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Italian Pages 207 Year 2005
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Ian McEwan
Sabato
Titolo originale: Saturday Traduzione di Susanna Basso
© 2005 Ian McEwan. © 2005, Giulio Einaudi editore spa, Torino.
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Sabato
Will e Greg McEwan.
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Per esempio? Be', per esempio, che cosa significa essere un uomo. In una città. In un secolo. In transizione. In una massa. Trasformato dalla scienza. Sotto il potere organizzato. Soggetto a tremendi controlli. In una condizione determinata dalla meccanizzazione. Dopo il recente fallimento di radicali speranze. In una società che non aveva nulla della comunità e che svalutava la persona... per la moltiplicata potenza delle cifre che rendevano il sé trascurabile. Che spendeva miliardi in armamenti contro nemici stranieri, ma che non era disposta a pagare niente per un po' d'ordine in casa propria. Che permetteva crudeltà e barbarie fin nelle proprie grandi città. Allo stesso tempo, la pressione esercitata da milioni di esseri umani che hanno scoperto cosa possano sforzi e pensieri concertati insieme. Come i megatoni d'acqua plasmano gli organismi sul fondo del mare. Come i flutti levigano le pietre. Come i venti scavano le scogliere. Il bellissimo supermacchinario che apre una nuova esistenza a innumerevoli esseri umani. Gli negheresti tu, il diritto di esistere? Gli chiederesti di faticare e morire di fame mentre tu ti godi deliziosi Valori Vecchio Stampo? Tu, tu stesso sei figlio di questa massa e fratello di tutti gli altri. Oppure sei un ingrato, un dilettante, un idiota. E così che stanno le cose, Herzog, pensò Herzog, visto che vuoi un esempio. SAUL BELLOW, Herzog, 19641. (Traduzione di Letizia Miller.)
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Uno
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Qualche ora prima dell'alba Henry Perowne, un neurochirurgo, si sveglia per ritrovarsi già in movimento, seduto nell'atto di scostare le coperte e quindi di alzarsi in piedi. Non sa esattamente da quanto è cosciente, né del resto la cosa risulta avere rilevanza. Non gli è mai successo nulla di simile ma non è allarmato e neppure vagamente sorpreso, perché si muove con assoluta disinvoltura, provando un piacere diffuso agli arti, e sentendosi schiena e gambe insolitamente vigorose. Eccolo in piedi, nudo accanto al letto - si corica sempre nudo - in tutta la sua statura, consapevole del placido respiro di sua moglie e dell'aria invernale della stanza sulla pelle. Anche quella è una sensazione gradevole. L'orologio sul comodino segna le tre e quaranta. Henry non ha idea di che cosa ci faccia alzato: non sente il bisogno di liberare la vescica, e neppure è turbato da un sogno o da qualche particolare del giorno precedente, o addirittura dalle condizioni in cui versa il mondo. È come se, li in piedi al buio, si fosse materializzato dal nulla, in piena forma e in completa libertà. Non si sente stanco, a dispetto dell'ora e delle fatiche degli ultimi giorni, e non è nemmeno preoccupato per un caso recente. Anzi, è sveglio, sereno e inspiegabilmente euforico. Senza averlo deciso e per nessuna ragione al mondo, si incammina verso la più vicina delle tre finestre della stanza con un passo di tale agilità e scioltezza da fargli sospettare che si tratti di un sogno o di un episodio di sonnambulismo. Se è così, rimarrà deluso. I sogni non gli interessano; trova più promettente la possibilità che tutto questo sia vero. D'altronde è perfettamente lucido, ne è più che certo, e sa bene di essersi lasciato il sonno alle spalle: riconoscere la differenza tra sonno e veglia, distinguerne i confini, sono questi i fondamenti della sanità mentale. La camera è grande e spaziosa. Mentre l'attraversa scivolando con scioltezza pressoché comica, la prospettiva che l'esperienza possa volgere al termine per un attimo lo rattrista, ma il pensiero subito svapora. E accanto alla finestra di mezzo, e apre le alte imposte di legno pieghevoli con delicatezza, per non svegliare Rosalind. E un gesto egoista non meno che premuroso. Non ha voglia di sentirsi chiedere che cosa succede: quale risposta potrebbe darle, e perché guastare il momento nello sforzo di inventarne una? Apre la seconda imposta, ripiegandola nella sua sede, e solleva senza far rumore il vetro a ghigliottina. È parecchio più alto di lui, ma sale facilmente, issato dall'invisibile contrappeso di piombo. La pelle di Henry rabbrividisce raggiunta da una ventata d'aria di febbraio, 6
ma il freddo non gli procura fastidio. Dal secondo piano, si affaccia sulla notte, sulla città avvolta nella gelida luce bianca, sugli alberi scheletriti della piazza e, una decina di metri più sotto, sull'inferriata nera a punte di freccia come una fila di lance. Ci sono un paio di gradi sotto zero e l'aria è tersa. Il chiarore del lampione non ha cancellato proprio tutte le stelle; sopra la facciata del Regency, sul lato opposto della piazza, qualche avanzo di costellazione resta appeso al cielo meridionale. Quella particolare facciata è una ricostruzione, un pastiche - l'hotel che in tempo di guerra si chiamava Fitzrovia ha subito allora qualche incursione della Luftwaffe - e alle sue spalle si erge la torre dell'Ufficio postale, di un solenne squallore municipale di giorno, ma valoroso vestigio di tempi più radiosi di notte, complice il parziale mascheramento dovuto alle tenebre e a un'illuminazione suggestiva. E adesso, che tempi sono questi ? Sconcertanti e terribili, pensa perlopiù quando si concede una pausa dalla routine settimanale per rifletterci. Ma non gli pare così in questo momento. Si sporge in avanti, spostando il peso del corpo sui palmi delle mani appoggiate al davanzale, e godendosi lo scenario limpido e sgombro. La sua vista, notoriamente buona, sembra addirittura acuita. Riesce a distinguere il baluginio della mica sulle pietre del lastrico nella piazza pedonalizzata, gli escrementi di piccione che la distanza e il gelo hanno rappreso in grumi di una loro speciale bellezza, come una spolverata di neve. Gli piace la nera simmetria delle aste in ferro battuto e delle loro ombre anche più scure, e il fitto reticolo dell'acciottolato. I traboccanti cestini dei rifiuti sanno più di abbondanza che di degrado e le panchine vuote disposte tutto intorno al giardino sembrano in benevola attesa del traffico diurno - le allegre squadre di impiegati in pausa-pranzo, i giovani ospiti dell'ostello indiano, solenni e diligenti, gli amanti, in preda a estasi silenziose o a crisi violente, i loschi spacciatori, la vecchia signora decrepita con le sue grida folli, ossessionanti. «Via, andate via! », è capace di strillare per ore di seguito, in un rauco gracidio che la fa assomigliare a un uccello di palude o a un animale da zoo. Li in piedi, immune al freddo come una statua di marmo, mentre contempla Charlotte Street e lo scorcio ineguale di facciate, ponteggi e tetti scoscesi, Henry pensa alla grande città come a un successo, un'invenzione geniale, un capolavoro biologico: milioni di individui formicolanti intorno all'accumulo stratificato di secoli di progresso, come intorno a una barriera corallina; gente che dorme, che lavora, si diverte, perlopiù in pace, animata dal desiderio pressoché unanime che tutto funzioni. Quanto all'angolo specifico di casa Perowne, siamo di fronte a un autentico trionfo di proporzioni; la piazza perfetta progettata da Robert Adam che si raccoglie intorno al cerchio altrettanto perfetto del giardino: un sogno settecentesco avvolto nel caldo abbraccio della modernità, dell'illuminazione stradale dall'alto e dei cavi a fibra ottica dal basso, con fresca acqua potabile che fluisce nelle tubature e liquidi di scolo portati via nella distrazione di un istante.Abituale osservatore dei propri stati d'animo, Henry si interroga sulla natura di questa euforia durevole e deformante. Forse a livello molecolare si è verificato un incidente chimico durante il sonno: qualcosa di simile a un vassoio di bevande rove7
sciato, che mette in moto recettori analoghi alla dopamina innescando un succedersi a cascata di benevoli eventi intracellulari; o forse è la prospettiva di un sabato, se non la paradossale conseguenza di una stanchezza estrema. In effetti, ha concluso la settimana in condizioni di affaticamento straordinario; al suo rientro, ha trovato la casa deserta e si è sdraiato nella vasca con un libro, lieto di non avere nessuno con cui chiacchierare. E stata Daisy, la figlia letterata, troppo letterata, a spedirgli quella biografia di Darwin, in qualche modo collegata a un romanzo di Conrad che, a sentir lei, il padre dovrebbe leggere e che lui invece non ha ancora iniziato. Le avventure sui mari, per quanto cariche di valenze etiche, non l'hanno mai interessato molto. Sono ormai anni che Daisy si occupa di quella che giudica una ignoranza strabiliante guidando la sua educazione letteraria e rimproverandogli sia il cattivo gusto sia la scarsa sensibilità. Non ha tutti i torti; dal liceo, dritto alla facoltà di Medicina, ai turni massacranti delle prime guardie, fino al totale assorbimento della specializzazione in neurochirurgia in concomitanza con gli impegni della paternità, per quindici anni Henry Perowne non ha quasi più aperto libro se non per ragioni di studio. D'altra parte, gli pare di aver visto morte, paura, coraggio e sofferenza quanto basta per alimentare una dozzina di letterature. Nonostante ciò, si sottopone di buon grado a quegli elenchi di letture consigliate: sono il suo mezzo per rimanere in contatto con una figlia che, crescendo, si allontana e sta diventando imperscrutabilmente donna in un sobborgo parigino; stasera tornerà a casa per la prima volta dopo un'assenza di sei mesi, altro motivo di euforia. Era in netto ritardo con i compiti assegnatigli da Daisys Mentre con l'alluce ogni tanto comandava l'aggiunta di altra acqua calda nella vasca, ha letto distrattamente della foga con cui Darwin completò M Orìgine delle specie, nonché un sommario delle pagine conclusive, emendate nelle successive edizioni. Intanto ascoltava il radiogiornale. Lo stolido Mr Blix ha rivolto l'ennesimo appello alle Nazioni Unite: l'impressione generale è che stia indebolendo alquanto le istanze a sostegno della guerra. A quel punto, sicurissimo di non aver assimilato un bel niente, Perowne ha spento la radio, è tornato indietro e ha riletto le stesse pagine. A tratti questo volume gli procura una serena nostalgia per un'Inghilterra verdeggiante, materna, un'Inghilterra da carrozze a cavalli; altre volte lo deprime un po' constatare come un'intera vita possa essere contenuta in poche centinaia di pagine: imbottigliata come salsa fatta in casa. E con quanta facilità un'esistenza, le sue ambizioni, la ricca rete di parentele e amicizie, tutto questo prezioso materiale gelosamente custodito, possa svanire nel nulla. Subito dopo si è sdraiato sul letto a ragionare sulla cena, e tutto il resto gli è passato di mente. Rosalind deve averlo coperto quando è tornata dal lavoro. Quasi certamente l'ha baciato. Quarantotto anni, e già in pieno sonno alle nove e mezza di un venerdì sera: ecco che cosa significa professionalità al giorno d'oggi. Perowne lavora sodo, come tutti i suoi collaboratori, e questa settimana ha per giunta dovuto aumentare il ritmo a causa 8
di un'epidemia di influenza che ha ridotto il personale ospedaliero: il suo programma di interventi è pressoché raddoppiato rispetto al solito. Attraverso un delicato sistema di equilibri e sdoppiamenti è riuscito a eseguire un grande intervento in una sala operatoria, supervisionare uno specializzando dell'ultimo anno in un'altra, e portare a termine procedure minori in una terza. Al momento il suo team si avvale di due aiuti: Sally Madden, quasi al termine della specialità e assolutamente affidabile, e uno specializzando del secondo anno, Rodney Browne, della Guyana, in gamba, zelante lavoratore, ma ancora un po' insicuro. L'anestesista del team, Jay Strauss, ha un aiuto suo, Gita Syal. Per tre giorni consecutivi, sempre con Rodney al fianco, Perowne si è alternato sulle tre sale chirurgiche; a fargli da accompagnamento musicale, il calpestio dei suoi stessi zoccoli sui pavimenti lustri del corridoio e i diversi cigolii e fragori delle porte a vento. La tabella di marcia di venerdì è stata esemplare: mentre Sally chiudeva un paziente, Perowne si recava nella sala accanto a liberare un'anziana signora della sua nevralgia trigeminale, il suo tic douloureux. Questi interventi minori riescono ancora a procurargli soddisfazione: lo appaga essere rapido e al tempo stesso preciso. Le ha infilato l'indice guantato in fondo alla bocca per individuare la direzione poi, quasi senza bisogno di guardare l'intensificatore di brillanza, le ha applicato un lungo ago passando dall'esterno della guancia, su fino al ganglio di Gasser. Jay è arrivato dall'altra sala per controllare Gita intento a far riprendere brevemente conoscenza alla paziente. La stimolazione elettrica della punta dell'ago le causava un formicolio facciale e, dopo che la donna ha confermato con voce assonnata che la posizione era corretta Perowne l'aveva centrato al primo tentativo -, si è proceduto a riaddormentarla mentre il nervo veniva «bruciato» per termocoagulazione con radiofrequenze. Il segreto consiste nell'eliminare il dolore lasciandole la sensazione di un tocco leggero; tutto risolto in un quarto d'ora: tre anni di inferno, di dolore acuto e lancinante, dimenticati. Perowne ha clippato il colletto di un aneurisma dell'arteria cerebrale media - è una specie di maestro in questo campo - e ha eseguito una biopsia di un tumore del talamo, regione nella quale risulta impossibile intervenire chirurgicamente. Il paziente era un ventottenne, giocatore di tennis a livello professionistico, che aveva presentato una perdita improvvisa della memoria. Già estraendo l'ago dalle profondità del cervello, Perowne non aveva avuto dubbi sul fatto che il tessuto non fosse normale. Riponeva poche speranze nella radio e nella chemioterapia. La conferma è arrivata sotto forma di referto scritto del laboratorio di analisi, e nel pomeriggio Perowne ha proceduto a informare gli anziani genitori del giovane. Il caso successivo è stato una craniotomia per l'asportazione di un meningioma in una paziente cinquantatreenne, direttrice di scuola elementare. Il tumore era situato sopra il giro precentrale e si presentava ben circoscritto, sgusciando via con precisione prima di essere dissecato dal suo dissettore di Rhoton: procedimento terapeutico risolutivo. Ci ha pensato Sally a chiudere la paziente, mentre Perowne raggiungeva la sala accanto per eseguire una laminectomia lombare su più livelli su un quarantaquattrenne obeso, giardiniere in servizio presso Hyde Park. Perowne ha dovuto incidere i 9
dieci centimetri di adipe sottocutaneo prima di riuscire a esporre le vertebre e, ogni volta che esercitava pressione per asportare l'osso, il corpo dell'uomo tremolava inopportunamente sul tavolo chirurgico. Su richiesta di un vecchio amico otorinolaringoiatra, Perowne ha fatto l'apertura per un neurinoma dell'acustico di un diciassettenne; è curioso come i colleghi di otorino tendano a guardarsi bene dall'affrontare difficoltà chirurgiche specifiche del loro campo. Perowne ha preparato un grande lembo osseo rettangolare dietro l'orecchio, operazione che ha richiesto ben più di un'ora irritando Jay Strauss, impaziente di procedere con gli impegni in programma per l'équipe. Alla fine, il tumore è comparso nell'oculare del microscopio operatorio: un piccolo schwannoma vestibolare situato a non più di tre millimetri dalla coclea. Dopo aver lasciato all'amico specialista il compito di procedere all'escissione, Perowne si è precipitato a occuparsi di un secondo intervento minore e questa volta l'irritazione è toccata a lui: una giovane donna dai modi petulanti e lagnosi pretendeva che le trasferissero lo stimolatore spinale dalla schiena sul davanti. Non più tardi di un mese prima gliel'aveva spostato sulla schiena perché la paziente si lamentava di avere difficoltà a sedersi. Ora sosteneva che lo stimolatore le rendeva impossibile stare sdraiata a letto. Perowne le ha praticato una lunga incisione nell'addome e ha sprecato tempo prezioso a rovistarle dentro fino ai gomiti alla ricerca del cavo della batteria. Sicuro oltretutto che di li a poco si sarebbe ripresentata. Per pranzo ha mangiato un tramezzino confezionato al tonno e cetrioli e ha bevuto una minerale. Nell'affollata caffetteria dove immancabilmente gli capita di associare gli odori di toast e di pasta riscaldata al microonde a quelli dei grandi interventi, si è seduto accanto a Heather, l'amatissima londinese verace che dà una mano a ripulire le sale tra un'operazione e l'altra. La donna gli ha fornito un resoconto dettagliato dell'arresto del genero per rapina a mano armata a seguito di una errata procedura di identificazione da parte della polizia. Il giovane disponeva comunque di un alibi perfetto: al momento del reato si trovava dal dentista per l'estrazione di un dente del giudizio. In altri angoli del locale, si parlava dell'epidemia di influenza: solo quella mattina erano stati spediti a casa una delle strumentiste e un operatore tecnico della squadra di Jay Strauss. Dopo quindici minuti, Perowne ha richiamato la sua équipe al lavoro. Mentre Sally si occupava di una trapanazione cranica su un anziano paziente, un posteggiatore in pensione, allo scopo di alleviare la pressione di un sanguinamento intracranico - un ematoma subdurale cronico -, Perowne utilizzava il più recente acquisto tecnologico presente in sala, un neuronavigatore, nel corso di una craniotomia per l'asportazione di un glioma frontale posteriore destro. Infine ha concesso a Rodney di fare da primo operatore in un'altra trapanazione per un subdurale cronico. Il caso più impegnativo della giornata è consistito nella rimozione di un astrocitoma pilocitico su una quattordicenne nigeriana residente a Brixton con la zia e lo zio, vicario della Chiesa d'Inghilterra. Il tumore risultava più facilmente aggredibile dalla regione occipitale, per via infratentoriale sopracerebellare, con la paziente anestetizzata in posizione seduta. La cosa ha creato a sua volta particolari problemi a Jay 10
Strauss, data l'eventualità che dell'aria entrasse in vena causando un'embolia. Andrea Chapman è stata una paziente difficile, una nipote difficile. È arrivata in Inghilterra all'età di dodici anni - il vicario e la moglie hanno mostrato sgomenti la foto a Perowne: una bimbetta sottopeso dal sorriso timido, in vestito leggero e codini infiocchettati. Qualcosa in lei che la vita campestre in un villaggio della Nigeria settentrionale aveva tenuto sotto controllo, si è scatenato quando ha iniziato a frequentare la scuola media comunale di Brixton. Si è appassionata alla musica, ai vestiti, alla parlata, ai valori... alla strada. Ha un bel caratterino, ha detto in confidenza il vicario mentre sua moglie cercava di abituare Andrea al reparto. La nipote faceva uso di droghe, si ubriacava, rubava nei negozi, bigiava la scuola, detestava l'autorità, e «imprecava come uno scaricatore di porto». Che fosse magari il tumore a comprimerle qualche parte del cervello ? Perowne non è stato in grado di rassicurarlo. Il tumore si trovava lontano dai lobi frontali. Era localizzato nella porzione profonda del verme cerebellare superiore. Andrea aveva già manifestato sintomi quali emicranie mattutine, scotomi scuri e atassia con perdita di equilibrio. Tali fenomeni non erano bastati a dissipare in lei il sospetto che la sua condizione dipendesse da una congiura - dell'ospedale, in combutta con i suoi tutori, la scuola, la polizia - per mettere fine alle nottate nei locali. A poche ore dal ricovero in reparto, la ragazza era già entrata in conflitto con le infermiere, la caposala e un'anziana paziente che sosteneva di non poter tollerare il suo linguaggio osceno. Perowne ha avuto a sua volta non poche difficoltà nel persuaderla ad accettare i tormenti che l'aspettavano. Anche quando non era su di giri, Andrea ostentava un eloquio da rapper di Mtv, dondolando il busto sul letto, disegnando ampi cerchi con le mani rivolte in basso, accarezzando l'aria davanti a sé, nel crescendo che anticipava le sue burrasche. Tuttavia Henry ne ammirava lo spirito, i focosi occhi neri, la dentatura perfetta, e la rosea lingua pulita che si scatenava intorno alle parole cui dava forma. Andrea aveva un sorriso gioioso, anche quando strillava in preda a un presunto furore, come se la divertisse constatare fino a che punto riusciva a farla franca. Ci è voluto Jay Strauss, un americano affettuoso ed esplicito come nessun altro in quell'ospedale britannico, a rimetterla in riga. L'intervento di Andrea è durato cinque ore ed è stato un successo. La ragazza è stata sistemata in posizione seduta, con la testiera fissata all'intelaiatura metallica posta davanti a lei. L'apertura dell'occipite richiedeva estrema attenzione a causa dei vasi che decorrono subito al di sotto della parete ossea. Rodney stava chino accanto a Perowne per irrigare durante la trapanazione e cauterizzare l'emorragia con la bipolare. Alla fine è comparso alla vista il tentorio - la tenda -, una pallida struttura di delicata bellezza, come il viluppo di veli di una piccola danzatrice, luogo in cui la dura madre si raccoglie per poi separarsi di nuovo. Il cervelletto stava li sotto. Tagliando delicatamente, Perowne ha lasciato fare alla gravità che l'ha abbassato senza bisogno di ricorrere ai divaricatori e ha reso possibile spingere lo sguardo fino alla regione remota della ghiandola pineale, dalla quale il tumore si estendeva in una cospicua massa rossa. L'astrocitoma era ben definito e aveva infil-
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trato solo parzialmente il tessuto circostante. Perowne ha potuto procedere all'escissione pressoché completa senza danneggiare alcuna regione eloquente. Ha concesso a Rodney svariati minuti di lavoro al microscopio con l'aspiratore, e gli ha permesso di chiudere la paziente. La fasciatura invece l'ha eseguita di persona e, quando finalmente è emerso dalle sale, non si sentiva per nulla affaticato. Operare non lo stanca mai: mentre si trova nel mondo a parte della sua équipe, della sala e delle ordinate procedure, una volta assorbito dal vivido scorcio offerto dal microscopio chirurgico, in cammino su un percorso che lo guiderà alla meta desiderata, Henry si sente addosso una capacità sovrumana, quasi una smania, di lavorare. Quanto al resto della settimana, i due giri del mattino non sono risultati più impegnativi del solito. Perowne ha troppa esperienza per lasciarsi coinvolgere dalla vasta gamma di sofferenze in cui si imbatte: il suo mandato gli impone di rendersi utile. E non lo hanno stancato particolarmente nemmeno le visite in reparto e le svariate riunioni. Sono state più che altro le scartoffie del venerdì pomeriggio a buttarlo giù, l'accumulo di richieste di consulto e i relativi responsi, gli atti di due congressi, le lettere a colleghi e editori, una relazione non ancora terminata del comitato di valutazione interna, proposte a varie iniziative del direttivo, modifiche governative nella struttura del Trust, senza contare l'ennesima revisione delle procedure insegnate. Occorre inventarsi un metodo nuovo - c'è sempre un metodo nuovo - per il Piano di Emergenza dell'ospedale. Non ci si può più limitare a prevedere semplici incidenti ferroviari, ed espressioni quali «catastrofe» e «calamità su vasta scala», «guerra chimica e biologica» e «attacco al sistema» sono ormai diventate blande a furia di adoperarle. Nel corso dell'anno ha assistito al proliferare di nuove commissioni e sottocommissioni, e linee di comando che si estendono fuori dall'ospedale, oltre le gerarchie sanitarie, fino a raggiungere le più remote stanze dell'amministrazione statale e del ministero degli Interni. Perowne ha dettato con voce monotona, e ha continuato a battere a macchina nel cubicolo surriscaldato dell'ufficio al terzo piano dell'ospedale, ben dopo che la segretaria se n'era andata. A rallentarlo è stata un'inconsueta mancanza di scioltezza. Di norma va fiero della propria rapidità e di uno stile asciutto e scorrevole. Non gli occorrono lente riflessioni preliminari: comporre la frase e batterla è tutt'uno. Ora invece inciampava. E sebbene il gergo del mestiere - la sua seconda natura - non gli difettasse, la prosa risultava impacciata. Le singole parole si associavano mentalmente a oggetti ingombranti - biciclette, sedie a sdraio, attaccapanni - sparpagliati sul suo percorso. Si formulava in testa una frase, e poi la perdeva sulla carta, oppure si andava a cacciare in un vicolo cieco grammaticale e sudava a trovare una via d'uscita. Non si è fermato a domandarsi se tale debolezza fosse la causa o l'effetto della fatica. Con testardaggine, si è costretto semplicemente ad arrivare in fondo. Alle otto di sera ha concluso le ultime e-mail, e si è alzato dalla scrivania alla quale era stato seduto dalle quattro. Uscendo, si è fermato a controllare i propri pazienti in Terapia intensiva. Nessun problema, e Andrea procedeva bene: dormiva tranquilla e le sue reazioni era-
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no tutte positive. Meno di mezz'ora dopo era di ritorno a casa, immerso nella vasca da bagno e, poco più tardi, dormiva anche lui. Due figure in cappotto scuro attraversano la piazza in diagonale, allontanandosi verso Cleveland Street, in uno stonato contrappunto di tacchi alti: infermiere senz'altro, sulla via di casa, anche se l'ora è insolita per smontare dal turno. Non si parlano e, benché i loro passi siano scoordinati, procedono vicine, quasi spalla a spalla, in una specie di sororale intimità. Passano proprio sotto di lui e costeggiano circolarmente uno spicchio di giardino prima di tagliare in linea retta. C'è qualcosa di commovente nel modo in cui i rispettivi fiati si levano in pennacchi di vapore dietro di loro: sembra un gioco di bambini intenti a imitare una locomotiva. Si dirigono all'angolo opposto della piazza e, grazie al vantaggio garantito dalla posizione e in virtù di quel curioso stato d'animo, Perowne non si limita a guardarle, ma le domina dall'alto con lo sguardo, controllando i loro movimenti con l'imperturbabilità autoritaria di un dio. Nel freddo minerale, le due donne attraversano la notte, piccoli caldi meccanismi biologici dotati di sistema deambulatorio bipede, adatto a ogni tipo di terreno, nonché di innumerevoli reticolati neurali sprofondati in astucci ossei, di fibre sepolte, tiepidi filamenti con i loro invisibili lampi di coscienza: meccanismi in grado di determinare il proprio spostamento nello spazio. Perowne è alla finestra da parecchi minuti, l'euforia sta passando e comincia a sentirsi rabbrividire. Nei giardini, cintati da un'alta inferriata circolare, un leggero strato di brina ricopre i dossi artificiali del prato oltre il limitare dei platani. Perowne osserva un'ambulanza che, a sirene spente, svolta in Charlotte Street lampeggiando bagliori azzurri e accelerando di brutto verso sud, forse diretta a Soho. Lui si ritira dalla finestra per raggiungere con la mano una vestaglia di lana pesante abbandonata su una sedia alle sue spalle. Ancora nell'atto di voltarsi, ha la percezione di un elemento esterno nuovo, nella piazza o tra gli alberi, nitido ma incolore, di passaggio sul suo campo visivo periferico e reso indistinto dal movimento rapido della testa. Ma non torna subito a girarsi. Ha freddo e vuole la vestaglia. La prende, infila un braccio e si incammina verso la finestra cercando automaticamente la seconda manica, prima di allacciarsi a vita la cintura. Non capisce immediatamente quello che vede, pur essendo convinto del contrario. In un primo momento, sull'onda della curiosità esaltata, attribuisce al fenomeno proporzioni planetarie: è una meteora che brucia nel cielo di Londra, attraversandolo da sinistra a destra, bassa all'orizzonte, sebbene a sicura distanza anche dagli edifici più alti. Le meteore però hanno la prerogativa di viaggiare rapide come frecce. Le si scorge in un lampo, prima che il calore le consumi. Questa invece si muove con lentezza quasi maestosa. In un istante, Perowne rivede la propria prospettiva adattandola alle distanze del sistema solare: questo oggetto non si trova a centinaia, bensì a milioni di miglia, nello spazio remoto, e ruota intorno al sole in un'orbita senza tempo. E una cometa, tinta di giallo, con il consueto centro luminoso e la sua scia avvolgente di fuoco. Henry ha osservato la Hale-Bopp con Rosalind e i bambini da un colle erboso i nel distretto dei Laghi e anche questa volta prova un moto di riconoscenza per quello sguardo fugace, oltre la cornice terrestre, a qualcosa di autenticamente impersona13
le. E questa è perfino meglio, più fulgida, più veloce, ancora più notevole, giungendo così inattesa. Devono essersi persi l'annuncio sui media. Troppo oberati di impegni. È sul punto di svegliare Rosalind - sa che lo spettacolo la entusiasmerebbe - ma si chiede se arriverebbe in tempo alla finestra, prima che la cometa scompaia. Così facendo se la perderebbero entrambi. D'altra parte è una visione troppo straordinaria per non condividerla. Si sta dirigendo verso il letto quando sente un rombo diffuso, come un tuono sommesso che vada guadagnando volume, e allora si ferma, in ascolto. Quel suono dice tutto. Con la coda dell'occhio, guarda oltre il vetro in cerca di una conferma. Ovviamente, data la distanza, una cometa dovrebbe risultare immobile alla vista. Pieno di orrore, torna a prendere posizione alla finestra. Il rumore mantiene un volume costante, mentre Henry ancora una volta rivede la propria scala di misurazione, zoomando al contrario però, dalla polvere e il ghiaccio solari fino alle dimensioni terrestri. Sono trascorsi solo tre o quattro secondi da quando ha visto questo fuoco in cielo e ha già cambiato parere al riguardo ben due volte. L'oggetto viaggia su una rotta che lui stesso ha percorso ripetutamente nella vita e durante la quale ha eseguito alcuni gesti di routine, sistemando lo schienale del sedile, modificando l'ora all'orologio, ritirando le sue carte, sempre curioso di vedere se è in grado di localizzare casa sua nell'immensa distesa grigio-arancio quasi bella; da est a ovest, lungo la riva meridionale del Tamigi, a duemila piedi d'altezza, nella fase conclusiva dell'atterraggio su Heathrow. Al momento l'oggetto è direttamente a sud rispetto a lui, a meno di un miglio, pronto a infilarsi nel reticolato delle cime spoglie dei platani, dietro la torre dell'Ufficio postale, al livello dei più bassi ripetitori parabolici a microonde. Nonostante le luci della città, i contorni dell'aereo non sono visibili nel buio delle prime ore del mattino. L'incendio deve essersi sviluppato sull'ala sinistra, nel punto in cui questa si congiunge alla fusoliera, o forse in uno dei motori sottostanti. L'estremità anteriore del fuoco si presenta come una sfera bianca appiattita che si trascina appresso un cono di giallo e di rosso: più che una meteora o una cometa fa pensare al tentativo di un artista mediocre di rappresentarle. In un'assurda pretesa di normalità, le luci di atterraggio lampeggiano regolarmente. Il rumore dei motori però non lascia dubbi. Al di sopra del solito boato profondo e vivace, sta acquisendo volume uno stridulo lamento di morte: allo stesso tempo strillo e urlo sostenuto, un rumore sporco, impuro, che dà l'impressione di uno sforzo meccanico insostenibile, superiore alla resistenza dell'acciaio temprato, che monti nel crescendo irrefrenabile di un vortice fatale, come la musica di accompagnamento a un terrificante giro di giostra. Qualcosa è sul punto di cedere. Perowne non pensa più di svegliare Rosalind. Perché introdurre anche lei in questo incubo ? In effetti, lo spettacolo ha la familiarità di un sogno ricorrente. Come la maggior parte dei passeggeri, esteriormente assoggettati alla monotonia del viaggio, Henry si concede spesso libere incursioni mentali nel possibile mentre se ne sta seduto, docile e debitamente cinturato, davanti a un pasto precotto. Fuori, oltre una sottile parete di acciaio e di giocosa plastica scricchiolante, il termometro segna sessanta 14
sotto zero, e mancano quarantamila piedi a toccar terra. Lanciati sull'Atlantico alla velocità di cinquecento piedi al secondo, ci si sottomette a quella follia per la sola ragione che lo fanno tutti. I tuoi compagni di viaggio sono tranquilli perché tu e gli altri intorno a te sembrate calmi. A leggerle in un certo modo - numero di morti per miglia pro capite - le statistiche sono confortanti. Del resto, come si potrebbe partecipare a un congresso in California meridionale, altrimenti? I viaggi aerei sono un mercato azionario, un trucco di sensazioni speculari, un fragile patto di credenze consorziate; finché i nervi reggono e a bordo non ci sono bombe né dirottatori, sono tutti felici e contenti. Quando il meccanismo si inceppa, non ci sono mezze misure. Osservate da una prospettiva diversa, vale a dire percentuale di vittime per incidente di volo, le cifre risultano meno positive. Il mercato potrebbe crollare. Forchetta di plastica alla mano, Perowne si domanda spesso come potrebbe andare: le urla nella cabina in parte attutite dal frastuono assordante, il rovistare frenetico nelle borse a caccia di cellulari per qualche parola di commiato, il personale di bordo in preda al terrore, che si aggrappa al ricordo di brandelli di procedure, il crescente fetore di merda. Tuttavia, anche la scena ricostruita dall'esterno, da lontano, come ora, è familiare. Sono già passati quasi diciotto mesi da quando metà del pianeta ha contemplato più e più volte gliinvisibili prigionieri condotti al macello attraverso il cielo, ed è da allora che il profilo innocuo di qualsiasi velivolo produce un'associazione inedita. E incontestabile: oggi un aereo in volo ci appare diverso, insieme portatore di morte e condannato al massacro. Henry sa che è un semplice effetto ottico a fargli credere di scorgere ancora un contorno, una sagoma più nera contro il buio. L'urlo del motore incendiato continua a salire di tono. Non lo sorprenderebbe vedere le luci della metropoli accendersi, o la piazza affollarsi di cittadini in vestaglia. Alle sue spalle Rosalind, ben allenata a escludere dal proprio sonno le inquietudini notturne della città, si gira su un fianco. Il rumore probabilmente non risulta più molesto di una sirena di passaggio su Euston Road. Il cuore di luce bianca con la sua coda variopinta si è intanto dilatato - nessun passeggero seduto nella parte centrale della cabina deve essere sopravvissuto. Ecco l'altro elemento familiare: l'orrore di ciò che non è possibile vedere. Della catastrofe osservata a distanza di sicurezza. Dell'assistere alla morte su vasta scala, senza vedere nessuno che muore. Niente sangue, niente grida, non un solo essere umano, e in questo vuoto, lo scatenarsi compiacente dell'immaginazione. La lotta contro la morte nella cabina di pilotaggio, un manipolo di passeggeri che si raduna per tentare l'ultima carta, la reazione ai fanatici. Da che parte dell'aereo fuggire, per sottrarsi al calore di quell'incendio? Verso quella del pilota, forse; sembrerebbe di essere meno soli, chissà poi perché. E patetica follia cercare il proprio bagaglio a mano nel vano cappelliera, oppure un gesto di necessario ottimismo ? E la signorina molto truccata che ti ha cortesemente servito croissant e confettura di frutta che farà ora? Cercherà di fermarti? L'aereo sta passando dietro le cime degli alberi. Per un istante, il fuoco scintilla festoso nell'intrico dei rami. Perowne pensa all'improvviso che c'è una cosa da fare subito. Ma prima che il servizio di pronto intervento abbia preso nota e inoltrato la sua chia15
mata, qualunque evento debba accadere apparterrà al passato. Nel caso sia vivo, il pilota avrà inviato un messaggio radio. Forse si sta già provvedendo a coprire la pista di schiuma. Inutile a questo punto scendere a dare la propria disponibilità in ospedale. Heathrow risulta fuori zona, secondo il Piano di Emergenza. Altrove, verso ovest, in camere da letto buie, un po' di medici si staranno infilando nei vestiti, senza la minima idea di quanto ci sia da affrontare. Ancora una quindicina di miglia di discesa. Se i serbatoi del carburante esplodono, non resterà loro più nulla da fare.L'aereo emerge dagli alberi, attraversa un tratto di cielo vuoto, e sparisce dietro la torre dell'Ufficio postale. Se Perowne avesse un'indole religiosa, incline alle spiegazioni sovrannaturali, potrebbe trastullarsi con l'idea di aver ricevuto una chiamata; l'idea che, essendosi svegliato in quello stato d'animo insolito ed essendo andato senza ragione alla finestra, dovrebbe riconoscere l'esistenza di un ordine segreto, di un'intelligenza remota decisa a mostrargli o a comunicargli qualcosa di significativo. Ma favorire il proliferare degli insonni è nella natura delle grandi città. Esse sono a loro volta entità refrattarie al riposo: i loro cavi elettrici non smettono mai di ronzare; perciò, tra tanti milioni di abitanti, è fatale che ce ne siano alcuni alla finestra anche in ore normalmente deputate al sonno. E che non si tratti delle stesse persone ogni notte. Il fatto poi che sia toccato a lui anziché a qualcun altro è del tutto casuale. E dipende da un semplice principio antropico. Il pensiero primitivo degli inclini al sovrannaturale si risolve in quello che i suoi colleghi psichiatri definiscono un delirio o un'idea di riferimento. Un eccesso del soggettivo, la necessità di ordinare il mondo in base ai propri bisogni, l'incapacità di contemplare la propria irrilevanza. Secondo Henry, questo modo di ragionare si colloca all'interno di uno spettro all'estremità del quale, come un tempio negletto, si erge la psicosi. Ed è quel modo di ragionare una possibile causa dell'incendio sull'aereo. Un uomo di solidi principi religiosi con una bomba ficcata nel tacco della scarpa. Tra i passeggeri in preda al terrore, chissà quanti si saranno messi a pregare (altro delirio di riferimento) il loro dio per ottenerne l'intercessione. E se ci saranno dei decessi, lo stesso dio che li ha decretati sarà ben presto luttuosamente invocato per riceverne conforto. Perowne considera questo fenomeno sorprendente, un enigma del genere umano che esula dalla sfera dell'etica. Esso produce, insieme alla follia e al massacro, anche uomini degni e buone azioni, magnifiche cattedrali, moschee, cantate, poemi. Una volta, tra sbigottimento e rassegnazione, gli è capitato di udire un prete sostenere che perfino la negazione di Dio sarebbe un esercizio spirituale, una forma di preghiera: non è facile districarsi dalle pastoie dei credenti. La sola speranza è che l'aereo abbia subito un semplice, laico guasto meccanico. Il velivolo supera la torre e comincia ad allontanarsi in una radura di cielo a occidente, piegando appena in direzione nord. Il fuoco sembra diminuire in 16
concomitanza con il lento mutare della prospettiva. Perowne riesce ormai a vedere quasi esclusivamente la coda e le sue luci intermittenti. Il frastuono del motore in avaria si va affievolendo. Sarà stato abbassato il carrello ? Mentre se lo domanda, Henry lo spera, anzi vuole che sia così. Una preghiera, forse ? Non sta chiedendo favori a nessuno. Anche quando le luci di atterraggio si sono perse nel buio, continua a scrutare il cielo da quella parte, temendo la vista di un'esplosione, incapace di distogliere lo sguardo. Ancora infreddolito, nonostante la vestaglia, pulisce il vetro appannato dal suo stesso fiato e riflette su quanto risulti remota ormai l'esaltazione improvvisa che l'ha fatto alzare da letto. Alla fine raddrizza la schiena e, senza far rumore, richiude le imposte per nascondere il cielo. Venendo via, si ricorda il famoso esperimento logico imparato anni prima a un corso di fisica. Un gatto, il Gatto di Schrôdinger, celato alla vista dentro una scatola coperta, può essere ancora vivo, oppure essere appena morto per via di un martello che, azionato a caso, si abbatte su una fiala di veleno. Fino a quando l'osservatore non solleva il coperchio della scatola, entrambe le possibilità, gatto vivo e gatto morto, coesistono l'una a fianco all'altra, in universi paralleli, egualmente reali. Non appena il coperchio viene sollevato dalla propria sede e si procede a esaminare il gatto, un'onda quantica di probabilità viene meno. Niente di tutto questo ha mai significato nulla per lui. Non nel senso umano del termine. Si tratterà pure dell'ennesimo esempio di delirio di riferimento, certamente. Ma ha sentito dire che perfino i fisici stanno prendendo le distanze. A Henry la cosa sembra al di là di ogni bisogno di conferma: un esito, una conseguenza, esistono autonomamente nel mondo, a dispetto di lui, già noti ad altri e in attesa della sua scoperta. A quel punto però a venire meno sarà solo la sua ignoranza. Qualunque esso sia, il punteggio è già stato scritto. E qualunque sia la sorte dei passeggeri, siano essi salvi e terrorizzati oppure morti, saranno ormai arrivati a destinazione. Quasi tutti, alla prima visita, lanciano un'occhiata furtiva alle mani del chirurgo nella speranza di esserne rassicurati. I futuri pazienti cercano delicatezza, sensibilità, fermezza, magari un pallore immacolato. Su questa base, Henry Perowne si perde ogni anno un certo numero di casi. Di solito sa che capiterà ancor prima che ne sia consapevole il paziente: dallo sguardo che continua ad abbassarsi, dal diminuire delle domande preparate, dai ringraziamenti troppo enfatici al momento di congedarsi. Altri malati non sono soddisfatti di quello che vedono, ma ignorano il proprio diritto a rivolgersi altrove; alcuni notano le mani, ma sono tranquillizzati dalla reputazione del medico o semplicemente se ne infischiano; e infine ci sono quelli che non notano niente, o non sentono niente, o sono incapaci di comunicare a causa della menomazione cognitiva che li ha portati da lui in prima battuta. Quanto a Perowne, la cosa non lo turba. Che i disertori si rivolgano pure in fondo al corridoio o dall'altra parte della città. Altri prenderanno il loro 17
posto. Il mare della sofferenza nervosa è vasto e profondo. Se si fosse dato seriamente al pianoforte, anziché strimpellarlo da dilettante, la sua apertura di dieci note gli sarebbe tornata utile. Sono mani nocchiute, ossa e tendini in vista, con un'ispida stoppia di peli rossicci all'attaccatura di ciascun dito la cui estremità è invece larga e piatta, tipo ventosa di salamandra. I pollici, spropositatamente lunghi, flettono indietro, stile banana, e anche a riposo sembrano troppo snodati, più adatti a prodezze da circo, fra clown e trapezisti. E come quasi tutto il resto del suo corpo, anche le mani sono vistosamente chiazzate di efelidi arancio e marrone che si propagano su, fino all'ultima nocca. A un certo tipo di paziente la cosa risulta aliena, per non dire malsana: ti può non star bene il pensiero di mani come quelle, seppure guantate, che armeggiano nel tuo cervello. Sono le mani di un uomo alto ed energico sul quale gli anni hanno di recente depositato qualche chilo e una certa posatezza. In gioventù, la giacca di tweed gli pendeva addosso come su un paio di doghe incrociate. Quando fa il gesto di raddrizzare la colonna, ancora oggi Perowne arriva comodo al metro e ottantacinque. La schiena un po' curva gli conferisce un'aria modesta in cui molti pazienti riconoscono parte del suo fascino. A metterli ulteriormente a proprio agio sono i suoi modi non assertivi e i miti occhi verdi agli angoli dei quali il sorriso ha inciso rughe profonde. Fino ai quaranta compiuti, le efelidi su viso e fronte da eterno ragazzo hanno avuto lo stesso effetto rassicurante, ma negli ultimi tempi hanno incominciato a sbiadire, come se la posizione raggiunta lo avesse alla fine costretto a rinunciare a quella frivola vanità. Meno felici sarebbero i suoi pazienti scoprendo invece che non sempre li sta a sentire. Gli capita di smarrirsi nei propri sogni, a volte. Come un aggiornamento sulle condizioni del traffico trasmesso dall'autoradio, una confusa fantasticheria può fare irruzione, urgente e improvvisa, perfino nel corso di una visita. Henry è allenato a mascherarne le tracce, continuando ad annuire, ad aggrottare le ciglia o a bloccare le labbra in un mezzo sorriso. E quando si riprende, alcuni secondi dopo, non sembra mai essersi perso granché. Per certi versi, quella postura curva è ingannevole. Perowne è sempre stato un tipo fisicamente ambizioso e non intende ancora gettare la spugna. Durante il giro di visite, misura i corridoi con un passo impaziente cui il suo seguito fatica a tenere dietro. Gode nel complesso di buona salute. Se dopo una doccia si attarda a esaminare se' stesso nello specchio a figura intera del bagno, nota un accenno di ispessimento adiposo intorno alla vita, un rigonfiamento quasi sensuale appena sotto la cassa toracica. Che scompare se appena sta eretto o solleva le braccia. Per il resto, i muscoli - pettorali come addominali - benché modesti mantengono una discreta definizione, specie con il lampadario spento e la luce affidata ai soli faretti laterali. Non è ancora un uomo finito. La capigliatura, magari un po' rada, è tuttora castano-rossiccia. Solo sul pube cominciano a 18
comparire i primi sparsi fili d'argento. Quasi ogni settimana, continua a correre in Regent's Park nei giardini ristrutturati di William Nesfield, oltre la Lion Tazza fino a Primrose Hill, e ritorno. E riesce tuttora a battere a squash qualcuno dei medici più giovani, piazzando un lungolinea sulla T di metà campo, dalla quale sventola con orgoglio i suoi celebri lob. Quasi una volta su due vince la partita del sabato con l'anestesista. Ma se un avversario è abbastanza in gamba da riuscire a spostarlo dal centro del campo e da costringerlo a correre, allora Henry è distrutto nel giro di venti minuti. Appoggiato alla parete di fondo, gli capita di controllarsi con discrezione il polso e di chiedersi se la struttura fisica di un quarantottenne possa davvero reggere centonovanta pulsazioni al minuto. Una volta, in una rara giornata di riposo, era in vantaggio di due game su Jay Strauss quando furono chiamati: era il giorno del disastro ferroviario di Paddington e l'emergenza fu generale. Lavorarono dodici ore senza sosta in scarpe da ginnastica e pantaloncini, sotto i camici verdi. Perowne partecipa ogni anno a una mezza maratona umanitaria, e si vocifera, a torto, che tutti i suoi subalterni a caccia di promozione vi si debbano iscrivere a loro volta. L'anno passato l'ha corsa in un'ora e quarantuno: undici minuti sopra il suo miglior tempo assoluto. La sua scarsa volontà di imporsi è solo apparente, più una questione di stile che di temperamento; nessun neurochirurgo può farne a meno. Naturalmente, studenti e personale tirocinante subiscono meno il suo fascino rispetto ai pazienti. Lo studente che, parlando di una Tac in presenza di Perowne, utilizzò l'espressione «giù in basso a sinistra» provocò una furia momentanea e fu spedito nell'onta a ristudiarsi la terminologia adeguata. Nel teatro operatorio Perowne viene definito dalla sua équipe «il grado zero della comunicazione». Nessun crescendo di oscenità man mano che aumentano difficoltà e rischi, nessuna sibilante minaccia di espellere gli incompetenti dalla sala, mai i tipici commenti a mezza voce da duro del mestiere - Uh-uh, ora si che comincia la musica - destinati in teoria ad allentare la tensione. Anzi, secondo Perowne, se le cose si fanno difficili, la tensione è meglio mantenerla. In quei casi, predilige un mormorio conciso, oppure il silenzio. Se un assistente mostra incertezza nel posizionare un divaricatore, o se una strumentista gli passa una pinza da ipofisi con un'angolazione scomoda alla presa, è possibile che a Perowne, in una giornata storta, sfugga un isolato «merda», anche più agghiacciante in virtù della sua rarità nonché dell'assenza di enfasi, e che a quel punto il silenzio in sala si faccia vibrante. Altrimenti, Henry ama che ci sia musica mentre lavora, perlopiù brani di Bach per pianoforte: le Variazioni Goldberg, il Clavicembalo ben temperato, le Partite. Tra i suoi interpret ti preferiti Angela Hewitt, Martha Argerich, occasionalmente Gustav Leonhardt. Se è proprio di buonumore si con- cede esecuzioni meno convenzionali, tipo Glenn Gould. In commissione esige esattezza: ogni punto deve 19
essere analizzato e chiarito a tempo debito. A questo scopo sa essere un presidente di polso. Divagazioni interlocutorie e narrazioni aneddotiche da parte di anziani colleghi, perlopiù tollerate come una debolezza professionale, lo innervosiscono; chi vuole perdersi in fantasie dovrebbe farlo in solitudine. L'unica cosa che conta è decidere. Perciò, a dispetto della postura mite, delle maniere schive e di una occasionale tendenza a svagarsi, non è da Perowne indugiare come fa ora - in piedi al fondo del letto - incerto se svegliare Rosalind oppure no. Non ha più alcun senso. Non c'è niente da vedere. Si tratterebbe di un impulso del tutto egoistico. La sveglia di lei suonerà alle sei e mezza e, una volta che le abbia raccontato la storia, è inutile sperare che possa riprendere sonno. Vorrà sentirla fino in fondo comunque. La aspetta una giornata difficile. Ora che le imposte sono chiuse, Henry è di nuovo al buio, e afferra le proporzioni del suo turbamento. I pensieri presentano una vertiginosa labilità: non gli riesce di trattenere un'idea il tempo necessario a cavarne un senso. Si sente colpevole in qualche modo, ma anche disarmato. Si tratta di termini contraddittori, ma non del tutto, ed è proprio il loro sovrapporsi, il loro modo di esprimere lo stesso concetto da angolazioni diverse, che Henry ha necessità di comprendere. Colpevole nella sua impotenza. Colpevolmente inerme. Perde il filo del ragionamento e torna a pensare al telefono. Quando farà chiaro, sembrerà una negligenza non avere chiamato il pronto intervento ? Apparirà ovvio che non c'era niente da fare, che non ce n'è stato il tempo ? Il suo crimine consiste nell'essersi ritrovato al sicuro nella propria camera da letto, avvolto in una vestaglia di lana, immobile e ammutolito, a fantasticare mentre assisteva alla morte di altre persone. Si, avrebbe dovuto chiamare, anche solo per scambiare parole, per confrontare la propria voce e le proprie sensazioni con quelle di un estraneo. Ed è per questo che ha voglia di svegliarla, non semplicemente per raccontarle l'accaduto, ma perché si sente un po' spaesato, continua a smarrire il corso dei propri pensieri. Vuole vincolarli ai dettagli precisi di ciò che ha visto, ordinarli di fronte alla mente giuridica e razionale di Rosalind, davanti al suo sguardo fermo. Vorrebbe il tocco delle sue mani, piccole e morbide, sempre più fresche di quelle di lui. Cinque giorni dall'ultima volta che hanno fatto l'amore. Lunedi mattina, prima del notiziario delle sei, pioveva a dirotto ed era accesa solo la luce del bagno: venti minuti strappati, dicono spesso scherzando, alla morsa del dovere quotidiano. Del resto, in una ambiziosa mezza età, spesso sembra non esistere altro che il lavoro. A Henry capita di fermarsi in ospedale fino alle dieci, per poi essere tirato giù dal letto alle tre del mattino e infine dover ritornare regolarmente alle otto. Il lavoro di Rosalind procede per ripetuti, lenti crescendo e conclusioni brutali, con lei che cerca di tenere il giornale alla larga dai tribunali. Per giorni, a volte perfino per settimane, il lavoro la fa da padrone ora dopo ora; è la marea, il ciclo lunare 20
su cui regolano le loro esistenze; in assenza del lavoro, può addirittura sembrare che non ci sia I niente, che Henry e Rosalind Perowne non siano niente. Henry non sa resistere all'urgenza dei suoi casi, e neppure negarsi la narcisistica soddisfazione che gli procura il proprio talento, né il piacere che ancora prova di fronte al sollievo dei parenti quando esce dalla sala operatoria come un I dio, come un angelo, messaggero di buone notizie: la vita, anziché la morte. I momenti migliori di Rosalind si verificano fuori dal tribunale, quando un avversario potente si ritira di fronte alla forza delle sue argomentazioni; oppure, più raramente, quando la sentenza le dà ragione e stabilisce un precedente. Una volta alla settimana, di solito la domenica sera, Henry e Rosalind collegano le rispettive agende elettroniche come creaturine gemelle, di modo che gli appuntamenti di ciascuno vengano trasferiti, lungo un raggio infrarosso, sull'organizer dell'altro. Quando rubano del tempo per fare l'amore non staccano mai il telefono. In virtù di un sincronismo perverso, sono spesso interrotti dallo squillo durante i preliminari. Una volta su due è per Rosalind. Se tocca a lui doversi infilare nei vestiti e correre via dalla stanza - per poi magari tornarci imprecando perché ha scordato le chiavi o gli spiccioli -, lo fa lanciandosi indietro un'occhiata nostalgica prima di uscire di corsa e raggiungere l'ospedale - una decina di minuti a piedi a passo spedito - portandosi appresso il fardello dei suoi evanescenti pensieri d'amore. Ma una volta superate le doppie porte a vento e percorso il corridoio di scolorito linoleum a scacchi davanti a Traumatologia e Pronto soccorso, una volta raggiunto l'ascensore che conduce al reparto operatorio del terzo piano e ritrovatosi in sala lavaggio ad ascoltare, sapone alla mano, le difficoltà esposte dal tirocinante ospedaliero, gli ultimi fiotti di desiderio si allontanano senza che lui nemmeno se ne accorga. Nessun rimpianto. Henry è rinomato per la sua rapidità, per l'alta percentuale di successi e per la sua agenda: più di trecento casi all'anno. Alcuni non ce la fanno, altri resistono a luce un po' più tenue di prima, ma la maggior parte recupera, e parecchi tornano attivi, restituiti a un lavoro di qualche tipo: l'inequivocabile emblema della salute. Ed è appunto a causa del lavoro che adesso non può svegliarla. Alle dieci l'aspetta un'udienza straordinaria in Corte suprema. Il suo giornale è stato diffidato dal riferire i dettagli di un ordine di silenzio stampa imposto a un'altra testata. L'autorevole controparte che l'aveva originariamente ottenuto ha con successo argomentato dinanzi al giudice che l'esistenza stessa di quell'ordine non possa essere divulgata dagli organi d'informazione. C'è di mezzo la libertà di stampa ed è scopo di Rosalind ottenere entro fine giornata la revoca della diffida. Prima dell'udienza, riunione nell'ufficio del giudice, poi, così almeno spera, chiacchierata interlocutoria con la controparte nei corridoi del tribunale. Infine, esporrà le opzioni possibili a direttore e collaboratori. 21
Deve essere rincasata tardi ieri sera, quando ormai Henry si era da un pezzo addormentato senza cena. È probabile che si sia fatta un tè e che l'abbia bevuto in cucina scorrendo il plico delle sue carte. Magari ha perfino stentato ad addormentarsi. Frastornato, confuso e ancora molto bisognoso di parlare con lei, Henry rimane ai piedi del letto a fissare la sagoma di Rosalind sotto il piumone. Dorme come una bambina, con le ginocchia raccolte. Nell'oscurità pressoché totale sembra così piccola, dentro quel letto enorme. L'ascolta respirare: quasi impercettibile l'inspirazione, pacatamente sonora l'espirazione. Produce un suono con la lingua, uno schiocco umido contro il palato alto. Molti anni fa si è innamorato di questa donna in un reparto d'ospedale, in una circostanza carica di angoscia. Rosalind a stento sapeva della sua esistenza. Un camice bianco che si avvicinava al suo capezzale per toglierle i punti dall'interno del labbro superiore. Dovettero passare altri tre mesi prima che baciasse quelle labbra. In compenso sapeva, o perlomeno aveva visto, di lei più cose di quante potesse aspettarsene qualsiasi futuro amante. Adesso Henry si avvicina, si china su di lei e le bacia la nuca tiepida. Poi si ritira chiudendo piano la porta della camera, e scende in cucina ad accendere la radio. Tra i luoghi comuni sull'educazione e la genetica moderna c'è quello in base al quale i genitori potrebbero influenzare poco o nulla il carattere dei propri figli. Uno non sa mai che tipo gli toccherà allevare. Opportunità, salute, progetti, impostazione della voce, maniere a tavola: queste cose rientrano forse nei limiti della possibilità di incidere. Ma ciò che davvero determina il genere di persone che sta per arrivare nella nostra vita è l'incontro di quel singolo spermatozoo con quel singolo ovulo, e il modo in cui saranno scelte le carte dai rispettivi mazzi, come verranno mescolate, tagliate e distribuite al momento della ricombinazione. Ottimista o nevrotico, generoso o taccagno, curioso o abulico, espansivo o timido, senza contare tutte le sfumature comprese fra un estremo e l'altro; può addirittura rivelarsi un affronto all'impegno di una coppia di genitori, constatare quanto del lavoro risulti sbrigato a monte. Il che, d'altra parte, può anche alleggerire il peso delle responsabilità. Il concetto diventa inequivocabile quando si ha più di un figlio; in quel caso, da origini esistenziali grossomodo simili, emergono individui affatto diversi. Qui, nella cavernosa cucina seminterrata, alle 3,55 del mattino, sotto l'unico punto-luce acceso, come sotto un riflettore da palcoscenico, ecco Theo Perowne, diciotto anni. Esperienza scolastica ormai da tempo conclusa, dondolante su una sedia reclinata, le gambe fasciate in un paio di jeans neri, i piedi, dentro stivali in cuoio morbido dello stesso colore (pagati di tasca sua), accavallati sul bordo della tavola. Dissimile dalla sorella Daisy fino ai limiti concessi dalla casualità. Beve acqua da un bicchierone di vetro. Nell'altra mano tiene 22
ripiegata la rivista musicale che sta leggendo. Ammucchiato a terra, un giubbotto di pelle borchiato. Appoggiata a un mobile, la sua chitarra dentro la custodia, già nobilitata da alcune etichette di viaggio: Trieste, Oakland, Amburgo, Val d'Isère. C'è posto per altre. Da un impianto stereo sistemato sulla mensola sopra la raccolta dei libri di ricette piove come acqua fine il suono di una stazione radio che trasmette musica tutta la notte. Ogni tanto Perowne si chiede se, in gioventù, avrebbe mai immaginato di poter mettere al mondo un musicista blues. Il suo personale processo di crescita è avvenuto, senza interrogativi né proteste, con levigata continuità dal liceo alla facoltà di Medicina, all'infaticabile acquisizione dell'esperienza clinica, tra Londra, Southend-on-Sea, Newcastle, il Pronto soccorso del Bellevue a New York, e infine ancora Londra. Come è successo a due tipi convenzionali e pieni di senso del dovere come lui e Rosalind di poter crescere uno spirito tanto libero ? Uno che, con una certa ironia, veste come un bohémien anni Cinquanta, uno che non legge mai un libro né ha voluto saperne di restare a scuola, che di rado si tira giù dal letto prima di mezzogiorno e la cui ambizione è il raggiungimento di una sicura padronanza in tutte le nuance della tradizione jazzistica, Delta, Chicago, Mississippi, e di certi licks che a suo giudizio contengono la chiave di ogni mistero, nonché del successo con la sua band, i New Blue Rider. Theo possiede una versione ingrandita del viso della madre e dei suoi occhi dolci, non verdi però, ma scuri: i proverbiali occhi a mandorla dal taglio vagamente orientale. Della madre ha l'espressione aperta e disponibile; del padre, una variante su scala maggiore della massiccia agilità. Fortunatamente per il mestiere che ha scelto, ha ereditato da lui anche le mani. Nell'impenetrabile mondo del blues britannico, sempre a caccia di pettegolezzi, di Theo si parla come di una promessa, di un musicista già maturo nell'acquisizione della grammatica del genere, qualcuno che un giorno potrebbe marciare accanto agli dèi, quelli del firmamento nazionale s'intende, i vari Alexis Korner, John Mayall, Eric Clapton. Qualcuno ha scritto da qualche parte che Theo Perowne suona come un angelo. Naturalmente suo padre è d'accordo, nonostante i dubbi riguardo ai limiti del genere. Il blues gli piace abbastanza: anzi, è stato lui a presentarne i meccanismi a Theo, quando aveva appena nove anni. In seguito, è subentrato il nonno. Ma l'appagamento di una vita può dipendere da dodici battute di tre ovvi accordi ? Sarà forse uno di quei casi di microcosmo in grado di offrirti un intero mondo. Come un piatto in porcellana di Spode. O come una singola cellula. O ancora, per dirla con Daisy, come un romanzo di Jane Austen. Quando musicista e ascoltatore conoscono tanto bene il percorso, il piacere risiede nella deviazione, nello scarto inatteso dalla strada maestra. Vedere il mondo in un granello di sabbia. Come succede, cerca di dirsi Perowne, quando si clippa un aneurisma: il fascino della variazione su un tema costante. E c'è in effetti qualcosa nella distesa autorevolezza della tecnica di Theo che 23
richiama alla mente di Henry l'arcana attrazione di quella semplicità nel procedere. Theo è il genere di chitarrista che suona in una specie di trance a occhi aperti, senza muovere il corpo e senza mai guardarsi le mani. Si concede appena qualche occasionale e meditabondo cenno del capo. Una volta partita la scaletta, può magari inclinare la testa all'indietro per segnalare al resto del gruppo che intende «ancora un altro». Si comporta in palcoscenico come in una conversazione: in modo pacato, formale, proteggendo la propria privacy con uno scudo di garbata cordialità. Se gli capita di individuare i suoi in fondo a una folla, solleva la sinistra dalla tastiera in un saluto schivo e discreto. E Henry e Rosalind tornano con il pensiero alla mangiatoia in cartone nella palestra della scuola e al solenne San Giuseppe di cinque anni che, asciugamano da cucina fermato sul capo da un fascio di elastici, tiene per mano l'avvilita Maria e rivolge lo stesso gesto affettuoso e segreto ai genitori finalmente rintracciati in seconda fila. Tale riservatezza, tale imperturbabilità si addicono al blues, o comunque all'interpretazione che ne dà Theo. Quando attacca con uno standard moderato tipo Sweet Home Chicago, con il suo sciolto ritmo puntato - dice che questi intramontabili del blues hanno cominciato a stancarlo -, parte nel registro più basso con un'andatura sostenuta, come un agile animale predatore che, scrollandosi di dosso la stanchezza, divori miglia di aperta savana. Poi sale sulla tastiera e la diffidenza prende a suggerire la possibilità di un pericolo. Un breve affondo sincopato sul turnaround, il taglio improvviso di un accordo aumentato, una nota tenuta contro la marea dell'armonia, una quinta scrupolosamente appiattita, una settima piegata in microtoni sensuali. Infine un'accorata dissonanza fugace. Theo ha il dono ritmico di sconvolgere le aspettative, un modo di incastrare terzine con grappoli di due o quattro note. I suoi fraseggi possiedono l'inclinazione e l'accento del bebop. E una forma di ipnosi, di seduzione automatica. Henry non l'ha mai detto a nessuno, neppure a Rosalind, ma ci sono momenti in cui, ascoltando dal fondo di un bar nel West End, la musica lo fa rabbrividire e, in quello stato di esaltazione, l'orgoglio per il proprio figlio - inseparabile dal piacere che gli procura la musica stessa - si manifesta con la sensazione di una stretta al torace, non lontana dal dolore fisico. Diventa difficile respirare. Al cuore del blues non c'è malinconia, bensì una gioia strana e palpabile. La chitarra di Theo lo trafigge perché gli trasmette anche un rimprovero, il promemoria di una sepolta insoddisfazione riguardo alla sua stessa vita, di un elemento mancante. Tale stato d'animo può intensificarsi al termine di una session, allorché il neurochirurgo affermato si congeda affet tilosamente da Theo e dagli amici e, ritrovatosi in strada, decide di rincasare a piedi e riflettere. Non c'è niente nella sua vita che contenga un simile anelito all'invenzione, un analogo stile di libertà. La musica parla al suo desiderio represso e alla frustrazione, all'idea di essersi negato una strada 24
aperta, a quella vita del cuore celebrata dalle canzoni. Deve esserci qualcosa di più nel vivere che salvare semplicemente altre vite. La disciplina e il senso di responsabilità di una carriera da medico, aggravati dall'aver messo su famiglia intorno ai venticinque anni; e su quasi tutto un velo di stanchezza; Henry è ancora abbastanza giovane da desiderare l'imprevedibile e l'emozionante, e già abbastanza vecchio da sapere che le occasioni si vanno assottigliando. Non starà forse per diventare quel genere d'uomo, il moderno idiota di mezza età, che si ritrova inchiodato davanti alle vetrine a fissare sassofoni e : motociclette, o intenzionato a rimediarsi un'amante dell'età della figlia ? La macchina di lusso se l'è già comprata. La musica di Theo trasmette il peso di questo rimpianto al cuore di suo padre. Dopotutto, è di blues che si tratta. A significare un saluto, Theo inclina la sedia fino a riappoggiarla sulle quattro gambe e alza una mano. Non è nel suo stile mostrare sorpresa. - Cominci presto ? - Ho appena visto un aereo in atterraggio su Heathrow che andava a fuoco. - Scherzi? Henry si dirige verso lo stereo, con l'idea di cambiare programma, ma Theo afferra il telecomando dal tavolo e accende il piccolo televisore che tengono vicino ai fornelli per momenti come questo, per notizie sensazionali. Aspettano che si concluda la trionfalistica sigla del notiziario delle quattro: un turbine di pulsante musica sintetica e luminosa grafica computerizzata combinate in un effetto son et lumière di proporzione wagneriana a suggerire urgenza, tecnologia, completezza globale dell'informazione. Poi, il consueto conduttore dalla mascella squadrata, grossomodo coetaneo di Perowne, prende a elencare i principali servizi di quella edizione. Risulta subito palese che l'aereo in fiamme deve ancora trovare accesso nella matrice planetaria. Resta per ora . un evento soggettivo, non attendibile. In ogni caso, padre e figlio ascoltano parte del sommario. «Hans Blix: esistono i presupposti per un conflitto? - intona il conduttore soverchiando il suono di tam-tam, mentre le immagini mostrano il ministro degli Esteri francese Monsieur De Villepin, applaudito alla conferenza delle Nazioni Unite. - Senza dubbio, replicano Stati Uniti e Gran Bretagna. No, ribatte la maggioranza». Seguono i preparativi per le dimostrazioni pacifiste che si svolgeranno a Londra e in innumerevoli città del mondo nella giornata di oggi; un torneo di tennis in Florida interrotto dall'aggressione di una donna armata di coltello da cucina... Henry spegne il televisore e dice: - Ti va un po' di caffè? - e, mentre Theo si alza a prepararlo, il padre procede con la sua notizia, il titolo di testa del suo telegiornale. Non dovrebbe sorprenderlo l'esiguità delle cose da raccontare: l'aereo e quel punto di luce che attraversa il suo campo visivo da sinistra a destra, alle spalle degli alberi, dietro la torre dell'Ufficio postale, per 25
sparire infine a occidente. Eppure ha l'impressione di un'esperienza talmente più significativa. - Si, ma tu che ci facevi alla finestra ? - Te l'ho detto. Non riuscivo a dormire. „ - Però. Che coincidenza. - Infatti. I loro occhi s'incontrano - l'istante di una potenziale sfida - poi Theo distoglie lo sguardo e si stringe nelle spalle. Sua sorella, a differenza di lui, adora il contraddittorio: Daisy e Henry hanno in comune una passione una patetica dipendenza, secondo Rosalind e Theo - per un bel litigio furioso. Nel ricco humus adolescenziale della sua stanza da letto, tra riviste di chitarra, camicie e calzini sporchi, e bottiglie di yogurt da bere, giacciono libri pressoché intonsi sugli Ufo, termine di questi tempi sostituibile con velivolo spaziale dotato di equipaggio alieno. Per come la vede Henry, la visione del mondo di Theo ospita la tesi di una cruciale connessione di tutte le cose, nonché la convinzione che determinate autorità, in particolare il governo degli Stati Uniti, godendo di un accesso privilegiato all'intelligenza ultraterrestre, stiano escludendo il resto del mondo da mirabili universi del sapere del tutto inattingibili alla scienza contemporanea, ottusa e prigioniera. Tale sapere sarebbe invece divulgato su altri volumi tascabili, a loro volta pressoché intatti. La curiosità di Theo, in tutta la sua modestia, è stata sequestrata da una banda di spacciatori di falsificazioni. Ma ha poi importanza, quando Theo suona la chitarra come un angelo suonerebbe una campana e, se non altro, si mantiene fedele a certe forme di mirabile sapere, quando ha davanti a sé tanto di quel tempo per cambiare idea, ammesso che ce ne sia sul serio una da cambiare ? E un ragazzo d'animo gentile, con quelle lunghe ciglia, quei grandi occhi di velluto scuro dal taglio un po' orientale; non è tipo da farsi trascinare in una lite. I loro occhi si incontrano e lui distoglie lo sguardo, conservando il proprio pensiero intatto. L'universo potrebbe anche rivelare un collegamento, mostrare un segno, tanto suo padre sceglierebbe di non coglierlo. Chi può porvi rimedio Attribuendo al figlio una fantasticheria simile alla sua, per riportarlo con i piedi per terra, Henry dice: - Dunque, si schianta qualche minuto dopo essere sparito alla mia vista. Secondo te, quanto ci vuole perché la notizia arrivi al telegiornale ? Theo, impegnato al ripiano di cucina a filtrare il caffè, volta indietro la testa e si preme un dito sul labbro inferiore, un labbro carnoso, rosso scuro, che non deve essere stato molto baciato di recente. Ha liquidato la sua ultima fidanzata nel solito modo che ha di gestire le ragazze: dire pochissimo e lasciare che si dileguino, senza fare drammi. La laconicità, il minimalismo in fatto di saluti, presentazioni, addii, perfino ringraziamenti, fa parte del bon ton contemporaneo. Al telefono invece, i giovani si lasciano andare. A Theo 26
capitano spesso sedute di tre ore consecutive alla cornetta. Ora parla con voce suadente, come se si rivolgesse a un bambino piantagrane, con l'autorevolezza di un cittadino, anzi di un rappresentante ufficiale, dell'era elettronica. - Lo annunceranno al prossimo telegiornale, papà. Fra mezz'ora. Che dire ? Nudo sotto la vestaglia - di per sé uniforme da vecchi e da malati -, capelli radi scompigliati dall'insonnia, la voce il pacato tono grave del chirurgo attualmente infragilito dallo scombussolamento, Henry è un candidato a subire modi rassicuranti. E così che ha inizio il lungo processo che ci porta a diventare figli dei nostri figli. Finché un giorno ti succede di sentirli dire «Papà, se ti metti a piangere un'altra volta, ti portiamo a casa». Theo si siede e'fa scivolare la tazza del caffè sul tavolo, a portata di mano del padre. Per sé, non l'ha fatto. Si stappa invece un altro mezzo litro di acqua minerale. La purezza dei giovani. O starà tenendo a bada i postumi di una sbronza? Il momento è superato da un pezzo, quando Henry sente finalmente di poter chiedere o esprimere un parere. Theo dice: - Pensi che siano terroristi? - E possibile. L'Undici Settembre ha sancito l'ingresso forzato di Theo nel panorama internazionale; è stato il momento in cui ha accettato che, pur esulando da amici, famiglia e mondo della musica, un evento potesse avere impatto sulla sua esistenza. Sedici anni, tanti ne aveva allora: forse un po' tardi. Perowne, nato l'anno prima della crisi di Suez, troppo giovane per i missili a Cuba o la costruzione del Muro di Berlino, o l'assassinio Kennedy, ricorda di aver pianto nel '66 per la tragedia di Aberfan: centosedici scolari come lui che, l'ultimo giorno prima delle vacanze di metà anno, freschi di preghiere recitate in aula magna, vengono sepolti da un fiume di fango. In quella occasione per la prima volta, Henry sospettò che il buon Dio innamorato dei bambini e fatto oggetto di tanta devozione da parte della sua direttrice potesse non esistere. A essere onesti, la maggior parte dei grandi eventi mondiali ha continuato a suggerirgli la stessa conclusione. Ma per la generazione di Theo, autenticamente sprovvista di Dio, la domanda non si è nemmeno posta. Nessuno nella sua bella scuola luminosa dalle grandi vetrate affacciate sul futuro gli ha mai chiesto di pregare né di cantare inni di imperscrutabile gioia. Per lui non esiste un'entità di cui dubitare. La sua iniziazione davanti allo schermo televisivo, prima del crollo delle Torri, è stata intensa, ma Theo ha saputo adattarvisi in fretta. Ora come ora, dà uno sguardo ai quotidiani per aggiornarsi sui nuovi sviluppi come potrebbe fare con una guida agli spettacoli in programmazione. Se non succede niente di nuovo, è tutto a posto. Terrorismo internazionale, cordoni di sicurezza, preparativi bellici - tutto questo per lui rappresenta l'ordinaria amministrazione, le previsioni del tempo. E questo il mondo che trova, nell'atto 27
di emergere alla consapevolezza di adulto. La questione non può toccarlo nella misura in cui turba suo padre, che legge gli stessi giornali con accanita maniacalità. A dispetto delle truppe di stanza nel Golfo, o dei carri armati a Heathrow giovedì, dell'incursione nella moschea di Finsbury Park, della scoperta di cellule terroristiche in giro per la nazione, e della videoregistrazione di Bin Laden che promette «attacchi su Londra da parte di martiri», Perowne ha per un po' tenuto fede all'idea che si trattasse di un'unica aberrazione, che il mondo si sarebbe di certo calmato per prendere poi una strada diversa, che esistessero soluzioni possibili e che la ragione, da quello strumento potente che è, si sarebbe rivelata irresistibile, la sola via d'uscita; o che, al pari di ogni altra crisi, anche questa sarebbe presto finita per lasciare spazio alla successiva, come era accaduto alle Falkland e alla Bosnia, al Biafra e a Chernobyl. Ultimamente però, tale visione comincia ad apparire ottimistica. E Henry, contro la propria abituale tendenza, si va adeguando, come accade ai suoi pazienti che finiscono con l'accettare l'improvvisa diminuzione della vista o il difetto nella deambulazione. Strade senza ritorno. Gli anni Novanta sembrano ora un decennio innocente, e chi l'avrebbe mai detto, al tempo ? Attualmente respiriamo un'aria diversa. Henry si è comprato il libro di Fred Halliday e vi ha letto, nelle prime pagine, quella che gli appare come una maledizione senza scampo: l'attacco delle Torri ha precipitato il mondo in una crisi globale che, nella migliore delle ipotesi, potrà risolversi nel giro di cent'anni. Nella migliore delle ipotesi. L'intera vita di Henry, più quella di Theo e di Daisy. E dei loro figli. Un'altra Guerra dei Cent'anni. Per inesperienza in materia, Theo ha fatto un caffè tre volte più carico del dovuto. Ma, paterno fino in fondo, Henry lo butta giù lo stesso. A questo punto, l'irrimediabilità del risveglio è definitiva. Theo dice: - Non hai riconosciuto la compagnia aerea? - No. Troppo lontano, troppo buio. - Solo perché Chas dovrebbe arrivare stamattina da New York. È il sassofonista dei New Blue Rider, uno smagliante titano di St Kitts, a New York da una settimana per uno stage di perfezionamento, sotto la guida ufficiale di Branford Marsalis. Questi ragazzi sono musicisti nati, possiedono il senso del diritto acquisito tipico delle élite. Ry Cooder ha sentito Theo suonare la chitarra slide a Oakland. Attaccato a uno specchio in camera da letto, Theo conserva un sottobottiglia affettuosamente autografato dal maestro. Se ti avvicini abbastanza con la faccia, riesci a distinguere, sotto la chiazza di birra, il ghirigoro della firma a biro blu e le parole Vai così, ragazzo! - Non mi preoccuperei. I transoceanici non arrivano mai prima delle quattro e mezza. - Si, infatti -. Tracanna altra acqua minerale. - Secondo te sono jihadisti ? 28
Perowne ha un leggero capogiro, nel complesso gradevole. Ogni cosa che osserva, a partire dal viso del figlio, si allontana da lui senza rimpicciolirsi. Non ha mai sentito la parola jihadista uscire dalla bocca di Theo. Ma è poi quella giusta? Pronunciata nel suo timbro da tenore leggero, risulta innocua, per non dire pittoresca. L'abbassamento vocale dal soprano infantile è un progresso di crescita che Henry stenta tuttora a dare per scontato, benché siano passati ormai cinque anni dal suo verificarsi. Sulle labbra di Theo - che si prende la briga di cesellare quella «j» iniziale - il vocabolo arabo suona innocente come uno strumento a corda marocchino, di quelli che il loro gruppo potrebbe decidere di adottare in versione elettrica. Nello stato islamico ideale, sotto le rigide leggi della Sharl'a, ci sarà posto per i chirurghi. Ai chitarristi di blues verrà trovata una nuova occupazione. Ma forse nessuno rivendica la realizzazione di uno stato del genere. Nessuno rivendica nulla. Si registra soltanto odio, nichilismo allo stato puro. Per un londinese, c'è da provare nostalgia per l'Ira. Mentre ti si staccano le gambe dal resto del corpo, potresti anche aver voglia di ricordare a te stesso che la causa è pur sempre un'Irlanda unita. Che al momento si sta realizzando comunque, secondo il reverendo Ian Paisley, grazie all'esuberanza delle culle cattoliche. Un'altra crisi destinata a finire tra i ritagli di giornale, dopo appena Cent'anni. Ma anche questo non è del tutto esatto. I radicali islamici non sono davvero nichilisti: vogliono la società perfetta sulla terra, vale a dire l'Islam. Appartengono alla fatale schiera sul conto della quale Perowne la pensa come tanti altri: la ricerca dell'utopia finisce per autorizzare ogni forma di eccesso, ogni spietato mezzo al servizio del fine. Se uno è sicuro di essere destinato alla felicità eterna, che male vuoi che ci sia nel massacrare un paio di milioni di persone subito ? - Non lo so cosa penso, - dice Henry. - E troppo tardi per pensare. Aspettiamo il notiziario. Theo sembra sollevato. Nella sua cortesia, è disposto a dibattere sul tema, se è questo che gli si richiede. Ma alle quattro e venti del mattino, preferirebbe non fare lunghi discorsi. Perciò lasciano scorrere alcuni minuti di pacato silenzio. Nel corso degli ultimi mesi, seduti a questo tavolo, hanno toccato ogni argomento. Non avevano mai parlato tanto, prima. Dove saranno finite la rabbia infantile, la porta che sbatte, la furia muta che dovrebbero rientrare nel rito di passaggio di Theo ? Possibile che tutta quella massa di emozioni sia annegata nel blues? Hanno discusso dell'Iraq, naturalmente, di Stati Uniti e potere, di sfiducia europea, dell'Islam - delle sue sofferenze e dei suoi vittimismi, di Palestina e Israele, di dittatori e di democrazia - e poi anche di cose da ragazzi: armi di distruzione di massa, reattori nucleari, fotografia satellitare, nanotecnologia. Al tavolo di cucina, è questo il menu base d'inizio ventunesimo secolo con i suoi piatti del giorno. Una domenica sera, di recente, Theo se ne è uscito con il seguente aforisma: più allarghi il campo, più merda 29
vedi. E a chi lo invitava a spiegarsi, ha risposto: «Quando ci ostiniamo a occuparci dei massimi sistemi, della situazione politica, del surriscaldamento dell'atmosfera, della povertà nel mondo, sembra tutto tremendo, senza possibilità di recupero, senza la minima prospettiva. Se invece ridimensiono il pensiero, avvicino lo sguardo - concentrandomi, che so, sulla ragazza appena conosciuta, oppure la canzone che vogliamo fare con Chas, o la giornata di snowboard il mese prossimo -, diventa tutto bellissimo. Perciò d'ora in poi il mio motto sarà: solo pensieri su scala ridotta». Ricordando tutto questo adesso, mentre mancano ancora alcuni minuti al telegiornale, Henry domanda: - Come è andata al locale ? . - Abbiamo suonato una serie di pezzi base, roba super-ritmata, quasi tutti brani da Jimmy Reed. Hai presente... - e si mette a cantare, parodiandolo, un breve passaggio boogie di basso, con la mano sinistra che automaticamente si apre e si chiude a formare gli accordi. - Sono andati in delirio. Non ci hanno più lasciato fare nient'altro. Un po' deprimente, in realtà, visto che non è affatto il nostro genere -. Però al ricordo sorride largo così. È ora del telegiornale. Ancora una volta, impulsi radio, sigla di apertura, l'insonne telecronista dall'immancabile mascella volitiva. Ed eccolo li, finalmente reale, l'aereo, di traverso sulla pista, in apparenza intatto, circondato da vigili del fuoco tuttora all'opera con i getti di schiuma, militari, forze dell'ordine, luci lampeggianti e ambulanze in attesa. Prima del servizio, il solito elogio sulla rapidità del sistema di pronto intervento. E solo allora, la vicenda trova spiegazione. Si tratta di un cargo, un Tupolev russo sulla rotta Riga-Birmingham. Mentre sorvolava Londra in direzione est, un incendio ha coinvolto uno dei motori. Il personale di volo ha chiesto via radio il permesso di atterrare, cercando intanto di interrompere l'erogazione di combustibile al motore in fiamme. Il velivolo ha poi piegato a ovest sul Tamigi e ha raggiunto Heathrow grazie alle istruzioni della torre di controllo, riuscendo a eseguire una manovra di atterraggio adeguata. Nessuno dei due uomini dell'equipaggio risulta ferito. Non viene specificata la natura del carico, una parte del quale, presumibilmente sacchi di posta, è andata distrutta. Poi, ancora in seconda posizione, si passa ai cortei di protesta contro la guerra che sfileranno tra poche ore appena. Hans Blix, protagonista dei notiziari di ieri, è precipitato al terzo posto. Il gatto morto di Schròdinger a quanto pare è vivo. Theo raccoglie la giacca da terra e si alza. Il tono di voce è ironico. - Bene, nessuna aggressione al nostro intero modello di vita, si direbbe. - Meno male, - concorda Henry. Prova l'impulso di abbracciare suo figlio, non solo per il sollievo, ma anche perché all'improvviso si rende conto che Theo è diventato un 30
adulto davvero in gamba. Lasciare la scuola ha funzionato insomma, avventurarsi là dove i suoi ; non hanno osato immaginare se stessi, fuori dalle istituzioni scolastiche, e prendere in mano la propria vita. Di questi tempi però padre e figlio devono restare lontani almeno una settimana per potersi concedere un abbraccio. Theo è sempre stato un bambino affettuoso - a tredici anni gli capitava ancora di prendere il padre per mano in strada qualche volta. Impensabile ormai tornare a quella fase. Soltanto Daisy si presta tuttora alla cerimonia del bacio della buonanotte, quando è a casa. Mentre Theo attraversa la cucina, Henry gli dice: - Dunque pensi di partecipare al corteo oggi ? - Più o meno. Ci sarò con lo spirito. Devo preparare questo pezzo. - Dormi bene, allora. - Si. Anche tu. Ormai sulla porta, Theo aggiunge: - 'Notte, allora, - e alcuni secondi dopo, già sulle scale ribadisce a voce alta: - A domattina, - e arrivato in cima, con tono incerto e interrogativo, ancora: - 'Notte, eh? - Henry risponde a ciascun saluto, in attesa del successivo. Sono le tipiche lente dissolvenze alla Theo, le sue batterie di tre, quattro, perfino cinque congedi, la fissazione di avere sempre l'ultima parola. Quella mano che si sottrae alla tua a poco a poco. La teoria di Perowne è che il caffè può avere effetti paradossali, come adesso, ad esempio, mentre si aggira sfinito in cucina a spegnere le luci, e non soltanto la notte insonne, ma l'intera settimana, e le precedenti, sembrano pesargli addosso. Si sente le ginocchia deboli, i quadricipiti affaticati, e sale le scale reggendosi al mancorrente. Ecco come sarà avere settant'anni. Attraversa il corridoio, confortato dal contatto con il fresco pavimento di pietra sotto i piedi nudi. Lungo il tragitto verso la scala centrale, si ferma davanti alla doppia porta d'ingresso. Questa si affaccia direttamente sul marciapiede, sulla via che conduce alla piazza e, forse per la stanchezza, all'improvviso, gli sembra assumere un profilo insolito, con i suoi vari orpelli: tre robuste serrature Banham, due chiavistelli di ferro nero, vecchi quanto l'edificio stesso, due catene di sicurezza in acciaio temprato, uno spioncino dotato di opercolo in ottone, il pannello elettronico che funge da citofono, il pulsante rosso antipanico, il sistema di allarme con le sue fioche cifre luminose. Quali sofisticate difese, quante barriere: Dio ci scampi dal miserabile della città, dal drogato, dal delinquente tout court. Di nuovo al buio, in piedi accanto al suo lato del letto, Henry si lascia cadere la vestaglia intorno alle caviglie e si apre alla cieca un varco tra le coperte fredde, verso sua moglie. Sdraiata sul fianco sinistro, gli dà le spalle con le ginocchia ancora raccolte. Perowne si sistema attorno a quella sagoma familiare, le cinge la vita con il braccio e le si fa più vicino. Quando le bacia la nuca, la voce di lei emerge dagli abissi 31
del sonno - il tono è accogliente, soddisfatto, ma quella sua sola parola indistinta, come un macigno impossibile da sollevare, non vuole saperne di staccarsi dalla lingua. Henry percepisce il calore del corpo attraverso la seta del pigiama che gli preme contro torace e inguine. Le tre rampe di scale lo hanno rianimato, e spalanca gli occhi nel buio; lo sforzo fisico, con relativo lieve aumento di pressione sanguigna, gli sta causando un'agitazione al livello della retina, cosicché chiazze spettrali di viola e di verde iridescente sciamano sull'ampia steppa del suo campo visivo, per poi riavvolgersi su se stesse e diventare pezze di stoffa, fasce di ricco velluto che, come un sipario, si aprono su scenari sempre diversi, su nuovi pensieri. Henry non ha voglia di nessun pensiero, ma ormai è sveglio. Il giorno senza lavoro lo attende, come una pista lungo la steppa; dopo la partita di squash, che grazie all'insonnia ha praticamente già perso, deve andare a trovare sua madre. La faccia di lei come è adesso gli sfugge. Vede al contrario la campionessa regionale di nuoto di quarant'anni fa - se la ricorda dalle fotografie - con quella cuffia a fiori di gomma che la faceva assomigliare a un'otaria dinamica. Era orgoglioso di lei perfino quando gli tormentava l'infanzia, trascinandolo in pieno inverno in chiassose piscine municipali con spogliatoi dai pavimenti in cemento nelle cui pozze tiepide maceravano vecchi cerotti macchiati di rosa e rosso violaceo. Lo obbligava a seguirla fuori stagione nel verde sinistro di certi laghi e nel grigio del Mare del Nord. L'acqua era un altro elemento, gli diceva sempre, come fosse una spiegazione o uno sprone. Un altro elemento era per l'appunto ciò in cui Henry non immergeva volentieri il proprio esile corpo lentigginoso. Era lo stacco netto a fare più male, la superficie ostile la cui odiosa lama gli saliva contro la pancia rabbrividita mentre, per farle piacere, Henry avanzava in punta di piedi nelle torbide acque costiere dell'Essex ai primi di giugno. Non riusciva mai a buttarsi dentro d'un colpo, come sua madre faceva e come avrebbe voluto che facesse anche lui. La quotidiana immersione in un altro elemento, per fare di ogni giorno un'occasione speciale, era ciò che lei desiderava e ciò che pensava dovesse avere suo figlio. Niente in contrario per lui oggi, sempre a patto che l'altro elemento non sia acqua fredda. L'aria della camera da letto gli arriva fresca nelle narici: è vagamente eccitato mentre si sposta più vicino a Rosalind. Sente il primo ronzio regolare del traffico su Euston Road, come una brezza in un bosco di abeti. Gente che deve trovarsi al lavoro alle sei anche di sabato. Il pensiero non gli concilia il sonno però, come spesso succede. La sua mente va al sesso. Se il mondo fosse strutturato a misura dei suoi bisogni specifici, adesso Henry farebbe l'amore con Rosalind, senza preliminari, con una Rosalind più che disponibile, e poi scivolerebbe in un deliquio di sonno immemore. Ma perfino i monarchi dispotici, perfino gli dèi dell'antichità non potevano sognarsi un mondo eternamente al loro servizio. Sono soltanto i bambini, in effetti, gli infanti, a percepire il 32
desiderio e la sua realizzazione come una cosa sola; forse è questo che conferisce ai tiranni quell'aria puerile. Il loro pretendere ciò che non possono avere. Quando conoscono la frustrazione, la furia omicida non tarda ad arrivare. Saddam, per esempio, non assomiglia solo a un brutale mastino. Dà anche l'impressione di un ragazzetto troppo cresciuto e insoddisfatto con l'aria da cane bastonato, e gli occhi scuri un po' interdetti da tutto quello che sfugge al suo volere. Potere assoluto e piaceri connessi sono appena oltre la sua portata, e si vanno allontanando. Il tiranno sa bene che spedire alla tortura l'ennesimo generale adulatore, o ficcare un proiettile in testa all'ennesimo congiunto non gli procurerà l'appagamento di un tempo. Perowne cambia posizione e sfiora la nuca di Rosalind, inalando il leggero afrore di saponetta mista a profumo tiepido di pelle e shampoo. Che fortuna sfacciata: la donna che ama è anche sua moglie. Ma come ha fatto in fretta a passare dall'erotismo a Saddam - lui appartiene al caos, a una zuppa mista di cattivi presagi e angosce. L'insonnia nelle prime ore del mattino ti fa allestire un nido al sicuro dalle tue stesse paure: fantasticare catastrofi e progettare vie di scampo deve aver costituito un vantaggio nella lotta per la sopravvivenza. L'espediente di prevedere il peggio è parte integrante della selezione naturale in un mondo di pericoli. Henry ha vissuto l'ultima ora in uno stato di assoluta irrazionalità, in una follia iperinterpretativa. Non lo conforta il fatto che, di questi tempi, chiunque alla finestra al posto suo sarebbe potuto arrivare alle stesse conclusioni. Il malinteso domina l'intero pianeta. Come possiamo fidarci di noi stessi ? Perowne vede adesso i dettagli poco fa trascurati per poter alimentare i suoi timori: che l'aereo non era diretto contro un edificio pubblico, che procedeva a un atterraggio regolamentare, che viaggiava su una rotta assolutamente consueta; niente di tutto ciò si accordava con il disagio imperante. Pur dicendo a se stesso che gli esiti possibili erano due - gatto morto o gatto vivo - in effetti aveva già votato per il morto, quando avrebbe dovuto intuirlo subito che si trattava di un semplice difetto di costruzione. Nessuna aggressione al nostro intero modello di vita, dunque. Parzialmente consapevole della sua presenza, anche Rosalind cambia posizione, assestandosi con un assonnato movimento di spalle in modo da premere bene la schiena contro il petto di lui. Fa scivolare il piede sulla tibia di Henry e gli appoggia l'arco plantare sulle dita. Ancora più eccitato, lui sente l'erezione bloccata contro i suoi fianchi, perciò allunga una mano per liberarsi. Il respiro di Rosalind recupera un ritmo regolare. Henry rimane immobile, in attesa del sonno. In base agli standard contemporanei, in base a standard qualsiasi anzi, è una perversione il fatto che non sia mai stanco di fare l'amore con lei, che non sia mai stato sinceramente tentato dalle generose occasioni che la gerarchia ospedaliera ha sospinto sul suo cammino. Se pensa al sesso, Henry pensa a lei. A questi occhi, questo seno, questa lingua, 33
questa accoglienza. Chi altro potrebbe amarlo più sapientemente, con altrettanto calore e umorismo, o accumulare insieme a lui un passato così ricco? Non basterebbe una vita per trovare un'altra donna con cui poter imparare tanta libertà, una donna da soddisfare con altrettanto abbandono e competenza. Il caso vuole che, per carattere, sia il familiare a eccitarlo, più della novità sessuale. Sospetta che ci sia qualche carenza in lui, qualche lato intorpidito, o timido. Parecchi amici maschi deragliano in avventure con donne più giovani; di quando in quando solidi matrimoni deflagrano in un fuoco incrociato di recriminazioni. Perowne osserva il tutto con disagio, temendo che a lui manchi un elemento della forza vitale maschile, e un sano, temerario appetito per l'imprevisto. Dove è finita la sua curiosità ? Qual è il problema ? Eppure non può farci niente. Ricambia l'occasionale sguardo interlocutorio di una bella donna con un sorriso blando e pacato. Tale fedeltà può sembrare virtuosa o sottomessa, ma non è nessuna delle due perché non gli richiede alcuna autentica scelta. Solo di questo ha bisogno lui: di reciproco possesso e di ripetizione. E stata una calamità - una vera e propria aggressione all'intero modello di vita di Rosalind - a portare questa donna nella sua esistenza. La prima volta la vide di spalle, mentre percorreva il reparto di neurologia femminile, un tardo pomeriggio d'agosto. Lo colpi tanta abbondanza di capelli rosso-bruni - lunghi quasi fino alla vita - su una struttura così esile. Per un attimo Henry pensò che fosse una bambina cresciuta. Stava seduta sul bordo del letto, ancora vestita, e parlava all'assistente con una voce che si sforzava di mascherare il terrore. Fermandosi, Perowne colse brandelli di storia dal suo racconto, e scopri il resto in seguito sulla cartella. La salute di Rosalind era buona nel complesso, ma nel corso dell'ultimo anno aveva sofferto di occasionali emicranie. Si toccò la testa per mostrare il punto esatto. Henry notò che aveva mani piccolissime. Il volto era un ovale perfetto, con grandi occhi verde chiaro. Le era saltato il ciclo qualche volta, e aveva avuto delle perdite dai capezzoli. Nelle prime ore di quel pomeriggio, mentre lavorava nella biblioteca di facoltà a Giurisprudenza per documentarsi su certi illeciti civili - fu lei stessa a specificare il dettaglio - la sua vista aveva cominciato ad annebbiarsi. Nel giro di pochi minuti non era più in grado di distinguere le cifre dell'orologio. Abbandonati i libri, aveva agguantato la borsa ed era scesa di sotto reggendosi forte al mancorrente. Procedeva a tentoni per la strada diretta al Pronto soccorso quando le parve che incominciasse a fare buio. Pensò a un'eclissi, e si stupì che nessuno stesse guardando il cielo. Dal Pronto soccorso l'avevano mandata direttamente qui, e al momento distingueva a fatica la camicia a righe dell'assistente. Questi le mostrò le dita, ma lei non seppe dire quante fossero. - Non voglio diventare cieca, - diceva sconvolta, con un filo di voce. - Vi prego, non mi lasciate diventare cieca. Come era possibile che occhi tanto grandi e limpidi perdessero la vista ? 34
Spedito a cercare il primario che non risultava raggiungibile tramite cicalino, provò un violento e poco professionale senso di esclusione: non voleva lasciare l'assistente - il classico tipo del predatore sistematico - solo con quella preziosa creatura. Voleva essere lui in persona, Perowne, a fare tutto il necessario per salvarla, pur avendo appena una vaga idea di quale potesse essere il problema. Il primario, Mr Whaley, stava partecipando a una riunione importante. Era un omone impettito in completo a tre pezzi gessato con orologio da tasca e fazzoletto di seta viola che spuntava dal taschino. Perowne ne aveva spesso scorto di lontano l'inconfondibile zucca lustra nella penombra dei corridoi. La voce stentorea di Whaley era oggetto di frequenti imitazioni da parte dei tirocinanti più giovani. Perowne chiese alla segretaria di entrare e di interrompere la riunione. Mentre aspettava, si recitò mentalmente il discorso, deciso a fare buona impressione sul luminare con una presentazione sintetica del caso. Whaley usci e ascoltò accigliato Perowne che gli raccontava di una paziente diciannovenne soggetta a emicranie, del suo improvviso e acuto danno delle facoltà visive, e delle manifestazioni di amenorrea e galattorrea. - Cristo santo, figliolo. Mestruazioni irregolari, secrezione mammaria ! Scandi le parole nella solita voce tagliente e bellicosa da telecronista, ma intanto si era incamminato lungo il corridoio a passo spedito, con la giacca sotto il braccio. Gli fu portata una seggiola affinché potesse sedersi di fronte alla paziente. Mentre le controllava gli occhi, il suo respiro parve rallentare. Perowne osservava il viso pallido, intelligente e bellissimo, rivolto in su, verso quello del primario. Cosa avrebbe dato per farsi ascoltare in quel modo da lei. Privata delle coordinate visive, la ragazza doveva concentrarsi su ogni minima sfumatura nella voce di Whaley. La diagnosi fu rapida. - Dunque, dunque, signorina. Sembra che abbiamo un tumore all'ipofisi, un organo delle dimensioni di un pisello posizionato al centro della massa cerebrale. E in corso un'emorragia intorno al tumore che al momento preme contro i suoi nervi ottici. C'era una gran finestra alle spalle del primario, e Rosalind doveva riuscire a distinguere il contorno dell'uomo, perché con gli occhi pareva scrutarlo in viso. Restò in silenzio per parecchi secondi. Poi disse smarrita: - Potrei davvero diventare cieca. - No, se ci mettiamo subito al lavoro. Lei diede il proprio assenso con un cenno del capo. Whaley disse all'assistente di ordinare una Tac di controllo prima di portarla in sala. Poi, chinandosi su di lei e parlandole piano, quasi con tenerezza, le spiegò che il tumore stava producendo prolattina, un ormone associato alla gravidanza, responsabile dell'arresto del ciclo e della secrezione di latte. Le assicurò che il tumore 35
era benigno e si dichiarò convinto di una guarigione completa da parte sua. Tutto dipendeva dalla tempestività. Dopo una rapida occhiata al seno per un'ulteriore conferma della diagnosi - la visuale di Henry era ostruita -, Mr Whaley si alzò e assunse il tono di voce forte, quello ufficiale, con cui impartì le istruzioni del caso. Quindi si allontanò per procedere a riprogrammare il pomeriggio. Henry la scortò da Radiologia alle sale operatorie. Aveva l'aria angosciata su quella barella. Lui era in servizio come medico interno da soli quattro mesi e non poteva neanche fingere di sapere granché della procedura di intervento. Attese insieme a lei l'arrivo dell'anestesista. Chiacchierando del più e del meno, scopri che Rosalind studiava legge e che non aveva parenti prossimi nei dintorni. Il padre si trovava in Francia, e la madre era morta. Una zia amatissima abitava in Scozia, nelle Western Isles. Rosalind scoppiò in lacrime, lottando contro l'eccesso di emozioni. Recuperò il controllo della voce e, indicando con la mano un estintore, gli disse che quella per lei poteva essere l'ultima occasione di vedere il rosso, perciò voleva ricordarselo bene. Poteva per favore spostarla più vicino ? Anche da li lo vedeva appena. Henry disse che non c'erano dubbi: l'operazione sarebbe stata un successo. Ma naturalmente, non ne aveva idea, e si sentiva la bocca asciutta e le ginocchia molli mentre trascinava la barella più vicino al muro. Doveva ancora acquisire il distacco clinico. Forse fu proprio quello il momento, più ancora che dopo, in reparto, in cui cominciò a innamorarsi di lei. Le porte a vento si aprirono ed entrarono insieme in sala operatoria, con lui che procedeva a fianco della barella sospinta dall'infermiere, e lei che tormentava fra le dita il fazzoletto di carta, scrutando avidamente il soffitto come a fare scorta di ultimi dettagli. Il deterioramento della vista era sopraggiunto all'improvviso, in biblioteca, e adesso Rosalind era sola ad affrontare un cambiamento drammatico. Si fece forza con lunghi respiri profondi. Fissò intensamente la faccia dell'anestesista che intanto le applicava una cannula sul dorso della mano, prima di somministrarle il tiopentale. Poi si addormentò, e Perowne si precipitò in sala lavaggio antisettico. Gli era stato detto di osservare con attenzione questo intervento radicale. Ipofisectomia transfenoidale. Un giorno, l'avrebbe eseguito anche lui. Si, ancora oggi, tanti anni dopo, lo tranquillizzava ricordare quanto Rosalind fosse stata coraggiosa. E quanto benignamente le loro vite fossero scaturite da quella catastrofe. Che altro fece il giovane Henry Perowne per aiutare quella donna stupenda, vittima di una apoplessia pituitaria, a recuperare la vista ? Collaborò a far scivolare il suo corpo anestetizzato dalla barella al tavolo operatorio. Ubbidendo alle istruzioni dell'assistente, sistemò le fodere sterili sulle maniglie delle scialitiche. Stette a guardare le tre punte d'acciaio che venivano applicate alla sua testa. Sempre sotto la guida 36
dell'assistente, mentre Whaley si assentava brevemente dalla sala, Henry preparò la bocca di Rosalind con sapone antisettico, e notò la perfezione dei suoi denti. Più tardi, quando Mr Whaley ebbe praticato un'incisione lungo la gengiva superiore, e sollevato la faccia di lei dall'apertura delle fosse nasali, dissecando la mucosa dal setto, Henry aiutò a collocare in posizione il massiccio microscopio operatorio. Non c'era schermo da guardare: la videotecnologia era una novità ai tempi, e in quella sala non si era ancora proceduto a installarla. Ma durante l'intervento gli fu concesso di dare frequenti occhiate utilizzando l'oculare dell'assistente. Henry osservò Whaley portarsi sul seno sfenoidale, attraversandolo dopo averne rimosso la parete frontale. Poi lo vide incidere e trapanare con precisione la base ossea della fossa pituitaria e, in meno di quarantacinque minuti, mettere a nudo il teso gonfiore violaceo della ghiandola all'interno. Perowne studiò attentamente il taglio netto della lama chirurgica e assistette alla scomparsa del turgido grumo scuro e del tumore color ocra della consistenza del porridge dentro la punta dell'aspiratore di Whaley. All'improvviso apparire di fluido chiaro - liquido cerebro-spinale - il chirurgo decise di procedere a un innesto di adipe addominale per sigillare la perdita di liquor. Praticò una piccola incisione trasversale nella parete addominale bassa e, con un paio di forbici chirurgiche, rimosse un lembo di grasso sottocutaneo che depose in un'arcella. Con estrema delicatezza l'innesto fu introdotto nel naso e collocato nella breccia chirurgica effettuata nel seno sfenoidale, bloccandolo con tamponi nasali. L'eleganza dell'intera procedura pareva contenere una magnifica contraddizione: il rimedio era semplice come un lavoro idraulico, elementare come la disotturazione di una grondaia: i nervi ottici venivano decompressi e la minaccia alla vista di Rosalind risultava scongiurata. Eppure, aprirsi una strada sicura fino a quel luogo remoto e sepolto della testa costituiva un'autentica impresa a livello di competenza tecnica e concentrazione. Portarsi nel punto esatto passando dalla faccia, rimuovere il tumore dal naso, restituire il paziente alla vita, senza dolore o infezioni, e senza danni permanenti alla vista, rappresentava un miracolo dell'ingegno umano. Quasi un secolo di fallimenti e successi parziali avevano preceduto questa unica soluzione, un secolo di altre vie tentate e abbandonate, mentre a renderla possibile erano stati decenni di recenti invenzioni, compresi quel microscopio e l'illuminazione a fibre ottiche. La procedura era al tempo stesso benigna e temeraria: spirito di benevolenza vivificato dall'audacia di un numero di funambolica pericolosità. Fino a quel momento, l'intenzione di Perowne di diventare un neurochirurgo era sempre stata piuttosto teorica. Aveva scelto il cervello solo in quanto più interessante di una vescica o di una rotula. Ora però la sua ambizione si trasformò in profondo desiderio. Mentre aveva inizio la 37
fase conclusiva dell'intervento e la faccia, quella particolare, splendida faccia, veniva risistemata senza il minimo danno estetico, Henry era emozionato per il proprio futuro e impaziente di acquisire capacità. Si stava innamorando di una vita. Oltre che di una donna, ovviamente. Le due cose erano inseparabili. Sull'onda di quella euforia, gli avanzava perfino un po' d'amore per il maestro stesso, Mr Whaley, il quale, chino in tutta la sua stazza su gesti di complessa precisione, respirava rumorosamente dalle narici dietro la mascherina. Quando fu certo di aver rimosso tutta la massa tumorale e il coagulo, si allontanò per occuparsi di un altro paziente. Fu compito dell'assistente predatore ricostruire i meravigliosi lineamenti di Rosalind. Fu scorretto da parte di Henry cercare di trovarsi in sala di risveglio, in modo da essere la prima persona che Rosalind avrebbe visto recuperando conoscenza ? Poteva davvero pensare che, con i sensi e la mente cullati da una benevola ondata di morfina, lei lo avrebbe notato e ne sarebbe rimasta af; fascinata ? In ogni caso fini che lo zelante anestesista e i membri del suo team misero Perowne da parte. Gli fu detto di andare a rendersi utile altrove. Ma lui indugiò, e si trovava ancora a poca distanza dietro la sua testa quando Rosalind incominciò a riprendersi. Se non altro, Henry la vide aprire gli occhi, e restare immobile nello sforzo di ricordare il proprio ruolo nella vicenda della sua stessa vita, prima di lasciarsi andare a un sorriso cauto e doloroso quando cominciò a capire di aver recuperato la vista. Non era ancora perfetta, ma lo sarebbe stata nel giro di poche ore. Qualche giorno dopo, Perowne si rese davvero utile rimuovendo i punti interni del labbro superiore e collaborando nel recupero dei tamponi nasali. Si fermava alla fine del turno per parlarle. Lei appariva una figura isolata, pallidissima per l'ordalia attraversata, la schiena ritta contro i cuscini, circondata da spessi volumi di diritto, i capelli raccolti in due treccione da scolaretta. Venivano a trovarla soltanto le due premurose ragazze con le quali divideva un appartamento. Visto che parlare le faceva male, sorseggiava dell'acqua tra una frase e l'altra. Gli raccontò che tre anni prima, quando lei ne aveva sedici, sua madre era morta in un incidente stradale, e che suo padre era il famoso poeta John Grammaticus, recluso volontario in uno château nei pressi dei Pirenei. Nel tentativo di rinfrescare la memoria di Henry, Rosalind citò «Fujiyama», la poesia pubblicata su tutte le antologie scolastiche. Ma non sembrò dispiaciuta scoprendo che lui non aveva mai sentito né il titolo né il nome dell'autore. E nemmeno parve importarle che il passato di Henry fosse meno esotico del suo: un solo indirizzo di periferia a Perivale, figlio unico di un padre che nemmeno ricordava. Quando finalmente la loro storia d'amore ebbe inizio, mesi dopo, a mezzanotte passata, nella cabina di un traghetto durante una traversata invernale verso Bilbao, Rosalind lo prese in giro riguardo alla sua «lunga e strategica campagna di seduzione». Un capolavoro di sornioneria, la definiva anche così. Fu lei 38
comunque a dettarne il passo e le modalità. Henry comprese subito quanto sarebbe stato facile spaventarla. Il suo isolamento non riguardava soltanto il reparto d'ospedale. Era perenne, una circospezione che aveva la meglio sulla spontaneità, abbassando i suoi livelli emotivi. Rosalind aveva messo un coperchio sulla propria giovinezza. A scombussolarla bastavano la proposta improvvisa di un picnic in campagna, l'arrivo inatteso di un vecchio amico o dei biglietti gratuiti per il teatro la sera stessa. Magari poi finiva per dire di si a tutte e tre, ma la sua prima reazione era sempre un sottrarsi, un segreto malumore. Si sentiva più tranquilla, al tempo, in compagnia dei suoi volumi di giurisprudenza, tra i noti confini della ormai più che conclusa vicenda legale Donoghue contro Stevenson. Tale diffidenza nei confronti della vita si sarebbe senz'altro estesa anche a lui in caso di una mossa avventata da parte sua. Erano due le donne da tenere in considerazione e, per guadagnarsi la fiducia della figlia, gli sarebbe toccato conoscere e imparare ad amare tutto della madre. Occorreva corteggiare anche quel fantasma. Più ancora che compianta, Marianne Grammaticus risultava un costante punto di riferimento. Era una presenza continua e dominante, che sorvegliava sua figlia e sorvegliava il mondo con lei. Era quello il segreto della natura introversa di Rosalind e della sua cautela. La morte era troppo insensata per apparire plausibile - un ubriaco che a tarda sera ignora un semaforo nei pressi della Victoria Station - e, a distanza di tre anni, Rosalind per certi versi ancora non l'accettava. Rimase in silenzioso contatto con una figura intima immaginaria. In ogni circostanza risaliva alla madre a cui, già da piccola, si era sempre rivolta usando il nome di battesimo. Ne parlava anche liberamente a Henry, nominandola spesso fra una cosa e l'altra e immaginando le sue reazioni. A Marianne sarebbe piaciuto moltissimo, poteva dire Rosalind a proposito di un film che avevano appena visto e apprezzato lei e Henry. Oppure: Marianne mi ha insegnato a fare questa zuppa di cipolle, solo che non mi è mai riuscita buona come la sua. O ancora, commentando l'invasione delle Falkland: è strano, ma Marianne non sarebbe stata contraria a questa guerra. Detestava Galtieri con tutto il cuore. A parecchie settimane dall'inizio della loro amicizia - un rapporto affettuoso e fisicamente schivo che non si sarebbe davvero potuto definire altrimenti - Henry osò domandare a Rosalind che cosa avrebbe pensato sua madre di lui. La risposta arrivò senza esitazione. «Ti avrebbe adorato». Henry ritenne la cosa significativa e più tardi, quella sera stessa, baciò Rosalind con insolita disinvoltura. Lei si mostrò abbastanza disponibile, seppure senza particolare abbandono, e, per quasi una settimana, si scopri troppo impegnata per riuscire a vederlo di sera. Solitudine e lavoro minacciavano meno dei baci il suo mondo interiore. Henry cominciò a capire di essere entrato in competizione. In base alla natura delle cose la vittoria stava dalla sua parte, ma solo se procedeva secondo l'anacronistica andatura di un bradipo. 39
Nell'ondeggiante cabina del traghetto, su una scomoda branda, la questione venne finalmente risolta. Per Rosalind non fu facile. Amare lui significava cominciare ad accomiatarsi dall'amica onnipresente, sua madre. La mattina, svegliandosi e ricordando il confine attraversato, pianse - di gioia e dolore insieme, come provò più volte ad assicurargli in modo poco convincente. La felicità pareva tradire un principio, eppure la felicità era inevitabile. Salirono sul ponte a guardare l'alba nel porto. Era un mondo aspro e alieno. Scrosci di pioggia spazzavano i bassi edifici di cemento della dogana e si abbattevano sulle grigie torri delle gru da carico, trascinati dal vento forte che gemeva in mezzo ai cavi d'acciaio. Sul molo, tra vaste pozze d'acqua, la sagoma solitaria di un vecchio manovale armeggiava con una grossa cima intorno a una bitta. Indossava un giaccone di pelle sulla camicia aperta. Aveva in bocca un sigaro spento. Quando ebbe finito, si incamminò lentamente verso la dogana, immune alle intemperie. Henry e Rosalind si ritirarono dal freddo, ridiscesero le svariate rampe di scale e tornarono nelle umide profondità della nave dove di nuovo fecero l'amore allo stretto, e poi restarono fermi ad ascoltare l'altoparlante di bordo che invitava i passeggeri sprovvisti di auto allo sbarco immediato. Rosalind si rimise a piangere e gli confidò che di recente non era più riuscita a sentire il timbro esatto della voce di sua madre. Sarebbe stato un lungo addio. Molti momenti felici, come quello, avrebbero conservato un lato d'ombra. Già allora, mentre, abbracciati a letto, ascoltavano i tonfi e le voci attutite dei passeggeri che si allineavano nei corridoi, Henry comprese la serietà di quanto stava per cominciare. Inserendosi tra Rosalind e il suo fantasma, gli sarebbe toccato assumersi delle responsabilità. Era scattato fra loro un tacito accordo. Per dirla tutta, fare l'amore con Rosalind significava sposarla. Al suo posto un uomo ragionevole avrebbe potuto spaventarsi, ma a Henry Perowne la semplicità dell'intesa non procurava altro che gioia. Ed eccola qui, quasi un quarto di secolo dopo, mentre comincia a muoversi tra le braccia di lui già consapevole, pur continuando a dormire, che la sua sveglia suonerà tra poco. Manca almeno un'ora e mezza all'alba, evento perlopiù rurale che in città si trasforma in semplice astrazione. La metropoli ha un appetito robusto per le attività del sabato. Alle sei del mattino, Euston Road si muove già a pieno ritmo. Di quando in quando il baccano di una moto copre il frastuono di fondo, strillando come una sega che morda dentro il legno. Sempre intorno a quest'ora, arrivano i primi cori di sirene della polizia, a ondate sonore intermittenti come quelle di una Dopplersonografia: non è più troppo presto per le cattive azioni. Finalmente Rosalind si gira verso di lui. Questo lato della figura umana irradia un calore comunicativo. Mentre si baciano, Henry immagina gli occhi verdi di lei nell'atto di cercare i suoi. Tale consueto ciclo di sonno e di risveglio, nel buio, sotto un unico tetto, con un'altra creatura, un morbido e pallido mammifero, questo unire le facce in un rituale affettuoso, 40
abitando per un momento l'eterna necessità di tepore, conforto, sicurezza, agganciandosi l'uno all'altra per farsi più vicini, è una semplice consolazione quotidiana, quasi troppo ovvia, facile da scordare durante il giorno. Ne avrà mai scritto un poeta ? Non della singola circostanza, ma del suo ripetersi nel corso degli anni. Deve chiederlo a sua figlia. Rosalind dice: - Ho avuto la sensazione che tu sia stato in piedi tutta la notte. Che ti sia alzato più volte. - Sono sceso alle quattro e ho chiacchierato un po' con Theo. - Sta bene? - Hmm. Non è il momento di parlarle dell'aereo, specie adesso che l'evento ha perso rilevanza. Quanto all'episodio di euforia, attualmente gli mancherebbe l'energia mentale per descriverlo. Magari dopo. Lo farà dopo. Si è svegliata proprio mentre lui sta sprofondando. E comunque l'erezione procede, come prodotta da una serie di inspirazioni, in un crescendo di tensione. Un'apnea. Può darsi che sia la stanchezza a sensibilizzarlo. O i cinque giorni di astinenza. In ogni caso, c'è un che di familiare nel movimento brusco di spalle con cui Rosalind gli si avvicina, inondandolo di un eccesso di calore corporeo. Quanto a Henry, non se la sente di prendere iniziative e preferisce affidarsi alla buona sorte, o alla voglia di lei. Se non succede, pazienza. Niente gli impedirà di addormentarsi. Rosalind lo bacia sul naso. - Cercherò di passare a prendere mio padre mentre torno a casa. Daisy arriva da Parigi alle sette. A quell'ora ci sei? -Mm. Daisy: sensuale, colta, minuta, pallida, rigorosa. Quale altra dottoranda e aspirante poetessa se ne va in giro in tailleur sopra al ginocchio e camicetta bianca fresca di bucato, non beve quasi mai e ha già dato il meglio di sé professionalmente entro le nove del mattino ? La sua bambina, che gli sta scivolando di mano per trasformarsi in una efficiente parigina, è in attesa dell'uscita del suo primo volume di poesie in maggio. E non per i tipi di chissà quale bislacca casa editrice, bensì di una veneranda istituzione a Queen Square, esattamente di fronte all'ospedale in cui lui ha clippato il suo primo aneurisma. Perfino l'intrattabile nonno, nella sua maestosa intolleranza verso la scrittura contemporanea, le ha spedito dallo château una lettera a stento leggibile che, una volta decifrata, si è rivelata entusiasta. Perowne, non certo un giudice in questo campo, e ovviamente contento per lei, ha tuttavia patito le liriche d'amore, la competenza di Daisy in materia, i suoi vividi sogni riguardo al corpo di uomini a lui sconosciuti. Chi sarà questo schifoso la cui tumescenza ricorda «un turgido annaffiatoio» proteso verso una «insolita rosa»? O quell'altro che canta sotto la doccia «come Caruso» mentre «insapona entrambe le barbe»? Henry deve frenare l'indignazione, difficilmente ascrivibile a sensibilità letteraria. Ha tentato di liberarsi della gelosia paterna e di considerare le poesie per quello che sono. È già riuscito ad apprezzare il verso 41
meno caricato, ma pur sempre sinistro, della composizione in cui si legge: «come ogni I rosa cresciuta su stelo infestato di denti aguzzi». La pallida ragazzina delle rose è via da casa da un pezzo. Il suo arrivo, un'oasi in chiusura di giornata. - Ti amo. Non si tratta soltanto di un segno di affetto, infatti Rosalind allunga una mano e lo afferra decisa, poi, senza lasciare la presa, si volta per spegnere la sveglia in una goffa torsione muscolare che si ripercuote in un tremito sul materasso. - Meno male. Si baciano e lei dice: - E da un po' che sono quasi sveglia, e che lo sento spingere contro la schiena. - E che effetto ti ha fatto ? - Mi ha messo voglia di te. Ma non ho tanto tempo. Non posso fare tardi. Quando si dice una vittoria tranquilla! Il suo desiderio esaudito così, senza alzare un dito, per l'invidia di dèi e tiranni; Henry emerge dal proprio torpore per prenderla fra le braccia e baciarla intensamente. Si, è pronta. E così si conclude la notte, e alle sei Henry dà inizio alla propria giornata, domandandosi se tutti i luoghi comuni riguardanti il compromesso coniugale si siano spensieratamente dati convegno in un unico istante: al buio, nella posizione del missionario, alla svelta, sevnza preliminari. Ma si tratta di considerazioni superficiali. E stato liberato da pensieri, ricordi, dai minuti che passano e dalle condizioni in cui versa il mondo. Il sesso è un veicolo diverso, che fa deragliare tempo e significati, un iperspazio biologico lontano dall'esistenza cosciente non meno dei sogni, non meno dell'acqua dall'aria. Come diceva sempre sua madre, un altro elemento; le giornate cambiano, Henry, se ti fai una nuotata. E quella di oggi è destinata a distinguersi da tutte le altre. Vi è qualcosa di grandioso in questa concezione della vita. Si sveglia, o crede di svegliarsi, con il rumore del fon e il mormorio di una voce che ripete una frase, e più tardi, dopo essere risprofondato nel sonno, sente il netto clangore della porta del guardaroba, la spaziosa cabina armadio, gemella di un'altra identica, dotata di illuminazione automatica e di un intricato interno di ripiani laccati e capaci nicchie profumate; in seguito, mentre lei entra ed esce dalla stanza a piedi scalzi, sente il fruscio serico della sua sottoveste, certamente quella nera che le ha comprato a Milano, con il motivo a tulipani in rilievo; infine il ticchettio manageriale degli stivali sul marmo del bagno che accompagna i suoi ultimi preparativi davanti allo specchio, la spruzzata di profumo, i colpi di spazzola tra i capelli; intanto, in sottofondo, la radio di plastica a forma di delfino rampante, applicata tramite ventose sulla parete a mosaico della doccia, trasmette la stessa frase fino a quando gli pare di cogliervi un contenuto religioso e un progressivo crescendo di significato: vi è 42
qualcosa di grandioso in questa concezione della vl' ta, ripete più e più volte. Vi è qualcosa di grandioso in questa concezione della vita. Quando, due ore più tardi, si sveglia definitivamente, lei se n'è andata e la stanza è in silenzio. Da un'imposta socchiusa entra una stretta colonna di luce. Il giorno è di un bianco accecante. Scosta le coperte e rimane supino sull'altro lato del letto, nudo nel tepore del riscaldamento centrale, in attesa di localizzare la frase. Darwin, ma certo, un ritorno della lettura di ieri sera nella vasca da bagno, il paragrafo conclusivo della grande opera che Perowne in effetti non ha mai affrontato. Garbatamente, l'esausto, indebolito Charles in tutta la sua umiltà chiama a raccolta vermi della terra e cicli planetari affinché lo assistano in un inchino d'addio. Per addolcire il messaggio, ha evocato anche il Creatore, ma non è convinto e, nelle successive edizioni, Lo espungerà. Quelle cinquecento pagine di testo meritavano un'unica conclusione: magnifiche e innumerevoli forme di vita, come se ne vedono dentro una qualunque siepe, fino a organismi superiori come noi, derivarono da leggi fisiche, dalla guerra della natura, dalla carestia e dalla morte. E questa la grandezza. E un corroborante genere di conforto nel privilegio effimero della consapevolezza. Una volta, durante una passeggiata lungo il fiume - l'Eskdale nella luce aranciata del sole già basso, sotto una spolverata di neve - sua figlia gli citò il primo verso di una lirica del suo poeta preferito. A quanto pare, erano poche le giovani donne innamorate come lei di Philip Larkin. «Se mi convocassero per mettere in piedi una religione I io partirei dall'acqua». Disse che le piaceva la laconicità di quel verbo, convocare, quasi potesse succedere, quasi fosse successo a qualcuno. Si fermarono a bere caffè dal thermos e Perowne, sfiorando col dito una striscia di licheni, disse che, se mai la chiamata fosse giunta per lui, sarebbe partito dall'evoluzione. Quale mito migliore per la creazione? Uno spazio di tempo inimmaginabile, innumerevoli generazioni intente a produrre con lentezza infinitesimale un'intricata bellezza vivente dalla materia inerte, incalzate dalla furia cieca di mutazioni casuali, selezione naturale e trasformazioni dell'ambiente, con la tragedia di forme in costante estinzione e, di recente, la meraviglia della nascita di menti e con loro di filosofie morali, amore, arte, città - e, per soprammercato, il premio senza precedenti di una vicenda che il caso ha voluto dimostrabilmente vera. Al termine di quella tirata non del tutto scherzosa - si trovavano sopra un ponte di pietra alla confluenza di due corsi d'acqua - Daisy scoppiò a ridere e posò la tazza per poter applaudire. «Questa si che è religione d'altri tempi, dire che il caso l'ha voluta dimostrabilmente vera». Gli è mancata sua figlia in questi ultimi mesi, e tra poco sarà qui. Stranamente, considerando che è sabato, Theo ha promesso di farsi trovare a casa stasera, almeno fino alle undici. Perowne ha in programma di cucinare una zuppa di pesce. La sosta in pescheria è uno dei compiti più semplici che lo aspettano: squadri, vongole, cozze, gamberoni. E questa pratica 43
tabella di marcia diurna, questo elenco marino, a convincerlo infine ad alzarsi dal letto per andare in bagno. Ci sono uomini che trovano indecoroso urinare da seduti perché così lo fanno le donne. Rilassati! Henry si siede, e sente dissolversi gli ultimi scampoli di sonno mentre il flusso di urina risuona contro la tazza. Cerca di rintracciare un'altra fonte di imbarazzo, un senso di colpa, o qualcosa di molto più vago, come il ricordo di un disagio o di una cretinata commessa. Gli ha attraversato la mente pochi minuti fa, e quel che ne resta ora è soltanto la sensazione senza il motivo. L'impressione di avere fatto o detto qualcosa di ridicolo. Di essersi comportato da idiota. Non ricordando di che si tratta, non riesce a uscirne rassicurando se stesso. Ma che importanza ha ? Questi diafani veli di sonno lo intorpidiscono ancora - se li immagina simili all'aracnoide, quella specie di garza che avvolge il cervello e che lui per mestiere recide. La grandezza. Quella frase deve essersi formata come per un'allucinazione dal ronzio del fon, e lui l'ha confusa poi con il radiogiornale. Il lusso di attardarsi nel dormiveglia, esplorando da un luogo sicuro i contorni della psicosi. Però quando ieri sera veleggiava a mezz'aria diretto alla finestra era sveglissimo. Ne è più sicuro che mai adesso. Si alza e tira l'acqua. Almeno una molecola dei suoi liquidi di scarto gli ricadrà un giorno addosso sotto forma di pioggia, secondo l'assurdo articolo di una rivista che girava in sala ristoro del reparto chirurgico. I numeri dicono così, ma una cosa è la probabilità statistica, un'altra è la verità. We'll meet again, don't know where, don't know when. Canticchiando questo motivo dei tempi di guerra, attraversa l'ampia distesa di marmo bianco e verde fino al suo lavabo, per farsi la barba. Si sente incompleto senza questo rito mattutino, anche nei giorni di riposo. Dovrebbe imparare da Theo a lasciarsi andare. A Henry però piacciono la ciotola di legno, il pennello in pelo di tasso, il rasoio costosamente monouso a tripla lama, con manico verde giungla ruvido e arcuato al punto giusto: accostare tale gioiello industriale alla solita porzione di pelle gli schiarisce i pensieri. Dovrebbe andarsi a rivedere quel che William James ha scritto rispetto alla dimenticanza di una parola o di un nome; rimane il tormento di una forma vuota che definisce, ma solo approssimativamente, l'idea un tempo contenuta. Già mentre lotti contro il torpore di una memoria difettosa, del concetto dimenticato sapresti dire con precisione che cosa non è. James aveva un talento per cogliere il lato sorprendente del luogo comune; secondo il modesto parere di Perowne, utilizzava una prosa più scorrevole del fratello prolisso, il quale preferiva girare intorno a ogni cosa in una dozzina di modi diversi anziché chiamarla col proprio nome. Daisy, l'arbiter della sua educazione letteraria, non sarebbe affatto d'accordo. Ha prodotto un lungo saggio accademico sugli ultimi romanzi di Henry James, e ora citerebbe un brano dalla Coppa d'oro. Conosce anche dozzine di poesie a memoria, imparate da adolescente: 44
un mezzo per sfilare un po' di soldi al nonno. La sua esperienza scolastica è talmente diversa da quella del padre. Non c'è da stupirsi che adorino litigare. Quel che Daisy sa! Su suo suggerimento, si è cimentato con la storia della bambina addolorata dall'abietto divorzio dei genitori. Un tema promettente, ma la povera Maisie è ben presto svanita dietro un cumulo di parole e a pagina quarantotto Perowne, che è in grado di stare sette ore in piedi per un intervento difficile, che compare nell'elenco dei partecipanti alla maratona di Londra, è capitolato, esausto. Perfino la vicenda dell'omonima di sua figlia l'ha sconcertato. Che conclusioni può trarre un adulto, che sensazioni, dal prevedibile declino di Daisy Miller ? Che il mondo sa essere spietato ? Non è abbastanza. Si china verso il rubinetto per sciacquarsi la faccia. Forse sta diventando, almeno da questo punto di vista, come Darwin che alla fine trovava Shakespeare noioso al punto da dare la nausea. Perowne conta su Daisy per affinare la propria sensibilità. Finalmente sveglio del tutto, ritorna in camera, all'improvviso impaziente di essere vestito e libero dai vari grovigli della stanza, quelli del sonno e dell'insonnia, delle elucubrazioni surriscaldate e perfino del sesso. L'immagine pornografica del letto disfatto racchiude in sé tutti questi elementi. Ritrovarsi senza desiderio schiarisce le idee. Ancora nudo, dà una rapida lisciata alle coperte, raccoglie alcuni cuscini da terra e li lancia verso la testiera, poi raggiunge la cabina armadio e in particolare l'angolo dove tiene l'attrezzatura sportiva. Sono questi i piccoli piaceri della partenza di un sabato: la promessa del caffè, e il logoro completo da squash. Daisy, sempre curata nel vestire, lo definisce affettuosamente il costume da spaventapasseri. I calzoncini azzurri sono stinti da chiazze di sudore che anche lavandole non se ne vanno. Su una T-shirt grigia, Henry infila un vecchio maglione di cashmere pieno di buchi di tarme sul petto. Sopra i pantaloncini, i calzoni di una tuta, legati a vita con uno spago. Le calze bianche di spugna ruvida hanno qualcosa di infantile nelle due strisce gialle e rosa sul bordo. Srotolarle produce un familiare aroma di bucato. Le scarpe da squash hanno un odore acre, un misto di animale e sintetico che gli ricorda il campo, i lindi muri bianchi e le righe rosse, le regole indiscutibili del combattimento tra gladiatori, e il punteggio. È inutile fingere di non dare importanza al punteggio. Henry ha perso la partita della settimana scorsa contro Jay Strauss, ma mentre attraversa la stanza con passo agile e molleggiato, sente che oggi vincerà. Gli torna in mente la scorsa notte, quando ha percorso lo stesso tratto di pavimento e, mentre apre le stesse imposte, la stupidaggine semidimenticata per un istante si ripresenta. Ma subito si disperde inondata dalla luce di un sole basso invernale, e dall'improvviso interessamento per quanto sta succedendo nella piazza. A prima vista sembrano due ragazze sotto i vent'anni, esili, pallide e dai lineamenti delicati, oltre che poco vestite, considerato che è febbraio. 45
Potrebbero essere sorelle, in piedi accanto alla ringhiera centrale del giardino, dimentiche dei passanti, assorbite da un loro dramma privato. Poi Perowne decide che la figura di fronte a lui è un ragazzo. Difficile dirlo, perché indossa un casco da moto sotto il quale spuntano fitti riccioli castani. Ma Perowne se ne convince per la postura, il modo di tenere i piedi ben divaricati, per lo spessore del polso quando gli vede appoggiare una mano sulla spalla della ragazza. Lei lo rifiuta scrollandosi. E agitata, piange, e non sembra decisa nei movimenti - si porta le mani sul viso, ma quando il ragazzo si accosta per tirarsela più vicino, lei gli scarica addosso una serie di pugni senza energia, come un'attrice di Hollywood d'altri tempi. Si volta, ma non se ne va. A Perowne sembra di riconoscere nel suo viso qualcosa del delicato ovale della figlia, il suo naso piccolo, il mento da folletto. In virtù di tale associazione, si mette a osservare meglio. La ragazza desidera e al tempo stesso detesta il compagno, il cui sguardo è ferino, reso intenso dalla fame. Di lei ? Non molla la presa e intanto continua a parlare, a blandire, circuire, nel tentativo di convincerla o di rabbonirla. Più di una volta, la mano sinistra della ragazza scompare dietro la schiena, si infila sotto la maglietta e gratta vigorosamente. Lo fa in modo automatico, anche mentre piange e cerca di allontanare il ragazzo senza convinzione. Formicolio da assunzione di amfetamina - formiche fantasma a spasso per le sue vene e le arterie, il prurito irraggiungibile. O forse una reazione istaminica esogena indotta da oppiacei, piuttosto diffusa tra consumatori recenti. Pallore e stato confusionale la dicono lunga. Sono due tossici, è chiaro. Un acquisto fallito più che un problema di cuore è ciò che sta dietro allo sconforto di lei e alle inutili consolazioni del ragazzo. Spesso la gente si trascina fino alla piazza per mettere in scena un dramma privato. La via non è adatta, ovviamente. La passione ha bisogno di spazio, della vastità raccolta di un teatro. Su scala diversa, riflette Perowne, ormai riportato dalla luce di un nuovo giorno alla sua solita preoccupazione, potrebbe essere questa l'attrattiva del deserto iracheno - un territorio piatto e presumibilmente sgombro, analogo alla cartina di uno stratega su cui un furore di proporzioni industriali sia libero di scatenarsi. Il deserto, si dice, è il sogno di ogni esperto militare. Una piazza cittadina ne è l'equivalente privato. Domenica scorsa un ragazzo è andato su e giù per un paio d'ore, strillando nel cellulare, e la sua voce si affievoliva ogni volta che si allontanava verso il lato meridionale per poi riacquistare volume al suo ritorno, nel tenebrore del pomeriggio. Il mattino successivo, mentre andava al lavoro, Perowne ha visto una donna agguantare il telefono del marito e schiantarlo sul marciapiede. In quello stesso mese c'è stato un tale in completo scuro che, inginocchiato, con l'ombrello al fianco, pareva avere infilato la testa nell'inferriata del parco. In realtà si stava tenendo alle sbarre e singhiozzava. La vecchia con la bottiglia di whisky non potrebbe mai farla 46
franca tra grida e schiamazzi nello spazio ristretto di una via, di certo non per tre ore consecutive. L'aspetto pubblico della piazza garantisce intimità a questi drammi personali. Le coppiette vengono qui per chiacchierare o piangere sommessamente sulle panchine. Quando esce dai locali angusti di case popolari e villette a schiera, quando da traverse soffocate emerge su scorci più generosi di cielo e di alti platani allineati sul verde, su un respiro più ampio di spazio e natura, la gente si ricorda dei propri bisogni essenziali e di come non siano stati soddisfatti. D'altronde non manca neppure la gioia. Perowne la vede in questo preciso momento, là in fondo, vicino all'ostello indiano, mentre va ad aprire le altre imposte e la stanza si riempie di luce. C'è autentica animazione su quel lato della piazza. Due giovani asiatici in tuta - li riconosce: lavorano all'edicola di Warren Street - scaricano il contenuto di un furgone in un carretto sul marciapiede. Hanno già ammucchiato pile di cartelloni, bandiere piegate ed espositori di distintivi e fischietti, raganelle e trombe da stadio, berretti ridicoli e maschere in gomma di uomini politici - tremuli mucchi di Bush e Blair, con le prime facce in alto di un pallore spettrale alla luce del sole e lo sguardo vacuo rivolto al cielo. Gower Street, a pochi isolati in direzione est, è uno dei punti di raccolta per la marcia e una parte della fiumana è arrivata fin qui. Una piccola folla intorno al carretto vuole comprare prima che i venditori siano pronti. E l'allegria generale a sconcertare Perowne. Ci sono intere famiglie, una in particolare i cui quattro bambini, di varia misura e relativo giubbotto rosso vivace, hanno evidentemente ricevuto istruzione di tenersi sempre per mano; e studenti, e un pullman di mature signore in giacche a vento imbottite e scarpe robuste. Forse rappresentanti del Women's Institute. Uno dei due giovani in tuta alza le mani in segno di resa scherzosa, mentre l'amico ancora in piedi sul retro del furgone procede alla prima vendita. Spaesati dal trambusto, i piccioni della piazza decollano e perlustrano e scendono in picchiata in formazione di volo. Ad aspettarli su una panchina accanto a un cestino dei rifiuti c'è un uomo tremante e arrossato dal freddo, avvolto in una coperta grigia, con in grembo un pane affettato pronto per loro. Per i figli di Perowne, dire di qualcuno che «dà da mangiare ai piccioni» coincide col definirlo un deficiente. Alle spalle della calca intorno al carretto, un gruppo di ragazzi in giubbotto di pelle e capelli a spazzola osserva con espressione indulgente. Hanno già srotolato il loro striscione che proclama con semplicità, Slogan no, Pace si! ! La scena sa di innocenza e di britannica estrosità. Nella sua tenuta da combattimento sul campo, Perowne immagina se stesso come Saddam nell'atto di sorvegliare con soddisfazione la folla da una terrazza ministeriale di Baghdad: i generosi elettori delle democrazie occidentali non permetteranno mai ai loro governi di attaccare il paese. Ma qui si sbaglia. L'unica cosa che Perowne crede 47
di sapere riguardo a questa guerra è che si farà. Con o senza Onu. Le truppe sono sul posto, bisognerà che combattano. Dopo aver operato di aneurisma un docente di Storia antica iracheno, aver visto le sue cicatrici in seguito alle torture subite e ascoltato i suoi racconti, le idee di Perowne su questa imminente invasione si sono fatte ambivalenti e confuse. Miri Taleb è un uomo più vicino ai settanta che ai sessanta, minuto, di proporzioni quasi femminili, con una risata nervosa, una specie di nitrito isterico che potrebbe avere qualcosa a che fare con il periodo trascorso in carcere. Ha conseguito il dottorato presso lo University College di Londra e parla un inglese eccellente. E specialista in civiltà sumera e per più di vent'anni ha insegnato all'università di Baghdad e ha collaborato a svariati rilievi archeologici nella zona dell'Eufrate. Il suo arresto è avvenuto un pomeriggio d'inverno, nel '94, fuori dall'aula dove stava per recarsi a insegnare. Gli studenti lo aspettavano in classe e non hanno assistito al fatto. Tre uomini gli hanno mostrato il tesserino delle forze dell'ordine e l'hanno invitato a seguirli in auto. Qui l'hanno ammanettato, ed è stato a quel punto che è iniziata la tortura. Le manette erano così strette che per sedici ore, fino a quando non gliele hanno tolte, non è riuscito a pensare ad altro che al dolore fisico. Entrambe le spalle hanno subito danni permanenti. Per i successivi dieci mesi è stato trasferito da un carcere all'altro per tutto l'Iraq centrale. Non aveva idea di che cosa significassero quegli spostamenti, né modo di far sapere a sua moglie che era ancora vivo. Neppure il giorno del rilascio ha scoperto quali fossero i capi d'accusa contro di lui. Perowne ha ascoltato il professore nel suo studio e in seguito ha chiacchierato con lui in reparto, dopo l'intervento: per fortuna un successo completo. Per essere prossimo ai settantanni, Taleb ha un aspetto notevole: pelle liscia come quella di un ragazzino, ciglia lunghissime, e baffi neri molto curati, certamente tinti. In Iraq non svolgeva alcuna attività politica, neppure a livello di interesse personale, e aveva rifiutato di iscriversi al Partito Ba'ath. Può essere stata quella la causa dei suoi problemi. Come pure il fatto che un cugino della moglie, morto da tempo, fosse stato membro del Partito comunista, oppure che un altro cugino avesse ricevuto dall'Iran la lettera di un amico esiliato a causa delle sue presunte origini iraniane; o ancora, che il marito di una nipote si fosse rifiutato di rientrare dal Canada dove aveva Ottenuto un incarico come insegnante. Altra possibile ragione era che il professore aveva compiuto alcuni viaggi in Turchia in veste di consulente per certi scavi archeologici. L'arresto non aveva sorpreso molto né lui né la moglie. Entrambi, come tutti, conoscevano qualcuno che era stato fermato, trattenuto per qualche tempo, magari torturato, e alla fine rilasciato. Le persone ricomparivano all'improvviso sul posto di lavoro, senza una parola sulle loro esperienze, e nessuno osava fare domande - c'erano troppi informatori in 48
giro, e una curiosità eccessiva poteva farti finire in galera. Alcuni tornavano in bare sigillate, ed era rigorosamente vietato aprirle. Era consueto sentire di amici e conoscenti in giro per ospedali, stazioni di polizia e uffici del governo nella speranza di avere notizie dei loro congiunti. Miri trascorse quel periodo in celle fetide e mal aerate: due metri per tre con venticinque uomini stipati dentro. E chi erano questi uomini ? Il professore ridacchiava senza allegria. Non il prevedibile miscuglio di criminali comuni e intellettuali. Perlopiù si trattava di gente qualsiasi, fermata per non aver mostrato il numero di targa, o in seguito a un litigio con uno sconosciuto che si scopriva essere un funzionario del Partito, o perché a scuola i figli erano stati convinti a riferire frasi poco riguardose nei confronti di Saddam sentite a cena in famiglia. O perché si erano rifiutati di iscriversi al Partito nel corso di una delle tante campagne di reclutamento. Altro crimine diffuso era quello di avere un famigliare accusato di diserzione dall'esercito. Le celle ospitavano anche agenti e poliziotti. I vari servizi di sicurezza coesistevano in uno stato di nervosa competizione reciproca, e i rappresentanti dell'ordine pubblico erano costretti a lavorare sempre di più per dare prova della propria diligenza. Potevano risultare sospetti interi reparti di sicurezza. La tortura era una pratica di routine - Miri e i suoi compagni udivano le urla dalle celle, e aspettavano il loro turno di chiamata. Pestaggi, elettroshock, stupri anali, annegamenti interrotti in extremis, fustigazioni alle piante dei piedi. Tutti, dall'alto ufficiale all'ultimo spazzino, vivevano nell'ansia, nel terrore perenne. Henry vide le cicatrici sulle natiche e sulle cosce di Taleb, dove era stato battuto con uno strumento che avrebbe descritto come il ramo di un arbusto spinoso. I torturatori procedevano senza odio, con mero allenato vigore: avevano paura del loro sorvegliante. Il quale a sua volta temeva di perdere l'incarico, o la libertà futura, a causa di un'evasione verificatasi l'anno precedente. - Sono tutti contrari, - spiegava Taleb a Perowne. - Vede, è solo il terrore a tenere unita la nazione, l'intero sistema si regge sulla paura, e nessuno sa come arrestare il processo. Ora arriveranno gli americani, forse per le ragioni sbagliate. In ogni caso Saddam e i ba'athisti se ne andranno. E quel giorno, amico mio dottore, le offrirò un pranzo in un buon ristorante iracheno di Londra. La coppia di ragazzi si allontana attraversando la piazza. Rassegnata o smaniosa di raggiungere la meta verso cui è diretta, la giovane permette al ragazzo di cingerle una spalla, ciondolandogli la testa addosso. Con la mano libera continua a trafficare dentro la cintura e in basso, sui fianchi. Dovrebbe pUE M mettersi una giacca pesante. Anche da questa distanza, Henry riesce a 49
distinguere i segni rosa lasciati dalle unghie sulla pelle. Una moda tiranna la costringe a denudare ombelico e diaframma al gelo di febbraio. Dal prurito si può dedurre che la sua tolleranza all'eroina non è ancora completa. Dev'essere nuova a quel genere di pratiche. Quello di cui avrebbe bisogno è un oppiaceo antagonista tipo naloxone che inverta l'effetto. Henry ha lasciato la stanza e si è fermato in cima alla scala, di fronte al lampadario francese dell'Ottocento che pende dall'alto soffitto, e ora si chiede se sia il caso di seguire la ragazza e procurarle una ricetta; dopotutto è in tenuta da corsa. Ma le ci vorrebbe anche un fidanzato che non spacci. E una vita nuova. Si incammina giù per le scale, mentre sopra di lui le gocce di vetro del lampadario tintinnano sollecitate dalle vibrazioni della metropolitana della Victoria Station che corre ben sotto la casa e che al momento sta rallentando per la fermata di Warren Street. Lo sconcerta riflettere sulle correnti inarrestabili e sulla perfetta sintonia che modifica i vari destini, su influenze vicine e remote, coincidenze di carattere e situazioni in virtù delle quali una giovane donna a Parigi si sta preparando il bagaglio per il weekend, comprese le bozze rilegate del suo primo volume di poesie, per poi prendere un treno e raggiungere casa a Londra, dove tutti l'aspettano, mentre un'altra ragazza sua coetanea viene convinta dalle moine di un giovane a precipitarsi nell'estasi chimica di un momento che la incatenerà alla sua sventura quanto un oppiaceo ai suoi recettori mi. La grana del silenzio in casa è resa più densa, secondo un pensiero ben poco scientifico che tuttavia Perowne non riesce a non formulare, dal fatto che al terzo piano Theo, disteso a pancia in giù, dorme profondamente sotto il piumone del letto a due piazze. Ha ancora davanti alcune ore di smemoratezza. Al risveglio, ascolterà musica trasmessa via Internet al suo impianto hi-fi, si farà una doccia, e starà al telefono. La fame non lo stanerà dalla stanza fino alle prime ore del pomeriggio, quando scenderà a prendere possesso della cucina, fare altre telefonate, ascoltare CD, bersi un paio di bicchieroni di succo di frutta e a creare il caos preparandosi un'insalata o una ciotola a base di yogurt, datteri, miele, frutta e noci tritate. Un regime dietetico che a Henry pare in contrasto col blues. Giunto al primo piano, si ferma sulla porta della biblioteca, la stanza più austera di tutta la casa, momentaneamente attratto dal modo in cui il sole, filtrando dalle lunghe tende di garza color avena, inonda lo spazio di una luce marrone solenne e pedante. La collezione di volumi è opera di Marianne. Henry non avrebbe mai detto di poter finire ad abitare in una casa con tanto di biblioteca. Tra le sue ambizioni c'è quella di trascorrere interi weekend su uno dei comodi divani Knole, bricco del caffè al fianco, a leggere un capolavoro della letteratura mondiale, magari in traduzione. Non ha in mente nessun testo in particolare. Ritiene che non sarebbe male prima o poi capire che cosa si intenda, che cosa intenda Daisy, per genio letterario. Non è sicuro di essercisi 50
mai imbattuto personalmente nonostante i numerosi tentativi. Ha perfino il mezzo sospetto che non esista. Ma il suo tempo libero risulta sempre interrotto, non soltanto da commissioni e incombenze famigliari e sportive, ma anche dall'inquietudine che deriva da queste settimanali isole d'ozio. Non gli va l'idea di passare il giorno di riposo sdraiato, e nemmeno seduto. E neppure ha una gran voglia di farsi spettatore di vite altrui, immaginarie per giunta anche se nelle ultime ore si è concesso un insolito numero di minuti a guardare fuori dalla finestra. E poi a lui interessa meno che si possa reinventare il mondo: quel che vuole è che glielo si spieghi. Sono già tempi abbastanza insoliti. Che bisogno c'è di inventarsi le cose ? A quanto pare gli manca la fermezza necessaria per leggere tanti libri fino alla fine. Solo al lavoro è così risoluto; negli svaghi diventa impaziente. Lo sconcerta quello che gli altri sostengono di riuscire a concludere nel tempo libero, senza contare le quattro o cinque ore al giorno passate davanti alla Tv per tenere alta la media nazionale. La settimana scorsa, durante la pausa in un intervento -il doppler microvascolare si era guastato e si dovette aspettarne uno funzionante da un'altra sala -, Jay Strauss staccò lo sguardo dai video e dai quadranti del monitoraggio dell'anestesia e, stiracchiandosi, con uno sbadiglio disse di avere fatto le ore piccole per finire un romanzo di ottocento pagi: ne di chissà quale nuovo prodigio americano. Perowne ne rimase colpito, e piccato - che non ci mettesse semplicemen» te abbastanza impegno ? In realtà, su indicazione di Daisy, Henry è arrivato al fondo di Anna Karenina e di Madame Bovary, due capolavori indiscussi. A costo di rallentare i propri processi mentali e sacrificare parecchie ore del suo tempo prezioso, ha voluto seguire le alterne vicende di queste due fiabe sofisticate. Ma che cosa ne ha dedotto, alla fine? Che l'adulterio è comprensibile, ma sbagliato, che nel diciannovesimo secolo le donne avevano vita dura, che Mosca e la campagna russa o la provincia francese una volta erano così e basta. Se, come sosteneva Daisy, il genio stava nel dettaglio, allora la faccenda lo lasciava tiepido. I dettagli erano abbastanza felici e convincenti, ma di sicuro non così difficili da cogliere a condizione di essere un discreto osservatore èNdi avere la pazienza di registrarli uno per uno. Quei libri erano il prodotto di un indefesso, scrupolosissimo accumulo. Avevano il pregio, se non altro, di rappresentare una realtà fisica riconoscibile, cosa che invece non si poteva affermare dei cosiddetti realisti magici, scelti da Daisy per l'ultimo anno di corso. Che cosa si erano messi in testa di fare certi autori illustri - uomini e donne maturi del ventesimo secolo attribuendo poteri magici ai loro personaggi ? Nemmeno una di queste irritanti composizioni Henry è mai riuscito a leggere fino alla fine. Perdipiú scritte per degli adulti, non per bambini. In più di un caso, eroi ed eroine nascevano con le ali o le sviluppavano strada facendo: un simbolo, a sentire Daisy, della loro condizione liminare; ovviamente imparare a volare diventava metafora di 51
aspirazioni temerarie. Ad altri veniva attribuito un olfatto prodigioso, altri ancora precipitavano illesi da velivoli ad alta quota. Un visionario vedeva dalla finestra di un pub i suoi genitori che, alcune set- timane dopo il suo stesso concepimento, discutevano l'eventualità di abortirlo. Un uomo che cerchi di alleviare la sofferenza di menti difettose riparando cervelli è condannato a portare rispetto al mondo della materia, ai suoi limiti, e a ciò che è in grado di alimentare - nientemeno che la coscienza. Per lui non si tratta di un articolo di fede, ma di qualcosa che constata giorno dopo giorno: la mente è ciò che il cervello, mera materia, può eseguire. Se da un lato questo fatto incute timore, dall'altro merita anche curiosità; la sfida dovrebbe riguardare il reale, non il magico. Quell'elenco di letture consigliate ha convinto Perowne che il sovrannaturale rappresenta il ripiego di un'immaginazione inadeguata, un'omissione del proprio dovere, una fuga puerile dalle difficoltà e dalle meraviglie del vero, dall'onerosa ricostruzione del plausibile. «Basta tamburini magici, - l'ha supplicata per lettera, dopo aver concluso la propria tirata. - Ti prego, niente più spettri, angeli, demoni o metamorfosi. Quando può succedere qualsiasi cosa, niente risulta importante. Per me sono tutte ciarlatanerie». «Che ignorante, - ha replicato lei su una cartolina. - Sei il solito Mr Gradgrind. Questa è letteratura, non fisica! » (Nota: Mr Gradgrind. Personaggio di Tempi difficili, assunto da Dickens a paradigma di un positivismo ottuso [N.d. TI. Fine nota.) Non avevano mai sostenuto uno dei loro frequenti litigi per posta. Lui le ha scritto: «Vaglielo a dire al tuo amato Flaubert, o a Tolstoj. Tra tutti e due, mai che ricorrano a una sola creatura alata ! » E lei, a stretto giro di posta: « Sarà meglio che ti rilegga Mme Bovary, seguito da una serie di riferimenti di pagine. - E proprio dai tipi come te che Flaubert mette in guardia il mondo», con le tre parole chiave ben sottolineate. Fino a oggi, le letture consigliate di Daisy lo hanno convinto che la narrativa è troppo soggetta ai limiti naturali, troppo inesatta e approssimativa per ispirargli meraviglia incondizionata nei riguardi dello splendore dell'ingegno umano, dell'impossibile realizzato incantevolmente. Forse soltanto la musica possiede tanta purezza. Più di tutti gli altri, Henry ammira Bach, specie le composizioni per clavicembalo; ieri in sala chirurgica, mentre operava l'astrocitoma di Andrea, si è ascoltato due Partite. Poi vengono i soliti nomi: Mozart, Beethoven, Schubert. I suoi idoli del jazz: Evans, Davis, Coltrane. Cézanne, tra i tanti pittori, e certe cattedrali che ha visitato durante le vacanze. Oltre 52
alle arti, il suo elenco di esempi di eccellenza comprenderebbe La Teoria Generale di Einstein, di cui ha fugacemente afferrato i passaggi matematici intorno ai vent'anni. Dovrebbe proprio stilarlo quell'elenco, decide scendendo l'ampia scala di pietra che porta al pianoterra, ma sa che non lo farà mai. Opere che non puoi nemmeno sognarti di intraprendere in prima persona, che rivelano l'inesorabilità pressoché disumana di una perfezione in sé conclusa: ecco la sua idea del genio. Questa certezza di Daisy che la gente non possa «vivere» senza storie molto semplicemente è falsa. E lui ne è la prova vivente. Davanti alla porta raccoglie la posta e i giornali. Mentre scende in cucina scorre i titoli in prima pagina. Blix annuncia alle Nazioni Unite che gli iracheni stanno cominciando a collaborare. Dal canto suo, il primo ministro dovrebbe chiarire oggi nel corso di un intervento a Glasgow le ragioni umanitarie del conflitto. L'unico aspetto che, secondo Perowne, valga la pena di sottolineare. Ma la recente posizione assunta dal premier appare cinica. Henry sta sperando che il suo fatto di cronaca, verificatosi intorno alle quat-: tro, ce l'abbia fatta a finire nell'ultima edizione londinese. Invece, niente. Nessuno ha più messo piede in cucina da quando ne è usci» to lui. Sul tavolo restano la sua tazza, la bottiglia vuota del l'acqua minerale di Theo e, li vicino, il telecomando. E sempre piuttosto stupefacente questa rigorosa affidabilità degli oggetti, ora rassicurante, altre volte un po' sinistra. Henry prende il telecomando, accende il televisore, azzera l'audio - mancano ancora parecchi minuti al notiziario delle nove -e riempie d'acqua il bollitore. Quali semplici migliorie progressive hanno condotto l'umile bollitore a questo vertice di raffinatezza: la forma a bricco per maggiore efficienza, il materiale plastico per sicurezza, il beccuccio largo per facilità di mescita, la solida piccola base per il passaggio dell'elettricità. Henry non si è mai lamentato dell'oggetto vecchio stile: il difettoso coperchio metallico e la grossa presa nera, mi» naccia elettrica di mani bagnate, gli sembravano appartenere al mondo naturale delle cose. Qualcuno però ci aveva riflettuto con attenzione, e a questo punto non era possibile tornare indietro. La gente dovrebbe farci caso: non è vero che tutto va peggio. Il telegiornale comincia mentre sta macinando il caffè. La nuova cronista è una bella signora di pelle scura le cui sopracciglia ritoccate a disegnare un arco spazioso esprimono sorpresa di fronte alla sfida di un ennesimo inizio di giornata. Prima di tutto, immagini di un convoglio autostradale composto da decine di autobus carichi di manifestanti diretti in città per quello che si presume essere il più imponente corteo di protesta mai visto. Segue il servizio di un cronista in mezzo a un gruppo di dimostranti già radunati sul Lungotamigi. Tanto esibito buonumore risulta sospetto. Sono tutti eccitati di essere insieme per strada, la gente sembra volersi stringere in un grande abbraccio non solo reciproco. Se ritengono - magari a ragione - che iterate torture, esecuzioni sommarie, pulizie etniche e occasionali genocidi siano preferibili a 53
un'invasione, farebbero bene a mantenere un contegno sobrio. L'aereo, quello di Henry, occupa adesso il secondo posto. Le stesse immagini, e solo qualche dettaglio in più: si sospetta che a causare l'incendio sia stato un guasto elettrico a bordo. Accanto ad alcuni agenti, ecco i due russi: il pilota, un tipo grinzoso dai capelli unti, e il suo copilota, grassoccio e inopinatamente allegro. Sembrano abbronzati, o forse sono originari di qualche repubblica meridionale. All'inarrestabile spegnersi di una notizia che ha deluso le aspettative - neanche un malvagio, nemmeno un morto, nessuna ipotizzabile conseguenza - si cerca di rimediare con una dose di problematiche improvvisate: si è rintracciato un esperto dell'aviazione disposto a sostenere che è stato da incoscienti portare il velivolo in fiamme su una zona ad alta densità di popolazione quando esistevano alternative. Un rappresentante delle autorità aeroportuali afferma che i londinesi non sono mai stati in pericolo. Dal governo non è ancora giunto nessun commento. Henry spegne il televisore, avvicina uno sgabello e si mette comodo con caffè e telefono. Prima di poter dare inizio al suo sabato, deve fare la chiamata di controllo in ospedale. Gli passano la Terapia intensiva e lui chiede di parlare con l'infermiera di turno. Mentre qualcuno va ad avvisarla, Henry ascolta il consueto Mormorio di sottofondo, riconosce la voce di un inserviente, sente il rumore di un libro o di una car- tella clinica sbattuti sul tavolo. Poi, il tono impersonale di una persona indaffarata: - Si, Terapia intensiva. - Deirdre ? Credevo ci fosse Charles in servizio questo weekend. - E a casa con l'influenza, dottor Perowne. - Come sta Andrea ? - Il Gcs è quindici, l'ossigenazione buona, è lucida. - Il DVE ? - Sta ancora drenando intorno ai cinque. Pensavo di rimandarla in reparto. - Molto bene, allora, - ha detto Perowne. - Può riferire all'anestesista che sono d'accordo -. E sul punto di riattaccare, ma aggiunge: Vi sta dando qualche problema? - Troppo intontita per ora, dottor Perowne. A noi piace così. Henry prende chiavi, telefono e telecomando del garage da una conca d'argento accanto ai ricettari. Il portafogli è in un cappotto appeso nel vano dietro la cucina, fuori dalla dispensa dei vini. La racchetta da squash è sopra, al pianoterra, nel guardaroba della lavanderia. Si infila un vecchio pile da montagna, e sta per inserire l'allarme antifurto quando gli viene in mente che Theo è in casa. Mentre esce e si volta dopo aver chiuso la porta, sente il grido dei gabbiani in volo verso l'entroterra per il ricco banchetto offerto dalla città. Il sole è basso e soltanto metà della piazza - la sua metà - risulta inondata di luce. Henry se ne allontana seguendo il lustro marciapiede bagnato, stupito dalla freschezza del giorno. L'aria sa quasi di pulito. Ha l'impressione di procedere 54
su una superficie naturale, lungo uno scenario costiero, sopra un lastrone di basalto liscio che ricorda dai tempi di una vacanza infantile. Deve essere stato il grido dei gabbiani a farla riaffiorare. Ha in mente il sapore degli spruzzi di un mare turbolento verdeazzurro e, mentre raggiunge Warren Street, rammenta a se stesso che non deve scordarsi di passare in pescheria. Rinvigorito dal caffè, e finalmente anche dal moto, oltre che dalla prospettiva della partita e dalla gradevole sensazione di stringere in mano la racchetta nella custodia, accelera il passo. Le strade qui attorno sono di solito sgombre di sabato e domenica, ma in fondo, su Euston Road, una gran folla si sta dirigendo verso Gower Street, mentre sulla via procedono a passo d'uomo verso i vicoli a est le stesse colonne di autobus che ha visto al telegiornale. I passeggeri si accalcano ai vetri, smaniosi di scendere in mezzo agli altri. Sventolano gli striscioni dai finestrini, insieme a sciarpe da football e ai nomi di varie cittadine del cuore d'Inghilterra Stratford, Gloucester, Evesham. Dalla fiumana impaziente sui marciapiedi, qualcuno accorda gli strumenti dell'imminente baccano: un trombone, un clacson a pompa, un tamburo lambeg. (Nota: Grosso tamburo usato di solito nelle marce lealiste protestanti in Irlanda [N. d. T.]. Fine nota.) Si sentono stralci di slogan ritmati che da principio Henry non riesce a distinguere. Tum tu tu tum tu tu turn. No all'attacco in Iraq. Cartelli non ancora in servizio sono appoggiati sghembi sulle spalle a varie angolazioni. Non A Nome Mio sfila almeno una dozzina di volte. La sua nauseante autoreferenzialità allude a un nuovo mondo della protesta, nel quale schizzinosi consumatori di shampoo e bibite gassate pretendono di sentirsi bene, o almeno di sentirsi buoni. Henry preferisce il fiacco Basta Con Queste Cose. Passa il cartello di uno dei gruppi organizzatori - Associazione Musulmani Britannici. Se la ricorda bene questa brigata. I suoi portavoce hanno di recente spiegato sul proprio giornale che l'apostasia nell'Islam è un reato punibile con la morte. Dietro di loro arriva uno striscione che annuncia la presenza del Coro Femminile di Swaffham, e infine gli Ebrei Per La Pace. Giunto su Warren Street, svolta a destra. Adesso è rivolto a est, verso Tottenham Court Road. Qui la folla è ancora più immensa, ingrossata dalle centinaia di persone che emergono dalla stazione della metropolitana. Illuminate alle spalle dal sole basso, sagome in controluce avanzano per andare a unirsi a una massa più scura, ma resta tuttora visibile una bancarella di libri, e un chiosco di hot-dog, sfacciatamente installato giusto davanti al McDonald's sull'angolo. È sorprendente il numero di bambini presenti, e perfino di neonati in carrozzina. A dispetto del suo scetticismo, Perowne, in scarpe da tennis 55
immacolate e racchetta impugnata più stretta, prova il fascino e l'emozione tipici di questi eventi; una folla che prende possesso della strada, decine di migliaia di estranei che convergono mossi da un unico scopo, e trasmettono la suggestione di un'euforia rivoluzionaria. Si sarebbe potuto trovare con loro, in spirito almeno, visto che ormài nulla lo distoglierà dalla sua partita, se il professor Taleb non avesse avuto bisogno del clippaggio di un aneurisma all'arteria cerebrale media. Nei mesi successivi a quelle conversazioni, Perowne si è dato alla lettura frenetica di testi sul regime. Ha letto dell'esempio ispiratore di Stalin e della rete di lealtà famigliari e tribali che ha sostenuto Saddam, e dei palazzi assegnati come ricompense. Henry si è addentrato nei ripugnanti dettagli di genocidi a nord e a sud del paese, delle pulizie etniche, del vasto sistema di informatori, delle torture bizzarre, nonché della volontà di Saddam di essere coinvolto in prima persona, e delle strane pene corporali comminate per legge: le marchiature e le amputazioni. Naturalmente, ha seguito con particolare interesse il resoconto delle misure prese nei confronti di chirurghi che si erano rifiutati di effettuare tali mutilazioni. Ha concluso che la perfidia avesse di rado raggiunto livelli simili di inventiva, sistematicità o diffusione. Miri diceva la verità, era sul serio una repubblica della paura. Henry ha letto anche il famoso documento di Kanan Makiya. Appariva chiaro che il principio organizzativo di Saddam era il terrore. Perowne sa bene che quando un impero potente - assiro, romano o americano che sia - muove guerra e proclama di farlo per una giusta causa, la storia non si lascia impressionare. Teme inoltre che l'invasione o l'occupazione possa risolversi in caos. I dimostranti potrebbero non sbagliarsi. E infine riconosce la natura fortuita delle opinioni; se non avesse incontrato e ammirato il professore, avrebbe potuto pensarla in modo diverso, meno indeciso, sul conflitto imminente. Le opinioni sono un lancio di dadi; guarda caso, nessuna delle persone che vaga adesso intorno alla stazione di Warren Street è stata torturata dal regime, o conosce e ama qualcuno che lo sia stato, e neppure sa poi granché perfino dei luoghi in questione. E probabile che la maggioranza abbia appena sentito parlare dei massacri nelle regioni curde dell'Iraq, oppure nel Sud sciita; in compenso ha scoperto di avere molto a cuore la vita degli iracheni. Hanno buone ragioni per pensarla così, non ultima la preoccupazione per la propria sicurezza. Al-Qaeda, si dice, che aborre tanto l'empio Saddam quanto l'opposizione sciita, reagirà alla provocazione di un attacco all'Iraq vendicandosi sulle vulnerabili metropoli dell'Occidente. L'interesse personale rappresenta una causa abbastanza dignitosa, tuttavia Perowne non riesce a condividere con i manifestanti la probabile convinzione di detenere l'appannaggio esclusivo del discernimento morale. Le paninoteche lungo la via sono chiuse per il weekend. Restano aperti soltanto 56
il negozio di strumenti a fiato e l'edicola. Fuori dal restaurant Rive Gauche, il titolare sta usando un secchio di zinco per lavare il marciapiede in perfetto stile parigino. In arrivo verso Perowne, dando le spalle alla folla, c'è un uomo dalla faccia rosea, grossomodo coetaneo di Henry, in berretto da baseball e giubbotto giallo fluorescente, col carretto a mano che adopera per spazzare le strade per il Comune. Sembra curiosamente deciso a fare un lavoro come si deve, ficcando la punta dura della ramazza fin dentro gli angoli del marciapiede, a stanare cartacce. Tanta instancabile accuratezza è imbarazzante da constatare, un silenzioso atto d'accusa per un sabato mattina. Cosa può esserci di più inutile di questa urbana fatica sottopagata quando dietro di lui, al fondo della via, cartoni e bicchieri di carta si ammucchiano a vista d'occhio sotto i piedi dei dimostranti raccolti davanti al McDonald's sull'angolo. E quando oltre ancora, per l'intera metropoli, è la quotidiana tormenta di spazzatura. Mentre i due uomini si superano, i loro sguardi si incontrano per un attimo, inespressivi. Le cornee dello spazzino sono chiazzate intorno di un giallo carico che sfuma in rosso intorno alle palpebre. Per un istante vertiginoso Henry si sente legato a lui, come se fossero insieme su un'altalena, in bilico sopra un asse che potrebbe scaraventarli l'uno nell'esistenza dell'altro. Perowne distoglie lo sguardo e rallenta per poi svoltare nelle rimesse in cui è parcheggiata la sua auto. Come doveva essere riposante una volta, in tempi remoti, essere facoltosi e credere che una onnisciente forza sovrannaturale avesse assegnato a ciascuno la rispettiva stazione di vita. Senza neppure comprendere come tale credenza fosse strumentale al proprio benessere una forma di anosognosia, un opportuno termine psichiatrico per definire l'assenza di consapevolezza riguardo alla propria condizione. E adesso che invece crediamo di capire, come stanno le cose ? Dopo i rovinosi esperimenti del secolo appena trascorso, dopo tante atrocità, dopo così tante morti, si è consolidato un vergognoso agnosticismo su queste faccende che riguardano la giustizia e la ridistribuzione delle ricchezze. Niente più grandi ideali. Il mondo dovrà migliorare, ammesso che sia possibile, a piccolissimi passi. La gente perlopiù assume posizioni fatalistiche: il fatto che a qualcuno tocchi spazzare le strade per guadagnarsi da vivere appare come un semplice caso di malasorte. Questa non è un'età visionaria. Le strade devono essere tenute pulite. Che gli sfortunati facciano regolare richiesta, dunque. Henry procede per una lieve discesa di ciottoli sdrucciolevoli fino all'edificio in cui i proprietari di case come la sua una volta tenevano i cavalli. Attualmente, chi se lo può permettere vizia le proprie auto offrendo loro un posteggio lontano dalla strada. Sul suo portachiavi c'è un pulsante a raggi infrarossi che adesso schiaccia per sollevare una sferragliante saracinesca. Scandita dal susseguirsi di sussulti meccanici si verifica l'apparizione: muso allungato e occhi luminosi rivolti verso la porta della scuderia, impazienti di recuperare la libertà. Una Mercedes 500s d'argento con interni color panna che 57
non lo mette neppure più in imbarazzo. Ha anche smesso di emozionarlo; ormai è soltanto un piacere fra i tanti, che Henry fa rientrare nella generosa fetta di beni di consumo che gli è toccata. Se non fosse sua, cerca di ripetersi, ce l'avrebbe qualcun altro. Non la prende da una settimana, ma nella secca penombra del lindo garage l'auto irradia uno speciale calore animale. Apre la portiera e si siede. Gli piace guidare in logora tenuta sportiva. Sul sedile del passeggero è rimasta una vecchia copia del «Journal of Neurosurgery» che pubblica un suo articolo su un congresso svoltosi a Roma. Ci butta sopra la racchetta da squash. E Theo quello che disapprova con più veemenza, definendola una macchina da dottore, come se si trattasse di una sentenza inappellabile. Daisy, al contrario, è quasi certa che Harold Pinter ne abbia una simile, il che sistema ogni cosa. Rosalind lo ha incoraggiato nell'acquisto. A suo giudizio, l'eccessiva austerità della vita di Henry è dovuta ai sensi di colpa, e non comprarsi mai un vestito, un buon vino o l'occasionale dipinto sfiora la presunzione. Perché continuare a campare da universitario spiantato ? È venuto il momento di recuperare. Per mesi Henry l'ha guidata con un senso di vergogna, senza ingranare quasi mai la quarta, riluttante a effettuare sorpassi, sollecito nel concedere la precedenza, fiscale nel lasciare spazio di manovra a vetture meno costose. A guarirle alla fine è stata una vacanza di pesca in Scozia nordoccidentale in compagnia di Jay Strauss. Sedotto dalle strade deserte e dall'euforica celebrazione del «genio luterano» pronunciata da Jay, Henry si è finalmente riconosciuto come proprietario, padrone del veicolo. Per la verità, in cuor suo ha sempre pensato di essere un buon guidatore; come in sala chirurgica, fermo, preciso, all'erta nella giusta misura. In quell'occasione lui e Jay hanno girato laghi e torrenti a pesca di trote brune. Un pomeriggio piovoso, dando per caso un'occhiata mentre gettava la lenza, Henry ha visto la propria auto, parcheggiata sghemba su un dosso della strada a una cinquantina di metri, stagliarsi nella luce morbida sullo sfondo di un filare di betulle, erica in fiore e di un cupo cielo temporalesco - la visione di un pubblicitario fatta realtà - e, per la prima volta, ha provato la gioia inebriante del possesso. Naturalmente è possibile, nonché ammissibile, amare un oggetto inanimato, ma il massimo vertice della relazione è stato quello; da allora i sentimenti di Henry hanno assunto la forma del moderato piacere sporadico. L'auto gli procura una certa soddisfazione di guida; per il resto del tempo attraversa di rado i suoi pensieri. Secondo la volontà e le promesse dei suoi costruttori, è diventata parte di lui. Ma certe piccole cose continuano a entusiasmarlo parecchio, come l'assenza di vibrazioni del motore di cui solo il contagiri conferma l'avviamento. La radio accesa trasmette un rispettoso e sostenuto applauso, mentre Henry esce a passo d'uomo dal garage, si abbassa la saracinesca alle spalle, procede fuori dalle scuderie e svolta a sinistra, di 58
nuovo in Warren Street. La palestra si trova su Huntley Street in un ex dormitorio per infermiere; una distanza irrisoria, ma ha preso la macchina perché ha alcune commissioni da sbrigare, dopo. Spudoratamente, si gode sempre la città dall'interno ad aria condizionata dell'auto il cui impianto hi-fi conferisce solennità anche ai dettagli più insignificanti: ora ad esempio un trio d'archi di Schubert sta nobilitando il vicolo nel quale transita. E diretto un paio di isolati più a sud, dove attraverserà Tottenham Court Road tagliando a est. Una volta Cleveland Street era famosa per i laboratori di sartoria al limite della legalità e per le prostitute. Ora ospita ristoranti greci, turchi e italiani - del genere modesto che non finisce mai sulle guide - con i dehors dove la gente mangia in esta-. te. C'è un tale che ripara vecchi computer, un negozio di tessuti, un ciabattino e, più giù, un emporio di parrucche molto frequentato dai travestiti. Un discreto esempio della tipica traversa cittadina: multiforme, ottimista, sconosciuta. Ed è a questo punto che Henry ricorda la ragione del suo leggero senso di vergogna o di imbarazzo: la prontezza con cui si è voluto convincere che il mondo sia definitivamente cambiato, che strade innocue come questa con la loro generosa energia vitale possano essere distrutte dal nemico nuovo, uno animato da fervore intenso, carico d'odio, tentacolare e ben organizzato. Quanto appare stupidamente apocalittica tanta apprensione alla luce del giorno, quando l'indubbia realtà delle vie e della gente che le percorre diventa giustificazione e garanzia di se stessa. Fondamentalmente il mondo non è cambiato. Parlare di una crisi della durata di cent'anni sa di compiacimento. Di crisi ce ne sono sempre, e il terrorismo islamico è destinato a ridimensionarsi, insieme alle ultime guerre, ai cambiamenti climatici, alla politica del mercato globale, alla sovrappopolazione e alla carenza d'acqua, a fame, miseria e tutto il resto. Ascolta il brano di Schubert spegnersi dolcemente e riprendere forza. La strada è in forma, e così pure la città»! grandiosa conquista dei vivi e di tutti i morti che l'hanno abitata nel tempo; in forma e robusta. Non si lascerà distruggere tanto facilmente. È troppo sana per lasciarsi andare. La vita che la anima non ha fatto che migliorare nel corso dei secoli per quasi tutti, nonostante i tossici e gli accattoni di oggi. L'aria è migliore, nel Tamigi saltano i salmoni, e stanno tornando anche le lontre. A tutti i livelli, materiale, medico, intellettuale, sessuale, la maggior parte della gente vive meglio. Gli insegnanti che Daisy ha avuto all'università ritenevano superata e ridicola l'idea di progresso. Indignato, Perowne afferra deciso il volante sagomato con la destra. Gli tornano in mente le parole di Medawar, un uomo che ammira: «Irridere alle speranze del progresso è l'estrema stoltezza, la versione contemporanea di povertà di spirito e pochezza d'animo». Ma certo, è da cretini farsi irretire con la storia dei cent'anni. Negli ultimi mesi da universitaria di Daisy, Henry è andato ad assistere a una giornata di lezioni aperte. I giovani intellettuali da quelle parti amano presentare la vita 59
moderna come un susseguirsi di calamità. E la cifra del loro stile, il loro modo di mostrarsi intelligenti. Non sarebbe chic né serio annoverare la vittoria sulla varicella come parte della condizione moderna. O il recente diffondersi dei regimi democratici. Quella sera uno dei conferenzieri ha tenuto un discorso sulle prospettive della nostra civiltà tecnologica e consumistica: non buone. In compenso, qualora l'attuale ordine delle cose sia spazzato via, il futuro tornerà a guardare a noi come a esseri divini, di sicuro in questa metropoli, fortunate divinità propiziate da cornucopie di merce, torrenti di informazioni, abiti caldi e leggerissimi, aspettative di vita prolungate, apparecchiature strabilianti. Siamo nell'era delle apparecchiature strabilianti. Telefoni portatili poco più voluminosi di un orecchio. Vaste biblioteche musicali contenute dentro un oggetto grande come la mano di un bambino. Macchine fotografiche in grado di inviare istantanee in giro per il mondo. Senza il minimo sforzo, Henry ha ordinato via Internet l'aggeggio su cui sta viaggiando grazie a uno strumento che sta sulla sua scrivania. Il sistema stereotattico computerizzato di cui si è servito non più tardi di ieri ha trasformato il modo in cui esegue le biopsie. L'intrattenimento digitalizzato collega i due giovani cinesi che procedono mano nella mano ascoltando il loro stereo attraverso un connettore a Y. E lei quasi saltella, la giovane donna affilata in tuta traslucida, mentre sospinge il passeggino a tre ruote, pieghevole, adatto a tutti i tipi di fondo stradale. Per la verità, tutte le persone che Henry sta superando lungo questa traversa senza pretese sembrano abbastanza soddisfatte, non meno di lui, insomma. Ma per i professori universitari, per gli umanisti in genere, la disperazione si presta di più allo studio analitico: la contentezza è un osso più duro, invece. Nello spirito di un'impetuosa celebrazione dei tempi, Perowne sterza energicamente e dirige a est la Mercedes, imboccando Maple Street. Il suo benessere sembra avere bisogno di entità spettrali alle quali opporsi, figure di sua invenzione da poter sconfiggere. Gli capita di sentirsi così prima di una partita. Non si piace particolarmente in questa veste, ma il flusso inarrestabile dei pensieri è solo in parte sotto il suo controllo: la deriva, il rumore bianco della meditazione solitaria dipendono dal suo stato d'animo. Forse non è felice affatto in realtà, forse si sta solo tirando su di morale. Sta superando l'edificio sottostante la torre dell'Ufficio postale, meno brutto ultimamente grazie all'ingresso in alluminio, ai rivestimenti metallici azzurri e alla geometrica teoria di finestre e griglie di ventilazione che assomiglia alle linee di un Mondrian. Più avanti però, dove Fitzroy diventa Charlotte Street, il quartiere si riempie di miseri palazzi di uffici e dormitori studenteschi: infissi malandati, pretese modeste, provvisorietà. Sotto la pioggia, e con l'umore giusto, capita di ritrovarsi con la fantasia nella Varsavia comunista. Solo quan» do sarà stato demolito un numero sufficiente di 60
edifici simili, sarà possibile tornare ad apprezzarli. Al momento Henry viaggia parallelo a Warren Street, due isolati più sotto. E ancora turbato dalla stranezza del proprio umore, questa euforia alterata da un senso di aggressione. Avvicinandosi a Tottenham Court Road, dà inizio al consueto rito: l'elenco degli ultimi avvenimenti che possono aver dato origine al suo stato d'animo. Il fatto che lui e Rosalind abbiano fatto l'amore, che sia sabato mattina, che questa auto gli appartenga, che non sia morto nessuno sull'aereo, che lo aspetti una partita, che la giovane Chapman e gli altri suoi pazienti siano stabili, che Daisy stia per tornare - tutto ciò nella colonna del positivo. E dall'altra parte ? Dall'altra parte, in questo momento ha messo il piede sul freno. Un agente motorizzato in giubbotto giallo si è fermato in mezzo a Tottenham Court Road, alzando un braccio per fargli segno di bloccarsi. Ah certo, la via è chiusa al traffico per la marcia. Avrebbe dovuto saperlo. Perowne tuttavia continua a procedere, in progressivo rallentamento, come se fingere di non sapere potesse esimerlo dall'ubbidire - in fondo vuole soltanto attraversare la strada, non percorrerla; o comunque, è deciso ad affrontare la breve messinscena che lo aspetta tra il poliziotto irriducibile, ma condiscendente, e il cittadino solennemente remissivo. Si ferma all'incrocio delle due vie. E in effetti, l'agente gli sta venendo incontro, con uno sguardo rivolto ai dimostranti in fondo alla strada e un paziente sorriso tirato con il quale sembra voler dire che, dipendesse da lui, avrebbe già bombardato non solo l'Iraq, ma anche molti altri paesi. Perowne, rilassato al volante, vorrebbe a sua volta rispondere con un sorriso complice a labbra serrate, non fosse che si verificano due cose allo stesso tempo. Alle spalle del poliziotto, tre uomini, due alti e uno basso e tarchiato in completo nero, si stanno precipitando fuori da un locale di lap-dance, lo Spearmint Rhino, rischiando quasi di inciampare nello sforzo di non mettersi a correre. Quando svoltano l'angolo e si immettono nella via che Perowne vorrebbe imboccare, non si trattengono più. Mentre il più basso dei tre arranca dietro agli altri, filano verso una macchina parcheggiata lungo il marciapiede. La seconda cosa che succede è che l'agente, ignaro della loro presenza, si blocca di scatto prima di raggiungere Perowne e si porta una mano all'orecchio sinistro. Annuisce e parla dentro un microfono posizionato davanti alla bocca, per poi dirigersi verso la propria motocicletta. Infine, ricordando che cosa stava per fare, si volta indietro. Perowne incrocia il suo sguardo e, con un'espressione tra il colpevole e l'interlocutorio, indica University Street dall'altra parte della strada. L'agente si stringe nelle spalle e gli fa un cenno con la mano, come a dire, D'accordo, passa pure, ma in fretta. Al diavolo. I dimostranti sono ancora quasi tutti in fondo alla via, e intanto ha ricevuto nuove istruzioni. Perowne non è in ritardo per la partita, e nemmeno ha premura di attraversare. 61
La macchina gli piace, ma non si è mai interessato ai dettagli delle sue prestazioni, tipo l'accelerazione da ferma. Suppone debba essere ragguardevole, ma non l'ha mai messa alla prova. E decisamente troppo vecchio per sgommare ai semafori. Ingranando la prima, controlla diligentemente a destra e a sinistra, anche se il flusso è a senso unico in direzione nord; sa bene che i pedoni potrebbero arrivare da entrambe le parti. Se supera rapidamente le quattro corsie della strada, è solo per riguardo nei confronti dell'agente che sta già avviando la moto. Perowne non vorrebbe farlo finire nei guai con i superiori. E nel suo gesto con la mano c'era qualcosa che comunicava il bisogno di procedere in fretta. Dopo aver percorso la ventina di metri che lo separano dall'imbocco con University Street, vale a dire nel momento in cui inserisce la seconda, è probabile che Perowne stia viaggiando a trentacinque chilometri all'ora. Quaranta, forse. Quarantacinque a dire tanto. Ma già mentre cambia marcia, si prepara a rallentare, prima della svolta a destra in Gower Street, pure quella chiusa al traffico. E il moto in avanti funziona da stimolo, lo restituisce istantaneamente all'elenco delle cause distali e prossimali del suo stato emotivo. Un secondo può essere un tempo rilevante se dedicato all'introspezione. Quanto basta a Henry comunque per dare inizio alla lista dei fattori negativi, e di sicuro quanto basta per fargli pensare, o percepire, senza nemmeno formulare l'idea in sintassi e parole, che in effetti sono le condizioni in cui versa il mondo a turbarlo di più, quelle condizioni che i dimostranti sono li a ricordargli. E probabile che il mondo sia radicalmente cambiato e del problema ci si sta occupando da sprovveduti, a partire dagli americani. C'è gente in giro per il pianeta, una rete di gente bene organizzata, che vorrebbe uccidere lui, la sua famiglia e i suoi amici per dimostrare qualcosa. Il numero dei morti possibili non è più in discussione; ci saranno altri morti su scala analoga, probabilmente in questa città. È così spaventato da non riuscire a contemplare l'idea? Affermazioni e domande non si articolano in modo esplicito. Henry le percepisce più come una sorta di scrollata di spalle mentale, seguita da un impulso interrogativo. Si tratta di quel linguaggio pre-verbale che i linguisti chiamano mentalese. Non una vera e propria lingua, piuttosto una matrice di schemi mutevoli che rinsaldano e comprimono senso nel giro di frazioni di secondi, e che lo amalgamano inseparabilmente con la sua inconfondibile tonalità emotiva la quale a sua volta ricorda molto un colore. Un giallo nauseabondo. Anche potendo contare sul talento sintetico di un poeta, potrebbero volerci centinaia di parole e parecchi minuti per descriverlo. Perciò, quando un lampo di rosso fa irruzione da sinistra nel suo campo visivo periferico, come una sagoma sulla retina in una crisi di insonnia, esso risulta già dotato della qualità di un'idea, un'idea nuova, inattesa e pericolosa, ma tutta sua se non altro, e non del mondo esterno. Henry si sta inserendo con automatica perizia nella stretta corsia delimitata a 62
destra dal cordolo di una pista ciclabile, e a sinistra da una fila di auto parcheggiate. E da questo confine che si sprigiona il pensiero e, con esso, lo schianto di uno specchietto tranciato insieme allo stridore di lamiere sfregate mentre due auto contemporaneamente si immettono in un corridoio largo abbastanza ad accoglierne una soltanto. La decisione impulsiva di Perowne al momento dell'impatto è quella di accelerare e di sterzare a destra. I rumori proseguono: lo strepito intermittente dell'auto rossa alla sua sinistra che intanto raschia una mezza dozzina di macchine ferme, e il suono di asfalto che striscia contro la gomma, una specie di applauso amplificato che accompagna il sussulto della Mercedes sul cordolo della pista ciclabile. Vi atterra anche la ruota posteriore. A quel punto Henry è davanti all'intruso e incomincia a frenare. Le vetture si fermano sghembe a una ventina di metri l'una dall'altra, i motori si spengono e per un istante c'è solo silenzio, e nessuno scende. Secondo la media degli incidenti stradali del giorno d'oggi - Henry si è fatto un totale di cinque anni di Pronto soccorso e Traumatologia - si tratta di una faccenda di poco conto. Nessuno può essersi fatto male, e a lui non toccherà assumere il ruolo di medico sulla scena del sinistro. Gli è capitato due volte negli ultimi cinque anni, in entrambi i casi per infarto, una volta in volo verso New York e l'altra durante un'ondata di caldo nel mese di giugno, in un teatro londinese male aerato: entrambe le circostanze si rivelarono insoddisfacenti e complesse. Non è sotto shock, non si sente innaturalmente calmo né euforico né frastornato, ci vede benissimo, non sta tremando. Ascolta il ticchettio del metallo caldo che si contrae. Quello che prova è una crescente irritazione in lotta contro un'assennata cautela. Non gli serve scendere a guardare - una fiancata dell'auto è rovinata. Già prevede le settimane, i mesi di scartoffie, l'iter assicurativo di richieste e controproposte, le telefonate, i ritardi in carrozzeria. Alla sua auto è stata sottratta un'integrità originaria che resterà irrecuperabile, per quando valida sia la riparazione. C'è poi da considerare l'impatto sull'asse frontale, i cuscinetti, quei misteriosi meandri meccanici che evocano l'essenza stessa di un tormento duraturo: ruota dentata e pignone. La sua macchina non sarà mai più quella di prima. Ha subito danni irrimediabili, e altrettanto vale per il suo sabato. Niente partita. Ma soprattutto, gli sta montando dentro un'emozione propria dei tempi: la rettitudine dell'automobilista, capace di saldare la passione per la giustizia al brivido dell'odio, e al servizio della quale una discreta serie di logori luoghi comuni si accalcano nei suoi pensieri come rinvigoriti, spurgati di ogni sospetto di stereotipo: e già, si immette, lui, e la freccia? stupido bastardo, manco ha guardato, a cosa gli serve lo specchietto, brutto bastardo figlio di puttana. L'unico individuo al mondo che Henry odia è seduto nell'auto dietro la sua e dovrà per forza parlargli, confrontarsi con lui, consegnargli i dati dell'assicurazione e prendere i suoi, il tutto quando potrebbe stare in palestra 63
a giocare a squash. Ha la sensazione di essere stato escluso. Gli pare perfino di visualizzare la scena: immemore lungo una traversa ecco filare l'altra più ragionevole versione di sé, come un immateriale parente ricco che, serio e soddisfatto, si muova libero nel proprio sabato, e lo lasci indietro avvilito, in balia della sua sorte ineluttabile e assurda. Tutto questo è vero. Il fatto di doverselo dire tradisce quanto poco, per ora, ci creda. Prende la racchetta caduta ai piedi del sedile e la rimette sopra la copia del «Journal». La mano destra è sul fermo della portiera. Ma non si muove ancora. Sta guardando nello specchietto. Ha buone ragioni per essere prudente. Come prevedeva, sono tre le teste sull'auto dietro la sua. Henry è consapevole di andare soggetto a presupposizioni avventate, perciò cerca di esaminarne ora la correttezza. Per quanto ne sa, gli spettacoli di lap-dance sono conformi alla legge. Se tuttavia avesse visto i tre uomini precipitarsi fuori, seppure furtivamente, dalla Wellcome Trust o dalla British Library, forse a questo punto sarebbe già sceso dall'auto. Il fatto che andassero di corsa lascia supporre che tale ritardo potrebbe irritarli ancora più di quanto non innervosisca lui. L'auto è una Bmw serie cinque, veicolo che Henry associa immotivatamente al mondo del crimine, dello spaccio di droga. Inoltre gli uomini sono tre e non uno. Il più basso occupa il sedile anteriore del passeggero la cui portiera si sta aprendo mentre lui osserva, seguita a ruota da quella del posto di guida, e infine dalla posteriore destra. Perowne, che non intende lasciarsi impegnare in una conversazione restando seduto, scende dall'auto. Il mezzo minuto di pausa ha conferito alla circostanza un'atmosfera di gioco in cui i calcoli sono già stati fatti. I tre uomini hanno a loro volta motivo di temporeggiare e discutere la mossa successiva. E importante, pensa Perowne, mentre fa il giro e si porta davanti alla propria vettura, per ricordare a se stesso che ha ragione e che è in collera. Ma che deve anche essere cauto. Tali concetti incongrui tuttavia non gli sono d'aiuto, perciò decide che gli conviene affrontare il contraddittorio spontaneamente, senza imporsi alcun regolamento di massima. Il suo istinto dunque è quello di ignorare i tre uomini, allontanarsi da loro, e procedere intorno alla Mercedes per andare a controllare il danno subito dalla fiancata. Ma pur assumendo una postura di debita indignazione, le mani sui fianchi, Henry sorveglia con la coda dell'occhio il gruppo che adesso avanza compatto. A prima vista, sembra non esserci il minimo danno. Lo specchietto laterale è al suo posto, non si vedono ammaccature sulla carrozzeria; sorprendentemente la vernice argento metallizzato risulta perfetta. Henry si china a controllare l'effetto da una diversa angolazione di luce. A dita divaricate, accarezza la lamiera, come se sapesse davvero che cosa sta facendo. Niente. Neanche un graffio. In termini di strategia immediata, il fatto sembra costituire uno svantaggio per lui. Non ha niente da mostrare a giustificazione della sua rabbia. Se danno c'è stato, deve essersi prodotto tra le ruote anteriori, in un punto nascosto alla vista. 64
Gli uomini si sono fermati a guardare qualcosa in strada. Il tipo tarchiato in completo nero sfiora con la punta della scarpa lo specchietto saltato via e lo rigira a terra come potrebbe fare con il cadavere di un animale. Uno degli altri due, un uomo alto dal mesto viso equino, lo raccoglie tenendolo con delicatezza tra le mani a coppa. Entrambi abbassano gli occhi sull'oggetto, poi, a un commento del piccoletto, si voltano simultaneamente verso Perowne, con brusco stupore, come cervi disturbati nel folto del bosco. Per la prima volta, Henry è attraversato dal pensiero che potrebbe correre qualche pericolo. Chiusa al traffico su entrambi i lati, la via è completamente deserta. Dietro gli uomini, su Tottenham Court Road, una fila irregolare di dimostranti si dirige a sud per raggiungere il grosso del corteo. Perowne si lancia un'occhiata alle spalle. Laggiù, in Gower Street, la marcia vera e propria ha avuto inizio. Migliaia di persone ammassate in un'unica fitta colonna procedono verso Piccadilly, le insegne eroicamente puntate in avanti, come vuole l'iconografia rivoluzionaria. Dai volti, le mani, i vestiti, emanano il colore intenso proprio dell'umanità concentrata, quasi come un calore. Per accrescere l'effetto drammatico, marciano in silenzio al ritmo luttuoso dei loro tamburi. I tre uomini riprendono ad avvicinarsi. Come prima, li precede il più piccolo di statura - grossomodo sul metro e sessantacinque, sessantotto. Ha un'andatura curiosa, con una lieve torsione laterale del tronco flesso, come se stesse spingendo un barchino su un tratto calmo di fiume. Il barcaiolo dello Spearmint Rhino. Magari ascolta della musica dalle cuffie. C'è gente che non farebbe un passo, che non litigherebbe nemmeno, senza colonna sonora. Gli altri due hanno modi da subalterni, da gregari. Sono in scarpe da ginnastica, tuta, felpa con cappuccio, classica divisa da strada, talmente diffusa da non essere più nemmeno uno stile. Qualche volta Theo si veste così per non dover decidere come vestirsi, sostiene. Il tipo dalla faccia equina continua a reggere lo specchietto con entrambe le mani, si presume per dimostrare qualcosa. L'incessante rintocco dei tamburi non aiuta la situazione, e il fatto che una simile massa di persone sia nelle vicinanze, ignara di lui, fa sentire Henry ancora più isolato. Meglio non smettere di mostrarsi concentrati. Si abbassa più accosto alla macchina e nota una lattina schiacciata di CocaCola sotto la ruota anteriore. Si accorge intanto, al tempo stesso con sollievo e con irritazione, di una chiazza anomala sulla portiera posteriore dove la vernice è meno lustra, come se fosse stata passata con fine tela smeriglio. Certamente il punto di contatto, una superficie non superiore ai sessanta centimetri. Che colpo di genio, sterzare prima di mettere il piede sul freno. Si sente più forte adesso, mentre si tira su per fronteggiare gli uomini che gli si stanno parando davanti. A differenza di certi suoi colleghi - gli psicopatici della chirurgia -, Henry non va proprio matto per il corpo a corpo. Non è il tipo che ama brandire il machete. Ma, insieme al resto, l'esperienza clinica esercita una forza abrasiva, 65
temprante, destinata a limare la sensibilità del singolo. Pazienti, giovani medici, famigliari straziati da un lutto recente, e naturalmente la direzione: è inevitabile che nel corso di due decenni ci siano stati momenti in cui Perowne si è visto costretto a mantenersi saldo, a dare spiegazioni, oppure a placare la furia improvvisa di accessi emotivi. Di solito si tratta di cose di molto peso per i colleghi, questioni di gerarchie e di orgoglio professionale, o di risorse ospedaliere sprecate; per i pazienti, della perdita di una funzione fisica; per i famigliari, della scomparsa improvvisa di una moglie, di un figlio -, roba più grossa di un graffio sull'automobile insomma. Specie quando coinvolgono dei malati, questi momenti hanno in sé una sorta di purezza, di innocenza; ogni cosa si riduce ai principi essenziali del vivere: memoria, vista, capacità di riconoscere facce, dolore cronico, funzioni motorie, perfino consapevolezza di sé. Sullo sfondo, circonfuse da un fioco chiarore, sono le istanze della scienza medica, da un lato coi suoi prodigi e la fiducia che ispira, dall'altro, benché in lenta riduzione, con l'ignoranza tuttora vasta riguardo a mente, cervello e rapporto tra i due. La regolare perforazione del cranio con esiti vagamente positivi è avventura recente. È ineluttabile imbattersi nel fallimento talvolta e, quando capita, quando si arriva a dover mettere le carte in tavola con i parenti in studio, nessuno sente il bisogno di calcolare le mosse o le parole, nessuno si sente osservato. Si butta fuori tutto. Tra le conoscenze di Perowne ci sono quei medici che non si occupano del cervello ma solo della mente, dei disturbi di coscienza; tali colleghi sono fedeli a una tradizione, a un corpo di consolidati pregiudizi - di questi tempi raramente espressi in forma diretta - in base ai quali i neurochirurghi sarebbero incompetenti pieni di sé dotati di strumenti inefficaci, grossolani aggiustaossa lasciati liberi di trafficare con il più complesso meccanismo dell'universo conosciuto. Quando un intervento fallisce, pazienti e famigliari tendono ad abbracciare questa visione delle cose. Ma è già tardi. Ciò che si dice a quel punto è di una tragica sincerità. Per quanto tremendi e colmi di pathos risultino tali obblighi, indipendentemente dalla consapevolezza di essere calunniato dalla memoria scadente o tendenziosa del paziente riguardo al modo in cui gli erano stati prospettati i possibili rischi, e indipendentemente anche dalla solida certezza di aver lavorato al meglio consentito dalle attuali conoscenze e tecnologie, Perowne ne emerge ogni volta non solo abbattuto - ha palesemente fallito nel compito di ridurre il livello delle aspettative - ma misteriosamente purificato: dall'esperienza di uno scambio umano autentico, elementare in un certo senso quanto l'amore. Qui in University Street invece è impossibile non rendersi conto che sta per avere inizio una messinscena. In tenuta da spaventapasseri, col suo logoro pile, la maglia piena di buchi, i calzoni coperti di macchie e tenuti su da una corda intrecciata, Henry sta ritto accanto alla sua potente vettura. È entrato nella 66
parte, e non ha via d'uscita. Ecco un esempio di quello che alla gente piace chiamare teatro urbano. Un secolo di cinema e cinquantanni di televisione hanno reso l'esperienza insincera. Artificio puro. Ci sono le macchine, e i proprietari. Ci sono loro, gli estranei, ed è in discussione la dignità di tutti. Qualcuno sarà costretto a imporsi e ad avere la meglio, qualcun altro a cedere. La cultura popolare ha logorato allo stremo, reiterandola, la successione dei fatti, questo remoto patrimonio genetico che lubrifica in modo analogo le lotte tra rane toro, galletti e cervi maschi. E a dispetto di un codice rilassato e permissivo in fatto di abbigliamento, esistono regole di un rigore da politesse di Versailles alle quali nessun singolo aggregato genetico è in grado di sottrarsi. Per cominciare, non è consentito riconoscere l'imbarazzo della circostanza in sé, né il suo aspetto di prepotente ironia: da in cima alla strada arriva il baccano di passi e tamburi tribali dei venditori di pace. Inoltre, non si può prevedere nulla, eppure ogni cosa, nell'atto stesso del verificarsi, sembrerà aver rispettato un copione. - Sigaretta? Ecco, ci siamo. Non poteva che incominciare così. Con un gesto antiquato, l'altro guidatore offre il pacchetto e lo accompagna con uno scatto del polso, sistemando le sigarette senza filtro come una serie di canne d'organo. La mano protesa verso Perowne è grande, considerata la statura dell'uomo, e di un pallore asciutto, con ricci peli neri che dal dorso si estendono fino alle giunture interfalangee distali. Anche il persistente tremore attira l'attenzione professionale di Perowne. Forse può essere rassicurante la constatazione di una presa malferma. - No, grazie. L'uomo se ne accende una e soffia il fumo al di là di Henry il quale risulta già sotto di un punto - non abbastanza uomo da farsi una sigaretta, e soprattutto da offrire qualcosa. E fondamentale non mostrarsi passivi. La prossima mossa deve toccare a lui. Tende a sua volta la mano. - Henry Perowne. - Baxter. - Signor Baxter ? - Baxter. La mano di Baxter è grande, quella di Henry lievemente più, ma nessuno dei due azzarda esibizioni di forza. La stretta è breve e leggera. Baxter è uno di quei fumatori la cui epidermide emana un aroma, l'essenza oleosa di un'abitudine. A qualcuno capita la stessa cosa con l'aglio. Può darsi dipenda dai reni. E un giovane nervoso, la faccia minuta, sopracciglia spesse e capelli castano scuro rasati a pochi millimetri dal cranio. La bocca appare turgida e sporgente, e l'ombra uniforme di una vigorosa ricrescita di barba aumenta la somiglianza con un muso d'animale. L'aspetto generis camente 67
scimmiesco è completato dalle spalle cascanti, mentre i trapezi scolpiti suggeriscono ore passate in palestra, forse per rimediare alla scarsa statura. Il completo stile anni Sessanta - attillato, risvolti abbondanti, calzoni a vita bassa, senza pince - tira un po' intorno all'unico bottone della giacca. Altra tensione è evidente nel tessuto in zona bicipiti. L'uomo fa per voltarsi e allontanarsi da Perowne, ma cambia idea. Dà l'impressione di una scalpitante impazienza, di un'energia distruttiva sul punto di sprigionarsi. Potrebbe colpire da un momento all'altro. Perowne è abbastanza aggiornato sulla letteratura corrente in tema di violenza. Non sempre si tratta di una patologia; determinati organismi sociali concentrati su se stessi ritengono ragionevole l'occasionale ricorso alla violenza. Tra esperti di teoria del gioco e criminologi radicali, la progenie di Thomas Hobbes è in continuo aumento. Esercitare il controllo su ribelli e facinorosi rientra nel famoso «potere comune» deputato a tenere ogni uomo in soggezione: ci vuole un organismo governativo, un braccio dello stato, cui sia conferito il monopolio sull'uso legittimo della violenza. Ma spacciatori e magnaccia, per citare due categorie che vivono al di là della legge, non sono propensi a rivolgersi al Leviatano componendo le tre cifre del pronto intervento; quella è gente che le grane le risolve a modo suo. Perowne, quasi una spanna più alto di Baxter, pensa che se si dovesse venire alle mani gli converrà proteggersi i testicoli. Ma l'idea è ridicola; non ha più fatto a pugni dall'età di otto anni. Tre contro uno. Dovrà semplicemente impedire che succeda. Subito dopo la stretta di mano, Baxter dice: - Scommetto che non vedi l'ora di dirmi quanto ti spiace, giusto ? - Si guarda indietro, cercando con gli occhi, oltre la Mercedes, la propria auto parcheggiata storta in mezzo alla strada. Alle spalle della vettura, a poco meno di un metro da terra, si nota la strisciata irregolare prodotta dalla maniglia della Bmw sulla fiancata di una mezza dozzina di auto ferme. La comparsa nella via di anche un solo titolare indignato basterà a far scattare una valanga di ricorsi assicurativi. A Henry, che in fatto di scartoffie ha una bella esperienza, già sembra di immaginare il supplizio di quelle lungaggini. Molto meglio trovarsi nei panni di una delle molte vittime, che non del primo colpevole. Risponde: - A dire il vero mi spiace parecchio che lei si sia immesso senza guardare. E sorpreso di sé. La pretenziosa e vagamente desueta espressione «a dire il vero» non rientra nel suo lessico abituale. Utilizzarla implica certe scelte; non ha intenzione di simulare un linguaggio da strada. E deciso a sottolineare la propria dignità professionale. Baxter appoggia la mano sinistra sulla destra, come a placarla. Con tono paziente dice: - E perché dovevo guardare? Tottenham Court Road è chiusa. Sei tu 68
che non ci dovevi essere. E Perowne: - Il codice della strada va rispettato lo stesso. In ogni caso, un agente di polizia mi ha fatto segno di passare. - Un agente di polizia ? - Baxter scandisce bene le sillabe conferendo alle parole un che di puerile. Si rivolge ai suoi amici. - Avete visto un agente di polizia voi? - Poi, di nuovo a Perowne, con fasulla buona creanza: - Lui è Nark, e lui Nigel. Fino a questo momento, i due se ne sono rimasti in disparte, alle spalle di Baxter, ad ascoltare imperturbabili. Nigel è quello con la faccia da cavallo. L'altro potrebbe fare l'informatore, o essere un tossicodipendente oppure, a giudicare dall'espressione comatosa, andare soggetto a episodi di narcolessia. - Niente agenti di polizia da queste parti, - spiega Nigel. - Tutti sotto con quella feccia in corteo. Perowne finge di ignorare entrambi. È con Baxter che se la deve vedere. - A questo punto, conviene che ci scambiamo i dati dell'assicurazione -. Sghignazzano tutti e tre, ma lui prosegue: - Se non riusciamo a metterci d'accordo sulla dinamica, chiamiamo la polizia -. Dà un'occhiata all'ora. Jay Strauss sarà in campo a scaldare la palla. E ancora possibile risolvere la questione e raggiungerlo. Baxter non ha reagito all'ipotesi della telefonata. In compenso, prende lo specchietto dalle mani di Nigel e lo mostra a Perowne. La ragnatela di incrinature sul vetro riflette il cielo in un balenante mosaico di bianchi e di azzurri striati, nella mano agitata di Baxter. Il tono di voce è affabile. - Ti va di lusso che ho un amico carrozziere, e costa anche poco. Ma vedessi come lavora. Io dico che con trecentocinquanta mi rimette in sesto. Nark si risveglia. - C'è un bancomat qui all'angolo. E Nigel, come piacevolmente sorpreso all'idea, commenta: - Giusto. Se vuoi ti accompagniamo. I due si sono spostati e attualmente si può quasi dire che fiancheggino Henry. Baxter intanto arretra. Tali manovre sono goffamente studiate, come un balletto di bambini maldestri. L'attenzione di Perowne, il suo occhio clinico, torna a posarsi sulla mano destra di Baxter. Quello non è un semplice tremore, bensì un tremito irrefrenabile che coinvolge praticamente ogni muscolo. La riflessione al riguardo lo calma, nonostante senta le spalle di entrambi gli uomini esercitare una lieve pressione contro il suo pile. Per qualche perverso motivo, non crede più di essere in grave pericolo. È difficile prendere sul serio questi tre; l'idea del contante sa di bluff, di infantile. Ogni frase pronunciata ricorda la battuta di un copione già sentito dozzine di volte e mezzo dimenticato. Il baccano di una tromba soffiata a dovere fa voltare tutti e quattro verso il corteo. Si tratta di una rapida serie di note staccate che si concludono in un sovracuto. Potrebbe essere un passaggio da una cantata di Bach, infatti Henry immagina subito una voce di soprano e l'attacco di un'aria dolce e malinconica 69
con, in sottofondo, il sostegno energico e regolare di un violoncello. Su Gower Street il progetto di una marcia funebre austera non regge più. Troppo difficile realizzarlo con migliaia di persone incolonnate su centinaia di metri di strada. Ormai slogan e applausi salgono e scendono di volume mentre sezioni diverse del corteo sfilano all'incrocio con University Street. Con lo sguardo fisso su di loro, Baxter assume un'espressione vagamente distorta, contratta dallo sdegno. Il pensiero di Henry va d'istinto a una frase da manuale, come poc'anzi alla melodia da cantata: il modesto incremento di adrenalina starà favorendo le sue associazioni mentali. O magari le tensioni della settimana appena conclusa tardano a liberarlo dall'abitudine, dal consueto gioco intellettuale di formulare una diagnosi. La frase recita, illusorio senso di superiorità. Si, potrebbe trattarsi di una lieve alterazione della personalità che anticipa i primi tremori, in qualche modo meno seria, meno invalidante di quelle altre condizioni neurologiche: grandiosità, delirio di superiorità. Ma è possibile che ricordi male. La neurologia non è il suo campo. Mentre Baxter scruta i dimostranti, la sua testa compie movimenti infinitesimali, piccoli scatti in tutte le direzioni. Osservandolo di nascosto per alcuni secondi, Perowne d'improvviso capisce: Baxter non è in grado di eseguire movimenti saccadici, quei rapidi spostamenti oculari detti di inseguimento. Per passare in rassegna la folla, è costretto a muovere il capo. Quasi a conferma di ciò, l'uomo rivolge l'intero corpo verso Perowne e dichiara cordialmente: - Che vergogna. Questa marmaglia succhia il sangue al paese, e lo odia. Perowne crede di saperne abbastanza sul conto di Baxter da potersi tirare fuori. Scrollandosi Nigel e Nark dalle spalle, si rivolge verso la propria macchina. Soldi non gliene do, - afferma deciso. - Le do invece i miei dati. Se lei non vuole darmi i suoi, pazienza. Basta il numero di targa. Io me ne vado -. Poi aggiunge, non del tutto sincero: - Sono in ritardo per un incontro importante. Ma la frase completa risulta quasi del tutto soverchiata da un unico suono, un grido di rabbia. Anche mentre si gira stupito verso Baxter, e vede, o meglio percepisce, che cosa sta per volargli addosso, in una zona dei suoi pensieri resta assopito un pedestre diagnosta il quale registra scarso autocontrollo, labilità emotiva e accesso collerico, sintomi che suggeriscono livelli ridotti di GABA tra i recettori specifici sui neuroni striatali. Sono parecchie le questioni umane che possono dipendere dal livello di questa complessa molecola. Chi potrebbe mai intuire i danni prodotti su amore e amicizia, nonché su ogni speranza di felicità, dall'eccesso o dalla mancanza di questo o quel neurotrasmettitore ? E chi mai scoverà una morale, un'etica annidata tra enzimi e amminoacidi quando la tendenza generale vuole che la si cerchi altrove ? Durante il suo secondo anno a Oxford, incantata dal solito docente bellimbusto, Daisy cercò di convincere il padre che la follia era un'invenzione sociale, uno 70
scherzetto ideato dai ricchi - ma può darsi che questa parte l'abbia capita male - per spremere i poveri. Padre e figlia si buttarono a capofitto in uno dei loro violenti litigi, conclusosi con Henry che, in un accesso di enfasi retorica, le proponeva un giro guidato presso un'ala chiusa del reparto psichiatrico. Risoluta, Daisy accettò, e poi la faccenda venne dimenticata. Nonostante quel difetto nella fissazione oculare e la corea, vale a dire quei rapidi spasmi involontari, il colpo destinato al cuore di Perowne e da quest'ultimo schivato di un soffio gli atterra con forza colossale sullo sterno, tanto da procurargli la sensazione, forse non del tutto infondata, che nel suo corpo si sollevi un aguzzo crinale montuoso, un'onda d'urto di pressione sanguigna altissima, un fremito da trauma encefalico che porta con sé non tanto dolore quanto una scossa elettrica di sbigottimento e una fitta di gelo mortale accompagnato dalla componente visiva di un abbacinante biancore di neve. - Ci siamo, - sente dire a Baxter, e si tratta di un comando rivolto ai compagni. Lo afferrano per gomiti e avambracci e, mentre la vista gli si schiarisce, Henry si rende conto di essere trascinato nel corridoio tra due automobili ferme. Tutti insieme, attraversano in fretta il marciapiede. Lo girano e lo sbattono contro una doppia porta chiusa a catena e incassata in una nicchia nel muro. Sulla parete alla sua sinistra vede una targa in ottone lucidato su cui è scritto Uscita di Sicurezza, Spearmint Rhino. Poco più su nella via c'è un pub, il Jeremy Bentham. Ma in caso a quest'ora fosse già aperto, i clienti sarebbero comunque tutti dentro al caldo. Perowne ha due priorità immediate la cui rilevanza permane anche quando recupera piena lucidità. La prima è quella di mantenere la promessa fatta a se stesso di non reagire. Quel pugno gli ha già ricordato quanta competenza gli manchi, in materia. La seconda è di tenersi in piedi. Ha constatato un discreto numero di danni cerebrali tra persone abbastanza sfortunate da finire a terra davanti ai loro aggressori. Il piede, come una specie di barbara contrada, è la remota provincia del cervello che la distanza solleva da ogni responsabilità. Un calcio è meno intimo, meno compromettente di un pugno, e un calcio solo per giunta non sembra mai essere abbastanza. Ai tempi eroici della violenza organizzata degli stadi, quando era ancora un tirocinante, Henry ha imparato molto sugli ematomi subdurali causati dai Doc Martens a punta d'acciaio. Li ha di fronte, in una piccola nicchia di mattoni intonacati, ben al riparo dalla vista dei dimostranti. La struttura amplifica il suono aspro del loro respiro. Nigel afferra stretto un lembo del pile di Perowne e con la mano libera tasta il gonfiore del portafogli che sta dentro a una tasca chiusa da una cerniera. - Nah, - dice Baxter. - Non li vogliamo i suoi soldi. Dal che Perowne capisce che si tratta di soddisfare l'onore per mezzo di un pestaggio completo. Come nel caso dei ricorsi assicurativi, prevede il futuro 71
tremendo che lo aspetta. Settimane di dolorosa convalescenza. Forse è una visione ottimistica. Lo sguardo di Baxter gli è addosso, uno sguardo che l'uomo non può spostare a meno di muovere tutto il peso di quella sua testa rasata. La faccia è animata da scosse di infinitesimali tremori che non si compongono mai in un'espressione. Si tratta di un'irrequietezza muscolare che un giorno secondo la ponderata opinione di Perowne - muterà in atetosi, uno strazio di spasmi incontrollabili e involontari. Si verifica nel trio una pausa per prendere fiato, un attimo di concentrazione prima del via. Nark sta già preparando il destro. Perowne fa in tempo a notare tre anelli su indice, medio e anulare, fasce d'oro alte come sezioni di tubi. Gli restano, pensa, soltanto pochi secondi. Baxter deve avere fra i venticinque e i trent'anni. Non è il momento di informarsi sui precedenti famigliari. Se ce l'ha un genitore, ci sono cinquanta probabilità su cento di svilupparla. Cromosoma quattro. La disgrazia si annida in un unico gene, nell'eccessiva ripetizione di una singola sequenza - la tripletta CAG. Determinismo biologico allo stato puro. Più di quaranta ripetizioni di quell'unico insignificante codone, e non hai più scampo. Il tuo destino è segnato e facilmente prevedibile. Quanto più numerosa la ripetizione, tanto prima e più violenta la manifestazione del male. Dai dieci ai vent'anni per completare l'iter, dalle prime lievi alterazioni del carattere, tremori a mani e viso, disturbi emotivi tra i quali, soprattutto, improvvisi e incontrollabili cambiamenti d'umore, fino alla danza spasmodica involontaria, al declino intellettuale, ai cedimenti della memoria, agnosia, aprassia, demenza, perdita completa del controllo motorio, rigidità qualche volta, tremende allucinazioni e una fine insensata. Ecco come la geniale macchina dell'esistenza può essere disgregata dal più minuscolo degli ingranaggi difettosi, dall'insidioso sussurro della rovina, quell'unica idea guasta annidata dentro ogni cellula, in groppa a ciascun cromosoma quattro. Nark sta arretrando il braccio destro pronto a colpire. Nigel sembra disposto a concedergli la precedenza. Henry ha sentito dire che la manifestazione precoce tende a indicare un'ereditarietà paterna. Ma potrebbe sbagliarsi. Non ha niente da perdere azzardando un'ipotesi. Parla nell'aria infuocata dallo sguardo di Baxter. - L'ha avuto tuo padre. E adesso ce l'hai anche tu. Si sente una specie di stregone nell'atto di pronunciare un maleficio. L'espressione di Baxter non è facile da decifrare. Esegue con la sinistra un movimento vago e febbrile per trattenere i compagni. E calato il silenzio, mentre lui deglutisce e si protende in avanti, accigliato, come fosse sul punto di schiarirsi la gola. Perowne si è espresso in modo ambiguo. Quel passato prossimo potrebbe riguardare anche il tempo presente. E il padre di Baxter, vivo o morto che sia, magari è un illustre sconosciuto per suo figlio. Ma Perowne conta sulla consapevolezza di Baxter della propria condizione 72
Se è al corrente, non deve averlo detto né a Nigel né a Nark né a nessuno dei suoi amici. E la sua vergogna segreta. O magari è in fase di negazione, magari lo sa e non lo sa; lo sa e preferisce non pensarci. Quando alla fine parla, la voce di Baxter è cambiata, si è fatta prudente, forse: - Hai conosciuto mio padre? - Sono un dottore. - Si, col cazzo, vestito in quel modo. - Sono un dottore. Qualcuno ti ha spiegato che cosa succederà ? Vuoi che ti dica qual è il problema secondo me ? Funziona, lo spudorato ricatto funziona. All'improvviso, Baxter avvampa. - Che problema? E, prima che Perowne possa rispondere, aggiunge feroce: - E chiudi quella cazzo di bocca -. Poi, altrettanto velocemente, si calma e gli dà le spalle. Adesso sono insieme, lui e Perowne, nel mondo non della scienza medica, ma della magia. Quando sei ammalato, il buonsenso dice che è meglio non insolentire lo sciamano. Nigel dice: - Che c'è ? Cosa aveva tuo padre ? - Zitto tu. Il tempo del pestaggio è superato, e Perowne sente che il potere sta tornando nelle sue mani. Il vano dell'uscita di sicurezza è diventato il suo studio medico. Lo spazio esiguo gli rimanda una voce che va recuperando il timbro pieno della sua autorevolezza. Dice: - Ti sei già fatto vedere da qualcuno ? - Di cosa parla, Baxter ? Baxter rifila a Nark lo specchietto rotto. - Andate ad aspettarmi in macchina. - Stai scherzando. - Dico sul serio. Tutti e due. Andate ad aspettarmi in macchina, cazzo. La disperata volontà di Baxter di allontanare gli amici dall'uomo informato sul suo segreto risulta miseramente palese. I due giovani si scambiano un'occhiata e si stringono nelle spalle. Poi, senza degnare Perowne di uno sguardo, si incamminano su per la strada. Difficile pensare che non si siano mai accorti del problema di Baxter. Ma la malattia è al primo stadio, e progredisce con lentezza. Può darsi che non lo conoscano da molto. E un'andatura dinoccolata, uri tremito strano, l'occasionale imperioso accesso di collera o mutamento d'umore, nel loro ambiente, potrebbero anche segnalare un uomo di carattere. Quando raggiungono la Bmw, Nark apre la portiera posteriore e butta dentro lo specchietto. Uno a fianco all'altro, si appoggiano al cofano dell'auto e stanno a guardare Baxter e Perowne, le braccia conserte come due malviventi da cinema. ; Perowne incalza pacato. - Quando è morto tuo padre ? - Lascia perdere. Baxter non lo sta guardando. Se ne sta li nervoso, girato di spalle, come un bambino imbronciato in attesa di essere blandito, e incapace di fare il primo passo. Ecco la firma di numerose malattie neurodegenerative: il repentino 73
passaggio da uno stato d'animo all'altro, in assenza di consapevolezza o memoria, né della comprensione di come ciò possa apparire a un osservatore. - Tua madre è ancora viva ? - E a me cosa importa ? - Sei sposato ? - No. . - Baxter è il tuo vero nome ? - Questi sono affari miei. - D'accordo. Da dove vieni? - Sono cresciuto a Folkestone. - E attualmente dove abiti ? - Dove stava mio padre. Kentish Town. - Hai un lavoro ? Un mestiere ? Un diploma ? - Non ho finito la scuola. Ma questo che c'entra? - E il tuo medico che cosa pensa del tuo stato di salute ? Baxter dà una scrollata di spalle. Ma ha accettato il diritto di Perowne a rivolgergli delle domande. Sono scivolati in ruoli precisi e Perowne non si ferma. - Qualcuno ti ha mai parlato del morbo di Huntington ? Un flebile acciottolio secco, come di ghiaia che sbatta in una lattina, proviene dal corteo. Baxter guarda per terra. Perowne interpreta il suo silenzio come una conferma. - Vuoi dirmi il nome del tuo medico curante ? «?- E perché dovrei ? - Avremmo modo di indirizzarti a un mio collega. Uno bravo. Che potrebbe renderti le cose più facili. Al che Baxter si gira e inclina il capo nel tentativo di centrare l'immagine dell'uomo più alto sulla fovea, l'esigua depressione della retina che è sede della visione più acuta. Non c'è nessuno che possa porre rimedio a un sistema saccadico danneggiato. Più in generale, esiste ben poco da offrire alla condizione complessiva del paziente, se non una decorosa gestione del progressivo declino. Ma Henry ora riconosce nell'espressione agitata di Baxter una smania improvvisa, una fame di informazioni, o di speranza. O più semplicemente, il bisogno di parlare. - Che genere di cose ? - Esercizi. Certi farmaci. - Esercizi... - Accompagna la parola con uno sbruffo dal naso. Ha ragione di ironizzare sulla superficialità, sulla futilità dell'idea. Perowne insiste. - Che cosa ti ha detto il tuo medico ? - Che non c'è niente da fare, giusto? Pronuncia la frase come una sfida, o come la riscossione di un debito; Perowne ha ottenuto una tregua, e in cambio deve riuscire a inventarsi un motivo di 74
ottimismo, se non proprio una cura. Baxter vuole sentirgli smentire il suo medico. Ma Perowne dice: - Credo che abbia ragione. C'è stata qualche ricerca su impianti di cellule staminali verso la fine degli anni Novanta ma... - Tutte stronzate. - Si, inferiori all'attesa. Al momento sembra che le speranze risiedano perlopiù nell'interferenza con l'Rna. - Si, certo. Silenziamento del gene. Un giorno o l'altro magari. Quando io sarò morto. - Vedo che sei molto aggiornato. - Grazie tante, dottore. Ma cos'è la storia dei farmaci? Perowne conosce bene questa tendenza del paziente, questo aggrapparsi al minimo appiglio. Se un farmaco esiste, Baxter o il suo medico lo conosceranno senz'altro. Tuttavia Baxter non può esimersi dal controllare. E poi controllare di nuovo. Qualcuno, chissà, potrebbe sapere qualcosa di cui lui è all'oscuro. Nel giro di una settimana ci sono stati magari nuovi sviluppi. E in questo campo, quando si arriva al fondo della corda, ecco i ciarlatani in attesa di gente in preda al terrore, pronti a proporre la dieta del nocciolo di albicocca, il massaggio dell'aura, il potere della preghiera. Oltre la spalla di Baxter, Perowne intravede Nigel e Nark. Non sono più appoggiati alla macchina; adesso vanno su e giù parlando animatamente e indicando la strada. Perowne dice: - Io parlo di sollievo dal dolore, di un controllo su perdita di equilibrio, tremori, depressione. Baxter muove la testa a destra e a sinistra. I muscoli delle guance si contraggono in modo autonomo. Henry percepisce il sopraggiungere di un cambiamento di umore. - Oh cazzo, - ripete Baxter sottovoce. - Oh cazzo -. In questa fase transizionale di perplessità o dolore, i suoi tratti vagamente scimmieschi risultano addolciti, quasi gradevoli. Baxter è un uomo intelligente e dà l'impressione che, malattia a parte, si sia lasciato sfuggire certe occasioni, abbia commesso alcuni grossi errori, e abbia finito per frequentare compagnie sbagliate. E probabile che abbia interrotto gli studi molto tempo fa e che se ne sia pentito. Nessun genitore intorno. E adesso poi, si può immaginare di trovarsi in una situazione peggiore di questa? Non c'è via di scampo per lui. Nessuno lo può aiutare. Ma Perowne sa di non riuscire a impietosirsi. L'esperienza clinica gli ha consumato quel genere di sentimento da un pezzo. E una parte di lui non cessa mai di calcolare i tempi minimi per porre fine senza pericolo all'incontro. Per giunta, nel caso specifico la pietà non c'entra. Sono tanti i modi in cui un cervello può abbandonarti. Come un'auto di lusso, si tratta di merce complicata ma pur sempre prodotta in serie, per un ammontare complessivo di sei miliardi di pezzi in circolazione. A ragione, Baxter è convinto di essere stato defraudato di una modesta violenza 75
e di un limitato esercizio di potere, e più ci pensa, più si infuria. Sta per sopraggiungere un altro repentino mutamento di clima mentale, un nuovo fronte umorale di tipo burrascoso. Interrompe il mormorio e si avvicina a Perowne quanto basta per fargli sentire il vago odore metallico del fiato. - Sei un pezzo di merda, - dice Baxter in fretta, spintonando Henry sul petto. - Stai cercando di fare il furbo con me. Davanti a quei due. Credi che me ne freghi qualcosa? Be', vaffanculo. Io adesso li richiamo. Da dove si trova, con le spalle rivolte all'uscita di sicurezza, Perowne è già in grado di prevedere che Baxter avrà una brutta sorpresa. Scostatosi da Perowne infatti, raggiunge il centro del marciapiede giusto in tempo per vedere Nigel e Nark allontanarsi dalla Bmw e dirigersi verso Tottenham Court Road. Baxter accenna qualche passo di corsa nella loro direzione e urla: - Ehi! Quelli si voltano indietro e Nark, insolitamente gagliardo, gli mostra il dito medio. Mentre proseguono, Nigel lo liquida con un gesto stanco del polso. Il generale si è mostrato esitante, la truppa diserta, l'umiliazione è completa. Perowne coglie a sua volta l'occasione per ritirarsi. Attraversa il marciapiede, scende in strada e fa il giro della macchina. Infila la chiave. Avviando il motore, vede Baxter nello specchietto agitarsi tra le due fazioni di disertori e sbraitare a entrambe. Perowne si avvia adagio: per ragioni di orgoglio non ha intenzione di mostrarsi frettoloso. La questione assicurativa è irrilevante, e lo stupisce di averla considerata notevole. Vede la racchetta sul sedile anteriore accanto a lui. Questo è proprio il momento di filarsela, visto che rimane tuttora la possibilità di salvare la partita. Dopo aver parcheggiato e prima di scendere dall'auto, chiama Rosalind al lavoro, le lunghe dita ancora tremanti e incerte sui tasti minuscoli. In questa giornata importante per lei, non ha intenzione di distrarla con il racconto del suo rischiato pestaggio. E nemmeno cerca partecipazione. Quello che vuole è qualcosa di più essenziale: il suono della sua voce in una conversazione quotidiana, il recupero della normalità. Che ci può essere di più rassicurante e banale di marito e moglie alle prese con i dettagli della cena ? Parlando con una centralinista interinale, di quelle che nell'ufficio di Rosalind vengono definite «scaldasedie», scopre che l'incontro con il direttore è iniziato tardi ed è tuttora in corso. Henry non lascia messaggi, dice che richiamerà. È insolito vedere i campi da squash deserti oltre le pareti a vetro di sabato mattina. Perowne li costeggia camminando sulla moquette azzurra macchiata, supera il gigantesco distributore di CocaCola e barrette energetiche e trova il consulente anestesista in fondo, nel campo numero cinque, intento a scaldare la palla in una serie di energici rovesci lungolinea che gli danno l'aria di chi sia deciso a sfogare un malumore. Ma, a quanto risulta, è li che aspetta solo da dieci minuti. Abita oltre il fiume, a Wandsworth; il corteo lo ha costretto ad abbandonare l'auto nei pressi del Festival Hall. Furibondo alla prospettiva di 76
un ritardo, ha attraversato di corsa il Waterloo Bridge e vi ha visto sfilare sotto decine di migliaia di persone dirette a Parliament Square sul Lungotamigi. Troppo giovane per le marce di protesta contro la guerra del Vietnam, non ha mai visto in vita sua una simile concentrazione di folla. A dispetto delle sue personali posizioni, ne è rimasto in qualche modo colpito. Questo, ha pensato, fa parte del processo democratico, per quanto disagevole possa risultare. Si è fermato a guardare per cinque minuti, poi ha ripreso la corsa su Kingsway, controcorrente. Descrive tutto ciò mentre Perowne siede sulla panca e si sfila maglia e pantaloni della tuta, e li dispone a mucchio in un angolo della parete anteriore insieme a portafogli, chiavi e cellulare: lui e Strauss non si sono mai presi abbastanza sul serio da esigere un campo del tutto sgombro. - Ce l'avranno anche col vostro primo ministro, ma il mio presidente non lo possono proprio vedere, cazzo. Per quanto ne sa Perowne, Jay è l'unico medico america» no ad avere accettato un enorme taglio su stipendio e privilegi annessi per lavorare in Inghilterra. Dice che si è innamorato del sistema sanitario. Si era innamorato anche di un'inglese, ci ha fatto insieme tre figli, ha divorziato, ha sposato una seconda bellezza locale simile alla prima ma con dodici anni in meno dalla quale ha avuto altri due figli - ancora molto piccoli - ed è in attesa del terzo. Ma il suo rispetto per la medicina socialmente impegnata e il suo amore per i bambini non fanno di lui un sostenitore della causa della pace. La guerra annunciata, secondo Perowne, di solito non divide la gente in modo prevedibile; il pacchetto di idee di cui si è a conoscenza non costituisce una guida affidabile. A parere di Jay, la questione è amara: il futuro grado di apertura delle società aperte dipenderà da come sapranno gestire la nuova situazione mondiale. Jay è un uomo dalle serene certezze, insofferente ai discorsi su rapporti diplomatici, armi di distruzione di massa, squadre di ispettori, prove di collegamenti con Al-Qaeda e così via. Quello iracheno è uno stato marcio, un alleato naturale del terrorismo, destinato a causare danni prima o poi; tanto vale occuparsene ora che l'esercito americano si sente baldanzoso dopo l'Afghanistan. E insiste che quando dice «occuparsene» intende liberarlo e democratizzarlo. Gli Stati Uniti hanno il dovere di riparare la precedente condotta politica disastrosa, agli iracheni almeno questo è dovuto. Ogni volta che parla con Jay, Henry si ritrova a propendere per il partito dei contrari alla guerra. Strauss è un uomo massiccio di struttura solida e forte, fisicamente espansivo, energico, diretto nei modi, fin troppo per certi suoi colleghi inglesi. E completamente calvo dall'età di trent'anni. Fa esercizio fisico per almeno un'ora al giorno e, a vederlo, sembra un lottatore. Quando in sala anestesia si dà da fare intorno ai pazienti, preparandoli all'oblio, questi si sentono rassicurati dai muscoli scolpiti dei suoi avambracci, dalla massa compatta di collo e spalle, e dal modo in cui si rivolge loro: pratico, gioviale, senza 77
arrendevolezza. Il degente apprensivo è pronto a credere che questo americano tarchiato darebbe la vita pur di risparmiargli un dolore. Sono sei anni che lavorano insieme. A giudizio di Henry, Jay è la chiave del successo del suo team. Quando le cose vanno storte, Strauss diventa calmo. Se, per esempio, Perowne è costretto a recidere un'arteria di grande calibro per ripararla, Jay gli dà conto dei tempi con voce pacata, e conclude mormorando magari: «Hai un minuto, capo, poi è fatta». Nelle rare occasioni in cui la situazione si mette davvero male, quando non c'è via di ritorno, Strauss va a cercarlo fuori dopo l'intervento, in un angolo tranquillo del corridoio, gli mette le mani sulle spalle, le stringe forte e gli dice: «OK, Henry. Parliamone subito. Prima che tu cominci a metterti in croce». Non è così che un anestesista, seppure consulente, in genere si rivolge a un chirurgo. Di conseguenza, Strauss si è fatto una schiera di nemici superiore alla media. In più di una commissione sanitaria, Perowne ha protetto la poderosa schiena dell'amico da una serie di pugnalate di colleghi, di quando in quando si ritrova a dare a Jay consigli del genere: «Non mi importa come la pensi. Sii gentile con quello. Ricordati dei fondi per l'anno prossimo». Mentre Henry fa un po' di stretching, Jay torna in campo a scaldare la palla con qualche diritto. Sembrano particolarmente robusti oggi i suoi tiri bassi, e la sequenza di rapide volée ha il chiaro intento di intimidire l'avversario. Funziona. Perowne registra l'echeggiare dello schianto a colpo di fucile della palla come un'oppressione; sente un'insolita rigidità all'altezza del collo mentre procede alla routine di riscaldamento, spingendo con la sinistra stretta intorno al gomito destro. Attraverso la porta di vetro aperta, alza la voce per spiegare la ragione del proprio ritardo, ma è un resoconto parziale, che perlopiù si riduce al racconto della strisciata, del modo in cui all'improvviso è sbucata l'auto rossa, di come lui abbia sterzato, e di come risulti sorprendentemente lieve il danno alla vernice della carrozzeria. Il resto lo salta, dicendo solo che ci è voluto un po' per risolvere la questione. Non ha voglia di sentire la descrizione che darebbe di Baxter e dei suoi amici. Strauss sarebbe troppo incuriosito, e gli rivolgerebbe domande alle quali non se la sente ancora di rispondere. Gli sta già montando dentro una sensazione di disagio al ricordo di quell'incontro, un'inquietudine che non sa definire ma alla quale di certo non è estraneo il senso di colpa. Mentre lavora sull'allungamento dei tendini sente il ginocchio sinistro scricchiolare. Quando verrà il momento di rinunciare a questo sport ? Al compleanno dei cinquanta ? Se non prima. Meglio non aspettare di strapparsi un legamento crociato anteriore, o di schiantarsi a terra per un infarto. Ora procede sui tendini dell'altra gamba, mentre Strauss continua a eseguire la rapida batteria di volée. All'improvviso Perowne vede la propria vita come qualcosa di delicato e prezioso. I suoi arti gli sembrano vecchi amici 78
trascurati, esageratamente lunghi e friabili. Che sia sotto gli effetti di un leggero shock ? Il cuore deve essere più vulnerabile che mai, dopo quel pugno. Gli duole ancora il petto. E suo dovere sopravvivere per gli altri e non mettere a repentaglio la vita per un gioco che in definitiva consiste nello scaraventare una palla contro un muro. D'altra parte non è data la possibilità di una partita di squash soave, specie se c'è di mezzo Jay. Specie se c'è di mezzo lui, anzi. Detestano perdere tutti e due. Una volta iniziato il gioco, lottano per il punteggio come forsennati. Dovrebbe inventare una scusa e ritirarsi adesso, rischiando di irritare l'amico. Un prezzo trascurabile. Rizzando la schiena, Perowne è attraversato dal pensiero che la cosa di cui avrebbe veramente voglia sarebbe andare a casa, sdraiarsi in camera da letto e ripensarci, riandare alla discussione in University Street, e decidere come avrebbe dovuto gestirla, e dove ha sbagliato. Ma mentre ancora riflette in questo modo, si tira su gli occhialini e si avvia verso il campo chiudendosi la porta alle spalle. Si inginocchia per sistemare i suoi oggetti di valore in un angolo della parete anteriore. Esiste un'urgenza nel quotidiano, in una partita con un buon amico e collega il sabato mattina, che Henry non ha la forza di volontà per sospendere. Si piazza di fronte alla parete laterale sinistra, Strauss spedisce una palla tesa, amichevole, al centro del campo, Perowne automaticamente risponde, assecondandone il percorso. Eccoli lanciati nella consueta routine del riscaldamento. La terza palla la sbaglia, mandandola a sbattere rumorosamente sul tin. Un paio di colpi dopo, si ferma per riallacciarsi le scarpe. Non riesce a entrare nel ruolo. Si sente lento e impacciato, l'impugnatura fuori centro, troppo aperta, troppo chiusa, non sa. Armeggia con la racchetta fra un colpo e l'altro. Passano quattro minuti e ancora non si è visto uno scambio decente. Niente di simile a quel ritmo disinvolto che di solito li introduce in partita. Henry nota che Jay ha rallentato il passo, offrendo angolature più facili per tenere la palla in gioco. Alla fine, Perowne sente il dovere di dichiararsi pronto. Dal momento che la settimana scorsa ha perso, secondo gli accordi, il servizio spetta a lui. Va a prendere posizione per servire a destra. Alle sue spalle sul lato opposto del campo, sente Jay mugugnare un «OK». Il silenzio è assoluto, di quella speciale qualità sibilante che si verifica di rado in una grande città; nessun altro giocatore, nessun rumore dalla strada, nemmeno dal corteo. Per due o tre secondi Perowne fissa la solida palla nera nella mano sinistra, concentrandosi sul desiderio di limitare il raggio dei propri pensieri. Serve un lob alto che, ben calibrato nel disegnare una parabola tale da impedire una volée, scivola dalla parete laterale verso il fondo. Ma già nell'attimo in cui la palla si stacca, Henry sa di averla colpita con forza eccessiva. Esce infatti dalla parete posteriore con una certa velocità residua, concedendo a Jay ampio spazio per rimandarla bella lunga e dritta rispetto alla parete laterale. La palla muore nell'angolo, rimbalzando 79
spenta dalla parete in fondo mentre Perowne la raggiunge. Quasi senza fermarsi, Jay la tira su, pronto a servire da destra. Perowne, calcolando l'umore dell'avversario, si aspetta un servizio quasi smecciato, e perciò si accovaccia in avanti, preparandosi a una volée prima che la palla picchi contro la parete laterale. Ma anche Strauss ha fatto i suoi calcoli. Serve una palla morbida e radente, angolata giusto alla spalla destra di Perowne. Un colpo perfetto contro un avversario titubante. Henry si sposta indietro, ma troppo tardi e non abbastanza, e a un certo punto, nella confusione, perde di vista la palla. La sua risposta cade nella metà campo anteriore e Strauss la chiude secca nell'angolo di destra. Giocano da meno di un minuto, Perowne ha perso il servizio, è sotto di un punto e sa anche di aver perso il controllo. E così procede, implacabilmente, per i successivi cinque punti, con Jay in possesso del centro del campo, e Henry, frastornato ed esitante, incapace di dare una svolta al gioco. Sul sei-zero, finalmente Strauss commette un errore non provocato. Perowne serve lo stesso lob alto, che questa volta però cade a buona distanza dal fondo. Strauss riesce abilmente a scodellarlo, ma la palla arriva molle sulla linea di metà campo e Perowne sorprende se stesso con un diritto imprendibile quasi senza rimbalzo. E insieme al leggero sussulto euforico, gli torna la capacità di concentrarsi. Si porta a casa i tre punti successivi senza fatica, e sull'ultimo in particolare, messo a segno con una volée smorzata, sente Jay imprecare contro se stesso mentre raggiunge il fondocampo. Adesso, l'autorità magica e tutte le iniziative sono di Henry. Ha preso possesso del centro del campo e costringe l'avversario a correre avanti e indietro. Perciò passa in vantaggio sette a sei ed è certo di potersi assicurare anche i successivi due punti. Mentre è impegnato a pensare questo, esegue distrattamente un colpo incrociato su cui Strauss si avventa e che smorza nell'angolo con uno slice elegante. Perowne resiste alla tentazione di odiarsi avviandosi a sinistra del campo a ricevere il servizio. E mentre la palla gli fluttua incontro staccandosi dal muro, alcuni pensieri indesiderati lo stanno deconcentrando. Rivede la figura patetica di Baxter nello specchietto retrovisore. È in quell'istante preciso che avrebbe dovuto farsi sotto per una volée di rovescio - gli bastava allungarsi appena per prenderla - e invece ha esitato. La palla colpisce il nick, il punto d'incontro tra pavimento e parete, e gli rotola oltraggiosamente su un piede. Un colpo fortunato e, nella sua irritazione, Henry avrebbe voglia di dirlo. Sette pari. Ma non c'è più gioco fino alla fine. Perowne ha la sensazione di muoversi dentro una nebbia mentale, e Jay si guadagna gli ultimi due punti in rapida successione. Nessuno dei due uomini si fa delle illusioni su come gioca. Sono giusto discreti frequentatori di una palestra, entrambi alla soglia dei cinquanta. In base al loro accordo, tra un game e l'altro - giocano al meglio dei cinque - si 80
concedono una pausa per recuperare pulsazioni normali. Talvolta si siedono anche per terra. Oggi, il primo non è stato faticosissimo, perciò si limitano a camminare su e giù per il campo. L'anestesista vuole avere notizie della Chapman. Ha fatto di tutto per meritare la sua amicizia. I modi da strada di lei non hanno retto di fronte alla retorica vincente del discorso che Strauss ha rivolto alla ragazza e che Perowne ha orecchiato, passando in corridoio. L'anestesista si era recato in reparto per presentarsi. Qui, ha trovato un'infermiera filippina in lacrime per i maltrattamenti verbali subiti. Strauss si è seduto sul letto, accostando la faccia a quella della paziente. «Sentimi bene, tesoro. Se vuoi che ti rimettiamo in sesto quella testa difettosa che ti ritrovi ci devi aiutare. Mi hai sentito? Se invece non vuoi, porta a casa i tuoi stracci. Abbiamo un mucchio di persone che fanno la fila per prendere il tuo posto. Guarda, nell'armadietto c'è la tua roba. Vuoi che minci a mettertela nella borsa? OK. Faccio subito. Spazzolino. Lettore CD. Spazzola... No? Allora, cosa vuoi fare? Benissimo. OK. Guarda, tiro fuori tutto di nuovo. No, dico sul serio, sai? Tu aiuti noi, e noi aiutiamo te. Ci stai? Qua la mano». Perowne riferisce delle sue buone condizioni di questa mattina. - Mi piace quella ragazza, - dice Jay. - Mi ricorda me alla sua età. Un rompicoglioni su tutta la linea. E una che potrebbe bruciarsi, ma che potrebbe anche fare qualcosa di buono. - Be', per questa volta se la caverà, - dice Perowne preparandosi a ricevere il servizio. - Almeno starà a lei decidere se vuole andare a schiantarsi. Forza. Ha parlato troppo presto. Jay procede al servizio, ma la parola schiantarsi, trascinandosi appresso ricordi della notte precedente nonché del mattino, deflagra in una dozzina di associazioni. Tutto ciò che gli è accaduto nelle ultime ore all'improvviso gli torna in testa. Non è più nel presente. La gelida piazza deserta, l'aereo con il suo pungiglione di fuoco, il figlio in cucina, la moglie a letto, la figlia in arrivo da Parigi, i tre uomini in strada - Henry sta occupando le coordinate di tempo sbagliate, oppure le abita tutte insieme. La palla lo sorprende: è come se per un attimo avesse lasciato il campo. Ci arriva sopra in ritardo, scucchiaiandola da terra. E subito Strauss balza fuori dal T per finirla. E così il secondo game parte come il primo. Questa volta però Henry deve anche correre parecchio per perdere. Jay è disposto ad assecondare il palleggio mentre prende possesso del centro del campo e tra un pallonetto e un drop si apre gli angoli. Perowne scalpita intorno all'avversario come un pony da circo. Si avvita all'indietro per tirare su palle dagli angoli di fondo, poi scatta in avanti in allungamento per recuperare una smorzata. Il continuo cambiamento di direzione lo affatica almeno quanto il crescente livore verso se stesso. Come ha potuto affrontare spontaneamente, pregustarsi perfino, una simile umiliazione, una tale tortura ? E in momenti di gioco come questo che vengono a galla i tratti salienti del suo carattere: limitatezza, inefficacia, 81
stupidità, e sul piano morale per giunta. La partita diventa una dilatata metafora dei suoi difetti. Ogni errore che fa è tipico di lui in modo talmente intenso e irritante da risultargli subito familiare, come una firma, come una cicatrice o un'anomalia in una zona privata del corpo. Intima e inconfondibile come la sensazione della propria lingua dentro la bocca. Soltanto lui può sbagliare in questo modo preciso, e lui solo merita di perdere così. Mentre il punteggio precipita, Henry recupera un avanzo di energia dal pozzo sempre più cupo del suo furore. Non dice niente, né a sé né all'avversario. Non vuole che Jay lo senta imprecare. Ma il silenzio è a sua volta un supplizio. Sono otto a tre. Jay esegue un diritto incrociato: probabilmente un errore, perché la palla risulta molle, facile da intercettare. Perowne si rende conto di avere una chance. Se riesce a raggiungerla, Jay si troverà fuori posizione. Consapevole di questo, Jay rientra verso il centro del campo, bloccando il movimento di Perowne. Che immediatamente reclama un let. Sospendono il gioco e Strauss si volta per manifestare il proprio stupore. - Stai scherzando ? - Col cazzo, - risponde Perowne ansimando furibondo e, con la racchetta puntata in direzione della sua corsa interrotta, aggiunge: - Mi sei venuto addosso. Il suo linguaggio lascia esterrefatti entrambi. Strauss acconsente subito. - OK. OK. È un let. Mentre si dirige al box del servizio e cerca di placarsi, Perowne non può fare a meno di considerare che con un punteggio di otto a tre, e già avanti di un game, è ingeneroso da parte di Jay fare storie su un reclamo tanto ovvio. E dire ingeneroso è generoso. La sentenza non lo aiuta a effettuare il servizio di cui ha bisogno, visto che questa è la sua ultima opportunità per rientrare in gioco. La palla esce talmente larga che Jay è in grado di spostarsi a sinistra e di esserle addosso per uno smash di diritto. Riconquista il servizio, e il game si conclude nel giro di trenta secondi. La prospettiva di scambiare due chiacchiere in campo per qualche minuto risulta ormai intollerabile. Henry mette giù la racchetta, si sfila gli occhialini e bofonchia a mezza voce che ha bisogno di bere. Lascia il campo, raggiunge lo spogliatoio e beve alla fontanella. Il locale è deserto, fatta eccezione per una presenza invisibile nelle docce. Un televisore sistemato in alto sulla parete è acceso su un canale di notiziari. Henry si bagna la faccia al lavabo, poi poggia la testa sugli avambracci. Si sente il cuore dentro le orecchie, il sudore che cola lungo la spina dorsale, faccia e piedi in fiamme. C'è una cosa sola che desidera dalla vita. Deve battere Strauss. Tutto il resto è svanito. Deve battere Strauss. Gli serve vincere tre game di seguito per accaparrarsi la partita. Incredibilmente arduo, ma per il momento non vuole né riesce a pensare ad altro. Nel paio di minuti in cui resterà solo, deve concentrarsi sul suo 82
gioco, puntare dritto all'essenziale, decidere dove ha sbagliato finora, e rimediare. Ha battuto Strauss molte volte in passato. Deve smetterla di prendersela con se stesso e pensare al gioco. Quando solleva la testa, nello specchio del bagno, al di là della sua faccia arrossata, vede riflesso il televisore muto sullo schermo del quale stanno passando le stesse immagini del cargo sulla pista. Poi però, brevemente, irresistibilmente, compaiono due uomini in manette che si tengono il cappotto sulla testa: devono essere i due piloti, scortati dentro un furgone della pubblica sicurezza. Li hanno arrestati. È successo qualcosa. Un cronista fuori dalla stazione di polizia parla alle telecamere. Poi viene interpellato dal conduttore. Perowne cambia posizione in modo da non vedere più lo schermo. Possibile che non ci si possa concedere un'ora di svago senza questa intrusione, questa contaminazione del mondo estèrno? Incomincia a considerare il problema in termini semplici: vincere la partita significherà rivendicare la propria privacy. Di quando in quando avrà pure il diritto - lui come chiunque altro - di non essere disturbato dagli eventi mondiali, e perfino da quelli stradali. Mentre si tranquillizza nello spogliatoio, Perowne si convince che dimenticare, cancellare un intero universo di fenomeni pubblici per concentrarsi rappresenti una libertà fondamentale. Libertà di pensiero. Realizzerà la propria emancipazione battendo Strauss. Scombussolato, passeggia avanti e indietro fra le panche, distogliendo lo sguardo dall'obeso teenager tutto pieghe, più foca che uomo, il quale è emerso dalla doccia senza un asciugamano. Non c'è molto tempo. Deve organizzare il proprio gioco intorno a una strategia semplice, sfruttare il punto debole dell'avversario. Strauss è solo un metro e settantacinque, poco brillante in allungo e nelle volée. Perowne si ripromette pallonetti alti diretti agli angoli di fondo. Niente di più facile. Una serie di pallonetti lunghi. Quando si ripresenta in campo, il consulente anestesista gli va dritto incontro. - Stai bene, Henry? Mi sembri incazzato. - Infatti. Con me stesso. Ma dover discutere quel let non mi ha aiutato. - Avevi ragione, e io torto. Scusami. Sei pronto? Perowne assume la posizione di risposta, concentrato sul ritmo del proprio respiro, determinato a eseguire una mossa essenziale, una procedura di routine in teoria: intercettare il servizio in volée prima che la palla tocchi la parete laterale e, dopo aver colpito, conquistare la T al centro del campo, pronto per il successivo lob. Semplice. È ora che Strauss sloggi, adesso. - Pronto. Strauss effettua un servizio veloce, e anche questa volta radente e mirato giusto alla spalla. Perowne riesce a infilare la racchetta, e la volée prende grossomodo la direzione sperata, permettendogli di tornare in posizione, sulla T. Strauss tira fuori dall'angolo la palla, che torna indietro sulla stessa 83
parete laterale. Perowne avanza e ripete la volée. Per una mezza dozzina di colpi, la palla viaggia su e giù lungo la parete di sinistra, finché Perowne trova spazio sul rovescio per alzarla nell'angolo destro. Giocano su quella parete impegnandosi in una serie di diritti tesi, incrociando le traiettorie in una specie di danza; poi cominciano a inseguire la palla per tutto il campo, e il vantaggio si alterna dall'uno all'altro. Hanno già sperimentato questo genere di palleggio - furibondo, folle, ma anche esilarante, come se la vera gara consistesse nel vedere chi scoppierà a ridere per primo. Questa volta però è diverso. Manca l'ironia e in compenso dura di più e risulta logorante, perché a quest'età un cuore non può superare a lungo le centottanta pulsazioni al minuto, e presto uno dei due, sfinito, annasperà. Frattanto, in questa partita senza testimoni, in qualche modo insulsa e del tutto frivola, i due uomini sono giunti rapidamente a comprendere l'importanza di aggiudicarsi un punto. Nonostante le scuse, quel let contestato pesa fra di loro. Strauss deve avere immaginato che Perowne si sia fatto un bel discorsetto nello spogliatoio. Se ora riesce a resistere al suo contrattacco, poi scoraggiarlo sarà uno scherzo, e Strauss si porterà a casa la vittoria in tre game filati. Quanto a Perowne, la faccenda dipende dal regolamento di gioco; fino a quando non si accaparra il servizio, non può cominciare la rimonta. È possibile, durante un lungo palleggio, trasformarsi in un essere virtualmente privo di coscienza che abiti il più angusto interstizio del presente e si limiti a reagire, un colpo dopo l'altro, esistendo al solo scopo di perseverare. Perowne ha già raggiunto quello stato, ci è sprofondato dentro, quando all'improvviso si ricorda che dovrebbe darsi una strategia di gioco. Il caso vuole che proprio in quell'istante la palla si accorci, offrendogli l'opportunità di un lob diretto all'angolo posteriore sinistro. Strauss alza la racchetta pronto alla volée, poi cambia idea e corre a fondocampo. Esegue un boast che Perowne alza in un lob verso l'angolo opposto. Correre avanti e indietro a stanare la palla quando si è esausti è faticoso. Ogni volta che colpisce, Strauss emette un grugnito un po' più forte, e Perowne si sente rincuorato. Resiste alla tentazione del colpo definitivo, perché pensa che lo sbaglierebbe. Continua invece ad alzare, cinque volte di seguito, stremando l'avversario. Il punto arriva al quinto lob, allorché la palla svigorita di Strauss cade fiacca sul tin. Zero a zero. Abbassano le racchette, e si piegano entrambi senza fiato, le mani alle ginocchia, lo sguardo fisso al pavimento, oppure appoggiano palmi e faccia contro il fresco delle pareti bianche, o ancora vagano senza meta per il campo tergendosi la fronte con il lembo della maglietta ed esalando sospiri rochi. In circostanze diverse si scambierebbero commenti ironici su un punto del genere, ma nessuno dei due dice una parola. Smanioso di forzare il ritmo, Perowne è pronto per primo e si mette in attesa al box del servizio facendo rimbalzare a 84
terra la pallina. Serve dritto sopra la testa di Strauss e la palla, ora più fresca e spenta, muore nell'angolo. Uno a zero, senza spreco di energie. Potrebbe essere questo, più del precedente, il punto che conta. Perowne ha di nuovo qualche carta da giocare. Si accaparra il punto successivo, e il seguente. Strauss appare esasperato da una serie di servizi identici, e poiché i palleggi sono brevi o addirittura inesistenti, la palla rimane fredda e inerte, come creta, e difficile da ripescare in uno spazio esiguo. E a mano a mano che cresce la sua irritazione, Jay si mostra sempre meno efficace. Non riesce a portarsi sulla palla in volo, né ad andarle sotto dopo che ha battuto. Un paio di volte si limita a rinunciare alla risposta, e torna in posizione in attesa del servizio successivo. Sono la ripetizione, l'angolatura identica, la stessa altezza impossibile, la stessa palla morta ad avere la meglio su di lui. Nel giro di poco ha perso sei punti. Perowne ha voglia di ridere forte - un impulso che maschera con qualche colpo di tosse. Non sta gongolando, non trionfa, è ancora troppo presto per farlo. Questo è il piacere della consapevolezza, una risata solidale. Si diverte perché sa con esattezza cosa sta provando Strauss: Henry conosce troppo a fondo la spirale calante di malumore e inettitudine, le brevi estasi dell'autolesionismo. E impagabile constatare quanto un altro possa assomigliare al tuo peggior te stesso. E sa anche quanto sia insidioso il suo servizio. Nemmeno lui saprebbe rispondere. Ma Strauss è stato implacabile quando era sopra, e a Perowne servono i punti. Perciò continua imperterrito, lanciando alta la palla sopra la testa dell'avversario e veleggiando dritto verso la vittoria del game, senza il minimo sforzo, nove a zero. - Devo andare a pisciare, - dice Jay laconico, e abbandona il campo, senza sfilarsi gli occhialini né posare la racchetta. Perowne non gli crede. Benché capisca che si tratta di una mossa sensata, dell'unico modo per interrompere l'emorragia di punti, e sebbene abbia fatto lo stesso non più tardi di dieci minuti prima, si sente comunque ingannato. Con quel servizio furioso poteva accaparrarsi anche il game successivo. Ora Strauss starà cacciando la testa sotto il rubinetto e riconsiderando la propria strategia di gioco. Henry resiste alla tentazione di sedersi. Esce invece per dare un'occhiata ad altre partite in corso - spera sempre di poter imparare qualcosa dai giocatori più esperti. Ma la palestra è tuttora deserta. I casi sono due: o i membri del club si sono uniti alla massa contro la guerra, oppure non sono riusciti ad attraversare il centro di Londra. Tornando indietro lungo la serie di campi, solleva la T-shirt e si esamina il torace. A sinistra dello sterno c'è un brutto livido nero che gli fa male, quando distende quel braccio. Fissare la propria pelle macchiata lo aiuta a concentrarsi sul suo stato d'animo inquieto nei confronti di Baxter. Ha forse lui, Henry Perowne, 85
agito in maniera poco professionale quando ha sfruttato il proprio sapere medico per avere la meglio su un uomo sofferente di una patologia neurodegenerativa? Si. La minaccia di un pestaggio può forse giustificarlo ? Si, no, non del tutto. Ma questo ematoma, del colore di una melanzana, del diametro di una prugna appena un assaggio di quello che sarebbe potuto toccargli -, dice di si, gli conferma l'assoluzione. Solo un idiota se ne starebbe li a farsi prendere a calci, pur avendo una via di scampo. E allora cos'è che lo turba? Stranamente, a dispetto di tanta violenza, Baxter quasi gli piaceva. No, non usiamo parole forti. Lo incuriosiva l'uomo, la sua situazione senza speranza, il rifiuto di arrendersi. E l'innegabile intelligenza, oltre che lo sgomento di vivere un'esistenza fallita. D'altra parte, lui, Henry, è stato costretto, obbligato, ad approfittare del proprio potere, ma ha anche acconsentito a farsi mettere in quella condizione. Il suo atteggiamento è stato un errore sin dal principio, troppo poco difensivo; i suoi modi devono essere sembrati altezzosi, o sprezzanti. Per non dire provocatori. Poteva mostrarsi più cordiale, magari costringersi ad accettare una sigaretta; avrebbe dovuto rilassarsi, data la posizione di forza, e invece ha assunto quel tono bellicoso e indignato. D'altro canto, quelli erano in tre, volevano i soldi, non vedevano l'ora di menare le mani, l'avevano già messo in conto prima di scendere dalla macchina. La rottura dello specchietto era un pretesto per procedere alla rapina. È di ritorno fuori dal campo, senza aver risolto il disagio, proprio quando Strauss ricompare. Le sue spalle massicce sono fradice in seguito alla sosta al lavabo, e il buonumore è recuperato. - OK, - dice, mentre Perowne si avvia al box del servizio, - adesso basta regalare punti. Perowne trova debilitante essere stato lasciato solo con i suoi pensieri; un attimo prima di servire, ricorda la propria tattica di gioco. Ma il quarto game non ricade in alcuno schema prevedibile. Henry si intasca due punti, poi Strauss rientra in partita e passa in vantaggio, tre a due. Seguono lunghi palleggi disordinati, con una serie di errori non provocati che portano il punteggio sul sette pari, con Perowne al servizio. Gli ultimi due punti li ottiene senza problemi. Due game a testa. Un breve intervallo per raccogliere le forze in vista dello scontro finale. Perowne non è stanco - vincere è stato più facile che perdere. In compenso sente venire meno quel feroce desiderio di battere Jay, e si accontenterebbe di chiudere in pareggio e proseguire la giornata. E tutto il mattino che vive una condizione di conflitto. Ma non c'è spazio per una marcia indietro. Strauss si gode il momento, sta al gioco, e prendendo posto sul campo gli dice: All'ultimo sangue! -e aggiunge: - No pasaran! E così, trattenendo un sospiro, Perowne serve, ed essendo a corto di idee, ci riprova con il vecchio lob alto. In effetti, nell'attimo in cui tocca la palla, 86
sa che il colpo è praticamente perfetto, ben angolato, destinato a battere secco nell'angolo. Strauss tuttavia, in preda a uno strano umore euforico, fa una cosa straordinaria. Dopo una breve corsa a piccoli balzi, schizza in aria a un'altezza di mezzo metro almeno e, a racchetta protesa, la possente schiena muscolosa inarcata all'indietro con grazia, i denti serrati, il capo rovesciato, e il braccio sinistro levato per ragioni di equilibrio, colpisce la palla poco prima che questa raggiunga il vertice della sua traiettoria con un poderoso smash di rovescio che la spara contro la parete di fronte a un paio di centimetri dal tin: un colpo magnifico, miracoloso, imprendibile. Perowne, che non si è quasi mosso dalla postazione, lo dice subito. Bel colpo, favoloso. E all'improvviso, ora che il servizio è tornato nelle mani dell'avversario, vuole di nuovo vincere. Entrambi gli uomini alzano il livello del gioco. Adesso ogni punto è drammatico, un susseguirsi di colpi di scena, e tutta la serietà e il furore di quel lungo palleggio del terzo game riprendono corpo. Sordi alle proteste dei rispettivi cuori si scaraventano in tutti gli angoli del campo. Non commettono errori, ogni punto è combattuto, strappato a fatica all'avversario. Chi serve annuncia ansimante il punteggio, ma per il resto non parlano. E con il procedere della partita, nessuno dei due riesce ad accaparrarsi un vantaggio superiore al singolo punto. Non c'è niente in palio, non sono nemmeno iscritti alla graduatoria interna del club. Si tratta semplicemente dell'irriducibile urgenza di vincere, fisiologica come la sete. E assoluta, oltretutto, visto che nessuno li guarda, a nessuno importa, né amici, né mogli, né figli. Non è neppure divertente. Può darsi che lo diventi nel ricordo - e solo per il vincitore, comunque. Se una passante si fermasse a guardare dalla vetrata posteriore, penserebbe senz'altro che questi due anziani giocatori un tempo siano stati in classifica e che perfino adesso non abbiano sparato tutte le loro cartucce. Potrebbe anche chiedersi se non si tratti di vecchia ruggine, data la disperata tensione nel gioco. Quella che pare una mezz'ora si riduce in realtà a una dozzina di minuti. Sul sette pari, Perowne serve a sinistra e si guadagna il punto. Attraversa il campo per procedere a battere per l'ultima volta. Si sente ben concentrato e abbastanza sicuro, perciò osa un potente servizio di rovescio, angolato stretto, vicino alla parete. Strauss lo taglia a sua volta con un rovescio, quasi un colpo da tennista, spedendo la palla nella parte anteriore del campo. E una buona risposta, ma Perowne è in posizione e si precipita per chiudere. Colpisce dall'alto di diritto e schiaccia nell'angolo in fondo a sinistra. Fine partita, e vittoria. Nell'istante stesso in cui colpisce, Perowne arretra e va a sbattere contro Strauss. L'impatto è violento, entrambi barcollano e per un attimo nessuno dei due riesce a parlare. Poi Strauss ansima a bassa voce: - Mio, Henry. E Perowne: - Jay, è finita. Tre game a due. 87
Si fermano di nuovo per prendere atto del tragico disaccordo. Perowne dice: - Che ci facevi là davanti ? Jay si allontana, diretto al box dal quale dovrà rispondere al servizio, se il punto verrà giocato di nuovo. E deciso a far procedere la partita, a modo suo. Dice: - Mi aspettavo un drop alla tua destra. Henry si sforza di sorridere. Ha la bocca asciutta, e le labbra faticano a scivolare sui denti. - Ti ho fregato, allora. Eri fuori portata. Non ce l'avresti mai fatta a rispondere. L'anestesista scuote la testa con quella calma consumata che i suoi pazienti trovano tanto rassicurante. Il petto in compenso sussulta. - Usciva dalla parete di fondo. E aveva un bel rimbalzo. Henry, tu eri in mezzo. Questa disposizione a ripetere il nome dell'altro ha un che di velenoso. Henry, ancora una volta, non riesce a evitarla. Parla come se volesse ricordare a Strauss un fatto dimenticato da tempo. - Ma Jay, non avresti potuto raggiungere la palla. Strauss sostiene lo sguardo di Perowne e risponde pacato: - Si, Henry, potevo farcela. L'ingiustizia del reclamo è così lampante che Perowne riesce solo a ripetere: Eri fuori portata. Strauss dice: - Il regolamento non lo vieta -. E aggiunge: - E dai, Henry. Io te l'ho concesso il beneficio del dubbio, l'altra volta. Dunque sta riscuotendo un debito. Il tono ragionevole di Perowne diventa sempre più difficile da mantenere. Dice, sbottando: - Non c'era il minimo dubbio. - C'era eccome, invece. - Senti, Jay. Questo non è il tribunale per le pari opportunità. Torniamo al merito della questione. - Sono d'accordo. Non c'è bisogno di pontificare. Il polso di Perowne già avviato alla normalità registra una breve accelerazione al commento: un attimo di collera improvvisa è come un battito cardiaco in più, un dannoso episodio di aritmia. Perowne ha delle cose da fare. Deve andare in pescheria, tornare a casa e farsi una doccia, uscire di nuovo, rincasare, preparare la cena, stappare il vino, salutare figlia e suocero e riconciliarli. Ma soprattutto, deve avere ciò che è già suo; ha recuperato uno svantaggio di due game, ed è convinto di aver provato a se stesso qualcosa di fondamentale riguardo alla propria indole, una caratteristica nota che di recente aveva dimenticato. Ora il suo avversario vuole portargliela via, o negargliela. Appoggia la racchetta nell'angolo vicino ai suoi oggetti di valore, a dimostrazione che la partita è conclusa. Dal canto suo, Strauss si piazza risolutamente al box del servizio. Non si è mai verificato niente di simile in passato. Che ci sia in ballo dell'altro ? Jay lo sta guardando con un mezzo sorriso amichevole a labbra increspate: 88
un'espressione affatto innaturale studiata per ribadire la pretesa. Henry ha un'immagine di se stesso - il polso registra un'altra impennata al pensiero che attraversa il parquet in quattro falcate e liquida con un tempestivo manrovescio quella faccia compiacente. Oppure potrebbe dare una scrollata di spalle e lasciare il campo. Ma la sua vittoria perde significato, senza consenso. Fantasie a parte, come riusciranno a risolvere la questione, in assenza di un arbitro, o del Leviatano ? Tacciono entrambi da mezzo minuto. Perowne allarga le mani e, con un tono non meno artificiale del sorriso di Strauss, dice: - Non so cosa fare, Jay. Io so solo che ho vinto. Strauss invece sa esattamente cosa fare. Alza la posta. - Henry, tu guardavi avanti. Non hai visto la palla battere contro la parete di fondo. Io si, perché andavo da quella parte. Perciò la domanda è: mi stai dando del bugiardo ? E andata a finire così. - Vaffanculo, Strauss, - dice Perowne, poi afferra la racchetta e si dirige al box del servizio. E si giocano il let, con Perowne di nuovo alla battuta che, come aveva sospettato potesse succedere, perde il punto, e poi gli altri tre successivi e, prima di rendersene conto ha perso del tutto, e si ritrova nell'angolo a raccattare portafogli, telefono, chiavi e orologio. Fuori dal campo, si infila i pantaloni e li lega con lo spago, rimette l'orologio e indossa la maglia e il pile. Gli dispiace, ma meno di due minuti fa. Si rivolge a Strauss che sta uscendo adesso dal campo. - Hai giocato benissimo. Mi spiace per la discussione. - Chi se ne frega. Potevamo vincere tutti e due. E stata una delle nostre migliori partite. Rinfoderano le racchette e se le appoggiano in spalla. Liberi da strisce rosse e dal bianco accecante delle pareti, nonché dal regolamento di gioco, costeggiano i campi diretti al distributore di CocaCola. Strauss se ne prende una lattina. Perowne non la vuole. Bisogna essere americani per avere voglia, da adulti, di bere così dolce. Mentre lasciano l'edificio Strauss, fermandosi per una lunga sorsata, dice: Sono tutti a letto con l'influenza; stasera sono di turno. Perowne ribatte: - Hai dato un'occhiata al programma? Sarà di nuovo una settimana pesante. - Infatti. Sai quella vecchia dell'astrocitoma. Non se la caverà, giusto? Sono sui gradini del marciapiede in Huntley Street. Il cielo si è rannuvolato, fa freddo e c'è umidità. Non è escluso che venga a piovere sui dimostranti. La vecchia signora si chiama Viola, e il tumore è nella regione pineale. Ha settantotto anni, e si è scoperto che prima di andare in pensione è stata un'astronoma, un pezzo grosso all'osservatorio Jodrell Bank, negli anni Sessanta. In reparto, mentre gli altri pazienti guardano la Tv, lei legge 89
manuali di matematica e di teoria delle stringhe. Registrando l'abbassamento di luce, la semioscurità da tardo mattino invernale, e non volendo separarsi su una nota dolente, un commiato di malaugurio, Perowne dice: - Secondo me possiamo aiutarla. Strauss ha capito, storce la bocca, solleva una mano in ge- sto di saluto, e i due uomini se ne vanno, ciascuno per la propria strada. Di ritorno nell'ovattata intimità dell'auto compromessa, con il motore silenziosamente al minimo sulla Huntley Street deserta, Henry prova a richiamare Rosalind. La riunione si è conclusa, lei è subito andata dal direttore operativo ed è ancora con lui, dopo quarantacinque minuti. La segretaria interinale gli chiede di restare in linea mentre cerca di saperne di più. Nell'attesa, Perowne si abbandona contro il poggiatesta e chiude gli occhi. Sente il pizzico del sudore asciutto sulla faccia, dove si è rasato. Le dita dei piedi, che adesso prova, a muovere, sembrano immerse in un liquido in fase di veloce raffreddamento. Il valore della partita si è ridotto a nulla per lasciare il posto a una gran voglia di dormire. Anche solo dieci minuti. La settimana è stata dura, la notte tormentata, la partita difficile. Senza guardare, trova il pulsante che blocca le portiere. Le serrature scattano in rapida successione, discreti clangori metallici, quattro semicrome che lo cullano ulteriormente. Un antico dilemma evoluzionistico: da una parte il bisogno di sonno, dall'altra il terrore di essere divorati. Alla fine risolto, grazie alla chiusura centralizzata. Attraverso il ricevitore minuscolo che tiene appeso all'orecchio sinistro, sente il rumore di fondo del vasto locale per uffici, il ticchettio sommesso delle tastiere e, poco lontano, una voce maschile che dice a qualcuno nelle vicinanze: «Manco lo nega... ti dico che non lo nega... Si, lo so. È proprio questo il problema per noi. Che lui non nega un bel niente». A occhi chiusi vede gli uffici della redazione, i quadrati di moquette sollevata ai bordi e macchiata di caffè, l'implacabile impianto di riscaldamento che sanguina acqua bollente color ruggine, le porzioni sempre più corte di tubi al neon che illuminano angoli caotici, le montagne di carta che nessuno tocca mai, perché a nessuno importa di scoprire che cosa contengano, né perché, e le scrivanie ingombre ammassate l'una all'altra. È lo spirito da laboratorio di educazione artistica. Hanno tutti troppo da fare per smaltire i vecchi mucchi di polvere. In ospedale è lo stesso. Stanze piene di ciarpame, armadi e archivi che nessuno ha il coraggio di aprire. Attrezzature vetuste in armadietti metallici color panna, troppo pesanti, troppo imperscrutabili per essere tolti di mezzo. Edifici malati, in servizio da troppo tempo, e che solo la demolizione può ormai risanare. Città e stati irreparabili. Il mondo intero simile alla stanza di 90
Theo. Ci vorrebbe una razza di extraterrestri adulti disposta a rimediare al disordine generale per poi mettere tutti quanti a letto di buon'ora. Una volta si pensava che Dio fosse un uomo fatto, ma nelle discordie si schierava come un ragazzino. Poi invece si è fatto uomo e ci ha mandato un figlio, l'ultima cosa di cui avevamo bisogno. Come se non ci fossero già abbastanza orfani su questo sasso girevole. - Signor Perowne ? -Si? Dica. - Sua moglie la richiamerà appena si libera, nel giro di una mezz'ora. Rianimato, allaccia la cintura, fa un'inversione in tre tempi, e si avvia in direzione di Marylebone. I dimostranti sono ancora in file compatte su Gower Street, ma Tottenham Court Road è stata riaperta, e nuove onde di traffico si vanno gonfiando verso nord. Henry ne ingrossa una momentaneamente, poi svolta a ovest, quindi ancora a nord e di li a poco si trova all'incrocio fra Goodge e Charlotte Street - un angolo che gli è sempre piaciuto, dove l'utile e il dilettevole si uniscono a rendere spazi e colori più smaglianti: specchi, fiori, saponette, giornali, prese elettriche, vernici e botteghe per fare le chiavi che civilmente si alternano a ristoranti costosi, bar, enoteche, ritrovi, alberghi. Chi è già quel romanziere americano che ha detto che un uomo potrebbe trovare la felicità vivendo a Charlotte Street? Daisy dovrà rinfrescargli la memoria in proposito. Tutte quelle attività commerciali concentrate trasformano i contenitori della spazzatura sul marciapiede in una successione di cumuli regolari. Un cane randagio sta dilaniando i sacchi: rosicchiare lordura serve a pulire i denti. Prima di svoltare ancora a ovest, Henry vede tutta la strada, la piazza e, in fondo, casa sua incorniciata da alberi spogli. Le imposte al terzo piano sono chiuse: Theo dorme ancora. Henry non l'ha dimenticato, il beato e scomposto sonno adolescenziale fino a tardi, e non contesta mai quelle ore a suo figlio. Sa che non dureranno. Attraversa la buia Great Portland Street - sono le facciate di pietra a dare l'impressione che sia sempre sera qui - e, su Portland Place, supera una coppia del Falun Gong immobile sul marciapiede opposto a quello dell'ambasciata cinese. La credenza in un universo miniaturizzato che ruoterebbe nove volte avanti e nove indietro nel basso addome del praticante sta minacciando l'ordine totalitaristico. Di sicuro, non è una visione materialistica del mondo. La risposta dello stato assume la forma di pestaggi, torture, sequestri e assassini, ma i seguaci attualmente superano in numero i membri del Partito comunista cinese. La Cina è semplicemente troppo popolata perché possa durare ancora a lungo la follia, pensa spesso Perowne quando gli capita di passare di qua e di vedere i manifestanti. L'economia del paese cresce troppo in fretta, e sono troppi i contatti nel mondo moderno perché il Partito riesca a mantenere il controllo. Ormai da Harrods si incontrano cittadini del cuore della Cina che fanno man bassa di articoli di lusso. Tra non molto sarà la volta delle idee, e 91
allora qualcosa comincerà a sgretolarsi. E frattanto il governo cinese imbratta il nome del materialismo filosofico. Poi l'ambasciata con il sinistro schieramento di antenne scivola alle sue spalle, e Henry si immette nella griglia ordinata di strade del distretto medico a ovest di Portland Place: cliniche private e salette d'attesa dai tendaggi floreali, i vezzosi arredi in stile e le riviste d'architettura. È una fede, potente come quella di qualsiasi religione, a portare le persone in Harley Street. Nel corso degli anni il suo ospedale ha ricoverato e curato - ovviamente gratis - decine di casi rattoppati alla peggio da uno dei vari anziani incompetenti e strapagati che esercitano da quelle parti. Fermo al semaforo, Perowne osserva tre figure in burka nero scendere da un taxi in Devonshire Place. Si stringono insieme sul marciapiede confrontando il numero civico su una porta con quello di un biglietto che una di loro ha in mano. Quella in mezzo, la probabile inferma, la cui sagoma appare un po' curva, zampetta aggrappata al braccio delle compagne. Le tre colonne nere che, nitide sullo sfondo di mattoni e intonaco color latte, fanno ondeggiare il capo in evidente disaccordo sull'esattezza dell'indirizzo, hanno un aspetto carnevalesco; fanno pensare a bambini acconciati per la festa di Halloween. O all'allestimento teatrale del Macbeth realizzato alla scuola di Theo, quando gli alberi cavi della foresta di Birnam aspettavano dietro le quinte per far mucchio in palcoscenico accerchiando Dunsinane. Saranno sorelle forse, venute ad accompagnare la madre alla visita dell'ultima speranza. Il semaforo non accenna a cambiare colore. Perowne dà gas - senza esagerare - e porta la leva del cambio in folle. Che sta facendo, com'è che schiaccia forte la frizione e si sente tendere i quadricipiti rilassati ? Non riesce a trattenere il senso di avversione, è viscerale. Che tristezza il pensiero di qualcuno costretto a girare per le strade completamente cancellato alla vista. È già qualcosa che queste signore non abbiano anche i becchi di cuoio. Gli danno davvero il voltastomaco. Chissà cosa avrebbero da dire in proposito i relativisti, gli allegri pessimisti dell'università di Daisy ? Che è un concetto sacro, una tradizione, un rifiuto delle ostentazioni del consumismo occidentale ? Gli uomini però, i loro mariti - Perowne ha avuto a che fare con parecchi arabi in studio -, si presentano in giacca e pantaloni, o tute e scarpe da ginnastica, o pantaloncini comodi e Rolex al polso, e sono del tutto cordiali ed estroversi oltre che perfettamente a loro agio in entrambe le tradizioni. Quanto gradirebbero farsi portatori della torcia del folklore nazionale, inciampando nel buio in pieno giorno ? Infine il verde del semaforo, il cambiamento di scenario - altri portici, altre sale d'aspetto - e quel po' di concentrazione imposta dal traffico lo strappano a questi pensieri opprimenti. Henry si è colto sull'orlo di una lunga invettiva. Via libera alle leggi islamiche, dunque. Che importa a lui dei burka? Sono solo travestimenti della sua irritazione. Anzi, no, il termine irritazione non 92
basta. Burka e Repubblica popolare Cinese si sono messi al servizio del suo ondivago e intenso cattivo umore. Solitamente di sabato è disteso e contento, e invece ecco che per la seconda volta di questa mattina gli tocca passare al setaccio le cause di uno stato d'animo cupo. Che cosa lo innervosisce tanto ? Non è la partita persa, e nemmeno lo scontro con Baxter, o la notte insonne, anche se tutti questi elementi devono aver contribuito. Forse è soltanto la prospettiva del pomeriggio, quando dovrà attraversare le sconfinate distese periferiche, diretto a Perivale. Fintanto che c'era una partita di squash a separarlo dalla sua visita, si sentiva protetto. Ormai resta solo la sosta in pescheria. Sua madre non ha più la facoltà di desiderare il suo arrivo, di riconoscerlo quando è con lei, né di ricordarlo dopo che se n'è andato. Una visita a vuoto. Lei non lo aspetta e non resterebbe delusa se lui non si presentasse. E come portare dei fiori su una tomba: un gesto che riguarda soltanto il passato. Tuttavia è ancora in grado di portarsi alle labbra la tazza del tè e, sebbene non sappia collegare un nome alla sua faccia, o richiamare alla mente la minima associazione, è contenta di averlo li seduto davanti, ad ascoltare i suoi discorsi sconnessi. Le va bene chiunque. Henry odia andarla a trovare, e si odia se lascia passare troppo tempo senza andarci. È solo mentre parcheggia nei pressi di Marylebone High Street che si ricorda di accendere il notiziario di mezzogiorno. Secondo gli agenti di polizia, nel centro di Londra si è radunata una folla di duecentocinquantamila persone. Alcuni sostenitori della manifestazione ribadiscono che si arriverà a due milioni, entro metà pomeriggio. Tutt'e due le fonti sono concordi nell'affermare che la gente continua a riversarsi nelle strade. Una dimostrante entusiasta, che si rivela essere un'attrice famosa, alza la voce sopra il baccano di slogan e urli festosi, per dire che in tutta la storia del Regno Britannico non si era mai visto un raduno di quelle proporzioni immense. Chi ha deciso di poltrire a letto questo sabato mattina, si maledirà al pensiero di non essere stato presente. Lo scrupoloso cronista ricorda agli ascoltatori che si trattava di un'allusione al discorso del giorno di San Crispino prima della battaglia di Agincourt, nell'Enrico V di Shakespeare. Perowne, che sta facendo retromarcia in un parcheggio risicato tra due fuoristrada a quattro ruote motrici, non coglie il riferimento. Dubita che a Theo verrà in mente di maledirsi. E chissà poi perché un manifestante per la pace dovrebbe avere voglia di citare un re guerriero ? Il bollettino prosegue mentre Perowne resta seduto a motore spento, a fissare un puntino luminoso verde-azzurro in mezzo ai pulsanti dell'autoradio. In giro per l'Europa, e in tutto il mondo, la gente si raduna per esprimere la propria preferenza per la pace e per la tortura. Così direbbe il professore - a Henry pare di sentire la sua voce penetrante da mezzosoprano. Quella che Perowne considera la sua notizia viene subito dopo. Pilota e copilota sono in stato di fermo, sottoposti a 93
interrogatorio in due diverse stazioni di polizia del West London. Gli agenti non rilasciano ulteriori dichiarazioni. Come mai? Dal parabrezza, la florida via di mattoni rossi e la prospettiva sfuggente di crepe dei marciapiedi e alberelli spogli hanno un che di provvisorio, come un'immagine proiettata su una lastra di ghiaccio sottile. Al momento, un funzionario aeroportuale ammette che uno degli uomini è di origine cecena, ma nega la voce in base alla quale si sarebbe trovato un Corano in cabina di pilotaggio. Del resto, se anche così fosse, aggiunge, ciò non proverebbe nulla. Non lo si può certo definire un reato. Infatti. Henry apre con uno scatto la portiera. L'autorità laica, indifferente alla babele degli dèi, è decisa a garantire libertà alle varie religioni. Che prosperino. E ora di occuparsi della spesa. Nonostante i muscoli delle cosce indolenziti, Henry si allontana di buon passo dall'auto, e la chiude con il telecomando senza voltarsi a guardare. Un improvviso sole invernale gli rischiara il tragitto lungo High Street. Il più imponente raduno di umanità nella storia del regno, a meno di tre chilometri di distanza, non sta turbando l'atmosfera lieta di Marylebone, e Perowne stesso ne è contagiato mentre scansa di lato la folla in arrivo e tutti i passeggini carichi di serafici bebé infagottati. Tanta ricchezza, interi empori deputati a formaggi, nastri e mobili Shaker, costituisce una sorta di protezione. Questo benessere commerciale è solido e opporrà una difesa estrema. Non sarà il razionalismo a sconfiggere i fanatici religiosi, bensì l'abitudine allo shopping con tutti i suoi annessi posti di lavoro, per cominciare, e pace, e un certo impegno verso i piaceri possibili, la promessa di appetiti saziati in questo mondo, senza bisogno di aspettare l'altro. Consumare, non pregare. Henry svolta l'angolo in Paddington Street e si china di fronte alla pescheria che espone la merce all'aperto su ripide lastre di marmo bianco. Gli basta uno sguardo per rendersi conto che c'è tutto ciò che gli serve. Quanta abbondanza in arrivo da mari sempre più vuoti. Sul pavimento in piastrelle accanto alla porta aperta, ammucchiati dentro due casse di legno come scarti industriali arrugginiti, ci sono granchi e aragoste e, nel groviglio guerresco di corpi, si intravede del movimento. Intorno alle chele i crostacei portano il marchio funereo di elastici neri. E una fortuna per il pescivendolo e per i suoi clienti che le creature del mare non siano dotate dell'uso di onde sonore e non abbiano voce. Altrimenti da queste gabbie si leverebbero grida. Perfino il silenzio in quel quieto intrico in tumulto imbarazza. Henry distoglie lo sguardo e si concentra sulle pallide carni esangui, e sulle sagome argentee svuotate delle interiora, con l'occhio vitreo privo di accusa, e sul pesce d'altura presentato in comode pile di tranci di un rosa incolpevole, come pagine cartonate di un libro per la prima infanzia. Naturalmente, Perowne, appassionato di pesca con la mosca, ha preso visione della letteratura recente sul tema: decine di nocicettori polimodali come i nostri si trovano nella testa e nel collo delle trote arcobaleno. Era comodo un tempo pensarla in termini biblici, crederci 94
circondati da automi commestibili diffusi per terre e per mari a nostro beneficio. E adesso si scopre che anche i pesci provano dolore. Ecco da dove deriva la problematicità crescente della condizione moderna: dal progressivo espandersi del cerchio di compassione morale. Non basta che popoli lontani siano nostri fratelli e sorelle, ma pure le volpi, e i topi di laboratorio, e adesso anche i pesci. Perowne continua a pescarli e a mangiarli e, se è vero che non tufferebbe mai un'aragosta viva nell'acqua bollente, tuttavia è disposto a ordinarne una al ristorante. Il trucco, come sempre, la chiave del successo e del predominio dell'uomo, consiste nell'essere selettivi nella misericordia. Indipendentemente da tutti i distinguo, è il vicino a noi, il visibile, a esercitare la forza preponderante. Mentre quello che non si vede... Ecco perché nel mondo garbato di Marylebone tutto sembra così in pace. Granchi e aragoste non compaiono sul menu di stasera. Ammesso che le vongole e le cozze che compra siano ancora vive, sono comunque inerti ed educatamente chiuse. Prende dei gamberetti già scottati nel guscio, e tre code di rana pescatrice che costano qualcosa di più della sua prima automobile. Un mucchio di ferraglia, va detto. Chiede le lische e le teste di due razze da far bollire per il brodo. Il pescivendolo è un tipo gentile e sollecito che tratta i clienti come una ristretta cerchia di piccola nobiltà terriera. Avvolge ogni specie di pesce in diversi fogli di giornale. Ecco il tipo di domanda che a Henry piaceva farsi da ragazzino: che percentuale di possibilità ha quel determinato pesce, di quello specifico banco, di quella particolare scogliera continentale, di finire incartato dentro le pagine, anzi, no, dentro questa pagina di questa copia del «Daily Mirror» ? Poco più di una su infinito. Come i granelli di sabbia sulla spiaggia, disposti esattamente così. L'ordine casuale del mondo, il calcolo delle inimmaginabili probabilità di ogni singola condizione continuano a incantarlo. Già da bambino, specie dopo la tragedia di Aberf an, non ha mai creduto nel destino o nella provvidenza, né nell'idea che il futuro fosse nelle mani di un abitatore dei cieli. Al contrario, in miliardi di miliardi di futuri possibili in ogni istante; i capricci del puro caso e delle leggi fisiche gli parevano libertà a confronto delle macchinazioni di un dio minaccioso. La sporta di plastica bianca con dentro la cena per la famiglia è pesante, piena di carne e di carta fradicia, tanto che i manici gli segano il palmo della mano nel tragitto di ritorno alla macchina. A causa del dolore al petto, non può trasferire il carico nella sinistra. Allontanandosi dai grevi odori di alghe della pescheria, Henry ha la sensazione che l'aria abbia un sapore dolce, come di fieno lasciato al sole sui prati, in agosto. Il profumo - di certo un'illusione prodotta dal contrasto - persiste, nonostante il traffico e il gelo di febbraio. Quante estati trascorse con tutta la famiglia a casa del suocero nell'Ariège, in quell'angolo sudoccidentale della 95
Francia dove la terra comincia a incresparsi e a lievitare al cospetto dei Pirenei. Fu allo Château St-Félix, di tiepida pietra rosa tenue, con le due torri rotonde e l'avanzo di fossato intorno, che John Grammaticus si ritirò alla morte della moglie. Li la pianse tributandole le famose elegie d'amore raccolte nel volume dal titolo Senza esequie. Famose, ma non per perowne, il quale in età adulta non aveva più letto poesia, anche dopo essersi imparentato con un poeta. Ovviamente ha ripreso non appena ha scoperto di averne messo al mondo uno lui stesso. Ma gli è costata una fatica di tipo molto speciale. Perfino un unico verso ha il potere di procurargli una tensione agli occhi. Romanzi e film, nella loro inquieta modernità, ti sospingono avanti o indietro nel tempo, attraverso giorni, anni, generazioni addirittura. Mentre per condurre le proprie analisi e i propri giudizi, la poesia si tiene in equilibrio sulla punta di spillo dell'attimo presente. Decelerare, fermarsi anzi del tutto per leggere e capire una poesia assomiglia al tentativo di recuperare una tecnica superata, come la costruzione dei muri a secco o la pesca alla trota con le mani. Uscito dal lutto, più di vent'anni orsono, Grammaticus diede inizio a una serie tuttora ininterrotta di relazioni amorose. Il modello è ben consolidato. Una donna più giovane, solitamente inglese, talvolta francese, viene assunta come segretaria o governante e, a poco a poco, si trasforma in una specie di moglie. Se ne andrà nel giro di due o tre anni, incapace di sostenere oltre la situazione, e toccherà alla sua sostituta accogliere la famiglia Perowne a fine luglio. Rosalind si mostra di norma molto critica a ogni cambiamento, preferendo sempre la donna precedente alla successiva, per imparare con il tempo a voler bene a quest'ultima. Dopotutto, non è certo colpa della nuova arrivata. I ragazzi, totalmente incapaci di giudizio, perfino negli anni dell'adolescenza, trattano subito chi c'è con cortesia. Perowne, costituzionalmente portato ad amare una sola donna per la vita, si mantiene in un silenzioso stato di stupore, specie man mano che il vecchio si avvicina alla soglia dei settanta. Ma forse si sta finalmente moderando, visto che Teresa, una gioviale quarantenne, bibliotecaria di Brighton, regge con lui da quasi quattro anni. Le cene all'aperto nei tramonti interminabili, le profumate balle di fieno sui piccoli prati scoscesi che circondano i terreni, l'odorino di cloro della piscina sulla pelle dei figli, e il tiepido vino rosso di Cahors o di Cabrieres: dovrebbe essere un paradiso. E lo è quasi, in effetti, il che spiega perché continuino ad andarci. Ma John può rivelarsi prepotente e infantile, il genere di artista che concede a se stesso la gamma completa di cambiamenti d'umore. Nello spazio di una bottiglia di vino rosso può migrare dallo sfavillio aneddotico all'improvvisa esplosione di collera, fino a uno sdegnoso ritiro nel suo studio: la tipica ritirata di quell'alta schiena curva che si allontana sul buio del prato, verso le luci dello studio, con Betty, o Jane, o Francine, e adesso Teresa, al seguito, nel tentativo di appianare le cose. John non ha mai imparato come si deve le regole di una conversazione, e 96
tende a percepire in ogni voce dissenziente, per quanto moderata, una specie di affronto, un invito al combattimento mortale. Gli anni e l'alcol non lo hanno ammorbidito. E mentre, col passare degli anni, la sua produzione si va assottigliando, lui naturalmente s'incupisce. Il suo esilio in Francia si è risolto in un protratto malumore, aggravato in questi due decenni da oltraggi vari provenienti dalla madrepatria. C'è stato un brutto periodo di ben quattro anni quando le sue Poesie andarono fuori stampa e si dovette cercare un editore nuovo. John reagì male quando Spender ottenne il cavalierato al posto suo, quando Raine e non Grammaticus ebbe la direzione editoriale della Faber, quando dovette lasciare a Fenton la cattedra di Poesia a Oxford, quando Hughes prima e Motion poi gli furono preferiti in veste di Poeti laureati, e soprattutto quando fu Heaney a vincere il Nobel. Tutti questi nomi non significano nulla per Perowne. E tuttavia capisce come eminenti poeti, non meno di affermati primari, vivano in un sospettoso stato di all'erta nel quale le reputazioni si custodiscono nervosamente, mentre un uomo può essere schiacciato dall'ansia da celebrità. I poeti, quantomeno questo in particolare, sono schiavi delle cose terrene come chiunque altro. Per un paio di estati, quando i bambini erano molto piccoli, i Perowne andarono altrove ma non trovarono niente in Europa meridionale che reggesse il confronto con la bellezza di St-Félix. Era li che Rosalind aveva trascorso le vacanze della sua infanzia. Lo château era enorme perciò era facile mantenersi alla larga da John, il quale del resto amava passare molte ore al giorno in solitudine. Di rado si verificavano più di due o tre momenti difficili alla settimana e, con l'andare del tempo, anche quelli divennero meno rilevanti. Intanto, con il consolidarsi del modello di vita amorosa del padre, Rosalind è venuta ad avere personali e delicati motivi per rimanere in stretto contatto con lui. Lo château era appartenuto ai nonni materni ed era stato il grande amore della vita di sua madre. Era stata lei a farlo restaurare e ammodernare. La preoccupazione nasce dal fatto che qualora l'età e i malanni finissero col convincere John a sposare una delle sue segretarie, il castello potrebbe scivolare dalle mani di famiglia in quelle della nuova venuta. Le leggi ereditarie francesi potrebbero impedirlo, ma un vecchio documento, una tontina, attesta che St-Félix deve essere escluso dal resto dell'eredità e soggetto alla legislazione inglese. Nei suoi modi stizzosi, John ha assicurato alla figlia che non si risposerà mai e che lo château sarà suo, ma si rifiuta di mettere nero su bianco. Quell'ansia di fondo è probabilmente destinata a risolversi. Altra e più significativa ragione per cui hanno protratto negli anni le visite estive va ricercata nell'insistenza di Daisy e di Theo - stiamo parlando dei vecchi tempi, prima della rottura tra John e Daisy. I ragazzi adoravano il nonno, e consideravano certi umori imprevedibili la riprova della sua originalità, della sua grandezza: opinione da lui stesso largamente condivisa. A sua volta John 97
stravedeva per i nipoti, con loro non alzava mai la voce e mascherava in loro presenza le peggiori intemperanze. Sin dal principio, si considerò - non a torto, come ebbe a dimostrare la storia -una figura di rilievo nella loro crescita intellettuale. Quando fu chiaro una volta per tutte che Theo non avrebbe mai dimostrato un interesse più che formale nei confronti dei libri, John lo incoraggiò nello studio del pianoforte e gli insegnò un semplice boogie in do. Poi gli diede in regalo una chitarra acustica e stanò dalla cantina alcuni scatoloni pieni di vecchi 78 giri e LP di blues, da cui registrò cassette che presero ad arrivare a Londra per posta con scadenza regolare. In occasione del quattordicesimo compleanno di Theo, il nonno lo portò a Tolosa a sentire John Lee Hooker in una delle sue ultime apparizioni in pubblico. Una sera d'estate, dopo cena, Grammaticus e Theo eseguirono St James Infirmary sotto un cielo scintillante di stelle, il vecchio rovesciando la testa indietro e barbugliando in un roco accento americano che riempi di lacrime gli occhi di Rosalind. Theo, appena quattordicenne, improvvisò un assolo dolce e struggente. Perowne, seduto in disparte con il bicchiere del vino, i piedi nudi a mollo nella piscina, ne fu a sua volta commosso e si rimproverò per non aver preso abbastanza sul serio il talento del figlio. Quell'autunno Theo incominciò a fare la spola nell'East London per prendere lezione da una serie di anziani personaggi del blues britannico, contattati grazie a un amico di Rosalind al giornale. A detta di Theo, il più grande era Jack Bruce perché aveva una solida cultura musicale, suonava svariati strumenti, aveva rivoluzionato la tecnica della chitarra basso, sapeva a menadito la teoria e aveva suonato con tutti durante il periodo eroico del blues britannico, al principio degli anni Sessanta, i bei giorni andati del Blues Incorporated. Inoltre, aggiungeva Theo, era anche quello che si era mostrato più paziente degli altri con lui, e molto buono. Perowne fu sorpreso nel constatare che un personaggio di spicco come Bruce potesse prendersi la briga di dedicare tutto quel tempo all'apprendimento di un ragazzino. Theo, con disarmante ingenuità, non ci trovava nulla di strano. Tramite Bruce, Theo conobbe alcune leggende del blues. Gli fu permesso di assistere a una lezione magistrale di Clapton. Long John Baldry venne in visita dal Canada per una reunion. Theo ascoltò con entusiasmo aneddoti su Cyril Davies e Alexis Korner, la Graham Bond Organization e il primo concerto dei Cream. Il caso fortunato volle che Theo improvvisasse per parecchi minuti con Ronnie Wood e ne incontrasse anche il fratello maggiore, Art. A distanza di un anno, Art convocò Theo per una jamming session all'E el Pie Club presso il pub Cabbage Patch di Twickenham. In meno di cinque anni pare che sia riuscito a dominare il repertorio di tutta la tradizione. Adesso, ogni volta che si trova allo château suona per il nonno e gli mostra i virtuosismi più recenti. Sembra aver bisogno dell'approvazione di John, e il vecchio gli dà 98
corda. Una cosa Perowne gliela deve riconoscere: John ha portato alla luce un aspetto di Theo che lui avrebbe potuto ignorare per sempre. È pur vero che nel corso di una vacanza di body-surfing nel Pembrokeshire, quando Theo aveva nove anni, Henry gli aveva insegnato tre semplici accordi su una chitarra imprestata e gli aveva spiegato che il blues si suona in mi. Ma era stata solo una delle tante iniziative, come il gioco del frisbee, lo sci su erba, il quad biking, il paintballing, il lancio del sasso e il pattinaggio in linea. Prendeva molto a cuore gli svaghi dei figli al tempo. Si era perfino rotto un braccio per seguirli sui pattini. Ma non si sarebbe mai sognato che quei tre accordi potessero diventare la base della vita professionale di suo figlio. John Grammaticus è stato fondamentale anche nella vita di Daisy, almeno fino a quando qualcosa fra loro non è andato storto. Intorno ai suoi tredici anni, più o meno nel periodo in cui insegnava al fratello il boogie in do, John le chiese quali fossero i suoi libri preferiti. L'ascoltò fino in fondo e concluse che non stava sfruttando appieno le sue potenzialità, mostrando sufficienza nei confronti della letteratura per ragazzi che Daisy leggeva. La convinse a provare con Jane Eyre, gliene lesse ad alta voce i primi capitoli e le preannunciò meticolosamente i piaceri a venire. Daisy acconsentì, ma solo per assecondarlo. Il linguaggio era ostico, le frasi lunghe, le immagini, continuava a ripetere, stentavano a prendere forma nella sua mente. Perowne provò a cimentarsi a sua volta in quella lettura, ricavandone più o meno la stessa sensazione. Ma John tenne duro e, alla fine, intorno a pagina cento, Daisy si innamorò di Jane tanto da faticare a interrompersi per andare a tavola. Un pomeriggio il resto della famiglia andò a fare una passeggiata nei prati, lasciandola a quarantun pagine dalla conclusione del romanzo. Al ritorno la trovarono sotto un albero accanto alla colombaia in lacrime, non per la storia, ma perché era arrivata alla fine ed era riemersa da un sogno per scoprire che si trattava dell'invenzione di una donna che non avrebbe mai incontrato. Piangeva, spiegò, di stima, e di gioia al pensiero che qualcuno potesse concepire cose del genere. Quali esattamente? volle sapere Grammaticus. O nonno, quando i bambini dell'orfanotrofio muoiono eppure fuori il tempo è bellissimo, oppure quel punto in cui Rochester si spaccia per zingaro, o quando Jane incontra per la prima volta Bertha che è come una bestia selvaggia... John le passò La metamorfosi di Kafka, dicendole che era l'ideale per una ragazzina di tredici anni. Lei divorò la fiaba domestica e pretese che la leggessero anche i suoi genitori. Un mattino, decisamente troppo di buon'ora, irruppe in camera loro allo chateau e si sedette sul letto disperata: povero Gregor Samsa, i suoi genitori lo trattavano malissimo. Fortuna che aveva una sorella che gli puliva la stanza e gli cercava da mangiare quello che piaceva a lui. Rosalind se lo lesse d'un fiato, come un verbale giudiziario. Perowne, poco incline per natura ai racconti di trasformazioni surreali, ammise che verso la 99
fine l'aveva preso abbastanza: non seppe ricorrere a termini più entusiastici. Gli piacque la sbadata crudeltà di quella sorella che, nella pagina finale, monta sul tram con i genitori, fa una gita fino al capolinea, e si alza stirando le giovani membra, pronta a sbocciare alla vita dei sensi. Questa si, una trasformazione alla quale riusciva a credere. Fu il primo libro che Daisy gli consigliò, e segnò l'inizio di una educazione letteraria a lei delegata. Sebbene sia stato diligente nel corso degli anni e abbia cercato di leggere tutto quello che gli ha proposto, Henry sa di essere giudicato da lei un rozzo, irrecuperabile materialista. Uno che manca di fantasia. E forse è così, ma Daisy non ha ancora deciso di demordere. La pila dei libri accanto al suo letto cresce, e stasera ne arriveranno altri. Non ha nemmeno finito la biografia di Darwin, e Conrad lo deve ancora iniziare. Dall'estate di Charlotte Brontë e di Kafka in poi, Grammaticus si fece carico delle letture di Daisy. Aveva un'idea rigorosa e all'antica riguardo ai classici irrinunciabili, compresi alcuni che non riteneva dovessero essere fonte di particolare piacere. Secondo lui ai bambini fa bene imparare a memoria, e per questo era disposto a pagare. Shakespeare, Milton, e la Bibbia di Re Giacomo: cinque sterline ogni venti versi memorizzati tra quelli che le segnalava. Tutto il meglio della prosa come della poesia inglese discendeva da quelle tre fonti; le consigliò di trattenere ogni sillaba sulla lingua men tre la pronunciava, per assaporarne la forza ritmica. L'està» te del suo sedicesimo compleanno, allo chateau, Daisy si guadagnò una cifra da capogiro per un adolescente recitando, cantando anzi, brani del Paradiso perduto, del Genesi e svariate cupe elucubrazioni di Amleto. Declamò Browning, Clough, Chesterton e Masefield. Nel giro di una settimana si mise in tasca quarantacinque sterline. Ancora adesso, a distanza di sei anni, e all'età di ventidue, Daisy giura che potrebbe andare avanti a getto continuo per più di due ore. Prima di compiere i diciott'anni e di lasciare il liceo, si era già letta una discreta porzione di quanto suo nonno definiva l'ovvio. John non volle neppure sentir parlare di mandarla a studiare letteratura in un'università che non fosse la sua, a Oxford. Nonostante Henry e Rosalind lo pregassero di non farlo, è probabile che abbia anche messo una parola buona per lei al momento dell'iscrizione. Li mise a tacere dicendo che al giorno d'oggi il sistema era incorruttibile e che, anche volendo, non avrebbe potuto aiutarla. Per esperienza diretta nelle rispettive professioni, entrambi sapevano che non poteva essere esattamente così. Tuttavia placò le loro coscienze la lettera scritta di pugno al preside dal tutor di Daisy, in cui si diceva che la ragazza aveva sostenuto un colloquio brillante avvalorando ogni sua risposta con una citazione. È possibile che l'anno dopo abbia ottenuto un po' troppo successo per i gusti di suo nonno. Arrivò a St-Félix due giorni dopo il resto della famiglia, portando con sé la lirica con la quale aveva vinto l'ultima edizione del premio Newdigate. Henry e Rosalind non ne avevano mai sentito parlare, ma ne furono 100
automaticamente felici. Il premio in compenso significava molto, forse anche troppo, per il nonno di Daisy, il quale l'aveva vinto a sua volta verso la fine degli anni Cinquanta. John sparì nel suo studio con il testo: ai genitori fu concesso di vederlo soltanto dopo. La poesia indugiava sui delicati pensieri di una giovane alla fine dell'ennesima storia d'amore. Ancora una volta la donna ha tolto le lenzuola dal letto e le ha portate in lavanderia, dove rimane a guardare dal «monocolo appannato» della lavatrice «tutte le nostre macchie che girano per farsi purificare». Anche le storie d'amore si avvicendano cicliche, troppo rapidamente, come le stagioni, «trascolorando dal verde al marrone» e «spargendo a terra languidi frutti pronti a marcire in oblio». Le macchie non sono nemmeno peccati, ma «acquorei segni dell'estasi» o, alcuni versi più in là, «palinsesti lattiginosi» e pertanto non così facili da eliminare. Vagamente religiosa, svenevolmente erotica, la lirica suggerì a un infastidito Perowne l'idea che il primo anno di studi universitari della figlia fosse stato assai più affollato di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Non un solo ragazzo, o magari un amante, ma una dinastia completa di uomini, al punto da infondere serenità. Forse fu per questa ragione che Grammaticus se la prese con la poesia: la sua protetta aveva preso il largo e incontrato altri uomini. O forse si trattò dell'ultimo penoso attacco di ansia da celebrità: occupandosi dell'educazione letteraria di Daisy, John non intendeva di certo favorire la nascita del suo ennesimo rivale. Il Newdigate dopotutto era stato vinto anche da Fenton e Motion. Per cena Teresa preparò una semplice niçoise con tonno fresco comprato al mercato di Pamiers. La tavola veniva apparecchiata appena fuori dalla cucina, ai margini di un immenso prato. Era una serata bellissima come al solito, con le ombre violette di alberi e arbusti sempre più lunghe sulla distesa d'erba inaridita, e con i grilli pronti a dare il cambio al concerto pomeridiano delle cicale. Grammaticus arrivò per ultimo e, vedendo il suocero buttarsi sulla sedia accanto a Daisy, Perowne si convinse che dovesse già essersi scolato almeno una bottiglia da solo. L'ipotesi fu confermata quando appoggiò la mano sul polso della nipote con quella disinvoltura spaccona che gli ubriachi scambiano per confidenza, e le disse che la sua poesia era sciatta e lontana dal genere che di solito vinceva il Newdigate. Non valeva niente, aggiunse, come se lei dovesse già saperlo e non potesse fare altro che mostrarsi d'accordo. Uno psichiatra avrebbe potuto definirlo in uno stato di disinibizione. Sin dall'ultimo anno di liceo, appena diciottenne, leader e stella accademica della sua classe, Daisy aveva sviluppato modi dignitosi e composti. È una giovane di ossatura minuta, soda e graziosa, con un piccolo viso da elfo, corti capelli neri e una bella schiena diritta. La sua padronanza di sé la fa sembrare inespugnabile. A tavola quella sera, soltanto i suoi genitori e il fratello sapevano quanto fragile fosse il suo apparente controllo. Si mostrò comunque 101
impassibile e, senza fretta, sottrasse la mano fissando il nonno negli occhi, in attesa che dicesse altro. John bevve una lunga sorsata di vino, come se avesse in mano un boccale di birra tiepida, e procedette a invadere il silenzio di lei. Le disse che il metro era goffo e malfermo, le strofe eccessivamente irregolari. Henry lanciò un'occhiata a Rosalind, sperando che intervenisse. In caso contrario, sarebbe toccato a lui farlo, e la vicenda avrebbe assunto troppa importanza. Con suo disonore, non fu certissimo di che cosa s'intendesse esattamente per metro fino a quando non l'ebbe controllato sul dizionario più tardi la sera stessa. Rosalind si tratteneva: irrompere nello sproloquio del padre troppo presto poteva farlo sbottare. Fronteggiarlo era un'arte delicata. Sul lato opposto del tavolo, Teresa già soffriva. Ai suoi tempi, e in svariate occasioni anche prima di lei, si erano verificate scene analoghe a questa, ma non avevano mai coinvolto i bambini. Sapeva perfettamente che non poteva finire bene. Theo appoggiò il mento nella mano e prese a fissare il piatto. Incoraggiato dal mutismo della nipote, John andò avanti come un rullo compressore, scaldandosi al fuoco della propria autorevolezza, e utilizzando modi balordamente affettuosi. Stava scambiando la giovane donna che aveva davanti per la sedicenne da lui iniziata alla lettura dei poeti elisabettiani dell'età d'argento. Ammesso che l'avesse mai saputo, doveva essersi dimenticato i possibili effetti di un intero anno, di università. Riusciva solo a immaginare che Daisy la pensasse come lui, e si limitava perciò a ribadirle l'ovvio: che la lirica era troppo lunga, che tradiva uno sforzo eccessivo di scioccare il lettore, che conteneva una similitudine innegabilmente involuta. Si fermò per un altro lungo sorso, e Daisy continuò a tacere. Poi le disse che la sua poesia non era originale, e a quel punto ottenne una reazione. Daisy inclinò la bella testa e sollevò un sopracciglio. Non originale ? Perowne, scorgendo un tremito rivelatore sul piccolo mento, pensò che i modi compiti non avrebbero retto. Finalmente Rosalind prese la parola, ma suo padre le diede sulla voce. Già, una certa Pat Jourdan di Liverpool, poetessa poco nota ma di talento, aveva prodotto qualcosa di simile negli anni Sessanta: la fine di un amore, il vortice delle lenzuola nella lavatrice a gettoni davanti allo sguardo meditabondo dell'autrice. E ipotizzabile che Grammaticus sapesse quanto era idiota il suo atteggiamento ma non potesse più tirarsi indietro? C'era, negli occhi velati del vecchio, un'espressione da cane bastonato, quasi si stesse mettendo paura da solo e supplicasse qualcuno di fermarlo. Gli si spezzava la voce nello sforzo di mostrarsi affabile, e continuava a parlare, parlare, rendendosi sempre più ridicolo. Il silenzio attorno al tavolo che in principio l'aveva favorito, era diventato il suo castigo, un supplizio. Theo lo fissava esterrefatto, scuotendo la testa. Lungi da lui, diceva John, accusare Daisy di plagio; magari aveva letto quella poesia e l'aveva scordata, o semplicemente reinventata da sé. Dopotutto, l'idea non era poi tanto eccezionale, e comunque... 102
Alla fine si scaricò, incapace di peggiorare ulteriormente la situazione. Perowne fu lieto di constatare che sua figlia non era distrutta. Era furibonda. Le vedeva pulsare le vene del collo sotto la pelle. Ma non intendeva recare sollievo al nonno dando in escandescenze di qualunque tipo. All'improvviso, non potendo sostenere oltre il silenzio, John ricominciò, e parlava in modo concitato, cercando di ammorbidire il giù dizio senza modificarlo nella sostanza. Daisy intervenne dicendo che secondo lei era meglio cambiare argomento, al che Grammaticus farfugliò un semplice «Merda! », si alzò e spari dentro casa. Lo guardarono andare via: la scena di lui che si allontanava era ben nota, ma anche sconvolgente, perché era la prima volta che si verificava quell'estate. Daisy si trattenne ancora tre giorni, quanto bastava per dare tempo al nonno di escogitare modi per recuperare il rapporto. Ma l'indomani lui si mostrò vispo e allegramente concentrato su se stesso, dando l'impressione di aver dimenticato tutto. O forse stava solo fingendo: come molti bevitori, amava pensare che ogni nuovo giorno potesse cancellare con un colpo di spugna il precedente. Partendo per Barcellona - secondo un programma stabilito da tempo -, Daisy si impose di salutarlo con un bacio sulle guance e lui le strinse il braccio, convincendosi in seguito che ci fosse stata una riconciliazione. Quando Rosalind e Henry cercarono di spiegargli che avrebbe dovuto fare ancora parecchio per riavvicinarsi a Daisy, John disse loro che stavano solo facendo delle storie. Dopodiché dovette interrogarsi sul perché non comparve a St-Félix per due estati consecutive. La ragazza trovò buone ragioni per viaggiare in compagnia di amici in Cina e in Brasile. John avrebbe dovuto scriverle quando prese il diploma di laurea, ma a quel punto si era chiuso nell'astio riguardo alla vicenda. Perciò fu una mossa rischiosa quella di Rosalind di spedirgli le bozze delle poesie di Daisy. Non era forse scontato che non gli piacessero ? Specie considerando che l'editore era lo stesso che aveva permesso alle sue di andare fuori stampa. Se il suo entusiasmo per La mia barchetta sventata fu solo strategico, lo mascherò molto bene. La lunga lettera che le spedì si apriva con l'ammissione di essere stato un «ignobile bifolco» rispetto alla lirica della lavanderia a gettoni. La quale peraltro non era stata inclusa, e Henry si chiese, senza mai dare voce alla domanda, se in fondo Daisy non fosse stata d'accordo con il nonno sin dal principio. Aveva trovato un suo registro colloquiale, le diceva John nella lettera, che tuttavia risultava intenso e molto evocativo. Di quando in quando il tono pacato di quella voce familiare veniva interrotto da versi di un improvviso vigore emotivo e di una «trascendenza laica». Sotto questo aspetto, ritrovava ovunque nelle sue poesie l'eco dell'amatissimo Larkin, ma «irrobustito dalla sensualità di una giovane donna» e da un umorismo più cupo. Nella sua grafia praticamente illeggibile, elogiava il «nerbo intellettuale», il «coraggio del pensiero saldo e indipendente» che informava la struttura delle sue 103
composizioni. Gli piaceva la «genialità dimessa» delle «Sei liriche brevi». Diceva di aver «riso come un idiota» leggendo la «Ballata del cervello sulla scarpa» - una poesia che Daisy aveva scritto dopo aver passato una mattinata in sala chirurgica per vedere suo padre al lavoro. Si trattava, ovviamente, di quella che Henry aveva apprezzato di meno. La figlia aveva assistito a un semplice intervento di aneurisma dell'arteria cerebrale media. Non si era verificata nessuna perdita di sostanza grigia né bianca. A Henry era parso di cogliere nella lirica l'essenziale e - a quanto pare - giustificabile disonestà dell'arte. Daisy spedi al nonno una cartolina affettuosa. Gli disse di aver sentito tanto la sua mancanza e di dovergli moltissimo. Aggiunse che le sue parole l'avevano resa felice; non faceva che rileggerle ed era euforica grazie ai suoi complimenti. Adesso il vecchio e Daisy stanno arrivando rispettivamente da Tolosa e da Parigi. Una rete televisiva ha deciso di girare un programma sulla vita di Grammaticus, perciò l'hanno sistemato in pompa magna al Claridge Hotel. Stasera a cena la riconciliazione sarà suggellata; questa almeno è l'idea, ma mentre trascina la pesante sporta del pesce muovendosi nella folla di High Street, Perowne ha memoria di troppe cene passate con il suocero per potersi dire ottimista; per giunta la situazione è cambiata parecchio negli ultimi tre anni. Di questi tempi Grammaticus ha ripreso a inaugurare le proprie serate, o tardi pomeriggi, con qualche buon sorso di gin prima del vino, consuetudine che era riuscito a interrompere per un po' dopo i sessant'anni. Altra novità sono i bicchieri di scotch per concludere in bellezza la giornata, prima di passare alla birra «purificante» della buonanotte. Se si presenta allegro e vivace, andrà soggetto al suo automatico bisogno di dominare la situazione in casa della figlia, il che lo farà bere più in fretta. Sbronzarsi è un viaggio le cui prime tappe di solito lo esaltano: diventa di compagnia, estroverso, allusivo e spiritoso, il vecchio poeta illustre, quasi altrettanto lieto di ascoltare, oltre che di tenere banco. Ma una volta raggiunta la meta e insediatosi, lassù sull'altopiano senza sole, una volta irrimediabilmente sbronzo, allora sono le muse più maligne, gli spiritelli di aggressività, paranoia e vittimismo ad assumere il controllo. L'attuale previsione è che una serata con John finirà male in qualche modo, a meno che tutti quanti intorno non siano pronti a un tour de force di spiritosaggini e complimenti nonché a ore di ascolto attonito. E non lo sarà nessuno. Perowne raggiunge l'auto e infila la sporta olezzante nel baule, tra gli scarponcini di tutta la famiglia, zaini e palle da tennis dell'estate scorsa. La sua mente è attraversata di quando in quando dal pensiero assai poco professionale che la soluzione più civile per tutti, compreso il vecchio in persona, sarebbe quella di rifilargli un modesto tranquillante mentre si trova ancora sull'erta gioiosa del percorso, che so una benzodiazepina ad azione rapida sciolta in un forte vino rosso, tipo Rioja. Poi, 104
quando gli sbadigli cominciano a moltiplicarsi, lo si potrebbe accompagnare di sopra in camera, oppure al taxi: il vecchio poeta illustre a letto mezz'ora prima della mezzanotte, stanco e felice, senza aver fatto danni. Ha percorso un paio di centinaia di metri nel traffico pigro di Marylebone, quando, nello specchietto retrovisore, nota una Bmw rossa due macchine dietro la sua. In realtà riesce a scorgerne soltanto un angolo della fiancata e non è in grado di stabilire se manchi o no lo specchietto laterale. A un incrocio, si intromette un furgone bianco e a quel punto Henry perde quasi completamente di vista l'auto rossa. Non è escluso che possa trattarsi di Baxter, eppure Henry non si sente molto in ansia al pensiero di rivederlo. Anzi, non gli dispiacerebbe parlargli. Il suo è un caso interessante, e l'offerta d'aiuto era sincera. Lo preoccupa invece di più il fatto che il traffico del sabato mattina non stia procedendo: c'è un ingorgo più avanti. Quando torna a guardare, l'auto rossa è sparita. Dopodiché se ne scorda; ad attirare la sua attenzione è un negozio di televisori sulla sinistra. La vetrina espone file ordinate di immagini identiche su vari tipi di schermo: apparecchi a raggio catodico, al plasma, palmari, a schermo gigante. Ciò che va in onda su ciascuno è un'intervista al primo ministro realizzata in studio. Il primo piano di un viso si va trasformando nel dettaglio di una bocca le cui labbra finiscono per occupare metà dello schermo. In passato ha sostenuto che se sapessimo tutto ciò che sa lui, anche noi saremmo in favore del conflitto. Forse con questa lenta zoomata il regista sta consapevolmente assecondando l'interrogativo che una popolazione di spettatori vorrà certamente formulare: sta dicendo la verità quest'uomo politico ? Ma c'è qualcuno in grado di riconoscere il segnale rivelatore di un uomo onesto ? Questa precisa domanda ha prodotto una serie di buone riflessioni. Perowne ha letto quelle di Paul Ekman in proposito. Nel sorriso di un bugiardo in imbarazzo determinate fasce muscolari del viso non entrano in azione. Si risvegliano solo con l'espressione di un sentimento genuino. Il sorriso di un impostore è difettoso, insufficiente. E tuttavia, è possibile scorgere questi muscoli restare inerti quando su una faccia ci sono così tante variazioni concentrate, cuscinetti di grasso, concavità asimmetriche, differenze di struttura ossea ? Particolarmente difficile, se si considera che la prima e miglior mossa inconscia di un buon bugiardo consiste nel convincere se stesso di essere sincero. E una volta sincero, ogni indizio di inganno sparisce. Nonostante tutte le difficoltà, le istintive contromisure, noi continuiamo diligenti a osservare, sforzandoci di leggere una faccia, cercando di calcolarne le intenzioni. Amico o nemico? E un cruccio antichissimo. E anche se, generazione dopo generazione, intuiamo correttamente poco più di metà delle volte, vale lo stesso la pena tentare. Più che mai adesso, sull'orlo di un conflitto, mentre il paese è ancora convinto di poter revocare l'intervento prima che sia troppo tardi. Quest'uomo crede davvero che entrare in guerra ci 105
renderà più sicuri? Saddam possiede armi dal potenziale terrificante ? Il primo ministro potrebbe semplicemente essere sincero e sbagliarsi. Tra i suoi più violenti oppositori c'è chi non mette in dubbio che sia in buonafede. Potrebbe essere sul punto di commettere un errore di proporzioni mostruose. O forse invece funzionerà: il dittatore sarà liquidato senza centinaia di migliaia di morti e, nel giro di un paio d'anni, una democrazia, islamica o laica, potrà finalmente insediarsi tra le stanche tirannie del Medio Oriente. Bloccato nel traffico accanto a quelle facce multiple, Henry registra la propria indecisione come una forma di vertigine, un dubbio da capogiro. Quella della neurochirurgia è stata una scelta professionale semplice e rassicurante. Sa di pazienti che non riescono neppure a riconoscere, altro che leggere, i visi dei loro famigliari e amici più stretti. Quasi sempre risulta compromesso il giro fusiforme mediale destro, di solito in seguito a un ictus. Il neurochirurgo non può farci nulla. E deve essere stato un momento di temporanea prosopoagnosia - o incapacità di riconoscere i volti - quello accaduto l'unica volta che ha incontrato Tony Blair. L'episodio risale al maggio 2000, un periodo che ormai va acquisendo una specie di lustro, un brillio di innocenza fasulla. Prima delle attuali preoccupazioni, era stato avviato un progetto pubblico considerato da molti un successo. Nessuno sembrava negarlo, qualcosa era andato per il verso giusto. Si scopri che una stazione elettrica in disuso sulla sponda meridionale del Tamigi poteva ospitare un museo di arte contemporanea. Le opere di ristrutturazione furono ardite e geniali. Alla cerimonia di inaugurazione della Tate Modem erano presenti quattromila ospiti celebrità, politici, il meglio del meglio - e centinaia di ragazzi e ragazze assunti per distribuire champagne e tartine salate, in un'atmosfera di generale euforia scevra da ogni cinismo, piuttosto insolita per questo tipo di evento. Henry era li in quanto membro del Royal College of Surgeons. Rosalind fu invitata tramite il giornale. Ci andarono anche Theo e Daisy, ma si dileguarono nella folla appena arrivati. I genitori non li rividero che il mattino dopo. Gli ospiti si radunarono nella vastità industriale della ex sala turbine dove il baccano di migliaia di voci concitate dava l'impressione di sostenere un gigantesco ragno sospeso sotto le travi di ferro. Dopo un'ora, Henry e Rosalind si allontanarono dagli amici e presero ad aggirarsi, bicchiere in mano, tra le opere esposte nelle gallerie relativamente spopolate. Era tale il loro benessere che perfino le scostanti ortodossie dell'arte concettuale sembravano far parte del divertimento, come in una sorta di ambiziosa esposizione di elaborati degli allievi nella giornata di scuola a porte aperte. A Perowne piacque Exploding Shed di Cornelia Parker: una spiritosa costruzione che faceva pensare a un'idea brillante nell'atto di deflagrare da una testa. Entrarono in una sala interamente dedicata a Rothko e per svariati minuti si sentirono gradevolmente pacificati in mezzo alle gigantesche lastre di viola cupi e di arancio. Poi attraversarono un ampio portale che li condusse 106
alla galleria successiva, dove si imbatterono in quella che a prima vista parve l'ennesima installazione. In effetti si trattava in parte di un'opera esposta: una bassa pila di mattoni. Ma al di là, in fondo all'ampia sala, c'era il primo ministro e, al suo fianco, il direttore del museo. A pochi metri di distanza invece, accanto all'estremità più vicina dei mattoni, in teoria separati da una corda di velluto, stavano gli inviati della stampa - almeno una trentina tra fotografi e cronisti - insieme a probabili funzionari della galleria e a membri del personale di Downing Street. I Perowne erano entrati in un momento di insolito silenzio. Blair e il direttore si misero in posa davanti agli obiettivi le cui istantanee avrebbero incluso anche i famosi mattoni. I flash esplodevano disordinatamente, ma nessuno richiamava l'attenzione a voce alta come accade di solito. La pacatezza della scena pareva il proseguimento della sala precedente, quella di Rothko. Poi il direttore, forse cercando un pretesto per concludere l'incontro con la stampa, alzò una mano rivolgendo a Rosalind un cenno di saluto. Si conoscevano per una questione legale conclusasi amichevolmente. Il direttore guidò Blair intorno ai mattoni e insieme attraversarono la galleria dirigendosi verso i Perowne, subito seguiti dal codazzo di fotografi con le macchine pronte a scattare, e di cronisti armati di taccuino in caso dovesse finalmente verificarsi qualcosa di curioso. Non potendo sottrarsi, i Perowne osservarono tutta quella folla avanzare. Nell'improvvisa calca di corpi, furono presentati al primo ministro che strinse la mano di Rosalind, e poi quella di Henry. La stretta era salda e virile e, con stupore di Perowne, Blair lo stava guardando con interesse, come se lo riconoscesse. L'espressione era accesa e intensa, oltre che inaspettatamente giovanile. Dovevano ancora succedere così tante cose. Disse: - Apprezzo molto il suo lavoro. Perowne ribatté automaticamente: - Grazie -. Ma era colpito. Non si poteva escludere in modo categorico che Blair, grazie alla sua buona memoria e alla ben nota capacità di acquisire i dettagli delle relazioni fornitegli dai vari ministri, avesse raccolto l'eco degli eccellenti rapporti ospedalieri del mese scorso - il cento per cento degli obiettivi raggiunti - e addirittura della menzione speciale per gli eccezionali successi del reparto di Neurochirurgia. Un incremento di interventi pari al ventitre per cento nell'arco di un anno. Di recente Perowne si è reso conto della totale assurdità di quell'idea. Il primo ministro, che non gli aveva ancora lasciato la mano, aggiunse: - Anzi, abbiamo due suoi dipinti a Downing Street. Chérie e io li adoriamo. - No, no, - disse Perowne. - Si, si, - insistette il primo ministro, strizzandogli la mano. Non era in vena di apprezzare l'understatement di un artista. - No, credo che lei... - Dico sul serio. Sono in sala da pranzo. 107
- Credo che lei stia commettendo un errore, - disse Pe rowne, e l'ultima parola fu accompagnata dal passaggio fulmineo sul volto del primo ministro di un improvviso allarme, dal lampo di un dubbio. Nessun altro registrò la momentanea paralisi della sua espressione né l'infinitesimale sbarramento degli occhi. Nella certezza del potere era comparsa un'incrinatura sottile come un capello. Subito dopo, Blair riprese a comportarsi come prima, senza dubbio avendo calcolato che, data la ressa di persone che si accalcava tutto intorno cercando di ascoltare, non c'era più modo di tornare indietro. Quantomeno, non senza un articolo derisorio sulla stampa dell'indomani. - Comunque. Sono davvero magnifici. Complimenti. Una delle assistenti, una donna in tailleur pantalone nero, intervenne dicendo: - Primo ministro, abbiamo tre minuti e mezzo. Dobbiamo procedere. Blair mollò la presa sulla mano di Perowne e, senza rivolgergli più che un cenno del capo e un fugace incresparsi di labbra a mo' di saluto, si volse lasciandosi condurre oltre. A quel punto collaboratori, cronisti, galoppini, guardie del corpo, tirapiedi del museo e direttore gli sciamarono appresso e, nel giro di pochi secondi, i Perowne si ritrovarono nella galleria deserta, soli davanti ai mattoni, come se non fosse mai successo nulla. Osservando dall'auto le immagini multiple in continua alternanza tra ospite e intervistatore, Perowne si domanda se momenti come quello, gelide fitte di dubbio terrificante, siano in aumento nelle attuali giornate, o nottate, del primo ministro. Potrebbe non esserci una seconda risoluzione delle Nazioni Unite. Anche il prossimo rapporto degli ispettori potrebbe rivelarsi inconcludente. Gli iracheni potrebbero fare uso di armi biologiche contro le forze d'invasione. Oppure, come si ostina a ripetere un ex ispettore, potrebbe non esserci più neanche l'ombra di armi di distruzione di massa. Si sente parlare di carestia e di tre milioni di possibili profughi, e in Siria e Iran si stanno già allestendo campi di accoglienza. I portavoce delle Nazioni Unite prevedono centinaia di migliaia di morti tra gli iracheni. Potrebbero esserci rappresaglie su Londra. Intanto gli americani continuano a rimanere nel vago riguardo alle strategie postbelliche. Forse non ne hanno affatto. Insomma, il prezzo per rovesciare Saddam potrebbe rivelarsi troppo alto. E un futuro che nessuno è in grado di indovinare. Vari ministri del governo parlano di lealtà, parecchie testate giornalistiche sostengono la guerra, la nazione è percorsa da un discreto livello di preoccupato sostegno oltre che di dissenso, ma nessuno in effetti dubita che in tutta la Gran Bretagna un unico uomo stia reggendo le fila degli avanzamenti in corso. Sudori notturni, incubi atroci, le sfrenate congetture traballanti dell'insonnia ? O semplicemente la sensazione di essere solo ? Adesso, ogni volta che lo vede sullo schermo, Henry va a caccia di una consapevolezza dell'abisso, di quella sottile incrinatura, dell'attimo di immobilità facciale, di quel breve vacillamento che ha potuto constatare di 108
persona. Ma tutto quel che vede è sicurezza, o al massimo un'artificiosa determinazione. Trova libero un posteggio riservato ai residenti di fronte alla sua porta di casa. Mentre estrae la borsa della spesa dal bagagliaio, vede nella piazza, sdraiati accanto alla panca più vicina all'edificio, gli stessi giovani che sono spesso da quelle parti verso sera, e poi di nuovo a tarda notte. Ci sono due immigrati delle Indie Occidentali e due, a volte tre, mediorientali che potrebbero essere turchi. Hanno tutti un'aria cordiale e benestante e spesso si appoggiano sulla spalla l'uno dell'altro e ridono forte. Accanto al marciapiede è ferma una Mercedes - stesso modello di quella di Perowne, ma nera -con qualcuno immancabilmente seduto al volante. Di quando quando si avvicina un estraneo e si mette a conversare con il gruppo. Allora uno di loro si dirige alla macchina, si consulta con il guidatore e torna indietro; segue un ulteriore scambio di battute, e infine l'estraneo prosegue per la sua strada. È gente molto riservata e per nulla minacciosa; a lungo Perowne ha pensato che si trattasse di spacciatori, magari gerenti di uno smercio di coca, o di ecstasy e marijuana. I clienti non sembrano abbastanza degradati o paranoici da essere consumatori di eroina o di crack. E stato Theo a far ravvedere il padre. Quei giovani vendono biglietti per concerti rap improvvisati in vari angoli della città. Commerciano anche in CD pirata, voli intercontinentali a basso costo, locali e Dj per feste private a tariffe dimezzate, e poi noleggio limousine per matrimoni e aeroporti, nonché polizze assicurative sanitarie e automobilistiche a prezzi stracciati; su pagamento di una commissione possono mettere in contatto profughi e stranieri senza permesso di soggiorno con un procuratore legale. Lavorando in nero e non avendo spese di gestione, il gruppo è altamente competitivo. Ogni volta che li vede, come adesso mentre attraversa la strada, Perowne ha la vaga sensazione di dovere loro delle scuse. Un giorno o l'altro si fermerà a comprare qualcosa. Theo è giù in cucina, probabilmente impegnato a prepararsi una delle solite colazioni a base di yogurt e frutta. Henry lascia il pesce in cima alle scale, si sporge in basso per salutare e sale al secondo piano. Di giorno lavcamera da letto risulta surriscaldata, soffocante e spoglia. È un posto più bello e più accogliente alla luce bassa delle lampade, dopo una giornata di lavoro e con la prospettiva del sonno; trovarsi qui alle prime ore del pomeriggio gli ricorda un brutto attacco di influenza. Si toglie le scarpe, sfila i calzini umidi e li butta nel cesto della biancheria sporca, poi si dirige alla finestra centrale e la apre. Ed eccola di nuovo li, a meno che non sia un'altra, proprio sotto di lui, nell'atto di svoltare a passo d'uomo l'angolo della casa nel punto in cui la via si apre sulla piazza. Dall'alto ne vede essenzialmente il tettuccio, mentre la vista della fiancata con lo specchietto laterale gli è del tutto impedita, nonostante Henry sollevi il vetro e si sporga fuori il più possibile. Non riesce a scorgere nemmeno il guidatore, 109
né eventuali passeggeri. La vede procedere lenta lungo il versante settentrionale della piazza e svoltare a destra in Conway Street per poi sparire. Questa volta non si sente così imperturbabile. E come si sente, invece? Incuriosito, magari per. fino un po' agitato ? Si tratta di un'auto abbastanza comune e fino a un paio di anni fa il rosso andava parecchio. D'altra parte, perché escludere la possibilità che sia Baxter; la sua situazione è terribile e avvincente: una vita da balordo di strada deve aver mascherato il desiderio di un'esistenza migliore anche prima che si manifestassero i sintomi iniziali della malattia degenerativa. Perowne si allontana dalla finestra per dirigersi in bagno. Baxter non farebbe nessuna fatica a pedinarlo. La Mercedes, di per sé piuttosto notevole, si trova parcheggiata giusto sotto casa. Si, rivedere Baxter non gli dispiacerebbe, ma in orario di studio; farlo parlare e fornirgli qualche contatto utile. Quello che non gli va è l'idea di Baxter a zonzo per la piazza. Mentre finisce di spogliarsi, il cellulare squilla sotto il mucchio dei vestiti che ha ai piedi. Rovista un po' e lo trova. - Tesoro ? - dice lei. Rosalind finalmente. Quale momento migliore ? Si porta il telefono in camera e si stende nudo sul letto parzialmente disfatto dove ore prima hanno fatto l'amore. Dal termosifone gli arrivano sulla pelle ondate di aria calda come una brezza del deserto. Il termostato è troppo alto. Henry ha una mezza erezione, forse solo un quarto in effetti. Se oggi Rosalind non avesse dovuto lavorare, se al giornale non fosse scoppiata la crisi da weekend, se il suo mite direttore non diventasse tanto attaccabrighe quando c'è di mezzo la libertà di stampa delle testate minori, lei e Henry potrebbero essere insieme adesso. È così che a volte in inverno passano un paio d'ore di sabato pomeriggio. Nell'atmosfera sensuale di quando fa buio alle quattro. Lo specchio del bagno, con l'ausilio di una illuminazione benevola e di una prospettiva corretta, concede a Henry l'occasionale ricordo della sua giovinezza. Rosalind invece, grazie a chissà quale trucco di intima luminosità o in virtù dell'amore fazioso di Henry, continua ad assomigliare moltissimo, secondo lui, alla donna conosciuta tanti anni fa. La sorella maggiore di quella Rosalind più giovane, magari, ma non ancora sua madre. Quanto potrà durare? In sostanza, gli elementi costitutivi della sua persona sono rimasti invariati: il pallore quasi luminescente della pelle - sua madre, Marianne, era di origini celtiche; le sopracciglia rade e delicate, quasi inesistenti; quello sguardo fermo, verde chiaro; e i denti, bianchi come allora (a differenza dei suoi che stanno diventando grigi): perfetta la chiostra superiore, lievemente asimmetrica quella inferiore - un difetto infantile cui Henry non ha mai desiderato rimediasse; l'ampiezza sincera del sorriso a partire da un inizio schivo; sulle labbra, un rossore aranciato che è tutto e solo suo; i capelli, tagliati corti adesso, e ancora rosso-bruni. Quando è rilassata, ha un'espressione di allegra intelligenza, un'intatta disponibilità al 110
divertimento. La sua rimane una faccia bellissima. Come chiunque abbia superato i quarant'anni, ha i suoi momenti di sgomento, sfinita davanti allo specchio prima di coricarsi, e Henry ha riconosciuto anche a sé quello sguardo, quasi ringhioso, da irriducibile indagatore. Siamo tutti in viaggio nella stessa direzione. Ovviamente, Rosalind non è del tutto convinta quando lui dichiara di apprezzare il suo leggero arrotondamento sui fianchi, come pure la pesantezza dei seni. Ma è vero. Si, sarebbe proprio felice di essere a letto con lei adesso. Immagina che lo stato d'animo di Rosalind - mentre in abiti neri da ufficio corre da una riunione all'altra - sia molto lontano da tutto questo, perciò si mette seduto per tornare su argomenti di buonsenso. - Come sta andando ? - Il nostro giudice è bloccato in un ingorgo a sud di Black-friars Bridge. Per il corteo. Comunque, credo che ci farà avere quello che vogliamo. - Revocherà l'ordinanza? - Esatto. Lunedi mattina -. Ha un tono vivace e soddisfatto. - Sei un genio, - dice Henry. - E tuo padre ? - Non ce la faccio ad andarlo a prendere in albergo. Per il corteo. C'è un traffico infernale. Verrà in taxi per conto suo -. Si ferma e aggiunge un po' più pacatamente: - E come stai, tu ? - Il tono calante della domanda e il tenero indugio sull'ultima parola sono un chiaro riferimento a questa mattina. Henry si sbagliava sul suo stato d'animo. Sta per dirle che è nudo sul letto, che la desidera, ma poi cambia idea. Non è il momento per certi preliminari telefonici, visto che lui deve uscire e lei ha i suoi impegni da portare a termine. Del resto ci sono cose anche più importanti da raccontarle che dovranno aspettare fin dopo la cena di stasera, se non fino a domattina. Dice: - Faccio una doccia e vado subito a Perivale -. Ma non essendo una risposta alla domanda di lei, aggiunge: - Tutto bene, però non vedo l'ora di stare un po' con te -. Anche questo non gli basta, perciò dice: - Sono successe tante cose di cui ho bisogno di parlarti. - Che tipo di cose ? - Niente di grave. Preferisco dirtelo quando ci vediamo. - D'accordo. Ma dammi un'idea. - Ieri notte quando non riuscivo a dormire sono andato alla finestra. Ho visto quel cargo russo. - Amore. Chissà che spavento. Che altro c'è? Henry ha un attimo di esitazione e la mano va automaticamente ad accarezzare l'ematoma sul petto. Che titolo vogliamo dargli? come dice lei ogni tanto. Regolamento di conti in strada. Tentata rapina. Una malattia neurologica. Lo specchietto laterale. Lo specchietto retrovisore. - Ho perso a squash. Sto diventando troppo vecchio per questo sport. 111
Rosalind ride. - Non posso credere che il problema sia questo -. Ma ha la voce rassicurata. Dice: - Guarda che forse stai dimenticando una cosa. Theo ha delle prove importanti oggi pomeriggio. Qualche giorno fa ti ho sentito promettere che ci saresti andato. - Accidenti. A che ora ? - Non si ricorda affatto di quella promessa. - Alle cinque, in quel locale di Ladbroke Grove. - Sarà meglio che mi muova. Si alza dal letto e si porta il telefono in bagno per i saluti. - Ti amo. - Ti amo, - risponde lei, e riattacca. TRE. Henry si infila sotto la doccia, una copiosa cascata pompata dal terzo piano. Al crollo di questa civiltà, quando alla fine i romani, di chiunque si tratti stavolta, alzeranno le tende e avranno inizio i nuovi secoli bui, questo sarà uno dei primi lussi a morire. Allora i vecchi accovacciati vicino a un fuoco di torba racconteranno a nipoti increduli di un tempo in cui si stava nudi in pieno inverno, sotto getti di acqua calda e pulita, con in mano pezzi di sapone profumato e densi liquidi ambrati e vermigli da strofinarsi fra i capelli per farli più lucidi e più voluminosi di prima, e con morbidi teli bianchi ampi come toghe, in attesa su appositi caloriferi. Si deve mettere in giacca e cravatta cinque giorni alla settimana. Oggi si infila un paio di jeans, un maglione e logori scarponcini marroni e sfida chiunque a giurare che non sia lui il grande chitarrista della sua generazione. Mentre si china ad allacciarsi le scarpe, sente una fitta lancinante alle ginocchia. E inutile aspettare i cinquant'anni. Decide di darsi ancora sei mesi di squash e un'ultima maratona di Londra. Riuscirà a sopportare che questo genere di passatempi si riduca a far parte del suo passato ? Davanti allo specchio, abbonda con il dopobarba: specie d'inverno, a volte nella casa di riposo aleggia un odore che preferisce contrastare. Esce dalla stanza e scende la prima rampa di scale di traverso, due gradini alla volta, senza reggersi al mancorrente per sicurezza. È un giochetto che ha imparato da ragazzino e che ora sa fare meglio che mai. Ma un tacco della scarpa messo male, una frattura del coccige, sei mesi sdraiato supino, un anno per la riabilitazione dei muscoli indeboliti: la visione premonitrice occupa meno di mezzo secondo, eppure funziona. La rampa successiva, l'affronta normalmente. Nella cucina del seminterrato Theo ha già messo via il pesce nel frigorifero. La Tv minuscola ha l'audio azzerato e mostra una panoramica di Hyde Park filmata dall'elicottero. La folla ammassata sembra una chiazza marrone, come un lichene sopra una roccia. Theo si è allestito la colazione in una grossa insalatiera che contiene poco meno di un chilo tra fiocchi d'avena, crusca, noci, mirtilli, 112
lamponi, uva passa, latte, yogurt, mele, banane e datteri tagliati a pezzi. Theo la indica con un cenno del capo. - Vuoi un po'? - Finisco qualche avanzo. Henry estrae dal frigo un piatto di pollo e patate lesse e mangia restando in piedi. Il figlio è seduto su uno sgabello alto dell'isola in centro cucina, curvo sulla sua ciotola gigantesca. Oltre il disastro di briciole, contenitori e bucce di frutta, ci sono pagine di musica con gli accordi scritti a matita. Le spalle di Theo sono larghe, e la massa dei muscoli tende il tessuto della maglietta bianca pulita. I capelli, la pelle delle braccia nude e le fitte sopracciglia scure conservano la stessa qualità piena e liscia dell'appena confezionato che Perowne soleva ammirare quando Theo era un bambino di quattro anni. Henry indica la Tv. - Continui a non lasciarti tentare? - Stavo guardando. Due milioni di persone. Davvero eccezionale. Naturalmente Theo è contrario alla guerra in Iraq. Il suo atteggiamento al riguardo è vigoroso e puro come la sua pelle e le sue ossa. Al punto che Theo non sente un gran bisogno di scendere in strada per ribadire il concetto. - Ultime novità su quell'aereo? Ho sentito degli arresti. - Non stanno dicendo più nulla -. Theo rovescia altro latte nell'insalatiera. Ma girano voci su Internet. - Sul Corano, vero ? piloti sono integralisti islamici. Uno è ceceno, e l'altro algerino. Perowne si avvicina uno sgabello e, mentre si siede, si accorge che gli è passato l'appetito. Scosta il piatto di lato. - Allora, come è andata? Questi si danno fuoco all'aereo in nome della jihad, dopodiché atterrano sani e salvi a Heathrow. - Si sono cagati sotto. - E così magari hanno pensato di unirsi ai dimostranti, oggi- Perché no. Un gesto eloquente. Fate la guerra a un paese arabo e questo è il tipo di cosa che vi succederà. i Non sembra plausibile. Ma in genere, l'indole umana tende alla credulità. E a cambiare parere, in caso di smentita. Oppure ad avere fede, e continuare a credere. Nel corso del tempo, generazione dopo generazione, può essere stata questa la scelta più efficace: meglio credere, non si sa mai. Per tutto il giorno, Perowne ha sospettato che la vicenda non fosse esattamente come sembrava, e adesso Theo sta alimentando il bisogno del padre di sentire il peggio. D'altro canto, se le voci riguardo all'aereo arrivano da Internet, aumenta il rischio di inesattezza. Henry produce un resoconto stringato dell'incidente con Baxter e i suoi amici, dei sintomi del morbo di Huntington 113
e dello scampato pericolo. Theo dice: - Lo hai umiliato. Dovresti fare attenzione, -In che senso? - Questa gente di strada può essere permalosa. E poi, : papà, non posso credere che abitiamo qui da tanto tempo e » tu e la mamma non siete mai stati derubati. Perowne guarda l'ora e si alza. - È che io e la mamma non , ne abbiamo proprio il tempo. Ci vediamo a Notting Hill verso le cinque. - Allora vieni. Fantastico. È tipico del lato incantevole di Theo non aver insistito. E se suo padre avesse finito col non presentarsi, lui non avrebbe detto niente. - Non mi aspettate per incominciare. Lo sai com'è, quando si va a trovare la nonna. - Dobbiamo provare la canzone nuova. Ci sarà anche Chas. Teniamo quella per quando arrivi. Tra gli amici di Theo, Chas è quello che a Henry piace di » più, oltre che il più colto: per suonare nel gruppo ha abbandonato l'università di Leeds dove era iscritto al terzo anno di Lettere. È stupefacente che la vita - madre suicida, padre assente, due fratelli membri di una setta di fanatici battisti, non abbia stroncato finora la sua serafica benevolenza, e Qualcosa nell'isola di St Kitts - che si tratti magari del santo che le dà il nome ? - deve aver profuso su questo giovane e titano quantità eccezionali di gentilezza. Da che lo conosce, e a Perowne è venuta voglia di visitare quei posti. Da un angolo della stanza, Henry prende una pianta in »-vaso avvolta in carta velina: una costosa orchidea acquistata qualche giorno prima dal fioraio di Heal's. Si ferma sulla porta e alza una mano in cenno di saluto. - Stasera cucino io. Mi raccomando, rimetti tutto a posto. - Sì, certo, - risponde Theo. Poi, senza ironia, aggiunge - Ricordami alla nonna. Dàlie un bacio da parte mia. Pulito e profumato, con un indolenzimento quasi piacevole nelle gambe, Perowne scopre di sentirsi meglio all'idea di vedere sua madre, mentre procede in macchina diretto a ovest nel traffico scorrevole. Conosce a menadito la routine. Una volta insieme, faccia a faccia, ciascuno con la sua tazza di tè marrone scuro in mano, la tragedia della sua condizione sarà oscurata dalla banalità del dettaglio, dalla gestione di quei minuti opprimenti, dall'ascolto distratto. Essere con lei non è poi così difficile. La parte dura è venirsene via, prima che la visita sprofondi nella memoria insieme a tutto il resto, quando il ricordo della donna che sua madre era un tempo gli piomba addosso mentre lui, già sulla porta, si china per salutarla con un bacio. È allora che sente di tradirla, quando se la lascia alle spalle in quella vita limitata per svignarsela verso la ricchezza, il tesoro segreto della sua esistenza. A dispetto del senso di colpa, non può impedirsi di registrare il sollievo, la leggerezza nel passo mentre le volta la schiena e si allontana dal ricovero per 114
anziani estraendo le chiavi dell'auto dalla tasca e tuffandosi in una libertà che a lei è negata. Tutto ciò che possiede ormai trova posto nella sua piccola stanza. E non si può nemmeno dire che sia sua, quella stanza, visto che non saprebbe ritrovarla senza aiuto, e che nemmeno sa di averla. E quando ci sta dentro, non riconosce le sue cose. Non è più possibile portarla a casa loro né fuori in gita; ogni minimo spostamento la disorienta per non dire che la terrorizza. Non può che rimanere dov'è, e naturalmente lei non sa neppure questo. Ma il pensiero del commiato imminente adesso non lo preoccupa. Alla fine si gode la lieve euforia soffusa prodotta dall'esercizio fisico. Le benedette betaendorfine, oppiacei di produzione propria, che leniscono ogni tipo di dolore. La radio trasmette un vivace brano per clavicembalo di Scarlatti, un tintinnante susseguirsi di accordi che, non giungendo mai a una vera e propria conclusione, sembrano incoraggiarlo oltre, verso una meta giocosamente irraggiungibile. Nessuna Bmw rossa, nello specchietto retrovisore. Lungo questo tratto di strada, dove la Euston diventa Marylebone Road, i semafori sono sincronizzati con precisione newyorkese e Henry è sospinto sulla cresta di un'onda verde come un surfista, da un succedersi di semplici e perfette indicazioni: Avanti! oppure solo un Si! La lunga fila di turisti perlopiù adolescenti - in coda fuori dal Madame Tussaud risulta meno futile del solito; una generazione cresciuta a roboanti effetti speciali hollywoodiani ha ancora voglia di stupirsi di fronte a delle statue di cera, come contadini settecenteschi a una fiera di campagna. La vituperata Westway, alta sui suoi pilastri sporchi di cemento armato, sulla quale Henry sale rapidamente al livello di un secondo piano, offre un improvviso orizzonte di nuvole basse sulla disordinata distesa di tetti. Ecco uno di quei momenti in cui essere il proprietario di un'auto, di quest'auto, in una grande città è un piacere. Per la prima volta da settimane, Perowne viaggia in quarta. Non è escluso che ingranerà la quinta. Un pannello segnaletico sopra le corsie di traffico proclama Direzione Ovest, Direzione Nord, come se oltre i quartieri di periferia si dispiegasse un intero continente, e la promessa di viaggi interminabili. Il traffico deve essere bloccato altrove dal corteo. Henry dispone di quasi un chilometro di sopraelevata solo per sé. Per parecchi secondi gli sembra di afferrare il punto di vista di chi l'ha costruita: la visione di un mondo più essenziale che predilige le macchine agli uomini. Una curva lunghissima lo conduce oltre recenti palazzi per uffici in vetro e acciaio dove le luci appaiono già accese in questo primo pomeriggio di febbraio. Intravede persone stilizzate come in un plastico di architettura, sedute alla .scrivania, davanti ai rispettivi schermi, anche di sabato. E il futuro terso dei fumetti di fantascienza di quando era bambino, con uomini e donne in tute aderenti e senza collo - niente tasche, niente lacci che pendono né camicie fuori dai calzoni alle prese con vite al di là dell'immondizia e della confusione, vite sgombre 115
dedite alla lotta contro il male. Ma dal punto più alto del cavalcavia di White City, poco prima che la strada torni a livello terra tra file di villette in mattoni rossi, Henry vede le luci posteriori delle auto incolonnarsi e incomincia a frenare. Sua madre non è mai stata insofferente alle lunghe attese e ai semafori. Non più tardi di un anno fa stava ancora abbastanza bene - smemorata, svanita ma non terrorizzata - da godersi un giro in macchina per le vie di Londra. I semafori le davano occasione di osservare gli altri guidatori e i loro passeggeri. «Guarda quello. Ha la faccia tutta piena di macchie». O magari di uscirsene con un «Rosso anche stavolta! », tanto per essere di compagnia. Era una donna che aveva dedicato la vita alla casa, ai riti quotidiani di lustrare, spolverare, pulire e riordinare che un tempo erano ordinaria amministrazione, e oggi sono appannaggio di pazienti affetti da disturbi ossessivo-compulsivi. Ogni giorno, mentre Henry era a scuola, lei procedeva alle pulizie di pasqua. Traeva le più intense soddisfazioni da un piatto di arrosto ben dorato, dallo splendore dei suoi tre tavolini a incastro, da una pila liscia e compatta di lenzuola a righe stirate alla perfezione, da una dispensa stipata di provviste; o dall'ennesimo golfino fatto ai ferri per l'ultimo bebé del più lontano parente. Erano puliti i rovesci, i sotto, i dentro, gli angoli invisibili di ogni cosa. Forno e griglie venivano lustrati dopo ogni utilizzo. L'ordine e la pulizia costituivano l'espressione esteriore di un implicito ideale d'amore. Henry non faceva in tempo a posare il libro che stava leggendo, che quello già tornava a posto nello scaffale dell'ingresso. Il giornale del mattino poteva finire in pattumiera entro l'ora di pranzo. I vuoti del latte messi fuori della porta erano splendenti come i coltelli da tavola. Ogni singolo pezzo aveva il proprio gancio, la mensola, il cassetto, compresi i suoi vari grembiuli, e i guanti gialli di gomma fermati con una molletta da bucato e appesi accanto al contaminuti a forma d'uovo per calcolare la cottura delle uova. E sicuramente a causa sua che Henry si sente a proprio agio in sala operatoria. Chissà quanto le sarebbero piaciuti il pavimento nero tirato a cera, gli strumenti chirurgici in acciaio sistemati in file parallele su un vassoio sterile, e la sala lavaggio con la solennità dei suoi rituali; come avrebbe apprezzato l'estrema precisione del dettaglio, le cuffie immacolate, le unghie corte. Avrebbe dovuto portarla con sé quando era ancora lucida. Non ci ha pensato in tempo. Non gli era mai passato per la mente che il suo lavoro, i quindici anni di pratica ospedaliera, avessero un'affinità con le occupazioni di sua madre. Nemmeno a lei è capitato di pensarlo. Al tempo Henry non se ne rendeva conto, ma è cresciuto nella convinzione che la sua fosse un'intelligenza limitata. Tendeva a considerarla priva di curiosità. Ma non era vero. Sua madre amava un bel colloquio cuore a cuore con le vicine di casa. Al bambino Henry di otto anni 116
piaceva infilarsi dietro un mobile sul pavimento e origliare. Malattie e operazioni erano argomenti di rilievo, specie se associate al parto. Fu allora che gli capitò di sentire per la prima volta le espressioni «sotto i ferri» e «in mano ai medici». «A quanto dice il dottore» era un ritornello dominante. Può darsi che nella scelta del mestiere di Henry abbiano avuto un ruolo queste conversazioni ascoltate di nascosto. C'erano poi le immancabili storie di adulteri, o di presunte infedeltà, e di figli ingrati, dei controsensi dei vecchi, e di quello che il parente di qualcuno aveva lasciato scritto nel testamento, e di come quella brava ragazza non riuscisse a rimediare un marito decente. Era essenziale separare i buoni dai cattivi, ma non sempre risultava così facile distinguerli. La malattia si abbatteva indifferentemente sugli uni e sugli altri. Anni dopo, quando Henry compi i propri sforzi di allievo diligente sui romanzi ottocenteschi studiati da Daisy al primo anno di università, vi riconobbe tutti i temi di sua madre. Non c'era nulla di meschino nei suoi interessi. Erano identici a quelli di Jane Austen e George Eliot. Lilian Perowne non era né stupida né superficiale, la sua non era un'esistenza misera, e lui, giovane com'era, non aveva alcun diritto di trattarla con sufficienza. Ma ormai è troppo tardi per le scuse. A differenza di quanto succede nei romanzi di Daisy, nella vita vera le rese dei conti sono di rado così precise; e gli equivoci spesso restano irrisolti. Senza neanche conservare chissà quale urgenza. Ma semplicemente dissolvendosi. La gente si confonde, ricordando, oppure muore, oppure muoiono i problemi lasciando il posto ad altri, nuovi. Senza contare che Lily aveva un'altra vita di cui nessuno avrebbe potuto sospettare allora, né lontanamente adesso. Era una nuotatrice. La mattina di domenica tre settembre 1939, mentre da Downing Street Chamberlain annunciava alla radio che il paese era entrato in guerra contro la Germania, la quattordicenne Lily si trovava alla piscina comunale vicina a Wembley, per la sua prima lezione con un'a- tleta internazionale di sessantanni che aveva gareggiato per 9 la Gran Bretagna alle Olimpiadi di Stoccolma del 1912: i primi campionati di nuoto femminile in assoluto. La sporti-« va aveva notato Lily in piscina e si era offerta di darle lezioni gratuitamente, allenandola nel crawl, specialità assai poco femminea. Lily partecipò a qualche competizione locale verso la fine degli anni Quaranta. Nel 1954 gareggiò per il Middlesex nei campionati regionali. Si piazzò seconda, e la sua piccola medaglia d'argento, appesa a un trofeo a forma di scudo in legno di quercia, rimase per tutta l'infanzia di Henry sulla mensola del camino. Adesso è su un ripiano in camera sua, in clinica. Più in là, o più in alto di quell'argento, Lily non andò mai, ma nuotò benissimo per tutta la vita, veloce quanto basta per sollevare davanti a sé un'onda frontale alta e sinuosa. Henry imparò da lei, naturalmente, ma il suo ricordo più caro legato al nuoto e a sua madre risale a quando aveva dieci anni, a un'uscita scolastica fatta un 117
mattino alla piscina comunale. Lui e i suoi amici si erano già cambiati, erano pas-I sati alle docce e al lavaggio dei piedi, e dovevano aspettare a bordo vasca che finisse l'ora degli adulti. Due insegnanti si affannavano a chiedere il silenzio, cercando di contenere l'eccitazione dei bambini. Ben presto rimase in acqua soltanto una figura con una cuffia ornata di petali di gomma bianca ! che Henry avrebbe dovuto riconoscere da un pezzo. La clas se intera ne stava ammirando la velocità di avanzamento lun-il go la corsia, la scia che si lasciava dietro, appena sotto i fianchi, e il modo in cui voltava la testa a respirare senza spezzare la linea nell'acqua. Quando Henry si rese conto che era lei, si convinse di averlo saputo sin dal principio. Ad aumentare il suo tripudio, non dovette neppure rivendicarla a sé ad alta voce. Qualcuno infatti esclamò: «Quella è Mrs PeP rowne ! » La osservarono in silenzio raggiungere il fondo della corsia giusto sotto i loro piedi ed eseguire una fulminea ca-" priola sott'acqua che al tempo rappresentava un'assoluta no-n vità. Altro che casalinga armata di straccio per la polvere. Henry l'aveva vista nuotare tante volte, ma questa era un'al- » tra cosa; gli amici erano tutti testimoni delle sue qualità sovrannaturali, di cui anche lui partecipava. Di sicuro lei lo sa- peva, e nell'ultima metà vasca tributò a lui solo uno sfoggio diabolico di velocità. Batteva a schiuma l'acqua con i piedi, " le bianche braccia snelle si alzavano e fendevano la superficie, l'onda frontale aumentava, la scia posteriore si faceva più notevole. Il corpo scivolava fluttuando intorno alla serpentina della propria onda. Per starle dietro si sarebbe do- " vuto correre lungo la piscina. Si fermò all'estremità opposta " della vasca, mise giù i piedi, piazzò le mani sul bordo e si issò agilmente fuori dall'acqua. Doveva avere una quarantina d'anni al tempo. Rimase li seduta, i piedi ancora immersi, si » levò la cuffia, piegando di lato la testa, e rivolse loro un sor- riso titubante. Una delle maestre incoraggiò l'applauso solenne dei bambini. Sebbene fosse già il 1966 ragazzi si » facevano crescere i capelli lunghi sulle orecchie e le ragazze venivano a scuola in jeans - dominava ancora un certo contegno anni Cinquanta. Henry applaudì con gli altri, ma quando gli amici gli si fecero intorno, era talmente soffocato dall'orgoglio, talmente esaltato, da non riuscire a rispondere al- le loro domande, e da entrare con sollievo in acqua, per poter nascondere le sue emozioni. Tra gli anni Venti e Trenta, vaste zone agricole a ovest di Londra scomparvero dinanzi all'assalto di un vertiginoso svi-M luppo edilizio, e ancora oggi le vie fiancheggiate da rispettabili, accigliati villini a un piano conservano qualcosa dell'ori- ginale aria di provvisorietà. Ogni edificio pressoché identico agli altri ha un aspetto instabile e precario quasi sapesse con » quale rapidità la terra potrebbe riconvertirsi in pascoli e campi di grano. Lily abita adesso a 118
pochi minuti dalla vecchia casa di famiglia a Perivale. A Henry piace pensare che nel caliginoso panorama della sua demenza, di quando in quando faccia irruzione un senso di familiarità e che questo la rassicuri. s Per gli standard delle case di riposo, Suffolk Place è minuscola: da tre edifici comunicanti se n'è ricavato uno solo, con l'aggiunta di una dépendance. Sul davanti, una siepe di ligu- -stro indica ancora il confine dei giardini privati di un tempo, su cui sopravvivono due piante di laburno. Uno dei tre ex giardini, attualmente coperto di cemento, è diventato un parcheggio per due posti auto. Gli enormi cassonetti seminascosti da una graticciata sono l'unica spia della presenza di una struttura pubblica. Perowne parcheggia e prende il vaso dal sedile posteriore. Si ferma un attimo prima di suonare il campanello; c'è un sapore nell'aria, dolce e vagamente antisettico, che gli ricorda gli anni della propria adolescenza in queste strade, e un generale stato d'animo di smania, una voglia di essere travolto dalla vita che, dalla prospettiva attuale, assomiglia alla felicità. Come sempre, viene ad aprirgli Jenny. E una cordiale ragazzona irlandese in grembiule di percalle azzurro che da settembre dovrà frequentare un corso per infermieri diplomati. Henry gode di speciale considerazione in virtù dei suoi agganci con il mondo ospedaliero: tre bustine in più di tè nella teiera che tra poco porterà in camera di sua madre, e forse anche un piatto di bastoncini al cioccolato. Pur sapendo poco o niente l'uno dell'altra, la conversazione tra di loro ha assunto toni scherzosi e disinvolti. - Ma guarda chi si vede, l'illustre dottore. - E come sta il mio fiore d'Irlanda? Dal vano del modesto ingresso inondato di luce gialla attraverso il vetro retinato della porta, si accede a una cucina di acciaio inossidabile e tubi al neon. Ne esce il penetrante aroma del pranzo che i degenti hanno consumato un paio d'ore prima. Dopo un'intera vita in quegli ambienti, Perowne ha sviluppato, se non proprio una simpatia, almeno una totale assenza di ribrezzo per il cibo servito nelle mense. Sul lato opposto dell'ingresso si apre una porta più stretta che conduce ai salotti delle tre ville comunicanti. Henry sente l'audio ovattato delle Tv provenire da altre stanze. - La sta aspettando, - dice Jenny. Entrambi sanno che l'affermazione è neurologicamente parlando inverosimile. Perfino la noia è diventata un lusso inaccessibile per sua madre. Henry spinge la porta ed entra. Eccola, è li davanti a lui, seduta su una seggiola a un tavolo rotondo con sopra una tovaglia di ciniglia. C'è una finestra alle sue spalle che ne incornicia un'altra della casa di fronte, a un paio di metri di distanza. Ci sono delle donne allineate lungo le pareti della sala su sedie dallo schienale rigido e dai braccioli di legno sagomato. Alcune guardano, o quantomeno dirigono lo sguardo verso il televisore a muro, appeso molto in alto. 119
Altre fissano il pavimento. Si scuotono e sembrano ondeggiare quando entra, come spostate dalla lieve corrente d'aria prodotta dalla porta che si apre. Il suo «Buon pomeriggio, signore» suscita una reazione di festosità generale e tutte prendono a guardarlo con interesse. A questo stadio non possono più essere certe che non si tratti di un loro parente stretto. Alla destra di Henry, in fondo all'ultimo dei tre soggiorni, ecco Annie, una donna la cui matassa lanuginosa di capelli grigi le si separa a raggiera sulla testa. Avanza rapida verso di lui trascinando i piedi, senza sostegni. Quando avrà raggiunto l'estremità del primo dei salotti, farà dietrofront e continuerà ad andare avanti e indietro tutto il giorno, finché qualcuno non l'accompagnerà a mangiare, o a letto. Sua madre lo sta osservando bene, contenta e inquieta al tempo stesso. Le pare di conoscere la sua faccia; potrebbe essere il dottore, o l'inserviente. Sta aspettando un indizio. Henry si inginocchia accanto alla sua sedia e le prende una mano, che è liscia e asciutta e leggerissima. - Ciao mamma, Lily. Sono Henry, tuo figlio Henry. - Ciao tesoro. Dove vai? - Sono venuto a trovarti. Andiamo a sederci in camera tua. Che peccato amore. Non ce l'ho una stanza. Adesso vado a casa. Aspetto l'autobus. Lo addolora tutte le volte che lo dice, benché sappia che sta parlando della casa di quando era bambina dove crede la stia aspettando sua madre. La bacia sulla guancia e l'aiuta ad alzarsi dalla sedia, sentendole nelle braccia il tremore prodotto dallo sforzo fisico o dall'agitazione. Come sempre, nei primi attimi di sgomento quando la rivede, sente un formicolio agli occhi. Lei avanza una debole protesta. - Non so dove possiamo andare. Henry non ama adottare il tono di falsa allegria che utilizzano le infermiere in reparto anche con pazienti adulti senza invalidità mentali. Su, da brava, apri la bocca, così. Ma lo fa comunque, in parte per mascherare quello che prova. - Hai una bella cameretta, invece. Vedrai che appena la vedi, te la ricordi. Vieni con me. Sottobraccio, attraversano lentamente gli altri salotti, facendosi di lato per lasciar passare Annie. E un conforto il fatto che Lily sia vestita in modo decoroso. Le assistenti sapevano che sarebbe venuto. Indossa una gonna rosso scuro e una camicetta di flanella in tinta, calze nere e scarpe di pelle nera. E sempre stata curata nel vestire. La sua deve essere stata l'ultima generazione a considerare il cappello un capo d'abbigliamento abituale. Li teneva tutti, quasi identici, in file scure sullo scaffale più alto del guardaroba, avvolti in un aroma di naftalina. Appena mettono piede in corridoio, lei si dirige a sinistra e Henry deve appoggiarle una mano sulla spalla minuta per guidarla dall'altra. - Eccoci qui. Non riconosci la tua porta? - Su questo lato non sono mai stata. Lui apre e l'accompagna dentro. La stanza, circa tre metri per due e mezzo, ha anche una porta a vetri smerigliati che affaccia su un piccolo giardino 120
posteriore. Sul letto a una piazza c'è una trapunta a fiori, e vari bambolotti di pezza che facevano parte della sua vita molto tempo prima della malattia. Una vetrinetta d'angolo ospita ancora certe sue suppellettili: un pettirosso su un ramo, due scoiattoli di vetro di proporzioni assurde. Altre sono disposte qua e là su un ripiano accanto alla porta. Sul muro vicino al lavabo è appesa una foto in cornice di Lily e Jack, il padre di Henry, in piedi su un prato. Risulta appena visibile il manico di un passeggino, nel quale probabilmente dorme sereno Henry. E graziosa, Lily, con il suo vestito bianco leggero e la testa reclinata in quel modo schivo e canzonatorio che Henry ricorda bene. Il giovanotto fuma una sigaretta e indossa un blazer e una camicia bianca sbottonata al collo. E alto, un po' curvo, e ha le mani grandi, come suo figlio. Il sorriso è aperto e disteso. E sempre utile disporre della prova concreta che anche ai vecchi è toccata l'occasione d'essere giovani una volta. Ma esiste anche un che di irriverente nelle fotografie. La coppia appare vulnerabile, facile oggetto di scherno per quell'aria palesemente inconsapevole del fatto che la gioventù è soltanto un episodio, o che il fragrante dettaglio che si consuma tra le dita della mano destra di Jack contribuirà - secondo la teoria di Henry - alla sua morte improvvisa qualche mese dopo. Avendone scordato l'esistenza, Lily non è sorpresa di ritrovarsi nella propria camera. Dimentica all'istante di non aver saputo che ci fosse. Tuttavia è agitata, incerta su dove è meglio che si sieda. Henry le indica la seggiola a schienale diritto accanto alla porta finestra, poi le si siede di fronte, sul bordo del letto. Il caldo è soffocante, anche peggio che in camera sua, a casa. Può darsi che abbia la circolazione sanguigna ancora accelerata dalla partita, dalla doccia calda e dal tepore della macchina. Gli farebbe piacere distendersi sul letto supermolleggiato e mettersi a pensare alla giornata, e magari appisolarsi un momento. Come sembra all'improvviso interessante la sua vita, dai confini angusti di questa stanza. E in quel momento - sarà la trapunta, sarà il caldo - sente un peso calargli sugli occhi e non riesce a evitare che si chiudano. E dire che la visita è appena cominciata. Per scuotersi, si toglie la maglia, e mostra a Lily la pianta che ha portato. - Guarda, - dice. - È un'orchidea per la tua stanza. Mentre gliela sporge, e il delicato fiore bianco oscilla tra di loro, lei indietreggia. - Perché hai quella roba ? - È tua. Fiorirà tutto l'inverno. Non è bella? È per te. - Non è mia, - fa lei decisa. - Non l'ho mai vista prima. Gli era toccato lo stesso scambio di battute sconcertanti l'altra volta. La malattia procede per minuscoli ictus subclinici in piccoli vasi del cervello. A mano a mano che si accumulano, gli infarti causano un declino cognitivo distruggendo le reti neurali. Lily si sta disfacendo passo a passo. Attualmente ha smarrito il concetto di regalo e, con esso, il piacere che 121
procura. Tornando al tono cordiale da infermiera, Henry dice: - Te la metto qui, così la puoi vedere. Lei sta per protestare, ma perde l'attenzione. Ha notato certe porcellane decorative disposte sullo scaffale sopra il letto, giusto dietro suo figlio. Si fa subito di umore conciliante. - Ne ho un mucchio, di tazze col piattino. Posso sempre prenderne una quando esco. Peccato che c'è così poco spazio tra la gente, avvicina le due mani tremanti per mo; strargli la distanza, - è già tanto se si riesce a passare. Ci sono troppi vincoli. - Sono d'accordo, - dice Henry, rimettendosi sul letto. - Ci sono senz'altro troppi vincoli. Il danno prodotto dai coaguli nei piccoli vasi tende ad accumularsi nella sostanza bianca e a distruggere le capacità di connessione mentale. Lungo il percorso, ben prima della con-: clusione del processo, Lily può pronunciare con commoven-: te serietà le proprie tesi strampalate, i suoi monologhi insulsi. Non esita affatto. E nemmeno le passa per la mente che lui non sia in grado di seguirla. La struttura delle frasi è intatta, e l'inflessione della voce nelle varie descrizioni è sensata. Le fa piacere se Henry annuisce e sorride, e interviene di quando in quando per assecondarla. Mentre raccoglie i pensieri, non guarda lui ma il vuoto alle sue spalle, concentrandosi su un concetto sfuggente e fissando lo sguardo come se osservasse un paesaggio sterminato da una finestra. Fa l'atto di parlare, ma poi resta in silen-i zio. Gli occhi verde pallido, infossati tra pieghe sottilissime di pelle bruno chiaro, hanno un che di terreo, di scialbo, come sassi sotto un vetro impolverato. Danno la precisa sensazione di non capire nulla. Henry non può fornirle notizie sul resto della famiglia - basta un nome sconosciuto, uno qualsiasi, per allarmarla. Perciò, anche se lei non capisce, spesso le parla del suo lavoro. A rincuorarla è il suono, il tono sensibile di una conversazione affettuosa. Sta per descriverle la Chapman, per dirle come se la sia cavata bene, quando all'improvviso Lily prende la parola. Sembra inquieta, perfino un po' piagnucolosa. - E lo sai che » questo... sai, zietta, quella roba che la gente si mette sulle scarpe per farle... hai presente ? - Lucido da scarpe ? - Non ha mai capito perché lo chiama zietta, né quale delle sue tante zie la stia ancora ossessionando. - No, no. Quello che si mette sulle scarpe, e poi si sfrega ; con uno straccio. Be', insomma, assomiglia abbastanza al lu122
cido da scarpe. E una cosa del genere. Avevamo i piattini per il pane e Dio solo sa cosa, su tutta la via. Avevamo tutto tranne quello che ci serviva perché eravamo nel posto sbagliato. Poi all'improvviso scoppia a ridere. Le è diventato più chiaro, adesso. - Se giri il quadro e togli il fondo come ho fatto io, vedrai come ti diverti. Non voleva dire altro. E ci siamo fatti tante di quelle risate ! E ride allegra, come una volta, e allora ride anche lui. Non voleva dire altro. Adesso è lontana, sta descrivendo il possibile ricordo disintegrato di una festa in strada, e un piccolo acquerello che si era comprata a un mercatino delle pulci. Poco dopo, quando arriva Jenny con i rinfreschi, Lily la scruta senza riconoscerla. Perowne si alza e libera un po' di spazio su un tavolino. Nota la diffidenza con cui Lily accoglie quella che per lei è una completa sconosciuta, perciò, appena Jenny esce dalla stanza, e prima che Lily possa parlare, dice: Che brava ragazza! Così premurosa. - È un tesoro, - concorda Lily. Il ricordo di chiunque fosse nella stanza sta già sbiadendo. Ma il suggerimento affettuoso di Henry è irresistibile e Lily sorride immediatamente e comincia a elucubrare, mentre il figlio pesca con un cucchiaio tutte e sei le bustine dalla teiera di metallo. - Arriva sempre di corsa, anche se è stretto fino in fondo. Vuole montare su uno di quei cosi lunghi, ma non ha il biglietto. Le ho mandato i soldi, ma poi non ce l'ha in mano. Vorrebbe un po' di musica, e io le ho detto, perché non metti su una banda e non te la suoni. Però sono preoccupata. Le ho detto, perché metti tutte le fette dentro la stessa insalatiera, visto che non si alza nessuno ? Non puoi fare tutto da sola. Henry sa di chi sta parlando, e aspetta che prosegua. Poi le dice: - Dovresti andare a trovarla. E passato un bel po' dall'ultima volta che ha cercato di spiegarle che sua madre è morta nel 1970. Ormai è più facile assecondare l'illusione e far procedere il discorso. Appartiene tutto al tempo presente. Adesso lo preoccupa riuscire a impedire che si mangi una bustina di tè, come per poco non faceva la volta scorsa. Le ammucchia tutte su un piattino e poi se lo mette per terra accanto al piede. Appoggia una taz. za mezza piena a distanza raggiungibile e le offre un biscotto con un tovagliolino. Lei se lo sistema in grembo e ci piazza il biscotto in mezzo. Si porta la tazza alle labbra e beve. In momenti come questo, quando compie con agio i vecchi gesti abituali, e appare composta nel suo completo tinta su tinta, una settantasettenne in perfetta forma, con un paio di gambe strabilianti per l'età, gambe da atleta, Henry riesce a pensare che si tratti solo di uno sbaglio, un brutto sogno, e che adesso lei uscirà da quella stanza e verrà via con lui nel cuore della città e mangerà la zuppa di pesce con sua nuora e i suoi nipoti e si 123
fermerà da loro qualche giorno. Lily dice: - Ci sono andata la settimana scorsa, zietta, con l'autobus, e la mamma era in giardino. Le ho detto, puoi andare a piedi fin laggiù, e vedere cosa trovi, e subito dopo bisogna far quadrare quello che hai. Quella donna non sta bene. Colpa dei piedi. Ci vado tra un minuto e vedrai che le perdo un'altra canottiera, di sicuro. Che strano sarebbe stato per la madre di Lily, donna altera, tutt'altro che materna, sapere che un giorno la bimbetta che le stava appesa alle gonne, in un futuro remoto, in una data fantascientifica del secolo a venire, avrebbe parlato di lei tutto il tempo desiderando essere di nuovo a casa, in sua compagnia. Le avrebbe intenerito il cuore ? Ormai Lily è partita: continuerà a parlare finché Henry resterà seduto li. E difficile dire se sia effettivamente felice. Ogni tanto ride, oppure descrive fantasmi di liti e rancori, e la sua voce si fa indignata. In molte delle situazioni che rievoca, avanza delle rimostranze nei riguardi di un uomo che si rifiuta di capire. - Gli ho detto tutto quello che serve per una libertà e lui ha risposto, non me ne importa. Puoi regalarla, e io gli ho detto di non gettarla nel fuoco. E tutta quella roba nuova che deve essere raccolta. Se si lascia prendere troppo dalla storia che racconta, Henry la interrompe scoppiando in una risata e dicendo: «Questa si che è buona, mamma! » Essendo suggestionabile, a quel punto ride anche lei e le cambia l'umore, e quella successiva sarà una storia più allegra. Per il momento è di uno stato d'animo neutro - c'è di mezzo un orologio, un'altra cartiera, e l'ennesimo spazio troppo stretto da attraversare - e Henry, sorseggiando il tè marrone carico, un po' ascoltando e un po' sonnecchiando nel calore irrespirabile della piccola stanza, pensa che nel giro di trentacinque anni potrebbe esserci lui, deprivato di tutto ciò che ha e che fa, figura rattrappita e delirante davanti a Theo o a Daisy che non vedono l'ora di andarsene per tornare a una vita a lui totalmente incomprensibile. Si sa che la pressione alta è un fattore di rischio per l'ictus. Centoventidue su sessantacinque, l'ultima volta. L'indice sistolico potrebbe scendere un po'. Colesterolo totale, cinque virgola due. Non ci siamo. Pare che livelli elevati di alfa-lipoproteine siano in stretto collegamento con l'insorgere della demenza multinfartuale. Non mangerà più uova, metterà solo latte parzialmente scremato nel caffè, e un giorno o l'altro dovrà eliminare pure quello, il caffè, appunto. Non è ancora pronto a morire, nemmeno a metà. Vuole conservare intatto, come una distesa di neve immacolata, quel prodigio di connessioni nervose ricche di mielina, la sostanza bianca. Niente più formaggi, dunque. Sarà spietato con se stesso nel conseguimento di uno stato di salute perfetto, per evitare il destino di sua madre. La morte mentale. - Ho messo un po' di liquido dentro l'orologio, - gli sta dicendo lei, - per inumidirlo. 124
Passa un'ora, e Henry si costringe a svegliarsi del tutto e si alza, forse troppo di scatto, perché ha un improvviso giramento di testa. Brutto segno. Tende entrambe le mani verso di lei, e ha la sensazione di essere gigantesco e malfermo mentre si china sulla sua persona minuta. - Ecco, mamma, - le dice con dolcezza. - Adesso devo andare. Mi accompagni alla porta per piacere? Ubbidiente come una bambina, Lily gli dà la mano e lui l'aiuta ad alzarsi dalla sedia. Ammucchia le tazze sul vassoio e lo mette fuori della stanza, poi si ricorda delle bustine, seminascoste sotto il letto, e mette fuori anche quelle. Poteva divorarsele. La guida in corridoio, senza mai smettere di rassicurarla, perché sa che si sta avventurando in un mondo sconosciuto. Appena usciti dalla stanza, Lily non ha idea della direzione da prendere. Non fa commenti sull'ambiente irriconoscibile, ma si stringe più forte alla sua mano. Nel primo salotto due donne, una dalle trecce bianche come neve, e l'altra completamente calva, stanno guardando la televisione senza audio. Dal salotto centrale avanza verso di loro Cyril, con l'immancabile giacca sportiva, il fazzoletto al collo e, oggi, anche un bastone da passeggio e un berretto da caccia. E il principe della casa di riposo, garbatissimo, naufragato dentro una lucida fantasticheria tutta speciale: si crede il proprietario di una tenuta enorme, costretto a fare visite continue ai suoi mezzadri e a mostrarsi con loro scrupolosamente a modo. Perowne non l'ha mai visto triste. Cyril alza il cappello in segno di saluto a Lily ed esclama: - Buongiorno, cara. Tutto bene ? Qualche rimostranza ? Lei si irrigidisce e distoglie lo sguardo. Sullo schermo sopra la sua testa Perowne vede il corteo - ancora Hyde Park, una folla immensa raccolta davanti a un palco improvvisato e, in lontananza, una sagoma minuscola al microfono, poi una ripresa aerea della stessa scena, e infine i dimostranti che, in fila con i vari striscioni, continuano ad affluire dai cancelli del parco. Henry e Lily si fermano per far passare Cyril. C'è un'immagine della conduttrice seduta alla sua scrivania da era spaziale, poi l'aereo che Henry ha visto alle prime ore del mattino, con la fusoliera annerita che emerge da un lago di schiuma, come una brutta decorazione su una torta glassata. E ora, la stazione di polizia di Paddington - definita di massima sicurezza antiterrorismo. Un cronista parla al microfono fuori dall'edificio. Ci sono stati degli sviluppi. I piloti russi sono davvero fondamentalisti islamici ? Perowne sta per raggiungere il tasto del volume, ma all'improvviso Lily si agita e cerca di comunicargli qualcosa di importante. - Se diventa troppo secco, si accartoccia di nuovo. Gliel'ho detto e ripetuto che bisogna bagnarlo, ma lui non vuole saperne di posarlo. - Sta' tranquilla, - le dice. - Vedrai che lo posa. Glielo dico io. Te lo prometto. 125
Decide di lasciar perdere la televisione e si allontanano. Deve concentrarsi sul commiato, perché sa che lei sarà convinta di andarsene con lui. Gli toccherà ancora una volta stare sulla porta, e rifilarle l'insulsa rassicurazione che tornerà presto. Jenny o una delle altre ragazze dovrà distrarla, mentre lui esce. Attraversano insieme l'ultimo salotto. Alle signore sedute intorno al tavolo con la tovaglia di ciniglia è stato servito il tè con tramezzini morbidi. Henry le saluta, ma loro sembrano troppo impegnate per rispondere. Lily è più allegra adesso, e gli appoggia la testa sul braccio. Mentre arrivano in ingresso vedono Jenny Lavin sulla porta, già alle prese con la doppia serratura di sicurezza e pronta a sorridere nella loro direzione. In quel momento, sua madre gli accarezza la mano con la leggerezza di una piuma e dice: - Qui fuori sembra solo un giardino, zietta, e invece sono chilometri e chilometri di aperta campagna. Quando si arriva ci si sente sollevati, lassù dall'altra parte del banco. Io non ce la faccio con tutti questi piatti senza uno spazzolino, ma il Signore ti proteggerà e veglierà su di te perché è una gara di nuoto. Comunque, a passare ce la fai, anche se è stretto. Il ritorno verso il centro di Londra è lento: più di un'ora per raggiungere Westbourne Grove da Perivale. Traffico intenso diretto in città per i piaceri del sabato sera, proprio mentre la prima ondata di autobus sta facendo sfollare i dimostranti. Procedendo a passo d'uomo verso le luci del Gypsy Corner, Henry abbassa il finestrino per godersi la scena fino in fondo: la pazienza bovina di un ingorgo, l'odore acre dei gas di scarico gelati, l'assordante catena di montaggio improduttiva disposta su sei linee quasi ferme in direzione est e ovest, il lampione giallo che sbiadisce il colore della carrozzeria, l'insistente rimbombo degli impianti stereo, e le code interminabili di luci rosse posteriori incolonnate verso il centro, e di luci bianche dei fanali in direzione opposta. Si sforza di vedere, o meglio di percepire in termini storici questo specifico momento agli sgoccioli dell'era del petrolio, in cui un ritrovato del diciannovesimo secolo raggiunge livelli di massima perfezione nei primi anni del ventunesimo; in cui il benessere senza precedenti delle masse impegnate in giochi molto seri nella realtà spietata della metropoli moderna si manifesta in uno scenario che nessuna era passata avrebbe potuto immaginare. Gente comune! Fiumi di luce! Si sforza di vedere tutto ciò come sarebbe apparso a Newton, o ai suoi contemporanei, Boyle, Hooke, Wren, Willis: quei curiosi geni dell'Illuminismo inglese che per una manciata d'anni custodirono nelle rispettive menti quasi tutta la scienza del mondo. Di sicuro, rimarrebbero soggiogati dalla meraviglia. Mentalmente, Henry mostra loro ogni cosa, vantandosene: ecco cosa abbiamo fatto, ordinaria amministrazione al giorno d'oggi. Tutto questo sfavillio di luci sarebbe strabiliante se solo potesse guardarlo con i loro occhi. Ma il giochetto non funziona. Non riesce a liberarsi dal peso del presente e a vedere al di là della noia di una coda in 126
automobile, o della perdita di tempo alla quale lui stesso sta contribuendo, o del grigiore di speranze commerciali che proviene dalla fila di negozi accanto ai quali l'ingorgo lo blocca ormai da un quarto d'ora. Gli manca il talento lirico per vedere oltre tutto questo - Henry è un realista, senza scampo. Del resto, forse, due poeti in famiglia possono bastare. Superata Acton, il traffico diminuisce. Nell'imbrunire del tardo pomeriggio una lastra compatta di rosso nel cielo di ponente, pressappoco rettangolare, emblema del mondo naturale e dell'esistenza della terra selvaggia chissà dove, scolora lentamente pedinandolo nello specchietto retrovisore. Anche se le corsie dirette a ovest, fuori città, fossero sgombre, non sarebbe contento di andare da quella parte. Vuole arrivare a casa e fare mente locale prima di mettersi ai fornelli. Deve accertarsi che ci sia dello champagne in frigo, e portare del vino rosso in cucina a intiepidirsi. Anche il formaggio si deve ammorbidire al calore del riscaldamento centrale. Ha bisogno di coricarsi una decina di minuti. Di certo non è dell'umore giusto per il blues amplificato di Theo. Ma essere padre è questo, un destino, e finalmente parcheggia in una via alle spalle di Westbourne Grove, a un paio di centinaia di metri dal vecchio teatro del music hall. È in ritardo di quarantacinque minuti. Quando arriva, l'edificio è immerso nel buio e nel silenzio; le porte sono chiuse. Cedono però troppo facilmente sotto la sua spinta, cosicché Henry inciampa e si scaraventa nel foyer. Si ferma per consentire agli occhi di adattarsi alla poca luce, tende le orecchie, riconosce il consueto odore di moquette polverosa. Sarà troppo tardi ? Sarebbe quasi un sollievo. Si inoltra nella sala, supera quella che gli pare possa essere la biglietteria e raggiunge un'ulteriore porta a doppio battente. Cerca al tatto un maniglione metallico, lo spinge ed entra. A una trentina di metri di distanza, il palcoscenico è avvolto in un diffuso chiarore azzurrino, tempestato di punti luminosi rossi sulle casse degli amplificatori. Alla batteria, i piatti dell'hi-hat riflettono la luce proiettando un lungo disco viola sul pavimento della sala senza poltrone. Non ci sono altre luci, tranne quella arancione di un'insegna che indica l'uscita dietro il palco. C'è gente che si muove accovacciata intorno agli impianti, qualcuno traffica accanto al luccichio di una tastiera. Appena percettibile sopra il sussurro indistinto degli speaker, si sente un brusio di voci. Una sagoma in controluce si erge sul proscenio regolando l'altezza di due microfoni. Perowne si dirige a destra e, nel buio totale, costeggia la parete sfiorandola con la mano fino a ritrovarsi sotto il palco. Ai microfoni compare un'altra persona con un sassofono il cui contorno irregolare spicca netto contro lo sfondo azzurro. Su richiesta, parte dalle tastiere una nota isolata su cui una chitarra accorda il mi. Un'altra chitarra esegue un arpeggio in accordatura aperta, seguita da una terza che fa lo stesso. Il batterista prende posto, avvicina i piatti e traffica con il pedale della cassa. Il vocio si interrompe e 127
i tecnici scompaiono tra le quinte. Theo e Chas sono sul palco accanto ai microfoni rivolti verso la sala. Soltanto a questo punto Perowne capisce che l'hanno visto e che lo stanno aspettando. Attacca da sola la chitarra di Theo con un languido turnaround di due battute, una semplice linea calante dal quinto tasto che precipita in un accordo denso e cola in un secondo per restare come irrisolta, una settima sospesa; poi, con un brusco kick and roll sul tom-tom, e cinque note che salgono circospette dal basso, ha inizio il blues. Si tratta di un pezzo languido alla Stormy Monday, ma gli accordi sono ricchi e devono di più al jazz. Le luci di scena passano dall'azzurro al bianco. Theo, immobile nel solito stato di trance, esegue tre giri intorno alle dodici battute. tono è liscio, rotondo, c'è parecchio feedback a modellare le note in un lamento struggente, e una piccola fitta accompagna l'attacco dei fraseggi più brevi. Piano e chitarra ritmica scaricano i loro fitti accordi jazzati. Henry sente il suono del basso pulsargli all'altezza dello sterno e si porta la mano sulla zona dolente. Il suono aumenta di volume, Henry è a disagio e cerca di contrastarlo. Nelle attuali condizioni fisiche preferirebbe essere a casa con un trio di Mozart sullo stereo e in mano un bicchiere di vino bianco gelato. Ma non resiste a lungo. Qualcosa incomincia a spumeggiargli dentro mentre le note di Theo salgono, e al secondo turnaround aumentano di registro e prendono il volo. E questo il pezzo su cui hanno lavorato i ragazzi, vogliono farglielo sentire, e lui è commosso. Sta entrando nell'ordine di idee di assecondare il loro entusiasmo e la loro competenza. E al tempo stesso scopre che la canzone non rispetta il solito modello blues di dodici battute. C'è una parte centrale dalla melodia arcana che sale e scende in semitoni. Chas si china sul microfono e canta insieme a Theo in una strana armonia intima. Baby, you can choose despair, Or you can be happy if you dare. So let me take you there, My city square, city square. Poi Chas, fresco di New York e dei suoi vari numeri di scena, si volta di lato, prende il sax e attacca su una nota ruvida e possente, come una voce rotta dalla gioia, e la tiene a lungo prima di lasciarla morire a poco a poco in una spirale calante che riecheggia l'intro di Theo e riporta la band nelle dodici battute. Anche Chas esegue tre giri. Il sax è nervoso, ha ritmi tagliati e note lunghe sui cambi di accordi che poi si sciolgono in passaggi crudi. Theo e il basso suonano in ottave una complessa figura ripetuta che si muove suv melodie inattese e non ritorna mai al punto di partenza. E un blues a passo d'uomo, ma si sente crescerci dentro un ritmo più incalzante. Al terzo turnaround di Chas, i due ragazzi tornano al microfono per quel ritornello cadenzato, le cui armonie sono talmente vicine da risultare dissonanti. Che Theo stia onorando il suo maestro, Jack Bruce dei Cream ? So let me take you there City square, city square. Poi è la volta delle tastiere, mentre gli altri si sforzano di tenere dietro 128
alle complessità del riff rotondo. Passata la stanchezza, Henry si stacca dalla parete alla quale era appoggiato e si dirige al centro dell'auditorium buio, verso il grande motore di sonorità da cui si lascia sommergere. Si verificano di rado momenti in cui, come ora, capita ai musicisti di sfiorare insieme qualcosa di più dolce di quanto abbiano mai raggiunto in prova o in concerto, qualcosa che va al di là della collaborazione e della competenza tecnica, momenti in cui la loro espressione si fa sciolta e armoniosa come l'amicizia o l'amore. E quando ci regalano un assaggio di quello che potremmo essere, della parte migliore di noi stessi, e di un mondo impossibile nel quale diamo agli altri tutto ciò che abbiamo, senza perdere nulla a nostra volta. Esistono, nel mondo reale, progetti dettagliati, idee visionarie di reami della pace, di conflittualità risolte, felicità per tutti, sempre: miraggi per i quali la gente è disposta a morire e a uccidere. Il regno di Cristo sulla terra, il paradiso della classe operaia, lo stato islamico ideale. Ma solo nella musica, e solo in rare occasioni, il sipario si alza davvero su questo sogno di assoluta comunione il cui incantesimo ci illude prima di spegnersi nelle sue ultime note. Come è ovvio, non c'è mai accordo su quando tutto questo accada. Personalmente, Henry l'ha sentito l'ultima volta alla Wigmore Hall; è nell'Ottetto di Schubert che la comunità utopica ha trovato per lui effimera realizzazione, allorché i fiati con lievi sussulti dei corpi protesi hanno sospinto le loro note verso gli archi dall'altra parte del palco, e questi ultimi gliele hanno restituite perfino più melodiose. L'ha udito anche molto tempo fa alla scuola di Theo e Daisy, quando una stonata e gemebonda orchestra scolastica, insieme a un coro di allievi e personale d'istituto, si cimentò su Purcell, realizzando a suon di note steccate un miracolo innocente di intesa tra adulti e ragazzini. Ed eccolo di nuovo qui, un mondo affiatato in cui tutto si armonizza, finalmente. Henry ondeggia nel buio, lo sguardo fisso al palcoscenico, la mano destra in tasca, stretta intorno alle chiavi. Theo e Chas avanzano di nuovo verso il centro del palco per intonare il ritornello arcano. Or you can be happy if you dare. Adesso sa che cosa voleva dire sua madre. Può andare avanti per chilometri e chilometri, si sente sollevato, lassù dall'altra parte del banco. E non ha voglia che finisca la canzone. Quattro. Non si prende il disturbo di posteggiare nelle ex scuderie» Si limita invece a fermarsi proprio davanti alla porta di casa: a quest'ora della sera è consentito il parcheggio nelle linee gialle e Henry è impaziente di rientrare. Si concede tuttavia qualche secondo per uno sguardo al danno sulla portiera del passeggero: appena un graffio. Alzando gli occhi dall'auto, nota che la casa è al buio. 129
Ovvio: Theo è ancora alle prove, Rosalind starà sfacchinando sulle ultime minuzie della sua istanza legale. Radi fiocchi di neve illuminati dai lampioni spiccano netti contro il nero lucido delle finestre. Suocero e figlia stanno per arrivare e lui ha i minuti contati. Aprendo la porta cerca di ricordare le parole esatte di un commento che Theo ha pronunciato qualche ora prima e al quale li per li non aveva fatto caso. Adesso invece gli dà fastidio, ma lo stesso sforzo svogliato per riportarlo a galla svanisce nell'attimo in cui Henry entra nel tepore dell'ingresso e accende le luci; notevole, come il semplice illuminarsi di una lampadina possa far esplodere un pensiero. Si dirige subito alle rastrelliere del vino e prende quattro bottiglie. La sua ricetta di zuppa di pesce richiede un vino robusto, genuino: un rosso, non un bianco. È stato Grammaticus a fargli assaggiare un certo Tautavel, Côtes du Roussillon Villages e Henry l'ha eletto vino della casa: squisito, e a meno di cinquanta sterline la cassa. Quella di stappare i vini ore prima di consumarli è una forma di scaramanzia: la superficie di liquido esposta all'aria è troppo esigua per poter ragionevolmente fare un'effettiva differenza. Le bottiglie in compenso, le vuole proprio meno fredde, perciò le porta in cucina e le mette vicino ai fornelli. Nel frigo ci sono già tre bottiglie di champagne. Henry sta per dirigersi al lettore CD, poi cambia idea perché, ineluttabile come la legge di gravità, sente il richiamo del notiziario imminente. Fa parte dei tempi, questo imperativo a sentire come vanno le cose del mondo, a unirsi alla totalità del pubblico, a una comunità fondata sull'ansia. L'abitudine è andata aumentando in questi ultimi due anni; certe scene mostruose e spettacolari hanno conferito un valore di portata diversa all'informazione. La possibilità che si ripetano è come un filo che tiene legati i giorni. Il parere del governo - vale a dire che un attacco a una città europea o americana sia inevitabile - non costituisce solo un disconoscimento di responsabilità, ma anche una promessa esaltante. Tutti lo temono, ma a livello di inconscio collettivo esistono anche un anelito oscuro, un perverso desiderio di castigo e una curiosità blasfema. Come gli ospedali hanno i loro piani di emergenza, così le reti televisive si tengono pronte a trasmettere, e il pubblico si mantiene in attesa. Più ingente, più grave la prossima volta. Fa' che non debba succedere. Ma fa' anche che io veda ogni cosa mentre si verifica, e da ogni angolazione possibile, e fa' che sia tra i primi a saperlo. Perdipiu, Henry deve scoprire che ne è stato dei piloti trattenuti in custodia. Insieme alla prospettiva del telegiornale, da essa pressoché inseparabile, almeno nei weekend, c'è la sontuosa certezza di un bicchiere di vino rosso. Si mesce l'avanzo di un Côtes du Rhône, accende la Tv azzerando l'audio e si accinge a sbucciare e tritare tre cipolle. Non avendo pazienza con la friabile pellicola esterna, esegue un'incisione profonda, inserisce il pollice a forza e strappa via i primi quattro strati, sprecando un buon terzo di polpa. Tagliuzza velocemente quanto rimane e rovescia il tutto dentro una casseruola con 130
abbondante olio di oliva. Quel che gli piace del fare cucina è la relativa imprecisione e la mancanza di disciplina connesse - un sollievo dal rigore che impone la sala chirurgica. Ai fornelli, le conseguenze di un fallimento sono modeste: delusione, un vago senso di sfortuna, di rado espresso in forma esplicita. Nessuno però rischia di morire. Henry sbuccia e taglia otto grossi spicchi di aglio che unisce alle cipolle. Dalle ricette ricava soltanto i principi di massima. I compilatori di libri di cucina che ammira di più parlano di «manciate» e di «spolverate», e invitano ad aggiungere «q.b.» di questo o quell'ingrediente. Inoltre elencano possibilità alternative e incoraggiano la sperimentazione. Henry è ben consapevole che non sarà mai un cuoco come si deve, che appartiene a quella che Rosalind definisce la scuola dei volenterosi. Si serve di un buon numero di peperoncini essiccati presi da un barattolo e se li sminuzza tra le mani lasciando poi piovere fiocchi di buccia e semi dentro il soffritto di aglio e cipolla. Il telegiornale è iniziato, ma lui non tocca il tasto dell'audio. E la stessa ripresa dall'elicottero di prima che facesse buio, le stesse masse di gente accalcate nel parco, la stessa atmosfera celebrativa. Unisce a cipolla e aglio ammorbiditi qualche pizzico di zafferano, due foglie di alloro, scorza d'arancia grattugiata, origano, cinque filetti d'acciuga, due scatole di pomodori pelati. Sul vasto palcoscenico di Hyde Park, si alternano le formule propagandistiche di un rispettabile politico di sinistra, di una pop star, di un drammaturgo, di un sindacalista. Henry tuffa dentro il tegame del brodo le lische delle tre razze. Le teste risultano ancora intatte, le bocche carnose. Gli occhi si velano a contatto con l'acqua bollente, Un anziano poliziotto risponde ad alcune domande sulla manifestazione. A giudicare dal suo mezzo sorriso e dalla postura del capo si direbbe che è soddisfatto della giornata. Henry estrae dalla loro reticella verde all'incirca una dozzina di cozze e le getta nell'acqua del brodo. Se sono vive e sofferenti, lui non è tenuto a saperlo. Ed ecco ancora lo stesso zelante cronista riferire a pesce tutto quello che c'è da sapere riguardo a quel raduno senza precedenti. Il liquido dei pomodori cuoce a fuoco lento con le cipolle e il resto, assumendo il colore rosso aranciato prodotto dallo zafferano. Con l'udito in parte ancora frastornato dalle prove del concerto e l'umore appannato, per non dire stordito, dalla visita a sua madre, Henry decide che deve ascoltare qualcosa di energico, tipo Steve Earle, il Bruce Springsteen dell'uomo pensante, secondo il giudizio di Theo. Ma il disco che cerca, El Corazón, è di sopra, perciò ripiega su un sorso di vino e continua a lanciare occhiate allo schermo, in attesa della sua notizia. Il primo ministro sta pronunciando il discorso di Glasgow. Perowne preme il telecomando in tempo per sentirgli dire che il numero dei dimostranti di oggi è stato superato dal numero dei morti causati dal regime di Saddam. Argomentazione acuta, l'unica valida, ma si sarebbe dovuto 131
farvi ricorso sin dal principio. Adesso è tardi. Dopo Blix ha un sapore strategico. Henry azzera di nuovo l'audio. Lo sorprende constatare quanto sia soddisfatto di fare cucina nemmeno il pudore riesce a guastargli la sensazione di appagamento. Rovescia il resto delle cozze nel grosso colabrodo e procede a pulirle con uno spazzolino di fibre vegetali, passandole sotto l'acqua corrente nel lavandino. Le vongole verde chiaro invece hanno un aspetto delicato e puro, perciò si limita a risciacquarle. Una delle razze ha inarcato la spina dorsale, quasi volesse sfuggire al bollore. Mentre la risospinge nell'acqua con una spatola di legno, la colonna si spezza, esattamente sotto T3. L'estate scorsa ha operato una ragazza che si era rotta la schiena alla Quinta Cervicale e alla Seconda Toracica cadendo da un albero a un festival di musica pop, mentre cercava di procurarsi una visuale migliore dei Radiohead. Aveva appena finito il liceo e voleva studiare russo all'università di Leeds. Adesso, dopo otto mesi di riabilitazione si sta riprendendo. Ma Henry respinge il ricordo. Non intende pensare al lavoro, vuole solo cucinare. Prende dal frigorifero una bottiglia di vino bianco piena per un quarto, un Sancerre, con il quale annaffia il suo sugo di pomodoro. Su un tagliere più ampio e massiccio, Perowne sistema le code di rana pescatrice che taglia a pezzettoni e poi trasferisce in una grossa ciotola bianca. A questo punto elimina il ghiaccio dai gamberi e butta dentro anche quelli. In una seconda ciotola, rovescia le vongole e le cozze. Poi i contenitori finiscono in frigo, con dei piatti per coperchio. Le immagini di repertorio mostrano l'edificio delle Nazioni Unite a New York e, subito dopo, Colin Powell che sale a bordo di una limousine nera. Questo significa che la sua notizia è stata retrocessa, ma non gliene importa. Henry riordina la cucina, sgombrando l'isola centrale dai rifiuti e gettandoli in un grosso bidone, prima di lavare i taglieri sotto il rubinetto. E venuto il momento di schiumare il brodo bollente di cozze e razze dentro la casseruola. Terminata l'operazione, Henry ritiene di avere più o meno due litri e mezzo di brodo ben carico che lascerà sobbollire per altri cinque minuti. Appena prima di cena, lo riscalderà a fuoco lento per una decina di minuti dopo avervi immerso vongole, rane pescatrici, cozze e gamberi. Servirà la zuppa con pane nero, insalata e vino rosso. Dopo New York, si passa al confine Kuwait-Iraq, poi automezzi dell'esercito in convoglio su una strada del deserto, e i nostri ragazzi che si coricano accanto alle impronte dei carri armati e che il mattino dopo mangiano salsicce dalle gavette. Henry prende dal fondo del frigo due pacchi di lattuga e li svuota nel lavaverdure. Fa scorrere l'acqua fredda sulle foglie. Un ufficiale, poco più che ventenne, indica con un'asticciola dei punti su una cartina appoggiata a un cavalletto. Perowne non sente la tentazione di premere il tasto dell'audio: questi servizi dal fronte hanno un'aria cordiale che sa di censura e gli deprimono l'umore. Centrifuga la lattuga e la rovescia dentro l'insalatiera. Olio, limone, pepe e sale, li 132
aggiungerà dopo. A fine pasto ci saranno formaggio e frutta fresca. Theo e Daisy possono apparecchiare. I preparativi si concludono proprio quando, come quarto servizio, arriva la vicenda dell'aereo in fiamme. Con il vago sentore di essere sul punto di scoprire qualcosa di significativo sul proprio conto, Henry alza il volume e si piazza davanti al piccolo televisore, asciugandosi le mani in uno strofinaccio. Una quarta posizione potrebbe indicare che non ci sono stati sviluppi, oppure un ambiguo silenzio da parte delle autorità; in effetti, la notizia si è semplicemente sgonfiata. Quasi lo si percepisce dal tono deluso nella presentazione del conduttore. Eccoli qui, il pilota, quel tipo grinzoso dalla lustra chioma nera con il suo tarchiato secondo, fuori da un hotel nei pressi di Heathrow. Non si tratta, spiega il pilota con l'aiuto dell'interprete, né di ceceni né di algerini, non sono musulmani, sono cristiani, anche se solo nominalmente, giacché non frequentano alcuna chiesa e non possiedono né un Corano né una Bibbia. Sono soprattutto russi, e orgogliosi di esserlo. Di certo non sono responsabili del materiale pornografico sul minore americano rinvenuto semidistrutto sul velivolo danneggiato dall'incendio. Lavorano per una ditta seria, registrata in Olanda, e si sentono responsabili esclusivamente nei confronti del mezzo aereo. E si, certo, la pornografia infantile è un reato orrendo ma non fa parte dei loro doveri ispezionare ogni collo presente sulla lista di bordo. Sono stati rilasciati senza capi d'accusa e, non appena l'autorità dell'Aviazione civile lo riterrà opportuno faranno ritorno a Riga. Si è spenta anche la controversia a proposito della rotta in arrivo sull'aeroporto; risultano rispettate tutte le regolari procedure. Entrambi gli uomini precisano di essere stati trattati con cortesia dalle forze dell'ordine. Il pingue copilota afferma di aver voglia di un bagno e di un long drink. Buone notizie, eppure uscendo dalla cucina e dirigendosi verso la dispensa, Henry non prova alcun piacere particolare, e nemmeno sollievo. Che le sue ansie si siano prese gioco di lui ? Rientra nel nuovo stato di cose, questo ridimensionamento della libertà mentale, del suo diritto alla divagazione. Non molto tempo fa i suoi pensieri spaziavano in modo più imprevedibile, su una rosa di temi più vasta. Henry ha il sospetto di poter diventare un babbeo, il classico consumatore solerte e instancabile di polpettoni giornalistici, opinioni, indagini e di tutte le briciole cadute dal tavolo di chi comanda. È un cittadino docile, che osserva il Leviatano irrobustirsi mentre lui striscia sotto la sua ombra in cerca di protezione. Questo aereo russo è volato dritto dentro la sua insonnia e a lui non è parso vero di permettere alla vicenda e a ogni minima variazione nervosa all'interno del processo dell'informazione quotidiana di modificare il suo stato d'animo. E un'illusione, credersi soggetto attivo della storia. Non penserà per caso di apportare il proprio contributo solo guardando i telegiornali o standosene sdraiato sul divano la domenica pomeriggio a leggere ulteriori editoriali pieni di certezze infondate, 133
l'ennesimo lungo articolo su quello che sta davvero dietro a questo o quello sviluppo, e su quello che molto probabilmente succederà: profezie dimenticate nell'atto stesso di leggerle, ben prima cioè che gli avvenimenti le sconfessino ? A favore o contro la guerra al terrorismo, o la guerra in Iraq; a favore della eliminazione di un odioso tiranno e della sua famiglia criminale, a favore di un'ulteriore ispezione sulle armi, dell'apertura delle prigioni dove si pratica la tortura, della ricerca delle fosse comuni, di un'opportunità di progresso e liberazione, e di un avvertimento agli altri dittatori; oppure, contro i bombardamenti sui civili, gli inevitabili profughi e le carestie, le azioni illecite a livello internazionale, l'ira delle nazioni arabe e l'ingrossarsi delle file di AlQaeda. In un modo o nell'altro, la faccenda conduce a una forma di consenso, a un'ortodossia dell'attenzione, a una moderata forma di soggiogamento. O pensa forse che la sua ambivalenza - se di questo si tratta - lo scagioni dal conformismo imperante ? Anzi, c'è dentro più della maggior parte della gente. I suoi nervi, tesi come corde di violino, vibrano obbedienti a ogni nuova «dose» di notizie. Ha perso l'abitudine allo scetticismo, si sta frastornando di opinioni contraddittorie, ha smesso di pensare con chiarezza e addirittura, gli parrebbe, in autonomia, il che non è da meno. I piloti russi vengono mostrati mentre entrano in albergo, e quella è l'ultima immagine che avrà mai di loro. Prende dalla dispensa qualche bottiglia di acqua tonica, controlla i cubetti del ghiaccio e il gin - tre quarti di litro dovrebbero proprio bastare per una sola persona - e spegne il fuoco sotto il brodo. Di sopra, al pianoterra, tira i tendoni del soggiorno a L e accende le lampade e l'interruttore del gas nei finti camini a carbone. Queste tende pesanti, col loro grosso pomolo d'ottone, hanno la prerogativa di cancellare discretamente la piazza e il mondo invernale al di là di essa al semplice tiro di una corda. La sala dai soffitti alti, nei toni del panna e del marrone, è silenziosa, accogliente; l'unica nota di colore acceso sono i turchini e i rossi dei tappeti e la pennellata astratta di arancio e di giallo su fondo verde di un Howard Hodgkin appeso su uno spiovente del camino. Le tre persone al mondo che lui, Henry Perowne, ama più delle altre e che più delle altre lo amano, stanno per arrivare a casa. E dunque, che c'è che non va? Niente, assolutamente niente. Lui sta bene, e va tutto a gonfie vele. Si ferma in fondo alla scala, domandandosi che cosa volesse fare subito dopo. Sale nel suo studio al primo piano, e rimane in piedi davanti allo schermo per ripassare il programma della settimana dopo. Ci sono quattro nomi in elenco per lunedi, cinque per martedì. Per prima, alle otto e trenta, toccherà a Viola l'anziana astronoma. Jay ha ragione, potrebbe non farcela. Ciascun nome evoca una storia che Henry ha imparato a conoscere nelle settimane e nei mesi passati. Per ogni caso sa esattamente che intende fare, e prova piacere alla prospettiva del lavoro. Che differenza rispetto ai nove individui, alcuni già in reparto, altri 134
a casa, altri ancora in arrivo a Londra domani o lunedi, con il terrore del momento che li aspetta, l'oblio anestetico, e il ragionevole sospetto che al loro risveglio non saranno più gli stessi di prima. Sente di sotto lo scatto della serratura, e dal suono che accompagna l'aprirsi e il chiudersi della porta - quel modo sobrio di entrare in un posto e di riaccostarsi l'uscio alle spalle - sa che si tratta di Daisy. Che fortuna che sia già qui prima di suo nonno. Henry si precipita giù per le scale per andarle incontro, e lei ha un lieve sussulto di gioia. - Ci sei! Mentre si abbracciano, Henry emette un basso ruggito sbuffante, lo stesso con cui era solito salutarla quando aveva cinque anni. Ed è proprio il corpo di quella figlia piccola che sente fra le braccia e che quasi solleva da terra, la compattezza dei muscoli sotto i vestiti, l'evidente elasticità delle articolazioni, i baci asessuati. Perfino l'alito sembra quello di una bambina. Daisy non fuma, beve di rado, e sta per diventare un poeta con tanto di pubblicazione. Il suo, di fiato, sa molto di vino rosso. Che figli astemi ha messo al mondo. - Allora, fatti guardare. Sei mesi sono il periodo più lungo che Daisy abbia mai trascorso lontano da casa. I Perowne, benché alquanto indulgenti, sono anche genitori possessivi. Tenendola a distanza di braccia tese, Henry spera che lei non si accorga dei suoi occhi lucidi né della voce un po' strozzata. Il momento di commozione monta e si attenua in un'unica morbida onda, prima di spegnersi. Per adesso sta ancora facendo le prove per la parte del vecchio rimbambito, è solo un principiante. A dispetto delle sue fantasie però, questa è tutt'altro che una bambina. È una giovane indipendente, che ricambia il suo sguardo reclinando la testa - come somiglia a sua nonna in quella postura - e accennando un sorriso a labbra chiuse, mentre il viso sembra ravvivarsi al calore della sua intelligenza. Questo è il piacere struggente di avere dei figli da poco adulti: quello spietato candore con cui dimenticano la dolce dipendenza del passato. Ma forse Daisy lo sta invece rievocando: durante l'abbraccio lo accarezzava e gli batteva un po' sulle spalle, un suo consueto gesto materno. Le piaceva fargli da mamma anche a cinque anni, e rimproverarlo quando lavorava fino a tardi o beveva vino o non riusciva a vincere la maratona di Londra. Era una di quelle bambine imperiose, sempre pronte a minacciare scrollando il dito. Il papà era solo suo. Adesso accarezza e batte le spalle di altri uomini, almeno una mezza dozzina nel corso dell'anno passato, se si decide di prestare fede alla raccolta La mia barchetta sventata con le sue «Sei liriche brevi». È proprio la tonificante esistenza di questi altri che lo aiuta a reprimere la lacrimuccia. Daisy indossa un cappotto sbottonato di logora pelle verde scuro. Un colbacco di pelliccia le ciondola dal braccio destro. Sotto il soprabito, stivali al 135
ginocchio di cuoio grigio, una gonna di lana grigio scuro, un ampio maglione pesante e una sciarpa di seta bianca e grigia. Il tocco di classe parigino non si estende al bagaglio: il vecchio zaino da studentessa le sta ai piedi riverso su un lato. Henry continua a tenerla per le spalle, sforzandosi di stabilire che cosa sia cambiato in sei mesi. Un profumo sconosciuto, forse si è un po' appesantita, ha lo sguardo più giudizioso, un'espressione un po' più decisa sul viso dolce di sempre. La maggior parte della sua vita è ormai un mistero per lui. Certe volte si chiede se Rosalind sa della figlia cose di cui lui è all'oscuro. Sotto il suo sguardo indagatore, il sorriso di Daisy va crescendo fino a rompersi in una risata mentre dice: - Avanti, dottore. Non si faccia scrupoli. Sono diventata una vecchia megera. - Sei un incanto, magari un po' troppo cresciuta per i miei gusti. - Dovrei regredire comunque, mentre sto qui -. Indica il soggiorno alle proprie spalle e domanda a bassa voce: - Il nonno c'è? Non ancora. Daisy si libera dalla sua stretta, gli passa le braccia intorno alle spalle e lo bacia sul naso. - Ti voglio bene e sono così contenta di essere tornata. - Ti voglio bene anch'io. È cambiato anche qualcos'altro. Non è più soltanto graziosa, adesso è bella, e forse, così sembra dirgli il suo sguardo, anche un po' nervosa. E innamorata e non sopporta la separazione. Henry allontana il pensiero. Di qualunque cosa si tratti, è probabile che ne parli prima con Rosalind. Per alcuni secondi sono risucchiati in uno di quei momenti di silenzio che si verificano dopo l'entusiasmo di un incontro. Troppe le cose da dire; si sente il bisogno di un pacato riassestamento, del recupero dell'ordinaria amministrazione. Daisy si guarda intorno levandosi il cappotto. Il movimento sprigiona nell'aria un'altra folata di quel suo nuovo profumo. Un regalo del suo amante. Farà meglio a sforzarsi di più di liberare la mente da questa cupa ossessione. È destino che Daisy ami un altro uomo. Gli sarebbe più facile accettarlo se le sue poesie non fossero tanto esplicite: non è solo la libertà sessuale che celebrano, ma la ricerca instancabile di novità, le stanze e i letti occupati per una notte e abbandonati all'alba, i tragitti verso casa lungo umide strade parigine, l'efficiente sistema di nettezza urbana garantito dal Comune, che diventa occasione di fantasiose metafore. Lo stesso senso di rigenerazione da nuovo inizio era già presente nella lirica sulla lavanderia a gettoni composta a Newdigate. Perowne conosce la vecchia diatriba riguardo ai due pesi e alle due misure, ma ormai non capita che anche certe progressiste sostengano la forza e il valore della reticenza? Sarà proprio solo la dabbenaggine paterna a fargli sospettare che una ragazza che passi da un letto all'altro con troppa disinvoltura abbia maggiori probabilità di finire per accompagnarsi a uomini di livello inferiore, inadatti, perdenti? O c'entra 136
l'indole personale in merito, quel difetto di esuberanza e di gusto per la scoperta, responsabile forse di un'ennesima proiezione da parte sua ? - Mio Dio, questa casa è perfino più grande di come la ricordavo -. Daisy guarda in su, tra le ringhiere della scala, verso il lampadario appeso al vertiginoso soffitto del secondo piano. Sovrappensiero, Henry le prende il cappotto, poi scoppia a ridere e glielo restituisce. - Ma che sto facendo? - dice. - Tu qui ci abiti. Puoi anche appendertelo da sola. Daisy lo segue in cucina e, quando il padre si volta per offrirle da bere, lo abbraccia di nuovo, poi se ne va saltellando con grazia studiata in sala da pranzo e prosegue fino alla serra. - Che bello qui, - gli grida. - Ma guarda questa pianta tropicale. E fantastica. Come mi sarà venuto in mente di stare via tanto tempo ? - Me lo chiedo anch'io. La pianta è li da nove anni. Henry non ha mai visto sua figlia di questo umore. Sta tornando verso di lui, le braccia spalancate come se camminasse su un filo, fingendo di vacillare: è il genere di movenza che potrebbe improvvisare l'attrice di una soap-opera americana che abbia deciso di farsi estorcere un'importante buona notizia. Di questo passo, potrebbe mettersi a piroettargli intorno canticchiando motivetti da musical. I feel pretty. Henry prende due bicchieri da un mobiletto, una bottiglia di champagne dal frigo e la stappa. - Ecco, - dice. - Non vedo perché aspettare gli altri. - Ti voglio bene, - ripete lei, levando il bicchiere. - Bentornata, tesoro. Beve e, con un certo sollievo, Henry nota che non lo fa a lungo. Un sorso appena: non è cambiata sotto questo aspetto. Perowne è in stato di all'erta: sta cercando di metterla a fuoco. Daisy non riesce a star ferma. Vaga con il bicchiere intorno all'isola centrale. - Prova a dire dove sono stata mentre venivo dalla stazione, - gli dice tornando verso di lui. - Hmm. Hyde Park ? - Lo sapevi, eh ? Papà, come mai non ci sei andato ? Era uno spettacolo eccezionale. - Non saprei. La partita a squash, la visita alla nonna, la cena da preparare, la mancanza di certezze. Cose così. - Ma è un'assoluta barbarie quella che stanno per fare. Lo sanno tutti. - Può darsi. Come potrebbe esserlo non fare nulla. Onestamente non so. Dimmi del parco. - Sono sicura che se ci fossi venuto non avresti più dubbi. Cercando di andarle incontro Henry dice: - Li ho guardati partire stamattina. Tutti pieni di buone intenzioni. 137
Daisy si contrae in una specie di smorfia di dolore. Finalmente è tornata, stanno brindando insieme a champagne, ma non ce la fa a tollerare che Henry non la pensi come lei. Gli appoggia una mano sul braccio. A differenza di quelle di padre e fratello, la sua è una mano minuta dalle dita affusolate, ciascuna con un avanzo di fossetta infantile alla base. Mentre Daisy parla, Henry le guarda le unghie, lieto dì constatare che sono curate. Un po' lunghe, lisce, pulite, lucide ma non colorate. Si capiscono tante cose dalle unghie delle persone. Quando comincia il declino di una vita, sono tra le prime a segnalarlo. Henry le prende la mano e gliela stringe. Daisy lo sta supplicando. Ha la testa piena di questa roba almeno quanto lui. Il discorso che fa è una sintesi di tutto quello che ha sentito nel parco, di quello che entrambi hanno sentito e letto già centinaia di volte, le previsioni nefaste che si trasformano in dati di fatto semplicemente attraverso la ripetizione, l'incanto allettante del pessimismo. Gli tocca ascoltare per l'ennesima volta del mezzo milione di morti iracheni a seguito di carestie e bombardamenti, dei tre milioni di profughi, della débâcle dell'ONU, del collasso dell'ordine mondiale qualora l'America agisse da sola, di una Baghdad completamente distrutta e occupata strada dopo strada dalla Guardia repubblicana, di turchi che invadono da nord, iraniani da est, israeliani che attaccano da ovest, dell'intera regione in fiamme con Saddam che, messo alle corde, ricorre all'impiego di armi chimiche e biologiche - sempre ammesso che ce le abbia, visto che nessuno l'ha mai dimostrato in modo sicuro, né sono mai stati provati i presunti legami del regime con Al-Qaeda - senza contare che, una volta compiuta l'invasione, gli americani se ne infischieranno della democrazia, non spenderanno un centesimo in Iraq, si prenderanno il petrolio e costruiranno le loro basi militari governando il paese come una colonia. Mentre lei parla, Henry la osserva con affetto e con un certo stupore. Eccoli pronti per una delle loro solite scenate, e così presto. In genere Daisy non parla di politica: non rientra nei suoi argomenti preferiti. Che sia questa la fonte di tanto inquieto entusiasmo ? Il rossore le sale dal collo e ogni nuova ragione fornita per non andare alla guerra accumula veemenza dalla precedente e la innalza verso un'apoteosi. Gli esiti infausti dei quali è convinta la stanno rendendo euforica; a ogni fendente fa secco un mostro diverso. Quando ha finito, gli assesta una spinta affettuosa sul braccio, come volesse scuoterlo. Poi finge un'espressione afflitta. Vuole a tutti i costi che Henry prenda coscienza della verità. Consapevole di assumere una posizione e preparandosi quindi a combattere, lui dice: - Ma tutte queste sono illazioni sul futuro. Per quale motivo non dovrei dubitarne? E provare invece a immaginare una guerra breve, il pericolo di disgregazione dell'ONU scongiurato, nessuna carestia, niente profughi né invasioni da stati vicini, nessuna Baghdad rasa al suolo e un numero di vittime 138
inferiore a quelle che Saddam provoca in media nell'arco di un anno tra la sua gente? E se gli americani provassero a mettere in piedi una democrazia, investissero qualche miliardo di dollari e poi togliessero il disturbo perché il presidente vuole farsi rieleggere l'anno prossimo ? Immagino che saresti contraria lo stesso e non mi hai ancora spiegato perché. Daisy si ritrae e lo scruta con preoccupata sorpresa. - Papà, non sarai favorevole alla guerra, spero. Henry si stringe nelle spalle. - Nessuna persona sensata è favorevole alla guerra. Però da qui a cinque anni potremmo anche non rimpiangere di averla fatta. Vorrei vedere la fine di Saddam. Hai ragione, potrebbe essere un disastro. Ma potrebbe anche essere la fine di un disastro e l'inizio di qualcosa di migliore. Tutto dipende dagli esiti e nessuno può prevedere quali saranno. Ecco perché non riesco a pensare di scendere in piazza. Lo stupore di Daisy si è trasformato in disprezzo. Henry alza la bottiglia e le offre un'aggiunta di vino, ma Daisy scuote la testa, posa il bicchiere e si allontana ancora di più. Non ha intenzione di bere insieme al nemico. - Tu detesti Saddam, ma Saddam è una creatura degli americani. L'hanno sostenuto, l'hanno armato. - Si, certo, come i francesi, i russi, e gli inglesi. Un grosso sbaglio. Gli iracheni sono stati traditi, specie nel '91, quando li si incoraggiò a sollevarsi contro i ba'athisti che poi li hanno fatti fuori. Questa potrebbe essere un'occasione per riparare. - Allora sei favorevole alla guerra. - Te l'ho già detto, non voglio nessuna guerra. Ma questa potrebbe essere il male minore. Lo sapremo tra cinque anni. - Tipico. Henry sorride, a disagio. - Di che ? - Di te. Questo non è esattamente l'incontro che aveva immaginato e, come capita qualche volta, la discussione fra loro sta sconfinando nel personale. Lui non c'è più abituato, ha perso lo smalto. Sente una morsa poco sopra l'altezza del cuore. O sarà il livido sullo sterno? E già al secondo bicchiere abbondante di champagne, mentre lei ha appena assaggiato il primo. La voglia di ballare le è passata del tutto. Si appoggia risoluta allo stipite della porta, le braccia conserte, la piccola faccia da elfo tesa di rabbia. Adesso reagisce alla sua alzata di sopracciglia. - Tu stai dicendo, procediamo con la guerra e tra cinque anni si vedrà: se funziona, sarò favorevole, se non funziona, non mi sentirò responsabile. Sei una persona istruita, vivi in quella che ci piace definire una democrazia solida, e il nostro governo ci sta portando alla guerra. Se la ritieni una buona idea, benissimo, dillo, sostieni la tua tesi, ma non puoi puntare sul rosso e sul nero 139
contemporaneamente. Vuoi mandare le truppe o no? Perché è adesso che sta succedendo. Quanto alle previsioni per il futuro, accompagnano spesso le scelte etiche. Si chiama vagliare le conseguenze. Personalmente, sono contraria a questa guerra perché credo che ne verranno cose terribili. Tu a quanto pare pensi il contrario, ma non sei disposto a sostenere le tue convinzioni. Henry riflette e dice: - E vero. Credo onestamente che mi potrei sbagliare. Questa ammissione e i suoi modi accomodanti la fanno infuriare ancora di più. - E allora perché rischiare? Che fine ha fatto il principio di prudenza che sbandieri sempre ? Se pensi di spedire centinaia di migliaia di soldati in Medio Oriente, ti conviene sapere che cosa stai facendo. Ma questi strozzini idioti e prepotenti della Casa Bianca non lo sanno invece, non hanno idea di dove ci stanno trascinando, e io non posso credere che tu stia dalla loro parte. Perowne si chiede se non stiano parlando d'altro. Quel suo «Tipico» continua a rodergli. Magari i mesi trascorsi a Parigi le hanno dato il tempo di costruirsi sulla figura del padre prospettive nuove che non le sono piaciute. Henry respinge l'idea. È bello, è salutare concedersi uno dei vecchi testa a testa; fa sentire a casa. E poi, il mondo è una cosa importante. Henry si mette comodo su uno degli sgabelli alti intorno all'isola centrale, e la invita con un gesto a fare altrettanto. Lei lo ignora e rimane vicino alla porta, le braccia ancora conserte, l'espressione prevenuta. Il fatto che suo padre diventi più pacato man mano che lei si scalda peggiora la situazione, ma per Henry si tratta di un'abitudine consolidata dal mestiere. - Senti, Daisy, se dipendesse da me, le truppe non si troverebbero al confine iracheno. Non credo proprio che per un paese occidentale questo sia il momento migliore per entrare in guerra con una nazione araba. E senza uno straccio di progetto per il futuro dei palestinesi. Ma questa guerra ci sarà, con o senza l'Onu, indipendentemente dalle dichiarazioni dei vari governi e da qualsiasi protesta di massa. Quanto alle presunte armi, che ci siano o non ci siano, mi pare irrilevante. L'invasione avverrà, e sul piano militare è destinata ad avere successo. Questo vuol dire la fine di Saddam e di una delle più odiose dittature mai viste, cosa di cui sono lieto. - Insomma, fino ad ora gli iracheni se la sono vista con Saddam, e adesso se la dovranno vedere anche con i missili americani, ma va tutto bene perché tu sei lieto. Henry fatica a riconoscere quella retorica amara, quella durezza di toni. Le dice: - Aspetta, - ma lei neanche lo sente. Pensi che saremo più sicuri alla fine di tutto questo ? Ci saremo fatti dei nemici convinti in tutto il mondo arabo. Sai quanti di quei giovani sbandati faranno la fila per diventare terroristi... - E troppo tardi per preoccupazioni del genere, - replica lui, dandole sulla 140
voce. - Sono già in centomila ad aver frequentato i campi di addestramento afghani. Adesso è finita, almeno di questo dovresti essere contenta. Mentre lo dice, gli viene in mente che Daisy in effetti lo è stata, che detestava il funesto regime dei talebani, perciò si domanda come mai la stia interrompendo, perché tenda alla lite anziché ricordarle le sue stesse opinioni e ritrovare affettuosamente con lei un accordo. Perché essere avversari? Perché è lui per primo a sentirsi su di giri; c'è del veleno nelle sue vene, a dispetto del tono tranquillo, e rabbia e paura gli opprimono la mente mettendogli addosso la smania di bisticciare. Ma si, sfoghiamoci. Si stanno accapigliando per eserciti che non vedranno mai, dei quali praticamente non sanno nulla. - Ci saranno altri militanti, - dice Daisy. - E quando avremo la prima esplosione su Londra, le vostre idee a favore della guerra... - Se hai deciso di definire la mia posizione come a favore della guerra, allora devi accettare che la tua sia di fatto a favore di Saddam. - Dio, che stronzate. All'udirla imprecare, Henry prova un improvviso sussulto interiore, in parte prodotto dallo sbalordimento che la loro conversazione abbia preso l'attuale deriva fuori controllo, ma anche da una specie di gioia incosciente e liberatoria, un sollievo da riflessioni cupe che l'hanno afflitto per tutto il giorno. Il rossore è svanito dal viso di Daisy e le rare efelidi sui suoi zigomi spiccano all'improvviso nella pozza di luce verticale che inonda anche lei dal soffitto della cucina seminterrata. La faccia della figlia, che di solito tende ad assumere nelle conversazioni un'espressione perplessa, gli punta ora dritto negli occhi uno sguardo indignato. Nonostante il brusco passaggio emotivo, Henry appare tranquillo, prende un sorso di champagne e prosegue: - Io intendevo semplicemente questo: il prezzo per liberarsi di Saddam è la guerra; il prezzo per dire di no alla guerra, è lasciarlo dov'è. La dichiarazione voleva essere accomodante, ma Daisy la interpreta in modo diverso. - E osceno che la lobby dei guerrafondai ci definisca pro-Saddam. - Be', voi però siete disposti a fare l'unica cosa che lui desidera, vale a dire lasciarlo al potere. Ma state solo rimandando il momento del confronto. Perché un giorno o l'altro, di lui e dei suoi orridi figli bisognerà pure occuparsi. Se ne rendeva conto perfino Clinton. - Secondo te invadiamo l'Iraq perché non abbiamo altra scelta. Non posso credere alle stronzate che dici, papà. Lo sai benissimo che quegli estremisti dei neocon ormai hanno in pugno l'America. I vari Cheney, Rumsfeld, Wolfovitz. L'Iraq è sempre stato il loro progetto numero uno. L'Undici Settembre ha rappresentato una buona occasione per tirare dentro anche Bush. Prova solo a pensare alla sua politica estera precedente. Bush era il classico struzzo sostenitore della linea stiamocene-a-casa-nostra. Ma non c'è nessun collegamento tra l'Iraq e l'Undici Settembre, o Al-Qaeda, come non esistono prove davvero preoccupanti sulla 141
presenza di armi di distruzione di massa. Non l'hai sentito Blix, ieri ? E non ti sfiora neppure il sospetto che attaccando l'Iraq stiamo facendo esattamente quello che volevano gli attentatori delle Torri: cioè reagire e farci nuovi nemici nel mondo arabo, radicalizzando l'Islam. Non solo, ma ci stiamo anche occupando di fare fuori il loro rivale storico, il tiranno stalinista senza dio. - E scommetto che non vedevano l'ora che distruggessimo anche i loro campi di addestramento, che cacciassimo i talebani dall'Afghanistan, mettessimo in fuga Bin Laden, disgregassimo i loro imperi finanziari e buttassimo in galera centinaia di loro uomini chiave... Daisy interviene alzando la voce: - Smettila di farmi dire quello che non ho detto. Nessuno è contrario a dare la caccia ad Al-Qaeda. Adesso stiamo parlando dell'Iraq. Mi spieghi come mai le poche persone di mia conoscenza che non sono contro questa cazzo di guerra hanno tutte superato i quaranta ? Che vi succede invecchiando ? Avete fretta di vedere la morte più da vicino ? Henry è colpito da un'improvvisa tristezza, e dal desiderio che la discussione finisca. Preferiva le cose come stavano una decina di minuti fa, quando lei gli diceva ti voglio bene. Deve ancora mostrargli le bozze della Mia barchetta sventata e la possibile grafica di copertina. Ma non riesce a fermarsi. - La morte è dappertutto infatti, - concorda. - Vallo un po' a chiedere ai torturatori di Saddam nel carcere di Abu Ghraib e ai ventimila prigionieri. Adesso però una domanda voglio fartela io. Come mai in mezzo a quei due milioni di idealisti oggi non ho visto un solo striscione, un solo pugno alzato, una voce che si levasse contro Saddam ? - Saddam è abominevole, - dice lei. - Questo è un dato di fatto. - E invece no. È un dato rimosso. Altrimenti, come spieghi che stiate tutti a cantare e ballare nel parco ? Di genocidi e torture, di fosse comuni, apparati di sicurezza, e totalitarismi criminali, la generazione dell'i-Pod non vuole sentire parlare. Che niente venga a turbare il loro mondo di sballo da ecstasy, voli a prezzi stracciati e reality show. Ma succederà, se non facciamo niente. Voi pensate di essere tutti cari e gentili e innocenti, ma i fanatici religiosi vi odiano. Che cosa credete volessero dire le bombe di Bali ? Direttamente dall'ecstasy alla beatitudine eterna. L'Islam radicale detesta la vostra libertà. Daisy finge di essere stata colta alla sprovvista: - Papà, mi dispiace; non ti credevo così sensibile all'argomento anni che passano. Solo che Bali ha a che fare con Al-Qaeda, non con Saddam. Niente di quello che hai detto giustifica l'invasione dell'Iraq. Perowne è al suo terzo bicchiere abbondante di champagne. Un grosso sbaglio. Non è un bevitore allenato. Eppure è ferocemente allegro. - Non c'entra soltanto l'Iraq. Io sto parlando di Siria, Iran, Arabia Saudita, una vasta fascia di territorio dominata da repressione, corruzione e miseria. Stai per diventare uno scrittore a tutti gli effetti. Perché non lasciarsi turbare un minimo dall'idea 142
di censura, e dei tuoi colleghi arabi che finiscono in carcere, proprio nel posto dove la scrittura è stata inventata ? O forse la libertà e il diritto a non essere torturati sono capricci dell'Occidente che non dovremmo permetterci di imporre ad altri ? - Santo Iddio, risparmiami la solfa relativistica, ti prego. Poi, continui a eludere il punto cruciale. Nessuno vuole gli scrittori arabi in galera. Ma non sarà l'invasione dell'Iraq a tirarli fuori. - Può darsi, invece. E l'occasione per ribaltare le sorti di un paese. Per piantare un seme. E stare a vedere se germoglia e cresce. - I semi non si piantano con i missili cruise. La gente odierà gli invasori. Gli estremisti diventeranno più forti. Ci saranno meno libertà, e più scrittori in galera. - Cinquanta sterline che a tre mesi dall'invasione, gli iracheni avranno la libertà di stampa e l'accesso non sorvegliato a Internet. I riformisti iracheni si sentiranno incoraggiati; i vari potentati siriani, sauditi e libici entreranno in fibrillazione. Daisy dice: - Benissimo. Cinquanta sterline che invece sarà un casino, e che persino tu finirai per augurarti che non sia successo mai niente. È capitato più volte durante l'adolescenza di Daisy che i loro litigi si concludessero in scommesse solitamente sancite da una stretta di mano di finta formalità. Perowne trovava sempre il modo di pagare, anche quando vinceva: una forma di mascherato sussidio economico. Dopo un esame che a lei era sembrato un fiasco, una Daisy diciassettenne e furiosa scommise venti sterline che non sarebbe mai entrata a Oxford. Per rincuorarla Henry alzò la propria posta a cinquecento e, quando arrivò la notifica dell'accettazione, la ragazza si spese il denaro in un viaggio a Firenze con un'amica. Sarà dell'umore adatto a una stretta di mano anche adesso ? Daisy si allontana dalla porta, recupera il proprio champagne, e si dirige in fondo alla cucina dove pare interessarsi ai CD di Theo accanto allo stereo. Dà risolutamente le spalle a suo padre. Lui resta seduto sullo sgabello in centro cucina a giocherellare con il bicchiere, ora che non beve più. Prova un senso di vuoto per aver sostenuto soltanto metà della propria tesi. Con Jay Strauss si mostra colomba, e con Daisy falco. Che cosa si è messo in testa? Comodo oltretutto, poter discutere della faccenda nella cucina di casa propria, dalle mosse geopolitiche alle questioni di strategia militare, senza dover dare conto a nessuno: elettori, stampa, amici, storia. Quando non ci sono conseguenze, avere torto è solo un simpatico passatempo. Daisy prende un CD dalla custodia e lo sistema dentro il lettore. Henry è in attesa, sapendo che potrà coglierne un indizio sul suo umore, se non addirittura un messaggio. Appena riconosce l'intro di pianoforte, sorride. E un disco che Theo ha portato a casa anni fa: Johnnie Johnson, il vecchio pianista di Chuck 143
Berry, che canta Tanqueray, un blues strascicato che parla del ritrovarsi fra amici. It was a long time comìri, But I knew I would see the day When you and I could sit down, And have a drink of Tanqueray. Daisy si volta e gli viene incontro accennando un passo di danza. Quando gli è accanto, lui la prende per mano. Daisy dice: - Sbaglio o il vecchio guerrafondaio ha cucinato una delle sue celebri zuppe di pesce ? Posso rendermi utile ? - La giovane pacifista può apparecchiare. E preparare il condimento per l'insalata, se le va. Lei si avvia verso il mobiletto dei piatti, quando sentono il campanello: due squilli interminabili e titubanti. Si guardano: quel genere di insistenza non promette niente di buono. Henry dice: - Prima però, taglia una fettina di limone. Il gin è laggiù, l'acqua tonica in frigo. Lo diverte la teatralità con cui Daisy rovescia gli occhi al cielo e sospira. - Ci siamo. - Sta' calma, - le suggerisce, e sale a salutare il suocero, l'illustre poeta. Cresciuto in periferia nell'intimità di una solitudine condivisa con sua madre, Henry Perowne non ha mai sentito la mancanza di un padre. Nelle casette pesantemente ipotecate che lo circondavano, i padri erano figure distanti, logorate Jal lavoro e, a vederle così, di scarso interesse. Per un bambino, la vita domestica a Perivale verso la metà degli anni Sessanta risultava dominio indiscusso delle madri casalinghe; se durante il weekend andavi a giocare da un amichetto era nel loro regno che entravi, e alle loro regole che dovevi provvisoriamente sottostare. Era la madre a elargire e negare permessi, o a passarti magari qualche spicciolo. Henry non aveva alcun motivo per invidiare agli amici un genitore in più -quando non erano assenti, i padri incombevano minacciosi, impedendo, anziché favorire, gli aspetti più audaci e imprevedibili dell'esistenza. Se da ragazzo prese a studiare le scarse fotografie di suo padre, lo fece più per narcisismo che per nostalgia: sperava di rintracciare in quelle fattezze gagliarde senz'ombra di acne la promessa della propria fortuna con le ragazze. Di suo padre voleva la faccia, ma rinunciava volentieri ai suoi consigli, ai suoi giudizi e ai suoi no. Perciò era forse destino che vivesse il suocero come un'imposizione, quand'anche gliene fosse toccato uno assai meno ingombrante di John Grammaticus. Sin dal loro primo incontro nel 1982, quando arrivò allo château poche ore dopo aver consumato il proprio amore con Rosalind nella cuccetta bassa del traghetto di Bilbao, l'assistente chirurgo Perowne era deciso a non accettare paternalismi, a non farsi trattare come una specie di figlio d'acquisto. Si sentiva un adulto in possesso di competenze specialistiche alla pari con quelle 144
di qualunque poeta. Grazie a Rosalind, conosceva «Fujiyama», la pluriantologizzata lirica di Grammaticus, ma non era sua abitudine leggere poesia, e lo dichiarò senza vergogna a cena, la prima sera. Al tempo, John era molto concentrato sulla sua raccolta Senza esequie - l'ultimo prolungato exploit creativo, come si seppe poi -e quello che un dottorino alle prime armi non aveva l'abitudine di leggere nel proprio tempo libero non lo incuriosiva affatto. Analogamente, quando più tardi lo scotch arrivò in tavola, parve non fare caso, forse neppure accorgersi, che quello stesso dottore non la pensasse come lui in materia di politica - Grammaticus era un sostenitore di vecchia data della signora Thatcher -, musica - il bebop aveva tradito il jazz -, né riguardo alla vera natura dei francesi - venali dal primo all'ultimo. Il mattino dopo, Rosalind rimproverò a Henry di essersi sforzato troppo di fare colpo sul vecchio: l'opposto esatto delle sue intenzioni, e perciò un appunto molto irritante. Ma anche se da allora ha cessato di lasciarsi coinvolgere nel dibattito, in seguito a quella prima sera tra loro è cambiato assai poco, perfino dopo il matrimonio, i figli e l'accumularsi di più di vent'anni di conoscenza. Perowne si mantiene a distanza, e Grammaticus è soddisfatto della soluzione e rivolge il suo sguardo direttamente su figlia e nipoti, trapassando il genero. I due uomini si comportano con superficiale cordialità e fondamentalmente si trovano noiosi. Perowne non riesce a capire come la poesia a suo parere un'attività saltuaria, non meno di una vendemmia - possa occupare un'intera esistenza professionale, né come un simile monumento alla gloria e all'autocompiacimento possa fondarsi su così poco, e neppure per quale motivo si dovrebbe considerare un poeta ubriaco diverso da un ubriaco qualsiasi; dal canto suo Grammaticus - sospetta Perowne - lo giudica un professionista come tanti, il classico medico mediocre e ignorante, membro di una categoria di cui si fida sempre meno man mano che l'età lo costringe a doverne dipendere di più. C'è poi un'altra questione, ovviamente mai discussa. La casa sulla piazza, così come lo château, sono pervenuti nelle mani della madre di Rosalind attraverso i suoi genitori. Quando Marianne sposò Grammaticus, la casa di Londra diventò domicilio della famiglia in cui crebbero Rosalind e suo fratello. Alla morte di Marianne in quell'incidente stradale, i termini del suo testamento non lasciavano dubbi: la casa di Londra passava ai figli, e a John doveva toccare St-Félix. Quattro anni dopo il matrimonio, Rosalind e Henry, che abitavano in un appartamentino ad Archway, fecero un mutuo per rilevare la quota del fratello il quale intendeva acquistare un alloggio a New York. Fu un giorno felice quello in cui i Perowne con i due figli piccoli si trasferirono nella grande casa. Ognuna di queste transazioni si verificò in uno spirito di assoluta concordia. Ma nel corso delle sue rare visite, Grammaticus tende a comportarsi come se stesse tornando a casa, come un proprietario assenteista venuto a salutare i fittavoli e a ribadire i propri diritti. O magari è Henry a essere troppo suscettibile, non 145
sapendo come collocare una figura paterna. Ad ogni buon conto, la cosa lo irrita; preferisce, dovendo, vedere il suocero in Francia. Dirigendosi alla porta, Perowne raccomanda a se stesso, nonostante lo stimolo dello champagne, di mascherare a dovere i suoi sentimenti; lo scopo della serata è riconciliare Daisy e suo nonno, a tre anni ormai da quello che Theo, in omaggio a un certo filone cinematografico, ha intitolato «Il caso Newdigate». Daisy vorrà mostrargli le bozze, e il vecchio rivendicherà giustamente il proprio ruolo nel successo della nipote. Sull'onda di questo pensiero benevolo, Henry apre la porta e si ritrova davanti a Grammaticus parecchio più in là, in mezzo alla via, in cappotto di lana con cintura slacciata, cappello e bastone, la testa appena riversa all'indietro, e il profilo disegnato dalla fredda luce bianca dei lampioni sulla piazza. Molto probabilmente si era messo in posa per Daisy. - Ah, Henry... - dice, tradendo nel tono di voce calante la delusione provata. Osservavo la torre... E poiché Grammaticus non accenna a spostarsi, Perowne gli va doverosamente incontro. - Stavo cercando di vederla - prosegue - con gli occhi di Robert Adam mentre progetta la piazza, per capire che cosa ne avrebbe pensato. Secondo te ? La torre dell'Ufficio postale si erge al di sopra dei platani dei giardini centrali, alle spalle della facciata ricostruita sul lato meridionale della piazza; in cima allo stelo a pannelli di vetro, sei successive terrazze circolari ospitano i padelloni delle paraboliche, sormontati da un'ulteriore serie di ampie ruote o maniche circolari all'interno delle quali si trova l'intrico geometrico delle luci fosforescenti. Di notte il Mercurio danzante conferisce al tutto un tocco giocoso. Da piccolo Theo amava chiedere se, cadendo dalla loro parte, la torre avrebbe abbattuto la casa ed era sempre soddisfatto quando suo padre gli rispondeva senz'altro di si. Dal momento che Perowne e Grammaticus non si sono ancora né salutati né stretti la mano, la loro conversazione risulta disincarnata, come in una chat in rete. Perowne, ospite cortese, sta al gioco. - Be', avrebbe potuto guardarla da ingegnere. Tutto quel vetro e l'altezza priva di sostegni l'avrebbero affascinato. Come pure le luci elettriche. Magari l'avrebbe creduta più una macchina che un edificio. Grammaticus lascia intendere che questa non è affatto una risposta. - La verità è un'altra; alla fine del diciottesimo secolo l'unica pietra di paragone sarebbe stata la guglia di una cattedrale. L'avrebbe per forza considerata come la sede di un culto di qualche tipo; a che scopo, altrimenti, l'altezza ? Avrebbe dovuto supporre che i piatti fossero decorativi, o strumenti utilizzati in qualche rituale. Una religione del futuro. - Nel qual caso, si sarebbe avvicinato abbastanza alla verità. Grammaticus alza la voce per soverchiare la sua. - Santo Iddio benedetto, ma 146
guarda la proporzione di quelle colonne, il decoro di quei capitelli! - Adesso agita il bastone verso la facciata del lato orientale della piazza. - Questa si che è armonia. Questa si che è cultura. Un mondo diverso, una consapevolezza diversa. Adam sarebbe rimasto sconvolto dalla bruttezza di quel coso di vetro. Manca di proporzioni umane. È ingombrante. Non ha né grazia, né slancio. Chissà che paura gli avrebbe messo. Se quella deve diventare la nostra religione, si sarebbe detto, allora siamo proprio fottuti. La loro visuale delle colonne georgiane sulla facciata orientale comprende, in primo piano, due figure in giubbotto di pelle e berretto di lana da marina, sedute su una panca a una ventina di metri di distanza. Danno le spalle alla casa e siedono ben accosto, chine in avanti, suggerendo a Perowne l'ipotesi che sia in corso uno spaccio. Per quale altro motivo starsene li con tanta concentrazione in una gelida serata di febbraio ? Lo coglie un improvviso moto di impazienza; prima che Grammaticus possa procedere a imprecare contro la civiltà di cui fa parte comunque, o a esaltarne un'altra ormai ampiamente fuori portata, gli dice: - Daisy ti aspetta. Ti sta preparando qualcosa da bere -. Afferra il suocero per il gomito e lo trascina con gentilezza verso la grande porta bene illuminata. John ha ampiamente raggiunto lo stadio di una cordiale, relativa benevolenza e Daisy non deve perderselo. Quello della riconciliazione non sarà un tema adatto alle fasi successive. Henry ritira cappotto, bastone e cappello del suocero, lo fa accomodare in salotto e scende a chiamare Daisy. Ma lei è già in arrivo con un vassoio: un'altra bottiglia di champagne oltre alla prima, gin, ghiaccio, limone, bicchieri per Rosalind e Theo, e macadamia nella ciotola dipinta che ha portato come souvenir da un viaggio in Cile ai tempi della scuola. Rivolge al nonno uno sguardo interlocutorio e lui ricambia con una faccia allegra: andrà tutto bene. Pensando che Daisy e suo nonno dovranno abbracciarsi, Henry le prende il vassoio e la segue. Ma Grammaticus, fermo in mezzo alla stanza, drizza la schiena in un gesto piuttosto formale, e Daisy si trattiene. Può darsi che sia rimasto sorpreso dalla sua bellezza, come è accaduto allo stesso Henry; o magari a colpirlo è stata la sua aria di famiglia. Si avvicinano l'uno all'altra mormorandosi rispettivamente «Daisy... Nonno», si stringono la mano e poi, sotto l'impulso automatico del corpo che una volta messo in moto non sono più in grado di contrastare, imbarazzati, si baciano sulla guancia. Henry appoggia il vassoio e prepara un gin tonic. - Ecco, - dice. - Facciamo un brindisi. Alla poesia. Al vecchio trema la mano prendendo il suo gin e Henry lo nota. Levando i bicchieri, e brontolando qualcosa anziché ripetere quelle parole che un semplice conciaossa non ha il diritto di pronunciare, Daisy e suo nonno bevono. Rivolgendosi a Henry, Grammaticus dice: - E identica a Marianne la prima volta che l'ho incontrata. Perowne nota inoltre che gli occhi del vecchio non sono umidi come lo erano i 147
suoi; nonostante l'emozione e il mutamento di stato d'animo resta in Grammaticus un che di sorvegliato e intangibile, per non dire di ferreo. Ha un modo tutto suo di dominare gli incontri, una forma di superiorità anche in compagnia dei suoi cari. Molto tempo fa, poco più che trentenne a detta di Rosalind, John ha messo a punto un contegno da vecchia gloria, indifferente a quello che pensano gli altri. Daisy gli dice: - Ti trovo benissimo. Lui le appoggia una mano sul braccio. - Le ho rilette tutte in albergo oggi pomeriggio. Maledizione Daisy, sono magnifiche. Sei unica -. Butta giù un altro sorso, e recita in un curioso tono cantilenante: La mia barchetta sventata e minore, Pure sfida il tuo mare spavalda. John è ammiccante, e scherza con lei come faceva un tempo. - Allora. Sii onesta. Chi è l'altro poeta, quello dal talento grande quanto un galeone ? Grammaticus è a caccia del tributo che crede suo di diritto. Ancora presto per questa serata. Sta correndo un po' troppo. È in effetti probabile che Daisy abbia dedicato il libro a suo nonno, ma Perowne ha qualche perplessità al riguardo. Ecco un'altra ragione per cui ci teneva a vedere le bozze. Daisy è frastornata. Fa per parlare, poi cambia idea, e infine, con un sorriso forzato, dice: - Ti toccherà aspettare per scoprirlo. - Naturalmente, Shakespeare non si sentiva affatto una barchetta in competizione sulle acque dell'oceano. Faceva solo finta, ironizzava. E magari lo stai facendo anche tu, mia cara. Daisy è incerta, imbarazzata, alle prese con una scelta difficile. Si nasconde dietro il bicchiere alzato. Poi lo rimette sul tavolo e sembra essersi decisa. - Nonno, non dice: Pure sfida il tuo mare spavalda. - Figurati. Te l'ho insegnato io quel sonetto. - Lo so bene. Ma il verso non scandisce a dovere con spavalda. Dice: Pure sfida il tuo mare avventurosa. La luce negli occhi di Grammaticus semplicemente si spegne. Il suo sguardo austero si posa sulla nipote, e lei lo sostiene, come ha fatto poco fa con suo padre in cucina. Ha preso la parola in spirito di ribellione, e adesso tiene duro. A Henry, il termine scandire evoca un ricordo indesiderato, una fitta di ansia professionale riguardo a un ammanco di centonovantamila sterline nei fondi che il Trust ha destinato all'acquisto di uno scanner per la risonanza magnetica più potente. Henry ha redatto una memoria, è stato presente a tutti gli incontri. C'è qualche altro compito che ha trascurato di adempiere? L'invio di una mail, forse. Quanto al concetto di scansione in campo poetico, non è in grado di stabilire se avventurosa rappresenti un miglioramento rispetto a spavalda. Grammaticus dice: - Be', d'accordo. Non si può scandire. Pensa un po'. Henry, come vanno le cose in ospedale? 148
In più di vent'anni non ha mai chiesto dell'ospedale, e Henry non può permettere che sua figlia venga liquidata così. E allo stesso tempo, è incredibile: tre anni senza vedersi, e questi due riescono a litigare nel giro di un minuto. Dando l'impressione plausibile di trovare la situazione spiritosa, dice serenamente a Grammaticus: - A me, la memoria fa scherzi anche peggiori -. Poi si rivolge a Daisy che è indietreggiata di un passo e sembra sul punto di cercare una buona scusa per lasciare la stanza. Henry è deciso a trattenerla. - Chiariscimi un po' il concetto. Com'è che la scansione torna con avventurosa e non con spavalda ? Con assoluta benevolenza, Daisy è pronta a spiegare i fatti essenziali della vita a suo padre e a tornare all'attacco con Grammaticus. - «Pure sfida il tuo mare avventurosa» è un endecasillabo, tre accenti, cesura dopo la quarta sillaba. Sai, no ? Tu-tu-túm, tu-tu-tum. Con spavalda mancherebbe una sillaba e suonerebbe stonato. Mentre lei parla, Grammaticus si abbandona su uno dei divani di pelle dando in un sospiro talmente sonoro da coprire in parte le sue ultime parole. Dice: - Non essere troppo severa con un vecchio. «Non fu sogno ; giacevo ma sveglio». Sono tanti i versi troppo brevi in Shakespeare, se ne trovano a dozzine nei sonetti. Se avesse scritto spavalda, l'avremmo fatto tornare lo stesso. - Peccato che quello sia Wyatt, - bisbiglia Daisy in modo da non farsi sentire dal vecchio. Perowne la guarda e solleva un dito senza farsi notare. L'ha avuta vinta e di certo si rende conto di dover lasciare l'ultima parola a suo nonno. A meno che non voglia litigare fino all'ora di cena, se basta. - Probabilmente hai ragione. È vero. Altro gin, nonno ? .. La sua voce non tradisce alcun nervosismo. Grammaticus le consegna il bicchiere. - Aggiungo io la tonica -. Quando ha fatto, Daisy lascia passare qualche secondo affinché il silenzio ristabilisca un clima neutrale, poi mormora al padre: - Finisco di apparecchiare. Forse Henry è troppo preoccupato, o troppo impaziente che l'incontro vada a buon fine. Ha poi importanza? Se Daisy dovesse aver superato un'altra sua guida esistenziale, lui che potrebbe farci ? Si è verificato in lei un cambiamento che gli sfugge, una specie di agitazione che continua a spegnersi in modi volutamente dolcissimi, un certo livello di aggressività che si alza e si abbassa. E lui non ha nessuna voglia di rimanere solo a bere con il suocero. Non vede l'ora che arrivi Rosalind con il suo carico di talenti famigliari: quelli di madre, di figlia, di moglie, di avvocato. Dice a Daisy: - Vorrei proprio vedere queste bozze. - D'accordo. Perowne si siede sull'altro divano di fronte a Grammaticus, al di là del lucido 149
tavolo thakat segnato dal tempo, e sospinge la ciotola di macadamia dalla sua parte. L'ascoltano imprecare sottovoce mentre fruga dentro lo zaino, in ingresso. Nessuno dei due ha voglia di chiacchierare. Se anche dovessero concordare su un argomento degno di essere dibattuto, a nessuno interesserebbe minimamente l'opinione dell'altro in proposito. Perciò si godono il rispettivo mutismo. Seduto comodo per la prima volta dacché è rientrato, tra il piacere dei piedi finalmente liberi dal peso del corpo, e l'umore esaltato dal vino e da tre bicchieri di champagne a stomaco vuoto, con l'udito ancora scosso dalla musica di Theo e le cosce di nuovo indolenzite dallo squash, Perowne si abbandona al gradito e crescente effetto di dissociazione. Niente ha molta importanza. Tutto ciò che lo tormentava si è risolto per il meglio. I piloti sono due russi inoffensivi, Lily è ben accudita, Daisy è tornata a casa per il suo libro, quei due milioni di dimostranti sono brava gente, Theo e Chas hanno scritto una bella canzone, Rosalind vincerà la causa lunedi e adesso sta per arrivare, è statisticamente poco probabile che i terroristi stermineranno la sua famiglia stasera, la zuppa di pesce, a naso, potrebbe essere una delle migliori che abbia mai fatto, tutti i pazienti in elenco per la settimana dopo se la caveranno, Grammaticus è molto ben disposto, e l'indomani - domenica - regalerà a Henry e Rosalind una mattina di sonno e di eros. Questo è proprio il momento di versarsi un altro bicchiere. Fa per prendere la bottiglia e controllare a che punto sta il suocero quando sentono un tintinnio distinto provenire dall'ingresso, un grido di Daisy, un «Ehilà» baritonale seguito dal sonoro sbattere della porta che increspa di cerchi concentrici il gin del poeta; poi un tonfo sordo e un rumore di corpi che si scontrano. Theo è tornato e sta abbracciando la sorella. Qualche secondo dopo, entrando in salotto mano nella mano, i ragazzi offrono l'immagine vivente delle rispettive carriere e ossessioni, doni preziosi, ammette Henry senza gelosie, ricevuti dal nonno: Daisy ha in mano una copia delle bozze rilegate, suo fratello tiene la chitarra nella custodia, a tracolla. Di tutta la famiglia, Theo è senza dubbio il più rilassato con Grammaticus. In comune hanno la musica, e tra loro non esiste competizione: Theo suona, il nonno lo ascolta e si prende cura del suo archivio di brani blues - attualmente in fase di trasferimento su hard disk con l'aiuto del giovane. - Non alzarti, nonno, - gli dice, appoggiando la chitarra contro la parete. Ma il vecchio si mette in piedi mentre Theo lo raggiunge e i due si abbracciano senza vergogna. Daisy viene a sedersi accanto a suo padre e gli fa scivolare in grembo la copia del libro. Grammaticus ha afferrato il braccio del nipote e appare risollevato, ringiovanito dalla sua presenza. - Allora. Hai una canzone nuova da farmi sentire. Le bozze sono verde-acqua a caratteri neri. Mentre contempla il titolo e il nome dell'autore, Perowne passa un braccio intorno alle spalle della figlia e la 150
stringe; Daisy gli si fa più vicino per osservare il libro attraverso gli occhi di lui. Henry fa la stessa cosa, e cerca di immaginare il brivido di emozione. Alla sua età lui era uno studente al quinto anno di Medicina e sgobbava in un mondo fatto di nomi latini e funzioni corporee, ben lontano da simili possibilità. Con la mano libera, va al frontespizio e insieme rileggono le quattro parole del titolo che questa volta risultano contenute in una doppia cornice a rettangolo, La mia barchetta sventata Daisy Perowne, e, a fondo pagina, il nome dell'editore seguito da London, Boston. La sua barchetta, qualunque ne sia la dimensione, veleggia ormai su rotte transoceaniche. Theo sta dicendo qualcosa e Henry solleva lo sguardo. - Papà. Papà! La canzone. Come ti è sembrata? Quando i bambini erano piccoli, si badava molto a un'equa distribuzione degli elogi. Questi figli che puntano così in alto. Avrebbe dovuto parlare della canzone già prima, quando era solo con Grammaticus. Ma Henry aveva sentito il bisogno di concedersi quel mezzo minuto di divagazioni ottimistiche. Dice: - Travolgente -. E, con sorpresa di tutti, alza il mento verso il soffitto e si mette a cantare con discreta precisione: «Let me take you there, My city square, city square». Theo estrae dalla tasca del giubbotto un CD e lo consegna a suo nonno. L'abbiamo registrata oggi pomeriggio. Non è perfetta, ma ti puoi fare un'idea. Henry restituisce la propria attenzione alla figlia. - Bello, questo London, Boston. Molto raffinato -. E sfiora con un dito i piccoli caratteri maiuscoli. Girando pagina, legge con sollievo la dedica. A John Grammaticus. Improvvisamente angosciata, Daisy gli sta sussurrando all'orecchio: - Non so se è giusto. Avrei dovuto metterci te e la mamma. E che non sapevo proprio cosa fare. Henry la stringe di nuovo e bisbiglia: - È più che giusto così. - Non ne sono sicura. Sono ancora in tempo a cambiarlo. - E stato lui a metterti sulla strada, era assolutamente doveroso. Sarà felicissimo. Lo siamo tutti. Hai fatto la cosa più giusta -. Poi, in caso la sua voce tradisse anche solo un'ombra di rammarico, aggiunge: - E ci saranno comunque altri libri. Puoi fare il giro di tutta la famiglia. Soltanto a quel punto, dal tremito che scuote il corpo di lei contro il suo e dall'ondata di calore, si rende conto che Daisy sta piangendo. Gli preme la faccia sotto un braccio. Theo e suo nonno sono dall'altra parte della stanza, accanto allo scaffale dei CD, intenti a discutere di un pianista di boogie. - Ehi, piccolina, - le sussurra all'orecchio. - Che cos'hai, tesoro ? Daisy singhiozza di più, senza emettere un suono, e scuote la testa, incapace di parlare. - Vuoi che andiamo di sopra in biblioteca ? Lei scuote ancora la testa; Henry le accarezza i capelli e aspetta. 151
Infelice in amore ? Cerca di non lasciarsi prendere dalle illazioni. Non esiste un esempio specifico che risalga ai tempi della sua infanzia, ma quella di aspettare che lei si riprenda e gli dica perché sta piangendo, è un'esperienza remota vagamente familiare. Daisy è sempre stata eloquente. Tutti i romanzi che ha letto da ragazzina, specie dopo che il nonno decise di farle da guida, le hanno insegnato l'accuratezza nella descrizione dei sentimenti. Henry si appoggia indietro e, corv pazienza amorevole, abbraccia sua figlia. Ha smesso di piangere ora, ma continua a premergli la testa contro la spalla e a tenere gli occhi chiusi. Il suo libro è rimasto aperto sulle ginocchia di Henry, sempre alla pagina della dedica. Dietro di lui, Theo e suo nonno discutono di registrazioni e di case discografiche e, da autentici appassionati, parlano a bassa voce, diffondendo nella stanza un'atmosfera di quiete. Grammaticus ha in mano un altro gin tonic, il terzo forse, eppure è misteriosamente sobrio. Perowne sente un formicolio di spilli risalirgli il braccio sul quale è premuta la testa di Daisy. Guarda con tenerezza il poco che riesce a vedere della sua faccia. Nemmeno le primissime tracce del passare degli anni e dell'esperienza intorno all'occhio visibile da quella prospettiva, soltanto pelle tesa, leggermente violacea, come ai margini di un livido. Lo spettacolo esteriore, i nuovi orpelli di un'avvenuta maturazione sessuale, mascherano il fatto che . l'infanzia è lenta a uscire di scena. Daisy aveva già il seno e le mestruazioni quando ancora il suo letto era talmente affollato di orsacchiotti e peluche che a malapena ci stava anche lei. Poi ci si sono messi il primo conto in banca, il diploma e la patente a nascondere il precario residuo di bambina che solo un genitore è sempre in grado di riconoscere nell'adulto appena formato. Ma guardandola adesso, Henry sa che per quanto si accoccoli vicino a lui, questa non è un'innocente. E probabile che la mente di Daisy giri veloce, più della sua, magari intorno a un mosaico in frantumi di episodi recenti: qualcuno che alza la voce in una stanza, lampi di strade parigine, una valigia aperta su un letto disfatto, qualunque cosa la stia addolorando. E tu le guardi la testa, tutta quella profusione di capelli, e puoi al massimo cercare di indovinare. Questo secondo estatico interludio può essere durato cinque minuti, forse dieci. A un certo punto, mentre la logica dei suoi pensieri incomincia a disintegrarsi, Henry chiude gli occhi e si lascia trascinare indietro e verso il basso, una piacevole deriva che si confonde con l'idea di un fiume limaccioso soggetto alle maree, e con quella del goffo tentativo di slegare il nodo di una corda che è anche uno strumento per cambiare valuta e trasformare i giorni festivi in feriali. Ma benché si senta sprofondare, Henry sa di non dover cedere al sonno: ci sono gli ospiti, e altre responsabilità cui sul momento non è in grado di dare un nome. Al rumore di Rosalind che apre la porta, si riscuote e guarda ansioso a sinistra, oltre la spalla. Anche Daisy solleva un po' la testa, e la conversazione tra Theo e Grammaticus si interrompe. Segue una pausa 152
innaturalmente lunga prima che arrivi il suono della porta che si chiude. Perowne immagina che la moglie sia carica di sporte della spesa, pacchi, o fasci di documenti legali, ed è sul punto di andarle incontro per aiutarla quando Rosalind entra nella stanza. Si muove con lentezza, rigida, sembra diffidente di ciò che sta per trovare. Ha in mano la solita borsa in cuoio marrone ed è pallida, la faccia tesa, come se mani invisibili le tirassero la pelle in direzione delle orecchie. Spalanca due occhi cupi, nel disperato sforzo di comunicare quello che le labbra, aperte e subito richiuse, non sono in grado di dire. La osservano fermarsi e tornare con lo sguardo sulla porta da cui è entrata. - Mamma ? - esclama Daisy. i Perowne sfila il braccio dalle spalle della figlia e si alza in piedi. Sebbene Rosalind indossi un cappotto invernale sul tail«leur da ufficio, Henry ha l'impressione - dovuta al rapido ansimare della moglie - di riuscire a scorgere il suo polso impazzito. L'intera famiglia prende a chiamarla e le va incontro, ma lei si allontana, indietreggiando verso l'alta parete del salotto. Li ammonisce con gli occhi, con un movimento furtivo della mano, a non avvicinarsi. Non è solo paura quella che le vedono dipinta in faccia, ma anche rabbia e forse, nella smorfia tesa del labbro superiore, persino schifo. Attraverso il centimetro di spiraglio che si apre tra i cardini della porta e la cornice, Perowne scorge in ingresso una sagoma, poco più di un'ombra, esitare un momento e poi farsi da parte. Dalla reazione di Rosalind capiscono che qualcuno sta per entrare nella stanza prima ancora di vederlo. Eppure, la figura che Perowne ha intravisto è ancora là: Henry perciò si rende conto ben prima degli altri che gli intrusi in casa sono due e non uno. Non appena l'uomo entra in salotto, Perowne riconosce all'istante i vestiti; il giubbotto di pelle, il berretto di lana da marina. Quei due sulla panca aspettavano una buona occasione. E un attimo prima che gli torni in mente il nome, riconosce anche la faccia, e la particolarità del passo, i tremori frenetici che lo scuotono mentre si va a piazzare vicino, troppo vicino a Rosalind. E lei, anziché farsi indietro, rimane dov'è. Ma è costretta a voltare la testa per trovare finalmente la parola che ha cercato fino ad ora di articolare. Incrocia lo sguardo del marito. - Coltello, - dice, come se parlasse a lui solo. - Ha un coltello. Baxter tiene la mano destra sprofondata nella tasca della giacca. Passa in rassegna la stanza e i presenti con un sorrisetto teso, come uno che non veda l'ora di poter fare una battuta divertente. Deve essere tutto il pomeriggio che sogna questa entrée. Con movimenti infinitesimali del capo i suoi occhi si spostano da Theo a Grammaticus in fondo alla sala, poi a Daisy e infine a Perowne, direttamente davanti a lei. Il fatto che Baxter sia qui è logico, ovvio. Per qualche secondo il pensiero di Perowne converge stupidamente su quell'ovvio. Ma certo! Quasi tutti gli elementi della sua giornata si trovano 153
riuniti qui; manca solo che compaiano sua madre e Jay Strauss con la racchetta da squash. Prima che Baxter parli, Perowne cerca di considerare la stanza attraverso i suoi occhi, come se ciò potesse aiutare a prevedere la gravità dei guai imminenti: le due bottiglie di champagne, il gin e i contenitori di ghiaccio e limone, il soffitto altissimo con le sue modanature, le stampe di Bridget Riley accanto al l'Hodgkin, le lampade soffuse, il pavimento in ciliegio sotto i tappeti persiani, le pile sbadate di libri importanti, i decenni di cera penetrati nel legno del tavolo thakat. La proporzione del profitto da trarne potrebbe essere notevole. Perowne osserva anche la sua famiglia dal punto di vista di Baxter: la ragazza e il vecchio non sono un problema; il ragazzo è forte, ma non sembra manesco. Quanto allo smilzo dottore, Baxter è qui per lui. Ovvio. Come ha detto Theo, sulle strade c'è amor proprio, ed eccolo infatti, con tanto di coltello nascosto in tasca. Quando può succedere di tutto, tutto conta. Henry si trova a circa tre metri da Baxter. Quando Rosalind l'ha avvisato del coltello, lui si è bloccato a metà di un passo, in posizione instabile. Adesso, come un bambino che giochi a uno due tre stella, porta il piede posteriore all'altezza di quello anteriore e lo piazza a terra ben divaricato. Con gli occhi e un leggero tentennio del capo Rosalind lo sta esortando ad allontanarsi. Non conosce l'antefatto; è convinta che costoro siano semplici ladri, che sia ragionevole lasciare che prendano quello che vogliono e sperare che se ne vadano. E del resto è all'oscuro anche della patologia. Per tutto il giorno, l'incontro in University Street è rimasto nei pensieri di Henry, come una nota sostenuta al pianoforte. Ma di Baxter si era pressoché dimenticato, non della sua esistenza, ovviamente, ma di quella sua convulsa realtà fisica, dell'acre odore di nicotina, della tremula mano destra, dell'aria scimmiesca attualmente esaltata dal berretto di lana. Con un'occhiata, Baxter gli fa sapere che anche lui ha notato il suo spostamento dei piedi, ma si limita a dire: - Voglio tutti i telefoni fuori dalle tasche, e sul tavolo. Visto che nessuno si muove, aggiunge: - Avanti ragazzi, prima voi due -. E a Rosalind: - Dai, diglielo tu. - Daisy, Theo. Penso sia meglio fare come dice -. C'è più rabbia che paura nella sua voce adesso, e un tono di rivolta nella pacatezza di quel «Penso». A Daisy tremano le mani e fatica a estrarre il cellulare dalla tasca stretta della gonna. Le esce di gola un breve affanno. Theo appoggia il telefono sul tavolo e le si avvicina per aiutarla: mossa opportuna, perché lo porta a trovarsi quasi a fianco del padre. La destra di Baxter è ancora affondata nel giubbotto. Se riescono a raggiungere un'intesa sul momento, sono in posizione favorevole per avventarglisi addosso. Baxter però ha avuto la stessa idea. - Metti il suo telefono vicino al tuo e torna dov'eri. Avanti. Adesso. Più in là. 154
Da qualche parte nello studio di Henry, in un cassetto pieno di ciarpame, c'è una bomboletta spray al pepe comprata a Houston molti anni fa. Magari funziona ancora. Sotto, nella cantina esterna, fra attrezzature da campeggio e vecchi giocattoli, c'è una mazza da baseball. In cucina, un certo numero di mannaie e coltellacci. Ma l'ematoma sullo sterno gli dice che in una rissa al coltello avrebbe la peggio nel giro di pochi secondi. Baxter si rivolge a Rosalind: - Adesso il tuo. Lei incrocia lo sguardo di Henry e infila la mano nella tasca del cappotto. Depone il telefono sul palmo di Baxter. ; - Ora tu. i Perowne dichiara: - È di sopra, in carica. - Non peggiorare le cose, testadicazzo, - replica Baxter. - Lo vedo da qui. L'estremità del telefono spunta dal taglio curvo della tasca dei jeans. Il resto si indovina dal gonfiore del tessuto. ; - Ah, già. - Mettilo a terra e fallo scivolare verso di me. Per incoraggiarlo, Baxter finalmente estrae il coltello di tasca. Per quanto Perowne riesce a vedere, si tratta di un vecchio Opinel, con il manico in legno arancione e una lama curva e decisamente opaca. Attento a eseguire mosse lente e prevedibili, Henry si inginocchia e spinge il cellulare in direzione di Baxter. Che non lo raccoglie. Al contrario, esclama: - Ehi, Nige, puoi entrare adesso. Vieni a prendere i telefoni. Il tipo dalla faccia equina si ferma sulla porta, intimidito. - Cazzo, ma è grandissimo 'sto posto -. Quando vede Perowne dice: - Ah. Eccolo qua, il padrone della strada. - Mentre il suo amico raccoglie i telefoni, Baxter fa: - E il povero nonno laggiù ? Non mi dirai che non ne hanno comprato uno anche a te. Grammaticus esce dall'ombra e avanza di qualche passo verso di lui. Nella mano destra ha il bicchiere vuoto. - In effetti, io non possiedo telefono. Ma se ce l'avessi, la inviterei subito a ficcarselo su per quel suo culo da cagasotto. Baxter domanda a Henry: - È tuo padre ? Non è il momento di sottilizzare, e Henry è convinto di dare la risposta giusta dicendo di si. « E invece si sbaglia di grosso. Baxter procede nella stanza con passo ineguale, con quella sua andatura da rematore di barchino a pertica, e si ferma soltanto per fare il giro intorno a Nigel. Tiene il coltello stretto in mano, la punta rivolta in basso. - Non è stato per niente carino, e da un gran signore come te oltretutto. Intuendo il disastro, Perowne cerca di frapporsi tra Baxter e Grammaticus, ma Nigel gli si para davanti, sogghignando. Non c'è tempo. Perowne esclama frettolosamente: - Lui non c'entra in questa storia. Ma a quel punto Baxter è arrivato di fronte al vecchio e sebbene Theo, indovinando la mossa successiva, spalanchi subito un braccio a proteggere John, 155
la mano di Baxter disegna il lampo di un arco davanti alla faccia del vecchio. Sentono uno scricchiolio di ossa, come lo spezzarsi di un ramoscello verde. La famiglia Perowne al completo esclama «oh» oppure «no», ma le paure peggiori sono scongiurate. Non è stata la mano armata di coltello a colpire Grammaticus. Un pugno nudo si è semplicemente limitato a rompergli il naso. Mentre le gambe gli cedono e il vecchio comincia a cadere, Theo lo sorregge in modo da farlo mettere sulle ginocchia, e prendergli di mano il bicchiere. Senza emettere un fiato, senza concedere all'aggressore la soddisfazione di un solo gemico, Grammaticus si copre il viso con le mani. Un filo di sangue gli cola appena sotto il bracciale dell'orologio. E all'improvviso Henry vede con chiarezza che fino a questo momento ha agito dentro una nebbia. Stupito, circospetto magari, ma non debitamente e opportunamente spaventato. 'Come al solito, ha continuato a sognare: di «avventarsi» su Baxter insieme a Theo, di utilizzare bombolette spray, mazze da baseball, mannaie, tutte trovate di pura fantasia. La verità, ormai dimostrata, è che Baxter è un caso speciale: un uomo convinto di non avere futuro e perciò libero dalle conseguenze. E questa non è che la cornice. All'interno della quale ci sono i disturbi, la risposta individuale alla sua condizione: impulsività, scarso autocontrollo, paranoia, alternanza di umori, depressioni compensate da scoppi d'ira, e parte di questo, o forse tutto l'insieme e chissà che altro, devono averlo incitato, incoraggiandolo, nelle sue riflessioni a posteriori sulla lite avuta con Henry questa mattina. Come lo stanno manovrando adesso. Il deterioramento intellettuale non è ancora palese: le emozioni sono le prime a saltare, insieme alla coordinazione fisica. Chiunque presenti un'espansione di triplette CAG significativamente superiore a quaranta all'interno di un oscuro gene del cromosoma quattro è condannato a condividere a suo modo questa sorte. Sta scritto. Nessuna dose di amore, farmaci, letture bibliche o anni di galera potrà mai guarire Baxter né sottrarlo al suo destino. E stampato con chiarezza dentro fragili proteine, ma tanto varrebbe averlo scolpito nella pietra o inciso nell'acciaio temprato. Rosalind e Daisy stanno convergendo nel punto accanto al divano dove si trova inginocchiato John Grammaticus. Theo appoggia una mano impotente sulla spalla del nonno. La strada di Perowne è ancora sbarrata da Nigel: non c'è modo di passare senza ingaggiare uno scontro fisico. Baxter, coltello ancora nella mano destra, fa un passo di lato e, con la sinistra tremante e nervosa, si sfila il berretto di lana e apre la cerniera del giubbotto. Con gesti goffi, si accende una sigaretta. Fumando, giocherella con la lampo e osserva la scena intorno all'uomo a terra, spostando asimmetricamente il peso del corpo ora sul piede destro, ora sul sinistro. Sembra in attesa di scoprire quali saranno le sue stesse mosse. Ma a dispetto di qualunque argomentazione riduttiva, Perowne non riesce a 156
convincersi che siano solo delle molecole e dei geni difettosi a terrorizzare la sua famiglia e ad aver rotto il naso di suo suocero. Lui stesso è responsabile. Ha umiliato Baxter in strada di fronte ai suoi amici, e lo ha fatto quando già aveva intuito le sue condizioni. Naturalmente Baxter è venuto a riscattare la propria reputazione in presenza di un testimone. Deve aver convinto Nigel a parole, o a soldi. Il giovanotto è un idiota a prestarsi come complice. Baxter agisce finché è ancora in tempo, perché deve sapere che cosa lo aspetta. Nei prossimi mesi e anni, l'atetosi, quel manifestarsi di movimenti involontari e sconnessi, e la corea - gli spasmi incontrollabili, le smorfie facciali, i sussulti delle spalle e la flessione delle dita di mani e piedi -lo abbatteranno, rendendolo troppo grottesco per mostrarsi in pubblico. Il suo livello di attività criminale è adatto a persone in buone condizioni di salute. A un certo punto finirà per contorcersi in preda ad allucinazioni, in un letto che non potrà più lasciare, in un reparto psichiatrico per lungodegenti, probabilmente senza amici, di certo malvoluto, e allora il suo progressivo deterioramento sarà trattato, se gli va di lusso, da mani efficienti. Adesso, mentre è ancora in grado di brandire un coltello, è venuto qui per affermare la sua dignità, e forse perfino determinare il modo in cui sarà ricordato. Eh già, quel grosso stronzo in Mercedes ha proprio fatto un errore madornale tirando giù lo specchietto dalla macchina di Baxter. La storia di Baxter abbandonato dai suoi, battuto da un estraneo che è anche riuscito ad allontanarsi illeso, tutto ciò sarà dimenticato. E chissà che si era messo in testa quell'estraneo, che sapeva delle sue condizioni, che ha presente certi pazienti di colleghi, che qualche anno fa era addirittura in contatto con un neurochirurgo di Los Angeles a proposito di una possibile nuova terapia ? L'idea era quella di innestare in stereotassi su determinate zone del caudato e del putamen un cocktail di cellule staminali embrionali da tre fonti diverse, e tessuti neuronali frammentati estratti dal paziente. I risultati non furono mai apprezzabili, e Perowne non si lasciò tentare a sperimentarla. Ma come ha potuto non capire che è pericoloso umiliare un uomo emotivamente labile come Baxter ? Il tutto per scampare a un pestaggio e arrivare in tempo alla partita di squash. Ha usato, o meglio abusato, della sua autorità per evitare una crisi, e le sue azioni l'hanno condotto dritto a un'altra, di gran lunga peggiore. La responsabilità è sua; il sangue di Grammaticus è versato a terra perché Baxter pensa che il vecchio sia il padre di Perowne. Una buona partenza, per procedere a disonorare il figlio. Rosalind e Daisy sono chine su Grammaticus con dei fazzoletti di carta. - Non è niente, - sta dicendo lui a voce bassa. - Me l'ero già rotto. Sui gradini di una maledetta biblioteca. - Sai che ti dico ? - esclama Baxter rivolto a Nigel. - Siamo già qui da un pezzo e nessuno si degna di offrirci da bere. 157
Ecco una buona opportunità per sottrarsi a Nigel e aggirare il tavolino su cui è poggiato il vassoio. Henry non vede l'ora di trascinare Baxter dalla sua parte della stanza, lontano dal gruppetto che circonda Grammaticus. Quello che teme è uno scatto di Rosalind o di uno dei ragazzi con Baxter nelle vicinanze. Sfiorando una bottiglia di champagne con un dito, Perowne lancia un'occhiata interrogativa a Baxter e aspetta. Mentre entrambe si occupano di Grammaticus, un braccio di Rosalind cinge le spalle di Daisy. Poco lontano, Theo fissa il pavimento alcuni metri più in là, evitando saggiamente di incrociare lo sguardo di Baxter che è riuscito a staccare la mano nervosa dalla linguetta della cerniera lampo. Il coltello è tornato in tasca. Dice: - Ma si. Due gin lunghi, ghiaccio e limone. Il vantaggio di ridurre ulteriormente la coordinazione fisica di Baxter deve fare i conti con il rischio di peggiorare le sue disinibizioni. Si tratta di una scelta, un calcolo che, nonostante il terrore, Perowne si scopre in grado di eseguire. Si concentra come un farmacista sul compito, e riempie fino all'orlo due bicchieri da vino di Tanqueray, poi aggiunge una fettina di limone e un cubetto di ghiaccio in ciascuno. Ne passa uno a Nigel e tende l'altro in direzione di Baxter. C'è il tavolo di mezzo; con sollievo di Henry, Baxter ci gira intorno e supera anche il divano per prendere il bicchiere. - Ascolta, - dice Perowne. - Giusto per chiarire: sono disposto ad ammettere che stamattina ero in torto. Se vuoi che ti faccia riparare la macchina... - Vedo che ci hai ripensato, eh ? Il bicchiere non è fermo nella sua mano, perciò, quando Baxter si volta per strizzare l'occhio a Nigel, rovescia un bel po' di gin. Forse è l'abitudine a cercare di nascondere la malattia che lo porta a premersi il bicchiere sulle labbra e a svuotarlo in quattro lunghi sorsi. In quel breve frattempo, Pe. rowne sta pensando ai cavi telefonici della casa e si domanda se Baxter si sia preso il disturbo di tagliarli. C'è anche un pulsante antipanico monitorato accanto alla porta d'ingresso, e un altro in camera da letto. Ancora fantasie? La tensione gli sta mettendo la nausea. Con la collaborazione di Theo, Rosalind e Daisy aiutano Grammaticus a rimettersi in piedi. Ma nonostante Perowne tenti con un furtivo gesto della mano di incoraggiarli ad allontanarsi ulteriormente nella loro parte della stanza, hanno deciso di portare John accanto al fuoco. - Ha freddo, - dice Rosalind. - Ha bisogno di sdraiarsi. E il progetto va all'aria. Adesso sono di nuovo tutti ammassati. Se non altro Theo è a portata di mano. Del resto, si è capito, avventarsi su Baxter è un'illusione puerile. Nigel sarà senz'altro armato. Questi sono due veri violenti. Che altro si può fare allora ? Restarsene li ad aspettare che Baxter metta mano al coltello ? Henry sente il corpo che oscilla in preda a paura e indecisione. Un forte stimolo a urinare lo deconcentra a tratti dai suoi pensieri. Vorrebbe incrociare lo sguardo di Theo, ma ha anche la sensazione che 158
Rosalind possa sapere qualcosa, o avere avuto un'idea. Il modo in cui l'ha sfiorato passandogli accanto magari ha un significato. E esattamente alle sue spalle, e sistema il padre sul divano. Daisy sembra più tranquilla adesso: occuparsi del nonno le ha fatto bene. Theo è fermo a braccia conserte, gli occhi ancora fissi a terra; forse sta almanaccando qualcosa. I suoi bicipiti danno un'impressione di forza. Quanto ingegno in questa stanza, eppure è tutto inutile, in assenza di una strategia e di un modo per comunicarla. Forse dovrebbe agire da solo, mettere Baxter al tappeto e confidare nel fatto che gli altri lo seguiranno. Sta di nuovo fantasticando, e poi, l'estrema volubilità di Baxter, la sua sfrenata incoscienza, moltiplicano la possibilità che qualcuno si faccia male. Quanta carne umana preziosa e vulnerabile. I fuggevolissimi pensieri di Henry fluttuano e volteggiano, impossibili da dominare. La cosa giusta sarebbe sferrare un pugno in faccia a Baxter con tutta la forza e a nocche ben serrate, e augurarsi che Theo si occupi di Nigel. Ma ogni volta che Henry immagina se stesso sul punto di agire, e vede lo spettro di un guerriero balzargli fuori dal corpo e gettarsi su Baxter, il suo polso accelera al punto da farlo sentire stordito, fiacco, inaffidabile. Mai nella vita, nemmeno da bambino, ha colpito in faccia qualcuno. Quanto alle lame, ne ha sempre e solo avvicinate a epidermidi anestetizzate, in ambienti sterili e sicuri. Molto semplicemente, non sa come si faccia ad agire in modo sconsiderato. - Su, avanti, padrone di casa. Sollecito, perché questo è l'unico straccio di strategia che ha in mente, Perowne afferra il gin e torna a riempire il bicchiere che Baxter gli porge, rabboccando anche quello di Nigel. Durante l'operazione, si rende conto che Baxter ha gli occhi puntati su Daisy, dietro di lui. La fissità dello sguardo e quel solito sorrisetto tirato gli procurano un brivido sulla cute del cranio. Baxter rovescia altro gin mentre si porta il bicchiere alla bocca. Non modifica l'oggetto della sua osservazione, neanche mentre posa il bicchiere sul tavolo. Purtroppo, ne ha bevuto solo un sorso. Non ha più detto molto, dopo l'aggressione a Grammaticus, ed è verosimile che nemmeno lui abbia un piano; questa visita è un numero di improvvisazione. La malattia gli assicura una sinistra libertà, ma probabilmente Baxter non sa fino a che punto è disposto a spingersi. Sono tutti in attesa, e alla fine Baxter dice: - E allora, tu come ti chiami ? - Dio santo, - interviene subito Rosalind. - Tu prova solo ad andarle vicino, e dovrai ammazzare me, prima. Baxter si caccia di nuovo la destra in tasca. - Va bene, va bene, - dice con tono dolente, - ammazzo prima te -. Poi riporta lo sguardo su Daisy e ripete con la stessa identica voce di poc'anzi: - E allora, tu come ti chiami? Daisy si allontana un po' dalla madre e risponde. Theo scioglie le braccia conserte. Nigel scatta e gli si fa più vicino. Daisy guarda Baxter dritto negli 159
occhi, ma ha l'aria terrorizzata, le manca il fiato e ansima rapidamente. - Daisy ? - Il nome risulta inverosimile sulle labbra di Baxter, un nome sciocco e indifeso, da asilo d'infanzia. - Diminutivo di ? - Niente. - La Signorina Niente -. Baxter avanza dietro il divano su cui è sdraiato Grammaticus e accanto al quale sta Rosalind. Daisy dice: - Se andate via subito e non tornate mai più, avete la mia parola che non chiameremo la polizia. Potete prendere quel che volete. Per favore, per favore, andate via. Prima ancora che abbia concluso la frase, Baxter e Nigel sono scoppiati a ridere. Una risata autentica, priva di ironia, che nel caso di Baxter dura ancora mentre già allunga una mano verso il braccio di Rosalind e la tira fino a farla cadere seduta sul divano accanto ai piedi di Grammaticus. Sia Perowne sia Theo si dirigono istintivamente verso di lui. Alla vista del coltello, Daisy dà in un breve grido strozzato. Baxter lo impugna nella destra che tiene appena poggiata alla spalla di Rosalind. Lei ha lo sguardo sbarrato davanti a sé. Baxter dice a Perowne e Theo: - Tornatevene in fondo alla stanza. Avanti. Laggiù. Avanti. Occupatene tu, Nige. La distanza tra la mano di Baxter e la carotide comune destra di Rosalind misura meno di dieci centimetri. Nigel sta cercando di sospingere Perowne e Theo verso la porta, nell'angolo più lontano della stanza, ma i due riescono ad allontanarsi da lui e a raggiungere angoli diversi su diagonali opposte del locale, a poco meno di tre metri su entrambi i lati di Baxter: Theo vicino al caminetto, suo padre nei pressi di una delle tre vetrate. Henry si sforza di eliminare dalla voce non soltanto il panico, ma anche il tono di supplica. Vuole risultare ragionevole. Ci riesce solo in parte. La tachicardia gli procura un falsetto ineguale; le labbra e la lingua sembrano dilatate. - Senti, Baxter, tu ce l'hai solo con me. Daisy ha ragione. Puoi prenderti quello che vuoi. Non muoveremo un dito. L'alternativa per te è il manicomio criminale. E hai davanti molto più tempo di quanto credi. - Vaffanculo, - risponde Baxter, senza voltare la testa. Ma Perowne prosegue. Da quando abbiamo parlato stamattina, mi sono messo in contatto con un collega. E in arrivo una nuova metodica dagli Stati Uniti, associata a un farmaco, non ancora sul mercato, ma pronto per la sperimentazione. I primi risultati ottenuti a Chicago sono strabilianti. Più dell'ottanta per cento dei pazienti risulta in remissione. Intendono testarla su venticinque casi anche qui il mese prossimo. Posso inserirti nella lista. - Ma di cosa sta parlando? - chiede Nigel. Baxter non risponde, ma una certa tensione, l'improvvisa immobilità all'altezza delle spalle denunciano che sta considerando l'ipotesi. - Tutte balle, - dice alla fine, ma l'assenza di enfasi incoraggia Perowne a proseguire. 160
- Utilizzano l'interferenza sull'acido ribonucleico di cui abbiamo parlato stamattina. La ricerca ha dato esiti più rapidi di quanto si aspettasse chiunque. È tentato, Henry ne è sicuro. Baxter dice: - Non è possibile. Lo so che non è possibile -. Pronuncia questa frase, e vuole che lo si convinca. Henry prosegue pacato: - Be', lo credevo anch'io. Ma sembra sia proprio così, invece. L'esperimento deve partire il ventitre di marzo. Ne ho parlato con un collega oggi pomeriggio. In un accesso di furia improvvisa, Baxter lo interrompe di brutto. - Sono balle, - ripete, e alza la voce fin quasi a urlare per proteggere se stesso dalla blandizie della speranza. - Sono tutte balle e adesso è meglio che stai zitto, se no, guarda la mia mano -. E la mano che impugna il coltello si fa più vicina alla gola di Rosalind. Ma Perowne non si ferma. - Ti assicuro di no. Ho tutti i dati di sopra in studio. Li ho stampati oggi pomeriggio; puoi salire con me e... Viene bruscamente zittito da Theo. - Basta, papà! Smettila di parlare. Cazzo, sta' zitto, altrimenti lo fa davvero. E ha ragione. Baxter ha premuto la lama di piatto sul collo di Rosalind. Lei è seduta rigida sul divano, le mani che afferrano le ginocchia, la faccia del tutto inespressiva, lo sguardo ancora sbarrato davanti. Soltanto il tremito che le attraversa le spalle rivela il suo terrore. Sulla stanza cala il silenzio. Grammaticus sull'altro lato del divano ha finalmente abbassato le mani dal viso. Il sangue rappreso sul labbro superiore conferisce al suo aspetto un'intensità più carica di orrore e di incredulità. Daisy è in piedi accanto al bracciolo che sostiene la testa del nonno. Le sta montando dentro qualcosa - un grido forse, un singhiozzo - e lo sforzo per contenerlo le chiazza la carnagione. A dispetto delle grida di avvertimento, Theo si è mosso un po' più vicino. Le braccia gli ciondolano lungo i fianchi. Come suo padre, non riesce a fissare altro che la mano di Baxter. Perowne osserva e cerca di convincersi che il silenzio di Baxter abbia a che fare con la sua lotta interiore contro la tentazione dell'esperimento clinico, la nuova metodica. Da fuori arriva il rumore di un elicottero della polizia, probabilmente in servizio di controllo sul corteo che a poco a poco si va disperdendo. Si leva anche un allegro baccano improvviso di passi e di voci sul marciapiede, allorché un esuberante gruppo di amici, forse studenti stranieri, raggiunge la piazza e si dirige su Charlotte Street dove bar e ristoranti si vanno di certo affollando. Il centro di Londra è ormai lanciato verso il solito inizio di un sabato sera. - Allora, vediamo un po'. Io stavo cercando di fare due chiacchiere con questa signorina. La Signorina Niente. Nigel, fermo a sbirciare dal centro della stanza, le labbra umide e la faccia 161
equina improvvisamente eccitate, dice in tono insinuante: - Sai cosa stavo pensando? - Certo che si, Nige. E io pensavo esattamente la stessa cosa -. Poi, rivolgendosi a Daisy: - Voglio che tu guardi bene la mia mano... - No, - dice subito Daisy. - Mamma. No. - Zitta. Non ho finito. Guardami la mano e ascolta. Capito bene ? Se fai casino, si mette male. Ascoltami bene. Adesso ti spogli. Avanti. Levati tutto. - Oh, Dio, - geme Grammaticus. Theo chiama suo padre da un lato all'altro della stanza. Henry scuote la testa. - No. Resta dove sei. - Esatto. Baxter parla rivolto a Daisy, non a Theo. Lei lo fissa incredula, tremando e facendo piano di no con la testa. La sua paura lo eccita, il corpo di Baxter è tutto percorso da brividi e sudori. Daisy riesce a proferire con un filo di voce: - Non posso. La prego... Non posso. - Ma certo che puoi, zuccherino. Con la punta del coltello, Baxter incide un taglio lungo una spanna nella pelle del divano, poco sopra il capo di Rosalind. Scrutano tutti la ferita, un brutto sfregio che si va gonfiando intorno ai bordi mentre la vecchissima imbottitura giallognola emerge in superficie come grasso sottocutaneo. - Avanti, cazzo, ti ho detto di farlo. La mano e il coltello di Baxter sono tornati sulla spalla di Rosalind. Daisy guarda suo padre. Che deve fare? Lui non sa cosa dirle. La ragazza si china per togliersi gli stivali, ma non riesce a far scendere la chiusura lampo: ha le dita troppo impacciate. Con un grido di rabbia impotente, appoggia un ginocchio a terra e comincia a strattonare, finché la cerniera cede. Si siede sul pavimento, come una bambina, e si sfila gli stivali. Restando seduta, armeggia con la fibbia laterale della gonna, dopodiché si alza e scavalca l'indumento rimasto a terra. Mentre si spoglia, si rifugia umiliata in se stessa. Rosalind trema forte e Baxter intanto si china sulla sua spalla e blocca la propria mano malferma premendo la lama sul collo di lei. Ma Rosalind non distoglie lo sguardo da Daisy, a differenza di Theo, il quale sembra talmente sconvolto da non riuscire ad alzare gli occhi su sua sorella. Continua a fissare il pavimento. Anche Grammaticus guarda altrove. Adesso Daisy ha accelerato i movimenti, si sfila le calze ansimando impaziente, quasi strappandosele di dosso per poi gettarle a terra. Si spoglia in preda al panico, leva la maglia nera e butta a terra anche quella. È rimasta in mutande e reggiseno - bianchi, indossati freschi per il viaggio da Parigi -ma non si ferma. Con un solo gesto si sgancia il reggiseno e infilando il pollice sotto l'elastico degli slip se li fa scendere ai piedi. Soltanto a quel punto guarda sua madre, per un attimo. È 162
fatta. A testa bassa, Daisy se ne sta li, con le mani lungo i fianchi, incapace di guardare chiunque. Perowne non vede sua figlia nuda da una dozzina d'anni. A dispetto dei cambiamenti, ricorda questo corpo dai tempi dei bagnetti e, nonostante il terrore, o forse proprio per questo, è soprattutto la bambina indifesa che gli sembra di avere davanti agli occhi. Ma si rende anche conto che l'attuale giovane donna deve avere la violenta consapevolezza di quanto i suoi genitori stanno scoprendo in questo preciso istante nella curva pesante e nel gonfiore compatto che le arrotondano il ventre e nella tensione dei piccoli seni. Ma come ha fatto Henry a non accorgersene prima? E tutto perfettamente logico: le impennate di umore, l'euforia, il fatto che sia scoppiata a piangere per una dedica. Deve essere già all'inizio del quarto mese. Ma ora non c'è tempo per pensarci. Baxter non ha cambiato posizione. Adesso a Rosalind tremano visibilmente le ginocchia. La lama le impedisce di girare la testa in direzione del marito, ma Henry pensa che stia cercando di intercettare il suo sguardo. Daisy sta loro davanti e Nigel dice: - Gesù. Le hanno già fatto la festa. È tutta tua, amico. - Zitto, - dice Baxter. Inosservato, Perowne avanza di mezzo passo verso di lui. - Be', be'. Ma tu guarda, - esclama Baxter all'improvviso. Sta indicando con la mano libera il libro di Daisy sul lato opposto del tavolo. Può darsi che stia mascherando il proprio confuso imbarazzo alla vista di una donna incinta, o che sia a caccia di ulteriori umiliazioni. Questi due giovani sono immaturi, è probabile che abbiano ben poca esperienza sessuale. La condizione di Daisy li mette a disagio. Magari li disgusta addirittura. C'è da sperarlo. Baxter ha forzato le cose fino a questo punto e adesso non sa che fare. Ora che ha visto le bozze abbandonate sul divano si affretta a cogliere l'occasione. - Passami quella roba, Nige. Mentre Nigel si sposta per prendere il libro, Henry si fa più vicino. Theo fa altrettanto. - La mia barchetta sventata. Della nostra sventata Daisy Perowne -. Baxter scorre le pagine con la mano sinistra. - Non mi avevi detto che scrivevi poesie. Tutta farina del tuo sacco, dico bene ? -Si. - Chissà come sei intelligente, allora. Le porge il libro allungando il braccio. - Leggimene una. La più bella che hai scritto. Avanti. Sentiamo una poesia. Mentre prende il libro, Daisy lo implora: - Faccio tutto quello che vuole, qualunque cosa. Ma la prego, le tolga il coltello dalla gola. - Hai sentito? - interviene Nigel. - Ha detto qualunque cosa. Facci vedere, 163
signorina Daisy. - No, scusa un momento, - dice Baxter, che sembra amareggiato come tutti gli altri. - Sbaglio o qualcuno qui cerca di fare il furbo -. E lancia un'occhiata laterale, ammiccando in direzione di Perowne. Il libro trema fra le mani di Daisy, che lo apre a caso, prende fiato e fa per incominciare, quando Nigel dice: - Sentiamo la più sporca che hai. Una bella sconcia. A queste parole, tutta la sua determinazione svanisce. Daisy richiude il libro. - Non ce la faccio, - geme. - Non ce la faccio. - Invece ce la fai eccome, - dice Baxter. - Se no, guarda la mia mano. Preferisci questo? Grammaticus le si rivolge con dolcezza. - Ascolta, Daisy. Prendine una di quelle che dicevi a me... Nigel sbraita: - Tu nonno sta' zitto, cazzo. Mentre Grammaticus parlava, lei lo ha guardato perplessa, ma ora sembra aver capito. Apre di nuovo il libro e sfoglia a ritroso le pagine, cercando il punto esatto; poi, con un'occhiata al nonno, incomincia a leggere. Le esce un filo di voce arrochita, la mano le trema talmente che quasi non riesce a reggere il libro ed è costretta a sostenerlo anche con l'altra. - Nah, - dice Baxter. - Ricomincia. Non ho sentito una parola. Neanche una parola. E Daisy ricomincia, a un volume impercettibilmente più alto. Henry ha letto il contenuto del libro in passato, ma ci sono alcune liriche che ha visto una sola volta; questa ad esempio, la ricorda appena. I versi lo sorprendono: è evidente che non vi ha mai prestato abbastanza attenzione. Risultano insolitamente meditativi, melliflui, volutamente arcaici. Si è come tuffata all'indietro in un altro secolo. In principio, dato lo stato d'animo terrorizzato, Perowne si perde o fraintende parecchio, però man mano che la voce di lei si fa un po' più ferma e trova l'inizio di un ritmo disteso, gli capita di sentirsi scivolare, grazie alle parole, dentro le cose descritte. E vede Daisy su una terrazza con vista su una spiaggia, in un chiaro di luna estivo; c'è alta marea, l'acqua è ferma, l'aria profumata, resta un luminoso avanzo di tramonto. Lei si rivolge all'amante, di certo il futuro padre del suo bambino, e lo chiama fuori a vedere, o meglio ad ascoltare la scena. Adesso Perowne vede un giovane dalla pelle liscia, nudo fino alla cintola, in piedi accanto a sua figlia. Insieme ascoltano l'urlo delle onde sui ciottoli, e in questo suono riconoscono entrambi un dolore profondo che risale al passato remoto. Daisy medita sull'esistenza di un tempo ancora più antico, quando la terra era nuova e il mare una culla accogliente e nulla si frapponeva tra l'uomo e Dio. Ma questa sera gli amanti odono solo malinconia e senso di perdita nel frangersi delle onde e nel loro ritirarsi dalla riva. Daisy si volge verso di lui e, prima di baciarlo, gli dice che devono amarsi e restare fedeli l'uno all'altra, specie 164
adesso che avranno un figlio, adesso che al mondo non c'è né pace né sicurezza e che gli eserciti nel deserto si preparano a combattere. Alza gli occhi. Incapace di controllare gli spasmi muscolari alle ginocchia, Rosalind continua a guardare la figlia. Tutti gli altri hanno lo sguardo puntato su Baxter, e aspettano. E chino in avanti, il peso del corpo appoggiato allo schienale del divano. Sebbene non abbia allontanato la destra dal collo di Rosalind, la presa sul coltello risulta più fiacca, e la postura, quello speciale abbandono che incurva la sua colonna vertebrale, suggerisce un possibile calo di volontà. Può forse succedere, rientra nei confini del reale, che una semplice poesia di Daisy riesca a provocare un mutamento d'umore ? Finalmente, solleva la testa e si raddrizza un po', per dire all'improvviso, con una certa petulanza: - Rileggila. Daisy sfoglia una pagina indietro, e con maggior sicurezza, accennando il tono di voce mutevole e accattivante di chi voglia stregare un bambino con una fiaba, ricomincia da capo. - «Il mare è calmo stasera. C'è alta marea, la chiara luna si sdraia sopra lo stretto - sulla costa francese, uno sprazzo di luce si accende e svanisce... » Alla prima lettura, Henry si era perso l'accenno alle scogliere inglesi e al loro «vasto sfolgorio nella baia tranquilla». A quanto pare non c'è mai stata nessuna terrazza, bensì una finestra aperta; e nemmeno un uomo, padre del bambino. Vede invece Baxter da solo, i gomiti sul davanzale, che ascolta le onde «portare dentro la loro nota di eterna mestizia». Non furono tutti gli antichi, ma soltanto Sofocle ad associare questo suono al «torbido flusso e riflusso dell'umana infelicità». A dispetto del suo attuale stato, Henry ha un sussulto sentendo parlare di un «mare di fede» e di uno splendente paradiso di integrità perduto in tempi remoti. Poi, ancora una volta, è con le orecchie di Baxter che ascolta il mare e il suo «mesto e lento ruggito morente, che si ritira, alla brezza del vento notturno, lungo i margini vasti delle cupe e nude spiagge del mondo». Suona come una maledizione musicale. Il voto di reciproca fedeltà risulta vano in assenza di gioia o di amore o di luce o di pace o di un «balsamo per il dolore». Per quanto in un mondo in cui «armate ignoranti si scontrano nella notte», Henry non scopre, al secondo ascolto, alcuna allusione al deserto. La gradevole sonorità della lirica, decide, è in contrasto con il suo pessimismo. È difficile sostenerlo con sicurezza, dato che la sua faccia non sta mai ferma, ma si direbbe che Baxter sia entusiasta. Ha scostato la destra dalla spalla di Rosalind e il coltello è addirittura tornato in tasca. Continua a tenere gli occhi puntati su Daisy. Grazie a uno sforzo di autocontrollo e dissimulazione, la ragazza riesce a trasformare il sollievo che prova in un'espressione di impassibilità, appena tradita dal tremito del labbro inferiore, mentre ricambia lo sguardo. Le braccia le ciondolano inermi lungo i fianchi, il libro le pende 165
in mezzo alle dita. Grammaticus afferra la mano di Rosalind. Sul viso di Nigel si è appena spento il disgusto con cui ha ascoltato la poesia per la seconda volta. Dice a Baxter: - Te lo tengo io il coltello, mentre ti dai da fare. Henry teme che una sollecitazione da parte di Nigel a ricordare il motivo della loro visita possa causare l'ennesimo mutamento di umore, un'inversione di rotta. Ma Baxter ha interrotto il proprio silenzio per dire, emozionato: - L'hai scritta tu. L'hai scrìtta tu. È un'affermazione, non una domanda. Daisy lo scruta, in attesa. Lui torna a ripetere: - L'hai scritta tu -. E subito dopo - È bellissima. Lo sai, no? È bellissima. E l'hai scritta tu. Lei non osa proferire parola. - Mi ricorda i posti dove sono cresciuto. Henry ha scordato di quali posti si tratti e non gliene importa. Vuole accostarsi a Daisy per proteggerla, vuole arrivare a Rosalind, ma non si fida, finché Baxter le resta tanto vicino. Lo stato mentale di quell'uomo è talmente instabile talmente facile al turbamento. E fondamentale non sorprenderlo e non minacciarlo. - Ehi, Baxter -. Nigel inclina la testa in direzione di Daisy e sogghigna. - Nah. Ho cambiato idea. - Cosa? Non fare lo stronzo. - Avanti, su, vestiti, - dice Baxter a Daisy, come se quella di mettersi nuda fosse stata un'idea sua. Per un istante lei non si muove, e gli altri aspettano. - Non posso crederci, - dice Nigel. - Con quel che rischiamo. Daisy si china per raccogliere la maglia e la gonna e comincia a infilarsele. Baxter le chiede agitato: - Ma come ha fatto a venirti in mente? Cioè, l'hai scritta e basta -. Dopodiché ripete ancora, svariate volte: - L'hai scritta tu. Daisy lo ignora. Mentre si riveste, i suoi gesti sono bruschi, sembra perfino ci sia della rabbia nel modo in cui allontana a calci la biancheria che non raccoglie da terra. Vuole soltanto coprirsi e raggiungere sua madre, non le importa più di nient'altro. Baxter non trova nulla di straordinario nel proprio cambiamento di ruolo, da principe della paura a estatico ammiratore. O bambino euforico. Henry sta cercando di incrociare lo sguardo della figlia nella speranza di comunicarle silenziosamente la necessità di continuare a sostenere l'umore di Baxter. Adesso però lei e la madre si stanno abbracciando. Daisy è in ginocchio sul pavimento, semisdraiata addosso a Rosalind, con le braccia che le cingono il collo: si bisbigliano mezze parole, si stringono, dimentiche di Baxter che incombe su di loro, tra brevi, frenetici spasmi del corpo. Sta perdendo il controllo, incespica nelle parole, continua a spostare il peso da un piede all'altro. Mentre si precipitava da Rosalind, Daisy ha lasciato cadere il libro sul tavolo. Ora Baxter si china, lo afferra e si mette a sventolarlo in aria, come se potesse scuoterne fuori il 166
senso. - Mi prendo questo, - esclama. - Hai detto che potevo prendere quel che volevo. Bene, mi prendo questo. OK? -Si sta rivolgendo alla nuca di Daisy. - Merda, - commenta Nigel. È parte essenziale di una mente in fase di degenerazione perdere periodicamente qualunque senso di coerenza comportamentale, e perciò qualsiasi considerazione di quanto gli altri possano pensarne. Baxter ha dimenticato di aver costretto Daisy a spogliarsi, o di aver minacciato Rosalind. La potenza delle emozioni ha cancellato il ricordo. Nel convulso precipizio dei suoi altalenanti stati d'animo, lui abita il violento fascio di luce che delimita il presente. È questo il momento adatto per aggredirlo. Henry rivolge un'occhiata a Theo che ricambia con un lento cenno di assenso. Sul divano, Grammaticus si è rizzato a sedere, con le mani sulle spalle di figlia e nipote. Rosalind e Daisy non si sciolgono dall'abbraccio: improbabile che possano immaginarsi fuori pericolo, o credere che ignorando Baxter riusciranno a portarsi su un terreno di maggiore sicurezza. Deve essere la gravidanza, stabilisce Henry tra sé, l'enorme portata dell'evento. È tempo di agire. Baxter sta quasi urlando di nuovo: - Non voglio nient'altro. Capito? Solo questo. Non voglio altro -. E stringe il libro come farebbe un bambino capriccioso alla prospettiva di vedersi sottrarre una cosa buona. Henry torna a incrociare lo sguardo con quello di Theo. Si è fatto più vicino adesso, e ha l'aria tesa, pronta allo scatto. Nigel sta in mezzo e osserva, ma ormai è svogliato e potrebbe perfino non reagire. Per giunta è lui, Perowne, il più vicino a Baxter, perciò gli sarà addosso di sicuro prima che Nigel possa intervenire. Ancora una volta, Henry si sente battere il cuore forte nelle orecchie, e prevede una dozzina di modi in cui tutto potrebbe andare storto. Un'ultima occhiata a Theo, e decide di contare mentalmente fino a tre, poi via, costi quel che costi. Uno ... All'improvviso Baxter si gira. Si sta leccando il labbro, ha un sorriso umido e beato, gli occhi accesi. La voce, calda, trema per l'esaltazione. - Ci sono nell'esperimento, altroché. Lo conoscevo già. Cercano di tenere nascosta la faccenda, ma io so tutto. So che cosa sta succedendo. - E basta, cazzo, - dice Nigel. Perowne mantiene un tono di voce pacato. - Infatti. - Adesso mi fai vedere tutto quanto. - Si, certo, la sperimentazione americana. La tengo di sopra, in studio. Se l'era quasi scordata, quella balla. Guarda di nuovo Theo, il quale ora sembra suggerirgli con gli occhi di assecondare gli eventi. Ma lui non sa che la sperimentazione non esiste. E il prezzo della delusione di Baxter sarà alto. Si è messo in tasca il libro e ha estratto il coltello che ora agita in faccia a Perowne. 167
- Su, avanti! Ti seguo. È talmente invasato al momento che per la gioia potrebbe pugnalare qualcuno. Le parole gli escono in un balbettio. - La sperimentazione. Fammi vedere tutto. Tutto quanto, tutto quanto... Henry sente il bisogno di avvicinarsi a Rosalind, di toccarle una mano, parlarle, baciarla - gli basterebbe il minimo contatto, ma Baxter ormai gli sta di fronte, con quello speciale odore di metallo che ha nell'alito. L'idea originale era di trascinarlo lontano dagli altri, e di separarlo da Nigel. E non c'è ragione di non portare a compimento questa parte di piano. Perciò, dopo un ultimo sguardo sgomento in direzione di Rosalind, Henry si volta e si avvia lentamente verso la porta. - Tu tienili d'occhio, - dice Baxter a Nigel. - Sono tutti pericolosi. Segue Perowne nell'ingresso e si incamminano su per le scale, in un rimbombo di passi sincroni sulla pietra. Henry si sforza di ricordare quali delle tante carte sparse intorno alla scrivania potrebbe verosimilmente spacciare per buone. Non riesce a fare mente locale, e i suoi pensieri sono storditi dal bisogno di organizzare una strategia. C'è un fermacarte che potrebbe lanciargli addosso, e una vecchia, voluminosa pinzatrice. La sedia ortopedica a schienale alto che tiene nello studio è troppo pesante per pensare di sollevarla. Non possiede neanche un tagliacarte. Baxter è un gradino sotto di lui, gli sta alle calcagna. Magari è un calcio all'indietro la mossa vincente. - Lo so che tengono tutto nascosto, - sta ripetendo Baxter. - Vogliono avvantaggiare i loro, giusto ? Sono già a metà strada. Se anche la sperimentazione esistesse, come può credere Baxter che questo dottore sia pronto a mantenere la parola anziché chiamare la polizia ? Può, perché è euforico e perché è disperato. Perché le sue emozioni sono fuori controllo e la sua logica in fase di declino. Perché è in atto un deterioramento a livello di nucleo caudato, putamen e regioni frontali e temporali. Ma nulla di tutto questo ha importanza. A Perowne serve un piano, e i suoi pensieri viaggiano troppo in fretta, troppo in massa - intanto lui e Baxter sono già arrivati sul vasto pianerottolo davanti allo studio, quello dominato dalla vetrata che affaccia sulla via nel punto in cui questa si immette nella piazza. Henry esita per un momento sulla soglia, sperando di vedere qualche cosa che possa tornargli utile. Le lampade sulla scrivania hanno basi pesanti, ma i fili aggrovigliati potrebbero intralciarlo. Sullo scaffale libreria c'è una statuetta di pietra che però dovrebbe raggiungere, come ? In punta di piedi ? Per il resto, la stanza è una specie di museo, un santuario intitolato a tutta un'altra età dell'oro: sul divano coperto da un tappeto Bukhara, ecco la racchetta da squash che ha gettato li quando è salito a controllare il programma di interventi per lunedi. Sul grande tavolo contro la parete, il salvaschermo: quelle immagini scattate dal telescopio Hubble nello spazio remoto, nuvole 168
gassose lontane anni luce, stelle morenti e giganti rosse che non ce la fanno a ridurre le inquietudini terrestri. E sul vecchio scrittoio accanto alla finestra, mucchi di carte, la sua unica speranza, forse. - Be' ? Avanti, allora -. Baxter lo spinge dal fondoschiena ed entrano insieme nella stanza. Sembra di stare in un sogno, e di procedere piano, inebetiti, senza protestare, verso la catastrofe. Henry non ha dubbi sul fatto che Baxter si senta abbastanza libero da poterlo uccidere. - Dov'è ? Fammi vedere. E puerile quel suo entusiasmo fiducioso, ma intanto Baxter agita il coltello. Per ragioni diverse, entrambi anelano solo a trovare la conferma di una sperimentazione clinica e di un invito a Baxter affinché si unisca alla ristretta coorte dei privilegiati. Henry si dirige allo scrittoio presso la finestra dove giacciono due pile sbilenche di riviste e fotocopie. Abbassando lo sguardo, vede la relazione di una recente metodica di fusione spinale, e quella di una nuova tecnica di intervento per liberare arterie carotidi ostruite, nonché un pezzo piuttosto critico, che pone dubbi sulla possibilità di provocare lesioni chirurgiche al globus pallidus nel trattamento del morbo di Parkinson. Vada per quest'ultimo, e lo prende in mano. Non ha la minima idea di cosa sta facendo, a parte prendere tempo. Tutta la sua famiglia è rimasta sotto, e Henry si sente molto solo. - Ecco, questo definisce la struttura a grandi linee, - incomincia a dire. Gli trema la voce, come si addice a un bugiardo, ma non c'è alternativa: deve continuare a parlare. - La faccenda è questa. Il globus pallidus, più semplicemente detto globo pallido, è una cosa piuttosto bella a vedersi, sprofondata tra i gangli della base, una delle parti più antiche del corpo striato, ed è, ehm, separato in due segmenti da... Ma Baxter non gli presta più attenzione; ha voltato la testa per mettersi in ascolto. Dal piano di sotto, odono un rumore di passi rapidi e pesanti attraversare l'ingresso, seguito dal suono della porta che si apre e si richiude sbattendo. Possibile che Baxter sia stato abbandonato per la seconda volta di oggi ? Si precipita dall'altra parte dello studio ed esce sul pianerottolo. Henry lascia cadere l'articolo e lo segue. Quello che entrambi vedono è Theo di corsa su per le scale, che divora i gradini a tre alla volta, si aiuta con la spinta delle braccia e digrigna i denti nello sforzo estremo. Emette un suono inarticolato, che assomiglia a un comando. Henry si sta già muovendo. Baxter tira indietro il coltello. Henry gli afferra il polso con tutte e due le mani, bloccando il braccio a mezz'aria. Un contatto fisico, finalmente. L'attimo dopo, Theo si lancia sugli ultimi due scalini e afferra Baxter per il giubbotto di pelle poi, con un volteggio e uno scatto fulmineo del corpo, gli fa perdere l'equilibrio. Contemporaneamente Perowne, che non ha mollato la presa del polso, spinge dalla 169
spalla e, insieme, lo scaraventano giù per le scale. Cade all'indietro, le braccia divaricate, con il coltello ancora stretto nella mano destra. C'è un momento che pare magnificamente dilatarsi all'infinito, nel quale tutto ammutolisce e si paralizza, e Baxter, sostenuto dall'aria e sospeso nel tempo, guarda Henry dritto in faccia con un'espressione non tanto di terrore, quanto di costernazione. E Henry crede di scorgere in quegli occhi scuri spalancati una dolente accusa di tradimento. Lui, Henry Perowne, possiede così tanto - lavoro, soldi, prestigio, casa e, soprattutto, la famiglia: quel bel figlio sano con le grandi mani da chitarrista che si è precipitato a salvarlo, la bella poetessa come figlia, inviolabile perfino nella nudità, il celebre suocero, la moglie affettuosa e in gamba; eppure non ha mosso un dito, non ha concesso nulla a Baxter il quale ha così poco che non sia minato dal suo gene difettoso, e al quale presto resterà ancora meno. La rampa di scale prima del gomito è lunga; i gradini di pietra. Con una specie di tremulo scampanellio, il piede sinistro di Baxter passa in rassegna una fila di pioli in ferro lungo il mancorrente, un attimo prima che la sua testa colpisca il pavimento del mezzanino, e sbatta contro la parete, pochi centimetri sopra il battiscopa. Sono tutti sotto shock, in varia forma, e restano in questo stato per ore anche dopo che gli agenti sono usciti e il personale paramedico ha caricato Baxter in ambulanza. Rievocazioni improvvise e impellenti dell'accaduto, talvolta accompagnate da scoppi di pianto, sono interrotte da silenzi inebetiti. Nessuno ha voglia di ritrovarsi solo, perciò rimangono insieme nel salotto, come intrappolati in una sala d'attesa, una terra di nessuno che separa la loro sciagurata avventura dal ritorno alla vita. Con la capacità di recupero tipica dei giovani, Theo e Daisy scendono in cucina e tornano con bottiglie di vino rosso, acqua minerale e una ciotola di noccioline salate, ghiaccio e un panno da usare come compressa fredda per il naso del nonno. Ma l'alcol, per quanto squisito al palato, stenta a fare effetto. E Henry scopre di avere più voglia di bere acqua. Ciò che soddisfa appieno il loro bisogno è toccarsi: siedono stretti uno all'altro, si tengono per mano, si abbracciano. Le ultime parole dell'agente in servizio notturno presso la sezione di Polizia criminale sono state che i suoi colleghi sarebbero venuti la mattina per le regolari deposizioni individuali. Era dunque auspicabile che non discutessero né confrontassero le diverse versioni dei fatti. Parole al vento, cui a nessuno di loro passa per la testa di prestare ascolto. Non c'è altro da fare che parlare, ammutolire, e ricominciare a parlare. Hanno l'impressione di condurre un'accurata analisi degli orribili avvenimenti della serata. Si tratta invece di qualcosa di più semplice e vitale, una seconda messinscena. Si limitano a descrivere: quando sono entrati nella stanza, quando lui si è voltato, quando quello alto con la faccia cavallina ha preso la porta ed è uscito... Vogliono 170
rivedere ogni cosa, da un altro punto di vista, e sapere che quello che hanno passato è tutto vero, e percepire, in questo raffronto meticoloso di sentimenti e osservazioni, di essere finalmente usciti da un incubo privato per riapprodare sani e salvi nell'affettuosa rete delle relazioni sociali e famigliari, senza le quali non sono nulla. Sono stati sopraffatti e dominati da intrusi in quanto incapaci di comunicare e di agire insieme; adesso finalmente è possibile. Perowne si occupa del naso di suo suocero, John non vuole saperne di andare al Pronto soccorso la sera stessa, e nessuno si sforza di persuaderlo. Il gonfiore ha già reso difficile procedere a una diagnosi, ma il naso non rivela deviazioni del setto, e Perowne ritiene possa trattarsi di una microfrattura dei processi mascellari - sempre meglio di una rottura della cartilagine. Per gran parte di questa fase della serata Henry siede accanto a Rosalind. La moglie mostra loro una chiazza rossa e un piccolo taglio sul collo, e descrive il momento in cui ha cessato di sentirsi in preda al terrore ed è diventata indifferente al proprio destino. i - Mi sono sentita andare alla deriva, - dice. - Era come se stessi osservando tutti noi, me stessa inclusa, da un angolo del soffitto. E ho pensato, se deve succedere, non proverò niente, non me ne importerà niente. - Be', a noi magari un po' di più, - esclama Theo, e ridono forte, troppo forte. Daisy racconta con spigliata allegria di quando ha dovuto svestirsi davanti a Baxter. - Ho fatto finta di avere di nuovo dieci anni, quando, a scuola, mi dovevo cambiare per il corso di hockey. L'allenatrice non mi piaceva e detestavo dovermi spogliare in sua presenza. Ma il ricordo di lei mi ha aiutata. Dopo invece, ho cercato di immaginare me stessa mentre, nel parco dello château, recito per il nonno. La questione che nessuno sfiora è la gravidanza di Daisy. Ma è troppo presto, reputa Henry, infatti lei non la nomina e Rosalind fa lo stesso. Da sotto l'impacco freddo, Grammaticus dice: - Sapete una cosa? Potrà sembrarvi un'assurdità, ma c'è stato un momento, dopo che Daisy aveva recitato Arnold per la seconda volta, in cui quel ragazzo mi ha fatto sinceramente pena. Ho idea che si sia innamorato di te, mia cara. - Arnold chi ? - chiede Henry, facendo ridere Daisy e suo nonno. Aggiunge anche, ma lei non pare sentirlo: - In effetti, non mi era parsa una delle tue migliori. Sa che cosa intende Grammaticus, e potrebbe incominciare a metterli al corrente sulle condizioni di salute di Baxter, ma la sua personale partecipazione al caso sta registrando un cambiamento: la vista dell'abrasione sul collo di Rosalind lo rende meno tenero. Che errore, che delirante assurdità permettere a se stessi di provare compassione nei confronti di un uomo, malato o no, che invade casa tua in questo modo. Mentre seduto ascolta gli altri parlare, la sua rabbia cresce, finché quasi rimpiange le cure automaticamente prestate a Baxter dopo la caduta. Avrebbe potuto lasciarlo morire di ipossia, accampando la scusa di un'incapacità da shock. E invece si è precipitato giù con Theo e, constatando lo stato di semi-incoscienza di Baxter, gli ha liberato l'accesso alle vie respiratorie con 171
una manovra di protrusione della mandibola; ipotizzando un danno spinale, ha mostrato a Theo come sostenere il capo di Baxter mentre lui improvvisava un collare di asciugamani presi dal bagno del mezzanino. Al pia. no di sotto, Rosalind chiamava l'ambulanza: i fili del telefono non erano stati tagliati. Mentre Theo ancora reggeva la testa di Baxter, Perowne lo girava in posizione supina, e procedeva al controllo delle altre capacità vitali. Che non erano particolarmente buone. Respiro rantolante, polso debole e lento, pupille leggermente anisocoriche. A quel punto, Baxter mormorava qualcosa tra sé e sé, sdraiato a occhi chiusi. Era in grado di dire il proprio nome e di stringere il pugno su comando: Perowne ha valutato il suo GCS tredici. Si è recato in studio e ha subito chiamato il Pronto soccorso, ha parlato con il medico di guardia e gli ha spiegato che cosa aspettarsi, suggerendogli di prepararsi a ordinare una Tac e di avvisare il neurochirurgo di guardia. Dopodiché non restava altro da fare che aspettare per quegli ultimi minuti, nel corso dei quali Perowne è riuscito a estrarre il libro di Daisy dalla tasca di Baxter. Theo ha continuato a sostenergli la testa finché non sono arrivati due inservienti dell'ospedale in tuta verde, gli hanno inserito una flebo e, su istruzioni di Perowne, gli hanno somministrato soluzione colloidale in vena. In seguito si sono presentate anche due guardie municipali di scorta all'ambulanza e nel giro di pochi minuti è comparso l'agente della sezione di Polizia criminale. Dopo aver fatto la conoscenza dei membri della famiglia, e ascoltato il resoconto di Perowne, ha commentato che era tardi ormai e che comunque erano tutti troppo sconvolti per rilasciare delle dichiarazioni. Si è segnato il numero di targa della Bmw rossa riferito da Henry e si è appuntato il nome dello Spearmint Rhino. Ha esaminato il taglio del divano, poi è tornato di sopra, si è inginocchiato accanto a Baxter, gli ha sfilato di mano il coltello e l'ha fatto scivolare all'interno di un sacchetto sterile. Dalle nocche della sinistra di Baxter ha prelevato un campione di sangue rappreso proveniente con ogni probabilità dal naso di Grammaticus. Il detective è scoppiato a ridere quando Theo gli ha chiesto se, gettando Baxter giù dalle scale, lui e suo padre avessero commesso un crimine. Ha sfiorato Baxter con la punta di una scarpa. - Dubito che sporgerà denuncia in tal senso. E di sicuro non lo faremo noi. Il detective ha poi chiamato la centrale per richiedere l'invio in ospedale di due agenti che montassero la guardia a Baxter nella notte. Appena riprenderà conoscenza, lo dichiareranno in arresto. Per poi procedere alle imputazioni formali. Dopo la raccomandazione a non scambiarsi versioni dell'accaduto, i tre poliziotti se ne sono andati. I paramedici hanno immobilizzato Baxter su una barella spinale e l'hanno portato via. Sembra che Rosalind si stia riprendendo benissimo. Deve essere passata si e no mezz'ora da quando se ne sono andati agenti di polizia e ambulanza, e lei sta già dicendo che forse farebbe bene a tutti quanti andare a mangiare. Nessuno ha 172
fame, ma la seguono lo stesso in cucina. Mentre Perowne mette a riscaldare la zuppa e prende dal frigorifero vongole, cozze, gamberi e rana pescatrice, i ragazzi apparecchiano la tavola, Rosalind affetta il pane e prepara il condimento per l'insalata, e Grammaticus si toglie l'impacco di ghiaccio per aprire un'altra bottiglia di vino. Questa operosità generale è piacevole e venti minuti dopo la cena è pronta e l'appetito, finalmente, recuperato. Risulta perfino quasi confortante il fatto che Grammaticus abbia ripreso il cammino verso la solita sbronza pur mantenendosi a uno stadio di benevolenza. E più o meno a questo punto, mentre prendono posto a tavola, che Henry scopre il nome del poeta, Matthew Arnold, e viene a sapere che la lirica recitata da Daisy, «Lidi di Dover», pubblicata sulle antologie, un tempo era insegnata ai ragazzi di tutte le scuole. - Come la tua, «Fujiyama», - esclama Henry, un commento che soddisfa immensamente Grammaticus e lo incoraggia ad alzarsi per proporre un brindisi. John è nel suo stato d'animo più esuberante, un effetto esaltato dal comico gonfiore del naso. La serata sembra aver ripreso il proprio corso, giacché il vecchio tiene in mano le bozze della MÌA barchetta sventata. - Dimentichiamo tutto il resto. Facciamo un brindisi alla nostra Daisy, - dice. - Le sue poesie segnano l'inizio di una carriera brillante e io sono pieno di orgoglio sia come nonno che come dedicatario dell'opera. Chi avrebbe immaginato che imparare a memoria delle poesie per tirare su qualche soldo potesse rivelarsi tanto utile ? Dopo stasera, credo di essere in debito con lei di altre cinque sterline almeno. A Daisy. - A Daisy, - rispondono gli altri, levando i bicchieri, mentre lei bacia il nonno che ricambia con un abbraccio: la riconciliazione è avvenuta, il caso Newdigate acqua passata. Henry si bagna appena le labbra, ma scopre di aver perso la voglia di alcolici. Non appena Daisy e il nonno si siedono, squilla il telefono ed essendo il più vicino all'apparecchio è Henry ad attraversare la cucina per rispondere. Date le insolite condizioni di spirito, non riconosce subito la voce americana. - Henry ? Sei tu, Henry ? - Oh, Jay. Si, sono io. - Senti, abbiamo un extradurale, paziente maschio, fra i venti e i trent'anni, caduto da una scala. Sally Madden è tornata a casa un'ora fa con l'influenza, perciò mi è rimasto solo Rodney. Il ragazzo è pieno di buona volontà e anche in gamba, e continua a ripetere che non è il caso di farti venire. Però, Henry, qui c'è una frattura affondata proprio sopra il seno. Perowne si schiarisce la voce: - Un ematoma subgaleale? - Proprio così. E per questo che ho deciso di metterci il naso. Ho visto chirurghi alle prime armi recidere il seno craniale sollevando l'osso, con conseguenti quattro litri di sangue sparsi sul pavimento. Voglio qualcuno che 173
abbia più esperienza qua dentro e tu sei il più vicino. Oltre che il migliore. Dal lato opposto della cucina giungono risate forti, innaturali, esagerate come quelle di poc'anzi, quasi roche; non stanno proprio fingendo di aver dimenticato la paura: vogliono semplicemente superarla. Ci sono altri chirurghi a cui Jay può rivolgersi e, di norma, Perowne evita di operare persone che conosce. Ma questa volta è diverso. E a dispetto dei vari cambiamenti di stati d'animo nei riguardi di Baxter, sta maturando in Henry una specie di chiarezza, quasi un'intenzione. Gli sembra di sapere che cosa vuole fare. - Henry? Ci sei ancora? » - Sto arrivando. La famiglia è abituata a Perowne costretto di quando in quando a interrompere una cena; e nel caso specifico il suo annuncio di essere stato chiamato in ospedale può addirittura offrire una certa rassicurazione, il confortante suggerimento di un mondo sulla via del ritorno alla normalità. Henry si appoggia alla sedia di Daisy e bisbiglia all'orecchio della figlia: Dobbiamo parlare di un mucchio di cose. Senza voltarsi, lei gli afferra la mano e la stringe. Perowne, forse per la terza volta della serata, è sul punto di dire a Theo «Mi hai salvato la vita», ma si limita a rivolgergli un mezzo sorriso accennando appena «Ci vediamo più tardi». Theo non gli è mai sembrato così bello, così magnifico come adesso. Le lunghe braccia nude appoggiate sulla tavola; i limpidi, seri occhi marrone chiaro con le ciglia all'insù, l'ignara perfezione di chioma, pelle, denti, la sinuosa colonna vertebrale eretta senza fatica: un'immagine luminosa nella penombra della cucina. Si porta il bicchiere alle labbra - acqua minerale - e dice: - Sicuro che te la senti, papà ? Interviene Grammaticus: - Ha ragione, sai ? E stata una serata difficile. Potresti finire per ammazzare un poveraccio -. Con quei capelli d'argento tirati indietro e l'impacco sul naso sembra un leone incerottato uscito da un libro d'infanzia. - Sto bene. Si è deciso che Theo vada a prendere la chitarra acustica per accompagnare il nonno in un St James Infirmary, perché Grammaticus è dell'umore giusto per lanciarsi in un'imitazione di Doc Watson. Rosalind e Daisy vogliono sentire la registrazione del nuovo brano di Theo, City Square. Intorno al tavolo c'è un'atmosfera di innaturale festosità, di sfrenato sollievo che riporta alla mente di Henry una serata a teatro con la famiglia l'anno prima: impressionante sequela di sanguinose atrocità al Royal Court. Seduti a cena, dopo lo spettacolo, passarono il tempo a ricordare aneddoti divertenti di vacanze estive, e a esagerare col vino. Dopo i vari saluti di commiato, mentre sta per uscire, Grammaticus gli grida: Quando torni, ci trovi ancora tutti qua. Perowne sa che è piuttosto improbabile, ma annuisce scherzoso. Soltanto Rosalind 174
è in grado di percepire la profonda alterazione del suo stato d'animo. Si alza e lo segue sulle scale, lo guarda infilarsi il cappotto e cercare il portafogli e le chiavi. - Henry, perché hai detto di si ? -È lui. - Appunto, perché hai accettato? .. Sono davanti alla porta d'ingresso dalla serratura tripla, e al tranquillizzante bagliore del pannello del sistema di sicurezza. Henry la bacia, poi lei se lo tira addosso prendendolo per il bavero e si baciano ancora, più a lungo, più intensamente. E un promemoria, un ideale recupero dell'amore di stamattina e anche una promessa; è certamente così che dovranno concludere una giornata come questa. Rosalind ha le labbra salate e lo eccita. Sepolto sotto il desiderio, come un blocco di granito sul fondo del mare, pesa il suo sfinimento. Ma in questi frangenti, mentre si dirige alla sala operatoria, Henry è professionalmente in grado di resistere a qualsiasi bisogno. Mentre si sciolgono dall'abbraccio le dice: - Ho avuto un piccolo incidente d'auto stamattina, con lui. - L'avevo capito. - E poi una stupida discussione per strada. - Allora ? Mi spieghi perché ci vai ? - Si lecca la punta dell'indice - Henry prova piacere alla vista fulminea della sua lingua - e gli pareggia le sopracciglia. Si vanno infittendo di peli ricci e indomabili, rossi, grigi o bianchissimi che tendono a disporsi verticalmente a testimonianza di ingorghi testosteronici, i quali possono anche far proliferare come stoppie i peli di orecchie e narici. Ulteriori segni di decadenza. CINQUE. Henry dice: - Devo arrivare in fondo. Sono responsabile. E, in risposta al suo sguardo interlocutorio, aggiunge: - È molto malato. Morbo di Huntington, probabilmente. - Che sia matto oltre che criminale, è evidente. Ma, Henry. Non stavi bevendo, prima? Sei sicuro di poter operare? - E passato parecchio tempo. Credo che l'adrenalina mi abbia schiarito le idee. Rosalind gli accarezza il bavero del cappotto, tenendoselo vicino. Non vuole che se ne vada. Henry la guarda con tenerezza, e con una certa sorpresa anche, perché non sono passate ancora tre ore dal suo tormento eppure eccola li, pronta a fingere di avere superato ogni cosa e di voler come sempre scoprire i perché di una decisione insolita, e pronta ad amarlo in quel suo modo esigente e meticoloso, da perfetto avvocato. Henry si sforza di non soffermare lo sguardo sull'abrasione che Rosalind ha sulla gola. - Posso fidarmi che starai bene ? Lei ha abbassato lo sguardo per riordinare i pensieri. Quando alza gli occhi, 175
per un curioso effetto di luci, Henry vede un se stesso minuscolo riflettersi entro l'arena nera della pupilla di lei, circondato dalla corona sottile dell'iride verde chiaro. Rosalind dice: - Penso di si. Senti, mi preoccupa sapere che entri là dentro. - Cioè ? - Non avrai in mente di fare qualcosa, una vendetta di qualche tipo, no? Voglio che tu sia sincero. - No, naturalmente. La tira verso di sé, si baciano ancora, e questa volta le lingue si sfiorano, scivolano una sull'altra: una specie di promessa, nel loro lessico intimo. Vendetta. All'improvviso Henry dubita di avere mai sentito quella parola sulle labbra di lei prima d'ora. Nella pronuncia un po' trafelata di Rosalind, il termine stesso risulta erotico. E allora, che cosa gli salta in testa di andarsene ? Ma già mentre formula la domanda, sa che sta per avviarsi. A livello superficiale, si tratta di semplice forza maggiore: Jay Strauss e l'équipe staranno preparando l'anestesia, già al lavoro sul suo paziente. Henry si vede nell'atto di spalancare le porte a vento che conducono in sala lavaggio. In un certo senso, è già fuori di casa, anche se sta ancora baciando Rosalind. Deve sbrigarsi. Sussurra: - Se avessi gestito meglio la cosa stamattina, forse non sarebbe successo niente di tutto questo. Adesso, Jay ha chiesto il mio aiuto e penso di dover andare. Anzi, ci voglio andare. Rosalind lo scruta severa, cercando ancora di accertare le sue intenzioni, il suo stato d'animo esatto, la forza del legame che li unisce in questo momento particolare. In parte per il sincero desiderio di sapere, ma anche volendo spostare l'attenzione di lei, Henry le dice: - E così, a quanto pare saremo nonni. C'è tristezza nel sorriso di Rosalind. - È incinta di tredici settimane e dice di essere innamorata. Giulio ha ventidue anni, è di Roma, e studia archeologia a Parigi. I suoi genitori hanno offerto a tutti e due quanto basta per acquistare un piccolo appartamento. Henry entra in lotta con i propri pensieri paterni, prova un'irriducibile indignazione verso l'invadenza esercitata da questo italiano non meglio identificato nei confronti della loro pace e armonia famigliare, verso la sfrontatezza di depositare il proprio seme senza rendersi disponibile a un precedente accurato scrutinio, a una valutazione. Tanto per dire: in questo momento, dove si trova? C'è poi l'irritazione al pensiero che i genitori di costui siano stati informati prima di quelli di Daisy, che abbiano già preso determinati provvedimenti. Un piccolo alloggio. Tredici settimane. Perowne appoggia la mano sulla vetusta maniglia in ottone della porta d'ingresso. Alla fine la gravidanza di Daisy - l'argomento sepolto della serata - gli si para 176
netto davanti, sotto forma di sciagura, sperpero e oltraggio, un tema troppo straordinario per poter essere affrontato o giudicato adesso che c'è chi lo sta aspettando in fondo alla via. - Oh Dio. Che guaio. Come mai non ce l'ha detto? Ha considerato l'ipotesi di un'interruzione ? - Fuori questione, sembra. Tesoro, non agitarti adesso che devi operare. «pi - Ma come intendono vivere ? - Come abbiamo fatto noi. In un'estasi di sesso e miseria da neolaureati, facendo i turni con Daisy appena nata mentre sfacchinavano insonni tra la laurea in legge, il primo impiego legale, e gli anni di specializzazione in neurochirurgia. Ricorda se stesso dopo trenta ore di guardia, caricarsi in spalla la bicicletta per i quattro piani della scala in cemento, e raggiungere i pianti continui di una bambina che stava mettendo i denti. E in quella monocamera di Archway, ripiegare l'asse da stiro per poter scopare a notte fonda sul pavimento in soggiorno davanti al-I la stufa a gas. Forse Rosalind ha pensato che ricordi simili I potessero intenerirlo. Apprezza il tentativo, ma è furibondo lo stesso. Che ne sarà di Daisy Perowne, la poetessa? Lui e Rosalind sincronizzavano le rispettive tabelle di marcia e facevano ogni sforzo possibile per suddividersi il lavoro domestico. Ma gli italiani, si sa, sono pueri aeterni, si aspettano che la moglie prenda il posto della madre, che stiri le camicie e lavi mutande e calzini. Questo irresponsabile di nome Giulio potrebbe annientare le speranze di sua figlia. Henry si sorprende nell'atto di serrare un pugno. Lo rilassa e, senza sincerità, dichiara: - In questo momento non sono in grado di pensarci. - Infatti. Come tutti noi. - Meglio che vada. Si baciano ancora, senza trasporto erotico questa volta, con la compostezza adatta a un commiato. Mentre Henry apre la porta, lei dice: - Mi preoccupa comunque saperti là dentro così. Di questo umore, cioè. Niente sciocchezze, prometti. Henry le sfiora un braccio: - Promesso. Quando la porta si chiude alle sue spalle e Perowne si incammina da casa, l'aria umida e fredda della notte, il passo deciso e, perché non ammetterlo, anche la prospettiva di qualche minuto di solitudine gli procurano una rischiarante sensazione di piacere. Magari l'ospedale fosse un po' più lontano. Agendo da irresponsabile, prolunga la passeggiata di un mezzo minuto attraversando la piazza, anziché tagliare dritto per Warren Street. I radi fiocchi di neve leggera osservati prima sono spariti, ed è piovuto nel corso della serata; il lastrico della piazza e l'acciottolato dei marciapiedi splendono nella luce bianca dell'illuminazione stradale. Una nuvola bassa e fumosa sfiora la torre dell'Ufficio postale. La 177
piazza è deserta, e anche questo gli piace. Mentre si affretta lungo il lato orientale, costeggiando l'alta inferriata del giardino pubblico, sotto i platani spogli che scricchiolano mossi dall'aria, lo spazio vuoto ha riconquistato la vasta semplicità delle proprie linee architettoniche e delle solenni volumetrie bianche. Henry sta cercando di non pensare a Giulio. Si concentra invece su Roma, dove due anni fa è stato invitato a un simposio di neurochirurgia tenuto in stanze che affacciano su Campo de' Fiori. Fu il sindaco in persona, Walter Veltroni, un uomo quieto e cortese, appassionato di jazz, a dare inizio ai lavori. Il giorno dopo, in onore degli ospiti, fu aperta la Domus Aurea, la residenza di Nerone in gran parte ancora inaccessibile al pubblico, e Veltroni, con un certo numero di esperti, offrì ai chirurghi una visita guidata del sito. Perowne, nella sua totale ignoranza in fatto di antichità romana, constatò con deluso stupore che allo scavo sotterraneo si accedeva attraverso una galleria aperta nel fianco di un colle e protetta da un cancello. Non era questa la sua idea di palazzo imperiale. Il gruppo venne scortato in un tunnel odoroso di terra e illuminato da semplici lampadine appese a fili. Sui lati del passaggio interno si aprivano vani semibui nei quali si procedeva alle opere di restauro su frammenti di rivestimenti marmorei. Un esperto illustrava: trecento stanze in marmo bianco, affreschi, complesse decorazioni musive, vasche, fontane e finiture in avorio, ma non una cucina, né un bagno, né altri servizi. Infine i chirurghi raggiunsero uno scenario di meraviglia assoluta: corridoi sulle cui pareti si rincorrevano ripetendosi complicati dipinti di fiori e di uccelli. Videro stanze in cui gli affreschi stavano appena affiorando da una poltiglia di terra e di muffe. Il palazzo era rimasto nascosto sotto cumuli di macerie per cinque secoli, fino all'inizio del Rinascimento. Negli ultimi vent'anni lo si era chiuso al pubblico per opere di restauro, e la parziale riapertura aveva coinciso con i festeggiamenti romani in occasione del nuovo millennio. Un altro addetto fece notare ai presenti un foro irregolare che si apriva su in alto, nell'immensa volta del soffitto. Era da quella cavità che rapinatori del quindicesimo secolo entravano per trafugare la foglia d'oro di copertura delle pareti. In seguito vi si erano calati con l'uso di corde perfino Raffaello e Michelangelo i quali, pieni di meraviglia, avevano copiato le decorazioni e i dipinti rivelati dalle loro torce fumose. Le loro stesse opere risultavano profondamente influenzate dal ricordo di tali incursioni. Con l'aiuto dell'interprete, il signor Veltroni dedicò ai propri ospiti un'immagine che pensava potesse conquistarli: gli artisti avevano trapanato quel cranio in mattoni per conoscere la mente della Roma antica. Perowne si lascia alle spalle la piazza dirigendosi a est, attraversa Tottenham Court Road e si avvia verso Gower Street. Magari avesse ragione il sindaco e penetrare un cranio mettesse a nudo non il cervello, bensì la mente. In quel caso, nel giro di un'ora, lui, Perowne, sarebbe in grado di capire un mucchio di cose in più sul conto di Baxter; e, dopo un'intera vita passata a eseguire 178
interventi simili, sarebbe uno degli uomini più saggi della terra. Saggio abbastanza da comprendere Daisy? Proprio non gli riesce di evitare l'argomento. Henry si rifiuta di accettare l'idea che la figlia possa aver scelto una gravidanza. Ma per amore di lei, deve mostrarsi magnanimo e bendisposto. Può anche darsi che questo Giulio, il giovane romano, assomigli ai lodevoli ragazzi in tuta intravisti nei foschi antri della Domus Aurea, curvi su frammenti di mosaico da accarezzare coi loro spazzolini: l'archeologia è un'occupazione onorevole. E suo dovere, suppone Henry, trovare simpatico il padre di suo nipote. Il depredatore della sua bambina. Quando alla fine si degnerà di venire a conoscerli, al giovane Giulio toccherà sfoderare una buona dose di fascino latino. Su Gower Street le squadre di netturbini sono ancora al lavoro dopo la manifestazione. Forse hanno cominciato da poco. Da rumorosi automezzi, i generatori proiettano fasci violenti di luce a illuminare montagne di avanzi di cibo, contenitori di plastica e striscioni abbandonati che uomini in giubbotti gialli e arancioni sospingono in avanti, armati di grosse scope. Altri rovesciano i mucchi nei camion. L'abbraccio statale è possente, pronto alla guerra e pronto a ripulire il lordume lasciato dai dissenzienti. E le macerie si ! rivelano non prive di un certo interesse archeologico: un Non A Nome Mio dall'asta spezzata riposa tra bicchierini in pòlistirolo, hamburger buttati via e volantini della Lega islamica ancora in perfetto stato. In cima a un cumulo che Henry scansa di lato restano una fetta di pizza all'ananas, lattine di birra a disegno scozzese, un giubbotto di jeans, cartoni vuoti di latte e tre confezioni intatte di mais. I dettagli esercitano su di lui un effetto opprimente, gli oggetti risultano troppo nitidi e tesi, come pronti a schizzare fuori dai rispettivi I contenitori. Deve essere tuttora in preda a un leggero stato di shock. Riconosce in uno degli spazzini l'uomo che stamattina ha visto pulire il marciapiede di Warren Street; un'intera giornata dietro a una scopa e adesso, grazie ai caotici eventi mondiali, anche un bel po' di straordinario. Intorno all'ingresso dell'ospedale, il solito drappello di gente da ore piccole di un sabato sera, e le due guardie di sicurezza in servizio tra le doppie porte. C'è sempre qualcuno che I riemerge, anche se non del tutto, dai fumi dell'alcol e ricorda l'ultima cosa che ha visto: un amico caricato nel retro di un'ambulanza. Allora trova l'ospedale, spesso quello sbagliato, e pretende a gran voce di poter fare visita all'amico. Compito delle guardie è tenere alla larga gli individui molesti, i I non autorizzati e gli inetti, gente che finirà quasi di sicuro per vomitare sul pavimento dell'atrio o per rifilare una sventola a un pubblico ufficiale, o al gracile infermiere filippino o all'esausta giovane dottoressa ormai alle ultime ore del turno di guardia. Devono anche tenere fuori i barboni in cerca di una panca o di un angolo per 179
terra nel tepore istituzionale. Il campionario umano che finisce in ospedale a notte fonda ! nel weekend non sempre è beneducato, cortese e riconoscente. Come Henry ben ricorda, lavorare al Pronto soccorso è come prendere lezioni di misantropia. Una volta li si toilerava, i rissosi e anche i senzatetto, che avevano addirittura i loro spazietti riservati in Pronto soccorso. Ma in anni più recenti, la cosiddetta cultura è cambiata. Il personale medico ne ha avuto abbastanza. E vuole protezione. Ubriaconi I e soggetti importuni vengono scaraventati sul marciapiede da energumeni che hanno un passato di buttafuori e sanno il fatto loro. L'ennesimo sistema di importazione americana, piuttosto efficace per giunta: tolleranza zero. Ma c'è sempre il pericolo di mettere alla porta un autentico paziente; certe commozioni cerebrali, nonché alcuni casi di sepsi e ipoglicemia possono presentarsi come stato di ubriachezza. Perowne si apre un varco nel piccolo grappolo di gente. Quando raggiunge la prima porta le guardie, Mitch e Tony, entrambi oriundi delle Indie Occidentali, lo riconoscono e lo fanno passare. - Com'è la vita? Tony, la cui moglie è morta di cancro al seno l'anno scorso e che sta pensando di studiare per diventare paramedico, risponde: - Abbastanza tranquilla, compatibilmente... - Infatti, - interviene Mitch. - Cagnara abbastanza tranquilla, stasera. I due uomini ridacchiano e Mitch aggiunge: - Comunque, signor Perowne, i chirurghi con un po' più di buonsenso si sono beccati l'influenza. - Io non so nemmeno cosa sia il buonsenso, - ribatte Perowne. - Ho un extradurale. - L'abbiamo visto. - È vero. Meglio che vada, signor Perowne. Ma anziché dirigersi subito agli ascensori centrali, Henry si concede una breve deviazione attraverso la sala d'attesa, in direzione degli ambulatori, in caso Jay o Rodney, aspettandolo, avessero deciso di scendere a occuparsi di un altro caso. Le panche del pubblico sono silenziose, ma il lungo atrio ha un aspetto stanco, vissuto, come alla fine di una festa ben riuscita. L'aria è umida e dolciastra. Ci sono lattine di bibite a terra, e il calzino di qualcuno in mezzo alle carte delle barrette di cioccolata accanto ai distributori. Una giovane cinge col braccio il suo fidanzato curvo in avanti, il capo tra le ginocchia. Un'anziana signora dal vago sorriso immobile aspetta pazientemente con le stampelle appoggiate in grembo. Ci sono poi un paio di persone con lo sguardo fisso sul pavimento, e qualcuno sdraiato a dormire su una panca, con il cappotto sulla testa. Perowne supera gli angusti ambulatori e raggiunge la sala traumatologica del Pronto soccorso dove un'equipe si sta occupando di un uomo che sanguina copiosamente dal collo. Fuori, nell'atrio, nei pressi della sala personale, Henry vede Fares, il chirurgo in 180
servizio di guardia con il quale ha parlato al telefono. Non appena Perowne gli si avvicina, Fares dice: - Ah ecco. A proposito dell'amico di cui mi chiedeva. Abbiamo escluso un danno della colonna cervicale. La Tac ha rivelato una lesione extradurale bilaterale con probabile frattura affondata. E sceso di un paio di punti perciò l'abbiamo intubato. L'hanno portato su una mezz'ora fa. La radiografia del collo - prima misura di accertamento - suggerisce che Baxter non dovrebbe andare incontro a complicazioni respiratorie. Il suo livello di coscienza misurato in base al Glasgow Coma Score è sceso: segnale poco rassicurante. Si è proceduto a convocare un anestesista -probabilmente lo specializzando di Jay - affinché preparasse il paziente a un intervento d'urgenza, il che ha previsto, tra l'altro, lo svuotamento dello stomaco di Baxter. - Qual è il suo GCS al momento ? - Sceso a undici; era a tredici quando è arrivato. Qualcuno reclama in sala traumi la presenza di Fares che, andandosene, si giustifica dicendo: - Rissa a colpi di bottiglie in una coda per l'autobus. Ah già, Perowne, dimenticavo. Insieme al suo amico sono saliti due poliziotti. Perowne prende l'ascensore fino al terzo piano. Appena mette piede nell'ampia anticamera che dà accesso alle doppie porte del reparto neurochirurgico, si sente meglio. A casa da casa. Qualche volta può anche mettersi male, è vero, ma Henry ha la situazione sotto controllo qui dentro, dispone di risorse, di condizioni sorvegliate. Le porte sono chiuse dall'interno. Sbirciando dal vetro non vede nessuno. Anziché suonare il campanello, fa il giro lungo dal corridoio che passa per la Terapia intensiva. Gli piacciono questi posti a notte fonda: la luce velata, il silenzio vigile e diffuso, la pacatezza solenne dello scarso personale notturno. Procede nel vasto spazio che separa i letti, tra luci a intermittenza e l'incessante bip-bip dei monitor. Nessuno di questi pazienti è suo. Ora che anche Andrea Chapman è stata trasferita, tutti i nomi in elenco nella giornata di ieri sono tornati ai rispettivi reparti. Che soddisfazione. Nell'anticamera esterna alla Terapia intensiva, lo spazio risulta deserto in modo innaturale. Ne è stato eliminato lo sferragliare delle barelle -sarà di ritorno domani, insieme al consueto trambusto, ai telefoni che squillano senza sosta, ai piccoli malintesi con i portantini. Anziché far venire Rodney o Jay fuori dalla sala, e anche per guadagnare tempo, Henry entra direttamente nello spogliatoio. Digita un codice sulla serratura a combinazione numerica e si introduce in uno squallore inospitale e dimesso, una specie di porcilaia tipicamente maschile che fa pensare a qualche dozzina di giovani teppisti in trasferta. Henry utilizza una chiave per aprire il suo armadietto e comincia a spogliarsi in fretta. Lily 181
Perowne si sarebbe scandalizzata: sparse per terra varie divise di sala, certe pulite altre usate, insieme ai sacchetti di plastica che le contenevano, scarpe da ginnastica, un asciugamano, un vecchio maglione, un paio di jeans; in cima agli armadietti, lattine vuote di CocaCola, un anacronistico tensore per racchette da tennis, e due sezioni non collegabili di una canna da pesca con la mosca abbandonate li da mesi. Sulla parete, uno stizzoso cartello stampato al computer domanda: E possibile riporre asciugamani e camici chirurgici negli appositi contenitori, grazie ? Qualche burlone ci ha scritto un «no» sotto. Un altro avviso dal tono più ufficiale ammonisce: Non lasciare oggetti di valore incustoditi. Un tempo ce n'era anche uno sulla porta del gabinetto che diceva: Si Prega di Alzare l'Asse. Attualmente sostituito da un altro che annuncia con rassegnazione: Per eventuali reclami riguardo alle condizioni dei servizi igienici rivolgersi al 4040. Un ipotetico paziente chirurgico non troverebbe rassicurante la catasta di zoccoli bianchi, a chiazze gialle, rosse e marroni, decorati con piccoli fregi di sangue rappreso e iniziali o nomi sbiaditi scarabocchiati a biro da mani malferme. Può essere seccante, andare di fretta e non riuscire a trovare due zoccoli dello stesso numero. Henry tiene i suoi dentro l'armadietto. Prende gli indumenti sterili, un sotto e un sopra, dal mucchio di misura «large», se li infila, e si fa scrupolo di gettare i sacchetti di plastica dentro il bidone. A dispetto del caos che lo circonda, questi gesti lo calmano, come esercizi mentali prima di una partita a scacchi. Ormai sulla porta, afferra dal mucchio un copricapo usa-e-getta e se lo lega dietro la testa mentre procede lungo il corridoio deserto. Entra nella camera operatoria passando dalla sala anestesia. Ad aspettarlo, seduti accanto al respiratore, ci sono Jay Strauss e il suo assistente, Gita Syal. Intorno al tavolo operatorio, Emily, la strumentista, Joan, TOTA, e Rodney, che ha l'aria di un uomo sul punto di essere torturato. Perownea sa per esperienza quanto mortificato possa sentirsi un assistente qualora debba essere convocato il primario, anche se per esigenze inconfutabili. Nel caso specifico non è neppure stata di Rodney, la decisione. Jay Strauss ha esercitato la propria autorità. Rodney deve avere la sensazione che Jay volesse umiliarlo. Sul tavolo, coperto da teli chirurgici, giace prono Baxter. Di lui è visibile soltanto un'ampia zona di cute rasata sul retro del cranio, all'altezza della corona. Una volta coperto, il paziente cessa di essere percepito come persona, individuo presente in sala. Tale è lo strapotere della vista. Tutto ciò che rimane è un'esigua porzione di testa, il cosiddetto campo operatorio. Aleggia un senso di noia, di chiacchiere stanche. O magari Jay ha tenuto banco sulla necessità della guerra imminente. Rodney si sarà trattenuto dal dare voce alle proprie idee pacifiste per timore di essere redarguito. Jay dice: - Venticinque minuti. Un buon tempo, capo. Henry alza la mano in segno di saluto, quindi fa cenno al giovane di 182
accompagnarlo al diafanoscopio dove sono allineate le lastre di Baxter. Su un solo lucido, sedici immagini consecutive, un cervello affettato come un salume. Il coagulo, intrappolato fra il cranio e il rigido tessuto fibroso interno, la dura, è situato a cavallo della linea mediana, che divide i due emisferi del cervello. Si trova a meno di cinque centimetri dal vertice e presenta dimensioni cospicue, forma perfettamente tondeggiante, e colore bianchissimo a schermo, con margini netti che non lasciano dubbi. Altrettanto visibile risulta la frattura che, lunga una quindicina di centimetri, corre perpendicolare alla linea mediana. In centro, precisamente all'altezza di quella linea, si notano dei frammenti ossei, nel punto in cui il cranio si è parzialmente infossato. Appena sotto tale frattura affondata, esposto al pericolo dei bordi taglienti di quelle due specie di placche tettoniche, decorre un grosso vaso ematico, il seno sagittale superiore. Quest'ultimo si estende lungo la piega - detta falce cerebrale - che unisce i due emisferi ed è una grossa vena di drenaggio ematico proveniente dal cervello. Sua sede naturale è il solco che si apre là dove la dura avvolge separatamente ciascun emisfero. Svariate centinaia di millilitri al minuto fluiscono nel seno e, sollevando l'osso danneggiato, il chirurgo rischia di reciderlo. La perdita di sangue in quel caso risulta talmente copiosa da impedire la vista e da rendere impraticabile la riparazione del seno. Una di quelle circostanze che possono gettare nel panico uno specializzando del secondo anno. Ed è per questa ragione che Jay ha voluto chiamare Henry. Mentre osserva le lastre, Perowne chiede a Rodney di informarlo sul paziente. Rodney si schiarisce la gola. Ha la voce stanca, la lingua impastata. - Maschio, fra i venti e i trent'anni, caduto da una scala circa tre ore fa. All'arrivo in Pronto soccorso appariva sonnolento, con un GCS a tredici, poi sceso a undici. Presenta ferite craniche lacero-contuse; non si registrano altre lesioni. Radiografia della colonna cervicale nella norma. E stato sottoposto a una Tac e, dopo una induzione dell'anestesia per trauma, lo hanno subito spedito qui. Perowne dà un'occhiata ai monitor di controllo del respiratore alle sue spalle, dai quali risulta che Baxter ha ottantacinque pulsazioni cardiache e pressione sanguigna a centotrenta su novantaquattro. - E la Tac ? Rodney tentenna; forse si chiede se la domanda non nasconda un trabocchetto, qualcosa che gli è sfuggito e che potrebbe coronare la sua vergogna. E un ragazzone, soggetto a sporadiche e commoventi nostalgie per la Guyana dove sogna un giorno di poter allestire un centro di neurotraumatologia. In passato ha accarezzato la speranza di entrare in una prestigiosa squadra di rugby, poi però medicina e neurochirurgia hanno preso il sopravvento. Ha un viso cordiale e intelligente e, secondo una voce da lui tutt'altro che smentita, le donne lo adorerebbero. 183
Perowne sospetta che farà strada. - C'è una frattura affondata sulla linea mediana, sia extradurale che - e qui Rodney indica un'immagine più in alto sulla lastra e una piccola massa bianca a forma di virgola - subdurale. Ha notato l'unico elemento vagamente insolito, un coagulo sotto la dura, oltre a quello più cospicuo sovrastante. - Bene, - mormora Perowne e, con quell'unica parola ha riscattato l'intera serata di Rodney. C'è tuttavia una terza anomalia che l'assistente non deve aver registrato. A fronte del progresso della medicina, certi piccoli trucchi diagnostici sono caduti in disuso tra le nuove generazioni di medici. In un'immagine ancora più in alto, il caudato di Baxter su entrambi i lati del cervello manca della consueta convessità, di quella naturale sporgenza nel corno anteriore dei ventricoli laterali. Prima del test sul Dna, era questa riduzione in volume a fornire una preziosa conferma di diagnosi del morbo di Huntington. Henry non ha mai dubitato di aver ragione, ma l'evidenza fisica gli procura una inconfessabile soddisfazione. Henry domanda a Jay: - Abbiamo del sangue? Risponde Gita Sy: - Ampie scorte in frigo. - Il paziente è emodinamicamente stabile ? - Pressione e battito sono regolari. Gli esami del sangue pre-operatori buoni, come pure la pressione delle vie aeree, - dice Jay. - Siamo pronti a iniziare, capo. Perowne dà uno sguardo alla testa di Baxter per assicurarsi che Rodney abbia rasato la zona giusta. La lacerazione, netta e lineare - un muretto, una sorta di battiscopa, un cordolo liscio di pietra, e non certo il tritume e lo sporco tipico delle ferite da incidente stradale -, è stata suturata in Pronto soccorso. Senza bisogno di sfiorarla, Henry capisce che il paziente presenta in cima alla testa un ematoma subgaleale: il sangue si va raccogliendo tra l'osso e lo scalpo. Soddisfatto del lavoro eseguito dall'assistente, Perowne si allontana dicendo: Provvedi a togliere i punti di sutura, mentre mi lavo -. Henry si ferma nell'angolo della sala per scegliere un pezzo di musica per pianoforte. Opta per le Variazioni Goldberg. Ne ha quattro registrazioni qui, e anziché orientarsi sulle vistose stravaganze di Glenn Gould, preferisce lo stile levigato e composto di Angela Hewitt che comprende tutti i ritornelli. Meno di cinque minuti dopo, in camice chirurgico, guanti e mascherina, è di ritorno al tavolo. Con un cenno del capo indica a Gita di far partire il lettore CD. Dal carrello d'acciaio che Emily gli ha posizionato accanto, prende un tampone con la pinza e lo immerge in una vaschetta di soluzione di Betadine. La dolce aria malinconica, in principio quasi esitante, prende a diffondersi in 184
sala operatoria tanto da dilatarne la vastità. Alla primissima pennellata di giallo carico sul pallore della pelle, cala su Henry un appagamento ben noto: è la soddisfazione di sapere esattamente ciò che si sta facendo, di vedere gli strumenti allineati sul carrello, di essere insieme alla sua équipe nella quiete ovattata della sala, tra il ronzio dell'impianto di depurazione dell'aria, il sibilo più acuto dell'ossigeno che passa nella maschera applicata sul viso di Baxter, sotto il telo, e la luce violenta delle lampade sovrastanti. Gli torna in mente il fascino speciale provato da bambino davanti a un gioco da tavolo. Mette giù il tampone e annuncia a bassa voce: - Locale. Emily gli consegna l'iniezione sottocutanea di anestetico che ha preparato. Rapidamente Henry inietta in vari punti sottocute, lungo la linea della lacerazione e oltre. Non sarebbe strettamente necessario, ma l'adrenalina contenuta nella lidocaina aiuta a ridurre l'emorragia. Intorno a ogni zona iniettata, sullo scalpo si produce un gonfiore. Henry depone la siringa e distende la mano. Non ha bisogno di chiedere: Emily gli allunga il bisturi giusto e Henry prolunga di parecchi centimetri la lacerazione, incidendola anche più a fondo. Rodney gli è a fianco con il coagulatore bipolare, che utilizza per fermare il sangue in due o tre punti. A ogni contatto, corrisponde un bip e un pennacchio sottile di fumo grigiastro si leva con l'odore di carne bruciata. A dispetto della stazza, Rodney evita sapientemente di ingombrare lo spazio del chirurgo mentre applica le piccole graffe azzurre di Raney che pinzano i lembi cutanei e hanno effetto emostatico. Perowne chiede il primo dei grossi divaricatori autostatici e lo posiziona. Lascia che sia Rodney ad applicare il secondo: adesso la lunga incisione, aperta come una bocca spalancata, mette a nudo il cranio e le lesioni subite. La frattura si presenta relativamente diritta. Da essa affiora del sangue, non sangue fresco. Dopo che Rodney ha proceduto al lavaggio della parte con soluzione salina e l'ha asciugata, constatano che la fessura nell'osso misura circa due millimetri - sembra la crepa di un terremoto vista dall'alto, o la fenditura nel letto di un fiume in secca. La frattura al centro presenta due segmenti ossei incrinati da cui si dipartono altre tre o quattro crepe più sottili. Non occorrerà trapanare. Perowne riuscirà a introdurre la sega da taglio nella fessura maggiore. Emily passa il craniotomo, ma Henry non è soddisfatto, gli sembra che la guida coprilama del taglio sia un po' sghemba. Joan si precipita in sala filtro a prenderne un altro. Questa volta va bene e, mentre la ragazza lo estrae dall'involucro sterile e lo sistema, Henry dice a Rodney: - Solleviamo un lembo intorno alla frattura in modo da avere il controllo completo del seno. E noto che nessuno sa aprire più rapidamente di Henry Perowne. Questa volta procede anche più in fretta del solito, perché non c'è pericolo di danneggiare la dura: la spinge in basso il coagulo che la separa dal cranio. Benché Rodney stia pronto con una siringa di soluzione di Dakin a irrorare il margine del 185
taglio di soluzione salina, il lezzo di osso bruciacchiato invade la sala. E un odore che a Henry capita di ritrovarsi fra le pieghe dei vestiti quando si spoglia alla fine di una lunga giornata. E impossibile comunicare a parole soverchiando il lamento acuto del craniotomo. Con uno sguardo Henry fa sapere a Rodney che deve osservare con attenzione. È necessaria una particolare delicatezza ora che sposta la sega attraverso la linea mediana. Henry rallenta, inclina verso l'alto la guida del trapano: c'è il rischio altrimenti che strappi, agganciandolo, il seno. È straordinario che un cervello possa subire danni di qualunque tipo al di fuori di una sala operatoria, protetto com'è nel suo robusto astuccio osseo. Alla fine, Perowne ha completato il taglio di una porzione ovale dietro la corona del capo di Baxter. Prima di sollevare il lembo, esamina i frammenti della frattura affondata. Si fa passare un dissettore di Watson Cheyne e rimuove le schegge con delicatezza. Vengono via facilmente, e Henry le depone nella vaschetta di Betadine che Emily intanto gli porge. Adesso, utilizzando lo stesso dissettore, solleva dal cranio l'intero lembo osseo - una placca notevole, simile a una porzione di noce di cocco - e immerge anche quella nella vaschetta con gli altri frammenti. Il coagulo è ben visibile, di un rosso talmente cupo da sembrare nero, e della consistenza di una marmellata appena fatta. O come una placenta, è capitato a Henry di pensare in passato. Ma intorno ai margini del coagulo, il sangue scorre copioso ora che la pressione del lembo osseo è stata rimossa. Cola dal retro del capo di Baxter, sul telo chirurgico e sul pavimento. - Alza la testa del tavolo. Portamela più in alto che puoi, - dice rivolto a Jay. Se l'emorragia si verifica al di sopra del cuore, il flusso diminuisce. Il tavolo si solleva e Henry e Rodney tornano rapidi in posizione, pestando il sangue coi piedi e, lavorando insieme, rimuovono il coagulo con un aspiratore e uno scollature di Adson. Irrigano la zona di soluzione salina e finalmente scorgono per un attimo la lacerazione del seno, lunga più di mezzo centimetro. Il lembo osseo risulta ben centrato: la lesione si presenta proprio in mezzo alla parte esposta. Ma il fiotto di sangue torna immediatamente a impedire la vista. Una scheggia di osso della frattura deve aver perforato il vaso. Mentre Rodney tiene fermo l'aspiratore, Perowne prende una striscia di Surgi-cel e la applica sulla ferita, ricopre con un tampone e fa segno a Rodney di premere con il dito. Poi domanda a Jay: - Quanto sangue abbiamo perso? Sente Jay chiedere a Joan quanta irrigazione è stata necessaria. Insieme procedono a calcolare. - Due litri e mezzo, - risponde pacato l'anestesista. Perowne è sul punto di farsi passare lo scollatore periostale, ma Emily lo anticipa; Henry trova una zona esposta ma non danneggiata del cranio e, con lo strumento - una specie di raschietto -, tira su due lunghi lembi di pericranio, la membrana fibrosa che fodera l'osso. 186
Rodney solleva il tampone e sta per rimuovere anche il Surgicel, ma Perowne gli fa cenno di no. Potrebbe già essersi formato un altro coagulo e non ha intenzione di disturbarlo. Depone con cura la striscia di pericranio sul Surgicel, aggiunge un secondo strato di quest'ultimo, ricopre con la seconda striscia e applica sul tutto un altro tampone. E infine, il dito di Rodney. Perowne lava di nuovo con soluzione salina e aspetta. La dura opaca e lattiginosa dal colore bluastro rimane pulita. L'emorragia si è fermata. Ma non possono ancora cominciare a chiudere. Perowne prende un bisturi e pratica nella dura una piccola incisione, la divarica appena e ci guarda dentro. La superficie del cervello di Baxter presenta in effetti un coagulo, molto ridotto rispetto al primo. Henry prolunga l'incisione e Rodney fissa la dura con ancoraggi. Perowne è soddisfatto della rapidità di esecuzione del suo giovane assistente. Rodney utilizza l'Adson per aspirare il sangue rappreso. Lavano la parte con soluzione salina, aspirano il fluido misto che si è prodotto e aspettano per vedere se l'emorragia continua: Perowne sospetta che potrebbe provenire da una delle granulazioni dell'aracnoide del Pacchioni. Non succede niente, ma per adesso non chiude. Preferisce aspettare qualche minuto, per maggior sicurezza. Nell'attesa, Rodney si dirige a un tavolo accanto alla porta della sala filtro e si siede a bere da una bottiglia d'acqua. Emily è impegnata al vassoio degli strumenti, Joan si occupa della vasta pozza di sangue per terra. Jay interrompe una conversazione a bassa voce con il suo assistente per dire a Perowne: - Qui è tutto a posto. Henry rimane alla testa del tavolo. Pur essendo sempre stato consapevole della musica, soltanto adesso torna a concederle la propria completa attenzione. È trascorsa un'ora abbondante e la Hewitt è ormai alla variazione finale, il quodlibet - fragoroso e faceto, per non dire esplicitamente osceno, nei suoi echi di canti rurali esaltanti le gioie del cibo e del sesso. Il trionfo degli ultimi accordi si spegne in un silenzio di alcuni secondi, poi l'aria riprende, identica in partitura, però modificata da tutte le variazioni che l'hanno preceduta, e ancora soave, ma più malinconica e triste, con quelle note di pianoforte che arrivano da lontano, quasi da un altro mondo, e che si dilatano ormai lentamente. Henry osserva una porzione di cervello di Baxter. Non gli è difficile convincere se stesso che si tratta di un territorio conosciuto, una sorta di madrepatria, con i suoi declivi e le strette valli dei solchi, ciascuno dotato di un nome e di una precisa funzione, ciascuno a lui noto come uno spazio di casa. Appena a sinistra della linea mediana, sparisce alla vista, infilandosi sotto l'osso, il giro precentrale. Gli corre parallelo, subito a ridosso, il giro postcentrale sensitivo. Così vulnerabile, così soggetto a danni terribili e irrimediabili. Quanto tempo ha impiegato a cercare percorsi che evitassero queste zone, come certi quartieri malfamati di una metropoli americana. È questa dimestichezza a 187
sopire giorno dopo giorno la coscienza di quanto sia vasta l'ignoranza, non solo sua, in materia. Perché a dispetto di tutti i progressi recenti, ancora non si è scoperto come questo approssimativo chilogrammo di cellule ben protette codifichi di fatto le informazioni, come custodisca esperienze, sogni, ricordi e propositi. Henry non dubita che negli anni a venire il meccanismo sarà rivelato, anche se lui potrebbe non esserci più. Esattamente come i codici di riproduzione della vita contenuti nel Dna, il segreto primario del cervello un giorno sarà svelato. Ma anche allora, non cesserà il nostro stupore nel constatare come questa modesta poltiglia sia in grado di allestirci dentro uno spettacolo di pensieri, immagini, suoni e sensazioni da cui scaturisce la certezza illusoria di un presente istantaneo, mentre un sé, altra ben congegnata illusione, dal centro, domina come un fantasma ogni cosa. "Sarà mai possibile spiegare come la materia diventi cosciente ? Henry non riesce neppure a immaginare un'ipotesi soddisfacente, ma sa che succederà, che il segreto sarà svelato; nel corso dei decenni, a patto che istituzioni e scienziati non si lascino confondere, le spiegazioni saranno distillate sino a una verità irrefutabile riguardo alla coscienza. I lavori sono già in corso, presso laboratori non lontani da quella sala, e alla fine il viaggio sarà completato, Henry ne è certo. E il solo tipo di fede di cui disponga. Vi è qualcosa di grandioso in questa concezione della vita. Nessun altro in sala è al corrente delle condizioni disperate in cui versa questo particolare cervello. Il giro precentrale che Henry sta osservando in questo momento è già compromesso dalla malattia, con ogni probabilità da un deterioramento a livello di caudato e putamen, profondamente nel centro del cervello. Henry appoggia il dito sulla corteccia di Baxter. Qualche volta, prima di operare un tumore, gli capita di toccare un cervello per valutarne la consistenza. Che fiaba magnifica, comprensibile e umana era il sogno del tocco magico che guarisce. Se si potesse ottenere tanto con la semplice carezza di un polpastrello, lui lo farebbe ora. Ma i limiti dell'arte, cioè della neurochirurgia allo stato attuale delle cose, sono piuttosto inequivocabili: di fronte a questi codici sconosciuti, a questo fitto e geniale circuito, lui e i suoi colleghi possono offrire giusto la competenza di un intervento idraulico, per quanto impeccabilmente eseguito. Il cervello non riparabile di Baxter, esposto alla luce violenta delle lampade, è rimasto pulito ormai per svariati mi- nuti; non ci sono segni di ulteriori emorragie dalle granulazioni aracnoidee del Pacchioni. Perowne annuisce, rivolto a Rodney. - Sembra tutto a posto. Puoi chiuderlo. Essendo contento di lui e desiderando farlo sentire meglio rispetto alla serata, Perowne permette all'assistente di assumere il comando. Rodney ricuce la dura con filo viola Vicryl 3-0 e introduce il drenaggio extradurale. Ricolloca il lembo osseo insieme ai due frammenti della frattura. Quindi procede alla trapanazione del cranio per inserire le placche di titanio che terranno l'osso a 188
posto. Questa zona del cervello di Baxter ora somiglia a un pavimento bislacco, oppure alla testa rotta di una bambola di porcellana rabberciata alla meglio. Rodney inserisce il drenaggio sottogalealel e si prepara a cucire la cute con Vicryl 2-0 e ad applicare le graffe cutanee. Perowne chiede a Gita di mettere su l'Adagio di Barber. L'hanno trasmesso fino alla nausea alla radio negli ultimi tempi, ma qualche volta a Henry è gradito, nel- le fasi conclusive di un intervento. Questa musica languida, meditabonda, suggerisce l'idea di un lungo travaglio che giunga alla fine. Rodney asperge di clorexidina contorni della ferita e procede a una piccola medicazione. E a questo punto che subentra Henry: del bendaggio preferisce occuparsi personalmente. Rimuove uno a uno i chiodi della testiera. Prende tre grossi tamponi di garza e li appoggia di piatto sul cranio di Baxter. Intorno alla testa ne sistema altri due non ripiegati. Tenendoli tutti e cinque con la mano sinistra, incomincia ad avvolgere una lunga benda intorno al capo, che intanto sorregge poggiandoselo contro il corpo. E tecnicamente e fisicamente difficile evitare i due drenaggi e al contempo impedire alla testa di ciondolare. Quando alla fine il bendaggio è completo e sicuro, i presenti in sala, tutti i membri dell'equipe, si radunano attorno a Baxter: è il momento in cui il paziente recupera la propria identità, quando un'esigua porzione di cervello esposto con mezzi violenti torna a essere parte di una persona. Tale disvelamento del paziente segna un ritorno alla vita e, se non l'avesse visto succedere centinaia di volte in passato, Henry pensa che potrebbe scambiarlo per tenerezza. Mentre Emily e Joan sollevano delicatamente i teli chirurgici dal torace e dagli arti di Baxter, Rodney controlla che tubi, cannule e sensori restino in posizione. Gita intanto rimuove i tamponi incerottati sugli occhi del paziente. Jay stacca la coperta termica gonfiabile che avvolge le gambe di Baxter. Henry osserva dal fondo del tavolo, cullandosi la testa fra le mani. Il corpo inerme che appare in camice da ospedale risulta piccino sul tavolo. Il pensoso diminuendo degli archi sembra dedicato a Baxter soltanto. Joan copre il paziente con una coperta. Avendo cura di non agganciare le sonde extradurale e sottogaleale, rovesciano Baxter sulla schiena. Rodney sistema una testiera a ferro di cavallo imbottito al fondo del tavolo operatorio e Henry vi appoggia sopra la testa di Baxter. Jay dice: - Vuoi che lo tenga sedato per questa notte? - No, - dice Henry. - Svegliamolo adesso. L'anestesista aiuterà Baxter - semplicemente interrompendo la somministrazione di farmaci - a recuperare la respirazione, finora garantita dal ventilatore. Per monitorare il passaggio, Strauss tiene nel palmo della mano un piccolo sacco nero, detto di riserva, nel quale Baxter emetterà il fiato. Jay preferisce fidarsi del suo senso del tatto piuttosto che dell'armamentario elettronico. Perowne si sfila i guanti di lattice e, con gesto rituale, li lancia in fondo alla sala cercando di 189
centrare il bidone. Canestro: sempre un buon segno. Si toglie il camice e mette anche quello nel contenitore, poi, con la cuffia ancora in testa, attraversa il corridoio in cerca di una cartella su cui scrivere l'intervento. All'ingresso, trova i due poliziotti in attesa e comunica loro che, nel giro di dieci minuti, Baxter sarà trasferito in Terapia intensiva. Quando rientra in sala operatoria l'atmosfera è cambiata. La musica country western, secondo il gusto di Jay, ha sostituito Samuel Barber. Emmylou Harris canta Boulder to Birmingham. Emily e Joan parlano del matrimonio di una conoscente comune mentre puliscono la sala al turno di notte questo compito ingrato tocca alle strumentiste. I due anestesisti e Rodney Browne discutono di obbligazioni ipotecarie e tassi d'interesse, mentre procedono agli ultimi preparativi prima che il paziente sia trasferito in Terapia intensiva. Baxter giace tranquillo senza ancora mostrare segni di coscienza. Henry prende una sedia e comincia a compilare. Nella casella del nome, scrive: Noto come Baxter; in quella della data di nascita: Età stim. 25 ca. Il resto dei dati personali deve lasciarlo in sospeso. - Ti costringono a comprare, - Jay sta dicendo a Gita e Rodney. - È la legge del mercato. - È un auto-abbronzante spray, - dice Joan a Emily. - Non può prendere il sole perché va soggetta a carcinomi basocellulari. Adesso è tutta arancione, faccia, mani, tutto, e sabato prossimo si sposa. Le chiacchiere tranquillizzano Henry che intanto scrive veloce: «ematoma extradurale/subdurale, riparazione del seno sagittale superiore, paziente prono, testa sollevata e fissata con chiodi, ferita estesa/ritratta, lembo osseo libero...» Nel corso delle ultime due ore è stato assorbito da una specie di sogno che ha dissolto il senso del tempo e tutta la consapevolezza del resto della sua vita. Perfino quella che riguarda il suo stesso esistere. È stato introdotto in un presente assoluto, libero dal peso del passato e da qualsiasi ansia riguardo al futuro. A posteriori, anche se mai sul momento, sembra profonda felicità. E un po' come il sesso, nel senso che Henry si percepisce all'interno di una dimensione diversa, ma non altrettanto piacevole, è ovvio, e chiaramente non erotica. Tale stato mentale produce un appagamento che Henry non è mai riuscito a provare con nessuna forma di svago passivo. Libri, cinema, nemmeno la musica può portarlo a questo. In parte c'è di mezzo il lavorare con altri, ma non solo. Affinché si verifichi la dissociazione benefica sembra necessaria la difficoltà, un prolungato dispendio di concentrazione e talento, urgenza, problemi da risolvere, rischio addirittura. Si sente calmo e sovrabbondante, in possesso di tutti i requisiti del vivere. È una sensazione di luminoso svuotamento, una gioia muta e intensa. E dovuto tornare al lavoro, eppure, escludendo l'amore con Rosalind e la canzone di Theo, Henry è più felice che in qualsiasi altro momento del suo giorno libero, del suo prezioso sabato. E mentre si alza per uscire 190
dalla sala operatoria, giunge alla conclusione che in lui deve esserci qualcosa che non va. Scende di un piano in ascensore e procede nella penombra di un corridoio lustro verso il reparto di Neurologia dove si fa riconoscere dall'infermiera di turno. Entra, e si ferma fuori da una camera a quattro letti per dare un'occhiata dai vetri. Vedendo una luce accesa sopra il letto più vicino, apre piano la porta e si introduce nella stanza. È seduta eretta e sta scrivendo su un quaderno dalla copertina di plastica rosa. Henry le si siede accanto e, prima che lei abbia il tempo di chiudere il taccuino, nota che ha sostituito i puntini delle «i» con una serie di scrupolosi cuoricini. Gli rivolge un sorriso benevolo quanto assonnato. La voce di lui è poco più di un sussurro. - Non riesci a dormire ? - Mi hanno dato una pillola, ma ho troppi pensieri per la testa. - Capita anche a me, ieri notte ad esempio. Passavo di qua e ho pensato che era un buon momento per dirtelo di persona. L'operazione è andata benissimo. La carnagione scura e liscia, il bel viso rotondo e il voluminoso bendaggio di garza con cui le ha avvolto la testa ieri pomeriggio, le conferiscono un aspetto dignitoso, sepolcrale. Da regina africana. Si infila nel letto e si tira le coperte sulle spalle, come una bambina pronta all'ascolto della solita fiaba della buonanotte. Si stringe al petto il quaderno. - Sei riuscito a levare tutto come dicevi ? - È venuto via a meraviglia. Scivolato fuori. Completamente. - Com'è già quella parola che hai detto prima, su come andranno le cose ? Henry è piacevolmente sorpreso. Questo cambiamento nei modi, l'enfasi comunicativa, l'aver messo da parte il linguaggio forte da strada non si possono ascrivere soltanto a un effetto dei farmaci, o della stanchezza. La zona sulla quale è intervenuto, quella del verme, non influisce sulle funzioni emotive. - Prognosi, - le risponde. - Ecco. Allora, dottore, com'è la prognosi? - Eccellente. Possibilità di recupero totale: cento per cento. Si struscia ancora di più fra le lenzuola. - Come mi piace sentirtelo dire. Ridimmelo. Henry l'accontenta, assumendo il tono di voce più enfatico e autorevole che può. Ha deciso che qualsiasi cambiamento sia avvenuto nella vita di Andrea Chapman, si trova di certo registrato su quel quadernetto. Picchia sopra la copertina con un dito. - Di che cosa ti piace scrivere ? - È un segreto, - ribatte lei sbrigativa. Ma le si accendono gli occhi e, dalle labbra socchiuse, si direbbe sia pronta a parlare. Poi però cambia idea, le serra strette e, con uno sguardo malizioso, prende a fissare il soffitto sopra di lui. Muore dalla voglia di dirlo. 191
Henry dice: - Io sono bravissimo con i segreti. Fa parte del mestiere di un dottore. , - Non lo dici a nessuno, giusto ? - Giusto. - Giuri solennemente sulla Bibbia ? - Prometto che non lo dico a nessuno. - E questo. Pronto? Ho deciso. Voglio diventare un dottore. - Magnifico. - Un chirurgo. Del cervello. - Ancora meglio. Ma abituati a utilizzare il termine neurochirurgo per dirlo. - Va bene. Un neurochirurgo. Attenzione, un passo indietro, tutti quanti. Io farò il neurochirurgo. Non si potrà mai calcolare quante carriere mediche reali o immaginarie siano nate durante lo stordimento postoperatorio di pazienti bambini. Nel corso degli anni, a Henry Perowne è capitato più volte di essere messo a parte di tali ambizioni, ma nessuno ha mai mostrato il fuoco che ci sta mettendo Andrea adesso. È troppo eccitata per restarsene distesa sotto le coperte. Si tira su nel letto, punta il gomito sul materasso e come meglio le riesce, dato il drenaggio che ancora la ostacola, si appoggia il capo sopra la mano. Ha gli occhi bassi, e pensa a lungo prima di formulare la sua domanda. - Hai appena finito di operare ? - Si. Un tizio è caduto dalle scale e si è rotto la testa. Ma non è il paziente che le interessa. - C'era anche il dottor Browne ? - Sì. Esatto. Finalmente. Solleva lo sguardo su Henry, con un'espressione di supplichevole sincerità. Sono arrivati al cuore del segreto. - È un dottore meraviglioso, non trovi? - Oh, è bravissimo. Il migliore. Ti piace, vero? Ammutolita dall'emozione, Andrea annuisce, e lui resta a lungo in attesa. - Sei innamorata di lui. Al sentir pronunciare quelle parole sacre, lei si ritrae, poi subito gli scruta la faccia sospettando che possa prendersi gioco di lei. Lo trova di una impenetrabile serietà. Henry le dice con delicatezza: - Non credi che sia un po' troppo vecchio per te ? - Ho quattordici anni, - protesta lei. - Rodney ne ha solo trentuno. E poi... Ora è seduta eretta, sempre con il quaderno stretto a sé, felice di poter finalmente affrontare l'unico argomento che davvero le preme. - ... lui viene a sedersi dove stai tu adesso, e mi dice che se voglio fare il dottore devo mettermi a studiare sul serio eccetera e che devo smettere di 192
perdere tempo in giro e tutto quanto, e non sa nemmeno che cosa sta succedendo tra noi. E come se lui manco ci fosse. Non ne ha la minima idea. Voglio dire, lui è più vecchio di me, è già un dottore importante e tutto, ma è così ingenuo ! E qui espone i suoi piani. Quando arriverà all'apice della carriera - vale a dire tra venticinque anni, secondo i calcoli silenziosi di Henry - raggiungerà Rodney in Guyana per aiutarlo a gestire la sua clinica. Dopo altri cinque minuti sul tema di Rodney, Perowne si alza per andarsene. Quando è già sulla porta, Andrea gli chiede: - Ti ricordi, hai detto che volevi fare un video della mia operazione ? - Si. - Posso vederlo ? - Penso di si. Ma ne sei proprio sicura ? - Santo Dio. Diventerò un neurochirurgo, l'hai già scordato ? Devo assolutamente vederlo. Voglio sapere che cosa c'è dentro la mia testa. Poi dovrò farlo vedere anche a Rodney. Lasciando il reparto, Perowne fa sapere all'infermiera che Andrea è sveglia e vivace, poi prende l'ascensore, torna al terzo piano e percorre l'esteso corridoio che, costeggiando alle spalle la Neurochirurgia, lo conduce davanti all'ingresso centrale della Terapia intensiva. Immerso nella tenue penombra, procede lungo le ampie corsie di letti cui montano la guardia i vari macchinari e le luci colorate a intermittenza. Gli fanno venire in mente delle insegne al neon su una via deserta - la vasta sala possiede la quiete effimera tipica di una grande città poco prima dell'alba. Al desk trova Brian Reid, l'infermiere in servizio originario del Tyneside, occupato a compilare cartelle, e viene informato che i sintomi di Baxter sono tutti positivi, che ha ripreso conoscenza e adesso sonnecchia. Reid rivolge un significativo cenno del capo ai due agenti di polizia seduti nell'ombra accanto al letto di Baxter. Perowne aveva intenzione di tornarsene a casa subito dopo essersi rassicurato riguardo alle condizioni stabili del paziente, e prova invece l'impulso di avvicinarsi. Al suo arrivo, i poliziotti, a metà tra la noia e il sonno, si alzano e gli comunicano educatamente che resteranno in attesa nel corridoio. Baxter è sdraiato supino, le braccia lungo i fianchi, collegato a tutti i sistemi, e respira agevolmente dal naso. Nessun tremore alle mani, nota Perowne. Il sonno è l'unica tregua. Il sonno e la morte. Il bendaggio alla testa non riesce a nobilitare i tratti di Baxter come quelli di Andrea. Tra la fitta ricrescita di barba e il gonfiore violaceo sotto gli occhi, sembra un lottatore messo K.O. da un colpo assassino, o un cuoco esausto che si conceda una pennichella tra un turno di lavoro e l'altro. Il sonno gli ha rilassato la mandibola e addolcito i tratti scimmieschi del viso. La fronte ha disteso il consueto aggrottarsi contro la scandalosa ingiustizia della sua condizione per acquisire, in stato di riposo, una discreta spaziosità. 193
Perowne accosta una sedia. Una paziente chiama dal fondo della sala, forse nel sonno: un grido di acuto stupore, che si ripete tre volte. Senza girarsi, Henry registra il passaggio dell'infermiere diretto verso di lei. Perowne guarda l'ora. Le tre e mezza. Sa che dovrebbe andare, che è meglio non addormentarsi su quella sedia. Ma ormai che è arrivato fin qui, quasi per caso, tanto vale fermarsi un momento, e comunque non prenderà sonno perché è troppo agitato, troppo in balia di una serie di impulsi contraddittori. I suoi pensieri hanno assunto una qualità sinuosa, serpeggiante, guidati dalla stessa carica ondulatoria che increspa l'aria nel vasto locale, come pure il pavimento sotto la seggiola. Da questo punto di vista, le sensazioni sono diventate simili a luce - trasportate da onde, come si spiega ai corsi di fisica. Henry ha bisogno di fermarsi un attimo e, come è sua abitudine, di procedere a separarle nei loro vari componenti, i relativi quanta, nonché stabilirne le cause distali e prossimali; soltanto allora saprà come agire per il meglio. Fa scivolare la mano intorno al polso di Baxter e si mette in ascolto. E del tutto superfluo, visto che il monitor segnala la lettura in luminose cifre azzurre: sessantacinque battiti al minuto. Lo fa solo perché vuole. È stata una delle prime cose che ha imparato da studente. Semplice, una specie di contatto primario, rassicurante per il paziente - sempre che venga eseguito con autorevole competenza. Conti i battiti, lo scalpiccio attutito, per quindici secondi e moltiplichi per quattro. L'infermiere è ancora in fondo alla sala. I poliziotti in corridoio sono appena visibili attraverso un vetro delle porte a vento del reparto. Passa ben più di un quarto di minuto. In effetti, Henry tiene la mano di Baxter mentre cerca di setacciare e di fare ordine nei propri pensieri per poi decidere esattamente che cosa occorre fare. Rosalind ha lasciato una lampada accesa in camera, accanto al divano, sotto lo specchio; il dimmer è al minimo e la lampadina fa meno luce di una candela. Lei è rannicchiata sul fianco, con le coperte raccolte sullo stomaco e i cuscini sparsi sul pavimento: segnali evidenti di un sonno inquieto. Henry la osserva dai piedi del letto per circa un minuto, aspettando di vedere se l'ha disturbata entrando. Sembra più giovane: i capelli le sono ricaduti sul viso, dandole un'aria sbarazzina, sfrontata. Henry va in bagno e si spoglia nella semioscurità perché non vuole guardarsi allo specchio: la vista della sua faccia sfinita potrebbe innescare una meditazione sul tema dell'invecchiamento che gli avvelenerebbe il sonno. Si fa una doccia per sciacquare via il sudore prodotto dalla concentrazione e ogni altra traccia dell'ospedale: immagina di avere raccolto sottile polvere ossea del cranio di Baxter nei pori della fronte, perciò si insapona vigorosamente. Mentre si asciuga, nonostante la poca luce, nota che il livido sul petto è visibile e sembra essersi allargato, come una macchia su un tessuto. Però fa meno male, a toccarlo. E più simile ormai a un ricordo lontano, di mesi fa, quando ha ricevuto quel colpo e ha sentito l'onda 194
d'urto scorrergli dentro l'intero corpo. Più ancora un oltraggio che vero dolore. Forse dovrebbe accendere la luce e darsi una controllata, in effetti. Invece va in camera, senza sfilarsi l'asciugamano, e spegne la lampada. Una persiana rimasta socchiusa di qualche centimetro disegna sul pavimento e sulla parete di fronte un'asta irregolare di tenue luce bianca. Henry non si preoccupa di chiudere bene l'imposta - il buio assoluto, la deprivazione sensoriale, potrebbero mettergli in moto la testa. Meglio fissare un oggetto, e sperare di sentire le palpebre diventare pesanti. La sua stanchezza sembra già fragile, o inaffidabile, come un dolore fisico che va e viene. Ha bisogno di alimentarla, di evitare ad ogni costo i pensieri. In piedi davanti al suo lato del letto, ha un attimo di esitazione; c'è abbastanza luce per vedere che Rosalind si è accaparrata tutte le coperte, e se le tiene annodate sotto il corpo e sul petto. Tirare per liberarle vorrebbe dire svegliarla, e del resto fa troppo freddo per dormire senza. Va in bagno a prendere un paio di accappatoi pesanti da usare in sostituzione. Di sicuro Rosalind si girerà presto, e a quel punto potrà avere anche lui la sua parte. Ma, mentre si infila nel letto, la moglie gli appoggia una mano sul braccio e mormora: - Continuavo a sognare che arrivavi. Finalmente è vero. Alza le coperte e lo accoglie sotto la tenda del proprio calore. Ha la pelle bollente, quella di Henry invece è fresca. Stanno sdraiati sul fianco, faccia a faccia. Fatica quasi a vederla, ma gli occhi di lei riflettono due punti di luce bianca raccolta dalla cima dell'asta che si arrampica sulla parete alle sue spalle. Henry le cinge la vita e, mentre lei si avvicina di più, le bacia la testa. Rosalind dice: - Hai un buon odore. Lui sbruffa, in segno di vaga gratitudine. Poi c'è silenzio, mentre tutti e due esaminano la possibilità di trattare questa come un'altra qualsiasi serata difficile e di addormentarsi abbracciati. O forse sono solo in attesa di un modo per cominciare. Dopo un po', Henry dice a bassa voce: - Dimmi come ti senti -. E intanto le appoggia la mano nell'incavo del fianco. Rosalind dà in un respiro sonoro. Le ha fatto una domanda complessa. Arrabbiata, - risponde alla fine. Ma lo sussurra appena, e risulta poco convincente. Aggiunge: - E ancora terrorizzata, di loro. Mentre Henry prende a rassicurarla dicendole che non potranno mai più tornare, lei lo interrompe. - No, no. Voglio dire che mi sembra di averli qui, nella stanza. Che siano ancora qui. La paura non è passata. I ; E le sente le gambe che cominciano a tremare e allora se la stringe più vicina e la bacia sulla faccia. - Tesoro, - bisbiglia. - Scusami. Mi è capitato anche prima, quando mi sono messa a letto. Poi si è calmato. Oh Dio. Vorrei che smettesse. 195
Henry allunga le braccia e le appoggia le mani sulle gambe: il tremito sembra partire dalle ginocchia e diffondersi in spasmi brevi e secchi, come se le ossa sforzassero nelle giunture. - Sei sotto shock, - le dice massaggiandole le gambe. - Oh Dio, - continua a dire lei, senza aggiungere altro. Passano parecchi minuti prima che il tremore si plachi; Henry continua a tenerla stretta e a cullarla e a dirle che la ama. Quando alla fine è tranquilla, Rosalind parla con la solita voce assennata: Sono anche arrabbiata. Non posso farne a meno, vorrei che fosse punito. Anzi, io lo odio, lo vorrei morto. Mi hai chiesto che cosa provo, non cosa penso. Quell'essere odioso, schifoso, con quello che ha fatto a John, e costringere Daisy in quel modo, e tenermi il coltello puntato addosso, e usarlo per obbligare te ad andare di sopra. A un certo punto ho pensato di non rivederti più vivo... Si interrompe, e lui resta in attesa. Quando riprende a parlare, il tono è più deciso. Sono di nuovo distesi faccia a faccia, lui le tiene la mano, accarezzandole le dita con il pollice. - Sai quando sulla porta ti ho parlato di vendetta ? Era dei miei sentimenti che avevo paura. Ho pensato che nella tua posizione gli avrei fatto qualcosa di tremendo. Temevo che potessi avere le stesse idee anche tu e che ti mettessi in guai seri. Sono così tante le cose che vorrebbe dirle, che avrebbe voglia di discutere insieme a lei, ma questo non è il momento. Sa bene che non otterrebbe le risposte che vuole. Lo farà domani, quando Rosalind sarà meno sconvolta, prima che arrivi la polizia. Aiutandosi con le dita, lei gli trova le labbra e lo bacia. - Come è andato l'intervento? - Tutto bene. Più o meno ordinaria amministrazione. Ha perso parecchio sangue, ma l'abbiamo rimesso in sesto. Rodney è stato bravo, però forse avrebbe avuto qualche difficoltà, da solo. - Perciò questa persona, questo Baxter, se la caverà e sarà processato. Per tutta risposta Henry si limita a rivolgerle un suono nasale pressoché affermativo, senza impegno. È utile valutare i tempi adatti ad affrontare la questione: domenica mattina, un bel tazzone di caffè appena fatto, la serra inondata di luce invernale, i giornali che entrambi deplorano ma che poi sempre leggono, e mentre allunga una mano a sfiorare la sua, Rosalind solleva lo sguardo e Henry riconosce nel viso di lei la solita intelligenza ferma, pacata, pronta al perdono. Apre gli occhi nel buio, e scopre di aver dormito, forse per qualche secondo appena. Rosalind sta dicendo: - Era ubriaco fradicio, tendente al patetico, la solita storia. Non è stato facile sopportarlo, dopo tutto il resto. Ma i ragazzi sono 196
stati una meraviglia. L'hanno riaccompagnato in taxi e un medico dell'albergo gli ha controllato il naso. Henry ricorda fuggevolmente la sensazione di un viaggio attraverso la notte. Lui e Rosalind una volta hanno preso un vagone letto da Marsiglia a Parigi e, stretti vicini nella cuccetta superiore, si sono sdraiati a pancia in giù per guardare la Francia addormentata scorrere dal finestrino parlando fino all'alba. Stanotte, è la conversazione il viaggio. In questa deriva confortevole, il pensiero del suocero gli suscita soltanto affetto. Dice: - E stato magnifico, comunque. Non sono riusciti a intimidirlo. E ha detto a Daisy come comportarsi. - Ha avuto coraggio, è vero, - concorda lei. - Ma tu sei stato straordinario. Sin dal principio ho capito che stavi tramando qualcosa. Ti ho visto lanciare occhiate a Theo. Henry le prende la mano e le bacia le dita. - Nessuno di noi ha passato quello che hai passato tu. Tu, sei stata fantastica. - Tutto merito di Daisy. Ha avuto una tale forza... - E Theo? Quando si è precipitato su per le scale... Per qualche minuto, gli avvenimenti della serata assumono le tinte forti dell'avventura: un dramma di volontà incrollabili, risorse interiori, virtù impensabili rivelate dalla tensione delle circostanze. Discorsi analoghi si verificavano dopo le escursioni di famiglia sulle montagne delle West Highlands scozzesi: gli immancabili inconvenienti diventavano aneddoti interessanti, comici. Adesso, improvvisamente rianimati, si lanciano in un profluvio di lodi e, un po' per abitudine, un po' perché risulta meno assurdo che scambiarsi reciproci complimenti, si concentrano nell'esaltazione dei ragazzi. Negli ultimi due decenni, Henry e Rosalind hanno dedicato parecchie ore proprio a questa attività: quando sono soli, amano chiacchierare dei loro figli. Le loro gesta recenti scintillano nell'oscurità: quando Theo l'ha preso per la giacca, e quando Daisy l'ha fissato dritto negli occhi. Che figli fantastici, così affettuosi, che fortuna essere i loro genitori. Ma la conversazione concitata non può durare, le parole cominciano a suonare vuote di senso e irreali alle loro orecchie; Henry e Rosalind sono costretti a cedere. Non potranno evitare ancora per molto la figura di Baxter che occupa il cuore della loro angoscia: crudele, fragile, insulso, ma anche deciso a imporsi. Non solo, stanno parlando di Daisy senza far cenno alla gravidanza. Non si sentono ancora pronti, non del tutto comunque. Dopo una pausa, Henry dice: - La verità in ogni caso è una sola. La testa lo sta tradendo, e lui ha pensato di venire qui a pareggiare un po' i conti. Chissà quali fantasmi spaventosi e incontrollabili lo hanno spinto ad agire così -. Poi le racconta nel dettaglio l'incontro in University Street, compreso tutto ciò che gli pare in qualche modo rilevante: dal poliziotto che gli fa cenno di 197
passare, ai dimostranti in Gower Street con i loro sinistri tam-tam, ai suoi impulsi competitivi precedenti il confronto. Mentre le parla, la mano di Rosalind resta appoggiata sulla sua guancia. Potrebbero anche accendere la luce, ma l'intimità fiduciosa del buio li rassicura, insieme a quell'abbraccio asessuato, infantile, e alle loro parole perse dentro la notte. Un tempo facevano così Theo e Daisy, al piano di sopra con gli amichetti rimasti a dormire: bisbigli che andavano avanti fino alle tre del mattino, cedendo al sonno ogni tanto, per poi riprendere stoicamente. Quando Henry aveva dieci anni, una cugina di nove era venuta a stare un mese da loro, mentre sua madre era in ospedale. Dal momento che in camera di Henry c'era un letto a due piazze e che quello era l'unico posto, la madre l'aveva sistemata con lui. Durante il giorno i due cugini si ignoravano: Mona era grassoccia, portava gli occhiali spessi, le mancava un dito in una mano e, soprattutto, era femmina. Ma la prima sera, un sussurro disincarnato proveniente dal mucchietto caldo sull'altro lato del letto prese a tessere il racconto epico della visita scolastica alla fabbrica di dolciumi e della cascata di cioccolatini lungo uno scivolo, e di quel macchinario che girava talmente veloce da sembrare fermo, e poi del taglio netto, senza dolore, e dello spruzzo di sangue leggero come «un piumino per la polvere» che andò a schizzare la giacca della maestra, dei compagni svenuti e del caposquadra carponi a terra accanto alla macchina, a caccia del «pezzo» mancante. Impressionato, Henry non trovò di meglio di un semplice foruncolo inciso, per ricambiare, ma Mona apprezzò con animo sportivo e così partirono a razzo indietro nel tempo delle loro brevi esistenze e, con l'aiuto di un po' d'immaginazione, rimediarono aneddoti dell'orrore sufficienti fino all'alba di quel mattino d'estate, nonché, su temi diversi, per altre notti a venire. Quando Henry ha concluso il racconto della lite in strada, Rosalind dice: - Non è stato di certo un abuso di potere. C'era il rischio che ti ammazzassero. Non era questa la conclusione alla quale intendeva arrivare: aveva articolato i dettagli in modo tale da condurla in una direzione diversa. E sul punto di riprovarci, ma Rosalind parte con una sua storia adesso. È nella natura stessa di questi viaggi notturni: i passaggi, le sequenze non rispettano la logica. - Mentre ti aspettavo stasera, prima di addormentarmi, ho cercato di calcolare più o meno per quanto tempo mi aveva tenuto il coltello alla gola. Nel mio ricordo è un tempo inesistente, il che non significa che mi sembri poco. Non è tempo, è fuori del tempo, né un minuto né un'ora. Un semplice dato di fatto... Tornandoci sopra con la memoria, le riprende il tremore, ma questa volta è più debole, e di li a poco si spegne. Henry le tiene stretta la mano. ad, - Mi sono chiesta se fosse perché sentivo dentro una cosa sola, terrore puro, costante, in assenza di tempo. Ma non è nemmeno così. Perché provavo altre cose, invece. Si interrompe a lungo. Non potendo interpretare la sua espressione, Henry è 198
riluttante a incalzarla. Alla fine dice: - Quali altre cose? La voce di Rosalind è più pensosa che affaticata. - Sentivo te. C'eri tu. L'unica altra volta in vita mia in cui ho avuto tanta paura e mi sono sentita così impotente è stato prima dell'operazione, quando ancora credevo che sarei diventata cieca. Quando sei sceso ad aspettare con me. Eri talmente impacciato e solerte. Le maniche del camice ti arrivavano si e no sotto il gomito. Mi dico sempre che è stato allora che mi sono innamorata di te. Credo sia vero. A volte invece mi pare di essermelo inventato, e che sia successo dopo. E poi questa sera, un terrore ancora più grande, e tu eri di nuovo li, a cercare di parlarmi con gli occhi. Ancora li. Dopo tutti questi anni. E a questo che mi sono sempre aggrappata. A te. Henry sente le dita di lei accarezzargli la faccia, poi arriva un bacio. Non più tanto infantile, le loro lingue si incontrano. - Però è stata Daisy a salvarti. Gli ha sconvolto l'umore con quella poesia. Arnold come già? - Matthew Arnold. Gli torna in mente il suo corpo, bianchissimo, il gonfiore compatto che ospita suo nipote, già dotato di un cuore, un sistema nervoso in via di sviluppo, il minuscolo cervello in crescita: ecco che cosa sa autonomamente diventare, nel buio assoluto di un utero, un grumo di materia. Intuendo il significato del suo silenzio, Rosalind dice: - Le ho parlato di nuovo. E innamorata, è felice, lo vuole, questo bambino. Henry, dobbiamo esserle vicini. - Lo sono, - risponde lui. - Lo siamo. Ha gli occhi chiusi e ascolta Rosalind con attenzione. La vita del bambino incomincia a prendere forma: un anno a Parigi con i suoi innamoratissimi genitori, e poi a Londra, dove al padre è stato offerto un incarico presso uno scavo importante: una villa romana a est della City. Potrebbero trasferirsi tutti qui per un po' e vivere insieme sulla piazza. Henry mormora brevi cenni di approvazione, è contento: la casa è grande, più di duecentocinquanta metri quadrati, e vi si sente il bisogno della voce di un bambino nuovo. Henry percepisce il proprio corpo, vasto come un continente, distendersi a occupare le profondità del letto: è un re, smisurato, magnanimo, invulnerabile, darà il proprio assenso a qualsiasi progetto al cuore del quale si trovino affetto e benevolenza. Il bambino imparerà a camminare e pronuncerà la sua prima frase qui dentro, in questo palazzo, è deciso. Daisy vuole suo figlio, e dunque che accada nel migliore dei modi possibili. Se era destino che diventasse un poeta, trarrà spunto da questo per i suoi scritti: nemmeno una schiera di amanti può competere con un argomento del genere. Henry non riesce a spostare la testa, può a stento usare una mano per accarezzare Rosalind che intanto gli sta srotolando dinanzi il futuro, la sistemazione 199
domestica - e lui la segue intensamente, assaporando la gioia della sua voce. Il primo shock è passato. Rosalind si sta riprendendo. Anche Theo ha comunicato le proprie intenzioni: dovrebbe trasferirsi per quindici mesi a New York con i New Blue Rider, ospiti fissi di un locale dell'East Village. È giusto così, la musica di Theo ne ha bisogno e loro due gli daranno una mano, lo aiuteranno a trovare casa, lo andranno a trovare. Il re brontola il proprio consenso. Dal fondo della piazza, l'urlo di un'ambulanza che sfreccia diretta a sud lungo Charlotte Street lo scuote per un istante. Si appoggia sul gomito e, avvicinandosi, fa in modo di avere la faccia sopra quella di lei. - Sarà meglio dormire. - Si. La polizia ha detto che saranno qui per le dieci. Ma quando hanno finito di baciarsi, le dice: - Toccami. Mentre la sensazione di dolcezza gli si diffonde nel collo, sente Rosalind mormorare: - Dimmi che sei mio. - Sono tuo. Assolutamente. - Toccami il seno. Con la lingua.. - Rosalind. Ti voglio. é E questo che segna secondo Henry la conclusione del giorno. Un momento più acuto, più intenso del pigro inizio affettuoso del sabato - si muovono rapidi, smaniosi, più in preda a un'urgenza che a un senso di gioia: è come se avessero fatto ritorno dopo un esilio, come fossero emersi da un rigido regime carcerario per avventarsi su un lauto banchetto. Le loro voglie sono prepotenti, i loro modi impetuosi. Non possono far troppo conto sulla buona sorte, meglio prendere subito tutto il possibile. Sanno anche che dopo, quando avranno ribadito la reciproca appartenenza, li aspetta la promessa dell'oblio. A un certo punto lei gli sussurra: - Tesoro mio. Potevano ucciderci e invece siamo vivi. E sono vivi infatti per fare l'amore, ma non a lungo. La fine arriva improvvisa, con una concentrazione tale di piacere da essere tollerabile a stento, violenta e invasiva come la sensazione di un nervo scoperto. Non si separano immediatamente. Restano fermi nel buio, in ascolto dei loro cuori sempre più lenti. Henry sente il proprio sfinimento e l'abbandono improvviso che segue l'atto sessuale unirsi in un fenomeno unico, spianato e arido come un deserto. Deve mettersi in cammino subito, e da solo, ma non gli dispiace. Finalmente si danno la buonanotte stringendosi appena le mani loro sensi sono ancora troppo acuiti per i baci -, poi Rosalind si gira sul fianco e, nel giro di pochi secondi, respira profondamente. Per Henry Perowne invece l'oblio non arriva ancora: può darsi che abbia raggiunto lo stadio in cui è la stanchezza stessa a ostacolare il sonno. Giace supino, in paziente attesa, la testa rivolta verso la sbarra di luce bianca sulla parete, consapevole di una fastidiosa pressione crescente al livello della vescica. Dopo svariati minuti prende da terra uno degli accappatoi e va in bagno. Il marmo del pavimento è gelido sotto i piedi, le tende aperte su una delle vetrate che affacciano a nord rivelano qualche stella in un cielo a brandelli di nubi tinte di arancio. Sono le cinque e un quarto, e già si sente 200
il fruscio del traffico su Euston Road. Dopo essersi liberato la vescica, si china sopra il lavabo e beve a lungo dal rubinetto dell'acqua fredda. Di ritorno in camera, sente in lontananza il rombo di un aeroplano, probabilmente il primo che annuncia l'ora di punta su Heathrow e, attratto da quello strepito, si dirige alla stessa finestra di molte ore prima e apre le imposte. Preferisce starsene qui ancora qualche minuto a guardare fuori, piuttosto che costringersi immobile a letto, in attesa del sonno. Senza far rumore, solleva il vetro della finestra. L'aria è meno gelida dell'altra volta, ma lo fa rabbrividire comunque. Anche la luce è più morbida, come pure i contorni della piazza, specie i rami dei platani nel giardino pubblico, che appaiono meno nitidi, un po' più indistinti. Chissà in base a quale fenomeno fisico le temperature basse rendono tanto precisi i profili degli oggetti... Le panchine hanno perso l'aria di aspettare qualcuno, i cestini dell'immondizia sono stati svuotati, le strade spazzate. L'energica squadra in giubbotto giallo deve averci dato dentro per tutta la notte. Henry si sforza di trovare una fonte di rassicurazione in tanto ordine, e nel ricordo della piazza al meglio di sé all'ora di pranzo di un giorno feriale, nella bella stagione, quando frotte di impiegati della zona, provenienti da società di produzione, agenzie pubblicitarie e studi di progettazione, arrivano con i loro panini e le insalate già pronte e i cancelli del parco rimangono aperti. Ciondolano sui prati in gruppetti pacifici, uomini e donne di tutte le razze, perlopiù intorno ai venti, trent'anni, gente sicura, allegra, libera, in forma, grazie al buon esercizio fisico, perfettamente a proprio agio nella metropoli. Così diversi dai vari individui spezzati che infestano quelle panchine. Il lavoro è il segnale evidente. Non può essere solo questione di classe sociale o di opportunità: alcolizzati e tossici provengono da famiglie di tutti i tipi, non meno degli impiegati. Alcuni dei peggiori relitti umani hanno frequentato prestigiose scuole private. Perowne, riduzionista per professione, non può impedirsi di ritenere che ci siano di mezzo invisibili pieghe e capricci caratteriali, inscritti in codice a livello molecolare. È un amaro destino, essere il tipo di persona incapace di guadagnarsi da vivere, o di resistere a quel bicchiere di troppo, o di ricordarsi oggi l'impegno assunto ieri. Nessun livello di giustizia sociale basterà a sgominare questo esercito di perdigiorno che assedia i luoghi pubblici di ogni centro abitato. E allora, che fare ? Henry si stringe addosso l'accappatoio. Bisogna guardare in faccia la sorte avversa, se capita, e mettersi al riparo da individui del genere. Certi è possibile liberarli dalle specifiche dipendenze, per gli altri non resta che sforzarsi di trovare soluzioni che in qualche modo riducano al minimo il loro disagio. In qualche modo. Non è mai stato un sociologo e, ovviamente, sta pensando a Baxter, a quell'irredimibile nodo di sofferenza. Forse è il ricordo di lui a far 201
sentire Henry così malfermo, o forse gli effetti fisici della stanchezza, sta di fatto che deve appoggiarsi al davanzale per recuperare l'equilibrio. Si sente girare su un'immensa ruota, tipo quella del London Eye sulla sponda meridionale del Tamigi, e gli pare di essere quasi arrivato in vetta - è immobile per un istante su un cardine di percezioni, l'attimo prima della discesa - e riesce a guardare avanti con serenità. O forse quella di cui fantastica è la rotazione della terra, che, muovendo verso est, lo trasporta ai confini dell'alba alla solenne velocità di un migliaio di miglia all'ora. Se prende il sonno come spartiacque dei giorni anziché affidarsi all'orologio, allora questo che adesso precipita sotto di lui, in fondo agli abissi di un intero ciclo di vita, è ancora il suo sabato. E da qui, dalla vetta più alta della giornata, Henry è in grado di vedere lontano, prima che la discesa abbia inizio. Nessuna domenica contiene la stessa promessa né l'energia del giorno che la precede. La piazza sottostante, immota e deserta, non offre indizi sul domani. Eppure dal punto in cui si trova, Henry vede e conosce cose destinate a verificarsi. Presto scoccherà l'ora di sua madre; dalla casa di cura giungerà l'annuncio, forse la convocazione, e lui, insieme al resto della famiglia, si troverà seduto accanto al suo letto, nella minuscola stanza, con tutte le sue suppellettili, a bere tè carico come morchia, e a guardare quello che resta di lei, il guscio vuoto della nuotatrice di un tempo, rattrappito in mezzo ai guanciali. Al pensiero, Henry non prova nulla attualmente, ma sa che il dolore lo coglierà di sorpresa, perché è già successo una volta. C'è stata una fase nel suo declino che l'ha costretto alla fine a trasferirla da casa, la vecchia casa in cui è cresciuto, e a ricoverarla in clinica. La malattia a poco a poco estingueva quelle sue consuetudini domestiche alle quali era sempre stata fedele. Lily lasciava il forno acceso tutta la notte, con dentro il piattino del burro; nascondeva a se stessa le chiavi di casa dentro una crepa tra le assi del pavimento, scambiava il flacone dello shampoo con la bottiglia della candeggina. Cose del genere, insieme a episodi di spaesamento esistenziale, quando si ritrovava per strada o dentro un negozio o in casa di qualcuno, senza avere la minima idea di come ci fosse arrivata, chi fossero quelle persone, quale fosse il suo stesso indirizzo né che cosa dovesse fare subito dopo. Nel giro di un anno aveva dimenticato la propria vita e la vecchia casa. Ma prendere accordi per venderla gli sapeva comunque di tradimento, perciò Henry esitava. Di tanto in tanto con Rosalind faceva un salto all'abitazione che lo aveva visto bambino, dava un'occhiata, e d'estate tagliava l'erba del prato. Ogni cosa rimase al suo posto, in attesa: i guanti gialli di gomma appesi ad asciugare con la molletta di legno, il cassetto di canovacci e salviette stirati, il lucido asinello di ceramica con la sua soma di stuzzicadenti. L'odore di rancido dell'abbandono cominciò ad addensarsi, dentro le cose di lei si insinuò un velo di incuria che non aveva nulla a che vedere con la polvere. Già dalla via, la casa aveva un'aria avvilita e quando, 202
un pomeriggio di novembre, una banda di ragazzini sfondò con un sasso la finestra del soggiorno, Henry seppe che era venuto il momento di agire. Rosalind e i ragazzi lo accompagnarono a svuotare la casa un weekend. Ciascuno si scelse un ricordo: pareva irrispettoso non farlo. Daisy si prese un piatto d'ottone acquistato in Egitto; Theo una sveglia da viaggio; Rosalind una semplice fruttiera di porcellana. Henry si portò via una scatola da scarpe piena di fotografie. Altri oggetti furono destinati a vari nipoti di entrambi i sessi. Del letto di Lily e della credenza, insieme a due guardaroba, ai tappeti e a una cassettiera, si sarebbe occupata un'impresa di sgombero. La famiglia imballò vestiti, stoviglie e soprammobili indesiderati da consegnare a diversi negozi di opere pie: Henry non si era mai reso conto di come tali istituzioni sopravvivano di fatto alle spalle dei morti. Tutto il resto lo stiparono in grossi sacchi neri da mettere fuori per la raccolta dell'immondizia. Lavorarono in silenzio, come rapinatori: tenere la radio accesa pareva indecoroso. Ci volle un giorno per smantellare la vita di Lily. Senza aver chiesto il permesso agli attori, stavano ritirando gli arredi di scena di uno spettacolo, un semplice dramma domestico che non prevedeva repliche. Cominciarono da quella che Lily chiamava la stanza del cucito, l'ex camera da letto di Henry. Non ci sarebbe mai più tornata, neanche sapeva più che cosa volesse dire fare la maglia, eppure incartare il suo fascio di ferri da calza, i suoi mille cartamodelli, lo scialle giallo da neonato rimasto a metà, e consegnare il tutto a degli sconosciuti, aveva il sapore di una condanna all'esilio dai vivi. Lavorarono in fretta, quasi in preda a una smania. Non è ancora morta, continuava a ripetersi Henry. Ma la sua vita, come qualsiasi vita del resto, gli appariva inconsistente, constatando con quanta rapidità, con quale disinvoltura, tutte le suppellettili, ogni minimo dettaglio di un'intera esistenza potessero finire imballati, distribuiti, buttati via. Gli oggetti si trasformavano in spazzatura non appena venivano separati dal loro legittimo proprietario e dal loro passato; senza di lei, il suo vecchio copriteiera era orrendo, con quel disegno sbiadito della fattoria, le chiazze marrone chiaro sul tessuto scadente e l'imbottitura ormai penosamente sottile. Man mano che si svuotavano mensole e cassetti e si riempivano scatoloni e sacchi, Henry si accorse che in realtà nessuno possiede niente. Si riduce tutto a un noleggio, o a un prestito. Le nostre cose ci sopravviveranno, saremo noi a lasciarle, alla fine. Lavorarono tutto il giorno, e allinearono fuori ventitre sacchi per i netturbini. Henry si sente gracile e scarno dentro l'accappatoio, di fronte al mattino che ancora resiste alla luce, che è ancora un avanzo di ieri. Esatto, succederà, e lui prenderà gli accordi del caso. Una volta Lily si era fatta accompagnare in un cimitero della zona per mostrargli la fila di piccoli loculi metallici incassati nel muro dove voleva fossero sistemate le sue ceneri. Tutto questo deve accadere e loro saranno li intorno, a testa bassa, ad ascoltare la 203
Sepoltura dei Morti. Chissà poi se la recitano anche a chi sceglie la cremazione ? Ogni uomo partorito da donna non ha che un breve cammino di vita... L'ha udita spesso nel corso degli anni, ma ne ricorda solo frammenti. Ciascuno svanisce come fosse un'ombra... come un fiore reciso dal proprio stelo. Già, e poi verrà il turno di John Grammaticus: uno di quei mali devastanti che affliggono i bevitori, oppure uno strappo definitivo del cuore, del cervello. In modo diverso sarà un colpo duro per tutti, sebbene un po' meno forte per Henry. Il vecchio poeta è stato eroico stasera, a fingere che il naso non gli facesse male, a suggerire a Daisy la mossa vincente. E quando accadrà, si scatenerà di certo la crisi per lo château, qualora Teresa dovesse sposare John e accampare pretese, e Rosalind, formidabile in fatto di legge, si batterà per ottenere la casa allestita da sua madre, quella in cui Daisy, Theo e Rosalind stessa hanno trascorso le vacanze da piccoli. E il ruolo di Henry? Una lealtà saggia e implacabile. Che altro ancora, oltre alle morti ? Theo se ne andrà per la prima volta da casa: non arriveranno lettere, né cartoline né e-mail, solo telefonate. Si farà qualche viaggio a New York per ascoltare lui e il suo gruppo offrire il proprio blues a orecchie americane, che potrebbero non apprezzarlo, e per cogliere l'occasione di rivedere qualche vecchio amico dei tempi del Bellevue Hospital. E Daisy pubblicherà le sue poesie, metterà al mondo un bambino, porterà a casa Giulio -Henry torna a vedere l'amante dal petto nudo e la carnagione olivastra immaginato durante la sua lettura deviata della lirica. Un bambino con il suo immenso armamentario ravviverà l'atmosfera in famiglia, e questa volta sarà qualcun altro, non lui, e nemmeno Rosalind, ad alzarsi di notte. E nemmeno Giulio, a meno che non sia un italiano molto speciale. Tutto questo è tantissimo. Poi, Henry compirà cinquant'anni e smetterà di giocare a squash e di partecipare alle maratone; la casa sembrerà vuota quando Daisy e Giulio si troveranno una sistemazione, così farà Theo, e lui e Rosalind dovranno bastare a se stessi, aggrapparsi l'uno all'altra una volta che il loro compito di allevare due figli e sostenere due giovani adulti sarà concluso. Quell'inquietudine, quella smania che di recente ha provato al pensiero di una vita diversa si spegnerà. Comincerà a operare di meno e a occuparsi di più di amministrazione eccola, la vita diversa - e Rosalind lascerà il giornale per scrivere il suo libro, e a un certo punto scopriranno di non avere più abbastanza energia per la piazza, i tossici, il baccano e l'inquinamento del traffico. Magari a stanare loro e gli altri deboli di cuore sarà un ordigno installato per la causa della jihad, che li spingerà verso la periferia, o perfino in aperta campagna, o allo château, e il loro sabato cederà il posto alla domenica. Dietro di lui, quasi registrasse l'agitazione dei suoi pensieri, Rosalind serra le palpebre, geme, si muove prima di recuperare la quiete e lasciarlo tornare ad affacciarsi. Londra, la sua modesta porzione di città, gli si spalanca dinanzi, 204
indifendibile, in attesa della sua bomba, come centinaia di altre metropoli. L'ora di punta è il momento adatto. Potrebbe assomigliare al disastro di Paddington: rotaie contorte, sedili di seconda classe deformati e divelti, barelle fatte passare dai vetri infranti dei finestrini, il Piano di Emergenza dell'ospedale in funzione. Berlino, Parigi, Lisbona. Le autorità sono concordi, un nuovo attacco è inevitabile. I tempi in cui vive Henry sono diversi: il fatto che lo sostengano i giornali non significa che non sia vero. Ma dalla vetta del giorno, è questo il futuro più arduo da leggere, un orizzonte indistinto affollato di ipotesi. Cent'anni orsono, un medico di mezza età affacciato in vestaglia di seta alla stessa finestra, con meno di due ore a separarlo da un'alba d'inverno, avrebbe potuto riflettere sul futuro del secolo nuovo. Febbraio 1903. A questo gentiluomo edoardiano ci sarebbe da invidiare tutto quello che ancora non sapeva. Se aveva figli giovani, poteva perderli nel giro di una dozzina d'anni, alla Somme. E a quanto ammontava il conteggio dei corpi, Hitler, Stalin, Mao? Cinquanta, cento milioni? A chi gli avesse descritto l'inferno a venire, o lo avesse messo in guardia, il buon dottore - gioviale figlio della prosperità e di decenni di pace - non avrebbe creduto. Dio ci scampi dagli utopisti, uomini pieni di zelo e sicuri del cammino verso l'ordine sociale perfetto. Eccoli di nuovo, totalitaristi sotto altre spoglie, innocui e isolati adesso, ma in costante crescita e pieni di rabbia e smaniosi di un ennesimo bagno di sangue. Un centinaio d'anni da risolvere. Ma può anche darsi che sia tutta un'idea, un'assurda, ingigantita fantasticheria, un pensiero notturno scaturito da un turbamento passeggero che tempo e buonsenso sapranno ridimensionare. Il terreno prossimo, il promontorio vicino, risultano più facili da prevedere: non meno sicura della morte di sua madre, verrà la cena con il professor Taleb in un ristorante iracheno nei pressi di Hoxton. La guerra comincerà nel giro di un mese, la data esatta deve già essere stata decisa, come per qualsiasi grande evento sportivo all'aperto. Più avanti nella stagione farà troppo caldo per ammazzare come per liberare popolazioni. Baghdad aspetta le sue bombe. Dov'è finita la voglia di Henry di eliminare un tiranno ? Alla fine di questa giornata, di questa serata particolare, si sente insicuro, vulnerabile, continua a stringersi addosso l'accappatoio. Un altro aereo attraversa da sinistra a destra il suo campo visivo, percorrendo la solita rotta lungo il Tamigi, diretto a Heathrow. Un po' più faticoso ora il ricordo, un po' più esile la capacità di abitare di nuovo con lo stesso vigore il battibecco con Daisy; le certezze si sono dissolte in istanze opinabili: che quello descritto dal professore sia un mondo invivibile e che, per quanto sporche siano le ragioni degli americani, il proposito di smantellarlo potrebbe risolversi in un bene durevole e in un numero inferiore di morti. Il condizionale, sente Daisy ribattere, non è abbastanza e tu hai permesso alla storia privata di un singolo uomo di farti cambiare opinione. Una donna che 205
aspetta un bambino ha una sua speciale autorevolezza. Henry recupererà le speranze per un'azione decisa domani mattina ? In questo momento ha solo paura. E inerme e ignorante, spaventato dal modo in cui le conseguenze di un atto possano sfuggire al nostro controllo e generare altri eventi, ulteriori conseguenze fino a trascinarci in situazioni che mai ci saremmo sognati di scegliere: un coltello puntato alla gola. Un piano sotto al reparto dove Andrea Chapman sogna di essere trasportata lontano dall'improbabile amore di un giovane medico e di diventare un chirurgo a sua volta, riposa Baxter nella sua tenebra personale, guardato a vista dai poliziotti. Ma un piccolo punto fermo che ancora rinsalda la convinzione di Henry esiste. Ha cominciato a delinearsi durante la cena, prima che Jay chiamasse, per diventare definitivo mentre, seduto in Terapia intensiva, prendeva il polso a Baxter. Deve convincere Rosalind e il resto della famiglia, e poi anche la polizia, a non procedere con la denuncia. La faccenda deve finire qui. Che se la prendano con l'altro uomo. A Baxter rimane una fetta sempre più esigua di vita decente da vivere, prima che inizi la sua discesa nelle allucinazioni da incubo. Henry può parlare con un paio di colleghi, specialisti in materia, affinché testimonino davanti al pubblico ministero che a tempo debito Baxter non sarà in grado di sostenere un processo. Il che può essere vero, come può non esserlo. Poi toccherà al sistema, all'ospedale adatto, ricoverarlo prima che possa fare altri danni. Può occuparsene Henry, facendo del proprio meglio per garantire al paziente un po' di sollievo, in un certo senso. Cos'è questo, perdono? Probabilmente no, non ne è sicuro, e comunque non è lui a concederlo. Che lo stia invocando, piuttosto ? Henry è responsabile, dopotutto: venti ore fa ha attraversato una via chiusa al traffico e messo in moto una serie di avvenimenti. O forse potrebbe essere debolezza: superata una certa età, quando per la prima volta gli anni che restano cessano di apparire infiniti, allora cominci a provare il tuo primo brivido, a guardare un morente con interesse più acuto e fraterno. Ma Henry preferisce credere che si tratti di senso pratico: prendersela con un uomo già incamminato verso l'inferno potrà soltanto umiliare anche loro. Salvandogli la vita in sala operatoria, Henry ha anche condannato Baxter al suo tormento. E sufficiente come vendetta. Ecco, questo è l'unico campo nel quale Henry può esercitare una certa autorità e influire su quanto accade. Sa come funziona il sistema: il divario tra una buona e una cattiva assistenza è pressoché infinito. Recitando una poesia, Daisy ha incantato un uomo. Forse avrebbe funzionato una cosa qualunque, per azionare l'interruttore di un cambiamento di stato d'animo. Sta di fatto che Baxter ha ceduto alla magia, ne è stato trafitto e si è ricordato di quanto desideri vivere. Nessuno può perdonargli l'uso del coltello. Ma Baxter ha colto quello che Henry, a dispetto di tutti gli sforzi di Daisy per educarlo, non è ancora riuscito a sentire e forse non sentirà mai. Un certo poeta del diciannovesimo secolo - Henry deve tuttora scoprire se Arnold sia un 206
autore illustre o uno sconosciuto - ha rianimato in lui uno struggimento che non saprebbe neanche provare a definire. In quell'anelito c'è la rivendicazione di Baxter del diritto a un'esistenza mentale, e poiché questa non durerà molto a lungo, poiché la porta della coscienza sta cominciando a chiudersi, non è giusto che debba combattere la sua battaglia da una prigione, in attesa che l'assurdità del processo abbia inizio. Questo è il suo misero destino segnato, registrare lo slittamento infinitesimale, il semplice errore di ripetizione a livello di codici del suo essere, del suo genotipo, moderna variante dell'anima, e ritrovarsi costretto al declino - altra certezza che Henry ha ben chiara davanti a sé. Senza fare rumore, abbassa il vetro della finestra. Il mattino è ancora buio, e questa è l'ora più fredda. L'alba non arriverà che dopo le sette. Tre infermiere attraversano la piazza chiacchierando animatamente, dirette verso il suo ospedale, dove prenderanno servizio per il primo turno. Henry chiude le imposte sulla loro immagine, poi raggiunge il letto e si lascia cadere ai piedi l'accappatoio, mentre si infila tra le coperte. Rosalind gli dà le spalle, con le ginocchia raccolte al petto. Henry chiude gli occhi. Questa volta non sarà difficile sprofondare nell'oblio, non c'è niente che possa fermarlo. Il sonno ha cessato di essere un'astrazione per diventare una cosa concreta, un antico mezzo di trasporto, un lento tapis roulant che lo trasferirà dentro la domenica. Si accomoda intorno a lei, al suo pigiama di seta, al profumo, al calore, a quel suo corpo adorato, e le si fa più vicino. Nel buio, le bacia la nuca. C'è sempre questo, ecco un pensiero tra i pochi rimasti. Poi sarà: c'è solo questo. E alla fine, in caduta, lieve: questo giorno è passato.
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