto di­ ritto a rendere sacre le proprie origini e a le­ garle alle divinità, questo è il popolo roma­ no>>. Con queste parole Tito Livio dimostra il suo spirito critico e al tempo stesso non mette in discussione le "favole poetiche de­ gli antichi", comunque necessarie per recu­ perare l'identità romana nella sua interezza e autenticità. Seguendo il suo esempio, an­ che la successiva storiografìa ha imparato ad accettare la leggenda tentandone in ogni modo la razionalizzazione. Tutte le ricerche condotte sull'antichità romana,

natural­

mente rinnovate nei metodi e negli stru­ menti, hanno cercato di guardare a quel "punto di partenza", a quelle favole, con questo spirito, cercando di leggerne il senso e di individuare cosa potessero nascondere. Il mito si intreccia dunque con la storia, ma non così strettamente da impedire una indi­ viduazione corretta e rigorosa e una lettura obiettiva del fatto storico. Questo volume nasce dalla collaborazione di più studiosi e ricostruisce il glorioso pas­ sato di Roma dai primi abitanti del territo­ rio fino alla crisi dell'Impero e a Dioclezia­ no: epiche battaglie, storici avvenimenti, grandi conquiste, lotte per il potere, re e im­ peratori, monumenti, opere d'arte, sviluppo urbanistico, celebri personaggi, complotti e congiure, invasioni barbariche, persecuzioni religiose, costumi e tradizioni, organizzazio­ ne politica, sociale e militare, rapporti con gli altri popoli, istituzioni, economia e giu­ stizia. Un panorama quanto mai ampio e completo, che ci fa tornare alle origini della nostra storia.

Biblioteca de Il Messaggero © Newron & Compton Editori l. Cerchiai - Mainardis - Manodori - Matera - Zaccaria, . Storia

di Roma antica

Supplemenro al numero odierno de Il Messaggero Direttore respons,.bile Paolo Gambesc:ia Reg. Trib. di Roma n. 164 dell9 giugno 1948 In copertina: Perer Pau) Rubens, Romolo �Remo, 1614 ca. Copertina di Alessandro Tiburtini www.newroncompton.com

Prima edizione in quesra collana: settembre 2004 © 1997 Newton Compton editori s.r.l./Finedim s.r.L © 2000 Newton & Compton editori s.r.L Roma, Casella postale 6214 ISBN 88-541-0193-1

www.newtoncompton.com Fotocomposizione: GI Grafica Internazionale s.r.L, Roma Stampato nel settembre 2004 dalla legatoria del Sud s.r.l., Ariccia (RM)

Claudia Cerchiai/Fulvia Mainardis/Alberto Manodori Vincenzo Matera/Claudio Zaccaria

Storia di Roma antica Dalle origini alla crisi dell'Impero, tutti i grandi avvenimenti, le battaglie, le conquiste, le lotte per il potere, i re, gli imperatori e i celebri protagonisti della città che divenne il centro del mondo

Newton & Compton editori

Le schede siglate F.S. sono di Furio Sampoli.

ROMA PRIMA DI ROMA

PREMESSA Quanto agli eventi che si dicono accaduti molto prima della fondazione di Roma (o quando questa era imminente) essi appaiono più abbelliti da fole poetiche che sostenuti da incorrotti documenti storici e non è mia intenzione né confermarli né confutarli. È que­ sta una concessione che si fa ai tempi andati: mescolare vicende divine e umane per ren­ dere più autorevoli gli inizi delle città. Se dunque esiste una nazione cui si debba conce­ dere di ritenere sacre le proprie origini e di riferirle anzi agli dèi stessi, tale è la gloria militare del popolo romano che, quando esso vanta Marte come proprio padre e come padre del proprio fondatore...

Tito Livio, il grande prosatore e storico dell'età augustea, chiarisce imme­ diatamente (nella prefazione al 1 libro della Storia dalla fondazione di Roma, Roma, Newton & Compton, 1997) il suo spirito critico e l'intento demistificatorio di fronte alle "favole poetiche"; ma non le mette in discus­ sione: le riporta in quanto espressioni della mentalità del tempo arcaico, al quale è necessario riallacciarsi per non perdere l'identità romana dopo il tormentoso e sanguinoso passaggio dalla repubblica all'impero. Livio amplia il racconto tradizionale e vi inserisce definitivamente l'altro racconto tradizionale dell'arrivo di Enea nel Lazio: non un mito locale, ma un dono dell'antica cultura greca, tramite il canale della Magna Graecia. Enea era scampato alla distruzione di Troia, portando sulle spalle il padre Anchise, che ai suoi tempi, amoreggiando con Venere, lo aveva generato. Per questa pietas, per l'affetto e l' attaccamento filiale verso il padre, Enea era stato esaltato dagli stessi Greci vincitori ed era entrato a vele spiegate nella storia di Roma: tanto più che da un suo figlio era discesa la gens lulia, il clan familiare di Giulio Cesare e di Augusto, il ceppo della dinastia imperiale. Enea sposa Lavinia, figlia del re Latino, e fonda Lavinio, dove gli esuli troiani pongono definitivamente termìne al loro pellegrinaggio nel Mediterraneo e si fondono con i Latini. Da Enea e, forse, da Lavinia nasce Ascanio e quest'ultimo fonda una nuova città sui Colli Albani, detta Alba Longa, perché si allunga sul dorso del monte Albano. Dopo varie generazioni il re Proca lascia il regno al primogenito Numitore, ma il secondogenito Amulio caccia il fratello, uccide i nipoti maschi e costringe la nipote Rea Silvia a diventare vestale, per obbligarla alla verginità perpetua, senza timore di futuri figli e avversari. Ma ho motivo di credere che l'origine di una così grande città fosse voluta dal fato: doveva nascere l'impero più prestigioso che mai sia esistito, secondo solo alla potenza degli dèi. Rea Silvia subì una violenza in seguito alla quale partorì due gemelli. Proclamò

8

SfOIUA DI ROMA AN'l1CA

Romolo e Remo allatati dallillupa, incisione di Bartolomeo Pinelli. che Marte era il padre di quella discendenza illegittima: forse ne era davvero convinta, forse pensava che attribuire la paternità ad un dio giustificasse la colpa. Ma certo non ci furono divinità o uomini capaci di mettere al riparo lei e i figli dalla crudeltà del re. La sacerdotessa viene imprigionata e incatenata. Amulio ordina poi che i due fanciulli venga­ no gettati nella corrente del fiume. Per un caso provvidenziale il Tevere aveva tracimato e aveva formato dei larghi stagni sicché non era possibile raggiungere il normale corso della corrente. Coloro che eseguirono l'ordine avevano tuttavia fondate probabilità che i bambini annegassero nonostante le acque ristagnanti. E dunque, convinti di eseguire al meglio l'incarico ricevuto dal re, espongono i fanciulli nella pozza più facilmente rag­ giungibile proprio nel luogo (chiamato Romulare) in cui oggi si trova il Fico Ruminale. Quelli erano allora luoghi del tutto abbandonati. Sopravvive ancor oggi la credenza che le acque basse abbandonassero su una secca il cesto in cui erano stati esposti i bambini e che aveva preso a galleggiare sulla corrente. Una lupa assetata si diresse, dai colli vicini, verso il luogo da cui veniva un vagito. Si abbassò e porse ai due fanciulli le proprie mam­ melle con tanta mitezza che un pastore che custodiva il gregge del re (se ne tramanda ancora il nome: Faustolo) la trovò mentre lambiva con la lingua i due gemelli, Faustolo li portò alle stalle dove si trovava sua moglie Larenzia perché li allevasse (Livio). Tradizione vuole che Remo scorgesse per primo sei avvoltoi. Quando già la visione augurale era stata annunciata, Romolo ne vide un numero doppio. Le schiere dei fautori dell'uno e dell'altro salutarono entrambri re, attribuendo il diritto di regnare a Remo per aver scorto prima gli uccelli e a Romolo per averne scorti di più. Per questo nacque una zuffa, e, sotto la spinta dell'ira, si arrivò a spargere sangue. Colpito a morte nella mischia, Remo cadde. E comunque più diffusa la leggenda secondo cui Remo, in segno di scherno verso il fratello, fosse saltato oltre le mura che stavano sorgendo. Romolo, trasportato dall'ira, Io avrebbe ucciso e avrebbe inveito contro di lui gridando: «Patisca la stessa sorte chiunque abbia ad oltrepassare le mia mura>>. Romolo detenne così da solo il comando e diede il suo nome alla città appena fondata. (Livio 117).

9

ROMA PRIMA Dl ROMA

Compiute dunque secondo il rito le cerimonie e adunata la gente in assemblea, Romolo dettò i fondamenti del diritto, perché solo le leggi consentono a un popolo di diventare un unico e compatto organismo. Consapevole che le leggi sarebbero apparse inviolabili a quelle genti ancor rozze, solo se egli stesso si fosse reso degno di venerazione grazie ai segni esteriori dell'autorità, accrebbe la propria maestà abbigliandosi in modo particolare e soprattutto ponendosi vicino dodici littori. Alcuni pensano che egli abbia scelto quel numero dagli uccelli che gli avevano profetizzato il regno. A me non dispiace invece con­ dividere il parere di coloro che pensano che anche quelle guardie derivassero dai vicini Etruschi. (Livio l/8). Queste citazioni di Tito Livio sono strumentali e vogliono far capire al lettore quali sono le fonti o documenti che il moderno storiografo deve affrontare. T ito Livio, con tono molto soffice, racconta le antiche favole poetiche senza cadere nella loro rete. È un freddo e razionale realista; decenni di guerre civili gli hanno insegnato che la violenza prevarrà sem­ pre sulla giustizia e che soltanto le leggi dura lex sed lex possono assi­ curare la convivenza in una società civile. I Romani hanno conquistato il mondo mediterraneo per la loro superiorità militare, ma la potenza imperiale non esclude che Roma sia nata da un fra­ tricidio, da genti rustiche e rozze, che hanno immediatamente subito l'in­ fluenza dei più civili ed evoluti Etruschi; come più tardi subiranno quella dei Greci. T ito Livio sa bene che la glorificazione del passato ne comporta l'abbellimento con l'invenzione di episodi "esemplari": accetta la leggenda e ne tenta la razionalizzazione. Allo stesso modo, per noi alla fine del secolo xx d.C.; resta fermo che nella leggenda ci sono molti elementi d'una realtà arcaica e alla metà dell'VIII secolo a.C. è statafondata, secondo un preciso rituale sacro, una nuova città. E tutto questo recentemente è stato conferma­ to da più scoperte archeologiche. Ma a questo punto, forse, è meglio lascia­ re i nostri ricordi della "storiella", insegnata alle scuole elementari o medie, e cercare di seguire quanto si può conoscere per merito di centinaia di stu­ diosi (di varia formazione e provenienza), i quali negli ultimi decenni hanno rinnovato gli studi, i metodi, la stessa attrezzatura di ricerca sull'antichità romana. In questo senso cerchiamo di vedere cosa c'è dietro le favole poeti­ che. Può essere meno divertente, ma è importante che il lettore, anche se troverà qualche difficoltà, trovi sempre un'esposizione chiara, una sistema­ zione facilmente leggibile delle ultime acquisizioni scientifiche. -

-

LO SCAVO ALL1STITUTO TECNICO «SEVERI» A TORRE SPACCATA Nel corso della costruzione dell 'Istituto tecnico «Severi», à Torre Spaccata. a poca profondità dal piano di supetficie attuale è venuta in luce parte di un 'area abitata circa 6000 anni fa. Sono stati ritrovati blocchetti di lava e piani di argilla cotta, non­ ché pesi da telaio, rare ossa di pecora o capra, utensili in pietra (lame, punte di frec­ cia. attrezzi per grattare). Gli uomini che vissero a Torre Spaccata 6000 anni fa erano coltivatori e allevatori di bestiame poco evoluti, che integravano la produzione delle loro attività agricole con la carne che si procuravano nelle battute di caccia. Questi antichi abitatori del territorio urbano di Roma non conoscevano l'uso dei metalli. Essi erano arrivati al limite massimo di utilizzazione delle risorse della natura, con l'uso di strumenti ricavati solamente dalla lavorazione della pietra, anche se questa era molto raffinata.

10

STORIA DI ROMA ANTICA

NASCITA DI UN TERRITORIO Circa due milioni di anni fa quasi tutto il Lazio era ricoperto dal mar Trrreno. Le acque hanno lasciato tracce d'una linea di costa che andava dai piedi dei monti Sabini (da Magliano Sabino a Fara) e dei Licrètili (da Marcellina a Scandriglia) alle prime falde dei monti Prenestini e Lepini (da Artena a Priverno). La conca di Rieti era completamente sommersa, come tante altre zone di pianura. Dal mare emergevano come isole il Soratte, le cime dei monti Cornicolani, monte Gennaro, il Circeo, l'arcipelago pontino (Ponza, Palmarola e Zannone), forse qualche cima dei monti della Tolfa. In seguito a sollevamenti di parte del fondo del mare e a grandi fenomeni vulcanici nacque un cordone di terre emerse. Il corso del Tevere sfociava molto più a nord (davanti a Cetona, in pro­ vincia di Siena); poi, sbarrato da nuovi ostacoli, deviò, portando con sé una quantità di detriti, che colmarono l'antico golfo marino. Circa 700.000 anni fa due vulcani entrarono in attività: il vulcano Laziale (alto circa 2000 metri, le sue macerie oggi costituiscono i colli Albani; l'antico cratere principale corrispondeva ai "Campi di Annibale", imme­ diatamente sotto Rocca di Papa; mentre lo sprofondamento dei crateri minori ha dato origine ai laghi di Albano e di Nemi) e il vulcano Sabatino (il suo cratere principale corrispondeva al lago di Bracciano; mentre i cra­ teri minori sono riconoscibili nei laghi di Monterosi e di Martignano, negli antichi laghetti prosciugati di Baccano e di Stracciacappe). I due vulcani eruttarono enormi quantità di materiali: i lapilli e le ceneri si depositarono sui sette colli e in tutto l'Agro romano, mentre le colate di lava modificarono profondamente il territorio, dando ai dintorni di Roma alcune caratteristiche in parte ancora conservate. La lava del vulcano Sabatino è giunta fino alla sponda destra del Tevere, mentre quella del vulcano Laziale è arrivata fin quasi alla sponda sinistra e ha scavalcato il corso attuale dell'Aniene, giungendo fino a Lunghezza; in direzione quasi opposta un'altra sua enorme colata di lava (estesa circa 1 2 chilometri) affiora ancora nella campagna, arrivando nei pressi della tomba di Cecilia Metella sull'Appia. E le ultime eruzioni del Laziale e del Sabatino avvennero circa 6000 anni fa. L'attività dei due vulcani a un certo momento ha completamente sbarrato il corso del Tevere. Allora si creò un grande lago, che raccoglieva anche le acque del Nera e dell' Aniene e che si estendeva dall'altezza della con­ fluenza del fiume Paglia (nei pressi di Orvieto), fino a Roma. Il fiume infi­ ne ritrovò la strada per il mare, scavandosi una vallata, molto più profonda dell'attuale, quasi un solco nella pianura. Il.Jtuovo percorso era diverso da quello di oggi: nella zona nord della città scorreva spostato più a occidente e nella zona sud-est si volgeva in direzione di Torrenova e sfociava in mare vicino a Tor San Lorenzo. Anche le grandi glaciazioni che si sono ripetute ciclicamente, hanno cam­ biato l'aspetto del territorio. Circa 100.000 anni fa, ad esempio, il livello del mare si era abbassato di l 00- 1 20 metri, allontanando la linea della costa di una decina di chilometri da quella precedente. Dopo l'ultima glaciazione (circa 10.000 anni fa), il Lazio e l'area di Roma

11

R.OMA PRlMA DI R.OMA

hanno assunto un aspetto molto simile a quello attuale. In epoca preistorica e storica ci sono state continue modifiche della linea di costa, come in età moderna. n Tevere con l'apporto continuo di detriti ha spostato sempre più avanti la sua foce, colmando prima la laguna che si estendeva fino ad Acilia, poi insabbiando progressivamente i porti progettati e costruiti da Claudio e Traiano: oggi tra i ruderi dei magazzini e dei vecchi moli di Porto sorgono le piste dell'aeroporto internazionale Leonardo da V inci. Le spaventose eruzioni vulcaniche, i cambiamenti del corso del Tevere e dell' Aniene, il sollevarsi e ritirarsi del mare, le grandi glaciazioni ebbero come testimoni gli uomini dell'età della pietra: i primi abitatori del territo­ rio di Roma. E nei millenni gli uomini hanno concorso a modificare il ter­ ritorio, disboscando le pendici delle alture o incanalando l'acqua.

I PRIMI ABITANTI Le prime tracce di vita umana nel territorio urbano di Roma o nei suoi immediati dintorni (nella Valchetta della tenuta Cartoni nella XIX circoscri­ zione e a Monte Mario a via Cortina d'Ampezzo) risalgono a circa 650.000 anni fa Si tratta di qualche scheggia di selce lavorata e d'un utensile, sem­ pre in selce (un ciottolo appositamente smussato a un'estremità per poter rompere ossa o per spèzzare il legno) trovato insieme a denti di cinghiale e d'un animale oggi estinto e simile a un bovino. A circa 250.000 anni fa risalgono altre tracce consistenti concentrate a ovest di Roma ne11a zona dove allora scorreva il Tevere (presso il km 20 della via Aurelia, Palidoro, Torre in Pietra, Malagrotta). COME VIVEVANO I NOSTRI ANTENATI Gli uomini di cui si sono scopene le tracce a To"e in Pietra, Castel di Guido, Malagrotta, vivevano con ogni probabilità in gruppi (lo dimostra il fano che riu­ scissero a cacciare e uccidere gli animali di grandi dimensioni). Si dovevano spo­ stare continuamente sulle orme dei grandi branchi di selvaggina, perché solo cosl potevano assicurarsi un rifornimento costante di cibo. Tuni i ritrovamenti archeolo­ gici avvenuti nei dintorni di Roma riguardano accampamenti provvisori in località apene, su quello che doveva essere il territorio di caccia. Nella fabbricazione degli attrezzi erano impiegati ciottoli di calcare, selce, ossa di animali. Le prede abbanu­ te erano consumate sul posto; molte delle ossa rinvenute erano state spezzate per succhiarne il midollo. Anche molti degli anrezzi erano preparati sul posto, quando se ne sentiva la necessità.

La quantità di attrezzi e di resti di animali scoperti ci permettono d'ipotiz­ zare in quale ambiente vivessero i nostri antenati. Le ossa di animali appar­ tengono a una fauna tipica dei climi temperati con qualche tendenza al freddo: erano comuni i cervi, i bovini, i cavalli, i lupi, gli elefanti, i rinoce­ ronti; non mancano marmotte, e bipedi della famiglia delle anatre, delle oche. Così le ossa di marmotta, rinvenute a Malagrotta, f anno pensare a una zona ricca di specchi d'acqua, cioè a fiumi e a paludi; così quelle di cavallo, rinvenute in gran numero a Torre in Pietra, suggeriscono l' esisten­ za di vaste radure: mentre nei boschi dovevano vivere lupi, cervi e elefanti.

12

S'l'ORIA DI ROMA ANTICA SceNJ canpestre da 111

rilievo n marmo

conservato a Mauu:o.

Nel territorio urbano sono stati scoperti due attrezzi di selce di 250.000 anni fa, uno sui banchi di breccia del Tevere presso ponte Milvio, l'altro sull' Anie­ ne in corrispondenza della batteria Nomentana. Da 220.000 a 1 30.000 anni fa sulle sponde dell' Aniene vissero gruppi di uomini che sfruttavano l'abbondanza d'acqua e la disponibilità di selvaggina sempre legata alla presenza dell'acqua. Questa f ase più recente dell'uomo preistorico prepara l 'apparizione nel Lazio del cosiddetto uomo di Neanderthal. Sono stati rinvenuti alcuni strumenti di pietra, databili a circa 200.000 anni fa, in una caverna sul monte delle Gioie (collina cancellata dallo sviluppo edilizio della città nei pressi dei Prati Fiscali). Altri ritrovamenti, alcuni recentissimi, sono stati fatti alla Sedia del Diavolo (vicino a piazza Vescov io), a Saccopastore (sulla curva dell' Aniene compresa tra il ponte Tazio e il viadotto delle Valli), a Casal de' Pazzi (presso via di Ripa Mammea e a ponte Mammolo).

I RITROVAMENTI ARCHEOLOGICI A CASAL DE' PAZZI Nel 1980 mentre si stava costruendo, nei pressi di Casal de' Pazzi. il collettore della rete fognaria del quaniere di Rebibbia, le ruspe hanno ponato alla luce un giacimento archeologico risalente a circa 20.000 anni fa. Lo scavo scientifico di circa 1000 mq di terreno ha scopeno un tratto dell'anti­ chissimo letto dell'Aniene, che scorreva con corrente impetuosa sopra un banco di tufo formatosi da un'eruz ione del vulcano Laziale circa 300.000 anni fa. Tra le ripide rive de/fiume erano il'lcastrate ossa di animali e zanne di elefanti, la più lunga delle quali misura 3 metri e 15 centimetri. Sono stati individuati anche resti di ippopotamo, rinoceronte, daino, cervo, capriolo, lupo, iena, bue, cavallo. Pane del cranio di un uomo è stata trovata sul fondo de/fiume, mentre sull'antica riva giaceva una grande quantità di strumenti di pietra e almeno uno ricavato da un osso di elefante. Circa 40.000 anni fa gli uomini di Neanderthal, per ragioni misteriose, scom­ parvero senza lasciare traccia e lasciarono il campo libero ai nostri progenitori diretti. Di questi però, per un lungo periodo non rimangono a Roma tracce parti­ colarmente rilevanti. I ritrovamenti più importanti per l'epoca anteriore a 7000

ROMA PRlMA DI ROMA

13

anni fa sono avvenuti ancora al monte delle Gioie e a Tor Vergata, ma anche altri luoghi (frequentati in precedenza dagli uomini dell'antica età della pietra) resti­ tuiscono le tracce della loro attività. È molto probabile che il clima e la tempe­ ratura siano rimasti stabili per un lungo periodo. Questo fenomeno deve aver facilitato la pennanenza in luoghi favorevoli alla sopravvivenza, ma non è possibile dire di più. ·

DA CACCIATORI AD AGRICOLTORI Fino a circa 7000 anni fa gli abitatori del Lazio erano essenzialmente cac­ ciatori e pescatori: si limitavano a raccogliere le radici, bacche o frutti, per esperienza mangiabili senza sgradevoli conseguenze. La grande svolta avvenne quando gli antichi cacciatori, nomadi o semi-nomadi iniziano ad addomesticare gli animali e gradualmente a coltivare alcune specie di pian­ te; soprattutto quando iniziano a produrre vasellame d'argilla. Questa vera rivoluzione culturale (la cosiddetta "rivoluzione neolitica", cioè della "età della pietra nu.ova"), ha costituito il punto di partenza per la civiltà umana. Ne restano numerose testimonianze, anche se non ricchissi­ me, nel territorio di Roma (di nuovo a Tor Vergata e a Torre Spaccata; a Palidoro, Pyrgi o Santa Severa). Queste testimonianze sono riconducibili a una prima fase, in cui gli utensili di ceramica erano decorati incidendone profondamente le pareti con linee o utilizzando i bordi delle conchiglie per imprimere nell'argilla semplici motivi di tipo geometrico. La fase successi­ va comincia poco meno di 7000 anni fa. Il ritrovamento archeologico più importante avvenne nella grotta Patrizi, in località Sasso di Furbara, a pochi chilometri dalla spiaggia di Santa Severa. Si tratta di sette sepolture, una delle quali doveva riguardare un personaggio particolarmente impor­ tante; in vita doveva aver sofferto di gravi malformazioni dello scheletro e aveva subito la trapanazione del cranio. Collegate alla stessa fase di svilup­ po delle sepolture del Sasso di Furbara sono le lfacce d'attività umana sco­ perte nei pressi di Roma a Casale del Pescatore (sulla via Prenestina), men­ tre di poco più recenti sono quelle del VI millennio a.C., rinvenute a Torre Spaccata, tra la Casi!ina e la Tuscolana.

L'ALIMENTAZIONE DEGLI ABITATORI DI PISCINA DI TORRE SPACCATA Nello scavo di Piscina di Torre Spaccata sono state ritrovate nellefosse di scarico numerose ossa che mostrano tracce di esposizione al fuoco. Gli specialisti hanno calcolato che 1 '80% della carne consumata appartiene a bovini, il l 3% a caprovi­ ni, il 6% a suini e hanno anche determinato l 'età degli animali al momento della macellazione: i maiali venivano scannati prima di aver compiuto un anno, i bovini in genere a un anno e mezzo (anche se alcuni capi dovevano aver raggiunto e supe­ rato i tre anni), i caprovini venivano uccisi a tre anni. In queste cifre colpisce da un lato il ruolo di tutto rilievo assolto nell 'alimentazione carnea dei bovini, dall 'altro esse fanno pensare che l 'allevamento di bestiame fosse organizzato basandosi su tecniche piuttosto rozze, poco attente all 'incremento degli armenti o delle greggi. Sono state ritrovate anche le ossa di un daino e d'un cervo; la caccia, quindi, con­ tribuiva sempre all 'alimentazione.

14

SI'ORIA DI ROMA ANTICA

A Piscina di Torre Spaccata, nell' epoca di transizione tra l' età della pietra e quella del bronzo, si insediò una piccola comunità, all'altezza del raccor­ do tra via Raimondo Scintu con via di Torre Spaccata, alle spalle di Cinecittà. Gruppi di uomini per poco tempo si erano già soffermati su un terrazzo naturale di tufo, che si affacciava su un piccolo fiume ora scom­ parso. Circa 4000 anni fa un gruppo di agricoltori, forse una grande fami­ glia o clan, aveva costruito la sua "fattoria" con un'aia o cortile attrezzato per le esigenze della vita .quotidiana e con piani di argilla mal cotta, dove si accendeva il fuoco e si cucinava la carne. Vicino a questi piani di cottura tre fosse servivano per scaricare i rifiuti. Nelle tre fosse sono stati trovati ossi, chicchi abbrustoliti di cereali, pezzi di legna carbonizzata, frammenti di stovi­ glie (come una tazza quasi intatta e frammenti d'un grande orcio o contenito­ re di derrate alimentari). Gli spazi di lavoro erano diversificati: da un lato del cortile si cuoceva la carne, dall'altro si tostavano le granaglie. I nostri antichi antenati dovevano usare molte pappe o minestre, simili alle zuppe di cereali tipiche della cucina contadina dell'Italia centrale, poiché sono stati ritrovati resti di farro, farro piccolo, orzo; mentre mancaJlil i cereali adatti a preparare il pane. La tostatura conservava a lungo le preziose granaglie, che durante l'inverno avrebbero potuto ammuffire o irrancidirsi ed è una tecnica usata ancora dalle popolazioni primitive. Inoltre questo gruppo di agricoltori alleva­ va buoi, pecore, capre e maiali. Nell'area dello scavo, vicino al "cortile" sono state rinvenute anche due tombe, situate a qualche distanza l'una dall'altra, in cui erano stati sepolti un uomo e una donna, in posizione rannicchiata. In que­ sto scavo non sono state ritrovate tracce d'attrezzi metallici, mentre sono stati rinvenuti rari strumenti di selce, d' ossidiana e d'osso (spatole, piccole lame, punteruoli) che sono necessari per lavorare le pelli. Non mancano punte di freccia in pietra, per cacciare la grande selvaggina, le cui ossa sono state tro­ vate nell'area della ''fattoria". Infine sono stati trovati molti esemplari di cera­ mica, tutta modellata a mano, poiché era ancora sconosciuto il tornio da vasaio. Le brocche, le anfore, i grandi recipienti panciuti, le tazze, le scodelle

Capanna del Palatina, pavimento e ricostruzione dell'alzato (da Colonna).

1S

ROMA PIUMA DI ROMA

erano la batteria di cucina e il vasellame usati quotidianamente. Altri oggetti di ceramica sembrerebbero pesi per reti da pesca. forse da mettere in relazione col fiume, su cui si affacciava il piccolo insediamento; tra le attività domesti­ che c'era anche la filatura e la tessitura, come mostrano le fuseruole e i pesi da telaio scoperti. Thtte queste attività presuppongono l'esistenza d'un riparo, d'una capan­ na, che non è stata trovata. Ad appena qualche centinaio di metri da Piscina di Torre Spaccata sono stati individuati altri tre insediamenti che approssimativamente risalgono allo stes­ so periodo. Non sarà mai possibile stabilire se sia stato lo stesso gruppo di persone a coltivare, in un arco di tempo non lunghissimo, le terre della zona La cosa non è impossibile, poiché le tecniche d'allevamento del bestiame e di coltivazione dei campi erano molto rudimentali; così provocavano il rapido impoverimento dei suoli e imponevano la continua messa a coltura di nuovi terreni, con la necessità di spostare continuamente la residenza del gruppo.

I PASTORI Nella successiva fase preistorica, caratterizzata dall'uso del bronzo e che inizia intorno al XVIII secolo a.C. (circa 3700 anni fa), c'è una battuta d'ar­ resto nello sviluppo di insediamenti a Roma e nei suoi immediati dintorni. Forse l'abbandono delle vecchie sedi, attestato anche in altre parti del Lazio, può significare un momentaneo riflusso nello sviluppo della regione a sud del Tevere; ma quest'interpretazione dei dati archeologici, ora dispo­ nibili, può essere contraddetta da nuovi ritrovamenti. Le zone prima intensamente frequentate, come Piscina di Torre Spaccata, cadono in abbandono; mentre abbiamo ritrovamenti archeologici in località precedentemente disabitate. Si pensa che un irrigidimento della temperatura abbia provocato condizioni meno favorevoli per la coltivazione dei campi e che gli uomini si siano piuttosto rivolti all'allevamento di pecore, iniziando la lunga tradizione della transumanza periodica delle greggi. In quest'epoca nella penisola s'impone un modo di vivere e di costruire gli attrezzi pastora­ li, la cosiddetta "cultura appenninica", come si riscontra nei ritrovamenti alla Marcigliana (sulla via Salaria) e al Casale Capobianco, al 16° chilome­ tro della via Nomentana. I pastori della cultura appenninica avviano contatti commerciali e culturali con i Micenei, che basavano la loro ricchezza sugli scambi commerciali, assicurati dalla potenza navale.

CAMPIDOGUO, PALATINO, FORO: I PRIMI ABITATI Intorno al XIV secolo a.C., per la prima volta è archeologicamente attesta­ to un insediamento umano di qualche importanza nei luoghi che furono in seguito il cuore stesso di Roma. Scavi archeologici nell'area presso la chiesa di Sant'Omobono (immedia­ t a m e n t e ai p i e d i d e l C a m p i d o g l i o , davanti al moderno p a lazzo dell'Anagrafe) hanno restituito frammenti di ceramica tipici della cultura appenninica e di quella micenea, frammisti caoticamente a reperti di età anche molto posteriore e a ossa di animali. I materiali però sono stati ritrovati in un terrazzamento del IV secolo a.C.,

16

STOIUA DI ROMA AN'l1Cfl

Ricostruzione ideale dei monumenti del Foro Romano a ridosso del Campidoglio, tratta dal volume di Luigi Canina L'architettura romana, Roma 1830-1840.

col quale si livellò tutta la zona, e si deve escludere che questa fosse la loro posizione originale. L'ipotesi avanzata al momento della scoperta era che questi antichissimi cocci provenissero da un insediamento situato sul Campidoglio. Recentemente, durante uno scavo nell'area del successivo Tabularium, sono venuti finalmente alla luce altri reperti, di poco posteriori ai piu antichi franunenti di ceramica scoperti nell'area di Sant'Omobono, che hanno fornito la prova concreta dell'esistenza di un'area abitata sul Colle Capitolino, situata sul versante che si affaccia sul Tevere. Per capire meglio cosa è avvenuto nell'area Campidoglio-Foro Romano­ Pala tino è necessario guardarsi intorno, allargando la visuale all'area del Lazio meridionale delimitata dal fiume Tevere, cioè la zona che i Romani chiamavano antico Lazio (Latium vetus). In questo periodo anche a Gabii (sulla via Prenestina, a circa 20 chilomeLATIUM VETUS

E LATIUM NOVUM

Il lAzio antico era abitato esclusivamente dai lAtini, anche se la zona più meri­ dionale, tra Anzio e Terracina era menofittamente popolata. lA culla della civiltà latina infatti era sulla riva destra della valle del Tevere, sulla riva sinistra gli unici lAtini erano gli abitanti di Capena e quelli di Falerii Veteres. Intorno altx secolo a.C. iniziano grandi movimenti di popolazioni che in parte mutano questa situazione. Dall'interno della penisola arrivano i Sabini, che a nord inglobano gli abitanti di Capena, e premono anche sulla destra del Tevere, arrivando a infiltrarsi a Roma. A sud invece giungono gli Equi, gli Emici e i Volsci, che si fennano su una linea che va da Palestrina ad Anzio. Proprio queste frontiere sono i limiti del Latium vetus (= antico Lazio); solo alcuni secoli più tardi, con le conquiste dei Romani a questo si aggiungerà il territorio fino al Liri, il Latium novum o adiectum ( lAzio nuovo, aggiunto). =

ROMA PRIMA DI ROMA

17

tri da Roma), ad Ardea, a Lavinium (l'antica Lavinio si trova vicino a Pratica di Mare), a Satricum (località Le Ferriere, presso Nettuno), a Ficana (vicino al Tevere, all'altezza di Acilia), si stanno formando nuclei abitati che continuano a essere frequentati nell'età del ferro (IX secolo a.C.) e piano piano aumentano anche le loro dimensioni. Le comunità del Lazio a sud del Tevere sono apparentate tra di loro da legami, che forse spiegano le somiglianze nel processo di formazione dei primi nuclei urbani: è nata cioè una "cultura laziale" che continua quella pastorale detta "appennini­ ca", ma è ormai diversa da quella delle regioni confinanti. La "cultura laziale" è attestata non solo nei centri ricordati sopra, ma anche nei Colli Albani e in alcuni centri della Sabina. Elemento distintivo della "cultura laziale" è il modo di seppellire i morti. A partire dal x secolo a.C. e fino all'vm, i morti sono bruciati e le ceneri sono raccolte in vasi tondeggianti con coperchio a forma di cono. Qualche volta l'urna per le ceneri ha la forma d'una capanna oppure il coperchio è modellato come un tetto di capanna a due spioventi. Secondo le credenze primitive il defunto aveva bisogno di una serie di attrezzi che lo doveva accompagnare nel mondo dei morti; il corredo standard delle tombe è costi­ tuito da stoviglie di terracotta. Qualche volta si ritrovano anche statuette, ornamenti e anni di difesa e di offesa, tutti in bronzo. Questi oggetti di metallo (talvolta anche quelli di terracotta) sono però in miniatura; c'è quin­ di una produzione specializzata di oggetti destinati ai riti della sepoltura. Le tombe ritrovate sono troppo poche anche rispetto alla scarsa popolazio­ ne degli insediarnenti laziali esistenti in quell'epoca. Forse soltanto le perso­ ne con un ruolo preminente erano sotterrate col corredo rituale; mentre le persone meno importanti dovevano essere seppellite nella nuda terra, senza alcun corredo. Nell'XI secolo a.C. appare per la prima volta un'area abitata nel Foro Ro­ mano; probabilmente si tratta d'una espansione in pianura dell'insedia-

Foro Romano, pianta della Regia.

18

S'l'ORlA DI ROMA ANflCA

mento sul Campidoglio, sorto, come abbiamo visto, nel corso del XII secolo a.C. In effetti la distanza tra le due zone abitate non supera i 200 metri. Questi antichi abitatori dell' area intorno al Foro Romano appartengono alla ..cultura laziale". I corredi funerari d'un sepolcreto presso l ' arco di Augusto, consistono in vasi e in ornamenti vari, tutti miniaturizzati. Le quattro tombe più antiche risalgono al x secolo a.C. e si sovrappongono all 'insediamento dell'XI secolo a.C. di cui si è già detto. Sempre al x secolo risale lo stanziamento di un gruppo di abitatori sul colle del Palatino: la necropoli (la città dei morti) nacque in relazione a quest'importante avvenimento, anche se alcune sepolture sono localizzate nella piccola valle tra la cresta del Germalo e quella del Palatino propria­ mente detto. Le testimonianze archeologiche disponibili non permettono d' affermare con assoluta certezza se questo nucleo abitativo sia sorto indipendentemente dall' insediamento del Campidoglio-Foro oppure se sia una successiva espansione di quest'ultimo. L'orientamento generale del sepolcreto, che si è ingrandito in direzione delle pendici del Palatino e allontanandosi progressi­ vamente dal Campidoglio e dali' area del Foro, fa pensare che questa area cimiteriale sia stata utilizzata da un abitato unitario che comprendeva i tre insediamenti. Uno scavo nel Foro, effettuato sotto il rudere della Regia (o palazzo dei re di Roma), ha riportato alla luce tracce delle strutture d'un edificio di legno, a pianta rettangolare e di proporzioni notevoli. Quest'edificio dovrebbe risalire all'ultima fase dell'età del bronzo (intor­ no al 900 a.C.) e dovrebbe essere stato destinato ad una funzione molto importante: il confronto con altri abitati del Lazio meridionale può far pen­ sare ad un luogo di culto. Altri ritrovamenti archeologici in piazza della Pilotta e presso Santa Maria della Vittoria a via xx Settembre-largo di Santa Susanna sembrano indicare l'esistenza d'un insediamento autonomo sul Quirinale, ma l'inter­ pretazione e la datazione del materiale è controversa.

IL LAZIO E LA CULTURA MICENEA Nel m millennio a.C. nell'area del mar Egeo si sviluppò una grande civiltà basata sul dominio dei mari e sul commercio, distinta fU!lle due grandi ripartizioni "minoi­ ca" (con riferimento alle grandi regge situate sull'isola di Creta) e "elladica " (svi­ luppatasi sulla terraferma greca). Il periodo piìc recente della cultura elladica (che inizia circa 3600 anni fa) viene chiamato "miceneo ", dal nome della città di Micene, regno dell' omerico AgamennofU!. Gruppi di navigatori provenienti dal mar Egeo approdarono sulle rive della penisola italiana circa 3500 anni fa e continua­ rono a .frequentarne le coste per circa 500 anni. l MicefU!i ebbero intensi scambi con le comunità insediate nel golfo di Napoli, con la Puglia, e con la costa ionica. 3300 anni fa essi stabilirono una specie di colonia nelle isole Eolie, come base per commerci e scorribande di tipo piratesco. l MicefU!i ebbero contatti anche con le popolazioni che vivevano nel lAzio, con le quali dovevano scambiare i loro prodoni (ceramica, oggeni di bronzo) in cambio di metallo grezzo: forse frequentarono anche la zona di Roma. Per questo alcuni stu­ diosi sostengono che il ricordo dei loro contani commerciali è sopravvissuto nella leggenda dello sbarco di Enea sul lido di l.avinio.

ROMA PIUMA DI ROMA

19

I fondi di capanna scoperti sul Palatino dovrebbero risalire alla fine del IX sec. a.C. e pennettono di capire le dimensioni e la struttura delle "case" dei primi abitatori di Roma. Su un impiantito scavato nel tufo spiccano ancora i fori in cui si conficcavano i pali di sostegno del tetto a due spioventi; altri pali sostenevano le "pareti" di graticcio ricoperto di fango e inquadravano la porta, su cui era posta una tettoia. A circa cinquanta centimetri dal "pavimento" della capanna un canaletto doveva assicurare lo scolo dell'acqua piovana. Talvolta le urne per le cene­ ri dei defunti raffigurano delle capanne e queste mostrano che il tetto era fornito di una apertura per il fumo del focolare. Sopra qualche urna appaiono figurine umane sedute sul tetto, ma è incer­ to se queste eventuali raffigurazioni di antenati, che proteggono la casa; effettivamente fossero presenti sulle capanne. Tra il IX e l'VIII secolo a.C. si amplia lo spazio utilizzato dai primi abitato­ ri di Roma e si avvicina la data tradizionale della fondazione di Roma. n sepolcreto del Foro Romano cade in disuso, mentre si avvia una nuova area cimiteriale sull'Esquilino, ma persistono nel Foro le tombe di bambi­ ni, i quali potevano essere sepolti all'interno dello spazio abitato (consue­ tudine largamente attestata anche in altre località del Lazio meridionale). Secondo l'ipotesi più logica quest'allargamento dell' area abitabile deve essere messo in rapporto con l'importanza sempre maggiore dei traffici e commerci. Forse una prova indiretta è il contemporaneo abbandono delle località abitate nei colli Albani, probabilmente collegato col cambiamento del percorso dei principali itinerari commerciali del Lazio. Così in quest'epoca sarebbe avvenuta un'immigrazione dai colli Albani verso la piana del Tevere.

Il ponte Palatino con il Campidoglio sullo sfondo in una ricostruzione ideale di Luigi Canina.

SlORIA DI

ROMA ANTICA

ROMA: MEZZANOTTE MENO UN MINUTO Sulla riva sinistra del Tevere nell'area compresa tra il Campidoglio, il Palatino, l'Esquilino e il Quirinale si è ormai consolidato un rudimentale sistema insediativo d'un certo rilievo. Vari elementi contribuiscono ad assi­ curargli una possibilità d'espansione e d'ulteriore sviluppo. Per prima cosa la posizione naturale, i colli sono molto più ripidi di quan­ to si possa oggi immaginare e per questo sono difendibili abbastanza facil­ mente. Questi colli sono disposti in stretta raggiera e possono contare su due roccheforti naturali: il Campidoglio, quasi completamente isolato dalle altre alture, e il Palatino. Essi incorniciano e difendono una vallata coltiva­ bile, sin troppo ricca di acqua. Le risorse naturali, benché non molto abbondanti, sono sufficienti per la ridotta popolazione dell'area in cui sta per nascere Roma. L'agricoltura non conosce ancora i tipi di grano più adatti a fare il pane, ma l'allevamento delle pecore e delle capre è facilitato dalla estrema vicinanza delle saline, che forniscono l'elemento indispensa­ bile per la sopravvivenza delle greggi. Tutto intorno ci sono boschi di quer­ ce, in cui i maiali possono pascolare allo stato brado. Ci sono poi sempre le risorse alimentari fomite dalla caccia e dalla pesca. Gli abitatori delle altu­ re sul Tevere, organizzati in semplici comunità a base familiare, sono auto­ sufficienti, ma sicuramente il loro livello di vita non è molto alto. Continuano cosi ad usare abbastanza comunemente il bronzo, ma hanno pochissimo ferro, o forse non ne posseggono per niente. Gli utensili di ferro iniziano ad apparire nelle tombe alla metà dell'vm secolo a.C., e per almeno altri cento anni il metallo continuerà ad essere relativamente raro. Gli abitanti di questo villaggio che non è ancora Roma hanno però div�rsi assi nella manica: un guado, un incrocio di strade, più tardi un ponte. E quanto basta perché nasca una città.

I MATERIALI EDILIZI: UNA CITTÀ DAL MARE E DAI VULCANI Prima dell'invenzione del cemento armato, a Roma si costruiva usando mattoni, travertino o scorie laviche (tufo, peperino, pozzolana). L'uso dei mattoni di argilla cotta è abbastanza recente e la sua diffusione si consolida nel! secolo d.C. Il travertino, formatosi con il prosciugamento delle grandi lagune di acqua salata che un tempo coprivano il Lazio, è particola�nte abbondante nella zona di Tivoli, per questo i Romani lo chiamavano «pietra di Tivoli» (in latino lapis Tiburtinus). Era riservato agli edifici monumentali ed è diventato la pietra romana per eccellenza. Il tufo ha origine dal depositarsi delle ceneri e dei frammenti di rocce eruttati dai vulcani. Anche il peperino e la pozzolana sono scorie laviche, pur sembrando mate­ riali completamente diversi dal tufo: ma la loro differente consistenza dipende dai processi naturali avvenuti dopo che si depositarono al suolo. l suoli di Roma sono quasi tutti di tipo tufaceo ed hanno fornito nei secoli mate­ riale da costruzione a basso costo; sull'Aventino ancora all'inizio di questo secolo era attiva una cava di tufo. Un'altra pietra molto importante nella storia di Roma è il basalto: semplicemente lava raffreddata, molto povera di silicio (il minerale che costituisce la sabbia delle spiagge), piuttosto dura e di colore nerastro. I Romani lo squadravano in grossi blocchi (i basoli) e lo usavano per pavimentare le strade, specialmente quelle su cui passava il traffico principale, come la via Appia. che fu la prima via consolare a essere lastricata.

UN FIUMJE, UN GUADO JE UN CROCJEV1A

STORIA, TRADIZIONE E LEGGENDE Alla metà dell'vm secolo a.C. un gruppo di agricoltori e allevatori fonda una città sulla sponda sinistra del Tevere: Roma. In Occidente la scrittura alfabetica è ancora uno strumento nuovissimo e do­ vranno passare secoli perché sia utilizzata per annotare gli avvenimenti sto­ rici. Per questo gli antichi Romani affidano il racconto della nascita della lo­ ro città alla memoria. Di generazione in generazione alcuni particolari si per­ dono, altri acquistano un'importanza che prima non avevano. I cambiamen­ ti d' alleanze o di linea politica e il desiderio di inventarsi antenati prestigio­ si fanno il resto: specialmente negli elogi funebri e nei canti conviviali i da­ ti concreti sfumano nella leggenda, nel mito. Grazie al grande lavoro di rac­ colta di notizie e di rielaborazione dei dati della tradizione svolto da Varro­ ne ( 1 1 6 a.C?-27 a.C.) la leggenda delle origini di Roma assume la sua veste pressoché definitiva sotto Augusto (27 a.C.- 1 4 d.C.), a opera del poeta Vir­ gi)io (70 a.C.- 1 9 a.C.) e dello storico Livio (59 a.C.- 1 7 d.C.). E indubbio che si è trattato d'una operazione politico-culturale, ma è necessario ripetere che gli antichi Romani su molti particolari della loro storia ne sape­ vano più di noi. Se ci sono vari episodi molto favolosi e poco veridici nel com­ plesso delle antiche leggende, le scoperte archeologiche degli ultimi anni in più casi hanno confermato il nocciolo d' informazione veridica che è alla ba­ se del racconto tradizionale.

LA FONDAZIONE DI ROMA:

LA LEGGENDA

Nella versione definitiva della leggenda (riportata da Livio nelle sue Storie), le origini di Roma risalgono alla guerra di Troia. La sconfitta e il saccheggio di questa città causano l'esilio e il vagabondaggio dei superstiti. Tra questi spic­ cano Antenore ed Enea. Antenore con un gruppo dei suoi si stabilisce nel Ve­ neto, fondando la città di Padova. Enea invece prima sbarca in Macedonia, poi in Sicilia, infine a Laurento nel Lazio. I Troiani approdati nel Lazio mancano di tutto e si danno al saccheggio: ne nasce una guerra con gli aborigeni (abitanti originali della regione), condotti dal re Latino. Ci sono due tradizioni diverse: la prima afferma che Latino è stato sconfitto in battaglia, l'altra che chiede spontaneamente e ottiene la pace. n matrimonio tra Enea e Lavinia, figlia di Latino, stringe ancor più il vincolo tra i due popoli Asca-

22

�RIA DI ROMA ANTICA

L'immLlgine raffigura la celebre personijicazjone delfi� insieme alla lupa capitolina e ai due gemelli Romolo e Remo: sullo sfondo, inoltre, si distinguono alcuni celebri monumenti dell'an­ tica RomLl, giustapposti senza tenere conto della realtà topograjica. in un 'incisione di G. Vasi.

nio, frutto secondo una delle diverse tradizioni, di questo matrimonio, nasce a Lavinio, da poco fondata da Enea. Per motivi sentimentali (gli era stata prece­ dentemente promessa Lavinia), Turno, re dei Rutuli (abitanti di Ardea), dichia-

LA LEGGENDA DI ENEA La discendenza dei Romani dlli Troùmi è un elemento d'invenzione. Si è avanzata spes­ so l'ipotesi che la leggendll possa triJI1IilTIIime lonlani echi della presenza dei mercan­ ti e dei viaggiatori micenei in Italia tra il xvr e il xv secolo a.C. ma quest'ipotesi sug­ gestiva è priva di basi concrete. È indubbio che la leggendll di Enea è presente nella cultura latina dLl una dllta an­ tica, ma è posteriore alla dllta di nascita di Roma (753 a.C.). Una prima versione del mito forse già co"eva a Lavinio (Pratica di Mare) nel VI secolo a.C. Comunque, nel w secolo a.C., a poca distanza dlllle mura di questa cinà, esisteva un santuario dedicato all'eroe troiano, costruito trasformando parzialmen­ te una tomba tumulo del VII secolo a. C. Il santuario hafunzionato dLl centro di diffusione dei racconti leggendllri sulla presenza di Enea nel Lazio, anche perché il mito troiano fondllva e rinsa/Java il ricordo della pa­ rentela e della vicinanza culturale tra i popoli latini che abitavano a sud del Tevere: è lo stesso meccanismo in base al quale si dice che la democrazia italiana si basa sui "va­ lori della Resistenza" anche se i vari partiti sono continuamente in lotta per il potere. Il mito di Enea servì oltre che a scopi di "propagandi�" nella politica "interna" dei popoli latini, anche nelle relazioni di Roma col mondo greco. Per i Greci la leggendll troiana era una narrazione di fatti realmente accaduti; que­ sta storia era l'unico legame che univa concretmnente le varie cinà-stato, al di là del­ le discordie e delle Ione. In quanto discendenti di Enea i Romani erano in qualche modo dei cugini, legati dLl sempre alle vicende e alla storia dei Greci. Questo particolare aspeno della leggendll di Enea, elaborato dLl alcuni autori gre­ ci nel v secolo a.C., ebbe uno sviluppo del tuno autonomo dalla elaborazione lazia­ le centrata su Lavinium (l'odierna Pratica di Mare).

23

UN FIUME. UN GUADO E UN CROCEVIA

ra guerra a Latini e Troiani; viene sconfitto, ma Latino cade in battaglia Thmo si rivolge allora all'etrusco Mezenzio, re di Caere (Cerveteri). Per rispondere alla pericolosa minaccia Enea unifica gli aborigeni e i Troia­ Di in un sol popolo, che prende il nome di Latino. In una successiva battaglia, gli Etruschi e i Rutuli sono sconfitti e Thrno viene ucciso da Enea; è l'ultima impresa dell'eroe, che durante la medesima battaglia scompare misteriosa­ mente. Ascanio abbandona Lavinio sovrappopolata e fonda Alba Longa, sulle pendici del monte Albano. n trattato di pace tra Latini ed Etruschi, concluso dopo la morte di Turno, delimita sul Tevere il confme tra i due popoli. In quattrocento anni si succedono trenta re sul trono di Alba Longa, finché Proca lascia due figli, Numitore e Amulio, che si contendono il potere. Amu­ lio riesce a scacciare il fratello (primogenito) Numitore e costringe Rea Sil­ via, figlia di questi, a divenire vergine Vestale, impedendole così di genera­ re figli. Malgrado l'obbligo della verginità Rea Silvia concepisce due figli e ne attribuisce la paternità a Marte. I due neonati (Romolo e Remo) sono de­ stinati a essere affogati nel Tevere, ma una provvidenziale inondazione im­ pedisce ai servi del re di accostarsi alle sponde del fiume. I gemelli vengono abbandonati presso il fico Ruminate (nell'area del Foro Romano, presso la zona centrale dove si teneva il Comizio), dove poi li tro­ va il pastore Faustolo, la cui moglie Larenzia, dedita a quanto pare alla pro­ stituzione, aveva il soprannome di "lupa"; sarebbe lei, secondo l'interpreta­ zione degli antichi che volevano spiegare ragionevolmente la leggenda, la lu­ pa che allatta i due neonati.

Romolo e Remo in un 'incisione tratta da Monumenti scelti della Villa Borghese, di

A. Nibby,

1832.

24

STORIA DI ROMA ANI1C!I

LA LUPA La lupa è l'antichissimo totem delle genti che fondarono la cinà, divenuto poi il sim­ bolo stesso di Roma. La raffigurazione più conosciuta è la statua di bronzo, opera d'un ignoto artista etrusco vissuto nel VI o nel v sec. a.C.; non è noto se la statua fosse stata creata su commissione o non provenga piunosto dal bonino d'una delle tante guerre con­ tro gli Etruschi. Nell 'antichità la statua era collocata sul Campidoglio; da Cicerone (l 06 a.C.-7 dicembre 43 a.C.) sappiamo chefu colpita da un fulmine nel 65 a.C. Prima del 1471 si trovava, con altre statue in bronzo d'età rommza, nel palazzo l..LJ.teranense (la re­ sidenza del papa a San Giovanni), poi è stata collocata nei palazzi del Campidoglio, con i primi pezzi della collezione da cui è nato il museo Capitolino. L'opera ha subito in età moderna numerosi restauri. Particolarmente importante l'aggiunta, nel xv secolo, dei due gemelli che si allattano dalla lupa. modellati da Antonio del Pollaiolo ( 1431/32-1498).

I fratelli, cresciuti, divengono dei fieri guerrieri, che rubano ai }adroni che si aggirano nel bosco per dare ai loro amici pastori. I ladroni ripetutamente rapinati tendono un agguato a Romolo e Remo nel corso della festività dei Lupercali, importata nel Lazio dalla comunità degli Arcadi (un popolo della Grecia che abitava il Peloponneso prima delle migrazioni indoeuropee), sta­ bilitisi con il loro re Evandro sul Palatino. Remo è catturato e condotto davanti allo zio Amulio, che lo consegna per essere punito a Numitore, il nonno inconsapevole, perché ne stabilisca la con­ danna. Ma Romolo, chiamati a raccolta i pastori, assale di sorpresa la reggia di Amulio, aiutato anche da Remo, che si era procurato (la cosa è un po' mi­ steriosa) amici nella casa di Numitore. Il colpo di mano riesce, Amulio è uc­ ciso, il vero re sale sul trono di Alba Longa. I gemelli decidono di fondare

LA FONDAZIONE DELLE CmÀ ANTICHE La fondazione d'una città era un evento che si svolgeva con un ritualefisso e pre­ ciso. Per prima cosa si scrutava il cielo, per cercare di interpretare quale fosse la vo­ lontà degli dei; per far questo si saliva possibilmente su una altura, in grado di assi­ curare una visuale sgombra da ostacoli su tutti e quattro i punti cardinali. Avuto un "parerefavorevole ", si aggiogava una coppia di buoi ad un aratro e in processione religiosa si delimitavano i confini del nuovo insediamento. Solo allora si iniziavano a costruire le case e le mura. Questo procedimento è quello seguito da "Romolo " e da "Remo " e rimane in vigore per secoli ovunque i Romanifondano una nuova città.

una città, che superi in grandezza sia Lavinio che Alba. Per un atto così im­ portante si deve indagare quale sia il volere degli dèi; per scorgere i segni del­ la volontà divina Romolo sale sul Palatino, Remo sull'Aventino. Remo per primo avvista sei avvoltoi, e lo annuncia al popolo in attesa; men­ tre lo acclamano re, Romolo vede invece ben dodici avvoltoi. Conta di più la precedenza nell' avvistamento oppure il numero di segnali che si sono scorti? La discussione si fa animata, ne nasce una rissa nella quale Remo muo­ re. L'altra tradizione racconta che mentre Romolo sta aprendo il solco che de­ limita in maniera sacra la nuova città, Remo, per sfida, con un salto scaval­ ca la linea magica; il fratello, in preda alla rabbia, lo uccide. Romolo fortifi­ ca il Palatino, cioè il luogo dove è stato allevato dal pastore Faustolo; egli inol-

UN FIUME, UN GUADO E UN CROCEVIA

25

tre è l ' iniziatore dei culti religiosi, perché offre immediatamente dei sacrifi­ ci agli dèi. Tra le divinità sembra avere un ruolo importante Ercole, il quale su un pendio del Palatino ha ucciso il pastore Caco, che aveva tentato di ru­ bargli una mandria di buoi.

IL SOLCO E LA COLLINA Per tradizione il solco tracciato ritualmente da Romolo sul Palatino (alle pen­ dici del colle e non, come si potrebbe credere, sull'orlo deli' altura) racchiude la cosiddetta Roma quadrata. Secondo lo storico Tacito (ca. 54/55 d.C.-ca. 1 20 d.C.) questo primo confine della città andava dal luogo dove poi è stata con­ servata l'ara maxima Herculia (altare dedicato a Ercole, sito ali' estremità del Circo Massimo verso il Tevere e subito dietro la chiesa di Santa Maria in Co­ smedin) all'ara Consi (altare consacrato a Conso, dio dei grani immagazzina­ ti, sito all'altra estremità del Circo), poi piegava verso le Curiae veteres (sul pendio del Palatino, vicino al posteriore arco di Costantino) e infine si dirige­ va al tempietto dei Lari (dèi della casa e del focolare, sito nel Foro, presso il tempio di Vesta). Questo primo confine sacro sarebbe stato il pomerio.

IL .«POMERlO" DI ROMA Il pomerio (dal latino post murwn = dopo il muro) d'una città è una linea di de­ marcazione il cui significato va oltre quello di un semplice confine "politico " e mili­ tare: il pomerio è un limite magico e sacro, difeso da tabù e divieti. All 'interno del pomerio si possono compiere alcune azioni, non se ne devono compiere altre. Tra i divieti più forti la proibizione di seppellire i morti all'interno del pomerio, poi este­ sa all 'area cittadina; la misura ha lo scopo di assicurare una migliore igiene urba­ na, ma non manca una forte componente di superstizioso timore del cattivo influsso dei morti, che vanno tenuti a bada e lontano dalle case dei vivi. Esistono invece incertezze sull'esatta definizione e sul percorso del primo pomerio romano. Secondo Tacito, il pomerio di Romolo sarebbe stato più ampio delle mura di Roma quadrata; mentre il pomerio di Servio Tullio sarebbe stato interno alle mura ser­ viane. E certo che l 'Aventino e parte dell'Esquilino (destinato alle necropoli) sono ri­ masti fuori del pomerio fino ad Augusto. Da Claudio in poi, molti imperatori allar­ gano il pomerio, che al tempo di Aureliano coincide con la nuova cinta mur11ria.

Si è a lungo dubitato della reale esistenza d' una struttura di fortificazio­ ne sul Palatino. I riti ricordati dalla leggenda (osservazione del volo degli uccelli, apertura del solco con un aratro tirato da una coppia di buoi) so­ no stati collegati al desiderio di "nobilitare" le origini della città, prendendo in prestito i rituali usati dagli Etruschi. Il recente ritrovamento del "muro di Romolo" smentisce queste ipotesi for­ temente negative. D tratto di mura e il fossato venuti alla luce sul Palatino, lungo il versante che si affacciava verso la Velia, risalgono con buona ap­ prossimazione al 730-720 a.C., in un periodo sorprendentemente vicino al 753 a.C. fissato dalla tradizione come data della fondazione dell' Urbe. Si può quindi stabilire un punto fermo nella storia più antica di Roma: la città nasce in un preciso momento e in base a una scelta precisa, così come di­ ceva il racconto leggendario. Il processo di unificazione degli insediamen-

26

STOR.IA DI R.OMA ANTICA

IUTJ:)f T�o

l'-� "-.we·

�.DUTA.�· .a.�r.o &N.DJr..t.

ocusva

La Roma qllllllratafondata da Romolo, ricostruzione ideale delkl Roma arcaica, tratta da Anti­ quae Urbis Romae cum regiorùbus simulacrum, di M. Fabio Calvo.

IL MURO DI ROMOLO Sino a qualche tempo fa la revisione storiografica tendeva ad affermare che la fonda­ zione di RotNJ (cioè la nascita della cinà come organismo politico e come impianto ur­ bano, in cui gli abitanti erano associati) risaliva alla metà del VI secolo a.C. M a la sco­ perta del cosid!Uno "muro di Romolo" ha cambiato le carte in tavola. Alle spalle della basilica di Massenzio, in corrispondenza dell'antico pendio del Palatino contrapposto alla �lia, sono venute alla luce tre diverse e successive mura della città. Il più antico muro, dawbile al730-720 a. C� costruito con scaglie di tufo, è largo circa un metro e ven­ ti cenJimetri e conserva alla sommità tracce d'una palizzota.ll ruscello che scorreva nel­ l'avval�nto tra il Palotino e la Velia rendeva ancora più sicura la fortificazione. Al­ le spalle di questo muro, a circa tredici metri di distanza. correva una palizzata. che è evidentemente il più antico pomerio di RotNJ. La corrispondenUJ tra l'orientamento e la datazione di questo muro con il racconto tradizionale sulla fondazione di RotNJ è sor­ prendente./nsommo., Romolo evidentemente è un nome derivato da Roma. tNJ un fon­ datore è veramente esistito, anche se si chiamava Tlburzio o Pampurio!

ti sparsi doveva essere già iniziato da qualche decennio. lnfatti intorno al 750 a.C. le sepolture dei primi abitanti di Roma iniziano a concentrarsi nel­ la zona dell'Esquilino. L'esistenza di una sola grande area cimiteriale significa che lo spazio cittadino inizia a essere sentito come un tutto unico, all'interno del quale alcune zone vengono usate per scopi specifici.

27

UN FIUME, UN GUADO E UN CROCEVIA

È certo che un "Romolo" e un "Remo" come quelli descritti nella leggenda della fondazione di Roma non sono mai esistiti: a prima vista ci si accorge che in questi personaggi sono incorporati motivi ricorrenti nella mitologia, come I LUPERCALI l Lupercali erano una cerimonia religiosa nata sicuramente prima della fonda­ zione di Roma; nella leggenda di Romolo tra l'altro si ricorda che a praticare il rito erano gli Arcadi, una popolazione proveniente dalla Grecia, nota perché pra­ ticava la pastorizia. In effetti tutti gli elementi più antichi del culto riportano alla cultura dei pastori: è un 'altra prova della mescolanza di popoli e di usanze avve­ nute nella zona del Foro-Palatino-Campidoglio e che determinò la nascita della città. Il rito prevedeva una prima fase all 'interno del Lupercal, una grotta del Pa­ latino. Dopo aver sacrificato delle capre e svolto altre cerimonie, i partecipanti usci­ vano di corsa, coperti solo dalla pelle delle capre sacrificate, e con dei frustini ri­ cavati sempre dalla pelle di queste capre iniziavano a percuotere i ma/capitati che incontravano sulla loro strada, e in modo particolare le donne. Le strisce di pelle si chiamavano februa; da esse deriva il nome difebbraio. l Lupereali (che sono tra gli antenati del nostro carnevale) avevano luogo in quel mese. Già all 'epoca del­ l 'impero non si conosce l 'esatto significato della cerimonia, né quale dio in effet­ ti era onorato, ma anche nel 494 d.C. il papa Gelasio 1 inveisce contro il "malco­ stume " di celebrare i Lupercali.

il tema dei gemelli o la scoperta del trovatello nei pressi di un fiume o di uno specchio d'acqua (per quest'ultimo aspetto, si pensi ad esempio alla storia bi­ blica di Mosè ritrovato in una cesta di vimini abbandonata su] Nilo ) . . Non sapremo mai se è esistito un capo, che da solo decide di fondare Roma, di renderla "più grande di Lavinio e di Alba Longa"; siamo invece certi che c'è stato un personaggio (o forse un gruppo di persone) che aveva la funzione e le capacità di scrutare il cielo e di trarre gli auspic� cioè d'interpretare i segnali con­ creti del consenso o del gradimento degli dèi per la fondazione di una città, Ja costruzione d'un tempio o di altri edifici pubblici. Infatti il pomerio di una città è sempre stabilito grazie a un rapporto diretto con la divinità. Quando "Remo" con un salto scavalca il solco che "Romolo" sta traccian­ do per delimitare la sua città, quest'ultimo lo uccide perché egli ha offeso gli dèi, ha violato una linea sacra, quel confine che permette di distinguere tra la violenza e la pace, tra il nemico e l'amico, tra l'ingiusto e il giusto. Trac­ ciare questo confine spetta per definizione al "re" Rom o lo: il significato più antico e profondo della parola rex è "l'uomo che traccia la linea diritta o ret­ ta". Nella concezione del mondo dei Romani, i confini sono una cosa im­ portantissima, fino al punto di conservarsi "mummificati" per secoli. Nei pressi del successivo Colosseo c'era uno degli angoli della città quadrata di Romolo; nel VI secolo a.C. in questo stesso punto si incrociarono i confi­ ni dei quattro quartieri (o regioni) della suddivisione della città decretata da Servio Tullio; al tempo di Augusto (27 a.C. 14 d.C.) qui si incontreranno ancora i confini di quattro o cinque circoscrizioni della nuova divisione am­ ministrativa di Roma. Già prima della costruzione del "muro di Romolo" la città non è circo-

28

SlDRIA DI ROMA ANTICA

ROMA ARCAICA E IL MURO DI TERRA DELLE CARINAE Il primo nucleo della città di Roma è costituito dal Palatino (Gennaio e Velia), dal­ l 'Esquilino, dalla Suburra ed è dotato d'un terrazzamentofortificato, le Carinae. Questo muro di terra è costruito nella sella tra la Velia e l 'Esquilino, proprio die­ tro l 'abside della basilica di Massenzio. Come altri centri laziali arcaici, il nuovo insediamento si compone di una collina abitata (il Palatino), di un 'acropoli o roccaforte (la Velia), d'una necropoli o città dei morti (l'Esquilino) e d'un terrapieno difensivo (le Carinae).

scritta solo al recinto del Pala tino, che delimita un' area di circa 16 ettari di superficie. Un'ipotesi credibile vede una parte dell'abitato su questo col­ le, mentre un avvallamento naturale separa l'abitato del Palatino da quello sulla Velia, che forse serviva da roccaforte, difesa a sua volta sul lato più sco­ perto da un muro di terra battuta eretto in corrispondenza delle Carinae (che si trovano all'altezza del primo tratto di via Cavour). Oltre le Carinae inizia la zona cimiteriale dell'Esquilino. Questa suddivisione dell'abitato in due nuclei vicini ma separati da un av­ vallamento naturale è stata riscontrata anche in altri centri abitati del Lazio a sud del Tevere, come ad esempio ad Ardea. Poi c'è l'abitato che si trovava sul Campidoglio; ci sono segni che mostrano come questo fosse tutto sommato secondario rispetto a quello principale del Pa­ latino-Velia. I suoi abitanti erano sì "Romani" come gli altri, facevano cioè par­ te della comunità, condividendone i riti e le usanze, ma erano di "periferia".

UN GUADO E UN NODO STRADALE Il motivo fondamentale della nascita e dello sviluppo di Roma è la sua col­ locazione topografica sul fiume, che appare ancor più favorevole se consi­ dériamo la disposizione dei colli su cui si è andata espandendo. n Tevere fun­ ziona sia da strada di collegamento per i traffici che andavano dalle monta­ gne al mare e viceversa, sia da ostacolo per i commerci tra la Toscana e l'E­ truria meridionale a nord e il Lazio e la Campania a sud. Lo sbarramento rap­ presentato dal fiume va superato in qualche maniera: poiché non ci sono an­ cora le capacità tecniche di costruire grandi ponti, si ricorre al traghetto op­ pure, è molto più facile, al guado. E Roma ha uno splendido guado. L'isola Tiberina, con i suoi banchi di sabbia affioranti dall'acqua (se il fiu­ me ovviamente non è molto ingrossato dalle piogge) costituisce infatti una specie di ponte naturale. Ci sono quindi due strade che si incrociano. Gli incroci sono i luoghi dove naturalmente ci si ferma, si riposa, si incon­ trano altri viaggiatori con i quali si scambiano notizie e merci. Nasce così un punto di scambio o, come si dice un "emporio", sulla riva sini­ stra del Tevere, in corrispondenza del crocevia. La scelta della riva sinistra del Tevere, non è casuale: una località completamente aperta è pericolosa, è trop­ po esposta al rischio di assalti di predoni. A differenza della riva destra, dove le colline sono troppo lontane dal guado, sulla riva sinistra a pochissima distanza c'è la ripida altura del Campidoglio sulla quale ci si può rifugiare; e sul Cam­ pidoglio si possono piazzare sentinelle, in grado di dare in tempo l'allarme. Inol­ tre un po' più lontano c'è il Palatino, anch'esso facilmente raggiungibile.

UN FIUME, UN GUADO E UN CROCEVIA

29

Se gli abitanti del posto ne approfittano un po' e si fanno pagare la "prote­ zione" magari sotto la forma di offerte all'altare di Ercole che è sorto pro­ prio vicino all'incrocio, è anche vero che grazie a loro l'emporio è sempre più sicuro, non si corre il rischio di vedersi portare via le mercanzie e le greg­ gi o di rimetterei la pelle. Tutto questo spiega in teoria cosa c'è dietro l'affermarsi di Roma, cioè co­ Sil:_ rende possibile prima l'esistenza dei villaggi e poi la fondazione della città. E possibile scendere nei dettagli e vedere le varie fasi dei traffici e dei com­ merci che si sono succedute. Fino al x secolo a.C. i traffici e i commerci non svolgono un ruolo essen­ ziale nella vita degli insediamenti umani della penisola italiana. I fattori strettamente economici sono secondari e il commercio è importan­ te solo perché è il veicolo con cui si diffondono le nuove conoscenze e l'u­ so delle nuove tecniche. Gli insediamenti dell'area di Roma certo non fanno eccezione a questa re­ gola. Le due strade dalla Toscana alla Campania e dal mare alle montagne esistono già come esiste già il punto di scambio in vicinanza del guado del­ l'isola Tiberina, ma gli scambi sono e restano per molto tempo faticosi e dif­ ficili: metallo contro bestiame, sale contro vasi di terracotta e così via. Percorrendo il fiume risalgono verso l'interno i mercanti che importano uten­ sili preziosi, come le accette di bronzo di chiara origine "micena" che sono state ritrovate in Sabina. Tra il x e il IX secolo a.C. la direttrice principale dei traffici laziali corre vi­ cino al mare; il guado che permetteva il passaggio del fiume si trovava al­ l'altezza di Ficana (nei pressi di Acilia). E importante ricordare che la linea della costa in corrispondenza della foce del Tevere rispetto a oggi era più vi­ cina a questo centro di almeno cinque o sei chilometri. Questo itinerario di­ pende dal fatto che all'epoca la città dominante da un punto di vista politico ed economico sull'Etruria meridionale è Caere (Cerveteri); la strada che passa per Ficana è la più breve per un viaggiatore che proviene da Caere e si vuole recare a sud del Tevere. La regione a nord del Tevere è più progredita di quella meridionale, e quin­ di detta legge dal punto di vista commerciale. La strada di comunicazione con la Campania passa per Lavinio (Pratica di Mare), Ardea, Satrico (''Le Fer­ riere", presso Nettuno); su queste tappe si innesta il traffico "locale" prove­ niente dai colli Albani, che smista anche quello proveniente dalla strada che parte da Veio, tocca Roma e poi Gabii. Da quest'ultimo centro parte anche una via di collegamento con il sud che segue un percorso più interno sfrut­ tando i pendii dei colli e le valli del Sacco e del Liri. Questa strada avrà par­ ticolare fortuna e in seguito diventerà nota come via Latina. Tra la fine del IX e l'vm secolo a.C. la città dominante sulla sviluppata re­ gione dell'Etruria meridionale diventa Veio: a questo centro d'ora in poi fan­ no riferimento i rapporti commerciali con il Lazio meridionale. Gli itinerari dei traffici cambiano notevolmente; in tutte le epoche il controllo delle stra­ de è una delle prime preoccupazioni di chi ha il potere. Partendo da Veio la strada più breve per il sud è quella che passa per Ro­ ma. Il guado principale sul Tevere diviene quello situato presso l'isola Tibe­ rina; i colli Albani sono tagliati fuori dallç correnti principali dei traffici e ades­ so sono ridotti ad area di periferia. "'\iv,

30

STOlliA DI ROMA ANnCA

L'Isola 1iberina, ricostruzione ideale di L Canina. Si nota una èorrispondenza precisa tra le vicende di queste vie di commer­ cio e le fasi degli insediamenti umani della zona di Roma e dei colli Albani, che ha precisi riscontri nella leggenda della fondazione di Roma. Nella fase in cui la strada più importante passa per Ficana gli abitati dell' area Campi­ doglio-Foro-Palatino sono ancora ai primi stadi di sviluppo. Nello stesso periodo sui colli Albani c'è un numero notevole di insedia­ menti umani; lo testimoniano le molte tombe sparse nel territorio. Gli abi­ tati sono sparsi da Grottaferrata a Marino e tutto intorno a Castelgandolfo, dove si pensa che si trovasse Alba Longa. Alba in effetti non è mai stata una città nel senso stretto del termine, quanto piuttosto un raggruppamento di piccole comunità: l ' aggettivo Longa indica proprio un tipo di abitato spar­ pagliato lungo la collina. Quando la strada principale per il sud passa per Roma (fine rx-vm secolo a.C.) si colgono chiari segni di sviluppo degli abitati nell' area dei Fori, men­ tre sui colli Albani inizia il rapido declino, e poi lo spopo1amento, degli in­ sediamenti sparsi. Un ricordo di questi avvenimenti sembra essere il colle­ gamento tra Romolo e la dinastia regnante su Alba Longa. Ma la direttrice di traffico nord-sud non è, come si è visto, la sola che interessi Roma. Esiste anche una strada in direzione est-ovest che parte da1la Sabina e, sfruttando la scorreyolezza deHa valle del fiume, costeggia la riva sinistra del fiume fino a Roma. E sicuramente un antichissimo percorso della transumanza delle pecore, usato anche come via maestra per il commercio del sale, pro­ veniente dalle saline di Ostia; non sembra però che il commercio di quest'e­ lemento naturale, indispensabile per la sopravvivenza di uomini e bestie, sia mai spinto oltre la Sabina, cioè fino alle zone interne dell'Abruzzo. Questa strada è, ovviamente, la via Salaria. La Salaria però non procede direttamente fino al mare; all'altezza del gua­ do del Tevere piega bruscamente a destra, attraversa il fiume e prosegue, con il nome di via Campana, sulla riva destra del corso d'acqua.

UN FIUME, UN GUADO E UN CROCEVIA

31

La zona cruciale per il destino di Roma è quindi il foro Boario, con l ' ap­ pendice della zona paludosa del Velabro, che sarà bonificata dai lavori intrapresi dai re etruschi. LE 4jSALINAE», IL FORO BOARIO, IL RACCORDO STRADAJ.E Fin dalle epoche più antiche un sistema viario, costituito dalla via Salaria e dal­ la via Campana, consente l 'approvvigionamento del sale e collega le saline, alla foce del Tevere, con Roma e con le regioni interne. Il sale, trasportato lungo il Te­ vere, è depositato presso il guado, punto di passaggio e luogo facilmente raggiun­ gibile dalle popolazioni circostanti: qui infatti si arresta la via Salaria o Salara. Nel foro Boario, ai piedi dell 'Aventino, sono localizzate le Salinae ossia il luogo di rac­ colta del prezioso minerale, fondamentale per un popolo di pastori e di agricolto­ ri. Le leggende e gli antichi culti venerati nel foro Boario confermano che questa zona ha avutofin dalle origini le caratteristiche d'un emporio o centro commerciale. Qui, secondo una versione della leggenda, Ercole è derubato dei buoi di Gerione da un astuto pastore (o un mostro sputa.fuoco), chiamato Caco. Questo, approfit­ tando del sonno di Ercole, trascina gli animali per la coda all'interno d'una caverna, sperando che le orme alla rovescia confondano l 'eroe. Ma Ercole fiuta l 'inganno e lo punisce duramente. Nel luogo in cui è stato derubato dei suoi animali (denomi­ nato foro Boario dai buoi di Gerione) Ercole consacra a se stesso l 'Ara Maxima. Quest'altare è precedente alla stessa Roma quadrata e nei suoi rifacimenti succes­ sivi è localizzato presso Santa Maria in Cosmedin. Il mito di Ercole e Caco è pre­ sente anche in altre aree mediterranee, dalla Spagna alla Sicilia, raggiunte fin da epoche remote dai navigatori greci e fenici. / mercanti (prima fenici, poi greci), ri­ salgono il Tevere e portano merci a Roma, ma anche miti e leggende. Queste si sommano poi a leggende e miti locali, che hanno come protagonista l 'Er­ cole italico, venerato anche a Trvoli. Le successive stratificazioni e trasformazioni han­ no conservato il ricordo quasi pietrificato di una primafrequentazione delforo Boa­ rio da parte di popolazioni italiche e sabine (che avrebbero portato l 'Ercole italico), poi straniere (con l'Ercole Melqart e l'Eracle greco). Fin dal primo momento ilforo Boario è passaggio obbligato per lo spostamento delle greggi e per l 'approvvigiona­ mento del sale; poi, grazie alfiume, si trasforma in un vero e proprio emporio per la città che si va formando alle sue spalle; e ilforo Boario diventa il punto di raccordo d 'unfascio di strade, che conducono nelle varie direzioni.

Presso il foro Boario, oltre all'importantissimo incrocio doveva esistere un im­ barcadero-caricatoio fluviale, dove approdavano e scaricavano o caricavano mer­ ci le imbarcazioni provenienti dalla foce del Tevere o da località site a monte di Roma. Nell'antichità la navigazione fluviale è molto più diffusa e praticata di oggi. Per esempio buona parte dei materiali edilizi impiegati a Roma sono trasportati via fiume: sul Tevere si spediscono il travertino da Fiano e il tufo rosso di Grot­ tarossa, sull ' Aniene naviga il travertino di Tivoli, e infine il fosso dell'Osa, oggi appena un rigagnolo, serve a trasportare la pietra gabina, cioè il peperi­ no, delle cave di Castiglione. L'importanza assunta già nell'vm secolo dal foro Boario è ulteriormente sot­ tolineata dal fatto che vi giungono tutti i percorsi stradali più antichi, cioè le vie romane che prendono il nome dalle località dove giungevano. Si tratta delle vie Nomentana (verso Mentana), Tiburtina (verso Tivoli), Pre­ nestina (verso Palestrina, sede d'un importantissimo santuario), Labicana

STORIA DI ROMA ANl'lCA

32

(verso Montecompatri) e via Latina (così chiamata perché collegava tutto il Lazio antico). LA COMPOSIZIONE ETNICA APERTA DELLA CmÀ DI ROMOLO Le diverse tradizioni e leggende ci presentano fin dall'origine un 'immagine di Ro­ ma "città aperta ", dove l 'elemento straniero riesce a convivere e a integrarsi. l Romani di Romolo sono gente di ogni risma e di ogni provenienza e lo stesso fon­ datore associa al trono 1ito Tazio, re dei Sabini, quindi uno straniero. Questo miscu­ glio etnico, che caratterizza fin dall'inizio la città, non è considerato una debolezza o una vergogna (come accadeva nel mondo greco e anche altrove), anzi diventa una forza e motivo di vanto. Nonostante le numerose componenti delle origini, Roma è pur sempre una città la­ tina, ma sono molto importanti la componente sabina e quella etrusca. l Sabini (ben noti nei racconti degli antichi, ma non testimoniati negli scavi archeologici romani) sono presenti nella valle del Tevere fin dall'epoca più arcaica. Ciò è ben di­ mostrato dai rivestimenti di Colle del Foro e di Poggio Sommavilla. Gli Etruschi, d'al­ tro lato, hanno influenzato Roma ancorprima della dinastia etrusca dei Tarquini. Esi­ stono infatti dei centri etruschi molto vicini a Roma come quello di Colle di S. Agata a Monte Mario, durato almeno fino al 600 a.C. È anzi probabile che la riva destra del Tevere, un vero e proprio confine naturale, sia stata controllata a lungo dagli Etruschi, salvo una piccola porzione di territorio difronte al foro Boario, oltre il fiume. Nel processo di urbanizzazione la presenza di Latini, Sabini ed Etruschi si risolve nell 'affiancamento e nella convivenza pacifica lasciando un ricordo solo nella pre­ senta origine (etrusca o sabina) di alcune famiglie romane.

ROMOLO E I SABINI Secondo la leggenda il primo periodo della vita di Roma è piuttosto tumultuoso. Romolo dà alloggio a tutti gli "sbandati" che hanno bisogno di un rifugio sicu­ ro, senza distinguere tra liberi e schiavi, tra Latini, Sabini o Etruschi. Lo stesso re fonda una monarchia dai tratti etruschi, importando da quella civiltà più sviluppata alcune usanze come il trono (la cosiddetta sedia curu­ le che rimane uno dei simboli più importanti del potere per tutta la durata del­ lo Stato romano e oltre), la tipica toga orlata da una fascia di color porpora (la toga pretesta, riservata esclusivamente agli adolescenti fino ai sedici an­ ni e ai senatori), la scorta dei dodici littori armati dei fasci, con le verghe e la scure in segno del diritto di imporre la pena capitale. Anche il Senato sareb­ be una istituzione di Romolo: ne fanno parte cento capifamiglia o meglio i capi delle gentes che abitano la città. La necessità preminente è quella di assicurare un adeguato popolamento al­ la città. Mancano però le donne, che assicurano la continuità della discendenza, la garanzia della sopravvivenza stessa di Roma. Nessuna città del Lazio ac­ consente a stringere rapporti con i giovani e focosi Romani, gente poco rac­ comandabile. Non resta che ricorrere all'inganno e al rapimento. Romolo organizza dei giochi in onore del dio Nettuno, invita gli abitanti del­ le città vicine e, approfittando della confusione, fa rapire le giovani in età da ma­ rito. n grado ha i suoi privilegi; le donne più belle sono riservate ai senatori. Questa gravissima offesa colpisce essenzialmente i Sabini, particolarrnen-

UN FIUME, UN GUADO

E UN CROCEVIA

33

LA CITIÀ TRIBALE Gli antichi attribuivano a Romolo la fondazione delle tribù in cui era diviso il po­ polo romano, ma le loro infonnazioni tenninavano qui. I nomi stessi delle tribù sono avvolti nel mistero. Lo storico Livio sostiene che i Rarnnensi (Rarnni) si chiamano co­ sì perché legati a Romolo e sarebbero stati gli abitanti sul Palatino di stirpe e lingua latina. / Titiensi (o Tities) si chiamano così perché legati a 1ito Tazio e sarebbero sta­ ti gli abitanti sul Campidoglio di stirpe sabina. Livio non riferisce nulla sui Luceri (o Luceres); secondo alcuni sarebbero stati gli abitanti dei boschetti, situati sui colli più meridionali di Roma; secondo altri corrisponderebbero alla componente etrusca. Per alcuni scrittori antichi la divisione in tre tribù sarebbe avvenuta su base genti­ lizia, cioè quelli che avevano un antenato in comune appartenevano alla stessa tribù. La sola cosa certa è che ciascuna tribùforniva una centuria (cento uomini) di ca­ valieri che costituivano la cavalleria dell'esercito arcaico. Soltanto con Servio Tul­ lio il loro ruolo e la loro importanza sociale comincia a essere modificata. Più tardi alle tre originarie si affiancano altre tribù, che hanno un carattere territoriale, dal momento che con il nome di tribù si indica un territorio. Ogni tribù era suddivisa in dieci curiae. Ogni curia (da co-viria = gruppo di uomini) raggruppa piùfamiglie; nel­ l 'ambito della curia si tengono le registrazioni delle nascite e delle morti e si svol­ gono le procedure di leva militare. Ciascuna curia ha propri culti religiosi, che non condivide con nessun 'altra. Da curia derivano Quirino (il nome di Romolo divenuto un dio, il dio "che proteg­ ge le curie ") e Quirite ( "colui che appartiene alla curia " cioè il cittadino romano nel significato più ristretto possibile).

te bersagliati, mentre gli altri popoli lamentano danni meno gravi alla consi­ stenza della loro popolazione femminile. Non per questo rinunciano alla vendetta, ma commettono il classico errore di affrontare uno alla volta l'esercito romano e separatamente sono sconfit­ ti, regalando ai Romani i primi trionfi militari. Tocca allora ai fieri abitanti dei colli Sabini, dediti alla dura professione del pastore (e quindi portati ai colpi di mano e alla violenza), di scendere in guerra. Lo scontro ha luogo nella vallata del Foro e sarebbe stato preceduto dal tra­ dimento d'una donna, Taq>ea, figlia del comandante della guarnigione del Cam­ pidoglio. La lotta è sempre più dura e continua tra fughe e avanzate, ma sen­ za segni chiari di chi riuscirà a spuntarla: finalmente le donne si mettono in RUPE TARPEA Tarpea originariamente doveva essere una divinità preistorica legata al monte Tar­ peo, una delle due cime del Campidoglio. Durante i secoli il nome di questa antichissima divinità passa nel racconto leggendario a una Tarpea, figlia del comandante della roc­ caforte capitolina, al tempo dell'assedio di Roma da parte dei Sabini di 1ito Tazio. Tarpea attirata dai bracciali e anelli d'oro che i Sabini portavano al braccio sinistro si offre di aprire la porta agli invasori se questi le avessero promesso in dono "ciò che portavano al braccio sinistro ". Infatti i Sabini entrati nel Campidoglio lanciano addosso a Tarpea gli scudi, che impugnavano con la sinistra, e la uccidono. Questa leggenda subisce varie modifiche ed è rinnovata in occasione dell 'assedio gallico: in questo caso Tarpea avrebbe tradito per amore del capo dei Galli. In ogni caso il Saxum Tarpeum o rupe Tarpea.fino al i secolo d. C. è il luogo dal quale erano precipitati i rei di tradimento e degli altri grandi delitti contro lo Stato.

34

STORIA DI ROMA ANTICA

Tarpea uccisa dai Sabini, incisione di Bartolomeo Pine/li.

mezzo, poco rassegnate a perdere padri, fratelli e sposini. Si giunge alla pa­ ce, basata sul condominio a Roma tra Romolo e Tito Tazio, e all'unione tra i due popoli. Il condominio però è il modo peggiore di gestire una proprietà; molto opportunamente di lì a poco T azio offende gli dèi e muore misterio­ s�ente, lasciando il potere interamente nelle mani di Romolo. E solo la prima morte misteriosa che avviene a Roma, altre ne seguono e continueranno a seguire, fin quasi ai giorni nostri. Alla pace con i Sabini segue la prima organizzazione della vita in comune dei Romani; dopo aver fondato, come si è visto, il Senato, composto dai ca­ pif amiglia, Romolo suddivide il popolo in trenta curie, e istituisce anche tre reparti di cavalleria, da cui hanno origine le tre prime tribù: i Tiziensi, i Ramnensi e i Luceri. Sempre nuovi pericoli minacciano la giovane città; prima c'è un conflitto con gli abitanti di Fidene, poi i Romani devono vedersela con un avversario molto più pericoloso, gli Etruschi di Veio. Tutto inizia con una scorribanda dei Veienti, che saccheggiano i campi e ru­ bano il bestiame; Romolo con decisione fulminea varca il Tevere, sconfigge il potente avversario in campo aperto e lo insegue fin sotto le mura di Veio. Poi, tornando vittorioso a Roma, per vendetta devasta i campi coltivati dai Veienti, i quali chiedono la pace. Ci si accorda per una tregua della durata di cento anni, in cambio della quale i Veienti debbono cedere una parte del lorq_ territorio, che si trova sulla sponda sinistra del Tevere. E la prima espansione territoriale della città destinata a dominare un impero vastissimo. ·

UN FIUMI:!, UN GUADO E UN CROCEVIA

35

UN RE TROPPO INGOMBRANTE,

SCOMPARSO MIRACOLOSAMENTE Fondata la città, ripetutamente sconfitti i nemici, ingrandito il territorio di Roma, Romolo è ormai un eroe che ha esaurito la sua missione. Durante una parata dell'esercito in piazza d'armi, in Campo Marzio, scoppia una tempesta improvvisa, durante la quale il re scompare misteriosamente. Si grida subito al miracolo, ma il popolo pensa che i senatori abbiano organizzato l'omicidio di Romolo. Non casuahnente il re aveva formato, secondo l'uso de­ gli Etruschi, i Celeri, una guardia del corpo di trecento soldati addetta alla sua sicurezza. Ma un certo Proculo Giulio si presenta ali' assemblea cittadina e an­ nuncia di aver avuto una visione: Romolo gli è apparso, gli ha comunicato che Roma avrà un grande destino e che la sua scomparsa rientra nella volontà degli dèi. Da quel momento Romolo è identificato con il dio Quirino, che protegge con la sua benevolenza Roma D popolo accetta per buona la visione e la profezia; comincia però un difficile interregno, in attesa d 'un re che riporti in città l' ordi­ ne e l'armonia.

OLTRE LA LEGGENDA Sotto questo racconto si possono ritrovare tracce di avvenimenti realmente ac­ caduti e razionalmente spiegabili. "Romolo" è un semplice nome, un simbolo che lega insieme fatti e situazioni che sono avvenuti in momenti differenti; que­ sti fatti e queste situazioni si legano però sempre alle origini di Roma. Per molto tempo si è detto che la storia del ratto delle Sabine era solo il ricor­ do d'un rito matrimoniale antichissimo basato sul rapimento (prima vero, e poi fmto) della sposa. Questo rito è ancora vivo presso certe popolazioni primitive che si dedicano alla pastorizia Le più recenti scoperte archeologiche nel sepol­ creto dell'osteria dell'Osa (sulla via Prenestina) fanno pensare però che gli abi­ tanti dei colli Albani, scesi in pianura verso la fine dell' vm secolo a.C., siano emigrati senza portare con sé donne. I giovani avevano quindi il problema di farsi una famiglia e possono bene aver fatto ricorso a razzie di donne per met­ teme in piedi una; magari le scorribande dei giovani scapoli sono avvenute pro­ prio nel territorio dei Sabini. Col tempo dal matrimonio forzato si può passare alla convivenza; gli interessi che legano i Sabini e i Latini abitanti nella zona di Roma sono molti, legati al traffico commerciale sulla Salaria e alla difesa della strada dalle mire dei Veien­ ti, vicini agguerriti, e perciò pericolosi. L'unione delle due popolazioni, che par­ lavano lingue diverse e che avevano usi diversi, avviene per gradi. Come i mitici Sabini di re Tito Tazio, anche quelli della storia non vengo­ no accolti direttamente all' interno della città. Se la leggenda racconta che es­ si si stabiliscono sul Campidoglio, conquistato con la forza, l'archeologia con­ ferma l'esistenza di un insediamento sul colle Capitolino e sul Viminale. Que­ sto abitato è certamente collegato con la città "quadrata" fondata da Romo­ lo, ma ne costituisce la periferia: sembra in qualche maniera una realtà di­ versa, in parte autonoma. Ve ne sono molte prove: le due alture rimangono ancora alla fine dell' viii secolo fuori dai limiti della città di Roma, propriamente detta, cioè del Sep-

36

STORIA DI ROMA ANTICA

-

. - .. _:::...._--

-

--

··-

:

-----

-

: _;_-�..

----- - -

-- ;::_ ':-

Il ratto delle Sabine in un 'incisione ottocentesca di Bartolomeo Pinelli.

timontium; i sacerdoti dei culti più antichi di Roma, i Salii, sono divisi in due gruppi, i Palatini e i Collini (cioè "quelli del Viminale"); la porta che dalle mura del Palatino guarda verso il Viminale si chiama Romanula, una parola peggiorativa che dovrebbe alludere al fatto che gli abitanti di quel colle non sono completamente "Romani" ma periferici, "burini".

UN FIUME, UN GUADO E UN CROCEVIA

37

IL SEPTIMONTIUM Il Septimontium (la parola significa forse "sette colli " oppure "i colli protetti dal fossato ") è la corona di alture su cui sorgono i primi insediamenti umani che poi da­ ranno origine a Roma. Nefanno parte le due creste del Palatino - il Germalo e il Pa­ latino in senso stretto - la Velia, la Suburra, il Fagutale, l 'Oppio e il Celio; in un se­ condo tempo si aggiungerà il Cispio. Dal circuito del Septimontium, come si vede, restano esclusi alcuni dei colli più famosi (Aventino, Campidoglio, Viminale, Quiri­ nale) e la cresta più alta dell 'Esquilino, esclusi perché disabitati o abitati da genti di stirpe differente: perciò non esiste alcuna coincidenza tra il Septimontium e i sette colli, più o meno fatali, tanto esaltati dalla retorica di ogni tempo. L'esistenza di un antichissimo legame tra gli abitmlti di queste alture ci è stata tranuuuioJ.a grazie a un rito religioso che si svolgeva nell'antica Roma l' 11 dicembre di ogni anno, consistente in una solenne processione sui colli dove erano sorti i villaggi primitivi.

Anche le continue guerre con le città vicine attribuite al regno di Romo­ lo sono in fondo credibili: più che a guerre vere e proprie si deve pensare a piccole razzie di bestiame, al massimo a furti in grande stile, come è ti­ pico d'una civiltà basata sulla pastorizia. Molto più incerte sono le notizie sugli organismi politici fondati da "Romolo": il Senato, le trenta Curie, le tribù dei Tiziensi, dei Ramnensi, dei Luceri. La più credibile di tutte è il Senato, formato dai capifamiglia, cioè dai detentori del potere all'interno dei grandi gruppi familiari.

Gll STANZIAMENTI DEI VARI POPOU DEL LAZIO Nel Lazio vivevano fianco a fianco popoli che avevano lingua e tradizioni cultura­ li differenti. La prima suddivisione è quella tra Etruschi e ftalici. La civiltà etrusca nasce dallafusione tra un gruppo dirigente proveniente dall'esterno (forse dall'Asia) e popolazioni aborigene; la fusione fa nascere un popolo completamente differente da quelli vicini. Poi si deve distinguere tra i popoli italici che si sono stanziati nel La­ zio nella preistoria (come i Latini) e coloro che sono arrivati i n epoca più recente (co­ me i Sabini). l Latini sono piuttosto isolati; a nord ci sono gli Etruschi, a est i Sabini e a sud si stanzieranno gli Equi, gli Emici, i Volsci, che sono tutti popoli, come i Sa­ bini, di lingua umbra (od osca), o che ne hanno adottato delle varianti. Nella regione a nord del Tevere in epoca preistorica si erano stanziati due gruppi di Latini, i Capenati e i Falisci. Questi due popoli isolati e circondati dai Sabini, eb­ bero destini differenti: i Capenati furono inghiottiti e si lasciarono "sabinizzare "; i Falisei conservarono le loro caratteristiche di popolo di stirpe latina.

La leggenda e la storia sono d' accordo: Roma nasce come città che racco­ glie gente proveniente da luoghi diversi, che parla dialetti diversi, che ha usan­ ze diverse. Forse è questo il vero segreto del suo successo, della fortuna che la distingue da tutte le altre città del Lazio che sono nate nello stesso perio­ do. La ciliegina sulla panna è rappresentata dal sogno di Giulio Proculo sul­ la scomparsa di Romolo. Si potrebbe dire che, se non è vera, sicuramente è ben inventata. Tra l ' altro in questo modo Livio attesta che la gens Julia era già presente nella storia di Roma, fin dai primordi e in posizione di spicco: evidentemente Livio sapeva trattare i potenti nel modo giusto.

I RE LATINO � SABINI

I NOMI DEI RE Nella lista tradizionale dei re di Roma Numa Pompilio, Tullo Ostilio e Anco Marcio (tutti di origine sabina) succedono a Romolo. Quest'ultimo pre­ sentava le caratteristiche tipiche del fondatore eponimo (colui che dà il pro­ prio nome alla città), a metà strada tra storia e leggenda: con i tre successo­ ri si entra in una fase che è già "storica". I loro nomi di origine sabina e for­ mati dalla doppia denominazione, tipica del mondo italico, confermano in par­ te la storicità dei personaggi: anche se la tradizione antica ha certamente ar­ ricchito e modificato le loro figure, per nobilitare una comunità che si anda­ va sviluppando. A Numa Pompilio è attribuito il merito di aver addolcito (o intimidito) con la religione e la legge gli animi dei rozzi Romani, che fino ad allora avevano solo "giocato" alla guerra. Per primo si occupa delle cose sa­ cre: compito che trova eco nello stesso nome Pompilio, derivato forse dal gre­ co pompé, processione sacra Per Tullo Ostilio già il nome gentilizio (Ostilio dal latino hostis, nemi­ co) rivela un carattere specifico delle sue azioni. Come Romolo è un re guer­ riero; si preoccupa di ampliare il territorio di Roma e di codificare un com­ plesso rituale per regolare le dichiarazioni di guerra, la procedurafeziale. I Romani, nonostante le loro origini poco gloriose e il loro amore per qua­ lunque scontro armato, hanno sempre avuto cura di svolgere ogni cosa se-

COME SI CHIAMANO I ROMANI Nel corso del Wl sec. a.C. si afferma il sistetnll onotrUJstico costituito da due elementi. Fino ad allora ciascWJ individuo si distingueva con Wl Wlico nome. A Ro»UJ, come in Etru­ ria e in generale nel nwndo italico, l 'affermarsi diforti gruppi aristocratici compona WJa trUJggiore importanw assegnata al nome. Ora il nome oltre a distinguere Wl uonw da Wl altro, deve anche pennettere di individuarne l'appartenenw a Wl gruppofamiliare. ll no­ me è così composto da due elementi, dal nome assegnato al bambino al nwmento della nascita (ilprenome che corrisponde al nostro nome) e dal gentilizio (il nome proprio del­ la gens o gruppofamiliare allargato, corrispondente al nostro cognome). Nella leggim­ da si ricorda che il padre dei tre gemelli Orazi si chùlmava Publio Orazio (prenome e gentilizio), mentre per i trefratelli ciò che conta è solo la loro appartenenza al gruppo familiare degli Orazi e perciò il prenome è supeifluo! Per quanto riguarda le donne è usuale il semplice gentilizio: Mareia, Fabia, Servi­ lia ecc. Quando esistono più figlie è usuale distinguerle con l 'aggiunta di Maggiore o Minore oppure con l 'uso di vezzeggiativi e diminutivi: Livilla. Tulliola eccetera.

39

l RE LATINO·SABINI

condo forme legali irreprensibili. Le cerimonie dei sacerdotifeciali han­ no lo scopo di rendere i Romani sicuri che lo scoppio della guerra non av­ venga per colpa loro e che la guerra sia sempre giusta. Anche il nome del terzo re, Anco Marcio, è significativo: Anco (nome personale) è sabino, mentre Marcio è un gentilizio latino. Inoltre Marcio è un gentilizio porta­ to durante la repubb lica soltanto dalla gente del popolo, dalla plebe: altra segnalazione che nella Roma delle origini non esistevano distinzioni per nascita o per censo, tanto che un re poteva provenire da gruppi familiari i quali in seguito sarebbero stati "plebei".

UN EMBRIONE DI STATO L'esistenza della monarchia a Roma è una realtà storica indiscutibile, che è pos­ sibile ricostruire anche attraverso posteriori cerimonie e sacerdozi d'età repub­ blicana. Al solito gli antichi Romani attribuiscono a ciascun re meriti e compi­ ti specifici, personalizzando e travestendo un lungo processo evolutivo. Fin dalle origini, il monarca è l'antagonista del potere delle grandi famiglie, anche se è un frutto della volontà dei patres. Dopo che il popolo ha accla­ mato un nuovo sovrano, egli deve infatti sottoporsi alla volontà e al giudizio dei senatori che possono confermare o respingere l'elezione. Inoltre se il re muore, sono ancora i senatori che gestiscono - attraverso la cerimonia dell' interrex (tra i re) - il potere in quanto il trono è vacante. Tut­ tavia nonostante la limitazione imposta dai patres, i poteri del re sono arn-

SenaJore romano in un'incisione di F. Perrier.

40

S'IDRIA DI

ROMA AN'l1CA

piissimi in materia militare, religiosa e giudiziaria. Il monarca è il capo su­ premo dell'esercito e negli scontri combatte sempre in prima persona. An­ cora in età repubblicana, quando ormai le sue competenze sono passate ad altri sacerdoti, la sua importanza in ambito religioso è ricordata dalla figura del rex sacrorum o re delle cose sacre, quasi una pallida copia del vero re. In una Roma ormai retta dai consoli, il rex sacrorum svolge cerimonie partico­ lari, tra le quali la più interessante è il regifugium, la fuga del re: il 24 feb­ braio questo re delle cose sacre si presenta nel Comizio per fare dei sacrifi­ ci e dopo averli compiuti, all'improvviso fugge, rifugiandosi in quella che è tradizionalmente ritenuta la casa del sovrano, la Regia. Questa strana ceri­ monia, che gli antichi consideravano quasi un ricordo d'una vera fuga, in realtà coincideva con la celebrazione dell'inizio del nuovo anno (che comincia in marzo secondo il più antico calendario romano). Il re antico svolge un ruolo importante in materia religiosa: a lui toccano le decisioni sul calendario, a lui è possibile rendere feriale o festivo un giorno dell'anno. In definitiva, una volta eletto, il re non è un sovrano "costituzio­ nale", ma è l 'intermediario della divinità, l' espressione degli dèi in terra Il Senato, formato dai capi delle famiglie più importanti, tenta invano di op­ porre resistenza al sovrano. Le grandi famiglie sono abituate a farsi giustizia

IL PRIMO CALENDARIO A Numa Pompilio è anribuita anche la creazione del calendario arcaico di dodici mesi, poi modificato da Tarquinio Prisco e infine sostituito da Cesare. L'anno "vivo", agricolo, va da marzo a dicembre. l mesi di gennaio e febbraio in questo calendario "naturale" sono i mesi della puri.ficazione. Si trana quasi di un periodo senzaforma. un caos intermedio tra la morte e la nascita del nuovo ciclo. Per questo motivo gli an­ tichi pensavano che inizialmente Romolo avesse creato un calendario di dieci mesi, nel quale marzo segnava l'inizio. Dei dodici mesi del calendario numano, solo quanro, marzo. maggio, luglio, ono­ bre, sono di 31 giorni; febbraio ha invece 28 giorni e tuni gli altri 29. In totale ogni anno è composto da 355 giorni. l dieci giorni mancanti, calcolati per eccesso o per difeno, vengono aggiunti mediante un mese intercalare di 22 o 23 giorni. l mesi sono a loro volta divisi in nundinae (nove giorni), che corrispondono grosso modo alle no­ stre senimane. l giorni delle nundinae sono contrassegnati dalle lenere dell'alfabeto dalla A alla H. All'inizio di ciascuna nundina si tiene il mercato. In ogni mese ci so­ no anche altri momenti importanti: le calende, le none e le idi che corrispondono al­ le tre fasi della lunazione. Le calende, il primo giorno del mese, si chiamano così da calare (chiamare a raccolta) perché in origine si proclamava pubblicamente allafol­ la riunita il mese e la data delle none. Alle none, vengono invece annunciate le feste del mese. Esse cadono il 7 nei mesi di 31 giorni, il 5 nei mesi di 29 giorni. Le idi, per le quali l'origine del nome è incerta, rico"ono il /5 nei mesi lunghi, il 13 nei mesi bre­ vi. Tra le divinità e lefeste più importanti del calendario numano ricorrono Giano e Giove Lucezioa cui sono dedicati le prime cerimonie che segnano il passaggio al nuo­ vo anno. Februs, da cui Febbraio, è una divinità sabina della puri.ficazione come si addice a questa parte dell'anno. l n marzo lefeste di Marte, il dio della guerra, da cui deriva il nome di marzo, celebrano l'inizio della stagione gue"esca. Giunone con di­ versi epiteti (tra cui Cavella legato alle celebrazioni per la luna nuova) è tra le divi­ nitàfemminili più importanti del calendario. Altre come Pales, Flora. Vesta. sono pre­ senti non solo a Roma, ma presso tuni i popoli di ceppo italico.

l RE

LATINO·SARINI

41

da sole, creando l e proprie leggi e punendo i propri colpevoli. È facile allo­ ra immaginare le dure reazioni a episodi "leggendari" come quello del re Tul­ lo Ostilio che punisce il superstite dei famosi fratelli Orazi, colpevoli di aver ucciso la sorella. Questo affare della famiglia degli Orazi doveva essere di­ scusso all' interno di questa cerchia. Al contrario il re impone le sue decisio­ ni e una giustizia "pubblica" a queste famiglie, abituate alla giustizia som­ maria e privata. I ROMANI IMPARANO A SCRIVERE L'introduzione della scrittura a RorruJ è attribuita a Evandro, il mitico colonizzatore greco del Palatino. La scrittura sarebbe arrivata dal mondo greco nell'XI sec. a.C., quan­ do in realtà essa stava ancora affermandosi in Oriente e in Grecia. Il rapido sviluppo di RorruJ agisce da polo di attra;jone per le genti dell'interno e anche per gli intraprendenti commerciantifenici e greci, i quali presso il guado del Tevere trovano il punto di scam­ bio ideale. Questi mercanti, insieme agli oggetti da scambiare e da vendere, hanno por­ tato anche idee, culti (come il culto di Ercole) e probabilmente l 'alfabeto. Il ritrova­ mento delle più antiche lettere ellenizzanti su un vaso di una tomba della necropoli di Osteria dell'Osa, corrispondente all 'antica Gabii, coincide in modo stupefacente con la tradizione. Secondo quanto si trarruJnda Romolo e Remo, educati a Gabii, avrebbe­ ro qui appreso la scrittura.· Romolo, divenuto re, avrebbe usato ancora quest'alfabe­ to greco per iscrizioni che celebravano vittorie e definivano trattati. Nel VII sec. a.C. questo nuovo strumento, che si va sempre più adattando alla lingua latina, si diffonde in maniera più ampia, acquistando anche una dimensione pubblica. Documenti scrit­ ti cominciano a comparire confrequenza nei santuari, nei donari, negli spazi destina­ ti alla vita della comunità.

I senatori non hanno particolari poteri. Di solito sono consultati per questioni su cui il solo re avrebbe poi dato il giudizio fmale. n Senato è quindi solo un or­ gano consultivo, che può appoggiare il re, senza potersi opporre. Certamente an­ che la divisione del popolo in curie e tribù ha concorso ad aumentare il potere del re a discapito delle famiglie e del Senato. I comizi curiati, formati dalle cu­ rie riunite insieme, hanno particolari compiti Dal momento che il popolo è il vero depositario del potere, il re dopo la sua elezione riceve dai comizi curiati il sommo potere che gli permette di governare. Infine il raggruppamento delle curie facilita il reclutamento dell'esercito: ogni curia deve fornire una centuria di fanti (cento uomini) per un totale di tremila soldati. Questo è l'esercito pri­ mitivo a cui si aggiungono trecento cavalieri, cento per ciascuna delle tribù. In­ fine i comizi ratificano alcuni atti delle gentes, come una forma particolare di testamento: se un capofamiglia è rimasto privo di eredi, davanti alle curie riu­ nite può nominare un successore, che da quel momento entra a far parte della famiglia del padre adottivo, rinunciando a quella d'origine.

L'ACCLAMAZIONE POPOLARE Secondo la tradizione, dopo la sparizione misteriosa di Romolo i patres deb­ bono affrontare non pochi problemi per la successione. Essi escogitano allo­ ra il già citato interregno come soluzione di fortuna per uno Stato rimasto al­ l ' improvviso senza guida. I cento senatori si dividono in dieci decurie (un grup­ po di dieci persone), scegliendo da ciascuna di esse un uomo. I dieci uomini

42

STORIA DI ROMA ANTICA Curia: proposta di ricostruzione dellafacciata col portico anteriore (G. Loppolo).

LE NUOVE CURIE DI TULLO OSTILIO Le trenta curie (da coviriae riunioni di uomini), ripartite in tre tribù, sono il ri­ sultato delkl somma delle sene curie antiche risalenti a Romolo con le ventitrécurie nuo­ ve create da Tullo Osti/io. Non è chiaro se le curiefossero ordinate su base territoria­ le (appartengono alkl stessa curia gli uomini che abitano in un te"itorio) o su base gen­ tilizia (appartengono alkl stessa curia gli uomini che discendono da una gens o da un complesso familiare). Forse le sene curie più antiche corrispondono a particolari ter­ ritori: mentre le curie nuove sembrano invece legate all'appartenenza a una medesima famiglia. Solo quattro delle curie rimangono nell'antica sede (le Curiae Veteres), situata nell'angolo est delle pendici del Palatino, mentre le altre si trasferiscono sul Celio (le Curiae Novae). La creazione di queste nuove curie coincidono con kl riorganizzazione dello spazio urbano, quasi una nuova fondazione rispeno alkl città romulea. =

eletti formano un collegio; a rotazione per cinque giorni ciascuno di essi ha l' im­ perium (il comando supremo) e le insegne del potere. Per un anno la città è go­

vernata in questo modo, ma presto il popolo comincia a lamentarsi, perché bi­ sogna sopportare non un re solo, ma addirittura dieci A malincuore i patres de­ vono permettere al popolo di scegliere, secondo l'uso, un nuovo re. Viene co­ sì scelto e acclamato Numa Pompilio, un sabino di Cures, notoriamente uomo onesto e religioso. I senatori sembrano soddisfatti e concedono il loro assenso perché non ci sono validi motivi per opporsi a un uomo tanto buono. Numa Pompilio è il primo dei re stranieri che si sarebbero seduti sul trono romano. La scelta di uno straniero, oltre a mostrare ancora una volta l' aper­ tura sociale ed etnica, che tegola Roma fin dall'inizio, risponde anche a pre­ cise esigenze. Non mancano nella città arcaica gruppi e fazioni che si con­ tendono il potere e che vogliono dettare legge. Un re di origine esterna risulta la soluzione migliore, per superare i contrasti tra le diverse famiglie o fazio­ ni, oltre che per cementare l'unità dei confederati della recente città.

I RE LATINO·SABINI

43

LE PREROGATIVE DEI RE: GLI AUSPICI Numa Pompilio è stato eletto all'unanimità. Ma non è molto facile diven­

tare re. Anche gli dèi devono essere d'accordo e l'esempio di Romolo dimostra che è necessario consultarli. Per conferire al re l' imperium, che è un potere di natura divina, sono necessari due riti religiosi: l'operazione augurale o in­ vestitura (l'inauguratio) e la presa degli auspici. Questi riti sono svolti dal­ l' augure, un sacerdote che incarna tutto il potere del soprannaturale e può co­ municarlo al re, toccandogli la testa con la mano destra Gli auspici invece sono i segnali, tratti dal volo degli uccelli o dalle visce­ re degli animali sacrificati, attraverso i quali si manifesta il parere degli dèi. La conoscenza della volontà divina è necessaria ogni volta che si debba compiere un atto importante per la comunità. Il controllo degli auspici (os­ sia avere un filo diretto con gli dèi) consente un potere politico enorme e i Romani lo sanno bene. Gli scrittori �tichi hanno fedelmente tramandato l'in­ vestitura di Numa e non è molto difficile ricostruire l 'intera cerimonia, svol­ tasi sul Campidoglio. Mentre il popolo è riunito nel Comizio, il futuro re sa­ le sull'arce capitolina, prendendo posto nel templum, un'area rituale di for­ ma quadrata e all'origine delimitata da alberi. L'augure, a capo velato e con il lituus (un bastone ricurvo senza nodi), si mette alla sua sinistra. Egli guar­ da verso sud-est, nella stessa direzione verso cui è orientata la linea media­ na che divide l'area sacra, il cui prolungamento immaginario coincide con il percorso della via Sacra. ll punto terminale di questa traiettoria è il monte Al­ bano (monte Cavo), antico centro sacrale dei Latini. Dopo l' invocazione agli dèi, l'augure tocca il capo di Numa chiedendo a Giove di approvare la sua elezione a re. Giove risulta d'accordo e manda, tramite gli uccelli, il segnale all' augure. Numa allora diviene re.

LA PRIMA PAVIMENTAZIONE DEL COMIZIO Il Comizio è il centro politico della cinà, è il luogo dove si riwùsce il popolo. In origi· ne si trana di una sorta dipiazza, un templum come quello dell'Auguraculum, cioè un 'a­ rea consacrata dilgli auguri e orientata secondo i punti cardinali, Questo suo speciale orientamento ne ha pennesso l 'uso anche come orologio solare. Presso il Comizio si tro­ vava ilfico RliTTIÙI,IJ]e sotto quest'albero-secondo la leggerukJ - ilpastore Faustolo avreb­ be trovato Romolo e Remo. La prima pavimentazione in terra battuta risale alla prima metà del VII sec. a.C. (cir­ ca 635 a. C.). La relativa altitudine della pioltaforma tufacea su cui s 'innesta il Comizio, lo rendeva inaccessibile alle acque. Questo spiega il suoprecoce utilizzo come spazio pub­ blico evidenteanchenel racconto della "inaugurazione" diNuma Pompilio. Mentre l'au­ gure nell'Auguraculum ( "osservatorio ") cerca di conoscere qUiJle sia la "volontà " di Giove sull'elezione di NU1111l, il popolo in attesa è riwùto nel Comizio. Parte della tradizione attribuisce a Tullo Ostilio lafondilzione di questo luogo pubbli­ co, ma è più probabile che risalga al tempo di Anco Marcio: allora la città assume un aspetto più organizzato e probabilmente l'area del Comizio, in stretta concomitanza col foro Boario, è sistemata perfacilitarne l 'utilizzo. Comunque l'intera valle del Foro Ro­ mmw è stata prosciugata dillla palude solo al tempo dei Tarquini.

44

STORIA DI ROMA ANTICA

L'ARXE L'AUGURACULUM La collina del Campidoglio è costituita da due cime: il Capitolium e l' Arx, separa­ te da una depressione, l'Asylum La depressione coincide con la piazza del Campi­ doglio, collegata a destra e a sinistra dalle scalinate del Vignola che permettono l'ac­ cesso a Santa Maria dell'Aracoeli (l'Arx) e al giardino di via del Tempio di Giove (Capitolium). Sull'Ari. è situato il tempio di Giunone Moneta (che ammonisce), co­ nosciuto solo dal/V sec. a.C. Di certo però questo tempio doveva essere molto più an­ tico perché si tratta di una tipica divinità protettrice della rocca. Anualmente è pos­ sibile identificare i resti di questo edificio in alcune strutture in opera quadrata, for­ mate da grandi massi, che si trovano nel giardino dell'Aracoeli. Il monumento più interessante della rocca capitolina è senza dubbio l'Auguraculu� un'area augurale antichissima legata al Comizio, dove venivano presi gli auspici. E possibile identificare la sede di questo spazio sacro con una piccola costruzione nel giardino dell'Aracoeli. La posizione dell'Auguraculum doveva permettere una libe­ ra visuale sulla città, in direzione sud-est, e sul sottostante Comizio. La costruzione visibile nel giardino dell'Aracoeli è composta da due settori di muro in tufo di Fide­ ne e per la parte più antica in cappellaccio. Questa struttura (i grandi blocchi qua­ drati in cappellaccio risalgono al VI sec. a.C.) costituisce la base per una sorta di ter­ razza, che può benissimo essere interpretata come i resti dell'Auguraculum data la sua posizione e il suo orientamento.

UNA NINFA AIUTA IL RE Numa si rende conto che bisogna agire con astuzia per far accettare le sue riforme ai Romani, i quali non brillano certo per eccessiva mansuetudine. An­ che gli animi più coriacei si sarebbero piegati se avessero pensato che il re era solo un esecutore di ordini ricevuti dagli dèi. Ecco così la favola della nin-

Numa Pompi/io riceve le leggi dalla ninfa Egeria. Particolare da un 'incisione di B. Pinelli.

l lUi

45

LAJ1NO.. SABINI

fa Egeria e dei loro incontri notturni. Nel bosco delle Camene, presso la fu­ tura porta Capena, alle pendici sud orientali del Celio, questa creatura divi­ na, tipica dei bo.schi e delle acque, parla al re, insegnandogli i culti e le ceri­ monie. Secondo le moderne interpretazioni la ninfa Egeria è l'incarnazione di Diana, dea dei boschi: i suoi rapporti con Numa rappresentano una sorta di matrimonio sacro, che il re di Roma contrae con una divinità delle acque e della vegetazione, quasi la "civiltà" che fa un patto con la "natura". Nel­ l' ambito dell'organizzazione della religione a Numa è attribuita anche la creazione dei collegi sacerdotali dei Aamini, dei Salii e delle Vestali. Come sempre gli antichi stabilivano un unico fondatore, in questo caso Numa, per rituali e culti che certamente sono stati il risultato di una lunga e lenta stra­ tificazione, soggetta a numerosi influssi. I tre Aamini, cioè i sacerdoti dediti esclusivamente al culto di Giove, Marte e Quirino (identificato con Romolo), fanno parte del patrimonio indoeuropeo, pre­ sente in tutte le popolazioni di origine indoeuropea (come i Greci e gli Indiani). Il loro nome e la loro funzione sono state infatti paragonate a quelle dei brami­ ni indiani. Lo stesso discorso è valido anche per il fuoco sacro di Vesta e per il collegio dei Salii, certamente precedenti alla fondazione della città

IL IL RE TIRANNO JE 1A RNOlUZIONJE

UN'ELEZIONE CONTRASTATA Secondo il racconto tradizionale, alla morte di Tarquinio Prisco Tanaquil esco­ gita uno stratagemma, nel timore che qualcuno si opponga a Servio Tullio. Tarquinio abita vicino al tempio di Giove Statore, dove i percorsi della via Sacra e della via Nova divergono dopo la porta Mugonia. La regina si avvicina alla finestra del palazzo, che dà sulla via Nova, e si ri­ volge alle persone 1ì raccolte, rassicurandole sullo stato di salute del re e dicen­ do che il re è solo ferito e stordito dal colpo ricevuto: poiché Tarquinio ha bi­ sogno di tempo per riprendersi, è necessario che il popolo obbedisca a suo ge­ nero, Servio Thllio, che lo rimpiazzerà nelle sue funzioni più importanti Allora compare Servio, accompagnato dai littori, e il popolo tranquillizza­ to torna a casa. Dopo alcuni giorni, quando la posizione di Servio TuIlio è in qualche modo consolidata, è annunciata finalmente la morte di Tarquinio.

lA nwrte di Tarquinio Prisco in un 'incisione di Bartolomeo Pinelli.

IL RE RIFORMATORE, IL RJl TIRANNO E LA RIVOLUZIONE

73

I figli di Anco Marcio sono banditi mandati in esilio e Servio celebra un fa­ stoso funerale per Tarquinio, come se fosse morto poco prima.

SERVIO TULLIO E LA FORTUNA ALLA FINESTRA La tradizione sottolinea che la presa delpotere di Servio Tullio era illegale ed era

un regalo d'una donna (muliebri dono). Risulta interessante, al di là dello streno rap­ porto esistente fra Tanaquil e la Fortuna, la possibilità di cogliere alcuni elementi di origine orientale, all'interno della storia di Servio Tullio. Il tema della "donna alla finestra " è presente due volte nel racconto tradizionale sul sovrano: nella not­ te la Fortuna era solita entrare furtivamente nella stanza di Servio Tullio; Tanaquil dalla.finestra del palazzo reale arringa lafolla dopo l'anentato contro Tarquinia Pri­ sco. Esistono stretti legami con l'Afrodite di Cipro (la Venere romana) "che guarda dalla .finestra ", una divinità rappresentata proprio affacciata a una .finestra, e con alcuni episodi biblici come quello di Micol, figlia di Saul e moglie di David. La leg­ genda sulla regalità di Servio Tullio richiama l'antichissimo mito della dea amante del sovrano, attestato nel Vicino Oriente in tempi antichissimi, poi conservato e dif­ fuso dai Fenici. Proprio in virtù di quest'amore la dea conferisce il potere a un so­ vrano "irregolare " e il rappono privilegiato con la divinità rappresenta la legittimazione della regalità. Non è escluso che questi temifenici seguano la stessa strada delle mer­ ci, degli oggetti che gli abili mercantifenici trasportano finp al portus Tiberinus, do­ ve forse fino da tempi antichi esiste un loro emporio.

IL RE FUORILEGGE Ben presto cominciano i problemi. Più gentes non sono soddisfatte di questo re illegale. Certamente egli è il genero del vecchio re, ma non c'è stata alcuna elezione, il Senato non h a dato il suo consenso e per giunta non sono stati presi gli auspici. Servio Tuili o, conosciuto per tempo il lo­ ro malcontento, cerca l ' appoggio del popolo: in particolare, grazie a un particolareggiato piano di riforme, cerca il consenso dell' ampia fascia di cittadini indigenti. La schiavitù per debiti costituisce uno dei problemi più grossi per la gente più povera della popolazione. Servio stabilisce che il debitore insolvente debba consegnare solo la sua ter­ ra e non se stesso come schiavo. Per meglio gestire e riscuotere le entrate pubbliche attua il censimento (mi­ surare il census, la ricchezza) d' ogni cittadino: ciascuno pagherà propor­ zionalmente alle proprie possibilità. In concomitanza col censimento sta­ bilisce che le terre conquistate in battaglia debbono essere distribuite fra i cittadini più poveri. Tutte queste iniziative fanno di Servio un personaggio sempre più scomo­ do e, resosi conto del pericolo che sta correndo, decide di prendere i suoi av­ versari in contropiede. Durante un' assemblea annuncia che è costretto ad ab­ bandonare la sua carica. Con parole toccanti, lascia libero il popolo di sog­ giacere alla violenza di uomini, simili agli uccisori di Tarquinio, che stanno tramando contro di lui e contro i discendenti del vecchio re. Ma la folla in lacrime lo trattiene, supplicandolo di rimanere al potere. I suoi sostenitori propongono allora di fare le elezioni e di regolarizzare la sua po­ sizione, trasformando Servio in un re legittimo.

74

STORIA DI ROMA AN'ITCA

LA TOMBA FRA.NçQIS A VULCI E L'IMPERATORE CLAUDIO ANTIQUARIO lA scoperta a Vulci d'una tomba etrusca del/il seconda metà del /V sec. a. C. ha dato nuovo spessore allafigura di Servio Tuilio. lA tomba (chiamata François dal nome del pinore A. François che l'ha scoperta nel 1857) presenta due cicli di affreschi, che il­ lustrano episodi di Ione tra capi di cinà etrusche e lilziali contrapposti a episodi del­ la guerra di Troia. Ognifigura è accompagnata da un 'iscrizione dipinta in lingua etru­ sca, che indica il nome del personaggio. Abbiamo così. Marce Camitlna che pugnala Cneve Tarchunies Rumach (Cneo Tarquinio da Roma); Caile Vipinas (Celio Vibenna) che libera Macstma legato; Laris Papathnas Velznach (da Volsinii) che trafigge Larth Ulthes: Rasce che colpisce PesnaArcmsnas Sveamach (da Sovana): Aule Vipinas (Au­ lo Vibenna) che colpisce Ventlùcal [... ] Plsachs (forse da Falerii Veteres). lA manca­ ta menzione per alcuni di loro del/il cinà di provenienza indica che si tranava di per­ sonaggi di Vulci, mentre peraltri il nome costituito da un solo membro (Macstma e Ra­ sce) può voler indicare che erano a tal punto noti da non avere bisogno di ulteriori pre­ cisazioni. L'insieme di questi duellifa pensare a uno scontro tra Vulci e altre cinà etru­ sche e laziali. Un passo del/ilfamosa tabùla di Lione, recante /il trascrizione di un di­ scorso al Senato dell'imperatore Claudio, per /il concessione del/il cittadinanza agli abitanti della Gallia, getta luce sui personaggi raffigurati nella tomba e sul loro spes­ sore storico. lnfani l 'imperatore rifacendosi a storici etruschi identifica Mastama con Servio Tullio. Sappiamo che l 'imperatore era un grande etruscologo. jorse una delle ultime persone che conoscevano la lingua etrusca, destinata poi a diventare (e in par­ te a rimanere) un mistero. Il nome Macstma è /il versione etrusca della parola latina magister, il condoniero capo dell'esercito. È menzionato storicamente Servio Tullio­ Mastarna, liberato da Celio Vibenna, il compagno che lo seguirà anche a Roma. in­ sieme alfratello Aulo Vibenna e al romano Cneo Tarquinio, non altrimenti noto. Que­ sto confermerebbe in parte la possibilità che Roma abbia conosciuto più re chiamati Tarquinio. Servio Tullio sarebbe stato un condottiero di Vulci e, grazie all'aiuto dei suoi compagni (sodales), in particolare Celio Vibenna, si sarebbe impadronito del trono ro­ mano, usurpando i dirini del/il dinastia dei Tarquini.

LA CmÀ RIFORMATA Per comprendere la portata innovativa del regno di Servio, le sue riforme debbono essere considerate come parti d'un insieme organico. L'ordina­ mento censitario corrisponde alla riforma dell'esercito, come la distribuzio­ ne delle terre corrisponde alla creazione di soldati-contadini, che costituiranno la vera forza del mondo romano, almeno fino al n secolo a.C. La tradizione ci tramanda un'organizzazione in cinque classi, ma è proba­ bile che l'originaria divisione serviana fosse molto più semplice, forse addi­ rittura di sole due classi. Ad ogni modo si sa che per appartenere alla prima è necessario un patrimonio di l 00.000 assi; per la seconda classe da l 00.000 a 75.000 ; per la terza di 50.000 ; per la quarta di 25.000 assi; per la quinta di 1 1 .000 assi. Thtti coloro che non possiedono nemmeno 1 1 .000 assi sono contati per sé (capite censi) e non sono sottoposti al servizio militare. Que­ sta distinzione si lega strettamente all' organizzazione dell'esercito. Nella Roma arcaica i soldati devono provvedere a proprie spese al loro armamen­ to. Distinguere secondo la ricchezza permette di distinguere i soldati secon­ do le armi che possono permettersi. Questo spiega perché la cavalleria è ap­ pannaggio delle gentes più potenti, le sole a potersi permettere l'acquisto e il mantenimento d'un cavallo.

IL R.E IUFORMA'IORE, IJ. RE TIRANNO E LA RIVOJ.tJL:IONE

75

L'ASSE Per tutti i Latini l'asse è sinonimo delrunità di base, sia monetaria sia porulerale. In origine equivaleva a una libbra (327,5 g) di rame in barre: successivamente sulla base della libbra sono state "fuse " monete lenticolari, molto irregolari. La lega del­ le prime monete (circa 66% di rame, 20% di piombo, 6% di stagno) corrispondeva a q�lla adoperata per gli oggetti d'uso comune. Sembra che le prime "vere " monete siano state coniate alla metà del v secolo a.C. L'asse si divideva in 12 once ed esistevano monetefrazionarie (comi il semiasse 6 once) o monete multiple (2, 3, 5, 10 assi). =

I membri della prima classe sono divisi in ottanta centurie, quaranta per i più anziani (senjores dai 46 ai 60 anni), quaranta per i più giovani (juniores dai 1 8 ai 46 anni). La seconda, terza e quarta classe sono divise i n venti centurie, die­ ci di senjores o dieci dijuniores. La quinta conta trenta centurie, divise a metà fra i più anziani e i più giovani. A queste centurie se ne aggiungono due di ge­ nieri (carpentieri e fabbri) e due di musici (trombettieri e suonatori di como).

L'ESERCITO OPUTICO E IL CmADINO.. SOJ.DATO Ogni classe ha un particolare armamento (panoplia). I membri della prima portano l' elmo, lo scudo circolare, la corazza che protegge il torso davanti e dietro fino all'inguine e i gambali, il tutto di bronzo. Le armi offensive sono la lancia e la spada corta. Quelli della seconda classe, privi soltanto della co­ razza, hanno lo scudo allungato, rettangolare e le medesime armi della pri­ ma. I soldati della terza sono sprovvisti di gambali. Per la quarta cambiano le armi costituite dalla lancia e dal giavellotto. I soldati della quinta, di cui fanno parte anche i musici, sono quasi del tutto privi di armi , dal momento che usano solo la fionda e i proiettili di pietra. Le prime tre classi costitui­ scono il vero esercito, come si deduce dal loro armamento. La divisione in centurie, benché possa semb� artificiosa, corrisponde all'esatta definizione ,

Soldati romani in combattimento. Disegno tratto da un antico stucco.

76

SI'ORIA DI ROMA ANTICA

della legione romana classica (40+ l O+ l O centurie = 6000 uomini). L'esercito oplitico (oplita uomo armato, dal greco oplon) creato da Servio costituisce l' esatto raddoppiamento dell' esercito romuleo composto di 3000 uomini. Per essere efficaci, gli opliti debbono essere schierati in formazione di mas­ sa come la falange, costituita da parecchie file di soldati: in media otto. n buon esito d 'uno scontro tra due falangi dipende dalla saldezza e coesione dei suoi componenti, gli opliti: dipende dunque dalla solidarietà civica.

LA CAVAlLERIA E LA CRISI DELL'ESERCITO GENTILIZIO A Servio si attribuisce il potenziamento della cavalleria, insieme alla crea­ zione della legione di opliti. Le 1 8 centurie di cavalieri dell'esercito servia­ no (costituite dai cittadini più ricchi) sono il risultato delle centurie recluta­ te tra i primi cittadini (ex primoribus civitatis). Nonostante il potenziamento della cavalleria, che gode anche di particola­ ri diritti di voto, con Servio Tullio tramonta l ' importanza del combattimen­ to a cavallo e su carro, tipico delle lotte aristocratiche. Per questo preceden­ temente la guerra era appannaggio dell' aristocrazia e l'esercito era organiz­ zato soprattutto su base gentilizia. Con Servio la proprietà fondiaria diventa la base per l' arruolamento. Il possesso della terra è una prerogativa tipica dei cittadini, cioè di coloro che godono la totalità dei diritti della città. La riforma serviana ha il merito di so­ stituire un esercito cittadino a un esercito gentilizio e di essa fa parte anche la divisione territoriale della popolazione, così le tribù territoriali prendono il po­ sto delle curie.

L'ASSEMBLEA DEL CITIADINO>. Così Plutarco; Shakespeare, che del Corio/ano ha fatto una tragedia dell'orgoglio, non usa altre parole. Naturalmente Coriolano, ritirandosi, viene ucciso dai Volsci che si sentono traditi. (F.S.)

LA Cl'ITÀ.. STATO: CONTINUITÀ E RINNOVAMENTO

97

concomitanza con le complicate vicende della cacciata dei re da Roma, tut­ ta l' Italia è in ebollizione: in specie nelle regioni centrali e meridionali del­ la penisola le popolazioni dell'interno scendono sulle coste, occupano e distruggono le città greche. La tradizione sembra quasi duplicare o replicare le battaglie combattute da Roma. Ma gli innumerevoli scontri con gli Equi e i Volsci testimonia­ no la tenacia e l' invincibilità di questi nemici, mille volte sconfitti e mil­ le volte risorti . Per lunghi decenni, fino alla vittoria su Equi e Volsci al monte Algido del 43 1 a.C., Roma non conosce nessun evento decisivo, nessuna battaglia risolutiva. Inoltre Roma è l'unica città della Lega latina a confinare con l'Etruria. Questa posizione la mette in concorrenza con Veio, la città etrusca che com­ batte con Roma per il controllo del commercio del sale lungo la valle Tibe­ rina e per il controllo dei guadi del Tevere, passaggi obbligati per le vie di traffico tra l'Etruria e l'Italia meridionale. La comunanza d' interessi e il desiderio d'espansione di più gentes romane sulla riva destra del Tevere forniscono l'occasione di frequenti scontri di con­ fine, per lo più piccole scaramucce, che però sfociano anche in scontri armati di maggior consistenza, come l'episodio famoso del massacro della gens Fa­ bia al fiume Crèmera nel 477 a.C.

LUCIO QUINZIO CINCINNATO Cincinnato è l 'altrafaccia dell 'orgoglio aristocratico: paziente, controllato, sot­ tomesso alle leggi. Ne/ 461 a. C. i tribuni della plebe intentano un processo a/figlio Cesone sulla base, fra l 'altro, difalse testimonianze. Uomini consolari, patrizi, ma­ gistrati testimoniano a favore di Cesone Quinzio, lodando il coraggio e il valore di lui in guerra; anche Lucio Quinzio Cincinnato, il padre, si presenta nel Foro e chie­ de grazia, non tanto vantando i propri meriti e quelli de/figlio, quanto ricordando di non aver mai offeso alcun cittadino con parole o con atti. M a inutilmente. Ceso­ ne Quinzio va in volontario esilio e il padre, che possiede soltanto sette iugeri al di là del Tevere, è costretto a venderne tre insieme con la casa per pagare la cauzio­ ne stabilita dai tribuni. Per Roma il periodo è fra i più drammatici: guerre all'e­ sterno con Equi, Emici, Volsci, Sabini, Veienti; all 'interno contese irriducibili fra patriziato e plebe. Ne/ 460 a. C. esuli e schiavi in numero di 2500, capeggiati dal sabino Appio Erdonio, occupano il Campidoglio con la connivenza o l 'omertà dei tribuni della plebe. Alla fine sono uccisi, ma nell'attacco è morto anche il console. A sostituir/o viene eletto Cincinnato con l'opposizione dei tribuni della plebe. Cin­ cinnato bolla, tuttavia, di disprezzo ugualmente tribuni e Senato: quelli per l 'inco­ scienza, la sedizione, la sfrenatezza; questo per aver tollerato che la Repubblica si avviasse alla rovina. Poco dopo i Romani sono in campo contro Equi e Sabini. l pri­ mi riescono a circondare il maggiore degli eserciti romani sull'Algido. A Roma si teme il peggio. Di nuovo si ricorre a Cincinnato. Lo trovano nel campo ad arare e lo eleggono dittatore. La rapidità della marcia notturna, la sorpresa, il capovolgi­ mento di una situazione disperata fanno parte di una storia leggendaria. Come del resto la sua implacabile onestà. Infatti tornato a Roma vittorioso, rinuncia alla ca­ rica. Erano trascorsi solo sedici giorni dalla sua elezione. È verità o leggenda ? Cer­ to dietro c 'è il modello dell 'eroe dai costumi semplici, onesti, del generale pronto a ritirarsi dopo la vittoria, soprattutto a deporre un potere straordinario quando sia venuta meno la necessità. (F.S.)

98

STORIA DI ROMA AN'l1C1\

Cincinnato viene eletto dittatore dai senatori romani (incisione di B. PineIli, particolare).

DIECI SAGGI PER DODICI TAVOLE Lo stretto legame fra guerra di conquista e fermenti sociali si ripresenta alla metà del v secolo. Una vittoria su Equi e Volsci acuisce le rivendicazioni del­ la plebe, di nuovo esautorata dai vantaggi della guerra di cui sostiene solo il peso. Per la prima volta il tribuno Caio Terentilio Arsa propone d'istituire una commissione per preparare una legislazione scritta. Infatti i patrizi sono i de­ positari delle leggi consuetudinarie e orali Questo primo tentativo di sottrarre ai patrizi il controllo delle leggi non va in porto, anzi numerosi torbidi scon­ volgono la vita pubblica e il patrizio Quinzio Cesone è costretto addirittura al­ l' esilio per il suo comportamento spiccatamente antiplebeo. L'evento più scon­ volgente di questi anni è l'occupazione del Campidoglio da parte del sabino Appio Erdonio. Di notte insieme a 2500 schiavi e fuggiaschi (secondo altri, clien­ ti) il comandante sabino si impadronisce del Campidoglio e dell'Arx quasi sen­ za colpo ferire. Solo l'intervento di Lucrezio Mamilio di Tuscolo permette a Roma di riprendere il controllo della situazione e di cacciare Appio Erdonio. La necessità dell'intervento esterno scatena l'ira del console Lucio Quinzio Cin� cinnato. TI padre dell'esiliato Quinzio Cesone critica aspramente il Senato, che ha avuto bisogno dell'esercito di Tuscolo per eliminare il sabino. Alcuni tribuni sfruttano l'inettitudine del Senato a favore della plebe. Tra questi spicca il tri­ buno Icilio, autore della lex lcilia (456 a .C.) per la distribuzione di lotti di ter­ ra sull'Aventino. Nonostante i contrasti la legge passa e da allora in poi l'A­ ventino, che rimane escluso dal pomerio, è indissolubilmente legato alla ple­ be. Nuovi problemi e nuove guerre, stavolta aggravate dalla carestia, precedo­ no il momento della costituzione del decemvirato.

J.A CI'l'fÀ.. S'fATO: CONTINUITÀ. E RlNNOVAMllNTO

99

I FABII AL CRÈMERA LA rifonna servia1Ul mene in crisi il sistetrUJ dell'esercito gentilizio, favorendo la 11/l­ scita d'un esercito di cittadini, che combattono per la città. Ma le gentes più impor­ tanti non rinunciano ad un "esercito " privato, formato da familiari e clienti: infatti il sostegno in guerra è uno dei servizi che il cliente deve fornire al patrono. Accanto all'esercito regolare ci sono dunque bande armate, raccolte intorno a capi influenti. L'episodio della sconfitta dei 306 Fabii al Crèmera (un affluente di destra del Teve­ re) è un esempio delle guerre private di questo periodo. Nella guerra privata con Veio, per questioni territoriali, i Fabii con l 'esercito dei loro clienti sono totalmente scon­ fini. Prova della veridicità dell'episodio è ilfatto che, dopo questa sconfina, nella li­ sta dei Fasti consolari per lungo tempo non compare nessun Fabio, poiché quasi tut­ ti i maschi della gens Fabia sono moni nello scontro.

Nelle sue rivendicazioni la plebe manifesta grande coscienza di sé e del pro­ prio ruolo all'interno della città. La richiesta d'una legislazione scritta, co­ me già detto, è fondamentale per strappare il diritto, tramandato oralmente, dal controllo del patriziato. Per preparare un codice scritto, le magistrature ordinarie sono sostituite da un collegio di dieci uomini (decemviri legibus scri­ bumJis), tutti d'estrazione patrizia. Loro compito è raccogliere e scrivere le norme finora tramandate oralmente. L'innovazione "rivoluzionaria" consiste nella scrittura e nella "pubblicità" di leggi, note da molto tempo, ma che era­ no state affidate alla competenza giuridica dei patrizi. Dieci tavole costitui­ scono l 'esito d'un anno di lavoro della commissione, guidata da Appio Clau­ dio. Il Senato e il popolo approvano le norme scelte e ne stabiliscono la "pub­ blicazione" su tavole bronzee esposte nel Foro.

l

HDIECI TARQUINI••

Il successo del decemvirato convince i Romani a prolungare il mandato. I dieci magistrati diventano così per un secondo anno i padroni della città. Il collegio dei decemviri (con Appio Claudio in testa) comincia a commettere ogni sorta di sopruso, colpendo i nemici personali e confiscandone i beni. Il rinnovo del mandato per la terza volta è ottenuto con la forza. Il terzo anno trascorre all' insegna della violenza e del delitto. Secondo la tradizione il tirannico Appio Claudio diventa il leader indiscusso dei decemviri: ma Caio Claudio, zio del decemviro, dà voce al malcontento di tutti e denunzia pubblicamente gli abusi del nipote: nel corso d'una nuova guer­ ra contro gli Equi e i Sabini il decemviro non si è fatto scrupolo d'eliminare i suoi avversari più tenaci, come il carismatico capo plebeo Lucio Siccio. Ancora una volta, come in passato, una donna, con la sua bellezza e la sua onestà, diventa la scintilla che incendia il cuore del popolo romano. Il centurione plebeo Lucio Virginio ha una figlia, giovanissima e bella, che scatena la passione del già attempato Appio Claudio. Un cliente di que­ st'ultimo rapisce Virginia e la dichiara di sua proprietà, perché sarebbe na­ ta da una schiava del padre: infatti la moglie di Virginio, senza figli, avreb­ be avuto Virginia prima del matrimonio. Quindi Virginia appartiene al clien­ te di Appio Claudio che può fame quel che crede. La causa si mette male per la ragazza: nonostante siano prodotti testimoni della sua nascita, Ap-

1 00

STORIA D l ROMA ANTICA

pio Claudio non si arrende, ma anzi conferma la storia del cliente. L' arri­ vo del padre fa precipitare la situazione. Dopo aver chiesto di parlare alla figlia l ' abbraccia e l ' uccide, dichiarando che è meglio saperla morta che schiava. Purtroppo non sarà mai possibile conoscere l'opinione di Virgi­ nia, ma è certo che è vietato toccare le donne e le pecore d'un popolo di pastori ! In ogni caso l 'episodio scatena la rivolta dei Romani e una nuova secessione della plebe.

LE TAVOLE DELLA LEGGE Prima dell'elaborazione scritta delle leggi nelle Dodici tavole, a Roma la giustizia è amministrata dcli pontefici che interpretano e applicano le leggi regie. Queste leg­ gi, risalenti in parte a Numa, avevano una forte dimensione sacra e religiosa: ma. era­ no orali e dipendevano del/l'interpretazione dei patrizi. Nella elaborazione delle ta­ vole il collegio dei pontefici è estromesso, per procedere a una "desacralizzazione " del dirino. Come è stato "laicizzato" il potere politico con Bruto, anche la sfera del diritto subisce il medesimo processo. Il rapporto diretto tra i decemviri e i legislato­ ri greci dell'epoca, tramandclto dalla tradizione, è solo ilfrutto di "consonanze " cul­ turali più antiche, giunte a Roma insieme alle merci greche. Le nonne della legisla­ zione decemvirale toccano diversi settori della vita familiare e comunitaria. Il dirit­ to familiare registra qualche modifica anche se il padre ha sempre diritto di vita e di morte su moglie efigli. Le pene per i debitori insolventi contemplano ancora la schia­ vitù. Numerose nonne riguardano il diritto penale, nel quale il parricidio è il delitto più grave. Nonostante i progressi "giuridici", la legge del taglione è ancora viva e prevede il risarcimento delle diverse menomazioni ma, nel complesso, dalla vendet­ ta si è onnai passati alla pena. Le numerose regole sulla vita comunitaria rispondo­ no alle esigenze d'una società che si va sempre più diversificando e articolando. Le stesse nonne diprocedura penale, minuziosamente descrine, si anuano all'interno d'u­ na cinà, nella quale il Comizio è il luogo destinato alla giustizia pubblica.

Il colle Aventino, incisione onocentesca.

LA CITrÀ·S'fATO: CONTINUffÀ li RINNOVAMENTO

101

ll decemvirato è destituito e sono dis!rutte l e due tavole iniquae, antiplebee, frutto dell'ultimo periodo del collegio. E ripristinato il consolato, con Lucio Va­ lerio Potito e Marco Orazio Barbato, e sono promulgate tre (o quattro) leggi denominate leggi Valerie-Orazie, in parte favorevoli alla plebe, profondamen­ te toccata dalle ultime vicende. Le leggi Valerie-Orazie sanciscono la validità delle decisioni prese durante i concilia plebis, la sacertas (l'intoccabilità) dei suoi magistrati e la trasmissione dei Senatus consulta (le delibere prese in Se­ nato) agli edili plebei, che debbono conservarli nel tempio sull ' Aventino.

LA REPUBBLICA HSENZA CONSOLI))

E LA CREAZIONE DELLA CENSURA A partire dal 444 a.C., per periodi più o meno lunghi, il sommo potere del­ lo stato è esercitato da sei tribuni militum. In realtà questi sei ufficiali, che formano lo stato maggiore delle due legioni dell'esercito, si affiancano ai con­ soli nella gestione dello Stato, piuttosto che sostituirli. I tribuni non possono prendere gli auspici, "eredità monarchica" fondamentale per qualunque azione pubblica, quindi non possono nemmeno sostituirsi ai due consoli patrizi.

SPOSARSI SÌ, MA CON ORDINE 11 deterioramento in chiave tirannica del collegio dei decemviri comporta l 'ag­ giunta di due tavole iniquae (negative) contro i plebei. Tra i divieti c 'è quello fondamentale del matrimonio tra patrizi e plebei. L'origine di questo divieto, già esistente prima della codificazione delle tavole, affonda le sue radici in una profonda differenza nella sfera giuridico-religiosa tra plebei e patrizi. Chi non è nato da un matrimonio legittimo e giusto tra patrizi (la confarreatio durante la quale i due sposi, seduti su una pelle di pecora, mangiano una pagnotta di farro preparata dalla sposa) non ha la possibilità di prendere auspici. Non prendere gli auspici significa non poter rivestire le magistrature cittadine. l pa­ trizi si mantengono fedeli al rituale della confarreatio, che permetteva loro di esclu­ dere i plebei dal governo. Con la legge del tribuno Gaio Canuleio (445 a. C.) questo divieto è abrogato e so­ no riconosciute legittime le nozzefra plebei e patrizi. ln realtà i maggiori, se non uni­ ci, beneficiari della legge sono i plebei più ricchi, che sono interessati alla carriera politica e ai legamifamiliarifacoltosi: infatti i lorofigli, nati da questi matrimoni mi­ sti, potranno accedere alle magistrature.

L' esigenza d'innovare sorge nel momento stesso in cui i compiti di tipo am­ ministrativo diventano troppo pesanti per i sue consoli. La novità più importante è che anche i plebei, divenuti tribuni, possono esercitare l' imperium conso­ lare assegnato agli ufficiali. L'accesso al Senato è automatico dopo aver de­ tenuto una magistratura. Così alla fine del v secolo i primi plebei entrano a far parte del Senato: nello stesso momento comincia l'uso di definire una spa­ ruta minoranza di senatori patres conscripti cioè aggiunti o affiancati, in quanto non patrizi. Tuttavia la strada per ottenere il consolato è ancora lun­ ga. I patrizi, quasi per riservarsi alcune prerogative, creano una nuova magi­ stratura, la censura (da census, ricchezza). I censori alleggeriscono il compi-

102

STORIA DI ROMA ANTICA

to dei consoli nelle operazioni di censimento e di leva, provvedendo anche alla purificazione rituale della città ogni cinque anni.

ATIMTÀ EDILIZIA E POLITICA ARISTOCRATICA n tessuto urbano di Roma costituisce uno specchio delle vicende istituzio­ nali della città-stato. Il senso del nuovo (in questo caso il nuovo regime re­ pubblicano) è ben visibile nelle aree simboliche del potere dei Tarquini: la Regia, il Comizio, il foro Boario portano il segno della rottura. La nuova città, senza più re, trasforma i simboli del potere monarchico in reliquie di un pas­ sato, sempre vivo nella memoria, ma ormai finito. Il tempio di Fortuna e di Mater Matuta è distrutto, senza che alcuna nuova costruzione ne prenda il po­ sto (vedi box sul tempio di Mercurio). Anche la Regia è divorata dal fuoco. Il suo significato politico è però troppo forte per poter essere cancellato da un incendio. TRA

AGRICOI.TUR.A, COMMERCIO E RIVOLTA: LA TRIADE AVENTINA

Il culto di Cerere, Libero e Libera ricalca lafunzione mercantile e protettrice dei com­ merci, tipica di Mater Matuta, per alcuni aspetti è già stata ripresa da Mercurio. /l tem­ pio dedicato al nuovo culto si trova sotto una balza della rupe aventina, in prossimità delforo Boario. Cerere è anche protettrice della famiglia e dei figli (liberi in latino): infatti Libero e Libera sono ifigli della dea. Liberi sono anche i plebei che, per non es­ sendo schiavi, non godono di diritti (come i figli nella famiglia). Cerere è identificata con Demetra, la dea greca delle messi, fautrice d'un ordine diverso da quello vigente. È la divinità di tutti gli esclusi dallo Stato (schiavi, donne), i quali propongono uno Sta­ to alternativo: per questo è la dea dei plebei, che a Roma creano una Repubblica nel­ la Repubblica. Demetra-Cerere ha unafiglia, Persefone o Proserpina, e questafanciulla, in quantofiglia, è identificata con Libera e associata nel culto. Libero è identificato con Dioniso o Bacco, divinità venerata con culti d'evasione dalla realtà e, perciò, in ante­ posizione all'ordine costituito. Libero è anche il dio dellefeste chiamate Liberalia, du­ rante le quali i maschi indossano la toga virile per entrare nella vita politica. l plebei scelgono Libero, perché idealmente permette loro di prendere la toga virile (e dunque i diritti politici) vietata dal patriziato. Il ribelle Dioniso è dunque "neutralizzato " nel Libero romano, che non si trova in ronura con l 'ordine costituito, ma diventa un mez­ zo per entrare afarne parte. Libero non è la divinità delle associazioni dionisiache, ma quella dell'associazione "plebea ", che ha il suo centro nel tempio dell'Aventino. Sono chiare le numerose valenze e le diverse possibilità di lettura della triade plebea dell'A­ ventino, nella quale sifondono le esigenze più sentite della plebe romana del v secolo: dal cibo (identificato col grano) alla libertàpersonale (e anche alla trasgressione), al­ la partecipazione ai diritti politici.

La pianta deIl' edificio ricostruito sarà conservata inalterata, come un pez­ zo da museo, per tutta l'età repubblicana e imperiale. Da abitazione del re è trasformata in un edificio sacro di carattere pubblico, usato dal rex sacrorum per alcune cerimonie. In fin dei conti lo stesso rex sacrorum è il risultato della medesima trasformazione subita dalla Regia e dalle competenze reli­ giose d'un vero re si passa a11e stesse competenze d'un sacerdote repub­ blicano. L'area del Comizio, insieme al santuario del Lapis Niger, è distrutta

lA

Cfl"fÀ..S'fATO: CONTINUfl'À li IUNNOVAMf.N'lO

103

Statua raffigurante Cerere in un 'incisione di F. Perrier.

e ricostruita. Una poderosa banchina in opera quadrata con tre gradini for­ ma una sorta di cavea, che costituisce probabilmente le tribune degli ora­ tori. Da questo luogo l'oratore e il magistrato repubblicano arringheranno la folla. Il Comizio assume la forma d'un ekldesiasterion o luogo d'assemblea greco: è perciò quadrato (secondo il suo primo uso come templum, area au­ gurale). Solo nel III secolo a.C. la pianta quadrata sarà sostituita da una cir­ colare, più somigliante a quella delle città greche. L'attività edilizia della Repubblica ignora le aree marginali della città, co­ me il Foro Boario, e si concentra sul Foro, luogo deputato della città che scen­ de in piazza. Nell'area che fin dall'epoca più antica ospitava Satumo è ora edificato il tempio dedicato allo stesso dio, quasi per la volontà concreta di riprendere un antico culto latino nel centro della città-stato.

1 04

STORIA DI ROMA ANTICA

L'ERARIO DELLO STATO In occasione della vittoria al lago Re gilio sui Latini è fondato il tempio di Satumo ai piedi del Campidoglio. L'edificio occupa lo spazio adiacente all'ara di Satumo vi­ cino al Comizio. Il tempio non è soltanto luogo di culto, ma è anche il deposito del­ l'erario dello Stato. La fonnazione d'un erario pubblico è il segno più chiaro della creazione d'un nuovo regime. / bona Tarquiniensia (i beni privati dei Tarquini) costi­ tuiscono motivo di accese discussioni e trattative tra i Romani e Porsenna. È lampante il motivo: la caduta della monarchia ha comportato l 'incameramento dei beni regi che costituiscono il patrimonio della neonata Repubblica: così il tesoro regio è converti­ to nel tesoro pubblico e Satumo, da originario protettore della prosperità agricola, diviene il protettore del tesoro comune. Erario, Comizio e Curia costituiscono onnai un complesso unico, sempre più "politico ". La creazione dell'erario rappresenta l 'u.fficializzazione del metallo pesato come strumento di scambio e d'acquisto. Infat­ ti vicino all'erario di trova anche la trutina, la bilancia per la pesatura del metallo. Ben poco è noto del tempio arcaico, forse dotato di tre celle. I resti attualmente visi­ bili dell'edificio ai piedi del Campidoglio nsalgono al rifacimento de/ 42 a.C., ese­ guito dopo un incendio. Simbolo della «Repubblica patrizia» e della nuova realtà cittadina è anche il tempio dei Castori, edificato nel Foro allo sbocco del vicus Tuscus.

I DIOSCUIU, GEMELLI DIVINI E PROTETTORI DEL PATRIZIATO In un momento cruciale della guerra contro i Latini, il dittatore Postumio Albino spro­ na la gioventù romana contro il nemico. Tra i cavalieri lanciati al galoppo compaio­ no all 'improvviso i due Dioscuri e figli di Giove, Castore e Po/luce. I cavalieri, rin­ cuorati dall 'intervento divino, si gettano sui nemici con maggiorfoga, per vincere poi nello scontro de/ lago Regi/lo. Le due divinità più tardi sono viste mentre abbevera­ no i cavalli nel Foro presso la fonte Giutuma e il vincitore de/ lago Regi/lo decide di dedicare un tempio ai Dioscuri, nello stesso luogo indicato dai gemelli divini con la loro apparizione. L'edificio, parallelo al tempio di Satumo, orienta e delimita in mo­ do definitivo l'aspetto dell'area de/Foro. Nel Lazio il culto di Castore e Polluce è an­ teriore alla costruzione del tempio. I nomi dei Dioscuri compaiono su una lamina vo­ tiva del V I secolo a.C. trovata a Lavinio (Pratica di Mare). Il tipo d 'alfabeto e la lin­ gua mostrano uno stretto legame col mondo della Magna Grecia e in particolare con Taranto, dove i due gemelli erano i protettori della nobiltà. Già divinità latine da al­ meno un secolo, Castore e Po/luce entrano trionfalmente a Roma e la costruzione del loro tempio, dopo la vittoria in guerra e dopo la caduta del console plebeo Spurio Cas­ sio, è il simbolo del consolidamento dell'egemonia politica del patriziato. La stessa cerimonia della transvectio equitum (la sfilata dei cavalieri), che si celebra ogni an­ no alle idi di luglio, sottolinea il carattere aristocratico dei gemelli.

Il progranuna edilizio del patriziato è chiaro: il tempio di Saturno e quello dei Castori monumentalizzano l 'area più importante della città, la sua piazza, separata idealmente e fisicamente dalla parte etrusca e monarchica di Roma (il vicus Tu­ scus e il foro Boario). Se alla formazione della Repubblica patrizia corrisponde la nascita d'una Repubblica plebea, alla rifondazione patrizia della città corri­ sponde pertanto la creazione d'una città plebea, mercantile, che si pone egual­ mente come alternativa alla città serviana. Mercurio, il dio della mercatura, è la

J.A CTI'TÀ-sTATO: CONTINUITÀ E IUNNOVAMENTO

105

Ricostruzione ideale del Tempio dei Castori (da Canina).

LA DIVINITÀ DEI MERCANTI Nel 495 a. C è fondato il tempio di Mercurio, il dio della merx (la merce). C'è una straordinaria coincidenza con la distruzione del tempio di Mater Matuta, sostituito nel­ le suefunzioni dall 'edificio della vallis Murcia L'ubicazione nella valle del circo Mas­ simo, presso la curva, non privilegia più l'asse tiberino ma la direttrice che dalforo Boario conduce allaporta Capena e da li nel Lazio. Fuori dallaporta Capena si tro­ va l 'aqua Mercuri, lafonte dove si purificano i mercanti e le loro merci prima di en­ trare in città. Il progressivo miglioramento dei rapporti con i Latini, successivamen­ te culminanti nel foedus Cassianum, permette di riaprire la via commerciale per il La­ zio, la maggiorfonte per l'approvvigionamento del grano.

divinità d'una grossa parte della plebe, quella costituita dai mercanti, che ora lo venerano nella vallis Murcia. E il centro di questa "anti-città" è il tempio di Ce­ rere, Libero e Libera, vero simbolo del mondo plebeo: oltre alle molteplici fun­ zioni del tempo, le tre divinità rurali costituiscono l'alternativa alla triade capi­ tolina e alla "ricostruzione politica" del Foro, voluta dal patriziato.

IL NUOVO RUOLO DEL CAMPO MARZIO Il Campo Marzio nei primi anni della Repubblica acquista un ruolo politi­ co-militare che conserverà per tutta la storia di Roma. Da possesso privato dei Tarquini (vedi capitolo Un avventuriero etrusco sul trono di Roma) e area funeraria per alcune delle gentes più importanti, diviene il centro della nuo-

106

STORIA m ROMA AN'l1CA

Il Quirinale in un 'incisione ottocentesca di P. Palmucci.

va realtà magistratuale. Come un tempo nel Comizio, sovrastato dall'Augu­ raculum dell' Arx, nel Campo Marzio si riunisce il popolo, ora in armi, per i comizi centuriati. I Saepta o recinti, orientati come un templum (sul model­ lo del Comizio), simili agli stazzi per le greggi (chiamati perciò anche ovi­ le), accolgono i Romani per le votazioni ; mentre il nuovo Auguraculum del Quirinale consente la necessaria presa degli auspici. Presso l'ara di Marte i censori compiono la rituale purificazione quinquennale e dal 435 a.C. la lo­ ro sede, la villa publica, sarà situata in questo luogo. L'acuirsi dei conflitti sociali ed economici nella seconda parte del v secolo a.C. produce una stasi nell'attività edilizia. Le sole costruzioni di rilievo oltre alla villa publica so­ no il tempio di Semo Sancus e quello di Apollo Medicus sul Quirinale. Le lot­ te politiche, combinate con una generale crisi del commercio, rendono diffi­ cile il cammino della Repubblica destinata ben presto a scontrarsi con vec­ chi e nuovi nemici.

LA PROTEZIONE DEI GIURAMENfl E LA PAURA DELLA PESTE Nel secondo cinquantennio del v secolo a.C. sono fondati i due tempii sul Quirina­ le di Semo Sancus e di Apollo Medicus. Semo Sancus Dius Fidius, in pane corrisponde a Giove ed è il dio che garantisce lafede (Fidius), nei patti sanciti (Sancus) da un giu­ ramento sono la minaccia di colpire con unfulmine, mandato dal cielo (Dius), chi vie­ ne meno a quanto promesso. Il suo ruolo è centrale nel difficile processo di apertura ai plebei delle cariche pubbliche: infatti l 'aristocrazia e la plebe hanno bisogno d'u­ na divinità che protegga i "patti" politici stipulati in questi anni difficili. Apollo da tempofapane del mondo italico e anche di quello etrusco (col nome di Aplu). La sua introduzione a Roma, come Apollo Medicus, ospitato in un tempio sul Quirinale, av­ viene in occasione della peste che si abbatte sulla città, quasi nella medesima epoca della famosa peste di Atene del 430-429 a. C.

ASCJESA, CADUTA JE RJESURRJEZIONJE DI ROMA

VElO E ROMA: LA LUNGA PREPARAZIONE DELLO SCONTRO Per tutto il v secolo a.C. il maggiore ostacolo allo sviluppo territoriale di Ro­ ma e ali' allargamento delle sue relazioni commerciali è rappresentato dalla città etrusca di Veio, che controlla gran parte del territorio sulla destra del Te­ vere. Dopo la disfatta subita dalla gens Fabia nella guerra "privata" presso il fiume Crèmera, tra Romani e Veienti si registra una lunga tregua, che gli scrit­ tori antichi attribuiscono a un patto di non aggressione, stipulato per qua­ rant'anni tra le due città rivali. Le vere motivazioni probabilmente possono essere individuate da un lato nel timore dei Romani per il forte avversario e dall'altro nella grave sconfitta subita dalle forze etrusche a Cuma (474 a.C.), quando i Siracusani eliminano la potenza commerciale etrusca in Campania. Non per nulla in questo periodo a Roma diminuisce progressivamente la pre­ senza etrusca e si rafforza chiaramente un'identità romana; così dalla metà del v secolo non si trovano più iscrizioni né nomi etruschi e cessano quasi del tutto anche le importazioni dall'Etruria. Fidene, avamposto etrusco sul­ la riva sinistra del Tevere, che era controllata da Roma dagli inizi del v se­ colo, nel 438 a.C., si ribella e chiede aiuto a Veio. I Romani, che non vogliono perdere il controllo della via Salaria, colgono l' occasione per riaprire le osti­ lità e queste si allargano in seguito ali' alleanza tra Falerii Veteres e Veio (437 a.C.). Le operazioni militari durano una dozzina d'anni e registrano episodi di eroismo da parte romana, ma nel complesso sono poco conosciute. Nel me­ desimo periodo carestie e pestilenze interessano il Lazio. Roma è inoltre impegnata in ripetuti scontri con Equi e Volsci, risolti - co­ me già detto - solo con la sofferta vittoria romana al monte Algido del 43 1 . La lotta per il controllo dei colli Albani, e quindi del percorso della via La­ tina, prosegue però con una lunga serie di confuse scaramucce con Equi, Vol­ sci ed Emici. Questi ultimi sono vinti da Roma e diventano in seguito suoi alleati. Dopo una lunga stagnazione del conflitto si giunge così a un'ulterio­ re tregua ventennale con Veio (425 a.C.), dove dopo una complessa crisi isti­ tuzionale è deposta la dinastia regnante e per un certo periodo nascono ma­ gistrature elettive. Lo scontro decisivo con Veio è solo rimandato ed è inevitabiJe. Infatti Roma è sempre più popolata e i conflitti interni tra patrizi e plebei sono acuiti dalla mancanza di terre da distribuire ai nullatenenti: Veio col suo vasto territorio a portata di mano sembra offrire lo spazio vitale di cui ha bisogno Roma.

108

STORIA DI ROMA ANTICA

Pianta topografica di Veio con le località ove sono situati i reperti archeologici.

LE «SPOGLIE OPIMEu:

REALTÀ, LEGGENDA. IDEOLOGIA

Nella guerra contro Fidene e Veio, de/438-426 a.C., il comandante romano, Auto Cornelio Cosso, uccide il re dei Veienti (Larte Tolumnio) e si impossessa dell'arma­ tura del capo nemico: le spoliaopima. Secondo un'antica tradizione, il generale ro­ mano vittorioso consacra l'armatura del capo nemico, ucciso in battaglia, nel tem­ pio di Giove Feretrio sul Palatino. Il modello "storico" è offerto da Romolo, che avrebbe dedicato a Giove le spoglie del re dei Ceninensi. Dopo l'episodio di Cornelio Cosso questa tradizione sarà ripresa solo dal console M arco Claudio Marcello (22 a.C.), che dedicherà a Giove Feretrio l'armatura del capo degli lnsubri, Viridomaro, da lui ucciso nella banaglia di Casteggio. In genere questa cerimonia, che per alcuni risale a una "legge di Numa" (vale a dire alla notte dei tempi), è sostituita in epoca storica dal trionfo del generale vincitore. L'onore di consacrare le spolia opima sarà negato da Ottaviano a Marco Licino Crasso, dopo l'uccisione in duello di Deldo, re dei Ra­ starni (29 a.C.), col pretesto che Licino è solo proconsole, mentre quest'onore spet­ ta esclusivamente· ai consoli. Ottaviano afferma d'avere esaminato personalmente il copricorazza di lino di Larte Tolumnio (conservato ancora nel tempio di Giove Fe­ retrio, da lui fatto restaurare) e d'avere letto la dedica posta da Cornelio Cosso da console. È incerto se la lettura fosse corretta o se fosse una falsificazione creata per l'occasione. M a Ottaviano, in quanto Pontefice, è l'unico a poter accedere al sacra­ rio del tempio, precluso ai normali cittadini, e ha "bisogno" d'un precedente, per li­ mitare la concessione della consacrazione delle spoglie opime e per non dare troppo rilievo alla vittoria di Crasso, suo potenziale rivale.

ASCESA. CADUTA E RESURREZIONE DI ROMA

1 09

CAMILLO E LA RIFORMA DELL'ESERCITO Le vicende di buona parte del v secolo rivelano le carenze dell' organizzazio­ ne militare e sociale romana, inadeguata a reggere un impegno bellico prolun­ gato su fronti diversi. Nessuna delle guerre intraprese giunge infatti a conclu­ sione, mentre si aggrava la situazione interna. Costretti a un lungo e ripetuto ser­ vizio militare, senza i1 contraccambio d'un cospicuo bottino da dividere o del­ la conquista di nuove terre da ricevere in assegnazione, i cittadini romani cadono in miseria e sono soffocati dai debiti. La ripresa delle ostilità contro Veio (405 a.C.), con la prospettiva d'un lungo assedio e del protrarsi delle operazioni mi­ litari nella stagione invernale, pone i Romani di fronte al problema della divi­ sione delle responsabilità beUiche tra patrizi e plebei e del mantenimento d'un grande esercito permanente. Nel 405 a.C. durante la censura di Marco Postumio Albino (un uomo poli­ tico esperto che è già stato tribuno consolare) e di Marco Furio Camillo si at­ tua una serie di radicali innovazioni. Furio Camillo è un giovane patrizio che prima è stato impegnato solo in funzioni religiose, ma che manifesta capa­ cità non comuni: infatti è eletto censore, una carica molto impegnativa, sen­ za aver prima ricoperto in precedenza altre magistrature. Per la prima volta sono arruolati 2000 uomini, privi dei requisiti patrimoniali richiesti per servire nell'esercito. Thtti i soldati ricevono una paga per il loro ser-

Habito dell'huomo d'armi a cavallo, incisione di Cesare Vecellio, l590.

·

1 10

STORIA. DI ROMA ANTICA

vizio, poiché i cittadini-contadini in armi non potevano effettuare regolarmen­ te il raccolto a causa del protrarsi delle operazioni di guerra. Volontari dell'or­ dine equestre si offrono di militare nella cavalleria con i propri cavalli e senza usufruire del cavallo "pubblico", prerogativa d' una élite di cavalieri molto ri­ stretta. Inoltre il soldato romano è ora equipaggiato con scudo di forma ret­ tangolare (scutum), spada corta (gladium) e giavellotto (pilum), al posto del piccolo scudo rotondo (clipeum) e della lancia (hasta). Per queste innovazio­ ni i cittadini romani, iscritti nelle classi di censo, debbono pagare due tributi stlaordinari in bronzo: l' aes equestre (per la nuova cavalleria) e l' aes hordearium (per le razioni d'orzo). La plebe, che sostiene già l'onere ordinario dell'equi­ paggiamento militare, cerca di resistere alla nuova imposizione, ma alla fine il tributo è versato. Le fonti antiche narrano che l'esempio è fornito dai sena­ tori (patres), che fanno portare con grande solennità su carri cospicue quan-

ROMA. CAERE, MARSIGLIA E L'ORAOOLO DI DELFI Le norme religiose romLJne vietano di consultare oracoli stranieri, ma è possibile che ciò sia stato fatto durante l 'assedio di Veio per il tramite degli alleati. Caere e Marsi­ glia mantengono un tesoro a Delfi, e lo stesso re etrusco Tarquinio Prisco, come già det­ to, è ricorso all'oracolo di Delfi, per la spiegazione di alcuni prodigi. Dopo la presa di Veio Camillo, memore del voto fatto al momento della consultazio­ ne dell'oracolo delfico, decide di farfondere un grande bacile d'oro, recuperando la decima parte della preda distribuita ai soldati. Le matrone romane donano spontanea­ mente i loro gioielli, per raggiungere il peso stabilito, e il Senato concede che anche per le donne sia recitato l 'elogiofunebre durante le esequie. Tre illustri cittadini sono in­ caricati diportare il dono a Delfi. Essi si imbarcano su una nave allestita appositamente e addobbata afesta. Gli ambasciatori sono catturati dalle triremi di Lipari, ma il baci­ le d'oro è restituito per ordine di Tlmesiteo, magi.ftrato supremo di Lipari, che anzi ac­ compagnava i Romani a Delfi, per assistere alla dedica. Grazie a questo suo gesto, i suoi discendenti sono trattati con grande riguardo quando i Romani conquisteranno Lipari durante la prima guerra punica.

tità di bronzo. Seguono i più ricchi dei plebei, vicini ai patrizi (primores pie­ bis, nobilium amicl), infine il resto dei cittadini. n risultato di questi provvedimenti è duplice: da un lato si fa un passo avan­ ti nella direzione della concordia interna tra gli ordini; dall' altro l 'introdu­ zione del nuovo armamento prelude all' organizzazione della legione sulla base dei manipoli. In pratica quest'organizzazione trasferisce anche sul piano tattico la coesione sociale del popolo in armi. Col nuovo esercito Ca­ millo diviene il protagonista assoluto della guerra (è tribuno consolare nel 401 e 398, dittatore nel decisivo anno 396) e affronta lo scontro con Veio. Benché sia praticamente priva di alleati (forse solo Capena e Falerii Vete­ res le hanno fornito aiuti), Veio gode d' una naturale posizione strategica, rafforzata per l 'occasione con imponenti opere artificiali di difesa. I Romani sono chiamati a uno sforzo bellico ingente e possono contare sull' appog­ gio di Caere (Cerveteri), strettamente legata a Roma da tempi antichissi­ mi, come si deduce anche dal fatto che vi si sono rifugiati i Tarquini spo­ destati. Mentre sul fronte meridionale sussiste una situazione di pericolo, creata dai Volsci e da altre popolazioni della regione pontina.

ASCESA.

CADUfA E RfStJRRf.ZIONE lJI ROMA

LA PRESA DI VElO TRA MITO

lll

E REALTÀ

Molto poco è noto sulle vicende della lunga guerra contro Veio e ci sono giun­ ti brevi cenni su scontri vittoriosi dei Romani con i Falisci e i Capenati. L' as­ sedio di Veio ha fatto invece sorgere numerosi racconti mitici e uno in parti­ colare è narrato con grande risalto. Durante l'assedio è catturato un indovino veiente, che si aggirava fuori dalle mura. Interrogato, egli rivela che secondo un antico oracolo i Romani non prenderanno Veio finché non avranno fatto ri­ tornare indietro le acque del lago di Albano, che sono prodigiosamente aumentate fino a tracimare nelle vallate circostanti. Anche l'oracolo di Delfi consultato dai Romani dà lo stesso responso, precisando che i Romani possono anche di­ sperdere l' acqua nella pianura, scavando canali e fosse. Non c'è rapporto tra Veio e il lago di Albano, ma sotto la città di Veio esistevano numerosi cunico­ li, scavati dagli Etruschi per migliorare l' irrigazione del territorio. Attraverso una di queste gallerie Camillo fa entrare in città un contingente di armati, che sorprende la guarnigione nel corso d'una cerimonia sacra (396). Come Troia, Veio capitola grazie a un' astuzia e il vaticinio è stato probabilmente inventato per colorire la vicenda della galleria.

L'APPROPRIAZIONE DELLE DIVINITÀ DEL NEMICO Nelle guerre dei Romani èfrequente l'impiego d'una studiata strategia religiosa ac­ canto alla strategia militare. L'appropriazione delle divinità del nemico, per indebo­ lime o annullarne Ùl potenza, è nota col nome di evocatio (da evocare = chiamare fuori). / Romani vi ricorrono per la prima volta durante la guerra con i Latini, quan­ do è votato un tempio ai Dioscuri, costruito dopo la vittoria sui Latini al lago Regil­ Io. Camillo usa questo strumento religioso almeno due volte. Nel momento cruciale della lotta contro Veio egli dedica un tempio a Mater Matuta, la dea protettrice di Sa­ trico, con l'intenzione di attirare dalla parte romana la città, che controlla i percor­ si commerciali del Lazio meridionale. Dopo la presa di Veio, mentre la città è ripo­ polata dalla plebe romana, trasferisce a Roma la divinità protettrice di Veio, Giuno­ ne Regina con un tempio sull'Aventino (presso la basilica di Santa Sabina). Ci è tra­ mandata kl formula con cui egli "evoca ": «0 Giunone Regina, io ti prego affinché tu abbandoni questa città dove ora dimori, per seguire le nostre armi vittoriose nel­ Ùl nostra città di Roma, tua dimorafutura, la quale ti riceverà in un tempio degno del­ la tua grandezza». Altro famoso episodio di evocatio è quello di Scipione Emiliano, che al momento della distruzione di Cartagine ( 146 a. C.) "evoca " Ùl divinità protet­ trice della città, offrendo/e ospitalità nei templi di Roma.

Dopo la presa di Veio, Capena è sottomessa senza troppe difficoltà (395), men­ tre Falerii Veteres costringe i Romani a un lungo assedio. Anche in questa oc­ casione gli scrittori antichi non tramandano il resoconto di fatti militari, ma un racconto leggendario per esaltare ancora la personalità esemplare di Camillo. Durante l'assedio un maestro, cui era affidata l'educazione dei figli dei mag­ giorenti falisci, continua a portare i ragazzi a fare esercizi fuori dalle mura. Un giorno, avendo con sé tutti i ragazzi, egli chiede di parlare con Camillo. Introdotto alla sua presenza, gli dice di essere venuto a consegnargli l a città nemica nella persona dei suoi fanciulli. Camillo, però, l o rimanda a

1 12

SI'ORIA DI ROMA ANTICA

Cami/lo restituisce alle madri i ragazzi di Faleria (incisione di B. Pineili).

LO «SCANDALOSO,. TRIONFO DI CAMILLO La celebrazione del trionfo con una sfilata, aperta dal condottiero vincitore su un coc­ chio, risale alla tradizione etrusca edera stata introdotta a Romaforse da Tarquinio Pri­ sco. Dopo la caduta della moTUlTChia la cerimonia è sostituita dalla semplice ovatio, l'ac­ clamazione del magistrato trionfatore che entra a Roma a piedi attraverso la porta Triumphalis, sorta alposto dell'antico Tigillum Sororium. Camillo non si limita a rein­ trodurre la sfilata, ma sarebbe apparso su un cocchio tirato da quattro cavalli bianchi e col volto dipinto di rosso, prerogative degli dèi e in particolare di Giove e del Sole. Il fatto appare doppiamente scandaloso ai Romani, per la reintroduzione di forme dell'epoca regia e l 'aspirazione alla tirannide, oltre che per il desiderio d'essere as­ similato agli dèi. Anche se l 'autenticità della tradizione sui particolari del trionfo è tutt'altro che accertata, il trionfo è alla base dell'esilio volontario di Camillo. E il suo esempio servirà da monito, quando Cesare celebrerà il proprio trionfo nel 46 a.C.

Falerii Veteres legato e ordina ai ragazzi di accompagnarlo a suon di ver­ gate e bastonate. Toccati da questo episodio di giustizia, i Falisci chiedo­ no la resa e l'ottengono a miti condizioni. La rinuncia al bottino sperato ·crea però malcontento tra i soldati, che accusano Camillo di opporsi al­ l' arricchimento dei poveri.

LUCI ED OMBRE DEL DOPOGUERRA Dopo la conquista Veio è spopolata e le sue difese sono abbattute. La città però non è distrutta, diversamente da quanto narra la tradizione ro­ manzata sorta intorno all'episodio. Anzi, secondo alcuni scrittori antichi, Camillo fatica molto per contrastare i tribuni della plebe che propongono

ASCESA, CADUTA E RESURREZIONE DI ROMA

1 13

di scindere la popolazione di Roma in due parti: una metà rimanga a Ro­ ma, l' altra, tirata a sorte, si trasferisca nella città conquistata. In tal modo tutti vivrebbero agiatamente e controllerebbero agevolmente il territorio del­ la valle tiberina. Come dimostrano i reperti archeologici (che documenta­ no un cambiamento nell'uso delle suppellettili domestiche a Veio all'ini­ zio del IV secolo), molti Romani approfittano dell'opportunità offerta ai ple­ bei nati liberi di installarsi a Veio e di ricevere in assegnazione 8 iugeri (2 ettari) a testa del territorio tolto ai Veienti e ai Capenati. In conseguenza di questo massiccio stanziamento di cittadini, nel 387 sono create quattro nuove tribù territoriali (Stellatina, Tromentina, Sabatina e Arniensis ). Il fe­ nomeno è stato così imponente agli occhi degli antichi, da far nascere la leg­ genda, alimentata probabilmente anche dalle successive vicende dell'in­ vasione gallica, d' una migrazione in massa dei Romani a Veio. Finite le guerre, la popolarità di Camillo vacilla. I soldati gli rimproverano la perdita del bottino di Falerii Veteres. Alcuni lo accusano di essersi appro­ priato delle ricchezze conquistate in Etruria. I tribuni della plebe lo cqnside­ rano un ostacolo al progetto di trasferire i cittadini di Roma a Veio. E criti­ cata la sua intransigenza e soprattutto suscita scandalo la reintroduzione del trionfo con la quadriga. Sorge anche il sospetto che Camillo voglia diventa­ re re e aspiri a onori divini. In pratica Camillo è costretto ad abbandonare Ro­ ma e si ritira in esilio volontario ad Ardea. IL PERICOLO VIENE DAL NORD Fino alla conquista di Veio la storia di Roma si svolge nelle immediate vi­ cinanze della città, nel Lazio e nell'Etruria meridionale. Solo occasionalmente si segnalano contatti con realtà politiche poste al di fuori di questo orizzonte: Marsiglia, il mondo etrusco settentrionale e in par­ ticolare Chiusi, le città greche dell' Italia meridionale e soprattutto Cuma, la Sicilia e Cartagine, ma la posizione internazionale di Roma cambia nel cor­ so del IV secolo a.C. Nella penisola italiana agli inizi del IV secolo s' impongono i Celti. QueLE PROMESSE DELL'ITALIA: FICHI, OLIO E VINO Principale movente della migrazione dei Celti o Galli in Italia indubbiamente è sta­ ta la sua fama di terrafertile e ricca di prodotti sconosciuti oltralpe. Un celta della nazione degli Elvezi avrebbe soggiornato nel v secolo a Roma, come fabbro, e avrebbe riportato in patria fichi, olio e vino, provocando nei suoi compa­ trioti il desiderio di conquistare la terra produttrice di quelle delizie. Secondo un 'al­ tra tradizione, i Ce/ti sarebbero rimasti al di là delle Alpifino al giorno in cui gusta­ rono il vino, importato tÙlll'Italia. Il desiderio di quella prelibata bevantÙl li avreb­ be fatti impazzire al punto tÙl prendere le famiglie e varcare le montagne. Secondo altri ancora, i Galli sarebbero giunti in Italia chiamati da Arrunte di Chiusi, che li avrebbe fatti venire con la promessa di fichi e vino, per vendicarsi dei torti subiti tÙl parte d'un giovane e potente chiusino di nome Lucumone, che egli aveva allevato in casa e che poi aveva tentato di portargli via la moglie. Poiché i giudici erano corrotti dai denari del giovane, Arrunte, costretto a lasciare la sua città, avrebbe raggiunto i Galli e li avrebbe guitÙlti contro la propria patria.

114

STORIA DI ROMA ANTICII

sta popolazione indoeuropea intorno all'anno 1000 a.C., dalle sedi origi­ narie nell'Europa centrale, si era diffusa in Francia e Spagna. Alcune tribù avevano varcato le Alpi già nel VI e v secolo e si erano insediate nella pia­ nura padana. Agli inizi del IV secolo una nuova grande ondata, attirata dal­ la sua fertilità, investe l'Italia. Da ovest e da nord i Celti (chiamati Galli dai Romani) invadono il Piemonte (Taurini), la Lombardia (lnsubri e Ce­ nomàni), l' Emilia (Boi) e le Marche (Sènoni). Le città etrusche dell'Italia settentrionale capitolano di fronte alla potenza militare celtica: resistono so­ lo alcune tribù liguri e i Veneti. In seguito la Pianura Padana sarà talmen­ te "celtizzata" che i Romani la chiameranno Gallia Cisalpina. Il grosso del­ l 'ondata celtica si infrange sulle propaggini settentrionali dell'Appennino, mentre alcune bande più bellicose, soprattutto di Sènoni, avidi di ulteriore bottino, si spingono fino all'Etruria settentrionale e minacciano Chiusi. DIES ALLIENSIS:

UNA GIORNATA «NERA••

Il calendario rorrwno considera nefasti 36 giorni all'anno, quelli che seguono le ca­ lende, le none e le idi di ogni mese. In essi, ni in pubblico né in privato, è lecito com­ piere nessuna azione che non sia strettamente necessaria. La tradizione risale probabilmente alla decisione, assunta ne/ 389 a. C. dai cinque tri­ buni militari (incaricati di restaurare le istituzioni religiose e politiche dello Stato ro­ mano dopo la disastrosa incursione gallica), di considerare nefasto il Dies Alliensis, che cade il /8 /uglio, anniversario del giorno in cui i Galli hanno messo in fuga l 'e­ sercito rorrwno al fiume Allia. Poiché il tribuno militare Sulpicio aveva preso gli au­ spiciprirrw della battaglia (il giorno dopo le idi di luglio), si stabilisce che tutti i gior­ ni successivi alle idi siano considerati nefasti e che la stessa proibizione di compiere azioni religiose e civili sia estesa anche ai giorni successivi alle calende a alle none. La decisione di segnare come nefasto il /8 luglio è inoltre rafforzata dalfatto che nel­ lo stesso giorno sarebbe avvenuto un altro episodio luttuoso: la strage dei Fabii al Crè­ mera nello scontro con gli Etruschi di Veio.

TRE AMBASCIATORI TROPPO DISINVOLTI Di fronte al pericolo gli abitanti di Chiusi chiedono aiuto ai Romani, con i quali intrattengono da tempo rapporti commerciali, dato che la città etrusca costituisce un importante mercato per il sale proveniente da Roma. I Romani, a loro volta preoccupati per la nuova minaccia, inviano degli os­ servatori. Secondo la tradizione, ai tre figli di Marco Fabio Ambusto è affi­ dato il compito di ottenere che i Ga1li non assalgano gli alleati di Roma.

UN ORACOLO NON ASCOtTATO