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Italian Pages 360 [231] Year 1995
© 1995, Gius. Laterza & Figli Nella «Economica Laterza» Prima edizione 2000 Edizioni precedenti: «Storia e Società» 1995
Proprietà letteraria riservata Gius, Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di scampare nel luglio 2000 Poligrafico Dehoniano Stabilimento di Bari per conto della Gius. Laterza & Figli Spa GL 20-6157-0 ISBN 88-420-6157-3
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INTRODUZIONE di Silvia Vegetti Fimi
Perché un libro sulle passioni? Raramente u n ' e p o c a si è sentita così «spassionata» c o m e la nostra. Le passioni, che h a n n o costituito p e r secoli il fulcro dell'affermazione di sé e un nesso'potente tra l'individuo, i rapporti privati e la vita pubblica, s e m b r a n o aver esaurito la loro funzione. Le scelte avvengono più p e r calcolo della convenienza che p e r un i m p e t o appassionato, c o m e se la fonte delle emozioni si fosse inaridita e nessuno credesse più alla possibilità di m u t a r e l'esistente. La retorica delle passioni risulta ormai inadeguata a descrivere le vicende della nostra vita e i gestì plateali con-cui-si e s p r i m o n o si a d d i c o n o meglio al teatro che alla realta. " • - E p p u r e , persino q u a n d o affemuamo la m o r t e delle passioni ne utilizziamo, seppure in forma negativa» il p o t e n ziale espressivo. In un certo senso, n o n è possibile pensarci al di fuori del loro orizzonte in q u a n t o noi stessi e il m o n do in cui viviamo siamo un p r o d o t t o delle passioni, le portiamo iscritte n e l codice genetico della nostra cultura. Nel b e n e e n e l male, nella forma della presenza o dell'assenza, dell'affermazione o del diniego , esse o r i e n t a n o ancora la riflessione e l'agire u m a n o . 1
Perciò, p r i m a di calare il sipario sulla loro millenaria rappresentazione, è il caso di r e c u p e r a r n e i residui, di individuare gli elementi di p e r m a n e n z a che forse a n c o r a sussistono in un seppur m u t a t o contesto. L'assenza delle passioni, a l m e n o in veste di protagoniste, dal palcoscenico del
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m o n d o è un evento così i m p o r t a n t e che merita di essere interrogato con la massima attenzione: forse si sono spostate altrove, h a n n o trovato altri interpreti, seguono trame diverse, indossano costumi nuovi. Poiché da sempre h a n no rappresentato u n o specchio in cui l'umanità si è riflessa, la l o r o opacità costituisce u n a perdita di identità che ostacola la valutazione del presente e la progettazione dei futuro. Per sapere c h e cosa si va cercando' occorre p e r ò rip e r c o r r e r n e la storia, ricostruire i m u t a m e n t i che, concatenandosi, h a n n o provocato l'eclisse attuale, cominciando p r o p r i o dalla passione che inaugura la nostra civiltà: l'ira di Achille. La ricerca è favorita dalla n a t u r a indiziaria delle passioni. C o n t r a r i a m e n t e ad altri m o d i dell'affettività, c o m e le pulsioni e le emozioni, le passioni sono inseparabili dalle loro p i ù o m e n o evidenti rappresentazioni. L'esperienza passionale n o n è mai m e r a interiorità, ma un sistema di segni che sarà descritto da Sergio Moravia e declinato, nel t e m p o , dagli altri autori. La decisione di affrontare Funiverso passionale in u n a prospettiva diacronica sottende u n a d o m a n d a dì fondo che vorrei q u i esplicitare: perché-le passioni si sono rese irreperibili? Quali condizioni sono venute m e n o p e r c h é potessero rappresentarci, fuori e quindi d e n t r o di noi? II soggetto stesso percepisce infatti le sue passioni attraverso quelle che ha saputo suscitare negli altri e le decodifica in base alle loro reazioni. L'iracondo è tale in funzione della p a u r a che induce, l ' i n n a m o r a t o misura la forza del suo desiderio su quello dell'oggetto, magari nella forma negativa del rifiuto. C o m u n q u e n o n vi è passionalità senza alterità, senza un contesto relazionale mentale o reale. Ma n o n vi è n e p p u r e passione senza gestualità, foss anche la gestualità trattenuta e n e g a t a delle passioni fredde che si rinserrano, c o m e l'odio, in u n a inespressività com u n q u e carica di effetti comunicativi. Il t u r b a m e n t o informe della passione allo stato nascente si organizza in «di!
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scorso» m a n m a n o che l'impulso- iniziale si incanala e n t r o u n a grammatica che gli preesiste. In questo senso, a n c h e le espressioni fisiologiche delle emozioni, c o m e il rossore, il t r e m o r e , il sudore, assumono un significato interattivo. E impossibile ipotizzare un individuo appassionato totalm e n t e isolato-, c o m p l e t a m e n t e solo. Le passioni, c o m e il gioco, richiedono con divisione, compartecipazione, un orizzonte di valori e di regole comuni. Ma all'interno del gioco passionale n o n tutti s p e r i m e n t a n o i medesimi affetti. Mentre l'amore è tendenzialmente speculare, l'ira p r o d u c e la paura, l'avarizia l'invidia, la gelosia la m e n z o g n a . C o m u n q u e , chi e n t r a a far parte del circolo vi trova il suo posto- e, per co-sì dire, la sua verità. Sì, p e r c h é la passione ci dice dove e chi siamo, n o n c h é dove e chi vorremm o essere. Vi è, nelle passioni,, u n a c o m p o n e n t e istintuale che esprime, più o m e n o direttamente, le grandi correnti vitali di sopravvivenza e di riproduzione. Tuttavia, contrariam e n t e a q u a n t o accade nel m o n d o animale, la b r a m a umana è s e m p r e temperata dalla mediazione della parola. Ciò che chiede il soggetto passionale è che vengano riconosciute le sue istanze, c h e rivestono s e m p r e u n o statuto astratto, simbolico. Per questo ha bisogno dell'altro, di un simile c o n il quale instaurare u n a situazione comunicativa, dove la posta in gioco è essenzialmente il riconoscimento. Re Lear chiede alle figlie di essere a m a t o attraverso' una- dichiarazione retorica, c o m e se u n a vita trascorsa insieme n o n avesse alcun significato di fronte al portato di verità dell'enunciato. E p p u r e , sappiamo c h e la falsità inerisce al dire, che ne è, in un certo senso, l ' o m b r a ineliminabile. Ma il dialogo della passione h a : u n a caratteristica c h e lo contraddistingue: p r e s u m e sempre, oltre ai d u e interlocutori, la presenza di un terzo, di u n a c o m u n i t à che si faccia garante della parola data. Nella tragedia greca questa dimensione è rappresentata dal c o r o . Il coro esprime la medietà, la normalità, la tradizione, la consapevolezza del li-
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mite,sul quale si staglia l'eccesso passionale, rivelando così la sua carica trasgressiva ed eversiva. Il coro n o n è mai d e n t r o al gioco delle passioni, coinvolto nello scontro d e i desideri, ma è s e m p r e in grado di c o m p r e n d e r n e la complessa semantica, di cogliere i gesti, le parole, i silenzi, gli atti degli eroi che, in n o m e di u n a intenzione irrinunciabile, sì confrontano e si scontrano. Ecco che, quasi inavvertitamente, c o m p a r e , nel parlar di passioni, il t e r m i n e «eroe», evocando i n t o r n o a sé lo spazio della regalità. L'ambito immaginario delie grandi passioni è infatti la reggia, c o m e ancora testimonia la scenografìa onirica del sogno. E vero che, s e c o n d o Aristotele, il luogo della tragedia è la famiglia. Ma n o n c r e d o che questo impegnativo riconoscimento riguardi la dimensione della quotidianità e della cura, q u a n t o piuttosto il residuo di grandezza regale che ogni famiglia conserva nello «stemma araldico» che la costituisce. N o n solo a c c a d o n o nella famiglia le vicende essenziali -del nascere e :del morire, ma ciascunoriceve, da questa prima collocazione, la sua identità e il suo posto nel m o n d o . La definizione di sé nella trama dei rapporti generazionali è decisiva nelle società di status, dove la d o m a n d a «di chi sei figlio?* fissa le coordinate della,soggettività.,: Ma nella nostra società, basata n o n tanto sulla posizione q u a n t o sulla funzione sociale, l'interrogativo diviene: «chi sei?». II passaggio d a l l ' u n o all'altro quesito è decisivo p e r il regime delie passioni. N e l p r i m o caso, p o i c h é la. successione avviene simbolicamente è di fatto con la m o r t e d e l p a d r e , la gerarchia generazionale alimenta un conflitto di p o t e r e reale. Nel s e c o n d o invece, poiché a l m e n o teoricamente le possibilità di autorealizzazione s o n o a p e r t e e illimitate, il conflitto genealogico si sposta sul p i a n o fantasmatico. All'interno del m o n d o precapitalistico, strutturalmente statico, cambiare il gioco-delie parti richiede un forte investimento emotivo, il gusto acre della provocazione e del rischio. Il m o v i m e n t o imprevisto di qualsiasi p e d i n a mi-
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naccia infatti l'intera scacchiera, n o n c h é la possibilità stessa di c o n t i n u a r e a giocare. U n a volta giunto a compimento, l'impeto passionale n o n lascia p o i nulla di i m m u t a t o , anzi, dalle rovine dell'esìstente sorge talora un ordine n u o vo. Poiché nessuno p u ò sentirsi al riparo dai suoi effetti sovversivi; n o n esiste, in quel contesto, u n a passione privata, personale. In ogni m o m e n t o la c o m u n i t à si fa garante delle relazioni sociali di cui detiene il codice, il senso e la misura. Nel m o n d o m o d e r n o , invece,, n o n vi è un sociale dir e t t a m e n t e coinvolto nelle vicende dei suoi membri.• La società borghese si f o n d a infatti'su di u n a . c o n t r a p posizione tra pubblico e privato che destruttura la scena tragica su cui si sono consumate le grandi passioni dell'Occidente. L'intimità, la riservatezza, la p r u d e n z a , il decoro sono valori destinati, a -mettere la sordina alle passioni che, p e r loro natura, t e n d o n o invece al clamore, alla condivisione, alla destrutturazione violenta degli equilibri esistenti Se Aristotele parla di «catarsi», cioè di purificazione tramite l'esaustione dei furori passionali, significa che vi è in essi qualche cosa di i m p u r o , di empio, che deve essere riportato e n t r o lo spazio della razionalità e della polis. Così intese, le passioni testimoniano di u n a estraneità del soggetto passionale a l a dimensione del n o m o s e del logos, di un p a t h o s che ha smarrito il senso ma che lo p u ò ritrovare nella-funzione'stessa del patire, quando, vi abbia consum a t o le sue scorie. Un patire, a b b i a m o detto, c h e richiede di essere testim o n i a t o , di ritrovare u n a definizione di sé convalidata dall'assenso degli altri, ai. q u a l i il.soggetto in passione s e m b r a c h i e d e r e conferma, n o n solo dei p r o p r i atti ma anche delle proprie intenzioni. Ma n o n per questo vi è d i p e n d e n z a o resa incondizionata all'alterità. Il soggetto passionale classico- p u ò agire, ne ha facoltà, in q u a n t o in un, m o d o o nell'altro detiene u n potere. Antigone, b e n c h é d o n n a , anzi fanciulla, è in grado di
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c o n t r a p p o r r e la p r o p r i a legge a quella di Creonte p e r c h é viene ascoltata: il suo p o t e r e coincide con la sua udienza, tendenzialmente coestesa alla città. La parola passionale è sorretta dall'autorità di chi la p r o n u n c i a ; p u ò essere equivocata ma n o n sarà mai inascoltata p e r c h é le preesiste u n a condizione d'attesa: q u a l c u n o è già lì, p r o n t o ad accoglierla o a respingerla, c o m u n q u e a patirla. Se la passione è innanzitutto comunicazione, la solitudine sarà il suo p i ù efficace antidoto. Nella nostra vita sono venuti m e n o , c o m e sappiamo, i legami comunitari. N o n vi sono n e p p u r e più i luoghi della scenografia tragica: il papiazza, il bosco, il naufragio, la sala del t r o n o , il c a m p o di battaglia. Il soggetto m o d e r n o è disperatamente solo a n c h e se vive tra gli altri. Q u a n d o cerca, al termine dell'infanzia, di p r o n u n c i a r e u n a parola che spezzi gli equilìbri precostituiti, che dica di lui qualche cosa di inatteso, n o n trova u n ascolto m a u n a risposta precostituita. O g n i n o t a che fuoriesca dal coro sarà costretta a rimodularsi sec o n d o il t o n o di base da u n a serie di meccanismi che scattano quasi a u t o m a t i c a m e n t e . Poiché nessuno sarebbe più in g r a d o di cogliere la dom a n d a insita nell'atteggiamento passionale, ciascuno rim a n e arroccato- nella sua verità, senza avvedersi che- essa coincide p e r lo più con il suo interesse immediato. 11 venir m e n o dell'attesa priva la passione dello spazio nel quale p o t r e b b e manifestarsi. L'impulso passionale viene così r i m a n d a t o indietro, reintroiettato, a n c o r p r i m a di aver acquisito nozione di sé. Il senso tragico della vita è stato sostituito da quella che F r e u d chiama «infelicità comune»: un male oscuro, un d o l o r e sordo, un'insofferenza priva di oggetto, un disagio c h e n o n trova parole p e r dirsi, u n a colpa, c o m e racconta Kafka, senza peccato e senza castigo. Disagio della civiltà? Forse, ma di quale civiltà si tratta, visto che il m u t a r e delle passioni p o t r e b b e costituire il filo rosso della nostra storia? Se volessimo ricostruire, p e r ogni epoca, le espressioni delle passioni, n o n f a r e m m o che
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c o m p o r r e un catalogo universale della cultura. Ma, giunti alla contemporaneità, ci troveremmo ad aver p e r d u t o il b a n d o l o della matassa p e r c h é n o n riusciamo p i ù a in r a v vedere ì percorsi del destino, le traiettorie del desiderio che orientano i moti passionali l u n g o l'asse del t e m p o . N o n solo' l'intenzionalità è a n d a t a perduta, le manifestazioni e m o zionali stesse, espulse dalla scena del m o n d o , sono state sequestrate dal teatro tragico. Esse r i s u o n a n o nel nostro inconscio ma n o n a p p a r t e n g o n o più all'economia del nostro c o r p o né alla retorica del nostro linguaggio. Al loro posto sono subentrati i sentimenti, anch'essi composti da un impasto di pensieri e di affetti, ma più addomesticati, più idonei a convogliare le energie pulsionali nei fragili rapporti privati, d e p o t e n z i a n d o n e le cariche eversive e le espressioni eccessive. Mentre le passioni s o n o sempre gridate, anche q u a n d o la repressione le imbavaglia, ai sentimenti si addice il sussurro. Le u n e p e r s e g u o n o il m u t a m e n t o , i secondi la c o m p r e n s i o n e . Benché le espressioni passionali utilizzino le risorse espressive che ogni epoca m e t t e loro a disposizione, presentano c o m u n q u e esiti n o n prestabiliti, tratti sorprendenti, elementi creativi, I sentimenti invece, d o p o la grande elaborazione della cultura romantica, t e n d o n o a essere formulati nei codici analitici delle scienze u m a n e , che li prevedono e li «parlano» a n c o r p r i m a che siano direttam e n t e vissuti. La psicologia e la sociologia risultano, benché questa n o n sia la loro intenzione, normative in quanto descrittive. C h e la psicoanalisi n o n contempli, nel suo lessico, il t e r m i n e «passione» ci dà la misura della distanza c h e ci separa dalla classicità. U n a distanza c h e essa ha registrato' ma a n c h e , c o m e sostiene Derrida, p r o d o t t o e incrementato. Nei rapporti quotidiani, il costrutto semantico più utilizzato per descriverci è ormai quello di «personalità», dove il t e m p e r a m e n t o , le intenzioni e la biografia costituiscono un blocco immobile, del tutto opposto alla plastica dinamicità delle espressioni passionali.
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E p p u r e , n o n è possibile parlare di quell'universo c o m e di un r e p e r t o paleontologico. - Ciascuno di noi s e n t e di avere in se stesso risorse passionali ma n o n sa p i ù verso che cosa indirizzarle. Prive di m o v e n t e e di m o r d e n t e esse r i m a n g o n o vaganti, disponibili a un investimento che, p e r molti, n o n verrà m a i . - La g r a n d e narrazione del r o m a n z o , che si regge sul senso- individuale e collettivo elei destino, sembra essersi esaurita. Le nostre vite, c o m e ci mostra la letteratura minimalista, t e n d o n o a disporsi s e c o n d o u n a sequela occasionale di frammenti che n o n convergono mai in u n a c o m p i u t a seq u e n z a narrativa. M e n t r e la t r a m a classica ha u n o svolgim e n t o quasi organico, p e r cui si p u ò dire che nasce, si svil u p p a e m u o r e , quella della tarda m o d e r n i t à conosce soltanto sporadici sussulti. Se l'accadere tragico n o n lascia nulla di i m m u t a t o , il copione della c o m m e d i a m o d e r n a t e n d e piuttosto alla statica espressività della lapide. La sua forma prevalente, il m o n o l o g o , risuona c o m e un epitaffio della passione. L'Io che parla t e n d e a coincidere con l'Io c h e ascolta d o p o che lo spazio della tragedia è rimasto privo del suo eroe, il soggetto c h e vuole, e quello della comm e d i a del suo protagonista, l'individuo che sente. N o n c h e il volere e il sentire siano venuti m e n o , si è esaurita piuttosto la fiducia nelle loro capacità trasformative. T a n t o il grido eroico q u a n t o il sussurro confidente ricadono, c o m e u n ' e c o , su se stessi. Altrove R e m o Bodei parlava del presente c o m e di u n a «lacuna del tempo», e s e m b r a p r o p r i o che il rattrappirsi del t e m p o e dello spazio a b b i a n o ammutolito le manifestazioni passionali. Che cosa p u ò accadere in un m o n d o che si sente alla fine della p r o p r i a storia? E p p u r e il nostro secolo ha conosciuto le grandi narrazioni di T h o m a s M a n n , di Musil, di Proust, di Joyce. Forse esse h a n n o celebrato la fine delle passioni interattive, o m e glio la loro trasformazione in mòti dell'anima, in emozioni tenui, in un sentire che chiede attenzione, cura, t e m p o :
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p e r la lettera-e la-riflessione, spazio riservato alla condivisione. U n a condizione aristocratica c h e n o n esiste più nella civiltà dei consumi di massa, dove tutto deve essere fruibile da tutti, facilmente e in fretta, senza residui. Persino le grandi passioni politiche che h a n n o travagliato la p r i m a m e t à del '900 si sono spente senza giungere a c o m p i m e n t o , lasciando dietro di sé b a n d i e r e ideologiche emotivamente -neutre. Sarà difficile spiegare .ale nuove'generazioni il pathos evocato dai loro colori. Chi avrebbe mai detto che il m u r o di Berlino si sarebbe sgretolato sotto i riflettori, nel fragore di un g r a n d e concerto? E p p u r e il silenzio, o, meglio, il brusio c h e ha fatto seguito a tanto clamore n o n è effetto di catarsi q u a n t o di mancata elaborazione. La fiducia illuministica nel p r o gresso della storia è stata p r o f o n d a m e n t e turbata dall'em e r g e r e di arcaismi che si ritenevano ormai superati. L'identità collettiva viene sempre p i ù spesso ricercata n e l passato piuttosto che nel futuro, in simboli ad alto indice di emotività quali la fede, il sangue, l'etnia. Simboli che p e r ora dividono piuttosto che aggregare, che servono a definire il nemico più che l'amico. Di fronte al dilagare di conflitti distruttivi, privi di corrispondente mobilitazione ideologica, possiamo ancora parlare di passioni? Sì, p e r quanto riguarda le forze in causa, le energie vitali che p u r si e s p r i m o n o anche se in maniera così mortifera. No, se p e n siamo invece a un orizzonte c o m u n e di riferimento, a un codice espressivo, a u n o spazio di attesa collettivo. La realtà storica sembra dominata, in questo m o m e n t o , dall'odio che separa, frammenta, c o n t r a p p o n e , sino a polverizzare le esperienze in/gesti c h e il flusso dei mass m e d i a riflette e trasmette nei suoi circuiti a rapida sostituzione. L'eccesso di violenza, dolore, felicità, ricchezza, miseria, vita e m o r t e ha bruciato i codici comunicativi delle emozioni per cui r i m a n i a m o indifferenti di fronte ali'assemblaggio casuale dei. cadaveri martoriati con i corpi e t e r n a m e n te giovani e trionfanti degli spot pubblicitari. U n a conta-
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minazione c h e dovrebbe risultare p r o f o n d a m e n t e conturb a n t e se la soglia del coinvolgimento emotivo n o n fosse ormai divenuta così alta da proteggerci da un'inutile mobilitazione quotidiana. A n c h e le passioni civili che h a n n o animato gli anni '60 e '70' s e m b r a n o aver p e r d u t o l'impeto iniziale. I soggetti collettivi, c h e si e r a n o costituiti nella temperie delle grandi lotte p e r l'emancipazione e la liberazione individuale e collettiva» h a n n o smarrito la speranza utopica che li aggregava. L'immaginazione n o n ha preso il potere. Ciascuno di coloro che sono stati in un m o d o o nell'altro protagonisti di quelle lotte ha conservato p e r sé un frammento dei progetti iniziali senza p e r ò perseguire un disegno complessivo, trasformandoli piuttosto in u n a questione di stile, in un indice di resistenza rispetto alla omologazione dilagante. Piccoli tratti distintivi, segni di differenza, sono tutto ciò c h e resta, a l m e n o alla superficie, di un travaglio ideologico che si è pensato in termini universali. E p p u r e , n o n è l'insensibilità la cifra c h e ci contraddistingue, q u a n t o il disorientamento. Soffriamo infatti le n o stre vicende n o n m e n o di un t e m p o . La solitudine, il disam o r e , la competitività, la paura, la vanità ci bruciano dentro c o m e h a n n o sempre fatto. I libri e gli spettacoli che parlano al c u o r e fanno ancora presa su di noi, n o n o s t a n t e l'app a r e n t e cinismo. Sentiamo, nello stesso t e m p o , di essere uguali a coloro che ci h a n n o p r e c e d u t o ed e s t r e m a m e n t e diversi. Per questo riteniamo possibile u n a storia delle passioni che n o n si riduca a un lascito testamentario. Il t e r m i n e «felicità» è a n c o r a capace di convogliare grandi emozioni, b e n c h é p r o b a b i l m e n t e n o n r i v e s t a p e r noi il m e d e s i m o senso che gli attribuiva Epicuro. Allo stesso m o d o le vicissitudini degli eroi tragici ci coinvolgono, p e r quanto- sappiamo che n o n potranno' mai essere le n o stre. Gli accadimenti c h e ci c o m p e t o n o sono piccoli piccoli, sovente casuali e, soprattutto, n o n interessano a nessuno. N o n vi è, i n t o r n o a noi, u n o spazio di attesa, u n a di-
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sposizione all'accadere. C o m e osserva Castel in Lo psicanalismo, siamo l'unica società che paga delle orecchie p e r ascoltare. Abbiamo cercato di esaltare il narcisismo c o m e ultima passione, ma anch'essa è ricaduta nell'indifferenza generale. Giovinezza, bellezza, ricchezza sono sempre altrove: nello- spazio virtuale costruito dai mezzi di comunicazione di massa. Spetta ormai ai protagonisti delle telenovele vivere, in un t e m p o coesteso al nostro, le grandi passioni che furono attribuite agii dèi dell'Olimpo. Noi, che restiamo a terra, siamo invece strettì, nella morsa tra u n a oscura voglia di passione e l'incapacità di appassionarci in prima, persona. Foucault mostra, in La volontà di sapere, q u a n t e .trappole abbia teso l'800 al regime delle passioni. La famiglia, il collegio, il tribunale, l'ospedale psichiatrico h a n n o costituito luoghi di ascolto dei vissuti passionali, così c o m e un t e m p o lo era stato il confessionale. Ma m e n t r e la Chiesa ha organizzato e risolto la loro disomogeneità n e l registro del peccato e della penitenza, la cultura laica ha operato piuttosto u n a loro'ulteriore frammentazione. U n a serie di «esperti», creati ad hoc, h a n no disgiunto le rappresentazioni dalle energie passionali. Le p r i m e sono state sostituite con lessici specialistici normativi, m e n t r e le seconde sono state indirizzate verso fini socialmente utili. Tuttavia la maggior devastazione d e l l ' h u m u s passionale è stata p r o d o t t a n o n già dalla costrizione, q u a n t o dalla babele dei linguaggi che ha sostituito la plurisecolare semantica delle emozioni, dall'ingiunzione a «parlare p e r n o n dire», ad «ascoltare p e r n o n udire». A n c h e se qualcuno di noi potesse mai ritrovare l'udienza di cui le passioni necessitano, gli m a n c h e r e b b e c o m u n q u e u n a adeguata retorica emozionale. Da t e m p o i gesti, i lamenti, le posture, la mimica, le 'trame conservati n e l patrimonio letterario, teatrale, iconografico, attraverso ì quali le emozioni si traducevano in passioni, sono stati relegati nell'archivio storico del passato. Il nostro corpo è stato reso inespressivo da
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ingiunzioni minuziose c h e trasformano le manifestazioni gestuali in espressioni verbali e queste ultime in formule stereotipe. Se q u a l c u n o volesse'riattivare i repertori di un t e m p o , si troverebbe facilmente diagnosticato come pazzo, sia p u r e nella terminologia più m o r b i d a della depressione, della nevrosi, dei nuclei psicotici o autistici,, n o n c h é delle formule biochimiche della farmacologia. Rispetto alla funzione antipassionale della religione e della m o r a l e politica, la medicalizzazione è rimasta la modalità prevalente c o n cui la nostra società controlla i resid u i «irrazionali» che ancora p e r t u r b a n o u n a normalità sempre più esigente. P o i c h é si tratta di u n a medicalizzazione della m e n t e , le passioni t e n d o n o a costituire u n o stato interiore più c h e u n a forma di vita, m e n t r e le p a r o l e p e r dirle divengono s e m p r e più specialistiche, s m a r r e n d o i costratti metaforici della cultura mitopoietica. In questa prospettiva il m o v i m e n t o antipsichiatrico p u ò essere considerato l'ultima, disperata rivolta delle passioni contro la loro segregazione istituzionale, c o m e il tentativo, prematuram e n t e soffocato, di far circolare l'energia vitale dell'irrazionalità nelle esangui vene della società tardocapitalistica, finalizzata'alla p r o d u z i o n e e al c o n s u m o . • S e m b r a quasi che nella lotta plurisecolare tra passioni ed esigenze antipassionali abbiano vinto, p u r con qualche resid u o focolaio di resistenza, le seconde. E, poiché la storia viene s e m p r e scritta dai vincitori, è significativo che la genealogia della nostra civiltà si organizzi prevalentemente sull'asse della repressione passionale, sulla interiorizzazione e il controllo delle emozioni contrapposto alla loro libera e s p o n t a n e a espressione. In particolare, la teoria di F r e u d interpreta l'incivilimento c o m e progressiva rimozione dei rappresentanti pulsionali, vale a dire dei pensieri che alimentano le passioni, soffocate così a n c o r p r i m a di venire al m o n d o . U n a teoria che sarà ripresa dalla Scuola di Francoforte in termini particolarmente aspri di critica della società e della cultura e, c o m e a b b i a m o visto, da Foucault in m o d o inve-
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ce m o l t o p i ù complesso, c o m e intreccio inestricabile tra spinte passionali e antipassionali, dove dolore e p i a c e r e , attività e passività, si a l t e r n a n o e si c o n f o n d o n o . E p p u r e , t e passioni n o n sono m a i s p e n t e : n o n m u o i o n o ma si trasformano, si dislocano, si riformulano. L a ' d o m a n d a c h e si p o n e , rispetto .al presente, riguarda allora Fmdividuazione dei luoghi dove le passioni si manifestano o piuttosto si celano p u r c o n t i n u a n d o , in forme rizomatiche, la loro insopprimibile esistenza. La parola «passione» contiene in sé u n a tale sedimentazione di esperienze da evocare m o l t o più dì q u a n t o crediamo-di sapere. I- • Ed è p r o p r i o nel tentativo di r e c u p e r a r e questo patrim o n i o vitale e culturale al t e m p o stesso che dieci studiosi, di diversa a p p a r t e n e n z a disciplinare, si sono ritrovati in u n ' i m p r e s a c o m u n e : dire, i n u n d e t e r m i n a t o ambito storico e culturale, come si sìa'espressa la passione o le passioni dominanti, qua! è stato l ' e l e m e n t o che ha caratterizzato q u e l periodo»-il'fattore di trasformazione rispetto all'epoca p r e c e d e n t e e lo scarto nei confronti della successiva. Troviamo nel libro espressioni e riflessioni c h e acquistano u n a straordinaria attualità u n a volta estratte dall'archivio storico» investite da, u.n.'.inquie|udine che n o n i n t e n d e n e garsi in n o m e di un'astratta obiettività. All'interno di u n a cornice unificante, ogni autore si è sentito libero di esplicitare le p r o p r i e scelte, di seguire i percorsi di u n a riflessione strettamente connessa a un patrimonio personale di ragione e di passione. . , ' . . > •. La sequenza dei contributi si apre, come è stato ann u n c i a t o , c o n il saggio dì-Sergio Moravia, che si fa carico della d o m a n d a p i ù immediata, m a a n c h e più difficile: «Che cos'è la passione?»;.; La sua risposta contesta, il quesito stesso dimostrando" che la passione n o n è mai riducibile a un fatto, a u n a «cosa». Va intesa piuttosto come un costrutto mentale che seleziona e organizza gli eventi, in funzione di un senso più o m e n o palese. Questa definizione, che sposta l'ambito dell'indagine dall'ontologia all'ermeneutica, ;
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p r o d u c e u n a complessa fenomenologia delle passioni in cui converge, rianimata, la riflessione morale del pensiero m o d e r n o . Insofferente di ogni riduttivismo, attento a p r e servare la struttura polimorfa e dinamica del suo oggetto, Moravia delinea u n a pluralità di prospettive e formula u n a serie di quesiti volutamente aperti, che saranno ripresi, in differenti contesti, nei successivi saggi. Il p r i m o , scritto da Mario Vegetti, redige un catalogo delle passioni antiche nel quale occupa un posto p r e d o m i n a n t e l'ira, particolarmente funzionale alla costruzione del soggetto eroico. Nel m o n d o classico, privo di g r a n d i istituzioni, c o m e lo Stato, la Chiesa, la Scuola, il governo delle passioni, considerate potenzialmente disgreganti, è affidato prevalentemente a strategie dell'interiorità che si d i s p o n g o n o l u n g o tre assi principali: religioso, politico e medico. Il p r i m o persegue l'ascesi, il s e c o n d o l'autocontrollo, il terzo la salute. Ciascuno di essi organizza un m o dello antropologico che presenta elementi di continuità e di discontinuità, soluzioni e aporie, prospettive realizzate o potenziali. Riattivare quel p a t r i m o n i o di esperienza e di sap e r e ci p e r m e t t e di p e n s a r e al presente e al futuro della nostra società in un ventaglio di scelte possibili, anziché in termini di ovvietà e di necessità. La capacità di strutturare la soggettività, che il m o n d o classico attribuiva innanzitutto alla collera, spetta, n e l Medioevo, all'amore. U n a passione che, nella ricostruzione di Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, proietta sull'oggetto amato l'esperienza dell'assoluto elaborata in rapporto al divino. Attraverso la leggenda di Isotta e Tristano e la storia di Eloisa e Abelardo, possiamo scorgere gli effetti di valorizzazione dell'individuo e delia relazione uomo-donna che l'amore t e r r e n o p r o d u c e q u a n d o alla affettività verticale della fede religiosa si affianchi, c o n pari vigore, l'universo emotivo delle interazioni u m a n e . Se il soggetto medievale si definisce in r a p p o r t o alla passione dell'altro, quello tardorinascimentale, rappresentato
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da Amleto, trova piuttosto in se stesso gli elementi della p r o p r i a costituzione. Nel saggio di Nadia Fusini, la passione si colloca nel luogo c h e più le conviene, il teatro. In un p e r i o d o storico c h e scopre «altre leggi alla natura, altri princìpi alla passione», la figura di Amleto diviene emblematica di un nuovo r a p p o r t o d e l l ' u o m o con se stesso e col m o n d o . Mentre l'introspezione radica l'Io nella p r o p r i a contraddittoria interiorità, il pathos, energia propulsiva all'atto, costituisce u n a forza vitale impersonale che, nei suo irrefrenabile p r o c e d e r e , estrania l ' u o m o da se stesso. Ne esita un soggetto diviso e contraddittorio nel quale possiamo i n t r a w e d e r e , sotto le vesti dell'eroe tragico, la fragilità dell'individuo m o d e r n o . Dalle rovine della cosmologia medievale e m e r g e infatti u n a soggettività instabile e disorientata che ricerca in sé il p r o p r i o f o n d a m e n t o e lo trova n e l l ' a m o r p r o p r i o , la passione in cui Elena Pulcini (che tratta il Sei e il Settecento) riconosce la cifra della m o d e r n i t à fondata n o n più sul diritto divino ma sul riconoscimento dei diritti individuali. Il p r o b l e m a del M o d e r n o diventa quello di conciliare la legittima espressione dell'amore di sé, sia esso inteso c o m e autoconservazione o vanità, c o m e desiderio di potere o ansia di approvazione, c o m e egoismo o ricerca della felicità, con le esigenze di un o r d i n e sociale e politico che nelle passioni u m a n e trova ad un t e m p o il p r o p r i o f o n d a m e n t o ed un potenziale fattore di dissoluzione. L'assolutismo di H o b b e s e l'individualismo proprietario di Locke, la fiducia spinoziana nel perfezionamento della vita emotiva e la cond a n n a pascaliana dell'Io, l'approvazione dell'egoismo quale molla di progresso e di ricchezza nella filosofia sociale di Mandeville e Smith, n o n c h é l'ottimismo morale dei phiiosophes, costituiscono risposte diverse a questo p r o b l e m a . Ma l'idea di un soggetto capace di conciliare, sia p u r e in m o d o conflittuale, passioni e ordine, e n t r a in crisi c o n Rousseau, q u a n d o e m e r g e l'immagine narcisistica di un Io ripiegato su se stesso e indifferente al legame sociale, la
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stessa che v e d r e m o poi incurvare verso l'Io la passione romantica. Antonio Prete n o n si limita a descrivere tale passione attraverso la letteratura ma la fa vivere nella creazione poetica, l'unica capace di eternizzare l'ineffabile precarietà del sentire a m o r o s o . Si stabilisce così un nesso essenziale tra a m a r e e scrivere, tra lingua d e l l ' a m o r e e a m o r e della lingua. In questo spazio «transizionale» grandi romantici, come Goethe, Leopardi, Keats, Stendhal, Puskin, f o r m u l a n o un discorso di e sull'amore che ne coglie le manifestazioni instabili e conflittuali sino a raggiungere il f o n d o di impossibilità verso il quale convergono tanto la passione q u a n t o le sue forme espressive. M e n t r e l ' e r o e romantico «funambolico, narcisista, teatrale, malinconico», rischia di dissolversi nelle sue contraddizioni, Mario Galzigna, c o m p i e n d o un passo indietro recupera, attraverso la figura del libertino settecentesco, u n a difficile ma n o n impossibile coesistenza degli opposti. Sottraendosi al rigido dualismo cartesiano, il libertino valorizza, tanto in sé q u a n t o nella relazione, il c o r p o e lo spìrito, la pluralità e la singolarità, la precarietà di ogni a m o re e l'inestinguibilità dell'amare. La sua passione, che trova, in Diderot l'espressione p i ù alta, sarà infranta da Sade, «il Vivisettore», che consegna la dissolutezza libertina, privata delle sue c o m p o n e n t i sentimentali, al trattamento manicomiale della medicina ottocentesca. D o p o Pinel, la passione sarà infatti frammentata e immobilizzata nella nosografia psichiatrica: i suoi desideri trasformati in perversioni e i suoi gesti in sintomi. Così si presenterà a Freud, alla sua capacità di interrogarsi. Il r a p p o r t o , n o n certo esplicito, tra la psicoanalisi e l'universo passionale è individuato da chi scrive nella «passione della conoscenza», colta in tre «stati» differenti ma destinati a coordinarsi nella vita e nell'opera di Freud. ••• Passione attiva quella del sapere e r m e n e u t i c o , totalizzante, trasformativo della kabbalà, che ispira gli aspetti più
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peculiari dell'impresa psicoanalitica. Passione passiva, nel senso etimologico del «patire», quella dell'isterica, i cui enigmatici sintomi c o n d u r r a n n o lo scavo analitico sino alle inconsce sorgenti passionali del conflitto edipico. Passione eccessiva quella che ispira l'ultima g r a n d e o p e r a di Freud, L'uomo Mose e la religione monoteistica, dove si prefigura l'intolleranza della 'mediazione-e del limite che attualmente contraddistingue' la ricerca tecnico-scientifica. L'insofferenza femminile, che la psicoanalisi ha riportato alla d i m e n s i o n e del discorso, si ripropone ora come «passione della differenza». Nell'analisi di Adriana Cavarero, lo sforzo delle d o n n e di ridefinire il p r o p r i o sesso si configura p e r prima cosa c o m e rifiuto di riconoscersi nelle immagini predisposte dalla cultura androcentrica, espressione del desidèrio maschile mascherato sotto le forme della necessità naturale. In questa impresa, ad alto rischio di dispersione, l'Io c o r p o r e o diviene il p e r n o dell'esperienza passionale, il nucleo originario i n t o m o al quale organizzare u n a nuova configurazione della femminilità. L'obiettivo, a n a l o g a m e n t e a q u a n t o accadde nell'esperienza mistica medievale, richiede un i m p e g n o paradossale, c h e affida alla nullificazione dell'Io- l'affermazione di sé sino a giungere, come esplicita la poetica di Lispector, al tessuto presoggettivo della vita. Da q u i , dove il finito' sorge dall'indifferenziato, p r e n d e le mosse la parte propositiva della passione della differenza sessuale, quella che i m p e g n a ciascuna a «costruire u n a soggettività c h e è p u n t o di intersezione tra sfera fisica e simbolica, tra m e m o r i a e progettazione, tra condizione sociale e scommessa di libertà». Infine, R e m o Bodei affronta le m o d e r n e passioni politiche, intese come cartina di tornasole della vita civile. Identificate in base al loro simbolismo cromatico, esse delimitano aree esistenziali ove il sentire individuale si intreccia c o n quello collettivo, il sapere teorico c o n le espressioni del senso c o m u n e . Attraverso l'analisi delle passioni rosse (del socialismo), n e r e (del nazifascismo) e grigie
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(della democrazia liberale), Bodei costruisce u n a inedita m a p p a politica dell'Occidente dove ogni regione è distinta dalle altre ma inseparabile dall'insieme. La sua cartografia, invece di limitarsi ad accostare superaci cromatiche diverse, le a n i m a con le tensioni p r o f o n d e degli istinti, con le spinte dei desideri, con la creatività dell'immaginario, c o n la forza della violenza e della persuasione, con le pulsioni di vita e di m o r t e che si c o n t e n d o n o la storia. Nello scontro tra passioni rosse e n e r e tutto sembra differente fuorché l'intensità con la quale furono vissute. Intensità c h e a p p a r e invece sbiadita n e i desideri m o d e r a t i del «materialismo onesto», nelle promesse inappagate del consumismo' di massa. Ma a n c h e attraverso la loro a p p a r e n t e scomparsa, le passioni n o n cessano di interrogarci, di provocarci, c o m e questo stesso libro dimostra. Dato l'alto indice di perturbazione che le contraddistingue, la loro rievocazione n o n p u ò certo tradursi in u n a ricostruzione sistematica. La narrazione procede piuttosto p e r p u n t i di intensità, p e r salti di potenziale, p e r dislocazioni inattese. O g n i autore ha attivato gli interrogativi che più gli stavano a c u o r e , i n n e r v a n d o con le proprie passioni il materiale passionale indagato. Gli stili s o n o volutam e n t e difformi, i livelli d'indagine n o n sempre comparabili, i percorsi eterogenei. Ciò c h e unisce i diversi contributi è soprattutto il rifiuto dell'ovvio, la pratica della dom a n d a , il gusto della scoperta e della provocazione, il coraggio della proposta. La posta in palio è la c o m p r e n s i o n e di ciò che siamo diventati, nelle forme attuali della nostra cultura e della nostra esperienza, e - ciò che p i ù c o n t a - la ricerca delle energie e degli orizzonti c h e p o t r e b b e r o consentirci di disegnare, u n a volta ancora, un futuro possibile e desiderabile.
STORIA DELLE PASSIONI
ESISTENZA E PASSIONE di Ser.gio Moravia
a Simona
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La passione come apparato significante '•' C r e d o che la p r i m a reazione in chi è chiamato a parìare delle passioni sia u n a specie di scoramento. In effetti, ci si accorge subito che d i c e n d o 'passione' si designa u n a g a m m a terribilmente estesa e generica di referenti. Coll'aggravante che molti di questi referenti si situano nelle stesse sorgenti primarie, archetipiche della tradizione intellettuale d'Occidente. Come il Logos, il Corpo e l'Anima, la Passione ha attraversato tutta questa tradizione, modulandosi - e m o d u l a n d o l a - nei termini più diversi. Vi è stata presente sia q u a n d o la cultura ufficiale l'ha accolta e legittimata, sia q u a n d o è stata svalutata, biasimata, c o n d a n nata. A n c h e in quest'ultimo caso, qualche bisogno o qualc h e sito oscuro del sentire u m a n o l ' h a n n o segretamente accolta - ed essa, ospite spesso invisibile, ha continuato ad esserci, obbligando l'intera esperienza a confrontarsi con le sue istanze. Lma delle conseguenze di ciò è l'impossibilità di parlare della passione in termini r e a l m e n t e liberi. Chi p r e s u m e di dire la passione in m o d o 'assoluto'-, -cioè i n d i p e n d e n t e da qualsiasi legame, sicuramente sbaglia. E ignaro di tutta la sedimentazione dottrinale ed emotiva che il passato gli ha trasmesso, e che fa ormai parte di lui stes-
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so e di certi presupposti dei suoi discorsi a n c h e p i ù razionali e scientifici. Ma, in tema di errori preliminari, sbaglia a n c h e e sop r a t t u t t o chi vorrebbe parlare della passione come fatto. Molti p e n s a n o che la passione sia u n a realtà a suo m o d o oggettiva, c o n la sola peculiarità (non di rado vivamente deprecata) di abitare e n t r o il complesso universo del soggettouomo. N o n è vero. La passione n o n esiste. N o n esiste, voglio dire, nel m o d o in cui esiste u n a 'cosa* - sia p u r e u n a 'cosa' interna a noi. Nessuno ha mai colto esaustivamente la passione e s p l o r a n d o l'essere u m a n o con strumenti tecnici q u a n t o si voglia sofisticati. E in verità ciò s o r p r e n d e assai poco. Presto, assai presto, ci accorgiamo infatti che la 'passione' è, in prima approssimazione, u n a parola, un concetto. E, p i ù esattamente, un costrutto teorico, connesso a matrici e fini plurimi, c h e l ' u o m o applica a u n a determinata area di vissuto p e r evidenziarne certi tratti e d a r l o r o un significato, u n a voce. Se ci si riflette b e n e , questa acquisizione è tutt'altro che sterile o banale. Dire che la passione è u n a p a r o l a / c o n c e t t o anziché u n a cosa implica lo spostam e n t o della nostra indagine dal p i a n o dell'ontologia al piano dell'ermeneutica. Implica sostituire la d o m a n d a 'che cosa è la passione?' con la d o m a n d a 'di che cosa parla la passione?'. O p p u r e : 'quali classi di eventi e di sensi la figura della passione i n t e n d e esprimere?'. E soprattutto: ' p e r c h é , cioè s e c o n d o quali moventi e quali obiettivi, l ' u o m o elabora u n a parte della p r o p r i a esperienza in r a p p o r t o alla nozione di passione?". S e c o n d o questa prospettiva, la passione (beninteso n o n solo essa) è essenzialmente un grande- apparato significante. E a n c h e , p e r riprendere u n a metafora cara a Richard Rorty, un certo «vocabolario». Un vocabolario, si badi, che n o n viene considerato l'unico in g r a d o di descrivere o giudicare determinati referenti, e c h e n o n p r e t e n d e alcuno statuto privilegiato. Ma purtuttavia un vocabolario che, in determinate circostanze, viene preferito a quelli disponibili.
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Evidentemente il m o d o in cui esso dice la nostra esperienza appare meglio r i s p o n d e n t e a esigenze e finalità p e r noi in quel m o m e n t o più rilevanti di altre. Un vocabolario, infine, che a sua volta si correla a b e n precisi presupposti esterni a quel lessico. Sono, nel caso che ci interessa, presupposti psicologici, antropologici, sociologici, filosofici. Come dire che, se io uso un certo vocabolario, ho già tacitam e n t e adottato u n a certa pre-interpretazione del mio self interiore, del mio agire sociale e delle o p p o r t u n i t à che questo m i o essere/agire h a n n o di dar senso a u n a p a r t e di m o n d o — o di modificarne la percezione mia e di altri. U n a p r i m a implicazione di questo approcciò alla passione è l'assunto della sua n a t u r a i n t i m a m e n t e semantica., o semantizzatrice. U n a seconda implicazione, che mi p r e m e ancora di più, è l'assunto della sua metamorfica storicità. N o n esistono, malgrado labili indizi in contrario, passioni universali-eterne. Q u a n d o ne parliamo in termini di questo tipo, o p e r i a m o di solito vertiginose astrazioni e generalizzazioni, c h e d i c o n o insieme t r o p p o e t r ò p p o p o c o sulle passioni cui ci stiamo riferendo effettivamente. In verità, se è innegabile che i linguaggi cambiano, altrettanto innegabilm e n t e cambiano i linguaggi delle passioni (o le passioni come linguaggio). Per questo, fatta salva la legittimità di accertare le relative invarianze di alcune passioni, a p p a r e cruciale esaminare le ragioni e i m o d i del loro m u t a m e n t o . N o n solo p e r mostrare questo stesso m u t a m e n t o , e il sotterraneo trasformarsi dei modelli psico-antropologici che le ispirano: ma anche colFobiettivo di evidenziare che le passioni, app u n t o , si modificano. Che sono intrecciate col nostro destino di u o m i n i mutevoli e «cercanti» (per usare la bella espressione di Robert Nozick), coinvolti in un destino storico il quale, trasformando i nostri criteri e bisogni, trasforma del pari i nostri desideri e passioni. Che p e r t a n t o n o n sono, queste ultime, degli Assoluti-abitanti, in un I p e r u r a n i o l o n t a n o . Che soltanto se colte nel loro divenire aperto, imprevedibile, al di là degli statici a p p r o d i del Bene e del Male esse con-
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Storia delle passioni
servano la loro cifra sommovitrice (passione c o m e emozione e, a p p u n t o , sommovimento) e la loro natura, u m a n a molto' u m a n a , che a noi sta a c u o r e .
La corporeità delle passioni e il loro 'oltre ' Q u a n t o p r e c e d e mostra, tra l'altro, che la prospettiva definita e r m e n e u t i c a è b e n lungi dal voler semplificare il p r o b l e m a delle passioni. Essa mira anzi ad evitare un approccio riduttivo, m o n o c o r d e a tale problema. L'interpretazione della passione, c o m e apparato significante connesso a interessi e finalità molteplici stimola infatti ad ammettere, e a compiere, letture diverse delle passioni stesse: letture che, p u r p u n t a n d o a dire la-verità sulle passioni, n o n p r e s u m o n o di dire l'unica verità su di esse. L'interrogazione p i ù p r o p r i a della p r o c e d u r a e r m e n e u t i c a è del tip o : ' p e r c h é si parla di un d e t e r m i n a t o a r g o m e n t o in un determinato m o d o ? ' . E a n c h e : ' c h e cosa questa modalità di parlare ci dice del soggetto che così parla, e dei suoi presupposti e credenze generali?'. Alla luce di tale premessa, lo studioso dovrebbe riesam i n a r e le principali d o m a n d e / r i s p o s t e sulla n a t u r a delle passioni, sìa p e r coglierne il senso e le implicazioni, sia p e r c a p i r e che cosa si esprime in esse di più generale e profond o (riguardante, a d esempio, u n a d e t e r m i n a t a auto-interpretazione dell'uomo:, e. del sapere c h e lo c o n c e r n e ) . Impossibile, ovviamente, c o m p i e r e qui u n a ricognizione sistematica di questo tipo. Mi vorrei limitare ad accennare ad u n a interpretazione della passione c h e chiamerò, in modo l a r g a m e n t e approssimativo, fisicalistica. Per essa la passione si inserisce tutta, senza residui dì sorta, e n t r o la dim e n s i o n e c o r p o r e a d e l l ' u o m o . Correlativamente, il solo sap e r e legittimato a dire rigorosamente le passioni è quello costituito dalle n e u r o - e dalle bio-scienze. Sulle prime, riconosciamolo, il q u a d r o teorico in cui 'tale interpretazione
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viene inserita p a r e diffìcilmente contestabile. N o n è forse vero, oggi, nell'età della secolarizzazione e della scienza deg n a di questo n o m e , c h e l ' u o m o è f o n d a m e n t a l m e n t e corporeità? C h e tutte le sue presunte c o m p o n e n t i *altre' (anim a , psiche...) sono state relegate nell'armadio delle vecc h i e speculazioni metafisiche? E c h e d u n q u e la passione deve essere ripensata nel contesto dì questa immagine 'corporeistica' d e l l ' u m a n o ? Certo, q u a l c u n o p o t r e b b e osservare che le premesse di cui sopra sono assai più debitrici di q u a n t o sembri p r o p r i o del m o d o di p e n s a r e metafisico che si era voluto bocciare. Quel ' c o r p o ' e quel ' n o n - c o r p o ' di cui p a r l a n o n o n sono, presi di p e r sé, assai dubbie astrazioni? N o n a p p a r t e n g o n o a un pensare p e r dicotomie e universalia di cui la 'vera' Scienza - e con essa anche la ' b u o n a ' Filosofia - n o n sanno che farsi? Ma lasciamo p u r e da parte queste questioni (che p u r e sono ancora in attesa di risposta). Sottolineiamo, invece, che la lettura della passione di cui sopra n o n deve suscitare un rifiuto categorico. Potrebbe infatti trattarsi di un'interpretazione lecita e a n c h e fruttuosa. Nessuno, oggi, nega seriamente la stretta relazione tra c o r p o e passione. Quest'ultima, anzi, sembra p r o p r i o essere la manifestazione più immediata del p r i m o : l'espressione che salta le mediazioni e i détours costruiti in altra sede p e r e s p r ì m e r e direttamente le 'voci di d e n t r o ' che pulsano in noi. Cion o n o s t a n t e , a n c h e ammesso tutto, ciò (e q u a n t o si potrebbe aggiungere a tale proposito), a molti pare che l'intera faccenda vada accostata con più cautela. Se ci si p e n s a b e n e , ciò c h e noi viviamo e n o m i n i a m o come passione n o n sì identifica c o m p l e t a m e n t e c o n nessun pezzo di corporeità: con nessun processo neuropsìcoiogico e / o biochimico. È vero che se alteriamo tali processi anche la passione ne risente (cresce, decresce, cambia, si a n nulla). Ma è altrettanto vero c h e se q u a l c u n o volesse cogliere la passione d ' a m o r e con s t r u m e n t i esclusivamente fisici coglierebbe n o n tanto quella passione, coi suoi con-
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notati e sensi specifici, q u a n t o u n a d e t e r m i n a t a situazione neuropsicologico-biochimica: u n a situazione che di' p e r sé n o n rivela l'effettiva identità psicologica, antropologica, relazionale di tale passione, n o n c h é le promesse* de bonheur (o de malheur), c h e p u r e , nella nostra concreta esperienza, fanno p a r t e n o n accessoria ma costitutiva di essa. Ciò n o n "implica in a l c u n m o d o , si badi, la reintroduzione nel discorso sulla passione di elementi spiritualistici o metafisici. Di recente, n o n è stato un metafìsico ma u n o scienziato c o m e il n e u r o b i o l o g o Jean-Didier Vincent a p r o p o r r e un'interpretazione delle passioni in termini n o n riduttivamente fisicalistici. Per Vincent le passioni n o n implicano soltantol'esistenza di un attivo milieu mtérieur, un sistema di ghiandole i m p e g n a t e nella p r o d u z i o n e di s e m p r e nuovi e «fluttuanti» equilibri e n t r o l'organismo u m a n o (questo modello- di « u o m o ghiandolare» è convincentemente contrapposto all'assai più semplificato e deterministico modello dì «uomo n e u r o n a l e » proposto da Jean-Pierre C h a n g e u x ) . Esse implicano a n c h e l'esistenza di un insieme di referenti che Vincent chiama «extracorporei». Quest'ultimo termine p u ò n o n piacere, e p u ò generare q u a l c h e equivoco. In realtà basta leggere con attenzione l'opera d e l o studioso francese (intitolata, si badi, Biologia delle passimi) per constatare che questi è b e n lungi dal voler costruire ontologie binarie o triadiche à là manière- de un Popper-Eceles. Sulla scorta delle sue indicazioni, p o t r e m m o chiamare "extrac o r p o r e o ' l'universo di quei correlati intenzionali, contestuali, simbolici, normativi senza i quali determinati fenom e n i restano delle m e r e pulsioni fisico-somatiche, prive di qualsiasi effettiva connotazione passionale. Sì p r e n d a , n e l ' a m b i t o della vita c h e ci ostiniamo a chiam a r e psichica, il caso della credenza. I n d u b b i a m e n t e la sua genesi e il suo sviluppo s o n o legati all'attivazione di determinati agenti di tipo fisico. Ma la credenza reale, la credenza quale n o i la esperiamo c o n c r e t a m e n t e , n o n è mai solo questo. Noi, ad esempio, esperiamo la credenza c o m e ere-
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denza in qualcosa, c o m e stato da r a p p o r t a r e a un certo ordine di aiteri e diurni, c o m e condizione indissolubilmente intrecciata a eventi e domande altre (in particolare alla d o m a n da sulla giustezza della c r e d e n z a ) . O r b e n e , un discorso analogo vale anche p e r la passione. Q u a n d o il sociobiologo Edward O. Wilson sostiene c h e la competitività (una passione tortissima, c o m e o g n u n o sa) è p r o d o t t a da un determinato gene, sentiamo che la tesi è insoddisfacente. Certo, è possibile che ogniqualvolta si p r o d u c e u n o stato competitivo vi sia, dietro (o ' d e n t r o ' ) , l'azione di certi geni. Ma è altrettanto certo c h e la competitività n o n mi appare tale fuori da u n a precisa rete di riferimenti comportamentali, etici, assiologia., relazionali. O r a questa rete, se i n d u b b i a m e n t e n o n i m p o n e l'esistenza di principi/valori spirituali, altrettanto i n d u b b i a m e n t e n o n coincide con eventi e processi strettamente fisici. Rimanda, invece, a un contesto- lato sensu culturale. È solo all'interno di u n ' i n t e r p r e t a z i o n e storicam e n t e d e t e r m i n a t a dell ' e ssere./ agire u m a n o e di un sistema di n o r m e parimenti d e t e r m i n a t o c h e diventa possibile parlare della competitivita: tanto è vero che, c o n b u o n a p a c e di certi bio-antropologi e di certi etologi, ciò e h ' è dato cogliere r e a l m e n t e è n o n già la competitività in « q u a n t o diverse forme di c o m p o r t a m e n t i competitivi, connessi a p p u n t o a premesse e criteri e s t r e m a m e n t e differenziati (per cui u n a condotta percepita c o m e competitiva in u n a certa area socioculturale p u ò essere percepita in m o d o c o m p l e t a m e n t e diverso in u n ' a l t r a area)... Tutto ciò ha un rilievo cruciale nell'analisi di qualsiasi atto o stato a p p a r t e n e n t e all'universo u m a n o , ivi incluse quelle che chiamiamo passioni. Sarà n o n tanto la cosa stessa (l'atto, lo- stato) q u a n t o il particolare interesse cognitivo col quale la accostiamo che ci spingerà ad accentuare questa o quella tra le varie c o m p o n e n t i - in realtà inestricabili co-operanti in ciò che i n t e n d i a m o esaminare. Su un p i a n o generale, ciò c h e ci consentiamo a proposito del t e m a da cui siamo partiti ('corporeità' ed "extracorporeità' dei co-
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istituenti delle passioni) è solo il suggerimento che geni, sinapsi n e u r o n a l i , processi biochimici e q u a n t ' a l t r o s o n o essenzialmente condizioni necessarie..per il prodursi degli stati passionali: necessarie nel senso p r e g n a n t e che sono indispensabili, e c h e c o n c o r r o n o attivamente a tale produzion e . N o n sono peraltro condizioni sufficienti: nel senso che, a l m e n o e n t r o determinati p r o g r a m m i di ricerca, a p p a i o n o altrettanto necessari altri referenti qualificativi,, oggetto di indagini n o n coincidenti con quelle-di tipo-tisico. In effetti, a n c h e la c o m p r e n s i o n e del desiderio e del progetto più elem e n t a r e ( m a esistono desideri e progetti r e a l m e n t e 'elementari'?) richiede il coglimento di schemi assiologico^-iàtenzionall agenti sia. nella storia soggettiva c h e nella dimens i o n e contestuale dell'individuo, desiderante-progettante. Allo stesso m o d o , l'analisi della passione n o n p u ò certo esaurirsi nell'analisi q u a n t o si voglia rigorosa di d e t e r r a i nate eccitazioni nervose. Essa reclama invece il coglimento di u n a gamma-assai complessa di disposizioni, moventi, costellazioni di significati disponibili nella -Lebenswelt dell'individuo appassionato, e da quest'ultimo miscelati sec o n d o modalità difficilmente riassumibili in cataloghi invaiianti-apriori. Insomma, nulla di q u a n t o si manifesta nell'ordine dei segni passionali visibìli si racchiude semantic a m e n t e in quello stesso o r d i n e . Dietro/dentro di esso v'è tutto'-un fervere di componenti'-che ci obbliga-a includere nell'interpretazione dell'universo passionale tanti riferim e n t i p e r così dire meta-naturali: riferimenti c h e si è solit i c h i a m a r e , i n m o d o u n p o ' generico, 'culturali'.
L'interpretazione fisicalistica: ragioni teoriche e genealogia storica A qualche studioso è parso che l ' o r i e n t a m e n t o qui rap i d a m e n t e evocato prospetti un approccio alla passione a p e r t o a interpretazioni fruttuosamente larghe, stimolanti della passione medesima. È invece un fatto che l'indirizzo
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da noi d e n o m i n a t o fisicalistico ha assunto un atteggiam e n t o b e n diverso nei confronti del tema che ci interessa. Per condensarlo in u n a formula certo, tranchante ma n o n inesatta, si tratta di un atteggiamento ispirato al principio definito (e criticato) vari a n n i fa da un filosofo della m e n te americano c o m e principio della nothingbutness: il principio del ' n u i r a l t r o c h e ' . E, per chiarire, la tesi secondo cui l ' e n u n c i a t o 'la passione è X' significa n o n già (come p u r p o t r e b b e ) la passione è. tra le tante altre cose, anche X', b e n s ì ' J g passione è nuli'altro cheX'. Altrove ho indicato in tale tesi u n o dei fondamenti di u n a «epistemologia al singolare»: nell'universo del conoscere n o n si dà che una verità, n o n si dà c h e un asserto vero (vero, si badi, indipend e n t e m e n t e dai contesti interrogativi e dai p r o g r a m m i di ricerca riferentisi all'oggetto di studio). L'ulteriore caratteristica dell'indirizzo da me criticato è poi che tale interpretazione 'singolaristi t a ' \ i e n e solitamente declinata in termini materialistici. A questo p u n t o , la formula 'la passione è X' a p p a r e traducibile nell'ulteriore formula 'la passione è nuli'altro che un fatto fisico-materiale'. A tale posizione, p u r variamente modulata, sono giunti i più diversi scienziati. N o n è, come già accennato, u n a posizione priva di certi supporti fattuali e di u n a sua logica: è solo, ripetiamolo, u n a posizione e s t r e m a m e n t e riduttiva, che costringe la ben più complessa fenomenologia della passione entro binari t r o p p o stretti. Di fronte alla p e r e n torietà di questo o r i e n t a m e n t o appare necessario n o n solo ricordare tutti gli altri 'fatti' che in tale prospettiva vengo-no pericolosamente ignorati, ma a n c h e ri-assumere, su un piano più generale, un atteggiamento ermeneutico, e porsi d o m a n d e di questo genere: qua! è il significato complessivo dell'opzione singolaristico-materialistica evocata sopra? A quali bisogni profondi cerca di rispondere? A quali obiettivi finali t e n d e , magari inconsciamente? " La risposta può'essere, a n c h e a costo di inevitabili semplificazioni, riassunta -nel m o d o c h e segue. Dietro il -modus
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operandi dell'opzione fisicalistica si profila anzitutto un desiderio di controllo delle passioni: un desiderio n o n tanto di eliminarle (sarebbe un'astratta e inutile utopia) ma di 'urbanizzarle', p e r riprendere un b e n n o t o concetto-metafora di H a b e r m a s . La passione, infatti, è in primissimo luogo un e l e m e n t o di perturbazione, è anzi il P e r t u r b a n t e p e r eccellenza. Perturba e spaventa p e r la sua complessità e potenza, e a n c o r p i ù p e r la sua refrattarietà ad essere tenuta sotto vigilanza, o e n t r o u n a sequenza ragionevole di causeeffetti. O r b e n e questo controllo, questa urbanizzazione v e n g o n o perseguiti ri-(con)-ducendo il più possibile la dim e n s i o n e passionale e n t r o l'alveo c h e a p p a r e il più tranquillo, il più ruk-governed. Ci riferiamo all'alveo, all'universo della fisicità. Per ragioni più storiche che teoriche (nessun Destino ha imposto all'umanità d'Occidente di compiere certe scelte) tale universo è stato percepito e concettualizzato secondo i metacriteri della visibilità, dell'or dine, della n o r m a . E un universo che, accostato secondo determ i n a t e p r o c e d u r e , esibisce sicure regolarità, ubbidisce a leggi relativamente standard. Se questo è vero, c h e cosa ci p u ò essere di più rassicurante che inserire la passione entro l'universo fisico espresso, nel caso di specie, dalla corporeità u m a n a ? La passione, a questo p u n t o , diviene u n a c o m p o n e n t e relativamente familiare della nostra esperienza. Risulta anzitutto visibile (o a l m e n o così p a r e ) . Diventa magari a n c h e quantificabile. Diviene, soprattutto, qualcosa di governabile e di manipolabile - come tutti gli enti fisici. Ben lungi dall'essere eccedenza, eccesso, anomalia, la passione viene a configurarsi c o m e u n a variabile, certo talvolta un p o ' inconsueta, di un sistema di eventi dei quali si conoscono da t e m p o l'essere e il divenire. La passione, insomma, abband o n a la sua vecchia fisionomia di e m o z i o n e soggettiva p e r e n t r a r e nel novero di determinati dinamismi oggettivi. Separata dal soggetto passionale, diventa a p p u n t o un objet un
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objet situato e n t r o l'arco di m o n d o (o di vissuto) sorvegliato dal Logos. Questo Logos n o n è u n a figura astratta. È q u e i r Homo cogitans e calculans venuto p r e p o t e n t e m e n t e alla ribalta soprattutto a partire dall'età della rivoluzione scientìfica. N o n già che p e r tale U o m o la passione n o n esistesse. Si voleva (egli voleva) semplicemente che esistesse in un certo mod o : in un m o d o rispettoso, inoffensivo. In un m o d o , quanto m e n o , consonante con le funzioni del Pensiero e del Calcolo. Per questo, ripetiamolo, la passione nel '500 n o n è stata affatto negata. La si è, invece, razionalizzata. La si è separata da certe matrici considerate t r o p p o aliene e incomprensibili: matrici di frontiera, matrici n o m a d i , matrici ribelli. Si è cercato di racchiuderla e n t r o precise architetture anatomiche, o entro processi di cui si credevano di conoscere in anticipo regole e sbocchi (e se alcune passioni i m p o n e v a n o la loro eccezionalità, e b b e n e n o n è forse vero che l'eccezione conferma la regola?). A n c h e nell'ambito artistico-letterario la passione seicentesca ha sì spesso un'allure serio-tragica: ma quasi altrettanto spesso ( n o n s e m p r e , è chiaro) quell'esprit de sérieux e de tragique viene incluso, direttamente o indirettamente, e n t r o categoremi etico-psico-antropologirì - chiamiamoli i categoremi della Classicità — che ne m o d e r a n o , deformandolo, il p a t h o s autenticamente passionale. Ma è soprattutto in ambito filosofico c h e la passione seicentesca conosce la sua neutralizzazione p i ù radicale, o la sua p i ù alta sublimazione (i d u e percorsi sono in realtà p e r p i ù versi simili: il loro traguardo è, a mio avviso, un sostanziale esorcismo della passione). Per il p r i m o caso penso a Cartesio, p e r il secondo a Spinoza. Nelle Passioni dell'anima quegli che amava chiamarsi il filosofo «mascherato» ci offre, p e r dirlo in m o d o un p o ' r u d e , tutto ciò che della Passione è irrilevante, o strumentale, o 'vettoriale'. L'apparato tecnico p e r l'esercizio della vita passionale ci viene offerto con g r a n d e dovizia di particolari (incidental-
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m e n t e : c o m p l e t a m e n t e sbagliati; ma non è certo' questa la principale fante à Descartes). Ciò che invece m a n c a è la passione stessa: m a n c a l'elemento realmente peculiare, differenziale, inquietante, a rischio, della vita appassionata. Grazie alle Passioni dell'anima qualcuno ritenne di avere Finalm e n t e d o m a t o ( d o m a t o fisicalizzandole) le passioni. Di poterle q u i n d i seguire passo passo, e in ogni loro vicenda, attraverso un Logos osservativo-analitico cui nulla sfugge, e che tutto sa ricondurre dal p i a n o di certe sembianze intrise di sensi molteplici e ambigui a u n a fisica cinematica more geometrico expticata. In realtà tale coglimento, apparentem e n t e esaustivo e rigoroso, afferra n o n tanto le passioni in quel poco o molto c h e o p e r a n o nella nostra esperienza-vissuta, q u a n t o (nell'ipotesi migliore) dei m e r i simulacri, dei modelli ideali di esse. Dei modelli c h e in verità, invece di esprimere gli effettivi qualia passionali, sono poco-più c h e la proiezione, su un d e t e r m i n a t o schermo rappresentativo, dello stesso Logos recitante la parte, in carpare physko, della passione. Ma la vera Passione, naturalmente, è altra, e •'altrove. • Il discorso' sulle passioni in-Spinoza dovrebbe svolgersi s e c o n d o un percorso molto diverso da quello a p p e n a seguito p e r Cartesio — a n c h e p e r c h é Spinoza è, in quest'ambito, infinitamente più ricco e nuance dell'autore delle Passioni dell'anima. Tuttavia, p e r i particolari fini c h e qui ci interessano, a l m e n o alcuni risultati n o n cambiano. Ancora una volta ci 'troviamo di fronte a un q u a d r o della,'vita passionale i n d u b b i a m e n t e n o n tutto da accantonare, ma altrettanto i n d u b b i a m e n t e m o l t o riduttivo. Passioni ridotte, di nuovo, a espressioni di un Logos. Passioni c o m e clavicembali ben temperati; Passioni c o m e parvenze e veicoli di -Un'Armonia che-ci trascende — e n o i d o v r e m m o lasciarci guidare da essa senza ascoltare le nostre così dissonanti e diverse 'voci di d e n t r o ' . I n s o m m a nel "800 l'Ordine regna Sulle passioni. Appetiti, pulsioni, istinti, protensioni- irresistibili verso l'altro e Foltre ì n t r a m o n d a n o s o n o - s p e s s o igno-
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rati, taciuti o interpretati s e c o n d o prospettive variamente idealizzate. U n a delle tesi p i ù o m e n o s o t t e r r a n e a m e n t e ricorrenti è che la passione è altro da quel c h e sembra: n o n u n a forza oscura dai complessi natali e dalle n o n m e n o complesse implicazioni, ma u n a forza virtualmente oggettivata o oggettivabile, de-limitata, sotto controllo - e, soprattutto, inserita in un syst'eme che tutto razionalizza o giustifica in r a p p o r t o a determinati principi precostituiti.
La 'cultiiralìtà' della passione Naturalmente quello che p o t r e m m o chiamare il paradigma seicentesco delle passioni n o n solo a m m e t t e molte eccezioni ma ci s e n e essenzialmente p e r q u a n t o suggerisce su t e n d e n z e e bisogni m o l t o p i ù vicini a noi nel t e m p o . Il p u n t o è c h e ancor oggi l'esigenza di visibilizzare, quantificare, normalizzare a n c h e il m o n d o psico-antropologico appare assolutamente centrale. Cerchiamo, oggi c o m e ieri, di rassicurarci. Di immaginarci u n a regolarità a n c h e , e soprattutto, là dove s e m b r a n o r e g n a r e la complessità e il caos. E p r o r i a m o a realizzare questa regolarità reinterpretando gli agenti di tale caos/complessità - a cominciare dalle passioni - c o m e c o m p o n e n t i del tutto naturali della nostra esperienza. La natura, evidentemente, rassicura più della cultura. S e n o n c h é noi n o n siamo solo gli eredi della rivoluzione scientifica. Abbiamo letto altri testi, vissuto altre esperienze, sofferto dubbi e crisi p r o f o n d e . U n a riflessione p i ù fine e p e n e t r a n t e ci ha reso consapevoli che la passione p o t r e b b e essere qualcosa di infinitamente p i ù problematico di quanto la p r e c e d e n t e narrazione aveva raccontato. Abbiamo allora voluto rivisitare l'universo passionale in u n a nuova prospettiva, secondo nuovi interrogativi e nuovi criteri. In p r i m o luogo, rista la forza del trend naturalistico, d u e parole sulla 'culturalità' della passione. In verità alcuni cen-
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ni a questo riguardo sono già stati, forniti., e q u i n d i il discorso p o t r à essere assai breve. La passione è certo natura, è certo (lo si è detto) voce, linguaggio del corpo: ma n o n è soltanto questo. N o n bisogna confondere passione con pulsione. Quest'ultima è espressione immediata dell'organismo somatico: dei .suoi- appetiti, e bisogni istintuali. La prima è invece il p r o d o t t o di u n a complessa, enigmatica, relativamente imprevedibile elaborazione, l'elaborazione di un bisogno che t e n d e a un determinato' fine selezionandolo tra varie offerte disponibili. In effetti, n o n ci si appassiona p e r n 'importe quoi. La passione è in larga misura il frutto di u n a scelta c o m p i u t a nelle profondità del nostro essere. Si tratta di u n a scelta a l m e n o inizialmente inconsapevole, ma che poi, crescendo, acquista u n a s e m p r e maggior intenzionalità cosciente. Il soggetto appassionato costituisce, definisce, affabula s e m p r e più attivamente (e arbitrariamente) il suo objet depassion. Ed è a partire da questa fase che intervengono gli elementi 'culturali'. Essi si c o n n e t t o n o al fatto c h e il soggetto in questione n o n sviluppa la sua passione in u n a sorta di vuoto p n e u m a t i c o . Al contrario, la passione cresce e si determina in u n a realtà fittamente popolata. I suoi abitanti son o , a p p u n t o , abitanti 'culturali': segni, simboli, m e m o r i e , attese, regole, valori. Ben lungi dal p o t e r p r o c e d e r e in modo autopoietico, la passione deve attraversare questa realtà, deve incontrarsi e scontrarsi con questi abitanti. Anzi è prop r i o dal cimento con loro che la passione acquista quella fisionomia s e m p r e più n e t t a cui segretamente aspirava. Così, ad esempio, la passione d ' a m o r e si precisa intrecciandosi coi molteplici 'stili' che la tradizione culturale m e t t e a nostra disposizione (si a m a anzitutto s e c o n d o un'inclinazione personale, ma a n c h e , e p i ù di q u a n t o n o n s'immagini, p e r l'influenza di vari modelli: il 'modello-Petrarca', il 'modelloSade', il 'modello-Proust'...). A n c h e la passione civile assume il suo volto più m a t u r o abbeverandosi- alle diverse sorgenti offerte, di nuovo, dalla tradizione culturale. È c o m e se l'individuo vocato alla passione fosse irresistibilmente solle-
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citato a confrontarsi con le occasioni, le potenzialità passionali proposte d a i contesto- di appartenenza. È a n c h e p e r questo che nella genealogia della passione, ' n a t u r a ' e 'cultura' (vale a dire passionalità soggettiva statu nascenti e oggettività di ideali passionali in qualche m o d o codificati) si m e d i a n o in m a n i e r a organica e indissolubile.
La passione come impegno e come trasgressione C h e cosa si coglie risalendo, al di là del s o m a e della psiche, alle prime scaturigini di questa genealogia? Credo, anzitutto, che vi si colga n o n tanto u n a 'cosa' q u a n t o u n a 'noncosa': n o n tanto u n a presenza q u a n t o un'assenza. La passione muove, in effetti, da u n a situazione di mancanza, di bisogno - sia p u r e m o l t o sui generis. È la m a n c a n z a / b i s o g n o di chi, p u r carente dì qualcosa, riesce u g u a l m e n t e a perseguirla, avendone u n a sorta di p r e c o m p r e n s i o n e che, nello svilupparsi della vicenda passionale, sì andrà s e m p r e più illum i n a n d o . C o m e la passione è essenzialmente u n a forte credenza, così l'appassionato è per p i ù versi un tenace credente. Crede in un altro, in un oltre, in un meglio. N o n è ovviam e n t e necessario attribuire a questi termini alcun significato trascendente. Ma, altrettanto- certamente, l'appassionato confida nel darsi di un'alterità in g r a d o di realizzare, per lui, u n a forma dì c o m p l e t a m e n t o . La passione è s e m p r e passione di, o in, X: q u a n t o dire che l'appassionato avverte l'esistenza dì u n a cosa - un valore, u n a figura, u n a condizione diversa da sé, e da lui i n t e n s a m e n t e desiderata s e c o n d o modalità in larga misura personali. Ecco, forse, il p r i m o paradosso in cui ci imbattiamo: l'appassionato è, insieme, un soggetto fortemente assorbito dal suo sentire/volere individuale - d u n q u e dal suo sé, dal suo essere - e un soggetto altrettanto fortemente assorbito da un'alterità che n o n è lui. N o n basta. In d e t e r m i n a t e fasi del processo passionale (la passione n o n è quasi mai un m e r o coup de fonare, è piuttosto
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u n a stona p i e n a di svolte e di colpi di scena) la passione tende a esaltare tale alterità. S o n o le fasi in cui p a r e quasi che nell'appassionato vi sia solo la presenza invasiva di u n a det e r m i n a t a realtà altra, oggettiva, che gli si offre ut sic e c h e viene desiderata in m o d o immediato. Poi, invece, qualcosa cambia. È c o m e se l'appassionato si andasse in qualche misura a u t o n o m i z z a n d o dal s o g g e t t o / o g g e t t o della p r o p r i a passionalità. Ciò n o n tanto nel senso di u n a vera e p r o p r i a separazione da ciò di cui ci si è appassionati, q u a n t o nel senso di un'accresciuta capacità di investimento affettivo personale, di un'accresciuta volontà di vivere u n a d e t e r m i n a t a scelta emotiva in m o d o libero e p r o p r i o . E a questo p u n t o che la passione diventa passione in u n a delle accezioni più peculiari della parola. E allora, infatti, eh' fa iniziativa anticonformista e creativa, decostruzione di miti e idées recues, trasgressione di vincoli e regole, costituzione di condizioni o sentimenti o stati alternativi. Né si deve c r e d e r e che in tali situazioni sia la sola realtà ad essere scompaginata. A n c h e e soprattutto il self registra in se stesso u n o s c o m p a g i n a m e n t o e, insieme, il segreto desid e r i o ch'esso vada, p e r così dire, fino in fondo: che implichi un radicale rinnovamento della p r o p r i a identità e il risveglio di energie fino a ieri latenti e dì cui soltanto o r a egli intuisce, turbato, l'esistenza.
La passione e la riscoperta moderna della sensibilità Quest'ultima osservazione ci spinge a spostare il fuòco della nostra attenzione ' dalla passione aH"appassionatol. C h e cos' è la passione a parte subjectù A n c h e qui, perfino inutile dirlo, si tratta n o n tanto di dire c o m e s t a n n o 'oggettivam e n t e ' le cose, e tanto m e n o di esprimere a loro proposito l'unica interpretazione autorizzata. Si tratta piuttosto di rilevare quei tratti della fenomenologia della passione nel sog-
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getto appassionato c h e oggi, n e i nostro contesto e dati ì nostri presenti interessi, ci p a i o n o i più significativi. Il p r i m o collegamento che viene fatto di stabilire è quello tra la passione e il sentire. La passione è anzitutto un sentimento variamente intenso, tenace, profondo. Ma il sentire, se certo appartiene a u n a sotta di c o r r e d o archetipico dell'uomo, n o n p e r questo è u n a funzione s e m p r e desta e disponibile - o s e m p r e desta e disponibile allo stesso m o d o . Si tratta, al contrario, di u n a facoltà e s t r e m a m e n t e delicata, che p r o p r i o p e r la sua n a t u r a è sottoposta a m u t a m e n t i — rafforzamenti, esaltazioni, ma a n c h e indebolimenti e rattrappimenti — assai forti. Il sentire, insomma, p u ò imporsi c o m e forza e g e m o n e : ma p u ò a n c h e restringersi, contrarsi, quasi sparire. Correlativamente, la passione è anch'essa u n a condizione discontinua, precaria: c h e p u ò esserci, m a p u ò a n c h e trovarsi nel'impossibiiità di essere. H M o d e r n o (su ciò t o r n e r e m o ) ha a m a t o il sentire e la passione in m o d o molto più a m b i g u o e riduttivo di q u a n t o si creda c o m u n e m e n t e . Il s u o ideale s u p r e m o era, lo si è a c c e n n a t o , piuttosto il Logos. Ciò in cui aveva investito le sue p i ù ambiziose energie era la costituzione di u n a civiltà governata dalla Ragione e dalla -Conoscenza. 1. sentire, invece, è stato spesso guardato con sospetto: considerato un livello a p p e n a aurorale della Bildung u m a n a , ambito di funzioni inferiori e facilmente deviabili dal retto c a m m i n o de clnritate in claritatem. Espressione estrema del sentire, la passione ha sofferto di conseguenza il peso di un sospetto, se n o n di u n a condanna, .-assai severi: passione c o m e dissipazione, passione c o m e n o n c u r a n z a del Logos, passione c o m e digressione o trasgressione rispetto alla condotta razionale-equilibrata. Ma il sentire n o n s e m p r e ha subito passivamente le svalutazioni o le sottovalutazioni, né tanto m e n o i sospetti o le c o n d a n n e , di cui sopra. Talvolta, anzi, ha riscoperto senza complessi l'irriducibile centralità delle sue funzioni. Alla fine del '700 un modesto médecin-fhilosophe francese, Pierre-Georges Cabanis, avanzava u n a tesi c h e metteva di fatto
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in discussione il principio p i ù celebre dell'intera filosofia cartesiana. Al cogito di Cartesio Cabanis contrapponeva (o forse, p i ù c o r r e t t a m e n t e , giustapponeva) la sensibilité. E all'assunto col quale Cartesio connetteva la dimensione dell'esistenza al manifestarsi del pensiero, l'esponente degli idéologues appariva deciso a sostituire u n a b e n altra connessione: quella tra esistenza e sensibilità. C o m e scriveva con molta fermezza nei suoi Rapports du physique et du moral de l'homme, «c'est du m o m e n t q u e nous senlons q u e n o u s sommes». U n a frase di disarmante semplicità (come, d'altrond e / q u e l l a di Cartesio): al p u n t o che vien fatto di chiedersi se Cabanis fosse consapevole della portata rivoluzionaria delle sue parole. Giacché di rivoluzione si è davvero trattato. A n c h e ind i p e n d e n t e m e n t e dal p r o b l e m a se Cabanis volesse o m e n o criticare in u n a certa sede il razionalismo cartesiano, sta di fatto che nessuno p r i m a di lui aveva con altrettanta determinazione p r o p o s t o u n ' i m m a g i n e psico-antropologica dell ' u o m o fondata sulla sensibilità, sul sentire. U n a concezione, sì badi, che risultava tanto più innovatrice e d i r o m p e n t e in q u a n t o tale sentire veniva ancorato, esplicitamente e sistematicamente, alla vivente materialità dell' organisatioh physique, cioè della corporeità. Quello delineato da Cabanis è un u o m o in cui le funzioni dell'«me sono- risolte, senza residui, n e i processi fisiologico-istintuali del corps. È peraltro un u o m o che p o c o o nulla ha a che fare col neomeccanicismo un p o ' semplicìstico di chi, c o m e ad esempio La Mettrie, aveva identificato V nomine con u n a machine. Il modello' antropologico cabanisiano ci a p p a r e straordinariam e n t e m o d e r n o p e r c h é n o n delinea u n uomo-macchina ma un uomo-organismo, abitato da istinti, pulsioni, appetiti - tra i quali la sensibilità è l'energia primaria, la forza f o n d a n t e del vivere. Le conseguenze riguardanti il nostro t e m a inscritte in queste posizioni n o n si fanno certo m a n c a r e . "L'homme sensìlif di Cabanis è, p e r ciò stesso, homme de désir. La sensibilité
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genera bisogni, brame, relazioni. Genera, soprattutto , passioni. P r o f o n d a m e n t e persuaso dell'identità tra fonti del vivere e fonti della sensibilità, F a u t o r e dei Rapports rivisita le passioni c o n u n o spirito p r o f o n d a m e n t e nuovo: quello di chi n o n è p i ù disposto a scorgervi dei meri dérangemmts dal 'giusto' o r d i n e naturale,, tanto m e n o dei vices psìcologicoetici, p e r c h é vi coglie invece delle manifestazioni particol a r m e n t e intense dell'essere vitale. Basterebbe vedere, a tale proposito, il m o d o in cui Cabanis riesamina le passioni d ' a m o r e , anzi le passioni del sesso. Qualsiasi autocensura, qualsiasi pruderie in tale ambito - ammonisce il nostro méderin-philosophe — sarebbero assolutamente fuori luogo. Il sesso è corpo: è anzi u n a c o m p o n e n t e essenziale della vita e del suo riprodursi. La passione sessuale è semplicemente il linguaggio attraverso cui il c o r p o esprime talune sue inderogabili esigenze. Se tale passione dovesse manifestare qualche aspetto a n o m a l o o inatteso, il sapere studierà con pacatezza il problema. Diversamente, savoir, philosophie e bon srns accoglieranno la passione in questione e n t r o l'ambito di u n a vita sana e articolata. Senza passione, sembra voler dire Cabanis, la vita n o n è più veramente vita. Forse, n o n è più n e a n c h e sopravvivenza. L'erede nella tradizione intellettuale e u r o p e a di questo lascito' teorico di Cabanis è, c o m e i francesisti b e n s a n n o , Stendhal. Lettore entusiastico (per sua stessa testimonianza) dei Rapports du physique et du moral de l'homme, Stendhal n o n avrebbe scritto le sue pagine De l'amour, né ci avrebbe d o n a t o alcune suggestive anatomie della passione senza la rivoluzione cabanisiana. Ma qui n o n è certo il caso di indugiare sull'autore di Le rouge et le noir. L'essenziale, nel presente contesto, era di sottolineare a d e g u a t a m e n t e il m o m e n t o storico-teorico in cui la passione a b b a n d o n a il rarefatto c a m p o della riflessione etica p e r farsi accogliere nel b e n diverso c a m p o della riflessione antropologica. In quel c a m p o nel quale la passione attesta anzitutto l ' i m m a n e n t e in t r a m o n d a n i t à del suo essere, la sua coincidenza con le
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energie c h e alimentano: la vita, la sua a p p a r t e n e n z a a un orizzonte situato- .al di là d e l B e n e e del Male.
// perturbante passionale: soggetto, relazione, contesto Certo, la passione m o d e r n a n o n è tutta e soltanto, realtà domestica: la m a n s u e t a suddita di un sapere c h e s ì è solo e m a n c i p a t o dagli stretti binari della tradizione etico-metafisica e dell'ingannevole ciarle razi onalistico-meccanicistica del cartesianismo... N o n è n e p p u r e mera, régénération indolore di un o r g a n i s m o psicofisico' deciso, a p p u n t o , a'rinascere dietro l'impulso vivificatore delle fortes passionali. La passione, in realtà, è spesso a n c h e qualcosa di infinitam e n t e p i ù complesso e p e r t u r b a n t e - e i suoi tratti c h e p i ù attirano la nostra attenzione sono soprattutto questi ultimi. Essa è anzitutto, p e r riprendere u n a tesi già avanzata so-, p i a , u n sentire naturale c h e include molti elementi metanaturali: intenzionali, simbolici, goal-oriented. E, in effetti, un sentire c h e p u n t a a un fine, e che vi p u n t a in m o d o forte, p e r e n t o r i o , unilaterale. La passione ha. in effetti qualcosa di assorbente, dì m o n o c e n t r i c o , c h e 'talvolta sfocia nell'ossessione o nella m a n ì a (per questo a p p a r e a tanti u n o stato patologico - e in certi casi forse lo è ) . Ha, correlativ a m e n t e , un carattere tendenzialmente totalizzante: la passione-ci i n v a d e e pervade con un'imperiosità- assente in. tutti, gli altri sentimenti. Questa sua invasivìtà, a poco a p o c o scombina, disordina gli assetti psichici costituiti. La passion e , se da un lato a n i m a e vivifica, dall'altro scardina e decostruisce. P u ò modificare l'intero essere/agire del soggetto appassionato. P e r questo, c o m e si è già accennato, è il P e r t u r b a n t e p e r eccellenza. Per questo, soprattutto, è (anche) sofferenza. Colta nel suo stato più intenso, la passione è u n a miscela esplosiva dì felicità e di dolore: felicità connessa al percepirsi attraversati da u n a tensione c h e dà un nuovo senso .al nostro esistere; dolore connesso all'unf
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p e g n o spesso spasmodico della condizione passionale. Dolore connesso a n c h e all'ipersensibilità con cui l'appassion a t o avverte il suo stato, g o d e n d o sì di m o m e n t i di slancio e d'estasi, ma p a t e n d o b e n più del n o r m a l e gli opposti mom e n t i della sfasi e della crisi. L'individuo- affètta da passione scopre d e n t r o di sé u n a determinazione, u n a tenacia che gli e r a n o ignote (la 'fedeltà' alla p r o p r i a passione) ; ma scopre, inoltre, u n a debolezza, u n a fragilità c h e n o n si sarebbe mai sognato di avere. Cortocircuito di contrari, la passione è insieme passività e attività: nella passione 'ci si lascia a n d a r e ' , ci si consegna a qualcosa che si sente assolutamente sovrastante e irresistibile. Ma nella passione, a n c h e , si risponde positivamente a u n a Chiamata: vi si risponde con u n a mobilitazione generale delle nostre energie. È. un agire che quasi s e m p r e n o n conosce .orari, né vacanze, né p r u d e n z e . A n c h e quando p a r e d o r m i e n t e , la passione è- instancabilmente ^all'op e r a : - u n ' o p e r a che spesso ci sorprende- e ci smarrisce. Invano cerchiamo di assegnarle u n o spazio e u n a funzione e n t r o un'esperienza in qualche m o d o strutturata. Il più delle volte la passione si; ribella a questa delimitazione: la contesta. Contesta perfino i paradigmi generali- di -una sua possibile 'normalizzazione'. T è n d e anzi a oltrepassare l'orafo delle funzioni psico-comportamentali consuete, perseg u e n d o nuovi, precari equilibri - c h e costano spesso- prezzi assai alti. N o n già che le passioni siano tutte altrettante tempeste (quelle celebrate dallo Sturm une Drang). Vi s o n o n a t u r a l m e n t e passioni p i ù pacate e ragionevoli: passioni che intrattengono b u o n i r a p p o r t i col Logos (e sarebbe giusto', a n c h e se q u i me ne m a n c a n o il-tempo .e l'occasione, esaminare p u r e questa tipologia .passionale). -Ciononostante, a l m e n o oggi, q u a n d o si dice passione si pensa soprattutto a u n a condizione di Man vital, di. vita al q u a d r a t o , di-assunzione di u n a direttrice di p e n s i e r o / a z i o n e -che s'im- p o n e p e r la sua intensità sulle altre, spesso modificando un intero q u a d r o esistenziale. La passione, insomma, c o m e ;
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scelta radicale, c o m e svolta di u n ' a n i m a , come perseguim e n t o ostinato di un d e t e r m i n a t o obiettivo. Per un altro verso la passione sembra invece essere n o n tanto l'effetto di u n a partenogenesi interna q u a n t o la reazione a u n a seduttrice Figura esterna - spesso impalpabile, invisibile. Un sentimento, u n ' i d e a , un valore si affacciano, nel c a m p o della nostra esperienza suscitando misteriose sintonie, imprevedibili corrispondenze. II soggetto vi si trova catturato q u a n d o , in un certo senso, è t r o p p o tardi p e r battere in ritirata. Si tratta, d'altronde, di u n a cattura p e r così dire consenziente. È c o m e se la Seduzione - l'Appello - si facesse sentire presso funzioni già in attesa di essere risvegliate, di forze già in attesa di essere attivate, e b e n disposte ad esserlo. L'Appello risuona, l'oggetto di desiderio si profila all'orizzonte, e il borghese piccolo piccolo esce dai suoi orizzonti solitamente privi di passione, slanciandosi in u n ' i m p r e s a spesso p i ù g r a n d e di lui. II successo, n a t u r a l m e n t e , n o n è garantito: m a , forse, n e p p u r e l'insuccesso. La passione, in effetti, quando- n o n è un progetto perseguito collettivamente c o n tenacia di m e n t e e di c u o r e ( m a qui alludo a un tipo di passione di cui n o n ho m o d o di parlare), è soprattutto un'avventura: un'avventura aperta n o n solo ad imprevedibili esiti final, ma a n c h e ad altrettanto imprevedibili trasformazioni parziali c h e avv e n g o n o nel corso dell'avventura medesima. Il riferimento all'avventura valorizza i n d u b b i a m e n t e il coté soggettivo della passione. Ad esso si collega strettamente la dimensione' antagonistica, trasgressiva della passione m e desima. In ogni forte passione c'è, in effetti, un e l e m e n t o di rivolta personale nei confronti di u n a determinata situazione. Si tratta di u n a c o m p o n e n t e di rilevo cruciale: giacché, se da un lato enfatizza l'aspetto attivo, critico, quasi belligerante dell'appassionato (il quale è sempre, in qualche m o d o , u n ' u o m o c o n t r o ' qualcosa), dall'altro r i c h i a m a per contrasto l'attenzione sulla dimensione della passione a parte objecti
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In effetti - e questo mi pare un p u n t o di g r a n d e importanza - la passione si configura essenzialmente c o m e la risultante di u n a vera e p r o p r i a relazione dialettica tra un soggetto e il suo contesto. La passione, lo si era accennato anche sopra, n o n si genera né si sviluppa in m o d o autopoielico. Nasce e cresce' attraverso un confronto serrato, drammatico, quasi sempre conflittuale tra l'appassionato e il referente della sua passione, o il m o n d o cui esso appartiene. La passione, che n o n è mai solo passività, è spesso sofferenza a p p u n t o p e r c h é il suo oggetto è sempre un'alterità mai totalmente afferrabile. Ed è, a n c o r più, lotta e dolore in q u a n t o l'alterità medesima sovente n o n cor-risponde alla richiesta passionale nelle m a n i e r e c h e si sarebbero desiderate - anzi talvolta si nega, si rifiuta alla richiesta in questione. U n a prima conclusione di tutto ciò è che la passione n o n appare mai concepibile in un suo astratto isolamento. Essa è s e m p r e a n n o d a t a con un* Umivelt circostante, diversa se n o n addirittura ostile. Chiamiamo questa Umxoelt il campo della n o r m a , della normalità, della vita c h e vuole p r o c e d e r e senza scosse e senza faticose problematizzazioni. E definiamo, correlativamente, la passione c o m e la (relativa) anormalità, l'eccezione, lo scompiglio, l'emergenza del p r o b l e m a . In questo senso la passione si genera solo p e r effetto di un contrasto e di u n a sfida nei confronti di un m o n d o intimamente refrattario ai ' dis-ordi n ani enti ' passionali. Ma senza questo m o n d o sordo e 'normalizzato' la passione, ripetiamolo, stenterebbe a nascere e a crescere - a l m e n o nei m o d i che le sono più propri.
La passione e il suo soggetto agente/senziente Finora ho parlato essenzialmente della passione. Ma, p r o p r i o in tema di precondizioni, anzi di condizioni necessarie p e r il suo generarsi, ho accennato t r o p p o poco a colui che, in ultima analisi, è il vero protagonista della pas-
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sione medesima. U n a volta il filosofo della m e n t e americ a n o Kurt Baier si è,chiesto: c h e senso avrebbe parlare del d o l o r e senza u n a persona, c h e soffre? ÌL, una- domanda, certo, paradossale e a n c h e discutibile. Tuttavia o g n u n o capisce che c o n t i e n e un nocciolo di verità con, cui occorre fare i conti. Ed è u n a d o m a n d a , soprattutto,,.che s e m b r a attagliarsi alla perfezione al nostro ambito di problemi. Ci si p u ò (forse ci si deve) chiedere, in effetti, 'che senso avrebbe p a r l a r e di u n a passione senza u n a p e r s o n a che la vive?'. In s e n o al discorso c o n d o t t o fin qui, questa d o m a n d a app a r e tutt altro che un calembour. A tale proposito è inevitabile r i p r e n d e r e un p u n t o già toccato all'inizio d e l m i o discorso: il fatto c h e , a rigore, 'passione' è essenzialmente il n o m e di un costrutto m e n t a l e . Di questo g e n e r e diqpstrutti a b b i a m o u n bisogno cognitivo-interpretativo c h e a p p a r e indubitabile. Purtuttavia, s e m p r e di un costrutto si tratta, vale a dire di u n ' e l a b o r a z i o n e concettuale che costituiamo attraverso un assai complesso lavoro di selezione e astrazione. Eravamo forse partiti dall'esperienza di u n a concreta passione, o dalla registrazione di alcune concrete passioni altrui: ci troviamo ora a parlare di u n a nozione, di un tipo ideale c h e a p p a r e assai distante dai casi concreti dai quali avevamo preso le mosse. Ma qui n o n è di questa distanza che vorrei parlare. Vorrei invece a c c e n n a r e a un altro tipo di astrazione che semb r a m e t t e r e in crisi la presente indagine. E l'astrazione costituita dal fatto che. in b u o n a misura la nostra esperienza è in realtà popolata n o n di passioni ma di individui appassionati. N o n si tratta, soltanto di un semplice invito a rip r e n d e r e Il c a m m i n o Vers le concret, p e r evocare il n o t o lib r o di J e a n Wahl. Si tratta, su un p i a n o teoricamente ed antropologicamente più p r e g n a n t e , di cogliere la condizione precaria della passione presa ut sic. La passione davvero n o n esiste in sé (se n o n in u n ' a c c e z i o n e molto particolare) .. Davvero reclama un referente, un jembodiment umanologico. Altrimenti a p p a r e c o m e zoppa, n o n autosuffi1
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dente* L'amore- in sé, l'odio in sé s e m b r a n o librati, in un'atmosfera p e r p i ù versi rarefatta e vuota. Per uscire da essa o c c o r r o n o u o m i n i reali, in vario m o d o titolari dell'esperienza passionale. In effetti, solo q u a n d o si d e t e r m i n a n o nel vissuto di un soggetto le passioni acquistano un paio di caratteri a m i o avviso decisivi. Per q u a l c u n o tutto ciò si p o t r e b b e riassum e r e .nella differenza che c'è tra i d u e enunciati 'la- passione p e r X' e la mia passione per X*. Il 'mia' n o n indica solo la concreta contingenza d e l ' q u i ' e 'ora' della passione in questione. Indica a n c h e la soggettività differenziale, la qualità personale s e c o n d o la quale si vivono gli stati passionali. I n s o m m a la passione, n o n solo.- h a , b i s o g n o dì un sostegno p e r assumere connotati concreti s c e n d e n d o dail'ip e r u r a n i o delle forme ideali. DaJi'embodiment in tale sosteg n o (l'individuo, ovviamente) essa ricava tutta u n a serie di determinazioni, di qualificazioni che la r e n d o n o , se ci si passa, l'espressione, u n a passione 'dal volto u m a n o ' - anzi, meglio, dal volto 'personale'. C o m e e p e r c h é avvengono tali quali-fìcazioni? Avvengono p e r c h é , calata in un u o m o persona, la passione interagisce col vissuto peculiare di q u e l l ' u o m o . Si inserisce nella sua storia passata e presente, modificandola e modificandosi. Si intreccia con mille e mille altre sue funzioni e pulsioni. Sicché, da ultimo, n o n sar e b b e davvero agevole riconoscere in questa passione così ' i m p u r a ' la passione 'pura' di cui si parla in certi manuali di psicologia. Vi si riconoscono piuttosto le tracce di tante altre c o m p o n e n t i psico-esistenziali .-del sìngolo essere-, a p passionato: per un verso riunite a loro m o d o in u n a forma c h e c h i a m i a m o ancora col n o m e idealtipico di ' A m o r e ' o ' O d i o ' , p e r u n altro esprimenti, n e l l o r o insieme, u n a parte costitutiva -di.-tale essere. N o n è forse p e r questo- che; "l'Amore di X p e r Y* n o n è mai uguale a 'l'Amore:-, di A. p e r B* — e ciò a n c h e se Y e B fossero identici? . Reciprocamente, attraverso tale funzione- (la passione) così capace di adeguarsi al soggetto c h e la incarna, que-
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st'ultimo è in g r a d o di esprimersi n o n già, genericamente, c o m e homme de passioni, bensì, specificamente, c o m e un b e n precìso- sujet passionale. Attraverso le manifestazioni plurime e metamorfiche della (propria) passione questo- sujet attesta n o n tanto l'esistenza della passione in sé q u a n t o quella di certi suoi propri m o d i di essere. Nella passione si deve cogliere n o n già u n a mera e m o z i o n e effimera e violenta, bensì il m o m e n t o alto di u n a vicenda proveniente dai recessi della vita complessa e profonda dell'individuo appassionato. Sotto questo' aspetto la passione a p p a r e u n a sorta di narrazione succinta e concitata, attraverso la quale il soggetto dice di sé molte più cose di q u a n t o egli stesso sia consapevole. Dice, ad esempio, quali sono, le sue credenze più forti e sentite, quali gli investimenti insieme affettivi e cognitivi ai quali tiene di più, quali gli indici della sua (iper) sensibilità, quali i suoi tabù e i suoi mostri negativi (esistono infatti a n c h e le passioni negative, che raccontano le nostre p a u r e , le nostre ossessioni, le nostre insicurezze'j' e delie quali vorrei un giorno occuparmi a fondo).
La passione come 'vissuto' e come "detto' Il riferimento alla passione c o m e narrazione sollecita a riflettere un m o m e n t o su un t e m a che a me pare molto suggestivo-: quello del r a p p o r t o c h e sussiste tra la passione c o m e 'vissuto' e la passione c o m e 'pensato' e c o m e 'detto*. Molto p i ù spesso di q u a n t o si creda, q u a n d o ci occupiamo di passioni da un lato ci riferiamo a loro oggettivazioni visibili-comportamentali, variamente condizionate da n o r m e e riti, sociali. Da un' altro lato - e, in -certi casi, soprattutto ci riferiamo a quelli che s o n o principalmente resoconti int o r n o alle passioni medesime. Ciò accade in b u o n a misura a n c h e q u a n d o ci o c c u p i a m o delle nostre stesse passioni. In tale circostanza ci mettiamo a riflettere su u n a certa situazione passionale, e ad esprimerla in sede linguistica, per
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così dire post factum. La cosa, si badi, è perfettamente normale. Accresce anzi, c o m e v e d r e m o tra un m o m e n t o , la latitudine (le risonanze, le implicaziom) delio stato passionale. Tuttavia le d u e situazioni - quella p r o p r i a m e n t e passionale e quella riflessiva-narrante - nonostante i loro vari intrecci vanno a n c h e distinte, ' In p r i m a e fondamentale istanza, la passione si vive. Si vive prima di accorgersene coscientemente, p r i m a di p e n sarla. La sì vive in modo- essenzialmente istintuale e subliminale. Prima di darle un senso - ossia p r i m a di includerla nella rete di criteri semantico-assiologici c h e a b b i a m o a disposizione — la passione si presenta a noi nella forma di un a m a l g a m a indistinto e ridondante. La passione è a n c h e stordimento dinanzi a u n a s o m m a di sensazioni, desideri, protensioni, capaci talvolta di r e n d e r e inutilizzabili le forme sinngebende c o n le quali eravamo soliti rubricare le n o stre esperienze anche. p i ù nuove. Sarebbe i n g e n u o e riduttivo ricercare u n a qualche o m o g e n e i t à 'forte* in questo torrente che ci i n o n d a , e che spesso rischia di travolgerci. N o n tanto p e r c h é un qualche Leitmotiv n e l l a / d e l l a passione m a n c h i c o m p l e t a m e n t e , q u a n t o p e r c h é le categorie dell'omogeneità e dell'eterogeneità a p p a r t e n g o n o a un ordine concettuale che viene, in tutti i sensi, dopo il manifestarsi della passione medesima. Noi invece, ripetiamolo, esperiamo a n c h e il prima: quel m o m e n t o in cui la passione ci si presenta nelle vesti di u n a Forza imprevista e straniera; quel m o m e n t o che ci s o r p r e n d e e ci sopravanza; quel m o m e n t o nel quale ci sentiamo c o m e espropriati e passivi salvo poi reagire in maniera convulsa ma a suo m o d o vitale, mobilitando (Io si è accennato sopra) le nostre funzioni più diverse. Enunciare, dire questa condizione passionale è, a rigore, impossibile. O meglio: è possibilissimo, ma p a g a n d o il prezzo di u n a sua radicale, trasformazione. Se io dico, se n a r r o (anche solo a me stesso, in interiore cordis) la mia passione, è c o m e se assumessi u n a forma di distanza da essa. Dire la
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p r o p r i a passione, n o n è un p o ' un cambiare status nei suoi confronti? Dire, cioè riflettere su di essa, n o n implica quasi un a t t o di sdoppiamento? Da un Iato resta, c o m e dicevano gli antichi, l ' u o m o invaso dal dio; dall'altro sì profila l ' u o m o c h e guarda questa invasione: c h e ne studia le ragioni (le ragioni della passione...), che ne valuta le implicazioni e le conseguenze, che include i n s o m m a la passione e n t r o un s u p e r i o r e --Ordine razionale. Tutto- ciò, va -ribadito,' n o n è b a n a l m e n t e u n a forma di perdita, e n e p p u r e la p u r a e semplice scomparsa della passione. È, piuttosto, u n a sortadi sua trasfigurazione. La passione, c o m e si diceva sopra, si trasforma: il torrente evocato p o c o fa si muta ip un fiume dotato di u n a direzione e magari di u n a forza del tipo longue durée. Quindi, n o n u n a specie di 'non-passione' c h e si sostituisce alla 'vera passione': piuttosto u n a metamorfosi di questa. U n a metamorfosi capace talvolta di g e n e r a r e , fatte salve le inevitabili modifiche, u n a p i ù ricca articolazione della passione medesima. Tale concezione p o t r e b b e lasciare insoddisfatti solo se si volesse intravedere in essa un qualche g e n e r e di classifica, di gerarchia nella ..scala delle passioni In verità n o n è questo il m i o m o d o di accostarmi al p r o b l e m a che stiamo discutendo. Dico 'più ricca articolazione *, ma n o n p e n s o ad 'arricchimenti' in senso stretto della passione. Penso piuttosto, c o m e ho già accennato, a m u t a m e n t i / s v i l u p p i sec o n d o direzioni e modalità relativamente imprevedibili. Q u a n t o a u n a valutazione di queste ' m u t a t e ' passioni, soprattutto rispetto alla situazione della passione preriflessiva, m o l t o d i p e n d e dal p u n t o di rista dal quale si giudica: p i ù precisamente dagli stati sensitivi, dagli interessi esistenziali, dai rapporti relazionali, dai fini assiologici secondo i quali si percepiscono le passioni nella loro doublé face di 'vissuto' e di ' p e n s a t o / d e t t o ' . Aggiungerei a n c h e che tra i ' d u e ' tipi di passione esiste u n a sorta di incommensurabilità. La passione c o m e vissuto è e m i n e n t e m e n t e qualità, intensità - ed è a n c h e m o m e n t o , epifania. N o n esistono cri-
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teri adeguati p e r e s p r i m e r e linguisticamente quella qualità/intensità; e nulla e nessuno p u ò , in verità, giudicare questo m o m e n t o / e p i f a n i a - il cui senso p u ò essere epocale nonostante la sua possibile brevità cronologica ('quell'attimo mi parve un'eternità"). Nella passione vissuta, come nel dolore, l ' u o m o è in verità solo. La passione c o m e pensato/detto- è invece tutt*altro. È, in p r i m o luogo, un p r o d o t t o n o n solo della soggettività ma ;anche dì un repertorio.concettuale offerto dal'oggettività della tradizione e del contesto. È p e r t a n t o il frutto di u n a sorta dì mediazione, nella quale il potere del soggetto t e n d e ad assumere c o n t o r n i m e n o 'personali'. Ma p r o p r i o la disponibilità dell'individuo appassionato ad attingere nuovi mezzi espressivi da un d e t e r m i n a t o p a t r i m o n i o oggettivo gli c o n s e n t e di sviluppare la sua passione in m o d i nuovi e magari p i ù sottili. Così, ad esempio, la sorgente generativa della passione a m o r o s a è c e r t a m e n t e situata n e l vissuto precategoriale - e qualsiasi sua fuoruscita da lì ne modificherà la fisionomia primaria. D'altra p a r t e , declinata s e c o n d o le suggestioni e le simbologie attinte dall' Ummit storico-contestuale, quella passione infittirà singolarmente le sue tram e . Il p e n s a r e / d i r e l ' a m o r e lo r e n d e r à più sofisticato e — a l m e n o sotto certi profili - più comunicabile. L'innegabile (e i n d u b b i a m e n t e rilevante) ' t r a d i m e n t o ' del sentire originario p r o d u r r à inoltre u n a moltiplicazione di significati e di affetti. U n ' e s p e r i e n z a inizialmente sorda e oscura diverrà, a l m e n o in apparenza, p i ù udibile e luminosa (questo, in ogni caso, è u n o dei desideri dell'Acromi? de passim). I I b l a n d o f i n a l e d e l a passione c o m e p e n s a t o / d e t t o appar e d u n q u e p i ù complesso d i q u a n t o n o n sembrasse all'inizio. Certo, il p r o b l e m a di. u n a co-presenza p e r così dire paritetica delle due m a n i e r e di esperire la condizione passionale resta, e forse è insolubile. Ma il tenerlo a p e r t o al sentimento e alla coscienza p o t r e b b e essere i m p o r t a n t e . D'alt r o n d e , c o m e evitare t u t t o ciò? Le nostre reazioni - quelle 'vissute' e quelle 'pensate' - alla passione n o n s o n o degli
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optionals tra i quali l ' u o m o p u ò scegliere liberamente: sono piuttosto d u e modalità destinali II sujet de passim vi naviga perigliosamente in mezzo, s e m p r e sul p u n t o di p e r d e r e qualcosa se e q u a n d o si lascia p e r m e a r e da u n a sola di esse, scoprendosi allora incapace di esprimere il suo sentire a n c h e attraverso l'altra.
La passione nel mondo contemporaneo: coinvolgimento, criticità, ricerca Ci sarebbero e v i d e n t e m e n t e molte altre cose da dire, n o n solo sulla questione or o r a evocata, ma a n c h e su ulteriori aspetti della passione. P u r t r o p p o lo spazio a mia disposizione volge o r m a i al termine. Inoltre il mìo proposito n o n era quello di dire "tutto' sulla passione. Era piuttosto l'altro a dar voce a una rappresentazione, p e r accenni, della passion e : a u n a sua interpretazione tra le tante possibili. A u n a interpretazione, peraltro, n o n velleitariamente 'libera', m a ancorata a u n a d e t e r m i n a t a situazione congiunturale. La c o n g i u n t u r a è quella del t e m p o in cui viviamo e dei suoi problemi. A n c h e questa, certo, è u n a selezione a maglie m o l t o larghe. Tuttavia sembra difficilmente negabile che parlare delle passioni oggi stimoli ad accentuare certe dom a n d e (e, forse, certe risposte) a preferenza di altre. A tale proposito va anzitutto osservato che il nostro tempo ha assunto nei confronti della passione un atteggiam e n t o fortemente ambivalente. Da un lato le passioni veng o n o , p e r così dire, messe in libertà: v e n g o n o sciolte da lacci e blocchi secolari. Nell'età del permissivismo tutto è permesso, inclusi i c o m p o r t a m e n t i passionali più anomali ed estremi. Libertà assoluta, d u n q u e ? E, in essa, affermazione altrettanto assoluta dell'esperienza passionale? No, n o n direi p r o p r i o . N o n direi n e p p u r e che tale esperienza coincida necessariamente c o n u n a condizione di libertà assoluta. La passione, se i n d u b b i a m e n t e p r e s u p p o n e un ìndice di
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a u t o n o m i a , altrettanto i n d u b b i a m e n t e si d e t e r m i n a nel r a p p o r t o c o n un'oggettività teleologico-assiologica: ci si appassiona se vi sono fini/valori nei quali si p u ò credere con forza. La passione è u n o stato n o n autoreferenziale ma intenzionale, r i m a n d a a un'alterità, oltre che, n a t u r a l m e n t e , a un soggetto intenztonante. Per questo un discorso adeguato sulla passione n o n p u ò n o n collegarsi strettamente con u n a teoria d e l l ' u o m o e c o n u n a teoria del valore: naturalmente d e l l ' u o m o e del valore n o n 'ab-soluti' ma storicamente determinati. Allora, che dire d e l l ' u o m o d'oggi e del suo r a p p o r t o colle passioni? La prima impressione è che q u e s t ' u o m o è soprattutto stanco. Stanco, e d u n q u e p o c o p r o p e n s o all'imp e g n o passionale. A ciò si collega il s e c o n d o lato di quel r a p p o r t o con le passioni c h e si è definito, sopra, ambivalente. La passione n o n solo n o n coincide con la libertà, ma q u a n d o questa libertà è essenzialmente (non dico soltanto) i n d e b o l i m e n t o di direttrici e di n o r m e , sovrabbondanza di offerte e di seduzioni, Babele di linguaggi e di codici, q u a n d o tutto ciò accade l ' u o m o tende a ritrarsi a dire, coli'immortale Bartleby di Melville, «preferirei di n o » . Si converrà che un atteggiamento del genere è assai poco p r o pizio al prodursi della passione: a l m e n o se si considera quest'ultima u n ' a p e r t u r a , u n a scelta, un i m p e g n o . Vari indizi s e m b r a n o profilare u n a situazione nella quale, a fronte di • un invito s e m p r e più p e r e n t o r i o della società dei consumi ad appassionarsi (la passione p u ò essere a n c h e un business), l ' u o m o si allontana dalla passarne. Ne parla molto, questo sì. O a l m e n o , lascia che se ne parli molto. Libri, giornali, mass media n a r r a n o con dovizia di particolari 'tutto quello che avremmo voluto sapere' sulle più diverse passioni. Ma il parlare n o n è il vivere - anzi talvolta ha un effetto inibitorio sul vivere. La luce accecante d e i discorsi pubblici sulle passioni rischia di annullare q u e l l ' e l e m e n t o di privatezza nel quale - crediamo - si g e n e r a n o le passioni più genuine. L ' u o m o si sente letteralmente messo a n u d o - e la con-
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seguenza è c h e le sue energìe affettivo-emotive invece di avanzare b a t t o n o in ritirata. Si v o r r e b b e ritornare a u n o status, ripetiamolo, eli privatezza. La 'buona* passione è anzitutto la voce di u n a soggettività c h e si p r o t e n d e alla ricerca e al confronto. Ma se il c a m p o di tale, ricerea/confronto è offerto in m o d o t r o p p o aggressivo, la soggettività resterà, quasi annichilita, e n t r o il suo guscio: e là d e n t r o rischierà di smarrire n o n solo le capacità p r o p r i e della passione ma a n c h e u n ' a d e g u a t a cognizione di c h e cosa la passione sia veramente. La reazione di u n a p a r t e d e l pensiero c o n t e m p o r a n e o a questa situazione è il rifiuto della passione attraverso la sua decostruzione. Ma è u n a reazione che costa un prezzo assai alto. Analizzata, notomizzata, dissezionata, scientificizzata n e i m o d i p i ù diversi, la passione p e r d e la sua cifra originaria, la sua irriducibile compattezza, il s u o elemento- di salutare scarica elettrica, se n o n di vera e p r o p r i a violenza. A q u e i p u n t o fa passione non è più passione: è discorso, mediato e medicato, sulla passione. E l ' u o m o destinatario di questa lezione, il quale partiva da u n a condizione di inq u i e t u d i n e verso la passione {'sarò capace di -.sentirla?:'), i i e ricava u n a forma di ingannevole autorassicurazione ('la passione n o n era altro che questo... allora a n c h ' i o posso sentirla, o magari a n c h e rinunciarvi...'). Vorrei p o t e r parlare di u n a seconda reazione, oggi, alla passione: di u n a reazione alternativa alla prima. Vorrei, ma. temo l'insidia dei wishful thinkings e dell'utopia. E solo conforto, il solo stimolo a terminare con q u a l c h e p a r o l a di speranza è che, m a l g r a d o t u t t o , u o m i n i appassionati ancora esistono - e delle passioni abbiam-O' a n c o r a m e m o r i a e, p e r l ' a p p u n t o , passione. Il m i o proposito n o n -è tanto -di- d o m a n d a r m i c o m e sono fatti questi u o m i n i , e in c h e cosa investono le loro passioni. P e r u n verso n e e m e r g e r e b b e u n a descrizione che tutti p r o b a b i l m e n t e si i m m a g i n a n o ; p e r un altro mi parr e b b e di sollevare i n d e b i t a m e n t e veli dovuti n o n solo al ri-
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•spetto-perla;storia personale -di o g n u n o , ma a n c h e all'atteggiamento che o g n u n o dovrebbe avere net confronti delle proprie capacità di appassionarsi Mi piacerebbe invece d o m a n d a r m i che cosa gli u o m i n i i n t e n d o n o principalmente 'significare' attraverso 1 lofo così-frequente dirè/testìm o n i a r e la passione in u n ' e t à p e r tanti versi 'spassionata'. Prima risposta. Gli uomini i n t e n d o n o reagire p e r l'app u n t o contro l'imporsi di u n a civiltà che ghettizza (o, peggio, medicalizza) la passione in n o m e della razionalità strumentale, o del funzionalismo che tutto vorrebbe organizzare in un sistema dì mezzi-fini perfettamente realizzato. No, un m o n d o perfettamente oliato dal lubrificante Logos ( u n m o n d o , tra l'altro, inesistente: c h e d u n q u e appartiene all'ordine n o n della realtà ma dell'utopia — ossia, paradossalmente, p r o p r i o all'ordine del desiderio passionale), questo m o n d o n o n soddisfa i n t e r a m e n t e l ' u o m o . N o n lo soddisfa n o n già perché n o n sia gradito l ' i m p e r o della Norma e d e l l ' O r d i n e oggettivo, ma p e r c h é in q u e s t ' O r d i n e qualcosa — o molto - rie ne sacrificato. La seconda risposta si riferisce al c o n t e n u t o e alle forme di questo sacrificio. In detto O r d i n e paventiamo essenzialmente di sacrificare u n a p a r t e di n o i stessi. Ci viene chiesto di essere efficienti, 'osservanti' (di regole oggettive) , self-controUed. Qualche p e r s o n a colta ci ricorda magari il. fascino dell'apollineo, o del kosmos che tutto risolve in u n ' a r m o n i a (oggettiva) superiore. E b b e n e , noi gli obiettiamo di sentirci a n c h e un p o ' dionisiaci. E se ci viene offerto di dedicare a questa imprescindibile esigenza il weeke n d o la vacanza d a l l ' i m p e g n o lavorativo, replichiamo c h e le febbri del sabato sera e le evasioni estive (organizzate da u n a sapienza commerciale b e n p o c o passionale) n o n assomigliano n e p p u r l o n t a n a m e n t e a ciò che molti di n o i considerano vera passione. N o n solo p e r c h é , c o m ' è ovvio, mille e mille passioni n u l a h a n n o a c h e fare con questo tipo dì fuoruscita, dalla n o n n a / m a a n c h e p e r c h é le. stesse passio-
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ni-come-trasgressioni i n t e n d o n o trasgredire limiti b e n più radicali e costitutivi della nostra vita associata. Ciò che n o n vogliamo sacrificare è, p e r r i p r e n d e r e un t e m a già evocato altrove, un determinato-sentire. Esso n o n è solo u n a d i m e n s i o n e psico-antropologica c h e alimenta funzioni essenziali del nostro essere. E a n c h e quella dim e n s i o n e che esprime n e l m o d o più diretto forme del vivere più i m m e d i a t a m e n t e a p p a r t e n e n t i alla nostra soggettività. N o n che le forme dell'altra nostra dimensione (quella c h e il lessico intellettuale inglese chiama sapimce, cont r a p p o n e n d o l a , spesso in m o d o troppo, n e t t o , alla sentienee) n o n r e c h i n o anch'esse l'impronta del soggetto che siam o . P e r ò è p u r e vero che il sentire a p p a r e p i ù direttamente coincidente con la vita istintuale, nostra in senso p r e g n a n te, c h e pulsa in noi. È lì c h e avvertiamo desideri provenienti in misura p r e p o n d e r a n t e da u n a sorgente che è l'Io. È lì, soprattutto, che tale Io p r o d u c e più intensamente quelle che c h i a m i a m o passioni. N o n sono le passioni anzitutto un forte sentire accompagnato da un desiderio di acquisizione di altro (o dell'altro) caratterizzato da u n ' a c u t a tensione - e, spesso, da u n ' a l t r e t t a n t o acuta sofferenza? E b b e n e , n o i n o n vogliamo sacrificare tutto ciò: questo intreccio di sentire e di desiderio passionale. C o m e si è detto prima, esso viene minato da u n a prassi sociale c h e n o n sa c h e farsene, che addirittura paventa la sentience'appassionata'. Né, p e r la verità, le si p u ò d a r e torto. Simile alla libido freudiana, il sentire passionale n o n osserva le regole della bienséance, né rispetta acriticamente i rituali della tradizione. Tende, invece, ad affermare se stesso e i suoi obiettivi. Ascolta e veicola le b r a m e del soggetto a n c h e nelle sue modalità più insolite e s o r p r e n d e n t i . E p r o p r i o questo che viene bocciato dal vivere sociale o d i e r n o . Ciò che spaventa è probabilmente n o n tanto'- la singola performance, la singola 'trasgressione, quanto' la disponibilità stessa a trasgredire. L'individ u o , invece, tanto più difende questa p r o t e n s i o n e q u a n t o più la sente minacciata. N o n tanto p e r c h é egli ami la tra-
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sgressione in q u a n t o trasgressione (questa, semmai, è la percezione che ne ha, e ne dà. il sociale), q u a n t o p e r c h é in tale t e n d e n z a scorge u n a traccia di autonomia, di creatività (nel b e n e e nel male, anzi aldilà del b e n e e del m a l e ) , che gli attesta la p r o p r i a libertà: E a questa libertà, p u r piccola e n o n s e m p r e belligerante, egli davvero n o n vuol rinunciare. La passione, insomma, è la testimonianza della nostra soggettitrita Che più di altre ha bisogno di un suo spazio di libertà. Per questo, tutelando la prima t e n d i a m o a n c h e a tutelare la seconda: a tutelare la libertà in u n ' a c c e z i o n e forte, aperta, personale - n o n d e t e r m i n a t a ab externo da p o c o i n n o c e n t i sorveglianti del nostro, vivere. La terza risposta ha a che fare da un lato con questa apertura/creatività, dall'altro con un r a p p o r t o critico col m o n do esterno. 'Passione come apertura* n o n è un'espressione vuota: implica che la vera passione, b e n lungi dal soddisfarsi da sé, richiede la relazione c o n un'alterità. Relazione aperta, allora, significherà u n a condizione di estroversione nella quale il soggetto approfondisce i tratti della p r o p r i a identità essenzialmente attraverso l'esperienza - l'esperienza esistenziale - coll'altro-da-sé. Nella passione avviene la paradossale duplice vicenda di un Io che da un lato vive tutto attraverso la p r o p r i a sensibilità in stato di effervescenza, dall'altro t e n d e a immergersi (a s'oublier, c o m e dicono i francesi) in qualcosa c h e appartiene c o m u n q u e a un m o n d o 'diverso*. O r b e n e , n o i parliamo il linguaggio della passione q u a n d o i n t e n d i a m o accettare tutto ciò: q u a n d o i n t e n d i a m o anzi difendere questa duplice vicenda c o n t r o u n a way of life che palesemente n o n gradisce tale stato di cose. 'Passione c o m e r a p p o r t o critico col m o n d o ' è anch'essa un'espressione dal senso n o n banale. In p r i m o luogo la passione implica, lo sappiamo, un sommovimento che 'dis-ordìna' condizioni standardizzate, sia a parte subjecti che a parte objecti. L'appassionato è colui c h e squarcia miti e riti p e r dar voce a u n a p r o p r i a credenza che si o p p o n e ad essi. La vera passione è critica se e in q u a n t o , b e n lungi dal coincidere
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coll'autoesaltazione p e r u n ' i d e a o un personaggio alia moda, p r o d u c e u n a credenza che, essendo f o r t e m e n t e personale, è c o n ciò'stesso f o r t e m e n t e alternativa. La vera passione possiede s e m p r e questo e l e m e n t o di resistenza/distanza rispetto agli idolo, del t e m p o , questa p i ù o m e n o accentuata creatività di esperienze che si collocano al limite della, cosiddetta normalità. Difendendo la passione, difendiamo in realtà le esperienze dell'ollre-limite e del possibile che il m o n d o iper-reale vorrebbe in più m o d i cancellare. C r e d o c h e la conclusione, provvisoria, di questo discorso sulle passioni possa situarsi qui. Soprattutto se si aggiunge che l'apertura, la criticità, lo sguardo al di là del limite p r o p r i o della passione n o n implicano i n alcun m o d o u n a segreta ansia .di evasione dal m o n d o . Sì, certo, la passione è a n c h e desiderio di Assoluto, e c o m e tale è slancio oltre gli spazi del t e r r e n o e del visìbile. Ma, insieme a tale desiderio, essa conserva a n c h e un organico attaccamento al corpo, all'Io, agli obiettivi/valori che, e n t r o un determin a t o orizzonte, si r a p p o r t a n o alla nostra identità finita. La p r o t e n s i o n e all'Assoluto è passione — e n o n fede - se e solo se custodisce la percezione vivente (anche dolorosa) dei nostri bisogni e delle nostre pulsioni mai placate, né placabili. In un c e r t o senso la passione è un incessante andirivieni: tra l'Io è l'altro, tra la soggettività e l'oggettività, tra la finitudine e il suo a p p a r e n t e contrario... Se vìssuti in m o do passionale, appetiti carnali, sentimenti del cuore, credenze ideologiche s o n o altrettanti veicoli di u n a fenomenologia dai volti plurimi c h e sembra trovare in questa differenza, in questo c a m m i n o bidirezionale la p r o p r i a cifra più caratteristica.
PASSIONI ANTICHE: L'IO COLLERICO di Mario Vegetti -
Sono per natura cosa umana soprattutto i piaceri e i dolori e i desideri. Platone, Leggi, V, 732e Queste tre- malattìe vanno contenute con i tre più. grandi rimedi, la paura e la legge e il discorso vero. Platone, Leggi, VI, 783a
L'ira di Achille V Iliade-il testo inaugurale e fondante della cultura greca - si apre, c o m e è b e n n o t o , con la parola menisi la memorabile 'ira' dell'eroe Achille, dalla quale si g e n e r a l'intero intreccio narrativo del g r a n d e p o e m a . Non è tuttavia privo di significato n o t a r e c h e la traduzione di meniscon 'ira' n o n è esatta p a l m e n o è parziale. Nel solo p r i m o libro dell'Iliade O m e r o usa b e n quattro diversi termini p e r descrivere la nebulosa collerica, nei riguardi della quale il poeta dimostra d u n q u e u n ' a t t e n z i o n e ed u n a sensibilità paragonabili a quelle degli eschimesi p e r le sfumature del colore b i a n c o della neve e del ghiaccio. Menis vale p r o p r i a m e n t e 'Indignazione', 'risentimento violento'; essa è in r a p p o r t o c o n cholos, la 'collera' aspra ed a m a r a (in seguito connessa al t e m p e r a m e n t o 'bilioso'); ci s o n o poi menos, il 1
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'furore' g u e r r i e r o del c a m p o di battaglia, e infine thymòs, l'impulso emotivo che scatena l'azione (connesso a mmos nel 1. V, v. 470). Quest'ultimo t e r m i n e è i m p o r t a n t e p e r c h é segna il transito i m m e d i a t o fra la psicologia della collera e i primi segni della costruzione di u n a soggettività eroica, che vi trova le sue radici e le sue condizioni di pe usabilità. Ed ecco dentro di me, nel petto. Io thymòs
con voglia maggiore si volge a lottare e a combattere, e sotto fremono ì piedi e sopra le braccia. 2
La p r i m a e ancora incerta percezione di sé c o m e soggetto sia p u r p r e c a r i a m e n t e unificato di azione avviene d u n q u e nel fuoco dell'emozione collerica, nella reazione violenta, ed aggressiva alla minaccia che viene dall'altro. La fragilità antropologica della-figura del signore eroico r e n d e questa minaccia mortale, c o m e n e l caso di Achille. Ogni lesione alla sua dignità e al suo o n o r e (timi) che si p r o d u c a nelle din a m i c h e di interazione sociale viene avvertita c o m e catastrofica, p e r c h é la signoria dell'eroe, il suo c o m a n d o sul g r u p p o u m a n o che gli è sottoposto, n o n h a n n o alcuna forma di legittimazione se n o n la c o n t i n u a e tenace riaffermazione del suo valore e q u i n d i del suo p o t e r e . N o n ci sono, in questa 'società' arcaica, né Stato né leggi né o r d i n e morale condiviso che possano surrogare il gesto autorevole, la parola e la spada del signore. La minaccia che viene dall'altro, l'offesa subita o a n c h e solo temuta, il rischio che la dignità eroica ne risulti sfigurata, scatenano d u n q u e u n a risposta che mobilita indignazione, collera e furore fino alla vendetta capace di reintegrare la timé del signore. Nello spazio dell'ira che separa l'offesa dalla vendetta si p r o d u c e d u n q u e la prima autoconfigurazione di un soggetto che più tardi sarebbe stato chiamato 'passionale', ma che o r a è 'eroico* e n o n conosce alternative possibili. Questa autoconfigurazione si accompagna, anzi in so-. 2
Iliade, XIII, 73-75.
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M. Vegetti Passioni antiche: l'io collerico
stanza si identifica, con lo sprigionamento di u n a violenta carica energetica - lo scatto improvviso e distruttivo di quel l e o n e ' che così spesso metaforizza l'eroe omerico . C'è un aspetto rilevante dell'Iliade sul quale n o n si è forse suffic i e n t e m e n t e insistito. A differenza di molti altri testi istitutivi di culture, l'Iliade n o n solo n o n stabilisce alcun limite o interdetto nei riguardi dell'uccisione, ma fa del massacro dei nemici (e a n c h e dei rivali: Achille ucciderebbe immediatamente A g a m e n n o n e se n o n intervenisse Atena a trattenerlo) lo spettacolo nobile p e r eccellenza, il m o m e n t o alto in cui il signore dell'epica si mette alla prova e legittima il suo p o t e r e . La risposta collerica alla minaccia altrui tende d u n q u e ad essere totale e distruttiva, n o n lasciando al n e m i c o se n o n l'alternativa tra m o r t e e asservimento (la stessa che il furente thymòs dell'eroe t e m e p e r se stesso). Questa ira del signore getterà la sua o m b r a l u n g a e tenace sull'intero processo di costruzione della soggettività antica. E ciò accadrà n o n soltanto p e r c h é i greci contin u a r o n o a pensare, c o m e deplorava Platone, che « O m e r o ha educato l'Eliade e che merita di essere appreso p e r governare ed educare il m o n d o u m a n o , e che s e c o n d o le regole di questo p o e t a si organizza e si vive tutta la p r o p r i a vita» . Questa 'testualizzazione' omerica della cultura greca, che c o n t i n u ò a n c h e d o p o l'età arcaica fino al p u n t o che ogni giovane greco imparava a m e m o r i a i p o e m i e sui loro testi, apprendeva a leggere e scrivere, era giustificata da u n a struttura antropologica di l u n g a durata, alla quale dal canto suo offriva la voce autorevole della tradizione culturale. L'esperienza quotidiana e o n n i p r e s e n t e della schiavitù strutturava, p o l a r m e n t e , la configurazione della soggettività greca nella figura della l i b e r t à ' . La radicalità di questa opposizione produceva la convinzione diffusa che la libertà fosse minacciata dì asservimento da qualsiasi vincolo sociale imposto dalla stessa comunità dei liberi: la legge, lo 1
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Piatone, Repubblica, X, 606a sg.
Storia delk passioni
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Stato, la decisione dell'assemblea popolare. C o m e essere davvero 'liberi' e vivere p e r ò in u n a c o m u n i t à di pari? L'en o r m e difficoltà incontrata dalla cultura greca nel rispond e r e a questa d o m a n d a è d o c u m e n t a t a dalla convinzióne diffusa nel secolo V che il solo davvero 'libero' fosse il tir a n n o dotato di p o t e r e assoluto, a somiglianza di Zeus pensato a sua volta c o m e il. .'tiranno, degli dèi'. Si-tratta di un s e g n o - n o n certo il solo - di c o m e fosse difficile p e r i greci pensare, ad-una libertà (cioè ad u n a non-schiavitù) che fosse disgiunta dalla pienezza della signoria. cQuesto tenace f o n d o antropologico costituiva a sua volta il vettore di resistenza della forma collerica della soggettività. L'ira, come protezione dalla minaccia di asservimento, e il desiderio di vendetta, c o m e reintegrazione della pienezza della libertà, e r a n o sentiti c o m e il d i r i t t o / d o v e r e costitutivo del signore, e indicatori della sua libertà. Il carattere soggettivante dell'ira c o n t i n u e r à a venire testimoniato dai moralisti a n c h e d o p o che essa sarà stata trasformata in u n a passione (parola e cosa ignote al lessico di O m e r o e all'autoconsapevolezza di Achille). Platone ritiene che lo thymòs, il furore guerriero, appartenga alla zona irrazionale dell'anima; spegnerlo, tuttavia, equivarrebbe a «recidere i nervi dell'anima», tagliare la c o r d a d ' a r c o che ne assicura l'energia . Aristotele apprezza la virtù della mitezza (praotes) che si o p p o n e all'eccesso della collera (orghé, t e r m i n e c h e ora e in seguito si sostituisce alla ricchezza lessicale omerica, e c h e c o n t i n u a com u n q u e a designare l'impulso a vendicare l'offesa ricevuta) . Questa virtù è guardata tuttavia con un certo sospetto. Ci sì deve p u r s e m p r e «adirare p e r le cose delle quali si deve e con chi si deve ed inoltre c o m e si deve», p e r c h é «il s o p p o r t a r e di essere oltraggiato e p e r m e t t e r e che lo siano i p r o p r i cari è cosa da schiavi» : un pacato professore come Aristotele, così l o n t a n o dai furori eroici, n o n p u ò tut4
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Ivi, IH, 41 l b . Aristotele, Etica nicomachea, IV, 11.
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tavia rinunciare alla reattività intersoggettiva che si esprime nell'ira e che separa il lìbero d a l l ' o m b r a minacciosa dello schiavo e del suddito. Ma ancora d o p o secoli di patologizzazione delle passioni, alla quale come v e d r e m o avrebbero lavorato tutti i m o ralisti, il caso dell'ira lasciava perplesso Cicerone. «1 turbam e n t i dell'anima, - egli scrive - che r e n d o n o misera e aspra la vita degli stolti, e che i greci c h i a m a n o pathe ['passioni'], avrei p o t u t o chiamarli m a l a t t i e , i n t e r p r e t a n d o letteralmente questa parola: ma il t e r m i n e n o n sarebbe convenuto a tutti, p e r c h é chi mai definirebbe 'malattia' la misericordia o la stessa iracondia?» . U n a difficoltà, d u n q u e . La stessa c h e spiega il moltiplicarsi di trattati sull'ira da parte dei moralisti antichi, sui quali t o r n e r e m o alla fine di questo saggio. Occorre ora, preliminarmente, discutere il processo intellettuale che p o r t ò alla formazione di quel complesso concettuale della passione/malattia, al quale Cicerone fa. riferimento e in cui l'ira, n o n senza problèmi, sarebbe stata inclusa. i
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Le malattie dell'anima N o n c'era n a t u r a l m e n t e solo la collera eroica, e la sua messa in discorso n e l ' e p i c a omerica. Il materiale emozionale d e l l ' u o m o e della d o n n a arcaici si veniva rivelando come un aggregato complesso di pulsioni la cui "violenza n o n appariva inferiore a quella dell'ira: il desiderio d ' a m o r e , la cupidigia di ricchezza e p o t e r e , la p a u r a paralizzante, l'esaltazione sfrenata. Questo materiale trovò via via m o d i di espressione e d u n q u e livelli di consapevolezza nella poesia lirica e poi n a t u r a l m e n t e in quei g r a n d e teatro delle e m o zioni che fu la tragedia del secolo V. L'io antico si veniva 6
Cicerone, De finibus, III, 10, 35.
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Stona- delk passioni
così configurando c o m e soggetto di passione: nasceva infatti allora a n c h e la parola, pathos, che dava un n o m e unitario a quel complesso emozionale. Ma, c o m e vedeva Platone, quello tragico era un soggetto disgregato fra u n a pluralità di spinte passionali che n o n trovavano alcun p u n t o di controllo e di equilibrio; e disgregante, p e r c h é la sua rappresentazione poetica, e soprattutto scenica, scatenava nello spettatore meccanismi di identificazione capaci di r e n d e r l o a sua volta «doppio e molteplice», «pazzo p e r assimilazione ai pazzi», i n s o m m a fuori di s é . 7
Ma da quale sé? La complicazione dell'universo passionale n o n faceva che accrescere l'esposizione all'altro propria dell'io omerico, c o n f e r m a n d o n e e rifrangendone su tutto lo spettro emotivo la debolezza strutturale. Quale polo di identità d u n q u e poteva p r e n d e r e il controllo delle passioni, evitando l'infinita e incontrollabile frammentazione del soggetto? , A queste d o m a n d e erano venute risposte diverse, anche se in certa misura convergenti - e che di fatto confluirono nel pensiero di Platone. C'era, in p r i m o luogo, la tradizione di un puritanesimo religioso e misticheggiante, che va sotto il n o m e di orfico-pitagorico, e che era restato a lungo marginale b e n c h é n o n ininfluente. Di qui, n o n a caso, era venuta la p r i m a sfida ad O m e r o ; qui si era p e r la prima volta professato e praticato, c o m e obbligo religioso primario, l'interdetto dell'uccision e , di qualsiasi uccisione, u m a n a o animale che fosse. In questo contesto si era lavorato alla costruzione di u n ' a l t r a figura della soggettività, rispetto alla quale quella omerica veniva a rappresentare u n a fatale degenerazione patologica (come la società agonale e guerriera dell'aristocrazia greca appariva malata e contagiosa agli occhi di queste minoranze settarie, estranee allo spazio, della politica e insediate nelle periferie sociali e geografiche d e l m o n d o greco). 7
Platone, Repubblica, III. 396a sgg.
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La novità d i r o m p e n t e introdotta dalle correnti del puritanesimo religioso era l'invenzione di un n u c l e o forte di unificazione della soggettività, che al t e m p o stesso agiva come un dispositivo di scissione dell'individuo. Si trattava dell'anima - u n a entità 'spirituale' di origine ed affinità divina, che produceva i m m e d i a t a m e n t e u n ' o p p o s i z i ó n e polare con la corporeità, in cui venivano ora relegati* tanto 1 piedi' e le braccia' q u a n t o lo thymòs che abbiamo letto in O m e r o . N o n i m p o r t a qui discutere q u a n t o questa 'invenzione' sia in realtà u n ' i m p o r t a z i o n e dalle culture orientali; e n e p p u r e precisare che l'anima orfico-pitagorica n o n è. alle origini, un vero fattore di identità, p e r c h é si tratta piuttosto di un d e m o n e capace di u n a sua esistenza transindividuale attraverso il ciclo delle reincarnazioni. Ciò che p i ù conta è che questa nuova prospettiva offriva a l m e n o le premesse p e r u n a risposta radicale ai quesiti posti dal soggetto di passione. Esiste un centro di controllo unificato e ' p u r o ' , ed è a p p u n t o l'anima (più tardi, essa si sarebbe n a t u r a l m e n t e metamorfìzzata nella 'ragione', senza p e r d e r e le sue caratteristiche essenziali, inclusa u n a qualche affinità con il divino). Le passioni - i desideri riolenti, i piaceri, le sofferenze - v e n g o n o dalla sua stessa esistenza polarizzate nel suo opposto, quella corporeità con cui essa è costretta a condividere il t e m p o dell'esistenza individuale e che la contamina con la sua impurità. Colpa e malattia dell'anima consistono nel cedimento.a questa contaminazione, n e l far proprie le lusinghe e le urgenze del corpo di cui le passioni costituiscono il linguaggio. AI contrario, la costruzione di u n a figura di soggettività p u r a e salvata consiste nella pratica ascetica di censura e di azzeram e n t o di questi messaggi corporei. Cura e purificazione dell'anima consistono, c o m e avrebbe scritto Platone nel Fedo«é.(un testo vicinissimo alla tradizione orfico-pitagorica), «neiradoperarsi in ogni m o d o a t e n e r e separata l'anima dal corpo, e a restarsene p e r q u a n t o è possibile a n c h e nella vita presente, c o m e nella futura, tutta solitaria in se stes-
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Storia dette passioni
sa [...] E d u n q u e n o n è questo che si c h i a m a morte, scioglimento e separazione dell'anima dal corpo?» . Ma la risposta al p r o b l e m a del soggetto di passione n o n veniva soltanto da questo homo religiosus costruito nell'ambito del puritanesimo mistico e ascetico. Ce n ' e r a un'altra, che si produceva p r o p r i o in quell'ambito della competizione politico-militare dal quale i settari rifuggivano, e che de lineava dal c a n t o suo un profilo ancora più i m p o r t a n t e , quella dell' homo polìtkus. Dal p u n t o di vista delle nascenti forme di governo cittad i n o a base e n t r o certi limiti egualitaria, le poleis, l'eccesso emotivo risultava pericoloso e destabilizzante p e r gli equilibri e le mediazioni faticosamente raggiunti. Basti pensare alla tecnica di c o m b a t t i m e n t o propria delle c o m u n i t à cittadine, la falange oplitica: qui il requisito della salvezza di ognuno è la compattezza del fronte, che nessuno deve abbandon a r e né p e r il furore eroico dell'assalto né per la viltà della fuga. A n a l o g a m e n t e , nelle deliberazioni assembleari in cui si decide della g u e r r a e della pace, della prosperità o della rovina della polis, è necessario che o g n u n o si c o m p o r t i sec o n d o criteri di equilibrio e di oggettività, p o n e n d o freno agii slanci della passione. Così p e r esempio Tucidide addebita la catastrofica decisione degli ateniesi di inviare u n a g r a n d e spedizione navale c o n t r o Siracusa allo scatenarsi irrefrenabile di un «desiderio [epithymia] di massa», addirittura di un «eros di salpare» nella speranza di bottino, di gloria, persino di conoscenza (theoria) di nuovi paesi . 8
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Certo, i requisiti di autocontrollo del materiale emozionale imposti dalla c o n d i z i o n e polìtica sono m e n o severi di quelli implicati dalla purificazione religiosa dell'anima. Si tratterà qui soprattutto di praticare la s&phrosyne, u n a disciplina di equilibrio interiore c h e viene sostenuta dalla comunità con un insieme di pratiche educative coestese all'intera vita d e i suoi cittadini. Ma questa pratica di autocontrollo è 8
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Id.. Fedone, 67c-d. Tucidide, VI, 24.
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p u r sempre mirata alla costruzione di un p o l o interiore di censura e di regolamentazione delle spinte passionali. Ad e n t r a m b e queste strategie di governo delle passioni - che troveranno, c o m e v e d r e m o , la loro saldatura n e l pensiero dì Platone - il sapere m e d i c o del secolo V veniva offrendo i m p o r t a n t i modelli di pensabilità del r a p p o r t o fra la passione e-il.suo soggetto. - Si trattava.--anzitutto--di u n o spostamento linguistico,.in virtù del. quale il t e r m i n e pathos veniva identificato, e p e r l e più sostituito, dalle parole nosos/nosema, c h e significano senz'altro 'malattia'. E si trattava - cosa a n c o r a più i m p o r t a n t e - di modelli eziologici degli stati morbosi. Il p r i m o di essi, e il più diffuso, era di tipo bellico-agonistico. La malattia insorgeva q u a n d o il c o r p o veniva a socc o m b e r e nella sua prova di forza con gli elementi patogeni esterni (cibi, elementi atmosferici, sforzi, eccessi n e l regime di vita). Questo modello contribuiva in m o d o rilevante alla passivizzazione della malattia/passione (peraltro già-implicita nel t e r m i n e -pathos,, da paschein, 'subire'). Come la malattia del corpo., la passione dell'anima veniva d u n q u e a r a p p r e s e n t a r e un c e d i m e n t o , dovuto ad intrinseca debolezza, alla pressione esterna: in questo caso le pulsioni corporee, o a n c h e le rappresentazioni provenienti dal m o n d o esterno (offese o promesse di piacere, gloria, ricchezza). In questo q u a d r o , la passione, c o m e la malattia p e r i medici, rappresentava d u n q u e un c e d i m e n t o dell'anima al suo 'altro*: il corpo, o p p u r e l'ambiente sociale* Platone, che fu il p r i m o a definire le passioni «malattie d e l l ' a n i m a » , avrebbe accettato, a l m e n o in un. versante- del suo- pensiero-, questa, concezione passivizzata del. pathos, come affezione dell'anima ad o p e r a del corpo. Nel Fedone l'an i m a era rista c o m e impegnata in u n a lotta p e r p e t u a c o n i desideri, le pulsioni erotiche, le collere, le p a u r e che il c o r p o produceva senza sosta ; ma si trattava di u n a lotta 10
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Platone, Timeo, 87a. Id., Fedone, 66b-c; 94d-e.
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Storia delle passioni
dall'esito incerto, p e r c h é le passioni, «quasi fossero chiodi, conficcano l'anima nel corpo» e a r r e n d o n o difficile, spesso impossibile, la purificazione e il finale c o n g i u n g i m e n t o con il divino . Ma n o n è questo l'unico m o d e l l o eziologico dei medici, e n e p p u r e il m a g g i o r e di quelli c h e agiscono n e l pensiero platonico. Il secondo m o d e l l o è ancora agonale»--ma non rappresenta più la lotta fra interno, ed esterno, bensì il conflitto i n t e r n o , la stosis, il dissidio fra organi e fluidi corporei diversi. Trasposto alle d i n a m i c h e della passione, questo significa che la sua eziologìa n o n va più cercata n e l conflitto tra l ' a n i m a e il suo 'altro' (corpo o s o c i e t à ) bensì nel conflitto i n t e r n o all'anima stessa,"che vede contrapporsi lè diverse cariche energetiche attive nella dimensione psichica. L'elaborazione di questo m o d e l l o costituisce u n a delle svolte più rilevanti p r o d o t t e dal pensiero.psicologieo di Platone, capace di lasciare u n a l u n g a traccia - sia p u r e n o n esente da contraddizioni - nella tradizione posteriore. Bastavano a Platone p o c h e mosse teoriche, di straordinaria efficacia, p e r psicologizzare la passione, p e r trovare ad essa u n o o p i ù luoghi interni all'anima, strappandola alla connessione immediata-Goa:la corporeità. La p r i m a consisteva nell'attribuire alle dinamiche psichiche della memoria e del desiderio la guida delle c o n d o t t e passionali: la fame e la sete n o n v e n g o n o direttamente dal corpo, ma dalla m e m o r i a che l'anima conserva del passato soddisfacim e n t o di questi bisogni e dal desiderio di ripetere il piacere che n e c o n s e g u e . La seconda mossa consisteva nel rilevare c h e i movimenti passionali dell'anima n o n sono unilineari bensì dovuti ad u n a pluralità di 'centri motivazionali' spesso in conflitto fra loro. Secondo le analisi fondamentali c o n d o t t e nel libro IV della Repubblica (e riprese, c o n qualche •variante, sia nel -Timeo sia nelle Leggi}, il fondo puisionale c h e dà luogo alle 12
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Ivi, 83-d-e. I d „ Filebo, 35à.
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c o n d o t t e passionali è separato da u n a linea di crinale. Da un lato stanno le forme di reattività sociale che vengono sprigionate dall'esposizione all'altro, la collera, lo spirito dì vendetta, il desiderio di gloria e di prestigio: le dirette eredi del valore guerriero p r o p r i o dell'eroe omerico, e che infatti Plat o n e d e n o m i n a con un t e r m i n e omerico, thymòs,, •• Sull'altro e inferiore versante si collocano invece le pulsioni del desiderio (epithymia) p i ù vicine alla corporeità, p i ù chiuse nell'individualità: la b r a m a di cibo e di vino, IV ms sessuale, l'avidità-di, ricchezze destinate a.-soddisfare le p r i m e e il s e c o n d o . Ad esse appartiene, c o m e Platone scriv e n e i libri Vili e IX della Repubblica, lo stesso desiderio di un p o t e r e tirannico che c o n s e n t e al. s u o d e t e n t o r e di realizzare di g i o r n o ciò che gli altri s o g n a n o soltanto — fino al «congiungersi c o n la p r o p r i a m a d r e , o c o n qualsiasi altro uomo-odio-ò:animale» .. . . Al p o l o opposto d e l l ' a n i m a sta invece il principio della razionalità: un'istanza di guida della: condotta destinata a scopi socialmente e m o r a l m e n t e desiderabili, q u i n d i in p r i m o luogo un dispositivo di c e n s u r a verso le pulsioni .che minacciano l'armonia sociale, come l'eccesso di vendicatività collerica, e l'equilibrio morale, c o m e i desideri sessuali ed alimentari.. A n c h e la polarità razionale- ha i suoi desideri e i suoi piaceri - ma si tratterà allora del desiderio di conoscere e di b e n governare, e dei piaceri ' p u r i ' della m e n t e e dei sensi c h e più- le sono vicini,, c o m e la vista e l'udito. ' Psicologizzando la passione, Platone rendeva in tal modo l'anima intrinsecamente, e inevitabilmente, passionale: perdeva di significato, a questo p u n t o , qualsiasi strategia di controllo della passione basata sui tentativi di soppressione ascetica delle pulsioni corporee. Ma al t e m p o stesso egli instaurava la possibilità di u n a politica dell'anima: se le passioni rappresentavano ora un materiale psichico, esse risultavano situate in u n o spazio o m o g e n e o alla ragione. II conflitto intrapsichico era suscettibile di ricomposizione, 14
" l à , Repubblica, Vili, 57M.
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Storia delle passioni
con la conquista di equilibri soddisfacenti p e r q u a n t o semp r e precari. La ragione poteva trovare un appoggio nella passione sociale dello thymòs p e r contrastare l e ' b r a m e del ventre e del sesso; e poteva persino utilizzare queste ultime p e r indirizzarle verso i suoi fini. L'aspetto p i ù i m p o r t a n t e della svolta platonica consisteva infatti in u n a depassivizzazione della-passione, n o n p i ù vista c o m e c e d i m e n t o dell'anima di fronte alla pressione esterna (l'altro, il corpo) bensì c o m e un serbatoio s e m p r e rigenerato di energia intrapsichica. N o n si trattava solo dello thymòs, c h e costituiva, come si è visto, il ''nervo dell'anima'. Si trattava a n c h e e sop r a t t u t t o dell'eros, c h e Platone concepisce c o m e un flusso (rhoe) di forza (rhomé), «l'energia innata» d e l l ' a n i m a . • E n e r g i e pericolose, p e r c h é se sono ribelli alla guida razionale esse possono far deviare l'anima dal corso di u n a vita b u o n a e giusta; ma a n c h e le sole energie disponibili, p e r c h é - c o m e indica c h i a r a m e n t e la famosa-metafora del Fedro - senza la forza-dei cavalli passionali c h e gli-sono aggiogati il carro c o n d o t t o dalia ragione n o n ha la forza di muoversi. Come destinare allora queste energie al servizio della ragione, del suo p r o g e t t o di conoscenza e di costruzione della 'bella città* in cui gli uomini possano vivere nella giustizia? Platone p r o p o n e u n a sorta di modello idraulico delle passioni: se è possibile canalizzarne il flusso nella direzione giusta, esso risulterà indebolito nelle altre n o n accettabili . Vedremo in seguito c o m e questa canalizzazione possa venire attuata. 15
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P e r q u a n t o o r a ci interessa, va rilevato che la concezione energetica della passione viene condivisa, p u r se con correzioni importanti, a n c h e da Aristotele. Egli preferiva n o n considerare la zona dei desideri più ricini alla corporeità, quelli alimentari e sessuali, c o m e un centro a u t o n o m o di motivazione psichica: li neutralizzava infatti in u n o spazio vegetativo (phytikòn) delegato, in tutti i riventi, alle funzioni 15
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là., Fedro, 246a; 251a-c. Id., Repubblica, V, 4B5d.
M. Vegetti
Passimi antiche: l'io collerico
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fisiologiche dell'accrescimento e della riproduzione. Quanto al resto del materiale passionale (che tornava d u n q u e a rappresentare prevalentemente l'interfaccia tra individuo e società, la zona della reattività di fronte all'altro), egli lo denominava nell'insieme c o m e luogo- della orexis, ' t e n s i o n e ' o 'tendenza'. Questo carattere tensionale della passione faceva sì che da essa dipendesse la posizione dei fini desiderabili della condotta.-Nel linguaggio di Aristotele il carattere tensionale, energetico della passione n o n la p o n e p e r ò necessariamente in conflitto con la ragione: la p r i m a p u ò seguire la seconda c o m e il figlio ascolta gli insegnamenti del p a d r e , e dal canto suo la ragione p u ò fare suoi i fini posti dalla orexis. Aristotele usa quindi espressioni molto significative c o m e orexis dianoetike, 'desiderio' razionale', e nous omktihon, 'pensiero d e s i d e r a n t e ' , che e s p r i m o n o il suo progetto di pacificazione tra ragione e passione. Entrambi i modelli eziologici della passione, quello passivizzante del conflitto i n t e r n o / e s t e r n o e quello energetico del conflitto i n t e r n o , persistono, n o n senza contraddizioni, n e l pensiero stoico. Gli stoici n o n possono più riconoscere n e l l ' a n i m a un posto- p e r il materiale passionale. N o n possono', p e r c h é u n ' a n i m a intrinsecamente passionale (come in Platone e, in parte, in Aristotele) r e n d e r e b b e impossibile in linea di principio il loro p r o g r a m m a di u n a totale perfettibilità intellettuale e m o r a l e d e l l ' u o m o - un p r o g r a m m a che mira a fare d e l l ' u o m o quello che egli sarebbe ad o p e r a di u n a n a t u r a ordinata e provvidenziale, e che invece i meccanismi dell'integrazione sociale sempre di n u o v o pervertono. L'anima d u n q u e è soltanto ragione. La passione, c o m e nel p r i m o modello m e d i c o , è u n a malattìa che viene dal di fuori: dalle rappresentazioni dell'ambiente educativo e sociale, che t e n d o n o a convincere il soggetto in formazione che il piacere è il b e n e , il d o l o r e è il notale. Se la ragione ce17
Aristotele. Etica nicomachea, I, 13; VI, 12.
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d e , p e r u n a sua intrinseca debolezza e m a n c a n z a di tensione (atonìa), alla forza di queste rappresentazioni esterne, essa formula giudizi di valore che orientano la condotta verso il p e r s e g u i m e n t o dei piaceri e la fuga dai dolori, con un completo stravolgimento dei fini morali e intellettuali della vita. Se d u n q u e la passione è u n a malattia che si impadronisce dell'anima intera in seguito al c e d i m e n t o di u n a ragione che ha p e r d u t o il suo tonos, è vero d'altra parte che a n c h e p e r gli stoici questa malattia è capace di sprigionare u n a sua perversa energia. G i s i p p o ne parla come di u n a agitazione sfrenata, u n a «corsa inarrestabile» che fa uscire Fio fuori da sé, u n a «violenta forza m o t r i c e » che produce a p p u n t o u n a condizione ek-statica del soggetto. Poiché al principio n o n ci p u ò essere altro che la ragione, e i suoi giudizi errati, viene così attivato a n c h e il modello eziologico della stasis, che p e r ò consiste questa volta n o n in un conflitto fra ragione e pulsioni irrazionali ma in u n a rivolta della ragione contro se stessa e le p r o p r i e n o r m e . Se l ' u o m o è tutto intero razionale, esso diventa allora, p r o p r i o per questo, tutto intero passionale: u n o stravolgimento radicale dell'io e della condotta che porrà, c o m e vedremo, n o n p o c h i problemi per la terapeutica stoica delle passioni. 18
Si d e t e r m i n a intanto, fra Platone ed Aristotele da un lato e lo stoicismo dall'altro, u n a polarità relativa al rapporto fra io ed eziologia delle passioni. In Platone, la dinamica passionale è inferiore al livello dell'io. La soggettività è lina figura composita dove p u ò realizzarsi un equilibrio tra forze diverse ed in conflitto: secondo la celebre immagine del libro IX della Repubblica, in ogni a n i m a sono racchiusi un u o m o (il principio razionale), un leone (la reattività emotiva all'altro, lo thymòs di m e m o r i a eroica), e un mostro policefalo (la sfera dei desideri sessuali ed alimentari, la b r a m a di ricchezze e p o t e r e tirannico). Nessuna chirurgia dell'anima p u ò a m p u t a r e u n a d i queste parti: si tratta- di stabilire fra esse-una gerarchia di b u o n goGaleno, Deplaciiis, TV, 6.
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M. Vegetti Passioni antiche: l'io collerico
verno, resa possibile da u n a strenua politica dell'educazione individuale e collettiva. P e r Aristotele, in o g n u n o di n o i c'è a l m e n o ù n p a d r e e un .figlio: l'io resta-composito,-anche se il modello politico v i e n e sostituito dà'quello p i ù agevolm e n t e pacificabile della famiglia. In e n t r a m b i i casi, com u n q u e , il materiale passionale agisce c o m e u n a minaccia p e r p e t u a p e r u n a costruzione armonica della soggettività, come un fattore di destabilizzazione del suo baricentro razionale, sul quale n o n possono che fondarsi tanto u n a vita m o r a l m e n t e e socialmente integrata q u a n t o la dedizione all'intelligenza conoscitiva. A t t e m p o stesso, p e r ò , quel materiale è indispensabile al processo di soggettivazione. Più clam o r o s a m e n t e in Platone, c o m e si è visto, dove senza u n a ricanalizzazione delle energie colleriche ed erotiche n o n c'è alcun movimento dell'anima verso le b u o n e o p e r e e le belle conoscenze. Ma ciò è vero, con maggiore discrezione, anche per Aristotele. L'io si costruisce a t t o r n o ad un nucleo di affettività rivolta ai congiunti, al patrimonio familiare, agli amici, ai concittadini - p e r culminare in quell'amore di sé (philaulia) in cui secondo Aristotele si conclude il processo di soggettivazione virtuosa . Per gli stoici, al contrario, la dinamica passionale è superiore al livello dell'io, v e n e n d o scatenata da rappresentazioni esterne in cui si c o n d e n s a n o lo stato del m o n d o e soprattutto gli effetti perversi derivanti dai rapporti sociali. La passione n o n è d u n q u e più integrabile nel processo di soggettivazione morale ma se ne richiede u n ' a m p u t a z i o n e radicale p e r c h é l'io possa costruirsi secondo la n o r m a della natura, che lo vuole soltanto razionale. In questo sta la radicalità della sfida stoica alla tradizione platonico-aristotelica del pensiero delle passioni: u n a radicalità difficile da sostenere, se è vero che un maestro come Posidonio avrebbe finito p e r accettare la tesi rivale di u n a struttura composita, razional e / passionale, dell'apparato' psìchico. 19
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Aristotele, Politica. II, 5; lei., Etica nicomackea, IX, .4, 8.-'
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Storia delle passioni
Nosografia dette passioni La medicalizzaziome deU'usdverso passionale p o r t ò , come conseguenza di g r a n d e rilievo, alla costruzione di u n a tassonomia nosografica delle passioni via via p i ù articolata. Platone aveva e n u n c i a t o c h i a r a m e n t e nelle Leggi? la matrice di questa tassonomia. All'origine sta la coppia piacer e / d o l o r e , sita all'intersezione fra c o r p o ed anima; con l'aggiunta ideila .dimensione t e m p o r a l e del futuro, essa prod u c e la seconda coppia d e s i d e r i o / p a u r a , che sono rispettivamente attesa di piacere e di dolore. A partire da questa matrice si sviluppa la complessa analisi stoica, che darà luogo ad u n a comprensione psicologica degli stati passionali destinata a restare insuperata fino alle soglie dell'età m o d e r n a , influenzando la stessa antropologia di Kant. D u e cose s o n o da notare in questa analisi. In p r i m o luogo, essa n o n o p e r a più distinzione di valore tra forme passionali, p o n e n d o sullo stesso livello quelle nobili, sociali, d e l o thymòs e quelle dei desideri p i ù legati alla corporeità individuale, che Platone aveva assegnato alla p i ù bassa p a r t e dell'anima (Yepithymià). In s e c o n d o luogo, il sapere stoico sulla fenomenologia delle passioni è c e r t a m e n t e poggiato su di u n a attenta osservazione 'clinica' della malattìa dell'anima; ma esso attinge soprattutto, e in m o d o esplicito, alla g r a n d e esperienza letteraria della poesia epica e tragica, i cui testi fungono spesso da vere e p r o p r i e cartelle cliniche delle passioni. Possediamo diverse versioni della tassonomia stoica, ma le d u e principali s o n o quelle offerte da Diogene L a e r z i o e, in m o d o a n c o r più articolato, dallo P s e u d o - A n d r o n i c o . Sarà qui o p p o r t u n o partire dalla prima, aggingendovi le integrazioni a p p o r t a t e dalla seconda. 0
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Platone, Leggi. I, 644c. Diogene .Laerzio', VII, i l i sgg. Stoic. Vet. Progni., Ili, 391-397.
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PIACERI-' UsaiUaicni imaimati)'
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DOLORI (contrazioni
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PAU-BE DESIDERI* (foghe dai dobrì) {tensioni irrazionali verso S piacerei
1. Incanto (attraver- 1. Pietà ( p e r s o l e * 1. Terrore 1. ro la vista e l'udìrenze altrui) 2. 'Esitazione lo) 2. Invidia (per prò- 3. Vergogna (paura 2. Gioia malevola sperila altrui) del disonore) (per mali altrui) 3. Gelosia (l'altro 4. Sbigottimento 3. Delizia (rammolpossiede ciò che (per awenimen- 2. iitnento dell'anisi desidera) to insolito) ma) 4. Rivalità (l'altro 5. Panico 4. Effusione ('orgapossiede dò che 6. Inquietudine SDIO'3 si ha) (per fatti oscuri) 3-. 5. Affanno, oppres4. 5. Maleficio (piacesione • 7- Timore (per prere per inganno o 6. Noia visioni infauste) magia) 7. Turbamento 8. Stupore • 5. (per false consi- 9. Viltà derazkmi) 10. Titubanza ' 8. Angoscia U- Trepidazione 6. 9. Costernazione (pauradell'insuc" (impedisce una cesso) visione d'insie- . 12.'Turbamento 7. me) (paura di ciò che si pensa) 10. Desolazione (per 13, Superstizione male inesorabile) (paura del divil i . Sventura no) 12. Spasimo 13. Lutto 14. Stizza (per ragionamenti avversi) 15. Tormento (per inflessioni dolorose) 16. Pentimento (per errori commessi) 17. Pianto 18-. Lamento 19. Sconforto 2 0 . Fastidio 21. Preoccupazione 22. Indignazione 23. Confusione (impedisce la visione
Brama (desiderio separato dall'oggetto e teso vanamente verso di esso) Odio (desiderio crescente e durevole del male altrai) Ambizione Ira (desiderio di vendetta per otfesa ricevuta) Eros {desiderio della bellezza corporea) Indignazione (ira inveterata e rancorosa) Collera {ira al suo inizio)
del futuro)
* ' : ••. 24. Sofferenza (dolo- ,. re penetrante) 25. .Afflizione 2
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1 punti 1-4" sono di Diogene Laerzio, il punto- 5 è aggiunto dallo Pseu-
do-Andronico. 24
I punti 1-9 sono di Diogene Laerzio; i punti 10-25 sono aggiunti dallo Pseudo-Andronico. I punti 1-6 sono 'di Diogene Laerzio;.! punti 7-13 sono aggiunti dallo Pseudo-Andronico. 1 punti 1-7 sono di Diogene Laerzio; le aggiunte dello- Pseudo-Andronico sono- riportate alla pagina seguente. 25
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Storia delle passioni
Le integrazioni apportate dalla tavola dei desideri dello Pseudo-Andronico possono venire raggruppate secondo p u n t i di vista diversi. In qualche caso, esse tracciano il percorso t e m p o r a l e della passione, c o m e ad esempio accade p e r l'ira (orgké): 1. Ira (orghé) 2. Scatenarsi iniziale ( thymòs) 3. Crescita (cholos), ribollire bilioso 4. Sfogo improvviso (pikrìa) 5. Risentimento inveterato (menis) 6. Rancore (kotos) Come, si vede, l'intero linguaggio omerico dell'ira è riattivato ed organizzato- sistematicamente. In altri casi, c o m e p e r l'eros, la passione viene minuzios a m e n t e e s a p i e n t e m e n t e articolata nelle sue sfumature: 1. Eros (amore p e r i corpi) 2. A m o r e p e r l'amico 3. Amicizia p e r i giovani belli 4. Nostalgia p e r l'amico assente (himeros) 5. Bramosia p e r l ' a m a n t e assente (pathos) Ci sono poi le forme della dissolutezza: 1. Ghiottoneria 2. Ubriachezza 3. Lascivia sessuale Ancora, i desideri sociali, c o m e la cupidigia di ricchezze e di onori, e quelli vitali: 1. A m o r e p e r il corpo (cura eccessiva della prosperità fisica) 2. Attaccamento alla vita (desiderio irrazionale di vivere). A proposito di tutto questo, va n o t a t o che la traduzione r e n d e a fatica la straordinaria ricchezza psicologica della fenomenologia stoica delle passioni: ogni t e r m i n e richied e r e b b e in effetti u n o scavo lessicale nella tradizione letteraria greca p e r c h é se ne possano c o m p r e n d e r e adeguatamente valenze e sfumature.
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Questo e n o r m e materiale n oso grafico della passione, questa ricca tassonomia degli stati emotivi, v e n n e r o a p i ù riprese intersecati da spiegazioni di tipo fisiologico. G, p e r meglio dire, da ridescrizioni: n o n si tratta intatti di rapporti causali ma piuttosto, c o m e chiariva benissimo Aristotele, di diversi registri linguistici p e r lo stesso f e n o m e n o : «Il filosofo definirebbe l'ira c o m e desiderio di restituire l'offesa, il naturalista c o m e ribollimento del sangue a t t o r n o al c u o r e » . Un aspetto costante in queste ridéscriziohi fisiologiche, da Platone ad Aristotele agli stoici, è a p p u n t o la termodinamica della passione, n e l e u i a m b i t o i L c a l o r e s i a c c o m p a g n a all'emozione del desiderio, il •raffreddamento -a quella della paura. Variano Invece, nelle diverse stagioni d e l i a fisiologia antica, i fluidixoinvalti da questi processi-termici. Per Platone ed Aristotele si tratta del sangue della regione cardiaca (alle cui variazioni di t e m p e r a t u r a si a c c o m p a g n a n o i segni degli opposti stati emotivi, arrossamento e pallore). Per gli stoici, preceduti da alcuni motivi presenti nello stesso Aristotele, si tratta invece del p n e u m a , un 'vapore' psicofisico dall'incerto statuto epistemologico ma progressivamente investito di straordinarie funzioni esplicative (che culminer a n n o nello 'spirito' del pensiero tardoantico e cristiano). 27
Galeno impiegherà, a livelli diversi, e n t r a m b i i modelli: la termodinamica del sistema cuore-arterie-sangue descriverà i moti della collera, quella del p n e u m a (vapore in pressione p e r dilatazione da riscaldamento) e del fluido spermatico interpreterà invece la dinamica del desiderio sessuale . • Lo stesso Galeno, r i p r e n d e n d o e sistematizzando elementi già presenti nella tradizione ippocratica, aggiungeva a questa termodinamica degli stati emotivi u n a raffinata biofisica degli u m o r i , destinata a condizionare p e r molti secoli sia la teoria dei t e m p e r a m e n t i emotivi sia la conseguente fisiognomica. 28
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Aristotele, De anima, I, 1. Cfr. ad esempio Galeno, De pìaiitis, VI, 8; Id.. De usu, XIV, 9.
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Storia deUe passioni
Si p u ò costruire u n a tavola delle corrispondenze fra gli elementi fisici e i quattro principali u m o r i della fisiologia ippocratico-galenica: c a l d o / u m i d o : sangue; caldo/secco: bile gialla; f r e d d o / s e c c o : bile nera; f r e d d o / u m i d o : flegma. Al prevalere nell'organismo di u n o di questi u m o r i corris p o n d o n o ' t e m p e r a m e n t i ' , o caratteri emotivi: al sangue il sanguigno, alla bile nera il melancoHco (che è, s e c o n d o un celebre testo pseudoaristotelico, il carattere dell'intellettuale, ma a n c h e del suicida), alla bile gialla il collerico, al flegma a p p u n t o il flemmatico. N o n è qui il caso di esporre le molte possibili combinazioni, normali o patologiche, di questi caratteri, che Galeno discute nel suo trattato sui Temperamenti. Occorre in ogni caso sottolineare che l'approccio fisiologico alle passioni presenta a sua volta un dur a t u r o effetto teorico: quello di 'internalizzare' i comportamenti passionali, f a c e n d o n e il risultato di u n a predisposizione organica, suscettibile di diagnosi precoce, piuttosto che la risposta allo stimolo esterno, al presentarsi o al sottrarsi dell'oggetto del desiderio, agli eventi dell'interazione sociale c h e scatenano la reazione collerica, la brama, l'odio, l'invidia. Il linguaggio m e d i c o t e n d e a trasformare la d o p p i a descrizione aristotelica, e a n c h e stoica, in spiegazione causale: la risposta collerica è dovuta a un surriscald a m e n t o del sangue, la pulsione erotica a sovrabbondanza di s p e r m a o di p n e u m a dilatato e compresso. Passano in s e c o n d o p i a n o , d u n q u e , gli agenti esterni della passione, l'offesa c h e Achille ha subito da A g a m e n n o n e , o il desiderio della p e r s o n a amata. La stessa terapia ne risulta radicalmente deproblematizzata: un b a g n o freddo o un salasso o un'evacuazione qualsiasi del materiale sessuale possono risultare efficaci e benefici. N o n altrettanto accadeva, n a t u r a l m e n t e , nelle strategie di controllo e terapia della passione messe in o p e r a da moralisti e filosofi.
Al Vegetti Passioni antiche: l'io collerico
Terapie della passione
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Queste strategie terapeutiche n o n si esaurivano certo nel lavoro dei moralisti e dei teorici. A m o n t e c ' e r a natur a l m e n t e un insieme di dispositivi sociali, capillari e diffusi, dì regolazione e di c o n t e n i m e n t o delle deviazioni comportamentali ad eziologia passionale. Perché, s e c o n d o un famoso m o t t o tucidideo, gli u o m i n i «divenissero tali quali si conveniva alla loro città» , era necessario che la comunità sociale, nei suoi diversi assetti storici, si impegnasse in u n ' o p e r a assidua di formazione e di conformazione del suo materiale u m a n o . Si trattava di politiche della soggettività intese a costruire un tipo d ' u o m o capace di interiorizzare i valori della convivenza e dell'equilibrio sociale, e di censurare quindi le spinte emotive c h e premevano in senso opposto: la vendicatività collerica, necessaria nella società omerica ma via via p i ù i n g o m b r a n t e di fronte alla creazione di istanze politico-giuridiche di regolamentazione dei conflitti privati, e poi a n c h e gli eccessi alimentari e sessuali, l'aridità sregolata di p o t e r e e ricchezza, e così via. Le società antiche n o n h a n n o tuttavia mai posseduto forti strumenti politici e ideologici di coercizione delle condotte individuali: quasi del tutto assenti nella polis classica, essi e r a n o a n c o r a relativamente deboli a n c h e nei contesto imperiale r o m a n o . Questo rendeva assolutamente indispensabile l'attivazione di forme individuali e condivise di autocostruzione di u n a soggettività capace di p o r r e sotto controllo le proprie spinte passionali potenzialmente disgregatrici dell'ordine sociale. Ed è p r o p r i o p e r questa ragione che il lavoro teorico dei moralisti e dei filosofi, nella sua proiezióne educativa, svolgeva nell'ambito della cultura antica un ruolo p r o b a b i l m e n t e più centrale di quanto sarebbe accaduto altrove o in seguito. A n c h e se, è il caso di osservare, questo lavoro terapeu29
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Tucidide, II, 43.
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Storia delk passioni
tic© e soggettivante si rivolgeva a un destinatario sociale fort e m e n t e selezionato dal p u n t o di vista del censo e (quindi) della dotazione m o r a l e di base. «I ragionamenti morali - scrive infatti Aristotele - rafforzano ì giovani di spirito liberale e indirizzano alla virtù i caratteri nobili e amanti del bello, ma sono incapaci di volgere alla perfezione la massa degli u o m i n i . Essa n o n è infatti n a t u r a l m e n t e portata ad o b b e d i r e al p u d o r e ma alla paura» delle punizioni c h e c a d o n o sulle loro azioni dettate dalle passioni . Per costoro, dice altrove Aristotele, n o n c'è che la «cura dei tribunali» (la frusta) o, n e i casi in cui la devianza d e g e n e r i in follia, la «punizione della medicina» (il f a r m a c o ) . Molto più tardi, Galeno unificherà, i d u e aspetti: u n a diagnosi m e dica di inguaribili là della devianza morale dei comportam e n t i deve aprire la via alla c o n d a n n a a m o r t e p e r chi n o n sarebbe educabile n e p p u r e da Pitagora o da Socrate (e, si intende, n o n curabile n e p p u r e d a G a l e n o ) . La limitazione agli strati elevati (e, n a t u r a l m e n t e , mar schili: le d o n n e s o n o certo soggetti di passione, c o m e m o strano Fedra e Medea, ma n o n suscettibili di a u t o n o m a configurazione m o r a l e , che devono m u t u a r e dal padre-marito) della società n o n r e n d e c o m u n q u e m e n o rilevante il lavoro filosofico sulle passioni. Sono p r o p r i o le degenerazioni intellettuali e morali di questi strati a costituire il maggior pericolo di disgregazione pubblica, delegittimandone il diritto alla signoria agli, occhi dei sudditi e d u n q u e min a n d o le basi della statica, politica. Le strategie terapeutiche delle passioni, e le connesse politiche della soggettività, possono venir distinte in d u e g r a n d i gruppi, a loro volta fortemente articolati. Il p r i m o c o m p r e n d e la tradizione platonica, quella aristotelica e in certa misura a n c h e quella epicurea. Platone, c o m e si è visto, era straordinariamente a t t e n t o 30
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Aristotele, Etira nicomachea, X, IO. Id., Etica endemia, I. 3. Galeno, I costumi dell'anima, lì.
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al potenziale energetico del f o n d o passionale dell'apparato psichico, c h e lo rendeva necessario p e r qualsiasi politica dell'anima. Il p r o b l e m a era quello di riconvertire ( 'sublimare') quéste energie m e t t e n d o l e al servizio del progetto di u n ' a nima diretta, simultaneamente, alla verità e alfegiustkia, alia costruzione del sapere e della ' b e l a cittàVincui-gli uomini potessero finalmente vivere da u o m i n i e n o n da leoni o da «mostri dalle molte teste». L'operazione doveva venir condotta secondo strategie differenziate a seconda dei diversi centri di erogazione delle e n e r g i e passionali. H furore guerriero e vendicativo' (thymòs) -può venire p i ù agevolmente rieducato e posto al servizio della ragione, p r o p r i o c o m e un b u o n ceto militare p u ò servire un governo di giustizia: il p r o b l e m a è di p r o d u r r e , con u n a politica e u n ' e d u c a z i o n e pubblica strettamente intrecciate, lo scenario sociale in cui questa alleanza diventi possibile. 1 "paradosso in: cui Platone incorre è semmai un altro: p e r p r o d u r r e questo s c e n a r i o occorre disporre di forza, ma questa forza agirà al servizio della ragione solo q u a n d o esso esisterà. Platone pensò, e t e n t ò , di rescindere questo n o d o in m o d o gordiano: cavalcando cioè, a l m e n o inizialmente e provvisoriamente, l'aborrita tigre della tirannide, che disponera della forza necessaria a p o r r e le premesse della p r o p r i a definitiva estinzione (occorre un tiranno p e r abolire p e r s e m p r e la tirannia - un modulo, questo, che n o n sarebbe stato privo di u n a significativa discen denza s torica). Poiché la tirannia è l'estrema proiezione politica della psicologia della passione erotica (secondo la figura déìì'emstyrunnos delineata nel libro IX della Repubblica), a n c h e p e r questa via si ritorna al p r o b l e m a cruciale dell'eros, la 'forza' maggiore all'opera nell'apparato psichico, e a n c h e la p i ù devastante. L'attrazione erotica p e r l a bellezza c o r p o r e a p u ò " venire deviata verso la bellezza ideale della verità è della giustizia, anzi senza la prima n o n p u ò n e p p u r e venir amata la seconda, come mostra lo straordinario racconto del volo dell'anima alata nel Fedro. Ma a n c h e q u i c'è un paradosso,
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p e r c h é la pulsione erotica n o n p u ò essere deviata senza che si instauri un r a p p o r t o fra maestro e discepolo che è anch'esso erotico, e n o n senza ambiguità di piani, c o m e quello illustrato nel m e m o r a b i l e r a p p o r t o fra Socrate e Alcibiade - un t o r m e n t o s o intreccio in cui l'amante adulto diviene infine l ' a m a t o dal giovane, e così p u ò cercare di indirizzare la reciproca attrazione erotica verso il terzo p o l o ideale. E interessante n o t a r e c h e il gioco platonico sui bordi dell'«-05 (e della tirannìa), pericoloso a n c o r c h é necessario, sarebbe stato progressivamente esorcizzato, o a l m e n o marginalizzato, nella tradizione che p u r e si ispira al platonismo, da Plutarco a Galeno (per riemergere soltanto, in forme diverse, nell'erotica agostiniana). Per Galeno, ad esempio,- il. pericolo maggiore, ma a n c h e potenzialmente il miglior alleato della ragione, n o n è l'eros bensì la collera. Le passioni di questo tipo si possono abbastanza agevolmente addomesticare, c o m e i cavalli e i cani, r e n d e n d o l e d u n q u e utili. I desideri sessuali e alimentari sono invece irreparabilmente indocili, come" il cinghiale e il c a p r o n e ; essi- and r a n n o soltanto 'puniti*, c o n assidue pratiche di autocontrollo e di censura collettiva, in m o d o da indebolirli finché n o n possano p i ù n u o c e r e . Ci s o n o p r o b a b i l m e n t e ragioni sociali p e r questa marginalizzazione deH'mw nell'ambito della stessa tradizione platonica: il d e c a d i m e n t o della pratica della pederastia, sulla cui scena si giocava m o l t a parte della strategia platonica della rieducazione dell'eros, e a n c h e , in ambito ellenisticor o m a n o , il rafforzamento dell'istituzione matrimoniale. 'Questi, processi sociali, del resto, .erano stati già in p a r t e registrati, in p a r t e preconizzati, dal pensiero aristotelico delle passioni. P e r Aristotele n o n si p u ò p r o p r i a m e n t e parlare di terapia delle passioni: si tratta, p e r lui, di eventi psicosomatici perfettamente naturali, e perciò m o r a l m e n t e neutrali. La patologia nasce tuttavia q u a n d o il grado di in33
Id., Passioni ed errori, I, 6.
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M. Vegetti Passami antiche: l'io collerico
tensità dell'evento emotivo trasgredisce le n o r m e imposte dai valori, socialmente condivisi. II g r a d o difettoso della reazione emotiva è l'insensibilità, c h e r e n d e i n u r b a n o , 'selvatico' il suo personaggio. Al limite opposto, l'eccesso di questa reazione p r o d u c e le figure, m o r a l m e n t e peggiori, dell ' i n t e m p e r a n t e e dell'incontinente (letteralmente 'impun i t o ' , akolastos)**: preda, il secondo, di un «vizio bestiale» c h e a c c o m u n a i folli, i tiranni, gli omosessuali, certi barbari antropologi e alcune incubiche m a s c h e r e f e m m i n i l i . Nella g a m m a i n t e r m e d i a fra questi estremi, si colloca p e r Aristotele lo spazio p e r un ' b u o n uso' delle passioni, come abbiamo già visto nel caso d e l i r a : u n a loro equilibrata gestione, collocata sotto il segno del ' c o m e , q u a n d o , q u a n t o si deve', costituisce il suggello di u n a soggettività socialmente b e n e integrata, del cittadino spoudaios, serio e d a b b e n e , capace di interagire c o n i suoi simili senza spezzare i vincoli necessari all'armonia della c o m u n i t à . Aristotele si riavvicinava tuttavia a Platone nell'indicare le strategie p e r il conseguimento di questa figura dell'io: giocavano qui un ruolo centrale in p r i m o l u o g o l'educazione paterna, poi quella della c o m u n i t à politica con le sue leggi e i suoi cittadini esemplari. A questi agenti spettava, il condiz i o n a m e n t o di base dell'ethos individuale, t e r r e n o necessario e propizio p e r l'ulteriore formazione a u t o n o m a e consapevole della personalità, ormai capace di muoversi da sola nel contesto pubblico che ne forma l'habitat Insieme n o r m a l e e normativo. La. sublimazione platonica delle passioni diventava così in Aristotele un loro ragionevole e misurato investimento nella condotta morale, u n a giusta dose di reattività sia verso i piaceri e i dolori, sia verso la dip e n d e n z a dall'altro. Di qui nasceva quella dottrina della metriopfliheia o giusta, misura emotiva,, c h e avrebbe accomp a g n a t o l'intera tradizione aristotelica. 35
La strategia epicurea di controllo del materiale passiona34
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Aristotele, Etica nieomackea, II, 2. Ivi, VII, 1, 6.
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Storia delle passioni
le era i n t e r a m e n t e centrata sui dispositivi individuali, anzic h é sociali, della sua regolazione. Il p r o b l e m a era qui ancora p i ù delicato p e r c h é gli epicurei, contro la tradizione 'idealistica*-di Platone e di Aristotele, ritenevano c h e l'unica identificazione realistica del fine delle c o n d o t t e consistesse n e l piacere e n o n nel b e n e , nella virtù o nella giustizia. Diventava q u i n d i p e r loro essenziale sottrarre il-piacere alla 'cattiva infinità* del desiderio, p e r definizione insaziabile e q u i n d i fonte di dolore anziché, a p p u n t o , dì piacere. Epic u r o pensava che il p r o b l e m a potesse venire risolto comprim e n d o le pulsioni del desiderio nell'ambito — n a t u r a l m e n te circoscritto - del bisogno: il piacere consisterà allora nel soddisfare i bisogni naturali di alimento, sopravvivenza e comunicazione u m a n a . U n a n o r m a naturale/individuale, d u n q u e , di c o n t e n i m e n t o della passione, in luogo di quella naturale/sociale proposta da Aristotele e delle dinamiche di conversione/sublimazione immaginate d a Platone: n o n p e r ò u n a strategia di totale soppressione della passione, c o m ' e r a invece quella preconizzata dal secondo g r u p p o di opzioni. C h e risulta a sua volta articolato in d u e forme, addirittura antitetiche, di negazione dell'universo passionale. La p r i m a è n a t u r a l m e n t e quella stoica. Poiché la passione comporta, come si è visto, un totale stravolgimento dell'io, un suo 'uscir fuori' di sé, n o n è pensabile u n a coesistenza, p e r q u a n t o conflittuale o problematica, fra essa e la sostanza razionale del soggetto. L'unica terapia possibile della passione è d u n q u e u n a totale soppressione di questo male. Come riferiva Cicerone, occorre «estirpare a fondo gli e r r o r i che sono alla radice della passione, n o n potarli» ; e si deve esser convinti, secondo Crisippo, che «le passioni possono essere estirpate dalla m e n t e e che n o n rim a n g a n e l l ' u o m o fibra o radice dei vizi, grazie alla meditazione e all'esercizio- della virtù» . . 36
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Cicerone, Tusculane, TV, 57. '-••.-».,--,--• Stoic. Vet. Fragm., Ili, 447.
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Ma come, se - io si è visto - la passione è un c e d i m e n t o della ragione intera, p e r debolezza, di fronte alle rappresentazioni esterne di piacere e dolore? Cicerone rimproverava:, in effetti, agli stoici di esser m o l t o p i ù bravi, nel 'tracciare l'eziologia e la nosografia della malattìa passionale, che nell'indicarne i rimedi . La critica di Cicerone, b e n c h é a p r i m a vista giustificata, n o n sembra tuttavia cogliere nel seg n o . La terapia radicale della passione consisteva s e c o n d o gli stoici nel reimpiantare nell'anima il giudizio fondamentale secondo il quale l'unico: b e n e n o n è il piacere ma la virtù, l'unico m a l e è il vizio e n o n il dolore. P e r c h é q u e s t o fosse possibile occorreva ritonificare l'anima m e d i a n t e l'erogazione di quella super-energia soggettivante che era sec o n d o l o r o la razionalità. Ma a questo scopo è necessario in p r i m o luogo conoscere la passione, g u a r d a r e b e n e infaccia le sue forme, i suoi tempi, le degenerazioni progressive dell'io c h e essa induce: eziologia e nosografia sono d u n q u e già, potenzialmente, terapeutiche. La stessa poesia, che Platone condannava c o m e vettore di disgregazione del soggetto, p u ò esser utile a questo scopo, p e r c h é essa mette sotto gli occhi, c o n maggiore efficacia di qualsiasi perorazione moralistica, gli effetti devastanti della malattia passionale. G i s i p p o n o n mancava infatti di trascrivere n e i suoi trattati centinaia di versi euripidei sui personaggi di Fedra e di Medea; e lo stesso Seneca componeva, su personaggi passionali- c o m e Edipo, Atreo e Tieste, tragedie didascaliche, quasi illustra^ zioni sceniche dei suoi trattati c o n t r o le passioni. C ' e r a n o p o i negli stoici accortezze cliniche, che G i s i p p o sembra aver illustrato nel suo Terapeutico: l'intervento rieducativo deve aver l u o g o d o p o che il t e m p o ha c o n s u m a t o l'apice del t u r b a m e n t o passionale, q u a n d o esso si è per così dire cronicizzato (di q u i a n c h e l'importanza di c o m p r e n d e r e , c o m e a b b i a m o v i s t o n e ! caso dell'ira, i tempi e l'acutezza delle passioni). U n a volta guarita, la soggettività stoica è dun38
Cicerone, Tusculane, IV, 9.
Storia dette passioni
q u e apatica, estranea ad ogni stato affettivo foss'anche la pietà e la compassione, p e r c h é essa ha annullato la dipend e n z a dall'altro e dal t e m p o dell'attesa, e si è fortificata nella sua interiorità, avendo-di m i r a n i e n t ' a l t r o che la virtù. U n a figura, d u n q u e , di «rigida ac virilis sapientia», c o m e diceva Seneca, n o n scevra davvero di u n a sua «.asperità, e tristezza», s e c o n d o le parole di Cicerone. E p p u r e , l'apatheia stoica n o n va intesa in alcun m o d o come u n a fuga ascetica dal m o n d o . Il rifiuto della d i p e n d e n z a dall'esterno, in cui si radica la passione, p u ò e deve venir gestito c o m e s d o p p i a m e n t o di sé, distacco fra. un'istanza .giudicante e censoria e u n a d i m e n s i o n e della personalità c h e c o n t i n u a ad essere socializzata e a vivere la vicenda del m o n d o e del t e m p o : si tratta, dice Seneca, di fare le stesse cose degli altri, ma n o n nello stesso m o d o . Di qui le m e tafore stoiche del saggio c o m e attore, che interpreta il personaggio- c h e gli è stato assegnato' senza condividerne le passioni; o c o m e danzatore, che armonizza il t e m p o nel ritmo o r d i n a t o e controllato della danza, senza lasciarsi and a r e .ala corsa sfrenata della passione. Antitetica, c o m e si diceva, la seconda strategia di negazione della passione, c h e è quella scettica. Le passioni, s e c o n d o Sesto Empirico, n o n esistono nella forma 'naturale' della vita né s o n o radicate nell'anima. Si tratta piuttosto di miraggi, di distorsioni ottiche prodotte proprio-dall'esistenza di teorie-etiche normative. Facendoci c r e d e r e che esistono beni e fini da perseguire, mali da evitare, I m p o n e n d o c i l'osservanza di questa o quella 'arte del vivere', coinvolgendoci infine nelle indecidibili controversie fra scuole rivali, queste teorie r e n d o n o la vita incerta ed inquieta: n o n le cose, ma le opinioni infondate che n o i a b b i a m o sulle cose, provocano il nostro turbamento', ci r e r i d o n o infelici . U n a s e r e n a 'imperturbabilità 3 9
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Seneca, Epistole a Lucilio, 18... Sesto Empìrico, Contro gli elici, IV, 113.
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conseguirà d u n q u e dalla sospensione del giudizio i n t o r n o alle teorie etiche e ai valori che esse ci p r o p o n g o n o ; parlerà allora, nella sua semplicità, la vita stessa, c o n le gioie e i dolori che essa ci invia, n o n moltiplicati dall'afflizione del pregiudizio e del desiderio motivati dalle teorie. Negare l'esistenza .di valori assoluti, e delle n o r m e di giudizio che ne seguono, r e n d e r à a n c h e p i ù serena l'esistenza sociale: ogni c o m u n i t à ha costumi e regole suoi p r o p r i , c h e n o n possono essere giudicati né criticati sulla base di inesistenti criteri assoluti, e ranno q u i n d i accettati c o n mitezza, senza intransigenze o fanatismi. E notevole che n e l a prospettiva scettica libertà e signoria del soggetto a p p a i o n o p e r la p r i m a volta disgiunte, anzi la condizione della p r i m a sembra p r o p r i o consistere nella rinuncia alla seconda (che c o m p o r t a in ogni caso l'imposizione di modelli normativi). Tanto p e r Platone e p e r Aristotele q u a n t o p e r gli stoici, s e p p u r e in m o d i diversi, la costruzione di u n a soggettività libera appariva invece strettamente legata alla conquista di u n a condizione di signoria - sulla città, sul contesto sociale, o a l m e n o su di un io reso imprendibile e impermeabile alla pressione esterna.
Antropologia della passione Per concludere, un ritorno- al t e m a cruciale dell'ira, sul quale si moltiplicarono i trattati d e i moralisti antichi di epoca ellenistica e r o m a n a , da Antipatro e Posidonio a Fil o d e m o , Seneca e Plutarco. L'accanimento educativo dei filosofi di ogni indirizzo n o n p u ò che venire spiegato, da un lato, con la tenacia antropologica di questo m o t o passionale, dall'altro c o n il suo crescente carattere di deviazione patologica della soggettività rispetto ai suoi legami sociali. In altri termini, -pare che la reazione collerica continui ad essere necessaria, "(come ai tempi omerici) p e r la protezione dell'io, ma che d'altra parte essa diventi sempre più intollerabile m a n m a n o che
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Storia dette passioni
l'amministrazione pubblica della giustizia viene a surrogare le d i n a m i c h e della vendetta individuale e di clan. In u n a società che n o n o s t a n t e le sue trasformazioni continuava c o m u n q u e ad essere centrata sullo status, sul riconoscimento pubblico della dignità individuale e di stirpe, l'ira suscitata da ogni minaccia a questa dignità, e il progetto di u n a vendetta immediata o dilazionata, continuavano a p r o t e g g e r e il soggetto nella sua coscienza di sé c o m e detentore di u n o status e m i n e n t e . Essa segnava d'altra parte la fragilità di questa figura dell'io/la sua ipersensibilità all'esposizione sociale: p r o p r i o p e r questo il p r o g r a m m a stoico di liberazione dell'io doveva insistere sulla soppressione della risposta passionale c o m e via regia verso la sua emancipazione dallà pressione esterna. Ma ciò che l'ira affermava - la condizione signorile del soggetto - entrava poi in contraddizione, a n c h e patologica, con i limiti imposti à questa signoria. Limiti pesanti, q u a n d o un signore, che governa un clan familiare ed è p a d r o n e di schiari, n o n solo deve accettare degli eguali, c o m e nella società omerica, ma a n c h e riconoscersi suddito: della legge collettiva della polis, prima, e poi a n c h e di un principe e di u n o Stato. Un episodio di reazione collerica deplorato da Seneca r e n d e perfettamente questa contraddizione. Il ricco e pot e n t e senatore r o m a n o Vedio Pollione riceve a cena l'imperatore Augusto: un o n o r e c h e ribadisce tuttavia u n a condizione di sudditanza. Nel servire a tavola, u n o schiavo r o m p e u n a coppa di cristallo; adirato, Vedio o r d i n a che egli venga i m m e d i a t a m e n t e dato in pasto alle m u r e n e allevate in u n a piscina della villa. L'imperatore si commuove di fronte alle suppliche dello schiavo, si adira a sua volta verso il senatore, e o r d i n a c h e invece venga infranta, e buttata nella piscina, tutta la cristalleria della villa . • •-. Il sadismo del senatore - che noi sappiamo essere molto diffuso nella società r o m a n a , a differenza c h e nella polis f
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-•
4 1 ;
Seneca, De ira, III, 40.
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classica greca - si spiega probabilmente con il senso di frustrazione indotto dalla sua conclamata sudditanza verso Augusto (e la reazione dell'imperatore n o n avrà certo contribuito a placarlo). Più in generale, la disponibilità pressoché totale del c o r p o e della vita degli schiari da parte dei p a d r o n i , e reciprocamente di quelli dei sudditi,.padroni inclusi, da parte del principe, n o n p u ò che avere offerto un terreno di coltura e s t r e m a m e n t e propizio al moltiplicarsi della reazione collerica e delle c o n d o t t e vendicative, c h e erano comparse con Achille nella scena primaria della formazione d e l l ' u o m o antico. E questo n o n o s t a n t e la crescente intollerabilità dei c o m p o r t a m e n t i iracondi di fronte a quel sistema di controllo pubblico della condotta che le leggi e la magistratura di Stato tendevano a stabilire p e r tutto lo strato sociale esteso fra i d u e estremi dell'imperatore e dello schiavo. La dialettica dell' ira p u ò forse servire a n c h e a spiegare la p e r m a n e n z a , all'interno dei n u c l e o antropologico-del sog? getto' antico, di altri g r u m i passionali c o m e ! ' e c c e s s o dèi-desideri sessuali ed alimentari. L'abuso dei cibo, d e l vino, dei corpi maschili e femminili, è stato certamente, nella società arcaica greca c o m e in al tre culture primitive, un segno di .signoria e di -potenza, la manifestazione* .tangibile di-una superiorità sociale. Esso risulta m e n o comprensibile in società affluenti, b e n governate e complesse c o m e quelle del m o n do ellenistico e r o m a n o : n o n poteva bastare, a segnalare la signoria,-il sistema codificato e visibile dei poteri, statatile semmai, alegittimarla--l'austero- c o m p o r t a m e n t o di c u i il ceto senatorio r o m a n o riusciva a tratti a dar prova? Le ricadute continue nell'eccesso del b a n c h e t t o , nell'ubriachezza, nel!"adulterio, nello stuprò di liberi e schiavi, nella promiscuità,-di cui i-moralisti antichi- offrono innumerevoli testim o n i a n z e , r a p p r e s e n t a n o u n a vera patologia sociale. Da un lato esse delegittimano il diritto alla signoria di chi se ne macchia di fronte agii occhi dei sudditi, e così logorano il consenso al p o t e r e ; dall'altro minacciano- l'ordinato é q u i i -
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brio degli eguali, i n n e s c a n d o la catena delle competizioni, delle rivalità, delle ritorsioni. Tutto questo p u ò venir messo in r a p p o r t o c o n la frustrazione e lo scacco della soggettività signorile c h e induceva la dinamica dell'ira. Il p e s o intollerabile di u n a sudditanza necessaria ma sempre avvertita come lesiva di un diritto p r i m a r i o alla libertà sprigionava probabilmente u n a tensione c h e andava ad alimentare il ' m o stro policefalo' dei desideri, tanto più deviami ed eccessivi q u a n t o m e n o rivolgibili nella loro direzione originaria, e mai dimenticata - il p o t e r e assoluto, l'unico davvero d e g n o d i u n u o m o libero. A partire da questa situazione antropologica, ci si possono p o r r e d u e d o m a n d e . La p r i m a ha a che fare c o n la persistenza del ' n u c l e o duro* della soggettività antica b e n al di là dei limiti cronologici di quella società e di quella cultura: ad esempio, m o l t e pagine dell'antropologia di Kant s e m b r a n o ispirarsi alla tassonomia stoica, e d u n q u e descrivere un materiale passionale n o n t r o p p o diverso da quello che ne formava l'oggetto. Perché questa continuità? Un p r i m o abbozzo di risposta deve fare riferimento alla p e r m a n e n z a di tratti c o m u n i a tutte le società precapitalistiche, che, p u r in forme m o l t o differenziate, continuavano ad essere centrate sullo status e n o n sui rapporti di produzione. Le società di status possono aver continuato a rip r o d u r r e c o o r d i n a t e antropologiche generali al cui interno risulta spiegabile la persistenza di forme di reattività emotiva e di un universo di desideri n o n dissimili da quello antico. La linea decisiva di frattura si situerebbe allora nella transizione al m o d o di p r o d u z i o n e capitalistico e alla società borghese, con la nascita delle nuove forme del 'sentimento" ( u n a novità forse limitata, a sua volta, dalla persistenza di tratti della 'natura u m a n a ' p r o p r i a a tutte le culture dell'Occidente e u r o p e o ) . La seconda d o m a n d a deve allora c o n c e r n e r e , reciproc a m e n t e , le ragioni delle discontinuità c h e si s o n o tuttavia manifestate nella fenomenologia del materiale passionale
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e delle sue strategie terapeutiche. Q u i la linea di frattura è molto più antica, e va senza dubbio situata al livello della formazione della società medievale. Benché si tratti ancora certamente di u n a società di s f a t e (ma la forma di dip e n d e n z a feudale è ideologicamente m o l t o diversa da quella schiavistica), essa presenta u n a novità clamorosa e del tutto ignota al m o n d o antico: la formazione di un potente a p p a r a t o di controllo delle condotte, cioè di u n a Chiesa che è al t e m p o stesso interprete e amministratrice dei dettami di u n a religione rivelata. La Chiesa è in grado di p r o d u r r e straordinari effetti di interiorizzazione delle n o r m e censorie della passione, attraverso i dispositivi della confessione e dell'idea di peccato; è in grado inoltre di intervenire p e r r e p r i m e r e - di n o r m a - le devianze passionali dei c o m p o r t a m e n t i tanto privati q u a n t o pubblici. Q u e sta situazione disloca in m o d o del tutto nuovo sia le forme di c o m p r e n s i o n e dei moti passionali, sia la loro terapia, n o n p i ù affidata soltanto agli sforzi dei moralisti e alle pratiche dì autoformazione di individui e gruppi sociali. E n a t u r a l m e n t e fuori dai limiti di questo saggio l'ulteriore interrogazione sui conflitti aperti dalla contraddizione fra la persistenza di un materiale passionale 'antico' e la formazione di nuovi strumenti di comprensione e di controllo. Allo stesso m o d o , sono fuori dai suoi limiti altri problemi più 'sottili'. Quali sono, n e i secoli che separano l'antico dalla modernità, i modelli psicologici ed etici che acc o m p a g n a n o le lente, carsiche modificazioni dell'universo passionale? E quali s o n o i nuovi strumenti offerti dagli sviluppi del sapere medico all'eziologia, alla fisiologia e alla terapeutica delle passioni? E infine: che cosa viene, n e l m o n d o del capitalismo maturo (o del post-capitalismo), d o p o la "passione' e il 'sentimento'? . . .
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BIBLIOGRAFIA . Per una visione generale dei rapporti .tra filosofia e passioni, si può vedere il libro di M.'Meyer, LepAtiasopheetlespassions, Paris 1991. Per lo sfondo antropologico del problema delle passioni nel móndo' greco sono classiche le opere di E.R. Dodds, / greci 'e Vìrrazvmeìe, ttad.it Firenze 1959, e di A.W.D. Àdkins, La morale dei greci trad. it. Bari 1964. • -, ' . . Sul rapporto fra passioni e formazione del soggetto antico si vedano le opere fondamentali di M. Foucault, L'uso dei piaceri, trad. it, Milano 1984, e La cura di sé, trad. it. Milano 1985. Specificamente sul problema delle passioni si vedano ora gli atti del convegno sul Pathos nella cultura antica (Taormina 1994), in corso di pubblicazione su «Elenchos», 1995. : Per la terapia delle passioni e il loro rapporto con la-follia si veda J. JPigeaud, La maladw.de Fame, Paris 198.1. '- -, . .r.j . Sullo sfondo etico del. problema rinvio alla mia.Etica.degli antichi, Roma-Bari 1994*. [ Per quanto riguarda il mondo passionale degli eroi omerici,, oltre ai classici saggi .raccolti-in B. Snell,- La cultura greca e le origini del pensiero europeo, trad. it. Torino 1963, si vedano le opere diJ.M. Redfield, Nature and Culture in the Iliad. The Tragedy of Hector, Chicago 1975, e di G, Nagy, The Best of Àchaeans: Concepì of the Mero in Ardiate Greek Poetry, Baltimore-London 1979. Significative'le pagine eli S. Weil, L'IMdie •poema delia-forza, in Id.," La Grècia e te intummti precristiane, (rad. i t Toririò J967. • • Sugli sviluppi del pensiero dell'anima dir. M. Vegetti, Anima e corpo, in Id...;Xa-cura di), Il sapere degli antichi, Torino 1985. Sul ruolo della polis nel condizionamento delle passioni si veda, dello stesso, La città educa gli'uomini, in E.'Becchi (a cura di), Storia dell'educazione, Firenze-1987.' Sulle passioni "nella tragedia sono da'vedere almeno W.B. Stanford, Greek Tragedy and the Emotions, Princeton 1982, e D. Lanza, te temps de l'èmotion tragique, in «Metis»; 1988, n. 3. "Tratta, fra i molti, anche questo problema, .M. Nussbaum, TheFragUity. ofGoodness, Cambridge 1986. Sui problemi dell'anima, delle passionile specificamente dell'ero,? in Platone sono da vedere, oltre al classico L. Robin, La teoria platonica dell'amore, trad. it. Milano 1973, e a due libri molto diversi fra loro come XM. Robinson, Plato'sPsychology, Toronto 1969. eY. Brès. Lapsyckologie de Platon, Paris 1968, soprattutto: J. Annas, An fnttvduction to Plato's Republic, Oxford 1981; F.M. Cornford, TheDoctrineof Eros in Plato's Symposium, in G. Vlastos (a cura di), Plato, voi. II, New York 1971; J. Chanteur, Platon, le désir et la die, Paris 1980; S. Rosen, The Qunrrel between Philosopky and Poetry, New York-London 1988. ;
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Su Aristotele basterà qui rinviare alle analisi di S. Gastaldi, Arislt.tele e la politica delle passioni, Torino 1990; si veda anche per il contesto etico P.L. Donini, Ethos. Aristotele e il determinismo, Alessandria
1939. Sul rapporto fra Aristotele e l'epicureismo si veda fct. Nussbaum, Tlierapeulk Arguments: Epicurus and Aristotle,
in M.
Schofield e G.
Stiyker (a cura di), The Norms of Nature, Cambridge-Paris 1986. Più in generale sull'etica ellenistica si veda J. Annas, The Morality of Happiness, Oxford 1993. Sulla passione nello stoicismo è importante il saggio di M. Prede, The Stok Doctrine of the Affections of Soul, in Schofield e Stryker (a cura di), The Norms. of Nature, cit.; la. migliore analisi della tassonomia stoica del desiderio è quella di M. Daraki, Les fonctions psychologiqv.es du logos dans le stoicisme ancien, in AAW.., Les stoiciens et leur logique, Paris 1978. Sulla metafora stoica dell'attore si veda M. Vegetti, La saggezza dell'attore, in «Aut Aut», 1983, n. 195-196; sul rapporto fra passioni e temporalità è fondamentale V. Goldschmidt, Le système stoir.ien et l'idée du temps, Paris 1953. Relativamente alla trattatistica sull'ira è utile J. Fillion-Lahille, Le de Ira de Sénèque et la théorie stoicienne des passions, Paris 1984. Si vedano anche i saggi raccolti in J. Brunschwig e M.C. Nussbaum (a cura di), Passions and Perceptions. Studies in Helknisiic Philosophy of Mind, Cambridge 1993. Sul rapporto fra stoicismo e Galeno si veda M. Vegetti, / nervi dell'anima, in «Bio/Logica», 1990, n. 4; sulla teoria delle passioni in Galeno si veda anche, dello stesso. La terapia dell'anima. Patologia e disciplina del soggetto in Galeno, in M. Menghi e M. Vegetti (a. cura di), Galeno. Le passioni e gli errori dell'anima, Venezia 1984. Sul rapporto fra l'antropologia di Aristotele e quella di Galeno cfr. M. Vegetti, Cam dei tribunali, punizioni della medicina, in F. Rosa (a cura di), Immaginario e follia, Trento 1991. Sulla fisiognomica antica si veda M..M. Sassi, La scienza dell'uomo mila Grecia antica, Torino 1988;, per la sua transizione al Medioevo cfr. J. Agnini, Fisiognomica tra tradizione naturalistica e sapere medico nei secoli XII e XBI, in «Atti del congresso su medicina medievale e scuola medica salernitana», Salerno 1994. Infine, sulla 'materia erotica* in Agostino, si veda l'importante opera di R. Bodei, Ordo Amoris, Bologna 1991.
L'AMORE PASSIONE ASSOLUTA di Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri
a Paolo mentis amore ligata
Amavo amare. ,
.
. -
A G O S T I N O D'BPFQMA
Ogni giorno discutiamo d'amore. G U G L I E L M O ' D I SAN THIKRHY
Stendhal c o m e esempio della 'passione d ' a m o r e ' iodica d u e personaggi medievali, Abelardo" ed-Eloisa, E c h e fosse u n a passione risalta dal confronto c o n gli altri tre dpi di a m o r e presi in esame: i'amore-gusto, ossia «quello che regnava a Parigi nella seconda m e t à del Settecento» , l'amore fisico e l'amore-vanità o a m o r e c o m e rappresentazione sociale. N o n c'è d u b b i o che, se esiste u n ' e t à medievale, questa sia segnata fortemente n o n solo dalla rappresentazione, ma a n c h e d a i r i n s e g u i m e n t o 'di u n a definizione intellettuale della passione amorosa: questo testimoniano le i n n u m e r e voli voci che si levano dal chiostro (e n o n è soltanto a m o re di Dio), dal castello e dalla corte ( n o n è s e m p r e soltanto gioco a m o r o s o ) , dai racconti b r e t o n i e francesi dove si insinua il c u p o s p l e n d o r e di un n u o v o b i n o m i o , l'amore1
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Stendhal, De l'amour.
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m o r t e , dai carteggi epistolari dove l'amore è più struggente se u n i t o alla nostalgia ispirata dalla lontananza. C'è u n ' u n i c a cifra p e r capire l'inizio e lo sviluppo di questa valanga di passione a m o r o s a esaminata, narrata, 'messa in scena"? Riconosciamo innanzitutto c h e si tratta di un sentimento che nell'epoca sembra p r e d o m i n a r e sovente su molti altri, sull'ira del guerriero, sulla fedeltà del cavaliere e persino a volte sulla devozione religiosa e sul t e r r o r e del peccato. Difficile rintracciare n e l groviglio u n a linea unitaria: pare anzi che la contemplazione della passione d ' a m o r e tipica dei secoli medievali stia p r o p r i o in questo suo frantumarsi nella varietà dei modelli vissuti e discussi nelle differenti aree sociali con differenti linguaggi e sensibilità. Tutto ciò si deve in gran p a r t e al grandioso incontro, mai più visto da allora in Europa, di diverse culture, la biblica, la latina e l a / b a r b a r a ' . N o n tutto è passione, n a t u r a l m e n t e : a volte il linguaggio passionale traveste qualcosa c h e è più t e n u e , effimero e m e n o impegnativo. Alla ricerca di u n a cifra p e r la comp r e n s i o n e e definizione d e l ' e m e r g e r e della passione amorosa siamo spinti a prestare attenzione ad aspetti p i ù generali c h e s e m b r a n o segnare u n forte m u t a m e n t o d a i 'tempi dell'ira dell'eroe', un m u t a m e n t o svoltosi in u n a fongm dune. E va n o t a t o che il passaggio dalla 'passione collerica' alla passione a m o r o s a p o t r e b b e segnalare un percorso che va dalla p r e m i n e n z a di u n a passione socialmente rilevante ed espressiva di un contesto etico collettivo alla passione individuale misurata solo sul soggetto, il suo destino e la sua salvezza. Nei secoli che v a n n o da Marco Aurelio a Costantino Fosservazione del m o n d o n a t u r a l e acuisce la percezione della immensità degli spazi celesti e m e t t e in evidenza n o n solo l'insignificanza della terra dove vivono gli u o m i n i , ma a n c h e la qualità impalpabile ed enigmatica dei loro sentimenti e delle loro azioni. Paradossalmente questo spazio rimane tut-
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taria l'unico attraente e aperto all'indagine u m a n a : da q u i nasce u n a attenzione ossessiva c o m e u n a vertìgine all'interiorità, ai pensieri, alle emozioni e ai sentimenti. San Paolo aveva distinto l ' u o m o spirituale da quello 'carnale' e al p r i m o aveva riservato tutto il suo interesse. Il centro diviene d u n q u e l'indagine sul profondo, l'osservazione dei moti interni e invisibili, d e i desideri e delle p a u r e p i ù nascoste, p r e c e d e n t i al c o m p o r t a m e n t o e alle sue leggi: il p a g a n o Marco Aurelio, p e r usare le sue parole «scavava dentro», Plotino parlava dell'«uomo interiore» c h e diventa in Agostino il c u o r e della ricerca. Negli autori cristiani è presente a n c h e un altro elem e n t o c h e m u t a la fisionomia del nostro problema: il dio che abita c o m e la verità neUa profondità dell'Io, che parla all'anima e scruta 'il c u o r e e i r e n i ' , a differenza degli dèi antichi, è un dio unico e o n n i p o t e n t e . Esige d u n q u e un s e n t i m e n t o d ' a m o r e esclusivo (absolutus). E l ' a m o r e q u a n d o è rivolto così in alto diventa totale e — c o m e ci spiegherà Agostino - assume i connotati della passione.
L'antefatto: Agostino La riflessione di Agostino su amor, passio, dilectio, voluplas, amicitia è q u a n t o di più l o n t a n o si possa i m m a g i n a r e dal modello della passione amorosa del Tristano o del carteggio di Eloisa e Abelardo. E p p u r e sarebbe difficile capire tutto quel ragionare d ' a m o r e che esploderà p i ù tardi nei secoli medievali e quelle analisi sottili e inquiete, senza fermarsi p r i m a su alcune pagine delle Confessimi :. Ricordiamo innanzitutto che Agostino fu - lo confessa egli stesso p i ù volte - un u o m o , d i r e m m o n o i oggi, passionale a cui piaceva «amare ed essere amato»: p i ù tardi p e n s e r à c h e la 2
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Agostino, Confessionum libri XIII.
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sensualità {concupiscentia, la p i ù bassa forma di a m o r e ) avesse a n n e b b i a t o ì suoi p r i m i giovani slanci e appesantito il suo a m o r e («amare ed essere amato mi era p i ù dolce se potevo g o d e r e a n c h e del c o r p o di chi amavo...»). N o n conosciamo di lui se n o n questo ricordo dell'amore (un ricordo soltanto senile o filosofico?) c o m u n q u e inguaribilmente segnato dalla traccia dei «suoi platonici». Q u e l l ' a m o r e p e r u n a d o n n a , il vescovo nella vecchiaia lo definisce passione, anzi «peso della passione». Cosa è la passione d u n q u e p e r Agostino? «È un sentim e n t o che ci p r e n d e , è u n a impurità dello spirito l o n t a n o dalla 'via sovrana dell'amore* di cui parla Paolo» . La passione si subisce ( ' n o n ero p i ù io') e ci fa sognare; presi dalla passione, si è c o m e a d d o r m e n t a t i e oppressi (anche se ' d o l c e m e n t e ' ) . La passione nasce d u n q u e da u n a volontà perversa, ossia mal orientata, segnata dalla negatività, dalle t e n e b r e , dall'informe e soprattutto dalla m a n c a n z a di misura. Ecco infine apparire u n a delle parole p i ù significative nel discorso di Agostino: misura. La misura c h e d o m i n a ovunque, c o m e riflesso della Somma Misura, è l'epifania di quell'ordine che è struttura del m o n d o delle cose e d e l l ' u o m o interiore: è attraverso la misura che si realizza la bellezza naturale c o m e proporzione delle parti, si costruisce la cultura c o m e o r d i n a t a crescita del sapere b e n diversa dalla erudizione e, infine, è con misura che sì a m a e si g o d e di ciò che si ama. Senza misura invece si subisce la passione e si cade inevitabilmente nel disordine e n e l dolore. Misura è d u n q u e l'accettazione consapevole e gioiosa dell'ordine divino e di conseguenza l ' a m o r e verso le cose create deve possedere misura. 3
Ma esiste, p e r Agostino, un a m o r e c h e per definizione deve al contrario essere smisurato: «la misura p e r a m a r e Dio è amarlo senza misura». E allora si c o m p r e n d e p e r c h é l'amore sia n o n solo «più forte della m o r t e » , ma a n c h e 4
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II riferimento è a san Paolo, I Lettera ai Corinzi, 12, 31.
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Cantico dei Cantici, 3, 6.
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più forte della fede e della volontà: a differenza della volontà e della fede infatti l'amore p e r Dio possiede in sé già la sua positività. Questo a m o r e c h e si libera da qualsiasi costrizione e r o m p e , a n c h e se solo a p p a r e n t e m e n t e , l'ordine, l'amore p e r Dio crea un modello nuovo di passione felice e assoluta c h e ha già molti dei caratteri delle future passioni a m o r o s e profane, quelle verso la creatura. Si disegna così la fisionomia di quella che nel linguaggio 'laico' sarà percepita come la vera passione d ' a m o r e : positiva, incondizionata, ' p e r sempre ', ossia al di là dei confini stessi della vita, d o m i n a t a dal riconoscimento della eccellenza dell'oggetto amato, sovrastante e ineludibile. E, inoltre, u n a passione che, c o m e l'amor Dei, potenzia e dà forza (secoli dopo qualcuno scriverà: «amor moltfaìt h o m e bardi»). Dirà Tristano al suo fedele amico messaggero: «Ricordale che lei sola è la mia salvezza [...] la speranza, la mia vita, la mia gioia [...] Nella sua vita è la mia vita [...] Ricordale tutto del nostro a m o r e vero [...] s e m p r e vivo e mai l o n t a n o dal m i o cuore. N o n p o t r ò a m a r e più n e s s u n a . . . » . Così Tristano parlerà di Isotta, u n a creatura. 5
La passione di Isotta ed Eloisa Isotta, il mito, è p i ù antica di Eloisa, la d o n n a reale vissuta nella p r i m a m e t à del secolo XII: i primi che scrissero dell'amore di Isotta e di Tristano, d u e autori della seconda m e t à del secolo, i n o r m a n n i Beroul e T h o m a s , furono ispirati da p r e c e d e n t i leggende. Q u a n d o Eloisa scriveva c'era d u n q u e già nell'aria qualcosa che attraverso la poesia e i romanzi b r e t o n i parlava d ' a m o r e in m o d o simile a quello di lei, ossia nel m o d o forte e libero con cui Eloisa si rivolgeva ad Abelardo. Iniziamo, c o m u n q u e , dalla testimonianza sull'amore5
Thomas, Le mman de Tristan.
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passione di Eloisa. Cosa dice Eloisa del suo a m o r e , vissuto nell'arco di un a n n o soltanto e p o i rimpianto ferocemente p e r tutta la vita d o p o la separazione da Abelardo? Sembra o p p o r t u n o p e r meglio capire sottrarci al fascino del suo personaggio di g r a n d e e tragica amorosa cucitole addosso più tardi da Villon, da Lamartine, da J e a n de Meung, da Rousseau, persino da E t i e n n e Gilson... Ce n ' è del resto abbastanza p e r dar ragione a Stendhal, a n c h e se ci limitiamo a leggere soltanto le sue lettere, qualche passo dell'autobiografia di Abelardo e i d o c u m e n t i contemp o r a n e i sui d u e amanti. • L ' a m o r e di Eloisa ha le radici in u n a riconosciuta e forte attrazione sessuale e nella ammirazione della d o n n a per il valore intellettuale e m o r a l e del suo a m a n t e . Eloisa va ascoltata . «Tutti correvano a vederti q u a n d o apparivi in pubblico e le d o n n e ti seguivano c o n lo sguardo voltando il capo indietro se ti incrociavano p e r strada [-....] Q u a l e d o n n a n o n invidiava le m i e gioie e il mio letto? [...] Soprattutto d u e cose in te affascinavano: la grazia della tua poesia e delle tue canzoni, talenti davvero rari in un filosofo c o m e te [...] Eri giovane, bello, intelligente». E ancora: «Il mio a m o r e p e r te è stato così illimitato e smisurato da privarsi di tutto, persino di me stessa p e r avere l'unico oggetto del mio desiderio ,[...] Ho fatto tutto p e r mostrarti che l'unico pad r o n e del mio c o r p o e della mia a n i m a eri-tu». A n n i d o p o , oramai m o n a c a ma ancora giovane e innam o r a t a scrive così, spietatamente, al suo a m a n t e separato: « Q u a n d o d o r m o immagini ingannevoli mi perseguitano e p e r s i n o q u a n d o p r e g o I fantasmi di quella gioia l o n t a n a afferrano la m i a a n i m a f.:.-..] -Sono-costretta ad abbandonarmi a queste-fantasie e [,-..] invece di p i à n g e r e pentita sospiro e rimpiango quello che ho p e r d u t o . Ho davanti agli occhi s e m p r e e soltanto te, l'amore che a b b i a m o avuto, i 6
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Abelardo ed Eloisa,
/Ustoria calamitatum rriearum, Epistilio*.
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luoghi dove ci siamo amati [..,] N o n riesco a calmarmi [... ] e il ricordo r a d d o p p i a il mio desiderio». Ecco d u n q u e tutti i forti segnali della passio ne : desiderio fisico, percezione dell'amore c o m e di u n a forza sovrastante e quasi esterna a chi ama, riconoscimento che l'amato vale di più, è p i ù p o t e n t e e nobile dell'amante n o n o s t a n t e i rimproveri, le sofferenze, a n c h e la gelosia di quest'ultimo... Questo aspetto - l'eccellenza dell'amato - ha suggerito sovente l'analogia del tipo di r a p p o r t o amoroso, del quale Eloisa e Isotta sono d u e chiari esempi, con la relazione feudale signore-vassallo. E n t r a m b i i rapporti (signore-vassallo e d o n n a amata-amante) i n d i c a n o u n a situazione privilegiata a favore del p r i m o t e r m i n e , ma in e n t r a m b i i casi paradossalmente si ristabilisce u n a parità de iure espressa a p p u n t o dall'amore, nel p r i m o caso, e dallo scambio dei doni e dal beneficio del vassallaggio n e l secondo. E n t r a m b i i rapporti sono rinsaldati dalla jìdes reciproca e si r o m p o n o q u a n d o u n o dei d u e soggetti tradisce. Osserviamo c h e il .'caso Eloisa' si. distacca in. parte, dalla n o r m a f e u d a l e e cortese secondo la quale il 'signore' è la d o n n a e il vassallo è l ' u o m o i n n a m o r a t o : a u d a c e m e n t e infatti Eloisa rovescia il senso del r a p p o r t o . Il signore, senza dubbio , qui è Abelardo cui si deve obbedienza («Ho fatto tutto p e r obbedire a te, n o n a. Dio, solo p e r te ho p r e s o il velo monacale»). Molti testi ripeteranno che l ' a m o r e fra u o m o e d o n n a n o n p u ò che essere reciproco, che n o n s i p u ò n o n a m a r e chi ci a m a davvero («Amor che a nullo a m a t o a m a r p e r d o n a » ) . E questo p e r c h é i n t e n d o n o parlare, n a t u r a l m e n t e , di 'amore vero*. Ma c o m e lo si distingue d a l l a infatuazione o dalla voluttà? D o n n e c o m e Eloisa, c h e amavano ragionare d'am o r e , avevano a disposizione u n o s t r u m e n t o culturale efficace, la dottrina esposta nel De amicitia di Cicerone, lime de chevet del secolo. L'amore che nasce dalla virtù dell'amato, l'amore- disinteressato c h e n o n s i c u r a di sé, ma solo del bene dell'altro, singolare mescolanza di libera scelta e resa fatale di fronte alla eccellenza dell'oggetto amato, questo era ;
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r ' a m o r e vero'. Ma c'era dell'altro: u n a attitudine tipica della cultura medievale p e r cui il singolare poteva c o n t e n e r e l'universale e l'individuale divenuto simbolico alludere a un contesto più ampio. Ogni situazione diventava quindi significativa e trasportava la passione amorosa a un superiore livello di immaginazione e, c r e d o , di intensità. Nella coppia maestro-allievo (che si ripete p e r un l a m p o a n c h e nel Tristano di Goffredo dì Strasburgo e in altri testi su fino a Dante, 'allievo' di Beatrice) la passione allude a n c h e ad altro, al c a m m i n o dell'anima guidata dall'amore verso la sapienza. U n a rappresentazione dell'eros, b e n lontana in. molti testi dall'essere p e d a n t e o scolastica, che sottolinea la tendenza della passione amorosa a liberarsi dal t e m p o e trascenderlo. Congeniale a questa attitudine culturale è a n c h e la percezione nitida, a volte dolorosa a volte esaltante, del rapp o r t o e della differenza fra a m o r e e attrazione sessuale. Si ha l'impressione che su q u e s t o p u n t o gli amanti e gli scrittori medievali abbiano esplorato e descritto tutta la g a m m a delle possibilità: sesso c o n t r o amore, sesso con a m o r e e infine semplice differenza fra sesso "e .amore. U n a prospettiva estrema, a n c o r a vicina all'atteggiamento del vecchio Agostino, è quella di Abelardo q u a n d o , oramai l o n t a n o irrimediabilmente da Eloisa, evirato, malato, le scrive così: «Abbiamo attraversato tutte le fasi d e l l ' a m o r e e se in a m o r e qualcosa si p u ò inventare, n o i lo a b b i a m o inventato. Il nostro piacere era tanto p i ù intenso a n c h e perché p r i m a n o n l'avevamo conosciuto e n o n ci stancavamo mai...». Anche se nel ricordo possiamo cogliere l'intensità di u n a passione fisica n o n negata, d o b b i a m o notare che Abelardo si p r e o c c u p a subito' di sublimarla, c o m e nella dedica «A Eloisa u n a volta cara [...] oggi b e n più cara in Cristo», o allontanarla c o m e q u a n d o definisce quel l o n t a n o a m o r e b r u t a l m e n t e come lussuria o «turpe piacere» («la grazia divina attraverso la evirazione mi guarì dalla lussuria...»). Del resto a n c h e la d o n n a r i p r e n d e il tema, lo rove-
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scia e conferma c h e il piacere .sensuale è p e r lei altra cosa dall'amore, r i m p r o v e r a n d o l'amante: «Ecco quel c h e p e n s o e tutti sospettano: i sensi e n o n l ' a m o r e ti h a n n o legato a m e , ti attraevo fisicamente ma n o n ero v e r a m e n t e amata da te .»,., E un atteggiamento c h e tuttavia n o n le appartiene completamente: il rimprovero p e r la sensualità dell'amato, p e r quello che Eloisa considera un aspetto inferiore ed esteriore dell'amore, è tipico solo dei giorni amari della separazione. Eloisa il p i ù sovente, l'abbiamo visto nelle sue lettere, resta un forte esempio della positività della passione fisica d'amore che allora l'aveva resa, 'felice e invidiata'. C h e la passione d ' a m o r e sia cosa diversa dal piacere sensuale, e qualche volta ne sia d r a m m a t i c a m e n t e separa13., lo sappiamo a n c h e da Tristano (il personaggio del rom a n z o di T h o m a s ) . Q u a n d o l ' e r o e sposa Isotta dalle bianche mani p e r dimenticare l'altra Isotta, la bionda, ad un tratto capisce angosciato che «questo n o n è vero a m o r e [...] se devo stringere un c o r p o c h e n o n a m o [...] se cerco il mio piacere allora n o n rispetto il mio a m o r e . Finché vivo n o n p e r m e t t e r ò che il desiderio del piacere faccia appassire il m i o .amore vero...». II. p o e t a commenta, che in quel caso «ciò c h e la n a t u r a vuole n o n lo vuole invece il g r a n d e amore». Altrove invece la sensualità n o n si o p p o n e alla passione amorosa, ma da questa tuttavia si distingue c o m e nell'episodio del s o n n o in cui gli amanti s o n o sorpresi da re Marco, marito di Isotta, e risparmiati p e r c h é fra loro, simbolo di purezza, giace la spada di Tristano. U n a separazione m o m e n t a n e a e voluta p e r esaltare il desiderio? Forse, dal m o m e n t o che nel r o m a n z o «Tristano è colui che e n t r a n e l letto' della regina e la tiene nelle sue braccia c o n amore». L'am o r e fisico il p i ù delle volte n e l 'vero a m o r e ' asseconda e accompagna la passione. All'estremo, ma già fuori a m i o p a r e r e dal t e m a della passione d ' a m o r e , è la celebrazione dell'amore sensuale e naturate e del c o r p o c h e a n i m a le pagine di Jean de M e u n g ,
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autore del Romanzo della, rosa: «L'amore di cui sto parlando è u n a naturale inclinazione a cui sono portati tanto gli uomini q u a n t o gli animali [...] E questo a m o r e p e r q u a n t o sia utile n o n merita né biasimo né l o d e » . Ma quale è il r a p p o r t o della passione d ' a m o r e con la società e la istituzione matrimoniale? Molti testi m e t t o n o in rilievo la pressione ideologica antimatrimoniale nel Medioevo, u n a pressione che ha diverse c o m p o n e n t i . A n c h e su questo tema possono far luce le parole di Eloisa nella sua accanita opposizione al matrim o n i o riparatore offertole da Abelardo. Gli argomenti della d o n n a si rifanno da un lato al repertorio classico (di sap o r e 'platonico') ossia alle 'ragioni dei filosofi' che giudicano e d i p i n g o n o il m a t r i m o n i o come la quintessenza della vita materiale e sensibile, ricca solo di necessità quotidiane e fastidiose, di bisogni, fatalmente l o n t a n a dal r e g n o ideale della filosofia. La meditazione filosofica n o n deve essere turbata dai pianti e dai r u m o r i dei bambini, dall'assillo del d e n a r o e dagli obblighi che legano ad altre persone, coniuge e figli. Si a g g i u n g o n o p e r Eloisa 'gli a r g o m e n t i dei santi' che vanno nella stessa direzione: san P a o l o e san G e r o l a m o sono d'accordo nell'avvenire che il m a t r i m o n i o 'rimedio della concupiscenza' p u ò scivolare verso il male che vuole rimediare. La moglie n o n va perciò amata ma solo rispettata c o m e m a d r e della famiglia e c o m e c o m p a g n a nel 'rimedio al peccato', altrimenti «il m a t r i m o n i o diviene adulterio». Ma c'è dell'altro, un malessere al quale Eloisa accenna p i ù volte. Il matrimonio, che è u n a istituzione, cosa aggiunge al vero amore? N o n getta un sospetto di interesse annull a n d o la stessa definizione di a m o r e disinteressato? La forte conclusione di Eloisa è: «meglio la libertà», n o n la solitudine o la castità, «che i vincoli dell'amore legittimo». Q u a n d o 7
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Jean de Meung, Le roma» de la rose. San. Paolo, I Lettera ai Corinzi, 7... » San 'Gerolamo, Cantra lovinianum, P.L.„ 23. 8
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c'è amore, «meglio a m a n t e che moglie». Se si esclude la passione che Eloisa mette in queste argomentazioni, il fastidio verso il vincolo legittimo è c o m u n e a quello presente nei canti dei goliardi che esaltavano l'amore 'libero', E Isotta? La sua passione per Tristano vive p e r definizione fuori dal matrimonio, nell'adulterio talvolta avvertito con senso di colpa nei confronti del re, sposo di Isotta e sovrano di Tristano. La passione si d e n u n c i a c o m e tale a n c h e p e r c h é affronta a u d a c e m e n t e l'angoscia di r o m p e re u n ' a l t r a fedeltà, quella verso il dominus, sposo p e r l ' u n a signore p e r l'altro, u n a fedeltà che impallidisce tuttavia di fronte a quella verso il 'vero a m o r e ' . Diversa, p i ù clamorosa, la infedeltà e la trasgressione delle leggi religiose: nei d u e esempi che abbiamo scelto, Eloisa e Isotta, la n o n osservanza della legge divina ha aspetti c o m u n i ma anche divergenti. Eloisa n o n si p e n t e del suo peccato, l'amore adultero. Ciò che caratterizza il suo lungo ricordo d ' a m o r e è p r o p r i o «il c o n t i n u o l a m e n t o contro Dio» c o m e le rimprovera Abelardo, la sua ostinazione nel conservare la m e m o r i a della sua passione p u r «nella consapevolezza di aver peccato». Un atteggiamento questo che giunge in certi m o m e n t i all'estremo («la mia m e n t e folle di dolore p e r la tua perdita invece di pacificarsi con Dio si adira a n c o r più contro di Lui...») e altre volte trova invece nella certezza della verità interiore della passione il motivo del suo riscatto. L'intenzione di Eloisa infatti è sempre stata p u r a - dichiara lei -, il suo a m o r e p e r Abelardo disinteressato e «Dio che dà peso n o n alle azioni ma soltanto ai pensieri dell'anima» n o n p u ò che essere dalla sua parte e salvarla assegnandole dopo la vita terrena un «piccolo angolo di Paradiso». Isotta in questo n o n le è lontana, anche se il contesto e il personaggio-sono differenti. Eloisa è u n a intellettuale, u n a d o n n a coita che p r i m a vive in u n a città abitato da chierici e studenti, p o i in un monastero, badessa tanto irreprensibile q u a n t o disperata; Isotta è u n a regina educata a piacere agli
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uomini, c o m e si i n t e n d e in molti episodi, astuta e abile nel suo c o m p o r t a m e n t o verso il sovrano, l ' a m a n t e e la corte. L'episodio dello spergiuro ci conferma insieme la diversità di un a m b i e n t e e l'analogia delle prospettive etiche comuni. Diversamente dall'eroina wagneriana l'Isotta medievale vive c o n i piedi p e r terra e uno- dei- suoi maggiori problemi è difendersi dai tranelli preparati dalla malvagia curiosità della corte che spia i suoi incontri clandestini con Tristano. E difficile e n u m e r a r e q u a n t e bugie dica Isotta la b i o n d a e persino Goffredo di S t r a s b u r g o , il suo cantore p i ù simpatetico, la definisce «ingannatrice». Più giustamente Beroul scrive c h e Isotta «risponde con l ' i n g a n n o all'inganno». Ric o r d i a m o a n c h e c h e nel flusso delle vicende Isotta è sempre oggetto di trattative e patti che scavalcano la sua p e r s o n a morale e giuridica e c o m e d o n n a è costretta a rispettare regole che n o n ha concorso a stabilire. Isotta d u n q u e m e n t e e almeno' u n a volta 'trascina con sé il 'consenso' di Dio*. Ciò avviene d u r a n t e la cerimonia in cui Isotta, presente a n c h e re Artù e la sua corte, deve-.affrontare la "prova di Dio', ossia giurare p r e n d e n d o fra le m a n i un ferro rovente di n o n aver tradito il re suo marito. Se la sua delicata m a n o rimarrà intatta verrà dichiarata i n n o c e n t e e sciolta dai sospetti. La cerimonia, nel p o e m a di Goffredo, è u n a festa colorata e splend e n t e , p r e c e d u t a da u n a lunga cavalcata verso la pianura; p e r raggiungere il luogo stabilito Isotta e gli altri d e v o n o oltrepassare il G u a d o Pericoloso. Sulle sponde la regina incontra Tristano vestito da m e n d i c a n t e , irriconoscibile a tutti gli altri, c h e si offre di portarla .al di là del fiume: sorrid e n d o Isotta la bionda, c h e sola lo ha riconosciuto, sale a cavalcioni sulle sue spalle e . g i u n g e alla riva opposta «senza macchiare di fango la s p l e n d e n t e veste di seta». Qui davanti alla t e n d a del re, diritta e sicura, «giura che nessun u o m o è mai stato fra le sue cosce salvo il re suo marito e quel po10
Goffredo di Strasburgo, Trislan und Isolde.
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vero m e n d i c a n t e che l'ha a p p e n a aiutata a valicare il guado». Ed ecco c h e «Cristo cortese» interviene facendo sì c h e il ferro bruciante che Isotta stringe fra le m a n i n o n intacchi la sua m o r b i d a e bianca pelle. Cristo, che p i ù c h e giudicare le azioni, valuta e apprezza «le intenzioni del cuore», la libertà e la sincerità del sentimento (ossia l ' a m o r e di Isotta p e r Tristano), si fa d u n q u e g a r a n t e della 'verità' di Isotta e della moralità della sua passione. Mentre il m o n d o della convivenza sociale e delle istituzioni sottolinea l'importanza delle o p e r e e dei c o m p o r t a m e n t i ('le regole della c o r t e ' tem u t e e odiate da Isotta, ma a n c h e l'obbligo giuridico del matrimonio), e m e r g e un'altra etica (quella teorizzata anche da Abelardo e Eloisa) che verte sulle intenzioni e i valori individuali («la b o n n e foi» ) e p r e t e n d e che il Dio 'scrutatore del c u o r e ' ne sia il garante. La passione - dichiarano i poeti - solo da questa etica 'interiore' p u ò essere giudicata. C o m e Eloisa anche Isotta si sente - è - i n n o c e n t e .
Lo passione assoluta, gli altri e la morte Sul versante del r a p p o r t o con la società la passione d'am o r e , c o m e tutta la g a m m a degli 'amori cortesi', si vale p e r proteggersi di u n o s t r u m e n t o , il segreto. Che il segreto sulla relazione d ' a m o r e adultera, o c o m u n q u e irregolare, di fatto protegga da vendette e punizioni, questo è naturale e lo sappiamo dalle storie tragiche di Eloisa e a n c h e di Isotta spiata e d e n u n c i a t a al re dai cortigiani. Ma n o n è tutto qui il vantaggio del 'segreto d ' a m o r e ' , c o m e si p u ò leggere in queste ed altre storie. Il segreto (che giungerà nella poesia trecentesca fino alla finzione della ' d o n n a dello s c h e r m o ' ) è anche altra cosa, p e n s o : è un m o d o di salvare a vilitate - d i r e m m o n e l linguaggio dei chierici e dei filosofi - ciò che viene percepito c o m e un sentimento g r a n d e ed eccezionale, quale è app u n t o la passione assoluta. Si deve salvare l ' a m o r e dall'essere conosciuto banal-
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m e n t e c o m e 'vicenda d ' a m o r e ' ; esso deve restare n o t o soltanto alle a n i m e belle e agli amanti; se è divulgato p e r d e il suo significato e valore. L'operazione è analoga a quella c h e viene messa in atto a proposito dei misteri divini o delle g r a n d i idee filosofiche: Abelardo, p e r esempio, discut e n d o della «bellissima favola» d e l ' Anima mundi dei Timeo, dichiara c h e ' P l a t o n e l'ha-saggiamente avvolta in u n a immagine o metafora che deve soltanto suggerire e n o n far perfettamente c o m p r e n d e r e l'idea, p r o p r i o p e r allontanarla da un a p p r e n d i m e n t o chffuso e volgare c h e snature* r e b b e il suo «profondo significato». Il segreto è d u n q u e u n o s t r u m e n t o aristocratico in senso sociale e a n c h e intellettuale c h e allude, nel nostro caso, a un valore della passione al di là della 'lettera' o superficie. U n o degli esempi estremi (e più assurdi nell'ottica mod e r n a ) è quello della Castellana del Vergi , un testo del '300 dove paradossalmente - p e r usare le parole di Leo Spitzer «la fedeltà dell'amante al suo a m o r e ( n o n solo all'amata) giunge a distruggere l ' a m o r e stesso e porta alla morte». La bella castellana del Vergi è i n n a m o r a t a e amata da un cavaliere vassallo del d u c a di B o r g o g n a («il loro a m o r e era così dolce e segreto che nessuno eccetto loro d u e ne sapeva nulla»). Ma il cavaliere insidiato dalla moglie del duca, come il casto Giuseppe della Bibbia, la rifiuta a d d u c e n d o la fedeltà al d u c a suo signore. C o m e la moglie di Putifarre la duchessa lo calunnia presso il m a r i t o e questi accusa il cavaliere di slealtà. Disperato p e r salvarsi e salvare il suo a m o r e segreto il cavaliere racconta della sua passione p e r la castellana e fa giurare al duca di n o n parlare a nessuno del suo «unico e vero amore». Commosso il duca giura, ma p o i incalzato dalla moglie svela il segreto del p u r o cavaliere: la passione dei d u e tramite la malvagia vendetta della duchessa diverrà così n o t a a tutti. Q u a n d o la castellana del Vergi lo viene a sapere p i a n g e n d o sospira: «Io l'amavo tanto che nessu11
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La Ckastelaine de Vergi.
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n o p u ò a m a r e d i più [...] m a b e n vedo che egli n o n m i a m a affatto poiché ha m a n c a t o al nostro segreto [...] Chi poteva pensare che avrebbe commesso questo torto verso d i m e colui che diceva di essere tutto mio? [...} Poiché l ' h o ' p è r d u t o n o n posso d o p o questo dolore vivere senza di lui e p r e g o Dio che mi conceda la morte». E m u o r e infatti la castellana «sospirando: 'Amico dolce a Dio vi r a c c o m a n d o ' . D c u o r e le m a n c a e il viso scolora». La tragedia ha il suo c o m p i m e n t o c o n il suicidio del cavaliere: «Trova la sua arnica scolorata e persa [...] la bacia ma la bocca è fredda [... ] Si d i s p e r a comp r e n d e n d o il motivo della m o r t e : 'Mio dolce a m o r e — dice -, il più cortese, il più leale degli a m o r i [...]; vi ho uccisa io da traditore* [del segreto] [... ]| E con la spada si colpisce in mezzo al cuore». Conclude il poeta: «Si deve celare il proprio a m o r e con m o l t o s e n n o e aver presente che lo scoprirlo sempre è grave danno». U n a passione fragile d u n q u e che obbedisce a leggi d u r e che ci a p p a i o n o insensate ma h a n n o sempre e solo lo scopo di sottolineare l'assolutezza della passione. Ginevra tace e c r u d e l m e n t e n o n sorride a Lancillotto q u a n d o questi le si presenta d o p o aver superato le prove d ' a m o r e . Perché? Ha saputo che il suo a m a n t e ha esitato un attimo, un attimo solo prima di salire sul carro infamante dei c o n d a n n a t i - u n a estrema prova d ' a m o r e . Il p e r d o n o verrà d o p o , q u a n d o Lancillotto avrà c o m p r e s o il suo m u t o r i m p r o v e r o . Oltre al motivo del 'segreto d ' a m o r e ' troviamo nello scarno p o e m e t t o della Castellana l a m p a u n i o n e di a m o r e e morte. Cosa significa il binomio, presente in altri testi, e naturalmente nel Tristano: Difficile p e r noi m o d e r n i c o m p r e n d e r e se n o n ci liberiamo dal clima di feuilleton dell'intreccio narrativo e n o n ci immergiamo-nell'altro clima, quello della passione assoluta. 'Segreto d'amore*, lontananza, volontà di m o r t e , sono tutti elementi congeniali fra loro, appartenenti a u n a medesima strategia amorosa e ci aiutano a defi12
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Chretìen de Troyes, Lanceht o Le chevaUer de la charete.
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nire u n o dei tratti fondamentali della passione d ' a m o r e , la consapevolezza c h e questo tipo di a m o r e n o n appartiene alla realtà del m o n d o , del t e m p o e dello spazio. Attraverso l'assenza (1 " a m o r e da lungi'}, o p p u r e coltivando con accanim e n t o , a n c h e q u a n d o n o n esistono ragioni c o n c r e t e , il mistero d e l l ' a m o r e che deve r i m a n e r e circoscritto ai d u e soli amanti, escludendo il m o n d o , o spingendosi a lasciarsi m o rire piuttosto che r i n u n c i a r e alla ideale purezza della passione, gli a m a n t i medievali sottolineano la assolutezza di un s e n t i m e n t o 'smisurato' c h e Agostino aveva riservato alla sola infinità atemporale di Dio.
L'amore secondo Bernardo di Clairvaux Scrive B e r n a r d o di Clairvaux nei Sermoni sul Cantico dei Cantici «Questo è un a m o r e violento, divorante, impetuoso [...] pensa solo a sé, si disinteressa di tutto, disprezza tutto, è p a g o di sé solo [...] Confonde i gradi, sfida i costumi, n o n conosce m i s u r a » . A chi è riservato questo amore c h e ha molte caratteristiche della passione assoluta di Eloisa e Tristano? A Dio, n a t u r a l m e n t e . Insieme alla gioia, alla p a u r a e alla tristezza, l ' a m o r e è p e r B e r n a r d o - g r a n d e teorico d e l l ' a m o r e n e l secolo XII, insieme a Guglielmo di San Thierry e ai poeti - u n o degli affectus fondamentali, ma la complessità di questo t e r m i n e è difficile da r e n d e r e n e l nostro linguaggio. U affectus n o n è Yaffectio. L'affetto-amore (affectio) è legato fortemente al desiderio: quest'ultimo sottolinea l'assenza m e n t r e Vaffectus indica il movimento verso l'oggetto amato. «L'affetto — dice Aelredo di Rievaulx, allievo di B e r n a r d o - è u n a inclinazione s p o n t a n e a del c u o r e verso qualcuno». Qualcosa di esterno all'anima i m p r i m e d u n q u e V affectus che è subit o c o m e u n a passione. 13
Bernardo di Clairvaux, Sermone sul Cantico dei Cantici, 79,1.
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È questa passività a ricordare a l l ' u o m o la sua origine 'di c a r n e ' : secondo B e r n a r d o a n c h e l ' a m o r e mistico è segnato da questo inizio passivo e materiale. Ma si tratta a p p u n to di sollevarsi e ascendere, n o n di dimenticare. La motivazione dell'ascesa d ' a m o r e sta in quello c h e la Kristeva, scrivendo di B e r n a r d o , efficacemente chiama «attaccam e n t o speculare originario» , ossia nella similitudine divina impressa nell'anima u m a n a ; ma la sua possibilità m u o ve dal desiderio p e r l'assente, un desiderio totale e 'avido', che dovrà essere guidato dalla volontà e dalla saggezza. «Le vostre azioni e il vostro zelo, c o m e il vostro desiderio, siano p u r i c o m e gigli e simili a loro per c a n d o r e e profumo». Da un lato agisce q u i n d i la similitudine, dall'altro la 'dissimilitudine' e l'eterogeneità tra a m a n t e (che è corpo e anima) e Amato divino: « Q u a n d o u n ' a n i m a i n n a m o rata sospira o piuttosto p r e g a c o n t i n u a m e n t e , soffre nel desiderio della presenza divina...». La sofferenza, inevitabile e 'positiva', che si unisce alla gioia della passione amorosa, r a d d o p p i a allora in prospettiva la beatitudine o identificazione fusionale, a cui t e n d e l'anima i n n a m o r a t a di Dio. Nella dottrina d e l l ' a m o r e di Bernardo questi assiomi sono più importanti dell'analisi dei «gradi d'amore» che tanta fortuna e b b e nella mistica a lui c o n t e m p o r a n e a e in quella seguente. Si tratta tuttavia di u n a analisi sottile delle possibilità e dei processi u m a n i d e l l ' i n n a m o r a m e n t o che anticipa talvolta quello che Stendhal scriverà sul processo di «cristallizzazione» nel suo De l'amour. All'inizio c'è d u n q u e un a m o r e radicato nella carnalità; è così che l ' u o m o a m a se stesso. La fase seguente è «quando si a m a Dio per bisogno e p e r a m o r e di sé e n o n di Dio stesso»; soltanto d o p o «l'uomo giunge ad a m a r e Dio n o n solo per il suo b e n e , ma p e r c h é Dio stesso è il suo b e n e » . L'ultimo grado c o n t e m p l a l ' a n n i e n t a m e n t o «della carne e del cuore» c o m e dice il Salmo: «Dio partecipava del 14
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J. Kristeva, Storie d'amore, trad. it. Editori Riuniti, Roma 1984.
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m i o c u o r e p e r l ' e t e r n i t à » . Le a n i m e - scrìve B e r n a r d o sono allora i n t e r a m e n t e ' «rapite dalla g r a n d e forza d ' a m o re c h e p e r m e t t e ai corpi di soffrire e insieme disprezzare la sofferenza», a n c h e se il desiderio segnala il residuo carnale d e l l ' u o m o . Ma n e l l ' a m o r e mistico, diversamente che n e l l ' a m o r e assoluto ma fisico di Tristano e Isotta, c'è la possibilità di cancellare a n c h e la più esile traccia della carne e far diventare reale la aspirazione all'atemporalità degli amanti: ecco la beatitudine estatica dove c'è «sazietà senza disgusto, desiderio senza i n q u i e t u d i n e e [...] tutto ciò inesplicabilmente». La teoria d e l l ' a m o r e di B e r n a r d o ha conosciuto e affascinato vari interpreti. Nella interpretazione ai d u e estremi troviamo u n o storico del pensiero cristiano c o m e Etienne Gilson e u n a appassionata analista c o m e Julia Kristeva. Il p r i m o sottolinea la fragilità della analogia con l'amor profano celebrato nello stesso sècolo XII: quest'ultimo n o n possiederebbe la pienezza e la necessaria felicità dell'altro, assicurata dall'oggetto divino dell'amore. L ' a m o r e fra creature, s e c o n d o Gilson, n o n è garantito nel suo compimento o beatitudine finale e vive q u i n d i in u n a incertezza dol o r o s a . Va ricordato che questo è il p u n t o di vista di un c r e d e n t e . Q u a n t o alla Kristeva, che rileva c o n altri storici la straordinaria coincidenza di molti aspetti delle d u e passioni, la sacra e la profana, p a r l a n d o di B e r n a r d o conclude c h e «quella pace tesa, quell'armonia dolorosa, quell'Io narcisistico dilatato all'infinito p e r venire poi svuotato a favore di u n a identificazione violenta c o n un alter-ego sublim e , questo a p p u n t o è l'amore». U n o sguardo questo che segnala la forte analogia delle d u e dottrine d ' a m o r e e dà ragione delle similitudini dei loro linguaggi. 16
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1987.
Salmo, LXXII, 26. E. Gilson, Teologia mistica di san Bernardo, trad. it Jaca Book, Milano
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L'enigma di Andrea Cappellano Nel 1277 insieme ad altri testi, ispirati alle tesi, del filosofo m u s u l m a n o .Averroè, il vescovo di Parigi Etienne Tempier condannò- il De amore di un certo A n d r e a Cappellano sulla cui identità gli studiosi n o n s o n o d ' a c c o r d o . Ma qui ci interessa il motivo p e r il quale il vescovo lo a c c o m u n ò nella sua. condanna-a testi così diversi p e r a r g o m e n t o e app a r t e n e n t i al contesto della scuola. Infatti, a n c h e se il De amore è scritto in latino, sicuramente n o n è un testo ' m a a s t r a l e ' : l'area di diffusione deve essere rintracciata In un ambiente più vasto che c o m p r e n d e , oltre agli studenti, il chierico in vena di divertimento e il gentiluomo di corte. Il Cappellano, c o m e i maestri accusati di 'averroismo', ma a n n i prima di loro, aveva proposto u n a idea di a m o r e naturale e 'fatale', capace di imporsi a n c h e a chi tenta di sfuggirvi, u n a i d e a ' c h e al vescovo doveva richiamare quel concetto di n a t u r a c o m e forza sovrastante, necessitata e necessitante, estranea alla volontà u m a n a , presente nell'inseg n a m e n t o filosofico di Averroè. Il vescovo Tempier avvertì il pericolo di questa analogia: si p o t r e b b e spiegare così la c o n d a n n a c h e a c c o m u n ò gli averroisti a questo testo, audace e in alcuni passi allegramente osceno. D u n q u e , p e r A n d r e a Cappellano «amor est res q u a e imitami- naturam». Da q u i d i s c e n d o n o altre caratteristiche come il suo 'essere senza misura' e il n o n esser motivato da scelte di valore ma da u n a sorta di cecità. Provengono dalla sua 'naturalità' a n c h e le sue qualità positive, p e r c h é l'am o r e è u n a energia che «getta via la tristezza e d o n a a chi lo accoglie u n o stato di benessere». E aggiunge II Cappellano: p o i c h é a m o r e proviene dalla -Natura fatta., da Dio, è chiaro che « a m a n d o n o n si p u ò offendere Dio», Fin qui il testo di A n d r e a n o n è lontano dai motivi della celebrazione goliardica e p a g a n a dell'amore: l'amore del Cappellano è quello descritto dai classici, da Ovidio spe-
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cialmente, l ' a m o r e che «fa impallidire e [...] t r e m a r e il cuore», l ' a m o r e che «ha s e m p r e paura», l ' a m o r e geloso. Ma l'autore è a n c h e interessato all'amore c o m e comp o r t a m e n t o sociale che si deve sottomettere a regole di p r u d e n z a (le regole della 'cortesia') ascritte c o m e origine alle d o n n e oggetto del desiderio e delle tensioni maschili, ma a n c h e reggitóri del gioco. Il m o n d o delle azioni è d u n q u e maschile (desiderio, rivalità, lotte) m e n t r e dalle donne p r o v e n g o n o le n o r m e d e l l ' a m o r cortese. U n a invenzione geniale, questa: la n o r m a , che in questo caso n o n p u ò aver origine da Dio né dall'autorità politica, e m a n a dall'oggetto stesso del desiderio. Per la stessa paradossale ragione è la d o n n a a ispirare le virtù amorose e definirle come tali: l'amante n o n deve essere avaro («il m e r c a n t e n o n p u ò amare» p e r c h é deve p e n s a r e a far soldi), ma disponibile a dar spettacolo di sé, ossia a compiere 'bei gesti' e a curare il suo aspetto (questo significa 'essere g e n e r o s o ' ) , e n o n deve far pettegolezzi c h e p o r t e r e b b e r o discordia nel g r u p p o sociale. La prospettiva d e l l " a m o r e m o n d a n o ' , quella che p i ù interessa al Cappellano, contrasta con la iniziale definizione ed elogio d e l l ' a m o r e come forza naturale e spontanea, irreprimibile e sovrastante. L ' a m o r e , descritto (e prescritto) nel De amore, divenuto via via s e m p r e p i ù cortese (curialis) e addomesticato, imbrigliato ossessivamente in mille regole e cautele dettate dal m o n d o sociale al quale appartiene, impallidisce, p u r conservando alcuni segni esteriori di quella passione ' n a t u r a l e ' che a b b i a m o visto bruciare nei romanzi alla Tristano. Al p a r i della passione assoluta resta c o m u n q u e un a m o re a d u l t e r o e 'fuori dal m a t r i m o n i o ' (Andrea infatti n e g a recisamente c h e ci si possa a m a r e in presenza di un vincolo istituzionale e obbligante) e c o m e l'amore dei romanzi si ispira esplicitamente al r a p p o r t o signore-vassallo dove la d o n n a è s e m p r e il dominus. Ma - questa è la g r a n d e significativa differenza - si tratta di un a m o r e senza pretese di
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durare nel t e m p o , o persino fuori dal t e m p o c o m e vogliono essere le passioni assolute: segreto e lontananza sono p e r gli a m a n t i del Cappellano soltanto strumenti utili e semplici accorgimenti p e r conservare l ' a m o r e e m a n t e n e re alta la t e m p e r a t u r a («l'amore è simile a u n a febbre»). Il testo di A n d r e a Cappellano è a l m e n o alla p r i m a lettura un enigma: scritto in latino, «tipico frutto di u n a cultura clericale» , tesse l'elogio dell'ambiente e della vita di corte e insieme di un a m o r e libero e 'pagano". Molti, sconcertati dalle n u m e r o s e ambivalenze e contraddizioni, si arrestano di fronte alla singolarità dei testo; altri lo interp r e t a n o c o m e u n clamoroso scherzo piccante. Per quel c h e riguarda la storia della passione amorosa nei secoli medievali, il De amore rappresenta molto b e n e il progressivo spegnersi del culto d e l l ' a m o r e passionale alla cui nascita avevano concorso all'inizio la ricerca della modalità dell' amor Dei in Agostino, e q u i n d i vari elementi com e , nel secolo XII, la celebrazione della forza b e n i g n a e vitale della natura, il nuovo u m a n e s i m o c h e p r o p o n e v a la lettura dì Ovidio e Cicerone, lo slancio emotivo e paradossale dell'ascesi di B e r n a r d o di Clairvaux... Un l u n g o complesso movimento, nel quale è difficile separare le inf l u e n z e reciproche, u n movimento c h e culminava, nei romanzi della matière de Bretagne, nella rappresentazione gloriosamente laica (saecularis) dell'amore-passione. 17
Variazioni sui tema d'amore Segno forte della ricchezza della discussione sull'amore e dell'ampiezza della sua rappresentazione è la polivalenza e la varietà delle specie di a m o r e , anzi del 'bell'amore* (fin'am&rs).
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1986.
P: Dronke, Donne e cultura né Medioevo, trad. it. Il Saggiatore, Milano
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Quasi p e r tutti coloro che Io c a n t a n o , l'amore è segnato da u n a gioiosa vitalità: «Tutto gioioso i m p r e n d o ad amare u n a gioia di cui p i ù voglio rallegrarmi [...1 O g n i gioia si deve sottomettere [...] alla m i a Signora...», canta Guglielmo di Aquitania. Si possono distinguere diversi tipi d'am o r e , da quello 'metafisico', cantato p e r esempio da Marcabru nella p r i m a m e t à del secolo XII, all'amore puram e n t e 'cortese' di Bernart de Ventadorn di u n a generazione più giovane: p e r il p r i m o l'amore è u n a forza astratta e ideale c h e aspira all'illuminazione ed è paga della lontananza ('amore da l u n g i ' ) , e la d o n n a un t e m a p u r a m e n t e spirituale. Un a m o r e così risiede nella m e n t e piuttosto c h e nel c u o r e e p r o m u o v e le virtù: è «fons de b o n t a t q u ' a tot lo m o n illuminat». Ma è a n c h e amico della pazienza; dell'umiltà, della gioia, e n e m i c o della malvagità, dell'ipocrisia e della m e n z o g n a . Movimento dell'intelletto p i ù che passione, è un a m o r e congeniale all'ordine divino impresso neU'intimo d e l l ' u o m o . B e r n a r t descrive invece un a m o r e fisico, sottomesso ed estatico di fronte alla visione della d o n n a che esalta in o g n i m o d o , un a m o r e che si p o n e c o m e scopo il piacere e il possesso del c o r p o ' a m a t o . E significativamente rifiuta la mesura che Marcabru elogiava a n c h e in a m o r e e apprezza invece l ' i m p e t o e la follia amorosa, calandola in un contesto naturale, p o t e n t e e vitale. «A stento mi tengo dal correre da lei [...] mai vidi corpo meglio modellato e colorito [...] Sola vorrei trovarla che dormisse o fingesse di d o r m i r e p e r rubarle un dolce bacio '[...] O d o n n a , t r o p p o pòco profittiamo d e l l ' a m o r e . . . » . Fra questi d u e limiti sì stende tutta u n a g a m m a d i rappresentazioni dell'amore, n o n s e m p r e definibili c o m e fvn'amors, né c o m e passione assoluta. Dove c o l l o c h e r e m o p e r esempio il s e n t i m e n t o struggente che colma le lettere delle m o n a c h e l o n t a n e da tutto? E c o m e definire l'affettività c h e i n o n d a i biglietti scritti da Bernar38
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Bernart de Ventadorn, Canzone di primavera.
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do di Clairvaux a Enrnengarda duchessa di Bretagna? S o n o composti - egli dice - c o n il «linguaggio del cuore» e in essi si gioca quella tenzone amorosa della quale la letteratura cortese offre n u m e r o s i esempi: il tema è quello dell'am o r e separato, 1''amore da lungi'. Si tratta, evidentemente, di un a m o r e casto, 'in Cristo', ma B e r n a r d o usa c o n sapienza al pari del 'cortese u o m o innamorato" tutte le risorse della retorica d ' a m o r e per esprimere u n a emotività dilagante. Il percorso dell'elogio dell'amore n o n t e r m i n a qui. Ma la sua forza passionale si indebolisce e si rafforza invece il significato m o r a l e e sublimante che si accosta s e m p r e più alla prospettiva religiosa. Le tappe s o n o significative: l ' a m o r e è segno l a m p a n t e di nobiltà d ' a n i m o (Guinizzeili: «Al cor gentil r e m p a i r a sempre amore»); l'amore è dimostrazione di verità e 'salute* (Dante: «...venuta da cielo in terra a miracol mostrar e . . . » ) . Infine la d o n n a amata è già cosa divina (Dante: «Madonna è disiata in cielo...») e beatificante: la sua morte n o n ha più i toni tragici ed eroici del Tristano, ma quelli elegiaci di un commiato t e m u t o ma ineluttabile. Ancora qualche passo ed ecco, al posto della gioia vivificante, avanza la malinconia dettata da amore (Cecco Angiolieri: «La mia melanconia è tanta e tale... »), la solitudine 'accidiosa' del Petrarca insieme alla sua voluttà di dolore, tutti stati d ' a n i m o indotti da u n a passione c h e forse non-si affievolisce, ma diventa sterile p e r c h é n o n più inattaccabile dagli eventi esterni (morte o malattia o assenza dell'amata) come era la passione assoluta di Tristano o di Eloisa. Ma nella realtà e nella rappresentazione le cose sono s e m p r e un p o ' più complicate di q u a n t o lo storico vorrebbe. La passione,.quella vera, 'eterna', quella che deve essere p e r forza ricambiata, la ritroviamo in un contesto app a r e n t e m e n t e ancora nobile e cortese, ma dove si parla anche di cibo e di d e n a r o , in u n a storia soprattutto c h e 'finisce b e n e ' . E la novella del Boccaccio che n a r r a di Fede-
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rigo degli Alberighi i n n a m o r a t o n o n ricambiato di M o n n a G i o v a n n a . «In cortesia Federigo s p e n d e n d o si consuma»: ossia dà feste e tornei, fa d o n i , è 'magnificente' p e r impressionare la sua d a m a che invece Io ignora. Si riduce in povertà: di tutte le sue ricchezze gli resta un solo a m a t o falc o n e da caccia.. M o n n a Giovanna diventa, vedova, e ricchissima; ma il giovane.figlio si ammala e desidera avere, poic h é l ' h a visto n e l bosco- a caccia, il bellissimo falcone di Federigo. M a d o n n a va a chiederglielo p e r a m o r e del figlio, ma l ' i n n a m o r a t o prima di sapere I motivo della visita, n o n avendo nulla altro da m e t t e r e in tavola, cucina l'amato falcone in segno di festa. N o n p u ò p i ù quindi, disperato e p i a n g e n t e , offrirlo alla d o n n a il cui figlioletto d o p o poco m u o r e . Ma ecco il lieto fine, n o n più "cortese', ma indicativo d e l n u o v o clima e c o n o m i c o e sociale b e n colto dal Boccaccio: Giovanna si i n n a m o r a e sposa il fedele Federigo- c h e così diventa, ricco e felice dimostrandosi un «ottimo massaio» delle proprietà ereditate dalla moglie. La 'passione assoluta' è. ridiscesa sulla terra, fa i conti c o n i problemi dell'esistenza e si a c c o m p a g n a n o n p i ù alla gioia tumultuosa d e l l ' i n n a m o r a m e n t o , ma alla serenità coniugale e benestante. 19
BIBLIOGRAFIA I testi medievali, scritti in latino- o- in lingue romanze antiche, sono 'dì 'difficile lettura, e quindi non molto' conosciuti; ma trattando l'argomento della passione d'amore è innanzitutto a questi che bisogna rivolgersi. I primi appartengono per lo più (ma non sempre, come si vede dall'opera del Cappellano) alla scuola, i secondi a quella area laica che i medievali chiamavano saecularis. In questa breve bibliografia è sembrato opportuno, ove vi siano, suggerire in entrambi i casi le traduzioni italiane dei testi citati, quasi tutte corredate da note esplicative e introduzioni accurate. Giovanni Boccaccio, Decamerone, giornata V, novella 9.
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Per le Confessioni di Agostino si consiglia l'edizione Città Nuova, Roma 1965, con testo a fronte e ottimo indice per argomenti; per 0 carteggio di Abelardo ed Eloisa si raccomanda la recente (1995) edizione Rizzoli, Milano, Lettere d'amore e di filosofia, con testo a fronte; per i testi di san Bernardo di Clairvaux, si segnala l'edizione del De diligendo Dea, Cambridge University Press, Cambridge 1926. La lettura dei testi di Bernardo' può essere utilmente accompagnata dal classico' e insostituibile saggio di E. Gilson, Teologia mistica di san Bernardo, trad. it. Jaca Book, Milano 1987 e dagli studi di J. Leclercq, La donna e le donne in san Bernardo, 'trad. it. Jaca Book, Milano 1985 e La figura della donna nel Medioevo, trad. it Jaca Book, Milano 1994. Il De amore dì Andrea Cappellano si può leggere nella traduzione italiana pubblicata da Guanda, Parma 1993.. I romanzi di Tristano si possono tutti leggere nelle versioni italiane; Goffredo di Strasburgo, Tristano, nella splendida traduzione in versi di Laura Mancinelli, Einaudi, Torino 1985; Béroul, Il romanzo di Tristano nella edizione Jaca Book, Milano 1983; i frammenti del Tristano di Thomas nella traduzione italiana a cura di F. Troncarelli ( Tristano e Isotta, Garzanti, Milano 1979). E cavaliere delta carretta (il. romanzo -dì Lancillotto) di Chretien de Troyes si trova tradotto in italiano nell'edizione Oscar Mondadori, 2 voli, Milano 1981; mentre La castellana del Vergi in Romanzi di amore e di avventura, Garzanti, Milano 1984. Troviamo le Poesìe di Guglielmo di Aquitania nella edizione StemMucchi, Modena 1973, mentre la Canzone di primavera di Bernart de Ventadorn e i versi di Marcabru citati nel testo sono in A. Roncaglia, Poesia dell'età cortese, Nuova Accademia, Milano 1961. .La malinconia di Cecco Angiolieri si può trovare in Rime, a cura di G. Cavalli, Rizr zoli, Milano 1959. Le roman de la rose di Jean de Meung è stato edito da E. Langlois nel IV volume della Société des anciens textes, 5 voli., Paris 19141925. Molto utile la lettura degli studi che toccano' alcuni argomenti vicini al tema di questo saggio. È d'obbligo iniziare da Dell'amore di Stendhal, che si può leggere in traduzione italiana nell'edizione Garzanti, Milano 1976 (con una bella introduzione 'di Sergio Moravia); interessante, quasi un classico, anche se datato, D. de Rougemont, L'amore e l'Occidente, trad. i t Rizzoli, Milano 1977. Si veda anche il saggio di Hannah Arendt, Il concetto d'amore in Agostina, SE, Milano 1992. Più vicini al nostro tema sono: P. Dronke, Donne e cultura nel Medioevo, trad. it. Il Saggiatore, Milano 1986; G. Duby, Il cavaliere, la donna e il prete, trad. it. Laterza, Roma-Bari 1982; E. Kolher, Sociologia della fin'amor, trad. it. Liviana, Padova 1976; J. Kristeva, Storie d'amore, trad. it. Editori Riuniti, Roma 1984; e il classico C.S. Lewis, L'allego-
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Storia delle passioni
ria d'amore, trad. it. Einaudi, Torino 1969. Per il passaggio dall'evo antico al Medioevo si veda- E.R. Dodds, Pagani e cristiani in un'epoca di angoscia, trad. it. La Nuova Italia, Firenze 1970. Ricordo inoltre Abelardo e Eloisa, Mondadori, Milano 1982, 3* ed. 1987, e Le bugie di Isotta, Laterza, Roma-Bari" 1986, opere di chi scrive.
L'EROE TRAGICO, OVVERO: LA PASSIONE DEL D O L O R E di Nadia Fusini
Amleto: la mia azione è la passione Dell'intimità tra teatro e passioni, sì che la passione è p e r sua n a t u r a teatrale e il teatro passionale, documentano sia il mito di fondazione del teatro antico - la passione di Dioniso - sia il testo esemplare del teatro m o d e r n o VAmleto di Shakespeare. In e n t r a m b i i casi a t e m a e soggetto dell'azione tragica v'è u n a forma di sacrificio rituale, e l'eroe o protagonista s'avvia alla sua p r o p r i a m o r t e con il m o t o pesante, lento, del capro espiatorio. La tragedia antica, ricorda Nietzsche, nel suo p r i m o stadio di sviluppo «non si curava affatto dell'agire - il dramabensì del patire, il pathos» . N o n p o t r e m m o ripetere le stesse parole p e r Amleto, la tragedia scritta da Shakespeare nel "600. che sul crinale tra d u e secoli ci precipita nei grandi contrasti con cui si apre l'epoca m o d e r n a ? P e r c h é Amleto, va ricordato, è a corte a p p e n a rincasato da Wittenberg, alle cui porte Lutero ha da n o n m o l t o inchiodato le sue Tesi, così di fatto d a n d o inizio alla Riforma dei paesi nordici. E n o n a caso certe tonalità pessimistiche riguardo al senso e al valore delle sue azioni echeggiano la p o t e n t e svalutazione del1
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F. Nietzsche, La filosofia nell'epoca tragica dei Greci e Scrìtti dal 1870 al 1873, voi. Ili, t o m o l i , a cura di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 1973, p. 18.
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Storia dette passioni
le o p e r e e della volontà messa in atto da L u t e r o con la sua n u o v a teologia. Ha forse Amleto cura dell'azione, o n o n piuttosto un violento attaccamento alla p r o p r i a passione? N o n è dalla 'passione' (che egli vive c o m e u n a colpa) c h e il p a d r e viene u n a seconda volta a strapparlo, p e r avviarlo verso l'azione, p e r c h é Amleto è d o p o tutto l'eroe di un d r a m m a di vendetta, e dovrà agire? E p p u r e , a n c o r a Amleto preferisce agire il suo pathos, declamarlo. C o m e se n o n si curasse p e r l ' a p p u n t o c h e del patire. E il teatro che rivela ad Amleto il p r o p r i o contraddittorio, patetico, r a p p o r t o all'azione. Q u a n d o gli attori giung o n o a Elsinore, e provano il «passionate speech» che il giovane principe in lutto chiede loro, Amleto è sconvolto dalla teatrale intensità 'imitativa* dell'attore. Ma la tragedia n o n è p r o p r i o questo, n o n solo p e r Aristotele, ma p e r i c o n t e m p o r a n e i di Shakespeare? Non è imitazione, o mimesi, di un'azione? E p r o p r i o questo Fa l'attore di fronte ad Amleto: imita. Ma n o n u n ' a z i o n e ! Imita u n a passione! E ciò che colpisce Amleto. Il quale al p r i m o attore della c o m p a g n i a a p p e n a giunta al castello così chiede: «Ti ho sentito d e c l a m a r e un discorso [speak a speech], che n o n fu mai r a p p r e s e n t a t o [aded]...» . Significativamente, da par suo, Amleto è attirato da ciò c h e ha trovato la via della parola, n o n dell'atto. E vuole che Fattore reciti u n a scena che acted n o n fu mai, ma patita sì, p e r c h é già n e l recitarla l'attore la patisce. Ripresa dal racconto di Enea a B i d o n e nel libro II dell' Eneide, la scena vede Pirro gettarsi all'inseguim e n t o di Priamo, senza pietà lanciarsi sul vecchio, e poi 2
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Nell'atto III, scena tv, ai versi 106-1 It (dell'edizione a c a r a di H. Jenkins, Arden, L o n d o n 1982), il fantasma riappare p e r «affilare la lama . spuntata» del proposito del figlio. Su questo punto vedi il mio Amleto io «Finisterre», n. 2, primavera-estate 1986, p p . 93-108. * Atto II, scena il, w. 430 sgg. Qui e sempre la traduzione è mia. O da versioni che circolavano numerose di u n o dei più popolari testi dell'antichità, tra. cui Dido, Quem of Carthage scritto da Marlowe (con la. collaborazione di Xashe) nel 1594. 4
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N. Fusini L'ave tragico, omero: l-a.paukme del dolore
p e r un attimo sospeso sostare indeciso nella pausa tra la volontà e l'atto, finché essa si risolve a discapito del vecchio. Amleto incastona così all'interno del suo d r a m m a quale s u p r e m o e s e m p i o di mise-en-abìme la figura di Pirro m e n tre alza la spada e quella s e m b r a incollarsi all'aria, n o n scendere giù, sì che c o m e il t i r a n n o d i p i n t o lui resta immobile, e in folle tra la volontà e l'atto n o n fa nulla, va in p a n n e . In folle, i n d e t e r m i n a t o rispetto a quale marcia ingranare, ise quella indietro .vergo il, p e r d o n o o in avanti verso altri crimini, troviamo p i ù avanti a n c h e il re regicida e fratricida. Claudio, fratello del p a d r e di Amleto, del quale d o p o averlo ucciso ha preso il t r o n o , vorrebbe il p e r d o n o , ma n o n p u ò pregare, a n c h e se l'inclinazione è forte, acuta e... Sì, vorrebbe; ma la colpa è p i ù forte dell'intenzione... Così, vincolato a un doppio e contraddittorio interesse, egli rimane in sospeso, n o n sa volgersi ,ne]l'una o nell'altra direzione. E si ritrova, a p p u n t o , in posizione di stallo . Di soste, di indugi, di pause è cosparso, sappiamo, l'ostacolato c a m m i n o di Amleto verso la m e t a - la vendetta del p a d r e ; sì che q u a n d o vi giunge, tutto è p e r d u t o e più che di vendetta, di restituzione dell'ordine, di ripristino della giustizia, si tratterà di un confuso massacro . 5
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Neutro, in folle l'eroe shakespeariano sta rispetto all'azione. Ed è così che la tragedia recupera in Shakespeare un suo tratto arcaico, il senso cioè di u n a ritualità sospesa, dove all'atto si sostituisce la sospensione dello stesso nella recita o nel rito, la sua p u r a evocazione nel l a m e n t o . È nell'istante sospeso che l ' e r o e vive ì'irresolubilità del p r o p r i o pathos, dal quale è trascinato a conoscere u n a paradossale vertigine in cui vorticano posizioni e posture fondamenta* «E come un u o m o a tra-doppio interesse •vincolato, / sto sospeso...»; siamo all'atto IH, scena ni, ai versi 40 sgg. «Racconterò», dice Orazio nell'ultimo' atto, ultima scena, «al m o n d o che ne è all'oscuro / le cose che sono successe. Sentirete parlare / di atti carnali, sanguinosi, innaturali, ./ esecuzioni accidentali, assassini casuali, / morti architettate con l'inganno e per causa forzata...» (w. 385-390). Su questo si veda ancora il mio Amleto eh., pp. 95 sgg. 6
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Storia delie passioni
li alla definizione del soggetto in r a p p o r t o all'azione; Pirro che i m p u g n a nella m a n o la spada, q u a n d o quella si aggancia a qualcosa di invisibile' nell'aria che la trattiene, a quale strano p o t e r e soccombe? E q u a n d o quella calamita si sgancia e i a spada precipita giù, in quale m a n o è? Di quale affetto, in e n t r a m b i i casi, chi agisce è vittima? La centralità del teatro in un discorso sulle passioni si deve a questo: a teatro si svela che chi agisce n o n s e m p r e è soggetto della p r o p r i a azione. Fin dal suo inizio, del resto, il teatro si dispiega come atto in cui la volontà si manifesta e al t e m p o stesso si oltrepassa e trascende. O è trascesa. Qui sta la connessione tra estasi dionisiaca e d o p p i o teatrale, fin dall'inizio. Cioè, dai greci. Significativamente Amleto rimette in scena quell'inizio q u a n d o , rispetto all'azione c h e gli viene imposta, la sospende all'irresolubilità, e sottolinea: questo è il carattere centrale della mia tragedia - n o n agisco. La mia azione è la mia passione. 7
Amleto, b e n c h é ' m a t t o ' , va avanti preciso, metodico nel suo piano di mettere a n u d o sulla scena la coscienza del falso re. Poiché il teatro, evoca, suscita e manipola le passioni, egli lo a d o p e r e r à per cogliere in fallo il colpevole. Ha sentito dire che «creature colpevoli sedute a teatro / sono state così colpite dalla ingegnosità della scena / c h e h a n n o proclamato a voce alta le loro malefatte» . Amleto 8
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- «Metterò la maschera d e l matto», decide Amleto dopo- l'incontro con il fantasma .all'atto I, scena V, v„ 180. Atto II, scena n. vy. 584-588. Che tali fatti accadessero nella realtà era diffusa credenza. Di tali esempi si servivano i teorici in difesa dell'arte drammatica, da Roger Ascham .a. -Thomas Lodge,'-- Philip Sidney, George Putt e n h a m . J o h n Harington, Thomas Heywood, il quale nella sua ApologyforActors (1612) p e r provare il carattere realmente terapeutico' dell'arte drammatica n a r r a la 'leggenda' di una d o n n a colpevole di uxoricidio, che a teatro', sollecitata da. quanto accadeva in scena, svelò il proprio crimine. .Probabilmente Heywood riprende l'aneddoto dall'anonimo 'A Waming for Fair Women del 1599, dove l'episodio viene citato a c o m m e n t o dei miracolosi modi in cui sempre il delitto alla fine scopre se stesso. La fonte di tutti, suggerisce William Ringler nel suo Hamlet's Befemse of the Players ( ì n A A W . , Essays on Shakespeare and Elizabethan Drama in Honor ofHardm Craig, Routfedge & 8
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M Fusilli L'eroe tragico, omero; la passione del dolore
c r e d e al miracolo del teatro, e ascolta ammirato, rapito, l'attore che recita. È colpito dalla p o t e n z a attiva, trasformatrice, di ciò c h e definisce «a d r e a m of passion» : n e p p u r e u n a vera e p r o p r i a passione, ma un 'sogno*, Un'allucinazione, cioè, un affetto che l'attore n o n s e n t e / ma finge: a p p u n t o , teatm. P e r c h é «gli è p a r e n t e , forse, E c u b a ? » , c h e l'attore d e b ba piangere e disperarsi p e r lei? N o , naturalmente^ là dom a n d a è retorica. Amleto la fa soltanto p e r mettere in luce la propria sinistra, colpevole, in attira, passiva passione. L'attore, è trasformato' d a , u n a "'finzione'; m e n t r e lui, che p u r e avrebbe il motivo e l'imbeccata giusta, lui a cui n o n m a n c a nulla p e r c h é la passione divampando.lo, trascini all'atto, n o n agisce. Patisce. Ma la culla del d r a m m a è p r o p r i o in quella metamorfosi che egli vede accadere nell'attore e che descrive c o n straordinaria attenzione. Ciò c h e accade è che l'anima {so-ut) si piega al concetto (conceit), e quindi all'immaginazione, alla fantasia. Succede che il volto, l'aspetto in generale, l'esteriorità della figura u m a n a p e r l'interiore potenza in moto, è alterata, negli occhi affiorano le lacrime, i linear m e n t i risultano sconvolti, la voce rotta... L'attore è l ' u o m o fuori di sé, il trasformato, il fanatico di Dioniso, anzi di Ecuba - se d o p o secoli a Elsinore riesce ancora a far risuonare l'urlo di quella sposa e m a d r e tragica : «Ah, woe!». La passione tragica nella sua verità essenziale si esprime così: Oioi oimoi... Woe... La tragedia in q u a n t o dà forma al9
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Kegan Paul, London 1968, pp. 201-213), sarebbe l'anonimo dramma olandese Mari of .Xemmegen. 9 10 11
Atto II, scena n, v. 545.. Atto II, scena II, v; 553.' L'espressione è di Nietzsche, in La filosofia nell'epoca tragica dei Greci e
Scritti dal 1870 al 1873 at., voi. Ili, tomo II, p. 13. La scelta, di Ecuba non è casuale. Ecuba è dalla tradizione consegnata, a Shakespeare come l'incarnazione stessa della passione del dolore inconsolabile. Già in Titta Andronicus Shakespeare l'ha citata come exemplum di- un dolore-che sbocca in follia: «Ho letto che Ecuba di Troia / è diventate, pazza di dolore...» (atto IV, .scena I, w. 19-20). \ :1:2
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li alla definizione del soggetto in r a p p o r t o all'azione: Pirro c h e i m p u g n a nella m a n o la spada, q u a n d o quella si agg a n c i a a-qualcosa di invisibile nell'aria c h e la trattiene, a quale strano p o t e r e soccombe? E q u a n d o quella calamita si sgancia e la spada precipita giù. in quale m a n o è? Di quale affetto, in e n t r a m b i i casi, chi agisce è vittima? La centralità del teatro in un discorso sulle passioni si deve a questo: a teatro si svela c h e chi agisce n o n sempre è soggetto della p r o p r i a azione. Fin dal suo inizio, del resto, il teatro si dispiega c o m e atto in cui la volontà si manifesta e al t e m p o stesso si oltrepassa e trascende. O è trascesa. Qui sta la connessione tra estasi dionisiaca e d o p p i o teatrale, fin dall'inizio. Cioè, dai greci. Significativamente Amleto rimette in scena quell'inizio q u a n d o , rispetto all'azione che gli viene imposta, la sospende all'irresolubilità, e sottolinea: questo è il carattere centrale della mia tragedia - n o n agisco. La mia azione è la mia passione. 7
Amleto, b e n c h é ' m a t t o ' , va avanti preciso, metodico nel suo p i a n o di mettere a n u d o sulla scena la coscienza del falso re. Poiché il teatro evoca, suscita e manipola le passioni, egli lo a d o p e r e r à p e r cogliere in fallo il colpevole. Ha sentito dire c h e «creature colpevoli sedute a teatro / s o n o state così, colpite dalla ingegnosità della scena / c h e h a n n o proclamato a voce alta le loro malefatte» . Amleto 8
«Metterò la maschera d è i matto», decìde .Amleto' d o p o l'incontro eoo il. fantasma all'atto L scena v, v. 1S0. Atto li, scena n, w. 584-588. C h e tali fatti accadessero nella realtà era diffusa credenza. Di tali esempi sì servivano i t e o r i a in difesa dell'arte drammatica,, d a Roger Àscham a T h o m a s Lodge,-'Philip'Sidney, George Puttenham, J o h n Harington, 'Thomas Heywood, il quale nella sua Apobgy fiwActors (1612) p e r provare il carattere realmente terapeutico dell'arte drammatica narra la 'leggenda* di u n a d o n n a colpevole di uxoricidio, che a teatro, sollecitata d a quanto accadeva, in scena, svelò il proprio crimine. Probabilmente Heywood riprende l'aneddoto dall'anonimo • A Wammgfor Fair Women del 1599, dove l'episodio viene citato a c o m m e n t o dei miracolosi modi in cui sempre 0 delitto alla fine scopre se stesso. La fonte di tutti., suggerisce William Ringler nel suo Hamlet'* Defeme of the Player/, (in AA.W., Essayi on Shakespeare and EUzabethan Drama in Honor ofHardm Craig. Routledge & 7
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crede al miracolo del teatro, e ascolta a m m i r a t o , rapito, l'attore che recita. E colpito dalla p o t e n z a attiva, trasformatrice, di ciò c h e definisce «a d r e a m of passiona : nepp u r e u n a vera e p r o p r i a passione, ma un 'sogno', un'allucinazione, cioè, un affetto che l'attore n o n sente,* ma finge: a p p u n t o , teatro. P e r c h é «-gli è p a r e n t e , forse, E c u b a ? » , c h e l'attore debba piangere e disperarsi p e r lei? N o , n a t u r a l m e n t e ; la dom a n d a è retorica. Amleto la. fa soltanto p e r m e t t e r e in luce la propria sinistra, colpevole, inattiva, passiva passione. L'attore è trasformato da u n a 'finzione'; m e n t r e lui, che p u r e avrebbe il motivo e r i m b e c c a t a giusta, lui a cui n o n m a n c a nulla p e r c h é la passione divampando, lo trascini all'atto, n o n agisce. Patisce. Ma la culla del d r a m m a è p r o p r i o in quella metamorfosi che egli vede accadere nell'attore e c h e descrive c o n straordinaria attenzione. Ciò c h e accade è che l'anima (soul) si piega al concetto (conceit), e quindi all'immaginazione, alla fantasia. Succede che il volto, l'aspetto in generale, l'esteriorità della figura u m a n a p e r l'interiore potenza in m o t o , è alterata, negli occhi affiorano le lacrime, i lineam e n t i risultano sconvolti, la voce rotta... L'attore è l ' u o m o fuori di sé. il trasformato, il fanatico di Dioniso, anzi di Ecub a - s e d o p o secoli a Elsinore riesce ancora a far risuonare l'urlo di quella sposa e m a d r e tragica : «Ah, woe!». La passione tragica nella sua verità essenziale si esprime così: Oioi oimoi... Woe... La tragedia in q u a n t o dà forma al9
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Kegan Paul, L o n d o n 1963., pp. 201-213), sarebbe l'anonimo d r a m m a olandese Mary ofNemmegen. Atto II, scena il, v. 545. Atto II, scena II, v. 553.' L'espressione è di Nietzsche, in La filosofia nell'epoca tragica dei.Grecie Scritti dal 1870 al 1873 cit.. voi. Ili, t o m o II, p. 13. La scelta di Ecuba n o n è casuale. Ecuba è dalla tradizione consegnata a Shakespeare come l'incarnazione stessa della passione del dolore inconsolabile. Già in Titus Androniciu Shakespeare l'ha citata, c o m e exemplum d i u n dolore-che.sbocca in follia: «Ho Ietto che Ecuba di Troia / . è diventata pazza, di dolore. » (atto .IV, scena I, w. 19-20),. ; \ . 9
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la passione è quel s u o n o ; n o n fa che rievocare quel grido cui la forza straziante ed estraniante del pathos trascina l'anima. Il p a t h o s trascina, strappa, sconvolge. Questa, n o n altra, è l'azione della tragedia nella sua n u d a verità. Prima di essere m i t o che si dispiega 'in d r a m m a , l'azione tragica è semplicemente l'urlo. Agli estremi della passione ci s o n o il dolore e la gioia, passioni fondamentali che sfogano in suono d r a m m a t i c o - l'urlo o irriso. L ' u o m o fuori di sé, in estasi, si esprime c o n questa musica. La tragedia antica, ricorda s e m p r e Nietzsche, era povera di azione e di tensione, ma musicale. Poi prevalse su tutto l'intrigo, il d r a m m a si trasformò in un gioco di scacchi, u n a p e r piccole passioni ..; Così p a r l a Nietzsche, ma p a r e di sentir parlare Amleto. 13
Dolore in atto Nel contesto della tragedia di Amleto la parola 'passione' p r e n d e significati diversi, tutti teatrali; legati cioè alla forma stessa del d r a m m a in cui Amleto si trova, i l q u a l e mostra casi e vicende, esperienze, accidenti e sventure c h e si conclud o n o in sofferenze e patemi. Tra le p i ù interessanti accezioni v'è quella c h e fa coincidere passion c o n passionate outburst , e d u n q u e passione ed espressione, sentimento e retorica: p e r c h é la passione altro n o n è che quell'attacco che trasporta al di là del sé, fuori di sé... Già, ma dove? Nella parola, o nell'atto? Per Amleto nella parola, evidentemente: p e r lui la passione parla «coi più miracolosi organi», e ha bocca, ha c o r p o e si r a p p r e s e n t a nella parola e nel gesto. 4
Nell'accezione di passionate speech, o outburst, il t e r m i n e passion sottolinea il carattere retorico del suo trasporto. In 18
Nietzsche, La filosofia nell'epoca tragica dei Greci e Scritti dal 1870 al 1873
c i L , v o i . Ili, t o m o II, p . 1 4
in
18.
In t a l e a c c e z i o n e torna in King Lear (II, n , 232), in Othetto The Merchant of Vernice (II, viri, 11), in Macbeth (IV, IH, 114).
(V,
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N. aiutai L'eroe tragico, omiem; la passione del dolore
tale senso Amleto, nella sua p r o p r i a tragedia, patisce la passione del dolore che lo trascina ai monologhi, e se ne rimprovera, p e r c h é pericolosamente in tal m o d o il dolore inclina allo sfogo verbale, p i ù che a l l ' a z i o n e . E tuttavia è convenzione diffusa a teatro (elisabettiano e giacomiano) che così la passione si rappresenti e funzioni: in esaltati m o n o loghi. In questo Shakespeare r i p r e n d e u n a tradizione, c h e rifacendosi vuoi a Seneca, vuoi alla drammaturgia medievale indigena, ha sviluppato m o d i sapienti dì rappresentazione d e l l ' e m o z i o n e . L'attore nel suo assolo m o d u l a secondo vari toni differenti la passione e lo spettatore con luì dovrebbe patire ciò a cui c h i a r a m e n t e il tragediografo lo invita: 15
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E perciò proclamo: se c'è in questo cerchio chi sia incapace di potenti passioni, chi storca il naso e si rifiuti di conoscere come erano e sono fatti gli uomini," e preferisca non sapere come dovrebbero essere, che s'affretti a lasciare i nostri tetri spettacoli: . sì spaventerebbe. Ma se un petto c'è inchiodato alla terra dal dolore, se c'è un cuore trafitto dalla sofferenza, in questo cerchiò... sia il benvenuto.' Così declama Marston nel prologo al suo Antonio's Revenge . Mentre la Tragedia personificata, n e l l ' a n o n i m o A 17
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«Sì, questo è coraggio, / che io, figlio di un amato padre assassinato, / spinto^ alla vendetta da inferno e paradiso-, / sto qui a scaricarmi come u n a puttana a parole...» (atto II. scena H, w. 578-581). O ancora: «...Che sia / un oblio animalesco o uno scrupolo vigliacco; / p e r cui penso con tanta precisione all'atto / che a forza di pensare f a t t o a quarti il pensiero è / p e r tre quarti vigliaccheria e un quarte» saggezza...» (atto W, scena i v , w. 38-43). Si veda A L . Walkeiy Convention in Shakespeare"!'Bescriptiim o/Emotiim, «Philological Quarterly», voi. XVII (1938), pp. 26-66; e più in generale, B.L. Joseph, Elizabethan Acting, Oxford University Press, Oxford 1951. J. Marston, Antonio s Revenge (1602), in The Plays ofjohn Marston, v o i . I, a cura di H. Harvev Wood. Oliver a n d Boyd, Edinburgh-London 1934. 16
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Storia delle passioni 1
Warrdrigfar Fair Womm * (del 1599), afferma, in a p e r t o contrasto c o n Comedie e Historie, di volere: ... passioni che muovano l'anima, gonfino il cuore e pulsino in petto, strappino le lacrime agli occhi più avari, strazino la mente, la tormentino, fino al punto che i sensi travi ino dal loro corso. Questo è il mio ufficio. L'effetto tragico' mira a tali obiettivi. L'attore, quello- ad esempio a cui Amleto chiede di recitare il passo di Priamo ed Ecuba, deve far soffrire lo spettatore, p e r c h é il dolore è il sentimento p r o p r i o della tragedia. La sofferenza (intim a m e n t e connessa al movimento del d r a m m a ; in q u a n t o esso implica u n a trasformazione sia dell'attore, c h e entra in un altro essere, sia dello spettatore, il quale partecipa all'estasi n e l p r o f o n d o stupore di u n a metamorfosi dei propri sentimenti) sarà, è vero, catarticamente r e d e n t a nella vicarietà dell'esperienza stessa; ma dovrà essere nell'istante d r a m m a t i c o provata, sofferta. E lo sarà se Fattore saprà p o r g e r e la sua 'passione', ossia se saprà declamare il suo passionate speech, p r o n u n c i a r e la sua orazione di violenta emozione c h e dovrà far sgorgare le lacrime, battere il cuore, rapire i sensi. Solo così Fattore persuaderà il suo p u b blico a provare la medesima emozione. La passione è, in questo senso, mania: ecstasy. E trasforma chi se ne lascia trasportare in attore e il suo gesto in spettacolo. Trascinato fuori di sé, il soggetto appassionato sì estrania sì, ma a n c h e si conosce nello slancio di u n a perdita di sé, c h e m u t a in g u a d a g n o di conoscenza; u n a conoscenza che n o n sboccia c o m e un frutto dalla ragione, ma è piuttosto il doloroso bottino della passione. Per questo il pathos viene stimolato con ogni mezzo: dal lamento al mo13
A Waming far Fair Womcn, a cura dì Ch. Baie Cannoli, Mouton. The Hague 1975, w. 44-49.
N. Fusini L'eroe tragico, oiwero: la passione del dolore
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nologo. U n o degli stratagemmi più usati dal teatro inglese di derivazione senechiana è il l a m e n t o . Il protagonista sta in scena c o m e fosse in u n ' a u l a di tribunale e l a m e n t a la propria sventura con u n ' o r a z i o n e di evidente carattere retorico, elevato, formale. Interrogazioni retoriche, declamazioni enfatiche, frequenti ripetizioni, esclamazioni a catena amplificano e riverberano la particolare infelicità del personaggio contro u n o sfondo universale, astratto, le cui figure sono il Cielo, la Terra, la Fortuna, e varie altre allegorie della Disperazione, o della Pietà. Gli interrogativi, le apostrofi, le esclamazioni, le allitterazioni, le interiezioni ritmano la voce dell'attore secondo u n ' a l t e r n a n z a di acuti e di soffiati ('alas', 'oh!' si sprecano) che m a n t e n g o n o l'orecchio teso all'ascolto; m e n t r e la ripetizione regolare di parole e di versi evidenzia il senso di meccanica rigidità della m e n t e travolta dal dolore. Assoluto, generale, il dolore si m o d u l a o r a nell'astratta impersonale tonalità del coreuta; ora p r e n d e nella voce del p r i m o attore il timbro di u n a personale meditazione sulla vita e sulle inevitabili sofferenze che r a c c o m p a g n a n o . Prima di arrivare al mobilissim o , idiosincratico m o n o l o g o amletico, dovremo passare per astratte, formalizzate emozioni, create grazie a stilizzate figure retoriche. L'intento chiaro, evidente, di queste p r i m e tragedie inglesi è di esternare un m o t o dell'anima che ha un'esistenza interiore assai labile. E c o m e se il pathos n o n avesse c h e un'esistenza simbolica, e in q u a n t o simbolico' appartenesse a tutti e a nessuno, fosse intrinseco alla condizione di chi, essendo nato e vivente, sarà soggetto al dolore. L'attore dovrà perciò evocarlo più p e r for19
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Così in Gorboduc di Thomas Norton e Thomas Sackville del 1561; in Jocasta dì Gascoigne. lìberamente adattata dalle Fenicie di Euripide e pubblicata nel 1575; in Gismond of Solerne di Wilmot e altri-del 1567; in The Misfortunes of Arthur, scritta a più mani p e r intrattenere la regina Elisabetta 18 febbraio del 1588 a Greenwich. Si veda a questo proposito l'interessante artìcolo di R.Y1 Turner, Pathos and the Gorèoduc Tradition, 1560-1590, in «Huntington Library Quarterly», voi. XXV (1961-62), p p . 97-120.
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Storia delie passioni
za retorica che p e r interna passione, poiché, ripeto, l'em o z i o n e n o n è ancora né interna, né specifica. Il dolore di Jocasta n e l l ' o m o n i m o d r a m m a , ad esempio, è riportato dal nuntius, sì c h e Jocasta diventa il d o l o r e personificato: Oscurava l'aria cori alti compianti e grida: •• O figli (diceva) troppo tardi venne l'aiuto, troppo tardi mandai i soccorsi: e con queste parole, sui loro cadaveri Freddi gridava tanto, che avrebbe fermato il sole perché piangesse con lei: la tragica sorella poi, entrambe le guance bagnate di lacrime, dal fondo del petto tormentato, con sospiri brucianti cominciò a estrarre queste esauste parole... 20
I gestì convenzionali - lacrime c h e si versano a fiotti, sospiri luttuosi, contorcersi di mani - segnalano la passione, e invitano il pubblico alla compassione. La lingua e i gestì c o m u n i c a n o il pathos e insieme lo eccitano. E un p a t h o s tragico a n c o r a tutto retorico, p i ù che drammatico. Finché c o n Kyd e con Marlowe u n a nuova gestualità del dolore c o m p a r e ; e soprattutto u n a sua diversa appropriazione nella lingua. B i d o n e , ad esempio, n o n si p r e s e n t a p i ù c o m e Videna, regina di G o r b o d u c , frontale n e l suo lamento; D i d o n e corre con lo sguardo dalla spada di Enea alle sue vesti, fissa le sue carte, le afferra, le getta nel f u o c o . Il suo dolore è letteralmente enaded; cioè in atto', n o n statico. Ved i a m o che soffre n o n p e r c h é declami il d o l o r e nel l a m e n t o formale o Io scagli nell'urlo violento; ma p e r l'inquieto, mobilissimo, impossibile fantasticare che p r e n d e l'eroica regina a b b a n d o n a t a , che c o m e E d o a r d o «il dolore fa sragiona21
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Atto V. scena il, w. 129-137. In Earif English Classiceli Tragedies. a cura di J.W. Cunlìffe, Oxford University Press, Oxford 1912. •'' Ch. Marlowe, Dido, Queem afCarthage, atto• V, scena i, w. 290-312.
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N. Fusini L'eme tragico, otmem; la passione del dobm
re»--... È l'incoerente vaneggiare di quel vocabolario del dolore, che la bocca vomita c o m e scaricasse pezzi di c u o r e infranto c h e intasando la m e n t e l ' h a n n o fatta travasare nella follia; è questo c h e ci c o m u n i c a il pathos, alla fine. La stessa cosa accade in Kyd: è nella follia di H i e r o n i m o , cioè nell'effetto del dolore sulla sua m e n t e , che noi vediamo e p r o viamo la forza del pathos; n o n p e r c h é veniamo inondati di lacrime, assordati.di,sospiri e lamenti. La situazione patetica, in Marlowe, ad esempio, è creata attraverso u n a serie di contrasti, sì che avendo visto la felicità di D i d o n e con Enea, n o n sarà lei a doverci dire c h e è triste q u a n d o E n e a parte. Né Edoardo II dovrà declamare formali lamentazioni p e r evocare il pathos, della sua deposizione: basterà vederlo in dialogo con la sua c o r o n a . N o n c'è bisogno di retorica. 23
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Ecce Homo E nell'Edoardo Udì Marlowe e nel Riccardo lidi Shakespeare che affiora nitida l'eco di un altro fondamentale senso della parola 'passione', c h e aleggia sulle assi di questo teatro. Nelle stazioni della l o r o progressiva disfatta i d u e eroi sono p e r un attimo, la controfigura dolorosa del man of sorrow. il Cristo flagellato e percosso. E un significato religióso* che p r e n d e corpo nelle rappresentazioni dei cicli medievali del Corpus Christi, che m e t t o n o al c e n t r o della rappresentazione drammatica la Passione di Gesù, il cui pathos è u n a vera e propria passio, un passivo subire (per dirla c o n le parole di Amleto) le pietre e i dardi della Fortuna e un m a r e di afflizioni e le mille offese naturali di cui
Id., Edward the Seamd, atto V, scena I, v. 113. -, .. : Anni più tardi, e cioè nel 1922, T.S. Eliot riporterà alla ribalta della notorietà questo personaggio, citandolo nel suo poema The Waste Land come esempio- di dolore ossessivo, lancinante. Ch. Marlowe, Edward the Secami atto V, scena I, w. 57-106. 2 2
2S
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Storia delk passioni 25
è e r e d e la carne... A t e m a nei cicli è Fazione più trem e n d a e vergognosa commessa dalla creatura u m a n a : la stessa che p u r e proclama la sua redenzione. La Passione è del Cristo, lui l'eroe c h e patisce; la catarsi è dei colpevoli, i quali dalla sua Passione s a r a n n o salvati. Gesù m u o r e p e r salvare chi lo c o n d a n n a . Si dischiudono qui i d u e significati cristiani della parola 'passione', il p r i m o connesso al senso- antico- di pathos, e cioè allo strazio e alla sofferenza c h e il dio patisce p e r quella parte di sé che ha accettato di farsi creatura; il secondo al significato m o d e r n o di affetto violento che trasporta la creatura a scaricare la p r o p r i a violenza, in questo caso sul dio i n e n n e . Al pathos del Cristo m u t o che soffre, centro mistico del d r a m m a , si o p p o n e la passione chiassosa, vociante, attiva, aggressiva di u n ' u m a n i t à c o n c e n t r a t a i n t o r n o alla tortura, La cui passione e volontà si mostrano irrimediabilmente, in radice, segnate dal male. «Giochiamo al gioco della Pass i o n e » , dicono i torturatori che uccidono il Cristo in scoppi di g r a n d e energia e violenza, in mezzo a un furore 'di risa e dì piacere. Sono s e m p r e loro, gli attori di questi cicli, che n e l 'giocare', ovvero nel rappresentare il d r a m m a della Passione, nell'azione teatrale (che è gioco e rappresentazione insieme: play, game) s c o p r o n o nel gioco il piacere del gioco. Per n a t u r a l ' u o m o è passionale; cioè, d i s t i n t o p o r t a t o alla colpa. P e r c h é la n a t u r a u m a n a coincide in questi d r a m m i con la n a t u r a colpevole. Q u a n d o descritta n e i trattati morali che la riguardano, nelle p r e d i c h e che le sono rivolte, in questi d r a m m i tratti dalla Bibbia, la creatura u m a n a è un paesaggio complesso dì sentimenti, impulsi, affetti che i n c l u d o n o l'ira, l'odio, la vendetta, la bestemmia, l'impazienza, la violenza verbale, 26
25
Qui e più avanti ho presente l'illuminante studio di A. Kolve, The Play CaBed Corpus Christi. Edward. Arnold Pubìishers. London 1966. Qui, in particolare, p p . 178 sgg.. Ivi, pp. 13 sgg. Sì veda anche il mio Lussuria, in U. Curi (a cura di), Metamorfosi del tragico fra classico e moderno, Laterza, Roma-Bari 1991, p p . 61-77. 26
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:V. Fusilli L'eroe tragico, avvero: la passione del dolore
la furia; un paesaggio p e r t u r b a t o , inquietante. Rispetto al quale il silenzio dei dio scava l'eco straziante di un m o n d o divino senza variazione di u m o r i , senza desideri, senza appetiti. Irraggiungibile, se n o n q u a n d o m o r t o il corpo, e c o n esso spente le passioni, l'anima si disponga a quel viaggio, al termine del quale chissà dove sarà accolta.
L'estasi, la foUia Ma intanto qui, sulla scena m o n d a n a che l'eroe tragico calca, n o n ve pace; anzi, semmai c'è del marcio in Danimarca, e Amleto è chiamato, come Edipo prima di lui, alla ricerca del colpevole (e all'amara scoperta) : di chi la colpa della peste a Tebe? del marcio in D a n i m a r c a ? E p e r ris p o n d e r e a questa d o m a n d a che Amleto è costretto a staccarsi dalla sua passione, e cioè da quella pienezza di pathos in cui sta chiuso all'inìzio. E perciò che s'avvia al drama. alle azioni e agli atti di cui è composta la sua tragedia. Nella tragedia la passione si scioglie in un articolato teatro di affetti, che si manifestano nelle differenti maschere che da abile attore egli indossa; ma sono, a p p u n t o , affetti che finge p e r proteggere la sua vera passione, il pathos che gli gonfia il p e t t o e lì nel petto gli fa male, lo a m m a l a . II delicato principe, di passioni n o n solo vittima ma esperto, all'inizio si stringe al pathos del suo a m o r e filiale p e r il pad r e m o r t o c o m e al suo p r o p r i o f o n d a m e n t o autentico. Quella passione n o n è un affetto c h e l'abbia assalito e rispetto al quale n o n p u ò che stare passivo come di fronte a un attacco. Se piange il p a d r e , è p e r un a m o r e lucido nel quale si raccoglie intimo ad esso, addirittura m u t o . Mentre 27
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Si veda su queste parentele F. Fergusson, The Idea afa Theater. Princeton University Press, New York 1949, in particolare p p . 98-145. • «Non puoi sapere», dice Amleto all'amico Orazio, prima di andare al duello decisivo con Laerte, «che male sento, qui nel cuore...» (atto V, scena ti, w. 208-209). 28
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Storia, delk passioni
gli altri lo vogliono strappare a quella passione, trasportarlo' alla consolazione, dell'atto, p e r c h é reciti il dolore, lo "scarichi'. Q u e l l ' a m o r e lo leggono c o m e u n a piccola passione, che passerà; p e r c h é p r o p r i a delle piccole passioni è l'incostanza. Da subito Amleto è vittima e oggetto di u n o sguardo int e r n o al suo d r a m m a , che lo legge secondo u n ' a n a t o m i a delle passioni tipica d e l l ' e p o c a . Il p r i m o è Polonio, il quale pensa: il suo cielo è sconvolto dalla perturbazione più c o m u n e che sulla terra affligge le nostre u m a n e , t r o p p o u m a n e n a t u r e — l ' a m o r e p e r u n a d o n n a , e precisamente Ofelia. Q u e s t o è il n o m e c h e dà Polonio alla passione di Amleto; l ' a m o r e respinto spiegherebbe le teatrali esibizioni di follìa cui il principe si concede. Dice Polonio: «È senz'altro l'estasi dell'amore; p e r c h é nell'impeto, nella violenza che lo contraddistingue, l'amore si dimentica di sé, e trascina la volontà a imprese disperate, come fanno del resto tutte le passioni c h e affliggono n o i creature che viviamo sulla t e r r a » . Violenza e traviamento della volontà caratterizzano p e r Polonio le passioni, ovvero quegli affetti che s o n o p r o p r i della creatura. 29
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Polonio dà il n o m e di 'passione d ' a m o r e ' a u n a serie di segni esteriori e di azioni di Amleto che Ofelia gli ha app e n a descritto: Ofelia stava seduta nella sua cameretta, e Amleto le si presenta con il giustacuore in disordine, niente cappello, le calze s p o r c h e , le giarrettiere slacciate,' palli* Shakespeare non era certamente all'oscuro delle varie teorie delle passioni (in particolare della melanconia) che circolavano all'epoca; dal Touchstorie of Complexion, dì Lévinas Lemnius, tradotto da Thomas Newton nel 1576, al Treatìse of Melamcholy, di Timothy Brighi del 1586; all'Examination of Men Wits, di José Huarte, tradotto nel 1594; al D&touriè òf the Preservation of theSight, ofMelancholickeDiseases, ofSheumes and of Old Agi, di André Du Laurens, tradotto da" Richard Surphlet nel 1599, e molti altri. In particolare si è voluto riconoscere una suggestione importante per la descrizione d e l melanconico principe nel trattato di Brighi. Si veda a questo proposito'la bella introduzione di Francesca Bugliani a Della melanconia, dì Btight, da lei curato per Giuffrè,-Milano 1990. Così Polonio ai versi 102-105 dell'atto II, scena 1. 1
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N. Fluivi
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L'erre tragico, ovvero: la passione del dolore
do, le ginocchia tremanti: tutto nel suo aspetto grida pietà. Ecco c h e la p r e n d e p e r il polso, la stringe forte, poi la allontana da sé, e la -guarda fisso; prima la tira, poi la respinge, e intanto s c u o t e tre volte la testa e fa un sospiro così p r o f o n d o e p e n o s o che sembra quasi che spiri lì p e r lì. Poi la lascia a n d a r e e col capo girato cerca la porta senz'occhi, c h e m a n t i e n e fissi su Ofelia. Da questi segni risulta chiaro a Polonio che Amleto è tecnicamente 'pazzo d'am o r e ' . Notate: Amleto n o n parla, ma emette suoni agitati, sospiri. E dal s u o n o scordato di u n a m e n t e u n a volta perfetta, che Ofelia riconoscerà- la rovina di-.Amleto. Si accorgerà così c h e 1'«incomparabile f o r m a e immagine di giovinezza in fioreiè stata distrutta dall'estasi»- ,-cioè dalla follia, poiché la nobile, sovrana ragione d e l principe si è scordata, e 'stona'. E a c o m m e n t o di tanta trasformazione aggiungerà: «Woe is me»: 'ahimè!'. Alla passione, ancora u n a volta, risponde il lamento. L'estasi (o follia) d'amore è mania, esaltazione, frenesia: teatralità. Ciò che sta d e n t r o si rovescia p e r incontinenza nel fuori, e un disordine estatico ne segue che minaccia la ragione. Tale disordine estatico rimprovera Amleto alla m a d r e , colpevole di lussuria nei confronti di Claudio: i tuoi sensi, le dice, n o n solo la tua ragione, sono sconvolti; il t u o sangue ribolle e la tua percezione è colpita da apoplessia - sì c h e la motilità e la sensibilità si ritrovano affette da paralisi. I sensi sicuramente ti funzionano, visto che ti muovi, ma sono evidentemente paralizzati, p e r c h é la pazzia, n o n sbaglierebbe tanto, né si è mai rista, un'allucinazione tale c h e n o n t'è rimasto un briciolo di giudizio ... La passione' scombina la grammatica della'sensibilità e'induce a u n a sinestesia selvatica c ottusa: «occhi senza tatto, tatto setìza rista, orecchi senza m a n i né occhi, o d o r a t o senza niente affatto...»; ecco c h e cosa capita a chi come la m a d r e 31
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*' Siamo all'atto III, scena I, w. 152-156. Sempre nell'atto III, scena iv, w. 53-88.
sa
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Storia delie passioni
di Amleto sì c o n c e d e alla furia del sangue, che è il liquido dove il desiderio sessuale gorgoglia e ribolle. Ma c h e succede a te, figlio mio? chiede giustamente la regina; p e r c h é l'allucinazione ha toccato a n c h e la m e n t e di lui, che g u a r d a nel vuoto e vede fantasmi, p u r a invenzione del suo cervello. L'estasi (e i n t e n d e la follia) è capace di p r o d u r r e creazioni del g e n e r e , senza c o r p o . Dietro l'impulso di u n a passione c h e l'opprime, la m e n t e va "fuor di sesto', e con essa il c o r p o si sbilancia, p e r d e 1"equilibrio; ne risulta u n ' a z i o n e insensata, che ha perso cioè senso e direzione: ecco Amleto che uccide Polonio. Amleto che respinge Ofelia. Amleto che n o n uccide lo zio che prega (o a l m e n o lui c r e d e ) . Amleto che ferisce la m a d r e con parole che s o n o pugnali. Amleto c h e al funerale di Ofelia si butta nella fossa, e gareggia nel dolore c o n Laerte... N o n Amleto che vendica il p a d r e , e ristabilisce la linea dinastica legittima. N o n Amleto che restaura e riordina. N o n Amleto che rimette in sesto. 33
Moti
infiniti
Il p a t h o s in q u a n t o energia propulsiva all'atto ( n o n passio passiva, ma attivo dolore e piacere) è la cellula germinativa del d r a m m a : il pathos è, nel senso p i ù p r e g n a n t e , energia in m o t o . In q u a n t o movimento, l'azione drammatica sviluppa in r a p p o r t o alla forza del pathos, che p e r l'app u n t o ne è l'anima. O r a accade c o n Shakespeare c h e il moto, sìa fisico c h e psichico, e d u n q u e l'azione e la passione di questo' teatro nuovo rispetto all'antico, si inscrivano in u n a immaginazione del movimento p r o f o n d a m e n t e mutata, n o n più di tipo aristotelico. Sì che n o n servono quelle categorie, p u r nella loro rielaborazione tomistica, a interpretare, ad esempio, la turbolenza di Amleto. La sua pasSempre nello stesso atto e stessa scena, vv. 139-141.
JV. Fusinì L'eroe tragico, ovvero: la passione del dolore
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sione n o n si spiega con. l'idea di un movimento ( m o t o dell'anima o del c o r p o che sia) teo-teleologico. ,«Che cos'è un u o m o ? » , si chiede Amleto nel m o m e n to cruciale del suo i n c o n t r o con l'esercito di Fortebraccio, l'eroe c h e trasportato dal soffio divino dell'ambizione con eroico disprezzo fa le boccacce alla morte; m e n t r e lui che ha «il p a d r e ucciso, la m a d r e macchiata, vigorosi eccitanti e n t r a m b i della ragione e del sangue», sta lì a pensare, e p e r d e il t e m p o dell'azione. «Che cos'è un uomo?», si chiede a questo' p u n t o Amleto, e n o n sa se schierarsi con Pico, ed elevare u n a lode alla dignità d e l l ' u o m o - p o i c h é sì, l'uomo è godiike, simile a Dio, divino p e r certe sue facoltà: l'uomo ragiona e parla e conosce il t e m p o nelle sue scansioni di passato e futuro... O correggere Pico con M o n t a i g n e , nel rapido trascorrimento da un umanesimo' ottimista, che in realtà in terra d'Albione mai attecchisce sul serio, verso lo scetticismo, il paradosso. P e r c h é quelle divine facoltà in sé Amleto le sente pervertite; sì c h e la m e m o r i a s'è rovesciata in «oblio animalesco'», il pensiero in un eccesso di «scrupolo vigliacco». Fatto sta che lui sta p e r d e n d o il tempo dell'azione, e trasformando la sua tragedia in u n a farsa. Ma il p u n t o è che «l'uomo» shakespeariano è precisam e n t e questo: u n a creatura che mescola c o n t ì n u a m e n t e il tragico e il comico, il b e n e col male, il riso col pianto; strazia ogni forma, confonde ogni emozione, cancella passione con passione. Illimitato, infinito, disorientato, V impetus che lo a n i m a n o n va verso un fine, n o n ha limite, n o n mira a un traguardo, n o n ha meta. C o m e m u o v o n o le cose? Sia del corpo, che -'della m e n te? Sia nel creato, che nella creatura? Q u a l e il senso del 'movimento? È solo corruzione, decadenza? Il movimento 34
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Atto IV, scena IV, w. 32 sgg. Assieme a Laerte, Fortebraccio è l'altro figlio che n o n ritarda la vendetta del padre. «Per Pico e i primi umanisti l'uomo apparteneva agli angeli. Ma per Montaigne e gli scrittori melanconici, realistici degli anni '90 del "500 apparteneva, alle bestie». Così T h . Spencer nel suo bel libro Shakespeare and the Nature of Man, Macmillan, New York 1943, p p . 48-49. 34
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tragico, sappiamo da Aristotele, si configura s e m p r e c o m e u n a caduta che ha scopo, significato, o r d i n e . Il movimento in generale p e r Aristotele è limitato, finito. È da qualcosa verso qualcosa. Dalla potenza all'atto. Va verso il comp i m e n t o . Nella tensione t r a p o t e n z i a l e e attuale, tra essenza ed esistenza, tra incompletezza e interezza, si apre l'orizzonte del senso nella Fisica aristotelica. E n o n diversam e n t e n e l l ' i d e a le leggi degli affetti p r e n d o n o ordine e senso all'interno di un universo dove tutto muove allo stesso m o d o : uomini, piante, animali - i corpi in genere cercano il loro tebs. La cosmologia e l'antropologia e l'etica e la politica'aristotelica * r i s u o h à n o in 'umanissime e "rassicuranti corrispondenze. Ed ecco che, se nel libro VIII della Fisica Aristotele descrive il m o t o dell'universo c o m e dip e n d e n t e da un primum mobile in sé i m m o t o (il quale si dà a m o d e l l o e a p a r a g o n e di un movimento autosufficiente, continuo, regolare, e t e r n o ) , tale modello ricompare nell'Esca, q u a n d o si parla del b e n e ; sì c h e il sommo beneeW primo -mobile si c o r r i s p o n d o n o , e lo stesso p a r a d i g m a simbolico innerva la concezione di un m o t o rotatorio eterno, autosufficiente, e di un b e n e c o m e telos dell'universo e causa di o r d i n e e vita. 3
È in q u e s t o c o s m o che si inscrive la concezione del tragico di Aristotele. Lì un c o r p o cade (l'eroe sbaglia, precipita, rovina), ma il senso delia caduta è orientato, ha senso e m e t a e fine. In Shakespeare, n o n è più così. Un corpo Cade (mettiamo quello della r e g i n a ) e nella traiettoria della sua p r o p r i a caduta p e r d e ogni direzione d e l b e n e . Perché un c o r p o cada, u n a forza, è evidente, lo dovrà spostare; in ogni m o t o v'è dell'energia implicata. Ma il suo volto, q u a n d o si riesca a dare a quell'energia un volto, già in 37
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Q u i e più avanti ho in m e n t e l'ottimo studio di Thomas A. Spragens, The Politici efAfelio». The World of "Thomas Hobbes, Groom HelavLondòn 1973, in particolare il capitolo 2. ' " Atto' I, scena v, w. 45-57. Questo particolare p u n t o è sviluppato con più ampiezza nel mio Lussuria c i t , p p . 68 sgg. 3 7
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Shakespeare, ancora di più tra i suoi successori (Webster, F o r d ) , n o n h a più fattezze a n t r o p o m o r f i c h e , m a disumane, Nel mirabile discorso di Ulisse n e l Trailo e Cressida l'appetito che fa cadere e sovverte l'intera struttura, dell'ordine è un «lupo»; in Webster, se la duchessa di Amalfi m u o re è p e r c h é i suoi d u e fratelli, rappresentati l'uno nelle forme del l u p o ' , l'altro n e i p a n n i della "volpe", d a n n o la caccia al povero agnèllo. In ogni caso, se ancora la caduta tragica evoca sullo sfondo dell'agone d r a m m a t i c o lo scontro tra virtue e lust (maschere di u n a tradizione medievale c h e allo scontro tra b e n e e male, al passaggio dalla felicità alla sventura dava quei volti), ormai la metafora è alle corde. Quelle maschere, a cui esplicitamente il re Amleto allude parlando al figlio della 'caduta' della regina, descritta app u n t o s e c o n d o le figure aristotelico-tomistico-scolastiche di u n a supremazia ontologica del Bene e dello stato di Quiete, rispetto alla voracità ansiosa d e l M a l e , s t a n n o ' c e d e n do di fronte a un nuovo modello e s e n t i m e n t o del movimento',' n o n più pensato c o m e problematica rottura d e l l a quiete, mà osservato con l'ammirata meraviglia di un secolo che scopre altre leggi alla natura, e altri principi alla passione. 38
Nelle parole del fantasma, se la regina ha c e d u t o alla lussuria è perché l'indifferenza morale dà a p p u n t o alla lussuria u n a speciale potenza motoria; è tale superiore motilità, congiunta all'imperialistica, vorace vocazione espansionìstica che le è propria, a garantirle il successo nella psicomachia, se n o n cosmica, p e r lo m e n o microcosmica, che si inscena nell'anima della regina. Perché, ripetiamo, la Virtù niente la p u ò muovere: è immobile c o m e il S o m m o Bene: sta soddisfatta e c o n t e n t a e c o n t e n u t a nel p r o p r i o luogo, come ciò che ha un luogo- p r o p r i o . La Lussuria, in3 8
«Ma. la virtù, mentre mai si lascerà muovere, / anche se la. dovesse corteggiare la lascivia stessa magari, in forme paradisiache, / la lussuria invece, congiunta magari a un angelo radioso, / si sazia in un letto celestiale / e fa bottino' nell'immondizia»: così il fantasma in atto I, scena v, w. 53-57.
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vece, è animata da u n a energia che trapassa indifferente dal b e n e al male, e di tutto fa p r e d a e bottino, n o n si sazia, né si contiene. N o n ha un ' p r o p r i o ' : perciò in-finito è il suo movimento. Ma ciò che è accaduto all'inizio del d r a m m a è precisam e n t e questo: il Bene, la Virtù, il re stesso s o n o stati strappati dal loro luogo; sul t r o n o regale, nel letto celestiale profitta, prospera e regna il Male - ovvero il lussurioso, l'ambizioso Claudio. In q u a n t o l'azione drammatica è un fare (per q u a n t o ne sia solo l'imitazione: mimesi* praxeos), essa è nell'Amleto legata a questa motion; è questo' moto, o commozione: è il lust - nella sua radice p i ù n u d a - la passione deila creatura. Per tale m o v i m e n t o Claudio è asceso al t r o n o , m e n t r e Amleto p a d r e cadeva nella tomba e la regina nel letto del fratricida e regicida, e Amleto in lutto. Più precisamente ancora: p e r Claudio nell'Amleto, per E d m u n d nel Re Lear, p e r Macbeth, p e r Angelo in Misura per misura, il lust nel suo fondamento più autentico è fa passione della c r e a t u r a caduta. N o n diversamente da Hobbes, Shakespeare scopre che la fondamentale e fondante passione della sua creatura tragi-comica è la volontà di potenza. Cioè: la creatura ' n a t u r a l m e n t e ' n o n fa che volere-dipiù, volere-ancora, ancora-di-più; e in ciò facendo dissipa e inventa. La sua lussuria, contrapposta ancora alla virtù p e r un coatto trasporto di forme e convenzioni, n o n ha più quasi nulla a che fare con la statica, allegorica concupiscenza medievale: è forza in m o t o . Ma disordinata, incoer e n t e , p e r c h é potenzialmente in-finita p e r estensione e orizzonte del movimento. Potenzialmente incontrollabile, e insieme vitale, prolifica; sì che basta u n a goccia di male a «sputtanare u n a nobile sostanza» . Basta, dice Amleto, 39
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«Capita spesso che in certi individui / per un maligno neo di natura / lì dalla nascita, di cui n o n sono colpevoli / (poiché la creatura n o n p u ò scegliersi l'origine). / p e r l'esuberanza di un elemento della loro costituzione / che n o n di rado travolge gli steccati e i fortilizi della ragione, / o per un'abitudine, che lievita in eccesso / rispetto' ai modi urbani - questi individui/ p< urtando, come dico, lo stampo di un difetto, / che sia la dote della natura o la
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un n e o maligno, che compaia nella creatura alla sua nascita (che la creatura d u n q u e n o n p u ò scegliere; un peccato originale insomma, con cui nasce); e per l'esuberanza di un e l e m e n t o che cresce a sproposito, la sua costituzione tutta ne è stravolta, sì che io stampo di un solo difetto c o r r o m p e tutte le altre virtù, p e r innumerabili che siano. Amleto n o n sta soltanto e n u n c i a n d o u n a sua p r o p r i a originale dottrina fisio-psicologica e u m o r a l e , in base alla quale, c o e r e n t e m e n t e con le conoscenze m e d i c h e e psicologiche dell'epoca, la salute e la virtù d i p e n d o n o dalla b u o na mescolanza di u m o r i , o ' e u c r a s i a ' - p e r riprendere u n a parola allora in voga. Sta d e n u n c i a n d o (in accordo c o n u n a differente concezione del movimento che nel suo tempo ha i n o m i di Galileo, di C o p e r n i c o ) la superiore potenza del male, in q u a n t o e l e m e n t o dinamico, rispetto a u n a immobile virtù, la cui perfetta tenuta è equilibrio miracoloso, s e m p r e a rischio nella sua creatura. La quale n o n conosce che un m o t o a strappi violenti, sottoposta c o m ' è «ai p r e m i e ai castighi della Sorte», sì che rari sono gli uomini c h e n o n siano «schiavi della p a s s i o n e » . 40
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Lo sfondo agonistico che Amleto qui richiama è quello antico tra ragione e passione, così c o m e lo eredita da u n a letteratura medico-religiosa e civile che sul t e m a delle passioni si i m p e g n a in questo secolo a riflettere. Filosofi della morale, della politica, dottori dell'anima e del c o r p o strinstella della fortuna, / tutte le virtù che h a n n o , p e r quanto pure come la grazia, / infinite quante ne p u ò sopportare un individuo, / alla censura pubblica tutte verranno giudicate per q u e i o sbaglio particolare. Basta u n a goccia di male / a sputtanare u n a nobile sostanza» (atto I, scena rv, w. 23-38). Si veda l'interessante articolo di W. Pagel, Prognosis and Diagnosis: A Comparison of Ancien! and Modem Medicine, in «Journal of the Warburg Institute», voi. II (1938-39), p p . 382-398. E di Bruno, e di Donne... Si veda ancora Spragens, TkePolitics of Molion est., pp. 13 sgg. L'unico che Amleto abbia trovato è l'amico Orazio: atto III, scena n, w. 63-74. Su questo punto in particolare si veda Lily B. Campbell, Shakespeare's Frogie Heroes. Slaves of Passion, Cambridge University Press, Cambridge-London 1930. 40
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g o n o un serrato dibattito, che il teatro e la letteratura arricchiscono. Le fonti filosofiche del dibattito s o n o Platone, Aristotele, Agostino, T o m m a s o mescolati c o n Plutarco, Seneca, Cicerone, Boezio, Cardano... Le fonti m e d i c h e sono Ippocrate e Galeno . Nel trapasso dal r a g i o n a m e n t o filosofico' alla rappresentazione vuoi drammatica, vuoi narrativa, r i m a n e appar e n t e m e n t e intatto lo sfondo dell'agonismo, ovvero il fond a m e n t a l e scontro tra passione e ragione: è quello il conflitto necessario, inevitabile c h e p r o c e d e dalla costituzione stessa della creatura, che nell'anima appetitiva alberga in sé il suo p r o p r i o n e m i c o . E l'appetito il g r a n d e antagonista della ragione in quella psicomachia che elegge a prop r i o c a m p o di battaglia l ' a n i m a sensibile della creatura; lì dove risiedono a p p u n t o le passioni. Le passioni, perturbazioni, affetti (sono tutti s i n o n i m i ) , che m u o v o n o e com43
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P e r un esaustivo' e persuasivo trattamento di questo aspetto rimando in questo stesso volume al bel saggio di Mario Vegetti Passioni antiche: l'io, collerico. In particolare tra. il 1585 e il 1590, in seguito a epidemie e pestilenze, si diffondono nuovi e vecchi trattati a carattere medico tutti in volgare, volti a curare le malattie del corpo, e insieme a discutere delle operazioni e degli affanni dèlia m e n t e , i quali vengono spiegati in termini corporei e collegati a schemi simbolici più g e n e r a l , come i cicli delle stagioni, e la configurazione degli astri. Sir Thomas Elyot, nel suo Cosile qf Health, del 1534, che ebbe varie edizioni, l'ultima ampliata del 1610, lega le condizioni fisiche del corpo' alle stagioni e alle tipologie del carattere. Elyot n o n è medico, ma. scrittore e filosofo particolarmente versato alle arti della politica. La scienza medica lo interessa proprio in funzione civile, perché la salute è il primo bene del paese, e d u n q u e la prima «cittadella» che va difesa. La salute dip e n d e da una dieta, e da vari interventi p e r far spurgare il corpo di eccessi di umori, patetiche secrezioni, le quali h a n n o poi effetto sulla mente. Perché anche- nella mente' sofferente si soffrono patemi, che feriscono di conseguenza il corpo; il peso del dolore nella mente, ad esempio, provoca affezioni serie, quali la melanconia. Niente è più nemico della vita del dolore. A questo proposito Elyot cita Salomone, Ù quale dice: «Il dolore secca le ossa». In questo caso si fugga il buio e n o n si mangi carne. La gioia prolunga la vita. Gli stessi pensieri li ritroviamo nel maestro di Elyot, Thomas Linacre, che nel 1517 traduce il Desaniiati tumida di Galeno e lo dedica a Enrico VIII.. Con questa e altre traduzioni Linacre trasporta in Inghilterra un complesso di dottrine, ereditato da Platone, Aristotele, Ippocrate e Galeno, insepara44
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m u o v o n o la creatura, p e r via del peccato originale n o n obbediscono più alla ragione c o m e dovrebbero, ma s o n o sudditi.'ribelli, sempre p r o n t i all'insurrezione. L'agone vede in conflitto l'anima razionale e quella sensibile; la quale è tuttavia fondamentale alla conoscenza, p e r c h é è coi sensi che tocchiamo il m o n d o p e r conoscerlo. Dall'esterno un qualbile dall'astrologia, dalla medicina, dall'etica, dalla filosofia e dalla teologia, a cui. faranno poi riferimento' i successivi trattati. Tale sapere si tramanda da Elyot a Timothy Brighi, a Thomas Walkington, a Thomas Wright, a Nicholas Breton, a Samuel Purehas,.-.... E si arricchisce di traduzioni:' come The Touchstone of Complexions ài Levinus Lemnius nel 1576 (già citato); The French Aeademy di La Primaudaye nel 1579; A Discmtrse of the Preservaiion of the Sigia, di André D u L a u r e n s , nel 1598'; Pierre Charron, CfWisdom, riel!607; Goeffeteau, Task af Human Passims, nel 1621. Molti dei trattati sono scritti da teologi, come Wright, Walkington, Charron, Coeffeteau, e si sente! Ma altri sono filosofi, studiosi del m o n d o classico, che insistono sull'imperativo etico alla conoscenza di sé di Socrate e Cicerone, come sir J o h n Davies nel suo Afose* te ipsum del 1599 e J o h n Davies di Hereford nel suo Microcosmos (1603) . Robert Burton nella sua Anatomy of Melanchoh del 1621, p u r concentrandosi sulla sòia malinconia, riprenderà tutta l'eredità di meditazioni religioso-filosofiche classiche e di anatomie cliniche sulle passioni che il secolo' gli porta. Ma già in Thomas Wright, Passioni of the Mind in General, dei 1601, si avverte la volontà di scientificizzare e metodicizzare lo studio delle passioni, anche se questo avverrà soltanto con Cartesio, pochi anni più tardi. Lo studio di Wright, pastore cattolico, quanto Burton è anglicano, tra i più interessanti tentativi di coerente indagine delle passioni intese come malattie della mente e dell'anima, concentra sull'immaginazione il suo fuoco. Di. qui-l'estrema importanza'accordata alla retorica. L'immaginazione, ragiona Wright, di tutte le facoltà' interiori è la più delicata, la più suscettibile di. errori, la più soggetta agli appetiti dei sensi. A terna è il rapporto anima-corpo p e r il teologo' e dottore di anime; il luogo da indagare è quell'organo' di mediazione tra i due che è la. immaginazione. Qualunque cosa noi conosciamo deve passare dai cancelli dei sensi all'immaginazione, p e r arrivare al pensiero. Perciò' il problema psicologico è un problema morale, e il problema morale affonda negli organi più terreni dell'uomo, u n a «creatura divina e polìtica» insieme, dotata di tre nobili facoltà (l'immaginazione, la ragione, la memoria), che vivono p e r ò in un corpo creaturale, e come tale soggetto a un n u m e r o infinito di mali. Il "vaso dell'anima', e cioè il corpo, è fragile; se si corrompe, anche le più nobili facoltà si alterano. Prima fra tutte l'immaginazione; di lì vengono la paura e la, tristezza — p e r Wright, come p e r du Laurens, p e r Breton e Purehas le più proprie e comuni passioni della creatura. La madre di tutte le passioni è per Wright l'amore; da questa fonte la tristezza, il dolore, il senso del lutto e della perdita. È u n a notazione estremamente rilevante alla mia interpretazione della passione di Amleto.
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che oggetto, u n ' i m m a g i n e colpisce l'anima e dal cervello attraverso segreti canali giunge al cuore, il quale si piega all'affetto, ed essendo gli u m o r i lì p r o n t i ad agire, ecco la gioia, se il c u o r e prova piacere; la tristezza, se prova dispiacere. O l'ira, o la collera. In u n a fondamentale relazione tra c o r p o e anima, p e r cui la filosofia m o r a l e si costruisce su nozioni fisiologiche, e la fisiologia si modella su exempla morali, le passioni s o n o auscultate contemporan e a m e n t e dal medico e dal filosofo morale nel loro aspetto materiale e spirituale. In e n t r a m b i i casi sia il m e d i c o dell'anima che quello del c o r p o proiettano le passioni contro' l'orizzonte colpevole della n u d a e c r u d a creaturalità. In q u a n t o generata, in q u a n t o corpo, carne, fegato, cuore, cervello, la creatura, oltre che di immagini e moti spirituali, è fatta di u m o r i ; ha u n a t e m p e r a t u r a (e un t e m p e r a m e n to) ; è calda, o fredda, o u m i d a , o secca. Calda e u m i d a è la gioia, p r o p r i a d u n q u e al t e m p e r a m e n t o sanguigno - il migliore, il superiore, il d o m i n a n t e . F r e d d o e secco è il dolore, naturale al m e l a n c o n i c o - l ' u m o r e della tristezza, delia vecchiezza. E così 'via. Perciò, q u a n d o Amleto c o m p a r e vestito a lutto, d ' u m o r n e r o , n o n v'è d u b b i o che egli d e n u n c i il pathos che lo possiede. Amleto soffre p e r a m o r e del p a d r e che è m o r t o . E n o n vale nessuna istruzione da m a n u a l e - del c o r d o g l i o , che il falso re e la regina gli p r o p i n a n o . La voluptas dokndi che Claudio rimprovera all'orfano è rivendicata da Amleto c o m e giustamente a p p r o p r i a t a alla sua humanitas di figlio: né stoica apatheia, né medievale ascetismo valgono p e r Amleto. La virtù p e r lui coesiste con la tristezza; il solo ri45
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Lily B. Campbell, nel suo Shakespeare, 's Tragic Heroes cit., p. 134, è certa che q u a n d o all'atto II, scena II, Amleto entra in scena con un libro, ha in mano il De consolatwne di Cardano, tradotto in inglese da Thomas Bedingfeld nel 1573, e ristampato più volte - forse il più famoso libro di consolazione, insieme al De consohiùme di Boezio, 'tradotto da Chaucer nel 1478, e al Comfort? against Trybubtcyon, scritto da Tommaso Moro in prigione nel 1534. Dello stesso avviso è Harditi Craig, Hamlet's Book, in «Huntington Library Bulletta», n. 6, novembre 1934.
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m e d i o al dolore è il p r o p r i o appassionato attaccamento al cordoglio. Ma Amleto n o n è malinconico p e r temperam e n t o ; piuttosto è un s a n g u i g n o , finché il dolore n o n lo colpisce. È solo allora che si a b b a n d o n a alla tristezza dell'anima in tutte le sue forme e figure e atmosfere. Quei simboli esteriori e p a r a m e n t i (l'abito n e r o , l'occhio che piange, i sospiri...) n o n sono- lì p e r scaricare ciò che sta. nel fond o , e oltrepassa ogni spettacolo, q u a n t o piuttosto p e r custodire il dolore. Il quale dilaga nell'avversione, n e l disgusto, si fa n e m i c o della vita, gonfia, il c u o r e di un. male, la melanconia adusta, a p p u n t o , il quale avvia Amleto ad esplorare le fondamenta della disperazione. La melanconia p e r il giovane principe n o n è ' u m o r a l e ' , ma. dell'anima. E si realizza come u n a sconnessione. Il melanconico Amleto si ritira nel suo lutto: barocco e melanconico, m e d i t a sulla fragilità della n a t u r a u m a n a , soprattutto femminile. «Ali is n o t well», c o m m e n t a fin dall'inizio; dubita che ci sia foul pluf,, e basta che il fantasma venga ad annunciargli ciò che l'anima sua profetica aveva subodorato', ed ecco c h e il t e m p e r a m e n t o sanguigno (il più nobile degli u m o r i sec o n d o i trattatisti dell'epoca) r i p r e n d e il sopravvento. E p r o n t o a contrastare il male. S e n o n c h é cede alla passione, e n o n agisce. 46
La tragedia di Amleto' si risolve così in u n o studio sulla passione del dolore, che in lui n o n si lascia t e m p e r a r e , ripeto, dalle consolazioni offerte dalla m a d r e (è cosa comun e : tutto ciò che vive, m u o r e ) , dagli avvertimenti del falso re (insistere in. un lutto ostinato è empio; il cielo, il m o r t o stesso, la natura, la ragione, tutti convergono nello stesso tema: è naturale che i padri muoiano...). Eccessivo il dolore invade la m e n t e , distrugge la ragione, la quale n o n controlla più la volontà: la colpa che ne segue è l'inazione. Se n o n agisce, p e r ò , n o n è p e r c h é Amleto sia accidioso, ma p e r c h é la violenza della sua passione lo intasa, lo impri-
Campbell, Shakespeare's Tragic Heroes c i t , p. 112.
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giona. «Caduto nella passione» , in difetto per essa e in ritardo rispetto all'azione, il giovane principe riconosce lì la p r o p r i a colpa: è il d o l o r e c h e gli acceca la m e n t e . O meglio, è la passione del d o l o r e in sé c h e insieme lo n u t r e e 10 ràdica e lo eccita. Amleto n o n vuole sfogarsi. Lo slancio nella passione che soffre (l'amore del p a d r e , il dolore per la sua m o r t e ) porta nella sua esistenza u n a follia lucida, c h e gli a p r e gli occhi al s e n t i m e n t o c o m e radice originaria del p e n s i e r o e della volontà; all'emozione c o m e m o t o dell'an i m a c h e lo vincola alla radice paterna, p e r q u a n t o scomparsa.
11 dolore gioisce, la gioia s'addolora Tutte le emozioni u m a n e sono riducibili a quattro: piacere, dolore, desiderio, p a u r a . Le quali passioni, o perturbazioni, consistono in moti dì a p e r t u r a verso il b e n e , di fuga dal male presente o futuro. I h o m i cambiano: aegiitudo, laetitia, metus, libido; tristitia, laetitia, cupidìtas, timor, gaudium. dolor, spes, timor, gaudium, tristitia, spes, timor... Ma p u r nelle diverse e p i ù complesse strutture, che dall'antichità attraverso il Medioevo cristiano, arrivano fino all'Inghilterra elisabettiana, le d u e fondamentali passioni in contrasto sono l'amore e l'odio, che diventano quattro, se il b e n e e il male si p r o s p e t t a n o a p p u n t o nel futuro, facendosi speranza l ' u n o , l'altro paura. Il tetracordio delle passioni (a cui ris p o n d o n o p e r analogie infinite altri quartetti, dal quartetto degli u m o r i , a quello degli elementi, e così via) attraverso Virgilio e Terenzio arriva a Shakespeare, il quale soprattutto si c o n c e n t r a su. grief (aegritudo, tristitia, dolor) e Joy (laetitia, gaudium), in q u a n t o in q u e l passaggio - dalla feli-
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-Laps'd in urne a n d passion» il fantasma trova Amleto alla sua seconda apparizione: atto III, scena iv, v. 107. Si veda su .questo' punto il mio .1 L'In di., pp. 100 sgg.
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cita all'infelicità, dalla gioia al dolore — consiste propriam e n t e il movimento tragico. E di nuovo grazie al discorso dell'attore che Shakespeare fa affiorare nell'Amleto il tema delle .passioni della gioia e del dolore c h e violente, improvvise, rapinose, p e r la loro stessa foga si autodistruggono. Recita l'attore: «La violenza sia dei dolore che della gioia / da sé distrugge i propri'atti e misfatti. / Dove la gioia gozzoviglia, il d o l ó r e p i ù piange; / il dolore gioisce, la gioia s'addolora, al minimo a c c i d e n t e » . Nella pulsione istantanea della passione, ogni proposito annega, l'azione stessa vacilla. 48
Ma n o n è così p e r Amleto, il quale consiste fermo e lento nella p r o p r i a passione; anzi, appassionatamente si stringe ad essa. Sì che il fantasma del p a d r e , d o p o che u n a prima volta è v e n u t o a invitarlo all'azione, p e r c h é il pathos si risolva in atto, la melanconia si trasformi in rabbia, l'indifferenza in ira, la tristezza in furore, u n a seconda volta ancora dovrà tornare, affinché il d o l o r e in cui Amleto sta colm o , a n c h e se n o n a riposo, si risvegli e la passione implosa, negativa, scateni la p r o p r i a energia da quella piega m e lanconica a cui l'eroe l'ha stretta, e la reincateni piuttosto al m o n d o , che è fuor di sesto, ovvero ' s c a t e n a t o ' . Se la mad r e e Claudio invitano Amleto a staccarsi dal suo d o l o r e , il fantasma lo chiama piuttosto a starvi attaccato, ma in modo che quella energia animi la passione, n o n la mortifichi. È il m o d o c h e il futuro re Malcolm suggerisce a Macduff. M a c h e t i ' h a massacrato a quest'ultimo «tutti i suoi pulcini», moglie e figli, che lui del resto aveva incauto abb a n d o n a t o per seguire il suo principe. Alla notizia Macduff affonda nell'autorimprovero, nell'autodenigrazione, nella colpa: è lui il colpevole, lui li ha uccisi, che n o n avrebbe dovuto lasciarli. Ma il giovane Malcolm distrae la violenza dalla piega masochista e la riporta al giusto obiettivo: «Que48
Atto HI, scena il, w. 191-194.
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sto massacro sia la pietra che affila la tua spada; il dolore / m u t i in rabbia...» . La melanconia n o n è un mood tragico. E piuttosto l'um o r e che spegne la passione in un timbro n o n p i ù drammatico, ma lirico, o meditativo. Sarà il timbro della poesia di J o h n D o n n e , dei poeti, metafisici in genere; dove il dolore p r e n d e cadenze autoriflessive, sentimentali. Il pathos tragico, invece, deve muovere s e c o n d o u n a differente misura, p e r c h é l'emozione n o n si spenga nella paralisi. L'eroe si auto-denigri se vuole, si frusti p u r e ; ma p e r provare l'emozione che la melanconia nasconde; p e r scoprire dietro la melanconia la rabbia. È s e m p r e il lust, in q u a n t o positiva libido, a d o m i n a r e l'azione nell'agone tragico. L'em o z i o n e tragica è tonica: è un equìvoco di Aristotele che i d u e affetti tragici (la paura, la pietà) siano «due affetti dep r i m e n t i » . Se Aristotele avesse ragione, prosegue Nietzsche, la tragedia sarebbe u n ' a r t e m o r t a l m e n t e pericolosa... L'arte, n o r m a l m e n t e un g r a n d e stimolante di vita, u n ' e b brezza, dì rita, al servizio di un movimento discendente, diverrebbe dannosa. Nel suo più celebre m o n o l o g o Amleto aveva e n u n c i a t o un n o n t r o p p o diverso dilemma: l ' u o m o dovrà paziente sopp o r t a r e il male, o p r e n d e r e le armi e o p p o n i s i ? Subire o agire? Quale passione vincerà? Quella masochistica del dolore? O quella sadica del dolore? P e r c h é al fondo di passione n o n ve n ' è c h e u n a , ma ha d u e volti, c o m e Giano. E c'è q u a n d o si vòlta verso di noi, e c'è q u a n d o si gira verso gli altri. Ma in e n t r a m b i i casi siamo s e m p r e tutti in pericolo e pericolosi, q u a n d o ci p r e n d e la passione; c o m e pericoloso è A m l e t o , in q u a n t o u o m o passionale e n o n paziente. 49
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Cito dall'atto IV, scena in, ai w. 22-8-229 dell'edizione curata da 'Kenneth Muir p e r Arden, L o n d o n 1951. F. Nietzsche, Frammenti postumi 1888-89, voi. Vili, tomo III, Adeìphi. Milano 1974, p. 199. Così Amleto avverte Laerte: «Signore, anche se n o n sono splenetico' e furioso / tuttavia c'è in me qualcosa di pericoloso...» (atto'V, scena i, w. 284286). Del suo «pericolo» s'era accorto da subito Claudio: «C'è qualcosa nel50
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L ' u o m o paziente o è stoico c o m e Orazio, ma è u n o tra tutti, e n o n fa storia, tanto m e n o d r a m m i . O è un u o m o n i e n t e affatto virtuoso, ma semplicemente un u o m o che ha p a u r a delle passioni, perciò le rifiuta. E corre il rischio di un ascetismo' rozzo, senza gusto, dissonante, cinico o puritano che sia. L ' u o m o tragico è l ' u o m o c h e n o n mortifica le passioni, ma le esalta. E l ' u o m o forte, che n o n r i p u d i a l i lato passionale della sua natura. L ' u o m o debole sarà buono, ma è soprattutto ridicolo, comico; l ' u o m o tragico è potente, ì suoi affetti sono tonici. • È u n a qualità distintiva di Shakespeare, un suo p r o p r i o timbro, che n e l d r a m m a che inventa debole e b u o n o , nobile e cattivo spesso si c o n f o n d a n o ; c o m e si c o n f o n d o n o villain ed e r o e tragico. C o n u n a differenza: il villain ha un vero e p r o p r i o appetito del male, u n a passione attiva e propulsiva che si a n n i d a all'inizio in quella parte della m e n t e «vuota di r a g i o n e » , e poi dilaga a n c h e nella parte razionale; p e r c h é la volontà risiede lì, n o n n e l l ' a n i m a sensibile, dove invece s'allocano le passioni. Così il villain sceglie volontariamente il male, c o m m e t t e con gusto e volontà il proprio crimine. Mentre l'eroe n o : l'eroe patisce l'errore. L'eroe ( p r e n d i a m o Otello, C o n c i a n o ) è nobile e forte, la sua hybris u n a volontà di p o t e n z a che si rivela alla fine un'illusione. Egli sbaglia difatti a credersi più p o t e n t e di quello che effettivamente è, e se si d a n n a è p r o p r i o p e r c h é immagina di p o t e r trascendere la p r o p r i a d e b o l e z z a . Nella tragedia shakespeariana, ripeto, il male si inscrive via via s e m p r e più a fondo nella coscienza e nella volontà dell'eroe, rispetto al d r a m m a antico. Se l'eroe patisce, è p e r u n a passione c h e gli nasce da d e n t r o ; per un conflitto che si apre nella sua coscienza; p e r un appetito che p r e n d e via 52
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la. sua anima / su cui la sua malinconia cova e 'rimugina, / e io n o n ho dubbi che se.si schiude sarà pericoloso' » (atto III, scena, i, w. 166-169}. Th. Rogers, The. Anatomie of the Mùtile, 1576, p. 69. Si vedano' le interessanti osservazioni di W.H. Auden nel suo The Christian. Hero, in «The New York Times Book Review» del 16 dicembre 1945. 52
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Storia delle passioni
via vari n o m i , .ambizione, lussuria — tutte varianti di un solo affetto, la volontà. E questa al suo fondo è libido, è volontà di vita, p i ù vita e a n c o r a p i ù vita: passione nel senso più alto, r a p i m e n t o che ci radica nella nostra umanità. Perché c'è un fondo- c o m u n e di forza « h e muove tutto; la stessa che nei livelli più bassi si -manifesta nell'istinto che perp e t u a la razza, o in ogni ambizione m o n d a n a , muove anche le sfere p i ù alte, l'anima ad esempio. N o n sempre questa energia p r e n d e la vìa e d u c a t a e t e m p e r a t a del* S e n e c a volte si distrae nei rami intricati del labirinto- del Male e cerca di far conoscenza col Minotauro. Sì inoltra n e i lati scellerati e maledetti dell'esistenza. E così c h e la tragedia ad Atene c o m e a L o n d r a : da -questo viaggio. Al term i n e del quale la tragedia, se p u r dovrà presentarci'- il trionfo sul male, n o n potrà mai c o n c l u d e r e nella negazione di quella forza, che con il male è vitalmente intricata, e dalla quale la vita stessa dipende:-il pathos in q u a n t o positiva e m a n a z i o n e di forza affettiva, che g e m m a nel d o l o r e e nel piacere - s e c o n d o d u e toni in verità inseparabili dell'esperienza drammatica. Sì che n e i d r a m m a shake&peariai n o , ad esempio, n o n p o t r à n o n risuon-are dentrore oltre il l a m e n t o tragico il grido comico di Parolles: «Lasciate che io viva!» . Il vile Parolles è afflitto' da u n a phìlopskhia vergognosa, umiliante: dove che sia, in prigione, ai ceppi, dovunque,- il vile Parolles vuole la vita e n i e n t ' a l t r o - nessun-altro piacere. «Lasciate che io viva!» è l'invocazione che risuona al centro della commedia; grido in realtà mortale, in cui dom i n a incontrastata la d e a MortaMiy, la signora Morte.. Senz'altro appetito c h e la vita stessa, il ridicolo, Jl comico Parolles è semplicemente un vile, pigro inquilino della vita; in nessun istante trascende l'orizzonte mortale della sua esistenza. N o n vuole c h e vivere; vuole la vita, ma senza lo scontro faccia-a-faccia con la catastrofe, dalla quale soltan54
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Alì's Wett that Ends YML atto' IV, scena IH, V. 235.
N. Fmini L'eroe tragico, ovvero: la passione del dolore
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co nasce-e- rinasce la vita. Parolles n o n sa ciò che l ' e r o e tragico sembra sapere; e cioè che solo a n d a n d o 'oltre il principio del piacere' comincia la vita vera, la vita vera che è tragica, e nella tragedia m e t t e in scena ed esorcizza i suoi terrori e godimenti profondi. A teatro l ' u o m o (sia nella parte di spettatore che di attore) prova e riprova il p r o p r i o incontro con la catastrofe, s'abitua a pensarlo, si esercita all'incontro, alza la posta in gioco; l'eccitazione che ne deriva è g r a n d e - g r a n d e è il piacere nel controllo, a n c h e se vicario è rituale, dell'esperienza. Così fa l'eroe. * Signore di un superiore appetito, che p u r avendo radice nella m e d e s i m a philopsìchia la trascende, l'eroe tragico p e r passione gioca il p r o p r i o rischio con la m o r t e ; concupisce o s'adira. Vuole ancora, di più. E soprattutto - la passione, se mira a dominarla, n o n è né p e r indebolirla, né per estirparla. D o m i n a r e la passione p e r l'eroe significa viverla, e viverne: questa la sua filosofia. L'eroe, se ambisce a essere signore di sé, è per a n d a r e al di là di sé; oltre la felicità, l'eroe cerca l'ebbrezza, il dolore perfino, p e r c h é il dolore n o n è il contrario del piacere, anzi... Così la passione g e r m i n a in vita, che sa i n c o n t r a r e la morte, anzi con essa gioca. La rappresenta. Se la figura. C o m e Amleto app u n t o dimostra.
BIBLIOGRAFIA Oltre
ài testi citati
in
n o t a si s e g n a l a n o :
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Storia delk passioni
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LA PASSIONE DEL M O D E R N O : L'AMORE DI SÉ di Elma Pulcini
L'individuo
sovrano
Dagli incerti e conflittuali scenari seicenteschi alle più serene prospettive settecentesche, l'età m o d e r n a sembra essere percorsa da u n a passione d o m i n a n t e , sintomo della e m e r g e n t e sovranità individuale : è l'amore di sé, espressione emotiva di un Io c h e si libera da involucri cosmici e da imperativi trascendenti e tesse a u t o n o m a m e n t e il p r o p r i o destino , diventando protagonista della p r o p r i a vita e della p r o p r i a storia. E u n a passione dalle molteplici ramificazioni, che assume via via le forme adeguate a u n a realtà in costante m u t a m e n t o . Si traduce, c o m e v e d r e m o , in stima di sé o in autoconservazione, in vanità o desiderio di potere, in volontà di dominio o ansia di approvazione, in interesse o egoismo'. Nucleo legittimo dell'identità m o d e r n a , sottratto' alla secolare c o n d a n n a teologica, l'amore di sé, dapprima orgogliosa espressione di un Io che attinge ai valori del m o n d o eroico-aristocranico p e r trovare in se stesso le p r o p r i e certezze (Cartesio), diviene poi, quale ambigua manifestazione di un individuo debole e sovrano ad un t e m p o , f o n d a m e n t o e minaccia di u n a società politica che si edifica su nuove basi (Hobbes); p e r essere successiva1
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1994.
Cfr. A. Laurent, Storia dett'individualisma (1979), II Mulino, Bologna
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m e n t e riconosciuto, dalla più ottimistica concezione settecentesca, n o n solo c o m e la fonte emotiva elementare della legittima aspirazione degli u o m i n i alia felicità (philosophes), ma a n c h e c o m e lo- stimolo passionale necessario allo sviluppo e c o n o m i c o di u n a società che si a u t o n o m i / z a dal politico e n o n conosce limiti alla crescita (Mandeviile, S m i t h ) ; salvo infine assumere delle tonalità e n t r o p i c h e e 'narcisistiche' che costellano la crisi della società m o d e r n a e ne i n c r i n a n o i miti di progresso e di bonheitr (Rousseau). L'Io si affaccia alle soglie del M o d e r n o con lo smarrimento' di chi avverte l'ambiguità della propria condizione. «Io studio me stesso più di o g n i altro soggetto — dice Montaigne -. È la mia metafisica, è la mia fisica» . In questa dichiarazione, in cui il bisogno di concentrarsi su se stesso si fonde c o n l'orgogliosa percezione della propria singolarità, si riassume quel processo ambivalente di perdita e di c o n quista c h e accompagna l'emergere della soggettività m o d e r n a : perdita d e l l ' o r d i n e , in seguito alla disgregazione" del c o s m o medievale, c h e lascia l'individuo in u n o stato di disorientamento e instabilità, posto «fuori asse» ( desaxé), reso inquieto dalla caduta di Ogni p r e c e d e n t e certezza*; ma conquista di un nuovo senso di sé, fondato sul rifiuto di ogni gerarchia o autorità trascendente, conscio- di u n a inedita libertà che r o m p e ogni limite aprioristico e imposto dall'esterno ed a p r e l'accesso a territori inesplorati. Il processo di 'disincàntamento' del mondo-, iniziato con la .Riform a p r o t e s t a n t e , p r o d u c e u n a valorizzazione dell'individuo che 'trova d e n t r o di sé, nell'Interiorità della p r o p r i a co1
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- M. de Montaigne, 'Saggi (1588), Adelphi, Milano Ì992, IH, xm, p. 1434.' * H: .Bhimenberg, La legittimità deB'età moderna (1968), Marietti, Genova 1992, p. 143. Cfr. A J . Krailsheimer, Studies-in Self-Interest, Front Descartes io La Bruyère, Clarendon Press, Oxford 1962, cap. I. . Cfr. M. Weber, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo (1922), Sansoni, Firenze 1977. 4
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La passione del Modem®: l'amore di sé
scienza, e n o n p i ù nei .vasto o r d i n e cosmico di cui fa parte, i p r o p r i fondamenti, obiettivi, progetti, di vita. . L ' u o m o si concentra su se stesso e m e t t e in atto quel p r o cesso di 'autoaffermazione" in cui H a n s B l u m e n b e r g ha colto il tratto distintivo, il vero e p r o p r i o ' t e m a ' dell'età mod e r n a , che riassume in sé tutta la complessità dell'individualismo e m e r g e n t e : vale a dire l'intreccio indissolubile di libertà e responsabilità, di senso infinito delle possibilità ed o n e r e della scelta, rispetto ad u n a realtà che si presenta improvvisamente disponibile, illimitata. L'erosione dei fondam e n t i teologico-metafisici consente all'individuo di scoprire la propria a u t o n o m i a e di intravedere nuovi orizzonti, ma lo espone anche a nuove tensioni, p a u r e , speranze. «Non c'è alcuna esistenza costante, né del nostro essere né di quello degli oggetti - dice ancora Montaigne, che avverte tutta l'instabilità e la mutevolezza della realtà e del p r o p r i o essere nel m o n d o -. E noi, e il nostro giudizio, e tutte le cose mortali a n d i a m o s c o r r e n d o e rotolando senza posa» . Alla vertigine dello sradicamento, Montaigne, o p p o n e il ritorno a sé, .alla p r o p r i a interiorità, p e r conoscersi e accettarsi nella p r o p r i a intima natura. «Voglio che mi si veda qui n e l mio m o d o d'essere semplice, naturale e consueto, senza affettazione né artificio: p e r c h é è me stesso che dipingo [...] sono io stesso la materia del m i o libro» . Conoscersi -vuol dire amarsi nella propria irripetibile originalità: «Chi si conosce [...] ama-e coltiva se stesso sopra-'ogni altra cosa...» ;: vuol dire accogliere, in un'attitudine u m i l m e n t e scettica, la debolezza e i limiti della p r o p r i a natura, p e r trovare il giusto equilibrio tra la padronanza"'di sé e il g o d i m e n t o delle p r o p r i e passioni, gusti, inclinazioni. L'Io si c o n t e m p l a allo specchio e si ana6
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CI;. Taylor, Radici dell'Io (1989), Feltrinelli, Milano 1993, pp, 242-243. Blumenberg, La legittimità dell'età, moderna c i t , p. 144. * Montaigne, Saggi cit., II, XII. Idi., Al lettore, in Saggi c i t Id.. Saggi cit.. I, in. 7
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Storia delle passioni
lizza; ed è in questa costante operazione di rispecchiamento c h e esso trova la via giusta senza bisogno dei rigori o delle m e t e sublimi della morale tradizionale, stoica e cristiana. U n a n a t u r a di cui siamo consapevoli è in grado di darci nuove regole, e di insegnarci sia a g o d e r e di n o i stessi sia ad evitare gli abissi di passioni eccessive e tiranniche. Con il Moi che si autoesplora deciso ad accettarsi e ad amarsi nella propria debolezza, che mette in d u b b i o ogni certezza ritrovando d e n t r o di sé, nell'imperfezione stessa della p r o p r i a esistenza, l'asse, il p u n t o a r c h i m e d e o su cui riconquistare un equilibrio che n o n è mai definitivo, Montaigne i n a u g u r a u n a forma della soggettività destinata a diventare u n a delle espressioni fondamentali del M o d e r n o . Basti solo p e n s a r e , c o m e vedremo, a Rousseau e alla forte valorizzazione dell'interiorità, dell'intimità, della fedeltà a se stessi. T r o p p o spesso identificata con un rigido e unilaterale p a r a m e t r o di razionalità, la m o d e r n i t à presenta infatti un volto prismatico, p r o d u c e forme molteplici di soggettività, in g r a n p a r t e legate alle diagnosi e alle risposte date di volta in volta al problema delle passioni; p r o b l e m a che n o n è affatto riducibile, c o m e vedremo, alla facile e schematica dicotomia passioni/ragione. 11
Accanto, o in risposta all'Io chiaroscurale di Montaigne, si configura il percorso del soggetto, razionale cartesiano, fondato n o n sulla esplorazione ma sul distacco e sul controllo di sé, n o n sulla descrizione valorizzante della singola e originale individualità, ma su parametri generali e normativi tesi-alla fondazione di criteri universali . Ma esso a p p u n t o n o n è l'unico, sebbene abbia effettivamente ass u n t o u n ' e g e m o n i a capace di oscurare percorsi paralleli ; né in esso si esaurisce, c o m e o r a v e d r e m o , la stessa visione cartesiana della soggettività. 12
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Cfr. Taylor, Radici dell'Io cit. Ivi, p. 231. ld.. Il disagio della modernità (1991), Laterza, Roma-Bari 1994, pp. 23
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E. Pulcini La passione del Moderno: l'amore di sé
Dall'Io generoso al soggetto desiderante Cartesio parte anch'egli dal d u b b i o , a testimonianza del fatto che lo sradicamento, l'incertezza provocati dalla 'perdita di o r d i n e ' sono ormai irreversibili, un p u n t o di n o n ritorno. Ma il suo è un d u b b i o attivo, sorretto dalla volontà, che lo p o r t a al cogito e alla costruzione metodica di certezze evidenti e definitive . Attraverso un processo di distacco razionale e di oggettivazione del corpo, che gli p e r m e t t e di edificare un o r d i n e certo di rappresentazione della realtà, l'Io conquista la certezza della p r o p r i a esistenza e della p r o pria libertà interiore, e diviene conscio della potenza assoluta della volontà; u n a p o t e n z a c h e gli consente di essere pad r o n e di se stesso ( maitre de soi), r e n d e n d o l o perciò, con un passaggio' e s t r e m a m e n t e ardito, «simile a D i o » , s e b b e n e ciò n o n voglia dire sostituirsi a Dio, n e g a r n e la superiorità, ma conformarsi a u t o n o m a m e n t e a q u a n t o c'è dì più perfetto. L'Io si libera d u n q u e dal d u b b i o e dall'inquietudine e fonda la p r o p r i a sovranità sulla capacità di esercitare un sicuro autocontrollo su tutto q u a n t o è legato alla vita corporea. Invece di calarsi dentro di sé, nella contemplazione indulgente della p r o p r i a mutevolezza e imperfezione, esso si separa da sé, dalla p r o p r i a n a t u r a materiale p e r affermare, tramite un atto fondativo della ragione, la p r o p r i a autosufficienza. 14
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C o n la ragione che si autolegittima, che si autoconcepisce c o m e «organo di un inizio assoluto» avente solo in se stesso il p r o p r i o f o n d a m e n t o si p e r d e in Cartesio la coscienza della storia e della crisi da cui l'età m o d e r n a è scaturita; «la crisi scompare nel buio di un passato che p u ò esser stato solo lo sfondo p e r la nuova l u c e » . Così il sog16
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Cfr. R. Descartes, E discorso sul metodo (1637), in Id., Opere filosofiche, Utet, Torino 1969; Id., Meditazioni metafisiche svila filosofia prima (1641), hi Id., Open filosofiche c i t , I. II. Id., Meditazioni metafisiche sulla filosofia prima c i t , IV, p. 231. ''• Blurnenberg, La legittimità dell'età -moderna c i t , p. 151. Ivi, p. 152. 15
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Storia deBe passioni
getto razionale cancella le p r o p r i e origini, si libera dell'ambivalenza tra perdita e conquista, tra crisi e autoaffermazione, che ancora traspariva dalle p a g i n e di Montaigne, e afferma la p r o p r i a i n d i p e n d e n z a attraverso il distacco e l'oggettivazione del m o n d o esterno ed interno. Siamo certo di fronte ad u n a prima configurazione del mito di P r o m e t e o , espressione, nei suoi molteplici volti, del percorso simbolico del soggetto m o d e r n o : vittorioso sull ' o r d i n e divino, l'indivìduo p r o m e t e i c o afferma la p r o p r i a a u t o n o m i a attraverso il controllo razionale del m o n d o naturale, ridotto a oggetto di d o m ì n i o e di strumentalizzaz i o n e . Tuttavia Cartesio sfugge in parte a questa immagin e . La maitrise de sai fondata sul libero esercizio della volontà diventa il principio stesso della vita morale, lo strum e n t o di governo delle 'passioni dell'anima'; ma n o n c'è in questo alcuna idea di d o m i n i o o di tirannica costrizion e . In realtà, le passioni in Cartesio n o n sono più un problema nel senso tradizionalmente stoico di errori da reprim e r e , né lo sono ancora nel senso h o b b e s i a n o di forze ineliminabili ma incontrollabili e distruttive, minacciose p e r 1" autoconservazione degli indivìdui. Le passioni s o n o tutte essenzialmente b u o n e , esse d i s p o n g o n o l'anima a desiderare ciò che p u ò giovarci e a contribuire a quelle azioni che possono perfezionare il c o r p o . Gli eccessi in cui esse p o s s o n o incorrere sono facilmente / r e n a t i da u n a volontà s o v r a n a , espressione di u n a soggettività che si autoafferma, conscia della p r o p r i a l i b e r t à . La sovranità dell'individuo cartesiano ha un f o n d a m e n t o b e n diverso da 1 8
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Cfr. IcL Elaborazione dei mito (1979), li Mulino, Bologna 1991. Cfr. Taylor, Radia dell'Io cit, cap. 8. R. Descartes, Le passioni dell'anima (1649), in Id., Opere filosofiche eh., p. 802. Ivi, p . 734. Ivi, p. 769. « h i . p. 778. Cfr. E. Cassirer, Descartes, Corneilk, Christine de Suède, Vrin, Paris 1942; P. Bénichou, Morali del Grand Siècle (1948), Il Mulino, Bologna 1990, cap. I. 19
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E: Pulcini
La passione del Moderno: l'amore di sé
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quello che sarà all'origine deirìndìvidualisino di Hobbes, Locke, Spinoza: si tratta infatti di un principio, di matrice ancora rinascimentale, di forza, integrità, sicura disposizione di sé,» di fronte alla vulnerabilità, alla debolezza dì un individuo che, c o m e vedremo, è mosso p r i m a r i a m e n t e dalla necessità di autoconservarsi. L'Io cartesiano è un io 'generoso', capace di grandi cose e a l o stesso t e m p o conscio dei propri limiti, perfettamente consapevole del potere della propria volontà e tuttavia mai i n d o t t o ad abusarne, a spingersi oltre i confini delle p r o p r i e capacità. La «generosità», nella quale risiede il «rimedio» p e r eccellenza delle passioni , p r e s u p p o n e u n a profonda stima di sé, un sentimento che p o t r e m m o definire assoluto, dato dalla consapevolezza della p r o p r i a virtù, dalla p r o p r i a capacità di riconoscere e scegliere il b e n e . Questo n o n vuol dire che il generoso disdegni l'approvazione altrui, il riconoscim e n t o esterno del p r o p r i o valore. La passione della «gloria» . quella «specie di gioia fondata sull'amore che si ha p e r se stessi», trae il proprio alimento dalla speranza di essere stimati dagli a l t r i , e in ciò n o n vi è n i e n t e di biasimevole, p u r c h é questa speranza si fondi sulla certezza del p r o p r i o valore; altrimenti si cade neh"«orgoglio», sentim e n t o u n i c a m e n t e relativo, p r o d o t t o solo dal desiderio di essere stimati dagli altri ad o g n i costo, i n d i p e n d e n t e m e n te dal m e r i t o . Questo sènso assoluto dell'Io, questa stima di sé fondata sull'essere' degni di se-stessi? , è ciò che lega la m o r a l e di Cartesio all'universo' eroico-aristocratico rappresentato soprattutto dal teatro di Corneille. L'eroe comeilliano domina lé p r o p r i e passioni con l'energia di u n a volontà che sa i m p o r r e ad esse la giusta gerarchia in n o m e di un idea25
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Descartes, Le passioni dell'anima cit., pp. 774 e 778. Ivi. p. 780. • Ivi, p. 800. • . Ivi, p. 780. • " • ""' Or. Bénichou, Morali del. Grand Siede cit. 2 8 2 7
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Storia delk passioni
le s u p r e m o c h e è la soddisfazione di sé, l'affermazione deila p r o p r i a forza» l'esaltazione del p r o p r i o valore. L'ideale eroico-cavalleresco e l'esaltazione neostoica della 'gloria' intesa c o m e energia personale, i n t e r i o r e , si f o n d o n o in Corneille ad affermare la sovranità dell'Io, il quale sa d a r e prova di sé n o n r e p r i m e n d o le passioni, ma controllandone il gioco con lucido distacco ed intensa partecipazione ad un t e m p o . Si sacrifica u n a passione n o n in n o m e di un dovere astratto e coercitivo, ma di un impulso più p o t e n t e e irrinunciabile nel quale risiede il f o n d a m e n t o della propria identità. Rodrigo sa che u c c i d e n d o n e il p a d r e , p e r d e r à O l i m e n e che egli a m a appassionatamente; ma n o n p u ò fare altrimenti p o i c h é solo così salva il suo o n o r e e resta fedele a se stesso, ai valori del suo r a n g o . D'altra parte, solo scegliendo la gloria e l ' o n o r e , egli conserva l'amore di C h i m è n e p o i c h é sa r e n d e r s e n e d e g n o . Se la gloria è in contrasto con la passione amorosa, essa ne è a n c h e la fonte, Findispensabile alimento: C h i m è n e p u ò amare solo colui c h e g e n e r o s a m e n t e è disposto a spendersi, a sacrificare la p r o p r i a vita, sia p u r e p e r attuare u n a vendetta c h e la colpisce in p r i m a persona. La gloria è la passione p e r eccellenza, cui tutte le altre devono essere subordinate, ed è allo stesso t e m p o il p a r a m e t r o etico, il codice in cui l'Io aristocratico riconosce la sicura guida delle p r o p r i e azioni e delle p r o p r i e scelte. Essa è il segno visibile dell'eroe 'gen e r o s o ' , p r e o c c u p a t o innanzitutto di essere d e g n o di se stesso e disposto p e r questo ad immolare l'amore, la felicità, la vita. 30
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La sovranità dell'Io si manifesta in questa capacità di erogazione delle p r o p r i e energie, di spesa di « r e s a possibile dalla coscienza della p r o p r i a forza e integrità; che n o n è mai, c o m e a b b i a m o già visto in Cartesio, affermazione s0
Cfr. A. Levi, French Momlìsts, the Theory of the Passùms 1585 io 1649. Clarendon Press, Oxford 1964. P. Corneille, Le Od, in. Id., Théàtre, 2 voli., Garnier-Flammarion, Paris 1980, v o i I I 31
/•.'. l'ulani La //iasione del Moderno: l'umore di sé
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smisurata di potenza, oblio dei p r o p r i limiti. Q u a n d o Augusto, alla fine del Ci mia, p r o n u n c i a le celebri parole: «Je suis'maitre de moi cornine de Punivers; je le suis, je veux l ' é t r e » , n o n è p r e d a di un delirio di onnipotenza, ma saggiamente m e m o r e che solo un atto di generosità, la clem e n z a verso i p r o p r i potenziali assassini, gli ha permesso di ritrovare il giusto senso del p r o p r i o potere, la legittimità della p r o p r i a gloria. La p a d r o n a n z a di sé e del p r o p r i o m o n d o emotivo, che scaturisce da u n a p r o f o n d a stima di sé e dal sapiente esercizio della volontà, sfocia nella generosità, quale manifestazione di un Io che n o n ha p a u r a di spendersi; che anzi, nel dispendio, nel d o n o di sé trova la forma naturale della propria autoaffermazione. N o n esiterei ad evocare a questo proposito, il concetto di dépense, in cui Georges Bataille riassume la configurazione antropologica del m o n d o prem o d e r n o : quella tendenza alla erogazione di sé inscindibilmente connessa a un'affermazione di potenza in cui l'uomo primitivo e feudale trova la fonte e la testimonianza della p r o p r i a sovranità, di u n a forma di sovranità di cui il M o d e r n o segna l'inesorabile d e c l i n o . La generosità dell'Io cartesiano, avvolta nel teatro di Corneille da un pathos drammatico che ne esaspera i toni e ne acuisce gli accenti, r i m a n d a a n c o r a a un codice, quello del m o n d o eroieoaristocratico, c h e p r e s u p p o n e un'antropologia della pienezza, fondata sui valori della forza, della certezza, della volontà. La crisi di' questo codice è tuttavia già in atto, p r o c e d e parallela, e si r e n d e manifesta nel teatro di R a t i n e , il grande antagonista di Corneille, i cui personaggi sono posseduti e devastati dal furor della passione, c h e invade totalm e n t e l'Io e ne a n n i e n t a ogni volontà; o nella visione filosofico-politica di Hobbes, in cui si configura un individuo debole e vulnerabile, p r e d a -di passioni distruttive rispetto 32
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Id.. Cinììa, in Id., Théatre cit., atto V, scena in. 'Cfr. G. Bataille, Luparie maledetta (1967), Bertaoi, Verona 1972; Id., La sovranità (1976), II Mulino, Bologna 1990. 33
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Storia
(Irtfr
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alle quali la ragione e la volontà a p p a i o n o impotenti. Ma se in Racine il pathos tragico sfocia in un inesorabile destino di m o r t e , in H o b b e s prevale l'ossessiva difesa della vita, c h e dà origine sia al gioco delle passioni sia alla loro soluzione. Debole, t i m o r o s o , isolato, l'individuo hobbesiano è mosso da un principio o preoccupazione d o m i n a n t e : quello di conservare se stesso, difendendosi dal pericolo della m o r t e e procurandosi i b e n i necessari alla sopravvivenza. Si potrebbe allora leggere questo m u t a m e n t o c o m e passaggio da xm' antropologia della pienezza, della dépense, ad un'antropologia dell'autoconsemazione. della mancanza, c h e segna in m o d o irreversibile la nascita del M o d e r n o : l ' u o m o , p e r richiamare l'espressione di Arnold Gehlen, a p p a r e c o m e un «essere c a r e n t e » , bisognoso, costantemente teso nello sforzo di supplire alla p r o p r i a insufficienza naturale e di far fronte ai pericoli che lo minacciano. Lo scenario è d u n q u e ulteriormente m u t a t o : alla perdita d e l l ' o r d i n e cosmica si aggiunge il declino; di un codice sociale e m o r a l e in cui Cartesio aveva trovato un solido sostegno alla rifondazione razionale di un ordine certo nel quale l'Io acquisiva u n a posizione sovrana. L'individuo o r a è radicalmente solo, privo di vincoli sociali, morali o religiosi, libero di far valere i p r o p r i illimitati diritti, ma a n c h e minacciato da nuove p a u r e , b e n p i ù tangibili e definite degli inquieti smarrimenti espressi da Montaigne. La metafora dello 'stato di n a t u r a ' , c h e H o b b e s p o n e a fondam e n t o della sua riflessione antropologico-politica, fa riaffiorare con forza quella condizione ambivalente di libertà e precarietà ad un t e m p o , di legittima affermazione di sé e di insicurezza c h e nell'universo cartesiano, e r a scomparsa dietro le certezze del cogito e le conquiste della volontà. Nello stato di n a t u r a l'individuo è p o r t a t o r e di diritti e: di passioni: egli g o d e della legittima libertà, del 'diritto natu34
M
A. Gehlen, L'uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo (1978), Feltrinelli, Milano 1983.
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rale' di rasare il p r o p r i o p o t e r e p e r garantire il b e n e prim a r i o dell' autoconservazione, ma quello stesso diritto, proprio p e r c h é da tutti condiviso, lo p o r t a a scontrarsi c o n gli altri diventando fonte di conflitto; inoltre egli è p r e d a di u n a peculiare passione, la gloria o vanità, c h e lo spinge alla soprafrazione e' all'ofFensività reciproca. L'amore di sé e m e r g e c o n Hobbes in tutta la sua forza di diritto naturale, definitivamente assolto dalla c o n d a n n a agostiniana (che fino alle soglie dell'età m o d e r n a lo opponeva, quale forma parziale e d e g r a d a t a di a m o r e , àSTar/iorDa), ma a n c h e con tutta la sua valenza negativa di passione generatrice di disordine, guerra, m o r t e . Esso è l'espressione ambivalente di un individuo spaventato dalla p r o p r i a irrinunciabile libertà, conscio della p r o p r i a debolezza, della precarietà della sua condizione naturale, che lo spinge a vedere l'altro u n i c a m e n t e c o m e rivale e nemico. La passione della gloria è essa stessa sintomo di questa debolezza: «La gloria, o sent i m e n t o di compiacenza o trionfo della m e n t e , è quella passione che deriva dall'immaginazione o concetto del n o s t r o p o t e r e , superiore al p o t e r e di colui c h e contrasta c o n n o i » . Rispetto alla visione cartesiana di un sentimento assoluto fondato sulla stima di sé, sulla coscienza di essere in prima istanza degni di se stessi, si è q u i introdotto un elemento' di confronto c h e misura il p r o p r i o valore solo in relazione a quello dell'altro e definisce la gloria in termini di «potere». Certo la gloria n o n è i m m e d i a t a m e n t e «falsa gloria», che fonda la reputazione dì un u o m o solo sull'opin i o n e degli altri; e n e p p u r e «vanagloria», cioè p u r o fantasticare su un p r o p r i o valore inesistente ; tuttavia c'è in essa un e l e m e n t o di autocompiacimento, di svalutazione dell'altro, di vanità a p p u n t o , che la differenzia fortemente dalla virtù eroico-aristocratica c o n la quale alcuni interpreti 35
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Th. Hobbes, Elementi di legge naturale e politica (1640), La Nuova Italia, Firenze 1985, IX, p. 64. :
" Ivi, XW, pp. 110-111.
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Storia dette passioni 38
rivanno tout court identificata . È forse eccessivo vedere n e l l ' u o m o hobbesiano u n a sorta di Narciso ante luterani, inn a m o r a t o di se stesso e -bisognoso di conferme, che entra in conflitto con l'altro p e r o t t e n e r e il riconoscimento della p r o p r i a s u p e r i o r i t à . Tuttavia quest'immagine m e t t e efficacemente l'accento- n o n solo sul dominio come effetto della gloria, ma a n c h e sulla fonte del dominio: c h e n o n è un brutale e grezzo istinto di sopraffazione, ma u n a sorta di confuso s e n t i m e n t o della p r o p r i a inadeguatezza, della propria debolezza, del p r o p r i o essere 'carente' che si traduce, p e r così dire, in forme compensative di aggressività. Nulla p o t r e b b e essere più lontano dall'individualismo aristocratico, fondato- sulla generosità e sulla spesa di sé, dal quale H o b b e s si allontana ancora p i ù radicalmente nel Leviatano, dove la 'gloria' p e r d e la centralità che aveva negli scritti p r e c e d e n t i e gli impulsi egoistici dell'uomo- si riassum o n o in un unico grumo- emotivo che è il «desiderio illimitato di potere»: «Cosicché p o n g o in p r i m o luogo, c o m e u n a inclinazione generale di tutta l'umanità un desiderio perpetuo- e senza tregua di un p o t e r e dopo- l'altro [destre of power after power] che cessa solo nella morte» ., Emerge, in tutta la sua angoscia radicale, n o n disgiunta dal senso infinito delle possibilità, lo stato dì incolmabile carenza dell ' u o m o m o d e r n o , teso in un movimento incessante e illimitato alla ricerca di un a p p a g a m e n t o che n o n è mai completo, n o n è mai definitivo; poiché la soddisfazione, la felicità stessa consiste nel costante ed inquieto rinnovarsi del desiderio, n e l suo «continuo p r o g r e d i r e da un oggetto ad un a l t r o » . La vita n o n è u n o stato, n o n aspira al riposo, «e un u o m o , i cui desideri sono alla fine, n o n p u ò vivere più, di colui i cui sensi e la cui immaginazione s m e t t o n o di 39
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Cfr. L. Strauss, Che cos'è la filosofia politica (1952), Argalia, Urbino 1977. Cfr. A.M. Battista, Nascita della psicologia politica, Ecig, Genova 1982. Cfr. Strauss, Che cos'è la filosofia politica c i t ; A. Pacchi, Hobbes and the Passions, in «Topoi», voi. VI. n. 2, settembre 1987. Th. Hobbes, Leviatano (1651), La Nuova Italia, Firenze 1987, XI, p. 94. Ivi. p. 93. 39 40
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essere in attività» . Se con Cartesio eravamo ancora nella logica stoica e tradizionale dell' eccesso, è solo con Hobbes che si presenta il p r o b l e m a , squisitamente m o d e r n o , dell'illimitato che richiede nuove e p i ù complesse soluzioni. Tuttavia, d o p o aver negato ogni meta, ogni summum bonum al movimento della vita emotiva, H o b b e s r e i n t r o d u c e u n o scopo e insieme u n a motivazione, c h i a r e n d o a n c h e p e r c h é il desiderio, nella sua visione, si declini esclusivam e n t e c o m e desiderio «di potere». «La causa di ciò è che l'oggetto del desiderio di un u o m o n o n è quello di gioire u n a volta sola e p e r un istante di t e m p o , ma quello di assicurarsi p e r s e m p r e la via p e r il p r o p r i o desiderio futur o » . Quello che sembrava u n p u r o movimento senza scopo si rivela invece azione lungimirante, previdente: l ' u o m o è costretto a desiderare e ad acquisire sempre maggior potere p e r riuscire n o n solo a procurarsi al presente, bensì ad assicurarsi nel futuro l'accesso ai b e n i di cui ha bisogno. Il «potere» di un u o m o consiste infatti nei mezzi che egli «ha a l presente p e r o t t e n e r e qualche a p p a r e n t e b e n e f u t u r o » . L'immagine dell'individuo glorioso, mosso dalla p r o p r i a vanità e dal desiderio di affermare la p r o p r i a superiorità sull'altro, p e r d e consistenza p e r far posto a un individuo preoccupato u n i c a m e n t e del p r o p r i o utile e della p r o p r i a autoconservazione. Hobbes evoca q u i esplicitamente, dand o n e la sua peculiare lettura, la figura mitica di P r o m e t e o , gravato dalla terribile responsabilità di chi ha sfidato gli dèi e capace di u n a visione prospettica sui pericoli e le insidie che minacciano gli u o m i n i , la quale lo r e n d e costantem e n t e sollecito del t e m p o avvenire: 44
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... come Prometeo (che, interpretato, vale uomo prudente) fu legato' al monte Caucaso, luogo dall'ampia veduta, dove un'aquila si pasceva del suo fegato, divorandone di giorno tanto quanto ne
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Ifnd. Ivi, p p . 93-94. Ivi, X, p. 83; Id., Elementi di' legge naturale e politica cit., Vili, p. 58.
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ricresceva dì notte, così l'uomo che, preoccupato, per il futuro, guarda troppo lungi davanti a sé, ha il cuore roso, per tutto il giorno, dal timore della morte, della povertà o di altra calamità, e non trova riposo né. pausa alla sua ansietà, se non nel sonno , 46
L ' u o m o p r o m e t e i c o è colui che, appropriandosi degli strumenti divini, ha osato spingersi al di là d e i limiti consentiti, affermando il p r o p r i o diritto illimitato a sapere, a sperimentare; ma p e r questo è c o n d a n n a t o ad assumere su di sé la responsabilità rispetto al futuro, a prevedere gli effetti e le conseguenze del suo agire. La passione della «curiosità», che Hobbes assolve dalla c o n d a n n a teologica fac e n d o n e il tratto di distinzione d e l l ' u o m o dagli a n i m a l i , 10 s p i n g e a g e t t a r e lo. sguardo,, c o m e . d i r e b b e Blumenberg, «al di là delle colonne d ' E r c o l e » , olpre la linea visibile dell'orizzonte, costringendolo ad uno,sforzo incessante p e r «assicurarsi c o n t r o il male c h e t e m e e [..,.'] procurarsi il bene c h e d e s i d e r a » . V ansia perii futuro g e n e r a il desiderio illimitato di potere, e sulla via p e r soddisfarlo, l'individuo incontra l'altro, o meglio il desiderio dell'altro, che diventa i m m e d i a t a m e n t e il p r o p r i o antagonista, l'ostacolo, il nemico da eliminare: «... p o i c h é la via. che porta un c o m p e titore al c o n s e g u i m e n t o del p r o p r i o desiderio è quella di uccidere, sottomettere, soppiantare o respingere l'altro» . 11 desiderio di p o t e r e , ispirato dalla inquieta ricerca dell'utile, sì rovescia in u n a causa dì sopraffazione, di m o r t e e di guerra, m e t t e n d o a repentaglio il fine primario dell'autoconservazione. Ed è solo u n ' a l t r a passione, la passione «ragionevole» della paura, p i ù p o t e n t e della vanità e del desiderio di p o t e r e , a ricondurre gli u o m i n i al senso del li47
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Id., Leviatano cit,'XII, p, 103. Ivi, VI, p. 55, XI, p. 100; Id., Elementi di legge' naturale e politica cit., IX.
p. 73. 48 49 501
Blumenberg, La legittimità dell'età moderna cit.,, p. 248. Hobbes, Leviatano cit., XII, p. 103. h i , XI, p . 94. R. Polin, Politique et pkilasopkie chez Thomas Hobbes, Vrin, Paris 1953.
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mite, spingendoli a p o r r e fine alla «triste condizione» dello stato di natura, e a cercare u n a soluzione che possa garantire pace e sicurezza. U n a passione negativa, u n a specie di choc emotivo c h e rivela all'Io il baratro dell'incertezza e del pericolo, assume in H o b b e s il r u o l o che Cartesio aveva assegnato alla generosità, quale espressione, al contrario, della certezza di un Io che, stoicamente, n o n t e m e la morte . 52
L'amore di sé, fondamento e minaccia del politico La p a u r a m e t t e gli u o m i n i di fronte alla loro vulnerabilità, al fatto che nessuno p u ò mai sentirsi definitivamente al sicuro ih un m o n d o in cui l'unico dato' certo è c h e gli u o m i n i sono uguali nella loro debolezza. Essi sono paradossalmente accomunati da ciò c h e allo stesso t e m p o li divide. C'è, in H o b b e s rispetto a Cartesio, un forte slittam e n t o dall'io al hot qualsiasi soluzione al p r o b l e m a posto dalle passioni, e in particolare dall'amore di sé, sia esso intèso c o m e 'gloria' o c o m e 'desiderio di p o t e r e ' , n o n p o t r à che Maturare da u n a decisione c o m u n e , che- risòlva, prioritariamente, il p r o b l e m a della convivenza sociale. E d'altra parte, il noi n o n è pensabile se n o n a partire dal sìngolo, come p u n t o d'arrivo di u n a libera scelta individuale. Immersi nel disordine di un m o n d o secolarizzato, n o n p i ù regolato da autorità trascendenti e vincoli gerarchici, gli u o mini c o m p r e n d o n o che solo associandosi e ricostruendo un ordine politico p o t r a n n o sottrarsi alle insidie mortali dello stato di natura. Ma quell'ordine, garante di sicurezza e di pace, si configura a p p u n t o solo c o m e risultato della decisione di un individuo sovrano. N o n c'è più u n a comunità c h e p r e c e d e l'individuo, c o m e ancora sosteneva il contrattualismo medievale, né u n ' a u t o r i t à politica legittimata 52
Cfr. R. Bodei, Geometrìa delle passami. Paura, speranza, felicità: filosofia e uso politico, Feltrinelli, Milano 1991, p. 269.
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dal diritto divino c o m e n e l patriarcalismo à la Filmar: società e p o t e r e politico s o n o l'ultimo atto di un processo di cui l'individuo è il p u n t o di partenza. E questo il presupposto rivoluzionario del contrattualismo m o d e r n o , di cui si è visto in H o b b e s il vero e p r o p r i o iniziatore : l ' o r d i n e sociale e politico n o n p u ò c h e essere fondato sul consenso di individui liberi ed uguali c h e p e r natura n o n soggiacciono ad alcuna autorità, e che d e c i d o n o razionalmente di stipulare un patto p e r erigere il p o t e r e politico, affinché esso si faccia garante dei loro 'diritti naturali'. Questo assunto di base a c c o m u n a teorie p e r altri aspetti molto diverse c o m e quelle di Hobbes, Locke, Spinoza. In tutti il diritto (o la legge) naturale p e r eccellenza è quella sorta di grado zero d e l l ' a m o r e di sé che spinge gli uomini in p r i m a istanza a conservare se stessi, il p r o p r i o corpo, la propria vita. La t e n d e n z a all' autoconservazione diviene ciò che caratterizza l'individuo nella sua essenza più p r o f o n d a e nella sua n u o v a autonomia, l'irrinunciabile principio in base al quale fondare patti, istituire società e Stati. A n c h e p e r Locke, l ' a u t o c o n s e n azione è, c o m e p e r Hobbes, u n a legge naturale dettata dalla ragione; ma essa assume un valore normativo dovuto al fatto c h e l'uguaglianza degli u o m i n i n o n è, c o m e in H o b b e s , p u r a uguaglianza di fatto, bensì principio deontologico, iscritto nel volere e nel disegno di un Dio saggio e provvidenziale che ci indica la via p e r vivere r a z i o n a l m e n t e . Essa obbliga gii uomini, già nello stato di natura, al rispetto della vita e della libertà d e l l ' a l t r o . Lungi dal somigliare alla condizione ferina di u o m i n i uniti solo dalla debolezza e dalla reciproca paura, lo stato 53
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Cfr. N. Bobbio, Hobbes e il giusnaturalismo, in Id., Do. Hobbes a Marx, Morano, Napoli 1965. J. Locke, Trattato sul governo (1690), Studio Tesi, Pordenone 1974, §§ 6-7. Ivi, § 6. 54
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di n a t u r a presenta in Locke forme dì vita associata, di legarne sociale tra individui che vivono «secondo r a g i o n e » , consci dell'esistenza degli altri e del fatto che la sopravvivenza del singolo, la soddisfazione dei suoi bisogni e il perseguimento dei suoi interessi sono inscindibili da quelli dei propri simili. Nel prefigurare l'ideale illuministico dell'armonia degli interessi, della conciliazione tra a m o r e di sé e benevolenza, tra interesse particolare e interesse g e n e r a l e , Locke n o n arriva tuttavia a negare che lo stato di n a t u r a possa essere percorso da passioni e conflitti, da un latente stato di guerra ®. Siamo c o m u n q u e lontani dal fosco e desolante paesaggio hobbesiano; p e r Locke lo stato di natura presenta degli «inconvenienti» la cui soluzione sta nella razionalità stessa degli uomini che li r e n d e consci fin dalla loro condizione originaria dell'indissolubile legame tra b e n e individuale e b e n e collettivo, e li spinge al patto come rimedio alla conflittualità. La decisione di uscire dalla condizione naturale, di associarsi p e r erigere un p o t e r e com u n e extra partes a cui affidare la soluzione imparziale delle controversie , n o n scaturisce da u n a dinamica emotiva, n o n richiede Io choc p r o d o t t o dalla paura, ma è dettata da u n a ragione strumentale che trova la sua fonte ultima nei com a n d i della legge divina, nel cui g r a n d e disegno è iscritta in p r i m a istanza la nostra autoconservazione . In H o b b e s , al contrario, dove p u r e n o n m a n c a il r i m a n d o alla razionalità della legge naturale quale via d'uscita da u n a condizione misera e mortale, la potenza delle passioni è tale da p o t e r essere frenata e controllata solo da u n a spinta e m o tiva di qualità diversa ma altrettanto forte, e capace, per usare l'espressione di Albert O. Hirschmann, di «contro56
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Ivi, § 19. •« Taylor, Radici dell'Io cit., p, 298. Locke, Trattato sul governo àt., §§ 16-19. *' Ivi, § 13, "" h i . § 21. '"" Cfr. Taylor, Radici dell'Io cit, cap. 14. SH
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bilanciarne» il potenziale distruttivo . Attraverso la p a u r a della m o r t e , l ' a m o r e di sé inteso c o m e autocomservazionem.nce sull'amore,.di sé -inteso c o m e passione, cioè c o m e gloria e desiderio illimitato di p o t e r e . Si p u ò senz'altro iscrivere il gioco h o b b e s i a n o delle passioni in quella dinamica tra «passioni» ed «interessi» nella q u a l e la riflessione moderna ha cercato u n a risposta al p r o b l e m a della vita emotiva , n o n p i ù risolvibile n e i termini delia tradizionale dicotomia stoica p a s s i o n i / r a g i o n e né n e i precetti della-morale cristiana. P o t r e m m o addirittura v e d e r e i n H o b b e s u n a p r i m a configurazione di quella dinamica delk pulsioni nella quale F r e u d riconoscerà l'unica fonte possibile dell'equilibrio della civiltà, dato ogni volta dallo scontro tra Eros e Thanatos, tra pulsioni coesive e pulsioni distruttive . Ma n o n bisogna dimenticare che in H o b b e s la dinamica emotiva è solo la miccia che a c c e n d e un processo, il p r i m o atto di un percorso che confluisce nella fondazione dello Stato quale unica, finale risposta al p r o b l e m a delle passioni u m a n e . La n a t u r a u m a n a trova d e n t r o di sé, «in parte nelle passioni e in parte nella r a g i o n e » , cioè nella p a u r a e nel desiderio di vita c o m o d a da un lato e nella legge n a t u r a l e che la spinge alla ricerca della p a c e 'dall'altro, il rimedio al male da essa stessa provocato. Ma questa risposta, n o n è sufficiente, poiché le passioni, solo m o m e n t a n e a m e n t e frenate da quella sorta di segnale d'allarme c h e è la p a u r a , restano costantemente in agguato, a sfidare le leggi naturali le quali s o n o di p e r sé incapaci di garantire la sicurezza . Le risorse naturali c o n s e n t o n o solo u n a risposta parziale; p e r mettersi definitivamente al sicuro da ogni minaccia, c ' è bì63
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Cfr. A.O. Hirschman, 1* passioni e gii interessi (1977), Feltrinelli, Milano 1979. Cfr. ivi. S. Freud, II disagio della civiltà (1929), in Id.. Opere, voi. X, Boringhieri, Torino 1978. Hobbes, Leviatano cit., XIII, p. 123. "'• Ivi. XVII, p. 163. 8 3
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sogno di un mezzo artificiale,, esterno al complesso disordine e ai precari equilibri della n a t u r a u m a n a , che sappia, con la forza, costringere al rispetto dei patti. «I patti senza la spada - dice H o b b e s - sono solo parole e n o n h a n n o la forza di assicurare affatto un u o m o » [...] «nessuna meraviglia quindi se (oltre il patto) si richiede qualcosa d'altro p e r r e n d e r e il loro accordo costante e durevole, cioè, un p o t e r e c o m u n e c h e li tenga in soggezione e c h e diriga le l o r o azioni verso il c o m u n e beneficio» . Solo l'artificio p u ò risolvere il p r o b l e m a posto dalla natura; solo un'istituzione esterna che si r e n d a a u t o n o m a rispetto al caos delle passioni p u ò rimediare alla sproporzione tra il desiderio illimitato degli u o m i n i e la carenza di mezzi di cui dispongono per soddisfarli. 67
Hobbes i n a u g u r a così un altro g r a n d e tema della m o dernità che ritroveremo al c e n t r o dell'antropologia negativa di Gehlen e che p r e l u d e , p e r certi aspetti, alla soluzione sistemica di L u h m a n n : l ' u o m o si libera della sua 'carenza', della sua debolezza di fronte all'eccesso di possibilità che la n a t u r a stessa gli offre, attraverso un processo di estraneazione e di istituzionalizzazione che rifonda un ordine artificiale e risolve il p r o b l e m a del conflitto . La fondazione dell'ordine politico r i c h i e d e d u n q u e u n a r i n u n c i a : rinuncia ai diritti naturali, ali" illimitatezza dell'amore di sé a favore di u n a struttura coercitiva c h e sappia c o n la forza, legittimata dal consenso, p o r r e u n freno e d i m p o r r e u n a regola al disordine naturale, facendosi così unica garante della conservazione degli individui. Dalle premesse radicalmente negative della sua visione antropologica, la rinuncia p e r H o b b e s n o n p u ò che essere totale, con l'unica eccezione del diritto alla vita , in funzione del quale il g r a n d e Leviatano è stato istituito. Rimedio razionale al pro68
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Ivi, p p . 163 e 166-167. Cfr. E Barcellona, L'individualismo proprietario, Boringhieri, Torino 1976, cap. 4. . Hobbes, Leviatano cit., XXI, p. 212. 68
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blema delle passioni, lo Stato, «persona artificiale» inc o r p o r a ed assorbe i desideri, le volontà, i diritti degli individui g a r a n t e n d o in cambio pace e sicurezza. L'antitesi tra io stato di n a t u r a c o m e r e g n o del disordine delle passioni e la società politica c o m e sede d e l l ' o r d i n e e di u n a vita s e c o n d o ragione è posta in H o b b e s in termini nettam e n t e dicotomici . Tra il r e g n o della distruzione e della m o r t e e il r e g n o della conservazione e della vita n o n ci sono mediazioni: la sfera del politico, voluta consensualmente dagli individui, si erge con l'assoluta p o t e n z a del «Dio mortale», a proteggere gli u o m i n i dalle loro passioni distruttive, divenendo unica detentrice di ogni volontà e decisione. La visione del politico c o m e soluzione ai p r o b l e m i posti dalla n a t u r a u m a n a a c c o m u n a i diversi fautori della teoria contrattualista. Il riconoscimento della legittimità naturale delle passioni, che la tradizione stoica respingeva c o m e errori e falsi giudizi e la morale cristiana condannava c o m e vizi o peccati, r e n d e impossibile ogni soluzione p u r a m e n te repressiva o trascendente; allo stesso t e m p o la consapevolezza delle passioni c o m e fattori in p r i m a istanza di disturbo dell'ordine sociale assume, in un m o n d o secolarizzato, l'urgenza di un p r o b l e m a indifferibile e prioritario. Le teorie hobbesiana e lockiana riflettono, abbiamo visto, questa duplice emergenza, ma c o n u n a sensibile differenza sul p i a n o della visione antropologica, che p r o d u c e u n a diversa valutazione del r u o l o del politico. L ' a m o r e di sé, la spinta all'autoconservazione c h e , in virtù del «diritto di ciascuno a tutte le cose», p r o d u c e in Hobbes il «desiderio illimitato di potere» e la visione dell'altro come nemico, è in Locke inseparabile dalla conservazione degli altri e dal rispetto del loro diritto alla libertà e alla p r o p r i e t à . 71
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™ Ivi., XVI, p. 155. N. Bobbio, Il modello giusnaturalìstico, in M, Bobbio e M. Bovero, Società e Stato nella filosofia politica moderna, Il Saggiatore, Milano 1979, III. Locke, Trattato sul governo cit., §§ 25-26. 71
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Il diritto, c h e Locke n o n distingue dalla legge, contiene già in sé il limite in q u a n t o è espressione della partecipazione individuale alla c o m u n e n a t u r a u m a n a . Nel modello liberale lockiano, il politico si limita a fare da arbitro dei conflitti e dello scontro tra le passioni, che trovano già nella società civile u n a sorta di regolamentazione naturale. Ved r e m o c o m e il m o d e l l o settecentesco della naturale coincidenza degli interessi svilupperà questo s e c o n d o aspetto, sottraendo alla sfera del politico quella funzione di soluzione del p r o b l e m a delle passioni che, sia p u r e in forme diverse, ritroviamo nello schema contrattualistico. Nel modello assolutistico hobbesiano, il politico si p r e senta invece c o m e l'unica e decisiva risposta ai conflitti generati dalla vita emotiva, sebbene H o b b e s stesso sembri essere consapevole della precarietà dì u n a soluzione pienam e n t e coercitiva. La società politica, che si limita a frenare e r e p r i m e r e le passioni, resta percorsa dalla minaccia del disordine poiché il pericolo di dissoluzione dello Stato è sempre i n c o m b e n t e . Il passaggio alla società politica, che trasforma gli u o m i n i in cittadini, non muta la loro natura originaria, che cova sotto l'unità artificiale del c o r p o politico ed è p r o n t a a riesplodere n o n a p p e n a il nesso protezioneobbedienza si incrina, ripristinando il caos dello stato di n a t u r a . H o b b e s lo ripete quasi ossessivamente, mostrandoci, p o t r e m m o dire suo malgrado, i limiti della sua costruzione. Nella sua rinuncia, l ' u o m o hobbesiano non cambia e ciò lascia s e m p r e aperta la possibilità del conflitto. La soluzione artificiale e coercitiva è minacciata dalle stesse ragioni c h e la r e n d o n o necessaria; essa contiene in sé, nelle immutabili passioni u m a n e , la possibilità della sua m o r t e , il costante pericolo regressivo dello stato di g u e r r a iniziale. Ciò che H o b b e s esclude è la possibilità di u n a trasformazione interna delle passioni, la quale possa p r e l u d e r e alla creazione di un legame sociale tra gli u o m i n i che n o n sia 73
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Hobbes, Leviatano cit., XXI, p. 217; XVIH, p. 175; XIX, p. 191. Ivi, XXIX, pp. 327-328.
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Storia dette passioni
solo affidato alla forza della spada e della razionalità formale di un'istanza coercitiva esterna. E p p u r e , il pessimismo antropologico n o n nega di p e r sé la possibilità di u n a autentica e p r o f o n d a coesione sociale: sarà questo, alcuni secoli p i ù tardi, il messaggio del g r a n d e modello freudiano sui f o n d a m e n t i della civiltà. P u r condividendo il postulato h o b b e s i a n o dell'homo • nomini lupus, di u n a pulsione distruttiva portatrice di isolamento e di m o r t e , e la necessità della «rinuncia pulsionale», F r e u d disegnerà u n a soluzione dinamica tutta interna alla vita emotiva. L'interiorizzazione dell'aggressività (tramite l'insorgere del senso di colpa) da un lato, e la rinuncia alla completa soddisfazione delle pulsioni erotiche dall'altro, sfociano nella creazione di «legami libidici» tra gli u o m i n i ' sai cui fondare, nella direzione protettiva e conservativa del p r o g e t t o della civiltà, aggregazioni sociali s e m p r e più a m p i e e coese. La rinuncia pulsionale p r o d u c e u n m u t a m e n t o essenziale n o n solo nell'intensità ma nella qualità delle pulsioni che fonda la possibilità stessa del l e g a m e fra gli uomini, e, di conseguenza, della l o r o sicurezza, che n o n è più necessario affidare all'intervento di un'istanza repressiva esterna. Il pessimismo, tuttavia, rientra in Freud laddove egli sottolinea il «disagio» c h e da questo processo inevitabilmente scaturisce: « L ' u o m o civile - dice F r e u d - ha barattato u n a parte della sua possibilità di felicità p e r un p o ' di sicurezz a » . C'è sempre e c o m u n q u e un prezzo che l ' u o m o deve pagare in n o m e deH'autoconservazione e dell'ingresso nell ' o r d i n e sociale che la garantisce: un prezzo in termini di libertà in H o b b e s , in t e r m i n i di felicità in Freud. Sia p u r e nella diversità della loro soluzione, essi r a p p r e s e n t a n o d u e espressioni paradigmatiche dell'ambivalente visione m o d e r n a delle passioni: riconosciute c o m e legittimi fenomeni naturali, queste r i c h i e d o n o tuttavia u n a rinuncia radicale che 75
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Freud, il disagio della awftà c i t , p. 509. Cfr. ivi, cap. 5. Ivi, p. 602.
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implica fatalmente una perdita, un sacrificio, l'imposizione, esterna o interna, di un limite. La rinuncia, inoltre, n o n app a r e risolutiva. A n c h e in F r e u d infatti e m e r g e , soprattutto laddove egli si interroga sul violento riaffiorare della distruttività in forma di guerra, il carattere illusorio e precario della sicurezza e insieme l'ineliminabilità della m o r t e e della distruttività . Fondandosi sul delicato e mai definitivo equilibrio tra Eros e Thanatos, tra le pulsioni che t e n d o n o alla coesione e alla vita e la pulsione di m o r t e , la civiltà è semp r e esposta al fallimento, è sempre minacciata dal pericolo della regressione e del conflitto. Nel percorso tracciato dall autoconservazione, l ' u o m o si imbatte, a causa del carattere illimitato delia vita emotiva, in effetti di m o r t e : se in questo possiamo c e r t a m e n t e riconoscere un topos del pensiero m o d e r n o , n o n m a n c a n o tuttavia le voci dissonanti. UAufklarung settecentesca p r o p o r r à ind u b b i a m e n t e , c o m e v e d r e m o , u n a visione più edificante e serena del r a p p o r t o tra antropologia e politica, tra individuo e società; ma lo farà attraverso un i n d e b o l i m e n t o del concetto stesso di 'passione', in parte edulcorato dai suoi aspetti negativi. Diverso invece è, nel p a n o r a m a seicentesco, il caso di Spinoza che, p u r riconoscendo le potenzialità distruttive delle passioni, saprà, liberarsi dell'angoscia d e l l a m o r t e e dell'imperativo della rinuncia. 78
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Comprendere le passioni Le passioni - dice Spinoza - sono «proprietà» della natura u m a n a «che le a p p a r t e n g o n o allo stesso m o d o in cui il caldo, il f r e d d o , la bufera, il t u o n o , e simili fenomeni app a r t e n g o n o alla n a t u r a dell'aria; I quali, p e r q u a n t o incresciosi, sono tuttavia necessari, e h a n n o precise cause grazie 78
Id., Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morie (1915), in Id., Opere, voi. Vili. Boringhieri, Torino 1976; Id., Perché la guerra? (.1932), jn Id-, Ope-
te, voi. XI, Boringhieri, Torino 1979.
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alle quali cerchiamo di c o m p r e n d e r e la loro n a t u r a » . Riconoscerne la potenza, accettarne la necessità di fenomeni naturali a n c h e nei loro aspetti caotici e negativi - opp o n e n d o s i così alla m o r a l e stoico-cristiana - n o n vuol dire subirne passivamente gli effetti né tentare di reprimerle o d o m i n a r l e , ma cercare di ' c o m p r e n d e r l e ' , di diventarne s e m p r e p i ù consapevoli così da i n c r e m e n t a r e la p r o p r i a vis existendi e p r o d u r r e un nuovo o r d i n e che ne conservi le fec o n d e potenzialità. La legittimazione delle passioni è in Spinoza i n t i m a m e n t e legata a quella legge naturale p e r eccellenza in virtù della quale «ogni cosa si sforza di perseverare nel p r o p r i o essere» . Qualsiasi m o t o emotivo, qualsiasi appetito spinga gli uomini ad agire è legittimo in funzione dello 'sforzo' di autoconservarsi, del diritto elementare dell'amore di sé. Il desiderio ( cupiditas). il quale altro n o n è che l'appetito cosciente di se stesso , è «l'essenza stessa d e l l ' u o m o , è lo sforzo c o n cui l ' u o m o si sforza di perseverare nel p r o p r i o essere» . Nel Trattato politico, Spinoza definisce il desiderio teso all'autoconservazione c o m e «diritto naturale» ( n o n distinto, come in Hobbes, dalla legge naturale) il quale n o n ha altri limiti se n o n quelli dati dalla sua «potenza naturale»; p a r t e dell'infinita p o t e n z a di D i o , questa p o t e n z a conferisce a l l ' u o m o la legittima chance di fare tutto ciò c h e egli vuole e p u ò , senza alcun rig u a r d o p e r gli effetti che questo p u ò p r o v o c a r e . Ma il concetto spinoziano di autoconservazione è più complesso e, p o t r e m m o dire, più vitale della ricerca autodifensiva e aggressiva di sicurezza presente in Hobbes; né si identifica, c o m e in Locke, con la difesa del proprìum. Esso è inteso come perfezionamento di sé, i n c r e m e n t o della p r o p r i a vis exi80
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B. Spinoza, Trattato politico (1677), Laterza, Roma-Bari 1991, 1, rv. Id., Etica (1677), Utet, Torino 1972, parte III, proposizioni vi-vra. Ivi, parte III, proposizione rx, scolio. h i . parte IV, proposizione xvm. Ivi, parte IV, proposizione rv. *" Id., Trattato politico cit., 2, i-vm. 80
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stendi o agendi e di conseguenza c o m e f o n d a m e n t o della virtù e della stessa felicità . Ciò'non vuol dire che l'impulso che t e n d e ad esso, il desiderio, n o n possa avere aspetti distorti ed autodistruttivi: se nasce dalla «gioia», esso p r o d u ce un passaggio a maggiore perfezione, se invece nasce dalla «tristezza», esso scivola fatalmente verso u n a minore perfezione, verso u n a perdita di p o t e n z a . Ma, soprattutto, esso si o p p o n e al p o t e n z i a m e n t o di sé q u a n d o è «cieco», ignaro di se stesso , poiché in tal caso n o n tiene c o n t o deiFutilità d e l l ' u o m o . Il p r o b l e m a è allora quello di r e n d e re il desiderio, le passioni, consapevoli di sé, trasformandole da forze produttrici di passività e schiavitù della m e n te in «affetti» attivi, rischiarati dalla r a g i o n e , la quale guida gli u o m i n i alla ricerca del vero u t i l e . «Il Desiderio che nasce dalla ragione - dice Spinoza -, ossia [... ] il Desiderio che nasce in noi in q u a n t o siamo attiri, è l'essenza stessa o la n a t u r a dell'uomo...» . La comprensione delle passioni p r o d u c e l'espansione della p r o p r i a «potenza di esistere» e r e n d e l ' u o m o libero e saggio, cioè essenzialmente preoccupato della vita e n o n della m o r t e . C o m p r e n d e r e le passioni significa d u n q u e sottoporre se stessi ad u n a trasformazione la quale altro n o n è che un perfezionamento della p r o p r i a natura, s o t t o p o n e n d o il desiderio ad un processo dì conoscenza scandito da successive transizioni: dall'«immaginazione» alia «ragione» alla «scienza intuitiv a » , da cui nasce l'amor Dei intellectualis che n o n i m p o n e alcuna rinuncia a se stessi, ma, in q u a n t o a m o r e e conoscenza della causa perfetta, è insieme il grado massimo di 85
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Id Elica c i t , parte IV, proposizione xviu. scolio. Ivi, parte' IV, proposizioni XVIII; l.ix: XLV, scolio. Ivi, parte IV, proposizione LIX; scolio. Ivi, parte IV, proposizione LX. Ivi. parte IV, proposizione lxi; parte V, proposizione III. Ivi, parte IV, proposizione xvin, scolio. '-" h i . parte IV, proposizione LXl. Ivi, parte IV, proposizione i.vn. Ivi, parte II, proposizione XL.
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perfezione u m a n a e di espansione della gioia . Le passioni n o n v e n g o n o sublimate né sottoposte al controllo di u n a ragione astratta e repressiva, ma semplicemente private della loro opacità; la loro energia, liberata dal lato oscuro e p e r t u r b a n t e dell'immaginazione, si trasforma in gioia, nella p i ù alta soddisfazione^ di sé. N o n c'è d u n q u e un sacrificio, u n a rinuncici, ma un potenziamento. Sotto la guida dell'amor Dei, l'amore di sé, l'autoconservazione, p e r d e gli aspetti bassi e distruttivi e diventa inscindibile da ciò che è utile p e r gli altri. La gioia consiste nello sviluppare le potenzialità della p r o p r i a natura c h e c o n s e n t o n o il razionale impiego delle proprie forze a favore dell'utilitas p r o p r i a e degli altri. La conoscenza delle passioni p e r m e t t e agli u o m i n i di rivere s e c o n d o ragione, cioè s e c o n d o la loro n a t u r a n o n più ignara.di sé: essi s a p r a n n o allora riconoscere il vero utile, il quale è in perfetta concordanza c o n l'utile della collettività . . La distanza dalla ferina i m m a g i n e hobbesiana dell'homo homini lupus è qui diventata incolmabile: «L'uomo - dice Spinoza - è un Dio p e r l ' u o m o » . La fiducia nel processo cognitivo, nella trasformazione i n t e m a delle passioni c o m e premessa della creazione di un legame sociale, avvicina semmai, su questo p u n t o , il modello spinoziano a Freud, s e b b e n e il p r i m o superi la pessimistica convinzione della necessità della rinuncia. È vero tuttavia che il tema della rinuncia, bandito dal percorso individuale del saggio, viene r e i n t r o d o t t o da Spinoza sul p i a n o collettivo delle moltitudini che h a n n o bisog n o , p e r accedere ad u n a vita razionale e orientata al vero utile, dell'artificio istituzionale e politico . Ma a n c h e in 95
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Ivi, parte V, proposizione xxvil; cfr. Bodei, Geometria deBe passioni c i t ,
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Spinoza, .Sica c i t , parte IV, proposizione xxxv, proposizione xvni, 1
scolio . Ivi, parte IV, proposizione xxxv, scolio. Ivi, parte IV, proposizione xxxvii, scolio II; Id., Trattato politico cit., cap. 2; Id., Trattato teologkchpoUtko (1670), Utet, Torino 1972, cap. XVI.
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questo caso, siamo lontani dal radicale pessimismo h o b b e siano; gli individui infatti n o n c e d o n o i loro diritti ad un potere assoluto e coercitivo, ma alla società stessa, che diventa detentrice dei loro diritti naturali, senza tuttavia abolirli , -Si configura p i e n a m e n t e c o n Spinoza quell'ideale di democrazia c h e ritroveremo un secolo d o p o con Rousseau; ma che, n e l m o d e l l o spinoziano, s e m b r a indicare il politico c o m e veicolo di perfezionamento m o r a l e . G a r a n t e n d o la l i b e r t à , la democrazia consente di creare, a n c h e p e r le moMtudini, le condizioni p i ù adatte a favorire,quel p r o cesso di c o m p r e n s i o n e delle passioni che sfocia in un inc r e m e n t o d e l a vis existendi di o g n u n o . 98
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La critica dell'Io e l'intuizione dell'inconscio Ma l'ottimismo cognitivo di Spinoza, e la c o n s e g u e n t e fiducia nella n a t u r a u m a n a , resta u n a luce soEtaria n e l paesaggio seicentesco. P e r il pensiero giansenista, di matrice agostiniana, le passioni, ed in particolare l ' a m o r e di sé, divengono di nuovo oggetto di radicale c o n d a n n a m o r a l e in q u a n t o fonti di offuscamento, opacità dell'Io e, soprattutto, di a u t o i n g a n n o . La c o n d a n n a delle passioni p r o c e d e q u i parallela alla critica dell'Io, allo s m a s c h e r a m e n t o deBe illusioni che esso si compiace di creare ed alimentare diventandone vittima in parte inconsapevole. L'attacco di Pascal, La Rochelbucauld, Nicole è in questo senso diretto in p r i m a istanza ali " e r o e aristocratico', maschera ingannatrice di b e n p i ù ignobili impulsi: n o n è infatti la gloria che muove gli uomini, ma un tirannico ed inconfessabile amour pmpre, n u c l e o originario, matrice d e f o r m a n t e di tutte le passioni uman e . È il crollo definitivo di quel m o n d o che a n c o r a sosteneva la morale di Cartesio e di cui la visione hobbesiana se1 0 0
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Id., Trattato teologico-polUico cit., p. 650. Ivi, p . 652. . Cfr. Bénichou, Morali del Grand Siede ciu, cap. IV.
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gnava un irreversibile m o m e n t o di crisi; ma il pessimismo sì fa, rispetto a H o b b e s , ancora p i ù estremo in q u a n t o scomp a r e ogni legittimazione naturale delle passioni. L'amour pmpre è l'espressione «mostruosa» di u n a n a t u r a decaduta, di un Io « o d i o s o » , accentratore e d o m i n a t o r e ad un temp o , che ha o r r o r e della propria misera condizione e perciò tenta disperatamente di «travestire» (déguiser) le passioni in «virtù», di costruire u n a maschera ingannevole e menzognera, celando in p r i m o luogo a se stesso le abissali verità della p r o p r i a condizione. L'amour pmpre o p e r a d u n q u e in m o d o duplice: c o m e origine delle «tre concupiscenze» (vanità, curiosità, o r g o g l i o ) esso spinge ad u n a esaltata affermazione di sé e g e n e r a un'aggressiva libido dominandi ; ma esso è soprattutto p o t e n z a di occultamento, fonte di simulazione e di m e n z o g n a , barriera delirante contro il ricon o s c i m e n t o delle p r o p r i e inquietanti v e r i t à . E questo il senso del divertissement, della c o n t i n u a e angosciosa t e n d e n za d e l l ' u o m o alla distrazione da se s t e s s o . Dagli oscuri recessi del «fondo del cuore» - dirà N i c o l e - che resta, n o n o s t a n t e ogni legittimo e necessario sforzo dì conoscenza, parzialmente inaccessibile agli u o m i n i , avvolto da «abìmes impénétrables» di cui solo lo sguardo divino p u ò conoscere il segreto' , Y amourpropre agisce con la sua insidiosa p o t e n z a offuscante e deformante, c r e a n d o u n a scissione s e m p r e p i ù p r o f o n d a tra le illusioni della superficie, tese soprattutto ad o t t e n e r e il riconoscimento e l'approvazione degli altri, e le verità del p r o f o n d o . Al carattere aggressivo e conflittuale dell'Io, in cui consi101
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B. Pascal, Pensieri (1670), Studio Tesi, P o r d e n o n e 1986, 455. ' Ivi, 458, 460. Ivi, 455, 492. Ivi, 100. Ivi, 139. los p M i i Essais de morale (1670-1718), 2 voli., Slatikine, Genève 1971, p. 240. Ivi, p . 239. Ivi, p. 233. ,02
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steva p e r H o b b e s il pericolo intrinseco alle passioni, si sov r a p p o n e u n ' i m m a g i n e medita, destinata ad assumere, nel percorso delia modernità, s e m p r e p i ù rilievo: quella di un Io scisso, confuso, lacerato tra i movimenti tumultuosi e s e m p r e più sfuggenti della propria profondeure la m a s c h e r a illusoria della surface. In u n a celebre maxime, La Rochefoucauld sì sofferma su questa immagine con g r a n d e acutezza: L'egoismo [amour propre] è l'amore di sé e di ogni cosa in funzione di sé; rende gli uomini idolatri di se stessi e li renderebbe tiranni degli altri se la fortuna ne desse loro i mezzi [...]. Non si può sondare la profondità né penetrare le tenebre dei suoi abissi dove, al riparo dagli sguardi più penetranti, compie mille insensibili sotterfugi. Spesso è invisibile anche a se stesso, concepisce, nutre e alleva, senza saperlo', un gran numero di affetti e di odii, a volte così mostruosi che, quando vengono alla luce, li disconosce oppure non trova il coraggio di confessarli. Da questa notte che lo occulta nascono le ridicole convinzioni che ha di sé; di là vengono gli errori, l'ignoranza, la grossolanità e le ingenuità che nutre sul suo conto... 109
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C'è u n a «terra incognita» d e l l ' I o nella quale si m u o vono forze incontrollabili e tiranniche. L'amour propre n o n è n e p p u r e un atto dell'Io, osserva a questo proposito Star o b i n s k i ; esso diventa la manifestazione di un Io debole p e r c h é frammentato e ignoto a se stesso, agito dalle p r o prie passioni c h e si sono rese a u t o n o m e e che esso n o n sa d o m i n a r e p e r c h é n o n le sa, in prima istanza, riconoscere. «Spesso l ' u o m o crede di guidarsi e invece è guidato - dice ancora La Rochefoucauld -; e m e n t r e c o n la m e n t e t e n d e ad u n a meta, il cuore insensibilmente lo trascina verso u n ' a l t r a » . In questa intuizione ante litteram dell' inconscio, 111
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F. de La Rochefoucauld, Massime (1678), Rizzoli, Milano 1978, «Massime soppresse», 1. Ivi 3. J. Starobinski, La Soekefoucauld et les morales substitutives, in «NouveUe revue francaise», luglio-agosto 1966. La Rochefoucauld, Massime cit., 43. 1 , 0
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n e l l ' i m m a g i n e di un Io che, p e r richiamare la metafora freudiana, n o n è p i ù « p a d r o n e in casa propria», il problema delle passioni muta, direi, p r o f o n d a m e n t e di segno: il pericolo insito in esse n o n consiste più nella creazione di disordine e conflitto, ma nel dare origine ad un senso di scissione e di spossessamento, di opacità a se stessi . La stessa riflessione sulla passione amorosa, che nel '600 ass u m e u n ' i n e d i t a centralità, si inscrive evidentemente in questo contesto: si pensi soprattutto alla Princesse de Clèves, p r i m o r o m a n z o psicologico m o d e r n o , in cui l'eroina rifugge dall'amore, c h e ha perso le nobili qualità attribuitegli dalla m o r a l e eroico-aristocratica p e r diventare solo u n a forza accecante ed ingannevole che sottrae all'Io ogni controllo e lo destina alla perdita di sé. Tutto questo crea un'impasse sul piano etico e politico che si traduce in soluzioni regressive rispetto alle conquiste individualistiche del contrattualismo. L'assolutismo di Pascal n o n sarà più fondato, c o m e in Hobbes, su u n a decisione consensuale proveniente dal basso, ma su un ordine assoluto — 1' «ordine della c o n c u p i s c e n z a » - imposto dall'alto, da politici abili c h e sappiano usare, strumentalizzare le passioni: u n a soluzione c h e riecheggerà in m o d o funesto n e i regimi totalitari dèi'secoli successivi. ' ->~ Più ottimistica è tuttavia la proposta di Nicole, il quale, rip r e n d e n d o lo schema h o b b e s i a n o , vede nell'amourpropre il r i m e d i o al male da esso stesso provocato e la possibilità, anche in assenza di religione, di fondare uria società b e n ordin a t a . Lo schema p e r ò si complica, laddove Nicole individ u a n o n solo nel desiderio di autoconservazione, ma a n c o r p i ù nel «desiderfo di essere amati» la forza capace di controbilanciare l'amour propre inteso c o m e tirannica volontà di 113
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iis c f r . E. Pulcini, L'Io contro se stesso. Il soggetto moderno e l'amore di sé, in «Iride», 1994, n. 11. . ^ 1 1 4
Pascal, Pensieri cit., 461, 453. •
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Nicole, tesai* de morale c i t , p. 241.
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dominio: il desiderio di a m o r e e di riconoscimento, c h e negli uomini è più forte della libido dominandi, li spinge a «mascherare», a «dissimulare» il loro cieco a m o r e di s é , trasformandolo in un «amour p r o p r e sage et eclairé» su cui poter fondare l'ordine s o c i a l e . Interessante soluzione 'barocca', quella di Nicole, il cui disincantato ottimismo prelude, come vedremo, a quella «morale dell'interesse» che acc o m u n a la riflessione settecentesca . 1 1 6
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L'amore di sé, passione societaria N o n è solo dall'autoconservazione, ma soprattutto dal desiderio di riconoscimento da parte degli altri u o m i n i che nasce d u n q u e la possibilità di correggere le tendenze negative dell' amour propre. Il passaggio è tutt'altro che trascurabile poiché p r e s u p p o n e un individuo p i ù complesso, preoccupato dell'approvazione e della stima degli altri quanto, o forse più,, della p r o p r i a sicurezza: un individuo, d u n q u e , considerato in p r i m a istanza nella sua imprescindibile interazione sociale. Sarà Mandeville, che. attraverso Bayle, recepisce la tradizione hobbesiana e giansenista, a sviluppare questo tema nel 700, radicalizzandolo. A differenza di Nicole, egli distingue n e t t a m e n t e l ' a m o r p r o p r i o o preferenza di sé (selfliking). passione e m i n e n t e m e n t e relativa che scaturisce dal confronto con l'altro e implica il desiderio di stima, dall'amore di sé inteso c o m e p u r a tendenza biologica all'autocon sensazione (self-love); fonda, anzi, il self-lóve sul selfliking. cioè il desiderio di preservare la propria vita sulla predilezione che si ha p e r se stessi rispetto a c h i u n q u e altro, r e n d e n d o così inscindibile la riflessione sulle passioni !
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M , p p . 242 sgg. • ••• h i . p. 251. 118 Q- _ m Raymond, Du jansénisme à la morale de l'intérét, in «Mercure de France», giugno 1957. 1 1 7
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da quella sulla relazione s o c i a l e . Il gioco delle passioni è d u n q u e tutto i n t e r n o all'amor p r o p r i o , c h e trova in se stesso il rimedio ai p r o p r i eccessi. C o m e desiderio di stima e di approvazione da parte degli altri, che n o n è più, tuttavia, il desiderio di a m o r e di Nicole, ma un istinto rapace, u n a «brama incontrollabile di accaparrare la stima e l'ammirazione degli a l t r i » , esso spinge gli u o m i n i a moderare, o meglio a n a s c o n d e r e , dissimulare, le manifestazioni eccessive dell'orgoglio che possono c o m p r o m e t t e r e l'ordine e la p a c e s o c i a l e . Nel riconoscere gli effetti potenzialm e n t e caotici delle passioni, n o n c'è p e r ò in Mandeville, c o m e nei giansenisti, alcuna c o n d a n n a morale; né egli si limita, c o m e H o b b e s , a d a r n e u n a p u r a legittimazione naturale. C'è invece u n o spregiudicato e del tutto inedito riconoscimento delle funzioni vitali e societarie degli appetiti u m a n i , a n c h e nelle loro manifestazioni p i ù basse ed estrem e . Le passioni sono necessarie p e r l'origine della società, la quale n o n è affatto, c o m e v o r r e b b e r o Shaftesbury e i teorici del maral sense. il risultato di u n a innata 'benevolenza', delle inclinazioni n a t u r a l m e n t e 'virtuose' degli u o m i n i ; essa nasce, al contrario, dalla molteplicità dei desideri degli u o m i n i (male morale) che r o m p o n o l'innocenza e la stasi originaria, e dagli ostacoli che essi i n c o n t r a n o nel soddisfarli (male n a t u r a l e ) . Ma soprattutto, ed è qui la grande novità di Mandeville che segna un decisivo p u n t o di svolta, le passioni sono la fonte della prosperità della società, della sua ricchezza economica, e di conseguenza della capacità di espansione e di crescita, del suo sviluppo scientifico e cul120
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B. Mandeville, Dialoghi tra Gitomene a Orazio (1729, seconda parte della Favola dette api), Milella, Lecce 1978, p p . 87-92; Id., La favola de/le api (1723), Laterza, Roma-Bari 1987, p. 133. Ivi, p. 32. Ivi, p p . 42 e 249; Id., Dialoghi tra Cleomeme e Orazio cit., p p . 42 sgg. Id., La favola delle api cit., p p . 229 sgg. Ivi, p p . 245 sgg. e 266; Id., Dialoghi tra Ckomene e Orazio c i t , p p . 136 sgg. e 181 sgg. 1 8 0
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turale e della sua potenza politica. Se si vuole u n a società ricca e fiorente, bisogna accettare il fatto che le passioni, i vizi ne sono il principale alimento: dalle «piaghe» e dai «mostri» che formano il m a g m a degli insaziabili appetiti u m a n i scaturisce il benessere p u b b l i c o . Da vizi privati, derivano pubblici benefici . Avarizia, lusso, invidia, lussuria e soprattutto orgoglio c o m e molla di quel principale fattore di sviluppo che è il c o m m e r c i o , alimentano la catena di consumi, di scambi, di circolazione del d e n a r o c h e crean o , secondo la formula c h e sarà di A d a m Smith, la «ricchezza delle n a z i o n i » . S e g u e n d o i loro interessi, i loro egoismi, gli individui lavorano al b e n e c o m u n e , senza averlo previsto né coscientemente p r o g r a m m a t o ; senza bisogno quindi, c o m e p e r la tradizione contrattualista, di un patto e di u n a decisione razionale fondati sulla rinuncia alle passioni. N o n c'è infatti alcuna rinuncia, ma solo «dissimulazione» degli eccessi delle passioni, sostenuta e completata dall'abile arte del p o l i t i c o che sa adulare l'orgoglio e spingere gli uomini, attraverso il desiderio di approvazion e , ad u n a sorta di a d a t t a m e n t o progressivo' alla vita sociale che elimina i c o m p o r t a m e n t i dannosi e con essa incompatibili. Mandeville riconosce d u n q u e la necessità della subordinazione al politico e del rispetto delle leggi quale rimedio alle debolezze u m a n e ; ma, c o m e ha sottolineato D u m o n t , egli conferisce alla sfera economica, alla società civile, quella a u t o n o m i a che in Locke era ancora soltanto in nuce . U n a sorta di automatico e invisibile meccanismo (la « m a n o invisibile» di cui parlerà Smith) regola, i rapporti economici e sociali c h e ricevono il loro impulso 124
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Id., La favola deBe api cit.. p. 255. ld., Dialogftt tra Cleomme e Orazio cit., p. 216. Id., La favola delle api cit., pp. 55 sgg. Ivi, p p . 25 sgg. Id.. Dialoghi tra Cleomene e Orazio cit,, p. 192. L. Dumont, Homo acquali*. Genesi e trionfo deB'ideologia economica (1977), Adelphi, Milaeo 1984. 1 2 5
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dalle passioni egoistiche. La conflittualità è n o n solo ineliminabile, c o m e .già H o b b e s aveva suggerito, m a , traducendosi in competitività e c o n c o r r e n z a fondate: su: «una sete di g u a d a g n o e un desiderio inestinguibile di. migliorare la p r o p r i a Condizione» , diventa la molla ineliminabile e fec o n d a di u n a società fiorente - là società mercantile e borghese nella sua fase eroica — in costante progresso e in grado' di assicurare il' benessere individuale. Pur' p a r t e n d o da u n a visione pessimistica della natura, u m a n a , che lo lega a H o b b e s e al pensiero giansenista, Mandeville o p e r a u n a legittimazione delle passioni, e dell ' a m o r e di sé in particolare, c o m e fonti di benessere individuale e' collettivo, legittimazione c h e p r e l u d e all'ottimis m o settecentesco, nel quale''la rivendicazione dèlie"passioni e la m o r a l e naturale di Shàfìesbury si f o n d o n o in un esito n o n privo di ambiguità. I philosophes s a r a n n o u n a n i m i nell'approvare l'amore di sé c o m e inclinazione p r e m o r a l e e universale alla ricerca d e l piacere, o meglio della.felicità. Base di tutte le .affezioni u m a n e , l ' a m o r e di sé, afferma D i d e r o t nella voce Passàm delV Encyclopédie, è «cet éfat de F a m e q u i F o c c u p e et Faffecte si vivement p o u r t o u t ce qu'il croit è t t e relatìf à son b o n h e u r et à sa perfection». Il fine p r i m a r i o d e l l ' u o m o , o, p e r così dir e , Il diritto n a t u r a l e p e r eccellenza si è fatto p i ù complesso e sofisticato: esso n o n consiste p i ù soltanto nella sicurezza della p r o p r i a t'ite (Hobbes) o nella salvaguardia della proprietà (Locke), ma nella ricerca di felicità, intesa c o m e quello stato di a p p a g a m e n t o stabile e d u r a t u r o cui la nostra stessa n a t u r a di esseri 'sensibili'' ci r e n d e irresistibilmente inclin i . La felicità, c h e H o b b e s aveva visto- c o m e processo e quindi c o m e irraggiungibile, è q u i considerata u n o stato, fatto di un piacere che d u r a e che p a c a t a m e n t e si distende n e l tem130
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Mandeville, Lo favola dette api cit., p. 165. Cfr. R. Manzi, Lìdie du èonkeur éans la Uttéatum et la pensee francaises au XYIll' siede, Colin, Paris I960'. 1 3 1
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E. Pulcini 'La passione del Moderno: l'amore di sé 1 3 2
p o . L'amore di sé viene d u n q u e a coincidere cori questo desiderio c h e tuttavia, ed è qui la p r o f ó n d a differenza da Mandeville, è inscindibile dalla virtù, cioè da un innato senso del dovere e della responsabilità verso gli altri che r e n d e gli u o m i n i n a t u r a l m e n t e atti alla vita s o c i a l e . La nostra natura, che è i n u i n s e c a m e n t e razionale, ci r e n d e virtuosi e quindi sensìbili alla felicità collettiva in q u a n t o inseparabile dalla felicità individuale. L'influenza sul pensiero settecentesco della 'morale naturale' di Shaftesburv, che era stata il principale bersaglio della critica di Manderille, sfocia nell'ambiguità del concetto di natura, vista c o m e ciò che libera e, allo stesso t e m p o trattiene, r e g o l a l e p a s s i o n i . La riabilitazione delle p a s s i o n i , legata alla matrice sensistico-materialistica del pensiero settecentesco, avviene infatti attraverso u n a loro edulcorazione e un-loro indebolimento: più esattamente attraverso u n a loro riduzione a 'sentiménti', a stati emotivi intermedi tra ragione e passione, posti ad uguale distanza dalla rigida austerità della prima e dai pericolosi eccessi della s e c o n d a . Se si libera dei suoi eccessi, vale a dire se tiene conto dell'esistenza degli altri, l ' a m o r e di sé, che è la fonte stessa delle passioni, diventa allora il f o n d a m e n t o di u n a felice convivenza sociale. 133
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Che una società possa costituirsi ed esistere senza l'amore di sé - dice Voltaire — è altrettanto impossibile che il fare figli senza concupiscenza o pensare a nutrirsi senza appetito. È l'amore di noi stessi ad alimentare l'amore, [degli altri; sono i n o s t r i reci-
1.32 I,'Enciclopédie ou Dktkmnaire raisonné des sciences, des aris et des métiers (1751-76), a cura di D. Diderot e d'Alembert, Readex Compact Edition, New York 1965, voce Bonheur. Ivi, voce Verta. Cfr. J. Ehrarcl. L'idée de nature: en France à l'aube des Lumières, Flammarion, Paris 1970. ' Cfr. D, Diderot, Pensieri filosofici (1746), in Id., Open filosofiche, Feltrinelli, Milano 1963. L'Encyclopédie c i t , voce Passioni cfr. Manzi, L'idée du bonheur cit.; Ehrard. L'idre de nature en France cit. 1 3 3 1 3 4
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proci bisogni a renderci utili al genere umano: è questo il fondamento di ogni commercio, l'eterno vincolo degli uomini. 137
A n c h e q u a n d o , nella seconda m e t à del secolo, l'amore di sé assume un significato più dichiaratamente utilitaristico, c o m e mostra l'uso s e m p r e p i ù frequente del t e r m i n e 'interesse', il nesso tra b e n e individuale e b e n e collettivo resta al c e n t r o della riflessione morale e politica. Se è vero, c o m e mostra Helvétìus nella sua radicale d e n u n c i a dell'interesse come motore u n i c o delle azioni u m a n e , che ogni m o r a l e e ogni legislazione n o n possono che fondarsi su di esso, è a n c h e vero c h e l'interesse personale viene tanto più realizzato q u a n t o più si conforma all'interesse gen e r a l e . Il vero interesse - dirà d ' H o l b a c h - da distinguersi dall'egoismo, è quello che tiene conto dell'utilità propria ed altrui, è quello che sa riconoscere nella felicità degli altri la condizione ineliminabile della p r o p r i a . Le contraddizioni lasciate aperte dall'ambìguo concetto settecentesco dì natura troveranno, c o m e sappiamo, u n a risposta risolutiva nella fondazione kantiana di u n a morale a u t o n o m a da ogni finalità utilitaristica o eudemonistica; l'individuo egoista che persegue questi fini, p r e o c c u p a t o solo del p r o p r i o utile e della propria felicità, si p o n e infatti agli antipodi della m o r a l e , la quale deve essere invece a u t o n o m a da tutto ciò c h e appartiene alla sfera delle inclinazioni, dei bisogni, delle passioni u m a n e . Radicalmente c o n d a n n a t e c o m e «cancro della ragion pratica», c o m e forze patologiche simili a l a malattia e alla follìa, capaci di r i d u r r e gli u o m i n i in schiavitù , le passioni e tutto quan138
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1 3 ? Voltaire, Lettere filosofiche (1734), in Id., Scritti filosofici, Laterza, Bari 1972, p . 97. OA. Helvétìus, Dello spirito (1758), Editori Riuniti, Roma 1970. P.H. d'Holbach, La morale universette (1776), Forman Verlag, StuttgartBad Cannstatt 1970, sez. I, cap. 5. I. Kant, Antropologia pragmatica (1798), Laterza, Roma-Bari 1985,1, i. 1 3 s 1 3 9
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§ 2. 1 1 1
Ivi, I, in, §§ 73, 74, 80 e 81.
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to pertienc alla sfera dell'antropologia n o n devono in alcun m o d o condizionare i principi c h e regolano l'agire morale, fondato u n i c a m e n t e sul dovere e sul rispetto della legge, secondo regole universalmente valide dettate da u n a ragione n o n s t r u m e n t a l e . E ciò spiega p e r c h é la p i ù stren u a difesa dell'autonomia individuale sia perfettamente compatibile in Kant, c o n la critica dell'egoismo. Ma p u r r e s t a n d o all'interno di u n a visione e u d e m o n i stica, l'ambiguità del concetto di natura, passionale e virtuosa ad un t e m p o , lascia in p a r t e irrisolto, nei. philosophes, il p r o b l e m a di ciò che fonda il legame sociale, la m u t u a dip e n d e n z a tra gli individui. Affidata alla naturale capacità di un a m o r e di sé illuminato di originare la virtù, ad un debole intreccio tra utilitarismo e moralismo, l'interrelazione tra a m o r e di sé e a m o r e degli altri, tra interesse particolare e interesse generale, assume tratti vagamente utopici che s a r a n n o oggetto, c o m e è n o t o , della critica rousseauiana. Il p r o b l e m a della traduzione d e l l ' a m o r e di sé in un principio di cooperazione sociale, p r o b l e m a evidentemente cruciale in u n a società, mercantile e borghese, che ha bisogno di fondare sul riconoscimento d e i diritti e delle passioni individuali la possibilità della coesione sociale, assum e b e n altro spessore i n u n autore che p u r e condivide c o n i philosophes l'ottimismo antropologico.. P r e n d e n d o criticam e n t e le distanze sia dal selfìsh system, di Mandeville sia dalla teoria del 'senso m o r a l e ' di Shaftesbury e Hutcheson, Adam Smith riesce a fondare su altre basi quell'integrazione tra l ' a m o r e di sé e l'interesse collettivo, che sarà poi a f o n d a m e n t o della nuova scienza della economia politica. La sua teoria p r e s u p p o n e la svolta h u m e a n a , consistente nel s u p e r a m e n t o del dualismo- tra sentimenti egoistici e sensomorale attraverso il riconoscimento, fondato su un criterio empirico di utilità sociale, della coesistenza di a m o r e di sé 142
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Id., Fondazione della metafisica dèi costumi (1785), Laterza, Roma-Bari
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e b e n e v o l e n z a . Smith condivide questo assunto ed a p r e la-sua Teoria -dei-sentimenti morali riaffermando la coesistènza, n e l l ' u o m o , di sentimenti egoistici dà un lato e-di pietà, umanità, benevolenza dall'altro. Tuttavia, n o n è la b e n e volenza c h e p u ò limitare la forza e l'arroganza dell'amore di sé (self-ktve) * ; la soluzione è m o l t o p i ù complessa, ed'è affidata ad u n a sorta di giudice i n t e r n o , ad u n o «spettatore i m p a r z i a l e » c h e sappia porsi a d uguale distanza tra n o i e gli altri e possa quindi ricondurci al grado «appropriato» di ogni passione, rappresentato p r o p r i o da quel p u n t o i n t e r m e d i o di integrazione tra a m o r e di sé e b e n e volenza in cui si coagula il g r a d o dì accordo' s o c i a l e . Attraverso la «simpatia», che è «il sentimento di partecipazione p e r ogni p a s s i o n e » , lo spettatore imparziale p u ò , in virtù del suo distacco dall'intensità della passione originaria, identificarsi con il grado intermedio di ogni passione, quello cioè che è socialmente d e g n o di approvazione. L'Io appassionato ed agente trova d u n q u e il proprio limite nell'Io s p e t t a t o r e che lo giudica e lo spinge, in virtù del bisogno di approvazione sociale — peraltro inseparàbile, diversamente che in Mandeville e nei giansenisti, dal bisogno di a u t o a p p r o v a z i o n e -, ad agire eticamente, rend e n d o così possibile quella integrazione tra a m o r e di sé e benevolenza che fonda la coesione sociale. Risultato di questa integrazione è l ' « u o m o p r u d e n t e » dotato delle qualità e virtù d e g n e della completa approvazione dello spettatore i m p a r z i a l e : operosità, frugalità, sacrificio dei pia1
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D. fiume, Ricerca sui principi detta monde (1752), in Id., Opere, Laterza, Bari 1971, voI= II, pp. 318 sgg.; Id., Trattato sulla natura umana (1740), La1 4 3
terza, Roma-Bari 1982, voi. II, p. 514. . A. Smith, 'Teoria, dei sentimenti-morali.(17B9), Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma 1991, pp, HO sgg. e 178. ' - ' -• ' Ivi, p. .173. .J Ivi, p p . 28 e 178 sgg. Ivi, p. 8. Ivi, p. 153, Ivi, p p . 149 sgg-, 154- sgg. e 171. Ivi, p p . 288 sgg. 1 4 4
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ceri presenti in funzione di maggiori piaceri futuri, attenta valutazione delle p r o p r i e scelte, desiderio di un costante miglioramento unito a quello di u n a vita sicura e tranquilla, sono il sintomo inequivocabile di u n a cura di sé che si intreccia inevitabilmente con l'interesse degli altri. Nel perseguire il p r o p r i o interesse, l ' u o m o p r u d e n t e , in cui possiamo riconoscere l'incarnazione smithiana del Prometeo-, è i n d o t t o inevitabilmente, attraverso il sentimento comparativo della simpatia, a t e n e r e c o n t o dell'interesse degli altri, della cui cooperazione e del cui aiuto, nella società civile, egli ha costantemente b i s o g n o . Diventa visibile qui il legame tra la teoria etica della simpatìa e la teoria economica dell'armonia degli interessi sviluppata da Smith nella Ricchezza delle nazioni: l ' a g i r e d e l l ' u o m o prud e n t e , che scaturisce dalla interazione tra a m o r e di sé e benevolenza, sembra rispondere perfettamente alla logica economica dello scambio e del mercato, ispirata al principio della reciproca utilità, in virtù della quale l'interesse del singolo, indissolubilmente correlato a quello degli altri in q u a n t o possessori e p r o d u t t o r i di beni, sfocia nella creazione del benessere c o m u n e e della ricchezza economica. N o n bisogna inoltre dimenticare che lo scambio g e n e r a quella 'divisione del lavoro* dalla quale deriva l'incremento della capacità produttiva della società e quindi la sua opulenza e il suo costante p r o g r e s s o . L'inscindibile connessione di etico ed economico r e n d e certo discutibile ved e r e in Smith il teorico p e r eccellenza di q u e l l ' a u t o n o m i a dell'economico, peculiare della società m o d e r n a nella sua fase più m a t u r a , p e r la quale bisognerà aspettare presumibilmente Marx e la sua teoria del capitalismo. È tuttavia innegabile che la sfera economica, che in Locke aveva as151
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LA PASSIONE D'AMORE E LA SCRITTURA ROMANTICA di Antonio Prete
Che arte difficile è l'amore! Chi la sa capire? e chi p u ò n o n seguirla? LETTERA DI SOSETTE CONTATO A H Ò L D E R U N
U n a premessa. La scrittura che diciamo romantica è un c a m p o di tensioni, e rappresentazioni, e stili, così impetuosamente multiforme che solo un artificio la p u ò ridurre e n t r o u n a m a p p a ordinata di teorie e t e n d e n z e . Q u e l che segue, d u n q u e , è solo u n o dei possibili attraversamenti: un intrattenimento, o, per riferirsi al senso p r i m o e n o n ambizioso' di u n a parola, un 'essai*, un assaggio,, U n a prima delimitazione temporale p u ò c o m p r e n d e r e la scrittura che, nelle forme p r o p r i e del romanzo, della poesia, del teatro, della trattazione teorica, della lettera, del diario - e nella critica attiva di quelle stesse forme - sì estende tra il Werther di Goethe (1774) e YEvgenij Onegin di Puskin (1833), p e r indicare d u e eventi p e r ragioni diverse esemplari. Ma si p o t r e b b e assumere c o m e lontana premessa La Nouvelle Hélwse di Rousseau e c o m e c o m p i m e n t o - a sua volta i n a u g u r a n t e un nuovo t e m p o - Madame Bovary di Flaubert. Un p r i m a e un d o p o c h e resterà sullo sfondo dell'indagine. La scrittura romantica - e all'espressione n o n si dà q u i altro compito che quello amplissimo di servire da definizione di u n ' e p o c a - fa i r r o m p e r e il tragico nel-
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la settecentesca strategia sentimentale e nello "stesso- t e m p o a n n u n c i a la m o d e r n a fisiologia analitica del sentimento. Per quell'esperienza la topica delle passioni ha un suo luogo privilegiato, un suo experimentum ed e m b l e m a : la passione d'amore. Nel suo cerchio - teoretico e poetico e musicale - si approfondisce u n a fenomenologia del sentire, si dispiega un'analisi del desiderio, della sua infinita apertura e incolmabilità, del suo p e r e n n e stato di scacco. P r e n d e forma u n ' i d e a di feiicità come luogo d'impossibile a p p r o d o , c o m e luogo da cui sì è s e m p r e in esilio. Le idee di bellezza e di sublime m u o v o n o verso u n a loro contaminazione, o caduta, o dissacrazione. Lo sguardo sui moti dell'animo da esaltato e avventuroso si fa ironico e indolente. Infine, in questo stesso cerchio, si p o n e la questione di poetica che i romantici sentono- con g r a n d e forza: come dire l'amore, come dire ciò che ha p e r suo c o n t e n u t o p r o p r i o l'insondabile, l'oscuro, i l - n o n riducibile-a'ragionevole e c o m p i u t a descrizione? Con quale linguaggio r a p p r e s e n t a r e il limite del linguaggio? In questa- scrittura d e l l ' a m o r e — nelle sue inconciliate forme -, in questo l u n g o racconto e d o c u m e n t o e sogno, si p u ò sostare s e g u e n d o il costituirsi di alcune figure, di alcune trame interrogative: nelle tre diramazioni principali del dire, c h e s o n o la meditazione o trattazione d ' a m o r e , il romanzo- d ' a m o r e , la poesia d ' a m o r e . Passaggi - c o n timbri propri, certo, ma soltanto passaggi - di quel discorso amoroso che dal Simposio di Platone in poi interroga un paese che si -distende tra sapere e n o n sapere, tra scienza e ignoranza, u n - p a e s e c h e si confronta con tutti i- riverberi, con tutte le iridescenze dell'acro, della sua immagine, della sua presenza-assenza. In questa g r a n d e scena - in cui s o n o contigui esperienza e metalinguaggio, racconto e -analisi, e m o zione e teoresi — Il discorso romantico sulla passione amorosa n o n è che u n a variazione, u n a stazione: ma la sua lingua, i suol segni n o n s o n o a noi estranei. A p p a r t e n g o n o , ancora oggi, al n o s t r a orizzonte.
A. Prete
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Ragionamento d'amore
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N o n c'è u n a teoria romantica dell'amore. Sono l o n t a n e le antiche dottrine d ' a m o r e : sostegno di trovatori e stilnovisti, affanno teorico di petrarchisti e neoplatonici rinascimentali. A n c h e se alcuni frammenti di quel 'ragionar d'am o r e ' si possono ancora ritrovare in molti testi, soprattutto poetici (non è ancora del tutto esaurita la funzione di Petrarca aucior e maestro d ' a m o r e ) . Siamo piuttosto di fronte a un g r a n d e impulso alla descrizione, alla descrizione del sentire: il nuovo paesaggio è un'interiorità smossa, inquieta, nebbiosa. U n a descrizione che n o n cerca un fond a m e n t o al dire: né teologico né metafisico. Ma incontra sul suo c a m m i n o teoretico l'illimitato e il nulla, sul suo c a m m i n o etico il sogno e l'azzardo. La riflessione n o n cerca il luogo classico del trattato, ma trascorre nella lettera,, nel verso, nel Lied, nel diario, nella narrazione. La confidenza si fa teoria. La confessione conoscenza. Il sogno sapere. Meditazione d ' a m o r e ed esperienza amorosa h a n n o la stessa lingua, lo stesso respiro. In questo senso davvero c'è. discorso amoroso: un dis-correre, trans-correre, del sapere in regioni inesplorate, in zone oscure dell'animo, al di fuori di statuti e recinti del dire già nominati, già disciplinati. ( Q u a n d o Freud dirà d'aver appreso nella sua ricerca dai poeti, è in particolare ai romantici che si riferirà.) N o n c'è u n a forma delegata alla trattazione teorica. De l'amour ài Stendhal è. insieme, saggio e racconto, diario e analisi, cronaca m o n d a n a e catalogo di figure proprie dell' amour-passion (il p r i m o incontro, il colpo di fulmine, l'addio, la gelosia, la confidenza e il segreto, l'orgoglio, il coraggio, la guerra degli sguardi, il p u d o r e , ecc.). Nelle lettere di Hólderlin e Susette Contard c'è u n a tensione di conoscenza amorosa che nessun trattato p u ò offrire con eguale profondità. Nel giovanile diario d ' a m o r e di Leopardi (tenuto tra il 14 dicembre 1317 e il 2 gennaio 1818) c'è u n a sorvegliatissima registrazione dei
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movimenti psichici dinanzi alla presenza e assenza di u n ' i m m a g i n e femminile: modulazioni m i n i m e e fantasticanti di u n a sensiblerie smossa dall'irruzione del ' p r i m o amore", d i a g r a m m a di un sentimento, della sua rappresentazione mentale, dall'insorgenza all'attenuazione e alla perdita. E infine quale più alta dimostrazione si p u ò dare della teoria delle affinità se n o n scrivendo u n o dei più g r a n d i romanzi d ' a m o r e intitolato a p p u n t o Le affinità elettive? Il rifiuto romantico di u n a ragionata dottrina dell'am o r e lo si p u ò leggere in questa definizione di Stendhal: «L'amore è simile alla via lattea nel cielo, un insieme risplendente formato da miriadi di piccole stelle, delle quali o g n u n a è spesso u n a nebulosa» . E tuttavia possiamo tentare di raccogliere la dispersa e disseminata meditazione r o m a n t i c a sull'amore a t t o r n o ad alcuni campi d'insistenza, ad alcune più proprie ricorrenze (in u n a sorta di provvisorio e inconcluso lessico). 1
Sovranità dell'immagine II mito della signoria di Eros era passato attraverso la rinascimentale meditazione sullo sposs e s s a m e n e dell'Io, sulla 'sparizione' del soggetto i n n a m o rato (si pensi al verso michelangiolesco: «Come p u ò esser c h ' i o ' n o n sia p i ù mio?»). Con i romantici quel m i t o sì dir a m a in un'analisi della malattia d ' a m o r e , p e r la quale il soggetto che a m a è prigioniero di un 'pensiero dominante'. La storia di questo d o m i n i o è tracciata da Leopardi in alcuni passi dello Zibaldone, ma soprattutto nel c a n t o che ha a p p u n t o p e r titolo //pensiero dominante. La malattia d'am o r e , che p e r Leopardi è «la più dolce, più cara, p i ù u m a na, più p o t e n t e , più universale delle passioni» crea u n o stato di vuoto, un deserto- dei pensieri, u n a "cancellazione della c u r a del m o n d o , u n a sorta di ascesi e di concentrazione, ed è su questo- deserto c h e un pensiero, il pensiero, 2
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Stendhal, Dell'amow, p p . 297-298. G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, 3610-3611, 3-6 ottobre 1823.
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p r e n d e c a m p o e dominio: raccoglimento di tutte le immagini in u n a sola immagine. La m e n t e è fatta deserto p e r accogliere un gigante che chiede resa e devozione, «dolcissimo» e insieme «onnipossente»: Come solinga è fatta La mente mia d'allora Che tu quivi prendesti a far dimora! Ratto d'intorno intorno al par del lampo Gli altri pensieri miei Tutti si dileguar. Siccome torre In solitario campo. Tu stai solo, gigante, in mezzo a lei. Questo d o m i n i o , p r i m a che d o m i n i o di u n ' i m m a g i n e corporea, è dominio di u n ' i d e a dell'armonia, della perfezione, e, p e r Hòlderlin, dominio di u n ' i d e a del Tutto. La «segreta potenza» d e l l ' a m o r e si sovrappone al concreto amore, lo accompagna e vivifica: immagine di un'alterità irriducibile al linguaggio {da qui la contiguità, in ogni cultura, tra l'esperienza amorosa e l'esperienza mistica). Scrive Diotima a Hòlderlin: «Non ci resta nulla oltre la felicissima fede l ' u n o nell'altra, e nella o n n i p r e s e n t e essenza dell'am o r e , quella c h e è e t e r n a invisibile...». E ancora: «Fa' soloche noi n o n si venga mai m e n o verso l'amore, e siamo- sempre veri l ' u n o verso l'altra!» . U n a reciprocità che p r o p r i o l'altro dai d u e , l'amore come altro, m a n t i e n e nella sua nitida definizione, nella verità di un r a p p o r t o che cancella ogni interna relazione di potere. Siamo in un orizzonte già diverso da quello della rinascimentale teologia dell'amore: «Muore a m a n d o q u a l u n q u e a m a - aveva scritto Ficino nel Comento al Simposio - p e r c h é il suo pensiero d i m e n t i c a n d o sé, nella persona amata si rivolge... Se egli n o n è in sé, ancora n o n vive in sé medesimo: chi n o n vive è m o r t o , e p e r ò è m o r t o in sé 3
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Diotima e Hòlderlin. Lettere e poesie, p p . 46 e 81.
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q u a l u n q u e ama: o egli vive a l m e n o in altri» . A n c h e se forme di quella m o r t e sopravvivono in u n a fisiologia romantica dello stato amoroso, ora, nell'analisi della condizione d'am o r e , p r e n d e forza l'idea di reciprocità. Ed è l'attivazione del fantasticare, di u n o strenuo impetuoso incessante fantasticare - fino allo spleen e alla réverk— che s'impone sulla mistica della perdita di sé, Qui, in questo passaggio, forse ha radice il carattere eroico, funambolico,, narcisista, teatrale, malinconico, del personaggio cosiddetto romantico. Il desiderio Sul finire del breve diario d ' a m o r e - s'è atten u a t a la dolorosa presenza dell'immàgine - Leopardi confronta il suo stato di sopravvenuta malinconia con la condizione di chi è ancora p r e d a della tempesta d ' a m o r e : posto che una certa nebbietta di malinconia affettuosa, come quella ch'io- negli ultimi giorni ho provata, non sia discara, e anche diletti senza turbarci più che tanto, non così altri può dire di quella sollecitudine-odi -quel desiderio e di quello scontentamento e di quella smania e, di quell'angoscia 'die vanno col forte della passione, e ci fanno- s'alcuna cosa mai tribolati,, e miseri. 5
Di questo tumulto di lì a qualche a n n o lo stesso Leopardi osserverà l'origine^ la causa: l'impeto del desiderio e la sua c o n n a t u r a l e incolmabiìità. Ripensando ai versi d'am o r e di Saffo e Petrarca e m e d i t a n d o sul t u r b a m e n t o dell ' i n n a m o r a t o dinanzi alla bellezza, scriverà: «La forza del desiderio ch'ei concepisce in quel p u n t o , l'atterrisce per ciò ch'ei si rappresenta subito tutte in un tratto, b e n c h é confusamente, al pensiero le p e n e che p e r questo desiderio dovrà soffrire: p e r o c c h é il desiderio è p e n a , e il vivissimo e s o m m o desiderio, vivissima e somma, e il desiderio p e r p e t u o e n o n mai soddisfatto è p é n a perpetua...» . E Leo6
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M. Ficino. Sopra lo amore o ver' Convito di Platone, nella trad. di N. Dortelata (1544). G. Leopardi, Memorie del primo amore. Id., Zibaldone di pensieri, 3445, 16 settembre 1823. 5
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pardi rifletterà a lungo nello Zibaldone sulla corporeità del desiderio, sul fatto che, c o m e il respiro, il desiderio è connaturale all'esistenza d e l l ' u o m o , e l e m e n t o biologico della sua strattura, pulsione s e m p r e aperta, s e m p r e in scacco dinanzi alla possibilità del piacere. Se Leopardi porta a chiara teoresi la centralità del desiderio, molti altri contribuiscono a definire quella geografia dello stato desiderante- nelle cui b r u m e s'aggira l'àmemmantìque. Si tratta di u n a declinazione quotidiana - e persino mondana— del desiderio: la malinconia, l ' a b b a n d o n o fantastico,' l'irrequieta, e insieme dolce attesa dell'impossibile, lo stato di i n d o l e n t e sospensione dell'agire, quelTimplacabile diandra - c o m e la chiamavano i russi alla quale O n e g i n nella sua declinante stagione a n d r à ripensando n o n senza nostalgia;1
Il rametto di Salisburgo, o della cristallizzazione S t e n d h a l racconta di-'una visita estiva alle miniere saline di Hallein-presso Salisburgo, in compagnia di u n a signora italiana: la c o n versazione e la leggera rete di sottintesi amorosi h a n n o al centro il tema della «cristallizzazione». Un r a m o , spoglio di foglie, è lasciato p e r qualche mese nelle cave di sale. Q u a n d o lo si-riprende' «la cristallizzazione del sale ha ricoperto i rametti b r u n i con diamanti così n u m e r o s i e fulgidi, che ormai solo q u a e là si riesce più a vedere com'era p r i m a » . E lo stesso processo- che avviene nell'Insorgenza della passione'.amorosa: la cristallizzazione dell'immagine dell'altro. Un processo cui si arriva attraverso diverse fasi: lo stato di forte ammirazione, il desiderio del piacere (del piacere d'essere amati), la nascita della speranza, infine l'esagerazione-della"bellezza e dei meriti della, persona amata. Ma Stendhal p o r t a nell'orizzonte d e l soggetto i n n a m o rato, nel suo- spazio di rappresentazione mentale, quello c h e 7
' Stendhal, Dell'amore, p. 314.
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prima di lui era stato visto c o m e presagio, c o m e e l e m e n t o destinale. Fa dell'assolutezza dell'incontro un lavorio interiore, un processo di autopersuasione. R e n d e p e r così dire m o n d a n a la sacralità dell'evento. Su un'altra o n d a e r a n o stati poeti c o m e Hòlderlin o Keats. «Che cosa s o n o i secoli di fronte all'istante in cui d u e esseri si presagiscono e si accostano?», scrive Iperione a Bellarmino. E più oltre, dicendo del suo r a p p o r t o con Diotima: «Ancor prima che l ' u n o sapesse dell'altra, n o i ci a p p a r t e n e v a m o » . E J o h n Keats, così distante dal timbro forte, così limpidamente quieto nella sua dolce dimissione, nella sua negative capability, p u r e scrive a Fanny: «Per me la vita è la certezza del tuo amore...» . Ma sia nella riflessione di Stendhal sia nelle espressioni dei d u e grandi poeti quel che è in gioco è il r a p p o r t o con l'immagine, la quale è ricoperta di u n a cura assidua e ossessiva, resa esclusiva e o n n i p r e s e n t e . Roland Barthes, in Frammenti di un discorso amoroso, dirà che l ' i n n a m o r a t o , c o m e accade p e r l'ossessivo, fa dell'immagine la cosa stessa: «L'innamorato è dunq u e un artista, e il suo m o n d o è davvero un m o n d o alla rovescia: ogni immagine infatti coincide col fine suo stesso (nulla al di là dell'immagine) » . 8
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Affinità Nelle Affinità elettive di Goethe, prima che la passione di E d u a r d o p e r Ottilia s c o m p o n g a l'ordinata geometria dei rapporti, e p r i m a ancora che si disegni l'ombra del tragico, il capitano p o r t a la conversazione sulle affinità di alcune sostanze chimiche, o m o l o g h e alle affinità c h e int e r c o r r o n o tra alcuni individui: 1
Quelle sostanze che, incontrandosi, subito si compcnctrano e sì influenzano reciprocamente, le chiamiamo affini. Nel caso degli alcali e dei sali, che, seppure opposti, e forse proprio perché op8
F. Hòlderlin, Iperione, p p . 74 e 82. J. Keats, Lettere sulla poesia, p. 206. R. Barthes, Fragments d'un discours amourmtx, Seuil, Paris 1977, p. 159 (trad. mia). 9
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posti, si cercano e si associano coi massimo vigore, modificandosi e formando insieme un nuovo corpo, questa affinità è palese. Basti pensare alla calce, che ha un'invincibile inclinazione per ogni sorta dì acidi, una decisa tendenza ad accoppiarsi con essi! Poiché E d u a r d o sottolinea la funzione della separazione tra gli elementi chimici, il capitano- r i p r e n d e : Se immergiamo un pezzo di calcare in.acido solforico-diluito, questo attacca la calce e si trasformano in gesso, mentre quell'acido leggero e aeriforme si libera. In tal modo è avvenuta una separazione e una nuova -combinazione, e ci si sente davvero autorizzati ad impiegare la parola affinità, perché sembra proprio che una relazione venga anteposta ad un'altra, che si faccia ima scelta. Nella conclusione, t o r n a n d o ad osservare gli elementi, il capitano sovrappone allusivamente al c a m p o chimico il campo u m a n o : Bisogna vedere in azione -davanti ai propri occhi queste sostanze all'apparenza inerti, e tuttavia intimamente sempre disposte, ed. osservare con partecipazione il loro cercarsi, attirarsi, assorbirsi, distruggersi, divorarsi, consumarsi, e poi il loro riemergere -dalla più intima congiunzione in forma mutata, nuova, inattesa. Questo sguardo analitico i n c o n t r e r à poi, nel corso del r o m a n z o , il fondo indecifrabile, necessario, assoluto, da cui muove e a cui r i t o r n a la passione: il d r a m m a si. conclude con le figure dei d u e angeli di «arcana affinità» che guard a n o dalla volta del tempietto le t o m b e dei d u e amanti infelici. Nel suo diario Ottilia aveva scritto: «Le g r a n d i passioni sono malattie senza speranza. Ciò- -che p o t r e b b e guarirle, è p r ò p r i o ciò che le r e n d e pericolose» . Goethe ha voluto dare u n o sfondo insieme naturale e 11
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J.W. Goethe, Le affinità dettate, p p . 35-39 e 168.
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tragico, 'elementare" e destinale a quel paradigma duale di presagio,"di necessità, di fatale a t t r a z i o n e - - c h e la letteratura romantica ha ossessivamente descritto: dietro Julie d'Etanges:" é Sàint-Preux della Nòuveik Melense, ecco comparire Paolo e Virginia, Werther e Lotte, J a c o p o e Teresa, E d u a r d o e Ottilia, Octave e Arni ance, ecc. Storia di misteriose attrazioni già scritte p r i m a del loro evento. Simmetrìa romanzesca che poi, da Puskin a Flaubert, si sgretolerà, g u a r d a n d o con occhi di disincantata pietas lo scarto, il n o n avvenuto incontro, l'estraneità, il vuoto, l'incompiuto. E con Baudelaire vedrà invece p r o p r i o nello sguardo della passante, cioè nel non-vissuto, nell'impossibile, la s u p r e m a affinità, l'esperienza assoluta («O toi que j ' e u s s e aimée, ó toi qui le savais!» ; ' O h ! te che avrei amato, oh! tu che lo sapevi'). L'attrazione degli affini n o n ha che il t e m p o infinito, violentemente vero, d ' u n istante, d ' u n l a m p o («Un éclair...»). II t e m p o della poesia è davvero un altro t e m p o . 12
Prose di romanzi U n a p r i m a osservazione. Più che il r o m a n z o come gen e r e , le riflessioni c h e s e g u o n o h a n n o p e r oggetto il romanzesco, cioè il c a m p o mobile di u n a scrittura che di volta in volta sceglie le proprie forme e i propri generi. E le loro contaminazioni e mescolanze. Del resto è p r o p r i o del primo romanticismo il sogno di un r o m a n z o che sia oltre il genere-romanzo, di un r o m a n z o c o m e «assoluto poetico» (Novalis): rappresentazione che sia conoscenza e ritmo, esperienza del m o n d o e perfezione, incrocio e purificazione dei linguaggi. Inoltre. Le o p e r e che q u i suggeriscono le figure di u n a passione sono scelte senz'alcun criterio di particolare esemplarità: a quella scelta n o n presiede un c a m p i o n a m e n t o so:
- Cb. Baudelaire, A une passante.
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La passione d'amore e la scrittura romantica
ciologico né u n a gerarchia estetica, ma solo l'intreccio tra predilezione, parzialità e arbitrarietà: l'esperienza della lettura, forse di ogni lettura, muove da questo intreccio. A sua volta il lettore di queste n o t e potrà estendere il c a m p o d'indagine con altre letture. Infine. Un percorso c o m e questo che accosta temi e fig u r e e gesti e c o m p o r t a m e n t i propri della rappresentazione letteraria è consapevole di sacrificare, o p e r l o m e n o di lasciare sullo- sfondo-, il c u o r e stesso di quella rappresentazione: la singolarità - -di stile, di linguaggio , -di universo-forrnale - che è p r o p r i a -di ogni esperienza di scrittura. 1
11 primo sguardo Nell'economia della narrazione i particolari si arricchiscono di senso n o n nel m o m e n t o in cui sono rappresentati, ma via via che il testo si dispiega: quel che ai m o m e n t o appare casuale diventa poi necessario. È quel che accade quasi s e m p r e p e r la descrizione del p r i m o incontro-. C'è .-un'anticipazione, un presagio, che a n n u n c i a il riconoscimento dell'amore. Werther s u l a carrozza che i o c o n d u c e al ballo campestre e che deve passare a p r e n d e r e Charlotte S. è avvertito dalle d u e ragazze che l'accompag n a n o : «Conoscerà u n a bella signorina». E ancora: «Stia attento [...] a n o n innamorarsene». L'apparizione di Lotte è un q u a d r e t t o domestico, l'antitesi della violenta passione che esploderà: la ragazza distribuisce la m e r e n d a ai fratellini. Ma poi, nel ballo. Lotte a p p a r e con «il corpo trasformato in u n ' u n i c a armonia». A n c h e Werther riconosce la p r o p r i a metamorfosi: «Non ero più u n a creatura uman a » , racconta a Wilhelm a proposito dell'esperienza del ballo. E J a c o p o Ortis scriverà a Lorenzo: «La trovai seduta, m i n i a n d o il p r o p r i o ritratto. Si rizzò salutandomi c o m e s'ella mi conoscesse». E aggiunge: «Io tornava a casa col cuore in festa. - Che? lo spettacolo della bellezza basta forse 13
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J.W. Goethe, I dolori del giovane Werther, pp. 32, 36 e 37.
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ad a d d o r m e n t a r e in noi tristi mortali tutti i dolori? vedi per me un soggetto di vita: unica certo, e chi sa! fatale» . Tutto è già c o m p i u t o . Tutti gli stadi della passione sono già definiti: l'apparizione si trasforma in fatalità, il casuale in assoluto, il domestico in avventuroso. Il corpo femminile è già divenuto sorgente di inestinguibile t u r b a m e n t o . Ma questo schema ha le sue complicazioni e varianti: E d u a r d o , nelle Affinità elettive, ritrova Ottilia d o p o la distrazione del p r i m o incontro. Octave, neh"Armance di Stendhal, ascolta i silenzi della cugina, ne scruta il senso, avviluppa l'immagine di lei in strati di accoglienza umbratile, esaltata e dissimulata, confessata e rimossa. Del resto il capitolo del De l'amour dedicato alla figura del p r i m o incontro descrive un evento mobile, sfumato, complesso, e soprattutto dice del diverso m o d o c o n cui la d o n n a e l ' u o m o vivono quell'esperienza. 14
Passione e paesaggio Riflessi, corrispondenze, reciproche implicazioni legano la vita della n a t u r a all'interiorità del personaggio. La cosmologia romantica n o n è sólo cornice e fondale degli eventi amorosi, ma è voce stessa, timbro della passione, luogo della sua leggibilità, del suo divenire. Il diag r a m m a di questa corrispondenza ha molte variazioni di registri e di m o d i . P u ò accadere, come nel Werther, che la bellezza del paesaggio di colpo degradi nella insignificanza, sprofondi nella opacità priva di forma e di lingua, q u a n d o l'aridità trionfa n e l l ' a n i m o del personaggio: «... q u a n d o questa splendida n a t u r a mi sta di fronte rigida c o m e un quadretto dipinto a smalto, e tutte le sue delizie n o n riescono a p o m p a r m i dal cuore al cervello u n a sola goccia di felicità...» . Per J a c o p o invece nel paesaggio riposano immobili le stagioni della p e r d u t a felicità: il colle dei pini, il salice solitario, la r u p e da cui ascoltava «il l o n t a n o fragore delle acq u e » . La n a t u r a è a n c h e confidente e amica, spettatrice 13
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U. Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, pp. 44 e 45. j.W. Goethe, / dolori del giovane Werther, p. 108. " U. Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, pp. 135-186.
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della sua «antica solitudine». E nelT'Atala di Chateaubriand - tra i residui d'Arcadia e la malia del Nuovo M o n d o - il torm e n t a t o r a p p o r t o d ' a m o r e tra i d u e personaggi ha c o m e testimone sublime e impetuoso la solennità della natura: «... foreste s u p e r b e c h e agitavate le vostre liane e i vostri d o m i come il baldacchino del nostro giaciglio; pini in fiamme c h e facevate da fiaccola al nostro imeneo» fiumi traboccanti, m o n t a g n e m u g g e n t i . . . » e così via in un inarrestabile gettito di sospiri. Le mutazioni del paesaggio spesso riflettono le mutazioni dell'animo: la n a t u r a è lo schermo di un'incessante proiezione di immagini, di propositi, di rimpianti. 1 diario di Ottilia registra questi m u t a m e n t i e tutto il r o m a n z o di Goethe racconta lo svolgersi di u n a corrispondenza: quella tra il movimento dei sentimenti e il p r o c e d e r e dei progetti relativi al parco, al padiglione, ai giardini. U n a simmetria che via via si fa oscura, e rivela poi il disegno di u n a misteriosa forza nella quale l'amore e la morte si congiung o n o , e il paesaggio esteriore n o n è che la scena inerte e vuota c h e assiste a questa congiunzione. A n c h e nel racconto di Bernardin de Saint-Pierre, la silvestre rigogliosa geometria, con la partenza di Virginia, si scomponeva e degradava, dicendo così gli effetti della sopravvenuta separazione: artificiale declino dell'esotico trionfo. Ma nel r o m a n z o di Goethe è il recinto di un m o n d o intero che via via a t t e n u a la sua presenza, p e r lasciare affiorare l'altro misterioso paesaggio, il paesaggio delia necessità: il visibile mostra il suo patto con l'apparenza, l'invisìbile con l'oscuro e con l'enigma. Sicché giustamente Benjamin p o t r à dire della solerte cura dei personaggi p e r il parco e il padiglione e i giardini: «cambiamento di q u i n t e in u n a scena tragica» . Il racconto che esclude questa corrispondenza tra na17
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R. de Chateaubriand, Atala, p. 47. W. Benjamin, Li affinità dettine, in Id., Angelus navus, Einaudi, Torino 1962', p. 165. 18
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tura e sentimento-.'trasforma la relazione tra i personaggi: n e l vero, folto-e intricato- paesaggio: e allora i a J i n g u a è tutta avvolta nell'azione, la storia della passione è " n u d a nel suo rigore, nella .sua assoluta, perversa intimità: è la percezione che si ha l e g g e n d o La marchesa di 0... di Kleist. Co
Corpo, fantasma, feticcio L'epoca romantica è, c o m e si sa, passaggio i m p o r t a n t e nel processo di spiritualizzazione occidentale dell'amore. Ed è p r o p r i o nella scrittura romantica c h e l ' a m o r e si consegna a quella regione dell'assoluta alterità, dell'impossibile perfezione dalla quale si e*-sempre in esilio. «La passione d e l l ' a m o r e altissimo n o n trova certo- sulla terra mai il• suo--appagamento-» , scrive Siisene C o n t a r d a Hòlderlin il 5 ottobre 1793. Per questo è freq u e n t e l'analogia con l'origine'e con la sua declinazione nel mito dell'infanzia. Leggiamo un frammento di dialogo tra Iperione e Diotima: «Che m ' i m p o r t a del "naufragio del m o n d o , n o n conosco nient'altro se n o n la mia beata Isola. - C'è un t e m p o dell'amore, disse Diotima con affettuosa serietà, così c o m e ri è un t e m p o da rivere nella felicità della culla. La vita stessa, p e r ò , ce ne scaccia fuori» . Di questa perfezione - q u a n d o n o n s'innalzi nella forma di un nuovo sublime, nell'inconoscibile stellare idea - il c o r p o dell'altro è di volta in volta manifestazione, specchio, tramite, custodia (che questo corpo dell'altro sia nel romanzesco m o d e r n o p e r lo più un c o r p o femminile d i p e n d e dalla centralità del p u n t o di osservazione maschile, dalla frequenza . della sua lìngua: un altro racconto, un altro discorso amoroso, si comincia oggi a ricostruire m u o v e n d o dal desiderio femminile, dalla sua lingua). 19
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Nel sogno e nella rèverie il corpo femminile avvalora la sua bellezza e la sua lucente lontananza: fantasmagorie del desiderio, efflorescenza di forme, e di ritmi, e dì pensieri. 19 m
Diotima e Hòlderlin. Lettere e poesie, p. 46. F. Hòlderlin, Iperione, p. 107.
A. Prett
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che costituiscono il thesaurus dell " a n i m a romantica' (Alb e r t Béguin ne attraversò criticamente l'avventurosa selva). Tra le obliquità cui il corpo dell'altro affida la sua presenza c'è l'oggetto- simbolico-, il feticcio-, vissuto c o m e parte stessa del c o r p o dell'altro o suo p r o l u n g a m e n t o . W e r t h e r bacia i nastri avuti-in, regalo da- Lotte-per il,suo- compleann o , vuole essere seppellito con essi, bacia persino le pistole che lei ha toccato e che gli d a r a n n o la m o r t e . Oggetto metonimico: presenza differita, del c o r p o dell'altro, ma nello stesso t e m p o dolorosa assenza del corpo dell'altro. Questo a m a r o ossimoro porta l ' i n n a m o r a t o nell'oscillazione tragica tra reale e irreale, tra possibile e impossibile. Si m u o r e di questa oscillazione. Il c o r p o di Virginia - nel racconto di Bernardin de SaintPierre - recuperato dal naufragio, ha sul cuore u n a scatola che custodisce il ritratto di Paolo. Per il foscoliano J a c o p o le pagine dedicate alla descrizione del c o r p o discinto di Teresa, «appena balzata dal letto», sono affidate a «lo bello stile», d u n q u e filtrate, allontanate da sé. Ma l ' u n i o n e ultima avviene q u a n d o Teresa dà a J a c o p o il p r o p r i o ritratto: «E con le sue mani lo appendeva al mio collo, e lo nascondeva d e n t r o il mio petto. Io stesi le braccia, e me Io strinsi sul cuore, e i suoi sospiri confutavano le arse mie labbra, e già la mia bocca...» . L'ultimo bacio di J a c o p o m o r e n t e sarà p e r quel ritratto. Così, nell'ultima parte delle Affinità, la gelida solitud i n e di Ottilia, la sua volontaria reclusione, ha - nel deserto progressivo dei sensi - u n a sola presenza: il cofanetto, regalatole da E d u a r d o , che custodisce le stoffe preziose, e le altre reliquie dell'amore da lei riposte. Questa reificazione dei gesti e dell'immagine e del linguaggio è, all'opposto della seduzione, la zona vuota e muta dove i presagi dell'impossibile si.addensano, la relazione con l'altro mostra il confine opaco della comunicazione: l'aspetto simbolico che compensa l'assenza mostra il 21
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U. Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, p. 185.- •
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suo lato oscuro, mortìfero. Mostra 'dell'assenza il confine col nulla. «Il mondo cessa d'esistere»: la scena del bacio «... e Teresa mi abbracciava tutta t r e m a n t e , e trasfondea i suoi sospiri nella mia bocca, e il suo cuore palpitava su questo p e t t o : mir a n d o m i c o ' suoi g r a n d i occhi languenti, mi baciava, e le sue labbra u m i d e , socchiuse, m o r m o r a v a n o su le mie...». L'iconografia r o m a n t i c a accoglie le raffigurazioni classiche (qui il dantesco «tutta tremante») e ne dilata il-tempo, muove l'azione sciogliendola nei particolari. E soprattutto vi sovrappone un'analisi degli affetti (c'è a n c h e qui il romantico impulso alla 'poesia della poesia?'). E come se si volesse seguire l ' o n d a concentrica che p a r t e dal punctum dell'incontro che è il bacio: Dopo quel bacio io son fatto divino. Le mie idee sono più alte e ridenti, il mio aspetto più gajo, il mio cuore più compassionevole. Mi pare che tutto s'abbellisca a' miei sguardi; il lamentar degli augelli, e il bisbiglio de' zefiri fra le frondi son oggi più soavi che mai; le piante si fecondano, e i fiori si colorano sotto a' miei piedi; non fuggo più gli uomini, e tutta la Natura mi sembra mia. Il mio- ingegno è tutto bellezza e armonia. ' 22
Rottura con l'universo della ragionevole quotidianità, irruzione di u n a realtà altra: il linguaggio della passione d'am o r e ha il suo alfabeto. Di questo alfabeto il bacio è u n a lettera sovraccarica di simbolicità. «Il m o n d o cessò di esister e » : c o n questa frase si a n n u n c i a nel Werther la scena del bacio c h e sigilla la lettura dì Ossian. Alla sopravvenuta «confusione dei sensi» Lotte si sottrae p e r prima, osservando subito dall'esterno il conflitto,' che è il conflitto tra passione e destino. Il bacio di Werther è nello stesso t e m p o s p o n d a cui la l u n g a odissea sentimentale a p p r o d a e p u n t o del suo scio23
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Ivi. p p . 104 e 105. ' T.W. Goethe, I dolori del giovane Werther, pp, 141-142.
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glimento fatale. Ritrovamento e addio, c o m u n i o n e dei corpi e separazione confluiscono nella stessa ora, nella stessa stanza, nella stessa pagina. Nelle Affinità elettive la scena dei baci («... p e r la p r i m a volta si scambiarono baci a p e r t a m e n te, l i b e r a m e n t e » ) è seguita - nella sera che sta p e r scendere sul lago - dalla m o r t e in acqua del b a m b i n o : da questo m o m e n t o il racconto mostra la t r a m a grave della catastrofe, la geometria funerea del destino. Nell'iconografìa romantica del bacio il codice si costituisce con pochi elementi: il tremito c o m e segno del passaggio ad u n a soglia di percezione ombrosa, persa, irreale, il respiro - e il sospiro - c o m e segno di un dire che è prima e oltre il linguaggio, di un dire nel cui universo comunicazione corporale e spirituale sono la stessa cosa. Il Werther e l'Ortis contribuiscono, insieme a molte altre narrazioni, a definire un codice della rappresentazione. Contribuiscono a definire quella scena che nel!'immaginario' romantico è insidiata dalle o m b r e dell'impossibile unione: sospensione del tragico ma a n c h e suo a n n u n c i o . Quella stessa scena, nell 'immaginario di massa novecentesco con la g r a n d e mediazione delle arti visive - sarà il luogo di dissipazione del 'tragico': happy end che sigilla l'avventura intrecciando favola e commedia. 24
Lacrime d'amore «In Werther è l'innamorato o il r o m a n t i c o che p i a n g e ? » . La d o m a n d a di Barthes, di fatto, sottintende u n a segnalazione: l'equivalenza — q u a n t o all'impulso a manifestare il dolore - tra i n n a m o r a t o e romantico. Le lacrime di Werther sono, insieme, un sostegno di verità alle parole e un dire corporale che è p i ù e l o q u e n t e di ogni lingua. Le lacrime sono a n c h e segno di u n a partecipazione immaginaria all'universo dell'infelicità. Carlotta e W e r t h e r p i a n g o n o insieme d o p o la lettura della traduzione di Ossian, Le lacrime s o n o il c o m m e n t o di Werther alla musica 25
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Id., Le affinità elettive, p. 241. R Barthes, Fragments d'un discours amoureux cit., p. 213.
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che Carlotta s u o n a al pianoforte (anche la musica è u n a lingua oltre la lingua: dove finisce la lingua comincia il musicale, secondo Kierkegaard). C o m m e n t o , o messa in scena di u n a rappresentazione, quella del p r o p r i o c o r p o che espone.il suo sentire secondo u n a verità priva di convenzioni o censure? Le lacrime s o n o sanzione di u n ' a p p a r t e n e n z a , avvaloramento di un messaggio, consacrazione di un oggetto-feticcio: il ritratto dì Teresa è bagnato di lacrime - lacrime di Teresa stessa e di sua m a d r e - prima d'esser d o n a t o a J a c o p o . E gli occhi di J a c o p o s o n o , fino all'ultimo, «occhi lagrimosi». A n c h e se, appressandosi la decisione estrema, il suo sentire è divenuto c o m e astratto, e s'aggira nella vertigine della comparazione pascaliana tra la finitudine della singola esistenza e l'enigma dell'infinito, l'addio trova nella lingua del p i a n t o la sua forma più propria: O amica mia! la sorgente delle lagrime è in me dunque inesausta? io torno a piangere e a tremare, ma per poco; tutto in breve sarà annichilato. Ahi! le mie passioni vivono, ed ardono, e mi possedono ancora: e quando la notte eterna rapirà il mondo a questi occhi, allora solo seppellirò meco i miei desideri, e il mio pianto. Ma gli occhi miei lagrimosi ti cercano ancora prima di chiudersi per sempre. Ti vedrò, ti vedrò- per l'ultima volta, ti lasciare gli ultimi addii, e prenderò da te le tue lagrime, unico frutto di tanto-amore! 26
Tatjana neW Onegin riconosce lo stato di i n n a m o r a m e n to- dall'impulso al pianto: _ • :
Ah njanja, njctnja, io soffro tanto, Mi sento tutta illanguidire: Vorrei piangere, singhiozzare!...
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Il mal d ' a m o r e di Tatiana ha il suo corteggio di sospiri, di notti lunari, di usignoli che c a n t a n o . A questo pianto, 26
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U. Foscolo, Ultime lettene dì Jacopo Ortis, p. 197. A.S. Pus km, Evgenij Onegin, Brad, di G. Giudici, p. 61.
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che sarà in scarto c o n l'indolente e distratta leggerezza di Onegin. succederà poi, nelle sontuose sale moscovite, il pianto a p p e n a accennato di un addio consapevole, aspro, c h e mescola b u o n senso, orgoglio e addio al romanticismo. La confidenza e il silenzio Non si p u ò dissimulare la passione d ' a m o r e : convinzione antica che il personaggio romantico ha fatto propria. La presenza di un destinatario - della lettera, della confessione - n o n è solo espediente narrativo (luogo di stilizzazione del pubblico e del singolo lettore, sostituzione del coro drammaturgico, ricerca di un testimone della veridicità dell'azione e del dire) ; è a n c h e istituzione di un equilibrio ragionevole, quotidiano, n e i confronti dell'esperienza dell'eccesso che la passione comporta. Anche se al r o m a n z o epistolare dialagico si sostituisce, dal Werther in poi, il r o m a n z o epistolare p e r così dire monologico e diaristico, il confidente, p e r esile c h e sia la sua funzione, è via via coinvolto n e l pathos, e approssimandosi la tragedia, la sua presenza è più netta: così accade p e r L o r e n z o nell'Ortis. Q u a n t o al teatro, il genere stesso dà rilievo di presenza al confidente: l'amazzone Protoe nella Pentesilea è consigliera, testimone, custode della femminile sapienza. La passione d ' a m o r e di fatto ha d u e soli veri confidenti: il silenzio della n a t u r a - in particolare il n o t t u r n o lunare - e lo stesso soggetto i n n a m o r a t o . Stendhal mostra di conoscere b e n e i limiti e gli equivoci della confidenza: Con le confidenze l'amore-capriccio s'infiamma e I'amorepassione si raffredda. Oltre i pericoli, v'è la difficoltà delle confidenze: nell'amore-passione quel che non si può esprimere (perché il linguaggio è troppo grossolano per arrivare a certe sfumature) non per questo è meno reale; soltanto, perché son cose delicatissime, è facilissimo ingannarsi nell'osservarle. E un osservatore molto commosso, osserva male; è ingiusto verso il caso. La cosa più savia è forse far di se stessi il proprio confidente. 28
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Stendhal, DeM'amore,"p. 96.
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Q u a n t o al silenzio, esso n o n è solo un'altra forma del dire, è anche u n a zona opaca nella quale il desiderio vede il suo stesso vuoto, i presagi si a d d e n s a n o , i pensieri si trasform a n o in fantastiche rie, le attese trovano un ritmo, u n a lingua. Il silenzio di Ottilia mette in scena n o n solo la resa al vincolo oscuro della necessità, ma a n c h e il commiato dal m o n d o : l'addio al linguaggio, c o n t e m p o r a n e o al distacco dal cibo, è la recisione della possibilità di sopravvivenza nell ' o r d i n e della quotidiana t r a m a dei rapporti. La soglia del tragico è il silenzio: Teresa nel!" Ortis «visse in tutti q u e ' giorni fra il lutto d e ' suoi in un mortale silenzio» . E il narratore stesso tace sul sentire di Lotte d o p o la m o r t e di Werther. Il silenzio p u ò diventare la parte n o n scritta dell'azione, il luogo di u n a sospensione che dà intensità all'incedere della narrazione. Il silenzio della marchesa di O . . .„ nel bellissimo racconto di Kleist, ha stadi, sottintesi, balzi. È u n a lingua che parla al lettore p i ù dell'altra narrativa lìngua. Solo nella chiusa il senso si dispiega, e con esso la parola della d o n na che illumina l'enigma e nello stesso t e m p o conferma l'enigma. Ci p u ò essere un silenzio c h e trascorre sotto' il brusio delia conversazione, della m o n d a n i t à , e assume la forma ostinata del segreto che modella e insidia il personaggio: è il caso di Octave, nelV Armarne di Stendhal, che né il giuoco sociale della rappresentazione né la grazia e l'intelligenza d e l l ' i n n a m o r a t a s m u o v o n o dalla sua ostinata e atterrita fedeltà a un segreto. Che è segreto del suo corpo, zona d ' o m b r a dei suoi pensieri, del suo desiderio, ragione del suo carattere o m b r o s o e orgoglioso, r o m a n t i c a m e n t e calcato su modelli c o m e il Manfredo di Byron. N e p p u r e il narratore rivela il segreto che muove tutta la costruzione dell'azione (solo da u n a lettera dell'autore a Mérimée. del 29 dicembre 1826, si sa che Octave è un babilan, un impotente, e la sua è la passione di un i m p o t e n t e ) . 29
*" U. Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, p. 2 0 2 .
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L'ostacolo, l'azzardo Tra il gioco settecentesco c h e sorveglia l'intrigo, con la mescolanza di vanità ed erotismo (Les liaisons dangereuses), e la trama dei sentimenti che si dispone verso le iridescenze del p o t e r e (Le rouge et le no ir), c'è la regione romanzesca della passione che si alimenta dei suoi stessi ostacoli e dei suoi fantasmi, si c h i u d e nel nesso colpa-castigo, p o r t a il desiderio verso l'estremo azzardo, dove Eros e T h a n a t o s sono la stessa cosa. Un paradosso della passione d ' a m o r e è che la sola felicità possìbile è quella impossibile. Ogni indugio.al di q u a di questo estremo sembra un a r r r e t r a m e n t o sulla s p o n d a degli affetti o su quella delle istituzioni degli affetti. Benjam i n , in un passaggio del saggio più profondo mai scritto su un r o m a n z o (Le affinità elettive), dice: «Passione e affetto sono gli e l e m e n t i di ogni a m o r e a p p a r e n t e , che si distanzia dal vero n o n p e r difetto del sentimento, ma solo per la sua i m p o t e n z a » . Nel suo movimento la passione d ' a m o r e segue lo schema d e l romanzesco occidentale, lo- schema stesso- dell'avventura: necessità dell'ostacolo, affermazione dell'Io attraverso il confronto c o n l'ostacolo, crescita del desiderio attraverso l ' i m p e d i m e n t o o il differimento, attesa dell'evento, passione per l'impeto- stesso della passione. E la condizione opposta a quella di Don Giovanni, che «riduce l'am o r e a ordinaria amministrazione». L'osservazione è di Stendhal, il quale aggiunge: 30
Invece d'avere, come Werther, alcune realtà che si modellano sui suoi desideri, egli ha desideri imperfettamente soddisfatti, dalla fredda realtà, come nell'ambizione, nell'avarizia, nelle altre passioni. Invece di perdersi nei sogni incantevoli della cristallizzazione, pensa come un generale al successo delle sue manovre, e, in una parola, uccide l'amore invece di goderne più di ogni altro, come crede il volgo. 31
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W. Benjamin, Le affinità elettive cit., p. 217. Stendhal, Dell'amore, p. 208.
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L'ostacolo n e i r a m o r e - p a s s i o n e è ricondotto nel cerchio dell ' immaginazione e lì vanificato. Ma questo esercizio di vanificazione, di derealizzazione, p u ò essere mortale. Lienskij, il r o m a n t i c o adolescente p o e t a del r o m a n z o in versi di Puskin, è ucciso in duello dall'amico che lui stesso ha sfidato p e r infondata gelosia, per eccesso di melanconica fantasticheria: con questa scena c r u d e l m e n t e beffarda Puskin riconsegna ai suoi dolci e ingannevoli vaneggiamenti la passione romantica (ma c o m e p o t r à allontanarla dalla propria vita?). • *. Nel r o m a n z o d e l l ' a m o r e romantico gli ostacoli, gli imp e d i m e n t i , le figure dei rivali, r a r a m e n t e sono fìssati nell'inerzia dell'estraneità, anzi spesso m o s t r a n o i segni del sott e r r a n e o legame c o n il desiderio, con il 'triangolo del desiderio ' (la relazione di Ottilia con Carlotta ha u n a profondità pari p e r intensità a l l ' a m o r e ) . La passione che travolge il suo ostacolo, o il suo nemico, sì p u ò trasmutare in follia (è il d r a m m a della Lucia di L a m e r m o o r nel r a c c o n t o di Walter Scott e n e l l ' o p e r a di Donizetti). P u ò invece accadere che l'ostacolo o il rivale si trasformi in s t r u m e n t o consapevole di u n a felice conclusione della storia. Per restare nel m e l o d r a m m a , in Bianca e Folliero — l ' o p e r a di Rossini composta su libretto di Felice Romani a sua'volta ispirato à u n à tragedia di Arnault, opera vista da Stendhal nella sua p r i m a esecuzione scaligera Capelli©, cui C o n t a r e n o vuol dare in sposa la figlia, si adop e r a invece nel processo' p e r c h é trionfi la giustizia, e con essa l'amore tra i d u e innamorati. Nella d r a m m a t u r g i a del mito, il caso della Pentesìlea di Kleist è forse l'esempio p i ù alto - p e r spietata lucentezza di immagini - di u n a abbreviazione assoluta e folgorante e crudele delle opposizioni amore-odio, amico-nemico, desiderio-distruzione. La guerra d ' a m o r e n o n è più u n a metafora. Il sacrificio p e r d e , violentemente, la sua veste simbolica. La passione dà impeto, e follia, al desiderio. L'am o r e che lega, oltre le leggi della g u e r r a e- oltre le stesse
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leggi delle amazzoni, Pentesilea ed Achille precipita nell'ultima selvaggia scena descritta dalla g o r g o n e Meroe: Achille ha sfidato in c a m p o la regina delle Amazzoni p e r potere volontariamente soccombere a lei ed essere da lei a m a t o (solo il p r o p r i o vinto u n ' a m a z z o n e p u ò a m a r e ) , ma Pentesilea muove verso il suo a m o r e c o n le frecce nell'arco, accompagnata dalla m u t a dei cani e dagli elefanti, portando nel furore del desiderio il furore dell'appropriazione e della distruzione. « Pentesilea, mia sposa, che mi fai? Sarebbe questa la festa delle rose che tu mi promettesti?» , esclama Achille m o r e n d o . H sacrificio del corpo dell'altro cancella insieme col desiderio il n o m e , l'identità, della regina. Il cui corpo lei stessa a n n i e n t e r à con l'acciaio dell'afflizione e del p e n t i m e n t o . 32
Versi d'amore La rappresentazione della passione amorosa nella lingua della poesia n o n ha determinazioni temporali, e p o c h e o ' l i n g u e privilegiate. In certo senso si p o t r e b b e dire c h e sempre la poesia è poesia d'amore. Un assioma, questo, c h e n o n solo p o t r e b b e avvalersi degli esempi più illustri tolti da o g n i letteratura, ma p o t r e b b e fondarsi p r o p r i o sull'analogia o affinità tra Eros e Poiesis, così com'essa nel Simposio è definita da Socrate, anzi dalla d o n n a di Mantinea dalla quale Socrate dice d'aver appreso tutto q u e l c h e egli sa sull'am o r e . Eros e Poiesis sono, ciascuno, specie di u n o stesso movimento che lì c o m p r e n d e e dì cui essi assumono, solò p e r sé, il n o m e : a m o r e e creazione, desiderio e nascita app a r t e n g o n o allo stesso movimento, che da u n a parte sì manifesta c o m e t e n d e n z a verso «le cose b u o n e e la felicità» (Eros) e dall'altra si manifesta come- passaggio «da ciò'che n o n è a ciò che è» (Poiesis). Certo, i precedenti discorsi di s
• H. '.un Kleist, Pentesilea, p. 104.
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Erissimaco e di Agatone s'erano spinti fino a vedere Eros come l'orizzonte e n t r o il quale si dà l'evento della poesia e delle arti; ma Socrate n o n cancella questo 'elogio', lo sposta soltanto lungo la via che p o r t a all'intrattenimento col 'bello in se stesso", cioè col vero. Disloca i n s o m m a sia l'am o r e c h e la creazione verso u n ' i d e a di bello coincidente col vero. Eros, nel mito raccontato nel Simposio, è figlio di Poros, la pienezza, l'abbondanza, e di Penia, la mancanza, la povertà. Eros parla la lingua della m a d r e , cioè la lingua della privazione, del desiderio, dell'attesa. A n c h e la lingua della poesia - 'parlar m a t e r n o ' - è lingua della privazione, del desiderio, della mancanza. A m o r e e poesia h a n n o la stessa lingua. Se il Simposio di Platone è all'origine di u n a meditazione sull'amore in r a p p o r t o al desiderio e alla mancanza, alla lingua del desiderio e della mancanza, il Cantico dei cantici, nella poesia occidentale, è all'origine del r a p p o r t o tra poesia d ' a m o r e e poesia religiosa, tra discorso amoroso e discorso mistico. Infine, p e r continuare queste forzate abbreviazioni che il lettore potrà svolgere ricorrendo a studi più appropriati, la poesia d ' a m o r e , nelle sue numerosissime varianti linguistiche e di cultura e d'epoca, ha spesso sostituito l'oggetto d ' a m o r e con la lingua stessa: nella poesia d ' a m o r e p r e n d e c a m p o l'amore p e r la lingua, p e r le sue forme, per i suoi ritmi, p e r la sua mai raggiunta perfezione (questo m o v i m e n t o n o n è solo della poesia dell'epoca romantica, anzi esso ha la sua prima formulazione, anche dottrinaria, nell'allegoresi dantesca). Queste considerazioni, o premesse, possono restare sullo sfondo, e servire da p a r a g o n e - o da limite - p e r le osservazioni che s e g u o n o e che riguardano in particolare alcuni luoghi p r o p r i dell'area cosiddetta romantica (dell'area i cui convenzionali confini temporali sono stati indicati all'inizio).
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La bellezza e il velo della transitorietà La lingua della poesia è il paese di un p e l e g r i n a g g i o verso la bellezza. Ma" molti poeti n e l manifestarsi della bellezza h a n n o letto l ' o m b r a e il tremito della transitorietà. Nello splendore della perfezione c'è l'annuncio della decadenza, Il p r i m o verso dell'Endpnion di Keats dice «A thing of beauty is a Joy for ever», l'evento della bellezza è u n a gioia p e r sempre: e p p u r e tutta l'opera di Keats è un corteggio incantato, assorto, delle o m b r e che la bellezza - fuggitiva, impalpabile, corrompibile - p o r t a con sé c o m e un suo coro di malinconiche ninfe. La sola bellezza che si sottrae a questa fuga verso l'oblio è quella — m a r m o r e a , immobile, lontanissima - che è custodita nella «silent forni», nella forma silenziosa del bassorilievo di u n ' u r n a greca, e che ha un s u o n o privo di m e lodia e più dolce d'ogni vivente s u o n o . La bellezza che mostra, nella sua intatta perfezione, la distanza felice dalla passione d ' a m o r e : Oh rami, rami felici! Che non potete perdere le foghe, Né mai direte addio a Primavera!
[-.] E più felice amore! Più felice, più felice amore! Per sempre caldo e pronto per la gioia, Sempre ansimante e giovane per sempre; Così lontano d'ogni passione umana Che lascia il cuore tormentato e sazio, La fronte in fiamme e arida la lingua. 33
C'è u n a luce propria della bellezza, p i ù armoniosa della luce naturale. Byron la sa cogliere nello splendore del suo incedere: Ella in beltà incede, come la notte in climi sereni e stellati cieli, e- i pregi della luce e della tenebra J. Keats, Ode a un'urna greca, trad. di F. Buffoni.
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Storia delle passioni
nel suo sguardo si congiungono e nella figura: così addolcita in quella luce tenera dal cielo negata al ridente giorno. 34
Ma l'opera stessa di Byron c o n t a m i n e r à questa grazia: le o m b r e d r a m m a t u r g i c h e di eroi infelici, le fantasmagorie, il grido, lo slancio d e c l i n e r a n n o u n a bellezza insieme ard e n t e e disperata. Alla bellezza appartiene la seduzione, questa lucente messa in scena del corpo-linguaggio, del corpo-desiderio. Ma come la perfezione móstra il suo disfacimento, la seduzione mostra la sua obliqua strategia. Il poeta n o m i n a le rie della seduzione: in questo m o d o cerca di cogliere il segreto che trasforma il c o r p o in segno, lo sguardo in vincolo, la bellezza in dominio. N o m i n a n d o queste vie, egli ripercorre il c a m m i n o c h e l'ha c o n d o t t o nella prigionia d'am o r e . Lo scopo, lo scopo stesso del linguaggio, è liberarsi dal vincolo di questa prigionia. È il percorso che si p u ò ricostruire nell'Aspasia leopardiana: Apparve Novo del, nova terra, e quasi un raggio Divino al pensier mio. Ma da questo' paradisiaco approdo- comincia- il- cammino' che dissipa ogni sacra dipendenza, ogni prigionia, fino alla riconquista, oltre il recinto della passione, di un nuovo sguardo: «Il m a r la terra e il ciel m i r o e sorrido». Testimonianze di u n a corrosione della bellezza, detta sua perfezione. Ma Baudelaire poi p o r t e r à queste testimonianze- versò qu-el .deserto della -contemplazione dove -bellezza e o r r o r e si c o n g i u n g o n o . Nel viaggio verso la bellezza, verso il suo mito, sotto il cielo splendente dell'isola di Citerà, si mostra l'allegoria n o n dell'amore, ma della crudeltà. Il c o r p o di un u o m o straziato penzolante dalla croce a tre bracci dice il dolore -del m o n d o nel c u o r e stesso ;
** G.G. Byron, Melodie ebràickei tradMi-T. Kemeny.
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della terra consacrata all'amore. Sul patibolo è offerta l'imm a g i n e stessa del poeta. L a - r a p p r e s e n t a z i o n e distrugge l'incanto dell'amore: Bell'isola dal mirto verde, colma di esplose gemme, culto perenne presso tutte le genti, dove i molti sospiri delle anime adoranti. ... vagano come incenso su uri giardino di rose, o come-di-colombi incessante tubare. - Citerà era soltanto l'isola inaridita, un deserto di rocce turbato da acri stridi.
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Il cielo- era splendente, il mare in armonia, ma ormai per me tutto- era sanguinoso e mortuario-, ed avevo ahimè come dentro un grosso sudario il mio cuore sepolto in questa allegoria. 35
Un sublime dell'assenza L ' o r d i n e delia temporalità contìnua è 'interrotto: q u e l ' c h e n o n c ' é , o n o n c'è più, T'irreversibile, il veramente finito, è l'oggetto della rimembranza. Ed è anche frantumato l ' o r d i n e di u n a presenza figurabile, prossima, visibile. li sublime n o n è nell'apparizione dell'altro, nella 'risonanza' che egli p u ò lasciare c o m e scia della sua luce, ma è nella sua distanza, nella sua corporea assenza. L'altro è insieme il necessario e l'impossibile. N o n è il risibile, la prossimità, c h e fa sgorgare l ' o n d a della rappresentazione e dell'emozione, s e c o n d o u n a modalità p r o p r i a del religioso creaturale, ma l'irrevocabile separazione, l'assoluta distanza. E tuttavia questo altrove n o n è la sede dell'imperturbata idea, è invece la sorgente del t u r b a m e n t o d ' a m o r e , dell'affanno d ' a m o r e . I segni fisici della passione sono possibili p u r nell'assenza del volto, nell'assenza del n o m e stesso. La ferita del desiderio p u ò essere aperta dalla d o n n a ignota che è accolta da «altra terra n e ' superni giri / Fra m o n d i innumerabili», c o m e accade nel leopardiano canto Alla sua don35
Ch. Baudelaire, Un viaggia a Citerà, da Les fteurs du mal (cito, qui, da una mia traduzione: cfr. la rivista «il gallo silvestre», n. '6-7, 1995).
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no. Il teche fiorisce in questa conoscenza - c o m e il «tu» che nasce dallo sguardo della baudelairìana «passante», dalla sua 'fugitive b e a u t é ' - è p i ù intimo, e p e r così-dire più vissut o , d ' o g n i quotidiana prossimità. Della lontananza La passione d ' a m o r e cerca la p r o p r i a lingua n o n solo in questa metafisica dell'assenza e dell'impossibile, ma a n c h e in una' assidua rappresentazione della lontananza, del teatro interiore che la lontananza col suo assillo dischiude. La l o n t a n a n z a è - c o m e accade nella lirica di; Hòlderlin Wenn aus der Ferri (Se da lontano) - sorgente del ricordo e ritrovamento dell'altro, nella cornice di u n a n a t u r a la cui felicità è insieme assente e presente, radiosa e turbata. La lingua della poesia dà 'vita a ciò che è l o n t a n o , ma insieme vela il lontano con la tristezza del crepuscolo. L'addio n o n è che l'apertura di un pensiero assiduo, di un'intensissima e s p l e n d e n t e attesa. Ipcrione così si rivolge a Diotima lontana: «... n o i siamo inseparabili a n c h e se n o n ritorni più da te a me u n a parola, o u n ' o m b r a dei dolci giorni della nostra giovinezza! G u a r d o fuori il m a r e rosseggiante al tram o n t o , t e n d o le braccia verso i luoghi dove lontana vivi, e ancora u n a volta l'anima mi si accende di tutte le gioie dell ' a m o r e e della giovinezza!» . La lontananza può- essere l'orizzonte in cui la passione si trasmuta e dissipa affidandosi alle o m b r e della memoria, prima che u n a n o t t u r n a interiore vista esplorile profondità di un'ebbrezza p r o p r i a dell'Amore assoluto. Il p r i m o degli Inni atta notte di Movalis racconta questa spirituale odissea. In u n ' a l t r a regione del 'linguaggio,' estranea a ogni mìstica esaltazione, su un registro che conosce i semitoni e il dolceamaro attenuarsi delle passioni, la lontananza p u ò mostrarsi, tra affezione e ironia, c o m e il codice che raccoglie e sfuma il costume r o m a n t i c o , e consegna il sogno d'a36
F. Hòlderlin, Iperione, p. 141.
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m o r e al cliché ài u n a consuetudine e di u n a m o d a . Il ritratto che Puskin delinea dell'adolescente poeta romantico amico di O n e g i n e i n n a m o r a t o di Olga ha l'impietosa tenerezza di un addio, di un addio agli struggimenti, scenici e puri, della passione romantica: Cantava amore, d'amore servo, E la sua canzone era pura Come il pensiero d'una vergine. Un sogno infantile o la luna, Nei puri deserti del cielo Dea di sospiri e del mistero. Cantava gli addii, gli ahimè, Le nebbiose distanze, i non-so-che, E le romantiche rose; Cantava contrade distanti Dove a lungo i suoi vivi pianti In grembo alla quiete depose; Cantava i suoi giorni sfioriti A diciott'anni non finiti. 37
Proprio l'allontanarsi del sogno d ' a m o r e nel t e m p o irreversibile della giovinezza è un altro passaggio del romantico discorso amoroso. La poesia cerca u n a forma per questa lontananza. La cerca secondo i m o d i suoi propri. Per i quali la rimembranza porta nella rappresentazione, insieme con l'immagine, la parola, il ritmo, il n o m e , ins o m m a il p r o b l e m a della forma, l'assillo della forma, o delle forme, con cui dire l'amore. Nello stesso t e m p o il poeta conosce l'Impotenza del linguaggio a dire l'amore e subisce la seduzione che il linguaggio esercita con la sua bellezza. Povertà della lìngua e forza della sua fascinazione. La poesia n o n p u ò veramente dire la passione d ' a m o r e . E p p u r e questa passione è il paese c h e la poesia p i ù freq u e n t a e più conosce. Forse p e r c h é da essa a p p r e n d e il" rischio. O l'ebbrezza. O il limite. A.S. Puskin, Eugeni j Onegin, p. 37.