STORIA DELLA MUSICA 2 Di Carrozzo e Cimagalli [PDF]

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Zitiervorschau

Mario Carrozzo Cristina Cimagalli

STORIA DELLA I}IUSICA OCCIDENTALE

n

ARMANDO EEITORE

Mario Caruozzo - Cristina Cimagalli

STORIA DELLA I}IUSICA OCCIDENTALE

Yolume

II

CARROZZO, Mario Storia della musica occidentale.

Vol.

2

/ di Mario Canozzo

e Cristina Cimagalli

Roma:Armando,c 1998 512 p. ;26 cm.; ill. (Armando scuola) ISBN 88-7144-870-7

I.

l.

Cimagalli. Cristina Storia della musica

cDD 780.9

In copertina: Antonio Masini, una pagina dell'Achille in Sciro (testo del card. Benedetto Pamphilj, metà XVII, Roma, Biblioteca Casanatense, Mss. 2240).

sec.

O

1998 Armando Armando s.r.l. Viale Trastevere, 236 - 00153 Roma Direzione - Ufficio Stampa 0615894525 Direzione editoriale e Redazione 06/5811245 Ammini str azi one - Uffi cio Abboname nti 06/5 806420 Internet: http://www.armando.it E-Mail : armando @ palomar.it

36-01-026

I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i paesi.

i casi in cui non è stato possibile ottenere il permesso di riproduzione, a causa della difficoltà di rintracciare chi potesse darlo, l'Editore dichiara la propria disponibilità a regolarizzare eventuali non volute omissioni o errori di attribuzione. Per

UEditore potrà concedere a pagamento l'autorizzazione a riprodurre una porzione non superiore a un decimo del presente volume. Le richieste di riproduzione vanno inoltrate all'Associazione per i Diritti di Riproduzione delle Opere a Stampa (AIDROS), via delle Erbe2,20l2l Milano, te1.02186463091,fax02189010863.

INprcn

PRnpazroNr,

9

l1

Capitolo 16 - TeoRrcr, uMANrsrr E coMposrroRr vERSo LA MoNoDrA

r5

16.l

T5

Storia di quattro teorici e due 'camerare'

16.2 Approfondimento. I primordi dell'opera in musica: le due Euridice di Jacopo Peri e Giulio Caccini

Capitolo 17 -

MoNTEVERDT E LA 'sECoNDn

pnarrrcC

17.1 Storia dello sviluppo del madrigale con Claudio Monteverdi 17.2 Approfondimento. I1 teatro musicale a Mantova: L Orfto di Striggio/Monteverdi

39 39

5t

Capitolo 18 - LopERA ITALTANA

DEL

SercExro

18.1 Storia dell'opera, dalla corre all'impresa 18.2 Approfondimento. Struttura drammaturgica, forme niusicali e convenzioni teatrali nell'opera veneziana del Seicento: il Giasone di Cicognini/Cavalli

6r 61

73

Capitolo 19 - GrnoLAMo Fnr,scosAlDr 19.1 Storia di una 'seconda prattica nella musica strumentale 19.2 Approfondimento. 'Prima' e 'seconda prattica' nella produzione tastieristica di Frescobaldi: le Cento partite so?ra passacagli,la Toccata X dal primo libro e un l{yrie dai Fiori musicali

Capitolo 20 - Onaroruo

25

E oRAroRrA

20.1 Storia di vari modi di orare in musica 20.2 Approfondimento. Teoria e prassi della retorica musicale nella Controriforma: lo Jephte di Giacomo Carissimi

89 89

97

109 109

t21

135

Capitolo

2l.l

2l

- La caNrarn DA cAMERA

Storia di un nuovo genere musicale per palazzi aristocratici

21.2 Approfondimento. La cantata da camera italiana: In si lontano lido di Alessandro Stradella

r39 r39 t49

Srozua DELLA Mustcn Occlor,NrRlE

Capitolo 22 - Ln soNArA BARoccA

r59

22.1 Storia di nuove soluzioni per la musica strumentale d'assieme 22.2 Approfondimento. La ,ò.rrt, da chiesa nell'età barocca e l'afferma,ià.. del sistema tonale: la Sonata op. III n.2 diArcangelo Corelli

t59

Capitolo 23 - lopERA

189

FRANCESE DEL SEICENTo

t75

23.1 Storia di rituali astrologici, di balletti, di opere e di un valletto da camera dall'al.venire assai Promettente

189

23.2 Approfondimento. Funzione celebrativa e classicismo nella tragédie ly ri q ue, l' Arm ide di Quinault/ Lully

r99

Capitolo 24 - LEuRopA rRA SEI E SETTECENTo

2t1

24.1 Storia degli stili italiano e francese alla conquista dell'Europa 24.2 ApprofoÀdimento. La musica clavicembalistica in Francia: il uingt-cin-

2rt

quième ordre di Franqois CouPerin

22t

Capitolo 25 - L coNCERro BARocco

231

25.1 Storia del concerto, da'grosso' a solistico 25.2 Approfondimento. Forma-ritornello e descrittivismo nel concerto solistico: la Primauera diAntonio Vivaldi

23t 241

253

Capitolo 26 - BrcH

26.l

E HANDEL

Storia di un compositore 'sedentario' e di un compositore'viaggiatore'

26.2 Approfondimento. Le cantate sacre di Johann Sebastian Bach: Ia cantata Wachet auf rufi uns die Stimme

Capitolo 27 -

YopERA sERIA rRA SEI p SErrEcENro

27.1 Storia del upiù bello di tutti gli spettacoli' 27.2 Approfondimento. Lopera seria del Settecento: la Griselda di Zeno' Ruspoli/Scarlatti e l' Orfeo di Calzabigi/Gluck

257 257 275

289 289 305

Indice

Capitolo 28 - INrr,ruar,zzr

32t

E opERA BUFFA

28.1 Storia di vari modi per divertirsi con la musica 28.2 Approfondimento. Gli intermezzi napoletani: La

32r serua padrona

di 333

Federico/Pergolesi

Capitolo 29 - Dello srILE

GATANTE ALLo srILE cLASSICo

29.1 Storia di musicisti squisitamente 'galanti', profondamente 'sensibili'

347 e

347

sovranamente'classici'

29.2 Approfondimento. La forma-sonata tra stile galante e stile classico: la sonata Hob. XW/6 e la 'sinfonia degli Addii' di Franz Joseph Haydn

363

Capitolo 30 - \il/olrceNc

379

AMEDEUS

MozARr

30.1 Storia del ucompositore più universale nella storia della musica occidentale, 30.2 Approfondimento. La sintesi tra i generi del teatro musicale settecentesco: il Don Giouanni di Da Ponte/Mozart Capitolo

3l.l

3l

- Lunwtc vAN BEETHovEN

Storia del ucompositore più ammirato nella storia della musica occidentale,

379

395

41t

4tr

31.2 Approfondimento. Elaborazione motivica e sperimentalismo formale: il Quartetto op. 132 di Ludwig van Beethoven

43t

Glossario

439

Indicazioni bibliografiche essenziali Indice dei nomi Appendice

447

45r 459

PnrrezroNE

Limpostazione del presente secondo volume della Storia della musica occiderutale ricalca quella adottata per il primo volume della stessa opera, proseguendone anche la numerazione dei capitoli.

Ogni capitolo è diviso in due paragrafi, il cui contenuto è chiaramente differenziato fin dal titolo.

Il primo

paragrafo di ogni capitolo è connotato infatti da un titolo che inizia sempre con le parole Storia di, porché cerca di ricostruire, raccontandola in uno stile semplice e colloquiale, la storia di uomini che nel passato producevano e ascoltavano musica. Particolare attenzione è stata dedicata a non isolare la sfera musicale dal suo contesto sociale, politico,

artistico, letterario e così via, poiché tutti questi aspetti si illuminano vicendevolmente, contribuendo ad arricchire la nostra comprensione di epoche ormai scomparse.

Il

di ogni capitolo è invece denominato Approfondimento: suo compito è quello di mostrare le tracce concrete lasciate dall'agire musicale di questi uomini del passato (tracce che non sono solo documenti storici, rrìa oggetto attuale della nostra vita artistica), analizzando di volta in volta alcune partiture relative al periodo in esame, ansecondo paragrafo

che attraverso esempi musicali e semplici schemi grafici. Per agevolare un ascolto guidato, in appendice al volume sono fornite quelle tra le

partiture analizzate che sono di più difficile reperimento nelle librerie o nelle biblioteche musicali, oltre ad un glossario e ad una bibliografra ragionata.

Come nel primo volume, poi, i capitoli sono stati riuniti in gruppi, ciascuno preceduto da una propria Introduzione. Essa ha il compito di suggerire Ia chiave di lettura prescelta, che funge da collegamento sorrinteso tra i vari capitoli. Per

il periodo del primo Barocco (Parte quarta) sono

state evidenziate

non solo le principali novità stilistiche e sociali, ma anche e soprarrutto il nuovo atteggiamento ad esse sotteso: l'esplicita volontà di muouere gli off tti degli ascoltatori.

Srozua DELLA Musrca OccronNtam

La trattazione dei capitoli seguentr (Parte quinta) è prevalentemenre condotta per generi musicali, poiché si è voluto mostrare la vincolanre influenza che i luoghi della musica barocca ebbero sui rispettivi stili.

La Parte

sesta

non può sottrarsi all'esame delle grandi personalità

compositive del periodo che va dal tardo Barocco al Classicismo viennese. Ci si è interrogati, allora, sul senso di questa 'galleria degli antenati' e sulle eventuali trappole concettuali a cui

essa

può condurre.

Non va dimenticato, però, che la funzione di queste Introduzioni non è semplicemente propedeutica alla lettura dei capitoli immediatamente successivi: ognuna di esse trova validità anche in tutto il resto del libro, per cui può essere molto utile ritornare periodicamente alla loro consultazione. Così pure gioverebbe ricordarsi delle Introduzioni del primo volume: argomenti come il passaggio dalla nadizione orale alla tradizione scritta, il problema della forma musicale e il rapporto tra czmmittenza e mercato musicale (rispettivamente Parte prima, secznda e terza) sono pienamente validi anche nell'ambito qui trattato.

tutti gli argomenti presentati gli autori hanno cercato di fornire al lettore f interpretazione musicologica più recente e attendibile: questo Su

procedimento, come vedremo, potrebbe riservarc non poche sorprese.

La Prefazione, le Introduzioni e il primo paragrafo di ogni capitolo sono opera di Cristina Cimagalli. Autore degli Approfondimenti (il secondo paragrafo di ogni capitolo) è Mario Carrozzo. Glossario e Indicazioni bibliograficlte sono o?era di entrambi gli autori.

IV penre

MusrcA PER MUOVERE GLI AFFETfi Il

canto IèJ atto a esprimere ogni sorta d'ffitti Menco oR GeclmNo prefazione alla Dffie (1608)

n solco profondo separa l'epoca rinascimentale da quella barocca. Presso i letterati del Cinquecento viveva ancora - pur se crudelmente smentito dalla realtà dei fatti - il sogno utopico del perfetto 'cortegiano': l'uomo di potere, owiamente di origini nobili, doveva unire alle necessarie conoscenze politiche e militari anche la piìr sottile competenza artistica e letteraria, oltre che

-

al di sopra di tutto

-

l'eserci-

zio delle migliori qualità umane. Scriveva Baldassarre Castiglione: nobiltà è quasi una chiara lampa che [...] accende e sprona alla virtùr'.

ula

In tal modo si creava veramente il modello di un uomo perfetto, in cui I'aristocrazia dei natali si specchiava in una profonda nobiltà dello

Il blasone

gentilizio, dungu€, imponeva a chi se ne fregiava di coltivare la musica anche in prima persona; il canto di madrigali al tavolino, ad esempio (1o si è visto nel par. l4.L), sembrava proprio realizzare quesri utopici ideali nel suo tessuto polifonico, attraverso il garbato dialogo tra voci di uguale importanza. Il Seicento si incaricò di spazzare via queste illusioni, soprattutto dopo la terribile crisi economica degli anni intorno al 1620 e alle devastanti pestilenze che la seguiroto" il potere andava sempre più coagulandosi in regimi assoluti, e la brutalità ad esso inevitabilmente connessa si esprimeva in modo ben più esplicito, senza infingimenti 'cortesi'. Questo muramento ebbe i suoi riflessi anche in campo musicale: nella maggior parte dei casi, la musica retrocesse a semplice bene d'uso, mezzo insostituibile per celebrare i fasti dell'autorità e propagandarne l'ideologia.

spirito.

Ber-oessaRru, CasrtcLIONE,

Il libro del cortegiano,XIY.

I 'Ricordiamo l'epidemia di peste del 1630, causata dalla calata in Italia delle truppe imperiali descritta da Alessandro Manzoni nei Promessi sposi.

e

Srozua DELLA Musrca OccroENTRr-e

Laristocratico cessava così di praticare la musica in proprio, servendosi quasi esclusivamente di musicisti salariati e inaugurando una nerta separazione tra musicisti e pubblico. Parallelamenre a ciò (q,rrl è la causa e quale l'effetto?), anche la musica awertiva nuove esigenze, che stravolgevano completamente la concezione musicale cinquecentesca. La prima di tutte è l'esigenza di un nuovo tipo di tessuto musicale: la monodia con basso continuo. Essa soppiantò quasi completamente il

vecchio stile polifonico, poiché era molto più adatta della polifonia ad esprimere compiutamente il contenuto emozionale (e non soltanto il

significato letterale) del testo poetico a cui era associata. La musica, infatti, voleva porsi al servizio della parola (sarà quesro il significato della 'seconda prattica di Monteverdi che tratteremo nel par. 17.l) per attingere da essa un'inedita intensità espressiva.

In

secondo luogo, l'effetto della musica monodica veniva spesso potenziato dalle risorse di varietà e di splendore sonoro apporrare dal

nuovo stile concertante. Esso consisteva nel 'concertare", nell'unire insieme elementi eterogenei: voci e strumenti, o gruppi di voci, o gruppi di strumenti. Si andava dunque frantumando l'ideale sonoro di unitarietà e compattezza timbrica tipico del funascimento, in favore di una nuova estetica che ricerca.va i contrasti più accesi e più vari. A ciò va aggiunta una terza pressante esigenza dei committenti seicenteschi, che possiamo definire tende nza alla rappresentatività in musica: vale a dire, tendenza ad essere spettatori di vicende teatrali rappresentate in musica sotto i propri occhi. Questo fatto va correlato alla nascita della stessa categoria del 'pubblico', fino ad allora quasi inesistente. Ancora nel Cinquecento, infatti, coloro che fruivano di un'esecuzione musicale non si consideravano un pubblico nel senso moderno del termine, perché la musica era quasi sempre funzionale ad altri scopi e non fine a se stessa: nel caso della musica ufficiale, cerimoniale, essi erano protagonisti della cerimonia stessa, a cui la music a faceva da sfondo come gli stendardi o le guardie d'onore; nel caso della musica liturgica, essi erano fedeli che implicitamente partecipavano a tali preghiere canrate; nel caso della musica per danza o per banchetti, erano coloro che concretamente - danzavano o banchettavano. Solo nel caso della musica da camera (quale, ad esempio, l'esecuzione di frottole o di madrigali) la funzione estetica della musica iniziava ad acquistare un cerro rilievo,

:;;;;;;;; ;; ;;;;,;;;;;;;il;;il;.;;; :i;;;;;,;il;;,;; .* ;; ;;

; ' intendere'mettere d'accordo'.

Introduzione IV Parte

anche se il suo scopo principale era quello di veicolo del testo poetico.

Tirttavia, in questa musica per intrattenimento non vi era separazione fissa di ruoli tra spettatori ed esecutori: chi suonava o cantava poteva deporre lo strumento o la pagina musicale e riposarsi ascoltando gli altri; viceversa, chi eventualmente stava assistendo poteva in qualsiasi momento affiancarsi a coloro che facevano musica (senza contare il fatto che generalmente si produceva musica per il solo diletto dei nobili esecutori stessi, senza alcuna necessità di ascoltatori). Nel Seicento tale intercambiabilità di ruoli scomparve pressoché del tutto: da una parte, gli esecutori assunsero una dimensione decisamente professionale (e a volte - soprattutto nel caso dei grandi cantanti - addirittura divistica); dall'altra, la maggior parte del pubblico depose ogni competenza musicale, non essendogli richiesto altro che un ascolto passivo e plaude.r,.'. Ma non basta. Come abbiamo detto sopra, tale separazione tra spetrarori e musicisti comportò anche il desiderio del pubblico di assistere a vere e propri e azionr teatrali, i cui personaggi creassero una realtà fittizia totalmente avulsa dal mondo concreto. Come vedremo, questa tendenza alla rappresentatività non condusse solo alla nascita e al successo - che dura tuttora - dell'opera in musica, ma influenzò in modo più o meno palese quasi tutti i generi musicali dell'epoca barocca. Q,rrl era, allora, il fine della nuoya musica monodica, concertante e in qualche misura - rappresentativa? Per usare la fraseologia del tempo, 'muovere gli affetti' degli ascoltatori: la quarta e la fondamentale esigenza percepita nell'epoca barocca. Il termine 'affetto' (che d'ora in poi sarà scritto senza virgolette, perché di uso estremamente comune nell'epoca) non va inteso nel ristretto significato moderno: esso significa piuttosto 'stato d'animo', 'sentimento', 'passione' tanto positiva quanto negativa. Ad esempio, il filosofo francese seicentesco René Descartes, detto Cartesio, distingueva sei affetti principali: meraviglia, amore, odio, desiderio, gioia e tristezza. Interpretando gli antichi testi greci sulla teoria dell'ethos, già i trattati cinquecenteschi avevano propugnato una musica che tornasse ad esercitare il suo potere sull'animo umano. Ma fu nell'epoca barocca che questa ricerca divenne consapevole, tanto nei teorici e nei musicisti quanto nel pubblico, esasperandosi anche nella tensione verso gli affetti più estremi, estranei all'equilibrio propugnato dall'uomo rinascimentale. Così, ad esempio, Monteverdi elaborò un espediente ' La situazione per cui

l'esecuzione musicale era affidata quasi esclusivamente a professionisti, mentre l'ascolto si faceva sempre piir passivo e incompetente, si è purtroppo protratta - almeno in Italia - fino ad oggi.

Srozua DELIA Musrce OccroENrer-E

musicale per ricreare l'affetto dell'i ra, a suo awiso

fin allora troppo rra-

scurato. Le cronache dell'epoca, dal canto loro, sovrabbondano nell'esal-

tare l'emozione,

il

turbamento, la commozione fino alle lacrime degli

spettatori.

Spettatori che, dunque, consegnavano ai musicisti un enorme potere. Per tutta la durata dell'esecuzione musicale, questi ultimi, che nei ruoli delle corti occupavano un infimo rango, paragonabile a quello dei cocchieri o degli addetti alle pulizie, divenivano quasi i padroni degli animi

del pubblico, manipolandone a piacimento le emozioni: l'aristocrarico spettatore piangerà, riderà, si adirerà, trepiderà a seconda del volere di questi salariati, che sfruttano il linguaggio musicale come una duttile ed eloquente arte oratoria.

Eppure, sembra proprio che i musicisti dell'epoca, forse anche per la loro sempre maggiore mancanza di cultura, non si siano resi conto delle

potenzialità nascoste in una situazione di tale genere. Al contrario, la cosa non poteva owiamente sfuggire a chi deteneva il potere politico e religioso: tanto le autorità civili quanto quelle ecclesiastiche sfrurrarono consapevolmente le capacità di commozione e di persuasione detenute dalla musica, rendendola veicolo dei propri messaggi propagandistici. E di buon grado i musicisti si assoggettarono a farsi strumento compiacente di questa opera politica.

Capitolo 16

Tnomcr, uMANrsTi E COMPOSITORI VERSO IA MONODIA 16.1 Storia di quattro teorici e due 'camerate'

urante i[ Quattrocento e il Cinquecento, secoli che segnano l'apogeo della polifonia, a lato delle possenti composi-

zioni dei fiamminghi e dei raffinati intrecci madrigalistici si svolgeva - lo si è osservato nel volume precedente - quell'intensa pratica di musica monodica che abbiamo definito 'umanistica'. Nelle principali corti italiane, infatti, i letterati umanisti cantavano o facevano cantare le loro poesie su semplici moduli musicali, in

cui un unico cantante era generalmente accompagnato da un liuto o da una viola da gamba: owero, su quegli 'aeri per cantar ottave', sonetti, capitoli e via dicendo, di cui si è già parlato. In tali esecuzioni, come ci suggerisce la metafora di Vincenzo Calmeta citata nel par. 11.1, [a musica era sPesso'ministra' della parola: era il testo poetico ad esser Posto in primo piano, e la musica si limitaya a servirlo con uno stile di canto molto simile alla recitazione stessa. Varie testimonianze ci dimostrano che questo stile vocale monodico, quasi ibrido tra recitato e cantato, era molto diffuso in tutta la penisola. Ad esempio, in una lettera scritta da Angelo Poliziano a Pico della Mirandola intorno al 1490, è narrato che, durante un convito, il figlio adolescente del padrone di casa ueseguì poi un canto eroico che egli stesso aveva appena composto in lode del nostro Piero de' Medici i...]. Fu la voce non del tutto di uno che leggesse e non del tutto di uno che cantasse, ma avresti potuto sentirvi l'uno e I'altro e pure non distinguere l'uno dall'altror'.

Mo,odio' urrrronistico'

Fig.

5.

1 -Allegoria della

Afentkc he

ful

B t b lioth e k).

I^a musica è qui

raffguratt

penontgto femminib

stib ' Ci,r,o in NrNo PrRRorrA, Li due Orfei. Da Poliziano a Monteuerdi,Torino, Einaudi, 1975' , p.36.

1

musica in un'incisione tefusca 1 644 (Basel Uniuenitiit,

come un

che cantut

in

monodico, arcompagwndnsi da

solz su un

liun di grandi dimensioni.

Srorue

DELLA

Musrca Occror,NrRr-r,

Circa settant'anni più tardi, nel 1558, fu rappresentata a Napoli una commedia (l'Alessandro, del senese Alessandro Piccolomini) con i suoi immancabili intermedi; in uno di essi, una cantante che impersonava Cleopatra eseguì alcune stanze poetiche di Luigi Thnsillo «con un modo, mezzo tra cantare e )

recltare»

.

Nel XVI secolo la monodia espugnava spesso anche il campo della musica polifonica: non solo la frottola, come è stato spiegato nel par. 11.2, ma anche il madrigale veniva ese-

Teoùci

mr-rsicoli

cinquecenleschi

guito monodicamente cantando solo la parte superiore e affidando quelle inferiori ad uno o più strumenti. Contemporaneamente a ciò che accadeva nella musica pratica, anche la riflessione teorica iniziò a prendere atto della crescente predilezione per la monodia.

Lo

svizzero Heinricus Glareanus (1488-1563), teorico musica-

le e musicista nonché letterato e geografo, nel suo trattaro dal titolo Dodecachordon (L547) avanzò l'idea che fosse più appropriato considerare veri musicisti coloro che inventavano melo-

die monodiche piuttosto che i compositori polifonici: quesri ultimi, infatti, elaboravano le loro musiche attorno ad un cAntus firmu.i preesistente, e non erano dunque dotati - secondo Glareanus

- del dono delta libera invenzionet.

Pochi anni dopo, nel 1555, uscì un altro trattato, lantica musica ridotta alla moderna prattica, di un allievo di \Tillaert, NicolaVicentino (1511-1576 ca.). Come si è già detto nel par. 74.2, con questo libro cominciò ad essere discusso finalmente anche in campo musicale un tema assai dibattuto nella letteratura e nelle arti figurative: l'imitazione dell'antica Grecia. Scopo di Vicentino era cercare di ricondurre ad una 'moderna prattica quell"antica musica' di cui si narravano gli effetti portentosi su uomini e natura. Benché all'epoca si ritenesse comunemente (al contrario di oggi) che i greci si fossero serviti esclusivamente di ' Sronrc di Luigi Tansillo clmplste per gli intermedi della

cometlia 1.../ Napoli, Mattia Cancer, 1558, cit. in PIRRorlR, Li due Orfei, cit., p.220. La commedia fu allestita nel tea. tro interno al palazzo della marchesa del Vasto. 'Nel trattato di Glareanus vi sono altre due novità importanti: gli otto modi su cui era costruita la musica medievale vengono ampliati a dodici (da cui il nome del suo stesso llbro, Dodecachordon), accogliendo tra gli altri i modi ionico ed eolio che, già da lungo

tempo presenti nella pratica, resteranno ben presto gli unici in vigore (divcnrando i moderni modo maggiore e modo minore). L'altra novità è il definitivo tramonto del sistema degli esacordi, sostituito da una concezione - molto simile a quella moderna basata sulla scala di sette note.

16. Tèorici, umanisti e compositori uerso la monodia

musica monodica, Vicentino tuttavia non volle

rinunciare alla polifonia, propugnando piuttosto una sua semplificazione a favore della comprensibilità del testo. Si dovevano adoperare al massimo quattro voci e non

di più, seguendo

scrupolosamente la pronuncia e I'accentuazione delle parole. Per poter rendere con maggiore

flessibilità le più minute inflessioni del linguag-

gio, questo teorico tentò anche di reintrodurre nella concreta pratica musicale tutti e tre i 'generi' musicali greci: quello diatonico, quello cromatico e quello enarmonico. La rivitalizzazione dell'enarmonia, però, non awenne, nonostante l'apposita creazione

tastiera

in grado di

di strumenri a

esegu irlan; anzi, mentre

Vcentino si rrovava nel 1551 a Roma, al seguito del cardinale Ippolito II d'Estet, l. ,u. idee scatenarono una veemente disputa con il portoghese Vicente Lusitano, che fu riconosciuto vincitore da una giuria composta di cantori papali. Un altra aspra polemica divise il mondo musicale della seconda metà del Cinquecento, contrapponendo un altro allievo di \ù/illaert, Gioseffo Zarlino (1517-1590;1o abbiamo già veduto occupare a sua volta la carica di maestro di cappella a San Marco in Venezia) ad un suo stesso allievo, Vincenzo Galilei. Costui volle vedere nel suo maestro Zarlino un accrnito sostenitore della polifonia, sordo alle esigenze monodiche della sua epoca. Anche qui, come nel Thecento, vediamo nascere quasi uno schieramento di 'progressisti' contrapposto ad uno di 'conservatori'. Ma anche in questo caso, come allora, possiamo constatare come nelle arti la situazione sia assai più articolata e non abbia molto senso parlare di 'progresso': gli stessi sostenitori del nuovo, come Galilei, esaltavano un'epoca ormai scomparsa (quella dell'antica Grecia) quale culmine

di ogni perfezione. Zarlino il tonservatore', enunciò invece nel suo trattato Le istitutioni harmoniche(l558) che ogni epoca fa un passo avanti rispetto alle precedenti: un progresso, tuttavia, puramente ' Si trrtt, t

dell'archicembalo e dell'arciorgano: cfr. par. 14.2 nota 5. cardinale, che alternava soggiorni a" Ferrara e a Ro-r, è il medesimo personaggio . presso cui dal 1564 lavoro saltuariamente il Palestrina. " Zarlino scrisse anche altri due ffattati, scaturiti proprio dalle polemiche intercorse con Galilei: le Dimostrationi harmoniche (1571) e i Sopplimenti musicali (1588).

Il

Fig. 16.2 - Anonimo, Ritratto

di Gioseffo Zarlino (Bologna, Ciuico Museo Bib liografco Musicale).

SroRre DELLA Musrce OccroENrRr-E

tecnico (e tale Zarlino considerava la stessa polifonia), che non garantisce di per sé una musica migliore e più espressiva. Anzi, egli

la semplice monodia dei greci aveva maggiore effetto sull'animo umano della polifonia più elaborata'; riteneva però che una causa non ffascurabile di ciò fosse da ricercare nello scarso valore della poesia messa in musica nella stesso ammetteva che, probabilmente,

sua epoca rispetto ai grandi capolavori della letteratura greca.

Infatti,

i testi fossero stati di alto valore artistico, anche i moderni musicisti avrebbero potuto raggiungere - a suo awiso - le corde più dove

profonde dell'animo dei loro ascoltatori; come esempio di ciò, fat-

Fig. 16.j - Vicenzo Galilei, Dialogo della musica antica et della moderna, frontespizio (Firenze, Marescotti, I 5B I ).

tosi inaspettatamente paladino della monodia, Zarhno citava i poemi cavallereschi di Ludovico Ariosto, cantari su quegli uaeri per ottave» di cui si è parlato nel cap. 1 1. Tirttavia, Zarlino non auspicava minimamente, come faranno Galilei e altri, una subordinazione della musica alla parola: egli rivendicava ad ambedue una piena autonomia, che le faceva soggette solo alle proprie leggi razionali'. A suo parere, la musica non doveva imitare il linguaggio parlato (egli condannava, quindi, anche il cromatismo e l'enarmonia di Vicentino), *, doveva unirsi ad esso mantenendo la propria indipendenzae libertà..

Di tutt'altro awiso era Vincenzo Galilei (dopo 11 1520l59l). Questi, soprattutto nel suo Dialngo delk musica dnticd et dalln modrrna (1581), partì da una contrapposi-

il medioevo, epoca di barbarie, che non a caso - secondo lui - aveva sviluppato la polifonia; dall'altra l'antica Grecia, modello di ogni civiltà, perfettamente espressa dalla sua musica monodica. E di tale musica pubblicò, pur senza riuscire a trascriverlo in notazione moderna, il primo 'reperro zione nettissima: da una parte poneva

archeologico': i tre inni attribuiti al musicista Mesom.d.'. Zarhno fu però uno dei pochi teorici, fino ai nostri giorni, a porre in dubbio che la musica greca fosse unicamente monodica: a che pro, egli sosteneva, adoperare uno strumento intrinsecamente polifonico come l'organo idraulico, se non se ne sfruttavano in alcun modo le possibilità? (L'antico hydraulis - Ia cui esistenza è testimoniata da reperti archeologici, fonti iconografiche e descrizioni di autori come Vitruvio - era un organo che sfruttava l'acqua per spingere con pressione uniforme l'aria nelle canne. La sua invenzione risalirebbe all'epoca ellenistica, essendo tradizionalmente attribuita a

' "

Ctesibio di Alessandria, un ingegnere del

III

secolo a.C.).

Egli studio molto i fondameÀtirazionali e naturali della musica, ponendo come

base

per le sue teorie armoniche le leggi acustiche del suono.

Mesomede, in realtà, non era affatto greco: era un musicista cretese vissuto a Roma all'inizio del II secolo d.C. Egli fu uno dei favoriti dell'imperatore Adriano e servì anche il suo successore, Antonino Pio.

16. Tèorici, umanisti e compositori uerso la monodia

I vantaggi della monodia, secondo Galilei, erano molteplici: essa è una forma di espressione più naturale, lascia comprendere appieno le parole, stimola un ascolto di tipo emorivo e non una percezione intellettualistica. Per di pir), poiché ogni melodia era secondo

i greci -

apportatrice

di un particolare

ethos, astenendo-

si dal sovrapporre polifonicamente più linee si evitava

il

cozzare di

etlte contrastanti. Dunque, la monodia piir perfetta era quella che

piìi si awicinava ad una declamazione narurale, simile a quella degli attori della commedia dell'arte; bisognava rinunciare, allora, ai madrigalismi (considerati inutili ingenuità), alle ripetizioni di parole per soli

fini musicali,

ritmi di

irrigidivano la scansione ritmica delle villanelle e di altre forme simili. Le opinioni di Galilei erano largamente condivise dal gruppo di giovani intellettuali che egli frequenrava, i quali si riunivano a Firenze in casa del conte Giovanni de' Bardi (1534-1612). Coloro che s'incontravano in casa Bardi costituivano un gruppo informale, definito dai contemporanei 'camerard più che 'accademid, perché non era dotato di regole e statuti: si discuteva liberamente di poesia, di astrologia, di scienze, di sport e anche di musica. Questa camerata de' Bardi ebbe il suo massimo rigoglio negli anni '70 e '80 del Cinquecento; rra i suoi partecipanti si annoverano, olrre a e anche ai

danza che

Bardi e Galilei, anche il cantanre e compositore Giulio Caccini (1545-1618 ca.), lo scienziato Pietro Strozzi, i giovani poeti Ottavio Rinuccini (1562-1621) e Giovanni Battista Strozzi nonché, meno assiduamente,

Gabriello Chiabrera.

i più celebri Giovan Battista Guarini e

Il noto umanista Girolamo Mei influ

enzaya

il gruppo con le sue ricerche erudite, renendosi in conratro epistolare sopraftutto con Vinc enzo Galilei"'.

Il conte Bardi, essendo egli stesso un valente musicista (cfr. par. 15.2), ayeva stimolato da gran rempo le ricerche di Galilei: oltre ad aver frnanziato nei primi anni '60 i suoi studi a Venezia con Zarlino, lo incoraggiò a realizzare in pratica le sue reorie, componendo in stile monodico. Galilei mise così in musica per voce e accompagnamento di viole il lamento del conre Ugolino "' È ,t...rrrrio specificare, però, che il dibattito culturale e musicale per cui è universalmente nota la cosiddetta camerata de' Bardi non era una prerogativa esclusiva di questo cenacolo intellettuale (né di quello di casa Corsi, di cui si dirà tra poco). Nilla Firenze dell'epoca, infatti, erano attivi altri circoli culturali, frequentati spesso dai medesimi letterati e musicofili; tra di essi, vanno segnalati l'Accademia degli Alrerati e l'Accademia della Crusca. Le idee che vengono comunemente attribuite alla camerara de' Bardi hanno quindi un'origine molto più ampia e sfaccettata.

Srozun DELLA Mustcn Occlop,Nrar-E

dall'Inferno di Dante (ricordiamo che Bardi era un fervente dantista), nonché alcuni testi liturgici della Settimana santa (le Lamentazioni e i Responsorii tutte queste partiture sono oggi perdute). Anche Caccini, dal canto suo, compose alcuni madrigali monodici per voce e basso continuo, che verranno successivamente inclusi nel suo volume Le nuoue musiche del 1602 (v. par. seguente e par. 21.1).

Ma la produzione piir importante che scaturì da questo fermento culturale consistette nei già citati intermedi fiorentini del 1589 per le nozze di Ferdinando de' Medici e Cristina di Lorena; essi giunsero però in un momento in cui la fortuna di Bardi presso la corte medicea andava declinando. Così, le riunioni della camerata divennero sempre meno prestigiose, interrompendosi del tutto nel 7592, quando Bardi si trasferì a Roma. Lo c,o,rre,noia di Co,^si

Leredità di tali discussioni fu pienamente raccolta e sviluppata da un'altra came rata, che si riuniva - soprattutto negli anni '90 - nel palazzo di un altro gentiluomo fiorentino, Jacopo Corsi (1561-1602). Lesponente di punta di questo secondo gruppo era Jacopo Peri (156L-1633), rivale di Caccini così come il suo protettore, Jacopo Corsi, lo era di Giovanni de' Bardi. Le due camerate erano dunque reciprocamente esclusive, anche se personaggi come Galilei e Rinuccini parteciparono successivamente a tutte . d*a". La camerata di Corsi, più che animare dispute teoriche, si awiò subito alla realizzazione di eventi musicali concreti, basati sulle conclusioni che le ricerche in casa Bardi ritenevano di aver raggiunto: che cioè nell'antica Grecia le tragedie fossero interamente cantate (questa era 1'opinione di Mei, Galilei e Rinuccini'') . che per riprodurre i medesimi effetti della musiLa seconda edizione del Fronimo di Galilei, del 1584, è difatti dedicata proprio

a

Jacopo Corsi.

Oggi sappiamo, invece, che le cose non stavano così (cfr. par. 1.2). Anche alla fine del Cinquecenro, tuttavia, le opinioni in proposito erano discordi: c'era anche chi rireneva che nella tragedia antica fossero cantati solo i cori o, addirittura, che essa non fosse canrata affatto. Comunque, Ie discussioni sulla drammaturgia greca ebbero l'effetto di stimolare la produzione di spettacoli teatrali interamente cantati, di cui si parlerà rra poco. Spettacoli che però rientravano più nel genere della favola pastorale o della pastorale drammatica che in quello della tragedia. Il primo esplicito tentativo di far rinascere l'antica tragedia verrà effettuato solo nel 1608, conl'Arianna di

RinuccinimusicatadaMonteverdi(cfr. par. 17.1 efig. 17.3);nonacaso,nelfrontespizio della partitura a stampa dell'Arianna compare, a caratteri cubitali, la parola «tragedia».

16. Teorici, umanisti e compositori uerso la monodia

ca greca si dovesse coniare un tipo di emissione vocale come via di mezzo tra canto e recitazione, che venne perciò detto 'recitar cantando"t. Il canto - rigorosamente monodico e accompagnato da semplici armonie realizzate dagli strumenti - doveva rispecchiare pienamente le inflessioni della recitazione, evitan-

do salti melodici e grandi estensioni, per oscillare invece tra le pochissime note contigue impiegate dal linguaggio parlato. II ritmo, libero e flessibile, doveva anch'esso riprodurre quello di una declamazione naturale, senza lasciarsi vincolare dalla rigida scansione del tactus che regolava le esecuzioni di musica polifonica. Lassoluta predilezione del mondo fiorentino dell'epoca Per la monodia e la complementare ar.versione per la polifonia vanno probabilmente collegate anche con un fattore di tipo sociologico: in tale ambiente la discussione

teorica venne quasi esclusivamente monopohzzata dai nobili dilettanti a sca-

pito dei musicisti professionisti. Fu naturale, per i dilettanti, respingere il contrappunto come un'arida prassi scolastica estranea alla loro formazione

e

privilegiare invece uno strettissimo rapporto della musica con quello che era

uno dei loro rerreni artistici favoriti: la poesia lirica e quella drammatica. Per realizzare questo essi si rivolsero ad una prassi mai abbandonata: la monodia'umanistica di cui si è parlato all'inizio di questo capitolo. tar cantando affonda proprio in

essa

Il

reci-

le sue radici, sia pur con una consape-

volezza stilistica ben diversa dal passato e con una programmatica subordi-

nazione alle esigenze espressive del testo.

Così, frnanziata da Corsi, fu creata quella che forse costituì la prima opera in musica: la Dofnq pastorale drammatica su testo di Ottavio Rinuccini e musica di Jacopo Peri e di Jacopo Corsi stesso, composta nell'inverno 1594-95 e rapPresentata pubblicamente per la prima volta nel palazzo Corsi durante il '' qr.rro

rermine è in realtà usato più dagli studiosi moderni che dai teorici e dai musicisti dell'epoca. Esso viene qui adottato per ragioni di comodità espositiva, racchiudendo in esso tutti gli stili di canro - sia pure assai sfaccettati, come si vedrà nel prossimo paragrafo - dei cosiddetti 'fiorentini', che fiorentini però non eralìo affatto: ossia dei compositori Peri, Caccini e Cavalieri, tutti in realtà di nascita romana. I-a paternità del termine 'recitar cantando' sembra risalire a Emilio de' Cavalieri (già citato nel par. 15.2) e alla pubblicazione a stampa della sua Rappresentatione di Anima et di Corpo di cui si dirà tra poco. Il suo programmatico collegamento con l'antichità classica risulra dalla dedicatoria di tale volume, indirizzata al cardinale Pietro Aldobrandini (su costui v. par. 19.1): Ia Rappresentationeè composta uà somiglianza di quello stile, co'l quale si dice, che gli antichi Greci, e Romatri nelle scene, e teatri loro soleano à diversi affetti muovere gli spettatorir.

Le

1:rnirne

opere in mursica

Sronn

DELLA

Musrca Occloexrem

carnevale 1598. Purtroppo la musica della Drf", è andata perduta (solo alcuni frammenti contenuti in vari manoscritti possono essere ricondotti ipoteticamente ad essa): non si può dunque avanzare alcuna conclusione sul suo reale stile musicale.

Ugualmente perduti sono altri tentativi di piccole pastorali monodiche, tutte messe in musica da Emilio de' Cavalieri (1550 ca.-1602): La disperazione di Fileno e Il satiro, rappresentate nel carnevale 1591, su testi della nobildonna Laura Guidiccioni; nonché Il giuoco della cieca, adattamento del Pastor fido di Guarini ad opera della stessa Guidiccioni, eseguito a Palazzo Pitti nel 1 595. Emilio de' Cavalieri compose, come si è accennato, anche il primo esempio totalmente soprayvissuto di dramma monodico per recitar cantando: la Rappresentatione di Animd, et di Fig. 16.4 - Emilio de' Cau a li eri,

Rappresentatione

di Anima, et di Corpo, /iontespizio de lla partitura (Roma,

Mutij,

1600).

ffi

P p nE S'È NTA:Tid' DI .ANIMA, ET]DJ .CORPO

Notdre, al centro, il blasone del cardinale Aldo brandini a cui la partitura è dedicata.

#'

*UU'*ruU*ru'u*tUffi

.i :,, ,, ,l 1'N,, 'Rl, '§A'À.,.1 ,': O*p, U .m lwuflr,À;nod.t lo,u,ti*' M'nc

16. Tèorici, umanisti e compositori uerso la monodia

Corpo, allestita a Roma, presso l'Oratorio della Chiesa Nuova,

nel febbraio dell'anno 1600. Essa non è propriamente

un'ope-

ra, perché tratta un argomento sacro (una disputa tra Anima, Corpo e altri personaggi simbolici,, che si conclude con l'immancabile vittoria dei valori spirituali su quelli terreni); ma è la

prima composizione drammatica, con scene e costumi, interaoggi'.. mente cantata, che sia soprawissuta fino "d In occasione dei festeggiamenti in onore del matrimonio per procura di Maria de' Medici con il re di Francia e di Navarra Enrico IV fu invece rappresentata a Firenze - 11 6 ottobre dello stesso anno 1600 - quella che oggi si considera la prima, vera opera in musica, perché è la piir antica composizione di tale genere che ci sia rimasta: l'Euridice di Jacopo Peri (e Giulio Caccini) su testo di Ottavio Rinuccini. Dopo un lungo lavorio nelle profondità del Cinquecento, le nuove esigenze dell'incipiente epoca barocca (monodia con basso continuo, stile concertante, tendenza alla rappresentati-

vità, volontà di muovere gli affetti) crearono così proprio allo schiudersi del nuovo secolo un genere musicale che non conobbe più tramonto: l'opera in musica. Ma sulle polemiche che ne accompagnarono la genesi («nata sotto il segno della discordiar, definì l'opera l'autorevole musicologo Nino Pirrotta) si soffermerà il paragrafo successivo. Fig 16.5

-Jacques Fornazeris,

l,e Mariage du Roy traicté 160A, incisione. Si tratta di una

ralf gura zi o n e P u ra m ( n te simbolica delle nozze tra Enrito

IV di Franch e Maria de' Meclici: il sourano f'ilnrcs( non

f

siunrcnte presente alla cerimonia, mA eftt rdppresentdto da un suo pr"ocurdtore. Anche il personttgio centrale n\n sembra rdppresentare il cardinale erd

Aldobrandini, che celebrò le nozze, quanto pittttosto lo zio

di costui, papa Clentente VIII: è infatti più rtnziano del uentinouenne cardinaie e indossa la tiara papale anziché la berretta ur rdinalizi a.

fu anche la prirna composizione di tale tipo ad essere pubblicata, essenclo uscita a srampa neli'autunno del t6r-i0 (la dedica del curatore, Alessandro Guidotti, è datata 3 sertembre 1600). Essa

16. Teorici, umanisti e compositori uerso la monodia

AppnoFoNDrMENTo 1,6.2I primordi dell'op era in musica: le due Euridice dtJacopo Peri e Giulio Caccini

L'Euridice soffo il segno della discordia Più unico che roro è il coso dell'opero in musico: per nessun oltro genere è possibile specificore con tonto precisione l'epoco dello noscito, benché, s'è giò occennoto, permongo tuttoro l'incertezzo sullo composizione o cui ossegnore lo

polmo dello 'primo opero'. Ben più incertq rimone lo poternitò, se non del genere in sé, quonto meno dello stile di conto che vi è originoriomente ossocioto. Tutto ebbe inizio, come s'è detto nel porogrofo precedente, in occosione delle nozze di Morio de' Medici con Enrico lV re di Froncio e di Novorro. ll c/ou dei festeggiomenti fu lo roppresentozione del Ropimento di Cefolo su testo di Gobriello Chiobrero e musico di Giulio Coccini e oltri; lo spettocolo fu offerto dol gronduco Ferdinondo I e roppresentoto nello solo gronde delle commedie nel polozzo degli tJt{lizi (lo stesso degli intermedi del 1589) il 9 ottobre del 1600. Per quonto grondioso (durò cinque ore) e sforzoso (costoto 60.000 scudi, vi collobororono più di mille persone), questo fovolo postorole interomente musicoto fu ben presto dimenticoto . Tre giorni primo, sempre nel quodro dei medesimi festeggiomenti, ero stoto roppresentoto uno spettocolo ossoi più breve e sobrio, omoggio ogli sposi del covolier Jocopo Corsi: si trottovo dell'Euridice, oggi consideroto lo vero primizio dell'opero in musico. ll testo di Ottovio Rinuccini ero stoto musicoto per lo moggior porte do Jocopo Peri, che ovevo impersonoto onche lo porte del protogonisto moschile, Orfeo. Giulio Coccini, contore onch'egli, nonché stimotissimo inse

gnonte

di conto, ovevo composto lo musico per i ruoli offidoti oi suoi ollievi.

Visto il gronde successo riscosso do questo spettocolo e probobilmente ingelosito

I Dello

musico rimone soltonto

Mqrescotti, 1602.

il coro fìnole, incluso nelle Nuove

musiche

di Giulio Coccini detto

Romono, Firenze,

Sronm

DELLA

Musrca OccrosNrale

dol prestigio che ne venivo ol rivole Peri, nel giro di poche settimone dollo fine dei festeggiomenti nuzioli Coccini si offrettò o comporre e o dore olle stompe un'oltro versione musicole, tutto suo stovolto, del medesimo testo'. Frrono drnque musicote interomente due Euridice nel giro di poche settimone: l'uno (per lo moggior porte di Peri) fu roppresentoto, l'oltro (di Coccini) no. Nello prefozione ollo suo Euridice, dopo lo dedico o Giovonni Bordi e senzo for porolo di Rinuccini né tonto meno di Peri o delle nozze medicee, Coccini si vonto di essere il primo o odore ollo stompo simile sorte di conti» composti in «stile roppresentotivo», primoto per cui si riconosce in debito con le dispute dello comeroto di coso Bordi o proposito del ruolo dello musico nell'on-

tico teotro trogico greco. Uguolmente in «stile roppresentotivo» erono onche olcune musiche do lui composte, offermovo, più di quindici onni primo (dunque, Porrebbe, ben primo di Peri), musiche che noi oggi quolificheremmo come 'do comero' più che 'teotroli', visto che sul tentotivo di esprimere musicolmente uno situozione scenico prevole in esse il desiderio di introttenere il pubblico, onche ottroverso l'esibizione dei mezzi vocoli dell'interprete. Proprio grozie o questo prefozione e od oltri scritti consimili di Coccini' si ondò consolidondo nei posteri l'immogine dello comeroto de' Bordi come cullo dello 'stile roppresentotivo' e dunque del teotro d'opero. ln reoltò, come si è visto nel porogrofo precedente, né Bordi né Vincenzo Golilei si erono spinti ol di lò di quolche isoloto esperimento nel tentotivo di for rivivere nello protico l'ontico musico greco; e soprottutto non sembrono essersi posti il problemo di dore funzionolitò più propriomente teotrole, scenico e non semplicemente decorotivo, ollo componente musicole degli spettocoli ollestiti ollo corte mediceo. Noturolmente lo risposto, di Peri non si fece ottendere: il frontespizio delle sue Musiche... sopro l'Euridiceo reco in bello mostro i nomi dello dedicotorio Morio de' Medici (oro «Regino di Froncio e di Novorro») e di Ottovio Rinuccini, outore

del testo. Nell'indirizzo oi lettori, tro i precursori di «questo nuovo moniero di conto» che egli, Peri, dichioro di over ritrovoto, è citoto Emilio de' Covolieri, con evidente riferimento oll'uso dello musico nelle sue postoroli monodiche e nello Roppresenlotione di Animo, et di Copo. Nondimeno, Peri qffermo chioromente di over giò usoto questo moniero di contore «in oltro guiso» in un lovoro precedente oll'Euridice,lo Dofne su testo di Rinuccini. Come se non bostosse, di lì o poco onche gli stessi Covolieri e Rinuccini si vontorono cioscuno di essere stoto «l'inventore di questo nuovo modo di roppresentore in musicor'.

23

o

'

L'Euridice posto

in

musico

in

slile roppresentotivo do Giulio Coccini detto Romono, Firenze, Morescoiti, 1600.

Tro gli oltri, lo prefozione olle Nuove Musiche

e

nuovo moniera

di

scriverle,Firenze,l614.

Fi"nre,Morescotii, 1601;l'EuridicediPerifu nuovomente stompoto o Venezio nel 1608 do Alessondo Roverii. Lo ftose è hotto do uno lettero di Emilio de' Covolieri ol segretorio del gronduco Ferdinondo I de' Medici, do cui opprende onche dello rivendicozione di poternitò di Rinuccini.

si

16. Teorici, umanisti e compositori uerso la monodia

di poternitò è dunque ossoi intricoto; per rintrocciorne il bondolo occorre distinguere tro lo noscito del nuovo stile di conto monodico - nello quole Coccini ebbe verosimilmente uno porte di rilievo sullo scorcio del secolo XVI - e lo noscito di uno stile di conto odotto ollo sceno. Lo motosso delle rivendicozioni

Owero, tro uso del conto o solo in formo lirico o in formo drommotico. ln questo senso, lo visione più consopevole dello vicendo sembro essere quello che trospore doll'indirizzo oi lettori di Peri: questi, mentre riconosce o Covolieri il merito di overe per primo «fotto udire lo musico sulle scene», e quindi di over'inventoto'

un nuovo genere (roppresentozioni teotroli interomente contote), si orrogo il merito di over usoto per primo questo moniero di contore «in oltro guiso)), e quindi di over creoto un nuovo sti/e di conto (non più comeristico come quello di Coccini mo, ormoi, drommotico, teotrole). A quonto ne soppiomo, infotti, nello Ropprese ntotione e nei drommi di orgomento postorole su testi di Louro Guidiccioni, oggi perduti, che Covolieri ovevo musicoto nello primo metò degli onni '90u, uno buono porte dell'efficocio drommotico dovevo essere offidoto o fottori visivi, scenici, come lq mimico e i movimenti coreogrofici, nello scio degli intermedi oulici. Viceverso, nell'Euridice di Peri lo reso delle situozioni e delle possioni ci pore offidoto moggiormente ol potere dello musico.

Il 'recitar

cafrtando' nell'Eurìdice di Peri

Nello versione di Rinuccini, questo mitico vicendo è orticoloto in cinque episodi. Ad un pro/ogo (un 'o solo' di sette strofe) seguono i festeggiomenti per le nozze di Euridice che fo il suo ingresso in sceno (l). Dopo l'ingresso dello sposo, Orfeo, è onnuncioto do Dofne lo morte di Euridice, morso do un ospide. Segue un lomento (ll). Alcuni testimoni descrivono

i lomenti

di

Orfeo. Arcetro, offiico degli sposi, riferisce che lo deo Venere ho consoloto Orfeo suggerendogli di scendere nell'Ade per ten-

tore di stroppore Euridice ollo morte; il coro ringrozio per l'oiufo u

Cfr. por. precedente.

Fig. 16.6 - Stampa rffigurante Jacopo Peri.

Srozua DELLA Musrce Occrop,Nralg

celeste concesso o Orfeo (lll). Un combiomento di sceno trosferisce l'ozione negli inferi, dove il protogonisto, con l'oiuto del suo conto e di olcune divinitò, persuode Plutone o loscior ondore Euridice; gli spiriti infernoli in coro celebro-

no il coroggio umono (lV). Tornoto lo sceno oll'orio operto, un messoggero onnuncio il ritorno di Orfeo ed Euridice. Un conto gioioso di Orfeo, donze e cori chiudono l'opero (V)'. Nello dedico o Bordi dell'Euridice di Coccini e nell'indirizzo oi lettori di quello di Peri si fo un chioro riferimento o un medesimo principio estetico: Coccini giudico di essersi «oppressoto ollo noturol fovellor; Peri offermo di over inteso «imitor col conto chi porlo». ll riferimento ol porlore comune in entrombi gli outori si combino con quello ogli illustri precedenti clossici, greci o lotini. I due compositori sono dunque consopevoli di over doto finolmente uno sbocco protico sullo sceno o un dibottito teorico-estetico operto do decenni: il tentotivo di modellore lo musico sull'intonozione del discorso porloto si sPoso con il desiderio di mostrore l'efficocio dello musico in un genere di intensitò drommotico porogonobile o quello dell'ontico trogedio, modello dichioroto del teotro clossicheggionte e dello postorole drommotico rinoscimentoli. E, d'oltro porte, Peri e Coccini tentovono di dore pieno dignitò d'orte ollo protico di conto o solo (trodizionolmente legoto oll'improwisozione e o generi minori) che obbiomo visto essere stoto I'espressione musicole prediletto sin dol periodo umonistico e dello quole erono entrombi compioni. Stondo olle dichiorozioni dei due compositori, l'obiettivo è dunque quello di riprodurre in musico le inflessioni dello linguo porloto - e non sottolineore le orticolozioni tro i versi o lo prosodio del testo, come nel repertorio frottolistico, né di trodurre in suoni il contenuto semontico delle porole, come nel modrigole. Lo possiomo verificore ogevolmente nelle due Euridice, per gron porte delle quoli il conto si otteggio ol cosiddetto recitor conlondo. Di uno tole stoffo sono intessuti i diologhi o i monologhi norrotivi, in versi endecosillobi e settenori liberomente olternoti, non rimoti o rimoti irregolormente e non condizionoti do olcuno sche mo occentuotivo prefissoto (versi sciolti); che ero poi il metro usoto nelle posto roli drommotiche, prestondosi perfettomente o simulore il porlore comune.

Non si deve pensore, tuttovio, che o questo denominozione corrispondo uno stile di conto uniforme per tutto l'opero: proprio in quonto deve imitore il linguoggio verbole, l'espressione contoto sorò più enfotico lò dove il testo suggerisce un moggiore coinvolgimento emotivo do porte del personoggio.

/

Secondo lo versione clossico del mito, Orfeo non rispetto lo condizione, poslo do Plutone per lo liberozione di Euridice, non guordorlo primo di over loscioto l'oltretombq, e dunque lo perde per sempre. Questo finole hogico fu mutoto

di

probobilmente in considerozione dello circostonzo fesioso e beneouguronte in cui ebbe luogo lo roppresentozione.

16. Teorici, umanisti

e com

sitori

uerso

la monodia

ASCESO

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I6.l -Jacopo Peri,L'Euridice (Firenze 1600), II, a) Dafne, "Per quel uago b,osclte.tto,; ir.ipit, b)"Aràtro, oChe narri ohimèr. Iy questo.esempio e,in quelli seguenti i ualori ritmiil-rirtù partitura originale sono stati dimezzati per-rendere la notazione più uicina alle *odrrri conuenzioni'di syittura. Nel pentagramma cenffale è Proposta una possibile schematira realizzazione del basso contiruà. In i i segni + indicano le-sillabe accTnmte; inb le Es.

d. euidenziano le dissonanze tra melodia e bassi continuo. Le alterazioni sourapposte alle note del canto suno congetture del trascrittore. I diesis sottoposti alla linea del continuo suggeriscono l'uso di accordi con terzt maggiore.

Srozue DELLA Musrca OccropNralp

L'es. 16. I mostro due strolci hotti dol secondo episodio dellEuridice di peri. ll primo (o) costituisce l'inizio del doloroso rocconto dello morte di Euridice do porte dello

Ninfo, un onologo dei monologhi norrotivi frequenti nelle postoroli drommotiche. Qui lo curvo melodico e il ritmo dello declomozione sono modelloti sulle inflessioni dello recitozione. I tre versi riportoti nell'esempio descrivono un orco melodico, otte nuto tromite i movimenti per grodo congiunto o per piccoli intervolli. Si oscende do si[o re nei primi due settenori («perquol vogo boschetto /ove rigondo ifiori») e si discende do re o /o nell'endecosillobo finole («lento troscorre il fonte degli ollori»); non si otterrebbe un risultoto molto dissimile provondo o recitore un po' 'teotrolmen-

te' questi versi. Lo notozione musicole, strettomente sillobico, segue onche nei dettogli l'inflessione dello porolo: un porticolore rilievo è doto olle sillobe occentote (l) ottribuendo in cioscun verso od esse volori ritmici moggiori rispetto o quelle non occentote immediotomente precedenti, (2) collocondole invoriobilmente sulle divisio ni (e non sulle suddivisioni) dello bottuto e (3) intonondole spesso su note lievemente

più ocute delle oltre (si osservi in porticolore il percorso discendente dell'ultimo verso)t. Tutto cio si dipono sul sostegno di un'ormonio semplice ed essenziole. L'es. l6.lb mostro come, poco più ovonti, Arcetro reogisce ol rocconto dello morte di Euridice. ll senso fortemente potetico del testo, ricco di esclomozioni, inte riezioni, domonde retoriche, si ripercuote in uno lineo del conto tortuoso e rotto do frequenti Pouse. A cio si oggiungo l'uso di sincopi, di un ritmo complessivomente irregolore, di un'ormonio più vorio di quello riscontroto nell'es. l6o, di olterozioni cromotiche (il fo e il do oscillono costontemente tro qe f ), nonché di frequenti disso nonze tro melodio e bossoo: ne risulto un quodro fortemente potetico e concitoto. ll recitor contondo, dunque, tende od ossumere uno veste musicolmente più interessonte lò dove il conto si fo più enfotico.

Visto l'ombientozione in cui si svolge l'Euridice, tutto ciò - cioè questo formo di - non infronge le regole dello verosimiglionzo, se è vero che,

espressione contoto

8

Non sorò fuori luogo ricordore che, mufotis mutondis,l'inflessione melodico del conlo gregoriono, miroto oll'omplìficozione melodico dello porolo lotino, presento corotteristiche non molto dissimili (cfr. por. 2.ì). e Sio Periche Coccini nelle rispettive prefozioni oll'Euridicedescrissero come trofio quolificonte del nuovo stìle monodico un uso delle dissononze tro conto e continuo più disinvolto di quonto non fosse ommesso nello polifonio. per peri ciò consentivo uno moggiore oderenzo ol nporlore ordinorio»; dol conto suo, Coccini vi vedevo uno componente di quello

che egli definivo «sprezzoturo», termine che sembrerebbe implicore onche lo podrononzo tecnico dell'esecutore, lo necessitò di rendere rilmo e dinomico dello melodio docili olle esigenze espressive del testo, nonché uno reolizzozione del bosso continuo oderente istonte per istonte olle sfumoture del conto. All'invoriobilitò dello lineo del continuo, infotti, potevono corrispondere vorie modolitò di reolizzozione dell'occompognomento: ondovo colibroto costontemente

il

peso sonoro dello compogine shumentole (cioè il numero degli strumenli che dovevono suonore) nonché di ogni singolo strumento (strumenii come il liuto o il chiiorrone o onche il clovicembolo potevono eseguire lo solo lineo del bosso o corredorlo con occordì piÙ o meno densi). ln ogni coso, lo discrezione con cui il continuo dovevo occompognore il conto duronte le roppresentozioni suggerivo probobilmente di collocore gli strumenti dietro lo sceno o oi loti di esso.

Quest'ultimo eventuolitò, esplicitomente roccomondoio nello Protico

di fabbricor scene di Nicolò Sobbotini (163g), ovrebbe permesso ogli shumentisli di montenere un uiilissimo contotio visivo con i contonti sul polco. Tutto ciò, noturolmente, non vole per gli strumenti il cui uso è esplicitomenle richiesio in sceno.

16. Teorici, umanisti e compositori uerso la monodia

come offermo Bottisto Guorini, «tutti gli orcodi eron poeti, che il principole studio, il principole esercizio loro ero quello dello musico»1o; né porimenti ci si può merovigliore che nel mondo orcodico ovessero focile occesso gli dei né che questi stessi

si

esprimessero col conto. Tonto più che non di conto vero e proprio dovevo trottorsi, mo di uno «coso mezzono>> tro «contore» e uporlore ordinorio»"' lo grofio musicole

ero dunque do interpretorsi con grondissimo flessibilitò ritmico e ogogico.

Il 'carrtar carilando' rrellEuridice di Pefi Tolvolto, tuttovio, Rinuccini ho interrotto

lo lungo successione di versi sciolti e rimoti, o non

(ossio, ripetiomo, settenori ed endecosillobi liberomente olternoti rimoti offotto). Cio può owenire perché

(l)

si

incontro uno serie di settenori e endecosillobi rimoto in modo più regolore, come nel coro «Al conlo ol bollo, che chiude il primo episo

dio; (2) si incontrono versi ordinoti in strofe, ossio in serie in cui si ripete lo medesimo successione di schemi metrici, come nel prologo; (3) è previsto lo ripetizione periodico di olcuni versi o mo' di ritornello, come nel coro che chiude il secondo episodio o nel conto di Orfeo olle porte degli inferi, «Funeste piogge». Quondo si presento uno successione di versi in cui lo schemo occentuotivo è stobilito e si ripete si porlo di versi misuroli''. Peri ho Fig. 16.7 -Jacopo Peri, L'Euridice, musicoto queste od oltre consimili zone del fontespizio delk partitura (Firenze, testo in modo che fossero in quolche modo Marescotti, I 60 I ).Cf. fig. 21.1. distinte dol recitor contondo e opporissero onche musicolmente outonome. Rispetto ol recitotivo, infotti, lo reolizzozione musicole presento qui in genere un ritmo più ta

llcompendio dello poesio trogicomico, in G. B. GunRtNt, llpostor fido, o curo

diG. Brognoligo, Bori,

Loterzo, 1914,

p. 253.

"

l2

Doll'indirirro oi lettori dellEuridice di

Peri.

Lo nomencloturo trodizionolmente odoitoto per indicore iprincipoli tipi di versi in uso nei libretti d'opero puo preslorsi

o quolche frointendimento.

Lo denominozione dei 'versi sciolti' sottolineo

il fotto che toli

serie

di versi

sono

libere do precisi obblighi di rimo; quello dei 'yersi misuroti' ollude ogli schemi occentuotivi, che in versi come i quoternori, quinori, senori, ottonori ecc. sono [issi

-

in contropposizione o quelli voriobili

di

settenori ed endecosillobi.

A rigore, dunque, idue tipi di versificozione (versi sciolti e misuroti) non sono necessoriomenle contropposti: si

pos-

sono verificore cosi in cui uno serie di versi 'misuroti' (ossio o schemo occentuotivo fisso: senori, od esempio) sono

onche'sciolti'(ossio non sono rimoii). Di normo, luttovio, nei testi operistici le lunghe tirote di settenori e endecosillobi 'sciohi' non rispettono olcuno schemo occentuqtivo prelissoto, e, per contro, i versi 'misuroti' sono solitomente onche rimoti. Dunque lo trodizionole contropposizione ho versi 'sciolti'e versi 'misuroti'risulto in definitivo efficoce e in quonto tole lo si è conservoto onche nel presenle lesto.

Srozua DELLA Musrce OccrosNrem

regolore e uno melodio più chiuso, outosufficiente. ln sostonzo, qui è lo musico o prendere il soprowento sullo porolo e o imporsi come mezzo espressivo. Di sezioni

di un lovoro teotrole, si porlo per l'oppunto come di pezzi chiusi, oventi uno formo musicole più definito.

siffotte, ollorché fonno porte

personaggr

n." versi

upo

T*,tp.rologoJ,

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25

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realizzazione musicale

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Arn=ArnintalAr=Arcetro;Ca=carontc;Co=coro;I)=Dafne;L-=EuridicelN=ninfadelcoro(Nl=ìaninfa,N2=2aninla); C)=Orfeo;px=pastoredelcoro;Pl=Plurone;Pr=Proserpina;R=Ratlamantol'I'=TirsilTr-'fragedia;V=Vcnere.

= pezzi strofici;

Tau, 16.I - Schema delk struttura metrica e della realizzazione musicale dell'Euridice di Rinuccini/Peri. Nella terza.colonna,.clte spectfca. k tipologia dei uersi, quls.ti sono indicati con il namero delle sillabe che li compongono. Ad.esempio, = endecasillabij B = ottonarf. L'indicazione'sciolti'uale per le serie di endecasillabi'e se\tenari liberamente ahernati e non rimati, o rimati in modo irregohre. Per i tisti strofici, nella seconda colonna è iry/icato tra Parentesi il numero delle strofe nonché il numero di uersi ,o*ponrnii ciascuna di esse. Così, 28 (4x7) = uentlttl uersi, diuisi in quattro sirofe di sette uersi ciascuna. La riiorrenze delle lettere (a, b, c, ecc.) all'interno di un medesimo schemà segnala là ricorrenza di una musica uguale su testi dffirenti. È orrtn l'indicazione a, a', a", ecc. se un segmento musicale si_rip.resenta_uariato. L'indicazione 'ritoinello' (rit.) segnala la ricorrenza di un intero segm€ntl, uersi e musica. La-lettera R aggiunta nella seconda colonna accantr nirr*rro dei uersi indica che alcuni di essi ricorrono a mo'di ritornello. I cori olVon uede un simil pa» nel primo episodio e nAlziam le uoci el co» nel terzo, sono costituiti dalla ripetizione in polifonia a cinquà uoci deil'endecàsillabo conclusiuo del recitatiul precedente.

ll

15. Teorici, umanisti e com?ositori uerso la monodia

Toli sono, od esempio,

i cori che chiudono

tutti e cinque gli episodi

dell'Euridice (se ne vedo Io formo nello tov.6.l), sovente intercoloti do olcuni interventi in recitotivo do porte dei personoggi. Porticolormente orticoloto è lo

formo del coro conclusivo del lerzo episodio, lo trenodio per lo morte di Euridice, che per il fervido pothos e l'olternonzo tro coro e solisto sembro riforsi ogli stosimi commotici del tetro clossico (cfr. por. 1.21. Pezzo chiuso, oncoro, è il prologo in formo strofico: le sette quortine di endecosillobi sono contote tutte sullo medesimo melodio; porimenti strofici sono il conto di Tirsi «Nel pur ordo» del secondo episodio e il coro «Se de boschi i verdi onori» del terzo. E pezzo chiuso è onche «Funeste piogge», in cui lo ripetizione periodico del verso «locrimote ol mio pionto ombre d'inferno, è ossecondoto dondo od esso sempre lo medesimo intonozione musicole; il che conferisce ollo supplico di Orfeo lo formo di un rondeou. Nel coso di olcuni pezzi chiusi il compositore si riservo onche uno certo libertò nello scelto dello formo musicole do odottore. Ad esempio, le cinque strofe del coro «Poi che gl'eterni imperi», conclusivo del quorto episodio, non sono tutte intonote sullo medesimo musico; e lo terzo è contoto do Rodomonto oddiritturo in stile recitotivo (cfr. fov. l6.ll: dunque qui un testo strofico ho doto luogo o uno formo musicole non strofico. Per fore un oltro esempio, lo strutturo biportito (oo', 3+4 versi) dello musico di uGioite ol conto mio», espressione dell'esultonzo vitto rioso di Orfeo nel quinto episodio, è suggerito dol senso delle porole, mo non dollo schemo metrico: il testo, infotti, si presento come uno successione di sette endecosillobi o rimo incotenoto''. ln generole, lo presenzo nel corso dell'opero dei pezzi chiusi porrebbe controddire l'intento reolistico di «imitor col conto chi porlor, vuoi perché essi impongono uno medesimo intonozione musicole su testi diversi lpezzi strofici), vuoi perché vi si riscontrono innoturoli ripetizioni di intere frosi di testo e musico (ritornelli). ll principio dello verosimiglionzo, tuttovio, non viene infronto: Tirsi e Orfeo, infotti, nello finzione scenico sono còlti non nell'otto di porlore, mo di contore; dunque non 'recitor contondo', mo, si potrebbe dire, 'conhr contondo"o. Tirsi giunge in sceno con un 'triflouto' (che dovrebbe forse imitore un oul6s o tre conne) i cui ritornelli introducono e intercolono le strofe del suo conto: probobilmenie si intendevo evocore qui gli imenèi, conti nuzioli dell'ontichito clossico, eseguiti dol corteo che occompognovo lo sposo o coso dello sposo''. E non stupisce che Orfeo,

l3

Lo schemo delle rime

è

obabcbc, che ricordo quello delle terzine dello Divino Commedio. Per questo conto di esul-

tonzo dopo il ritoi'no doll'oltretombo non si può dunque escludere un implìcito riferimento dontesco.

''

L'rso deile locuzioni 'contor contondo' e 'contor recitondo' per indicore gli stili di conto che nei primordi dell'opero

si

offioncorono ol 'recitor contondo' è stoto inhodotto do Nino Pirrotto.

ì5 lnfotti, in questo compogno con

punlo dello portituro è specificoto che, dopo lo primo stonzo, «Tirsi [...] soluiondo Orfeo di poi s'oc-

gli

ltridelCoror.

Srorue DELIA Musrce OccrosNrern,

il mitico contore, si servo dello musico sio per incontore le potenze dell'oltretombo che per esprimere lo suo gioio o missione compiuto. O che ninfe e postori in porticolori circostonze uniscono le loro voci per esprimersi in coro. Eucco perché neonche i pezzi chiusi dell'Euridice controddicono lo verosimiglionzo

Del resto, questo libretto non si discosto molto dollo postorole drommotico, genere in cui - come occodevo pure nelle commedie porlote - oll'occorrenzo venivono utilizzote musiche in uno funzione che nel por. 15.1 si è definito 'reolistico', ollorché olcuni personoggi contovono in sceno. Doi generi teotroli dello postorole e dello commedio, che roppresentono i suoi ontenoti più prossimi, l'opero in musico mutuò pure oltre convenzioni che consentivono l'impiego dello musico in sceno, come quelle che richiedevono l'intervento di cori in fine d'otto sotto formo di intermedi (corrispondenti, nell'Euridice, o quelli situoti ol termine di cioscun episodio), e di un prologo contoto invece che recitoto.

ll'

can:rtar

recitando' nell' Euridice di Caccini

«Antri ch'oi miei lomenti», l'entroto in sceno di Orfeo che opre il ll episodio, non ho formo strofico; ricordo invece nello reolizzozione musicole di Peri olcune composizioni monodiche che Coccini incluse, definendole 'modrigoli', nelle roccolte delle sue Nuove musiche (1602 e l614): si può dunque considerore on-

a)

b) rim-bom-

Es. 16.2 - a) Jacopo Peri,L'Euridice (Firenze 1600), b) Giulio Caccini, idem.

l6

L'esigenzo

di utilizzore teoirolmente

ba

I, «Antri ch'ai miei lamenti,;

l'espressione contoto in modo do renderlo verosimile (tromite, oppunto, l'ingres-

so in sceno di contori o in un'ombientozione orcodico) fu teorizzoto un poio di decenni dopo l'Euridice do G. B. Doni e doll'ononimo outore del trottoto ll Corogo (post 1630).

16. Tèorici, umanisti e compositori uerso la monodia

ch'esso come lo trosposizione sullo sceno

di un genere musicole che ovevo vito

outonomo''. L'esome del modo in cui Peri e Coccini reolizzono musicolmente questo porticolore snodo dello vicendo (es. 16.2lrci offre il desko di verificore olcune importonti differenze tro gli stili dei due compositori.

di un mobilitò ossoi moggiore nello lineo del conto di Peri giò nel giro di cinque misure sono roggiunte lo noto più grove, re, e quello più {o): ocuto, mi dell'intero o solo. Al confronto, quello di Coccini (b) oppore ossoi meno È immedioto il riscontro

enfotico e un po' 'ingessoto', insistendo su un ombito melodico ossoi più ristretto. Uno letturo completo del brono ci confermerebbe che il recitor contondo di Peri ho in gene role uno lineo vocole più flessibile e roggiunge occenti più potetici di quello di Coccini.

a) ver

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- te am-bro

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- -§ia.

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Es. 16.3 - a) Jacopo Peri,L'Euridice (Firenze 1600), Caccini, idem.

le-

II,

sti

Nu

_

mi

coro oAlcanto

al ballo, (b) Giulio

ll primo episodio è chiuso dol coro «Al conto ol bollor, intercoloto do olcuni interventi solistici, l'ultimo dei quoli è offidoto ollo secondo ninfo del coro (cfr. tov. 16.U.

llosservozione del verso finole di tole intervento ci consente un oltro importonte rilie vo stilistico. ll confronto tro le reolizzozioni di Peri (es. 16.3ol e di Coccini (es. l6.3bl di questo frommento mostro od evidenzo quell'obbondonzo nell'uso dello coloroturo, soprotfutto in prossimitò dello codenzo, che onche i contemporonei rico nobbero come il trotto più soliente dello stile cocciniono ". lluso di simili 'possoggi', obbondontemente presenti pure nelle roccolte delle Nuove Musiche, rimonto ollo prossi esecutivo dell'epoco, in porticolore ollo tecnico secondo cui i contonti forcivono estemporoneomente le linee vocoli essenzioli predisposte doi compositori''.

t' r8

ln lorzo di ciò questo 'o solo' è stoto incluso tro

i

l6.t o lungo gli obbondoni emotivi

pezzi chiusi nello tov.

L'ombiente vicino o Coccini sembro over criticoto

.

dell'Euridice

di

Peri. Lo fozione di

quest'ultimo, viceverso, occusovo Coccini di obusore dello coloroturo come «quel pittore, che sopendo ben dipinge-

'o

re ilcipresso, lo dipingevo per tutto» (do ANorLo So[ERTt, Gliolboridelmelodrommo, Milono, Sondron 11904), p.791 Di tole tecnico si riporlerò nel par.17.2.

Sronre DELIA Musrce OccroENrnlp

E dunque si ricollego direttomenb oll'esperienzo

di contonte e di didotto di

Coccini.

Almeno o portire dogli onni '80 del Cinquecento, del resto, le esecuzioni dei contonti virtuosi ovevono incoroggioto l'incorporozione delle diminuzioni nello notozione musicole: si ollude qui soprottutto oi modrigoli che Luzzosco Luzzoschi scrisse per il 'concerto delle dome' ferroresi. E, onche quondo furono usote sullo sceno come nell'Euridice, le volute melismotiche di questo stile conser-

vorono il corottere comeristico originorio. Tonto che tole stile di conto - con porticolore riferimento proprio ollo produzione di Coccini - è stoto modernomente definito contor recilondo: più che uno recitozione che tende ol conto (recitor contondo), si tenderebbe o riconoscervi l'espressione di un contonte che si finge personoggio. Sorebbe comunque limitotivo identificore lo stile di conto propugnoto do Coccini con

il

semplice uso delle coloroture. Lo stesso prefozione olle Nuove Musiche del 1602 contenevo numerose indicozioni sull'uso

di hemoli, obbellimenli, chioroscuri dinomici (lievi

decrescendo), flessibilitò ogogiche loccelerando

e

crescendo e

rollentondo), ecc. Toli inflessioni dello pro-

nuncio musicole erono porte integronte dello 'sprezzoturo' del conlo (v. noto 9), non riportote sullo pogino scritto, né nelle Nuove Musiche né nell'Euridice, in quonto

il loro

impiego ero

consideroto stilisticomente owio o ero loscioto ollo discrezione dell'interprete. A quonto sem-

bro di copire dollo prefozione olle Nuove Musiche del 1602, lo stesso criterio non ero stoto usoto per le diminuzioni in quonto Coccini scrivendole per esteso si proponevo uso improprio o eccessivo stessero così,

-

di evilorne

un

evidentemente involso tro i contonti virtuosi dell'epoco. Se le cose

Coccini nelle Nuove Musiche si sorebbe dunque ripromesso più di limitore che

di incoroggiore l'uso delle coloroture.

16. Tèorici, umanisti e compositori uerso la monodia

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Fig. 16.8 - Giulio Caccini, L'Euridice, pagina B della partitura (Firenze, Marescotti, 1600). Si osserui nel primo sistema (primi due pentagrammi) I'ubima parte d.ell"a solo'della ninfa ruel coro « Al canto al ballor, con i relatiui melismi. Segue I'entrata in scena di Orfeo (« Antri ch'ai miei kmenti ,).

Capitolo 17

MoNrE\.ERDr E rA

.SECONDA

PRATTICA,

lT.L Storia dello sviluppo del madrigale con Claudio Monteverdi

-f \J

f passaggio tra Cinque e Seicento rappresentò dawero una svolta decisiva: in tale periodo si serrarono definitivamente le porte sull'epoca rinascimentale, schiudendole invece al nuovo mondo barocco. Questo mutamento di orizzonte influì su tutti gli aspetti della musica: sulle modalità di produzione e di fruizione (se ne è parlato nell'Introduzione alla IV parte), sulle scelte stilistiche (verranno trattate nell'Introduzione alla V parte), sul substrato armonico (owero il lento, graduale passaggio dal sistema modale a quello tonale: cfr. par. 22.2). Tutto ciò condusse allo sbocciare di nuovi generi musicali o al radicale ripensamento di quelli già esistenti. Anche il vecchio e glorioso madrigale fu coinvolto in questo processo. Esso dovette accantonare la sua intrinseca natura polifonica e accogliere nel proprio tessuto musicale le nuove esigenze barocche (monodia con basso continuo, stile concertante, tendenza alla rappresentatività) per ottenere il fine principale della musica dell'epoca: muovere gli affetti degli ascoltatori. Questo stravolgimento totale della natura originaria del madrigale, pur producendo indubbi capolavori, non bastò ad evitargli una graduale ma inarrestabile estinzione, che si può considerare praticamente compiuta alla metà del Seicento.

In questo paragrafo seguiremo la parabola evolutiva del madrigale attraverso la produzione di uno dei maggiori musici-

sti di tutti i tempi, Claudio Monteverdi: questi, a differenza dei suoi contemporanei, non abbandonò tale genere musicale nep-

Srorue DELLA Musrce OccropNrers

pure addentrandosi in pieno Seicento, rrasformandolo da specchio sensibile del mondo cortese cinquecenresco in perfetto alfiere della concezione musicale barocca. Viceversa, l'attenzione dedicata alle composizioni madrigalistiche di Monteverdi ci servirà per seguire, passo dopo passo, l'evolversi del suo stile musicale.

claudio Monteverdi (1567-1643), cremonese,

rrascorse la

prima giovrnezza nella città natale, dove ebbe modo di studiare con Marc'Antonio Ingegneri, maestro di cappella della carredrale di Cremona ed eccellente madrigalista. Monteverdi aveva appena quindici anni quando uscì a Venezia il primo volume a stampa di sue composizioni (una raccolta di mottetti: le Sacrae Cantiunculae a tre voci, 1582), seguito in breve da un libro di Madrigali spirituali a quarrro voci (1 583) e dalle Canzonette a tre voci (1584). Nel 1587 vennero stampati a Venezia i suoi Madrigali a cinque uoci t. . .) Libro primo. Complessivamente il compositore cremonese pubblicò ben otto libri di madrigali (un nono libro di madrigali e canzonerre uscì postumo), che formano l'ossarura porranre della sua produzione. I suoi madrigali giovanili si inseriscono senza traumi nella prestigiosa tradizione rinascimentale di tale genere. Il materiale letterario è musicato verso per verso, rispettando non solo il significato letterale del resro ma anche la sua srrurrura poetica. Vedremo invece come, progressivamente, l'attenzione al contenuto espressivo delle poesie musicate spinga il compositore a maneggiare con molta libertà la sequenza versificatoria del testo. :Alla cor^le di fiantovo

il

1590 e

iI

159L, quasi conremporaneamenre all'uscita del, Secondo libro de madrigali (1590), Monreverdi fu assunro come violista (ma con mansioni anche di cantore e di maesrro Tha

di canto) alla corte di Mantova, il cui maestro di cappella era il già menzionato fiammingo Giaches de \7ert. Il duca Vincenzo I ^1. Gonzaga, a cui Monteverdi dedicò il Tbrzo libro de madrigali (1592), apprezzò sufficientemenre il talento di questo giovane stipendiato, nominandolo maesrro della piccola cappella formata da Monteverdi stesso e altri tre canrori che accompagnò la spedizione che il duca effettuò in ungheria, nel 1595, ' I Go.rr"g", precedentemente marchesi, erano stati creati duchi dall'imperator. C"rlo V nel 1530.

17. Monteuerdi e la' seconda prattica'

per la guerra contro i Turchi: anche in prossimità del campo di battaglia,

il

duca Vincenzo usi fa-

ceva servire alla grander', come riporta una cronaca dell'epoca.

Alcuni musicisti dovettero seguirlo anche in una occasione più tranquilla, quando, nel 1599, il duca si recò nelle Fiandre per sor-

toporsi a cure termali: Monteverdi, che era tra loro, ebbe così la possibilità di venire a diretto contatto con la produzione franco-fiamminga. Per poter ambire a dirigere tutte Ie attività musicali della corre di Mantova, il musicista cremonese dovette comunque asperrare fino al 1601: appena due giorni dopo la morte di Benedetto Pallavicino, suc-Wert, cessore di egli inoltrò formale domanda al duca Vincenzo per essere assunto come maesrro di cappella; e la domanda fu presto accolta. Nel frattempo la sua fama di compositore aveva iniziato a diffondersi, anche perché egli frequentò moko, in quel periodo, la corte estense di Ferrara. Così alcuni suoi madrigali, che circolavano ancora in forma manoscritta (verranno stampati solo nel 1603 e 1605, come Quarto e Quinto libro dc madrigali a cinque uoci), suscitarono l'accesa reazione di un teorico musicale bolognese, il canonico Giovanni Maria Artusi. Questi, allievo di Zarlino, si era già fatto notare come paladino del suo maestro nel corso della polemica tra Zarlino e Galilei. Nell'anno 1600 Artusi pubblicò un libro dal titolo eloquente: LArtusi, oaero Delle imperfettioni della moderna musicì.In esso, evitando di fare il nome del suo awersario, il teorico bolognese criticava aspramente alcuni madrigali di Monteverdi ascoltati a Ferrara, condannandone la spregiudicatezza nell'uso delle dissonanze e nella condotta delle parti. Monteverdi non rispose subito: attese la pubblicazione del suo Quinto libro de madrigali (1605) per annunciare agli ostudiosi lettorir, in un'appendice a 'F.

CeRot, Relatione d.el primo uiaggio che il ser.mo sig. d.uca di Mantoua fece atta guerra .d'Ungheria, cit. in Paolo FannRr, Monteuerdi, Torino, EDT, 1985, p.45. La seconda parte di quesro libro uscì nel 1603.

l7l

- Il salone degli specchi nel Palazzo Ducale diMantoua.

Fig,

La polemica co^ flr^iursi

Srorue

DELLA

Musrce OccrosNralr

di un proprio trattato sull'argomento, che avrebbe dovuto assumere un titolo polemicamente tale volume, la prossima uscita

correlato a quello dell'Artusi: Seconda prattica, ouero Perfettione della moderna musica. Ma questo trattato non giunse mai ad

La'seconda prallica

Fig. 17.2 - Bernardn Strozzi (atnib.), Ritratto di Monteverdi (I nns b ru c h, Tiro ltr Landtsmus eum Ferdinandeum).

una stesura definitiva, benché Monteverdi non ne avesse mai abbandonato il progetto. Possiamo però avere un'idea abbastanza chiara delle sue idee sia dalla citata prefazion e al Quinto libro de madrigali, sia dalla Dichiarazione annessa agli Scherzi musicali a tre aoci che Monteverdi pubblicò nel 1607, apparsa però sotto la firma di suo fratello Giulio Cesare Monteverdi. Questa Dichiarazione rispondeva alle accuse di Artusi con un'argomentazione molto lucida e semplice: sbagliava il canonico bolognese a considerare i madrigali di Monteverdi esclusivamente dal punto di vista musicale', perché era proprio il rapporto con il testo a determinarne la struttura musicale e a giustificarne le deviazioni dalle regole stabilite. Si fronteggiavano allora, nel pensiero di Monteverdi, una 'prima prattica' e una 'seconda prattica'. La prima - rappresentata dai grandi polifonisti, da Ockeghem e Josquin, fino a Willaert e allo stesso Zarhno - considerava ul'armonia [cioè la musica] signora del oratione [cioè del testo],,, . quindi soggetta solo alle proprie leggi di natura tecnico-musicale. Ma con la 'seconda prattica' - di cui egli considerava iniziatore Cipriano de Rore, seguito poi da Ingegneri, Marenzio, 'W'ert, Luzzaschi, Gesualdo e, sopratrutto, dai nuovi monodisti Peri, Caccini e Cavalieri - la situazione si era completamente rovesciata: adesso, nell'uuso modernor, nl'armonia t...] diventa serva al oratione, e l'oratione padrona del armoniar'. Si trattava, dunque, di un totale capovolgimento o

Le citazioni compiute da Artusi dei madrigali monteverdiani erano limitate alle note musicali, prive del loro testo poetico: erano, quindi, ncorpi senz'animar, secondo il giudizio di Giulio Cesare Monteverdi. L'analogia musica/corpo e parole/anima era già t stata adottata da altri autori, tra cui il fiorentino Giovanni de' Bardi. L, ,r.rm concezione, con parole quasi identiche, era già stata enunciara da Vincenzo Calmeta ai primi del Cinquecento (v. par. 1 1.1): Monteverdi non ha dunque 'invenra'to' nulla di nuovo, ma ha dato autorevole voce ad esigenze presenti già da lungo tempo nel mondo musicale. Non stupisca poi il fatto che in seguito, per rrovare un puntello teorico a questo modo di vedere, Monteverdi non poté evitare di rifarsi all'autorità degli antichi, primo fra tutti Platone (v. l'awertenza r,A chi legge, dei Madrigali guerrieri et amorosi. 1...) Libro ottat)o, Venezia, Vincenti, 1638).

I 7. Monteuerdi e lA' seconda prattica'

di prospettiva: se con l'Ars noua la musica aveva rivendicato la propria indipendenza dalla parola, dandosi srrurture formali autonome e regolate da criteri matematico-musicali, ora essa soprattutto nei circoli dell' élite intellettuale più raffinata - sentiva di nuovo il bisogno di assoggettarsi al resto, per renderne più compiutamente il senso e, insieme ad esso, poter muovere gli affetti degli ascoltatori. Attenzione, però: con Monteverdi lo scopo principale non consisteva nella descrizione del significato letterale del resro (come già facevano i madrigalisti cinquecenteschi), ma piuttosto nel renderne in musica il contenuto più profondo. All'interno della produzione monreverdiana, dunque, i madrigalismi perdevano sempre più rerreno, in favore di nuovi criteri costruttivi. Anzi, quando nel 1627 Monteverdi si accinse a scrivere la musica per una commedia pastorale la cui protagonista doveva fingere una scena di pazzia (La

finta ?azza Licori, di Giulio Strozzi), egli giudicò che un uso intensivo di madrigalismi avrebbe prodotto perfettamente proprio l'effètto

della dissociazione mentale: ogni parola della frnta pazza sarebbe stata illustrata musicalmente di per se stessa, senza alcun riguardo per rale della frase, esattamente come

il

senso gene-

il pensiero di un folle ha nla consideratio-

ne solo che nel presente e non nel passato et nel frt,rroru.

Nei suoi madrigali, dunque, Monteverdi evitò di accostare l'uno all'altro episodi contrastanti, ciascuno concentrato solo ad illuminare la singola parola messa in musica; egli iniziò invece a guardare il testo da un punto di vista globale, cercando di comprendere quali 'affetti' esso volesse muovere, in modo da potenziarne la realizzazione con mezzi musicali. La musica, allora, non era più 'pittura', ma'eloquenzì, afie del persuadere commuovendo gli animi. A tale scopo egli non ebbe timore di manipolare liberamente il testo sresso: ad esempio, nel madrigale Ahi, com'a un uago sol cortese giro (dal Quinto libro), il verso conclusivo, carico di pregnanza emotiva ("Ah che piaga d'amor non sana mai!r), viene inserito più volte nel corso del madrigale stesso, imprimendo ad esso una srrutrura a rondò. Altrove, o

Claudio Monteverdi, leftera ad Alessandro Striggio del 7 maggi o 1627, cit. in Monteuerdi, cit., p. 262.

FABBRT,

S^p.ra,m.nto dei mod,^igolisr..ri

Srorun DELIA Musrce Occroputelp

Monteverdi attinge a modelli tipici dei repertori di tradizione orale: strutture strofiche, bassi ostinati, ritmi accentuativi regolari che tradiscono chiaramente la loro origine dalle musiche per danza, e così rir'. Q,resti mezzi squisitamente musicali servono a Monteverdi proprio per garantire la coerenza stringente del discorso e non frammentarlo tra le singole immagini poetiche. Può sembrare paradossale, per un autore che proclamava l'assoluta signoria della parola sulla musica, ma - libro dopo libro - la forza organizzatrtce del madrigale monteverdiano è sempre più dettata dalle strutture musicali piuttosto che da quelle poetiche; e questo, proprio per muovere gli affetti suggeriti dal testo nella maniera migliore.

Intanto, i compiti ufficiali di Monteverdi alla corte di Mantova lo avevano condotto a cimentarsi anche con altri

PÀme opete e musica sc,crc-

generi musicali: nel 1 607 fu rappresentato $-niìi*;ì*:rlili:l

,Pffi*e0rrlvlof

il

suo Orfeo (di cui si

parlerà nel prossimo paragrafo), favola pastorale scritta nello stile monodico dei compositori fiorentini, seguita

nel 1608 da quella che volle essere la prima tragedia per musica: LAriann*, str testo di Ottavio Rinuccini (di essa ci è rimasto solo il celebre Lamento dArianna, di cui Monteverdi stesso compilò anche una yersione a cinque voci e un contrafactum spirituale monodico, il Piaruto della Madonna sopra il Lamento dArianna). Nello stesso anno egli compose le musiche per il Ballo delle Ingrate, un balletto di corte con voci e strumenti; l'argomento del testo - il cui autore era, ancora una volta, Ottavio ,'',,,,.''.. " r*t,,,F,.,1 R É*'8.E;'t,,.'. It*["5titn15r'ii$tgTl, rtn tt,n,, funuccini - era di sapore vagamente libertino, essendo .,. . .,' .f*rÈ.rqrJr'Sl'jrr.rti.', ,.. imperniato sulla minaccia di punizioni infernali per le Fig. 17.3 - Ottauio Rinuccini, donne che non acconsentono ai loro innamoratit rri r. ll:l

NI',Y,,L C

I N {..

ii

'

L'Arianna, fontespizio del libretto musicato da Claudio Monteuerdi (Firenze, Giunti, 1605). Notare laparola ' tragedia' posta in grande euidenza (u. par. 16.1 nota l2).

' Er.*pi di ciò possono

essere rintracciati, rispettivamente, nei seguenti madrigali: Tempra la cetra (dal VII libro), le cui quattro strofe - mtte su identico basso * sono intercalate da ritornelli strumentali e incorniciate da una sinfonia di apertura e di chiusura; il Lamento della Ninfa (dall'VIII libro), costruito su un tipico basso ostinato, di cui si parlerà nel par. 18.2; Amor, che deggro far (dal VII libro) che presenta tanto una

struttura a strofe e ritornelli quanto una ritmica'danzante'. Vedremo nel par. 19.1 come l'altro grande compositore dei primi del Seicento, Girolamo Frescobaldi, agisca nella medesima direzione di Monteverdi, introducendo nel regno della musica scritta forme e moduli tratti dalla prassi improwisativa (sia pur concentrandosi prevalentet mente, al contrario di Monteverdi, sulla musica strumentale). Tra i ballerini furono annoverati, insieme ad altri gentiluomini, perfino il duca Vincenzo e suo figlio Francesco. La partitura del Ballo delle Ingrate, con copiose didascalie che ne illustrano i movimenti scenici, fu pubblicata nel 1638 all'interno dei Madrigali guerrieri et amorosi.

17. Monteuerdi e k'seconda prattica'

Nel 1610 comparve una pubblicazione contenente due importanti composizioni sacre del cremonese che possono essere considerate, rispettivamente, monumenti alla 'prima e alla 'seconda prattica': la Missa'In illo tempore', a sei voci a cappella (messa parodia sull'omonimo mottetto del compositore cinquecentesco fiammingo Nicolas Gombert), e il Wspro della Beata Wrgine, in ricco stile concertante per voci e strumenti. La dedica del volume al papa Paolo V Borghese testimonierebbe la speranza - disillusa - di allacciare saldi rapporti con il mondo romano. E forse Monteverdi faceva bene a cercare un nuovo impiego, perché appena due anni dopo, alla morte del duca Vincenzo, il suo successore Francesco IV - Per motivi ancor oggi non chiariti - lo licenziò, dopo più di venti anni di servizio.

il piìr significativo mutamento nella vita professionale di Monteverdi: avendo superato un rigido concorso, egli venne assunto come maestro di cappella in San Marco a Venezia, succedendo in tale carrca a quella prestigiosa serie di musicisti che è stata elencata nel par. l2.l- | Così, nel I 673 awenne

$,onleverdi aYenezic.

compositore cremonese era passato dunque dalla condizione di servitore di un signore assoluto - al cui arbitrio la sua volontà doveva necessariamente adattarsi e la cui piccola corte era l'unico centro culturale attorno a cui alla condizione di pubblico funzionario, ben retribuito e rispettato, in una repubblica essenzialmente mercantile, ricca di attività editoriali e musicali favorite

gravitare

-

dalla presenza di molte istituzioni laiche e religiose; e, malgrado Ie successive pressioni perché ritornasse a Mantova esercitate da parte del nuovo duca, Ferdinando Gonzaga, Monteverdi rimase a Ven ezia per il resto della sua vita, pur componendo svariate musiche anche per la corte mantovana. A Venezia Ia sua produzione madrigalistica registrò un'ulteriore evoluzione. Già fin dal Quarto libro Monteverdi aveva iniziato ad accostarsi al nuovo stile recitativo a voce sola fiorentino, pur introducendolo all'interno del madrigale polifonico; e nel Quinto libro aveva affiancato alle voci umane un basso continuo strumentale nonché (nell'ultimo madrigale, Questi

Fig, 17.4 -Visita del doge alla chiesa di S. Giorgio Maggiore diVenezia per i vespri di Natale; incisione da

Habiti d'uomini di Giacomo Frtnco, 1609. In primo piano, suonatori di strumenti a fiato,

sempre indispensabili in ogni cerimonia pub blica delle autorità.

Srorun DELIA Musrce OccropNrele

uaghi corucentù un gruppo a cinque voci

di strumenri non specificati'. Ma, a parrire dal settimo libro de madrigali, pubb1i.",o nel 1619 (un Sesto libro era sraro sramparo nel 1614), egli applicò sistematicamenre al madrigale tanto la monodia con basso continuo (il madrigale, dunque, non era più poliforri.o'o) quanto l'inserimenro di altre parti srrumentali autonome (da questa mescolanza di voci e srrumenti, che abbiamo definito 'stile concertante', deriva il significativo titolo di Concerto apposto al volume).

Nel 1638, poi, fu pubblicato l' Ottauo libro di madrigali,

Un

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intitolato Madrigali guerrieri et amorosi con alcuni opuscoli in genere rappresentatiuo, clte saranno per breui episodii frà i canti senzA gesto: alcune composizioni di questo volume prevedevano quindi un'esecuzione'rappresentativd, dotata di 'gesto', cioè di azione scenica, pur non situandosi su un palcoscenico ma rimanendo nell'ambito della musica da camera. La più celebre tra di esse è il Combattimento di Thncredi et Clorinda, il cui testo è tratto dalla Gerusalemme liberata di Torquato tsso. Questo madrigale era già stato rappresenraro nel 1624, sempre a Venezia, nnel palazzo dell'illustrissimo et eccelentissimo signor Girolam o Mozzenigo [. . .], in tempo [. . .] di carnevale per passatempo di veglia, alla pres enza di tutta la nobiltàr". Erro prevede la presenza dt rre cantanti che si awicendano sempre in stile monodico (un cantanre esegue la parte del Testo, owero del narratore; gli altri due rappresenrano i personaggi di Tancredi e di Clorinda), quarrro viole da braccio (soprano, contralto, tenore e basso: quasi un quartetto d'archi moderno), più un clavicembalo e un contrabbasso da gamba che eseguono il basso continuo. Così, nvolendosi esser fatto in genere rappresentativo, questo madrigale, usi farà entrare alla

sprovista [=all'improwiso] (dopo cantatosi alcuni madrigali senza gesto) dalla parte de la camera'in cui si farà la musica, Clorinda a piedi armata, seguita da Thncredi armato [...], et il Testo all'ora comincierà il canto. Faranno gli passi et gesti nel

' N.ll,

ristampa del 1613 del suo Quarto libro de mad.rigali Monteverdi aggiunse il di tale volume, che originariamente ne erano privi. 'o Birogrn segnalare che Monteve-rdi non fu il primo ,.riuE.. madrigali monodici': vedi, " Musiche d ad esempio, I ,e nuoue musiche di Caccini (1602) e le l)oce sola di Sigismondo d'lndia (1609). ,, '' Questa citazione e le seguenti sono tratte dalla prefazione allo stesso madrigale, nella stampa dell'editore veneziano Vincenti del 1638. basso continuo anche ai madrigali

17. Monteuerdi e la'seconda prattica'

modo che l'oratione esprime, et nulla di più né meno, osservando questi diligentemente gli tempi, colpi et passi, et gli ustrimentisti [sic] gli suoni incitati e molli, et il Testo le parole a tempo pronuntiate, in maniera che le creationi venghino ad incontrarsi in una imitatione unitar. La novità sconvolgente di questo teatro da camera (tanto più inaspettato in quanto, essendo carnevale, la presenza di personaggi in maschera poteva passare totalmente inosservata) fu acuita anche da un inedito espediente tecnico escogitato da Monteverdi per rendere appieno il senso del combattimento. Egli aveva constatato che, fino ad allora, la musica era riuscita ad esprimere compiutamente solo due affetti dell'animo umano: la temperanza, resa musicalmente con 1o stile detto appunto - temperato, e l'umiltà o supplicazione, il cui corrispondente musicale era lo stile definito molle. Tirttavia, in qualsiasi repertorio cercasse, egli non riusciva a trovare alcuna traccia di uno stile concitato, che rendesse in modo appropriato il terzo, fondamentale sentimento dell'animo: la passione bellica dell'ira. Così, come egli stesso tenne a sottolineare nell'awertimento uA chi legge, apposto ai Madrigali gueruieri et Amorosi, Monteverdi fu il primo a tradurre in musica l'affetto dell'ira, reahzzando pienamente uno stile musicale concitato: una stessa nota ribattuta velocemente per molte volte consecutive, abbinata a parole esprimenti ira e sdegno, avrebbe generato infallibilmente uno stato d'animo di 'concitazione', di agitazione g,.rarrarar".

Il

madrigale poteva dunque toccare tutte le corde dell'animo

umano: la sua ricca tavolozza espressiva era ormai completa. Così, le quattro esigenze fondamentali del periodo barocco vennero pienamente integrate anche all'interno di quello che

il

genere rinascimentale per eccellenza: nel Combattimento abbiamo monodia con basso continuo, stile concertante, rapera

presentatività, che cooperavano tra loro per muovere gli affetti degli ascoltatori. E che tale scopo fosse stato completamente

't Già Vin..nzo Galilei aveva classificato i ritmi veloci come propri dello stile concitato. Dal canto suo, Ia tecnica delle note ribattute proveniva dalle 'battaglie' strumentali cinquecentesche: Monteverdi non fece altro che estenderle per tratti più lunghi e applicarle anche alla voce. Attenzione, comunque, a non confondere lo stile concitato con l'altro stile dal nome simile: lo stile concertante.

Srorue DELIA Musrce OccroeNtern,

lo

e Ia

ve+det-

sdegno al-

ta poi e la

la verrdettaal-la

vendet- ta poi l'on

ven-

ta ri

-

- Claudio Monteuerdi,ll Combattimento di f'ancredi et Clorinda (dall'Vlil libro di madrigali, Madrigali guerrieri et amorosi/, misl 163-167.

Es. 17.1

Lo stile concitato è qui applicato tanto alla uoce qudnto agli strumenti.

17. Monteuerdi e la'seconda prattica

raggiunto ci è testimoniato dalla stessa prefazione a questo madrigale: nla nobiltà [...] restò mossa dal'affetto di compassione in maniera che quasi fu per geftar lacrime: et ne diede applauso per essere statto canto di genere non più visto né uditor.

17. Monteuerdi e lA'seconda pratticd

AppnoFoNDrMENTo 17.2 Il teatro musicale

a Mantova:

L' Orf, o dt Striggio/Mo nteverdi

Le prime rappresentazioni delf Orfeo ll

successo orriso oll'Euridice ovevo bottezzoto un nuovo genere teotrole.

il terreno ideole per lo crescito dello neonoto opero in musico. lnfotÌi, gli spettocoli di moggior richiomo in quello corte erono, per uno consolidoto trodizione, le commedie recitote con il corredo degli intermedi, più o meno sforzosi; e, d'oltro conto, in ombiente mediceo lo musico ero proticoto più che oltro sotto formo di occosionoli introttenimenti. Non o coso, moncono notizie di ulteriori ollestimenti operistici o Firenze per tutto lo primo metò del Seicento'. Prowidenziole, dunque, fu lo circostonzo Lo corte fiorentino non costituivo tuttovio

che l'ultimo soboto di cornevole del 1607 nel polozzo ducole di Montovo, forse nello cosiddetto 'Gollerio dei Fiumi', fosse roppresentoto L'Orfeo di 'Cloudio Monteverdi su testo di Alessondro Striggio ir., figlio del celebre modrigolisto. L'evento ebbe luogo in occosione di uno seduto dell'Accodemio degli lnvoghiti (fondoto circo mezzo secolo primo dol defunto duco Cesore Gonzogo): dunque dovonti o un pubblico ristretto e colto. Si trottovo oncoro uno volto dello storio di Orfeo ed Euridice, mo per l'Accodemio montovono l'evento ero uguolmente unico, tonto che un tol Corlo Mogni in uno lettero scritto ollo vigilio (23 febbroio) dello roppresentozione sottolineò: «tutti gli interlocutori porleronno musicolmente». Per l'occosione fu pubblicoto il libretto (ossio il testo destinoto od essere contoto), come lo stesso principe Froncesco Gonzogo rocconto in uno lettero scritto il medesimo giorno, , le

porole con cui l'eroe giò pregusto lo sospiroto visio-

ne dell'omoto. O, per converso, si consideri il coso dell'ultimo sceno: i versi sciolti vi sono ossenti, mo nondimeno interviene o più riprese il recitotivo. Si può dire, comunque, che ottorno

ol

,l650

olmeno un ospetto nello comunicozione librettisto-compositore sio ormoi definito: in

quest'epoco se non tutte le orie sono su testi strofici (cfr. le scene

7,

i testi strofici sono musicoti come orie.

orie strofiche sono intercolote

E virtuolmente tutte le

13 e l5), virtuolmente futti

do brevi ritornelli strumentoli, che invece orricchiscono solo di rodo quelle non strofiche (od es., l'orio di Demo inl,7l.

Quonto ollo posizione delle orie nelle scene, quello che oppore in l, 7, con l'orio ol centro, è obbostonzo roro e lo diverrò sempre più con l'ondore del tempo. Le due soluzioni, con l'orio oll'inizio o ollo fino dello sceno, sono più frequenti, e Cicognini uso l'uno o l'oltro o secondo del diverso contributo che cioscuno può dore ollo dinomico drommoturgico. Nel primo coso (orio che opre lo sceno; di solito è orio di sortito, in quonto il personoggio si presento, esce sul polcoscenico dolle quinte) l'orio serve o stobilire uno situozione o cui gli oltri personoggi presenti sul polco - o onche lo stesso personoggio, nel coso di un monologo - possono reogire: ho dunque uno funzione propulsivo rispetto ollo vicendo. Lo giò citoto orio di Giosone «Delizie, contenti» ll,2l, provocondo lo reozione di Ercole, mette in moto il drommo e suscito nel pubblico l'otteso per lo comporso di Medeo due scene dopo. Se l'orio si trovo ollo fine dello sceno (di solito è orio di entroto perché il personoggio dopo di esso rienfro fro le quinte"l ho rno funzione drommoturgico più stotico: il personoggio primo di losciore il polco commento quonto owenuto duronte lo sceno. Le scene monologo che si chiudono con un'orio sono solitomente estronee oll'evoluzione dello vicendo: honno quosi sempre lo funzione di uno postillo ollo stesso oppure di contribuire ollo corotterizzozione di un personoggio, informondo il pubblico sui suoi pensieri (cfr. le orie di Rosmino e di Delfo nelle scene 3 e 13).

Le convenzioni nell'opefa ven eziafla Lo necessitò

"

di ollestire frequentemente nuovi spettocoli senzo perdere

il

Vo detto che le denominozioni delle orie 'di sortito' e 'di enlroto' non sono offotto univoche e che spesso vengono invertite.

18. L'opera

italiana del

grodimento del pubblico fovorì nei teotri venezioni l'offermozione di uno serie di convenzioni. Compositori e librettisti potevono fore offidomento su olcune formule stondord che ovevono giò riscosso il consenso dell'uditorio; il pubblico ero ottrotto dollo possibilitò di ritrovore situozioni e congegni drommoturgici o cui ero ossuefotto inseriti in trome sempre nuove - o, speculormente, di vedere storie sostonziolmente risopute incornorsi sul polco sotto nuov" ,p".ie''. Uno volto stipuloto questo sorto di tocito occordo con il pubblico, gli outori potevono onche giocore con le ospettotive che ovevono suscitoto, od esempio reinventondo immoginosomente olcune convenzioni orcinote o semplicemente olludendovi implicitomente ottroverso le vicende del drommo. È torpr"rldente osservore come uno spettocolo di successo come il Giosone fosse interomente intessuto secondo uno rete di soluzioni drommoturgicomusicoli codificote. Alcune di queste sono tipiche del teolro operistico coevo, oltre sono retoggi del teotro porloto. Le convenzioni esercitovono

il loro influsso o vori livelli. Di olcune di

esse si è

giò deto:

si

offermò ben presto lo divisione dell'opero in tre otti't preceduti do uno sinfonio strumentole, tolvolto presente onche primo degli oltri due otti, e do un prologo, contoto do personoggi mitologici (Sole e Amore in quello del Giosone).

I primi due olti, poi, si concludevono con un bollo''

(il

primo otto del Giosone si chiude con un bollo di spiriti). lpersonoggi principoli erono in genere due coppie di omonti (nel Giosone Medeo-Egeo e Giosone-lsifile), contornoti do olcuni personog-

gi secondori e comici. Lo strutturo interno

ogli otti ero spesso orticoloto in modo do creore gruppi di scene. Se ne

può overe un'ogevole verifico osservondo lo strutturo del lotto del Giosoneltov. lB. l): le scene in cui l'ozione evolve sono roggruppote ovendo in comune olcuni personoggi''; tro l'uno e l'oltro

di questi gruppi sono inserite le scene comiche. Schemoticomente si ovrò (le scene offidote

esclu-

sivomen te o personoggi comici sono in grossetto):

12 E,B,G

''-f*;ri"**

3ft R

M,Eg

678 O D,O Del

r0 M,

ll 12 13 14

r5

DellM

Del,

d.ile convenzioni non è certo un opponnoggio del ieotro d'opero, essendo stolo ossoi proiicoto

nei

generi che presuppongono lo riproduzione in serie di uno schemo norrotivo. Modelli ripetitivi ricorrono, od esempio, nei conovocci usoti doi comici dell'orte, mo onche, come si è recentemente sosienuto, nelle ontiche hogedie greche nonché nelle moderne serie di telefilm, che rocconiono in modi diversi sempre lo medesimo storio owero introducono moduli e situozioni stondard in slorie diverse.

''

Core soppiomo, le

prime opere di corte erono in cinque olti, secondo quonto stobilito doll'Ars poetico di Orozio. A

questo modello si opponevo lo divisione in tre oiii, usoto nello commedio dell'orte e nei drommi spognoli, nonché,

occonlo o quello in cinque, nelle ozioni con musico o Romo, dollo Roppreseniolione di Covolieri (1600) ol SonlA/essio di Londi (1634). A Venezio lo divisione in tre otti sioffermò definitivomente neidrommi per musico o por-

l'

tire doi primi onni '40 del Seicento. Lo musico reloiivo

di solito

non compore nelle portiture monoscritte pervenuteci in quonto ero spesso composto dol

coreogrofo stesso o do un composilore diverso do quello dell'opero. r5

Questo corotteristico può richiomore lo /ioison des scènes delteotro froncese

dicui

si dirò in seguito (por. 23.2), mo

lo somiglionzo è olquonto superficiole: come vedremo, lo slrutturo drommoturgico del teoho d'oltrolpe ero noto do oltre esigenze che quelle operonti sui polcoscenici venezioni.

determi-

Seicento

Srorue DELIA Musrce OccropNtelp

Così le scene comiche, ricche di orie, vengono o scondire le fosi dell'ozione, costituito prevolentemente do recitolivi e oriosi.

Owiomente esiste un divorio sociole tro i personoggi seri e quelli comici, opportenendo questi ultimi di normo olle clossi subolterne. Vi sono scene o cui, tuttovio, prendono porle personoggi di rongo differente: od esempio, quello tipico in cui lo nutrice (nel Giosone è Delfo) dò consigli ollo persono offidotole (Medeo; è lo breve sceno l, 9).

Di normo, cioscuno dei personoggi principoli compore dinonzi ol pubblico per lo primo volto con un'orio di presentozione (nello scene l, 2 e l, mente Giosone e Medeo) e non

4

del Giosone si presentono rispettivo-

di rodo conto un importonte soliloquio in un momento cruciole

dello vicendo (cfr. l"o solo'di Medeo che chiude il I otto).

Tro i numeri più frequenti vi erono:

l.

L'orio comico, normolmente shofico. Lo musico non dovevo compromettere l'effetto

comico del testo: dunque, conto sillobico, limitoto estensione vocole (molte note ripetute) e

frosi ben seporote l'uno doll'oltro. Lo orie comiche sono presenti proticomente in tutte

le

opere venezione o portire do 1640 ollo fine del secolo (Giosone compreso: se ne è detto più sopro), fino ol momento, cioè, in cui i personoggi comici vennero esclusi dogli intrecci operistici (v. cop.27l.

2. ll duetlo omoroso, che fu sin doll'inizio lo croce dei teorici foutori dello verosimiglion-

zo, porendo improbobile o questi che ugli uomini conducono i loro offori più importonti col conto» e che uporlondo insieme essi si possono spontoneomente trovore o dire le medesime cose»»r6.

Mo l'eccezionolitò dello condizione emotivo sembrò infine sufficiente o giustificore

lole incongruo comportomento. Spesso lo riconciliozione delle due principoli coppie di omonti ero soncito do due duetti ol termine del terzo otto. Accode onche nel Giosone, dove per di più si può giò inhovedere uno reinierpretozione ironico dello convenzione: ol primo dueÌto lsifile Giosone

(lll,2l)

ne segue un oltro; mo invece che tro Medeo ed Egeo, come ci si ospettereb-

be, tro Medeo e lsifile, le due ex rivoli in omore.

Vi erono onche olcuni tipi di scene convenzionoli; il lomento, lo sceno di follio, quello di olhetombo e quello 'di sonno' l'opero in musico veneziono le mutuò direttomente dol teoho porloto, in porticolore dollo commedio e dollo postorole.

3. L'orio-lomenlo: fu forse lo convenzione di moggior successo del teotro musicole seicentesco, presente sin doi primi esperimenti fiorenlini''. ll successo di questo fopos rimonto ol mon-

teverdiono Lomenìo dello ninfo, un'orio do comero su testo di Ottovio Rinuccini pubblicoto

r6

l'ossicuroio occodemico lncognito [=Giocomo Bodooro], prefozione oll'Ulisse errontell644l. che l'Euridice di Rinuccini contengono importonti lomenti, rispetiivomente «Non curi lo mio pionto, o

''§io lo Dofne

fiommo, o gelo, di Apollo e «Non piongo, e non sospiro» di Orfeo.

18. L'opera italiana del Seicento

nell'Offovo libro

di modrigoli(1638),

scritto in «genere roppresentotivo» e in formo di vorio-

zione shofico: un bosso composto do quottro note discendenti flo, sol, fo, mr/ si ripele per 34 volte con uno melodio sempre diverso. Tole procedimento sembrò così efficoce do essere emu-

loto in decine di opere successive, in cui il telrocordo discendenle come bosso ostinolo (così

si

definisce un modulo fisso di poche nole, iteroto senzo soluzione di continuitò nel bosso di uno composizione) potevo essere voriomente modificoto, rimonendo comunque l'emblemo slesso del 'lomento'.

dell'oriolomento roggiunge il culmine proprio nel Giosone. L'ultimo dei tre

Lo convenzione

lomenti riservoti o lsifile (lll, 2l ), tutto in versi sciolti, è diviso in tre sezioni: lo secondo di que ste, in cui lsifile supplico occorotomente lo regino e tutli i presenti di recorle oiuto contro il roncore di Giosone, è musicoto do Covolli interomente su un bosso ostinoto costituito do un tetrocordo discendente''.

4. Anche lo sceno-lomenlo trosse origine dollo coppio Rinuccini/Monteverdi. ll giò citoto lomento d'Arionno, l'unico brono superstite dell'opero omonimo (Montovo

fu il prototipo di uno lungo serie di contote do comero (v.

l608; v. por. l7.l

cop.2l)e di monologhi

)

operistici,

in versi sciolti, stile recitotivo e divisi in sezioni, spesso seporote reciprocomente do interventi coroli e corotterizzote cioscuno do un offetto controstonte. Le scene-lomento costituiscono entitò in quolche modo oulonome, mo non sono orie, non essendo propriomente pezzi chiusi e

non potendosi specificore uno formo musicole che le occomuni: lo strutturo del lomento di Arionno e degli oltri dopo di esso si sviluppo o portire dolle esigenze inlerne del testo. ll successo

di questo fopos fu lole che le opere del Seicento ne contenevono solitomente più d'uno.

ll primo lomento di lsifile nel Giosone (1, l4) ne è un esempio emblemotico.

5.

Lo sceno

di sonno, in cui

uno dei personoggi presenli in sceno dorme, ero uno dei

pretesti fovoriti per inhodurre l'espressione contoto, in quonto tole condizione compromettevo

o indebolivo le normoli condizioni di consopevolezzo e dunque ogevolovo l"irrozionole' uso del conto do porte del personoggio dormiente o di quello che vegliovo. Nel Giosone Medeo si oddormento per uno volto, lsifile e Giosone oddiritturo per due. Ciò permettevo tolvolto di risolvere olcuni problemi drommoturgici in modo efficoce: lsifile, che «viene sognondo» in sceno (Giosone,

l,

14], descrive lo portenzo di Giosone do Corinto, norrondo così ol pubblico

un ontefotto del drommo.

6. Delle

scene

di invocozione e di incontomenio

(dette tolvolto onche scene-ombro,

con riferimento ol mondo ultroterreno) lo più celebre del Seicento è proprio

il

tour de force

di Medeo che conclude il I otto del Giosone. Di solito, come qui, le scene di invocozione compoiono ollo fine degli otti, oppure fungono do prologo. Lo convenzione dello sceno

't

ll boso oslinoto

su tetrocordo discendente rimorrò l'emblemo del lomento onche nei secoli

celebre esempio, J. S. Boch lo utilizzo nel lomento del suo Copriccio'sopro

o venire.

Per citore un

lo lantononza delfrotello

dilettissimo',

uno composizione clovicembolistico: il tetrocordo bosto ormoi do solo o richiomore l'ideo del lomento, onche senzo essere ossocioto od olcun testo.

Srozue DELLA Mustce OccroeNtel-E

d'incontomento soprovvisse o tutte le oltre di quest'epoco, fin nel Settecento e onche nell'Ottocento'n.

7.

Lo

follio

presuppone un comportomento irrozionole, e dunque mostrore un personoggio

che è folle o finge di esserlo è un eccellente pretesto per introdurre in un inireccio il 'contor contondo'. E oncoro uno volto dobbiomo l'odottomento ol teoko musicole di questo porticolore convenzione o Cloudio Monteverdi (cfr. quonto detto nel por.

lZ.l

sullo Finto pozzo Licoril.

Nel Giosone sembrerebbe moncore uno tole sceno, mo in reoltò lo sceno esiste, non

o benefi-

cio del pubblico, mo degli stessi personoggi. Giosone (ll, l3) persuode Medeo che lsifile è folle (uor s'ollegro, or si duole, or ride, or pionge, / or s'umilio, or s'odiro, f conforme ollo cogion per cui deliror) per giuslificore il fotto di over ricevuto un messoggio do lei in presenzo

dello mogo. Quondo poi lo regino compore in sceno, finisce per confermore le porole di Giosone con il suo comportomento intemperonte

le

-

dettolo doll'iro e non dollo follio.

Lo gronde sceno di Medeo si opre con un'orio nel cui testo prevolgono

iquinori sdruccioli.

Le scene

di incontesimo

e

mogio si corotterizzeronno proprio per lo presenzo di versi sdruccioli, uno peculioritò che il drommo per musico eredita do quello porloto, in porticolore doll'eclogo postorole. Ci sono celebri scene d'invocozione oncoro nell'Crfeo ed Euridice di Gluck (Vienno 1762]' e in lJn bollo

ls

in

moschero di Verdi {Romo

ì859).

Capitolo

GmoraMo FnnscoBAtDr !9.1 Storia di una 'seconda prattica nella musica strumentale

nevitabilmente, anche la presen te Storia della musica occidentale si trova a rispecchiare la diversa gerarchia che, fino al Barocco, ha separato la musica vocale da quella strumentale: nel volume precedente e nei primi capitoli di questo secondo volume la musica vocale ha infatti finito per assorbire quasi completamente la nostra attenzione. Questo aPproccio, però, rischia di falsare completamente l'attuale percezione

della realtà sonora delle epoche passate, appiattendo in un fondo indistinto la ricca e multiforme pratica del far musica con strumenti. D'altronde non sarebbe stato forse possibile procedere in modo diverso: infatti, mentre la musica fornita di testo era da esso innalzata ad una sfera intellettuale che la rendeva degna del consumo da parte della classe aristocratica, per la quale venivano approntati lussuosi e duraturi manoscritti o costose edizioni a stampa, la musica puramente strumentale arte 'meccanica', eseguita da musicisti di mestiere e dunque di rientrava ancora pienamente nel vasto territorio della tradizione orale, non avvertendo quasi mai la necessità di servirsi della scrittura musicale. E senza testimocondizione servile

-

nlanze scritte, purtroppo, ogni discorso sulla musica autica

è

destinato a girare a vuoto.

Fu solo agh inrzi del Seicento, soprattutto per merito del musicista ferrarese Girolamo Frescobaldi (1583-1643), che la musica strumentale iniziò ccln decisione il lungo cammino che

l9

Srorue DELIA Musrce OccropNrere

Fig. 19.1 - Pianta

drlk

basilica

di San Pietro in Roma. L'organo di cui si seraiua FrescobaWi per dccompagnare le esecuzioni

dzlk

Cappella Giulia era abitualmente collocato uicino all'altare drl transetto sinisno (n. I dtlln fiSu*). Occasionalmente, d causd dti kuoi nelk basilica (u. nota 4), tanto l'organo quanto la piattaforma in legno su cui si posizionauano i cantori doueuano

in altri luoghi (numeri 2-9 drlk fgura).

essere spostati

La basilica era anclte dntata di due organi stabili, situati ai

numeri2e l0delkfigura.

Prime musiclte a stampa di F,^escobaldi

la condurrà dal regno dell'oralità al regno della scrittura, conferendole così una dignità culturale assolutamente inedita.

Girolamo Frescobaldi è il primo compositore di grande rilievo, tra quelli che abbiamo incontrato finora, ad aver legato la propria fama ad una produzione quasi esclusivamente strumentale: egli era infatti un eccezionale virtuoso di strumenti da tasto, tanto da essere definito addirittura'mostro degli organisti". Gli impieghi stabili da lui ricoperti lo videro sempre alla tastiera dell'organo: a soli quattordici anni divenne organista dell'Accademia della Morte, a Ferrara; nel 1607 ricoprì la medesim a caica nella chiesa di Santa Maria in tastevere a Roma; l'anno seguente, poi, raggiunse la vetta forse più prestigiosa della sua professione. Nel 1608 egli fu infatti assunto come organista della Cappella Giulia in San Pietro, incarico che mantenne fino alla morte; durante tale periodo, tuttavia, gli fu possibile esercitare per breve rempo, nel 1620, la medesima funzione nella chiesa romana di Santa Maria (ora Santo Spirito) in Sassia e, presumibilmente dal 1628 al 1634, di ricoprire la carica di organista di corte presso il granduca di Firenze Ferdinando II de' Medici'. La prima apparizione di sue musiche a stampa consistette però in un libro di madrigali polifonici: era infatti consuetudine per i giovani compositori dell'epoca presentarsi al mondo musicale cimentandosi con il genere che più di ogni altro richiedeva sia perizia contrappuntistica che invenzione melodica. Del resto, Frescobaldi aveva studiato a Ferrara con Luzzasco Luzzaschi, il quale fu uno dei maggiori madrigalisti del tardo ' La parola 'mostro'-va owiamente intesa nel significato di 'portento', 'prodigio' (dal latino monstrum). E da notare poi che nell'epoca barocca, forse in conseguenza della crescente professionalizzazione dei musicisti, questi andarono sempre piir specializzandosi in repertori distinti. Se Frescobaldi si dedicò quasi esclusivamente alla musica strumentale, dell'altro grande compositore morto come lui nel 1643, Claudio Monteverdi, non è soprawissuta alcuna musica per soli strumenti. Allo stesso modo, di Heinrich Schùz, compositore che giganteggia sulla musica tedesca del Seicento (v. par.24.l), non abbiamo altro che musica vocale; mentre gli italiani Corelli e Torelli, aver prodotto solo partiture strumentali. , di cui si parlerà nelcap. 22, sembrerebbero ' Sulla data precisa dell'assunzione di Frescobaldi a Firenze la discussione scientifica è però ancora aperta.

1

9. Girolamo Frescobaldi

Cinquecento oltre ad essere a sua volta un noto org"nirta'. Il primo libro de madrigali di Frescobaldi fu pubblicato nel 1608 proprio nella patria del contrappunto, le Fiandre; lì, l'an-

no precedente, il giovane ferrarese aveva seguito il signore di cui era al servizio, l'arcivescovo Guido Bentivoglio, che era stato nominato nunzio apostolico nei paesi fiamminghi. Frescobaldi, tuttavia, ritornò in Italia nello stesso anno 1608, passando sotto la protezione del fratello di Guido Bentivoglio, il marchese Enzo, ambasciatore di Ferrara a Roma. E fu probabilmente per intercessione di costui che il musicista poté otte-

il

posto di organista in quella basilica di San Pietro nella quale, proprio nei medesimi anni, fervevano i lavori di una nere

completa riedifi cazior,eo.

Ma l'attività presso la Cappella Giulia, come abbiamo accennato, non assorbiva del tutto le energie lavorative di

Jnflu.n=a del comvmillenle sce-l+e.

srlle

compositive

Frescobaldi: intorno al 1611 lo troviamo al servizio del cardina-

le Pietro Aldobrandini. Questo fatto contribuì !r ad elevare notevolmente il livello sociale del compositore, in quanto egli passò dalle dipen-

o". ,. 'tqeì .ff.f: -tt{# ,,, .là 'i*-,

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di nobil,roliri d.[i" r,r, ,r.rra regione, ":" come i Bentivoglio, a quelle di un personaggio .-' ,-,,g,q y

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duranteilpontificatodellozioClementeVIIIi.3i.*:f.;i;.,-a,n*,,^1)-,(o,2*2. ;;* Aldobrandini ( 1592-1605), era assurto al *rJ r

..

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di 'cardinale ,:g)i,*, ;,,,"7nipote'o, addirittura, di'cardinale padrone': i[ nipòtè dèl papa Fig. 19.2-Autografod.i regnanre era infatti il cardinale più influente della .uri"'. L, ';n%f:n"l:#;'(l|,:,:#,*'' funzione di Frescobaldi tra i famigli dell'Aldobrandini non è Btbliotià/poltolicaVaticana, che veniva comunemente definito

facilmente precisabile, alla luce delle attuali conoscenze: piùr !"!';;;*lrfr!',1:'#i,0, che un vero e proprio maestro di cappella, il ferrarese era piut- u9L 90 c..46). Si trana fulb rosto un consulente esterno, con mansioni varie e sporadiche. :;?;::l;t:f;,;tr::r*t:i'#:* Anche in casi di questo tipo, tuttavia, il rapporto mecenate- organista dtlh Cappelh Giulia' t

Su L,rrr.rchi cfr. par. 1 1.1 nota 1, nonché i paragrafi l4.l e 14.2. " La navata centrale, su progetto di Carlo Maderno, fu completata con la facciata, nel 1614, sotto il pontificato di Paolo V Borghese; la consacrazione della nuova basilica . avvenne nel1626, regnante papa Urbano VIII Barberini. ' Tra l'altro, fu proprio il cardinale Aldobrandini ad officiare le celebri nozze dell'anno 1600 tra il re di Francia Enrico IV e Maria de' Medici. Con la morte dello zio, awenuta cinque anni dopo, le fortune di Pietro Aldobrandini subirono un momentaneo offuscamento; l'assunzione di Frescobaldi cadde invece in un periodo di deciso rilancio delle sue ambizioni politiche.

'

Srozun DELLA Musrca OccrneNrnlE

sco era dettato solo raramente da un personale e vivo interesse per la musica da parte di un personaggio autorevole: quasi sempre vi si celava un vero e proprio scambio di vantaggi tra musicista e cornmittente. Il committente accresceya il proprio pre-

stigio attraverso gli omaggi musicali che gli venivano tributati"; il musicista, da parte sua, non solo ne era a\rvantaggiato dal

punto di vista economico (le dediche dei volumi a srampa comportavano spesso un consistente contributo del dedicatario alle spese editoriali), -, si fregiava di tale protezione per accrescere il proprio status sociale e professionale.

A riprova del fatto che il

servizio presso l'Aldobrandini deter-

minò l'innalzamento della posizione sociale di Frescobaldi si può notare che, posteriormente a tale impiego, l'organista ferrarese lavorò stabilmente solo in favore di personaggi collocati ai massimi

livelli: il granduca Ferdinando II de' Medici e, dal 1634 in poi, il cardinale Francesco Barberini, 'cardinale nipote' di Urbano VIII. Owiamenre, tutto ciò rendeva inevitabile l'adeguamento dell'attività compositiva ai gusti e alle esigenze del padrone di turno: r Ricercari et canzoni franzese 1...) Libro primo che Frescobaldi dedicò al cardinale Aldobrandini nel L615 sono_, non a caso, tra le sue composizioni di stampo pitr conserva,or.', essendo scritte per un ecclesiastico che fu impegnaro nella severa attuazione dei dettami del Concilio di tento. Uno stile assai più avanzato caratterizza invece un altro volume frescobaldiano, stampato nel medesimo anno e dedicato anch'esso ad un cardinale, il duca di Mantova Ferdinando Gonzaga: le Tbccate e partite d'intauolatura di cimbalo 1...1 Libro primo. Che il duca Gonzaga non fosse estraneo alle scelte stilistiche del compositore è attestato proprio dalla dedica al volume; in essa Frescobaldi rammentava al duca che questi, avendolo ascol-

Lo'sec,o,^do pr^ollic,o' nel la,r'r,ns icr-r slr^urrn., n*.,r le

tato a Roma, usi degnò d'eccitarmi alla prattica di quest'opera er mostrar, che le fusse non poco accetto questo mio stilert. In cosa consiste, allora, la novità delle Toccatà Anche qui ci viene in aiuto uno scritto del compositore stesso: l'awertimennl .rrai"rf. nfJoUrr"dini [u dedi.r,o, ,r, t'rt,ro, il ,.rro f iir" a.ff. *esse di èiouanni Pierluigi da Palestrina, pubbiicato nel 1 594 (anno della morte del compositore prenestino; ma la dedica è datata 1593) nonchéla Rappresentatione di Aninta, et di Corpo di . Emilio de' Cavalieri che - come si sa - fu stampata nell'anno 1600. ".

La lunga storia della canzone alla francese è stata rramara nel par. 12. 1 Questa dedica si collocava nel corso di trattative imbastite da Frescobaldi per assunto alla corte di Mantova; ma tali trattative non ebbero alcun esito. .

essere

1

9. Girolamo Frescobaldi

to «Ai lettori, con cui si apre sia il primo libro delle Toccate che il secondo, pubblicato nel 1627u. Il progetto di Frescobaldi era semplice: ricreare con uno strumento a tastiera quei molteplici uaffetti cantabili, che i nmadrigali moderni, producevano con

d^ q.*Ip .*1 I q{,;

tanta efficacia e varietà; in altre parole, si trattava di introdurre la rivoluzione monteverdiana della 'secon-

ffiYe tl,ìi$.\d iì#ifl

da prattica' all'interno della musica strumentale.

ì:HC4

Allora, pur dedicandosi anche a generi strumentali polifonici come i ricercari, le canzonl, i capricci e le fantasie, Frescobaldi volle imprimere una nuova direzione a quei generi che potevano accostarsi maggiormente al nuovo stile vocale monodico: toccate e partite, ad esempio, permettevano di realizzare uno stile 'parlante', libero, estremamente mutevole dal punto di vista armonico, ritmico e metrico, nonché sovrabbondante di quelle fioriture melodiche così caratteristiche della vocalità 'affettuosd usata nella 'seconda prattica''0. Sia le toccate che le partite

-

generi definiti idiomatici, per-

ché modellati sulle esigenze manuali dello strumentista stesso

e

non sull'imitazione del contrappunto vocale - discendevano direttamente dall'antica prassi della musica improwisata. Per improwisazione, tuttavia, non si intendeva l'assoluto arbitrio creativo dell'interprete-compositore: egli seguiva invece, pressoché senza eccezioni, una specie di 'canovaccio' tradizionale, un

gli permefieva di non smarrirsi nei meandri dell'estemporaneità, ma gli consentiva di dotarsi di un saldo - sia pur elastico - impianto formale. Composizioni improwisate, dunque, ma non improwid.".

fil

''

rouge che

Si, l, dedica che l'awerrimento uAi lettori, sono riportati in ClauDto SaRTORI, Bibliografia della musica strumentale italiana stampatd in ltalia fino al 1700, Firenze,

Olschki, 1952, pp. 218-219.Il solo 'awertimento' è contenuto in LoRsNzo BmNCoNt, Il Seicento, vol. IV della Storia della musica a cura della Società Italiana di Musicologia, ,. Torino, EDT, I 982, p.96. "'Pe, di più, esse ,pp"rentate anche visivamente alla scrittura per voce e basso continuo, proprio"rr.ro perché venivano presentate in intavolatura e non in partitura. Le intavolature per tastiera, diversamente da quelle per liuto, erano infatti molto simili alla grafia moderna per pianoforte, con una riga per ciascuna mano (cfr. fig. 19.5).Le composizioni polifoniche per tastiera venivano invece scritte generalmente su molte righe, come le moderne partiture per coro, proprio perché discendevano dalla musica

," polifonica

*

vocale.

Può essere utile un confronto con quanto esposto nel par. 2.2: i concetti di 'scheletro fondamentale', di 'formule' e di molteplicità di 'versioni' possibili di una stessa musica sono infatti applicabili praticamente a tutti i repertori di tradizione orale.

Fig. 19.3 - Claude Mellan, Ritratto di Girolamo Frescobaldiall'erà di

36 anni, incisione.

{d

Srorua

DELLA

Musrce OccrosNrRr-p

Ad esempio la toccata, così come fu sviluppara dai compositori della scuola veneziana (soprattutto da Claudio Merulo) e dallo stesso maestro

di

Frescobaldi, Luzzasco Luzzaschi, era probabilmente costruita come libero sviluppo in sezioni contrastanti (idio-

matiche e conffappuntistiche) della formula gregoriana di recita dei salmi, la cosiddetta 'intonazione salmodica' (cfr. es. 2.2); essa fungeva quasi da cantus firmus della composizione strumentale, dettandone sia la struttura melodica che quella armonica.

la

toc-

cata nasceva infatti come piccola forma preludianre per fornire ai

cantori liturgici, prima del canto dei salmi, la giusta inronazione".

Nelle toccate a stampa di Frescobaldi è poco percepibile la presenza di un'intonazione salmodica sotterranea, anche se evidentissima è la struttura in segmenti contrastanti; anzi, il compositore si serve proprio di questa anrica strurturazione a pannelli per inserirvi la novità della 'seconda prattica', associando deliberatamente ciascun segmento della roccara - come si evince dal citato awerrimenro nAi lettori, - all'estrinsecazione degli affetti più variati. Benché nella sua produzione a stampa Frescobaldi 'moderni lzlno testinr onianza

di dido*ica d.llo covnposizione

zzi' ilcontenu-

to musicale ed espressivo della toccata, si hanno le prove che nella sua prassi di insegnante egli intendeva tale genere musicale nell'antica maniera sopra

descritta. Possediamo infatti alcune toccate (contenute

in un

codice della

Biblioteca Apostolica Vaticana) che sembrerebbero con tutra probabilità state scritte di getto da Frescobaldi stesso nel corso

di

essere

alcune sue lezioni, per

offrire dl'allievo un modello di improwisazione alla tastiera. Oltre a rappresentare per

noi una delle rarissime testimonianze sulle tecniche didattiche del

Seicento, queste toccate sono importanti

-

paradossalmente

-

proprio per la

loro distanzaformale e stilistica dalle ben piir elaborate composizioni di questo genere che Frescobaldi dette alle stampe: esse dimostrano infatti, per conrrasto, la lucida consapevolezza del ferrarese nel far compiere alla propria musica

uno scarto artistico notevolissimo, trasportando nel campo della musica scritta tecniche e generi che erano ancora sotto il dominio della tradizione oralet'.

'' L" t.ori"

secondo cui la toccata veneziana era costruita sull'inton azione salmodica è stata avanzata da MuRRev C. BnnosHev (The origin of the Toccara, [Roma], American Institute of MusicoloW, 1972); questa ipotesi, pur se ancora controversa, rimane tuttavia la piìr attendibile. ,, '" L'attribuzione a Frescobaldi di tali toccate (e di altre composizioni) contenure nel

manoscritto vaticano citato è stata formulata in Cr-euoro ANtt{tseLol, La didattica del solco tracciato: il codice chigiano QIV.29 daKavierbtichlein d'ignoti a primafonte fescobaldiana autografa, ufuvista italiana di musicologia», )C( (1985), pp.44-97.tJna veloce disamina di una toccata di Frescobaldi è ofltrta nel prossimo paragrafo.

1

di Frescobaldi, che lo conduce a svettare sulla musica della sua epoca al fianco di Monteverdi, consiste dunque nell'aver conferito la dignità di opu.r di altissiL import anza maggiore

mo livello artistico ai generi musicali idiomatici - generi per loro natura estemporanei e volatili' - per mezzo del loro apparentamento con il nuovo stile monodico vocale. In tal modo li ha resi non solo degni di inserirsi a pieno titolo nel prestigioso flusso della tradizione scritta, ma anche perfettamente in grado di muovere gli affetti degli ascoltatori.

I contemporanei percepirono abbastanza acutamente la portata di tali novità: la fama di Frescobaldi crebbe a tal punro che, nel 1626, egli poté permettersi di pubblicare a Venezia, presso

il

noto editore Vincenti,

ur

volume che incorporava i

Ricercari et canzoni franzese del l615 e Il primo libro di capricci del 1 624, senza apporvi alcuna dedica. Lassenza della dedica -

fatto decisamente insolito anche se già realizzato da Monteverdi nel 1614 con il suo Srsra libro de madrigali - significava che l'editore era disponibile a sopportare interamente le spese di stampa, facendo a meno delle sowenzioni elargite dal.dedicatario, poiché contava sui vasti proventi ricavati dalle vendite; se dunque l'impresa capitalistica si appropriava del ruolo di committenza, ciò era un sicuro indizio dell'alto valore commerciale attribuito alle opere di Frescobaldi. Non so[o: la notorietà dell'organista di San Pietro varcò le Alpi, giungendo fino alla corte di Vienna. Il compositore.tedesco Johann Jakob Froberger ( 16 16-1667), organista presso tale corte, ottenne nel 1637 iL permesso dall'imperatore Ferdinando III di assentarsi dalla capitale austriaca per andare a studiare a Roma con il maestro italiano, divenendo così il principale veicolo per la diffusione delle novità stilistiche frescobaldiane nel mondo g.r-"rri.o'n. Nel 1 640, owero tre anni prima della morte di Frescobaldi, il letterato Pietro della Valle scrisse che Frescobaldi, il quale già prima nfaceva stupire e bene spesso commuover€», ora stava inaugurando nurialtra maniera,i.o, piir galanterie alla modernar. Ma di questo suo nuovo stile, npiù galante, benché meno 'oN.ll,

quaresima del 1640 Froberger assistette quasi sicuramente ad alcune esecuzioni di Frescobaldi presso quell'Oratorio del SS. Crocifisso che è noto per aver promosso l'oratorio musicale in latino (cfr. cap. 21).

organistiche

9. Girolamo Frescobaldi

Sronn

DELLA

Musrce Occror,NrRm

scientificor't,

,o,

sembra purtroppo essere sopra\r/issuta alcu-

na pagina musicale scritta. Fig. 19.4 - Hendrick ter Brughen, Concerto, 1626

ca.

(Londra, lVational Galle$.

Ilfanciullo al centro del dipinto canta, legendo da un libro e battendo ii tactus con la mano destra.

Ilflautista e la liutista

lo accompagnano sembrano

che

esser

stati distratti dall'arriuo dell'osseruatore, t)ersl cui uo lgono gli occhi. Il pittore olandese ter Brughen (1588 ca.-1629) sogiornò per qualche tempo a Roma, ritornando in patria nel

l6l4

(sono euidenti

gli influssi

del Carauaggio): negli

stessi

anni

anche Frescobaldi era presente

nella città papale.

Ptprno

DELLA

VAILE, Della musica dell'età nlstra lettera del 10 gennaio 1640; citato in

ANcglo SoLnm, L'origine del melodramma"Torino, Bocca, 1903, p. 158. Vedremo

nel

par.27.7 che lo stesso Pietro della Valle fornì la prima testimonianza del termine 'oratorio' nella sua accezione musicale.

1

9. Girolamo Frescobaldi

AppnoFoNDrMENTo 19.2'Prima' e 'seconda prattiea' nella produ zione tastieristica di Frescobaldi:

le Cento partite

sopra passacagli,la Toccata

X

dal primo libro e un l{yrie dai Fiori musicali

Dall'improrrvisazione su moduli standard alle Cento partlte Lo produzione di Girolomo Frescoboldi per gli strumenti o tostiero si distribuisce grosso modo su tre versonti: quello più skettomente controppuntistico (fonto-

sie, conzoni, ricercori'), quello toccotistico e quello bosoto su bossi ostinoti o su forme di donzo. Le differen ze lro di essi riguordono tonto l'uso di tecniche compo sitive differenziote, quonto i morgini di intervento concessi oll'esecutore/improwisotore, che vonno evidentemente scemondo se si posso dolle donze o dolle voriozioni su bosso ostinoto oi generi polifonici più rigorosi.

Questi morgini erono trodizionolmente ompi soprottutto nelle serie di voriozioni estemporonee, frequentissime nello musico strumentole nell'ultimo cinquontennio del Cinquecento e nel primo del secolo seguente. ll principio formole ero semplicissimo: un modulo di poche misure, costituito di solito do uno lineo di bosso eventuolmente ossocioto o uno essenziole troccio melodico, ero ripetuto un numero indefinito di volte per fungere do conovoccio o uno serie di voriozio ni. Queste si dicono oppunto voriozioni 'su bosso ostinoto'. Per i bossi ostinoti erono solitomente utilizzoti moduli trodizionoli o popolori, comunque ben noti ol pubblico. Toli collone di voriozioni servivono o volte per le donze di societò (od esempio lo Cioccono o il Possomezzol; oppure erono utilizzote per declomore le stonze di uno composizione poetico o mo' di oeri (cfr. por. I 1 .2; od esempio lo notissimo Ario di Ruggiero'l; o, infine, erono usoti nelle musiche strumentoli

destinote ol semplice oscolto, in cui cioscuno voriozione ero spesso detto 'porte', mentre l'intero composizione prendevo il nome di porfifo. I 2

Uno definizione di questi generi musicoli è reperibile nel glossorio. Pore che questo bosso ostinoto fosse usoto in origine come oere per declomore ottove. Lo denominozione deriverebbe

dollo slonzo oriostesco «Ruggier quol sempre fui, tol esser voglio turioso, XLIV, 6l l.

/

Fin'ollo morÌe, e più, se più si puole» lOrlondo

Srorue DELIA Musrce Occror,Nrer-p

portito

[ìe;" di

_-1 I

fl:lgf\

ln

porte

2n porte

3n

porte

4n

porte

ecc.

M lo denominozione del modulo utilizzoto per il bosso ostinoto; si porlovo dunque di portite sullo Romonesco, sullo Follio, sul Possocoglio - o Possocog/i o Possocoglio" - mo onche su Ruggiero, quondo Le portite prendevono

questo bosso fu utilizzoto nello musico strumentole.

Si è giò visto come o portire dol Quottrocento si fosse owioto un processo in forzo del quole lo musico strumentole ondovo groduolmente ocquistondo dignitò e outonomio (cfr. por. 12.11. Uno delle conseguenze di ciò consiste proprio nello porziole cristollizzozione sullo pogino scritto delle formule utilizzote nelle improwisozioni. Esempi di questo fose di troposso dollo composizione estemporoneo o quello scritto sono reperibili nel repertorio liutistico cinquecentesco o nel repertorio toccotistico delle scuole nopoletono (Giovonni

Morio Troboci, Asconio Moione) e veneziàno (Andreo Gobrieli, Cloudio Merulo). Mo gli esempi più celebri sono roppresentoti do olcune composizioni frescoboldione.

Giò lo primo edizione (1615) delle Toccofe e portite d'infovoloturo di cimbolo [...] libro primo di Frescoboldi comprende, oltre o dodici toccote, otto Porfife sopro Rugiero, dodici sopro lo Romonesco e sei sopro lo Monicho'. Giò in questo serie di voriozioni inizio od offiorore uno peculioritò frescoboldiono nell'uso dello tecnico voriotivo: lo trosformozione di queste 'collone' di portite do strutturo odditivo (semplice inonellomento di uno voriozione oll'oltro) o cumulotivo (cioscuno comporso del temo è funzionole o un progetto orchitettonico di più ompio respiro). Tole concezione, presente qui ollo stoto embrionole, si concretizzerà compiutomente con le Cenfo portite sopro possocogli.

Questo composizione, che è uno dei vertici dello letteroturo clovicembolistico di ogni tempo, fo porte dell'oggiunto di 26 pogine che integrovo il medesimo primo libro

di

Toccote nell'edizione

del 1637 (vedi frg. 19.6ll. Giò nel Secondo

uno serie di portite su Possoc ogli e uno su di 11 6271erono stote incluse Cioccono. Le Cenfo portife sono il frutto dei rimoneggiomenti operoti su queste due

libro

3

a

foccote

Quest'ultimo denominozione prevolse nell'Ottocento. Le

edizioni del primo libro ditoccote successive o quello del

l6l5

recono le dote del 1616, 1616,1628 e, con uno

oggiunto, 1637.llsecondo libro ditoccote fu slompoto ne|1627. A portire dollo secondo edizione (1616) ol primo libro delle Toccote fu oggiunto uno serie di voriozioni sullo Folio e o cioscuno serie di portiie un certo numero di voriozioni in più; delle portite sullo Monico furono sostituite lo quorto e lo seslo e ne furono oggiunte cinque.

1

9. Girokmo Frescobaldi

a) la variazione sui passacagli

-----------lf

2a var. ,

b)

-

3avar.

C) 1a

variazione

sulla ciaccona

d)

q 4-aA

a)

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2a var.

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I

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CEq o

19.I - a) Tetracordo discendente, modulo-base tradizionale dei passacagli; b) Girolamo Frescobaldi, Cento partite sopra passacagli (ncipit), dall'appendice agiunra all'edizione del 1637 delleToccare d.'intavolatura di cimbalo et organo [...] libro primo. Come si uedt, il tetracordn tipico dzi passacagli (lr cui note sono euidznziate nellbsempio) non uiene posto necessariamente nella parte pii/ grauidill'insieme pohfonico ed è mggetto ad essere uariato mebdicamente tramite l'iruerzione fr ,oit ornamentali; c)'Baio armonico ffndamentale fulla ciaccona; lc note tra ?arentesi indicano una delle possibiti uarianti; d) Girotamo Frescobaldi, Cento partite sopra passàcagli, miss. 132-136. Sono euidrnziate lr note-brue drl giro armonico costituente la ciaccona. I-e indicazioni metriche originali dzlb Cenrc partite sono state adtguate alle moderne conuenzioni di sritrura. Le agiunte tra parentesi quadre sono congetture dzl nascrittore. Es.

Srorun DELIA Mustce OccIor,NrnI-r

di portite preesistenti. lnfotti qui le serie di voriozioni sul corotteristico bosso discendente di quorto (redosilJo: possocogli, cfr. es. l9.lo e b) si olternono o voriozioni composte su un bosso differente (cioccono; es. I g.lc e d1. serie

di voriozioni sullo cioccono costituito doll'ostinoto è certomente sono del I 623'; mo l'esempio più celebre contenuto in Zefiro torno, incluso negli Scherzi Musicolidi Monteverdi (1632). Frescoboldi, invece, sembro essere il primo outore od over bosoto interomente uno composizione strumentole outonomo su un bosso di possocogli: nelle fonti itolione - e oncor primo spognole - precedenti o lui, il tetrocordo discendente Le prime fonti dell'epoco che riportono serie

compore prevolentemente come bosso ostinoto in brevi preludi inseriti oll'interno di orieo.

t C

D

Misure

designazione

l-41

Cento PARTITE PASSACAGLI

o

intermezzi

centro tonale

SOPRA

41-52 Corrente 53-88 Passacagli 89-102 103-110 I I l-l3l Altro tono 132-139 Ciaccona 140-l5l 152-163 Passacagli t64-r73 174-197 Ciaccona 198-217 Passacagli 218-237 Ciaccona )-?,R-255 Altro rono 256-267 Passacagli Altro Tono 268-279 290-283 284-314 Altro Tono (indicazione

re re re re

re-fa fa fa

fa-do do do do-la la la-re re re re re

re-la, la-mi

riportata alle miss. 285

315-326

e 308)

mi

Tau,- l9.l - Schema riassuntiuo delleCenro partite sopra passacagli dall'agiunta alla quinta edizione (1637) delleToccate d'intavolatura di Cimbalo et Organo di Girolamo Fracobaldi. I titoli riportati nella colonna 'designazione'sono quelli clte compaiono uia uia nel corso della composiziàne, segnalandone all'esecuto.re k segmentazione e il percorso tonale; nelI'indice del uolume dtlle nclate è riportata una designazione più sintetica. Le linee orizzontali simbolegiano i punti di articolzziine più rileuanti, soxolineati nel testo tramite corone e breui cadenze. I grupji di misure indicati nblk colonna di sinistra si dlstingugno I uno dall abro per auere crascuno un segno

di mensura dffirente,

che

in questa tauola non è stato riportato.

s

Sono contenuie in uno intovoloturo per chitorrone diAlessondro Piccinini

6

Ad esempio, nelle Vorie musiche (1609)diPeri.

[566-1638

co.].

I

9. Girolamo Frescobaldi

Lo tovolo 19.( schemotizzolo strutturo delle Cento portite: lo lungo serie di voriozioni è interrotto do olcune corone o brevi codenze che ne determinono le orticolozioni principoli, simboleggiote nello tovolo medionte le linee trosversoli. Così si evidenzio uno mocrostrutturo in cui due lunghe serie di possocogli, in metro mutevole e centro tonole costonte (sezioni B e D) ne incorniciono uno tonolmente più instobile in cui i possocogli si olternono ollo cioccono (sez. C). ll tutto è introdotto do uno lungo sezione (A) in cui i possocogli sono invoriobilmente ripetuti, oncoroti o un unico centro tonole (r") sottoposti o " uno indicozione mensurole costonte 16/4). Lo sezione B è o suo volto seporoto dollo A medionte l0 misure di Corrente', zono tonolmente ossoi più instobile di quelle limitrofe. Le sezioni B e C si chiudono onticipondo cioscuno il centro tonole di quello successivo (rispettivomenle, fa e re; i segmenti in cui owiene lo 'viroto' tonole sono segnoloti nel testo musicole dollo dicituro 'oltro tono'). Lo stesso vole per lo sezione D che, onziché esourire lo serie di voriozioni tornondo ol centro tonole di portenzo lrel, ollo fine introduce un nuovo segmento modulonte ('oltro tono') e, terminondo sul centro tonole mi, pore losciore operto lo composizione olle oltre eventuoli e infinite possibilitò di prosecuzione suggerite ollo fontosio dell'esecutore,/improwisotore doll'esosperozione dello tecnico voriotivo.

"Affetti cantabili e diversità di pZlssi": la toccata X dal I libro Di sicuro il genere in cui l'opporto di Frescoboldi è stoto più decisivo è quello delle foccote. Tole denominozione ollude ol gesto di toccore lo tostiero dello strumento (orgono o clovicembolo, nel coso di Frescoboldi, oppure onche lirtol', e dunque rinvio progrommoticomente olle protiche improwisotive. tipiche dello stile toccotistico. Sio il primo che il secondo libro di toccote furono pubblicoti non in portituro, come lo moggior porte delle opere di Frescoboldi, mo in intovoloturo (vedi flg. 19.q, col risultoto di sottolineore onche dol punto di visto tipogrofico il tipo di scritturo idiomotico (cioè strettomente funzionole olle corotteristiche dello strumento) che distingue questo genere do quelli in cui lo stile controppuntistico è più severo e più 'vocole'. z

Questo tovolo riprende con olcune modifiche quello riportoto

in Fnrorntcr Hma,raouo, Girolamo trescoboldi,

Combridge, Moss., e London, Horvord University Press, 1983, p. 218.

8

Lo corrente ero uno donzo dell'epoco in metro ternorio e ondomento olquonto mosso. Doll'inizio del Seicento si

owiò

un processo di stilizzozione, in conseguenzo del quole i trotti corotteristici di que$o e di oltre donze furono utilizzoti per comporre musiche strumentoli outonome, destinote ol solo oscolto.

e

Nel Rinoscimento il termine 'toccoio' venivo riferito o composizioni per insieme di strumenti o fioto. Ne è oncoro retoggio lo loccoto che opre l'Orfeo di Monteverdi.

un

Srorun DELIA Mustce OcctoENreI-s

ln reoltò, sotto lo denominozione di ' toccoto sono roccolte composizioni ii musicoli onche ossoi diversificote: in nn questo senso il secondo libro delle toc- Ìr in cote frescoboldione si può considerore :r, uno sorto di compionorio del genere j

toccotistico seicentesco. lnnonzitutto vi 1n ;n si trovo un gruppo di toccote espresso!n mente dedicote oll'orgono (lll-Vl); le prime di esse olludono oll'uso degli t' orgonisti di improwisore duronte olcuni '' momenti dello liturgio: l'outore indico infotti che sono udo sonorsi ollo levolio ,, r

ne». Tro le rimonenti sette toccote,

desti-

.i

note in primo luogo ol cembolo, ne D:- t..< X compoiono olcune che si porrono'd',," Inili;f:f;l',q#f,,4!H:::ata in stile 'libero', ed oltre dette 'di durez- partite d'intavolatura di cimbalo [...] libro 1,4:,9:!mo Frescobaldi (1615)' ze e legoture', un tipo di composizione !'!::;f,';ffif,f;;f:l;!f:*isione su siò in uso presso ro scuor" Jel Cinquecento, bosoto su un portico k:':1,,/d!'!ot'q:!!?,",labilmente sul lore uso deue dissononz e l' durezz";t trllt 1;;*','1!;;l;'i?|';l r'*Jli,i, Rimone o bose di tutte lo motrice ottenute cln questr ?rocedimento di stampa tirature ottenute dalh improwisotivo e lo schemo corotteristi- ',Y:.:!::'o'nte co dello toccoto: brevi ,r.."rr'"rt !{:tr';;t;::,';r'ifr:::l;l'::::;ir;i.*' occordoli codenzonti infrommezzote si oseri.i anclt9 co.ry risplt|o a.lk stampa ';l;:;::;1',::::;:r':r:n';!;;:i;""' do 'possi', ossio do episodi di I'intauolatura.aderisca p.iù peitagramma) do composti mio e densitò voriobile, t .. r r-:il: ^ sffettamente alle esigenze dell'esecutore, in

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ffi H:' i[ ff;JI ffi'':',,: :'§';;;:',';t:#;:T/;::;1"fi;{.i;;,;l così dire, o ponn"lli, composito, un po' '!::g:.::f:':fi:.:"'::!i:':"!: come quello di un polittico; ,";;;;, if;::::;",'l'!',;I;?):f; f:;':L,

sei linee ed bnee, si

tro l'oltro, dolle necessitò protiche del- rindono necessarie due chiaui, dido e difa. l'ufficio religioso (un orgonisto dovevo poter interrompere in quolunque momento l'esecuzione dello toccoto, improwisoto o no che fosse; ecco perché nel corso delle toccote compoiono frequenti successioni di occordi codenzonti). E Frescoboldi stesso ero consopevole che per lo loro stesso noturo le toccote ommettevono esecuzioni incomplete se negli 'Awertimenti ol lettore' Premessi ollo secondo edizione (16'16) del primo libro di Toccote dichiorovo: «Nelle toccote ho hovuto considerotione che non solo siono copiose di possi diversi,

I

9. Girolamo Frescobaldi

et di offetti: mo che onche si posso cioscuno di essi possi sonor seporoto l'uno doll'oltro; onde il sonotore senzo obligo di finirle tutte potrò terminorle ovunque più li sorò gusto».

Gli owertimenti «Al lettore» che Frescoboldi ho premesso olle prime due edizioni delle Toccote e portib [...] libro primo sono forse i documenti più lucidi e preziosi sullo prossi esecutivo dell'epoco'0. E il riferimento ogli «offetti, nel posso oppeno citoto non è offotto cosuole: lo stile florido, ornomentoto dei 'possi' ollude infotti proprio o quello in vogo nello musico vocole contemporoneo per voce e continuo, stile che Mon-

teverdi ovevo consocroto quole strumento principe per l'espressione degli 'offetti'. Si

.

COPISCO,

I r r r r r. ---- t,-. . I OVOUnqUe, Cne f reSCOOOlOl oPrO

t!,!-,F1oryesp71o dell'edizione del 1637 delprimo libro delleToccate d,intavolatuia di cimbalo er organo F1S,

edizione di Girokmo Frescobaldi. [...] libro primo (1616) offermondo di over «conosciuto

vertimento premesso ollo secondo

delle Toccote e porfife quonto occetto sio lo moniero di sonore con offetti contobili e con diversitò, di possi». Lo dichiorozione d'intenti non potrebbe essere più esplicito: «sonore con offetti contobili». Come reolizzore, olloro, lole'contobilitò' nell'esecuzione strumentole?

Nello stesso introduzione Frescoboldi invito l'esecutore o modellore l'interpretozione ritmico delle toccote su quello, eloslico ed espressivo, dei modrigoli coevi: «non dee questo modo di suonore store soggetto o bottuto: come veggiomo usorsi ne i Modrigoli moderni, i quoli quontunque difficili si ogevolono per mezzo dello bottuto portondolo hor longuido, hor veloce, è sostenendolo etiondio in orio, secondo i loro offetti, ò senso delle poroler. E il riferimento è tonto più colzonte se si penso che onche i tordi modrigoli di Morenzio e Gesuoldo, cui sembro riferirsi qui Frescoboldi, sono costituiti do segmenti corotterizzoti cioscuno do un corottere offettivo diverso e chiusi do uno codenzo. Proprio lo frommentorietò congenito ollo formo indirizzo il ferrorese verso lo reinvenzione dello toccoto. l0

Anche se non gli unici: vi è onzi uno letteroturo obbostonzo copioso riguordonte lo prossi esecutivo sio dello musico strumentole che di quello vocole. Tro gli outori e i teorici che ci honno loscioto troccio dello curo con cui si oddesfo-

vono shumentisti e contonti ol nuovo stile, oltre ol giò citoto Coccini lle nuove musiche, 1602|, si possono menzio nore Diruto (15931, Viodono [602], Antegnoti (1608], Brunelli (1614], Bottozzi (1614], Ghizzolo (1619), Porto (1620). L'importonzo che ovevo ossunto lo perizio dell'interprete per lo buono riuscito nell'esecuzione delle musiche note sotto gli ouspici del nuovo stile è confermoto dol fotto che Frescoboldi ontepone olcune indicozioni di prossi ese cutivo onche olle stompe del Primo libro dei copricci

l62al e dei tiori musicoli(16351.

Sroma. DELTA Mustce Occmr,NrnI-r,

Dunque lo troduzione in suono dell'intenzione frescoboldiono, che si può ben dire 'drommotico' («diversitò di possi»), ottroverso un'espressione di tipo vocole («offetti contobili») richiede oll'esecutore di rodicolizzore l'opposizione

tro le situozioni musicoli diverse in cui egli si imbotte. L'indirizzo ol lettore dello primo edizione delle Toccole mette l'esecutore sull'owiso che, uno volto inizioti i primi occordi dello toccoto «odogio», egli dovrò bodore uollo distintione dei possi, portondoli più et meno stretti conforme lo differenzo de i loro effetti [= figrrorioni ornomentoli], che sonondo opporiscono». Per l'ottribuzio' ne del corottere odeguoto o cioscun 'posso' è copitole, dunque, lo scelto del giusto ondomento: Frescoboldi stesso non ne fo mistero quondo chiude l'ovvertimento dello secondo edizione «rimettendosi ol buon gusto e fino giuditio del sonotore» per quonto concerne «il guidor del tempo»», ossio lo scelto dell'ondomento più opproprioto, «nel quol consiste lo spirito, e lo perfettione, di questo moniero e stile di sonorer. Lo scritturo dei 'possi', dunque, derivovo direttomente dolle protiche ripetutoimprowisotive coeve, secondo quello protico dello diminuzione giò .l6.2 nel por. e sulCoccini su detto mente menzionoto (cfr. onche con quonto l'orio «Possente spirto» di Monteverdi nel por. 17 .2lr. L'opporto copitole dell'opero frescoboldiono sto proprio nell'over contribuito in moniero decisivo o cristollizzore sullo pogino scritto le formule usote nelle improwisozioni. ln tol modo l'ornomentozione entrovo o for porte integronte dello composizione; onzi, ne divenivo il motivo di interesse primorio, lo principole rogion d'essere, rispetto ol conovoccio - quole che ne fosse Io noturo - giò noto. Nel porogrofo precedente si è menzionoto lo teorio secondo cui lo toccoto dello scuolo veneziono deriverebbe dollo prossi degli orgonisti di improwisore sulle melodie dei toni solmodici. Anche olcune toccote frescoboldione sono stote ricondotte o questo prossi. Per comprendere come lo tecnico dello 'diminuzione' ogisco sullo bose di simili trocce melodiche si può mettere o confronto il quinto tono solmodico (es. t9.2ol con l'in,cipit dello toccoto X dolle Toccote e portife [...] libro primo di Frescoboldi" ("t. 19.2b, dove lo corrispondenzo tro il profilo del tono solmodico e lo toccoto stesso è stoto evidenzioto sovropponendo quello o questo). Come si vede, giò in questo strolcio dello toccoto lo melodio dello primo porte del tono solmodico, fino ollo codenzo mediono, viene ripreso per due volte, secondo uno Prossi comunissimo in questo repertorio; si osservi onche come tole melodio sio offidoto oro ollo porte superiore del cembolo, oro o uno intermedio, oro ol bosso.

ll

l'ipotesi che questo toccolo sio bosoto sullo melodio del quinto tono solmodico è stoto ovonzoto do Munnlv'C. BnmsnAw, The origin

of

the toccoto, cit., p. 79n. Tole tono solmodico viene troscritto qui secondo lo versione dolone

nello Commem orotio brevis de tonispso/mis modulondis, un importonte hottoto sullo solmodio risolente oll'inizio del X secolo. Per l'uso didottico di questo prossi do porte di Frescoboldi cfr. il por. precedente.

l*

I

corda di recita

cadenza mediana

|-----1

seconda

corda di

intonazione

recita

9. Girolamo Frescobaldi

r-------------I

a) b)

,ro*f )-)Jt

I

I

c)

Es. 19.2 - a) Trasmizione schematica del quinto tono salmodico; b) corrisPondenza tra k prima ?arte del quinto tono salmodico e /ìncipit dellaToccata X dalleToccate e partite d'intavolatura df cimbalo [...] libro primo di Girolamo FrescobaWi. L'indicazione metrica originale è stata modificata ?er adattarla alle moderne conaenzioni di srittura. Si tenga presente, comunqae, ,'he in girrrrc le stanghette nun ualgono, come nelk notazione moderìa, a segnalare k piesenza del tempo forte della misurt, mA seraono principalmente ad ageuohre la littura. Taluoba, infatti, le-misure in questa toccata si estendono ?er una durata superiore a 4/2; c) corrispondenza tra h cadenza conclusiua dcl quinto tono salmodico e le mis* 17-18

delk

medesima toccata.

Srorun DELLA Musrcn Occror,Nrar-r

A metò dello toccoto si incontro uno formulo codenzole più lungo delle oltre, uno successione di occordi che di fotto divide lo composizione in due. L'es. 19.2c mostro lo corrispondenzo tro questo formulo e lo codenzo conclusivo del tono solmodico.

Retaggi della 'p.ritna prattica' nei

Fiori musìcali

L'ultimo delle roccolte complete pubblicote duronte lo vito di Frescoboldi fu quello dei Fiori musicali di diverse composizionill635). Come il titolo loscio presogire, si trotto di un compendio di tutti i generi di musico tostieristico che

il ferrorese ovevo coltivoto lungo l'intero vito: toccoto, conzone, copriccio, ricercore e versetti per orgono. I Fioricontengono musiche orgonistiche destinote oll'uso liturgico distribuite in tre messe: dello domenico, degli opostoli e dello Modonno. Lo tov. t9.2 mostro il contenuto e lo collocozione liturgico delle composizioni comprese nello Messo degli opostoli. Destinazione liturgica Prima dell'lntroito

Kyrie

Graduale

Canzon dopo la Pistola

Offertorio

I occata avantr ll Ricercar Ricercar cromatico post

ilCredo Altro recercar Elevazione

Toccata per

Lommunlo

fucercar con obligo del

(Deo Gratias)

Canzon quarti toni

l'Elevatione basso

dopo il Post Comune

Tau. 19.2 - Schema che associa le composizioni incluse nellaMessa degli apostoli deiFiori musicali di Girolamo Frescobaldi QA, alk relatiua collocazione liiurria. Sono euidenziate le sezioni delProprium e le composizioni corrispondenti. Come si uide, k destinazione liturgica di alcune di esse è indicata chiaramenti nel titolo ffoccata avanti la Messa, Canzon dopo la Pistola, cioè dopo la lettura dell epistola, ecc.). Per ahre, la si può ricauare con suficieite certezza tramite if confronto con altie collezioni coeue simili.

I

9. Girolamo Frescobaldi

Come si vede, nei Fiorisono inclusi onche pezzi lo cui collocozione corrisponde o quello di olcuni conti del Proprium (Groduole, Offertorio, Communiol: verosimilmente, nel '600 si ero offermoto l'uso di eseguire composizioni strumentoli consimili, oll'orgono o con orgonici strumentoli diversi, mentre il celebrqnte recitovo sottovoce i testi corrispondenti oi conti del Proprium. Questi conti, dunque, venivono di fotto sostituiti do musiche strumentoli''. Dei conti dell'Ordinorium, Frescoboldi include, qui come nelle oltre messe dei Fiori, il solo Kyrie/Christe: queste porti orgonistiche erono destinote od essere olternote, secondo lo prossi dell'epoco, ol conto dello monodio liturgico relotivo.

Nelle sezioni Kyrie/Chrisfe di cioscuno delle tre messe l'outore utilizzo le melodie gregorione relotive o come cantus firmus o volori lunghi, oppure come fonte del moteriole temoticeimitotivo. È quonto owiene, od esempio, nel primo Kyrie dello Messo degli Apostoli, nello cui porte superiore è riconoscibile il contus firmus costituito dollo melodio liturgico del Kyrie relotivo (è lo melodio del Kyrie cunctipotens in cui ci siomo giò imbottuti nei porogrofi 3.1 e 3.2lr. L'es. 19.3 mostro che le entrote in imitozione sistemotico delle oltre porti sono costruite servendosi del medesimo moteriole temotico. ln porticolore, lo melodio viene trosposto ollo quinto inferiore (inizio do re invece che do /o) ol controlto e ol bosso. Ciò dò il segno di come lo perizio compositivo frescoboldiono sugli strumenti do tosto si esplicosse non solo ottroverso le 'offettuose' inflessioni toccotistiche, mo onche tromite il più trodizionole virtuosismo controppuntistico: le due 'prottiche' soprowivevono fionco o fionco. Non deve stupire, dunque, che proprio nell'epoco del trionfo dello monodio e dell"orozione', lo dedico ol duco Froncesco Borghese del Primo libro delle fontosie o quottro del ferrorese (160S) si oprisse oncoro con un richiomo ollo uMusico, concetto mirobile dell' humono intelletto, ommiro bi I i mitozione dello celeste o rmonio».

'2

lnlroito

e

Alleluio moncono nei Fiori probobilmente perché erono eseguiti sotto formo

coroli sul contus firmus liturgico.

di eloborozioni

polifoniche

Srorun DELIA Musrcn Occropxrers

a) Ky-ri

b)

dl

?

1.9.?

- a) Trascrizione dell\ncipit del Kyrie I dalla

messd gregoriana In festis b) Girokmo Frescobaldi, incipit del primoKyrie.dalh"Méssa degli apostoli l: inclusa nei Fioir musicali. In grigio è euidenziata la melodia liturgica usata come canrus firmus, in colore le entrate in imitazione sistematica deriuate dalla"medesima intonazione. Si osserui che uiene introdotta e mAntenuta in tune le parti I'aberazione cromatica delk

4t

Duplicibu:

terza nota della melodia gregoriana.

-l*

Capitolo 20

OneroRro E oRAToRTA 20.I Storia di vari modi dr orare in musica

e nuove esigenze musicali awertite nel periodo barocco I J-'di cui si è parlato nell'Introduzione IV stimolarono la

di un altro genere musicale, sorto a Roma agli inizi del Seicento: l'oratorio. Per comprenderne l'origine e la destinanascita

zione dobbiamo però compiere un passo indietro.

Da lungo tempo la Chiesa cattolica era diventata una potenza politica ed economica di prim'ordine, impegnata più ad imporre il proprio potere sulle vicende temporali che a svolgere compiutamente il suo ruolo di guida spirituale. Lopera riformatrice di Lutero e il conseguenre sottrarsi di buona parte dell'Europa all'autorità papale costrinsero la Chiesa a prendere atto della necessità di un mutamenro.

il Concilio di tento non ottenne altro scopo che quello di una revisione dottrinale e di un generico invito ad una Se

moralizzazione dei costumi (che si esplicò anche attraverso una severa censura su ogni tipo di produzione artistica: si veda

ad esempio la promulgazione dell' Indice dei libri proibiti), alcuni privati cittadini tenrarono di dare il proprio contributo per l'applicazione del messaggio evangelico in modo più profondo e coerente, istituendo nuovi ordini religiosi o riformando quelli già esistenti. Basti pensare alle grandi figure degli spagnoli Teresa d'Avila (fondatrice delle carmelitane scalze, che si distaccarono dall'antico ordine delle carmelitane), Ignazio di Loyola (fondatore dei gesuiti) e del discepolo di

Srorue DELIA Musrce OccroENrar-E

Le

r^ianioni

cinquecenlesche di Filippo §e,^i

a.

facciata

b. interno

Fig. 20.1 - Francesco Borromini, ?rogetto ?er l'Oratorio dei Filippini adiacente a S. Maria

in Vallicella dexa Cbiua Nuoua, 1637-43.

questi, Francesco Saverio (missionario in Estremo Oriente)'. A Roma operò un sacerdote fiorentino, Filippo Neri (1515-

L595, proclamato santo nel 1622 insieme ai religiosi appena citati), che più di tutti gli altri impiegò la musica per il suo apostolato. Intelligente, spiritoso, tollerante con gli altri quanto austero con se stesso (giunse a rifiutare la porpora cardinaltzia offertagli dal papa), Filippo si rese conto che era necessaria un'opera capillare di riawicinamento della gente comune alla pratica religiosa, di modo che essa incidesse concretamente sulla vita quotidiana di ciascuno. Iniziò allora, verso il 1550, ad incontrarsi regolarmente con un piccolo gruppo di laici per pregare insieme e discutere in modo informale di problemi spirituali. Man mano, il carisma della sua personalità fece aumentare a dismisura il numero dei partecipanti a queste riunioni: abitualmente si trattava di alcune centinaia di persone, ma talvolta ne furono annoverate circa duemila. Nei primi tempi i seguaci di Filippo si riunivano in una soffitta situata sopra Ia chiesa romana di S. Girolamo della Carità, che venne successivamente ampliata; in seguito essi occuparono un locale vicino a S. Giovanni dei Fiorentini, il cosiddetto Oratorio della Pietà. Le domeniche dalla primavera all'autunno (escluso il periodo più caldo dell'estate) gli incontri si effettuavano all'aperto, sul colle romano chiamato Gianicolo. Nel 1575 il papa Gregorio XIII donò a Filippo la vecchia chiesa di S. Maria in Vallicella; poiché erano ormai numerose le persone di alto ceto sociale che frequentavano le adu nanze del futuro santo, non fu diffìcile reperire i fondi per abbattere il vecchio edificio e costruirne uno nuovo, che ancora oggi viene comunemente detto Chiesa Nuova. Le riunioni si svolsero allora in varie sale vicine ad essa, finché nel 1640 - quando ormai Filippo era morto da quasi cinquant'anni - fu inaugurato un apposito edificio adiacente alla Chiesa Nuova, progettato da Francesco Borromini: l'oratorio di S. Maria in Vailicella. Esso fu detto 'oratorio', perché tale era il nome che da lungo tempo veniva usato per definire tanto le adunanze quanto i luoghi dove esse si svolgevano. Si parlava dunque sia di 'tenere l'oratorio', per indicare lo svolgersi di questi esercizi spirimali, sia di ' N.Uo stesso periodo i cappuccini si separarono dal ceppo originario francescano; furono fondati anche i barnabiti, i teatini, i filippini (di cui parleremo tra poco) ed altri.

20. Oratorio e oratoria

andare 'nell'oratorio' per pregare: ricordiamo che orAre, in latino, significa 'pregare'. Con gregazione dei Padri dell'Oratorio fu

denominato poi il gruppo di sacerdoti che coadiuvavano Filippo (detti in seguito, comunemente, 'oratoriani' o 'filippini') ma dei quali egli non volle mai essere il superiore, preferendo piuttosto adottare un libero ordinamento di tipo democratico: chiunque aveva facoltà di andarsene dalla congregazione, senza formalità.

Negli oratori la musica ebbe un posto di primo piano; tra le preghiere, le discussioni e le prediche (spesso autogestite dagli stessi fedeli), i partecipanti eseguivano tutti insieme numerosi canti religiosi, quasi come un gradevole diversivo: ula pratica ha mostrato, che inserendosi trà gli esercitii gravi fatti da persone gravi Ia piacevolezza della musica spirituale, e la semplicità, si tira molto più popolo di ogni sorte», scrisse Filippo in un rapporto presentato al papa .Essendo fiorentino, egli usò a tale scopo [e laudi in volgare, che proprio nella Firenze quattro-cinquecentesca avevano assunto una veste polifonica molto sempIice, generalmente a tre ,oci'; nella seconda metà del Cinquecento furono stampati ben nove libri di laudi composte appositamente per l'oratorio di Filippo Neri. The ne erano gli autori principali: Giovanni Animuccia (1500 ca.-1571, successore del Palestrina come maestro della Cappella Giuliao e maestro di cappella dell'oratorio di Filippo Neri fino alla morte), lo spagnolo Francesco Soto de Langa (L534-1619) e Giovenale Ancina (1545-1604), entrambi membri della Congregazione dell'Oratoriot. Probabilmente collaborò con gli oratariani anche Tomiis Luis de Victoria (1548-1611), celebre compositore spagnolo di musica polifonica sacra: egli infatti, durante il suo soggiorno a Roma nella seconda metà del Cinquecento, fu cappellano di S. Girolamo della Carità e abitò per cinque anni nella stessa casa di Filippo Neri. Le laudi cantate nell'oratorio filippino avevano uno stile molto simile a quello delle forme profane 'leggere' del "

Citato in HowRRo E. Stvttrurn, L' oratorio barocco. Italia, Vienna, Parigi, Milano, Jaca , Book, 1986, p.61. I primi esempi di laudi polifoniche risalgono alla fine delTrecento. Animuccia occupò tale carica dal 1555 al l57l; in quell'anno, in seguito alla sua il posto venne affidato di nuovo al Palestrina. Soto, nel 1571, prese il posto di Animuccia come maestro di cappella dell'oratorio.

. morte,

Le lo',di polifo,riche

Srorue DELIA Musrce Occror,Nter-p

Cinquecento come, ad esempio, la villanella; esse erano caratterizzate da una forma strofica e da un andamento quasi sempre

omoritmico, con netta prevalenza della voce superiore. Alcune di queste laudi, poi, erano scritte in forma di dialogo: ad esempio, tra l'Anima e il Corpo, l'Angelo e la Vergine, Gesù e la Samaritana, o tra i pastori al presepio. La loro struttura, però, restava rigorosamente strofica: la musica era sempre la stessa (e sempre a più voci), qualsiasi personaggio parlasse. Queste particolari laudi, dette dialogiche o drammatiche, rappresentavano solo una piccola parte del totale (circa il7,6o/o di quelle stampate, cifra inferiore anche alla percentuale dei dialoghi che possono essere rintracciati nel repertorio della lauda monodica); anzi, le laudi dialogiche andarono sempre più calando di numero, a dimostrazione che i fedeli cinquecenteschi di Filippo Neri non avvertivano ancora alcuna esigenza di teatralità. Mtntame-nto del conlesto sociale

Con il passare degli anni, però, il contesto sociale dell'oratorio cambiò radicalmente. Se nelle riunioni dei primi tempi si era adottata una struttura informale ed aperta, in cui tutti i partecipanti - spesso di ceto non elevato - venivano direttamente coinvolti nelle discussioni, nelle preghiere e nel canto delle laudiu, già intorno al 1570le adunanze venivano frequentate da numerosi vescovi, cardinali e aristocratici. Nella prima metà del Seicento, poi, protettore di S. Girolamo della Carità" era addirittura il potentissimo cardinale Francesco Barberini, che insieme al cardinale Antonio suo fratello patrocinò anche l'oratorio della Chiesa Nuora'. In presenza di personaggi così qualificati, i laici retrocessero gradatamente ad un ruolo di secondo piano; abbandonata la partecipazione attiva di tutti i fedeli, la gestione degli esercizi spirituali passò interamente ai professionisti. Un dotto predicatore - ecclesiastico, owiamente - declamava un sermone, preceduto e seguito da interventi musicali; anche questi ultimi si andarono facendo sempre più elaborati e richiesero la parteci-

o

Filippo subì perfino un'inchiesta da parte dell'lnquisizione proprio perché faceva predicare i laici; lo salvò l'autorevole intervento del cardinale Carlo Borromeo (già citato ,' nel par. 13.1). Di quesri due personaggi, nipoti di papa Urbano VIII ed arbitri della vita politica e artistica di Roma, si è trattato nel par. 18.1 a proposito delle opere'barberiniane'.

20. Oratorio e oratoria

pazione di musicisti di mestiere8. Thamontò di consegue nza la pratica del canto comunitario delle semplici e orecchiabili laudi, inadatte a soddisfare un pubblico di alto lignaggio. La produzione musicale per l'oratorio andò allora cercando nuove strade.

La prima tappa, all'inizio del Seicento, condusse gli oratoriani ad accostarsi al genere di più nobile tradizione: il madrigale. L esempio più importante di questo orientamento è il Teatro armonico sPirituale (1619) di Giovanni Francesco Anerio', una raccolta di quasi cento madrigali spirituali con basso continuo per l'organo. Alcuni di essi, come usava nel Seicento, sono monodici; tuttavia il loro stile melodico è più simile a quello dei tradizionali madrigali polifonici che al nuovo 'recitar cantando' fiorentino. Con numerosi madrigali del Teatro armonico - e altre simili composizioni di altri autori - si assiste però ad un ulteriore, fondamentale svolta: riaffiora prepotentemente l'elemento dialogico, annunciando la nuova esigenza barocca di assistere a scene drammatiche ben determinate, tratte dalla storia sacra o puramente allegoriche. Fig. 20.2 - Giouanni Francesco Anerio, Dialogo pastorale al presepio, frontespizio fulla partitura (Roma, Wroaio, 1600). Anche in questa composizione, come nella succ e s s iaa racco

ba

d.e I

T eatr o

armonico spirituale, Anerio mette in musica testi di ori§ne

li

laudi s ti c a

co m e m adriga con basso continuo (in questo

cdso,

Per tre uoci, cembah

o organo e

liuto).

Ogni strofa deltesto, infaxi, è musicata AutonomAmentq con uno stretto ra??orto parole-musica; non mancAno nepp ur e numero

s

i mad,riga

lis m

i.

Nella cornice dr I fontespizio, qudttro canoni su testi natalizi.

'qu.r,o

fatto suscitò numerose polemiche tra gli stessi oratoriani, molti dei quali volevano manrenere il modello di modestia e povertà degli inizi. Nel 1630 fu addirittura vierato l'uso di strumenti che non fossero organo o cembalo nell'Oratorio della Chiesa Nuova; ma tale proibizione non resistette a lungo. ^ 'Giovanni Francesco Anerio (1567 ca.-1630) era un gesuita allievo del Palestrina; egli aveva frequenraro per vari anni la Congregazione di Filippo Neri, collaborando in varie occasioni alle necessità musicali dell'oratorio. Giovanni Francesco era fratello di Felice Anerio (1560 ca.-t614), anch'egli allievo del Palestrina e suo successore, nel 1594, nella carica di maestro della Cappella Giulia.

J,r.od,^igoli di :A're,^io

Srorua DELLA Musrca OccroENrRr-p

Jl genere mrnsì

ccl e del l' o,^alo,^io

Intorno agli anni'30-'40 del Seicento (proprio duranre il pontificato di Urbano VIII) assistiamo dunque ad una nuova congiunzione delle quattro caratteristiche principali dell'epoca barocca, questa volta sotto il segno della musica sacra. Infatti, monodia con basso continuo, sdle concertante, tend enza alla rappresentatività e volontà di muovere gli affetti connorano un nuovo genere musicale che verrà detto, per antonomasia, oratorio. Una volta che le classi dominanti - sempre arbitre delle evoluzioni del gusto musicale in quanto considerate detentrici della massima competenza artistica

-

si furono pienamente insediate

fruitrici dell'attività oratoriana, i compositori romani non poterono fare a meno di attingere allo stile di massima attualità: lo stile monodico operistico, con la sua alternanza di recitativi, ariosi . ,ri.'.. Nelle numerose sedi in cui, nel corso di rurro l'anno, si tenevano gli oratori (le principali erano ancora S. Girolamo della Carità e S. Maria in Vallicella detta Chiesa Nuova), si eseguirono dunque composizioni definibili quasi come opere in miniatura, parimenti scritte in versi poetici itacome

liani ma senza scenografie, costumi e alcun movimento scenico, nonché di argomento rigorosamente ,r.ro". Esse impiegavano alcuni cantanti solisti, un piccolo coro (quasi sicuramente formato dagli stessi solisti riuniti insieme) e alcuni strumenti: in genere due violini e basso continuo o il basso continuo da solo. Uno dei solisti veniva definito Historicu.r, o Testo, o Poeta, e svolgeva la parte di narratore, mentre ciascuno degli altri cantanti impersonava uno dei protagonisti della vicenda, intervenendo Si ,i.ordi che proprio presso l'oratorio della Chiesa Nuova fu eseguita nell'anno 1600 a Rappresentatione di Anim*, et di Corpo di Emilio de' Cavalieri. Pur costituendo un episodio eccezionale nella vita musicale della Vallicella, la Rappresentatione si collega esplicitamente alle pratiche devote oratoriane: essa inserisce all'interno del proprio libretto il testo di alcune laudi filippine, musicate però nel nuovo stile monodico. Tra di esse spicca Ia ben nota lauda dialogica tra Anima e Corpo Anima mia che penrii che occu,, pa quasi interamente la quarta scena del primo atto. " In qualche caso è testimoniata la presenza di un fondale scenico o di altri addobbi; ma questo fatto non comportava assolutamente una 'rappresentatività' dell'oratorio. Gli 'o

oratori potevano venir eseguiti anche indipendentemente dalle adunanze filippine, soprattutto nei periodi in cui i teatri romani erano chiusi: come, ad esempio, in occasione degli anni santi o durante il pontificato di Innocenzo XI (v. par. 22.1 nota l3). Talvolta, quando gli oratori erano realizzati nei palazzi gentilizi, la predica cenrrale era sostituita da un ben piir mondano rinfresco offerto agli ospiti. I due maggiori mecenati della Roma barocca, i cardinali Benedetto Pamphilj e Pietro Ottoboni, non solo patrocinarono l'esecuzione di numerosi oratori, ma soyente ne scrissero essi stessi i testi.

+

20. Oratorio e oratoria

nelle parti in discorso diretto; al coro erano affìdati ruoli collet-

tivi come, ad esempio, la folla. Lintera composizione era quasi sempre conclusa da un commento moraleggiante del coro. La parte dell' Historicus poteve essere anche distribuita tra voci diverse o affidata a tutto il coro. In seguito la figura del narratore andò scomparendo; sorse allora la necessità

di introdurre personaggi secondari per rendere piùr

articolato e piir chiaro lo svolgersi degli eventi. Ciò rese l'oratorio del tutto

.P :s;,,.;i , fltH3r.'[..ffiffi;ffif'..l1ffi ,.

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*,r ti",{:i;x, l.rlr:i**X ffii;t::;fi r ; S §'6i, f ,*:,fi*i:*,:i,,;r:,,:i:iiiiiiliiii:.:Ilii

simile ad una piccola opera, pur sempre senza scene, costumi e azione drammatica. Questa trasformazione fu suggellata nel 1706 dal titolo di una

di libretti per oratori di Arcangelo Spagna, un abate 'maestro di casa' del cardinale Pietro Ottoboni: Oratorii, ouero mehdrammi sacri. NeI raccolta

Discorso intorno a gl'oratori annesso alla stessa raccolta, che costituisce

primo tentativo

a

il

noi noto di tracciare una storia di questo genere musicale,

il letterato ribadisce che l'oratorio

è un «perfetto Melodramma spirituale, e

richiede per esso la puntuale osservanza delle regole aristoteliche.

La denominazione di questo genere musicale non era univo-

ca: 'dialogo', 'ltistoria' oppure 'oratorio', perché divenne la musica per antonomasia delle riunioni oratoriali; tale nome invalse definitivamente nell'uso fino ai nostri giorni". La prassi cinquecentesca di circondare di musica il sermone condusse a due maniere di gestire l'oratorio musicale: si poteva eseguire un oratorio lungo (della durata di circa un'ora), diviso in due parti intercalate dalla predica; oppure se ne potevano realizzare due più brevi, di circa mezz'ora l'uno. In quest'ultimo caso, il primo oratorio narrava in genere una storia tratta dall'Antico Testamento, mentre il secondo, eseguito dopo il sermone, si rifaceva ad un brano del Nuovo Testamento in qualche modo correlato con l'argomento del primo oratorio. Era compito del predicatore trarre un insegnamento unitario dai due episodi biblici messi in musica. I principali compositori della prima fase dell'oratorio sono per lo più gli stessi che abbiamo visto aver prodotto a Roma le opere 'barberiniane': Virgilio Mazzocchi e suo fratello Domenico (1 592-1665), Marco Marazzoli e Luigi Rossi. A questi quattro autori va aggiunto il nome di un composiIl lenerato e musicista dilettante Pietro della Valle (già citato nel par. 19.1) fu ilprimo, nel 1640, ad impiegare il termine 'oratorio' in questa accezione.

Fig. 20.3 - Arcangelo Spagna, Oratorii, overo melodrammi sacri, fontespizio (Roma, Buagni, 1706).

Srorue

DELTA

MusIce OcctorNtel-P

tore ancora più celebre, fin qui ancora non nominato: Giacomo Carissimi.

Giacovnocarissirni Giacomo Carissimi (1605-1674) ricoprì per quasi tutta la vita (da quando aveva 24 anni fino alla morte) l'incarico di insegnante di musica presso il Collegio Germanico di Roma e di maestro di cappella in S. Apollinare, la chiesa annessa al coll.gio'', rifiutando anche incarichi prestigiosi come quello di maestro di cappella in S. Marco a Venezia, posto che gli fu offerto alla morte di Monteverdi. Il Collegio Germanico era un'istituzione fondata dai gesuiti (e più precisamente da lgnazio di Loyola in persona) nel 1552, sull'onda della Controriforma, allo scopo di formare al sacerdozio i seminaristi di lingua t.d.r."". Le musiche eseguite in S. Apollinare sotto la direzione di Carissimi erano di tale livello artistico che [e funzioni celebrate in questa chiesa divennero un'attrazione non solo per gli aristocratici e gli alti ecclesiastici romani, ma anche per i visitatori stranieri di passaggio; tanto più che Carissimi non coinvolgeva come esecutori solo gli studenti del collegio, ma si serviva di numerosi Fig. 20.4 - Sebastian Bourdon, Cristina, regina di Svezia, 1653 (Stoccolma, o n a lmus eum). Qu e t o ritratto fu eseguito dal pixore francesi Bourdon ( I 6 I 6-7 I ) IVati

s

I'anno orecedcnte all'abdi cazione

delk r'egina altrono di Suezia.

professio.,irti't. Fu proprio al Collegio Germanico che la regina Cristina di Svezia, giunta da poco a Roma dopo aver abdicato al trono ed essersi convertita al cattolicesimo, assistette nell'inverno 1655-56 a due oratori di Carissimi: Il sacrifi.cio di Isacco e

Giuditta (oggi entrambi perduti). Così, nello stesso 1656 Carissimi fu nominato 'maestro di cappella del concerto di camera' della regina; per questa ed altre committenze egli compose un vasto numero di cantate da camera (ne sono soprawissute circa 150), che ottennero un tale successo da farlo ritenere

-

nel Settecento

-

addirittura l'inventore di questo genere

-,rri."l.'u. '' Suoi predecessori erano stati i già citati Tomàs Luis de Victoria e Agostino 'o

Agazzari.

L'rrrno precedente Ignazio aveva fondato un altro istituto d'istruzione che divenne celebre: il Collegio Romano, che in seguito divenne l'Università Gregoriana.

'' L. ,p.r. relativÉ alla retribuzione di questi musicisti esterni furono però oggetto di . 'o

lamentele all'interno del Collegio Germanico. L" .rrr,r,. da camera sarà trattàta nel cap. 21'

20. Oratorio e oratoria

Ai giorni nostri, però, il repertorio per cui Carissimi è maggiormente conosciuto consiste nei suoi oratori. Essi erano destinati ad essere eseguiti in varie circostanze: non solo presso gli oratori (nel senso di 'edifici') dei Padri filippini, ma anche per le funzioni del Collegio Germanico stesso o Per alcuni palazzi nobiliari e cardinalizi. Non è improbabile neppure un loro utilizzo durante le messe celebrate a S. Apollinare, al posto di alcune parti del Proprium. A fianco dei normali oratori in volgare (ne sono rimasti solo due a lui attribuibili con sufficiente certezza: il Daniele e l'Oratorio della Santissima Wrginr), Carissimi produsse anche numerosi oratori in latino (tra di essi Jephte, Judicium Sahmonis, Diues Malus, Babazar, Diluuium uniuersale, Jonas,....)''. Questi ultimi vennero in gran Parte composti su commissione di una confraternita particolare: la Compagnia del SS. Crocifisso. Essa era del tutto indipendente dagli oratori filippini, e teneva le sue riunioni soltanto i venerdì di quaresima nell'Oratorio del SS. Crocifisso presso la chiesa romana di S. Marcello al Corso (ricordiamo che in quaresima era proibita a Roma ogni attività teatrale). Durante il Cinquecento, in tali adunanze non venivano eseguite laudi in volgare, ma piuttosto mottetti in latino: i partecipanti alle riunioni appartenevano infatti ad una sceltissima aristocrazia laica ed ecclesiastica, per la quale era più adatta una lingua aulica come il latino ed una forma musicale 'alta' come il mottetto. La polifonia sacra regnava dunque nell'Oratorio del SS. Crocifisso tanto nel Cinquecento quanto agli inizi del Seicento: vi furono eseguiti mottetti del Palestrina, di Mare nzio, G. F. Anerio, Landi, V. Mazzocchi, Carissimi stesso e altri compositori. Ma nel Seicento inoltrato divenne inevitabile anche qui adottare il nuovo stile monodico: ecco sorgere, allora, una produzione di oratori in latino specificamente comPosti per questa confraternita.

Gli oratori in latino sono dunque del tutto simili a quelli in volgare precedentemente descritti, anche se fra di essi sono più '' Arr.h. gli altri compositori citati a proposito dell'oratorio in volgare scrissero oratori in latino. L'unica eccezione è Luigi Rossi: di lui non si conoscono oratori in lingua latina, e - a rigore - non si potrebbe essere sicuri neppure del fatto che egli abbia composro oratori in volgare, giacché nel suo caso si tratta di attribuzioni effettuate da musicologi moderni.

L'orolo,^io in lolino

Srorun

DELTA

Mustce OccmrNters

rari quelli divisi in due parti: generalmente venivano usati due oratori piuttosto brevi per incorniciare il sermone del predicatore. Le differenze più notevoli rispetto all'oratorio in volgare (oltre, owiamente, alla lingua adottata) consistono nel fatto che il testo, essendo spesso una libera parafrasi della Bibbia, è quasi interamente in prosa anziché in poesia e che la figura del narratore è solo raramente eseguita da un unico cantante, ma si alterna tra i vari solisti e il coro. Inoltre, essendo l'Oratorio del SS. Crocifisso di dimensioni molto anguste, quasi sempre l'accompagnamento strumentale era riservato al solo basso continuo, senza l'aggiunta di ulteriori strumenti. La grande distinzione tra oratorio in latino e oratorio in volgare rimane comunque soprattutto sociologica: destinato ad ui élite e circoscritto ai venerdì di quaresima il primo, aperto a tutti ed eseguito in qualsivoglia periodo dell'anno il secondo. Gli oratori in latino di Carissimi, che per noi moderni giganteggiano su tutti gli altri oratori, per la maggior Parte dei romani dell'epoca passarono del tutto inosservati. Diff .sione dell'oroio,^io

Non così accadde per il genere musicale dell'oratorio in volgare: ben presro esso dilagò per tutta Italia, generando un circuito

di diffusione

del

tutto analogo a quello operistico. Conseguentemente venne meno la sua funzione devozionale: la predica centrale scomParve quasi ovunque e l'ora-

torio divenne semplicemente il sostituto dell'opera durante i periodi penitenziali.

Per citare Settecento

i

maggiori compositori di oratori nel passaggio tra Sei

e

ci troviamo ad anticipare nomi che ricorreranno nei capitoli

seguenti: a Roma abbiamo Bernardo Pasquini (1637-1710), Alessandro Stradella (1644-1682), Alessandro Scarlatti (1660-1725) e, in occasione del suo soggiorno romano nei primi anni del Settecento, Georg Friedrich

Hàndel (1685-1759); a Bologna Maurizio cazzati (1620 ca.-l677), Giovanni Battista Vitali (1632-1692) e Giovanni Bononcini (1670-1747),

ben più noti per la loro produzione strumentale; a Venezia Giovanni Legrenzi (1626-1690), Francesco Gasparini (1668-1727) e Antonio Vivaldi (1678-1741). Anche altri stati cattolici, quali l'Austria e Ia Francia, accolsero il genere

fu in primo luogo la corte di impregnata di cultura italiana, anche perché

musicale dell'oratorio. Ad appropriarsene Vienna: essa era pienamente

italiane furono le consorti di vari imperatori. Non deve stupire, dunque,

20. Oratorio e oratoria

che

i principali autori di libretti per gli oratori

viennesi (nonché per le

opere, sempre in italiano, che si rappresentavano a corte) siano italiani quali

Nicolò Minato, Pietro Pariati, Apostolo Zeno e Pietro Metastasio"; *.r,,r. tra i musicisti spiccano i compositori di corte Johann Joseph Fux (1660174l; v. par. 13.1 nota 9) e Antonio Caldara (1670 ca.-1736). Più marginale, invece, fu la rilevanza dell'oratorio in Francia. Lì esso fu

introdotto soprattutto ad opera di Marc-Antoine Charpentier (16451507704), che aveva studiato a Roma alcuni anni sotto la guida di Giacomo Carissimi, e chiaramente ispirati a quelli di Carissimi sono

i

suoi oratori,

anch'essi in lingua latina; alcuni di essi, poi (come il Judicium Salomonis del

1702), ricalcano quelli del maestro perfino nel titolo.

Nicolò Minato è stato citato nel par. 18.1 come librettista di Cavalli. verranno trattati nel cap.27.

Gli altri autori

20. Oratorio e oratoria

AppnoFoNDrMENTo 2O.2 Teoria e prassi della

retorica musicale nella Controriforma: lo Jephte di Giacomo Carissimi

La forttrna della retorica nell'età barocca L'epoco borocco coincide con uno fose di gronde fortuno dello retorico, disciplino che sin doll'ontichitò ero vototo oll"orte del persuodere'. ln gronde evidenzo nel mondo clossico, tonto do interessore non episodicomente personoggi come Plotone e Aristotele, per non dire di Cicerone e Quintiliono, e consideroti il grodino più olto dell'educozione nello civiltò ellenistico, gli studi retorici erono rimosti in ouge onche nel medioevo: di essi si occuporono, tro gli oltri, S. Agostino, Cossiodoro, Boezio, Alcuino (235-804), Abelordo 1107911421; non o coso toli studi costituivono, ossieme ollo grommotico e ollo diolettico, uno delle discipline del trivium (cfr" por. 4.2l.Giò oi pensotori clossici ero chioro lo funzione del linguoggio retorico, che, pur imponendo ol discorso uno costruzione per certi ospetti predeterminoto, dovevo nondimeno odeguorsi ol tipo di uditorio (o secondo che fosse composto do militori, do donne, do persone dotte, ecc.) e persuodere sollecitondo onche le componenti psicologiche che sono ol di lò del controllo rozionole. Un discorso persuosivo ero costruito secondo uno tecnico nello quole

lo retorico distingue-

vo cinque [osi: l'invenfio, ossio lo ricerco degli orgomenli, impliconte onche lo scelto di

uno

shotegio bosoto sullo 'convinzione' rozionole o sullo 'commozione', sollecitozione delle possio

ni; lo disposifio, inteso o disporre le fosi del discorso secondo uno sequenzo convincente; l'e/o cufio,l'orle di scegliere le porole oppropriote e di combinorle ol meglio; lo memorio, necesso-

rio o ritenere modo

i

propri orgomenti e quelli proposti doll'owersorio, e infine lo pronunciotio,

di porgere, ottroverso lo pronuncio delle porole, il tono di voce e lo gestuolitò.

il

Sropre DELIA Musrce OccropNtRr-n

l, ^.\ Giò l'epoco umonistico e quello rinoscimentole si erono segnolote per uno rigoglioso rinoscito degli studi orotori grozie ol rinnovoto interesse per il mondo clossico e ol porticolore incentivo costituito dol ritrovomento dell'/nsfifutio orotorio di Quintiliono nel l4l6: ol 1527 risolgono, od esempio, tre grondi Orozioni di Froncesco Guicciordini. Owiomente, lo predicozione riformistico e poi quello controriformistico fecero onch'esse tesoro delle tecniche di persuosione retoriche nell'orotorio socro: si ero consopevoli che un uditorio emozionoto nel modo giusto ovrebbe oderito più focilmente e durevol-

mente olle tesi proposte doll'orotore. Se, dunque, l"eccitozione degli offetti' roppresentovo ormoi il compito pre-

cipuo dello retorico, l'elocutio finì per costituirne il cuore, soprottutto in quonto si preoccupovo di reperire e clossificore le figuroe: costrutti porticolori, interiezioni e ogni ortificio utile o 'illuminore' il discorso verbole e o innolzorlo ol di sopro del normole livello di comunicozione, opoco e scorsomente coinvolgente. Le figure retoriche venivono occurotomente distinte l'uno doll'oltro e denominote con oltisononti termini greci e lotini. L'epoco borocco sfogò ottroverso le figurae il suo noturole gusto per itoni ridondonti e o volte mocchinosi; mo vi trovò soprottutto uno strumento che consentivo ol retore di oggonciore immediotomente lo sfero offettivo degli uditori e ottroverso ciò di controllorne più focilmente le reozioni emotive.

lnfigurae nei testi degli oratori musicali Nel porogrofo precedente si è visto come gli orotori fossero composizioni musicoli inserite orgonicomente nelle protiche devozionoli seicentesche e come costituissero uno sorto di 'siporio sonoro', più o meno sontuoso, posto in operturo e in chiusuro del sermone. I testi tonto degli orotori in lotino quonto di quelli in volgore erono sovente costruiti porofrosondo e integrondo broni biblici e vi ricorrevono obituolmente onche olcune chiore figure retoriche. Possiomo utilizzorli dunque per esemplificorne l'uso - che dovette comunque essere ossoi ricorrente onche e soprottutto nei sermoni stessi.

ll testo dello lephte di Giocomo Corissimi, orotorio che esomineremo

tro

poco, è odespoto, come tutti quelli degli orotori di questo outore. ln tole testo i versetti biblici trotti dol libro dei Giudici sono porofrosoti in modo do utilizzore olcune figuroe. Ed oltre ne sono introdotte nei broni composti ex noyo ed interpoloti tro queste porofrosi. L'orgomento dello storio biblico di lefte, norroto nel librc dei Giudici 111,29-371, è il voto fotto do questo condottiero: egli giurò di socrificore o Dio lo primo persono che gli fosse uscito incontro se ovesse bottuto in guerro gli Ammoniti, nemici di lsroele. Dopo i festeggiomenti

+

20. Oratorio e oratoria

per lo vittorio, fu proprio lo suo unico figlio o presentorglisi innonzi. Nonostonte ciò lefte tenne uguolmente fede ol voto. ll testo dello Vulgoto' ol versetto 32 recito: Dimitte me ut duobus mensibus circumeom montes, et plongam virginitotem meom cum sodolibus meis.

[Losciomi libero per due mesi, perché io vodo errondo per i monti o piongere lo mio verginitò con le mie compogne.]

ll contenuto del testo è di per sé chioromente potetico: lo figlio di lefte, venuto o conoscenze del voto e dello suo imminente morte in un drommotico diologo con il podre, chiede di potersi ritirore per due mesi sui monti o piongere sullo suo verginitò primo di morire. Nel testo dell'orotorio lo secondo porte del versetto è modificoto in modo sottile mo sintomotico: Dimitte me

duobus mensibus sodolibus meis

plangom

virginitotem meom

ll fotto che due proposizioni siono qui subordinote tromite lo medesimo congiunzione («ut duobus mensibus...ut sodolibus meis...») dò luogo o uno figuro retorico detto polisìndefon (= molti legomi), che enfotizzo ulleriormente il tono dello supplico'. ln più, le componenti delle due frosi successive sono disposte in modo onologo in entrombe le proposizioni, secondo uno costruzione retorico detto porollelismo o, con termine greco, isikolon (ecco perché le frosi sono troscritte in modo do sovropporre toli componenti porollele). Se questo è il trottomento riservoto olle porofrosi dei versetti biblici, si può immoginore quonte più figuroe soronno utilizzote nei testi liberi dell'orotorio.

foutore del testo dello Jephte non si loscio sfuggire l'occosione di mettere sulle lobbro dello figlio del condottiero il lomento che il testo socro loscio solo immoginore. finizio di tole lomento recito: Plorote colles, dolete montes et in offlictione cordis mei ululote. [Piongete colli, rottristotevi monti, e nell'offlizione del mio cuore gemete.] l

LoVulgoto è lo troduzione in linguo lotino dello Bibbio curoto do S. Girolomo tro il lV e il V sec. d. C. A portire dol Concilio diTrento (.l545-1563)e fino o quolche tempo fo è stoto consideroto dollo Chieso lo troduzione lotino ufficiole dei testi socri, pur essendo slo|c rotloposto od olcune revisioni.

2

Secondo Qu,;iiiiiono, il polisindeton conferisce «moggiore incisivilò e ritmo più incolzonte o quello che diciomo» e mostro moggiore «vivocilò, come se si hottosse di uno commozione più volte prorompente» (l,lanco rago QuNntANto, lnstitutio orolorio, trod. R. Forondo e P. Pecchiuro).

Srorun DELLA Musrca OccropNtRre

Qui, ol porallelismo chioromente presente nel primo verso, si oggiungono il climox (= progressione scolore, per grodi'1, doto dollo progressivo intensificozione del concetto espresso dollo primo frose in quetle successive («plorote...à dolete...à ululote») e l'omoteléuton (= desinenzo simile), osso_ nonzo tro le porole conclusive delle frosi («colles... montes»). L'uso d"ll" f,grroe oPPore dunque tonto più obbondonte e opproprioto quonto più lo situozione si discosto dol tono del normole rocconto dimostrondo di possedere uno 'corico' offettivomente ben definito. Ecco che proprio le figuroe venivono o costituire il ponte ideole tro Ie discipline retoriche e lo 'teorio degli offetti,.

f,a'retorica musicale' L'epoco borocco segno il ricomporsi dello dicotomio tro teorio e protico musicole. L'opero dei teorici, infotti, si volse sempre più decisomente ollo studio del fenomeno musicole concreto, ossio otlo studio del repertorio musicote e delle sue modolitò compositive ed esecutive, o svontoggio delt'opproccio

metofisico che ovevo controddistinto lo competenzo musicole del musicus medievole. Ciò ho diverse couse. ln primo luogo, l'imporsi dello mentolitò scientifico moderno, sullo scorto dello quole il tentotivo di comprendere lo reoltò ottroverso l'esome dei fenomeni prevolevo vio vio sull'utopio medievole e rinoscimentole che considerovo oprioristicomente lo strutturo dell'universo come retto dol numert)s'. lo conoscenzo bosoto sul sensus, sullo percezione, prevolevo su quello bosoto sullo rofio, sullo speculozione (il primo tentotivo di impostore lo teorio musicole su bosi scientifiche si può for risolire o Gioseffo Zorlinoo). ln secondo luogo, il pubblico seicentesco si trovò o confrontorsi con un prodotto musicole così vorio come moi lo ero stoto nelle epoche precedenti. Lo musico dilogovo non soltonto nello liturgio, mo ormoi onche nelle odunonze o corottere devozionole, per non dire dei teotri, delle occodemie e dei solotti cordinolizi e signorili: l'orredo sonoro proprio in cioscuno di queste occosioni ossumevo uno veste stilistico corotteristico, di modo che il tentotivo di clossificore gli stili musicoli contemporonei divenne un esercizio tro i preferiti doi teorici (cfr. lntroduzione V). ln lerzo luogo, onche nel compo dello tecnico comPositivo si registrovono innovozioni di portoto che possiomo ben dire epocole: si ondovo offermondo ormoi definitivomente sull'ontico sensibilitò controppuntistico e modole quello, moderno, ormonico e tonole (v. por. 22.2],. 3

a

+

Per lo moggior porte delle denominozioni relotive olle figure retoriche e retoricomusicoli si sono odottote qui le hoduzioni proposte do Ferruccio C;wa iìiusico poetico, Torino, UTET, l99l).

«Né il Senso senzo lo rogione né lo Rogione senzo il Senso potronno dor buon giudicio di quolunque oggetto si voglio scientifico; mo si bene quondo queste due porii soronno oggiunte insieme» lrstifutioni hormoniche,Venezio, Senese, I55g, porte lV cop. XXXVI, p. aa6l.

20. Oratorio e oratoria

I teorici dello musico, dunque, che sempre più spesso erono contemporoneomente compositori e insegnonti, cercorono modolitò nuove per esprimere verbolmente le recenti ocquisizioni dello tecnico compositivo loro coevo. Attroverso gli scritti di Boezio, l'ontichitò ovevo trosmesso ol medioevo e ol Rinoscimento lo nozione del potere che lo musico esercitovo sullo psiche umono: in epoco borocco l'interesse per questo versonte teorico trovò terreno fertile nello teorio degli offetti (detto con termine tedesco Affekten/ehre) e in generole nell'otienzione prestoto ollo copocitò dei suoni di commuovere. Non o coso, sono di quest'epoco le prime cronoche che riferiscono di pubblici sedotti e commossi fino olle locrime dolle virtù del conto. Mo, come s'è detto, onche lo retorico focevo dell'eccitozione degli offetti il suo interesse elettivo: porve noturole, in conclusione, odottore i roffinoti strumenti di onolisi dello retorico, noti e perfezionoti nei secoli in funzione del linguoggio, olle strutture musicoli, per le quoli non esistevono oncoro strumenti d'opproccio odeguoti. ll teorico Athonosius Kircher nel suo monumentole trottolo Musurgio universo/is (1650) mette più volte in porollelo il linguoggio retorico e quello musicole; od esempio, ol copitolo ll clossifico in tre tipi gli offetti propri dell'onimo umono individuondo onche gli umori do cui si sprigionono. «Lo retorico medionte diversi orgomenti e tecniche [...] oro ollieto l'onimo, oro lo rottristo, poi

lo incito oll'iro, poi ollo commiserozione, oll'indignozione, ollo vendetto, olle possioni violente e od oltri offetti; e ottenuto il turbomento emotivo, porto infine l'uditore destinoto od essere persuoso o ciò cui tende l'orotore. Allo stesso modo lo musico, combinondo voriomente

i periodi

e i suoni, commuove l'onimo con vorio esito. Esso, infotti, conduce lo nostro onimo ottroverso he potentissimi offetti, doi quoli in seguito, come do uno rodice, ne noscono oltri. Questi tre offetti universoli sono: lo gioio, che in sé rocchiude l'offetto dell'omore, l'impulso dello mognonimitò, del desiderio, i quoli hoggono origine dol songue. Dislruggere lo gioio o eccedere in esso genero in porticolore offetti collerici,

quoli l'iro, l'odio, l'indignozione, lo vendetto, il furo

re. ll secondo offetto universole è quello dello riflessione, che si compioce delle sensozioni di ponderotezzo; esso [...] trosformo il disprezzo delle cose umone in omore di quelle celesti. ll terzo è l'offetto dello compossione, che contemplo tutti gli offetti prodotti dollo flemmo e dollo bile nero, come quelli dello tristezzo e del pionto [.'.]».

Altre clossificozioni degli offetti umoni prodotte nello stesso epoco (celebre quello di Cortesio che nel trottoto les possions de l'àme11649] distingue sei offetti fondomentoli') chioriscono come i diversi offetti fossero oppunto consideroti frutto delle diverse combinozioni tro gli umori fondomentoli del corPo umono; lo normole condizione di equilibrio tro questi umori potevo essere corTìprc-rrÉsso do fofr'ori esterni (come un eloquio 'retoricomente' troscinonte o 5

I sei offetti sono elencoti nell'lnhoduzione lV

Srorue

DELLA

Musrcn Occror,Ntel-E

uno musico con porticolori corotteristiche), determinondo uno momentoneo e grotificonte prevolenzo di uno di essi sugli oltri e, di conseguenzo il prevolere nell'oscoltotore di uno determinoto disposizione offettivo.

ln Jep ltt e e l'Affe kt enle b re Kircher considerovo Giocomo Corissimi come il compositore che più degli oltri ero in grodo di «muovere gli onimi degli oscoltotori o quolsiosi emozione egli intendo suscitor"ru. ll teorico tedesco ol copitolo Vl del Vll libro dello suo Musurgio («Quole orgonizzozione rozionole debbo dorsi o uno melodio per muovere un offetto doto»), fornisce un elenco di otto offetti esprimibili musicolmente e o cioscuno di essi ossocio uno composizione coevo consideroto esemplore per l'espressione di quell'offetto. Per l'uoffetto doloroso)) è consideroto porodigmotico proprio il lomento dello figlio dollo Jephte. «Dopo over ingegnosomenle e orgutomente espresso in stile recitotivo l'occoglienzo festonte che lo Figlio riserbo o suo podre Jephte, tripudiondo ol suono di shumenti di ogni genere per le sue vittorie e i suoi hionfi, Corissimi roppresento medionte uno mutozione improwiso di tono lo sbigottimento di Jephte che per l'incontro inopinoto con lo figlio suo unigenito precipito in offetti offotto opposti

-

dol goudio nel dolore e nel lomento

-, o couso dell'irrevocobilitò

del

proprio voto rivohosi contro lo slesso prole, e disperondo di poterlo più solvore; vi fo poi seguire il pionto o sei voci delle vergini compogne dello flglio, composto con tonto obilitò che giureresti di sentire i loro singulti e gemiti. lnfotti, ovendo egli inizioto con un diologo festoso e in un

tono donzereccio come l'ottovo

ffi ùortt

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^..-** i4#§iiiÉtèEs!:ÈÈ*I:EIEHIì F F-.--+-.d+rì-q{-

[modo

di soll, pose poi

questo suo

pionto in un tono differentissimo, nello fottispecie il quorlo commisto ol terzo [modi di mi, qui trosposti su /o]. Dovendo roffigurore uno storio

trogico, dove il dolore veemente

e

l'ongustio dell'onimo scocciono lo

gioio, molto opportunomente egli presento quel pionto

do un tono che

disto doll'ottovo quonto distono tro loro gli estremi del cielo, per meglio esprimere con lo suo noturo opposto

lo dilferenzo degli offetti; e nullo più

6

Musurgio universolis,vol. l, p. 603.

20. Oratorio e oratoria

di questo è otto o roppresentore siffotti histi eventi, siffotte vicende hogiche intessute di offetti olternir'. l-Eil"*,-

,{ria ab

l':

s0mosezl0nr

2':

"oto mts§.

rncrprt

Cum vocarser

tonalirà

Sol

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14

22

33

Si radideri

Transivit

Et dangebant

H {C: lS, A, T, B)

l*'lSol

Sol

H (A)

42

59

73

78

Fugite

Fugite

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Et ululanres

H (C:25)

H (B)

H (C: lS, A, T, Bl H (S)

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Do*Sol la+Sol

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Fa+Do

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287

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F + 25 («;o)

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Sol+la

Sol

la

Ia*

F

la+Re

276

Plorate colles

Ploraa filii

Sol

*----

]-

C=coro(S=soprani,A=alri;T=tenori;B=bassi);F=figliahoprano);H=Hisroricus(S=soprano;A=alto;B=baso;);J=Jephte(tenore); = parafrasi del testo

biblico;

l-l

= testi aggiunti

Tau. 20.1 Schema riassuntiuo drll'oratorio Iephte di Giacomo Carissimi (1649 ca.). Si ritiene che, corye gli alni oratoi latini drl medesimo Autore, l'esecuzione di questo zraturio non fosse sogetta ad essere interrottd da un serunone; nondimeno, lz uicendz è cftiaramente articolnia in due sezioni (euidznziate sulla tauola e diuise uberiormente in sottosezioni), la prima daminata dalla uittoria e seconda dalla lamentazione. Si uerifichi, na I altro, qua;tu accennato nel

-

k

paragafo Precedente: negli oratori in latino k funzionb dell'historicus p;tuaa essere assolta da uari solisti o da una loro combinazione. Il stesso ?oteua tuttauia anche prendÉre ?arte atti-coro admente alk uicenda, come personaggio (cf._i cori Ai4q4 nellz terza sottoseéion), op)ure, assumere un carattere meditatiuo, soPrattuttl al termine drll'oratorio Grt. il coro Plor{tè flii nelk * sottosezione). I centri tonali corrisPondinti ad accordi con terzt magiore (es.: sol - si - re) szno scritti con l'iniziale maiuscok (es.: Sol), quelli czn terzt minore (es.:la - do - mi), con l'iniziale minuscok 0a). In quest'epoca non si ?uò ancora Parkre di un linguagio 'tonale'a tutti gli ffitti (rfr. par. 22.2; non A caso Kircher nel brano appena menzionaiò parla ancora di 'modi

sensl

). La denominazione di

'centro tonale' uiene dunque usata sllo per

praticia

e ua intesa

nel

di'principale polo d'attrazione melodico-Arm0nict', punto d'approdn delle cadenze'.

ln effetti, esominondo il piono complessivo dello Jephte ltov. 20.1) ci si owede di come gli snodi crucioli, nonché culmini offettivi, dello vicendo olle miss. 196 (Jephte riconosce lo figlio che gli viene incontro) e 287 (lo fonciullo intono il suo lomento ossieme olle compogne) coincidono con due repentini combiomenti del centro tonole (do so/ mogg. o lo min.l". 7

8

Trod. Lorenzo Bionconi. Secondo Kircher il lomento utilizzo

i

modi

di mi (terzo e quorto, cioè deubrus

outentico e plogole); in effetti, l'incrpit del

lomento è intonoto sulle prime note del terzo modo lmi, fo, sol, /o) trosposte ollo quorto superiore llo, sib, do, re). Sulle codenze (mis. 285-286 e 288-2891sono oggiunte le olterozioni in modo che lo risoluzione sullo finolrs del modo owengo per semitono (rispettivomente fol-sole soltlol. Nello polifonio rinoscimentole toliolterozioni non erono in uso per le codenze nei modi di mi. ll fotto che qui vengono utilizzote indico chioromente il prevolere dello sensibilitò tonole su quello modo-

le

1ch.

por.22.21.

Srorue DELIA Musrce Occrop,Nter-E

Se è vero che, come suggerisce Kircher, Corissimi troe profitto doi diversi 'connototi offettivi' trodizionolmente ottribuili oi modi', il compositore non rinuncio nemmeno o volersi dello grodozione nell'intensitò offettivo ossicuroto doll'olternonzo tro recitotivo, orioso e onche orio nei broni solistici, nonché tro scritturo omofonico e imitotivo in quelli coroli. ll recitotivo dello Jephte non si mostro troppo dissimile do quello proprio del teotro operistico coevo: successioni di note ribirttute e di piccoli solti melodici (spesso di terzo) su un bosso continuo poco mobile, rispetto ol quole lo melodio si montiene costontemente

in consononzo les. 20.11.

IHISTORICUS - Alto solol

Es. 20.1 - Giacomo Carissimz, Jephte, miss. 1-4: esempio di recitatiuo (trad.: oQuando il re di Israele,). La partitura originale riporta dei figli di Ammon scese in guerra contro i sobanto le parti del canto e del basso continuo, di cui sul pentagramma centrAle è ffirta qui una possib:ile schematica realizzazione. Il manoscritto drfioTrpTrte, come della maggio, pàrt, degli oratori di Carissimi, non reca abre parti stumentali obre al rigo riseruato alTontinuo. Ciò ouuiamente nzn esclude che alcuni strumenti fossero usAti, ad esempio, per raddoppiare le uoci nei cori o per rinforzare la parte del continuo.

fgli

Nell'orioso lo melodio si fo ossoi più espressivo e oppone tolvolto quolche dissononzo o un bosso più flessibile e vorio. Ne è un buon esempio oncoro il lomento dello figlio di Jephte (v. oltre es. 20.3). Tolvolto, come nei cosi suddetti, il recitotivo e l'orioso sono nettomente differenzioli, mo più spesso Corissimi se ne serve nel corso di uno stesso brono, possondo doll'uno oll'oltro o secondo dell'enfosi che intende conferire ollo declomozione del testo. Occosionolmente, poi, l'Hisforicus dismette i ponni del norrotore per obbondonorsi o un commento dell'ozione: lì l'incolzore degli eventi si orresto ed è così propizioto l'intervento di un'orio. È quonto occode nel corso dello

o

Giò Zorlino ltstitutionihormoniche,Venezio,

1558, ri$. New York, 1965, porte lll, cop. ì0, p. 156) riconoscevo che olcu-

ne inlonozioni possono risultore «vive & piene di ollegrezzor, oltre uolquonto meste over longuide»; doll'onolisi dello strultu-

ro intervollore dei modi compiuto dol teorico, risulto che ol secondo tipo opportengono quelle impostote nei modi di re, mi

e /o. A conclusioni simili orriverò

Seth Kolwitz (Snnus

Cnlstus, Mebpoeio sive melodioe condendoe rotio lMelopoeio,

owero metodo per lo composizione dello melodio), Erfurt, 1609), pur podendo do premesse teoriche differenti.

20. Oratorio e oratoria

secondo sottosezione ollorché l'historicus, primo come bosso solisto e poi come coro, celebro lo vittorio di Jephte. Lo breve orio solistico è in formo ob, uno tro le più comuni negli orotori di Corissimi'0.

lnJepbte

e la Figurenl.ebre

I teorici seicenteschi, tuttovio, non fermorono lo loro riflessione o corotteri stilistici generici come l'uso dei modi per esprimere gli offetti, mo tentorono di interpretore le opere dei compositori coevi sullo bose di un codice simile o quello retorico. E stondo o quonto s'è detto sul legome tro retorico e teorio degli offetti, non deve stupire che propriol'elocufio e lo clossificozione delle figuroe sio opporso loro come il punto di intersezione più plousibile tro lo retorico e lo musico.

Attorno

ol 1600 il teorico Joo-

chim Burmeister espose in tre trottoti uno teorio delle figure retorico-musicoli (Frgurenlehrel. Non solo: onche molti oltri teorici seicenteschi, prevolentemente di oreo tedesco (oltre o Kircher, Johonnes Nucius, Joochim

Thuringus, nonché Christoph Bernhord, ollievo di Corissimi e del com positore tedesco Heinrich Schùtz, v. lntroduzione V), dedicorono porte dei loro scritti o stobilire ve-

Fig. 20.6 - Giacomo Carissimi, Jephte, inèipit (Parigi, Bibliothèque Natiànale, ri e propri corrispettivi musicoli per ms. VM I 1477). le diverse figuroe, quosi che uno comune 'linguo degli offetti' legosse lo retorico ollo musico. Sembro che Giocomo Corissimi fosse consideroto come un vero'retore musicole"', tonto ero lo lorzo persuosivo dello suo musico: non senzo rogione, dunque, si è tentoto modernomente di esominore olcune pogine dello lephte interpretondone le strutture musicoli in termini di figuroe onologhe o quelle retoriche. Doll'esome dello tov. 20.1 si può osservore che Corissimi introduce il cromotismo prevolentemente per roppresentore situozioni di ocuto sofferenzo: l'umiliozione degli Ammoniti nello primo sezione, lo desolozione di Jephte e di

'0 Un'ohro formo ossoi comune è quello obb', shutluro predominonte delle orie degli orotori e in quelle delle contote profone fino o tutto il Seicento. Nelle contote di Corissimi compoiono onche orie in oltre forme, ho cui quello shofico o su bosso strofico (tro uno skofo e l'oltro lo melodio combio mentre il bosso rimone uguole).

rr

Lo notizio proviene

do uno

lettero

del

Ehren-pforte, Homburg, 17 a0, p. 2201.

.l708

ciloto dol teorico e compositore Johonn Mottheson lGrundlage einer

Srorun DELIA Musrce OccronNrer-p

suo figlio nello quorto. L'es. 20.2 riporto l'incipit del brono conclusivo dello secondo sottosezione in cui si descrive l'umiliozione degli Ammoniti: si osservi il cromotismo discendente che occomuno tutte le porti vocoli e il bosso stesso in un quodro di desoloto trogicitò. IHISTORICUS - Corol

ISoprano

III]

6

65 4il3

20.2 - Giacomo Carissimi, Jephte, miss. 7S-BI.Incipit del brano conclusiuo della seconda sottosezione («Et ululantes,; nad.: oE i fi.gli di Ammon, gementi, [furono umiliati dauanti a;figli di IsraeleJ,).

Es.

ll cromotismo ero consideroto giò doi teorici cinquecenteschi veicolo di espressione per le situozioni offettive porticolormente occorote''; lo Figurenlehre lo clossificò tout courf come pothopoéio l= mozione degli offetti), il mezzo più

sicuro per ottenere

il

coinvolgimento emotivo dell'interprete

e

dell'oscoltotore''. Corissimi, in più, doppio ottroverso le figure retorico-musicoli quelle retoriche giò presenti nel testo. All'inizio del lomento dello figlio di Jephte il compositore ol climox «plorote...dolete...ululote» ne offionco uno ulteriore, iterondo iverbi («plorote, plorote...dolete, dolete...») ed esponendo il secondo di cioscuno coppio ol grodo superiore rispetto ol primo (il primo «plorote» inizio do

''

Secondo il compositore e teorico tedesco Seth Kolwitz «l'ormonio sorò più vigoroso se ne sono ossenti icromotismi. Viceverso, se questi soronno ricorrenti, esso sorò consono ollo misericordio, oll'omore, olle preghiere, ecc.» (Melopoeio sive melodioe condendoe rofio, cit.).

'3 Secondo Burmeister «il pofios

si creo quondo il testo viene interpretoto doi semitoni in modo tole che nullo oppoio di inten-

.toto per produrre gli offetti che esso esprime» lHypomnemotum musicoe poeticoe, Rostock, 1599; trod. Ferruccio Civro).

+

20. Oratorio e oratoria

climax

Es.

20.i (continua)

Srorun

DELLA

Muslca OcctorNral-E

Es. 20.3 (segue)

-

Giacomo Carissimi,

J.plr!., miss..287-300

(lamento _della

figlia di

Jephte). Soni state euidenziate alcune note del canto dissonanti rilpetto al basso nonché le retorico-musicali riconoscibili. Per comodità di lettura, la cifatura del basso continuo -figure èitata lieuemente mo difi cata risp etto a ll'o riginale.

lo, il secondo do

sib; similmente per

il

«doleterl'0. Otti"ne così un'efficoce

intensificozione del giò occoroto tono del lomento les. 20.31. L'es. 20.3 mostro onche lo presenzo contemporoneo dell'epizeuxis (= 6engiunzione, oggiunto), ossio dello ripreso ollo quorto superiore (su «dolete montes») del primo segmento musicole («plorote colles») che confermo - e, oncoro uno volto , enfolizzo - musicolmente il porollelismo del testo. Tutto ciò, unito ol giò menzionoto uso del lerzo modo, può dor rogione del morcoto e coinvol-

gente potetismo riconosciuto giò doi contemporonei come lo cifro espressivo proprio di questo orotorio e del lomento in porticolore. Non è finito: un'ulteriore epizeuxis è introdotto di proprio iniziotivo dol compositore che ripete lo frose «et in offlictione cordis mei ululote» ollo

quorto superiore (non possi inosservoto il piccolo melismo sul verbo [«gemeter]), e vi oggiunge un climox iterondo «ululote», culmine dei tre verbi che donno luogo oll'esco/ofion nel climox retorico. Mo quest'ultimo ripetizione ho onche un volore descrittivo di gronde suggestione: è offidoto o due soproni che mimono l'eco prodotto tro i«colli» e i«monti, dol lomento dello fonciullo, evocondo oll'immoginozione dell'oscoltotore - giò sollecitoto dol fotto di ossistere ollo 'roppresentozione' di uno vicendo senzo scene né costumi - gli ompi spozi in cui è ombientoto l'ozione. Lo stesso soluzione, con lo ripetizione in eco e lo codenzo sul centro ormonico /o, è odottoto periodicomente ol termine di ogni frose del lomento e in corrispondenzo di verbi fortemente poletici, quosi o esprimere lo portecipozione dello noturo ollo desolozione dello solisto llocrimotet resora

Secondo lo Musico poetico di Burmeister, Civro).

il

climoxè oppunto «lo ripetizione per grodi degli stessi suoni» (trod. Ferruccio

20. Oratorio e oratoria

heu mi

-

hi

plo

-

b) Plo- ra-

te,

Es. 20.4 - Confronto tra gliincipit del lamento di Jephte (oHeu mihi filia //t€d», miss. 206 e sgg. e 224 e- sgg. [trad.: nAhimè, figlia mia, tu mi hai rouinato,J) e quello della fglia

(«Florate colles,, miss. 257

e sgg.)

dalloJephte di Giacomo Carissimi.

di dore un ospetto più formolizzoto, quosi do scenolomento (cfr. por. 18.2;, ol flessibile stile orioso in cui è tessuto l"o solo"'. L'inflessione melodico corotteristico che opre il lomento dello figlio di notel: ciò ho l'effetto

Jephte ero giò chioromente riconoscibile in operturo dell'oltro potetico lomen-

to («Heu mihi filio meo») loncioto dol condottiero stesso ollo visto dello figlio che gli esce incontro (es. 20.4ol,lomento che torno per intero ol termine del diologo in cui lo fonciullo opprende del voto fotto dol podre. Lo triplice ricorrenzo di questo elemento ho l'effetto di unificore lo secondo sezione e di connotorlo chioromente dol punto di visto espressivo, di modo che come gli eventi sembrono ottrorre tutti i personoggi - Jephte, lo figlio, il coro - in un climo di trogico fotolitò, così lo formo musicole sembro ollo fine orgonizzorsi ottorno o questo sorto di 'temo del lomento' (cfr. oncoro fov. 20.1]t. ll controsto tro questo sezione e lo precedente è tonto più morcoto se si osservo che lo terzo sottosezione è costituito quosi per intero do uno successione di broni che olternono il metro comune ol resto dell'orotorio 14/41- mo con un corottere più morziole ed esultonte («lncipite in tymponis» e «Loudemus regem coelitumr) - o un metro tipico dello musico per donzo 13/2, «Hymnum contemus»). Uno tole olternonzot connesso ollo stobilitò tonole di gron porte dello lerzo sottosezione, grovitonte ottorno ol polo di so/ (v. tov.20.l), fo pensore che nell'intenzione di Corissimi questo porte del lovoro si potesse confi-

gurore come un obbozzo di suife di donze, un po' ol modo di quelle che erono in uso nello protico strumentole dell'epoco (cfr. por.22.11. L'integrozione tro efficocio espressivo e gestione dello formo roppresenterò il problemo più presente oi compositori e oi teorici dello musico fino ol Novecento. ll fotto che, come si è visto, Corissimi in questo composizione lo obbio offrontoto con successo dò forse rogione del foscino che lo Jephte ho esercitoto su contemporonei e posteri: è questo, infotti, l'orotorio in lotino oncoro oggi più noto in ossoluto.

15

Diologhi e monologhi, onche lomentosi, intercoloti do risposte in eco erono comuni nello letteroturo postorole e do qui erono stoti mutuoti nel repertorio teotrole coevo di ombientozione boschereccio.

V panrp

I

LUOGHI DEIIA.. MUSICA BAROCCA Li moderni hanno trè sùli, da Chiesa, da CAmerd, e da Teatro, le prattiche sono due. ANcEI-o BeReRot Miscellanea rnusicale ( I 689)

el percorso storico-musicale seguito finora si è sempre cercato di prestare attenzione alle circostanze concrete in cui e per cui la musica del passato veniva eseguita. Mai però come nell'epoca barocca questo asPetto assunse un ruolo di primo piano: considerare i

luoghi della musica barocca diventa un passaggio indispensabile per comprendere lo stile delle composizioni di tale periodo. Con il Seicento, infatti, si assiste ad un fenomeno non ancora aPParso

prima di allora con tanra esplicit a chtarezza: la (relativa) unità stilistica J.il. epoche precedenti si infranse in una pluralità di stili paralleli. Il compositore, ogniqualvolta si accingeva a scrivere musica, doveva oPerare una scelta consapevole: a seconda delle circostanze per cui era richiesta [a sua opera, egli era tenuro ad adottare lo stile di volta in volta più opporruno, affinro da una 'tavolozzd stilistica che gli offriva varie possibilità.

In parte ciò era sempre awenuto: in

nessuna ePoca si è mai usato lo

stile per scrivere, ad esempio, la musica da chiesa e la musica da ballo, o [a musica per intrattenimento e [a musica da Parata' Ma nel periodo barocco quesro fatto acquistò un inedito rilievo: come si è appena detto, lo scarto stilistico richiesto dalle varie situazioni divenne pienamente consapevole e addirittura codificato nei trattati teorici. Questo nuovo atteggiamento può essere collegato a due diversi fattori.

stesso

Il primo consiste nell'awento della 'seconda pratticd. In

tale occasio-

ne, forse per la prima volta nella storia, un linguaggio stilistico nuovo non riuscì a soppiantare del tutto quello precedente e a cancellarlo dalla La 'prima prattica' - owe,pratica musicale delle generazioni più giovani. ro la polifonia conrrappuntistica, i cui ricchi intrecci Potevano essere indifferenti a[ conrenuro semantico della parola - non era stata affatto

Sronn

DELIA Musrca Occror,NrRr-s

debellata, rna soprawiveva

in piena legittimità. come stile adatto

alla

musica sacra, fornendo così una prima spinta verso la pluralità stilistica barocca.

Non

il

è estraneo a questo processo

il prestigio di cui continuarono

a godere per

tutro

Seicento le musiche del Palestrina. Egli era considerato il sommo tra i compositori di

musica sacra, elevato in una sfera intangibile al tramontare delle mode: la sua produzio-

ne costituiva

il

nerbo del repertorio praticato dalle cappelle musicali e soprattutto di

quello della Cappella Sistina. Cresciuti all'ombra di tale modello, i compositori baroc-

chi non poterono esimersi dall'adoperare anch'essi uno stile 'alla Palestrina' ogni volta (o quasi) che scrivevano messe e mottetti. Tale x.ile antiquus (la polifonia a cappella) ebbe così pieno diritto

di cittadinanza nel Seicento al fianco dello stile modernus

(la

monodia accompagnata ed 'espressiva'), p.rt rimanendo confinato quasi esclusivamente nel campo suo proprio, o\ryero quello della musica sacra (cfr. par. 13.1).

Il

secondo fattore a cui va collegata Ia consapevolezza stilistica del Barocco è di ordine letterario. Fin dal medioevo la produzione degli scrittori e dei poeti si era andata coagulando in 'generi' Ietterari sempre

più definiti, le cui norme stilistiche e formali erano prescritte con grande rigore: ad esempio, in quei rrarrari di retorica detti Artes dictandi, diffusissimi dal XII secolo in poi. Questa tendenza riprese un notevole slancio a partire dal 1536, anno in cui fu pubblicato il testo originale della Poetica di Aristotele, seguito da innumerevoli traduzioni, parafrasi e commend; dall'interpretazione in parte arbitraria - di tale illustre trattato i letterati del Rinascimenro trassero nuovi spunti per compiere un'opera di codificazione e classificazionedei generi letterari'. Questi fungevano non solo da argini per canalizzare la produzione letteraria all'interno di regole stilistiche ben determinate, ma anche da griglia interpretativa per i fruitori, predeterminando le loro attese in proposito. Per esempio, a seconda di come un testo teatrale veniva definito ('tragedia', 'commedia', 'favola pastorale' e così via), tanto il pubblico quanto l'autore sapevano in partenza a quali caratteristiche di fondo esso si sarebbe attenuto e quali confini, invece, esso non avrebbe potuto varcare. Come spesso vediamo accadere nella storia, i musicisti si inserirono ' Tra le teorie

cinque-seicentesche che si riallacciavano alla Poetica di Aristotele - oltre alla suddivisione per generi letterari - vanno citate le cosiddette unità aristoteliche della tragedia (unità di tempo, di luogo e d'azione; cfr. par. 15.1) e la teoria dell'arte come imitaiione (mimesi) del possibile, non della realtà esistente: non 'verità', dunque, ma 'verosimiglianza'.

l,ru

lntroduzione V Parte

un po' in ritardo nel flusso di questa corrente: di una teoria dei generi musicali si iniziò a parlare diffusamente solo nel Seicento inoltrato. Il concetto di genere musicale, tuttavia, costituiva più una categoria funzionale che una categoria estetica: i generi musicali erano infatti determinati soprattutto dalla specifica funzione sociale che erano chiamati a svolgere, la quale dettava le caratteristiche stilistiche a cui essi dovevano sottostare.

Così, la persist enza della 'prima prattica a fianco della 'seconda prattica' e la codifi cazione dei generi musicali sulla scia di quelli letterari

portarono

i

teorici seicenteschi ad una accurata riflessione sugli stili

musicali appropriati alle varie circostanze. A partire dal trattato Cribrum musicum ad triticum Syferticum del viterbese Marco Scacchi, pubblicato a Venezialo stesso anno della morre di Monteverdi e Frescobaldi (1643), i teorici musicali operarono una distinzione tra uno stile da chiesa (stylus ecclesiasticus), uno stile da camera (srylus cubicularis) e uno stile teat rale (stylus theatralis)'. qt,.r,, tripar-

tizione stilistica veniva poi variamente sovrapposta alla bipartizione di carattere tecnico-compositivo tra 'prima prattica e 'seconda prattici (stylus arutiquus-s4tlus modernu); anche se poi, in concreto, lo stylus ecclesiasticus ricorreva prevalentemente a quello dntiquus, mentre lo stylus theatralis non poteva prescindere dai contrasti espressivi di quello modernus. Per fare un esempio, se ad un compositore era richiesto il genere musicale del mottetto ci si aspettava sicuramente che egli fornisse un prodotto in stylus ecclesiasticus: consono, cioè, alla solennità, alla gravità e ai valori spirituali dell'ambiente in cui tale musica sarebbe stata eseguita. Dal punto di vista della tecnica compositiva, però, gli rimaneva un'altra scelta di fondo: egli poteva servirsi del linguaggio antiquus ereditato dalla 'prima prattica', in polifonia per voci sole a cappella; poteva arricchirlo con le più recenti risorse della policoralità e dello stile concertante, amplificando la tessitura contrappuntistica in potenti masse ,oror.'; poteva, infine, adottare il nuovo stile modernus della 'seconda prattica', 'Marco Scacchi (1600 ca.-1681/87) fu allievo di Giovanni Francesco Anerio (v. par. 20.1), e passò gran parte della sua vita come maestro di cappella alla corte del re di Polonia. La classificazioné da lui introdotta fu ripresa da altri teorici successivi: ad esempio, dal suo

:'*::,*lg'i:,?;x*,3;,'"H::'L"u;n:l;:,oi;lH:*lil"§','.f lJii':iil*,iimn:

sostanzialmente affini, si basa invece la classificazione adottata da Athanasius Kircher (1601-1680), un gesuita tedesco vissuto lungamente a Roma la cui poliedrica personalità si dedicò tanto alla teoria musicale quanto alla composizione, alla storia e alla ieologia. Dal 1633 fino alla morte (salvo brevi viaggi) fu professore di matematica, fisica e studi òrientali . al Collegio Romano (l'istituzione gesuitica citata nel par. 20.1). Nel Seièento questa tendenza, che si era sviluppata prevalentemente in ambiente venezia-

Srorue

DELLA

Musrce OccroeNrerE

trattando le voci anche monodicamente. Ma è assai probabile che neppurq questo tipo di opzione fosse lasciato alla libertà del compositore, dipendendo invece in massima parte dai gusti e dalle esigenze della com.4 mlttenza . I prossimi capitoli, dunque, accentueranno una tendenza presente fin dall'inizio di questo secondo volume: accantonare un poco la progressione cronologica lineare degli eventi per adottare un punto di vista più in assonanza con quello dell'epoca, concentrato sui luoghi della musica del medio Barocco e sui generi musicali ad essi appropriati. Non stupisca, allora, di trovare citati più volte, in capitoli diversi, i nomi degli stessi compositori o delle medesime città: per ottenere un quadro d'assieme di questo periodo nella sua sfaccettata multiformità occorrerà sovrapporre i singoli profili tracciati in ciascuno dei capitoli che seguono.

;;; tu ilil;;;; il;;;;;; ; ii;-;;'. i" p".,i.olare dai maestri della capp.ll, che si svolgevano

Gi,,li", che si

sotto le vastissime trovavano a operaie durante le celebrazioni liturgiche volte della basllica di San Pietro. Ad esempio, tanto il già citato Virgilio Mazzocchi, che fu maestro della Cappella Giulia dal 1629 fino al 1646, anno della sua morte, quanto il suo immediato succesiore Orazio Benevoli (1605-1672), che mantenne anch'egli tale carica sino alla fine della sua vita, scrissero musiche con numerosi cori, posizionati perfino all'interno della cuoola michelansiolesca. n Si .o.,frorrti cà., quanro ,.riito nel par. 19.l aproposito delle composizioni che Frescobaldi dedicò al cardinalè Aldobrandini e al duca Gonzaga.

Capitolo 21

LA CAI\TATA DA CA}IERA 21,.L Storia

di un nuovo genere musicale

per palazzi aristocratici

-ff \J

pieno affermarsi della 'second.a prattica' nella musica seicentesca causò, come si è visto a proposito di Monteverdi, profondi mutamenti nella concezione e nella srrurrura di quello che era considerato

il

genere per eccellenza della musica vocale

il madrigale. Con sempre maggior frequenza, dopo il 1600, i testi madrigalistici vennero messi in musica in stile monodico con basso continuo o addirittura in stile concertanre, da camera:

stravolgendo del tutto

il modello

cinquecentesco

di un armonico

intreccio tra voci che si imitavano pariteticamente.

I piir celebri tra i madrigali a uoce solascritti intorno al 1600 sono quelli contenuti nelle Nuoae musiche (1602) di Giulio Caccini'. Le composizioni di questa raccolta, tutte per una voce e basso continuo, possono essere suddivise fra due tipologie: madrigali e arie. Madrigali sono quelle composizioni

in cui il testo è musicato da capo a fondo, madrigale polifonico;

il

senza strofe

o ritornelli, come nel

rapporto molto stretto che si crea in tal modo tra

parole e musica determina tanto la condotta melodica quanto l'andamento

ritmico. Sono definite arie, invece, alcune composizioni strofiche in cui la parte del basso si ripete inalterata ad ogni strofa del testo, mentre la parte vocale mantiene la sua libertà;

il

carattere ritmico delle arie, poi, è chiara-

mente influenzato dalla musica per danza e dalla sua regolarità e periodicità.

'Tre madrigali di anni prima.

delle Nuoue musicbefurono composti, a detta dell'autore, una quindicina

J madÀgali a voc. sola

Srorue

DELLA

Musrce OcctopNrnls

I

madrigali polifonici non sparirono di colpo con l'awento del XWI secolo: anzi - 1o si è visto a proposito di Frescobaldi questo tipo di composizione assurse ad un insostituibile ruolo Fig. 21. I - Giulio Caccini, Le nuove musiche, didattico'. I1 d..lino nella loro produzione si registra con lenf ntesp izio (Firenze, M ares c tti, 1602). La data 1601 che tezza fino all'anno 1620 circai solo dopo tale data, il numero di compare sulfontespizio è da nuove edizioni o di ristampe madrigalistiche subisce un calo intendersi secondo luso fiorentino (o'sti le dr ll'Incarnazio n e ) : brusco e sensibilissimo, che riguarda anche le nuove tipologie a Firenze, infaxi, si faceua del madrigale concertato con strumenti e del madrigale a voce iniziare ilnuouo anno dal giorno de llAnnunciazione (2 5 marzo). sola con basso continuo. La gravissima crisi economica che affliggeva in quegli anni l'intera Europa in coincrdenza con l'inizio della guerra dei Thent'anni aveva condotto infatti al fallimento buona parte dell'editoria italiana, per opera della quale il madrigale aveva raggiunto la sua amplissima diffusione. Ma, d'altro lato, questi sommovimenti economici, politici, militari (e sanitari: ricordiamo il flagello della peste) avevano contribuito a rafforzare quella che fu una vera e propria svolta epocale: chiudere definitivamente le porte al mondo cortese ;'lUll;:" ,"". ; "'-t' "-1.,g # rinascimentale e spalancarle invece all'esplicito assolutiI'rep.f n ES'S b'l1 rh,['A ft §-Se OA.f, ii 11. +,* smo barocco. Come si è anticipato ndll'Introduzione IV "'.1,,.',{i i. ;iÉ,D.r.C$",-:,' r ;,,i mutarono radicalmente i modi della produzione e della fruizione musicale, soprattutto all'interno delle corti: i musicisti non si mescolavano più ai gentiluomini per cantare e suonare insieme frottole, villanelle o madrigali, perché un'invisibile cortina separava ormai coloro che eseguivano attivamente la musica (quasi esclusivamente professionisti) da coloro che Ia ascoltavano passivamente (gli aristocratici spettatori). Appare chiaro, dunque, per quale motivo il madrigale polifonico, con Ia sua struttura intrinsecamente dialogante e paritaria, non soddisfacesse più i consumatori barocchi di musica vocale da came ra. La loro predilezione si spostò su altre tipologie musicali, maggiormente rispondenti al nuovo o

o

gusto. Lo conrata

sur

Il

genere

di musica vocale che soppiantò il madrigale, dive-

bosso slr^of ico

'Arr.h. la stampa dei madrigali di Gesualdo da Venosa, approntata nel 1613 dall'editore genoyese Pavoni, è da intendere in tale senso. L'inusuale presentazione in partitura di tali madrigali - e non in parti staccate, com'era prassi abituale - dimostra che Io scopo principale di questa edizione non era l'esecuzione pratica: era piuttosto il proporre i madrigali del principe di Venosa, così audaci armonicamente nonché contrappuntisticamente liberi, come modello didattico agli stessi compositori delSeicento.

+

21. La cdntata da camera

nendo forse il più praticato in assoluto dell'epoca barocca, fu la cantata. Inizialmente questo termine era impiegato in modo abbastanza vago, denotando con esso praticamente qualsiasi composizione'cantatd per una o due voci (raramente di più), accompagnata dal basso continuo o da alcuni strumenti3.

La prima pubbli cazione a stampa in cui compare questo nuovo termine consiste nelle Cantade et arie di Alessandro Grandi (1575180-1630), pubblicate prima dell'anno 1620 dal l'editore veneziano Vincenti. Grandi, forse allievo di Giovanni Gabrieli, ebbe sicuri e prolungati contatti con Monteverdi: egli fece parte, dal l6L7 al 1627, della cappella musicale di S. Marco in Venezia diretta dal cremonese, prima di divenire a sua volta maestro di cappella presso la cattedrale di S. Maria Maggiore a Berga-o'. Proprio a Venezia comparve il suo volume citato che comprende, come enuncia il titolo, cantate ed arie; non ne sappiamo con certezza l'anno di pubblicazione, perché ne possediamo solo la seconda edizione, che risale al 1620. Le tre composizioni della raccolta definite 'cantate' si distinguono dalle altre dello stesso volume per il maggior grado di libertà formale che è loro riservato. Nelle arie, infatti, la stessa musica viene riproposta quasi senza cambiamenti per tutte le

strofe del testo; nelle cantate, al contrario, è solo il basso ad essere ripetuto identico, mentre la melodia è variaa ad ogni strofa. Questo tipo di cantata viene definita modernamente cantata su basso sffofico'. 'Birog.r, porre atten zione a non confondere la cantata con la canzone: nonostante il nome simile, nel primo caso si tratta di musica vocale, mentre nel secondo caso ci si riferisce a musica itrumentale (cfr. par. 12.1). Forse non è una pura coincidenza ilfatto che, parallelamente al fiorire della cantata, la canzone strumentale cedette il posto alla sonara (cfr. par. 22.1), rendendo terminologicamente piìr netta la distinzione tra musica da cantare e musica da suonare. 'N.l 1620 Grandi fu promosso a vice-maestro di Monteverdi. Precedentemente egli

aveva lavorato anche al fianco del giovanissimo Frescobaldi: entrambi erano stati assunti nel 1597 - Frescobaldi come organista e Grandi come maestro di cappella presso l'Accademia della Morte di Ferrara. È sintomatico, pervalutare lo status sociale dei musicisti seicenreschi, il fatto che uno dei motivi per cui Grandi preferì vivere a Bergamo piuttosto che in città più prestigiose era il basso costo della vita in tale zona, il che gli permetreva di mantenere la sua numerosa famiglia (sulle difficoltà economiche dei maestri di cappella, vedi anche la testimonianza di Antonio Maria Abbatini

citata in LoReNzo BteNCoNI, Il Seicento cit., pp. 280-287). Tuttavia, proprio a . Bergamo, Grandi fu stroncato dalla peste'manzoniana' del 1630. 'Anche alri compositori scrissero cantate che rientrano in questa tipologia. Tra costoro spicca Claudio Monteverdi, con la cantata Ohimé clt'io cado, pubblicata a Venezia nel 1623 o 1624 in una silloge raccolta da Carlo Milanuzzi (Quato scherzo de lle nriose uaghez,ze l. . .l con una cilntatd e altre arie del Sigttor Monteaerd.e, e d.el Sig. Francesco suo figliolo).

Srorue

DELLA

Musrce OccronNter-r,

Vosta accezione del le.t mine.' cc,nlata'

Tuttavia, è necessario ribadire che il desiderio di classificare la musica in categorie precise, dotate di un"etichetta individuale e inconfondibile, è un'esigenza esclusivamente moderna. Nelle epoche passate, come più volte abbiamo potuto notare, nessun compositore o editore si preoccupava se il termine impiegato per denotare una composizione era usato altrove con un significato diverso. Ad esempio, come si è visto sopra, nelle sue Nuoue musiche Giulio Caccini definisce 'arie' composi zionr che somigliano più alle 'cantad.e' che alle arie di Grandi, essendo costruite solo su un basso strofico e non su un'intera struttura strofica (sia melodia che basso). Allo stesso modo, il termine 'cantata' non veniva inteso solo nel senso adottato da Grandi: la sua accezione non era univoca, ma denotava genericamente un tipo di composizione diverso dal madrigale e più ambizioso di una semplice aria strofica. Anzi, ben presto - soprattutto in ambiente romano - le cantate andarono articolandosi in strutture più complesse, che si basavano sugli stessi criteri che venivano contemporaneamente introdotti nelle musiche operistiche: vale a dire la distinzione tra sezioni in stile recitativo, in stile arioso e in arie vere e proprie.

La cc.nlcla e il duello do cor .,no

Per usare un paragone forse un po' semplicistico, potremmo

dunque immaginare la cantata come un contenitore di dimensioni mutevoli a seconda delle esigenze della committ enza: dalla dimensione più piccola, della durata di un paio di minuti e occupata da una sola aria (strofica o di altra forma), a dimensio-

ni più ampie, fino a una decina di minuti e pitr, atte a contenere un numero variabile di recitativi e di arie. In ogni caso, la cantata era eseguita da un solo cantante (o due, nel qual caso viene definita duetto da camera; raramente si impiegavano più di due voci), accompagnato dal basso continuo; talvolta erano previsti anche altri strumenti, che consistevano quasi sempre in due violini.

Il testo poetico

riguardava, nella maggioranza dei casi, argo-

menti amorosi, anche se erano numerose le cantate sacre in lingua latina o italiana: non dimentichiamo che molti committenti erano altissimi dignitari ecclesiastici. Nella seconda metà del secolo il testo assunse sempre più di frequente il carattere di monologo cantato da un vero e proprio personaggio: personag-

21. La cantata da camera

gio arcadico e convenzionale come Tirsi o Clori, oppure tratto da poemi letterari celebri come Armida o Didone. La cantata assumeva così un contenuto quasi teatrale, di minuscolo surrogato dell'opera lirica. Come nell'opera, ogni aria tendeva a rappresentare una particolare situazione psicologica; la musica, allora, doveva far ricorso alla più ampia tavolozza espressiva possibile per riuscire a suscitare nel pubblico tale varietà di affetti. In mancanza di una vera e propria azione scenica, però, si doveva fare ancor più affidamento su['abilità dei cantanti: iI solista doveva passare repentinamente dalla narratività dei recitativi al prorompere delle passioni nelle arie. toviamo dunque riunite nella cantata le principali caratteristiche che si possono rintracciare in tutta la musica barocca: stile monodico con basso condnuo, stile concertante (nelle cantate con più strumenti), tendenza alla rappresentatività e - soprattutto - l'imprescindibile volontà di muovere gli affetti. Si è accennato, poco fa, a una diffusione in ambiente romano della cantata: infatti, la maggior parte dei volumi che contengono cantate proviene proprio da Roma. tattandosi quasi esclusivamente di fonti manoscritte, esse non recano quasi mai la data di composizione; ma è assai probabile che le più antiche di esse risalgano ad un'epoca anteriore alla pubblicazione delle Cantade di Grandi. Roma potrebbe dunque essere considerata proprio la culla della cantata; e, anche se questo dovesse essere smentito da ulteriori ricerche, è innegabile che la città papale ne fu il maggior centro di diffusione. Ciò era causato dalla particolare connotazione della città di cui si è parlato nel par. 13.1. A Roma mancava una corte laica vera e propria, che accentrasse in sé la maggior parte della produzione di musica profana: la sua corte era la curia cardinalizia e il suo monarca era il papa, che per il suo stesso ruolo era tenuto a promuovere quasi esclusivamente la musica sacra. Tirttavia, proprio a causa dell'eleggibilità di questo singolare sovrano, prosperavano a Roma numerose e potenti famiglie aristocrati-

Fig. 21.2 - Antiueduto Gramatica ( I 57 I - I 626), Il suonatore di liuto (Torino, Pinacoteca). Lo strumento imbracciato dall'esecutore è un arciliuto: sono uisibili b lunghe corde ad

intonazione fissa, situate alla sinistra di quelle tastate normalmente. Sul tauolo, un tamburello a sona{li, un libro di musica negligeitemente aPerto e una chitarra. Lo sguardo attento del musicista può far supporre che egli stia

accompgnando un cantAnte situato in piedi accanto a lui.

Le piccole cotli rowrane

Sronn

DELIA Musrce Occrop,Nrerp

in ogni modo -

o sotterraneo - per primeggiare nella vita economica e politica della città e che ambivano a porre un loro esponente sul soglio pontificiou. All. antichissime dinastie romane dei Colonna o degli Orsini si erano aggiunte famiglie di nobiltà più recente ma di peso economico assai più rilevante quali, ad esempio, i Borghese, i Barberini, i Pamphilj, gli Aldobrandini e i Chigi; costoro videro che che lottavano

Fig. 21.3 - Filippo Gagliardi e Filippo Lauri, Carosello in onore della regina Cristina di Svezia, 1656 (RomA, Museo di Roma). Ilfastoso auuenimento si suolse nel cortile di pakzzo

Barberini alle Qaamo Fontane.

palese

oltretutto moltiplicato a dismisura iI proprio patrimonio durante il pontificato dei papi appartenenti alle loro rispettive famiglie (è il fenomeno del cosiddetto'nepotismo'). Questi casati principeschi, a cui vanno aggiunte le delegazioni dei principali potentati europei nonché vari nobili stranieri residenti a Roma (come la celebre regina in esilio Cristina di Svezia, ivi residente dal 1655 al 1689, anno della sua morte), non potevano esimersi dal considerare il patrocinio di attività musicali come elemento indispensabile per l'aÉ fermazione del proprio rango. Generalmente tutti costoro mantenevano nel prop rro palazzo un piccolo gruppo di musicisti al loro stabile servizio per prowedere al consumo musicale ordinario, salvo assumere personale esterno in circos tanze particolarmente fastose, nelle quali era richiesto un organico più ampio: rappresentazioni di opere, celebrazioni religiose solenni nelle chiese su cui esercitavano il patronato, feste allestite in onore di ospiti illustri, e così via. La 'concorrenzi fra tutte queste piccole corti rese dunque la Roma del Seicento un terreno estremamente fertile non solo per la musica in generale, ma anche per la sperimentazione o l'accoglienza di tipologie musicali sempre nuove, attraverso le quali il committente poteva dimostrare la propria raffinata compete nza (e dunque, implicitamenre, l'eccellenza del proprio rango u

Al .orrr.rrio, nelle altre città

era generalmente una sola famiglia aristocratica a detencre potere e a mantenere una propria corte: abbiamo visto, ad esernpio, la situazione quattro-cinquecentesca di Ferrara con gli Estensi e di Mantova con i Gonzaga.

il

21. La cantata da camera

sociale): la cantata, l'opera, l'oratorio, la sonata, grosso e così via . Se compilassimo una lista

il

concerto

dei musicisti che servirono

le

famiglie principesche romane nel Seicento, troveremmo ricorrere - e più volte - gli stessi nomi abbondantemente citati nei

capitoli precedenti e seguenti: Girolamo Frescobaldi, Giacomo Carissimi, Luigi e Michelangelo Rossi, Domenico e Virgilio Mazzocchi, Marco Marazzoli, Antonio Francesco Tenaglia (1610120 ca.-dopo iI 1661), Alessandro Stradella (1644-1682) e poi, accostandoci agli inizi del Settecento, Bernardo Pasquini, Arcangelo Corelli (1653-1713) e Alessandro Scarlatti. Il compositore dell'epoca, infatti, migrava da un palazzo nobiliare all'altro a seconda delle disponibilità economiche dei vari signori; oltre a ciò, per arrotondare le entrate occupava spesso anche impieghi paralleli di organista, di cantore o di maestro nelle cappelle delle basiliche o nei collegi religiosi. Egli doveva essere quindi assai versatile, giacché le sue molteplici incombenze gli imponevano di produrre musiche per le destinazioni più diverse: ricreative, teatrali, liturgiche, devozionali, cerimoniali e così via.

La cantata

-

per ritornare all'argomento principale di queste

era tra questi generi il più richiesto: di Luigi Rossi soprawivono circa 300 cantate, di Marazzoli quasi 400, di pagine

-

Stradella oltre 200 e di Alessandro Scarlatti addirittu ra circa

700. Questo accadde per molteplici motivi: innanzitutto, il minuscolo organico richiesto per la cantata non ne rendeva dispendiosa l'esecuzione, poiché potevano prowedere ad essa gli stessi musicisti di casa. In secondo luogo, il suo stile musicaAlcuni di questi generi saranno trattati nei capitoli seguenti.

Fig. 21.4 - Antonio Francesco Tenaglia, Che musica è questa, cantata per uoce e basso continuo (Firenze, Conseruatorio 'L. Cherubini). Quasi tutte le cLntAte, rume questd, ci sono

giunte in uolumi manoscrini di formato oblungo.

Srorue DELIA Musrcn OccropNrer-E

le raffinato e aggiornato rispondeva pienamente

-

come si

è

alle nuove esigenze estetiche a\rvertite nell'epoca barocca. In terzo luogo, infine, non era raro che i suoi testi fossero composti dai mecenati stessi o dai letterati che facevano parte detto

-

delle loro corti;

il

che ne rendeva maggiormente gradevole l'a-

scolto all'aristocratico pubblico.

Il vivo scambio

culturale che si verificava in questi ristretti circoli

romani era piuttosto insolito per l'epoca, e condusse ad un fatto più unico che raro in un periodo nel quale al musicista non era generalmente confe-

rita alcuna dignità intellettuale: tre compositori furono accettati da una prestigiosa accademia culturale.

Nel 1706, infatti, l'accademia letteraria dell'Arcadia accolse tra i suoi membri Bernardo Pasquini, Arcangelo Corelli e Alessandro Scarlatti, sia pure con circa dieci anni di ritardo rispetto all'inizio della loro collaborazione musicale con l'accademia stessa.

LArcadia era stata fondata nel 1690 per iniziativa di letterati quali Gian Vincenzo Gravina e Giovan Mario Crescimbeni. Essa era sorta come

continuazione del cenacolo culturale riunito presso la corte romana di Cristina di Svezia, che rischiava di disperdersi dopo la morte di costei avvenuta l'anno precedente. Anche Pasquini, Corelli e Scarlatti erano stati alle dipendenze della regina, come del resto lo erano stati Marazzoll Carissimi e Stradella

Tramonlo dello contato

Ma ormai, nei primi decenni del Settecento, le mode stavano cambiando: il baricentro dell'interesse si spostava nettamente sul teatro d'opera, i cui meccanismi impresariali - esaltando il libero professionismo dei musicisti - minavano alle basi la struttura clientelare su cui prosperava il rapporto mecenatistico.

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Così, il pauiziato romano perse l'abitudine di assumere musicisti stabili nelle proprie case, tendendo piuttosto ad uscire da esse per frequentare i teatri d'opera, che andavano sorgendo numerosi anche nella città papale. Le cantate e i duetti da camera si trasformarono allora da genere di consumo per la viva pratica musicale in oggetti da collezionismo. Status symbol dell'aristocrazia non era più far rcalizzare eventi musicali concreti dai propri salariati, ma presenziare alle stagioni operistiche e - con un atteggiamento ancor più passivo - esibire nella propria biblioteca manoscritti musicali alla moda (siano essi

21. La cantata da camera

cantate o arie staccate d'opera) come prova della propria competenza artistica.

Lunico spazio ancora disponibile per le cantate, nel Settecento inoltrato come nell'Ottocento, rimase quello celebrativo: pezzi d'occasione, spesso con ampi organici, quasi sempre eseguiti non più in 'camera' ma in occasioni pubbliche e solenni'. Sfiorita ormai definitivamente la grande stagione del mecenatismo 'umanistico', di tanta musica vocale da camera non soprawiveva altro che uno stanco prodotto dell'ineliminabile mecenatismo 'istituzionale'.

Fig. 21.5 - Pietro Longhi (1702-85), Lezione di canto, artico lare, incis io ne (Roma, Gabinetto Nazionale

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Crrr,"r. di questo genere erano però comuni fin dal Seicento; uno dei termini con cui venivano definite era'serenata'.

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