Storia Della Disabilità SCHIANCHI [PDF]

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STORIA DELLA DISABILITÀ’ - SCHIANCHI INTRODUZIONE: DISABILITÀ’: UNA QUESTIONE STORICA La disabilità, invoca immediatamente nel qui ed ora non solo di cose da fare e provvedimenti da prendere, ma anche di discorsi, analisi, rivendicazioni centrati sull’oggi e possibilmente sul domani. Non potrebbe essere altrimenti date le forme di esclusione in cui vive la maggior parte delle persone con disabilità. Una condizione in aperto contrasto con il diritto e la vita le necessità di essere considerati pure nella diversità, Individui e cittadini come tutti gli altri, ancora prima che soggetti da assistere, curare compatire. Disabili e disabilità sono concetti recenti che identificano abbastanza chiaramente Alcune categorie di persone e una serie di questioni relative alla vita associata, il diritto, le politiche sociali. La disabilità è una condizione sociale, biologica ed esistenziale che è sempre esistita nella storia dell’umanità. Le cause della disabilità nelle diverse epoche sono assai varie: malattie, errori genetici, infezioni, infortuni, incidenti, scontri, guerre, punizioni, torture, autolesioni. Si è cercato sempre di: • Capire, spiegare ed interpretare e dare un senso alla disabilità e alla presenza dei disabili. • Si è anche però cercato di assegnare un posto nella società, interno o esterno, a queste persone. Le persone con disabilità non sono state sempre trattate allo stesso modo. Nelle diverse epoche si sono susseguiti differenti pregiudizi e forme di stigmatizzazione. Schianchi sottolinea più volte la difficoltà di reperire documentazione storica necessaria ad indagare l’argomento. Per farlo si è basato, in alcuni casi, a testi letterari, lettere, dipinti. È difficile reperire documenti che permettano di ricostruire le vicende dei singoli disabili, i vissuti. I documenti non sono stati scritti da loro stessi bensì dal centro, dalle istituzioni, enti, tribunali religiosi o civili che si sono occupati di loro. Gli storici allora hanno cercato di far parlare questi documenti. La difficoltà di reperire documentazione storica utile a permetterci di ricostruire le vicende, i comportamenti, il vestito delle persone disabili nel passato è un grosso scoglio nel fare storia della disabilità. Tuttavia, Questa è una ragione accessoria. Ci si è occupati poco della disabilità sotto una prospettiva storica e questo non solo con la scusante della mancanza di documentazione ma perché, sotto il profilo storico, la disabilità non è un tema che interessa. In Italia è ancora un tema percepito solo sul piano del dramma personale di chi la vive oppure sul piano socio-assistenziale. Il tema resta fuori dai normali ambiti del sapere. Questo vuoto è rappresentativo del tabù socio-culturale che rappresenta ancora oggi la disabilità nella società. Il tema complessivamente è stato affrontato soprattutto dai diretti interessati, dai parenti o dagli addetti ai lavori. I primi studi sulla disabilità sono emersi solo in seguito ai movimenti delle persone con disabilità degli anni 70. Sono studi avviati da disabili per rivendicare i loro diritti, la loro identità e per comprendere le dinamiche e l’impatto dell’esclusione. Da allora questi studi si sono diffusi e sono divenuti uno strumento politico-culturale del movimento per rivendicare i diritti della persona disabile. Secondo i sostenitori del modello sociale, la disabilità invece, una condizione sociale, non biologica: la società, crea la disabilità stessa, così emargina e discrimina la persona. È grazie a questi movimenti che si è diffuso un nuovo paradigma d’inquadramento della disabilità “il modello sociale” che andò a sostituire progressivamente quello medico/biologico. Secondo i sostenitori del modello sociale, la disabilità è soprattutto una condizione sociale e non fisica/biologica. È la società che negando le istanze e i diritti ai disabili crea la disabilità stessa. Il libro vuole fornire un quadro generale sulle principali trasformazioni nel tempo della disabilità, nel modo di viverla e percepirla. CAPITOLO 1: TRACCE ANTICHISSIME Tra antropologia e storia (menomazione e anormalità elementi all'origine della cultura occidentale e non solo) L’antropologo Lévi Strauss Individua la normalità e la menomazione come elementi che stanno all'origine della cultura occidentale non solo. Si collocano, infatti, tra le componenti fondamentali del mito greco che, la funzione di ordinare raccontare gli elementi costitutivi della realtà. Levi Strauss costruisce un impianto a 4 colonne per classificare la disabilità in base al mito: le prime due colonne riguardano i rapporti di parentela, la terza si riferisce ai mostri che gli uomini devono distruggere e la quarta ha tra le caratteristiche fondamentali la menomazione e l’anomalia corporea. Tra i personaggi protagonisti di questa categoria vi sono per es. quelli

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che hanno difficoltà a camminare dritto (gli zoppi), Labdaco, il cui nome significa padre di Laio padre di Edipo, il cui nome significa sbilenco; Edipo stesso, il cui nome significa piede gonfio. Secondo Lévi Strauss, la menomazione è fondativa e identifica la gravosa e laboriosa appartenenza dell'uomo alla terra si colloca, Inoltre all'interno dell’inconciliabile opposizione tra dimensione Divina e dimensione terrena. In alcune ricerche successive, trova la presenza della zoppaggine all'interno di miti e riti presenti nelle americhe, in Europa e in Cina, accomunati, inoltre che dal loro significato simbolico, dall'essere occasioni propiziatorie per abbreviare una stagione dell'anno a vantaggio di una successiva più favorevole per l'agricoltura. Le prime tracce. La paleontologia e l'archeologia hanno permesso di darci uno spaccato sulla presenza della disabilità e suo significato in civiltà antichissime. Spesso si tratta di studi realizzati molto prima e al di fuori delle discipline legate alla questione e complessivamente ci permettono di accedere alla conoscenza della disabilità a partire solo da alcuni frammenti. Il problema è che i reperti ritrovati non ci permettono di ricostruire attorno a questo individuo uno scenario completo articolato. Quali fossero le forme del suo vissuto all'interno della sua comunità ci resta sconosciuto. Uno dei problemi è che spesso si confonde la realtà con il modello usato per analizzarla e di conseguenza ci si accosta alla storia della disabilità con un'ottica centrata su una delle questioni del presente, il rapporto inclusione-esclusione. Si fa così alla caccia di fatti, casi, dinamiche riconducibili a questa semplice dialettica commettendo uno dei più grandi errori che si possa fare in storia, l'anacronismo. Le prime tracce della disabilità nella preistoria sono i resti trovati in Spagna nel 2009 di un giovane con un grave ritardo dello sviluppo psico-fisico, questa persona però, com’è emerso da studi, viveva all’interno della comunità e non era abbandonato a causa della disabilità. Anche alcune incisioni e pitture rupestri mostrano individui con dita mutilate. Alcuni studi, data la diffusione di queste tracce di mutilazioni preistoriche, presuppongono che siano la conseguenza di rituali magici. Altri studi, come quello della paleopatologia, hanno confermato e spiegato l’origine bellica o punitiva di simili mutilazioni nel passato. Altro ritrovamento: nella valle del Danubio, ritrovati resti di una donna nana. Tra gli Ittiti gli studiosi hanno rilevato la presenza di persone cieche tra i prigionieri di guerra o nelle funzioni religiose. Riguardo la stessa civiltà, ancora più interessanti sono gli studi sulla presenza di persone sorde. Il vestito dei palazzi dei Templi ci restituiscono la presenza di una “comunità di Sordi” che lavorava in modo organizzato, con ruoli, mansioni, funzioni specifiche e capitanati da un sovrintendente dei sordi. Il codice di Hammurabi delinea invece un rapporto ambiguo con la disabilità. Se una parte in esso vi sono pene che consistono in mutilazioni, i colpevoli sono resi disabili per riprovare il loro atto e quindi esposti alla stigmatizzazione collettiva. Un’altra parte del codice invece protegge i disabili e i deboli, imponendo che il forte non sopprima il debole. In aggiunta il codice istituisce la protezione legale delle persone con infermità anche dagli abusi medici e decreta l’impossibilità x un uomo di ripudiare la moglie affetta da malattia o infermità. Per la prima volta nella storia si trova un concetto che poi si ripeterà e ripresenterà a lungo: la distinzione tra disabili cattivi e quelli buoni, innocenti e meritevoli di carità. Nella civiltà babilonese e in generale in quelle mesopotamiche, la menomazione congenita veniva ritenuta esito di un castigo divino, la disabilità inoltre causava disordine morale. Gli egizi con la loro iconografia, hanno proposto molti casi di disabilità, sono rappresentare su stele ecc persone con menomazioni e amputazioni, suonatori d’arpa ciechi, presenza tra le persone di nani. Invece le persone con disabilità mentale venivano considerate talvolta come graziate divinamente. I siti egittologi hanno fatto emergere tracce piuttosto inedite. La mummia di Smenkhkara del XIII Sec.a.C ha mostrato gravi deformazioni ossee dovute è una malattia invalidante e le stesse caratteristiche sono state riscontrate su altri faraoni. La mummia di Siptah del XII secolo a. C. ha mostrato che questo faraone era affetto da una grave deformazione a un piede. Questi sono tra i più noti, ma la presenza di corpi come non funzioni di varie entità è stata riscontrata in più mummie. Alle pitture dei suonatori d’arpa o di strumenti musicali ciechi rappresentano un topoi dell’antichità, si pensava che questi avevano ricevuto dagli dei il talento musicale come compensazione della loro cecità. fin dall’antichità lo stigma non si riferisce a una caratteristica propria dell’individuo, cioè non è sinonimo di menomazione, ma è una relazione sociale. I greci invece inventarono il termine “stigma” per indicare il segno corporeo che presenta qualcosa di inabituale e di sgradito al punto da inficiare la morale della persona che ne è portatrice. La formazione dello stigma secondo il sociologo Goffman avviene in 4 fasi:

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1. Individuazione delle differenze (fisiche, psicologiche, sociali) per poi costruire sulla loro base delle categorie di disabilità. 2. A queste categorie si attribuiscono stereotipi negativi. 3. Si opera una distinzione tra soggetti stigmatizzati e non 4. Fase della stigmatizzazione vera e propria, si perde lo statuto, c’è il declassamento dell’individuo. Per una storia del rapporto tra tecnologia e disabilità Il mondo egizio ci ha lasciato anche informazioni e reperti sulle prime protesi utilizzate all’epoca. Si trattava di protesi funzionali e non estetiche. La più antica è esposta al Cairo, ed è un pollice in legno dipinto del piede destro che veniva attaccato ad un supporto di cuoio al piede di una donna. Un reperto della 1° protesi funzionale della storia risale tra il 1069 e il 664 a.C. ed è la gamba in bronzo di Capua dotata di un ginocchio artificiale in legno, conservata a Londra prima di essere distrutta dai bombardamenti. Anche una mano artificiale è stata ritrovata in una mummia. La protesi è divenuta col tempo l’emblema della disabilità fisica/motoria e poi anche l’emblema stesso della disabilità assunta come simbolo internazionale dell’accesso “la sedia a ruote”. L’immagine della carrozzina stilizzata di Koefoed del 1968. L’invenzione della sedia a ruote sembra essere antichissima e legata allo sviluppo delle sue componenti principali. A lungo, l’uso della sedia a ruote sembra essere stato ostacolato dalle condizioni non agevoli delle strade e degli interni delle abitazioni. Era riservato alle personalità importanti, per es. il Re Filippo II di Spagna rappresentato su una sedia a rotelle da Tiziano, oppure ne aveva una anche Luigi XIV di Francia. Alla fine del 700 la sedia si modernizza e si innestano il poggiapiedi e lo schienale regolabili. La sedia a ruote si diffonde nel XIX secolo. Anzitutto tra le persone rimaste ferite durante le guerre. Ancor più diffuso è l’uso dopo la 1° guerra mondiale. In Inghilterra venivano date gratis agli invalidi di guerra. Al 1933 risale la 1° sedia a ruote pieghevole e in metallo leggero. Nel 1931 c’è stata l’invenzione del bastone bianco per i ciechi. Anche gli arti artificiali hanno una storia antica, così come riportato precedentemente. Le fonti che indicano l’uso di tali protesi sono reperti materiali quali per es. un vaso italiano del iv secolo che mostra una ferula d’appoggio simile ad una gruccia e gamba di legno. Le prime progettazioni di arti artificiali si devono al padre della chirurgia Ambroise Paré medico della corte francese. A lui si devono: la mano del piccolo Lorense, ricoperta da un guanto da guerriero e collegata all’avambraccio con due aste metalliche, rigida nel polso e con dita tenute in estensione mediante molle. L’evoluzione della protesica per arti superiori tra 500 e 600 avviene soprattutto all’interno del mondo militare. Quella degli arti inferiori avviene a partire dal 700 in Inghilterra e Francia e nei primi dell’800 in Italia. A partire dagli ultimi decenni dell'ottocento, anche Pedia italiana fa registrare un importante sviluppo grazie a figure come Pini, Rizzoli, Galeazzi, capaci di spiegare loro sapere anche sul fronte degli arti artificiali. Sono le due guerre mondiali e gli infortuni sul lavoro a porre la questione tecnica dei mutilati. La rapida evoluzione della tecnologia degli arti artificiali, delle protesi meccaniche a quelle superleggere che utilizzano dispositivi come bluetooth, ha avuto anche in Italia importanti centri di sperimentazione ed elaborazione come il centro di Vigorso attivo dei primi anni ‘60. CAPITOLO 2: NELLA CIVILTÀ’ GRECO-ROMANA Disabili all’interno di due classici Nell’Iliade di Omero figura il primo personaggio disabile della storia della letteratura occidentale, Tersite. Era zoppo d’un piede, le sue spalle erano torte, curve e rientranti sul petto. Il cranio era a punta in cima e aveva pochi capelli. Era odiato sia da Odisseo sia da Achille. Così era descritto da Omero. Lo fa descrivere da Ulisse. Tersite prende in giro Achille perché, dopo avere ucciso in duello Pentesilea, lui se ne innamora. In aggiunta cava un occhio alla morta oltraggiandone il corpo. Adirato, offeso e furioso Achille lo uccide. Sono le caratteristiche fisiche a fare di Tersite un personaggio negativo. Nell’Iliade non c’è personaggio più indegno di lui. Il deforme è anche difforme in tutto il resto: non è un eroe aristocratico, è tutto il contrario rispetto alla bellezza fisica e alla forza, è stolto, comico e ridicolo. Il suo aspetto esteriore è specchio della sua persona, è malvagio e uno sconsiderato, le sue parole sono vane, buffe e contrarie al buon senso. A partire dalla diversità fisica, è circolare la dinamica dell’attribuzione di caratteri negativi al soggetto considerato anormale: è deforme dunque, è un essere spregevole. Tersite lo si ritrova nella Repubblica di Platone, all’interno del mito di Er, uno dei più importanti, quello che sancisce la responsabilità etica dell'individuo rispetto al proprio destino dopo la morte tra le anime degli eroi in attesa di scegliere un'altra figura in cui reincarnarsi, Tersite vi appare anche qui come un buffone che assume le sembianze di una scimmia.

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Un altro classico, caposaldo della storia geografia occidentale, sono le Storie di Erodoto, che offre numerosi passaggi non solo la presenza della disabilità in quelle società, ma percezione interpretazioni diverse in relazione sia alle diverse tipologie di menomazione, sia alla posizione sociale dei portatori. Trattamenti e percezioni differenti della disabilità Gli studiosi hanno catalogato le diverse modalità attraverso cui, nella storia, sono stati visti e collocati i disabili, in regimi. Vi sono diversi regimi: dell’eliminazione, dell’abbandono, della segregazione, dell’assistenza, della discriminazione. Nelle diverse epoche e culture sono prevalsi alcuni regimi piuttosto che altri. Peraltro, alcuni di questi regimi possono valere per certe tipologie di disabilità e non per altre, possono operare per alcuni ceti sociali e non per altri. Il concetto di disabilità nelle diverse epoche non è univoco. Non si deve proiettare nel passato le nostre percezioni attuali, Specialmente in epoche precedenti all'ultimo secolo, in quali condizioni di salute del complesso della popolazione erano molto più precarie. Nel passato, il fatto che le menomazioni fossero congenite o acquisite ha sempre rappresentato un criterio importante per costruire percezioni differenti della persona disabile. Non esiste una definizione univoca delle diverse tipologie di menomazione. Il mondo antico, ha inventato il concetto di mostro. Si tratta anche in questo caso di un concetto costruito ad hoc su casistiche particolari. I mostri infatti individuavano in particolare la disabilità fisica e rappresentavano un caso limite e nelle epoche antiche hanno lasciato più tracce documentare rispetto a soggetti con altri tipi di menomazione. Le fonti usate per ricostruire la disabilità nel mondo greco-romano sono archeologiche, letterarie e artistiche. A noi è accessibile la conoscenza di alcuni frammenti, di un numero limitato di casi e non si può generalizzare. Le fonti ci indicano una notevole presenza di disabili nelle società greche e romane. Secondo il mito gli stessi fondatori di Roma sono disabili. Infatti Anchise significa appunto zoppo e curvo. Anchise ubriaco durante una festa si vantò del suo amore con Afrodite. Zeus lo colpisce allora con un fulmine e lo rende zoppo. Anchise allora abbandona Troia col figlio Enea che fonderà Roma secondo la tradizione. Nonostante la grande presenza di persone disabili poco sappiamo sul loro conto e su come vivevano e Come venivano trattate le persone che erano portatrici. Gli studiosi storici non hanno ancora illuminato in modo approfondito la questione al di fuori dei regimi dell'eliminazione dell'abbandono, che non sono affatto modalità univoche ne totalizzanti. Queste ultime erano applicate nei casi di deformità corporee congenite che, nella scala di valori dell'epoca, e hanno particolarmente gravi. È presumibile che tali forme di disabilità fossero meno stigmatizzate. I deficit sensoriali sembravano meno gravi di quelli fisici. Erano considerate malattie guaribili grazie a cure mediche o interventi divini. L'invocazione alla guarigione, le pratiche rituali ed espiratorie per recuperare l'integrità, data la loro persistenza nel corso del tempo, nelle civiltà pagane e cristiane costituirebbero un fertile terreno di ricerca attorno alle percezioni della disabilità. Nel mondo greco per es. la cecità era abbastanza accettata rispetto alle menomazioni fisico-motorie. Talvolta essa era una caratteristica divina e a queste persone venivano attribuite maggior virtù e saggezza. Esempio il mito che riabilita i ciechi è quello di Tiresia. Tiresia mentre passeggia vede accoppiarsi 2 serpenti e infastidito uccide la femmina. Viene allora trasformato in donna e ritornerà uomo solo quando di fronte alla stessa scena uccide il maschio. Un giorno Zeus ed Era litigavano su chi provasse più piacere nel sesso. Tiresia viene interpellato perché era stato sia uomo sia donna. Tiresia da ragione a Zeus ed Era arrabbiata lo rende cieco. Zeus allora lo ricompensa dandogli la facoltà di prevedere il futuro e di vivere per 7 generazioni. Secondo questo mito la cecità è una punizione divina. Non è tuttavia una condizione abietta e ripugnante come la deformità fisica e la mostruosità, ma una diminuzione che per altri versi Apre a possibilità inedite. Altra figura nota di disabile cieco è Edipo. Edipo si acceca. I miti si Tiresia, Edipo ed altri configurano la disabilità come legata alla dimensione di una sessualità non ordinaria che diviene fonte di colpa e che produce menomazioni. Nel mondo greco-romano le disabilità erano considerate in modo meno negativo rispetto alle deformità fisiche. I pazzi all’epoca attiravano timore ma nel contempo rispetto perché la follia era considerata un evento soprannaturale. Il regime dell’eliminazione L’eliminazione dei bambini nati con una deformità fisica non è un fenomeno circoscrivibile alle civiltà antiche. Ci sono tracce di uccisioni anche nel ‘700, per esempio sul libro Embriologia Sacra, testo fondamentale per la teologia Cattolica relativa agli embrioni considerati fin da principio dotati di anima, afferma

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che in Sicilia questi bambini venivano battezzati e poi uccisi. Alcuni manuali dell’800 elencavano tra i compiti dell’ostetrica di sottrarre e uccidere il bimbo nato deforme prima che la madre lo veda. Nel mondo greco non poteva decidere il padre sulla sorte del figlio ma lo doveva portare in un luogo chiamato “Lesche” e qui i più vecchi della tribù consideravano il bambino. Se era deforme finiva nel monte Taigeto in una caverna a morire di stenti. Anche le Les Regiae romane imponevano che il padre non poteva uccidere il figlio minore di 3 anni tranne che questo fosse mostruoso e subito dopo il parto. L’uccisione o l’esposizione doveva avere l’accordo di 5 vicini e dopo aver mostrato loro il neonato. Anche le leggi delle 12 tavole autorizzavano l’uccisione del nato deforme e anche Cicerone sosteneva l’uccisione. I bambini venivano uccisi per strangolamento, gettati nel Tevere o lasciati morire per il freddo o dati in pasto ai cani. Fu solo coi primi Imperatori Cristiani venne sancito lo “ius vivendi” del neonato, senza alcuna eccezione e decretata l’illegalità di uccidere o esporre i bambini nati deformi. Costantino aveva disposto un sistema di assistenza per quei genitori poveri affinché evitassero di vendere o esporre i figli. In Grecia la tradizione vuole che i neonati deformi fossero buttati dal Taigeto ma recenti studi archeologici confutano questa ipotesi. I reperti trovati ai piedi del monte sarebbero di adulti e non di bambini. La tesi e forse più dettata dal bisogno di contraddire un luogo comune. In realtà anche le fonti letterarie forniscono informazioni ambigue riguardo al Monte Taigeto. E’certo che questo fosse un luogo destinato a sbarazzarsi dei bambini nati deformi, ma in che modo? Il regime dell’abbandono: l’esposizione Il Mito Di Efesto, figlio di Zeus ed Era. Aveva una disabilità E questa caratteristica era spiegata secondo due versioni. Nella prima, Efesto cerca di liberare Era, incatenata da Zeus, Zeus lo scopre e lo getta giù dall’Olimpo. Nella caduta Efesto si azzoppa. Nel secondo mito di Efesto, egli nasce zoppo e deforme, la madre appena lo vede lo scaglia giù dall’Olimpo. Il piccolo finisce in mare e viene accolto dalle oceanine e nereidi che lo allevano in segreto. Anche a Dioniso è attribuita una zoppia, uno stigma che trasmette al figlio Priapo. Quando nasce da Afrodite, lei non può sostenerne la bruttezza e lo rifiuta. Priapo passerà la vita alla ricerca delle attenzioni altrui, non avendone ricevute dalla madre, mostrando un pene smisurato. Nell’Iliade è Efesto ad essere definito storpio glorioso perchè figlio di dei. Il fatto che fosse zoppo lo si attribuisce nella letteratura greca anche alla sua professione di fabbro. Infatti alle origini chi era menomato e non poteva andare a caccia o a pesca si specializzava nella costruzione e fabbricazione delle armi, facendo appunto il fabbro. Per quanto zoppo a differenza di Tersite, Efesto partecipa come divinità a tutti i titoli, segno dell’importanza dell’appartenenza al ceto sociale elevato nel processo di stigmatizzazione della disabilità. Esporre significa portare i bambini fuori dai villaggi e dalle città per nasconderli in luoghi occulti. L’esposizione non riguarda solo i nati deformi ma anche gli ermafroditi, i figli illegittimi e della prostituzione. Nella civiltà greca si trattava di una prassi legale e molto diffusa tanto che Tebe dovette intervenire perché gli abusi erano tanti. Gli abbandonati poi divenuti famosi sono: Euripide (nato da uno stupro di Creusa da parte di Apollo), Edipo, Perseo, Ercole, Romolo, Remo e Mosè. L’esposizione dei deformi veniva giustificata con la loro inutilità per la società. Esporre non voleva dire automaticamente uccidere il bambino sì, ben molto spesso tale abbandono significa se destinarlo a morte certa. I bambini in questo modo venivano anche rimessi alla volontà divina. Si sa che ad essere esposti erano maggiormente i disabili fisici, non si sa se lo stesso accadeva per gli altri. Il fenomeno dell’abbandono proseguirà poi nella storia. Per es. l’argomento è stato affrontato nel concilio di Vaison quando si decretò che chiunque avesse trovato un esposto avrebbe dovuto segnalarlo alla chiesa locale. Qualora nessuno reclamasse il bambino entro 10 giorni, era di chi l’aveva trovato. Inquisizione considera la pratica una forma di infanticidio nei censura forme sataniche, Tuttavia quella credenza era in primo luogo un mezzo per spiegare la malattia e l’anormalità; permetteva allo stesso tempo di negare la realtà sociale è il peso, ma non guarendo la malattia, bensì cambiando l'identità del piccolo malato. Nel cinquecento, un medico tedesco affermava: “I mostri nati dagli uomini vivono di rado, e più sono strani e terribili più presto muoiono; tanto che la maggior parte di essi non raggiunge fra gli uomini il terzo giorno di vita A meno che non siano ricoverati in luoghi nascosti e separati dalla lista degli uomini”. CAPITOLO 3: ALL’INTERNO DEI TESTI BIBLICI Scritture e disabilità in una prospettiva storica Nell’antico e nuovo testamento ci sono oltre 200 passaggi che evocano forme di disabilità. Le scritture in

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questo caso sono state analizzate per sapere tre aspetti particolari. In primo luogo, come fonte di pratiche, credenze immaginari dell'epoca storica cui si riferiscono. Tenendo salva la precauzione che nessun testo, né del passato nel presente, può essere usato da solo come specchio esaustivo delle culture delle pratiche sociali che hanno caratterizzato la disabilità, ma può essere considerato una spia per comprendere alcuni aspetti di una realtà ben più articolate sfuggente, In molti casi difficile, se non impossibile da ricostruire. In secondo luogo le scritture sono interessanti per il loro grande impatto dell'immaginario e nella cultura occidentale. Per secoli, la Bibbia è stata uno dei pochissimi testi conosciuti è la principale forma di cultura scritta a cui si sono accostate le classi popolari. Per secoli è stata Dunque il referente virgola il metro di misura a cui hanno fatto rimando idee, pratiche, credenze, immaginari non solo di tipo religioso ma relativi al complesso dell'esperienza sociale e culturale. In terzo luogo, perché il Nuovo Testamento in particolare costituisce la base religiosa e teorica di molte pratiche e molte istituzioni religiose che sono state occupate non solo dell'anima ma anche dei corpi viventi e sociali delle persone con disabilità. Tra le recenti evoluzioni c’è il riconoscimento, avvenuto durante il Giubileo dei disabili 2000, da parte della Chiesa cattolica della pari dignità ontologica delle persone con disabilità rispetto agli altri esseri umani, e dunque con i medesimi e corrispondenti diritti innati, sacri e inviolabili. Il complessivo “silenzio della chiesa” attorno alla disabilità come questione specifica è stato analizzato in termini innovativi da Vito Mancuso. Antico Testamento Qui si trova la disabilità nelle cose del mondo, tra la gente del popolo. Ci sono riferimenti ad amputazioni di guerra e a mutilazioni. Nell’antico testamento, simbolicamente la disabilità rappresenta non solo la debolezza umana ma anche il male. Per esempio non vedere e non sentire sono condizioni dello spirito non aperte a Dio e alla sua parola, oppure si è accecati dalla malizia, dall’orgoglio ecc. Tutte le forme di disabilità rappresentano colpa, peccato, una condizione negativa individuale o collettiva. Solo Dio può intervenire per liberare da questa condizione: “il Signore ridona la vista ai ciechi” (Salmo 146, 8); “udranno in quel giorno i sordi le parole di un libro” (Isaia 29,18). E’ soprattutto Isaia evocare l'intervento divino, sia quando per la miracolosa guarigione, se quando fa rientrare la disabilità in una dimensione non più scandalosa è separata dal resto della società, ma ricollocata all'interno della comunità. Senza un intervento divino che restituisce la normalità e l’ordine, la menomazione costituisce una grave deviazione dall’ordine divino. (Esodo, 4,7). Nell’antico testamento la disabilità rimanda al peccato, è il tradimento dell’uomo verso Dio. Il peccato viene dagli uomini, non da Dio:” Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive; fornicazioni, furti, omicidi” (Maccabei 7,21). Nel complesso nell’Antico Testamento è il peccato a portare alla disabilità e chi è menomato è un peccatore, è impuro e ciò non vale solo per gli uomini ma anche per gli animali. Sono ovviamente numerosi tipi di peccato. Lynn purezza si declina il numero di dimensioni, ma generare figli con disabilità viene immediatamente interpretato come castigo Divino legato a un uso cattivo degli organi dei rapporti della generazione. La Disabilità congenita sarebbe di per sé espressione della punizione di vita per un peccato legato alla sessualità. Nei testi biblici non ci sono riferimenti all’esposizione, all’abbandono o all’eliminazione di bambini e soggetti disabili. Non si può dire nulla a riguardo. È invece certa la prassi di mettere ai margini della comunità di tali persone. Era spesso rifiutato il sacerdozio alle persone disabili, mentre se la menomazione subentrava a sacerdozio preso, queste persone venivano declassate ma mantenute all’interno della comunità religiosa. Il codice di diritto canonico del 1917 considerava illegittimi per il sacerdozio gli individui con debolezze o deformità. La formulazione successiva del codice 1983, elimina, tra le irregolarità, le disabilità fisiche, sensoriali e considera irregolare a ricevere gli ordini che è affetto da qualche forma di pazzia o da altra infermità psichica, per la quale, consulti i periti, viene giudicato inabile a svolgere nel modo appropriato il ministero. Nell’Antico Testamento e nel nuovo i disabili restavano comunque nella società però ai margini, vivendo di elemosina, accattonaggio, espedienti, beneficenza. La questione vale anche per il Nuovo Testamento poiché, infatti, una cosa e considerare il valore è il significato etico e religioso del messaggio e dell'esperienza del cristo, altro è leggere storicamente la società in cui Cristo è vissuto. Le scritture ci mostrano invece, una caratteristica costante della storia della disabilità, Ovvero la presenza concomitante, di pratiche sociali e culture diverse, eterogene e antagoniste tra loro. Il tema di disabilità, in questo mondo erano sicuramente operanti legami sociali e forme di solidarietà comunitaria, quelle che ruotano attorno al classico concetto di deviante integrato, generalmente presente in tutte le società e qui contraddistinti da una specifica etica cristiana.

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Nuovo Testamento Nel Nuovo Testamento sussistono numerose dimensioni presenti anche Nell'antico che ci rimandano una cultura condivisa e ad un immaginario in cui le disabilità sono espressione conseguenza del peccato degli uomini, sono intrinseca azione del difetto morale, della degradazione dell'individuo e sono invece dell'intervento Divino che la introduce sulla terra come forma di insegnamento o di punizione. Anche la relazione diretta tra disabile peccato e nuovamente persistente, nel senso comune incontrato da Cristo nella sua predicazione e nonostante, in un'occasione precisa Gesù stesso scinda chiaramente questo legame rimandandola ad una volontà Divina sconosciuta gli uomini. (Anche qui c’è l’associazione disabilità = peccato.) Nello scenario del nuovo testamento, la disabilità nel complesso ancora una funzione simbolica legata alla debolezza umana e al peccato, è perdizione, come indica il passaggio di Matteo (15,14) dei cinque ciechi che, guidati da uno di loro, cadono del fosso. L’elemento innovatore è Gesù che rafforza lo spirito dell’accoglienza e della carità verso i disabili come fondamento della fede e non solo come obbligo morale: “Noi che siamo i forti abbiamo il dovere di sopportare l'infermità dei deboli, senza compiacere noi stessi” (Romani 15,1). I disabili saranno i primi ad entrare nel regno di Dio come ricorda il testo delle beatitudini di Matteo (5,4), sono i poveri a cui è destinato Il regno di dio, sono quelli che piangono E poi rideranno (Luca 6,20). La disabilità si manifesta Dunque sotto una nuova luce, secondo una” …logica racchiusa nella sofferenza innocente, che, con cristo, è diventata il luogo privilegiato dove Dio risiede. Chi soffre soprattutto se non merita di soffrire, È unito a Dio come nessun altro, Perché Dio ha rivelato sommamente sé stesso nella croce di cristo, cioè, per l'appunto, nel vertice della Sofferenza innocente…” (Mancuso 2008). L'esperienza del Cristo è stata interpretata all'interno della tradizione teologica Cattolica negando la relazione causale tra peccato e disabilità o morte. Non è la malattia che, secondo i teologi, rappresenta una conseguenza del peccato, ma il peccato che si enuncia nel linguaggio della malattia. “Malattia e morte non sono sintomi di un peccato personale collettivo ma elementi della condizione peccaminoso degli esseri umani indistintamente.” Nella costruzione culturale di questa percezione si sono trovate, attraverso le scritture, le istituzioni ecclesiastiche e tutti gli altri ceti. Non è dunque inverosimile immaginare che per secoli, di fronte a una realtà scomoda, fastidiosa è inaccettabile come la disabilità, questa lettura dei brani biblici che parlano di infermità abbia contribuito e confortato nell'immaginario delle persone l'idea della disabilità come originata dal peccato, come attributo decisivo che qualifica persone negative, impure, degradate nel corpo è nello spirito e nella posizione sociale. Nel nuovo testamento vi sono numerose guarigioni miracolose compiute da Gesù verso persone con disabilità fisiche, sensoriali, intellettive, per malattie varie. Questi brani dei vangeli comunque rimandano ancora alla guarigione da una situazione di disabilità dovuta alla condizione di peccato in cui si trovano le persone prima di guarire. Cristo guarendo queste persone le reintegra nella società e restituisce loro dignità. CAPITOLO 4: I MOSTRI Quello di mostro è un concetto molto Ampio che abbraccia numerose dimensioni relative al mondo animale, umano, vegetale, fantastico. Il concetto di mostro nasce all’interno di una costruzione sociale e culturale attraverso cui un essere è percepito in relazione ad una norma a un’ordinarietà. Affinché un mostro esista deve necessariamente esserci un “non mostro”. Il mostro è altro rispetto ad un centro che è la norma: è il deforme, il difforme, l’anomalo, l’aberrante, l’inconcepibile, l’indescrivibile, è ciò che turba e inquieta. Alle origini del concetto nella cultura occidentale, nel mondo greco/romano il mostro è l’essere considerato lontano dalla normalità, è un altrove relegato ai margini. Mostri erano i popoli nemici, le genti diverse e sono la letteratura e i racconti e i diari di viaggio ad ampliare il concetto di mostro. La portata del concetto di mostro ulteriormente amplificata dai suoi derivati mostruose mostruosità. Di volta in volta sono stati definiti mostruosi ho mostruosità esseri altri, non ordinare, non normali, pensieri individui cattivi, crudeli, malvagi, criminali. Da una trentina d'anni a questa parte il concerto di mostra diventato un tema poliedrico e pluridisciplinare delle scienze sociali e umane, purtroppo ben poco affrontato in Italia, rispetto al mondo anglosassone in francese, non si sa per quale pudore scientifico accademico. Il tema della disabilità, una nozione così ricca e composito come quella di mostro interessa in relazione agli esseri umani considerati, a causa delle loro differenze biologiche, anomali, diversi, appunto mostri. Mostro è un concetto limite che identifica di volta in volta persone problematiche differenti. È un concetto limite e poi che riguarda soprattutto, ma non solo, le menomazioni del corpo identifica spesso esseri che hanno avuto una vita brevissima. I mostri nel mondo greco-romano

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Il documento più antico riguardante i mostri è una tavoletta d’argilla babilonese (2800 a.C.) in cui sono identificate 3 categorie di mostri: per eccesso, per difetto e i mostri doppi. Sia nella civiltà greca sia in quella romana il concetto di mostro si riferisce ad esseri viventi anormali. La loro presenza sulla Terra turba e rimanda al divino con conseguenza sugli esseri umani. Comunicano un presagio un monito della volontà divina che qualcosa accadrà. È una categoria che comprende sia uomini sia animali, i mostri hanno la funzione di comunicare altro. In greco, mostro (teras) ha un’etimologia incerta inizialmente alla sezione disegno divino connotato di terrore è inviato da Zeus. Con Omero diventa segnale mandato dalla divinità è da interpretare, spesso è un enigma da risolvere. In latino mostro (monstrum) deriva da ammonire (monere) ma anche da mostrare (monstrare) due verbi che rimandano all’avvertimento che proviene dalle divinità attraverso un segno che indica, mostra, annuncia ecc. Numerosi brani della letteratura greca e romana propongono casi di mostri. Tacito racconta di bambini con due teste gettati in pubblico. Tito Livio parla di un fanciullo senza mani e piedi. Anche i parti gemellari erano mal visti perché segno di un’eccessiva e peccaminosa attività sessuale. Tito Livio racconta ancora della fine di un bambino nato già enorme, sembrava di 4 mesi. Abbandonato e una volta morto venne gettato in mare. Dato il loro essere forieri di sventure e segno di maledizione questi mostri venivano messi al di fuori delle città e delle società e venivano o eliminati o abbandonati con l’intento di porre fine alla loro vita. In alcuni casi al sacrificio del neonato seguiva quello della madre perchè genitrice di un portatore di disgrazie. Era considerato mostruoso per i latini colui che non ha le caratteristiche fisiche complete e inalterate e tipiche dell’uomo. Mentre è considerato debole il neonato che completamente e normalmente formato non sopravvive. I giuristi dell’epoca invece attribuiscono non un senso divino all’esistere dei mostri ma cause naturali. Comunque l’idea di mostro come segno divino si manterrà nel tempo e sarà presente anche nelle civiltà cristiane. Credenze, saperi e spiegazioni attorno alla nascita dei mostri A partire dal mondo greco-romano attorno all’argomento mostri incominciano ad esserci delle spiegazioni di tipo medico-scientifico. Sono Ippocrate, Empedocle e Democrito a cominciare a spiegare come e perché nascono i mostri. Secondo Ippocrate derivano dalla mescolanza tra il seme maschile e quello femminile, in cui il seme più forte determina il sesso. La nascita dei mostri dipende dall’ammaccamento del ventre della madre poiché ha subito colpi violenti, oppure perché l’utero non è sufficientemente grande da contenere l’intero feto e quindi nasce privo di qualche parte del corpo. Secondo Empedocle i mostri sono l’esito dell’abbondanza o difetto del seme, oppure della sua divisione in più che porta allo sviluppo di più esseri mostruosi come i siamesi. Per Democrito i mostri nascono dall’incontro di due emissioni successive di sperma e la 2° si sovrappone alla 1° confondendosi e creando creature disordinate. Aristotele sostiene invece la trasmissione della disabilità, i mutilati generano mutilati, zoppi dagli zoppi, ciechi dai ciechi. La mostruosità, per Aristotele, è dunque l'esito dell'inadeguata forza procreativa del seme maschile o dell’influsso negativo del mestruo su quest’ultimo. Il Concilio di Nicea (325) aveva invece decretato che i mariti non dovessero avvicinarsi alle mogli durante il periodo mestruale, giorni in cui alle donne era vietato l’accesso ai sacramenti e in chiesa. San Girolamo sosteneva invece che i mostri erano l’esito di rapporti sessuali durante il ciclo mestruale. Alcuni autori invece avevano idee e spiegazioni della mostruosità basate non sul divino ma su prodotto della natura per es. Lucrezio e Plinio. Seneca contesta parzialmente questa posizione affermando che per natura è necessario continuare a pensare alla dimensione divina. Il tema delle persone con deformità, il teatro latino offre anche una rappresentazione inedita destinata un lungo corso nella storia della recitazione, nella tipizzazione di alcune figure disabili nei sentimenti che le accompagnano. I mostri umani nel Medioevo Mentre nel mondo medievale continuano a svilupparsi, anche attorno ai mostri umani, mitologie, leggende, credenze popolari e saperi, la riflessione religiosa sul tema parte da Agostino. In epoca Cristiana, Agostino è il primo a formulare il quesito teologico sul fatto se i mostri fossero o meno creati da Dio. Agostino però non affronta un’altra domanda rilevante: i mostri hanno un’anima? Devono ricevere i sacramenti? Il tema, che pone la questione se questi mostri, appartengono meno al genere umano, non era stato ancora posto e tarderà molto a diventare una questione teologica centrale. Le ragioni di questo ritardo sono concrete; le creature mostruose hanno biologicamente vita brevissima, in secondo luogo, spesso vengono soppresse Ed è inutile occuparsene. Neanche Tommaso d’Aquino affrontò l’argomento. Secondo lui

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però tutti gli individui umani devono essere battezzati mentre deve essere negato il battesimo al bruto, cioè quei soggetti con sembianze animalesche. Tommaso sostiene che se il feto ha una testa ben formata allora doveva essere considerato umano, indipendentemente da com’era il resto del corpo. In ogni caso, torno a tale questione, Esiste un dibattito sotterraneo, Per quanto non sia stata a lungo oggetto né di concili né di decreti pontifici. Solo nel 600 il tema è affrontato in ambito ecclesiastico anche con il contributo di docenti di diritto di medicina. Nel medioevo la riflessione sui mostri ha come riferimento il catalogo di mostri realizzato da Plinio. Nel medioevo e poi si svilupperà appieno nel corso dell’800, inizia uno studio sistematico e rigoroso sui mostri, la teratologia. Comunque gli studi sui mostri hanno continuamente mescolato tra loro i codici e i linguaggi scientifici, religiosi e le credenze popolari. Nel Medioevo iniziano anche a diffondersi i bestiari, ovvero descrizioni e immagini su creature fantastiche e mostruose. La loro rappresentazione attraverso la nudità era uno strumento per mettere in mostra le deformità, per renderli più vicini all’animale che all’uomo. Parè, Liceti, Aldrovandi In tutt’Europa tra il secondo 500 e i primi del 600 i mostri divennero oggetto di vaste pubblicazioni erudite e popolari. Sono spesso testi che si citano e ricopiano a vicenda, erano presenti numerosi casi con le immagini. In alcuni trattati l’origine della mostruosità era dovuta all’influsso dell’immaginazione durante il concepimento o la gravidanza. Sul versante scientifico la causa della mostruosità viene progressivamente imputata dalla divinità alla donna. Questa causa fu smentita definitivamente nei primi del ‘900. Uno dei trattati più noti sui mostri è quello del medico e chirurgo al servizio della corte di Francia Paré. Secondo questo studioso il mostro è colui che sta fuori dal normale corso della natura: un bambino che nasce senza uno o più arti, con più teste o con membra non comuni. La sua presenza viene indicata come immaginazione materna come causa della mostruosità, presagio di qualche disgrazia. Ecco alcune cause della mostruosità da lui riportate: la gloria, l’ira di Dio, l'immaginazione, la caduta della donna incinta, le malattie ereditarie, L'inganno di cattivi, i demoni e diavoli. Nel suo trattato invece Liceti definisce il mostro come un soggetto che produce in chi lo vede sorpresa, stupore, ammirazione ma non necessariamente con una connotazione negativa e ripugnanza. Il terzo trattato è quello di Aldrovandi del 1642. In questo testo c’è una maggiore sistematizzazione della questione dei mostri a partire dai criteri anatomici e con un rigore enciclopedico. Si tratta infatti di una sorta di Summa di quanto era stato scritto fino ad allora in chiave letteraria scientifica sul tema dei mostri di ogni genere. Molti dei casi riferiti sono spesso riportati senza alcuna verifica è così, fin dall'antichità, si tramanda all'inverosimile esistenza di mostri umani e animali evidentemente mai esistiti. Aldrovandi resta Inoltre ancorato ad antiche cause di mostruosità ridotte a tre, la volontà di dio, insidie del demonio, le cause accidentali. Dagli sviluppi scientifici alla teratologia Nel 600 il dibattito sul tema mostruosità presenta due posizioni contrapposte, da una parte i sostenitori dei mostri voluti dalla Provvidenza e dall’altra i sostenitori degli interventi naturali e soprattutto umani che imprimono una forma mostruosa ai germi della vita già preesistenti. A partire dal Settecento anche la conoscenza sui mostri si sviluppa in modo particolare all'interno dell'Accademia delle Scienze di Parigi e in numerose accademie scientifiche, ed è oggetto di centinaia di volumi e articoli in tutto l'occidente. Un contributo significativo è dato dal medico Giovan Battista Morgagni (1682-1771) che, in un testo introduce l'idea di un arresto dello sviluppo fetale come causa di alcune mostruosità. Anche nel campo filosofico si pone la questione di motivare la nascita dei mostri. I filosofi contribuirono a creare e diffondere l’idea che spiega la presenza dei mostri non secondo un disegno provvidenziale ma come espressione delle infinite possibilità della natura. Un cambiamento decisivo venne dato da Geoffroy Saint- Hilaire considerato il padre della teratologia. La teratologia, così chiamata “la scienza dei mostri”, rompe con la vecchia idea creazionista del germe, si fonda su studi e cognizioni di anatomia, fisiologia e zoologia e ripulisce lo studio dei mostri dalla metafisica, dai pregiudizi e dagli errori precedenti. Saint- Hilaire nel suo trattato di teratologia innanzitutto distingue tra mostruosità e anomalia. I due termini non sono affatto posti come sinonimi. L’anomalia indica deviazioni organiche di un individuo rispetto alla gran parte degli individui di quella specie. Esistono 4 classi di anomalie e la più grave prevede il concetto di mostruosità, intesa come una situazione complessa caratterizzata da gravi anomalie che impediscono alcune funzioni dell’organismo e ne alterano la forma. Anomalie e mostruosità sono congenite e non hanno a che fare con malattie, ferite o amputazioni.

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Nella storia dei trattati sui mostri ci si è occupati soprattutto di capire da chi vengano creati e di conoscere le cause che producono la mostruosità piuttosto che domandarsi se i mostri appartengano al genere umano. Saint -Hilaire esce col suo spirito scientifico da qualsiasi argomentazione fantastica. Lui afferma chiaramente che il mostro non è un essere umano. Non bisogna confondere il fatto che nasca da una donna, con la sua specifica essenza: l’uomo dentro al mostro scompare, è una “scoria” sulla quale il mostro si è costruito e sviluppato. La fine dei mostri? Scomparso sul fronte medico-scientifico il concetto di mostro nel 900 non scompare né dalla cultura né dall’immaginario e nemmeno riguardo alla disabilità. La parola verrà ripresa coi fenomeni da baraccone. Nel corso del ‘900 il mostro umano continua a far paura e attorno ad esso si costruiscono saperi scientifici approfonditi. Il mostro umano continua ad esistere e continua a fare paura, ad essere stigmatizzato. Ora ci si preoccupa nel poter divenire mostri o nel poterli generare, così come afferma la filosofia e da G. Canguilhem che definì i mostri uno scacco alla vita e suscitano timore poiché ci riguardano due volte, sia perché tale scacco avrebbe potuto prodursi in noi, sia perché tale scacco potrebbe provenire da noi stessi. Rifiutiamo ciò che ai nostri occhi sembra una sorta di mostro, un “fallimento morfologico. Questa inclusione del mostro all'interno del genere umano non significa ovviamente che il mostro venga serenamente accettato, Ma che attorno adesso si costruiscono e si formulano nuove tipologie di paure di stigmatizzazioni. H. Goffman sostiene, In definitiva, che all'interno delle relazioni che producono stigmatizzazione, si realizza un gioco sociale delle parti i normali possono continuare a manifestare la loro superiorità sugli anormali mentre questi ultimi, che si sono visti assegnare un ruolo preciso è una collocazione sociale, possono stare tranquilli che, stando al posto assegnato lì, non verranno linciati. CAPITOLO 5: L’EPOCA MEDIEVALE E MODERNA Geremek (1932-2008) con i suoi studi sui marginali ci ha fornito molte informazioni sulla disabilità nel medioevo e nell’età moderna. Per l’autore marginali e marginalità sono categorie ampie che racchiudono anche l’idea di povero e debole. Marginalità indica una condizione sociale. A questa categoria appartengono persone diverse: persone che anche se ai margini restano nel tessuto sociale. Marginalità è dunque un entratura iniziale, necessaria ma non sufficiente anche quando “imposta” dalle difficoltà documentarie che sembrano impedire di articolare, decostruire, superare questo concetto stesso. L’elemosina e gli ospitali Il terzo libro del Codice giustinianeo (529 e 534 d.C.) indica alcune restrizioni dei diritti per le persone sordomute. Le persone con questa disabilità sono distinte in 5 categorie: • I sordomuti dalla nascita, incapaci di capire ed esprimersi e privi di diritti • Chi è diventato sordo nel corso della vita e se è capace di leggere e scrivere è allora titolare di diritti • I nati sordi ed eccezionalmente non muti e sono titolari di diritti • I diventati sordi ma in grado di parlare, titolari di diritti • I muti che comprendono, titolari di diritti Tale provvedimento si aggiunge all’impossibilità fino al XII secolo di sposarsi, se non col l’ottenimento di una dispensa papale. Ciò rende evidente la percezione di queste persone come “sottoumani” perchè impossibilitati a esprimersi secondo i canoni ordinari. È ancora Giustiniano, Imperatore dell’impero Romano d’Occidente, che compie per primo una distinzione netta tra marginali che resterà fissa a lungo nella storia, quella tra inabili e idonei al lavoro ma poveri. La questione riguarda l’elemosina e l’accattonaggio. I primi possono chiedere l’elemosina senza subire molestie perché inabili e impossibilitati a guadagnarsi da vivere col lavoro. I secondi invece se trovati a mendicare commettono infrazione punibile col ritorno nella condizione servile se erano liberi oppure con l’assegnazione obbligatoria di un’occupazione. L’aiuto ai marginali e ai poveri è anche sostenuto dalla Chiesa. La carità, la pietà, la misericordia e l’elemosina sono alla base del cristianesimo verso i poveri e i marginali. L’atteggiamento verso questi individui diviene duplice: è un obbligo religioso, morale e sociale sostenerli anche se queste persone sono disprezzare e prive di dignità sociale proprio perché povere e mendicanti. Se però chi è inabile deve mendicare ciò è lecito e accettato. Anche il Re Luigi IX noto come “misericordioso uomo di fede” e poi divenuto santo, tra le opere che lo portarono alla canonizzazione vi furono l’assistenza ai malati, poveri e lebbrosi e la costruzione di ospedali. Tra essi vi è la casa dei trecento, destinata ad ospitare i poveri ciechi di Parigi. È una delle prime istituzioni destinate in modo specifico a persone con disabilità. All’epoca erano per lo più gli ospitali ad accogliere i

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disabili, a curarli e aiutarli. Spesso questi luoghi avevano connotazione religiosa. All’interno della casa dei trecento (terminata nel giugno 1260) venivano ospitate persone cieche con almeno 16 anni e a condizione che fossero autonome e previa cessione dei loro eventuali beni, con l’obbligo di compartecipare nella gestione della casa. L’ammissione in teoria spettava al Re anche se nella pratica la funzione la svolgeva il cappellano. Le persone ospitate dovevano partecipare attivamente alla gestione della casa e al sistema di carità cui era inserita, dovevano dunque pregare, assistere i condannati a morte prima dell’esecuzione e la veglia funebre presso le famiglie che lo richiedevano. La principale attività era però l’elemosina, i cui proventi venivano versati alla comunità. La raccolta dell’elemosina durò fino al 1780 quando poi fu vietata per legge e agli ospiti della casa allora fu versata una rendita in denaro fissa, stabilita in base alla situazione familiare. Per l’elemosina le persone erano accompagnate da persone vedenti e indossavano un'uniforme della casa che li rendeva riconoscibili e rispettati ufficialmente. In tutte le città europee si diffusero poi sistemi per rendere visibili i mendicanti. Tali abiti o segni, nati per attestare il diritto di fare la questua alla fine servivano per rendere riconoscibili i mendicanti, liberano gli amministratori dal compito di fare verifiche sulla liceità del loro operato e servono ad escludere coloro che non avevano diritto. Erano segni di distinzione e sono divenuti poi segni d’infamia e di stigmatizzazione come lo erano i sonagli per i lebbrosi. Con la casa dei trecento il legame tra disabilità, mendicità ed elemosina è istituzionalizzato. Sono soprattutto le strade, le piazze delle città e le chiese i luoghi del mendicare; qui avviene l’elemosina dei privati ma anche ospitali o fondazioni o opere pie che ricevono e distribuiscono donazioni. I disabili mendicanti si ponevano in genere lontano dei luoghi malfamati e vicino a chiese o case di persone ricche e usavano diversi modi per attrarre l’attenzione: pianto, grida, canti, strumenti, campanelli, esposizione ed esagerazione della disabilità. Per questi mendicanti, socialmente accettati, che non potrebbero vivere d’altro se non di elemosina, Geremek coniò i termini: povertà pensionata o mendicità professionale o poveri stipendiati. All’epoca, come già detto, c’erano anche i “poveri vergognosi”, sono individui che esageravano con l’esposizione della loro menomazione, il corpo menomato diventa un “attributo professionale”. Nel sistema vi erano anche i “poveri con Lazzaro”, questi soggetti non sono autorizzati moralmente e socialmente alla questua che potrebbero lavorare, che sono fattore di disordine sociale, che fingono menomazioni che non hanno. Contro quest’ultima categoria sorgono nelle differenti città diverse leggi ad hoc. Per es, la città di Amburgo nel 1342 dichiarò l’impossibilità di entrare in città a cinque categorie di vagabondi, tra cui anche ai finti infermi. Anche in Inghilterra, 1351, viene proibita la questua ai non autorizzati. Si diffonde così l’idea dei poveri reali e meritevoli e quelli non meritevoli che potrebbero lavorare ma non lo fanno perché preferiscono vivere di carità. Il mendicante valido contribuisce dunque a gettare il sospetto sulla povertà che è in stretta relazione con l'inabilità. Il concetto di poveri meritevoli sviluppatosi nel corso del Medioevo costruisce una specifica categoria nell'universo dei poveri ai quali sono destinati dispositivi della carità e dell'assistenza. In concomitanza con i tratti sui mostri di cui abbiamo parlato, nel Medioevo hanno un particolare impatto gli scritti di alcuni autori che mettono in correlazione infermità e peccato: Martin Lutero non aveva dubbi in una lettera del 14 luglio 1528 scriveva che:” i matti, gli zoppi, i ciechi, i muti sono uomini in cui si sono insediati i demoni e chiunque cerca di aiutarli pensando che siano cause naturali è un ignorante”. L'idea di Lutero non è in realtà nuova in epoca medievale ha già trovato concrete espressioni, per esempio il massacro dei lebbrosi del 1321 avviato da listeria generale di un complotto di questi individui volto a trasmettere la lebbra tutto il popolo francese. Nel Medioevo si diffondono anche alcuni trattati in cui sono riuniti diversi casi di disabilità e si afferma la corrispondenza tra peccati e infermità. Il male corporeo non venne più visto solo come indice di peccato ma presenza stessa del demonio nella persona. La riorganizzazione della carità Tra la fine del XV e l’inizio del XVII secolo viene elaborata una nuova politica sociale e di istituzionalizzazione della beneficenza e vi sono trasformazioni dell’atteggiamento sociale verso la povertà ed un’evoluzione dei discorsi e sensibilità collettive. Si realizza un progressivo spostamento dal sistema delle istituzioni caritatevoli al sistema delle istituzioni disciplinari. Tra le riforme per esempio vi era quella degli ospedali, con una loro amministrazione statale e una maggiore distinzione dei destinatari e delle funzioni sanitarie. Questa riforma porta ad una maggiore partecipazione dei laici a fianco dei religiosi nella gestione delle istituzioni. I provvedimenti però non comportarono sempre gli effetti sperati, le vie erano ancora piene di poveri con

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Lazzaro. Ad ostacolare questi provvedimenti, contribuisce anche la solidarietà nei ceti popolari nei confronti dei poveri e la loro resistenza a forme di pubblica assistenza che presentavano un carattere oppositivo. Nel 1530 l’imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo V, raccomanda maggior vigilanza nelle città su mendicanti e vagabondi, ricordando che la mendicità è concessa solo agli infermi e ai malati. In Inghilterra nel 1531, Enrico VIII emanò un censimento di poveri inabili e poveri abili al lavoro. Ai primi era lasciato il permesso di mendicare, i secondi se trovati venivano frustati, multati e avviati al lavoro forzato. A porre fine alla responsabilità sui poveri da parte della comunità trasferendola sulla famiglia, sarà Elisabetta I nel 1597, assegnando anche un ruolo preciso allo Stato e al controllo dell'assistenza organizzata. La stessa con la “Poor Law”, adottata nel 1601, formulò i primi principi dello stato assistenziale che si occupava delle persone povere, senza lavoro e anche senza assistenza familiare. Anche alcune città italiane dovettero regolamentare la questua e la presenza dei mendicanti. Per es. Venezia nel ‘300, in un periodo di carestia e pestilenza fu talmente invasa dai mendicanti che dovette prendere delle misure per espellere i mendicanti forestieri e arruolare in modo coatto i poveri validi nel settore navale. In Italia lo scenario della mendicità per eccellenza è Roma, dove Papa Pio IV fondò nel 1561 una delle prime strutture di ricovero e cura dei malati, l’ospedale Santa Maria della Pietà. Nel 1561 proibisce l'accattonaggio nel territorio di Roma senza alcuna eccezione di età, condizioni e sesso. In concomitanza con le strutture prese nelle città italiane tra il 400 e il 500 si assiste ad un'esplosione di congregazione di carità e opere pie. Tra assistenza e repressione Tra la seconda metà del Cinquecento e nel corso del Seicento i tratti generali della cena sociale in cui si collocano generalmente le vicende della disabilità si modificano, lentamente ma in profondità. È un'epoca in cui si ristrutturano sia il potere politico che lo sviluppo dello Stato moderno sia il potere religioso a seguito della Riforma Protestante e della Controriforma cattolica. In un'epoca in cui marginali le condotte antisociali per eccellenza assumono il volto del vagabondo che si cerca di tenere lontano dalle città è dalle streghe a cui l'inquisizione della caccia, il mendicante e quello inabile in particolare è progressivamente inserito all’interno di un’assistenza sempre più regolamentata. A partire da questo momento le attività di assistenza sono riorganizzate e governate da istituzioni sempre più specializzate, destinate solo ai veri poveri, incapaci di provvedere al loro sostentamento. Da questo periodo in poi si realizzano definitivamente le 3 istituzioni che si occuperanno delle diverse forme di sostegno verso i poveri: i pubblici poteri, le opere di assistenza religiosa e la filantropia privata. Le istituzioni si possono dividere in 2 categorie: quelle destinate al sollievo dei poveri e poi i dispositivi del controllo, come le case di correzione create in Inghilterra nel 1576 per controllare: i malati di mente, gli individui socialmente pericolosi, gli oziosi, i vagabondi ecc. Il dato di fatto è che progressivamente l’assistenza verso i poveri si centralizza e il pubblico prende il sopravvento sul religioso, ma quest’ultimo non scompare affatto. Convivono sistemi diversi che costruiscono mondi non meccanicamente sovrapponibili, tanto meno per una categoria così ampia e spesso socialmente giustificata nella sua miseria e nella necessità di sostegno, anche se ugualmente stigmatizzata. A partire da questo periodo e soprattutto nei secoli successivi, forme di moderna assistenza pubblica vanno di pari passo con lo sviluppo di nuove forme di beneficenza privata. Le istituzioni militari Sul tema degli invalidi di guerra scarseggiano fonti e materiali storici. Nel Medioevo le prime forme di aiuto verso queste categorie sembra siano state disposte da Carlo Magno (742-814), imponendo ai monasteri di dare ricovero a queste persone. Questi soggetti sono inseriti nel circuito della carità e della beneficenza. È solo con lo sviluppo dello stato moderno e dei meccanismi assistenziali che vengono create le grandi istituzioni militari destinate ai soldati diventati invalidi. Nel 1685 nell’esercito piemontese venne istituito un fondo per mantenere i soldati inabili e anziani e analoghe situazioni si sono verificate nelle Due Sicilie nel 1745. Una delle prime istituzioni create per i soldati fu la ormai nota “casa dei trecento” in Francia, che ospitava anche soldati diventati ciechi. Anche Enrico IV (1553-1610) creò una casa per gli ufficiali divenuti storpi o inabili. Nel 1633, Luigi XIII su proposta del cardinale Richelieu fa costruire l’ospedale di Bicetre per accogliere i militari invalidi. Questa istituzione sarà poi sostituita con l’Hotel Des Invalides voluta da Luigi XIV che darà loro anche una pensione, dove trascorrere i loro restanti giorni in tranquillità. Napoleone Bonaparte doterà poi l’istituzione di una cospicua rendita annua. Istituzioni simili (non le elenco tutte!!!) si svilupperanno in Inghilterra, Spagna, Austria ecc. In Italia, una prima casa per veterani invalidi e istituita a Milano nel 1801 su iniziativa di Pietro Teuliè che,

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nominato ministro della guerra del Regno d'Italia, nel breve periodo del suo mandato, destina due case al monastero di San Luca per veterani invalidi guerra. Tra il 1806-1815 sono istituite altre due case per militari veterani e invalidi, una Napoli, un'altra nel Regno delle Due Sicilie. Il sistema industriale e gli infortuni sul lavoro A partire da 700, l'accattonaggio comincia configurarsi come reato e si sviluppa ulteriormente il sistema di pubblica assistenza degli ospedali generali e di istituzioni sempre più specializzate: i manicomi e gli Istituti educativi e di cura per alcuni tipi di disabilità sono gli esempi per eccellenza. Nel 1700 la costituente della rivoluzione francese indicò l’assistenza come un dovere sociale e la necessità dell’assistenza privata. Nel corso dell’800 si getteranno le basi per il successivo stato previdenziale. Si pone la questione del recupero e di una messa al lavoro per i disabili educabili o correggibili, all’interno d’istituti educativi. Si pone altresì la questione degli infortuni sul lavoro nel mondo industriale. Il concetto di infortunio sul lavoro e in realtà stato definito per la prima volta nel 1700 da un medico in italiano Ramazzini, nel suo testo che fonda la medicina del lavoro. Il tema dell’infortunio della disabilità da lavoro come è possibile esito dell'impiego all'interno del sistema di produzione industriale, sul finire dell'800, porta all'interno delle forme previdenziali, dei contratti di lavoro, della giurisprudenza, ma anche nelle vite delle persone il concetto di rischio professionale. Questi radicali cambiamenti e la presenza crescente di individui con disabilità all'interno della popolazione segnano una nuova e definitiva riformulazione del concetto di disabilità Come esito dell'agire sociale, come prodotto della società. In quanto le cause di ognuno di questi infortuni sono particolari. Da quel momento il corpo menomato non è più esito di una catastrofe naturale, di una colpa ma è un corpo danneggiato dai meccanismi sociali. L'impatto della Rivoluzione Industriale sul mondo della disabilità si articola, complessivamente, intorno a grandi fattori: la produzione della disabilità, lo sfruttamento di alcune categorie di disabili nel sistema fabbrica, la diffusione della modalità del lavoro standardizzato. Da quest’epoca in poi sarà il lavoro il vero metro di giudizio sulla persona e il disabile sarà colui che non può lavorare. Sono le macchine che producono disabilità. Il confronto uomo-macchina implica anche il potere di quest’ultima sul corpo del lavoratore. La codificazione della disabilità intellettiva Nell’800 spesso le disabilità intellettive vengono confuse con le malattie psichiatriche. Anche Locke aveva parlato di persone con gravi patologie intellettuali e psichiche e le aveva catalogate come una specie intermedia tra l’animale e l’uomo. Al contrario Leibniz li collocava tra gli uomini affermando quanto fosse errato fermarsi solo alla loro esteriorità ma andava considerata anche la loro interiorità. Fin dall'antichità era stata avviata una vera e propria riflessione medica sull'epilessia, distinta dalla follia. Una prima distinzione tra le malattie mentali fu fatta nel Medioevo tra i pazzi di nascita (ritardati mentali) e i lunatici (malati mentali). Questa suddivisione abbiate in Inghilterra durante il regno di Edoardo primo comportava alcune conseguenze patrimoniali. Quando un individuo era identificato come lunatico, i suoi beni erano presi in possesso della corona durante il periodo della malattia, mentre nel caso dei Pazzi di nascita e i suoi beni appartenevano definitivamente allo stato. La prima distinzione tra malattia mentale e disabilità intellettiva ovvero incapacità del normale apprendimento avviene con la nascita della pedagogia speciale. Si può pensare che nel corso della storia i disabili mentali abbiano per lo più vissuto in città e villaggi o negli ospedali. La situazione di vita di queste persone non cambierà molto nemmeno con l’apertura dei primi istituti educativi. Perché solo un numero ristretto di disabili intellettivi vi accedeva. La maggior parte di queste persone veniva invece rinchiusa in manicomi. All’inizio del XIX secolo si diffondono le prime diagnosi mentali di ritardo lo psichiatra Esquirol, nel 1818, identifica per la 1° volta la nozione di ritardo mentale a cui da il nome di “idiozia” indicando di un ritardo nello sviluppo intellettuale che è possibile osservare e constatare, un ritardo le cui origini sono organiche, un ritardo incurabile. È proprio contro quest’ultimo aspetto che si sviluppò poi il pensiero pedagogico circa la disabilità mentale. Uno dei primi esperimenti di cura per questi disabili avvenne ad Abendberg per opera del medico svizzero Guggenbul. Creò una clinica per curare bambini colpiti da cretinismo e da altre disabilità fisiche e mentali. L’intento era risvegliare l’anima mediante cure del corpo e la pedagogia. Attorno a quest’esperienza se ne svilupperanno altre in tutt’Europa e molto simili. Gli istituti avranno sempre più il fine di accogliere queste persone secondo una prospettiva pedagogica di recupero e di valorizzazione delle capacità. Alcune di queste istituzioni purtroppo avranno una matrice ben differente perché di tipo “asilare”, sottesa da un pessimismo verso il recupero di queste persone e un’idea fondativa di separazione dalla società dei

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normali. Nel 1866 il medico inglese Down scoprì l’omonima patologia, la sindrome di Down. Secondo lui si trattava di una degenerazione della razza verso quella gialla. Secondo lui “l’idiozia mongoloide” ha cause genetiche e non è mai conseguenza d’incidenti durante la gravidanza. Raccolte come le altre categorie di marginali negli ospedali che realizzano un sistema di assistenza tra il 700 e l'800, è proprio in uno di questi, a Bicetre Francia, che si sviluppano le prime forme di educazione per queste persone e di separazione dei folli. Nello scenario europeo a partire dallo sviluppo della pedagogia speciale e il tema della scolarità obbligatoria a porre la questione delle disabilità intellettive, difficilmente riscontrabili nell'ordinaria socialità fino a quando questi bambini non si scontrano con un sistema educativo obbligatorio in cui non sono in grado di apprendere come gli altri. A partire dall’inizio del XX secolo il ritardo mentale viene definito in base a due criteri indipendenti: il livello intellettuale e l’adattamento sociale. Il livello intellettivo è misurabile con il Quoziente Intellettivo (creato nel 1905 da Binet e Simon sulla base di una serie di test su un campione di scolari parigini). Il Q.I. è il rapporto tra età mentale ed età anagrafica. Il concetto sarà poi ripreso dallo psicologo Stern e da Terman. Darwinismo sociale e degenerazione Nel corso dell’800 la percezione del disabile fisico comincia ad uscire da alcune formulazioni che lo indicavano come un mostro. Alla dimensione incurabile di alcune tipologie di disabilità si sovrappongono forme di educazione, dimessa al lavoro. Se scendono definitivamente disabilità intellettiva e malattia psichica. La percezione del disabile fisico Comincia ad uscire nettamente da alcune formulazioni che lo qualificano come mostro. Disabilità, malattia, disagio psichico cominciano a distribuirsi nettamente all'interno dei saperi scientifici, mi dici, pedagogici, dei discorsi politico-sociali e dei sistemi di assistenza, controllo carità e beneficenza ed assumono codificazioni e formulazioni che concettualmente aprono lo scenario alla contemporaneità. Le diverse forme di disabilità iniziano a codificarsi e a distinguersi nettamente all’interno dei saperi scientifici, medici e pedagogici. Nel corso dell'800, si sviluppano tre grandi discipline impegnati a studiare e individuare il “patologico” presente nella società, a controllarlo ed estirparlo: igienismo, antropologia, psichiatria. CAPITOLO 6: EDUCARE, ISTRUIRE, RADDRIZZARE Nonostante le affermazioni di Aristotele nella metafisica che indicava la possibilità che solo chi era provvisto dell’udito poteva apprendere. Plinio racconta invece la vicenda di Quinto Pedio, persona sordomuta e nipote dell’omonimo console. Il ragazzo non potendo frequentare le scuole ordinarie fu avviato ad un percorso di educazione artistica relativa alla pittura. È comunque necessario attendere il 500 per assistere allo sviluppo delle prime elaborazioni di forme di educazione e istruzione centrate sulle persone disabili. Queste sono le tappe dello sviluppo della “pedagogia speciale”: 1. Lo sviluppo di metodi educativi per sordomuti nel 500 2. Per persone cieche dal 700 3. Per disabili intellettivi nell’800 4. Per disabili fisici nel 900 Nel 900, con la crescita e consolidamento del welfare state, si assiste allo sviluppo di sistemi di istruzione pubblica per persone con disabilità e in Italia avvenne il passaggio dalle scuole speciali alle classi differenziali, fino alla legge del 1978 che colloca gli alunni nel percorso ordinario di istruzione. La pedagogia speciale è in assoluto il campo più frequentato tra le discipline che si occupano di disabilità, fin dal ‘500, importanti figure hanno avuto un grande ruolo di rielaborazione di concetti, metodi e sperimentazioni. Di questionario dinamico è articolato nel presente nel passato mancano delle precise condizioni storiche. È un vuoto particolarmente grave, già che nella storiografia della disabilità lo sviluppo della pedagogia speciale è generalmente interpretato come un momento di svolta nella percezione della disabilità e nella posizione sociale assegnata alle persone che ne sono portatrici. Sul piano dell'impatto sociale, il tema della pedagogia speciale Dave In realtà ancora adesso è verificato. Educare i sordomuti Per quanto riguarda questa istruzione vi sono due correnti di pensiero divise sulle sue origini. Secondo la prima delle formulazioni teoriche su questo tipo di educazione vi erano già dalla fine del 400. L’altra corrente invece considera non la teoria ma le prime applicazioni concretamente insegnate. Il 1° caso fu quello realizzato da Ponce de Leòn, un monaco benedettino incaricato dell’istruzione dei figli sordomuti di

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alcune famiglie nobili. L’operazione gli riesce e da quel momento diventò l’educatore dei sordomuti. Alcuni suoi allievi arriveranno anche a sostenere discorsi pubblici di astronomia, fisica e logica. A questi maestri si riconoscono le abilità pedagogiche e la dedizione umana. Viene anche evidenziata la bravura degli allievi in grado di riabilitarsi, rinobilitarsi e di ritornare alla dignità del genere umano. Anche i giornali davano peso all’educazione dei sordomuti e lodavano i benefattori o filantropi che sostenevano la loro educazione. Il metodo Ponce era orale e progressivo, partiva dalle lettere e sillabe e preliminarmente partiva dall’apprendimento dei caratteri della scrittura. A Ponce si devono anche alcune esperienze di lettura del labiale. Anche altri personaggi predecessori di Ponce parlarono e difesero i sordomuti. Girolamo (347-420) per esempio, affermò che anche i sordomuti possono apprendere il Vangelo per mezzo dei segni, mentre Bartolo da Sassoferrato mise per 1° in discussione gli articoli del Codice giustinianeo che sancivano giuridicamente l’inferiorità dei sordomuti. La formalizzazione scritta del primo metodo educativo per sordomuti è dello spagnolo Bonet che nel 1620 scrisse un volume usando un alfabeto semplificato, senza alcune lettere. Nel tempo si affermeranno sempre più due metodi contrapposti: quello orale basato sull’educazione alla parola e quello gestuale basato sull’educazione ai segni. Le esperienze di Ponce e Bonet si basarono sul metodo orale che si diffuse progressivamente in Francia, Germania, Italia e Inghilterra. In Inghilterra nel 1648 si diffuse anche il metodo della lettura labiale per merito di Bulwer. Molto importante sarà anche il metodo proposto dal pedagogista e medico svizzero Amman. Il suo metodo si sviluppa a partire da considerazioni mediche relative agli organi di senso. Amman affermava che nell’essere umano la capacità di parlare è innata e si attiva solo grazie agli stimoli dell’udito, un meccanismo che le persone nate sorde non possono attivare. Nei suoi studi insegnò ad alcuni ragazzi prima a sentire il ritmo respiratorio e poi ad emettere alcuni suoni, per poi apprenderne alcuni specifici quali le vocali e poi le consonanti e via via verso i gruppi fonologici sempre più complessi. Amman sottolineò nel suo metodo l’importanza dell’osservazione e imitazione per cui l’allievo ricorreva anche al senso della vista, osservando la pronuncia dei suoni da parte del maestro, usando anche il senso del tatto toccando gola, labbra e bocca del maestro per percepirne le articolazioni. Il metodo Amman si diffuse progressivamente anche in Italia, benché venga anche talvolta contestato dai sostenitori del metodo gestuale che lo considerano troppo dispendioso. Tra i sostenitori del metodo gestuale vi fu l’abate Charles de l’Epée, che nel 1771, avviò a Parigi la prima scuola pubblica per sordomuti: fino ad ora infatti questa pedagogia era ad appannaggio solo delle persone provenienti dalle famiglie di ceto elevato. Il lavoro di de l'Epée si diffuse progressivamente in tutt’Europa e con lui anche le relative scuole pubbliche per i sordomuti e il suo metodo. Nel 1784 sorse a Roma la 1° scuola per sordomuti in Italia. Il sacerdote Silvestri fissò un suo metodo, che prevedeva la combinazione del metodo gestuale e la lettura del labiale. In Italia e in Europa aumentò sempre più un forte contrasto tra le due differenti pedagogie. Secondo i sostenitori del metodo orale, il parlato è il privilegio dell’uomo, il tramite unicamente sicuro del pensiero. Il parlato veniva considerato l’unico mezzo per il sordo per integrarsi definitivamente nel genere umano e uscire dalla stigmatizzazione che lo declassa. Secondo questi sostenitori invece il metodo gestuale farebbe permanere il sordomuto in una condizione inferiore e quasi animalesca. I sostenitori del metodo gestuale invece affermavano che, benché questo fosse più specifico risultava anche più immediato e più rapido. Educare i ciechi Le istituzioni a favore delle persone cieche sono state le prime ad essere attivate e create, tuttavia la riflessione sulla possibilità concreta di una loro educazione è piuttosto tardiva, anche rispetto all’educazione dei sordomuti. Per secoli, la prima questione è stata quella di trovare un sistema di comunicazione alternativo alla scrittura come mezzo per accedere alla conoscenza. La soluzione tecnica a questo problema si avrà solo sul finire del 700 con l’idea delle lettere in rilievo che porterà poi successivamente al metodo Braille. Uno dei metodi del passato fu ideato dall’abate Francesco de Terzi che aveva inventato un sistema di fili intrecciati e annodati che rappresentavano le lettere dell’alfabeto. Mentre il francese Moreau aveva intentato un sistema di lettura fondato sulla combinazione di lettere mobili. Vi furono anche ipotesi e dissertazioni filosofiche in merito alla cecità, per es. il sostenitore del sensismo Condillac affermò che le persone cieche giungono comunque ad una forma di conoscenza, però giungono a rappresentazioni e conoscenze diverse rispetto ai vedenti. Ciò che conoscono i ciechi non lo conoscono i vedenti e viceversa. La conoscenza del vedente comunque, in queste considerazioni filosofiche, risultava comunque superiore a quella dei ciechi. L’inaugurazione di un metodo e l’apertura della 1° scuola per ciechi si devono a Velentin Hauy. Aprì nel 1785 a proprie spese una scuola gratuita per giovani ciechi a Parigi. Qui

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sperimentò per la 1° volta su un giovane il sistema dei caratteri mobili in rilievo. A partire da quest’esperienza fu avviato a Parigi l’istituto nazionale dei giovani ciechi tra cui studierà ed entrerà a 6 anni Braille. Nel 1791 l’istituto venne nazionalizzato e posto sotto l’autorità del ministero degli interni che si occupava di istruzione pubblica. Nel corso dell’ottobre 1800 l’istituto, a causa di una crisi economica generale, viene posto sotto il controllo della casa dei trecento e perde il suo spirito e finalità educativa, le attività principali giornaliere divennero lavorative. A seguito di queste misure Hauy abbandonò l’istituto e andò ad insegnare in Russia e poi a Berlino ecc. Hauy aveva stilizzato al massimo le lettere e aveva eliminato le linee intermedie che rappresentavano, al tatto, fonte di disturbo. Il tedesco Klein mise a punto un sistema basato su lettere tracciate da linee tratteggiate, poi venne inventato il metodo del cubaritmo, basato su cubetti di piombo in rilievo, divenuto poi un sussidio per lo studio dell’aritmetica da parte dei ciechi. Il primo sistema che adottò i punti per rappresentare le lettere lo si deve a Barbier. Lui inventò un codice composto da 12 punti per rappresentare le diverse linee dell’alfabeto. Louis Braille, diventato accidentalmente cieco frequentò l’istituto parigino prima di diventarne un insegnante. Braille riprese il metodo e il sistema di Barbier semplificandolo ulteriormente e portando i punti al numero di 6, e compose un sistema di comunicazione formato da 64 segni. Nel 1846 venne inventata da Ravizza la 1° macchina da scrivere per ciechi. In Italia tra le figure di maggior rilievo per questa disabilità è Augusto Romagnoli, la prima persona cieca a laurearsi in lettere e filosofia e ad occupare una cattedra nella scuola pubblica. Romagnoli sostenne che la menomazione non modifica le capacità psichiche dei ciechi. Romagnoli pone l’educazione dei ciechi come forma di riscatto personale, all’interno di una concezione in cui queste persone sono da considerarsi come completamente uomini, con aspirazioni, difficoltà e ansie uguali a quelle di tutti gli altri. Educare i disabili intellettivi In Francia nel 1797 viene ritrovato un ragazzo selvaggio, viene catturato nel 1800. Viveva come un primitivo, nudo e si muoveva come un quadrupede. Non parlava, non aveva alcuna forma di linguaggio, emetteva solo delle stridule urla. Ritenuto sordomuto fu affidato alle cure dell’abate Sicard, direttore dell’istituto Parigino dei sordomuti fondato da de l'Epée. Su tale caso esiste una letteratura abbondante. Le riflessioni dell’epoca confluiscono nel concetto del “buon selvaggio” simbolo di un’umanità sgombra dalla civiltà e buona per natura. Del ragazzo selvaggio si occupò anche Pinel, medico considerato fondatore della psichiatria moderna poiché introduce un approccio scientifico alla malattia mentale in contrapposizione alle considerazioni magiche e superstiziose, religiose precedenti. Secondo Pinel queste persone, in quanto malate vanno curate e internate in istituti specifici e non in modo arbitrario. Secondo Pinel il ragazzo ritrovato è un ritardato mentale irrecuperabile. Nel 1801 il giovane è affidato al medico Itard che discordò con quanto affermato sul ragazzo da Pinel. Non lo considerò né un ritardato mentale né un idiota, ma semplicemente un ragazzo con un grave ritardo mentale e affettivo dovuto alle condizioni in cui era cresciuto. Itard darà al ragazzo il nome di Victor e il suo percorso educativo di 5 anni portò a delle evoluzioni nel ragazzo. Il cruccio di Itard sarà quello di non essere riuscito ad insegnargli a parlare. Il lavoro di Itard sarà fondativo per la pedagogia dei disabili intellettivi. Per Itard ciò che conta è l’esperienza. Itard aveva fissato questi obiettivi educativi per Victor: 1. Inserirlo nella vita sociale 2. Riattivare la sua sensibilità umana, risvegliandola tramite stimoli appositi 3. Estendere le sue idee, suscitando in lui nuovi bisogni 4. Insegnare l’uso della parola 5. Sviluppare alcune operazioni intellettuali dapprima concrete poi più astratte. Anche gli allievi di Itard e Pinel si posero nelle stesse posizioni contrapposte dei loro maestri. Lo psichiatra Esquirol (1772-1840) sosteneva per es. che gli idioti fossero incurabili. Seguin invece, al contrario, sosteneva l’educazione integrale dei suoi pazienti. Sostenne l’idea che si educa a partire dall’individuo e dalla sua storia medica- biologica. Sviluppò una serie di attività per rivitalizzare le funzioni cerebrali, sensoriali e muscolari, il pensiero e le sensazioni. Seguin è considerato anche il fondatore dei metodi attivi. Secondo lui bisognava considerare il bambino con le sue disfunzioni ma pensando al possibile. Nella sua impostazione prevale l’approccio medico basato sulle condizioni di cure mediche, igieniche migliori. Lavora molto sui sensi e utilizza dei giochi come le costruzioni che sono la fase di avvio per l’apprendimento della lettura e della scrittura. Nella pedagogia di Seguin conta moltissimo anche il contesto in cui il bambino è inserito, sia nella relazione con l’educatore sia nelle attività del bambino. Parallelamente in Italia sono aperti degli istituti divenuti poi case di ricovero. Le prime attività educative per disabili intellettivi prendono avvio nel 1889 per opera di Gonnelli Cioni. Fu lui il 1° pedagogista italiano che si occupò di disabilità intellettiva. Cioni

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sostiene l’importanza delle potenzialità insite nel contesto e ambiente che circonda il bambino. Anche la Montessori (1870-1952) si occupò di bambini con ritardo mentale, fu proprio a partire dai suoi studi su questi bambini che estese il suo metodo a tutti. La Montessori sviluppò per loro un metodo basato sul rispetto, sull’incoraggiamento e sull’affetto come motori del rapporto educativo. Complessivamente il metodo della Montessori si basava su una personalizzazione dell’intervento pedagogico con questi bambini. La Montessori è fiduciosa nei miglioramenti per questi bambini. Anche Vygotskij affermò l’errore della pedagogia speciale di costruire scuole separate per i bambini con disabilità e la necessità della loro partecipazione al circuito formativo e al contesto sociale. Raddrizzare La pedagogia rivolta alle persone con disabilità fisica è la più tardiva. Si sviluppa solo nella seconda metà dell’800. I primi istituti nacquero non con intenti pedagogici ma con fini di normalizzazione in vista di una possibilità produttiva di questi soggetti. La regina delle discipline attorno a cui si costruirono le prime istituzioni per i disabili fisici fu l’ortopedia. Il termine coniato nel 1741 dal medico francese Andry. L’ortopedia si pose inizialmente il fine di mitigare l’infermità di queste persone. Nel corso dell’800 e dei primi del 900 il fine era quello di raddrizzare e non solo il fisico ma anche la morale di queste persone, la loro posizione sociale e la loro partecipazione ai processi produttivi. Sarà solo nella 2° metà dell’800 che sorsero i primi istituti per disabili fisici. A Torino nel 1872, si avviò la prima “scuola per rachitici”, deformi e poveri di entrambi i sessi, per dare loro un’istruzione elementare e combattere la malattia attraverso cibo sano e cure mediche. Molti dei pazienti traggono giovamento dalle cure e attività svolte e migliorano le loro condizioni. Gaetano Pini fonderà un istituto simile a Milano nel 1874, con annesso ambulatorio ortopedico. Pubblica istruzione e disabilità La pubblica istruzione prende avvio in Italia con la “legge Casati” del 1859 ed è successivamente oggetto di leggi che ne rafforzano l’impatto. L’intervento diretto dello Stato a favore dell’istruzione delle persone disabili prende avvio negli anni successivi alle 1° guerra mondiale. Il sistema educativo italiano per i disabili prende avvio e si sviluppa con velocità differenti in base alle diverse menomazioni. La prima riforma riguardò i sordomuti e i ciechi senza altre anormalità, estendendo l’obbligatorietà dell’istruzione nelle scuole ad essi riservate. Per i sordomuti l’obbligo venne esteso ai 16 anni. Per i fanciulli anormali furono previste delle classi differenziali (mai realizzate concretamente). Per realizzare l'assistenza educativa per questi bambini si prevedeva uno stanziamento pubblico e un versamento municipale in base alla menomazione e al suo giudizio tecnico, che era suscettibile di cambiamenti e correzioni. Nel testo unico del 1928 si previde l’obbligo dell’istruzione elementare e post-elementare per ciechi e sordomuti e che gli insegnanti di tali alunni fossero formati in apposite scuole di metodo. Era la prima volta che si pose la questione di una formazione specifica per gli insegnanti, anche se concretamente questa disposizione non venne applicata. Nel 1934 le scuole elementari passano dalla giurisdizione comunale a quella statale e così anche per le scuole speciali istituite dai comuni e dagli enti. Si stabilirono delle convenzioni tra lo stato e gli enti o i comuni per la suddivisione degli oneri: allo Stato andò l’onere del compenso degli insegnanti, al comune la spesa per i locali e il loro funzionamento. Con la creazione delle scuole speciali, riconosciuta solo per le disabilità sensoriali, si chiude un periodo definito dagli storici “dell’esclusione” poiché fino a quel momento l’esclusione era deliberata per legge e nella prassi quotidiana comune. La legge 1463 del 1952 previde la statalizzazione delle scuole elementari per ciechi. La legge istituì scuole elementari statali speciali per l’assolvimento dell’obbligo scolastico dei bambini ciechi. Nel 1953 fu emanata una legge che fece chiarezza sulla distinzione tra scuole speciali e classi differenziali. Nelle classi speciali viene impartito l’insegnamento elementare ai fanciulli aventi menomazioni fisiche o psichiche, sono anche istituti che adottano speciali metodi didattici per disabili. Le classi differenziali non sono invece istituti a se stanti ma funzionano presso le comuni scuole elementari e accolgono gli alunni nervosi, tardivi, instabili, che non apprendono coi metodi d’insegnamento comuni e con la norma dei ritmi d’insegnamento. La circolare ministeriale del 1962 pose per la 1° volta in Italia la questione dell’integrazione scolastica. Una successiva circolare ribadisce la necessità di una formazione specifica per gli insegnanti delle scuole speciali. La segnalazione della minorazione sarà compito dell’insegnante stesso, con una relazione scritta del direttore didattico, il quale, dopo conferma medica, invierà il bambino alla scuola corrispondente. Nel 1963 vennero istituite anche nelle scuole medie le classi differenziali previo parere di commissioni medicopsico-pedagogiche. Nel 1963 una circolare spiegò la possibilità di un futuro inserimento del percorso scolastico comune dopo il periodo passato nelle classi differenziali. Negli anni ‘70 si apre la fase

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dell’inserimento che ha impulso dalla legge quadro sulla disabilità del 1971, con la legge 118, sia grazie al clima contestatore delle istituzioni totali. Si avvia un processo che porterà ad un percorso comune per tutti gli alunni. La legge però escluse ancora dal circuito ordinario gli alunni con disabilità gravi. Previde però il trasporto gratuito casa-scuola a carico dei patronati l’eliminazione delle barriere architettoniche nelle scuole, l’assistenza nell’orario scolastico per i disabili più gravi. Per la 1° volta la legge tocca anche le scuole superiori e l’università. La circolare ministeriale del 1979, n° 199, fece chiarezza sul ruolo dell’ins. di sostegno e sul suo rapporto con la classe, definendolo non più insegnanti di sottordine rispetto all’insegnante di classe. La legge del 1981 sancì definitivamente l’inesistenza del diritto dell’alunno disabile grave ad essere accolto nelle scuole comuni e la possibilità di rifiuto in relazione alla gravità. Nel 1988 però fu definitivamente sancito il diritto anche dei disabili gravi ad essere inseriti nella scuola comune di ogni ordine e grado e di fruire di cure e sostegni adeguati per un concreto inserimento nella classe finalizzato all’apprendimento e alla socializzazione. Con la legge 104 del 1992, il diritto all’istruzione dei disabili di ogni gravità fu esteso anche all’asilo nido e a tutti gli ordini di formazione. Si dispose la compilazione di un pdf ai fini della formulazione del pei, alla cui definizione devo occuparsi congiuntamente le insegnanti, i genitori e gli operatori sanitari. CAPITOLO 7: LO SPETTACOLO DEI DIVERSI: NANI, PRODIGI E FENOMENI DA BARACCONE L’esposizione di questi soggetti ha una durata lunga e si sviluppò fin dal mondo greco-romani. Da quell’epoca e per secoli, possedere questi personaggi come fenomeno da esibire è stato un vezzo dei regnanti e delle corti. Questi individui costituiscono una stretta minoranza nel mondo della disabilità e sono delle varianti specifiche. Non sono mostri, ma soggetti con caratteristiche anomale ma attraenti: giganti, nani, donne con barba, uomini o donne fortemente obesi, persone albine ecc. Leslie Fiedler coniò per queste persone il termine Freak, abbreviazione di Freak of nature, cioè scherzi della natura. Continuò affermando che il Freak è un individuo che suscita sia un terrore soprannaturale sia una naturale simpatia perché è una persona come le altre, figlio umano di genitori umani. Questi “scherzi della natura” sono stati per secoli usati come fenomeno da baraccone ed esibiti. Vederli era una cosa normale, erano una forma ludica e comica per le classi aristocratiche prima e popolari poi. Il fenomeno è stato considerato anche come forma di rielaborazione, del dramma, del ribrezzo, dell’esclusione della disabilità. Il sentimento del ribrezzo lascia il posto alla curiosità e al fascino.

I nani alla corte dei potenti Vi sono testimonianze che attestano la presenza di persone affetta da nanismo nel passato negli ambienti delle alte sfere politico-sociali. Questa forma di disabilità era ritenuta culturalmente accettabile rispetto ad altre menomazioni. L’usanza di avere nani a palazzo sembra sia stata avviata nell’Impero Persiano per poi diffondersi in Occidente, prima presso i Greci, poi i Romani e infine in quasi tutte le corti europee. Alcuni affreschi e mosaici ritraggono nani domestici in situazioni conviviali. L’imperatore Augusto aveva un nano portafortuna e anche l’Imperatore Tiberio ne possedeva. Il termine “buffone” si diffonderà in Francia e in Inghilterra per qualificare la persona col compito di far ridere. La presenza di nani a corte venne attestata non solo in epoca medioevale ma anche in periodi successivi fino alla fine dell’800. Anche i papi e i cardinali possedevano nani per far ridere, come domestici, camerieri o come consiglieri. Molti nani sono stati dipinti in quadri famosi: Mantegna nella Camera degli sposi, Ghirlandaio, Bronzino, Cellini ne ha scolpiti alcuni. Fu Diego Velazquez ad aver rappresentato il maggior numero di nani e buffoni di corte in circa 30 quadri. Il più noto è Las Meninas (1656) in cui l’Infanta è circondata da servitrici nani. Oltre ai nani nelle corti ci fu anche la presenza di fratelli scozzesi, siamesi entrati per esempio in servizio alla corte di Giacomo IV di Scozia per stupire e dilettare con la musica, il canto e le loro battute in più lingue. I fenomeni da baraccone e l’industria dello spettacolo Anche mostrare fenomeni per le strade e nelle piazze è un’attività che ha una lunga storia. Per es. il notabile senese Allegretti descrisse che nel 1473, era arrivata a Siena una donna per mostrare la figlia con un solo corpo e 4 braccia. Anche altri scrittori o personaggi scrivono e parlano di esibizioni particolari: persone con fratelli in miniatura (parassita). Uno dei fenomeni da baraccone più studiati era la Venere Ottentotta, mostrata per le sue origini africane e per la sua conformazione fisica. Il suo cadavere dopo aver girato i salotti borghesi d’Europa è stato studiato dal biologo Cuvier. Anche Saint Hilaire, quando era ancora viva chiese di poterla

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esaminare. Questi personaggi venivano esposti per fini diversi: conoscitivi e ludico-spettacolari. L’esibizione dei fenomeni da baraccone comincia ad assumere dimensioni spettacolari e a diffondersi nell’Occidente sin dall’inizio dell’800. Sarà soprattutto con l’imprenditore americano Barnum che nacque attorno a loro una vera e propria industria dello spettacolo destinato a tutte le classi sociali. All’American Museum di Barnum si esibirono nani, giganti, albini, donne con la barba, uomini-leone, donna cannone ecc. Nel mostrare i diversi si mettono in mostra due grandi categorie di fenomeni: quelli con una conformazione fisica spettacolare e quelli “truccati” da esseri spettacolari. Da Barnum il reale e l’illusorio vanno di pari passo. Si insisteva anche sull’esotismo di questi fenomeni per attrarre l’interesse del pubblico. Spesso questo esotismo era replicato sulla scena con piante e scenari finti. Tutto contribuiva a costruire un immaginario, ad alimentare le aspettative degli spettatori. A differenza dei mostri e dei prodigi dei tempi passati i fenomeni da baraccone sono esibiti come attori. La loro visione diverte ma rassicura anche sulla propria normalità. Negli USA queste esibizioni durarono più a lungo che in Europa. Sotto i fenomeni da baraccone c’era un grande giro economico. Le vicende di queste persone erano spesso segnate da matrimoni irreali e spettacolari: tra nani, tra nani e giganti ecc. Questi soggetti erano considerati una merce priva di umanità. La casistica dei fenomeni è ampia, non solo quelli citati precedentemente, ma anche uomini e donne forzuti o con abilità particolari. In Europa il declino fu più veloce. Un fattore importante di accelerazione fu il trauma sociale e culturale della 1° guerra mondiale e con la scia di mutilati, ciechi, malati psichiatrici che portò con sé. Progressivamente anche negli USA venne meno lo sguardo di divertimento e prevalse quello medicoscientifico che fece dei fenomeni oggetti di studio, di osservazione e rieducazione. CAPITOLO 8: IL PRIMO NOVECENTO Lo sconvolgimento della disabilità’: la grande guerra La grande guerra sconvolse l’idea di disabilità. Il numero dei disabili fisici o psichici soldati e non dovuti alla guerra fu elevatissimo. La guerra aveva prodotto un collettivo senso di vulnerabilità. Di questo trauma collettivo le persone disabili resteranno nei decenni successivi la traccia vivente della catastrofe. Nel 1917 nacque a Milano l’associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di guerra. Alla fine del conflitto in Italia vi saranno circa 400.000 persone con menomazioni fisiche invalidanti e oltre 14.000 titolari di pensione di invalidità per cause di servizio prestato all’esercito italiano. Il futurismo leggera in chiave positiva e patriottica la disabilità portata dalla guerra. Il Futurismo glorifica il corpo mortificato e abbellito dalla guerra e sprona le donne ad amare i gloriosi mutilati e ad imitarli partecipando alla guerra. La figura futurista più emblematica del periodo fu quella di Enrico Toti. Si imbarcò giovanissimo su alcune navi e incrociatori. Poi fu assunto dalle Ferrovie dello Stato e durante il lavoro restò gravemente ferito. Gli venne amputata una gamba. Dal 1911 al 1913 non si arrese a partì in bicicletta con una gamba sola e arrivò a Parigi. Poi attraversò il Belgio, l’Olanda, la Danimarca ecc e ritornò in Italia. Nel 1913 è ad Alessandria d’Egitto in un viaggio ciclistico ma le autorità inglesi lo bloccano al confine col Sudan a causa della pericolosità del percorso ed è costretto a ritornare. Scoppiata la 1° Guerra Mondiale, Toti presenta domande di arruolamento ma vengono tutte respinte a causa della sua disabilità. Allora decide di raggiungere autonomamente il fronte in Friuli in bicicletta, ma fermato dalle autorità viene respinto e deve ritornare. Successivamente grazie ad alcune missive del duca d’Aosta riuscirà a partire per il Friuli come volontario, fu aggregato poi ai bersaglieri ciclisti. Nel 1916 durante un’operazione militari fu mortalmente ferito. Secondo la tradizione prima di morire lancerà verso il nemico una gruccia dicendo “Nun moro io”. Fu decorato con la medaglia d’oro al valore militare dal Re. Le prime forme previdenziali Fino ai primi decenni del 900 gli ausili per i disabili erano le macchine ortopediche, le carrozzelle, grucce, arti artificiali ancora piuttosto rudimentali e destinati a chi poteva permetterseli. La grande guerra rappresentò un’accelerazione anche su questo fronte e anche nella creazione di forme previdenziali. Negli anni successivi al conflitto s’introdusse anche la pratica del cane guida per i ciechi. Nel 1919 venne stabilita l’assicurazione per l’invalidità e la vecchiaia. Fino al 1926 restano due canali: quello delle polizze statali e quello delle assicurazioni private. Già durante la guerra la previdenza introduce misure per il collocamento obbligatorio degli invalidi di guerra nei posti di lavoro. Nel panorama previdenziale, nel 1926, viene introdotta una legge che specifica il fatto che al pubblico impiegato deve essere attribuito un risarcimento commisurato alla gravità della lesione anatomica accertata da un collegio medico-legale. Vennero quindi elaborate le prime tabelle che misurano il danno anatomico. Per quanto concerne la previdenza relativa alla disabilità nel periodo ci fu un cristallizzarsi di alcuni elementi strutturali. Essi sono: la formalizzata

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separazione del mondo della disabilità da quello degli altri cittadini; la frammentazione legislativa per i disabili, a loro volta separati in categorie definite in base alle patologie; la costruzione di un doppio binario previdenziale tra infortunati per cause di servizio e disabili per altre cause; l’erogazione di minime indennità economiche. Nel 1898 è fondata la Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia. Lo sterminio dei disabili nella germania nazista Mentre in Europa e in Italia il tema della disabilità cominciava ad essere trattato all’interno di alcune forme di previdenza, nella Germania nazista l’intento programmatico era di procedere a una progressiva e radicale eliminazione della disabilità e dei suoi portatori della popolazione tedesca, ricorrendo a differenti procedure: sterilizzazione, operazioni di eutanasia dei soggetti indegni di vivere, per es la soppressione di bambini in ospedali specializzati o nei campi di sterminio. I riferimenti teorici e culturali inerenti all’idea della purezza della razza che sottendono le politiche di annientamento, esistevano già ben prima che Hitler salisse al potere. Fu poi lui a farli propri e a divulgarli con argomentazioni rozze, dirette e programmatiche fatte nei suoi discorsi o pubblicate nelle pagine del Mein Kampf. In realtà alcune pratiche di sterilizzazione di individui con tare mentali, fisiche e sociali venivano già effettuate in alcuni paesi del nord Europa e negli USA. I bersagli dell’intento programmatico nazista erano i soggetti considerati inferiori, con caratteristiche, tare e condotte accusate di imbastardire la razza. Contribuirono ulteriormente a sistematizzare la cultura contro la disabilità il giurista Binding e lo psichiatra Hoche che all’interno di un loro libro del 1920 affermavano che le persone indegne di vivere fossero: malati incurabili, malati di mente, bambini ritardati o deformi. Questi individui vennero qualificati dai due come zavorre umane o gusci vuoti di esseri umani e i medici si dimostravano sicuri e certi di poterne diagnosticare l’incurabilità su base scientifica. Nel 1933 il ministero degli interni del Reich emanò la prima legge indirizzata verso il miglioramento della salute genetica tedesca attraverso la sterilizzazione obbligatoria di soggetti con malattie ereditarie quali: epilessia, schizofrenia, oligofrenia, infermità fisiche congenite, cecità e sordomutismo. L’applicazione della legge fu garantita da tribunali appositi “tribunali per la salute genetica” a seguito di diagnosi e denunce di ospedali e case di cura. Nel 1933 si introdusse anche il reato penale di tradimento della razza o crimine contro la razza, espletato attraverso rapporti sessuali tra individui di sangue tedesco e membri di altre comunità. Si tentava di salvaguardare il corpo tedesco da vari tipi di infezioni provenienti dall’esterno. La politica di sterilizzazione era sostenuta non solo a livello governativo ma anche tra la popolazione. La 1° fase dell’operazione eutanasia ebbe come obiettivo l’eliminazione dei bambini con disabilità e venne progettata nei primi mesi del 1939 su iniziativa segreta sotto la direzione della cancelleria di Hitler per mantenerne la segretezza. L’azione cominciò quando il ministero degli interni emanò un decreto che imponeva, sotto le vesti di un’indagine scientifica, l’obbligo di dichiarare da parte dei medici e ostetriche, attraverso uno specifico modulo, i neonati o bambini sotto i 3 anni con diverse forme di disabilità. Le patologie indicate erano: gravi casi di idiotismo e mongolismo, cecità, sordità, microcefalia, idrocefalia grave o progressiva, casi di deformità, mancanza di arti, problemi alla colonna vertebrale e paralisi. In seguito i genitori dei nati con forme gravi di disabilità vennero convinti della necessità di provvedere a cure specifiche per i loro figli e in luoghi idonei. Era difficile sottrarsi alla cura. Una volta internati, “casualmente” i bambini morivano, ma non dovevano risultare morti per avvelenamento. Nella seconda fase dell’operazione eutanasia vennero uccisi disabili adulti nei campi, comunque l’eliminazione dei disabili bambini continuò fino al termine della 2° guerra mondiale Il progetto eutanasia per adulti prese il via nel 1939. Hitler imponeva agli istituti e alle case di cura tedeschi di fornire elenchi degli individui indegni di vivere o con gravi malattie terminali. L’operazione di eliminazione di queste persone verrà nominata T4, anch’essa era segreta e si collocava tra i provvedimenti per salvaguardare la purezza della razza e proteggerla dagli inquinatori. Hitler voleva anche liberare dei letti perché aveva paura che potessero mancarne per i soldati feriti. Come per l’operazione sull’infanzia anche questa coinvolgeva una fitta rete di medici, funzionari e burocrati. Gli individui disabili coinvolti venivano prelevati dagli istituti con autobus neri dai vetri oscurati e venivano trasportati nei luoghi dell’eliminazione. In questi centri ogni individuo veniva schedato e fotografato e successivamente avviato verso le camere a gas. La famiglia della persona disabile veniva avvisata per lettera, prima dello spostamento del disabile per motivi di guerra e poi dell’arrivo a destinazione e infine del decesso per cause riconducibili alle malattie. Nel 1941 il progetto fu definitivamente sospeso. Una delle ragioni potrebbe essere la forte opposizione di alti prelati. L’operazione T4 in realtà continuò ma con una direzione meno centrale e ad opera degli stessi medici: farmaci al posto delle camere a gas o morte per inedia.

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“Hai mai avuto paura che il sangue dei nani possa a un certo punto entrare nelle vene di una nazione?” Fascismo, eugenetica, disabilità Il pensiero eugenetico sembra che si sia affermato in Italia con minor forza rispetto alla Germania e ai paesi nordici o agli USA. L’Italia doveva confrontarsi continuamente con la Chiesa. Toni decisamente più moderati rispetto a quelli tedeschi. La situazione cambiò nel 1938 con le leggi razziali. Un caso particolare di eugenetica e sterminio italiano fu quello del 1944 quando 11 pazienti ebrei ricoverati negli ospedali psichiatrici di Venezia, su ordine del comando tedesco e con la partecipazione della polizia italiana, furono prelevati e condotti nel campo di concentramento di Birkenau. Nel panorama italiano è la disabilità fisicomotoria a turbare maggiormente, la menomazione fisica rappresenta lo stigma più scomodo. CAPITOLO 9: Scenari della contemporaneità Nel 2° novecento, alla fine della 2° Guerra Mondiale e all’esperienza dei campi di concentramento lo scenario complessivo si modifica progressivamente: 1. Un nuovo quadro della diffusione e dell’impatto della disabilità nelle società 2. Lo sviluppo di politiche e di dispositivi dello stato sociale anche in tema di disabilità 3. L’attivismo delle persone con disabilità riunite in associazioni come elemento di spinta per la realizzazione di politiche adeguate e inclusive. Se il problema maggiore dello studio del passato della disabilità è rappresentato dalle poche tracce su cui basare le ricostruzioni, il problema maggiore per lo studio del passato recente sono le troppe tracce entro cui non perdersi. Dal dopoguerra in poi c’è stato un importante sviluppo si strutture di cura e di servizi socio-sanitari destinati a persone con disabilità. È cresciuto anche il campo della pedagogia speciale. E si sono sviluppate professionalità, saperi ed esperienze sul tema. Il campo medico e quello della progettazione e produzione di tecnologie hanno avuto un grande impatto sul mondo della disabilità. Attorno ai disabili si sono sviluppate attività di partecipazione sportiva, ludica, ricreativa e si sono delineate forme eterogenee di partecipazione e solidarietà. Surplus di disabilità Nel secondo ‘900 l’impatto della disabilità sulla società si è completamente trasformato. Chiusasi la grande ecatombe dei due conflitti mondiali è rimasta l’altra grande fucina di disabilità, gli infortuni sul lavoro. A cambiare lo scenario hanno contribuito i progressi della scienza e della medicina: la possibilità di individuare la disabilità in fase prenatale, la scomparsa di alcune patologie invalidanti, interventi chirurgici, farmaci, terapie. Negli ultimi ‘50 anni si sono aggiunte nuove forme di disabilità mai esistite prima nella storia dell’umanità. Oggi esistono nuove malattie invalidanti e nuove forme tumorali che producono un ventaglio ampio di forme di disabilità intellettive, sensoriali e fisiche. Una delle cause sono per es. gli incidenti stradali. Dal 1945 in poi anche il nucleare ha dato prova di gravi effetti invalidanti. Anche i medicinali hanno in passato portato alla disabilità, ne è un es. la talidomide, un farmaco per combattere le nausee mattutine delle donne incinta. Si è scoperto poi che il farmaco poteva incidere fortemente sullo sviluppo fetale provocando la nascita di bambini privi di uno o più arti chiamati focomelici. Il prodotto venne ritirato nel 1961. Dai primi anni 90 in più parti del mondo ci si è accorti della possibilità di partorire figli disabili a causa dell’esposizione a pesticidi delle madri che lavorano nel campo dell’agricoltura. Negli ultimi anni in aggiunta la disabilità non interessa più solo i ceti popolari ma è divenuta un fenomeno trasversale. L’atavica paura della disabilità, se prima riguardava l’altro ora diviene sempre più qualcosa che può riguardare tutti. Aumenta la popolazione mondiale ma in rapporto aumentano anche i disabili, tanto da definirli come “la terza nazione del mondo”. Questo perchè messe tutte insieme le persone con disabilità costituirebbero una nazione dietro solo alla Cina e all’India. Recentemente si sono anche costituite forme di associazioni o di riunioni di disabili, per lo più suddivise in base alla tipologia di disabilità. Disabilità, costituzione e welfare La Costituzione italiana stabilisce i principi fondamentali della Repubblica Italiana e la sua caratteristica di essere Stato sociale, cioè Stato fondato sulla riduzione delle diseguaglianze sociali a partire dal principio di uguaglianza sostanziale di tutti i cittadini. È l’art. 3 a sancire l’uguaglianza tra cittadini e i compiti dello Stato, ovvero quelli di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i

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lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese. Per condizioni personali si deve intendere anche qualsiasi disabilità fisica, intellettiva, relazionale, psichica, sensoriale e di qualunque origine. L’art. 38 stabilisce il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale e compie una distinzione tra i lavoratori e i cittadini inabili e quelli senza mezzi di sostentamento. Entrambe le categorie hanno diritti specifici. Lo stato sociale così si divide in 2 piani separati, quello legato al lavoro e quello legato all’assistenza. È il modello del welfare state storicamente costituitosi nel mondo occidentale, basato sul sistema del lavoro per gli uni e dell’assistenza per altri. Tra le prime proposte alle questioni di assistenza e diritto al lavoro per gli invalidi vi fu quella del 1957 e tra le prime leggi la n. 66 del 1962 relativa ai ciechi civili. Si previde di destinare loro una pensione non reversibile e di coordinare e potenziare il reperimento, l’orientamento e la loro qualificazione professionale. Ancora nel 1962 ci sarà la prima legge relativa al collocamento di mutilati e invalidi civili. Resteranno esclusi i soggetti incollocabili per quali si previde nel 1966 un assegno mensile di assistenza. Nel 1968 la legge 482 disciplinò l’assunzione obbligatoria nel pubblico e nel privato di: invalidi di guerra, militari e civili; invalidi per servizio, invalidi del lavoro, invalidi civili, ciechi, sordomuti. Tale legge non è stata rispettata appieno dai datori di lavoro pubblici e privati. Altro punto critico della legge fu la chiamata al lavoro in base alla posizione e all’anzianità di iscrizione alle liste di collocamento e non per corrispondenza tra mansione richiesta e competenze del lavoratore. Nel 1971 è stata emanata la 1° legge organica sull’invalidità civile che regolò il mondo della disabilità fino al 1992. Questa legge ingloba una popolazione più ampia rispetto ai mutilati e invalidi civili, come per es. disabili psichici, i possessori di minorazione congenite o acquisite, difetti sensoriali che riducano in modo permanente la capacità lavorativa. La legge introdusse l’assistenza sanitaria generica, farmaceutica, specialistica, ospedaliera e protesica a favore d’invalidi e mutilati civili a copertura del ministero della sanità. Lo stesso ministero stanziò anche dei fondi per enti pubblici o soggetti privati senza scopo di lucro, per la costruzione, trasformazione e ampliamento delle attrezzature dei centri di riabilitazione. L’accertamento della condizione di minorazione è requisito necessario per l’ottenimento dei diritti attraverso una visita medico-sanitaria. Alle persone maggiorenni riconosciute invalide e con totale inabilità lavorativa è concessa la pensione di inabilità. L’art. 27 introdusse per la 1° volta il principio dell’abbattimento delle barriere architettoniche per gli edifici pubblici o aperti al pubblico e le istituzioni scolastiche, prescolastiche e in tutti i luoghi dove si svolgono pubbliche manifestazioni o spettacoli. Legge 180 nel 1978 chiusura manicomi. Legge 833 del 1978 introdusse il diritto agli ausili e alle protesi. Nel 1979 vi fu un aumento dell’indennità di accompagnamento a favore dei ciechi civili assoluti, nel 1974 è garantito il trasporto gratuito dei cani guida sui mezzi pubblici. Tra il 1978 e il 1980 si regolarono anche la circolazione e il trasporto degli invalidi con un apposito contrassegno. Negli anni ‘80 si realizzò una frammentazione di competenze in materia di disabilità con il passaggio di competenze dallo stato alle regioni. Si assistette così al consolidamento del modello classico basato sulla distinzione delle categorie di disabilità e relative forme di risarcimento economico. Nel 1992 entrò in vigore la legge 104 che riorganizzò complessivamente e questioni della disabilità. La normativa si adeguò alla nuova idea di disabilità diffusa dall’OMS, più incentrata sulla persona che non sulla sua menomazione. La legge voleva puntare sulla promozione dell’autonomia e la realizzazione dell’integrazione sociale ponendosi alcuni obiettivi precisi: lo sviluppo della ricerca scientifica, genetica, biomedica, psicopedagogica, sociale e tecnologica, prevenzione e diagnosi e terapia prenatale e precoce delle minorazioni e ricerca delle loro cause, intervento tempestivo dei servizi terapeutici e riabilitativi; sostegno alla famiglia della persona handicappata; collaborazione con la famiglia nella scelta e nell’attuazione degli interventi socio-sanitari; prevenzione primaria e secondaria in tutte le fasi di maturazione e di sviluppo del bambino e del minore per evitare o constatare tempestivamente l’insorgenza della minorazione o per ridurne i danni; adeguato sostegno psicologico e psicopedagogico alla persona handicappata e alla famiglia ecc. La nuova legge pose al centro la persona considerandola nel suo sviluppo unitario dalla nascita, alla presenza in famiglia, alla scuola, al lavoro e a tempo libero. In termini innovativi rispetto al passato emerse la necessità di evitare che la menomazione invalidante diventi causa di emarginazione. Nella legge s’insistette molto sul rispetto della dignità della persona disabile e sulla necessità di rimuovere le situazioni di svantaggio sociale. La legge 104 recepì il nuovo concetto internazionale della disabilità intesa non più come menomazione psico-fisica e sensoriale ma come condizione sociale. Venne eliminato il termine “disabili gravi” per sostituirlo con “persona con handicap in situazione di gravità”. Tale legge è considerata come quella che segnò il passaggio da una forma di Stato assistenziale a uno Stato sociale incentrato sulla persona con disabilità. È però lecito chiedersi se quel

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formale abbandono della filosofia assistenzialistica da parte dello Stato a favore dei coinvolgimento maggiore degli individui con disabilità, delle famiglie, del terzo settore e dell’associazionismo, non possa essere interpretato come una forma di disinvestimento dei pubblici poteri in tema di disabilità. La legge puntò molto anche sul possibile inserimento lavorativo delle persone disabili attraverso strumenti tecnici e di supporto, all’eliminazione degli impedimenti ambientali e relazionali connessi all’attività lavorativa. Nel 2000 fu emanata la Carta dei diritti fondamentali dell’U.E. essa all’art. 21 affermò il divieto di varie forme di discriminazione tra cui gli handicap. Anche la legge italiana del 2006 si pose contro la discriminazione diretta o indiretta delle persone con disabilità. L’affermarsi del movimento associativo Allo sviluppo di maggiori attenzioni verso la disabilità, le forme di discriminazione, la costruzione di nuove sensibilità attorno alla disabilità contribuirono molto le associazioni dei diretti interessati o dei loro familiari. In Italia ci sono diverse tipologie di associazioni: quelle laiche e quelle religiose, quelle di sinistra e quelle ispirate ai movimenti per i diritti. Queste associazioni hanno come motore iniziale la presa in carico delle persone con disabilità e dei loro familiari. La nascita del movimento associazionistico è connotata da una cultura di categoria che si impone negli anni successivi alla nascita di una delle prime associazioni italiane, quella dei mutilati di guerra del 1917. Dall’esperienza di un altro invalido di guerra rimasto cieco venne fondata l’Unione italiana ciechi. Nel 1922 nacque l’Unione sordomuti italiani. Nel 1932 nacque un ente unico rappresentativo dei sordi: l’ente nazionale sordi. Nel 1933 fu fondata a Milano l’associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro. Lo sviluppo di queste associazioni prese piede fortemente nel 2° dopoguerra. Tra la metà degli anni ‘50 e la fine dei ‘60, la promozione delle istanze del movimento delle associazioni ebbe come evento più visibile le manifestazioni pubbliche di piazza chiamate “marce del dolore”. Eventi importanti simbolicamente che hanno dato un’accelerazione alla legiferazione in termini di disabilità. Le marce del dolore ci furono nel 1961, nel 1964, nel 1968. All’interno dei movimenti di persone con disabilità inglesi si sviluppò un modello sociale della disabilità. Concettualizzato da Paul Hunt nel 1960 il modello sociale fu sviluppato anche da altri studiosi ed attivisti con disabilità. Il bersaglio principale del modello sociale è il modello medico che considera la disabilità come condizione fisico-biologica e come problema individuale. Il modello sociale invece sposta i termini della patologia allo svantaggio o limitazione prodotta dall’attuale organizzazione sociale che tiene poco conto o per nulla, delle persone con deficit fisici e le esclude dalla partecipazione alle attività sociali. A partire dalla diffusione di questo concetto il movimento delle associazioni spostò la sua battaglia a favore dei diritti verso l’effettiva partecipazione sociale e autodeterminazione. Il fervore politico del periodo che va dagli anni 60 alla fine degli anni ‘70 coinvolse anche l’Italia. Emersero nuove istanze legate alla de istituzionalizzazione, all’integrazione scolastica e all’inserimento sociale. Molti movimenti nacquero in relazione al volontariato laico e religioso e dettero vita a cooperative sociali per servizi di assistenza o inserimento lavorativo. Si assiste ad una maggior partecipazione ma anche a una maggior frammentazione delle istanze. Sin dai primi anni 90 emerse con chiarezza anche il problema dei falsi invalidi. Negli ultimi decenni le grandi associazioni sono divenute soggetto-politico che interloquisce con i mondi politici e amministrativi. Le classificazioni internazionali della disabilità Solo coi primi anni ‘80 si giunse ad una più precisa definizione della terminologia in questione introdotta dalle classificazioni internazionali condotte dall’OMS. L’obiettivo di tali classificazioni internazionali è strumentale: serve per fornire criteri standardizzati su scala internazionale a fini conoscitivi e come base per la progettazione e l’organizzazione di politiche sociali. È del 1970 la 1° formulazione di classificazione realizzata dall’OMS. È l’ICD, uno strumento classificatore basato sul modello medico incentrato sul concetto di malattia. L’ICD individua alcune patologie con le annesse caratteristiche tipiche, le cause e stabilisce per ognuna dei codici numerici. Nel 1980 si arrivò ad una seconda classificazione ICIDH maggiormente incentrata sulla dimensione ambientale dell’individuo. Al centro dell’ ICIDH non c’è la causa della patologia ma il contesto ambientale come criterio di salute. La patologia è ora considerata e analizzata nel suo impatto sull’esistenza globale dell’individuo, non solo sanitaria. La formulazione dell’ ICIDH è alla base della legge 104 del 1992. Questa classificazione si fonda su 3 concetti. La menomazione, intesa come mancanza o anomalia delle strutture anatomiche, fisiologiche, psicologiche o delle loro funzioni. La disabilità intesa come limitazione o mancanza di capacità si compiere azioni o attività causata dalla presenza della menomazione. L’handicap è invece lo svantaggio e le difficoltà incontrate dall’individuo nell’ambiente circostante a causa della menomazione.

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Nel 1997 l’OMS formulò l’ICIDH-2. La nuova formulazione specificò meglio i concetti di disabilità e handicap. l’ICIDH-2 formulò più compiutamente i fattori contestuali che ostacolano o favoriscono le persone. Nel 2001 nuova classificazione internazionale l’ICF. Questa classificazione riguarda le caratteristiche della salute di tutte le persone non solo quelle disabili, in relazione al contesto delle specifiche condizioni di vita individuali e all’interazione con i fattori ambientali. SI tratta di una classificazione centrata sul soggetto come essere sociale e sposta l’attenzione dalla menomazione alla vita dell’individuo in rapporto al suo contesto specifico di vita. L’ICF è un documento che mette al centro la dimensione sociale della disabilità in alternativa alla dimensione medica. L’ICF non ha costituito solo una mera modificazione semantica e concettuale ma ha implicato l’abbandono del modello lineare medico a favore di quello bio-psico-sociale. La convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità La Convenzione è l’esito di un lungo percorso delle Nazioni Unite sul tema disabilità. Nel 1950 due rapporti su disabilità e riabilitazione. Nel 1969 l’Assemblea generale sul progresso sociale e sullo sviluppo sottolineava la necessità di forme riabilitative volte all’integrazione sociale di persone con disabilità fisiche e mentali. Nel 1971 dichiarazione dei diritti delle persone disabili (senza efficacia diretta nelle politiche dei singoli paesi), nel 1981 anno internazionale delle persone disabili. Nel 1982 adottato programma di azione mondiale per le persone disabili, basato su: prevenzione, riabilitazione, pari opportunità. Il decennio 1982-1992 è inoltre dichiarato decennio delle persone disabili. La Convenzione è invece stata approvata nel 2006 e ha visto protagoniste nella sua elaborazione le più importanti associazioni internazionali di persone con disabilità e i loro familiari. Il testo è entrato ufficialmente in vigore nel 2008, per gli Stati che lo ratificano risulta vincolante nell’elaborazione delle politiche nazionali. L’attenzione è spesso posta su alcune dimensioni specifiche della disabilità come la povertà e molteplici forme di discriminazione. Le persone disabili rappresentano quasi la metà dei poveri nel mondo, oltre l’80% di loro vive nei paesi economicamente svantaggiati. La Convenzione riconosce che la disabilità è inoltre causa ed effetto di povertà e afferma la necessità di affrontare l’impatto negativo della povertà sulle persone disabili. La Convenzione costituisce il superamento dell’ottica assistenzialistica, considera invece i disabili persone e cittadini come tutti gli altri, nonostante la loro diversità, infatti la discriminazione viene definita come una violazione della dignità e del valore connaturati alla persona umana. La Convenzione non ignora nemmeno le difficoltà del passaggio dal testo scritto alla realtà e individua delle soluzioni. 1. L’accomodamento ragionevole: ovvero le modifiche e gli adattamenti appropriati che non impongono un onere sproporzionato o eccessivo se adottati, per garantire ai disabili il godimento e l’esercizio di tutti i diritti umani e le libertà fondamentali 2. La progettazione universale: la progettazione di prodotti, strutture, programmi e servizi utilizzabili da tutte le persone senza il bisogno di adattamenti o di progettazioni specializzate. Nel 2009 il Parlamento italiano ha ratificato la Convenzione che è divenuta legge italiana.

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