Stato, governo, società. Per una teoria generale della politica
 8806588184, 9788806588182 [PDF]

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Zitiervorschau

Norberto Bobbio

Stato, governo, società Per una teoria generale della politica

Copyright©

1980, 198r, 1978

e, per la presente edizione in volume, copyright©

1985

Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino

Prima edizione nell' E11ciclopedia

Ei11audi

Indice

p.

vn

Premessa

Stato, governo, società I.

5 IO I8 2.

La società civile I.

23 27 3I 35 37 39

2. 3. 4· 5· 6. 3·

2.

3· 4· 5· 6. 7· 8. 4·

Le varie accezioni L'interpretazione marxiana Il sistema hegeliano La tradizione giusnaturalistica Società civile come società civilizzata Il dibattito attuale

Stato, potere e governo r.

43 55 66 77 84 95 1 04 II7

!26 I28 130 137

La grande dicotomia: pubblico/privato r. Una coppia dicotomica 2. Le dicotomie corrispondenti 3. L 'uso assiologico della grande dicotomia 4 · Il secondo significato della dicotomia

3

Per lo studio dello stato Il nome e la cosa Lo Stato e il potere Il fondamento del potere Stato e diritto Le forme di governo Le forme di Stato La fine dello Stato

Democrazia e dittatura r.

La democrazia nella teoria delle forme di governo L'uso descrittivo 3· L'uso prescrittivo 4· L'uso storico 2.

VI

INDICE p. 1 4 1 144 147 149 1 50 1 53 1 55 I 59

5. 6. 7. 8. 9. IO. I I.

La democrazia dei moderni Democrazia rappresentativa e democrazia diretta Democrazia politic a e democrazia sociale Democrazia formale e democrazia sostanziale La dittatura degli antichi La dittatura moderna La dittatura rivoluzionaria

Premessa

Elenco delle opere citate

Raccolgo in questo volumetto, senza sostanziali correzio­ ni, quattro voci scritte per l'Enciclopedia Einaudi, rispetti­ vamente nei volumi IV ( 1 978), Democrazia/dittatura, XI (1980), Pubblico/privato, XIII ( 1 9 8 1 ) , Società civile e Stato. Sono temi contigui che si richiamano l'uno con l' altro, talo­ ra, e me ne scuso con il lettore, non senza qualche inevitabi­ le ripetizione. Il primo e il secondo sono presentati diretta­ mente sotto forma di antitesi. Il terzo e il quarto rappresen­ tano, alla loro volta, i termini di un'altra antitesi, non meno cruciale nella storia del pensiero politico: Società civile / Stato. Una delle idee ispiratrici dell'Enciclopedia, l' analisi di al­ cuni termini-chiave insieme con il loro contrario, mi era par­ ticolarmente congeniale. Nel 1 974 scrissi un articolo sulla clas­ sica distinzione fra diritto privato e diritto pubblico e lo in­ titolai: La grande dicotomia 1• L'antitesi democrazia/dittatu­ ra riproduce con termini del linguaggio comune la contrap­ posizione filosofica, da me piu volte riproposta, attraverso Kelsen e risalendo sino a Kant, fra autonomia ed eterono­ mia. L'antitesi società civile / Stato era già stata da me illu­ strata storicamente attraverso l'opera di Hegel \ di Marx, di Gramsci', analiticamente sotto il lemma Società civile del Di­ zionario politico dell'Utet. La trattazione per antitesi offre il vantaggio, nel suo uso descrittivo, di permettere all'uno dei due termini di gettar luce sull'altro, tanto che spesso l'uno (il termine debole) vie­ ne definito come la negazione dell'altro (il termine forte) , per esempio il privato come ciò che non è pubblico; nel suo uso assiologico, di mettere in evidenza il giudizio di valore positivo o negativo, che secondo gli autori può cadere sul­ l'uno o sull'altro dei due termini, come è sempre avvenuto

VIII

PREMESSA

nella vecchia disputa se sia preferibile la democrazia o l' au­ tocrazia; nel suo uso storico, di delineare addirittura una fi­ losofia della storia, ad esempio il passaggio da un'epoca di primato del diritto privato a un'epoca di primato del diritto pubblico. Dei quattro scritti il piu ampio di gran lunga è quello su Stato, potere e governo, che riproduce la voce Stato. Esso rias­ sume e compendia in parte gli altri tre . L'ho concepito come un tentativo, non so quanto riuscito, di abbracciare il vastis­ simo campo dei problemi dello Stato, considerandoli dai due punti di vista giuridico e politico, spesso disgiunti, ovvero lo Stato come ordinamento giuridico e come potere sovra­ no. Vi ho espresso alcune idee che non avevo mai esposte prima d'ora con eguale compiutezza, specie per quel che ri­ guarda il potere, le sue varie forme, e i diversi criteri di le­ gittimazione. Gli altri saggi, invece, sono rielaborazioni di scritti precedenti o contemporanei: La grande dicotomia: pub­ blico/privato rinvia in parte a Pubblico-privato. Introduzione a un dibattito ( r 98z)\ in parte a Democrazia e potere invisi­ bile ( r 980 )'; La società civile rinvia, oltre agli scritti citati poc'anzi, al saggio Sulla nozione di società civile (r968) 6; De­ mocrazia e dittatura è tratto in gran parte dal corso La teoria delle forme di governo nella storia del pensiero politico ( r976) 7• Si tratta di temi sui quali mi sono esercitato spesso in questi ultimi dieci anni: singolarmente considerati, costituiscono frammenti di una teoria generale della politica, ancora da scri­ vere. NORBERTO BOBBIO

1 Ora in N. Bobbio, Dalla struttura alla funzione. Nuovi studi di teoria del

diritto, Edizioni di Comunità, Milano 1 9842 , pp. 1 45 -63. 2 In Id., Studi hegeliani. Diritto, società civile, Stato, Einaudi, Torino 1 98 1 , pp. 1 47·5 8. 3 Id., Gramsci e la concezione della società civile, Feltrinelli, Milano 1976, pp. 1 7•43· 4 In «Fenomenologia e società>>, v, n. r8, giugno 1982, pp. r66-77. 5 Ora in Id., Il futuro della democrazia, Einaudi, Torino 1984, pp. 75 -r oo. 6 In «De homine>>, VII, n. 24-25 , marzo 1 968, pp. 19-36. 7 Giappichelli, Torino 1 976.

Slalo, governo, società

I.

La grande dicotomia: pubblico/privato

I.

Una coppia dicotomica

Attraverso due commentatissimi passi del Corpus iuris [In­ stitutiones, I, I, 4; Digesto, I, I, I, 2], che definiscono con identiche parole rispettivamente il diritto pubblico e il dirit­ to privato - il primo « quod ad statum rei romanae spectat », il secondo « quod ad singulorum utilitatem » -, la coppia di termini pubblico/privato ha fatto il suo ingresso nella storia del pensiero politico e sociale dell'Occidente, quindi, attra­ verso un uso costante e continuo, senza sostanziali mutamenti, ha finito per diventare una di quelle « grandi dicotomie » di cui una o piu discipline, in questo caso non soltanto le disci­ pline giuridiche ma anche quelle sociali e in genere storiche, si servono per delimitare, rappresentare, ordinare il proprio campo d'indagine, come, per restare nell'ambito delle scien­ ze sociali, pace/guerra, democrazia/autocrazia, società/comu­ nità, stato di natura / stato civile. Si può parlare corretta­ mente di una grande dicotomia quando ci si trova di fronte a una distinzione di cui si può dimostrare l'idoneità: a) a di­ videre un universo in due sfere, congiuntamente esaustive, nel senso che tutti gli enti di quell'universo vi rientrano, nes­ suno escluso, e reciprocamente esclusive, nel senso che un ente compreso nella prima non può essere contemporanea­ mente compreso nella seconda; b) a stabilire una divisione che è insieme totale, in quanto tutti gli enti cui attualmente e potenzialmente la disciplina si riferisce debbono potervi rientrare, e principale, in quanto tende a far convergere ver­ so di sé altre dicotomie che diventano rispetto ad essa se­ condarie. Nel linguaggio giuridico la preminenza della distin­ zione fra diritto privato e diritto pubblico su tutte le altre distinzioni, la costanza dell'uso nelle diverse epoche stori­ che, la sua forza inclusiva sono state tali da aver indotto un

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STATO, GOVERNO, SOCIETÀ

filosofo del diritto di indirizzo neokantiano a considerare i due concetti di diritto privato e di diritto pubblico addirit­ tura come due categorie a priori del pensiero giuridico [Rad­ bruch 1 93 2 , pp . 1 2 2-27]. I due termini di una dicotomia possono essere definiti uno indipendentemente dall'altro, oppure uno solo di essi viene definito mentre l'altro viene definito negativamente (la 'pace' come 'non-guerra'). In questo secondo caso si dice che il pri­ mo è il termine forte, il secondo il termine debole. La defi­ nizione di diritto pubblico e di diritto privato su riportata è un esempio del primo caso, ma dei due termini il piu forte è il primo, in quanto accade spesso che 'privato' venga defi­ nito come 'non-pubblico' («privatus qui in magistratu non est », Porcellini) , raramente il contrario. Inoltre si può dire che i due termini di una dicotomia si condizionano a vicen­ da, nel senso che si richiamano continuamente l'uno con l'al­ tro: nel linguaggio giuridico, la scrittura pubblica rinvia im­ mediatamente per contrasto alla scrittura privata e vicever­ sa; nel linguaggio comune, l'interesse pubblico si determina immediatamente in relazione e in contrasto con l'interesse privato e viceversa. Infine, all'interno dello spazio che i due termini delimitano, dal momento che questo spazio viene to­ talmente occupato (tertium non datur), essi alla loro volta si delimitano a vicenda, nel senso che la sfera del pubblico ar­ riva fin dove comincia la sfera del privato e viceversa. Per ognuna delle situazioni cui conviene l'uso della dicotomia, le due rispettive sfere possono essere diverse, ciascuna ora piu grande ora piu piccola, o per l'uno o per l' altro dei due termini. Uno dei luoghi comuni del dibattito secolare sul rap­ porto tra la sfera del pubblico e quella del privato è che, au­ mentando la sfera del pubblico, diminuisce quella del priva­ to, aumentando la sfera del privato, diminuisce quella del pub­ blico: una constatazione che è generalmente accompagnata e complicata da contrapposti giudizi di valore. Quali che siano l'origine della distinzione e il momento della sua nascita, la dicotomia classica fra diritto privato e diritto pubblico riflette la situazione di un gruppo sociale in cui è ormai avvenuta la differenziazione fra ciò che appar­ tiene al gruppo in quanto tale, alla collettività, e ciò che ap­ partiene ai singoli membri, o piu in generale fra la società globale ed eventuali gruppi minori (come la famiglia) , oppu-

LA GRANDE DICOTOMIA: PUBBLICO/PRIVATO

5

re ancora fra un potere centrale superiore e i pot:eri periferi­ ci inferiori che rispetto ad esso godono di una re:lativa auto­ nomia, quando non ne dipendono totalmente. Di fatto alla originaria differenziazione fra il diritto pubblicOil e il privato si accompagna l' affermazione della supremazia d !el primo sul secondo, com'è attestato da uno dei principi k:mdamentali che reggono ogni ordinamento in cui vale la gra:nde divisio­ ne, il principio secondo cui « ius publicum privatorum pactis mutati non potest » [Digesto, 3 8 , 2 , 1 4] o « ptiVqtorum con­ vendo iuri publico non derogat » [ibid. , 45, 50, q] . Nono­ stante il secolare dibattito, provocato dalla vari�tà di criteri in base ai quali è stata giustificata, o si è credQto di poter giustificare, la divisione delle due sfere, il criteri() fondamen­ tale resta quello dei diversi soggetti cui si può ri ferire la no­ zione generale di utilitas: accanto alla singuloru'!"m utilitas del­ la definizione citata, non si dimentichi la celebr:-e definizio­ ne ciceroniana di res publica, secondo cui essa ìè una « cosa del popolo » quando per 'popolo' s'intenda non Utna qualsiasi aggregazione di uomini ma una società tenuta in.sieme, oltre che da un vincolo giuridico, dalla «utilitatis comlllnione » [De re publica, I, 4 1 , 48]. 2 . Le dicotomie corrispondenti. La rilevanza concettuale e anche classificatori� nonché as­ siologica della dicotomia pubblico/privato si rivela nel fatto che essa comprende, o in essa convergono, altr e dicotomie tradizionali e ricorrenti nelle scienze sociali, che la comple­ tano e possono anche surrogarla. S o c i e t à d i u g u a li e s o c i e t à d i d i s u g uE!l i . Essendo il diritto un ordinamento di rapporti sociali, la grande dicotomia pubblico/privato si duplica primamente nella distinzione di due tipi di rapporti sociali: fra uguali e fra di­ suguali. Lo Stato, e qualsiasi altra società organizzata, dove vi è una sfera del pubblico, non importa se totale o parziale, è caratterizzato da rapporti di subordinazione f.ta governan­ ti e governati, ovvero fra detentori del potere di comando e destinatari del dovere di obbedienza, che sono rapporti fra

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STATO, GOVERNO, SOCIETÀ

disuguali; la società naturale, quale è stata descritta dai gius­ naturalisti, oppure la società di mercato nella idealizzazione degli economisti classici, in quanto vengono di solito elevate a modello di una sfera privata contrapposta alla sfera pub­ blica, sono caratterizzate da rapporti fra uguali o di coordi­ nazione. La distinzione tra società di uguali e società di di­ suguali è non meno classica della distinzione tra sfera priva­ ta e sfera pubblica. Cosi Vico: « Omnis societas omnino du­ plex, inaequalis et aequalis » [nzo, cap. LX] . Fra le prime la famiglia, lo Stato, la società fra Dio e gli uomini; fra le seconde, la società tra fratelli, parenti, amici, cittadini, ospiti, nemici. Dagli esempi si vede che le due dicotomie pubblico/privato e società di uguali / società di disuguali non si sovrappon­ gono del tutto: la famiglia appartiene convenzionalmente alla sfera privata contrapposta alla sfera pubblica, o meglio vie­ ne ricondotta alla sfera privata là dove è sovrastata da un'or­ ganizzazione piu complessa, quale è appunto la città (nel senso aristotelico della parola) o lo Stato (nel senso degli scrittori politici moderni) ; ma rispetto alla differenza delle due socie­ tà è una società di disuguali, anche se dell'appartenenza con­ venzionale della famiglia alla sfera privata resta la prova nel fatto che il diritto pubblico europeo che accompagna la for­ mazione dello Stato costituzionale moderno ha considerato privatistiche le concezioni patriarcalistiche o paternalistiche o dispotiche del potere sovrano, che assimilano lo Stato a una famiglia in grande oppure attribuiscono al sovrano gli stessi poteri che appartengono al patriarca, al padre, o al pa­ drone, signori a vario titolo e con diversa forza della società familiare. D'altra parte, il rapporto fra nemici, che Vico con­ sidera nell'ambito dei rapporti di uguali, rettamente del re­ sto perché la società internazionale è astrattamente conside­ rata una società di enti formalmente uguali tanto da essere stata assimilata, da Hobbes a Hegel, allo stato di natura, viene fatto rientrare abitualmente nella sfera del diritto pubblico, se pure del diritto pubblico esterno regolante i rapporti fra stati distinto dal diritto pubblico interno regolante i rappor­ ti fra governanti e governati di uno stesso stato. Con la nascita dell'economia politica da cui segue la dif­ ferenziazione della sfera dei rapporti economici da quella dei rapporti politici, intesi i rapporti economici come rapporti

LA GRANDE DICOTOMIA: PUBBLICO/PRIVATO

7

sostanzialmente di disuguali per effetto della divisione del lavoro ma formalmente uguali nel mercato, la dicotomia pub­ blico/privato si ripresenta sotto forma di distinzione fra so­ cietà politica (o di disuguali) e società economica (o di ugua­ li), o dal punto di vista del soggetto caratteristico di entram­ be, fra la società del citoyen che attende all'interesse pubbli­ co e quella del bourgeois che cura i propri interessi privati in concorrenza o in collaborazione con altri individui. Die­ tro la distinzione tra sfera economica e sfera politica riappa­ re l'antica distinzione fra la « singulorum utilitas » e lo « sta­ tus rei publicae », con cui era apparsa per la prima volta la distinzione fra la sfera del privato e quella del pubblico. Cosi pure la distinzione giusnaturalistica fra stato di natura e sta­ to civile si ricompone, attraverso la nascita dell'economia po­ litica, nella distinzione fra società economica, e in quanto tale non politica, e società politica; successivamente, fra so­ cietà civile, intesa hegelianamente, o meglio marxianamen­ te, come sistema dei bisogni, e stato politico: dove è da no­ tare che la linea di separazione fra stato di natura, sfera eco­ nomica, società civile, da un lato, stato civile, sfera politica, stato politico, dall'altro, passa sempre fra società di uguali (almeno formalmente) e società di disuguali. Legge e contrat to . L'altra distinzione concettualmente e storicamente rile­ vante che confluisce nella grande dicotomia è quella relativa alle fonti (nel senso tecnico-giuridico del termine) rispetti­ vamente del diritto pubblico e del diritto privato: la legge e il contratto (o piu in generale il cosiddetto « negozio giuri­ dico ») . In un passo di Cicerone che fa testo, è detto che il diritto pubblico consiste nella lex, nel senatus consultus e nel foedus (il trattato internazionale) ; il diritto privato, nelle ta­ bulae, nella pactum conventum e nella stipulatio [Partitiones oratoriae, 3 7, r 3 I ] . Come si vede, qui il criterio di distinzio­ ne fra diritto pubblico e privato è il diverso modo con cui l'uno e l'altro vengono ad esistenza in quanto insieme di re­ gole vincolanti della condotta: il diritto pubblico è tale in quanto è posto dall' autorità politica, e assume la forma spe­ cifica, e sempre piu prevalente con l'andar del tempo, della « legge », nel senso moderno della parola, cioè di una norma

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STATO, GOVERNO, SOCIETÀ

che è vincolante perché posta dal detentore del supremo po­ tere (il sovrano) e abitualmente rafforzata dalla coazione (il cui esercizio esclusivo appartiene in proprio al sovrano); il diritto privato o, come sarebbe piu esatto dire, il diritto dei privati, è l'insieme delle norme che i singoli stabiliscono per regolare i loro reciproci rapporti, i piu importanti dei quali sono i rapporti patrimoniali, mediante accordi bilaterali, la cui forza vincolante riposa primamente, e natura/iter, cioè in­ dipendentemente dalla regolamentazione pubblica, sul prin­ cipio di reciprocità (do ut des) . La sovrapposizione delle due dicotomie, privato/pubbli­ co, contratto/legge, rivela tutta la sua forza esplicativa nella dottrina moderna del diritto naturale, per la quale il contratto è la forma tipica con cui i singoli individui regolano i loro rapporti nello stato di natura, cioè nello stato in cui non esi­ ste ancora un potere pubblico, mentre la legge, definita abi­ tualmente come l'espressione piu alta del potere sovrano (vo­ luntas superioris) , è la forma con cui vengono regolati i rap­ porti dei sudditi fra di loro, e fra lo Stato e i sudditi, nella società civile, cioè in quella società che è tenuta insieme da un'autorità superiore ai singoli individui. A sua volta, la con­ trapposizione fra stato di natura e stato civile come contrap­ posizione tra sfera dei liberi rapporti contrattuali e sfera dei rapporti regolati dalla legge è recepita e convalidata da Kant, nel quale giunge a conclusione il processo d'identificazione delle due grandi dicotomie della dottrina giuridica, diritto privato / diritto pubblico, da un lato, diritto naturale / dirit­ to positivo, dall'altro: il diritto privato o dei privati è il di­ ritto dello stato di natura, i cui istituti fondamentali sono la proprietà e il contratto; il diritto pubblico è il diritto che promana dallo Stato, costituito sulla soppressione dello sta­ to di natura, e pertanto è il diritto positivo nel senso proprio della parola, il diritto la cui forza vincolante deriva dalla pos­ sibilità che venga esercitato in sua difesa il potere coattivo appartenente in maniera esclusiva al sovrano. La miglior conferma del fatto che la contrapposizione fra diritto privato e diritto pubblico passa attraverso la distin­ zione fra contratto e legge si trae dalla critica che gli scritto­ ri post-giusnaturalisti (in primis Hegel) muovono al contrat­ tualismo dei giusnaturalisti, cioè alla dottrina che fonda lo Stato sul contratto sociale: per Hegel un istituto di diritto

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LA GRANDE DICOTOMIA: PUBBLICO/PRIVATO

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privato come il contratto non può essere assunto a fonda­ mento legittimo dello Stato almeno per due ragioni, stretta­ mente connesse alla natura stessa del vincolo contrattuale di­ stinto dal vincolo che deriva dalla legge: in primo luogo, per­ ché il vincolo che unisce lo Stato ai cittadini è permanente e inderogabile da parte di questi mentre il vincolo contrat­ tuale è derogabile dalle parti; in secondo luogo, perché lo Stato può pretendere dai suoi cittadini, se pure in circostanze ec­ cezionali, il sacrificio del maggior bene, la vita, che è un bene contrattualmente indisponibile. Non a caso per tutti i critici del giusnaturalismo il contrattualismo viene respinto in quanto concezione privatistica (e per questo inadeguata) dello Sta­ to, il quale, per Hegel, trae la sua legittimità, e quindi il di­ ritto di comandare e di essere ubbidito, o dal mero fatto di rappresentare in una determinata situazione storica lo spiri­ to del popolo oppure di essersi incarnato nell'uomo del de­ stino (l' «eroe » o « l'uomo della storia universale »), in entrambi i casi in una forza che trascende quella che può derivare dal­ l'aggregarsi ed accordarsi di volontà individuali . G i u s t i z i a c o m m u t a t i v a e g i u s t iz i a d i s t r i b u t iv a . L a terza distinzione che confluisce nella dicotomia pub­ blico/privato, e può illuminarla ed esserne illuminata, è quella che riguarda le due forme classiche della giustizia: distribu­ tiva e commutativa. La giustizia commutativa è quella che presiede agli scambi: la sua pretesa fondamentale è che le due cose che si scambiano siano, affinché lo scambio possa esse­ re considerato « giusto », di ugual valore, onde in una com­ pravendita è giusto il prezzo che corrisponde al valore della cosa comprata, nel contratto di lavoro è giusta la mercede che corrisponde alla qualità o quantità del lavoro compiuto, nel diritto civile è giusta l'indennità che corrisponde all'en­ tità del danno, nel diritto penale la giusta pena è quella in cui vi è corrispondenza fra il malum actionis e il malum pas­ sionis. La differenza fra questi quattro casi tipici è che nei primi due ha luogo la compensazione di un bene con un al­ tro bene, negli ultimi due, di un male con un male. La giu­ stizia distributiva è quella cui s'ispira l'autorità pubblica nella distribuzione di onori o di oneri: la sua pretesa è che a cia­ scuno sia dato ciò che gli spetta in base a criteri che possono

IO

STATO, GOVERNO, SOCIETÀ

cambiare secondo la diversità delle situazioni oggettive, op­ pure dei punti di vista: i criteri piu comuni sono « a ciascuno secondo il merito », « a ciascuno secondo il bisogno », « a cia­ scuno secondo il lavoro ». In altre parole, la giustizia com­ mutativa è stata definita come quella che ha luogo fra le par­ ti, la distributiva come quella che ha luogo fra il tutto e le parti. Questa nuova sovrapposizione fra sfera privata e luo­ go della giustizia commutativa da un lato, e sfera del pubbli­ co e luogo della giustizia distributiva dall' altro, è avvenuta attraverso la mediazione della distinzione, già menzionata, fra società di uguali e società di disuguali. Un chiaro esem­ pio di tale mediazione lo offre lo stesso Vico per il quale la giustizia commutativa, che egli chiama equatrix, regola le so­ cietà di uguali, mentre la giustizia distributiva, chiamata rec­ trix, regola le società di disuguali, come la famiglia e lo Stato [I]20, cap . LXIII]. Ancora una volta occorre avvertire che tutte queste cor­ rispondenze debbono essere accolte con cautela perché la coin­ cidenza dell'una con l'altra non è mai perfetta. Anche in que­ sta sede i casi-limite sono la famiglia e la società internazio­ nale: la famiglia in quanto vive nell' ambito dello Stato è un istituto di diritto privato, ma è insieme una società di disu­ guali e retta dalla giustizia distributiva; la società interna­ zionale, che è al contrario una società di uguali (formalmen­ te) ed è retta dalla giustizia commutativa, è di solito attri­ buita alla sfera del pubblico, per lo meno ratione subiecti, in quanto i soggetti della società internazionale sono gli Stati, gli enti pubblici per eccellenza. 3. L'uso assiologico della grande dicotomia .

Oltre al significato descrittivo, illustrato nei due paragra­ fi precedenti, i due termini della dicotomia pubblico/priva­ to hanno anche un significato valutativo. Siccome si tratta di due termini che nell'uso descrittivo comune fungono da termini contraddittori, nel senso che nell'universo da entrambi delimitato un ente non può essere insieme pubblico e priva­ to, e neppure né pubblico né privato, anche il significato va­ lutativo dell'uno tende ad essere opposto a quello dell'altro, nel senso che, quando viene attribuito un significato valuta-

LA GRANDE DICOTOMIA: PUBBLICO/PRIVATO

II

tivo positivo al primo, il secondo viene ad acquistare un si­ gnificato valutativo negativo, e viceversa . Ne derivano, da questo punto di vista, due concezioni diverse del rapporto fra pubblico e privato che possono essere definite, del pri­ mato del privato sul pubblico, la prima, del primato del pub­ blico sul privato, la seconda. I l p r i m a t o d e l p r iv a t o . Il primato del diritto privato si afferma attraverso la dif­ fusione e la recezione del diritto romano in Occidente: il di­ ritto cosiddetto delle Pandette è in gran parte diritto priva­ to, i cui istituti principali sono la famiglia, la proprietà, il contratto e i testamenti. Nella continuità della sua durata e nell'universalità della sua estensione il diritto privato ro­ mano acquista il valore di diritto della ragione, cioè di un diritto, la cui validità viene ad essere riconosciuta indipen­ dentemente dalle circostanze di tempo e di luogo da cui ha tratto origine ed è fondata sulla « natura delle cose » attra­ verso un processo non diverso da quello per cui, molti secoli piu tardi, la dottrina dei primi economisti, poi chiamati classici (come furono chiamati classici i grandi giuristi dell'età aurea della giurisprudenza romana) , verrà considerata come l'uni­ ca economia possibile perché scopre, rispecchia, descrive, rap­ porti naturali (propri del dominio della natura o « fisiocra­ zia ») . In altre parole, il diritto privato romano, pur essendo stato all'origine un diritto positivo e storico (codificato dal Corpus iuris di Giustiniano) , si trasforma attraverso l'opera secolare dei giuristi, glossatori, commentatori, sistematici, in un diritto naturale, salvo trasformarsi di nuovo in diritto po­ sitivo con le grandi codificazioni dell'inizio del secolo XIX, specie quella napoleonica ( r 8o4), in un diritto positivo cui peraltro i suoi primi commentatori attribuiscono una validi­ tà assoluta, c •nsiderandolo come il diritto della ragione. Per secoli dunque il diritto privato è il diritto per eccel­ lenza. Ancora in Hegel Recht senz' altra aggiunta significa di­ ritto privato, il «diritto astratto » dei Lineamenti di filosofia del diritto (Gnmdlinien der Philosophie des Rechts, r 8 2 1 ) , men­ tre il diritto pubblico è indicato, per lo meno nei primi scrit­ ti, col nome di Verfassung 'costituzione'. Anche Marx, quando parla di diritto e svolge la critica (che oggi si direbbe ideolo-

!2

STATO, GOVERNO, SOCIETÀ

gica) del diritto, si riferisce sempre al diritto privato, il cui istituto principale, preso in considerazione, è il contratto fra enti formalmente (anche se non sostanzialmente) uguali . Il diritto che attraverso Marx s'identifica col diritto borghese è essenzialmente il diritto privato, mentre la critica del di­ ritto pubblico si presenta sotto forma di critica, non tanto di una forma di diritto, ma della concezione tradizionale dello Stato e del potere politico. Il primo e maggior teorico del diritto sovietico, Pasukanis, dirà [ r 9 2 4] che «il nucleo piu solido della nebulosa giuridica . . . sta . . . nel campo dei rappor­ ti di diritto privato », giacché il presupposto fondamentale della regolamentazione giuridica (qui avrebbe dovuto aggiun­ gere « privata») è « l'antagonismo degli interessi privati », onde si spiega perché « le linee fondamentali del pensiero giuridi­ co romano abbiano conservato valore fino ai nostri giorni re­ stando la ratio scripta di ogni società produttrice di merci » (trad. it. pp. 122-27). Infine, criticando come ideologica, e pertanto non scientifica, la distinzione fra diritto privato e diritto pubblico, Kelsen ha osservato [ r 96o] che i rapporti di diritto privato possono essere definiti « come "rapporti giu­ ridici" tout court, come rapporti "di diritto" nel senso piu proprio e stretto del termine, per contrapporre loro i rap­ porti di diritto pubblico come rapporti di "potere" » (trad . it. p. 3 1 2) . I l diritto pubblico come corpo sistematico di norme nac­ que molto tardi rispetto al diritto privato, soltanto all'epoca della formazione dello Stato moderno, anche se si possono trovare le origini di esso fra i commentatori del secolo xrv, come Bartolo di Sassoferrato. Peraltro mentre le opere di di­ ritto privato, sulla proprietà e sul possesso, sui contratti e sui testamenti, sono trattazioni esclusivamente giuridiche, le grandi trattazioni sullo Stato continuano per secoli, anche quando sono scritte da giuristi, dai Six livres de la Républi­ que di Bodin ( r 5 76) alla Dottrina generale dello Stato (Allge­ meine Staatslehre) di Jellinek ( r 9 r o), a essere opere non esclu­ sivamente giuridiche. Non già che il diritto romano non avesse fornito qualche principio autorevole per la soluzione di alcu­ ni problemi capitali del diritto pubblico europeo, a comin­ ciare dalla lex regia de imperio [Digesto, r , 4, r ] secondo cui ciò che il princeps stabilisce ha forza di legge («habet legis vigorem »), quando il popolo gli abbia attribuito questo po-

LA 0GRANDE DICOTOMIA: PUBBUCO/PRIVATO

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teree, che è originariamente del popolo, donde l'annosa di­ spuuta se il popolo avesse trasmesso o soltanto concesso il po­ teree al sovrano; ma con la dissoluzione dello Stato antico e conn la formazione delle monarchie germaniche, i rapporti po­ liticci avevano subito una trasformazione cosi profonda, ed eral.no nati nella società medievale problemi cosi diversi, come qu�llo dei rapporti fra Stato e Chiesa, fra l'impero e i regni, fra i regni e le città, che il diritto romano poteva offrire ben poc:::hi strumenti d'interpretazione e di analisi. Resta ancora da •osservare che nonostante tutto due categorie fondamen­ talij del diritto pubblico europeo, di cui si servirono per se­ col.ii i giuristi per la costruzione di una teoria giuridica dello Sta"to, erano derivate dal diritto privato: il dominium, inteso canne potere patrimoniale del monarca sul territorio dello Sta­ to, che, come tale, si distingue dall'imperium, che rappresenta il P •otere di comando sui sudditi; e il pactum, con tutte le sue spe cie, societatis, subiectionis, unionis, che funge da princi­ p io di legittimazione del potere in tutta la tradizione con­ tratttualistica che va da Hobbes a Kant . lUna degli eventi che meglio di ogni altro rivela la persi­ stetnza del primato del diritto privato sul diritto pubblico è la r esistenza che il diritto di proprietà oppone all'ingerenza del potere sovrano, e quindi al diritto da parte del sovrano di �spropriazione (per causa di pubblica utilità) dei beni del suddito. Anche un teorico dell'assolutismo come Bodio con­ sid�ra ingiusto il principe che viola senza un motivo giusto e t:'\gionevole la proprietà dei suoi sudditi, e giudica tale atto un::t violazione della legge naturale cui il principe è sottomesso al ?ari di tutti gli altri uomini [15 76, I, 8]. Hobbes, il quale atttibuisce al sovrano un potere non controllato sulla sfera priv ata dei sudditi, riconosce tuttavia che i sudditi sono li­ beri di fare tutto ciò che il sovrano non ha proibito, e il pri­ mo esempio che gli soccorre è « la libertà di comprare, di ven­ dere e di fare altri contratti l'uno con l'altro » [ r 6s r , cap. XXI]. Con Locke la proprietà diventa un vero e proprio dirit­ to .tlaturale, perché nasce dallo sforzo personale nello stato di natura prima della costituzione del potere politico, e come tale il suo libero esercizio deve essere garantito dalla legge dello Stato (che è la legge del popolo) . Attraverso Locke la inviolabilità della proprietà, che comprende tutti gli altri di­ ritti individuali naturali, quali la libertà e la vita, e sta ad

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indicare che esiste una sfera del singolo autonoma rispetto alla sfera su cui si estende il potere pubblico, diventa uno dei cardini della concezione liberale dello Stato, che in que­ sto contesto può essere ridefinita come la piu consapevole, coerente, e storicamente rilevante, teoria del primato del pri­ vato sul pubblico . L' autonomia della sfera privata del singo­ lo rispetto alla sfera di competenza dello Stato viene assunta da Constant a emblema della libertà dei moderni contrappo­ sta alla libertà degli antichi, nel quadro di una filosofia della storia in cui l'esprit de commerce, che muove le energie indi­ viduali, è destinato a prendere il sopravvento sull'esprit de conquete, da cui sono posseduti i detentori del potere politi­ co, e la sfera privata si allarga a spese della sfera pubblica, se non proprio sino all'estinzione dello Stato, sino alla sua riduzione ai minimi termini . Riduzione che Spencer celebra nella contrapposizione fra società militari del passato e so­ cietà industriali del presente, intesa per l'appunto come con­ trapposizione fra società in cui la sfera pubblica prevale su quella privata e società in cui si dispiega il processo inverso . I l p r i m a t o d e l p u b b li c o . Il primato del pubblico ha assunto varie forme secondo i vari modi con cui si è manifestata soprattutto nell'ultimo secolo la reazione alla concezione liberale dello Stato ed è avvenuta la sconfitta storica, anche se non definitiva, dello S tato minimo . Esso si fonda sulla contrapposizione dell'in­ teresse collettivo all'interesse individuale, e sulla necessaria subordinazione, sino all'eventuale soppressione, del secon­ do al primo, nonché sulla irriducibilità del bene comune alla somma dei beni individuali, e quindi sulla critica di una del­ le tesi piu correnti dell'utilitarismo elementare. Assume va­ rie forme secondo il diverso modo con cui viene inteso l' en­ te collettivo - la nazione, la classe, la comunità del popo­ lo - in favore del quale l'individuo deve rinunziare alla pro­ pria autonomia . Non già che tutte le teorie del primato del pubblico siano storicamente e politicamente da mettere sul­ lo stesso piano, ma comune a tutte è l'idea che le guida, ri­ solvibile nel seguente principio: il tutto è prima delle parti . Si tratta di un'idea aristotelica e poi a distanza di secoli he­ geliana (di un Hegel che cita espressamente in questa circo-

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stanza Aristotele) , dell'idea secondo cui la totalità ha dei fini non riducibili alla somma dei fini dei singoli membri che la compongono e il bene della totalità una volta raggiunto si trasforma nel bene delle sue parti, o, con altre parole, il mas­ simo bene dei soggetti è l'effetto non del perseguimento, at­ traverso lo sforzo personale e l'antagonismo, del proprio bene da parte di ciascuno, ma del contributo che ciascuno insie­ me con tutti gli altri dà solidalmente al bene comune secon­ do le regole che la comunità tutta intera, o il gruppo dirigen­ te che la rappresenta (per finzione o in realtà) , si è imposte attraverso i suoi organi, siano essi organi autocratici od or­ gani democratici . Praticamente, il primato del pubblico significa l'aumento dell'intervento statale nella regolazione coattiva dei compor­ tamenti degli individui e dei gruppi infrastatali, ovvero il cam­ mino inverso a quell'emancipazione della società civile nei riguardi dello Stato che era stata una delle conseguenze sto­ riche della nascita, crescita, egemonia, della classe borghese (società civile e società borghese sono nel lessico marxiano e in parte anche hegeliano la stessa cosa) . Venendo a cadere i limiti all'azione dello Stato, i cui fondamenti etici erano stati trovati dalla tradizione giusnaturalistica nella priorità assiologica dell'individuo rispetto al gruppo, e nella conse­ guente affermazione dei diritti naturali dell'individuo, lo Stato è andato a poco a poco riappropriandosi dello spazio conqui­ stato dalla società civile borghese sino ad assorbirlo comple­ tamente nell'esperienza estrema dello Stato totale (totale ap­ punto nel senso che non lascia alcuno spazio al di fuori di sé) . Di questo riassorbimento della società civile nello Stato la filosofia del diritto di Hegel rappresenta insieme la tardi­ va presa di coscienza e la inconsapevole rappresentazione an­ ticipata: una filosofia del diritto che si riverbera in una filo­ sofia della storia in cui vengono giudicate epoche di deca­ denza quelle in cui si manifesta la supremazia del diritto pri­ vato, come l'età imperiale romana che si muove fra i due poli del dispotismo pubblico e della libertà della proprietà priva­ ta, e l'età feudale in cui i rapporti politici sono rapporti di tipo contrattuale, e non esiste di fatto uno Stato; al contra­ rio, epoche di progresso quelle in cui il diritto pubblico prende la rivincita sul diritto privato, come l'età moderna che assi­ ste al sorgere del grande Stato territoriale e burocratico.

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Due processi paralleli . Si è detto (pp. 1 6- q) che la distinzione pubblico/privato si duplica nella distinzione politica/economia, con la conse­ guenza che il primato del pubblico sul privato viene interpre­ tato come primato della politica sull'economia, ovvero dell'or­ dine diretto dall'alto sull'ordine spontaneo, dell' organizzazio­ ne verticale della società sulla organizzazione orizzontale. Pro­ va ne sia che il processo, apparso sino ad ora irreversibile, di intervento dei pubblici poteri nella regolazione dell'economia viene anche designato come processo di « pubblicizzazione del privato »: è un processo infatti che le dottrine socialisti­ che politicamente efficaci hanno favorito, mentre i liberali di ieri e di oggi, nonché le varie correnti del socialismo liber­ tario, sinora politicamente inefficace, hanno deprecato, e con­ tinuano a deprecare, come uno dei prodotti perversi di que­ sta società di massa, in cui l'individuo, come lo schiavo hob­ besiano, chiede protezione in cambio della libertà, a diffe­ renza del servo hegeliano destinato a diventare libero per­ ché lotta non per aver salva la vita ma per il proprio ricono­ scimento . Di fatto il processo di pubblicizzazione del privato è sol­ tanto una delle due facce del processo di mutamento delle società industriali piu avanzate . Esso è accompagnato e com­ plicato da un processo inverso che si può chiamare di « pri­ vatizzazione del pubblico » . Al contrario di quel che aveva previsto Hegel, secondo il quale lo Stato come totalità etica avrebbe finito per imporsi alla frantumazione della società civile, interpretata come « sistema dell'atomistica», i rapporti di tipo contrattuale, caratteristici del mondo dei rapporti pri­ vati, non sono stati affatto relegati nella sfera inferiore dei rapporti fra individui o gruppi minori, ma sono riemersi allo stadio superiore dei rapporti politicamente rilevanti, alme­ no sotto due forme: nei rapporti fra grandi organizzazioni sindacali per la formazione e il rinnovamento dei contratti collettivi, e nei rapporti fra partiti per la formazione della coalizione di governo . La vita di uno Stato moderno, in cui la società civile è costituita da gruppi organizzati sempre piu forti, è attraversata da conflitti di gruppo continuamente rin­ novantisi, di fronte ai quali lo Stato, come insieme di organi

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di decisione (parlamento e governo) e di esecuzione (l' appa­ rato burocratico) , svolge la funzione di mediatore e di ga­ rante piu che di detentore del potere d'impero secondo la raffigurazione classica della sovranità. Gli accordi sindacali o fra partiti sono di solito preceduti da lunghe trattative, ca­ ratteristiche dei rapporti contrattuali, e finiscono in un ac­ cordo che assomiglia ben piu a un trattato internazionale, con la inevitabile clausola « rebus sic stantibus », che non a un contratto di diritto privato le cui regcle per l'eventuale scioglimento sono stabilite dalla legge . I contratti collettivi rispetto ai rapporti sindacali, e le coalizioni di governo ri­ spetto ai rapporti fra partiti, sono momenti decisivi per la vita di quella grande organizzazione, o sistema dei sistemi, che è lo Stato contemporaneo, articolato al suo interno in organizzazioni semisovrane, quali le grandi imprese, le asso­ ciazioni sindacali, i partiti . Non a caso coloro che vedono nella crescita di questi potentati un attacco alla maestà dello Stato, parlano di nuovo feudalesimo, inteso propriamente come l'età in cui, per dirla con Hegel, il diritto privato pren­ de il sopravvento sul diritto pubblico e questa prevaricazio­ ne della sfera inferiore sulla superiore rivelerebbe un processo in corso di degenerazione dello Stato . I due processi, di pubblicizzazione del privato e di priva­ tizzazione del pubblico, non sono affatto incompatibili, e di fatto si compenetrano l'uno nell' altro. Il primo riflette il pro­ cesso di subordinazione degl'interessi del privato agl'interessi della collettività rappresentata dallo Stato che invade e in­ globa progressivamente la società civile; il secondo rappre­ senta la rivincita degli interessi privati attraverso la forma­ zione deigrandi gruppi organizzati che si servono dei pub­ blici apparati per il raggiungimento dei propri scopi. Lo Sta­ to può essere correttamente raffigurato come il luogo dove si svolgono e si compongono, per nuovamente scomporsi e ricomporsi, questi conflitti, attraverso lo strumento giuridi­ co di un accordo continuamente rinnovato, rappresentazio­ ne moderna della tradizionale figura del contratto sociale .

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4 · Il secondo significato della dicotomia. Pubblico o segreto .

r:ron bisogna confondere la dicotomia pubblico/privato sin . qm 11lustrata con la stessa distinzione, ove per 'pubblico' s'in­ tenda manifesto, aperto al pubblico, compiuto di fronte a sp�ttatori, e per 'privato' , all'opposto, ciò che si dice o si fa m una ristretta cerchia di persone, al limite, in segreto. Anche questa distinzione è concettualmente e storicamente rilevante, ma in un sistema concettuale e in un contesto sto­ rico diverso da quelli in cui s'inserisce la grande dicotomia. Tanto diverso che la grande dicotomia mantiene intera la sua validità anche quando la sfera del pubblico, intesa come la sfera di competenza del potere politico, non coincide neces­ sariamente con la sfera del pubblico, intesa come la sfera dove avviene il controllo da parte del pubblico del potere politi­ co. Concettualmente e storicamente il problema della pub­ blicità del potere è un problema distinto da quello della sua natura eli potere politico distinto dal potere dei privati: il po­ tere politico è il potere pubblico nel senso della grande dico­ tomia anche quando non è pubblico, non agisce in pubblico, si nasconde al pubblico, non è controllato dal pubblico. Con­ cettualmente, il problema della pubblicità del potere è sem­ pre servito a mettere in evidenza la differenza fra le due for­ m� eli governo, la repubblica caratterizzata dal controllo pub­ blico del potere e nell'età moderna dalla libera formazione di un'opinione pubblica, dal principato, il cui metodo di go­ verno contempla anche il ricorso agli arcana imperii, cioè al segreto di Stato che in uno Stato di diritto moderno è previ­ sto soltanto come rimedio eccezionale; storicamente, lo stesso problema contraddistingue un'epoca di profonda trasforma­ zione dell'immagine dello Stato e dei rapporti reali fra so­ vrano e sudditi, l'epoca della nascita del « pubblico politico» nel senso illustrato da Habermas, in cui cioè la sfera pubbli­ ca politica acquista un'influenza istituzionalizzata sul governo attraverso il corpo legislativo, e acquista tale influenza per­ ché «l'esercizio del dominio politico viene effettivamente sot­ toposto all'obbligo democratico di pubblicità » [ 1 964, trad. it. p. 53l

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P u b b l i c i t à e p o t e re i n v i s i b i l e . La storia del potere politico inteso come potere aperto al pubblico si può far cominciare da Kant il quale considera come «formula trascendentale del diritto pubblico » il principio se­ condo cui « tutte le azioni relative al diritto di altri uomini la cui massima non è conciliabile con la pubblicità, sono in: giuste » [ 1 796, trad. it. p . 3 3 0] . Il significato di questo prin­ cipio si chiarisce quando si osservi che vi sono massime che una volta rese pubbliche susciterebbero tale reazione da ren­ dere impossibile la loro attuazione. Quale Stato potrebbe di­ chiararè, apponendo la firma a un trattato internazionale, che non si ritiene vincolato alla norma che i patti debbono esse­ re osservati? Con un riferimento alla realtà che abbiamo con­ tinuamente sotto gli occhi, quale funzionario potrebbe di­ chiarare, assumendo l'ufficio, che egli se ne servirà per trar­ ne un profitto personale, o per sovvenzionare nascostamen­ te un partito, o per corrompere un giudice che deve giudica­ re un suo parente? Il principio della pubblicità delle azioni di chi detiene un potere pubblico (qui 'pubblico' nel senso di 'politico') si con­ trappone alla teoria degli arcana imperii, dominante nell'età del potere assoluto. Secondo la quale il potere del principe è tanto piu efficace, e quindi conforme allo scopo, quanto piu è nascosto agli sguardi indiscreti del volgo, quanto piu è, al p ari di quello di Dio, invisibile. Due argomenti princi­ pali sostengono questa dottrina: uno intrinseco alla natura stessa del sommo potere, le cui azioni possono avere tanto piu successo quanto piu sono rapide e imprevedibili: il con­ trollo pubblico, anche soltanto di un'assemblea di notabili rallenta la decisione e impedisce la sorpresa; l'altro, derivat� dal disprezzo del volgo, considerato come oggetto passivo, come la « bestia selvaggia » che deve essere addomesticata, dominato com'è da forti passioni che gl'impediscono di for­ marsi un'opinione razionale del bene comune, egoista dalla vista corta, facile preda dei demagoghi che se ne servono per il loro esclusivo profitto. L'indivisibilità e quindi l'incontrol­ labilità del potere erano assicurate, istituzionalmente, dal luo­ go non aperto al pubblico in cui venivano prese le decisioni politiche (il gabinetto segreto) e dalla non pubblicità delle

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medesime decisioni, psicologicamente, attraverso la liceità professata e riconosciuta della simulazione e della dissimula­ zione come principio dell'azione dello S tato in deroga alla legge morale che proibisce di mentire . I due espedienti, quello istituzionale e quello psicologico, sono complementari, nel senso che si rafforzano l'uno con l'altro: il primo autorizza il sovrano a non far sapere in anticipo quali decisioni pren­ derà e a non farle conoscere dopo che le ha prese; il secondo lo autorizza a nascondere la decisione presa, cioè a dissimu­ lare, oppure a presentarla in modo diverso, cioè a simulare . Naturalmente, là dove è invisibile il potere, è costretto a ren­ dersi invisibile anche il contro-potere: di conseguenza alla se­ gretezza della camera di consiglio fa riscontro la congiura di palazzo tramata di nascosto negli stessi luoghi dove si nascon­ de il potere sovrano. Accanto agli arcana imperii gli arcana seditionis. Mentre il principato nel senso classico della parola, la mo­ narchia di diritto divino, le varie forme di dispotismo, esi­ gono l'invisibilità del potere e in vario modo la giustificano, . la repubbhca democratica res publica non solo nel senso pr?prio d�lla parola, ma anche nel senso di esposta al pub­ blico - es1ge che il potere sia visibile: il luogo dove si eser­ cita il potere in ogni forma di repubblica è l'assemblea dei cittadini (democrazia diretta) dove il processo di decisione è in re ipsa pubblico, come accadeva nell'agorà dei Greci; là dove l' assemblea è la riunione dei rappresentanti del popo­ lo, e quindi la decisione sarebbe pubblica soltanto per costo­ ro e non per tutto il popolo, le riunioni dell' assemblea deb­ bono essere aperte al pubblico in modo che qualsiasi cittadi­ no possa accedervi . C ' è chi ha creduto di poter cogliere un nesso fra principio di rappresentanza e pubblicità del pote­ re, come C ari Schmitt, secondo il quale « la rappresentanza può aver luogo soltanto nella sfera della pubblicità » e « non c'è alcuna rappresentanza che si svolga in segreto e a quat­ tr'occhi », onde « un parlamento ha carattere rappresentati­ vo solo in quanto si crede che la sua attività sia pubblica» [ 1 9 2 8 , p . 208] . Sotto quest'aspetto è essenziale alla demo­ crazia l'esercizio dei vari diritti di libertà, i quali permetto­ no il formarsi dell'opinione pubblica, e assicurano in tal modo che le azioni dei governanti vengano sottratte alla segretez­ za della camera di consiglio, snidate dalle sedi occulte in cui -

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cercano di sfuggire agli occhi del pubblico, vagliate, giudica­ te e criticate quando sono rese note . Come al processo di pubblicizzazione del privato si affian­ ca, non mai concluso una volta per sempre, il processo in­ verso di privatizzazione del pubblico, cosf la vittoria del po­ tere visibile su quello invisibile non è mai compiuta del tut­ to: il potere invisibile resiste all'avanzata di quello visibile, inventa modi sempre nuovi per nascondersi e per nasconde­ re, per vedere senza essere visto. La forma ideale del potere è quella del potere che viene attribuito a Dio, l' onniveggen­ te invisibile . Gli arcana imperii si sono trasformati nel segre­ to di Stato che nella legislazione di un moderno Stato di di­ ritto si concreta nel punire la pubblicazione di atti e docu­ menti riservati; peraltro con questa sostanziale differenza, che contro l'arcanum, considerato come strumento essenzia­ le del potere, e quindi necessario, il segreto di Stato è legit­ timato soltanto nei casi eccezionali previsti dalla legge. Pari­ menti non è mai venuta meno la pratica del nascondimento attraverso l'influenza che il potere pubblico può esercitare sulla stampa, attraverso la monopolizzazione dei mezzi di co­ municazione di massa, soprattutto attraverso l'esercizio spre­ giudicato del potere ideologico, essendo la funzione delle ideo­ logie quella di coprire con veli o coltri le reali motivazioni che muovono il potere, forma pubblica e lecita della [ ! 9 3 2 , pp. r 5 r 8- r 9] . Per chiarire questa definizione è utile l'esempio storico che Gram­ sci ha in mente quando parla di egemonia contrapponendola al dominio diretto: l'esempio è la Chiesa cattolica intesa come « l'apparato di egemonia del gruppo dirigente, che non ave­ va un apparato proprio, cioè non aveva una propria organiz­ zazione culturale e intellettuale, ma sentiva come tale l'or­ ganizzazione ecclesiastica universale » [ r930-32b, p. 763]. Non diversamente da Marx anche Gramsci considera le ideologie parte della sovrastruttura, ma diversamente da Marx che chia­ ma società civile l'insieme dei rapporti economici costituen­ ti la base materiale, chiama società civile la sfera in cui agi­ scono gli apparati ideologici il cui compito è di esercitare l'e­ gemonia e, attraverso l'egemonia, di ottenere il consenso. Non già che Gramsci abbandoni la dicotomia base/sovrastruttu­ ra, per sostituirla con quella società civile / Stato. Egli ag­ giunge la seconda alla prima e rende cosf il suo schema con­ cettuale piu complesso. Per rappresentare la contrapposizio­ ne tra momento strutturale e momento sovrastrutturale si ser­ ve abitualmente di queste coppie: momento economico j mo­ mento etico-politico, necessità/libertà, oggettività/soggetti­ vità. Per rappresentare la contrapposizione fra società civile e Stato, si serve di altre coppie: consenso/forza, persuasio­ ne/coercizione, morale/politica, egemonia/dittatura, direzio­ ne/dominio. Si osservi che il momento economico si contrap­ pone, nella prima dicotomia, al momento etico-politico. Eb­ bene, la seconda dicotomia può essere considerata come lo scioglimento della dualità implicita nel secondo momento della prima: la società civile rappresenta il momento dell'eticità, attraverso cui una classe dominante ottiene il consenso, ac­ quista, con linguaggio di oggi che Gramsci non usa, legitti­ mità; lo Stato rappresenta il momento politico strettamente

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inteso attraverso cui viene esercitata la forza non meno ne­ cessar ia del consenso alla conservazione del potere, almeno sino a quando il potere sarà esercitato da una classe ris �retta _ c non dalla classe universale (che lo eserclta attraverso d suo partito, il vero protagonista dell'egemonia). A q� esto punt? si può osservare che i�c� nsa� evo m: nt e �ramso re�u�era 11 _ significato giusnaturalistlco dt soc�eta ovile come socteta on­ data sul consenso. Con questa dtfferenza: che nel pensiero oiusnaturalistico per cui la legittimità del potere politico di­ ende dall'esser ; fondato sul contratto sociale, la �ocietà del consenso per eccellenza è lo Stato, mentre nel penster� gram­ sciano la società del consenso è soltanto quella destmata a sorgere dall'estinzione dello Stato.







3. Il sistema hegeliano.

Quando Marx scrive che era arrivato alla scoperta della _ società civile sottostante alle istituzioni politiche studtando Hegel e identifica la società civile con la sfera dei rapPorti economici, dà una interpretazione parziale della catego�1_ � he­ geliana della società civile e la tra smette � tutta la tra tztone _ hege tan della soctet, Cl­_ dello hegel-marxismo. La categona � � vile alla cui chiara formulazione e denommazwne Hegel gmn­ ge soltanto nell'ultima fase del suo pensiero, nei Lineamenti . di filosofia del diritto [ r 8zr], è be� altn_ �� n� 1 1._'1_ �/ c? mplessa _ , e proprio per la sua complesslta dt en pm dt flc�le mterpre­ _ tazione. Come momento intermediO della etlclta, posto tra la famiglia e lo Stato, permette la costruzi? n� d � no schema triadico che si contrappone ai due modelli dtadto preceden­ ti, quello aristotelico basato sulla dicoto� a fami�lia/Stato . da czvztas _ cor­ (societas domestica / societas civilis, dove czvzlzs _ risponde esattamente a 1toÀm:x.6ç da 7t6Àtç) e quello gllls� atu­ . ralistico basato sulla dicotomia stato di natura / stato c!Vtle. Rispetto alla famiglia essa è già una forma incompiuta di Stato, lo « Stato dell'intelletto »; rispetto allo Stato, non è ancora lo Stato nel suo concetto e nella sua piena realizzazione sto­ rica. La sezione della società civile è divisa nelle lezioni ber­ linesi in tre momenti, il sistema dei bisogni, l' ammi� istra­ zione della giustizia, la polizia (insieme con la corporaziOne! : la sfera dei rapporti economici è ricoperta soltanto dal pn-













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ma, _mentr� il secondo e il terzo momento comprendono parti _ trad1z10nali della dottrina dello Stato. La interpretazione della società civile hegeliana come il luog? la cui anatomia è da cercare nell'economia politica è _ alla comprensione del genuino pensiero di parztale e nspetto Hegel fuorviante. Quale sia stato il genuino pensiero di Be­ gel, nella costruzione della sezione della società civile è con­ troverso: si è ritenuto da al �uni che sia stata concepi;a come _ d1_ categona _ restduo dove dopo diversi tentativi u�a. specie _ �l ststem�zl�me della materia tradizionale della filosofia pra­ tica durati c1rca vent'anni Hegei ha finito di racchiudere tutto quello che non poteva essere fatto rientrare nei due momen­ ti ben delimitati, e accolti in una sistematica consolidata da s,�coli, della �amiglia e dello Stato. La piu grave difficoltà del­ l mterpreta�tone sta nel fatto che la maggior parte della se­ _ zwn � è dedtc�ta n ?n all'analisi dell'economia politica ma a d ue unportantt capitoli della dottrina dello Stato, riguardanti r�_spett:v�mente, per esprimersi con parole di oggi, la funzione _ _ amministrativa (sotto il nome allo­ e la funzwne gmd1z1ana ra corr�nte di S ta�o di polizia) . Come mai Hegel, che pur fa culmmare la sezwne della eticità nello Stato, cioè in una trattazione di diritto pubblico, la fa precedere da una sezio­ n� in cui tratta due materie cosi importanti per la delinea­ Zione dello S tato nel suo complesso come l' amministrazione del�a giustizia e �o Stato amministrativo? La partizione he­ gehana, pur contm��ndo ad essere difficilmente intelligibile alla luce della tradtztone precedente e anche dei successori può essere compresa, o per lo meno può sembrare meno sin� golare, se si pone mente al fatto che societas civilis che in tedesco diventa biirg�rliche Gesellschaft, aveva signifi�ato per se�oh_ e certamente smo a Hegel (cfr. § 4) lo Stato nella du­ plice contrapposizione sia alla famiglia nella tradizione ari­ s to �elica, �ia allo stato di natura nella tradizione giusnatura­ _ a. C _ o che differenzia la società civile di Hegel da quellistlc � la de1_ suot predecessori non è affatto il suo arretramento verso la società pre-statale, arretramento che avverrà solo con Marx quanto la sua identificazione con una forma statale si m � �mperfetta. Anziché essere, come è stata interpretat� d/poi, tl momento che precede la formazione dello S tato la società civile hegeliana rappresenta il primo momento d�lla forma­ zione dello S tato, lo S tato giuridico-amministrativo, il cui

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( ompito è d i regolare rappor� i esterni, mer: tre lo S� ato yro� priamente detto rappresenta tl momento ettc? -po�_ t1co, il cu1 , 0mpito è di attuare l' adesione intima del ct� tadmo alla to1 alità di cui fa parte, tanto che Sl_ potrebbe ch� ama�e lo S : ato interno o interiore (lo Stato in interiore homme dt Genttle) . Piu che una successione tra fase pre-statale e fase statale del­ l' eticità la distinzione hegeliana fra società civile e Stato rap­ present� la distinzione tra uno Stato inferiore e uno Stato superiore . Mentre lo Stato superiore è caratterizzato dalla costituzione e dai poteri costituzionali, quali il potere mo­ narchico, il potere legislativo e quell� g? v� r��tivo, lo ? tat? inferiore opera attraverso due poten gmndtCl sub�rdmatl � _ _ che sono il potere giudiziario e il potere ammmtstra � tvo. _D�1 quali, il primo ha il compito pre:r alen�emente negativo d� �1rimere i conflitti d'interesse e dt repnmere le offese al dt�lt­ to stabilito; il secondo, di provvedere all'utilità c� m�ne, � n­ tervenendo nella sorveglianza dei costumi, nella dtstnbuzto­ ne del lavoro, nell'educazione, nel soccorso dei poveri, in tutte le attività che contraddistinguono il Wohlfahrt-Staat, lo Sta­ to che provvede al benessere est�rno dei s�� i . sudditi. _ . czvzlzs della tradi­ Che il richiamo al significato dt soczetas zione per una giusta comprensione dell� società civile hege­ liana non sia arbitrario, può essere ultenormente prov�to dal significato anche polemico che q�esto mome�to dello sviluppo dello spirito oggettivo ha nel ststema hegehan� . Le � atego­ rie hegeliane hanno sempre, oltre che una funzwne sistema­ tica anche una dimensione storica: sono nello stesso tempo par ;i fra loro interconnesse di una concezione globale della realtà e figure storiche. Si pensi, per fare un'es� mpio, ali? stato di diritto (Rechtszustand) della Fenomenologza dello spz­ rito (Phdnomenologie des Geistes, r 8o7) che rappres�� ta, con­ cettualmente, la condizione in cui vengono esaltati t rappor­ ti di diritto privato, storicamente, l'impero romano. D�l re­ sto che la società civile sia nel sistema hegeliano una ftgura sto�ica è dallo stesso Hegel piu volte affermato, là dove è detto �he gli Stati antichi, sia quelli dispotici dell'Oriente immobile sia quelli delle città greche, non contenevano . nel loro seno una società civile e che « la scoperta della socteta, civile appartiene al mondo moderno » [r82 I , trad. it. p. 3?6]; Per H e gel l'errore di coloro che ha� n� scop erto la socteta _ anche pocivile - e in questo rimprovero sta tl stgmflcato

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lemico della collocazione di questa figura non alla fine del proc esso dello Spirito oggettivo ma in una posizione subor­ dinata allo Stat o nella sua pienezza - sta nell' aver creduto di esaurire in essa l'ess enza dello Stat o. Perc iò la società ci­ vile non è soltanto una forma inferiore di Stat o nell'insieme del sistema ma rappresenta anche il concetto di Stato cui si so_no arres tati g� scrittori politici e i giuristi del diritto pub­ blico precedenti, e che si potrebbe chiamare privatistico nel sens o che la sua principale cura è quella di dirim ere i conflit­ ti d 'interesse che sorgono nei rapporti fra privati attraverso l'amministrazione della giustizia e succ essiv amente quella di curare il benessere dei cittadini difendend oli dai danni che poss ono provenire dal lasciar libero sfogo al particolarismo egoistico dei singoli. Dietro questa concezion e restrittiva della società civile rispetto allo Stato tutto spiegato, si può intra­ vedere un'allusione sia alla teoria lockiana dello Stat o per cui lo Stato sorge unicamente per impedire la giustizia privata P!opria d ello stato di natura dove non c'è un giudizio impar­ Ziale al di_ sopra delle part i, e per protegge re la proprietà in­ tesa come un diritto naturale, sia alla teor ia dello Stato eu­ demonistico propria dei fautori dell' assolutis mo illuminato che si assume anche il compito di provvede re al benesser� dei sudditi ma non si eleva mai al di sopr a di una concezione individualistica della compagine sociale. Hegel non ignora­ :'a che lo Stato eudemonistico era stato già criticato da Kan t, 11 qual e peraltro lo avev a respinto in nom e dello Stat o di di­ ritto, il cui ambito di azione è limitato alla garanzia delle li­ bertà individuali, su una strada che prosegui va quella di Locke e non anticipava la concezione organica con cui soltanto si sarebbe potu to elevare lo Stato alla sfer a dell' etici tà. La ra­ gion e infine per cui Heg el ha post o il conc etto di Stato al �i sopra del concetto cui si erano arrestati i suoi predecesso­ n, deve essere cerc ata nell' esige nza di dare una spiegazione del perché allo Stato si riconosca il diritto di chiedere ai cit­ tadini il sacrificio dei loro beni (attraverso le imposte) e della stess a vita (quando dichiara la guerra), una spieo-azione che invano si chiede alle dottrine contrattualisti che in �ui lo Stato nasce da un accordo che gli stess i contraen ti possono scio­ gliere qu�r:d� loro conviene, e alle dottrine eudemonologi­ _ che 111 cm 1l fme supremo dello Stato è il benessere dei sud­ diti. In ultima istan za ciò che caratterizza lo Stat o rispetto

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SOCIETÀ CIVILE

:dia società civile sono i rapporti che solo lo Stato, e non la �;ocietà civile, intrattiene con gli altri Stati, tanto è vero che _ _ In Stato, non la società civile, è il soggetto della s �ona um­ _ vcrsale con cui si conclude il movimento dello Spmto ogget­ l i vo. 4·

La tradizione giusnaturalistica.

L'uso hegeliano di società civile per St � to, s: pure per una _ _ _ !orma inferiore di stato, corrisponde al s1gmhcato tradizio­ llale di societas civilis, dove civilis da civitas è sinonimo di 1t0 Àt--ctx6ç da 1tOÀLç; e traduce esattamente l' espressio?-� xo:vw� (a JtoÀmx-f}. Con essa Aristotele all' inizio d� a Po!ztzca 111d1ea _ _ la 1tOÀLç o città, il cui carattere d1 comumta 1?d1pendent; e _ autosufficiente, ordinata in base a una costituzione (1toÀm.L · 1 • 1 1 1 1 1 1 Jl dibattito sul rapporto fra giustizia e forza, in cui , , .. , ,,., , ivamente Socrate e Rousseau respingono la tesi del «di­ ' 1 1 1 " 1 lt·l p ili forte ». Anche Rousseau ricorre all'esempio del l • 1 1 1 '. : 1 1 1 / l' : « Se un brigante mi sorprende in mezzo ad un bo­ 1 11 1 1 1 solo dovrò dargli la borsa per forza, ma anche quando 1 '" 1 1 - : : :: i 1 wsconderla sarei obbliga t o in coscienza a dargliela? l ', · 1 l H·. i 11fine anche la pistola che egli ha in mano è un pote1 • -- ! 1 ; (> 2 , trad. it. p. r 4 l Quando Bodin deve definire lo · " · ' ' " lo definisce « il governo giusto [in francese droit, in la­ I l i i l i f, ·.r�ilimus] che si esercita . . . » [ 1 5 7 6 , trad. it. p. 1 59] . Lo , , : . : . 1 1 l lobbes afferma che per la sicurezza dei sudditi, che , 1 l i 1 1 c supremo dello Stato, e quindi della istituzione del 1 ' " ' n (quando ' tirannia' venga assunta nella accezione non l 1 " " dp,ovcrno, come nell'antichità classica, ma di usurpazione l 1 l " ' ' ' Tt · ) : una distinzione che importa conseguenze rilevanti 1 1 · · l " · 1 1 1 ' al problema dell'obbligo politico, sf che lo stesso Hob­ I " . . 1 1 -mico dell'obbedienza assoluta, afferma che l'usurpa­ ' · •l • - . 1 ioi:� il principe illegittimo, deve essere trattato come ' •

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La ricorrente considerazione secondo cui il supremo po­ tere che è il potere politico, debba avere anche una giustifi­ cazi�ne etica (o, che è lo stesso, un fondamento giuridico) ha dato luogo alla varia formulazione di principi di legitti­ mità cioè dei vari modi con cui si è cercato di dare una ra­ gion� , rispetto a chi detiene il potere, di comandare, e a chi lo subisce, di ubbidire: ciò che Gaetano Mosca chiamò con una espressione fortunata la « formula politica » spiegando che « è accaduto sinora in tutte le società discretamente numero­ se ed appena arrivate ad un certo grado di coltura, che la classe politica non giustifica esclusivamente il suo potere solo col possesso di fatto, ma cerca di dare ad esso una base morale ed anche legale, facendolo scaturire come conseguenza ne­ cessaria di dottrine e credenze generalmente riconosciute ed accettate nella società che essa dirige » [r 896, ed. 1 9 2 3 p . r o8]. D i formule politiche Mosca ne riconosceva esclusi­ vamente due, quella che fa derivare il potere dall' autorità di Dio e quella che lo fa derivare dall' autorità del popolo. Pur considerandole mete finzioni riteneva che corrispondes­ sero a un bisogno reale, al bisogno di governare e di sentirsi governati « non sulla sola base della forza materiale ed int�l­ lettuale, ma anche su quella di un principio morale » [ibid. , p . r r ol I vari principi di legittimità. In realtà i principi di legittimità adottati di volta in volta nella storia non sono soltanto i due indicati da Mosca. Sen­ za alcuna pretesa di completezza se ne possono distinguere almeno sei, che si richiamano a coppie antitetiche a tre gran­ di principi unificatori, la Volontà, la Natura, la S toria. I due principi di legittimità che si richiamano a una volontà supe­ riore sono quelli ricordati da Mosca: i governanti ricevono il loro potere dalla volontà di Dio oppure dalla volontà del popolo. La formula classica di questo tipo di legittimazione è quella hobbesiana: « Non la ragione, l'autorità fa la legge ». Ma qual è la fonte ultima dell'autorità? In una concezione discendente del potere (concepita la struttura di potere come una piramide il potere scende dal vertice alla base) l'autorità ultima è la volontà di Dio. In una concezione ascendente (se­ condo cui il potere sale dalla base al vertice), l' autorità ulti-

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n:a è la volontà del pop o o . Finzione per finzione i due prin­ A _ vengono in alcune dottrine raffor­ Clp � er quanto· ,antltetici zati l uno con l altro: vox populi vox Dei. Alle dottrine vo­ lontaristiche si sono sempre opposte le dottrine naturalisti­ che che hanno dato origine alle varie forme di diritto natu­ rale. Anche que � te �i sono presentate in due versioni appa­ rentemente antitetiche: la natura come forza originaria xpchoç, secondo la pr�valent� concezione classica del potere e l a nat�1:a come ordme razwnale per cui la legge di natura __ �I Identific � con la le�ge della ragione secondo la prevalente mterpretazi �ne �el gmsnaturalismo moderno. Fare appello a!la natura SI�n�_ hca, p er fondare il potere, nella prima ver­ swne, che 11_ dmtto di comandare degli uni e il dovere di ub­ bidire degli altri deriva dal fatto ineluttabile che vi sono na­ turalmente, e quindi indipendentemente dalla volontà uma­ na, forti e deboli, sapienti e insipienti, ovvero individui e anc?e pop�li int� r atti a comandare e individui e popoli ca­ pacI solo di ubbidire. Fare appello alla natura come ordine _ razwnale � i�nifi�a . invece fondare il potere sulla capacità del sovran o di ident�hcare e applicare le leggi naturali che sono le legg:_ della rag�one. Per Locke il principale dovere del go­ verno e quello di rendere possibile mediante l'esercizio del potere coatt vo l' os �ervanza delle leggi naturali per il rispet­ to d �ll� quah non �l sare be isogno di alcun governo se gli uomm1 f ?sser? tutti essen ragiOnevoli . Poiché gli uomini non sono razwna I, Locke ha bisogno del consenso per fondare lo Sta t� , ma 1l consenso stesso, ovvero l' accordo necessario per uscite dallo stato di nat �ra e per istituire il governo civi­ le, e, pur sempre un atto raziOnale. Non vi è piu bisogno del consens � soltanto là dove è razionale il principe stesso che governa m conformità delle eggi della natura rivelategli dai competenti:_ a questo punto Il governo della natura la fisio­ c :azia, si s stituisce compl � tamente al governo de li uomi­ m. An�he l appello alla Stona ha due dimensioni secondo che la stona da a cui autorità si cerca di trarre la legittimazione del potere sia quella passata o quella futura. Il richiamo alla storia passata i �ti tuisce come principio di legittimazione la _ forza della tradizione e sta quindi alla base delle teorie tra­ l p�tere secondo le quali sovrano legittimo izion alistiche d� . e co m che esercita Il potere da tempo immemorabile. An­ che 1l potere di comandare si può acquistare, in base a un



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principio generale d i diritto, i n forza dell'uso protrattosi nel tempo, come si acquista la proprietà o qualsiasi altro diritto. Nelle sue Reflections on the Revolution in France [1 790], Ed­ mund Burke ha enunciato la teoria della prescrizione storica che giustifica il potere dei re (donde non a caso nascono le pretese legittimistiche dei sovrani spodestati) contro le pre­ tese eversive dei rivoluzionari. Mentre il riferimento alla storia passata costituisce un tipico criterio per la legittimazione del potere costituito, il riferimento alla storia futura costituisce uno dei criteri per la legittimazione del potere costituendo. Il nuovo ordinamento che il rivoluzionario tende ad impor­ re scardinando il vecchio può essere giustificato in quanto lo si rappresenti come una nuova tappa del corso storico, una tappa necessaria, inevitabile, e piu avanzata assiologicamen­ te, rispetto alla precedente. Un ordinamento che non esiste ancora, che è in fieri, non può trovare la sua fonte di legitti­ mazione se non post factum. Il conservatore ha una conce­ zione statica della storia: è bene ciò che dura. Il rivoluziona­ rio una concezione dinamica: è bene ciò che cambia corri­ sp ndentemente al moto, predeterminato e finalmente com­ preso, del progresso storico . Entrambi pretendono di essere nella storia (rappresentano due posizioni storicistiche) : ma il primo ritiene di rispettarla accettandola, il secondo antici­ pandola (e magari sollecitandola) . Il dibattito sui criteri di legittimità non ha soltanto un va­ lore dottrinale: al problema della legittimità è strettamente connesso quello dell'obbligo politico, in base al principio che l'obbedienza è dovuta soltanto al comando del potere legit­ timo. Dove finisce l'obbligo di obbedire alle leggi (l'obbe­ dienza può essere attiva o soltanto passiva) comincia il dirit­ to di resistenza (che può essere a sua volta soltanto passiva o anche attiva) . Dipende dal criterio di legittimità che viene di volta in volta assunto il giudizio sui limiti dell'obbedien­ za e sulla liceità della resistenza. Un potere che in base a un criterio viene affermato come legittimo, in base a un altro può essere considerato illegittimo. Dei sei criteri sopra elen­ cati alcuni sono piu favorevoli al mantenimento dello status quo, ovvero stanno ex parte principis, altri sono piu favore­ voli al mutamento, ovvero stanno ex parte populi. Da una par­ te, il principio teocratico, l'appello alla natura come forza ori­ ginaria, la tradizione; dall' altro, il principio democratico del



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consenso, l' appello alla natura ideale, il progresso storico. Chi guardi ai movimenti di resistenza, nel senso piu largo della Parola, del mondo d'oggi, non tarderà ad accorgersi della per­ . slstenza di questi criteri: contro un governo dispotico, con­ tro una potenza coloniale o imperialistica, contro un sistema e ��nomi�o o politico considerato ingiusto ed oppressivo, il dmtto d1 resistenza o di rivoluzione viene giustificato ora a:traverso il r�c ia:no alla volontà popolare conculcata, e quin­ di alla necessita d1 un nuovo contratto sociale, ora al diritto n �t �ra!e all'autodeterminazione che vale non solo per gli in­ d!vl Ul m a anch� per i popoli, ora alla necessità di travolge­ re c10 che e, condannato dalla Storia e di immettersi nell'al­ veo del divenire storico che procede inesorabilmente verso nuove e piu giuste forme di società.





L e g i t t i m i t à ed e f f e t t i vi t à . Con 1 ' avvento del positivismo giuridico il problema della legittimità è stato completamente rovesciato. Mentre secon­ do tutte le teorie precedenti il potere deve essere sostenuto da q� al�h � ?i� stificazi�ne etica per poter durare, e quindi I� e �1t �1m1ta e necessana per la effettività, con le teorie po­ . SltlvlstiChe s1 va facendo strada la tesi che solo il potere ef­ fettivo è legittimo: effettivo nel senso del principio di effet­ ti_vità del diritto internazionale, secondo cui, con le parole d1 Kelsen che ne è stato uno dei piu autorevoli sostenitori