Santa Maria della Scala. Archeologia e edilizia sulla piazza dello Spedale (Biblioteca di archeologia medievale #7)
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Zitiervorschau

Presentazione Può forse sembrare superfluo ribadire ancora una volta quanto grande sia nel nostro Paese il divario tra la eccezionale dimensione del patrimonio storicoartistico —risultato di millenarie vicende— e la scarsità dei mezzi che le dissestate finanze pubbliche mettono a disposizione per la sua salvaguardia e valorizzazione. È tuttavia da sottolineare come appunto in questo contesto sia da inquadrare, quale recente manifestazione di una lunga tradizione di interventi, l'impegno del Monte dei Paschi di Siena nel contribuire ad avviare a soluzione il problema di una idonea destinazione del vastissimo complesso edilizio dell'antico Spedale di Santa Maria della Scala, ormai pressoché liberato dalla vocazione ospedaliera. In collaborazione con il Comune di Siena, titolare dell'immobile, e con altre pubbliche istituzioni, il Monte dei Paschi è infatti entrato a far parte del Comitato permanente per il recupero dello Spedale e si è assunto gli oneri per il conferimento dell'incarico della progettazione di massima per il riutilizzo dell'immobile: supporto indispensabile per la tutela di un patrimonio culturale appartenente a una città le cui attuali risorse non sono ormai più a misura del retaggio lasciato da un incomparabile passato. A tale riguardo, come necessaria premessa perché la storica vicenda dello Spedale potesse essere inquadrata nel contesto ambientale nel quale essa si è manifestata, è stato promosso lo scavo archeologico affidato al Prof. Riccardo Francovich dell'Università di Siena e ai suoi collaboratori, dei cui risultati la presente pubblicazione dà esauriente conto. Uno scavo, questo, che si propone di esemplare significatività, con applicazione di metodologie giudicate indispensabili dalla moderna scienza storica a fianco delle tradizionali fonti documentarie, e che si qualifica pertanto come essenziale passo per la rivisitazione non solo delle vicende dell'istituzione ospedaliera, ma di una importante area nel cuore stesso di Siena. Che è città legata nella sua storia alla attività del millenario edificio, oggi all'alba di una seconda vita quale centro di memorie e di studi, che negli auspici trascenderanno i pur vasti confini della civiltà senese. Ben volentieri quindi il Monte dei Paschi si unisce agli altri promotori nel presentare questo pregevole contributo di conoscenza, nella convinzione di quanto la consapevolezza delle proprie radici e degli svolgimenti del

proprio maturarsi attraverso i tempi sia fattore di crescita culturale e di civile progresso per una socetà autenticamente avanzata.

Vittorio Mazzoni della Stella Vice Presidente del Monte dei Paschi di Siena

Premessa Per la prima volta si è scelto di intervenire su una parte non irrilevante di questa città —nel suolo e sull'edificato di una struttura assolutamente eccezionale per complessità costruttiva ed impatto formale sull'ambiente circostante— con metodo rigorosamente stratigrafico, dando ad ogni lembo di terra o frammento di muratura il significato di documento storico e abolendo le distinzioni di valore fra periodi —etrusco, romano, medievale e moderno— e strutture diverse. Insieme ai risultati di questa ricerca si cominciano ad intravedere nuovi strumenti —forse anche istituzionali— che possono aiutare a superare l'impasse dato dall'inadeguatezza o parzialità delle fonti scritte, ancorché particolarmente numerose e ben conservate, nel ricostruire alcuni aspetti della storia della piazza dello Spedale e dell'intera città. Solo con l'archeologia si può comprendere e salvaguardare il potenziale informativo contenuto nel deposito archeologico della città, sotto e sopra il livello del suolo. Le tecniche e le conoscenze che sono state sperimentate sul cantiere di scavo, costituiscono un prezioso patrimonio da utilizzare allorché si intraprenda un proficuo rapporto di collaborazione per la 'registrazione' delle evidenze materiali della città, nella prospettiva della ricomposizione delle informazioni e dello studio, senza steccati disciplinari, dell'intero centro storico di Siena. La salvaguardia del patrimonio edilizio esistente, cui il nuovo PRG ha dedicato una particolare attenzione, non si ottiene automaticamente e senza la conoscenza e la tutela della parte invisibile del deposito archeologico. È un limite che occorre superare. Se non si tutelano le informazioni stratificate sopra e sotto il suolo, sopravvissute alle distruzioni dei decenni passati, riconoscendole e studiandole come grande deposito storico, non potrà mai essere scritta la storia dello sviluppo urbano di Siena, dalle origini fino ai nostri giorni.

Pierluigi Piccini Sindaco di Siena

Una parte per il tutto. Le vicende costruttive della facciata dello Spedale e della piazza antistante 1. Premessa La convinzione che tutte le azioni che hanno portato alla definizione attuale della struttura architettonica, abbiano avuto un riflesso nella documentazione scritta aleggia, come uno spettro o come fondamento del processo euristico, sulle vicende costruttive dei grandi 'monumenti' del nostro passato più recente. L'esperienza maturata nel campo archeologico ci insegna che, purtroppo, non è sempre così. Le fonti archivistiche documentano solo una frazione del processo costruttivo (e comunque, ben altre potenziali informazioni sono contenute negli atti scritti, che la semplice 'datazione' del processo edilizio). A questa situazione possiamo aggiungere che il processo di maturazione formale del prodotto architettonico non è sempre assimilabile ad un processo continuo: nella realtà si incontrano attardamenti e ripensamenti, ripiegamenti ed arcaismi voluti e cercati. Insomma, le vicende costruttive sono assai più complesse di quanto possa apparire ad uno spoglio, anche accurato, delle fonti archivistiche o ad una lettura attenta agli aspetti estetico-formali dell'architettura. Per tutte queste ragioni si ritiene opportuno premettere alcune considerazioni generali sulle linee di ricerca che sono state seguite nel corso dello studio, specialmente su alcuni punti contrastanti che, a seconda dell'interpretazione che ne verrà data, possono costituire dei nodi strutturali portanti in relazione all'intera vicenda costruttiva dello Spedale. Ci sembra, dunque, opportuno chiarire quale sia stato il modello interpretativo seguito e quale corno del dilemma sia stato impugnato, quando ci siamo trovati di fronte alla necessità di scegliere fra soluzioni contraddittorie. 1.1. Fonti indirette Il primo problema fondamentale riguarda la carenza, la laconicità delle fonti tradizionali —archivistiche od estetico-formali—, quando esse, addirittura, non siano mancanti del tutto o non siano ancora state studiate ed ha, come conseguenza, il perdurare di ampi margini di incertezza, specie per quanto riguarda lo studio delle prime fasi costruttive. L'analisi

dei vari e diversificati corgi di fabbrica che costituiscono il complesso ospedaliero richiede una nuova strategia d'intervento che privilegi la 'lettura' dei resti materiali —prime fra tutte le murature stesse— con una accuratezza e un rapporto diretto, quali finora non erano mai stati tentati per complessi edilizi così ampi. C'è, comunque, un altro aspetto del medesimo problema. Quando si devono 'collegare' —in modo univoco— le notizie espresse nelle diverse fonti indirette1 e relative ad ambienti o strutture destinati a funzioni specifiche (pellegrinai, Palazzo del Rettore, case delle Balie e del Camarlingo, spezierie, granai, etc.), si incontrano notevoli difficoltà ad identificare i rispettivi corpi di fabbrica. L'appunto che potrebbe essere mosso, alle suddette osservazioni —facilmente risolvibile laddove ci si riferisse ai grandi corpi di fabbrica— è, purtroppo, fortemente contrastato dalle difficoltà che si incontrano sul campo, quando appare chiaro che l'individuazione non è poi sempre così ovvia ed indiscutibile; la pratica ci insegna che ben difficilmente riusciremo a collegare univocamente le notizie che si riferiscono sia ad interventi costruttivi minori, o di piccola entità, quali possono essere alcune leggere trasformazioni o i restauri —i racconti delle fonti— sia, soprattutto, alle diverse modifiche funzionali— e al cambio della relativa terminologia— che, via via nel tempo, si sono susseguite sui diversi corpi di fabbrica. Un altro problema è quello riguardante una lettura basata esclusivamente, o in larga parte, su criteri estetico-formali, che non tenga conto delle molteplici modifiche subite dall'edificato, o che voglia 'vedere', nelle strutture esistenti, la risposta a schemi generatori precostituiti o ad una forma 'ideale', forse mai esistita. 1.2. Fonti materiali (dirette) Queste difficoltà, tuttavia, non ci devono disarmare, perché siamo convinti che esistono 'aree di cerniera' nelle quali possono confluire le competenze di discipline diverse, o che, comunque, sia possibile utilizzare gli specifici apporti delle diverse discipline in maniera non tradizionale, al fine di ricostruire tutti —o comunque molti— degli aspetti della microstoria dell'edificio dello Spedale. 1

In campo archeologrco vengono fatte delle differenziazioni, che il dibattito con altre discipline potrebbe arricchire, fra fonti indirette e fonti dirette, sulla base delle indicazioni fornite da MANNONI 1984a, e, leggermente rivedute, da MANNONI-MILANESE 1988. In questo volume si veda il contributo di Gabbrielli sugli indicatori cronologici.

Lo studio delle vicende costruttive del Santa Maria della Scala deve essere inteso come un tentativo —un sondaggio nella vasta complessità dell'esistente — di dar voce e dignità propria, in quanto fonte documentaria a tutti gli effetti, a quelle che vengono definite le fonti materiali. Per questa ragione i risultati dello studio non devono essere assolutamente intesi come esaustivi, perché in un prossimo futuro avremo a nostra disposizione strumenti e tecnologie assai più raffinate di quelle odierne, che ci permetteranno una trascrizione fedele del tipo di fonte a nostra disposizione. I suddetti risultati non sono affatto inutili, perché è con essi, intesi come prodotto del livello cognitivo attuale, che ci dovremo confrontare nel prosieguo degli studi. In altre parole, quindi, si cerca di dare una pari dignità, come fonte di informazione, anche a quei rest i— finora abbastanza negletti— costituiti dalle murature stesse. 1.3. L'ambiente naturale Così abbiamo enunciato il nostro processo di analisi e lungo il suo svolgimento avremo modo di collegare, con le maniere e i modi della ricerca più tradizionale o con quelli derivanti dai criteri più innovativi, le vicende costruttive dello Spedale e, per la parte che più ci interessa, la situazione orografica della zona con gli edifici immediatamente circostanti. È questo un modo di procedere, una chiave di lettura che potremmo chiamare, anche se forse impropriamente, di geomorfologia urbana riferita allo studio delle modificazioni e delle interrelazioni che esistono fra le stratificazioni geologiche e l'apporto —positivo o negativo— delle sedimentazioni antropiche, senza dimenticare l'opera erosiva, più o meno naturale, subita dall'intero complesso negli ultimi secoli. La notazione che abbiamo fatto sulla « travagliata orografia della città » deve essere meglio chiarita, se vogliamo collegare fra loro elementi che altrimenti rimarrebbero isolati e difficilmente interpretabili. Che lo Spedale si sia venuto formando ed accrescendo su un pendio naturale e lungo avvallamenti già esistenti sembra una questione ormai assodata e fuori discussione. Ma quanto abbia inciso ed influito l'opera

dell'uomo nel modificare tale profilo, appare, a tutt'oggi, ancora da determinare2. Ora è assolutamente fuori di dubbio che alcune strutture edilizie, forse le più antiche osservabili ad una prospezione esterna, si trovino ormai a una qualche distanza dal livello attuale del suolo, innalzate sopra un riconoscibilissimo strato geologico di clasti grossolani più o meno agglomerati (definito in modo impreciso "puddinga" per brevità) tagliato intenzionalmente. L'interpretazione più calzante che siamo riusciti a dare a queste osservazioni è legata ad operazioni di regolarizzazione dei livelli stradali, come se il « diricçari a recta corda»3 si debba intendere spazialmente e non solo planimetricamente. Si vuole far notare che esistono possibilità di lettura che permettono di collocare cronologicamente i livelli 'preattuali' della viabilità o, meglio, del piano di campagna, attraverso il confronto reciproco fra la stratificazione geologica, gli edifici immediatamente soprastanti e la situazione odierna. 1. 4. Tecniche di indagine La ricognizione dei resti attuali può avvalersi di tecniche che attengono a diverse discipline: nel nostro caso si privilegierà quella della pratica dello scavo. Lo studio delle murature sembra aver goduto, in questi ultimi anni, 2

Per quanto i processi culturali non siano ininfluenti nelle modifiche al processo 'naturale' di trasformazione del paesaggio, specie in centri urbani dove maggiore è stata ed è l'attività antropica, si conoscono pochi studi sulle relazioni che possono intercorrere fra geomorfologia ed antropizzazione (MANNONI 1970). La limitatezza della scala e l'impossibilità di proporre generalizzazioni che siano valide in ambiti più ampi, spiega la necessità di mirati e appositi studi, centro per centro, quasi cantiere per cantiere (ARNOLDUS-HUYZENVELD 1988). Si pensi che a Siena, lungo il percorso delle mura pianificate nel 1327, nel fondo della valle fra porta S.Marco e porta Tufi, esiste un dislivello di ben sette metri fra interno ed esterno della cortina. Anche ipotizzando una costruzione della cinta in parte addossata a riporti di terreno e un'azione erosiva esterna —ma dal l604 (epoca di un restauro complessivo) ad oggi il livello non può essersi abbassato oltre circa 60 centimetri— nel corso di circa sei secoli si è avuto un interro naturale di almeno 4-5 metri. Per i processi di modellazione dei versanti vedi anche CASTIGLIONI 1989. 3 La volontà di migliorare la situazione della viabilità, da parte delle istituzioni comunali, si può cogliere in moltissime rubriche della Distinzione III del Constituto del 1262. Anche limitandosi alle attività programmate nei dintorni di piazza del Duomo, si può avere un'idea del senso dei lavori. Dall'edizione del Constituto del 1897 a cura di L. Zdekauer, così recita la rubr XXV De reactanda via de Casato: « quad dicta via explanetur...recta corda, (p. 283); rubr. LXVIIII sempre De via de Casato: « Et via de Casato...examplari et iravgari faciam... (p. 294); rubr. LXX, De ampliarda via que est super Posterulam,:« ..faciam actari et amplari et diriçari viam, sicut trahit...recta linea et ad cordam... »(p. 295); rubr. LXXXXVIIII, De diricçanda via de Valle Piatta: « Et faciam diriçari viam de valli Piacta, sicut trahit recta linea... »(p. 304).

di una seconda giovinezza, dopo gli ottimi risultati ottenuti nella temperie culturale legata al positivismo della seconda metà dell'Ottocento4. L'importanza dell'aspetto tecnico-costruttivo ha attinto nuovo vigore da messa a punto di una metodica di 'lettura' che è riuscita ad enucleare i risultati delle diverse azioni costruttive5. I risultati ottenibili applicando le due tecniche di indagine —lettura stratigrafica e aspetti tecnico costruttivi— convergono nella 'descrizione' di ciò che, in vari momenti della storia urbana, ha avuto come teatro l'attuale piazza del Duomo. Benché estremamente parziali —l'area di scavo ha interessato circa 180 mq di fronte al palazzo del Rettore mentre la lettura stratigrafica è stata volutamente limitata alle facciate prospicienti la piazza e via dei Fusari, per complessivi 2160 mq, e alla parte inferiore del vicolo di San Gerolamo e della piazzetta della Selva, per altri 430 mq (fig. 1)— le informazioni ottenute sono, però, attendibili e, in certi casi, assolutamente fuori discussione. Ci pare opportuno, infatti, raccogliere preliminarmente tutta la serie di piccoli, e meno piccoli, indizi, costituiti dalle registrazioni delle evidenze materiali, dalle fonti archivistiche6 o, dalla situazione geomorfologica e da tutti quei collegamenti e rimandi che facciamo quasi automaticamente e che corrispondono al livello, forse inconscio, della conoscenza collettiva del fatto urbano. Questi indizi, convogliati e mixati in un melting-pot, dovranno restituire una descrizione cui deve corrispondere in modo aderente, l'idea, l'immagine della conoscenza che ci siamo costruiti. Come già accennato, ci è sembrato opportuno collegare alla descrizione delle diverse fasi costruttive dello Spedale —la periodizzazione archeologica— anche le vicende edilizie legate a quel 'vuoto' urbano 4

La carenza quasi assoluta di trasmissione della conoscenza empirica, acquisita nel campo delle tecniche costruttive tradizionali, porta a rivalutare lo studio dei testi classici, ai quali devono aggiungersi un'attenta rassegna dell'iconografia coeva e, soprattutto, la costituzione di un Atlante locale basato sulla registrazione delle caratteristiche leggibili sulle murature stesse. Inoltre le fonti orali possono rivelarsi un serbatoio, purtroppo in via di esaurimento, di fondamentale importanza come già osservato da ADAM 1988 p. 8.« Così l’archeologo si avvicina all’etnologo nel raccogliere le testimonianze che provano la sorprendente continu ta delle tecniche manuali di cui risulta evidente l'urgenza della classificazione ». 5

Si veda la problematica relativa nello specifico contributo di Bianchi e Corsi sulla lettura stratigrafica dell’elevato. 6 Che nel nostro caso —pur non essendo mancati controlli mirati, si veda il contributo Milani, la trascrizione della Delibera del Consiglio Generale e il controllo di alcuni documenti particolarmente importanti per le fasi edilizie— appare piuttosto come una rassegna bibliografica delle diverse interpretazioni date sulla base anche delle fonti archivistiche.

compreso fra il fronte dello Spedale, quello del Duomo, quello dell'Arcivescovado e quello del palazzo Reale, anche per le fasi precedenti alla sistemazione che oggigiorno ci è sotto gli occhi e che risale (con la definizione degli attuali corpi di fabbrica) al periodo cronologico compreso fra il 1658 e il 1720. Siamo convinti, infatti, che esista una correlazione strettissima fra le vicende costruttive dello Spedale e le operazioni di sistemazione della facciata del Duomo prima, e degli edifici adiacenti poi. D’altronde questa unitarietà dello spazio era già stata individuata da san Bernardino che, nelle prediche da piazza del Campo del 1427, comparava il complesso Spedale-piazza-vecchio Arcivescovado ad una faccia umana: « L'ochio ritto è il Vescovado e 'l sinistro è lo Spedale: el naso è la piazza che è in mezzo. Vedi che è lunghetta come è il naso »7. In questa operazione di rilettura generale ci siamo avvalsi delle ipotesi, delle interpretazioni, delle proposte di ricostruzione dell'aspetto —anche spaziale— pubblicate in quest'ultimo secolo e integrate con alcuni documenti inediti e —ad esclusione dello Spedale— con un sommario controllo autoptico delle strutture attuali. Naturalmente si dovrà dare un peso diverso —nelle proposte che presenteremo successivamente— alle vicende costruttive dello Spedale —controllato a fondo—rispetto a quelle della facciata del Duomo— per la quale ci siamo avvalsi acriticamente delle proposte più tradizionalmente accettate—. Infine le vicende costruttive dell'attuale arcivescovado—già esistente alla metà del XVII secolo secondo la documentazione grafica inedita che abbiamo rinvenuto—e quelle del vecchio Arcivescovado—anche per esso ci siamo avvalsi di documentazioni inedite—meriterebbero una cura e una ricerca più attenta alla luce delle considerazioni emerse dallo studio della Middeldorf Kosegarten. Una breve digressione, infine, sui criteri che hanno guidato la messa a punto e l'esposizione dei risultati conseguiti nello studio delle strutture edilizie dello Spedale. Mentre abbiamo raggiunto una discreta standardizzazione nella presentazione dei dati, dei risultati ottenuti con lo scavo (siamo arrivati ormai all'affinamento dei criteri espositivi dell'edizione)8, lo stato di relativa giovinezza della lettura degli elevati, secondo i criteri stratigrafici, fa mancare una serie di rassicuranti punti di appoggio, tra i quali quelli relativi o comprensivi di una gamma delle 7

BERNARDINO (SAN) 1880-88, III, p. 323. Si veda quanto ci hanno comunicato D. Manacorda ed amici, durante la terza (1989) Summer School alla Certosa di Pontignano (Siena), ai cui atti Lo scavo archeologico 1990, pp. 961-502, si rimanda. 8

possibili varianti. Ogni nuova presentazione può costituire la via più giusta per la sperimentazione successiva; ne ricade, quindi, la necessità di approfondire o ripercorrere strade già battute, ma anche di tentare nuove esperienze, lungo alcune delle molteplici linee che si intravedono attraverso il poliedrico sfaccettamento dei modi di indagine9.

2. I risultati della ricerca. La situazione ambientale all'epoca di costruzione della cappella (1257). Fine del periodo IV. 2.1. Il 'vuoto' urbano Tra i numerosi dati emersi dallo scavo dell'area prospiciente il palazzo del Rettore, uno, soprattutto, colpisce per l'assoluta mancanza di evidenze, per il vuoto, per lo iato della documentazione materiale tra VII e XIII secolo. Ben poco, infatti, si può ipotizzare, a proposito delle strutture edilizie, per i secoli compresi fra il VII e il XIII, tranne che osservare come il disegno della trama edilizia del VI secolo, sostanzialmente ricalcato su quello precedente, si discosta notevolmente dagli allineamenti murari successivi, o almeno da quelli che sono stati rinvenuti nell'area di scavo. A voler trarre delle indicazioni più generali dagli scarsissimi resti materiali rinvenuti, sembrerebbe che si fosse creata una cesura fra VII e XIII secolo. Ma quel poco che possiamo dedurre dalla documentazione archivistica ci prospetta una vicenda istituzionale legata ad un centro egemone (i problemi legati alla confinazione fra le diocesi di Siena ed Arezzo) anche se non molto

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Le ricostruzioni grafiche sono state considerate il veicolo ideale per l'esposizione dei risultati, ma attualmente si rivelano necessarie anche come momento di riflessione sia per le interpretazioni proposte in fase di elaborazione, sia per un più attento —e curioso— spirito di osservazione le ricostruzioni grafiche che abbiamo proposto si basano ovviamente, sulla registrazione dei resti materiali, integrata con la documentazione grafica coeva al periodo che ci interessa (quando possibile) e con alcune parti plausibili —ma estremamente argomentate— e non come enunciazioni di ipotesi che devono, poi, passare il vaglio del riscontro con i resti materiali. Per una breve sintesi dei supporti metodologici sottesi nelle ricostruzioni, si veda PARENTI 1990b.

definita negli aspetti più propriamenti urbani 10. Si tratta, ora, di determinare le cause cui addebitare la mancanza di resti materiali riscontrata nell'area di scavo per capire se ciò sia il frutto della trasformazione delle tecniche costruttive degli edifici, oppure di uno spostamento dei centri d'interesse all'interno del nucleo urbano o, infine, se ciò sia dovuto a vicende antropo-geologiche di diversa natura. Una asportazione dei livelli superficiali del terreno è avvenuta sicuramente una volta nei primi anni del XIV secolo e, forse, anche in precedenza ma, oltre a questo, è ormai assodato che siamo in presenza di un'area aperta dove non furono mai costruiti edifici di una certa importanza prima della metà del XIII secolo. Anche se ci mancano i dati e le chiavi di lettura per determinare la potenza della stratificazione asportata, si può affermare, con una ragionevole certezza, che nessun tipo di fondazione, in muratura o per strutture lignee, ha intaccato il deposito geologico. La particolare stratificazione geologica, sulla quale è stato costruito il centro di Siena, permette di individuare i livelli del letto di fondazione di edifici di un certo spessore tecnico —torri o palazzi— perché, nei casi che vedremo, la ricerca dello strato di "puddinga", in funzione di solida base per la posa del piano delle fondazioni, risulta essere una caratteristica comune e costante. Così appaiono le fondazioni del Palazzo del Rettore, sul bordo dell'area scavata, ma una situazione del genere compare anche in via di Monna Agnese (figg. 3 e 4), sul retro del palazzo del Magnifico, dove tre filari di "scapoli" arrotondati, inequivocabilmente la fondazione dell'edificio 10

Secondo BORTOLOTTI 1983, riferendosi ad un’immagine di Siena altomedievale ormai sedimentata, « ...nell'alto Medioevo abbiamo una città vecchia, probabilmente derivata per contrazione dalla città romana...e un insieme di castellari...e di borgate, .. » (p. 7), mentre, per quanto riguarda il polo religioso « non è possibile accertare dove sia stata la sede e la chiesa vescovile quando Rotari ricostituì il Vescovato. Sembra che sia stato edificato un nuovo episcopio ed una nuova chiesa al di fuori dell'antico Castelvecchio » (MORANDI 1979, p. 9). « Questo Duomo, che almeno dal 913 in poi viene sempre designato come chiesa di Santa Maria con annessa canonica ed episcopio, sorgeva iuxta castrum Senae, cioè non più intra castrum, in un’area, o altopiano, posto all'incirca tra la facciata del Duomo attuale e quella dello Spedale, e come si può dedurre da successivi documenti, aveva la facciata volta verso il decumano ..cioè verso lo sbocco dell'attuale via del Capitano e aveva davanti un sacellum col Fonte Battesimale ancora in uso nel XII accolo. » (CARLI 1979, p. 11).« E’ definita anche ecclesia maior... Accanto alla chiesa maggiore sorgeva la casa canonicale, anch'essa dedicata alla Madonna, ove dimoravano i canonici che costituivano il capitolo della chiesa cattedrale .. Unito alla canonica era il vescovato, sede della più alta autorità cittadina. » (MORANDI - CAIROLA 1975, pp 17-l8). « con il passare del tempo quest'altura sarebbe diventata sempre più una sorta di monte sacro, un complesso di luoghi, di oggetti, e di attività ritenuti sacri dalla cittadinanza intorno al Duomo e allo Spedale vi trovarono posto il Battistero, il Cimitero, cappelle ed altari di famiglie e di corporazioni, sedi di confraternite, reliquie e opere d'arte —molto spesso dedicate alla vergine Maria. » (ISAACS 1988, p. 20).

soprastante, si appoggiano alla "puddinga", un paio di metri più in alto del livello stradale attuale (fig. 4.3). Sull'altro lato dell'edificio, presso lo spigolo del Battistero, si presenta la medesima situazione (fig. 4.2). Anche all'inizio di via Stalloreggi, presso piazza della Postierla, la base di una torre —probabilmente la fondazione rimasta allo scoperto— si appoggia allo strato di "puddinga" (fig. 4.4) che possiamo intravedere tra le lacune dei successivi rimpelli11. Anche nel perimetro dello Spedale, lungo il vicolo di San Gerolamo —a sinistra scendendo la rampa— si intravede un ampio lacerto murario (USM 6 e 27 del settore VIII) costruito direttamente sopra lo strato di "puddinga" (US 5 del settore VIII), successivamente tagliata per l'abbassamento del piano di campagna (fig. 4.1). Si tratta, quindi, di un'area che nel periodo prossimo alla fine dei secoli centrali del medioevo, era circondata da edifici. Come abbiamo visto, alcune strutture edilizie in muratura sono presenti negli immediati dintorni dell'area indagata —ed anche poco oltre il bordo stesso dell'area di scavo— mentre tutta la zona è stata individuata come rientrante nel castrum Sancte Marie, dove fu costruito il Duomo 12. Gli esempi che abbiamo citato, il Duomo stesso e la torre che fu, successivamente, rivestita di marmi bicolori e trasformata in campanile, sono cronologicamente ascrivibili al XII e XIII secolo e, quindi, assai vicini alla fine dello iato nella registrazione delle evidenze di scavo e si riferiscono, inoltre, a tipologie di un certo spessore tecnico (torri, palazzi e il Duomo stesso). Anche la probabilissima esistenza di strutture precarie, quali si sono dimostrate le costruzioni in legno o in terra e, per certi versi, quelle "negative", cioè scavate nel sabbione pliocenico —il tufo senese—, non sembra che abbia interessato la limitata area dove si è riscontrato un 11

Mentre la presenza della "puddinga' tagliata presso lo spigolo del Battistero, ha suscitato la curiosità e le interpretazioni degli studiosi fin dalla fine del secolo scorso —cfr ZDEKAUER 1896, p. 35 « .. le prime abitazioni riuscivano come un connubio tra la roccia viva ed il materiale laterizio… il che si vede benissimo in vari edifici, specialmente, in piazza San Giovanni » e nella parte inferiore della torre di via Stalloreggi, presente nelle illustrazioni che accompagnano il lavoro di BALESTRACCI – PICCINNI 1977, fig. 9, f.t, tutte le altre situazioni non sembrano aver avuto una, pur minima, fortuna bibliografica. 12

Dalla documentazione del X e Xl secolo si ipotizza che episcopio, canonica e cattedrale forse con il lato sinistro parallelo al fronte dello Spedale, sorgessero nell'attuale piazza del Duomo. Lo spostamento della cattedrale verso la sede attuale, il punto più alto del pianoro, « ..sembra abbia avuto luogo nel 1089. Sicuro invece è che nel 1075 era ultimata la nuova canonica... Anche la casa del vescovo fu ingrandita. Denominata semplicemente episcopio nel 1056 prese presto l'aspetto di un vero castello, ricordato in un atto del 1080 come castelo S. Marie; ed un altro del novembre 1105 nomina il gardingo, cioè la torre o rocca dell'episcopio, mentre quello del 28 ottobre 1131 definisce palatium la dimora del vescovo. » (MORANDI 1979, pp. 9-11).

maggior deposito archeologico 13 e si deve riconoscere che entrambe le costruzioni —edifici in muratura o strutture precarie— non dovevano avere nessuna connessione con le stratificazioni relative alla frequentazione antropica 14. 2.2.Il 'costruito' Un altro aspetto rimane sostanzialmente poco chiaro. Nei pressi dell'attuale allineamento del fronte dello Spedale su piazza del Duomo doveva esistere un discreto dislivello, una scarpata verso il fosso di Sant'Ansano e la piazzetta della Selva, modificata più o meno pesantemente dalle operazioni antropiche. Sulla spalla di tale pendio fu costruita una struttura muraria con pareti di notevole spessore 15, probabilmente una torre, in un'epoca sicuramente precedente alla edificazione della cappella e del portico antistante (vedi infra), che infatti 'coprono' completamente tale struttura,

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Nell'area che fronteggia lo Spedale esistono almeno due ambienti scavati, raccordati da una, relativamente lunga, galleria (cfr. pianta alla quota della Piazzetta della Selva —livello primo — in GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 460-461) e variamente interpretati in funzione di drenagglo delle acque meteoriche. Anche se ciò non è completamente da escludere, 1'esperienza ci ha insegnato che una tale funzione deve considerare singolare. Sull’ aspetto più propriamente "rupestre" del centro senese si veda NEPI et alii 1976 e il catalogo della mostra dei bottini in BALESTRACCI 1984. Interessante, invece, l’ accertata azione di 'taglio' della galleria nei confronti di almeno due silos da granaglie, indice di relativa modernità. Per la conservazione delle granaglie in silos sotterranei, oltre alla tavoletta attribuita a Giacomo Cozzarelli, —La misurazione del Grano, già coll. Figdor, Vienna, poi Londra, coll. privata VAVASOUR ELDER 1932— si veda il recente rinvenimento a San Giovanni Valdarno (BOLDRINI - DE LUCA 1988 pp. 64-68, figg 37-42) e a Campiglia Marittima, Rocca San Silvestro e Campiglia 1987 p. 155 fig. 2. 14 Dallo scavo è emerso chiaramente che in passato si sono avute una o più asportazioni del materiale superficiale, ma qualunque fosse stata la potenza, lo spessore dello strato rimaneggiato — dallo scavo delle tombe ma anche da un battuto stradale quasi certamente non rivestito e quindi sottoposto a vicende saltuarie di 'pesticciamento' e dilavamento, il cosiddetto 'ambiente di superficie' (ARNOLDUS- HUYZENVELD 1988)—non si sono rinvenute le tracce di altre strutture edilizie—oltre a quelle di cui è già stato riferito—che raggiungessero lo strato di "puddinga". 15 Si veda il rilievo del complesso alla quota intermedia tra gli orti e piazza del Duomo (III livello), in GALLAVOTTI CAVALLERO 1985, pp. 464-465 e in GALLAVOTTI CAVALLERO – BROGI 1987, p.29, fig. III, 27.

senza una visibile riutilizzazione degli allineamenti murari 16(fig. 2). Già in precedenza era stata notata la presenza delle murature a forte spessore, interpretate come una struttura difensiva sulla cinta muraria del castello Sancte Marie17 , « assimilabile a un'antiporta o a un rivellino » 18 oppure « come torre di vedetta » 19. Poiché gli ambienti intorno alla torre (e la torre stessa) sono ancora utilizzati dalle strutture ospedaliere, abbiamo potuto effettuare solo dei sopralluoghi, mentre non è stato possibile controllare il tipo di apparecchiatura o la cronologia relativa di costruzione (posizione degli spigoli o presenza di appoggi murari) perché gli ambienti sono, ovviamente, intonacati. L'esistenza della torre, anche se situata in una posizione inconsueta, è indubbia, mentre, da quello che abbiamo potuto controllare sul lato dello scavo, sussistono serie perplessità a proposito di un eventuale circuito murario collegato alla torre stessa e coincidente col fronte dello Spedale (si è rivelato negativo anche un controllo endoscopico). Sulla base di quanto è emerso dalla elaborazione delle indagini georadar20, potrebbero esistere altre strutture murarie presso l'angolo della casa dei Gettatelli e parallelamente alla facciata dell'Arcivescovado attuale, ma al momento non pare possibile elaborare delle ipotesi o fornire una descrizione più dettagliata di quanto è coperto dal lastricato ottocentesco. Per ciò che concerne le restanti parti di piazza del Duomo ci sembra troppo impegnativo, oltre che metodologicamente scorretto, proporre delle ricostruzioni che, seppur parziali, diventerebbero assai divergenti dal nostro modus operandi. E allora, se cerchiamo di descrivere o di ricostruire l'aspetto dell'ambiente urbano che ha il suo perno nell'area dell'attuale piazza del Duomo, in un 16

Non ci pare opportuno operare delle generalizzazioni basate su quei pochi documenti ove le torri sono citate presenti nel contado e, soprattutto, in alcuni centri toscani, tuttavia non sembra possibile dimostrate l'esistenza di torri in epoche anteriori agli ultimissimi anni del X secolo, mentre la fine della stagione di costruzione della torre come tipologia edilizia privata, adibita non esclusivamente a scopi militari o di status symbol, a Siena si può collocare fra la fine del XII e i primissimi decenni del XIII secolo. A Firenze viene proibito il rialzamento o la costruzione di nuove torri nel 1250 (SANTINI 1887, p. 26), mentre a Siena non siamo a conoscenza di una situazione simile, forse addirittura regolamentata dagli statuti, ma dall'Estimo del 1318 si può osservare quante di quelle torri esistenti in precedenza siano ormai inglobate in edifici, perdendo il significato principale che avevano rivestito. Nei tre terzi sono segnalate solo 16 torri e 15 "casa con torre", in confronto alle circa 50 torri individuabili ancora oggi (BALESTRACCI - PICCINNI 1977, pp. 128-129). 17 GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, pp. 29-30, fig. III,27. 18 Ibidem, p. 25. 19 Ibidem, p. 31. 20 Le indagini sono state condotte nel febbraio 1988; cfr. il contributo Finzi, in questo volume.

ristretto arco cronologico culminato nel momento precedente alla costruzione della cappella (tradizionalmente gli anni intorno alla metà del XIII secolo), avremo di fronte un coacervo di parti costruite ed aree scoperte, su un terreno con un andamento molto più ondulato ed accidentato dell'attuale21, con tipologie edilizie che si ricollegano ad una situazione che, apparentemente, corrisponde ad una intensa attività edilizia sostenuta da notevoli investimenti finanziari22. Tali interventi, interpretati e misurati con il linguaggio dei media attuali, potrebbero essere assimilati alla costituzione di un polo urbano con intendimenti assolutamente centripeti, dominato da due grandi enti: il Duomo e lo Spedale, costituito, quest'ultimo, da diversi edifici non ancora adibiti a funzioni specialistiche 23.

3. La piazza del Duomo e le vicende costruttive dello Spedale tra il 1257 e l'inizio del XIV secolo. Periodo V, fasi A, B, C, D, E, F 3.1. La cappella e il porticato La tradizione vuole che la data di costruzione della cappella dello Spedale risalga al 1257. Ciò viene dedotto dall'autorizzazione degli enti religiosi (papato e vescovato), in risposta ad una richiesta del 1252, ad edificare, all'interno dello Spedale, una propria cappella e ad avere un proprio 21

Riguardo alle originarie ondulazioni del terreno, esse sono difficilmente ricostruibili sulla base delle conoscenze attuali; per situazioni parziali si può fare riferimento alle vicende della scalinata del Duomo e alle sue variazioni così come appaiono nel contributo di Morandi: « I lavori di livellazione e contenimento si conclusero con la costruzione di alcuni gradini che sono ricordati fin dal 1147 » (MORANDI - CAIROLA 1875 pp 18-20) Non è improbabile però, che si possa collegare una variazione del livello del suolo a molti dei continui rifacimenti della scalinata. 22 Dall'Estimo del 1318, anche in assenza di alcuni volumi telativi, il popolo di San Giovanni — entro i cui confini ricadono la Cattedrale e lo Spedale— appare costituito, per il 62%, da edifici con valore superiore alle 100 lire e con cinque casamenti e torri di valore oscillante dalle 1116 alle 3176 lire (BALESTRACCI - PICCINNI 1977, p. 117), benché in posizione marginale risperto alla maggiore direttrice di traffico medievale, la via Francigena. 23 Costituito in seno al Capitolo dei Canonici della Cattedrale, l'ente ospedaliero si emancipa, non senza difficoltà, verso la fine del XII secolo. Nel corso del XIII secolo appare, dalla documentazione scritta, che la gestione dello Spedale, dei beni e delle persone che vi confluiscono, si può considerare autonoma, sotto la responsabilità di un proprio Rettore. Una delle prime funzioni specialistiche ad apparire nella documentazione è la cura dei Gettatelli, anche se « nel 1274 non esisteva ancora una casa destinata appositamente ed esclusivamente agli Esposti » (ZDEKAUER 1898, p. 455). Per le vicende istituzionali dello Spedale fra XII e XIII secolo, oltre ai contributi di BANCHI 1877, di ZDEKAUER 1898 e di Morandi (MORANDI - CAIROLA 1975) si veda anche REDON 1985 e ISAACS 1988.

cappellano (concesso nel 1262) 24. Sebbene non ci sia l'assoluta certezza che la parte di muratura in conci di calcare cavernoso sia attribuibile alla primitiva parete della cappella (e vedremo successivamente quanto possano aver influito, nel complesso edilizio, i restauri e le modifiche posteriori), è indubbio che da questo momento inizia una sorta di specializzazione funzionale delle varie parti dello Spedale. I diversi corpi di fabbrica che, fino ad allora, dovevano costituire il complesso dello Spedale, e che possiamo ipotizzare dalla documentazione archivistica, sono da considerarsi solamente un involucro (o una serie di involucri) che, anche se non è da escludere completamente una vera e propria specializzazione, sembrano essere stati utilizzati per i più svariati scopi connessi con l'istituzione ospedaliera. Allo stato attuale della ricerca, comunque, di tali edifici non rimangono tracce chiaramente distinguibili e non è stato possibile individuare dei resti materiali interpretabili, a parte quei piccoli lacerti a cui abbiamo accennato precedentemente ed altre assai dubbiose presenze. Per questo la cappella viene ad acquistare una importanza notevole, un valore quasi emblematico nelle vicende costruttive dello Spedale: è il primo segno tangibile, misurabile (anche se limitato alle parti corrispondenti all'attuale facciata) di un edificio con specifica destinazione funzionale. Le dimensioni di questa cappella non sono facilmente quantificabili per le modifiche subite dalla struttura funzionale, per i restauri e per le aggiunte eseguite durante il corso della sua utilizzazione, sia nel senso della larghezza che in quello della lunghezza (ma anche in altezza). Uno sforzo interpretativo deve, comunque, essere fatto e allora proveremo a confrontare la pianta del piano terreno (vedi ancora la fig. 2) con quella delle strutture immediatamente sottostanti. È questa un'operazione che può essere compiuta, grazie ai rilievi dello Spedale eseguiti, a partire dal 1981, da un gruppo di architetti senesi guidati da Terrosi, Gherardi e Putti con la collaborazione di Valacchi, per conto dell'Unità Sanitaria Locale. Sebbene esistano delle imprecisioni nei "fili" delle aperture e degli allineamenti murari verticali (facilmente verificabili sovrapponendo i rilievi planimetrici dei diversi livelli) ed in alcuni allineamenti orizzontali delle murature interne (per esempio, da un controllo effettuato personalmente, nella Sagrestia 24

Non sembrano esserci stati dubbi nell'interpretare quanto appare nella concessione ad edificare una cappella all'interno dello Spedale, pubblicata una prima volta in BANCHI 1877, pp. 11-13, e ripresa, successivamente, da molti degli studiosi che si sono interessati delle vicende costtuttive dello Spedale; tra gli altri si veda GALLAVOTTI CAVALLERo 1985a, pp. 60-61 e 415.

Grande), l'appunto maggiore che può essere mosso ai rilievi riguarda le parti non misurate perché difficilmente accessibili (ad esempio immediatamente sotto il pavimento del Pronto Soccorso, con le volte a crociera entro la controsoffittatura e, allo stesso livello, la parte confinante con il vicolo di San Gerolamo). La conoscenza delle strutture, comunque, risulta enormemente avvantaggiata da questi disegni e, per capire ciò, basta confrontare la ricchezza dei dettagli presente in questi rilievi con le imprecisioni contenute nei precedenti, e la stessa analisi stratigrafica degli interni, se e quando verrà eseguita, non potrà prescindere dalla loro esistenza. Adesso poniamoci nella condizione di voler individuare lo spigolo originario della primitiva cappella e cerchiamo di capire quale potrebbe essere il punto più verosimile in cui localizzarlo. Se convogliamo tutti i dati materiali in nostro possesso, quali il materiale costruttivo, la cronologia relativa fra le varie parti della facciata (i risultati della "lettura" stratigrafica) e la corrispondenza degli ingombri planimetrici a due diversi livelli (quello di piazza del Duomo e quello immediatamente sottostante) tale spigolo dovrebbe ricadere sulla facciata, a destra dell'ingresso attuale dello Spedale, in corrispondenza della prima arcata del portico (USM 4 del settore I), di cui costituisce lo stipite sinistro. Da questo punto relativamente sicuro (al momento attuale della ricerca è il più probabile) possiamo partire per ricostruire le altre dimensioni della cappella. Se immaginiamo la cappella disposta parallelamente al fronte del Duomo, quasi con lo stesso allineamento dell'attuale, dato che non sussistono gli elementi per ipotizzare un'altra soluzione, alla domanda: — quale poteva essere la lunghezza originaria? — la prima impressione ci suggerisce la seguente risposta: l'intera muratura in calcare, perché il materiale costruttivo e la posa in opera a filari paralleli sembrano omogenei. Tale ipotesi, però, non regge ad una analisi più approfondita. Intanto perché la datazione relativa non ci conforta: infatti, sul bordo sinistro, la muratura in calcare si "appoggia" alla muratura in laterizio della casa dei Gettatelli (che sappiamo costruita successivamente) e, nello stesso punto (se la cappella fosse stata orientata nel medesimo senso dell'attuale), non sembrerebbe esserci nessuna struttura sottostante che potesse fungere da fondazione al muro dell'abside: al livello inferiore corrisponde addirittura la volta di copertura di un ambiente scavato. E poi la supposta omogeneità della muratura è più il frutto di una osservazione superficiale che di una realtà costruttiva: vedremo in seguito di quali operazioni di restauro e

rimpello sia stata oggetto. Se procediamo per esclusione, l'ipotesi dimensionale più plausibile resta quella di una coincidenza planimetrica con la parte interrata corrispondente, individuata al livello inferiore 25, coincidenza valida sia per la lunghezza che, forse, per la larghezza. La larghezza attuale deve essere, tuttavia, esclusa dall'ipotesi ricostruttiva perché utilizza un tipo di muratura in laterizio con caratteristiche costruttive e funzionali nettamente diverse da quelle del muro di calcare, come abbiamo potuto controllare autopticamente sul brano di muro a comune con la Sagrestia Grande (vedi infra). L'incongruenza maggiore, però, sembra essere l'assoluta mancanza di allineamento verticale del muro di una possibile facciata con le murature della "torre" sottostante l'attuale Pronto Soccorso. Sebbene sia mancata la possibilità di un controllo autoptico del materiale costruttivo, per i motivi già espressi, lo spessore di tali murature varia da 2,30 a circa 3 metri e, stranamente, non sembrano essere state utilizzate come piano fondale del muro d'ambito della cappella, che cade esattamente al centro della canna interna della "torre". Tuttavia proprio questa mancanza di coincidenza può spiegare l'esistenza del muro a corsi alternati di calcare e laterizi, visibile sulla facciata e costituente parte di un piccolo portico antistante l'accesso o, più probabilmente, accesso comune sia allo Spedale che alla cappella 26 (fig. B). Una tale tecnica costruttiva denota quasi sempre un reimpiego del materiale, in questo caso il calcare, che potrebbe provenire dalla demolizione della "torre". È vero che l'uso di una tecnica costruttiva simile è documentata nella cappella di Montesiepi —della fine del XII secolo— presso San Galgano, ma è preser,te anche in numerosissime costruzioni civili senesi più tarde, come la fonte di Follonica del 1250, e in qualche chiesa della diocesi volterrana27, come l'eremo di Rosia del 1252. Ma torniamo alle dimensioni più probabili della primitiva cappella. Se accettiamo le ipotesi e le preclusioni cui abbiamo accennato, la larghezza dovrebbe collocarsi intorno agli 11 metri, in corrispondenza delle due campate più esterne dell'ambiente che adesso ospita il Pronto Soccorso, e 25

Ipotesi già formulata da GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, p. 35, fig. IV.31, livello -

1. 26

Che si sia trattato di un portico aperto, si può facilmente desumere dalla finitura arrotondata degli spigoli dei pilastri —che trovano uno stretto confronto in alcune situazioni senesi, anche all'interno del palazzo Pubblico stesso— e dalla successione cronologica delle tamponature tutte posteriori alla costruzione dei pilastri e dello spigolo delle tre aperture. 27 Sull'impiego della "bicromia struttiva" in edifici religiosi dei dintorni di Siena, cfr. MORETTI 1982.

la lunghezza intorno ai 1920 metri, con la parete terminale in corrispondenza dell'attuale accesso alla chiesa e, al livello sottostante, delle murature del bar28. Le incongruenze stratigrafiche sono spiegabili con operazioni di foderatura e di sostituzione dei conci della facciata, documentate già dal XVII secolo (vedi infra). Se troviamo plausibile che almeno una parte della parete di calcare corrispondesse al lato della cappella, l'altezza sarebbe dovuta essere di almeno 7,5 metri, se non vogliamo tenere in considerazione eventuali limitate demolizione della vecchia cresta muraria della cappella, eseguite in occasione degli ampliamenti successivi o dello spostamento del livello della piazza. La sproporzione dimensionale che avvertiamo chiaramente, se escludiamo per un momento le ampie masse murarie degli accrescimenti posteriori, fra porta di accesso dello Spedale e paramento in calcare, ci induce ad ipotizzare una diversa soluzione del passaggio cappella-piazza. Abbiamo già accennato alla possibilità di un ingresso principale sul lato corto della cappella a cui sarà, poi, addossato il portico a tre arcate e, forse, due campate, ma esistono ancora tracce ben leggibili di una apertura archiacuta successivamente tamponata, posta tra le due attuali porte su piazza del Duomo (USM 94 del settore III). Se teniamo in considerazione gli spessori che doveva avere la ghiera, ora mancante e che riducevano l'ampiezza della luce, si ha l'immagine di un'apertura ben più proporzionata alla superficie della parete laterale e tale modello di lettura è suffragato, con un peso documentario ben maggiore, dall'affresco di Domenico di Bartolo, che si trova nel Pellegrinaio dello Spedale stesso, e che mostra l'interno della cappella, con le due aperture ancora in funzione nella prima metà del

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Cfr. anche in AA.VV. 1986, p. 78.

XV secolo, e uno scorcio del lato opposto della piazza, con il portale della facciata del Duomo e una parte dell'edificio dell'Arcivescovado29. Quasi immediatamente dopo la costruzione della cappella si dà l'avvio alla realizzazione di un porticato (Fase B, att. 20), del quale, sulla facciata dello Spedale, rimangono ben visibili le tre arcate a corsi alternati di calcare e laterizio. Non possono esserci dubbi sulla cronologia relativa delle due costruzioni, perché è nettissima la relazione di "appoggio" della ghiera che appartiene alla prima arcata del porticato, che "riempie" un "taglio" praticato sullo spigolo della cappella. La cronologia assoluta non è determinabile con precisione, ma è circoscrivibile all'arco cronologico compreso fra la fine del VI decennio e il 1290, anno in cui veniva portato a termine un ampliamento del palazzo del Rettore. E, allo stato attuale della ricerca sulle strutture murarie, un'oscillazione di meno di trent'anni paò essere considerata come estremamente precisa. 3.2. Il palazzo del Rettore Precedentemente al 1290 non possiamo, o non siamo in grado di collegare la carica del Rettore con un edificio destinato specificamente a sua abitazione30. Tuttavia, ancora prima del 1290, cappella e porticato vengono rialzati con una operazione costruttiva omogenea (Fase C, att. 121), che comprende anche le tre bifore, a sinistra, del primo piano di quello che sarà, pochi anni dopo, definito come Palazzo del Rettore31. Attualmente il primitivo rialzamento della cappella, una muratura in laterizio nella quale sarà apposto un orologio, può essere seguito quasi fino alla modifica dell'allineamento del fronte dello Spedale: i piani verticali 29

Dagli affreschi di Domenico di Bartolo e di Priamo della Quercia nel Pellegrinaio, attraverso le aperture dipinte, si riesce a ricostruire un'immagine piuttosto precisa delle superfici: da Domenico di Bartolo individuiamo una intonacatura, all'interno della chiesa, a finto bugnato, un passaggio verso la cappella delle Reliquie (così come doveva essere nel 1442), il portale principale del Duomo e uno scorcio del palazzo arcivescovile molto simile a quello che verrà rilevato, successivamente, alla metà del XVII secolo (ad esclusione del rialzamento del primo piano) e cioè un rivestimento chiaro con fasce più scure e coronamento ad archetti ogivali impostati su boccatelli decorati. Da Priamo della Quercia ricaviamo maggiori informazioni sulla scalinata del Duomo sulla mancanza di una pavimentazione di fronte alla loggia dei Canonici, sui tre portali —spostati per esigenze compositive— e sulla galleria del primo piano della facciata del Duomo ed infine particolari interessanti per una definizione delle finiture dei due edifici che fiancheggiavano il Duomo, entrambi rivestiti con la solita decorazione bicroma, ma, in questo caso, scandite verticalmente da lesene addossate, che mancano in ogni altra rappresentazione di tali edifici. 30 Si veda l'elenco dei Rettori riportato in BANCHI 1877. 31 Per le concordanze e le lievi differenze nelle misure e nelle forme delle aperture costruite in queste ravvicinate fasi costruttive, si veda il contributo di Gabbrielli sulla cronotipologia.

delle due murature, in calcare e in laterizio, sono leggerissimamente divergenti, con una risega che arriva fino a circa 25 cm proprio sopra l'apertura tamponata; la muratura adiacente (USM 91 del settore III) è un'operazione successiva che non sappiamo se sia da attribuire all'operato del rettore Tese Tolomei nel 1314-1320, per la preparazione del fondo per gli affreschi dei Lorenzetti o se invece, accettando l'ipotesi di una diversificazione dei tempi di costruzione della casa dei Gettatelli (vedi infra), sia il risultato di un restauro ancora più tardo. È indubbio, però che tale muratura "riempie" i resti di una bifora del primo piano della casa dei Gettatelli ed è, quindi, posteriore alla costruzione della casa stessa. Solo con la mensiocronologia dei laterizi, quando sarà superata la fase sperimentale, potremo collocare l'attività costruttiva entro un contesto cronologico più preciso. Con il 1290 si completa una parte importante del fronte dello Spedale verso la facciata del Duomo (anch'essa un cantiere edilizio, vedi infra). Si costruisce quello che è subito definito palazzo del Rettore e che è situato immediatamente a destra del portico e del successivo rialzamento (Fase D, att. 49). Il palazzo occupa, in lunghezza, lo spazio di sei arcate a piano terreno e di 6 bifore al primo piano. Curiosamente lo spigolo destro del Palazzo sembra costruito per essere appoggiato ad un altro edificio, quasi certamente diverso da quello demolito nel 1720. Appare chiaramente visibile il coronamento della costruzione, con i conci in pietra che serravano gli uncinelli (alla quota del tetto superstite, lungo via de' Fusari), gli alloggi per le saette e con una copertura della cappella che non possiamo ricostruire per gli effetti della costruzione del cornicione in muratura a protezione degli affreschi (vedi infra). 3.3. La casa dei Gettatelli e la cosiddetta corsia Marcacci Per quanto riguarda l'altro lato del fronte dello Spedale, quello a sinistra della muratura in calcare e che conclude questo lato della piazza, con la caratteristica forma sinuosa, si deve ammettere che, finora, siamo in possesso di una serie di tessere di un mosaico che appare assai discordante. Per cercare di ricollocare gli eventi secondo una trama e un ordito plausibile con le vicende costruttive, ci sembra opportuno premettere una brevissima descrizione di quanto è stato "letto" su questa parte del fronte dello Spedale, focalizzando il nostro interesse sul periodo preso in

considerazione, ma tenendo conto delle vicende posteriori, anche se dobbiamo ammettere una nostra grande difficoltà nell'individuare alcune delle azioni relative al restauro novecentesco e buona parte di quelle dei restauri precedenti, generalmente ottocenteschi. Per quanto non si riscontrino aggiunte di nuovi volumi, per il nostro metodo di studio non ci sentiamo affatto sicuri che « nessuno degli interventi posti in atto a partire dalla seconda metà del settecento ha alterato la leggibilità delle costruzioni originarie »32, anzi sono proprio gli interventi degli ultimi cento-centotrenta anni che hanno alterato più profondamente e reso estremamente difficoltosa la "leggibilità" della costruzione, trattandosi di operazioni di sostituzione del materiale reintegri con materiali e tecnologie tradizionali oppure con materiali frutto di una tecnologia più recente (ma quest'ultimi visibilissimi), di "omogeneizzazioni" delle superfici, con finiture a gradina o penna di martello, che hanno falsato anche i piani verticali originari. Il criterio che abbiamo seguito nella descrizione, in questo caso molto analitica e puntigliosa, è stato, in un primo momento, esclusivamente topografico e solo successivamente cronologico-interpretativo, in modo da far risaltare i passi seguiti nella ricerca. Cominciando da sinistra, sull'angolo con via del Capitano, abbiamo individuato le grandi masse murarie costituite dalla facciata di quella che sarà, poi, la corsia Marcacci33, composta da un piano terra e un primo piano, comprendendo la cornice del davanzale, le finestre del primo piano e il caratteristico coronamento ad uncinelli e saettoni — oggi scalpellato o tamponato — visibile anche nel palazzo del Rettore, con la porta e due finestre per piano — monofore a piano terreno, bifore al primo piano —. Questa parte è costruttivamente collegata con la parte sinistra della casa dei Gettatelli,

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GALLAVOTTI CAVALLERO-BROGI 1987, p. 93. Utilizziamo, per semplicità, il termine Marcacci, al posto del più corretto « Spedale delle Donne », anche se la definizione deriva dal nome del medico attivo nello Spedale nella seconda meta dell'Ottocento, in quanto il grande ambiente posto al livello della piazza e quelli soprastanti, sono stati adibiti, in tempi diversi e non sempre facilmente distinguibili, a cappella, a convento delle donne, forse anche a pellegrinaio delle donne, etc., ed oggi sono in procinto di diventare museo archelolgico. 33

limitata, però, alle due bifore del primo piano e all'ingresso (ora tamponato) a piano terra34. Continuando a scorrere lo sguardo sulla facciata si incontra la casa dei Gettatelli, con le sue otto bifore al primo piano (ma che in origine dovevano essere almeno nove e forse più), l'ingresso carraio ai livelli inferiori (molto più ampio prima dei restauri del 1905-1907), le altre due aperture tamponate e le monofore (anch'esse tamponate); infine la muratura in calcare che si "appoggia" al piano terra della casa dei Gettatelli e la soprastante muratura in laterizio, con le medesime relazioni stratigrafiche, prima della muratura in calcare della cappella. Descritte le grandi masse murarie che interessano questo periodo costruttivo, passiamo ad una prima interpretazione che tenga conto delle relazioni fisiche fra le varie parti (i rapporti stratigrafici) ed iniziamo, com'è d'uso in archeologia, con le attività costruttive più antiche, all'interno del periodo considerato. Il lato sinistro dello Spedale era caratterizzato dai volumi della casa dei Gettatelli e, nonostante la presenza di una precisa epigrafe nel timpano di un'apertura del piano terreno, tale casa si deve individuare nel corpo centrale, a due piani, con le otto bifore al primo piano e le aperture del piano terreno, due tamponate già in antico e l'altra ridotta più volte di dimensione (vedi infra e fig. 5); non sappiamo se il fronte della casa si prolungasse oltre i bordi che abbiamo individuato: sicuramente un'altra bifora continuava il fronte verso destra, mentre a sinistra mancano completamente gli elementi per un qualsiasi giudizio. Successivamente viene costruita l'ala sinistra del fronte dello Spedale, fino all'odierna via del Capitano35— ala che ospiterà il pellegrinaio delle donne e, poi, la corsia Marcacci — unitamente alle prime due bifore del primo piano — con pause di cantiere — e al portone, poi ridotto a finestra, della facciata principale. Probabilmente negli stessi anni vengono aperte le due monofore sul fronte della casa dei Gettatelli, se non erano già state previste

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Più precisamente, abbiamo rinvenuto una perfetta ammorsatura delle due murature che costituiscono i fronti della corsia Marcacci e della casa dei Gettatelli; l'ammorsatura è riscontrabie —a parttre dal sedile in ietra a livello della piazza— dalla cornice che corre all'imposta delle aperture dei piano terreno della casa dei Gettatelli, fino alla cornice dell'imposta degli archi delle bifore, al primo piano della medesima casa. Poi abbiamo una situazione di relativa recenziorità, sempre della casa dei Gettatelli, fino al liveilo dei conci in pietra per gli uncinelli della copertura al di sotto dell’ampliamento della chiesa. 35 Ormai non sembrano sussistere molti dubbi sull'esatta cronologia costruttiva di questa parte, dopo il rinvenimento dell'epigrafe apposta in occasione del completamento dello Spedale nel 1338. Se ne veda l'esegesi nel contributo di Gabbrielli, pp. 105-109, al quale vanno i meriti della scoperta.

in origine36; come abbiamo già visto, viene, inoltre, costruita la quinta muraria destinata ad essere affrescata dai Lorenzetti. Ora cerchiamo di collocare cronologicamente le attività costruttive che abbiamo individuato e che devono essere comprese nell'arco di tempo che va dal 1298 al 1466-72, data dell'ampliamento e rialzamento della chiesa che suggella i volumi della casa dei Gettatelli. Ma si può provare ad essere più precisi, se utilizziamo le altre informazioni archivistiche disponibili e le fonti materiali ricavabili dalle murature stesse, quali l'apparecchiatura e le dimensioni dei laterizi che costituiscono le facce a vista delle murature. La mensiocronologia può costituire un valido punto di appoggio, pur con i limiti imposti dalla sperimentalità del metodo e dall'impossibilità, o dalla difficoltà, di accedere a tutte le diverse azioni costruttive, quali quelle poste in alto, per registrare le dimensioni medie dei laterizi. Infine anche i criteri della cronotipologia ci possono venire in aiuto. Le due monofore esistenti al piano terreno della casa dei Gettatelli (USM 40 e 42) sono quasi perfettamente coincidenti con i resti di altre due monofore individuate "sotto" le attuali finestre del piano terreno della corsia Marcacci (USM 70,5 e 71,29 del VI settore; figg. 6 e 7). Le dimensioni coincidono per quanto riguarda la larghezza (m 1,47) mentre differiscono nell'altezza (m 4,50 contro 3,70). Passiamo ora in rassegna le chiavi che ci potrebbero aiutare a trovare un'esatta collocazione cronologica assoluta a tali attività. Dobbiamo ammettere che questa precisazione che, a prima vista, sembrava ovvia e scontata per il conforto di una lettura ormai sedimentata delle fonti archivistiche e data la presenza di una apposita e circostanziata epigrafe che ha peregrinato per tutta la facciata della casa e che, attualmente, si trova nel timpano della prima apertura — da sinistra — del piano terreno della casa dei Gettatelli, si è dimostrata, invece, una operazione ostica e complessa e, soprattutto, non proprio indiscutibile. 36

La descrizione della tecnica costruttiva di queste aperture meritercbbe un capitolo a parte, sono, infatti, delle monofore ottenute "tagliando" la muratura già esistente, con lati strombati e senza soluzione di continuità con il resto della muratura per quanto riguarda gli stipiti, con la costruzione di un arco a tutto sesto per quanto riguarda la ghiera. La cronologia relativa indica, quindi, un prima e un dopo, ma il lasso di tempo intercorso fra questi due momenti costruttivi, attività edilizie positive e negative, non deve essere stato molto ampio, se consideriamo che sono stati usati i medesimi mattoni, disponendoli con la medesima cura anche all'interno della muratura, dove, generalmente, si aveva il sacco o una messa in opera nettamente più trascurata. Segno evidente che si intendeva costruire un'apertura con quelle caratteristiche e i mattoni "tagliati" possono essere la conseguenza di una mancanza di appositi pezzi sagomati, se non addirittura l'unica tecnica costruttiva considerata valida.

È indubbio che una qualche struttura doveva già esistere per accogliere i trecento « gettatelli » che troveranno riparo nella nuova casa, ma non possiamo indicare con sicurezza a quali delle attuali parti edificate fare riferimento. Così, per avere la base per una determinazione cronologica di questa parte del complesso ospedaliero, dobbiamo partire dal 1298. Ma quali azioni costruttive possiamo, a buon diritto, far rientrare in questa periodizzazione (Fase E)? Nella costruzione di tutto il piano terreno sembra siano stati utilizzati gli stessi laterizi e le cronologie relative concordano. Alcuni dubbi cominciano ad affacciarsi quando passiamo in rassegna il primo piano che — per quanto riguarda la casa dei Gettatelli — mostra alcune incongruenze stilistiche e di distribuzione. Innanzi tutto le monofore dovevano dar luce ad ambienti più alti di quelli ottenuti con la costruzione del primo piano (la ghiera della monofora ricade sul davanzale sotto le bifore e, quindi, la presenza di un solaio avrebbe "tagliato" la luce libera), poi non c'è nessuna corrispondenza fra le aperture del piano terreno e quelle del primo piano, come se fosse stata ripudiata quell'attenzione all'aspetto formale che era stata, invece, seguita nella costruzione, cronologicamente dilatata del Palazzo del Rettore e, successivamente, ripristinata negli ampliamenti settecenteschi. Una attenzione più analitica alle caratteristiche di finitura dei laterizi, per esempio la graffitura a spina-pesce o quella inclinata — presente sopra le due bifore a sinistra oltre la casa dei Gettatelli e nella parte inferiore del lato su via del Capitano — dimostra che alcune parti della facciata sono state risparmiate dalla gradinatura effettuata, in occasione dei restauri, tra il 1905 e il 1913 e che, forse, esistevano diversi piani verticali del costruito. Si deve presumere, allora, che queste parti siano il risultato di attività costruttive differenziate, che saranno riunite, poi, nei volumi di quelle case dei Gettatelli e delle Balie, delle quali non si riesce a delineare con sicurezza un'immagine chiara ed inoppugnabile. Se rileggiamo la trascrizione del documento del dicembre del 1379, o meglio ancora se rileggiamo il documento stesso, non possiamo riferirlo alla costruzione della struttura edilizia ma solo alla provvisione degli arredi di un pellegrinaio delle donne, già esistente perché si parla di « scialbare et dipignare »37 degli ambienti evidentemente già costruiti e probabilmente poco o male utilizzati38. 37

Pe una trascrizione recente del documento si veda MILANI 1988-89, p. 61. L’esistenza di un pellegrinaio delle donne diviso da quello degli uomini appare nei documenti fin dagli inizi del XIV secolo – BANCHI 1877, cap. LXII, p. 74, ed esistente ancora nel 1361 – cfr. MILANI 1988-89,pp.62-63. 38

A ben vedere è quasi impossibile, allo stato attuale dello spoglio archivistico, riuscire a collegare la funzione di "pellegrinaio" ad una qualsiasi struttura edilizia degli inizi del XIV secolo, ma se accettiamo come plausibile l'identificazione della corsia Marcacci come pellegrinaio delle donne, la sua data di costruzione viene a collocarsi posteriormente al 1298 (perché si "appoggia" ad una parte della casa dei Gettatelli) e precedentemente al 1379 (Fase F). Dalla scarsa documentazione archivistica sappiamo che, intorno a questa zona, nel 1336 si dava inizio alla costruzione di una nuova ala fra il corpo principale e il pellegrinaio sul terreno di due chiassi posti fra lo Spedale e il palazzo Squarcialupi39. Inoltre, fra il 1334 e il 1359, si veniva a formare l'attuale via del Capitano larga almeno 10 braccia, circa 6 metri40, ottenuta con l'ampliamento di chiassi già esistenti o con apposite demolizioni. Tutti segnali che indicano una situazione urbana in fase di definizione ed è, quindi, molto probabile che anche l'ampliamento verso sinistra della casa dei Gettatelli, con una parte destinata alle Balie e ad un nuovo "pellegrinaio", rientrasse in queste operazioni, così come viene attestato dall'epigrafe recentemente individuata e trascritta in occasione di questo studio. A sostegno della veridicità dell'epigrafe, possiamo far confluire anche le indicazioni che ci fornisce una nuova linea di ricerca: la cronotipologia. La forma e il partito decorativo delle bifore della corsia Marcacci sono assolutamente identiche a quelle del primo piano della casa dei Gettatelli, e molto simili a quelle del secondo piano del palazzo del Rettore (pressoché coevo — vedi infra—). Ci sembra fondamentale, però, aver capito che, su questo lato della piazza tra la fine del XIII secolo e i primissimi decenni del successivo, si attua il compimento di un disegno formale unitario, che verrà, successivamente, solo marginalmente interessato da piccoli interventi di ripristino ed adattamento. Ma torniamo alla piazza del Duomo (o meglio dello Spedale, come veniva a quei tempi designata l'ampia cavità fra le parti edificate). Tra il 1305 e l'anno successivo vengono deliberate alcune autorizzazioni per interventi che interessano la destinazione e, soprattutto, la sistemazione del lato nord della piazza, antistante il Duomo e lo Spedale, spazio aperto che finora non sembra avere rivestito, nel contesto urbano, un ruolo di riunione o di 39

La trascrizione del documento è alle pp. 113-114; un accenno al medesimo documento era già presente in BALESTRACCI – PICCINI 1977, pag. 152 (anche n. 36). 40 BALESTRACCI – PICCINI 1977, pp. 49-50.

transito, destinato com'era (o come appare dalla documentazione scritta) a cimitero ad uso dello Spedale e del Duomo. Le operazioni deliberate sembrano rivolte ad una regolarizzazione delle quote della piazza, che si richiede "spianata", con asportazioni dei livelli più superficiali41e la sistemazione delle tombe con lastre di marmo (che possiamo supporre limitata a quelle delle famiglie più abbienti). Tutti gli autori sono concordi nel ritenere che queste operazioni portarono ad un ampliamento dell'area "pubblica" della piazza e, forse, ad un inizio o ad un rafforzamento della funzione di passaggio fra Vallopiatta e il Duomo. Ma la nuova destinazione ad area "pubblica" potrebbe aver avuto un riflesso anche sulle strutture fisiche dello stesso Spedale, tant'è che, forse, la porta attuale dello Spedale, così alta ed ampia per la relativamente limitata area della vecchia cappella, può essere correlata alla nuova funzione di spazio urbano dilatato. E diventa interessante, per le implicazioni di carattere formale e di 'controllo' dell'intera struttura ospedaliera, collegare a questa situazione anche la sistemazione dell'accesso principale della casa dei Gettatelli, che viene formalizzato in un portone di dimensioni apparentemente identiche a quelle dell'attuale accesso dello Spedale e quindi di ben altra e monumentale importanza rispetto a quello che era venuto a determinarsi in seguito alla trasformazione del palazzo in chiesa e definitivamente sistemato nel corso dei restauri posteriori alle operazioni di stonacatura effettuate nel 1905. 3.4. L'ampliamento della cappella In tutto questo fervore costruttivo non pare fuori luogo porre anche l'ampliamento della precedente cappella dello Spedale, che può essere collocato in una fase posteriore alla costruzione della casa dei Gettatelli e che già nel 1327-1328 doveva avere la larghezza attuale, se concordiamo nell'identificare la « cappella del pellegrinaio » con quella dedicata ai SS. Gioacchino ed Anna, attuale cappella della Madonna42, che ha il muro di divisione con l'aula della chiesa allineato con quello che la separa dalla Sagrestia Grande, attuale muro 41

Si veda il contributo Boldrini sulla interpretazione dei dati di scavo, relativi a questo periodo. La trascrizione settecentesca del documento relativo alla costruzione della cappella, « Anco nell'anno 1328 fu conceduto...che nel pellegrinaio nuovo degli infermi potesse fare una cappella...a riverenza di S.Gioacchino e di S.Anna », è pubblicato in CAVALLOTTI-CAVALLERO 1985a Regesto 6, p. 415. 42

destro della chiesa. Per quello che abbiamo potuto constatare sul lato della Sagrestia Grande, dove la muratura è priva di intonaco fino agli affreschi del Vecchietta, quest'ultimo muro è costituito da brani di murature reimpiegate, con piccole finestre o nicchie, ampie aperture, forse pertinenti al collegamento cappella-sagrestia, e altre numerose tracce di attività edilizie differenziate (fig. 8), che fanno chiaramente intendere, laddove ce ne fosse stato ancora bisogno che l'avvicendamento costruttivo — studiato dalla stratigrafia degli elevati edilızi — sia stato particolarmente effervescente ed inserito in un contesto che non si può mai considerare sgombro da preesistenze. 3.5. Gli affreschi sulla facciata Torniamo ora alla facciata e alla piazza. A dar credito a quanto espresso dal Macchi e dal Faluschi, sulla base di una documentazione cartacca che sembra ormai perduta, fu al tempo del rettore Tese Tolomei (1314-1339 e più precisamente 1310-1320) che si fece costruire un muro « per riempire l'angolatura dell’edificio nella parte superiore e predisporre la facciata a ricevere la decorazione e la tettoia »43. Il frutto di tale attività costruttiva potrebbe essere individuato nell'USM 91 del settore III44, la parte in laterizio soprastante l'attuale accesso alla chiesa, limitata, a destra, da un visibilissimo spigolo e, a sinistra, dalle bifore del primo piano della casa dei Gettatelli. I famosissimi affreschi che Pietro e Ambrogio Lorenzetti (e forse Simone Martini)45 eseguirono sulla facciata dello Spedale — quattro storie della Vergine - sono, tradizionalmente, attribuiti agli anni 1335-1337 o 1331-1340, ma le due antiche trascrizioni dell'epigrafe coeva agli affreschi ci indicano l'anno 133546. Non sembrano esserci dubbi sulla collocazione, per così dire, 'topografica' delle Storie (USM 91 e 92), che doveva essere fra la parete in calcare della cappella e quella che si può interpretare come la "rasatura" di una cornice in muratura (USM 93 vedi infra) e fra l'orologio e le bifore della casa dei Gettatelli. E’ quindi, facilmente 43

MACCHI, Memone, II, c. 199v.; FALUSCHI, Le Chiese, c. 183, così come citato in GALLAVOTTI CAVALLERO 1985, p. 131, n. 60. 44 Si veda quanto viene interpretato da Mennucci, p. 212 45 Tra gli ultimi contributi apparsi, sul problema della attribuzione degli affreschi, si veda GALLAVOTTI- CAVALLERO 1987b, favorevole ad un intervento di Simone Martini. 46 L’epigrafe, ora perduta, «Hoc opus fecit Petrus Laurentij et Ambrosius eius frater 1335» fu trascritta una prima volta dall’UGURGIERI AZZOLINI 1649, II, pp. 336-338 e poi ripresa da PECCI 1761, pp. 38-39.

constatabile che il primo piano della casa dei Gettatelli con le sue otto bifore (ma che dovevano essere almeno nove) è precedente alla esecuzione degli affreschi. Se riprendiamo l'ipotesi espressa precedentemente, con le due diverse fasi costruttive della casa dei Gettatelli: a destra e a sinistra dell'attuale accesso alla compagnia di S.Caterina della Notte, la realizzazione della parte destra deve collocarsi in un ambito cronologico anteriore, nell'ipotesi più sfavorevole al 1320, anno di esecuzione della parete sulla quale saranno eseguiti — nel 1335 — gli affreschi. Ma l'attività edilizia non si limitava soltanto alla costruzione dei vari corpi funzionali dello Spedale. Sulla piazza del Duomo, nel medesimo periodo, erano attivissimi i cantieri della nuova facciata della Cattedrale (1284-1296), del palazzo vescovile (1257-1273) e di tutta una serie di rifacimenti e di nuove sistemazioni dell'intera piazza, occupata dai gradini del Duomo, dal sagrato dellachiesa di San Giovanni, da una loggia del palazzo vescovile, da un cimitero e, forse, da una serie di costruzioni o da un palazzo destinato all'operario dell'Opera del Duomo e/o dei Canonici. Con una operazione resa facilissima dall'impiego di altri veicoli espressivi, proviamo ad immaginare quale dovesse essere l'aspetto della piazza per chi vi entrava dall'attuale via del Capitano, in una giornata della fine del XIII secolo (fig. C). Immediatamente sulla destra, dopo alcune case di proprietà dello Spedale, si trovava la facciata della pieve di San Giovanni — il Battistero dei senesi fino alla costruzione di quello nuovo, posto sotto la crociera del Duomo — nelle immediate vicinanze della Pieve c'era la loggia del vescovado — che doveva intralciare il traffico da e per lo Spedale — poi il lungo allineamento murario costituito dal lato del palazzo vescovile e dalla nuova facciata del Duomo — che, nel 1296, Giovanni Pisano aveva lasciato incompiuta all'altezza dei tre timpani sovrastanti i portali — quindi, di seguito il palazzo dei Canonici (e dell'operario dell'Opera) che, probabilmente, doveva formare un angolo verso la facciata dello Spedale. Forse un piccolo vicolo divideva la Canonica da un edificio che sarà poi del Camarlingo dello Spedale e che, attraverso il cimitero, doveva portare sul sagrato della Cattedrale. Sul lato sinistro della piazza si era ormai completato l'intero fronte dello Spedale, con il palazzo del Rettore, fino al primo piano, la cappella con i due diversi paramenti murari e, infine l'edificio (o gli edifici) dei Gettatelli che tornavano a chiudere la piazza.

4. I nuovi corpi di fabbrica e l'immagine del fronte dello Spedale fra 1338 e 1404. Periodo VI Abbiamo appena accennato a come, con la costruzione dell'ultima parte della casa dei Gettatelli o Spedale delle Donne, la forma della piazza del Duomo doveva considerarsi quasi completata. Se il profilo planimetrico non subirà sostanziali mutamenti per un lungo lasso di tempo, almeno sul lato dello Spedale, continui interventi edilizi devono aver modificato e aggiunto nuovi corgi di fabbrica sopra (e forse sotto) quanto, dello Spedale, era già stato costruito. Questo fervore costruttivo trova degli scarsi riscontri nella documentazione tradizionale, in quanto le fonti relative allo Spedale, soprattutto quelle di tipo scritto, sembrano mostrare una rarefazione tale da far supporre, durante il XIV secolo, una pesante stasi nell'attività edilizia, mentre invece le fonti materiali, con la perentorietà che mettono nell'affermare la loro esistenza, contraddicono tale sensazione. Infatti è ben noto a tutti noi che così non doveva e non poteva essere: la prima metà del XIV secolo è, a Siena, un periodo di intensissima attività edilizia, con colossali progetti di ampliamenti del circuito murario e degli edifici più importanti, con nuove costruzioni, con il rinnovamento quasi totale delle forme e dei tipi edilizi. E non possiamo immaginarci un ente come lo Spedale, che rimane costretto negli spazi e nelle forme già costruite per tutto questo periodo, unico organismo a mostrare una immobilità e una scelta non costruttiva assolutamente controcorrente, sia nei confronti dell'ente religioso che lo fronteggiava (si pensi al progetto del Duomo Nuovo), sia dell'amministrazione civile che governava la città, e che nel 1309, secondo il Macchi47, fa apporre i propri simboli sulla facciata dello Spedale stesso. Evidentemente si deve ammettere una lacuna, uno iato nella cura della conservazione della documentazione scritta riguardante l'attività edilizia dello Spedale, attività che possiamo a buona ragione ipotizzare attraverso il confronto con informazioni per certi versi indirette (quali le deliberazioni del Governo della città)48 e che, soprattutto, appaiono ben chiare nelle strutture materiali dello Spedale stesso. Proviamo ora a ripercorrere le tappe di una vicenda costruttiva assai impegnativa e diversificata su diversi fronti. Non dobbiamo, infatti, 47 48

MACCHI, Origine, c. 60 Si veda quanto acutamente osservato da ASCIHERI 1988.

dimenticare che, se anche ci limitiamo a descrivere le vicende costruttive della facciata, le scarse notizie scritte che abbiamo ci prospettano una tumultuosa crescita verso la valle, con una continua costruzione di tutta una serie di grandi aule: i « pellegrinai ». 4.1. Ampliamento del palazzo del Rettore In mezzo a tutta la serie di ipotesi più o meno controllabili, incertezze e laconicità dei documenti, emergono con chiarezza alcune solide certezze. Alla luce della lettura autoptica del manufatto possiamo affermare, con sicurezza, che il palazzo del Rettore fu rialzato più volte, e su questa certezza assume un carattere assai più preciso anche la serie di informazioni che il Macchi dissemina in pagine diverse dei suoi manoscritti. Infatti più volte, addirittura nella stessa pagina, è riportato che « la quale habite sì agumentò l'anno 1350 » e « l'anno 1480 [ corretto in 1350 ] fu agionto di sopra le cinque finestre della casa del Sig. Rettore »49. La costruzione del secondo piano, con le sue cinque bifore, si può così collocare intorno alla metà del XIV secolo, probabilmente con più cantieri, mentre il successivo rialzamento merlato, anch'esso molto ben distinguibile dalle relazioni stratigrafiche con l'adiacente parete della chiesa, è attribuibile al 1400 e 148250. Di pochi anni successiva sembra essere un'operazione costruttiva che dovette interessare il coronamento della cappella. Alla fine del 1354 è registrato un rimborso di un prestito fatto al maestro di pietra Gherardo di Bindo: « per il completamento della chiesa muro le volte de la chiesa nuova »51. Purtroppo non si può essere molto più precisi e circostanziati sull'effettiva realizzazione di tale operazione, che potrebbe riferirsi anche al piano terreno del palazzo del Rettore, collegato con la chiesa. Infatti nell'affresco di Domenico di Bartolo — del 1443 — il soffitto della chiesa sembra essere ancora a travi lignee, ma non ci sembra improbabile collegare alla necessità di protezione e 'decoro', richiesta dagli affreschi eseguiti pochi anni prima, la costruzione di una cornice in muratura, aggettante dalla parete della chiesa, che dovette, però, essere ben presto sostituita da una tettoia lignea. L'esistenza di un cornicione in muratura non è attestata da nessun tipo di fonte scritta, ma l'USM 93 (fig. 9), 49

MACCHI, Origine, c. 60. Per una cronistoria piu precisa delle fasi costruttive tardoquattrocentesche del palazzo del Rettore, vedi infra e il contributo Milani, in questo volume. 51 Così come riportato da GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, Regesto 44, p. 417. 50

nonostante tutta la serie di restauri e rimpelli che deve aver subito, sembra interpretabile solamente come il risultato della demolizione di un corpo sporgente in muratura. Entro i bordi di tale azione costruttiva, infatti, non esistono mattoni integri e la tessitura è quanto di più simile si possa immaginare al riempimento interno di una muratura a sacco. Con una tale definizione formale non appare difficíle immaginare una contemporanea soluzione del sistema di copertura della chiesa. Ed è in questo senso che possiamo considerare completato l'ampliamento medievale della chiesa, così come era stato intuito, anche se con soluzioni diverse dalla Gallavotti Cavallero52. 4.2. L'acquisto delle Reliquie Nel periodo immediatamente successivo alla epidemia del 1348, allo Spedale non sembrano mancare i mezzi finanziari per diversificare gli investimenti e, verosimilmente per motivi di 'salute' pubblica, si delibera di acquistare un lotto di reliquie, comprendenti anche dei reperti collegati al culto della Vergine. Così il 28 maggio 1359 arrivano a Siena, da Costantinopoli, le reliquie e subito nasce il problema di dove ospitarle e di come mostrarle al pubblico. Si decide, allora di trasformare il portico di ingresso allo Spedale in « chapella a lato a la Nunziata » e nel 1366 i lavori risultano ad uno stato di avanzata costruzione53. Per sopperire alla necessità di una maggiore e più facile affluenza dei fedeli, si costruisce all'esterno, tra il 1361 e il 1364, un pulpito in marmo, coperto da un « pergholo » di ferro, da dove, nelle giornate dedicate alle celebrazioni liturgiche relative al culto della Madonna, le reliquie vengono esposte al pubblico. La localizzazione del pulpito è facilitata dalla documentazione grafica inserita nei manoscritti di Girolamo Macchi (fig. 10), che lo mostrano fra la vecchia entrata della chiesa (dagli inizi del '600 ormai tamponata) e l'attuale ingresso dello Spedale (a partire almeno dal 1360 diventato accesso principale), mentre dall'interno, per accedervi vi « si andava da dove si va a caricare l'oriolo »54. La presenza delle reliquie sembra avere un riflesso importante sulla sistemazione urbana della piazza. La necessità di disporre di uno spazio ampio ed onorevole, quale si evince dalla documentazione successiva, 52

GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 79. Ibidem, Regesto 79-86, p. 418. 54 MACCHI, Memorie, II, C. 123. 53

mostra come l'afflusso popolare dovette essere assai notevole e certamente comportò una modifica nelle potenzialità dinamiche delle direttrici di interesse urbano, probabilmente assai più incidente della presenza dello stesso Duomo. Uno dei primi provvedimenti governativi è, infatti, la demolizione della loggia del Vescovado, nel 1379, così descritta nella cronaca del contemporaneo Donato di Neri: « La loggia del vescovado di Siena, che era in sul canto del duomo che era in fuore in fino a la via, si guastò; e questo si fe' per aver magior piaza per mostrare l'arliquia,... »55. Negli stessi anni si registra il restauro (o la costruzione) del sedile di pietra: « li murelli di marmo nella piazza di detto spedale attaccati alla chiesa, li quali furono fatti per sedere la Signoria e Magistrati di Siena quando venivano alla benedizione delle Reliquie »56. Il successo dell'operazione non poteva non creare attriti con il Capitolo del Duomo, forse mai sopiti dal momento dell'affrancazione dell'ente ospedaliero, che portano, nel 1383, alla delimitazione delle rispettive aree di influenza, mediante l'apposizione del « rigolo » di marmo bianco, ancora oggi esistente, e con la sistemazione delle sepolture afferenti ai due Enti (fig. D). Nel 1397 viene, infine, ammattonata una parte piuttosto ampia della piazza, ma non la sua totalità, se ancora nel 1442 Priamo della Quercia, nell'affresco nel pellegrinaio dello Spedale, ne mostra la superficie terrosa (fig. 11a). Con il 1404, in concomitanza del nuovo indirizzo più spiccatamente popolare del governo senese, le autorità della città concludono un'operazione già avviata nei secoli precedenti, sancendo, anche formalmente, con la nomina diretta del Rettore, il sostanziale assorbimento delle attività economico-finanziarie dell'ente ospedaliero57.

5. Il Rinascimento senese: dal 1404 agli inizi del XVII secolo. Periodo VII 55

Dalla Cronaca Senese di Donato di Neri in Cronache senesi 1931-39, p. 636. MACCHI, Memorie, II, c. 123; MACCHI Origine, cc. 17-23. 57 Il mutamento delle strutture politiche e sociali del potere pubblico ha un riflesso simbolico-ideologico nella nascita della storia del beato Sorore, che può essere letta come il tentativo di affermare una origine laica dell'ente, che ne giustificasse l'autonomia dal potere ecclesiastico. « L'estrazione prettamente popolare del ciabattino doveva avere infatti una specifica risonanza politico-soeiale in quell'epoea caratterizzata dalla conquista dello stato da parte dei "monti" popolari. » ISAACS 1988, p. 25. 56

« Ai primi del Quattrocento un nuovo governo, accanitamente repubblicano, sancì la propria posizione commissionando opere in cui si mescolavano temi relativi alle tradizioni storiche senesi: la protezione della Madonna sulla città, il buon governo, le libertà civiche...La volontà di creare un'immagine pubblica fu un fattore determinante per queste commesse: per l'incarico del fonte battesimale del Duomo la ragione che il Comune addusse fu che quello esistente era "...non... altro che sozo e vituperoso e noto ad ogni cittadino" »58. « Le commissioni di opere civiche venivano affidate dagli organismi del governo cittadino: il Concistoro...il Consiglio Grande e il Consiglio del Popolo...o dalle altre due istituzioni: il Duomo e l'ospedale di Santa Maria della Scala... »59 e solo « Le commissioni ufficiali di un'unica istituzione, lo Spedale di Santa Maria della Scala, si scontravano apertamente con questo modo di vedere il mantenimento di uno stile tardogotico e incoraggiavano uno stile moderno, realistico. »60. Questa lunghissima citazione ci introduce ad uno dei quesiti più dibattuti dalla storiografia artistica che si occupa del XV secolo senese, poichè accenna all'irrisolto problema del perché nello Spedale, ma anche in Siena stessa, si effettuarono interventi costruttivi perfettamente adeguati ai modelli culturali ormai imperanti in altri centri della Toscana, inframezzati o immediatamente seguiti da ritorni a modelli stilistici e costruttivi molto più tradizionali. Dibattito che potrà attingere nuova linfa, per quanto riguarda l'architettura, quando riusciremo a 'smontare' ed isolare i singoli elementi costitutivi dell'edilizia, ad individuare i passi veramente innovativi e a confrontare in quale contesto reale si venivano ad inserire e quale seguito, quale meccanismo di emulazione erano riusciti ad innescare. 5. 1. Le sistemazioni della piazza Ma torniamo alle vicende costruttive dello Spedale e della piazza. È stato accennato all'esigenza del governo senese di sostituire il fonte battesimale. Oggi non esistono dubbi sulla posizione del nuovo Battistero, posto sotto la crociera del Duomo, e formatosi a partire dal 1322, con elementi decorativi del 14171427 — ma ancora nel 1450 vi si lavorava —, mentre 58

CHRISTIANSEN – KANTER – STREHLKE 1989, p. 41. CHRISTIANSEN – KANTER – STREHLKE 1989, p. 49. 60 Ibidem, p. 54. 59

più nebulosa appare l'identificazione della sede topografica del Battistero precedente. Lusini era convinto che il primitivo San Giovanni sorgesse vicino alla facciata del Duomo, dalla parte del palazzo vescovile 61, ma sembra identificare quest'ultimo edificio con il più recente, a sinistra della facciata e modificato ad Arcivescovado solo dal 1720, mentre l'antico si trovava sul lato destro della facciata del Duomo, allineato con essa fino, quasi, all'imbocco di via del Capitano (figg. 11 e 12)62. Balestracci e Piccinni ritengono che l'antico San Giovanni « si trovava in primo tempo vicino alla sua facciata principale [ del Duomo ], dalla parte del palazzo vescovile »63. Il controllo dell'immagine del palazzo vescovile, quale possiamo vedere nell'affresco di Priamo della Quercia, ci suggerisce un partito decorativo omogeneo e, quindi, la pieve di San Giovanni doveva trovarsi al di fuori dell'ingombro del palazzo — a meno di non ipotizzare una completa 'rifoderatura' della facciata dopo il 1404 e prima del 1442 —, probabilmente nei pressi (o in parte coincidente) con lo spigolo del successivo palazzo Reale, forse a stretto contatto della loggia del Vescovado (demolita pochi decenni prima — vedi supra) (fig. 13). Queste operazioni rientrano, ancora, nella fase di risistemazione dell'area della piazza, per adeguarla alle esigenze apparentemente nate con l'arrivo delle reliquie - vedi periodo precedente — ed evidentemente non ancora risolte o portate a compimento. Dopo la fine del terzo decennio del Quattrocento, con il rettore Buzzichelli (1433-1444) si possono considerare accantonate le ricorrenti crisi finanziarie, alle quali non dovevano essere stati ininfluenti i piani di espansione di un suo predecessore, il rettore Carlo 61

LUSINI 1901, P. 14. La presenza del palazzo vescovile è ampiamente documentata nelle fonti documentarie, specialmente iconografiche. A cominciare dai citati affreschi di Priamo della Quercia e di Domenico di Bartolo nel Pellegrinaio, per arrivare alle vedute del Marcucci e di Nasini all'interno del Palazzo Comunale—Palazzo Pubblico di Siena 1983, p. 175, fig. 202—e della pianta, redatta in occasione della domanda di demolizione del 1658, nel fondo Chigi a Roma (vedi infra). 63 BALESTRACCI – PICCINNI 1977, p. 110. 64 Intorno a questi anni si hanno le prime attestazioni di un "oriuolo", posto sulla facciata dello Spedale. Mentre una sibillina attestazione, nel 1413, « per gli oriuoli » nello Spedale non ci permette una sicura collocazione del meccanismo, dall'affresco di Domenico di Bartolo se ne nota il retro posto all'interno della chiesa. A Siena è documentato un orologio sulla torre del Mangia fin dal 1360 (Palazzo Pubblico di Siena 1983, p. 57). Una ricca bibliografia accompagna lo sviluppo di questi meccanismi, dalla fine del XIII o agli inizi del XIV secolo e il significato sotteso ad una misurazione del tempo resa pubblica e non più limitata a pochi 'eletti'. Già Dante — Paradiso, X, 139-144 — fa entrare il meccanismo nella letteratura: « Indi, come orologio che ne chiami / nell'ora che la sposa di Dio surge / a mattinar lo Sposo perché l'ami, / che l'una parte l'altra tira e urge, / tin tin sonando con si dolce nota, / che 'l ben disposto spirto d'amor turge; ». 62

d'Agnolino Bartali64. Se escludiamo la ciclopica operazione costruttiva delle muraglie e degli speroni sul lato del fosso di Sant'Ansano — probabilmente reimpieganti interi tratti di mura urbane dismesse — cui sono attestate delibere ed acquisti di materiale dal 1415, ma che continueranno per tutto il XV secolo, solo dopo il 1440 si assiste ad un rinnovato fervore costruttivo, e questa volta accompagnato da una ricchissima messe di materiale archivistico. La realizzazione degli affreschi del Pellegrinaio costituisce un momento importante, in quanto gli affreschi permettono di confrontare le tracce leggibili sulle murature (le fonti materiali) con la situazione in essere ad un determinato momento. Abbiamo già accennato all'affresco di Domenico di Bartolo, con la presenza delle due porte sulla parete laterale della chiesa, e che ci permette una agevole interpretazione della situazione del nodo chiesa-ingressi-piazza-Duomo, ma anche l'affresco di Priamo della Quercia ci aiuta a comprendere l'evolversi della sistemazione della piazza, con i gradini del Duomo, le operazioni di ammattonatura e selciatura e l'aspetto della loggia dei Canonici e del palazzo vescovile al 1442. Ci sono altre linee di ricerca che ci possono aiutare a comprendere un po' di più quanto veniva effettivamente eseguito, o quale peso esercitavano le preesistenze, nel caso dei lavori deliberati dagli organi della Repubblica e dello Spedale o attestati dalle ricevute dei pagamenti. Per quanto riguarda lo Spedale conosciamo il salario giornaliero dei mastri muratori e dei manovali, conosciamo le cifre pagate per determinati lavori e sappiamo che, generalmente, il materiale era fornito dallo stesso Spedale. Se la conoscenza del cantiere bassomedievale e rinascimentale fosse molto più approfondita di quanto in effetti sia si potrebbe tentare di risalire alla quantità e al tipo di lavoro eseguito, una sorta di computo metrico inverso, confrontando e incrociando i dati provenienti dalle singole azioni costruttive omogenee (le USM), l'ammontare delle paghe e la quantità dei materiali impiegati, per arrivare a determinare la quantità di lavoro giornaliero di un certo tipo, la produzione giornaliera per addetto (scavo delle fondazioni, preparazione della malta e dei ponteggi, murature in pietra, in laterizio o con materiali deperibili, intonacatura, etc.) ed avere, così, una

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Un tentativo di percorrere questa linea di ricerca, un primo passo per sondare tale direzione deve essere inteso il paragrafo relativo nel contributo Milani.

base più attendibile per la interpretazione della documentazione archivistica relativa alle costruzioni edilizie65. 5.2. Il completamento della Sagrestia Grande Un tale preambolo, irto di riflessioni che, se non sono appoggiate ad un riscontro o ad uno spoglio documentario, possono apparire più o meno peregrine, appare doveroso nel momento in cui si dovrebbe capire, od interpretare, quanta parte sia stata effettivamente costruita, a partire dal 1440, e quanta, invece, fosse già esistente nelle operazioni di sistemazione e decorazione della Sagrestia Grande, prima, e dell'ampliamento della chiesa, poi. Anche se l'ambiente adibito a Sagrestia non ha un contatto diretto con la facciata, molteplici e importanti sono i rapporti che si instaurano con i volumi già edificati della chiesa. È indubbio che una sagrestia deve essere a diretto contatto con la zona presbiteriale della chiesa e la delibera del 1443 « di conciare et di nuovo rifare et murari nela sagrestia desso spedale »66è la prova incontrovertibile che il volume della chiesa, a quella data, aveva già la larghezza dell'attuale67. Si è già accennato al coacervo dei ripetuti interventi costruttivi 'leggibili' sulla faccia esterna del muro destro della chiesa, sul lato della sagrestia. Le pareti completamente stonacate, anche se l'asportazione è stata limitata alla fascia inferiore dell'ambiente al di sotto degli affreschi del Vecchietta, mostrano (fig. 8) ampie aperture successivamente ristrette e poi tamponate, sulla spalla sinistra tracce di finestre (o nicchie) regolari e, su quella destra, una piccola porta e quella che si paò interpretare come uno scarico. Le tracce degli accadimenti edilizi hanno, logicamente, un corrispettivo nella documentazione archivistica che ci racconta una storia funzionale assai variata, per il

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ASS, Spedale, 23, c. 66, pubblicata da Milanesi in Documenti per la storia dell'arte senese 1854-56, II, p. 369 e in MILANI 1988-89, p. 69. 67

Sulla base di quanto ci è stato comunicato da Ascheri (ASCHERI 1988) la data 1399 non è più sufficientemente probante per la redazione della dettagliata descrizione dello Spedale, dove si parla anche di una « Sacrastia ». Ma una sagrestia poteva, comunque, esistere, dopo che la chiesa era stata ampliata, alla metà del XIV secolo.

duplice impegno di servire come sagrestia e come cappella per le reliquie, già nel corso del XV secolo68. Anche sulla facciata si effettuano leggere sistemazioni, forse operazioni di ordinaria manutenzione, come la sostituzione di alcune travi della tettoia 69, dei sedili in pietra — 1445 — mentre il Vecchietta viene pagato « per dipentura anchora de l'oriuolo70. 5.3. L'ampliamento della chiesa Ma è l'ampliamento della chiesa l'operazione più consistente sia per la volumetria aggiunta e sia per l'impatto formale del fronte sulla piazza e non appare fuori luogo l'osservazione che fa la Gallavotti sul fatto che la chiesa « si poneva come una cerniera fra il nucleo dello Spedale vero e proprio e lo spazio esterno, punto di transito e di riunione della cittadinanza »71. Il 20 luglio del 1466 si decide, « secondo el disegno d'esso maestro Guidoccio et degli altri maestri », di modificare un probabile primitivo progetto, « avendo bene examinato chresciare la chiesa », perché il lavoro poteva essere fatto « con assai minor spesa ». Alla

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Dopo i lavori deliberati nel 1443, sono attestati pagamenti al Vecchietta per la decorazione dell'Arliquiera (aprile-dicembre 1445 « si cominciò il cassetto della sagrestia dello spedale di cori overo è sedi e depenture » e poi, sempre al Vecchietta, gli affreschi relativi alla celebrazione della reliquia del Sacro Chiodo (fine 1446 per le volte, settembre 1449 per le pareti). Durante i lavori al a nuova chiesa vengono restaurate le volte (1467) evidentemente danneggiate dagli interventi. Con l'allungamento della chiesa (1466-1472 e il cantiere successivo) la Sagrestia, ormai situata a metà della navata, perdeva la funzione specifica di locale accessorio alla chiesa. Così fra il 1475 e il 1478, si costruisce il baldacchino di marmo « in forme rinascimentali più consone alla nuova architettura della chiesa » e si interviene con operazioni di muratura — probabilmente relativi alla nuova destinazione — per le quali sono attestati, nel 1479, « quatro cento matoni compramo...per la chapella per le rifichui » (MILANI 1988-89, p. 78). Tra il 1579 e il 1584 la Sagrestia, forse già scialbata, veniva concessa in uso alla congregazione del S.Chiodo. Nel 1610 vi venivano trasferiti l'affresco della Madonna del Manto e il ‘corpo' del 'beato' Sorore. Poi diventa corsia femminile (sala S.Pietro) e, dall'8 maggio 1784, aula di chirurgia. Tra il 1864 e il 1866 ricomparvero gli affreschi del Vecchietta e diventò biblioteca (GAVALLOTTI CAVALERO) 1985a, pp. 173-183). 69 Durante la sostituzione di legni « ritti in alto », alla tettoia della « porta delle donne » — nel 1440 — si ha l'attestazione di un tragico incidente di cantiere. Il maestro Guidoccio di Andrea — che ritroveremo venticinque anni dopo come direttore del cantiere di ampliamento della chiesa — narra come avvenne l'incidente che causò la morte di una « citolina » dello Spedale (Documenti per la storia dell'arte senese 1854-56, II, p. 199). 70 GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, Regesto 290-291, p. 426. 71 Ibidem, p. 200.

nuova chiesa è richiesto « che sia bella, honorevole et magnifica »72. Dai registri delle Entrate e delle Uscite dello Spedale emerge molto chiaramente sia la personalità di Guidoccio d'Andrea, come capomastro direttore dei lavori, sia la durata complessiva del cantiere, che possiamo suddividere — dalle compere dei materiali e dai pagamenti alle maestranze — in due fasi distinte: una prima che va dal 1466 al marzo del 1472, nella quale si desume che sia stato portato a compimento poco più di quello che oggi verrebbe chiamato il rustico e cioè le pareti, le finestre e i cornicioni — opera di Urbano di Pietro, a favore del quale sono registrati pagamenti nel 1467 e 1471 — la copertura e il soffitto della chiesa, mentre una seconda fase — che va dal 1472 fino al 1483 (ma vengono fatti lavori per la chiesa anche oltre tale data) — sembrerebbe relativa alle opere di finitura e di decorazione, e vi appare, come responsabile di cantiere, Galgano di Giovanni73. Il ripudio completo di stilemi formali prettamente senesi ha eccitato la fantasia di moltissimi storici dell'arte, che si sono cimentati in esercizi attributivi a volte di grande acume e finezza dialettica, ma spesso solo funambolici. Anche il nome suggerito in questi ultimi anni, quello di Francesco di Giorgio, alla luce degli ultimi spogli archivistici, non appare, oggi, così convincente, come appariva nel 198574, pur non potendo escludere assolutamente l'apporto dello stesso Francesco di Giorgio al progetto della nuova chiesa — ma in quanto allievo del Vecchietta, l'esecutore più attento alle istanze artistiche del Consiglio dello Spedale — , progetto di cui non conosciamo assolutamente nulla oltre al laconico « secondo el disegno d'esso maestro Guidoccio e degli altri maestri ». Non è improbabile che il Vecchietta e Guidoccio d'Andrea avessero costituito essi stessi una sorta di compagnia per l'esecuzione di determinati lavori — ad esempio l'Arliquiera — ed è sicura una loro frequentazione comune in altri cantieri dello Spedale. Ma Guidoccio stesso non è una personalità di secondo piano nel ristretto mondo, se confrontato ad altri centri toscani, della cultura architettonica senese della metà del XV secolo. Sono conosciuti suoi interventi alla grancia di Spedaletto in val d'Orcia, ma è 72 Il documento fu publicato da BANCHI 1877, pp. 124-125, ed è stato, poi, ripreso ed interpretato variamente da tutti gli studiosi delle vicende costruttive della chiesa dello Spedale. In questa sede ci preme tratteggiare solamente l'andamento delle fasi di cantiere, rimandando il lettore alla tesi MILANI 1988-89 per un resoconto più dettagliato dei capitoli di spesa, del personale e dei tempi impiegati. 73 Le fonti scritte testimoniano con precisione ogni singolo passo di avanzamento del cantiere. Per un riscontro puntuale si veda la tesi MILANI 1988-89. 74 Su questo specifico aspetto, si veda quanto sostenuto da GALLAVOTTI CAVALLERO 1985b.

suo il progetto della fortificazione della rocca di Sarteano e, sempre per conto del Comune, è a Guidoccio che si chiedono pareri e sopralluoghi per uno dei più incredibili progetti senesi, quello della diga sul Bruna, presso Ribolla in Maremma — dove sarà impegnato anche Francesco di Giorgio75, Gli altri maestri, citati nella delibera, possono essere maestranze con responsabilità subordinate, quali quei maestri muratori che appaiono nelle fonti archivistiche. 5.4. Completamento del palazzo del Rettore La divagazione si è fatta assai lunga, forse più del necessario, e ci pare giunto il momento di tornare alle vicende materiali dello Spedale. Quando ancora non erano completate le opere di finitura della chiesa, si cominciano i lavori al palazzo del Rettore. A partire dal 1479 — i primi acquisti di materiale edilizio sono del novembre — vengono intraprese quelle opere di sistemazione di volumi già edificati, dapprima all'interno — un caminetto — per arrivare, poi, al completamento del piano della facciata dello Spedale, con il coronamento merlato e la copertura, per i quali si torna ad impiegare modelli stilistici più tradizionali, rispetto alle soluzioni formali della chiesa. Finalmente, con l'imbiancatura dei nuovi ambienti, nel marzo del 1483, si può considerare terminato il complesso iter costruttivo del palazzo del Rettore, almeno limitatamente a quei volumi esterni visibili sulla facciata. 5.5. I "racconci" delle strutture e delle decorazioni dello Spedale Tuttavia i decenni della seconda metà del Quattrocento sono punteggiati da una miriade di altri interventi: il rifacimento della tettoia esterna — forse in questa occasione, o per il rialzamento della chiesa, viene demolita la cornice in muratura che abbiamo ipotizzato dovesse proteggere gli affreschi — e il prolungamento della fascia affrescata con le Storie della Vergine, dei Lorenzetti, sulle finestre ormai tamponate ed intonacate del primo piano della casa dei Gettatelli76, la nuova loggia verso il fosso di Sant'Ansano (della nuova infermeria) e tutti i "racconci" e le sistemazioni 75

Si vedano i disegni e la documentazione relativa in ADAMS 1982. 76 Mentre non sembrano sussistere dubbi sugli autori di tale decorazione, in quanto i nomi di Onofrio di Frosino e Battista di Cristofano emergono chiarissimi dalle fonti, molti problemi rimangono sull'iconografia o sul tipo di decorazione eseguita.

relative alle necessità di una struttura che continuava ad assolvere, con sempre maggiori difficoltà, il suo compito assistenziale. Probabilmente un accurato spoglio archivistico potrebbe riservare delle sorprese sulle vicende costruttive dell'inizio del XVI secolo, ma nella situazione attuale dobbiamo accettare quanto afferma la Gallavotti, secondo la quale, tra il 1507 e il 151277, si conoscono solo cinque documenti riguardanti modestissimi lavori nella nuova chiesa, mentre dalla fine del 1512 vengono attestati lavori edilizi preparatori ad una nuova decorazione della cappella del Manto78, cominciata nel 1513 e limitata alla prima campata interna, verso l'attuale Passeggio. E quasi certamente durante il XVI secolo viene rialzato il coronamento della corsia Marcacci, con una quinta in muratura che doveva assolvere il compito di rendere visivamente meno improvviso il mutamento di quota fra il coronamento della chiesa e l'ala adiacente. Anche la costruzione del primo organo, deliberata nel 1514 ma forse iniziata in precedenza79 ha un leggero riflesso sulla forma esterna della facciata, in quanto vengono accecate alcune monofore della chiesa. Ma ormai la struttura ospedaliera pare cristallizzata in se stessa, e dal periodo successivo al rettorato di Giovanni di Filippo Tondi (1519-1527) sembra che l'attività costruttiva e di mantenimento degli edifici cessi quasi completamente (almeno per il cinquantennio successivo), trovandosi l'ente opedaliero alle prese con un progressivo depauperamento delle risorse finanziarie, che continuerà a peggiorare fino alla caduta della repubblica senese. 5.6. L'altro lato della piazza: palazzo Petrucci ed Arcivescovado Torniamo indietro di qualche decennio e guardiamo alle vicende costruttive sull'altro lato della piazza. Dalla fine del XV secolo si devono registrare importanti modifiche all'assetto edilizio già sedimentato. Per permettere la costruzione di un nuovo palazzo della famiglia Petrucci lo Spedale vendeva — ma forse era costretto ad alienare — « sei chase 77

GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 267. Si tratta del primitivo portico d'accesso allo Spedale, nel XIV secolo trasformato in cappella delle Reliquie e che, ancora nel XVI secolo, conservava la Madonna di Domcnico di Bartolo detta del Manto, alla quale erano riconosciute proprietà taumaturgiche. 79 Se è interpretata correttamente la funzione dei due elementi decorativi, ora alla Pinacoteca Nazionale, che dovevano servire a coprire le canne di un organo e datati, in base allo stemma del Rettore, al 1478-80 o 1485-97; GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 253. 78

chontigue nel terzo di città ne la strada publicha e in su la piaza de lo spedale »80. Il nuovo palazzo di Jacopo Petrucci — che alla fine del XVI secolo sarà scelto come residenza senese dei Medici e prenderà il nome di palazzo Reale (ora Prefettura e sede della Provincia) — si viene costituendo come un polo di interesse a livello urbano e, lentamente, porterà alle sostanziali modifiche della forma stessa dell'invaso della piazza, con la costituzione di un nuovo, ampio, 'vuoto' urbano all'interno della cinta, quasi a soggellare l'avvenuto passaggio del centro decisionale dal palazzo Pubblico, sul Campo, al palazzo Reale, sulla nuova Piazza. Probabilmente, in seguito alla ristrutturazione del palazzo, fra il 1593 e il 1594, viene creato un passaggio aereo fra il palazzo Reale e l'adiacente palazzo Vescovile. Palazzo che, nel periodo compreso fra il 1442 e il 1600, più probabilmente intorno alla prima metà del XVI secolo81 (fig. 14), era stato rialzato di un piano, almeno sul fronte di piazza del Duomo. Le vicende costruttive dei due palazzi che affiancavano la facciata del Duomo, a destra quello vescovile e, a sinistra, quello del Rettore dell'Opera del Duomo, sono, come abbiamo visto, poco conosciute o studiate. Questo stato di cose deve essere messo in relazione al fatto che, nel primo caso, l'edificio viene completamente demolito nel 1658, mentre, nell'altro caso, è accettata acriticamente la convinzione che sia stato costruito intorno agli anni 1718-1720. Dalla sola documentazione iconografica si può, invece, presupporre che la storia costruttiva dei due edifici abbia giocato un ruolo importante nella definizione formale della piazza stessa. A partire dal 1441-1442, l'immagine degli edifici e della piazza è affidata ai due affreschi di Domenico di Bartolo e di Priamo della Quercia nel Pellegrinaio dello Spedale, e successivamente alle rappresentazioni di Francesco Vanni e Agostino Marcocci (vedi infra), e, pochi anni dopo, ai disegni del fondo Chigi e, relativamente alla documentazione della trasformazione del 80

ASS, Spedale, 520, c. 94 come riportato dalla MORVIDUCCI 1980, p. 165 e MORVIDUCCI 1990, p. 79 n. 5. 81 Mancano quasi completamente le notizie relative al primitivo palazzo arcivescovile, demolito nel 1658. La documentazione grafica che presentiamo, inedita, ci mostra unedificio a pianta irregolarmente quadrangolare costruito addossato alla parete del Duomo e intorno alla cappella della Madonna delle Grazie, con il prospetto verso la piazza dello Spedale chiaramente suddiviso in due registri orizzontali: il piano terreno — già presente ncll'affresco di Domenico di Bartolo — decorato a fasce bicrome e con il coronamento ad archetti su beccatelli — analogamente all'altro palazzo, del Rettore dell'Opera — sul quale si imposta un primo piano scandito da nove finestre, suddivise da lesene affiancate e con una ricchissima trabeazione che, a Siena, trova un pallido confronto nell'opera di Anton Maria Lari (Palazzo Palmieri Nuti in piazza Tolomei).

palazzo del Rettore dell'Opera del Duomo in palazzo Arcivescovile, si deve fare riferimento ai fondi conservati negli archivi dell'Opera e alla Biblioteca Comunale senese. Le recentissime vicende restaurative dell'attuale palazzo Arcivescovile hanno lasciato scoperti dall'intonaco pochissimi tratti di muratura e, ad un rapido sopralluogo autoptico, appare chiaro che l'edificio non può essere considerato come il prodotto di un'unica operazione costruttiva omogenea, bensì debba essere visto, anch'esso, come il risultato di modifiche operate su edifici preesistenti, in accordo con la documentazione iconografica (fig. 15). Il XVI secolo è testimone delle modifiche edilizie legate alle fortune delle famiglie signorili senesi, mentre, all'opposto, assiste ad un rapido deterioramento delle potenzialità decisionali e imprenditoriali dello Spedale. Sul lato dell'immagine pubblica il riflesso è notevole e ci sono tutti i presupposti per le modifiche che avranno luogo nel periodo seguente.

6. Una istantanea della piazza del Duomo alle soglie del XVII secolo: le vedute di Francesco Vanni ed Agostino Marcucci Alla fine di un lungo periodo di stasi nelle vicende costruttive dello Spedale, causato dal sommarsi di una serie di situazioni sia contingenti sia 'fisiologiche' e strutturali, relative all'organizzazione stessa dello Spedale e delle traversie storiche della Repubblica Senese, troviamo una testimonianza che costituisce un evento abbastanza raro per le vicende urbane senesi — e non solo di Siena — ma che, però, ci permette di fare il 'punto' sull'assetto costruttivo raggiunto dalla facciata dello Spedale negli anni a cavallo fra la fine del XVI secolo e gli inizi del successivo. Proprio in quegli anni vedono la luce due opere, la cui iconografia suscita ancora oggi un notevolissimo interesse, sia per lo sviluppo dei modi rappresentativi dell'immagine urbana, sia per la puntigliosa annotazione dei particolari costruttivi. Inoltre, la quasi assoluta contemporaneità delle due opere è una circostanza utile e fortunata, perchè ci permette di effettuare controlli incrociati sulla veridicità di quanto è stato rappresentato. Ci riferiamo all'incisione, ricavata da un disegno di Francesco Vanni, di Sena Vetus Civitas Virginis (fig. 16) e al dipinto, di Agostino Marcucci,

della Processione in Piazza del Duomo (fig. 17). La prima immagine risulta ben collocata cronologicamente, in quanto sappiamo — dal contenuto di una lettera dello stesso Vanni — che il disegno era già finito nel novembre del 159582 e che l'incisione delle quattro lastre di rame fu affidata al fiammingo De Jode e stampata una prima volta, nel formato totale alla battuta di cm 116x86, a Siena intorno al 159783. Tradizionalmente si considera che esistano solo quattro esemplari di questa prima impressione84 e noi abbiamo utilizzato quella custodita nella Biblioteca Comunale di Siena. Qualche problema cronologico di più difficile soluzione viene, invece, dall'esame dell'opera di Agostino Marcucci, pittore senese allievo di Ventura Salimbeni, del quale è documentata la presenza a Roma nel 159185 e di cui si conoscono notizie fino al 160086. Il dipinto è stato analizzato dalla Gallavotti Cavallero, che per alcuni particolari costruttivi riconoscibili negli edifici raffigurati propone la data di esecuzione intorno al 161087. Nel ristretto lasso di tempo intercorso fra le due opere non sembrano esserci stati interventi costruttivi tali da modificare pesantemente l'assetto compositivo della facciata dello Spedale e anche la costruzione di un nuovo accesso allo Spedale, attraverso la cappella del Manto, può essere considerato come il ripristino di una situazione pregressa e cioè la riapertura di un ingresso, già chiuso nella seconda metà del XIV secolo (vedi supra). Le due espressioni artistiche si possono, quindi, considerare come una coppia di 'proto-istantane’ ed essendo quasi coeve si possono analizzare punto per punto — alla luce dello spoglio della documentazione archivistica e, soprattutto, con il conforto dato da una assidua e diretta 82

Si veda la supplica dello stesso Vanni a Lorenzo Usimbardi, affinchè appoggi la richiesta di trovare le lastre di rame ed un 'intagliatore' che le incida, pubblicata da BORGHESI - BANCHI 1898, pp. 613-614, e, più recentemente, sinteticamente da ROMBAI 1980, pp. 107-108, e PELLEGRINI 1986, p. 109, n. 3. 83 PELLEGRINI 1986, p. 107. 84 Dal dibattito in corso si evince che una primissima impressione delle quattro lastre non riportava una dedica minore a Pietro Marchetti, che invece appare nelle immediate ristampe. Agli esemplari citati dal Pellegrini — Biblioteca Comunale di Siena, con dedica a Pietro Marchetti Museo Civico di Siena, Biblioteca Marucelliana di Firenze, Stampe LXXIV, tav. 125, con dedica a Pietro Marchetti, e Raccolta di Stampe del Museo Bertarelli, Milano, Cart.g.28-26 — si possono aggiungere altre due copie complete, con la dedica abrasa presso il Kunsthistorische Institut di Firenze — una copia dono di John Pope-Hennessy nelle sale della Fototeca, l'altra nelle stanze del Progetto Siena — e, inoltre, sembrano esistere tirature incomplete presso la Biblioteca Comunale di Siena. 85 BORGHESI – BANCHI 1896, p. 687. 86 THIEME-BECKER 1930, XXIV, ad vocem. 87 GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 301.

lettura della realtà materiale costituita dalle murature stesse — per la determinazione sia delle corrispondenze — le analogie — sia delle differenze con la struttura attuale e, quindi, possono essere utilizzate per costruire, su basi forse più solide, certo diverse, le ipotesi sull'avvicendamento delle varie attività edilizie. Ci pare giunto il momento di passare alla descrizione delle due immagini (fig. 18). Per prima cosa colpisce, nel dipinto del Marcucci, l'altezza della panca antistante il fronte dello Spedale — i murelli delle fonti archivistiche —. Sulla base dei risultati dello scavo si deve ipotizzare un livello pavimentale — di questa parte della piazza — assai più basso dell'attuale e un livello del pavimento della chiesa (definito in corrispondenza della luce dell'odierno accesso) leggermente diverso dal piano attuale. Tutto ciò se prestiamo fede alla raffigurazione di un fratello dello Spedale, apparentemente posto sulla soglia dell'ingresso e in corrispondenza della soglia in mattoni (USM 96 del settore III) rilevabile sull'apertura, oggi tamponata, inserita nel paramento lapideo della facciata. Sul lato opposto, di fronte al Duomo, sono individuabili otto gradini, un numero diverso dagli attuali undici. In questo caso si possono ipotizzare soluzioni diverse e alternative fra di loro: a) un livello più alto della piazza, b) un rifacimento della gradinata del Duomo, secondo i progetti seguiti alla demolizione del palazzo arcivescovile (1658), c) una imprecisione del dipinto. Per quanto riguarda i corgi di fabbrica che compongono lo Spedale, cominciamo ad analizzare i volumi del palazzo del Rettore: nonostante alcune inesattezze grafiche, essi sembrano coincidenti con lo stato attuale. Le diversità più eclatanti — ad esempio nella veduta del Vanni (fig. 19) il palazzo, dalla posizione dei manti di copertura, sembra aggettare sulla piazza, mentre nel dipinto del Marcucci le arcate del piano terreno sono solo tre invece delle cinque reali — sembrano attribuibili ad imprecisioni dell'incisore o all'impossibilità di far entrare le altre due arcate nel dipinto a causa delle dimensioni maggiorate date agli accessi. Tali dimensioni sono facilmente valutabili se confrontiamo i fili verticali delle aperture presenti nel dipinto, anche se però non è da escludere, ne una soluzione con paramento intonacato, a coprire il disegno delle arcate cieche né addirittura, un adeguamento estetico successivo, costituito 88 dall'abbassamento del piano della tamponatura delle arcate . 88

Situazione che abbiamo riscontrato nell’allungamento, costruito dopo il 1720, del palazzo del Rettore, con l’arcata (USM 15) ‘rincassata’ rispetto al piano in muratura.

Le aperture individuabili nel dipinto — nell'incisione la parte inferiore della facciata del palazzo è coperta quasi completamente — a partire da destra e secondo le indicazioni date da Girolamo Macchi nel 1697 89 (fig. 20), sono: la « Porta della Casa del Sig. Rettore e del Sig. Cam(arling)o » con lo stemma mediceo (?), la « Rimessa per la Carrozza » oggi tamponata90, infine un'arcata cieca e la nuova « Porta Principale dello Spedale che va nell'Infermarie ». A ben guardare l'alone puntinato che, nel dipinto, in una prospettiva assai scorciata, appare situato fra i due accessi principali della chiesa e dello Spedale, potrebbe corrispondere alla « Pila a dove sono messi gli esposti di nascita », ancor oggi individuabile dalle tracce della tamponatura (USM 80) dell'arcata del primitivo portico (ormai non distinguibile né nel dipinto né nell'incisione). Le aperture del primo e del secondo piano corrispondono perfettamente a quelle odierne. Passando al volume della chiesa risaltano immediatamente le anomalie proporzionali fra i vari elementi ma, nel complesso, si conferma una corrispondenza abbastanza puntuale. Sempre da destra appare la « Porta Principale della Chiesa », poi la « Porta murata che andava anticam(en)te nel Capitolo e Inferm(eri)e e in Chiesa », che a questa data sembra ancora aperta. Fra le due aperture, nell'incisione appare la « Linghiera murata a dove anticam(en)te si dava la bened(izion)e delle Reliq(ui)e », che, probabilmente, doveva aver esaurito il suo scopo se viene omessa dal Marcocci (ma lo spazio a disposizione, nel dipinto, è estremamente limitato). L'orologio della facciata, una macchia indistinta sia nel dipinto che nel disegno, appare leggermente spostato rispetto alla posizione attuale. Le due monofore accecate sono appena accennate sia nell'incisione che nel dipinto ed assai sproporzionate nelle dimensioni, rispetto a quanto si vede attualmente, tanto che paò sorgere il dubbio che in quello scorcio di tempo fosse presente una diversa soluzione formale. Anche se ciò non è totalmente da escludere, specie se all'epoca della redazione delle raffigurazioni ci fosse stato un paramento in parte intonacato, sembra, però, più probabile una imprecisione nella preparazione dei bozzetti, imprecisione che può essere rilevata anche per le due arcate cieche del piano terreno, visibili sia nel dipinto che nell'incisione, e per le numerose « Ferrate delle Stalle e altre Stanze né fondi », visibili soprattuto nell'incisione. Infine il « Portone Comune che va a' Granari, Stalle e altri 89

MACCHI, Origine, cc. 59v-60. Per l'esatta individuazione di questa apertula, stante il diverso numero di porte presenti nel disegno del Macchi citato, rispetto alla realtà, si veda quanto espresso da Corsi, Gabbrielli nel loro contributo sul settore VII. 90

luoghi », nelle dimensioni ridotte in seguito all'ampliamento della chiesa e sormontato dalla Balzana, è presente sia nel dipinto che nell'incisione. A questo punto sono riscontrabili delle differenze sostanziali fra incisione dipinto e strutture materiali attuali: l'incisione sembra presentare una soluzione di continuità, un distacco fra i volumi della casa dei Gettatelli (ora chiesa) e la corsia Marcacci (probabilmente allora convento delle donne). Piuttosto che ipotizzare una costruzione ex novo che, tra la fine del '500 e i primi anni del '600 avesse riunito i volumi dei due corgi di fabbrica, è più probabile, come soluzione, una imprecisione dell'incisione, evidente soprattutto nella posizione del sedile in pietra, che falsa completamente la prospettiva. Più difficilmente spiegabile, sempre nell'incisione, è la situazione del corpo superiore della chiesa, a cui mancherebbero due monofore e anch'esso staccato dalla corsia Marcacci. Anche in questo caso, però, poiché non c'è interruzione, non esiste una soluzione di continuità nel tratto di muratura tra le monofore interessate, siamo più propensi a dare maggior credito alla situazione mostrata nel dipinto, piuttosto che a quella dell'incisione, escludendo una fase costruttiva nel breve periodo che intercorre fra le due rappresentazioni, per l'assoluta similitudine della muratura e dei laterizi che la compongono. Si accetta, quindi, la presenza di un portone che dà accesso al « Convento de Fanciulli Minori », visibile nel dipinto e oggi trasformato in finestra. Per quanto riguarda la parte superiore del corpo di fabbrica della chiesa, oltre a quanto abbiamo detto relativamente al numero delle monofore e al problema della mancata connessione strutturale fra chiesa e corsia Marcacci, vorremmo sottolineare la presenza della tettaia, che correva ininterrottamente dal palazzo del Rettore fino a via del Capitano, a protezione degli affreschi dei Lorenzetti, delle decorazioni della fine del XV secolo — area decorata che nel dipinto del Marcucci viene restituita con colore diverso dal resto della parete della chiesa — e delle due bifore sulla parete della corsia Marcacci. Anche in questo caso la situazione 'leggibile' sulle strutture murarie attuali ci permette di affermare che, nel dipinto, esiste una maggiore aderenza alla realtà rispetto all’incisione, e una riprova di ciò la possiamo riscontrare nella diversa altezza cui è posta la tettoia stessa e nella forma delle aperture della parete della stessa corsia Marcacci (o « Convento delle Fanciulle di Casa e Infermarie delle Donne » con cappella). E proprio quest'ultimo tratto di parete merita un maggiore approfondimento, per le circostanziate ed interessanti ipotesi ricostruttive

recentemente proposte91. Dall’analisi delle due raffigurazioni non appare però, nessun elemento che confermi l’esistenza di un loggiato o porticato come invece e visibile nella figura della pubblicazione citata. Molto probabilmente la riproduzione utilizzata, vista la grafia dei numeri presenti, è la copia della veduta del Vanni eseguita da Lazzaro Bonaiuti nel 1873 attualmente custodita nel Museo Civico di Siena e facilmente accessibile, della quale non esistono numerose edizioni. Ma torniamo alle due raffigurazioni originali. Oltre alla presenza della tettoia, sono chiaramente distinguibili: a) il rialzamento del primo piano (ancora privo delle tre finestre) della corsia Marcacci e che diventerà, successivamente, il secondo piano, b) le due bifore del primo piano — in posizione più centrale, che hanno uno strettissimo rapporto con le scarse tracce materiali rimaste (USM 46 e 69 del settore VI) - , c) le due finestre a piano terra con archi a tutto sesto nel disegno e rettangolari nel dipinto —, d) un portone architravato, pure a piano terreno, e poi ancora uno stemma-trofeo, probabilmente in maiolica, e la Balzana, mentre sembra mancare l'epigrafe trecentesca. Nell'incisione, inoltre, sono — forse — individuabili anche le due aperture a bocca di lupo presso il sedile in pietra: tutti elementi che determinano un termine post quem per la collocazione cronologica delle trasformazioni. Interessanti osservazioni si possono trarre pure sulla carpenteria della gronda delle coperture, specialmente quella del palazzo del Rettore, nel dipinto assai più sporgente ed aderente alle tracce materiali rilevabili oggidì. Finito così il nostro giro sulla facciata dello Spedale, passiamo all'altro lato della piazza. Subito dopo aver attraversato via del Capitano ci appare la mole del palazzo Reale, trasformato nel 1593-94 a residenza del governatore mediceo92, poi abbiamo il palazzo arcivescovile, con l'interessante primo piano a colonne binate, finestre rettangolari ed ampia trabeazione, che verrà demolito dopo qualche decennio (vedi infra), la facciata del Duomo separa il palazzo arcivescovile dal loggiato che chiude, verso la piazza, il cortile dei Canonici. Infine, aiutandoci con altri disegni (fig. 21), possiamo dire che la piazza si completa con la casa del Rettore dell'Opera del Duomo—l'attuale Arcivescovado, anche allora rivestito di 91

GALLAVOTTI CAVALLERO – BROGI, VIII.73 a p. 77, GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 17, AA. VV. 1986, p. 14. 92 Le vicende costruttive del palazzo sono state analizzate dalla Morviducci. Una prima, sintetica, informazione fu presentata alla mostra I Medici e lo stato senese (MORVIDUCCI 1980). Recentissimamente è apparso un secondo, esaustivo, contributo nella monografia sul Palazzo Reale (MORVIDUCCI 1990)

marmi con una bicromia chiara e scura — con cinque bifore al primo piano e due accessi al piano terreno. Oltre l'imbocco di quella che sarà, poi, via dei Fusari si intravedono gli edifici destinati alle Balie (1601) e, a lato, la porzione dell'edificio del Camarlingo, che verrà demolito nel 1720.

7. Le modifiche sei-settecentesche allo Spedale e nella piazza del Duomo. Periodo VIII Una prima, timida, ripresa delle attività edilizie dello, e nello, Spedale coincide con il rettorato di Agostino Chigi, iniziato nel 1597 e che continuerà fino al 1639. Nel 1601, e negli anni immediatamente successivi, le funzioni svolte nella casa delle Balie e in quella dei Gettatelli vengono trasferite in edifici già esistenti, ed adattati alla nuova bisogna, posti all'imbocco di quelle vie che prenderanno il nome, nella documentazione archivistica, di « chiasso ripido delle Balie » (oggi vicolo San Girolamo) e « strada detta delle Balie » (oggi via dei Fusari). Tali edifici — e più ancora la funzione che vi si svolgeva — generarono una persistenza nella toponomastica che ci pare un chiaro segno, se ancora ce ne fosse bisogno, dello stretto legame, quasi una simbiosi, che allora esisteva fra la popolazione e la struttura ospedaliera. Ma anche all'interno dei corpi edilizi più antichi, quelli che si erano formati per accrescimenti successivi intorno al nucleo 'storico' dello Spedale, la situazione non appare per niente statica. Le nuove funzioni richieste dalle mutate condizioni sociali (si pensi all'infermeria — costituita nel 1617 — per i nobili probabilmente caduti in povertà)93, una diversa attenzione posta alle strutture e alle abitudini ormai sedimentatesi nella memoria popolare, fanno sì che si dia inizio alla pianificazione di interventi edilizi — ma non solo edilizi — attenti e desiderosi di rispettare e di riportare all'antico splendore l'immagine stessa dello Spedale. 7.1. L'accesso allo Spedale Cosi, negli anni fra 1608 e 1610, l'apertura di un nuovo ingresso — ma sarebbe meglio dire la riapertura di un primitivo accesso (vedi supra) — è giustificata « acciò per questo luogo senza profanar giornalmente la chiesa dovesse passarsi all'infermaria ed altri luoghi dello Spedale... »94. Lo stesso 93 94

ISAACS 1988, p. 26. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, Regesto 663, p. 441.

documento registra un'operazione assai singolare per le tradizioni costruttive fino allora seguite, che può costituire una sorta di traccia per molti interventi del XVII secolo, rispettosi di una 'forma' del costruito ormai sedimentata ed entrata nella tradizione. Ci riferiamo allo spostamento dell'intera parete sulla quale era stata affrescata, quasi due secoli prima, l'immagine — che la devozione popolare considerava miracolosa — della Madonna del Manto. L'operazione, condotta da Pietro di Domenico, mastro muratore ticinese, allora responsabile delle attività edilizie dello Spedale, modificò l'accesso alle infermerie (così vengono ora definiti, nelle fonti, i vecchi pellegrinai) mentre l'immagine venerata veniva sistemata nella cappella del S.Chiodo, un locale che, a quanto ci risulta, doveva aver perso la funzione di sagrestia della chiesa, in seguito al definitivo ampliamento dell'aula religiosa, allungata ben oltre il diretto accesso alla sagrestia. Le precauzioni prese per non distruggere l'immagine affrescata non impedirono, tuttavia, di adattare la raffigurazione allo spazio a disposizione entro il baldacchino marmoreo e di considerare superflue le ali laterali della lunetta che, infatti, rimasero in situ e solo recentemente sono state riportate alla luce e trasferite nella Pinacoteca Nazionale95. Il nuovo ingresso, la cui apertura costituisce, come abbiamo visto, il termine ante quem del dipinto di Agostino Marcucci (vedi supra), rimarrà in funzione per un lungo lasso di tempo e — nell'iconografia — appare tamponato solo agli inizi del XIX secolo, ma non è improbabile che nel corso del tempo sia stato nuovamente riaperto, se nel 1838 sembra ancora in funzione (vedi infra). Probabilmente possiamo collegare a questa trasformazione la tamponatura della vecchia apertura ancora esistente sul fianco sinistro della chiesa (USM 95 del settore III). 7.2. I "racconci" Oltre alle modifiche distributive e alle trasformazioni funzionali dei volumi già edificati, un'attenzione particolare sembra venir prestata alla 'cura' dell'immagine fisica delle strutture edilizie dello Spedale. Nel 1623 sono, infatti, registrati pagamenti per operazioni che oggi potremo definire di restauro integrativo o di conservazione dell'immagine: l'arenaria che fu impiegata per la costruzione delle cornici della chiesa quattrocentesca non 95

Per le vicende relative allo scoprimento dei resti dell'affresco e della loro interpretazione si veda GALLAVOTTI CAVALLERO 1974.

deve aver tardato molto a mostrare i suoi difetti96, probabilmente dovuti alla gelività o alla scarsa consistenza del cemento calcareo del macigno. È ancora Pietro di Domenico Maggidini il muratore che esegue sia le copie, in laterizio formato entro stampi con le identiche forme, decorazioni e dimensioni degli originari macigni (fig. 22), per braccia 20 integro a lire 8; 2 braccia per braccia 35, rifatto a lira 4 », individuate nelle USM 85 e 86 del settore III, che gli interventi nella muratura di sostegno e alla copertura stessa97. Nello stesso anno viene deciso di « riunire la cornice di travertino nella facciata di pietra sotto le figure della nostra chiesa » con « quarantaquattro opere di scalpello »98 cioè di collegare con una nuova cornice, i tratti delle due cornici marcapiano già esistenti sulle facciate del palazzo del Rettore e della casa dei Gettatelli. Attualmente l’USM 90 del settore III risulta composta da 39 pezzi, ma non è da escludere che in un successivo restauro alcuni conci lavorati della cornice siano stati sostituiti con un certo numero di pezzi di maggiore lunghezza e quindi non appare del tutto improbabile identifcare le « opere », citate nel documento, con i singoli pezzi. Interessante appare, inoltre, la citazione alle « figure » gli affreschi dei Lorenzetti, che dovevano essere ancora oggetto di attenzioni. Sempre nel medesimo documento, il riferimento che viene fatto ad « altre pietre rimesse » nella parete in calcare cavernoso ci introduce al problema della sostituzione delle pietre degradate, con altre aventi le medesime misure. Allo stato attuale delle conoscenze si possono forse ipotizzare tali sostituzioni con quei conci in travertino, diversi dal calcare originario della parete. Bisogna, infatti amettere che oggi è ben difficile riuscire ad individuare e a discernere con precisione ed esattezza i conci originari da quelli sostituiti nei successivi restauri — sia settcenteschi che più recenti — in quanto sembrano essere stati trattati e lavorati con gli stessi attrezzi usati in antico per tale motivo possono sussistere dei dubbi per alcune delle intetpretazioni che sono state date ad attività edilizie realizzate con la medesima tecnica costruttiva, con i medesimi attrezzi e con gli stessi modi di finituta prtinenti ad azioni costruttive differenziate nel tempo. 7.3. Le vicende dell'Arcivescovado 96

Il pericolo costituito dalla caduta di frammenti delle decorazioni in pietre serena è stato oggetto i ricorrenti attestazioni, ma il recente restauro del 1986-87 non sembra che abbia mostrato le tracce di precedenti restauri, ad esclusione della cornice di gronda (vedi infra). 97 ASS, Spedale, 5938, c. 59v. 98 ASS, Spedale,789, c. 179r.

Se la cura dell’immagine di una struttura edilizia, giunta alla metà del XVII secolo attraverso una serie numerosa di ampliamenti e modifiche, sembra costituire la preoccupazione costante dei curatori dell’istituzione ospedaliera, altrettanto non possiamo dire per le vicende edilizie del lato opposto della piazza. Nel 1658 il Rettore e i Savi presentano una richiesta affinchè il papa si degni di « concedere la dermolitione della Casa Archiepiscopale di questa Città, ridotta hormai inabitabile et in istato d’inevitabile rovina »99. Tutto lascia pensare che la demolizione del palazzo arcivescovile sia stata effettuata nello spazio di pochissimi anni, durante i quali l’arcivescovo Piccolomini abitò nel proprio palazzo in via di Città, e l’improvvisa ‘sparizione’ dell’imponente corpo di fabbrica generò un processo di modifiche e trasformazioni tali che, nel giro di pochi decenni, porterà a cambiare radicalmente sia i prospetti che le volumetrie dei corpi di fabbrica che si affacciano sulla piazza - che ora si concede la possibilità si sperimentare nuove prospettive dilatandosi nella sua attuale planimetria – sia, infine, per le operazioni di finitura degi edifici circostanti (figg. 23-24). Senza voler entrare nel merito di un'esatta cronistoria degli interventi di demolizione e di modifica dei diversi corpi di fabbrica, che esulano dagli obiettivi del nostro contributo, ci pare utile, però, puntualizzarne almeno alcuni, soprattutto in previsione delle modifiche che tali operazioni porteranno all'aspetto stesso dello Spedale. Il primo problema che dovette essere affrontato e che era già presente nella stessa richiesta del 1658, è la definizione della parete laterale del Duomo. La proposta è « che restando quella parte isolata si potrebbe incrostare di marmi come è il restante del Tempio esteriore et inoltre adornare e ricignere con l'ordine stesso delle scalinate che sono dalla parte d'avanti »100 (figg. 25-26). Di pochissimi anni posteriore, quasi da poterlo considerare contestuale, è il progetto di costruzione della nuova cappella della Madonna del Voto (1659-1663), che nella planimetria del Duomo si trova in posizione simmetrica rispetto all'altra —intitolata a San Giovanni—e la cui realizzazione determina lo spostamento di un ingresso laterale del Duomo, dal luogo occupato ora dalla cappella al fianco del campanile (l'attuale porta del Perdono) (fig. 27).

99

BORGHESI-BIANCHI 1898, p. 642. BORGHESI – BANCHI 1898, p. 642.

100

Ma una diversa sensibilità verso le strutture monumentali sembra animare, ora, le istanze estetiche del ceto 'dirigente', i 'nuovi' mecenati. A Siena la famiglia Chigi, dalla quale proviene il papa Alessandro VII e suo nipote, il cardinale Flavio, riesce a rendere impercettibile il confine fra sacro e profano, tra pubblico e privato, e molti degli interventi che si dimostrano più incisivi sulla forma del tessuto urbano, prendono le mosse dalle loro iniziative. In mancanza di un puntuale spoglio archivistico non possiamo essere assolutamente sicuri —come abbiamo gìà osservato— dei tempi e dei modi che vedono l'applicazione dei principi di questa nuova estetica, ma è assai probabile, secondo quanto risulta dalla documentazione grafica che siamo riusciti a reperire, che immediatamente dopo la costruzione della cappella della Madonna del Voto, si cominci a pensare e a 'progettare' un maggior isolamento del corpo di fabbrica del Duomo, ottenibile con la demolizione del cortile dei Canonici (fig. 28) e, successivamente, con la proposta della sistemazione di una nuova sede (fig. 29): per gli arcivescovi « che succederanno al presente, il quale habita in casa propria ... si offerisce la Casa dell'Opera »101. E proprio il restauro e le modifiche da apportare alla casa del Rettore dell'Opera del Duomo costituiscono la parte più consistente della documentazione raccolta102. Un iter progettuale assai lungo, redatto, probabilmente, con l'intervento di architetti romani (in molti rilievi appare la scala in palmi romani, insieme con quella in braccia senesi) con proposte di interventi più o meno diversificati, ma sempre con una consistente parte di strutture che dovevano essere riutilizzate, tanto da far scrivere al Golzio: « È questa una sistemazione edilizia assai importante, fatta in pieno periodo barocco, in una città come Siena, che da quest'arte si tenne generalmente lontana: ed è interessante vedere come il barocco ha saputo continuare lo stile gotico preesistente con fedeltà di carattere »103. Anche il Palazzo Reale segue la medesima sorte degli altri edifici: sebbene interessato in piccolissima parte dalla demolizione del vecchio palazzo arcivescovile (sembre che esistesse soltanto un passaggio aereo di collegamento fra i due edifici) si coglie l'occasione del cantiere aperto nella nuova piazza per ampliare il suo lato occidentale, inglobando lo spazio di un « vicolo ferrato » posto all'esterno ed immediatamente 101

BORGHESI – BANCHI 1898, p. 642. Si sono rinvenuti documenti, rilievi e progetti a Roma nel fondo Chigi, e a Siena, nella raccolta Franchini alla Biblioteca Comunale e, ovviamente, all'Archivio dell'Opera del Duomo. 103 GOLZIO 1939, p. 79. 102

adiacente al vecchio muro laterale del Duomo Nuovo e che viene utilizzato come nuovo ambito perimetrale insieme ad un « muro da farsi da S.A. per riquadrare il Palazzo » (vedi fig. 36b). Si confronti la situazione del palazzo, così com'era nella seconda metà del XVII secolo, secondo una relazione del 1668 dell'architetto Pietro Tacca: « Il Palazzo di V.A.S. a Siena ... non è perfezionato mancandoli un braccio dalla parte del Duomo vecchio » e come appare in un disegno coevo104(fig. 36a), con i rilievi di G.Ruggeri del 1742105 (figg. 37-38) ormai già aderenti alla situazione attuale. 7. 4. La definizione della facciata dello Spedale Prima ancora che la nuova sede arcivescovile sia terminata, e siamo ormai a cavallo fra secondo e terzo decennio del '700, il richiamo di un 'rinnovamento' del partito decorativo della facciata dello Spedale diventa un'esigenza improcrastinabile. Anche negli anni immediatamente precedenti, però, non erano mancate proposte per una nuova definizione della facciata, almeno per la parte corrispondente alla chiesa. Il Macchi stesso allega ai suoi manoscritti un progetto con un 'loggiato' e una soluzione per l'ingresso, che vede ripartito in tre fasce orizzontali e culminante con un frontone timpanato accoppiato ad un campaniletto106(fig. 39). A tutt'oggi non sappiamo se, e per quanta parte, tale progetto — che prevedeva la definitiva scomparsa delle storie della Vergine (evidentemente ridotte a mal partito dall'esposizione agli agenti atmosferici) — sia stato realizzato. Una annotazione interessante, a tale proposito, è la presenza, sui rilievi appartenenti al fondo Chigi che interessano la piazza del Duomo (fig. 35), di sette pilastri — apparentemente delle semicolonne binate — poste sull'angolo fra la corsia Marcacci e la casa dei Gettatelli, più o meno coincidenti con l'area della piazza che ha mostrato, all'indagine geofisica condotta con apparecchiature georadar, la maggior quantità di anomalie107. Contornato da tutto questo fervore edilizio lo Spedale non resterà immutato e, in seguito alle scelte dei suoi reggitori, dapprima — 1718 —, vengono tolte, le protezioni agli affreschi e alle bifore della corsia 104

ASF, Mediceo, 2025, c. 162, come pubblicato da MORVIDUCCI 1980, p. 170 e MORVIDUCCI 1990, p. 67. 105 Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze, coll. 3.B.1.5 - Mss. G. F. 181-. 106 Pubblicato da GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 23, fig. 7. 107 Si veda la pianta allegata al contributo Finzi (fig. 35, p. 173).

Marcacci — la tettoia —, dopodiché, per un adeguamento alle esigenze di decoro urbano, viene deciso che le case del Camarlengo e del vinaio' con alcune botteghe, vengano alienate all'Opera del Duomo (1718-1719), affinché possano essere demolite con lo scopo di rendere più ampio e più regolare108 l'imbocco di via dei Fusari in piazza del Duomo. Nel contratto stipulato si conveniva che « il rifacimento delle muraglie, demolite che saranno le dette case, debba farsi con la totale uniformazione alla facciata esteriore dell'abitazione dei Signori Rettori di questo Spedale in tutte le sue parti e tanto rispetto all'altezza che grossezza, da collegarsi con le muraglie interiori e con le muraglie che corrisponde dalla parte di vicolo di S.Girolamo »109. Probabilmente questa scelta era stata influenzata anche dalle condizioni statiche degli edifici ospedalieri, solo pochi anni prima oggetto di restauri e consolidamenti — la costruzione di sproni in muratura110. Ci pare utile far rimarcare che, in questo caso come in altri a Siena, la pedissequa aderenza alle raccomandazioni di « totale uniformazione » sia stata tale che venissero usate, come modello strutturale delle nuove aperture, centine costruite sulle forme delle finestre del palazzo del Rettore111. Poi, fra il settembre 1720 e il gennaio 1721, la « nuova facciata di chiesa palazzo del signor rettore facciata del convento delle fanciulle viene tutta scialbato e con fregi neri »112. Fra tutti gli interventi che hanno avuto come campo di applicazione la facciata, l'intonacatura generale è sicuramente l'operazione che muta maggiormente l'impatto visivo del complesso Spedale-piazza, trasformando una quinta muraria in gran parte laterizia, anche se in parte intonacata per supportare gli affreschi, ormai perduti, e, forse, anche con zone protette da veli più sottili di intonachino, in una superficie uniformemente levigata e decorata a bande scure ad imitazione dei rivestimenti marmorei del nuovo arcivescovado e delle pareti laterali del Duomo. Questo tipo di operazione segna il mutamento di un modo locale di cura ed attenzione alla forma edilizia e ci introduce, ormai, in un mondo di 108

Con un notevole riflesso nella sedimentazione archcologica che appare asportata fino ai livelli del VII secolo. A questo proposito, si veda quanto è stato individuato nello scavo, periodo VIII. 109 ASS, Spedale, 351, 219, 219v., come pubblicato da BANCHI 1877, pp. 276-277 e da GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, pp. 110-111. 110 Parte di tali adeguamenti statici sono ancora visibili nel vicolo di San Gerolamo, che non appare sostanzialmente modificato dalle demolizioni su via de' Fusari. 111 Come ha ipotizzato Gabbrielli nel suo contributo sulla cronotipologia. 112 GALLAVOTTI CAVALLARO 1985a, Regesto 675, p. 443.

trasformazioni, via via sempre più rapide, della forma architettonica. Da un lato l'operazione di intonacatura della facciata può essere considerata come l'inizio di un nuovo periodo ma, dall'altro, segna anche l'ultimo episodio di una 'progettazione' del costruito che teneva conto della globalità dell'organismo edilizio e vedremo, nel prossimo capitolo, come gli interventi sul costruito saranno sempre più numerosi, ma episodici e comunque caratterizzati da un bassissimo profilo progettuale.

8. I restauri "puristi" e il loro proseguimento nel XX secolo Periodi IX, X e XI L'insolita ampiezza cronologica di quest'ultimo paragrafo risulta dalla sommatoria di una serie di operazioni contingenti, con fattori definibili come momenti passeggeri, di transizione in attesa di un rinnovato interesse verso quelle fonti documentarie, sia di tipo archivistico sia di tipo materiale, particolarmente numerose ancorché misconosciute. Tra XVIII e XIX secolo la struttura amministrativa e funzionale dello Spedale attraversa una serie di avvenimenti assai incisivi sull'organizzazione dello stesso. La riforma lorenese di razionalizzazione degli ospedali, la riforma degli studi universitari (lo Spedale svolgeva una funzione didattica della chirurgia nota almeno fin dal XVII secolo), la creazione del Dipartimento dell'Ombrone da parte dei Francesi, con le trasformazioni dell'assetto amministrativo, l'annessione del Granducato al regno d'Italia, con ulteriori riforme alla struttura assistenziale, la costituzione delle stesse Soprintendenze, sono tutti avvenimenti che hanno lasciato delle tracce, più o meno evidenti, sulle strutture fisiche dello Spedale. Anche quell'atteggiamento progettuale, che abbiamo definito di basso profilo, spinge a sottovalutare — almeno per una certa parte che potremmo definire inconsapevole — i risultati di moltissime attività costruttive chiaramente individuabili sulle strutture murarie, fra tutto l'intero universo del costruito, forse la parte più appariscente perché cronologicamente più vicina a noi. Dunque: la scarsità di studi o di spogli della documentazione scritta — probabilmente ricca e completa — sommata alla scarsità di interesse verso attività e trasformazioni che, in parte, hanno modificato e reso meno intelligibile un complesso edilizio ricchissimo di storia, contribuiscono a rendere ben percettibile il vistoso calo di tensione e di impegno nella ricerca storica. Ma, nella premessa, avevamo esplicitato il nostro modus

operandi scevro di pregiudizi, di aprioristiche gerarchizzazioni, di schematiche scale di importanza fra le murature, ed attento, invece, a tutte le manifestazioni materiali del costruire, anche se non accompagnate da una esauriente documentazione archivistica. Dovremo perciò, continuare nella nostra interpretazione, basandoci soprattutto sui resti materiali, così come abbiamo fatto finora, e con la relativamente ricca documentazione grafica e fotografica esistente, ma con la consapevolezza che possono esistere riscontri archivistici assai più puntuali e precisi di quanto abbiamo reperito ed esaminato flnora. Fino al progetto di restauro del 1905-1907, redatto da Vittorio Mariani, le attività edilizie più appariscenti — sulla facciata — sono i cambiamenti e le modifiche delle luci e delle aperture, specchio di una semplice manutenzione o di leggerissimi adattamenti dell'assetto distributivo. Già agli inizi del '700 erano state chiuse una o più monofore della chiesa, nel 1713 si modificano le finestre « ad una infermeria femminile », forse nell'area della corsia Marcacci, ed anche la costruzione della nuova abside della chiesa (1730) non sembra modificare pesantemente la facciata, se si esclude il probabile accecamento di una monofora. E ancora tra il 1752 e il 1753 si interviene su molte finestre e sull'ingresso del palazzo del Rettore. 8.1. La facciata agli inizi dell'800 Tutto ciò è confermato, all'inizio del XIX secolo, da una splendida immagine del fronte dello Spedale (fig. 40), disegnata da Antonio Terreni, incisa all'acquatinta da Giuseppe Pera e pubblicata da Francesco Fontani nel 1803113 « La precisione dei dettagli, la fedeltà nel rapporto all’esistente, la testimonianza resa per fissare alcune caratteristiche dell’evoluzione urbanistica di Siena…»114 rendono quest'opera, come le altre riguardanti Siena, una preziosa testimonianza per la 'costruzione' delle successive modifiche della facciata dello Spedale. Passiamo, ora, alla descrizione delle corrispondenze fra incisione e realtà materiale, così com'è stata 'letta' nella sua complessa vicenda stratigrafica. Ad iniziare da sinistra è ben visibile la facciata della corsia Marcacci, con 113

La veduta dello Spedale è inserita nel terzo dei tre volumi in folio che furono pubblicati tra il 1801 e 11 1803 (cfr. FONTANI 1801-1803). In formato ridotto (con nuove incisioni ricavate dalle stampe) l'opera fu ristampata negli anni 1817 e 1818 dall'editore Marenghin, tradotta in francese e ripresa in innumerevoli edizioni. Nel 1978 la Cassa di Risparmio di Firenze curò una ristampa anastatica della prima edizione, e su di essa abbiamo ricavato la fig. 43. 114 PELLEGRINI 1987, p. 73.

un piano terreno nel quale si aprono due finestre rettangolari (i cui resti sono individuabili, probabilmente, nelle USM 58 e 60 del settore VI — tav. D, p. 251), l'ingresso, ancora rettangolare, sormontato da un timpano semicircolare vuoto (il tamponamento di questo timpano, con la trasposizione della balzana dall'angolo in alto a sinistra in questa sede, è avvenuta, quindi, successivamente al 1803) e con i due sedili in pietra — che coprono le bocche di lupo dei livelli inferiori — ai quali si accede con due gradini — oggi scomparsi. Al primo piano si aprono due finestre rettangolari (anche queste ben individuabili nell'USM 62 e 64 del settore VI — tav. D, p. 251) con due cornici marcapiano — fino a quella data in ottimo stato di conservazione — corrispondenti alle primitive cornici in travertino dell'imposta e del davanzale delle bifore (USM 76,77,78 e 43,44,45). Il secondo piano, completo nella sua volumetria, è ancora privo delle finestre, mentre è visibile uno strano oggetto che — se fosse più in basso — potrebbe essere interpretato come un fanale per l'illuminazione, ma che potrebbe anche essere — viste le lesioni presenti in questa zona — un capochiave di catena impiegata per il consolidamento statico. Senza voler entrare nel merito della diagnosi del quadro fessurativo, ci sembra interessante, però, osservare che le lesioni presso l'angolo di via del Capitano (USM 6 e 89), si sono venute a creare lungo una linea di minor resistenza, passante per le due finestre (piano terreno e primo piano — USM 5 o 58 e 62, tav. D, p. 251), precedentemente all'accecamento della finestra 62 con il tamponamento 49 — perché quest'ultimo è perfettamente aderente ai bordi dell'apertura —. L'apertura del finestrone centrale (USM 63) è, probabilmente, attribuibile agli interventi del 1841-1842, preceduta da un accocamento della finestra 64 con il tamponamento 48. Se crediamo plausibile un simmetrico intervento di accecamento delle finestre, il tamponamento 49 deve essere stato costruito fra il 1803 (anno di redazione del disegno del Terreni) e gli anni immediatamente antecedenti al 1841, cioè dopo la scossa tellurica del 1798. Non vogliamo, qui, dibattere ulteriormente sulla genesi della lesione, che esula dagli interessi del nostro intervento, ma ci pare, tuttavia, opportuno, riportare un passo della perizia tecnica che l'ingegner Guido Dringoli stese, a proposito delle medesime lesioni, nel 1966: « Sono certamente lesioni di origine sismica non avendo riscontrato segni di cedimento di fondazioni o di spinte di volte. D'altra parte le lesioni sono passanti e creano una soluzione di continuità nelle pareti perimetrali e portanti »115. 115 Archivio Ufficio Tecnico USL 30, n.48, fasc.2, come trascritto in AA.VV. 1986, p. 54.

Purtroppo mancano quasi del tutto studi approfonditi sogli effetti del sisma che investì Siena nel 1798 e in particolar modo su quelli subiti sia dalle strutture edilizie dello Spedale, che da altre parti della città, ma ci sembra sufficiente aver accennato al problema, nella speranza che qualche studioso cominci lo spoglio della ricca documentazione archivistica, conservata presso il locale Archivio di Stato, concernente gli effetti del terremoto sull'edilizia delle diverse parti della città. Ma torniamo all'analisi dell'immagine dello Spedale disegnata dal Terreni. Tutta la porzione della facciata che coincide con il lato della chiesa risulta essere intonacata e decorata con le solite fasce più scure. Anche il palazzo del Rettore appare intonacato, con un partito decorativo più ravvicinato che, nella realtà, era ancor più fitto e simile al rivestimento dei Duomo e dell'Arcivescovado. Al piano terreno della parte coincidente con la chiesa si notano, da sinistra verso destra, una porta rettangolare con una finestrella soprastante — nel luogo occupato attualmente dall'epigrafe del 1298 —, poi il grande ingresso agli uffici e ai depositi situati al di sotto del livello della piazza, con l'ampio arco a sesto acuto decorato con una marcata bicromia. La decorazione corrisponde alla ghiera della primitiva apertura della fine del XIII o dei primissimi anni del secolo successivo — che contiene nel suo intradosso il posteriore arco a sbarra di tipo senese del secolo XV — e che verrà rimosso con i restauri iniziati nel 1907 (vedi infra); inoltre sono visibili le cinque bocche di lupo per l'aereazione dei locali sottostanti, tre probabili stemmi, l'apertura principale della chiesa (l'attuale ingresso principale dello Spedale) e la serie dei sedili in pietra addossati alla parete. Mancano completamente le tracce dell'apertura originaria della chiesa, tamponata nel corso del XVII secolo (vedi supra) e ogni minimo accenno ad un'apertura che coincide con quella, successiva, fatta aprire dal Corbi nel 1895. Concordemente a quanto sostenuto dalla Gallavotti, che interpreta il documento del 1608 sulle quattro « porte honorevoli di macigno », la quarta porta che, all'interno, doveva aprirsi simmetricamente a quella della cappella della Madonna, non dovette arrivare a 'sfondare' la cortina di calcare116. Naturalmente non si vedono le tracce della linghiera da dove venivano esposte le reliquie, demolita e con le lacune della murature risarcite, probabilmente con materiale lapideo, già nel XVII 116

« Fabbricò quattro porte di macigno due delle quali con porte di legno, quella cioè d’ingresso, e l’ altra del Pellegrinaio, con compartimenti sfondati e ripieni di grate di ferro », ASS, Spedale, 5938, c. 59v. L’interpretazione è in GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 301.

secolo, prima dell'intonacatura generale del 1720-1721. Si nota, invece nella sua interezza, la cornice marcapiano che corre all'altezza del davanzale delle finestre — allora obliterate — del primo piano. Nel registro superiore sono individuabili, in basso, due piccole finestrelle rettangolari, aperte nelle luci della seconda e sesta bifora della casa dei Gettatelli, e il quadrante dell'orologio — più simile all'attuale, di marmo, che a quello affrescato nel 1720117. Sulla parte superiore del registro, infine, si vedono le dieci monofore, indubitabilmente quelle attuali, anche se notevolmente rimpicciolite nelle proporzioni. Per quanto riguarda il palazzo del Rettore, anch'esso completamente intonacato, le differenze più notabili — nel confronto con la situazione attuale — sono date dalla mancanza del sedile di pietra e dal tamponamento della seconda arcata a piano terreno, che in quel tempo doveva essere aperta ed utilizzata come accesso principale allo Spedale. Tutto il resto corrisponde quasi perfettamente alla situazione attuale, se escludiamo le due piccole finestrelle rettangolari, poste sotto il davanzale della quarta e quinta bifora del secondo piano e della serie di aperture all'interno delle arcate del piano terreno — porte e finestre — che subiranno una serie continua di modifiche fino al 1966. 8.2. Le modifiche e gli adeguamenti funzionali Un altro motivo di riflessione è dato dalla lettura della più antica planimetria generale conosciuta, nella quale appaiono le strutture edilizie dello Spedale e redatta pochi decenni dopo118. Il disegno è opera dell'architetto Agostino Fantastici e probabilmente costituisce il supporto per un progetto di riordino generale delle funzioni e degli spazi esistenti nei volumi già edificati dello Spedale. Le informazioni recepite dalla lettura della planimetria e direttamente utilizzabili per una migliore definizione del diagramma stratigrafico sono relativamente poche: ad esempio la mancanza di una finestra della corsia Marcacci — probabilmente dovuta ad una imprecisione del rilievo — oppure la presenza di una nicchia a simulare un'apertura — all'interno della chiesa — utili per corroborare quanto abbiamo ipotizzato poco sopra e, infine, la posizione dell'accesso principale dello Spedale, posto ancora 117

GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 377, n. 66 e PECCI 1761, p. 38. La redazione del rilievo del piano terreno deve essere avvenuta nel 1835 (GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a p. 1838 (AA.VV. 1986, p. 21). 118

nel vestibolo, già cappella delle Reliquie fino al 1608-1610. Tuttavia la 'lettura' delle informazioni contenute nella planimetria non può limitarsi soltanto a dei piacevoli confronti con le interpretazioni proposte, specie se limitati allo studio della sola facciata dello Spedale; una tale planimetria può, e dovrà, costituire la base per un accurato controllo autoptico delle strutture murarie, una guida che ci aiuti a districarsi nei labirintici locali, nel 'ventre molle' dello Spedale stesso, luogo di trasformazioni e modifiche che non hanno avuto la fortuna di essere state oggetto di una decorazione particolarmente raffinata — o anche solo 'decorate' — che comunque ci 'parlano' con un linguaggio assai forte, ma per certi aspetti ancora inintellegibile o poco chiaro. Sembra che non tutti i lavori di restauro progettati da Agostino Fantastici siano stati realizzati in modo conforme alle intenzioni dell'autore, se pure furono intrapresi, ma è probabile che tutta una serie di interventi 'minori', quali quelli che emergono da uno spoglio per 'campioni' della documentazione archivistica dell'Ufficio Tecnico dello Spedale o da una analisi puntuale delle strutture materiali, rientrino in quel processo generale di 'ammodernamento' degli spazi dello Spedale. E così l'ampliamento o la nuova apertura di enormi finestroni nelle testate dei vecchi pellegrinai, ora infermerie o corsie ospedaliere, realizzati con lo scopo di migliorare l'illuminazione e l'aereazione dei locali, è la chiave che permette di collocare in una cronologia meno approssimativa l'apertura del grande finestrone posto quasi al centro del primo piano della facciata della corsia Marcacci, in asse con l'accesso. Dopo un primo tamponamento di almeno una delle due finestre rettangolari (vedi supra) — che, forse, si può collegare al documento della fine del giugno del 1818 119— vengono aperti, analogamente a quanto avviene nei locali del Pellegrinaio e del Passeggio (1841-1842)120, un ampio finestrone con arco a tutto sesto (USM 63 del settore VI, tav. D, p. 251) e, poco dopo, « un finestroncello in fondo alla Infermeria alta delle Donne, quale corrisponde nella loggia dell'antico tenditoio »121. Le esigenze dello Spedale si dovevano modificare velocemente, se dopo qualche decennio — e siamo ora nel periodo X — un nuovo documento ci permette, in maniera indiretta, di ricostruire le tormentate vicende delle aperture della corsia Marcacci. Nel 1877 « si è reso necessario portare un cambiamento nella facciata dello Spedale delle 119

Quando viene rifatta una parte della decorazione affrescata sull’intonaco della corsia Marcacci, AA.VV. 1986, p. 21. 120 GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 379. 121 13-14 febbraio 1846, AA.VV. 1986, p. 22.

Donne che prospetta sulla piazza del Duomo »122, cambiamento non meglio precisato, ma che possiamo far corrispondere (vedi infra) alla creazione delle nuove finestre del secondo piano, in asse con le aperture già esistenti al piano terreno (che, comunque, vengono modificate per adattarle al nuovo partito decorativo) e con le nuove finestre del primo piano, in numero di tre previa tamponatura del finestrone centrale. L'ipotesi che tutte, o almeno una buona parte, delle finestre che possiamo vedere attualmente sulla facciata della corsia Marcacci, siano state costruite in quegli anni è basata principalmente sulla lettura del prosieguo del documento, nel quale vengono presentati due diversi progetti per la 'riduzione di questa facciata': uno che prevede una muratura a faccia vista in materiale laterizio, simile a quella del lato prospiciente via del Capitano, per un importo di L. 2197, l'altro, intonacato a fasce bianche e nere, per un importo di L. 850. Questa differenza sensibile nell'ammontare delle perizie, ci prospetta la possibilità di un'operazione di completo rivestimento o di ampia sostituzione dei materiali ammalorati con altri, e forse nuovi, laterizi, resa necessaria da quanto, oggi, si può evincere dalle complicate vicende costruttive, peraltro facilmente leggibili sulla stessa facciata. 8.3. La ‘nuova’ immagine dello Spedale alle soglie del XX secolo La scelta di intonacare la facciata, sulla quale hanno indubbiamente pesato motivi di ordine economico, costituisce il canto del cigno di una convinzione estetica che volge al termine. Le opere del Partini e il 'purismo' senese impongono uno stretto rapporto fra i materiali e la nuova coscienza storicistica. Come è già stato percepito da Dezzi Bardeschi, gli « interventi di snaturamento e progressivo depauperamento e perdita d'identità del documento storico, conseguenti allo scadimento del 'monumento' a trascurabile bene di consumo » mettono in « evidenza anche delle manomissioni per così dire ideologiche, le quali soddisfano cioè alla logica opposta della presunta 'valorizzazione' del testo attraverso ingenui tentativi di 'ripristino' »123 È in questa ottica che devono essere lette le decisioni di stonacare quasi completamente la facciata (lavoro portato a termine, in una prima trance,

122 123

AA VV. 1986, pp. 25-27. Ibidem, p. 99.

nel 1905)124, di aprire un nuovo ingresso alla chiesa (su progetto di Augusto Corbi del 1895) ed infine il progetto di un restauro complessivo della facciata (dell'architetto Vittorio Mariani), con un lungo iter burocratico che va dal 1905 al 1907. L'apertura di un nuovo accesso alla chiesa permette di rendere molto più indipendenti i due corpi di fabbrica — chiesa ed ospedale — e la scelta è dovuta ad una esigenza legata non più al timore di profanare un luogo sacro, ma bensì ad una diversa dimensione assistenziale raggiunta dallo Spedale. La chiesa, pur conservando un passaggio diretto con lo Spedale — attraverso la cappella della Madonna ed una corticella — si presenta ora come un nucleo autonomo, al quale si accede tramite una porta costruita replicando le forme e i modi costruttivi del portone già esistente125 ed utilizzando la nicchia retrostante, intorno alla quale era stata costruita, nel 1608, la cornice in macigno per necessità di simmetria, ma mai veramente utilizzata come passaggio. Lo Spedale, con un accesso reso indipendente dalla chiesa mediante una tramezzatura che riduceva la lunghezza della stessa chiesa, attua una specie di 'cannocchiale' visivo, fra la piazza del Duomo e la campagna circostante, attraverso il Pellegrinaio e due di quelle porte « honorevoli di macigno », secondo quanto recita la relazione tecnica che accompagnava il progetto del Corbi. Negli stessi anni, alla fine del XIX secolo, si chiude l'accesso attraverso le sale del piano terreno del palazzo del Rettore, che vengono ora utilizzate per impiantarvi il Pronto Soccorso. L'operazione di stonacatura, o scraping, rimette in luce molti degli elementi costitutivi dei diversi corpi di fabbrica, unificati con l'ampliamento della chiesa, che costituiranno il presupposto 'ideologico' per alcune proposte del progetto Mariani (fig. 41). Dato che le due operazioni — stonacatura e progetto di restauro della facciata — sono da considerarsi consequenziali e complementari, ci pare utile analizzare entrambe le attività in un'unica fase costruttiva (periodo X, fase B). Il fatto che molti degli elementi costitutivi della casa dei Gettatelli siano stati « a vita nova restituiti », si dimostra punto di partenza assolutamente essenziale dal quale il Mariani non può prescindere. Tra il 1905 e il 1907 vengono fatti esaminare alle Commissioni gli elaborati del progetto, con i lavori previsti. « Essi consistono nella: 124

« Rassegna d'Arte Senese », 1905, pp. 40-41. 125 Sulle caratteristiche costruttive della nuova apertura, si veda il confronto proposto nel contributo Gabbrielli.

— parziale battitura della cortina esistente — riapertura o scoprimento delle finestre bifore scoperte collo scrostamento dell'intonaco — ripresa degli archi acuti e degli archetti nelle parti mancanti — messa in opera di colonne di marmo con base e capitello per le suddette finestre — riparazione e rinnuovamento di alcuni pezzi di cornice in pietra serena nelle grandi finestre della Chiesa e nella cornice sottostante alla gronda — riapertura delle finestre della Chiesa, ora murate, e ferrate e vetrate a piccolo vetro per le finestre riaperte, simili a quelle esistenti »126. Dalla discussione di tali proposte — che si dimostrò insolitamente lunga e laboriosa dato che riguardavano la facciata dello Spedale, luogo dove maggiormente si appuntava l'attenzione del pubblico e delle commissioni competenti (Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti della Toscana e Commissione Provinciale conservatrice dei Monumenti di Siena) — emersero diverse serie di raccomandazioni che, confrontate col dato materiale, con i particolari leggibili sulla foto Alinari eseguita successivamente all'operazione di scraping (fig. 5) e con il prospetto allegato alla richiesta di restauro della facciata (fig. 41), ci permettono di seguire con maggiore precisione gli interventi che si andavano a realizzare e di percepire, in filigrana, la filosofia sottesa in tali operazioni. Si raccomanda, infatti, che127: 1— « ...siano scrupolosamente conservate tutte le tracce, anche le più piccole di quanto vi si vede di antico, e perciò di lasciare come si vedono attualmente tutti gli archi di porte, compresa quella con archi raddoppiati che dà ingresso a' vari uffici ed oratori. » Le operazioni di ripristino devono essere state eseguite secondo una gerarchia, non scritta, di importanza via via decrescente. Si chiede di « lasciar come si vedono » tutte le aperture rinvenute, ma la realtà ci mostra una serie di sostituzioni dei materiali delle vecchie ghiere degli archi con nuovi mattoni trafilati (con l'accortezza di esercitare una graffitura a crudo sulla superficie in vista) anche se, formalmente ed almeno apparentemente, non vengono modificate le dimensioni di tali aperture. Ciò non avviene, invece, per la 126 Archivio Storico Comunale, Lavori Pubblici, cat. X, dall'anno 1907 al l909, n. 7 come trascritto in AA.VV. 1986, p. 34. 127 « Rassegna d'Arte Senese », 1905, pp. 40-42.

porta di accesso agli uffici, « quella con archi raddoppiati ». La ghiera del primitivo arco della porta di accesso alla casa dei Gettatelli, viene fatta sparire completamente e per la reintegrazione della cortina vengono impiegati quasi esclusivamente mattoni vecchi, tanto che la stessa individuazione dei contorni dell'intervento è resa estremamente problematica. Nel progetto Mariani si preferisce far risaltare la porta con arco a sbarra di tipo senese, probabile adattamento alle modifiche del livello del piano pavimentale della chiesa, conseguente all'ampliamento quattrocentesco. Una balzana viene riportata sulla chiave dell'arco e molte buche pontaie sono ricostituite con mattoni trafilati o tamponate con vecchi laterizi. Tutte queste operazioni vengono sicuramente terminate nel 1913, come mostra la foto pubblicata nella Guida dello Spedale che uscì in quell'anno128 (fig. 42). Problemi molto più complicati ci vengono posti dall'individuazione dei restauri del 1932, quando, con l'apporto del soprintendente Bacci, prendiamo atto che « Il 29 febbraio 1932 si dà avvio...alla sistemazione dell'ingresso agli Uffici dalla piazza del Duomo »129. E ancora, riferendoci alla discussione seguita alle proposte progettuali del Mariani, si raccomanda: 2 — « Togliere quei ringrossi di muro che furono fatti per chiudere le finestre bifore del primo piano...completandole solamente in quelle parti mancanti e ritirando il muro, lasciandolo...come si vede nell'unica finestra intatta, e lasciando pure come stanno le cornici d'imposta tagliate ». Le bifore, come oggi appare ovvio, esistevano già in antico, e quelle ancora quasi del tutto intatte nel 1907 erano: da sinistra, la seconda e la sesta — per quanto riguarda la ghiera e parte della cornice — mentre l'ottava ha, a tutt'oggi, il timpano e gli archetti originali (fig. 43). Tutte e dieci le bifore, sono state oggetto di sostituzioni dei vecchi laterizi con altri trafilati, sia sagomati sia con dimensioni speciali; inoltre le colonnine e i capitelli sono stati tutti rifatti — probabilmente prendendo a modello quelle del palazzo del Rettore —, così come nuove sono le cornici d'imposta, contravvenendo a quanto disposto nelle raccomandazioni, che così continuavano: 3 — « La tettoia che stava sopra alle dette finestre...non dovrebbe essere rifatta, ...poiché non solo non sappiamo come fosse quella antica, ma non

128 129

 DE NICOLA  1913, p. 9. AA.VV. 1986, p. 39.

possiamo vedere nessun altro esempio di tettoie consimili in altre fabbriche senesi. » La raccomandazione viene seguita in toto, obliterando anche gli alloggi per i saettoni. Bisogna comunque osservare, a proposito del passo della raccomandazione relativo alla localizzazione degli affreschi antichi, che sulle bifore, ormai tamponate ed intonacate, erano stati eseguiti, da Battista di Cristofano ed Onofrio di Frosini negli anni intorno al 1480-82, degli affreschi. Le raccomandazioni dicevano, poi, che: 4 — « Le dieci bellissime finestre superiori quattrocentistiche della chiesa...dovranno essere restaurate nelle parti affatto guaste, lasciando il più che sia possibile del pietrame antico ». La raccomandazione appare pleonastica, in quanto non si sono rinvenute le tracce di nessun tipo di intervento sulle cornici di macigno, come possono testimoniare i restauri del 1986-1987. E che: 5 — « Dovranno essere conservate le due tettoie nello stato attuale nei due fabbricati con le finestre bifore a destra del fabbricato principale » senza dubbio da interpretarsi come il palazzo del Rettore. La raccomandazione si riferisce alle proposte del progetto, che prevedeva l'asportazione del tetto sopra il secondo piano del palazzo del Rettore — ripristinando il coronamento merlato — e la costruzione di un nuovo coronamento, anche questo merlato, sul corpo di fabbrica a due piani prospicente via dei Fusari (fig. 41). E infine: 6 — « In quanto agli archi del piano terreno di questo fabbricato, se si vuole praticarvi delle finestre, si faccia pure, ma non seguendo l'andamento degli archi stessi e con quelle particolarità ...quasi si volesse far credere quelle aperture originarie della costruzione... ». La commissione si preoccupa, attraverso le raccomandazioni, che non vengano attuate le aperture delle finestre di forma ogivale, aderenti all'intradosso delle arcate cieche del piano terra così come appniono nel disegno di progetto. In questo caso la raccomandazione fu accolta e costituì, anche in seguito, il criterio da seguire quando si dovettero affrontare le domande inerenti l'apertura delle nuove finestre e degli accessi ubicati in questa parte dell'edificio. Bisogna aggiungere, poi, anche l'ultimo paragrafo, che suggerisce di « togliere completamente l'intonaco in questa parte della fabbrica Palazzo

del Rettore (fig. 44b), per rimettere in luce quello che vi è sotto ». Quest'ultima operazione fu eseguita pochi anni dopo, sicuramente prima del 1913, ma fortunatamente senza quella "battitura della cortina esistente", realizzata in parte a gradina e in parte a penna di martello, che ha reso assai complicato seguire, ed applicare, i criteri di lettura analitica dell'elevato.

8.4. Le operazioni di manutenzione ordinaria Ma gli interventi sulla facciata continuano ancora per molti anni: abbiamo accennato alla lunga durata dei lavori di restauro (nel 1926 si lavora alla facciata della corsia Marcacci, nel 1932 viene sistemato l'ingresso agli uffici) e ad essi si devono aggiumgere episodiche attività, tra le quali vanno ricordate — nel 1924 —: la copertura per circa quattro metri del vicolo di San Gerolamo — nonostante il lungimirante párere negativo dell'Ufficiale Sanitario — realizzata con longarine e volticine, eseguita per allargare il passaggio verso la Clinica Oculistica e Patologia Medica; nel 1929 si riapre la porta della Farmacia, chiusa quattro anni prima, e nel 1963 si crea un mezzanino, che « si potrà ottenere abbassando il soffitto del locale di vendita della Farmacia e della camera del medico di guardia del Pronto Soccorso, nonché utilizzando il palco morto interposto fra tali soffitti e il solaio sovrastante »130. La realizzazione del mezzanino comporta l'apertura di due finestre nel prospetto su piazza del Duomo-via dei Fusari. Nel 1966 si eseguono lavori ai manti di copertura e, dopo aver iniziato il trasferimento di alcuni reparti nel nuovo Policlinico delle Scotte, agli inizi degli anni '80, si restaura la sala del piano terreno della corsia Marcacci, che dapprima verrà usata come locale per mostre e poi, 1987-88, come deposito dei materiali del Museo Archeologico. I lavori all'interno e sulla facciata dello Spedale non terminano, comunque, con il trasferimento dei reparti, perché alcuni degli spazi lasciati vuoti vengono subito dati in uso ai reparti rimasti, previa la solita serie di piccoli lavori di finitura, di adattamento funzionale, di trasformazioni d'uso e ancora oggi possiamo vedere che si continua, in questo caso si potrebbe dire fortunatamente, ad eseguire l'ordinaria manutenzione delle strutture fisiche dello Spedale, in maniera tale che un'analisi puntuale delle azioni 130

Archivio Ufficio Tecnico USL30, n. 3, come trascritto in AA.VV. 1986, p. 52.

costruttive risulta, al momento della pubblicazione, superata dal divenire degli eventi.

9. L'Effimero: prime riflessioni sugli apparati provvisori e sulle finiture delle superfici Giunti alla fine della narrazione sulle vicende costruttive della facciata dello Spedale, ci sembra utile accennare — in una rapidissima rassegna — anche a quelle manifestazioni che hanno lasciato ben poche tracce materiali sulle strutture murarie, vuoi per la deperibilità dei componenti utilizzati vuoi per l'aleatorietà delle esigenze o per il significato espressivo insito nelle occasioni dalle quali erano scaturite. Per tale ragione è nostra intenzione tratteggiare appena le linee di questo paragrafo, anche se alcune riflessioni si riferiscono a problemi che costituiscono dei punti poco noti e comunque ancora da discutere. Ci pare, però, che un dibattito non potrà esimersi dal confronto con questi problemi, da qualunque parte, con l'angolazione propria delle diverse discipline, li si affronti. 9.1. Gli apparati provvisori La piazza del Duomo ha sempre costituito l"ambiente' per eccellenza, votato alle manifestazioni di fede e devozione non solo popolari, luogo deputato all'incontro con le massime autorità religiose, in una cornice di rappresentatività alla quale il Capitolo dello Spedale non poteva rimanere escluso. In effetti è possibile leggere, in filigrana, anche una vicenda e un atteggiamento mentale che si allontanano dai resti materiali per affrontare una visione della struttura urbana assai densa di significati. Interessanti momenti di riflessione possono essere colti nell'imaginifica ricostruzione di una scena urbana offerta da M. Fagiolo131: « La scena della città si stà animando come in una recita tragica o in un balletto. Lo sfondo della 'città reale' è soffocato dai personaggi che vengono di volta in volta alla ribalta. Olimpica e ignuda come la verità, la 'città ideale' si ammanta di vesti paludate e ostenta sublime indifferenza nel discendere dal Regno delle Idee. 131

Si tratta del suo contributo alla sczione il Patere e lo Spazio (p.31) nell’ambito della mostra « Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del Cinquccento », tenutasi a Firenze e in altre sedi toscane nel 1980.

Le si fa incontro la 'città idealizzata', avvolta in un manto dorato che lascia intravvedere un corpo vecchio e sofferente; la accompagnano poeti e filosofi cercando di persuaderla a salire la scala che conduce al mondo iperuranio. Ma i due personaggi, che sembrano elidersi a vicenda per l'esilità della loro condizione, vengono messi in disparte all'apparire sulla scena della 'città ideologizzata'. E il Principe stesso, autorevole ed arrogante, che impersona questa parte, addobbato e imbiancato come un catafalco, e seguito da una formazione paramilitare di artisti, intellettuali, cortigiani. Alla 'città ideale' e alla 'città idealizzata' — le quali, utopiche e anacroniche, indicano qualcosa con la mano verso l'alto, come il Platone della Scuola di Atene — la 'città ideologizzata' risponde con un monito perentorio a restare coi piedi per terra e poi con un invito mellifluo a entrare nelle sue schiere dopo un giuramento di fedeltà. ». Comunque gli argomenti reali, quelli che devono essere gettati nell'arena del dibattito, sono pochissimi, così come finora sono assai scarsi sia i dati a nostra disposizione sia quelli che siamo riusciti a reperire in proposito. Si tratta, essenzialmente, di studiare gli apparati straordinari che venivano eretti per occasioni specialissime, con cadenze episodiche e comunque non pianificabili: la salita al soglio pontificio di una persona proveniente da una famiglia particolarmente legata a Siena, i pontefici e gli imperatori che transitavano sulla via Francigena e che decidevano di sostare a Siena — non mancando di compiere una visita alla chiesa Cattedrale — coinvolgendo tutti gli enti che si affacciavano nell'invaso della Piazza. Non possiamo, poi, trascurare l'uso degli apparati saltuari, che venivano approntati per le solenni celebrazioni, la cui ricorrenza era stabilmente fissata una o più volte durante l'anno liturgico: principalmente l'esposizione delle reliquie (25 marzo e 15 agosto), ma non dovevano mancare, per la presenza di compagnie laicali o di corporazioni negli ambienti dello stesso Spedale, numerose altre occasioni. Ed ancora non ci sembra inutile accennare ad un terzo punto — il trattamento delle superfici — che possiamo ulteriormente suddividere in altri due aspetti direttamente dipendenti: le modifiche apportate, durante il corso degli anni, alle operazioni di finitura delle superfici degli edifici che si affacciavano sulla piazza e la durabilità dei materiali utilizzati in tali finiture. Sarebbe interessante ricostruire i modi propri e le loro variazioni, le modifiche dei rapporti, il confronto incrociato fra liturgia, culto delle

reliquie e devozione popolare come causa principale di alcune attività edilizie rintracciabili sulle murature dello Spedale, ma tale impegno — oltre a quello affrontato nei paragrafi precedenti — ci avrebbe condotto su binari divergenti dalla lettura edilizia, volutamente limitata alle sole fonti materiali. Per questa ragione non bisogna assolutamente cercare una parvenza di completezza a quanto andremo ad esporre, principalmente frutto degli 'incontri' con la documentazione edita e non già il risultato di apposite ricerche archivistiche od iconografiche. Tra le più antiche attestazioni di un apparato provvisorio od effimero, eretto in occasione della visita di un pontefice, ritroviamo i dati provenienti, curiosamente, da due tipi distinti di fonti: le cronache di un contemporaneo e la trascrizione pittorica della stessa struttura. Nel 1443, dal marzo al settembre, papa Eugenio IV sostò a Siena. « I preparativi per il suo arrivo erano iniziati fin dal giugno del 1441, quando in Duomo fu innalzata una struttura temporanea perchè 's'aspettava papa Ugieno'. Questo baldacchino, descritto nelle cronache, è rappresentato nell'affresco di Priamo della Quercia »132, posto all'interno del Pellegrinaio, del quale è già stato ricordato un pagamento nel 1442 (fig. 11a). Da quanto possiamo ricostruire dalle cronache133 e dalla minuziosa rappresentazione pittorica, il baldacchino, a pianta quadrata, sembrerebbe addossato alla muratura dello Spedale, con una volta a crociera sostenuta da colonne (forse esistenti solo per le esigenze compositive dell'affresco) e pilastri quadrangolari. Il lato prospicente il Duomo era suddiviso in due parti verticali, una aperta e l'altra chiusa; a quest'ultima era addossato un altare e sopra l'altare stava una nicchia contenente una statua della Madonna col Bambino. Ad aprile, « nel 1536 lo Spedale partecipava, come il resto della cittadinanza, alle entusiastiche accoglienze tributate a Carlo V »134, in occasione del suo secondo viaggio attraverso l'Italia dopo la vittoriosa battaglia di Tunisi135. Secondo quanto narra uno spettatore dell'epoca, l'imperatore « guardò con diletto li carri delli angeli ch'el signore dello Spedale haveva fatto mettere fuora, come suol farsi per la festa di marzo di 132

CHRISTIANSEN – KANTER – STREHLKE 1989, p. 55. Cronaca Senese di T. Fecini, in Cronache senesi 1989, p. 853. 134 GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 265. 135 Il Potere e lo Spazio 1980, p. 32. 133

Nostra Donna e per l'Assunta »136. « In Siena l'itinerario prescelto per le solennità aveva inizio dalla Porta Nuova (Romana) e raggiungeva il Palazzo dei Petrucci dopo il passaggio in Piazza del Duomo. La Piazza del Campo, sede della Signoria senese, fu esclusa dal percorso intenzionalmente, tanto che la stessa Signoria si recò a rendere omaggio a Carlo V nella residenza del Palazzo Petrucci »137. Un altro importante avvenimento portò, pochi decenni dopo, alla costruzione di architetture effimere in tutti i luoghi di maggior prestigio, dove maggiormente si esercitava il potere civile e religioso senese. Si trattò dell'ingresso in Siena di Cosimo I, del 25 ottobre 1560, primo atto della glorificazione del potere da lui recentemente acquisito. Tutti gli apparati furono eseguiti sotto la direzione di Bartolomeo Ammannati (« In quel tempo il Duca se n'andò a far l'entrata a Siena, e l'Ammannato era ito certi mesi innanzi a fare gli archi trionfali »)138 ma, se escludiamo la tavoletta di Biccherna del 1561139 abbiamo scarsissime tracce grafiche degli apparati costruiti. E se, « all'esiguità dell'iconografia relativa all'ingresso di Cosimo si accompagna altrettanta 'sfortuna' in sede cronachistica e letteraria: gli storici senesi infatti comprensibilmente tacciono sull'argomento »140, una testimonianza aderente al progetto che sovrintese alle costruzioni è data dalla narrazione del percorso senese allestito per Cosimo di Don Vincenzo Borghini141: Cosimo I entrò dalla porta Camollia, innanzi alla quale stava « ...un arco dorico per la forteza... Dentro alla porta apparato di panni d'arazzo dove erono a sedere tutti i magistrati della città et sopra l'arme di Siena... In sulla piaza de' Tolomei dove è la colonna della lupa di bronzo erano due statue che le metterono in mezo... Nella testata della Croce del Travaglio in banchi era la statua d'Ottaviano... Alla porta del palazo dove stanno i signori un ornamento di colonne doriche, et sopra il frontispicio la statua della pace... Alla porta dove sta il Capitano di giustizia il medesimo ornamento... Fra l'una porta et l'altra uno ornamento di festoni et maschere di teste di leoni che faceva fregio fra una porta e l'altra di braccia 70... Nel mezo della piaza un basamento alto braccia 6 la statua del Duca Cosimo armato... A sinistra la 136

VIGO (a cura) 1884, p. 30. Il Potere e lo Spazio 1980, p. 38. 138 ASF, Carteggi d’artisti, II, I. 14-lettera di G. Vasari a V. Birghini del 4 gennaio 1561, pubblicata da GAYE 1839-1840, III p. 43. 139 Biccherne, tav. 109, pp. 258-259. 140 ACIDINI LUCHINAT 1978, p. 5. 141 BNCF Magliabechiano, II.X.100 (circa 1565) pubblicato da ACIDINI LUCHINAT 1978 PP. 17-20. 137

statua di Siena...et sotto un lione et una lupa... Nella contrada detta il Casato nel mezo della strada Costerella la statua di Junone... Alla piaza della postierla una statua di pallade... Al canto del duomo un Arco trionfale alto braccia 30 con ancora sopra un mondo messo in mezo da dua statue Prudentia e felicità... Sotto l'arco nelle facciate in dua medaglioni il Duca Alexandro... Dirimpetto il signor Giovanni a cavallo... Sotto queste medaglie erono dua storie in una l'acquisto di Mont'alcino... Nel'altra il ritorno dei cittadini in Siena che presentano le chiavi al Governatore et lo ricevono... Dalla parte di drieto che guardava verso il duomo in quattro nicchi grandi dua per banda, l'un sopra l'altro in mezo di 4 colonne corinthie fu dipinto nell'uno Leone X... Dall'altra parte era Clemente... Sotto Leone era il cardinale Hypolito...sotto papa Clemente era il cardinale Giovanni figlio di S.E... Nella fine dell'arco di sopra un epitaghio... Metteve in mezo l'epitaphio da una banda Hilaritas publica. Dall'altra Quies diuturna. Sopra l'Arco di rilievo una statua di braccia 6 di papa Pio IIII... In sulla piazza del duomo a canto alla scala la figura di Noè a diacere con molti puttini in torno vendemmiatorj. Et Noè premeva uve con le mani et empieva una tinella... Alla porta del palazo dove era alloggiato S.E. un Arco dorico con 4 pilastri dua di qua et dua di là in mezo de' quali era da ogni banda dua storie in un quadro quando S.E. fu detto Duca da i 48... Nel'altro Carlo V gli rende la chiave della forteza... Dall'altra banda in un quadro la Duchessa che presentava al Duca un ramo pien di frutti...et l'altro tutti i figliuoli del Duca ne' loro habiti et il principe nel mezo armato... Nella sommità del'arco sopra'il frontispitio la statua di Toscana. ». Sembra che l'incredibile ricchezza dell'apparato effimero costruito in questa occasione — ma l'arco eretto « al canto del duomo », ora « restaurato e resarcito », era già stato usato per l'arrivo di Carlo V142 non abbia più avuto un seguito neppur lontanamente paragonabile, almeno in questa parte della città143 mentre un successo più limitato, ma costante, sembrano avere avuto gli apparati saltuari che venivano montati o rappresentati in occasione di speciali ricorrenze. Abbiamo appena 142

PELLEGRINI 1903, p. 168. Si pensi che 30 braccia corrispondevano a circa 18 metri (e altri 360 cm erano per la statua), pressoché la medesima altezza in gronda deidue edifici fronteggianti, ai quali l’arco si doveva appoggiare. In epoche a noi vicinissime possiamo far rientrare nello stesso ordine, consciamente od inconsciamente, i concetti che hanno guidato la progettazione degli apparati costruiti da alcune delle contrade per festeggiare la vittoria del Palio. 143

accennato a li carri delli angeli che il Rettore faceva sfilare, nel XVI secolo, per celebrare le solennità delle due principali feste dello Spedale, la Concezione e l'Assunzione, e che in altri tempi venivano officiate, scegliendo soluzioni di tenore nettamente diverso. Un esempio può essere tratto dal confronto con i sedili di pietra fatti costruire (in maniera assai poco effimera se ancora oggi rimangono a testimoniare un compito ormai desueto)144 appositamente per i Magistrati della Repubblica affinchè potessero sedere in occasione dell'ostensione delle Reliquie. Che, col passare degli anni, sia avvenuta una variazione dei valori rappresentativi, dei canoni religiosi o spettacolari, è desumibile anche dal confronto con l'apparato di legno e tessuto costruito, dal falegname Michelangelo Grilli nel corso della prima metà del XVII secolo, in occasione del solenne ingresso in duomo del nuovo Arcivescovo, che il Macchi così descrisse: « La facciata dello Spedale in faccia al Duomo, ci messero Panno di broccato n°10 e sotto ad essi ci fù fatto una scaldenza grande di legniami di circa a br.80 a Poveri, da Micalagnolo Grilli Lignaiolo perchi voleva vedere dovesse pagare soldi 13, 4 e 10 e fu alta braccia 8. Alle fanciulle dello Spedale perchè vedessero, ci fu messo le residenze della Signoria e banche di detto Spedale dentro alla loro porta in cappella. Questa residenza nella facciata dello Spedale, come si dice di sopra, ci fu fatta dal suddetto maestro perchi voleva vedere la funzione dell'ingresso di Monsignore Illustrissimo Arcivescovo nuovo che si deve fare il di 11 agosto eciò fece a tutte sue spese di legniami, maestranze chiodi garzoni e altro »145. Un più accurato spoglio archivistico potrà riservare ulteriori sorprese e, quindi, non ci pare opportuno voler trarre delle sintesi di valore generale, dall'esigua documentazione reperita. 9.2. La finitura delle superfici: "faccia vista" od intonaco? Anche l'altro aspetto che volevamo affrontare ha le sue radici nel passato ma è più collegato alla presente situazione ed, indubbiamente, può influenzare e determinare anche scelte progettuali future. Il nodo da 144

La quasi totalità delle parti in pietra dei sedili si è riscontrata sostituita con pezzi recenti. Fanno eccezione alcune limitatissime parti, rinvenute presso l’area di scavo (USM 52 e 58 del settore I, tav. C, p. 198). 145 MACCHI, Memorie, V, c. 392, riprodotto in GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 327, fig. 319.

sciogliere è legato ai problemi relativi agli aspetti materici e ai modi che furono attuati per ottenere la finitura delle superfici — e, conseguentemente, la loro durabilità — perchè non appare mai chiaramente come siano stati affrontati i termini del problema. Le scelte progettuali passate sembrano dettate più da situazioni momentanee o contingenti — si pensi all'intonacatura generale del 1720 o, al contrario, all'operazione di "battitura" del 1905-1907 — che conseguenti ad una rigorosa analisi filologica delle strutture murarie e da una lungimirante pianificazione. Non è facile determinare quale impatto visivo potesse significare una intonacatura, quanta parte della facciata fosse interessata da una tale finitura e come si presentasse la superficie stessa dell'intonaco, dal momento che mancano le fonti materiali sulle quali basare le nostre interpretazioni. La definizione di "strato di sacrificio", avanzata per le soluzioni — adottate in passato — tese a proteggere la struttura stessa delle murature, mai come in questo caso ha un valore strettamente collegato alla definizione stessa. Qualche considerazione, però, può essere tratta dalla struttura stessa del supporto murario146 e dalle variegate vicende che una iconografia non troppo scarna ci permette di intravedere. Pensiamo alla situazione immediatamente successiva all'esecuzione degli affreschi del 1335: che l'impatto sia stato fortissimo è dimostrato da numerosi fattori, quali il seguito e la fortuna avuta dall'iconografia, testimoniata anche dalla richiesta, dopo più di un secolo, di 'sintetizzare' nella predella della tavola destinata alla cappella dei Signori, nel palazzo comunale, la complessa iconografia delle Storie della Vergine147. Anche la quantità totale della muratura affrescata è calcolabile, ma appare ben difficile calcolare la durata delle tonalità, delle coloriture degli affreschi stessi. Ben prima del 1720 doveva esserci stato un deperimento delle qualità cromatiche della decorazione, se non addirittura della consistenza e dell'aderenza dello stesso supporto, e se ci troviamo in difficoltà nel determinare la velocità della modificazione di un'opera sottoposta a tutte le attenzioni possibili, immaginiamoci quale doveva essere la situazione di un intonaco comune, 146

Al problema si è accennato, nel giugno del 1990, al convegno di Bressanone, cfr. PARENTI 1990a. 147 Il documento è stato pubblicato già dal Milanesi in Documenti per la storia dell arte senese 1854-56, II, pp. 256-257. Successivamente — e molto più recentemente — è stato oggetto di un accurata disamina da parte di EISEMBERG 1981, e nel catalogo La pittura del Rinascimento (CHRISTIANSEN - KANTER - STREHLKE 1981), pp. 160-162.

sul quale, oltre al degrado naturale — che inizia subito dopo la stesura della lisciatura finale — si interveniva anche con opere di manutenzione ordinaria e con i piccoli "racconci". La risposta al problema di come, ad uno sguardo ravvicinato, si presentasse la superficie dello Spedale nella sua tessitura più minuta, diventa praticamente irrisolvibile data l'enorme quantità di variabili che dovrebbero essere tenute in considerazione. Il passare del tempo ha, in questo caso, una fortissima, duplice valenza: sia sotto l'azione erosiva degli agenti atmosferici sia come specchio di una continua serie di racconci. La formazione di una microstratigrafia148, in questo caso, può essere soltanto immaginata per l'assoluta mancanza del dato materiale, ma non sembra del tutto improponibile una sorta di sperimentazione basata sulle "interfacce negative", alla luce delle modifiche 'lette' nella forma e nelle successioni delle aperture, in special modo al livello della piazza, dove maggiore è stata l'attenzione prestata e più accurata la registrazione delle evidenze materiali. Oltre alle consuete difficoltà nella valutazione di questo specifico aspetto, si devono aggiungere anche le resistenze che la sedimentazione dell'immagine storica si porta dietro. Che la facciata sia stata intonacata in parti più o meno ampie, per una buona parte della sua storia costruttiva è ormai assodato, e laddove non si abbiano più le possibilità di un controllo autoptico, come nel caso della cortina intorno alle grandi monofore dell'ampliamento quattrocentesco della chiesa, il semplice confronto con edifici funzionalmente e strutturalmente coevi, come la facciata dell'oratorio di Santa Maria delle Nevi, ci lascia ben pochi margini di incertezza nell'immaginare il tipo di finitura da accostare al macigno149. Che uno strato di intonaco sia stato sicuramente disteso sulla totalità delle murature di facciata per quasi due secoli non è sufficiente a controbattere la forza e il peso di un'immagine formatasi in seguito ad un'operazione di restauro, eseguita in sintonia con gli argomenti tipici del dibattito culturale del secolo scorso, e che si modifica giorno per giorno con l'apporto di un velo di depositi carboniosi, ormai il frutto più tipico dei nostri tempi.

148

Sulle potenzialità di registrazione offerte dal sovrapporsi degli 'strati di sacrificio', si veda ancora PARENTI 1990a, pp. 49-50. 149 La facciata dell'oratorio di Santa Maria delle Nevi, in via Montanini a Siena, affianca alla pietra serena una raffinata superfice ottenuta con lastre di travertino, anticipando, per quanto ne sappiamo, gli accostamenti materici e cromatici che Michelangelo sperimentò nel Vestibolo (Ricetto) della Biblioteca Laurenziana in San Lorenzo a Firenze.

Ci sarà, e quando, la forza e la fantasia progettuale di intervenire sulla facciata dello Spedale seguendo criteri meno pedissequi e più attenti ai risultati e alle necessità della ricerca storica e scientifica?

Gli indicatori cronologici utilizzati nello studio degli elevati del Santa Maria. In alcuni recenti interventi sono stati organicamente definiti, sulla base di esperienze maturate nel campo della ricerca archeologica ed archeometrica, i metodi e le fonti utilizzabili per la datazione dell'edilizia esistente 1 . I numerosi indicatori cronologici segnalati potenzialmente offrono, nel loro complesso, possibilità conoscitive tali da riuscire a datare ogni tipo di edificio, indipendentemente dall'appartenenza all'edilizia cosiddetta "monumentale" o a quella "minore". In questa sede ripercorreremo, attraverso una rapida rassegna, l'elenco delle fonti e dei metodi individuati, segnalando di volta in volta quelli che abbiamo utilizzato per la periodizzazione delle Unità Stratigrafiche Murarie del Santa Maria della Scala, con particolare riferimento alle fonti iconografiche ed epigrafiche alle quali non sono state dedicate, in questo volume, specifiche monografie. In primo luogo occorre distinguere le datazioni indirette da quelle dirette. Le prime, provenienti da indagini condotte esternamente al manufatto, si basano sulle fonti storiche, cioè sulle testimonianze scritte, iconografiche, cartografiche ed orali. Le fonti espressamente riferibili all'azione costruttiva offrono una datazione assoluta, le altre una datazione relativa. Per quanto riguarda le fonti scritte abbiamo in gran parte utilizzato notizie edite, facendo ampio uso delle più recenti pubblicazioni relative alle vicende architettoniche dello Spedale 2 . Tra queste notizie quelle particolarmente significative ai fini di una datazione sono state direttamente controllate sulle fonti3. Per l'arco di tempo compreso tra gli ultimi decenni del XIV secolo e i primi anni del Cinquecento abbiamo inoltre potuto utilizzare anche notizie inedite provenienti dall'esame sistematico di alcuni registri dell'archivio dello Spedale 4 . Prodighi di informazioni si sono ancora una volta rivelati i famosi manoscritti di Girolamo Macchi, risalenti alla fine del Seicento e ai primi del 1

MANNONI 1984a, PARENTI 1988, MANNONI - CABONA - FERRANDO 1988, in particolare p. 49. A queste pubblicazioni rimandiamo anche per una dettagliata bibliografia sull'argomento. 2 In particolare MORANDI - CAIROLA 1975, GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, AA.VV. 1986 GALLAVOTTI CAVALLERO 1987a; GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987. 3 AI controllo della documentazione archivistica hanno collaborato Alessandra Carniani, Angela Milani, Roberta Mucciarelli e Lucia Nardi. 4 ASS, Sp. 20-21 (Deliberazioni, anni 1379-1402, cfr. NARDI C.S.). ASS, Sp.20-24, 106-109 852-880 (Deliberazioni, anni 1379-1487; Protocolli, anni 1404-1505; Entrate e uscite di denari, anni 1385-1500; cfr. MILANI 1988-89).

Settecento, per quanto caratterizzati da un'esposizione non omogenea e in qualche caso contraddittoria 5 . È da segnalare che tali manoscritti costituiscono l'unica fonte, per quanto "indiretta", di alcune importanti notizie per le quali non è stato possibile, sulla base delle indicazioni fornite dallo studioso, risalire ai documenti da cui sono state tratte. Nel complesso le fonti scritte, per quanto non sempre oggettivamente interpretabili in relazione al collegamento tra la notizia documentaria e l'evidenza architettonica, hanno offerto un contributo fondamentale per la datazione assoluta delle attività costruttive. Limitandoci agli interventi macroscopici che hanno interessato i due prospetti esaminati ricordiamo che da queste provengono le collocazioni cronologiche della chiesa duecentesca, dell'ampliamento della Casa dei Gettatelli, del secondo piano del Palazzo del Rettore e del suo coronamento merlato, dell'ampliamento quattrocentesco della chiesa, dei contrafforti prospicienti la piazzetta della Selva, ed infine della risistemazione settecentesca delle strutture relative a via dei Fusari6. Per quanto concerne le fonti iconografiche abbiamo esclusivamente utilizzato quelle dotate di un chiaro ed evidente intento realistico, tale da ridurre al minimo l'incertezza interpretativa. Tra gli affreschi del pellegrinaio La distribuzione delle elemosine di Domenico di Bartolo, del 1441 circa, offre una puntuale descrizione del tratto della controfacciata corrispondente alla parte anteriore della chiesa. Sono infatti ben riconoscibili alcuni elementi che hanno, o avevano, un riscontro oggettivo, anche all'esterno della facciata, quali il pulpito per l'esposizione delle reliquie, il casotto dell'orologio e i due portali a sesto acuto, uno dei quali attualmente tamponato, che dalla piazza del Duomo immettevano nella chiesa7. Alla fine del Cinquecento risale la veduta a volo d'uccello di Siena di Francesco Vanni, fonte iconografica di grande importanza, come è stato più volte sottolineato, per la conoscenza urbanistica ed architettonica della città8. La stampa che abbiamo utilizzato, e da cui è tratta la fotografia pubblicata in questo volume (fig. 16, p. 58), è uno dei tre 5

5 MACCHI, Memorie; MACCHI, Origine. Riferimenti essenziali: ASS, Sp., Diplomatico, 1257 giugno 27, ASS, Consiglio Generale 119, cc.36v-38v; MACCHI, Memorie, II, c. 226r; MACCHI, Origine, cc. b, 17r, 60rv; ASS, Sp.24, c. 169v; ASS, Sp.351, cc. 219rv. 7 Cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 61, 105, 160, GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, pp. 40, 54-55; TORRITI 1987, p.69. 8 8 Si veda ad esempio PELLEGRINI 1986, pp. 105-109; ROMBAI 1980, pp. 97-100, 107-108; BORTOLOTTI 1983, passim. 6

esemplari conservati presso la Biblioteca Comunale di Siena9. Molto probabilmente appartiene, come è stato di recente puntualizzato, ad una tiratura immediatamente successiva a quella originale, comunque collocabile non oltre la data di morte (1609) del granduca di Toscana Ferdinando de' Medici, a cui è dedicata, e in ogni caso caratterizzata da una sostanziale identità con la prima stesura10. La veduta offre un'interessante descrizione dei prospetti relativi alla chiesa e all'edificio della ― Corsia Marcacci ‖, mentre esclude quasi completamente la facciata del Palazzo del Rettore. Ma è soprattutto nella rappresentazione del prospetto relativo al vicolo di San Girolamo e alla piazzetta della Selva che la stampa acquista una notevole importanza, sia per la chiara e dettagliata descrizione delle strutture che per la rarità di fonti iconografiche riguardanti questo lato dello Spedale. È da sottolineare che nelle recenti pubblicazioni sul Santa Maria della Scala è stata utilizzata la riedizione ottocentesca di Lazzaro Bonaiuti, la quale ripropone fedelmente i principali caratteri architettonici dell'originale ma se ne distacca nella definizione di alcuni dettagli11. Il caso più evidente riguarda la diversa raffigurazione del pianoterra dell'edificio corrispondente alla Corsia Marcacci: tre grandi aperture di uguali dimensioni nella riproduzione del Bonaiuti, un solo portale al centro affiancato da due finestre in quella del Vanni. Una rappresentazione decisamente realistica della facciata principale, nonché degli edifici ad essa prospicienti, è offerta dalla tela di Agostino Marcucci, conservata nel Museo Civico di Siena, raffigurante la Processione su piazza del Duomo12. Vi sono chiaramente rappresentate gran parte del Palazzo del Rettore, la chiesa e la facciata della ― Corsia Marcacci ‖ (fig. 17, p. 59). Il dipinto, attento ai particolari ma non fedelissimo, basti considerare l'assenza di ben due arcate nel tratto del pianoterra corrispondente al corpo più elevato del Palazzo del Rettore, è 9

Senza collocazione. Ciascuna copia è formata da quattro fogli, corrispondenti alle quattro lastre di rame che occorsero per l'incisione. In un esemplare i fogli sono fra loro collegati, negli altri due sono liberi. Nella stessa Biblioteca si conservano inoltre tre fogli appartenenti al medesimo riquadro di tre differenti esemplari. 10 PELLEGRINI 1986, pp. 106-107. La non appartenenza alla prima stesura è suggerita dalla presenza di tracce di ritocco nella scritta sottostante la dedica dove è stato aggiunto il nome di un certo ― Pietro Marcheti in Siena ‖. Diversa è l'opinione della BELLINI 1980, pp. 242-243, secondo la quale si tratterebbe di un'edizione ottocentesca. 11 AA.VV. 1986, p. 14, GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 17. GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, p. 77. La veduta di Lazzaro Bonaiuti, del 1873, è conservata presso 1'Archivio di Stato di Siena. 12 Cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, pp. 71, 80-81.

probabilmente collocabile dopo il 1608. Vi è infatti raffigurato il nuovo ingresso dello Spedale, il cui trasferimento, dal portale della chiesa ad una delle tre arcate corrispondenti alla cappella delle Reliquie, venne appunto deliberato, insieme ad altri interventi, il 17 agosto di quell'anno13. Di notevole importanza per la ricostruzione dell'assetto urbanistico e architettonico della piazza del Duomo intorno alla metà del Seicento sono alcuni disegni raccolti dai Chigi e attualmente conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana 14. Uno di questi offre una precisa descrizione dell'estremità destra della facciata dello Spedale, ovvero di un breve tratto del Palazzo del Rettore e delle strutture situate in via dei Fusari, prima della completa risistemazione attuata intorno al 1720 (fig. 34, p 74)15. Per la fine del XVII secolo e l'inizio del XVIII il principale contributo iconografico è rappresentato dagli schizzi di Girolamo Macchi16 , alcuni dei quali inediti (figg. 1-2). In particolare preziose indicazioni, circa l'assetto della facciata e le funzioni svolte dagli ambienti ad essa relativi, sono state fornite da un disegno, datato all'anno 1697, raffigurante l'intero prospetto, compresa la ― Corsia Marcacci ‖ e le strutture di via dei Fusari rinnovate nel XVIII secolo (fig. 20, p. 60)17. Il disegno non è tuttavia privo di approssimazioni ed inesattezze come testimoniano, ad esempio,la completa assenza del coronamento merlato del Palazzo del Rettore e la mancata corrispondenza, nello stesso palazzo, tra la sequenza delle bifore e quella delle sottostanti arcate; un aspetto, quest'ultimo, che ha comportato notevoli problemi interpretativi per quanto riguarda l'identificazione delle arcate disegnate dal Macchi con quelle attuali del piano-terra18. All'anno 1803 risale la Veduta dello Spedale di Siena di Antonio Terreni, pubblicata nel terzo volume del Viaggio pittorico della Toscana, una delle più interessanti raccolte iconografiche dell'Ottocento sulle principali 13

ASS, Sp.31, cc. 78rv (cfr. BANCHI 1877, pp. 373-374). Per le collocazioni si veda, in questo volume, il contributo di Roberto Parenti. 15 Circa i lavori alle strutture di via dei Fusari cfr. BANCHI 1877, pp. 416-417, e GALLAVOT TI CAVALLERO 1985a, pp. 349, 377 n. 62. 16 16 MACCHI, Origine, cc. b, 59v-60r, MACCHI, Memorie, I, c. 93v, V, cc. 276, 392 (i disegni sono pubblicati in GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 23, 34, 327). MACCHI l712, cc. 52v, 56v. 17 MACCHI, Origine, cc. 59v-60r. 18 Vedi ad es. le osservazioni a pp. 222-223 n. 9. 14

località della regione19. La stampa raffigura, in modo alquanto puntuale e dettagliato, il prospetto principale, ovvero la facciata della « Corsia Marcacci », vista di scorcio, la chiesa dell'Annunziata e gran parte del Palazzo del Rettore (fig. 40, p. 79). Si tratta dell'ultima veduta realistica dell'intera facciata, di cui siamo a conoscenza, prima dei restauri novecenteschi che portarono al ripristino delle bifore della Casa dei Gettatelli, all'apertura del nuovo portale della chiesa e alla rimozione dell'intonacatura a bande bianche e « turchiniccie », ben visibile nella stampa del Terreni, realizzata negli anni 1720-172120. È da segnalare che in alcune edizioni successive figura, in formato ridotto, una nuova stampa che, pur essendo un'imitazione della precedente, presenta consistenti modifiche nella definizione dei dettagli, soprattutto per quanto riguarda le strutture situate all'interno delle arcate del pianoterra del Palazzo del Rettore21. Per l'Ottocento e il Novecento un contributo importante proviene dalle fotografie e da alcuni rilievi tra i quali tre piante dell'intero complesso ospedaliero relative agli anni 1838, 1912 e 1940 22. Tali fonti hanno fornito utili indicazioni sui lavori eseguiti alla facciata di piazza del Duomo negli ultimi due secoli, quali la rimozione dell'intonaco, la sistemazione dell'ingresso principale, l'apertura e la tamponatura di porte e finestre. Passiamo adesso alle datazioni dirette. Queste si basano sulle fonti archeologiche ed archeometriche e quindi, al contrario delle altre, provengono dall'esame degli stessi manufatti e dei reperti in essi contenuti. Tali datazioni possono essere relative o assolute. Quelle di tipo relativo, caratterizzate da rapporti di anteriorità, contemporaneità o posteriorità, derivano da informazioni presenti nelle stesse strutture dell'edificio oppure dai rapporti esistenti tra le strutture murarie e i reperti mobili contenuti nel sedime o nell'elevato. Nel primo caso le datazioni si 19 FONTANI 1801-1803, p. Cfr. PELLEGRINI 1987, pp. 73-79. 20 Circa l'intonacatura vedi MACCHI, Memone, II, cc. 199v, 281v. 21 Ad esempio FONTANI 1822, p.55. La seconda stampa è stata recentemente ripubblicata in GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 40-41. 22 Le fotografie che abbiamo utilizzato, alcune delle quali sono state riprodotte in questo volume, sono pubblicate in [DE NICOLA] 1913, p. 9, CHIERICI 1921, tav. II, AA.VV. 1935, p. 90, DE VECCHI 1949, fig. 4, Un volo a Siena 1985, figg. I, 18-20, 23, GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 42; AA.VV. 1986, pp. 30, 58, 165, LUCHINI 1987 p. 106. Di arande interesse sono pure le foto dell'Archivio Alinari nn. 9088 e 13431 (coll. Frateili Brogi), pubblicate in questo volume. Per quanto riguarda i rilievi si veda GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 48, 52-53, AA.VV. 1986, pp. 24, 31, 44, 46, 47-49, 52-55.

basano sui rapporti stratigrafici, sulle tipologie formali degli elementi architettonici e decorativi — in primo luogo portali e finestre — sulle tipologie edilizie relative alla distribuzione dei vani, sulle tipologie tecniche di scale, tramezzi, volte, solai e coperture, sulle tecniche murarie e sui materiali da costruzione. Nel secondo caso le datazioni si basano sui reperti mobili provenienti dalle fosse di fondazione, dai livelli d'uso, dai riempimenti delle volte e dei pavimenti. Appartengono a quest'ultima categoria pure gli emblemi araldici e i bacini ceramici inseriti, con funzione ornamentale, nelle murature. In questa fase della ricerca sono stati impiegati soltanto alcuni degli indicatori cronologici segnalati tra i metodi relativi di datazione diretta. In primo luogo abbiamo utilizzato quelli provenienti dalle analisi stratigrafiche del sedime e dell'elevato. La prima ha riguardato le fosse di fondazione del tratto della facciata del Palazzo del Rettore corrispondente all'area oggetto di scavo. La seconda ha preso in esame l'intero prospetto dello Spedale sulla piazza del Duomo, la parte inferiore del prospetto sul vicolo di San Girolamo e sulla piazzetta della Selva, e i tratti non intonacati delle murature relative alla cosiddetta « strada interna », cioè al vicolo che dalla medesima piazzetta si sviluppa per un lungo percorso all'interno dello Spedale. Circa i risultati di tali indagini, che hanno costituito il lavoro principale svolto sul Santa Maria, rimandiamo direttamente agli interventi specifici presenti in questo volume23. Un'attenzione particolare è stata pure rivolta alle tecniche murarie e alla tipologia di portali e finestre. Tuttavia le informazioni ricavate da tali analisi per il momento non sono state utilizzate, se non in via del tutto parziale ed ipotetica, come veri e propri indicatori cronologici. Ciò sarà possibile solo quando potremo usufruire di un "atlante" delle tecniche murarie e della tipologia delle aperture, cioè di uno strumento che, elaborato sulla base di una sistematica campionatura delle strutture edilizie databili della città di Siena e del suo territorio, campionatura attualmente in corso per quanto riguarda le tecniche murarie e ancora tutta da impostare per quanto concerne le aperture, sarà in grado di offrire

23 I dati stratigrafici relativi alla « strada interna » saranno nubblicati in altra sede. Per il momento si può vedere, anche per altre indagini, la tesi di laurea di DOLCE - MARGARIA - SBAFFO 1988-89.

quelle chiavi cronologiche locali applicabili ad ogni tipo di muratura 24. Solo in qualche occasione abbiamo utilizzato fin da ora tali informazioni in termini datanti. È il caso ad esempio del tratto di muratura in pietra situato nel prospetto dello Spedale relativo al vicolo San Girolamo, in prossimità di via dei Fusari. Il paramento murario, direttamente impostato su uno strato naturale di puddinga, è costituito da corsi orizzontali di conci di tuio e calcare alquanto deteriorati (fig. 4.1, p. 28). Tale muratura sembra approssimativamente collocabile, in ambito locale, per la tecnica impiegata ed il tipo di materiale utilizzato, intorno al secolo XII25. Le datazioni dirette di tipo assoluto possono essere di origine naturale o antropica. Quelle di origine naturale derivano dalla dendrocronologia, dall'archeomagnetismo, dalla termoluminescenza e dall'analisi radiocarbonica26. Nessuno di questi metodi è stato per il momento utilizzato nella presente ricerca. Le datazioni di origine antropica provengono dalle epigrafi e dalla mensiocronologia dei laterizi e dei materiali litici. Circa l'impiego della mensiocronologia è valido quanto abbiamo precisato per le tecniche murarie e la cronotipologia delle aperture: i dati sistematicamente raccolti durante l'indagine saranno infatti utilizzabili come veri e propri strumenti di datazione solo quando sarà sufficientemente affidabile una sequenza mensiocronologica locale, di cui è già stata realizzata una prima curva dei laterizi, in grado di definire eventuali corrispondenze tra le dimensioni dei materiali e la loro collocazione cronologica27. È comunque da sottolineare che tali indagini 24

Come esempi di applicazione della cronotipologia delle tecniche murarie e delle aperture si può vedere FERRANDO - GARDINI - MANNONI 1978, FERRANDO CABONA - CRUSI 1980, MANNONI L. e T. 1980; FERRANDO - MANNONI - PAGELLA 1989, a cui rimandiamo anche per altre indicazioni bibliografiche. Per quanto riguarda Siena un’indagine analoga sulle tecniche murarie è stata recentemente svolta nella tesi di laurea di BIANCHI 1988-89. A tali risultati si aggiungeranno tra poco quelli di una mia ricerca, attualmente in corso, sulla cronotipologia delle aperture e delle tecniche murarie delle grance del Santa Maria della Scala. 25 Cfr.. in questo volume, la lettura stratigrafica del settore VIII, pp. 248 ss. Sulle tecniche murarie e sui materiali da costruziome impiegati nell’edilizia urbana di Siena si veda RODOLICO 1953, pp.280-285; BALESTRACCI – PICCINNI 1977, passim; MORETTI – STOPANI 1981, p.169 (per l’architettura religiosa) e la già citata tesi di BIANCHI 1988-1989. 26 Circa i riferimenti bibliografici si veda MANNONI 1984a, pp. 402-403, a cui possiamo aggiungere CASTELLETTI 1988 e ARIAS 1988. 27 Per quanto riguarda la mensiocronologia dei laterizi si può vedere, ad esempio, BONORA 1979b; FOSSATI 1984; MANNONI 1984a, pp. 400-403; FOSSATI 1985; MANNONI MILANESE 1988 GHISLANZONI - PITTALUGA 1989; in questo volume contributo di Corsi, Mennucci. Circa le variazioni dimensionali dei materiali litici cfr. ANDREWS 1978, MANNONI - MILANESE 1988, pp. 400-402. Sulla curva mensiocronologica senese dei laterizi si veda la recente tesi di laurea di CORSI 1988-89.

(mensiocronologia, tecniche murarie, cronotipologia delle aperture), pur non essendo state ancora sistematicamente utilizzate come strumenti autonomi di datazione, in molti casi hanno offerto utili indicazioni di ordine relativo tra le strutture stesse dello Spedale, indicazioni che hanno contribuito a confermare e ad arricchire i risultati della stratigrafia. Un esempio significativo riguarda il rapporto tra la Casa dei Gettatelli,o Palazzo delle Balie, e lo Spedale delle Donne, o « Corsia Marcacci » (figg. 26, p. 201 e 30, p. 202). Una netta soluzione di continuità disposta verticalmente lungo il prospetto della Casa dei Gettatelli, tra la seconda e la terza bifora a sinistra guardando lo Spedale, indica nella costruzione di tale edificio due fasi stratigraficamente distinte. Per la prima, quella compresa tra la terza e la decima bifora, abbiamo proposto, come datazione assoluta, il 1298, anno indicato da un'epigrafe, sulla quale torneremo in seguito, riguardante la costruzione della Casa dei Gettatelli, mentre per la seconda fase, corrispondente alle prime due bifore a sinistra, abbiamo suggerito gli anni compresi tra il 1336, quando viene deliberato un ampliamento dello Spedale in tale direzione28, e il 1338, anno indicato da un'iscrizione relativa ad un grosso intervento costruttivo del rettore Giovanni di Tese Tolomei. Ma la collocazione della seconda fase dell'edificio coinvolge, indipendentemente dalle datazioni assolute proposte, anche quella del pianoterra e del primo piano del palazzo corrispondente alla Corsia Marcacci, situato perpendicolarmente ad esso. L'impiego di una tecnica costruttiva analoga, l'utilizzazione di mattoni dalle misure medie simili, la presenza in piani sfalsati di bifore dai caratteri identici, la stessa rifinitura originale a spinapesce della superficie relativa ai primi piani e la contemporaneità stratigrafica accertata per un tratto non rimaneggiato della linea di contatto tra i due edifici, consentono infatti di assegnare la facciata della « Corsia Marcacci » e l'ampliamento della Casa dei Gettatelli ad una stessa fase costruttiva, ipotesi finora mai presa in considerazione29.

28 ASS, Consiglio Generale 119, cc. 36v-38v. Cfr. BALESTRACCI - PICCINNI 1977, pD. 81,152, e 1'intervento di Di Pietro - Donati in AA.VV. 1986, p. 6. Si veda in questo volume ~a trascrizione di Alessandra Carniani e Roberta Mucciarelli. 29 Per quanto riguarda le datazioni assolute proposte per la casa dei Gettatelli e per la « corsia Marcacci » si veda infra nn. 34-48 e relativo testo.

Cinque sono le epigrafi presenti nei due prospetti dello Spedale esaminati30. Una di queste è situata nel Palazzo del Rettore, al di sopra di un'arcata del pianoterra: Ann(o) D(omini) MCCLXXX X factu(m) e(st) istud pa lat,c(i)u(m) t(em)p(o)r(e) d(omi)ni Orl andi d(e) Kisure rect oris c(!)ospital(is) S(ancte) M(a)r ie d(e) pecunia hospitalis. L'epigrafe31 è costituita da una tabella rettangolare di marmo, in buono stato di conservazione, inquadrata da una cornice modanata con un tondino e un listello (fig. 3). Quest'ultima presenta alcuni tratti deteriorati. La sua messa in opera è stratigraficamente successiva alla muratura nella quale è inserita poiché tutti i mattoni situati a contatto con i lati verticali della cornice sono tagliati. È però molto probabile che sia stata inserita subito dopo la realizzazione di tale muratura e quindi faccia parte della medesima attività costruttiva. L'iscrizione dovrebbe così indicare la costruzione, o meglio l'ampliamento, del Palazzo del Rettore eseguito, o concluso, nell'anno 1290 ad opera di Orlando di Guglielmo da Chiusure, rettore dello Spedale dal 1286 al 129432. L'analisi stratigrafica concorda con questa datazione poiché le strutture relative a tale intervento, o,vvero le sei arcate del pianoterra e le sei soprastanti bifore comprese tra il tratto di paramento murario a corsi di pietra e mattoni e il prospetto settecentesco di via dei Fusari, risultano successive al 1257 e anteriori al 135033. Un'altra iscrizione è situata nella Casa dei Gettatelli, nel timpano della prima arcata, a sinistra, del pianoterra: Hec domus facta 30

Ringraziamo Giuliano Catoni, Ivan Di Stefano Manzella e Gabriella Piccinni per alcuni suggerimenti relativi alla trascrizione delle epigrafi. 31 Precedenti trascrizioni MACCHI, Origine, c. 60r, MACCHI, Memorie, II, c. 201r, MACCHI PECCI 1730, c. 73r; CHIERICI 1921, p. 358 n. 1; GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 63; Di Pietro - Donati, in AA.VV. 1986, p. 6, GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, p.104. una fotografia dell'epigrafe è pubblicata in AA.VV. 1986, p. 164. 32 Sul suo rettorato si veda BANCHI 1877, pp. 158-161. 33 Si vedano, in questo volume, i risultati della lettura stratigrafica del settore I, relativamente al v e al VI periodo.

e(st) p(ro) gittatellis i(n) an(n)o D(omi)ni MCCLXXXX VIII i(n) quo t(em)p(o)re sunt i(n) numero CCC gita telli et plus. L'epigrafe34, ben conservata, è formata da una tabella quasi quadrata di marmo priva di cornice e di elementi decorativi (fig. 4). Il contenuto indica nell'anno 1298 la costruzione della Casa dei Gettatelli ma l'attuale collocazione della lapide non è quella originale. L'arcata nella quale è inserita, compreso il timpano, è infatti una completa ricostruzione dei primi del Novecento (i mattoni sono tutti nuovi). Girolamo Macchi riferisce inoltre che « a di 19 novembre 1720 in martedi fu cavato una pietra quadra che era nella facciata per di fuori, e vicino al portone de vetturali che era nella porta di mezzo murata sopra all'arco delle 3 porte che ci erano cioè il detto portone de vetturali e le due erano murate che avanti si facesse la chiesa una era per le balie, e l'altra era per l'infermerie, e nella suddetta pietra ci sono l'infrascritte parole: Hec domus facta est pro Gittatellis in Anno Dni MCCLXXXXVIII... Qual pietra si è messa più bassa e sopra si è messo la Scala...sopra la porta de fanciulli minori »35. La notizia è confermata da Giovanni Antonio Pecci: « sopra la porta de fanciulli esposti si vede una lapida, la quale pochi anni sono in occasione del nuovo scialbo della facciata della chiesa dello Spedale detto, fu trasportata in questo luogo, essendo prima più braccia discosto, quasi accanto ad una porta murata per la quale s'andava in chiesa... »36. L'epigrafe non può perciò costituire un indicatore cronologico diretto per la datazione della muratura nella quale è attualmente collocata. Utilizzandola come fonte indiretta di datazione abbiamo proposto di mettere in relazione il suo contenuto, sulla base dei risultati stratigrafici e 34

Precedenti trascrizioni: MACCHI, Memorie, II, C. 201, PECCI 1730 c. 72r; ZDEKAUER 1898, p. 455 n. 1; GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 63; Di Pietro - Donati, in AA.VV. 1986 P. 6; GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI, 1987, p. 104. Una fotografia dell epigrafe è in GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 31. 35 MACCHI, Memorie, II, c. 201r . 36 PECCI 1730, c. 72r. 37 Cfr. in questo volume la lettura stratigrafica del settore III e il contributo di Roberto Parenti, pp. 40, 46-47 tav D. Sugli affreschi si veda GALLAVOTTI CAVALLERO 1987b, a cui rimanidiamo anche per le indicazioni bibliografiche. Cfr. pure infra n. 52. 38 MACCHI, Memorie, V, c. 276r; MACCHI, Origine, c. 59v; MACCHI 1712, c. 52v. 39 Circa la tettoia cfr. MACCHI, Memorie, II, cc. 199v, 281v.

delle indicazioni fornite dal Macchi e dal Pecci circa l'ubicazione precedente a quella attuale, con il corpo principale della Casa dei Gettatelli, corrispondente alla prima delle due fasi costruttive dell'edificio, ovvero con il prospetto compreso tra il limite sinistro del paramento in conci di calcare della facciata e la soluzione di continuità visibile poco prima dell'arcata in cui la stessa epigrafe è inserita. Tale prospetto risulta infatti stratigraficamente anteriore alla muratura soprastante il rivestimento in calcare sulla quale Pietro e Ambrogio Lorenzetti affrescarono, nel 1335, le Storie della Vergine37. In corrispondenza del primo piano dell'edificio indicato dal Macchi come Palazzo Squarcialupi38 e meglio conosciuto come Spedale delle Donne o, generalizzando la denominazione di una sala ospedaliera, Corsia Marcacci, vicino allo spigolo sinistro della facciata su piazza del Duomo troviamo la seguente epigrafe: Anno Do(mi)ni MCCCXXXVIII questo spedale è facto a uso de p ovari (et) delli (i)nfermi (et) d(e) gittatelli al te mpo di messere Giovann(i) di Tese de Talomoi rectore del decto spedale. L'iscrizione, a nostro avviso inedita, è incisa nella parte inferiore di una grande tabella rettangolare di marmo modanata ai bordi con un listello, un tondino e uno sguscio (fig. 5). Nella parte centrale e in quella superiore sono scolpite la scala e la croce, i simboli dello Spedale di Santa Maria. La lapide presenta un ottimo stato di conservazione, anche negli elementi a forte rilievo, più facilmente soggetti al deterioramento. Si nota solamente qualche piccola rottura in corrispondenza della cornice e delle estremità della croce. È probabile che alla sua conservazione, ammesso che sia stata nel sito attuale fin dall'origine o comunque per un lungo periodo, abbia contribuito, oltre alla qualità del materiale, prima la presenza del soprastante tetto dell'edificio, di cui si conservano gli alloggi per le mensole e le saette e, successivamente, la presenza di una tettoia, ben visibile nelle rappresentazioni del Vanni, del Marcucci e del Macchi, abbattuta nel 1720 perchè minacciante rovina39. L'esame della muratura 40

Tale elemento non figura invece nella riproduzione ottocentesca di Lazzaro Bonaiuti. AA.VV. 1986, p. 46; [DE NICOLA] 1913, p. 9 (figg. 41-42, pp. 84-85). 42 « Entrando adesso nella Piazza del Duomo a mano sinistra sopra la Porta dello Spedale delle donne, e 41

circostante la lapide indica, in corrispondenza del lato orizzontale inferiore e dei due lati verticali, un'operazione di taglio attuata per il suo inserimento. Ciò esclude la contemporaneità stratigrafica tra l'epigrafe e la muratura in cui si trova. La messa in opera nell'attuale sito tuttavia potrebbe essere avvenuta sia molto tempo dopo la costruzione della muratura, a seguito di un'operazione di reimpiego che, potenzialmente, potrebbe anche non avere alcuna relazione con l'edificio in cui la lapide si trova, sia immediatamente dopo la costruzione di quest'ultimo. In tal caso, pur essendo stratigraficamente successiva alla muratura, la lupide sarebbe sostanzialmente coeva ad essa, in quanto appartenente alla stessa attività e allo stesso intento costruttivo. Senza qualche saggio sull'elevato l'accertamento delle due possibilità è destinato a rimanere oscuro. A tal proposito decisivo potrebbe essere un confronto minero-petrografico tra la malta circostante la lapide e alcuni campioni provenienti dalle strutture originali della facciata dell'edificio. Per il momento possiamo soltanto notare, da un esame non autoptico, una notevole diversità di colore tra le due malte superficiali. L'esame dell'epigrafe solleva inoltre almeno altre due questioni: il silenzio delle fonti, sia scritte che iconografiche, e l'anomalia della posizione. Per quanto riguarda le fonti iconografiche la lupide è completamente ignorata nelle rappresentazioni della facciata dello Spedale di Agostino Marcucci, di Girolamo Macchi e di Antonio Terreni, nelle quali, al contrario, non manca la segnalazione di alcune armi. È anche vero tuttavia che da tali rappresentazioni, per quanto dettagliate, non possiamo pretendere una descrizione fotografica, completa di ogni particolare; per restare in argomento nessuna di esse riporta, ad esempio, le due epigrafi attualmente presenti nel Palazzo del Rettore. Nella veduta di Siena di Francesco Vanni, proprio in corrispondenza della posizione attualmente occupata dall'epigrafe, è invece segnalato un elemento rettangolare che potrebbe essere interpretato sia come una piccola finestrella, adesso non più esistente, che nella nostra lapide (fig. 19, p. 59)40. Di fatto le prime sicure attestazioni iconografiche risalgono all'inizio del Novecento. Si tratta del progetto di restauro di Vittorio

sotto alla Scala, Arma dello Spedale, detto di S.Maria della Scala, si leggono i seguenti caratteri » (PECCI 1730, c. 71V). 43 Circa il suo rettorato vedi BANCHI 1877, pp. 176-181.

Mariani, presentato nel 1907, e di una fotografia pubblicata nell'anno 1913, quando i lavori di ripristino alla facciata erano ormai conclusi41. Per quanto riguarda le fonti scritte non siamo a conoscenza di alcun riferimento all'esistenza dell'epigrafe, o alla notizia in essa contenuta, nei manoscritti di Girolamo Macchi, cosa sconcertante se teniamo presente l'abbondanza di informazioni, anche riguardanti le attività costruttive, che lo studioso ha raccolto sul Santa Maria della Scala. Pure gli accurati manoscritti di Giovanni Antonio Pecci sulle iscrizioni senesi non riportano l'epigrafe. Non è però del tutto da escludere che ad essa lo studioso faccia riferimento quando segnala la presenza di un'iscrizione situata nella facciata su piazza del Duomo dello Spedale delle Donne. È vero che la posizione dell'epigrafe segnalata sembra, almeno apparentemente, in relazione con il portale d'ingresso dell'edificio ma è da sottolineare che a tale indicazione segue, nel manoscritto, una mezza pagina lasciata in bianco, in attesa di una trascrizione mai eseguita 42. Se al tempo del Pecci la lapide avesse avuto la stessa posizione attuale non ci stupiremmo infatti che lo studioso avesse incontrato qualche problema di trascrizione: in effetti è posta così in alto che è praticamente impossibile, senza l'aiuto di un binocolo o di un potente teleobiettivo, leggerne il contenuto. Ciò potrebbe spiegare pure il silenzio del Macchi. Del resto è probabilmente questa la ragione per cui è stata completamente ignorata in tutti i recenti studi di carattere storico-artistico e architettonico sullo Spedale, e noi stessi ci siamo accorti della sua presenza solo in una fase avanzata della ricerca. Sulle motivazioni del silenzio delle fonti scritte ed iconografiche non possiamo comunque escludere altre ipotesi. La lapide, ad esempio, potrebbe essere stata intonacata per un certo periodo e poi riscoperta in occasione di qualche intervento alla facciata successivo alle suddette rappresentazioni e ai manoscritti del Pecci e del Macchi. Oppure potrebbe essere stata ritrovata durante qualche rimaneggiamento, sempre posteriore a tali fonti, alle strutture interne o esterne dello Spedale e successivamente collocata nel posto attuale, eventualità non remota se pensiamo che un caso del tutto simile si è verificato per l'epigrafe del 1298, di cui abbiamo precedentemente parlato, ritrovata durante alcuni lavori del 1720 e quindi trasferita in un nuovo sito. 44

Vedi supra n. 28. ASS, Sp., Diplomatico, 1351 gennaio 19; cir. pure ASS, Sp.175, c. 109r. 46 MACCHI 1712, c. 52v; MACCHI, Memorie, V, c. 276r; cir. pure il retro del documento citato in n.45. 45

Altrettanto problematica è la seconda questione, in parte collegata alla prima, quella relativa all'anomala ubicazione dell'epigrafe. Questa infatti è situata così in alto, a circa undici metri da terra, da rendere impossibile, come abbiamo detto, una lettura ad occhio nudo; un controsenso di non poco conto dato che un'iscrizione, com'è ovvio, è destinata ad essere letta. Ciò sembra in qualche modo avvalorare l'ipotesi del reimpiego poiché è difficile che il committente, o meglio il promotore dei lavori, non si sia preoccupato che fosse ben in vista e leggibile a tutti l'esplicita testimonianza, scolpita nella pietra, della sua iniziativa. Al contrario è possibile che in un eventuale reimpiego, attuato in un periodo ormai lontano dalla costruzione dell'edificio, ci si preoccupasse più del simbolo della Scala, quello sì ben visibile, per le notevoli dimensioni, anche ad una certa distanza, che del contenuto dell'iscrizione. È comunque probabile che, indipendentemente dal rapporto stratigrafico con la muratura circostante e dalle varie ipotesi sulla collocazione originaria, il contenuto dell'epigrafe, in base al confronto con i risultati provenienti da altre fonti e da altre indagini, sia da mettere in relazione con l'edificio in cui attualmente si trova. E’ ovvio che la notizia della costruzione dello Spedale, costruzione assegnata all'anno 1338 per opera del rettore Giovanni di Tese dei Tolomoi, in carica dal 1314 al 1339 43, non si riferisca all'edificazione dell'intero complesso ma ad un suo consistente ampliamento, del quale siamo informati pure da un documento del Consiglio Generale del 29 agosto 1336. In questo anno il Comune di Siena concede infatti al Santa Maria della Scala l'utilizzazione di due chiassi situati tra lo Spedale e il Palazzo Squarcialupi per ampliare gli edifici dello Spedale stesso44. I risultati stratigrafici, nonché il contenuto del documento, suggeriscono, malgrado qualche incertezza dovuta alla difficoltà di individuare l'esatta ubicazione e consistenza del sopraddetto palazzo, di identificare tale attività nel prolungamento della Casa dei Gettatelli e nella costruzione dello Spedale delle Donne, o « Corsia Marcacci », proprio l'edificio dove si trova l'epigrafe. A tale proposito è da notare che le due date, 1336 e 1338, sono tra loro perfettamente compatibili poiché la prima si riferisce, come indica il documento, all'approvazione della richiesta di ampliamento, mentre la 47

Ass, Sp.20, c. 63v. Cfr. supra n. 37 e infra n. 52. In effetti il documento del 1352 contiene alcuni riferimenti topografici che potrebbero anche essere collegati con l'edificio della « Corsia Marcacci », ma occorre sottolineare che è 48

seconda è probabilmente riferibile alla conclusione dei lavori, evidentemente realizzati entro due anni. L'unica perplessità circa la datazione assoluta della « Corsia Marcacci », e con essa quella della prima fase della Casa dei Gettatelli, deriva dall'interpretazione di un documento del 19 gennaio 1352, nel quale donna Verde, moglie di Pietro Squarcialupi, dona allo Spedale la sua parte di un palazzo situato nel popolo di San Giovanni, nella contrada Squarcialupi, accanto al palazzo degli eredi di Manno Squarcialupi 45. Secondo Girolamo Macchi tale edificio sarebbe identificabile con quello dello Spedale delle Donne, o « Corsia Marcacci »46. Se l'identificazione dello studioso fosse topograficamente esatta sarebbe impossibile collegare la costruzione, o meglio la ricostruzione, di tale edificio con i lavori di ampliamento del 1336-1338 poiché in quegli anni l'immobile non sarebbe ancora stato di proprietà dello Spedale. L'edificazione dell'attuale palazzo, e con essa l'ampliamento della Casa dei Gettatelli (prime due bifore a sinistra), stratigraficamente coevi, andrebbe così posticipata al periodo compreso tra il 1352, anno in cui lo Spedale ne avrebbe acquisito il possesso, e il 1379, quando una delibera capitolare testimonia l'esistenza del pellegrinaio delle donne, identificabile della sala Marcacci47.Ciò comporterebbe pure uno spostamento della datazione assoluta del prospetto principale della Casa dei Gettatelli, cioè del tratto compreso tra la terza bifora, partendo da sinistra, e la decima, precedentemente assegnato all'anno 1298. La sua costruzione dovrebbe essere infatti collegata all'epigrafe del 1338 e al documento del 1336 attestante, ricordiamo, un ampliamento verso il Palazzo Squarcialupi. Di conseguenza l'iscrizione del 1298, non in sito, sarebbe da riferire ad una attività di cui non rimarrebbero in vista tracce apparenti, essendo le relative strutture sostituite o nascoste dall'intervento del 1336-1338. Con alquanto difficile ricostruire con certezza l'assetto urbanistico trecentesco di tale zona. Sicuramente gli Squarcialupi avevano possessi in quest'area, tra i quali l'edificio, o la serie di edifici, dove risiedeva il Capitano di Guerra (cfr. AGNOLO DI TURA DEL GRASSO, in Cronache senesi, p. 521; MACCHI 1712, cc. 51v-52r; BALESTRACCI - PICCINNI 1977, pp. 50 e n. 34, 106 n. 17, 152). Oggi ne ricordano la presenza la via del Capitano e un palazzo, ampiamente ristrutturato nell'Ottocento, recante la stessa denominazione. Sia il PECCI 1730, cc. 71rv, che il LUSINI 1921, p. 315, indicano come antica proprietà degli Squarcialupi pure l'edificio situato a sinistra, verso piazza Postierla, dell'attuale Palazzo del Capitano. I1 LUSINI, ibid., inoltre riferisce citando Agnolo di Tura, che l'edificio dello Spedale delle Donne sarebbe stato costruito (una prima volta) all'inizio del Duecento dagli Ugurgieri (cfr. pure ANONIMO in Cronache senesi, p. 45 n. 3.) 49 Già trascritta dal PECCI 1730, c. 73r. Una sua foto è pubblicata in GALLAVOTTI CAVALLERO

questa diversa sequenza di datazioni assolute, fondamentalmente giustificata dall'indicazione topografica del Macchi, sono però in contrasto i risultati stratigrafici, dai quali risulta che il corpo principale della casa dei Gettatelli, che secondo la nuova ipotesi sarebbe terminato nel 1338, è anteriore al tratto di muro che ospitava gli affreschi di Pietro e Ambrogio Lorenzetti, per la collocazione dei quali l'unica datazione assoluta che abbiamo indica l'anno 133548. Nella tamponatura dell'arcata del Palazzo del Rettore sottostante l'epigrafe del 1290, di cui abbiamo in precedenza parlato, è situata la seguente iscrizione: Limosine di grano a(nno) D(omini) MDLXXXIIII L'epigraie49, ben conservata, è costituita da una tabella rettangolare di marmo priva di cornice (fig. 6). La scritta è semplicemente inquadrata da un rettangolo inciso. In alto si trova il simbolo dello Spedale, in basso l'arme, anch'essa incisa ma con minore spessore, della famiglia Saracini. Quest'ultima è chiaramente in relazione con il rettorato di Claudio di Sinolfo Saracini,in carica dal 1572 al 159350. L'inserimento dell'epigrafe sembra contemporaneo alla costruzione del tamponamento dell'arcata in cui è inserita. I lati verticali della lapide sono infatti perfettamente connessi con i mattoni circostanti e non si notano nella tessitura muraria tagli praticati per un eventuale reimpiego. È inoltre molto probabile che sia coeva pure alla realizzazione della sottostante finestra. È infatti perfettamente centrata rispetto alla piattabanda di quest'ultima, in una posizione che non può essere casuale poiché la finestra risulta nettamente decentrata rispetto al tamponamento. Il rapporto stratigrafico tra la finestra e la tamponatura non è invece determinabile, senza saggi sull'elevato, con assoluta certezza, per la presenza di una patina scura che ricopre gran parte della superficie; un rapporto di contemporaneità si può tuttavia dedurre dalla reciproca relazione con la sopraddetta epigraie. Una sola iscrizione figura nel prospetto relativo al vicolo di San Girolamo e alla piazzetta della Selva. E situata subito al di sopra del portale di ingresso alla « strada interna »: Restaurato 1985a, p. 31 50 Circa tale rettore si veda BANCHI 1877, pp. 346-356. 51 Una sua fotografia è pubblicata in AA.VV. 1986, p. 155.

l'anno 1848. La targa51, formata da una tabella rettangolare priva di cornice ed elementi decorativi, in ottimo stato di conservazione, è coeva alla muratura nella quale e inserita o comunque in relazione con essa (fig. 7). I mattoni disposti per fascia situati a contatto con i suoi lati verticali sono tutti tagliati. Ciò dovrebbe indicare un inserimento stratigraficamente successivo alla muratura ma in questo caso è possibile che il taglio dei mattoni sia stato eseguito in corso d'opera, al fine di non modificare, con l'inserimento dell'epigrafe, la rigorosa regolarità dell'apparecchiatura "gotica", costituita da mattoni alternati per fascia e per testa, che caratterizza l'intera superficie restaurata. Del resto i mattoni disposti per testa sono tutti integri e la targa risulta perfettamente connessa con il circostante paramento. In ogni caso è da considerarsi datante dell'intero restauro, consistente nel totale rivestimento di un lungo tratto delle originarie strutture murarie. Da un manoscritto di Giovanni Antonio Pecci sappiamo che all'inizio del Settecento altre due iscrizioni erano ancora presenti nella facciata dello Spedale. Una era situata al di sotto dei « due primi quadri » degli affreschi trecenteschi che ornavano la parete esterna della chiesa, e dei quali, come è noto, non rimane traccia: « Hoc opus fecit Petrus Laurentii et Am / brosius eius frater MCCCXXXV »52. L'altra si trovava subito al di sotto dell'epigrafe del 1298 relativa alla Casa dei Gettatelli: « Expositorum/ Et eorum Nutricum / In pueritia domicilium / A.D. MDLXVI »53. Il Pecci mette in relazione l'epigrafe con un'arme, tuttora esistente ma posta al di sopra, e non al di sotto, dell'iscrizione del 1298. La lapide è formata da una tabella rettangolare modanata ai lati e scolpita a bassorilievo con uno scudo al cui interno è l'insegna del Santa Maria della Scala e quella della famiglia Chigi (fig. 8). È difficile che vi possa essere stata una relazione cronologica tra l'iscrizione del 1566 e tale stemma poiché in questo caso gli attributi araldici sarebbero stati quelli dell'arme della famiglia del rettore Girolamo di Giovanni Biringucci, in carica appunto negli anni 1562157254. È invece molto probabile che il 52

PECCI 1730, c. 72v.. Identica è la trascrizione dell’URGURGIERI AZZOLINI 1649, p. 338, mentre quella del CHIGI 1939, p. 302, riportata l’anno 1337 o 1327. Sugli affreschi si veda il recente intervento di GALLAVOTTI CAVALLERO 1987b. 53 PECCI 1730, c. 72v. 54 Circa il suo rettorato si veda BANCHI 1877, pp. 342-346.

suo inserimento risalga al tempo del rettorato di Agostino d'Agostino Chigi, in carica dal 1598 al 1639, e sia da mettere in relazione con uno dei numerosi lavori eseguiti nella facciata dello Spedale e negli ambienti ad essa corrispondenti durante quel periodo55. L'arme tuttavia non offre utili indicazioni cronologiche poiché, pur presentando una posa in opera abbastanza accurata, non risulta coeva alla muratura in cui è attualmente situata, né emergono altri elementi, e ciò è valido anche per l'iscrizione scomparsa del 1566, per ipotizzare un preciso collegamento con le strutture architettoniche. Il contributo delle epigrafi alla datazione assoluta delle attività costruttive dei due prospetti esaminati è stato perciò notevole. La Casa dei Gettatelli, lo Spedale delle Donne, l'ampliamento del Palazzo del Rettore e il rivestimento ottocentesco di alcune strutture prospicienti la piazzetta della Selva costituiscono infatti interventi macroscopici di ampia portata che interessano gran parte della superficie presa in esame. Il numero degli indicatori cronologici fino a questo momento utilizzati nell'esame del Santa Maria della Scala risulta inferiore a quello offerto dai metodi di datazione dell'edilizia storica, soprattutto se teniamo presente che alcuni di essi non sono stati applicati al massimo delle loro potenzialità in quanto strettamente dipendenti da più vaste indagini di ambito locale attualmente in corso. Malgrado ciò la ricerca, espressamente incentrata su metodi di indagine finora non applicati allo studio dello Spedale, in primo luogo l'analisi stratigrafica del sedime e dell'elevato, ha fornito nuove indicazioni cronologiche, soprattutto di ordine relativo, ma anche di ordine assoluto, che hanno confermato, integrato o modificato le conoscenze fin qui acquisite con i metodi tradizionali di indagine. Ulteriori dati potrebbero in futuro emergere sia da sistematiche ricerche sulla vastissima documentazione archivistica dello Spedale che dall'individuazione di quelle chiavi cronologiche locali di cui abbiamo in precedenza parlato.

55

Sul rettorato d'Agostino di Agostino Chigi si veda ancora BANCHI 1877, pp. 360-378 Sui lavori svolti si veda pure ASS, Sp. 31, cc. 78rv; MACCHI, Memorie, II, cc. 199v, 281v, 290v (cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 442).

La delibera del Consiglio Generale Il documento che qui si trascrive è una delibera presa dal Consiglio Generale del Comune di Siena e trascritta nei verbali dell'adunanza del 29 agosto del 1336. Secondo una prassi consolidata il Consiglio Generale, un organismo molto largo che constava all'epoca di circa 300 membri ed era presieduto dal Podestà, ascoltava, discuteva e metteva in votazione proposte del Governo che potevano scaturire anche da memorie rimesse da esperti o da « petizioni » o suppliche di istituzioni, singoli cittadini o gruppi di essi. Nel caso che qui ci interessa a chiedere una sorta di licenza edilizia per costruire su uno spazio pubblico fu un personaggio eminente a nome di una delle più importanti istituzioni cittadine, il rettore dell'ospedale di Santa Maria della Scala Giovanni di Tese Tolomoi. Giovanni in primo luogo motivò la richiesta con i bisogni dell'istituzione da lui diretta in rapporto al momento di grande espansione devozionale che l'ospedale viveva e della quale erano prova tangibile le donazioni di beni che esso riceveva, il numero crescente di poveri, malati, bambini abbandonati che vi trovavano accoglienza e quello di frati e suore che sceglievano di vivere in comunità per dedicarsi alla loro assistenza: e in secondo luogo prospettò una soluzione di transito per gli abitanti di due casette che sarebbero state isolate dalla nuova costruzione, segnalando al Consiglio l'esistenza di un secondo accesso più ampio a lato del palazzo Squarcialupi. Il Consiglio Generale discusse ed approvò la proposta e la deroga agli Statuti con la larghissima maggioranza di 239 voti favorevoli e 11 contrari. A.S.S., Consiglio Generale, 119, cc. 36v-37v (1336, ago. 29) Item cum audiveritis legi et vulgarizari in presenti consilio per Johannem notarium Reformationum consiliorum Comunis Senarum, quandam petitionem seu suplicationem exibitam officio dominorum Novem gubernatorum et defensorum Comunis et Populi civitatis Senarum, infrascripti tenoris videlicet: coram vobis sapientibus et discretis viris dominis Novem gubernatoribus et defensoribus Comunis et Populi civítatis Senarum, pro parte rectoris et fratrum hospitalis Sancte Marie de Senis, exponitur et narratur quod cum gratia Jhesu Chripsti et matris eius Beate Marie Virginis et ex devotione bonorum hominum et personarum qui et que bona sua dederunt, obtulerunt et donaverunt dicto hospitali pro salute

animarum suarum, predictum hospitale crevit et exaltatum est in potentia et in elargitionem operum pietatis et misericordie, cuius rei causa toti civitati Senarm et civibus honor et commodum conresultat; et quod propter maximam multitudinem infirmorum, familie et gittatellorum masculorum et feminarum qui sunt et continue confluunt et habundant in hospitali predicto, predictum hospitale de necessitate oportet habere et de novo edificare et ampliare domos et casamenta in quibus ipsos pauperes, infirmos, gittatellos et gittatellas et familias valeat commode substentare; quod predicti rector et fratres facere cumpientes de necessitate eos habere et superapphrendere quemdam chiassum multum ripidum et obscurum qui est inter domos hospitalis predicti et pellegrinarium ubi habitant sorores, mulieres infirme et gittatelli masculi et femine dicti hospitali. Et etiam quemdam alium chiassolum qui est per transversum iuxta alium chiassum ripidum supradictum cui chiasso et chiassolo ex utraque latere sunt domus hospitalis predicti; et nulla alia persona circa dictum chiassum et chiassolum habet facere nisi dictum hospitale salvo quod due casette parve sunt in cantis dicti chiassoli que habent anditum et intratam per viam que est iuxta palatium Squarcialuporum; et quod predicti chiassus et chiassolus non sunt utiles vel necessarii aliquibus de contrata sed potius inhonesti et obscuri possunt dici; et quod circa domos et palatia Squarcialuporum ex utroque latere sunt due vie clare spatiose et aperte, per quas iri et rediri potest honeste et clare. Qua re pro parte dictorum rectoris et fratrum pro dicto hospitali vobis devote et humiliter supplicatur quatenus vobis placeat et velitis in obsequium et utilitatem et commodum infirmorum pauperum et gittatellorum dicti hospitalis, per vos et omnia consilia oportuna dicti Comunis Senarum, firmare, stanziare, statuere et ordinare quod predicti rector et fratres, pro dicto hospitali, dictos chiassum et chiassolum posint libere superapprehendere et in eis edificare et cum domibus dicti hospitalis coniungere et applicare non ledendo in aliquo dictas casettas que sunt in cantis dicti chiassoli. Omoipotents Deus et beata Maria Virgo mater eius civitatem et comitatum Senarum semper in pacifico et tranquillo statu manuteneat et conservet. Si dicto presenti consilio videtur et placet omni auctoritate, potestate et Balia, iure et modo quibus magis et plenius potest providere, ordinare, stabilire, firmare et solemniter reformare quod dicta petitio seu suplicatio et omnia et singula que continetur in ea secundum ipsius petitionis seriem et tenorem procedatur. Eaque omnia et singula in presenti consilio firmare et stabilire ita et taliter quod valeant et teneant pleno iure et de joris et

jurium plenitudine plenum et verum sortiantur effectum et plenam et meram executionem in omni et qualibet parte sui auctoritate et potestate presentis consilli. Et quod de et super omnibus et singulis que in dicta petitione seu suplicatione con tinetur, et quolibet eorum in presenti consilio plenarie stabiliatur, firmetur et reformetur ac deinde subsequenter obprovetur fiat et executione veris effectibus demandetur ad plenum prout et sicut in dicta petitione seu supplicatione plenius et per singula continetur. Non obstantibus in predictis vel aliquo predictorum aliquibus statutis, ordinamentis, provisionibus vel reformationibus consiliorum Comunis Senatum. In nomine Domine dicant et consulant. (trascrizione di Alessandra Carniani e Roberta Mucciarelli)

L'attività costruttiva del Quattrocento dalle fonti archivistiche 1. Premessa Lo studio dell'organismo architettonico, proprio per la complessità della sua vicenda storico-costruttiva, consente numerose possibilità di indagini che non riguardano esclusivamente lo studio delle sue leggi strutturali e compositive, ma anche quello del contesto storico e sociale in cui e per cui l'edificio è nato e si è trasformato nel tempo. Conoscere la sua realtà storico-costruttiva significa conoscere in primo luogo la sua storia che è una componente di primo piano, anche se non unica, che può condurre ad una lettura più chiara ed articolata della sua forma fisica, e alla quale si può arrivare confrontando le varie fonti di informazione, unendo ai dati offerti dall'indagine archeologica più avanzata ed alla lettura delle testimonianze architettoniche, anche i dati emersi dall'analisi della documentazione archivistica1. Oggi più di ieri si avverte infatti la necessità di coinvolgere nello stesso oggetto di studio approcci disciplinari differenti. Solo un'attenta analisi della documentazione archivistica dell'ospedale poteva ampliare lo spettro delle conoscenze, consentendo di approfondire ed integrare informazioni già acquisite e di apportarne di nuove che l'indagine archeologica e la lettura stratigrafica delle murature, per la loro natura di metodi attenti alle fonti materiali, avrebbero potuto evidenziare. Le ricerche precedentemente effettuate, pur costituendo un valido contributo per un preliminare ordinamento di notizie sulla storia della città, dell'ospedale e del suo territorio2, avevano lasciato tuttavia aperti molti problemi in quanto numerose notizie in esse contenute risultavano lacunose e di difficile interpretazione, mancando spesso indicazioni cronologiche esatte riguardo ad eventi costruttivi più o meno importanti.

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La documentazione archivistica che riguarda l'ospedale è ricchissima e ancora in gran parte inesplorata: si tratta di circa 6000 pezzi che sono conservati presso l'Archivio di Stato di Siena. 2 Le ricerche di maggiore utilità consultate preliminarmente per questo lavoro sono . GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a e GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987. Da segnalare inoltre il numero monografico del « Bollettino d'arte », tutto incentrato a ricostruire le vicende architettoniche dell'ospedale nel lungo arco della sua esistenza: AA.VV. 1986 ed infine Spedale di Santa Maria della Scala, Atti del Convegno Internazionale di studi, Siena, 20-22 novembre 1986, Siena 1988.

AVVERTENZA Tutti i documenti inediti citati sono conservati presso l'Archivio di Stato di Siena. L'omissione di certe parti del testo è indicata col secuente seano: (...). Per quanto riguarda la datazione, lo stile adottato a Siena è ab incarnatio Domini e perciò conta gli anni a partire dal 25 di marzo; si è preferito pertanto, per una migliore comprensione, trasferirlo nello stile moderno di datazione. ABBREVIAZIONI ASS Archivio di Stato di Siena Sp. Spedale c. p. carta/ pagina r/ v retto/ verso Lo spoglio sistematico delle fonti archivistiche ha così permesso la ricostruzione più o meno completa delle varie fasi di vita dell'edificio ospedaliero, soprattutto nel secolo XV, quando il Santa Maria della Scala era divenuto per estensione, volumetria e struttura, il maggiore complesso pubblico esistente a Siena, raggiungendo dimensioni complessive molto vicine a quelle attuali. La scelta di questo preciso arco cronologico è apparsa inoltre significativa dal momento che ci troviamo di fronte ad uno dei momenti più floridi dal punto di vista edilizio, che vede la realizzazione di opere imponenti come la costruzione della nuova chiesa, e anche perchè, soprattutto per il Quattrocento, la documentazione non era stata sufficientemente indagata e le nostre conoscenze risultavano nel complesso limitate. La documentazione analizzata si basa sui registri delle Entrate e Uscite dei denari, in cui veniva registrato dal Camarlengo3 tutto il movimento di denaro speso o riscosso dallo Spedale e che, rispecchiando in ogni momento la situazione di cassa dell'ente, hanno permesso di individuare tutte le spese sostenute per effettuare i vari interventi edilizi, dall'acquisto dei materiali, ai pagamenti alla manovalanza e ai maestri che hanno preso parte ai lavori4. 3

Il Camarlengo veniva eletto ogni sei mesi per scrutinio e aveva competenze molto vaste che investivano ogni settore dell'amministrazione. Alla fine del semestre veniva letta la situazione contabile e il Capitolo dei frati doveva approvarla (Archivio dello Spedale di Santa Maria della Scala p. XLIX). 4 Di questi registri sono stati consultati quelli che coprono il periodo che va dal 1385 (tomo n. 852) al 1 maggio 1500 (tomo n. 880).

Tutto questo materiale è stato inoltre integrato dalla lettura di alcuni registri delle Deliberazioni5, da quelli dei Contratti e Protocolli (dal tomo n. 106 al tomo n. 109) e dallo Spoglio dei Contratti dello Spedale6, nel tentativo di riscontrare precisi accordi tra l'ente e il personale attivo nei suoi cantieri, tentativo che ha condotto, però, a risultati limitati. L'indagine dei documenti ha così permesso di fare luce su una vasta gamma di aspetti che non solo riguardano strettamente la parte architettonica dell'edificio e la sua evoluzione e trasformazione nel tempo, ma coinvolgono anche tutto quel vasto ventaglio di lavoratori, maestri, manovali, fornitori, vetturali e « dipentori » che hanno permesso la sua concreta realizzazione. In questa sede verranno presi in esame i più grossi interventi che hanno caratterizzato l'attività costruttiva dello Spedale nel corso del Quattrocento. Si tratta dell'ampliamento della chiesa e della sopraelevazione e "allungamento" del palazzo del Rettore che vengono effettuati nella seconda metà del secolo e i lavori attinenti alla tettoia della facciata, che potremmo considerare quasi legati l'un l'altro. È infatti al termine del'ampliamento della chiesa, che modifica l'assetto formale della facciata, che nasce anche l'esigenza di sopraelevare il palazzo del Rettore, per adeguarlo in altezza alla nuova costruzione, e di rinnovare la tettoia a protezione degli affreschi. A1 di là dell'importanza che hanno nella storia dello Spedale, questi tre interventi appoiono significativi in quanto offrono, per l'imponenza delle operazioni e la durata dei lavori, gli esempi più completi di organizzazione di un cantiere. Essi ci permettono non solo di avere una visione dettagliata di una vasta gamma di addetti e dei loro specifici compiti, ma anche di individuare le varie fasi costruttive che hanno caratterizzato la realizzazione di opere edilizie: dallo scavo delle fondamenta alla rifinitura e decorazione degli ambienti ormai completati.

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I registri delle Deliberazioni consultati hanno coperto l'arco cronologico compreso tra l'aprile 1435 (tomo n. 23) e l'ottobre 1487 (tomo n. 24), mentre per la documentazione trecentesca e stata utilizzata l'accurata schedatura della Dott.ssa Lucia Nardi, dal tomo n. 20 (1 gennaio 1379-28 ottobre 1381) al tomo n. 22 (19 marzo 1402-27 marzo 1435). Lo spoglio è in corso di stampa. 6 ASS, Spoglio dei contratti dello Spedale della Scala, B.56-B. 66; in particolare i registri B. 64, B.65, B. 66.

2. La nuova chiesa e i materiali da costruzione L'attività edilizia che impegna più a lungo lo Spedale nel Quattrocento e che investe direttamente la fisionomia esterna dell'edificio, è la costruzione della nuova chiesa, o meglio l'ampliamento della primitiva cappella che si verifica a partire dal 14667. La nuova costruzione comporta un rialzamento di tutto il fronte dello Spedale, dall'angolo della Corsia Marcacci, fino al palazzo del Rettore, inglobando parte della casa dei Gettatelli e tamponandone le bifore. L'intervento opera nella pianta un allungamento dell'aula che sfrutta longitudinalmente l'area della contigua casa dei Gettatelli, in modo da creare uno spazio per la successiva abside che diviene tangente alla struttura del pellegrinaio che sarà chiamata, successivamente, Corsia Marcacci. La chiesa viene inoltre ampliata in alzato, costruendo un paramento murario al di sopra della fascia affrescata dai fratelli Lorenzetti e da Simone Martini, soprastante la cortina in calcare8. L'ampliamento quattrocentesco della chiesa si appoggia ad una delibera del 1466 che affida a Guidoccio d'Andrea l'incarico di renderla « bella, honorevole e magnifica »9. Numerosi sono anche altri documenti che testimoniano non solo l'inizio di questa costruzione, ma evidenziano l'entità e la durata dei lavori per oltre un decennio. Questo dato contrasta con l'idea che l'attività edilizia si fosse protratta solo negli anni 1466-147110, in quanto sia le Entrate e Uscite di denari che altri documenti contenuti nelle Deliberazioni, confermano sia l'imponenza del lavoro che il suo lungo protrarsi negli anni, tanto che lo sforzo economico sostenuto per realizzare questo nuovo impianto sarà notevole. Già nel 1472 emergono le ristrettezze economiche in cui l'ente si 7

La notizia viene riportata anche da Girolamo Macchi, secondo il quale già dal 1364 « La chiesa era piccola, non ci capiva il popolo e doppo dal signor Rettore Niccolò di Gregorio Ricoveri fu ingrandita di muraglie e soffitta. » (MACCHI, Origine, c. 17v). 8 Il 9 luglio 1467 e il 25 aprile 1471 viene incaricato il maestro Urbano di Pietro di eseguire le cornici di pietra da collocarsi dentro e fuori la chiesa (BANCHI 1877c, p. 266, n. 10). 9 ASS, Sp. 24, c. 169r, 1466 luglio 20: a « Item inteso maestro Guidoccio, el quale avendo bene examinato chresciare la chiesa dello Spedale in Siena ad honore di Dio et d'esso Spedale et avendo veduto che con assai minore spesa si però che non era ragionato, secondo el disegno d'esso maestro Guidoccio e degli altri maestri fu commesso in esso Rectore potere fare essa chıesa in effecto come sarà consegliato sì che sia bella, honorevole et magnifica, come richiede el luogo et lo honore de la città di Siena ». 10 GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, p. 67

viene a trovare per questi lavori, dal momento che esercita una pressione sui suoi debitori per ottenere il denaro necessario per terminare la nuova chiesa11. Ancora nel 1474 vengono sottolinate le ristrettezze finanziarie causate dal completamento della nuova costruzione12 e nel 1475 lo Spedale non è più in grado di far fronte all'impegno di tenere in custodia il cassero di Monticchiello e chiede che ritorni sotto il controllo del Comune13. È al tempo del Rettore Niccolò di Gregorio Ricoveri che viene presentato il progetto di ampliamento della chiesa, innalzata sulla medesima posizione del piccolo oratorio che vi esisteva ab antico14 e affidato a Guidoccio, falegname e maestro di architettura15. Considerando la presenza a Siena, in questo periodo, di noti e autorevoli architetti, dare a Guidoccio la paternità della nuova costruzione è sembrato, agli studiosi, un passo limitato. Per questo la chiesa è stata variamente attribuita a diversi maestri, anche se negli ultimi anni è emersa la convinzione che sia opera di Francesco di Giorgio 16. In realtà i documenti analizzati non presentano mai il nome di quest'ultimo, mentre spesso viene citato Guidoccio d'Andrea che era maestro di casa ed è stipendiato dallo Spedale fin dal rettorato di Francesco Buzzichelli (1434-1444). C'è quindi da considerare il lungo rapporto che questo maestro intreccia con il Santa Maria della Scala, dal momento che i pagamenti che esso riceve si protraggono fino al marzo 1472 17, quando i lavori della chiesa erano già iniziati da alcuni anni. È quindi ipotizzabile che Guidoccio non solo abbia presentato il disegno per ingrandire la cappella, ma abbia seguito almeno per buona parte i lavori, dal momento che più volte appare citato dalle fonti come direttore 11

ASS, Consiglio Generale, 234, cc. 205v-206r; 1472 ottobre 15. ASS, Consiglio Generale 235, cc. 173v-174r; 1474 marzo 11. 13 ASS, Consiglio Generale 236, cc. 97r/v; 1475 maggio 19. 14 BANCHI 1877C, P.264. 15 Il suo ruolo era quello di capomastro nello Spedale. A lui venivano commesse per lo più opere di manutenzione, di dignitosa edilizia rurale nelle grance e a lui competeva la supervisione e approvazione dei progetti, elaborati da altri, che interessavano l'edificio. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985b, p. 50 16 GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 200. Inoltre GALLAVOTTI CAVALLERO 1985b, pp. 4756 e GALLAVOTTI CAVALLERO -:BROGI 1987, p. 67. 17 ASS, Sp. 858, c. 68v, 1472 marzo 5. Anche altri studiosi attribuiscono questa costruzione a Guidoccio d'Andrea. Ettore Romagnoli afferma che la chiesa fu « ingrandita col disegno di Guidoccio d'Andrea nel 1466 »( ROMAGNOLI 1876, p. 24); Gaetano Milanesi afferma nuovamente come il maestro lavorasse il legno e la pietra e fosse architetto ai servizi dell'ospedale, dando il disegno della sua chiesa e realizzandola « più grande e più bella che non era l’antico » (Documenti per la storia dell'arte senese 1854-56, II, p. 281) e MILANESI 1862, pp. 58-75. 12

del cantiere. Le paghe percepite dagli operai vengono stabilite secondo le giornate da loro prestate, stando al « detto di messer Guidoccio nostro »18, che evidentemente aveva un ruolo di primo piano nel gestire i lavori. La disponibilità di un numero consistente di fonti ci ha permesso non solo di avere un'idea precisa di quella che era l'organizzazione di questo cantiere, ma anche di raccogliere una serie di informazioni utili riguardo ai materiali da costruzione, al loro costo e alla loro provenienza. La lunga durata dell'intervento, documentata dalla ricchezza di notizie desumibili dai registri delle Entrate e delle Uscite di denari, consente inoltre di individuare anche sulla base del materiale acquistato, quelle che sono state le varie fasi di costruzione della nuova chiesa.

2.1. Sabbia e ghiaia Le prime registrazioni di pagamento si riferiscono all'acquisto di sabbia e di ghiaia che erano materiali comunemente usati per formare malte e per la realizzazione di calcestruzzo delle murature a sacco, oltre che per colmare le fondamenta. È interessante osservare come la più alta concentrazione di forniture di rena sia da registrare durante l'anno 1471, dal momento che ben otto vetturali compaiono nei documenti che recano tale data. Questa numerosa presenza può essere giustificata da numerosi fattori. Se si escludono i lavori di ristrutturazione che interessano più luoghi della casa19, durante questo anno sono già in uno stato avanzato i lavori per la nuova chiesa20. Gli acquisti del materiale da parte dell'ospedale saranno perciò più numerosi e continuativi per tutto il periodo interessato dalla nuova costruzione e maggiori saranno perciò anche le quantità di rena e di ghiaia ordinate. Le forniture si registrano soprattutto durante la prima fase di realizzazione del nuovo impianto, quando cioè erano in atto i lavori di fondazione e di riempimento. È nell'ottobre 1471 che viene registrato un pagamento ad un certo Menico di Lenzo « che ci à regato la chalcina d'albazano per li 18

Un esempio può essere il pagamento a Filippo di Mariano « per un huopera aiutò » (ASS, Sp. 858 c. 47r). 19 ASS, Sp. 8S8, c. 4Ov; 1471 giugno 29. 20 ASS, Sp. 857, c 31r; 1466 ottobre 11. A questa data è registrato il primo pagamento riferibile ai lavori che si effettuavano per il nuovo impianto. L'ultima registrazione in proposito reca la data del 13 luglio 1481 (ASS, Sp. 867, c. 34v).

fondamenti della chiesa »21 e il verbo usato ad un tempo passato suggerisce come questo tipo di intervento fosse stato già precedentemente effettuato, forse quando si registrano le più alte forniture di rena. È probabile quindi che le notizie dei pagamenti del materiale riportate nei documenti siano posteriori alla realizzazione dei lavori, dal momento che si può ipotizzare che le registrazioni delle spese non venissero effettuate immediatamente al momento della fornitura, ma solo in un secondo tempo, quando gli interventi si erano già conclusi22. 21

ASS, Sp. 858, c. 50v, 1471 ottobre 1. I vetturali interessati al trasporto durante la realizzazione della chiesa sono perciò più numerosi rispetto ad altri periodi. Pietro di Giovanni porta la rena dalla Merse fino alla nuova costruzione e riceve un compenso di 50 soldi (ASS, Sp. 858, c. 70r. 1471 marzo 30) che verrà poi integrato da altri 10 soldi per un'ulteriore fornitura (ASS, Sp. 858, c. 71r; 1471 aprile 30). Da Ravacciano proviene la rena trasportata da Lorenzo d'Antonio, tedesco (ASS, Sp. 858, c. 41v. 1471 luglio 6), che per ben cinque mesi rifornisce l'ospedale: un periodo analogo a quello di Giovanni di Niccolò, che dall'agosto (ASS, Sp. 858, c. 45r; 1471 agosto 13) fino al mese di novembre (ASS, Sp. 858, c. 54r. 1471 novembre 90 riscuote 66 soldi. Un solo pagamento ricevono invece Niccolò di Battista (ASS, Sp. 858, c. 44v. 1471 agosto 10; il pagamento è di 22 soldi) e Andrea di Niccolò (ASS, Sp. 858, c. 58v. 1471 dicembre 19; per la trainatura di rena riscuote lire 6), che nei documenti analizzati compaiono una sola volta. Dall'agosto 1471 (ASS, Sp. 858, c. 45r, 1471 agosto 13) all'ottobre 1475 (ASS, Sp. 861, c. 64r. 1475 ottobre 14) è registrata una seconda serie di pagamenti al « trainatore » Bartolomeo di Marco di Tressa, che sembra perciò avere un rapporto continuativo con l'ospedale. Sette trasporti vengono da lui effettuati nel corso del 1475 da maggio ad ottobre, e ciò è probabilmente da mettere in relazione ai lavori che si stavano effettuando all'interno della chiesa, essendo in atto la costruzione di una cappella di marmo (ASS Sp. 860, c. 69r. 1475 gennaio 8; i lavori si protraggono fino all'agosto 1476: ASS, Sp. 862, c. 45v). Numerosi sono infatti i documenti che attestano la costruzione di quest'opera, che presuppone anche delle modifiche edilizie, in quanto oltre alla rena vengono acquistati anche altri materiali per la « nuova fabbrica ». Francesco di Bartolomeo, scalpellino, riceve numerosi pagamenti per la lavorazione di marmi che vengono condotti all'edificio ospedaliero da appositi « portatori ». Essi provvedono sia al trasporto del materiale allo stato grezzo che deve essere lavorato in loco, che a quello di colonne già pronte per essere subito montate. Se infatti viene registrato un pagamento « a dodici portatori portaro una pietra » (ASS, Sp. 861 c. 62v; 1475 ottobre 6; la spesa per il trasporto è di 32 soldi), viene anche segnalata una spesa li 16 lire e 16 soldi « per pagare la vittura delle colonne » (ASS, Sp. 862, c. 44r; 1476 agosto 14). Questi lavori durano circa otto mesi anche se le registrazioni dei pagamenti più frequenti si hanno da maggio a ottobre, con un curioso scarto del mese di settembre. Il direttore del cantiere sembra comunque Francesco di Bartolomeo in quanto non solo riceve più di ogni altro un numero maggiore di pagamenti, ma è sempre lui che e addetto ad ordinare il materiale e a pagare sia i « cavatori » che i vetturali (ASS, Sp. 861, c.72v; 1475 dicembre 12: « Francesco di Bartolomeo schalpellino lire quattordici cioè per lui a Michelagnio di Giusto chavatore ». Altro esempio un pagamento di « lire vintidue e soldi 8 contanti a lui disse per dare alli chavatori del macigno» in ASS, Sp. 862, c. 45v: 1475 agosto 21). Un'altra cappella che viene realizzata all’interno della nuova chiesa, sempre nel corso del Quattrocento, è quella del Vecchietta, che aveva personalmente richiesto allo Spedale di costruire, secondo un modello da lui presentato, « una cappella murata e scialbata » (ASS, Spoglio del diplomatico , l476 febbraio 20), nella quale chiede di essere sepolto (ibid.,1479 maggio 11). Interessante anche una petizione presentata al Rettore il 26 Dicembre 1476 che viene approvata il 20 febbraio dell'anno successivo. In essa il Vecchietta chiede che «1a decta capel1a non si possi levar del luogo dove mi sia 22

2.2 Gesso Durante gli anni della costruzione della nuova chiesa e particolarmente nel decennio 1470-1480, i documenti attestano 1'acquisto di une notevole quantità di gesso. I1 primo pagamento registrato risale al luglio 1470 e l'ospedale spende 11 lire e 6 soldi « per some dicesette e mezo di geso »23. Non è annotata nessuna altra fornitura fino all'aprile dell'anno successivo, quando ne vengono omprate 24 some e mezzo per una spesa complessiva di 13 lire 19 soldi e 6 denari 24. n generale si hanno poche forniture l'anno e dal 1474 al 1480 non viene registrato nessun acquisto. Non sempre emerge il luogo di provenienza del materiale, non sempre la quantità ordinata, né il nome di chi lo trasportasse o di chi lo fornisse. Si apprende comunque che quasi sempre veniva comprato direttamente del maestro che dirigeva i lavori nel cantiere, che ne amministrava la fornitura: la spesa da lui sostenuta viene poi risarcita del Camarlengo dello Spedale. Nel complesso, nell'arco dei dieci anni considerati, vengono comprate più di 58 some di gesso per una spesa complessiva di 86 lire 172 soldi e 6 denari. Questo materiale, oltre ad essere utilizzato, insieme ai cannicci per pareti divisorie, costituiva anche un'ottima preparazione per sfondi e veniva utilizzata soprattutto dai « dipentori » come indispensabile base su cui stendere il colore.

consegnato et edificata nè cavare la imagine (…) et quando accadesse pure per ampliare la chiesa, o la casa, facesse bisogno di permutare la detta cappella si debbi fare et molto più ampla et più degna et più sumptuosa…». ( Documenti per la storia dell’arte senese,1854-56,II, p. 366). I documenti analizzati attestano la realizzazione di questa nuova costruzione e la casa spende 3 lire e 10 soldi per l’acquisto di una «tarsia» e per una graticola di ferro da porsi in detta cappella (ASS, Sp. 863, c 72v; 1477 dicembre 6). Le fonti non ci forniscono comunque nessun’altra notizia riguardante questa costruzione nè riguardo ai materiali acquistati, ne ai pagamenti di manovali o maestri che vi hanno lavorato. 23 ASS, Sp. 858, c. 36v; 1470 luglio 11. 24 ASS, Sp. 858, c. 71v; 1471 aprile 9. 25 Una conferma a queste ipotesi può riscontrarsi nei documenti che interessano alcuni

2. 3. Legname Oltre ai materieli già citati, anche notevoli quantità di legname, considerando il gran numero di esempi che le fonti ci forniscono, vengono continuamente acquistate per la nuova costruzione. I tipi di legno utilizzati sono disparati: il castagno e l'abete sono quelli che vengono maggiormente impiegati, ma troviamo anche l'uso dell'olmo e della quercia. Non sempre le fonti ci forniscono il nome delle località da cui esso proviene, anche se i luoghi che sembrano fornire le più grandi quantità di legname sono la Querciola e Ravacciano. Per quanto riguarda i segatori addetti alla lavorazione di questo materiale sussistono delle incertezze sia riguardo alla loro provenienza che alla loro specifica attività. Non sappiamo infatti con certezza se questi lavorassero direttamente nei cantieri o se avessero una bottega, magari nelle località dove la disponibilità di legname era maggiore. Potremmo ipotizzare che nella maggior parte dei casi il materiale giungesse al cantiere già pronto per l'uso e che venisse lavorato in loco solo in casi eccezionali. Molto spesso le fonti parlano di « legnaiuoli » dai quali lo Spedale acquistava il materiale che poi veniva lavorato dai segatori e portato a destinazione dai trasportatori. Si veniva così a creare una catena, controllata e gestita direttamente dallo Spedale, che provvedeva all'acquisto della materia prima, ordinava una specifica preparazione ed esigeva una puntuale consegna. I1 prodotto veniva quindi lavorato secondo precise richieste, anche lontano dalla città e solo quando si dovevano realizzare rifiniture e sostegni particolari, era necessario lavorare direttamente in loco per evitar errori e per essere più precisi nell'escuzione del lavoro25.

lavori di segatura eseguiti per la nuova chıesa. Andrea di Francho di Santa Colomba riceve un pagamento di 5 lire e 12 soldi « per uno mese che lui à aiutato » a segare e preparare la legna per la nuova chiesa alla lama del Sasso (ASS, Sp. 857, c. 3 lr. 1466 ottobre 11). Lo stesso segatore riceve lire 4 nel dicembre 1466 « per cinque settimane che lui à servito la casa a conciare legname e altre facende per la decta chiesa » (ibid., c. 37r; 1466 dicembre 26). Sempre da questo stesso luogo provengono « sette legni lunghi » condotti da Menico di Gorino e compagni trainatori fino allo Spedale, ricevendo un compenso di 31 lire (ASS, Sp. 857, c. 35r; 1466 ottobre 8). Da registrare inoltre un pagamento dı lıre 7 ad un certo Marco, legnaiuolo, per fornitura di una trave di quercia (ASS, Sp. 857, c.42v; 1467 novembre 7) e

2.4. Le fornaci e i fornaciai Mentre il legname e il materiale ricavato dalle cave come la pietra o la rena sono già elementi di base pronti per l'uso, i manufatti che vengono prodotti nelle fornaci sono il risultato di un completo processo produttivo nel quale le materie prime, come la pietra e l'argilla, vengono rispettivamente trasformate in calce viva e laterizi. I documenti consultati hanno rilevato la presenza di numerosi impianti variamente dislocati e attivi durante il Quattrocento, con i quali lo Spedale gestisce variamente dei rapporti per garantirsi l'approvvigionamento del materiale da costruzione. Alcune di queste fornaci producono solo calcina, altre laterizi e coppi e anche se è probabile che in qualche impianto venissero prodotti entrambi, dai documenti emerge comunque una netta distinzione dei fornaciai che hanno una diversa specializzazione a seconda della produzione a cui si dedicavano26. Un'analoga situazione appare anche a livello delle fornaci in quanto non emerge che uno stesso impianto producesse sia laterizi che calcina. La maggior parte di questi impianti produce calcina, solo nove di essi sono specializzati nella produzione di laterizi, mentre di due non abbiamo nessuna notizia. Alcune fornaci erano di proprietà dello Spedale, come quella di Cuna e di Costalpino27. È interessante osservare come tra il ancora un'ulteriore spesa di 44 soldi per una « travicella » di castagno fornita dal legnaiuolo Cosimo (ASS, ibid.). Sembra perciò chiaro che ci fossero tre ruoli ben distinti: quello del fornitore o legnaiuolo, quello del segatore e quello del trainatore. In alcunı cası comunque, ıl lavoro del segatore si attuava direttamente sul cantiere. Francesco di Giglio e il suo compagno provengono dal contado di Parma e ricevono 33 soldi « per due dì aiutò a segare e' bovoli per la chiesa » (ASS, Sp.859, c. 59r; 1473 dicembre 8) e anche altri segatori riscuotono 40 soldı per svolgere lo stesso lavoro (ASS, Sp. 859, c. 67r. 1474 febbraio 24. Nella motıvazıone del pagamento e infatti specificato: « per segare certi rochi vechi per far bovoli ») E’ ıpotızzabile che anche Meio di Senso e i suoi compagni abbiano svolto « una huopera con la sega a segare certi regoli » (ASS, Sp. 860, c. 40v; 1474 maggio 25. Per il lavoro riscuotono 20 soldi) direttamente sul cantiere come Simone d'Antonio e compagno che riscuotono 5 lire e 12 soldi « per huopere dodici aiutano a segare le fodere del chancello della chappella » (ASS, Sp. 860 c. 70v; 1475 gennaio 28). Non sempre conosciamo esattamente il periodo di tempo che questi segatori hanno lavorato per l'ospedale, ma apprendiamo comunque le paghe percepite, che cı permettono di stabilire le spese sostenute dall'ente per la lavorazione del legno durante la realizzazione della nuova chiesa. 26 A Firenze i documenti dell'Arte non fanno distinzione tra i fornaciai e una legislazione che risale al 1325 sancisce che nessuna fornace possa cuocere mattoni senza produrre anche calce (GOLDTHWAITE 1984, p. 267). 27 ASS, Sp. 852, c. 38r; 1395 (...).

fornaciaio di Cuna e l'ente ospedaliero sussistesse un preciso contratto che prevedeva la produzione di un determinato quantitativo di mattoni, ciascuno dei quali doveva essere « ben cotto e mercantile et à misura conforma alle forme fatte fare tra di noi, delle quali ne tiene una misura per uno... »28 La fornace di Costalpino, che produce per il Santa Maria della Scala, è documentata in una delibera che ne attesta la costruzione, per rispondere alle necessità sempre crescenti della produzione di mattoni29. Nel 1380 si delibera anche la costruzione di una fornace a Monastero, presso Siena, perché possa produrre « mattoni e tegole che bisognano per lo pellegrinaio nuovo che si dee fare »30. Durante il rettorato di Bartolomeo Tucci, il Consiglio Generale del Comune aveva ordinato che lo Spedale portasse a compimento la fortificazione di Buonconvento31. Anche al Piano delle Fornaci esisteva un impianto che apparteneva al Santa Maria della Scala, in quanto un documento del tardo Quattrocento attesta una spesa di 31. e 5 s. « ...per libbre 12 d'auti di 24, di 36 e per (...) bulette compramo per la nostra fornace e fu fatto el tetto in nel piano delle fornaci »32. Della struttura di queste impianti non si hanno notizie. Si trattava certamente di fornaci permanenti che sorgevano in genere in località collinari ed erano impianti di carattere industriale di una certa importanza. Dallo studio effettuato risulta che fossero attivi tutto l'anno, come testimoniano le registrazioni dei pagamenti ai vari fornaciai, anche se le richieste maggiori si concentrano tra maggio e ottobre. Ai fornaciai che « cuocono i mattoni et tegole et pianelle et quadrucso o altro arnese »33 sottostavano al Breve del'Arte dei maestri di pietra che 28

FRANCHI - COSCARELLA 1985, p. 79. ASS, Sp. 20, c. 46r; 1379 agosto 31. 30 ibid., cc. 107r/v; 1380 ottobre 15. La stessa notizia viene riportata da FALUSCHI Le chiese, c. 110r, in data 8 nttobre 1380 « che si facci per lo Spedale una fornace nella possessione che lo Spedale comprò nella contrada di Monistero presso Siena e che il Missere facci fare nella detta fornace mattoni e egole che bisognao per lo pellegrinaio nuovo che si deve fare ». 31 BANCHI 1877, addizioni, p. 204. Il Consiglio Generale aveva inoltre sancito che se i lavori non fossero stati portati a compimento entro l'anno 1382 sarebbero stati a carico del Rettore stesso e dei frati. 32 ASS, Sp. 874, c. 67r; 1489 novembre 19. 33 Documenti per la storia dell'arte senese 1854-56, I, p. 118. 34 FALLETTI 1881 p. 91. 35 Il18 giugno 1415 vengono pagate 24 1. e 14 s. a Domenico d'Agnolo, il fornaciaio 29

comprendeva tutte le attività legate all'edilizia, anche se poi nel 1489 muratori e fornaciai formeranno a parte un nuovo organismo. Il loro compito consisteva, oltre che nel fare i mattoni, nel cuocerli bene attenendosi ad una misura che « era continuamente appesa al muro esterno del palazzo », al fine di evitare litigi che nascevano sia sulle dimensioni che sulla cottura dei laterizi34. Una delle località più segnalate dai documenti per la più alta concentrazione di « calcinaroli » è Toiano, dove la fornace è attiva almeno dal 141535 e continuerà a produrre calcína almeno fino agli ultimi decenni del secolo36. Altre fornaci specializzate nella procluzione cli calcina erano quelle di Ancaiano e S.Colomba. I fornaciai attivi a S.Colomba hanno però dei rapporti meno continuativi con l'ente ospedaliero rispetto a quelli di Toiano. Altre località emergenti dai documenti, nelle quali erano attive fornaci di calcina, sono Cerreto e Pontignano.

di più vecchia data che conosciamo attivo in questo impianto (ASS, Sp. 853, c. 36r). 36 ASS, Sp. 874, c. 26v; 1489 maggio 14. 37 ASS, Sp. 858, c. 45v; 1470 agosto 29. La spesa registrata è di 20 soldi.

FORNACI ATTIVE A SIENA E NEL CONTADO SENESE NEL XV SECOLO LOCALITA’ Ancaiano « Co » Costa al pino Cerreto « Chaligiano » Cuna Marmoraia Monastero MontalBuccio Palazzetto Pian delle fornaci « Pilli » Pontignano Porta camollia

MATERIALE PRODOTTO calcina calcina mattoni calcina calcina calcina calcina mattoni calcina ? ? calcina calcina ziri

LOCALITA’ Querciola S. Colomba S. Giorgio ai lapi S. Lazzaro S. Maria a Pilli S. Marco S. Petronilla S. Regina Stigliano Toiano Todi Tressa Val d'orcia Volte

MATERIALE PRODOTTO calcina calcina calcina ? mattoni coppi e mattoni mattoni mattoni mattoni calcina coppi mattoni mattoni calcina

2. 5. Colori "et varia " Interessanti sono inoltre gli acquisti di colori che vengono effettuati quando ormai la nuova chiesa, completata in ogni sua parte, necessitava di opere di decorazione e di finitura. Nell'agosto 1470 si acquistano « due oncie di vercie azuro »37 da Nicolò di Jacomo, forse speziale, che fornisce ancora la stessa quantità di colore « per dipegnare l'armi e crilande nel pergolo de' reliqui »38.Ancora due some di « biancho veneziano » vengono comprate « per dipegnare le chapellette di sopra a l'angnolo alla Nuziata »39 e anche in questo caso abbiamo il nome del fornitore. Si tratta di un certo Nicolò Spinelli che aveva precedentemente venduto alla casa, sempre per i lavori della nuova chiesa, « staia 6 di cinabro per murare »40. Quasi sempre siamo in grado di stabilire il nome dello speziale che vende i colori dal momento che nei pagamenti il Camarlengo è assai preciso nel sottolineare la provenienza del materiale. Alcuni di questi fornitori sono stranieri come « Nicolaio e compagni da Polonia »41 che riscuotono 75 lire e 2 soldi « per some nove d'azuro di Mangnia compramo per la chiesa »42 o come Giorgio di Stingarotta della Magna Alta, che riceve 74 lire e 16 soldi « per some dodici d'azuro compramo da lui »43, sempre per la stessa costruzione in atto. Un altro colore acquistato è il « giallolino », che viene utilizzato da Pellegrino, « dipentore » della casa « per dipengniare e due cibori della Nuziata e Agnolo »44. Oltre ai colori viene utilizzato anche l'oro per effettuare opere di decorazione e per impreziosire e rendere più brilllante la stesura del colore di base. 38

ASS, ibid.; 1470 agosto 31. La spesa è di 20 soldi. ASS, ibid.; 147O agosto 31. La spesa è di 20 soldi 40 ASS, Sp. 858, c. 73r; 1471 aprile 13. La spesa sostenuta è di 24 sol di. 41 ASS, Sp. 858, c. 66v; 1472 febbraio 14. 42 Ibid 43 ASS, Sp. 859, c. 51r; 1473 settembre 28. 44 ASS, Sp. 858, c. 72r; 1472 aprile 4. 45 ASS, Sp. 860, c. 47r. 1474 luglio 6. La spesa è di 15 soldi per 1000 « pezza ». Il 14 ottobre si acquistano altre 2000 « pezza » per una spesa totale di 51 soldi . Cfr. ASS, Sp. 860, c. 59r. 46 Ibid 47 ASS, Sp. 24, c. 169r; 1466 luglio 20. 39

Tremila « pezza » d'oro che provengono da Firenze vengono infatti acquistate per decorare la nuova chiesa ad un prezzo complessivo di 66 soldi45; è curioso osservare come in questo caso le fonti riportino anche il nome del trainatore, Masso Sportelacio, il quale, per il trasporto dell'oro fino a Siena, riceve 15 soldi46. 3. L’organizzazione del cantiere Per avere un'idea dell'organizzazione della manodopera nello svolgimento dei lavori edilizi, è interessante prendere come punto fermo dell'indagine il cantiere della nuova chiesa, nel quale si concentra il più alto numero di uomini riscontrabile in qualsiasi altro intervento effettuato dall'ospeciale nel corso del Quattrocento. Si è detto che sulla base della documentazione analizzata, il progetto riferibile all'edificazione di questa nuova costruzione è da attribuire a Guidoccio D'Andrea47 che non solo avrebbe progettato l'ampliamento della primitiva cappella, ma avrebbe anche preso parte attivamente agli stessi lavori. Le fonti archivistiche confermerebbero questa ipotesi dal momento che dal maggio 146648 fino al marzo 1472 49 è segnalata la sua presenza nel cantiere della nuova chiesa, confermata da una serie di pagamenti che Guidoccio riceve con una certa regolarità. È probabile che la nuova chiesa abbia costituito un salto qualitativo e sia stata la prima opera di una certa importanza da lui svolta per conto dello

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ASS, Sp. 857, c. 21v; 1466 maggio 20 ASS, Sp. 858, c. 68v; 1472 marzo 5. 50 Se infatti si confrontano le paghe riscosse prima del grosso incarico da lui ottenuto, con quelle riferibili ai pagamenti durante le fasi di costruzione della nuova chiesa, è evidente la grande differenza di paga percepita. Se una delle cifre più alte segnalate nelle registrazioni dei pagamenti nel ventennio 1445- 1466 è di 21 lire (ASS, Sp. 856, c. 22v; 1460 maggio 9), negli anni successivi giunge anche a riscuotere 100 lire (ASS, Sp. 858, c. 63v; 1471 novembre 29). 49

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ASS, Sp. 858, c. 68v; 1472 marzo 5.

Uno dei primi pagamenti riportati nelle fonti si riferisce infatti ad un certo Andrea di Francio, che provvede a segare e preparare il legname per la nuova chiesa per un intero mese (ASS, Sp. 857, c.31r; 1466 ottobre 11) e che riceve anche ulteriori pagamenti perchè « à servito a cociare legname e altre facende per la decta chiesa » (ASS, Sp. 857, c. 37r; 1466 dicemhre 26). Questo è fra l'altro l'unico segatore che appare attivo nel cantiere in auesto primo decennio e si paò supporre che sia stato l'unico fornitore e conciatore di legname nella prima parte dei lavori. Dalle fonti si apprende che era originario di Santa Colomba e che il

Spedale, in quanto negli anni precedenti non aveva rivestito, alle dipendenze dell'ente incarichi di grande entità50. Come testimoniano i documenti riguardanti questa attività costruttiva, Guidoccio non segue i lavori per tutta la loro durata, ma cessa la sua attività nel marzo 1472, quando si registra l'ultimo pagamento da lui percepito51. È interessante perciò analizzare questo intervento edilizio distinguendolo in due fasi ben distinte: la prima che vede il cantiere organizzato intorno alla figura di Guidoccio e che investe gli anni 1466-1472, e la seconda, posteriore, che prosegue e conclude i lavori nel 1481. Nel primo decennio, nel quale si suppone si svolgano gli interventi di maggior rilievo, gli uomini presenti nel cantiere sono circa una ventina, distinti in maestri, manovali, segatori e « dipentori ». Sono tutti sottoposti a maestro Guidoccio che ordina i compiti specifici che si devono svolgere e provvede a riferire al Camarlengo dello Spedale le giornate lavorative che essi hanno prestato per provvedere al loro pagamento. Sulla base dei dati che ci vengono offerti dai documenti è difficile stabilire con precisione quale parte dell'edificio fosse stata realizzata in questa prima fase dei lavori, anche perché le notizie relative ai singoli manovali non sempre specificano le motivazioni del pagamento da essi ricevuto, ma a questa lacuna possiamo ovviare con la lettura delle fonti materiali (vedi in questo stesso volume l'intervento di Parenti). Si può comunque osservare che è in questo arco di tempo che si registrano i più alti acquisti di materiale, soprattutto legname, che veniva utilizzato per gli usi più disparati, ma soprattutto per realizzare impalcature e strutture di copertura52. Talvolta è lo stesso Guidoccio, in quanto specializzato nella lavorazione del legname, a provvedere personalmente sia all'acquisto che alla lavorazione del materiale e forse è proprio per questo motivo che al di là di

materiale da lui lavorato proveniva dalla Lama del Sasso, tra l'altro di proprietà dello Spedale. Il suo nome appare solo in occasione di questo intervento, come se fosse stato ingaggiato un'unica volta, dal momento che, anche successivamente, la casa non si servirà più di lui per lavori di questo tipo. 53 Nel giugno 1466, proprio agli inizi di questa nuova costruzione, egli riscuote dal Camarlengo 3 lire e 12 soldi per comprare 10 « fastella d'assari » (ASS, Sp. 857, c. 23r. 1466 giugno 13) e nel novemhre 1467 è registrata un'ulteriore spesa da lui sostenuta di 9 lire e 4 soldi, per l'acquisto di una trave di quercia e di una travicella di castagno per la nuova chiesa (ASS, .Sp. 857, c. 42v; 1467 novembre 54 ASS, Sp. 857, c. 41r; 1467 marzo 20

un aiutante, non fossero necessari, nel cantiere, altri uomini addetti a questo tipo di lavorazione53. Oltre a Guidoccio che dirige il lavoro, nel cantiere sono attivi anche altri due maestri specializzati però nella realizzazione di opere di muratura. Si tratta di Adamo d'Antonio e Martino di Jacomo, provenienti entrambi da Bellinzona e che riscuotono un pagamento di 17 lire e 2 soldi « per opere XXII ànno date alla casa in XI dì »54. I maestri sembrano comunque lavorare in società in quanto anche in occasione di altri lavori svolti all'interno dell'edificio ospedaliero, come la costruzione di una volta dentro la sacrestia, di un arco e di un parapetto nell'edificio delle donne e di un palco e due archi nella cucina dei fanciulli, vengono sempre pagati in coppia55. Più numerosi sono invece i manovali che appaiono attivi nel cantiere e di cui apprendiamo non solo i salari percepiti, ma talvolta anche il tipo di lavoro svolto e le giornate lavorative prestate56.

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ASS, Sp. 857, c. 41r; 1467 marzo 20. Bartolomeo di Giovanni riscuote 12 soldi per “ 2 huopare aitò al fondamento per detto maestro Guidoccio nostro ” (ASS, Sp. 858, c. 32r, 1470 giugno 7) e questa è una notizia che riveste una notevole importanza per un duplice motivo, in quanto testimonia come nel 1470 fossero state realizzate le fondamenta della nuova chiesa e come il detto Bartolomeo sia stato uno dei primi uomini di cui si sia servita la casa per svolgere il lavoro della nuova costruzione in atto. E probabilmente uno dei manovali che lavora più a lungo in questo cantiere dal momento che appare attivo anche nella seconda fase dei lavori, ricevendo un pagamento di 30 soldi nell'agosto 1478 (ASS, Sp. 864, c. 41v; 1478 agosto 11) e un'altra paga di 28 soldi nel novembre 1479 “ per tre huoere aiutò a maestro Galgano per soldi 4 denari 4 el dì ” (ASS, Sp. 865, c. 53r 1479 novembre 12). Sempre nel corso del 1470 troviamo attivo nel cantiere della chiesa Andrea di Scozia che riscuote un solo pagamento per un intero mese di lavoro da lui prestato, anche se in questo caso le fonti non ci forniscono alcuna notizia riguardante la somma percepita (ASS, Sp. 858, c. 54v, 1470 novembre 24). Un altro manovale citato nei documenti è Filippo di Mariano che riscuote 7 soldi “ per una huopera aiutò per detto di maestro Ghuidoccio nostro ” (ASS, Sp. 858, c. 37r, 1471 maggio 25) e che troviamo unicamente attivo in questo cantiere. Con lui lavorano Piero di Ramondo, un manovale siciliano che “ à servito alle muraglie della nostra chiesa per manovale ” e che riscuote “ oltre cinque e soldi cinque per resto di tempo servito ” (ASS, Sp. 858, c. 40v, 1471 giugno 29) e Martino d'Antonio, che “ per due dì serve le nostra frabicha per manovale ” riscuote 12 soldi (ASS, Sp. 858, c. 44r; 1471 agosto 8). Egli continua a lavorare attivamente nel cantiere anche nella seconda fase dei lavori, dal momento che le registrazioni dei pagamenti da lui percepiti mostrano come abbia servito lo Spedale anche dall'agosto all'ottobre del 1476 (il primo pagamento è registrato in data 3 agosto 1476: cfr. ASS, Sp. 862, c. 41r,1'ultimo in data 26 ottobre 1476: cfr. ASS, Sp. 862, c. 54v), percependo, con regolarità, sempre la stessa paga. E’ nel corso del 1471 che viene registrato un pagamento di 4 lire e 4 soldi a Bernardo di Bartolomeo “ per sei huopere (à) aiutatto per manovale a soldi 7 el dì e per 6 huopere (à) aiutatto Tongnio di Martino lombardo ” (ASS, Sp. 858 c. 44r, 1471 agosto 10). Anche gli ultimi due manovali che sono attivi in questa prima fase dell'intervento sono lombardi e riscuotono 22 soldi per il lavoro svolto. In questo caso i documenti 56

Si può osservare come in genere i compiti degli uomini che lavoravano nell'ambito di queste piccole squadre fossero svariati: dallo scavo delle fondamenta, alla conciatura del legname e alla realizzazione di muraglie e anche se vi erano degli addetti specializzati in alcune di queste attività, in effetti non possiamo escludere neppure che, alcuni di questi lavoratori fossero in grado di realizzare tutte queste lavorazioni. Un altro dato che emerge da questa prima analisi è l'instabilità dell'occupazione e il fatto che solo alcuni dei manovali continuano a lavorare in questo cantiere anche nella fase successiva, durante la quale verranno soprattutto effettuate opere di copertura e interventi interni, come la realizzazione delle cappelle e il loro ornamento. La maggior parte degli uomini lavora a giornata: solo pochi riescono a rimanere nel cantiere per più di un mese e forse essi potevano fare affidamento su un impiego regolare nello stesso luogo e per un lungo periodo, solo nel caso in cui avessero goduto della fiducia del maestro direttore del cantiere. Inoltre quasi tutti provengono da località lontane: la maggior parte sono lombardi e vi è anche il caso di un manovale siciliano. Questo può spiegare il motivo per cui di alcuni di essi, oltre al lavoro prestato per l'ampliamento della chiesa, non si hanno ulteriori notizie: per molti, infatti, il rapporto che li vede legati allo Spedale senese si conclude dopo poco tempo. In questo primo decennio di attività non troviamo presenti nel cantiere solo manovali e segatori, ma anche un maestro di pietra e due “ dipentori ”. Nell'aprile 1471 viene infatti assunto dallo Spedale uno scalpellino per la chiesa: si tratta del maestro Urbano di Pietro57, originario di Cortona, che lavorerà nell'ambito di questo cantiere per un lungo periodo anche se poi, a partire dal 1479, prenderà parte agli interventi in casa del Rettore58. non ci forniscono né i loro nomi né ci danno ulteriori informazioni sul tipo di attività effettuate (ASS, Sp. 858, c. 60r; 1471 dicembre 24). 57 ASS, Sp. 24, c. 222v; 1471 aprile 25. 58 ASS, Sp. 865, c. 51r; 1479 novembre 3. Da un documento pubblicato da Milanesi (Documenti per la storia dell'arte senese 1854-56, II, p. 460), si apprende come questo maestro fosse un intagliatore di marmo che nel corso del 1453 aveva fornito la lapide marmorea per la sepoltura del Rettore Urbano e aveva svolto anche altri lavori. E’ quindi chiaro che i suoi rapporti con lo Spedale, anche se sporadici, erano di vecchia data, come risulta chiaramente da questo documento: “ maestro Urbano di Pietro e Bartolomeo suo fratello intagliatore di marmo deno avere per infino questo dì 12 d'aprile (1453) lire 60 sò per la lapide marmorea posta a la sepoltura di misser Urbano Rettore stato. Et deno avere per infino a dì detto lire 12 per la pila di marmo posta a la porta dela sagrestia nuova ”.

I pagamenti da lui riscossi sono numerosi e regolari e quello che colpisce è l'entità delle cifre che riceve, anche rispetto a quelle di altri maestri. Probabilmente nei pagamenti vengono incluse, al di là del salario per le opere prestate, anche le spese sostenute, e poi risarcite dal Camarlengo, per l'acquisto del materiale. È questo maestro che si occupa della realizzazione delle cornici decorative in pietra, sia interne che esterne alla chiesa59, senza contare che appare specializzato anche in opere di copertura, fornendo docci e cornici per il tetto 60. 0ltre infatti a questo intervento, gli vengono affidate altre opere del genere sia in casa del Rettore61 che nei dormitori62 e in altri luoghi del complesso. Queste notizie sono interessanti perché testimoniano come, nel corso di questo primo periodo considerato, i lavori di copertura e di decorazione esterna ed interna fossero stati almeno in parte iniziati, mettendo in evidenza come la nuova costruzione si presentasse almeno in buona parte compiuta. Per quanto riguarda i due pittori, essi sono Pellegrino di Mariano 63 e Domenico di Cristofano che lavoreranno per la nuova chiesa fino al termine della sua realizzazione. Già in questa prima fase infatti, vengono acquistate colle64, colori65 e gesso66, indispensabili sia per intonacare che per dipingere e decorare. In conclusione, nel primo decennio in cui si procede ai lavori di ampliamento della chiesa vengono realizzate opere di fondazione e di muratura, provvedendo anche in parte alle decorazioni interne ed esterne e alla copertura della nuova costruzione. Questo farebbe supporre che il grosso del lavoro fosse stato all'epoca realizzato, anche se nella seconda parte dell'intervento, che comprende gli anni 1473-1481, numerose sono ancora le attività edilizie che vengono effettuate.

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BANCH1 1877, p. 266, n. 1. ASS, Sp. 869, c. 70r; 1483 novembre 21 e ASS, Sp. 869, c. 76r; 1483 dicembre 24. 61 ASS, Sp. 865, c. 51r; 1479 novembre 3. 62 ASS, Sp. 869, c. 70r; 1483 novembre 21. 63 Pellegrino di Mariano è un pittore e miniatore senese scolaro di Sano di Pietro. Delle sue opere di pittura non resta quasi niente, ma sappiamo che ha restaurato le miniature dei libri corali del Duomo e quelle dell'ospedale (Documenti per la storia dell'arte senese 1854-56, II, p. 380). 64 ASS, Sp. 858, c. 34r; 1470 giugno 23. 65 ASS, Sp. 858, c. 45v; 1470 agosto 29 e ASS, Sp. 858, c. 45v; 1470 agosto 31. 66 ASS, Sp. 858, c. 36v; 1470 agosto 29. 60

In questa seconda fase il maestro responsabile del cantiere è Galgano di Giovanni, che lavorerà attivamente per lo Spedale fino alla fine del secolo67. Le numerose notizie che le fonti ci forniscono di lui, ci permettono di avere un'idea precisa sulla sua attività, sulla sua formazione professionale e sui suoi rapporti con lo Spedale. I primi documenti che lo riguardano risalgono al giugno 1460 68; in essi Galgano di Giovani viene definito manovale e muratore della casa e probabilmente l'uso dell'aggettivo “ nostro ” lascia supporre che si tratti di un famiglio di casa. La prima serie di pagamenti da lui percepiti come manovale occupa un arco cronologico di circa due anni e le cifre riscosse non sono mai eccessivamente elevate, dal momento che la somma maggiore ammonta a 44 soldi69. Il fatto curioso è che a partire dal 1466, Galgano viene citato dalle fonti come “ maestro garzone a la butigha del legname ”70 e in questa veste riscuote una serie di pagamenti per circa tre mesi, ricevendo un totale di 5 lire e 52 soldi71. Solo a partire dal gennaio 1467 viene definito “ nostro maestro di casa ”72 e tale rimarrà per tutto il periodo analizzato. L'idea che emerge da questa analisi è che il maestro avesse una formazione che implicava una conoscenza generale di tutte le attività che si

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L'ultimo pagamento registrato a suo nome è in data 15 giugno 1500 (ASS, Sp. 881, c. 57v). Il primo pagamento è in data 16 giugno 1460 e la cifra riscossa è di 20 soldi (ASS, .Sp. 69 ASS, Sp. 856, c. 38v; 1461 marzo 11. 70 I primi due pagamenti sono di 20 soldi ciascuno. Il primo è in data 21 giugno 1466 (ASS, Sp. 857, c. 26v); il secondo è in data 2 agosto 1466 (ibidem). L'ultimo pagamento riscosso il 13 agosto 1466 è di 5 lire e 12 soldi (ASS, Sp. 857, c. 27v). 71 ASS, Sp. 857, c. 36v; 1466 gennaio 10. 72 Un maestro di legname, Pavolo d'Ambrogio, riscuote 40 soldi per “ due chalzuoli di tarzia da mettere alle spallette del coro ” (ASS, Sp. 860, c. 39v, 1474 maggio 11) e Meio di Senso con i compagni riscuote 20 soldi “ per una huopera colla sega a segare certi regoli per la fabricha della chiessa ” (ASS, Sp. 860, c. 40v; 1474 maggio 25). Ancora per la detta costruzione vengono ordinati da un certo Crescenzo “ tre pontoni vecchi ” per realizzare il palco (ASS, Sp. 860, c. 60v 1474 ottobre 25) e Simone d'Antonio con il compagno viene pagato 5 lire e 12 soldi per “ huopare dodici aiutaro a segare le fodere del chancello della chapella ” (ASS, Sp. 860, c 70v; 1475 giugno 28). Un altro maestro di legname che compare nelle registrazioni dei pagamenti in questo periodo è Giorgio di Guglielmo che riscuote 3 lire; “ per più chalzuoli di tarsia per lo choro ” (ASS, Sp. 865, c. 65r; 1480 gennaio 18) e 40 soldi “ per certa tarsia per lo choro della chapella ” (ASS, Sp. 867, c. 34v; 1481 luglio 13). Numerosi sono anche i manovali e i maestri muratori specializzati attivi in questo cantiere. Pietro di Guglielmo con i suoi compagni “ per channe trenta due di spazo fecero nella nostra chiesa ” (ASS, Sp. 859, c. 67r; 1474 febbraio 14) riscuote 11 lire e 4 soldi e sono sempre questi stessi uomini che si occupano anche di fare “ lo scialbo della chiesa ” ricevendo un compenso di 9 lire (ASS, Sp. 859, c. 74v; 1474 aprile 28). 68

svolgevano in un cantiere: dalle opere di manovalanza e muratura, a quelle della lavorazione del legname. Se per Guidoccio d'Andrea tutte le fonti concordano nel definirlo un maestro di legname, in questo caso non si può parlare di una specializzazione vera e propria in un qualche settore, dal momento che dalle fonti emerge chiaramente una sua generale preparazione in ogni tipo di attività. Si può, comunque, supporre che, per lo più, si trovasse a svolgere dei compiti di muratura, in quanto le prime notizie che abbiamo di lui ce lo presentano come manovale e muratore. La sua attività come garzone in una bottega di legname si delinea solo in un secondo momento, quando probabilmente nasce l'esigenza di formare un maestro in grado di dirigere e coordinare gli uomini di un cantiere e che quindi mostrasse una certa conoscenza anche riguardo alla lavorazione del legno. Questa ipotesi potrebbe essere confermata anche dal fatto che, rispetto al primo decennio, in questa seconda fase dei lavori si registra un numero più alto di maestri di legname e segatori che lavorano attivamente nel cantiere fino al termine della costruzione, giungendo anche a realizzare opere di grande prestigio, ben oltre la normale routine decorativa. È nel 1473 che Galgano prende le redini del cantiere della nuova chiesa, ma una lunga serie di pagamenti attesta chiaramente una sua attiva presenza nello Spedale anche negli anni precedenti, pur non possedendo nessun dato che possa delucidarci sul tipo di lavori da lui effettuati, prima di questo importante intervento. Anche Galgano, come tutti coloro che organizzavano il cantiere, si occupa principalmente di due distinti compiti: quello di provvedere alla fornitura del materiale e alla realizzazione vera e propria della costruzione. Le paghe da lui percepite sono regolari e si registrano in tutti i mesi dell'anno: le cifre non sono mai eccessivamente alte, ma i pagamenti vengono effettuati anche due volte in un mese. Insieme a lui nel cantiere sono attivi diversi uomini. Molti sono segatori e maestri di legname che con i loro compagni offrono la loro collaborazione nell'eseguire lavori di conciatura e di lavorazione di travi e di strutture lignee73. L'impressione è di una vera e propria organizzazione, costituita da un capomastro e da alcuni manovali che, originari della Val di Lugano, erano 73

In questo periodo, infatti, viene segnalata una spesa di 5 lire e 18 soldi “ per huopere si m~sse allo sgombro della chiesa ” (ASS, Sp. 8GO, c. 47v; 1474 luglio 9) e un ulteriore pagamento di 11 lire e 18 soldi “ a otto lombardi manovali per soldi sette al dì che aiutano huopere trenta quatro allo sgombro della chapella de' relicui ” (ibidem). Senza dubbio si tratta sempre della stessa società che rimane a lavorare nel cantiere per tutta la durata dei lavori.

stati ingaggiati dallo Spedale per svolgere dei lavori di un certo rilievo e che richiedevano di conseguenza la disponibilità di un numero maggiore di uomini74. C'è da tenere inoltre presente che i manovali che fanno parte di questa impresa vengono aiutati anche dagli uomini di casa, come Bernardo di Jacomo che riscuote 3 lire “ per dodici dì aiutò allo sgombro della chiesa ”75 e del quale non si hanno altre notizie al di là di questa. E’ quindi evidente che dal 1473 al 1475 i lavori concernenti l'ampliamento della cappella sono stati completati e si iniziano opere di finitura all'interno della nuova chiesa, volte sia ad arricchirla tramite decorazioni e pitture, che alla costruzione di nuove cappelle76. Le notizie riguardanti il nuovo coro, realizzato da Antonio del Minella, non sono molto precise e l'unica indicazione che ci viene offerta è il nome del garzone, Niccolò di Marco, che lo aiuta in quest'opera. Un dato sicuro è che questo è stato l'ultimo lavoro effettuato all'interno della nuova chiesa, ormai completata in ognl sua parte. In questa seconda fase dei lavori emerge che la maggior parte dei manovali, a differenza di quanto si verifica nel primo decennio, permane più a lungo nel cantiere, tanto che molti di essi rimarranno alle dipendenze del Santa Maria della Scala per tutto il secolo. C'è inoltre da osservare come maggiori siano i maestri specializzati: da Galgano di Giovanni che dirige tutti gli uomini del cantiere, al maestro di pietra Francesco di Bartolomeo, dal fabbro Agnolo di Rota, all'intagliatore e incisore del legname Antonio del Minella. Un altro dato interessante è che anche il semplice manovale non sembra lavorare a giornata ma presta la sua opera per un periodo decisamente più lungo,che solo in casi eccezionali è inferiore ad un mese. Inoltre compaiono anche altre organizzazioni di manovali che sono guidate da un capomastro specializzato e che rimangono alle dipendenze dello Spedale per un lungo arco di tempo, variamente impiegate nei lavori più consistenti e di lunga durata. 74

ASS, Sp. 860, c. 57r; 1474 ottobre 10. Interessante tra le altre, anche l'attività del fabbro Agnolo di Rota, che riscuote 50 soldi per “ trenta paia di dubioni per li sedi del choro ” (ASS, Sp. 865, c. 74v, 1480 marzo 15), come quella dell'artista Antonio di Minella che realizza il coro (ASS, Sp. 866, c. 28r; 1480 giugno 28) anche all'interno della precedente chiesa gli era stato commissionato lo stesso lavoro. 76 Una di esse è quella definita dalle fonti “ cappella del marmo ” che sembra essere statarealizzata nel gennaio 1475 (ASS., Sp. 860, c. 69r) all agosto dell'anno successivo, quando viene registrata l'ultima spesa per l'acquisto del materiale (ASS., Sp. 862, c. 45v). 75

I documenti ci offrono inoltre notizie più dettagliate riguardo alla formazione di alcuni degli uomini che troviamo coinvolti in questi lavori edilizi. Da una parte i maestri veri e propri, specializzati in settori della muratura, della pietra e del legname e dall'altra i manovali, alcuni dei quali da semplici garzoni riescono ad avere un ruolo sempre più specifico e determinato nel cantiere. L'organizzazione del lavoro appare dunque piuttosto complessa: al gradino più basso troviamo i garzoni, che potremmo considerare dei semplici aiutanti variamente addetti alla lavorazione del legname o ad opere di muratura e che svolgevano i compiti più disparati. Poi c'erano i manovali, le cui competenze erano svariate, come la realizzazione di muraglie, di coperture e anche opere di stuccatura e imbiancatura, ma che, a differenza dei garzoni, sembrano avere più esperienza e quindi non solo erano in grado di saper svolgere tutte queste operazioni, ma insegnavano il mestiere ai giovani apprendisti, che li aiutavano in queste mansioni. Talvolta i manovali sembrano a loro volta guidati da un capomastro e ciò avviene quando si riuniscono tra loro formando una piccola impresa di costruzioni. Questo è il caso di Pietro d'Antonio, che viene definito maestro muratore, e dei suoi compagni, tutti muratori, provenienti dal Canton Ticino. Tutti gli altri uomini, in genere famigli di casa, sono invece guidati dal maestro che era incaricato dal Capitolo dello Spedale di provvedere alla direzione del lavoro. Anche il maestro ha per un certo periodo una determinata formazione che lo porta a svolgere varie attività, anche se poi finisce per avere una specializzazione in un determinato settore. In genere risulta essere un famiglio dello Spedale che intreccia perciò un rapporto assai lungo con l'ente, il quale provvede direttamente alla sua formazione e poi lo assume a tempo pieno come direttore delle sue opere edilizie. Si può perciò supporre che venisse pagato in base ad un salario annuale e non a compenso giornaliero o in base alle opere prestate, e in genere i suoi introiti superano le quotazioni più alte previste dai normali livelli tariffari. 4. La tettoia per la protezione degli affreschi sul fronte dello Spedale Negli stessi anni in cui si lavorava alla copertura del palazzo del Rettore (vedi infra), si assiste anche alla risistemazione della lunga tettoia che copriva gli affreschi eseguiti dai Lorenzetti e, forse, da Simone Alartini

sulla facciata principale dell'edificio ospedaliero77 e che era stata realizzata per proteggere le Stone della Vergine dietro consiglio degli stessi pittori78. Intorno al 1480 questa copertura, che si appoggiava a dei grandi mensoloni, viene probabilmente risistemata o sostituita, dopo i grossi interventi di sopraelevazione della chiesa e del palazzo del Rettore, che vengono a modificare in modo radicale il fronte principale dell'edificio. Questo lavoro si protrae per quasi un intero anno, anche se nelle registrazioni dei pagamenti appare un evidente 'vuoto' nei mesi invernali, quando, probabilmente, il cantiere era fermo. Dalle date delle registrazioni dei pagamenti per l'acquisto dei materiali da costruzione è infatti possibile dedurre la durata del lavoro: se la prima spesa riportata nelle fonti reca la data del settembre 148079, l'ultima, che si riferisce all'acquisto di elementi di decorazione, è registrata nel mese di agosto del 148180. In occasione di questo intervento emerge dai documenti un impiego considerevole di legname. Gli acquisti del materiale sono regolari e appaiono registrati con continuità coprendo per intero la durata del lavoro81.

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Anche Girolamo Macchi ritorta la notizia: “ Pitture antiche che sono sotto il tetto nella plazza dello Spedale (...). Pietro Lorenzetti pittore senese ce ne dipinse due delle istorie sotto il tetto verso il convento delle fanciulle l'anno 1331 ” (MACCHI, Origine, c.25r). Lo stesso ci informa inoltre che i1 27 febbraio 1481 vengono terminate altre pitture “ che sono sotto il tetto dela piazza e che costarono complessivamente 300 lire ”(ibidem, c. 12r). 78 “ Nel 1720 fu demolito un lungo tetto che sporgeva fuori della faccciata dello spedale, incominciando dal conservatorio delle donne fino alla chiesa, ossia alla porta principale di essa. Era stato fatto questo tetto col saggio consiglio di Pietro e Ambrogio di Lorenzo suo fratello i quali poi, dipingendo le Storie rammentate dal Vasari e da altri, dovevano porgere un giocondo spettacolo a chi passava per la piazza del Duomo alla facciata del quale stavano di fronte, cosicchè restavano al coperto dell'intemperie delle stapioni, e fu un colpo fatale ner esse pitture la stravagante barbarie di chi ebbe parte a rovinare quel tetto per dare a quella fabbrica un liscio insignificate ” (DELLA VALLE 1782-86, II, pp. 208-209). 79 ASS, Sp. 866, c. 41r; 1480 settembre 23. 80 ASS, Sp. 8G7, c. 25v; 1481 maggio 30. 81 Ben sette viaggi effettuano Andrea d'Antonio e compagni per trasportare delle querci “ per fare e' montoni per la tettoia ” (ASS, Sp. 866, c. 41r; 1480 settembre 23. Il pagamento riscosso è di 4 lire e 12 soldi. Il materiale proviene dalla località della Querciola), mentre Domenico d'Antonio, trainatore, porta “ quatro chastagni ” ricevendo un compenso di 40 soldi ( ASS, Sp. 866, c 52r; 1480 dicembre 15). All'edificio ospedaliero vengono anche condotti “ fastella dodici d'asari ”, acquistati da un certo Piero da “ semignano ” (ASS, Sp. 866, c. 76v, 1481 aprile 16. La spesa sostenuta dallo Spedale è di 3 lire e 12 soldi) e quattro castagni venduti dalle monache di S. Prospero e condotti poi a destinazione da Niccolò di Damiano famiglio di casa (ASS, Sp. 867, c. 25v; 1481 maggio 30. “ Lo nuovo tetto faciamo sopra le storie di fuori adì XXX detto lire 9 soldi 8 contanti alle monache di Santo Prospero e per loro portò Niccolò di Mariano per quatro chastangni comprò maestro Galgano nostro ”).

Complessivamente vengono almeno comprati 8 castagni, ma nei documenti non viene specificato né il numero delle querce né il tipo di legno delle assi. In tutti i casi conosciamo i nomi dei fornitori, ma non sempre emerge la località di provenienza del materiale. Le spese complessive per l'acquisto del legname, stando alle informazioni contenute nei registri delle Entrate e Uscite di denari, ammonterebbe a 16 lire e 72 soldi. Nella lavorazione di questo materiale vengono impiegati alcuni segatori, ma le fonti sono piuttosto avare nel fornirci informazioni più dettagliate riguardo a tutta la manodopera che ha preso parte a questo intervento, contrariamente a quanto avviene per i cantieri della chiesa e del palazzo del Rettore82. Un dato interessante, che emerge dall'analisi di questo intervento costruttivo, è l'acquisto, oltre che del legname e delle tavole di castagno e di quercia83, anche di pezze d'oro che venivano utilizzate per la sua decorazione84. Sembra infatti che la tettoia venisse decorata con delle piccole stelle, dopo essere stata lucidata e preparata con delle apposite lacche85. È ipotizzabile quindi che per la sua completa realizzazione fosse necessaria una notevole quantità di oro86, Le forniture avvengono regolarmente, anche se le quantità maggiori sono registrate durante il mese di giugno del 1481. Sano di maestro Andrea è il fornitore87, ma non abbiamo notizie riguardo alla località di provenienza del materiale. Quello che è certo, è che lo stesso Sano aveva già precedentemente venduto il medesimo materiale all'ospedale, in quanto nell'aprile 1479 riscuote un pagamento di 25 lire e 14 soldi “ per 500 pezze per lo palcho della chapella ”88, che forse presentava lo stesso motivo decorativo della tettoia.

82

Uno dei pochi uomini che conosciamo è Rosso, che lavora insieme ad un suo compagno e che riceve un compenso di 4 lire e 10 soldi per un totale di sei giornate lavorative prestate (ASS, Sp. 866, c. 51r; 1480 dicembre 8). 83 ASS, Sp. 866, c. 41r; 1480 settembre 23 e ASS, Sp. 866, c. 52r; 1480 dicembre 15. 84 ASS, Sp. 867, c. 29v; 1481 giugno 16. 85 ASS, Sp. 867, c. 24r, 1481 maggio 21: “ El nuovo tetto faciamo di fuori alle fighure a dì XXI lire 12 per soldi due non uno di lacha fina e per soldi dicesete di lacha più grosa compramo ”. 86 Nel periodo considerato vengono infatti acquistate in totale 2425 c~ pezze d'oro ”, per una spesa di lire 104 e 48 soldi. 87 ASS, Sp. 867, c. 23v; 1481 maggio 17. 88 ASS, Sp. 864, c. 77r; 1479 aprile 30.

5. Gli interventi al palazzo del Rettore. L'innalzamento della chiesa induce all'allineamento in altezza della parte adiacente al palazzo del Rettore che adotta una diversa soluzione per il coronamento, preferendo alla ricca cornice in arenaria una più tradizionale merlatura. Se i lavori di innalzamento della chiesa possono considerarsi terminati prima del 1480, i documenti ci forniscono preziose indicazioni riguardo alla costruzione del tetto della casa del Rettore che si esegue posteriormente alla realizzazione di quello della nuova chiesa89. Gli interventi all'interno del palazzo vengono invece effettuati precedentemente, nel corso del 1479, e il lavoro più interessante—ricordato dalle fonti —è la realizzazione di un camino in una saletta interna, che viene affidata ad Urbano di Pietro, scalpellino e maestro di casa ''90. Le notizie riguardanti i lavori in casa del Rettore sono numerose e ci consentono di avere qualche informazione sogli uomini che vi lavoravano. Un documento riporta una serie di pagamenti a tre manovali in rapporto alle opere prestate: “ le spese della chasa a dì sino detto lire nove e soldi quatordici contanti in questo modo: cioè Antonio di Sabatino per hopere dicenove per soldi nove el dì manovale e Ghuglielmo per soldi sedici per due huopere di manovale e a Lorezo di Manetti soldi sette un dì aiutano in chasa del nostro Missere ”91. 89

Il 29 aprile 1482 viene registrata infatti una spesa di 4 lire e 4 soldi per l'acquisto di materiale necessario per la costruzione di “ parte del tetto grande di casa di missere ” (ASS, Sp. 867 c. 79v; 1482 aSrile 29) e per l'intero mese di maggio si protraggono l'acquisto di legname ed assi per “ cuprire e palazetto ” (ASS, Sp. 868, c. 18r; i pagamenti si protraggono fino al 25 maggio 1482. Ctr. ASS, Sp. 8G8, c. 21r). Se infatti il maestro Galgano acquista 50 tavole d'abete (ASS, Sp. 868, c. 46r; 1482 maggio 9) le fonti riportano con continuità la registrazione di forniture di assi per un totale di 31 “ fastella ” ordinate, che comportano una spesa complessiva di 8 lire e 4 soldi per “ dodici fastella d'asari ” (ASS, Sp. 867, c. 79v; 1482 aprile 29). L'ultima spesa è invece di 34 soldi che vengono pagati al maestro di legname Mattio per la fornitura di “ cinque fastella d'assari ”, (ASS, Sp. 868, c. 21r 1482 maggio 25). Solo in un caso abbiamo il nome del fornitore Girolamo di Meio, segatore della Massa (ASS, Sp. 868, c. 18r, 1482 maggio 25), che possiamo supporre essere il solo che ha procurato tutto il materiale necessario per il lavoro, fornendolo in più riprese. 90 Il primo pagamento che viene registrato del Camarlengo è infatti a suo nome e si riferisce ad una spesa di 11 lire e 10 soldi per l'acquisto di “ bechatelli e due stipetti e una architrave per una cimineia in saletta verde in casa di Missere nostro ” (ASS, Sp. 8G5, c. 51r; 1479 novembre 3).Jacomo di Nanni “ che chava li tufi ” riscuote 4 lire “ per quatro tufi compramo per mettare a' tocolari ” (ASS, Sp. 865, c. 51v; 1479 novembre 6) e diverse sono anche le some di gesso comprate per il lavoro in corso. Le registrazioni dei pagamenti infatti riportano le numerose forniture di questo materiale, vendute da un certo Guasparre di Simone. 91 ASS, Sp. 865, c. 55r; 1479 novembre 29. 92 ASS, Sp. 865, c. 58v; 1479 dicembre 15.

MAESTRI E MANOVALI ATTIVI NEL CANTIERE DELLA NUOVA CHIESA DAL 1466 AL 1472 NOME

QUALIFICA

Adamo d'Antonio Andrea di Francio Andrea Bartolomeo di Buonaventura Bartolmeo di Giovanni Bernardo di Bartolomeo Bertore di Jacomo Domenico di Matteo Domenico di Stefano Filippo di Mariano Francesco di Jacomo Giovanni d'Ambrogio Giovanni d'Andrea Giovanni d'Antonio Giovanni di Bernardo Giovanni di Francesco Giovanni di *** Giovanni di Ranieri Guidoccio d'Andrea

maestro muratore segatore manovale manovale

Jacomo di Graziuolo Martino d'Antonio Martino di Jacomo Piero di Ramondo Piero di Gremino Tonio di Martino Urbano di Pietro

93

PROVENIENZA PERMANENZA DEL CANTIERE Bellinzona III/1466 S.Colomba X-XII/1466 Scozia XI/1470 — VIII/1471-III/1472

PERMA

manovale manovale

manovale



VI/1470 manovale

manovale manovale manovale manovale manovale manovale manovale manovale manovale manovale manovale manovale manovale M°direttore del cantiere manovale manovale maestro di murare manovale manovale manovale maestro di pietra

ASS, Sp. 866, c. 39r; 1480 settembre 9.

Voltolina Lombardia — Lugano Voltolina — Scozia Milano Lombardia —

VIII/1471 IX/1470 VIII/1471 X/1466- IV/1467 V/1471 VI/1466-III/1467 III/1466 XI/1470 III/1467 IX-X/1471 I/1471-IV/1473

Lombardia Lombardia —

V/1470 IX/1470 V/1445-III/1472

— — Bellinzona Sicilia — Lombardia Cortona

VIII/1466-III/1467 VIII/1471 III/1466 VI/1471 III/1471 VIII/1471 VI/1470 XI/1473

manovale manovale manovale manovale manovale manovale manovale manovale manovale manovale manovale manovale manovale

manovale

manovale manovale

MAESTRI E MANOVALI ATTIVI NEL CANTIERE DELLA NUOVA CHIESA DAL 1473 AL 1481 Agnolo di Rota Andrea di Jacomo Antonio di Bartolomeo Antonio di Beltramo Antonio di Giovanni Antonio di Renaldi Antonio di Ricco Bartolomeo d’Aantonio Bernardo di Jacomo Bertino d’Antonio

fabbro muratore manovale

— — —

III/1480 XII/1475-III/1476 X/1476

manovale manovale manovale muratore manovale

Val di Lugano — — —

VIII/1476-X/1482 IV/1472-IV/1474 VII/1473 VIII/1478 VII/1475

manovale scalpellino

— —

X/1474 II/1476

Buono di Giovanni

manovale



III/1480

Domenico di Baldassarre Francesco di Bartolomeo Francesco di Giglio Galgano di Giovanni

manovale

Lombardia

IV/1474

maestro di pietra segatore M°direttore del cantiere manovale



Giorgio di Baldassarre Giorgio di Domenico manovale Giorgio di Giorgio manovale

Lombardia

Dal II/1474 alla fine dei lavori XII/1473 Dal V/1473 alla fine dei lavori V/1474 VIII/1477

Lombardia —

IV/1474 VIII/1476

Giorgio di Guglielmo maestro di legname Giorgio di Guidoccio manovale

Magna Bologna

Dal V/1473 alla fine dei lavori VIII/1476

Giorgio di Piero Giovanni di Beltramo Giovanni di Turino Gregorio di Giorgio Guglielmo di Giovanni Jacomo d’Agnolo

segatore manovale

— Como

VII/1473 X/1473

muratore manovale manovale

Piemonte — —

manovale



VIII/1476-II/1477 XI/1476 Dall’XI/1478 alla fine dei lavori Dal II/1475 alla fine dei lavori

— —

MAESTRI E MANOVALI ATTIVI NEL CANTIERE DEL PALAZZO DEL RETTORE (ANNI 1479-1483). NOME

QUALIFICA

Antonio di Sabatino manovale Francesco di manovale Domimo Francesco di Pavolo manovale

PROVENIENZA PERMANENZA NEL CANTIERE — XI/1479 — XII/1479

Giorgio di Sigondo

manovale



Dal II/1483 fine dei lavori IV-V/1482

Giovanni Micheli

manovale

Volterra

XII-1480

Giuliano Guglielmo Jacomo d’Agnolino

scalpellino manovale manovale

— — —

Lorenzo di Manetti

manovale



IV-VII/1482 XI/1479 Dal V/1483 fine dei lavori XI/1479

Menico di Santi Niccolò di Meio Pietro di Corrado Polomo Silvestro d’Adrea Urbano di Pietro

manovale muratore manovale segatore manovale M°direttore del cantiere manovale

— Poggibonsi —

Venturino di Bernardo

Parma

— Cortona —

alla

alla

XII/1479 II-III/1480 XII/1481-X/1482 VII/1480 I-1481 Dall’XI/1479 alla fine dei lavori IV-VI/

Un altro manovale che ha preso parte ai lavori è Menico di Santi che “ per tre huopare aiutò a' nostri maestri a sghomberare in casa di Misere tera ”, riscuote 21 soldi 92. Nel corso di questi lavori si provvede inoltre anche alla realizzazione dell'impianto di smaltimento in questa parte dell'edificio. La casa spende infatti 34 soldi “ per dodici chanoni da privali e una dopia per li privali di

94

Ibidem.

casa di Missere ”93 e ancora 40 soldi per “ vincti canoni grandi da privali per fornire il privale di Missere conpramo da Mateio di Lorenzo fornaciaio ”94. Al termine di questi interventi si provvede anche ad imbiancare l'abitazione 95. E’ interessante come sia stato possibile seguire con una certa precisione tutte le fasi che hanno caratterizzato i lavori all'interno di questa abitazione: dalla costruzione del camino, all'imbiancatura finale. Per quanto concerne la durata dell'intervento, sembra che questo sia stato effettuato in tre precisi periodi: nel primo, da novembre a gennaio, si provvede al camino, nel secondo, avvenuto nel mese di settembre, si costruiscono le fognature e nel terzo, che si protrae fino al 1483, si provvede ad interventi di rifinitura e di imbiancatura

95

È registrato infatti un pagamento a Jacomo di Daniello e compagni “ dipentori ” di 27 lire e 8 soldi, per “ resto di loro dipentura e colori ànno fatto nella casa di Missere ” (ASS, Sp. 865, c. 66r, 1480 gennaio 23). Gli stessi riscuotono inoltre 50 soldi per un'ulteriore “ dipentura fa in casa di Missere e per due tazzie ” (ASS, Sp. 868, c. 73r; 1483 marzo 29).

Il metodo di lettura stratigrafica Generalità La vita di un edificio è sempre caratterizzata da tutta una serie di cambiamenti, ampliamenti e spesso distruzioni delle sue strutture; questo è vero in particolare per 1' età preindustriale, quando si preferiva riutilizzare il preesistente anzichè ricostruire ex-novo un edificio. I1 metodo stratigrafico applicato allo studio degli elevati si propone di individuare i risultati delle singole azioni costruttive o distruttive (le cosiddette Unità Stratigrafiche Murarie), raggruppabili poi in insiemi « configurabili ai nostri occhi come delle azioni insistenti, cioè come delle attività »1 , al fine di ricostruire la loro successione cronologica per poi risalire alle vicende costruttive dell'edificio 2. Riferendosi in particolare ad un contesto urbano, il metodo stratigrafico si impone proprio in quanto strumento di profonda e capillare conoscenza: è infatti soprattutto in città che la continuità di vita (e quindi di interventi sul tessuto edilizio) ha come risultato una grande complessità di elementi diversi, coesistenti su un unico edificio. Tenendo conto della crescente affermazione di un interesse volto alla valorizzazione ed al recupero della città con il suo centro storico, lo studio dello Spedale di Santa Maria della Scala ha voluto concretamente unire il momento conoscitivo a quello di intervento e di valorizzazione. Questo in un'ottica secondo la quale qualsiasi intervento di restauro, in quanto anch'esso parte della storia dell'edificio debba inserirsi senza traumi nello svolgimento delle sue vicende costruttive3. Le analogie, più numerose delle differenze, tra questo ambito di studi e lo scavo archeologico, hanno permesso di mutuare dalle problematiche della stratigrafia orizzontale alcuni dei parametri distintivi le varie unità stratigrafiche (sia che riguardino azioni distruttive o costruttive), i metodi di registrazione e l'utilizzo del matrix di Harris4. Riuscire ad elaborare una cronologia relativa può essere molto utile, soprattutto quando di un edificio non si posseggono elementi datanti sicuri per ogni tipo di intervento edilizio; inoltre la cronologia relativa è leggibile 1

CARANDIN1 1981, p. 199. La bibliografia inerente questo ambito di studi è ormai alquanto numerosa. Basti citare in questa sede PARENTI 1985a e 1988; BROGIOLO 1988a e b; DE MINICIS 1986; DOGLIONI 1988. 3 Sull'argomento cfr. FRANCOVICH 1985; FRANCOVICH 1988-89. 4 HARRIS 1983. 2

immediatamente, una volta individuati i rapporti fisici intercorrenti tra le varie parti di una struttura in elevato. Da questo tipo di cronologia sarà poi possibile passare ad una cronologia assoluta, individuando tra le varie attività succedutesi nell'edificio quelle cronologicamente sicure e raggruppando poi tutte le altre in stretta relazione con queste. L'esperienza compiuta sul Santa Maria della Scala, dove è stato possibile ap plicare in concomitanza diversi metodi archeologici (prassi quanto meno auspicabile nello studio di manufatti compositi e complessi quali i prodotti edilizi), ha dimostrato ancora una volta quanto l'indagine stratigrafica si riveli imprescindibile base di partenza di un corretto approccio finalizzato alla conoscenza "storica" dell'oggetto indagato. La ricerca ha voluto, fin dall'inizio, mantenere separata la fase della raccolta e dell'elaborazione dei dati (che deve rimanere il più possibile oggettiva) dal momento interpretativo, che rappresenta la fase conclusiva del lavoro5. La prima parte della ricerca è quindi consistita nel riconoscimento delle varie unità stratigrafiche murarie leggibili sul paramento della facciata. I loro limiti sono stati successivamente evidenziati sul prospetto, eseguito a pantografo, in scala 1:20, per la parte inferiore della facciata e sul rilievo fotogrammetrico, in scala 1:50, per l'area soprastante. Tutti i dati relativi ad ogni USM (collocazione topografica, descrizione, rapporti stratigrafici con le unità circostanti) sono stati, quindi, riportati nell'apposita scheda. Proprio questa fase del lavoro, finalizzata all'elaborazione del matrix, si è rivelata di fondamentale importanza per il riconoscimento delle diverse fasi costruttive e per il chiarimento dei rapporti cronologici. Talvolta questo ha significato la rimessa in discussione di ipotesi formulate in studi precedenti: l'aver individuato, ad esempio, la cesura presente (USM 118) sul paramento esterno del piano terra della Casa dei Gettatelli, ha, infatti, permesso di comprendere che questo corpo dello Spedale è nato in due tempi, seppur molto ravvicinati6. Al secondo di questi momenti costruttivi, costituito dall'ampliamento verso est della Casa dei Gettatelli (comprendente due bifore al primo piano ed un portale d'ingresso al piano terra), si deve anche la costruzione del nucleo 5

Lo stesso criterio è stato seguito in questo volume nell'esposizione dei dati, che si è cercato di mantenere il più possibile distinta dalla loro interpretazione. 6 Si veda relazione settore III

originario della Corsia Marcacci7, considerata fino ad oggi successiva di diversi anni al suddetto edificio8. Il rapporto di contemporaneità tra queste due parti dello Spedale è dimostrato dal fatto che nell'angolo formato dai due corpi di fabbrica, le murature si legano9. Ancora riguardo a questa zona dello Spedale, è stato possibile verificare che le due monofore (USM 40 e USM 42 del III settore), oggi tamponate, sono nate contemporaneamente al primitivo corpo dell'edificio, a differenza di ciò che precedentemente era stato ipotizzato10. Un altro importantissimo contributo dell'analisi stratigrafica va indicato nel riconoscimento della cesura (USM 117) situata sul paramento in calcare dell'ori ginaria chiesa dello Spedale (settore III). L'individuazione di questa USM ha permesso di delimitare la porzione di muratura in pietra, fino ad oggi non riconosciuta, che è servita da raccordo tra la Casa dei Gettatelli e la chiesa. I rapporti stratigrafici dimostrano, infatti, che 1'USM 89 poggia (quindi è stratigraficamente successiva) sia al paramento in pietra, USM 33, sia alla muratura in mattoni (USM 110)11. Gli esempi finora citati sono solo alcuni tra i più significativi risultati dell'analisi stratigrafica compiuta sul complesso ospedaliero. Nonostante ciò, va sottolineato che alcune difficoltà sono nate a causa degli interventi restaurativi subiti dall'edificio. In particolare ci riferiamo ai restauri operati tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo, che, proprio per il loro intento imitativo, hanno reso talvolta difficilmente riconoscibili le porzioni di muratura originali ed alcuni rapporti stratigrafici 12. Al di là di questa difficoltà, dovuta essenzialmente alla traumaticità dell'intervento di restauro, la cronologia ricostruita tramite l'apporto della 7

Non ci pare opportuno operare delle generalizzazioni basate su quei documenti che citano la presenza di torri nel contado e, soprattutto, in alcuni centri toscani, tuttavia non sembra possibile dimostrare l'esistenza di torri in epoche anteriori agli ultimissimi anni del X secolo, mentre la fine della stagione di costruzione della torre come tipologia edilizia privata, adibita non esclusivamente a scopi militari o a status symbol, si può collocare fra la fine del XII e i primissimi decenni del XIII secolo. A Firenze viene proibito il rialzamento o la costruzione di nuove torri nel 1250 (SANTINI 1887, p. 26), mentre a Siena non siamo a conoscenza di una situazione simile, forse addirittura regolamentata dagli statuti, ma dall'Estimo del 1318 si può osservare quante di quelle torri esistenti in precedenza siano ormai inglobate in edifici, perdendo il significato principale che avevano rivestito. Nei tre terzi sono segnalate solo 16 torri e 15 « casa con torre », in confronto alle circa 60 torri esistenti ancora oggi. (BALESTRACCI - PICCINNI 1977, pp. 128-129). 8 Vedi ad esempio GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 132. 9 A tale proposito si veda la relazione del settore VI. 10 Una relazione delle due monofore con l'ampliamento trecentesco della cappella era stata proposta da GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 64. 11 Vedi relazione settore III. 12 Vedi in particolare i restauri riguardanti il settore III.

stratigrafia ha permesso di comprendere lo Spedale nel suo sviluppo storico. La stessa complessità ed il gran numero degli elementi evidenziati sul tessuto edilizio, come già detto, propri di un complesso inserito in un contesto urbano, hanno reso questo tipo di analisi un imprescindibile strumento di conoscenza, da impiegare come punto di partenza per un corretto progetto restaurativo.

Osservazioni di cronotipologia sulle aperture a sesto acuto della facciata dello Spedale La cronotipologia delle aperture, ovvero l'elaborazione di una sequenza datante dei portali e delle finestre basata sulle variazioni tecniche e formali, quale risultato di un'analisi sistematica condotta sull'intero patrimonio edilizio di un'area culturalmente omogenea costituisce, per quanto riguarda Siena e il suo territorio, un campo di ricerca ancora da esplorare1. Questo intervento, in attesa di un'eventuale, auspicabile, indagine cronotipologica sulle aperture senesi, vuole offrire alcune considerazioni sui caratteri delle finestre, dei portali e delle arcate a sesto acuto del prospetto principale dello Spedale in rapporto alle datazioni emerse dall'indagine stratigrafica. La ricerca, volta a saggiare alcuni aspetti dell'argomento, è essenzialmente basata sull'osservazione de visu, sui risultati della stratigrafia e sui principali dati ricavabili dalla restituzione fotogrammetrica in scala 1:50. E’ da precisare che essendo buona parte dei locali corrispondenti alla facciata su piazza del Duomo tuttora adibiti ad uso ospedaliero non è stato per il momento possibile, soprattutto per le finestre, analizzare sistematicamente alcuni aspetti che avrebbero richiesto un prolungato esame autoptico, quali il confronto dimensionale tra i materiali impiegati e una dettagliata analisi formale e tecnica di alcuni elementi architettonici, in particolare abachi, basi, fusti e capitelli. Tra i vari componenti delle bifore è comunque da sottolineare che proprio tali elementi sono i più soggetti al reimpiego e alla sostituzione. Per quanto riguarda l'analisi geometrica degli archi abbiamo inoltre dovuto focalizzare l'attenzione, in mancanza di rilievi adeguatamente predisposti per indagini particolarmente approfondite, sui dati macroscopici evitando di avanzare ipotesi ed osservazioni su problematiche che, per loro natura, avrebbero richiesto rilevamenti molto dettagliati e caratterizzati da una precisione assoluta2. 1

Sulle possibilità di datazione offerte dalla cronotipologia delle aperture si veda, ad esempio, FERRANDO CABONA GARDINI - MANNONI 1978; FERRANDO CABONA - CRUSI 1980; MANNONI L. e T. 1980; MANNONI 1984a; in particolare FERRANDO MANNONI- PAGELLA 1989 a cui rimandiamo anche per altre indicazioni bibliografiche. Per alcune osservazioni sulla tipologia degli archi e delle aperture senesi si può vedere CANESTRELLI 1904, pp. 1l6-117, CHIERICI 1921, DE VECCHI 1949; BRANDI 1983, pp 18-19. 2 I rilievi a nostra disposizione, pubblicati in questo volume, sono quello geometrico, in scala 1:20, riguardante la parte inferiore della facciata, e quello fotogrammetrico, in scala 1:50 relativo all'intero prospetto. Il rilievo geometrico, sebbene la scala 1:20 sia senz'altro più indicata per alcune esigenze delia nostra indagine, non è utilizzabile, almeno per quanto riguarda le problematiche

1. Le finestre (figg. 9-10) 1.1. Le finestre più antiche della facciata del Santa Maria della Scala sono le prime tre bifore a sinistra, guardando lo Spedale, del primo piano del Palazzo del Rettore, situate subito al di sopra del tratto di muratura a corsi alterni di mattoni e conci di calcare (fig. 21, p. 199). La loro costruzione risulta stratigraficamen te compresa tra le sottostanti arcate, immediatamente posteriori alla chiesa, edificata a partire dall'anno 1257, e l'ampliamento del Palazzo del Rettore realizzato, come attesta un'epigrafe, nel 1290 3. Le bifore, probabilmente collocabili intorno agli anni centrali di questo periodo, sono formate da un'arco in mattoni a sesto acuto compresso, sia nella curva dell'intradosso che in quella dell'estradosso (figg 10.1, 11) L'archivolto è leggermente ricassato rispetto al paramento murario, appena appena estradossato, impostato su mensole in cotto e circoscritto da un'esile cornice sgusciata. Quest'ultima, rivoltata in piano verso l'interno in corrispondenza dell'imposta, riporta l'archivolto al livello del circostante paramento murario. Le mensole sono modanate con un tondino, un doppio smusso e due listelli (fig. 21) 4. Nel timpano si aprono due archetti a sesto acuto equilatero, ricassati, impostati sulle stesse mensole e su un abaco modanato con uno sguscio e due listelli. Al centro è situata una colonnina con base ornata a fogliami (in un caso a toretti), fusto liscio a sezione circolare e capitello scolpito con un giro di quattro foglie, otto dentelli e un piano smussato sul quale appoggia l'abaco. Gli stipiti presentano una doppia ricassatura mentre la sottostante cornice marcapiano, in travertino, che funge anche da davanzale delle bifore, è sagomata con un tondino, un ampio sguscio e due listelli (fig. 22). Le tre legate ai centri e alle curvature degli archi. Nella rappresentazione grafica infatti questi ultimi sono semplicemente intesi come luoghi di riferimento visivo in funzione del rilievo delle sottostanti strutture realizzato, questo sì, con estrema precisione e accuratezza poiché finalizzato al massimo grado di approfondimento stratigrafico. La nostra indagine si è quindi basata sul rilievo fatogrammetrico in scala 1:50. Circa tale rilievo è da precisare che nella definizione esatta dei centri e dei raggi degli archi influiscono le irregolarità delle curvature in parte determinate dal grado di approssimazione del ridisegno della restituzione fotogrammetrica probabilmente dovuto all'impiego di una scala troppo piccola. La necessità, e al tempo stesso la difficoltà, di avere a disposizione rilievi molto precisi per indagini che hanno come oggetto gli archi, è stata recentemente ribadita anche da AMBROSI 1990, p. 80. 3 Circa la costruzione della chiesa si veda ASS, Sp., Diplomatico 1257 giu. 27 (cfr. BANCHI 1877, PP.151-153). Sull'iscrizione del 1290 si veda, in questo volume, il mio intervento a p. 103. Nella fig. 9 abbiamo indicativamente datato le tre bifore agli anni 1270-80 circa. 4 Un rilievo delle mensole è pubblicato in CHIERICI 1921, p.377.

finestre hanno costituito il prototipo formale di tutte le bifore inserite nella facciata. Queste infatti, pur differenziandosi, in diversa misura, nelle dimensioni, nei dettagli decorativi e nell'andamento degli archi, sostanzialmente ripetono, come vedremo, i caratteri tipologici essenziali delle prime aperture. 1.2. Nella seconda metà inoltrata del XIII secolo il Palazzo del Rettore viene ampliato sulla destra con un vasto corpo di fabbrica (fig. 23, p. 199). Tale intervento, eseguito o concluso, secondo quanto attesta un'epigrafe posta sulla facciata, nel 1290 5, determina l'inserimento di altre sei bifore, situate sullo stesso piano delle prime e aventi forme e dimensioni a queste molto simili (fig. 10.2). Le variazioni riguardano il raggio e la freccia dell'arco, leggermente maggiori quelli delle bifore più antiche, i pilastri che separano le aperture, più larghi quelli relativi all'ampliamento, le basi e i capitelli delle colonnine, caratterizzati da nuove soluzioni formali. In particolare le basi sono ornate con foglie molto più stilizzate di quelle precedenti e i capitelli in origine dovevano presentare due giri di foglie ricurve disposte alternatamente e otto dentelli soprastanti sui quali appoggiava direttamente, come oggi, l'abaco. Allo stato attuale i capitelli sono alquanto rovinati tanto che solo i primi quattro a sinistra presentano, e limitatamente alla faccia rivolta verso la piazza, l'aspetto originale 6. Le mensole d'im posta degli archi, in cotto, e la sottostante cornice marcapiano, in travertino e qualche pezzo di "tufo", sono invece identiche alle precedenti. 1.3. Negli ultimi anni del Duecento e nella prima metà del XIV secolo l'attività costruttiva principale relativa alla facciata si trasferisce nella parte opposta, a sinistra guardando il prospetto. Nel 1298 infatti, secondo quanto indica un'iscrizione non in fase con la muratura nella quale è attualmente inserita, viene costruita la Casa dei Gettatelli, e nel 1336 il Consiglio Generale concede allo Spedale l'utilizzazione di due vicoli per potersi ampliare sulla sinistra, verso il Palazzo Squarcialupi7. Quest'ultima notizia 5

Vedi n. 3. Nel terzo capitello la foglia centrale, a differenza delle altre, è distesa. Nel quinto e nel sesto le foglie sono completamente, o quasi, rovinate. I sei abachi, in parte frutto di restauri, presentano varie forme. 7 ASS, Consiglio Generale 119, cc. 36v-38v (cfr. BALESTRACCI - PICCINNI 1977, pp. 81 152). Si veda, in questo volume, la trascrizione a p. pp. 113-114. Circa l'epigrafe del 1298 e i problemi ad essa relativi si veda il mio contributo a p. 103. 6

è indirettamente confermata da un'epigrafe del 1338, evidentemente riferibile alla conclusione dei lavori8. A questi anni risale l'inserimento, in due diverse fasi costruttive, delle dieci bifore situate nella parte sinistra della facciata (fig. 26, p. 201). In origine il loro numero doveva essere superiore come sembra indicare la traccia di un'altra finestra posta a continuazione della stessa sequenza, all'estremità destra. L'assetto di tali aperture è il risultato di un consistente intervento di ripristino dei primi del Novecento. Il 22 luglio 1907 infatti il sindaco autorizza l'esecuzione dei lavori alla facciata dello Spedale secondo il progetto di Vittorio Mariani approvato nel 1905: « parziale battitura della cortina esistente, riapertura o scoprimento delle finestre bifore scoperte collo scrostamento dell'intonaco, ripresa degli archi acuti e degli archetti nelle parti mancanti, colonne di marmo con base e capitello per le suddette finestre »9. Da una fotografia pubblicata nel 1913 risulta che in quell'anno tali lavori erano già stati eseguiti e che la parte della facciata relativa alle dieci finestre presentava un assetto identico a quello attuale 10. Come risulta dalle testimonianze scritte, da alcune fotografie anteriori al restauro e soprattutto dall'esame della tecnica muraria, il rifacimento di tali bifore non è stato totale ma ha riguardato soltanto gli elementi mancanti o gravemente deteriorati11. Per quanto riguarda le strutture in laterizi risultano completamente integri infatti, partendo da sinistra, l'arco maggiore della seconda e della sesta bifora, il timpano e gli archetti minori dell'ottava, il timpano della nona e della decima. Nelle altre finestre tali strutture sono completamente o parzialmente rifatte (fig. 12) 12. Più radicale è stato l'intervento sugli elementi in pietra. Malgrado che la Commissione Conservatrice dei Monumenti di Siena, riferendosi al ripristino di tali bifore, raccomandi espressamente di usare ogni cautela « per salvare tutto ciò che vi può essere nascosto e completandole solamente in quelle parti mancanti, . . . lasciando pure come stanno le cornici d'imposte tagliate »13, di fatto gli attuali capitelli e le attuali mensole d'imposta, ad eccezione forse, per 8

Per la trascrizione dell'epigrafe e alcune questioni ad essa relative vedi, in questo volume, 9 Si veda il contributo di Dezzi Bardeschi et alii, in AA. VV. 1986, PP.33-34, 46 fig. 21. Circa i lavori si veda pure Restauro 1905, pp. 40-42, e LUSINI 1907, pp. 67, 104. 10 [DE NICOLA] 1913, p. 9 (in questo volume fig. 42, p. 85). 11 Circa le fotografie si veda LUCHINI 1987, P.106, e Archivio Alinari, coll. Fratelli Brogi n 13431 (in questo volume fig. 5, p.37). Per quanto riguarda le testimonianze scritte cfr. supra n. 9. . 12 Le differenze tra i materiali originali eguelli restaurati sono ben visibili, anche a distanza, con l'uso di un semplice binocolo. I nostri dati coincidono con quelli raccolti da Roberto Parenti durante un sopralluogo eseguito alcuni anni fa in occasione della presenza di ponteggi. 13 Restauro 1905, pp. 40-41. 9

queste ultime, di qualche piccolo frammento, risultano tutti rifatti. Sembrano invece originali, o comunque precedenti ai restauri, alcuni pezzi di travertino della sottostante cornice marcapiano, anch'essa ripristinata, che funge da davanzale. La presenza di quest'ultima, del resto, è chiaramente testimoniata dalle fotografie anteriori al restauro 14. È da notare che i mattoni originali delle prime due bifore sono caratterizzati da una rifinitura a spinapesce. Quelli originali delle altre aperture presentano invece una semplice lavorazione a liste oblique. Tale diversità, coerente con la rifinitura del paramento murario circostante le finestre, non è casuale. Le otto bifore con mattoni rifiniti a liste oblique appartengono infatti alla prima fase costruttiva della Casa dei Gettatelli, presumibilmente databile al 1298, mentre le altre due sono riferibili ad un ampliamento dell'edificio, probabilmente collegabile con la notizia documentaria del 1336 e con l'epigrafe del 1338 15. Tali rifiniture sono abbastanza diffuse nell'edilizia gotica senese. Quella a spinapesce figura ad esempio nei laterizi della Fonte Nuova di Ovile e della facciata del Palazzo Pubblico, costruite tra gli ultimi anni del Duecento e i primi del Trecento 16. I mattoni utilizzati nel restauro novecentesco delle dieci bifore della Casa dei Gettatelli, per quanto anch'essi rifiniti, con un intento chiaramente imitativo, a liste oblique e a spinapesce, sono ben riconoscibili da quelli originali17. L'appartenenza di tali bifore a due distinte fasi costruttive, per quanto cronologicamente vicine, risulta evidenziata, oltre che dalla diversa rifinitura della superficie, dall'improvviso cambiamento di ritmo del pilastro compreso tra la seconda e la terza bifora, la cui larghezza è quasi doppia di quella degli altri, e soprattutto da una soluzione di continuità che corre verticalmente lungo l'edificio. Non è invece percepibile dalla forma e dalle dimensioni delle finestre, sulla cui identità ha evidentemente influito il fatto di essere disposte lungo la stessa sequenza. Le dieci bifore della Casa dei Gettatelli presentano la stessa tipologia delle tre finestre più antiche del Palazzo del Rettore ma si differenziano da queste per un aspetto più slanciato dovuto sia alla maggiore altezza del vano di apertura compreso tra il davanzale e la linea d'imposta dell'arco 14

Vedi n. 11 e la foto pubblicata in AA.VV. 1986, p. 165. Cfr. fig. 12. Per le datazioni vedi nn. 7 e 8. Circa alcuni problemi relativi alle datazioni assolute che abbiamo proposto per le due fasi della Casa dei Gettatelli rimandiamo, in questo volume, all'articolo sugli indicatori cronologici. 16 Per la datazione si veda BARGAGLI PETRUCCI 1974, I, pp. 292-299; CORDARO 1983, pp. 33-36. 17 Cfr. n. 12. 15

che all'andamento più acuto dell'arco stesso (fig. 10.3). Quest'ultimo infatti presenta una freccia della stessa misura ma un raggio di lunghezza maggiore e una corda di lunghezza minore. L'arco inoltre, pur essendo ancora compresso, si avvicina al tipo equilatero. Se facciamo il confronto con le sei finestre relative all'ampliamento del Palazzo del Rettore a tali divergenze, che risultano ancor più accentuate, si aggiungono pure quelle determinate dalla maggior lunghezza della freccia dell'arco. Per quanto riguarda il vano di apertura compreso tra il davanzale e la linea di imposta è da sottolineare che mentre in tutte le bifore del primo piano del Palazzo del Rettore, comprese tra il 1257 e il 1290, la larghezza è maggiore dell'altezza, nelle finestre della Casa dei Gettatelli, databili tra il 1298 e il 1338, la larghezza è minore dell'altezza. Il confronto tra gli elementi ornamentali è decisamente compromesso dal rifacimento novecentesco, per quanto una foto anteriore ad esso mostri come i restauratori abbiano avuto a disposizione una bifora in buona parte ancora integra, l'ottava, alla quale potrebbero essersi ispirati per la tipologia delle colonnine, delle basi e dei capitelli18. È probabilmente questa la « finestra intatta » di cui si parla nella delibera del 1905 della Commissione Conservatrice dei Monumenti di Siena19. Allo stato attuale tuttavia gli unici elementi originali della bifora, come abbiamo già sottolineato, sono gli archetti minori e il timpano. Le basi delle dieci colonnine del Mariani presentano la stessa tipologia di quelle delle bifore del 1290, mentre i capitelli si avvicinano a quelli presenti nelle finestre del 1350, di cui parleremo in seguito, i quali comunque ripetono, pur con varianti stilistiche, lo schema tipologico 'inaugurato' nel 1290. Da un'altra foto inoltre risulta che le mensole d'imposta degli archi erano tagliate soltanto sul lato esterno, a filo del paramento murario circostante, mentre erano ancora integre, o lo erano almeno in parte, sul lato interno, in corrispondenza dell'intradosso 20. Un frammento forse originale delle mensole d'imposta dell'arco della prima bifora presenta le stesse modanature della cornice di travertino che funge da davanzale delle dieci finestre, solo parzialmente rifatta. Quest'ultima è caratterizzata da modanature simili a quelle che abbiamo osservato nella cornice-davanzale del primo piano del Palazzo del Rettore (un tondino, uno sguscio e due listelli). 18

La foto è pubblicata in LUCHINI 1987, p. 106. Restauro 1905, p. 41. 20 Archivio Alinari, coll Fratelli Brogi, n. 13431. 19

1.4. Il prospetto su piazza del Duomo del palazzo disposto perpendicolarmente alla Casa dei Gettatelli, conosciuto con varie denominazioni e nel presente volume chiamato, ampliando convenzionalmente all'intero edificio il titolo di una sala ospedaliera, Corsia Marcacci, è caratterizzato, al primo piano, da una complessa sequenza stratigrafica21. Tra le varie aperture e tamponature sono ben riconoscibili le tracce di una finestra appartenente all'assetto originale, evidentemente una bifora, consistenti nei resti di un arco a sesto acuto circoscritto da una cornice in cotto sgusciata (Tav. D p. 251, USM 46). Si conservano pure, sebbene in gran parte tagliate, la cornice d'imposta dell'arco e la sottostante cornice-davanzale, in travertino, le quali si differenziano da quelle del primo piano del Palazzo del Rettore e della Casa dei Gettatelli per uno sguscio meno pronunciato e la quasi totale assenza del tondino22. L'arco invece, per la parte che rimane, presenta uno spessore e una curvatura identici, addirittura 'sovrapponibili', a quelli delle bifore della Casa dei Gettatelli. Della stessa altezza era inoltre il vano di apertura compreso tra la linea d'imposta e il davanzale, deducibile dalla distanza tra le mensole d'imposta dell'arco e la sottostante cornice marcapiano. In questo caso l'esatta corrispondenza formale e dimensionale, per quanto limitata ad alcuni elementi, può essere cronologicamente significativa poiché tali aperture non sono situate sulle stesse direttrici orizzontali o verticali e perciò non risultano condizionate da un'eventuale esigenza estetica di rispettare il ritmo compositivo della facciata (i prospetti dei due edifici, come abbiamo detto, sono perpendicolari e i rispettivi primi piani sono tra loro sfalsati). Ma vi è ancora un altro elemento particolarmente significativo. Malgrado che i restauri dell'inizio del secolo abbiano, con un'operazione di gradinatura, asportato la parte superficiale dei mattoni che costituiscono il prospetto, sono ancora visibili deboli tracce di una decorazione a spinapesce identica a quella che abbiamo osservato nell'ampliamento della Casa dei Gettatelli, decorazione che in origine doveva interessare l'intera facciata dell'edificio. Tali tracce sono riconoscibili in alcuni laterizi situati nell'estremità sinistra del prospetto, tra l'epigrafe del 1338 e lo spigolo, e in alcuni mattoni 21

Ad esempio MACCHI, Origine, c. 59v (« già Palazzo di casa Squarcialupi hoggi Convento delle fanciulle »); PECCI 1730, c. 71v (« Spedale delle Donne »); LUSINI 1921, P 315 e n. 5 (« Palazzo Ugurgieri »). 22 Il tratto di cornice situato al pianoterra della stessa facciata, formato da laterizi intonacati, è invece frutto di un restauro.

appartenenti proprio all'archivolto della nostra bifora. Questi elementi, in primo luogo l'esatta corrispondenza degli archi e la presenza della stessa rifinitura di superficie, costituiscono un'importante conferma della contemporaneità costruttiva tra la « Corsia Marcacci » e l'ampliamento della Casa dei Gettatelli, che abbiamo assegnato al 1336-1338, emersa dall'esame della tecnica muraria, dalla mensiocronologia e dall'analisi stratigrafica23. Decisamente scarse sono le tracce di un'altra finestra situata a destra della precedente, alla stessa altezza. Di tale apertura, che le fonti iconografiche rappresentano come una bifora identica a quella di cui abbiamo parlato 24, si conserva soltanto il tratto inferiore destro della cornice in cotto, tra l'altro tagliata, che in origine ornava l'estradosso dell'archivolto. Molto probabilmente le due bifore erano simili a quelle tuttora presenti nella facciata dello stesso edificio prospiciente via del Capitano, facciata non inclusa nell'attuale indagine stratigrafica sul Santa Maria ma di grande importanza per una migliore comprensione delle strutture prese in esame poiché coeva al prospetto su piazza del Duomo. Pur essendo stata interessata da successivi interventi, tra cui la soprelevazione di un piano, tale facciata costituisce una delle più interessanti testimonianze della Siena trecentesca25. E caratterizzata da due portali sestiacuti al pianoterra, adesso tamponati, da due monofore con archi a sesto ribassato al soprastante mezzanino e da quattro bifore con archi a sesto acuto al primo piano. L'intera superficie muraria, compresi gli archi, i timpani e gli stipiti delle aperture, presenta una bella finitura a spinapesce uguale a quella che abbiamo riscontrato in alcuni mattoni della facciata su piazza del Duomo dello stesso palazzo (fig. 13). Soltanto l'occhio del pianoterra, le tamponature dei due portali e gli archetti minori delle finestre non sono decorati. Le mensole d'imposta e le cornici del primo piano e del pianoterra (fig. 24) presentano le stesse modanature di quelle dell'altra facciata dell'edificio, mentre le quattro bifore ripetono, con leggere 23

Sui dati stratigrafici e mensiocronologici rimandiamo ai contributi specifici presenti in questo volume. 24 In particolare si veda il dipinto di Agostino Marcocci, dei primi del Seicento, conservato nel Museo Civico di Siena (fig. 17, p. 59). 25

All'anno 1926 risale un intervento di ripristino consistente nella riapertura di una finestra al mezzanino e di due bifore al primo piano e nella chiusura di un finestrino situato sotto la prima bifora a sinistra (si veda il contributo di Dezzi Bardeschi et alii, in AA.VV. 1986, pp.37, 104 fig. 9). Per quanto riguarda la costruzione del secondo piano si veda, in questo volume, la lettura stratigrafica del VI settore.

varianti, i caratteri tipologici essenziali delle finestre sestiacute del prospetto principale dello Spedale26. 1.5. Dopo l'edificazione e l'ampliamento della Casa dei Gettatelli e della « Corsia Marcacci » l'attività costruttiva torna ad avere per oggetto il Palazzo del Rettore il quale viene rialzato con un secondo piano caratterizzato da cinque bifore (fig. 35, p. 213). Per la costruzione di tali finestre Girolamo Macchi esplicitamente indica, in due diverse carte dello stesso manoscritto, sia l'anno 1350 che l'anno 1479 27. I risultati dell'analisi stratigrafica sono favorevoli alla prima delle due date poiché la muratura in cui sono inserite le bifore è posteriore al 1290, anno in cui viene terminato l'ampliamento del Palazzo del Rettore, e anteriore al 1466, anno in cui iniziano i lavori di ampliamento della chiesa 28. Tra la terza e la quarta bifora, a partire da sinistra, è visibile una soluzione di continuità. L'omogeneità dell'apparecchiatura muraria e della finitura della superficie tuttavia suggerisce di interpretare tale soluzione in un dissesto o in una semplice stasi di cantiere. Pure i caratteri formali e dimensionali delle cinque bifore sono tra loro del tutto identici. La loro tipologia ancora una volta ripete le caratteristiche fondamentali delle precedenti aperture (fig. 10.4). Essendo tali finestre disposte lungo le direttrici verticali relative alle bifore del primo piano i costruttori hanno ripetuto le misure orizzontali, ovvero la corda degli archi, l'ampiezza delle aperture e la larghezza dei pilastri di divisione, di queste ultime, in particolare delle prime tre bifore a sinistra, le più antiche (le finestre inserite con l'ampliamento del 1290 hanno pilastri di maggiore larghezza). Più significativo è il confronto relativo agli elementi verticali essendo questi meno condizionati dalla disposizione delle aperture preesistenti. Per quanto riguarda l'arco è da notare che sebbene la freccia e la corda siano quasi uguali a quelle delle tre 26

Circa le dimensioni delle bifore non disponiamo di elaborati grafici. Gli abachi sono caratterizzati da uno smusso, uno sguscio e due fistelli. I capitelli ripetono, con qualche variante stilistica, la tipologia di quelli del 1290 e del 1350 (per una corretta valutazione degli elementi costituenti le colonnine occorrerebbe comunque un'accurata indagine volta a verificare l'entità dei lavori di restauro). 27 27 MACCHI, Origine, cc. 17r, 60r. 28 In MACCHI, Origine, C. 60r, la data 1480 è stata inoltre successivamente corretta, dallo studioso, con la data 1350. Agli anni 1479-1482 è invece assegnabile, come indica, questa volta senza esitazioni, lo stesso Macchi, il piano soprastante le bifore, corrispondente al coronamento merlato, stratigraficamente posteriore all'ampliamento della chiesa (MACCHI, Origine, cc b, 17r MACCHI, Memorie, II, c. 198v). Sullla questione cfr. pure GALLAVOTTI CAVALLERO, 1985a, pp. 6364. Circa 1'ampliamento della chiesa vedi ASS, Sp. 24, c. 169r (cfr. BANCHI 1877, pp. 124 125 GALLAVOTTI CAVALLERO1985a, p. 430 n. 375).

bifore più antiche del primo piano l'andamento della curvatura è diverso. Ciò sembra derivare dalla differente posizione dei centri dei rispettivi raggi che, dai rilievi a nostra disposizione, risultano situati al di sotto della linea d'imposta. I raggi inoltre hanno una lunghezza quasi uguale a quella della corda. Ma la differenza più marcata tra le due serie di bifore riguarda, anche in questo caso, la maggiore verticalità complessiva di quelle assegnate al 1350, dovuta alla maggiore altezza del vano di apertura compreso tra la linea d'imposta e il davanzale. Sotto questo aspetto le finestre del secondo piano, collocate alla metà del XIV secolo, si avvicinano, pur avendo complessivamente maggiori dimensioni, a quelle della Casa dei Gettatelli, che abbiamo datato al 1298 e al 1336-1338; come nel loro caso infatti, al contrario di quanto avviene nelle bifore del primo piano del Palazzo del Rettore, l'altezza del vano di apertura compreso tra la linea d'imposta dell'arco e il davanzale è maggiore della larghezza. Caratteri innovativi infine presentano gli elementi ornamentali: i capitelli ripetono lo schema tipologico di quelli delle bifore del 1290 ma presentano fogliami più pronunciati e vigorosi (il confronto con quelli della Casa dei Gettatelli, a causa dei rifacimenti, è poco significativo), mentre le mensole d'imposta e la sottostante cornice marcapiano, in travertino, semplicemente modanate con uno sguscio e due listelli, si differenziano nettamente, per l'assenza del tondino, sia da quelle del Palazzo del Rettore che da quelle della Casa dei Gettatelli (fig. 25). Nel loro caso il confronto più vicino è con le cornici della « Corsia Marcacci », databili al 1336-1338. Modanature identiche alle imposte e al davanzale figurano negli abachi sopra stanti i capitelli. Le cinque bifore del secondo piano sono le uniche finestre della facciata che attualmente presentano altrettante armi inserite nei rispettivi timpani. Si tratta di cinque lapidi di forma rettangolare delimitate da una cornice a listello, all'interno delle quali sono altrettanti scudi a mandorla che recano scolpite la scala dello Spedale, la balzana del Comune, la scritta libertas della Repubblica, il leone rampante del Popolo e l'emblema cuneato della famiglia Cinughi29. Secondo il Macchi le cinque armi sarebbero state inserite dal rettore Cino di Checco Cinughi nel 1479 30. La questione è complessa. A parte il fatto che il rettorato del Cinughi è compreso tra 29

Gli stemmi sono elencati secondo la loro disposizione, da sinistra a destra guardando la facciata. Per il loro riconoscimento abbiamo utilizzato GALLACCINI 1719, cc. 205-207, 238. 30 MACCHI, Origine, c. 17r.

l'agosto 1480 e il gennaio 1483 31, lo studioso mette in relazione il loro inserimento con la costruzione delle cinque finestre le quali, come abbiamo sottolineato, non possono appartenere, per ragioni stratigrafiche, a quegli anni. A tal proposito è da notare che l'unico stemma di famiglia presente non ci offre, sotto questo aspetto alcun aiuto poiché pure nel 1350, anno in cui tali aperture sembrano collocabili, era rettore un Cinughi, Mino di Cino 32, La notevole altezza a cui si trovano le cinque armi ci ha impedito di accertare o meno la loro contemporaneità con le murature in cui sono inserite. Da un esame non ravvicinato risulta che il paramento murario circostante il terzo e il quarto stemma, cioè quelli della Repubblica e del Popolo, è rimaneggiato in corrispondenza del lato destro, mentre il paramento relativo alle altre armi sembra ben connesso. Almeno per i primi due stemmi sembra quindi da escludere la contemporaneità stratigrafica con le rispettive finestre 33. 1.6. L'ultimo inserimento di bifore nel prospetto di piazza del Duomo risale ai primi decenni del XVIII secolo. Tra il 1718 e il 1719, in occasione della ristrutturazione del Palazzo Vescovile, si decide di demolire alcuni edifici dello Spedale situati in via dei Fusari e di costruire, al loro posto, un nuovo prospetto, costituito da quattro bifore al primo piano e quattro arcate al pianoterra, allineato alle strutture prospicienti piazza del Duomo (tav. C p. 198, USM 42)34. I costruttori settecenteschi hanno ripetuto fedelmente, nella forma e nella curvatura degli archi, nelle dimensioni delle aperture e nella tipologia della cornice marcapiano in travertino, i caratteri delle bifore appartenenti all'ampliamento del Palazzo del Rettore, della fine del Duecento (fig. 10.5). Abbastanza simili, ma non identiche, sono pure le mensole d'imposta degli archi, anch'esse in cotto, e le colonnine poste al centro delle bifore. Tale intervento, volto ad accentuare il carattere gotico della facciata, risulta chiaramente condizionato dalla posizione delle nuove 31

BANCHI 1877, pp. 275-279. Ibid., pp. 42-45. 33 Nel caso di un'azione di taglio è generalmente difficile capire se l'inserimento della lapide (stemma, epigrafe, ecc.) sia immediatamente successivo alla muratura, e quindi appartenga alla medesima attività costruttiva, o sia il risultato di un intervento decisamente posteriore, magari inerente ad un'azione di reimpiego (sulla questione, relativamente alle epigrafi, si veda PARENTI 1988, p. 286). 32

34

ASS, Sp. 351, cc. 219rv (cfr. BANCHI 1877, pp. 416-417; GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 349, 377 n. 62). Circa l'assetto delle strutture relative a via dei Fusari precedente la demolizione cfr. in questo volume le figg. 15a p. 56; 20, p. 60.

finestre, disposte sulla stessa direttrice orizzontale delle aperture tardo-duecentesche, a continuazione della stessa sequenza. * *

*

2. I portali e le arcate del pianoterra (figg. 14-15) 2.1. Per quanto riguarda le arcate cieche e i portali a sesto acuto della parte inferiore della facciata i risultati dell'indagine svolta indicano nelle prime tre aperture a sinistra del Palazzo del Rettore, adesso tamponate, gli elementi più antichi, probabilmente riferibili a poco dopo il 1257 (fig. 18, p. 194). Le tre arcate, identificabili in un porticato affiancato alla parete nord della chiesa dello Spedale, risultano infatti stratigraficamente successive a quest'ultima, edificata a partire da tale data, e anteriori alle soprastanti bifore, costruite precedentemente all'ampliamento del Palazzo del Rettore, realizzato o concluso nel 1290 35. L'arco dell'apertura centrale è rifatto. I pilastri e gli altri due archi sono caratterizzati, come il circostante paramento, da una tecnica muraria a corsi alterni di mattoni e conci di calcare squadrati e spianati (la sequenza è costituita da tre file di laterizi ed una in pietra). La squadratura dei conci non è particolarmente accurata e i giunti sono alquanto spessi. Gli archi (fig. 16), con l'intradosso e l'estradosso a sesto acuto compresso, sono privi di ricassatura, circoscritti da una cornice di mattoni situata sullo stesso piano dell'archivolto e del paramento murario, e impostati su grosse mensole di calcare semplicemente squadrate e appena smussate negli spigoli inferiori 36 Presentano inoltre il concio di chiave e sono caratterizzati da un andamento decisamente estradossato, ovvero un consistente aumento dello spessore dalle imposte alla chiave. I giunti sono prevalentemente 35

Vedi n. 3. Nella fig. 14 abbiamo indicativamente proposto una datazione agli anni 12601270 circa. 36 Mensole di imposta di questo tipo sono comuni a molti edifici in pietra della città assegnati alla fase più arcaica del gotico civile senese (per un quadro generale si veda CHIERICI 1921, pp. 351 ss., e DE VECCHI 1949, pp. 17-31).

direzionati verso la zona centrale della corda (fig. 15.6). I pilastri presentano spigoli leggermente arrotondati. 2.2. Con l'ampliamento del Palazzo del Rettore, realizzato nel 1290, alle tre aperture vengono affiancate, sul lato destro, altre sei arcate, in origine aperte e successivamente tamponate in più fasi (fig. 23, p. 199)37. Pur avendo archi a sesto acuto compresso, archivolti e cornici degli estradossi posti sullo stesso piano del paramento murario e dimensioni abbastanza simili alle precedenti arcate si differenziano nettamente da queste sia per il materiale utilizzato, interamente costituito da laterizi ad eccezione dell'ultimo pilastro a destra, in pietra, che per alcuni aspetti tipologici quali l'andamento meno estradossato dell'arco, la presenza di pilastri a spigoli vivi e l'impiego di mensole d'imposta modanate (fig. 17). Pure il ritmo delle arcate si differenzia leggermente da quelle più antiche per la maggiore ampiezza dei pilastri su cui si impostano. Per quanto riguarda l'arco la minore estradossatura deriva principalmente dalla maggior lunghezza della freccia e del raggio dell'intradosso (fig. 15.7). I giunti sono direzionati verso la zona centrale della corda mentre la presenza della chiave sembra del tutto casuale (figura in tre casi). Le mensole, di travertino e qualche pezzo di "tufo", sagomate con un tondino, uno sguscio e due listelli, sono identiche, anche nelle proporzioni, alla cornice sottostante le bifore del primo piano dello stesso palazzo, cronologicamente coeve (fig. 23). Con tali bifore gli archi del pianoterra hanno pure in comune, malgrado le diverse dimensioni, la stessa lunghezza del raggio dell'intradosso e quindi lo stesso tipo di curvatura. Non è perciò da escludere che nella costruzione delle bifore siano state riutilizzate le stesse centine, adeguatamente modificate, impiegate nella costruzione delle sottostanti arcate38. 2.3. Al pianoterra della Casa dei Gettatelli figurano quattro arcate a sesto acuto (fig. 26, p. 201). La prima, a partire da sinistra guardando la facciata, è inserita nel tratto dell'edificio relativo all'ampliamento del 1336-1338, le altre sono situate nel corpo originale del 1298 39. Tutte sono state 37

Vedi n. 3. Circa i tamponamenti cfr. in questo volume la lettura stratigrafica del settore I. Uno dei grandi vantaggi dell'impiego dell'arco acuto è quello di oter eseguire con lo stesso raggio archi di dimensioni diverse. Ciò consente di utilizzare conci dalle misure standardizzate, aspetto che non riguarda il nostro caso, e di reimpiegare le stesse centine (sull'argomento si veda BECHMANN 1984, PP. 162-1641). 39 Cfr. nn. 7 e 8. 38

radicalmente interessate dai lavori di restauro dei primi del Novecento. In particolare sono state parzialmente rifatte la terza e la quarta arcata e completamente ricostruite la prima e la seconda. Di queste ultime parleremo più avanti. In alcune fotografie anteriori ai restauri del Mariani la terza e la quarta arcata, come oggi tamponate, presentano un aspetto simile a quello attuale40. Le due arcate, identiche per forma e dimensioni, sono caratterizzate da archi a sesto acuto compresso leggermente estradossati e da sottostanti archi a sesto ribassato impostati sul loro intradosso (figg. 15.8, 18). Il timpano è delimitato da una cornice a smusso mentre l'estradosso dell'arco sestiacuto è ornato da una cornice sgusciata simile a quella delle soprastanti bifore41. I materiali impiegati evidenziano, come abbiamo detto, consistenti rifacimenti. Le due arcate conservano alcuni tratti originali negli archi acuti, con mattoni rifiniti a spinapesce, e probabilmente nei timpani, con mattoni rifiniti a liste oblique 42. Gli stipiti e gli archi ribassati sono invece del tutto rifatti. Frutto del ripristino novecentesco è anche la cornice in cotto modanato che scandisce orizzontalmente la facciata in corrispondenza delle linee di imposta degli archi. La direzione dei giunti dei due archi tende verso la zona centrale della corda (i rilievi a nostra disposizione non sembrano in questo caso pienamente attendibili). È da sottolineare che i loro caratteri formali si differenziano nettamente da quelli di tutte le aperture del pianoterra della facciata, ad esclusione delle altre due arcate della Casa dei Gettatelli, sia per la minima estradossatura dell'archivolto che per la presenza del timpano, dell'arco ribassato e della doppia cornice. 2.4. Allo stesso periodo, forse all'inizio del XIV secolo, dovrebbe appartenere l'attuale portale di ingresso allo Spedale, in precedenza portale principale della chiesa. Di quest'ultima non dovette comunque costituire l'ingresso originale. Tale apertura infatti deve essere stata costruita quando ormai il prospetto dello Spedale aveva raggiunto un certo sviluppo in altezza poiché le notevoli dimensioni risultano assolutamente sproporzionate alla piccola chiesa duecentesca, presumibilmente corrispondente ad una parte del tratto di facciata caratterizzato dal

40

LUCHINI 1987, p. 106, e in questo volume fig. 5, p. 37. Nel rilievo 1:50 la cornice del timpano non è stata riportata. 42 La rifinitura a spinapesce presenta caratteri diversi (i tratti sono più fitti) da quelli visibili negli archi delle due bifore appartenenti all'ampliamento della Casa dei Gettatelli, del 1336-1338. 41

paramento murario in calcare43. Il portale è formato da un arco a sesto acuto, anch'esso in calcare, ricassato in corrispondenza dell'intradosso e impostato su mensole completamente prive di decorazioni sul lato esterno e scolpite a fogliami stilizzati nell'imbotte (fig. 19). Allo stato attuale queste ultime risultano tagliate verticalmente sul lato interno. Gli stipiti sono ricassati a spigoli vivi. I conci che formano il portale sono ben squadrati e spianati, separati da giunti sottili e perfettamente connessi. L'archivolto, leggermente rientrante rispetto al paramento murario, presenta un andamento estradossato ed è circoscritto da una cornice in serpentina scura sgusciata e rivoltata in piano verso l'interno. Sia l'intradosso che l'estradosso sono a sesto acuto compresso e i loro centri sono leggermente situati al di sopra della linea di imposta (fig. 15.9). I giunti sono prevalentemente direzionati verso il centro della corda e nel concio di chiave è inserita una croce di serpentina a bracci uguali. Insieme ad altri elementi, che però risultano ampiamente diffusi, come vedremo, in tutta l'architettura gotica senese, la ricassatura degli stipiti e soprattutto la ghiera sgusciata di serpentina, avvicinano il portale alle arcate del pianoterra del Palazzo Pubblico di Siena, costruito tra la fine del Duecento e i primi del Trecento, dalle quali potrebbero derivare. Da queste tuttavia il portale dello Spedale si differenzia per l'assenza del timpano e del sottarco a sesto ribassato, la diversa sagomatura delle mensole d'imposta e la presenza di un arco di tipo compresso anziché equilatero44. 2.5. Nel tratto di paramento in calcare, a sinistra dell'attuale ingresso allo Spedale, si intravede la sagoma di un'altra apertura, più piccola, a sesto acuto (fig. 40a, p. 224). Le tracce visibili sono troppo scarse per ricostruire dettagliatamente i suoi caratteri formali. Non è da escludere che il suo inserimento sia in relazione con la costruzione della chiesa, edificata a partire dal 1257. È però da notare che nell'affresco del 1441 circa di Domenico di Bartolo raffigurante La distribuzione delle elemosine, nel pellegrinaio dello Spedale, tale portale, visto dall'interno, è rappresentato con caratteri simili a quelli dell'ingresso principale, quali l'assenza del 43

Per la datazione del portale ed altre considerazioni ad esso relative cfr. I'intervento di Roberto Parenti. 44

44 Circa l'ipotesi della derivazione di alcuni elementi dalle arcate del Palazzo Pubblico si veda GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 61. E’ da segnalare che nella restituzione fotogrammetrica 1:50 i fogliami delle mensole d'imposta non sono stati disegnati e che nel rilievo geometrico 1:20 figura, erroneamente, un archivolto di tipo equilatero anziché compresso (vedi comunque le osservazioni in n. 2).

timpano e dell'arco a sesto ribassato e la presenza di conci di pietre scure nell'intradosso. Le mensole d'imposta ornate con una grande foglia richiamano inoltre, in qualche modo, quelle tuttora presenti nel sopraddetto portale 45. 2.6. Un'altra apertura sembra avere avuto in origine caratteri molto simili a quelli dell'attuale portale di accesso allo Spedale. Si tratta dell'ingresso principale della Casa dei Gettatelli, corrispondente alla seconda arcata a sinistra dell'edificio, arcata completamente rifatta all'inizio di questo secolo. Alcune fotografie anteriori a tale rifacimento mostrano che il portale originale aveva forme e dimensioni ben divererse da quelle attuali (fig. 5, p. 37). Il portale, presumibilmente databile con l'epigrafe del 1298, interamente formato da laterizi, era caratterizzato da un grande arco a sesto acuto estradossato, da un sottostante arco, anch'esso a sesto acuto, dal timpano e da un arco a sesto ribassato. L'arco maggiore era circoscritto da una cornice nell'estradosso e probabilmente ricassato in corrispondenza dell'intradosso46. La sagoma dell'estradosso è ancora visibile nella muratura soprastante l'attuale arco acuto. Malgrado il diverso materiale da costruzione il portale doveva avere strette analogie, come abbiamo accennato, con quello della chiesa, adesso ingresso dello Spedale, sia per le dimensioni che per i caratteri formali dell'archivolto maggiore. Non è da escludere inoltre che in origine sia stato privo, come quello, dell'arco acuto minore, del timpano e dell'arco ribassato. Quest'ultimo infatti non si impostava direttamente sull'intradosso dell'arco a sesto acuto, come nel tipico abbinamento senese dei due archi, bensì subito al di sotto di esso, secondo una soluzione particolarmente rara nell'architettura della città47. L'arco a sesto acuto minore inoltre non costituiva una semplice ricassatura dell'arco maggiore ma presentava, insolitamente, un andamento del tutto diverso da quest'ultimo ed era impostato sul suo intradosso48. 45

È comunque da notare che le mensole del portale principale, tuttora esistenti, non sono state disegnate. Ilcarattere realistico, quasi 'fotografico', di tale affresco è stato più volte sottolineato (si veda ad esempio GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 160, GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGIOLO 1987, pp. 40, 54-55; TORRITI 1987, p. 69). 46 Per le foto cfr. n. 11; per la datazione n. 7. 47 L'unico esempio noto è quello del portale centrale del prospetto, molto rimaneggiato, del Palazzo Tolomei su via dei Termini (cfr. CHIERICI 1921, pp. 372, 374, DE VECCHI1949, pp. 21 33; BRANDI 1983, p. 18). 48 In alcune fotografie anteriori alla rimozione dell'intonaco la somiglianza tra il portale della Casa dei Gettatelli e quello dell'attuale ingresso dello Spedale è accentuata dall'intonacatura degli archivolti a finti conci bianchi e neri, probabilmente risalente agli anni 1720-1721 (le foto sono pubblicate m AA.VV. 198G, pp. 30, 165). Nelle stesse fotografie le strutture del timpano del portale

2.7. Qualche accenno meritano, per quanto non inclusi nell'indagine stratigrafica, pure le due arcate situate nella facciata dello Spedale delle Donne prospiciente via del Capitano, probabilmente databili tra il 1336 e il 1338. Come nella Casa dei Gettatelli siamo in presenza di archi acuti leggermente estradossati, ricassati e circoscritti da una cornice sgusciata. A differenza delle precedenti aperture presentano però stipiti arrotondati e sono privi, almeno nell'assetto attuale, del timpano e dell'arco ribassato. Circa la finitura a spinapesce dei mattoni che li costituiscono abbiamo già parlato49. 2.8. La completa ridefinizione architettonica delle strutture relative a via dei Fusari, attuata nei primi decenni del XVIII secolo, determina il prolungamento della facciata dello Spedale con un nuovo tratto nel quale figurano quattro arcate (fig. 47, p. 230) 50. Queste presentano forme e dimensioni simili a quelle relative all'ampliamento del Palazzo del Rettore, realizzato nel 1290, delle quali continuano la sequenza. Come nelle precedenti gli stipiti sono a spigolo vivo, la presenza della chiave sembra casuale e i giunti sono prevalentemente direzionati verso la zona centrale della corda (fig. 15.10). L'analisi stratigrafica indica che la terza arcata, a partire da sinistra, è nata cieca, mentre le altre in origine dovevano essere tamponate nelle parti superiori e aperte in quelle inferiori. Tali tamponature, allo stato attuale parzialmente estese anche nella parte inferiore delle arcate, erano sorrette, come ora, da archi a sesto ribassato, chiaramente ispirati a quelli delle ultime due arcate a destra del Palazzo del Rettore51. 2.9. L'apertura con arco a sesto acuto successivamente inserita nella facciata risale ad un intervento neogotico della fine dell'Ottocento, consistente nella trasformazione della parte iniziale della chiesa, con il della Casa dei Gettatelli risultano nascoste dai battenti della porta, probabilmente gli stessi che furono poi trasferiti nel nuovo portale di accesso alla chiesa, costruito nel 1895-189G dove sono tuttora. Circa l'intonacatura vedi MACCHI, Memorie, II, cc. 199v, 281v. 49

Non disponiamo di rilievi per identificare l'esatta tipologia degli archi. Circa la datazione proposta cfr. supra nn. 7, 8, 15 e, in questo volume, le mie osservazioni nell'articolo sugli indicatori cronologici. 50 Vedi n. 34. 51 Si veda la lettura stratigrafica del settore VII. Le tamponature delle ultime due arcate a destra del Palazzo del Rettore sembrano databili all'anno 1584 (cfr. la lettura stratigrafica del settore I). Per altre indicazioni sulla tipologia degli archi acuti vedi paragrafo 2.2.

relativo accesso, in ingresso principale dello Spedale e nella costruzione di un nuovo portale per accedere alla medesima. Il progetto, dell'architetto Augusto Corbi, fu realizzato tra il 1895 e il 1896 52. Il nuovo portale, inserito nel tratto in calcare della facciata, presenta caratteri formali, tecnici e dimensionali del tutto simili, anche nei dettagli, a quelli del portale originale, compreso il numero dei conci che compongono l'arco e la presenza della croce in serpentina nel concio di chiave (figg. 15.11, 20). Sotto questo aspetto esso costituisce un ottimo esempio delle capacità tecniche raggiunte dagli architetti e dalle maestranze senesi di fine Ottocento nel riprodurre aperture medievali. Le uniche differenze apprezzabili tra i due portali, a parte il diverso stato di conservazione dei materiali, particolarmente evidente nelle cornici di serpentina, riguardano la finitura dei conci e l'andamento di alcuni giunti. I conci del portale medievale, ad eccezione di quelli situati nella parte inferiore degli stipiti, chiaramente sostituiti, presentano tracce di una finitura originale ottenuta con una polka, mentre i conci del portale ottocentesco sono rifiniti con una gradina53. È inoltre da notare che nel portale originale i giunti dei conci che formano l'archivolto in calcare, la cornice in serpentina e il sottostante arco ricassato, anch'esso in serpentina, sono prevalentemente direzionati verso il centro della corda dell'arco. Anche nel portale neogotico i giunti dell'archivolto principale seguono fedelmente tale andamento ma quelli relativi agli elementi in serpentina (cornice e arco ricassato) sono direzionati verso due zone situate vicino alle estremità della corda, dove si trovano i centri dei due segmenti di circonferenza che formano l'arco acuto. Sotto questo aspetto il portale ottocentesco più che a quello dello Spedale si avvicina alle arcate del pianoterra della facciata del Palazzo Pubblico le quali presentano, nel diverso andamento tra i giunti degli archivolti e quelli delle cornici, una soluzione del tutto analoga54.

52

L'approvazione del progetto è del 27 agosto 1895 Ivi veda l'intervento di Dezzi Bardeschi et alii, in AA. VV. 1986, p. 28). Dal progetto di Vittorio Mariani relativo alla sistemazione di nuovi fanali a gas sulla facciata, presentato al Comune il 24 dicembre 1896, risulta che il nuovo portale e già stato eseguito (ibid., pp. 28-29). 53 Cfr. in questo volume il contributo di G. Bianchi e R. Parenti. Sugli strumenti utilizzati a Siena per il taglio e la lavorazione delle pietre si può vedere la recente tesi di BIANCHI 1988-89. 54 Per un confronto tra i giunti dei vari elementi dei due portali dello Spedale si possono vedere, in mancanza di rilievi specifici, le fotografie pubblicate in AA VV. 1986, p. 103. Il confronto con i giunti delle arcate del Palazzo Pubblico deriva da una semplice osservazione de visu (a tal proposito è da segnalare che il disegno pubblicato in CHIERICI 1921, P. 371, per quanto riguarda l'andamento dei giunti delle cornici è errato).

2.10. Con il totale rifacimento delle prime due arcate a sinistra della Casa dei Gettatelli, realizzato all'inizio del Novecento in occasione dei restauri del Mariani, si chiude la sequenza delle aperture a sesto acuto del pianoterra della facciata (tav. B p. 197). Alla prima arcata corrisponde attualmente una finestra, alla seconda un portale. In una fotografia anteriore a tali restauri la prima arcata, visibile solo in parte, sembra avere dimensioni simili a quelle attuali55. I materiali impiegati indicano tuttavia, come abbiamo accennato, un completo rifacimento. Quella attuale presenta caratteri formali e dimensionali alquanto simili a quelli della terza e quarta arcata della Casa dei Gettatelli, di cui abbiamo già parlato e alle quali rimandiamo per la descrizione. La principale differenza sembra costituita dalla forma dell'arco a sesto ribassato, in questo caso caratterizzata da una forte estradossatura56. E presente la chiave e i giunti sono in prevalenza direzionati verso la zona centrale della corda. Nella ricostruzione del portale principale della Casa dei Gettatelli, il secondo a sinistra, le forme e le dimensioni dell'arcata originale non sono state invece rispettate. Con l'attuale assetto, di forme simili a quelle delle altre arcate dello stesso edificio ma di maggiori dimensioni, il portale figura prima nel progetto di restauro del Mariani, del 1907, e poi in una fotografia pubblicata nel 1913 57. È formato da un arco a sesto acuto compresso leggermente estradossato e da un arco a sesto ribassato che insiste sul suo intradosso (figg. 15.12 e 53, p. 243). I grossi mattoni che formano i due archivolti, caratterizzati da una moderna finitura a spinapesce uguale a quella dei laterizi ripristinati delle soprastanti bifore, risultano tutti nuovi. Come negli altri portali l'arco acuto, leggermente ricassato, è ornato nell'estradosso da una cornice sgusciata mentre il timpano è circoscritto da una cornice a smusso. È presente la chiave e i giunti sono direzionati verso il centro della corda. 3. Conclusioni Volendo ricapitolare alcuni dati emersi da questa rapida analisi è in primo luogo da ribadire che tutte le bifore della facciata inserite nel periodo 55

Vedi fig. 5, p. 37. Al suo interno, al posto dell'attuale finestra, figura una porta. Dal rilievo 1:50 sembra inoltre che le posizioni dei centri dell'arco acuto siano tra loro alquanto differenti (vedi però le osservazioni in n. 2). 57 Il progetto del Mariani è pubblicato da Dezzi Bardeschi et alii, in AA.VV. 1986, p. 46 la foto in [DE NICOLA] 1913, p. 9. Si confronti il nuovo portale con quello originale, visibile nelle foto segnalate supra in n. 11. 56

medievale, tra la seconda metà del XIII secolo e la metà del XIV presentano, almeno nei caratteri essenziali, una tipologia comune, la cui prima espressione, per quanto riguarda il prospetto esaminato, risale alle prime tre finestre situate a sinistra del Palazzo del Rettore, databili negli anni centrali compresi tra il 1257 e il 1290. Le dimensioni e la tipologia di tali bifore, tra l'altro comuni, almeno nei caratteri generali, a quelle di altri edifici civili della città, risultano chiaramente vincolate dall'intento di uniformare stilisticamente il prospetto principale dello Spedale. Quattro secoli più tardi, dopo la parentesi rinascimentale che vede inserire, con una decisa rottura ritmica e formale, le grandi monofore dell'ampliamento della chiesa, tale intento viene ripreso dai costruttori settecenteschi che prolungano la facciata verso via dei Fusari con arcate e bifore sestiacute ispirate alla medesima tipologia. Malgrado i vincoli dettati dall'adesione, diretta o indiretta, ad un comune prototipo e dalla disposizione sulle stesse direttrici orizzontali e verticali del prospetto è tuttavia possibile apprezzare, ad un attento esame, tra i vari gruppi di bifore, tutta una serie di variazioni o strette concordanze, nelle dimensioni, nella forma, nei dettagli ornamentali e nella rifinitura dei mattoni, che potrebbero in qualche modo riflettere tendenze locali cronologicamente significative, tendenze comunque accertabili soltanto da un'eventuale indagine condotta a tappeto sulle aperture della città e in ogni caso non prima di aver individuato un numero quantitativamente affidabile di elementi sicuramente databili. Per fare qualche esempio possiamo citare il maggiore slancio verticale, tale da ribaltare il rapporto tra la lunghezza e la larghezza del vano di apertura sottostante la linea di imposta, delle bifore collocabili tra il 1298 e il 1350 (Casa dei Gettatelli e secondo piano del Palazzo del Rettore) rispetto a quelle comprese tra il 1257 e il 1290 (primo piano del Palazzo del Rettore). Per quanto riguarda la tipologia dell'arco è da sottolineare che le bifore databili tra il 1257 e il 1290 sono caratterizzate da archi a sesto acuto decisamente compresso, mentre quelle del 1298 -1338 presentano archi che tendono ad avvicinarsi al tipo equilatero. A tal proposito è da notare che una tipologia equilatera, o quasi equilatera, presentano pure gli archi maggiori delle trifore della facciata del principale edificio civile della città, il Palazzo Pubblico, costruito proprio tra gli ultimi anni del Duecento e il primo decennio del Trecento 58. Caratteri 58

Così gli archi acuti dei portali e delle arcate del pianoterra. Per la rappresentazione grafica si veda CHIERICI 1921, PP.360,371, e Palazzo Pubblico 1983, fig. 537, per la collocazione cronologica cfr. CORDARO 1983, pp. 33-57.

ancora diversi presentano infine gli archi delle bifore del 1350, con i centri situati decisamente al di sotto della linea di imposta. Valutazioni simili possono essere fatte anche per i portali e le arcate del pianoterra della facciata. Tra quelle del porticato della chiesa, databili subito dopo il 1257, e quelle appartenenti all'ampliamento del Palazzo del Rettore, del 1290, si nota ad esempio il passaggio dall'impiego di pietre e mattoni all'uso del solo laterizio e soprattutto da una mensola d'imposta priva di sagomature ad una cornice accuratamente modanata 59. Tra le arcate comprese negli anni 1257 e 1290 e quelle comprese tra il 1298 e il 1338 (Casa dei Gettatelli, ex portale della chiesa e facciata su via del Capitano della « Corsia Marcacci »), si nota il passaggio, per fare un altro esempio, da archivolti posti sullo stesso piano del circostante paramento murario a soluzioni più elaborate, caratterizzate da archivolti che, pur differenziandosi nella forma e nei materiali, sono tutti ricassati e riportati in piano da una cornice sgusciata60. Interessanti variazioni formali, talvolta caratterizzate da un'evoluzione costante, si notano inoltre nelle colonnine delle bifore, nelle cornici marcapiano e nelle mensole d'imposta di finestre, arcate e portali (figg. 21-25)61. Naturalmente si tratta di osservazioni che, come abbiamo già sottolineato, hanno un valore puramente relativo, valide per la facciata dello Spedale ma non generalizzabili, allo stato attuale della ricerca cronotipologica, all'architettura della città. 59

Pur essendovi numerose eccezioni esiste senz'altro un rapporto, almeno a grandi linee tra il materiale da costruzione impiegato (in prevalenza calcare cavernoso e laterizi) e la cronologia degli edifici medievali di Siena (cfr. CHIERICI 1921, pp.345-380; DE VECCHI 1949, pp.3-52; RODOLICO1953, pp.282-285; PARENTI 1988, p.284). Per quanto riguarda le mensole d’ imposta prive di modanature cfr. la nota 36. Sulla tipologia delle cornici si veda in particolare CHIERICI 1921 pp.377-378. 60 Nelle bifore dello Spedale tale tipologia è invece presente fin da quelle più antiche, anteriori all'ampliamento del Palazzo del Rettore del 1290. 61 Decisivo sembra ad esempio il passaggio dalla tipologia dei capitelli delle tre bifore più antiche a quella dei capitelli del 1290. Quest'ultima infatti, sostanzialmente diversa dalla precedente per l'aggiunta di un secondo giro di foglie e per l'eliminazione del piano smussato soprastante i dentelli, ebbe una notevole fortuna nella facciata dello Spedale, dove venne ripresa, pur con differenti soluzioni stilistiche, in tutte le bifore successivamente inserite. Si tratta di una tipologia molto diffusa a Siena, impiegata in numerosi capitelli di bifore e trifore, comprese quelle della facciata del Palazzo Pubblico. Per quanto riguarda le cornici marcapiano e le mensole d'imposta prevale una stretta adesione all'uniformità stilistica quando vi è una continuità fisica in senso orizzontale (tutte le cornici e le mensole dei tre gruppi di bifore del primo piano del Palazzo del Rettore, rispettivamente databili al 1270-80 circa, 1290 e 1720 circa, presentano gli stessi materiali e le stesse modanature o comunque modanature molto simili). Quando non vi è una continuità fisica in senso orizzontale assistiamo invece ad una maggiore libertà formale (nelle modanature in travertino degli anni 1298, 1336-38 e 1350 si nota ad esempio la progressiva scomparsa del tondino).

Nel caso dei portali e delle arcate è comunque da notare che, a differenza delle bifore, sembra non esservi stato un prototipo comune. Le sei arcate relative all'ampliamento del Palazzo del Rettore, della fine del Duecento, mostrano nel complesso notevoli differenze rispetto a quelle immediatamente posteriori al 1257, malgrado qualche affinità tipologica e la presenza di dimensioni abbastanza simili. L'attuale portale di ingresso allo Spedale, per il carattere palesemente monumentale, si distacca nettamente dalle une e dalle altre e casomai suggerisce, come abbiamo notato, possibili analogie con il portale principale della Casa dei Gettatelli, poi ricostruito, ed eventuali affinità tipologiche con strutture appartenenti ad altri edifici della città. Caratteri ancora diversi presentano le altre aperture, rifatte o quasi completamente rifatte, della Casa dei Gettatelli e quelle, originali, del prospetto su via del Capitano della « Corsia Marcacci » Le arcate settecentesche di via dei Fusari, infine, hanno avuto come modello quelle del 1290 mentre l'attuale portale neogotico di accesso alla chiesa costituisce quasi una fedele copia di quello relativo all'ingresso principale. Gli archi esaminati, soprattutto quelli dei portali e delle arcate del pianoterra mostrano, pur nei limiti di una campionatura quantitativamente modesta, una notevole varietà di soluzioni, evidenziando un quadro alquanto articolato del gotico senese: archi fortemente estradossati o privi di estradossatura, decisamente compressi o quasi equilateri, isolati o collegati ad archi ribassati, situati sullo stesso piano del paramento o leggermente rientranti, ecc. Nonostante ciò è tuttavia possibile riscontrare alcune costanti che vale la pena sottolineare. In primo luogo ci sembra significativo che tutti i portali e le arcate della facciata riferibili al periodo medievale presentino, pur nella varietà delle soluzioni, archi estradossati a sesto acuto compresso. L'estradossatura, eccetto che negli archi della Casa dei Gettatelli e della « Corsia Marcacci », è alquanto pronunciata. L'arco a sesto ribassato impostato sull'intradosso dell'arco a sesto acuto, soluzione tipica dell'architettura gotica senese, ha avuto un impiego molto limitato, figurando soltanto in alcune arcate, tra l'altro del tutto o quasi del tutto ripristinate, della Casa dei Gettatelli. Pure gli archi maggiori delle bifore sono a sesto acuto compresso. Nel loro caso l'estradossatura è assente o quasi impercettibile. Gli archetti minori delle finestre sono invece di tipo equilatero o comunque ad esso molto vicini. I giunti dei conci e dei mattoni che compongono gli archi dei portali e delle arcate medievali del pianoterra sono prevalentemente direzionati verso la zona centrale della

corda, secondo uno svolgimento analogo a quello dell'arco a tutto sesto62. Tutti gli archi medievali in pietra presentano inoltre il concio di chiave mentre gli archi in laterizi, sia del pianoterra che delle bifore, non sembrano seguire una regola fissa. Da una rapida e sommaria indagine sull'edilizia gotica civile di Siena sembra che certi caratteri, quali l'estradossatura degli archivolti, la prevalente tendenza dei giunti verso la zona centrale della corda, la presenza della chiave nelle strutture in pietra e la casualità di quest'ultima nelle strutture in laterizi, siano comuni alla grande maggioranza degli archi medievali a sesto acuto della città63. Ma questi elementi, che perciò sembrano costituire, almeno per quanto riguarda l'architettura civile, alcuni aspetti caratterizzanti dell'arco gotico senese, figurano pure nelle arcate e nelle bifore del prospetto settecentesco dello Spedale relativo a via dei Fusari, nell'attuale portale neogotico della chiesa e nelle prime due arcate, interamente ricostruite all'inizio del Novecento, della Casa dei Gettatelli. La loro presenza in tali strutture diventa quindi testimonianza della continuità, o della ripresa, di una tradizione costruttiva medievale, sia da parte degli architetti settecenteschi che dei restauratori "puristi" del XIX-XX secolo, gli uni e gli altri attenti osservatori delle forme e delle tecniche locali64. Ciò naturalmente non vuol dire che sia impossibile individuare efficaci chiavi cronologiche anche per l'identificazione di 62

Alquanto confuso sembra, a giudicare dai rilievi a nostra disposizione, l'andamento dei giunti degli archi delle bifore. In questo caso però, dato il limitato spessore degli archivolti, ci chiediamo quanto possa avere inciso il grado di approssimazione del ridisegno della restituzione fotogrammetrica (cfr. n. 2). 63

La presenza di tali caratteri sembra confermare, per quanto concerne Siena, quelle divergenze tecniche e formali dal "codice" architettonico francese già sottolineate, per il gotico toscano o genericamente italiano, dalla critica ottocentesca; cfr. VIOLLET-LE-DUC 1854-68, I, pp. 3334, VI, p. 424 n. 1, ed ENLART 1894, pp. 7, 52 (sull’ argomento si vedano pure le recenti osservazioni del BRANDI 1983, pp. 18-19). La nostra affermazione relativa alla diffusione, in ambito locale, di questi caratteri non deriva da uno studio specifico ma da un'indagine preliminare de visu sull'architettura civile della città. Non sono perciò da escludere eccezioni e parziali rettifiche. Una di queste sembra costituita, come è stato fatto notare (CHIERICI 1921, pp. 371-372), da alcune finestre e dal portale del prospetto di via dei Termini del Palazzo Tolomei, dove figurano archi in pietra privi del concio di chiave. Su questo palazzo pesano comunque i forti restauri integrativi per quanto riguarda i1 portale, ad esempio, proprio i due conci posti al vertice dell'arco presentano una lavorazione diversa dagli altri. A proposito della chiave ci sembra invece senz'altro da rettificare quanto è stato affermato sulla sua assenza nelle trifore in mattoni del Palazzo Pubblico (CHIERICI 1921, pp. 371-372; DE VECCHI 1949, p. 21): in realtà, come negli archi in laterizi dello Spedale, la presenza di tale elemento sembra del tutto casuale. 64 Sull'attività degli architetti "puristi" nello Spedale del Santa Maria cfr. l'intervento di Dezzi Bardeschi, in AA. VV. 1986, pp. 99-104.

aperture che imitano tipologie più antiche. Si tratterà probabilmente di affinare l'indagine, e dalla presente ricerca sono già emerse alcune indicazioni in questo senso, non soltanto sugli elementi macroscopici, quali le forme e le proporzioni delle aperture o le leggi che regolano l'andamento degli archi, ma anche su alcuni dettagli tecnici, come la lavorazione, la finitura e le dimensioni dei materiali, che possono, in operazioni culturali di recupero formale, più facilmente 'tradire' la fedeltà al modello65.

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Si pensi ad esempio alla differenza negli archi delle bifore e dei portali della Casa deiGettatelli tra le finiture originali dei laterizi e quelle del restauro novecentesco.

La teoria mensiocronologica Se per ciò che riguarda la produzione edilizia romana antica esistono da tempo ricerche sull'andamento dimensionale dei laterizi da costruzione 1, per l'età medievale e post-medievale le prime esperienze risalgono a pochi anni fa. Va sottolineato, però, che in questa ultima elaborazione la coerenza dei presupposti e la lucidità di formulazione hanno fornito grande autonomia al sistema teorico menslocronologlco. Esso vide la luce negli anni '70, insieme ad una serie di altre sperimentazioni operate in occasione dello scavo sulla collina di Castello di Genova, condotto dall'ISCUM (Istituto di Storia della Cultura Materiale)2. Una prima sintesi dei lavori, che avevano interessato un certo numero di strutture murarie genovesi, fu presentata da Ferdinando Bonora al convegno "I1 Mattone di Venezia" 3 e, da allora, il numero delle esperienze è notevolmente aumentato, fornendo risultati sufficienti ad incoraggiare un approfondimento ed una moltiplicazione degli studi 4. *** In un momento non precisato dell'altomedioevo o dei secoli centrali, si opera quel notevole mutamento dimensionale che comportò l'abbandono del modulo romano in favore di quello rimasto in uso tutt'oggi 5. Da quel momento ogni territorio, omogeneo dal punto di vista amministrativo ed economico, ha avuto una sua propria storia di variazioni delle misure all'interno del nuovo modulo. Nel quadro dell'enorme mutamento dell'edilizia abitativa avvenuto negli ultimi secoli del medioevo, che comportò un miglioramento del livello medio del prodotto edilizio6, la produzione di laterizi occupa un ruolo di primaria importanza. Uno dei tratti più indicativi del peso assunto da 1

Cfr. LUGLI 1957. MANNONI - POLEGGI 1974. 3 BONORA 1979b. 4 Cfr. in particolare FOSSATI 1985 ed i risultati esposti in MANNONI - MILANESE 1988. 5 MANNONI - MILANESE 1988, p. 384. 6 Oltre al diffuso miglioramento della situazione economica europea, la generale crisi del legno deve aver inoltre sicuramente influenzato la scelta del materiale edilizio. Cfr., a questo riguardo, CIPOLLA 1974. 2

questa industria soprattutto a partire dal XIII secolo, sono le numerose attestazioni, nei documenti del periodo, riguardanti l'attività di fornaciai7. L'importanza raggiunta dalla produzione di laterizi è inoltre confermata dalla costante attenzione che le autorità di governo prestarono nel determinare le caratteristiche di questi manufatti. I fornaciai avevano infatti l'obbligo di attenersi alle disposizioni vigenti che, fissando qualità dell'argilla, modalità di cottura e dimensioni dei mattoni, comportarono una relativa uniformità dei prodotti di fornace di una data epoca8. Le indagini compiute sul lungo periodo, sempre all'interno di un territorio omogeneo dal punto di vista amministrativo, hanno evidenziato però una serie di graduali e costanti cambiamenti delle dimensioni dei laterizi, che possono portare alla definizione di « chiavi cronologiche locali »9. Differenze dimensionali sono però presenti anche all'interno di un insieme omogeneo di mattoni ed è, in realtà, piuttosto raro trovare esemplari aventi identiche misure; ciò è dovuto alla foggiatura manuale dei mattoni, ad una minore o maggiore quantità di sabbia sul fondo dei modani (le cassette nelle quali si dava forma all'argilla), a diversi ritiri in fase di essiccamento e di cottura, al grado di usura degli stampi. Sono questi i fattori che influenzano in modo casuale le dimensioni finali del laterizio. Questo genere di variazioni sono facilmente riconoscibili perché, se disponiamo le misurazioni effettuate su un insieme omogeneo di laterizi in diagrammi di frequenza (istogrammi), esse tendono a formare una curva a campana che, secondo leggi statistiche, è tipica di fenomeni di ordine casuale10. Tali differenze, normalmente, non sono in grado di alterare le medie delle singole dimensioni, che rimangono sufficientemente attendibili. Di diverso genere sono invece quelle variazioni dovute alla presenza, all'interno di una stessa USM, di mattoni riutilizzati da murature più antiche, o di mattoni spezzati, non sempre riconoscibili immediatamente. Questo tipo di variazioni dimensionali influisce notevolmente sulla media matematica delle misurazioni del campione, comportando 7

In alcune città medievali, li troviamo organizzati come gruppo distinto, all'interno delleArti cittadine. A Siena il primo breve senese conservato che riguardi l'attività dei fornaciai risale al 1426. Cfr. Dell'arte del Legname innanzi al suo statuto del 1426, 1904, a cura di V. Lusini. 8 Documenti di questo genere sono relativi a moltissime città italiane. A Siena, già il Constituto del 1262 stabiliva per legge le caratteristiche dei prodotti di fornace. Cfr. Constituto, r. CCCCLXXXXVI e sgg. 9 MANNONI 1984 10 MANNONI - MILANESE 1988, p. 385. Cfr. inoltre BONORA 1979b, fig. 2, p. 234.

un'approssimazione, nel calcolo delle dimensioni medie di un gruppo di laterizi, troppo elevata. Ponendo le misurazioni effettuate su un campione in un grafico, che abbia indicate sull'asse delle ascisse le misure di larghezza e lunghezza e su quello delle ordinate le rispettive altezze (fig. 26), otterremo degli insiemi di punti, delle "nuvole", corrispondenti a partite di mattoni simili; eliminando le misure devianti, quelle cioè che appaiono isolate o troppo distanti dai gruppi più compatti, è possibile ottenere una media più precisa ed affidabile. Accade talvolta, ed è il caso della USM 32, settore III del Santa Maria della Scala, che per ogni dimensione si ottengano più di due raggruppamenti di punti, ossia tre o più nuvole distinte: le cause sono appunto dovute all'uso, stavolta sistematico, di riutilizzi o di mattoni spezzati. Nel caso specifico dell'esempio citato, dovrebbe trattarsi di una serie di mattoni tagliati appositamente per l'uso, essendo la USM 32 un'operazione di ricucitura, probabilmente del nostro secolo, che, per riprendere la muratura deteriorata, si è avvalsa di laterizi le cui dimensioni erano state ridotte. Dopo aver individuato e neutralizzato alcune delle variazioni interne ad ogni insieme, si passa allo studio delle differenze che intercorrono tra insiemi diversi, differenze che sono tanto maggiori quanto più le varie USM sono distanti tra loro temporalmente. Proprio le variazioni dimensionali su lungo periodo della produzione dei mattoni, permettono alla mensiocronologia di fornire datazioni assolute. È molto difficile analizzare le cause di queste lente e graduali modificazioni delle dimensioni del prodotto, che come già accennato, avvengono nel corso di secoli all'interno di un territorio omogeneo da un punto di vista politicoamminıstrativo. Le precedenti esperienze condotte dall'ISCUM di Genova, sia in quella città che, in modo parziale, ad Asti, Venezia e Pisa avevano sempre evidenziato una costante diminuzione delle dimensioni dei laterizi 11. Per spiegare il fenomeno, che ha operato molto lentamente nel tempo, si è ipotizzato che i produttori cercassero di risparmiare sulle spese producendo laterizi sottomisura, determinando in qualche modo una graduale diminuzione dimensionale.

11

Cfr. MANNONI - MILANESE 1988, p. 386, n. 9.

Uno studio concernente la città di Siena ha però evidenziato, nella produzione laterizia dell'area, una graduale crescita dimensionale del prodotto nel corso del periodo considerato12, A1 di là delle spiegazioni che si danno nel tentativo di motivare la tendenza alla diminuzione e quella alla crescita13, lo strumento operativo, là dove si riscontri in effetti l'esistenza di una curva delle medie dimensionali con un andamento sufficientemente regolare, sarà comunque creato. Una volta distinti ed eliminati gli eventuali mattoni di reimpiego o di restauro per evitare, come già detto, un'alterazione della media dimensionale, si passa perciò alla costruzione delle curve tramite un grafico avente, per esempio, sull'asse delle ascisse, le misure medie delle tre dimensioni e, su quella delle ordinate, la scansione temporale. Ulteriori elaborazioni dei dati possono poi dimostrare come più indicativo l'andamento tenuto dal volume del laterizio medio (calcolato, cioè, utilizzando le medie delle tre dimensioni) 14, oppure le graduali variazioni dell'area di una delle facce (larghezza x lunghezza, nel caso di Siena)15. Dobbiamo precisare, inoltre, che, per l'applicazione di questo metodo, esistono elaborazioni matematiche più complesse che permettono un maggiore grado di precisione16, ma in pratica, è stato notato che anche procedimenti più semplici mantengono il grado di approssimazione a livelli piuttosto contenuti. La mensiocronologia è sicuramente meno costosa di altri metodi di datazione dei laterizi (per esempio, della termoluminescenza) ma perché possa funzionare (e non è detto che sia applicabile in ogni ambito territoriale), abbisogna di un metodo rigoroso che inizia dal rintracciare una serie di murature, sufficientemente ben datate, appartenenti a diverse epoche. Il rilevamento delle misure dovrà essere il più preciso possibile, in quanto è dalla sua accuratezza che dipenderà in gran parte l'affidabilità 12

I dati provengono dalla tesi di laurea in Archeologia Medievale discussa da R. Corsi presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Siena, rel. Prof. Riccardo Francovich (1988-'89). Cfr. CORSI 1988-89. 13 Sono attualmente in corso delle analisi mineralogiche, volte a verificare variazioni della percentuale di minerali argillosi nell'impasto, che potrebbero, nel corso dei secoli, aver gradualmerlte ridotto l'entità del ritiro del volume del laterizio durante le fasi di essiccamento e cli cottura. E tuttavia prematuro, per il momento, fornire ulteriori ipotesi sulla tendenza all'aumento dei valori. 14 È il caso della curva mensiocronologica genovese. Cfr. MANNONI - MILANESE 1988. 15 15 Ciò è dovuto al fatto che queste due dimensioni presentano nel corso del tempo cambiamenti più costanti ed evidenti. 16 Cfr., ad esempio, FOSSATI 1985 e 1984.

dello strumento di datazione; dovremo quindi spingerci ad un approfondimento dell'ordine del millimetro, che rappresenta una scala sufficientemente indicativa. Bisogna infine tenere presente che la mensiocronologia risulterà più precisa in quelle aree in cui la variazione delle misure dei laterizi è stata abbastanza continua. La gradualità e l'entità delle modificazioni verificatesi nel corso del tempo, permetteranno datazioni più o meno puntuali, che oscilleranno da una a qualche decina d'anni 17. Anche nello studio della facciata del Santa Maria della Scala è stata applicata la mensiocronologia e un primo risultato può essere indicato nell'estrema similitudine delle medie dei mattoni in murature risultate coeve o molto vicine ad una lettura stratigrafica; è il caso di due pilastri della Casa dei Gettatelli l'USM 8 e l'USM 9 coevi all'USM 2 della Corsia Marcacci. Oppure nel caso di due pilastri dell'ampliamento settecentesco del Palazzo del Rettore, verso via dei Fusari, coevi ad un altro, facente parte del lato dello Spedale che dà sul vicolo delle Balie (USM 15 e 17, del settore VII ed USM 1 del settore VIII). Ulteriori indicazioni sono state fornite dal confronto dei dati provenienti dai rilevamenti compiuti sul complesso del Santa Maria della Scala con quelli relativi a una serie di murature di sicura cronologia della città di Siena. L'elaborazione della curva mensiocronologica descrivente le variazioni dimensionali della produzione senese di laterizi18 ha infatti permesso di proporre una cronologia assoluta per le parti della facciata dello Spedale costruite in laterizio, cronologia che si è rivelata sostanzialmente analoga a quella a cui si è giunti usando altri metodi di datazione. La scelta dei luoghi dove effettuare le campionature per l'applicazione sperimentale del metodo mensiocronologico è stata guidata dalle indicazioni fornite dallo studio stratigrafico dell'edificio, in modo che si potessero ottenere informazioni relative alle diverse fasi edilizie, dalle datazioni più o meno discusse: una serie di misurazioni sono state perciò effettuate sulla facciata della cosiddetta Corsia Marcacci (campioni A e B, 17

La curva genovese è in grado di stabilire datazioni con errori molto contenuti (più o meno 5-15 anni). L'escursione dei valori dimensionali, oltre ad essere praduale, è infatti molto elevata. Il volume del mattone nel corso di sei secoli (dalla metà del XÌI alla metà del XVIII) si riduce di più del 50%. Cfr. MANNONI, 1984a. La minore escursione tra i valori dei laterizi di XIII secolo e quelli di XIX che si è registrata a Siena, rispetto allle differenze dimensionali dei mattoni di diversa età della città ligure, comporta un più ampio margine di imprecisione delle datazioni. 18 Cfr. nota 12.

situati rispettivamente a destra e a sinistra del portone centrale). Nella zona dello Spedale denominata Casa dei Gettatelli si sono effettuate altre tre campionature: la prima è situata all'immediata sinistra del portone sormontato dalla balzana (campione C), la seconda e la terza arcata cieca (campione D), e l'ultima nell'area contigua al paramento litico della chiesa (campione E). Altre misurazioni sono state effettuate sui laterizi della muratura a conci alterni di pietra e mattoni del Palazzo del Rettore (campione F), su quelli del terzo pilastro dell'ampliamento duecentesco del Palazzo del Rettore (campione G) ed infine sul paramento della terza arcata cieca della parte settecentesca, situata su via dei Fusari (campione H) 19(fig. 27). Di ogni campione si sono elaborate le curve di frequenza che hanno fornito indicazioni riguardo l'omogeneità dei diversi gruppi di laterizi misurati. Per ciò che concerne i primi tre campioni (A-C) (figg. 28-30) ad una notevole concentrazione dei valori della dimensione h.(altezza), non corrisponde un'altrettanto buona concentrazione delle misure delle altre due dimensioni del laterizio. Consistente appare infatti la dispersione sia dei valori di L. (lunghezza) che di quelli di 1. (larghezza). Va inoltre sottolineato che in nessuno degli edifici senesi da noi analizzati per la costruzione della curva mensiocronologica (quasi sessanta) ci sono esempi di laterizi con lunghezze inferiori ai 28 cm. e larghezze al di sotto dei 12 cm.20. E quindi è molto probabile che le dimensioni comprese tra 9 cm. circa e 12 cm. vadano interpretate come laterizi spezzati nel senso della larghezza21, mentre è più difficile spiegare la relativamente alta concentrazione delle misure tra 27 e 28 cm. propria dei campioni A-C (cfr. figg. 2729). Osservando inoltre la forma del grafico di frequenza delle larghezze del campione B (costituito da un numero di misure abbastanza consistente), sembra di poter distinguere due diversi istogrammi: il primo con moda su 12.5 e l'altro con moda su 13 22, L'alta frequenza del valore 12.7 sarebbe quindi da spiegarsi come la somma dei valori periferici dei due istogrammi. Queste osservazioni hanno fatto ipotizzare che nel 19

Per la documentazione esistente, relativa alle diverse fasi costruttive del complesso cfr. il contributo di Parenti in questo volume. 20 Fin dal XIII secolo, periodo a cui vanno riferiti gli esempi più antichi di edilizia senese in laterizio di età medievale, le dimensioni medie dei mattoni non sono mai inferiori a cm. 28.2 x 12.4 x 5.7. Questi valori tenderanno poi gradualmente a crescere, fino a superare, nel corso del XVIII secolo, i cm. 30 x 15 x 7. 21 Lo stesso si può dire, osservando la disposizione delle misurazioni nel grafico, dei valori compresi tra cm. 14 e cm. 27 circa. 22 Il termine indica il valore più frequente di un istogramma.

campione fossero presenti due diverse partite di laterizi, precedentemente non riconosciute, una delle quali forse da mettere in relazione con l'intervento di restauro che sappiamo avvenuto nel XX secolo su questa parte della facciata23. Di più semplice lettura si presenta la distribuzione delle dimensioni dei laterizi relativi agli ultimi cinque campioni (D-H): benché anche in questo caso siano presenti laterizi spezzati, più decisa è la concentrazione intorno ad un valore, che può essere assunto come indicativo delle dimensioni del prodotto. Dopo aver purificato i dati in base alla distribuzione dei valori degli istogrammi24, si sono calcolati i seguenti laterizi medi: - campione A = cm.28.3 x 13.1 x 5.2 - campione B = cm.28.2 x 13 x 5.3 - campione C = cm.28.4 x 12.8 x 5.2 - campione D = cm.28.4 x 13.1 x 5.2 - campione E = cm.28.2 x 13 x 5.2 - campione F = cm.28.7 x 12.4 x 6 - campione G = cm.28;6 x 12.7 x 5.9 - campione H = cm.30.4 x 15.2 x 6.1 Questi valori sono stati poi confrontati con quelli degli edifici senesi di certa cronologia ed i risultati, come già accennato, confermano le datazioni a cui si è pervenuti con gli altri elementi datanti (epigrafi, documenti, lettura stratigrafica, etc.): per la Corsia Marcacci e la Casa dei Gettatelli per quattro campioni su cinque (campioni A,B,D ed E) si ha un'analogia con le dimensioni dei laterizi di edifici di fine XIII-prima metà XIV secolo25. La parte relativamente più antica del Palazzo del Rettore risulta 23

La difficoltà che si incontra nel riconoscimento dei particolari di questo e di altri interventi è dovuta probabilmente all'intento imitativo che guidò a suo tempo il restauro. Questa logica restaurativa ebbe enorme diffusione tra XIX e XX secolo ed a Siena ne sono riscontrabili numerosi esempi. Molto istruttivo è, ad esempio, il caso di Palazzo Bonsignori, edificio risalente al XV secolo, ma la cui facciata è quasi totalmente frutto di un restauro di fine XIX (del 1848) ad opera dell'architetto G. Rossi. Le misurazioni effettuate su questa parte dell'edificio hanno permesso di calcolare un laterizio "medio" di cm. 28.2 x 13.5 x 5.8. Se teniamo conto che nel XIX secolo i laterizi comuni avevano dimensioni di circa cm. 30 x 15 x 7, risulta evidente che il restauro imitativo ha in qusto caso utilizzato mattoni prodotti appositamente per l'uso, di dimensioni molto ridotte (probabilmente leggermente inferiori anche ai mattoni originali). 24 Il laterizio medio si è calcolato scartando i valori presumibilmente attribuibili ai mattoni spezzati ed a quelli sottomisura (cfr. nota 20), interpretati come prodotto del restauro di cui si è detto. 25 Per il campione C, le dimensioni delle larghezze farebbero ipotizzare una datazione di poco precedente (tra la fine del sec. XIII e gli inizi del successivo si raggiungono infatti i 13 cm. di larghezza). La scarsità delle misurazioni di l. di cui è stato possibile disporre per questo campione rendono comunque il dato poco attendibile.

di qualche anno antecedente (metà XIII secolo) e ad una data molto vicina risale anche l'ampliamento di questa parte dello Spedale verso via dei Fusari (ancora XIII secolo). I dati mensiocronologici confermano, inoltre, anche la datazione alla prima metà del XVIII secolo per la parte terminale della facciata, ancora lungo via dei Fusari26. E’ interessante notare anche la datazione suggerita dalla mensiocronologia per gli avelli rinvenuti a ridosso delle fondazioni della chiesa e del porticato a piano terra del Palazzo del Rettore. Questi avelli sono dunque, per la loro posizione stratigrafica, sicuramente posteriori alla metà del XIII secolo. Le dimensioni medie dei laterizi di rivestimento della fossa e dei muretti divisori tra gli avelli stessi sono di cm. 5 x 12.6 x 28.2, misure riscontrate finora, in Siena, solo in edifici duecenteschi. La costruzione di questi avelli risulterebbe dunque compresa tra la metà e la fine del XIII secolo. Se si considera d'altra parte che per il periodo compreso tra la metà del XIII secolo ed il primo ventennio del secolo successivo i dati mensiocronologici presentano un margine di errore di + /- 30 anni (cfr. nota 26) possiamo in linea di ipotesi avvicinare il dato stratigrafico e quello mensiocronologico al dato archivistico, che cita la costruzione di avelli nel 1306 27. I risultati sinora esposti non sono assolutamente da considerarsi definitivi: due ordini di fattori possono di fatto influenzare negativamente la puntualità delle conclusioni. Da un lato, la curva mensiocronologica elaborata per la città di Siena, basata inizialmente su un campione di circa sessanta edifici, non potrà, con l'ampliamento del campione stesso, che acquisire una maggiore definizione ed aumentare di conseguenza la sua funzionalità. Dall'altro lato, non va dimenticato il problema che si pone nel caso specifico dello Spedale: ci riferiamo ai diversi interventi di restauro a cui l'edificio è andato soggetto, che hanno presumibilmente comportato sostituzioni di materiali, delle quali importerebbe conoscere l'entità effettiva. Un'indagine per campioni ristretti di misurazioni, come nel caso 26

Gli studi compiuti sulla città hanno inoltre condotto all'elaborazione di un'equazione che descrive, con diversa approssimazione a seconda del periodo considerato, l'andamento dimensionale del laterizio da costruzione senese. Tramite questa equazione, che permette di calcolare (sulla base della dimensione dell'area L. x l.) un anno preciso, si sono ricavate le seguenti datazioni: campione A = anno 1322 c. B = a. 1303, c. C = a. 1289, c. D = a. 1328, c. E = a. 1303 c. F = a. 1253, c. G = a. 1287, c. H = a. 1745. È evidente che le date hanno un valore indicativo, in quanto, per esempio, per il periodo compreso tra la metà del XIII secolo ed il primo ventennio del secolo successivo è previsto un risultato con un margine di errore di + /- 30 anni. La stessa inesattezza è possibile nel calcolo di datazioni per edifici di XVIII secolo. 27 Cfr. periodo V, fase F, att. 20 e 21 e interpretazione relativa.

di questo studio, non permette di soddisfare compiutamente questa esigenza. Futuri approfondimenti, nell'uno e nell'altro caso, potranno conferire all'analisi mensiocronologica esiti via via più precisi.

Prospezione elettromagnetica georadar in Piazza del Duomo a Siena Nel corso del mese di gennaio 1988 è stata condotta un'indagine georadar in Piazza del Duomo a Siena, la cui finalità essenziale era l'individuazione di eventuali strutture sepolte, soprattutto in connessione con l'antico edificio dello Spedale di Santa Maria della Scala, situato di fronte alla Cattedrale. La ricerca è frutto della collaborazione fra il Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell'Università, il Comune e il Monte dei Paschi di Siena. I1 rilievo è stato condotto dallo scrivente e da personale della "Geofisica Toscana" S.r.l. di Firenze, che ha anche fornito la strumentazione, consistente in un georadar SIR-3 equipaggiato con un'antenna monostatica da 500 MHz e acquisizione dati su nastro magnetico, oltre ad un monitoraggio grafico analogico in tempo reale. L'indagine si configura come uno dei primi esperimenti di tal genere condotti in Italia su un'ampia superficie urbana (circa 2000 mq). La tecnica adottata è stata quella del profilaggio continuo su linee, mediamente di lunghezza pari a 50 m, equidistanti con passo di 1 m tra profili contigui e, in qualche caso, di 50 cm. A1 termine della battuta principale, orientata circa E-W sono stati eseguiti anche alcuni profili in direzione perpendicolare in zone dimostratesi di particolare interesse. I problemi incontrati sono tutti legati alla destinazione della Piazza a spazio pubblico: circolazione di autoveicoli (in particolare le ambulanze dell'ospedale), zone destinate a parcheggio, piccole aree transennate (compresa quella, ad W dell'ingresso del Santa Maria, già recintata per i saggi di scavo successivi), sono stati elementi di disturbo per la prospezione. Anche la presenza di opere di urbanizzazione all'interno degli strati più superficiali (condutture varie e cavi interrati), pur riconosciute come tali, hanno comportato alcune difficoltà interpretative. Discussione dei risultati Com'era facile prevedere, pressoché tutto lo spazio indagato (si veda la fig. 35) presenta indicazioni di anomalie non giustificate sulla sola base della geologia locale. D'altronde, è abbastanza logico che un'area in posizione centrale qual'é la piazza sia stata oggetto di ripetuti interventi su un arco di tempo assai lungo, forse plurimillenario, ognuno dei quali può aver lasciato tracce consistenti. Dovendo comunque scegliere un criterio di

classificazione che ne consentisse un'immediata leggibilità, si è ritenuto di poterle raggruppare in tre sole categorie: - anomalie superficiali: sono quelle (si veda, a mo' di esempio, il tratto di registrazione di fig. 36) che interessano lo strato immediatamente sottostante il selciato attuale della piazza ed estendono la loro influenza grosso modo fino a qualche decina di centimetri di profondità. Sono quasi sempre, ritengo, imputabili ad interventi antropici recenti, ma in qualche caso, specialmente al di fuori dell'area presumibilmente sconvolta per la edificazione del Duomo, potrebbe anche trattarsi di tagli praticati nello strato di arenaria sovrastante la puddinga che costituisce il nucleo del colle su cui si erge la Cattedrale: non si può infatti escludere che alcune tracce superficiali individuate in vari punti della piazza possano essere le trincee di fondazione o i lacerti di muri distrutti da interventi successivi. - anomalie a media profondità: sono tracce generate da corpi il cui tetto può anche, in qualche caso, essere prossimo alla superficie, ma la cui influenza si spinge generalmente fin verso 1-1.20 m dal p.c. (vedi fig. 37). L'immagine grafica che esse restituiscono può essere di due tipi diversi: una prima classe è formata da echi contraddistinti da scarsa compattezza, quasi fossero dovuti a potenti riporti di terreno, entro i quali molto raramente sono riconoscibili corpi omogenei e "pieni" (si veda la fig. 38); una seconda classe è invece associabile a strutture apparentemente abbastanza compatte, ma con forme mal definite in senso verticale, oppure dalla caratteristica forma ad iperbole di solito prodotta da condotte che, però, in questo caso, risulterebbero troppo profonde (vedi fig. 39) per essere interpretabili come opere recenti; come alternativa, questo tipo di echi potrebbe essere generato da corgi di piccole dimensioni ma dalle spiccate caratteristiche di riflettività. - anomalie profonde: sono le più rare e,n ell'opinione di chi scrive, rappresentano generalmente strutture murarie oppure ciò che ne resta a livello di fondazioni, praticate però già nel banco di puddinga; esse sembrano spingersi, al massimo, fin verso i 2-2.5 m (fig. 40); Sulla base di tale classificazione, vediamo quali sono, con riferimento alla planimetria di fig. 35, le zone che si possono considerare più interessanti.

a) Fascia settentrionale (antistante il Duomo) - Tutti i profili che è stato possibile estendere fino all'estremità occidentale della piazza, cioè fino alla facciata del Palazzo Arcivescovile, hanno evidenziato anomalie notevoli nel settore W: si veda a tale proposito la fig. 40, nella quale è presentato il tratto più occidentale di uno di questi profili. Valutando la situazione in pianta, ne risulta un'area anomala definita entro una quindicina di metri verso E a partire da facciata dell'Arcivescovado e una dozzina in direzione S iniziando dalla scalinata che conduce al Duomo. All'interno di un potente strato rimaneggiato (1.5-2 m) sono spesso percepibili strutture massicce con un profilo verticale molto netto: potremmo trovarci qui in presenza dei resti di un ampio edificio, che parrebbe assai rimaneggiato verso N, forse in conseguenza dell'erezione della possente platea su cui sorge il Duomo. b) Fascia meridionale (antistante lo Spedale) - In questo caso è stato impossibile indagare in maniera sistematica i primi 25 m verso W, a causa della recinzione e dei rimaneggiamenti relativi alla preparazione del cantiere di scavo; in compenso, ne sono stati coperti altrettanti più ad E di quanto fatto nella fascia settentrionale, arrivando fino all'imbocco di Via del Capitano. Anche in questo caso è stata riscontrata l'assenza di anomalie di qualche interesse verso il centro della piazza, a parte i consueti rimaneggiamenti localizzati relativamente allo strato più superficiale (50-60 cm). Elementi degni di attenzione si sono rilevati, per una fascia di circa 5 m a partire dal piano di facciata dello Spedale, verso il centro in senso E-W: essi potrebbero anche essere associabili, però, ad interventi di sistemazione del suolo per l'erezione dell'edificio. La porzione più interessante sembra essere invece quella corrispondente alla piazzuola transennata sita all'estremità sud-orientale: vi sono stati infatti registrati echi dovuti con tutta probabilità a strutture di notevole consistenza; in qualche caso, addirittura, si ha l'impressione che sussistano ambienti a volta in buono stato di conservazione (fig. 41). Conclusioni L'indagine ha mostrato tutta la potenza del georadar in un contesto assai difficile per i metodi di prospezione tradizionali qual'è uno spazio pavimentato all'interno di un centro storico.

Non si deve nascondere il fatto che Piazza del Duomo a Siena costituisce un caso eccezionale per quanto attiene alla modestia della stratificazione antropica: sulla base delle risultanze di scavo, infatti, pare che il deposito archeologico non presenti spessori superiori al metro, almeno limitatamente all'area oggetto dei saggi. E certo che, in situazioni più normali, cioè con stratificazioni urbane dell'ordine di 4-5 m, il potere risolutivo del metodo non potrebbe essere di grande aiuto e anche la capacità di penetrazione dello strumento (almeno nella configurazione adottata per la circostanza) potrebbe non consentire un'indagine completa. Ma, in generale, la tecnica elettromagnetica impulsiva si è dimostrata molto efficiente, rapida e quindi di basso costo, se paragonata ai risultati ottenibili in termini di pianificazione dei successivi interventi archeologici.

Avvertenza La presentazione dei dati I SETTORI Per ragioni di funzionalità interna alla ricerca, le aree di indagine (in orizzontale e in verticale) sono state divise in 6 settori, corrispondenti, per quanto riguarda l'indagine sull'elevato, ai principali corpi di fabbrica riconoscibili in facciata e al vicolo di San Girolamo. Nell'ordine abbiamo: - settore I - area di scavo: si tratta del saggio di 180 mq. compreso tra l'ingresso dello Spedale e il secondo pilastro relativo all'ampliamento duecentesco del Palazzo del Rettore; - settore I - elevato: comprende tutta la superficie verticale della facciata su Piazza del Duomo del Palazzo del Rettore; - settore III: comprende la superficie attualmente occupata dalla chiesa dello Spedale e dalla struttura in cotto, identificata come « Casa dei Gettatelli », fino allo spigolo con la « Corsia Marcacci »; - settore VI: si tratta della facciata dell'edificio attualmente noto come « Corsia Marcacci »; - settore VII: è il prospetto lungo via dei Fusari, realizzato nel primo settecento; - settore VIII: si tratta del prospetto est che fiancheggia il vicolo di San Girolamo, da via dei Fusari alla Piazzetta della Selva. I settori II, IV e V sono stati accorpati agli altri nel corso della ricerca e non compaiono quindi nell'esposizione. LA PERIODIZZAZIONE

Dal confronto tra i dati emersi dallo scavo e dall'indagine stratigrafica dell'elevato e la ricca documentazione storica, edita e parzialmente inedita (si vedano gli interventi di Gabbrielli, Milani e Piccinni), sono stati definiti 11 periodi, con alcune fasi interne (in molti casi scanditi per grandi linee e dunque suscettibili di ulteriori precisazioni) che definiscono e segnano i momenti salienti dello sviluppo edilizio dello Spedale e delle trasformazioni urbanistico-insediative dello spazio urbano ad esso antistante, a partire dal III-II sec. a.C. L'esposizione dei dati, da noi elaborati, all'interno di questa pubblicazione si svolge dunque rispettando la successione di questa periodizzazione. Per ogni singoio periodo si elencano le attività identificate, con una breve descrizione, partendo dal settore I - area di scavo (quando vi siano dati relativi a quest'area) e, di seguito, dal VI, al III, al I, al VII settore, muovendosi da sinistra a destra lungo la facciata. Segue un'interpretazione storica del periodo che commenta i dati dell'indagine, verificandoli con quelli provenienti da altre fonti. All'inizio di ogni periodo un disegno schematico del prospetto su Piazza del Duomo evidenzia le parti edilizie pertinenti al periodo in esame, mentre una pianta illustra i dati di scavo. Il settore VIII (vicolo di San Girolamo) viene illustrato a parte, per l'impossibilità di inserire con certezza i dati risultanti dall'indagine stratigrafica della parte bassa del prospetto nello schema di periodizzazione generale. Qui di seguito presentiamo il matrix, redatto per attività e corredato degli inquadramenti cronologici; ad esso si aggiungono un elenco delle attività e uno delle US/USM, con funzioni di indice analitico. Le quote (di piante, prospetti, sezioni) sono relative ad un punto zero, localizzato a quota 346,42 s.l.m.

La lettura stratigrafica PERIODO I: III - II SEC. A. C. (fig. 1) Fase A ATT. 1: STRATI DI TERRA ROSSASTRA CON RESIDUI CALCAREI Nella parte sud-orientale dell'area di scavo sono stati individuati alcuni strati di consistenza dura e colore rossastro (US 239, 241, 242, 285, 243), caratterizzati dalla presenza di concrezioni calcaree. Si tratta con ogni probabilità di strati di origine non antropica, formatisi per particolari condizioni di umidità del terreno. ATT. 2, 4, 6: TRACCE DI CAPANNE E/O RECINTI Tra le impronte e le tracce identificate sul terreno vergine nella porzione sud dell'area di scavo, la struttura più riconoscibile è quella rappresentata dalle US 212, 213, 214, 234 (att. 2) (fig. 2); consiste in un fossetto con andamento est-ovest (US 212 - 234) — interrotto al centro da una fossa di età moderna — che piega ad L verso sud-ovest, formando un angolo arrotondato. Al vertice di questo lato breve troviamo una buca di palo quadrangolare (US 213), mentre un'altra è riconoscibile sul margine nord dello stesso fossetto 212 (US 214). Di più difficile lettura le fossette/canalette 236/237 (att. 6) e 260 (att. 4), con andamento quasi parallelo e direzione nord-est/sud-ovest, tagliate nello strato 239 (= 241 = 242) e le buche di palo 258 e 240 (att. 2). Lo stesso vale per la buca di palo 264 (att. 2). Alla stessa attività (att. 2) appartiene la fossa 344 – 370 (att. 2), con andamento curvilineo da sud-ovest a nord-est. ATT. 66: BUCHE DI PALO Nella zona all'estremo limite ovest dell'area di scavo rimane una serie di buche di palo e buche non identificabili (US 333, 334, 335, 336, 345, 364, 350, 352, 354, 356, 358, 360, 362, 366, 368, 348, 393) tagliate nel terreno vergine (fig. 3).

Fase B ATT. 3, 7, 5: OBLITERAZIONE DELLE CAPANNE/RECINTI E DELLE CANALETTE Strati di consistenza argillosa (US 235, 371, 233, 259, 289, att. 3; 261, att. 5; 238, att. 7) obliterano le canalette, gli scannafossi, le buche di palo nella zona est. Fase C (fig. 7) ATT. 8 - 9: IMPIANTO DI UNA FOSSA PER RIFIUTI E SUO USO Sul nuovo piano di calpestio, creatosi con l'obliterazione delle strutture precedenti, viene tagliata la fossa per rifiuti 230 (att. 8). Si tratta di una fossa quadrangolare (dimensioni: cm 210x180 ca.) con angoli smussati, scavata nel terreno sabbioso fino alla quota di 343,91 m. s.l.m. (lo zero relativo da cui sono state calcolate le quote delle emergenze di scavo corrisponde a m 346,42 s.l.m.) cioè fino allo strato geologico di pudddinga. Dall'angolo sud-ovest della fossa si diparte un piccolo canale (US 250) (att. 8), con leggera pendenza verso sud, che doveva avere funzioni di scolmatore (fig. 4). Le pareti interne della fossa sono risultate coperte da una sottile ma consistente concrezione nerastra, scagliosa, da attribuire all'accumulo dei rifiuti organici (US 296). Per quanto riguarda il riempimento (fig. 5), le unità stratigrafiche distinte al momento dello scavo per alcune differenze nei componenti (e per il loro presentarsi tagliate al centro, in senso est-ovest, dalla fossa di spoliazione del muro 170: US 254, 255, 253, 252, 232, 231; att. 9), ma ugualmente caratterizzate dalla consistenza argillosa, sono state unificate (US 232) in seguito allo studio dei materiali, che ne ha sottolineato la relativa omogeneità). ATT. 26: COSTRUZIONE DI UNA STRUTTURA CON FONDAZIONE IN MURATURA E PROBABILE ALZATO IN TERRA

Nella porzione sud-ovest dell'area di scavo è stato individuato un lacerto di fondazione (US 293, 294), relativo ad una muratura con andamento nord-sud, composto da sabbia mista a pietrisco (analogo a quello presente nello strato geologico di puddinga) e a pezzame di calcare cavernoso con rari grumi di calce. Non è escluso che al di sopra di questa fondazione si ergesse un alzato in terra o a prevalente componente argillosa (figg. 6 e 7). INTERPRETAZIONE Le tracce di capanne o recinti individuate nella porzione sud dell'area di scavo sono riferibili ad un contesto insediativo non posteriore al II sec. a.C. La datazione dell'impianto di questo assetto abitativo o comunque d'uso, sul futuro piano di S.Maria, è piuttosto problematica, poiché non è stato conservato alcuno strato di vita. In ordine poi alla tipologia delle strutture evidenziate, la capanna/recinto determinata dalle US 212, 213, 214, 234, a base rettangolare, indica un procedimento costruttivo (nel fossetto si alloggiano travi lignee, fermate a distanze regolari, ai lati esterni, da pali infissi nel terreno) che trova ampi riscontri in strutture simili documentate archeologicamente1 ed appartenenti ad una tradizione culturale che ha le sue radici nell'unità abitativa (o di servizio) protostorica (a pianta ovale o rettangolare), ma che è presente ancora oggi in numerose aree del nostro territorio e non solo in questo2.

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Per una esemplificazione delle varie tecniche di costruzione di capanne e delle relative tracce sul terreno, riscontrabili a distanza di secoli, cfr. Sorgenti della Nova 1981. 2 L'evoluzione riconosciuta nelle forme abitative del periodo etrusco vede l'uso delle capanne di tradizione protostorica ancora in tutto il VII secolo, alla fine di questo secolo si segnalano i primi cambiamenti verso abitazioni con fondazioni in pietra ed « alzati in mattoni crudi o in murature a graticcio con rinforzi di pali e travi... ».Cfr. Torelli in Case e Palazzi d'Etruria 1985 p.24. Nella stessa sede l'autore offre un quadro riassuntivo dei termini del problema. Un'esemplificazione, nello stesso volume, è offerta dall'insediamento di Ficana, nel Lazio, con testimonianze di un passaggio da strutture abitative a capanna (fine VII-metà VI sec.a.C.) a edifici con fondazioni in blocchi di tufo ed alzati non dissimili da quelli delle capanne stesse (pali sottili e ravvicinati, tra i quali si intrecciavano canne e paglia, poi ricoperte di argilla) o, in edifici leggermente più tardi, costituiti da un telaio ligneo tamponato da mattoni crudi (cfr. Magagnini - Rathje in Case e Palazzi d'Etruria 1985, p.164). Nel nostro caso, manca qualunque dato per identificare i materiali utilizzzati per l'alzato e per la copertura, che, tendenzialmente, nelle capanne era costituita da una trama in legno ricoperta da paglia. L'evoluzione verso l'abitazione parzialmente in muratura coincide anche con l'avvento della copertura fittile (embrici e coppi). Sullo stesso argomento cfr. OSTENBERG 1975.

Le unità stratigrafiche 236 - 237 (att. 6) e 260 (att. 4) sono incompatibili con l'uso della capanna/recinto sopra descritta e possono indicare una successione di restauri e/o ricostruzioni. La buca di palo 264 (att. 2) sembra poi troppo vicina all'US 213 per poter rappresentare l'altro lato dell'accesso alla capanna, ma può anch'essa essere collegabile ad una sua ristrutturazione. La fossa 344/370 (att. 2) può invece delimitare un interno/spazio d'uso la cui presenza è comunque, in linea di ipotesi, compatibile con la capanna 212. Di più difficile interpretazione l'att. 66, poichè l'asportazione evidenziata su tutta l'area (att. 32, periodo VIII, fase B) può aver cancellato un deposito coevo all'attività stessa e più recente rispetto al periodo in esame. Quello che dobbiamo sottolineare è la presenza di forme insediative, pur se "povere", sul futuro piano di S.Maria, in una fase (III-II sec. a.C.) finora documentata solo da ritrovamenti relativi a tombe/necropoli ai margini della città3. Il successivo scavo della fossa 23044, sulla obliterazione delle strutture lignee, può far ipotizzare che a quelle si sia sostituita una nuova realtà insediativa, forse non molto dissimile nell'entità e nella tipologia: altre capanne o edifici, parte in muratura e parte in terra, come lascerebbe supporre il lacerto 293.

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Si ricordano i ritrovamenti di tombe nella zona della Rocca Salimbeni (IV-II a.C.), di Porta Camollia (III-II a.C.), di Campansi (IV-II a.C.), della Coroncina (IV-III a.C.), di Porta S.Marco per i quali si veda Cimino in Siena: le origini 1979, pp.191-194. Per una riflessione complessiva sull'insediamento nell'area senese in questo periodo (III-II a.C.), cfr. CIACCI 1979, pp.26-27, dove si segnala un fiorire di centri, nel comprensorio territoriale tra i due torrenti Bozzone e Sorra legato ad un « fenomeno di rivitalizzazione delle strutture agricole, che interessa tanto l'area chiusina quanto quella volterrana ». Non si fanno ipotesi esplicite sull'insediamento in area urbana, ma si segnala un modello del popolamento che si avvale di « centri...dislocati su alture intorno ai 3/400 metri d'altezza, sul tipo dei castelli medievali... ». Un centro insediativo di piccola o media entità dislocato sul piano di S.Maria e su altre aree consimili del circuito cittadino risponderebbe a queste caratteristiche. Per quanto riguarda infine le ipotesi sul suo ordinamento giuridico istituzionale, si veda Scardigli Foster in Siena: le origini 1979, pp.95-96,l'autrice dubita che Siena sia stata un municipio autonomo « già molto prima della guerra sociale », sostenendo come ipotesi più probabile che « dipendesse fin dalle sue origini, o da poco dopo, da una vicina città etrusca e più precisamente da Volaterrae... » e che abbia acquistato la cittadinanza romana in base alla lex julia de civitate del 90 a.C., divenendo poi nell'87 municipio autonomo (in base alla lex Cornelia di Cinna) con iscrizione alla tribù Oufentina (86 a.c.). 4 La fossa 230 trova riscontro in altre strutture di servizio identificate in insediamenti di età pre-romana e romana; poste nelle immediate vicinanze delle abitazioni (in cortili aperti per es.) venivano utilizzate per ogni sorta di rifiuti domestici, fino alla loro totale occlusione oppure regolarmente svuotate, per ricavarne concime. Per un simile ritrovamento cfr.ancora l'insediamento di Ficana, già citato, in Siena: le origini 1979, p. 164.

Dal punto di vista topografico, è interessante sottolineare fin da adesso come l'orientamento delle emergenze del periodo pre-augusteo sia leggermente ruotato in senso est-ovest rispetto alla facciata dello Spedale. Questo dato (che sarà poi riconfermato dalla struttura augustea e da quella altomedievale) può essere indice di una diversa conformazione del pianoro ed in particolare di un andamento diverso del ciglio lungo il lato sud (verso il F.so di S.Ansano)5. PERIODO II: I SECOLO A. C . (fig. 8) ATT. I8: OBLITERAZIONE DEL CANALE DI SCARICO (US 250) DELLA FOSSA 230 Il canale di scarico (US 250), che dalla fossa 230 giunge, con andamento rettilineo, alla facciata dello Spedale, è risultato obliterato da uno strato di consistenza argillosa (US 251). ATT. 11 - 12: COSTRUZIONE E VITA DEL MURO 170 Nell'angolo sud-est dell'area di scavo è stato messo in luce un lacerto di muratura (us 170) (fig. 9), con andamento est-ovest (largh. cm. 58/60; h. dell'alzato conservato cm. 20/25; lungh. della parte conservata cm. 340), conservato nell'elevato per un solo corso. Si tratta di un muro a sacco; la fondazione (us 262) è un conglomerato di malta — molto ricca di sabbia — pezzame di pietra (calcare cavernoso) e rari frammenti di laterizi (embrici e forse coppi; è presente anche un frammento di anforaceo) (fig. 10); l'alzato, non distinto da alcuna risega, è caratterizzato da una faccia a vista sempre in pezzame di pietra (calcare cavernoso, come per la fondazione), solo sbozzato. La fossa di fondazione (us 174) taglia in modo evidente la fossa per rifiuti 230 ed i suoi riempimenti e va ad innestarsi ad angolo retto con il muro 293. L'unico strato in fase con la vita del muro 170 (us 223, att. 12) di consistenza plastica, ha restituito un contesto omogeneo di materiali ceramici, relativo alla prima età augustea.

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Il piano di S.Maria è sicuramente stato sottoposto a continue variazioni orografiche nel corso dei secoli. Tra quelle attestate da documenti, la più ingente è sicuramente quella che ha interessato il fronte nord (area tergale del Duomo), per la costruzione del S.Giovanni e per la quale si veda PIETRAMELLARA 1980, pp. 7-8.

ATT.68 – 69 – 70 - 71: IMPIANTO ED USO DI UNA FOSSA CIRCOLARE Appartiene a questo periodo di frequentazione dell'area, con ogni probabilità, anche la fossa circolare 406 (att. 68), posta nella porzione sud-ovest dell'area di scavo, fuori del presunto perimetro dell'edificio definito dai muri 170 e 293. Al centro di un primo riempimento (us 411, 412, att. 69) è stato evidenziato un taglio rettangolare (us 408, att. 70; fig. 11), poi obliterato dagli strati 409 e 410 (att. 71). Sul fondo della fossa era conservato un piccone a due tagli. INTERPRETAZIONE Dell'edificio definito dal muro 170 e dal riutilizzato muro 293 è impossibile indicare l'entità e le funzioni; possiamo solo notare come l'orientamento sia di nuovo leggermente ruotato rispetto alla facciata dello Spedale. Questo ritrovamento rappresenta comunque una conferma indiretta della costituzione in età augustea della colonia militare di Saena Julia1; ed è inoltre la testimonianza di una trasformazione dell'assetto insediativo (dalle capanne lignee e da costruzioni "povere" forse con alzato in argilla, a edifici pubblici o privati in muratura) in un'area della città topograficamente significativa, proprio agli inizi del I sec.a.C. Molti sono stati i rinvenimenti di età romana nel contesto urbano ed extraurbano, ma non essendo accompagnati da documentazione archeologica non forniscono indizi adeguati per la ricostruzione della topografia di Siena in tale periodo2. 1

Si veda ancora Scardigli Foster in Siena: le origini 1979, p. 96. Osserva giustamente Cristofani, in Siena: le origini 1979, p. 99, che « l'estensione della colonia romana di Saena Julia può essere indicata dalla consistenza dei rinvenimenti archeologici in città più che dal perimetro della cinta muraria, spesso supposto dalla letteratura erudita ». Zone di insediamento sono quindi da identificarsi con certezza in Castelvecchio, intorno al Poggio dei Malavolti, nel Terzo di S.Martino (ibidem). In linea di ipotesi, l'estensione della città romana nel suo complesso doveva ricalcare « l'area della cinta urbana così come si presentava nel XII secolo » (ivi, p. 100). Si veda ancora nello stesso volume (pp. 104-114) il quadro riassuntivo delle testimonianze di età romana visibili in città e lo schedario topografico in appendice al volume. Posizione ben diversa è quella di Lusini (LUSINI 1921) che traccia il percorso della cinta muraria della città romana attorno a Castelvecchio e al piano di S.Maria, con il cardo ed il decumano che si incontrano in Piazza del Campo, identificando anche la posizione delle quattro porte (pp. 245249) e accettando dunque nella sostanza tutta la tradizione erudita. 2

A tal riguardo, le emergenze documentate nell'area di scavo vanno lette come una conferma della frequentazione nella prima età augustea del piano di S.Maria, fino ad oggi solo ipotizzata sulla base di ritrovamenti sporadici3 i e di teorie erudite, ampiamente esposte e correttamente commentate da Cristofani4. Di difficile lettura la funzione della fossa 406; possiamo solo identificare come probabile alloggio per un palo rettangolare il taglio 408.

D.D.L.

PERIODO III: VI-VII SEC.D.C.(fig. 12) Fase A ATT. 28: DISTRUZIONE E SPOLIAZIONE DEL MURO 170 Per un tratto di 4 metri in corrispondenza della fossa di fondazione del muro 170, è ben evidenziata la fossa di spoliazione (US 200) dello stesso muro, riempita dallo strato 201. Il lacerto di muro residuo è stato asportato fino a quota 344,84 s.l.m. (US 169). Al limite E è visibile una piccola buca (US 287, riempita dall'US 288) per asportazione di materiale da costruzione. ATT. 27: DISTRUZIONE DEL MURO 293

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Per l'area di Piazza del Duomo, si veda Sangineto in Siena: le origini 1979, p. 113 con la descrizione ed il commento sul sarcofago romano (II-III secolo d.C.) oggi al Musco dell'Opera del Duomo, che secondo il Pecci doveva provenire dall'area del palazzo Arcivescovile (PECCI 1761, ASS, D.4, c.142). Ed ancora lo schedario topografico, in appendice al volume (Siena: le origini 1979) alle pagine 192-193. Di particolare interesse i rinvenimenti del 1914 (lavori acquedotto) in via del Capitano (frammenti ceramici e, in particolare, anfore, di età romana). 4 Secondo la letteratura erudita nella zona del Duomo si collocava il Tempio di Minerva (BENVOGLIENTI 1571, p. 21; TOMMASI 1625, I, pp. 53-54). Quest’ultimo in particolare « immagina il tempio "fatto a colonne dall'usanza atheniese". Come prove archeologiche vengono ricordati frammenti di colonne, una base in travertino e un frammento in marmo sul quale era inciso in "lettere maiuscole antiche" molto corrose la parte finale del nome della dea Diana o Minerva », cfr. Della Fina - Pistoi in Siena: le origini 1979, p. 149.

Contemporaneamente al muro 170, viene abbattuto anche il muro 293 (US 295). ATT. 14: CREAZIONE DI UNA FOSSA PER INTERRARE I MATERIALI DI RISULTA Con una parte dei materiali di spoglio (US 204, 196, 194), provenienti dalle distruzioni di queste murature e dell'edificio in generale (frammenti di marmo, laterizi, pietrame), viene riempita una fossa (US 205) (dimensioni: cm. 160x90, profondità m. 343,95/344,33 s.l.m. ATT. 72: OBLITERAZIONE DELLA FOSSA 406 Con uno strato di terra argillosa (US 407) si chiude definitivamente l'utilizzo della fossa 406.

Fase B ATT. 10: COSTRUZIONE DEI MURI PERIMETRALI DI UN ABITAZIONE Addossato al lato ovest del muro 293 si costruisce il muro 191 (USM 191, 193) (fig. 13), utilizzando in parte i materiali edilizi (pietre, frammenti laterizi — coppi, mattoni, embrici — e anforacei) provenienti dalla distruzione dell'edificio romano ed un legante poverissimo di calce (che si rinviene ancora in grumi) mal diluita nell'inerte sabbioso. La nuova muratura si incastra ad L sulla rasatura del muro 293 (US 297). Da questo livello, doveva alzarsi un elevato in terra (o a prevalente componente argillosa). Il lato nord di questa nuova costruzione è invece definito dal muro 202, di cui non si è rinvenuta che una labile traccia di fondazione nel terreno sabbioso (USM 263) ed il piede della fondazione stessa, caratterizzato da sabbia e pietrisco, con rari grumi di calce. Il lato ovest dell'edificio, può, con ogni probabilità, essere rappresentato dal lacerto di muratura 382, composto da due pietre (calcare cavernoso, di riutilizzo) sbozzate e dal solito legante a base sabbiosa, con grumi di calce friabile.

ATT. 16: EMERGENZE DELL’ASSETTO ABITATIVO All'interno del perimetro delineato dai muri 191/ 297, 202, 382 sono state individuate scarse ma significative tracce della frequentazione quotidiana: un focolare, dato da pietre (US 192) poggianti direttamente sul piano di calpestio e addossato al muro 191; un'anfora (US 225 - 228) infissa nel terreno ad uso di dispensa per cereali (fig. 14); due fori per pali di servizio (US 217, 278), usati cioè per appendere masserizie o per creare dei trespoli in funzione del focolare. Tracce di battuti pavimentali o di livelli di frequentazione sono rappresentati dagli strati 215 e 216. ATT. 13: COSTRUZIONE DEL MURO 208 Ad est del muro 293 è stato messo in luce un lacerto di muratura (USM 208) con andamento est-ovest, costituito da frammenti di laterizi, pietrisco e pezzame di pietra, con legante povero di calce, analogo al muro 202. La struttura risulta tagliata (US 209) nello strato 220 ( = 221), in parte asportato dalla fossa 81 (posa dei tubi del gas, att. 45, periodo XI).

Fase C ATT. 73 – 74 – 75 - 76 – 77 - 83 Si tratta di strati, fossette, riempimenti di difficile interpretazione, situati nella zona ovest dell'area di scavo, quella cioè che ha conservato un minor numero di informazioni e dati decifrabili e leggibili in modo coerente. Dal punto di vista della sequenza stratigrafica si collocano in questo periodo, ma non vi è nessun rapporto evidente con l'edificio descritto sopra. (Att. 73: US 401; att. 74: US 400; att. 75: US 397; att. 76: US 392; att. 77: US 390; att. 83: US 389). ATT. 29 - 17: DISTRUZIONE DEI MURI PERIMETRALI DELL’EDIFICIO (FASE IIIB) E TRACCE DI INCENDIO

Su tutta l'area ipoteticamente occupata dalla struttura abitativa e sui lacerti delle murature perimetrali si sono riscontrati strati nerastri, ad alto contenuto di carboni e di cenere e strati di argilla concotta (fig. 15). (Att. 29, distruzione dei muri: US 190, 207, 383, 210, 256, 257; att. 17 strati di cenere, argilla concotta, carboni: US 229, 227, 147, 146, 150, 151, 148, 387, 388, 383, 384, 386, 385, 373, 374, 279, 184, 218, 222). PERIODO III - INTERPRETAZIONE Come si è visto, non è possibile determinare con certezza la durata dell'edificio definito dai muri 170/ 293; lo scavo ha potuto documentare infatti solo il momento della sua distruzione, che può essere stata preceduta da un periodo più o meno lungo di abbandono. I dati in nostro possesso evidenziano un episodio di distruzione, correlato ad un nuovo, successivo impianto abitativo di apparente minore entità: sulla base delle datazioni offerte dal materiale ceramico, tali eventi si inquadrano nella seconda metà del VI secolo d.C. Semplicemente in linea di ipotesi, potremmo correlare queste evidenze al contesto storico-sociale della guerra greco-gotica e dei suoi devastanti effetti di distruzione e di abbandono1, ma anche all'insediarsi del dominio longobardo, che appunto tra il 576 ed il 591 raggiunge i territori di Arezzo e Siena2. Sul problema mancano dati storici d'ausilio, come altresì sono assenti nell'ambito urbano ritrovamenti coevi che possano supportare (con analogie stratigrafiche ed altre informazioni) le nostre ipotesi3. Di fatto la storia di Siena tra tardo-antico e altomedioevo è ancora da costruire; gli elementi che possediamo sono sporadici e mal collegabili tra loro per poter dar vita ad un'immagine più focalizzata della topografia della città. Sappiamo che Siena riceve, tra il V ed il VII secolo, direttamente o indirettamente, impulsi alla crescita e al rafforzamento che si realizzeranno 1

La guerra greco-gotica è invece ben documentata per Firenze, e per essa si rimanda a DAVIDSOHN 1977, P. 75. 2 CONTI 1973, pp. 63 e sgg. 3 Un fenomeno di regresso demografico si evidenzia nel territorio circostante Siena, sulla base di dati archeologici (abbandono delle ville di età romana), nel V sec. d.C . Cfr. CRISTOFANI 1979, p. 102. Lo stesso Cristofani (ibidem) dà come probabile anche un fenomeno di riflusso dell'attività produttiva in Siena, ma ciò sembra in parte contrastare con i dati dello scavo, sebbene più tardi, che mostrano un buon livello nella produzione ceramica e rapporti di interscambio anche con aree piuttosto lontane.

nel medio periodo4 e questo si evidenzia anche sulla base dei reperti ceramici relativi a questa fase (per i quali cfr., in questo stesso volume, pp. 366 - 374), che offrono un quadro piuttosto ampio delle relazioni commerciali senesi del tempo. Per tornare alle emergenze dello scavo, quella che è stata identificata è un'abitazione all'apparenza povera, che rispecchia nelle modalità d'impianto e nell'assetto i caratteri più comuni dell'edilizia minore tardo-antica e altomedievale5: l'elemento del reimpiego di materiali edilizi di spoglio, l'uso del legno, i focolari sul piano di calpestio, l'utilizzazione dell'argilla per gli alzati e per il legante delle pareti (secondo tecniche che, abbiamo visto in questo stesso scavo, non sono nuove ed importate, ma si riallacciano ad una non mai sopita tradizione pre-romana). I1 muro 208 è, ipoteticamente, ciò che resta di una struttura analoga a quella descritta, seppure con orientamento leggermente diverso, ma più decisamente danneggiata dalle attività successive. Nessuna ipotesi concreta può essere fatta sul tipo di copertura del tetto di queste strutture, ma non è escluso che questo fosse di frasche su travatura lignea, dato che negli strati di distruzione non è stata trovata traccia di fittili per copertura.

D.D.L. 4

Nella seconda metà del VI secolo, per modifiche alla viabilità dettate da motivazioni politiche (la creazione del « corridoio » bizantino con conseguente impraticabilità della via Flaminia) e da motivazioni ambientali (impaludamento della viabilità lungo costa e di alcune zone interne come la Val di Chiana, dove passava la Cassia) Siena viene a trovarsi lungo l'unico percorso possibile tra il nord Italia e Roma. BORTOLOTTI 1987, p. 4; CAMERON et alii 1984, pp. 63-66. 5 Cfr. BROGIOLO 1984a, p. 88 (su Brescia) e pp. 49-51 per un discorso più generale sulla tecnologia edilizia nelle città altomedievali. Sullo stesso tema si veda anche LA ROCCA HUDSON 1986 che critica la visione negativistica, derivante direttamente dalle tesi del Pirenne che vede la città « ruralizzarsi » nell'alto medioevo, anche e soprattutto in conseguenza del totale crollo del commercio su lunga distanza. Sulla base delle esperienze archeologiche nella città di Verona, l'autrice offre ad esempio una reinterpretazione del fenomeno del « riuso » deali edifici romani: « Al posto di crolli per mancanza di manutenzione sia degli edifici pubblici che di quelli privati, che avrebbero sepolto 'sotto metri di detriti' (BROGIOLO 1984b, n.d.r.) il piano romano, sembra piuttosto delinearsi un quadro di un più cosciente e meno casuale riuso e sfruttamento dell'antico, che include sia il voluto abbattimento di edifici ritenuti inutili, sia l'adattamento e la manutenzione di quelli ancora sfruttabili. » (LA ROCCA HUDSON, cit., p. 70). Naturalmente le emergenze del nostro scavo, pur evidenziando alcuni elementi di notevole interesse non permettono di leggere in un senso o nell'altro il livello di riutilizzo attuato dall'abitazione altomedievale nei confronti dell'edificio romano ed è inoltre impossibile, data l'assenza di altri scavi, un discorso generale su questo problema per la città di Siena.

Settore I — Area di scavo ATT. 19: COSTRUZIONE DELLA CHIESA DELLO SPEDALE Un saggio all'estremo limite est dell'area di scavo, al di sotto della panca addossata alla facciata, ha messo in luce, parzialmente, la fondazione (USM 290) della chiesa dello Spedale. Non sono state evidenziate tracce della fossa di fondazione dal momento che, in una fase successiva, la zona risulta essere stata ampiamente rimaneggiata per la realizzazione di una serie di avelli (vedi periodo V fase F). La muratura di fondazione presenta un paramento in laterizi e pietre squadrate (calcare) disposti a corsi alternati (un corso in pietra e quattro in mattoni)1 e poggia direttamente sullo strato geologico di puddinga. Il lato ovest della parte evidenziata risulta tagliato per la costruzione, nel 1702, della bocca di lupo (att. 102) destinata a dare areazione ai locali sotterranei2.

E.B. Settore III ATT. 1: PARAMENTO IN CALCARE CAVERNOSO (fig. 17 ; tavv. C e G) Si tratta di quella porzione in calcare cavernoso (USM 33) in cui oggi si apre l'ingresso dello Spedale e che confina, verso destra, con il portico costituente il piano terreno del Palazzo del Rettore (cfr. settore I, att. 20) e verso sinistra con una muratura, anche essa in conci di calcare, il cui limite è individuabile in prossimità della porta tamponata USM 94.

A.M. 1

I mattoni (14 visibili) hanno queste dimensioni medie: h. cm. 6,3 (min. 5 cm., max. 7 cm.); largh. 12,5 cm. (su 4 campioni) (min. 12 cm.; max. 13 cm.); lungh. 28,7 (su 9 campioni) (min. 28 cm.; max. 29,5 cm.). A circa 45 cm. dal piede della fondazione è presente una risega, con spessore di 6 cm. 2 Cfr. periodo VIII.

Fase B Settore I — Area di scavo ATT. 20: COSTRUZIONE DELLA STRUTTURA PORTICATA SUL FIANCO OVEST DELLA CHIESA (figg. 16, 18) Due saggi analoghi a quello effettuato nell'area delle fondazioni della chiesa (vedi att. 19) hanno permesso la visione di due porzioni delle fondamenta dei pilastri 64, 66, 68 (USM 282 e 415). L'analisi, seppur parziale, segnala che questi ultimi non sono basati su plinti, ma su un'unica fascia muraria in mattoni e conci solo sbozzati in calcare, con la stessa alternanza (un corso in pietra e tre in mattoni) riscontrabile sui pilastri e poggiata sullo strato di puddinga (fig. 19). Nel saggio all'estremità ovest (tra i pilastri 66 e 68) si è conservata anche una stretta fossa di fondazione (US 414) il cui riempimento (US 413) non ha però restituito materiale utile ai fini della datazione.

E.B. Settore I — Elevato ATT. 20 (vedi fig. 18) Per quanto riguarda l'elevato l'attività 20 è costituita dalle arcate sestiacute 48, 49 e 50, situate a destra dell'attuale ingresso dello Spedale, dai relativi pilastri 64, 66 e 68 e dalla soprastante muratura 3. Tali strutture, ad eccezione dell'arco 51 dell'apertura centrale, frutto di un restauro (att. 130), presentano un paramento murario a corsi alterni di mattoni e conci di calcare (tre file di mattoni ed una di pietra, in un solo caso quattro file di mattoni). La loro collocazione stratigrafica è posteriore all'adiacente muratura 33 del III settore, relativa alla chiesa dello Spedale, formata da regolari corsi in conci di calcare. L'arco dell'apertura 48 infatti riempie il taglio 426 praticato nella muratura 33 (sett. III) (fig. 20; tavv. C e F). R.C. — F.G.

Fase C Settore III ATT. 2: MURO IN LATERIZI (vedi tav. C) Muro in laterizi (USM 92) edificato sopra la parte destra del paramento in pietra, pertinente alla stessa azione costruttiva del primo piano del Palazzo del Rettore (settore I, USM 25) (fig. 21).

A.M. Settore I — Elevato ATT. 121: SOPRAELEVAZIONE DEL CORPO RELATIVO ALLE PRIME TRE ARCATE A DESTRA DELL’ATTUALE INGRESSO DELLO SPEDALE (vedi tab. C) Al di sopra dell'USM 3 è situata la muratura 7, distinta dalla precedente in quanto costituita da un paramento murario interamente formato da laterizi. Una cornice marcapiano di travertino separa l'USM 7 dalla soprastante muratura 25, anch'essa in mattoni, e dalle tre bifore con archi a sesto acuto (USM 8) che a quest'ultima si legano3. La muratura 25 si sviluppa anche oltre il I settore, al di sopra dell'USM 33 (settore III) alla quale si appoggia (USM 92 settore III). Della copertura relativa a tali strutture rimangono tre pietre, in origine probabilmente mensole e successivamente tagliate, situate al di sopra della chiave di volta delle bifore. R.C. — F.G. 3

Per comodità nel matrix abbiamo raggruppato in un'unica USM ciascuna serie omogenea di aperture del primo e del secondo piano della facciata (USM 8, 19, 37, 42). Ciò è del resto giustificato dal minor grado di approfondimento di lettura stratigrafica attuato nelle parti superiori dell'edificio rispetto al piano terra. Facciamo presente che una prima analisi stratigrafica della facciata relativa al settore I è in FRANCOVICH - PARENTI 1988, pp. 119-123.

Fase D Settore I — Area di scavo ATT. 49: AMPLIAMENTO DEL PALAZZO DEL RETTORE CON SEI ARCATE AL PIANO TERRA SORMONTATE DA ALTRETTANTE FINESTRE AL PRIMO PIANO (vedi tav. F) Come i tre pilastri (att. 20) sopra descritti, anche questi ultimi due (USM 307 e 308) si fondano non su plinti, ma su un'unica fascia muraria (USM 375) (fig. 22), in mattoni, disposti, con qualche irregolarità, due di fascia e uno di testa. Lungo tutta la muratura è stata rilevata una stretta fossa di fondazione (US 403), il cui riempimento (US 402) ha restituito solo una moneta di età romana, evidentemente residua. La murature 375 si appoggia in modo chiaro alla fondazione dei primi tre pilastri (USM 415). Tra il pilastro 307 e la fondazione 375 si segnala una soluzione di continuità, da imputare con ogni probabilità ad una stasi di cantiere.

E.B. Settore I — Elevato ATT 49 (fig. 23) La successione stratigrafica rispetto alla parte dell'edificio preesistente (att. 20 e 121) è chiaramente indicata da due azioni di taglio: al piano terreno l'arco dell'apertura 13 riempie il taglio 422 (fig. 24) praticato nella muratura 3 e nel pilastro 68, e al primo piano l'arco della bifora 19 taglia l'USM 25. L'ampliamento, interamente costruito in laterizi, risulta, ad eccezione delle successive modifiche, stratigraficamente omogeneo. Le aperture del piano terra (USM 13, 14, 15, 16, 17, 18) legano infatti con la muratura 11 e con i relativi pilastri (USM 307, 308, 501, 502, 512, 517) e le bifore del primo piano (USM 19) (fig. 25), scandite da una cornice contigua a quella sottostante l'USM 8, legano con la muratura 26. Al di sopra dell'arcata 16 è situata l'epigrafe 12 il cui inserimento, per quanto

stratigraficamente successivo alla muratura 11, appartiene molto probabilmente alla stessa attività. Della copertura (USM 45) relativa a tale corpo di fabbrica non rimangono tracce apprezzabili; il tratto soprastante le prime due bifore a sinistra è stato completamente rimosso per la sopraelevazione dell'edificio mentre la restante parte è stata interessata da successivi rifacimenti (vedi tavv. C, F). R.C. — F.G.

Fase E Settore III ATT. 3: EDIFICIO IN COTTO TRA LA CHIESA E LA CORSIA MARCACCI (CASA DEI GETTATELLI) (fig. 26) Questa struttura posta alla sinistra della chiesa, confinava, verso la Corsia Marcacci, con la cesura USM 118 rintracciabile alla sinistra della porta USM 112 e della bifora USM 52. Articolata su due piani, divisi tra loro soltanto dal cornicione in pietra USM 48, comprendeva le USM 110, 19, 13, 8, 23, costituenti il paramento murario del piano terreno sul quale si aprivano le porte USM 112, 27, 38 e le due monofore (USM 40 42) oggi tamponate e la USM 49 corrispondente alla muratura del piano di cui fanno parte le otto bifore (USM 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59). L'edificio terminava con un tetto posto poco al di sopra della chiave di volta delle bifore ora mensionate. Di questo sono individuabili una serie di bozze di pietra, oggi scalpellate ma ancora ben visibili nel 19074 (forse dentelli per l'alloggio del dormiente) e gli alloggi delle saette, facilmente rintracciabili tra bifora e bifora (vedi tavv. B, G).

A.M. Settore I - Area di scavo 4

LUSINI 1907, p. 104.

ATT. 21: CREAZIONE DI AVELLI PER DEPOSIZIONI MULTIPLE (fig. 27) Nella porzione sud-est dell'area di scavo, tra la fondazione della chiesa e la prima delle tre arcate al piano terra del Palazzo del Rettore, sono stati evidenziati almeno 4 avelli (dimensioni: largh. cm. 70; lungh. cm. 230) compresi all'interno di una fossa rettangolare (US 199; dimensioni: largh. cm. 250 ca., lungh. cm. 380) solo parzialmente indagata (in quanto confinante con il limite di scavo) e sicuramente estesa ancora in direzione est (verso la chiesa). La fossa (US 199) era rivestita in mattoni (USM 266, 284, 197), come anche in mattoni sono risultati i muretti divisori tra i singoli avelli (USM 267, 268, 269), disposti con andamento nord-sud 5. I muretti divisori in laterizi si addossano alle fondazioni della chiesa (e la creazione degli avelli ha determinato la scomparsa della fossa di fondazione) e a quella dei pilastri (fig. 28). ATT. 22: USO DEGLI AVELLI Sul fondo degli avelli sono stati rinvenuti resti scheletrici (US 271, 272, 273) solo parzialmente conservati, date le distruzioni subite in fasi successive (vedi periodo VII B) dalla fossa e le particolari condizioni del terreno che hanno deteriorato le ossa fino a far perdere loro consistenza (fig. 29). Le deposizioni erano orientate in senso sud-nord, cosicché i crani sono risultati al di sotto della panca addossata alla facciata, e ciò ha creato alcune difficoltà nella fase di recupero6. I resti scheletrici, posti l'uno sopra l'altro in modo incoerente nei singoli avelli, poggiavano sul piano di puddinga, leggermente abbassato rispetto alla quota originaria e coperto da un velo di calce (US 274). Come vedremo meglio in seguito, gli avelli cadranno in disuso intorno all'ultimo quarto del XV secolo e la fossa verrà sconvolta e nuovamente colmata con i resti scheletrici rimossi e frammentati e con terre di riporto (vedi periodo VII B); solo sul fondo dunque sono state evidenziate deposizioni conservate nella loro posizione originale.

5 6

Dimensioni medie dei laterizi: h. cm 5,03; largh. cm 12,6; lungh. cm 28,2. Per la descrizione dettagliata dei resti scheletrici, si vedano pp. 411-446.

E.B. Settore VI ATT. 1: COSTRUZIONE DEL PIANO TERRA DELLA « CORSIA MARCACCI » (vedi anche att. 3, settore III) (fig. 30) Al piano terra sono state distinte 1'USM 2, corrispondente a quella parte di muratura a sinistra del portone di ingresso, e l'USM 22 relativa invece alla muratura a destra del portone. La distinzione è stata eseguita per la mancanza di contiguità fisica tra queste due USM, a causa sia della grossa tamponatura centrale, USM 47, sia di un più piccolo riempimento relativo ad un probabile alloggio per uno stemma (USM 88), situato al di sopra dell'arco a tutto sesto sovrastante il portone d'ingresso (USM 20). Sono visibili, inoltre, i resti di due monofore simmetriche all'ingresso, delle quali oggi rimangono individuabili solo i davanzali inferiori (USM 5 per la monofora a sinistra della porta, USM 29 per quella a destra) e una parte dei soprastanti archi a tutto sesto (USM 70 a sinistra, USM 71 a destra) (vedi tav. D e fig. 31). ATT. 2: COSTRUZIONE DEE PRIMO PIANO (vedi tav. D) Anche per questo piano sono state distinte due USM, l'USM 41 a sinistra della grossa tamponatura centrale (USM 47) e 1'USM 42 a destra di questa, poiché anche la muratura del primo piano a causa di questo tamponamento è divisa in due parti non contigue tra loro. Una cornice marcapiano in pietra (USM 43, 44, 45) divide il piano terra dal primo piano. Di una delle due finestre bifore che si aprivano a questo piano è ancora visibile una parte dell'arco acuto, USM 46, mentra dell'altra rimane solo la traccia dell'imposta dell'arco, USM 69, alla cui altezza, simmetricamente all'altra finestra, quale elemento decorativo, fu apposta una cornice in pietra (USM 76, 77, 78) oggi particolarmente deteriorata e in alcune zone tagliata dalle successive aperture che si susseguirono in questo piano nell'arco dei secoli. Sono inoltre visibili gli alloggi per saette (USM 79, 80, 81, 82) e mensole (USM 83, 84, 85, 86, 87), al di sotto della cornice marcapiano, USM 68, relative all'originario sistema di copertura dell'edificio.

ATT. 3: APERTURA E SUCCESSIVA TAMPONATURA DI UNA PICCOLA APERTURA (vedi tavv. D, H) L'apertura, USM 14, che taglia la muratura 2, è collocato poco al di sopra della panca in travertino, a sinistra del portone d'ingresso ed è provvista di stipiti (USM 16, 17) e archetto (USM 15) in mattoni.

G.B. Settore III ATT. 25: COSTRUZIONE PARAMENTO IN CALCARE CAVERNOSO (fig. 32) Si tratta di un paramento murario di conci di calcare cavernoso (USM 89) disposti su filari regolari che si ammorsa, verso sinistra, tramite una operazione di ricucitura, alla Casa dei Gettatelli, e verso destra, tramite la cesura USM 117 posta in prossimità della porta USM 94, con la muratura, anch'essa in calcare della cappella (att. 1). Della medesima azione costruttiva fanno parte anche la porta USM 94, che si apre nel paramento appena descritto e la soglia USM 96, in cotto, pertinente alla medesima apertura (vedi tavv. B e G). ATT. 4: MURO IN LATERIZI AL DI SOPRA DEL PARAMENTO IN PIETRA Tale muro (USM 91) si appoggia da un lato al primo piano della Casa dei Gettatelli, dall'altro alla muratura in cui è visibile l'orologio (fig. 34 e tav. B). ATT. 5: AMPLIAMENTO DEL CORPO ORIGINARIO DELLA CASA DEI GETTATELLI (fig.33; tav. G) Comprende la struttura in cotto situata tra il corpo originario della Casa dei Gettatelli, dal quale è separata dalla cesura USM 118, e l'edificio oggi denominato « Corsia Marcacci »; è definita da un primo piano (USM 116)

con due bifore (USM 50 e 51 ), che vanno a sommarsi alle otto già esistenti, diviso dal piano terra (USM 1, 3, 113, 114) con portale d'ingresso (USM 4) soltanto dalla cornice in pietra USM 115.

A.M. INTERPRETAZIONE

Fasi A, B, C, D Settore I Le emergenze documentate in fase di scavo cessano, come abbiamo visto, con il VI-VII secolo, per riprendere, ma solo a livello di strutture murarie tutt'ora in uso, con il XIII secolo. Questo iato crea difficoltà nella ricostruzione delle vicende edilizie dello Spedale, del suo rapporto di interscambio con il "paesaggio urbano" della piazza antistante, del suo eventuale utilizzo di strutture precedenti7. Del resto questa assenza di dati archeologici coincide con il silenzio delle fonti o comunque con la loro scarsa incisività documentaria sui primordi dell'edificio ospedaliero e sul corrispondente assetto del piano di S.Maria. Il documento più antico riguardante lo Spedale risale, come è noto, al 23 marzo del 10908; la struttura è qui definita come « xenodochio et hospitale » in dipendenza diretta dal vescovado senese. Ne è segnalata dunque la doppia natura di alloggio per pellegrini e di luogo di assistenza/supporto caritativo. Spingersi oltre questa data porta nel campo delle ipotesi, più o meno ragionevoli9. 7

Si veda più avanti nota 14 e l’ intervento di PARENTI in questo stesso volume. a. 1090, 23 marzo: «Albericus Rector et Magister » accoglie la donazione di alcuni terreni da parte di Ilidiello e Netula per lo « xenodochio et hospitale de Canonica Sancte Marie domui episcopio senense » (ASS, Dipl. Opera Metropolitana, ad diem). 9 Due storici, Mancini (MANCINI 1616-25) e Malavolti (MALAVOLTI 1599) hanno accreditato la leggenda, sorta in età quattrocentesca, del beato Sorore, povero ciabattino che, dopo aver dato per qualche tempo ospitalità e aiuto ai pellegrini nella sua povera casa, « si risolvè » ad edificare lo Spedale « a gloria d'Iddio ... e a confusion del Dimonio » (MANCINI, cit.). Su Sorore si veda anche LOMBARDELLI 1627. Ponendo i fatti della vita di Sorore nel IX secolo (Mancini lo dice morto nell'898) essi collegano direttamente i primordi della vita ospedaliera sia all'avvento della dominazione franca sia all'affermarsi del percorso della Francigena e della relativa importanza di Siena come punto di transito e di sosta. Nell'itinerario di Sigerico (a. 990- 994) (per il quale si veda 8

Gallavotti10 li inquadra nel X secolo la creazione eventuale di uno xenodochio, in rapporto anche al nascere, sul piano di S.Maria, della prima chiesa. Nel 913 si ha infatti menzione della domum episcopio senense e della sedes beate Marie 11; il documento segnala indirettamente lo spostamento della sede vescovile da Castelvecchio e dalla chiesa di S.Pietro al piano che ospita il Duomo e lo Spedale, definito successivamente, in un documento del 1012, come castrum12. Sull'ipotesi di un nucleo insediativo, aggregato alle strutture ecclesiastiche (ed anche a queste preesistente), cinto e difeso da mura, Gallavotti e Brogi impostano la loro tesi sullo sviluppo del complesso ospedaliero « prima addossato al guscio murario del castello dall'interno, poi filtrato progressivamente all'esterno », così da mantenere, « del guscio, l'imponente struttura, assumendola come facciata del proprio assetto definitivo » 13. Comunicazioni stradali attraverso i tempi 1964, a cura di D. Sterpos, pp. 33-40) Siena è uno dei luoghi di transito nel percorso tra Roma e Canterbury. Sull'argomento, cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 55 e l'esauriente nota 3 a p. 65. 10 GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 56. 11 In Il Caleffo vecchio del Comune di Siena (1147), ed. Cecchini, 1931, I, pp. 49-50. Si tratta di un atto con il quale il vescovo di Siena concede al prete Giovanni la pieve di S.Cristina di Lucignano. Sul rapporto tra la nascita dell'insediamento religioso sul piano di S.Maria e i primordi dello Spedale cfr. anche MORANDI - CAIROLA 1975, pp. 17-18. 12 ASS, Dipl. Passignano, dicembre 1012. Al castrum di S.Maria è dedicato anche un capitolo del testo GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, pp. 19-20. Vi si espone la tesi secondo cui, precedentemente alla cinta muraria di Saena Vetus, che, « probabilmente nel X secolo », racchiudeva « i due antichi castelli » di Castelvecchio e del piano di S.Maria, quest'ultimo si presentava munito di una propria cinta difensiva, coincidente, secondo gli autori, con il percorso della facciata dello Spedale: « Si consideri ora la curvatura della facciata dello Spedale. Appare come una condizione a priori, non solidale con gli ambienti retrostanti che, invece, ne risultano fortemente condizionati, intervallati da cunei di spazio che riconducono i vani adiacenti a dimensioni regolari... La condizione a priori imposta alla costruzione ospedaliera è la parete del guscio del castello Sante Marie .. » (ibidem, p. 19). La tesi del guscio difensivo è sviluppata anche in analogia all'urbanistica dei castellari della città, forniti di cinte murarie autonome fintanto che « i borghi, divenuti tessuto abitativo uniforme, incapsularono i castelli arroccati sulle linee di cresta, limitando l'efficacia e poi le ragion d'essere delle fortificazioni individuali, e determinando per contro l'esigenza di sovrastrutture difensive collettive: le mura »(ibidem, p 13). Sul tema dei borghi e dei castellari si veda anche BALESTRACCI - PICCINNI 1977, pp. 98-99 e p. 21 e sgg.; NARDI 1966-68, LUSINI 1925; MORANDI - CAIROLA 1975, p. 77; MORANDI 1966, pp. 79-99. Per quanto riguarda inoltre il trasferimento della chiesa principale della città da Castelvecchio al piano di S.Maria, Pietramellara (PIETRAMELLARA 1980, p. 20) afferma che questo avvenne non dalla chiesa di S.Pietro ma da quella di S Martino verso i Tufi. Occorre ricordare inoltre l'ipotesi secondo cui almeno fino all’ XI secolo, ll duomo (chiesa di S.Maria) era diversamente orientato e cioè in senso est-ovest con la fronte verso Via del Capitano (LUSINI 1921, p.252 e n. 3). Per la confutazione di tale ipotesi, cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 57. 13

GALLAVOTTI CAVALLERO-BRoGI 1987, p. 13.

L'indagine archeologica, effettuata nell'area antistante a quella che è considerata la parte pìù antica dello Spedale e più significativa per la comprensione dei primordi della sua vicenda edilizia 14 non ha permesso di riscontrare alcuna traccia di cinte murarie preesistenti, rispettate dalla facciata dello Spedale stesso; tutte le fondazioni evidenziate poggiano infatti sullo strato di puddinga. La parzialità dell'area indagata non consente del resto di negare in modo assoluto la validità della tesi dei due studiosi citati, cui si deve comunque, al momento, l'analisi più dettagliata del complesso ospedaliero dal punto di vista documentario, architettonico ed artistico. Tornando ai corpi di fabbrica interessati dal processo edilizio della seconda metà del XIII secolo, precedentemente al 1290 (anno di definizione del Palazzo del Rettore), possiamo ipotizzare la chiesa affiancata da una struttura a portico con tre aperture, costituente una sorta di spazio intermedio, un collegamento tra interno ed esterno, che possiamo leggere come un vero e proprio sagrato coperto15. E.B. Settore III La lettura stratigrafica ha indicato come parte più antica il tratto del settore coincidente con l'att. 1, che, originariamente, doveva corrispondere, seppure non completamente, al lato sinistro della cappella ascrivibile, visti 14

Si veda a tal proposito l'ipotesi interpretativa in GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, p. 25, riferita alla struttura quadrata, dalla muratura possente, visibile al di sotto dei locali del pronto soccorso (zona radiologia): « Finché rimase un'entità a sé stante il castello di Santa Maria ebbe probabilmente più di un'entrata. Certamente ne ebbe una in corrispondenza dell'attuale pronto soccorso ...situata in un punto di massima e quindi facilmente difendibile e indicata dalla presenza, alla quota sottostante la piazza, di una struttura assimilabile a un'antiporta o ad un rivellino ». Nello stesso testo l'ipotesi è illustrata a p. 33, tav. IV. 29. Attualmente però, l'ipotesi non appare verificabile anche se la presenza della struttura indicata è incontestabile. Morandi e Cairola (MORANDI-CAIROLA 1985, pp. 83, 89) denotano invece come nucleo più antico i locali d’ angolo tra il vicolo di S.Girolamo e la via de' Fusari, datandoli tra la fine del X secolo e i primi dell'XI. Anche qui di fatto è presente (all'inizio del vicolo) un brano murario in blocchi di calcare, fondato sullo strato geologico di puddinga e inglobato nelle strutture ospedaliere. 15 Anche Gallavotti e Brogi (GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, p. 32) interpretano co me sagrato lo spazio attualmente occupato dal pronto soccorso, a partire dalla seconda metà del XIII secolo. Si veda anche, in questo stesso volume, pp. 32-33.

i documenti che ne autorizzano la costruzione16, alla seconda metà del XIII secolo. Abbiamo scelto di adottare il termine cappella in conformità con la definizione data da Alessandro IV nell'ultima autorizzazione, risalente al 1257, per la costruzione di tale edificio17; questa denominazione coincide anche con quella usata dal rettore Tese Tolomei quando, nel 1316, chiede di essere sepolto infra capellam hospitalis18. Per la complessa questione della esatta identificazione dell'originario corpo di fabbrica, si rimanda al contributo di Parenti in questo stesso volume. Qui sottolineiamo soltanto l'evidenza del taglio operato nel paramento in calcare per l'inserimento dell'arco sormontante l'apertura 48, relativo al porticato a piano terra dello stesso Palazzo del Rettore (cfr. periodo VB, att. 20). Per quanto riguarda l'att. 2, questa veniva messa in opera poco prima del 1290 al momento della costruzione del Palazzo del Rettore. A.M. Settore I — Elevato L'attività 20 consiste nella costruzione di tre archi a sesto acuto, tre pilastri e il tratto di muratura soprastante a filari di pietre e mattoni. Tale struttura, affiancata alla parete nord della cappella, è forse interpretabile in un porticato avente funzione di sagrato19. La sua collocazione cronologica risulta stratigraficamente posteriore alla costruzione della cappella, databile, sulla base di fonti documentarie, al 1257 o agli anni immediatamente seguenti20. L'attività successiva, indicata col numero 121, è costituita dal rialzamento del Palazzo del Rettore con un piano 16

Dal Breve di Alessandro IV, pubblicato integralmente in BANCHI 1877, pp. 11-13; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 415, reg. 1 e 2. 17 Vedi nota 16 e GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 6O-61. 18 ASS, Sp., Dipl. ad annum; cfr. BANCHI 1877, pp. 40-41. 19 Circa l'ipotesi del sagrato cfr. supra e n. 15. 20 ASS, Sp Dipl. 1257, giugno 27; cfr. BANCHI 1877, pp. 151-153. Sulla base della tecnica muraria e della tipologia degli archi DE VECCHI 1949, p. 26, assegna tale struttura alla prima metà del Duecento (la datazione alla seconda metà del secolo accennata a p. 17 è probabilmente una svista). Gallavotti (GALLAVOTT1 CAVALLERO 1985a, pp. 58, 66-67 nn. 54-58) distingue invece il brano murario dagli archi a sesto acuto, assegnando il primo alla fine del XII secolo, sulla base di analogie architettoniche con edifici romanici della città e del contado, e i secondi ad un periodo posteriore, coevo a quello della sistemazione definitiva del pianterreno. In una successiva pubblicazione la datazione del brano murario viene spostata alla fine del secolo XI (GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, p. 31).

caratterizzato da tre bifore. Questo intervento si inserisce tra l'attività 20, collocabile dopo l'anno 1257, e l'attività 49, databile al 1290. Il complesso delle strutture fin qui descritto è stato successivamente ampliato sul lato destro tramite l'attività 49 consistente in un vasto corpo di fabbrica caratterizzato da sei arcate al piano terra e sei bifore al primo piano. Le bifore sono formate da archi a sesto acuto e presentano forme e dimensioni simili a quelle del precedente intervento. Le arcate del piano terra pur essendo a sesto acuto si differenziano da quelle dell'attività 20 in quanto meno estradossate ed impostate su mensole sagomate. Sulla base del contenuto di un'epigrafe ( USM 12), inserita nella muratura 11, l'ampliamento è da considerarsi ultimato nell'anno 129021. R.C. — F.G.

Fase E Settore II Sia Gallavotti che Brogi usano per questo edificio la denominazione di Casa delle Balie ma un palazzo con questo nome dovette esistere soltanto dopo l'ampliamento quattrocentesco della chiesa, quando, cioè, le balie e gli esposti furono trasferiti verso via del Capitano22. Una expositorum nutricumque domus sarà certamente presente, dal 1601, in via de' Fusari quando questi verranno sistemati nel nuovo palazzo costruito appositamente23. Per quel che ci riguarda, abbiamo preferito il nome di Casa dei Gettatelli, lo stesso che compare sull'epigrafe murata sulla facciata24. Come già accennato, però, è proprio sul corpo di fabbrica della Casa dei Gettatelli che i restauri hanno inciso maggiormente rendendo difficoltoso il riconoscimento e la conseguente distinzione di eventuali modificazioni, operate sulla casa, successivamente al suo impianto. Le due monofore (USM 40, 42) sono state poste in relazione con l'ampliamento trecentesco della cappella25, ma, anche in questo caso, la 21

Per la trascrizione, cfr., in questo volume, Gabbrielli, p. 103. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 299. 23 Ibidem. 24 Per il testo di tale epigrafe, cfr., in questo stesso volume, Gabbrielli, p. 103. 25 GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 64. 22

stratigrafia non sembra confermare tale ipotesi; tali monofore, anzi, trovano un confronto diretto nelle altre due che si aprono nel settore VI (cfr.infra) e comunque o sono contestuali al primitivo corpo dell'edificio o immediatamente successive, ma previste in corso d'opera. Per quel che riguarda le due porte USM 27 e 38 non possiamo far altro che specificarne, grazie ai rapporti stratigrafici, la contemporaneità con le murature in cui si aprono. L'unica data a nostra disposizione, relativamente a tutto questo complesso, è il 1298 che, come abbiamo già detto, compare sull'epigrate murata sopra alla USM 44; purtroppo sappiamo che questa stessa epigrafe era stata spostata nella collocazione attuale il 19 novembre 1720, dal portone che il Macchi chiama dei vetturali26. Tale epigrafe non può quindi fornire nessun altro aiuto per lo studio della Casa se non la data del suo impianto e la prova della ristrutturazione funzionale di edifici già esistenti. E invece certo che l'edificio, nella sua definizione originaria, doveva apparire più esteso verso destra, rispetto ad oggi. Anche se non è possibile, ormai, stabilire la lunghezza della facciata primitiva, possiamo tranquillamente affermare che almeno un'altra bifora si aggiungeva alle altre otto del primo piano; l'imposta dell'arco di questa è ancora riconoscibile sopra allo spigolo del pilastro che delimita, verso destra, la finestra USM 59. A tutt'oggi restano purtroppo ignoti i rapporti che intercorrevano fra la Casa dei Gettatelli ed il fianco a corsi di calcare della cappella. A.M.

Fase F Settore I — Area di scavo Per le notazioni antropometriche ed in generale per lo studio dei resti scheletrici in dettaglio si rimanda agli interventi, in questo stesso volume, curati da Bedini, Valassina e Bartoli della Cooperativa Anthropos di Pisa e da Mallegni e Fornaciari dell'Università di Pisa. 26

MACCHI;, Origine, c. 60; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 63 e 68, n. 90.

Occorre qui sottolineare alcuni dati desunti dallo studio dei reperti, eseguito su un numero minimo di individui, calcolato in 54. Su questi 54 individui, 40 sono adulti, prevalentemente maschi, e 14 infantes e giovani fino a 18 - 19 anni di età. Pur nella ristrettezza del campione, lo studio ha segnalato alcuni dati demografici di particolare significato: 1) il 20% degli individui considerati supera i 50 anni di età, indicando una certa propensione alla longevità, con una diffusa "speranza di vita" 27; 2) gli individui considerati risultano di costituzione particolarmente robusta, in alcuni casi addirittura maggiore alle medie attuali28; 3) dall'analisi di precisi elementi antropometrici emerge « una vita di tipo sedentario e forse una buona alimentazione almeno nel periodo dell'accrescimento, accompagnata da un discreto esercizio fisico, ma forse mai di tipo lavorativo »29; 4) le stature rilevate rientrano nei valori medio-alti, per maschi e per femmine. Tendenzialmente sembra dunque trattarsi di un campione di individui di alto stato sociale 30. La lettura e l'interpretazione di queste significative emergenze può dunque muoversi su più piani: documentario, archeologico, antropologico e paletnologico. Esiste un buon numero di fonti relative alle diverse aree cimiteriali usate dallo Spedale nel corso del suo sviluppo; alcune permettono una sicura identificazione con le emergenze ancora visibili all'interno del complesso ospedaliero, altre risultano più lacunose ed incerte. Nel 1192 viene nominato per la prima volta il cimitero sulla piazza di fronte alla chiesa di S.Maria 31, il cui uso probabilmente si accrebbe con il consolidarsi dell'attività ospedaliera 32 È questo stesso cimitero quello a cui fa riferimento un documento del 1215, la famosa cronaca della cerimonia processionale officiata dal canonico Oderigo 33. 27

Cfr. p. 417. Cfr. p. 422. 29 Cfr. p. 422. 30 Cfr. p. 424. 31 MACCHI, Memorie, II, f . 333 t. 32 GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, p. 31. Su questa evoluzione delle strutture ospedaliere si veda l’ intervento di Balestracci e Piccinni in GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a (BALESTRACCI - PICCINNI 1985, pp. 21-39). 33 « Faciunt processionem per Claustrum Canonicae et veniunt ante Januas majoris ecclesiae, et...Sacerdos qui spartit aquam per Cimiterium, et Officinas, et in Hospitali, cum redierit, stans in Januis Ecclesiae dicit... »« ...ascendit super gradum in Januis et verso vultu ad eos qui sunt in platea... », in Ordo Officiorum Ecclesiae Senensis, pp. 12, 74, 116-17, 162, 178, 234, 251, 299, 300. 28

Tra lo Spedale e il Duomo, ancora nel XIII secolo, vi è dunque un'area riservata, protetta, destinata alle deposizioni almeno dal XII secolo. Ma di questo cimitero non abbiamo trovato traccia, a causa delle operazioni di sbancamento e di livellamento subite dalla piazza stessa, documentate dalle fonti ed ora indicate anche dall'indagine archeologica. Una nuova area cimiteriale viene disposta dal Constituto del Comune di Siena nel 126234 sull'area già occupata da alcune case iuxta hospitale, insieme alla creazione di un « carnaio ». Il documento indica una distinzione tra le sepolture, in relazione probabilmente allo status sociale dei morti: per alcuni si destinano loculi sulla piazza, per altri (malati, infermi, poveri assistiti) una fossa comune. Ma neppure questi loculi sembrano corrispondere agli avelli evidenziati dallo scavo, seppure la cronologia potrebbe coincidere; a quest'epoca infatti è impossibile che vi fossero case addossate, sul lato della piazza, all'oratorio già edificato (o in via di costruzione) e al porticato limitrofo. Il carnaio indicato dal documento si situa « alle spalle del palazzo del rettore a ridosso, all'esterno, della prima cinta urbana, ma pur sempre all'interno della cerchia urbana, giacché era già esistente l'ampliamento del 1257 » 35. Più interessante, per la lettura dei nostri avelli, un documento del 1306 36.

Il documento ci mostra il Duomo, « elevato su una scalinata, con triplice portale aperto su un'ampia piazza e fiancheggiata dalla canonica eretta ai primi del Duecento e dal Palazzo Vescovile, situazione che resterà immutata fino alla demolizione del palazzo vescovile nel 1262 » (GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 58). Inoltre troviamo localizzato il cimitero di fronte all'ingresso del Duomo ed è ricordata la presenza di Officinas (botteghe o spazi per attività artigianali collegate allo Spedale) più o meno nella stessa area. Un documento del 1147 sancisce l'acquisto da parte dello Spedale di una casa « ante gradus Sante Marie » (ASS, Sp. Dipl., ad diem). Nel 1210 lo Spedale acquista una casa e una piazza « iuxta ecclesiam Sancti Johannis » (ASS, Sp., Contratti, 70, f. 71), cioè presso l'antico battistero, da localizzare con ogni probabilità nell'area della piazza verso via del Capitano (Cfr. LUSINI 1901, p. 14, che localizzava invece il battistero nell'area oggi occupata dal Palazzo arcivescovile; GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 58 e note 64-65). Dunque, almeno dal XII secolo, ma certamente anche in precedenza, il piano di S.Maria si mostra non solo occupato dagli edifici del potere ecclesiastico (Duomo, Battistero, Canonica, Palazzo Vescovile), ma anche da abitazioni e botteghe, scandite da una viabilità minore, che lo Spedale mano a mano acquisisce per il suo ampliamento. 34

Si veda Constituto, Dist. I, rubr. XXIV e XXX). Si noti anche qui l'acquisizione di case per le necessità dello Spedale. 35 GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, p. 37. 36 ASS, Sp. 351, f. 122, «memoria settecentesca del privilegio originale che non esiste più », anche in GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, p. 104 e AOD, pergamena 597, in Documenti per la storia dell'arte senese 1854-56, vol.I, pp. 165-166.

Si tratta di una delibera dei Nove con cui si stabilisce di spianare la piazza antistante al Duomo e di lastricare di marmo le sepolture che sono in detta piazza a spese di coloro cui tali sepolture appartengono. Oltre a segnalare una trasformazione dello spiazzo antistante il Duomo e lo Spedale « da spazio urbano conchiuso quale era stato fino ad allora a luogo di riunione e di transito » 37, a vero e proprio spazio urbano, il documento indica o può essere indice della rimozione di una serie di sepolture (forse pertinenti ancora all'area cimiteriale descritta nella processione di Oderigo) e la creazione di avelli privilegiati, di famiglia, coperti da lastre tombali in marmo. Che i nostri avelli siano sepolture di famiglia, e di famiglia nobiliare o comunque di alto ceto, sembra essere segnalato dalla presenza, accanto ai maschi adolti, di donne e di bambini, seppure in percentuale minore, come abbiamo visto nelle note antropologiche. Avelli in apparenza analoghi a quelli da noi rinvenuti furono segnalati nel 1941 da Peleo Bacci, durante alcuni scavi di sondaggio « per esplorare la fondazione della facciata attuale del Duomo... Al di sotto (della scalinata) tutto il ripiano era ingombro di una serie di loculi, l'uno accanto all'altro, divisi da muretti... » 38, In conformità al documento del 1306, queste sepolture erano coperte da lastre marmoree, tre frammenti delle quali sono conservati al Museo dell'Opera del Duomo. Nel 1378 le sepolture tra lo Spedale e il Duomo erano ancora in uso, come attesta la lite sorta tra l'ente assistenziale e quello ecclesiastico sull'occupazione e l'uso degli spazi della piazza che portò alla realizzazione del "rigolo" di divisione ancora oggi presente sotto forma di una fila di pietre bianche nell'area tra i due edifici 39. Che poi nel 1306 o comunque all'inizio del '300 vi sia stato uno spianamento dell'area è confermato indirettamente dalla documentazione archeologica che non segnala depositi anteriori a quel periodo se non risalendo alle emergenze di VI/VII secolo. E.B. Settore VI 37

GALLAVOTTI CAVALLERO -BROGI 1987, p. 39. PIETRAMELLARA 1980, p.15, che però non riporta la fonte. 39 GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, nota 47, p. 131. Se è vero, come afferma il Macchi,(MACCHI, Origine, c. 60 bis, erratica), che le panche o murelli furono costruiti nel 1378 (ma non sappiamo quali porzioni), è probabile che la porzione insistente sugli avelli non fosse prescnte in questa prima fase. 38

Tutta una serie di risultati provenienti dall'analisi stratigrafica e da quella mensiocronologica portano, in mancanza di dati documentari editi certi, a formulare l'ipotesi che il nucleo originario dell'attuale facciata della Corsia Marcacci sia stata costruita sull'ingombro probabilmente di un precedente edificio40, contemporaneamente all'ampliamento della Casa dei Gettatelli (att. 5, settore III), deliberato nel 133641. Questa ipotesi è, come si è detto, confermata sia dall'analisi stratigrafica, che attesta che nei punti di contatto tra i primi due piani della Corsia Marcacci e questo edificio, le murature in molte zone si legano e quindi sono contemporanee, sia dai risultati dell'analisi mensiocronologica, che confermano una identità di misure per quanto riguarda l'altezza e la larghezza dei mattoni. Del resto un'ulteriore conferma all'ipotesi che la Casa dei Gettatelli sia stata edificata in un periodo di poco anteriore alla costruzione di questo corpo di fabbrica, proviene dal confronto tra le due originarie monofore della Casa dei Gettatelli e quelle al piano terra della Corsia Marcacci, di cui oggi restano visibili i davanzali inferiori e una parte dei sovrastanti archi a tutto sesto. Si può notare, infatti, quanto queste siano simili tra loro non solo nella forma, ambedue strette, lunghe e sormontate da un arco a tutto sesto, ma anche nelle misure. Malgrado infatti si riscontri nelle monofore della Casa dei Gettatelli un'altezza maggiore di quelle della Corsia Marcacci, misurando le prime 4.50 m. e le seconde 3.70 m., nella larghezza le misure sono perfettamente coincidenti, essendo ambedue di 1.47 m. Tutto questo porterebbe quindi ad ipotizzare che le due monofore della Corsia Marcacci siano state realizzate su modello di quelle già presenti, in un periodo molto vicino all'apertura delle prime due. G.B. Settore III La Casa dei Gettatelli ed il fianco in calcare della cappella, se anche in un primo momento poterono coesistere senza alcun contatto (e ciò sembra molto improbabile), furono senz'altro messi in relazione dalla messa in opera della USM 89. È impossibile fissare una data precisa per questa azione costruttiva che risulta, comunque, limitata temporalmente dalla data 40 41

Si veda a tale proposito il contenuto del documento: ASS, Consiglio Generale, c. 36v, 37r. Si veda relazione settore III.

di costruzione della Casa dei Gettatelli a cui si appoggia e dall'edificazione dell'USM 91 che la copre e che appartiene all'attività successiva (att. 4). Non è stato neppure possibile stabilire i motivi che portarono alla sua messa in opera, ma è ipotizzabile che si trattasse di un primo intervento teso ad ottenere una maggiore omogeneità della facciata del complesso. Qui sottolineiamo soltanto la contemporaneità tra questa porzione del paramento in calcare e la porta USM 94 a cui si lega la soglia USM 96. Nell'att. 4, invece, possiamo forse riconoscere quel muro che il rettore Tese Tolomoi fece innalzare, tra il 1314 e il 1320, sopra la cappella, per ricevere i famosi affreschi del Lorenzetti ed una tettoia42; questa è documentata sia nel quadro di Marcucci (Processione sulla Piazza del Duomo) che dal disegno del Vanni, alla fine del XVI secolo e da una serie di disegni successivi. Per quel che riguarda la Casa dei Gettatelli, nell'att. 5 siamo propensi a riconoscere quell'ampliamento, di cui troviamo notizia in una richiesta al Consiglio generale recante la data del 29 agosto 133643, che avrebbe obliterato un chiasso multum ripidum et obscurum, posto tra le case dello Spedale (probabilmente quelle preesistenti alla costruzione della Corsia Marcacci) e la Casa dei Gettatelli. Tale intervento, che riprendeva i modi costruttivi della facciata edificata nel 1298, si era reso necessario a causa della grande quantità di esposti, che, evidentemente, gli spazi disponibili non riuscivano più ad ospitare. A.M.

PERIODO VI (post 1336-1404)

Fase A Settore III ATT. 26: COSTRUZIONE DI UNA CORNICE IN MURATURA (vedi fig. 00) 42

MACCHI, Memorie, II, cc. 199t, 281t; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 72, 131, n. 60. 43

Cfr. nota 40.

Viene messa in opera una cornice in muratura, delimitante, verso l'alto, le USM 91 e 92; una traccia di tale operazione è testimoniata dalla USM 93 (periodo VII, fase C, att. 8) (vedi tav. C).

A.M. Settore I — Elevato ATT. 158: DISTRUZIONE DELLA COPERTURA DEL PALAZZO DEL RETTORE SOPRASTANTE LE PRIME CINQUE BIFORE A SINISTRA DEL PRIMO PIANO Tale operazione è stata effettuata con lo scopo di soprelevare il Palazzo del Rettore. ATT. 122: COSTRUZIONE DEL SECONDO PIANO DEL PALAZZO DEL RETTORE RELATIVAMENTE ALLE PRIME TRE BIFORE A SINISTRA (fig. 35; tav. C) Il primo intervento è rappresentato dalla muratura 33, situata al di sopra dell'USM 25. Segue la costruzione dell' USM 37 e di tre bifore (USM 34), tipologicamente simili a quelle del primo piano, separate dalla precedente muratura da una cornice marcapiano in travertino. ATT. 123: COMPLETAMENTO DEL SECONDO PIANO (vedi fig. 35 e tav. C) Il completamento del secondo piano viene realizzato prima con il rialzamento 38, che si appoggia alle USM 26 e 33, e poi con la muratura 41 e le bifore 39 e 40 ad essa legate. Della copertura relativa a tale piano non sono rimaste tracce apprezzabili. Una soluzione di continuità (USM 526) è presente tra l'attività 122 e l'attività 123, dalla quota della vecchia tettoia fino all'imposta e alla parte iniziale dell'arco dell'apertura 39.

R.C.—F.G.

Fase B Settore VI ATT. 14: COSTRUZIONE DELLE DUE PANCHE IN TRAVERTINO AL PIANO TERRA DELLA CORSIA MARCACCI (vedi fig. 31; tav. D) Questo intervento è rappresentato dalla costruzione della panca a sinistra della porta d'ingresso (USM 1) e quella a destra (USM 24), che si addossano rispettivamente la prima alla muratura USM 2 e la seconda all'USM 22. G. B. Settore III ATT. 23: COSTRUZIONE DELLE PANCHE SULLA FACCIATA Vengono messi in opera i muretti con funzione di sedili (USM 14, 9) che corrono lungo buona parte della facciata. A.M. Settore I - Elevato ATT. 25: TAMPONAMENTO DELLE PRIME TRE ARCATE A SINISTRA DEL PIANO TERRA DEL PALAZZO DEL RETTORE E CREAZIONE DELLA CAPPELLA DELLE RELIQUIE (13661370) (vedi fig. 18 e tavv. C, F) Di questo intervento permangono i tamponamenti dell'arcata compresa tra la chiesa ed il pilastro 64 (US 63) e dell'arcata tra i pilastri 66 e 68 (US 67). Si tratta di murature in mattoni disposti irregolarmente di fascia e di testa, molti dei quali di riutilizzo. L'arcata centrale ha subito nel tempo

numerosi rimaneggiamenti (aperture e tamponamenti successivi) e il tamponamento attuale risale alla fine del XIX secolo. ATT. 24: COSTRUZIONE DELLE PANCHE O «MURELLI » ADDOSSATE ALLA FACCIATA Tra i pilastri 66 e 68 permane una porzione di sedile, che, pur rimaneggiata nella parte superiore (panca vera e propria, USM 56, e scalino, USM 62, att. 90) conserva una fondazione (USM 96) che giunge fino alla quota di asportazione della muratura di VI secolo (USM 191) (vedi fig. 14 e tavv. C, F) ed è costruita utilizzando bozze di calcare analoghe a quelle riscontrabili in quest'ultima e nella muratura di età romana. Le altre porzioni di sedile addossate alla facciata, nell'area indagata, non hanno invece fondazioni significative, ma brevi strutture di appoggio (di circa 30 cm. di altezza) in malta e mattoni e sono pertinenti a fasi più tarde di ricostruzione dei sedili stessi (att. 90, periodo VIII). E.B. INTERPRETAZIONE

Fase A Settore III La messa in opera della cornice che costituisce l'att. 26 è da collegarsi, con buone probabilità, alla notizia della costruzione delle volte della "chiesa nuova" che era già ultimata nel dicembre del 13541. In effetti è pensabile che il mettere mano alle volte implichi un rifacimento del tetto, operazione che avrebbe favorito una migliore definizione della parte alta di questa porzione di facciata tramite l'inserimento di una cornice in muratura che poteva rappresentare, inoltre, un inquadramento di qualche valore estetico per gli affreschi de Lorenzetti. A.M. 1

ASS, Sp.515, c.15; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p.417, reg.44.

Settore I — Elevato Le attività 122 e 123 consistono nella costruzione, interamente realizzata in laterizi, del secondo piano del Palazzo del Rettore, caratterizzato da una serie di cinque bifore tipologicamente simili a quelle del piano sottostante. La soluzione di continuità visibile tra la muratura 37 e le USM 39 e 41 più che a due fasi costruttive ben distinte è probabilmente dovuta ad un dissesto o ad una semplice stasi di cantiere, come sembrano indicare le analogie relative agli elementi architettonici, alla finitura superficiale dei mattoni e al tipo di apparecchiatura; tale soluzione è accentuata da una lesione con dislocazione situata nella linea di modifica dell'allineamento della facciata. Le notizie riportate da Girolamo Macchi sulla costruzione delle cinque bifore sono espresse in modo contraddittorio. Per la datazione di questi interventi egli infatti indica sia l'anno 13502 che gli anni 1479 - 823. L'interpretazione che la Gallavotti ha dato di tali notizie, secondo la quale potrebbe essere assegnata al 1350 la costruzione del secondo piano e al 1479 - 82 la sopraelevazione merlata fino all'attuale altezza, è compatibile con i dati stratigrafici4.La muratura 37, relativa al secondo piano, è infatti anteriore all'ampliamento della chiesa (USM 73III), realizzato a partire dall'anno 14665, mentre le USM 42 e 43, relative al coronamento, sono ad esso posteriori6. R.C.—F.G.

Fase B Settore VI Il Macchi7 attesta che nel 1378 furono edificate le panche e i « murelli » della facciata. È presumibile, pertanto, che attorno a questa data 2

MACCHI, Origine, c. 60rv. MACCHI, Origine, c. 17r. 4 Cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp.63- 64 5 GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 430, reg. 375 e, in questo stesso volume, l'intervento di Milani. 6 Cfr. infra, periodo VII. 7 MACCHI, Memorie, I, c. 17; II, c. 123; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 133, n. 199. 3

corrisponda anche la costruzione delle due panche in travertino, relative al piano terra della Corsia Marcacci, il cui aspetto originario sicuramente è stato, almeno in parte, alterato da frequenti rifacimenti e restauri. G.B. Settore III L'att. 23 si riferisce alla costruzione delle panche USM 14 e 9 che, nel 1378, data del loro impianto 8, dovevano risparmiare i vani delle porte USM 27 e 38. Questi sedili, costruiti, a detta del Macchi, perché le personalità più illustri della Signoria e dello Spedale potessero assistere alla esposizione delle reliquie (cfr. l'interpretazione relativa al settore I — area di scavo), hanno subito, nel corso del tempo, una serie ininterrotta di restauri9 che hanno condotto all'obliterazione della parte bassa dei vani delle porte sopra citate. A.M. Settore I — Elevato La lettura di questi dati risulta piuttosto complessa non essendo associata a nessun elemento datante (deposito stratigrafico orizzontale pertinente e relativo materiale ceramico), ma solo collegabile in linea di ipotesi alla documentazione scritta esistente. Nel 1357 lo Spedale entra in possesso di numerose reliquie provenienti da Bisanzio10; l'attenzione per questo nucleo di oggetti destinati al culto della popolazione è altissima 11, tanto che nel 1364 viene eretto « a spese dell'Opera del Duomo, un pulpito per impartire la benedizione con le reliquie » all'esterno, data la piccolezza della chiesa ospedaliera 12. Ma ben presto si rende necessario uno spazio di culto interno e sappiamo che nel 1366 è già in opera la « cappella delle reliquie », poi cappella del

8

Cfr. nota 7. Un primo restauro risale al 1740, MACCHI, Memorie, II, c. 144, cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 362. 10 GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, nota 117, p. 132. 11 Ibidem, p. 80. 12 Ibidem, p. 105. 9

Manto, posta esattamente nello spazio retrostante le tre arcate di piano terra del palazzo del Rettore, là dove oggi è il pronto soccorso 13. Comunicava con la chiesa tramite una porta posta sul lato breve 14 e doveva invece essere totalmente chiusa all'esterno, in seguito appunto al tamponamento della struttura porticata. I visitatori dello Spedale, dunque, dovevano passare dalla chiesa per accedere all'interno15. Questa situazione fu modificata, perché disagevole e disdicevole per il luogo di culto, solo nel 1608, quando venne aperta l'arcata centrale della cappella delle reliquie 16. Pur se hanno subito successivi interventi (per apertura di finestre e, come vedremo, per la messa in opera e la rimozione della « pila degli esposti ») il primo ed il terzo tamponamento delle tre arcate dovrebbero essere ancora quelli della seconda metà del '300, mentre quello dell'arcata centrale corrisponde alla chiusura dell'ingresso allo Spedale, operata alla fine dell'800. Ancora « per la benedizione di dette reliquie »17, nel 1378 furono costruiti, a detta del Macchi, i « murelli » o panche addossati alla facciata. Ma, come abbiamo visto, questi hanno subito nel tempo modifiche e ricostruzioni; solo la fondazione al di sotto dell'ultima arcata (USM 96) mantiene elementi di originalità 18. E.B.

13

La cappella fu affrescata nel 1370 da Cristoforo di Bindoccio e da Meo di Piero, come dimostra la loro "firma" sull'arcone della prima campata verso la piazza. Cfr.GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 106-107 e nota 206, p. 133. 14 Ciò è mostrato anche da Domenico di Bartolo nell'affresco La Distribuzione dell'elemosine (1442), posto nel pellegrinaio dello stesso Spedale. Conferma di ciò viene anche dalla relazione della visita fatta dall'ambasciatore di Gian Galeazzo Visconti, nel 1399 (in GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, da una copia cinquecentesca in TIZIO, Historiarum senensium e dalla relazione inviata a Francesco Sforza nel 1456 (in GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, pp. 107-108, da LEVEROTTI 1984, pp. 276-291). 15 Si vedano le visite sopra citate. 16 All'interno della cappella, sulla parete opposta all'arcata in esame, « rispondeva un grande varco di accesso alle infermerie, aperto nel luogo dell'affresco della Madonna del Manto ». Cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 301, 165-168 e note 113-135, p. 260. L’autrice sottolinea l’ alto valore taumaturgico che l'affresco di Domenico di Bartolo doveva aver raggiunto nel corso degli anni, tanto da venir ritagliato e trasferito con gran pompa nella sagrestia (ibidem, p. 168). 17 MACCHI, Origine, c. 60 bis, erratica. 18 Nel quadro di Agostino Marcucci, Processione sulla Piazza del Duomo, (posteriore al 1610), conservato nel Museo Civico, Palazzo Pubblico di Siena, le panche sono raffigurate più alte di come appaiono oggi. Ma in molti particolari il quadro non è fedelissimo.

Fase A Settore III ATT . 27: DISTRUZIONE DEL TETTO DELLA CASA DEI GETTATELLI Viene distrutto il tetto (cfr. att. 3) di questo edificio posto poco al di sopra della chiave di volta delle dieci bifore. ATT. 6: AMPLIAMENTO DELLA CAPPELLA DELLO SPEDALE (fig. 36; tav. B) Ne fanno parte la USM 106 che, dalla Corsia Marcacci, si prolunga fino al Palazzo del Rettore uniformando alla medesima altezza tutte le murature sottostanti, l'ultimo piano (USM 73), comprendente le dieci grandi monofore (USM 74, 75, 76, 77, 78, 79, 80, 81, 82, 83) e la USM 84, il cornicione in pietra inserito fra la USM 73 ed il tetto. ATT. 15: TAMPONAMENTO DI MONOFORE (vedi tav. B) Tamponamenti (USM 41, 43) delle monofore presenti sulla destra della Casa dei Gettatelli. ATT. 9: INTERVENTI SU TRE PORTE (vedi tavv. B e G) Si tratta del tamponamento (USM 16,21) di due porte (USM 27,38 già descritte) della Casa dei Gettatelli e di modifiche (USM 10) che vanno ad interessare la porta USM 112 del medesimo edificio. ATT. 10: COSTRUZIONE DI FINESTRELLE (vedi tav. B) Si praticano nei tamponamenti costituenti l'att. 9 e lungo una parte della facciata (sotto le due monofore e a fianco della porta d'ingresso attuale alla chiesa) i tagli (USM 17, 28, 24, 29, 34) per la definizione di alcune finestrelle (USM 18, 20, 25, 30, 35) destinate a dar luce ai locali del piano sottostante.

A.M.

Fase B Settore I — Area di scavo ATT. 23: DISTRUZIONE DEGLI AVELLI E SUCCESSIVO RIEMPIMENTO DELLA FOSSA 199 CON I MATERIALI (TERRE, RESTI SCHELETRICI, CALCE, SCARICHI DI ALTRO GENERE) DI RISULTA Le fodere in laterizio della fossa 199 ed i muretti divisori degli avelli sono stati rinvenuti parzialmente asportati (US 270). La fossa è risultata riempita con i resti scheletrici sconvolti dalla rimozione stessa degli avelli, da strati con numerosi grumi di calce, frammenti di mattoni e terreno argilloso, rimosso e compattato (US 178, 186, 189, 195, 211, 219, 280, 281, 244, 198). Pur se distinti in fase di scavo, per caratteristiche compositive differenziate, l'analisi dei materiali ceramici contenuti ha confermato trattarsi di un'unica operazione, volta ad annullare ed estinguere le sepolture (figg. 37 e 38). E.B. Settore III ATT. 7: PRIMO RIFACIMENTO DELL’ OROLOGIO TAMPONATURA DELLE FINESTRELLE (USM 99)

E

A. M. Settore I — Elevato ATT. 160: DISTRUZIONE DELLA PARTE TERMINALE DEL SECONDO PIANO DEL PALAZZO DEL RETTORE (vedi fig. 35 e tav. B)

Tale operazione è stata compiuta al fine di costruire l'attuale coronamento merlato. ATT. 124: COSTRUZIONE DEL CORONAMENTO MERLATO DEL PALAZZO DEL RETTORE Al di sopra del secondo piano vengono realizzati, in laterizio, la muratura 42 ed il coronamento 43. Quest'ultimo consiste in un apparato a sporgere formato da archetti a tutto sesto impostati su beccatelli a forma di semipiramide rovesciata e da una soprastante merlatura. Al di sopra è la copertura 47, rifatta successivamente. R. C.—F. G.

Fase C Settore VI ATT 4: DEMOLIZIONE DEL TETTO CHE IN ORIGINE COPRIVA I PRIMI DUE PIANI DELLA CORSIA MARCACCI Di questo tetto che si trovava alla quota dell'attuale cornice marcapiano, USM 68, non rimangono tracce materiali, ma la testimonianza della sua esistenza è data dalla presenza di alloggi per mensole e saette, ancora visibili al di sotto dell'attuale cornice marcapiano (vedi tav. D). ATT. 5: COSTRUZIONE DEL SECONDO PIANO (fig. 39; tav. D) Il secondo piano, USM 53, fu diviso dal primo per mezzo di una cornice marcapiano in laterizio, formata da mattoni posti di coltello„ USM 68, oggi particolarmente deteriorata. Il tetto, USM 57, copre l'edificio, anche se molto poco è rimasto della sua struttura originaria essendo questo stato soggetto a numerosi restauri e rifacimenti. G.B.

Settore III ATT. 8: DISTRUZIONE DELLA CORNICE IN MURATURA Si tratta dell'interfaccia di distruzione (USM 93) della cornice in muratura di cui abbiamo supposto l'esistenza (vedi att. 26).

A. M. Settore I — Elevato ATT. 136: TAMPONATURA DELLE ARCATE 16, 17 E 18 DEL PALAZZO DEL RETTORE (vedi tavv. C; F) L'apertura 16, situata al piano terra del Palazzo del Rettore, viene tamponata dalla muratura in mattoni 503. A quest'ultima sembra coeva la finestra 504 che taglia (USM 506) il contiguo pilastro 502. Al di sopra della finestra è presente l'epigrafe 505 che si lega alla muratura 503. Alla stessa operazione sembra riconducibile la parziale tamponatura delle arcate 17 e 18 (USM 508, 509, 513, 518). ATT. 125 E 126: LESIONE E INTERVENTO DI RESTAURO IN CORRISPONDENZA DEL CORONAMENTO E DEL SECONDO PIANO DEL PALAZZO DEL RETTORE L'attività 125 (USM 53) indica il restauro dello spigolo destro del palazzo, relativo alle USM 41 e 42. L'attività 126 (USM 525) indica invece una lesione con dislocazione situata nel coronamento, in corrispondenza delle USM 42 e 43 (tav C). R.C.—F. G.

Fase D Settore VI

ATT.6: MODIFICA DELLE LUCI DELLE DUE FINESTRE DEL PIANO TERRA (fig. 31; tav. D) Di queste due finestre, che tagliano sia la muratura USM 2 che la USM 22, rimangono visibili solo gli stipiti esterni, USM 58 per la finestra a sinistra della porta di ingresso, USM 60 per quella a destra e le due piattabande, rispettivamente USM 72 per l'apertura a sinistra e USM 73 per quella a destra. La parte inferiore di quest'ultime venne poi tamponata (USM 10 per la tamponatura della monofora a sinistra e USM 30 per quella a destra). G. B. INTERPRETAZIONE

Fase A Settore III Una volta abbattuto il tetto della Casa dei Gettatelli (att. 3), si attua l'ampliamento della cappella dello Spedale approvato dal capitolo nel luglio 14662; tale ampliamento dovette interessare non soltanto l'esterno, ma anche l'interno, dato che la nuova chiesa, che da questo momento sarà chiamata dell'Annunziata, avrebbe compreso, oltre all'antica cappella, anche la Casa dei Gettatelli. La USM 106 è da interpretarsi come l'ultima regolarizzazione, prima della costruzione dell'ultimo piano. Per altro da un'indagine un po' più approfondita che ha tenuto conto non solo dell'apparecchiatura muraria ma anche dell'impasto dei mattoni, la USM 106 è risultata essere praticamente identica alla USM 73; le due USM erano state distinte per la presenza di una fascia in pietra serena che, secondo il metodo di lettura dell'elevato da noi applicato, costituiva, di per se stessa, una cesura tra le due. Questi lavori si protrassero certamente per oltre un decennio 3 , e terminarono con la messa in opera del tetto (USM 86) che, se anche non 2

ASS, Sp. 24, c. 169t; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 430, reg. 375. ASS, Sp. 24, c. 219 e 222t; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a p. 432, reg. 413 e 417 vedi inoltre il contributo di Milani in questo stesso volume, pp. 117-118. 3

coincide con l'attuale a causa dei numerosi, probabili, rifacimenti, occupava senz'altro la medesima posizione del tetto attuale. Per quel che riguarda i due tamponamenti che costituiscono l'att. 15, così come per le USM che fanno parte dell'att. 9, è impossibile stabilire una datazione precisa ma è pensabile che siano stati operati in questo momento. I primi furono forse motivati da esigenze funzionali, relative al nuovo impianto della chiesa o, forse, tutti quanti si resero necessari per problemi statici, dato che le vecchie murature della Casa dei Gettatelli avrebbero dovuto sostenere il nuovo, imponente carico delle opere murarie costituenti la sopraelevazione della chiesa (att . 6) . Con l'intervento USM 10, facente anch'esso parte dell'att. 9, si viene a modificare inoltre la porta USM 112. Tale intervento ne riduce la luce e ne utilizza l'intradosso dell'arco come nuovo estradosso. Si delinea in questo momento, dunque, la forma di questa porta che, nonostante i restauri successivi (cfr. att. 22) resterà pressocchè inalterata fino ai nostri giorni. Anche riguardo all'apertura delle finestrelle (att. 10) non possediamo notizie valide per una cronologia; la loro datazione risulterà dunque compresa fra questo momento (visto che tagliando i tamponamenti delle porte descritti risulteranno più tarde degli stessi) e la fine del XVI secolo (dato che sembrano essere già state operate nel disegno del Vanni ascrivibile a questo periodo). È inoltre probabile che in questo momento sia stata praticata una prima intonacatura della facciata, forse parziale, che avrebbe obliterato e celato le bifore del primo piano, donando al complesso un aspetto completamente nuovo e corrispondente, ormai, a quello attuale. Si conclude così il periodo dei grandi lavori a questo tratto dell'edificio; gli interventi che seguiranno non saranno che rimaneggiamenti e restauri, mai tali da alterarlo completamente. A.M.

Fase B Settore I — Area di scavo

Come indicano con chiarezza i reperti ceramici rinvenuti negli strati di riempimento degli avelli distrutti, questo intervento di rimozione si può datare all'ultimo quarto del XV secolo. Si può ipotizzare che sia stato effettuato in seguito alla ristrutturazione/ampliamento della chiesa ospedaliera nel 1467-1471, un grande cantiere ed un ingente intervento edilizio che può aver indotto modifiche anche nell'area della piazza limitrofa 3. Non vi sono comunque documenti, relativi a questo periodo, riguardanti la rimozione di aree cimiteriali. E. B. Settore III Non è possibile sapere se questo è uno degli « oriuoli » citati in un documento del 1413 4 ma un orologio dovette essere presente sulla facciata almeno fin dal 1440 - 42, stando all'affresco de La distribuzione delle elemosine di Domenico di Bartolo dove è rappresentato un "abbaino" che permetteva di accedere agli ingranaggi del medesimo o al terrazzo per l'esposizione delle reliquie. Durante il periodo che ci interessa si assiste invece ad un primo rifacimento di tale orologio ma, dalle notizie a nostra disposizione, non è possibile sapere in cosa sia costituito questo intervento5. A. M. Settore I — Elevato I dati stratigrafici concordano con le notizie riportate dal Macchi, secondo il quale la parte terminale del Palazzo del Rettore (att. 124) sarebbe stata realizzata negli anni 1479 - 82, durante il rettorato di Cino di Francesco Cinughi6. 3

Sull'attribuzione dell'intervento a Francesco di Giorgio Martini, cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 200 e sgg. 4 Sull'attribuzione dell'intervento a Francesco di Giorgio Martini, cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 200 e sgg. 5 MACCHI, Memorie, II, c. 213t; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 263, n. 338 6 MACCHI, Origine, cc. b, 17r; MACCHI, Memorie, II, c. 198v. Sull'argomento cfr., anche per ulteriori indicazioni, GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 63 - 64, e, in questo volume, l’

R.C.—F. G.

Fase C Settore VI Tra gli anni 1466 e 1471 venne eseguito l'ampliamento della chiesa dello Spedale. Questo comportò non solo un ingrandimento della chiesa nel suo interno, ma anche un rialzamento della facciata che interessò la Casa dei Gettatelli nella sua interezza. Dai rapporti stratigrafici risulta che il secondo piano della Corsia Marcacci si appoggia al sopraddetto rialzamento confermando pertanto che l'ultimo piano della Corsia è successivo a quest'ultimo. Poiché nella veduta eseguita dal Vanni nel 1595, nella quale è rappresentata abbastanza chiaramente la facciata dello Spedale, si nota che nella Corsia Marcacci il secondo piano era già stato costruito, è probabile che questo sia stato allora edificato nel periodo compreso tra la data del rialzamento della chiesa e l'anno in cui fu eseguita la veduta dal Vanni. G. B. Settore III Dato che la cornice costituente l'att. 8 non viene rappresentata né nel quadro del Marcucci né nella veduta del Vanni, dobbiamo supporre che, prima della fine del secolo XVI, fosse già stata demolita. Con buone probabilità, comunque, la data della sua demolizione andrebbe spostata per lo meno alla fine del secolo precedente e precisamente al 1481, anno in cui sarebbe stata sostituita dalla tettoia di legno7. A. M. Settore I — Elevato intervento di Milani. Circa la datazione è da precisare che il rettorato di Cino di Francesco Cinughi riguardò gli anni 1480 - 82 (BANCHI 1877, pp. 275 sgg.). 7 Vedi il contributo di Milani, in questo stesso volume, pp. 130 - 132.

L'attività 136 è databile, in base all'epigrafe 505, all'anno 1584 8. È però da precisare che i rapporti stratigrafici tra la tamponatura e la finestra, a causa di una patina scura che ricopre gran parte delle strutture, non sono stati determinati con certezza. Una finestra rettangolare situata subito a destra della porta del Palazzo del Rettore figura sia in un dipinto di Agostino Marcucci, dell'inizio del Seicento, che in un disegno di Girolamo Macchi, del 1697 9. In una fotografia della fine dell'Ottocento o dei primi del Novecento l'arcata 16 presenta una sistemazione identica a quella attuale10. Per alcune analogie tecniche e formali, tra le quali la presenza di un filare di mattoni messi "a coltello", le USM 508, 509, 513 e 518, rispettivamente riferibili alle arcate 17 e 18, sembrano coeve alla tamponatura 503 11. 8

Cfr. in questo volume, Gabbrielli, p. 109. MACCHI, Origine, c. 60r. Il quadro del Marcucci, raffigurante la Processione sulla Piazza del Duomo, è conservato, come abbiamo già detto nel Museo Civico del Palazzo Pubblico di Siena. Nella Veduta dello Spedale di Antonio Terreni, del 1803, al posto della finestra figura invece una piccola porta (FONTANI 1801 - 1803, III, p. 12). Per quanto riguarda l'identificazione delle attuali arcate del piano terra del Palazzo del Rettore con quelle raffigurate nel disegno del Macchi occorre fare qualche precisazione. Indipendentemente dal numero e dalla sequenza delle arcate rappresentate, sia nel quadro del Marcucci che nelle vedute del Macchi e del Terreni ricorre una costante: l'apertura principale è rappresentata in corrispondenza della prima arcata, partendo da sinistra, del corpo a due piani di tale palazzo ovvero la nostra USM 15. Il fatto che alla sua sinistra manchino, rispetto alla situazione attuale, una arcata nel Macchi e due arcate nel Marcucci può essere dovuto o a difficoltà di rappresentazione oppure all'impossibilità di identificare tutte e originali arcate per la presenza dell’ intonaco. A conferma di questa seconda ipotesi potrebbe essere il poco giustificabile taglio praticato nel XVIII secolo nel pilastro 307 per l'inserimento di un'apertura (vedi att. 110). A queste considerazioni si potrebbe obiettare che nel disegno del Macchi figura complessivamente un numero di arcate uguale a quello attuale (la prima a sinistra è chiaramente "nascosta" dalla pila degli esposti). E’ però da notare che l'ultima apertura, quella all'estremità destra del palazzo, doveva appartenere ad un corpo aggiunto successivamente, che è stato distrutto con le demolizioni del 1720 circa. Tale apertura infatti è posta nettamente a destra della sequenza delle soprastanti bifore. A conferma di ciò è un disegno della metà del Seicento (fig. 23, p. 66) dove figura un assetto simile a quello presente nel Macchi, ovvero un'apertura in questo caso una lunga finestra, posta a destra della sequenza delle bifore e della sottostante cornice marcapiano. In conclusione, nel confronto tra il disegno del Macchi e la situazione attuale del pianoterra del Palazzo del Rettore proponiamo di escludere la prima apertura sull'estremità destra e di aggiungere un'apertura sulla sinistra della porta principale, ovvero della porta che in tale disegno è indicata con il numero 12. 10 Si veda fig. 44b, p. 87. La fotografia è pure pubblicata in BORTOLOTTI 1983 P. 125, e in AA.VV. 1986, p. 58. Circa la datazione della foto, che nella didascalia di quest'uitimo volume è assegnata agli anni'40, è indicativo il confronto con un'altra fotografia pubblicata in [ DE NICOLA ] 1913, p. 9, la quale riproduce una sistemazione del Palazzo del Rettore chiaramente successiva (in particolare si veda l'assetto delle bifore del secondo piano). 11 È da segnalare che nel rilievo fotogrammetrico pubblicato in questo volume il filare di mattoni "a coltello" nella tamponatura 503 non figura. 9

Per quanto riguarda le attività 125 e 126 non abbiamo elementi per una datazione precisa. Nel matrix abbiamo perciò convenzionalmente inclicato una collocazione cronologica fluttuante che parte dalla fase immediatamente successiva a quella dell'attività 124, stratigraficamente anteriore. L'attività 125 è comunque visibile in alcune fotografie della fine dell'Ottocento e dei primi decenni del Novecento12. R.C. — F.G.

Fase D Settore VI Al 1610 risale il quadro di Agostino Marcucci Processione sulla piazza del Duomo13, nel quale non si notano clifferenze di rappresentazione di questa facciata rispetto alla veduta del Vanni se non per le finestre del piano terra che nel disegno del Vanni sembrano ancora le due originarie monofore, mentre nel Marcucci queste sono sostituite da due finestre rettangolari. Questo porta ad ipotizzare che, con molta probabilità, le due finestre rettangolari che si sovrapposero alle due monofore furono aperte nel periodo compreso fra le due rappresentazioni (1595 – 1610). G.B. PERIODO VIII (1608 – 1723)

Fase A Settore III ATT. 11: COSTRUZIONE DELLA CORNICE IN PIETRA (vedi tavv. B e C)

12 13

Ad esempio AA.VV. 1986, pp. 30, 58. A. MARCUCCI, Processione sulla Piazza del Duomo, (1610), per il quale vedi nota 9.

Costruzione (USM 90) della cornice in pietra che separa il paramento in calcare dalle murature sovrastanti, in modo da unire le due cornici già esistenti della Casa dei Gettatelli e del Palazzo del Rettore. ATT. 12: TAMPONAMENTO DI UNA PORTA Tamponamento (USM 95) della porta compresa fra gli attuali accessi alla chiesa e all'ospedale (figg. 40a, 40b). ATT. 13: TRASFORMAZIONI NELLA CORNICE SOTTOSTANTE IL TETTO (vedi fig. 22 p. 65) Operazione praticata sulla cornice sottostante il tetto che vede la sostituzione delle opere in pietra con altre in cotto formato in stampi e, dopo cottura, colorato in grigio (USM 85). ATT. 14: TAMPONAMENTI DELLE MONOFORE DELL ULTIMO PIANO Primi tamponamenti delle monofore dell'ultimo piano (USM 102, 103) insistenti rispettivamente suIla USM 76 e sulla USM 77. ATT. 17: TAMPONAMENTI DI MONOFORE Tamponamenti (USM 104, 105) di due monofore (USM 81, 83) dell'ultimo piano. A.M. Settore I — Elevato ATT. 15: CREAZIONE DI UN INGRESSO ALL OSPEDALE INDIPENDENTE DALLA CHIESA Abbiamo già fatto cenno a questo intervento, descritto in un documento del 1608. Sull'elevato è riconoscibile nella parte centrale della panca addossata alla facciata, al di sotto dell'apertura 49, nella cesura 70. E.B.

ATT. 137: APERTURA DI TRE FINESTRE Inserimento di tre finestre rettangolari (USM 457, 458, 459) nelle tamponature 503, 509 e 518 relative alle arcate 16, 17 e 18 del pianoterra del Palazzo del Rettore. ATT. 130: RESTAURO DELL’ ARCO RELATIVO ALL’ APERTURA 49 La ghiera originale in pietre e mattoni viene sostituita con una nuova struttura formata da laterizi disposti con la superficie maggiore in vista. R.C. — F.G. Fase B Settore I — Area di scavo (fig. 41) ATT. 89: USO DELL’ APERTURA 14 Al di sotto del tamponamento 309 (tra i pilastri 307 e 308) è stata evidenziata una soglia in mattoni, posti di coltello e pietre (US 376), inserita nel pilastro 307 e nella fondazione 375, tramite il taglio 378 (fig. 42). ATT. 30: SCAVO DI UNA GRANDE FOSSA PER L’ INTERRAMENTO DI RESTI SCHELETRICI E TERRE DI RISULTA (fig. 43) Nella porzione nord-est dell'area di scavo è emersa una grande fossa (US 171) di forma quadrangolare (dimensioni: lungh. m 6; largh. max. cm 320), prolungata, in direzione est, al di là dei limiti di scavo. Sul fondo, sotto ad una serie di strati di terreno argilloso, rimosso, contenenti frammenti ossei e materiale edilizio di risulta (mattoni, grumi di malta) (US 203, 187, 183, 185, 172) era conservato uno strato composto da soli resti scheletrici frammentati e compattati (US 188), evidentemente in giacitura secondaria.

ATT. 32: ASPORTAZIONE DEL DEPOSITO SULLA PIAZZA (fig. 44) Su tutta l'area indagata viene effettuata un'asportazione del deposito, volta a modificare il livello del terreno e la sua pendenza (US 286). ATT. 67 - 78: STRATI ARGILLOSI AL DI SOPRA DEL LIVELLO DI ASPORTAZIONE Su tutta l'area di scavo sono stati evidenziati strati di consistenza argillosa (US 330, 325, 316, 176, 175, 179, 180; att. 78), compatti, con piccoli residui carboniosi e frammenti minuti di laterizio; in particolare, gli strati 180 e 176 sono risultati coprire i riempimenti della grande fossa 171 (att. 30). Nella zona all'estremo limite ovest dell'area di scavo, sono stati differenziati, a livello di numerazione, i riempimenti (US 337, 338, 339, 340, 347, 365, 349, 351, 353, 355, 357, 359, 361, 363, 365, 367, 369, 394; att. 67) di una serie di buche di palo o di altro genere (att. 66, periodo I). ATT. 33 - 48: PREPARAZIONE DELLA PAVIMENTAZTONE IN COTTO E DEL TRACCIATO VIARIO CON DIREZIONE EST-OVEST Su tutta l'area nord-est si sono rilevati strati di terra compatta (US 156, 162, 159, 149, 153, 158, 161, 163, 165), conservanti in alcune zone le tracce di una pavimentazione in cotto a lisca di pesce (US 154, 119, 115, 323; att. 48) con andamento nord-sud, su file parallele (fig. 45). E.B. ATT. 95 - 96: REALIZZAZIONE DI UNA BUCA (US 166) E SUO RIEMPIMENTO (US 167) ATT. 34: TRACCIATO VIARIO CON DIREZIONE EST-OVEST In quota con le tracce della pavimentazione in cotto a lisca di pesce è stata rinvenuta una porzione significativa di un percorso viario, un tracciato (US 135, 134, 157, 152, 137) preferenziale, posto nell'area nord-est e costituito da una parte centrale in mattoni posti di coltello definita da ambo i lati da cordoli paralleli delimitanti una corsia in mattoni sempre di coltello. I1

percorso è posto su terra e, come, la pavimentazione coeva, non presenta legante alcuno (fig. 46). La direzione del percorso è indicativamente quella che collega via de' Fusari a via del Capitano. ATT. 35 - 36: RESTAURI DEL PERCORSO VIARIO In alcuni punti del tracciato viario (att. 34) sono visibili rattoppi in seguito a rotture e a logorio dei mattoni (US 142, att. 35, asportazione) (US 145, 143, 136, att. 36, restauri). ATT. 62 - 63 - 84- 85- 52 - 51: PICCOLI INTERVENTI NON IDENTIFICABILI Si tratta di strati e piccole fosse il cui uso non è possibile contestualizzare con precisione: l'att. 62 è data da due strati (US 327 e 328) di calce e materiali di scarto, il primo dei quali posto all'interno della fossa 329 (att. 63); l'att. 84 è data dalla buca 332 (area ovest), riempita dallo strato 331 (att. 85); l'att. 51 è una piccola fossa nel riempimento 326 (US 342) colmata dallo strato 343 (att. 52). ATT. 64: CREAZIONE DI UNA FOSSA PER CANALE DISCARICO DELLE ACQUE PIOVANE Nell'area antistante l'apertura 14 (Palazzo del Rettore) si colloca una fossa quadrangolare (US 341), relativa alla costruzione del pozzetto di scarico per le acque piovane ancora oggi in uso. La fossa era colmata da uno strato di terra e ciottoli (US 326). E.B. Settore III ATT. 16: INTERVENTO (USM 98) SULL OROLOGIO DELLA FACCIATA A.M.

Settore I — Elevato ATT.90: RESTAURI DELLE PANCHE (vedi tavv. B, C, F) Comprendiamo in questa attività le due porzioni estreme della panca che definisce a sud l'area di scavo, costituite dalle USM 61 58, 54, 424, 425 e 56, 52, 62. Le USM 52 e 58 presentano strette analogie nel tipo di mattoni e nelle loro dimensioni; 1'USM 56 è costituita da cinque lastre di calcare, con spigolo esterno modanato, mentre 1'USM 54 è costituita da sei lastre con spigolo esterno semplicemente arrotondato e con fascia inferiore. Presentano caratteri di disomogeneità al proprio interno e tra di loro anche gli scalini 424 (otto pietre squadrate in calcare di diverse dimensioni) e 62 (otto pietre in calcare di cui una con croce graffita, e una in marmo). È evidente che sono frutto di un intervento di ristrutturazione che ha utilizzato materiali di recupero riadattandoli. La datazione proposta per quest'intervento deriva indirettamente dal fatto che le USM 58 e 54, risultano tagliate dalla bocca di lupo 59 (att. 102), ascrivibile con ogni probabilità al 1702. ATT. 102: REALIZZAZIONE DI UNA BOCCA DI LUPO (vedi tav. F) Al centro della porzione di panca 58 si evidenzia un'apertura (USM 59) attualmente chiusa da uno sportello in metallo. Tale apertura è stata individuata anche al di sotto della panca, tra le USM 290 (fondazione della chiesa) e 282 (fondazione dei pilastri). Internamente la bocca di lupo si affaccia in un piccolo locale, collegato a radiologia. ATT. 50: TAMPONAMENTO DI DUE APERTURE (USM 13 E 14) AL PIANO TERRA DEL PALAZZO DEL RETTORE (vedi tav. F) Solo il tamponamento relativo all'apertura 13 (USM 420) è pertinente a questa fase. Esso presenta anche una fondazione (USM 377), con relativa fossa (USM 404 - 405). Per il tamponamento di 14 (USM 309) si veda il periodo X. E.B.

ATT. 140 E 141: TAMPONAMENTO DELL’ ARCATA I8 E APERTURA DI UNA FINESTRA La parte inferiore dell'arcata 18 viene tamponata con la muratura 514. Successivamente nel tamponamento viene praticato il taglio 523 per l'inserimento della finestra rettangolare 515. ATT. 600: INTONACATURA DELLA FACCIATA Tra il 1720 e il 1721 viene completamente intonacata la facciata a strisce bianche e scure 4 Settore VII ATT. 161: DISTRUZIONE DI ALCUNE ABITAZIONI DELLO SPEDALE SITUATE IN VIA DE’ FUSARI Tra il 1718 e il 1719 si decide di demolire le case del camarlengo e del vinaio dello Spedale per ampliare via dei Fusari ed agevolare la ristrutturazione del palazzo vescovile 5. ATT. 155: ALLINEAMENTO DELLE STRUTTURE PROSPICIENTI VIA DEI FUSARI CON IL PALAZZO DEL RETTORE (figg. 47 - 49) Tale intervento consiste nella completa ridefinizione architettonica ed urbanistica delle strutture dello Spedale relative a via dei Fusari. In particolare viene costruito un nuovo tratto di facciata, allineato a quello già esistente e caratterizzato da quattro arcate al piano terra e da altrettante bifore al primo piano. Arcate e bifore sono stilisticamente omogenee a quelle del Palazzo del Rettore. Il rapporto stratigrafico con le strutture preesistenti è evidenziato dalla ghiera dell'arcata cieca 23, che taglia la muratura 11 del I settore, e dall'arco della bifora 42, che taglia l'USM 26 (I settore). 4

ASS, Sp. 800, c. 271; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 349, 377 n. 66, 443. Si veda anche MACCHI, Memorie, II, cc. 199v, 281v. 5 Si vedano BANCHI 1877, pp. 416 - 417, e GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 349. Circa l’ assetto dello Spedale precedente la demolizione cfr.MACCHI, Origine, c. 60 e in questo volume le figg. 15 p. 56 e 20 p. 60.

L'intera struttura, completamente realizzata in mattoni e coperta dall'USM 46, eccetto le successive modifiche, è il risultato di un unico intervento costruttivo. Le aperture 1, 10, 20 e l'arcata cieca 15 infatti legano con i relativi pilastri 5, 12, 17 e 22 e con le USM 23, 26 e 33. Queste ultime, a loro volta, legano con le finestre 36, 37, 38 e 39 e con la soprastante muratura 40. Al primo piano le quattro bifore (USM 42) legano con la muratura 41. R.C.—F.G.

INTERPRETAZIONE Fase A Settore III Le attività di questo periodo si riducono ad una serie di interventi dovuti, da un lato, ad esigenze di conservazione del complesso, dall'altro a piccole modifiche funzionali. Se l'att. 12 non era stata condotta a termine alla fine del secolo XVI (si veda il disegno del Vanni) lo era certamente alla fine del secolo successivo, come attesterebbe il disegno del Macchi. Relativamente al restauro (att. 11) operato sulla cornice in pietra ci è dato sapere che il pagamento per tale lavoro veniva eseguito nel giugno del 16233. Anche i restauri relativi all'att. 13 sembrano riconducibili a questo periodo4. Per quel che riguarda, inoltre, i tamponamenti delle monofore dell'ultimo piano, sappiamo che si resero necessari in seguito alla costruzione della Cappella della Musica tra il 1601 e il 16305 e operati intorno al 17046. In merito, invece, ai tamponamenti delle monofore dell'ultimo piano, sappiamo che sono successivi a quelli già descritti (att. 14) e che sono 3

ASS, Sp., 789, c. 179; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p.442, reg. 666. MACCHI, Memorie, II, c. 199t; ASS, Sp. 5938, Annali Corbani, c. 59t; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 305. 5 GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 198. 6 ibidem, pp.347 - 348. 4

separati dal seguente (att. 18) soltanto dalla già citata operazione di stonacatura ed intonacatura della facciata7. A.M. Settore I — Elevato Della realizzazione dell'ingresso indipendente per lo Spedale, ricavato nello spazio occupato dalla cappella delle reliquie, abbiamo già parlato descrivendo le vicende edilizie della cappella stessa. Il suo uso è ancora visibile in una pianta del 1838 8, mentre la pianta del 19019: lo mostra già obliterato, in relazione alla creazione dell'ingresso attuale e alla conseguente riduzione dello spazio occupato dalla chiesa 10. Naturalmente questo ingresso è riportato anche nello schizzo della facciata eseguito da Gerolamo Macchi alla fine del '600 11. E.B. Per quanto riguarda l'attività 130 (USM 51), consistente in un restauro dell'archivolto relativo all'apertura 49, non abbiamo elementi validi per una precisa datazione. Un punto di riferimento sicuro è costituito da alcune fotografie dell'inizio del Novecento in cui il restauro è chiaramente visibile 12 .I caratteri formali comunque indicano che dovette essere realizzato prevedendo l'intonacatura. Nel matrix abbiamo convenzionalmente indicato una collocazione fluttuante, approssimativamente compresa tra 1'VIII periodo e l'inizio del X. L'attività 137 è databile tra la fine del Cinquecento e la prima metà del Seicento. Le finestre 457, 458, 459 risultano infatti posteriori alle murature in cui sono inserite, probabilmente databili intorno al 1584 (vedi att. 136) ed anteriori ad alcune rappresentazioni dello Spedale del secolo seguente. In particolare l'apertura 457 sembra potersi identificare con una delle due finestre rettangolari, tra loro sovrapposte, raffigurate nel noto dipinto di 7

MACCHI, Memorie, II, c.48t; GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p 347. A. FANTASTICI, Pianta dello Spedale, 1838, in GALLAVOTTI CAVALLERO - BROG1 1987, p. 90, IX, 90. 9 V. MARIANI, Pianta dello Spedale, 1912, in GALLAVOTTI CAVALLERO – BROGI 1987, p. 90, IX, 91. 10 MACCHI, Memorie, II, f. 262. 11 Cfr. nota 17 p. 216, periodo VI. 12 Vedi ad es. AA.VV. 1986, p. 30. 8

Agostino Marcocci, dei primi del Seicento, subito a destra della porta principale del Palazzo del Rettore13. L'apertura 459 figura invece in un disegno conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana e databile intorno alla metà del XVII secolo, dove risulta identificabile in una delle due aperture rettangolari sottostanti l'ultima bifora del Palazzo del Rettore 14. Le tre finestre sono infine inequivocabilmente riconoscibili nella Veduta dello Spedale di Antonio Terreni, pubblicata nel 1803 15. R.C.—F.G.

Fase B Settore I e area di scavo Sul finire del XVII secolo Gerolamo Macchi eseguì il celebre schizzo della facciata dello Spedale; per le osservazioni sulla 'fedeltà' del disegno rispetto alla disposizione delle aperture al piano terra del Palazzo del Rettore si rimanda, in questo stesso volume, alla nota 9, pp.222 - 223, relativa al periodo VII. Sulla base di quelle stesse osservazioni, la soglia 376 (att. 89) Si può dunque interpretare con quella relativa alla rimessa delle carrozze. I1 tamponamento inferiore delle aperture 13 e 14 non può essere datato con precisione; sappiamo solo che nel disegno del Macchi almeno una (US 14) risulta ancora funzionante. Sui tamponamenti viene probabilmente steso uno strato di intonaco che annulla la visione dei pilastri e delle arcate, tanto che, in un momento successivo, nello spigolo del pilastro 307, verrà tagliata l'apertura 346. I1 tamponamento originario dell'apertura 14 non è il 309, che risale probabilmente al periodo X ed è sicuramente posteriore al taglio 346. È ancora il Macchi a suggerirci16 una lettura possibile per l'att. 102, la bocca di lupo che oggi si affaccia nei locali limitrofi a radiologia: (a. 1702, 22 novembre): « si pratica un'apertura al sepolcreto antico dei rettori, verso la pila deg1i esposti, per dare aria ai granai ». 13

Circa l'identificazione di tale porta con l'arcata 15 vedi p. 223 n. 9. Per alcune osservazioni sull'interpretazione delle fonti iconografiche di questa parte della facciata vedi ancora n. 9 p. 223.4 15 Vedi fig. 40 p. 79. 16 MACCHI, Memorie, II, f. 262. 1

Nel suo schizzo della facciata, lui stesso ci mostra la pila degli esposti nella prima arcata a piano terra del Palazzo del Rettore, esattamente al di sopra della bocca di lupo 59 e in diretta corrispondenza con la localizzazione degli avelli. Posto che queste identificazioni siano corrette, ne consegue che gli avelli sono stati il luogo di deposizione dei Rettori almeno fino alla fine del XV secolo. Ma vi sono molti elementi che rendono dubbia questa affermazione; il Macchi cita una traslazione dei sepolcreti dei rettori (dall'esterno?) all'interno della chiesa ospedaliera nel 1613 17, più di un secolo dopo che gli avelli da noi rinvenuti erano stati rimaneggiati e comunque non svuotati ai fini di una traslazione. Inoltre, come abbiamo visto, all'interno degli avelli risultano donne e fanciulli, accreditando piuttosto l'identificazione con tombe familiari. Ma l'operazione più importante, che caratterizza questa fase e l'intero periodo, è l'intervento urbanistico (1718 - 1720) che comprende la ristrutturazione del Palazzo Vescovile 18e la ridefinizione di via dei Fusari. Di conseguenza furono abbattute le costruzioni poste ad angolo rispetto al Palazzo del Rettore e ancora ben visibili nello schizzo tardo seicentesco del Macchi. Sempre di questi anni è la porzione di facciata in stile, dopo la nona bifora, verso la via dei Fusari19. E.B. La collocazione nella seconda metà del XVII secolo ipotizzata per le attività 140 e 141 si basa, in mancanza di altri elementi datanti, sul confronto tra un disegno conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana, della metà del Seicento, e il famoso schizzo di Girolamo Macchi, del 169720. Nel primo, in corrispondenza della parte inferiore dell'arcata 18, figura un portale, nel secondo risulta invece presente, se è giusta la nostra identificazione della suddetta arcata21, una tamponatura all'interno della quale si apre, come adesso, una finestra rettangolare. 17

Ibidem, c. 290t. 30 ottobre 1718: « I savi concedono al rettore dell'opera del Duomo di acquistare e demolire le case del camarlengo e del vinaio dello Spedale per allargare Via de' Fusari e migliorare il costruendo Palazzo Vescovile », in BANCHI 1877, pp. 276-77 da ASS, Sp. 351, ff. 219, 219t; Sp. 39, ff. 11 e 17. 19 GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, p. 85; GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 349, 377, n. 62. 20 Si veda MACCHI, Origine, c. 60r, e, in questo volume, le figg. 23, p. 66 e 20, p. 60. 21 Cfr. n. 9, p. 223. 18

R.C. —F.G. La complessa operazione edilizia ed urbanistica descritta si collega, con ogni probabilità ad un intervento di livellamento del terreno e ad una ripavimentazione della piazza, che, del resto, almeno dal 1397, doveva già essere ammattonata 22. All'inizio del XVIII secolo abbiamo dunque l'ennesima asportazione del deposito nell'area tra il Duomo e lo Spedale ed inoltre la realizzazione della grande fossa 171, destinata ad accogliere i resti scheletrici sconvolti, provenienti dalla rimozione di una delle aree cimiteriaIi (o dei suoi resti) presenti nella piazza, la cui identificazione risulta però decisamente problematica. Non si può neppure escludere che la fossa sia in realtà analoga alla 199, destinata cioè ad accogliere una serie di avelli in sequenza; ciò potrebbe essere suggerito dalla sua regolarità e dalla presenza nei riempimenti di numerosi mattoni, interi e frammentari, che potevano far parte dei muretti divisori e delle fodere. L'asportazione del deposito si spinge fino ai livelli di età classica e altomedievale, tanto che negli strati argillosi (att. 78 - 67) la percentuale dei materiali ceramici residui risulta molto elevata. Le unità stratigrafiche che compongono l'att. 67, distinte in fase di scavo, risultano omogenee per componenti agli strati argillosi dell'att. 78. Settore I La stessa difficoltà di datazione si ha per i piccoli interventi raccolti nelle attività 52, 51, 62, 63, 84, 85, comunque posti in questa fase per i loro contesti stratigrafici. E.B.

22

La notizia è riportata in GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, n. 47, p. 131, da ASS, Sp. 21, c. 3, Regesto, n. 99. Di questa pavimentazione tardo trecentesca non abbiamo trovato traccia nell'area di scavo, perché probabilmente asportata da rifacimenti posteriori. L'uso di ammattonare le strade a Siena risale al XIII secolo (BALESTRACCI - PICCINNI 1977, p. 57 e nota 67: « essendo la strada precedentamente ricoperta di selci secondo l'uso romano... Questo lavoro di sostituzione della selce con il mattonato procedette piuttosto lentamente tanto che, agli albori del XIV secolo, le due forme ancora coesistevano ».

Settore III Relativamente ai due tamponamenti che costituiscono l'att. 15, è impossibile stabilire una datazione precisa; quel che è certo è che nei disegni del Macchi (fine XVII secolo) sembrano essere già stati operati. L'att. 16 costituisce un ulteriore intervento subito dall'orologio che, immediatamente dopo la stonacatura e nuova intonacatura della facciata a « strisce bianche e azzurre » risalente al 1720 - 2123, venne ridefinito, utilizzando marmo bianco e verde, nella posizione attuale24. Sempre al 172025 è ascrivibile la demolizione della tettoia, segno evidente che, a questa data, gli affreschi erano ormai irrimediabilmente compromessi. A.M. PERIODO IX (POST 1723 – I META’ XIX SEC.)

Fase A Settore I - area di scavo (fig. 50) ATT. 37: SCAVO DI UNA FOSSA PER INTERRAMENTO DI MATERIALE DI SCARICO Nell'angolo sud-ovest dell'area di scavo è stata evidenziata una fossa quadrangolare (US 127), approfondita al centro da una fossetta più piccola (US 130). Le fosse risultavano riempite da materiali di scarto (immondizia e frammenti di laterizio) (US 126 e 133). ATT. 57, 58, 59, 60: OPERAZIONI DI SCASSO AI PIEDI DEL TAMPONAMENTO 420 23

ASS, Sp. 800, c. 271; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 443, reg. 675; p. 349 e 377 n. 66 ; MACCHI, Memorie, II, c. 198t. 24 PECCI 1761, p 38; GALLAVOTTI CAVALLE RO 1985a, p. 377, n 66. 25 DELLA VALLE 1782-86 II, pp.208 - 209; GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 72, 131 n. 61.

Si tratta di piccoli interventi (fosse e loro riempimenti, costituiti da sabbie e terre di riporto) forse per piccole opere di restauro o per verifiche strutturali (US 319, att. 57; US 379, 320, att. 58; US 321, att. 59; US 315, att. 60). ATT. 38: FASCIA DI PAVIMENTAZIONE IN COTTO SU MALTA Nella porzione sud dell'area di scavo, sono emerse porzioni di una preparazione in malta, di colore biancastro, per una pavimentazione in cotto, a lisca di pesce, di cui si sono rinvenute solo le impronte rimaste dopo l'asportazione (US 110, 108, 111, 114, 129, 317, 318, 120). Questa pavimentazione formava una fascia con andamento estovest lungo la facciata dello Spedale ed era definita verso il limite nord da un doppio cordolo, sempre in mattoni, rinvenuto ancora solo a livello di impronta. E.B. Settore VI ATT. 7: MODIFICA DELLE LUCI DELLE DUE FINESTRE AL PRIMO PIANO (fig. 51; tav. D) Al primo piano sono aperte due finestre di forma rettangolare, leggermente spostate verso il centro, sormontate da una piattabanda in laterizio (rispettivamente USM 62 per l'apertura a sinistra e USM 64 per quella a destra) che tagliano i precedenti elementi strutturali: in particolare le bifore (USM 46 e 69), la muratura USM 41 e 42 e la cornice marcapiano (USM 44 - 45). ATT. 8: ULTERIORE MODIFICA DELLE LUCI DELLE DUE FINESTRE DEL PIANO TERRA Queste due finestre (USM 11, 33), simmetriche alla porta di ingresso, (USM 11 a sinistra e USM 33 = 39 a destra di questa) sono ambedue sormontate da un arco a tutto sesto leggermente ricassato (USM 74 a sinistra e USM 75 a destra) e poiché la loro larghezza è leggermente

minore rispetto a quella delle precedenti finestre, una piccola parte di queste anteriori aperture fu tamponata (USM 59, 61) (vedi tav. D). ATT. 9: APERTURA DELLE DUE PRESE D ARIA AL DI SOPRA DELLA PANCA Al di sopra della panca in travertino, in posizione simmetrica rispetto alla porta, furono aperte le due prese d'aria (USM 3, 4 per quella a sinistra e USM 25, 26 per quella a destra). G.B. Settore III ATT. 18: TAMPONAMENTO DI UNA MONOFORA Tamponamento (USM 101) di una monofora (USM 74) dell'ultimo piano. A.M. Settore I — Elevato ATT. 109: RIMOZIONE DELLA PILA DEGLI ESPOSTI (vedi fig. 16) All'interno del tamponamento 63 (tra la chiesa e il pilastro 64) si evidenzia una frattura di forma quadrangolare (USM 79) riempita da una muratura in laterizi (USM 80), molti dei qua1i riutilizzati. ATT. 94 E 110: CREAZIONE DI FINESTRE (vedi tav. F) Al centro del tamponamento 420 si evidenzia una rottura (USM 304) per la creazione di una piccola finestra con davanzale in mattoni (USM 306) (att. 94); al limite ovest del pilastro 307 si nota invece la rottura (USM 346) per la creazione di una finestra definita in alto da una arco ribassato (USM 310) (att. 110). E.B.

Settore VII ATT. 149: PARZIALE TAMPONATURA DELL’ ARCATA 10 E REALIZZAZIONE DI UNA FINESTRA (vedi tav. C) L'apertura 10 viene tamponata con la muratura 11, al di sopra della quale è la finestra 28. Quest'ultima è superiormente delimitata da un arco a sesto ribassato appartenente alle strutture originali. È probabile che a tale attività appartengano pure i tagli 34 e 35 praticati nei pilastri 5 e 12, che ampliano leggermente la luce dell'apertura, e i tagli 7 e 8, forse realizzati per l'alloggio dei cardini di un infisso. ATT. 146 E 152: PICCOLI INTERVENTI RELATIVI AI PILASTRI DEL PIANO TERRA L'attività 146 indica il taglio 9 praticato nel pilastro 5 per l'inserimento di una targa, in seguito rimossa. L'attività 152 raccoglie una serie di buche pontaie (USM 6, 13, 16 e 18) successive alla costruzione dei pilastri 5, 12, 17 e alla muratura 15. R.C.—F.G.

Fase B Settore I — Area di scavo ATT. 39 – 40 - 86: DISTRUZIONE E OBLITERAZIONE DELLE PAVIMENTAZIONI IN COTTO E DEL PERCORSO VIARIO L'asportazione dei mattoni dalla pavimentazione in cotto su malta (att. 39, US 116, 117), da quella su terra (att. 86, US 109, 128, 113) e la distruzione della strada (att. 86, US 144) viene seguita da un'operazione di livellamento con terre di riporto, contenenti, frammentati, materiali di risulta, quali grumi di malta e frammenti minuti di laterizi (att. 40, US 106, 86, 102, 104, 105). ATT. 61: STRATO DI ARGILLA GIALLASTRA CON CARBONCINI

Lo strato (US 313 = 322), individuato nell'area ovest, è probabilmente da collegarsi alle terre descritte nell'att. 40, pur differenziandosene nella composizione. ATT. 41: SCAVO DI FOSSE MATERIALI EDILIZI DI RISULTA

PER

L’INTERRAMENTO

DI

Nell'area sud-est sono state evidenziate alcune fosse di varia dimensione (US 84 87, 98, 124, 324, 103, 94, 92), tagliate nelle terre di riporto descritte nell'att. 40. I riempimenti di tali fosse (US 107, 123, 125, 97, 88, 89, 83, 101, 95, 93) e lo strato 314, nell'area sud-ovest, erano costituiti da terre incoerenti, da numerosi mattoni interi e frammentari e grumi di malta. ATT. 53 – 54 – 103 – 99 – 105 - 106: SCAVO DI PICCOLE FOSSE E LORO RIEMPIMENTI In tutta l'area di scavo sono state documentate piccole fosse (US 381, att. 53; US 99, att. 103; US 131, att. 99; US 140 att. 105; US 138 att. 106), stratigraficamente inseribili in questo periodo, ma di difficile interpretazione a livello di microstoria. I loro riempimenti (US 100, att. 103; US 132, att. 99; US 141, att. 105; US 139, att. 106) non sono stati inseriti in attività diverse dalle fosse stesse, tranne nel caso dell'att. 54 (US 380, 391) che presenta una sua articolazione interna. ATT. 44: REALIZZAZIONE DELLA PAVIMENTAZIONE IN PIETRA Immediatamente al di sotto della attuale pavimentazione in pietra (US 60) sono stati identificati gli strati relativi alla preparazione della sua posa, composti da terreni sabbiosi e compatti (US 69, 85, 301, 302, 303, 312). E.B. Settore VI ATT. 10: TAMPONAMENTO DI DUE FINESTRE RETTANGOLARI AL PRIMO PIANO. APERTURA DEL FINESTRONE CENTRALE AL PRIMO PIANO (vedi tav. D)

L'USM 49, relativa al tamponamento situato nella parte sinistra della facciata, riempie il taglio USM 62, mentre il tamponamento (USM 48) del taglio USM 64 è in parte visibile e in parte tagliato dall'apertura del grosso finestrone centrale, USM 63. G.B. Settore III ATT. 29: APERTURA DELL’ ATTUALE ACCESSO ALL OSPEDALE (fig. 52) Si definisce, sul paramento in calcare cavernoso, la porta USM 97 che oggi costituisce l'ingresso principale dello Spedale. A.M. Settore I — Elevato ATT. 93: TAMPONAMENTO DELLA FINESTRA 304 La piccola finestra 304 nel tamponamento 420 viene chiusa dalla muratura 305 e al suo posto viene costruita una nuova finestra rettangolare, adesso non più esistente6. E.B. ATT. 111: NUOVO TAMPONAMENTO DELL’ APERTURA 14 E DELLA FINESTRA 346, RICOSTRUZIONE DELLO SPIGOLO DEL PILASTRO 307 (vedi tav. F) Il vecchio tamponamento dell'apertura 14 (att. 50), nel quale era stata aperta la finestra definita dall'archetto 310, viene ricostruito (USM 309). Si

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Cfr la foto pubblicata in AA.VV. 1986, p. 58.

ripristina inoltre lo spigolo del pilastro 307 (USM 311) e si costruisce una nuova finestra rettangolare, adesso non più esistente2. Settore VII ATT. 144: MODIFICHE DELL’ APERTURA 1 (vedi fig. 49) L'apertura 1 viene tamponata con la muratura 2, al cui interno è inserita una nuova apertura (USM 27). Quest'ultima è formata da una porta e da una soprastante finestrella separate dall'architrave 3. La muratura 2, in alcuni tratti successivamente rimaneggiata, riempie, con delle ammorsature, il taglio 524 praticato nel pilastro 517 del settore I, e il taglio 30 praticato nel pilastro 5. R.C.—F.G. PERIODO IX — INTERPRETAZIONE

Fase A Settore I — Area di scavo L'intervento di rilievo, relativo a questa fase, è la creazione della fascia di pavimentazione in cotto su malta lungo la facciata dello Spedale. I1 suo andamento, ricostruito sulla base delle impronte, suggerisce di collegarla alla pavimentazione descritta in una memoria del 1740: « 1740, 20-24 agosto: si rifanno i muretti e si mattona una striscia di piazza dalla porta dello Spedale fino alla porta dei muli e davanti il convento delle fanciulle, per evitare che l'acqua penetrasse nelle stalle e danneggiasse il pavimento della chiesa » 3. Le attività 57, 58, 59, 60 si inseriscono in questo ambito cronologico per la loro posizione stratigrafica e per il materiale ceramico restituito.

2

Ibidem. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 362, da MACCHI, Memorie, II, c. 144. I muretti sono le panche addossate alla facciata, ma è certo anche un restauro precedente. 3

E.B. Settore VI I1 periodo compreso tra il 1610 ed il XVIII secolo fu caratterizzato da numerosi interventi eseguiti sulla facciata. In mancanza di dati documentari editi certi, buona parte delle osservazioni relativa a questi avvenuti cambiamenti sono state fatte sulla base di fonti iconografiche, in particolare basandosi su di una rappresentazione della facciata dello Spedale eseguita dal Terreni e pubblicata sul libro del Fontani nel 18034. Nel disegno del Terreni scompaiono le bifore del primo piano e al loro posto sono visibili due finestre rettangolari che, come risulta infatti dall'analisi stratigrafica, tagliano la cornice marcapiano e le bifore, sovrapponendosi in parte ad esse. La crepa (USM 89) che giunge fino al davanzale della finestra rettangolare (USM 62) è certamente precedente al tamponamento della finestra stessa (vedi att. 10 Fase B). È inoltre ipotizzabile che in questo arco di tempo le finestre rettangolari del piano terra siano state sostituite da due finestre sormontate da un arco a tutto sesto, che, stratigraficamente, tagliano, appunto, le sopraddette aperture. Tale ipotesi pare inoltre confermata dalla loro rappresentazione sia in un disegno eseguito dal Macchi nel XVII - XVIII sec.5, che nel disegno del Terreni e del Fontani. Ambedue gli archi sono leggermente ricassati, forse per creare un probabile alloggio a delle eventuali decorazioni. Sempre in questo periodo furono aperte le due prese d'aria al di sopra della panca, non visibili nel dipinto citato del Marcacci, ma individuabili nel disegno del Macchi, mentre nel 1720 - 21, la facciata fu intonacata a strisce bianche e scure, come ci dice il Macchi nelle sue Memorie6. G.B. Settore III

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A. TERRENI, Veduta dello Spedale di Siena, in FONTANI 1803, vol. III, p. 12. MACCHI, Origine, c. 61 bis ematica. 6 MACCHI, Memorie, II, f. 198t; cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO – BROGI 1987, p.111. 5

È forse da mettere in relazione con le modifiche all'abside della chiesa, risalenti al 17307, la necessità di operare il tamponamento (USM 101), costituente l'att. 18, che oblitera la finestra USM 74. A.M. Settore I — Elevato Più incerta la collocazione dell'att. 109; sappiamo solo, dal Macchi, che la pila degli esposti era ancora presente nel 17028 ed è possibile solo una datazione relativa. Lo stesso vale per le attività 94 e 110, che non sono rappresentate nel disegno del Macchi e dunque si collocano necessariamente dopo la fine del XVII secolo. E.B. Settore VII Non abbiamo elementi per una precisa datazione dell'attività 149. La sua realizzazione deve essere comunque anteriore alla rimozione dell'intonaco della facciata poiché la tamponatura 11 presenta mattoni scalpellati e tracce di intonaco. In una fotografia dei primi del Novecento il tratto della facciata prospiciente via dei Fusari conserva ancora l'intonacatura9. Nel matrix abbiamo convenzionalmente indicato una cronologia compresa tra il periodo immediatamente successivo a quello relativo alle strutture originali e i primi del Novecento, quando viene rimosso l'intonaco. Difficilmente databili sono pure le attività 146 e 152, caratterizzate da piccoli interventi. Anche in questo caso abbiamo indicato una datazione fluttuante che parte dal periodo successivo a quello dell'assetto originale. R.C.—F.G.

Fase B

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Cfr. GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 352. Si veda nota 9, periodo VIII. Si veda nota 9, periodo VIII. 9 La foto è pubblicata in Un volo a Siena 1985, fig. 1-23. 8

Settore I — Area di scavo Gran parte delle operazioni descritte risale con ogni probabilità al primo XIX secolo ed è relativa alla distruzione della fascia di pavimentazione in cotto e alla successiva realizzazione della pavimentazione in pietra ancora oggi in uso. Prima della posa di questa nuova pavimentazione si realizzano alcune fosse per interrare i materiali di risulta dalla asportazione dell'ammattonato e si prepara il terreno, garantendo le pendenze necessarie allo scorrimento delle acque piovane. L'uso della pietra per la lastricatura delle strade è piuttosto tardo, come mostra un documento del 7 maggio 1771, in cui si attesta che l'ufficio delle strade urbane di Siena fa « costruire il lastrico nuovo di pietre di cava concia e murate in calcina balzana » nella via di Camollia e vi è il progetto di lastricare la maggior parte delle pubbliche strade, per i vantaggi che questa soluzione offre rispetto all'ammattonato 10. E.B. Settore VI In questo periodo sono documentati una prima serie di restauri su tutta la facciata dello Spedale, che, con tutta probabilità, riguardano anche la facciata della Corsia Marcacci. In relazione a questi ultimi, fu probabilmente in questo arco di tempo che l'apertura del primo piano a sinistra fu tamponata (USM 49), mentre l'altra a destra fu in parte tamponata (USM 48) e in parte tagliata da un grosso finestrone centrale allineato con il portone di ingresso, che sostituì quindi le due aperture al primo piano. È possibile ipotizzare che l'apertura del finestrone sia avvenuta in questo periodo, in relazione a delle considerazioni dedotte dalle fonti iconografiche. Infatti non vi è traccia alcuna di questo sia nel disegno del Terreni del 1804, che in quello del Mariani11, eseguito nel 1907 per il progetto di restauro della facciata, che rappresenta quest'ultima nel suo aspetto attuale.

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ASS, Governatore, 1152, filza del maggio 1771. Il disegno del Mariani è pubblicato in AA VV. 1986, p. 46.

Inoltre il finestrone è analogo alle grandi aperture ad arco eseguite, appunto, durante i restauri di metà Ottocento nel fronte a valle del Passeggio e del Pellegrinaio e nel fronte nord, prospiciente la piazzetta della Selva. Quindi è probabile che l'apertura del finestrone avvenne in questo arco di tempo, mentre con i successivi restauri ci fu la sua tamponatura. Tra i restauri, tra l'altro, fu compresa anche, nel 1877, una intonacatura della facciata a strisce bianche e nere12. G.B. Settore III Non possiamo affermare con certezza che proprio a questa fase risalga l'apertura della porta costituente l'att. 29; è certo però che nel 1803 era già stata aperta dato che viene rappresentata nel disegno del Terreni pubblicato nel libro del Fontani. A.M. Settore I — Elevato Nei tamponamenti 420 e 309 vengono aperte due finestre rettangolari, non più leggibili attualmente ma visibili in alcune foto d'epoca 13, e forse presenti pure nella veduta del Terreni, del 1803. Settore VII L'attività 144 non risulta databile con precisione. L'assetto dell'arcata 1 ad essa corrispondente, costituito da una porta e una soprastante finestrella rettangolare, figura in una fotografia dell'inizio del XX secolo 14. L'esistenza di una porta è inoltre confermata dalla planimetria dello

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AA VV. 1986, p. 25. Vedi ad es. supra n. 1 14 La foto, pubblicata in Un volo a Siena 1985, I-23, è databile tra il 1897, essendo già inseriti i fanali a gas di Vittorio Mariani (AA.VV., 1986, pp. 28-29), e i primi anni del secolo seguente, non essendo ancora stata rimossa l'intonacatura della facciata. 13

Spedale dei primi del Novecento e probabilmente anche dal rilievo del 1838 15. R.C.—F.G. PERIODO X ( 1850 - 1932)

Fase A (1850- l 897) Settore VI ATT. 11: TAMPONATURA DEL FINESTRONE CENTRALE E APERTURA DI TRE FINESTRE AL PRIMO PIANO (tav. D) A questa attività corrisponde la tamponatura del finestrone centrale (USM 47) e la conseguente apertura delle tre finestre attuali al primo piano (USM 50,51,52) di cui l'USM 50 taglia la tamponatura USM 49 e una parte dell'arco acuto (USM 46) dell'originaria bifora, 1'USM 51 taglia la tamponatura (USM 47) del finestrone e, infine, 1'USM 52 taglia sia la muratura USM 42 che la cornice marcapiano USM 45. ATT. 12: APERTURA DELLE TRE FINESTRE AL SECONDO PIANO (tav. D) Tutte le tre finestre (USM 54,55,56) sono sormontate da una piattabanda e tagliano la muratura USM 53. G.B. Settore III ATT. 24: OPERAZIONE DI RICUCITURA (vedi tavv. B, G) Lacerto murario (USM 2) presente sulla Casa dei Gettatelli nell'angolo più prossimo alla Corsia Marcacci. 15

AA.VV. 1986, pp. 24, 47.

ATT. 19: TAMPONAMENTO DI UNA PORTA (vedi tavv. B, G) La porta della Casa dei Gettatelli più prossima alla Corsia Marcacci (USM 4) viene parzialmente obliterata (USM 5) e ridotta a finestra (USM 6); sul tamponamento di questa apertura si pratica, inoltre, un taglio (USM 7). ATT. 20: REALIZZAZIONE DI UNA PORTA (vedi tavv. B, G) Si opera un taglio (USM 36) nella porzione di facciata in calcare relativa alla chiesa e si costruisce (USM 39) un'altra porta di accesso alla chiesa stessa. ATT. 21: OPERAZIONI DI RESTAURO (vedi tav. B) Comprende la ripresa degli archetti mancanti e la sostituzione delle colonnette (USM 6O, 61, 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69) delle bifore della Casa dei Gettatelli, riapparse con l'inizio dei restauri; a completamento di tale operazione veniva operato, nella parte più interna delle medesime bifore, un tamponamento (USM 70) che non interessava però le due più prossime alla corsia Marcacci (USM 50, 51). ATT. 28: OPERAZIONE DI CUCI - SCUCI (vedi tav. B) Si asportano alcuni mattoni, operando un taglio (USM 71) fra le USM 106 e 49, sovrastante nove delle dieci bifore della Casa dei Gettatelli; tale taglio viene obliterato di nuovo tramite un restauro (USM 72) che si serve di mattoni trafilati. A.M. Settore I — Elevato ATT. 91: TAMPONAMENTO DELL’ APERTURA COMPRESA TRA I PILASTRI 64 E 66 PER IL TRASFERIMENTO DELL’ INGRESSO DELLO SPEDALE L'attività 91 consiste nel parziale tamponamento dell'apertura 49 con la muratura 65 ed il relativo davanzale 427, e nella costruzione del tratto di

panca (USM 55, 57 e 423) adiacente alla suddetta arcata. I1 nuovo tratto di panca risulta appoggiato alle porzioni già esistenti 58 e 52. R.C.—F.G. ATT. 601: STONACATURA GENERALE

Fase B (1909-1932) Settore VI ATT. 13: RESTAURO DI DUE PORZIONI DI MURO AL PIANO TERRA, RESTAURO DELLA PANCA, RESTAURO DI UNA CANALETTA (vedi fig. 31) Il restauro riguarda le due porzioni di muro al piano terra, ai lati del portone di ingresso e relativi rispettivamente alle USM 65, 66, 34, 35, per il tratto di muro a sinistra della porta e alle USM 67, 38 per quello a destra. Nella stessa attività sono compresi anche i restauri eseguiti sulle due panche in travertino, USM 1 e USM 24, ai lati del portone di ingresso e il restauro della canaletta (USM 32 e 40) posta nell'angolo tra la Casa dei Gettatelli e la Corsia Marcacci. G.B. Settore III ATT. 22: INTERVENTI DI RESTAURO SULLA C ASA DEI GETTATELLI (vedi tavv. B, G) Sono riconoscibili alcuni interventi agli archi delle porte della Casa dei Gettatelli (USM 44, 45, 46, 47) e due di queste (USM 10, 38) (fig. 53) subiscono addirittura dei tagli (USM 37, 15 relativamente all'apertura USM 10 e USM 22 relativamente all'apertura USM 38) agli stipiti che vengono ridefiniti tramite un restauro (USM 11, 12 relativamente all'USM 10 e USM 119 relativamente alla USM 38).

Sono individuabili inoltre, in prossimità del confine di questo edificio con la porzione in calcare cavernoso, il taglio USM 31 e il suo tamponamento (USM 32) e, alla sinistra della porta USM 38, l'intervento USM 26. A.M. Settore VII ATT. 151: PARZIALE TAMPONATURA DELL’ ARCATA 20 E REALIZZAZIONE DI UNA FINESTRA (vedi fig. 49) L'apertura 20 viene tamponata con la muratura 21, al di sopra della quale è situata la finestra 29. Quest'ultima è delimitata da un arco ribassato appartenente alle strutture originali. E’ probabile che tale attività comprenda pure i tagli 31 e 32 praticati nei pilastri 17 e 22, che ampliano leggermente la luce dell'apertura, e il taglio 19 praticato nel pilastro 17, forse attuato per il cardine di un infisso. R.C. —F.G.

INTERPRETAZIONE

Fase A Settore VI Tra il 1894 e il 1910 furono eseguiti tutta una seconda serie di importanti interventi di restauro ed è in quegli anni che la facciata della Corsia Marcacci assunse il suo aspetto attuale, come dimostra anche un disegno eseguito dall'architetto Mariani nel 1907 (vedi periodo precedente), che ci presenta la facciata così come è oggi. Al primo piano fu tamponato il finestrone centrale e di conseguenza aperte le tre finestre oggi esistenti, sormontate da un arco a tutto sesto, simile agli archi delle due finestre a piano terra, e aperte le tre finestre del secondo

piano sormontate da una piattabanda. Inoltre è durante i restauri operati dal Mariani che viene eseguita una gradinatura della facciata7. G.B. Settore III L'operazione di ricucitura, dovuta all’inserimento nel muro di un pluviale per lo scolo delle acque dei tetti che costituisce l'att. 24, è stata inserita in questo periodo non tanto perché fossimo in possesso di dati che ne consentissero una datazione precisa, quanto perché, visto il tipo di restauro e l'accuratezza con cui è stato eseguito (con l'utilizzo, per la ricucitura, di mattoni antichi), ci è sembrato tipico degli interventi di questo periodo. Per quel che riguarda l'att. 19 ci è dato sapere, grazie ad una foto del 18962, che in quel momento l'USM 4 era ancora aperta. Relativamente all'att. 20, sappiamo invece che l'apertura di una nuova porta (USM 39) nel paramento in calcare fu dovuta al cambiamento di funzione di quella che dava accesso alla chiesa, che, da questo momento, secondo il progetto di Augusto Corbi 3, diverrà l'ingresso principale dello Spedale. Dalla relazione di Vittorio Mariani risulta che la nuova porta della chiesa, nel dicembre del 1896, era già stata aperta 4. L'att. 21 corrisponde invece al progetto di restauro della facciata dello Spedale, eseguito dall'Ufficio Tecnico, che sappiamo autorizzato dal Sindaco nel luglio 19075. Questo, come già abbiamo accennato, tramite la stonacatura ed interventi di reintegrazione, riporterà alla luce le antiche bifore. Proprio durante questo intervento è probabile che venisse operata l'att. 28 che ci pare, comunque, databile all'inizio del nostro secolo per l'utilizzo dei mattoni trafilati. A.M.

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AA.VV. 1986, p. 34. Vedi la foto in fig. 44b p. 87 (Archivio Alinari, n.9088. Con un'errata didascalia, indicante gli anni '40, la foto è pubblicata in AA.VV. 1986, p. 58). 3 Cfr. AA. VV. 1986, pp. 28. 4 Cfr. AA. VV. 1986, pp. 28-29. 5 Cfr. AA.VV. 1986, pp. 33, 34. Circa tali lavori si vedano anclle i brevi interventi in « Rassegna d'arte senese », I, 1905 e LUSINI 1907. 2

Settore I — Elevato Gli interventi relativi all'att. 91 sono databili alla fine dell'Ottocento quando l'ingresso dello Spedale viene trasferito dall'arcata 49 al luogo attuale. Il 27 agosto 1895 infatti si approva il progetto di Augusto Corbi che prevede di trasformare la parte iniziale della chiesa ed il relativo portale in ingresso principale dello Spedale e di aprire una nuova porta per accedere alla medesima6. In un rilievo di Vittorio Mariani del 24 dicembre 1896 il nuovo ingresso risulta già realizzato7. R.C.—F.G.

Fase B Settore VI Durante i rifacimenti di quegli anni si provvide al restauro delle porzioni di muro al piano terra, ai lati della porta d'ingresso oltre al restauro delle due panche in travertino e della canaletta posta nell'angolo tra i due palazzi. G.B. Settore III I restauri alla facciata del S.Maria della Scala proseguono anche durante i primi decenni del nostro secolo sotto la tutela della Soprintendenza e sono riconoscibili negli interventi agli archi delle porte della Casa dei Gettatelli e, probabilmente, nel rifacimento degli stipiti delle porte (USM 10 che, ai tempi del Macchi, conduceva alle stalle ed ai granai e USM 38) del piano terreno. Siamo propensi a ritenere che appartengano a questa fase anche interventi quali la USM 31, un taglio operato probabilmente per l'inserimento nel muro di un pluviale, oppure quali la USM 26, un restauro che sostituisce quattro mattoni della cortina originaria.

6 7

AA.VV. 1986, p. 28. Ibidem, pp. 28-29 e fig a p 31.

A.M. Settore VII L'attività 151 risulta databile alla prima metà del nostro secolo. La scalpellatura presente nei mattoni della tamponatura 21 sembra indicare una realizzazione anteriore alla rimozione dell'intonaco della facciata, attuata all'inizio del Novecento. Ma la planimetria dello Spedale eseguita nei primi anni di questo secolo contraddice tale osservazione segnalando, in corrispondenza dell'arcata 20, la presenza di un ingresso 8. È perciò probabile che l'operazione di scalpellatura non sia legata ad una eventuale intonacatura ma alla volontà di uniformare la nuova muratura con le strutture originali. Nella planimetria dello Spedale del 1940 vi figura, come oggi, una finestra9. R.C. — B.G.

PERIODO XI (1935-1988) Settore I — Area di scavo ATT. 43: POSA DELL’ ACQUEDOTTO Nell'area sud-est, con andamento est-ovest, si è evidenziata la fossa eseguita per la posa dell'acquedotto cittadino, profonda m 2.50 ca., larga cm 70 ca. (US 90 - 91). ATT. 45: REALIZZAZIONE DI SERVIZI (GAS E ACQUA) Parallelamente alla panca addossata alla facciata è presente una bassa trincea per l'alloggio delle tubazioni del gas e dell'acqua ad uso dello spedale (US 81 - 82). Sono relative a questa attività anche le US 246 - 247 (piccola fogna), 428 - 429 (realizzazione di uno sportello per il gas nel tamponamento 67), 248 - 249 (piccolo scarico nella panca) e, probabilmente uno scarico nel pilastro 308 (US 419). 8 9

Ibidem, p. 47 Ibidem, p. 52.

E.B. Settore I — Elevato (vedi tavv. C, F) ATT. 132: NUOVA SISTEMAZIONE DELLE ARCATE 13, 14 E 15 DEL PALAZZO DEL RETTORE Per quanto riguarda le arcate 13 e 14 l'intervento consiste nell'inserimento di due ampie finestre sormontate da archi a sesto ribassato (USM 602 e 603) e nella costruzione di soprastanti murature (USM 451 e 452) nelle quali si aprono due finestre rettangolari con piattabanda (USM 454 e 455). Nella parte inferiore le USM 602 e 603 sono delimitate dai davanzali 421 e 347 i quali si appoggiano alle preesistenti tamponature 420 e 309. L'arcata 15 è invece caratterizzata da un portale con arco a sesto ribassato (USM 604) e da una soprastante muratura (USM 453) con relativa finestra rettangolare identica alle precedenti (USM 456). ATT. 138, 142, 156: PICCOLI INTERVENTI NEL PIANOTERRA DEL PALAZZO DEL RETTORE (vedi tavv. C, F) L'attività 138 indica la costruzione di un nuovo davanzale (USM 507) nella finestra 504. L'attività 142 individua una canaletta (taglio 522 e riempimento 516) nella tamponatura 514. L'attività 156 infine riguarda alcuni interventi nei pilastri 502 e 512, consistenti in tagli (USM 520 e 521) e riempimenti (USM 510 e 511), probabilmente finalizzati al rifacimento delle spallette dell'apertura 17. Settore VII ATT. 143: TAMPONATURA DELLA PORTA 27(vedi fig. 49) La parte inferiore dell'apertura 27, consistente in una porta, viene tamponata con la muratura 4. Rimane aperta la soprastante finestra. R.C.—F.G.

INTERPRETAZIONE Settore I — Area di scavo Per quanto riguarda il deposito orizzontale, possiamo solo ricordare alcuni ritrovamenti effettuati nel 1914, durante la posa dell'acquedotto in via del Capitano e relativi all'età romana8. A proposito della trincea 81, dobbiamo sottolineare come il suo scavo abbia fortemente danneggiato i resti dell'abitazione altomedievale, asportando gran parte del già scarno deposito. E.B. Settore I — Elevato L'attività 132 risale agli anni 1963 - 64 quando viene ampliata la farmacia dello Spedale attraverso la realizzazione di un piano ammezzato2. Tale operazione comporta la costruzione di tre finestre rettangolari, tra loro identiche per forma, tecnica e dimensioni, situate in corrispondenza dei mezzanini, e la realizzazione di una porta (USM 604) e due ampie finestre con arco a sesto ribassato (USM 602 e 603), relative al pianoterra. Queste ultime sostituiscono due grandi aperture rettangolari, di cui non è rimasta traccia, chiaramente visibili in alcune fotografie della fine dell'Ottocento e della prima metà del XX secolo 3; è probabile che tali finestre siano state realizzate nel Settecento inoltrato poiché sembrano figurare nella Veduta dello Spedale di Antonio Terreni, pubblicata nel 18034. Per quanto riguarda l'arcata 15 è da notare che le fonti iconografiche, dal Marcucci al Macchi, al Terreni, alle fotografie della fine dell'Ottocento e dei primi del Novecento, raffigurano sempre un portale, quello relativo all'ingresso principale del Palazzo del Rettore, sormontato da un arco a tutto sesto 5. L'unica eccezione è costituita da una foto pubblicata nel 1935, ma databile a qualche anno prima, dove figura una grande finestra sormontata da un arco a sesto ribassato molto simile a quello attuale e 8

Cfr nota 3, periodo II. AA.VV. 1986, pp. 52 - 53, 62, 66. 3 Si veda ad esempio le foto pubblicate in [ DE NICOLA ] 1913, p. 9; AA.VV. 1935, p. 90; AA.VV. 1986, pp. 30, 58. 4 Si veda ad esempio le foto pubblicate in [ DE NICOLA ] 1913, p. 9; AA.VV. 1935, p. 90; AA.VV. 1986, pp. 30, 58. 5 MACCHI, Origine, c. 60r, FONTANI 1801-1803, p. 12, [ DE NICOLA ], 1913, p. 9, GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 15, 42; AA.VV. 1986, p. 58. 2

situato nella stessa posizione 6. Da fonti documentarie risulta che nel 1924 l'apertura era stata trasformata in finestra e che nel 1929 era stata di nuovo modificata in portale 7. Abbastanza recente sembra l'intervento relativo all'attività 156, probabilmente in relazione con l'ultima sistemazione della parte inferiore dell'arcata 17, fino a pochi anni fa adibita a vetrina della farmacia. In una fotografia dei primi del Novecento al posto dell'attuale apertura figura un'ampia finestra 8. Sicuramente recente è infine il davanzale 507 (att. 138) poiché realizzato con legante in cemento. Settore VII L'attività 143 è relativamente recente. In una fotografia dei primi del Novecento la porta risulta ancora esistente 9. Ciò è confermato dalla planimetria dello Spedale eseguita negli stessi anni 10. R.C. - F.G.

6

MACCHI, Origine, c. 60r, FONTANI 1801-1803, p. 12, [ DE NICOLA ], 1913, p. 9, GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, pp. 15, 42; AA.VV. 1986, p. 58. 7 AA.VV. 1986, pp. 38, 62, 66. 8 La foto è pubblicata in Un volo a Siena 1985, fig. 1-23. 9 Ibidem 10 AA.VV. 1986, p. 47.

Vicolo di San Girolamo. L'VIII settore riguarda il prospetto dello Spedale relativo al vicolo di San Girolamo e alla piazzetta della Selva. In questo caso la lettura stratigrafica è stata effettuata soltanto nella parte inferiore del complesso, ovvero quella interessata dal rilievo in scala 1:20, in media fino a poco oltre due metri di altezza dal suolo (tav. H). A differenza di quanto abbiamo fatto per la facciata di piazza del Duomo non è quindi possibile presentare in questa sede una ricostruzione cronologica delle fasi che hanno portato alla formazione dell'intero prospetto e degli ambienti ad esso corrispondenti, tanto più che quasi tutte le strutture originali relative alla superficie esaminata sono nascoste da contrafforti e rivestimenti murari eseguiti successivamente1. In questo caso abbiamo inoltre evitato di raggruppare le unità stratigrafiche murarie in una serie di attività. Il risultato infatti sarebbe stato poco indicativo a causa del carattere frammentario di gran parte delle azioni individuate, dovuto sia al modesto sviluppo verticale della superficie esaminata che alla complessità degli interventi che la caratterizzano. Tale prospetto infatti, soprattutto nella zona corrispondente al vicolo di San Girolamo, non avendo svolto un ruolo 'rappresentativo', è stato interessato, in misura maggiore della facciata di piazza del Duomo, da numerosi interventi strettamente funzionali quali contrafforti, rivestimenti, canalette per pluviali e scarichi di servizi igienici che hanno frazionato la superficie in numerose, piccole attività. Per le stesse ragioni è inoltre assai difficile, sulla base dei dati a nostra disposizione proporre, per molte unità stratigrafiche, sicure datazioni di ordine assoluto. La loro collocazione nel matrix in fasce cronologiche ben definite deve perciò essere intesa in termini puramente indicativi, come del resto suggerisce la rappresentazione grafica indicante oscillazioni più o meno ampie (fig. 54)2. In alcuni casi è incerta pure la cronologia relativa. A causa della presenza di strati di intonaco o tracce di malta situate in punti chiave risultano infatti incerti o addirittura indeterminabili i rapporti stratigrafici della zona relativa alle USM 8, 11 e 13. Incerto è pure il 1

Circa le possibili fasi costruttive dello Spedale relative al vicolo di San Girolamo e alla piazzetta della Selva si vedano i contributi di Carlucci et alii, in AA.VV. 1986, pp. 61 - 74, Di Pietro - Donati, in ibidem, pp. 75-97; e GALLAVOTTI CAVALLERO - BROGI 1987, passim. 2 E’ da sottolineare che pure l'applicazione della mensiocronologia, non essendo ancora particolarmente affinata per quanto riguarda l'area senese, pone notevoli difficoltà per la frequente presenza di materiale di reimpiego.

rapporto di contemporaneità tra le USM 4 e 8. La relazione tra le USM 27 e 33, impossibile da determinare nella superficie esaminata a causa di un rimaneggiamento proprio nella linea di contatto, è stata definita sulla base delle indicazioni stratigrafiche provenienti da un esame non ravvicinato delle murature soprastanti. Il tratto più antico e di gran lunga più interessante della superficie analizzata è quello corrispondente alle USM 5, 6 e 21, situato nella parte del vicolo vicino a via dei Fusari. In questo caso, utilizzando un ponte mobile, abbiamo esteso l'analisi stratigrafica fino a circa cinque metri e mezzo dal suolo. L'USM 5 è costituita da uno strato naturale di puddinga simile a quello rinvenuto nello scavo di piazza del Duomo. Su questo strato è stata edificata l'USM 6, caratterizzata da un paramento murario, non particolarmente accurato, a corsi orizzontali e paralleli di grossi conci di "tufo" e calcare (tav. H). La muratura, in un certo periodo ricoperta da uno strato di intonaco oggi in gran parte caduto, presenta pure alcune zeppe di laterizi, evidentemente inserite per il forte degrado delle pietre 3. Tale rivestimento per alcuni metri continua, con pietre di dimensioni più piccole, anche al di sopra della parte esaminata stratigraficamente. Coeve alla muratura 6 sono le tracce dell'apertura 21, consistenti nei primi due conci di un arco il cui tipo di curvatura non è con certezza identificabile. Il resto dell'apertura risulta infatti tamponato dal contrafforte 8. In base alla tecnica muraria abbiamo ipotizzato per le USM 6 e 21 una collocazione cronologica intorno al secolo XII 4. Successivamente lo strato di puddinga, con un'operazione comune ad altri edifici della città5, è stato tagliato (USM 52) per abbassare il livello di pavimentazione del vicolo. Non è da escludere che questo primo abbassamento sia da mettere in relazione con una notizia fornita da Girolamo Macchi secondo il quale « 1'8 dic. 1326 si dirizzò la strada di Vallepiatta nelle case dello Spedale che prima era torta, scoscesa e ripida, quale strada hoggi è il chiasso detto delle balie... »6.

3

In tempi recenti vi è stato praticato il taglio 14 per l'inserimento della cornice 7 relativa alla volta soprastante il vicolo. 4 Sulle tecniche murarie e i materiali da costruzione impiegati nell'edilizia senese si veda RODOLICO 1953, pp. 280 - 285; BALESTRACCI - PICCINNI 1977, passim; MORETTI - STOPANI 1981 p. 169 (per l'architettura religiosa); e la recente tesi di BIANCHI 1988-89. 5 Ad esempio in via di Monna Agnese n. 12 e in piazza San Giovanni nn. 4 e 5. 6 MACCHI, Origine, c. 83r. Vedi pure MACCHI, Memorie, II, cc. 260v, 264v.

Dalla famosa veduta di Siena di Francesco Vanni (fig. 16 p. 58) 7 risulta che alla fine del Cinquecento i caratteri volumetrici e architettonici fondamentali delle strutture dello Spedale relative al vicolo di San Girolamo e alla piazzetta della Selva erano ormai formati. Tuttavia, come abbiamo sottolineato, non è possibile ricostruire, dalla limitata superficie presa in esame, il processo costruttivo che nei secoli precedenti aveva portato alla formazione di tali strutture. Le murature 44 e 49, situate nella piazzetta della Selva, in parte tamponate da contrafforti settecenteschi, sono forse riferibili, almeno nella parte inferiore, alle strutture relative al granaio dello Spedale la cui costruzione è stata recentemente assegnata, sulla base di notizie indirette e considerazioni storicourbanistiche, alla fine del Trecento o all'inizio del Quattrocento8. Per la datazione del contrafforte 51, che risulta comunque caratterizzato da più interventi e che nella parte superiore si appoggia ad una muratura preesistente, un termine ante quem è rappresentato proprio dalla veduta del Vanni dove tale struttura è già chiaramente riconoscibile. Le prime unità stratigrafiche databili con certezza sulla base di fonti documentarie risalgono all'inizio del XVIII secolo. I contrafforti 41, 47 e 48 infatti, situati all'estremità destra del prospetto, nella piazzetta della Selva, sono senz'altro da mettere in relazione con la notizia riportata dal Macchi riguardante la costruzione di « pilastri grandi di mattoni n. tre principiati l'anno 1701 e terminati il mese di ottobre 1702 con havergli dato il riposo, li quali si sono fatti sotto la nostra cappanna del fieno per di fuori in S.Bastiano in Vallepiatta, vicino alla chiesa delle monache di S.Bastiano, li quali vi si fecero perché pativa la volta del granaio... »9. Tali pilastri si appoggiano alle murature 44 e 49 e al contrafforte 51 (fig. 55). Ancora il Macchi riferisce che nell'anno 1707 la casa del camarlengo venne rinforzata con due speroni, uno situato in via dei Fusari e l'altro « per scendare il chiasso ripido sotto alle nostre balie fattoci ... con un altr arco dall'uscetto che mette dalle sepolture a man sinistra di detto chiasso »10. Da un disegno dello stesso autore risulta che tale edificio era situato all'estremità destra della facciata di piazza del Duomo11. Il contrafforte del 7

Biblioteca Comunale di Siena, senza collocazione. Cfr. le mie osservazioni nell'intervento sugli indicatori cronologici. 8 Cfr. l’intervento di Di Pietro Donati , in AA. VV. 1986, pp. 88- 89, 94. E’ da segnalare che al di sopra della zona esaminata le due murature presentano una diversa apparecchiatura. 9 MACCHI, Memorie, II, c. 226r. 10 MACCHI, Memorie, II, c. 263v. 11 MACCHI, Origine, cc. 59v - 60r.

vicolo attualmente più vicino alla piazza è quello costituito dalla muratura 8 e dalla sua fondazione 15. La porta di cui parla il Macchi, evidentemente identificabile con una delle due aperture della parte alta del vicolo raffigurate nella veduta del Vanni, potrebbe corrispondere alla USM 11, attualmente tamponata (USM 12), mentre l'arco potrebbe essere quello impostato sull'attuale pilastro 3, inserito con il taglio 20. Un termine ante quem per la datazione di quest'ultimo è costituito dalla planimetria dello Spedale del 1838 12.Non esistono comunque elementi certi per dimostrare la corrispondenza con le strutture attuali e non è da escludere che lo sperone di cui parla il Macchi sia stato abbattuto pochi anni dopo, quando venne distrutta la casa del camarlengo13. Negli anni immediatamente seguenti al 1718 - 1719, in occasione della ristrutturazione del Palazzo Vescovile, venne risistemata tutta la zona dello Spedale situata all'inizio di via dei Fusari 14. Dalle notizie documentarie non sappiamo in quale misura questi lavori abbiano interessato anche il vicolo di San Girolamo. Dal punto di vista stratigrafico l'unica muratura riconducibile a questa attività è il pilastro 1 in quanto si lega all'USM 22 del VII settore, appartenente al tratto di facciata su via dei Fusari costruito in quella occasione. Tale pilastro taglia (USM 54) la muratura 2. Quest'ultima, per la rozzezza della tecnica muraria, caratterizzata da un rivestimento quasi interamente formato da mattoni spezzati e qualche pietra non lavorata presenta, in ambito locale, analogie con murature del XVI-XVII secolo. Molto probabilmente l'attuale assetto del vicolo di San Girolamo in prossimità di via dei Fusari, compreso l'ulteriore abbassamento del livello di pavimentazione evidenziato dalle USM 4, 15, 53, è in gran parte il risultato dei lavori eseguiti nei primi decenni del XVIII secolo, tra il 1707 e il 1720 circa. Nessun elemento ci aiuta a datare con certezza l'altro contrafforte situato nel vicolo, caratterizzato da una situazione particolarmente complessa in cui sono riconoscibili, nella sola parte esaminata, ben tredici unità stratigrafiche. Nella veduta del Vanni tale contrafforte non è rappresentato o meglio figura uno sperone molto più piccolo situato a valle del corrispondente corpo di fabbrica. Per l'insieme delle unità stratigrafiche che costituiscono il contrafforte (USM 13, 16, 19, 24 e 27) abbiamo quindi 12

Il rilievo è pubblicato in GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p. 48. Per le indicazioni bibliografiche vedi n. 14. 14 Circa tali lavori si veda BANCHI 1877, pp. 416 - 417, GALLAVOTTI CAVALLERO 1985a, p.349; GALLAVOTTI CAVALLERO – BROGI 1987, pp. 110- 111. 13

proposto, senza ipotizzare precise datazioni, una collocazione tra il XVII secolo e il 1848, anno a cui risale la muratura 33, posteriore alla USM 27. All'anno 1848 è con certezza riferibile il totale rivestimento murario di una notevole porzione della superficie esaminata, relativa alle USM 33, 37, 38, 39 e 40, stratigraficamente legate. La datazione di tali strutture, caratterizzate da una regolare apparecchiatura "gotica" (mattoni alternati per fascia e per testa) è indicata da una targa posta al di sopra dell'ingresso della cosiddetta "strada interna", un vicolo in origine aperto e in seguito inglobato nelle strutture dello Spedale. Per quanto riguarda le altre unità stratigrafiche esse consistono, come abbiamo precedentemente accennato, in tutta una serie di interventi di carattere funzionale formati da tagli e riempimenti per scarichi di servizi igienici e canalette di pluviali, piccoli restauri e tamponamenti. Quelli caratterizzati dalla presenza di malta cementizia sono stati collocati a partire dal 1930 circa (USM 9, 10, 25, 26, 35, 36, 45 e 46), gli altri sono stati convenzionalmente datati tra il XIX e il XX secolo, periodo a cui risale una ricca documentazione relativa a questo tipo di lavori (USM 17, 18, 28, 29, 30, 32, 42, 43, 50) 15. Nell'ultimo periodo abbiamo infine inserito l'attuale pavimentazione della strada (USM 22, 23, 31 e 34)16. F. G.

15 16

Cfr. il contributo di Dezzi Bardeschi et alii, in AA.VV. 1986, pp. 19 ss. Cfr. ibidem, pp. 12, 20, 25.

I reperti ceramici degli scavi di Piazza Duomo in Siena 1.

ASPETTI GENERALI E METODOLOGICI DELLA RICERCA

1. Introduzione Lo studio analitico dei reperti ceramici rinvenuti nello scavo di Piazza Duomo a Siena, condotto valendosi di una gestione informatizzata dei dati di seguito esaminati, ha inteso recuperare dai frammenti studiati dettagliate informazioni non solo di carattere tipologico-formale, ma anche relative alle caratterizzazioni delle matrici argillose e dei clasti in esse contenuti, nonché sulle relazioni diacroniche e sincroniche fra argille e tipologie, ai fini di una più attendibile definizione dei tipi ceramici e del loro più ampio significato storico nei vari ambiti cronologici esaminati dallo scavo. Osservazioni preliminari effettuate con microscopia ottica portatile (10 x; 20 x) ed in seguito più approfondite con uno stereomicroscopio (20 x; 40 x; 80 x ed oltre) hanno permesso di riconoscere, fra gli oltre 7000 reperti ceramici rinvenuti nello scavo, disposti in una diacronia stratigrafica di circa 2.200 anni, oltre 140 tipi diversi di associazione fra corgi argillosi e tipologie ceramiche. Alla complessità di questa situazione si deve aggiungere l'alto indice di frammentarietà dei reperti e di residualità degli stessi nella periodizzazione stratigrafica, che non hanno certo giovato ad una visione sintetica di una tale dispersione di informazioni. Nonostante l'esistenza di questi problemi, si è scelta la via della redazione di un archivio reperti il più analitico possibile, trattandosi di materiali provenienti da uno scavo in cui la filologia stratigrafica non aveva subito quelle interferenze e pressioni esterne che sono proprie all'archeologia degli ambiti urbani. La natura dello scavo, uno scavo di ricerca (il primo dell'archeologia urbana senese) e non un'operazione d'emergenza, ha perciò certamente condizionato la scelta metodologica di questo studio, nella convinzione che — potendosi basare su attendibili contesti di provenienza — la caratterizzazione analitica di ogni aspetto 'registrabile' dei reperti fosse la via preferibile da intraprendere.

2. La gestione informatizzata dello studio 2.1. La gestione dello studio dei reperti dello scavo di piazza Duomo a Siena, attuata attraverso un database elaborato per tale scopo, costituisce un aspetto sperimentale del progetto archeologico condotto a termine: tale aspetto rientra comunque nella più generale strategia perseguita dal Dipartimento di Archeologia dell'Università di Siena, mirante alla messa a punto di un ciclo completo per la gestione computerizzata della ricerca archeologica sul terreno, in ogni sua fase, dalla registrazione delle evidenze stratificate all' archiviazione dei dati relativi ai reperti rinvenuti. L'enorme quantità di documenti materiali che emergono dagli scavi — in specie urbani — anche di media e ridotta portata, unitamente al forte grado di analiticità che il loro studio ormai comporta, trova nella gestione computerizzata di queste informazioni un traguardo non più dilazionabile, per ottimizzare l'attendibilità dei risultati delle ricerche. Per questo motivo, sia a livello nazionale che internazionale, negli ultimi anni si sono moltiplicati tentativi ed esperienze orientati in questa direzione. La schedatura degli oltre 7000 reperti ceramici dall'età preromana ai giorni nostri, sperimentalmente condotta negli scavi di un'area antistante il complesso di Santa Maria della Scala in Siena, costituisce quindi un contributo nella direzione sopra delineata e si colloca come esperienza da sottoporre a discussione. Lo studio dei reperti, la progettazione informatica e la registrazione computerizzata dei dati analitici relativi sono stati attuati da chi scrive nel cantiere di scavo, parallelamente all'avanzare dell'indagine stratigrafica. Si è in tal modo evitato lo scollamento fra registrazione delle evidenze stratificate e studio dei materiali e si è reso possibile un dialogo fra problemi stratigrafici (di periodizzazione, suddivisione in fasi, etc.) e risposte derivate dall'analisi dei reperti. 2.2. Operativamente, si è installato un elaboratore con hard disk da 20 megabyte all'interno del cantiere, con altre apparecchiature di supporto (unità di salvataggio e stampante ad aghi). La base utilizzata per impostare l'archivio è stato il programma DBASE III PLUS, uno dei più diffusi database reperibili sul mercato.

Come si può osservare dallo schema qui sotto riportato, al termine dell'archiviazione dei reperti, questi stessi sono risultati raggruppati in 2282 schede, che occupano uno spazio fisso individuale di 411 bytes, per un impiego complessivo di poco inferiore ad 1 megabyte di memoria (939.520 bytes). Database 28/05/90

N. record 939520

Revisione

Dim SMS88.DBF

2282

Questo impiego di memoria, facilmente gestibile anche con un solo dischetto da 3-1/2 (HD) da 1.44 MB o riducibile in 3 dischetti da 360 KB (da 5-1/4) con operazione di backup in ambiente MS-DOS, è naturalmente relativo al solo database, privo di indici o elaborazione dei dati, operazioni che incrementano vistosamente lo spazio di memoria necessario. 2.3. Organizzazione logica del database La struttura base dell'archivio, il record (la scheda), è stata organizzata con 39 campi (o voci), atti a definire nel modo più puntuale possibile il reperto o gruppo di reperti omogenei, che la comunanza di determinate caratteristiche permette di associare nel medesimo record. Ogni record raggruppa quindi insiemi omogenei di reperti ceramici, che devono rispondere, in sequenza logica, alle seguenti caratteristiche: 1. Appartenenza alla medesima unità stratigrafica. 2. Appartenenza alla medesima classe di produzione. 3. Appartenenza alla medesima forma, anche generica (come "Forma Aperta") se non più esattamente determinabile. 4. Appartenenza allo stesso tipo morfologico. 5. Appartenenza alla stessa matrice argillosa. Se clue o più reperti ceramici risponciono omogeneamente a questo filtro di possibilità (anche con risposte negative, come: "non icientificabile"~, vengono raggruppati nella stessa scheda ed i clati quantitativi pertinenti le parti attestate (piede, ansa, parete, orIo, etc.) sono archiviati in appositi e clifferenziati campi che prevedono la gestione sia della quantificazione numerica (numero frammenti), sia del peso, espresso in grammi, delle parti stesse.

Per maggiore chiarezza, si riporta cli seguito l'elenco dei campi di ciascun record ed una schermata campione (tabella 11, cui segue una schematica cliscussione del significato cli ogni campo.

Camp 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29

Nome campo LOCALITA ANNO PERIODO ATTIVITA US CLASSEPROD FORMA TIPO TECNICA ARGILLA TRATSUPER N1 PESO1 N2 PESO2 N3 PESO3 N4 PESO4 N5 PESO5 N6 PESO6 N7 PESO7 N8 PESO8 N9 PESO9

Tipo Dim Dec Carattere 30 Carattere 4 Carattere 2 Carattere 3 Carattere 4 Carattere 35 Carattere 10 Carattere 15 Carattere 2 Carattere 2 Carattere 35 Numerico 3 Numerico 4 Numerico 3 Numerico 4 Numerico 3 Numerico 4 Numerico 3 Numerico 4 Numerico 3 Numerico 4 Numerico 3 Numerico 4 Numerico 3 Numerico 4 Numerico 3 Numerico 4 Numerico 3 Numerico 4

30 31 32 33 34 35 36 37 38 39

NTOT PESTOT DECOR EPIGRA EPIPOS DISEGNO FOTO BIBLIO DATAZIONE OSSERVAZ

Numerico 4 Numerico 4 Carattere 30 Carattere 10 Carattere 8 Numerico 3 Numerico 6 Carattere 60 Carattere 40 Carattere 40 Totale:411

2.3.1. Analisi del contenuto dei campi 1.LOCALITA': questo campo identifica il sito di provenienza dei reperti registrati nel record: utilizzando la stessa struttura di database per più scavi (e con un campo in comune) si crea una griglia di database relazionali che consentono, in tal modo, confronti fra materiali simili ma provenienti da scavi di siti differenti. 2. ANNO: identifica l'anno in cui è stato condotto lo scavo. 3. PERIODO: si intende come "Periodo" l'unità di riferimento più complessiva nell'ambito della periodizzazione stratigrafica. È un campo di tipo numerico che può essere riempito, come il seguente — relativo alle "Attività stratigrafiche" — anche a scavo ultimato, sulla base della redazione definitiva del matrix stratigrafico. 4. ATTIVITA: è un campo numerico che risponde ai criteri logici del campo precedente. L'attività stratigrafica è un'unità di periodizzazione che raggruppa più unità stratigrafiche e che costituisce un sottoinsieme del periodo. 5. U.S.: campo che identifica l'unità stratigrafica di provenienza del materiale schedato, a prescindere dai raggruppamenti più generali e significativi di attività e periodo. Questo è l'unico campo, relativo alla collocazione stratigrafica dei reperti nella periodizzazione archeologica del sito, che è stato compilato direttamente sul cantiere di scavo. 6. CLASSE DI PRODUZIONE: questo campo caratterizza l'ambito tipologico generale cui sono stati attribuiti i reperti archiviati nel record. Ad esempio: Maiolica arcaica; Zaffera a rilievo; Vernice nera; Sigillata chiara. L'analisi di questo campo può già formulare significative indicazioni sulla cronologia di unità stratigrafiche, attività e periodi, fornendo materiale per un primo confronto con l'analisi dei rapporti stratigrafici individuati nel sito. 7. FORMA: l'utilizzo di questo campo è connesso alle condizioni di conservazione del materiale rinvenuto ed implica la nossibilità di riconoscerne la forma di appartenenza. Ad es.: Maiolica arcaica (campo

"classe di produzione"); Piatto (campo "forma"), oppure orciolo biansato, ciotola, etc. 8. TIPO: un livello di riconoscimento analitico ancora più approfondito permette il riconoscimento del tipo. Ad es.: Vernice nera ( campo "classe di produzione"); Coppa (campo "forma"); LAMBOGLIA 33 a (campo "tipo"). L'utilizzo di questo campo è naturalmente connesso con la conservazione di elementi significativi che permettano l'identificazione del tipo specifico. Poiché la stessa forma può articolarsi in tipi diversi che ne scandiscono la diacronia o la geografia dei centri di fabbrica, l'identificazione del tipo può rivestire un'importanza talora anche non secondaria per l'interpretazione cronologica o dei rapporti economici intrattenuti nell'ambito di un insediamento. 9. TECNICA: si tratta di un campo in cui si registra il tipo di tecnologia di foggiatura dei manufatti ceramici. Es.: tornio veloce (TV); tornio lento (TL); foggiatura manuale (MN), etc. Questa informazione risulta talora determinante per la comprensione dei livelli tecnologici degli ambiti produttivi dei manufatti. 10. MATRICE: riferendosi ad un campionario elaborato nel corso dello studio, questo campo numerico indica il tipo di matrice argillosa in cui risultano foggiati i frammenti ceramici compresi nel record. La corretta compilazione di questo campo può risultare di estrema importanza per la ricostruzione dei traffici commerciali o per l'identificazione di diverse aree produttive della medesima classe ceramica, in specie quando con il supporto di analisi petrografiche e/o chimiche si siano determinate le aree di prelievo delle materie prime e di provenienza dei manufatti. 11. TRATTAMENTO DELLE SUPERFICI: campo attualmente alfanumerico, ma che potrà essere trasformato in numerico, riducendo in tal modo lo spazio di memoria impegnato, codificando le varie tecnologie di trattamento. Ad es: lisciate; ingobbiate; smaltate all'esterno, invetriate all'interno, etc. 12/ 29. N1/PESO9: insieme c nogeneo di campi che quantificano il numero ed il peso relativo alle diverse parti di forma, rispondenti in modo coerente alle caratteristiche sopra specificate. Es.: diversi frammenti di ceramica a vernice nera appartenenti ad una coppa di tipo LAMBOGLIA 33 a, foggiati con la medesima argilla e provenienti dall'unità stratigrafica 231, saranno quantificati nei campi 12/29 per quanto concerne la

quantificazione delle parti morfologiche rinvenute (orli, fondi, etc.) ed il loro peso in grammi. 30/31. NUMERO TOTALE / PESO TOTALE: impostando il comando "sum" e le opportune condizioni, all'interno di questi campi vengono memorizzate le somme dei frammenti schedati nel record e del loro peso. 32. DECORAZIONE: in questo campo si archivia il tipo di decorazione che caratterizza i reperti del record, riferendosi, quando possibile, a tipologie esistenti, oppure sintetizzando gli elementi caratteristici della decorazione, in assenza di quadri tipologici puntuali di riferimento. 33/34 EPIGRAFIA E SUA POSIZIONE: campo di non frequente utilizzo, che memorizza il contenuto di un'eventuale iscrizione vascolare e la sua posizione. Es.: K A (campo "Epigrafia"), fondo coppa (campo "Posizione epigrafe"). 35. DISEGNO: campo numerico contenente il numero progressivo attribuito al disegno del reperto oggetto del record. Questa informazione identifica in modo inequivocabile un dato reperto. 36. FOTO: in questo campo si memorizza il numero del negativo fotografico (o dell'archivio diapositive) di un dato reperto. 37. OSSERVAZIONI: si tratta di un campo che è stato utilizzato per informazioni differenti, difficilmente codificabili. Ad es.: se il reperto presenta residui organici al suo interno (nel caso di una forma da cucina), oppure se è stata asportata una frazione di materiale per il campionario delle matrici argillose, etc. Si è preferito il campo alfanumerico al campo di tipo "Memo", in quanto quest'ultimo, pur consentendo una maggiore possibilità di descrizione e discussione, non può essere sottoposto ad analisi ed indicizzazioni con selezione di dati, per verificare l'incidenza quantitativa dei vari fenomeni qui memorizzati nella sequenza stratigrafica. 38. BIBLIOGRAFIA: quando esistente (o nota già al momento dell'archiviazione dei dati) è stata inserita la bibliografia di confronto per i reperti oggetto del record. 39. DATAZIONE: a prescindere dalla datazione dello strato di appartenenza, si archivia in questo campo la datazione dei reperti schedati nel record. 2.4. La redazione dell'archivio

2.4.1. Immissione dei dati. Essendo il programma utilizzato (DB3P) dotato di strumenti di ordinamento dei dati secondo i criteri prescelti dall'utente, la fase di immissione dei dati analitici è avvenuta in modo indipendente dalla sequenza del matrix stratigrafico, la cui struttura, nel corso dello scavo, era naturalmente ancora ignota. L'immissione è quindi avvenuta, per così dire, disordinatamente e ha seguito in tempo reale il procedere dello scavo. L'immissione dei dati con indici attivi (vedi 2.5.1) ha facilitato verifiche e discussioni sugli elementi di datazione forniti dai reperti in rapporto al procedere dell'indagine stratigrafica. 2.5. L'elaborazione dei dati 2.5.1. Indicizzazione. Per una più agevole gestione dei dati, è stato indispensabile creare un certo numero di indici che raccogliessero, ordinate secondo criteri prestabiliti, le informazioni sui reperti ceramici in corso di schedatura. Questo si è ottenuto con il comando "index on", selezionando i campi da sottoporre ad indice e l'ordine logico dei campi di ciascun indice: si sono, in tal modo, ottenuti files con estensione ".NDX", secondo alcuni esempi qui riportati: AREA DI LAVORO ATTIVA Area di lavoro: 1, file di database: C:SMS88.dbf, alias: SMS88 File indice principale: C:PECLMATR.ndx, chiave: periodo + classeprod + matrice File indice: C:PATCLMAT.ndx, chiave: periodo + attività + classeprod + matrice Il nome di ciascun file indice riassume le iniziali dei campi che ne costituiscono l'ordinamento, per facilitare il riconoscimento dei contenuti. Il primo dei due esempi, il file PECLMATR.ndx, ordina le informazioni dell'intero archivio, annullando però l'ordine di immissione dei records e riorganizzandolo indicizzato sulla base del contenuto dei seguenti campi: Periodo; Classe di Produzione; Matrice. Con il comando "list", seguito dal nome dei campi che si vogliono verificare, lavorando con gli indici attivi, è possibile richiedere informazioni sul contenuto dei campi di alcuni o di tutti i records,

riorganizzati però nella sequenza stabilita dall'indice che si è indicato come "indice principale". L'esempio che segue mostra l'estrazione di dati volti a definire i caratteri tipologici e le quantificazioni della ceramica a vernice nera presente negli strati appartenenti all'attività 9 del periodo 1 della stratigrafia scavata: .list periodo,attività,classeprod,forma,tipo,ntot,pestot for periodo = " 1 " .and. attività = "9" .and. classeprod = "VERNICE NERA" all Record periodo attività classeprod forma tipo ntot pestot 1331 1 9 VERNICE NERA Patera 1 55 1332 1 9 VERNICE NERA Coppa avv.MOREL 1173 1 7 1333 1 9 VERNICE NERA FC avv.MOREL 3450 1 7 2138 1 9 VERNICE NERA Coppa LAMBOGLIA4 1 96 2139 1 9 VERNICE NERA Bicchiere LAMBOGLIA 10 6 31 2140 1 9 VERNICE NERA Bicchiere LAMBOGLIA 10 3 74 2141 1 9 VERNICE NERA Bicchiere LAMBOGLIA 10? 1 78 2142 1 9 VERNICE NERA Piatto da pesce avv.LAMBOGLIA23 1 43 2143 1 9 VERNICE NERA Piatto da pesce LAMBOGLIA 23; MOREL 1123,6 5 64 2144 1 9 VERNICE NERA Coppetta avv MOREL 2536/2565 1 4 Esecuzione comando interrotta. La stessa domanda, posta senza condizioni di selezione dei dati, porterebbe all'elencazione dei campi prescelti di tutti i 2282 record dell'archivio, ordinati dal periodo 1, attività 1, acroma depurata, matrice n. 1, con progressiva crescita dei valori alfanumerici. 2.5.2. Interfacciamento con altri programmi 2.5.2.1. Stesura testi e relazioni: sistema di trasferimento dati dal database DB3P a files di testo di MICROSOFT WORD (versione per MS-DOS) Lavorando all'elaborazione di dati archeologici piuttosto complessi, a causa dell'alto indice di pluristratificazione dell'area indagata, di non seconciaria importanza è stata la possibilità di compilare relazioni preliminari su singole problematiche, talora anche per chiarire la portata dei dati analitici. Per questo motivo, si è messo a punto un sistema — qui

di seguito esemplificato volto al trasferimento di selezioni di dati dall'archivio a files di testo, utilizzando il comando "alternate" in ambiente DB3P. . use c:sms88.dbf . index patcimatr . set alternate to testo5.txt . set alternate on . list classeprod,forma, disegno for attività = "23" .and. classeprod = "ACROMA DEPURATA" .and. disegno < > 0 all Record classeprod forma disegno 951 A. DEPURATA Microvasetto 190 1916 A. DEPURATA Catino 304 1917 A. DEPURATA Catino 305 1918 A. DEPURATA Catino 306 1919 A. DEPURATA Catino 307 1920 A. DEPURATA Catino 308 1921 A. DEPURATA Catino 309 1922 A. DEPURATA Catino 310 1924 A. DEPURATA Vaso da fiori 311 1925 A. DEPURATA Coperchio 312 1927 A. DEPURATA Anforetta 314 950 A. DEPURATA Orcio? 189 1581 A. DEPURATA FC 276 1582 A. DEPURATA Pelvis 277 1926 A. DEPURATA Coperchio 313

Al termine di questa operazione, nella stessa directory ove risiede il database, sarà stato creato il file di testo testo5.txt, contenente i dati estratti dal database secondo le specifiche condizioni richieste. A questo punto, il file testo5.txt viene trasferito, con normale procedura MS-DOS, nella subdirectory di Microsoft Word in cui sono contenute le relazioni sui reperti dello scavo: C:DBASE > COPY TEST05.TXT: WORDSMS88

Il trasferimento è ora avvenuto e il file potrà essere "ripulito" da tutti i comandi DB3P utilizzando il comando "delete" di WORD e conferendo al file l'aspetto desiderato. 2.5.2.2. Elaborazione grafica dei dati archiviati: trasfenmento dati DB3P nel programma SYMPHONY, selezione campi ed informazioni e loro visualizzazione grafica. Problema: Da un archivio in DB3, immesso disordinatamente, di dati sui reperti di uno scavo di un sito pluristratificato, elaborare grafici sui totali di presenza delle varie classi, ordinate per periodo e tipologia (classeprod). 1. Ordinare l'archivio per PERIODO, ATTIVITÀ, TIPOLOGIA (classe di produzione), impostando un indice chiamato "perattipi.ndx". 2. Sommare i totali numerici dei frammenti (NTOT) ed i totali di peso degli stessi (PESTOT) di tutte le tipologie attraverso le variabili diacroniche di PERIODO ed ATTIVITÀ. Lavorando sull'archivio con l'indice del punto 1 attivo, occorre utilizzare la seguente sintassi: TOTAL ON CLASSEPROD TO SMST.DBF (nuovo file) FIELDS NTOT, PESTOT 3. I dati totali cosi ottenuti vanno ora tradotti in linguaggio accessibile a SYMPHONY. Dall'interattivo di DB3plus si procede con due operazioni: a. Apertura del nuovo file di DB3p ottenuto con total on (.use smst.dbf). b. Traduzione di questi dati in un file accettabile e riconoscibile da parte di SYMPHONY (COPY TO PERITIPI FIELDS PERIODO,ATTIVITA,CLASSEPROD,NTOT, PESTOT WRK). 4. Con PCT o con il DOS, copiare nella directory di SYMPHONY (SYM) il file. 5. Entrare nel programma SYMPHONY ed eseguire le seguenti operazioni: 1. F9; 2. Gest archivi; 3. Carica (a questo punto compare l'archivio con visualizzazione dei dati di tipo browse; 4. 10; 5. Grafo; 6. l-Parametri; 7. Tipo (selezionare il tipo di rappresentazione); 8. Zona (sono i tipi di dati, es. zona a: ntot; zona b: pestot); 9. Selezione dei dati da rappresentare (nella zona X conviene selezionare i nomi delle tipologie, che andranno a fianco alle varie sezioni di "torta", nel caso, per es., di un grafico a cerchio. Se è necessario ottenere un grafico dei rapporti quantitativi fra le varie tipologie presenti p.es. nel periodo 1/ attività 9,

devo procedere come segue: A. Selezionare i dati da rappresentare nella zona A, puntando il cursore sul primo o sull'ultimo dato, estendere la selezione usando il tabulatore (TAB) e con il cursore selezionare gli altri dati. B. Nella zona X, selezionare i nomi delle tipologie, usando lo stesso criterio del punto A. 10. Puntarsi ora su uscita, operazione che va ripetuta 2 volte, quindi sul menù principale di GRAFO, selezionare "visualizza".

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B. L’ANALISI DEl DATI 1. Caratterizzazione delle matrici ceramiche All'interno delle varie tipologie ceramiche individuate, l'identificazione di argille differenti utilizzate per la foggiatura soggerisce l'esistenza di più centri di fabbrica. La differenziazione dei corpi ceramici, dapprima condotta per via macroscopica e quindi con l'ausilio di uno stereomicroscopio, si è concretizzata nella redazione del catalogo di seguito presentato, in cui sono state raccolte tutte le osservazioni utili alla caratterizzazione delle matrici argillose e dei clasti in esse contenuti. Tali determinazioni sono state condotte sempre sulle frazioni argillose fresche, specialmente operando il confronto fra i reperti e la scala di determinazione cromatica delle argille: sezioni fresche prodotte in laboratorio con una troncatrice circolare hanno permesso definizioni più puntuali (sempre allo stereomicroscopio) delle specie petrografiche incluse, del grado di porosità e delle matrici argillose stesse. Per tutte le produzioni si sono operate caratterizzazioni stereomicroscopiche dei corpi ceramici: a causa della vastità delle tipologie rinvenute nello scavo (che documenta scarichi d'uso e non produttivi) e nell'assenza di una qualsiasi rete analitica di riferimento, si è giudicato non significativo intraprendere una campagna di analisi chimica del materiale, problema che andrà invece affrontato in maniera più complessiva, costituendo

innanzitutto adeguati standards di riferimento con analisi di materie prime e scarti di produzione. La determinazione del colore dei corpi ceramici è stata effettuata sulla base della carta C.E.C. (che fornisce le coordinate tricromatiche, risultando in tal modo interfacciabile con altre carte), finalizzata al controllo delle tonalità cromatiche delle argille cotte e fondata sulla precedente S.F.C., edita nel 1961 dalla Société Francaise de Céramique.1 2. Catalogo delle matrici ceramiche2 ACROMA DEPURATA (fig. A: 1-9) Matrice 1: matrice di colore rosato (D6), ricchissima di quarzo microcristallino, assai fine. Fra gli inclusi apprezzabili, alcuni sono forse miche ma sono visibili nella sezione minima e non se ne osserva pertanto la lucentezza. La massa di fondo sembra disomogenea, evidenziando due componenti diverse, una più ricca di tenore di ferro e pertanto più rossa, l'altra più chiara in quanto ricca di quarzo e di silice. Matrice 2: matrice assai fine e compatta, di colore rosso chiaro (E8), con schiarimento superficiale dello spessore di circa 1 mm, di colore beige rosato (C6). Fra gli inclusi, quarzo microcristallino con qualche grano apprezzabile a 40 x, di colore bianco latte. Inclusi allungati, opachi e scuri (lamelle micacce). Matrice 3: matrice molto fine, di colore rosato (D6), abbastanza compatta. Quarzo prevalentemente microcristallino, con qualche grano appena 1

In questa parte dello studio ci si è valsi di due determinanti collaborazioni. Il prof. Tiziano Mannoni dell’università di Genova ha effettuato le caratterizzazioni allo stereomicroscopio dei campioni delle argille delle anfore e delle ceramiche acrome grezze. Il dott. Giovanni Baldi e la dott.ssa Laura Grassi del Laboratorio di Analisi Chimiche delle Industrie Bitossi 90 s.p.a. (Sovigliana-Vinci) hanno messo a disposizione le loro competenze per una più precisa caratterizzazione dei corpi ceramici, grazie al rapporto di collaborazione esistente fra il citato Laboratorio ed il Laboratorio di Archeometria operante con una convenzione tra il Museo Archeologico e della Ceramica di Montelupo Fiorentino (Firenze) e l'Università degli Studi di Siena.

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Macchie causali di polvere biancastra, talora visibili sulle foto eseguite allo stereomicroscopio, sono imputabili al caolino utilizzato nel fissaggio dei campioni.

risolvibile. Inclusi neri puntiformi (da 15 x), altri color ambra e rossi, visibili da 40 x. Matrice 4: matrice disomogenea, formata da una massa di fondo di colore rosato (D6) inglobante matrice rossa (F9), nel cui interno sono osservabili noduli neri con inclusi quarzosi. Presenza di quarzo microcristallino. Potrebbe trattarsi di una miscela di argille diverse, amalgamate fra loro in modo imperfetto. Matrice 5: matrice di colore beige chiaro (C6), con porosità di granulometria varia, ricca di quarzo microcristallino, assai trasparente. Clasti bruni inglobanti cristalli bianchi, giallastri e neri; altri clasti, di colore giallo, sono evidenti da 64 x. Matrice 6: matrice bicroma, stratificata, di colore rosa (F6) all'interno, bruno chiaro (B6) sulla superficie esterna, con una penetrazione all'interno fino a circa metà della frazione argillosa. Porosità parallela alla superficie. Inclusi quarzosi trasparenti, subarrotondati, talora con aloni scuri sul margine. Inclusi neri a forma non geometrica (lucentezza metallica), con cristalli da gialli a bianchi. Puntinature gialle e arancio. Matrice 7: matrice compatta di colore rosso (E9), con porosità parallela alla superficie del manufatto. Si distinguono due tipologie di inclusi, quarzosi di colore grigio chiaro e feldspati di colore bianco. Nei vacuoli, neoformazioni (gessi?). Matrice 8: matrice compatta di colore beige (C7), con sfumatura rosata (E6) verso la superficie interna dei manufatti. Abbondante quarzo microcristallino disperso nella matrice, porosità piuttosto fine. Gli inclusi apprezzabili sono prevalentemente costituiti da quarzo da trasparente a bianco latte, mentre altri inclusi sono simili ma con aloni d'alterazione giallastri o rosati nel corpo dell'incluso quarzoso stesso. Matrice 9: massa di fondo di colore rosso (E 10), disomogenea a causa degli inclusi abbondanti, con elevata presenza di quarzo microcristallino. Piccoli inclusi neri, lucenti, altri inclusi forse sono minuti fr. di chamotte (o argillite) e fr. di mica: neoformazioni nei vacuoli.

Matrice 10: matrice di colore beige (C7), ricca di quarzo microcristallino. Inclusi grigioneri, di tessitura affine alla matrice, caratterizzata anche da una fitta puntinatura gialla. Matrice 11: matrice di colore beige molto chiaro (B1), ricchissima di quarzo microcristallino e di quarzo di varia granulometria, talora bianco ghiaccio o più scuro. Si notano aghi di formazioni secondarie nei vacuoli. ACROMA GREZZA (fig. A: 10-16; fig. B: 1) Matrice 1: matrice che presenta una frazione cromaticamente stratificata, di colore beige rosato (C 7) sulla superficie esterna, grigio chiaro (A 8) sulla superficie interna del manufatto, grigio scuro (A 11) al nucleo. Entro una massa di fondo molto ricca di quarzo microcristallino e di inclusi puntiformi di colore nero e rosso, sono presenti clasti di colore bianco latteo, di varia granulometria, angolosi e subangolosi, con dimensioni max di 0,5 mm, probabilmente da interpretarsi come calcite spatica macinata. Matrice 2: matrice di colore beige (C 6) sulle superfici esterne della frazione e per la profondità di 1 mm, mentre la parte centrale della sezione dei frammenti è di color grigio (C 11). La massa di fondo, assai ricca di quarzo microcristallino, presenta inclusi puntiformi (a 40 x), clasti subrotondi di colore rosso bruno e di struttura simile alla matrice, nonché quarzo di varia granulometria e stadi di classazione. L'esame della frazione evidenzia inclusi simili a quelli riscontrati nella matrice 1, sempre angolosi (quindi macinati ed aggiunti intenzionalmente alla matrice), ma con una granulometria talora anche superiore ad 1 mm. Matrice 3: massa di fondo di colore cuoio (C 9), nero (E 12) sulla superficie interna, con scarsa penetrazione nella frazione argillosa, molto ricca di quarzo microcristallino. Inclusi frammenti di calcite, talora subangolosi. Matrice 4: massa di fondo di colore bruno scuro (A 10 / A 11), porosità dispersa di varia granulometria. Inclusi bianchi opachi (angolosi e subangolosi) di natura calcarea.

Matrice 5: matrice di colore bruno (A 9) in superficie, rosso bruno (E 9) nella frazione argillosa. Porosità dispersa di piccola e media granulometria, con isolati vacuoli sino ad 1 mm, in massa di fondo ricca di quarzo microcristallino. Incluso abbondante quarzo angoloso (talora subangoloso), più rari inclusi di struttura simile alla matrice, subarrotondati (argillite). Matrice 6: matrice di colore rosa intenso (F 8), porosità dispersa, in forme e dimensioni irregolari, presenza di quarzo microcristallino. Abbondanti inclusi bianchi opachi, grigi, bruni e rosati, con dimensioni anche superiori ad 1 mm. Allo stereomicroscopio si evidenziano calcari ed argilloscisti. Matrice 7: matrice disomogenea, da grigio chiaro (A 7) a nero (A 12), porosità stratificata, parallela alla superficie del manufatto, di dimensioni apprezzabili anche ad occhio nudo. In una matrice ricca di quarzo microcristallino, si riconoscono quarzo angoloso, calcari e feldspati. Matrice 8: matrice di colore bruno (A 9), compatta, con porosità dispersa, puntiforme ed allungata, per lo più apprezzabile solo con lo stereomicroscopio. A 40 x si notano inclusi puntiformi di colore nero, bruno e rosso scuro, nonché inclusi di mica bianca. Matrice 9: matrice cromaticamente disomogenea, da nero (A 12) sulla superficie esterna, a bruno (A 9) a cuoio (A 12) nell'interno della frazione. Macroscopicamente, la matrice presenta un aspetto cristallino e ruvido al tatto, determinato dall'alta percentuale di inclusi di natura effusiva presenti nella massa di fondo. Allo stereomicroscopio si evidenzia la presenza di sanidino (cristalli trasparenti di aspetto vetroso), biotite ed augite (cristalli di colore nero e verde molto scuro), associazione petrografica che rimanda alle Vulcaniti Recenti Tirreniche. Matrice 10: matrice di colore disomogeneo, da bruno (A 10) a nero (A 12), con abbondante porosità di varia granulometria. Fra gli inclusi, oltre a rari clasti quarzosi, abbondano frammenti di pirosseni monoclini (diallagio) con tessitura lamellare, alquanto lucente nella sezione massima. Inclusi di colore bianco opaco e grigio, anche superiori ad 1 mm, angolosi e subangolosi, sono interpretabili come piagioclasi.

Matrice 11: matrice di colore variabile da bruno (A 9) a nero (A 12), con porosità parallela alla superficie, morfologicamente allungata. Già macroscopicamente, la massa di fondo evidenzia abbondante presenza di inclusi opachi di colore bianco, angolosi e di varia granulometria (max 2 mm). Si tratta di calcite, macinata intenzionalmente, come sembrano indicare gli inclusi più piccoli, appena risolvibili a 40 x, che mostrano accentuata angolosità o solo modesta classazione. Matrice 12: matrice di color cuoio (D 12), con notevole porosità, stratificata parallelamente alla superficie dei reperti, dove si notano clasti di roccia gabbrica, con superficie lamellare, assai luminosa. La frazione evidenzia abbondanti inclusi di colore bianco e grigio, angolosi, forse plagioclasi (max 3 mm); rari inclusi neri e rossi di struttura assai fine, simile alla matrice; rari inclusi subangolosi policristallini di color ambra; glomeruli ferrosi da puntiformi fino a 0,5 mm; clasti non identificati di color crema a tessitura fine, con venature ramificate di colore grigio-verde. Matrice 13: matrice di colore bruno rosato (D 11), con porosità fine e dispersa, talora concentrata parallelamente alla superficie del manufatto. Quarzo microcristallino abbondante, clasti quarzosi diffusi, da subarrotondati ad angolosi; altri di colore rosso con struttura finissima, arrotondati; concentrazioni (rare) di inclusi quarzosi si notano entro cavità arrotondate. Matrice 14: matrice di colore rosso bruno (E 11), porosità dispersa, di varia granulometria. Inclusi quarzosi, appena percepibili ad occhio nudo, solo in rari casi apprezzabili senza lo stereomicroscopio (max 1 mm). Più rari inclusi grigi e neri (oltre 20 x), con struttura finissima (non identificati) solo in rari casi contenenti clasti quarzosi. Matrice 15: matrice di colore grigio (A 81, con abbondante porosità stratificata, allungata e parallela alla superficie di foggiatura. Massa di fondo ricca di quarzo microcristallino, con inclusi quarzosi da fini a risolvibili macroscopicamente (0,5 - 1 mm), mentre più rari sono inclusi neri di tessitura assai fine.

Matrice 16: matrice di colore rosso bruno (F 12), compatta, nonostante la presenza diffusa di scaglie rocciose rosso brune di tessitura assai fine, interpretabili come scisti microclastici. Matrice 17: matrice di colore rosato (D 7), con porosità dispersa, a fessurazione allungata, molto fine. Inclusi clasti calcarei e di roccia gabbrica, talora superiori a 3 mm. Matrice 18: matrice di colore rosso bruno (E 11), nero (A 12) sulle superfici, porosità dispersa di varia granulometria, ricca di quarzo microcristallino. Abbondanti clasti di quarzo angoloso e subangoloso e di varia dimensione. Rari inclusi di colore rosso bruno e bruno, con forme generalmente subangolose e con tessitura assai fine, non dissimili dalla matrice, interpretabile come chamotte moderatamente classata. Matrice 19: matrice di colore rosa intenso (F 9), con porosità fine e dispersa, ricca di quarzo microcristallino. Rari inclusi quarzosi, di colore bianco latteo, angolosi, sino ad 1 mm. Inclusi puntiformi, difficilmente risolvibili anche a 40 x, di colore rosso, bruno e nero, assai diffusi e di varia granulometria. Abbondanti inclusi di colore rosso bruno e di tessitura molto fine, forse interpretabili come scisti microclastici. Matrice 20: matrice di colore rosa (D 6), con porosità da molto fine ad apprezzabile macroscopicamente, ricca di quarzo microcristallino. Rari inclusi di colore bruno scuro, con tessitura assai fine, non identificati. Altri inclusi, non risolvibili a 40 x, sono bruni, neri e rossi. Matrice 21: matrice di colore rosa intenso (E 8), con porosità fine e dispersa, ricca di quarzo microcristallino. Rari inclusi bianchi e bruni, oltre a lamelle di mica bianca. Matrice 22: matrice di colore beige rosato (D 8) in superficie e in profondità nella frazione, rosa intenso (E 8) al nucleo, porosità di varia granulometria. Inclusi frammenti angolosi, anche 1 mm, di argilloscisti di colore rosso bruno, mentre solo a 40 x si apprezzano inclusi puntiform1i neri, grigi e bruni, non idrntificati. INVETRIATA (fig. B: 2-5)

Matrice 1: matrice rossa (F10), piuttosto fine, con porosità parallela alla superficie. Gli inclusi sono assai eterogenei e di varia granulometria: si nota quarzo da 1/10 a 3/10 di mm (prevalente quello più fine). Si notano zone di matrice di colore grigio scuro con quarzo di granulometria più grossa. Matrice 2: matrice di colore rosato (E7), con porosità parallela alla superficie del manufatto. Fra gli inclusi, prevale il quarzo (0,2 - 0,3 mm), ma già ad occhio nudo si notano inclusi neri e marrone scuro, con forme smussate e tondeggianti, nonché frammenti di chamotte rossa. Matrice 3: matrice omogenea di colore rosato (E8), con porosità parallela alla superficie. Granulometria più fine rispetto ai campioni precedenti: quarzo 0,1 mm. L'argilla è molto dura e la matrice è ricca di quarzo microcristallino, in quanto la punta d'acciaio lascia una traccia nera. Matrice 4: matrice di colore rosato (D6), molto fine, con abbondante quarzo microcristallino. A 60 x si distinguono inclusi puntiformi neri, lucenti e subrotondi e non si ap

cavità arrotondate. Matrice 14: matrice di colore rosso bruno (E 11~, porosità dispersa, di varia granulometria. Inclusi quarzosi, appena percepibili ad occhio nudo, solo in rari casi apprezzabili senza lo stereomicroscopio (max 1 mm). Più rari inclusi grigi e neri (oltre 20 x), con struttura finissima (non identificati) solo in rari casi contenenti clasti quarzosi. Matrice 15: matrice di colore grigio (A 8), con abbondante porosità stratificata, allungata e parallela alla superficie di foggiatura. Massa di fondo ricca di quarzo microcristallino, con inclusi quarzosi da fini a risolvibili macroscopicamente (0,5 - 1 mm), mentre più rari sono gli inclusi quarzosi da fini a risolvibili macroscopicamente (0,5 – 1 mm), mentre più rari sono gli inclusi neri di tessitura assai fine.

Matrice 16: matrice di colore rosso bruno (F 12), compatta, nonostante la presenza diffusa di scaglie rocciose rosso brune di tessitura assai fine, interpretabili come scisti microclastici. Matrice 17: matrice di colore rosato (D 7), con porosità dispersa, a fessurazione allungata, molto fine. Inclusi clasti calcarei e di roccia gabbrica, talora superiori a 3 mm. Matrice 18: matrice di colore rosso bruno (E 11), nero (A 12) sulle superfici, porosità dispersa di varia granulometria, ricca di quarzo microcristallino. Abbondanti clasti di quarzo angoloso e subangoloso e di varia dimensione. Rari inclusi di colore rosso bruno e bruno, con forme generalmente subangolose e con tessitura assai fine, non dissimili dalla matrice, interpretabile come chamotte moderatamente classata. Matrice 19: matrice di colore rosa intenso (F 9), con porosità fine e dispersa, ricca di quarzo microcristallino. Rari inclusi quarzosi, di colore bianco latteo, angolosi, sino ad 1 mm. Inclusi puntiformi, difficilmente risolvibili anche a 40 x, di colore rosso, bruno e nero, assai diffusi e di varia granulometria. Abbondanti inclusi di colore rosso bruno e di tessitura molto fine, forse interpretabili come scisti microclastici. Matrice 20: matrice di colore rosa (D 6), con porosità da molto fine ad apprezzabile macroscopicamente, ricca di quarzo microcristallino. Rari inclusi di colore bruno scuro, con tessitura assai fine, non identificati. Altri inclusi, non risolvibili a 40 x, sono bruni, neri e rossi. Matrice 21: matrice di colore rosa intenso (E 8), con porosità fine e dispersa, ricca di quarzo microcristallino. Rari inclusi bianchi e bruni, oltre a lamelle di mica bianca. Matrice 22: matrice di colore beige rosato (D 8) in superficie e in profondità nella frazione, rosa intenso (E 8) al nucleo, porosità di varia granulometria. Inclusi frammenti angolosi, anche 1 mm, di argilloscisti di colore rosso bruno, mentre solo a 40 x si apprezzano inclusi puntiformi neri, grigi e bruni, non identificati. INVETRIATA (fig. B: 2-5)

Matrice 1: matrice rossa (F10), piuttosto fine, con porosità parallela alla superficie. Gli inclusi sono assai eterogenei e di varia granulometria: si nota quarzo da 1/10 a 3/10 di mm (prevalente quello più fine). Si notano zone di matrice di colore grigio scuro con quarzo di granulometria più grossa. Matrice 2: matrice di colore rosato (E7), con porosità parallela alla superficie del manufatto. Fra gli inclusi, prevale il quarzo (0,2 - 0,3 mm), ma già ad occhio nudo si notano inclusi neri e marrone scuro, con forme smussate e tondeggianti, nonché frammenti di chamotte rossa. Matrice 3: matrice omogenea di colore rosato (E8), con porosità parallela alla superficie. Granulometria più fine rispetto ai campioni precedenti: quarzo 0,1 mm. L'argilla è molto dura e la matrice è ricca di quarzo microcristallino, in quanto la punta d'acciaio lascia una traccia nera. Matrice 4: matrice di colore rosato (D6), molto fine, con abbondante quarzo microcristallino. A 60 x si distinguono inclusi puntiformi neri, lucenti e subrotondi e non si apprezza ancora il quarzo sabbioso: altri inclusi stretti e lunghi sono di colore giallo ambra. La porosità è piuttosto dispersa e subarrotondata. Matrice 5: vedi GRES, Matrice 1 Matrice 6: matrice di colore rosso (E9), ricca di quarzo microcristallino, porosità allungata e parallela alla superficie. Fra gli inclusi prevale il quarzo angoloso, ma si notano anche grani di chamotte e mica di piccole dimensioni. Matrice 7: massa di fondo di colore rosso bruno scuro (D12), caratterizzata da una fitta puntinatura gialla, dovuta a patine (forse solfuri di ferro di neoformazione) in cavità, che ne danno l'aspetto macroscopico. Solo da 50/60 x è possibile osservare inclusi finissimi di quarzo, mentre altri sono ancora più fini e non è possibile risolverli. MAIOLICA AD ONDE BLU E PUNTI NERI

Matrice 1: matrice argillosa di colore beige chiaro (C4), dura ma assai porosa (anche al solo esame macroscopico), a causa di elementi organici (es.carbonati) combusti e volatilizzati. Allo stereomicroscopio si osservano concentrazioni carboniose a contatto con lo smalto ed aloni d'alterazione neri. Matrice 2: matrice argillosa di colore beige (C6), dura, molto più compatta della matrice 1, con pori piccolissimi, non risolvibili ad occhio nudo. Gli inclusi si apprezzano a partire da 10 x: è presente abbondante quarzo microcristallino, oltre ad inclusi finissimi e molto fitti bruni, rosati e trasparenti. MACULATE VERDI Matrice 1: matrice argillosa di colore rosso-bruno (E11), dura ma porosa (anche all'esame macroscopico), con pori tondeggianti, non isorientati, di differenti dimensioni. Rari inclusi rappresentati da quarzo. Matrice 2: matrice argillosa di colore rosso bruno (E10), dura, molto porosa, con pori paralleli alla superficie del manufatto e vacuoli di forma diversa dovuti a carbonati o altre presenze organiche. Fra gli inclusi, assai fitti ed evidenti anche ad occhio nudo (granulometria massima 1 mm) allo stereomicoscopio si sono riconosciuti: quarzo, feldspati, miche, arenaria (?). TERRAGLIA BIANCA Matrice 1: matrice argillosa di colore bianco (B1), tenera,non molto porosa. Inclusi molto dispersi (apprezzabili a partire da 30 x): quarzo ed inclusi trasparenti di colore ambra. Matrice 2: matrice argillosa di colore bianco (A1), dura, a struttura non risolvibile neppure allo stereomicroscopio: solo a 120 x si evidenziano piccoli vacuoli. Rari inclusi neri opachi e lucenti. TERRAGLlA NERA (fig. B: 12-13)

Matrice 1: matrice argillosa di colore beige (C7), dura. Inclusi di granulometria finissima, non risolvibile ad occhio nudo, di colore rosa: altri, più rari, sono trasparenti (quarzo) o con lucentezza metallica (mica). Sempre allo stereomicroscopio si evidenziano vacuoli paralleli alla superficie del manufatto. Matrice 2: matrice argillosa di colore rosso-bruno (E10), dura ma alquanto porosa, in cui l'osservazione stereomicroscopica evidenzia inclusi finissimi di quarzo microcristallino e sabbioso, unitamente a piccole scaglie di mica. Alcune cavità prodotte dalla combustione di granuli di carbonati appaiono riempite da neoformazioni di cristalliti. Matrice 3: l'esame macroscopico evidenzia una matrice argillosa dura, porosa, fittamente stratificata nella colorazione, con strati da rosa (E6) a rosso bruno (E10). Allo stereomicroscopio si notano inclusi trasparenti ed ambrati (quarzo), maggiormente concentrati in alcuni strati, più rari in altri, con numerosi vuoti dovuti alla combustione di inclusi organici o carbonatici: la natura stratificata della matrice argillosa è imputabile ad argille di diversi tenori di ossido di ferro, ma non è caratterizzabile come miscela di matrici argillose diverse. Questa differenza di tenori di ossido di ferro potrebbe trovare almeno due interpretazioni: 1. Un fenomeno di migrazione di ioni di ferro durante la cottura avrebbe potuto concentrare il tenore di ossido di ferro in alcuni strati, impoverendone altri; 2. L'argilla utilizzata per la foggiatura era già stratificata naturalmente con diverse concentrazioni di ossido di ferro, dovuta, per esempio, alla deposizione in alternanza di condizioni anaerobiche ed aerobiche. GRES Matrice 1: matrice di colore grigio chiaro (A5), molto fine ed opaca, durissima (la sega circolare utilizzata per il taglio del campione ha lasciato le tracce del proprio passaggio). Porosità concentrata in parallelo alla superficie del manufatto. Inclusi apprezzabili da 10 x: grani trasparenti di quarzo (0,2 - 0,3 mm sino ad un max di 0,5 mm) e scuri (trasparenti e non trasparenti). INGUBBIATE

Matrice 1: matrice molto fine, di colore, di colore rosato (D6), caratterizzata da quarzo microcristallino non risolvibile ad occhio nudo. A 40 x si notano inclusi di colore giallo ambra. Corpo ceramico assai simile al n. 4 della ceramica invetriata. GRAFFITA POLICROMA (fig. B: 6) Matrice 1: matrice di colore rosa carico (D9). All'esame macroscopico si evidenzia una fitta puntinatura chiara, dispersa nella massa di fondo della matrice, che si presenta ricca di quarzo microcristallino. A 120 x si osservano inclusi rossi, puntiformi o lamelliformi. Matrice 2: matrice di colore rosso (E9), ricca di quarzo microcristallino assai fine. A 100 x si osservano frammenti quarzosi risolvibili e finissimi inclusi neri e rossi. ITALO-MORESCA (fig. B: 7) Matrice 1: matrice di colore rosato (D6), con fitta puntinatura di colore giallo, ricca di quarzo microcristallino. A 40 x si osservano fitti inclusi puntiformi di colore rosso. Matrice 2: matrice di colore bianco-rosato (D2), non molto porosa, con elevate quantità di quarzo microcristallino. Inclusi molto fini di colore giallo ambra o nero. MAIOLICA BIANCA E POST-RINASCIMENTALE

POLICROMA

RINASCIMENTALE

E

Matrice 1: macroscopicamente la frazione argillosa presenta una massa di fondo di colore beige-rosato (da D6 a E5), dura: anche se non sono visibili inclusi, ad occhio nudo è già apprezzabile la tessitura disomogenea dell'argilla. A 40 x si evidenziano l'elevato tenore di quarzo presente in questa matrice, nonché i piccoli vacuoli tondeggianti che la caratterizzano. Matrice 2: macroscopicamente la massa di fondo si presenta omogenea, di colore giallo tenue (da C4 a C5), friabile, priva di inclusi. A 50x, tuttavia,

si iniziano ad apprezzare inclusi di colore rosso ed altri neri, vacuoli ed aloni gialli. Matrice 3: visione macroscopica: massa di fondo omogenea, di colore beige-rosato (D6) dura, priva di inclusi apprezzabili ad occhio nudo, con fittissimi pori puntiformi. Stereomicroscopio, a 40 x: matrice ricca di quarzo, con rari inclusi di colore marrone o arancio, brillanti. Matrice 4: massa di fondo di colore molto chiaro (bianco avorio) (B2 - B 3), friabile, assai porosa, con vacuoli e cavità da puntiformi a più estese. Allo stereomicroscopio, a 40 x si apprezzano inclusi quarzosi di colore bianco ghiaccio, di forma irregolare, mentre a 100 x si notano altri inclusi più piccoli di colore marrone o giallo-arancio, brillanti. Matrice 6: massa di fondo di colore rosso-bruno (E12): ad occhio nudo, omogeneamente dispersa nella matrice, si nota una fitta puntinatura di colore giallo chiaro. Allo stereomicroscopio, inclusi trasparenti (quarzo), visibili da 20/40 x, mentre a maggiori ingrandimenti (120 x) si notano vacuoli con inclusi neri e gialli (solfuri?). MAIOLICA ARCAICA (fig. B: 8-9) Matrice 1: matrice di colore rosato (D 7), ricca di quarzo microcristallino, mentre più rari sono gli inclusi quarzosi risolvibili. Inclusi puntiformi neri e rossi, rara mica. Ad osservazione macroscopica, la massa di fondo presenta aloni gialli. Matrice 2: matrice di colore rosso (E 9), assai più omogenea della precedente. Presenza di quarzo microcristallino, vacuoli lentiformi parzialmente riempiti da neoformazioni (visibili a 100 x). Matrice 3: matrice rosa (E7), molto fine. Vacuoli con neoformazione di cristalli gialli (solfati?). Matrice 4: matrice di colore beige rosato (CG), omogenea, fortemente microcristallina. A 40 x si notano inclusi puntiformi rosso brillanti. REFRATTARI (fig. B: 10)

Matrice 1: matrice di colore beige chiaro (B5), assai porosa, con striature centrali di colore rosato, con inclusi globulari ed angolosi di chamotte di colore rosso e marrone scuro ed altri quarzosi. ZAFFERA A RILIEVO (fig. B: 11) Matrice 1: matrice di colore rosato (D5), caratterizzata da finissimi inclusi neri e rossi (visibili da 30 x), probabilmente ferrosi. Scarso quarzo microcristallino. Matrice 2: matrice di colore rosso scuro (E 10), ricca di quarzo microcristallino e di granuli risolvibili di quarzo. Ad 80 x si apprezzano inclusi di colore rosso scuro. ACROME DEPURATE A COLATURE ROSSE (fig. B: 14) Matrice 1: matrice di colore beige rosato (D8), porosa, ricca di quarzo microcristallino con aspetto quasi vetroso. Mentre non si osservano inclusi quarzosi di maggiori dimensioni, nelle cavità sono presenti neoformazioni cristalline. A 50 x si osserva una puntinatura fitta, che a 120 x si risolve in inclusi microcristallini neri. IMITAZIONE SIGILLATA CHIARA Matrice 1: matrice di colore rosso mattone (E 10), con porosità dispersa di notevole granulometria. Abbondante quarzo microcristallino, unitamente a clasti quarzosi angolosi e subangolosi, apprezzabili a 40 x. Altri inclusi neri, puntiformi (molto rari), unitamente a clasti subangolosi di struttura simile alla matrice. VERNICIATE ROSSE ALTOMEDIEVALI (fig. B: 15) Matrice 1: massa di fondo di colore rosa (D7), fine, piuttosto porosa, con vacuoli arrotondati. Allo stereomicroscopio si osserva una matrice brillante, ricca di quarzo microcristallino e di inclusi rossi. A 90 x, si apprezzano inclusi di natura simile alla matrice ma di tonalità di colore differenti, talora sfumanti nella matrice stessa (argillite?).

Matrice 2: matrice di colore rosso (F8), omogenea e compatta, con porosità addensata in pori grandi. Rari inclusi, quarzo di varia granulometria, forse frammenti di argillite. ANFORE (fig. C: 1-4) Matrice 1: matrice di colore beige rosato (C 7), abbondante porosità assai fine, ricca di quarzo microcristallino. Inclusi fini (da 40 x), bruni, grigi e rossi di varia granulometria e classazione. Matrice 2: matrice di colore beige chiaro (B 5), con porosità generalmente fine, assai diffusa. Entro un'omogenea massa di fondo ricca di quarzo microcristallino vi sono piccoli e rari glomeruli ferrosi 0,5 mm, mentre i clasti rocciosi, molto abbondanti, hanno granulometria assai inferiore, apprezzabili da 40 x. Oltre a quarzo angoloso/subangoloso, vi sono inclusi neri e rossi non identificabili. Matrice 3: matrice di colore rosa (D 6), con porosità stratificata e molto fine, parallela alla superficie del manufatto. Entro una massa di fondo ricca di quarzo microcristallino e di inclusi puntiformi neri e rossi non risolvibili ancora a 40 x,si notano abbondanti clasti < 0,5 mm, generalmente angolosi e subangolosi: vi si riconosce quarzo di varie sfumature cromatiche, forse rari cristalli di augite (verde scuro) e di sanidino (trasparente, aspetto vetroso), nonché feldspati, biotite e muscovite. Matrice 4: matrice di colore rosso bruno, con diffusa porosità di varia granulometria, ricca di quarzo microcristallino. A 40 xsi apprezzano inclusi calcarei, quarzo ed inclusi neri (rari) subarrotondati. Matrice 5: matrice di colore beige chiaro (B 5), con diffusa porosità di varia granulometria, ricca di quarzo microcristallino. Oltre a rari inclusi di quarzo angoloso, a 40 xsi apprezzano solo clasti puntiformi neri, grigi e rossi, non identificati. Matrice 6: matrice di colore rosso bruno (F 11), con schiarimento sulla superficie esterna, di colore giallo molto chiaro (C 4), penetrante 1 mm

circa nella frazione argillosa. Porosità concentrata in fessurazioni longitudinali, parallele alla superficie dei manufatti. La massa di fondo è cromaticamente disomogenea a causa di aloni di alterazione (di colore giallo), dovuti alla dissociazione di alcuni inclusi. Clasti quarzosi con arrotondamento di carattere eolico. Matrice 8: matrice di colore beige rosato (C 7), con porosità prevalentemente fine, assai diffusa, ricca di quarzo microcristallino. Neppure a 40 x si risolvono inclusi di colore ambra, rossi, bruni e neri molto diffusi, di varia granulometria. L'alterazione di sporadici glomeroli ferrosi produce un alone rosso bruno nella matrice. Matrice 9: matrice di colore rosa intenso (E 8), molto compatta, ricca di quarzo microcristallino. Rari inclusi di quarzo apprezzabili a 40 x e clasti subangolosi rosso bruni, di struttura assai fine, simile alla massa di fondo, in cui sono diffusi frammenti puntiformi rossi, bruni e neri, non risolvibili a 40 x. Matrice 10: matrice di colore rosso bruno, talora stratificata cromaticamente da E 10 a D 10, porosità rara e prevalentemente fine. Fra gli inclusi, sono apprezzabili anche macroscopicamente (anche 2 mm) clasti di colore bruno o rosso bruno, angolosi, a struttura finissima, probabilmente argilloscisti. Abbondante presenza di grani di quarzo 0,5 mm e sporadici inclusi policristallini e di altra natura, non identificati. Matrice 11: matrice di colore nero (A 12), con schiarimento superficiale su entrambe le superfici, molto ricca di quarzo microcristallino. Clasti quarzosi apprezzabili anche ad occhio nudo, sono diffusi nella massa di fondo, con granulometria sino ad 1 mm e varie forme di classazione. Rari inclusi grigi a struttura finissima (argilloscisti?). Matrice 12: matrice di colore beige rosato (C 8), bruno (A 10) al nucleo, porosità dispersa di varia granulometria, ricca di quarzo microcristallino. Nella massa di fondo, a 40 x, si riconoscono inclusi di morfologia varia, neri, rossi e bruni. Ad ingrandimenti inferiori si risolvono invece più rari inclusi di varia natura, da policristallini, a clasti bruni e rossi con struttura

fine angolosi o subarrotondati (argillite). Rari feldspati (?) 2 mm, dubbia la presenza di chamotte. Matrice 13: matrice di colore rosso bruno (F 11), compatta, con porosità rara e dispersa. Aloni di alterazione di inclusi, di colore giallo chiaro, caratterizzano cromaticamente la matrice, similmente a quanto osservato per il tipo n. 6. Abbondante quarzo di varia natura, con classazione eolica. Matrice 14: matrice da rosa (D 7) a bruno rosato (E 8), con porosità fine ma piuttosto diffusa. Inclusi cristallini di colore quasi nero e verde chiaro sembrano augite, con quarzo classato e cristalli di sanidino. Aloni di alterazione, di granulometria inferiore, simili al tipo precedente. Matrice 15: matrice di colore bruno rosato (D 10), con porosità puntiforme assai diffusa, ricca di quarzo microcristallino. Inclusi bruni e rosati (max 0,5 mm), da angolosi ad arrotondati, con tessitura finissima, assai simile alla matrice; quarzo di varia granulometria. Inclusi più fini, non risolvibili a 40 x, diffusi nella massa di fondo. Matrice 16: matrice di colore rosa intenso (E 8), con porosità di forma allungata e dispersa, ricca di quarzo microcristallino. A 40 x non si risolvono gli inclusi, che sono puntiformi e di colore nero, rosso e bruno, non interpretabili. Matrice 17: matrice di colore rosso bruno (E 12), con abbondante porosità dispersa, ricca di quarzo microcristallino. Rari clasti quarzosi 0,5 mm (non classati), infine feldspati. Matrice 18: matrice cromaticamente non omogenea, da beige a beige rosato (C 7), con diffusa porosità puntiforme, ricca di quarzo microcristallino. A 40 x si apprezzano rari inclusi angolosi di quarzo latteo, dispersi in una massa di fondo con inclusi puntiformi non risolvibili, di colore ambra, bruno, rosso, oltre a più rari trasparenti. Matrice 19: matrice di colore rosa (D7), compatta, con porosità sporadica. Inclusi diffusi in modo omogeneo ed apprezzabili anche ad occhio nudo sono cristalli (clinopirosseni della serie dell'augite da allungati ad arrotondati) di colore verde (scuro e chiaro), sino a 2 mm, mentre nella

massa di fondo sono abbondanti clasti puntiformi (ancora a 40 x), di colore rosso e nero. Matrice 20: matrice bicroma, di colore bruno scuro (A 10) nella metà interna (del manufatto), rosso bruno (F 11) nella metà esterna. Abbondante porosità di forma allungata. Elevata presenza di quarzo (0,5 mm), con diversi gradi di arrotondamento, talora evidentemente eolico. Matrice 21: matrice di colore grigio molto scuro (A 11) al nucleo, rosso bruno (F 12) alle superfici, con addentramento di 3 mm nella frazione. Inclusi angolosi di colore rosso bruno e grigio scuro, con tessitura identica alla matrice < 0,5 mm (chamotte?), assumono il colore della parte della frazione argillosa in cui sono collocati, secondo il tenore di ossigeno presente nella camera di cottura. Altri inclusi, di colore bianco opaco, (talora > 1 mm) sono costituiti da quarzo e feldspati. Matrice 22: matrice di colore quasi violaceo (H 6/ I-I 7), con porosità dispersa, di varia granulometria. Elevata quantità di cristalli (max 0,5 mm) di augite verde, classati o prismatici, che rappresenta virtualmente l'unico incluso osservabile, oltre a rari cristalli di sanidino e granuli subrotondi di argillite di colore rosso bruno. Matrice 23: matrice di colore bruno rosato (E 8), con porosità dispersa di granulometria generalmente molto fine, ricca di quarzo microcristallino. Nella frazione, si osserva microfauna fossile di forma elissoidale (nummolite?), rotonda (radiolari?) e conica (gasteropodi?), mentre i clasti apprezzabili a 40 x sono solo sporadici quarzi subarrotondati ed inclusi bruni non determinati. Matrice 24: matrice di colore rosa intenso (E 7/ E 8), porosità uniforme di varia granulometria, ricca di quarzo microcristallino. Inclusi: lamelle di mica bianca, feldspati, inclusi grigi a tessitura molto fine, talora allungata, non identificati; quarzo ed inclusi policristallini grigi e rosati. Inclusi non risolvibili a 40 x, nella massa di fondo, hanno colore rosso, bruno e nero. Matrice 25: matrice di colore beige rosato (C 7), assai compatta, con porosità puntiforme risolvibile da 40 x, ricca di quarzo microcristallino. Rari inclusi grigi e bruni (max 2 mm), alcuni allungati (forse diallagio),

oltre a quarzo di varia classazione e tonalità cromatica ed a scaglie lamellari di medie dimensioni. LUCERNE (fig. C: 5-6) Matrice 1: matrice di colore beige rosato (C7), ricca di quarzo microcristallino. A 20 x si osserva una puntinatura rossa e nera nella matrice, inclusioni che a 40 x si risolvono in laminette. Rari inclusi di quarzo risolvibili. Matrice 2: matrice di colore rosa (D8), caratterizzata da pori piccoli e dispersi. Inclusi frammenti di quarzo di piccole dimensioni, grani di chamotte angolosa e di argillite (?) arrotondata. Puntinatura nera e rossa di aspetto simile alla matrice, con forme arrotondate. Matrice 3: matrice di color crema (C2), non molto porosa, con scarsa presenza di quarzo microcristallino. Sporadici inclusi quarzosi di maggiori dimensioni, si nota un incluso cristallino nero, probabilmente augite. Matrice 4: matrice di colore grigio scuro (A9), disomogenea cromaticamente a causa di una fitta puntinatura chiara visibile anche ad occhio nudo. Ricca di quarzo microcristallino e di inclusi quarzosi risolvibili allo stereomicroscopio. PARETI SOTTILI (fig. C: 7-10) Matrice 1: matrice a "sandwich", di colore rosso cupo (F 11) al centro della sezione, di colore cuoio (D 11) in superficie. Porosità fine e dispersa, rare inclusioni di quarzo di varia granulometria. Matrice 2: matrice omogenea di colore rosso (F 10): già a 40 x si apprezzano inclusi quarzosi ed inclusi puntiformi di colore nero. Matrice 3: matrice di colore rosa (D 7), disomogenea già all'esame macroscopico. Elevata porosità, con pori contornati da aloni bianchi con inclusi di quarzo. A 60 x si notano inclusi rossastri, di natura cristallina.

Matrice 4: matrice di colore rosso bruno (D 11), ricca di quarzo microcristallino. A 40 x si osservano inclusi neri ed inclusi quarzosi con diversi gradi di arrotondamento. Matrice 5: matrice di colore grigio (da A 9 ad A 10), molto compatta, ricca di quarzo microcristallino e di inclusioni quarzose. Nei rari pori, inclusioni a lucentezza metallica. Matrice 6: matrice di colore rosso bruno (E 12), con inclusi bianchi osservabili anche ad occhio nudo. A 40 x si evidenziano inclusi quarzosi trasparenti, lamelle di mica e la natura degli inclusi visibili ad occhio nudo, clasti feldspatici di colore bianco opaco. Matrice 7: matrice di colore bruno (E 10), omogenea ma stratificata nelle gradazioni cromatiche (da bruno E 10 a grigio B 9). Inclusi di quarzo di varia granulometria, apprezzabili già a 40 x ed inclusi neri, osservabili a 100 x. Matrice 8: matrice di colore rosso bruno (E 11), con abbondanti inclusi di quarzo angoloso e subangoloso, nonché rari cristalli di augite. Matrice 9: matrice di colore grigio molto chiaro (A2), con porosità fine e concentrata. La massa di fondo presenta un elevato tenore di quarzo microcristallino, non risolvibile a 128 x: in essa sono inclusi grani di quarzo di maggiori dimensioni. Dubbia presenza di cristalli di augite. Matrice 10: matrice di colore grigio (A 8), ricca di quarzo molto fine, risolvibile da 60 x. Altri inclusi neri non cieterminati. Matrice 11: matrice di colore rosa (D 6), con porosità irregolare, ricca di quarzo microcristallino. Inclusi quarzosi e feldspatici ed altri puntiformi di colore rosso. TERRA SIGILLATA CHIARA Matrice 1: matrice di colore rosso (F9), porosa ma dura. Abbondante quarzo a differente grado di arrotondamento. Inclusi grigio chiari ed altri con l'aspetto della matrice.

TERRA SIGILLATA ITALICA Matrice 1: matrice argillosa di colore rosa (F8), macroscopicamente fine e compatta. Già a bassi ingrandimenti (15 x), tuttavia, si evidenzia una fitta porosità parallela alla superficie del manufatto, mentre una fitta puntinatura bianca è attribuita dal quarzo distribuito in modo non omogeneo. Argille 2/3: matrice argillosa di colore rosa (D6), macroscopicamente disomogenea, a causa di una fitta puntinatura di colore chiaro. Abbondante quarzo microcristallino, pori rivestiti da aloni (di neoformazione), che determinano probabilmente l'aspetto macroscopico della matrice. Matrice 4: matrice di colore rosa carico (E7), caratterizzata da elevata porosità e da quarzo microcristallino. A 60 x, risolvibili rari inclusi quarzosi ed inclusi neri allungati, lamellari (mica). Matrice 5: matrice di colore bruno scuro (E10), non omogenea, caratterizzata da aloni gialli (vedi argille 2/3). Abbondante quarzo microcristallino e sotto forma di inclusi risolvibili. Inclusi lamellari micacci, incluso rosso non determinato (a 120 x). IMITAZIONE SIGILLATA Matrice 1: matrice di colore rosso-bruno (F 11), con porosità dispersa di varia granulometria, talora parallela alla superficie del manufatto. Massa di fondo con abbondante quarzo microcristallino ed inclusi di varia natura e granulometria: clasti di maggiori dimensioni (max 0,5 mm) di colore grigio,nero e rosso bruno, subangolosi e subarrotondati, con struttura simile alla matrice; granuli di quarzo molto fine, talora angoloso; inclusi bianchi opachi, angolosi e subangolosi. Matrice 2: matrice di colore bruno (D 11), ricca di quarzo microcristallino, con porosità dispersa apprezzabile anche a bassi ingrandimenti (20 x). Inclusi abbondanti frammenti di quarzo angoloso e subangoloso di varie

gradazioni cromatiche; clasti di colore bruno, rosso e grigio (più rari), da subarrotondati ad angolosi, con struttura simile alla matrice. VERNICE NERA (fig. C: 11-14) Matrice 1: matrice di colore rosa intenso (D 8), con porosità di varia granulometria, ricca di quarzo microcristallino. Macroscopicamente molto depurata, la massa di fondo evidenzia (a 20 x e 40 x) la presenza di inclusi molto fini e dispersi di colore nero, per lo più con una morfologia a paglinzza. Inclusi di colore rosso si presentano invece come minuscoli granelli puntiformi, sempre dispersi in modo omogeneo. Altri clasti di colore rosso ma di maggiori dimensioni, con forme subarrotondate e subangolose, presentano una struttura simile alla massa di fondo e si possono interpretare come frammenti di argillite. Nella massa, non risolvibile, di quarzo microcristallino, si apprezzano sporadici inclusi di quarzo trasparente di maggiori dimensioni. Matrice 2: matrice di colore rosa (F 8), più scura della precedente, con la quale tuttavia mostra qualche punto di contatto, come la massa con molto quarzo microcristallino, la porosità irregolare e dispersa, inclusi puntiformi di colore rosso e nero. Il corpo ceramico in esame è tuttavia molto più compatto e duro e presenta (fitti e diffusi in modo omogeneo) aloni di colore giallo chiaro, di varia granulometria, la cui dispersione nella massa di fondo ne determina un aspetto — anche macroscopico — cromaticamente disomogeneo. Matrice 3: matrice di colore rosa (D 6), con porosità molto fine (puntiforme) e dispersa, ricca di quarzo microcristallino. Solo a partire da 40 x si osservano inclusi, finissimi e diffusi in modo omogeneo, di colore rosso e nero, mentre inclusioni di colore grigio o bruno, con la stessa struttura della matrice, sono frammenti di chamotte e di argillite. Matrice 4: matrice di colore rosa (D 7), assai simile alla matrice precedente, da cui si distingue per la presenza di rari inclusi, neri e rossi, di maggiori dimensioni, rispetto agli inclusi molto fini, sempre neri e rossi, dispersi nella massa di fondo.

Matrice 5: matrice di colore beige (C 7), con porosità diradata ma di granulometria apprezzabile anche ad occhio nudo, emergente da una porosità più fine e dispersa, con cavità di morfologia allungata. Massa di fondo ricca di quarzo microcristallino, con inclusi bruni, puntiformi o angolosi, con la stessa struttura della matrice. Clasti di maggiori dimensioni, osservabili anche a minimi ingrandimenti (20 x) sono grani quarzosi con diverso grado di arrotondamento. Dispersi nella massa di fondo, da 40 x si apprezzano: piccoli frammenti di quarzo, inclusi puntiformi rossi e neri. Matrice 6: matrice di colore grigio (A 7), con porosità dispersa di varia granulometria. Macroscopicamente ha un aspetto "granulare", attribuito dalla notevole densità di inclusi puntiformi, apprezzabili già da 20 x. Vi si riconoscono clasti quarzosi (rari) ed altri di colore grigio scuro, con struttura non dissimile dalla massa di fondo, che si presenta caratterizzata anche da diffusi aloni di alterazione di colore giallo chiaro. Matrice 7: matrice di color crema (B 5), ricca di quarzo microcristallino, con porosità allungata, parallela alla superficie del manufatto, di dimensioni massime di 0,5 mm. Inclusi puntiformi di colore rosso ed altri di colore nero (talora allungati), omogeneamente dispersi nella massa di fondo. Matrice 9: matrice di colore grigio (A 8), assai compatta, con porosità puntiforme appena risolvibile a 40 x. La massa di fondo, ricca di quarzo microcristallino, evidenzia (a 40 x) finissimi inclusi di colore rosso e nero, nonché clasti quarzosi risolvibili. VERNTCE ROSSA INTERNA (fig. C: 15-16) Matrice 1: matrice cromaticamente disomogenea, di colore rosso bruno (E10) sulla superficie interna, grigio (da A8 ad A9) sulla superficie esterna dei manufatti. La massa di fondo è compatta e presenta solo rari pori gradi. Fra gli inclusi, quarzo di notevole granulometria, cristalli di augite ed altri inclusi bianchi. VERNICE ROSSA NON ID.

Matrice 1: matrice di colore bruno (E 10), porosità dispersa, di granulometria non puntiforme, elevato tenore di quarzo microcristallino. Già a 20 x si apprezzano inclusi di quarzo latteo subangolosi, unitamente a rari inclusi bruni, neri e rossi di dimensioni minori. Solo rari inclusi grigi, di natura simile alla matrice, con concentrazione di clasti quarzosi. Matrice 2: matrice di colore rosa intenso (F 8), porosità dispersa di granulometria irregolare, apprezzabile anche ad occhio nudo. A 40 x si osservano rari inclusi bianchi opachi, l'abbondante presenza di quarzo microcristallino non risolvibile, nonché clasti quarzosi di varia dimensione ed inclusi rossi puntiformi. Matrice 3: matrice da beige a beige rosato (C 7 / D 7), con porosità puntiforme e talora allungata, parallela alla superficie del manufatto. Elevata presenza di quarzo microcristallino, inclusi piuttosto fini, puntiformi, di colore rosso e nero (questi talora allungati), nonché di natura quarzosa ed altri bianchi opachi, rari ed angolosi. Matrice: matrice di colore rosa (D 6), porosità dispersa, parallela alla superficie del manufatto e di varia granulometria, talora visibile ad occhio nudo, e di morfologia allungata. Nella massa di fondo ricca di quarzo microcristallino, a partire da 40 x inizia la risoluzione di inclusi puntiformi neri e rossi e di altri di colore bruno, che, tuttavia, non è possibile caratterizzare più precisamente.

3. I reperti ceramici 3.1. Criteri di presentazione del materiale L'ampia diacronia emersa dallo scavo stratigrafico di un'area antistante lo Spedale di S.Maria della Scala in Siena, unitamente all'elevato indice di frammentazione dei reperti rinvenuti, ha imposto una riflessione sui criteri di presentazione del materiale.

La provenienza dei reperti da un meticoloso reticolo di riferimento stratigrafico ha naturalmente imposto il più stretto legame fra l'organizzazione del materiale in questa sua edizione e le giaciture di appartenenza. La grande frantumazione analitica prodotta dalla filologia stratigrafica attraverso la scomposizione del tessuto stratigrafico nelle sue cellule base ( le unità stratigrafiche), ha consigliato — per consentire una lettura anche di sintesi dei reperti — di riferire l'organizzazione del materiale alle maglie più significative della periodizzazione stratigrafica elaborata, cioè le attività stratigrafiche ed i periodi. All'interno di questi insiemi stratigrafici omogenei di più vaste proporzioni, l'incremento dei dati quantitativi pertinenti le varie classi ceramiche ha permesso valutazioni statistiche più attendibili sui rapporti fra le stesse, valutazioni che un'ottica focalizzata sulla parcellizzazione analitica delle unità stratigrafiche non avrebbe certo consentito, sminnendo in ultima analisi la portata delle informazioni utili ad una discussione complessiva, anche in termini di riflessione storica e storico-economica sui dati emersi. 3.2. Schede dei reperti PERIODO I - FASE B (ATTTVITÀ 5 E 7) Scheda n. 1 Periodo: I, Fase B; Attività: 5; U.S.: 261; Classe: acroma depurata; Forma: forma chiusa; Tipo: Luni II gruppo 36g; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 7, Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: confronto pertinente anche per il tipo di matrice; N. fr.: 1; Peso in gr: 2; Cfr.: Luni II, p. 624: gruppo 36 della ceramica comune. Scheda n. 2 Periodo: I, Fase B; Attività: 5; U.S.: 261; Classe: vernice nera; Forma: coppa; Tipo: MOREL 2851 a; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: triplice rotellatura esterna; N. fr.: 1; Peso in gr: 8; Cfr.: MOREL 1981, pp. 232-233 e tav. 78 (tipo 2851 a); Datazione: 90-50 a.C. circa. Scheda n. 3

Periodo: I, Fase B; Attività: 5; U.S.: 261; Classe: vernice nera; Forma: anfora; Tipo: MOREL 3632 a 1; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 8; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: prototipo matrice 8 (nel campionario); N. fr.: 1; Peso in gr: 4; Cfr.: MOREL 1981, pp. 275 e tav. 107; Datazione: 150 a.C. circa. Scheda n. 4 Periodo: I, Fase B; Attività: 7; U.S.: 238; Classe: vernice rossa non id.; Forma: forma chiusa; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate internamente; N. fr.: 1; Peso in gr: 11.

PERIODO I - FASE C (ATTIVITÀ 9) Scheda n. 5 (tav. I/447) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma depurata; Forma: olla biansata; Tipo: disegno 447; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 243; Cfr.: DE MARINIS 1977 (Poggio del Boccaccio: seconda metà III - prima metà II sec. a.C.), p. 161, tav. X, CE 14 A; AA.VV.1985, p.58, n. 202 (Montereggi, strato 102, prima metà IV secolo a.C.); Pistoia II **, p. 123, n. 531 (a matrice grigia: fine II secolo a.C.); Datazione: II secolo a.C. (dal contesto). Scheda n. 6 (tav. I/448) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma depurata; Forma: oinochoe; Tipo: disegno 448; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 80; Cfr.: DE MARINIS 1977, p.173, tav. XVI, CE 12/17; Datazione: II secolo a.C. (dal contesto). Scheda n. 7. Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma depurata; Forma: olla biansata; Tipo: disegno 450; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 10; Peso in gr: 302; Datazione: II secolo a.C.

Scheda n. 8 (tav. I/451) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma depurata; Forma: olla; Tipo: disegno 451; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 110; Cfr.: DE MARINIS 1977, tav. X (Poggio del Boccaccio); Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 9 (tav. I/460) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma depurata; Forma: forma aperta; Tipo: disegno 460; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 7; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 10 Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 255; Classe: acroma depurata; Forma: forma chiusa; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 14. Scheda n. 11 (tav. I/449) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma depurata; Forma: oinochoe; Tipo: disegno 449; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 32; Cfr.: PHILLIPS 1965, fig. 27 c (necropoli di Malignano); Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 12. Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma depurata; Forma: olla; Tipo: disegno 452; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 27; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 13 (tav. I/457) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma depurata; Forma: coppetta; Tipo: disegno 457; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 5; Cfr.: forma ricorrente nella ceramica a vernice nera (es.: MOREL 1981, 2539 a); Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 14 (tav. I/458)

Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma depurata; Forma: coppetta; Tipo: disegno 458; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 23; Cfr.:DE MARINIS 1977, Tav. VIII (Poggio del Boccaccio), forma ricorrente nella ceramica a vernice nera (es.: MOREL 1981, specie 25601; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 15 (tav. I/461) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma depurata; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 461; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 8; Cfr.: DE MARINIS 1977, tav. IX,38; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 16 (tav. I/453) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma depurata; Forma: olla; Tipo: disegno 453; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 5; Trattamento superfici: lisciate, velo d'ingobbio; N. fr.: 2; Peso in gr: 60; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 17 (tav. I/454) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma depurata; Forma: olla; Tipo: disegno 454; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 5; Trattamento superfici: lisciate, velo d'ingobbio; N. fr.: 1; Peso in gr: 144; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 18 (tav. I/455) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma depurata; Forma: olla; Tipo: disegno 455; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 5; Trattamento superfici: lisciate, velo d'ingobbio; N. fr.: 1; Peso in gr: 8; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 19 (tav. I/456) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma depurata; Forma: olla; Tipo: disegno 456; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 5; Trattamento superfici: lisciate, velo d'ingobbio; N. fr.: 1; Peso in gr: 26; Osservazioni: A graffita con ductus incerto a tratti sfuggiti; Datazione: II secolo a.C.

Scheda n. 20 (tav. II/404) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza; Forma: olla biansata; Tipo: disegno 404; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 5; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 5; Peso in gr: 1051; Cfr.: scheda n. 5 (tav. I/4471; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 21 (tav. II/405) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza; Forma: olletta; Tipo: disegno 405; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 5; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 27; Peso in gr: 495; Cfr.: AA.VV. 1979, p. 50, n. 58; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 22 (tav. III/399) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 399; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 10; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 13; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 23 (tav. III/400) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 400; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 10; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 68; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 24 (tav. III/401) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 401; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 10; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 7; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 25 (tav. III/402) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 402; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 10; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 8; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 26 (tav. III/403)

Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 403; Tipo di foggiatura: manuale; Matrice n. 10; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 9; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 27 (tav. III/392) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 392; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 10; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 28 (tav. III/393) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza, Forma: forma aperta, Tipo: disegno 393; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 4; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 29 (tav. IV/394) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza, Forma: forma aperta; Tipo: disegno 394; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 11; Trattamemento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 42; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 30 (tav. IV/395) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232 acroma grezza; Forma: non id.; Tipo: disegno 395; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 6; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 31 (tav. IV/396) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza; Forma: non id.; Tipo: disegno 396; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 30; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 32 (tav. III/387)

Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza; Forma: dolio; Tipo: disegno 387; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 16; Trattamento superfici: lisciate; Decorazione: cordone applicato e digitato; N. fr.: 1; Peso in gr: 47; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 33 (tav. III/388) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 388; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 16; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 19; Cfr.: CANOCCHI 1985, p. 141, n. 59; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 34 (tav. III/389) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza; Forma: coperchio?; Tipo: disegno 389; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 16; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 20; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 35 (tav. III/390) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza; Forma: pelvis; Tipo: disegno 390; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 16; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 52; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 36 (tav. III/391) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 391; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 16; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 13; Cfr.: scheda 33; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 37 (tav. III/397) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 397; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 16; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 32; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 38 (tav. III/398) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 398; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n.

16; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 2; Peso in gr: 38; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 39 (tav. III/386) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza; Forma: dolio; Tipo: disegno 386; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 17; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 69; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 40 (tav. IV/406) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 406; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 17; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 11; Peso in gr: 232; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 41 (tav. II/384) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza; Forma: coperchio di dolio; Tipo: disegno 384; Tipo di foggiatura: stampo; Matrice n. 22; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: prototipo matrice 22; N. fr.: 11; Peso in gr: 3130; Cfr.: CAMBI-CECUZZA 1985, p. 178: fig. 212; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 42 (tav. II/385) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grezza; Forma: coperchio di dolio; Tipo: disegno 385; Tipo di foggiatura: stampo; Matrice n. 22; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 3; Peso in gr: 1822; Cfr.: CAMBI-CECUZZA 1985, p.178, fig. 212; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 43 (tav. IV/459) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: acroma grigia; Forma: coppetta; Tipo: disegno 459; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 5; Cfr.: STORTI 1989, pp.38-39, tav. 7.7; Pistoia II *, p.308 ss, con datazioni fra II e I secolo a.C.; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 44 (tav. IV/445) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; CIasse: anfore; Forma: Greco Italica recente; Tipo: disegno 445; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice

n. 19; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 6; Peso in gr: 824; Cfr.: TCHERNIA 1986, p.42 ss.; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 45 (tav. IV/446) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: anfore; Forma: gallica precoce?; Tipo: disegno 446; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 25; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: prototipo matrice 25; Cfr.: LAUBENHEIMER 1985 (produzione gallica); N. fr.: 1; Peso in gr: 96. Scheda n. 46 (tav. IV/409) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232, Classe: ceramica riutilizzata, Forma: scarto di produzione di tappo fittile; Tipo: disegno 409; Tipo di lavorazione: manuale; Matrice n. 3; Trattamento superfici: scalpellate; Osservazioni: matrice 3 acroma depurata; N. fr.: 1; Peso in gr: 61; Datazione: II secolo a.C. (dal contesto). Scheda n. 47 Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: ceramica riutilizzata; Forma: tappo; Tipo: disegno 407; Tipo di lavorazione: manuale; Matrice n. 5; Trattamento superfici: profilo segato?; Osservazioni: matrice 5 acroma grezza; N. fr.: 1; Peso in gr: 90; Datazione: II secolo a.C. (dal contesto). Scheda n. 48 (tav. IV/408) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: ceramica riutilizzata; Forma: tappo; Tipo: disegno 408; Tipo di lavorazione: manuale; Matrice n. 17; Trattamento superfici: profilo segato; Osservazioni: matrice 17 acroma grezza; N. fr.: 1; Peso in gr: 56; Datazione: II secolo a.C. (dal contesto). Scheda n. 49 (tav. IV/443) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: pareti sottili; Forma: bicchiere; Tipo: avv. Marabini I; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 8; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: matrice n. 8 pareti sottili (campionario); N. fr.: 1; Peso in gr: 2; Cfr.:BATs 1988, p. 158; PHILLIPS 1965, pp. 24/27, n. 64.13 (da analogo contesto di II secolo a.C.). Scheda n. 50 (tav. IV/444).

Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: pareti sottili; Forma: bicchiere; Tipo: avv. RICCI 1/7 o 1/19; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 8; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: matrice n. 8 pareti sottili = matrice n. 5 acroma grezza?; N. fr.: 1; Peso in gr: 3; Cfr.: STORTI 1989, p. 60, n. 448. Scheda n. 51 (tav. IV/437) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: presigillata volterrana; Forma: piatto; Tipo: disegno 437; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: matrice 3 vernice nera; N. fr.: 1; Peso in gr: 40; Cfr.: CRISTOFANI-CRISTOFANI MARTELLI 1972, fig. 2: n. 1; Datazione: prima metà II secolo a.C. Scheda n. 52 (tav. IV/438) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: presigillata volterrana; Forma: piatto; Tipo: disegno 438; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: matrice 3 vernice nera; N. fr.: 1; Peso in gr: 36; Cfr.: scheda n. 51; Datazione: prima metà II secolo a.C. Scheda n. 53 (tav. V/439J Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: presigillata volterrana; Forma: piatto; Tipo: disegno 439; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: matrice n.3 vernice nera; N. fr.: 1; Peso in gr: 10; Cfr.: scheda n. 51; Datazione: prima metà II secolo a.C. Scheda n. 54 (tav. V/440) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: presigillata volterrana; Forma: piatto; Tipo: CRISTOFANI-CRISTOFANI MARTELLI 1972, fig. 2, n. 4; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: matrice n.3 vernice nera; N. fr.: 1; Peso in gr: 8; Cfr.: CRISTOFANI-CRISTOFANI MARTELLI 1972, fig. 2: n. 4; Datazione: prima metà II secolo a.C. Scheda n. 55 (tav. V/441) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: presigillata volterrana; Forma: piatto; Tipo: disegno 441; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice

n. 3; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: matrice n. 3 vernice nera; N. fr.: 1; Peso in gr: 9; Cfr.:CRITOFANI-CRISTOFANI MARTELLI 1972, fig. 2: n. 1; Datazione: prima metà II secolo a.C. Scheda n. 56 (tav. V/442) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: presigillata volterrana; Forma: piatto; Tipo: disegno 442; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: matrice n. 3 vernice nera; N. fr.: 1; Peso in gr: 3; Datazione: prima metà II secolo a.C. Scheda n. 57 Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 255; Classe: vernice nera; Forma: coppa; Tipo: avv. MOREL 1173; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 7; Cfr.: MOREL 1981, tav. 6 e p. 90. Scheda n. 58 (tav. V/410) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: coppa su alto piede; Tipo: LAMBOGLIA 4, MOREL 2537 d1; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 96; Cfr.: AA.VV. 1979, p. 38, n. 18 (necropoli di Campansi), p. 49, n. 51 (tomba di Colle Verdina a Siena); PHILLIPS 1965, p. 19, fig. 16 a (Ampugnano); GREGORI 1985, p. 67, n. 17 (tomba di Casole d’Elsa, loc. Le Grazie); MOREL 1981, tipo 2537 d1 (cia MONTAGNA PASQUINUCCI 1972, fig. 1: n. 175) Datazione: prima metà II secolo a.C. Scheda n. 59 (tav. V/427) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: coppa su alto piecle; Tipo: LAMBOGLIA 4, MOREL 2537 d1; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 18; Cfr.: scheda n. 58; Datazione: prima metà II secolo a.C. Scheda n. 60 (tav. V/428) Perioclo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: coppa su alto piede; Tipo: LAMBOGLIA 4, MOREL 2537 d1; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N.

fr.: 1; Peso in gr: 8; Cfr.: scheda n. 58; Datazione: prima metà II secolo a.C. Scheda n. 61 (tav. V/429) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: coppa su alto piede; Tipo: LAMBOGLIA 4, MOREL 2537 d1; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 4; Cfr.: scheda n. 58; Datazione: prima metà II secolo a.C. Scheda n. 62 (tav. V/412) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: bicchiere; Tipo: LAMBOGLIA 10, MOREL, specie 3450; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 3; Peso in gr: 74; Cfr.: MOREL 1981, p. 262; AA.VV. 1979, p. 63, n. 79 (dalla tomba a camera di Santa Colomba - loc. Montebuono); necropoli di Badia, tomba 60/D; DE MARINIS 1977, tav. XXIV, 6.12.29 (Montaione, loc. Bellafonte); CAVALIER 1985, figg. 140 e 144a (relitto A di Filicudi, Capo Graziano, con ciatazione 190-170 a.C.); JEHASSE 1973, tav. 125, n. 1063, p. 320, datazione 200-150 a.C.; BATS 1988, pp. 142-143 e tav. 26, n. 814; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 63 (tav. V/411) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: urnetta biansata; Tipo: LAMBOGLIA 10; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 6; Peso in gr: 31; Cfr.: vedi scheda n. 62; Datazione: II secolo a.C. Scheda n. 64 (tav. V/415) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 78. Scheda n. 65 (tav. V/413) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: piatto da pesce; Tipo: LAMBOGLIA 23, MOREL 1981, specie 1120; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate;

N. fr.: 1; Peso in gr: 43; Cfr.: vedi scheda n. 66; Datazione: prima metà II secolo a.C. Scheda n. 66 (tav. V/414) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: piatto da pesce; Tipo: LAMBOGLIA 23, MOREL 1981, specie 1120; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 5; Peso in gr: 64; Cfr.: CAYOT 1984 fig. 17,81-89, p. 65 (fine III-inizi II secolo a.C.); MOREL 1981, specie 1120, p. 82 ss.; AA.VV. 1979, p. 49, n. 47 (tomba di Colle Verclina), necropoli di Badia, tomba a camera 60/D; PHILLIPS 1965, fig. 15, p. 18 (necropoli di Ampugnano); ROMUALDI 1985, p. 211; Datazione: prima metà II secolo a.C. Scheda n. 67 (tav. V/420) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: piatto da pesce; Tipo: MOREL 1981, specie 1120; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 62; Cfr.: scheda n. 66; Datazione: prima metà II secolo a.C. Scheda n. 68 (tav. VI/416) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: coppetta; Tipo: MOREL specie 2536/2565 (avv. tipo MOREL 2538 fl); Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: exforma MOREL 83; N. fr.: 1; Peso in gr: 4; Cfr.: MOREL 1981, specie 2536/2565; AA.VV. 1979, p. 85, nn. 114 e 115 (tomba di Guistrigona, Castelnuovo Berardenga, Siena); STORTI 1989, p. 54, p. 49, n. 324 e tav. 9.3 (da Pisa); GREGORI 1985, p. 70, n. 55.18 (da Casole d'Elsa); DE MARINIS 1977, p. 144; Datazione: II-II secolo a.C. Scheda n. 69 (tav. VI/417) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: coppetta; Tipo: MOREL specie 2536/2565; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: exforma MOREL 83; N. fr.: 1; Peso in gr: 2; Cfr.: MOREL specie 2536/2565 e scheda n. 68; Datazione: III-II secolo a.C. Scheda n. 70 (tav. VI/424)

Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: coppetta; Tipo: MOREL specie 2536/2565 (avv. tipo 2536 bl); Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 6; Cfr.: MOREL 1981, tipo 2536 bl; scheda n. 68; STORTI 1989, p. 49, nn. 315-321 e tav. 9,1 (da Pisa); Datazione: III-II secolo a.C. Scheda n. 71 (tavv. VI/418; XXX/418) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: ciotola; Tipo: disegno 418; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: bollo circolare impresso; N. fr.: 1; Peso in gr: 24; Cfr.: SANMARTI-NOLA 1986, fig. 28,5; fig.30,8 e p. 104; Datazione: prima metà II secolo a.C. (non posteriore al 150 a.C.). Scheda n. 72 (tavv. VI/419; XXXI/419) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: ciotola; Tipo: disegno 419; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: bolli alternati a palmette e fiori di loto; N. fr.: 1; Peso in gr: 62; Cfr.: per i bolli, BALLAND 1969, tavv. 9,85 e 26,8; affine ma meno puntuale in Luni II, tav. 80,2; Datazione: prima metà II secolo a.C. Scheda n. 73 (tav. VI/421) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: forma aperta; Tipo: disegno 421; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: tond d'empilement; N. fr.: 1; Peso in gr: 121; Datazione: prima metà II secolo a.C. (dal contesto). Scheda n. 74 (tav. VI/422) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: forma aperta; Tipo: disegno 422; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: fessurazioni di cottura; N. fr.: 1; Peso in gr: 84; Datazione: prima metà II secolo a.C. (dal contesto). Scheda n. 75 (tav. VI/423)

Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: forma aperta; Tipo: disegno 423; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 77; Datazione: prima metà II secolo a.C. (dal contesto). Scheda n. 76 (tav. VI/425) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: coppetta; Tipo: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 3; Datazione: prima metà II secolo a.C. (dal contesto). Scheda n. 77 (tav. VI/430) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: coppetta; Tipo: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 2. Scheda n. 78 (tav. VI/431) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: patera; Tipo: avv. MOREL specie 2820/2840; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 40; Cfr.: MOREL 1981, specie 2820/2840; Datazione: II-I secolo a.C. Scheda n. 79 (tav. VI/432) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: patera; Tipo: avv. MOREL specie 2820/2840; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 10; Cfr.: MOREL 1981, specie 2820/2840; Datazione: II-I secolo a.C. Scheda n. 80 (tav. VI/426) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232 vernice nera; Forma: coppetta; Tipo: avv. MOREL specie 2820/2840; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 4; Cfr.: MOREL 1981, specie 2820/2840; Datazione: II-I secolo a.C. Scheda n. 81 (tav. VI/433) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: skyphos; Tipo: avv. MOREL serie 3151 o 3152; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 2; Peso in

gr: 12; Cfr.: MOREL 1981, serie 3151 o 3152 (caratteristica dell'area di Volterra: 200 + 50 a.C.); Datazione: fine III prima metà II secolo a.C. Scheda n. 82 (tav. VI/434) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: oinochoe; Tipo: disegno 434; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 14. Scheda n. 83 (tav. VI/436) Periodo: I, Fase C; Attività: 9; U.S.: 232; Classe: vernice nera; Forma: coppa; Tipo: MONTAGNA PASQUINUCCI, forma 5; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 9; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 5, Peso in gr: 17; Cfr.: MONTAGNA PASQUINUCCI 1972, fig. 1, n. 65 (attribuibile alla produzione tarda della fabbrica di Malacena); Datazione: ciopo il 180 a.C. PERIODO II Scheda n. 84 (tav. VII/485) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: acroma depurata; Forma: coperchio; Tipo: disegno 485; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 15. Scheda n. 85 (tav. VII/484) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 484; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 9; Trattamento superfici: lisciate; N.fr.: l;Peso in gr:37. Scheda n. 86 (tav. VII/481) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: acroma grezza; Forma: coperchio; Tipo: disegno 481; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 114. Scheda n. 87 (tav. VII/284) Periodo: II; Attività: 69; U.S.: 411; Classe: acroma grezza; Forma: coperchio?; Tipo: disegno 284; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 15; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 6.

Scheda n. 88 (tav. VII/483) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: acroma grezza; Forma: dolio; Tipo: disegno 483; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 16; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 122. Scheda n. 89 (tav. VII/482) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: acroma grezza; Forma: dolio; Tipo: disegno 482; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 17; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 88. Scheda n. 90 (tav. VII/475) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: anfore; Forma: avv. DRESSEL 28; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 21; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 39; Cfr.: es. Pistoia II **, p. 264, figg. 1606-7. Scheda n. 91 (tav. VII/480) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: ceramica riutilizzata; Forma: tappo; Tipo: disegno 480; Tipo di foggiatura: manuale; Matrice n. 3; Tecnica di lavorazione: scalpello; Osservazioni: matrice 3 acroma depurata; N. fr.: 1; Peso in gr: 7. Scheda n. 92 (tav. VII/477) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: ceramica riutilizzata; Forma: tappo; Tipo: disegno 477; Tipo di foggiatura: manuale; Matrice n. 11; Tecnica di lavorazione: scalpello; Osservazioni: matrice 11 acroma grezza; N. fr.: 1; Peso in gr: 8. Scheda n. 93 (tav. VII/478) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: ceramica riutilizzata; Forma: tappo; Tipo: disegno 478; Tipo di foggiatura: manuale; Matrice n. 11; Tecnica di lavorazione: scalpello; Osservazioni: matrice 11 acroma grezza; N. fr.: 1; Peso in gr: 14. Scheda n. 94 (tav. VII/479) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: ceramica riutilizzata; Forma: tappo; Tipo: disegno 479; Tipo di foggiatura: manuale; Matrice n.

16; Tecnica di lavorazione: scalpello; Osservazioni: matrice 16 anfore; N. fr.: 1; Peso in gr: 19. Scheda n. 95 (tav. VII/473) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: lucerne; Tipo di foggiatura: a stampo; Matrice n. 1; N. fr.: 1; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: pareti esterne verniciate rosse; N. fr.: 1; Peso in gr: 3. Scheda n. 96 (tav. VII/472) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: lucerne; Tipo: disegno 472; Tipo di foggiatura: a stampo; Matrice n. 2; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 2. Scheda n. 97 (tav. VII/463) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: sigillata italica; Forma: coppa; Tipo: GOUDINEAU 27 (Ritt. 5); Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: rotellatura esterna; N. fr.: 1; Peso in gr: 3; Cfr. Pistoia II **, n. 621, p. 145; n. 3954, p. 700; MARTIN-GARNIER 1977, p. 154 e fig. 3, nn. 17-20; Datazione: 10 a.C. circa. Scheda n. 98 (tav. VII/465) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: sigillata italica; Forma: coppa; Tipo: avv. Pucci XXXI; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: rotellatura fitta parete esterna; N. fr.: 1; Peso in gr: 6; Cfr.: avv. Pucci XXXI, p. 394; Datazione: fino all'età giulio-claudia? Scheda n. 99 (tav. VII/466) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: sigillata italica; Forma: forma aperta; Tipo: disegno 466; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 3. Scheda n. 100 (tav. VII/467) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: sigillata italica; Forma: forma aperta; Tipo: disegno 467; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 1.

Scheda n. 101 (tav. VII/286) Periodo: II; Attività: 71; U.S.: 409; Classe: sigillata italica; Forma: piatto; Tipo: GOUDINEAU 15; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 21; Cfr.: STORTI 1989, p. 69 e tav. 15.5; Datazione: 15 a.C.-fine I sec.a.C. Scheda n. 102 (tav. VII/464) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: sigillata italica; Forma: coppa; Tipo: avv. Pucci XV, 2-3; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 3; Cfr.: avv. Pucci XV, 2/3; Datazione: 50 d.C.-II secolo cI.C.? Scheda n. 103 (tav. VII/468) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: sigillata italica; Forma: tazza; Tipo: avv.Pucci XVI,1; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 3; Cfr.: avv.Pucci XVI, 1, p. 387; Datazione: non posteriore all'età augustea. Scheda n. 104 (tav. VII/469) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: sigillata italica; Forma: piatto; Tipo: avv. Pucci VI,4; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 8; Cfr.: avv. Pucci VI,4, p. 381; VII,3, p. 382; Datazione: anteriore al 15 a.C. Scheda n. 105 (tav. VII/470) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: sigillata italica; Forma: piatto; Tipo: avv. Pucci VI,4; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Pesoingr: 9; Cfr.: avv. Pucci VI,4: p. 381; VII,3, p. 382; Datazione: anteriore al 15 a.C. Scheda n. 106 (tav. VII/471) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: sigillata italica; Forma: piatto; Tipo: avv. Pucci III,3; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: bolli rettangolari di fabbrica: (.) R; N. fr.: 1; Peso in gr.: 91; Cfr: Pucci p. 380, III,3; Datazione: 20-15 a.C. circa. Scheda n. 107 (tav. XXX/107)

Periodo: II;Attività: 12; U.S.: 223; Classe: sigillata italica; Forma: forma aperta; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: bollo rettangolare di fabbrica: L.T.C.; N. fr.: 1; Peso in gr.: 4; Cfr.: OXÉCOMFORT 1968, P. 477 ss. (n. 33) e pp. XXX-XXXI (bolli L.T.C. rinvenuti a Mont Beuvray, abbandonato nel 12 a.C.). Bollo attribuibile al vasaio arretino L.TITIUS CAUPO (COPO); Datazione: ante 12 a.C. Scheda n. 108 Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: sigillata italica; Forma: forma chiusa; Tipo di tornitura: tornio veloce entro stampo; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: figura femminile panneggiata; N. fr.: 1; Peso in grammi: 2. Scheda n. 109 (tav. VII/474) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: vernice nera; Forma: ciotola; tipo: avv. MOREL 2276 b1; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 2; Cfr.: MOREL, avv. 2276 b1, p. 159; Datazione: e. augusteo-tiberiana. Scheda n. 110 (tav. VII/476) Periodo: II; Attività: 12; U.S.: 223; Classe: vernice rossa non id.; Forma: forma aperta; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: pareti verniciate di rosso all'interno ed all'esterno dell'orlo; N.fr.: 2; Peso in gr: 51. PERIODO III - FASE A (ATTIVITÀ 14) Scheda n. 111 (tav. VIII/171) Periodo: III, Fase A; Attività: 14; U.S.: 196; Classe: acroma depurata a colature rosse; Forma: boccale; Tipo: disegno 171; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: vernice rossa uniforme o colata; N.Fr.: 3; Peso in gr.: 233; Cfr.: Luni II, tav. 333: 5-9 e p. 659; Datazione: VI secolo d.C. Scheda n. 112 (tavv. VIII/172; XXX/172) Periodo: III, Fase A; Attività: 14; U.S.: 196; Classe: acroma depurata a colature rosse; Forma: boccale; Tipo: Luni II, t. 333,8; Tipo di tornitura:

tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: colature di vernice; Decorazione: macchie di vernice rossa; N. fr.: 1; Peso in gr.: 78; Cfr.: Luni II, tav. 333,8; Pistoia II **, p. 423; Datazione: VI secolo. Scheda n. 113 (tav. VIII/173) Periodo: III, Fase A; Attività: 14; U.S.: 196; Classe: acroma depurata a colature rosse; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 173; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: irregolarmente verniciate; Decorazione: vernice rossa irregolare; N. fr.: 1; Peso in gr.: 194; Cfr.:Luni II, tav. 333-334; Datazione: VI secolo Scheda n. 114 (tav. VIII/177) Periodo: III, Fase A; Attività: 14; U.S.: 204; Classe: acroma depurata a colature rosse; Forma: ciotola; Tipo: disegno 177; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: colature irregolari di vernice rossa; N. fr.: 1; Peso in gr.: 38; Datazione: VI secolo d.C. Scheda n. 115 (tavv. VIII/181; XXX/181) Periodo: III, Fase A; Attività: 14; U.S.: 204; Classe: acroma depurata a colature rosse; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 181; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: colature di vernice rossa; N. fr.: 1; Peso in gr.: 324; Cfr.: Luni II, tav. 333-334; Datazione: VI secolo d.C. Scheda n. 116 (tav. VIII/164) Periodo: III, Fase A; Attività: 14; U.S.: 196; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 164; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 12; Peso in gr.: 398; Datazione: VI secolo d.C. (dal contesto). Scheda n. 117 Periodo: III, Fase A; Attività: 14; U.S.: 196; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: scheda 116; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate; N.Fr.: 8; Peso in gr.: 216; Datazione: VI secolo d.C. Scheda n. 118 (tav. VIII/166)

Periodo: III, Fase A; Attività: 14; U.S.: 196; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 166; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate (vacuolate); Osservazioni: prototipo matrice 11; N.Fr.: 2; Peso in gr.: 67; Datazione: VI secolo d.C. Scheda n. 119 (tav. VIII/174) Periodo: III, Fase A; Attività: 14; U.S.: 204; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 174; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr.: 10; Datazione: VI secolo d.C. Scheda n. 120 (tav. VIII/175) Periodo: III, Fase A; Attività: 14; U.S.: 204; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 175; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr.: 4;; Cfr.: affine disegno 174; Datazione: VI secolo. Scheda n. 121 (tav. VIII/176) Periodo: III, Fase A; Attività: 14; U.S.: 204; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 176; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr.: 41; Datazione: VI secolo. Scheda n. 122 (tav. VIII/167) Periodo: III, Fase A; Attività: 14; U.S.: 196; Classe: acroma grezza;Forma: testo; Tipo: disegno 167; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 12; Trattamento superfici: lisciate prototipo matrice 12; N.Fr.: 2; Peso in gr: 45; Datazione: VI secolo d.C. Scheda n. 123 (tav. IX/170) Periodo: III, Fase A; Attività: 14; U.S.: 196; Classe: anfore; Tipo: KEAY LIIID; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 19; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: prototipo matrice 19; N. fr.: 1; Peso in gr.: 53; Cfr.: KEAY 1984, p. 270 ss, fig. 120,6; Datazione: metà V-VII secolo d.C . Scheda n. 124 (tav. IX/182)

Periodo: III, Fase A; Attività: 14; U.S.: 204; Classe: ceramica riutilizzata; Forma: tappo; Tipo: disegno 182; Tipo di tornitura: tornio veloce; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr.: 28. Scheda n. 125 (tav. IX/168) Periodo: III, Fase A; Attività: 14; U.S.: 196; Classe: imitazione sigillata chiara; Forma: vaso a listello; Tipo: HAYES 91; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: rotellatura doppia; N. fr.: 1; Peso in gr.: 22; Cfr.: Atlante I, pp. 183-186; Datazione: fine IV-VII secolo d.C. Scheda n. 126 (tav. IX/169) Periodo: III, Fase A; Attività: 14; U.S.: 196; Classe: imitazione sigillata chiara;Forma: coppa; Tipo: disegno 169; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr.: 20; Datazione: VI secolo d.C. (dal contesto). Scheda n. 127 (tav. IX/178) Periodo: III, Fase A; Attività: 14; U.S.: 204; Classe: verniciate rosse altomedievali; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 178; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: vernice uniforme; Decorazione: vernice rossa uniforme, abrasa; Osservazioni: prototipo matrice 1; N. fr.: 1; Peso in gr.: 9. Scheda n. 128 (tav. IX/180) Periodo: III, Fase A; Attività: 14; U.S.: 204; Classe: verniciate rosse altomedievali; Forma: boccale; Tipo: disegno 180; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: vernice rossa irregolare; Osservazioni: impronta perno tornio su fondo esterno; N. fr.: 1; Peso in gr.: 122; Datazione: VI secolo d.C. Scheda n. 129 (tav. IX/179) Periodo: III, Fase A; Attività: 14; U.S.: 204; Classe: verniciate rosse altomedievali; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 179; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: vernice esternamente uniforme, colata internamente; Decorazione: vernice rossa uniforme, abrasa; Osservazioni: prototipo matrice 2; N. fr.: 1; Peso in gr.: 194; Datazione: VI secolo d.C.

PERIODO III (ALTRE ATTIVITÀ) Scheda n. 130 (tav. IX/262) Periodo: III, Fase A; Attività: 28; U.S.: 201; Classe: acroma depurata a colature rosse; Forma: vaso a listello; Tipo: disegno 262; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate a colatura; Decorazione: colature di vernice rossa; N. fr.: 1; Peso in gr.: 56; Datazione: VI sec.d.C. Scheda n. 131 (tav. IX/263) Periodo: III, Fase A; Attività: 28; U.S.: 201; Classe: acroma depurata a colature rosse; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 263; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n.1; Trattamento superfici: verniciate a colatura; Decorazione: colature di vernice rossa; N.Fr.: 2; Peso in gr.: 135; Datazione: VI sec.d.C. Scheda n. 132 Periodo: III, Fase C; Attività: 17; U.S.: 148; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 43; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: lisciatura in argilla fine; Osservazioni: prototipo matrice 4 acroma grezza; N. fr.: 1; Peso in gr.: 14. Scheda n. 133 (tav. IX/186) Periodo: III, Fase C; Attività: 17; U.S. 150; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr.: 8; Datazione: VI secolo. Scheda n. 134. Periodo: III, Fase C; Attività: 17; U.S. 150; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr.: 8; Datazione: VI secolo. Scheda n. 135 (tav. IX/187) Periodo: III, Fase C; Attività: 17; U.S. 150; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate; N.Fr. 2; Peso in gr.: 18; Datazione: VI secolo.

Scheda n. 136 (tav. IX/188) Periodo: III, Fase C; Attività: 17; U.S. 150; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate; N.Fr.: 2; Peso in gr.: 15; Datazione: VI secolo. Scheda n. 137 (tav. IX/258) Periodo: III, Fase C; Attività: 17; U.S. 150; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate; N.Fr.: 5; Peso in gr.: 38; Datazione: VI secolo. Scheda n. 138 Periodo: III, Fase A; Attività: 28; U.S.: 201; Classe: acroma grezza; Forma: olla; disegno 258; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate N. fr.: 1; Peso in gr.: 17. Scheda n. 139 (tav. IX/259) Periodo: III, Fase A; Attività: 28; U.S.: 201; Classe: acroma grezza; Forma: colatoio; Tipo: disegno 259; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: traccia evidente distacco presa; N.Fr.: 2; Peso in gr.: 148. Scheda n. 140 (tav. IX/235) Periodo: III, Fase B; Attività: 10; U.S.: 191; Classe: acroma grezza; Forma: dolio; Tipo: disegno 235; Tecnica di produzione: manuale; Matrice n. 16; Trattamento superfici: rozzamente lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr.: 278. Scheda n. 141 Periodo: III, Fase B; Attività: 10; U.S.: 191; Classe: acroma grezza; Forma: dolio; Tipo: disegno 236; Tecnica di produzione: manuale; Matrice n. 17; Trattamento superfici: rozzamente lisciate; Osservazioni: prototipo matrice 17; N.Fr.: 6; Peso in gr.: 2926. Scheda n. 142 (tav. X/243) Periodo: III, Fase A; Attività: 28; U.S. 288; Classe: anfore; Tipo: affine DRESSEL 28; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 14; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr.: 110.

Scheda n. 143 (tav. X/260) Periodo: III, Fase A; Attività: 28; U.S.: 201; Classe: anfore; Tipo: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 14; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr.: 58. Scheda n. 144 (tavv. X/183; XXXI/183) Periodo: III, Fase B; Attività: 16; U.S.: 228; Classe: anfore; Forma: africana cilindrica di grandi dimensioni; Tipo: KEAY 1984, fig. 180: 13; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 6; Trattamento superfici: lisciate a spatola; Osservazioni: contiguo con U.S. 227; N.Fr.: 8; Peso in gr.: 1426; Cfr.: forma:KEAY 1984, fig. 180,13; marchio:KEAY 1984, 178,7 e 16 (fine V-metà VI secolo cI.C.); Datazione: VI secolo d.C. KEAY 1984, pp. 19-20. Scheda n . 145 (tavv. X/ 1 85; XXXI/ 185) Periodo: III, Fase C; Attività: 17; U.S.: 150; Classe: ceramica riutilizzata; Forma: tappo; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate esterne; Osservazioni: tagliato da fr. di ceramica verniciata rossa altomedievale; margini lisciati; N. fr.: 1; Peso in gr.: 18; Datazione: VI secolo. Scheda n. 146 (tav. X/247) Periodo: III, Fase A; Attività: 28; U.S.: 288; Classe: ceramica riutilizzata; Forma: tappo; tecnica di lavorazione: scalpellatura; Matrice n. 5; Trattamento superfici: profilo segato; N. fr.: 1; Peso in gr.: 10. Scheda n. 147 (tav. X/244) Periodo: III, Fase A; Attività: 28; U.S.: 288; Classe: ceramica riutilizzata; Forma: Scarto di lavorazione di tappo fittile; Tipo riutilizzato: anfora DR 28; tecnica di lavorazione: profilo scalpellato; Matrice n. 14; Trattamento superfici: profilo scalpellato; N. fr.: 1; Peso in gr.: 47. Scheda n. 148 (tav. X/184) Periodo: III, Fase C; Attività: 17; U.S.: 150; Classe: verniciate rosse altomedievali; Forma: forma chiusa; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr.: 18; Datazione: VI secolo d.C.

Scheda n. 149 (tav. X/193) Periodo: III, Fase C; Attività: 17; U.S.: 148; Classe: verniciate rosse altomedievali; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 193; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate (esterne); N. fr.: 1; Peso in gr.: 72; Datazione: VI secolo. Scheda n. 150 (tav. X/194) Periodo: III, Fase A; Attività: 17; U.S.: 148; Classe: verniciate rosse altomedievali; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 194; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate (esterne); N. fr.: 1; Peso in gr.: 74; Datazione: VI secolo.

Scheda n.151 (tav. X/261) Periodo III, Fase A; Attività: 28; U.S.: 201; Classe: verniciate rosse altomedievali; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 261; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate internamente; N.Fr.: 2; Peso in gr.: 260; Datazione: VI sec.d.C. Scheda n. 152 Periodo III, Fase C; Attività: 17; U.S.: 227; Classe: verniciate rosse altomedievali; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 192; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr.: 2; Datazione: VI secolo d.C. Scheda n. 153 (tav. XI/462) Periodo III, Fase C; Attività: 17; U.S.: 151; Classe: verniciate rosse altomedievali con decorazione a pettine; Forma: Boccale; Tipo: disegno 462; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: decorazione a pettine e rotella: onde e fasce; N. fr.: 25; Peso in gr: 1320; Cfr.: Pistoia II **, Gruppo 5, n. 2429 (per la forma e per la decorazione); FRANCOVICH 1984, p. 619, dis. 1; CIAMPOLTRINI-RENDINI 1989, fig. 4,7; Datazione: VI-VII secolo d.C. PERIODO III (REPERTI RESIDUI)

Scheda n. 154 (tav. X/242) Periodo III, Fase A; Attività: 28; U.S.: 288; Classe: pareti sottili; Forma: Bicchiere; Tipo: avv. RICCI I,5; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 8; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr.: 4; Cfr.: Atlante II, tav. LXXVIII,5; Datazione: 100-50? a.C. circa. Scheda n. 155 (tav. XXX/155) Periodo III, Fase A; Attività: 28; U.S.: 201; Classe: sigillata italica; Forma: Coppa; Tipo: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr.: 1; Bollo in cartiglio rettangolare: CALDI; Datazione: ante 15 d.C. circa. Scheda n. 156 (tav. XXX/156) Periodo III, Fase A; Attività: 28; U.S.: 201; Classe: sigillata italica; Forma: Coppa; Tipo: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 2; Peso in gr.: 7; Bollo in cartiglio rettangolare: (Q)UARTIO; Decorazione: tralci vegetali obliqui; Cfr.: OXÉ 1968, p. 13 e 112. Scheda n. 157 Periodo III, Fase A; Attività: 28; U.S.: 201; Classe: sigillata italica; Forma: Piatto; Tipo: avv. Pucci IX; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr.: 2; Decorazione: rotellatura su orlo e carena; Cfr.: Atlante II, tav.CXVIII e p. 283; Datazione: età augusteo-tiberiana. Scheda n. 158 Periodo III, Fase A; Attività: 28; U.S.: 201; Classe: sigillata italica; Forma: Piatto; Tipo: avv. Pucci X; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr.: 12; Cfr.: Atlante II, tav.CXIX-CXXI; Datazione: età augustea-età flavia. Scheda n. 159 (tav. X/241) Periodo III, Fase B; Attività: 13; U.S.: 208; Classe: vernice nera; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 241; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate esterne; Decorazione:

piccole impressioni oblique a stecca; Osservazioni: vernice nera di pessima qualità, abrasa. PERIODO V Scheda n. 160 (tav. XII/250) Periodo: V, Fase F; Attività: 22; U.S.: 271; Classe: zaffera a rilievo; Forma: boccaletto; Tipo: disegno 250; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: pennellate di zaffera a rilievo; Osservazioni: prototipo matrice 3 zaffera a rilievo; N. Fr.: 1; Peso in gr.: 18; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 264,61,62; Datazione: metà XV secolo circa. PERIODO VII Scheda n. 161 (tav. XII/190) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 178; Classe: acroma depurata; Forma: microvasetto; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 28; Datazione: XV secolo. Scheda n. 162 (tav. XII/304) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata; Forma: Catino; Tipo: affine tipo FRANCOVICH 1982, nb llb; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; N. Fr.: 3; Peso in gr: 130; Cfr.: variante tipo FRANCOVICH 1982, nb llb; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 163 (tav. XII/305) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata; Forma: catino; Tipo: affine al tipo FRANCOVICH 1982, nb 11; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 52; Cfr.: FRANCOVICH 1982, nb 11; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 164 (tav. XII/306) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata; Forma: catino; Tipo: affine al tipo FRANCOVICH 1982, nb 11; Tipo di

tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; N. Fr.: 1; Peso in gr: 17; Cfr.: FRANCOVICH 1982, nb 11; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 165 (tav.XII/307) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata; Forma: catino; Tipo: affine al tipo FRANCOVICH 1982, nb 11; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; N. Fr.: 2; Peso in gr: 52; Cfr.: FRANCOVICH 1982, nb 11; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 166 (tav. XII/308) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata; Forma: catino; Tipo: affine al tipo FRANCOVICH 1982, nb 11b; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; N. Fr.: 2; Peso in gr: 156; Cfr.: FRANCOVICH 1982, nb llb; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 167 (tav. XII/309) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata; forma: catino; Tipo: affine al tipo FRANCOVICH 1982, nb 11b; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; N. Fr.: 5; Peso in gr: 192; Cfr.: FRANCOVICH 1982, nb 11; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 168 (tav. XII/310) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata; Forma: catino; Tipo: affine al tipo FRANCOVICH 1982, nb 11; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; N. Fr.: 1; Peso in gr: 36; Cfr.: FRANCOVICH 1982, nb 11; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 169 (tav. XII/311) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata; Forma: vaso da fiori; Tipo: disegno 311; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; Decorazione: onde strette e ravvicinate; N. Fr.: 8; Peso in gr: 399; Cfr.: FRANCOVICH 1982, na 4, fig. 188; Datazione: seconda metà XV.

Scheda n. 170 (tav. XII/315) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata; Forma: anforetta; Tipo: affine al tipo FRANCOVICH 1982, fn 15; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate, ingobbio o schiarimento esterno; N. Fr.: 1; Peso in gr: 129; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 230, fn 15; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 171 Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata; Forma: anforetta; Tipo: affine al tipo FRANCOVICH 1982, fig. 99 e fig. 177,5 e 7; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate, ingobbiate esternamente; Decorazione: a pettine (onde, bande e tocchi); N. Fr.: 3; Peso in gr: 72; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 99 e fig. 177,5 e 7; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 172 Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata; Forma: anforetta; Tipo: affine al tipo FRANCOVICH 1982, fig. 99 e fig. 177,5 e 7; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate, ingobbiate o schiarite esternamente; Decorazione: a pettine (onde, bande e tocchi); N. Fr.: 2; Peso in gr: 37; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 99 e fig. 177,5 e 7; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 173 Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata; Forma: anforetta; Tipo: affine al tipo FRANCOVICH 1982, fig. 99 e fig. 177,5 e 7; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate, ingobbiate o schiarite esternamente; Decorazione: a pettine (onde, bancie e tocchi); N. Fr.: 2; Peso in gr: 54; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 99 e fig. 177,5 e 7; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 174 Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata; Forma: anforetta; Tipo: affine al tipo FRANCOVICH 1982, fig. 99 e fig.

177,5 e 7; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate, ingobbiate o schiarite esternamente; Decorazione: a pettine (onde, bande e tocchi); N. Fr.: 10; Peso in gr: 98; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 99 e fig. 177,5 e 7; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 175 Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata; Forma: anforetta; Tipo: affine al tipo FRANCOVICH 1982, fig. 99; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; Decorazione: a pettine (onde, bande); N. Fr.: 2; Peso in gr: 24; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 99; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 176 Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata; Forma: anforetta; Tipo: affine al tipo FRANCOVICH 1982, fig. 191, na 28; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; Decorazione: a pettine (nastri e bande); N. Fr.: 8; Peso in gr: 103; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 191, na 28; Datazione: seconda metà XV secolo.

Scheda n. 177 Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 178; Classe: acroma depurata; Forma: orcio; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; Decorazione: oncie a pettine e gocce di ingobbio rosso; N. Fr.: 2; Peso in gr: 122; Datazione: XV secolo. Scheda n. 178 (tav. XII/312) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata; Forma: coperchio; Tipo: disegno 312; tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: foro sfiato su presa; N. Fr.: 3; Peso in gr: 20; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fa 23 e 24; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 179 (tav. XII/313)

Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma depurata; Forma: coperchio; Tipo: affine al tipo FRANCOVICH 1982, fig. 188,na 3; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 9; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: fori per sfiato, pertinente tegame invetriato; N. Fr.: 16; Peso in gr: 189; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 188,na 3 e fig. 59; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 180 (tav. XIII/325) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: affine FRANCOVICH 1982, nb 2; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 9; Trattamento superfici: lisciate; N. Fr.: 6; Peso in gr: 46; Cfr.: FRANCOVICH 1982, nb 2; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 181 (tav.XIII/326) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: affine FRANCOVICH 1982,nb 2; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 9; Trattamento superfici: lisciate; N. Fr.: 10; Peso in gr: 292; Cfr.: FRANCOVICH 1982, nb 2; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 182 (tav. XIII/327) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: affine FRANCOVICH 1982, nb 2; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 9; Trattamento superfici: lisciate; N. Fr.: 1; Peso in gr: 28; Cfr.: FRANCOVICH 1982 nb 2; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 183 (tav. XIII/328) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: affine FRANCOVICH 1982, nb 2; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 9; Trattamento superfici: lisciate; N. Fr.: 1; Peso in gr: 56; Cfr.: FRANCOVICH 1982, nb 2; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 184 (tav. XIII/329) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma grezza; Forma: tegame; Tipo: disegno 329; Tipo di tornitura: tornio veloce;

Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate; N. Fr.: 1; Peso in gr: 9; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 185 (tav. XIII/330) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: FRANCOVICH 1982, nb 5; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate; N. Fr.: 2; Peso in gr: 16; Cfr.: FRANCOVICH 1982, nb 5; Datazione: seconda metà XV secolo (dal contesto). Scheda n. 186 (tav. XIII/319) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma grezza; Forma: catino; Tipo: "figlinese"; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 19; Trattamento superfici: lisciate; N. Fr.: 5; Peso in gr: 133; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 187 (tav. XIII/320) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma grezza; Forma: catino; Tipo: "figlinese"; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 19; Trattamento superfici: lisciate; N. Fr.: 1; Peso in gr: 18; Datazione: seconda metà XV secolo.

Scheda n. 188 (tav. XIII/321) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma grezza; Forma: catino; Tipo: "figlinese"; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 19; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: prototipo matrice 19; N. Fr.: 8; Peso in gr: 160; Cfr.: FRANCOVICH 1982; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 189 (tav. XIII/322) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma grezza; Forma: catino; Tipo: "figlinese"; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 19; Trattamento superfici: lisciate; Decorazione: impressa non decifr.: lacunosa; N. Fr.: 1; Peso in gr: 187; Cfr.: RIZZO RENZI 1990, p. 46, n.70; Datazione: seconda metà XV secolo.

Scheda n. 190 (tav. XIV/323) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma grezza; Forma: orcio; Tipo: disegno 323; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 20; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: prototipo matrice n. 20; N. Fr.: 13; Peso in gr: 1132; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 191 (tav. XIII/324) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: acroma grezza; Forma: orcio; Tipo: disegno 324; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 21; Trattamento superfici: lisciate irregolarmente, colature rosse di ingobbio; Osservazioni: prototipo matrice n. 21; N. Fr.: 16; Peso in gr: 1794; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 192 (tav. XIV/318) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: ceramica riutilizzata; Forma: scarto di lavorazione di un tappo; Tipo: disegno 318; Tecnica di lavorazione: manuale; Matrice n. 1; Osservazioni: fondo scalpellato e segato per ottenere un tappo. Matrice 3 acroma depurata; N. Fr.: 1; Peso in gr: 73; Datazione: seconcia metà XV secolo (dal contesto). Scheda n. 193 (tav. XIV/316) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: ceramica riutilizzata; Forma: tappo; Tipo: disegno 316; Tecnica di lavorazione: manuale; Matrice n. 1; Osservazioni: da parete di pentola invetriata; N. Fr.: 1; Peso in gr: 3; Datazione: seconda metà XV secolo (dal contesto). Scheda n. 194 (tav. XIV/191) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 178; Classe: ceramica riutilizzata; Forma: scarto di lavorazione per un tappo; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: parete acroma depurata; N. Fr.: 1; Peso in gr: 28. Scheda n. 195 (tav. XIV/317) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: ceramica riutilizzata; Forma: tappo; Tipo: disegno 317; Tecnica di lavorazione: manuale; Matrice n. 9; Osservazioni: matrice 9 acroma grezza; N. Fr.: 1; Peso in gr: 56; Datazione: seconda metà XV secolo (dal contesto).

Scheda n. 196 (tav. XIV/353) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: graffita policroma; Forma: piatto; Tipo: FRANCOVICH 1982 C.4.1.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate esterne e interne (ingobbiate e graffite); Decorazione: FRANCOVICH 1982 M.C.6.1/2; S.3.1.; N. Fr.: 15; Peso in gr: 413; Cfr.: FRANCOVICH 1982, forma C.4.1.; dec: M.C.6.1/2; S.3.1 e fig. 223; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 197 (tav. XIV/354) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: graffita policroma; Forma: piatto; Tipo: FRANCOVICH 1982, C.4.1; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate esterne e interne (ingobbiate e graffite); Decorazione: FRANCOVICH 1982: S.3.1.; N. Fr.: 1; Peso in gr: 17; Cfr.: FRANCOVICH 1982: C.4.1.; S.3.1.; Datazione: seconda metà XV secolo.

Scheda n. 198 Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: graffita policroma; Forma: piatto; Tipo: FRANCOVICH 1982, C.4.1.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate esterne e interne (ingobbiate e graffite); Decorazione: FRANCOVICH 1982: S.3.1./2; N. Fr.: 1; Peso in gr: 43; Cfr.: FRANCOVICH 1982, forma: C.4.1.; dec: S.3.1/2 e fig. 223; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 199 (tav. XIV/373) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: gres; Forma: bottiglia; Tipo: disegno 373; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; N. Fr.: 7; Peso in gr: 102; Datazione: fine XV secolo (dal contesto). Scheda n. 200 (tav. XV /253) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 195; Classe: invetriata; Forma: pentola; Tipo: FRANCOVICH 1982, nb 39; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate interne; N. Fr.: 1; Peso in gr: 77; Cfr.: FRANCOVICH 1982, nb 39; Datazione: II metà XV secolo.

Scheda n. 201 (tav. XV/337) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: pentola; Tipo: affine ai tipi FRANCOVICH 1982, na 42; nb 39; fa 19; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: invetriate interne; N. Fr.: 1; Peso in gr: 9; Cfr.: FRANCOVICH 1982, na 42; nb 39; fa 19; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 202 (tav. XV/338) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: pentola; Tipo: affine ai tipi FRANCOVICH 1982, na 42; nb 39; fa 19; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: invetriate interne; N. Fr.: 2; Peso in gr: 36; Cfr.: FRANCOVICH 1982, na 42; nb 39; fa 19; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 203 (tav. XV/339) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: pentola; Tipo: affine ai tipi FRANCOVICH 1982, na 42; nb 39; fa 19; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: invetriate interne; N. Fr.: 5; Peso in gr: 44; Cfr.: FRANCOVICH 1982, na 42; nb 39; fa 19; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 204 (tav. XV/340) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: pentola; Tipo: affine ai tipi FRANCOVICH 1982, na 42; nb 39; fa 19; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: invetriate interne; N. Fr.: 1; Peso in gr: 15; Cfr.: FRANCOVICH 1982, na 42; nb 39; fa 19; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 205 (tav. XV/343) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: pentola; Tipo: affine ai tipi FRANCOVICH 1982, na 42; nb 39; fa 19; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: invetriate interne; Osservazioni: foro (non passante) sull'apice dell'ansa; N. Fr.: 5; Peso in gr: 89; Datazione: seconda metà XV secolo (dal contesto). Scheda n. 206 Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: pentola; Tipo: affine ai tipi FRANCOVICH 1982, na 42; nb 39; fa 19;

Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: invetriate interne; N. Fr.: 1; Peso in gr: 8; Cfr.: FRANCOVICH 1982, na 42; nb 39; fa 19; Datazione: seconda metà XV secolo (dal contesto). Scheda n. 207 (tav./341) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: pentola; Tipo: affine ai tipi FRANCOVICH 1982, na 42; nb 39; fa 19; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: invetriate interne; N. Fr.: 3; Peso in gr: 32; Cfr.: FRANCOVICH 1982, na 42; nb 39; fa 19; Datazione: seconda metà XV secolo (dal contesto). Scheda n. 208 (tav. XV/342) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: pentola; Tipo: disegno 342; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: invetriate interne; N. Fr.: 2; Peso in gr: 73; Datazione: seconda metà XV secolo (dal contesto). Scheda n. 209 (tav. XV/344) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: pentola; Tipo: disegno 344; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: invetriate interne; N. Fr.: 1; Peso in gr: 6; Datazione: seconda metà XV secolo (dal contesto). Scheda n. 210 (tav. XV/345) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: pentola; Tipo: disegno 345; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: invetriate interne (ed esterne?); N. Fr.: 1; Peso in gr: 16; Datazione: seconda metà XV secolo (dal contesto).

Scheda n. 211 (tav. XV/346) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: pentola; Tipo: disegno 346; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: invetriate interne; N. Fr.: 3; Peso in gr: 145; Datazione: seconda metà XV secolo (dal contesto). Scheda n. 212 (tav. XV/347)

Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: pentola; Tipo: disegno 347; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: invetriate interne; N. Fr.: 2; Peso in gr: 44; Datazione: seconda metà XV secolo (dal contesto). Scheda n. 213 (tav. XV/348) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: pentola; Tipo: disegno 348; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: invetriate interne; N. Fr.: 10; Peso in gr: 95; Datazione: seconda metà XV secolo (dal contesto). Scheda n. 214 (tav. XV/349) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: pentola; Tipo: disegno 349; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: invetriate verdi interne; N. Fr.: 15; Peso in gr: 96; Datazione: seconda metà XV secolo (dal contesto). Scheda n. 215 (tav. XV/254) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 195; Classe: invetriata; Forma: Tegame; Tipo: disegno 254; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate interne; Osservazioni: superfici esterne notevolmente annerite per l'uso; N. Fr.: 1; Peso in gr: 24; Datazione: seconda metà XV sec. (dal contesto). Scheda n. 216 (tav. XV/332) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: tegame; Tipo: disegno 332; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate interne; N. Fr.: 6; Peso in gr: 198; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 217 (tav. XVI/333) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: tegame; Tipo: disegno 333; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate interne; Osservazioni: tegame con accenno beccuccio trilobato; N. Fr.: 2; Peso in gr: 25; Datazione: seconda metà XV secolo.

Scheda n. 218 (tav. XVI/334) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: scaldamani?; Tipo: disegno 334; Tecnica di foggiatura: a stampo; Matrice n. 4; Trattamento superfici: invetriate interne; N. Fr.: 4; Peso in gr: 88; Datazione: seconda metà XV secolo (dal contesto). Scheda n. 219 (tav. XVI/252) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 195; Classe: invetriata; Forma: microvasetto; Tipo: FRANCOVICH 1982, fig. 285: 177; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate; N. Fr.: 1; Peso in gr: 22; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 285,177; Datazione: dal contesto, II metà XV secolo. Scheda n. 220 (tav. XVI/331) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: microvasetto; Tipo: FRANCOVICH 1982, fig. 285,176; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate interne ed esterne; N. Fr.: 1; Peso in gr: 4; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 285,176-178; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 221 (tav. XIV/255) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 195; Classe: gres; Forma: bottiglia; Tipo: disegno 255; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate; N. Fr.: 2; Peso in gr: 32; Datazione: seconda metà XV secolo (dal contesto). Scheda n. 222 (tav. XVI/335) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: orcio; Tipo: disegno 335; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 6; Trattamento superfici: invetriate interne; Decorazione: cordone rilevato e digitato; Osservazioni: prototipo matrice 6 invetriata; N. Fr.: 14; Peso in gr: 486; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 250,3; 251,4 (per la cordonatura); Datazione: seconda metà XV secolo (dal contesto). Scheda n. 223 (tav. XVI/336) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: orcio; Tipo: disegno 336; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 6;

Trattamento superfici: invetriate interne; N. Fr.: 1; Peso in gr: 11; Datazione: seconda metà XV secolo (dal contesto). Scheda n. 224 Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: catino; Tipo: FRANCOVICH 1982: B.1.1.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 7; Trattamento superfici: invetriate verdi esterne ed interne; Osservazioni: vetrina verde spessa e lucida; prototipo matrice 7; N. Fr.: 8; Peso in gr: 92; Cfr.: FRANCOVICH 1982, p. 70 e p. 131; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 225 (tav. XVI/351) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: catino; Tipo: FRANCOVICH 1982: B.1.1.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 7; Trattamento superfici: invetriate verdi esterne ed interne; Osservazioni: vetrina verde sottile, lucida; N. Fr.: 1; Peso in gr: 14; Cfr.: FRANCOVICH 1982, p. 70 e p. 131; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 226 (tav. XVI/352) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: invetriata; Forma: catino; Tipo: FRANCOVICH 1982: B.1.1.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 7; Trattamento superfici: invetriate giallo-verdi esterne e interne; N. Fr.: 5; Peso in gr: 84; Cfr.: FRANCOVICH 1982, p. 70 e p. 131; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 227 Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 195; Classe: italo moresca; Forma: forma aperta; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: segmenti obliqui, paralleli; N. Fr.: 1; Peso in gr: 6; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 272: 112; Datazione: metà XV secolo. Scheda n. 228 (tav. XVI/257) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 195; Classe: maiolica arcaica; Forma: catino; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.1?; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne, invetriate

esterne; Decorazione: simboli Spedale bruno su bianco; N. Fr.: 1; Peso in gr: 35; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 229 (tav. XVI/355) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: catino; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.1.1.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne invetriate esterne; Decorazione: treccia ramina in bancie manganese; N. Fr.: 3; Peso in gr: 74; Cfr.: FRANCOVICH 1982, figg. 112-113; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 230 Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: catino; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.1.1.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne invetriate esterne; N. Fr.: 17; Peso in gr: 234; Cfr.: FRANCOVICH 1982, B.1.1.; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 231 Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 195; Classe: maiolica arcaica; Forma: catino; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.1.1.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne, invetriate esterne; Decorazione: treccia ramina sotto l'orlo; N. Fr.: 1; Peso in gr: 45; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 125: 5; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 232 Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 195; Classe: maiolica arcaica; Forma: catino; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.1.1.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne, invetriate esterne; Decorazione: filettatura in manganese, banda in ramina; N. Fr.: 1; Peso in gr: 50; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 125: 6 e 7; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 233 (tav. XVI/357) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: catino; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.1.2.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne

invetriate esterne; Decorazione: avvicinabile FRANCOVICH 1982 M.I.5.; N. Fr.: 1; Peso in gr: 19; Cfr.: FRANCOVICH 1982, avvicinabile M.I.5.; forma: B.1.2.; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 234 (tav. XVI/358) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: catino; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.1.2.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne, invetriate esterne; Decorazione: ramina e manganese: barre e campiture; N. Fr.: 51; Peso in gr: 570; Cfr.: FRANCOVICH 1982: forma B.1.2.; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 235 Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: catino; Tipo: avvicinabile FRANCOVICH 1982, B.1.4; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matricen. 1; Trattamento superfici: smaltate interne invetriate esterne; Decorazione: simboli Speciale (scala e croce in bruno); N. Fr.: 94; Peso in gr: 3004; Cfr.: FRANCOVICH 1982, B 1.4.; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 236 Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 195; Classe: maiolica arcaica; Forma: catino; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.1.4.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne; Decorazione: simboli Spedale in bruno manganese; N. Fr.: 5; Peso in gr: 42; Cfr.: FRANCOVICH 1982, B.1.4.; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 237 Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 195; Classe: maiolica arcaica; Forma: catino; Tipo: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne, invetriate esterne; Decorazione: avvicinabile FRANCOVICH 1982, M.1.4.; N. Fr.: 1; Peso in gr: 8; Cfr.: FRANCOVICH 1982, M.1.4.; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 238 (tav. XVI/356) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: catino; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento

superfici: smaltate interne invetriate esterne; Decorazione: treccia ramina in bande manganese; N. Fr.: 1; Peso in gr: 17; Cfr.: FRANCOVICH 1982, figg.112 a; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 239 (tav. XVII/256) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 195; Classe: maiolica arcaica; Forma: ciotolone; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.3.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne, invetriate esterne; Decorazione: simboli Spedale in bruno su bianco; Osservazioni: fori sospensione praticati a crudo; N. Fr.: 3; Peso in gr: 191; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig.126:1; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 240 (tav. XVI/380) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: ciotolone; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.3.1.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne, invetriate esterne; Decorazione: ghirlanda vegetale stilizzata; N. Fr.: 10; Peso in gr: 123; Cfr.: FRANCOVICH 1982, B.3.1.; es. fig. 100,7; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 241 (tav. XVII/381) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: ciotolone; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.3.1.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne, invetriate esterne; Decorazione: ghirlanda vegetale stilizzata; N. Fr.: 17; Peso in gr: 666; Cfr.: FRANCOVICH 1982, B.3.1., fig. 100,7; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 242 Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 195; Classe: maiolica arcaica; Forma: ciotolone; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.3.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne, invetriate esterne; Decorazione: ghirlanda vegetale schematizzata; N. Fr.: 2; Peso in gr: 28; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 126,1; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 243

Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: ciotolone; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.3.1.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne, invetriate esterne; Decorazione: ghirlanda vegetale orlo tipo servizio Speciale; N. Fr.: 1; Peso in gr: 58; Cfr.: FRANCOVICH 1982, B.3.1.; es. fig. 100,7; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 244 Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: ciotolone; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.3.1.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne, invetriate esterne; Decorazione: ghirlanda vegetale orlo tipo servizio Spedale; N. Fr.: 5; Peso in gr: 140; Cfr.: FRANCOVICH 1982, B.3.1.; es. fig. 100,7; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 245 (tav. XVII/363) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: piatto; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.4.2.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne, invetriate esterne; N. Fr.: 4; Peso in gr: 64; Cfr.: FRANCOVICH 1982, B.4.2.; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 246 Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: piatto; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.4.2.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne, invetriate esterne; N. Fr.: 3; Peso in gr: 51; Cfr.: FRANCOVICH 1982, B.4.2.; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 247 (tav. XVII/379) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: piatto; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.4.2.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne, invetriate esterne; Decorazione: ghirlanda vegetale sinistrorsa tipo servizio Spedale; N. Fr.: 14; Peso in gr: 366; Cfr.: FRANCOVICH 1982, B.4.2.; es. fig. 100,7; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 248 (tav. XVII/359)

Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: orciolo; Tipo: FRANCOVICH 1982 A.10.1; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate esterne, invetriate interne; Decorazione: treccia ramina sotto filettatura manganese; N. Fr.: 2; Peso in gr: 16; Cfr.: FRANCOVICH 1982: forma A.10.1; fig. 253,15 (cia S.Marta); Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 249 (tav. XVII/360) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: orciolo; Tipo: FRANCOVICH 1982 A.10.1; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate esterne, invetriate interne; Decorazione: treccia ramina sotto filettatura manganese, differente orciolo di scheda precedente; N. Fr.: 1; Peso in gr: 8; Cfr.: FRANCOVICH 1982: forma A.10.1; fig. 253,15 (da S.Marta); Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 250 (tav. XVII/361) Periodo: VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: orciolo?; Tipo: disegno 361; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate esterne, invetriate interne; Decorazione: non decifrabile, geometrica in manganese; N. Fr.: 1; Peso in gr: 5; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 251 (tav. XVII/362) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: orciolo?; Tipo: disegno 362; Tipo di tornitura: Tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: smaltate esterne, invetriate interne; Decorazione: filettature manganese sotto l'orlo; N. Fr.: 1; Peso in gr: 2; Datazione: seconda metà XV secolo.

Scheda n. 252 (tav. XVII/377) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: orciolo; Tipo: avvicinabile al tipo FRANCOVICH 1982, A.10.1; Tipo di tornitura: Tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate esterne, invetriate interne; Decorazione: servizio Spedale; N. Fr.: 21; Peso in gr: 408; Cfr.: FRANCOVICH 1982, avvicinabile forma A.10.1; Datazione: seconda metà XV secolo.

Scheda n. 253 Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: orciolo ?; Tipo: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate esterne, invetriate interne; Decorazione: non id.; N. Fr.: 4; Peso in gr: 165; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 254 (tav. XVII/376) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: anfora?; Tipo: avvicinabile FRANCOVICH 1982 A.9; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate esterne, invetriate interne; Decorazione: simboli servizio Spedale con nastri e ghirlande azzurro; N. Fr.: 51; Peso in gr: 888; Cfr.: FRANCOVICH 1982, A.9; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 255 (tav. XVII/378) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: boccale; Tipo: avvicinabile al tipo FRANCOVICH 1982, A.4.1; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate esterne, invetriate interne; Decorazione: simboli Spedale (scala e croce) in bruno; N. Fr.: 30; Peso in gr: 403; Cfr.: FRANCOVICH 1982 forma A.4.1; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 256 Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: boccale; Tipo: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate esterne, invetriate interne; Decorazione: simboli Spedale in bruno; N. Fr.: 1; Peso in gr: 3; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 257 Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: boccale; Tipo: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate esterne, invetriate interne; Decorazione: simboli Spedale in bruno; N. Fr.: 2; Peso in gr: 14; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 258

Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: boccale; Tipo: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate esterne, invetriate interne; Decorazione: avvicinabile tipo FRANCOVICH 1982, M.1.3.; N. Fr.: 1; Peso in gr: 10; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 259 Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica; Forma: boccale; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate esterne, invetriate interne; Decorazione: Simboli Spedale in bruno; N. Fr.: 2; Peso in gr: 17; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 260 (tav. XVIII/370) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica bianca; Forma: boccale; Tipo: disegno 370; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne ed esterne; N. Fr.: 2; Peso in gr: 26; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 261 (tav. XVIII/375) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica bianca; Forma: ciotola; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; N. Fr.: 3; Peso in gr: 33; Datazione: seconda metà XV secolo.

Scheda n. 262 (tav. XVIII/369) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica bianca; Forma: ciotola; Tipo: FRANCOVICH 1982 B.9.1/3; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne ed esterne; N. Fr.: 1; Peso in gr: 34; Cfr.: FRANCOVICH 1982, B.9.1/3; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 263 (tav. XVIII/383) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica bianca; Forma: ciotola; Tipo: FRANCOVICH 1982 B.9.2; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate

interne ed esterne; Decorazione: simboli Spedale (scala e croce) in bruno; N. Fr.: 8; Peso in gr: 205; Cfr.: FRANCOVICH 1982,B.9.2.; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 264 (tav. XVIII/367) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica bianca; Forma: piatto; Tipo: FRANCOVICH 1982 B.4.2.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne ed esterne; N. Fr.: 1; Peso in gr: 20; Cfr.: FRANCOVICH 1982,B.4.2.; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 265 (tav. XVIII/368) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica arcaica bianca; Forma: Piatto; Tipo: FRANCOVICH 1982 B.4.2.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne ed esterne; N. Fr.: 1; Peso in gr: 5; Cfr.: FRANCOVICH 1982, B.4.2.; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 266 (tav. XVIII/366; fig. D2) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica rinascimentale; Forma: boccale; Tipo: FRANCOVICH 1982: 238, fs 6; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: reticolo puntinato con stelle; N. Fr.: 32; Peso in gr: 166; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 238 fs 6; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 267 Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica rinascimentale; Forma: boccale; Tipo: FRANCOVICH 1982, 238, fs 6; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: reticolo puntinato con stelle; N. Fr.: 1; Peso in gr: 12; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 238 fs 6; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 268 Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica rinascimentale; Forma: boccale; Tipo: FRANCOVICH 1982, fig.239; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate;

Decorazione: scaletta in blu, ocra e bruno; N. Fr.: 8; Peso in gr: 26; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 239; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 269 Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica rinascimentale; Forma: boccale; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate su ingobbio; Decorazione: ghirlande con foglie definite in blu; N. Fr.: 2; Peso in gr: 2; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 283; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 270 Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica rinascimentale; Forma: Piatto; Tipo: FRANCOVICH 1982, fs 20; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: girali bianco-blu su fondo arancio; N. Fr.: 1; Peso in gr: 7; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fs 20, fig. 241; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 271 (tav. XVIII/372) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica rinascimentale; Forma: ciotola; Tipo cli tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: tipo Santa Fina in arancio e blu; N. Fr.: 1; Peso in gr: 9; Datazione: fine XV secolo. Scheda n. 272 (tav. XVIII/374) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica rinascimentale; Forma: Piatto; Tipo: FRANCOVICH 1982,B.4.2.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: simboli Spedale, cfr., per le decor. accessorie: FRANCOVICH 1982, fig. 276,132; Osservazioni: forma della maiolica arcaica e della graffita policroma; N. Fr.: 17; Peso in gr: 318; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 276,132.; Datazione: seconda metà XV secolo. Scheda n. 273 (tavv. XVIII/371; XXXI/371) Periodo VII, Fase B; Attività: 23; U.S.: 244; Classe: maiolica rinascimentale; Forma: ciotola; Tipo: disegno 371; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; Decorazione:

floreale, in verde azzurro; N. Fr.: 1; Peso in gr: 15; Datazione: fine XV secolo.

PERIODO VII (REPERTI RESIDUI) Scheda n. 274 (tav. XVIII/278) PeriodoVII; Attività: 23; U.S.: 186; Classe: Anfore; Forma: DRESSEL 1?; Tipo: disegno 278; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 14; Trattamento superfici: lisciate; N. Fr.: 1; Peso in gr: 15. Scheda n. 275 (tav. XVIII/279) Periodo VII; Attività: 23; U.S.: 186; Classe: Anfore; Tipo: disegno 279; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 14; Trattamento superfici: lisciate; Cfr.: Ostia IV, fig. 279?; N. Fr.: 1; Peso in gr: 57. Scheda n. 276 Periodo VII; Attività: 23; U.S.: 186; Classe: acroma depurata; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 276; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; N. Fr.: 1; Peso in gr: 38; Cfr.: affine Luni II, gruppo 21 a. Scheda n. 277 (tav. XVIII/277) Periodo VII; Attività: 23; U.S.: 186; Classe: acroma depurata; Forma: pelvis; Tipo: disegno 277; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: presa con foro passante praticato a crudo; N. Fr.: 1; Peso in gr: 103; Cfr.: affine Luni II, gruppo 5. Scheda n. 278 (tav. XVIII/273) Periodo VII; Attività: 23; U.S.: 186; Classe: pareti sottili; Forma: non id.; Tipo: disegno 273; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: prototipo matrice 4; N. Fr.: 1; Peso in gr: 9. Scheda n. 279 Periodo VII; Attività: 23; U.S.: 178; Classe: pareti sottili; Forma: Bicchiere; Tipo: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 5; Trattamento superfici: lisciate ed incise; Decorazione: a rotella, affine tipo

RICCI dec. 5; Osservazioni: prototipo matrice 5; N. Fr.: 1; Peso in gr: 9; Cfr.: Atlante II, p. 316; Datazione: età augustea-II secolo d.C. Scheda n. 280 Periodo VII; Attività: 23; U.S.: 178; Classe: vernice nera; Forma: coppa; Tipo: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Decorazione: impressa ed incisa (palmette, cerchielli e fiori di loto); N. Fr.: 1; Peso in gr: 8; Datazione: prima metà II secolo a.C. Scheda n. 281 (tav. VIII/275) Periodo VII; Attività: 23; U.S: 186; Classe: vernice rossa interna; Forma: tegame; Tipo: disegno 275; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Decorazione: ingobbio interno; N. Fr.: 1; Peso in gr: 15; Datazione: I sec. a.C.-I sec.d.C.? Scheda n. 282 (tav. VIII/274) Periodo VII; Attività: 23; U.S.: 186; Classe: vernice rossa non id.; Forma: forma aperta; Tipo: disegno 274; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n.5; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: prototipo matrice 5; N. Fr.: 1; Peso in gr: 3. PERIODO VIII Reperti datanti Scheda n. 283 (tav. XIX/117) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: ingobbiata dipinta; Forma: piatto; Tipo: disegno 117; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate, irregolarmente all'esterno; Decorazione: stella verde al centro; N.fr.: 3; Peso in gr: 105; Datazione: XVIII secolo. Scheda n. 284 (tav. XIX/48) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 48; U.S.: 115; Classe: maiolica bianca; Forma: ciotolina; Tipo: disegno 48; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: smalto bianco molto coprente; Osservazioni: manca ingobbio per spessore elevato

smalto; N. fr.: 1; Peso in gr: 6; Cfr.: MILANESE 1985, pp. 32-33, nn. 11-13; Datazione: XVII-XVIII secolo. Scheda n. 285 Periodo: VIII, Fase B; Attività: 48; U.S.: 115; Classe: maiolica bianco-blu; Forma: forma aperta; Tipo: disegno 49; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smalto su velo d'ingobbio; Decorazione: bande blu sotto orlo, punti blu; N. fr.: 1; Peso in gr: 1; Datazione: XVII-XVIII secolo. Scheda n. 286 Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 316; Classe: maiolica bianco-blu; Forma: boccale; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate su ingobbio; Decorazione: fioraccio in blu diluito; N. fr.: 1; Peso in gr: 1; Datazione: XVIII secolo. Scheda n. 287 (tav. XIX/142) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 158; Classe: maiolica policroma; Forma: boccale; Tipo: disegno 142; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: tratti giallo, arancio, verde, bruno; Osservazioni: ansa a doppio bastoncello, applicazioni plastiche; N. fr.: 1; Peso in gr: 24; Datazione: tardo XVII? -XVIII secolo. Reperti residui d'età postclassica Scheda n. 288 (tav. XIX/223) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 165; Classe: acroma depurata; Forma: coperchio; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 7; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 5; Peso in gr: 31. Scheda n. 289 (tav. XIX/128) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: acroma depurata; Forma: coperchio?; Tipo: disegno 128; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 29. Scheda n. 290 (tav. XIX/129)

Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: acroma depurata; Forma: forma aperta; Tipo: disegno 129; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 9. Scheda n. 291 (tav. XIX/150) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 162; Classe: acroma depurata; Forma: pitale?; Tipo: disegno 150; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; Decorazione: linea ondulata; N. fr.: 1; Peso in gr: 19. Scheda n. 292 (tav. XIX/152) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 162; Classe: acroma depurata; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 152; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 6; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 4. Scheda n. 293 (tav. XIX/136) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 183: Classe: acroma depurata; Forma: boccale; Tipo: disegno 136; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 7; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 11. Scheda n. 294 (tav. XIX/119) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 119; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 1; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 4; Datazione: XIV-XV secolo. Scheda n. 295 (tav. XIX/120) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: schede nn. 180-183; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 9; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 28. Scheda n. 296 (tav. XIX/146) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 162; Classe: acroma grezza; Forma: tegame; Tipo: affine in FRANCOVICH 1982 nb 10; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 23; Cfr.: FRANCOVICH 1982, tipo nbl0; Datazione: XV secolo.

Scheda n. 297 (tav. XIX/147) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 162; Classe: acroma grezza; Forma: non id.; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: l;Peso in gr:2. Scheda n. 298 (tav. XIX/163) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 36; U.S.: 136; Classe: acroma grezza; Forma: Testo; Tipo: affine FRANCOVICH 1982 nc 49; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 2; Peso in gr: 162; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 209: nc 49; Datazione: XV secolo. Scheda n. 299 (tavv. XIX/143; XXXI/143) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 162; Classe: ispano-moresca; Forma: forma aperta; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Decorazione: lustro e blu; N. fr.: 2; Peso in gr: 87; Datazione: XV secolo. Scheda n. 300 (tav. XIX/144) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 162; Classe: invetriata; Forma: pentola; Tipo: disegno 144; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate internamente; N. fr.: 1; Peso in gr: 14. Scheda n. 301 (tav. XIX/280) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 357; Classe: invetriata; Forma: forma chiusa; Tipo: FRANCOVICH 1982, p. 321, n. 175; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: vetrina marrone manganese scura, matrice 2 della terraglia nera; N. fr.: 1; Peso in gr: 2; Cfr.: FRANCOVICH 1982, P. 321, nn. 174 e 175; Datazione: XVI secolo. Scheda n. 302 (tav. XX/145) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 162; Classe: invetriata; Forma: Bicchiere; Tipo: disegno 145; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: invetriate; N. fr.: l;Peso in gr: 16. Scheda n. 303 (tav. XX/162) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 36; U.S.: 136; Classe: italo moresca; Forma: piatto; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n.2; Trattamento

superfici: smaltate; Decorazione: cerchi puntinati, fiori blu; N. fr.: 1; Peso in gr: 68; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 272,111; Datazione: XV secolo. Scheda n. 304 (tav. XX/134) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 183: Classe: maiolica arcaica; Forma: scodellone; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.4.1; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; trattamento superfici: smaltate interne; invetriate esterne; N. fr.: 3; Peso in gr: 76; Cfr.: FRANCOVICH 1982, p. 134; Datazione: XV secolo. Scheda n. 305 (tav. XX/201) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.:175; Classe: maiolica arcaica; Forma: ciotola; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.1.3.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate interne; invetriate esterne; Decorazione: filetto bruno sotto l'orlo; Osservazioni: smalto ritirato; scarto?; N. fr.: 1; Peso in gr: 24; Cfr.: FRANCOVICH 1982, p. 132; Datazione: XV secolo. Scheda n. 306 (tav. XX/219) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 165; Classe: maiolica arcaica; Forma: catino; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.3.1; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate internamente; invetriate esterne; Decorazione: ghirlanda stilizzata a lisca di pesce; N. fr.: 1; Peso in gr: 41; Cfr.: Periodo VII. Scheda n. 307 (tav. XX/132) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 183: Classe: maiolica bianca; Forma: boccale; Tipo: disegno 132; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; N.fr.: 3; Peso in gr: 20; Datazione: XVI-XVII secolo. Scheda n. 308 (tav. XX/133) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 183: Classe: maiolica bianca; Forma: non id.; Tipo: disegno 133; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; N. fr.: 1; Peso in gr: 32; Datazione: XVI-XVII? secolo. Scheda n. 309 (tav. XX/285)

Periodo: VIII, Fase B; Attività: 48; U.S.: 323; Classe: maiolica bianca; Forma: piatto; Tipo: disegno 285; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; N. fr.: 1; Peso in gr: 22; Cfr.: solo avv. FRANCOVICH 1982, fl 3; Datazione: XVI-XVII secolo. Scheda n. 310 Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 149; Classe: maiolica compendiaria; Forma: piatto; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: ghirlanda floreale in arancio e blu; N. fr.: 2; Peso in gr: 5; Datazione: XVI-XVII secolo. Scheda n. 311 Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 161; Classe: maiolica compendiaria; Forma: piatto; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: ghirlanda floreale stilizzata in arancio e blu; N. fr.: 1; Peso in gr: 9; Datazione: XV-XVII secolo. Scheda n. 312 Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 162; Classe: maiolica policroma rinascimentale; Forma: boccale; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: reticolo puntinato; N. fr.: 3; Peso in gr: 10; Datazione: tardo XV-XVI secolo. Scheda n. 313 Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 162; Classe: maiolica policroma rinascimentale; Forma: boccale; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: ovale in arancio e blu con trigramma bernardiniano; N. fr.: 1; Peso in gr: 7; Datazione: tarcio XV-XVI secolo. Scheda n. 314 (tav. XX/156) Periodo: VIII, Fase C; Attività: 85; U.S.: 331; Classe: maiolica policroma; Forma: boccale; Tipo: disegno 156; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate su ingobbio bianco; Decorazione: pennellate corsive blu, arancio, nero; N. fr.: 1; Peso in gr: 233; Datazione: XVII secolo. Scheda n. 315 (tav. XX/157)

Periodo: VIII, Fase C; Attività: 85; U.S.: 331; Classe: maiolica policroma; Forma: piatto; Tipo: disegno 157; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate su ingobbio; Decorazione: non interpretabile, in blu e arancio; N. fr.: 1; Peso in gr: 35; Datazione: XVII ? secolo. Scheda n. 316 (tav. XX/149) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 162; scarto di fornace; Forma: piatto?; Tipo: disegno 149; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: ingobbiate; N. fr.: 1; Peso in gr: 3; Datazione: XVI-XVII secolo. Scheda n. 317 (tav. XX/154) Periodo: VIII, Fase C; Attività: 85; U.S.: 331; Classe: scarto di fornace; Forma: ciotola; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.7.1.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: gocce smalto bianco su biscotto: scarto di maiolica arcaica?; N.fr.: 3; Peso in gr: 18; Cfr.: FRANCOVICH 1982, forma B.7.1. della maiolica arcaica. Scheda n. 318 (tav. XX/155) Periodo: VIII, Fase C; Attività: 85; U.S.: 331; Classe: scarto di fornace; Forma: ciotola; Tipo: affine FRANCOVICH 1982, B.9.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: scarto di maiolica arcaica?; N. fr.: 1; Peso in gr: 122; Cfr.: FRANCOVICH 1982, affine forma B.9 della maiolica arcaica. Reperti residui d’età tardo-antica ed altomedievale Scheda n. 319 (tav. XX/126) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: acrome depurate a colature rosse; Forma: boccale; Tipo: disegno 126; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: lisciate e dipinte; Osservazioni: vernice bruno-rossastra prototipo matrice 1; N. fr.: 1; Peso in gr: 67; Cfr.: Periodo III. Scheda n. 320 (tav. XX/127) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: acrome depurate a colature rosse; Forma: boccale; Tipo: disegno 127; Tipo di tornitura:

tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate e dipinte chiazze brune; Osservazioni: prototipo matrice 3; N.fr.: 1; Peso in gr: 26; Cfr.: Periodo III. Scheda n. 321 (tav. XX/95) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 172; Classe: imitazione sigillata chiara; Forma: coppa; Tipo: HAYES 63?; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate rosso; N. fr.: 1; Peso in gr: 25; Cfr.: Pistoia II **, n. 967, pp . 191 e 182; Atlante I pp . 85 -86 e tav. XXXVI,5; Datazione: 390-490 d. C . Scheda n. 322 (tav. XX/197) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.:175; Classe: imitazione sigillata chiara; Forma: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 3; Datazione: V-VII secolo d.C. Reperti residui d'età classica Scheda n. 323 (tav. XXI/215) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.:175; Classe: acroma depurata; Forma: forma chiusa; Tipo: affine Luni II gruppo 21 a; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 52; Cfr.: Luni II, gruppo 21a, p. 613; Datazione: dal I secolo d.C. Scheda n. 324 (tav. XXI/225) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 203; Classe: acroma depurata; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 225; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 6; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 70. Scheda n. 325 Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 220; Classe: acroma depurata; Forma: Olpe?; Tipo: Luni II, gruppo 17; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 7; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: l'inserimento nel gruppo 17 è motivato anche dall'identità delle matrici; N. fr.: 1; Peso in gr: 1; Cfr.: Luni II, pp. 610-611, gruppo 17.; Datazione: II-V secolo d.C. Scheda n. 326 (tav. XXI/214)

Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.:175; Classe: acroma depurata; Forma: pelvis; Tipo: Luni II, gruppo 8d; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 7; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 95; Cfr.: Luni II, ceramica comune gruppo 8d, tav. 263,4. Scheda n. 327 (tav. XXI/234) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 179; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 234; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 4; Peso in gr: 55. Scheda n. 328 (tav. XXI/213) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.:175; Classe: acroma grezza; Forma: olla?; Tipo: disegno 213; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 15; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: prototipo matrice 15; N. fr.: 1; Peso in gr: 15. Scheda n. 329 (tav. XXI/220) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 165; Classe: acroma grigia; Forma: ciotola; Tipo: disegno 220; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: prototipo matrice 1; N. fr.: 1; Peso in gr: 26. Scheda n. 330 (tav. XXI/124) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: anfore; Forma: etrusca; Tipo: PY 3 A?; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: ingobbiate; N. fr.. 1; Peso in gr: 234; Datazione: V-IV sec. a.C. Scheda n. 331 (tav. XXI/97) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 172; Classe: anfore; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: ansa pseudobifida; N. fr.: 1; Peso in gr: 343. Scheda n. 332 (tav. XXI/98) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 172; Classe: anfore; Forma: DRESSEL 1; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 30; Datazione: I secolo a.C.

Scheda n. 333 (tav. XXI/222) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 165; Classe: anfore; Forma: DRESSEL 1; Tipo: disegno 222; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 14; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 168; Datazione: I secolo a.C. Scheda n. 334 (tav. XXI/125) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: anfore; Forma: DRESSEL 1; Tipo: disegno 125; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 16; Trattamento superfici: ingobbiate; N. fr. 2; Peso in gr: 73. Scheda n. 335 (tav. XXI/121) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: anfore; Forma: DRESSEL 7/13; Tipo: disegno 121; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 8; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: fascia applicata sotto l'orlo; N. fr.: 1; Peso in gr: 130; Cfr.: Pistoia II **, p. 236 ss; pp. 260-261 (nn. 1406-14401; p. 751, n. 4362; Datazione: prima metà I secolo d.C. Scheda n. 336 (tav. XXII/122) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: anfore; Forma: affine DRESSEL 28; Tipo: disegno 122; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 9; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 45; Cfr.: Pistoia II ** p. 252, n. 1606 e p. 264. Scheda n. 337 (tav. XXII/123) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: anfore; Forma: affine DRESSEL 28; Tipo: disegno 123; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 9; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 112. Scheda n. 338 (tav. XXII/135) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 183; Classe: anfore; Forma: affine DRESSEL 28; Tipo: disegno 135; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 19; N. fr.: 1; Peso in gr: 62. Scheda n. 339 (tav. XXII/212)

Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.:175; Classe: lucerne; Forma: alette laterali; Tipo di foggiatura: a stampo; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate nere; Osservazioni: prototipo matrice 3; N. fr.: 1; Peso in gr: 3; Cfr.: Luni II, p. 297, tav. 160,17 e tav. 163,7.; Datazione: I secolo a.C. Scheda n. 340 (tav. XXII/245) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 220; Classe: lucerne; Forma: a volute?; Tipo di foggiatura: a stampo; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate rosse (esterne); Decorazione: nel disco, petali concentrici; N. fr.: 1; Peso in gr: 3; Cfr.: Pistoia II **,es. p. 274: n. 1671 e pp. 68-69; Datazione: età augustea-età claudia. Scheda n. 341 (tav. XXII/203) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.:175; Classe: pareti sottili; Forma: bicchiere; Tipo: avv. RICCI decorazione 71; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n.2; Trattamento superfici: lisciate (esterne); N. fr.: 1;; Peso in gr: 2; Cfr.: Atlante II, p. 328; Datazione: età tardo-repubblicana. Scheda n. 342 (tav. XXII/230) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 179; Classe: pareti sottili; Forma: bicchiere; Tipo: avv. RICCI 1/1; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 11; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: prototipo matrice 11; N. fr.: 1; Peso in gr: 1; Cfr.: Atlante II pp. 243-44 e tav. LXXVIII:1; Datazione: sino al 50 a.C. circa. Scheda n. 343 Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 179; Classe: pareti sottili; Forma: bicchiere; Tipo: RICCI decorazione 2; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n.3; Trattamento superfici: lisciate con decorazione a barbottina; N. fr.: 1; Peso in gr: 1; Cfr.: Atlante II, p. 328 e tav. CVII: 2; Datazione: I sec.a.C.- età augustea.

Scheda n. 344 (tav. XXII/ll8) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: pareti sottili; Forma: bicchiere; Tipo: affine Atlante II, I/43; Tipo di tornitura: tornio

veloce; Matrice n. 8; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 7; Cfr.: Atlante II, affine al tipo I/43 (Mayet IV), p. 253; Datazione: età augustea. Scheda n. 345 (tav. XXII/100) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: pareti sottili; Forma: coppa; Tipo: MARABINI XXXVI?; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: sabbiate; Decorazione: sabbiata,vernice nera a riflessi metallici; Osservazioni: prototipo matrice 3; N. fr.: 1; Peso in gr: 2; Cfr.: Pistoia II *, p. 12, scheda 28; Datazione: età augusteo-tiberiana. Scheda n. 346 (tav. XXII/204) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.:175; Classe: pareti sottili; Forma: coppa; Tipo: avv.RICCI 2/345; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 6; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: prototipo matrice 6; N. fr.: 1; Peso in gr: 2; Cfr.: Atlante II, tipo 2/345, p. 290 = MARABINI XXXVI; Datazione: età tiberio-claudia. Scheda n. 347 (tav. XXII/99) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: pareti sottili; Forma: coppa; Tipo: Marabini XXXVI; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: applicazioni argillose superficie esterna;sabbiate interne; Decorazione: ragnatela argillosa con lieve sabbiatura; Osservazioni: prototipo matrice 2; N.fr.: 2; Peso in gr: 5; Cfr.: Pistoia II*, p. 9; 129-130; 136-137; Datazione: 30-50 d.C. (Cosa);30-80 d.C. (Luni). Scheda n. 348 (tav. XXII/208) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.:175; Classe: pareti sottili; Forma: forma chiusa; Tipo: avv. RICCI I/183; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 10; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: prototipo matrice 10; N. fr.: 1; Peso in gr: 5; Cfr.: Atlante II, tav. LXXXVI,4 e p. 270; Datazione: 50-250? d.C. Scheda n. 349 (tav. XXII/101)

Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: pareti sottili; Forma: forma chiusa; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 5. Scheda n. 350 (tav. XXII/205) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.:175; Classe: pareti sottili; Forma: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; N. fr.: 1; Peso in gr: 3. Scheda n. 351 (tav. XXII/202) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 175; Classe: pareti sottili; Forma: bicchiere; Tipo: avv. RICCI I,350; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: lisciate (esterne); N. fr.: 1; Peso in gr: 1; Cfr.: Atlante II, p. 259, tipo I/350. Scheda n. 352 (tav. XXII/216) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 175; Classe: pareti sottili; Forma: non id.; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 2. Scheda n. 353 (tav. XXII/204) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 179; Classe: pareti sottili; Forma: bicchiere; Tipo: avv. RICCI decorazione 17; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 6; Trattamento superfici: lisciate con decorazione a barbottina; N. fr.: 1; Peso in gr: 2; Cfr.: Atlante II, p. 326 e tav. CVI: 12. Scheda n. 354 (tav. XXII/206) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 175; Classe: pareti sottili; Forma: bicchiere; Tipo: disegno 206; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 7; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 22. Scheda n. 355 (tav. XXII/217) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 165; Classe: pareti sottili; Forma: bicchiere; Tipo: affine Atlante II, I/43; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 8; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 10.

Scheda n. 356 (tav. XXII/207) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 175; Classe: pareti sottili; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 207; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 9; Trattamento superfici: sabbiate; Osservazioni: prototipo matrice 9 (sabbiata); N. fr.: 5; Peso in gr: 15. Scheda n. 357 (tav. XXII/148) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 162; Classe: sigillata italica; Forma: piatto; Tipo: PUCCI III; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: forma della vernice nera; N. fr.: 1; Peso in gr: 3; Cfr.: Atlante II, p. 380; Datazione: età cesariana. Scheda n. 358 (tav. XXII/200) Periocio: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 175; Classe: sigillata italica; Forma: piatto; Tipo: PUCCI VII?; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 73; Cfr.: Atlante II, p. 382; Datazione: circa 40 a.C.-20 a.C. Scheda n. 359 (tav. XXII/114) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: sigillata italica; Forma: coppa; Tipo: PUCCI XX-XXI; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: rotellatura semplice interna,multipla esterna; N. fr.: 1; Peso in gr: 9; Cfr.: Atlante II, pp. 388-90; Datazione: età augustea. Scheda n. 360 (tav. XXII/198) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 175; Classe: sigillata italica; Forma: piatto; Tipo: PUCCI VIII,1; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 3; Cfr.: Atlante II, p. 382, tav. CXVII,1; Datazione: dal 15 a.C. Scheda n. 361 (tav. XXII/199) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 175; Classe: sigillata italica; Forma: piatto; Tipo: PUCCI VIII,2; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 8; Cfr.: Atlante II, p. 382, tav. CXVIII,1; Datazione: dal 15 a.C.

Scheda n. 362 (tav. XXII/111) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: sigillata italica; Forma: coppa; Tipo: PUCCI XXXI; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 2; Atlante II, p. 394; Datazione: 20 a.C.-50 d.C. circa. Scheda n. 363 (tav. XXII/112) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: sigillata italica; Forma: patera; Tipo: PUCCI VI,9; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 5; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: prototipo matrice 5; N. fr.: 2; Peso in gr: 14; Cfr.: Atlante II p. 381; Datazione: fino al 20-25 d.C. Scheda n. 364 (tav. XXII/109) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: sigillata italica; Forma: coppa; Tipo: PUCCI XXXVII; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: applicazione sotto l'orlo; N. fr.: 1; Peso in gr: 3; Atlante II, pp. 396-7; Datazione: 10-20/90 d.C. Scheda n. 365 (tav. XXII/151) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 162; Classe: sigillata italica; Forma: coppa; Tipo: PUCCI XXXVII,3; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: = GOUDINEAU 38; N. fr.: 1; Peso in gr: 3; Cfr.: Atlante II, p. 396; Datazione: I secolo d.C. Scheda n. 366 (tav. XXII/110) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: sigillata italica; Forma: coppa; Tipo: PUCCI XV; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 4; Cfr.: Atlante II, p. 387. Scheda n. 367 (tav. XXII/116) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: sigillata italica; Forma: coppa; Tipo: GOUDINEAU 37?; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: foglie

concatenate e dentellate su carena; N. fr.: 1; Peso in gr: 4; Cfr.: Pistoia II **, p. 711: 3961-62. Scheda n. 368 Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 175; Classe: sigillata italica; Forma: non id.; Tipo di tornitura: entro matrice; Matrice n. 6; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: allineamento di cerchielli e testa di personaggio; N. fr.: 1; Peso in gr: 2; Cfr.:OXÉ 1968, 31, 105, 310, 317. Scheda n. 369 (tav. XXIII/113) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: sigillata italica; Forma: patera; Tipo: PUCCI VI,13; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 2; Peso in gr: 18; Cfr.: Atlante II, p. 381. Scheda n. 370 (tav. XXII/115) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: sigillata italica; Forma: coppa; Tipo: PUCCI XX?; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 8; Cfr.: Atlante II, pp. 388-9. Scheda n. 371 (tav. XXIII/141) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 183: Classe: sigillata italica?; Forma: coppa; Tipo: disegno 141; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 92. Scheda n. 372 (tav. XXIII/227) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 179; Classe: sigillata non id.; Forma: piatto; Tipo: disegno 227; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: prototipo matrice 1; N. fr.: 1; Peso in gr: 9; Cfr.: Atlante II, p. 50; Datazione: I secolo d.C. Scheda n. 373 (tav. XXIII/229) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 179; Classe: sigillata non id.; Forma: forma aperta; Tipo: disegno 229; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 4; Cfr.: Atlante II, p.49 ss; Datazione: I secolo d.C.

Scheda n. 374 (tav. XXIII/224) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 154; Classe: sigillata non id.; Forma: ciotola; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 2. Scheda n. 375 (tav. XXIII/228) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 179; Classe: sigillata non id.; Forma: forma aperta; Tipo: disegno 228; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: annerimento esterno; prototipo matrice 1; N. fr.: l; Peso in gr:39. Scheda n. 376 (tav. XXIII/221) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 165; Classe: terracotta architettonica; Forma: volto umano; Tipo: disegno 221; Tipo di foggiatura: manuale (modellato); Matrice n. 1 ingobbiate; Decorazione: volto umano fr. (occhio e guancia); Osservazioni: prototipo matrice 1; N. fr.: 1; Peso in gr: 27. Scheda n. 377 (tav. XXIII/195) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 179; Classe: vernice nera; Forma: coppa; Tipo: M 2245?; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 6; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: forma recente della vernice nera; N. fr.: 1; Peso in gr: 14; Datazione: I secolo a.C. Scheda n. 378 Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: vernice nera; Forma: coppa; Tipo: disegno 104; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 5. Scheda n. 379 Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 183: Classe: vernice nera; Forma: coppa; Tipo: disegno 137; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 4; Datazione: II-I secolo a.C. Scheda n. 380 (tav. XXIII/106)

Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: vernice nera; Forma: coppa; Tipo: disegno 106; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 2; Peso in gr: 9. Scheda n. 38 1 (taV. XXIII/107) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: vernice nera coppa; Tipo: disegno 107-108, Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: vernice nera lucida e brillante, setosa; N. fr.: 5; Peso in gr: 47. Scheda n. 382 Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.:325: Classe: vernice nera; Forma: piatto; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: bollo quadrangolare con motivo romboidale; N. fr.: 1; Peso in gr: 50; Cfr.: Luni II, tav. 63: 13 e pp. 88-89; Datazione: I secolo a.C. Scheda n. 383 (tav. XXIII/ 139) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 183: Classe: vernice nera; Forma: piattello; Tipo: disegno 139; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 19; Datazione: II-I secolo a.C. Scheda n. 384 (tav. XXIII/140) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 183: Classe: vernice nera; Forma: forma aperta; Tipo: disegno 140; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 16; Datazione: II-I secolo a.C. Scheda n. 385 (tav. XXIII/231) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 179; Classe: vernice nera; Forma: piatto?; Tipo: disegno 231; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: produzione locale? vernice sottile vinaccia; N. fr.: 1; Peso in gr: 34; Datazione: I secolo a.C.? Scheda n. 386 (tav. XXIII/232)

Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 179; Classe: vernice nera; Forma: piatto?; Tipo: disegno 232; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: produzione locale? vernice sottile vinaccia; N. fr.: 1; Peso in gr: 8; Datazione: I secolo a.C.? Scheda n. 387 (tav. XXIII/96) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 172; Classe: vernice nera; Forma: oinochoe; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate nero; N. fr.: 1; Peso in gr: 7; Datazione: II-I sec.a.C. Scheda n. 388 (tav. XXIII/211) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 175; Classe: vernice nera; Forma: urnetta; Tipo: LAMBOGLIA 10; MOREL 3451 a3; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate (esterne); Osservazioni: impronte digitali di modellazione dell'apice dell'ansa; N. fr.: 1; Peso in gr: 4; Cfr.: AA.VV. 1979, p. 63, n. 79; MOREL 1981, 3451 (a3?) e p. 262; Datazione: vedi Periodo I. Scheda n. 389 (tav. XXIII/233) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 179; Classe: vernice nera; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 233; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; Osservazioni: produzione locale? vernice sottile vinaccia; N. fr.: 1; Peso in gr: 26; Datazione: I secolo a.C.? Scheda n. 390 (tav. XXIII/138) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 183: Classe: vernice nera; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 138; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 5; Datazione: II-I secolo a.C. Scheda n. 391 (tav. XXIII/105) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 30; U.S.: 185; Classe: vernice nera; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 105; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 5; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 15.

Scheda n. 392 (tav. XXIII/209) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 175; Classe: scarto di fornace? (vernice nera?); Forma: calice; Tipo: LAMBOGLIA 4; MOREL 2784 g1; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: fine patina argillosa: scarto o seconda scelta di vernice nera o imitazione acroma; N. fr.: 1; Peso in gr: 79; Cfr.: AA.VV. 1979, p. 49, n. 51; p. 38,nl8 e p. 37; MOREL 1981, 2784 gl; Datazione: 200-150 a.C. circa. Scheda n. 393 (tav. XXIII/210) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 175; Classe: scarto di fornace? (vernice nera?); Forma: forma chiusa; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: scarto o seconda scelta di vernice nera o imitazione acroma; N. fr.: 1; Peso in gr: 34; Datazione: 200-150 a.C. circa. Scheda n. 394 (tav. XXIII/218) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 33; U.S.: 165; Classe: vernice rossa interna; Forma: tegame; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: verniciate internamente; N. fr.: 1; Peso in gr: 10. Scheda n. 395 (tav. XXIII/196) Periodo: VIII, Fase B; Attività: 78; U.S.: 175; Classe: vernice rossa non id.; Forma: tegame; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate interne ed esterne (parte superiore); Osservazioni: vernice rossa "povera", abrasa; N. fr.: 1; Peso in gr: 101; Cfr.: Luni II, tav.118:7, p. 175; Atlante, pp. 83-84; Datazione: metà IV-V secolo d.C. PERIODO IX Fase A Scheda n. 396 (tav. XXIV/295) Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: dipinta ingobbio sotto vetrina; Forma: tegame; Tipo: affine FRANCOVICH-GELICHI 1980, n. 139; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice: 1; Trattamento superfici: invetriate interne, colature esterne; Decorazione: ingobbio giallo sotto

vetrina trasparente; Cfr.: BERTI-TONGIORGI 1976, fig. 2; Datazione: XVIII secolo. Scheda n. 397 Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: dipinta ingobbio sotto vetrina; Forma: pentola; Tipo: disegno 296; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice: 1; Trattamento superfici: invetriate; Decorazione: ingobbio giallo sotto vetrina; N. fr.: 3; Peso in gr: 35; Cfr.: affine FRANCOVICH-GELICHI 1980, p. 148: n. 147; Datazione: XVIII secolo. Scheda n. 398 (tav. XXIV/297) Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: dipinta ingobbio sotto vetrina; Forma: coperchio; Tipo: disegno 297; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice: 1; Trattamento superfici: invetriate interne ed esterne; N. fr.: 1; Peso in gr: 12; Datazione: XVIII secolo. Scheda n. 399 (tav. XXIV/298) Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: dipinta ingobbio sotto vetrina; Forma: appoggio per pentola?; Tipo: disegno 298; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice: 1; Trattamento superfici: invetriate interne ed esterne; Osservazioni: appoggio per pentola?; N. fr.: 1; Peso in gr: 28; Datazione: XVIII secolo. Scheda n. 400 (tav. XXIV/62) Periodo: IX; Attivita: 38; U.S.: 108; Classe: dipinta ingobbio sotto vetrina; Forma: pentola; Tipo: disegno 62; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice: 1; Trattamento superfici: invetriate interne, colature esterne; Decorazione: dipinta ingobbio sotto vetrina; N. fr.: 1; Peso in gr: 10; Cfr.: FRANcovicH-GELICHI 1980, scheda 146; Datazione: XVIII secolo. Scheda n. 401 Periodo: IX; Attività: 38; U.S.: 108; Classe: dipinta ingobbio sotto vetrina; Forma: tegame; Tipo: disegno 61; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate interne, colature esterne; Decorazione: dipinta ingobbio sotto vetrina; N. fr.: 1; Peso in gr: 24; Datazione: XVIII secolo. Scheda n. 402 (tav. XXIV/293)

Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: maculata; Forma: braciere?; Tipo: disegno 293; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: ingobbiate ed invetriate esterne, nude interne; Decorazione: maculazione in vercie su ingobbio bianco sotto invetriatura gialla; Osservazioni: matrice 1 dipinte sotto vetrina; N. fr.: 1; Peso in gr: 72; Datazione: XVIII secolo. Scheda n. 403 (tav. XXIV/294) Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: maculata; Forma: catino?; Tipo: disegno 294; Tipo cli tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: ingobbiate ed invetriate interne, invetriate esterne; Decorazione: maculazione in verde su ingobbio bianco sotto vetrina gialla; Osservazioni: matrice 1 dipinte sotto vetrina; N. fr.: 1; Peso in gr: 32; Datazione: XVIII secolo. Scheda n. 404 (tav. XXIV/82) Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: maculata; Forma: conca; Tipo: disegno 82; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: invetriate; Decorazione: maculazione verde e bianca; N. fr.: 9; Peso in gr: 1480. Scheda n. 405 Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: maiolica bianca; Forma: piatto; Tipo: disegno 83; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: Smaltate su ingobbio; N. fr.: 1; Peso in gr: 23; Datazione: XVIII secolo. Scheda n. 406 (tav. XXV/84) Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: maiolica bianca; Forma: piatto; Tipo: disegno 84; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate su ingobbio; N. fr.: 1; Peso in gr: 18; Datazione: XVIII secolo. Scheda n. 407 (tav. XXV/85) Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: maiolica bianca; Forma: piatto; Tipo: disegno 85; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate su ingobbio; N. fr.: 2; Peso in gr: 54; Datazione: XVIII secolo.

Scheda n. 408 (tav. XXV/86) Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: maiolica bianca; Forma: piatto baccellato; Tipo di foggiatura: a stampo; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; Osservazioni: attaccato con U.S. 126, record 1905, disegno 302; N. fr.: 1; Peso in gr: 12; Cfr.: MILANESE 1985, p. 32, fig. 14,10; Datazione: XVIII secolo. Scheda n. 409 Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: maiolica bianca; Forma: piatto?; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate su ingobbio interno, colato esternamente; N. fr.: 1; Peso in gr: 8; Datazione: XVIII secolo. Scheda n. 410 (tav. XXV/87) Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: maiolica bianco-blu; Forma: catino; Tipo: disegno 87; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate su ingobbio; Decorazione: bande e punti penduli blu; N. fr.: 4; Peso in gr: 37; Datazione: tardo? XVIII secolo. Scheda n. 411 (tav. XXV/301) Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: maiolica bianco-bruno-blu; Forma: scodellone; Tipo: disegno 301; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate esterne ed interne; Decorazione: mazzetto fiorito centrale in bruno con punti blu; N. fr.: 9; Peso in gr: 217; Datazione: tardo XVIII secolo. Scheda n. 412 (tav. XXV/300) Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: maiolica ligure bianco-blu; Forma: piatto baccellato; Tipo: disegno 300; Tipo di foggiatura: a stampo; Matrice n. 2; Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: cd.fior di patata, con elementi vegetali penduli; N. fr.: 11; Peso in gr: 179; Datazione: tardo XVIII secolo. Scheda n. 413 (tav. XXV/299) Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: pipa ingobbiata sotto vetrina; Forma: pipa priva di cannello; Tipo: disegno 299; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate esterne; nude interne; Decorazione:

schizzi ingobbio bianco sotto vetrina verde; N. fr.: 1; Peso in gr: 17; Datazione: tardo XVIII (dal contesto). Scheda n. 414 (tav. XXV/88) Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: porcellana; Forma: forma aperta; Tipo: disegno 88; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate; N. fr.: 2; Peso in gr: 39; Datazione: tardo XVIII-XIX secolo. Scheda n. 415 (tav. XXV/80) Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: terraglia bianca; Forma: piatto; Tipo: disegno 80; Tipo di foggiatura: a stampo; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate; N. fr.: 1; Peso in gr: 5; Datazione: fine XVIII-XIX secolo. Scheda n. 416 (tav. XXV/81) Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: terraglia bianca; Forma: piatto?; Tipo: disegno 81; Tipo di foggiatura: a stampo; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate; Decorazione: rombi incatenati sotto l'orlo; N. fr.: 1; Peso in gr: 3; Datazione: fine XVIII-XIX secolo. Scheda n. 417 (tav. XXV/78) Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: terraglia nera; Forma: scaldino; Tipo: disegno 78; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: invetriate esternamente, interne acrome; N. fr.: 2; Peso in gr: 11. Scheda n. 418 (tav. XXV/79) Periodo: IX; Attività: 37; U.S.: 126; Classe: terraglia nera; Forma: coperchio di scaldino; Tipo: disegno 79; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: invetriate esternamente, colature interne; N. fr.: 1; Peso in gr: 14. PERIODO IX Fase B

Reperti in fase Scheda n. 419 (tav. XXVI/9) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: acroma depurata; Forma: vaso da fiori; Tipo: disegno 9; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: finitura argilla depurata; Decorazione: impressa a ditate; N. fr.: 1; Peso in gr: 40; Cfr.: Crypta Balbi 3, tav. LXXVIII,21; Datazione: XVII-XIX secolo. Scheda n. 420 (tav. XXVI/160) Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 301; Classe: acroma depurata; Forma: catino; Tipo: disegno 160; Tipo cli tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 101. Scheda n. 421 (tav. XXVI/11) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: acroma depurata; Forma: tubo; Tipo: disegno 11; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: Lisciate; N. fr.: 2; Peso in gr: 100; Cfr.: MILANESE 1985, fig. 97: n. 199; Datazione: XIX secolo. Scheda n. 422 (tav. XXVI/12) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: acroma depurata; Forma: tubo; Tipo: disegno 12; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 24. Scheda n. 423 (tav. XXVI/13) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: acroma depurata; Forma: tubo; Tipo: disegno 13; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; Decorazione: tratti incisi non id.; N. fr.: 1; Peso in gr: 110; Cfr.: scheda n. 421. Scheda n. 424 (tav. XXVI/22) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: dipinta ingobbio sotto vetrina; Forma: tegame; Tipo: disegno 22; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: Vetrina interna ed esterna; Decorazione: pennellate cli ingobbio giallo; N. fr.: 1; Peso in gr: 5. Scheda n. 425 (tav. XXVI/24)

Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: dipinta ingobbio sotto vetrina; Forma: tegame; Tipo: disegno 24; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriatura interna ed esterna; N. fr.: 1; Peso in gr: 20. Scheda n. 426 (tav. XXVI/23) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: dipinta ingobbio sotto vetrina; Forma: pentola; Tipo: disegno 23; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriatura interna ed esterna; Decorazione: linee oblique in giallo; N. fr.: 1; Peso in gr: 15. Scheda n. 427 (tav. XXVI/25) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: dipinta ingobbio sotto vetrina; Forma: scaldino; Tipo: disegno 25; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriatura interna ed esterna; N. fr.: 1; Peso in gr: 30; Cfr.: Crypta Balbi 3, tav.: LXXVIII: 799; Datazione: XVIII-XIX secolo. Scheda n. 428 (tav. XXVI/67) Periodo: IX; Attività: 40; U.S.: 86; Classe: maculata; Forma: conca; Tipo: disegno 67; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate interne; Decorazione: macchie verdi su ingobbio bianco; N. fr.: 1; Peso in gr: 75; Datazione: XIX secolo. Scheda n. 429 (tav. XXVI/292) Periodo: IX; Attività: 44; U.S. 312; Classe: maculata a smalto?; Forma: scaldino; Tipo: disegno 292; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate esterne, nude interne; Decorazione: maculazione a smalto bianco-verde su biscotto sotto vetrina; N. fr.: 1; Peso in gr: 15; Datazione: XVIII-XIX secolo. Scheda n. 430 (tavv. XXVI/68; XXXI/68) Periodo: IX; Attività: 40; U.S.: 86; Classe: maiolica ad onde blu e punti neri; Forma: piatto; Tipo: disegno 68; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: filettatura blu sotto orlo, onda blu e punti neri; N. fr.: 1; Peso in gr: 15; Cfr.: XIX secolo (seconda metà).

Scheda n. 431 Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 302; Classe: pipa invetriata; Tipo di foggiatura: a matrice; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate esterne; nude interne; Decorazione: vetrina incolore; N. fr.: 1; Peso in gr: 3; Datazione: XVIII-XIX secolo. Scheda n. 432 (tav. XXVI/265) Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 69; Classe: porcellana; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 265; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate; Decorazione: veliero: verde, rosso, nero; N. fr.: 1; Peso in gr: 6; Datazione: XIX-XX secolo. Scheda n. 433 (tav. XXVI/40) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: porcellana; Forma: tazzina; Tipo: disegno 40; Tipo di foggiatura: a stampo; Matrice n. 1; Trattamento superfici: tortili; N. fr.: 1; Peso in gr: 10; Datazione: fine XIX-XX secolo. Scheda n. 434 (tav. XXVI/289) Periodo: IX; Attività: 41; U.S.: 314; Classe: taches noires Forma: piatto; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate; Decorazione: pennellate manganese; N. fr.: 6; Peso in gr: 46; Datazione: seconda metà XVIII-inizi XIX secolo. Scheda n. 435 (tav. XXVII/63) Periodo: IX; Attività: 40; U.S.: 86; Classe: terraglia bianca; Forma: piatto; Tipo: disegno 63; Tipo di foggiatura: a stampo; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriate 1; Peso in gr: 9; Datazione: XIX secolo. Scheda n. 436 (tav. XXVII/19) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: terraglia nera; Forma: coperchio di scaldino; Tipo: disegno 19; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: Vetrina interna-esterna; Osservazioni: coperchio di scaldino; N. fr.: 1; Peso in gr: 10. Scheda n. 437 (tav. XXVII/69) Periodo: IX; Attività: 41; U.S.: 83; Classe: terraglia nera; Forma: coperchio; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento

superfici: invetriate; Decorazione: vetrina manganese; N. fr.: 1; Peso in gr: 6. Scheda n. 438 (tav. XXVII/20) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: terraglia nera; Forma: scaldino; Tipo: disegno 20; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n.2; Trattamento superfici: Vetrina esterna, interno acromo; Osservazioni: corpo di scaldino = matrice 2; N. fr.: 1; Peso in gr: 10. Scheda n. 439 Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: terraglia nera; Forma: scaldino; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: Vetrina interna e sterna; Osservazioni: corpo di scaldino = matrice 2; N. fr.: 1; Peso in gr: 7. Scheda n. 440 (tav. XXVII/64) Periodo: IX; Attività: 40; U.S.: 86; Classe: terraglia nera; Forma: scaldino; Tipo: disegno 64; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: invetriate esterne, schizzi interni; N. fr.: 1; Peso in gr: 2; Datazione: XVIII-XIX secolo. Scheda n. 441 (tav. XXVII/65) Periodo: IX; Attività: 40; U.S.: 86; Classe: terraglia nera; Forma: scaldino; Tipo: disegno 65; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: invetriate esterne, schizzi interni; N. fr.: 1; Peso in gr: 2; Datazione: XVIII-XIX secolo. Scheda n. 502 Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 85; Classe: maiolica bianca; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 78; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate su ingobbio; N. fr.: 1; Peso in gr: 23; Datazione: XVI-XVIII secolo? Scheda n. 503 (tav. XXIX/77) Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 85; Classe: maiolica bianco-bruno; Forma: versatoio; Tipo: disegno 77; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; Osservazioni: tratti non id. attorno al beccuccio; N. fr.: 1; Peso in gr: 10; Datazione: XVIII secolo.

Scheda n. 504 (tav. XXIX/73) Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 85; Classe: terraglia bianca; Forma: piatto; Tipo: MILANESE 85,176; Tipo di foggiatura: a stampo; Matrice n. 1; Trattamento superfici: vetrina trasparente, sottile; N. fr.: 1; Peso in gr: 8; Cfr.: MILANESE 1985, n176. Scheda n. 507 (tav. XXIX/74) Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 85; Classe: terraglia nera; Forma: scaldino; Tipo: disegno 74; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: invetriate; Decorazione: invetriatura manganese; N. fr.: 1; Peso in gr: 34; Cfr.: affine Pistoia II **, p. 515, 2772 (da contesto metà XIX secolo). Scheda n. 508 (tav. XXIX/75) Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 85; Classe: terraglia nera; Forma: scaldino; Tipo: disegno 75; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: invetriate; Decorazione: invetriatura manganese; N. fr.: 1; Peso in gr: 6. Scheda n. 509 (tav. XXIX/76) Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 85; Classe: terraglia nera; Forma: scaldino; Tipo: disegno 76; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: invetriate; Decorazione: invetriatura manganese; N. fr.: 1; Peso in gr: 7. Reperti residui d'età bassomedievale Scheda n. 442 (tav. XXVII/7) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: acroma depurata; Forma: catino; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.1.3; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: finitura argilla depurata; N. fr.: 2; Peso in gr: 125; Cfr.: FRANCOVICH 1982, p. 132, B.1.3. Scheda n. 443 Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 301; Classe: acroma depurata; Forma: catino; Tipo: disegno 161; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 83.

Scheda n. 444 Periodo: IX; Attività: 41; U.S.: 88; Classe: acroma depurata; Forma: orcio; Tipo: disegno 42; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate con strato argilla fine; N. fr.: 1; Peso in gr: 1560. Scheda n. 445 (tav. XXVII/56) Periodo: IX; Attività: 41; U.S.: 93; Classe: acroma depurata; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 56; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; Decorazione: maglie impresse a rete; N. fr.: 1; Peso in gr: 66. Scheda n. 446 (tav. XXVII/58) Periodo: IX; Attività: 41; U.S.: 88; Classe: acroma depurata; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 58; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 93. Scheda n. 447 (tav. XXVII/159) Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 301; Classe: acroma depurata; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 159; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 74. Scheda n. 448 (tav. XXVII/281) Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 301; Classe: acroma depurata; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 281; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 21; Cfr.: Crypta Balbi 3, tav. LXII,752 (invetriata). Scheda n. 449 (tav. XXVII/10) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: acroma depurata; Forma: boccale; Tipo: disegno 10; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: finitura argilla depurata; N. fr.: 2; Peso in gr: 65; Cfr.: avvicinabile FRANCOVICH 1982, A.5.1, p. 127. Scheda n. 450 (tav. XXVII/1) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: FRANCOVICH 1982, fig. 188,na9; Tipo di tornitura: tornio

lento; Matrice n. 1; Trattamento superfici: lisciata; N. fr.: 1; Peso in gr: 10; Cfr.: FRANCOVICH 1982: fig. 188, na9; FRANCOVICH-GELICHI 1980, fig. 13, p. 31; Datazione: XV secolo. Scheda n. 451 (tav. XXVII/2) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 2; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 1; Trattamento superfici: finitura argilla depurata; N. fr.: 1; Peso in gr: 30. Scheda n. 452 (tav. XXVII/4) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 4; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 1; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 30. Scheda n. 453 (tav. XXVII/93) Periodo: IX; Attività: 40; U.S.: 102; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: affine FRANCOVICH 1982, fig. 215,fa11; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 1; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 36; Cfr.: affine FRANCOVICH 1982, fig. 215,fa11; Datazione: XV secolo. Scheda n. 454 (tav. XXVII/6) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: acroma grezza; Forma: olla; Tipo: disegno 6; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 2; Trattamento superfici: finitura argilla depurata; N. fr.: 1; Peso in gr: 75; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 209, nc 55a; Datazione: XV secolo. Scheda n. 455 (tav. XXVII/3) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: acroma grezza; Forma: catino; Tipo: FRANCOVICH 1982, fig. 190, na18; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 1; Trattamento superfici: finitura argilla depurata; N. fr.: 1; Peso in gr: 15; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 190, nal8; FRANCOVICH-GELICHI 1980, p. 31, n14 e p. 18. Scheda n. 456 (tav. XXVII/92) Periodo: IX; Attività: 40; U.S.: 102; Classe: acroma grezza; Forma: catino; Tipo: affine FRANCOVICH 1982, fig. 201,nb10; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 1; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in

gr: 16; Cfr.: affine FRANCOVICH 1982, fig. 201,nb10; Datazione: XV secolo. Scheda n. 457 (tav. XXVII/5) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: acroma grezza; Forma: testo; Tipo: FRANCOVICH 1982, fig. 209, nc49; Tipo di tornitura: tornio lento; Matrice n. 2; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 115; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 209, nc49; Datazione: XV secolo. Scheda n. 458 (tav. XXVII/15) Periodo: IX;Attività: 86; U.S.: 113; Classe: maiolica arcaica; Forma: catino; Tipo: FRANCOVICH 1982, B.1.1; M.1.5; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smalto interno, vetrina esterna; Decorazione: bande ramina, linee manganese contigui; N. fr.: 2; Peso in gr: 25; Cfr.: FRANCOVICH 1982, M.1.5; fig. 204,nb46 (dec.); nb47 (forma); Datazione: XV secolo. Scheda n. 459 (tav. XXVII/51) Periodo: IX; Attività: 41; U.S.: 107; Classe: maiolica arcaica; Forma: catino; Tipo: disegno 51; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: vetrina esterna, smalto interno; N. fr.: 1; Peso in gr: 29. Scheda n. 460 (tav. XXVII/16) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: maiolica arcaica; Forma: catino; Tipo: disegno 16; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: smalto interne, vetrina esterne; Decorazione: riquadri ramina-manganese; N. fr.: 1; Peso in gr: 40; Cfr.: FRANCOVICH 1982, B. 1.1; M. 1.7. Scheda n. 461 (tav. XXVII/17) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: maiolica arcaica; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 17; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: smalto (deteriorato); Decorazione: tratti orizzontali in bruno e verde; Osservazioni: incrostazioni calcaree su superfici smaltate; N. fr.: 1; Peso in gr: 15; Cfr.: FRANCOVICH 1982, figg.103, 104 (da Grosseto); Datazione: XIV secolo.

Scheda n. 462 (tav. XXVII/18) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: maiolica arcaica; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 18; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: smalto coprente,lucido; N. fr.: 1; Peso in gr: 15; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 125,1. Scheda n. 486 Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: zaffera a rilievo; Forma: boccale; Tipo: disegno 14; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smalto interno-esterno; Decorazione: foglie di quercia stilizzate in zaffera; N. fr.: 4; Peso in gr: 35; Cfr.: FRANCOVICH 1982, p. 80; Datazione: XIV-XV secolo. Reperti residui d'età moderna Scheda n. 463 (tav. XXVIII/71) Periodo: IX; Attività: 41; U.S.: 83; Classe: acroma depurata; Forma: vaso da fiori; Tipo: disegno 71; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; Decorazione: kymation stilizzato, incerto; N. fr.: 1; Peso in gr: 40; Cfr.: Crypta Balbi 3, tav. LXXVII,858; decoraz. 11; Datazione: XVI-XVIII secolo. Scheda n. 464 (tav. XXVIII/282) Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 301; Classe: acroma depurata; Forma: brocca; Tipo: disegno 282; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 34; Cfr.: Crypta Balbi 2, p. 124,185; Datazione: XVIII secolo. Scheda n. 465 (tav. XXVIII/66) Periodo: IX; Attività: 40; U.S.: 86; Classe: ingobbiata; Forma: catino; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriatura trasparente interna ed esterna, ingobbio interno, colature esterne; N. fr.: 1; Peso in gr: 33. Scheda n. 466 (tav. XXVIII/26) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: ingobbiata dipinta in verde; Forma: ciotola; Tipo: disegno 26; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice

n. 1; Trattamento superfici: invetriate interne, esterno nudo; Decorazione: motivo circolare, al centro; Osservazioni: rifinito a stecca, staccato dal tornio a cordicella; N. fr.: 1; Peso in gr: 75; Datazione: XVIII secolo? Scheda n. 467 (tav. XXVIII/27) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: maiolica bianca; Forma: piatto; Tipo: disegno 27; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; N. fr.: 3; Peso in gr: 60; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 226,fl 3. Scheda n. 468 Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: maiolica bianca; Forma: piatto; Tipo: disegno 28; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; N. fr.: 3; Peso in gr: 20; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 226,fl 3. Scheda n. 469 (tav. XXVIII/29) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: maiolica bianca; Forma: piatto; Tipo: disegno 29; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; N. fr.: 1; Peso in gr: 10; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 226,fl 3. Scheda n. 470 (tav. XXVIII/30) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: maiolica bianca; Forma: piatto; Tipo: disegno 30; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; N. fr.: 1; Peso in gr: 10; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 226,fl 3. Scheda n. 471 (tav. XXVIII/31) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: maiolica bianca; Forma: piatto; Tipo: disegno 31; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n.1; Trattamento superfici: smaltate; N. fr.: 1; Peso in gr: 20; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 226,fl 3. Scheda n. 472 (tav. XXVIII/32) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: maiolica bianca; Forma: piatto; Tipo: disegno 32; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1;

Trattamento superfici: smaltate; N. fr.: 1; Peso in gr: 15; Cfr.: FRANCOVICH 1982, fig. 226,fl 3. Scheda n. 473 (tav. XXVIII/153) Periodo: IX; Attività: 41; U.S.: 314; Classe: maiolica bianca; Forma: piatto; Tipo: disegno 153; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; Osservazioni: smalto abraso su linea orlo; N. fr.: 1; Peso in gr: 24; Datazione: XVI-XVIII secolo. Scheda n. 474 (tav. XXVIII/158) Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 301; Classe: maiolica bianca; Forma: piatto; Tipo: disegno 158; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate su ingobbio; N. fr.: 2; Peso in gr: 30; Datazione: XVIII secolo? Scheda n. 475 (tav. XXVIII/290) Periodo: IX; Attività: 41; U.S.: 314; Classe: maiolica bianca; Forma: piatto; Tipo: disegno 290; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate su ingobbio; N. fr.: 1; Peso in gr: 16; Datazione: XVIII secolo? Scheda n. 476 (tav. XXVIII/33) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: maiolica bianca; Forma: boccale; Tipo: disegno 33; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate su ingobbio; N. fr.: 1; Peso in gr: 10. Scheda n. 477 (tav. XXVIII/34) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: maiolica bianca; Forma: boccale; Tipo: disegno 34; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; N. fr.: 1; Peso in gr: 10. Scheda n. 478 (tav. XXVIII/72) Periodo: IX; Attività: 40; U.S.: 106; Classe: maiolica bianca; Forma: vaso cilindrico; Tipo: disegno 72; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate su ingobbio; Decorazione: smalto bianco; N. fr.: 1; Peso in gr: 56; Cfr.: Crypta Balbi 3, tav. XLIV: n. 556 e p. 334; Datazione: XVI-XVIII secolo.

Scheda n. 479 (tav. XXVIII/291) Periodo: IX; Attività: 41; U.S.: 314; Classe: maiolica bianca; Forma: piatto; Tipo: disegno 291; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: smaltate; Osservazioni: produzione ligure; N. fr.: 2; Peso in gr: 96; Cfr.: es.: MILANESE 1976 tav. III, 40; Datazione: XVII- XVIII secolo. Scheda n. 480 (tav. XXVIII/264) Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 69; Classe: maiolica bianca; Forma: orciolo?; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: smaltate; N. fr.: 1; Peso in gr: 23; Datazione: XVII- XVIII secolo. Scheda n. 481 (tav. XXIX/35) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: maiolica bianco-blu; Forma: catino; Tipo: disegno 35; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate su ingobbio; N. fr.: 2; Peso in gr: 16; Cfr.: FRANCOVICH-GELICHI 1980, scheda 109. Scheda n. 482 (tav. XXIX/37) Periodo: IX; Attività: 86; U.S.: 113; Classe: maiolica bianco-blu; Forma: piatto; Tipo: disegno 37; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate su ingobbio; N. fr.: 4; Peso in gr: 40. Scheda n. 483 (tav. XXIX/38) Periodo: IX; Attività: 39; U.S.: 113; Classe: maiolica bianco-blu; Forma: ciotola; Tipo: disegno 38; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; N. fr.: 1; Peso in gr: 4. Scheda n. 484 (tav. XXIX/283) Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 301; Classe: maiolica bianco-blu; Forma: orciolo?; Tipo: disegno 283; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate su ingobbio; Decorazione: blu e bruno manganese; N. fr.: 1; Peso in gr: 4; Datazione: XVIII secolo. Scheda n. 485 Periodo: IX; Attività: 40; U.S.: 102; Classe: maiolica bianco su azzurro; Forma: forma aperta; Tipo: disegno 90; Tipo di tornitura: tornio veloce;

Matrice n. 1; Trattamento superfici: smaltate; Decorazione: bianco su smalto berettino; N. fr.: 1; Peso in gr: 2; Datazione: XVI secolo? Reperti residui d'età ciassica Scheda n. 487 (tav. XXIX/70) Periodo: IX; Attività: 41; U.S.: 83; Classe: acroma grezza; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 70; Tipo di foggiatura: manuale; Matrice n. 1; Trattamento superfici: lisciate; Osservazioni: probabile ansa di piccolo dolio; N. fr.: 1; Peso in gr: 183. Scheda n. 488 (tav. XXIX/91) Periodo: IX; Attività: 40; U.S.: 102; Classe: anfore; Forma: Pompei 36 Mau; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 7; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 152; Cfr.: CAVALIER 1985, pp. 72-73; Datazione: 50 a.C.-I secolo d.C. Scheda n. 489 (tav. XXIX/267) Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 69; Classe: anfore; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 16; Trattamento superfici: lisciate, impeciate internamente; N. fr.: 1; Peso in gr: 63. Scheda n. 490 (tav. XXIX/266) Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 69; Classe: pareti sottili; Forma: coppa carenata ed ansata; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 7; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 10; Cfr.: avv. RICCI tipo 2/258, tav. C,6 e p. 312. Scheda n. 491 (tav. XXIX/141) Periodo: IX; Attività: 40; U.S.: 102; Classe: sigillata italica; Forma: coppa PUCCI forma XX; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: vernice rossa liscia; N. fr.: 1; Peso in gr: 7; Cfr.: Atlante II, p. 389, n3 (tav. CXXV,10), affine Oberaden 5 A 3; Datazione: dal 15-10 a.C. Scheda n. 492 (tav. XXIX/59) Periodo: IX; Attività: 41; U.S.: 88; Classe: vernice nera; Forma: kylix; Tipo: disegno 59; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3;

Trattamento superfici: lati, parte superiore verniciate, inferiore acroma; Osservazioni: prototipo matrice 3 della vernice nera; N. fr.: 1; Peso in gr: 5. Scheda n. 493 (tav. XXIX/268) Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 69; Classe: vernice rossa non id.; Forma: forma chiusa?; Tipo: disegno 268; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 2; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 46. Scheda n. 494 (tav. XXIX/269) Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 69; Classe: vernice rossa non id.; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 269; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 40. Scheda n. 495 (tav. XXIX/50) Periodo: IX; Attività: 41; U.S.: 107; Classe: vernice rossa non id.; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 50; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: verniciate; Decorazione: vernice rossa; N. fr.: 1; Peso in gr: 62. Scheda n. 496 (tav. XXIX/270) Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 69; Classe: vernice rossa non id.; Forma: forma chiusa; Tipo: disegno 270; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 20. Scheda n. 497 (tav. XXIX/271) Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 69; Classe: vernice rossa non id.; Forma: forma aperta; Tipo: disegno 271; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 3. Scheda n. 498 (tav. XXIX/272) Periodo: IX; Attività: 44; U.S.: 69; Classe: vernice rossa non id.; Forma: forma aperta; Tipo: disegno 272; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 3; Trattamento superfici: verniciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 25. PERIODO XI Scheda n. 499 (tav. XXIX/52)

Periodo: XI; Attività: 43; U.S.: 91; Classe: acroma depurata; Forma: Non id.; Tipo: disegno 52; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 5; Trattamento superfici: lisciate; N. fr.: 1; Peso in gr: 15. Scheda n. 500 (tav. XXIX/53) Periodo: XI; Attività: 43; U.S.: 91; Classe: dipinta ingobbio sotto vetrina; Forma: coperchio; Tipo: disegno 53; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriatura esterna, colature interne; N. fr.: 1; Peso in gr: 34. Scheda n. 501 (tav. XXIX/131) Periodo: XI; Attività: 45; U.S.: 82; Classe: invetriata; Forma: senapario; Tipo: disegno 131; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 4; Trattamento superfici: invetriatura gialla; Osservazioni: macchie ossidi di ferro in vetrina; N. fr.: 1; Peso in gr: 10. Scheda n. 505 (tav. XXIX/54) Periodo: XI; Attività: 43; U.S.: 91; Classe: terraglia bianca; Forma: forma aperta; Tipo: disegno 54; Tipo di foggiatura: a stampo; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriatura trasparente; N. fr.: 1; Peso in gr: 10; Cfr.: Crypta Balbi 2, fig. 25,101 (cfr.solo indicativo); Datazione: dal secondo quarto del XIX secolo. Scheda n. 506 (tav. XXIX/55) Periodo: XI; Attività: 43; U.S.: 91; Classe: terraglia bianca; Forma: scodellone?; Tipo: disegno 55; Tipo di tornitura: tornio veloce; Matrice n. 1; Trattamento superfici: invetriatura trasparente interne esterne; N. fr.: 1; Peso in gr: 16 da verificare; Datazione: dal secondo quarto del XIX secolo. C. CONCLUSIONI : 1. Età tardo etrusca (Periodo I) 1.1. La traccia archeologica più consistente ed importante (anche per il suo carattere di giacitura primaria) relativa aci età antecedente la fondazione della colonia Saena Iulia, consiste in uno scarico omogeneo gettato a colmare una vasta fossa quadrangolare di raccolta connessa

all'organizzazione degli spazi domestici di un'area urbana del nucleo preromano di Siena. L'analisi dello scarico, che offre un terminus post quem per la fine dell'utilizzo della fossa ed il suo interro, pone di fronte ad un significativo quadro delle produzioni ceramiche presenti in area urbana senese attorno alla prima metà del II secolo a.C. 1.2. I rapporti fra le varie produzioni sono sintetizzati alle figg. 1 -2, che esprimono le quantificazioni numeriche dei reperti (per numero di frammenti) e quelle relative al loro peso in grammi: i ciati si riferiscono all'attività 9 del periodo I, definizione stratigrafica della citata fossa di scarico. Come si può osservare, il rapporto fra le acrome grezze (la cd. ceramica "ad impasto") e le acrome depurate, ovvero le procluzioni "figuline" subisce un ribaltamento nei due metodi d'analisi, dovuto principalmente ai caratteri tipologici e tecnologici delle due classi ceramiche. Le acrome depurate, rappresentate specialmente da forme chiuse (olle ed oinochoai) con pareti di limitato spessore ed alto indice di frammentazione, occupano il 45% dei reperti secondo la quantificazione numerica, mentre nel quadro relativo al peso questo valore scende al 25%. Al contrario di tale situazione, i dati relativi alla ceramica grezza attestano questa classe al 30% delle presenze nello scarico preromano se osserviamo la quantificazione numerica, mentre la presenza viene praticamente raddoppiata (58%) secondo la quantificazione per peso in grammi, a causa dell'elevato spessore delle pareti della classe in esame e della presenza di forme massicce (dolia), che risulta certo determinante in questo tipo di quantificazione, analogamente a quanto, sia pure in scala minore, accade anche alle anfore, che passano dal 4% (quantif. per peso) all'1% (quantif. numerica). Fra la ceramica decorata, che naturalmente si configura come elemento ciatante dello scarico, la cd. "presigillata volterrana" risulta appena quantificabile, con un 1% inalterato con entrambi i metodi di quantificazione, mentre ben più massiccia risulta essere la presenza della ceramica a vernice nera, che occupa il 20% dei reperti dello scarico secondo la quantificazione numerica, mentre solo l'8% secondo la quantificazione per peso, dati comunque sempre elevati, dovuti alla vicinanza dei centri di fabbrica.

Un fenomeno apparentemente marginale, come la riutilizzazione ciel rottame ceramico per ricavarne più che altro tappi, contrappesi o pedine da gioco, occupa dal 4% (secondo il peso) al 2% (quantificazione numerica), mentre alcune classi, come la ceramica a pareti sottili, non sono quantificabili in modo apprezzabile, attestandosi su valori nettamente inferiori all'1%. 1.3.1. Un esame più analitico evidenzia (fig. 3) che il 98% della ceramica acroma depurata (la cd. ceramica "figulina") è rappresentata da forme chiuse, mentre le forme aperte occupano il solo 2%, rapporto descritto anche dal grafico comparato dei ciati relativi al numero dei frammenti ed al loro peso (fig. 4). Il predominio pressochè assoluto delle forme chiuse su quelle aperte si spiega con la massiccia presenza nello scarico di ceramica a vernice nera, rappresentata per l'80% (fig. 12) da forme aperte da mensa. Il quadro tipologico delle forme delle acrome depurate appare alquanto limitato, esprimendosi in olle di varie dimensioni ad orlo più o meno accentuatamente estroflesso (schede 8, 15, 16, 181, qui foggiate con argille depurate, ma morfologicamente affini a tipi presenti anche nelle acrome grezze. Una forma maggiormente caratterizzata è l'olla globulare biansata, con anse rialzate ma impostate orizzontalmente e contrapposte (schede 5 e 7), che si ritrova anche fra le acrome grezze (scheda 201: essa tuttavia non costituisce elemento utile ai fini i circoscrivere la ciatazione del contesto, poichè risulta largamente iffusa in ambito etrusco, con varianti c]'impasto e i finiture, dal VII (CAVAGNARO VANO NI 1980, p. 179 ss.) al tardo II secolo a.C. (Pistoia II **, p. 1231. ) confronti indicati nelle schede della ceramica acroma depurata con materiali analoghi da contesti della val d'Arno e della vicina val d 'Elsa mostrano comunque un areale omogeneo di diffusione delle forme, anche se con una dilatazione diacronica spesso non indifferente. La quantificazione dei rapporti fra le varie forme chiuse foggiate in acroma depurata (fig. 5) evidenzia il prevalere delle olle senza anse ed in minore misura anche di quelle biansate sulle oinochoai, mentre la maggior parte dei reperti attribuibili a forme chiuse non sono definibili in modo più analitico, a causa della loro elevata frammentazione. Il problema del riconoscimento dei luoghi di fabbricazione delle acrome depurate dello scarico del II secolo a.C. è certamente un problema

immaturo, al pari della definizione crono-tipologica i tale classe, nel contesto geografico e cronologico. Le ceramiche in esame risultano foggiate in cinque differenti matrici argillose (fig. 6), che probabilmente riconducono a diversi centri di fabbrica, forse subregionali o adirittura locali in senso più stretto. In assenza i evidenze tipologiche caratterizzanti, l'identificazione dei centri i fabbrica di queste ceramiche ad impasto depurato non può trovare un'immediata risposta da indagini scientifiche applicate (com'è quella fornita dall'esame petrografico in sezione sottile), a causa dell'eccessiva depurazione dei corpi ceramici. Per questo motivo, al momento attuale è possibile la sola caratterizzazione stereomicroscopica delle matrici, ai fini di un più puntuale riconoscimento delle produzioni, mentre lo stuio dell'ubicazione dei centri i fabbrica dovrà essere progettato in modo più ampio, con la efinizione i raggruppamenti di reperti sulla base degli elementi chimici in traccia, possibilmente mediante una campagna i analisi chimica (con la metodica della fluorescenza ai raggi x o con quella dell'assorbimento atomico), che coinvolga anche campioni di ceramiche coeve e contestuali, come la vernice nera, e campioni di argille non lavorate prelevate dai bacini sedimentari del territorio senese. Strette somiglianze macroscopiche e microscopiche fra la matrice 3 delle acrome depurate e la matrice 3 della ceramica a vernice nera, nonchè l'elevata incidenza di questo impasto ceramico fra le acrome depurate (78%: fig. 6), inducono ad ipotizzarne un'origine locale o quanto meno circumlocale, mentre su valori assai più bassi si collocano la matrice 5 (con il 10%) e la matrice 2 (9%) ed a valori irrilevanti troviamo la matrice 7 (2%) e la matrice 11 (1%). 1.3.2. Qualche inclicazione più precisa (relativamente ai luoghi di produzione) è possibile desumere dallo studio delle acrome grezze, le cd. ceramiche d'impasto, che, proprio a causa della limitata depurazione delle matrici, conservano residui rocciosi che talora possono risultare determinanti per risalire alle aree geologiche ove collocare i luoghi di fabbricazione. Classe ceramica con forme destinate ad espletare due importanti funzioni della vita domestica, quali la cottura e la conservazione degli alimenti, l'acroma grezza occupa naturalmente un posto di primo piano nella quantificazione dei reperti ceramici del periodo, con il 30% secondo la

quantificazione numerica (fig. 1) ed il 58% secondo la quantificazione per peso (fig. 24, incremento determinato dalla presenza di forme massicce per lo stoccaggio delle derrate (dolia). La distinzione dei diversi centri di fabbrica si basa naturalmente su uno studio macro-microscopico delle matrici, i cui ciati grezzi, non interpretati, sono riassunti nel grafico delle figg. 7 e 8, dove si evidenzia la "specializzazione" di alcune produzioni, come la 16, la 17 e la 22, nella foggiatura dei dolia (rilevanza dei picchi della parte destra dell'istogramma, relativo al peso). Questi dati analitici sono però fusi fra loro alla fig. 9 e già interpretati dal punto di vista petrografico: si deduce la presenza di almeno tre areali (non centri) di fabbrica e di un quarto gruppo ancora non identificabile. La caratterizzazione di questi tre areali di fabbrica indica solo la presenza di almeno tre differenti direttrici di provenienza di manufatti a Siena dal territorio circostante, ma con ciò non si vuole certo affermare di avere individuato in modo puntuale i centri di produzione. La fig. 10 è una rappresentazione schematica degli affioramenti delle tre diverse formazioni rocciose riscontrate nelle acrome grezze in un vasto territorio (circa 1700 km2) attorno a Siena. Come si vede, le soluzioni sono molteplici e non è certo scopo di questo lavoro la risoluzione del problema, quanto di porlo e di mostrarlo in tutta la sua complessità. Lo studio di questi centri di fabbrica andrà naturalmente affrontato su vasta scala e con un radicale interfacciamento fra domanda archeologica e potenzialità scientifica, integrando gli apporti di archeologia, storia, petrografia e geologia chimica, con indagini sulle cave e su tutto il materiale archeologico disponibile dall'area senese, possibilmente con un'ottica di lungo periodo. Gli elementi emersi nella ricerca qui presentata indicano che le matrici n. 10 e n. 17 contengono frammenti di rocce gabbriche (ofiolitiche): alla fig. 10 si sono evidenziati i maggiori affioramenti di rocce gabbriche in un'areale di oltre 1700 km2 attorno a Siena. Importanti presenze di rocce gabbriche sono segnalate nell'alta val d'Elsa e nei pressi del noto insediamento etrusco di Poggio Civitate (Murlo), le cui ceramiche di uso domestico, oltre agli elementi architettonici (decorativi e funzionali) sono costantemente foggiate con argille gabbriche, ricche di plagioclasi e di altri elementi caratteristici di tali formazioni (sulla tipologia delle ceramiche

grezze di Murlo, ma senza cenno al rapporto fra evidenza petrografica ed archeologica, cfr.: BULOMIÈ 1972; 1985). Anche nell'area fra il corso del Crevolo e quello del Merse vi sono formazioni gabbriche, come lungo il corso del Cecina, ove si erge l'omonimo Monte Gabbro: sul problema delle ceramiche gabbriche in area fiorentina, cfr. FRANCOVICH- PALLECCHI 1990, pp. 293 ss. La seconda produzione identificata contiene frammenti di scisti policromi (MAGGIANI 1985; MILANESE-MANNONI 1985; MILANESE 1987; STORTI 1989), argille scistose varicolori, dette anche "scisti microclastici", segnalate fra i materiali preromani dell'Etruria settentrionale e delle aree limitrofe. Rese compatte per metamorfismo e corrugamento della dorsale appenninica, queste rocce sono presenti solo in limitati affioramenti nell'area senese, fatto che potrebbe facilitare il riconoscimento delle aree di produzione. Essi sono situati nella parte alta del corso dell'Arbia, alle sorgenti della Pesa ed in prossimità di quelle del Cecina: le stesse rocce, disgregate e trasportate dal dilavamento, si possono naturalmente poi ritrovare nelle argille dei bacini di raccolta dei citati corsi d'acqua. Il riconoscimento delle aree produttive non può quindi fondarsi sul preteso binomio evidenza petrografica-area di produzione, ma deve valutare anche le possibili direttrici di trasporto dei residui rocciosi. Una percentuale non indifferente (16%) delle acrome grezze dal contesto del II secolo a.C. risulta foggiato con matrici argillose contenenti frammenti più o meno finemente macinati di calcite spatica (matrice 11). La natura di questi inclusi, distinti macroscopicamente e con lo stereomicroscopio, dopo alcune determinazioni "guida" effettuate in sezione sottile con il microscopio a luce polarizzata, è stata statisticamente verificata con bagni di HCl, per controllare l'effettiva natura della calcite (attraverso la sua dissoluzione) e la possibilità di errore nell'esame macroscopico con quarzo macinato e feldspati. Complessi di calcare cavernoso dolomitico con vene di calcite sono ampiamente noti ad ovest di Siena, in un vasto areale (zona della Montagnola Senese) compreso fra l'alto corso dei fiumi Elsa e Merse e del torrente Staggia (fig. 104, lungo il corso del Merse ed in altri più lontani distretti, fra le sorgenti del Rosia e quelle del Cecina e nei pressi di S.Gimignano. Per la vastità della formazione geologica e per la sua vicinanza a Siena, è probabile che il settore geografico di provenienza di queste ceramiche sia da porsi nel distretto della Montagnola Senese, ai piedi della quale è

situata la necropoli di Ampugnano (PHILLIPS 1965), coeva al contesto ora in esame, sui cui materiali non è stato però possibile effettuare un esame autoptico. Le inclicazioni offerte dalle acrome grezze per la cronologia del contesto, invece, non sono naturalmente molto puntuali. Per l'olla biansata della scheda 20 si rimanda a quanto già discusso su questa forma relativamente alla sua versione in acroma depurata (scheda 51: per la piccola olla (scheda 21), quasi integralmente ricomposta, è possibile inclicare un preciso riscontro in ambito senese nella tomba di Colle Verdina (AA.VV. 1979, p. 47 ss.), datata alla prima metà del Il secolo a.C., cronologia convergente con quella suggerita dalla ceramica fine del contesto in esame. Mentre i due precedenti reperti sono foggiati con la matrice 5, la cui caratterizzazione petrografica non offre ancora utili inclicazioni sulla provenienza, un gruppo di olle frammentate in matrice 10 sono attribuibili ad una delle aree gabbriche presenti attorno a Siena (fig. 101. Uno di questi reperti (scheda 22) mostra analogie morfologiche con l'olla ricomposta della scheda 21, mentre altri frammenti di orli (schede 23-26) offrono un quadro preliminare della varietà tipologica degli orli di olle. Al medesimo ambito produttivo è riferibile anche un fondo piano di olla (scheda 39) ed un orlo di dolio (scheda 41), foggiati nella matrice 17. All'area produttiva caratterizzata dalla calcite macinata (forse la Montagnola Senese) è attribuibile un gruppo di reperti (schede 27-31) fra cui orli di olla (n. 27) e di forme aperte (nn. 28-29). Il quadro tipologico delle acrome grezze prodotte nell'area a scisti policromi (presenti anche nella vicina val d'Arbia: fig. 10) presenta dolia con cordoni applicati e digitati (scheda 321, grandi olle con orlo estrofiesso a mandorla (scheda 33 e 36) ed altre (schede 37 e 38) con orli meno caratterizzati. Osservate nel loro insieme, al di là dei diversi apporti dei centri di fabbrica individuati, le acrome grezze dal contesto tardo etrusco rinvenuto mostrano (fig. 11) un netto predominio quantitativo delle olle (e delle forme chiuse non meglio specificabili a causa ella frammentazione dei reperti, ma probabilmente da ritenersi olle per la quasi totalità). L'olla ovoide biansata è invece testimoniata da una sola forma, peraltro ben leggibile, mentre le forme aperte sono pressoché assenti, in quanto rappresentate dalla ceramica a vernice nera e dalla presigillata. Attestati i dolia, sia dalle aree gabbriche che da quelle a scisti policromi, di questi contenitori da dispensa sono stati documentati anche coperchi, in

frammenti di grandi dimensioni, che ovviamente sbilanciano a proprio favore il quadro quantitativo delle presenze valutate secondo il peso. 1.3.3. Mentre l'esiguità della acroma grigia (o figulina grigia) non permette neppure una quantificazione di tale presenza (1 fr.) e quindi attendibili considerazioni sul tipo al di là di quanto esposto alla scheda n. 43, le anfore propongono alla discussione alcuni problemi, pur risultando statisticamente esigue nel contesto (1% secondo il numero dei frammenti: fig. 1; 4% secondo il peso: fig. 21. I frammenti della spalla di un'anfora di tipo greco-italico recente (scheda n. 44) sono foggiati nella matrice n. 19, contenente cristalli di augite, che permettono di riferire il manufatto ad area produttiva laziale o campana settentrionale, ove questa forma di anfora era prodotta (TCHERNTA 1986, p. 47) prima della DRESSEL 1 (ancora assente nella prima metà del II secolo a.C.: TCHERNIA 1986, p. 444). Assai più problematica, invece, la presenza di un frammento di parte inferiore di anfora a fondo piatto (scheda n. 454, foggiata in matrice n. 25: l'associazione fra tale matrice, ricca di scaglie micacee di dimensioni anche rilevanti e la caratteristica forma del fondo piatto, inclucono a prendere in considerazione l'ipotesi di un'anfora gallica. La cronologia delle più precoci produzioni di anfore galliche a fondo piatto non sembra tuttavia rimandare ad una cronologia più alta del I secolo a.C. (LAUBENHEIMER 1985, p. 385 ss.; TCHERNIA 1986, p. 146), per cui sembrerebbe opportuno considerare questa presenza come infiltrazione da strati più recenti. 1.3.4. Anche la presenza della ceramica a pareti sottili è irrilevante (2 fr.) nel contesto, che è collocabile in un'epoca (prima metà del II secolo a.C.) che vede gli esordi della circolazione di tale classe ceramica. L'orlo estroflesso ed articolato della scheda n. 49 è probabilmente riferibile ad un bicchiere di forma MARABINI I, con ciatazioni a partire dal secondo quarto del II secolo a.C. (BATS 1988, p. 158), mentre una ciatazione alta di poco più recente si può attribuire all'orlo di scheda n. 50 (tipo RICCI 1/7 o 1/19). L'esame della matrice argillosa (n. 8) evidenzia la presenza di cristalli di augite, che colloca tali reperti in un'area di produzione laziale o campana, parallelamente a quanto stabilito per l'anfora di tipo greco-italico.

1.3.5. Fra la ceramica verniciata da mensa troviamo, rappresentata dall' 1% dei reperti complessivi del contesto (figg. 1-2), la cd. presigillata volterrana, che costituisce un utile elemento per la cronologia del contesto. La forma caratterizzante questa classe, il piattello con base piana ed orlo a margine ingrossato con solcatura mediana, costituisce una sorta di fossile guida delle restituzioni di area senese, volterrana ed etrusca settentrionale in genere nell'ambito della prima metà del II secolo a.C. I dati di un insieme di contesti, le cui datazioni convergevano alla prima metà del II secolo a.C., suggerirono già alla prima edizione critica di questa tipologia di porne gli esordi al primo ventennio del II sec.a.C. (CRISTOFANI-CRISTOFANI MARTELLI 1972, p. 510), datazione in seguito confermata da altri rinvenimenti. Nella tomba a camera 60/D della necropoli di Badia a Volterra (CATENI s.d., pp. 81-82; Museo Guarnacci, sala XXVIII), circa 10 piattelli di presigillata volterrana sono in associazione con monete datate 200-160 a.C., cronologia valida anche per la presigillata della tomba di Colle Verdina a Siena (AA.VV. 1979, P. 49, n. 54). Significativi ritrovamenti si hanno infine da una tomba a camera in località Le Grazie di Casole d'Elsa (DEL VECCHIO 1985, p. 68 ss.), da Pisa (STORTI 1989, P. 65 ss.) e dalla necropoli delle Grotte a Populonia (ROMUALDI 1985, PP. 195-212). 1.3.6. Determinante per la cronologia del contesto è naturalmente anche la ceramica a vernice nera, la cui presenza appare rilevante in termini quantitativi, occupando il 20% dei reperti (secondo il numero dei fr.: fig. 1; l'8% secondo il loro peso: fig. 2). L'80% dei reperti a vernice nera è costituito da frammenti riconducibili a forme aperte (fig. 12), mentre il restante 20% a forme chiuse, secondo una spedalizzazione morfologica delle tipologie cui si è già fatto cenno a proposito delle acrome depurate. Il rapporto fra ceramica a vernice nera e presigillata, nettamente maggioritario a favore della prima classe (fig. 13), trova una spiegazione nell'ampia gamma di forme occupata dalla ceramica a vernice nera, contrariamente alla presigillata volterrana, indirizzata alla specifica produzione di piattelli. Definire la provenienza della ceramica a vernice nera dal contesto è certamente problematico, al di là di una minoritaria presenza di frammenti con vernice bluastra e riflessi metallici riferibili alla produzione tarda della fabbrica di Malacena (dopo MONTAGNA PASQUINUCCI) 1972, cfr. LIVERANI 1985, p. 185 ss.), la cui attribuzione rimanda a Volterra

(matrici 4 e 9), mentre un più consistente nucleo di reperti (matrice 3) con caratteristiche omogenee potrebbe essere di produzione locale o circumlocale (figg. 14-15) . La compiessità della problematica ed il basso livello della conoscenza sui centri di fabbrica minori dell'Etruria settentrionale interna (sul problema, DE MARINIS 1977, pp. 142-144; Pistoia II *, pp. 303-307; PARRINI 1985, p. 183) non consentono certo soluzioni semplicistiche, al di là di un'ipotesi fondata sull'analogia fra questo tipo di impasto della ceramica a vernice nera e quello delle coeve e contestuali produzioni acrome. Un esame autoptico del materiale a vernice nera conservato al Musco Guarnacci e ritenuto di fabbrica volterrana ha tuttavia evidenziato una stretta analogia fra il tipo F della classificazione volterrana (MONTAGNA PASQUINUCCI 1972, p. 275; tipo Il di CRISTOFANI 1973; DE MARINIS 1977, p. 143 e nota 49) ed il tipo 3 distinto nel contesto senese. E’ chiaro comunque che per stringere in modo efficace la maglia conoscitiva del problema appare indilazionabile (oltre ad un riesame complessivo della documentazione archeologica: Pistoia II *, pp. 303-307) una campagna di analisi con la fluorescenza ai raggi X o mediante assorbimento atomico, volta ad evidenziare clusters significativi degli elementi in traccia di queste produzioni, contestualmente ad una campionatura di materie prime dai supposti bacini geologici di prelievo delle argille. L'esame tipologico dei reperti a vernice nera converge verso una datazione omogenea, disegnando un'articolata associazione tipica della prima metà del II secolo a.C. Rimandando alle schede per i confronti analitici, la presenza delle coppe su alto piede (LAMBOGLIA 4: schede nn. 58-61) e di alcuni piattelli da pesce (MOREL 1120: schede nn. 65-67), unitamente alla già discussa presenza della cd. presigillata volterrana, rendono confrontabile il contesto in esame con la tomba tardo etrusca di Colle Verdina a Siena, datata alla prima metà del II secolo a.C. (AA.VV. 1979, pp. 47-511, associazione presente anche nella coeva necropoli di Ampugnano (PHILLIPS 1 965). Nella tomba a camera 60/D della necropoli di Badia (Museo Guarnacci di Volterra, sala XXVIII) ciatata 200-160 a.C., trova ancora un significativo confronto l'associazione delle forme vascolari presenti nel nostro contesto: oltre aipiattelli di presigillata, quelli cd. da pesce (schede nn. 65-67), l'urnetta biansata di forma LAMBOGLIA 10 (schede nn. 62-63), la ciotola

con bolli a palmetta e fiori di loto (scheda n. 72) e quella affine alla serie MOREL 3151 o 3152. Elementi precisi di riscontro si avrebbero anche nella tomba n. 1 o del « Corridietro » della necropoli delle Grotte a Populonia, ma l'ampia diacronia dell'utilizzo della sepoltura (ROMUALDI 1985, P.195 ss.) non permette di ricavare un quadro sincronico attendibile per ulteriori costruzioni cronologiche. L'associazione fra le forme (ma non delle produzioni) trova confronti anche nel relitto A di Capo Graziano a Filicudi (datato 190-170 a.C.), mentre ulteriori elementi, come bolli o altre forme (schede 71,72,82) riconducono alla medesima cronologia. 1.3.7. Nonostante la presenza di elementi più generici, come le coppe avvicinabili ai tipi MOREL 2536-2538 (schede nn. 68-70) o le patere avvicinabili alle specie MOREL 2820/2840 (schede nn. 78-80), il contesto in esame è riferibile con attendibilità alla prima metà del II secolo a.C., forse al secondo quarto del secolo, un'epoca in cui Siena dipendeva politicamente da Volterra, città alleata di Roma già nel 205 a.C., (AA.VV.1979, P. 94), rientrando perciò nel vasto disegno di controllo romano sulla penisola (BANDELLI 1988, P.523 SS.) e fu in tale contesto che si ebbe l'organizzazione della via Cassia (171-154 a.C.) sul percorso di una più antica viabilità etrusca. In quest'epoca Siena attraversò probabilmente un periodo di incremento demografico, da una valutazione di quella che è la documentazione archeologica disponibile anche per un vasto comprensorio limitrofo (AA.VV. 1979, pp. 2729) ed ebbe una certa vivacità nel commercio locale a piccolo e medio raggio, come si è dedotto dallo studio della ceramica grezza, oltre che nel commercio di più ampia portata, ricevendo anfore vinarie e vasellame da mensa dal Lazio o dalla Campania settentrionale, prima della crisi determinata dalle guerre civili all'inizio del I secolo a.C. 2. Età romana (Periodo II) 2.1. Le tracce archeologiche riferibili all'età romana (Periodo stratigrafico II) si presentano molto più esigue rispetto a quelle concernenti l'età tardo etrusca (Periodo stratigrafico I) tra i due contesti esiste uno hiatus di oltre un secolo e mezzo, ma tale lacuna documentaria è da considerarsi

naturalmente determinata solo dai peculiari processi di pluristratificazione dell'area in esame. Materiali romani, come d'altra parte anche tardo etruschi, sono inoltre emersi in giaciture secondarie da contesti di epoche più recenti di questo stesso scavo, ma tale decontestualizzazione ne altera completamente il valore in quanto fonti conoscitive. Una giacitura primaria di epoca romana è invece uno strato di limitato spessore (U.S. 223) in relazione ad una struttura muraria lacunosa ma di notevoli dimensioni (vedi p. 185 ss.). 2.2. Il numero complessivo dei reperti ceramici emersi dallo strato di epoca romana (244 frammenti, pari ad un peso di 2729 grammi) non consente certo approfondite elaborazioni quantitative all'interno delle varie classi ceramiche, mentre appare invece attendibile una quantificazione fra le varie classi, nel contesto generale della restituzione. Il grafico della fig. 16 mostra le relazioni fra le varie classi ceramiche, calcolate sulla base del numero dei reperti: vi si nota il prevalere delle acrome depurate (37%), una presenza non elevata delle acrome grezze (19%) (considerando l'ambito funzionale cui è indirizzata la tipologia, dolia per la conservazione delle derrate ed olle per cucinare) ed una significativa quantità di frammenti di anfore da trasporto. Un posto marginale è occupato dalle lucerne (l%) e dal fenomeno del riutilizzo del rottame ceramico (2%), mentre fra la ceramica da mensa prevale ancora la ceramica a vernice nera (14%) sulla sigillata italica (7%) e sulla ceramica a pareti sottili, classi che costituiscono gli indicatori cronologici del contesto in esame. Tale quadro analitico varia in misura non particolarmente significativa, se osservato con la quantificazione relativa al peso in grammi (fig. 17), ove si nota un incremento delle acrome grezze (dal 19 al 28%), a discapito degli altri valori, determinato dalla presenza di frammenti di massicci dolia. Le evidenze tipologiche desumibili dal materiale ceramico sono limitate e quindi non caratterizzanti in alcun modo il periodo cui si riferiscono: a tale scopo sarà infatti necessario studiare in modo analitico altri e più significativi contesti urbani senesi di epoca romana, come, ad esempio, il riempimento di un pozzo in località Castelvecchio, ancora inedito (prima nota in PAPI 1989, probabilmente di cronologia coeva al contesto qui esaminato).

2.3.1. I pochi elementi significativi della ceramica acroma grezza permettono di riconoscere un'olla importata dall'area geologica delle vulcaniti recenti tirreniche (a sud del monte Amiata), probabilmente da area laziale (scheda n. 85), un coperchio di fabbrica circumlocale (con calcite spatica: scheda n. 86), mentre i dolia, con alto orlo verticale e listello sottostante, sono ascrivibili ai rimanenti ambiti di provenienza già esaminati per l'età tardo etrusca (fig. 10 e pp. 354-364), gli scisti microclastici (scheda n. 88) ed i gabbri (scheda n. 89). 2.3.2. Dalle anfore (primi dati per questo problema a Siena: PAPI 1989, pp. 618-619), proviene un elemento problematico dall'unico frammento morfologicamente identificabile (scheda n. 90), avvicinabile alla forma DRESSEL 28 (Pistoia II **, p.264) e foggiato nella matrice n. 21, confrontabile con impasti spagnoli di area tarraconese. Per la DRESSEL 28 esistono effettivamente informazioni dirette sulla sua fabbricazione tarraconense (TCHERNIA 1971; ID. 1986, p. 174 ss.): tale evidenza indicherebbe una datazione ai decenni centrali del I secolo d.C. (SEALEY 1985, pp.97-98) ed oltre (Pistoia II *, p. 352), costituendo in tal modo il termine cronologico più basso per il contesto in esame. 2.3.3. Se puntuali informazioni cronologiche non sono desumibili dai manufatti ottenuti riutilizzando rottami ceramici (schede nn. 91-94), né da due frammenti di fondi di lucerne (schede nn. 95-96), un quadro omogeneo su tale problema emerge dall'analisi del vasellame verniciato da mensa, fra cui la ceramica a vernice nera. Nonostante la non trascurabile incidenza quantitativa (peraltro importante elemento di datazione), nell'ambito di questa classe l'unico elemento determinabile è un orlo di ciotola avvicinabile al tipo MOREL 2276 b1, la cui cronologia rimanda ad età augusteo tiberiana. 2.3.4. Le più precise indicazioni cronologiche sono offerte dalla terra sigillata italica: due fondi di piatti avvicinabili al tipo PUCCI VI,4 (schede nn. 104-105) rimandano a prima del 15 a.C. ed allo stesso ambito cronologico (20-15 a.C.) è riferibile un altro piatto (scheda n. 1064, vicino al tipo PUCCI III,3, con bollo rettangolare lacunoso. Un frammento di fondo di forma aperta con bollo (in cartiglio rettangolare) del vasaio arretino L. Titius Capuo è databile a prima del 12 a.C. (scheda n. 107), una forma GOUDINEAU 15 fra questa data e la fine

del secolo (scheda n. 101), così come un orlo di coppa GOUDINEAU 27 (scheda n. 97). Datazioni più dilatate, ma non posteriori all'età augustea e giulio claudia si hanno, rispettivamente, da forme vicine ai tipi PUCCI XVI, 1 e XXXI, mentre una cronologia non compatibile con gli elementi sino ad ora esaminati sembra deducibile da un frammento di coppa vicina al tipo PUCCI XV, 2-3, posteriore al 50 d.C. 2.4. L'analisi della terra sigillata italica suggerisce una datazione omogenea del contesto romano rinvenuto nell'ambito dell'ultimo ventennio del I secolo a.C. circa ed alla stessa epoca rimanda probabilmente anche l'indice ancora elevato di ceramica a vernica nera, ma da questo quadro si distaccano due reperti che abbassano tale data almeno alla metà del I secolo d.C. La natura "aperta" della giacitura (non sigillata da altri strati immediatamente posteriori) induce tuttavia a valutare questi reperti più recenti come sedimentazione avvenuta in epoca successiva alla deposizione primaria del contesto, con ogni probabilità a segnare la vita della struttura muraria romana con la quale il contesto romano esaminato (U.S. 223) è strettamente relazionato da un punto di vista stratigrafico. La datazione evinta dall'analisi dei reperti per tali tracce, anche murarie, di epoca romana, converge in modo significativo con la cronologia che si tende a riconoscere, sulla base di scarse fonti storiche alla deduzione della colonia romana di Saena Iulia, probabilmente avvenuta in epoca augustea più che in quella cesariana, come indicato da parte della critica (sul problema: BIANCHI BANDINELLI 1970, p. 718; AA.VV. 1979, pp. 95-96). Le sottolineate lacune quantitative della documentazione raccolta impediscono tuttavia qualsiasi conclusione di carattere più generale sull'economia di mercato che interessava Siena all'epoca della deduzione della colonia, un problema che andrà affrontato sulla base di più consistenti restituzioni materiali di questo periodo. 3. Età tardo antica-altomedievale (Periodo III) 3.1. Tracce significative di un utilizzo dell'area con fini abitativi sono state individuate per un'epoca collocabile agli inizi dell'altomedievo. Tali tracce, oltre a consentire una certa comprensione dei modi costruttivi e delle modalità di organizzazione degli spazi domestici di una modesta

casa urbana dell'epoca in questione, disegnano per la prima volta un interessante quadro della cultura materiale di questo periodo in area senese. La costruzione, nell'area già occupata dal muro romano U.S. 170, di una casa altomedievale, con elevato almeno parzialmente in terra (attività 10, 13, 16, 46, 18), determinò una ridefinizione dell'assetto del suolo, cui è imputabile un significativo indice di reperti residui, prevalentemente di epoca romana (19%: fig. 18), nei contesti stratigrafici appartenenti al periodo III. 3.2. La fossa di scarico dell'attività 14, pur con la limitazione di uno scarso indice quantitativo di reperti (n.fr.: 107; peso in gr: 2289), è parso il contesto più omogeneo di questo periodo stratigrafico e con un indice di residualità (valutato fra il 3% ed il 4%), decisamente inferiore alla media (19%) del periodo. Per questo motivo, i reperti dell'attività 14 sono stati presentati, nella schedatura, raggruppati e separati da quelli delle rimanenti attività. In tale logica si inseriscono anche i grafici delle figure 19 e 20, che sintetizzano i rapporti quantitativi (secondo il numero di frammenti e secondo il loro peso in grammi) fra le varie classi ceramiche rinvenute nelle U.S. riferibili all'attività 14. Per l'elaborazione di valutazioni statistiche più attendibili si sono invece considerati i reperti del periodo III nel loro complesso, dopo aver eliminato le produzioni residue, operazione che è naturalmente risultata più complessa per alcune classi meno caratterizzate, come le acrome grezze, per i cui dati non è quindi possibile garantire una completa affidabilità statistica. Analizzando comparativamente i grafici dei rapporti fra classi ceramiche emerse dall'attività 14 (fig. 21) e dal periodo III nel suo complesso (fig. 22), pur con la limitazione quantitativa insita nel campione dell'attività 14, si possono osservare alcune significative differenze. Le acrome depurate, innanzitutto, attestate al 26% delle presenze nel periodo III, sono assenti nello scarico dell'attività 14, fatto che potrebbe imputarsi a lacune di dati dell'attività 14, ma anche al 19% di residui del periodo III ed all'insufficiente caratterizzazione morfologica di questi reperti, che non consente di ipotizzarne una almeno parziale collocazione in fase: una determinazione in tal senso incrementerebbe in modo significativo oltre il 19% l'indice di residualità del periodo, basato sulle

produzioni meglio definibili (terra sigillata italica; ceramica a vernice nera; anfore riconoscibili, etc.). L'oscillazione delle anfore dall'8% al 18% è imputabile al ritrovamento di un'anfora africana del tipo cilindrico di grandi dimensioni infissa nel piano di calpestio dell'abitazione, come dispensa per cereali o altre riserve alimentari. Mentre su valori omogenei si collocano le classi decorate, di sicura caratterizzazione e sicuramente in fase (le ceramiche a colature rosse e quelle verniciate in rosso, nonché le imitazioni della terra sigillata chiara), le acrome grezze si attestano al 63% nell'attività 14 ed al 31% nel complesso del periodo III, rendendo per il momento di ardua definizione la valutazione di tali dati quantitativi (di contro, tuttavia, da tali contesti emergono preziose indicazioni morfologiche e petrografiche per la definizione tipologica di questa classe nel periodo in esame). 3.3. I reperti rinvenuti nelle U.S. dell'attività 14 e quelli in fase del periodo III in generale, definiscono un interessante quadro tipologico delle produzioni ceramiche presenti a Siena fra il VI ed il VIl secolo d.C., in un epoca che il livello embrionale delle conoscenze sui reperti ceramici di questo periodo permette con difficoltà di circoscrivere in modo più soddisfacente. 3.3.1. Le ceramiche decorate a colature di colore rosso sono rappresentate prevalentemente da forme chiuse, boccali con base piana e vistosi rigonfiamenti interni di tornitura (schede n. 113; 115;131), mentre un altro esempio (scheda n. 112), forse è riconducibile ad un secondo centro di fabbrica (dello stesso areale, in quanto la matrice è la medesima) o più semplicemente costituisce solo variante formale, presentando uno spessore più sottile delle pareti e rifiniture incise a punta sulla parete esterna del manufatto. L'orlo è estroflesso (scheda n. 111), appena ingrossato, con ansa quasi complanare (appena rialzata), breve collo ed aggetto di corpo globulare. La decorazione è prodotta con colature di colore rosso (una finissima barbottina ferrosa assai diluita), spesso abrasa dagli agenti corrosivi della giacitura, secondo una sintassi in nessun modo formalizzabile, che denota il carattere del tutto casuale delle colature. Più rare sono le forme aperte, documentate nella ciotola a calotta con orlo indistinto (scheda n. 114) e nel vaso a listello obliquo (scheda n. 130), con

orlo appena rientrante, forse prodotto sulla suggestione tipologica della forma HAYES 91 in terra sigillata chiara (su questo problema, fra gli altri: TORTORELLA 1986, p. 217), largamente diffusa nei contesti mediterranei fra IV e VIl secolo d.C. Pur in un panorama di conoscenze ancora limitato, un significativo nucleo di confronti indica in modo convincente che la tipologia in esame ricorre con frequenza nelle restituzioni regionali ed extraregionali, attribuibili al VI-VIl secolo d.C. Negli scavi di Luni, un consistente nucleo di boccali a colature rosse è emerso da contesti riferiti al VI-VII secolo (Luni II tavv. 333-334 e p. 658 ss.), con stretti contatti formali e decorativi. Bottiglie decorate a colature rosse sono note dalle necropoli longobarde di Fiesole, talora con decorazioni incise a pettine (FRANCOVICH 1984, pp. 618-619 e dis. 1), mentre un esemplare dalla necropoli fiesolana di piazza Mino, ciatato alla metà del VII secolo (VON HESSEN 1971, p.50; FRANCOVICH 1984, pp.620-621 e dis. 4) è decorato a sole colature rosse e presenta incisioni a punta sulla parete esterna, avvicinandosi al reperto senese di scheda n. 112. Anche dai recenti scavi del Palazzo dei Vescovi a Pistoia è emersa, in un attendibile contesto di questo periodo, ceramica decorata con colature rosse, distinta nel gruppo 7 Di quel ritrovamento e datata fra VI e VII secolo d.C. (Pistoia II **, pp.421-424 ss.; VANNINI 1990, tav. IV, pp. 28 e 38-39: con datazione al VII secolo d.C.). Il problema della provenienza di queste ceramiche è certamente assai complesso: la matrice argillosa che le distingue osservata allo stereomicroscopio sino a 120 X e omogenea, per cui sembra ragionevole ipotizzarne l'appartenenza ad un medesimo centro di fabbrica, forse di ambito locale, a causa della stretta somiglianza che lo studio stereomicroscopico sembra indicare fra questa ed altre sicure produzioni di ambito locale. La ricerca, tuttavia, come già sottolineato a proposito del materiale tardo etrusco, andrà impostata non risultando certamente significative le analisi petrografiche con una campagna di analisi chimiche di fluorescenza ai raggi x per la determinazione degli elementi in traccia, con un ampio raggio diacronico di valutazione e verifiche con materie prime argillose da luoghi di cava "storici" di ambito locale. Una ricerca in tale direzione andrebbe estesa contemporaneamente anche ai materiali di altri siti, per definire in modo più oggettivo le aree produttive e di circolazione di questi materiali, in relazione alla supposta importazione dal meridione italiano di parte del vasellame a colature rosse

rinvenuto negli strati altomedievali di Luni (Luni II, p. 646) e dei rapporti suggeriti fra le bottiglie fiesolane, talora a colature rosse, con produzioni dell'Europa settentrionale (FRANCOVICH 1984, p. 627). 3.3.2. Agli stessi centri di produzione delle ceramiche a colature rosse vanno probabilmente attribuite (nell'ottica di quanto specificato nel testo immediatamente precodente) anche una certa quantità di forme chiuse (almeno 6) decorate a vernice rossa uniforme (dette provvisoriamente verniciate rosse altomedievali), prodotte probabilmente sempre sulla suggestione della terra sigillata africana di tipo D, peraltro assente nei contesti senesi del periodo III, ma forse solo per una momentanea lacuna documentaria, in quanto altre merci africane (specialmente anfore) vi sono state rinvenute. Da un punto di vista morfologico, questa classe presenta un repertorio alquanto limitato, incentrato su forme aperte con base piana, corpo globulare ed orlo estroflesso, quindi assai simile alle forme decorate con colature rosse. In un solo caso, il piede è nettamente distinto (scheda n. 148) anche sul fondo esterno, mentre nella maggior parte dei casi è rifinito (schede nn. 129; 149; 151), ma la base è ancora piana: del tutto assente, invece, nelle forme chiuse di schede nn. 128 e 150. Attestazioni di questa classe sono note fra reperti di superficie da un insediamento della valle dell'Osa presso Orbetello, ciatato al V ed al VI secolo iniziale (CIAMPOLTRINI-RENDINI 1989, p. 517 e fig. 3: 8-11) ed entro il VI secolo d.C. è ciatato un insieme di forme chiuse rivestite da ingubbiatura rosata o rossastra dagli scavi del Colle di Pionta ad Arezzo (PAROLI-SAGUI’ 1985, p. 164). Boccaletti con vernice rossa sottile sono noti anche da sepolture longobarde di Fiesole (FRANCOVICH 1984, P. 623), denunciando quindi una lunga durata di questo tipo di produzione. Un problema a sé stante e meritevole di approfondimento nell'ambito di questa classe con verniciatura rossa uniforme e dato da un boccale (scheda 153) proveniente dall'attività stratigrafica 17, che, con strati di terreno carbonioso, sancisce la distruzione dell'edificio altomedievale. Il boccale ha profilo biconicheggiante, base piana con piede distinto, ansa obliqua impostata sul massimo diametro del corpo e sull'alto collo, in corrispondenza ad un sensibile rigonfiamento dello stesso, che è desinente in un profilo a tromba, con orlo assai estroflesso. La spalla è sottolineata da un listello orizzontale scarsamente pronunciato, al di sotto del quale si nota una fascia con decorazione impressa a rotella. Una seconda fascia è

decorata con linee orizzontali incise a pettine, mentre un sottostante fregio mostra più serrati festoni penduli con la stessa tecnica. Le tre fasce sono separate fra loro da linee parallele incise alquanto profondamente con una punta. Un confronto assai stretto per la forma e per la sintassi decorativa è presente nel nucleo di boccali dal Palazzo dei Vescovi a Pistoia (Pistoia II **, p. 442, n. 2429), datato al VII secolo (VANNINI 1990, p.26 ss.), né si possono ignorare le serrate analogie con le coeve bottiglie dalle sepolture longobarde di Fiesole (FRANCOVICH 1984, pp.619-621) e materiale probabilmente affine è segnalato dai contesti altomedievali degli scavi di Luni (Luni II, p. 659). Un confronto convincente si ha infine anche in un sito della Valle dell'Osa (CIAMPOLTRINI-RENDINI 1989, p.517 e fig. 4:7), la cui datazione bassa è fissata all'inizio del VI secolo: a proposito di quest'ultimo confronto deve essere tuttavia precisato che si tratta di materiale da indagini di superficie e che quindi il ciato deve essere valutato con attenzione particolare. Solo l'associazione fra forma e decorazione sembra caratterizzare in modo specifico questo reperto, sia come ambiti produttivi che cronologici, nei termini sopra indicati, in un quadro morfologico che i sia pure esigui (lati disponibili mostrano alquanto articolato (DE MARINIS 1977, tav. XVIII, n. 17/97858). Questo tipo di decorazione è infatti assai diffuso in epoca tardo antica ed altomedievale in ambiti culturali assai diversi (cfr.es. la ceramica dipinta e decorata a pettine di metà V-VI secolo da S.Giovanni di Ruoti in Basilicata: SMALL-FREED 1986, pp. 122-123 e le brocche dalle necropoli delle isole Baleari con datazioni dal V al VII secolo: RAMON 1986, p. 17, figg. 7 e 9) e sembra quindi necessario creare dei gruppi tipologici all'interno di territori omogenei, prima di cedere a suggestioni di più ampio raggio, per materiali di un'epoca in cui la cultura materiale, quando non può riferirsi all'ultima terra sigillata africana o ad elementi di pregio databili con più precisione, si muove entro un reticolo di riferimento le cui maglie appaiono ancora assai larghe. 3.3.3. I reperti del Periodo III permettono soltanto di intravvedere il problema dell'imitazione della terra sigillata chiara. In particolare, un frammento di vaso a listello (scheda n. 125) (a vernice rossa di mediocre qualità), con doppia rotellatura impressa all'esterno, è chiara imitazione della forma HAYES 91 (FULFORD 1984,47), ma la

lacunosità del reperto e del listello ne impediscono una più precisa classificazione entro i sottotipi A/D della forma, la cui diacronia è, come noto, assai dilatata (fra fine TV e inizi VIIsecolo) e tuttora oggetto di discussione (es. REYNOLDS 1987, p.28 ss.; Atlante I, p. 183 ss.). Anche un meno caratterizzato frammento di coppa (scheda 126) sembra appartenere alla stessa produzione, sulla cui origine (locale o d'importazione) non disponiamo sinora di adeguati elementi oggettivi di valutazione. Si può solo sottolineare che recenti ricerche in siti tardo antichi ed altomedievali hanno evidenziato fenomeni di imitazione locale della terra sigillata chiara africana (TORTORELLA 1986, p.217 ;BERATO-BORREANI et alii 1986, Figg. 18-19; CIAMPOLTRINI-RENDINI 1988, pp. 527-528, fig. 8:2) ma l'esiguità della restituzione non consente di impostare ulteriori considerazioni, oltre ad una plausibile convergenza verso l'ambito cronologico focalizzato dalle classi sinora esaminate. 3.3.4. Fra le anfore, solo poche parti significative hanno permesso un riconoscimento di tipi specifici: lo studio delle matrici argillose ha tuttavia consentito di valutare la presenza di anfore africane nel periodo III attorno al 31% (fig. 23), ma il ciato deve essere preso con molta cautela, a causa dell'indice residuale di questi contesti, il cui livello minimo è probabilmente del 19%. La parte inferiore di un'anfora africana del tipo cilindrico di grandi dimensioni (scheda n. 144), infissa nel piano di vita del lacerto di abitazione del Periodo III, è databile, sulla base dei confronti citati in scheda, fra la fine del V e la metà del VI secolo d.C.: si tratta di una tipologia anforica che caratterizza i contesti di VI e VII secolo d.C. (PANELLA 1986, p. 259). Una cronologia del tutto simile (terminus post quem, inizio VI secolo d.C.: BERATO-BORREANI et alii 1986, p. 137) è possibile indicare per l'orlo di anfora affine al tipo KEAY LIII d (scheda n. 123), di probabile provenienza orientale (sul problema, vedi anche BONIFAY-VILLEDIEU 1989, pp. 23-25), che allarga lo spettro della circolazione delle merci in area senese agli esordi dell'altomedioevo. 3.3.5. Le acrome grezze, pur non rappresentando elemento utile per la datazione, trovano, nei contesti dell'attività 14, un utile punto di riferimento per la costruzione di una serie tipologica. Attestate su una presenza del 63% nel quadro complessivo dell'attività, le acrome grezze da

questa restituzione mostrano caratteri di particolare omogeneità, anche per lo scarso indice di residui. Il 94% delle acrome grezze dell'attività 14 sono riconducibili ad un unico areale produttivo, sito in una delle aree circostanti Siena e geologicamente caratterizzate dalla presenza di calcare dolomitico con vene di calcite spatica (fig. 10), secondo quelle problematiche già discusse per l'età tardo etrusca (cfr.: 1.3.2). Questo ciato quantitativo scende al 75% nella valutazione complessiva del Periodo III (fig. 24), certo a causa dell'impossibilità per i frammenti di pareti di acrome grezze di isolare i residui non in fase: è opinione personale di chi scrive che il ciato dell'attività 14, nonostante la sua scarsa attendibilità statistica (cfr. 3.21, rappresenti tuttavia in modo più efficace la realtà della produzione e del mercato agli esordi dell'altomedioevo in area senese. L'omogeneità delle matrici argillose e delle forme delle acrome grezze emerse dall'attività 14 permettono di individuare non solo l'areale produttivo nella zona della Montagnola Senese (con una continuità dall'epoca etrusca al medioevo), ma anche di stabilire forme caratterizzanti e ricorrenti, come l'olla di scheda n. 116 con orlo distinto inclinato all'interno (variante in scheda n. 135) e breve listello esterno, probabilmente funzionale all'appoggio di un coperchio. Una forma rappresentata (schede n. 119; 120; 136) è anche l'olla con orlo sagomato ed insellatura interna ed il testello in argilla gabbrica (secondo la tradizione di questi manufatti sino a tutta l'età contemporanea), attestato anche nel contesto coevo del Poggio del Boccaccio (Certaldo) (DE MARINIS 1977, tav. XVIII). Si ha infine motivo di ritenere in fase (non più dall'attività 14) anche il colatoio di scheda n. 139, per le sue dimensioni e per la matrice ricca di calcite spatica. Compatibilmente con quanto sopra discusso, il quadro delineato dalla ceramica grezza si inserisce in una consolidata continuità produttiva di un'area prossima a Siena (probabilmente la Montagnola Senese), con un repertorio di forme sinora sconosciuto e permette inoltre di focalizzare una sicura contrazione delle più articolate situazioni produttive e di mercato di questa classe ceramica emerse nelle fasi precedenti delle stratigrafie esaminate. 3.3.6. Un tentativo di valutazione statistica fra le forme del periodo III (a prescindere dalle tipologie) (fig. 25) è stato condotto sul materiale

attendibilmente in fase: le olle da fuoco (esclusivamente acrome grezze) prevalgono con il 62% sui boccali, attestati al 28% (decorati a colature rosse ed interamente in rosso). I testelli per la cottura di focacce sono attestati al 3%, così come le anfore e le forme aperte, imitanti la terra sigillata chiara o decorate a colature rosse. Quest'ultimo ciato necessita una riflessione specifica, ciato il suo carattere anomalo: potrebbe trattarsi forse di un ciato dovuto alla scarsità del campione disponibile o anche la conseguenza dell'introduzione di forme aperte in materiali non ceramici, come il legno ed il vetro, il cui utilizzo nell'altomedioevo era largamente diffuso. 3.3.7. Gli elementi sin qui discussi convergono in modo significativo nell'indicare una datazione dei contesti del Periodo III fra VI e VII secolo d.C. Il boccale dall'attività 17 (scheda n. 153) può rimandare ad una datazione più puntuale all'inizio del VII secolo, anche se la scarsità dei dati di confronto suggerisce prudenza nel circoscrivere eccessivamente la cronologia. Nello stesso ambito cronologico si possono collocare anche le ceramiche a colature rosse e quelle verniciate completamente in rosso, ma con una probabile dilatazione al VI secolo, secondo il quadro analitico prima esaminato di una tipologia caratterizzante i contesti di VI-VII secolo e diffusa specialmente nell'Italia meridionale (fra gli ultimi, su questo problema: GUARINO-MAURO-PEDUTO 1988). Una cronologia omogenea (fine V-metà VI sec.) è ancora suggerita dall'anfora cilindrica di grandi dimensioni (che faceva parte dell'attrezzatura fissa dell'abitazione della fase B del Periodo) e da quella orientale di tipo KEAY LIII d, mentre dalle imitazioni della terra sigillata chiara è possibile soltanto evincere cronologie più dilatate. L'abitazione della fase A del Periodo III, il cui terminus ante quem è dato dai materiali dell'attività 14, potrebbe datarsi entro la metà del VI secolo d.C (per l'anfora KEAY LIII il terminus post quem viene posto agli inizi del VI secolo d.C.), se per l'anfora cilindrica infissa nella riorganizzazione abitativa della fase B che la oblitera fosse effettivamente corretto un termine cronologico basso a questa data. La fine della fase B del Periodo III, che risulta stratigraficamente suggellato dalla distruzione dell'attività 17, ha restituito il boccale di scheda 153 da cui si evince il termine cronologico più basso dei contesti altomedievali esaminati.

Le difficoltà di lettura dei dati stratigrafici assai frammentati e l'impossibilità di ottenere dal materiale una datazione più circoscritta, suggeriscono di non forzare la possibilità di un collegamento fra i dati archeologici discussi e la dinamica degli eventi storici del periodo in cui questi si collocano: il richiamo alle vaste distruzioni provocate dalla guerra greco-gotica nel secondo quarto del VI secolo in relazione alla fase datata dall'attività 14 non può quindi per il momento che rimanere suggestiva ipotesi di lavoro, in attesa di un più significativo incremento di dati archeologici urbani. Allo stesso modo, poiché non disponiamo di elementi di certezza per porre in relazione la distruzione dell'abitazione della fase B del Periodo III (collocabile fra un momento forse avanzato della seconda metà del VI e l'inizio del VIl secolo d.C.) con le lotte certamente provocate dallo stabilirsi del dominio longobardo in area senese ed aretina negli anni fra il 576 ed il 591, i dati disponibili consentono sinora soltanto di evidenziare questa possibile convergenza. 4. Età bassomedievale (Periodo VII) 4.1. Un contesto omogeneo e particolarmente significativo per il bassomedioevo è rappresentato dall'attività 23 (Periodo VII), un riempimento posto a colmare la distruzione di vani sepolcrali in laterizio addossati alla parete del complesso monumentale del Santa Maria della Scala prospiciente la piazza del Duomo. Tale restituzione è riferibile agli anni Settanta-Ottanta del XV secolo, un'epoca in cui si attuarono ingenti lavori di rifacimento della chiesa ospedaliera per opera di Francesco di Giorgio Martini e che furono probabilmente estesi ad un'area limitrofa, qual'è quella indagata dallo scavo. 4.2. I materiali ceramici emersi dalle U.S. dell'attività 23 costituiscono un insieme interessante per lo studio della ceramica senese dell'ultimo quarto del XV secolo: il campione si può infatti ritenere sufficientemente ampio, essendo rappresentato da 1754 frammenti ceramici, per un peso complessivo di 30 kg (gr 29.960). Il fattore di residualità del contesto è poi estremamente basso, valutabile al 2% (fig. 26), un livello quasi eccezionale per un sito altamente pluristratificato, situazione che accresce

l'interesse della restituzione, suggerendo di sfruttarla per elaborazioni quantitative. Su tale insieme è stato effettuato il calcolo del numero minimo delle forme, secondo il metodo soggettivo usato da FLRTCHER-HEIWORTH 1987, p. 37 ss, che ha portato ad un risultato di 110 frammenti (fig. 28); 3. Il peso dei frammenti (fig. 29). Da uno sguardo sinottico dei tre grafici si può subito notare che alcune classi rappresentate nel grafico del numero minimo delle forme (ispano-moresca; italo-moresca) non lo sono nei grafici secondo il numero dei frammenti e secondo il loro peso, in quanto l'esiguità dei dati non li rendeva rappresentabili (1%), mentre nel calcolo del numero minimo delle forme sussiste il problema della sovrarappresentazione delle classi rare (FLETCHER-HEYWORTH 1987, p. 37). I valori emersi dai tre grafici mostrano tuttavia una tendenza alquanto omogenea, particolarmente evidente nella maiolica arcaica, rappresentata dal 37% secondo il calcolo delle forme, dal 38% secondo il numero dei frammenti e dal 36% secondo il loro peso. La ceramica invetriata, omogenea per numero minimo e peso (18% e 16%) è portata ad un valore anomalo (26%) da un alto indice di frammentazione, così come accade per l'acroma grezza, stabile fra numero minimo di forme e frammenti (l0%; 8%) ed anomala nel valore del peso (17%), a causa del carattere massiccio delle sue forme. Sulla base del numero minimo, è stato calcolato il rapporto fra le classi decorate (ingobbiata e graffita, maiolica) e quelle funzionali (acroma depurata e grezza, invetriata), con lo scopo di quantificare quella caratterizzazione privilegiata del contesto che era parso di cogliere sin dai primi momenti dell'analisi (fig. 30%: una presenza del 55% di ceramica decorata potrebbe confermare tale interpretazione, anche se in effetti mancano contesti urbani coevi, socialmente caratterizzati e diversivi, per un utile e contronto. 4.3.1. L'acroma depurata è costituita dal 17% delle forme, secondo il loro numero minimo (fig. 27): esaminando i rapporti fra le forme di questa classe (fig. 31), si può osservare il prevalere dei catini e delle anforette e solo una minoritaria presenza di altre forme, i coperchi, i vasi da fiori ed un microvasetto. I catini (schede nn. 162-168), con orlo sporgente a desinenza assottigliata, sia pure con varianti morfologiche, sono riconducibili al tipo

FRANCOVICH 1982,nb11, da un coevo contesto urbano senese tardoquattrocentesco, presso la contrada del Nicchio: in tale ritrovamento, effettuato in un ambiente produttivo, l'acroma depurata si colloca su valori (calcolati con il numero dei frammenti) oscillanti fra il 24 ed il 27% (FRANCOVICH 1982, pp. 227 e 275), assai vicini a quelli ottenuti per il contesto ora in esame con simili metodi di quantificazione (numero fr.: 24%; peso fr.: 27%). Le anforette sono del tipo con ansa complanare (scheda n. 170), confrontabili con il tipo FRANCOVICH 1982, fig. 231, fn 15, con bande parallele, ondulazioni e tocchi ottenuti a pettine, forme ben note nei coevi contesti del Nicchio e nel quadro complessivo delle conoscenze archeologiche del periodo (FRANCOVICH 1982, na 28, fn 15 e p. 68 ss.). Anche i coperchi riconducono a confronti noti nei contesti produttivi del Nicchio, sia il tipo con ansa a nastro e fori di sfiato sul piano (scheda n. 179), sia quello con presa apicale e foro al margine della stessa (scheda n. 178), noti anche nei recuperi dal convento senese di Santa Marta (FRANCOVICH 1982, fig. 250, nn. 8 e 97. 4.3.2. Anche per l'acroma grezza, la cui presenza è quantificabile dall'8% (numero frammenti) al 10% (numero minimo forme), è registrabile un'omogeneità di questo ciato con 1'8% stimato (dal numero dei fr.) nei contesti quattrocenteschi del Nicchio (FRANCOVICH 1982, fig. 275), a prima conferma di un certo trend statistico nelle restituzioni urbane dell'epoca. All'interno di questa classe sono state effettuate quantificazioni volte a delineare i rapporti fra le forme (fig. 32) e quelli fra le aree di produzione (fig. 33), per nulla omogenee e forzatamente "locali", nonostante il carattere del tutto funzionale dei manufatti (vedi i « pignatti forestieri » citati nei provvedimenti del Comune di Siena del 1477: PICCINNI 1981 , p . 590) . Con il 55% prevalgono le olle, fra cui il 36% è foggiato con la matrice n. 9, attribuibile all'area delle Vulcaniti recenti tirreniche (fig. 33) e pertanto da ritenersi importazione da un'areale collocato a sud del monte Amiata. Morfologicamente affine al tipo nb 2 di FRANCOVICH 1982, dai coevi contesti del Nicchio (schede nn. 180-183), questo tipo di olla (con orlo ad argione e base piana) si deve ritenere necessariamente in fase in quanto non attestazione sporadica ma maggioritaria, oltre che per i confronti

addotti da contesti coevi e per la scarsa presenza di residui (2%) dallo scarico. Convincenti confronti tipologici per l'olla ad impasto vulcanico sono tuttavia reperibili anche a Grosseto ed in area maremmana (FRANCOVICH-GELICHI 1980, p. 31, n. 14) ed è nota 1'influenza politica esercitata da Siena in tali contesti territoriali, dopo l'annessione di Massa Marittima del 1335 e sino all'età rinascimentale (CUCINI 1985, p. 309). Il problema di un'importazione di olle grezze bassomedievali dalla Maremma a Siena andrebbe comunque studiato su più vasta scala, con analisi di tipo petrografico estese a campionature da vari contesti disponibili, al fine di determinare se ai tipi morfologici corrispondano effettivamente diversi areali produttivi, così come sembra dalle osservazioni condotte. Minoritaria appare invece la presenza di olle foggiate con la matrice n. 11, caratterizzata dalla presenza di calcite spatica macinata e riconducibile a fabbriche di area senese (regione della Montagnola Senese), secondo un quadro di problematiche già messo a fuoco a partire dall'età tardo etrusca (cfr.p. 358 e fig. 10). Da restituzioni senesi del XV secolo, il tipo è segnalato negli scarichi del Nicchio (sulla caratterizzazione petrografica, cfr.: FRANCHI-MANGANELLI DEL FÀ 1982: gruppo 2, pp. 324, 326 e 327), a riprova dell'effettiva continuità produttiva di areali ceramici "tradizionali" (secondo l'evidenza archeologica) attorno a Siena. Come probabile importazione dalla media Valdarno sono interpretabili i catini di tipo cd. "figlinese", di cui si conoscono scarti dall'eponimo sito di Figline di Prato e da Montelupo Fiorentino, con un'estensione cronologica che supera il XVI secolo. Questa tipologia, valutabile al 27% delle acrome grezze, è foggiata nella matrice n. 19, tipica della produzione, il cui studio deve essere ancora definito, essendo i contesti produttivi scarsamente editi. Si tratta (schede nn. 319-322) delle prime attestazioni di catini figlinesi a Siena, ma sulla diffusione della tipologia al di fuori dell'area valdarnese (Figline di Prato: MAETZKE 1973; Prato: FRANCOVICH et alii 1978, p. 175; Vaiano: FRANCOVICH-VANNINI 1976; S.Giovanni Valdarno: FRANCOVICH 1982, fig. 142: 5) recenti rinvenimenti stanno apportando i primi dati (Pistoia II **, p. 86; Ripafratta (Pisa): RENZI RIZZO 1990, p. 43 ss; Genova: MILANESE 1991), da contesti riferibili al tardo XV secolo.

I catini di tipo "figlinese" dal contesto in esame sono riferibili ad una produzione tarda del tipo, come sottolineato, oltre che dalla ciatazione della giacitura, anche dal carattere stanco delle matrici utilizzate, che danno luogo a motivi impressi rari e difficilmente interpretabili. 4.3.3. La presenza di ceramica invetriata è valutabile al 18% del totale complessivo secondo il numero minimo delle forme (fig. 27), al 16% secondo la quantificazione per il peso dei fr. (fig. 29) ed al 26% secondo il loro numero (fig. 28), per l'alto indice di frammentazione delle forme. T primi due ciati si confrontano con precisione con il 18% di presenza di invetriata valutato nello scarico tardoquattrocentesco del Nicchio in Siena (FRANCOVICH 1982, p. 275), confermando in modo sorprendente il trend statistico delle restituzioni del periodo. L'analisi delle forme (fig. 34) visualizza la preponderanza delle pentole (60%), seguite dai catini (15%), dai tegami, dai grandi contenitori (10%) e da altre tipologie minori. Le pentole trovano in parte stretti confronti con i tipi editi dal contesto produttivo del Nicchio (schede nn. 200-207), con orlo estroflesso appena distinto ed ansa a nastro sottostante, mentre alcuni reperti (schede nn. 208-210) si configurano come nuove varianti morfologiche. I fondi sono piani (schede nn. 211-213), adeguandosi in questo al panorama produttivo già noto e presupponendo un utilizzo delle pentole senza contatto diretto con la fiamma, ma con cottura a riverbero del focolare. Più rari sono i tegami, che offrono tuttavia qualche dato morfologico nuovo, con orli ingrossati e parete obliqua (schede nn. 215, 217) oppure con orlo pendulo, ansa a nastro e base piana (scheda n. 216). L'esame dei tipi ceramici da fuoco sin qui condotto induce a mettere a confronto i dati di diverse tipologie (fig. 35), come l'acroma grezza e l'invetriata, per osservarne i rapporti nel quadro complessivo del contesto esaminato. Da questa elaborazione, effettuata sulla base del numero minimo delle forme, si evince che l'instrumentum domesticum senese del tardo XV secolo vedeva ormai prevalente la presenza di vasellame da fuoco invetriato (70%) di fabbrica probabilmente urbana, come sembrano indicare i contesti del Nicchio, rispetto a quello acromo grezzo, costituito essenzialmente da olle di fabbrica non urbana e in parte provenienti da areali alquanto lontani dalla città. Tale quadro segna probabilmente un momento particolare nel processo di affiancamento e sostituzione delle pentola invetriata alle olle grezze di tradizione classica ed altomedievale,

secondo una scansione diacronica che ancora sfugge per l'esiguità delle restituzioni (FRANCOVICH 1982, p. 70). Altre forme invetriate, indirizzate ad usi diversi dalla cottura degli alimenti, completano il panorama in esame: si tratta del catino invetriato verde con orlo a nastro convesso, di forma FRANCOVICH 1982, B. 1. 1. (schede 224-226), prodotto su biscotto della maiolica arcaica e noto nella fornace del Nicchio in contesto tardoquattrocentesco, di microvasetti (schede 219-220) che compaiono a partire dal XV secolo (FRANCOVICH 1982, p. 71), nonché orci o grandi contenitori con cordonatura applicata (schede nn. 222-223), probabilmente mediata da modelli in acroma grezza. 4.3.4. Un problema a sé rappresenta un gruppo di 10 frammenti (del peso di gr 145) riconducibili ad almeno 2 bottiglie di grés, di probabile produzione renana, di colore grigio (schede 199 e 221). Oltre alla natura della matrice, esse si distinguono anche per la caratteristica forma dell'alto collo cilindrico con evidenti modanature e per l'attacco dell'ansa in prossimità dell'orlo, pressoché indistinto. Si tratta della prima attestazione di grés in contesti senesi tardomedievali, che si affianca a sporadiche segnalazioni da un solo contesto urbano bassomedievale a Genova (MANNONI 1975, p. 50, tipo 34). 4.3.5. Articolato ed interessante appare il quadro della ceramica decorata, per lo più ciestinata alla mensa, anche se per qualche forma si può supporre un differente utilizzo nell'ambito dello Spedale del Santa Maria della Scala. Mentre si è già visto (fig. 30), nell'economia complessiva del contesto, la prevalenza delle classi decorate su quelle funzionali (acrome, invetriate), un'analisi quantitativa condotta sul numero minimo delle forme della ceramica decorata (vari tipi di maiolica e graffita) (fig. 36) indica nella maiolica arcaica la classe più rappresentata (67%), seguita da un eterogeneo insieme di maioliche rinascimentali (16%), dalla graffita policroma (8%), dall'ispano moresca (5%) e dall'italomoresca (3%). I rapporti quantitativi fra le forme da mensa (fig. 37) evidenziano il largo utilizzo del vasellame individuale, come i piatti (23%), le ciotole (21%), ma anche la maggior parte dei boccali riferibili al servizio dello Spedale (fig. 42) sono evidentemente di destinazione individuale. 4.3.6. Elemento caratterizzante del servizio da tavola della seconda metà del XV secolo (FRANCOVICH 1982, p. 80), la ceramica graffita

policroma di fabbrica locale costituisce quindi un importante elemento per la cronologia del contesto. Detta classe occupa l'8% della ceramica decorata (fig. 36), il 5% dei reperti ceramici nel loro insieme (secondo le forme: fig. 27) ed il solo 2% secondo il numero dei frammenti (per lo scarso indice di frammentarietà) ed il loro peso (figg. 28-29). Le forme attestate nello scarico (schede nn. 196-198) sono riferibili alla forma FRANCOVICH 1982, C.4.1., che i ceramisti senesi trassero dai modelli formali della maiolica arcaica (forma B.4.1.), decorate con motivi metopali sulla tesa (S.3.1.) e girandola di foglie accartocciate nel cavetto (M.C.6.1.), secondo un repertorio morfologico ed iconografico caratteristico delle restituzioni senesi tardoquattrocentesche, coerentemente con l'introduzione di questa classe in numerosi altri centri produttori toscani nel corso del medesimo ambito cronologico (sul problema, cfr.: BERTI-CAPPELLI-TONGIORGI 1986, pp. 158-166). 4.3.7. Alcuni frammenti, sia pure scarsamente rappresentativi tipologicamente riconducono a vasellame ispano-moresco di fabbrica valenzana (5% della ceramica decorata e 3% dei rapporti fra le classi secondo il numero minimo: figg.36 e 27; 1% secondo il numero dei fr. ed il loro peso), una costante dei contesti quattrocenteschi non solo senesi e toscani (FRANCOVICH 1982, p. 82; FRANCOVICH-GELICHI 1984, p. 19 ss), ma mediterranei. 4.3.8. Fra la ceramica decorata, la maiolica arcaica è la classe più rappresentata nel contesto: 67% delle classi decorate (fig. 36), 37% del totale complessivo delle classi (fig. 27) secondo il numero delle forme (36% secondo il peso e 38% secondo il numero dei frammenti: figg. 29 e 28). Una così elevata quantità di maiolica arcaica in un insieme databile attorno agli anni Settanta-Ottanta del XV secolo trova conferme nella lunga durata della classe, che i contesti archeologici fra XV e XVI secolo dell'Italia centrosettentrionale stanno delineando, in un panorama sempre più articolato di questo fenomeno (MILANESE 1990). Osservata nel suo insieme, la maiolica arcaica del contesto in esame, può essere suddivisa in tre gruppi (fig. 38): la maiolica arcaica che potremmo definire "normale", con decorazioni del repertorio più tardo della classe, la maiolica arcaica caratterizzata da simboli dello Spedale (oggetto di

specifica committenza a fabbriche senesi), nonché la maiolica arcaica monocroma bianca. Considerando quest'ultima come variante fra la maiolica arcaica "normale", si avrebbe un leggero predominio delle forme non caratterizzate su quelle decorate con i simboli dello Spedale di Santa Maria della Scala (la scala con la croce alla sommità), secondo una tendenza che appare più evidente dall'analisi complessiva della ceramica decorata (fig. 39). Fra la produzione "normale" appaiono prevalenti (35%) i catini (fig. 40), con orlo a nastro convesso e fondo piano (FRANCOVICH 1982, forma B.1.1), già noti dalla seconda metà del XIV secolo e caratterizzati da una standardizzazione del repertorio iconografico (CAPPELLI 1990, p.330 ss.) (schede nn. 229,231-235), talora con foglie polilobate disposte in sintassi cruciforme (FRANCOVICH 1982, M.I.4/ 5). Con il 22% seguono gli orcioli, prevalentemente del tipo A.10.1. (schede nn. 248-249), che sopperiscono alle lacune documentarie del tipo lamentate nella formalizzazione dei tipi ceramici senesi di epoca medievale (FRANCOVICH 1982, p. 129). Al 17% è valutabile la presenza dei boccali, con decorazione affine al tipo M.I.3. (scheda n. 258) e quella delle ciotole di forma B.9. (scheda 369) e di forma affine ad una delle forme guida dell'italo-moresca, la caratteristica ciotola con orio tagliato (BERTI 1986, p.25) i piatti, infine, attestati dal 996 (fig. 40), sono presenti in un'unica variante formale, il tipo B.4.2. di FRANCOVICH 1982. Un problema di pertinenza esclusiva della maiolica arcaica, che ne rappresenta il 95% (fig. 41), è costituito dai resti di vasellame contrassegnato dai simboli dello Spedale della Scala, dipinti in bruno manganese, che documentano in modo assai chiaro l'utenza delle ceramiche confiuite nello scarico esaminato. Un più attento esame delle forme contrassegnate con i simboli dello Speciale (fig. 42) suggerisce la presenza di forme, come le anfore (scheda n. 254) e gli orcioli (scheda n. 252), probabilmente utilizzate nella farmacia dello Spedale stesso, mentre le restanti forme sono indirizzate chiaramente alla mensa. Largamente rappresentati sono i ciotoloni di forma FRANCOVICH 1982, B.3.1. (21%), con il caratteristico fianco esterno sagomato superiormente a listelli (schede nn. 239-244), una forma di scarsa attestazione a Siena, ma documentata nella fornace tardoquattrocentesca del Nicchio: lo schema

iconografico prevede i simboli dello Spedale (scala e croce) dipinti in bruno nel cavetto ed una ghirlanda vegetale con bacche collocata nella zona sottostante l'orlo. Alla stessa percentuale è documentata la presenza di boccali di piccole dimensioni, con i soli simboli dello Spedale in bruno su campo bianco (schede nn. 256, 257, 259), mentre un boccale di maggiori dimensioni (scheda n. 255) è attestazione isolata. Fra le ciotole (16% dei reperti riconducibili al servizio ceramico dello Spedale) si segnala quella di scheda n. 263, avvicinabile al tipo B.9.2., nota anche in altre committenze ceramiche di istituzioni religiose senesi (FRANCOVICH 1982, p. 136). 4.3.9. Assai minoritaria quantitativamente rispetto alla maiolica arcaica, ma preziosa per le indicazioni cronologiche, è un insieme di eterogenee tipologie decorative su smalto stannifero, raggruppate (per evitarne la dispersione e la non significatività nelle quantificazioni) sotto la definizione di maioliche rinascimentali. La loro presenza è valutata al 16% nel rapporto con le altre classi decorate (fig. 36), mentre nel quadro complessivo del contesto al 9% secondo il numero minimo (fig. 27), al 3% secondo il numero dei frammenti (fig. 28) ed al 2% secondo il loro peso (fig. 29). Due boccali (schede 266 e 267) presentano un motivo a maglia in colore arancio, campita con piccoli asterischi in blu, secondo una sintassi decorativa già nota a Siena (confronti negli scarichi del Nicchio), forse ispirata al motivo del reticolo puntinato, caratteristico dei boccali di Montelupo Fiorentino dal XV secolo (BERTI 1986, p. 32). La genesi formale dell'asterisco in blu e della sintassi decorativa di queste tipologie iconografiche sembra potersi ricondurre all'estenuazione di modelli del gruppo cd. di "Santa Fina", inquadrabili nell'italo-moresca policroma (es. CORA 1973, tav. 166 ss.; CARBONI 1990, fig. 247), sempre di produzione montelupina, risultando quindi il punto di arrivo estremo della stilizzazione della foglia di bryonia presente sui prototipi ispano-moreschi. Proprio alla decorazione di tipo Santa Fina, di cui è stato recentemente rinvenuto un ingente scarico di fornace, datato agli anni 1470-1480, a Montelupo (in corso di studio, reperti esposti presso il Museo Archeologico), è riferibile la ciotola con base apoda e concava (scheda n. 271), forma ispirata a prototipi spagnoli al pari della sua decorazione, che

costituisce naturalmente un ulteriore e prezioso indicatore cronologico del contesto. Lo stesso orientamento cronologico emerge infine da frammenti di boccali con ovale centrale contornato dal motivo a scaletta (scheda n. 268) e dalla ghirlanda di foglie (scheda n. 269) e da un piatto di forma B.4.2. (comune alle coeve maiolica arcaica e graffita policroma senese e perciò di chiara fabbrica locale, come indica anche l'esame della matrice argillosa), ma innovativo nei motivi a monticedi sinuosi entro fascia, con stretti confronti dada restituzione senese di Santa Marta e caratterizzato nel cavetto dalla simbologia dello Spedale di Santa Maria della Scala. 5. Età moderna e contemporanea (Periodi VIII, IX, XI) 5.1. Inizio XVIII secolo (Periodo VIII - Fase B) 5.1.1. Le unità stratigrafiche raccolte nel Periodo VIII - Fase B documentano lavori per una nuova sistemazione della Piazza del Duomo, con livellamenti ed asportazioni funzionali ad una ripavimentazione dell'area. Tali lavori trovano conferma in fonti archivistiche che testimoniano un impegnativo intervento urbanistico al volgere del secondo decennio del Settecento (1718-1720) (cfr. pp. 225-226). 5.1.2. L'elevatissimo indice di reperti residui dal Periodo VIII rispecchia in pieno la natura delle giaciture di pertinenza, non riferibili a scarichi d'uso ma a fenomeni di alterazione delle stratificazioni precedenti. Non è stato possibile quantificare con precisione l'incidenza del residuo poiché questo non è costituito solo da materiali di età tardo etrusca, romana, altomedievale e bassomedievale, ma anche da tipologie talora meno caratterizzate (in assenza di forme definibili), oppure ancora da classi di lunga durata, come la maiolica bianca, al cui interno non è ancora stata definita una precisa scansione diacronica dei mutamenti morfologici dal XVI al XVIlI secolo, per lo stadio ancora embrionale delle conoscenze su queste problematiche. L'elevato numero di classi presenti ha comportato quindi un appiattimento dei valori statistici ed una dispersione dei ciati, da cui è derivata la non rappresentatività delle presenze con valori inferiori all'1%. Per ottenere una lettura significativa del materiale emerso, la suddivisione proposta isola gli scarsi elementi in fase, utili per la ciatazione del periodo

e suddivide i reperti residui in blocchi cronologici, distinguendo quelli di età classica da quelli altomedievali, bassomedievali e rinascimentali. 5.1.3. La specifica problematica appena esposta chiarifica la non significatività di un trattamento complessivo ed analitico dei reperti in esame e perciò il quadro di sintesi delle relazioni fra le classi presenti (fig. 43) non può che suggerire alcune tendenze di residualità dei contesti. Frammenti di ceramica ingobbiata dipinta (scheda n. 283), di maiolica bianca (scheda n. 284), bianco-blu e policroma (schede nn. 285-287) costituiscono elementi ascrivibili a tipologie settecentesche e pertanto ipotizzabili come materiali più recenti delle restituzioni. L'alto indice di frantumazione del materiale, la scarsità dei reperti datanti (caratterizzabili come settecenteschi) e l'esiguità degli studi utilizzabili per confronto suggeriscono di proporre questi ciati in chiave problematica, nell'attesa di più significativi contesti che colmino le attuali lacune di informazioni. 5.1.4. Il gruppo dei residui postclassici si presenta piuttosto articolato e tutte le tipologie più significative vi sono rappresentate. Fra le acrome grezze bassomedievali si segnalano olle, testi e tegami (schede nn. 294-298), che talora integrano il quadro emerso dal periodo VII. L'olla con orlo ad arpione di scheda n. 295 è ancora foggiata nella matrice 9 di ambito vulcanico, a conferma delle osservazioni condotte al punto 4.4.3.2, mentre scarsamente rappresentata da elementi significativi appare la ceramica invetriata. Alcuni frammenti di maiolica arcaica (es. scheda n. 306) derivano probabilmente dal rimaneggiamento di strati tardoquattrocenteschi (Periodo VII), così come maioliche rinascimentali (scheda n. 312), mentre piatti con decorazione compendiaria (schede nn. 310-311), pur nella residualità, hanno una ciatazione più recente. Da giaciture inquadrabili nel periodo III (altomedioevo) della stratificazione qui esaminata sono inseribili ceramiche acrome a colature rosse (schede nn. 319-320) ed a cronologie non dissimili vanno attribuite imitazioni di sigillata chiara, ma per una discussione più articolata si rimanda alle pp. 370-372.

5.1.5. I residui d'età classica si presentano particolarmente abbondanti, in relazione allo scavo della grande fossa dell'attività 30 e ad operazioni di asportazione di depositi di tali epoche. Fra le anfore, si segnala (scheda n. 330) un probabile frammento di anfora etrusca ed un orlo di DRESSEL 7/13 (scheda n. 335), oltre a meglio rappresentati frammenti di DRESSEL 1 (schede nn. 331-334). Sporadici frammenti di lucerne tardo-repubblicane e di prima età imperiale (schede nn. 339-340) non permettono neppure la quantificazione della classe (fig. 43), al contrario dei vasi a pareti sottili, insolitamente rappresentati, con un ampio spettro morfologico concentrato fra l'età augustea ed il I secolo d.C. (schede nn. 341-356), coerentemente con i materiali rinvenuti in giacitura nelle U.S. del Periodo II (cfr. pp. 354-364), che risultano tuttavia arricchiti nel panorama tipologico. Analoga cronologia attesta anche la sigillata italica, con ciatazioni dall'età cesariana al I sec. d.C. (schede nn. 357 –375), piuttosto varia nel repertorio formale. Ad età etrusca, oltre al frammento d'anfora di scheda n. 330, si può riferire anche un piccolo frammento di terracotta architettonica (scheda n. 376) in cui si riconosce un occhio di un personaggio, dato da cui si potrebbe cautamente dedurre l'esistenza di un edificio templare su colle di Castelvecchio o in area limitrofa. La ceramica a vernice nera (schede nn. 377-391), pur abbondante quantitativamente (169 frammenti, pari al 9% dei reperti complessivi del periodo VIII), non estende in maniera significativa il quadro delle conoscenze delineato nei periodi iniziali della stratificazione, ponendo il problema di una possibile monotonia del repertorio formale utilizzato dalle fabbriche minori di area senese: se i reperti di schede 392 e 393 si potessero effettivamente interpretare come scarti di fornace di ceramiche a vernice nera ci troveremmo di fronte ai primi indicatori di una tale produzione, ma la natura dei reperti non consente tuttavia di andare oltre ad una semplice ipotesi di lavoro. 5.2. Fine XVIII secolo (Pertodo IX) 5.2.1. L'attività stratigrafica più rilevante del Periodo IX per lo studio dei reperti ceramici e della circolazione mercantile nel tardo Settecento è costituita dall'attività 37, una fossa d'interro di rifiuti d'uso, che ha fornito

un quadro interessante delle problematiche del periodo, anche a causa dell'assenza di residui. La scarsa base quantitativa della restituzione (circa 200 fr.) impedisce purtroppo un approfondimento statistico analitico all'interno delle varie classi, suggerendo di limitare la lettura quantitativa del contesto al solo quadro generale di ripartizione fra le classi (fig. 44). 5.2.2. Pressoché assenti le ceramiche acrome depurate e grezze, che abbiamo visto spesso dominare il panorama quantitativo dei periodi precedenti, una produzione di pentolame da fuoco ma decorato con ingobbio chiaro sotto vetrina trasparente occupa il 18% del totale complessivo dei reperti. Si tratta di una tipologia largamente diffusa nei contesti toscani del XVIII secolo (es.: BERTI-TONGIORGI 1976, Figg. 2-31; FRANCOVICH-GELICHI 1980, p. 142 ss.; Pistoia II**; pp. 424-428; Pisioia II **, p. 505), probabilmente prodotta da più centri di fabbrica (scarti a Montelupo, inediti): fra le forme si riconoscono tegami e pentole, con relativi coperchi (schede nn. 396-401), secondo una standardizzazione delle forme che trova confronti nei contesti noti. 5.2.3. Ceramica non più da fuoco ma decorata con schizzature di colori su ingobbio è la cosiddetta "maculata" (7%, che presenta una decorazione in verde su bianco, che avrà un largo utilizzo sino a tutta l'età contemporanea. Una forma interessante, quasi un prototipo di diffusissime produzioni otto e novecentesche è una conca (scheda n. 404) con decorazione in verde su bianco, orlo estroflesso e sottostante cordone applicato e digitato. 5.2.4. Fra la ceramica per la mensa, un posto di rilievo è occupato dalla maiolica bianca (38%), di probabile fabbrica locale stando all'osservazione delle matrici ceramiche ed allo studio tipologico, produzione indirizzata esclusivamente alla forma del piatto (numero minimo: 5 forme): in questo ambito, si riconosce una tendenza morfologica (scheda n. 407) caratterizzata da breve orlo ripiegato, anche indistinto, su parete obliqua e continua, che sembra affondare le proprie radici in tipi cinquecenteschi maiolicati delle fabbriche urbane della stessa Siena (FRANCOVICH 1982, Fig. 226, fl 3) . Di concezione autonoma (scheda n. 408) sono invece i piatti con base apoda, orlo appena distinto e tesa impreziosita da baccellatura, che

riconduce, per la tecnologia produttiva (a stampo) e per l'imitazione del vasellame metallico, ad un linguaggio formale prettamente settecentesco (ALIPRANDi-MILANESE 1986, p. 303 ss). 5.2.5. A fabbrica senese (scarti inediti dal palazzo comunale di Siena) sono attribuibili anche maioliche deocorate in bruno o in blu e bruno, quantificabili all'11% delle presenze nel contesto: la forma documentata è sempre la stessa, lo scodellone (schede nn. 410-411) con orlo ad argione ribattuto e base con piede ad anello, assai diffusa nelle produzioni toscane d'età moderna, specialmente in ceramica marmorizzata. Il repertorio decorativo si basa su una trina di elementi penduli corrente lungo la linea dell'orlo e da un motivo centrale a mazzetto fiorito: l'associazione di questi elementi rimanda in modo esplicito alla sintassi decorativa della maiolica ligure della seconda metà del Settecento, che la convergenza dei ciati archivistici ed archeologici (cfr. 5.2.6) conferma essere di grande diffusione nel Granducato di Toscana. 5.2.6. Di particolare interesse è quindi la presenza di una discreta quantità di maiolica ligure (10% del totale delle classi), unitamente ad un più scarso indice (1%) di ceramica à taches noires riferibile agli stessi ambiti produttivi (sulle importazioni di questa classe ceramica in Toscana: MILANESE 1991). Recenti studi sulla mobilità non solo delle merci, ma anche delle maestranze liguri verso la Toscana nel corso del XVIII secolo (BERTI 1985, p. 157 ss; BERTI 1990) hanno delineato il quadro storico-economico per l'interpretazione delle numerose ceramiche liguri reperite nei contesti toscani dell'epoca. L'area senese, stando ai dati della bilancia commerciale del 1762, assorbiva il 14,8% delle importazioni di vasellame ligure nel territorio granducale (BERTI 1990), come confermato anche dagli indici del contesto ora in esame. Di particolare interesse, un piatto di produzione albisolese o savonese (il vasellame di Genova dei documenti dell'epoca) (scheda n. 412), con orlo ondulato e base apoda, utilizza quello stesso repertorio decorativo (ispirato ai prodotti francesi di Moustier: MILANESE 1982, pp. 90-91) ripreso anche dalle botteghe senesi, che ne eliminarono l'iniziale calligrafismo. La ciatazione suggerita dalla maiolica ligure orienta verso un'inoltrata seconda metà del XVIII secolo e forse alla fine del secolo stesso, stando

alla presenza di taches noires, che orienta verso tali ambiti cronologici (CAMEIRANA 1977; MILANESE 1985, p. 40). 5.2.7. Un tale orientamento cronologico è confermato da un fornello di pipa ingobbiata ed invetriata verde (scheda n. 413), ma più puntualmente da frammenti di porcellana bianca a pasta dura, da piatti in terraglia bianca a stampo di probabile importazione inglese e da scaldini in terraglia nera, un complesso di ciati che sembrano orientare verso la fine del XVIII o il primissimo XIX secolo, secondo una diacronia ancora difficilmente frazionabile per brevi archi cronologici dalle restituzioni da scavo archeologico (MILANESE 1985, pp. 66-105). 5.3. XIX secolo (Periodo IX, Fase B) 5.3. Il complesso delle testimonianze archeologiche raccolte nel periodo IX (Fase B) è attribuibile a lavori di realizzazione della pavimentazione in pietra della piazza, probabilmente eseguiti all'inizio del secolo (cfr. p. 237). Pur trattandosi, tuttavia, di una giacitura teoricamente sigillata, il complesso dei reperti esaminati sembra indicare lavori di manutenzione alla pavimentazione, con l'apporto di materiali coevi a tali interventi. 5.3.2. Il quadro d'insieme delle classi ceramiche evidenzia un panorama disomogeneo (fig. 45), con presenza di reperti raggruppabili in quattro ambiti significativi: 1. I reperti in fase, coevi alle attività del periodo IX Fase B; 2. I reperti residui di epoca bassomedievale; 3. I reperti residui d'età moderna; 4. I reperti residui d'età classica. 5.3.3. Fra la ceramica acroma, possono ritenersi attendibilmente in fase tubature fittili frammentate, con confronti in contesti del XIX secolo (schede nn. 421-423): il pentolame dipinto ad ingobbio sotto vetrina (7% del complesso dei reperti) è probabilmente in fase (schede nn. 424-427), ma non è possibile escluderne una residualità derivante da contesti del secolo precedente. La conca maculata di scheda n. 428 è profondamente diversa dal suo possibile prototipo di scheda n. 404, attribuito alla fine del XVIII secolo e sembra quindi inquadrabile nel XIX secolo, anche se si tratta di una produzione di lunga durata, protrattasi sino al XX secolo.

Un elemento interessante è dato da frammenti di maiolica bianca con un semplice decoro in blu ad onda sotto l'orlo, punteggiato con punti di colore nero (scheda n. 430): si tratta di un tipo di maiolica capillarmente diffuso nei contesti ottocenteschi della Toscana, con una diacronia che ancora sfugge nei dettagli. A Pistoia è noto in contesti datati agli anni '60 del XIX secolo (Pistoia II **, p. 615, n. 3368, definito "terraglia"), a Montelupo in contesti di iniziale XX secolo (inediti) e a Siena in altro contesto ottocentesco (S.Caterina), oltre che in numerose altre località della regione in recuperi senza precise indicazioni stratigrafiche: l'ampia diffusione farebbe pensare ad una decorazione ripetuta da più centri di fabbrica, ma lo stato davvero embrionale delle conoscenze sulle problematiche archeologiche di tali ambiti induce ad un'estrema prudenza nella formulazione di ipotesi. Se il tipo ceramico è confluito fra i rifiuti a Pistoia attorno agli anni 1863-65, si può dedurne un primo terminus post quem per l'inizio della produzione attorno alla metà del secolo. Più generiche, invece, le indicazioni desumibili da altri manufatti, come la pipa invetriata, la porcellana, la terraglia bianca, quella nera (nella forma dello scaldino) e la taches noires, tutti elementi (schede nn. 431-441) che concordano nell'attribuzione del contesto al XIX secolo, senza poterne tuttavia circoscrivere meglio la cronologia, anche per l'assenza di marchi di fabbrica, naturalmente preziosi per questo scopo. 5.3.4. Un consistente nucleo di residui bassomedievali suggerisce l'ipotesi del rimaneggiamento di contesti di tale epoca e di un loro utilizzo per i lavori ottocenteschi di pavimentazione della piazza. Anche se non è possibile quantificare in modo attendibile questo fenomeno, si può notare che la quasi totalità dell'acroma grezza (5% del complesso dei reperti) è riconducibile ad olle, catini e testi di forme tardo medievali (schede nn. 450-457): la maiolica arcaica è quantificabile all'8% (fig. 45) (schede nn. 458-462), con un repertorio morfologico che si adegua alla classificazione dei prodotti senesi (FRANCOVICH 1982). 5.3.5. Come residui vanno naturalmente considerati anche reperti ceramici ascrivibili ai secoli XVI-XVIII, con una diacronia difficilmente frazionabile per l'esiguità dei ciati disponibili per confronto. Se per alcune produzioni la definizione cronologica è ancora assai ardua (schede nn. 463-466), più convincenti confronti si possono istituire per la

maiolica bianca (23% dei reperti), nel cui ambito si sono isolati piatti databili al XVI secolo (schede nn. 467-472), talora smaltati su strato di ingobbio, secondo una caratteristica frequente della maiolica rinacimentale e postrinascimentale di fabbrica senese. Come già discusso al punto 5.2.6, è confermata la presenza di maiolica ligure (scheda n. 479) e la stessa provenienza di merci è ribadita ancora dalla taches noires (scheda n. 434), probabilmente in fase con la cronologia del Periodo IX, Fase B. 5.3.6. Fra i residui d'età classica che ha restituito il contesto (quantificabili al 5%), aicuni spunti tipologici di un certo interesse, come l'attestazione dell'anfora di tipo Pompei 36 (scheda n. 488) sono naturalmente vanificati nel valore documentario dalla completa decontestualizzazione, anche se si può utilizzare (sia pure con riserva) questo materiale per l'arricchimento del quadro della circolazione delle merci e delle derrate d'importazione a Siena nel corso dell'età romana. 5.4. XX secolo (Perzodo XI) 5.4.1. Le più recenti attività stratigrafiche individuate nella stratificazione sono riferibili al nostro secolo e consistono nella posa in opera di tubature per servizi pubblici, quali l'acquedotto ed il gas. 5.4.2. Fra i reperti rinvenuti in tali contesti (fig. 46) si notano tipologie in chiara giacitura secondaria, come la maiolica arcaica e l'acroma grezza (8% e 10%), mentre per alcune, meno caratterizzate (invetriata, acroma depurata), solo la presenza di elementi morfologicamente significativi può chiarirne l'ambito cronologico di appartenenza. La frammentazione del materiale e la sua scarsità non consentono comunque un efficace confronto con le ciatazioni note per la posa in opera delle tubature pubbliche, al di là di alcune osservazioni che comunque caratterizzano il Periodo XI rispetto alle restituzioni precedentemente esaminate. Un elemento importante per il termninus post quem dei contesti è fornito dalla terraglia decorata a decalcomania, che potrebbe fissare tale cronologia alla metà del XI:X secolo (MILANESE 1985, pp. 71 e 87), mentre una cronologia più dilatata è, infine, quella che si evince dalla terraglia bianca (schede nn. 504-506) e dagli scaldini in terraglia nera,

indipendentemente dalle problematiche specifiche della datazione precoce di questa forma (MILANESE 1985, p. 40 ss.)*.

*

Alcune persone hanno messo a disposizione le loro competenze su aspetti specifici esaminati nello studio: F. Cambi mi ha dato utili suggerimenti per lo studio delle anfore, J.W. Hayes ha compiuto una verifica autoptica su sigillate del Periodo III; R. Francovich, oltre a stimolarmi a condurre a termine questo lavoro, mi ha fornito utili indicazioni sul materiale altomedievale G. Pucci ha cortesemente verificato la mia lettura di alcuni bolli di terra sigillata italica, L. Saguì ha esaminato sigillate del Periodo III, escludendone una produzione africana, ringrazio infine il Museo Archeologico e della Ceramica di Montelupo per avermi consentito di concludere in tempi più brevi questa ricerca e di elaborare i grafici delle figg. 1-46 con la stazione di editoria elettronica Honeywell-Bull Italia in dotazione ai Museo stesso ed in particolare il personale dell'Istituto (F. Berti, E. Daini, A. Ferrari, G. Migliori) per avermi aiutato a vario titolo. Ringrazio infine per suggerimenti bibliografici: A. Molnari, S. Gutierrez Lloret.

I vetri Nel corso delle operazioni di scavo sono stati rinvenuti 215 frammenti di vetro di piccole dimensioni, tali da non permettere di risalire alla forma completa, e nella maggior parte dei casi con un notevole processo di degrado dovuto alla giacitura. Si tratta per lo più di frammenti residuali provenienti dalle attività che hanno determinato il cambiamento d'uso dell'area indagata e questo può anche spiegare l'alto grado di frammentazione determinato dai ripetuti movimenti di terra. La scarsa leggibilità e la modesta quantità dei reperti 1, di cui il 71% è rappresentato da pareti non riconducibili ad una forma precisa, hanno reso difficile sia individuare le varie produzioni che attribuire a forme note dalle seriazioni tipologiche esistenti il complesso dei frammenti, quindi per fornire il maggior numero di informazioni l'analisi dei dati ha dapprima investito l'aspetto tecnologico. I frammenti in base alle loro caratteristiche tecniche sono stati così distinti: —vetro pressato a stampo policromo; —vetro soffiato: soffiato liberamente e modellato con l'aiuto del puntello e delle pinze (per la realizzazione di fondi, bugne ed altro); —vetro soffiato entro matrice: per ottenere un motivo decorativo; —vetro pressofuso (recente); —vetro in pasta vitrea: perline, tessere ed altro. All'interno di questi gruppi i reperti sono stati classificati in base alla parte del corpo del vaso cui presumibilmente appartenevano: orli, fondi, pareti, colli, anse. Solo in pochi casi è stato possibile formulare una attribuzione circoscritta e benché non ci siano pervenuti esemplari integri tra le forme è stato possibile 1

Si tratta del primo nucleo di materiale vitreo rinvenuto nel tessuto urbano (si conoscono soltanto altri due frammenti, un orlo ed un fondo a conoide rientrante attribuibile alla forma del bicchiere troncoconico, rinvenuti nel corso dell'indagine conoscitiva che ha investito un pozzo di butto posto nella contrada della « Civetta » e pur con tutti i limiti già esposti pone l'accento sulle problematiche concernenti la produzione vetraria a Siena, attestata dalle fonti documentarie. Sull'argomento si veda PICCINNI 1981. 1 Il tipo di bicchiere è ampiamente discusso in Crypta Balti 5, pp. 501-503.

individuare: la coppa, il bicchiere a calice e troncoconico, piccole ampolle e la bottiglia presumibilmente con corpo a forma di "cipolla". Orli di bicchiere: è presente un solo tipo di orlo, molto sottile, leggermente ingrossato attribuibile ai noti bicchieri troncoconici con un diametro compreso tra i 6-7 cm. 2. Orli di bottiglie: sono presenti due tipi di bordo: —orlo arrotondato su parete verticale con un diametro compreso entro i 3 cm; —orlo estroflesso con un diametro alla bocca di 4 cm circa. I1 vetro in entrambi i tipi è verde chiaro. Colli: eseguiti in vetro sottile con tonalità cromatica prevalentemente verde chiaro, estremamente frammentari, solo in un caso è stato possibile stabilirne il diametro (cm 1,75). Fondi: il tipo più diffuso sembra presentare il fondo concavo, semplicemente spinto all'interno dal puntello, attribuibile sia ai bicchieri che alle bottiglie. Decorazioni: eseguite entro matrice presentano un repertorio decorativo che predilige forme geometriche semplici come losanghe, bugne, coste 3, mentre tra le decorazioni applicate troviamo filini, cordoncini e piccole gocce. Vetri da finestra: sono presenti vetri piani e un solo frammento a disco, cosiddetto "rullo"; anche per questa classe l'assenza di parti terminali non ci permette di far luce sulle tecniche impiegate per ottenere tali prodotti. Per quanto riguarda i colori le varietà cromatiche maggiormente attestate appaiono le tonalità verde chiaro (35%) il vetro incolore (34%) ed il verde oliva (11%) concentrate nei periodi VII, VIII, IX dove compaiono per la prima volta anche le tonalità tendenti all'azzurro. Mentre la percentuale relativa ai frammenti evidenzia la presenza maggioritaria del vetro verde chiaro la frequenza all'interno delle singole fasi attesta una continuità d'uso di manufatti realizzati in vetro trasparente incolore testimonianza di una accurata produzione.

2

Si tratta di un repertorio decorativo largamente diffuso sui manufatti toscani del XIV secolo cfr. BUERGER 1975; FRANCOVICH et alii 1978; MENDERA 1989. Fornaci di bicchierai sono attive a Siena in Castelvecchio, San Cristoforo e San Vincenzo, cfr. PICCINNI

Per concludere, i dati in nostro possesso sono così lacunosi che non contribuiscono a far luce sulla presenza di una produzione locale, nota per il basso medioevo dalle fonti documentarie 4 , né sull'articolazione e diffusione dei manufatti d'uso5. Dobbiamo, infine, sottolineare come per i tipi individuati vengono tendenzialmente confermate le cronologie proposte dalle seriazioni note. Periodo I La presenza di materiale vitreo soffiato in questo periodo (III-II a.C.) deve essere considerata non contestuale e d'infiltrazione, legata probabilmente ai profondi rimaneggiamenti causati dalla realizzazione, nel centro dell'area, di una fossa di età moderna. L'assenza, inoltre, di parti terminali —sono attestati 12 frammenti di pareti in vetro incolore— non ne rende possibile la definizione cronologica. Periodo II-III Un solo frammento di vetro, pertinente ad una coppa a nastri che testimonia l'uso del vetro pressato a stampo, è stato rinvenuto negli strati pertinenti al Periodo II (I secolo a.C.), mentre significativi appaiono i reperti relativi al Periodo III (VI-VIl secolo d.C.) dove troviamo attestato il bicchiere a calice con piede a bisco (att. 29) che costituisce l'unico reperto vitreo in fase con l'abbandono della struttura abitativa. L'assenza di materiale in fase relativo al Periodo II non ci permette di cogliere il momento del passaggio d'uso dai manufatti eseguiti a stampo e molati a quelli in vetro soffiato. Periodi V-VII Molto scarso il vetro nel Periodo V (post 1257-1336), solo quattro frammenti, e costituito, con la sola esclusione della tessera musiva, da reperti non identificabili. Dei 58 frammenti riferibili al Periodo VIl (inizio XV-fine XVI secolo) la maggior parte 42 frammenti e costituita da pareti che presentano una 4

1981, p. 594. Un uso di recipienti in vetro per i servizi legati alle attività ospedaliere è testimoniato dagli affreschi di Domenico di Bartolo, presenti nelle sale del Pellegrinaio. 5

varietà di motivi decorativi geometrici ottenuti mediante soffiatura entro lo stampo (bugne, losanghe, coste) e applicati (gocce, cordoncini applicati a foggia di festoni) che non si riscontra né nei periodi precedenti né in quelli successivi e che forse può trovare un riscontro nelle normative applicate dal Comune di Siena (PICCINNI 1981, pp. 590-591) per incrementare e rilanciare le attività produttive artigianali. Tra le forme individuate segnaliamo il bicchiere troncoconico con fondo a conoide rientrante, al quale possono essere attribuite le pareti decorate e gli orli leggermente ingrossati dove la decorazione non compare fino all'orlo, e la bottiglia con il corpo cosiddetto "a forma di cipolla". Il vetro sempre trasparente presenta variazioni cromatiche, dovute in gran parte al fenomeno del riutilizzo dei materiali rifusi, nelle quali prevalgono sui vetri incolori, le tonalità del verde chiaro, verde-oliva e più raramente del verde azzurro. Periodo VIII I materiali vitrei provenienti dagli strati del Periodo VIII (1608-1723) sono per lo più pareti di piccole dimensioni mentre caratterizzante rimane la presenza di frammenti di piccole anse, pertinenti probabilmente a lampade a sospensione. Infine un frammento di bordo in vetro spesso verde che sembra relativo ad una damigiana di capacità media la cui forma risulta purtroppo non definibile. Periodo IX-XI Attribuito al XVIlI prima metà XIX il Periodo IX è caratterizzato dalla presenza di frammenti di vetri piani pertinenti a lastre da finestra e da piccole ampolline; infine il Periodo XI ci restituisce un quadro produttivo e d'uso dei primi anni del secolo. PERIODO I Fase IA - Att. 1 US 239 1 piccolo frammento di parete in vetro trasparente incolore con iridescenza e incrostazioni.

> < - 0.001. 1 fr. di tessera musiva in pasta vitrea rossa e oro. h. 0.007 x 1 cm. PERIODO VII Fase B - Att. 23 US 178 1 fr. di parete di minute dimensioni in vetro trasparente verdino con motivo decorativo, ottenuto a stampo, di piccola "losanga" ovale a rilievo. > < 0.001; > < 0.002. US 185 6 frr. di pareti di cui cinque in vetro trasparente incolore ed uno in vetro spesso con colorazione tendente all'azzurro chiaro. > < 0.001; > < 0.003. 1 fr. di ansa a nastro, pinzata, a sezione ovoidale con superfide interna piatta, in vetro trasparente incolore. Soggetto a devetrificazione. larg. 1.1; lung. 1.9; > < 0.004 . Cfr. ANDREWS 1977, p. 186, tav. XXXVII, n. 146. 1 fr. di orlo arrotondato e ingrossato, attribuibile probabilmente ad una damigiana in vetro spesso con colorazione verde-tendente all'azzurro. 2 frr. pertinenti probabilmente ad un piede di calice in vetro trasparente incolore. Presenta bolle di soffiatura e devetrificazione. Cfr. NEPOTI 1978, p. 230, fig. 59, n. 46. 1 fr. di piede ad anello cavo di probabile bicchiere, in vetro verde trasparente con colorazione tendente al giallino. Bolle di soffiatura e leggera iridescenza. 0 0.6 cm, > < + 0.002. US 203

1 estremità di ansa a nastro in vetro color porpora scuro. Superfide porosa e soggetta a devetrificazione (tav. XXXII, 51). Att. 78 US 179 3 frr. di pareti in vetro trasparente incolore, sottile, soggetti a devetrificazione. > < 0.001. US 316 3 frr. di vetro trasparente verdino di cui una parete di collo di piccola bottiglia, un orlo su parete verticale ed una parete. Iridescenza e bolle di soffiatura. Ø ric. 0.02; > < 0.002>; > < 0.001. Att. 33 US 149 1 fr. di minute dimensioni di parete in vetro sottile trasparente con tonalità verde chiaro. > < -0.001. US 162 2 frr. di pareti di piccole dimensioni in vetro trasparente-verdino, con lieve iridescenza. > < 0.001. US 165 1 fr. di ansa a sezione drcolare con evidente segno di piegatura, in vetro trasparente incolore. > < 0.001. 2 frr. di vetro piano da finestra in vetro trasparente, con tonalità verde chiaro, soggetto ad una notevole devetrificazione. > < 0.001. 1 piccolo fr. di vetro piano con motivo decorativo di foglie lanceolate inciso su un lato, probabilmente con punta di diamante; presenta su

entrambe le superfici una patina biancastra. In frattura il frammento si presenta incolore. > < 0.001. Cfr. per la tecnica usata dopo il Rinascimento GASPARETTO 1958, p. 240, Crypta Balti 3 1985, p. 556 n. 909, dove la decorazione è posta sotto il fondo di un piatto. US 312 1 fr. perimetrale di rullo a disco da finestra con corona cava in vetro incolore, soggetto a lieve devetrificazione. Cfr. NEPOTI 1978, P. 234, fig. 61 n. 67.

PERIODO IX Fase A-Att.37 US 126 1 fr. di collo attribuibile ad una piccola bottiglia in vetro trasparente incolore. Piccole bolle di soffiatura e lieve iridescenza (Tav. XXXII, 6). > < (orlo) 0.003, Ø 1.75 cm; > < 0.001. Il fr. trova analogia morfologica in NEPOTI 1978, p. 234, fig. 61 n. 70. 1 fr. di cannello cavo, in vetro trasparente incolore, forse pertinente ad un alambicco (Tav. XXXII, 7) Cfr. FOSSATI - MANNONI 1975, pp. 59-60, n. 67 b. Att. 58 US 320 1 piccolo fr. di fondo concavo in vetro trasparente di tonalità giallina con piccole bollicine d'aria ed incrostazioni causate dal processo di devetrificazione. > < 0.002 (max), 0.001 (min). Att. 38 US 110 3 frr. di pareti di cui due in vetro verde trasparente ed una in vetro incolore con numerose bolle d'aria di varie dimensioni e iridescenza.

> < 0.002. US 104 1 fr. di parete attribuibile ad un collo di bottiglia, in vetro verde trasparente con tonalità verde-chiaro. Bollicine da soffiatura e lieve iridescenza. > < 0.001. US 106 1 fr. di parete in vetro verde trasparente con tonalità azzurro chiaro. Bollicine da soffiatura e lieve iridescenza. > < 0.001. US 102

4 frr. di pareti di cui tre di collo di bottiglia in vetro verde scuro, con numerose bollicine e inclusi ed una in vetro trasparente giallino. > < 0.001. Att. 86 US 113 1 piccolo fr. di fondo a conoide rientrante e avvio di parete in vetro trasparente, incolore. > < 0.001. Nonostante le piccole dimensioni il confronto più diretto sembra trovarsi in ANDREWS 1977, p. 170, tav. XXXII n. 22 dove il fr. viene attribuito ad una bottiglia. 1 fr. di orlo arrotondato e leggermente ingrossato in vetro trasparente incolore, con lieve iridescenza. > < 0.001. 1 piccolo fr. di parete in vetro trasparente incolore soffiato a stampo con motivo di "costole" a rilievo. Bollicine e lieve iridescenza. > < 0.001. 4 frr. di pareti in vetro trasparente con tonalità giallognola. > < 0.001; > < 0.002. Att. 41 US 83 1 fr. di orlo ingrossato leggermente rientrante, pertinente ad una bottiglia in vetro trasparente incolore. Presenta bolle anche grandi ad asola; soggetto a devetrificazione. Ø 0.030; > < 0.002. Cfr. ANDREWS 1977, p. 170, tav. XXXI n. 17. 1 piccolo fr. di orio in vetro trasparente incolore. > < 0.001. 1 minuto fr. di parete pertinente ad un fondo concavo in vetro trasparente incolore, con iridescenza. > < 0.001 Att. 61 US 322 1 fr. di parete di dimensioni molto minute, in vetro trasparente incolore, con lieve devetrificazione e piccole bolle.

> < 0.001 Att. 54 US 380 1 piccolo fr. di parete in vetro spesso trasparente incolore. Presenta entrambe le superfici ruvide e bollicine d'aria; soggetto a devetrificazione con sfaldature irregolari. > < 0.003. Att. 44 US 69 2 frr. di vetro piano da finestra in vetro trasparente incolore di cui uno presenta la superficie resa opaca. > < - 0.003. 1 fr. di orlo leggermente ingrossato attribuibile probabilmente ad una forma aperta, in vetro trasparente con tonalità giallina. Lieve iridescenza e bollicine dovute alla soffiatura. > < - 0.002. US 85 2 frr. di fondo piano attribuibili ad una bottiglia in vetro spesso marrone (recente). > < 0.007. 1 piccolo fr. di orlo leggermente arrotondato, pertinente, probabilmente, ad una forma aperta, in vetro trasparente con tonalità verde chiaro. > < +0.001. 4 piccoli frr. di pareti pertinenti ad un collo di bottiglia in vetro sottile, trasparente con tonalità verde chiaro. Presentano piccole bollicine d'aria e devetrificazione. > < 0.001. US 301 3 frr. di pareti di piccole dimensioni in vetro sottile, trasparente e con tonalità verde chiaro, giallino e incolore. Lieve iridescenza e bollicine d'aria relative alla soffiatura. > < 0.001. 1 fr. di fondo con conoide rientrante attribuibile, molto probabilmente, ad un bicchiere, in vetro trasparente verde.

> < 0.003, 0 ric. 5.3. (Tav. XXXII, 8). FRANCOVICH et alii 1978, p. 106, tav. XXXI, X/III US 302 5 Frr. di pareti, fra cui una pertinente ad un collo di bottiglia, in vetro trasparente di cui quattro con tonalità verde chiaro ed uno giallino. Bollicine d'aria e devetrificazione. > < 0.001; > < 0.002.

Metalli Molto limitata è l'attestazione dei reperti metallici, generalmente sotto forma di frammenti o esemplari unici, alterati dal processo di corrosione. Tali condizioni hanno determinato la scelta di evidenziare solo quei manufatti per i quali è stato possibile riconoscere la forma e la funzione. Tra gli oggetti in ferro segnaliamo un piccone a due tagli (periodo II att. 69, tav. XXXIII, 12) ed una grattugia frammentaria (periodo IXA, att. 37, tav. XXXIII, 10). Pochissimi, frammentati ed estremamente corrosi i chiodi, per i quali non è stato possibile rilevare la tipologia funzionale (periodi VIIIB, att. 48, 36: 5 frr.; IXA att. 38: 1 fr.; IXB att. 40, 99: 3 frr.). Per quanto riguarda i reperti in lega (bronzo o rame), il dato quantitativo più rilevante è rappresentato dagli spilli (tav. XXXIII, 1-8) che insieme ad un anello digitale (periodo IXB att. 54 tav. XXXIII, 9) possono essere probabilmente riferiti alle sepolture. Un'ansa con appliques figurata di testina femminile (periodo VIIIB att. 33, tav. XXXIII, 11) rappresenta il reperto più antico, per il quale la perdita del contesto originario limita sensibilmente le possibilità di un inquadramento cronologico anche in rapporto a specifici ambiti di produzione. Infine, la presenza di ritagli di lamina testimonia un'attività artigianale collocabile, stratigraficamente, in età post-rinasdmentale. Reperti in ferro Piccone (tav. XXXIII, 12) Testa di piccone con due penne a sagoma orizzontale e occhione, a sezione trapezoidale, per l'innesto del manico. Lo strumento è stato rinvenuto sul fondo della fossa 406. (Periodo II, att. 69, US. 411), trova confronto con un reperto esposto al Musco di Aquileia e datato al II sec. a.C. (comunicazione orale del dott. J.C. Bessac). Grattugia (tav. XXXIII, 10) Fr. di lastra rettangolare forata di cui si conservano parte di due lati rettilinei. Presenta fori pseudo-drcolari, alcuni disposti con andamento

rettilineo ed altri forse curvilineo, in parte occlusi da una lamina di ferro saldatosi nel corso della giacitura. (Periodo IXA, att. 37, US. 126). Si tratta di una grattugia o di un colino; oggetti simili sono stati rinvenuti in numerosi scavi: a Tuscania (BEDDOE 1973, p. 145, fig. 43, 31) a Rougiers (DEMIANS D ARCHIMBAUD 1980, p. 479, fig. 455, 78) a Brucato (PIPONNTER 1984, p. 524, nn. 13.2.2713.2.29, fig. 96) a Torretta (RIGOBELLO 1986, tav. XVIII, 6) a Roma (Crypta Balti 5, p. 523, fig. 645) a Monte Zignago (GAMBARO 1990, p. 389, tav. IX, n. 10, 111. Si tratta di esemplari molto simili al nostro ma talvolta con spessore più sottile. Fuori dell'ambito medievale ricordiamo un ritrovamento a Sovana (vedi scheda di A. Maggiani in La romanizzazione 1985, pp. 84-88, fig. 86 n. 8) che presenta una notevole analogia con il nostro frammento.

Reperti in lega (bronzo o rame) Fr. di ansa in bronzo con appliques figurata di testina femminile con alto diadema (tav. XXXIII, 1 1) Presenta un'accondatura con scriminatura centrale, capelli che scendono ai lati sulle orecchie e raccolti sulla nuca. La capigliatura è resa mediante sottili linee incise, mentre rimangono illeggibili i tratti del viso. Il diadema, che corona il capo, presenta un motivo decorativo di piccole baccellature disposte in serie. Nella parte superiore dell'ansa, subito al di sotto della "crocchia", rimane la traccia di un motivo circolare impresso (forse un marchio) non ben leggibile a causa della corrosione presente su gran parte dell'oggetto. L'imposta dell'ansa trova analogia in MENZEL 1986, tav. 175 n. 549. Piccolo anello in bronzo o rame con agganciato un probabile punteruolo; mancando la parte terminale la forma non è ben definibile (tav. XXXIII, 8). (Periodo VIIB, att. 23, US 280) Anello digitale, di fettuccia, con la faccia esterna decorata da un motivo centrale di trattini obliqui disposto tra due file parallele di piccole depressioni ovali (tav. XXXIII, 91). 0 20 mm. (Periodo IXB, att. 54, US 380)

Spilli (tav. XXXIII, 1-71. Quantitativamente i più rappresentati (95 unità) sono stati divisi, in base alle dimensioni della capocchia e dello stelo in 7 tipi rispondenti allo stesso schema tipologico: testa generalmente sferica, stelo sottile (con uno spessore da -0.5 a 1.5 mm.) ed una lunghezza da circa 15 a 80 mm. 1. 2.

1 Spillo in bronzo o rame, piccolo e sottile con capocchia piccola. (L. da 1.5 a 1.7 mm,  della capocchia 1 mm., > < dello stelo - 0.5 mm). Periodo VIIIB (att. 33, 48, 36): 6 interi e 2 frr.

3. 4.

2 Analogo al precedente. Periodi IXA (att. 40, 86): 6 interi e 8 frr.; IXB (att. 38): 1 fr.; VIIIB (att. 33, 36): 3 interi e 1 fr.

5.

3 Spillo di medie dimensioni, con capocchia rotondeggiante (L. 25 mm., Ø della capocchia 2.5 mm.). Periodi IXB (att. 40, 86, 44): 8 interi; VIIIB (att. 30, 78, 33, 48, 36): 9 interi e 2 frr.; VF (att. 22) 1 intero.

6. 7. 8. 9.

4 Analogo al tipo 2 (L. 30-35 mm., Ø della capocchia 1 mm. circa). Periodi IXB (att. 86, 61): 5 interi; IXA (att. 38): 2 interi; VIIIB (att. 30, 33, 48, 36) 6 interi e 4 frr.

10. 5 Analogo al tipo 3. Periodo IXB (att. 40): 1 intero. 11. 6 Analogo al precedente presenta la capocchia non ben rifinita. Periodo IXB (att. 44) 1 fr. 12. 7 Spillo grande con capocchia sferica. Periodo IXB (att. 86): 1 intero. 26 frr. non identificabili. Oggetti simili provengono da altri scavi condotti in Italia, oltre a quelli datati in Crypta Balti 2, p. 150, sono stati rinvenuti anche, realizzati in "lega dorata", a Torretta (RIGOBELLO 1986, tav. XIV, n. 8) dove il tipo 8 è molto simile al nostro 7.

La campionatura di alcune tecniche costruttive (Figg. 47 48) Campione n. 1. Chiesa. USM 1, settore I. Paramento in conci di calcare cavernoso, perfettamente squadrati e spianati, posti su filari orizzontali di altezza disuguale. I giunti ed i letti di posa sono molto sottili e questo, pertanto, impedisce di effettuare un esame approfondito della malta. La finitura delle superfici è stata eseguita con una polka provvista di una lama piana e di una dentata 1. In molti conci, a queste originarie tracce se ne sovrappongono altre lasciate da una martellina dentata a punte grosse, impiegata, probabilmente, in uno dei restauri della facciata durante i quali, tra l'altro, diversi conci in calcare furono sostituiti con altri in travertino. Oltre alle tracce della polka e della martellina dentata, sono presenti negli stipiti del portale del 1895 e nella parte inferiore del portale trecentesco chiari segni di gradina, anch'essa utilizzata assieme alla martellina dentata durante i lavori di restauro 2. Tradizionalmente la muratura viene attribuita agli anni intorno al 1257. In Siena si può confrontare con la parte inferiore del paramento in pietra della facciata del Palazzo Comunale3; col Palazzo di Angiolieri di Solafica4; con la parte inferiore dell'abside della chiesa di S. Cristoforo 5. Campione n. 2. Porticato. USM 64, settore I. Muratura a ricorsi in calcare cavernoso e laterizio (ad un filare in pietra se ne alternano tre in laterizio, con i mattoni posti generalmente per fascia). I conci in calcare, perfettamente squadrati e spianati, probabilmente di reimpiego, sono posti su filari orizzontali. I giunti ed i letti di posa (che misurano approssimativamente 1-1,5 cm) sono più ampi di quelli del campione 1

Una descrizione più accurata degli strumenti citati e del loro tipo di tracce si ritrova in BIANCHI-PARENTI 1991 2 Per un approfondito confronto tra queste due aperture si veda il contributo di F. GABBRIELLI in questo stesso volume. 3 I lavori di ampliamento e rifacimento dell'antico palazzo furono iniziati nel 1298 e si protrassero per tutto il primo decennio del XIV secolo, quando la facciata, almeno per quanto riguarda il suo nucleo centrale, assunse la sua forma definitiva. Si veda BALESTRACCI-PICCINNI 1977 p. 110 e per una trattazione più completa Palazzo Pubblico di Siena 1983. 4 Un'epigrafe in situ posta sulla facciata data in maniera piuttosto precisa la costruzione di questo edificio attorno all'anno 1234. 5 Anche se questo è l'unico esempio a Siena conservato di abside semicircolare di età romanica, è molto probabile che questa zona della chiesa fosse ricostruita durante i lavori di restauro eseguiti subito dopo i danneggiamenti subiti dall'edificio durante la distruzione delle case di Provenzan Salvani nel 1271. A questo proposito si veda LIBERATI 1 95 7, pp. 186- 191. MORETTI STOPANI 1981, p.68.

precedente. La malta a base di calce, di colore nocciola chiaro, è abbastanza tenace. Sulla superficie dei conci lapidei, come nel precedente campione, alle originarie tracce lasciate dalla lama dentata di una polka, si sovrappongono quelle di una martellina dentata a punte grosse, impiegata durante uno degli interventi di restauro. Le superfici dei laterizi recano, invece, chiari segni di "punzecchiatura", lasciati da una subbia o dalla punta di un picconcello, con l'intento di fare aderire meglio l'intonaco durante un'operazione di intonacatura. Muratura databile tra il 1257 e il 1290, probabilmente intorno agli anni '60. Per confronti in Siena e dintorni si vedano poi le due porte a Stalloreggi 6; la fonte di Follonica 7; il transetto della chiesa dell'eremo di S. Lucia a Rosia 8; la cappella di Montesiepi 9; la pieve di S. Giusto a Balli presso Sovicille 10. Campione n. 3. Ampliamento del Palazzo del Rettore. USM 307, settore I. Paramento in mattoni posti su filari orizzontali quasi esclusivamente per fascia, con presenza di diversi laterizi spezzati. I giunti ed i letti di posa sono relativamente sottili e la malta appare molto degradata. Sulla superficie dei laterizi non si notano ulteriori segni di finitura. La muratura è databile alla fine del '200, in particolare al periodo compreso tra il 1290 ed il 1298. Campione n. 4. Casa dei Gettatelli. USM 19, settore III. Muratura in laterizio, con presenza di rari conci in calcare cavernoso inseriti per l'apposizione di anelli in ferro. I mattoni, su filari regolari, sono posti in genere per fascia anche se a questi si alternano alcuni mattoni per testa, spesso contigui. I giunti ed i letti di posa sono piuttosto sottili rispetto al precedente campione e la malta a base di calce, di colore nocciola, è abbastanza tenace. Su quasi tutte le superfici in laterizio sono evidenti i 6

Databile ai primi anni del secolo XIII o agli ultimi del secolo precedente. DE VECCHI 1949, p.5. Tra il 1240 e i1 1259 sono attestati dei lavori di ristrutturazione ed ampliamento della fronte che le conferiscono l'aspetto definitivo. DE VECCHI 1949, p. 27, mentre le notizie relative ai recenti scavi archeologici di cui è stata oggetto la fonte si ritrovano in FRANCOVICH 1982, pp. 179 e sgg. 8 Sappiamo, da un'iscrizione, ora conservata presso la Biblioteca Comunale di Siena, che l'eremo fu costruito nel 1252. L'iscrizione pubblicata per la prima volta in DONATI 1872-76 pp. 24-25, è riportata in MORETTI-STOPANI 1981, p. 162. 9 La cappella fu fondata nel 1181 dal vescovo di Volterra, Ugo de' Saladini e consacrata nel 1 185. MORETTI-STOPANI 1981, p. 160; MORETTI 1982, p. 63. 10 La pieve fu rinnovata fra la fine del XII secolo e l'inizio di quello successivo. MORETTI 1982, p.64. 7

segni lasciati da una gradina utilizzata, con tutta probabilità, per rifinire ulteriormente la facciata durante i restauri dei primi anni del nostro secolo (1905-1907). La muratura è databile alla fine del XIII secolo (1298). Per il confronto con altre murature a Siena che presentano un'apparecchiatura in laterizio abbastanza irregolare si veda: Fonte di Pescaia 11; Porta S. Marco 12; Porta a Ovile 13. Campione n. 5. Corsia Marcacci. USM 2, settore VI. Muratura in laterizio con mattoni su filari regolari posti generalmente per fascia, con una maggiore frequenza, rispetto al precedente campione, di laterizi per testa. Conci in calcare cavernoso, perfettamente squadrati e spianati, sono stati utilizzati per i cantonali dell'edificio. I giunti ed i letti di posa sono molto sottili e la malta impiegata, a base di calce, di colore nocciola chiaro, è abbastanza tenace. Sulle superfici lapidee sono chiaramente visibili i segni lasciati da una martellina dentata a punte grosse, impiegata, analogamente ad altre parti della facciata, durante uno dei restauri. Sempre riconducibili ad un tardo intervento sono i segni evidenti sulle superfici dei laterizi, lasciati probabilmente dalla penna del martello da muratore, quando fu asportata la parte superficiale dei mattoni, durante un'operazione di regolarizzazione della facdata. La successiva finitura, che prevedeva l'impiego della gradina, analogamente alla Casa dei Gettatelli, non fu invece portata a termine, come dimostrano le poche tracce di finitura con questo strumento su alcuni mattoni. Muratura databile intorno al 1338. Per i confronti in Siena si vedano quelli riferibili al precedente campione. Campione n. 6. Rettifica del Palazzo del Rettore verso via dei Fusari. USM 15, settore VII. Dal momento che i pilastri ed i tamponamenti che si

11

Si fa riferimento in particolare all'arcata maggiore in laterizi che, pur essendo sicuramente più tarda delle due arcate più piccole in pietra, datate da un'epigrafe all'anno 1247, è comunque attribuibile ad un periodo costruttivo di poco posteriore, compreso quindi nella prima metà del XIII secolo. DE VECCHI 1949, p. 30, BARGAGLI-PETRUCCI 1906, vol. I, pp. 313-315, vol. II, pp. 90-91. 12 La porta fu edificata durante i lavori per la costruzione delle nuove mura iniziati nel 1257. LUSINI 1921, pp. 285-286; DE VECCHI 1949, p. 27. 13 La porta è databile al decennio compreso tra il 1250 e il 1260, poiché nel 1251 il Comune contrasse un debito per la costruzione deia porta e ciò poi concorderebbe con la revisione delle fortificazioni in tutta la zona, avvenuta in questo periodo. DE VECCHI 1949, p. 27.

alternano sulla facciata peresentano due tipi di apparecchiatura diversi, si è ritenuto opportuno differenziare la loro descrizione. a) Tamponamento. Muratura in mattoni, posti su filari orizzontali con un'apparecchiatura regolare, in cui ad un mattone per fascia si alterna uno per testa (la cosiddetta apparecchiatura gotica) 14. I giunti ed i letti di posa sono di un certo spessore (1-1.5 cm.) e la malta a base di calce, di colore giallo, è abbastanza friabile. Sulle superfici sono evidenti segni di finitura lasciati da una subbia o dalla punta del martello da muratore, eseguiti per rendere più aderente la superficie durante un'operazione di intonacatura. L'impiego di un'apparecchiatura di questo tipo, abbastanza rara a Siena, trova confronto nel muro a scarpa della facciata del Teatro dei Rinnovati 15, prospicente Piazza del Mercato. b) Pilastro. Muratura, come per i tamponamenti, in laterizio. Il tipo di apparecchiatura è chiaramente in relazione alla misura del pilastro e alla maggioranza di mattoni posti per fascia, si alternano alcuni per testa ed altri spezzati. Anche in questo casi i giunti ed i letti di posa sono di un certo spessore e la malta presenta le stesse caratteristiche di quella utilizzata nei tamponamenti, così come anche la superficie è rifinita con gli stessi strumenti. Muratura databile intorno agli anni 1721-23. Campione n. 7. Vicolo S. Girolamo. USM 39, settore VIII. Muratura in mattoni di dimensioni regolari posti su filari orizzontali, in prevalenza uno per fascia, uno per testa, seguiti in alcuni casi da mattoni contigui per fascia. I giunti ed i letti di posa sono piuttosto ampi e la malta a base di calce ricca, oltre che di sabbie, di ghiaie di medie dimensioni, è piuttosto friabile. La superficie dei mattoni sembra aver subito un'operazione di arrotatura. Le dimensioni medie dei mattoni sono oggetto del contributo di Corsi-Mennucci, in questo stesso volume. Muratura databile al 1843. 14

Per la terminologia usata e la classificazione dei diversi tipi di apparecchiature si veda PARENTI 1988, pp . 249-279. I1 muro a scarpa fu costruito tra il 1798 ed il 1800, durante i lavori di restauro a seguito del terremoto del 15 1798. Si veda Palazzo Pubblico di Siena 1983, pp. 126-128.

I reperti numismatici 1 — Impero Romano, zecca di Roma. Tiberio a nome di Ottaviano Augusto (a.D. 1437); Asse o Dupondio. Ae, diam.* mm. 28 g. 8,4 d.c. 165° n. 402 D/ Tracce del busto radiato di Ottaviano (DIVVS AVGVSTVS P) ATE (R) R/ Grande altare accostato dalle lettere S e C, quest'ultima illeggibile per le incrostazioni di ossido rameoso. Sotto: (P) ROV (IDE) N (T) COHEN, I, p. 94 n. 228 2 — Impero Romano. Ae 3 dalle legende corrose e fuori dal campo della moneta. Dalle caratteristiche del ritratto (lunghi capelli ed assenza di diadema) potrebbe essere attribuito a Costanzo Gallo (351-354). Zecca illeggibile. D/ Busto a ds. illeggibile R/ Soldato con elmo e scudo che colpisce con l'asta un cavaliere caduto. FEL (.TEMP. REPARATIO) (?) Cfr. COHEN, VIII, p. 32 n. 9. 3 — Impero Romano. Ae 2 mancante di un ampio settore che interessa la legenda del D/. Sembra attribuibile, per i caratteri iconografici, a Valentiniano I (364-365). Zecca illeggibile. Ae, diam. mm. 11,6 g. 1,30 d.c. 180° US 194 D/ Busto diademato a ds. illeggibile R/ Vittoria avanzante a sn. che regge una corona ed una palma (?). illeggibile Cfr. COHEN, VIII, p. 92 n. 37. 4 — Impero Romano (?). Ae 3 consunto e mancante di un ampio frammento. Si intravede soltanto la traccia di un piccolo busto a ds.; per il resto è illeggibile (fine IV-inizio VI sec.?). Ae, diam. mm. 12,2 g. 1,10 US 410 *

Per gli esemplari leggibili i diametri sono stati rilevati sull'asse del D/; per i nn. 4 e 5 è stato fornito il punto di maggiore ampiezza.

5 — Dischetto di rame o bronzo che non presenta tracce di conio. diam. mm. 16,6 g. 0,50 US 158 6 — Gettone italiano, presumibilmente del XIV secolo. Ae, diam. mm. 22,0 g. 2,8 d.c. 50° US 126 D/ Scudo gotico sormontato da una croce, in corona rigata, attraversato obliquamente da una linea a zig-zag con, a destra nel campo, un bisante. Nel giro 21 bisanti. R/ simile al D/ Cfr. BARNARD, tav. III. 7 — Repubblica di Firenze. Zecca di Firenze, Quattrino (ultimo quarto del sec. XIV?). Mi, diam. mm. 18,2 g. 0,63 d.c. 30° US 280 D/ Nel campo, senza corona rigata, giglio con due fiori. (FLORE) NTIA R/ Figura di S. Giovanni Battista, nimbato, in piedi di fronte che benedice con la destra e regge il bordone con la sinistra (S. IOHAN) NES (B) (armetta illeggibile) 8 — Repubblica di Firenze. Zecca di Firenze, Quattrino (ultimo quarto del sec. XIV?). Mi, diam. mm. 17,5 g. 0,74 d.c. 230° US 319 D/ Nel campo, senza corona rigata, giglio con due fiori. (FLOR) ENTI (A) R/ Tracce della figura di S. Giovanni Battista c.p. (S. IOHA) NNES (B) (armetta illeggibile) Ambedue gli esemplari sono riferibile per il peso ed i caratteri iconografici al tipo coniato tra il 1371 e le prime emissioni quattrocentesche. Cfr. BERNOCCHI, III p. 205, tavv. LVIII e LIX.

Studio paleobiologico dei resti scheletrici umani Introduzione I reperti antropologici oggetto del presente studio sono stati rinvenuti nel corso della campagna di scavo condotta nella primavera 1988 dall'Insegnamento di Archeologia Medievale del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell'Università degli Studi di Siena nell'area antistante la facciata dello Spedale di S. Maria della Scala. Tali reperti coprono un vasto intervallo cronologico, corrispondente a numerose US cronologicamente comprese tra il il ed il XIX-XX secc. Esse sono state riunite, per ottenere campioni sufficientemente ampi, in tre fasi principali, datate rispettivamente al VI sec., al primo XIV sec.-ultimo quarto del 1400, al XVI-XVIII secc. La seconda fase (primo XIV-ultimo quarto XV secc.) è risultata essere la più interessante, sia per la documentazione dell'epoca che la accompagna, che per il volume di materiale osteologico restituito dallo scavo, divenendo così oggetto di maggiore attenzione dello studio antropologico. Sappiamo che nel 1306, infatti, viene istituita un'area cimiteriale, con impianto di "Avelli" (cfr. periodo V, fase F, att. 21-22). Si tratta di una fossa rettangolare divisa da muretti in mattone in settori corrispondenti alle US 271, 272, 273, 280 e 281, con orientamento delle deposizioni sud-nord. Le sepolture circostanti e quelle appartenenti alle suddette US risalgono alla stessa epoca e, oltre a rappresentare un'area privilegiata di deposizione, sono risultate tra le meglio conservate. Tutto il materiale risulta notevolmente sconvolto. Non è stato possibile ricostruire le singole entità scheletriche, ma si è proceduto allo studio esaminando le ossa in connessione e non, sulla base di datazioni, associazioni stratigrafiche, foto e note di scavo. I resti scheletrici si presentano inoltre in precarie condizioni di conservazione, avendo subito posI mortem rotture, compressioni, deformazioni. A causa di un terreno di sepoltura particolarmente sfavorevole alla loro conservazione, tutti gli elementi ossei in studio tendevano a perdere consistenza, rendendo ogni fase del lavoro molto complessa. Le operazioni di reintegrazione dei reperti, quando possibili, sono risultate particolarmente difficili ed in molti casi, come ad esempio in quello dei calvari, del tutto insufficienti agli effetti di corrette valutazioni

morfometriche e morfologiche. Una situazione del tutto opposta si è invece presentata per gli elementi scheletrici poveri di tessuto osseo spugnoso, quali le mandibole e le ulne, che hanno permesso di valutare meglio il numero degli individui, il sesso e l'età di morte. Metodologia di studio Negli individui adulti il sesso è stato determinato in base ai parametri riportati da Ferembach et alii (1977-79); l'età di morte in base al grado di usura dentaria di Miles (1963), di saldatura della sinfisi pubica di Ubelaker (1978) ed al metodo combinato di Ferembach et alii (1977-79). La determinazione delle età negli infantes è stata effettuata basandosi sul grado di maturazione dentaria e scheletrica (UBELAKER 1978) e sulla lunghezza delle diafisi delle ossa lunghe (STLOUKAL HANAKOWA 1978). Il numero minimo degli individui (N.M.I.) è stato calcolato, per ogni singola US, sulla base dell'osso dello stesso lato più rappresentato, esaminando anche ogni altro elemento scheletrico per verificare se sono possibili associazioni. Nel caso contrario questi elementi sono stati considerati pertinenti ad altri individui oltre a quelli già calcolati. I caratteri metrici e morfometrici sono stati rilevati secondo la metodologia descritta da Martin-Saller (1956-59). Per i valori cranici assoluti sono state seguite le stime di Hug (1940). La scelta dei caratteri morfologici del calvario e della mandibola è fondata sull'utilizzazione di materiale di base raccolto da F. Mallegni in lavori e trattati di antropologia classica di diversi Autori. La determinazione della statura del vivente è stata eseguita secondo il metodo di Trotter-Gleser (1958 e 1977) per il bianco/a; la valutazione dei valori staturali segue le stime di Martin-Saller (1957, p. 324). Numerosità del campione I1 materiale osseo studiato corrisponde a 36 Unità Stratigrafiche. Considerata la rilevante massa di dati trattati si è preferito, in primo luogo, indicare il numero minimo degli individui riconosduti all'interno di ogni US e, quando possibile, il sesso e l'età di morte. Nelle US indicate nella tabella 3 e segnalate in ordine progressivo, sono stati rinvenuti, talvolta assodati ad ossa animali, minuti frammenti ossei

umani che, a causa della loro scarsissima significatività, non sono stati valutati agli effetti del N.M.I. Nella tabella 4 è riportato il N M.I. calcolato per ogni US, accompagnato, quando possibile, dal sesso e dall'età di morte dei singoli inumati. Le US sono riportate in ordine progressivo di numerazione; a fianco è indicata la loro datazione. Sommando i dati relativi a ciascuna delle principali fasi cronologiche si ottengono i risultati riportati nella tabella 5. Riteniamo però utile precisare che i valori così ottenuti non rappresentano l'effettivo numero degli individui presenti nel campione di S. Maria della Scala, ma soltanto la somma dei N.M.I. stabiliti nell'ambito di ogni singola US. È infatti del tutto verosimile ritenere che, date le modalità stesse di formazione del deposito archeologico, ossa appartenenti a singoli individui possano essere andate disperse in varie US. Ad esempio, i numerosi calvari e mandibole rinvenuti nell'US 280 e nei vari sottogruppi in cui essa è stata suddivisa nello scavo archeologico, sono con ogni probabilità da assodare ai diversi scheletri postcraniali, più o meno completi ma tutti privi del calvario, appartenenti ai vari sottogruppi dell'US 273. Ne consegue che sommando semplicemente i N.M.I. calcolati relativamente a ciascuna US, si otterrebbe un N.M.I. complessivo certamente maggiore di quello effettivo, forse addirittura doppio di esso. Una più corretta stima del N.M.T. relativo al campione del S. Maria della Scala può essere ottenuta dal conteggio delle mandibole e dei resti delle ossa mascellari rinvenuti (cfr. Quadri sinottici della situazione dentaria). Precisiamo che in tale stima vengono considerati soltanto i soggetti adulti, non risultando presenti, nel materiale in studio, mandibole ed ossa mascellari pertinenti ad infantes ed a individui giovani. Naturalmente operando in questo modo si ottengono, anche relativamente ai soli adulti, valori numerici certamente inferiori al reale, dal momento che appare evidente che non tutti i soggetti hanno conservato il mascellare e/o la mandibola, ma esiste almeno la sicurezza di non aver conteggiato più di una volta lo stesso individuo. Risultano presenti 16 ossa mascellari e 38 mandibole pertinenti ad adulti. Dal momento che è possibile assodare con sicurezza 6 mascellari (tutti riferibili al XIII-XV secc.) ad altrettante mandibole 1, si può stimare una 1

Individui: US 280, maschio di circa 22 anni, US 280 al, maschio di circa 30 anni; 280 a3, maschio di circa 30 anni; US 271 d6, maschio di circa 45 anni; US 280 a2, maschio di età senile; US 280, sesso incerto di età senile.

presenza minima di 48 individui adulti, dei quali 40 riferibili al XIII-XV secc. ed 8 al XVIXVIII. Sommando il valore ottenuto operando in questo modo al numero degli infantes e/o juvenes riconosciuti dall'analisi delle ossa dello scheletro postcraniale, si ottiene un totale complessivo di 66 individui, dei quali 54 (40 adulti, 14 infantes) riferibili al XIII-XV secc., e 13 (8 adulti e 5 infantes) al XVI-XVIII. Si può perciò concludere che il campione di S. Maria della Scala risulta costituito da un numero di individui difficilmente quantificabile, a causa sia delle caratteristiche del deposito archeologico stesso (elevatissimo numero di deposizioni sconvolte) che dello stato di conservazione dei reperti (ossa estremamente incomplete e frammentarie in molti casi risultate non assodabili), compreso tra un minimo di 66 individui ed un massimo di 129, e verosimilmente più vicino (cfr. supra) al valore più basso di questo intervallo. Paleodemografia Lo studio paleodemografico interessa il campione antropologico relativo al XIII-XV secc. Esso appare costituito da almeno 54 individui, dei quali 40 adulti e 14 non adulti, cioè infantes e giovani fino a 18-19 anni di età. Nei due gruppi degli "adulti" e dei "non adulti" non è risultato però possibile determinare con accettabile precisione l'età di morte di tutti gli individui rappresentati. Le precarie condizioni di conservazione dei resti scheletrici, l'impossibilità, in numerosi casi, di ristabilire la connessione anatomica dei vari individui, la mancanza di distretti scheletrici significativi, hanno consentito di attribuire una precisa età in anni soltanto a 36 individui, dei quali 28 adulti e 8 non adulti; i soggetti di età superiore a 50 anni, anche se non precisamente determinabile, sono stati indicati come "senili". Dall'esame della tabella 4 risulta immediatamente evidente, in primo luogo, l'elevata mortalità degli adulti (74,1%) rispetto ai non adulti (25,9%). La prevalenza dei resti di adulti nei confronti di quelli dei non adulti è una situazione comune alla maggior parte delle necropoli medievali oggetto di studio antropologico, quali S. Vito di Calci (FORNACIARI et alii 1986), Impruneta (FORNACIARI 1981), Scarlino (BARTOLI-VITTELLOc.s.) ed ai campioni ancora inediti di S. Benigno Mazzi, ad esempio riporta, per la Firenze del 1385-1430, una mortalità infantile pari al 40,6% del totale,

Canavese, Paciuri, Villa dei Gordiani (cfr. FORNACIARI et alii 1986, p. 85), anche se può apparire in contrasto con quanto è storicamente noto circa le condizioni di vita, sia in ambiente urbano che rurale, in età medievale, che indicano elevatissime mortalità infantili e giovanili2. Presentano un quadro "anomalo" soltanto due delle necropoli toscane sopra citate: Impruneta e S. Vito di Calci, caratterizzate entrambe da un'elevata mortalità infantile, spiegata, nel primo caso (FORNACIARI 1981, p. 472) con l'appartenenza delle sepolture, tutte monosome, ad un'area sepolcrale riservata alle deposizioni giovanili, e nel secondo (FORNACIARI et alii 1986, pp.90,105) con una serie di inumazioni in una fossa comune, in seguito ad un evento bellico o epidemico di breve durata temporale. La scarsità di resti di infantes e di giovani viene abitualmente messa in relazione ad una loro mancanta conservazione, sfavorita o impedita sia dalle piccole dimensioni che dalla fragilità delle loro ossa, o a tipi meno accurati di sepoltura, oppure, infine, ipotizzando che ai non adulti fossero riservate aree cimiteriali particolari. Nel caso dell'area sepolcrale di S. Maria della Scala si osserva che la mortalità infantile non si distribuisce uniformemente nelle varie classi di età (tabelle 4 e 6). Tra gli 8 individui giovanili per i quali è stata possibile una attendibile determinazione dell'età di morte, uno è neonato, 3 hanno età comprese tra 6 e 10 anni, 4 sono compresi tra 15 e 18 anni. Anche se la scarsità, l'incompletezza e le precarie condizioni di conservazione dei resti dei soggetti giovanili rendono sconsigliabile, almeno per il momento, qualsiasi interpretazione delle mortalità infantile e giovanile a S. Maria della Scala, si può notare però che essa appare, anche in questo caso, piuttosto lontana da quella osservata nella maggior parte delle necropoli, localizzata prevalentemente nei primi mesi di vita e nella prima infanzia, in corrispondenza cioè dei momenti di maggiore stress, quali la nascita e lo svezzamento. La maggior parte dei decessi appare invece, a S. Maria della Scala, localizzata tra 6-10 (3 casi) e 15-19 (4 casi) anni di età, fasce che nei modelli di mortalità delle altre necropoli mostrano, specialmente la seconda, il minor numero di decessi in assoluto o, addirittura, la loro totale mancanza. Nel caso del gruppo umano in studio il relativamente alto numero di individui deceduti tra 15 e 19 anni potrebbe ipoteticamente

2

e, per l’Europa preindustriale in genere, valori del 15-35% nel primo anno di vita, e del 10-20% entro il decimo anno (MAZZI 1981, pp. 329-330).

essere interpretato come legato alla mortalità di soggetti femminili, già in età feconda e deceduti per cause legate alle gravidanze ed ai parti. Riguardo alla mortalità degli adulti è necessario premettere alcune considerazioni che si deducono dall'esame della tabella 4 e dei Quadri sinottici della situazione dentaria. Si osserva infatti che la maggior parte dei resti scheletrici è attribuibile ad individui di sesso maschile, mentre le femmine sembrano piuttosto scarse, riguardo soprattutto ai resti dentari. Non è stato infine possibile attribuire un notevole numero di resti al sesso maschile o femminile. Anche ammettendo che una parte di questi ultimi sia da riferire a femmine, si può concludere che esse appaiono complessivamente poco rappresentate nel campione di studio. Si nota inoltre che resti riferibili con certezza a soggetti femminili mancano completamente nelle US 280 e 281, e sono piuttosto scarsi nell'US 271; relativamente alle US 272 e 273 la presenza degli individui femminili appare maggiore dall'esame della tabella 4, ma è sempre piuttosto scarsa in base ai resti dentari. Sembra quindi, in conclusione, che gli Avelli siano stati prevalentemente (esclusivamente quelli corrispondenti alle US 280 e 281) adibiti alla deposizione di individui di sesso maschile. Si può quindi avanzare l'ipotesi che l'area cimiteriale di S. Maria della Scala rappresenti una necropoli "specializzata", deputata doè alla sepoltura di individui adulti di sesso maschile, appartenenti forse ad un particolare gruppo sodale. Relativamente alla mortalità femminile, la scarsità dei reperti dentari ha fatto sì che sia stato possibile stabilire con apprezzabile precisione l'età di morte di 3 soli soggetti, dei quali 2 risultano deceduti in età adulta ma piuttosto giovane (28 e 30 anni) ed uno in età senile. Questi dati appaiono, ovviamente, troppo scarsi per consentire di ottenere modelli della mortalità femminile a S. Maria della Scala. I decessi maschili appaiono invece ripartiti in tutte le classi dell'età adulta, con punte massime tra 20 e 30 anni e nell'età senile. Mentre la mortalità senile ovviamente non meraviglia, (eventualmente appare invece degno di nota il numero di soggetti che riesce a raggiungere tale età), appare difficilmente spiegabile quella dei soggetti tra 20 e 30 anni, se non ammettendo qualche particolare evento, magari bellico o, più verosimilmente, una carestia o una epidemia, che ha colpito particolarmente queste classi di età, doè i maschi adulto-giovani, che, nei momenti di "crisi", presentando un minor grado di mortalità "naturale", offrivano un maggior numero di individui all'evento stesso.

Anche se, quindi, l'area cimiteriale di S. Maria della Scala appare "specializzata" verso le sepolture maschili senili ed adulto-giovani, e quindi non è rappresentativa della popolazione della Siena del XIII-XV secc., ma piuttosto soltanto di un particolare gruppo umano, è stata elaborata la relativa tavola di mortalità (tabella 6). Si osserva, in accordo a quanto precedentemente osservato, che le fasce comprese tra 20 e 30 anni, ed in minor misura, quella dei 36-40, oltre a quella dei soggetti maggiori di 50 anni, corrispondono ai momenti critici per la sopravvivenza degli individui appartenenti al gruppo in studio, come si coglie dal confronto tra la percentuale di sopravviventi e la probabilità di morte, mentre, tuttavia, una notevole parte dei soggetti arriva a superare i 50 anni di età. Questo ultimo dato riveste una particolare rilevanza, significando una certa facilità, per gli individui appartenenti a questo gruppo, di raggiungere una notevole longevità. La numerosità del gruppo si dimezza intorno ai 30 anni di età: nella fascia tra 26 e 30 anni è infatti ancora vivente il 62,22% degli individui, mentre in quella tra 31 e 35 anni il gruppo è ridotto al 44,44%; quasi il 47% dell'intera popolazione riesce però a superare 40 anni, ed il 20% del totale oltrepassa i 50. La speranza di vita appare particolarmente elevata in tutte le fasce, con flessioni corrispondenti a quelle in cui è più evidente la probabilità di morte q(x), considerato soprattutto il periodo storico in cui viveva i1 gruppo umano in studio; alla nascita essa è pari a poco più di 26 anni, ed anche se, come è logico attendersi, il suo valore assoluto diminuisce sempre più, escluse due piccolissime oscillazioni, nelle fasce successive si nota che gli individui sopravviventi possono, teoricamente, raggiungere età sempre più avanzate. Ad esempio, un bambino di 6 anni può viverne altri 22 circa, arrivando all'età di 28 anni; un ragazzo di 11 altri 19; un giovane di 20 anni, se riesce a superare le fasce "a rischio" tra 20 e 30 anni, può raggiungere i 34 anni, mentre un adulto di 36 anni può viverne altri 10 circa, raggiungendo 46 anni; infine, un cinquantenne ha una speranza di vita di altri 5 anni, potendo così superare i 55. Gli elevati valori della speranza di vita all'interno di questo gruppo umano, particolarmente alti in rapporto al periodo storico in esame, fanno ipotizzare che gli individui sepolti nel cimitero di S. Maria della Scala appartenessero a categorie sociali "privilegiate", e che quindi potessero vivere in condizioni igieniche, ambientali ed economiche particolarmente favorevoli, che determinavano una minore esposizione a quei fattori, come

le carestie, le carenze alimentari (fino alla vera e propria "fame"), le malattie, le infezioni di varia natura, i traumi, che colpivano con altissima incidenza gli strati inferiori della popolazione urbana determinando una forte mortalità non solo in età infantile e giovanile, ma anche nell'età adulta (la durata media della vita, secondo BELLETTINI 1987, raramente superava i 30 anni) e permettevano loro di raggiungere frequentemente l'età adulto-matura o senile. Analisi antropologica Caratteri morfometrici e morfologici del calvario L'elevatissima frammentarietà del materiale in studio, le sue precarie condizioni di conservazione, l'incompletezza di molti reperti e la frequenza di evidenti deformazioni post mortem hanno consentito soltanto la parziale reintegrazione di 5 calvari pertinenti tutti ad individui adulti di sesso maschile deposti negli Avelli. Su ciascuno di essi sono stati rilevati solo alcuni tratti morfologici; soltanto su due è stata possibile la misurazione di pochi caratteri morfometrici. Poiché i risultati ottenuti, data l'esiguità del campione, non si prestano ad un'analisi di tipo statistico e non consentono né di mettere in luce eventuali somiglianze e/o differenze tra i caratteri cranici relativi ai vari individui appartenenti al gruppo umano in studio, né il confronto con dati relativi ad altre serie scheletriche coeve, né, tanto meno, qualsiasi discutibile tentativo di inquadramento etnico, riportiamo separatamente, senza nessun commento e nessuna conclusione in merito, i caratteri antropologici rilevati su ciascuno di essi. 271 d5 (maschio adulto) In norma laterale la volta cranica è uniformemente curva, con fronte sfuggente, glabella di forma VI di Broca, dorso nasale di forma III di Martin-Saller. Le mastoidi sono grandi ed ovalari. In norma anteriore i rilievi sopraciliari risultano del tipo 1 di CunninghamSchwalbe. 271 d6 (maschio di ca. 45 anni) In norma laterale la volta cranica è uniformemente curva, con fronte sfuggente; la glabella risulta della forma VI di Broca.

In norma anteriore i rilievi sopraciliari sono del tipo 2 di Cunningham-Schwalbe; il margine inframalare assume la forma 2 di Parenti. Il frontale presenta la sutura metopica. In norma inferiore si osserva che l'arcata alveolare ha forma paraboloide. 280 al/1 (maschio di ca. 30 anni) Il cranio neurale è di lunghezza media (183 mm), con frontale molto stretto nel suo diametro minimo (90,5 mm). Lo splancnocranio è molto stretto (112 mm) e presenta arcata alveolare corta (47 mm) e mediamente larga; il conseguente indice maxillo-alveolare esprime brachiuranìa (I = 128,72). In norma laterale il calvario ha volta uniformemente curva, con fronte sfuggente ed occipite rotondo. Le mastoidi sono grandi a largo impianto; la protuberanza occipitale è del tipo 5 di Broca. In norma anteriore i rilievi sopraciliari sono del tipo 2 di Cunningham-Schwalbe; le orbite, anche se incomplete, appaiono di forma sub-rettangolare. Il margine inframalare assume la forma 1 di Parenti; il margine inferiore dell'apertura piriforme è di tipo antropino. In norma posteriore si rileva che la regione obelica è piana. 281 a (maschio di ca. 40 anni) Il cranio neurale è mediamente lungo (ca. 183 mm) e stretto (ca. 133 mm), dolicocranico (I = 72,67 ca.). Nello splancnocranio i valori dell'altezza facciale e dell'altezza facciale superiore rientrano rispettivamente in quelli mediamente lunghi (117,1 mm) e medi (69 mm). L'orbita destra è larga (42 mm, valore al limite inferiore di questa classe); la sinistra è media (41 mm). Entrambe le orbite sono basse, la destra (30 mm) più della sinistra (31 mm). Gli indici orbitari danno valori di cameconchìa più marcata a destra (I = 71,43) che a sinistra (I = 75,61). Il naso è mediamente allungato (51 mm) ed è largo (28 mm); l'indice nasale esprime camerrinia (I = 54,90). In norma superiore il contorno cranico è ovoide. In norma laterale la volta è pianeggiante, con fronte sfuggente e glabella di forma III di Broca. Il dorso nasale assume la forma I di Martin-Saller; la spina nasale è del tipo 2 di Broca. Le mastoidi sono grandi, ovalari ad impianto largo. L'occipite è rotondo e la protuberanza occipitale esterna è di tipo 2 di Broca.

In norma anteriore i rilievi sopraciliari sono del tipo 2 di Cunningham-Schwalbe; il margine inframalare è del tipo 1 di Parenti. Le orbite risultano di forma sub-rettangolare; le ossa nasali corrispondono al tipo 4 di Martin-Saller. Il margine inferiore nell'apertura piriforme è di tipo antropino. In norma posteriore si osserva che la regione obelica è piana. 281 b (maschio adulto) In norma laterale la volta cranica è uniformemente curva; le mastoidi sono molto grandi di forma ovalare, a largo impianto. In norma anteriore le orbite appaiono, anche se incomplete, di forma subrettangolare. Il frontale presenta la sutura metopica. Caratteri morfologici della mandibola Essendo necessaria una certa completezza dei reperti al fine di rilevare un sufficiente numero di caratteri significativi, è stato possibile esaminare la morfologia soltanto di 27 mandibole, tutte riferibili al XIII-XV secc. Sono state escluse da questo studio le mandibole appartenenti ad individui senili che hanno subito molte perdite di denti intra vitam, perché questo fenomeno causa un rimodellamento dell'osso, variando l'aspetto della mandibola stessa. La frammentarietà del materiale in studio ha consentito soltanto in pochi casi il rilievo di tutti i caratteri morfologici di uno stesso reperto. I caratteri morfologici di ciascuna mandibola, registrati su apposite schede e qui non riportati per economia di lavoro, sono depositati nell'archivio della Cooperativa « Anthropos » e consultabili su richiesta. Alcuni tra i caratteri rilevati generalmente sono ritenuti connessi all'ereditarietà; su alcuni di essi (forma della regione goniaca, fossette sottomascellari ecc.) può in parte influire anche il grado di sviluppo muscolare. Sono stati dapprima considerati i caratteri che si osservano sulla superficie esterna della mandibola, successivamente quelli della faccia interna. Regione mentoniera: risulta maggiormente rappresentata la forma 3 di Schulz (12 casi su 16 osservabili); che si riferisce ad una sinfisi mentoniera rialzata, mentre le forme 1 e 2 (2 casi ciascuna) corrispondono a varianti di sinfisi poggiante.

Gonion: in entrambi gli aspetti riguardanti il gonion sia l'estroversione (11 casi su 14) che la rugosità (12 casi su 14) denotano, a questo livello, un buon sviluppo muscolare (il gonion rappresenta infatti il punto di inserzione del muscolo massetere, che svolge l'azione di innalzamento della mandibola). Sulla maggiore frequenza di queste morfologie influisce il fatto che la maggior parte delle mandibole appartiene ad individui di sesso maschile. Posizione dei fori mentonieri: nella maggior parte dei casi esaminati (9 su 13) i fori mentonieri si aprono sotto il secondo premolare; solo in 4 mandibole si aprono tra il primo ed il secondo premolare. Forma della base in norma laterale: anche se è rappresentato ciascuno dei 6 tipi di Keiter, la forma della base in norma laterale vede maggiormente presenti sia il tipo III che il IV (ciascuno 5 casi su un totale di 16 osservabili), corrispondenti rispettivamente a mandibola rialzata sia a livello della sinfisi che prima del gonion e solo prima di quest'ultimo. Incisura semilunare: sono maggiormente rappresentate incisure semilunari di tipo 1 di Schulz (5 casi su 11), con maggiore sviluppo dell'angolo articolare da parte dell'apofisi coronoide, e di tipo 2 (4 casi), con angolo articolare mediamente profondo. Angolo goniaco: è più frequente (5 casi su 12) il tipo 1 di Keiter, in cui l'angolo goniaco rientra nell'incrocio della proiezione del ramo della mandibola con quella della base. Trigono retromolare: in generale (11 casi su 12 osservabili) il trigono retromolare è sempre presente; la sua assenza, riscontrabile su una sola mandibola, rappresenta un carattere morfologico molto primitivo. Solco extramolare: il solco extramolare appare presente e assente, nelle mandibole studiate, in proporzioni pressoché equivalenti (rispettivamente 6 e 4 casi). Spina di Spix: la spina di Spix si presenta in genere in forma rudimentale (9 casi su 13) e mediamente sviluppata soltanto in 4 casi.

Apofisi geni: sono rappresentati tutti i tipi di apofisi geni, tra cui il più frequente è quello costituito da due creste superiori e da una mediana inferiore (7 casi su 16). Fossette sottolinguali: le fossette sottolinguali appaiono in genere, nel campione esaminato, in genere poco marcate (9 casi su 15 osservabili) o addirittura assenti (4 casi), anche se in 2 casi si presentano abbastanza profonde. Fossette sottomascellari: anche le fossette sottomascellari sono nella maggior parte mediamente sviluppate (11 casi su 14) o lievi (2 casi); su una sola mandibola appaiono profonde. Impronte digastriche: tra le impronte digastriche sono maggiormente rappresentate (12 casi su 16) quelle situate sulla faccia linguale dell'osso mandibolare, mentre non si colgono apprezzabili differenze nel loro grado di sviluppo, apparendo in ugual misura sia quelle lievi che quelle marcate. Come evidenziano i dati relativi ai tipi ed alle forme riguardanti la morfologia delle mandibole, si osserva, sotto questo aspetto, una buona omogeneità di risposta del campione di S. Maria della Scata. Il fenomeno va ad inserirsi in un contesto di dati significativi che indicano molte correlazioni metriche e morfometriche tra tutti gli individui studiati. Il rinvenimento di un notevole numero di mandibole improntate alle stesse morfologie è infatti un fenomeno piuttosto raro a riscontrarsi all'interno di un gruppo umano, poiché numerosi caratteri di questo elemento scheletrico sono influenzati sia dal tipo della masticazione (legato, a sua volta, alla consistenza dei cibi assunti e quindi al tipo dell'alimentazione) che da eventuali attività extradietetiche. Caratteri morfometrici dello scheletro postcraniale I dati metrici e morfometrici sono stati rilevati per ogni singolo elemento scheletrico sufficientemente completo e quindi risultato misurabile e sono stati tabulati segnalandone appartenenza stratigrafica e cronologia. I quadri risultanti, non riportati, per brevità, in questa sede, sono depositati nell'archivio della Cooperativa "Anthropos" e consultabili su richiesta.

La maggior parte degli elementi scheletrici risultati misurabili proviene dagli individui deposti negli Avelli (XIII-XV secc.); quelli riferibili agli altri intervalli cronologici sono stati, ovviamente, esclusi dalle medie operate su indici e valori significativi ottenuti. Le caratteristiche del materiale in studio, ed in particolar modo la conseguente elevata frequenza di resti molto incompleti, non attribuibili a maschi o femmine, non ha consentito il calcolo degli indici separatamente per i due sessi. Clavicola: quasi tutte le clavicole (18 su 22, doè 1'81,8%) risultano robuste; 2 appaiono gracili ed altre 2 presentano indice di robustezza quasi uguale a quello medio attuale. I valori medi degli indici di robustezza corrispondono a 27,75 per il lato destro ed a 27,33 per il sinistro. Entrambi questi valori risultano superiori alla media attuale. Omero: l'omero appare robusto in 4 casi su un totale di 7 controllabili; negli altri 3 si registrano valori dell'indice di robustezza inferiori a quelli medi attuali. L'indice di robustezza assume in media lo stesso valore sia a destra (I = 20,18) che a sinistra (I = 20,39). Su un totale di 15 osservazioni, 11 omeri risultano euribrachici e 4 platibrachici. L'indice diafisario esprime in media euribrachia, più forte a sinistra (I = 83,94) che a destra (I = 80,92). Radio: su un totale di 15 radii misurabili 11 risultano robusti, mentre 4 presentano indice di robustezza inferiore alla media attuale. Il valore medio dell'indice di robustezza del radio rientra nella media di quelli considerati robusti, ed è praticamente uguale sia a destra (I = 19,21) che a sinistra (I = 19,69). Ulna: tutte le ulne misurate risultano notevolmente robuste, mostrando indici di robustezza maggiori della media maschile attuale, senza apprezzabili differenze tra i due lati (I = 17,91 a destra; I = 17,29 a sinistra). Su un totale di 42 ulne misurabili, 5 risultano platoleniche, 26 (61,90%) euroleniche e 11 ipereuroleniche. L'indice olenico medio esprime eurolenia, senza significative variazioni tra lato destro (I = 93,06) e sinistro (I = 93,44).

Femore: i soli due femori misurabili completamente risultano robusti (I = 13,19 in media). Il pilastro morfometrico risulta, su un totale di 11 rilievi, nullo in 3 casi, debole in 4 casi e nullo negli altri 4. L'indice pilastrico risulta in media debole, sia a sinistra (I = 106,26) che a destra (I = 102,28). Su un totale di 8 casi osservabili, un femore risulta iperplatimerico, 2 sono platimerici e 5 eurimerici. In media il femore risulta platimerico al limite dell'eurimeria a destra (I = 84,18) ed eurimerico a sinistra (I = 87,24). Tibia: tutte le tibie misurate presentano indice di robustezza superiore a quello medio attuale. I valori di robustezza risultano leggermente maggiori a sinistra (I = 22,56) che a destra (I = 21,98). Su un totale di 14 tibie misurate 10 sono euricnemiche e 4 risultano mesocnemiche. L'indice cnemico medio esprime euricnemia più marcata a destra (I = 75,42) che a sinistra (I = 71,58). L'analisi degli elementi scheletrici pertinenti agli individui che hanno mantenuto la connessione anatomica, ed a quelli per i quali è risultato possibile ristabilirla, almeno parzialmente (limitata cioè alle sole ossa lunghe degli arti), consente di mettere in luce alcune caratteristiche relative alla struttura scheletrica degli inumati del cimitero di S. Maria della Scala. Queste osservazioni riguardano complessivamente 12 individui, 10 di sesso maschile e 2 di sesso femminile, pertinenti alla fase medievale del cimitero ed, a eccezione di uno (US 219, maschio di circa 20 anni di età), deposti all'interno degli Avelli. Dall'esame dei caratteri morfometrici relativi ad ogni individuo, riportati nella tabella 7, si osserva che nel gruppo umano in studio, ad una tibia costantemente robusta ed euricnemica (in un solo caso mesocnemica ma al limite dell'euricnemia) si assoda, nel sesso maschile (non si hanno caratteri morfometrid relativi a quello femminile), un femore con pilastro morfometrico debole o nullo, e, relativamente all'arto superiore, per entrambi i sessi, un radio robusto, un'ulna robusta e generalmente eurolenica, e, per il sesso maschile (mancano caratteri morfometrid relativi a quello femminile), un omero più o meno robusto ma quasi costantemente euribrachico (in un solo caso piatibrachico al limite dell'euribrachia) . Sia le misure antropometriche che gli indici da esse conseguenti evidenziano una notevole omogeneità di valori tra tutte le porzioni scheletriche esaminate.

Essa appaiono caratterizzate da indici di robustezza particolarmente elevati, in alcuni casi (ulna e tibia) addirittura maggiori dei valori medi attuali, e da diafisi di sezione piuttosto rotondeggiante. Ciò è rilevabile anche dall'osservazione dei numerosi frammenti risultati non misurabili perché troppo incompleti e quindi non valutati nel calcolo degli indici. Nel gruppo umano in studio gli indici diafisario dell'omero, olenico dell'ulna, merico del femore e cnemico della tibia denotano in generale valori medi, propri di diafisi con sezioni rotondeggianti. Questo sembra attestare, per gli individui di S. Maria della Scala, una vita di tipo sedentario, e forse una buona alimentazione, almeno nel periodo dell'accrescimento, accompagnata da discreto esercizio fisico, ma forse mai di tipo lavorativo, dal momento che un'alimentazione scadente assodata ad attività muscolare normale o sotto sforzo tende ad appiattire le diafisi delle ossa postcraniali (FORNACIARI-MALLEGNI 1989, p. 1449). L'ipotesi di una vita di tipo sedentario sembrerebbe inoltre confermata dal fatto che negli individui di S. Maria della Scala gli indici in esame assumono valori pressoché uguali sia nelle ossa del lato destro che in quelle del sinistro, mentre è ben noto che le attività lavorative, specie se pesanti, tendono a provocare uno sviluppo ipertrofico delle masse muscolari della lateralità più interessata, determinando cosi il maggiore appiattimento delle ossa su cui si inseriscono. Il campione di S. Maria della Scala è stato posto a confronto con due gruppi umani più o meno coevi della Toscana: la "fossa comune" di S. Vito di Calci (FORNACIARI et alii 1986), datata al XV sec., e gli inumati della Chiesa di S. Egidio a Firenze (ROCCHETTI- PARDINI 1975) del XVII sec . Dalla tabella 8 si osserva che gli indici relativi alle sezioni diafisarie risultano quasi costantemente maggiori a S. Maria della Scala, ad indicare diafisi di forme complessivamente più rotondeggianti. Fa eccezione il solo valore dell'indice merico, il cui valore medio risulta maggiore negli inumati della Chiesa di S. Egidio. Ciò non dovrebbe meravigliare perché questi ultimi, pochi, appartenevano ad una classe sociale sicuramente elevata, mentre quelli di S. Maria della Scala, pur rappresentando un gruppo umano in maggior parte di analogo status, sono forse "inquinati" dalla presenza di alcuni individui appartenenti a classi sociali diverse (indici che mostrano valori inferiori e che quindi abbassano la media). A S. Vito di Calci, che riguarda una comunità dedita a lavori, quantomeno

agricoli, i valori dell'indice merico risultano invece più bassi, ad indicare diafisi più appiattite e, conseguentemente, attività muscolari più pesanti. Per quanto riguarda gli indici di robustezza delle ossa postcraniali (tabella 9) il confronto tra le serie scheletriche di S. Maria della Scala e della chiesa di S. Egidio (per S. Vito di Calci non sono stati rilevati tali indici) mostra che quelli relativi al campione di Siena risultano, in misura variabile, costantemente più elevati. Tale fenomeno è influenzato probabilmente dalla presenza a S. Maria della Scala di un maggior numero di individui. Osserviamo infine che l'indice di robustezza dell'ulna assume anche negli inumati di S. Egidio un valore medio (I = 15,13) maggiore di quello maschile attuale, pari a circa 14,5 in media. Statura nel vivente Nel caso degli individui in connessione anatomica sono stati ricavati i valori relativi a ciascun segmento scheletrico, dei quali è stata successivamente ottenuta la media aritmetica. Riguardo alle ossa dissociate, in un primo momento sono stati calcolati separatamente per i due sessi, i valori staturali relativi ad ogni singolo segmento scheletrico delle due lateralità (omero, radio, ulna, femore, tibia, fibula) risultato misurabile. I valori ottenuti, tabulati mettendo in evidenza quelli relativi ad elementi scheletrici associabili o prelevati in connessione, qui non riportati per brevità, sono consultabili su richiesta. Sono quindi stati ricavati i valori medi, sia relativi a ciascuno di essi, a sessi e lateralità separati, che complessivi, e le conseguenti medie ponderate. Tutti i valori staturali sono relativi cronologicamente alla fase medievale (XIII-XV secc.) dell'area cimiteriale, ad eccezione di uno (US 188 c, tibia femminile, da cui risulta una statura pari a cm 157,52 valore considerato sopra la media), ovviamente non inserito nelle medie. Le stature medie maschili variano da un minimo di cm 162,09 ad un massimo di cm 180,98, rientrando rispettivamente tra le stature considerate attualmente "sotto la media" e quelle "alte"; quelle femminili variano da un minimo di cm 147,83 ad un massimo di cm 168,39 (valori da "basso" ad "alto"). I valori medi ponderati corrispondono a cm 169,85 (statura considerata "sopra la media") per il sesso maschile ed a cm 160,07 (statura considerata "alta") per il sesso femminile.

La differenza tra le stature medie dei due sessi è pari a cm 9,78, valore di poco inferiore a quelli che si riscontrano nelle popolazioni attuali (10-12 cm). Relativamente agli individui in connessione anatomica, si osserva che le stature maschili variano da cm 165,84 (valore sopra la media) a cm 179,89 (alto), con un valore medio di cm 170,23 (valore che denota un'altra statura). Le sole due stature femminili ottenute corrispondono a cm 159,40 e cm 167,57, e la loro media risulta pari a cm 163,48. Questi valori staturali sono considerati alti per il sesso femminile. « (. . .) Poiché la statura è un'espressione fenotipica del programma genetico il suo valore medio è condizionato sia dalle caratteristiche razziali ereditarie sia dall'influenza dell'ambiente durante la crescita individuale. Tra i fattori esterni il più importante è l'alimentazione, la sua qualità, quantità e regolarità, soprattutto durante la prima infanzia ». (GRMEK 1985, p. 194). In questo senso, basandosi su questa considerazione di Grmek, si può affermare che gli alti valori staturali degli inumati di S. Maria della Scala non rappresentano quelli medi della popolazione della Siena medievale, ma semplicemente sono da interpretare come quelli relativi ad un numeroso campione di individui di status sociale particolarmente privilegiato. Anche se per il momento non è possibile un confronto con altri campioni medievali senesi di condizione socioeconomica inferiore, molto probabilmente riscontreremmo in questi ultimi valori staturali inferiori. In assenza di dati relativi a popolazioni medievali italiane, possiamo riportare l'esempio di un'altra popolazione antica, quella micenea, in cui (ANGEL 1973) è stata riscontrata una differenza media di 5 cm tra le stature dei principi e quelle della comune popolazione. I valori staturali medi maschili e femminili ottenuti per S. Maria della Scala sono stati posti a confronto con quelli, ricavati dalla bibliografia, relativi sia a gruppi umani che a singoli personaggi, più o meno contemporanei, della Toscana (tabella 10), scegliendo, ovviamente, soltanto quelli calcolati secondo il metodo da noi adottato. I1 confronto evidenzia che il campione allo studio presenta i valori staturali maschili più elevati, superati soltanto da quelli relativi a N. Squarcialupi (il maggiore in assoluto) ed agli inumati della Chiesa di S. Egidio a Firenze (peraltro di epoca più recente).

Le stature medie femminili, i cui dati si basano però su una casistica molto meno ampia di quella relativa ai valori maschili, appaiono invece maggiori a S. Maria della Scala che nei gruppi di confronto. E’ necessario a questo punto sottolineare che tutti i valori staturali posti a confronto non sono relativi, tranne che nel caso di S. Vito di Calci, alla comune popolazione, ma soltanto a piccoli gruppi (gli inumati di S. Egidio, gli individui di Badiola) o a singoli personaggi (il commerciante Datini, l'architetto Brunelleschi, il cavaliere Squarcialupi) di status nella maggior parte dei casi elevato, analogo o forse addirittura superiore a quello degli inumati di S. Maria della Scala, e niente quindi possono indicarci circa le stature medie delle popolazioni medievali della Toscana, che, verosimilmente (cfr. supra) presentavano valori più bassi. Appare in questo senso particolarmente significativo osservare che le stature medie minori in assoluto risultano quelle della comunità agricola del XV sec. di S. Vito di Calci, la cui alimentazione e le condizioni di vita, anche se complessivamente piuttosto buone (cfr. FORNACIARI et alii 1986), erano certamente peggiori di quelle degli altri individui e gruppi posti a confronto. Paleopatologia Le condizioni di conservazione dei reperti antropologid e le modalità di formazione del deposito archeologico stesso hanno influenzato negativamente lo studio paleopatologico dei resti scheletrici. L'impossibilità di ricostituire la completa connessione anatomica delle diverse entità scheletriche e l'incompletezza di molti reperti hanno reso impossibile l'esatta quantificazione dell'incidenza delle varie patologie nel gruppo umano in studio, permettendo soltanto qualche considerazione generale e la descrizione delle singole stigmate patologiche riconosdute, riferita non a singoli individui, ma alle diverse US. L'esame paleopatologico ha evidenziato la ricorrenza di cinque principali patologie ossee: artrosi, cribra cranii ed orbitalia, fratture, osteomieliti, ernie di Schmorl. Le altre varie patologie ed anomalie hanno incidenza del tutto sporadica. Citiamo inoltre il rinvenimento, tra il materiale scheletrico non in connessione anatomica, di una cisti calcifica da echinococco, per il cui studio si rimanda al contributo di Fornaciari et alii.

Si rileva, inoltre, che le più comuni patologie riconosciute hanno colpito sia gli individui deposti all'interno degli Avelli, che quelli appartenenti alle sepolture sconvolte. ARTROSI Risultano interessate da artrosi sia le colonne vertebrali che tutte le ossa degli arti; tutti i distretti scheletrici postcraniali presentano frequentemente neoformazioni osteofitiche a livello delle epifisi, che interessano tutte le articolazioni, sia quelle tra le ossa lunghe degli arti che quelle tra gli elementi della mano e del piede. La particolare frequenza delle stigmate di questa patologia tra gli inumati di S. Maria della Scala può essere facilmente spiegata in quanto l'artrosi più che una vera e propria malattia rappresenta una degenerazione del tessuto osseo legata all'età, e nel campione in studio sono presenti numerosi individui adultomaturi e senili. Abbiamo ritenuto opportuno focalizzare l'attenzione sulle alterazioni artrosiche a carico della colonna vertebrale (spondiloartrosi) che nel gruppo in studio sembrano, almeno in alcuni individui, essere state piuttosto gravi. E però necessario specificare che, per i motivi precedentemente citati, non è stato possibile, per ogni individuo, valutare esattamente le condizioni dell'intero rachide e quindi la gravità della spondiloartrosi. La fragilità delle vertebre, elementi scheletrici particolarmente ricchi di tessuto osseo spugnoso e quindi diffidlmente conservabili integri, non ha in nessun caso consentito la ricostruzione dei diversi rachidi vertebrali; la frammentarietà di molte di esse, ridotte prevalentemente al solo corpo, ha impedito in molti casi di riconoscerne la posizione nella colonna vertebrale, permettendo solo la distinzione tra cervicali, toraciche e lombari. Le spondiloartrosi rappresentano, infatti, la maggior parte delle patologie rilevate in assoluto. Risultano colpiti 12 individui in forma leggera (da 1 a 4 vertebre coinvolte); 5 in modo più grave. In un individuo adulto-senile di sesso femminile (US 219) sono interessate 4 vertebre cervicali, 9 toraciche e 4 lombari. Due individui adulti di sesso maschile (US 244) sono stati interessati da spondiloartrosi, il primo a 4 cervicali, 7 toraciche e 3 lombari; l'altro a 4 lombari. Un individuo adulto di sesso incerto (US 271/a) presenta colpite 6 cervicali e 1 lombare.

In un individuo adulto di sesso maschile (US 281) 4 vertebre cervicali (II-III, V-VI) sono state interessate da spondiloartrosi complicata da saldatura dell'epistrofeo con la terza vertebra cervicale, eburneizzazione di parte del dente dell'epistrofeo stesso e degenerazione dei dischi intervertebrali. CRIBRA CRANII, CRIBRA ORBITALIA I cribra costituiscono una lesione ossea di eziologia ancora poco chiara. Viene riconosduta dalla presenza di numerosi, piccoli forellini raggruppati su aree ben precise della superficie esocranica del tetto orbitario ed altre, a volte più diffuse, sulle superfici endocraniche della volta. Sono stati riscontrati i cribra in forma "porotica" (stadio primario di iperostosi porotica da iperattività midollare), senza particolari rigonfiamenti corrispondenti a dette aree ("fase iperostosica"). I cribra della superficie esocranica e del tetto delle orbite quando, come nel caso degli individui di S. Maria della Scala, rappresentano una lesione isolata, cioè non assodata ad iperostosi porotica, sono attribuiti (FORNACIARI-MALLEGNI 1981 p. 362 e 1989, p. 1467) a carenze nutrizionali, in particolare a deficit o mancato assorbimento di ferro (anemia sideropenica), che possono essere dovute a diete costituite soprattutto da latte e suoi derivati e povere di carne e farinacei, accompagnate talvolta dalla presenza di parassiti intestinali anemizzanti (Ancylostoma duodenale). Nel caso del campione di S. Maria della Scala, la cui dieta sembra essere stata, secondo i risultati delle analisi paleonutrizionali, piuttosto ricca ed equilibrata (cfr. il contributo di Bartoli) non si può escludere che essi siano da mettere in relazione ad anemie emolitiche congenite (Thalassemia minor), patologie che in epoca medievale potrebbero essere state piuttosto comuni nella Toscana meridionale. Sono stati rilevati 5 casi di cribra cranii di leggera entità, diffusi in generale su tutte le ossa della volta cranica, talvolta accompagnati da cribra del palato (4 casi) o da cribra orbitalia (1 caso). Il rapporto fra i casi di cribra osservati e la numerosità degli individui è molto basso, ad indicare una scarsa incidenza di questa patologia nel gruppo umano in studio, probabilmente in conseguenza a buone condizioni di vita e ad un regime alimentare equilibrato, in accordo alle conclusioni espresse in base ai risultati antropometrid (cfr. supra) ed alle analisi paleonutrizionali (cfr. contributo di Bartoli).

FRATTURE Dal punto di vista strettamente traumatologico la presenza di un numero esiguo di fratture che interessano gli individui appartenenti sia agli Avelli che alle sepolture sconvolte, indica una scarsa esposizione in vita di questi soggetti a incidenti o cadute. Gli esiti dei traumi riconosduti sui vari elementi scheletrici sono generalmente ben risolti e rientrano in una casistica molto comune. Fanno eccezione a questo quadro alcune complicazioni post-traumatiche sul periostio, molto estese, ed una frattura alla scapola, fenomeno abbastanza raro a verificarsi. ERNIE DI SCHMORL Rappresentano le stigmate lasciate dai cosiddetti Noduli di SchmorI, ovvero aree di tessuto discale che prolassano attraverso le lamine cartilaginee erniandosi nella spongiosa del corpo vertebrale. Questo provoca una riduzione in altezza del disco intervertebrale e la neoformazione di lamelle ossee, che contengono l'ernia dall'interno della spongiosa. Le ernie di Schmorl possono essere conseguenza sia dell'esposizione della colonna vertebrale a carichi eccessivi in età giovanile, che di un difetto di resistenza delle stesse piacche cartilaginee vertebrali, se non proprio conseguenza della malattia di Scheuermann (dfosi degli adolescenti). Di seguito è riportata la descrizione delle stigmate patologiche di maggior interesse tra quelle riconosciute nel materiale scheletrico in studio. DESCRIZIONE DELLE PATOLOGIE RICONOSCIUTE (riferimenti stratigrafici, non relativi a singoli individui)

US 188 a Frattura-lussazione dell'epifisi distale diradio sin., con suffidente co Estesa osteite ossificante su un frammento di diafisi di fibula di incerta lateralità, con deformazione e sviluppo abnorme dell'osso e formazione di foramina ossei. US 188 c Osteite ossificante su una fibula sin., con sviluppo abnorme dell'osso e f sta fibula appartiene all'individuo 188 a). US 211 Osteite ossificante su un frammento di diafisi di fibula dx., con sviluppo a US 244 Frattura "a strappamento" di Poteau-Colles del processo stiloideo di ulna d US 271 c Frattura ben risolta di una costa dx. sull'angolo posteriore.

Ossificazione dello sterno con la prima costa e sviluppo osteoartritico dell'inserzione. Osteoartrite ed osteofitosi pronunciata sul terzo distale di un'ulna dx. Frattura del terzo inferiore di un femore sin. con vasta reazione periostitica ed allargamento della linea aspra. US 271 c4 Schiacciamento di un corpo vertebrale lombare (incerta patologia; defo i margini del corpo stesso. US 271 c5 Frattura all'epifisi distale di fibuta dx. con estesa formazione di callo os US 271 d Frattura di tibia e fibula sin. sui terzi distali, con formazione di callo oss frattura per trauma indiretto causato generalmente da torsione forzata in cui, a due livelli diversi, si frattura prima la tibia e, subito dopo, la fibula. US 271 d4 Esiti di sinusite su parte del seno mascellare, su un frammento di masc US 272 Osteoartrite con fusione della prima costa dx. con manubrio dello sterno. ( US 272 Probabile spondilosi iperostosante con manifestazioni artrosiche delle arti Patologia che presenta atteggiamento di tipo eburneo sulla faccia anteriore del dente dell'epistrofeo in corrispondenza della sua articolazione con C1. Ossificazione circonferenziale della capsula articolare sin. su C3 e restringimenti di varia entità sia del canale vertebrale che di quello radicolare (C3) a causa di esuberanze osteofitiche sui margini delle docce e dei canali stessi al passaggio C3-C4. Analoghe condizioni sono state rintracciate in C5-C6. US 273 Esiti di frattura "a legno verde" su diafisi di tibia sin. Trauma più frequente in età giovanile caratterizzato dalla mancata lacerazione di tessuti circostanti (periostio). US 273 bl Serie di tre vertebre toraciche (T7, T8, T9) con pronunciate ernie di Sch Due vertebre toraciche (T8, T9) con ernie di Schmorl e ernia da carico lombare (a livello di una vertebra lombare ipertosi) con iperostosi pronunciata. Periostite e demineralizzazione sul terzo distale di un frammento di tibia sin. US 273 b2 Esiti di frattura "a legno verde" sulla estremità distale della diafisi di fi US 273 c Artrosi su patella sinistra e dispiasia femoro-rotulea (perdita dell'allineam Estesi margini osteofitici con faccetta articolare mediale cribrosa ed osteoporosi regionale da mancate sollecitazioni su questo versante. In contrapposizione a questo stato, la faccetta articolare laterale presenta un aspetto molto compatto, alterazione delle proporzioni anatomiche e colorazione eburnea. US 280 Periostite conseguente a coxartrosi su femore dx. diffusa al collo ed al gra

US 280 a Artropatia (spondilosi iperostosante come su US 272) con fusione di C2 Clavicola sin. con esiti di pronunciata osteomielite. US 280 a1 Artropatia anchilosante con fusione di due vertebre toraciche (T7, T8) ed ossificazione del legamento intervertebrale posteriore. US 280 b3 Frattura del corpo di scapola dx. con sovrapposizione e saldatura dei m Legenda: dx: destro; sin: sinistro; C: cervicale; T: toracica

Odontologia Al fine di ottenere un campione più ampio, e quindi risultati statisticamente più attendibili, si è ritenuto preferibile, nello studio della situazione dentaria degli inumati di S. Maria della Scala, prendere contemporaneamente in esame sia i soggetti appartenenti alle US medievali (che rappresentano la maggior parte del campione) che quelli provenienti dalla fase post-medievale. Sono stati esaminati i denti mascellari e mandibolari di 48 individui adulti. È stato possibile controllare lo stato di 585 denti su 1536 osservazioni possibili qualora fossero risultate integre tutte le arcate alveolari sia mascellari che mandibolari. Su un totale di 48 soggetti soltanto 6 presentano, infatti, sia il mascellare che la mandibola; 10 sono rappresentati dal solo mascellare e 32 soltanto dalla mandibola. Nel mascellare i terzi molari risultano erotti in tutti i 10 individui esaminati; nella mandibola sono erotti in 30 individui su 35 esaminabili; infine nella mandibola di un individuo (US 244, maschio di ca. 35 anni) il terzo molare inferiore destro è caduto intra vitam mentre il sinistro è agenesiaco. Su un totale di 585 osservazioni effettuate, 310 denti risultano presenti (52,99%), 135 perduti intra vitam (23,07%), 135 caduti post mortem (23,07%), 5 sono agenesiaci (0,85%) (fig. 50). EDENTAZIONE POST MORTEM Risultano caduti post mortem 135 denti, corrispondenti al 23,07% del totale. L'edentazione sembra avere complessivamente interessato nella stessa misura sia l'arcata superiore che quella inferiore: nella prima è caduto infatti il 23,27% del totale dei denti osservabili, nella seconda il 23,00%.

Questo fenomeno appare in contrasto con quanto osservato da numerosi Autori (ad esempio FORNACIARI et alii 1986, p. 95) nello studio di varie serie scheletriche. È stato in genere osservato che nelle sepolture primarie il mascellae presenta il maggior numero di cadute post mortem a causa della sua elevata fragilità, mentre nelle sepolture secondarie è la mandibola a perdere il maggior numero di denti, poiché ad essa, all'atto dell'esumazione delle ossa, viene usata minor cura rispetto al calvario, ritenuto l'elemento scheletrico più rappresentativo dell'identità del defunto. Nel campione di S. Maria della Scala l'uguale incidenza di cadute post mortem nel mascellare e nella mandibola potrebbe essere un fenomeno del tutto casuale, dovuto alla conservazione differenziale di questi elementi scheletrici. Le ossa mascellari sono infatti presenti in numero notevolmente inferiore alle mandibole e si può supporre che, a causa dell'accertata fragilità di questo elemento scheletrico, non si siano conservati appunto quei mascellari che, al momento dello sconvolgimento delle sepolture, avevano perso il maggior numero di denti, analogamente a quelli, particolarmente fragili, appartenenti agli individui giovanili ed agli infantes. Gli incisivi presentano il più elevato numero di cadute post mortem (54 casi pari al 40% del totale) e sono seguiti dai molari (36 casi, 26,67%), dei premolari (30 casi 22,21%) ed infine dai canini (15 cadute, 11,11%) (fig. 52). La maggior caducità degli incisivi non sorprende, trattandosi di denti monoradicolati e per questo motivo particolarmente soggetti a cadere post mortem. Il numero particolarmente elevato di cadute di molari e premolari (in genere meno soggetti a cadere a causa del numero e della maggiore complessità delle loro radici) e la scarsa incidenza di quelle dei canini (fenomeno anomalo perché anch'essi monoradicolati) sembra da mettere in relazione alle particolari modalità di formazione del deposito archeologico di S. Maria della Scala. USURA DENTARIA Dai Quadri sinottici delle situazioni dentarie mascellari e mandibolari si osserva il grado di usura dentaria relativa ad ogni individuo. Si tratta constantemente di un'usura notevolmente avanzata rispetto a quanto si riscontra nelle popolazioni attuali, ma del tutto analoga a queste rilevate su numerosi gruppi umani antichi e medievali.

Anche se esistono alcune variazioni da soggetto a soggetto, l'usura dentaria sembra essere correlata all'età degli individui in studio, aumentando in proporzione a questa. Essa riguarda tutti i denti di entrambe le arcate, dagli incisivi e canini, che presentano, invece del margine tagliente, una faccia di occlusione con dentina scoperta, ai premolari e molari, che in alcuni casi presentano superfici occlusali piane o addirittura concave, con smalto assente o confinato ai bordi. Il notevole numero di frammenti di arcate appartenti a soggetti di sesso non determinabile, e la scarsità di reperti attribuibili con certezza a femmine, impediscono di cogliere eventuali variazioni nel grado di usura dentaria nei due sessi. La forte usura dentaria, che nelle popolazioni del passato sembra rappresentare (FORNACIARI-MALLEGNI 1981, p. 354) non una condizione parafisiologica, ma una vera e propria malattia, che costituiva, tra l'altro, la causa prima dell'edentazione intra vitam, provocando l'insorgenza di cisti, granulomi ed ascessi alveolari, viene in genere messa in relazione, se non ad ipotetiche e sconosciute attività extradietetiche, a particolari abitudini alimentari. Cibi particolarmente duri, ricchi di fibre vegetali consistenti, e/o di farine di cereali macinate grossolanamente o con macine di pietra tenera, produrrebbero infatti una vera e propria azione di abrasione della superficie masticatoria dei denti. Nel caso del campione in studio essa potrebbe essere legata all'alimentazione ricca anche di sostanze vegetali, messa in evidenza dalle analisi paleonutrizionali (cfr. il contributo di Bartoli), evidentemente di tipo fibroso e piuttosto dure. Tra le patologie dentarie sono state rilevate: carie, ascessi, granulomi, ipoplasia dello smalto e presenza di depositi di tartaro. CARIE Risultano cariati 32 denti su 310 presenti (10,32%). I denti mascellari sembrano più colpiti (17,44%) di quelli mandibolari (7,59%). Sono interessati dalla carie 1 canino superiore (3,12%) e 2 inferiori (6,23%), 8 premolari superiori (25%) e 4 inferiori (12,5%), 6 molari superiori (18,73%) ed 11 inferiori (34,4%) (fig. 53). Gli incisivi non risultano mai cariati. I denti complessivamente più colpiti dalla carie sono i molari (53,12%), seguiti dai premolari (37,50%) e dai canini (9,37). Appaiono interessati 7 individui su 16 (43,75%) nel mascellare e 12 su 38 (31,58%) nella mandibola. Non si osserva nessuna differenza significativa

nella distribuzione della carie riguardo all'età dei soggetti colpiti. Riteniamo utile, però, sottolineare che l'incidenza di questa patologia nel gruppo umano in esame può essere stata maggiore di quanto sembrerebbe dai dati ricavati, in quanto essa probabilmente non è stata riscontrata sia in numerosi denti che in numerosi soggetti proprio a causa dell'elevato numero di cadute intra vitam e post mortem. Anche nel caso della carie le caratteristiche del materiale in studio (cfr. supra) non consentono di rilevare eventuali somiglianze e/o differenze circa l'incidenza tra i due sessi. Considerando l'incidenza della carie nei singoli soggetti (cfr. Quadri sinottici delle situazioni dentarie mascellari e mandibolari) si osserva che nella maggior parte dei casi risultano interessati 1-2 denti. Colpito in modo particolarmente grave appare l'individuo 280 a4 (sesso incerto, ca. 22 anni), nel cui mascellare risultano cariati il seconcdo incisivo sinistro (carie penetrante distale), il canino destro ed i due primi premolari destro e sinistro (ciascuno interessato da carie destruente) e il secondo molare destro (carie penetrante mesiale). L'individuo 280 b (adulto maturo) è interessato, nell'emimascellare sinistro, dalla carie destruente del secondo premolare, e dalle carie penetranti distali del colletto del primo premolare e del secondo molare. Nell'individuo 280 a2 (maschio di età senile) sono cariati, nel mascellare, il secondo premolare ed il terzo molare destro (carie penetrante mesiale), il primo premolare destro (carie non penetrante distale) ed il secondo premolare sinistro (carie penetrante vestibolare). L'insorgenza e la frequenza della carie, quando non sono legate a particolari condizioni patologiche o ad una imperfetta amelogenesi, responsabile di scarsa resistenza della dentatura (dovuta a diete estremamente carenti e squilibrate), appare legata,come altamente probabile nel caso di questo gruppo umano, ad un'alimentazione ricca di sostanze zuccherine, di cibi raffinati e di consistenza collosa, tipica, quindi, del cosiddetto "benessere alimentare" (FORNACIARIMALLEGNI 1981, p. 354 e 1989, p. 1465) di una popolazione. ASCESSI E GRANULOMI Dal momento che sono stati rilevati soltanto i casi di ascessi e granulomi dell'apice radicale riscontrabili macroscopicamente, la loro incidenza nel gruppo umano in studio è certamente sottostimata.

Sono stati osservati complessivamente 8 casi di ascessi e 3 di granulomi dell'apice radicolare. Appaiono quindi colpiti 11 denti su un totale di 585 alveoli esaminati, cioè l'1,88%. Risultano più interessati i denti mandibolari (7 casi di ascessi, 2 di granulomi) rispetto a quelli mascellari (1 ascesso ed 1 granuloma), ma questo potrebbe dipendere soltanto dalla scarsa rappresentatività delle poche arcate superiori presenti. Osservando l'incidenza di queste patologie nei diversi soggetti (vedi Tabelle dentarie) si osserva che per quanto riguarda il mascellare sono interessati 2 individui su 16; nelle mandibole appaiono invece colpiti 5 soggetti su un totale di 38. Nel caso di un solo individuo (280 a2, maschio di età senile) si osserva che sono interessati denti appartenenti ad entrambe le arcate. Si rileva inoltre che sono colpiti sia soggetti di età piuttosto avanzata che altri più giovani. Tra gli individui particolarmente colpiti da queste patologie l'individuo 280 b (adulto maturo di sesso incerto) presenta un ascesso a livello del primo incisivo superiore sinistro, caduto intra vitam, oltre a carie (cfr. supra) del primo e del secondo premolare e del secondo molare della stessa emiarcata. Nell'individuo 273 g5 (maschio di circa 32 anni di età) sono colpiti da ascessi il primo molare, il canino ed il primo premolare inferiori destri, questi ultimi probabilmente in conseguenza alle carie destruenti che li hanno colpiti provocando l'infezione delle loro radici. L'individuo 219 (femmina di età senile) presenta 3 ascessi a livello del primo incisivo inferiore sinistro, del primo incisivo e del canino inferiori destri, questi ultimi caduti intra vitam. Nell'individuo 280 a2 (maschio di età senile) 2 granulomi hanno interessato il secondo indsivo superiore sinistro, provocancdone la caduta intra vitam, ed il primo premolare inferiore destro. Anche se non si conosce la completa situazione dentaria di questo soggetto (non è conservata parte dell'emimandibola e dell'emimascellare sinistri), si osserva che la funzionalità delle arcate dentarie era inoltre compromessa dalla presenza di almeno 4 carie a livello dei denti mandibolari (cfr. supra) e dalla perdita intra vitam di altri 3 denti superiori e di almeno 2 inferiori. EDENTAZIONE INTRA VITAM L'edentazione intra vitam ha complessivamente interessato 135 denti, pari al 23,07% del totale delle osservazioni possibili. Non si apprezza nessuna

differenza tra l'arcata superiore (22,64% di cadute intra vitam) e quella inferiore (23,23%). Tra gli incisivi ne risultano caduti 10 su 40 (25,00%) nel mascellare 18 su 108 (16,67%) nella mandibola; tra i canini 4 su 22 (18,29%) nel mascellare e 8 su 54 (14,81%) nella mandibola. Sono caduti 9 premolari su 45 (20,00%) e 27 su 104 (25,96%) rispettivamente nell'arcata superiore ed in quella inferiore. I molari presentano il maggior numero di cadute intra vitam: 1 su 52 (25,00%) nel mascellare e 46 su 160 (28,75%) nella mandibola (fig. 54). Esaminando l'incidenza delle cadute intra vitam nei singoli denti si osserva che il primo ed il secondo molare mostrano il maggior numero di cadute (17,8% ciascuno) e sono seguiti, nell'ordine, dal secondo (14,1%) e dal primo (12,6% premolare, dal primo (11,1%) e dal secondo (9,6% incisivo, dal canino (8,8%) ed infine dal terzo molare (8,1%). Risultano maggiormente interessati, quindi, i denti molari e premolari, soprattutto i primi, cioè i denti che possono trattenere nelle parti interstiziali residui di cibo, completamente eliminabili soltanto con una corretta igiene orale. Passando ad analizzare l'incidenza delle cadute intra vitam nei singoli soggetti (cfr. Quadri sinottici della situazione dentaria) si osserva che anche esse, analogamente a quanto notato per la carie, interessano sia individui di età matura e senile che altri più giovani (219, maschio di ca. 22 anni, 5 cadute; 271 d4, femmina di ca. 28 anni, 3 cadute; 244, maschio di ca. 25 anni, 5 cadute). Particolarmente colpiti risultano, come è del tutto logico attendersi, diversi soggetti di età più avanzata, tra i quali alcuni mostrano, nei tratti alveolari conservati, edentulia praticamente completa (cfr. Quadri sinottici delle situazioni dentarie mascellari e mandibolari). IPOPLASIA DELLO SMALTO Su un totale di 48 individui controllabili, soltanto due mostrano linee di ipoplasia dello smalto. Si tratta di solchi, paralleli tra loro ed al margine libero del dente, che si osservano sulla faccia vestibolare della corona e corrispondono ad episodi di arresto dell'amelogenesi, dovuti a stress malnutrizionali o a malattie, subiti dall'individuo durante il periodo di formazione dei denti (dalla vita intrauterina fino a circa 7 anni di età). Presentano ipoplasia gli individui 271 d, maschio di circa 26 anni di età, nel quale sono interessati, nella mandibola, (il mascellare non è conservato) i due incisivi sinistri, il primo incisivo destro, i primi

premolari destro e sinistro ed il primo molare destro, e 280 a3, maschio di circa 30 anni, che, nell'emimandibola destra (unico tratto alveolare conservato) mostra linee di ipoplasia sul primo premolare. Sembra quindi che nel gruppo umano in studio l'ipoplasia dello smalto sia pochissimo rappresentata, ad indicare che questi individui erano scarsamente esposti, durante l'infanzia, a malattie ed a carenze nutrizionali, conseguentemente, forse, alla loro appartenenza a ceti sociali benestanti, o a buone condizioni economiche ed alimentari. Questa conclusione sembrerebbe confermata anche dalla scarsa incidenza (cfr. supra) dei cribra orbitalia e dei cribra cranii, anch'essi espressione di carenze nutrizionali. TARTARO Complessivamente 51 denti su 310 osservabili (16,45%) presentano depositi, di maggiore o minore entità, di tartaro. Sono interessati 8 denti mascellari su 86 presenti (9,30%) e 43 denti mandibolari su 224 (19,19%). Presentano tartaro sui denti mascellari 3 individui su 16 presenti (18,75%); sui mandibolari 12 individui su 38 (31,58%). Particolarmente interessato dal tartaro appare l'individuo 280 b5 (sesso incerto, ca. 38 anni di età) nella cui arcata mandibolare (il mascellare non è conservato) quasi tutti i denti presentano notevoli accumuli di tartaro. Colpiti in misura minore appaiono gli individui 271 c (maschio di ca. 25 anni) nella cui mandibola presentano depositi di tartaro il secondo incisivo destro, il primo premolare sinistro ed, in misura minore, il secondo premolare ed i tre molari sinistri, e 280 al (maschio di ca. 30 anni) nella cui mandibola sono interessati da accumuli di lieve entità i secondi incisivi, 1 canino ed i primi premolari di entrambi i lati. Negli altri soggetti l'incidenza del tartaro è ancora minore, risultando interessati, nei tratti alveolari conservati, da 1 a 4 denti in media. Conclusioni Lo studio dei resti scheletrici umani rinvenuti nell'area cimiteriale di S. Maria della Scala ha comportato l'analisi dettagliata dei numerosi aspetti e problematiche relativi al campione. L'elevata frammentarietà e la particolare fragilità degli elementi scheletrici non hanno consentito, in primo luogo, una sicura determinazione del numero degli inumati, né del sesso e dell'età di morte di ciascuno di essi.

Riguardo al campione riferibile al XIII-XV secc., il solo abbastanza ampio da consentire valutazioni sufficientemente attendibili, è stato possibile riconoscere la presenza di almeno 54 individui, 40 adulti e 14 non adulti (infantes e juvenes di età inferiore a 20 anni). Mentre relativamente ai non adulti non sembrano cogliersi particolari modelli di mortalità, apparentemente distribuita, peraltro, in fasce (6-10 anni, 15-18 anni) che abitualmente mostrano un basso numero di decessi, nel caso degli adulti si osserva una notevole sottorappresentazione di individui di sesso femminile rispetto a quelli maschili, particolarmente all'interno delle US corrispondenti alle deposizioni all'interno degli Avelli. Lo studio paleodemografico mostra, oltre alla bassa mortalità infantile e giovanile, che quella maschile (non sono possibili conclusioni riguardo a quella femminile) si distribuisce prevalentemente oltre i 50 anni, età raggiunta da un notevole numero di soggetti, e tra 20-30 anni. Quest'ultima appare spiegabile più difficilmente; si può infatti ammettere che sia dovuta a qualche particolare evento (bellico? epidemico?) che ha colpito maggiormente le classi di età, come quella dei maschi adulto-giovani, che, caratterizzate da una bassa mortalità "naturale" offrivano un maggior numero di individui all'evento stesso, risultando maggiormente colpite nei momenti di "crisi". Tutti questi fenomeni possono essere spiegati ammettendo che quella di S. Maria della Scala sia stata un'area cimiteriale "specializzata", non rappresentativa, quindi, della popolazione medievale di Siena, ma solo di un particolare gruppo sociale, rappresentato in massima parte da maschi di età adulto-giovane o senile, il cui status può essere connotato come "privilegiato", in quanto consentiva condizioni di vita migliori di quelle della massa della popolazione urbana, e, conseguentemente, una durata della vita notevolmente più lunga rispetto a quella media che caratterizza le popolazioni vissute in questo periodo storico. I risultati ottenuti dallo studio antropologico sembrano confermare questa conclusione: gli inumati di S. Maria della Scala mostrano infatti caratteristiche omogenee, quali lo scheletro postcraniale notevolmente robusto, caratterizzato da sezioni diafisarie rotondeggianti, ed alta statura. Le diafisi rotondeggianti sono infatti generalmente interpretate come legate, ad una buona alimentazione, almeno durante il periodo di accrescimento dell'individuo, accompagnata da buon esercizio fisico, ma non di tipo lavorativo. La statura, anche se determinata su base genetica, è influenzata da fattori esterni che agiscono durante il periodo di

accrescimento, tra i quali assume un ruolo di primo piano l'alimentazione, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, nel periodo dell'infanzia e delle giovinezza. Lo studio paleopatologico mostra una casistica abbastanza comune ed una bassa incidenza in rapporto alla numerosità degli individui, a conferma di buone condizioni di vita. In particolar modo si rileva la notevole incidenza dell'artrosi, a livello di tutti i distretti scheletrici ma soprattutto della colonna vertebrale, facilmente spiegabile dal momento che essa più che una "malattia" rappresenta una degenerazione legata al processo di invecchiamento, e nel campione di S. Maria della Scala risultano ben frequenti i soggetti di età matura e senile. Appaiono invece notevolmente rare le stigmate patologiche, quali i cribra del tetto delle orbite e della volta cranica esocranica, e l'ipoplasia dello smalto dentario, attribuite generalmente a carenze nutrizionali e/o diete povere e squilibrate (l'ipoplasia anche a malattie subite in età infantile, durante il periodo di formazione dello smalto), ed interpretate come espressioni di bassa qualità della vita, almeno in età infantile. Tutto questo sembra indicare, a conferma di quanto evidenziato dallo studio antropologico, buone condizioni di vita dei soggetti in esame fino dall'età infantile, caratterizzata quindi da un'alimentazione completa ed equilibrata, quest'ultima attestata peraltro anche in età adulta dalle analisi paleonutrizionali (per le quali si rimanda al contributo di Bartoli). La stessa notevole frequenza della carie dentaria, evidenziata dallo studio odontologico, che appare legata, nel campione in studio, alla frequente asssunzione di dbi ricchi di sostanze zuccherine, raffinati e di consistenza collosa, e viene interpretata come un segnale di "benessere alimentare", ben si accorda alle considerazioni precedenti ed appare anch'essa conseguente, con ogni verosimiglianza, all'appartenenza dei soggetti in studio ad una classe sociale benestante o addirittura " privilegiata " . Ringraziamenti  Ringraziamo la Dott.ssa Barbara Wilkens, della Cooperativa "Anthropos", che ha partecipato al lavoro preliminare di restauro, schedatura e misurazione dei reperti.

 Un particolare ringraziamento al Prof. Francesco Mallegni, del Dipartimento di Sdenze Archeologiche dell'Università di Pisa, per la squisita supervisione scientifica e la revisione critica del lavoro. Siamo grati alla persona del Prof. Franchi, Direttore dell'Istituto di Radiologia degli Spedali Riuniti Santa Chiara di Pisa, ed al personale tecnico della sezione di Radiodiagnostica di questo stesso Istituto, per la collaborazione prestata.

Osservazione ed indagini di paleonutrizione sui reperti scheletrid umani di S. Maria della Scala A causa dell'elevatissima frammentarietà del materiale osteologico umano e delle difficoltà di quantificazione del numero degli individui adulti presenti nel campione di S. Maria della Scala (cfr. il contributo di Bedini e Valassina), l'indagine paleonutrizionale è stata effettuata su 37 specimina ossei prelevati da altrettante tibie sinistre o da frammenti di esse riconoscibili come appartenenti ad individui diversi. In questo modo, anche se il numero di specimina esaminati risulta leggermente inferiore al numero minimo degli individui stimato nello studio antropologico, in quanto, come è logico attendersi date le caratteristiche del materiale in studio, non tutti gli individui hanno conservato la tibia sinistra, si è ottenuta la certezza di non aver prelevato più volte specimina appartenenti allo stesso individuo. Il prelievo di campioni pertinenti alla tibia, motivata dal fatto che essa (ed in particolar modo quella del lato sinistro) è risultata il segmento scheletrico più rappresentato nel campione archeologico, appare particolarmente significativo, in quanto essa (come anche il femore) assume un particolare interesse, ai fini dello studio paleonutrizionale, a causa della compattezza del tessuto osseo, che, rispetto agli altri elementi scheletrici, risulta meno contaminabile da scambi ionici con il terreno di sepoltura. Il presente studio si limita a saggiare nei campioni ossei i soli elementi Calcio, Stronzio e Zinco; essi infatti sono risultati i soli ad essere in concentrazione sufficientemente più elevata rispetto a quelle di altri elementi presenti nel terreno di giacitura degli scheletri. Questo dato di fatto permette di escludere eventuali contaminazioni dei reperti ossei da parte del suolo circostante. Calcio (Ca) Il 99% del Ca dell'organismo è contenuto nello scheletro e nei denti. Il Ca delle ossa è costituito da un sale complesso del tipo dell'apatite. Il Ca delle ossa è oggetto di continui scambi con il Ca della dieta; il ricambio del Ca dei denti è invece molto più lento. In pratica una deficienza di Ca nell'organismo può essere dovuta principalmente ad una dieta insufficiente, specialmente nei periodi di aumentato fabbisogno; si ha allora un deficit di vitamina D, sostanza deputata alla regolazione

dell'assorbimento intestinale di Ca. Nella prima infanzia questa deficienza si traduce in una sindrome particolare che va sotto il nome di rachitismo; negli adulti si possono avere sintomi osteomalaciche, che sono più frequenti in gravidanza e durante l'allattamento, e fenomeni di osteoporosi comuni nei vecchi; questi ultimi vengono attribuiti ad alterazioni della matrice cellulare delle ossa, in rapporto con una carenza di steroidi anabolici e anche con la riduzione dell'attività fisica. Il latte ed i latticini rappresentano gli alimenti più ricchi di Ca; seguono il giallo dell'uovo ed alcuni vegetali. I rilievi effettuati sui 37 reperti di S. Maria della Scala hanno fornito un valore medio di concentrazione ioni Ca pari a 316,9, con una deviazione standard di 35,4. Il confronto di questi valori con quelli individuati in alcune popolazioni antiche (FORNACIARI et alii 1984) ci permette di considerare il presente dato sufficientemente elevato ed il campione abbastanza omogeneo. Stronzio (Sr) Lo Sr viene considerato elemento molto interessante in quanto importante parametro per la paleonutrizione (LAMBERT et alii 1979). La sua presenza nelle ossa umane in maggiore o minore concentrazione sta a significare apporti più o meno consistenti di vegetali. È ovvio quindi che esso sia stato trovato in quantità minori nelle ossa dei carnivori rispetto a quelle degli erbivori, dato che nel 99% si accumula nelle ossa e nell' l % nelle parti molli (TOOTS et alii 1965). Nella catena alimentare i carnivori assumono solo lo ione Sr contenuto nelle parti molli degli erbivori. Dal momento che la quantità di Sr nelle piante e negli animali dipende anche dalla concentrazione dell'elemento nell'ambiente, cioè nel terreno e nelle acque, i dati analitici di siti diversi non possono quindi essere confrontati tra loro. È necessaria cioè una standardizzazione dei campioni, sito per sito, tramite il rapporto Sr/Ca nell'osso umano ed in quello di animali sicuramente erbivori (in genere capre e pecore) che sono vissuti nello stesso ambiente del campione di popolazione in studio (BISEL 1980, p. 22). Si ottiene così un numero che risulterà sempre inferiore all'unità, dato che l'osso degli erbivori contiene una quantità di Sr che è sempre maggiore di quella contenuta nell'osso umano (SCHOENINGER 1982, p. 46). E’ stato scelto come valore soglia per la classificazione il dato Sr/Ca corretto col sito pari a 0,7, assai vicino ai valori medio-inferiori di alcuni

campioni di popolazioni neolitiche e quindi a economia sicuramente agricola. Per cui i campioni di popolazioni i cui valori si avvicinano molto o addirittura superano la soglia suddetta sono stati classificati come dotati di economia agricola, basati cioè in prevalenza su cibi di origine vegetale; i campioni dotati di valori intermedi, cioè tra 0,6 e 0,4 sono stati considerati in possesso di economie di tipo misto, basate doè su cibi sia di origine vegetale che animale. Infine i campioni di popolazioni con valori inferiori a 0,4 sono stati considerati in possesso di economie scarsamente basate sui prodotti di origine vegetale, cioè di tipo pastorale, con alimentazione basata principalmente sul latte e sui prodotti caseari, tutti cibi a bassissimo contenuto di Sr. Zinco (Zn) Lo Zn, come lo Sr, nel tessuto osseo è presente in tracce, come componente dei metallo-enzimi nel processo di mineralizzazione. La fosfatasi alcalina e l'anidrasi carbonica presenti anche nell'osso (VINCENT 1963) sono gli enzimi che contengono le maggiori quantità di Zn. Nella dieta la carne, in particolare quella rossa, ne è la principale fonte, ma lo Zn si trova in buona concentrazione anche nel pesce ed in alcuni elementi di origine vegetale (non i legumi) (BISEL 1980, p. 20; LAMBERT et alii 1979 p. 21). Anche il latte e i suoi derivati costituiscono buona fonte di questo elemento (LAMBERT et alii 1979; FORNACIARI 1985). Il fabbisogno di Zn è più alto nei periodi di crescita e di sviluppo, ad esempio nell'infanzia, in gravidanza ed in casi particolari come in stati patologici. Per un'ulteriore classificazione dei tipi di economia è stato utilizzato il valore Zn/Ca, espressione di un'alimentazione carnea o lattea. Come limiti soglia sono stati adottati i valori Zn/Ca pari a 0,50 e 0,35, in quanto inferiori di circa un quarto e mezzo rispetto al valore degli americani attuali, una popolazione questa ad alimentazione assai ricca di carne. È stato dunque possibile tentare di classificare ulteriormente i diversi tipi di economia in ricchi o poveri di alimenti carnei se dotati rispettivamente di valori superiori, o inferiori, ai valori soglia suddetti (> 0,50 = economia ricca; < 0,35 = economia povera).

I risultati per il campione di S. Maria della Scala sono visualizzati nel grafico di fig. 55. In esso sono riportati i valori medi delle concentrazioni Sr/Ca e Zn/Ca in gruppi di popolazioni in ordine cronologico. Dall'osservazione del grafico si deduce che il campione di popolazione di S. Maria della Scala seguiva un'alimentazione molto ricca di vegetali; i valori assunti dalla frazione Sr/Ca corretta col sito risultano infatti più alti di quelli degli altri gruppi di confronto. Lo stesso dicasi per gli apporti di carne o derivati del latte o altre sostanze ricche di Zn, dal momento che, anche in questo caso, i valori assunti dalla frazione Zn/Ca appaiono più elevati degli altri. Se ne deduce che il tipo di alimentazione degli inumati di S. Maria della Scala è decisamente agricolo-ricca. Può essere interessante notare le somiglianze tra i dati di S. Maria della Scala e quelli della Rocca di Asolo (VITIELLO et alii c.s.) e di Scarlino (BARTOLI et alii c.s.) e soprattutto sottolineare come in vari periodi le pratiche agricole dovettero costituire una solida base per l'economia durante alcuni secoli; fa eccezione Scarlino nel periodo inizi XV-inizi XVI, in cui prevale un tipo di economia mista ma in prevalenza pastorale (forse come conseguenza di qualche evento storico o dell'impaludamento del territorio). Poiché il campione di popolazione in oggetto apparteneva ad un gruppo umano a sede urbana con probabile condizione sociale privilegiata, l'ipotesi di lavoro più attendibile è quella di attribuire ad esso un tipo di alimentazione ben equilibrata e diversificata dal punto di vista dell'apporto dei vari principi alimentari. Anche le quasi costanti alte stature degli individui in studio deporrebbero per una alimentazione di questo tipo; questo carattere però ha una base ereditaria di cui dobbiamo tener conto. Sarebbe interessante avere informazioni sulle stature dei gruppi umani senesi del periodo provenienti da tombe comuni. La scarsa incidenza di patologie, inoltre, quali cribra cranii, cribra orbitalia e ipoplasia dello smalto deporrebbero ulteriormente per un regime alimentare ottimale dei soggetti, anche in età giovanile. Indagini paleonutrizionali su campioni umani appartenenti a ceti sodali diversi in seno alla stessa popolazione potrebbero fornire dati interessanti sull'economia della comunità di questo periodo.

Nota paleopatologica: un caso di cisti da echinococco Introduzione Il reperto in studio è stato rinvenuto durante lo scavo di un'area cimiteriale situata in Piazza del Duomo a Siena e, più precisamente, antistante la facciata dell'Ospedale di Santa Maria della Scala, presso la porta di accesso dello stesso. Lo scavo, eseguito nel 1987 e interessante un'area di 160 mq, ha portato alla luce numerose sepolture sovrapposte, facenti parte, probabilmente, di una fossa comune più volte sconvolta per lavori stradali e di pavimentazione della piazza. Le sepolture riguardano un arco di tempo di due secoli e mezzo, dal 1257 al 1499; purtroppo, nonostante accurate indagini, non è stato possibile risalire alle originali condizioni di giacitura del reperto, che, come vedremo, avrebbero rivestito un notevole interesse. Macroscopica del reperto Il reperto in esame presenta una forma a "geoide" cioè a sfera schiacciata ai poli, con dimensioni di 50,7 x 45,2 x 40,5 mm, completamente cavo, con superfide esterna di color avorio, finemente irregolare per la presenza di formazioni cordoniformi, di diversa larghezza e spessore; esse si ramificano in formazioni di minori dimensioni che si intersecano ripetutamente tra di loro (fig. 56). La parete, spessa fino a 2 mm, presenta una soluzione di continuo di 33 x 27 mm situata ad un polo, nel punto di minor spessore, con margini frastagliati e numerose porosità satelliti; attraverso di essa si può osservare la superficie interna del reperto, che appare liscia e di colorito più chiaro, e la cavità che non mostra alcuna sepimentazione. La parete del "geoide" è costituita da materiale calcifico. Diagnosi e diagnosi differenziale Lo studio del reperto pone un problema diagnostico di non facile risoluzione; un ausilio sicuro deriva da una corretta e rigorosa diagnosi differenziale.

Nel caso in esame quest'ultima può essere posta tra il tubercoloma calcifico, le evoluzioni calcifiche di un focolaio tubercolare primario, di una tubercolosi nodulare degli apici polmonari, di un ascesso piogenico polmonare od epatico di una cisti broncogena od epatica congenite e, infine, una cisti idatidea da Echinococcus granulosus andata incontro a calcificazione. Esaminando una per una le varie possibilità di diagnosi differenziale, il tubercoloma presenta la superficie esterna grossolanamente irregolare, quasi sempre policiclica e l'evoluzione cavitaria è estremamente rara (LANZA 1985), come eccezionale è la calcificazione dell'ascesso piogenico, il quale tende invece alla guarigione per cicatrizzazione e collabimento delle pareti (LANZA 1985). Gli esiti calcifici della forma primaria di tubercolosi non raggiungono mai dimensioni tali da poter assomigliare al reperto esaminato e la forma secondaria produce solo delle cicatrici calcifiche (LANZA 1985); nelle cisti congenite sopra elencate, la calcificazione risulta un'evenienza eccezionale (LANZA 1985). La malattia idatidea resta, quindi, l'ipotesi diagnostica più probabile, data la forma, l'aspetto, le dimensioni e la frequente evenienza della calcificazione della parete cistica che classificano, con certezza, il nostro reperto come cisti calcifica da echinococco e, specificatamente, da Echinococcus granulosus a causa della unilocularità di esso. I dati morfologici del reperto orientano verso l'ultima ipotesi diagnostica, supportati peraltro da suggestivi dati epidemiologici, dai quali emerge che la malattia idatidea rappresenta una delle più frequenti e gravi parassitosi umane, ponendo la Toscana e la Maremma in particolare, nelle zone di alta endemia, essendo state ad economia prevalentemente agricolo-pastorale fino a pochi decenni or sono (DE CARNERI 1977). La cisti da noi esaminata, quindi, va ad incrementare la scarsa casistica paleopatologica mondiale riguardante tale parassitosi; infatti, sono stati riportati finora quattro casi di cisti idatidea rinvenuti in materiale antico (MOLLERCHRISTENSEN 1973; WELES-DALLAS 1976; ORTNER PUTSCHAR 1981; WILLIAMS 1985). Considerazioni su eziologia, patogenesi, anatomia patologica e1’ epidiemiologia

L'echinococcosi è una delle più frequenti e gravi parassitosi umane, determinata dalla larva esacanta del genere Echinococcus. La forma più frequente è causata dall'Echinococcus granulosus (ROBBINS et alii 1987) tale cestode trascorre la fase adulta tra i villi dell'intestino tenue dei canidi (ospiti definitivi), dove per la propria maturazione richiede l'intervento degli ormoni sessuali (SZIDAT 1971). I cani possono essere infestati da centinaia o migliaia di cestodi adulti, rappresentando una pericolosa fonte di infestazione per il bestiame (ovini, suini e bovini) (PELLEGRINI 1966) e per l'uomo (ospite intermedio). Quest'ultimo sviluppa l'idatidosi convivendo con cani infestati o in seguito all'ingestione di verdure contaminate dalle feci di questi o consumando interiora poco cotte di animali infetti. Un'altra fonte di contagio è costituita dal pulviscolo atmosferico, data la sopravvivenza fino a due anni delle uova nell'ambiente esterno. Le uova e gli scolici, di microscopiche dimensioni, giunti nello stomaco, liberano l'embrione esacanto, che attraversando la parete, penetra nel circolo sanguigno, potendo provocare la malattia in qualsiasi apparato. Il fegato risulta colpito nel 76% dei casi, il polmone nel 13%, l'encefalo nel 5-10%, lo scheletro nell'l% (GALLONE 1984). Nei tessuti il parassita, nutrendosi per osmosi, forma una cavità interna, assumendo l'aspetto di cisti idatidea, come forma di resistenza parassitaria, già alla fine della prima settimana; dopo 5 mesi raggiunge 1 cm di diametro, arrivando, dopo 5 anni, fino a 10 cm ed oltre. All'interno della cisti madre si formano, per gemmazione, le cisti figlie. A seconda della specie di Echinococco, le cisti possono presentarsi uniloculari o multiloculari; forma uniloculare è tipica dell'Echinococcus granulosus (DE CARNERI 1977). La cisti vitale è rotondeggiante od ovalare, di colorito madreperlaceo, con superficie ampiamente vascolarizzata; al taglio mostra contenuto liquido, limpido ad "acqua di rocca" con cisti figlie in vario numero e particelle simili a sabbia, "sabbia idatidea". Al microscopio ottico la parete appare formata da 3 strati, dall'esterno all'interno: pericistio, fibroso e vascolarizzato, dato dalla reazione del tessuto ospite come "reazione di contenimento", strato chitinoso, anudeato, polisaccaridico e, infine, strato poligeno o germinativo, nucleato che, con il secondo costituisce la parte parassitaria della cisti. In seguito alla deposizione di sali di caldo nella capsula fibrosa, reattiva dell'ospite e conseguente occlusione dei vasi sanguigni, unica via di

nutrizione del parassita, questo va incontro a morte con collasso della membrana parassitaria e morte delle cisti figlie. Conclusioni La malattia idatidea è presente in varie regioni del mondo, soprattutto dove è particolarmente sviluppata la pastorizia, tanto da assumere, in certe regioni, l'aspetto di malattia professionale; tali aree includono il Sud America (THATCHER 1972), la Nuova Zelanda alcune regioni africane e mediterranee. In Italia questa malattia è tuttora presente nelle regioni centro meridionali e nelle isole; fino agli anni cinquanta anche la Toscana era considerata zona ad alta endemia a causa della prevalente economia agricolo-pastorale. È stato calcolato che in Italia, nel 1959, vi furono 1689 interventi chirurgici per echinococcosi e 197 decessi per la stessa malattia (TASSELLI 1963) Pertanto il ritrovamento, a Siena, di un caso di cisti da Echinococco, databile ai secoli XIII-XIV, non può destare meraviglia. Tale malattia, infatti doveva essere molto più comune in Toscana in età pre-industriale sia per il tipo prevalente di economia, agricolo-pastorale, che per la scarsa igiene alimentare e ambientale.

Indici delle US/USM

Indice delle US/USM per attività, fase e periodo US/USM Att. Fase Settore I-area di scavo 60 44 B 81 45 82 45 83 41 B 84 41 B 85 44 B 86 40 B 87 41 B 88 41 B 89 41 B 90 45 91 45 92 41 B 93 41 B 94 41 B 95 41 B 97 41 B 98 41 B 99 103 B 100 103 B 101 41 B 102 40 B 103 41 B 104 40 B 105 40 B 106 40 B 107 41 B 108 38 A 109 86 B 110 38 A 111 38 A 113 86 B 114 38 A 115 48 B

Periodo US/USM Att. Fase Settore I-area di scavo IX 144 86 B XI 145 36 B XI 146 17 C IX 147 17 C IX 148 17 C IX 149 33 B IX 150 17 C IX 151 17 C IX 152 34 B IX 153 33 B XI 154 48 B XI 155 34 B IX 156 33 B IX 157 34 B IX 158 33 B IX 159 33 B IX 161 33 B IX 162 33 B IX 163 33 B IX 164 33 B IX 165 33 B IX 166 95 B IX 167 96 B IX 169 28 A IX 170 11 IX 171 30 B IX 172 30 B IX 174 11 IX 175 78 B IX 176 78 B IX 178 23 B IX 179 78 B IX 180 78 B VIII 183 30 B

Periodo IX VIII III III III VIII III III VIII VIII VIII VIII VIII VIII VIII VIII VIII VIII VIII VIII VIII VIII VIII III II VIII VIII II VIII VIII VII VIII VIII VIII

116 117 119 120 123 124 125 126 127 128 129 130 131 132 133 134 135 136 137 138 139 140 141 142 143

39 39 48 38 41 41 41 37 37 86 38 37 99 99 37 34 34 36 34 106 106 105 105 35 36

B B B A B B B A A B A A B B A B B B B B B B B B B

US/USM Att. Fase Settore I – Area di scavo 210 29 C 211 23 B 212 2 A 213 2 A 214 2 A 215 16 B 216 16 B 217 16 B 218 17 C 219 23 B 220 13 B 221 13 B 222 17 B 223 12

IX IX VIII IX IX IX IX IX IX IX IX IX IX IX IX VIII VIII VIII VIII IX IX IX IX VIII VIII

184 185 186 187 188 189 190 191 192 193 194 195 196 197 198 199 200 201 202 203 204 205 207 208 209

Periodo

US/USM Att. Fase Periodo Settore I – Area di scavo 289 3 B I 290 19 A V 293 26 C I 294 26 C I 295 27 A III 296 8 C I 300 TERRENO VERGINE 301 44 B IX 302 44 B IX 303 44 B IX 312 44 B IX 313 61 B IX 314 41 B IX 315 60 A IX

III VII I I I III III III III VII III III III II

17 30 23 30 30 23 29 10 16 10 14 23 14 21 23 21 28 28 10 30 14 14 29 13 13

C B B B B B C B B B A A A F B F A A B B A A C B B

III VIII VII VIII VIII VII III III III III III VII III V VII V III III III VIII III III III III III

225 227 228 229 230 231 232 233 234 235 236 237 238 239 240 241 242 243 244 246 247 248 249 250 251 252 253 254 255 256 257 258 259 260 261 262 263 264 266 267 268 269 270 271

16 17 16 17 8 9 9 3 2 3 6 6 7 1 2 1 1 1 23 45 45 45 45 8 18 9 9 9 9 29 29 2 3 4 5 11 10 2 21 21 21 21 23 22

B C B C C C C B A B A A B A A A A A B

C C C C C C C A B A B B A F F F F B F

III III III III I I I I I I I I I I I I I I VII XI XI XI XI I II I I I I III III I I I I II III I V V V V VII V

316 317 318 319 320 321 322 323 324 325 326 327 328 329 330 331 332 333 334 335 336 337 338 339 340 341 342 343 344 345 347 348 349 350 351 352 353 354 355 356 357 358 359 360

78 38 38 57 58 59 61 48 41 78 64 62 62 63 78 85 84 66 66 66 66 67 67 67 67 64 51 52 2 3 67 66 67 66 67 66 67 66 67 66 67 66 67 66

B A A A A A B B B B B B B B B B B A A A A B B B B B B B A B B A B A B A B A B A B A B A

VIII IX IX IX IX IX IX VIII IX VIII VIII VIII VIII VIII VIII VIII VIII I I I I VIII VIII VIII VIII VIII VIII VIII I I VIII I VIII I VIII I VIII I VIII I VIII I VIII I

272 273 274 278 279 280 281 282 284 285 286 287 288

22 22 22 16 17 23 23 20 21 1 32 28 28

F F F B C B B B F A B A A

V V V III III VII VII V V I VIII III III

361 362 363 364 365 366 367 368 369 370 371 373 374

US/USM Settore I 375 376 377 378 379 380 381 382 383 384 385 386 387 388 389 390 391 392 393 394 397 400 401 402 403 404

Att. Area di 49 89 50 89 58 54 53 10 29 17 17 17 17 17 83 77 54 76 66 67 75 74 73 49 49 50

Fase scavo D B B B A B B B C C C C C C C C B C A B C C C D D B

Periodo US/USM Settore I V 50 VIII 52 VIII 53 VIII 54 IX 55 IX 56 IX 57 III 58 III 59 III 61 III 62 III 63 III 64 III 65 III 66 III 67 IX 68 III 70 I 96 VIII 304 III 305 III 306 III 307 V 308 V 309 VIII 310

67 66 67 66 67 66 67 66 67 2 3 17 17

B A B A B A B A B A B C C

VIII I VIII I VIII I VIII I VIII I I III III

Att. Elevato 20 90 125 90 91 90 91 90 102 90 90 25 20 91 20 25 20 15 25 94 93 94 49 49 111 110

Fase

Periodo

B B C B A B A B B B B B B A B B B A B A B A D D B A

V VIII VII VIII X VIII X VIII VIII VIII VIII VI V X V VI V VIII VI IX IX IX V V IX IX

405 50 406 68 407 72 408 70 409 71 410 71 411 69 412 69 413 20 414 20 415 20 420 50 423 91 424 90 425 90 427 91 Settore I - Elevato

B

B B B B A B B A

VIII II III II II II II II V V V VIII X VIII VIII X

3 7 8 11 12 13 14 15 16 17 18 19 25 26 33 34 37 38 39 40 41 42 43 45 47 48

B C C D D D D D D D D D C D A A A A A A A B B D B B

V V V V V V V V V V V V V V VI VI VI VI VI VI VI VII VII V VII V

20 121 121 49 49 49 49 49 49 49 49 49 121 49 122 122 122 123 123 123 123 124 124 49 124 20

A

311 346 347 377 404 405 420 421 422 423 424 425 426 427 451 452 453 454 455 456 457 458 459 501 502 503 504 505 506 507 508 509 510 511 512 513 514 515 516 517 518 520 521 522

111 110 132 50 50 50 50 132 49 91 90 90 20 91 132 132 132 132 132 132 137 137 137 49 49 136 136 136 136 138 136 136 156 156 49 136 140 141 142 49 136 156 156 142

B A B B B B D A B B B A A A A A A A A A A D D C C C C C C

D C B B D C

IX IX XI VIII VIII VIII VIII XI V X VIII VIII V X XI XI XI XI XI XI VIII VIII VIII V V VII VII VII VII XI VII VII XI XI V VII VIII VIII XI V VII XI XI XI

49

20

US/USM Att. Settore I – Elevato 525 126 602 132 603 132 604 132 Settore III 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33

5 24 5 5 19 19 19 3 23 9 22 22 3 23 22 9 10 10 3 10 9 22 3 10 10 22 3 10 10 10 22 22 1

B

V

Fase

Periodo US/USM Settore III VII 66 XI 67 XI 68 XI 69 70 71 V 72 X 73 V 74 V 75 X 76 X 77 X 78 V 79 VI 80 VII 81 X 82 X 83 V 84 VI 85 X 86 VII 89 VII 90 VII 91 V 92 VII 93 VII 94 X 95 V 96 VII 97 VII 98 X 99 V 101 VII 102 VII 103 VII 104 X 105 X 106 V 110

C

F A F F A A A E B A B B E B B A A A E A A B E A A B E A A A B B A

523

141

B

Att.

Fase

21 21 21 21 21 28 28 6 6 6 6 6 6 6 6 6 6 6 6 13 6 25 11 4 2 8 25 12 25 29 16 7 18 14 14 17 17 6 3

A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A A F A F C C F A F B B B A A A B B A E

VIII

Periodo X X X X X X X VII VII VII VII VII VII VII VII VII VII VII VII VIII VII V VIII V V VII V VIII V IX VIII VII IX VIII VIII VIII VIII VII V

34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65

10 10 20 22 3 20 3 15 3 15 22 22 22 22 3 3 5 5 3 3 3 3 3 3 3 3 21 21 21 21 21 21

A A A B E A E A E A B B B B E E F F E E E E E E E E A A A A A A

VII VII X X V X V VII V VII X X X X V V V V V V V V V V V V X X X X X X

112 113 114 115 116 117 118

3 5 5 5 5 25 5

E F F F F F F

V V V V V V V V

Settore VI 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 13 14 15 16 17 18 19 20 22 23 24 25

14 1 9 9 1 14 1 1 1 6 8 1 3 3 3 1 16 1 1 1 1 14 9

B F A A F B F F F D A F F F F F F F F F B A

VI V IX IX V VI V V V VII IX V V V V V VI V V V V VI IX

US/USM Settore VI 26 27 28 29 30 31 32 33

Att.

Fase

9 1 1 1 6 1 13 8

A F F F D F B A

Periodo US/USM Settore VI IX 73 V 74 V 75 V 76 VII 77 V 78 X 79 IX 80

Att.

Fase

Periodo

6 8 8 2 2 2 2 2

D A A F F F F F

VII IX IX V V V V V

34 35 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72

13 13 1 13 8 13 2 2 2 2 2 2 11 10 10 11 11 11 5 12 12 12 5 6 8 6 8 7 10 7 13 13 13 5 2 1 1 6

B B F B A B F F F F F F A B B A A A C A A A C D A D A A B A B B B C F F F D

X X V X IX X V V V V V V X IX IX X X X VII X X X VII VII IX VII IX IX IX IX X X X VII V V V VII

81 82 83 84 85 86 87

2 2 2 2 2 2 2

F F F F F F F

V V V V V V V

Settore VII 1 2 3 4 5 10 12 15 17 19 20 21 22 23 26 27 29 30 31 32