Russkaja Dushà - Anima Russa. Guida per conoscere ed amare Russi ed Ucraini [PDF]

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Pietro Frè

Russkaja Dushà Anima Russa Guida per conoscer e ed amar e russi ed ucraini

Simonelli electr onic Book

SeBook Simonelli electronic Book «Russkaja Dushà» di Pietro Frè ISBN 978-88-7647-305-0 in vendita su http://www.eBooksItalia.com © Copyright Simonelli Editore srl Sede Legale e Direzione Operativa Via Statuto 10 - 20121 MILANO tel. 0229010507 - e-mail: [email protected] www.simonel.com - www.simonellieditore.com www.simonellieditore.it - www.simonellieditore.eu www.ebooksitalia.com - www.ebooksitalia.it -

Pietro Frè

RUSSKAJA DUSHÀ Guida per conoscere ed amare russi ed ucraini

ANIMA RUSSA

SeBook Simonelli electronic Book

Prefazione Questo libro non è un trattato di storia russa e neppure un saggio politico. Non è una descrizione sistematica di tipo antropologico della Nazione Russa. Non è un diario di viaggio e neppure una guida geografico-turistica. Non è un’opera narrativa e non è un saggio di costume od uno zibaldone filosofico. Questo libro non è nessuna di tali cose, ma vorrebbe essere un poco di ciascuna di esse. Lo scopo è una provocazione: guidare il lettore ad amare Russi ed Ucraini, indissolubilmente legati dalla Storia, conoscendoli ed essendo stimolato ad approfondirne la conoscenza. L’attenzione è focalizzata su due città, Kiev e Mosca nelle quali, chi vorrà seguirmi in questa avventura, riconoscerà forse i due termini di un inscindibile binomio. Come vei SeBook - i Simonelli electronic Book 4

dremo, la complessa storia della Russia e dei suoi popoli ha avuto inizio e si è dipanata nel grande bacino idrografico che costituì la Via dai Variaghi ai Greci. Seguendo a ritroso questa direttrice che non è solo geografica, ma storica e culturale, questo saggio si vuole configurare come un viaggio ideale dentro la realtà russo-ucraina, articolato in tappe dalla Crimea fino a Mosca, attraverso Kiev ed altri luoghi. I luoghi portano memoria dei fatti che vi sono accaduti e questi pesano sugli atteggiamenti, sulle abitudini, sui sentimenti e sulle tradizioni culturali delle genti che colà vivono o da essi emigrano. Elementi storici, descrizioni di monumenti e di paesaggi, sensazioni ed impressioni da essi suscitati, descrizione di ambienti, aspetti dei costumi, della cucina e della lingua, rievocazioni dalla letteratura, aspetti della società coni SeBook - i Simonelli electronic Book 5

temporanea, riflessi anche nel cinema, si alterneranno nelle tappe di questo viaggio in maniera solo apparentemente casuale. Il filo logico che unisce le varie tappe è il tentativo dell’autore di presentare al lettore un quadro d’insieme, allo stesso tempo informativo ed evocativo di un popolo e della sua realtà, nella rappresentazione che egli stesso se ne è fatto attraverso il proprio approfondito contatto personale con tale realtà. Non vi è da parte dell’autore l’ambizione a convincere, soltanto quella di suggerire e stimolare la riflessione, unendo alle proprie impressioni personali una quantità di informazioni che è ottenibile da molte diverse fonti, ma raramente riunita nella particolare miscela offerta del presente Saggio. Non si può amare senza conoscere, ma non vi è processo conoscitivo vero delle rei SeBook - i Simonelli electronic Book 6

altà umane che possa essere completamente scevro da coinvolgimenti emotivi. Le emozioni dell’autore traspariranno nella sua esposizione dei fatti e nelle sue descrizioni. Per esse egli chiede la benevolenza del lettore, ma non se ne scusa, poichè formano parte integrante di questo Saggio, che è provocatorio per le tesi sostenute ed appassionato per i sentimenti di affetto che la cultura, la storia ma soprattutto le genti russo-ucraine ispirano a chi scrive. Pietro Frè Torino, Giugno 2008

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Quest’opera è dedicata alla compagna della mia vita Zhenja, con la speranza che nella lettura delle mie pagine ella ritrovi l’influenza che il mio amore per lei ha avuto nel farmi amare la cultura e la storia del suo popolo. Un ringraziamento speciale ed un pensiero costante va poi alla Voce che mi Ascolta, cioè a Franca che con il suo sincero e materno affetto e con la lucidità delle sue analisi intellettuali mi ha costantemente seguito nella stesura di questo testo, dandomi suggerimenti di insostituibile valore ed incessante sostegno morale in tempi difficili. Un ulteriore ringraziamento vorrei poi esprimere alla mia insegnante di lingua russa, i SeBook - i Simonelli electronic Book 8

Lara, che con la sua grande cultura e con le sue sempre acute osservazioni e spiegazioni mi ha fornito innumerevoli spunti di riflessione ed approfondimento. Vorrei poi esprimere la mia gratitudine al mio amico e collega Prof. Guido Piragino, che ha avuto la pazienza di leggere queste mie pagine prima della pubblicazione, correggendo alcuni miei errori, riempiendo alcune mie imperdonabili lacune e dandomi preziosi e graditissimi consigli.

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Indice

1. Amor che a nullo amato amar perdona... 1.1 L’amore per l’Italia e nel sangue dei Russi 1.2 La Russia nell’immaginario collettivo italiano 1.3 Ius sanguinis, Ius soli, Ius civium 1.4 Russia ed Ucraina: inevitabilmente unite nella storia

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2. Yalta 2.1 I Tre Grandi 2.2 Storia di Yalta 2.3 Il Sanatorio 2.4 Il taxi marshrut e la città 3. Le Porte d’Oro di Kiev 3.1 Le Porte d’Oro 3.2 La questione normanna 3.3 La formazione della Russia di Kiev i SeBook - i Simonelli electronic Book 11

3.4 La Principessa Olga 3.5 Bisanzio e la Rus’: un incontro fatale 3.5.1 Dal De Administrando Imperio: Dei Peceneghi e dei Rus’i 3.5.2 Dal De Administrando Imperio: Della discesa dei Rus’i in monoxyla 3.5.3 Di cosa stava dietro alle parole di Costantino VII 3.6 Il Principe Svjatoslav, Niceforo II e Giovanni Zimisce

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3.7 Anna Porfirogenita, Vladimiro I e la Croce 3.7.1 Il debutto di Vladimir 3.7.2 Il debutto di Basilio II e la rivolta di Barda Sclero 3.7.3 I due Barda descritti da Michele Psello 3.7.4 La caduta dell’eunuco Basilio e la rinascita della Bulgaria sotto Simeone 3.7.5 La rivolta dei due Barda 3.7.6 L’intervento di Vladimiro i SeBook - i Simonelli electronic Book 13

3.7.7 Il battesimo della Rus’ 3.8 Dalle Porte d’Oro, la Kievskaja Rus’ in prospettiva 4. Kiev Anno Domini 2002 4.1 Khreshatik 4.2 Le Rive del Dniepr 4.3 La Pecherskaja Lavra 4.4 Un cosacco a cavallo in una piazza 4.4.1 Origine della società cosacca 4.4.2 Bogdan Khmel’nitskij i SeBook - i Simonelli electronic Book 14

5. Da Kiev a Mosca 5.1 Il treno per Mosca 5.1.1 Vladimiro II Monomaco e suo figlio Yurij Dolgorukij 5.1.2 Arrivo al Kievskij Vokzal di Mosca 5.2 Gli Istituti Bogolyubov’ 5.3 Il Convento ed il Cimitero di Novodevichy 5.3.1 Il Monastero e la Principessa Sofia 5.3.2 Il Cimitero i SeBook - i Simonelli electronic Book 15

5.3.3 Michail Bulgakov: l’epos, il pathos ed il grottesco 6. Di cucina, di favole e di cinema 6.1 A proposito della cucina russa 6.1.1 Ricetta per la Okroshko ed il kvas 6.1.2 La smetana e le due rane 6.1.3 I pel’meny 6.1.4 I blinỳ 6.1.5 I pirochki, il pane nero e la vodka i SeBook - i Simonelli electronic Book 16

6.2 Le fiabe popolari russe 6.2.1 Sorellina Volpetta e il Lupo Grigio 6.2.2 L’Orso ed il Cane 6.3 A proposito di cinema 6.3.1 El’dar Ryazanov 6.3.2 L’ironia del Destino 7. L’emozione sottile di parlare russo 7.1 Nuova lingua, nuova vita 7.2 Un altro alfabeto i SeBook - i Simonelli electronic Book 17

7.3 Una lingua con le declinazioni e senza articolo 7.4 Stranezze grammaticali e semantiche 7.5 Un aneddoto ed una citazione da Bulgakov NOTE

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1. Amor che a nullo amato amar perdona... 1.1 L’amore per l’Italia è nel sangue dei Russi Ljubov’ k Italij u Russkix v krovi, cioè l’amore per l’Italia è nel sangue dei Russi. Nella più parlata ed importante delle lingue slave questa è una frase proverbiale. Si tratta di un luogo comune che come tale corrisponde ad un sentimento largamente diffuso, germogliato da importanti radici storiche. A questo proposito qualunque interlocutore russo di media cultura citerebbe subito l’importante contributo che fino dal XVII secolo gli architetti italiani diedero alla costruzione delle più antiche fra le cattedrali del Cremlino moscovita e poi salterebbe subito al nome di i SeBook - i Simonelli electronic Book 19

Bartolomeo Rastelli il maestro italiano del rococò russo che disegnò più di metà, se non tutti i principali complessi monumentali della seconda capitale: la stupenda San Pietroburgo, tenacemente voluta dallo zar Pietro il Grande quale finestra della Moscovia sull’Occidente. In una sinistra anticipazione di analoghe realizzazioni dei tempi sovietici, la costruzione di quella finestra costò migliaia di vite umane, imponendo inenarrabili fatiche e sofferenze ad un intero popolo di quasi schiavi, obbligati dalla necessità e dall’inflessibile volontà dello zar ad un lavoro estenuante in paludi malsane, con orari abbrutenti e senza alcuna forma di protezione. Riferendosi a tempi più recenti ed in un diverso contesto, i nostri amici russi addurrebbero quale riprova della relazione speciale della loro nazione con tutto ciò che trae origine dalla nostra Penisola l’immensa popolai SeBook - i Simonelli electronic Book 20

rità goduta nell’Unione Sovietica, anche in tempi di guerra fredda, dal Festival della Canzone Italiana di Sanremo nonchè la vastissima notorietà di alcuni cantanti quali Adriano Celentano oppure Albano. Anche il più distratto dei turisti italiani di mezza età che si avventurasse verso le città minori della Federazione Russa e fuori dal traffico della capitale, ormai rutilante di costose Mercedes e lucidatissime BMW, non potrebbe non provare la sensazione di rituffarsi nei propri ricordi di gioventù allo scoprire un’intera armata di anziane Fiat 124, amorevolmente parcheggiate ai lati delle strade, oppure ansimanti per i lunghi viali dalla carreggiata sconnessa piena di buchi che sembrano quasi voragini. Il nome russo di quelle vetture è Lada ma esse sono la copie identiche prodotte nelle officine di Togliattigrad di quelle che negli anni sessanta venii SeBook - i Simonelli electronic Book 21

vano prodotte dalle catene di montaggio di Torino Mirafiori. Quello stesso turista, rientrato a Mosca dalla propria escursione fuori città ed in occasione della propria immancabile visita alla superba Galleria Tretyakovskaya, sede di un’impressionante antologia storica di tutta la pittura russa, scoprirebbe che tra la fine del settecento e gli inizi del secolo decimo nono un’intera generazione di giovani pittori lasciò le pianure innevate della propria patria per stabilirsi all’ombra dei pini marittimi dispersi tra Roma ed il golfo di Napoli e là studiare l’arte italiana, rielaborando così una propria visione delle marine e dei paesaggi mediterranei che ha riempito le prime sale della Galleria moscovita di innumerevoli scorci del Vesuvio o dei Faraglioni, di spezzate colonne romane o di idilliaci bozzetti agresti, con pastori e pecore in vicinanza di i SeBook - i Simonelli electronic Book 22

ville rinascimentali, oppure di rovine dell’antichità classica. Uno di questi pittori era Ivanov che viveva a Roma nello stesso periodo in cui vi soggiornò a lungo Gogol e vi scrisse Le anime morte, certamente uno dei massimi capolavori della letteratura russa. L’amore dei Russi per l’Italia è dunque nel loro cuore per una lunghissima frequentazione della nostra cultura da parte della loro intelligencija e l’impatto che la nostra civiltà ha esercitato sulla storia russa può essere considerato al più inferiore a quello esercitato dalla cultura francese, ma nemmeno ciò è del tutto ovvio. 1.2 La Russia nell’immaginario collettivo italiano Amor che a nullo amato amar perdona... recita una celebre terzina di Dante e per questo motivo è più che lecito domandarsi quale i SeBook - i Simonelli electronic Book 23

sia la risposta italiana a queste dimostrazioni d’affetto nei nostri confronti da parte del più grande dei popoli slavi. Qui la risposta è necessariamente assai più complessa e richiede un’analisi a vari livelli. Certamente quello che immediatamente risalta è una macroscopica dissimmetria nella conoscenza reciproca tra i due popoli. Il bagaglio di informazioni sul mondo slavo possedute dall’italiano medio sono tipicamente molto scarse e sono generalmente costituite da stereotipi assai più liberamente fantastici che non fondati su qualsivoglia realtà fattuale. Differentemente da quella con altri popoli europei, quale quella con i francesi, i tedeschi, gli spagnoli e gli inglesi, la cui storia si è per secoli e secoli indissolubilmente intrecciata con la nostra, la relazione degli italiani con il popolo russo non è una relazione di odio o di amore, non è una relazione fortemente carati SeBook - i Simonelli electronic Book 24

terizzata da passioni, da contrapposizioni o viceversa da sentimenti di comunanza ed appartenenza, essa è piuttosto una relazione di sostanziale ignoranza dell’altro. Questo non significa che l’italiano medio non percepisca la Russia come uno dei massimi attori della Storia sia moderna che contemporanea e non attribuisca ad essa una considerevole rilevanza sia pregressa che futura sul proprio destino, così come su quello della società a cui egli sente di appartenere: la rilevanza della Russia è perfettamente radicata nell’immaginario collettivo italiano, ma questo radicamento è caratterizzato da un impressionante livello di astrazione nella definizione di ciò che la parola Russia denomina ed anche da un totale scollamento tra la percezione di questo paese come soggetto storico-politico e quella del popolo che lo abita. Abitualmente, la parola Russia si associa, dii SeBook - i Simonelli electronic Book 25

pendentemente dal contesto in cui è proferita e dipendentemente anche dal livello culturale e dall’età dei conversatori italiani che la proferiscono, a nozioni, immagini e realtà totalmente differenti. Per l’italiano di cultura medio-alta la parola Russia evoca in prima battuta i classici della sua letteratura, soprattutto i grandi romanzi del secolo XIX da Guerra e Pace, ed Anna Karenina di Tolstoj a I fratelli Karamazov di Dostojevskji ovvero un Nido di nobili di Turgenev che, tipicamente, costituiscono una parte integrante del suo bagaglio culturale e delle sue letture giovanili e come tali sono stati sorgenti di un inprinting indelebile nell’immaginario personale del lettore. Il mondo riflesso in quelle letture è quello della Russia Imperiale e principalmente della sua aristocrazia nulla-facente, raffinata e decadente; un mondo mal conosciuto e in ogni caso tramontato per sempre. i SeBook - i Simonelli electronic Book 26

Al contrario, per la maggior parte degli italiani di età superiore ai quarantacinque o cinquant’anni, il nome Russia è stato per lungo tempo un perfetto sinonimo di Unione Sovietica e, nonostante il decesso storicamente accertato di quell’entità politica, continua ad esserlo. Così il contesto più frequentemente evocato dal parlare di Russia è quello della guerra fredda, della competizione Est-Ovest per la conquista dello spazio e per il dominio strategico del pianeta, del duello all’ultimo sangue tra due concezioni insanabilmente contrapposte della società umana: la democrazia parlamentare ed il cosiddetto socialismo reale. Nell’immaginario collettivo delle generazioni pre e post-belliche, le visioni principalmente richiamate dal vocabolo Russi, sono quelle delle parate militari sulla Piazza Rossa. Russe erano le tetre sfilate di carri ari SeBook - i Simonelli electronic Book 27

mati e di missili intercontinentali con la stella rossa, trascinati da pesanti automezzi davanti ad una attempata e misteriosa nomenclatura, schierata sul mausoleo di Lenin, sotto una fila di pelosi e voluminosi colbacchi. Russa era la cagnetta Laika, prima creatura terrestre ad uscire, proprio malgrado, dall’atmosfera del Pianeta. Russo era l’Orso con gli artigli di una zampa ferocemente piantati sulla carta dell’Afganistan che aveva fatto da copertina ad alcune riviste italiane i primi di gennaio del 1980. Russi erano i carri armati che avevano spazzato via la primavera di Praga del 1968 e la rivolta ungherese del 1956. Russe erano le bandiere rosse con la falce ed il martello che sventolavano in tante porzioni contese del pianeta e nelle manifestazioni di piazza dei partiti comunisti di tutti i paesi occidentali. i SeBook - i Simonelli electronic Book 28

Opposta a questa Russia, per la minoranza più acculturata degli italiani oggi sopra la cinquantina, vi era la Russia della dissidenza. Voci autorevoli di grandi scienziati e premi Nobel per la pace, segregati agli arresti domiciliari in località lontane da Mosca come ebbe a soffrire Andrej Sakharov nel 1980, o di grandi scrittori insigniti del premio Nobel per la Letteratura e per questo privati in patria della cittadinanza sovietica ed espulsi all’estero, così come capitò ad Alexander Solzhenitzyn nel 1974. Voci ancora di letterati sovietici di origine ebraica come Andrei Sinyavsky e Yuly Daniel, condannati a pesanti pene detentive nel 1966 per aver pubblicato letteratura anti-sovietica all’estero, pene successivamente inasprite per Daniel nel 1969 a seguito della scoperta del suo poema manoscritto Ed a quel tempo. i SeBook - i Simonelli electronic Book 29

Denominatore comune in questo profondo contrasto tra le due raffigurazioni della Russia nell’immaginario collettivo era la sensazione di totale segretezza, impenetrabilità e seclusione, nonchè la persistente confusione tra la nozione di Russo e quella di Sovietico. La federazione delle quindici Repubbliche era una risibile finzione, inscenata da un potere ultra centralizzato e completamente verticale e così, quasi inconsciamente venivano omologati come sovietici e quindi russi popoli di stirpi assai differenti con un assai complesso ed articolato retaggio storico, religioso e linguistico. Per gli italiani più giovani, i cui ricordi scolastici sono posteriori al 1992 e sui quali le impressioni fornite dalla contemporaneità dominano rispetto al condizionamento imposto dalla lunga esperienza della Guerra Fredda vissuta dalle precedenti generazioni, l’idea di Russia è declinata in modo molto i SeBook - i Simonelli electronic Book 30

differente, ma non per questo meno affetta da una sostanziale astrattezza e superficialità nella conoscenza dell’altro. Per una sorta di contrappasso, così come prima della dissoluzione dell’URSS tutti i suoi abitanti erano indistintamente percepiti come Russi, nello stesso modo oggi, in maniera del tutto acritica, le moderne generazioni occidentali tendono a considerare le quindici repubbliche emerse da quel drammatico collasso come fossero tutte quante degli Stati-Nazione di antica e ben definita fondazione. La scarsa informazione storica del pubblico che, nel caso della Storia Slavo - Orientale si riduce ulteriormente a non più di una decina di immagini stereotipe, tipicamente incoerenti tra di loro, produce un’amnesia collettiva del passato ed un’accettazione acritica dei confini e dei nomi di tutti gli Stati come se fossero dei dati di fatto naturali ed astorici, così come lo sono il corso dei i SeBook - i Simonelli electronic Book 31

fiumi e la collocazione delle catene montuose. C’erano una volta i Russi ed ora, come per incanto, ci sono i Russi ed i Bielorussi, gli Ucraini ed i Moldavi, i Georgiani e gli Armeni, i Kazachi, i Turkmeni, i Tagichi e gli Usbeki, gli Azeri, i Kirghisi, nonchè ovviamente i Lettoni, gli Estoni ed i Lituani. E tutti ovviamente parlano all’interno di ogni repubblica la loro lingua nazionale, hanno la loro moneta, le loro tradizioni, la loro cucina, la loro capitale storica, la loro letteratura e così via. Insomma l’Ucraina e la Moldavia, per fare un esempio, sarebbero, al pari delle Repubbliche Baltiche, come la Francia o la Spagna; esisterebbero da sempre, ben individuate quali stati nazionali storici, ben distinti dalla Russia! Al contrario, quale parte della Federazione Russa, il crogiuolo dei popoli caucasici formato da stirpi sia indoeuropee che uralo-altaiche, di relii SeBook - i Simonelli electronic Book 32

gione sia cristiana, che islamica od ebraica viene omologato come Russo senza eccessivi complimenti, così come erano Russi tutti i sovietici d’un tempo. Questa visione è semplicemente folle e sarebbe perdonabile quale frutto di una superficialità disattenta, se ciò non avesse importanti conseguenze sulla formazione dell’opinione pubblica nel nostro paese, sulle scelte politiche dell’elettorato e se indirettamente non pesasse nelle relazioni internazionali. Questa miopia è tanto meno giustificabile e tanto più perniciosa in quanto i tempi sono radicalmente cambiati, il contatto tra il nostro popolo e le genti dell’ex Unione Sovietica è ora diretto e multiforme e la lingua russa è frequentemente udibile sui nostri tram, nei nostri bar, nei nostri supermercati e nelle nostre stazioni ferroviarie. i SeBook - i Simonelli electronic Book 33

1.3 Ius sanguinis, Ius soli, Ius civium Vi è nella storia post-bellica dell’Europa l’intrecciarsi di due movimenti apparentemente opposti, che interessano le sue due metà, quella occidentale e quella orientale, ricalcando in questa opposizione una divisione plurisecolare, anzi millenaria tra l’Universo Cattolico-Protestante, Latino-Germanico e quello Ortodosso Greco-Slavo, in definitiva tra l’Impero d’Occidente e quello d’Oriente. Mentre ad Occidente è in corso da più di cinquant’anni la faticosa costruzione di un Europa Comunitaria sopra-nazionale, idealmente fondata sui diritti civili, le regole condivise, la cooperazione e l’integrazione, l’Oriente è stato testimone di un impetuoso risorgere dei Nazionalismi e dei conflitti a cui essi inevitabilmente conducono. Così mentre ad Occidente si sono rimosse le frontiere e si sono unite le monete, ad Oriente sono sorte nuove frontiere, i SeBook - i Simonelli electronic Book 34

sono nate nuove valute e si sono incubate nuove guerre. Dai Balcani all’ex Unione Sovietica, la carta geografica si è tappezzata di una multitudine di variegati colori ed i cannoni hanno sinistramente tuonato in molti luoghi. Le ragioni storiche per ciascuna di queste suddivisioni e per ciascuno di questi conflitti sono ben individuabili e note, ma è l’effetto d’insieme che è impressionante e stimola alcune riflessioni ad un livello più profondo. La fine del potere totalitario e repressivo delle dittature comuniste centrate attorno al Cremlino Moscovita ha liberato le forze congelate della Storia e questa ha ripreso il suo cammino: un cammino faticoso, tortuoso ed imprevedibile a piccola scala temporale che ha invece, sui tempi lunghi, una direzione certa da seguire, articolata nella difficile transizione dallo Ius sanguinis allo Ius civium, passando attraverso lo stadio intermedio dello Ius soli. i SeBook - i Simonelli electronic Book 35

Lo Ius sanguinis, il diritto del sangue, corrisponde allo stadio primitivo e tribale delle società umane ed è caratteristico nei tempi di invasioni o di massicce migrazioni di popoli. Quando migrano da un territorio ad un altro o quando vagano di territorio in territorio vivendo come nomadi, gli individui hanno, quale unico riferimento identitario, la propria tribù od il proprio clan e questi diventano così le sorgenti dell’unica Legge concepibile e praticabile. Non a caso, dopo il crollo dell’Impero Romano d’Occidente e nell’età dei Regni Romano-Barbarici, vi fu il coesistere di giurisdizioni diverse per i Latini e per i Germani, i secondi assoggettandosi soltanto al proprio diritto tribale consuetudinario. Lo Ius soli, il diritto del suolo, corrisponde ad uno stadio più evoluto dell’organizzazione sociale in cui le comunità umane, i SeBook - i Simonelli electronic Book 36

divenute più stanziali, organizzano i territori sui quali vivono e trovano in essi i riferimenti identitari dai quali trarre la fonte della Legge. Sia l’organizzazione feudale che quella storicamente successiva degli Stati Nazionali si possono considerare implementazioni dello Ius soli. Tuttavia l’idea dello Stato Nazione, che è sempre pericolosamente contigua all’aberrazione del Nazionalismo, è per sua natura un’idea utopica e corrisponde, di necessità, ad un equilibrio instabile: si tratta del tentativo estremo di far coincidere lo Ius soli con lo Ius sanguinis, mitizzando il territorio, pomposamente denominato Patria, come la radice da cui germoglia la Nazione, cioè una comunità di individui apparentati da una lingua, da una tradizione, da ideali e da sentimenti comuni, detti per l’appunto nazionali. Chiaramente questa mitizzazione del territorio diventa sorgente di inestinguibili i SeBook - i Simonelli electronic Book 37

conflitti con le Nazioni vicine ed è messa a seria prova quando imponenti flussi migratori ridisegnano la struttura delle popolazioni residenti su di esso. Lo Ius civium, il diritto dei cittadini, si può dire che sia il più alto vertice raggiungibile dall’organizzazione sociale e come tutte le cose migliori può essere conquistato solo attraverso una lunga maturazione e l’adozione di un saggio e robusto relativismo. Rifiutando tutti i miti, sia del sangue che del suolo, ponendo alla base delle Leggi l’utilità del contratto sociale e come collante di quest’ultimo le tradizioni culturali, la civilizzazione ed il pluralismo, si può faticosamente costruire lo Stato dei cittadini responsabili, che ha come missione la garanzia dei loro diritti e la giusta esazione dei loro doveri. Benchè il messaggio universalistico di una Legge uguale per tutti gli uomini sia i SeBook - i Simonelli electronic Book 38

stato tre volte annunciato negli ultimi duecento cinquanta anni, prima dalla Rivoluzione Americana, poi da quella Francese ed infine da quella Russa, benché con esiti molto diversi, ogni volta il progetto si è convertito in qualcosa di assai più riduttivo e simile all’implementazione di uno Ius soli : in America con la costruzione dello stato federale basato sul melting pot degli immigranti, in Francia con l’Impero Napoleonico, in Russia con la costruzione del socialismo in un paese solo. L’unico serio tentativo di creazione dello Ius civium che la Storia conosca è fornito dal lento ma costante processo di costruzione dell’Unione Europea. Quest’occasione storica è ora messa a dura prova dalla frammentazione conseguita ad Est alla dissoluzione dell’Unione Sovietica e dai nuovi nazionalismi che in quella vasta area sono germogliati: è messa a dura i SeBook - i Simonelli electronic Book 39

prova anche dai rigurgiti nazionalisti che gli imponenti flussi migratori hanno suscitato all’interno degli Stati Membri dell’Unione Europea. Lo Ius sanguinis tribale trova nuovi spazi nelle comunità immigrate e suscita pericolosi ripiegamenti sullo Ius sanguinis nelle popolazioni locali degli Stati, purtroppo ancora troppo nazionali. Conoscersi meglio, conoscersi storicamente, culturalmente ed umanamente oltre il confine delle rappresentazioni stereotipe ed infondate è l’unico antidoto contro il risorgere di nazionalismi e divisioni nella vecchia Europa. A questo fine ambizioso, il presente libro vuole dare un piccolo contributo molto limitato, ma sperabilmente non del tutto inutile perchè sostenuto dal filo di un’esperienza personale.

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1.4 Russia ed Ucraina: inevitabilmente unite nella storia Dei quindici stati indipendenti in cui si è dissolta l’Unione Sovietica questo libro ne sceglie due, la Federazione Russa e l’Ucraina, proprio perché esso non vuole trattare di stati, bensì si prefigge il provocatorio compito di guidare il lettore ad amare un popolo e la sua civilizzazione. Questo popolo e questa civilizzazione sono il prodotto di un lungo, complesso e tormentato dramma storico di cui gli Slavi Orientali sono stati i protagonisti mentre il teatro su cui è andato in scena è fornito dall’immenso territorio pianeggiante delimitato a Nord dall’entroterra sud-orientale del Mar Baltico, a Sud da quello nord-occidentale del Mar Nero, ad Ovest dalla Galizia sub-carpatica e ad Est, prima dal basso corso del Volga, successivamente dagli Urali. Grosso modo questo territorio comprende il i SeBook - i Simonelli electronic Book 41

nucleo centrale della Russia europea e l’odierna Ucraina. Questa estesa arena geografica è solcata da un sistema di grandi fiumi dalla corrente assai debole perchè coprono un dislivello di soltanto qualche centinaio di metri su percorsi di migliaia e migliaia di chilometri. Insieme ai loro numerosi affluenti, il Dniepr, il Volga ed il Don costituiscono un colossale bacino idrografico che convoglia le proprie acque parte verso il Mar Nero, parte verso il Caspio. Curiosamente, le sorgenti del Dniepr e del Volga sono abbastanza vicine tra di loro e non sono troppo distanti da quelle di un altro fiume che, benchè più breve, è anch’esso navigabile ma anzichè dirigersi a sud e sfociare nei mari meridionali scorre invece verso nord-ovest e sfocia nel Baltico: il Daugova, sul cui estuario sorge oggi la città di Riga, capitale della Lettonia. Per queste sue particolarità, nei secoli i SeBook - i Simonelli electronic Book 42

dell’alto medioevo, il vasto teatro geografico della storia russa ha costituito una grandiosa via commerciale di straordinaria importanza: la cosiddetta Via dai Variaghi ai Greci. Spostando le imbarcazioni da un fiume al suo viciniore era infatti possibile navigare dalle coste della Svezia meridionale fino a Costantinopoli e trasportare in tal modo i prodotti delle terre settentrionali, quali l’ambra, le pellicce, il legname od i cereali fino alla capitale della più grande potenza militare, economica e culturale dell’epoca, cioè l’Impero Bizantino. È intorno a questo commercio che nel IX secolo nacque il primo stato russo, la Kievskaja Rus’, la cui capitale Kiev gioca ora il doppio ruolo di madre di tutte le città russe e di odierna capitale di uno stato ucraino, nato dalla dissoluzione dell’URSS, che si pretende diverso dalla Russia. La Rus’ di Kiev i SeBook - i Simonelli electronic Book 43

ha forgiato tutta la successiva civilizzazione russa, scegliendo per lei la religione, cioè l’ortodossia greca, creando l’organizzazione statale autocratica, pure mutuata da Bisanzio, adottando la scrittura cirillica, fondando la tradizione iconografica ed architettonica e dando vita infine, tramite le sue compilazioni storiche ed i suoi poemi epici in antico slavo, al primo nucleo della letteratura russa. La Russia deriva dalla Rus’ di Kiev, ma la sua capitale attuale è Mosca e per un certo tempo è stata anche San Pietroburgo. Queste periodiche migrazioni tra Nord e Sud del centro politico e culturale del paese sono rivelatrici del nodo centrale nella storia del popolo russo, che è l’instabile equilibrio tra due ambienti naturali contigui, ma assai diversi e tra il tipo di vita e di cultura materiale che essi consentono e favoriscono: le foreste del nord e le steppe del sud. Nella sua mirabile History of Russia, i SeBook - i Simonelli electronic Book 44

presentata al pubblico americano nel 1959, l’autore inglese John Lawrence così scriveva: La culla della Russia è l’ampia striscia di ricca terra coltivabile che giace tra le foreste settentrionali e la steppa meridionale. È questa la sede della famosa terra nera russa che forma uno strato molto più profondo di quanto possa essere mai scavato da un aratro. Le vicine foreste forniscono il legname da costruzione ed il combustibile per scaldarsi. Questo ambiente avrebbe potuto essere un vero e proprio paradiso terrestre per i primi contadini russi se essi non avessero avuto dei vicini. Purtroppo a sud il territorio boschivo cede il passo alla steppa aperta e sconfinata che per secoli e secoli è stata la dimora di innumerevoli tribù di nomadi di varie lingue ed etnie, ma tutti ugualmente dediti allo stesso ed unico compito: razziare i loro vicini stanziali. i SeBook - i Simonelli electronic Book 45

Dal suo inizio quella russa è stata una civiltà agricola ed i suoi principali problemi sono stati due. Da una parte il contenimento ed il controllo delle popolazioni nomadi della steppa, dall’altro le comunicazioni con il mondo esterno che imponevano il raggiungimento delle coste marine: a nord quelle del Baltico, a sud quelle del Mar Nero. Le avanzate verso nord e verso sud e le ritirate nelle foreste settentrionali si sono alternate, così come nel frattempo cambiavano i dati del panorama geopolitico circostante. La Svezia e la Turchia sostituirono rispettivamente a nord ed a sud i Variaghi ed i Bizantini del tempo più antico e l’invasione dell’Orda d’Oro Mongola rimpiazzò il distrutto impero dei Chazari. La concomitanza del tramonto bizantino con l’invasione mongola segnò il momento più difficile della storia russa. Quello spazio che era una grande via commerciale verso la sori SeBook - i Simonelli electronic Book 46

gente del modello di civilizzazione adottato dai russi si trasformò in una prigione chiusa su quattro lati da potenze ostili ispirate da culture religiose differenti. L’accerchiamento fu completo. A sud ed a est l’Islam dei Tartari e dell’Impero Ottomano. A Nord la Svezia protestante. Ad Ovest il potente blocco cattolico formato dalla Confederazione Lituano-Polacca. Il principato di Mosca che si formò come uno fra i tanti della Kievskaja Rus’ raccolse nel tempo più difficile l’eredità di Kiev e rafforzatosi lentamente si assunse il compito, dal Regno di Ivan il Terribile fino a quello di Pietro il Grande e successivamente di Caterina II la Grande, di sfondare l’accerchiamento, raggiungere i mari e neutralizzare per sempre i nomadi della steppa, soggiogandoli all’Impero Russo. Il risultato dal punto di vista geopolitico fu grandioso. Il confine orientale dell’Imi SeBook - i Simonelli electronic Book 47

pero raggiunse l’Oceano Pacifico e persino lo varcò. Ad Ovest la Polonia cessò di esistere e tutte le coste orientali del Baltico furono russe, a sud la Crimea fu inglobata nell’Impero Russo ed il dominio Ottomano fu scacciato dalle coste settentrionali del Mar Nero. Un momento critico di singolare importanza nello svolgimento di questo lungo ed epico dramma storico che, sotto certi aspetti, richiama il mito della Reconquista nella Storia di Spagna1 si ebbe nel secondo quarto del XVII secolo con le imprese di Bogdan Khmel’nitzkij e la rivolta cosacca contro la Polonia che egli guidò al successo con grande coraggio e con grande astuzia. In questo periodo, culminato nel 1654 con il trattato di Peresljav che segnò il distacco definitivo dei territori dell’attuale Ucraina dalla Rech Pospolita (la confederazione Lituano Polacca) e la loro annessione ai doi SeBook - i Simonelli electronic Book 48

mini dello zar moscovita si ha l’inizio della questione ucraina all’interno della storia di Russia. Una questione che riemergerà molte volte, soprattutto negli snodi più critici e drammatici di quella Storia. Origine della denominazione Ucraina La natura della questione ucraina è esemplificata dall’etimo stesso del nome di questo nuovo Stato e dalle discussioni che gli studiosi ucraini contemporanei fanno su di esso. La denominazione Ucraina appare per la prima volta negli annali di Ipat’ all’anno 1187. Esistono diverse teorie sull’origine di questo toponimo. Secondo la più ovvia e condivisa di esse, questo nome trae origine dalla parola proto-slava oukraina, letteralmente la provincia di confine, che fu iniziali SeBook - i Simonelli electronic Book 49

mente applicata alle marche confinarie della Russia Kieviana. Dapprima fu usata per il principato di Perejaslav e successivamente fu estesa ai territori ad esso limitrofi. Successivamente la parola Ukraina fu anche usata per indicare le terre di confine della Rech Pospolita cioè del Commonwealth Polacco Lituano nei secoli XVI, XVII e XVII. Dopo l’indipendenza del 1992, alcuni studiosi ucraini contemporanei cercano di contestare tale etimologia, affermando che la base del toponimo è certamente fornita dalla parola kraj, che in russo significa orlo o margine, ma nel significato di inciso, ovvero ritagliato, come a dire la parte delle terre abitabili riservate alle tribù slave. È stata anche avanzata la versione di questa teoria, secondo la quale il nome Ucraina trae origine da kraj (in russo), kraina (in ucraino) nel senso di Paese, cioè di terra abitata dalla i SeBook - i Simonelli electronic Book 50

propria etnia e che Ukrainetz (Ucraino) significa compatriota. Queste ingegnose, ma poco convincenti argomentazioni rivelano, fin troppo apertamente, lo sforzo di dare un fondamento storico alla Nazione Ucraina, distinta da quella Russa. È d’altra parte un fatto storico che, dai tempi di Khmel’nitzkij fino a tutta la prima metà del secolo XIX, le popolazioni slavo-orientali ed ortodosse residenti nei territori della contemporanea repubblica di Ucraina, erano note ed identificavano se stesse come Piccolo-Russi, in opposizione ai Grandi-Russi della Russia centrale e dei Russi-Bianchi della Bielorussia. Varianti regionali, dunque, dell’unico popolo russo. Le differenze locali hanno subito un’amplificazione ed un enfatizzazione in certi momenti storici ed una soppressione in altri, in forza dei molti e complessi avvenimenti politici che si sono succeduti. i SeBook - i Simonelli electronic Book 51

Complessivamente si può dire che i Piccoli-Russi, od Ucraini che dir si voglia, hanno avuto la ventura di vivere anche sotto il dominio di potenze occidentali e cattoliche come la Polonia prima e l’Impero Austriaco poi. Per questo, benchè ribellatisi all’Occidente ed unitisi spontaneamente alla corona ortodossa di Russia, essi hanno una maggiore conoscenza del mondo occidentale rispetto ai Grandi Russi e cedono periodicamente al fascino di volersi sentire più europei dei loro fratelli nord-orientali. Inoltre l’esperienza dell’autonomia cosacca, che è un capitolo di storia del popolo russo, ha lasciato nei Piccolo-Russi un maggior senso di indipendenza ed un maggior anelito all’autogestione di quanto sia caratteristico dei Grandi-Russi. Conseguentemente i Piccolo-Russi sono stati in più occasioni storiche spinti a volersi identificare come una nazione differente, vedendo i SeBook - i Simonelli electronic Book 52

in questa differenziazione una scorciatoia per conquistare maggiore libertà nei confronti di un potere centrale autocratico. L’insistenza di molti politici ucraini contemporanei nell’inseguire il mito di un agganciamento dell’Ucraina all’Unione Europea è soltanto l’ultima manifestazione di questa periodica tendenza storica. Si dovrebbe dunque comprendere che gli sforzi per dare una base storico-nazionale ed un’identità culturale autonoma allo stato ucraino sono sorretti soltanto da motivazioni politiche contingenti ed hanno una debolissima giustificazione in termini culturali. Questo non significa che i contributi alla Cultura provenienti dalle terre ucraine non siano grandi ed importantissimi. Lo sono a tutti gli effetti, ma costituiscono parti essenziali della Cultura Russa e del suo sviluppo storico. i SeBook - i Simonelli electronic Book 53

Dunque Russia ed Ucraina sono indissolubilmente legate nella Storia e lo sono in ogni descrizione o discussione della civilizzazione russa. Lo sono di necessità in un libro che si proponga come una Guida per conoscere il Popolo Russo. La lingua russa era nei tempi della guerra fredda un’assoluta rarità. Oggi può essere ascoltata giornalmente per le strade delle città italiane in mille occasioni. Però l’italiano medio quasi non la nota: essa si confonde con centinaia di altri idiomi in quel cicaleccio indistinto, quasi un rumore di fondo, che egli identifica come il suono prodotto dalla folla degli extracomunitari. In questa folla, percepita come un inevitabile ma minaccioso bagno termico, vi sono moltissimi Ucraini, Moldavi e Russi, sovente di sesso femminile, badanti, domestiche, cameriere d’albergo, ballerine ed entreneuses i SeBook - i Simonelli electronic Book 54

di night clubs, talvolta mogli o fidanzate di uomini italiani, ma anche di sesso maschile, muratori, camionisti, operai di vario genere. Vengono tutti schiacciati in un unico gruppo: gli extracomunitari dell’Est Europeo. Non è raro sentire conversazioni da bar o da spiaggia in cui Rumeni, Moldavi ed Ucraini sono disinvoltamente confusi gli uni con gli altri. Nei confronti di queste persone vi è un generalizzato atteggiamento di superiorità che oscilla tra l’aperta ostilità, la diffidenza ed il paternalismo. Russi sono pure scienziati e ricchi uomini d’affari che vengono in Italia per lavoro o turismo, ma questi in genere parlano inglese e sono inconsciamente ed immediatamente identificati con il diverso gruppo di stranieri pure extracomunitari, ma provenienti da paesi forti del Primo Mondo, quali gli Stati Uniti, l’Australia od il Giappone, nei coni SeBook - i Simonelli electronic Book 55

fronti del quale l’atteggiamento dell’italiano medio è invece storicamente ossequioso, subalterno e talvolta quasi servile. Sia l’atteggiamento di superiorità nei confronti dell’universo russo-ucraino di lavoratori immigrati che quello di ossequio nei confronti dei ricchi russi frequentatori di alberghi costosi e negozi di lusso è ampiamente ingiustificato e segno di profonda incomprensione, nonchè di pregiudizi. Il livello culturale dei lavoratori immigrati è mediamente molto più elevato di quello dell’italiano medio che li guarda dall’alto in basso, nel migliore dei casi con un paternalismo condiscendente. Al contrario molti dei cosiddetti novye russkye che possono pagare migliaia di euro per una serata di follie in ristoranti o club notturni appartengono alla parte meno educata, più volgare e rozza della società da cui provengono. i SeBook - i Simonelli electronic Book 56

Modestamente questo libro si propone di essere una piccola guida alla conoscenza di una realtà sostanzialmente diversa dalla raffigurazione che essa assume attraverso le sue contraddittorie proiezioni forniteci dalla storia politica dell’ultimo mezzo secolo e dall’irruzione dei flussi sia migratori che turistico-affaristici nel nostro paese.

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2. Yalta 2.1 I Tre Grandi Che significato ha avuto per più di cinquant’anni la parola Yalta in ogni paese dell’Occidente o, per meglio dire, in quella metà del Nord del pianeta che trovava nelle aberranti nefandezze dell’altra metà l’autoassoluzione dai propri pur gravi difetti e la giustificazione per autodefinirsi mondo libero? La generazione post-bellica ha imparato la parola Yalta come equivalente di spartizione del mondo, di fondamento ed inizio della guerra fredda: due sillabe cariche di una straordinaria valenza geopolitica che evocavano una sola immagine icastica, indelebilmente impressa nella memoria collettiva e simbolo stesso di un fai SeBook - i Simonelli electronic Book 58

tale accadimento, le cui conseguenze sembravano eterne. Yalta ha significato per decenni la fotografia di tre anziani signori seduti, uno accanto all’altro, di fronte ad un portichetto, più metafisico che reale, e così diversi tra di loro come irrimediabilmente diverse e separate erano le parti del mondo che essi si erano spartiti in quel cortile. Il Primo Ministro Churchill, seduto a destra, affondato nel suo giaccone a doppio petto di colore beige e con l’immancabile sigaro stretto tra le dita di una mano, aveva gli occhi leggermente socchiusi e la bocca aperta: sembrava intento nello sforzo di scrutare il futuro che egli aveva appena partecipato a ridisegnare, un futuro che lo preoccupava non meno dell’incubo che gli aveva rubato il sonno per cinque lunghi anni di incredibile tensione e che stava ora per concludersi con l’imminente sconfitta della i SeBook - i Simonelli electronic Book 59

Germania nazista. Lo sguardo di Churchill penetrava quel futuro che in ogni angolo del globo avrebbe visto l’inarrestabile arretramento del Leone Britannico e avrebbe segnato l’irrimediabile fine di un mondo, del mondo al quale lo stesso Primo Ministro apparteneva. Il più aristocratico e, nello stesso tempo, il più democratico dei tre grandi, il Presidente americano Roosevelt, stava seduto nel mezzo, con la celebre mantellina nera che dalle spalle scendeva a ricoprire le sue membra stanche, già minate dalla malattia. Volgeva lo sguardo di lato e sembrava pervaso da una calma olimpica, quasi ultraterrena. Sembrava presagire la prossima fine della propria esistenza individuale, ma con gli occhi della mente egli sorrideva al trionfo degli ideali per i quali era vissuto. Non c’era nulla di triste o di rassegnato in quel volto provato dalla sofferenza fisica, nè, al contrario, nulla di arrogante o trionfalistico. i SeBook - i Simonelli electronic Book 60

C’era soltanto l’espressione della contenuta soddisfazione di un idealista che sentiva di aver compiuto fino in fondo il proprio dovere e sognava, ad occhi aperti, il futuro di pace e democrazia che a lui non sarebbe stato concesso di vedere, ma che, immancabilmente, avrebbe dovuto nascere dalle macerie dell’immane conflitto. Ignorato dal Presidente, siedeva alla sua sinistra il Terzo Grande del Mondo. Impettito nel cappottone militare grigio-verde, che gli scendeva quasi fino ai piedi, il Maresciallo Stalin teneva le mani appoggiate sulle ginocchia, incrociando le dita come un contadino allo sposalizio della figlia, oppure come un parroco di campagna ricevuto dal vescovo. Racchiuso tra la visiera del cappello e le mostrine rosse del bavero, il viso baffuto del Padre di tutti i Popoli era perfettamente tondo ed impenetrabile. Lo sguardo i SeBook - i Simonelli electronic Book 61

era fisso in avanti e non trapelava alcuna emozione. Tuttavia non si leggeva tensione in quel volto, nè si intuiva il ribollire di passioni represse. Si percepiva piuttosto una totale assenza di emozioni ed un beato appagamento fisico. Stalin non sembrava guardare al futuro ma, tutto immerso nel presente, egli sembrava crogiolarsi nel piacere per i vantaggi testè ottenuti. Ancora oggi, guardando l’immagine di quel volto dai lineamenti campagnoli, è difficile associare ad esso l’abisso di inenarrabili crudeltà e gli sterminati massacri che la mente celata dietro ad esso ha saputo concepire, perpetrandone la realizzazione attraverso la metodica organizzazione di una macchina repressiva di straordinaria efficacia. Eppure quella macchina infernale era attiva anche nei giorni della Conferenza ed a pochi chilometri dal tavolo a cui si riunivano i Tre Grandi. Nei sotterranei del i SeBook - i Simonelli electronic Book 62

Palazzo Yusupov che ospitava la delegazione sovietica era stata allestita una camera per le fucilazioni ed, ancora oggi, alcune macchie di sangue incrostate sui muri testimoniano l’inarrestabile efficenza del tritacarne staliniano. Per un grande numero di occidentali della generazione postbellica e di quelle immediatamente precedenti, Yalta è stato il nome di un trattato e della divisione del mondo, apparentemente irreversibile, in due sfere di influenza incomunicabili, che dal quel trattato è derivata, condizionando la loro vita, la loro concezione e le loro aspettative per il futuro. Eppure Yalta non è un’astrazione, bensì una piccola città rivierasca, con la propria fisionomia, la propria storia, i propri abitanti fatti di carne e di ossa ed anche i numerosi turisti che la frequentano in quanto località balneare, rinomata da quasi due secoli per il suo clima e le sue spiagge. i SeBook - i Simonelli electronic Book 63

2.2 Storia di Yalta Yalta fu fondata dai Greci, probabilmente nel primo secolo della nostra era. Il toponimo sembra trarre origine dal greco hals, halos, parola che indica le acque basse del mare, quelle cioè che evaporando producono il sale. Quindi per estensione di significato halos indicava anche gli approdi. Secondo la leggenda, persa la rotta durante una tempesta, alcuni marinai greci vagarono a lungo in cerca della riva: quando infine la videro decisero di chiamare con questo nome anche la colonia che vi fondarono. Nel medioevo, la città divenne possedimento dapprima dell’Impero Bizantino, poi degli avamposti genovesi denominati Capitanato dei Goti e fu conosciuta sotto il nome di Ialita ovvero di Gialita. A differenza di Alushta, Yalta non fu i SeBook - i Simonelli electronic Book 64

mai trasformata in fortezza nè essa mai costituì un punto militarmente strategico. Dal 1475 fino al 1774 la riva meridionale della Crimea1 cadde sotto il dominio dell’Impero Ottomano. Dopo il 1778 e la trasformazione di tutta la penisola in un possedimento dell’Impero Russo, trasformazione a cui seguirono massicce emigrazioni di Tartari della Crimea, Yalta si spopolò completamente ed alla fine del XVIII secolo si presentava come un minuscolo villaggio di pescatori. Nel 1837 soltanto una strada in pietrisco collegava Yalta ad Alushta e Simferopol, ma nel 1848 fu costruita la strada che unì la località rivierasca a Sebastopoli. Nel 1838 il governo imperiale decise di costituire la costa meridionale della Crimea in distretto del governatorato di Tavri e come capitale amministrativa del distretto scelse proprio Yalta che, in questo i SeBook - i Simonelli electronic Book 65

modo, ottenne il rango di città. Verso la metà del XIX secolo Yalta divenne popolare come località turistica e la sua popolazione crebbe rapidamente. All’inizio del XX secolo nella regione di Yalta possedevano ville e palazzi numerose famiglie dell’aristocrazia russa, e tra di esse figurava la stessa famiglia imperiale. Infatti, proprio alla vigilia della Rivoluzione, lo Zar Nicola II fece costruire il Palazzo Livadia che avrebbe dovuto essere utilizzato come residenza estiva dei Romanov. Non ebbe il tempo di gustare i piaceri del clima mediterraneo in questa splendida villa e dopo la sua abdicazione le autorità bolsceviche gli negarono l’autorizzazione a ritirarsi a vita privata in essa, con i propri famigliari, così come egli aveva insistentemente chiesto. Gli ultimi Romanov furono piuttosto trasferiti dapprima altrove e poi a Ekaterinenburg nella regione i SeBook - i Simonelli electronic Book 66

preuralica dove il loro destino si compì con l’orrenda strage che è valsa all’ultimo Zar la canonizzazione e l’innalzamento postumo all’onore degli altari della chiesa ortodossa di Russia. Nel 1920, al tempo della guerra civile, dopo la disfatta dell’Armata Bianca del generale Vrangel e la caduta della Crimea nella mano dei Rossi, i bolscevichi perpetrarono a Yalta esecuzioni in massa degli ufficiali e dei soldati bianchi che erano stati fatti prigionieri. Similmente i bolscevichi passarono per le armi tutti gli oppositori della rivoluzione che non si erano affrettati ad emigrare. Secondo attendibili fonti documentarie, nell’anno 1920 furono uccise a Yalta alcune decine di migliaia di persone. Durante la seconda guerra mondiale la città di Yalta ebbe a soffrire l’occupazione nazista e nel 1944 la deportazione forzata dei Tartari di Crimea, eseguita per ori SeBook - i Simonelli electronic Book 67

dine di Stalin. La conferenza di Yalta tra i Tre Grandi, ebbe luogo dal quattro all’undici febbraio del 1945 e si svolse precisamente nel Palazzo Livadia che era anche la sede della delegazione Americana. 2.3 Il Sanatorio Quando io visitai Yalta per la prima volta era la fine di Settembre del 2001 ed in quel viaggio mi parve di vedere l’altra faccia della Luna. La mia destinazione era una conferenza scientifica che si teneva proprio in quella storica località ed a cui sarei andato accompagnato da un’amica ucraina. Le Torri Gemelle di New York erano crollate da due settimane e all’aeroporto Charles de Gaulle dovetti passare attraverso lunghi e meticolosi controlli di sicurezza prima di poter i SeBook - i Simonelli electronic Book 68

salire a bordo del volo Air France che mi avrebbe portato da Parigi a Kiev. Sospeso per tre lunghe ore di volo in un cielo azzurro e senza nuvole, il mio pensiero ansioso aveva tentato di immaginare tutte le tappe dell’incognito percorso che, una volta atterrato, mi avrebbe condotto dal portello dell’aereo fino al mio finale punto d’arrivo. Non avevo mai varcato nè i confini dell’Unione Sovietica nè quelli dell’ex Unione Sovietica ed un’emozione sottile si impadroniva di me al pensiero di penetrare in uno spazio che per quarantotto anni della mia vita era stato una misteriosa scatola nera, al cui interno si trovava racchiusa, proprio in forza degli accordi di Yalta, una realtà inconoscibile ed inquietante, separata per sempre dalla realtà a cui io stesso appartenevo. La sensazione era intrigante e fascinosa. i SeBook - i Simonelli electronic Book 69

Con gli occhi incollati al finestrino dell’aereo in fase di atterraggio, la pianura ucraina mi si era presentata nella vastità del suo vestito grigio-bruno donatole dall’autunno; i grandi ippocastani dominavano il paesaggio, ergendo in ogni direzione le loro chiome di foglie ingiallite ed accartocciate, fruscianti nel vento. E quel vento, che rivoltava senza posa le foglie cadute, ora ammassandole, ora disperdendole nuovamente, era la voce che annunciava una grandiosa ed incombente metamorfosi: il prossimo arrivo del generale inverno, che aveva piegato tutti gli invasori delle Russie, da Napoleone ad Hitler. Allora io non parlavo una sola parola di russo e riuscivo a sillabare, soltanto con estenuante lentezza, anche le più semplici scritte in cirillico, così come l’indicazione dell’uscita o quella della toeletta. Accompagnato letterali SeBook - i Simonelli electronic Book 70

mente per mano dalla mia amica che mi aveva incontrato all’uscita dalla dogana, mi sentivo come un bambino, incapace di sopravvivere senza la costante e protettiva sorveglianza materna. Mi affidavo completamente a lei per ogni necessità ed ogni decisione. Il mio aereo da Parigi era atterrato alle tre del pomeriggio, ma dovemmo trascorrere nell’aeroporto di Borispol cinque lunghissime ore prima di poterci imbarcare sul volo interno del Air Ukraine che da Kiev ci avrebbe portato fino Simferopol, nel cuore della Crimea. Finalmente, verso le nove di sera, consegnammo il nostro bagaglio ad un portantino che lo depose in un carrello sferragliante e, saliti insieme ad un esiguo numero di altri passeggeri su di un pulmino altrettanto scassato e rumoroso, fummo trasportati ai piedi del nostro velivolo. Benché l’illuminazione della i SeBook - i Simonelli electronic Book 71

pista fosse scarsa, riuscii a vedere i pneumatici dell’oggetto volante al quale stavo per affidare la mia vita ed ebbi un soprassalto di paura: essi erano spaventosamente consumati e rattoppati in più punti. Ci arrampicammo su per la scaletta ed entrammo nella cabina. Essa era incredibilmente lunga e molto stretta. Ci sedemmo ai nostri posti dove, per tutto il tempo del volo, io restai con le ginocchia quasi in bocca a causa dello spazio ridottissimo che separava ogni fila di poltrone dalla successiva. Quando raggiungemmo l’inizio della pista di decollo ed il pilota pose i motori a tutto gas, la consueta ed energica accelerazione dell’aeromobile fu accompagnata da uno schianto lacerante e da un tonfo sordo all’interno della cabina che mi raggelarono il sangue. Differentemente da me, gli altri passeggeri non mostrarono particolare preoccupazione, né la dimostrò la hostess che, durante i SeBook - i Simonelli electronic Book 72

la fase di decollo, stava seduta in fondo alla cabina. Appena il velivolo raggiunse la quota di crociera, ella si alzò dalla sua postazione e, con molta calma, raccolse dal pavimento del corridoio il responsabile del tonfo che mi aveva tanto allarmato. Si trattava di un pannello appartenente al soffitto della cabina che, probabilmente già sbullonato prima della partenza, era stato divelto dall’accelerazione di decollo ed era caduto qualche fila di poltrone dietro alla mia. Con analoga imperturbabilità e con il determinante e cortese aiuto di un passeggero, la hostess risistemò al proprio posto anche il responsabile del temibile schianto di poc’anzi: era un segmento della cappelliera che, in tutti gli aerei, sovrasta i posti a sedere ed ospita il bagaglio a mano dei passeggeri. Anch’esso sbullonato, quel segmento si era sganciato ad un estremo e, rimasto appeso al soffitto solo tramite l’altro estremo, era croli SeBook - i Simonelli electronic Book 73

lato fragorosamente sulle poltrone sottostanti, fortunatamente non occupate. Atterrati senza ulteriori schianti all’aeroporto di Sinferopol verso le undici di sera, appena uscimmo dal portellone dell’aereo fummo immediatamente avvolti da una tiepida umidità notturna carica di sentori mediterranei. Il viaggio da Sinferopol alla nostra destinazione finale, che era uno dei Sanatori di Yalta, fu in automobile, su strade molto disconnesse e tortuose, attraverso valli e passi montani. Durò circa due ore. La stanchezza della giornata, l’oscurità della notte, la mia totale incomprensione di ogni conversazione che avveniva tra il nostro autista e gli altri occupanti della vettura mi indussero ad un torpore che addormentò temporaneamente, sia i miei sensi, che la mia insaziabile curiosità per ogni aspetto del nuovo e misterioso i SeBook - i Simonelli electronic Book 74

mondo in cui ero stato catapultato nel volgere di sole dodici ore. Viaggiai su quell’automobile esattamente come una valigia, rimandando ogni domanda ed ogni osservazione al giorno successivo. Il mattino seguente, accarezzato dai raggi del sole che filtravano dalla porta-finestra del balconcino, mi svegliai nella camera numero mille duecento e nove del gigantesco korpus 2 ed ebbe inizio la mia esplorazione della misconosciuta realtà nascosta dietro le due misteriose sillabe della parola Yalta; una parola che per tanti anni ed in innumerevoli discussioni avevo pronunciato centinaia di volte, sempre pensando ad essa come alla semplice denominazione di un trattato diplomatico, certo di devastante portata, tuttavia asettico come qualsiasi altro documento cartaceo. Ora mi rendevo conto che per la mia amica, negli anni precedenti della sua vita, i SeBook - i Simonelli electronic Book 75

le stesse due sillabe avevano avuto tutt’altro significato. Qualche lontana notizia della divisione del mondo in due sfere di influenza doveva pur esserle giunta, ma in quanto unica figlia di un ufficiale dell’Armata Rossa di grado medio–alto, quello che era stato per lei il senso principale della parola Yalta era lì davanti ai miei occhi, ben visibile dal balconcino della camera in cui mi ero svegliato. Yalta significava Chernoe More, cioè Mar Nero, e Sanatorio. Nonostante la sua denominazione, che in italiano suona alquanto preoccupante e per nulla invitante, quello in cui mi trovavo era stato in epoca comunista un ambitissimo luogo d’èlite, precluso ai più e riservato invece alla nomenclatura del partito, ovvero a quella militare. Vi accedevano allora, per favore del potere, i pochi appartenenti alle classi privilegiate del regime, così come vi accedono i SeBook - i Simonelli electronic Book 76

oggi per denaro gli stessi pochi che possono permettersene gli elevati costi. Il Sanatorio in cui era ospitata la Conferenza, così come gli altri presenti a Yalta, era un grande complesso costituito da numerosi edifici di gigantesche proporzioni, detti korpusy, dispersi in un amplissimo parco. Il parco occupava un morbido declivio abbarbicato sopra la ripida scogliera a picco sul mare: esso era rigato da numerosi sentieri in pietra, sui quali erano disposte frequenti panchine e punteggiato da aiuole e fontane. Dal korpus principale e dal passo carraio di ingresso, posti nel punto più alto dell’intero complesso, che era interamente circondato da una recinzione in muratura e da una robusta cancellata in ferro, i sentieri conducevano al ciglio della scogliera. Qui, interna al complesso, una funivia un po’ antiquata ma perfettamente funzionante, permetteva agli i SeBook - i Simonelli electronic Book 77

ospiti del Sanatorio di scendere alla ghiaiosa spiaggia privata, distesa ai piedi delle scoscese rocce calcareee. Appena svegli, la prima operazione del mattino fu la registrazione presso la segreteria del korpus principale, operazione che per ovvi motivi non era stata possibile la sera precedente, data la tarda ora notturna del nostro arrivo. Uno dei molti misteri insoluti dell’ex Unione Sovietica ha l’apparenza di un rompicapo genetico e riguarda le donne. In servizio come controllori sui treni, come impiegate in tutti gli uffici pubblici, come cameriere o cuoche nelle mense universitarie e nei refettori dei sanatori, come portinaie dei musei e degli istituti, come infermiere negli ospedali, le donne sono sempre numerosissime, quasi tutte oltre la quarantina, se non la cinquantina, quasi tutte di proporzioni imponenti, con le mani grasi SeBook - i Simonelli electronic Book 78

socce, le braccia e le gambe che sembrano tronchi, le facce larghe e prospere, ove lo sguardo luminoso dei loro occhi quasi sempre azzurri si perde nell’ampiezza paffuta di lineamenti regolari e massicci. Per forza di cose, ma molto sorprendentemente, queste femmine tozze che sembrano ognora debordare da gonne, camicie, uniformi e grembiuli troppo stretti, devono essere le madri, le zie o le nonne di un’altra razza di giovani femmine, uniformemente bellissime, caratterizzate da lineamenti fini e da linee perfette, accuratamente vestite con capi semplici e di poco prezzo, ma sempre di buon gusto ed invariabilmente lindi, freschi di bucato ed immacolati. Questa seconda razza femminile è altrettanto numerosa della prima e si incontra ovunque, in veste di passeggere sui vagoni della Metropolitana di Kiev o di Mosca, in servizio come commesse nei nuovi negozi di i SeBook - i Simonelli electronic Book 79

abbigliamento di moda occidentale, oppure come cameriere nei Mac Donalds e nei bar delle grandi città, od anche sotto forma di studentesse negli Istituti universitari ovvero di giovani madri che sospingono il proprio passeggino nei giardini pubblici di grandi oppure piccoli centri. Nell’ufficio accettazione del sanatorio un tipico esemplare della prima razza femminile, stretta in un’uniforme marroncina pressoché militare, molto gentile, ma incapace di comunicare in altra lingua al di fuori del russo, mi chiese familia, cioè il cognome, imya, cioè il nome, ed òtčestvo, cioè il patronimico. Queste tre informazioni dovevano essere trascritte in tre apposite caselle del passaporto interno, un libricino di colore grigio, stampato con caratteri da ciclostile su di una carta di pessima qualità che aveva sfocato tutte le lettere cirilliche, succhiandone avidamente l’inchiostro, i SeBook - i Simonelli electronic Book 80

così come facevano le carte assorbenti dei miei più remoti ricordi scolastici. Quel libercolo sarebbe stato il mio viatico per tutto il tempo di permanenza in quel luogo di riposo che a me cominciava a sembrare una zolotaya kletka, cioè una gabbia dorata. Era inutile ed improduttivo spiegare l’assenza di patronimici nella lingua italiana e così, con l’aiuto della mia amica, venne fuori un P’etro Silviovič Fre che, per una decina di giorni, mi accompagnò in tutti i miei rapporti con l’autorità. Munito dell’indispensabile libricino mi avviai, insieme al mio Virgilio al femminile, alla scoperta della sala da pranzo e della prima colazione stile sanatorio ex-sovietico. In una grandissima sala da pranzo, collocata alla sinistra dell’ingresso principale del korpus numero uno, erano allestite le mense, sia per i conferenzieri, che per le altre centinaia di ospiti del mega complesso. Ogni mensa era i SeBook - i Simonelli electronic Book 81

una grande tavola rettangolare preparata per dieci commensali, cinque su di un lato lungo del rettangolo, cinque su quello prospiciente. Al centro di ogni mensa torreggiava una imponente zuppiera metallica contenente la kasha fumante2. Ogni posto-tavola era apparecchiato con due piatti, con le posate, la scodella per la zuppa e con l’immancabile bicchiere per il čai, cioè per il te bollente. Questi boccali speciali, identici in ogni luogo di ristorazione pubblica dell’ex Unione Sovietica, erano dei recipienti di vetro, incastrati in una gabbietta di latta che li sorreggeva, munita di un manico metallico e decorata, sul lato opposto al manico, con la falce ed il martello. Un piattino contenente una zakushka, cioè un piccolo antipasto freddo, che variava secondo i giorni della settimana, attendeva pazientemente, disposto sopra il piatto più grande, l’arrivo di ciascun commensale. Il rei SeBook - i Simonelli electronic Book 82

fettorio brulicava di gente. Le cameriere, vestite tutte nello stesso modo con un grembiule grigio-azzurro ed una cuffia bianca in testa, avevano un aspetto da infermiere e si affaccendavano avanti ed indietro dalla cucina con dei grandi vassoi metallici contenenti le porzioni già preparate del piatto forte del giorno, cioè gallina bollita. Gli ospiti del sanatorio, per lo più anziani, divoravano metodicamente tutte le vivande a disposizione chiaccherando sommessamente tra loro. Lo stile ospedaliero, sia della refezione che di tutti gli altri servizi dispensati agli ospiti del complesso, così come le saune, i bagni turchi, i bagni in piscine riscaldate, le lezioni di ginnastica od i massaggi salutistici, era più che marcato e giustificava pienamente ai miei occhi la sua denominazione di sanatorio. Eppure una decina di giorni trascorsa in un siffatto collegio era stato per decenni e per i SeBook - i Simonelli electronic Book 83

milioni di sovietici un sogno proibito: un lusso esclusivo riservato ai membri della nomenklatura ed alle loro famiglie. La perfetta dimestichezza della mia amica con il luogo e le sue pratiche mi faceva comprendere che quella non era la prima volta che ella vi soggiornava: certamente vi era stata altre volte, quando l’Unione Sovietica e l’Armata Rossa esistevano ancora e lo status sociale del padre gliene offriva la chiave d’accesso. Capivo anche che, da circa un decennio, i cancelli di qualunque sanatorio si erano irrimediabilmente chiusi per lei, per la sua famiglia e per tutte le altre famiglie della sua stessa classe sociale. Provavo poi una sensazione mista tra disagio e vergogna constatando il mio inaspettato, ma incontrovertibile ruolo di miracolosa bacchetta magica. Con il mio invito ad accompagnarmi a quella conferenza, io, professore straniero che non parlavo i SeBook - i Simonelli electronic Book 84

una sola parola di russo ed avevo fino ad una settimana addietro persino ignorato l’esistenza di quel sanatorio, ne avevo ridischiuso le porte ad una cittadina ucraina, con un apriti sesamo di cui ero stato perfettamente inconsapevole. 2.4 Il taxi marshrut e la città Quel pomeriggio, dopo la mia relazione alla conferenza, ebbi il mio primo contatto con la vita del paese fuori dai cancelli della gabbia dorata e cominciai a conoscere Yalta. Usciti dalla porta principale del korpus numero uno e discesa l’ampia scalinata che scendeva a livello del parco, svoltammo a sinistra, girando attorno all’edificio, fino a trovarci sotto il muro di recinzione che correva a ridosso della facciata posteriore del palazzo, ma venti metri più in alto. Una ripida scaletta in ferro ci permise di salire al livello i SeBook - i Simonelli electronic Book 85

della strada esterna sulla quale uscimmo, attraversando una porticina ricavata nella cancellata perimetrale in corrispondenza della scala e mimetizzata tra le foglie ancora verdi della folta siepe confinaria. L’ambiente esterno mi colpì immediatamente con la sua diversità: bancarelle di frutta e verdura coloratissime, cariche di angurie, meloni, pomodori e di montagne delle celebri cipollotte rosse di Crimea, automobili scassate che liberavano tossicchiando nuvole di fumo nero, manto stradale perforato da gigantesche buche. La successiva scoperta fu il mezzo che utilizzammo per discendere dal promontorio su cui ci trovavamo fino al fondo della valle e di lì al centro cittadino. La mia amica mi disse che dovevamo aspettare l’arrivo di un taxi marschrut ed io, ubbidiente, mi disposi ad attendere che il segreto nascosto dietro quella i SeBook - i Simonelli electronic Book 86

strana parola di sapore francese mi fosse svelato. La mia curiosità fu presto soddisfatta dal sopraggiungere di un pulmino Volkswagen privo di insegne e provato da anni di battaglie con strade e sassi per i quali non era stato progettato. Salimmo a bordo, insieme a tre o quattro altre persone e ciascuno dei passeggeri, dopo una breve contrattazione con l’autista gli diede una o due grivne3 come prezzo per essere trasportato alla destinazione convenuta. Dopo un breve viaggio fatto di scossoni e soprassalti potei finalmente calpestare con i miei piedi i marciapiedi ed i viali di Yalta che per tanti anni aveva significato per me un’astrazione geopolitica ed era invece una cittadina assolutamente reale. Sceso dal pulmino mi trovai su di un lungomare di fronte ad una grande spiaggia ancora affollata di bagnanti. C’erano molti chioschi che offrivano bibite e rinfreschi, c’erano veni SeBook - i Simonelli electronic Book 87

ditori ambulanti e giocolieri, c’erano ombrelloni e sedie a sdraio. Una bianca nave da crociera era ancorata nella baia a fianco del lungo molo del porto. Alle nostre spalle, come un cuneo che dal mare penetrasse nel cuore della valle, si allungava il Giardino Pubblico Municipale, ricco di palme e banani, ulivi ed altre piante mediterranee, nonché di una moltitudine di aiuole dai colori vivaci. Ogni tanto i sentieri lastricati di quel Parco erano onorati dalla presenza di una statua a mezzo busto di qualche distinto e barbuto gentiluomo. Il centro di Yalta è essenzialmente costituito da quel giardino e vi passeggiammo a lungo. Comperammo alcuni fichi ed un grappolo d’uva da una vecchietta con il fazzoletto sul capo e li mangiammo dopo averli lavati ad una fontanella. Alla fine del pomeriggio rientrammo al Sanatorio a bordo di un altro taxi marschrut. i SeBook - i Simonelli electronic Book 88

Il mattino successivo mentre, fermo sulla scala di ingresso del Sanatorio, ammiravo il panorama in attesa che il refettorio aprisse le porte ed iniziasse il servizio della prima colazione, si avvicinò a me Ludvik Faddeev, il famoso e pluripremiato Fisico Matematico di San Pietroburgo, i cui contributi alla Fisica Teorica degli ultimi cinquant’anni sono fondamentali, ma troppo numerosi e complessi per essere spiegati in questa sede. Già Accademico dell’Unione Sovietica ed ora della Federazione Russa, conosciuto in tutto il mondo, molto influente nella comunità scientifica, ma anche noto al grande pubblico per le sue non rare apparizioni in interviste televisive, Faddeev, con il quale avevo avuto occasioni di incontrarmi già più volte sia in Europa che negli Stati Uniti, mi disse in inglese: - Vedi, Pietro, quale meraviglia è questa terra! Che sole, che clima, che festa di colori! i SeBook - i Simonelli electronic Book 89

Questa è terra russa e lo è sempre stata. Ora per venire a Yalta bisogna mostrare il passaporto alla frontiera e qui siamo all’estero, Ucraina! Pfuf! - Ierundà!4 Ciò a cui si riferiva Faddeev era il fatto che negli anni sessanta, ai tempi di Krushev, con un atto amministrativo a quell’epoca di assolutamente marginale rilevanza, l’intera Crimea era stata inclusa nella Repubblica Sovietica dell’Ucraina. Nel 1991, però, al momento dello smembramento dell’Unione Sovietica, quella disposizione di Krushev aveva avuto enormi conseguenze. La penisola di Crimea era venuta a trovarsi parte del nuovo stato indipendente dell’Ucraina e per questo motivo, non solo la località turistica di Yalta, ma anche le basi militari della flotta russa del Mediterraneo si erano trovate, nel giro di una notte, in territorio straniero. Ne era seguita una lunga ed aspra crisi diploi SeBook - i Simonelli electronic Book 90

matica, risolta dai due Presidenti Eltsin e Kravchuk tramite un accordo cinquantennale in forza del quale le basi russe di Crimea godono di extra-territorialità al prezzo di un affitto pagato annualmente al Governo dell’Ucraina. Che la Crimea sia diventata Ucraina è visto dai Russi come una Ierundà. L’esistenza stessa di uno stato ucraino, per la maggior parte degli ex cittadini sovietici di un’età superiore alla cinquantina è in qualche modo una stranezza. Quella fu la mia prima lezione sul problema russo-ucraino.

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3. Le Porte d’Oro di Kiev Chi non conosce la celebre orchestrazione sinfonica che Maurice Ravel fece nel 1929 della composizione pianistica I quadri di un’esposizione di Modest Musorgskji? È giustamente famosissima per la sua misteriosa bellezza. Nella mia infanzia, la musica poteva essere ascoltata a casa propria soltanto alla radio oppure dai dischi in vinile, suonati nei giradischi a puntina. Ricordo distintamente la sacralità con la quale certe sere mio padre si chiudeva nel proprio studio, si sprofondava in una delle due grandi poltrone rosse che oggi stanno ad ammuffire in un angolo del mio scantinato, poneva una grande pizza nera sul piatto del radio-grammofono che ora ammuffisce infondo al mio garage e, i SeBook - i Simonelli electronic Book 92

spenta la luce, si intratteneva per ore con un effluvio di note per me tanto affascinante quanto disperantemente remoto. Nel buio della stanza, le uniche tenui sorgenti di luce erano le corone verdi retroilluminate attorno alle manopole del radio-grammofono ed i tremuli bagliori rossastri sulla punta ardente della sigaretta di mio padre. Una delle sue composizioni preferite era proprio la suite sinfonica di Ravel-Musorgskji che finisce con il tema solenne della Grande Porta di Kiev. Così nella mia infanzia io feci il mio primo incontro con la parola Kiev, probabilmente il nome di una remotissima città che io non avrei mai visto in tutta la mia vita, e seppi anche che essa era dotata di una Grande Porta. Una porta così grande e così maestosa da ispirare le note più maestose e più trascinanti che per me potessero esistere. i SeBook - i Simonelli electronic Book 93

Crebbi, divenni adulto, studiai e viaggiai moltissimo per tutto il mondo al di qua della Cortina di Ferro, ma, come Yalta era il nome di un trattato, così Kiev restò per me quello di una città fornita di una Grande Porta e sita, da qualche parte, nel mezzo di quello spazio quasi metafisico che era ufficialmente denominato Unione Sovietica e colloquialmente tutti chiamavano più semplicemente Russia. La parola Russia era associata anche ad altri concetti. Russia significava pure lo zar Pietro il Grande, significava anche i grandi romanzi di Tolstoj e Dostojevskji, che io avevo famelicamente divorato in gioventù, significava la musica di Tchaikovskji e di Borodin, oppure le avventure di Taras Bul’ba che avevo letto ad otto anni in edizione per ragazzi. Quelli però erano significati storici, fissati per ricordo nei libri di scuola, ma i SeBook - i Simonelli electronic Book 94

irrimediabilmente perduti per la contemporaneità e per il futuro a me accessibile. Russia, od Unione Sovietica che dir si volesse, per gli occidentali della mia generazione significava soltanto l’impenetrabile e tricipite monolita formato dal PCUS, dal KGB e dall’Armata Rossa, così come teorizzato nel libro Inside the Red Army che un generale sovietico aveva pubblicato in inglese sotto il falso nome di Viktor Suvorov. Tutto quello che stava in quel monolita era essenzialmente privo di materialità, perchè inaccessibile alla sperimentazione diretta tramite i sensi. Kiev e la sua porta appartenevano a quell’universo immateriale. Non sapevo allora che la Grande Porta di Kiev che aveva ispirato Musorgskji era soltanto un progetto: un progetto mai realizzato dell’architetto Viktor Hartman, amico del compositore, morto i SeBook - i Simonelli electronic Book 95

a soli 39 anni nel 1874. Non sapevo allora che Kiev aveva avuto ed avrebbe avuto nuovamente altre Porte, le Porte d’Oro, emblema della sua figliazione bizantina, emblema del suo ruolo di madre di tutte le città russe, come Bulgakov fa dire ad un ufficiale, nel romanzo la Guardia Bianca. Non sapevo allora che io non solo avrei visto Kiev e le sue Porte, ma ci sarei pure vissuto per un intero inverno. Ottenuto il congedo sabbatico dalla mia Università per l’anno accademico 20022003 decisi di spenderlo presso l’Istituto di Fisica Teorica Boguljubov dell’Accademia delle Scienze di Kiev, Istituto con cui già intrattenevo rapporti di collaborazione. Terminati tutti i complessi preparativi, necessari all’attuazione di questo progetto, atterrai all’aeroporto di Borispol i primi giorni di ottobre del 2002. Nelle vicinanze della i SeBook - i Simonelli electronic Book 96

stazione Lybedeskaja, terminale della principale linea metropolitana di Kiev e conveniente punto di partenza dei taxi marshrut che mi avrebbero quotidianamente condotto fino all’Istituto Bogoljubov, i miei referenti locali avevano affittato a mio nome un alloggetto in cui avrei potuto vivere durante il mio soggiorno ucraino e l’avevano attrezzato con tutto il necessario. Da Borispol fui accompagnato fino ad esso con tutto il bagaglio che io avevo portato dall’Italia: giunto sulla porta della mia nuova dimora feci conoscenza con la vicina di casa, una vecchietta con un fazzoletto in testa e dei gambali di gomma ai piedi che, chiamandomi costantemente tovarish, mi fece un mucchio di complimenti incomprensibili. Poi, chiusami la porta alle spalle, alla fine della stessa giornata in cui ero partito dalla mia casa italiana, mi ritrovai totalmente solo i SeBook - i Simonelli electronic Book 97

nel bel mezzo di un universo sconosciuto, con molti mesi dinanzi a me per esplorarlo, ma con assai scarse risorse comunicative per farlo. Oltre ai numeri fino a venti, il mio russo comprendeva allora le formule di saluto per le tre fasi della giornata, grazie, prego e buona notte; la più inutile, quest’ultima, di tutte le mie scarse nozioni, poiché non avevo vicino a me nessuna persona a cui augurare buon riposo. Unici strumenti a mia disposizione per migliorare questa fallimentare situazione linguistica erano le quattro magneto-cassette del corso introduttivo il Russo Facile del Metodo Assimil e l’allegato libretto di dialoghi con traduzione a fronte. Nonostante il poco brillante punto di partenza, sopravvissi alla situazione, imparai a conoscere Kiev, la visitai e la percorsi in ogni direzione, mi affezionai alla sua storia millenaria, mi affezionai all’Ucraina ed alla i SeBook - i Simonelli electronic Book 98

Russia, mi affezionai alla loro gente, che mi è entrata per sempre nel sangue. Alla fine cominciai anche a parlare un po’ la loro lingua. 3.1 Le Porte d’Oro Passati i primi giorni di stordimento, necessari per metabolizzare la mia nuova situazione, giorni in cui mi limitai ad andare all’Istituto il mattino e tornare a casa la sera con lo stesso taxi marshrut che mi ci aveva portato e che terminava la sua corsa precisamente davanti al mastodontico palazzone grigio in cui io ora abitavo, venuto il pomeriggio del mio primo sabato kieviano, iniziai le mie esplorazioni dell’Ignoto ed il mio viaggio a ritroso nel tempo della Città e della Rus’. Uscii nel cortile, lasciandomi alle spalle la porta d’ingresso di ferro smaltato, graffiato e scheggiato e l’odore di zuppa di cavoli che i SeBook - i Simonelli electronic Book 99

permeava le scale, i pianerottoli e l’ascensore del mio, come di tutti gli altri identici stabili di epoca Krusheviana. Nel pratino, chiuso tra le alte facciate grigie e sbrecciate e la fila di ippocastani ingialliti dal rapido avanzare della stagione, alcuni ragazzini giocavano a pallone. Discesi la scaletta esterna che, dal livello del cortile conduceva a quello della strada, e raggiunsi le scale d’ingresso della Lybedskaya Stantzja. Sul marciapiede, una folla di persone andava e veniva indaffarata. Molti passanti si assembravano attorno ad un edicola dove vendevano birre, panini con salsicce calde e fette di baklava, l’ipercalorico dolce turco a base di miele, noci, uova e farina. Dietro il banchetto, una finestrella del palazzo d’angolo ospitava uno degli infiniti, onnipresenti e sempre affollatissimi Ob’men valuty, gli uffici di cambio dove dollari od euro potevano essere tramutati in grivny, o viceversa, ai tassi quotidianai SeBook - i Simonelli electronic Book 100

mente annunciati su delle insegne gialle che imparai subito a riconoscere a distanza. Un fiume umano saliva e scendeva la scala d’ingresso della Stantzja. Appoggiate con la schiena al muro o sedute su dei minuscoli sgabellini, decine di imponenti nonnine, imbacuccate in cappottoni grigi e fazzolettoni annodati sul capo, passavano la giornata su quei gradini, offrendo al mercato dei passanti le loro piccole mercanzie: uova sode, grandi barattoli di ogurchik, cioè di cetrioli in salamoia, oppure formaggi campagnoli, ma anche calze di lana e maglioni confezionati da loro stesse. Il lungo corridoio sotterraneo che attraversava la piazza e portava alle scale mobili era interamente occupato da altre piccole edicole e da banchetti di ambulanti dove si vendevano articoli di uso comune di ogni sorta: frequentissimi i punti vendita di lampadine e batterie elettriche, quelli di matite, i SeBook - i Simonelli electronic Book 101

penne e quaderni, rocchetti di filo ed aghi, fiammiferi, bicchieri e tazzine, yogurth, verdura e frutta. Più rare le salsicce od altri prodotti di macelleria. Vi era anche chi cavava struggenti melodie dalle corde di un violino, in attesa di qualche kopeko1 di carità. A metà del corridoio, seduto su di uno sgabello, con due moncherini che gli spuntavano dalle brache corte al posto delle gambe, sedeva un bell’uomo prossimo alla quarantina, con le gote glabre accuratamente rasate ed uno sguardo melanconico sprizzato da una coppia di occhi azzurrissimi. Un cartello scritto a mano ed appeso al muro, sopra al suo capo, spiegava: Ghieroi Afghanistana2. Sorpassato l’ampio atrio, dove c’erano gli sportelli di vendita dei biglietti, raggiunsi le scale mobili della stazione Libidskaya, terminale della linea blu. Nella metropolitana di Kiev, costruita in epoca staliniana, le scale i SeBook - i Simonelli electronic Book 102

mobili sono tutte di legno: imponenti e lunghissime, scorrono allineate a quattro e, talvolta anche a sei, in ripidi tunnel dalla volta a botte, decorati con mosaici e rischiarati da caratteristiche lampade cilindriche di color verde, piantate ad intervalli regolari nei pannelli di legno scuro che ricoprono interamente, all’altezza del mancorrente, gli spazi esistenti tra un nastro trasportatore della scala mobile e quello parallelamente adiacente. Salito sul treno, ne scesi alla terza fermata successiva dal nome carico di fascino evocativo, Ploschad Leva Tolstogo, cioè Piazza Leone Tolstoj. In superficie questo è il punto di incrocio tra il lunghissimo Boulevard Chervona Armiska, ossia Armata Rossa detta in ucraino3, e la storica via centrale di Kiev Khreshatik, la cui denominazione trae origine dalla parola russa krest’ che indica la i SeBook - i Simonelli electronic Book 103

croce e ricorda lo storico ruolo di Kiev quale centro di irradiamento del Cristianesimo Ortodosso nella Nazione Russa. Sotto la superficie, Ploschad Leva Tolstogo è l’incrocio tra la linee blu e quella verde della ferrovia urbana. Abbandonata la prima, utilizzai la seconda per raggiungere la fermata successiva, denominata Zolotye Vorota. Questa, fra tutte le stazioni della metropolitana kieviana è la più monumentale e la più splendidamente decorata con colonne e mosaici in stile russo-bizantino . La sua denominazione trae origine dallo storico monumento che le corrisponde in superficie. Le Zolotje Vorota, ossia le Porte d’Oro erano erano l’ingresso principale e trionfale dell’antica Kiev: esse devono il loro nome ai Cancelli d’Oro di Costantinopoli, che rivestirono analoghe funzioni nella capitale i SeBook - i Simonelli electronic Book 104

bizantina. Le Zolotje Vorota erano una tra le tre possenti porte d’ingresso alla capitale dell’antico Stato Russo, edificate sotto il regno di Yaroslav il Saggio. La loro costruzione è menzionata, insieme a quella della Cattedrale di Santa Sofia, nella Cronaca dei Tempi Passati all’anno 1037. Nel 1240 le Porte d’Oro subirono ingenti danni al tempo dell’assedio e poi della conquista della città di Kiev da parte dell’Orda Mongola di Batya. Dagli appunti dei viaggiatori del XVI e XVII secolo, nonchè dai bozzetti di A. Westerfield (1651) risulta chiaro che già a quell’epoca le Porte d’Oro erano semidistrutte. Le Porte d’Oro espletarono il ruolo di ingresso principale della città fino al XVIII secolo e furono sovente utilizzate a scopi cerimoniali, benchè esse fossero da tempo cadute in rovina. Fu soltanto nel 1832 che vennero prese le prime misure per la loro i SeBook - i Simonelli electronic Book 105

conservazione. Nel 1970, di fronte alle rovine delle Porte d’Oro, fu costruito un padiglione in cui venne costituendosi un piccolo museo dedicato alla loro storia. Successivamente il museo fu trasferito nell’edificio stesso delle Zolotje Vorota, restaurate seguendo le scarne informazioni desunte da alcuni antichi schizzi. Nel 1982, in occorrenza del millecinquecentesimo anniversario dalla fondazione di Kiev, le Porte d’Oro furono riedificate integralmente, nonostante che planimetrie originali, ovvero raffigurazioni attendibili di come esse apparissero nell’antichità non ci siano pervenute. Ora le Porte d’Oro stavano di fronte a me nel mezzo di una piazzetta alberata ed all’attenzione della mia fervida immaginazione esse evocavano il misterioso miracolo del primo sorgere dell’antico Stato Russo. Uno stato inesistente ed a tutti ignoto fino i SeBook - i Simonelli electronic Book 106

all’inizio del X secolo, ma già divenuto nell’undicesimo secolo la più grande e territorialmente estesa potenza d’Europa: una potenza il cui sovrano trattava da pari a pari con l’Imperatore di Bizanzio e vantava una capitale che rivaleggiava in splendore monumentale con la stessa Costantinopoli. 3.2 La questione normanna Nella storiografia sovietica si contrapposero due ipotesi sulla formazione dell’antico stato russo, la Kievskaja Rus’. Secondo la teoria normanna che si fonda sull’antica Cronaca dei tempi passati e su una numerosa serie di fonti, sia occidentali che bizantine, l’organizzazione statale fu importata in Russia dall’estero per opera dei Variaghi Ryurik, Sineus e Truvor nell’862 d.c. Fondatori della teoria normanna furono gli studiosi e storici tedei SeBook - i Simonelli electronic Book 107

schi, Bayer, Müller e Schlözer che nel diciottesimo secolo lavorarono all’Accademia Russa delle Scienze di San Pietroburgo. Alla concezione di una provenienza straniera posta all’origine della monarchia russa aderì in seguito il primo grande storiografo della Russia moderna, Nicolai Michailovič Karamzin4. Al contrario la teoria antinormanna si basa sull’idea che, senza una previa maturazione spontanea della società locale non esista la possibilità di costruire una struttura statale importata dall’esterno. Fondatore di questa teoria nella storiografia russa viene considerato lo stesso Michail Vasilievič Lomonosov5, il primo studioso e scienziato russo che assurse ad una fama mondiale. Oltre che scienziato, Lomonosov fu poeta, pittore, storico economista, nonchè fondatore dell’Università Statale di Mosca. i SeBook - i Simonelli electronic Book 108

Negli studiosi contemporanei prevale il punto di vista secondo il quale la brutale contrapposizione tra la teoria normanna e quella antinormanna sia stata largamente ed acriticamente inasprita ad arte per motivi politici. A ben considerare le premesse necessarie per la fondazione di un’antica compagine statale nelle popolazioni slave orientali non furono negate nè da Müller, nè da Schlözer nè da Karamzin; d’altra parte l’origine straniera di una dinastia dominante (dalla Scandinavia o da qualunque altra regione) fu un fenomeno molto diffuso nel Medio Evo. Come tale l’origine straniera della monarchia russa non dimostra per nulla l’incapacità della nazione slava di fondare uno stato o concretamente l’istituto monarchico. Così nella storiografia russa contemporanea si continua a discutere sulle seguenti doi SeBook - i Simonelli electronic Book 109

mande, se il variago Ryurik sia stato veramente il fondatore della dinastia regnante, quale sia l’origine delle cronache dei Variaghi ed infine se Rus’, il nome stesso dell’antico stato e dell’etnia che l’ha fondato, sia di origine scandinava. 3.3 La formazione della Russia di Kiev La leggenda tramandata dalle cronache considera fondatori di Kiev e primi sovrani della tribù dei Poljani i tre fratelli Kij, Shek e Khoriv. Alcune fonti storiche collocano le gesta di quest’ultimi nel IX secolo; tuttavia le evidenze storiche dimostrano che Kiev è più antica di questa data. Provenienti dal Nord, i Rus’ cercavano di sottomettere le tribù locali, cosa che finalmente riuscì loro proprio in quei tempi. La Storia ci ha conservato i nomi di alcuni condottieri di queste i SeBook - i Simonelli electronic Book 110

armate variaghe, cioè Askold (Hoskuldr), Dir (Dyri), Oleg (Helgi) ed Igor (Ingvar). La radice germanica di questi nomi propri che saranno usatissimi nel corso posteriore di tutta la storia russa è evidente e fornisce un forte argomento a sostegno della teoria normanna. È inoltre sorgente di un indiscutibile e romantico fascino immaginare le avventurose imprese di questi antichi cavalieri che in una forza di poche decine o centinaia conquistarono ed assoggettarono immensi territori abitati da molto più numerose popolazioni di stirpe slava, organizzandole in una robusta compagine statale che rapidamente diede i propri frutti in una precoce e, per molti versi, sorprendente civilizzazione. L’epos dei fondatori normanni dell’antica Rus’ non è dissimile dalle strabilianti imprese dei Conquistadores Castigliani del Nuovo Mondo e probabilmente non è scei SeBook - i Simonelli electronic Book 111

vro dalle stesse orrende crudeltà, in questo caso rimaste sepolte nell’oblio della Storia, a causa dell’assenza di contemporanee testimonianze scritte. La presa di Kiev da parte di Oleg nell’882 fissò il definitivo inserimento sia di questa città che del suo conquistatore nel ruolo di pietre di fondazione dell’antico stato russo. La moderna cronologia della Russia Kieviana è fondata sia sui racconti delle fonti scritte che sull’acquisizione di nuovi importanti dati archeologici. Così è ormai assodato che oltre a Kiev anche le città di Novgorod e di Staraja Ladoga esistevano molto prima del IX secolo. Tuttavia le prime tracce documentarie dello stato russo si trovano soltanto all’inizio del primo terzo del IX secolo, periodo che, secondo la tradizione, termina con la chiamata dei Variaghi. Nell’839 si ricorda l’apparizione di un’ambasceria del kai SeBook - i Simonelli electronic Book 112

qhan del popolo russo, dapprima a Costantinopoli e poi alla corte dell’imperatore franco Ludovico il Pio. Inoltre una serie di fonti associa i kaqhan degli slavi (un termine di origine turca o chazara) con i Normanni o gli Svedesi. A partire da questa data il nome di un Popolo Russo diventa frequente nelle documentazioni storiche. È nel 860 che davanti all’imperatore Bizantino Michele III la Rus’ fece la sua rumorosa apparizione nell’arena storica. In questa data il nuovo stato inviò la sua prima missione diplomatica a Costantinopoli: una missione che si concluse con la stipulazione di un trattato di pace Russo–Bizantino. La Cronaca dei tempi passati attribuisce questa missione ai due Variaghi che in quel momento regnavano a Kiev, cioè ad Askold e Diro, liberatisi di Ryurik. La spedizione di Askold e Diro ebbe luogo al tempo del coi SeBook - i Simonelli electronic Book 113

siddetto primo battesimo della Russia, tramandatoci da fonti bizantine, dopo il quale sorse nella Rus’ una eparchia6 ed il cristianesimo fu adottato dalla classe dominante, apparentemente a cominciare dallo stesso Askold. Nonostante ciò la trasformazione del Cristianesimo in religione di stato dovette attendere ancora un secolo durante il quale l’originario paganesimo slavo continuò ad essere la credenza della maggioranza della popolazione ed ebbe così il tempo di permeare il sostrato profondo della nascente cultura russa. Infatti, secondo la narrazione della Cronaca, nell’882 il principe Oleg di Novgorod, discendente di Ryurik, conquistò Kiev, e dopo aver ucciso Askold e Dyr scelse questa città come capitale dei propri possedimenti. Religione statale tornò ad essere il paganesimo, benché una minoranza cristiana i SeBook - i Simonelli electronic Book 114

sopravvivesse in Kiev . Oleg sottomise i Derevliani, i Severiani ed i Radimichi, che precedentemente erano stati tributari dei Chazari. Furono redatti a quell’epoca i primi trattati scritti con Bisanzio che prevedevano condizioni agevolate di commercio per i mercanti russi che si recavano a Costantinopoli, esentandoli dal pagamento del dazio e dalla sottomissione alla giurisdizione bizantina. Questi trattati intendevano porre fine ai contenziosi giuridici e bellici tra i due stati. Furono invece assoggettate al pagamento di una tassa le tribù dei Radimichi, dei Severiani, dei Derevliani e dei Krivichi. Secondo la Cronaca, Oleg, al quale fu riconosciuto il titolo di Gran Principe, regnò per più di trent’anni senza curarsi di Igor, legittimo erede al trono in quanto figlio naturale di Ryurik. Igor salì al potere soltanto dopo la morte di Oleg intorno al 912 e regnò fino al 945. i SeBook - i Simonelli electronic Book 115

Il Principe Igor condusse due spedizioni belliche contro Bisanzio. La prima, svoltasi nel 941 si concluse senza fortuna. Essa fu preceduta da un’altra ugualmente sfortunata campagna di guerra diretta contro i Chazari, durante la quale i Russi, agendo su invito di Bisanzio, attaccarono la città di Samkertz nella penisola di Taman che, da oriente, si protende verso la Crimea e forma così il secluso golfo denominato mare d’Azov. Duramente sconfitti dai nemici, i Russi voltarono le armi contro il loro committente, cioè contro l’impero bizantino, ma non ottennero alcun risultato significativo. La seconda spedizione contro Bisanzio ebbe luogo tre anni più tardi nel 944. Questa volta l’azione bellica si concluse con un trattato che confermò molte delle clausole stabilite nei precedenti accordi del 907 e del 911, ma soppresse le esenzioni doganali sul traffico commerciale. i SeBook - i Simonelli electronic Book 116

Nell’anno 945 il principe Igor fu ucciso durante l’esazione del tributo imposto ai Derevliani. 3.4 La Principessa Olga Dopo la morte del marito e durante la minorità del figlio Svjatoslav, il potere effettivo cadde nelle mani della vedova di Igor, la principessa Olga. Il mio primo incontro con la principessa Olga fu durante il mio soggiorno a Kiev nell’autunno del 2002. Della lingua russa, come ho già detto, conoscevo pochissimo, di quella ucraina nulla e della storia russa avevo allora nozioni assolutamente scarne e sporadiche, ma certo, passeggiando per il centro della Kiev contemporanea non si può non fare la conoscenza della Kniagina Olga. La sua poderosa mole di marmo bianco doi SeBook - i Simonelli electronic Book 117

mina il lato sinistro della vastissima Michajlovskaja Ploshad’, la piazza di San Michele, prospiciente il gigantesco complesso monumentale dell’omonima cattedrale, il Michailskij Soborg. È questa un’imponente costruzione azzurra venata dal bianco candido di colonne semicilindriche, a pianta quasi quadra, sovrastata da un ammasso di tozze torri esagonali anch’esse bianche ed azzurre sulle quali svettano le scintillanti cupole dorate che si stagliano contro il cielo continuamente movimentato dal passaggio di nuvole dalla forma cangiante. Nelle belle giornate estive ed autunnali, lo splendore aureo dei tetti sembra galleggiare sospeso in un vuoto, in cui i colori del cielo e dei cumuli si confondono, specularmente riflessi, in quelli dei muri e delle torri sottostanti. Le cattedrali gotiche dell’Europa occidentale, con la selva delle loro guglie e i SeBook - i Simonelli electronic Book 118

dei loro pinnnacoli di pietra grigia, arditamente slanciati verso cieli perennemente grigi, nebbiosi e tormentati dalle incessanti piogge, con cui i venti Atlantici risciacquano le opere ed i pensieri degli uomini, esprimono l’anelito di quest’ultimi all’infinito ed i loro incessanti sforzi per ascendere verso l’ignoto. Non è la marcia trionfale di un’armata, ma la corsa frenetica di migliaia di individui, disordinata e multiforme, così come variegata, fantasiosa ed imprevedibile è la folla di santi, vescovi, imperatori, creature grottesche e poveri diavoli scolpiti nella pietra. Anche qui, nel cuore della pianura sconfinata, lontana dall’Oceano, le croci dorate svettano verso l’alto, ma è lo Spirito che incombe sulla Terra con una composta maestà e l’Umanità si rivolge ad esso con uno sforzo coordinato, espresso nella geometrica e metodica fabbrica delle torri poste a sostegno delle cupole, la cui roi SeBook - i Simonelli electronic Book 119

tondità richiama l’eterna perfezione, la coincidenza dell’alfa con l’omega, l’assenza di un principio così come di una fine. L’edificio della cattedrale di San Michele sorge all’interno di un cortile erboso, che contiene anche altre costruzioni minori ed è ombreggiato da grandi ippocastani. A questo spazio interno, animato dall’incessante andirivieni di fedeli di tutte le età e dal passo frettoloso di monaci barbuti con le tonache nere e le pesanti croci dorate dondolanti sul petto, si accede attraverso un imponente portale formato da un corridoio che passa sotto la possente torre campanaria a pianta quadra, anch’essa bianca ed azzurra ed anch’essa coronata da una grande cupola aurea. Quando io attraversai per la prima volta questo portale era il mese di Ottobre, le foglie degli ippocastani, ingiallite dall’autunno, frusciavano nel soffio pungente di una brezza i SeBook - i Simonelli electronic Book 120

sottile, ma già gelida, e lo sguardo austero della marmorea principessa Olga, che scrutava la piazza al di sopra delle più piccole statue dei Santi Cirillo e Metodio, pareva sorvegliare i miei passi così come quelli di chiunque si avvicinasse a quel centro del Culto Cristiano nella terra dei Rus’i: un culto che ella aveva abbracciato per prima e più di ogni altro fortemente voluto quale religione dello Stato di cui aveva assunto il governo alla morte del marito Igor. Una donna guerriera, volitiva e crudele, vissuta mille anni fa ed una chiesa non molto più giovane, perchè già fondata nel XII secolo, mi soggiogavano con il fascino della loro antichità, imponendomi il muto rispetto che esigono dai posteri le contorte vicende umane, agitate dalle passioni, ma consacrate all’eternità dalla propria immutabile appartenenza ad un passato ormai ultra remoto. Eppure tutto attorno a me pareva i SeBook - i Simonelli electronic Book 121

inusitatamente lucido e smagliante, così come se fosse stato eretto il giorno prima. Tale sensazione non era casuale perchè la cattedrale di San Michele del XII secolo è stata interamente ricostruita soltanto nel 1999 e la statua della principessa Olga è stata scolpita nel 1996. Dunque in quell’autunno del 2002 io ammiravo una costruzione inaugurata soltanto tre anni prima. Quella tarda mattinata autunnale, io toccavo con mano un’emblematica esemplificazione delle inestricabili contraddizioni di cui la storia ed il carattere della nazione russa sono irrimediabilmente intrisi, costituendone, per lo straniero che ad essi si avvicina, tanto l’esasperante tormento quanto la travolgente seduzione. Lo stato nazionale russo è allo stesso tempo il più antico ed il più giovane dei grandi stati nazionali europei, essendo nato due volte e da due città diverse: Kiev e Mosca. Così è i SeBook - i Simonelli electronic Book 122

per la letteratura. La cronaca di Nestore7 è stata composta in russo antico ad un tempo in cui nell’Europa Occidentale nessun documento veniva ancora redatto in alcuna delle lingue volgari del continente, tuttavia la moderna letteratura russa fu l’ultima a fiorire delle grandi letterature europee ed è virtualmente inesistente prima della fine del XVIII secolo. L’elenco delle contraddizioni è lunghissimo. Stridente più di ogni altro è il contrasto della gentilezza, della profonda sensibilità umana, della sete di giustizia e dell’ineguagliabile capacità di amare dei Russi con le efferate crudeltà di cui i loro sovrani ed i loro governi, sia antichi che moderni, hanno saputo macchiarsi. Tali contrasti già emergono nelle vicende della Kniagina Olga. Nata intorno all’890 Olga aveva ormai più di cinquant’anni quando il suo consorte, il Principe Igor fu ucciso dai Derevljani nel 945. i SeBook - i Simonelli electronic Book 123

Di carattere oltremodo violento, Olga vendicò fermamente l’uccisione del marito, cercando e mandando a morte i suoi sicari e molti dei loro seguaci, con astuzie e crudeltà inaudite. Divenuta reggente in nome del proprio figlio Svjatoslav che era ancora minore, la Kniagina governò lo stato con tenacia e saggezza fino al raggiungimento della maggiore età di Svjatoslav nel 964 e restando quindi al timone del principato ben oltre ai propri settant’anni, un’età straordinariamente avanzata per una donna di quei tempi. Ella fu la prima sovrana dell’antico stato russo ad aderire formalmente al Cristianesimo secondo il rito bizantino. Le fonti storiche più accreditate fisssano questo avvenimento di portata assolutamente epocale nel 957. In questo anno Olga si recò fino a Costantinopoli per essere battezzata secondo il rito greco-ortodosso. Suo figlio i SeBook - i Simonelli electronic Book 124

Svjatoslav, tuttavia, rimase ostinatamente pagano e nel 962, giunto alla maggiore età assunse il potere direttamente nelle proprie mani. 3.5 Bisanzio e la Rus’: un incontro fatale L’influenza esercitata da Bisanzio sulla formazione dell’antico stato russo, della sua civilizzazione e del complesso di strutture culturali che costituì poi la base di tutta la successiva storia russa è ben nota ed è chiaramente esemplificata dalle vicende fin qui narrate. La concezione di questo rapporto abitualmente recepita nella cultura occidentale è tipicamente unidirezionale ed è inconsciamente modellizzata sulla latinizzazione dei barbari da parte dell’Impero Romano. Ciò è abbastanza naturale, considerando che lo stato bizantino fu l’erede politico dell’Impero Roi SeBook - i Simonelli electronic Book 125

mano d’Oriente e che i Greci medievali continuarono pervicacemente a chiamare se stessi Oi Romaioi, cioè i Romani, benchè il latino fosse virtualmente scomparso anche dal linguaggio giuridico-legale, lasciando soltanto qualche debole traccia nella pletora di titoli onorifici usata ed abusata dalle segreterie imperiali: nobilissimus, ad esempio, frequentemente usato nei secoli VII ed VIII era divenuto più raro nel IX, mentre sopravvivevano quaestor e patricius grecizzato in patrikios. Una concezione unidirezionale siffatta che vede la nascente Russia come una nazione periferica e barbarica, culturalmente colonizzata da un potente ed antico impero, autosufficiente e dominante, è alquanto fuorviante perchè trascura un fatto assolutamente fondamentale. L’incontro tra Bisanzio e la Rus’, non avvenne in un momento qualunque della storia bizantina, bensì in uno particolarmente crui SeBook - i Simonelli electronic Book 126

ciale e molto rilevante fu il ruolo giocato dai Principi di Kiev nel consentire all’Impero Greco Medievale di raggiungere proprio a quei tempi l’apogeo della propria potenza e della propria fioritura culturale. Per apprezzare il significato di questa affermazione conviene fare un passo indietro e considerare chi fosse l’Imperatore Bizantino che nel 957 accolse in Costantinopoli la Principessa Olga, quando ella vi si recò per farsi battezzare, e considerare anche quale fosse a quell’epoca la situazione del suo Impero. L’Ospite di Olga era Costantino VII Porfirogenito, il più colto ed il più dotto fra tutti coloro che nella millenaria Storia di Bisanzio ebbero la sorte di rivestire la porpora. Terzo sovrano della dinastia macedone, sotto la quale il vecchio impero riconquistò tutta l’antica forza ed il prestigio appannatosi per quasi tre secoli, Costantino, durante il suo lunghissimo regno i SeBook - i Simonelli electronic Book 127

(913-959), si occupò più di scienza e di cultura che non di politica. Salito al trono a soli otto anni di età dopo la morte dello zio Alessandro, egli non amministrò direttamente lo stato per vari decenni. Il suo potere fu vicariato dapprima da un Consiglio di Reggenza fino al 919, poi da suo suocero Romano I, chiamato a salvare il trono da un possibile colpo di stato. Soltanto nel 944 ed all’età di 39 anni Costantino assunse direttamente nelle proprie mani le redini del potere autocratico. Bibliofilo appassionato, minuzioso ricercatore delle fonti storiche, studioso di vasto sapere e scrittore elegante, Costantino fu l’autore di molte opere erudite ed il primo creatore di un vero e proprio sistema enciclopedico. Infatti, insieme a molti altri dotti del suo tempo egli progettò un archivio del sapere, con l’intento di perpetuare le tradizioni religiose e civili che avevano reso grande l’impero prima del periodo dell’iconoclastia. Tra le opere dii SeBook - i Simonelli electronic Book 128

rettamente attribuite a Costantino VII spiccano il De cerimoniis aulae byzantinae e il De Administrando Imperio. La prima opera descrive nei più minuti dettagli le procedure cerimoniali adottate dalla Corte. La seconda opera, il De Administrando Imperio, il cui originale titolo greco è Προς τον ίδιον υιόν Ρωµανόν (Al Nostro Proprio Figlio Romano) era destinato ad essere un manuale di politica interna ed estera per il suo figlio e successore, il futuro imperatore Romano II. Questo trattato contiene dei consigli sul funzionamento dell’impero multietnico e sul modo di combattere i nemici stranieri. Il De Administrando Imperio è una straordinaria compilazione etno-geograficopolitica che contiene descrizioni accurate ed analisi storiche approfondite di una varietà di nazioni straniere. In particolare contiene una vivida descrizione della Rus’. Ascoltiamo direttamente la parola del Porfirogenito Costantino: i SeBook - i Simonelli electronic Book 129

3.5.1 Dal De Administrando Imperio: Dei Peceneghi e dei Rus’i I Peceneghi sono vicini dei Rus’i e spesso, quando le due nazioni non sono in pace l’una con l’altra, compiono scorrerie nella Rus’ causando a questo stato grandi danni e rovine. I Rus’i sono molto interessati a mantenere la pace con i Peceneghi: da loro acquistano bestiame bovino ed ovino, nonchè cavalli; solo grazie a questi acquisti essi possono vivere più confortevolmente, poichè nessuno di tali animali può essere trovato nella Rus’. Inoltre assai difficilmente i Rus’i possono partire per spedizioni di guerra fuori dai propri confini se non si sono prima garantiti di essere in pace con i Peceneghi, poichè, non appena essi lasciano le loro case, questi noi SeBook - i Simonelli electronic Book 130

madi possono assalirle, razziando e distruggendo le loro proprietà... Nè possono i Rus’i venire fino a questa città imperiale, vuoi per guerra, vuoi con pacifici intenti commerciali, se prima essi non si sono garantiti la pace con i Peceneghi. . . 3.5.2 Dal De Administrando Imperio: Della discesa dei Rus’i in monoxyla Le monoxyla che discendono dalla Rus’ fino a Costantinopoli provengono da Novgorod dove Svjatoslav, figlio di Igor, principe di Rus’, aveva la sua dimora, ma anche da altre città come Smolensk, Teliutza, Chernigov e Vyshegrad. Tutte queste imbarcazioni discendono il corso del fiume Dniepr e si radunano nella città di Kiev, chiamata anche Sambatas. I tributari slavi dei Rus’i, i cosiddetti Krivichi ed i Lenzaneni, così come tutto il resto degli abitanti delle i SeBook - i Simonelli electronic Book 131

regioni slave, tagliano il legname sulle loro montagne durante la stagione invernale per costruire le proprie monoxyle e quando le hanno approntate e sopraggiunge la primavera ed i ghiacci cominciano a sciogliersi allora le portano sui laghi a loro prossimi. E siccome tutti questi laghi hanno emissari che sfociano nel Dniepr, tutti quanti si ritrovano sullo stesso fiume e scendono fino a Kiev dove terminano di rifinire le loro imbarcazioni e le vendono ai Rus’i. Questi ultimi comprano soltanto gli scafi nudi e li armano con i remi, le panche e le altre attrezzature che essi recuperano dalle imbarcazioni più vecchie che essi demoliscono. Così i Rus’i allestiscono la loro flotta e quando viene il mese di Giugno levano l’ancora e discendono il corso del Dniepr giungendo fino alla città di Vitichev che è tributaria della Rus’. Là si fermano per due o tre giorni per potersi radunare tutti. Infine salpano di nuovo e discendono il i SeBook - i Simonelli electronic Book 132

fiume. Giungono al fine alla prima rapida8 chiamata Essoupi che in lingua slava significa Non addormentarti. La rapida è stretta quanto l’ampiezza della Terra del Polo: nel mezzo vi sono alte rocce che svettano come isole. Contro di loro la corrente si infrange e precipita al di sotto con un potente e spaventoso fragore. Pertanto i Rus’i non osano passare in mezzo a questi scogli ma si spingono con sforzo fino alla riva dove sbarcano gli uomini lasciando a bordo delle monoxyla il carico delle loro mercanzie. Poi i marinai rimasti a bordo lasciano scivolare lo scafo a valle, tastando con i piedi, per evitare di urtare le rocce. Questo essi fanno, alcuni a prua, altri al centro dello scafo, mentre altri ancora da riva aiutano a tenere la rotta spingendo con lunghi pali. E con tutta questa accurata procedura i Rus’i riescono a superare la prima rapida, aggirando gli i SeBook - i Simonelli electronic Book 133

ostacoli. Passata questa barriera essi reimbarcano gli uomini lasciati sulla riva e salpano di nuovo fino a raggiungere la seconda rapida chiamata in Rus’ Oulvorsi ed in lingua slava Ostrovouniprach, che significa l’Isola della Barriera... ...e raggiungono la sesta rapida chiamata in Rus’ Leanti ed in slavo Veoutzi, cioè Acqua che bolle ed anche questa essi superano in maniera analoga. E di là essi giungono alla settima rapida chiamata in Rus’ Stroukon ed in slavo Naprezi che significa piccola barriera. Questa essi attraversano al guado detto di Vrar dove i Chersoneti attraversano dalla Rus’ ed i Peceneghi da Cherson. E questo guado è largo quando l’Ippodromo di Costantinopoli e, misurato contro corrente, dal limite in cui le rocce emergono in superfice esso è lungo quanto un tiro d’arco. i SeBook - i Simonelli electronic Book 134

È a questo punto che i Peceneghi normalmente scendono ad attaccare i Rus’i. Quando hanno superato questo punto periglioso, i Rus’i raggiungono l’isola chiamata di San Gregorio sulla quale essi celebrano i loro sacrifici poichè là si erge una gigantesca quercia. Sacrificano galletti vivi. Pure offrono frecce ed altri pane e carni o qualunque altra cosa essi possano avere, così come è nei loro costumi. Pure tirano i dadi per sorteggiare tre opzioni a riguardo dei galli: se ucciderli soltanto, oppure mangiarli pure, ovvero lasciarli vivi... Arrivati all’isola di San Aiterio, i Rus’i si riposano e rinfrancano per due o tre giorni. E quivi essi armano le loro monoxyla con alberi, vele e cordami che essi hanno portato con sè, così come è necessario... Quando il tempo è propizio si mettono in mare e fanno vela fino alla foce del fiume Aspros, da dove, dopo esi SeBook - i Simonelli electronic Book 135

sersi di nuovo riposati, proseguono per il Selinas che è uno dei bracci del Danubio. Fino a che i Rus’i non hanno superato anche la foce di questo fiume, i Peceneghi li inseguono lungo la riva e se capita che la corrente marina sospinga una delle loro monoxyla fino ad una spiaggia, allora tutto l’equipaggio scende a terra per opporre resistenza agli attacchi Peceneghi. Superate le bocche del Selinas, i Rus’i non hanno più alcunchè da temere entrando nel territorio della Bulgaria... Dal Danubio essi procedono fino a Konopas e da Konopas fino a Constantia e da Constantia fino a Varna e da Varna fino alla foce del Ditzina restando sempre in territorio Bulgaro. Dall’estuario del Ditzina essi raggiungono il distretto di Mesembria e là il loro viaggio carico di così tante fatiche e terrori, di così tante difficoltà e pericoli ha finalmente termine. i SeBook - i Simonelli electronic Book 136

L’austero modo di vivere di questi Rus’i durante l’inverno è il seguente. Quando il mese di Novembre comincia, i loro capi insieme a tutti gli altri Rus’ lasciano la città di Kiev e vanno nelle poliudia che significa circondari, cioè nelle regioni slave dei Verviani, Drugovichi, Krivichi e Severiani e delle altre tribù slave che sono loro tributarie. Là essi sono mantenuti per tutto l’inverno, ma quando nel mese di Aprile i ghiacci del fiume si sciolgono essi fanno ritorno a Kiev. Di là riprendono le loro monoxyle e scendono verso Bisanzio come si è detto... 3.5.3 Di cosa stava dietro alle parole di Costantino VII Dunque il dotto Imperatore Costantino VII conosceva bene i Rus’ e nella trattazione del De Administrando Imperio egli i SeBook - i Simonelli electronic Book 137

non nascose la propria aperta simpatia verso di loro. Questa più che amichevole attitudine del suo governo nei confronti del nuovo Principato Slavo è resa evidente anche dagli onori con cui fu accolta la Reggente Olga, onori di cui l’Imperatore stesso si premurò di lasciare un dettagliato resoconto nell’altra sua opera, il De Cerimoniis. Le conoscenze possedute da Costantino sulla geografia del vasto territorio che va dal Mar Nero al Baltico, sulle usanze, sui costumi e sull’organizzazione dei popoli che lo abitavano e persino sulle lingue da essi parlati sono di un livello eccezionalmente approfondito e lasciano il lettore contemporaneo stupefatto. Tra l’altro la teoria normanna trova in questo brano del Porfirogenita un sostegno di grande rilevanza. La doppia denominazione geografica delle rapide del Dniepr, sia in lingua Rus’, che rivela chiarai SeBook - i Simonelli electronic Book 138

mente la propria natura germanica, sia in lingua Slava, dimostra come gli equipaggi delle monoxyla avessero due componenti, una, probabilmente quella dei capi, di discendenza scandinava e l’altra, probabilmente quella preponderante dei marinai, costituita da slavi. Una tale conoscenza dei luoghi, delle genti e dei costumi locali presuppone da parte del governo bizantino sia un forte interesse politico nella regione sia l’invio ripetuto non solo di ambascerie, ma di vere e proprie delegazioni di tecnici, tanto civili quanto probabilmente militari. Qualche cosa dunque era avvenuto nello sviluppo storico dell’antico Impero dei Romani che motivava un tale improvviso interesse da parte di un siffatto Imperatore quale l’erudito Costantino VII per un remoto regno barbaro emergente dalle brume settentrionali ed un tale trattamento di favore dei suoi regnanti, che i SeBook - i Simonelli electronic Book 139

era del tutto inusitato da parte degli altezzosi bizantini. Per comprendere la speciale congiuntura geopolitica che spiega questi fatti bisogna pensare a quella che era stata la direttrice della politica di Bisanzio negli ultimi tre secoli, direttrice che si esprime con una sola triste parola: sopravvivenza. È sufficiente paragonare la mappa dell’impero nel 550 D.C. ai tempi di Giustiniano con quella dello stesso impero cento anni più tardi per misurare l’entità del disastro. Nel 650 tutto il Medio-Oriente è stato perso a favore degli Arabi e così la Spagna e l’Africa, eccezion fatta per Cartagine che rimarrà in mano bizantina per qualche decennio ancora, fino alla sua definitiva conquista da parte islamica nel 698. Anche i possedimenti imperiali in Italia sono stati drasticamente ridotti dalle conquiste longoi SeBook - i Simonelli electronic Book 140

barde e nel volgere di un ulteriore secolo si ridurranno alla metà orientale della Sicilia ed alle punte estreme dello stivale, Calabria e Salento. Ma tutto ciò è ancora poco rispetto alle dimensioni della catastrofe occorsa nella penisola balcanica. Questa, che è la regione più vicina al cuore stesso dell’Impero, cioè a Costantinopoli, e che comprende la sorgente della sua cultura, della sua lingua e della sua civilizzazione, cioè la Grecia, ha subito a partire dal sesto secolo la penetrazione slava, che ne ha completamente mutato la struttura demografica e politica, riducendo l’influenza bizantina ad un debole dominio dei litorali. Sembra che nell’ottavo secolo la stessa lingua greca fosse virtualmente sparita da tutta la Grecia continentale, fatta eccezione per i porti, rimasti sotto il controllo della flotta imperiale. Aggredito da tutte le parti, l’Impero Bizantino i SeBook - i Simonelli electronic Book 141

rischiò più volte di essere completamente annientato. La contesa con il Califfato Arabo fu la più dura, ma la partita balcanica non fu meno impegnativa e rischiosa per la sua vicinanza alla capitale. D’altra parte, gli avvenimenti nei Balcani furono continuamente influenzati da un terzo fattore che, benchè più remoto, si dimostrò sempre quello decisivo nel ridisegnare i destini sia dell’Europa Orientale che di Bisanzio. Questo fattore era costituito dai nomadi della steppa e dalle loro continue migrazioni. Tribù di lingua uralo-altaica9 provenienti dall’Asia Centrale continuarono a spingersi verso Occidente fino a raggiungere il cuore dell’Europa in ondate successive che lasciavano dietro di sè morte e distruzione creando anche effimeri, benchè vasti, imperi. Seguendo uno schema ripetitivo questi popoli, emersi dal cuore dell’Asia, sostavano per i SeBook - i Simonelli electronic Book 142

alcun tempo nel basso bacino del Volga, si spostavano poi nella steppa prepontica, cioè lungo le coste settentrionali del Mar Nero, che Bisanzio tentò strenuamente di controllare tramite i propri avamposti in Crimea e nel Chersoneso, e dopo questa ulteriore sosta dilagavano verso l’Europa. La prima ondata migratoria fu quella degli Avari, stretti parenti degli Unni, che nel sesto secolo invase l’attuale Ungheria, la Transilvania e tutta la regione a nord dei Balcani. La pressione degli Avari, oltre a minacciare direttamente le coste bizantine del Mar Nero, determinò la massiccia migrazione verso sud delle popolazioni slave che penetrarono nella penisola balcanica colonizzandola quasi interamente. Essendo sopravvissuta al grande tracollo militare del settimo secolo, alle crisi interne del periodo iconoclasta ed essendosi lentamente riorganizzata e rafforzata Bisanzio, avrebbe i SeBook - i Simonelli electronic Book 143

potuto riassorbire nella propria orbita le popolazioni slave della penisola balcanica probabilmente grecizzandole senza eccessiva difficoltà se non fosse intervenuta una seconda ondata migratoria che cambiò nuovamente il panorama geo-politico balcanico e creò un problema veramente serio quasi alle porte della capitale bizantina. Intorno alla metà del VII secolo l’entroterra della Crimea e le coste del Mare d’Azov erano occupate dalle tribù dei Bulgari. Erano anche questi una stirpe uralo-altaica il cui nome deriva da quella del fiume Volga (anticamente Bolga) lungo le rive del quale si erano stanziati, prima di spostarsi nella steppa prepontica. Nella seconda metà del VII secolo, seguendo lo schema migratorio descritto sopra, i Bulgari entrarono nella penisola balcanica dalle foci del Danubio e si mescolarono alle popolazioni slave già presenti, adottandone i SeBook - i Simonelli electronic Book 144

anche la lingua. In questa fusione, le virtù guerriere dei nomadi, unite alle attitudini agricole dei coloni slavi permisero la creazione di una nuova organizzazione statale che sotto la guida del capo bulgaro Kubrat si proclamò subito Impero nel 681. Così nel cuore della penisola balcanica e quasi a ridosso della stessa Costantinopoli nacque un nuovo impero slavo-bulgaro che si dimostrò assai bellicoso, espansionista e fu per due secoli una costante minaccia per la sopravvivenza stessa di Bisanzio. Nell’811 le armate bizantine furono annientate dall’esercito bulgaro sui passi montani della Tracia e lo stesso Imperatore Niceforo I fu ucciso nello scontro. Il khan bulgaro Krum ritornò vittorioso nella sua capitale Plishka, dove egli si fece fare una coppa con il teschio di Niceforo. Occupato a difendersi sulle frontiere orientali nel duello mortale con il Califfato i SeBook - i Simonelli electronic Book 145

Arabo, il vecchio Impero Romano fu costretto ad accettare la presenza bulgara sulle frontiere settentrionali e giocò la carta della supremazia culturale, varando nel IX secolo la grande operazione della evangelizzazione degli slavi. Benchè questa fosse un pieno successo, con la creazione dell’alfabeto cirillico, la traduzione dei testi sacri in antico slavo condotta dai fratelli Cirillo e Metodio ed infine la conversione al cristianesimo nell’anno 864, dello stesso zar bulgaro Boris I, l’espansionismo bulgaro continuò a costituire una minaccia. Costantino VII odiava il padre della propria moglie Elena, considerava la reggenza di Romano I come un’usurpazione ed era insofferente per lo strapotere che l’intera famiglia Lecapena, di oscure origini armene, esercitava sulla Corte e sul governo dello stato. Tuttavia egli era troppo occupato nei propri studi e di indole troppo pacifica per i SeBook - i Simonelli electronic Book 146

saper reagire. Così egli sopportò e salì al potere soltanto quando i Lecapeni distrussero se stessi da soli. Romano, infatti, fu deposto dai suoi stessi due figli, che ambivano a diventare imperatori al posto dell’imperatore legittimo, e morì in esilio sull’isola di Prote. I due usurpatori non trovarono alcun seguito e furono invece arrestati su ordine di Costantino VII che finalmente assunse nelle proprie mani la potestà imperiale il 27 gennaio del 945. Romano I aveva combattuto sia contro l’espansionismo bulgaro che contro gli Arabi, ma nonostante che i rapporti di forza andassero via via migliorando a favore dei bizantini, risultati definitivi non erano stati conseguiti e la Bulgaria continuava ad incombere alle porte del Bosforo. Analizzando con attenzione sia gli scritti che le azioni di Costantino VII si comprende che il dotto imperatore fu l’ispiratore ed in i SeBook - i Simonelli electronic Book 147

parte l’artefice di un cambio globale di strategia, i cui grandiosi frutti furono raccolti soltanto dai suoi successori e soltanto dopo aver attraversato ulteriori momenti critici. Abbiamo visto che la strategia bizantina era stata offensiva a sud e ad est nei confronti degli Arabi, mentre ad ovest si era praticata, negli ultimi tempi, una mera politica di contenimento. Sullo scacchiere bulgaro era stata giocata la carta dell’assoggettamento culturale, ma essa aveva dato solo parzialmente i frutti sperati. Resta da chiedersi quale fosse stata la politica estera bizantina nello scacchiere settentrionale, cioè sul fronte della steppa. Qui la strategia di Costantinopoli aveva avuto un cardine fisso per quasi tre secoli, l’alleanza cioè con il Khanato dei Chazari. I Chazari erano un altro popolo di stirpe uralo altaica che a partire dalla metà del VII i SeBook - i Simonelli electronic Book 148

secolo costruì un forte impero che si estendeva dal Caspio al Mar Nero ed abbracciava tutto il bacino meridionale del Volga nonchè le coste nord orientali del Mar Nero giungendo fino alla Crimea. Ad un certo punto, sotto il nome di Sambats anche la città di Kiev, era stata nell’orbita d’influenza Chazara. Già nel 627 l’imperatore bizantino Eraclio strinse un patto d’alleanza con i Chazari che subito dopo entrarono in una serie di guerre molto sanguinose e dalle alterne vicende con gli Arabi. Ovviamente questo era molto utile a Costantinopoli poichè distraendone le forze alleggeriva la pressione del Califfato sui confini orientali e meridionali dell’Impero. Verso la fine dell’ottavo secolo, precisamente nel 737, gli Arabi conseguirono una vittoria decisiva sui Chazari ed obbligarono il loro Khan a convertirsi all’Islam. Confidente di aver esteso la sfera di ini SeBook - i Simonelli electronic Book 149

fluenza del Califfato, il comandante arabo Marwan si ritirò a sud del Caucaso. Appena libero dalla minaccia delle scimitarre arabe, il Khan Chazaro rinnegò la propria conversione, rinsaldò il proprio dominio ed intrattenne amichevoli relazioni con Bisanzio. Vi furono alcuni momenti di tensione anche tra Costantinopoli ed i Chazari, quando i due imperi si disputarono il controllo della Crimea, ma alla fine la questione fu decisa amichevolmente. I bizantini si accontentarono di mantenere la propria sovranità su Cherson, lasciando ai Chazari il dominio sulle aree centrali e settentrionali della penisola. Nell’833 l’imperatore bizantino Teofilo inviò una folta squadra di tecnici ed esperti militari greci che aiutò i Chazari a costruire un’imponente fortezza sul basso corso del fiume Don nella località di Sarkel, non lontano dalla moderna città i SeBook - i Simonelli electronic Book 150

russa di Rostov na Donu. Il sistema difensivo chazaro-bizantino imperniato su Cherson e Sarkel era mirato a controllare tutta la costa settentrionale del Ponto e l’impero Chazaro funzionò per quasi trecento anni come tappo ad ulteriori invasioni di nomadi. Il coronamento della politica bizantina nello scacchiere settentrionale sarebbe stata la conversione del Khan all’ortodossia e l’evangelizzazione dei Chazari. A questo scopo i due fratelli Cirillo e Metodio, successivamente divenuti gli Apostoli degli Slavi, furono dapprima inviati in Chazaria con la speranza di convertire il Khan e tutta la sua nazione. La missione si concluse però con un fallimento totale perchè non solo il Khan non si convertì al cristianesimo ma preferì, insieme alla maggioranza della sua nazione, abbracciare la fede giudaica, unico caso storico di proselitismo israelita. i SeBook - i Simonelli electronic Book 151

Quando Costantino VII prese il potere a Costantinopoli era dunque chiaro che la strategia tradizionalmente perseguita dall’Impero aveva ormai raggiunto un punto di stallo su tutti gli scacchieri e che la situazione era specialmente preoccupante sul fronte bulgaro. Occorreva un colpo d’ala ed un’intuizione che soltanto uno studioso ed uno storico della profondità del Porfirogeneta poteva avere. Costantino intuì le potenzialità insite nella carta russa e con calcolata audacia la giocò invitando la principessa Olga e tributandole onori del tutto inusitati. Allearsi alla Rus’ significava di necessità abbandonare i Chazari, ma questi, oltre a non essersi convertiti, avevano recentemente dato prova di non funzionare più come tappo contro la pressione dei nomadi. Infatti si erano molto indeboliti ed avevano lasciato filtrare i Peceneghi che ormai razziavano liberamente tra il Chersoneso e le foci del Danubio. D’altro canto lo i SeBook - i Simonelli electronic Book 152

stato russo avrebbe potuto essere usato contro la Bulgaria che si sarebbe trovata in una tenaglia tra Bisanzio a sud ed un nuovo potente nemico a nord-est. Infine l’evangelizzazione di Kiev, rimpiazzando quella non-riuscita dei Chazari apriva degli scenari del tutto nuovi e potenzialmente grandiosi. Fortunatamente per Bisanzio la linea coraggiosamente aperta da Costantino VII fu perseguita, non senza tentennamenti ed incidenti di percorso, dai suoi successori e con il nipote Basilio II, che riuscì a salvarsi proprio grazie ai russi, il vecchio impero raggiunse l’apogeo della sua potenza. 3.6 Il Principe Svjatoslav e gli imperatori Niceforo Foca e Giovanni Zimisce Il dotto imperatore Costantino VII morì il 9 di novembre dell’anno 959 mentre la sua illui SeBook - i Simonelli electronic Book 153

stre ed anziana figlioccia, la Kniaghina Olga, gli soppravvisse ancora per un decennio, venendo a spegnersi soltanto nel 969. Tuttavia, quasi allo stesso tempo, non solo a Bisanzio, ma anche a Kiev, il potere cambiò di mano, perchè venuto a maggiore età nel 962, il Principe Svjatoslav, figlio di Olga, pose termine alla lunga reggenza della propria madre assumendo, come abbiamo già ricordato, le redini del governo. Il decennio compreso tra il 960 ed il 971 è denso di importantissimi ed interdipendenti avvenimenti che cambiarono completamente il quadro geo-politico dell’intera macro-regione delimitata a sud dal Mediterraneo, a Nord dal Baltico, ad Ovest dal Basso Corso del Danubio, ad Est dagli Urali e dal Caspio. Motori del cambiamento furono l’Impero Bizantino e la Rus’, protagonisti del dramma gli imperatori Niceforo I e i SeBook - i Simonelli electronic Book 154

Giovanni Zimisce da una parte, il Principe Svjatoslav dall’altra. Alla morte di Costantino VII, rivestì la porpora imperiale il figlio di lui, Romano II, il cui regno fu assai breve ed includente. Dedito alle frivolezze ed ai piaceri della vita, piuttosto che ai severi studi del padre, il nuovo imperatore aveva sposato una donna bellissima, dissoluta ed ambiziosa la cui origine era di bassa condizione sociale. Anastasia, che da imperatrice assunse il nome di Teofane, era la figlia di un oste, mescitore di vino in una sordida taverna. Ella soggiogò il debole marito alla propria volontà, fece isolare l’imperatrice madre nelle sue stanze e relegò le cinque sorelle del sovrano in un convento monacale, onde non avere alcuna rivale nel suo dominio sulla corte. Il governo politico dell’impero cadde nelle mani dell’eunuco più anziano Giuseppe Bringa che vicariò l’imbelle Augusto rivei SeBook - i Simonelli electronic Book 155

stendo la carica di paradynasteuon, mentre la direzione degli affari militari fu affidata al brillante generale Niceforo10 Foca, appartenente alla più antica aristocrazia bizantina dell’Asia Minore, che fu insignito del titolo di domestikios. Nell’estate del 960 Niceforo organizzò una spedizione navale su grande scala contro l’isola di Creta che da quasi due secoli era caduta sotto il dominio degli Arabi e costituiva la base principale della loro potenza marittima nel Mediterraneo Orientale. Nel marzo del 961, dopo strenua resistenza, la guarnigione araba fu al fine costretta alla capitolazione e l’armata bizantina rioccupò stabilmente l’intera isola. L’importanza eccezionale di questo successo militare è testimoniata dagli onori inusitati con i quali il generale Niceforo fu accolto al suo ritorno a Costantinopoli. Per l’armata vittoriosa fu ori SeBook - i Simonelli electronic Book 156

ganizzato un vero e proprio trionfo nello stile dell’Antico Impero Romano e questo evento straordinario fu immortalato nelle miniature di alcuni codici coevi. Deciso a cogliere tutti i frutti della congiuntura favorevole alle armi bizantine, Niceforo Foca sostò a Costantinopoli il tempo necessario a riorganizzare gli eserciti di terra e subito riprese l’offensiva contro il Califfato Arabo al confine orientale dell’Impero. Procedendo di vittoria in vittoria nel dicembre del 962 Niceforo costrinse alla resa la stessa città di Aleppo, capitale dell’emiro Saif ad Dawla. Il 15 marzo del 963, l’imbelle figlio del grande Costantino VII, il legittimo imperatore Romano II morì prematuramente ed in nome dei suoi figlioletti, i futuri Basilio II e Costantino VIII, la reggenza fu assunta dall’imperatrice Teofane, la cui unica occupazione era la pratica della sua sfrenata lussuria e l’esercizio i SeBook - i Simonelli electronic Book 157

della sua cinica crudeltà. La tradizione ci ha tramandato il ricordo di molti delitti fatti eseguire da Teofane. Immediatamente dopo la morte del marito ella fece trucidare l’eunuco Giuseppe Bringa che tesseva trame per impadronirsi del potere. Altre vittime meno illustri dell’imperatrice furono i suoi numerosissimi amanti che, scelti tra i giovani più belli che ella riusciva a procurarsi da ogni regione dell’impero, dopo una breve durata della loro relazione amorosa con l’imperatrice, venivano legati, imbavagliati, chiusi in un sacco di canapa e gettati, insieme ad un masso, nelle acque del Mar di Marmara, onde cancellare ogni traccia dello scandalo ed evitare ogni pettegolezzo. Consapevole della propria esposizione alle trame dei suoi molti nemici, l’astuta Teofane si accordò con il grande generale Niceforo Foca che, per propria scelta personale, univa i SeBook - i Simonelli electronic Book 158

all’esercizio delle armi la pratica dell’ascesi, conducendo una vita pressoché monastica: dormiva con la spada al fianco, coricandosi sopra una pelle di capra distesa sul pavimento e trascorreva ogni momento libero dagli impegni militari in veglie di preghiera ed in digiuni. Con il consenso della lubrica Teofane il casto Niceforo fu proclamato imperatore a Cesarea, entrò in Costantinopoli il 14 Agosto del 963 e due giorni dopo venne incoronato in Santa Sofia, unendosi anche in matrimonio con l’imperatrice vedova. In questo modo Niceforo II, quale loro patrigno, diveniva anche tutore dei principini Porfirogeniti, assicurandone la successione al trono, che la sua vita ascetica non avrebbe mai avuto occasione di mettere in discussione. Divenuto imperatore, Niceforo nominò domestikios il generale Giovanni Zimisce, esponente di una grande famiglia aristocratica i SeBook - i Simonelli electronic Book 159

armena ed a lui affidò il comando delle armate orientali. La lotta contro l’Islam fu proseguita con vigore dal nuovo comandante in capo e dal suo imperatore che vedeva in essa una missione sacra, tanto da richiedere che tutti i soldati caduti in battaglia contro gli infedeli fossero proclamati martiri. L’avanzata verso la Siria nei gioghi del Tauro e lungo la costa in direzione di Antiochia continuò con successo nei tre anni seguenti e nel 965 una imponente spedizione navale riuscì nell’intento di riconquistare l’intera isola di Cipro. Nel frattempo grandi sviluppi avevano corso anche a Nord nella Rus’ di Kiev, per mano del Knjaz Svjatoslav, rimasto ostinatamente pagano nonostante le pressioni della madre Olga. Svjatoslav, il cui nome decisamente slavo11 testimonia la completa slavizzazione della dinastia, era a modo suo simile i SeBook - i Simonelli electronic Book 160

all’imperatore Niceforo. Anch’egli era un tipico sovrano guerriero, uso a condividere con i propri soldati ogni durezza della vita militare ed impegnato in continue battaglie. La descrizione che ce ne fornisce la Cronaca di Nestore è la seguente: Durante le sue spedizioni non portava con sè nè carri nè pentole e non bolliva carne, ma tagliava striscioline di carne di cavallo, di cacciagione o di manzo e le mangiava arrostite sulle braci. Nè aveva una tenda, ma si adagiava su una coperta da sella, una sella ponendosi sotto il capo. Nel 964 il Knjaz di Kiev intraprese una grande campagna militare verso est, il cui primo scopo fu quello di assoggettare l’ultima tribù slavoorientale, quella dei Viatichi, che ancora non era tributaria della Rus’. Ottenuto questo risultato, Svjatoslav raggiunse la confluenza del fiume Oka nel Volga, dove oggi sorge la città di Nizhnij Novgorod, sottomettendo al i SeBook - i Simonelli electronic Book 161

dominio di Kiev tutte le popolazioni ugrofinniche disperse nella zona. Quindi discese il corso del Volga distruggendo la capitale della tribù di quei Bulgari che erano ancora rimasti nella loro terra di origine e nel 965, continuando la sua calata verso sud, volse le armi della Rus’ contro l’Impero dei Chazari. Lo scopo di Svjatoslav era chiaramente quello di stabilire il controllo russo su tutto il corso del fiume Volga, fino al Mar Caspio. Il Principe di Kiev riuscì nel suo scopo, schiacciando l’esercito chazaro, espugnando la loro capitale Atil, posta nel delta del Volga e raggiungendo il litorale del vasto mare interno. Lungo le coste di questo, l’armata di Svjatoslav si spinse ancora a sud fino a raggiungere la fortezza di Samandar, che fu conquistata. Poi il Knjaz piegò ad occidente ed assoggettando lungo la via tutte le popolazioni locali, seguì il bordo settentrionale della i SeBook - i Simonelli electronic Book 162

catena del Caucaso fino a raggiungere la foce del fiume Don, dove assalì la potente fortezza chazara di Serkel, costruita dai tecnici bizantini. Investita dalla furia del potente esercito russo che, secondo alcune fonti, contava fino a 60.000 uomini, la poderosa installazione militare, che aveva costituito per più di un secolo e mezzo la chiave di tutto il sistema di controllo chazaro delle vie della steppa, crollava nello stesso anno 965 in cui Bisanzio riprendeva possesso di Cipro ed estendeva il proprio dominio sulla Siria settentrionale. La principessa Olga viveva ancora ed erano passati solo sei anni dalla morte del suo augusto padrino Costantino VII, ma come egli aveva intuito e consapevolmente azzardato, l’intero assetto geopolitico del mondo di allora era stato ribaltato. L’Impero Bizantino si era incredibilmente rafforzato, la potenza regionale dei Chazari era stata obliterata ed una nuova i SeBook - i Simonelli electronic Book 163

potenza era sorta a settentrione, le cui relazioni con Costantinopoli si era gettato il seme perchè fossero fruttuose e di lungo periodo: la Kievskaja Rus’. Il Principe Svjatoslav rientrò vittorioso a Kiev nel 967, dopo tre anni di continue e straordinarie conquiste. Nel frattempo a Bisanzio ed in Occidente avevano luogo altri accadimenti di grande importanza per il futuro. Il Re di Germania Ottone I di Sassonia era stato incoronato in Roma Imperatore del Sacro Romano Impero il 2 di febbraio del 962 dal Papa Giovanni XII e, dopo di ciò, aveva stabilito un controllo imperiale sempre più fermo sulla maggior parte della penisola italiana. Desideroso di ricostituire l’Impero d’Occidente aveva osato attaccare anche la piazzaforte bizantina di Bari dimostratasi, tuttavia, un osso troppo duro per le pur agguerrite truppe tedesche. i SeBook - i Simonelli electronic Book 164

Dopo questo insuccesso, Ottone pensò di tentare le vie diplomatiche e concepì l’ardito piano di proporre un matrimonio tra il proprio figlio, il futuro Ottone II ed una principessa bizantina, cui l’Italia meridionale avrebbe dovuto essere assegnata come dote. Con queste proposte Ottone, nell’anno 968, inviò quale suo ambasciatore a Costantinopoli il vescovo Liutprando di Cremona. Quando nella solenne cornice dell’Aula Bizantina furono ascoltate tali profferte, l’Imperatore Niceforo ordinò ai propri cerimonieri di spiegare al misero Liutprando che il suo signore non era nè imperatore nè romano, bensì un qualunque re barbaro e che il matrimonio tra una principessa Porfirogenita ed un barbaro era cosa di cui non si sarebbe dovuto neppure concepire il pensiero. Inoltre si consigliava ad Ottone di non osare mai i SeBook - i Simonelli electronic Book 165

più sfidare l’autorità dell’unico e legittimo imperatore romano nei suoi possedimenti italiani. Con questa risposta il vescovo fu rinviato al mittente. Peggiore fu la sorte degli ambasciatori che lo Zar di Bulgaria inviò in quel periodo alla corte imperiale, per esigere il pagamento del tributo che i precedenti governi bizantini avevano corrisposto alla Bulgaria, nei tempi della loro maggiore debolezza. Senza molti complimenti Niceforo decretò che tale ambasceria era semplicemente un’imperdonabile impertinenza e fece fustigare i legati bulgari prima di rispedire anche questi al mittente. Poi, attaccata la frontiera bulgara e demolite parecchie delle sue fortificazioni, venne il momento, per la corte bizantina, di giocare la carta russa, che il sapiente imperatore Costantino VII aveva preparato con sagace lungimiranza. i SeBook - i Simonelli electronic Book 166

Nel 968, dodici mesi appena dopo il suo vittorioso rientro da tre anni di estenuanti campagne militari in oriente, il principe Svjatoslav ricevette in Kiev una delegazione bizantina che lo invitava a scendere nuovamente in guerra, muovendo questa volta ad occidente, contro la Bulgaria. La corte di Costantinopoli prometteva alla Rus’ il pagamento di lauti compensi per questo aiuto militare, ma Svjatoslav accettò prontamente la proposta non per sete dell’oro bizantino, ma perchè egli stesso desideroso di estendere i domini della Rus’ fino alla regione danubiana. Mossosi dalla capitale con un imponente esercito e nonostante la necessità occorsa nel 969 di fare una puntata indietro per respingere un attacco Pecenego diretto contro la stessa Kiev, Svjatoslav inflisse pesanti sconfitte all’esercito bulgaro, occupò la capitale i SeBook - i Simonelli electronic Book 167

Pliska e fece proprio prigioniero lo stesso Zar Boris II. Le sue nuove conquiste piacquero enormemente al rude sovrano guerriero che concepì il sogno di trasferirsi ad ovest con il proprio governo. Secondo quanto riferito dalla Cronaca di Nestore, Svjatoslav avrebbe affermato: Non m’importa di rimanere in Kiev, perchè preferirei vivere a Perejaslavez sul Danubio, essendo quello il centro del mio regno, in cui tutte le ricchezze sono radunate: oro, seta, vino e vari frutti provenienti dalla Grecia, argento e cavalli provenienti dall’Ungheria e dalla Boemia, mentre dalla Russia vengono pellicce, cera, miele e schiavi. Mentre avvenivano questi fatti sul fronte bulgaro le armate bizantine erano impegnate a sud nel lungo assedio della capitale siriana. Antiochia si arrese infine il 28 ottobre del 969 quando Svjatoslav si era già installato a goi SeBook - i Simonelli electronic Book 168

dere le dolcezze di Perejaslavez, non dimostrando alcuna intenzione di voler sloggiare dalle terre bulgare appena conquistate. Questo corso degli avvenimenti non era certo tale da compiacere l’imperatore Niceforo che cominciò a considerare l’alleanza con la Rus’ un errore cui porre rimedio alleandosi nuovamente con i Bulgari contro il loro conquistatore. All’ascetico imperatore l’amaro destino non concesse di mettere in pratica tali piani perché il corso della storia fu piegato da una nuova passione amorosa della sfrenata imperatrice Teofane, che non esitò a compiere un altro efferato delitto pur di soddisfare i propri novelli desideri. Dopo averlo visto ad una parata militare, Teofane si invaghì perdutamente del generale Giovanni Zimisce che, benché piccolo di statura era estremamente avvenente ed affascinante. Incontratasi più volte con lui i SeBook - i Simonelli electronic Book 169

su di un vecchio barcone dove ella giungeva agli appuntamenti lussuriosi travestita da mendicante, Teofane sedusse il domestikios dell’Oriente e lo persuase ad ordire insieme a lei il regicidio, onde sbarazzarsi dell’ormai inutile marito. Così, su ordine dei due amanti, dei sicari penetrarono nella stanza da letto dell’imperatore Niceforo Foca e nella notte tra il 10 e l’11 dicembre del 969 lo assassinarono brutalmente. Subito dopo l’assassino, Giovani Zimisce ascese al trono bizantino che egli occupò per quasi sette anni. La complice amante Teofane intendeva restare imperatrice sposando anche il nuovo imperatore, ma questa volta i suoi piani furono vanificati dall’autorità del Patriarca Polieucte. Benché nell’impero d’Oriente la chiesa fosse sottomessa allo stato e l’autorità del basileus sopravanzasse sempre quella del i SeBook - i Simonelli electronic Book 170

patriarca, tuttavia la consacrazione religiosa dell’imperatore era un elemento indispensabile per la legittimazione del suo potere ed in casi come questi la gerarchia ecclesiastica poteva giocare un ruolo del tutto determinante che altre volte le era precluso. Per vendicare l’imperatore ucciso, Polieucte non esitò a giocare tale ruolo. Prima di procedere all’incoronazione di Giovanni Zimisce in Santa Sofia, il patriarca pretese che egli facesse penitenza, punisse gli esecutori materiali del delitto e, cacciata l’imperatrice Teofane dal palazzo, la facesse rinchiudere in un monastero. Desideroso più di rivestire la porpora che non di godere degli effimeri piaceri elargiti dalla dissoluta Teofane, Giovanni aderì a tutte le richieste di Polieucte, fu incoronato basileus e concluse un matrimonio politico sposando Teodora, la non più giovane figlia i SeBook - i Simonelli electronic Book 171

di Costantino VII, zia dei principini Porfirogeniti, legittimi eredi del tanto contestato soglio imperiale. La prima questione che il nuovo imperatore dovette affrontare fu quella ereditata dal suo predecessore assassinato, cioè la mannaia russa vibrata sulla Bulgaria e sfuggita di mano a chi l’aveva brandita. Inebriato dalla vittoria e forse anche dai vini Greci che aveva gustato nei suoi nuovi possedimenti, Svjatoslav aveva perso il senso delle proporzioni avanzando pretese esorbitanti. Non solo non intendeva ritirarsi dalla Bulgaria, ma pretendeva che fossero i bizantini a ritirarsi in Asia, lasciando a lui tutta la parte europea dell’impero, inclusa la città di Costantinopoli. Era tempo che il vecchio impero somministrasse al Principe di Kiev una salutare lezione, insegnandogli a rispettare la superiorità tecnica, militare e morale di un’antica civilizzazione. Nell’aprile del i SeBook - i Simonelli electronic Book 172

971 l’imperatore Giovanni Zimisce in persona diresse un’imponente campagna militare contro le armate russe accampate in Bulgaria. Varcati i confini per via di terra, dopo breve e furiosa battaglia egli espugnò la tanto amata capitale Perejaslavez, da cui Svjatoslav fu costretto a ritirarsi precipitosamente rinchiudendosi nella fortezza di Silistra sul Danubio. Liberato lo zar Boris II, l’imperatore lo rimise sul suo trono ed atteggiandosi a liberatore dei Bulgari trasformò il suo regno in un protettorato bizantino. Poi circondò Silistra dalla parte di terra con l’esercito, mentre la flotta imperiale, risalito il Danubio, la bombardava dall’acqua con il micidiale e temutissimo fuoco greco.12 L’assedio fu durissimo e si prolungò da maggio fino al cuore dell’estate, le ripetute furiosissime sortite dei russi essendo ogni volta inflessibilmente respinte dalla disciplina e dalla superiorità tecnica delle truppe i SeBook - i Simonelli electronic Book 173

imperiali. Alla fine di luglio del 971, dopo il fallimento dell’ennesimo tentativo di spezzare l’assedio, Svjatoslav fu costretto ad arrendersi. Il vincitore trattò il Principe di Kiev con estrema magnanimità ed inusitato rispetto, dimostrando di voler perseguire la strategia di alleanza con la Rus’ aperta da Costantino VII, considerando il sanguinoso scontro appena concluso alla stregua di un incidente di percorso da ricomporre e dimenticare prontamente. In cambio dell’impegno russo a lasciare subito la Bulgaria, a non tornare mai più nei Balcani ed a rispettare gli avamposti bizantini di Cherson in Crimea, l’esercito di Svjatoslav fu rifornito di armi, cavalli e vettovaglie. I tecnici imperiali aiutarono a riparare i danni e reintegrare tutte le perdite. Inoltre fu firmato un accordo che ripristinava i privilegi commerciali dei mercanti russi e la loro esenzione dal pagamento del i SeBook - i Simonelli electronic Book 174

dazio. Ripresa la via del ritorno a Kiev dopo l’istruttiva conclusione di quella che nella Cronaca di Nestore venne definita la grande avventura, il troppo ambizioso, ma storicamente cruciale Knjaz Svjatoslav fu sorpreso dai Pecenghi nei pressi delle rapide del Dniepr, mentre si trovava circondato da un piccolo seguito e separato dal grosso dell’armata. Secondo le feroci tradizioni dei popoli della steppa egli fu ucciso ed il capo Pecenego che lo trucidò fece trasformare il suo teschio in una coppa per bere il vino così come centocinquant’anni prima aveva fatto il Khan dei Bulgari Krum con il cranio dell’imperatore Niceforo I. Quattro anni anni più tardi, il 10 gennaio del 971, anche l’imperatore Giovanni Zimisce che aveva incorporato la Bulgaria come protettorato nell’impero, abolendone il patriarcato autocefalo e sottoponendone i vei SeBook - i Simonelli electronic Book 175

scovi alla chiesa di Costantinopoli, morì a seguito di una febbre tifoide contratta durante la grandiosa campagna in Oriente da cui tornava vittorioso dopo aver strappato agli Arabi la maggior parte delle città costiere del litorale sirolibanese ed essere giunto quasi alle porte di Gerusalemme. Prima di morire egli aveva scritto al re dell’Armenia, suo alleato: Tutta la Fenicia, la Palestina e la Siria sono liberate dal giogo dei Saraceni e riconoscono la sovranità dei Romani. 3.7 Una principessa bizantina, un Gran Principe Rus’ e la Croce Come se i loro destini fossero uniti per volontà della sorte, dopo la morte dei rispettivi sovrani che si erano duramente confrontati sulle rive del Danubio, l’Impero Bizantino e i SeBook - i Simonelli electronic Book 176

la Rus’ di Kiev attraversarono entrambi un periodo di instabilità interna, da cui la Rus’ uscì per prima e giocò poi un ruolo determinante nel permettere anche a Bisanzio di ritrovarsi forte ed unita sotto il comando del grande imperatore Basilio II, che completò le imprese dei predecessori, distruggendo del tutto lo stato bulgaro e riportando l’intera penisola balcanica sotto l’amministrazione diretta dell’impero, così come non era più stato dai tempi dell’antica Roma. Il risultato di questo incontro fatale, preparato quasi cinquant’anni prima dalla lungimirante politica di Costantino VII e consolidato dalla magnanima gestione della crisi di Silistra da parte di Giovanni Zimisce, fu il cosiddetto battesimo della Rus’ e la definitiva acquisizione all’ortodossia greca del principato di Kiev: un evento le cui conseguenze storiche furono di incalcolabile portata. i SeBook - i Simonelli electronic Book 177

3.7.1 Il debutto di Vladimir Il Knjaz Svjatoslav aveva tre figli, due legittimi, Yaropolk ed Oleg ed uno naturale Vladimir, avuto dalla serva Malusha13 che un’antica saga scandinava descrive come una profetessa, la cui abitazione era una buia caverna fuori dalle mura di Kiev: all’occorrenza Malusha veniva condotta a palazzo per predire il futuro e subito faceva ritorno nel suo oscuro e misterioso antro. In questo modo, secondo la leggenda, la madre del futuro Vladimiro il Santo visse per più di cento anni. Allorchè sedotto dai piaceri delle terre meridionali, egli trasferì il proprio governo a Perejaslavez, Svjatoslav affidò l’amministrazione di Kiev al maggiore dei figli legittimi, Yaropolk e designò invece Vladimir quale governatore di Novgorod, la più seti SeBook - i Simonelli electronic Book 178

tentrionale delle città russe e la più vicina al Baltico ed alle terre dei consanguinei scandinavi della classe dominante della Rus’. In questo egli dimostrò la propria predilezione per il bastardo figlio della maga, poichè durante la reggenza della madre Olga, Novgorod era stata la prima base del suo potere, così come viene anche ricordato nel De amministrando Imperio di Costantino VII. Nel 972, appena si ebbe notizia della tragica morte del Gran Principe per mano pecenega, una lotta fratricida per il potere supremo scoppiò immediatamente tra Yaropolk che governava in Kiev ed il fratello minore Oleg che amministrava le tribù dei Drevljani. Nel 977, un anno dopo la morte dell’imperatore Giovanni Zimisce, Vladimir fu costretto dalla guerra civile a lasciare Novogorod ed, attraversato il Baltico, si recò in Scandinavia, presso la sede del suo lontano parente Haai SeBook - i Simonelli electronic Book 179

kon Sigurdsson che, con il titolo di Jarl, governava la Norvegia dalle sponde del fiordo di Trondheim. In Norvegia, Vladimir, il cui nome, tipicamente slavo, significa qualcosa come colui che governa il mondo14, riuscì a reclutare un ingente forza di guerrieri Vichinghi ed alla testa di questi ristabilì la propria signoria su Novgorod. Poi nel 978 iniziò a marciare verso sud, deciso a raggiungere Kiev ed impadronirsene. Nella prima fase della sua avanzata egli inviò ambasciatori a Rogvolod (in Norvegese Ragnvald), principe di Polotsk15, per chiedere la mano di sua figlia Rogneda (in Norvegese Ragnhild). La principessa Rogneda rifiutò sdegnosamente il matrimonio con il figlio di una strega, abitatrice di una caverna ed allora Vladimir prese d’assalto Polotsk, trucidò il padre e con la minaccia della spada costrinse la figlia a quelle nozze che ella i SeBook - i Simonelli electronic Book 180

aveva ricusato quando le erano state proposte pacificamente. Da Polotsk, Vladimir mosse su Smolensk e si impadronì anche di quella fortezza chiave. Consolidato il proprio potere su tutta la Rus’ settentrionale e quindi in grado di isolare Kiev dalle fonti di quelle materie prime su cui si basava il suo commercio con Bisanzio, nel 980 egli marciò sulla capitale, la prese d’assalto, trucidò il fratellastro Yaropolk e fu proclamato Konung ovvero Knjaz16 di tutta la Kievskaja Rus’, con il nome di Vladimiro I. Nel primo periodo del suo regno, Vladimir consolidò ed estese i confini dello stato, annettendo ad ovest nel 983 il territorio dei Cherven, corrispondente alla moderna Galizia, allestendo nel 985 una flotta fluviale che pattugliava tutti i fiumi della Russia centrale e costruendo numerose fortezze su di essi, su tutto il corso del Volga e sulla linea meridionale di confine con la steppa. Queste fortifii SeBook - i Simonelli electronic Book 181

cazioni, che erano principalmente costituite da terrapieni, palizzate e altre costruzioni in legno servivano principalmente a difendere le popolazioni stanziali ed agricole dalle incursioni dei nomadi. Seguendo le orme del padre nei primi anni del suo regno Vladimiro rimase pagano ed eresse statue e templi agli dei del patheon slavo-scandinavo, in particolare al dio del tuono Perun che, alla stregua del Giove-Zeus dell’antichità classica, veniva considerato la divinità suprema. 3.7.2 Il debutto di Basilio II e la rivolta di Barda Sclero Mentre lo stato russo riunificato sotto il potere del pagano Vladimiro si consolidava e rafforzava consistentemente, l’Impero Bizantino versava, dopo la morte di Giovanni Zii SeBook - i Simonelli electronic Book 182

misce, in una situazione di instabilità continua, in cui le crisi si succedevano una all’altra, in un crescendo di estrema pericolosità che minacciava di distruggere tutti i grandi risultati conseguiti nel ventennio precedente. Nel 976, alla morte dell’imperatore Giovanni, i principi Porfirogeniti Basilio II e Costantino VIII, figli di Romano II e legittimi eredi al trono, presero il potere con l’aiuto del loro prozio, l’eunuco Basilio. Di fatto solo il maggiore Basilio II si interessò del governo, mentre il fratello minore, frivolo e gaudente si occupò unicamente di gozzoviglie e tresche amorose. La legittimità dinastica sembrava ristabilita, ma nello stesso anno 976, Barda Sclero, esponente dell’aristocrazia magnatizia anatolica e cognato del defunto imperatore Zimisce17 si fece proclamare imperatore dagli eserciti d’Asia di cui egli deteneva il comando sui SeBook - i Simonelli electronic Book 183

premo quale domestikios dell’Oriente. La ribellione di Barda Sclero minacciò seriamente il trono di Basilio II e fu domata soltanto tre anni dopo, quando il 29 maggio del 979 presso Pancalea, le truppe dell’usurpatore furono sconfitte in campo aperto dall’armata fedele all’imperatore legittimo e posta sotto il comando di un’altro Barda. Si trattava di Barda Foca, un formidabile guerriero di statura gigantesca che era nipote dell’imperatore Niceforo II ed esponente di una famiglia magnatizia altrettanto potente ed altezzosa quale quella del ribelle. Barda Sclero riuscì a sfuggire alla cattura e riparò presso la corte del Califfo Arabo che, secondo alcuni lo accolse con onore, secondo altri lo tenne prigioniero. Questi fatti avvenivano contemporaneamente alla presa di Polotsk e di Smolensk da parte di Vladimiro ed in questo modo fu scongiurata la prima crisi del regno di Basilio II. i SeBook - i Simonelli electronic Book 184

3.7.3 I due Barda descritti da Michele Psello Dei due Barda che per quasi un decennio occuparono la scena della storia bizantina ci ha lasciato una vivida descrizione Michele Psello nella sua Cronografia, composta intorno al 1050, cioè un’ottantina di anni dopo i fatti. Di Barda Foca, lo Psello scriveva: Barda Foca, a quanto si narra, si rifaceva in ispirito all’imperatore suo zio. Sempre accigliato e vigile, su ogni cosa aveva capacità di previsione e sintesi. Di nessun artifizio bellico ignaro, anzi esperto di ogni tecnica di assedio e pratica di imboscata, oltrechè della tattica campale, era più risoluto e valente dell’altro nel duello: chi riceveva un suo fendente era spacciato. Il suo grido, anche in lontananza, sgomentava l’intera armata. i SeBook - i Simonelli electronic Book 185

Di Barda Sclero, invece, Michele Psello diceva: Il primo usurpatore fu Sclero, uomo che univa alla capacità di ponderazione l’abilità dell’azione, ed era ricco di esorbitante ricchezza, di per sè tale da farlo aspirare al trono, e dalla sua aveva la forza della dinastia, al suo attivo la brillante condotta d’importanti campagne e poteva contare sull’appoggio al suo piano dell’elemento militare al completo. Della battaglia di Pancalea, lo Psello ci ha tramandato una versione romantico-cavalleresca, in cui le sorti della guerra sono decise da un duello tra i due comandanti: Un giorno sulla fiducia, i generali delle due parti avversarie convennero di battersi a singolar tenzone: spintisi così su campo neutro, si fronteggiarono e tosto vennero alle prese. Per primo l’usurpatore Sclero, senz’aspettare a slanciarsi in avanti e subito trasgredendo così i SeBook - i Simonelli electronic Book 186

alle regole del combattimento, è d’un balzo su Foca e gli assesta direttamente un colpo in testa, imprimendo al braccio una spinta potente. L’altro, frastornato dalla botta improvvisa, per un attimo perdette il controllo delle redini, ma ben presto si rianimò, e ricambiato il colpo all’aggressore là dove l’aveva preso gli smorzò ogni foga aggressiva e lo costrinse a battere in ritirata. Parve questo ad entrambi verdetto risolutivo e sovrano. Dopo di che, Barda Sclero prese, secondo Psello, una decisione che non è nè la più sensata nè la più sicura: sconfinando fuori dalle frontiere romane, con tutte le sue truppe si spinse nella terra degli Assiri e si presentò al re Cosroe. Nella pedante trasposizione di ogni evento della contemporaneità dentro lo schema interpretativo dell’antica Roma, che è l’ossessione bizantina, sublimata dalla penna elegante i SeBook - i Simonelli electronic Book 187

dello Psello, le frontiere romane sono quelle bizantine, gli Assiri sono gli Arabi ed il re Cosroe non è nient’altri che il Califfo. Quest’ultimo come ci racconta Michele fu mosso a sospetto: sia che gli incutessero timore tutti quegli armati, sia che dubitasse forse di un improvviso attacco, li fece arrestare e rinchiudere in una prigione sicura. 3.7.4 La caduta dell’eunuco Basilio e la rinascita della Bulgaria sotto Simeone Nel 985, mentre Vladimiro inviava la sua flotta fluviale a consolidare le frontiere del regno kieviano, la situazione di Costantinopoli era nuovamente critica, sia sul fronte interno che su quello esterno. L’imperatore Basilio non era più l’adolescente inesperto e bisognoso d’aiuto cui la guida dell’onnipotente prozio era stata indispensabile. Ora i SeBook - i Simonelli electronic Book 188

egli cominciava a pensare con la propria testa ed era divenuto insofferente della tutela dell’eunuco Basilio. Questi, con il pretesto di una presunta congiura da lui organizzata contro il nipote, fu arrestato e deportato in esilio dove, privato delle sue immense ricchezze confiscategli dalla stato, morì poco dopo in povertà, straziato dal dolore per l’ingiustizia subita. Divenuto unico signore del proprio trono ed autentico autocrator, Basilio II dovette rivolgere la propria attenzione ai Balcani dove la situazione stava precipitando. La Macedonia si era ribellata sotto la guida dei quattro Comitopuli, cioè dei figli del suo governatore bizantino Nicola, che nella gerarchia amministrativa dell’impero aveva il rango di komes18. Inoltre approfittando della guerra civile in corso, lo Zar Bulgaro Boris II, detronizzato da Svjatoslav e tenuto prii SeBook - i Simonelli electronic Book 189

gioniero a Costantinopoli era fuggito insieme al fratello Romano, che i bizantini avevano fatto castrare. Loro intenzione era tornare in Bulgaria e sollevarla contro il governo imperiale, unendosi alla ribellione macedone. Boris morì nel viaggio e solo il fratello castrato giunse alla meta. Per questa sua condizione egli non poteva più aspirare al trono e così fu il macedone Samuele, il più giovane dei quattro Comitopuli ad assumere la guida dell’intera rivolta balcanica ed assumere pure il titolo di Zar dei Bulgari. Nel breve volgere di qualche anno Samuele ricostruì l’Impero Bulgaro con una nuova capitale ed un nuovo patriarcato autocefalo situate nella città di Ochrida sulle rive dell’omonimo lago che oggi si trova al confine tra lo stato di Albania e la repubblica autonoma di Macedonia19. La situazione già così intollerabile per Bisanzio divenne sempre i SeBook - i Simonelli electronic Book 190

grave perchè Samuele si espandeva continuamente verso sud minacciando di appropriarsi di tutta la Grecia continentale, fino al Pelopponeso. Nel 985 egli aveva già occupato tutta la Tessaglia ed alla fine di quell’anno la fortezza di Larissa era caduta dopo un lungo assedio. L’imperatore Basilio II tentò una controffensiva, portando il suo esercito a nord, fin sotto alle mura della città di Serdica che, con il nome di Sofia, è oggi la capitale dell’odierna Repubblica di Bulgaria. L’occupazione di questa fortezza tuttavia fallì e sulla via del ritorno le armate imperiali furono attaccate e battute nell’agosto del 986. 3.7.5 La rivolta dei due Barda L’insuccesso militare di Basilio II spinse alla ribellione l’aristocrazia magnatizia bii SeBook - i Simonelli electronic Book 191

zantina che mal sopportava le riforme agrarie dei Porfirogeniti ed aveva nei due Barda i suoi due campioni, benchè fino allora antagonisti tra loro. Nel 987 Barda Sclero, fuggito dal Califfato, ritornò in territorio bizantino e si proclamò un’altra volta imperatore. Barda Foca, investito di nuovo del comando supremo delle truppe d’Oriente con il mandato di muovere contro lo Sclero, radunò invece un’assemblea di generali e di latifondisti dell’Asia Minore, assicuratosi l’appoggio dei quali si fece proclamare a sua volta imperatore il 15 agosto dello stesso anno 987. I due Barda rivali, invece di combattersi l’un l’altro, si misero ora d’accordo per una spartizione dell’Impero che avrebbe esautorato del tutto il legittimo sovrano Basilio II. Foca avrebbe tenuto per sè i territori europei e la capitale Costantinopoli, mentre lo Sclero sarebbe stato signore dell’Asia Minore. i SeBook - i Simonelli electronic Book 192

La assai incisiva descrizione di Michele Psello di questi avvenimenti è la seguente: Foca, che dopo esser stato tenuto all’inizio nella massima considerazione era in seguito retrocesso all’infima, vedendo subitamente crollare ogni sua aspettativa ed insieme avendo netta coscienza di non aver tradito la parola che aveva data e serbata a precisi patti, con la più consistente parte dell’esercito suscitò contro Basilio II un’insurrezione ancor più grave e temibile. Alleatosi con le maggiori casate del tempo, passato apertamente all’opposizione, sceltosi come milizia personale un corpo di Iberi (uomini alti dieci piedi, dal sopracciglio fieramente inarcato), egli cinse il diadema imperiale ed indossò la porpora simbolo del potere....Sclero mirava di nuovo al trono ed al controllo di tutte le forze, supponendo Foca ormai ritirato e le milizie imperiali disperse. Ma quando, i SeBook - i Simonelli electronic Book 193

giunto alla frontiera romana, apprese che Foca aveva già rivendicato la corona, non essendo in grado di combattere insieme contro di lui e l’imperatore, nuovamente rinnegò quest’ultimo e si presentò all’altro in qualità di vassallo, riconoscendogli l’onore del primo rango ed appagandosi egli stesso del secondo. Da quel momento, duplicando le forze, resero ben più micidiale la rivolta. 3.7.6 L’intervento di Vladimiro La situazione del legittimo imperatore Basilio II era davvero disperata e solo un intervento esterno poteva salvarlo dalla caduta. È interessante soffermarsi ad immaginare quali avrebbero potuto essere le conseguenze storiche di tale caduta. Secondo i disegni dei due usurpatori, l’Impero Bizantino si sarebbe i SeBook - i Simonelli electronic Book 194

diviso in due tronconi, così come sei secoli prima aveva già fatto l’intero Impero Romano ed in maniera del tutto simile anche questa volta il tronco occidentale sarebbe rapidamente perito. La Bulgaria di Simeone era già pronta a fagocitare tutta la penisola balcanica e così sarebbe stato. L’intera Grecia sarebbe divenuta slava, la lingua greca sarebbe scomparsa dal continente europeo e con essa tutta l’immensa eredità culturale che essa implicava. L’Occidente Latino era a quell’epoca ancora in uno stato di barbarie abissale ed avrebbe perso l’occasione di ritrovare più tardi l’eredità della sua identità perduta. La metà asiatica dell’Impero sarebbe forse sopravvissuta più a lungo, ma isolata tra un Occidente barbaro ed avverso ed un Oriente Islamico sarebbe decaduta anch’essa molto rapidamente. Probabilmente l’Islam si sarebbe espanso a tutta l’Asia Minore con cini SeBook - i Simonelli electronic Book 195

que secoli di anticipo e la civiltà dell’Europa Occidentale è dubbio se avrebbe avuto l’occasione di nascere. Così non fu perchè Basilio II, il futuro Bulgaroktonos fu salvato e lo fu dalla Rus’ di Kiev, grazie all’intervento del Gran Principe Vladimiro I. Resosi conto per tempo della propria precaria situazione, grazie all’intuizione storica che forse egli aveva ereditato dal suo dotto nonno Costantino VII e certamente seguendone l’esempio, Basilio inviò a Kiev un’ambasceria con la quale, in cambio di un urgente aiuto militare, egli prometteva in sposa a Vladimiro niente meno che la propria sorella, la principessa Anna Porfirogenita. Ricordando quale fosse stato l’accoglimento riservato da Niceforo II alle proposte del casato imperiale d’Occidente di alleanze matrimoniali con i Porfirogeniti, si ha la misura di quale i SeBook - i Simonelli electronic Book 196

favore eccezionale fosse concedere in isposa ad un re barbaro e pagano la sorella stessa dell’unico imperatore romano. Una concessione così eccezionale era motivata dalle condizioni di estremo pericolo in cui si trovava Basilio, ma è anche testimone del conto in cui egli teneva la Rus’ e di quanto gli premesse ottenerne il supporto. L’accordo fu concluso e nella primavera del 988 una druzhina20 slavo-variaga di seimila uomini fu inviata in territorio bizantino. Sotto la direzione personale dell’imperatore Basilio, i Rus’i inflissero ai ribelli una sconfitta schiacciante presso Crisopoli. In seguito, il 13 aprile 989, la lotta venne definitivamente decisa con la battaglia di Abido in cui Barda Foca trovò la morte. Un ulteriore rivolta di Barda Sclero si concluse con la sottomissione dell’usurpatore e da quel momento in poi la druzhina russa, continuamente rinforzata con nuove i SeBook - i Simonelli electronic Book 197

reclute fatte giungere da Kiev, divenne la guardia personale dell’Imperatore Bizantino ed il corpo più fedele su cui l’Imperatore Romano poteva contare. La prima decisiva battaglia di Crisopoli è descritta da Michele Psello nel modo seguente: Dal canto suo l’imperatore Basilio, ormai sconfortato dalla slealtà dei Romani, giacché non molto prima una valente schiera di Sciti del Tauro s’era a lui presentata, pensò bene di chiamarli a raccolta, e unendo a loro altre truppe mercenarie li inviò contro l’esercito nemico. Apparsi all’improvviso davanti agli avversari, che davvero non stavano all’erta, ma tranquillamente sdraiati a bere vino, ne uccisero non pochi, disperdendo i superstiti chi da una parte chi dall’altra; e contro la persona di Foca scoppia, tra le file degli sconfitti una violenta ribellione. i SeBook - i Simonelli electronic Book 198

Secondo il consueto schema di travestimento della realtà in panni obsoleti cui Psello ci ha abituato, gli Sciti del Tauro non sono altro che la druzhina russa inviata da Vladimiro. Nella narrazione del colto, elegante, ma sprezzante storico bizantino questa schiera è apparsa sulla scena quasi per caso e non a seguito di un trattato diplomatico il cui prezzo era quello altissimo che conosciamo. 3.7.7 Il battesimo della Rus’ Scongiurato il pericolo la diplomazia imperiale riconsiderò la concessione fatta a Kiev e, ritenendola del tutto iperbolica, fece qualche timido tentativo di ritrarsene. Prontamente Vladimir rispose invadendo il Chersoneso Pontico, cioè i possedimenti bizantini sulla costa della Crimea. A questo punto gli ambasciatori bizantini ritornarono sui loro i SeBook - i Simonelli electronic Book 199

passi e confermarono la volontà dell’Imperatore di inviare sua sorella in isposa al grande Vladimiro, ma a condizione che egli accettasse il battesimo, così come aveva già fatto sua nonna Olga, esattamente trentadue anni prima. Questa proposta fu accettata dal Principe Vladimir che con grande pompa si fece battezzare proprio nel Chersoneso Bizantino. Al sacramento del battesimo seguirono immediatamente le nozze. Il Gran Principe della Rus’ fu unito in matrimonio con la principessa Anna Porfirogenita che aveva allora ventisette anni. Tornato a Kiev in trionfo, Vladimiro dichiarò il Cristianesimo Religione dello Stato, fece abbattere gli idoli di Perun e promosse l’immediata costruzione di chiese e monasteri.

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3.8 Dalle Porte d’Oro, la Kievskaja Rus’ in prospettiva Si era fatto tardi, in quel sabato dell’Ottobre 2002; le ombre della sera scendevano sulle ricostruite Porte d’Oro di Kiev ed un vento frizzante riusciva ancora a far rotolare sulla strada soltanto poche dei milioni di foglie secche perdute dagli innumerevoli ippocastani della città. Le più erano già state sminuzzate dalle ruote delle automobili e dei camion e gli alberi che le avevano indossate nella gloriosa estate si drizzavano ormai scheletriti, rabbrividendo in quell’aria pungente che annunciava l’imminente arrivo della candida neve. E sarebbe caduta ed avrebbe vestito Kiev di un manto tanto sontuoso e morbido quanto gelido. Mi ritirai in un caffè della piazza, che aveva un’ampia vetrata prospiciente le Porte d’Oro. Seduto ad un tavolino con il i SeBook - i Simonelli electronic Book 201

piedistallo in ferro battuto ed il piano in cristallo, sorseggiai un caffè, accompagnato da una fetta di tort s klubnikoi i slivkami, cioè di torta alle fragole con panna. Non riuscivo a staccare lo sguardo da quell’antico monumento che antico non era perchè ricostruito nel 1982. Pensavo a Roma, dove ogni angolo di strada ha qualche muro, qualche arco, qualche frammento di colonna o qualche statua di duemila anni fa; e sono proprio autentici, sono proprio quelli posti precisamente lì da qualcuno vissuto venti secoli addietro. Pensavo alle città dell’Italia Centrale, a Siena o Perugia, dove quasi ogni casa è del milleduecento e sta ancora in piedi, è anche abitata. Pensavo alle abbazie ed alle cattedrali romaniche: undicesimo, dodicesimo secolo. Si ergono ancora e le puoi vedere come erano, come sono diventate attraverso le trasformazioni i SeBook - i Simonelli electronic Book 202

operate nei secoli: un altare barocco aggiunto dove proprio non ci voleva, ma l’impianto originale è ancora lì, non solo visibile, bensì percepibile con tutti i sensi. Il tempo non si è spezzato, c’è continuità. Posso immaginarmi la gente del medio-evo che entra nel duomo di Orvieto o nella Cappella degli Scrovegni di Padova: li vedo, li sento, sono rimasti tra di noi, nel ricordo, di generazione in generazione. Poi pensavo ad Istanbul che avevo visitato cinque o sei anni prima. Atterrando con l’aereo avevo scorto le rovine delle poderose, ciclopiche mura di Costantinopoli contro le quali, per dieci secoli, si era inutilmente infranta la furia dei barbari: ma un volta entrato in città, dove erano le vestigia di tutti i palazzi, di tutte le chiese, di tutte le favolose ricchezze monumentali dell’Impero Bizantino? Santa Sofia trasformata in moschea e i SeBook - i Simonelli electronic Book 203

poco più! Una città assolutamente medioorientale, enorme, informe, brulicante di gente indaffarata, di carretti, di automobili sgangherate e di autobus che soffiano sbuffi di nafta puzzolente. Minareti di cemento bianco ovunque, tutti uguali, tutti costruiti da poco nelle sterminate periferie affollate di povera gente, immigrata dalle campagne nella megalopoli. Costantinopoli era caduta nel 1453 nelle mani dei Turchi Ottomani: il tempo si era spezzato. Anche Kiev era stata espugnata e distrutta dai Mongoli nel 1240: anche qui il tempo si era spezzato. Per tutta la Russia i Mongoli avevano spezzato il tempo. Poi pensai alla Germania contemporanea: le città moderne, ben organizzate ed efficienti, in cui cerchi il centro storico e la cattedrale e li trovi, ma ricostruiti anche lì, così come furono, ricostruiti con filologica precisione, ma i SeBook - i Simonelli electronic Book 204

in mezzo ai palazzi moderni, isolati dal tessuto della vita contemporanea, musei all’aperto. Anche in Germania il tempo è stato spezzato, spezzato dalle bombe alleate del 1944-45, spezzato dalla follia degli stessi tedeschi che votarono Hitler nel 1933 e quando si bruciano i libri significa che poi si bruceranno anche gli uomini. Lo disse profeticamente il poeta Heine nel secolo XIX ed ora è scritto nella grande piazza davanti alla ricostruita biblioteca di Berlino, a fianco dell’Unter den Linden, ricostruito dopo la riunificazione tedesca del 1990, di fronte all’ingresso dell’Università von Humboldt, anch’essa ricostruita. Non avevo ancora visto, l’avrei fatto più tardi, la cattedrale del Cristo Salvatore di Mosca. Costruita nel 1812, sulle rive della Moscova, per ringraziare Dio di aver salvato la Russia dall’invasione Napoleonica, fu abbattuta con una bomba dal governo di i SeBook - i Simonelli electronic Book 205

Stalin nel 1931. Il suo posto, per tutto il restante tempo dell’era sovietica, fu occupato da una piscina pubblica. E poi venne la perestroika e poi lo smembramento dell’Unione Sovietica e la piscina fu demolita. Nel 1990 la chiesa del Cristo Salvatore fu ricostruita, così com’era! Quante volte il tempo si è spezzato nella Storia di Russia? Tante. La cultura deve ricucire i rami spezzati del tempo. Un uomo è solo un animale se non porta dentro di sè la cultura di un popolo e la cultura di un popolo è soltanto l’ombra della sua storia. Ma gli uomini non si eleveranno mai al rango di cittadini consapevoli e mai si costruirà la società dello ius civium se i popoli tutti insieme non ricuciranno i tronconi spezzati del tempo e quando costruiranno nuovi templi, sapranno frenarsi dall’abbattere gli antichi. i SeBook - i Simonelli electronic Book 206

Che peccato, pensavo, non poter vedere la statua di Perun! Nel regno di Vladimir durato fino al 1015, la cristianizzazione dell’antica Rus’ procedette assai rapidamente e già nel 1037, sotto il regno Jaroslav il Saggio, secondo successore di Vladimir, fu costruita in Kiev la cattedrale di Santa Sofia21 che, dopo l’omologa di Costantinopoli, era il tempio cristiano più grande e maestoso di tutta l’Europa. La scelta di Vladimir influenzò profondamente tutto il successivo corso della storia russa. Nella già citata History of Russia ed in tempi di guerra fredda, lo scrittore inglese John Lawrence scrisse quanto segue: Nel ricevere il Cristianesimo dalla Grecia, piuttosto che da Roma, i Russi associarono il loro destino con quella parte di Europa che era a quell’epoca la più civile e svilupi SeBook - i Simonelli electronic Book 207

pata. Ma il futuro stava con l’Occidente e la loro inclusione nella Cristianità Greca escluse i Russi dalla partecipazione ai progressi occidentali per molti secoli a venire. Nel passato le differenze tra la Chiesa Latina e quella Greca non avevano spezzato la comunione tra le due metà della Cristianità. Nessuno poteva prevedere che le Crociate avrebbero dominato la scena nei due secoli successivi. Ancora meno si poteva prevedere che il conseguente scontro tra i popoli e le loro chiese sarebbe stato così aspro che alla fine un odio ed un incomprensione profonda avrebbero aperto un solco incolmabile tra i Cristiani d’Occidente e d’Oriente. Ma così invece fu. Noi stiamo ancor oggi pagando le conseguenze dello squilibrio sia morale che materiale portato nella vita d’Europa da questa disputa. L’antagonismo contemporaneo tra Est ed Ovest prende forme diverse, ma la sua animosità è i SeBook - i Simonelli electronic Book 208

nutrita da antipatie che provengono da un contenzioso molto più antico. Nonostante la fine della guerra fredda, le parole di Lawrence hanno ancora molta attualità perchè l’incomprensione tra l’Est e l’Ovest dell’Europa perdura in molte nuove forme, ultima tra esse la xenofobia strisciante che ha contagiato le società occidentali in presenza dei flussi migratori da Oriente. Cercando di dare una sua valutazione complessiva dell’era kieviana, bruscamente troncata dall’invasione mongola del 1240, ma la cui fine fu lentamente preparata dal progressivo smembramento dello stato unitario in principati quasi indipendenti progredito per tutto il XII secolo, Lawrence scriveva: Sostanzialmente, nella grande era di Kiev, la Russia aveva raggiunto lo stesso livello di civilizzazione dell’Europa Occidentale. D’altra parte ad Ovest nessuno stato era così vasto i SeBook - i Simonelli electronic Book 209

ed ebbe un’altrettanto lunga durata (dall’850 al 1240). Nessuna città occidentale, poteva a quell’epoca competere in dimensioni e splendore con Kiev. Nel grande incendio del 1124 si racconta che furono distrutte quasi seicento chiese. In nessun altro luogo d’Europa esisteva una così ampia rete di città commerciali unite tra loro da vie di comunicazione così solide, principalmente costituite dai fiumi navigabili. I pochi monumenti architettonici che sono sopravvissuti dimostrano una maestria nel disegno delle forme ed uno splendore di colori che è più sofisticata della rude maestosità dello stile romanico. Ancora in epoca pagana la principessa Olga visse in un palazzo decorato con affreschi e mosaici. Più tardi statue antiche trovate in Crimea furono poste nel centro di Kiev in cui, di fronte alla cattedrale della Vergine Maria si ergevano quattro cavalli bronzei, come a Venezia. i SeBook - i Simonelli electronic Book 210

Il commercio internazionale delle materie prime e l’agricoltura erano dunque la base dell’economia kieviana che permise uno sviluppo tecnico, culturale e civile notevole. Durante il regno di Jaroslav il Saggio (1019-1054), furono create a Kiev una Scuola di studi superiori (il primo nucleo di uno Studio Universitario) ed una Biblioteca e si compilò per iscritto, in slavo-antico, il primo codice di Leggi, dal titolo La giustizia russa. In quello stesso tempo il regno kieviano strinse rapporti diplomatici con le maggiori potenze europee dell’epoca. Nella Storia di Russia del professor Nicholas Riasanovsky dell’Università di Berkeley è riportato il seguente calcolo: sei furono le alleanze matrimoniali kieviane strette con l’Ungheria, cinque quelle con la Boemia, una quindicina quelle con la Polonia ed almeno undici quelle con la Geri SeBook - i Simonelli electronic Book 211

mania o, per essere più precisi, almeno sei principi russi ebbero mogli tedesche, mentre due marchesi, un conte, un langravio ed un imperatore tedeschi ebbero mogli russe. La letteratura russa ebbe il suo inizio in epoca kieviana con vari documenti redatti in lingua antico-slava, come il codice di Novgorod, il Vangelo di Ostromirov e soprattutto la già citata compilazione annalisitca le Cronache dei tempi passati, nota anche come Cronaca di Nestore. Ciò che più caratterizza l’epoca kieviana e le conferisce il suo carattere epico rimasto profondamente impresso nell’immaginario collettivo del popolo russo sono i poemi popolari detti bilini che narrano le gesta dei leggendari cavalieri Bogatyri. La maggior parte di essi ha come sfondo storico proprio l’epoca di Vladimiro il Santo.

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4. Kiev Anno Domini 2002

4.1 Khreshatik La via centrale di Kiev, il suo cuore, si chiama Khreshatik, vocabolo che trae la propria radice da krest, la croce cristiana, e dunque ricorda il ruolo della città quale culla non solo dello stato, ma anche del cristianesimo russo. L’origine storica della denominazione proviene infatti da Kreshatji Jar che in russo significa la riva della croce. La costruzione di palazzi ed altri edifici lungo il tracciato dell’attuale Khreshatik cominciò soltanto nel XIX secolo: precedentemente questo luogo era una valle disabitata che separava diversi rioni dell’antica Kiev, soprattutto Podol, il centro commerciale ed i SeBook - i Simonelli electronic Book 213

amministrativo, da Pechersk, il borgo sorto attorno al Monastero delle Caverne, cioè alla Pecherskaja Lavra. Nella Valle della Croce, la Kreshataja Dolina, la tradizione vuole che Vladimir I il Santo battezzasse i suoi famigliari, dopo essere stato egli stesso battezzato nel Chersoneso bizantino. Il mio primo incontro con Khreshatik fu all’inizio d’Ottobre del 2001. Al ritorno da Yalta, prima di ripartire per l’Italia, sostai per una sola notte a Kiev e l’albergo in cui pernottai era situato su Maidan Nezalezhnosti che in ucraino significa Piazza dell’Indipendenza. La dizione russa dello stesso nome è Ploshad’ Nezavisimosti e l’indipendenza a cui si fa riferimento è la creazione dello stato ucraino, proclamata il 24 agosto del 1991, a seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Era da poco trascorso il primo decennale dalla fondazione del nuovo stato e la piazza i SeBook - i Simonelli electronic Book 214

dell’indipendenza, simbolo del nuovo corso politico, si era già arricchita di una notevole collezione di moderne strutture architettoniche che, da allora, le conferiscono una non disprezzabile grandiosità monumentale. Il lato occidentale è delimitato da una cerchia di sette alti palazzi, quasi identici tra di loro, sormontati da scritte pubblicitarie luminose e costruiti in mattone a vista, che, allo sguardo di chi emerge dalla stazione della metropolitana, trasformano l’ambiente della piazza in un palcoscenico, costituendone il fondale. Al centro del proscenio si erge un’alta colonna bianca, adorna di un capitello corinzio dorato, in cima al quale svetta un’alata figura femminile simboleggiante l’Ucraina. Questo monumento al nuovo orgoglio nazionale è circondato da aiuole fiorite e da moderne cupole di cristallo, simili a quelle situate nel cortile del i SeBook - i Simonelli electronic Book 215

Louvre a Parigi, la cui funzione è dar luce al centro commerciale sotterraneo che, partendo dalla stazione Maidan Nezalezhnosti della Metro, si snoda sotto la superfice di Khreshatik per quasi tutta la sua lunghezza. Quando, nella tersa e frizzante mattinata di una domenica di primo Ottobre del 2001, uscii dal mio albergo ed imboccai la storica arteria di Kiev, ebbi la rara fortuna di vederla quasi completamente deserta. Capitò infatti che quello fosse un giorno in cui Khreshatik era chiusa al traffico veicolare e d’altra parte, data l’ora antimeridiana, non ancora assiepata dalla folla di pedoni che, poco più tardi, l’avrebbe riempita con il proprio struscio. La prima cosa che vidi fu l’imponente mole del Palazzo delle Poste Centrali. In puro stile staliniano, questo gigante fu soltanto l’ouverture della sinfonia di pietra grigia, mattoni giallognoli, archi biancastri e mai SeBook - i Simonelli electronic Book 216

stodontici portoni bruni che il resto della via mi riservò, nello svolgimento del suo ampio ed arcuato percorso. Questa teoria di palazzi, principalmente destinati ad ospitare uffici amministrativi, ma anche magazzini ed appartamenti di civile abitazione, furono eretti nell’immediato dopoguerra, quando l’intera via dovette essere ricostruita. Nell’estate del 1941, infatti, l’Armata Rossa in ritirata davanti all’avanzata dei Panzer tedeschi, prima di abbandonare la città, aveva disposto cariche esplosive negli edifici lungo tutta Khreshatik. All’inizio di settembre dello stesso anno, quando la Wehrmacht aveva preso possesso della madre di tutte le città russe, le mine erano state fatte brillare tramite un comando radio impartito a più di quattrocento chilometri di distanza. Fu questa la prima operazione bellica della storia che fece uso di esplosioni telecontrollate. In una spai SeBook - i Simonelli electronic Book 217

ventosa salve di dimensioni apocalittiche più di trecento edifici erano crollati simultaneamente, distruggendo buona parte di quanto del centro storico di Kiev era sopravvissuto alle precedenti catastrofi della sua lunga storia. Al prezzo di una simile spietata auto-distruzione ed anche di un numero altissimo di vittime tra la popolazione civile, l’Armata Rossa aveva ottenuto il risultato di infliggere pesanti perdite alle truppe occupanti, generando in esse il panico. Durante il periodo dell’occupazione nazista, Khreshatik fu rinominata Eichhornstrasse in onore del Feld-maresciallo Hermann Von Eichhorn che era stato assassinato a Kiev al tempo della precedente occupazione tedesca della città, cioè nel 1918. In quell’ultimo scorcio della Prima Guerra Mondiale, successivamente alla Rivoluzione d’Ottobre ed alla pace separata tra Russia e Germania, truppe tedei SeBook - i Simonelli electronic Book 218

sche erano state stanziate a Kiev a sostegno del governo indipendentista ucraino presieduto dell’Etmano Pavlo Skoropadsky che fu spazzato via prima dalla ribellione di Petljura e poi dai bolscevichi. In quella mia prima frettolosa visita autunnale ad una strada che l’inverno dell’anno successivo avrei percorso innumerevoli volte in tutta la sua estensione, visitandone tutti i negozi, tutti i caffè e tutte le diramazioni laterali, non ebbi nemmeno l’occasione di notare l’esistenza del mondo sotterraneo che essa celava: un mercato coperto, affollatissimo di magazzini più grandi e più piccoli che vendevano, a prezzi quasi occidentali, una sterminata varietà di merci occidentali, soprattutto abbigliamento, calzature, pellame, profumeria e cosmetica. Nelle brevi giornate dicembrine del 2002, scendere una delle scale di accesso al bazar i SeBook - i Simonelli electronic Book 219

sotterraneo, generalmente condivise dall’ingresso di una stazione della Metro, comportava la rapida transizione dal gelo pungente e dal silenzioso vorticare dei fiocchi di neve che regnavano in superficie, ad un’atmosfera calda e satura di umidità in cui, nell’una e nell’altra direzione, fluiva un’incessante corrente di gente impellicciata. Le pellicce erano quasi tutte slacciate e su ognuna di esse ondeggiava un voluminoso colbacco: ce n’erano di bianchi, di grigi, di neri e di fulvi. Le pellicce si fermavano, osservavano le merci, le saggiavano con la mano, si consultavano tra di loro o con le commesse e comperavano. Comperavano a decine, a centinaia, forse a migliaia, pagando ogni volta, in grivny o direttamente in valuta forte l’equivalente di cinquanta, di cento od anche di duecento o trecento dollari. Ed all’insoluto paradosso genetico sull’origine della nuova razza femminile, uniformemente i SeBook - i Simonelli electronic Book 220

affetta da smagliante bellezza, nonostante la sua discendenza da una generazione di torreggianti e massicce donnone, si aggiungeva un nuovo paradosso finanziario. Tralasciando le pensioni, che sapevo limitate a qualche decina di euro ogni mese, la retribuzione mensile degli insegnanti, dei dipendenti statali, dei militari e dei medici, raramente raggiungeva il centinaio di euro, mentre quella dei lavoratori comuni era ancora più bassa. Eppure non erano poche decine, bensì migliaia e migliaia le persone che facevano spese all’occidentale, pagando prezzi occidentali! In superficie, prima del suo termine in Ploshad’ imeni Leva Tolstogo, l’ultimo tratto di Khreshatik esibiva, allineate una dopo l’altra, le filiali kieviane di Armani, di Gucci, di Cacharel, di Yves Saint Laurent, di Bulgari, di Dolce e Gabbana e di cos’altro ancora esiste tra le più prestigiose firme della moda e della i SeBook - i Simonelli electronic Book 221

gioielleria sia francese che italiana. Tirati a lucido, con le vetrine illuminate e seducenti, anche questi negozi erano affollati ogni sabato e la schiera ondeggiante dei colbacchi di delicate pellicce bianche, si indaffarava attorno ad essi, entrando ed uscendo dalle porte di cristallo con vistosi pacchetti colmi di tesori il cui prezzo era tale che occorrevano dieci anni di stipendio medio per poterlo raggranellare. Se invece di percorrere Khreshatik verso sud, si segue invece il suo corso verso nord, oltrepassata Maidan Nezalezhnosti, si giunge ad un parco rigoglioso e ricchissimo di pregiata vegetazione che, abbarbicato al fianco scosceso della collina, scende dal livello della città alta fino alle rive del fiume Dnepr. Nello spiazzo che forma l’ingresso del Giardino, detto Khreshatji Park si trovano oggi due monumenti di gusto ugualmente orrido ed ugualmente grondanti di vacua retorica. Il primo di i SeBook - i Simonelli electronic Book 222

età staliniana è in pietra bianca e rappresenta due massice figure maschili le cui braccia alzate ed unite reggono, in alto sopra le loro teste una specie di gigantesca coccarda, la cui lunga coda sventola dietro di loro in guisa di vessillo, evidentemente sollevata ed agitata dal vento dell’Avvenire che soffia vigoroso sui volti dei due impavidi proletari. L’adiacente monumento, di fattura contemporanea, è invece un ciclopico gruppo statuario in pietra rosa che riassume attraverso figure massicce ed emblematiche l’intera storia dell’Ucraina, partendo da un guerriero scita munito di scudo, sciabola ricurva e lunghi baffi che si erge all’estremità sinistra e guarda, forse con perplessità, i suoi discendenti proletari, le cui scarpone non sono meno mastodontiche dei suoi stivali di feltro. Oltrepassate queste due brutture che, a compimento della composizione kitsch, sono i SeBook - i Simonelli electronic Book 223

sovrastate da un grande arco metallico, ci si trova nel Parco e si è compensati dell’oltraggio estetico testè subito da una superba ed amplissima vista sul Dniepr. Una descrizione poetica di questo Giardino, sottesa da struggenti ed intriganti suggestioni storiche ci è offerta da un passo di Bulgakov, all’inizio del quarto capitolo de La Guardia Bianca. I giardini si esaltavano sulle splendide colline sovrastanti il Dniepr, e su tutti, arrampicandosi a terrazze, allargandosi, ora screziandosi in milioni di macchie di sole, ora avvolgendosi in tenui crepuscoli, regnava l’eterno Giardino Imperiale. Marciti e neri, i vecchi travi del parapetto non sbarravano l’accesso ai vertiginosi precipizi. I muraglioni perpendicolari, chiazzati di neve di bufera, cadevano a strapiombo sulle lontane terrazze sottostanti, e queste si dispiegavano sempre più distanti e più ampie, si i SeBook - i Simonelli electronic Book 224

dissolvevano nei boschetti rivieraschi, sopra la strada che serpeggiava lungo la riva del grande fiume, e lo scuro, nastro intagliato nel gelo si dissolveva nella bruma, là dove persino dalle alture più ardite della Città non giunge l’occhio umano, là dove sono le candide cascate, Zaporoshkaya Sech’ , ed il Chersoneso ed il mare lontano. Leggendo queste parole, dotate di un fascino quasi magico, come non correre con il pensiero alle descrizioni di Costantino VII? Come non provare un senso quasi di vertigine immaginando di scorgere sul fiume ancora gelato i primi segni del rompersi del ghiaccio e le prime sagome delle monoxyle che, emergendo dalle brume del nord, vengono a radunarsi proprio su questa riva per prepararsi al grande e periglioso balzo verso sud, verso le candide cascate, verso il Chersoneso ed il miraggio delle cupole d’oro di Costantinopoli? i SeBook - i Simonelli electronic Book 225

4.2 Le Rive del Dniepr Oggi, dal livello della città alta si può scendere alla strada che, come diceva Bulgakov, serpeggia lungo la riva del grande fiume, tramite una funicolare. Vidi per la prima volta questa funicolare nel Dicembre del 2001. La città era tutta innevata, grandi mucchi di neve indurita si alzavano vicino all’ingresso della stazione inferiore ed una candida coltre di farina ricopriva il folto giardino imperiale, attraversato da una striscia longitudinale in cui gli alberi erano stati tagliati per far posto al doppio binario a cremagliera su cui le vetture della funicolare si arrampicavano fino alla stazione superiore. Avevo la strana sensazione di trovarmi in una stazione sciistica delle Alpi, ma essa era immediatamente sconfessata dalla folla di i SeBook - i Simonelli electronic Book 226

persone impellicciate che attendevano di salire a bordo del mezzo, reggendo con le proprie mani non bastoncini o tavole snow-board, ma gli innumerevoli sacchetti della spesa che sono onnipresenti nel panorama umano dell’ex Unione Sovietica e colà sembrano quasi costituire un attributo essenziale nella definizione di essere umano. In quella giornata di Dicembre 2001 non riuscii ad apprezzare adeguatamente l’imponenza del fiume: il sole era velato da una nebbia sottile che, pur non impedendo alla neve di scintillare, offuscava la vista di ogni cosa che non fosse immediatamente vicina ed ovattava il mio sguardo curioso. Diversa fu la situazione nel giugno 2002. Nel cuore della prima estate, quando le giornate sono lunghissime, la luce quasi perenne del sole, combinandosi all’incessante movimento delle bianche nubi, veste i cieli settentrionali di un abito screi SeBook - i Simonelli electronic Book 227

ziato e cangiante e l’orizzonte delle vaste pianure continentali pare quasi recedere all’infinito, il maestoso ed impercettibile incedere del Dniepr mi apparve in tutta la sua gloria. Camminai a lungo sulla riva destra del fiume, allontanandomi dalla stazione inferiore della funicolare, in direzione nordovest. La riva opposta, bassa e coperta di una fitta boscaglia, sembrava già lontanissima e disabitata, ma in realtà era solo la spiaggia di una grande isola fluviale; la vera riva sinistra del Dniepr, su cui la città moderna si è estesa a dismisura, era al di là dell’isola, invisibile in quel tratto. Una moltitudine di battelli fluviali grandi come quelli in servizio tra Napoli e le isole del suo Golfo era attraccata alle banchine, alcuni tramutati in ristoranti, altri pronti alla partenza per destinazioni a me ignote, altri ancora dall’apparenza di yacht privati. i SeBook - i Simonelli electronic Book 228

Volgendomi indietro scorgevo il Giardino Imperiale, identificato dall’osceno arco metallico che in distanza, appiattito contro il verde della foresta di ippocastani, perdeva un poco della sua offensività divenendo quasi innocuo, scorgevo il grande ponte viario a tre campate che, attraversando il corso del grande fiume, collega la riva destra all’invisibile riva sinistra e dietro di esso, sovrastante l’orribile arco, la sommità della collina Pecherskaja, su cui, in mezzo alla foltissima vegetazione, baluginavano i riflessi dorati delle cupole della Lavra. Ebbi occasione di visitare più volte i quartieri della misteriosa riva sinistra del Dniepr, nell’inverno 2002-2003. Una prima volta, nel cuore del Dicembre 2002, rientrato a Kiev dopo una breve interruzione del mio soggiorno ucraino per affari urgenti che dovevo sbrigare in Italia, i miei i SeBook - i Simonelli electronic Book 229

referenti locali mi prenotarono, per trascorrere le prime notti, una camera in un grande albergo, sito sulla riva sinistra del fiume, proprio davanti al terminale del ponte viario. Dalla mia finestra al decimo piano dell’edificio godevo di una vista superba sul Dniepr e, subito sopraggiunto dal calar della sera nella breve giornata invernale del mio arrivo, una visione completamente diversa, ma forse ancora più grandiosa di quella estiva, si aprì davanti ai miei occhi. I meno venti gradi che già da qualche giorno regnavano incontrastati su tutta la Russia Europea e sulla Ucraina avevano completamente gelato la superficie del grande fiume. La neve ricopriva le sue sponde e le sagome brune degli alberi scheletriti si intravedevano appena come ombre, avvolte da una nebbia sottile, in mezzo alla quale i fumi poco più scuri delle i SeBook - i Simonelli electronic Book 230

ciminiere e dei camini si diffondevano quali sfumature del dominante grigio. Gli autobus e le automobili, per lo più vecchie e scassate ronfavano sulle rampe del ponte, gettando sbuffi nerastri, il cui nauseabondo olezzo, come raggelato dalla morsa del freddo, sembrava scomparso. Alcune grandi imbarcazioni, sorprese dalla stretta del ghiaccio erano state spinte da essa sopra alla superficie del fiume e restavano adagiate su quella in pose mollemente sbilenche. Si potrebbe pensare che questi elementi componessero un quadro tetro ed opprimente, ma così non era perchè la vasta distesa che d’estate separa le due sponde del fiume era animata da una folla multiforme di giovani, anziani e bambini che l’avevano invasa gioiosamente per passeggiare, pattinare, correre e giocare, quasi a vendicarsi degli uggiosi rigori invernali con la propria festosità. i SeBook - i Simonelli electronic Book 231

Un’altra volta in gennaio mi recai sulla riva sinistra del fiume per raggiungere la residenza ufficiale dell’Ambasciatore d’Italia dove avevo avuto l’onore di essere invitato a cena insieme ad alcuni illustri ospiti, fra i quali il Nunzio Apostolico e i Consiglieri Militari delle Ambasciate Tedesca, Inglese ed Americana. L’allora Ambasciatrice e suo marito, di nazionalità tedesca, abitavano in un grande appartamento al penultimo piano di un palazzo in stile liberty in fondo ad un ampio e lungo viale che si diparte proprio dalla piazza sulla quale sorge l’albergo in cui avevo soggiornato per alcuni giorni circa un mese prima. Fu una serata piacevole per la squisita gentilezza degli ospiti ed interessante per le conversazioni che ebbi l’occasione di ascoltare. Si era in quei giorni alla vigilia di una visita di stato in Italia da parte del presidente ucraino Leonid Kuchma e la nostra diplomazia era imi SeBook - i Simonelli electronic Book 232

pegnata nell’organizzazione di tale evento, la cui opportunità costituiva l’oggetto di vivaci discussioni. La pessima fama dell’amministrazione Kuchma è infatti nota ed in alcuni Stati, membri dell’Unione Europea il presidente ucraino era stato addirittura dichiarato persona non grata a causa dei suoi sospetti legami con le mafie nonché delle sue presunte responsabilità in una serie di omicidi politici. A Roma l’agenda protocollare prevedeva anche un’udienza di Kuchma in Vaticano ed il Consigliere d’Ambasciata Italiano per gli Affari Militari, rivolgendosi al Nunzio Apostolico disse: - Speriamo, Eminenza, che quando quest’uomo così duro e crudele sarà di fronte al Papa, il Santo Padre possa appoggiare una mano sul suo cuore, facendolo in tal modo ravvedere. Questo paese ha estremo bisogno di un governo migliore e più umano. i SeBook - i Simonelli electronic Book 233

Io mi trovavo a fianco del generale che aveva appena parlato e di fronte al Nunzio, un prelato croato che oltre all’inglese, al francese ed ovviamente a quasi tutte le lingue slave parlava correntemente e senza accento anche l’italiano. Egli incrociò il mio sguardo e nel suo mi parve di leggere una certa sconsolata disperazione per le ingenue e disarmanti parole proferite dal suo interlocutore militare, poi rispose: - La Provvidenza Divina sa certamente quale è il ruolo di ciascun uomo nella storia e noi dobbiamo accettarne con umiltà le disposizioni.La conversazione si spostò poi sulle qualità del popolo ucraino che venivano universalmente lodate da tutti gli ospiti dell’Ambasciatore. Veniva sottolineata la tenacia, la generosità, la capacità di sopportazione delle afflizioni e la schiettezza di sentimenti delle i SeBook - i Simonelli electronic Book 234

genti piccolo-russe. Inoltre parlando delle generazioni più giovani si dava rilievo alle loro capacità di apprendimento ed al loro impegno patriottico nel costruire nel proprio paese una nuova e migliore società. Ricordo distintamente il giudizio più volte espresso in quella serata secondo il quale i giovani ucraini aspiravano sì ad andare all’estero per apprendere, perfezionarsi ed anche guadagnare un gruzzolo, ma sempre con l’intento di tornare a casa al fine di contribuire alla rinascita della propria patria. Ascoltando queste argomentazioni a me pareva di essere stato trasportato su di un altro pianeta e di essere circondato da alieni. L’Ambasciata d’Italia è sita, non lontano dalle Zolotye Varota, in una via residenziale della città alta che sbocca davanti alla cattedrale di Santa Sofia. Vi ero stato più volte. Di fronte alla sua cancellata in ferro battuto i SeBook - i Simonelli electronic Book 235

sostava ogni giorno una fila interminabile, lunga tre isolati, di gente tanto ordinata quanto rassegnata, che dalle sei del mattino attendeva le fatidiche undici, ora in cui il cancello si sarebbe aperto ed un piccolo numero di eletti sarebbe stato ammesso nel cortiletto interno. Quando l’impredicibile numero critico di ingressi stabilito per quella giornata fosse stato raggiunto, i due carabinieri di guardia avrebbero impietosamente chiuso il cancello sulla faccia della stragrande maggioranza degli esclusi, arrivati a Kiev da ogni parte del paese, sovente dopo aver affrontato un viaggio in treno di decine e decine di ore. Anche per quel giorno tutte le speranze erano andate deluse ed il mattino successivo molti di loro si sarebbero ritrovati nella stessa via a battere mani e piedi per il freddo in ore ancora più antelucane, al fine di meglio tentare la propria sorte. i SeBook - i Simonelli electronic Book 236

Per gli ammessi nel cortile, tanto invidiati da chi era rimasto fuori nella via, cominciava una nuova lunga attesa. Con estenuante lentezza bisognava percorrere tutta la coda che si snodava tra le transenne piantate nella neve fino a raggiungere la porticina della palazzina, presidiata dai due carabinieri e sormontata da un cartello bilingue che, a scanso di equivoci, ricordava sia in italiano che in russo: IL VISTO D’INGRESSO IN ITALIA È UNA CONCESSIONE E NON È UN DIRITTO

All’interno dell’edificio una nuova coda, articolata in tre o quattro file, conduceva i postulanti alle finestrelle dove finalmente avrebbero parlato con i funzionari incaricati dell’Ambasciata. Per i più il risultato della lunghissima giornata sarebbe stato soltanto un foglio contenente le istruzioni per preparare la i SeBook - i Simonelli electronic Book 237

serie quasi infinita di documenti richiesti, diversi secondo i casi. Invito da parte di un cittadino o di un ente italiano, fideiussione bancaria attestante la capacità finanziaria dell’invitante di mantenere l’invitato, attestazione di idoneità ricettiva della sua casa ad ospitare l’ospite, dichiarazione di una ditta o di un ente ucraino comprovante lo stato di servizio del postulante in un lavoro a tempo indeterminato, biglietti di aereo oppure di treno di andata e ritorno già pagati, autorizzazione all’invito firmata dal coniuge dell’invitante e poi altro ancora, il tutto in originale ed in traduzione italiana certificata sia dal Ministero della Giustizia Ucraino che da un notaio. Per altri, il risultato della lunga giornata sarebbe stato l’invito a ritornare tra una settimana oppure tra un mese perché la pratica non era ancora stata evasa. Per altri ancora si era invece al giorno desiderato e temuto del verdetto finale. i SeBook - i Simonelli electronic Book 238

Il passaporto sarebbe stato restituito e se esso avesse recato stampigliato su di una delle proprie pagine il visto di ingresso in Italia, allora le manifestazioni di gioia sarebbero state incontenibili. Ovazioni, applausi ed abbracci con i parenti, ma anche con sconosciuti presenti nella sala di attesa non sarebbero mancati. Ad essi sarebbero seguite delle abbondanti libagioni di birra nei più vicini bar della zona e poi tante ore di treno per tornare alla propria città od al proprio villaggio e prepararsi alla grande partenza verso l’Ovest e non certo per tornarne più colti nel proprio paese, come sentivo dire nelle chiacchiere di quella sera alla tavola dell’Ambasciatore, ma per raggiungere il proprio marito o la propria moglie o la propria madre già espatriati, oppure per tentare di costruirsi una vita meno grama oltre frontiera ed anche per guadagnare al di là di essa i SeBook - i Simonelli electronic Book 239

quanto era necessario a far sopravvivere i propri cari dentro di quella. Nel giorno del verdetto, però, la maggior parte dei postulanti avrebbe riavuto il proprio passaporto privo di alcuna stampigliatura accompagnato da un foglietto recante la dicitura: VISTO RIFIUTATO PER RISCHIO DI IMMIGRAZIONE CLANDESTINA

Se poi il mesto postulante, quasi sempre giovane e quasi sempre di sesso femminile, che vedeva cadere tutte le proprie speranze ed infrangersi tutti i propri sogni avesse provato a chiedere una spiegazione del rifiuto che gli era stato opposto, il funzionario seduto dietro allo sportello l’avrebbe dissuaso dall’avanzare domanda in tal senso, affermando che se accettava il verdetto senza discutere avrebbe avuto la possibilità di tentare i SeBook - i Simonelli electronic Book 240

un’altra volta la sorte. In caso contrario l’esito più probabile della procedura sarebbe stato un timbro nero sul passaporto che comportava l’esclusione dall’ingresso nell’intera Comunità Europea per almeno dieci anni. Tornando a casa dopo quella cena dall’Ambasciatore, pensavo alla visione del Dniepr che avevo goduto dalla finestra del mio albergo un mese prima, all’immagine quasi fiabesca della Lavra Pecherskaja avvolta dalla nebbia sulle alture dell’opposta riva del fiume ed agli infiniti tormenti che la gente di Kiev aveva dovuto sopportare nei mille anni trascorsi dalla fondazione di quel Monastero. Dopo i Mongoli, i Tartari ed i Polacchi, le repressioni zariste, poi gli orrori della guerra civile, quindi la ferocia staliniana seguita da quella dell’occupazione nazista, indi la seclusione dei tempi brezhneviani, poi la povertà e la fame nel disastro economico i SeBook - i Simonelli electronic Book 241

seguito alla caduta dell’URSS, ultime le vessazioni delle Ambasciate Occidentali, occupate, per la necessità di compiacere la parte più gretta e xenofoba del loro elettorato, a difendere i corrispondenti paesi dal benefico apporto di nuovi immigranti, portatori di spendibili energie positive e di sani valori umani, spesso dimenticati dal consumismo occidentale. 4.3 La Pecherskaja Lavra In greco classico la parola laura (lavra) denotava un viottolo, una via stretta ed affollata, ovvero una gola montana. Nella Palestina bizantina del V e VI secolo, la denominazione Laura cominciò ad essere usata per indicare un monastero maschile recintato da mura in pietra, erette contro le aggressioni che a quell’epoca cominciavano a divenire sempre più i SeBook - i Simonelli electronic Book 242

frequenti. La catena semantica che fu all’origine di questo nuovo significato sembra essere legata all’idea di affollamento. Lavra erano comunità monastiche molto numerose dove quindi molta gente veniva a trovarsi racchiusa nello spazio delimitato dalle mura perimetrali, così come assiepata di varia umanità era una stretta via commerciale di un’antica città greca. In ogni caso, qualunque fosse stato il percorso semantico, nella terminologia ecclesiastica della Chiesa Ortodossa, Lavra venne ad indicare un monastero maschile di speciale rilevanza. L’aggettivo femminile Pecherskaja è invece di origine slava è deriva dalla radice pecher che indica una grotta. In russo moderno le grotte si chiamano peshchery, mentre il piccolo-russo, divenuto la lingua ufficiale del nuovo stato ucraino, conserva la forma più antica pecher. i SeBook - i Simonelli electronic Book 243

La Lavra Pecherskaja è quindi il Monastero delle Grotte. Sulla riva meridionale del Dniepr, un paio di chilometri ad oriente della Kreshataja Dolina, divenuta Khreshatik, si trova una modesta altura che, mentre verso sud degrada dolcemente così da formare un piccolo altopiano, sul lato settentrionale dirupa invece sopra il fiume tra balzi scoscesi, in cui si aprono numerose e profonde grotte. È probabile che proprio qui si trovasse la grotta in cui, secondo la leggenda, visse per oltre cento anni Malusha, la profetessa, madre di Vladimir I. Probabile è anche che nel paganesimo slavo-scandinavo il complesso di grotte e cuniculi naturali, da cui questa collinetta prospiciente il grande fiume è traforata, fosse investito di significati magico-religiosi e che esso fosse adibito a funzioni rituali. Ciò spiegherebbe il significato recondito della legi SeBook - i Simonelli electronic Book 244

genda che circonda la nascita di Vladimir e soprattutto il forte interesse che la Chiesa Ortodossa subito dimostrò per questo luogo. Nel 1051, durante il regno del Gran Principe Yaroslav il Saggio, fece ritorno in Rus’ un monaco di nome Antonio che, nativo del borgo di Lyubech nel Principato di Chernigov, sito sulla sponda sinistra del Dniepr a nord di Kiev, era vissuto per molti anni in Grecia, in uno dei famosi monasteri del Monte Athos. Negli anni precedenti il ritorno di Antonio, nella zona delle caverne del Dniepr, le cui due colline separate da un profondo avvallamento erano allora ricoperte da folti boschi, usava ritirarsi in preghiera Ilarione, un prete che era la guida spirituale del vicino villaggio di Berestov. A questo scopo, Ilarione aveva scavato per se stesso una profonda grotta in cui trascorreva lunghe ore di meditazione ed ascesi. Proprio i SeBook - i Simonelli electronic Book 245

nel 1051 Ilarione fu nominato Metropolita di Kiev ed, assorbito dai nuovi impegni che l’amministrazione dell’intera diocesi comportava, dovette abbandonare la propria caverna. Il monaco Antonio, abituato all’eremitaggio del Monte Athos trovò la vita nei monasteri cittadini di Kiev troppo mondana ed insoddisfacente per le proprie esigenze spirituali. Così insieme ai suoi discepoli si trasferì nella caverna abbandonata da Ilarione. La fama di santità del monaco Antonio attirò presso il suo eremo una certa quantità di seguaci fra i quali vi era anche un certo Feodosio della città di Kursk. Quando il numero degli adepti raggiunse la dozzina essi cominciarono a costruirsi una chiesa e delle celle. Antonio nominò priore della comunità un certo Varlaam ed egli stesso si ritirò sulla collina adiacente dove si scavò una nuova grotta. Questa caverna fu la capostipite delle i SeBook - i Simonelli electronic Book 246

grotte cosiddette brevi in contrapposizione con le precedenti più antiche, dette lunghe. Con il progressivo accrescimento del loro numero, i monaci cominciarono a trovarsi molto stretti nello spazio fornito dalle caverne e pertanto, sull’altopiano sopra di esse, essi inziarono a costruire sia la chiesa dell’Assunzione della Beata Madre di Dio che delle celle in muratura per ospitare i nuovi adepti. Il numero dei novizi continuò a crescere rapidamente cosicchè Antonio si rivolse al Gran Principe Izjaslav Yaroslavich chiedendogli di assicurare alla sua comunità monastica il possesso di tutto l’altopiano al di sopra delle caverne. Tale diritto fu concesso ed in tal modo nacque il Pecharskji Monastyr’, cioè il Monastero delle Grotte. Fu costruita nel 1062 una chiesa, esattamente sul sedime dove oggi sorge la cattedrale principale del Lavra. In quell’anno, i SeBook - i Simonelli electronic Book 247

quale priore del convento, fu nominato il discepolo di Antonio, Feodosio. Da quel momento l’importanza del monastero che divenne sia il centro di irraggiamento del primo cristianesimo russo sia un centro di studi, continuò a crescere. Nel XII secolo il Pecherskji ottenne lo status di Lavra ed è nel suo ambito che furono compilate le famose Cronache di Nestore. Nella stessa Lavra si formò ed ebbe il suo centro di attività anche il primo mosaicista, pittore di icone ed incisore di gioielli dell’antica Rus’, Alipij Pecherskji, la cui data di nascita è incerta, ma quella di morte corrisponde al 1114 ed è nota attraverso le Cronache dette KievoPecherskji Paterik. È questa una raccolta di racconti sugli inizi del Monastero e sulle vite dei suoi primi monaci. Alipij Pecherskji fu un discepolo dei maestri bizantini che erano stati chiamati a Kiev per costruire e decorare la i SeBook - i Simonelli electronic Book 248

chiesa dell’Assunzione della Beata Madre di Dio; divenuto monaco, egli dipinse molte nuove icone e ne restaurò molte di quelle antiche. La leggenda vuole che molte delle opere di Alipji fossero eseguite con la partecipazione diretta della Grazia Divina; così quando egli era già prossimo alla morte ed a causa della propria debolezza fisica non riusciva a terminare un’icona che gli era stata commissionata, vicino a lui comparve un angelo inviato da Dio ed in sole tre ore il dipinto fu completato. Nel 1240 quando il Khan Mongolo Batu assediò ed espugnò Kiev, la Lavra Pecherskaja fu completamente distrutta. I monaci furono in parte uccisi, in parte fuggirono verso le foreste del nord. Non si sa con precisione per quanto tempo sia durato l’abbandono del monastero: probabilmente per almeno una cinquantina di anni. Certamente i SeBook - i Simonelli electronic Book 249

nel XIV secolo il Lavra era stato restaurato e rinnovato e la sua grande chiesa fu utilizzata come sepolcreto per parecchi principi ed altri membri di famiglie aristocratiche. A partire dal 1363 il Principato di Kiev era caduto in possesso del Grand Ducato di Lituania che era rimasto l’ultimo stato pagano dell’intera Europa. Il Cristianesimo, infatti, fu introdotto in Lituania, soltanto venticinque anni più tardi, nel 1386 quando l’allora Gran Duca Vytautas accettò il battesimo, come prezzo per stringere un’alleanza federativa con il Regno di Polonia. In questo periodo lituano e precisamente nel 1470, il Principe di Kiev Simeon Olelkovich restaurò la grande chiesa della Lavra Pecherskaja e la fece sontuosamente decorare. Tredici anni più tardi, però, il Monastero ebbe a soffrire ulteriori distruzioni per mano dell’esercito dei Tartari di Crimea che, coni SeBook - i Simonelli electronic Book 250

dotti dal loro Khan, già convertito all’Islam, lo saccheggiarono selvaggiamente. Grazie a generose donazioni la Lavra fu tuttavia restaurata in breve tempo. Con l’unione dinastica di Lublino del 1569 che diede origine alla Rech Pospolita, cioè al Commonwealth Lituano Polacco, il Principato di Kiev venne a far parte del territorio della Corona di Polonia e quindi fu sottoposto al governo di uno stato cattolico. Al Monastero Pecherskij fu però garantito lo stato di stavropegia1 cioè di istituzione religiosa posta sotto la giurisdizione diretta del Patriarca di Costantinopoli, indipendente quindi dal metropolita locale. Dopo il trattato di Perejaslav del 1654 con cui la Piccola Russia, ribellatisi al dominio polacco si riunì con la Grande Russia sotto lo scettro dello Zar Moscovita, la Lavra Pecherskaja mantenne il proprio status di stai SeBook - i Simonelli electronic Book 251

vropegia, però non più del Patriarcato di Constantinopoli, bensì di quello moscovita. Le distruzioni che la Lavra dovette subire nel corso della sua millenaria storia non finirono con l’avvento dell’Impero Russo. Le successive sono del XX secolo. Nel 1919, durante la guerra civile e dopo la riconquista di Kiev da parte delle truppe bolsceviche, il Padre Superiore del Monastero fu brutalmente assassinato. Dopo questa data, la vita della comunità monastica continuò ancora per un poco sotto la forma legale di cooperativa. Nel 1926, però, il Consiglio dei Commissari dell’Unione Sovietica promulgò una risoluzione con la quale si riconosceva all’ex Lavra Pecherskaja di Kiev lo stato di monumento storico culturale statale e se ne disponeva la trasformazione in un Museo Cittadino dell’Ucraina. La progressiva sostituzione della i SeBook - i Simonelli electronic Book 252

comunità monastica con il Museo di nuova fondazione fu completata nel 1930 attraverso la liquidazione dell’intero Monastero. Parte dei frati furono condotti fuori dagli edifici e fucilati, i restanti furono rinchiusi in prigione oppure deportati. Il 3 novembre del 1941, durante l’occupazione nazista, la cattedrale dell’Assunzione della Beata Madre di Dio fu distrutta da una potente esplosione ed è tuttora non storicamente accertato se a causarla furono le truppe tedesche o i partigiani sovietici. Nel 1961 ai tempi di Nikita Krushev, il Monastero fu nuovamente chiuso e, come mi mostrò la mia guida durante la mia prima visita al Lavra nell’inverno del 2002, chiese ed altri preziosi antichi edifici furono utilizzati come magazzini per le granaglie. La mia prima visita alla Lavra Pecherskaja fu nel Dicembre 2001 e fortissima fu i SeBook - i Simonelli electronic Book 253

l’impressione che su di me fece quella foresta di cupole dorate, coperte da uno spesso manto di soffice, finissima neve ed avvolte da una quasi impenetrabile nebbia lattiginosa che pervadeva tutta l’atmosfera, desonorizzandola ed annullando ogni prospettiva. Una folla di fedeli entrava nelle chiese e vagava per i viali, le salite, le discese e le scale che le collegavano. Però non si udiva il rumore dei loro passi, attutito dalla candida coltre, nè le loro voci. Emergevano come ombre dalla nebbia e vi sparivano in dissolvenza, per lo più sagome scure di donne anziane, imbacuccate in pastrani neri, con neri cappucci sul capo. Nere, apparivano anche le alte figure dei monaci, stretti nelle loro lunghe tonache, con croci dorate dondolanti sul petto e lunghe, ispide barbe bionde. Erano quasi tutti giovani. Insieme all’amica ucraina che mi aveva precedentemente accompagnato a Yalta scesi nel i SeBook - i Simonelli electronic Book 254

labirinto di cuniculi cui la Lavra è debitrice della propria denominazione di Pecherskaja. Le visite erano organizzate in piccoli gruppi, guidati da un monaco che precedeva ed illuminava il percorso con la fioca luce di un cero acceso. Passavamo in corridoi strettissimi, scavati in una roccia spugnosa e giallognola che, di tanto in tanto, immettevano in locali poco più ampi, generalmente occupati da una teca in cristallo, contenente le spoglie mortali di un santo monaco. A fianco della bara si poteva vedere l’inginocchiatoio che il santo aveva usato in vita per pregare oppure lo scrittoio sul quale si era applicato ai propri studi. Dalle pareti pendevano icone e rosari ed ogni tanto si aprivano in esse finestrelle che davano su angusti anfratti, usati come ossari. Un’opprimente aura di morte e di decomposizione pervadeva l’intero percorso che si rivelò lunghissimo, così come tedioso ed interminai SeBook - i Simonelli electronic Book 255

bile era il sommesso borbottare esplicativo della nostra guida. Delle sue parole allora io ero certo di non comprendere nulla, così che neppure provavo ad ascoltarle. Ad ogni sosta, mentre pazientemente aspettavo che la lunga cantilena avesse termine, mi perdevo ad osservare gli strani e mutevoli arabeschi che il guizzare della fiamma del cero disegnava sulle pareti della grotta. Benchè la mia amica fosse come me del tutto non credente e, quale figlia di un generale dell’Armata Rossa, avesse ricevuto una solida formazione nell’ateismo ufficiale del Partito, tuttavia da quelle grotte uscì visibilmente turbata e mestamente silenziosa. Rimasi sempre con il dubbio che la crisi mistica che qualche mese più tardi la investì con violenza e causò anche la fine della nostra relazione avesse avuto la sua prima origine proprio in quel turbamento. i SeBook - i Simonelli electronic Book 256

Rivisitai più volte la Lavra Pecherskaja sia in inverno che nella luminosa estate. In questa stagione il suo fascino non è minore, ma di natura diversa e diverse sono le emozioni che i suoi monumenti ci donano. Il verde cupo ed intenso del fogliame contrasta con l’aureo scintillio delle cupole che si stagliano contro l’azzurro del cielo, striato da bianche nubi mutevoli. Dalle mura e dalle terrazze del Monastero si scorge il placido e maestoso scorrere del Dniepr e per lungo tratto, come avrebbe detto Michail Bulgakov, si può spingere lo sguardo a nord sulle basse contrade che menano a Mosca. 4.4 Un cosacco a cavallo in una piazza Chi non conosce i cosacchi? Nell’immaginario collettivo italiano questa denominazione evoca subito l’immagine di i SeBook - i Simonelli electronic Book 257

agguerriti cavalieri che, con i loro buffi copricapo di pelle di pecora, i loro cappottoni guarniti di bandoliere e pendagli e le lunghe sciabole sguainate, galoppano nella steppa, inseguendo i nemici dello Zar, di cui essi sono i fedelissimi ed indomiti servitori. Romanticamente i Cosacchi sono immaginati come l’equivalente per l’Imperatore di tutte le Russie di ciò che erano i Moschettieri del Re nella Francia del XVII secolo. La realtà storica, tuttavia, è come sempre profondamente diversa dalle sue immaginifiche e leggendarie rappresentazioni forniteci dagli immortali e inestirpabili luoghi comuni. Per la storia della Russia e dell’Ucraina la parola Cosacchi rappresenta ben altro che la semplice denominazione di un reggimento speciale devoto all’Imperatore: dietro di essa si cela un i SeBook - i Simonelli electronic Book 258

complesso e ramificato processo storicosociale che trae origine dalle sventure del primo Stato Russo ed è parimenti alla base di alcuni tra i successivi drammi degli stati suoi successori. Nell’inverno del 2002, passeggiando per il centro di Kiev avevo fatto subito la conoscenza di un grande capo cosacco. Impavido sotto la neve che ricopriva il suo turbante a pennacchi e baldanzosamente in arcioni sul proprio cavallo rampante, dalla sommità di un cumulo di sassi, il Cosacco guardava fiero le imbiancate cupole d’oro ed i tetti azzurri della cattedrale di Santa Sofia . Mi spiegarono che si trattava della Statua di Bogdan Khmel’nitskij, eroe nazionale e Padre della Patria Ucraina. Era il 2002 e chi mi aveva dato questa delucidazione era un fautore del nuovo corso polii SeBook - i Simonelli electronic Book 259

tico ed un nazionalista del nuovo stato ucraino. Quindici anni prima, in tempi sovietici, avrei certamente ricevuto un’altra illustrazione dello stesso monumento. Ancora diversa sarebbe stata la spiegazione offertami in epoca zarista, prima della rivoluzione del 1917. È quasi ironico, infatti, che la statua del Padre della Patria Ucraina fu commissionata nel 1888 allo scultore Michail Osipovich Mikeshin dall’ultra nazionalista russo Michail Yuzefovich. Rampollo di una nobile famiglia originaria della regione di Poltava2 nell’Ucraina centro-meridionale, Yuzefovich era il curatore del distretto scolastico di Kiev ed il presidente della sua società archeologica. Ardente nazionalista russo egli fu responsabile per l’estensione dell’Editto di Ems, promulgato dallo Zar Alessandro II nel 1876, con il quale l’uso i SeBook - i Simonelli electronic Book 260

scritto della lingua ucraina veniva di fatto proibito in tutte le Russie. Nel suo rapporto al Governo Imperiale sul Cosiddetto movimento ucrainofilo, Yuzefovich caratterizzava le società linguistiche ucraine sorte in quegli anni come nuclei sovversivi finanziati dagli irredentisti polacchi e dal governo austro-ungarico. Il primo prototipo del monumento di Mikeshin commissionato da Yuzefovich sollevò perplessità persino nelle autorità zariste a causa del proprio estremismo xenofobo. In questa sua prima concezione il gruppo statuario prevedeva la raffigurazione di un Polacco, di un Ebreo e di un Prete Cattolico vinti e schiacciati sotto agli zoccoli del cavallo di Bogdan. Questa simbologia eccessiva fu pertanto rimossa nella realizzazione finale del monumento che fu infine collocato nel centro di Kiev, dove tuttora sorge. È però sparita l’iscrii SeBook - i Simonelli electronic Book 261

zione originale del 1888 che recitava A Bogdan Khmel’nitskij per l’unità ed indivisibilità della Russia. Per comprendere la vicenda quasi paradossale di questa statua è necessario fare un passo indietro di oltre cinque secoli e considerare prima quale fu l’origine della società cosacca e poi i complessi e contorti avvenimenti storici di cui fu protagonista l’ambiguo personaggio raffigurato nel monumento. 4.4.1 Origine della società cosacca Dopo l’invasione mongola del 1240, la distruzione della città di Kiev da parte del Khan Batu e la dissoluzione dell’antico stato russo, la situazione geopolitica nel grande bacino idrografico che forma il teatro della storia russo-ucraina si stabilizzò per oltre tre secoli. i SeBook - i Simonelli electronic Book 262

Direttamente sottoposti al potere dell’Orda d’Oro mongola, la cui capitale Saray era sita un centinaio di chilometri a nord della moderna città di Astrakhan, oltre all’attuale Kazachstan ed alle sponde settentrionali del Caspio, si trovarono tutti i territori lungo il basso e medio corso del Volga, quelli sul basso corso del Don fino ad includere tutta la penisola della Crimea, nonché tutta l’attuale Russia meridionale e le regioni del Caucaso settentrionale. I principati nord-orientali della Kievskaja Rus’, fra i quali prese lentamente preminenza quello di Mosca, mantennero invece la propria indipendenza amministrativa, ma divennero vassalli del Khan Mongolo e furono assoggettati al costante pagamento di un pesantissimo tributo. La parte restante dell’antico stato russo sulla sponda occidentale del Dniepr, inclusa la città di Kiev, cadde invece sotto la potestà del Grand Ducato di Lii SeBook - i Simonelli electronic Book 263

tuania e successivamente, con l’unione dinastica di Lublino, venne a far parte della Rech Pospolita3, la confederazione binazionale polacco-lituana sottoposta alla Corona Polacca. Il confine tra l’Orda Mongola ed i territori russi suoi vassalli venne più o meno a coincidere con il confine geografico tra la zona boschiva della Russia centrale e la steppa, lungo una linea che dal corso medio del Volga volge prima ad occidente, raggiungendo le città di Ryazan e Tula e piega poi decisamente verso sud, seguendo il Dniepr fino Perejaslav. Nella fascia di territorio attraversata da questa linea di demarcazione, segnata da una successione di città fortificate, cominciò a vagare una classe di persone con le armi sempre alla mano che effettuavano frequenti scorribande nella steppa e qui si scontravano continuamente i SeBook - i Simonelli electronic Book 264

con i Tartari e le loro spedizioni predatorie. Questi nomadi di lingua slava e religione cristiana cominciarono ad essere identificati con la parola di origine turca qasaq che significa uomini liberi, ovvero avventurieri. La più antica notizia storica in cui appare questa denominazione è un documento del 1444 in cui ci si riferisce a dei kazaki di Ryazan che prestavano servizio alla propria città nello scontro armato con i Mongoli. Alla formazione della Kazachestvo, cioè dell’organizzazione cosacca, contribuì in maniera determinante la forma stessa del tributo che l’Orda d’Oro imponeva ai Principati Russi. Una parte dell’esazione era in denaro e prodotti agricoli, ma una parte non meno importante si chiamava la zhivaya dan’, letteralmente il tributo vivo ed era costituita da uomini in carne ed ossa. Erano questi persone che ogni anno i knjazy russi i SeBook - i Simonelli electronic Book 265

dovevano inviare al Khan per essere inquadrate in reggimenti ausiliari dell’armata tartara. Tuttavia i Mongoli rispettavano la diversità religiosa di questi stranieri cui veniva permesso di mantenere la propria fede cristiana, le proprie abitudini e le proprie tradizioni. In questo modo fu addirittura creato un episcopato ortodosso nella capitale Saray e le genti espulse dalla Rus’ quale tributo umano all’Orda conservarono la propria identità culturale. Quando l’unità dell’impero mongolo si disfece, su molti dei territori che l’avevano costituito vennero a trovarsi delle comunità di kazaki di religione cristiano-ortodossa e lingua slava che mantenevano la propria organizzazione militare, ma si trovavano ora in completa indipendenza, non essendo soggetti nè alla dissolta Orda d’Oro, nè all’impero moscovita che si stava rafforzando più a nord. i SeBook - i Simonelli electronic Book 266

Queste prime comunità cosacche si ingrandirono vie più con il continuo afflusso di contadini russi che fuggivano dalla servitù della gleba loro imposta sia dai grandi possidenti terrieri moscoviti che dai magnati polacco-lituani della Rech-Pospolita. Benché sistematicamente accolti nella Kazachestvo, i contadini fuggiaschi non vi ottennero però uno status paritetico con i suoi più antichi fondatori che assunsero progressivamente il ruolo di una aristocrazia militare cosacca. Tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo come principale centro dell’organizzazione cosacca emerse la Zaporozhkaya Sech’. La parola Sech’ (Sich in piccolorusso) significa fortezza, mentre Zaporozhkaya è l’aggettivo formato dal nome della città di Zaporozhe che alla lettera significa oltre le rapide. La fortezza cosacca Zaporoi SeBook - i Simonelli electronic Book 267

zhkaya Sech’ era infatti costruita sull’isola di Khortitza che si trova sul Dniepr a valle delle rapide. In questo luogo si riuniva l’assemblea di tutti i cosacchi ed eleggeva una sorta di parlamento formato da anziani (la starshinà) ed il proprio leader supremo detto hetman4, normalmente tradotto in italiano come etmano ovvero atamano. L’etmano era coadiuvato da un consiglio ristretto detto Rada ed aveva funzioni sia governative che giudiziarie, ma soprattutto militari, perchè l’organizzazione cosacca era prima di tutto un esercito o, se si preferisce, una repubblica di uomini armati. Nel XVII secolo la maggior parte delle terre cosacche facevano parte della Rech Pospolita ed i cosacchi di Zoporozhe erano quindi sudditi della Corona Polacca, ma l’effettivo controllo regale sulle marche confinarie della steppa era molto lasco, cosicchè più i SeBook - i Simonelli electronic Book 268

volte i Cosacchi avevano ottenuto il riconoscimento di speciali diritti di autodeterminazione da parte della corte di Varsavia. Il Re utilizzava sovente i reggimenti cosacchi come validissimi aiuti nelle sue continue guerre con l’Impero Ottomano ed aveva pertanto un occhio benevolo nei confronti di questi suoi bellicosi ma poco riverenti sudditi. Diversa era la posizione dei magnati della grande aristocrazia terriera polacco-lituana e della Chiesa. I latifondisti cattolici avevano sulle proprie terre una popolazione di contadini di origine russa e fede ortodossa che si sentiva sempre più oppressa sia dai propri signori che dai loro amministratori, finanzieri e mercanti, quasi sempre di origine e fede ebraica. Inoltre la creazione ed il sostegno regale alla Chiesa Greca Uniate erano percepite dalla maggioranza ortodossa delle popolazioni orientali della Rech Pospolita come un pesante i SeBook - i Simonelli electronic Book 269

tentativo di proselitismo papista ed un’insidia alla propria antica fede. Il discontento nei confronti dell’aristocrazia polacca cresceva pertanto di giorno in giorno e l’organizzazione militare cosacca era sempre più considerata dalle oppresse popolazioni rurali come un possibile baluardo a difesa dei propri diritti calpestati dai nobili polacchi. Simmetricamente questi ultimi vedevano nei cosacchi una crescente minaccia per i propri privilegi. È nel contesto di questa complessa situazione conflittuale che alla metà del XVII secolo si inserì la sorprendente vicenda personale del Cosacco a Cavallo Bogdan Khmel’nitskij, il cui esito fu l’espulsione della Polonia dal bacino del Dniepr e la riunione all’Impero Russo Moscovita sia di Kiev che di tutti i territori dell’antica Rus’, che formano oggi la contemporanea Repubblica di Ucraina. i SeBook - i Simonelli electronic Book 270

4.4.2 Bogdan Khmel’nitskij Il nome Bogdan è composto dalle due parole Bog che in russo significa Dio e dan la cui radice è quella del verbo dat’ cioè dare e significa quindi dato, donato. Bogdan è dunque la trasposizione slava del nome greco Theodoros, peraltro passato direttamente alla lingua russa nella forma Fjodor. Questo dono divino fu fatto alla Piccola Russia ed alla famiglia Khmel’nitskij probabilmente negli ultimissimi anni del XVI secolo: la data di nascita precisa non è storicamente accertata. Il clan Khmel’nitskij proveniva dalla Voevodstvo di Lublino5 e sembra che avesse usato come proprio stemma nobiliare quello noto sotto il nome di abdank, ma quando nacque Bogdan, esso era da tempo stabilito lungo le rive del Dniepr in quella che è oggi l’Ucraina centrale e suo padre Michail i SeBook - i Simonelli electronic Book 271

Khmel’nitskij era il capo della centuria cosacca6 di Chighirin. La vita di questo personaggio, il cui ruolo è stato assolutamente cruciale nel determinare l’assetto politico ed i futuri sviluppi storici di tutta l’Europa Orientale dalla Vistola agli Urali, è tutta segnata da un intreccio inestricabile di contraddizioni ed ambiguità così come ambiguo e contraddittorio è il ricordo che della sua figura viene conservato nelle tradizioni nazionali della Polonia, della Russia e dell’Ucraina, nonchè nella storia ebraica. Eroe o traditore, brillante stratega oppure fortunato improvvisatore, sapiente diplomatico od astuto imbroglione, lungimirante statista ovvero spregiudicato curatore dei propri affari personali, leale suddito polacco, oppure nazionalista russo ovvero ucraino? Le vicende storiche ed umane di cui Bogdan Khmel’nitskij è stato protagonista si prestano a molteplici ini SeBook - i Simonelli electronic Book 272

terpretazioni che sono state tutte alternativamente avanzate ed usate dai vari regimi politici che, per oltre quattro secoli, si sono succeduti ed anche aspramente combattuti nella regione. In qualche misura la contraddittorietà e la drammaticità di questa figura storica, nonchè la sua indecidibile e complessa identità culturale riassumono nella vita di una singola persona, che il caso volle investito di un ruolo storico decisivo, tutti i drammi e tutte le contraddizioni della storia russo-ucraina, così come il complesso intreccio di diverse radici, alla base della grande cultura russa. A quanto risulta dalle fonti, la prima educazione scolastica fu impartita a Bogdan dai monaci ortodossi di un monastero di Kiev. Successivamente però egli si trasferì a Yaroslav in Galizia7 dove proseguì i propri studi in una scuola gesuitica. Sembra che, pur resistendo alle abituali pressioni psicologiche i SeBook - i Simonelli electronic Book 273

finalizzate alla conversione del discente e restando ostinatamente ortodosso, Khmel’nitskij abbia utilizzato con grande profitto l’opportunità di apprendere, offertagli dai propri sapienti maestri cattolici, ed abbia in tal modo conseguito una solida formazione culturale, in particolare linguistica. Oltre al Piccolo Russo, quando terminò il proprio ciclo scolastico, Bogdan parlava e scriveva correntemente il Polacco ed il Latino ed aveva dimestichezza con il Francese. Successivamente egli imparò anche il Turco. Ciò avvenne a seguito della guerra TurcoPolacca del 1620-1621 alla quale Bogdan partecipò inquadrato nell’armata cosacca insieme al padre Michail. Nella battaglia di Tzetzera del 1621 la sorte dei Khmel’nitskij fu molto dura. Gli Ottomani uccisero il padre e catturarono il figlio che, prima di essere liberato contro il pagamento di un rii SeBook - i Simonelli electronic Book 274

scatto, trascorse due anni di prigionia a Costantinopoli. La reclusione ad Istanbul fu certamente dolorosa, ma valse a Bogdan un’efficace conoscenza della lingua turca, dimostratasi di grande utilità nelle successive vicende della sua vita, in particolare quando egli strinse alleanza con i Tartari della Crimea. Nel ventennio successivo, la vita di Khmel’nitskij si svolse secondo uno schema tipico per un capo dell’aristocrazia militare cosacca, allo stesso tempo leale suddito della Corona Polacca. L’organizzazione di atti di guerriglia, ufficialmente non sostenuti da formali dichiarazioni di guerra della Rech Pospolita, e di incursioni contro città turche, si alternavano alla partecipazione a delegazioni cosacche inviate presso la corte del Re a Varsavia ovvero presso la Sejm, cioè l’assemblea dei magnati che costituiva l’anai SeBook - i Simonelli electronic Book 275

logo lituano-polacco della Dieta Imperiale tedesca. Le spedizioni contro la Turchia assumevano spesso la veste del semplice brigantaggio e quando erano coronate da pieno successo, come quella del 1629 che portò la banda di Bogdan fin sotto le mura di Costantinopoli, potevano fruttare cospicui bottini, che andavano ad arricchire il patrimonio e le fortune personali del capo cosacco. Al ritorno da quell’impresa del 1629 Bogdan, divenuto molto ricco ed influente, fu nominato sotnik della centuria di Chighirin e si sposò con la sua prima moglie Anna Somkovna, che gli diede numerosi figli. I viaggi a Varsavia potevano risultare invece in udienze private con il re Vladislav IV che, prima di affrontare il giudizio della sempre riottosa e sempre turbolenta Sejm, volentieri si consigliava a proposito dei propri piani guerreschi con i principali capi coi SeBook - i Simonelli electronic Book 276

sacchi. Da questi abboccamenti privati con il Re conseguiva talvolta l’affidamento di delicate missioni diplomatiche, così come l’invio in Francia di un contingente di 2400 cosacchi. Questi, sotto il comando del Principe di Condè, presero parte all’assedio di Dunkerque, iniziato nel 1644, immediatamente dopo alla vittoria francese di Rocroi (1643), fondamentale punto di svolta nel trentennale duello per la supremazia europea che Richelieu aveva ingaggiato, a nome della Francia, con gli Asburgo di Spagna e dell’Impero d’Austria. Questa spedizione polacca a sostegno dei francesi sembra sia stata negoziata da parte dello stesso Khmel’nitskij con l’Ambasciatore del Cardinale Mazzarino, che da poco più di un anno era divenuto il nuovo padrone della Francia. Nel 1642, infatti, alla morte di Richelieu, Mazzarino gli era succeduto nella carica di Primo i SeBook - i Simonelli electronic Book 277

Ministro e l’anno successivo, con la morte anche del Re Luigi XIII e la minorità di suo figlio Luigi XIV, il cardinale italiano aveva assunto l’effettiva reggenza del trono, insieme alla regina vedova Anna d’Austria. Il decennio dal 1646 al 1657 fu l’ultimo della vita di Bogdan Khmel’nitskij ed allo stesso tempo quello decisivo nel ridisegnare le linee di sviluppo storico e gli equilibri geopolitici dell’intera Europa, dall’Atlantico agli Urali e dal Baltico al Mediterraneo. A questo imponente riassetto le imprese del capo cosacco diedero un contributo per nulla marginale e lo fecero attraverso una successione di accadimenti in cui i casi della sua vita privata, molto drammatici ed essenzialmente sventurati, si intrecciarono in maniera indissolubile con i destini di intere nazioni ed imperi. La pace di Vestfalia del 1648 che concluse la guerra dei trent’anni, segnò il trionfo i SeBook - i Simonelli electronic Book 278

della Francia come massima potenza europea e pose fine alle pretese di restaurazione cattolica degli Asburgo all’interno del Sacro Romano Impero. I vari principati tedeschi mantennero la propria indipendenza e differenziazione religiosa, confinando l’effettivo potere degli Asburgo tedeschi ai territori dell’Austria, dell’Ungheria e della Boemia, nucleo iniziale del successivo Impero Austro -Ungarico. I domini degli Asburgo di Spagna erano ancora molto estesi, ma la supremazia spagnola in Europa aveva subito un colpo decisivo ed il suo tramonto sarebbe stato sancito dalla pace dei Pirenei del 1659. La Svezia luterana, invece, dai trattati di Muenster e di Osnabruck che costituivano la Pace di Vestfalia, vedeva confermato il proprio ruolo di potenza dominante su tutte le coste del Baltico. Guardando la carta politica dell’Europa dopo il 24 Ottobre del 1648 i SeBook - i Simonelli electronic Book 279

si osservano quattro grandi potenze continentali cattoliche: la Spagna, la Francia, l’Austria e la Polonia, a Nord la grande potenza luterana della Svezia ed a Sud il gigantesco impero ottomano che ha portato la bandiera dell’Islam a sventolare su tutte le coste del Mar Nero e su tutta la penisola balcanica, nonchè sull’Africa Settentrionale e sul Mediterraneo Orientale. L’eredità culturale di Bisanzio e del Cristianesimo GrecoOrtodosso pare confinata alla Russia Moscovita, che ha vinto la sua lunga battaglia per la sopravvivenza dopo l’invasione mongola ed è riuscita a riassorbire la maggior parte dei territori appartenuti all’Orda d’Oro, ma sembra irrimediabilmente separata dai mari e dal grande palcoscenico della politica europea. Le potenze cattoliche dell’Austria e della Rech Pospolita polacco-lituana sembrano condividere il compito i SeBook - i Simonelli electronic Book 280

storico di arginare la pressione turco-musulmana sull’Europa, mentre la Moscovia essenzialmente non ha frontiere dirette con i domini turchi. Dell’impero mongolo sopravvive soltanto un piccolo lembo, il Khanato dei Tartari di Crimea che è vassallo del Sultano di Costantinopoli ed oltre alla penisola di Crimea abbraccia le sponde del mare d’Azov e la foce del Don. Questa sistemazione geopolitica nel quadrante orientale d’Europa era però in procinto di cambiare radicalmente ed il seme di questo cambiamento nel 1648 già era stato posto. Due anni prima, nel 1646, il re polacco Vladislav IV aveva concepito il disegno di intraprendere una nuova guerra contro la Turchia e, per aggirare la prevista opposizione della Sejm aveva intrattenuto trattative segrete con tre starshiny cosacchi, Ilyash, Barabash ed il nostro Bogdan Khmel’nitskij, i SeBook - i Simonelli electronic Book 281

onde persuaderli ad aprire le ostilità contro le guarnigioni ottomane di confine. Questa offensiva avrebbe provocato la reazione turca e la Sejm non avrebbe potuto opporsi al coinvolgimento ufficiale della Rech Pospolita nel conflitto. Per ottenere l’appoggio dei cosacchi al proprio piano, Vladislav aveva consegnato ai tre interlocutori una Bolla Reale con la quale egli ribadiva e garantiva i diritti di autonomia della Kazachestvo. Tuttavia i piani reali vennero a conoscenza della Sejm, che immediatamente li bloccò esprimendo un voto contrario alla guerra turca. Saputo questo, Bogdan si fece consegnare dagli altri due capi la Bolla, astutamente meditando di usarla per reclamare i diritti di autonomia cosacca a costo zero, cioè senza neppure la necessità di fare alcuna pericolosa battaglia con i Turchi. Allo stesso tempo ebbe inizio una drammatica vicenda che afflisse profondamente i SeBook - i Simonelli electronic Book 282

la vita personale di Khmel’nitskij e finì per essere la causa contingente di una ribellione dell’intera Kazachestvo, le cui conseguenze storiche furono di enorme portata. Già da qualche tempo, Bogdan era rimasto vedovo della sua prima moglie Anna Somkovna e conviveva con un’altra donna il cui cognome paterno non ci è stato tramandato. La sua compagna risiedeva insieme ai figli della prima moglie nel podere8 della famiglia Khmel’nitskij, denominato Subbotovo ed ubicato nelle vicinanze di Chighirin. Di questa proprietà era geloso il grande latifondista polacco Aleksander Koncepolsky che aveva ridisegnato le mappe della regione e pretendeva che Subbotovo gli appartenesse di diritto. Koncepolsky ordinò allo starost9 polacco di Chighirin di sequestrare il podere di Khmel’nitskij. Lo starost, di nome Daniel Czaplinski, che odiava Bogi SeBook - i Simonelli electronic Book 283

dan e non tollerava nel proprio distretto altre autorità eccetto la propria, non aspettava nulla di meglio che un simile invito. Radunata una squadra di armati piombò su Subbotovo, razziò e devastò il podere, fece frustare uno dei figli del capo cosacco così ferocemente da causarne di lì a pochi giorni la morte e concluse la propria devastazione rapendo la compagna di Bogdan che, qualche giorno più tardi egli sposò con rito cattolico. Il destino di questa donna contesa ed oscura fu straordinariamente drammatico e merita tutta la pietà dei posteri. Due anni più tardi, nel 1648, dopo i primi successi della rivolta cosacca, Bogdan riuscì a strapparla al proprio rivale polacco ed a sua volta la sposò, con rito ortodosso.Soltanto tre anni dopo, però, nel 1651, quando Bogdan era già divenuto etmano di tutta l’Ucraina e cercava di consolidarne l’indipendenza, la sua sfori SeBook - i Simonelli electronic Book 284

tunata seconda moglie fu accusata di infedeltà coniugale e trovata colpevole fu condannata dal marito ad essere impiccata insieme al proprio amante. Nel 1647, duramente colpito negli affetti famigliari e profondamente ferito nel proprio orgoglio dal sopruso subito da Czaplinski, Bogdan cercò giustizia dapprima presso i tribunali polacchi e poi alla corte di Varsavia, ma in entrambi i casi ricevette risposte soltanto derisorie. Improvvidamente il Re che, in realtà temeva Khmel’nitskij più di quanto quest’ultimo potesse immaginare, gli rispose che era sorpreso che i cosacchi, uomini armati e sempre pronti alla battaglia, non difendessero i propri diritti in prima persona. Questa fu la goccia che fece traboccare il vaso. Tornato nelle proprie terre, Bogdan radunò segretamente i capi cosacchi e con la rappresentazione delle offese subite facili SeBook - i Simonelli electronic Book 285

mente infiammò tutti i cuori contro le malversazioni dell’aristocrazia polacca, divenute ormai intollerabili per la maggioranza delle popolazioni ortodosse della Rech Pospolita. Si decise così di passare alla ribellione armata e, acclamato etmano, Bogdan fu invitato a metterla in atto stringendo, ove possibile, un’alleanza con i Tartari di Crimea. Mostrando subito la miscela di estrema prudenza, irrisolutezza e calcolata audacia che lo caratterizzò nella sua straordinaria avventura politico-militare dei successivi dieci anni, Khmel’nitskij rifiutò la nomina ad etmano, ma si disse disposto alla missione diplomatica in Crimea. Un traditore presente alla riunione dei congiurati cosacchi inviò una delazione all’etmano di nomina reale Potozki che subito diramò l’ordine di arrestare Khmel’nitskij. Avvertito in tempo, Bogdan riuscì a sfuggire alla cattura e l’uni SeBook - i Simonelli electronic Book 286

dici dicembre del 1647, insieme al figlio Timofiei, riparò nella Zaporozhkaya Sech’. Di qui si diresse in Crimea dove fu benevolmente accolto alla corte del Khan Islam Hirei in Aqmescit10. Pur ricusando di dichiarare formalmente guerra alla Polonia, il Khan decise di appoggiare i cosacchi inviando in loro appoggio delle truppe tartare sotto il comando del Bey Tugan. Il 18 aprile del 1648 Bogdan era di ritorno nella Zaporozhkaya Sech’ dove espose all’assemblea i risultati della propria missione. Le sue parole suscitarono un grandissimo entusiasmo e tutta l’armata cosacca fu radunata sotto il suo comando. Il 22 aprile Bogdan uscì dalla fortezza fluviale con il proprio esercito, seguito a qualche versta di distanza da Tugan-Bey con i suoi Tartari. Dopo aver aggirato la fortezza di Kodak in cui stazioi SeBook - i Simonelli electronic Book 287

nava la guarnigione polacca, Bogdan raggiunse la foce del fiume Tyasmin nel Dniepr e pose il campo nei pressi di un piccolo affluente del Tyasmin, denominato Acque Gialle. In questo punto alcuni giorni dopo sopraggiunse un contingente polacco sotto il comando del giovane Stepan Potozki. Il 6 maggio i cosacchi irruppero sui polacchi che si difesero con grande coraggio, ma furono subito accerchiati e fu loro impedito l’accesso all’acqua. Per uscire dalla trappola in cui erano caduti i polacchi dovettero scendere a patti; la via di uscita e di ritorno in patria fu loro garantita in cambio della cessione di tutta l’artiglieria e dell’armamento pesante. Concluso l’accordo e lasciati i cannoni, i polacchi si misero in moto e l’8 maggio raggiunsero la riva del fiume, ma qui furono sorpresi dall’inaspettato e furioso attacco dei Tartari di Tugan-Bey che ne fecero i SeBook - i Simonelli electronic Book 288

strage. L’esito della battaglia fu terribile. Potozki cadde mortalmente ferito mentre gli altri ufficiali catturati vivi furono inviati come prigionieri a Chighirin. Nel frattempo Khmelnitskij si spostò fino a Korsun, nel governatorato di Kiev, dove era acquartierato il grosso dell’armata polacca sotto il comando di Kalinovsky e di Nicolai Potozki. Il 15 maggio 1648 Bogdan arrivò a Korsun praticamente allo stesso tempo in cui la notizia del disastro delle Acque Gialle raggiungeva i due generali polacchi che esitavano sul da farsi. Usando di nuovo più l’astuzia che il valore, Bogdan inviò ai propri nemici il cosacco Mikita Galagan che si presentò ad essi come un disertore e si offerse di fare da guida. Cadendo nell’inganno l’intera armata polacca si lasciò attrarre in un anfratto boscoso dove fu assalita e sbaragliata dai coi SeBook - i Simonelli electronic Book 289

sacchi. Fatti prigionieri, i due generali della Rech Pospolita, Kalinovsky e Potozki, furono consegnati a Tugan-Bey in segno di riconoscenza. Dopo questi successi iniziali, Bogdan, che era stato mosso soprattutto dal proprio risentimento personale e da un interiore irrefrenabile desiderio di vendetta, cominciava a pensare che fosse ora di fermarsi. Quando lo raggiunse una lettera del senatore Adam Kissel che si proponeva come intermediario per trovare una riconciliazione dei cosacchi con la Corona Polacca, Khmel’nitskij radunò un’assemblea della Kazachestvo nella Zoporoshkaja Sech’ a cui si dice che parteciparono più di settantamila persone e di fronte ad esse egli espose i propri piani per una composizione del conflitto. Queste proposte furono accolte dall’assemblea con disappunto e respinte: la macchina della soli SeBook - i Simonelli electronic Book 290

levazione che l’apprendista stregone aveva messo in moto non poteva più essere fermata. Troppo grande era il risentimento delle popolazioni piccolo-russe nei confronti della nobiltà polacca e troppe erano state le crudeltà che negli ultimi tempi erano state reciprocamente perpetrate da una parte sull’altra. Bogdan fu obbligato dai suoi stessi seguaci a continuare la partita che aveva iniziato. Dopo altre battaglie il giorno di Natale del 1648, Khmel’nitskij fece un ingresso trionfale in Kiev e fu acclamato come Il Mosè, il Salvatore, il Redentore ed il liberatore del popolo dalla cattività polacca, ... , il grande condottiere dell’antica Rus’. Con loro profondo disincanto, i delegati polacchi, inviati a Kiev nel febbraio del 1649 per trattare una qualche forma di riconciliazione con la Kazachestvo, dovettero i SeBook - i Simonelli electronic Book 291

rendersi conto che, da leader dell’organizzazione cosacca, Bogdan Khmel’nitskij era assurto al ruolo di governante di tutta l’Ucraina e che il nuovo stato che stava nascendo sotto la sua guida si candidava ad erede della Kievskaja Rus’. Però la grande prudenza, il realismo ed anche la basilare ambiguità di Khmel’nitskij si rivelano nel titolo con il quale egli rivendicò la propria autorità sovrana. In un panegirico scritto in suo onore si leggeva: Mentre in Polonia è Re Jan II Casimir Vasa, nella Rus’ è Etmano Bogdan Khmel’nitskij. La millanteria di denominare Rus’ l’insieme dei territori costituiti dal basso corso del Dniepr a valle di Kiev e dalle steppe attorno alla Zaporozhkaya Sech’, non si spingeva al punto di pretendere per sè il titolo di Gran Principe, cioè di Velikij Knyaz. Una simile denominazione avrebbe certamente irritato lo Tsar di Mosca, i SeBook - i Simonelli electronic Book 292

cosa che il prudente ed astuto Bogdan in nessun modo voleva fare. Forse neppure la base del suo potere, cioè l’armata cosacca, avrebbe apprezzato la denominazione Velikij Knyaz : con quel titolo Bogdan avrebbe snaturato il proprio ruolo di comandante militare, si sarebbe allontanato dai suoi uomini e con ogni probabilità sarebbe miseramente caduto. Si accontentò quindi di essere Etmano, un titolo di provenienza tedesca utilizzato dai polacchi per il governatore di nomina regia. E la guerra tra i cosacchi e la Polonia continuò ancora a lungo, con alterne vicende. Trattati di pace subito infranti da una delle due parti si susseguivano insieme ai ripetuti tradimenti dell’alleato Tartaro che passava continuamente dal campo cosacco a quello del Re di Varsavia e viceversa, nella speranza che nessuno dei due contendenti poi SeBook - i Simonelli electronic Book 293

tesse mai vincere la partita ed essi continuassero ad indebolirsi vicendevolmente. Mezze vittorie e mezze sconfitte si succedevano in maniera inconcludente. Dopo il primo trionfo il gioco si fece sempre più duro e la posizione del nuovo stato cosacco-ucraino divenne viepiù precaria. Non solo necessitava un nuovo alleato più affidabile del Khan Tartaro, mancava soprattutto un riconoscimento ed una legittimazione internazionale della nuova entità statale, indispensabile nell’Europa del XVII così come lo è nel XXI secolo. Khmel’nitskij tentò tutte le strade diplomatiche per ottenere un decisivo appoggio alla causa cosacca da parte di una delle grandi potenze regionali dell’epoca. Il suo obiettivo era la confederazione dell’Ucraina sotto il vessillo di un potente monarca che ne legittimasse l’esistenza. A tal fine egli bussò alle porte di Mosca, di Stoccolma e i SeBook - i Simonelli electronic Book 294

di Istanbul. Lo Tsar esitava, dubbioso sull’opportunità di entrare in conflitto con la Rech Pospolita, mentre gli Svedesi, che già erano in guerra con la confederazione polacco-lituana, dimostrarono interesse nell’aiuto militare che poteva conseguire dalla pressione esercitata dai cosacchi sul confine meridionale del loro nemico, ma rifuggirono da un maggior coinvolgimento nella costruzione del loro stato. Il Sultano Ottomano offrì invece alla neonata Ucraina lo status di vassallo dell’Impero alle stesse condizioni concesse al Khanato di Crimea, alla Transilvania ed alla Valacchia. La possibilità di diventare vassalli di un monarca musulmano non era eccessivamente gradita alla maggioranza cristiano-ortodossa della popolazione piccolo-russa, nonostante l’abituale frequentazione dei cosacchi con Tartari e Turchi. D’altra parte questa sembrava i SeBook - i Simonelli electronic Book 295

l’unica offerta concreta presente sul mercato e l’unica carta giocabile. Bogdan la giocò con estrema astuzia, rendendola credibile fino al punto di preoccupare seriamente lo Tsar Alexei Michailovič con la prospettiva delle bandiere islamiche portate fino a Kiev, a soli mille chilometri da Mosca. Il primo ottobre del 1653 Alexei Michailovič convocò un consiglio di stato in cui fu discussa ed accettata la richiesta di Bogdan Khmel’nitskij e dell’armata cosacca di Zaporozhe di essere accolti sotto la sovranità dello Tsar. Quattro mesi dopo, l’otto gennaio 1654, nella cittadina di Pereyaslavl ubicata nella regione di Poltava, si riunì una Rada cosacca ed ai rappresentanti del popolo Bogdan illustrò l’assoluta necessità per la Piccola Russia di scegliere e sottomettersi ad uno tra quattro possibili sovrani: il Sultano Turco, il Khan della Crimea, il Re Poi SeBook - i Simonelli electronic Book 296

lacco o lo Tsar di Mosca. Ascoltate queste parole, l’assemblea gridò all’unanimità: Vogliamo lo Tsar di Mosca. Poi vennero lette le clausole del trattato con cui la Piccola Russia veniva incorporata nella Russia e su quel testo tutto il popolo giurò la propria sottomissione allo Tsar. Da quel momento iniziò il processo di completa omogeneizzazione dei territori piccolo russi con gli altri possedimenti dello Tsar moscovita in nome della ricostruita unità dell’antica Rus’. A seguito del trattato di Perejaslavl l’impero di Mosca entrò formalmente in guerra con la Polonia, che era in stato di belligeranza anche con la Svezia. Dopo poco, tuttavia, lo Tsar siglò la pace con il Re polacco Jan Casimir, senza consultarsi con Bogdan Khmel’nitskij che, ai suoi occhi, era ormai un semplice suddito. Ciò fece infuriare l’ori SeBook - i Simonelli electronic Book 297

goglioso cosacco che cominciò a pentirsi dell’unione con la Russia e fece un estremo tentativo di svincolarsene inviando un’ambasceria al re di Svezia Carlo X in aiuto del quale prometteva di inviare un corpo di spedizione di dodicimila cosacchi. I Polacchi venuti a conoscenza di questo accordo segreto ai propri danni informarono lo Tsar del tradimento ordito del suo nuovo suddito. I legati di Mosca inviati a Kiev per chiedergli conto dei suoi intrighi trovarono Bogdan già malato e prossimo alla fine. Nonostante ciò essi si fecero ricevere ed investirono il moribondo con aspre rampogne. L’ambiguo personaggio che perseguendo una vendetta personale aveva cambiato la mappa politica d’Europa, ricostituito l’unità dell’antica Rus’ ed aperto la via del mare allo Tsar moscovita, morì a Kiev il 27 luglio del 1657. Le sue spoglie vennero tumulate i SeBook - i Simonelli electronic Book 298

nel villaggio di Subbotovo in una chiesa di pietra da lui stesso fatta costruire qualche anno prima. La chiesa esiste tuttora, ma il sepolcro di Bogdan Khmel’nitskij no. Nel 1664, il voivoda polacco Charnetskij fece un’incursione fino a Subbotovo, devastò la tomba e fece disperdere ai quattro venti le spoglie mortali dell’odiato capo cosacco.

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5. Da Kiev a Mosca 5.1 Il treno per Mosca Volare non solo accorcia le distanze, ma nullifica anche tutto ciò che si trova tra l’aeroporto di partenza e quello d’arrivo: montagne, fiumi, città, popoli. Ci solleviamo verso il cielo in una certa realtà e, dopo una sospensione di alcune ore in una sorta di limbo senza tempo, atterriamo in un’altra realtà completamente diversa, che si riappropria di noi e ci piega alle sue diverse regole. Per chi viaggia in aereo l’intero pianeta è un insieme discreto di punti isolati. Ciò vale non solo per la dimensione spaziale, ma anche per quella temporale perchè, nel saltare come pulci da un punto all’altro del mondo, perdiamo la prospettiva i SeBook - i Simonelli electronic Book 300

non solo del panorama fisico, ma anche di quello storico. Ho raggiunto Mosca più volte in aereo e sono stato prelevato all’aeroporto Sheremet’evo da un autista del Joint Institute for Nuclear Research di Dubna1, che era la mia meta. Ho anche visitato il centro della capitale russa in più occasioni, ma il mio vero viaggio a Mosca, che non ha svuotato le distanze, bensì le ha riempite di scandite ed indimenticabili suggestioni è stato quello in treno, partendo da Kiev. Era l’inizio di marzo, la neve cadeva fitta fitta e le ombre della sera si allungavano già sulla città gelata, quando scesi dal taxi davanti all’imponente mole della Stazione Centrale di Kiev. Varcata la soglia mi ritrovai nell’atrio dalle volte altissime, di un colore grigio– verde, sostenute da archi di stucco bianco. Il pavimento di lucido marmo era necessariai SeBook - i Simonelli electronic Book 301

mente insudiciato dalle impronte delle migliaia di stivali e scarponcini impregnati di neve fresca che andavano e venivano, scendevano e salivano dalle grandi scale in fondo alla sala, entravano ed uscivano dall’ingresso principale. Alcuni inservienti con lunghe scope, secchi e segatura combattevano la loro impari battaglia a difesa della lucentezza marmorea. La soffice coltre discesa dal cielo non solo attutiva i rumori della città all’esterno della stazione, nelle vie e lungo i binari, ma come effetto secondario smorzava anche l’usuale rimbombo dei passi nel grande atrio: la folla di suole gommate ed umide si posava delicatamente sulle losanghe del pavimento come per non turbare l’incanto della nevicata. I grandi tabelloni, però, erano in continuo movimento ed una voce maschile profonda, da basso, echeggiando tra le alte volte, snocciolava come le Ave Maria di un interminabile rosario i SeBook - i Simonelli electronic Book 302

gli annunci delle partenze. In quell’ora serotina quasi tutti i treni erano composti da vagoni a cupè e le loro destinazioni a distanze di migliaia e migliaia di chilometri da Kiev: Kharkov, Minsk, Simferopol, Odessa, Lvov, Mosca, Donetzk, Samara, Rostov na Donu, Volgograd. Metà delle mete erano nel territorio della Repubblica Ucraina, l’altra metà nella Federazione Russa o in Bielorussia, ma non vi era alcuna distinzione nell’annuncio, nella struttura dei treni o nella forma dei vagoni: tutti alti, larghi e massicci, di colore verde sporco e con le tendine di pizzo bianco ai finestrini dei cupè. I cupè! Avevo già fatto la loro conoscenza nei miei viaggi in treno da Kiev a Simferopol ed a Kharkov. Il cupè è uno scompartimento con due grandi divani uno di fronte all’altro ed un tavolo in mezzo che, la notte, rigirando gli schienali dei due divani, diventa una cai SeBook - i Simonelli electronic Book 303

bina a quattro letti: due sopra e due sotto. Nella prenotazione dei posti non viene fatto alcun caso al sesso dei passeggeri. Gli altre tre compagni di viaggio che condivideranno con te la cabina potranno essere uomini o donne in qualunque combinazione di sesso e di età. Quando si parte alle cinque od alle sei di sera, nelle molte ore prima di coricarsi a dormire, il cupè diventa allo stesso tempo un salotto ed una sorta di bar. Appena partiti la conduttrice del vagone, che generalmente appartiene alla razza femminile delle imponenti e robuste ziette, porta a tutti il tè caldo nei bicchieri di vetro sorretti dalla gabbietta di latta con la falce ed il martello incisa sul fronte. Poi gli occasionali compagni di viaggio cominciano ad estrarre dalle proprie borse biscotti, pane, formaggi, barattoli di cetrioli o pomodori in salamoia, cosce di pollo arrostite, pesci secchi2 e soprattutto i SeBook - i Simonelli electronic Book 304

fiasche di vodka o di konjak. Ciascuno offre agli altri ciò che ha: si beve e si parla. Si parla, si parla, si parla a ruota sempre più libera e si raccontano tutte le vicende della propria vita a degli sconosciuti che per quella sera sono diventati gli amici più fraterni che uno abbia in questo mondo. E si fanno ripetuti brindisi za druzhbu, cioè all’amicizia e za nashikh dam, cioè alle nostre mogli, se nella compagnia sono tutti uomini. Più tardi la conduttrice porta a ciascuno il pacchetto con il postèl, cioè le lenzuola e le coperte per prepararsi il letto. Con complicati avvicendamenti all’interno dello scompartimento e soste nel corridoio, finalizzati a rispettare le convenienze e la privacy di ciascuno, tutti i passeggeri si apprestano la propria cuccia notturna e finalmente si coricano. Vengono spente tutte le luci; l’oscui SeBook - i Simonelli electronic Book 305

rità ed il silenzio calano in tutto il vagone. Lo sferragliare delle ruote sui binari, che nell’allegro fracasso di poc’anzi quasi non era udibile, diventa ora l’unica insistente voce della notte. C’è chi dorme, c’è chi pensa, c’è chi sogna ad occhi aperti, ma tutti tacciono mentre il convoglio, sommessamente ma instancabilmente, borbotta il proprio interminabile canto di ferro e, versta dopo versta, macina vertiginose distanze attraverso la steppa e le foreste sconfinate. La sera che partii per Mosca i miei compagni di viaggio erano una coppia matura, originari di Kiev, ma da tempo stabiliti in una città della Florida, dove la loro unica figlia era sposata con Dick, un poliziotto americano di cui, prima che il silenzio notturno scendesse su di noi, ebbi l’occasione di vedere innumerevoli fotografie: Dick che taglia l’erba in giardino, Dick con Tatiana i SeBook - i Simonelli electronic Book 306

ed il piccolo John, Dick a pesca nella laguna, Dick in divisa con il pistolone, le manette ed il manganello. La neve cadeva vorticosamente ed attraverso le tendine di pizzo filtrava una luce più grigia che bianca: le sagome scure degli alberi sfilavano una dietro l’altra, sfocate dal biancore del loro vestito, confuso con il grigio del cielo. Il Dnepr era ormai alle nostre spalle e salivamo a nord-est, verso le foreste, verso il cuore della Russia. Già un secolo prima dell’invasione mongola il centro dell’antica Rus’ si era spostato lungo la direttrice che stavo percorrendo quella sera. La capitale era ancora Kiev, ma il principato di Vladimir-Suzdal’ era assurto a preminenza. Duecento venti chilometri ad est di Mosca, alla fine dell’undicesimo secolo la città di Suzdal fu la sede del potere di Yurij Dolgorukij, il fondatore di Mosca. i SeBook - i Simonelli electronic Book 307

5.1.1 Vladimiro II Monomaco e suo figlio Yurij Dolgorukij Probabilmente l’ultimo Gran Principe di Kiev che riuscì ad unire sotto la propria autorità l’intera Rus’, imprimendole anche un nuovo slancio, sia nello sviluppo interno che nel prestigio internazionale, fu Vladimir II Monomaco, nato nel 1053 e morto nel 1125. Instancabile e vittorioso condottiero nelle continue guerre con i Poloviciani3 egli fu anche un buon diplomatico ed uno scrittore di talento. Le composizioni attribuite alla sua penna che ci sono pervenute costituiscono uno dei più antichi monumenti della letteratura russa e sono giunte alla posterità attraverso un’unica copia, inclusa nella Lavrentevskaja Letopis’, cioè nel Codice Laurentiano. Quest’ultimo prende il nome dal monaco Laureni SeBook - i Simonelli electronic Book 308

tij di Vladimir, che ne fu l’amanuense ed eseguì il proprio lavoro nel 1377, su commissione del Principe di Suzdal, Dmitri Kostantinovič. Sotto il nome collettivo di Pouchènie, cioè di Sermone, l’amanuense riunì tre composizioni letterarie, il Sermone vero e proprio, in cui appare la dettagliata narrazione che Vladimir fece ai suoi figli della propria vita e delle proprie imprese guerresche, la lettera a Oleg Svjatoslavich, scritta nel 1093 e, come conclusione, la Preghiera. Nel Pouchènie è esposta una rappresentazione ideale del principe cristiano che è preposto a garantire la laboriosità, la pace e la generosità. La prima moglie di Vladimir Monomaco fu Gytha del Wessex, figlia di Harold II, l’ultimo re sassone dell’Inghilterra, ucciso da una freccia normanna nella battaglia di Hastings del 1066. La madre di Gytha era la famosa Ealdgyth Swan-neck, la bellissima i SeBook - i Simonelli electronic Book 309

concubina del re sassone che, dopo la disfatta, vagò sola tra i cadaveri abbandonati sul campo di battaglia, alla ricerca delle spoglie del proprio amante. Benchè la madre di Harold avesse promesso a Guglielmo il Conquistatore un riscatto in oro di peso uguale a quello del corpo del proprio sfortunato figlio, il glaciale e crudele normanno aveva rifiutato di restituire ai Sassoni sconfitti i resti del loro re, nè li aveva fatti cercare. Soltanto Ealdgyth Swanneck riuscì a riconoscerli grazie a segni soltanto a lei noti che si dice fossero baci d’amore: tale era stata la devastazione inflitta ai caduti dagli zoccoli della cavalleria vincitrice. Mentre il loro misero padre veniva cristianamente seppellito dai monaci di Waltham, Gytha del Wessex e due suoi fratelli riuscivano a fuggire prima in Francia e poi a riparare alla corte del loro zio Sweyn Estridsi SeBook - i Simonelli electronic Book 310

son, re della Danimarca, che li accolse benevolmente. Lo zio si preoccupò di dare un’adeguata sistemazione matrimoniale alla sfortunata nipote, principessa del Wessex, e le trovò un marito nella persona di Waldamar re dei Rutheni. Era questo il modo del re vichingo di riferirsi al proprio lontano cugino Vladimir, principe di Kiev. Dall’unione di Vladimir con Gyta nacquero sicuramente cinque figli dei quali tre furono Gran Principi di Kiev (Mstislav I, Yaropolk II e Viacheslav I) mentre gli altri due furono rispettivamente Principi di Kursk e di Smolensk. Alla morte di Gyta, Vladimir Monomaco si sposò in seconde nozze con una principessa bizantina ed ebbe altri sette figli. Tuttavia sulla maternità di due di questi non vi è accordo tra gli storici. Il principe Yurij Vladimirovich, successivamente soprannominato Dolgorukij e la principessa Marina i SeBook - i Simonelli electronic Book 311

Vladimirovna vengono ritenuti figli della prima moglie Gyta da alcuni storici e figli della seconda da altri. Rimasto vedovo una seconda volta l’instancabile Monomaco ebbe anche una terza moglie, questa volta di stirpe turca, in quanto figlia del Khan dei Cumani. Posto dal padre alla guida del Principato di Vladimir-Suzdal, Yurij Vladimirovich ne resse le sorti per moltissimi anni. Fino alla morte del genitore avvenuta nel 1125, egli utilizzò come propria capitale la città di Rostov, ma dopo quella data egli spostò la sede del potere principesco a Suzdal. Quando poi venne a morire anche suo fratello Mstislav I che, quale Principe di Novgorod, era succeduto al padre sul trono di Kiev, Yurij cominciò a dispiegare sforzi per impadronirsi delle terre russe meridionali, comprese Perejaslavl’ e Kiev. Furono queste sue intenzioni espani SeBook - i Simonelli electronic Book 312

sionistiche verso sud a valergli il soprannome di Dolgorukij, cioè dal braccio lungo. È negli anni del suo governo che Mosca viene per la prima volta nominata dalle cronache. Nel 1147 Yurij Dolgorukij invitò nei propri stati il suo alleato Svjatoslav Olgovich, Principe di Chernigov e lo intrattenne nella località denominata Mosca. Dieci anni più tardi, nel 1156, mentre occupava il trono di Kiev come Velikij Knjaz, Yurij diede ordine a suo figlio Andrej Bogoljubskij di fortificare Mosca con una cerchia di mura lignee. Due anni prima, lo stesso Yurij aveva fondato e fortificato la città di Dmitrov che si trova un centinaio di chilometri a nord di Mosca nella direzione di Dubna. Un primo tentativo di impadronirsi di Kiev fu fatto da Yurij nel 1149 quando egli sconfisse il fratello Izjaslav e pose l’assedio alla capitale della Rus’, problemi interni del i SeBook - i Simonelli electronic Book 313

suo Principato lo costrinsero però a ritornare a Suzdal nel 1151 ed a lasciare incompiuta l’impresa. Il secondo tentativo del 1155 fu invece coronato da successo ed in quell’anno Yurij Dolgorukij divenne Velikij Knjaz. La sua personalità, tuttavia, era così invisa alla nobiltà kieviana che, subito dopo la morte del proprietario, avvenuta due anni dopo nel 1157, il suo palazzo venne raso al suolo. Le spoglie di Yurij Dolgorukij furono tumulate nella Lavra Pecherskaja dove tuttora esse riposano. Il compito storico di spostare definitivamente verso nord-est il centro del potere politico della Russia cadde sulle spalle del figlio di Yurij, Andrej Bogoljubskij. Quando egli assunse a sua volta la carica di Velikij Knjaz, Andrej spostò il trono da Kiev a Vladimir, sua città preferita. i SeBook - i Simonelli electronic Book 314

La madre di tutte le città russe aveva perso la sua preminenza poichè la base economica su cui essa si fondava era venuta meno. Il commercio con Bisanzio lungo la via del Dniepr era stato la linfa di Kiev, ma dopo le Crociate esso languiva ed altre potenze navali, Venezia e Genova, detenevano ora il monopolio degli scambi tra l’Occidente e l’Oriente. Inoltre il continuo disboscamento aveva fatto avanzare verso nord il confine della steppa e più a nord si spostava la Russia. 5.1.2 Arrivo al Kievskij Vokzal di Mosca Quando le prime luci dell’alba penetrarono nello scompartimento attraverso le tendine di pizzo e l’intero vagone iniziò a rianimarsi vidi che fuori aveva smesso di nei SeBook - i Simonelli electronic Book 315

vicare. Ora il treno viaggiava in mezzo ad una sterminata pineta innevata, interrotta da ponti, attraversamenti stradali e da nuclei abitativi, la cui crescente frequenza annunciava l’avvicinarsi della megalopoli. I passeggeri affollavano il corridoio andando e venendo dalla toeletta, i letti venivano disfatti, sparivano i pigiami e tutti riordinavano le borse ed i pacchi per prepararsi all’arrivo. Il quarto occupante del mio scompartimento era un signore sulla quarantina che era salito sul treno soltanto a notte fonda, quando gli altri erano già tutti coricati. L’avevo intravisto nella penombra del corridoio: giacca e pantaloni grigi, camicia bianca con i polsini d’oro, una borsa porta documenti di cuoio nero. Era certamente un uomo d’affari, un tecnocrate od un professionista, forse un avvocato. Si era arrampii SeBook - i Simonelli electronic Book 316

cato sul suo lettuccio senza togliersi gli abiti ed, estratta dalla borsa una bottiglia di vodka, aveva bevuto tutta la notte. Il mattino, quando tutti gli altri già da tempo erano in movimento per prepararsi all’arrivo, il misterioso signore con la bottiglia era rimasto immobile nel suo cantuccio ancora a lungo, poi era sceso dal letto di scatto e, rivolto a me, aveva detto in russo: - Lei è italiano, non è vero? - Sì sono italiano! - avevo risposto. - Come La invidio! - E perchè? - Perchè Lei, essendo italiano non ha bevuto vodka tutta la notte e quindi la sua testa non le fa male come a me la mia! Ohi che mal di testa! Ohi che male... - aveva biascicato cupo, allontanandosi verso la toeletta. Eravamo quasi arrivati a destinazione e, guardando dal finestrino, vedevo scorrere i SeBook - i Simonelli electronic Book 317

davanti ai miei occhi continue radure in mezzo alla pineta, in cui sorgevano dacie private ed altri più grandi edifici dall’aspetto vecchiotto ed un po’ logoro, ma ancora nobile, talvolta circondati da recinzioni parzialmente cadute in rovina. La neve fine ricopriva i tetti, i cortili, ed imbiancava i pini, tra i cui aghi, così come sciabole, si infilavano i raggi del sole appena sorto, che strisciava basso sull’orizzonte. Pensai che, cinquant’anni prima, una di quelle ville del secolo passato avrebbe potuto ospitare una sharashka4 come quella di Marfino, descritta nel romanzo il Primo Cerchio di Solzhenitzyn. Correva al momento di quel mio viaggio a Mosca l’anno 2003 ed il serial televisivo V kruge pervom, tratto dall’omonimo romanzo del grande scrittore non era ancora stato realizzato. Lo fu due anni più tardi i SeBook - i Simonelli electronic Book 318

nel 2005 con l’attiva partecipazione dello stesso autore alla realizzazione della sceneggiatura. Molti anni prima avevo letto il romanzo e successivamente vidi più volte in versione DVD la mini serie televisiva, andata in onda all’inizio del gennaio del 2006 sul canale Rossia: un film che per cinque ore ti tiene incatenato allo schermo con la sua severa bellezza, senza permetterti di allentare un solo istante la tensione ed uscire dallo stato di oppressione in cui precipiti insieme ai personaggi del dramma. Ora la pineta era sparita: il treno viaggiava in mezzo a palazzi ed impianti industriali. Ancora qualche minuto ed esso si fermò su uno dei più di venti binari del Kievskij Vokzal, una delle principali stazioni ferroviarie di Mosca, terminale delle linee verso sud-ovest. Ad attendermi sulla piattaforma c’era un collega, che mi guidò i SeBook - i Simonelli electronic Book 319

fino all’automobile di servizio, inviata dall’Istituto Bogolyubov per prelevarmi all’arrivo del mio treno e condurmi fino a Dubna. 5.2 Gli Istituti Bogolyubov’ Nicolai Nicolayevich Bogolyubov è stato uno dei grandi protagonisti della fisica teorica della seconda metà del ventesimo secolo. La teoria dei campi quantistica gli deve moltissimi contributi, così come lo fanno la meccanica statistica, la teoria dei sistemi integrabili, l’elettrodinamica ed altri campi ancora, del vasto panorama teorico. Oltre ad essere un brillante risolutore di nuovi problemi, egli fu un grande sistematizzatore ed un prolifico scrittore di monografie e testi avanzati che, poderosi, didascalici ed enciclopedici, come era tipico nella tradizione della scuola soviei SeBook - i Simonelli electronic Book 320

tica, costituirono, al pari di quelli di Landau e Lifshitz, la base di formazione per centinaia di fisici e matematici, non solo nell’URSS ed in tutti gli altri paesi del Patto di Varsavia, ma anche in Occidente. Anch’io durante i miei anni universitari studiai la teoria dei campi sulla traduzione inglese del ciclopico volumone di Bogolyubov e nel corso della mia vita di ricercatore, l’introduzione alla teoria assiomatica di Bogolyubov e Todorov è sempre stata sul mio tavolo, pronta alla consultazione. Personalità autorevole ed autoritaria, Accademico dell’Unione Sovietica, rispettato sia dal regime che dalla comunità scientifica internazionale, Nicolai Nicolayevich fu estremamente influente, tanto in patria quanto all’estero. Bogolyubov nacque nel 1909 a Nizhny Novgorod nella Russia centro–settentrionale, alla confluenza dell’Oka nel Volga, i SeBook - i Simonelli electronic Book 321

ma nel 1921 la sua famiglia si trasferì a Kiev, dove egli compì i propri studi universitari e nel 1924 pubblicò il suo primo articolo scientifico all’età di quindici anni. Nel 1925, a soli sedici anni, Nicolai Nicolaevich era già studente di dottorato presso l’Accademia delle Scienze della Repubblica Socialista Sovietica di Ucraina. Bogolyubov ed il suo maestro Krylov furono le figure chiave di quella che nel mondo scientifico divenne nota come la Scuola di Kiev in fisica delle oscillazioni non-lineari. Tra il 1940 ed il 1965, Bogolyubov si interessò della teoria della superfluidità e della superconduttività e di teoria dei campi quantistici introducendo la famosa trasformazione che porta il suo nome ed è uno dei suoi contributi più noti. Insieme a Dmitry Blokhintsev, Nicolai Nicolaevich fu il fondatore ed il primo direttore del Laboratoi SeBook - i Simonelli electronic Book 322

rio di Fisica Teorica del Joint Institute for Nuclear Research di Dubna (OIAI-JINR), ora intitolato al suo nome. A Dubna, Bogolyubov trascorse gli ultimi trentacinque anni della sua vita ed il laboratorio Bogolyubov di Dubna era la mia meta quando a Mosca scesi dal treno proveniente da Kiev. Lo stesso laboratorio è stato la mia meta in un numero considerevole di altri viaggi quando, invece che con il treno, raggiunsi Mosca con l’aereo. Quello di Dubna, però non è il solo Laboratorio di Fisica Teorica intitolato a Bogolyubov. Un secondo esiste a Kiev, in un’amena zona boschiva alla periferia della città; sezione dell’Accademia delle Scienze dell’URSS, dopo la dissoluzione dell’Unione e la creazione dello stato ucraino, nel 1992 esso è divenuto parte dell’Accademia delle Scienze dell’Ucraina. È i SeBook - i Simonelli electronic Book 323

presso questo Istituto che io trascorsi un semestre sabbatico dall’autunno del 2002 alla primavera del 2003 e quando viaggiai in treno da Kiev a Mosca lasciavo temporaneamente l’Istituto Bogolyubov ucraino per recarmi in quello russo dove si teneva una conferenza di cui ero relatore e dove da lungo tempo ho strettissimi amici ed abituali collaboratori. Nonostante la separazione politica tra l’Ucraina e la Russia, conseguita alla deposizione di Gorbachev nell’agosto del 1991, e le enormi difficoltà poste dalla lunga crisi economica che investì tutte le nuove repubbliche, le relazioni tra gli Istituti ed i gruppi di ricerca dell’ex Unione Sovietica sono rimaste pressochè intatte e, almeno all’interno della comunità degli scienziati, l’unità culturale russa è sopravvissuta. L’interno dell’Istituto Bogolyubov di Kiev è sontuosamente decorato con moi SeBook - i Simonelli electronic Book 324

saici, bassorilievi ed affreschi moderni ispirati all’antica arte russo-bizantina della Kievskaja Rus’. L’edificio fu costruito in epoca krusheviana quando tra i fisici, membri dell’Istituto vi era anche il figlio5 del segretario kieviano del PCUS, Petro Shelest6. Sembra che questa evenienza avesse molto facilitato l’erogazione di generosi fondi per tale costruzione e per la sua decorazione da parte di noti artisti. L’improvvisa caduta in disgrazia del segretario causò però l’arresto dei lavori ed ancora oggi gli ultimi piani dell’edificio hanno un aspetto alquanto dimesso in confronto a quelli inferiori. Quando io lo frequentai per un intero semestre, quel grande palazzo dava una strana sensazione di arresto del tempo. Ogni mattina, dopo aver salutato l’anziana portinaia che sedeva a cucire dietro la porta d’ini SeBook - i Simonelli electronic Book 325

gresso con un fazzoletto legato in testa alla maniera dei contadini, salivo le scale, raggiungevo il primo piano e, quando mi incamminavo per il lungo corridoio semi-deserto, avevo l’impressione di essere penetrato nel castello della Bella Addormentata nel Bosco. Tutto era abbastanza in ordine e pronto all’uso per i più di duecento ricercatori che in passato avevano lavorato in quegli studi, ma ora non più di un paio di decine di persone passavano frettolosamente da una stanza all’altra con passo leggero come per non disturbare il sonno incantato che si era impadronito del luogo. Tutte le stanze avevano un nome sulla porta, ma la maggioranza erano vuote perché i loro legittimi proprietari si trovavano all’estero per lunghi periodi, chi in Italia, chi in Germania, chi in America, chi in Francia, chi in India od in altri paesi ancora. i SeBook - i Simonelli electronic Book 326

Nonostante il loro esiguo numero e con una tenacia degna di ammirazione, i pochi scienziati rimasti in sede continuavano ad organizzare tutta una serie di attività sia di ricerca che di didattica. La più straordinaria tra queste, che ebbi modo di osservare personalmente, era la precoce educazione di giovani talenti fisico-matematici. Ogni giovedì pomeriggio, provenienti da un certo numero di differenti ginnasi di Kiev, si radunavano al Bogolyubov una decina di ragazzi intorno ai quindici anni e per l’intero pomeriggio, dalle due fino alle otto od anche le nove di sera, seguivano dei corsi speciali tenuti espressamente per loro da ricercatori dell’Istituto o da dottorandi dell’Università. Si trattava di lezioni intensive di meccanica classica, di geometria algebrica e differenziale, di teorie delle funzioni speciali ed equazioni differenziali ed anche i SeBook - i Simonelli electronic Book 327

di topologia algebrica: argomenti classici che formano la base culturale di un fisico matematico ma che sono già così avanzati da poter essere trattati, nel sistema universitario occidentale, solo al livello del dottorato di ricerca od al più nell’ultimo anno del corso di laurea: tradotto in età questo significa una dieta adatta a ragazzi dai venticinque anni in poi. A Kiev il pane di questa scienza veniva invece spezzato per un’elite di ragazzini di quindici o sedici anni. Finite le lezioni, i giovani talenti si spostavano, sovente insieme ai dottorandi che li avevano istruiti, nella cucinotta dell’Istituto dove si arrangiavano a prepararsi una cena frugale fatta di qualche panino, molto tè caldo e l’immancabile grechka ossia il farro bollito, dieta dei soldati al fronte e di chiunque abbia fretta, molte esigenze caloriche e pochi copechi in tasca. i SeBook - i Simonelli electronic Book 328

Dopo cena i volonterosi ragazzini si rimettevano al lavoro per risolvere i numerosi esercizi che erano stati loro assegnati per il mattino dopo. Vi si impegnavano fino alla una od alle due di notte, imbacuccati in maglioni, giubbotti foderati e guanti di lana, per combattere il freddo implacabile che scendeva su tutto l’edificio appena la fatidica ora di spegnimento dei termosifoni era scoccata. Finiti i compiti si concedevano alcune ore di sonno su delle sedie a sdraio e delle improvvisate brandine dislocate in alcuni degli innumerevoli studi vuoti. Alle otto del mattino successivo erano già pronti per un’altra razione di lezioni intensive che veniva loro somministrata fino alle undici. Correvano poi alla fermata del taxi marschrut che li avrebbe riportati alle loro scuole in città onde seguire, insieme ai loro compagni normali, le nori SeBook - i Simonelli electronic Book 329

mali lezioni pomeridiane del venerdì. Questa terapia speciale durava tutto l’inverno ed era finalizzata a preparare un piccolo numero di eletti agli esami di selezione che si tengono annualmente presso l’ITEP7 di Mosca. Il laboratorio di fisica teorica Bogolyubov di Dubna non è un castello addormentato. Al contrario i suoi lunghi corridoi rivestiti di una tappezzeria rosso-scura sono animati da un continuo viavai di persone intente ad una serie di attività che non è per nulla in declino, bensì in una fase di nuova espansione. L’intero Joint Institute for Nuclear Research è attualmente impegnato in nuovi programmi di ricerca d’avanguardia, organizza conferenze internazionali su un vasto arco di tematiche e, oltre ad averne promosso la nascita, partecipa alla gestione di una nuova università sorta alla periferia della città. i SeBook - i Simonelli electronic Book 330

Piccolo centro sulle rive del Volga, Dubna è una città letteralmente costruita in mezzo alle pinete. Vi sono pini ovunque, nei giardini e nei cortili delle case, lungo le vie che sono tutti viali, nei molti parchi, che sono lembi della preesistente foresta, lungo i binari della ferrovia. Posta quasi alla confluenza del fiume Dubna nel Volga, la città di Dubna è circondata dalle acque su tre lati. A nord il grande fiume, ad est il suo affluente, ad ovest il Canale navigabile che collega il corso del Volga con la città di Mosca. Al prezzo di centinaia di vittime morte di stenti e di fatica, il Canale, voluto da Stalin, fu scavato con il lavoro forzato di migliaia e migliaia di ospiti dei famigerati campi dell’arcipelago GULAG. Questo idilliaco nastro azzurro, grondante di un sangue innocente che è per sempre sepolto nell’oblio, scorre oggi tra le verdi rive erbose, i SeBook - i Simonelli electronic Book 331

ombreggiate dai pini e conferisce al paesaggio un tratto ameno, carico di speciale fascino. Passeggiando nel bosco, tra i cespugli di lamponi, ci si imbatte spesso in una grande nave bianca che con il suo incedere maestoso fende la foresta e si dirige alle chiuse della diga. Qui, sollevata di qualche metro, entrerà nelle placide acque dell’immenso fiume e sfilando per quattro mila chilometri tra boschi e praterie, lambendo ogni tanto antiche città cariche di ricordi storici, potrà discendere fino alle calde acque del Caspio ed ai deserti dell’Asia Centrale che su di esso si affacciano e che per più di duemila anni hanno rovesciato sull’Europa nuove ondate di orde nomadi, emerse dal nulla, ma portatrici di un incontenibile impeto distruttivo.

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5.3 Il Convento ed il Cimitero di Novodevichy Il ventotto di gennaio del 2006, l’Almanacco dei Libri del giornale la Repubblica pubblicava un’intervista di Leonetta Bentivoglio con Grigorij Chkhartischwili, probabilmente il più popolare degli scrittori russi contemporanei. Notissimo in patria e tradotto in trentadue lingue straniere, egli non è conosciuto con il proprio impronunciabile cognome di dichiarata origine georgiana, bensì con lo pseudonimo letterario Boris Akunin che, quando viene abbreviato ponendo un punto dopo l’iniziale del nome proprio, diventa un intrigante riferimento all’anarchico Bakunin. Con questo nom de plume ha pubblicato un considerevole numero di romanzi tra i quali primeggia, per popolarità, la serie di gialli dedicati alle inchieste dell’infallibile detective Erast Pei SeBook - i Simonelli electronic Book 333

trovich Fandorin, personaggio fantastico, attivo nella Mosca di fine ottocento. Filosofo, esperto di lingua e letteratura giapponese, intellettuale coltissimo e scrittore raffinato e pungente, con le Le avventure di Erast Fandorin, Boris Akunin ha creato ciò, che dal suo editore moscovita Zacharov, viene definito un Progetto Letterario. In questo progetto, ogni romanzo corrisponde ad una data particolare nella carriera investigativa dell’eroe e gode di una definizione specifica del tipo di inchiesta da lui affrontata. Ad esempio si ha Azazello, (1876) - giallo cospirativo, Leviathan (1878) - giallo ermetico, oppure L’innamorata della Morte (1900) - giallo decadente od ancora L’Innamorato della Morte (1900) - giallo dickensiano. Lo stile raffinato, satirico, ricchissimo e pungente di Akunin può essere facilmente evinto da una breve scorsa ai titoli dei suoi capitoli. In Azazello, i SeBook - i Simonelli electronic Book 334

ad esempio, troviamo: capitolo secondo, in cui niente di niente eccetto chiacchere, capitolo sesto in cui appare un uomo del futuro, capitolo ottavo in cui, all’improvviso, salta fuori il fante di picche. L’occasione per l’intervista ad Akunin non è stata però fornita dalla pubblicazione delle avventure di Fandorin, bensì del suo ultimo libro, intitolato Le città senza tempo - Storie di Cimiteri, un viaggio gotico, spassoso ed erudito in sei cimiteri del mondo. Così lo definiva nel proprio articolo l’intervistatrice Leonetta Bentivoglio. E parlando del suo libro l’autore spiegava: Un cimitero può regalarci porzioni affascinanti di passato. Ci entri ed il tempo ha un altro ritmo, lo spazio respira di vita propria, la scena può fotografare una cultura: un cimitero fa cogliere con straordinaria esattezza il modo in cui un popolo si confronta con la morte. i SeBook - i Simonelli electronic Book 335

Leggendo queste parole non ho potuto far altro che riconoscerne la sagace profondità e verificarne l’esattezza attraverso il ricordo delle suggestioni regalatemi dalla mia visita al Cimitero contiguo al Monastero Novodevichy di Mosca. 5.3.1 Il Monastero e la Principessa Sofia Ogni turista occidentale inizia la propria visita della capitale russa dalla Piazza Rossa e dal Cremlino, le cui immagini grandiose costituiscono il simbolo stesso della Russia, quale è stato depositato nell’immaginario collettivo. Tuttavia le suggestioni storiche ed il fascino esercitati dalla terza, nella gerarchia dei tour operators, delle mete moscovite, meriterebbe forse una sua promozione al primo posto, almeno per quei visitatori i SeBook - i Simonelli electronic Book 336

che, nelle impressioni suscitate dai monumenti, cercano di dipanare il sottile filo rosso della storia e di cogliere in questo lo spirito dei popoli. La terza tappa cui mi riferisco è un grandioso complesso architettonico costituito dal Monastero delle Nuove Vergini (Novodevichij Monastir) e dall’omonimo cimitero eretto dietro di esso. Il Convento Novodevichy è in realtà un vasto chiostro murato, militarmente fortificato, al cui interno si trovano vari edifici tra chiese, campanili, refettori ed abitazioni per le monache. Fu costruito nel 1524 per ordine del Principe di Mosca Basilio III, che ancora non utilizzava il titolo di Tsar, bensì quello di Velikij Knjaz, simbolo della continuità storica con la Russia Kieviana. Sotto il figlio di Yurij Dolgorukij, Andrej Bogoljubskij, la sede del Gran Principe era migrata da Kiev a Vladimir e nel XIV secolo, nell’epoca della dominai SeBook - i Simonelli electronic Book 337

zione mongola, l’eredità kieviana era passata a Mosca. L’edificazione del 1524 fu dedicata alla commemorazione della riconquista di Smolensk avvenuta dieci anni prima nel 1514. Approfittando di un momento difficile per la Polonia di Sigismondo Jagellone e traendo vantaggio dalla ribellione del principe lituano Michail Hilinski, Basilio III, con la presa di questa città aveva completato l’assoggettamento all’autorità di Mosca di quasi tutti gli storici principati della Kievskaja Rus’ situati a nord di Kiev. Negli ultimi anni del suo regno, durato dal 1505 al 1533, Basilio III riuscì anche ad estendere l’influenza russa sul medio corso del Volga, aprendo così la via alla definitiva emancipazione della Moscovia dal vassallaggio mongolo. Al di là del suo ruolo celebrativo, il Convento ne aveva anche uno, forse ancora più importante, di carattere militare. Esso infatti i SeBook - i Simonelli electronic Book 338

veniva ad inserirsi come tassello cruciale nel sistema difensivo della cintura meridionale della città, costituito da altri monasteri fortificati, da ciascuno dei quali dipendevano villaggi, terre e contadini. Un ruolo ulteriore dello storico monastero che, a differenza di quasi tutti i suoi omologhi, ha conservato fino ai giorni nostri il proprio aspetto del XVII secolo, fu quello di prigione elitaria per le donne dell’alta nobiltà cadute in disgrazia politica e costrette a prendere il velo, secondo la tradizione che la Russia aveva direttamente ereditato da Bisanzio. La più illustre delle recluse del Convento Novodevichy è stata probabilmente la Principessa Sofia Alekseyevna, sorellastra di Pietro il Grande e reggente del trono dal 1682 al 1689. Nella sua biografia dello Tsar Pietro I, Henri Troyat8 la descrive così: Molto istruita, i SeBook - i Simonelli electronic Book 339

la mente aperta, intuitiva, la lingua mordace, essa non aveva nessuna intenzione di accontentarsi del ruolo scialbo che la donna russa assumeva abitualmente nel terem9. Si direbbe che l’essere cosciente della sua bruttezza, invece di spingerla alla modestia del comportamento, la spingesse invece alla più sfrenata ambizione. Vero ammasso di carne essa faceva scoppiare le cuciture delle vesti. Il diplomatico franco-polacco La Neuville scrisse che ella aveva - un corpo sformato dalla mostruosa pinguedine, una testa larga come un moggio, peli al viso ed ulcere alle gambe. - . Questa descrizione letteraria concorda perfettamente con il ritratto che ne fece il grande pittore del XIX secolo Ilja Repin. Sia la tsarevna Sofia che lo tsarevich Pëtr erano ufficialmente figli di Alessio I, il monarca che concluse il trattato di Perejaslav con Bogdan Khmel’nitskij. Sofia però, insieme al i SeBook - i Simonelli electronic Book 340

quasi demente Ivan ed al colto, raffinato, ma scrofoloso e gracile Fëdor fu generata da Maria Miloslavski, la prima moglie di Alessio, mentre il robusto, vivace e vitalissimo Pietro nacque dal secondo matrimonio dello Tsar con la giovane e bellissima Natalia Naryshkin, molto chiacchierata e sospettata a tal punto di avere numerosi amanti, che la stessa partenità di Pietro I fu sovente messa in discussione nei bisbigli di corte. Tra i suoi presunti padri naturali venne spesso ipotizzato anche il patriarca di Mosca, Nikon, definito da Troyat, un gigante, una forza della natura, uomo violento, autoritario e geniale: esattamente quello che fu poi in età adulta lo Tsar Pietro I. Quando Pëtr era ancora fanciullo, lo Tsar Aleksei Michailovich morì, designando, sul proprio letto di morte e soltanto dopo molta esitazione, il suo successore nella persona dello tsarevich Fjodor. Il regno di quest’uli SeBook - i Simonelli electronic Book 341

timo, che parlava correntemente il latino ed il polacco, era uomo di vasta cultura e profonda dottrina, ma godeva di pessima salute e non aveva eredi maschi, durò molto poco e subì profondamente l’influenza della sorella Sofia, appoggiata e sostenuta dal proprio amante il principe Basilio Golytzin. Alla morte di Fjodor, la tsarevna Sofia maneggiò senza scrupoli una terribile e sanguinaria rivolta del corpo degli Streltsy10, avvenuta nel 1682, per far proclamare il demente Ivan IV quale primo Tsar ed emarginare Pëtr I al secondo rango insieme alla madre Natalia ed a tutto il clan dei Naryshkin. Di fatto ella divenne reggente del trono in nome dei due fratelli Ivan e Pietro, esercitando il potere insieme al proprio amante Basilio Golytzin. Sette anni più tardi, nel 1689, al compimento del diciassettesimo anno di età di Pietro, il clan dei Naryshkin, riuscì a sollei SeBook - i Simonelli electronic Book 342

vare la testa pretendendo da Sofia la dismissione del proprio potere a favore del legittimo erede al trono, loro parente. In risposta, su consiglio del nobile Shaklovityi, Sofia si fece proclamare tsarina e scatenò una nuova rivolta degli streltsy. Il piano tuttavia fallì perchè una parte di quest’ultimi disertò Mosca, si trasferì nel villaggio suburbano di Preobrazhenskoe, dove lo tsarevich Pietro viveva esiliato con la propria madre Natalya, e si pose al servizio del giovanissimo legittimo sovrano. Sentendo il potere sfuggirle dalle mani, Sofia trattò la resa inviando al fratellastro, quali negoziatori, una delegazione di boiari guidata dal patriarca Joachim. Le condizioni furono dure: Shaklovityi fu giustiziato, il principe Golytzin fu esiliato e la stessa Sofia venne rinchiusa nel Monastero di Novadevichy dove, benchè le fosse concesso i SeBook - i Simonelli electronic Book 343

di mantenere lo stato laicale, visse molti anni in semi prigionia. Dieci anni più tardi, al tempo del famoso viaggio di Pietro I in occidente, dalle proprie stanze del Monastero, Sofia tirò le fila di un nuovo intrigo con il quale intendeva rovesciare il trono del fratellastro e fomentò un’ennesima, ancora più violenta rivolta degli streltsy. Lo Tsar tornò in tempo per reprimere l’insurrezione con il pugno d’acciaio. I colpevoli furono puniti con severità esemplare e la tsaryevna Sofia, costretta a prendere i voti monastici, fu segregata in una cella dove, prima di morire, visse altri sei anni completamente isolata dal contatto con qualunque altro essere umano. Le era concesso vedere le altre monache una sola volta all’anno nel giorno della Pasqua di Risurrezione. i SeBook - i Simonelli electronic Book 344

5.3.2 Il Cimitero Dietro alle mura del Monastero, sul lato opposto a quello affacciato sull’ansa della Moscova, sorge il Cimitero di Novodevichy. Fu inaugurato nel 1898, quando ci si rese conto che vi erano ormai troppi sepolcreti all’interno dei chiostri. La prima illustre salma tumulata in questo cimitero monumentale fu quella dello scrittore Anton Pavlovich Checkhov, morto nel 1904. La sua tomba fu disegnata dal famoso architetto Fyodor Osipovich Schechtel (1859- 1926), il cui vero nome era Franz Albert e la cui famiglia proveniva dalla comunità dei tedeschi del Volga, principalmente localizzata attorno alla città di Saratova11. Nulla meglio delle già citate parole di Akunin coglie lo spirito di questo Cimitero Nazionale. Sotto i viali ombrosi e le aiuole i SeBook - i Simonelli electronic Book 345

rigogliose di questo grandissimo parco, adiacente alle mura del meglio conservato e più antico monastero di Mosca, si incontrano monumenti di grande e piccola fattura, ora pomposamente retorici, ora severi e discreti, organizzati nelle più disparate fogge e secondo i più variegati stili raffigurativi, ma con una comune caratteristica che li contraddistingue tutti e fornisce l’inconfondibile atmosfera del luogo: la personalizzazione di ciascuna tomba e l’elevato grado di simbolismo incarnato da ciascuna di esse. Non molto lontano dall’entrata ci si imbatte subito nel monumento funerario di Yuri Vladimirovich Nikulin, nato a Smolensk nel 1921 alla fine della guerra civile e morto a Mosca nel 1997 ad avvenuta dissoluzione dell’Unione Sovietica ed in piena era Eltsiniana. Attore comico di grandissima popolarità egli apparve in moltissimi film di grandi i SeBook - i Simonelli electronic Book 346

registi, incluso Tarkovsky e fu insignito del titolo di Artista Nazionale dell’Unione Sovietica, nonché di quello di Eroe del Lavoro Socialista. Negli ultimi anni della sua vita egli fu Direttore del Circo di Mosca, incarico che alla sua morte fu assunto dal figlio. La sua tomba al cimitero di Novodevichy è costituita da un gruppo statuario a grandezza naturale che rievoca una scena di un suo film, ritraendolo seduto su di un muretto, in abiti da mendicante e con un cane randagio sdraiato ai suoi piedi. La funzione sociale del singolo ed i contributi della sua professione alla storia della società in cui egli è vissuto vengono così eternati oltre la morte ed i personaggi interpretati dall’attore si sostituiscono, nel ricordo dei posteri, all’individualità dell’uomo che li impersonò. Nel dramma teatrale le Tre Sorelle, Chekhov pone in bocca del barone Tuzenbakh le i SeBook - i Simonelli electronic Book 347

seguenti parole: Io non ho mai lavorato in tutta la mia vita. Nacqui a San Pietroburgo in una famiglia fredda ed aristocratica che mai conobbe il significato della fatica e dell’industriosità. Mi ricordo che quando ritornai a casa dal servizio militare nel reggimento il lacchè mi sfilò gli stivali. A quell’epoca io facevo soltanto capricci e mia madre mi guardava con compiacimento stupendosi ogni qual volta gli altri non facevano altrettanto. La famiglia e la vita mi hanno esentato dal lavoro. Una volta sola o forse neanche quella ho dovuto occuparmi di qualche cosa di serio. Eppure ora è venuto il momento in cui sopra di noi si muove una gigantesca mole, si addensa un poderosa e salutare tempesta che già si avvicina e tra non molto spazzerà via dalla nostra società la pigrizia, l’indifferenza, la prevenzione nei confronti del lavoro manuale ed il marciume i SeBook - i Simonelli electronic Book 348

della noia. Io lavorerò, e fra una ventina o trentina di anni ognuno lavorerà. Ogni uomo lavorerà. Era l’anno 1900 quando Chekhov scriveva queste parole e la tempesta sarebbe immancabilmente giunta diciasette anni più tardi con la rivoluzione bolshevica. Gli effetti però di quel gigantesco sconvolgimento non sarebbero stati esattamente come il barone Tuzenbakh li immaginava. Morti, distruzioni, ridistribuzioni della ricchezza e sovvertimenti dell’ordine sociale certo non sarebbero mancati, ma che la pigrizia ed il marciume della noia sparissero completamente dalla società, per essere sostituiti soltanto da una fraterna, armoniosa e costruttiva laboriosità, non era scritto nel fato. Nel cimitero Novodevichy, a fianco della tomba di Anton Chekhov si ergono quelle di i SeBook - i Simonelli electronic Book 349

Nicolai Gogol e Michail Bulgakov. Che cosa sarebbe la letteratura russa senza Gogol’? Qualcosa di assolutamente diverso ed irriconoscibile. Una domanda simile a quella di chiedersi che cosa sarebbe la letteratura francese senza Diderot, Voltaire o Balzac. Eppure Nicolai Vasil’evich Gogol’ nacque nella provincia di Poltava dell’odierna Ucraina ed il padre Vasily, un piccolo possidente di discendenza cosacca si dilettò persino di scrivere delle piccole pièces teatrali in lingua piccolo russa, alias in ucraino. È questa una riflessione che nel Cimitero di Novodevichy trova continue occasioni di approfondimento. Nel Golgotha di illustri scrittori, pittori, musicisti, scienziati, accademici, attori, registi e drammaturghi, nonchè di politici e filosofi che sono qui tumulati ed i cui contributi costituiscono una parte essenziale, se non addirittura domii SeBook - i Simonelli electronic Book 350

nante della cultura, della letteratura e della scienza russa, una parte non piccola ebbe natali in città o governatorati che oggi non appartengono alla Federazione Russa e se essi fossero in vita dovrebbero forse esibire passaporti Ucraini, Armeni, Kazachi od Usbechi, il rispetto per i quali nelle Ambasciate Occidentali è a dir poco appannato. Nella sua intervista del 2006 Boris Akunin rispondeva in questo modo ad una domanda di Leonetta Bentivoglio: - Il mio è un paese letterario. Si legge molto e si scrive tantissimo, numerosi giovani vogliono fare gli scrittori e su Internet si trova una quantità impressionante di nuovi testi. La verità è che la Russia l’hanno creata i letterati. La sua letteratura è molto più giovane di quella italiana: ha solo duecento anni. La vita ha cominciato a cambiare con la comparsa di Pushkin all’inizio del diciani SeBook - i Simonelli electronic Book 351

novesimo secolo. E la parola scritta è stata presa talmente sul serio, che quando un professore tedesco, seduto in una biblioteca inglese, ha scritto un libro chiamato Il Capitale, solo i russi ci hanno creduto al punto di trasformarlo in vita vera. E quando cento anni dopo, un uomo con la barba lunga ha scritto un libro intitolato l’Arcipelago Gulag, i russi hanno deciso di tornare indietro.L’uomo con la barba lunga è Alexander Solzhenitzin e per nostra fortuna la sua tomba al Novodevich’e Kladbishe deve essere ancora costruita. La sua età è avanzata, ma con il più grande affetto gli auguriamo lunghi anni di vita e di magistrale scrittura quale egli già ci ha regalato ed ancora ci regalerà in futuro. Nel mondo occidentale il vivente Solzhenitzin ed il defunto Bulgakov, morto fin dal 1940, sono divenuti noti presi SeBook - i Simonelli electronic Book 352

sochè allo stesso tempo, cioè a metà degli anni sessanta. Il racconto lungo di Solzhenitzin, intitolato Una giornata di Ivan Denisovich, in cui egli descrive le condizioni di vita in un campo di lavoro staliniano della taigà, apparve per la prima volta in lingua inglese nel 1963, dopo la sua edizione russa autorizzata da Krushëv nel 1962, mentre il capolavoro di Bulgakov, Il Maestro e Margherita fu pubblicato postumo nel 1967 dall’editore Giulio Einaudi, dopo essere circolato clandestinamente per molti anni nell’Unione Sovietica. Nella sua assoluta e dimessa semplicità la tomba di Michail Afanas’evich Bulgakov è per me la perla più preziosa contenuta nel Novodevich’e Kladbische così come l’opera di questo autore è la sorgente delle più profonde ed illuminanti intuizioni per colui che voglia penetrare lo spirito della cultura russa i SeBook - i Simonelli electronic Book 353

e l’inscindibilità del dramma storico russoucraino. 5.3.3 Michail Bulgakov: l’epos, il pathos ed il grottesco Allorchè il Maestro e Margherita fu pubblicato in Italia, io avevo quindici anni ed avevo appena terminato la lettura di Guerra e Pace. Le mie fantasie post-adolescenziali erano ancora traboccanti delle immagini della Mosca imperiale, evacuata e completamente deserta, tra i cui palazzi abbandonati si aggirava il pingue, miope e mite Pietro, in attesa della Grande Armata Francese e dell’Uomo Fatale, della cui uccisione egli si sentiva incaricato dal destino, quando nuove immagini della stessa città, altrettanto suggestive e conturbanti, fecero irruzione nella mia giovane mente, con l’impeto travolgente di una tempesta. i SeBook - i Simonelli electronic Book 354

La Mosca staliniana degli anni trenta mi si rivelò, così come a migliaia di altri lettori occidentali, attraverso il diabolico volo di Margherita a cavallo della scopa e quello della sua cameriera Natasha in groppa al serioso Nicolaj Ivanovich, supponente ed ipocrita funzionario statale, trasformato dalla magica crema di Woland in un grufolante e piagnucoloso verro. A quasi trent’anni dalla morte dello scrittore, la pubblicazione postuma del capolavoro di Bulgakov suscitò un’enorme impressione in tutto il mondo occidentale e le sensazioni fortissime che la sua lettura generò nella mia mente di ragazzino non furono mai smentite dalle successive riletture negli anni della maturità. Al contrario, più ho approfondito la conoscenza del romanzo, della biografia dello scrittore e delle altre sue opere, più si è rafforzata in me la convinzione che, al pari del Don i SeBook - i Simonelli electronic Book 355

Qijote di Cervantes, il Maestro e Margherita sia uno dei più grandi libri della letteratura mondiale di tutti i tempi. L’originalità e l’eccezionalità del romanzo sono pari a quelle della biografia del suo autore. Il dramma storico della Nazione e quello personale dello scrittore si intrecciano nell’opera di Bulgakov in un inviluppo complicato ed inestricabile in cui l’antico e spesso abusato gioco delle parti tra vita reale e finzione teatrale si incarna in forme nuove ed originalissime. Perseguitato dai continui dinieghi delle autorità sovietiche a mettere in scena le proprie opere drammatiche, fatta eccezione per la pièce I giorni dei Turbin che, inspiegabilmente, era piaciuta a Stalin a tal punto da vederla quindici volte e per questo aveva ottenuto l’autorizzazione della censura a numerose repliche, Bulgakov si prese la propria sarcastica ed amara rivincita su dirigenti teatrali, pusillanimi, servili e sciocchi con il fai SeBook - i Simonelli electronic Book 356

moso episodio dello spettacolo di Magia Nera presentato dal Diavolo in persona al Varietà di Mosca. Sotto le spoglie di esperto straniero, munito di autorizzazioni ministeriali con timbri e firme autografe del Direttore finanziario Rimskij, il professor Woland ottiene, dall’allibito Direttore Artistico Stëpa, la messa in cartellone del suo spettacolo, che si trasformerà in un vero e proprio sabba satanico ed in una colossale presa in giro, non solo delle autorità, ma anche del pubblico dei moscoviti che, con la propria avidità e meschineria piccolo borghese, saranno sia vittime che complici dei diabolici scherzi e delle crudeli irrisioni di Woland e dei suoi tre assistenti: lo spilungone Korov’ev, lo strabico Azazello ed il gatto parlante Begamoth. Quando il Maestro e Margherita fu rivelato al mondo nel 1967 poco si conosceva in Occidente della vita di Michail Afanas’evich Buli SeBook - i Simonelli electronic Book 357

gakov e le sue altre opere erano solo parzialmente note e poco studiate: questa circostanza accrebbe la meraviglia della rivelazione. Un gigante della letteratura contemporanea, interprete originale e profondissimo di un’intera epoca, appariva all’improvviso, quando le sue spoglie mortali giacevano già da cinque lustri nel Novodevich’e Kladbische ed era ormai troppo tardi per rivolgergli qualunque domanda. Oggi le vicende della vita di Bulgakov sono pienamente illuminate dagli studi storicocritici, così come lo sono la genesi delle sue opere e la maturazione della sua Arte. Ne emerge un quadro sorprendente ed emblematico in cui la vita e l’opera di un uomo assurgono a simbolo e rappresentazione individuale dell’intero dramma storico del popolo russoucraino. Kiev e Mosca, i due poli nella millenaria oscillazione del pendolo storico russo, sono i SeBook - i Simonelli electronic Book 358

anche i due emisferi del mondo di Bulgakov, le due metà dell’Universo in cui si compie la parabola della sua breve vita. Di San Pietroburgo, invece, fatta eccezione per qualche fuggevole e marginale accenno, non vi è quasi alcuna traccia nell’opera di questo scrittore, che si differenzia in ciò da quasi tutti gli altri grandi narratori russi. Probabilmente questo non è casuale. La seconda capitale, voluta da Pietro il Grande, è il simbolo stesso della Russia Imperiale che, abbandonando Mosca aveva perpetrato anche il proprio distacco dall’eredità dell’antica Russia Kieviana, al cui mito Bulgakov era, invece, particolarmente affezionato. Il lettore attento può scoprire un’idealizzazione simbolica del binomio Kiev-Mosca che scorre sotterraneo in tutta l’opera dello scrittore. Nella Guardia Bianca, che ha come sfondo le convulse vicende politiche ucraine del 1918, principale protagonista del roi SeBook - i Simonelli electronic Book 359

manzo non è un personaggio fisico ma è la stessa Kiev, personificata e denominata sempre e soltanto la Città. Luogo mitico e quasi metafisico, la Città è lo scrigno che contiene i ricordi più cari dello scrittore, l’ampia e confortevole casa paterna nel quartiere alto di Podol, con la stufa di maiolica, il mobilio tapezzato di velluto rosso, la lampada di bronzo col paralume, gli scaffali migliori del mondo, ricolmi di libri ed il ginnasio Aleksandrovskij, dove Bulgakov ha studiato l’ut consecutivum, ha letto Caio Giulio Cesare e si è incantato, in primavera, a sbirciare le ragazze con i grembiuli verdi che passeggiavano sul viale. Il ginnasio dove Michail Afanas’evich, nelle vesti di Turbin, ha sognato l’Università, vale a dire la vita libera, il denaro, la forza e la gloria di una vita tranquilla e prospera, si trasformerà, in una convulsa notte del Dicembre 1918, in un i SeBook - i Simonelli electronic Book 360

arsenale militare e nella caserma di un’improvvisata armata di cadetti che, radunata la sera e gagliardamente sfilata sotto il ritratto dell’Imperatore Alessandro alla battaglia di Borodino, già la mattina successiva, sotto l’incalzare degli eventi, veniva disciolta per ordine del suo stesso comandante, il colonnello Malyshev. E gli eventi provenivano dall’ignominiosa fuga, insieme ai reggimenti germanici in ritirata, del etmano Skoropadskij, travestito da ufficiale tedesco con la testa fasciata per una ferita al capo e provenivano dal rombo dei cannoni che saliva dalle pianure ucraine, in cui si addensavano le bande contadine del nazionalista Petljura, ed anche dall’altra riva del Dniepr, quella moscovita. Parlando della collina Vladimirskaja, in cima alla quale si erge la statua di Vladimir il Santo che regge una croce illuminata, Bulgakov scriveva: d’inverno la i SeBook - i Simonelli electronic Book 361

croce splendeva nel nero spessore dei cieli e, fredda e pacata, regnava sui bui spazi declivi della riva moscovita, dalla quale si protendevano due ponti giganteschi. L’uno il ponte Nikolaevskij, sospeso alle catene, pesante, che conduceva al sobborgo sull’altra riva; l’altro, altissimo, sfrecciante, sul quale s’avventavano i treni provenienti da molto, molto lontano, di là dove si adagiava, allargando il suo berretto variopinto, la misteriosa Mosca. Ed è nella misteriosa Mosca che alla fine del 1921 si trasferirà, per non abbandonarla mai più, il dottor Bulgakov, abdicando definitivamente alla professione medica, onde perseguire la carriera di scrittore e di drammaturgo nella quale, però, egli troverà sempre e soltanto dei cancelli sbarrati dalla censura e dalla critica di regime. Nato nel 1891 e figlio di un professore di teologia, Michail Afanas’evich si era brili SeBook - i Simonelli electronic Book 362

lantemente laureato in Medicina all’Università di Kiev ed aveva anche iniziato con passione, dedizione e successo la professione clinica. Tuttavia, come egli stesso racconta nella propria autobiografia, durante un lungo viaggio in treno, in uno scompartimento di terza classe ed alla luce di un lume a petrolio, gli venne l’estro di comporre il suo primo racconto che, appena giunto alla stazione di destinazione consegnò alla redazione del quotidiano locale. Il racconto fu accettato e pubblicato. Questo evento cambiò la direzione della sua vita. Da quel momento Michail Afanas’evich riconobbe nella letteratura la sua autentica vocazione e questa finì per condurlo nella misteriosa Mosca dove, insieme alla prima moglie, egli fece la traumatizzante esperienza della coabitazione in un appartamento comune. Al posto della spaziosa e comoda casa paterna, egli ebbe i SeBook - i Simonelli electronic Book 363

una sola stanza nell’appartamemto numero 50, al numero 10 della Bolshaja Sadovaja. Da quel momento il sogno di un appartamento di cinque stanze in uso esclusivo sarà l’ossessione di tutta la sua vita, ossessione ampiamente riflessa nella sua opera. All’inizio del libro secondo del Maestro e Margherita, viene introdotta l’eroina: Seguimi lettore! Chi thi ha detto che non c’è al mondo un amore vero, fedele, eterno? Gli taglino la lingua malefica a quel bugiardo. Seguimi lettor mio, segui me solo, e io ti mostrerò un simile amore..... Margherita Nikolaevna e il marito occupavano da soli tutto il piano superiore di una bellissima palazzina con giardino in uno dei vicoli vicino all’Arbat... Margherita Nikolaevna non era a corto di quattrini, poteva comprarsi tutto quello che voleva.. .. Margherita Nikolaevna non toccava mai il fornello a petrolio, non i SeBook - i Simonelli electronic Book 364

sapeva quanto fosse orribile la vita in un appartamento comune. Insomma...era una donna felice? No nemmeno per un minuto. Di che cosa aveva bisogno quella donna?... Aveva bisogno di lui, del Maestro e non d’una palazzina gotica, nè di un giardino particolare, nè di quattrini. La dimostrazione più convincente dell’amore vero, fedele ed eterno è la scelta, cui Margherita è prontamente disposta, di abbandonare gli agi della palazzina gotica sull’Arbat, adattandosi a vivere in un sordido scantinato di due stanze, pur di stare accanto al Maestro. Un altro appartamento moscovita riveste nel Maestro e Margherita un ruolo di preminente rilevanza ed assurge quasi al rango di protagonista, così come fa la Città nella Guardia Bianca. Si tratta dell’appartamento numero 50 sulla Sadovaja, lo stesso in cui, i SeBook - i Simonelli electronic Book 365

nella vita reale, Bulgakov subì il tormento della coabitazione. Nella finzione letteraria esso è condiviso dal Direttore del Teatro di Varietà Stëpa Lichodeev e dal presidente del MASSOLIT12 Michail Aleksandrovich Berlioz, lo stesso che, nel primo capitolo, scivola dal marciapiede e viene decapitato dalle ruote di un tram, così come poco prima predettogli dal Diavolo, alias il professor Woland. L’appartamento numero 50 diventerà il quartiere generale della delegazione infernale, guidata da Woland e formata, oltre che da Korov’ev, Azazello ed il Gatto Begamoth, anche dalla impudica cameriera Hella, che gira per le stanze completamente nuda, con un grembiulino di pizzo ed una crestina sul capo, e la cui perfetta, anche se alquanto diafana bellezza fisica, è compromessa soltanto da un unico piccolo difetto: una vistosa cicatrice rossa attorno al collo. i SeBook - i Simonelli electronic Book 366

La morte dell’occupante Berlioz solleva gli appetiti di decine di persone che aspirano a succedergli nell’assegnazione dell’appartamento ed assediano con le loro richieste il presidente della cooperativa degli inquilini Nikanor Ivanovich Bosoj. Tra questi aspiranti ve ne è uno particolare: è lo zio acquisito del defunto, l’economista-pianificatore Maksimilian Andreevich Poplavskij, residente a Kiev. Ma, scrive Bulgakov, Chi sa perchè, Kiev a Maksimilian Andreevich non piaceva, e il pensiero di trasferirsi a Mosca, negli ultimi tempi lo rodeva al punto che aveva persino cominciato a perdere il sonno. Quasi come in un controcanto alle descrizioni della Guardia Bianca, le sensazioni ed i desideri del cinico e gretto economista-pianificatore procedono in senso opposto: Non lo rallegravano le piene primaverili del Dnepr, quando allagando le isole sulla riva i SeBook - i Simonelli electronic Book 367

bassa, l’acqua si fondeva con l’orizzonte. Non lo rallegrava il panorama di una bellezza sconvolgente che si apriva dal piedistallo della statua del principe Vladimir. Non lo allietavano le macchie di sole che giocavano in primavera sulle stradette ammattonate della Vladimirskaja gorka. Non voleva niente di tutto ciò, una cosa sola voleva: trasferirsi a Mosca. Ed alla realizzazione di questo progetto appare utilissima l’inattesa ed improvvisa morte del nipote Berlioz che egli stesso gli annuncia in un incredibile telegramma: Sono schiacciato da tram ai Patriarshie. Stop. Funerale Venerdì ore quindici. Stop. Vieni. - Firmato: Berlioz. L’avidità di impadronirsi, quale suo unico erede, dell’appartamento del nipote è tale e la contorta intelligenza bizantino-burocratica dell’economista-pianificatore è siffatta, che, tramite alcune ardite ipotesi su possibili errori di trasmissione del telegramma, i SeBook - i Simonelli electronic Book 368

egli riesce a renderne il testo surreale perfettamente logico e favorevole ai suoi inconsci desideri. Così sale sul treno per Mosca dove, nell’appartamento numero 50, avrà la sfortuna di fare conoscenza con l’intera troupe diabolica di Messer Woland. Tornatene subito a Kiev - gli ordinerà Azazello - Stattene lì tranquillo come un agnellino e togliti dalla testa tutti gli appartamenti di Mosca. Chiaro? Aperta la sua valigia da cui, invece che carte di pianificazione economica, escono un paio di mutandoni, una cinghia per affilare il rasoio ed un pollo arrosto avvolto in una bisunta carta da giornale, Azazello scaraventerà il supponente Maksimilian Andreevich giù per le scale dello stabile numero 320 a colpi di coscia di pollo fritto sul testone burocratico. Nell’episodio del meschino ed avido zio kieviano si ravvisa quasi un’inconsapevole autoflagellazione dell’autore che ha abbandoi SeBook - i Simonelli electronic Book 369

nato la Città per trasferirsi nella misteriosa Mosca, centro del nuovo potere bolshevico, e vi trascina ora una vita di disillusioni e di frustrazioni in squallide abitazioni simili allo scantinato del Maestro. Però ad abbandonare Kiev, Bulgakov non fu spinto soltanto dall’ambizione letteraria. Kiev, l’adorata, la colta, la prospera e borghese Città della giovinezza di Michail Afanas’evich era già perduta prima ancora della sua partenza. L’antico ordinamento della Russia Tsarista era tramontato per sempre e Bulgakov riteneva che così dovesse essere per un’ineluttabile necessità storica. Il nuovo ordine bolshevico, vittorioso a Mosca, era quello della coabitazione negli appartamenti comuni, quello della tirannide burocratica che si traduceva nella quotidiana sottomissione ad un imperante e vigliacca meschineria piccolo borghese. Ma quale alternativa sussisteva per Kiev? Forse il governo i SeBook - i Simonelli electronic Book 370

fantoccio dell’Etmano Skoropadskij, insediato e sostenuto dalle truppe germaniche? Esso non era una cosa seria; nella Guardia Bianca lo scrittore lo definì una volgare operetta... Ma non una mera operetta, bensì una con grande spargimento di sangue. L’Etmano, in ogni caso era fuggito non appena il suo imperiale sponsor Guglielmo aveva a sua volta precipitosamente abbandonato Berlino alla volta della neutrale Olanda, dopo la disfatta Austro Tedesca. Restava Petljura, il nazionalista ucraino che per il breve volgere di un mese avrebbe occupato Kiev e formato un governo indipendentista. La narrazione de la Guardia Bianca termina esattamente un attimo prima dell’ingresso delle Bande di Petljura nella Città. Sembra che lo scrittore non abbia avuto il cuore per descrivere quella che ai suoi occhi fu un’autentica e sacrilega profanazione della i SeBook - i Simonelli electronic Book 371

madre di tutte le città russe. Nel romanzo di Bulgakov Petljura non appare come una persona; il suo cognome è semplicemente l’evocazione di un terribile incubo senza volto: Petljura! Petljura! Petljura. La parola cominciò a rimbalzare dai muri, dai grigi bollettini telegrafici. Al mattino, dai fogli dei giornali essa gocciolava nel caffè, e in bocca la divina bevanda tropicale immediatamente si trasformava nella più nauseante brodaglia...Nessuno proprio nessuno sapeva cosa, di preciso, volesse combinare questo Petljura in Ucraina, ma decisamente tutti sapevano che, misterioso e senza volto (benchè dopo tutto i giornali di tanto in tanto pubblicassero nelle loro pagine la prima fotografia capitata in redazione di un prelato cattolico, ogni volta diverso, ma sempre con la didascalia: Simon Petljura), egli desidera conquistarla, l’Ucraina, e per conquistarla egli veniva a prendere la Città. i SeBook - i Simonelli electronic Book 372

Il nazionalismo ucraino prima fomentato dal giornalista rivoluzionario Simon Petljura e poi tradotto in bande armate dallo stesso giornalista trasformatosi in generale era per Bulgakov il male assoluto, la negazione stessa dello spirito della Città. Populista, anti-russo ed anti-semita, quel nazionalismo, privo di una propria tradizione culturale e letteraria sulla quale fondarsi, cercava le sue radici nella tradizione cosacca, in quel miscuglio cioè di spavalderia e scaltrezza che i cosacchi avevano mutuato dalla loro commistione con Tartari e Turchi e che era semplicemente fatto per orripilare Bulgakov. Meglio l’opprimente ordine bolshevico piuttosto che la negazione di tutta la tradizione culturale russa incarnata nelle convulsioni nazionaliste dell’Ucraina. Questo è forse il senso recondito della scelta di Mosca da parte dello scrittore innamorato della madre di tutte le città russe. Così le sue i SeBook - i Simonelli electronic Book 373

spoglie mortali riposano ora nel Novodevich’e Kladbishe a fianco del conterraneo Gogol’ nel centro di quella città che raccolse e rifondò il legato storico della Kievskaja Rus’. La tomba di Petljura si trova invece nel Cimitero di Mont-Parnasse a Parigi. Egli fu assassinato nella capitale francese nel 1926 da un certo Sholom Schwartzbard, un orologiaio ebreo di origine ucraina che si era arruolato nella Legione Straniera e che dopo aver compiuto il proprio omicidio si lasciò tranquillamente arrestare dalla Polizia dicendo: io ho ucciso un grande assassino. Benchè molti sospettassero che Schwartzbard potesse essere un sicario bolshevico, la giuria francese che giudicò l’ebreo accolse in toto la tesi del suo difensore, l’illustre giurista Henri Torrès e pronunciò un verdetto di assoluzione. Con il suo gesto Sholom Schwartzbard aveva vendicato i SeBook - i Simonelli electronic Book 374

l’eccidio di quindici membri della propria famiglia, inclusi i suoi stessi genitori, perpetrato dalle bande di Petljura nel Pogrom di Odessa. Nel 2005 il Presidente Ucraino Yushenko, durante una visita di stato in Francia depose una corona di fiori sulla tomba di Simon Petljura. Il resto è silenzio.

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6. Di cucina, di favole e di cinema Il filosofo Ludwig Feuerbach sostenne che l’uomo è ciò che mangia. Il giudizio è alquanto estremo, ma allude a delle importanti verità. È difficile penetrare completamente i segreti dell’anima di qualunque nostro simile fino a che non si è condivisa con lui, non una sola volta, bensì in più occasioni, la più basilare delle azioni umane che è appunto quella di alimentarsi. La tavola conviviale è un insostituibile strumento di approfondimento della reciproca conoscenza. Attraverso i gusti, le preferenze ed i riti alimentari di una persona si possono rivelare aspetti del suo carattere, che ore intere di conversazione verbale non varrebbero a farci scoprire. Ciò che vale per gli individui vale a maggior ragione per i popoli. È imi SeBook - i Simonelli electronic Book 376

possibile comprendere lo spirito di una cultura umana senza aver gustato i sapori della sua cucina, senza aver provato le emozioni che essi suscitano. E non si può nemmeno dimenticare che in ogni comunità umana, anche la più primitiva, la preparazione dei cibi e la loro assunzione sono azioni sempre pervase di una profonda ritualità, le cui radici sono generalmente antichissime. Le tradizioni culinarie, a saperle leggere, sono dunque degli interessantissimi veicoli di penetrazione nelle profondità dello spirito di un popolo e ci conducono nella stessa regione dell’archeo-immaginario collettivo da cui traggono origine i miti e le favole nazionali. Se per la comprensione di un popolo è indispensabile sapere che cosa esso mangia, altrettanto essenziale è conoscere come e di che cosa esso ride. La trasposizione teatrale i SeBook - i Simonelli electronic Book 377

della vita è, al pari dell’alimentazione e della fabulazione, una delle azioni più basilari ed antiche dell’Umanità. Per questi motivi, dedico questo capitolo ad alcune considerazioni sulla maniera russa di interpretare i temi evocati nel suo titolo. 6.1 A proposito della cucina russa La base dell’alimentazione nelle popolazioni rurali slave era fornita dai cereali e dalle verdure, con le quali si preparavano insalate, zuppe e polentine dette kasha, nonchè pane ed altri prodotti da forno. Un proverbio contadino russo recita: Shi da kasha pisha nasha cioè: zuppa di cavoli e polenta, questa è la nostra pappa quotidiana. Con la parola kasha, presente con minime varianti in tutte i SeBook - i Simonelli electronic Book 378

le lingue slave, si denotano delle vivande ottenute bollendo in acqua grani di vari cereali, fino ad ottenere una poltiglia, densa come la nostra polenta. Vi è un’ampia varietà di kashe a seconda del tipo di granaglie utilizzate e degli ulteriori ingredienti aggiunti, che possono essere, sale, zucchero, latte, frutta od anche marmellate. Benchè di origine molto antica, questo tipo di cibo è tuttora usatissimo su tutte le tavole slave ed in particolare, secondo la tradizione, è un costituente fondamentale della prima colazione russa. Anticamente la kasha veniva bollita in un pentolone posto sopra la stufa della itzbà, oggi viene cucinata in una casseruola sul fornello a gas, ma la ricetta è rimasta essenzialmente invariata. La grechnevaja kasha, che si ottiene dalla bollitura del grano saraceno è il tradizionale rancio dei soldati nelle armate russe. L’associazione tra il servizio militare e la kasha è così stretta che i i SeBook - i Simonelli electronic Book 379

cuochi militari vengono popolarmente chiamati i kashevary, cioè i bollitori di kasha ed i soldati hanno ribattezzato alcune di queste polente con il nome di temibili armamenti. Ad esempio la kasha di orzo perlato viene chiamata lo shrapnel, come la funesta bomba a frammentazione che falcidiò tante giovani vite nelle trincee della prima guerra mondiale. Un’altra kasha notissima ai russi di tutte le generazioni è la mannaja kasha. Essa è preparata con la farina di semola e cotta nel latte, ovvero nell’acqua, è la prima colazione tradizionale che le mamme russe ammanniscono ai propri figli prima che escano di casa per andare a scuola. Quasi tutti i bambini l’hanno odiata e tutti i libri per ragazzi abbondano in storielle di Pierini che nascondono la mannaja kasha sotto il tavolo, la gettano dalla finestra o provano inutilmente a farla mangiare al cane ovvero al gatto. i SeBook - i Simonelli electronic Book 380

Tradizionalmente vi è una ampia varietà di zuppe fra le quali le più famose sono per l’appunto lo shi che è una minestra a base di cavoli, il borsh, il cui ingrediente principale è costituito dalle barbabietole rosse bollite fresche, il rasolnik e la ukhà che è una zuppa di pesci di fiume. Oltre a queste, tra le più tradizionali zuppe russe vanno enumerate anche la botvinia e la okrhosko che è una minestra fredda tipicamente estiva. Prima della grande diffusione delle patate venute dal Nuovo Mondo, come base dei contorni c’erano, nella dieta russa, soprattutto le rape bianche. 6.1.1 Ricetta per la okroshko ed il kvas Ingredienti: 1 hg. di malto, 2 hg di farina di segale, 50 gr di farina di grano saraceno, 50 gr. di farina di frumento, 5 gr. di lievito di birra, un rametto di menta ed i SeBook - i Simonelli electronic Book 381

un mazzetto di prezzemolo, una rapa ed una patata lessate, due cipolle ed un cetriolo fresco, un rametto di finocchietto selvatico, tre uova, sale, pepe e senape. Procedura: Iniziare la preparazione molto tempo prima (almeno dodici ore) con l’allestimento del kvas: mettere tre cucchiai di farina in una ciotola e diluirla con mezzo bicchiere d’acqua tiepida, in cui sia stato sciolto il lievito. Coprire il recipiente e far lievitare per un paio d’ore. Trascorso questo tempo, aggiungere all’impasto lievitato il malto e diluire il tutto con un litro d’acqua tiepida, versandola poco alla volta, aggiungendo, via via, anche le farine: quella di grano saraceno, quella di segale e quella di frumento. Fare di tutto un liquido omogeneo e metterlo a fermentare per dodici ore. Trascorso questo tempo mettere nel kvas tutte le verdure i SeBook - i Simonelli electronic Book 382

e le erbette spezzettate minutamente(crude e cotte, così come sono indicate) poi, versata la zuppa fredda nella zuppiera, sciogliervi la senape e cospargerla di menta, prezzemolo e uova sode tritate. Servire fredda. Il kvas, la cui preparazione tramite la fermentazione di varie farine è descritta nella ricetta della okroshko, non è soltanto usata come brodo per questa particolare zuppa, ma è anche la più tipica e più diffusa bevanda non alcolica russa. È quasi un simbolo nazionale. Di colore giallobruno, trasparente, ma leggermente torbida, il kvas viene bevuto freddo, soprattutto d’estate e può essere acquistato ovunque, agli angoli delle strade, nelle stazioni ferroviarie, nei negozi. Tipici sono, a giugno e luglio, i venditori ambulanti di kvas, che i SeBook - i Simonelli electronic Book 383

girano con dei carrettini, sui quali la bevanda viene trasportata dentro a degli otri a forma di piccola cisterna, dotata di un rubinetto dal quale il biondo liquido esce direttamente a riempire tazze, bottiglie o bicchieri. 6.1.2 La smetana e le due rane Quale condimento principale tradizionalmente onnipresente sulle tavole russe vi è la smetana, una particolare forma di panna acida che viene aggiunta alle zuppe, alle insalate ed ai pel’meny, i famosi tortellini siberiani. A proposito della smetana esiste un apologo popolare che così ci racconta: un giorno due ranocchie saltavano e risaltavano di qui e di là ed a forza di saltare finirono per atterrare proprio dentro ad un barile di smetana. Una delle due bestiole subito si rassegnò al suo destino: - nulla - essa pensò - si può fare per sali SeBook - i Simonelli electronic Book 384

varsi da una così tragica situazione - e, piegate le zampette, si lasciò sprofondare, annegando. L’altra, al contrario, cominciò ad annaspare, sguazzare e dimenarsi e tanto ella sbattè finchè la smetana non si tramutò tutta in burro. In tal modo, la seconda ranocchia riuscì a saltar fuori dal barile, viva ed incolume. Questa delle due rane, è un esempio di ciò che in lingua russa è denominato pritcha, cioè una favoletta educativa con morale finale. Anche in occidente vi è una lunga tradizione di siffatti racconti che parte dall’antichità classica con Esopo e poi Fedro ed attraverso gli eleganti versi di La Fontaine giunge fino alle letterature moderne. Anche in occidente gli animali personificati sono sovente i protagonisti di questi apologhi morali. Tuttavia caratteristica dello spirito slavo, messa in luce dalla parabola delle due rane, è la contiguità del mondo animale con quello umano. Le due i SeBook - i Simonelli electronic Book 385

rane infatti rischiano di annegare non in una cascata od in un fiume tumultuoso, ma in un barile di smetana, cioè nel cortile del muzhik e proprio davanti alla sua stalla, dove egli, probabilmente, ha appena finito di mungere la sua mucca. Le rane sono creature selvatiche della natura, ma la smetana è un prodotto dell’uomo ed i due mondi sono strettamente intrecciati. Tra gli altri latticini tipicamente russi compare il tvorog cioè una variante della nostra ricotta, con il quale si fanno i sirniki cioè delle crêpes al formaggio. Bisogna sottolineare che una grande influenza sulla cucina tradizionale fu esercitata dalla chiesa ortodossa, poichè quasi la metà dei giorni dell’anno erano, secondo il calendario liturgico greco-giuliano, giorni di astinenza, durante i quali certe categorie di cibi erano vietate. Proprio per questo motivo nella dieta tradizionale slavo-orientale prevalgono i SeBook - i Simonelli electronic Book 386

i piatti a base di funghi e di pesce, gli alimenti tratti dal grano e le verdure, nonchè i frutti di bosco ed una grande varietà di erbe fresche. Molti piatti russi tipici dei giorni di digiuno o non hanno analogo nelle cucine straniere oppure sono all’origine di preparazioni che i popoli confinanti hanno appreso dagli slavi e poi diffuso altrove. Fra questi possiamo citare i cavoli fermentati che tedeschi ed austriaci hanno adottato dalle popolazioni slave della Prussia Orientale o della Galizia e poi utilizzato su vasta scala, i cetrioli in salamoia ed i funghi porcini seccati, divenuti popolari anche in Italia settentrionale, ma di indubbia derivazione slava. Le verdure, abbondanti sulla mensa russa, si mangiavano e si mangiano tuttora, non solo crude, ma anche bollite, cotte al vapore, affumicate, fermentate, salate o marinate. La ricca varietà di polente (kashi) presente nella cucina i SeBook - i Simonelli electronic Book 387

russo-ucraina, di cui si è già parlato, riflette la grande moltitudine di cereali e granaglie che la ricca terra nera, culla della civilizzazione russa, poteva e può tuttora produrre. Del Borsh esiste un numero quasi infinito di varianti, ma la base è sempre data dalle barbabietole rosse, cvekla in lingua russa. Una fra le mille possibili ricette è la seguente. Ingredienti: 250 gr di polpa di vitellone, due o tre barbabietole rosse fresche, 2hg di cavolo cappuccio, una patata, 1 hg di fagioli cotti, una mela, una carota, una cipolla, un mazzetto di prezzemolo, due cucchiai di salsa di pomodoro, un pezzetto di pancetta, un bicchiere di birra, una tazza di smetana, sale, pepe, alloro. Procedura: Mondare il cavolo. Affettarlo sottilmente e calarlo nel brodo in cui sarà stata lessata la carne (poi tolta). Farlo cuoi SeBook - i Simonelli electronic Book 388

cere per un quarto d’ora, quindi aggiungervi la patata, la carota, la mela, tagliata a dadini e le barbabietole, in precedenza fatte saltare nel burro (anch’esse a cubetti). Insaporire il composto con salsa di pomodoro, sale e pepe: quindi aggiungervi la birra, una foglia di alloro e la smetana. Portare il tutto ad ebollizione e farlo cuocere ancora per una ventina di minuti. A cottura ultima unirvi i fagioli cotti e la carne tagliata a cubetti. Versare la zuppa nella zuppiera. Spargere sulla sua superficie un trito di prezzemolo e pancetta e servire subito. Oltre frontiera la cucina russa è conosciuta soprattutto per piatti e prodotti quali i blinỳ, ed i pel’meny. Ciascuna di queste vivande trae origine da ambienti geografici e da stili di vita molto diversi, rivelando aspetti differenti della complessa vicenda storica russa. i SeBook - i Simonelli electronic Book 389

6.1.3 I pel’meny Per molti versi i pel’meny assomigliano ai tortellini italiani. Sono fatti di pasta fresca sottile con un ripieno di carni miste; secondo la ricetta più tradizionale per il quaratacinque per cento bovine, per il trentacinque per cento ovine e per il venti per cento suine. Oggi più difficili da trovare, i pel’meny originali dei cacciatori siberiani avevano invece un ripieno di carne d’orso. Si includono anche verdure, ma limitatamente alle cipolle, ai cavoli e talvolta ad un po’ di patate. I pel’meny vengono usualmente conservati surgelati ed in tale stato si buttano direttamente nell’acqua bollente per quattro o cinque minuti, dopo di che vengono serviti conditi con burro o smetana, talvolta con rafano ed aceto. i SeBook - i Simonelli electronic Book 390

La conservazione surgelata non è una pratica della sola modernità ma è antica ed è connessa all’origine storica della ricetta. Questa non è del tutto certa, ma secondo una delle opinioni più accreditate deve ritenersi di provenienza uralica. A quanto sembra i pionieri e gli esploratori russi trovarono in uso presso la popolazione dei Komi, di lingua ugro-finnica e residenti negli Urali settentrionali, un piatto molto simile agli odierni pel’meny da loro denominato pelnyan. Questa parola in lingua Komi significa orecchia di pane e chiaramente fa riferimento alla forma di questo tipo di ravioli. Secondo un’altra teoria i pel’meny furono inventati dai cacciatori di pellicce che avevano bisogno di portare con sè, durante le lunghe spedizioni invernali nelle foreste ghiacciate, un cibo altamente nutriente, comodo da trasportare e che potesse essere conservato a lungo gelato. Secondo una terza i SeBook - i Simonelli electronic Book 391

teoria i pel’meny hanno una derivazione dai Won Ton cinesi e giunsero in Russia attraverso la mediazione dei cacciatori siberiani. Quale che sia l’esatta origine dei pel’meny è indubbio che nella cultura russa essi vengono comunque associati alla Siberia ed all’ambiente della frontiera settentrionale. Nei villaggi siberiani, alla fine dell’estate era tradizionale utilizzare la farina e tutte le carni disponibili per preparare grandi quantità di questi raviolini che venivano poi chiusi in sacchi di tela e disposti sui tetti delle itzbe dove le rigidissime temperature, in arrivo con le prime nevi, fornivano un naturale sistema di surgelazione a costo zero. Nelle lunghe serate invernali i pel’meny venivano poi bolliti poco alla volta per fornire un cibo nutriente ed energetico, indispensabile a superare le proibitive condizioni climatiche e sopravvivere fino alla primavera. i SeBook - i Simonelli electronic Book 392

La Russia raccontataci dai pel’meny è dunque la Russia della frontiera e della sua epopea per la conquista dell’Est. Speculare alla conquista dell’Ovest nella storia americana, la corsa ad oriente dei Russi condivide con la cugina d’oltre-oceano alcuni aspetti, ma se ne differenzia per altri essenziali. Anche nelle pianure e nelle montagne siberiane si formò un ambiente di frontiera con esploratori, cacciatori ed avventurieri. Anche qui l’uomo si misurò con preponderanti forze della natura e con tribù primitive tendenzialmente ostili. Anche qui vi furono emigranti e coloni provenienti dalla Russia europea, ma il movimento di genti, rigidamente controllato dal minuzioso ed autoritario apparato burocratico del governo imperiale, mancò dello spirito democratico e spontaneo dei free soilers americani che riuscì a trasformare l’Ovest Americano in i SeBook - i Simonelli electronic Book 393

una comunità di liberi cittadini, fondatori di nuovi stati dell’Unione ed anche in un miraggio di speranza per i poveri intraprendenti di tutto il mondo. La Siberia al contrario, nonostante lo spirito della frontiera che pure ci fu e che i pel’meny in parte ci raccontano, si trasformò nel paese dei deportati, prima delle katorghe dello Zar, poi dei lager e dei campi di lavoro del Compagno Stalin. Oggi i pel’meny si possono comperare surgelati in qualsiasi supermercato e si possono gustare con vari condimenti in molti ristoranti. Personalmente ne feci largo uso durante il mio soggiorno a Kiev, perchè le caratteristiche che li facevano prediligere ai cacciatori siberiani si adattavano perfettamente anche alle esigenze di un professore solitario in terra straniera. Estratti dal frigorifero, dove ne tenevo sempre provvista, e gettati nell’acqua bollente, i SeBook - i Simonelli electronic Book 394

si costituivano in soli pochi minuti in una cena gustosa e sostanziosa che potevo consumare inaffiata da buona birra ucraina, di cui pure non mi lasciavo mai privo. Introdussi però una variante che ai cacciatori siberiani sarebbe stato difficile adottare. Invece della smetana, mi presi la libertà di condire i pel’meny con olio di oliva crudo ed il risultato fu, a mio gusto, assolutamente ottimo. Devo però ammettere che i migliori pel’meny che io ebbi l’occasione di assaggiare mi furono serviti in un ristorante della città di Dubna, in Russia, e quella volta essi non erano affogati nell’olio mediterraneo. Arrivarono dentro ad una pentolina di terracotta, chiusa da un coperchio dello stesso materiale: apparentemente non erano stati preventivamente bolliti ma, ponendo per una ventina di minuti l’intera pentolina in un forno preriscaldato, i pel’meny si erano cotti in un bagno di i SeBook - i Simonelli electronic Book 395

smetana, di fughi porcini e di varie erbette profumate. Accompagnati da una insalatina di cavolo crudo e da alcune tartine di pane con caviale rosso, i pel’meny al forno composero per me una cenetta veramente saporita e certamente da far invidia a Michele Strogoff. 6.1.4 I blinỳ1 I blinỳ sono delle frittelle morbide simili alle crêpes francesi, ovvero ai pancakes americani. La parola blin viene dall’antico slavo mlin in cui si riconosce la radice indoeuropea che denomina l’operazione di macinare il grano e produrre la farina: si pensi ad esempio all’inglese miller al tedesco möller oppure all’italiano molino. La forma più antica della radice si è conservata nella parola ucraina che designa i blinỳ e che suona: mlinets. Per gli slavi pre-cristiani i blinỳ avevano probabili SeBook - i Simonelli electronic Book 396

mente un significato rituale in quanto simbolo del sole a causa della loro forma rotonda. In ogni caso si tratta di un piatto antichissimo e si può dire che in passato nessun altro piatto della cucina russa potè rivaleggiare con la popolarità dei blinỳ. I blinỳ accompagnavano il russo tutta la vita, dal giorno della nascita, quando era consuetudine nutrire con essi la partoriente, fino al giorno della morte. I blinỳ, infatti, sono una vivanda obbligatoria in occasione delle cene rituali che si tengono a ricordo dei defunti. Nessuno sa con precisione quando i blinỳ comparvero per la prima volta sulle tavole russe, ma come si è già detto, è certo che essi erano già una vivanda rituale presso le antiche tribù slave pagane, probabilmente ancor prima della nascita della Rus’ di Kiev. Nel folclore russo le più svariate credenze e le più differenti tradizioni sono state assoi SeBook - i Simonelli electronic Book 397

ciate ai blinỳ. Prima di ogni altra cosa, però, queste delicatezze, obbligatorie al tempo della Maslenitza, sono un attributo indispensabile della grande festa di primavera. Maslenitza è una parola russa che può essere tradotta come carnevale, tuttavia è meglio non tradurla poiché essa denomina qualcosa di molto più antico e pre-cristiano. La radice viene da maslo che in lingua russa denota il grasso alimentare da condimento, cioè l’olio, il burro ovvero la margarina. È infatti una peculiarità del russo che per l’olio e per il burro non esistano parole differenti, essendo entrambi questi alimenti chiamati con lo stesso nome: maslo. Si distingue tra rastitel’noe maslo, cioè grasso vegetale, come sono generalmente gli oli e slivochnoe maslo cioè grasso di panna, come è il burro. In ogni caso Maslenitza è un nome femminile che richiama il concetto di grasso, unto, abbondante. L’associazione tra Maslenitza è i SeBook - i Simonelli electronic Book 398

blinỳ è riflessa in molti proverbi ed espressioni idiomatiche come le seguenti: Così come nella settimana grassa, i blinỳ volavano fino al soffitto2, oppure senza blinỳ non c’è festa3, od anche sulle amarezze scivola via come sui pattini, nei blinỳ buttati a capofitto4 Nell’antichità la Maslenitza era la festa più allegra dell’anno. Secondo la leggenda, Maslenitza nacque nel Grande Nord e suo padre era il Gelo. Un giorno, proprio nel periodo più rigido e più malinconico dell’anno, l’Uomo la vide mentre tentava di nascondersi dietro a giganteschi cumuli di neve; egli la pregò di venire ad aiutare la gente a riscaldarsi e divertirsi un po’. E Maslenitza venne, però non nella forma dell’esile e fragile fanciulla che si nascondeva nel bosco, bensì in quella di una donna robusta e corpulenta che aveva gote grasse e rubiconde, occhi astuti e penetranti e sulle labbra non già un sorriso, ma un ghigno i SeBook - i Simonelli electronic Book 399

ironico. Maslenitza obbligò l’Uomo a dimenticarsi dell’Inverno, riscaldò il sangue nelle sue vene, lo afferrò con le mani e si mise a danzare con lui fino al deliquio. Il Popolo Russo chiamò Maslenitza con molti diversi nomi, l’Allegra, l’Ampia, la Scapestrata, la Sorella dei Trenta Fratelli, la Nipote delle Quaranta Nonne, la Figlia delle Tre Madri. Il fatto è che Maslenitza era la personificazione della festa scatenata: una festa che durava un’intera settimana e per questo, nella successiva era cristiana, fu introdotta la denominazione di Ultima Settima prima del Grande Digiuno, cioè della Quaresima. Il Giovedì cominciava la grande Maslenitza. Si festeggiava molto rumorosamente. In quei giorni non era peccato: Bere fino a non poterne più; Cantare fino all’esaurimento; Danzare fino a cadere esausti. i SeBook - i Simonelli electronic Book 400

Ogni massaia si sforzava di trattare regalmente i propri famigliari ed i propri ospiti e come piatto principale c’erano sempre i blinỳ. Nel Giorno dei Golosi5, cioè il Mercoledì della Settimana Grassa, le suocere invitavano i generi con le loro mogli per i blinỳ. Soprattutto questa usanza si applicava in relazione alle giovani coppie da poco sposate. È certamente da questa antica usanza che trae origine l’espressione dalla suocera per i blinỳ6. Per consuetudine in quel giorno, dedicato al compiacimento del nostro caro piccolo genero7 si univa alla festa tutto il parentado. Successivamente il Venerdì, nel Giorno della Suocera il genero invitava a sua volta Suocera e Suocero per festeggiarli con i blinỳ. In verità questo invito era alquanto sui generis. Secondo la consuetudine, il genero e la figlia invitavano i Vecchi perchè insegnassero loro il corretto modo di i SeBook - i Simonelli electronic Book 401

pensare8 ed un tale invito era ritenuto un grande onore per i genitori, di cui tutti i vicini ed i parenti venivano prontamente informati. 6.1.5 I piroshkì9, il pane nero e la vodka Quando da ragazzo leggevo i racconti di Gogol’, sovente incontravo dei preti di campagna che si ingozzavano di pasticcini di carne e mi chiedevo che cosa fossero mai tali vivande, il cui nome veniva tradotto in italiano in modo tanto misterioso ed intrigante. Venni a capo dell’enigma soltanto moltissimi anni dopo, durante il mio soggiorno kieviano del 2002. I pasticcini di carne degli ingordi batjushky gogoliani erano naturalmente i piroshkì, un prodotto della tradizione alimentare russo-ucraina talmente tipico e diffuso, che non se ne può trai SeBook - i Simonelli electronic Book 402

lasciare menzione senza distorcere completamente il sapore ed il profumo di quella tradizione. La parola piroshkì è il diminutivo plurale del sostantivo pirog che i vocabolari traducono con le parole torta-pasticcio. In Russia, con pirog può essere denominata una normale torta dolce, alternativamente chiamata con nome latino tort, od una torta salata, ma i piroshkì sono in realtà dei panini ripieni fritti nell’olio. Il ripieno può essere vario, ma i più comuni e tradizionali sono i mjaznie piroshkì riempiti di carne ed i piroshkì s kapustoi, il cui cuore è fatto di cavoli cotti. Grandi piatti colmi di piroshkì rallegrano tutte le feste, le riunioni famigliari, le cene di lavoro o le celebrazioni di compleanni. Essi, però, possono essere acquistati anche per strada, dai venditori ambulanti, o nei piccoli e numerosissimi kioski che veni SeBook - i Simonelli electronic Book 403

dono cibarie, bevande, fiammiferi, candele, pile, lampadine elettriche ed altri semplici oggetti di prima necessità. Tre o quattro piroshkì con una bottiglia di birra, oppure una tazza di tè caldo, costituiscono una comoda e veloce soluzione per il pranzo di chi lavora ed ha fretta. Fino a qualche anno fa, una manciata di kopeki era sufficiente a procurarsi un tale gustoso spuntino. Durante il mio soggiorno kieviano del 2002, i piroshkì erano il mio abituale pranzo di mezzogiorno. Proprio dietro all’Istituto Bogolyubov c’era un kiosk dove, girato l’angolo, acquistavo due pasticcini s mjasom e due s kapustoi. In questo modo avevo pietanza di carne e contorno di verdura. Lasciando la birra per la cena serale a base di pel’meni o di vareniki10, dopo l’acquisto rientravo nel Laboratorio con il mio pacchettino di carta oleata e ne consumavo il i SeBook - i Simonelli electronic Book 404

contenuto bevendo tè caldo, che mi preparavo nella cucinotta comune, sita al secondo piano, a fianco dell’aula per le conferenze. Al mio stesso kiosk si rifornivano di piroshkì anche gli operai di un vicino cantiere di lavori stradali. Essi però non rimandavano alla sera l’accompagnamento del pasto con bevande alcoliche. Ognuno di loro, insieme al pacchettino con i pasticcini di carne e di cavolo, comperava anche una bottiglietta contenente un quarto di litro di vodka. Il trasparente liquido, dal forte sapore che brucia la gola, avrebbe aiutato il cibo a scendere nello stomaco e riscaldato le membra, aggredite dal freddo intenso dell’inverno sarmatico. La vodka! Come si può parlare dell’Anima Russa senza parlare del celeberrimo liquore che, al pari delle mura del Cremlino costituisce quasi un simbolo della Nazione? i SeBook - i Simonelli electronic Book 405

Sembra che il primo a distillare qualcosa di simile alla vodka sia stato il famoso medico ed alchimista persiano Mohammad Ibn Zakariya al-Razi, vissuto tra la fine del nono e l’inizio del decimo secolo e noto nei testi latini alto-medievali con il nome di Rhazes. AlRazi per primo riuscì a produrre l’etanolo tramite il processo di fermentazione. A causa della proibizione coranica di tutte le bevande alcoliche, l’etanolo ottenuto dal medico ed alchimista persiano non divenne l’ingrediente di un liquore, bensì fu usato come disinfettante nell’ospedale Muqtadari di Bagdad, di cui Al-Razi fu per lungo tempo direttore sanitario e dove egli studiò con metodi sperimentali numerosi casi clinici, dando così inizio alla medicina moderna. In Russia la vodka apparve alla fine del XIV secolo. Nel 1386 l’ambasciatore genovese portò a Mosca, con il nome di aqua vitae, tradotto in russo i SeBook - i Simonelli electronic Book 406

come zhivaja vodà, il primo esempio di distillato, che fu presentato al Gran Principe Dimitri Donskòi. I genovesi avevano appreso il processo di distillazione dell’acquavite dagli alchimisti provenzali che a loro volta l’avevano imparato dagli arabi. Secondo la leggenda, fu intorno al 1430 che il monaco Isidoro del Monastero Chudov, incluso nei territori del Cremlino Moscovita, mise a punto la ricetta della prima vodka (letteralmente acquetta) russa. Nel 1533 fu stabilito il monopolio statale della produzione della vodka e la sua vendita fu ristretta alle tsariovykh kabakakh, cioè alle taverne dello zar. Per lungo tempo nell Rus’ le bevande alcoliche ottenute dalla fermentazione dei cereali furono denominate khlebnoe vinò, cioè il vino di pane. Il termine ufficiale di vodka comparve per la prima volta in un editto del 1751 dell’imperatrice Elisabetta I Petrovna. L’ini SeBook - i Simonelli electronic Book 407

teresse dello stato russo nella produzione e nel commercio della vodka ha radici antiche e si mantenne fino alla nostra epoca con la standardizzazione della vodka statale sovietica. Nel 1914, allo scoppio della seconda guerra mondiale, lo Tsar Nicola II aveva promulgato un divieto di produzione e commercializzazione di tutte le bevande alcoliche su tutto il territorio dell’Impero Russo. Nel Dicembre del 1917 il governo sovietico confermò questo decreto dello Tsar che rimase in vigore fino al 1924. Successivamente la produzione della vodka riprese, ma soltanto nelle distillerie statali e tale situazione perdurò fino alla dissoluzione dell’Unione Sovietica. Bere vodka è un’azione frequentissima nella vita quotidiana russa che trova, come motivazione per farlo, ogni sorta di occasione. Preceduta dalla frase rituale Davai, i SeBook - i Simonelli electronic Book 408

vypiem shto-nybud’ (suvvia, beviamo qualcosa), la libagione di uno o più bicchierini (ryumki) si fa per salutarsi quando ci si ritrova per un arrivo o ci si lascia per una partenza, si fa per celebrare un compleanno od il successo in qualche piccola impresa, così come per consolarsi di qualche piccolo guaio od anche di qualche più significativa sventura. Si beve alla salute dei vivi, come alla pace ed al riposo dei morti. Si beve za druzhbu (all’amicizia) e za zdorovie (alla salute), si beve za nas (per noi) e za vas (per voi). Ogni banchetto ufficiale è innaffiato con fiumi di vodka che si beve soprattutto con i numerosi e variopinti antipasti (zakushki), costituiti da insalate condite con maionese, tartine al caviale, quando esso è disponibile, pesce affumicato condito con salsine e soprattutto cetrioli (ogurtsì) e pomodori in salamoia. i SeBook - i Simonelli electronic Book 409

Nella sua biografia di Pietro il Grande, Henry Troyat racconta che, insieme ai suoi boiari, il grande Tsar aveva fondato il Concilio della Grande Buffonata, presieduta da un Principe Papa, il cui compito era quello di incitare tutti i membri dell’assemblea a bere senza interruzione e senza reticenze. Durante la terrificante ondata di esecuzioni capitali e di crudeli supplizi, inflitti pubblicamente ai complici del presunto complotto ordito dello Tsarevich Alessio, figlio di Pietro e della sua prima moglie Eudossia, lo Tsar riunisce il Concilio della Buffonata. Lo Tsarevich è stato appena costretto, per aver salva la vita, a firmare e leggere la propria rinuncia alla successione, l’amante di sua madre, il capitano Glebov, agonizza ancora sulla piazza, dove è stato impalato, coperto da un cappotto di pelliccia perchè il freddo non lo uccidesse troppo in fretta troncani SeBook - i Simonelli electronic Book 410

done le sofferenze, il corpo dell’ex vescovo di Rostov, Dosifeo, decapitato, giace ancora sulla ruota, dove gli sono state spezzate le bracce e le gambe prima dell’esecuzione, ed a pochi passi di distanza il nuovo Principe Papa, succeduto al proprio recentemente defunto predecessore, benedice gli invitati con un colpo di vescica di porco immersa nella vodka e li fa comunicare tendendo loro un enorme ramaiolo pieno di acquavite al pepe. La vodka è dunque, insieme alle kashe, ai piroshkì, ai blinỳ ed al kvas, uno dei più importanti prodotti alimentari in cui si trasformano le ricche messi di granaglie offerte dalla generosa terra nera della Rus’. Ovviamente dall’elenco manca ancora un alimento che è fondamentale nella dieta di tutti i contadini europei, cioè il pane. Anche il pane russo ha le sue peculiarità! i SeBook - i Simonelli electronic Book 411

Esistono vari tipi di pane sia di farina bianca che di farina scura, ma il più famoso e pregiato tra di essi è il Borodinskij Khleb, la cui denominazione trae origine da Borodinò, il luogo della battaglia napoleonica descritta da Tolstoj con tanta diffusione di particolari nel romanzo Guerra e Pace. Questo prodotto da forno viene confezionato con farina nera di segala ed insaporito con malto, zucchero, melassa di barbabietola e coriandolo. Secondo la leggenda la ricetta fu inventata in un monastero femminile costruito sul luogo della battaglia di Borodinò dalla vedova di uno dei soldati caduti nello scontro. La ricetta del Borodinskij Khleb contemporaneo fu elaborata nel 1933 dal consorzio delle panetterie moscovite ed è da allora che viene aromatizzato con il coriandolo. Prima della Rivoluzione al posto di questa erba si usava il più mediterraneo timo. i SeBook - i Simonelli electronic Book 412

6.2 Le fiabe popolari russe L’apologo delle rane che cadono nella smetana ci già introdotti alla contiguità del mondo umano con quello animale e le antiche origini precristiane dei blinỳ ci hanno aperto uno scorcio su quell’ambiente rurale degli slavi-orientali, al limite tra le foreste e la fascia della ricca terra nera che, come diceva Lawrence, avrebbe potuto essere un vero e proprio paradiso terrestre per i primi contadini russi, se essi non avessero avuto dei bellicosi vicini. Le fiabe popolari russe che, ogni sera, è tuttora abitudine diffusissima narrare ai bambini di ogni estrazione sociale, traggono origine dallo stesso arcaico ambiente contadino e ne riflettono le condizioni. Protagonisti delle favole sono quasi sempre il muzhik e la sua baba, cioè il coni SeBook - i Simonelli electronic Book 413

tadino e sua moglie, che lo aiuta nei lavori dei campi e nella altre incombenze domestiche. La scena è fornita dalla itzbà, cioè dalla casupola in cui essi vivono, al margine di una foresta e vicino alle rive di un fiume, di un lago o di uno stagno. Comprimari dell’azione sono i vicini di casa del muzhik e della baba, cioè le creature del bosco: volpi, orsi, lupi e diavoli. I diavoli delle fiabe sono tipicamente dei poveri diavoli: spiriti del bosco, dei fiumi o dei laghi essi si concedono il lusso di giocare qualche brutto scherzo agli umani, ma tipicamente finiscono presi a bastonate e ricacciati a pedate là da dove sono usciti. Complessivamente le fiabe popolari russe sono meno truculente di molte loro analoghe latino-germaniche (si pensi a Capuccetto Rosso o a Hansel e Gretel) e, in più di un’occasione, esse trasmettono un messaggio di semplice e bonario i SeBook - i Simonelli electronic Book 414

umorismo. I due esempi che ho scelto sono molto tipici ed illustrano queste caratteristiche. 6.2.1 Sorellina Volpetta e il Lupo Grigio Era affamata la Volpe, correva per la strada e guardava in ogni direzione se mai potesse trovare qualcosa per sopravvivere, da qualche parte. E vide: un Muzhik trasportava del pesce congelato sulla slitta. Corre in avanti la volpe, si stende sulla strada, allunga la coda, piega le zampe..., proprio come morta, morta stecchita. Arrivò il Muzhik, guardò la volpe e disse: - Sarà un bel colletto per la moglie, di vera pelliccia. Afferrò la volpe per la coda e la scaraventò sulla slitta, la assicurò con una coperta i SeBook - i Simonelli electronic Book 415

di tiglio intrecciato e si mise a camminare fianco a fianco al cavallo. Non se ne stette la volpettina coricata a lungo: praticò un buco nella slitta e dagli sotto a buttare giù il pesce. Un pescetto dopo l’altro scaraventò giù tutto il carico e poi anche lei, piano piano, scivolò via dalla slitta. Arrivò il Muzhik a casa. - Ehi, vecchietta - esclamò il Muzhik alla moglie - guarda che colletto di pelliccia ti ho portato. - Dove? - Laggiù sul carro, c’è il pesce e c’è il colletto. Andò la Baba vicino al carro: nè colletto, nè pesce. A quel punto il fatto fu chiaro: quel diavolo di volpuccia non era morta. Si dispera, si dispera il Muzhik, ma nulla più si può fare. La Volpe, invece, trascinò tutto il pesce a casa sua nella tana, si sedette dentro i SeBook - i Simonelli electronic Book 416

e si mise a mangiare. Ed ora vide: correva lì intorno un lupo. Dalla fame gli si era incavato il ventre. - Buondì sorellina! Che cosa mangi? - Del pesciolino.- Suvvia, dammene almeno uno!- Vattelo a pescare e poi puoi mangiartelo. - Eh, dici bene, ma io non sono capace a pescare! - Eh, guarda quanto io ho pescato! Tu fratellino, vattene al fiume, immergi la coda nei buchi del ghiaccio fatti per lavare la biancheria, siediti e poi continua a ripetere: fatti pescare pesciolino piccolo o grande! Fatti pescare pesciolino piccolo o grande! Da solo il pesce si attaccherà alla tua coda. Guarda, siediti un po’ più in là e riprova. Vedrai quanto ne pescherai. Il Lupo andò fino in riva al fiume e mise la coda nel foro del ghiaccio. Stava seduto e ripeteva: i SeBook - i Simonelli electronic Book 417

- Fatti pescare pesciolino piccolo o grande, fatti pescare pesciolino, piccolo o grande! A lungo se ne stette seduto il lupo vicino al buco. Tutta la notte rimase sul posto. E la sua coda si congelò. Verso mattina voleva spostarsi, ma non riusciva, era trattenuto. Il Lupo pensò: - Orpo! Quanto pesce è arrivato che non riesco a tirarlo sù! Si guardò intorno, arrivavano le Babe con i secchi per prendere l’acqua. Videro il lupo e si misero a gridare: - Il lupo, il lupo! Bastonatelo, bastonatelo!Corsero verso di lui e cominciarono a picchiare il lupo, chi con il bilanciere per portare i secchi, chi con i secchi, chi con la prima cosa che trovava. Il Lupo tirò, tirò, si strappò la coda e se la diede a gambe senza guardare indietro. - Volpe, te la farò pagare cara - pensò il Lupo. i SeBook - i Simonelli electronic Book 418

Intanto alla Sorellina-Volpetta, dopo essersi mangiata i pesci venne voglia di provare a procurarsi qualche altra cosetta ancora. Si infilò dentro alla itzbà, dove le babe preparavano i blinỳ, e finì per infilare la testa nel mastello pieno di pastella. Si impiastricciò tutta e fuggì. Correva la Volpe ed il Lupo le venne incontro. - Così tu mi insegni a pescare il pesce, eh, Volpe? Guarda un po’ come mi hanno conciato! - Eh, fratellino, disse la Sorellina-Volpetta - tu sei senza coda, ma in compenso hai la testa intatta, a me invece hanno distrutto la testa. Guarda, mi è uscita la materia grigia del cervello; a stento riesco a camminare - Hai ragione - disse il Lupo - invece di andare a piedi, Sorellina, salimi in groppa, io ti trasporterò. i SeBook - i Simonelli electronic Book 419

La Volpetta si accomodò sulla sua schiena ed lui la portava. Ecco la volpuccia se ne andava a cavallo del Lupo e sottovoce canticchiava: - Il menato trasporta l’incolume, il menato trasporta l’incolume. - Come dici, sorellina? - Dico che il ferito trasporta l’infortunato! - Eh, proprio così, comare mia! E la Volpetta di nuovo mormorava tra sè e sè: - Il menato trasporta l’incolume! Il menato trasporta l’incolume! 6.2.2 L’Orso ed il Cane Vissero un tempo un Muzhik ed una Baba. Ed avevano un cane fedele. Da quando era cucciolo quel cane visse ed invecchiò in quella casa e quando la vecchiezza sopraggiunse tanto era decrepito che smise persino di abbaiare. Ed il i SeBook - i Simonelli electronic Book 420

Muzhik si stufò di una simile bestia. Ecco, prese una corda, la legò attorno al collo del cane e lo condusse nel bosco. Giunse sotto un albero di tremula ed era intenzionato a strangolarlo, ma quando vide che dagli occhi del vecchio cagnone sgorgavano lacrime amare ebbe pietà. Il Muzhik liberò il cane, lo lascìo nel bosco e ritornò sui suoi passi verso casa. Giaceva il cane affamato sotto l’albero e malediceva il suo destino canino. All’improvviso giunse un orso. - Che fai tu, Cane, sdraiato qui? - Il padrone mi ha scacciato da sè!- Che dunque, Cane, forse tu hai voglia di mangiare? - Se ne ho voglia? Muoio dalla fame! - E va bene! Vieni con me. Io ti nutrirò! E così i due se ne andarono insieme. Casualmente si imbatterono in uno stallone. L’orso aggredì il cavallo. Il cavallo cadde. i SeBook - i Simonelli electronic Book 421

L’orso lo fece a pezzi e disse al cane: - Ecco, mangia quanto ne hai voglia e quando l’avrai mangiato tutto, torna da me.Sopravvisse così il Cane e non si preoccupò più di nulla. Ma quando ebbe mangiato tutto e di nuovo si sentì affamato se ne fuggì nuovamente dall’Orso. - Che dunque, fratello, hai mangiato tutto il Cavallone? - L’ho mangiato, l’ho mangiato e di nuovo sono tornati i morsi della fame! - Perchè starsene affamati? Tu sai forse dove le vostre Babe mietono le messi? - Certo che lo so! - Allora andiamoci. Io mi avvicinerò alla tua padrona e le sottrarrò il suo bambino neonato. Tu inseguimi e strappamelo via. Come l’avrai afferrato portalo indietro alla padrona. Per riconoscenza lei tornerà a nutrirti come faceva prima. i SeBook - i Simonelli electronic Book 422

Ecco l’Orso giunse nel campo dove le Babe mietevano i cereali e le rapì il bimbo. Il pupo strillava, le babe si mettevano a correre disordinatamente dietro all’Orso, lo rincorrevano, lo rincorrevano, ma non riuscivano a raggiungerlo. Così se ne tornarono indietro afflitte. La mamma piangeva, le babe la consolavano. Non si sa da dove, arrivò di corsa il Cane, rincorse l’Orso, lo raggiunse, gli strappò il pupo e lo riportò indietro. - Guardate - esclamarono le babe - un cane ha recuperato il bimbo. La mamma era così felice che le sembrava di toccare il cielo con un dito. - D’ora in poi - esclamò - io questo cagnone non lo lascio per tutto l’oro del mondo! E la baba condusse il Cane a casa, gli versò del latte, sminuzzò del pane e gli disse: - Suvvia, mangia tutto! i SeBook - i Simonelli electronic Book 423

Poi si rivolse al Muzhik e gli disse: - Vedi, maritino mio, di questo cane bisogna avere cura e nutrirlo: ha salvato il nostro bambino dall’Orso. Il Cane si riprese ed ingrassò. Se ne stava benone e viveva come un pascià. L’Orso era diventato il suo più grande amico. Una sera a casa del Muzhik fecero una festicciola. Allo stesso tempo l’Orso venne a far visita al Cane. - Salute, Cagnone, allora come te la passi? Mangi il tuo pane quotidiano? - Grazie a Dio - rispose il Cane - questa non è soltanto vita, è una Maslenitza! Che cosa posso dunque offrirti? Andiamo nella itzbà, i padroni se la stanno spassando e non faranno caso. Appena entri tu lesto lesto ti infili sotto la stufa. Io tutto quello che riesco a procurarmi te lo porto e te lo i SeBook - i Simonelli electronic Book 424

offro. Il fatto fu deciso. L’Orso si infilò nella itzbà e si cacciò sotto la stufa. Il Cane vide che sia gli ospiti che i padroni si erano ben bene divertiti e sbronzati e cominciò a razziare tutto dalla tavola per onorare a dovere il suo amico. L’Orso bevve un bicchiere e poi un altro e gli diede alla testa. Gli ospiti cominciarono ad intonare canti. Ed l’Orso attaccò la sua canzone. Il Cane lo scongiurava: - Non cantare, ne seguirà una rovina! Niente da fare. L’Orso non ascoltava ed intonava a squarcia gola il suo canto. Gli ospiti sentirono un ululato sotto la stufa, afferrarono dei bastoni e giù a dar botte all’Orso sulla schiena e sui fianchi. L’Orso si divincolò a fatica e fuggì via. Eccoti servito, proprio una bella accoglienza per gli invitati! i SeBook - i Simonelli electronic Book 425

6.3 A proposito di cinema Il cinema russo, che di necessità si identifica per l’ottanta per cento della sua storia con il cinema sovietico, è un vasto soggetto che meriterebbe non un breve paragrafo, ma un intero libro. Così come altri aspetti della cultura e della vita russa, la cinematografia russo-sovietica è poco nota al pubblico italiano, perché pochi sono stati i doppiaggi e rare sono le proiezioni sugli schermi televisivi o su quelli delle sale cinematografiche. Nello spirito di questo saggio, il mio scopo non è una trattazione sistematica dell’argomento ma l’ambizione di introdurre il lettore al sapore particolare dei migliori film russi, attraverso le impressioni di chi, come me, vi si è avvicinato di recente, man mano che acquisiva i mezzi linguistici per vederli in edizione originale. Una considerazione iniziale è d’obbligo. Con qualche sporadica e notevole eccezione i SeBook - i Simonelli electronic Book 426

come i capolavori di Eisenstejn, ad esempio La corazzata Potëmkin od Alexander Nevskij, i film prodotti in epoca staliniana sono quasi tutti stucchevoli stereotipi propagandistici. La stretta imposizione da parte della censura del canone del Realismo Socialista non permetteva l’espressione di alcuna forma d’arte autentica. Con il disgelo e la destalinizzazione dell’epoca krusheviana, molte cose cambiarono e dalla fine degli anni cinquanta fino alla caduta dell’Unione Sovietica, una serie di registi di valore fu in grado di produrre opere di grande pregio che, pur evitando una critica politica diretta del regime, riuscirono a cogliere, soprattutto attraverso una garbata ironia, molte delle contraddizioni interne della società sovietica, delle aspirazioni, dei sentimenti e della profonda umanità delle sue genti, creando, in più di un caso, indimenticabili capolavori. i SeBook - i Simonelli electronic Book 427

Vale anche per il cinema ed il teatro della ex Unione Sovietica una considerazione che è stata fatta molte volte per la sua produzione scientifica e che si riassume nell’antico adagio che ogni medaglia ha sempre due facce. La mancanza di libertà di movimento e di pubblicazione sulle riviste internazionali, per molti anni, privò gli scienziati sovietici di quei contatti e di quel continuo scambio dialettico con i colleghi di tutto il mondo che costituisce spesso un ingrediente essenziale dei progressi scientifici. D’altra parte l’assenza di quei meccanismi di mercato che hanno invaso il mondo scientifico occidentale, quale la competizione per gli avanzamenti di carriera e per la ripartizione dei fondi di ricerca da parte delle varie agenzie private o governative, nazionali od internazionali, ha liberato gli studiosi sovietici dall’urgenza di pubblicare in fretta e ad ogni i SeBook - i Simonelli electronic Book 428

costo e soprattutto di pubblicare su quei temi che di volta in volta il mercato determina come più rilevanti e quindi anche più remunerativi. Questa situazione, pur consentendo il sopravvivere di un’ampia produzione di risultati marginali o addirittura irrilevanti conseguiti da studiosi mediocri, ha permesso invece ad una nutrita e robusta scuola di studiosi geniali, dotati di una vastissima cultura, di prendersi tutto il tempo necessario per affrontare problemi ardui e profondi, conseguendone al fine la soluzione tramite la libera e pacata riflessione che, paradossalmente, nel libero occidente era vietata dalla tirannia delle leggi di mercato. Similmente nel mondo dello spettacolo le restrizioni della censura e la concezione didascalica e propagandistica della sua funzione, ha imposto pesanti ed opprimenti vincoli alla libertà di espressione artistica. i SeBook - i Simonelli electronic Book 429

Tuttavia, quando questi vincoli si sono allentati ed ammorbiditi, il monopolio statale dell’industria cinematografica e la condizione di impiegati stipendiati ha liberato registi ed attori dalla schiavitù di concepire e produrre le proprie opere in funzione delle prospettive di incasso, schiavitù che, nel mondo occidentale, sta progressivamente abbassando la media delle produzioni cinematografiche e sporattutto televisive a livelli di pura e compiaciuta volgarità, nonchè di celebrazione della vacuità culturale. 6.3.1 El’dar Ryazanov Quale emblema di tutta la cinematografia russa, dalla metà degli anni cinquanta ai giorni nostri, non ho dubbi a scegliere El’dar Ryazanov. La successione dei suoi originalissimi e i SeBook - i Simonelli electronic Book 430

popolarissimi film costituisce un’interpretazione artistica dell’evoluzione della società russa dal disgelo Krusheviano fino alla perestroika ed all’età post-sovietica. Nato nel 1927 a Samara, da genitori che lavoravano presso la rappresentanza commerciale sovietica di Teheran, il piccolo Ryazanov crebbe a Mosca dove la sua famiglia, dapprima si trasferì, e poi si sciolse, con il divorzio del padre Aleksander Semenovich dalla madre Sofia Mikhailovna. Lettore accanito, El’dar sognava di diventare uno scrittore e di viaggiare per il mondo: presentò domanda di iscrizione alla Scuola Nautica di Odessa, ma l’invasione tedesca del 1941 troncò di netto questa possibilità. Così egli divenne studente del VGIK11, l’Istituto statale pan-russo di cinematografia e studiò regia sotto la direzione di grandi maestri dell’epoca, in particolare Grigorij Kozintsev, nato a Kiev nel 1905 e morto a Leningrado i SeBook - i Simonelli electronic Book 431

nel 1973. Ryazanov si diplomò regista nel 1950 con un film documentario Loro studiano a Mosca, diretto insieme ad un compagno di studi. Per alcuni anni si dedicò ancora alla produzione di documentari, ma già nel 1955 fu assunto come regista di ruolo dagli studi cinematografici statali Mosfil’m. Il suo primo film di grande successo fu Karnavalnaja Noch, cioè Notte di Carnevale, prodotto nel 1956, che arrivò a totalizzare quarantotto milioni di spettatori in un solo anno. Da quel momento la carriera di Ryazanov fu una serie ininterrotta di successi, di riconoscimenti ufficiali e di premi attribuiti ai suoi bellissimi ed originalissimi film che, estremamente vari per i soggetti e le ambientazioni scelte, sono tutti accomunati da un’invariabile caratteristica: l’originalità, la magistrale cura nella direzione delle scene ed una sottile, umanissima ironia. i SeBook - i Simonelli electronic Book 432

Il primo film Karnavalnaja Noch, che trasformò in stelle del cinema, non solo il regista, ma anche la principale interprete femminile Lyudmila Gurchenko, è una commedia satirica dalla trama semplicissima. È la notte di Capodanno e gli impiegati di un Istituto di Economia si preparano a celebrare l’arrivo dell’Anno Nuovo con canti, balli festosi, giochi di prestigio ed altri allegri intrattenimenti. Si viene a sapere all’improvviso che è stato nominato un nuovo Direttore e che egli sta arrivando in tempo per la festa. Il Compagno Ogurtsov12 giunge e disapprova subito il programma già stabilito. Come celebrazione del Capodanno egli dispone invece una specie di conferenza, con una serie di oratori che dovranno leggere le relazioni annuali sui progressi dell’Istituto, intervallate da intermezzi di musica patriottica, suonata dalla banda militare dei veterani. La commedia si sviluppa i SeBook - i Simonelli electronic Book 433

attorno ai trucchi inventati dagli impiegati che, a turno, distraggono ed intrappolano Ogurtsov, boicottandone i piani seriosi, mentre gli altri riescono a portare a compimento la festa, secondo l’allegro programma originale. La lista degli altri film di Ryazanov è lunghissima e si protende attraverso gli anni fino ai giorni nostri. Tra i più belli credo si possano elencare i seguenti. Beregis’ Avtomobilja del 1966, il cui titolo può tradursi Attenzione alle Automobili, narra la vicenda di un inedito Robin Hood russo, che ruba automobili per venderle e donarne tutto il denaro ricavato a sostegno degli orfanotrofi. Superba in questo film è l’interpretazione del personaggio del Detective da parte del grandissimo attore Oleg Efremov. Sluzhebnij roman, del 1977 traducibile come Un affare amoroso in ufficio racconta invece l’improbabile storia d’amore tra un impiegato di un istituto di stai SeBook - i Simonelli electronic Book 434

tistiche economiche, Anatoly Yefremovich Novoseltsev, divorziato, padre di due figli, timido e del tutto imbranato, con il proprio capo-ufficio, Ludmila Prokofievna Kalugina, che è una donna apparentemente glaciale, severissima con i propri dipendenti, priva di qualsivoglia forma di vita personale ed unicamente dedita al proprio lavoro manageriale, che ella svolge con inflessibile incorruttibilità. Spinto da un proprio collega a corteggiare il capo-ufficio onde ottenerne una promozione, Anatoly ci prova con incredibile goffaggine in una successione di scene di ilarità travolgente. Non ottenendo altro risultato che indispettire ed annoiare l’altera Ludmila, Anatoly finisce per esplodere e rovesciarle in faccia una sequela di insulti che sono in realtà l’espressione di amare verità. Definendola fredda ed inumana, Anatoly tocca corde profonde del cuore di Ludmila, che è prigioniera della propria ini SeBook - i Simonelli electronic Book 435

sicurezza e soffre per la repressione della propria femminilità, masochisticamente autoimpostasi. Il giorno successivo, quando Anatoly tremante va nell’ufficio del capo per scusarsi delle offese arrecatele, Ludmila scoppia in lacrime e di qui inizia una storia di amore vero tra i due, che alterna pagine comiche ad altre ispirate da intensa commozione ed umanità. Stupendo, sia per le superbe interpretazioni di tutti gli attori che per la struggente nostalgia trasmessa da una serie di suggestive scene paesaggistiche è anche Zhestokij Romans, cioè Romanzo Crudele del 1984. Ambientata in una città provinciale posta sulle rive del Volga, l’azione si svolge a metà del XIX secolo ed ha come fulcro la sfortunata storia d’amore di una giovane, ma impoverita, nobildonna, contesa da due uomini appartenenti alla piccola cerchia dei notabili i SeBook - i Simonelli electronic Book 436

locali: un capitano dell’esercito ed un uomo d’affari, padrone di Lastochka, un battello a ruote che fa servizio di navigazione sul grande Volga. L’epilogo tragico è preparato lentamente e vero protagonista del film è il fiume, ammirato da ogni possibile angolo visuale, che domina costantemente le scene e con la sua immensità, che sembra non avere nè fine nè principio, contrasta con le miserie e le piccinerie della vita di provincia, ritratta magistralmente in uno stile che, a mio giudizio, evoca sia Gogol’ che Balzac. 6.3.2 L’ironia del Destino Di tutti i film di Ryazanov il più noto e probabilmente il più geniale è per unanime giudizio Ironia del Destino del 1975. Alla base del film vi è una satira dell’architettura pubblica dell’epoca brezhneviana. i SeBook - i Simonelli electronic Book 437

In un prologo in forma di cartone animato si vede un architetto che sottopone il proprio progetto di un palazzo per civile abitazione a tutti gli uffici competenti, vagando di porta in porta per gli interminabili corridoi di un ministero. Ad ogni passaggio dell’iter burocratico il progetto viene decurtato di qualche inutile dettaglio. Scompaiono progressivamente cornici, colonne, grondaie, balconi ed ornamenti di qualunque tipo. Quando finalmente il progetto del palazzo si è ridotto ad un parallelipedo di cemento grigio, assolutamente anonimo, esso ottiene le dovute approvazioni e tutti i timbri del caso. Non solo esso è stampato in migliaia di copie, ma anche l’architetto è riprodotto in copie identiche migliaia di volte ed una folla di omini simili a formiche lavora alacremente ad erigere in ogni angolo del pianeta copie identiche di quell’unico perfetto parallelipedo con appartamenti tutti peri SeBook - i Simonelli electronic Book 438

fettamente identici. A questo punto il cartone animato cede il passo all’azione reale e ci si trova Mosca, nella innevata mattina dell’ultimo giorno dell’anno in mezzo ad un quartiere di quei grigi casermoni grigi. Il giovane medico Zhenja Lukashin che vive in uno di quei tanti identici appartamenti con la mamma ed è fidanzato con la spontanea e semplice Galja, abbandona momentaneamente i preparativi per la festa serale che dovrebbe trascorrere in casa con mamma e fidanzata per onorare una tradizione che da molti anni egli ha con i propri amici. Ogni ultimo dell’anno essi si radunano ai bagni pubblici dove tra un sudario di vapore e l’altro fanno abbondanti libagioni di vodka brindando alla propria amicizia ed al proprio futuro. Quest’anno gli amici brindano alla salute di Zhenya e di Galya ed alla felicità del loro prossimo matrimonio. Però i SeBook - i Simonelli electronic Book 439

esagerano ed alla fine sono tutti completamenti ubriachi. Uno di loro, Pavlik, dovrebbe prendere un aereo per rientrare a Leningrado, mentre Zhenya dovrebbe tornare nel suo appartamento moscovita, dove Galya lo aspetta con la futura suocera. Le menti di tutti, tuttavia, sono così confuse dai fumi dell’alcol che, per errore, sul taxi diretto all’aeroporto e poi sull’aereo stesso, invece di Pavlik viene messo il semicosciente Zhenya. Atterrato a Leningrado e credendo di essere ancora a Mosca, Zhenya sale su di un’altro taxi e consegna al taxista il proprio indirizzo scritto su di un biglietto. Naturalmente a Leningrado esiste una via che porta lo stesso nome della via in cui Zhenya abita a Mosca ed allo stesso numero c’è un edificio esattamente identico, la cui porta d’ingresso può essere aperta dalla chiave di Zhenya. Arrivato al proprio piano con un i SeBook - i Simonelli electronic Book 440

ascensore indistinguibile da quello del suo stabile moscovita, Zhenya trova un appartamento con lo stesso numero che nuovamente può essere aperto dalla chiave in suo possesso. Stanco ed ubriaco Zhenya si corica sul primo letto che incontra e si addormenta. Poco più tardi rientra a casa la legittima inquilina dell’alloggio, Nadya Shevelyova che rimane costernata ed esterrefatta nel trovare un uomo sconosciuto ed ubriaco che dorme nel suo letto. Per complicare la cosa, il fidanzato di Nadya, Ippolit sopraggiunge prima che la donna riesca a convincere Zhenya ad alzarsi ed andarsene. Ippolit si infuria, rifiuta di credere alle spiegazioni, per altro incredibili, di Zhenya e di Nadya e se ne va sbattendo l’uscio. Zhenya tenta disperatamente di tornare a Mosca e Nadya lo aiuta perchè vuole liberarsi di lui al più presto possibile, ma sfortunatamente non ci i SeBook - i Simonelli electronic Book 441

sono voli disponibile per Mosca fino al mattino successivo. Così i due sono obbligati a passare la notte di Capodanno insieme. Dapprima continuano a trattarsi con reciproca animosità, ma poi piano piano il loro comportamento si addolcisce e finiscono per innamorarsi l’uno dell’altra. Momenti di comicità con l’arrivo di ospiti inattesi, il periodico riapparire del geloso Ippolit, gli squilli del telefono e del campanello della porta si intervallano al lento svilupparsi del loro innamoramento. All’alba essi decidono che tutto ciò che è capitato loro era semplicemente un’illusione, uno scherzo del destino, così come in un shakesperiano sogno di mezzo inverno. Con il cuore pesante si separano e Zhenya ritorna a Mosca. Nel frattempo però Nadya riconsidera l’intera vicenda e prova la sensazione di aver lasciato sfuggire la sua unica chance di felii SeBook - i Simonelli electronic Book 442

cità. Prende un aereo per Mosca, inseguendo Zhenya e facilmente lo ritrova, visto che i loro due indirizzi sono identici.

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7. L’emozione sottile di parlare russo 7.1 Nuova lingua, nuova vita Lev Tolstoj parlava correntemente diverse lingue europee e l’agiografia comunista vuole che Lenin ne parlasse addirittura undici. Si attribuisce allo stesso Lenin l’affermazione che ogni volta che si impara una nuova lingua è come dischiudere a sè stessi una nuova vita. Delle teorie leniniste non condivido quasi nulla, ma questo pensiero mi trova entusiasticamente consenziente. Non so se sia veramente farina di quel sacco, ma poco importa: chiunque abbia fatto tale riflessione ha colto una grande verità. Quasi venticinque anni fa, quando ero borsista al CERN di Ginevra, condivisi l’ufficio con un teorico indiano che aveva una i SeBook - i Simonelli electronic Book 444

posizione permanente presso un’università tedesca. Ovviamente comunicavamo in inglese, che è la lingua ufficiale della comunità scientifica e parlavamo in francese quando prendevamo il caffè al bar o andavamo a cena al ristorante, ma il mio amico Alì parlava con disinvoltura anche il tedesco, lingua nella quale insegnava i propri corsi ed essendo stato invitato, per l’anno successivo, a trascorrere un semestre presso l’ICTP1 di Trieste aveva da poco iniziato a frequentare un corso di italiano. Io ero molto ammirato dalle qualità poliglotte del mio compagno di ufficio che, oltre a tutte queste lingue europee, parlava anche l’Hindu e probabilmente conosceva approfonditamente il sanscrito. Gli manifestai in un paio di occasioni la mia ammirazione. La sua risposta fu: - Non c’è niente di interessante nelle lingue! È sempre la stessa storia: io vado, tu i SeBook - i Simonelli electronic Book 445

vai, egli va. I go, you go, he goes. Ich gehe, du gehst, er geht e così via. D’accordo, andare è sempre la stessa azione fisica indipendentemente dalla lingua in cui se ne esprima il concetto, ma quante sfumature vi possono essere nell’espressione di tale idea di movimento! Velocità o lentezza, determinazione od incertezza dell’incedere, attività o passività dello spostamento, compiacimento od insofferenza nel compierlo e così via. Ed ogni lingua crea un proprio codice per accentuare ovvero sottacere tali sfumature, scegliendo tra di esse quali meritano speciale codificazione e quali no. Così è non solo per l’idea di movimento, ma per tutte le idee, per tutte le possibili qualità degli oggetti, per tutti i possibili stati d’animo di chi parla oppure scrive. La codificazione di ciascuna lingua crea un sistema espressivo, quasi la tavolozza di un pittore, che nelle scelte operate i SeBook - i Simonelli electronic Book 446

e nella logica profonda che le ispira rivelano la mentalità di un popolo ed adombrano anche la sua storia. Parlare una lingua straniera significa penetrarne la logica, adottarne lo spirito e quindi formulare anche i propri pensieri all’interno di un nuovo sistema sia emozionale che espressivo. Significa davvero aggiungere una nuova dimensione alla propria vita. 7.2 Un altro alfabeto La sensazione di iniziare una nuova vita è immediata per chi si accinge ad apprendere la lingua russa, poiché immediata è la necessità di superare la barriera costituita dall’apprendimento di un diverso alfabeto. Molte persone della mia generazione hanno frequentato il liceo classico e come me ricordano, forse con un po’ di nostalgia per gli anni giovanili, l’apprendimento dell’alfabeto i SeBook - i Simonelli electronic Book 447

greco in quarta ginnasio. Il cirillico deriva dal greco e questa sua discendenza certo ne facilita l’assimilazione a chi ha studiato un po’ la lingua di Omero, ma i ricordi scolastici ci tradirebbero se immaginassimo che imparare a leggere e scrivere il cirillico sia un’esperienza simile a quella della nostra gioventù nelle aule liceali. Allora si trattava di apprendere una lingua morta ed il lento processo con cui arrivammo a leggere e tradurre qualche brano di Platone o di Tucidide non ambiva a fare della lettura e scrittura del greco un normale automatismo sintetico come quello che quotidianamente adoperiamo nella nostra relazione con i testi scritti in alfabeto latino. Il russo è invece una lingua viva ed il cirillico è usato non solo nei libri, ma anche nelle scritte pubblicitarie, nell’elenco del telefono, sugli avvisi stradali, sulle carte geografiche, nelle liste dei ristoranti, sui tabelloni delle stazioni i SeBook - i Simonelli electronic Book 448

ferroviarie, nei titoli dei film. Dopo il primo approccio ci si accorge immediatamente che è inevitabile ripetere il percorso, lontanissimo nella nostra memoria, con cui imparammo a leggere nella nostra infanzia: dall’apprendimento del valore fonetico delle singole lettere, alle faticose sillabazioni di intere parole, fino all’automatismo del pattern recognition istantaneo di intere frasi. Si prova la sensazione di essere tornati fanciulli, che è talvolta un po’ frustrante, ma anche ricca di intense emozioni. Siamo stimolati ad una introversione che ci fa riconsiderare ogni cosa che sappiamo sotto una luce diversa, rendendoci per la prima volta consapevoli dei processi con i quali l’abbiamo assimilata e fatta nostra. Viviamo una faticosa, ma emozionante palingenesi. Non solo bisogna imparare a leggere, ma anche a scrivere e, naturalmente, ciò implica i SeBook - i Simonelli electronic Book 449

esercitarsi nel corsivo, che è sovente molto differente dallo stampatello. L’apprendimento del corsivo è più di ogni altra l’esperienza che ci riporta all’infanzia: si ha l’impressione di essere tornati alla prima elementare, quando riempivamo intere pagine del nostro quaderno di copie identiche della stessa lettera, in versione sia maiuscola che minuscola. Attraverso questi esercizi sviluppiamo poco per volta il nostro personale sistema di scrittura corsiva, ricreiamo la nostra grafia, che, con nostra stessa sorpresa, può avere, nel nuovo alfabeto, uno stile alquanto diverso da quello della nostra grafia latina. Non a caso sono passati così tanti anni da quando creammo il nostro modo di scrivere latino ed ora, che ci troviamo a reinventarci ex novo nella maturità, gli esiti non possono non risentire di tutta la vita che abbiamo nel frattempo vissuto. Davvero è come acquisire i SeBook - i Simonelli electronic Book 450

una nuova vita, parallela a quella che già possediamo. L’alfabeto cirillico non si sviluppò in maniera spontanea attraverso un lento processo storico, come quelli greco e latino, bensì fu inventato a tavolino da due studiosi che certamente parlavano la lingua slava e d’altra parte conoscevano perfettamente quella greca, cioè i fratelli Cirillo e Metodio. Questa sua origine, molto particolare, storicamente infrequente e quasi scientifica, ha conferito all’alfabeto cirillico delle caratteristiche speciali il cui valore non può non impressionare fortemente chi ne inizia l’apprendimento. L’alfabeto utilizzato dalla lingua russa contemporanea2 comprende trentatre differenti segni a fronte delle ventisei lettere dell’alfabeto latino esteso anche con la j, la x, la y e la w. Il più grande numero di simboli riflette quello che fu evidentemente l’obieti SeBook - i Simonelli electronic Book 451

tivo, pienamente raggiunto da Cirillo e Metodio, di creare una corrispondenza biunivoca tra lettere e suoni elementari. In questo senso il cirillico risulta essere la più precisa notazione fonetica tra quelle storicamente esistenti per le lingue europee. Ad esempio per quanto concerne i suoni vocalici, nell’alfabeto russo non solo vi è un segno differente per ognuna delle cinque vocali a,e,i,o,u, ma anche uno specifico per ciascuno dei dittonghi ia,io,ie,iu. Inoltre vi è una lettera speciale per la i breve ed una per per il suono della i occlusa, qualcosa come la i della parola third in inglese. Per quanto concerne i suoni consonantici l’alfabeto russo contiene due segni diversi per la s dolce della parola rosa e per la s dura della parola suono. Contiene anche, ed in questo è assolutamente eccezionale, una lettera specifica per denotare il suono sh, così i SeBook - i Simonelli electronic Book 452

come nella parola italiana ascia. Per maggior precisione vi è anche un secondo differente simbolo che denota il suono shch, cioè una sh seguita da una ch come quella della parola italiana cena. È difficile fare esempi perchè il suono shch è assente dalla lingua italiana. Vi sono poi due lettere apposite per denotare i suoni j come nel francese je t’aime e ch come nell’italiano cinema. Caratteristica dell’alfabeto russo è poi la presenza di due segni, il primo detto debole, il secondo detto forte, la cui funzione è quella di indebolire ovvero rafforzare la pronuncia della consonante che li precede. Essi possono comparire dietro a qualunque consonante e modificarla corrispondentemente. Ad esempio la lettera n indebolita dal segno debole, diventa qualcosa come la gn della parola italiana magnetico. Similmente la lettera l indebolita dal segno debole assume la i SeBook - i Simonelli electronic Book 453

pronuncia dell’italiano gl nella parola quaglia. Però il segno debole compare frequentemente anche dopo la lettera t ed in questo caso la pronuncia diventa quella di una ti dove la vocale i è così corta da essere quasi impercettibile. 7.3 Una lingua con le declinazioni e senza articolo Quando si studiava latino al liceo, chi di noi non si chiese se gli antichi romani declinassero davvero tutti i sostantivi come noi trovavamo fatto nei terribili brani di Cicerone o di Tacito che ci era obbligo tradurre in classe oppure nei compiti a casa? Possibile che quando un qualche rozzo carrettiere della Suburra aveva fame dicesse alla moglie Cenam coque mihi puella? E se poi, uscito ubriaco dalla taverna, incontrava una i SeBook - i Simonelli electronic Book 454

ragazza di vita le diceva forse Pecuniam tibi dabo ut gaudio me afficias? Tutti, credo, abbiamo nutrito il dubbio che così non potesse essere e che forse, nella lingua parlata per le strade le declinazioni non fossero utilizzate o lo fossero minimamente. Troppo ardua ed innaturale pare la costante e sistematica declinazione di ogni sostantivo, aggettivo o participio a chi è abituato a parlare una lingua con articolo e senza declinazioni, così come lo è l’italiano, il francese, l’inglese o lo spagnolo. Nel nostro modo di pensare la funzione logica dei vocaboli è attribuita dal loro ordinamento sintattico; rinvenire in tempo reale, mentre si parla, l’adeguata desinenza da assegnare a ciascuno di essi richiede un considerevole sforzo di concentrazione che ci sembra impossibile nella conversazione quotidiana. Eppure non è così! Il russo moderno è una lingua con declinazioni e senza i SeBook - i Simonelli electronic Book 455

articolo esattamente come lo era il latino; nella strada, al mercato, sul tram o nei bar, la gente declina per davvero e sistematicamente tutti i sostantivi, tutti gli aggettivi, tutti i participi e tutti i pronomi. Pare un miracolo, ma questa è la realtà. Il fatto è che la logica strutturale di una lingua declinata è sostanzialmente diversa ed induce, abituandovisi, una diversa organizzazione anche nel modo di formulare i nostri pensieri e di esprimerli. Parlare russo ci fornisce la sottile emozione di pensare e parlare così come facevano i nostri progenitori latini: è davvero aprirsi ad una nuova vita interiore. In russo declinazione si dice sklonenie. Vi sono sei casi, il nominativo, il genitivo, il dativo, l’accusativo, lo strumentale, ed il prepositivo e tre generi il maschile, il femminile ed il neutro. Gli schemi di declinazione sono i SeBook - i Simonelli electronic Book 456

tre, ma ciascuno dei primi due si divide ancora in due sottocasi, quello forte e quello debole, secondo che la consonante o vocale finale del nominativo sia forte o sia debole. La funzione logica del nominativo, del genitivo, del dativo e dell’accusativo è la stessa come in latino. Lo strumentale è il caso che esprime il complemento di mezzo, ma ha anche una variegata serie di altri utilizzi che ne fa uno dei casi preferiti dal russo-fono. Il prepositivo, come dice il suo nome, è il caso retto dalla maggior parte delle preposizioni, ma di queste ve ne sono anche alcune che reggono vuoi il dativo vuoi il genitivo, vuoi l’accusativo e perfino lo strumentale. La grammatica russa ha delle strane preferenze: ama in modo particolare il genitivo e trova tutte le scuse per usarlo. Nel caso dei sostantivi maschili corrispondenti ad esseri i SeBook - i Simonelli electronic Book 457

animati, cioè persone, animali, od oggetti personificati, vi è la regola generale che la desinenza dell’accusativo è la stessa di quella del genitivo. Per i sostantivi maschili che denominano oggetti inanimati, l’accusativo coincide invece con il nominativo. Non è così per i sostantivi femminili. Questi hanno sempre una specifica desinenza per l’accusativo che, nella maggior parte dei casi, è una finale nella vocale u. Avviene pertanto che la frase Fjodor ama la mamma si traduca Fjodor ljubit mamu dove mamu è l’accusativo di mama. Differentemente la frase Fjodor ama suo padre si traduce Fjodor ljubit svoegò otzà dove otzà è il genitivo di otèz (padre) e svoegò è il genitivo di svoi (suo). Un’altra ottima scusa per usare il caso genitivo è l’utilizzo sistematico del partitivo, ogni volta che se ne scorga la più piccola i SeBook - i Simonelli electronic Book 458

possibilità. Così, se durante il pranzo si volesse chiedere del pane ad un proprio commensale si direbbe pozhaluista, daite mne khleba dove khleba è il genitivo di khleb (pane) e pozhaluista è l’indeclinabile che significa per favore ovvero prego. Nello stesso modo la frase italiana c’è molta gente si traduce est’ mnogo ljudei, cioè letteralmente è molto di persone. La parola ljudei è infatti il genitivo plurale della parola chelovèk che significa persona umana. La predilezione per il genitivo diventa quasi ossessiva nella forma assunta in russo da semplici frasi del tipo: Domani non sarò a casa. L’esempio considerato si traduce abitualmente come segue: Zavtra, menjà, doma ne budet cioè, letteralmente domani, di me, a casa non sarà, essendo menjà il caso genitivo del pronome ja (io). La parola budet è la terza persona singolare dell’indicativo fui SeBook - i Simonelli electronic Book 459

turo del verbo essere (sarà): si riconosce in essa la radice indoeuropea del verbo essere to be, in inglese, per esempio. Il partitivo viene usato anche quando si conta e questo offre al genitivo un’altra ghiotta occasione di apparizione. Vi è infatti la seguente precisa regola grammaticale. Fino al numero quattro non si usa il numerale seguito dal sostantivo al plurale, bensì il numerale seguito dal genitivo singolare. Dal numero cinque in poi si usa invece il numerale seguito dal plurale del sostantivo, come è abituale nelle altre lingue. In altre parole si dice ad esempio: un bicchiere, due di bicchiere, tre di bicchiere, quattro di bicchiere, ma poi cinque di bicchieri, sei di bicchieri e così via. In russo questo suona come segue odin stakan, dva stakana, tri stakana, chetyre stakana, pjat’ stakanov, shest’ stakanov,... i SeBook - i Simonelli electronic Book 460

Al secondo posto, dopo il genitivo, il caso prediletto dal russofono è lo strumentale. L’utilizzo classico di questo caso è per esprimere il complemento di mezzo. Ad esempio la frase Ho lavato questa camicia a mano si traduce: Ja stiral etu rubashku rukami dove rukami è lo strumentale plurale di rukà (mano), rubashku è l’accusativo singolare di rubashka (camicia) e stiral è il passato del verbo stirat’ (lavare). Un’altra costruzione frequente in cui viene utilizzato lo strumentale con grande concisione e forza espressiva è quella in cui tale caso denota la condizione, la professione o la qualità di qualcuno. Ad esempio si può dire Bulgakov byl vrachòm dove byl è il passato del verbo essere (fu) e vrachòm è lo strumentale di vrach che significa medico. In altre parole Bulgakov fu un medico, perchè egli fu nella condizione di medico. i SeBook - i Simonelli electronic Book 461

7.4 Stranezze grammaticali e semantiche La struttura grammaticale della lingua russa presenta alcune peculiarità che ne formano lo spirito profondo e danno origine alla sua notevole ed indubitabile ricchezza espressiva. Le più significative di queste peculiarità sono relative al sistema di organizzazione e coniugazione dei verbi che presenta interessantissime articolazioni logiche. La più fondamentale caratteristica dei verbi russi è la loro organizzazione in copie aspettuali: l’aspetto imperfettivo (nesovershennyj vid) e l’aspetto perfettivo (sovershennyj vid). La categoria dell’aspetto qualifica ogni azione a seconda del punto di vista dal quale essa è considerata: se è colta nel momento del suo i SeBook - i Simonelli electronic Book 462

svolgimento (aspetto imperfettivo) o se è già pervenuta ad un risultato (aspetto perfettivo). Questa categoria logica è presente anche in altre lingue, si pensi ad esempio alla distinzione in inglese tra I was going and I went od alla distinzione in italiano tra imperfetto e passato remoto io andavo ed io andai, ma ciò che è caratteristico del russo è la sua basilare sistematizzazione in tutti in tutti tempi, eccetto il presente, che per definizione è sempre imperfettivo, ed in tutti i modi, compreso l’infinito. Il risultato di questa sistematizzazione è che ad ogni verbo di un’altra lingua corrisponde in russo una coppia di verbi, il primo con aspetto imperfettivo, il secondo con aspetto perfettivo. Il fascino di questi doppietti aspettuali che, allo stesso tempo è anche la dannazione per il discente alle prime armi, sta nel fatto che non esiste una regola univoca per abbinare le i SeBook - i Simonelli electronic Book 463

coppie, ma soltanto una serie di schemi possibili. In pratica è quasi indispensabile apprendere le coppie aspettuali una per una. Facciamo un esempio. Al verbo italiano leggere corrisponde in russo la coppia aspettuale chitat’-prachitat’. Il primo è imperfettivo e pertanto se io dico Ja chitaju knigu significa io sto leggendo il libro. Il secondo è perfettivo e se pertanto dico Ya prochitayu knigu significa io leggerò il libro e lo leggerò fino in fondo, fino ad averlo terminato. La coniugazione presente di un verbo perfettivo assume infatti di necessità il significato di futuro, perchè l’azione è vista nel suo aspetto risultativo cosa che non può avvenire se non in un istante futuro di tempo a partire dal momento in cui si parla. Naturalmente esiste il tempo futuro anche dei verbi imperfettivi e questo, similmente all’inglese si forma utilizzando un verbo ausiliario. In russo l’ausii SeBook - i Simonelli electronic Book 464

liario è il futuro del verbo essere (byt’) che viene seguito dall’infinito imperfettivo del verbo significante. Si può così formare il futuro del verbo chitat’ e dire ja budu chitat’ knigu che significa io leggerò il libro nel senso di passerò del tempo a leggerlo, senza alcun impegno sul fatto di terminarlo o meno. Nel caso considerato la differenza tra i due membri del doppietto aspettuale è il prefisso pra anteposto al tema dell’imperfettivo per formare il perfettivo. Le cose però non vanno sempre così. In altre coppie aspettuali si ha pure un prefisso per il perfettivo, ma esso è diverso. Ad esempio si ha la coppia delat’ -sdelat’ che corrisponde al verbo italiano fare. In questo caso il doppietto diventa addirittura un tripletto perchè, oltre al perfettivo sdelat’, esiste anche il perfettivo podelat’, usato solo in alcuni tempi. In altri casi i SeBook - i Simonelli electronic Book 465

la coppia aspettuale non è ottenuta tramite prefissi, bensì con una modificazione vera e propria del tema. Ad esempio al verbo italiano sviluppare corrisponde la coppia aspettuale rasvivat’ -rasvit’, mentre al verbo riposare corrisponde la coppia otdyxat’ -otdokhnut’ Un’altra caratteristica curiosa del sistema verbale russo riguarda la coniugazione dei verbi al tempo passato. Come in quasi tutte le altre lingue indo-europee, al presente ed al futuro la coniugazione dei verbi è per persone, indipendentemente dal genere. Così si dice ja chitayu, ty chitaesh’, on (onà) chitaet, my chitaem, vy chitaete, onì chitayut come equivalente di io leggo, tu leggi, egli (ella) legge, noi leggiamo, voi leggete, essi leggono: e non importa se la prima, la seconda o la terza persona siano di genere maschile, femminile o neutro. Al passato, invece, la coi SeBook - i Simonelli electronic Book 466

niugazione dei verbi è per genere, senza distinzione di persona ed al passato plurale scompare pure la distinzione di genere, essendovi un’unica voce per tutti i generi e per tutte le persone. Così se il parlante è di genere maschile egli dice ja chital knigu (io leggevo il libro), ma se è di genere femminile, per esprimere la stessa cosa, ella dice piuttosto ja chitala knigu. E se l’interrogato è maschile gli si chiede ty chital knigu?, mentre se è femminile la stessa domanda si formula differentemente dicendo ty chitala knigu?. Nel caso poi che qualcosa di genere neutro fosse stato impegnato in passato nell’azione di leggere si direbbe onò chitalo (esso leggeva) e la forma chitalo si userebbe sia per la prima che per la seconda e la terza persona singolare. Al plurale, invece si dice sempre my chitali, vy chitali, onì chitali come corrispondente di noi leggevamo, voi i SeBook - i Simonelli electronic Book 467

leggevate, essi leggevano. La forma chitali è indipendente sia dal genere che dalla persona. Oltre alle articolazioni logiche appena illustrate, la caratteristica di gran lunga più peculiare della lingua russa riguarda i così detti verbi di moto. È nel contesto della descrizione del movimento che la raffinatezza e precisione espressiva della lingua russa raggiunge il proprio vertice. Alla categoria logica dell’aspetto, perfettivo od imperfettivo, se ne aggiungono in questo caso altre due. La prima, alquanto singolare per chi si avvicina la prima volta a questa lingua, è la distinzione tra il movimento con i propri mezzi naturali ed il movimento tramite l’aiuto di un mezzo, che può essere sia meccanico che animale. La seconda è la distinzione tra il moto unidirezionale e quello pluridirezionale. Il risultato di questa complessa architettura è che ad i SeBook - i Simonelli electronic Book 468

ogni verbo italiano di movimento, quale ad esempio l’innocente andare vengono a corrispondere in lingua russa da quattro a sei diversi verbi che colgono tutte le diverse possibili sfumature di significato. Solo qualche esempio può chiarire questa sorprendente struttura. Consideriamo ad esempio il verbo idtì il cui tema è immediatamente identificabile con la radice del verbo latino ire. Infatti la coniugazione del presente indicativo di idtì ha una notevole somiglianza con il latino: Ya idù, ty idiosh, on idiot, my idiom, vy idiote, onì idùt che diventa addirittura sconvolgente nell’imperativo: idì al singolare, idite al plurale. Il verbo idtì significa andare, ma rigorosamente senza l’ausilio di alcun mezzo, quindi, riferito ad un essere umano, indica che il movimento viene effettuato camminando. Inoltre questo verbo è imperfettivo ed unidirezionale. Se pertanto, i SeBook - i Simonelli electronic Book 469

rivolto a mia moglie, io dico Ya idù v kukhnyu, significa che in questo momento io sto camminando per andare in cucina ed una volta giuntovi ho intenzione di rimanervi almeno per un certo tempo. È più raro che nella vita domestica qualcuno dica Ya idù v tualet, cioè io vado alla toeletta per restarvi. Normalmente, chi si assenta per andare in bagno, dice piuttosto Ya skhazhù v tualet, usando il presente indicativo del verbo khodìt che, come idtì, è imperfettivo e denota il camminare a piedi, ma questa volta è pluridirezionale anzichè unidirezionale. In altre parole Ya skazhu significa io sto andando in un certo luogo, ma ho anche l’intenzione di fare ritorno da esso quando la ragione per cui vi sto andando si sarà esaurita. Del verbo idtì esiste ovviamente anche il compagno con aspetto perfettivo che in questo caso è priidtì. Così al passato che, coniugato per generi fa i SeBook - i Simonelli electronic Book 470

shol, shla, shlo posso dire, ad esempio ieri on kudà–to shiol cioè ieri egli stava andando in qualche posto (a piedi), oppure ieri on kudà– to prishiol cioè ieri egli arrivò in qualche posto. Se le stesse due possibilità si sono verificate tramite l’uso di un mezzo di trasporto (l’automobile, ad esempio), si dirà invece ieri on kudà–to ekhal, ovvero ieri on kudà–to priekhal. L’analisi di questa sorprendentemente sofisticata architettura logica potrebbe continuare ulteriormente perchè numerosissime sono le combinazioni di possibilità e quasi per ciascuna di esse esiste l’appropriata caratterizzazione linguistica. Mi fermo qui perchè credo che quanto detto sia stato sufficiente a dare al lettore un’idea del funzionamento di questo sistema logico veramente peculiare e perfezionato. A fronte di tanta precisione nella descrizione del movimento è invece parimente sorpreni SeBook - i Simonelli electronic Book 471

dente nella lingua russa l’assenza di distinzione per la denominazione di parti del corpo umano che sono distinte in tutte le altre lingue: cioè braccia e mani da una parte e gambe e piedi dall’altra. La parola rukà indica simultaneamente il braccio e la mano, così come la parola nogà denota sia la gamba che il piede. Si possono fare varie considerazioni su questa peculiarità ma l’unica cosa certa che si può evincere è la peculiarità stessa, che insieme a tutte le altre caratteristiche finora descritte contribuisce a dare a questa lingua una sua forza espressiva assolutamente eccezionale. Nelle mani sapienti dei grandi scrittori che la terra dei Rus’ ha saputo generare la lingua russa è stato un strumento di enorme potenza per regalare al mondo una delle più ricche e profonde letterature della storia umana.

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7.5 Un aneddoto ed una citazione da Bulgakov Mi piace concludere questo capitolo ed anche questo saggio narrando un piccolo aneddoto di cui sono stato testimone diretto, che ha una sua immagine speculare in un brano di Bulgakov. Nel Dicembre del 2002, per esprimermi la loro gratitudine per un corso trimestrale di introduzione alla supersimmetria ed alla teoria delle superstringhe che avevo tenuto gratuitamente presso il Bogolyubov Institute di Kiev, i miei colleghi ucraini organizzarono una festicciola a sorpresa in mio onore. Mi convinsero a partecipare ad una riunione del Consiglio di Istituto, in cui ufficialmente si doveva parlare di questioni amministrative interne ed a cui io, inizialmente, non intendevo presenziare, ritenendo che si trattasse di materie che non riguardavano un ospite strai SeBook - i Simonelli electronic Book 473

niero. La riunione però era stata inventata solo come un’occasione per consegnarmi una pergamena ricordo e dopo tale consegna, aperte le porte in fondo alla sala, comparve un tavolo imbandito con rinfreschi, bevande e l’immancabile vodka con la quale gli amici kieviani mi festeggiarono con grande simpatia ed un garbo semplice, ma profondamente sincero, che difficilmente ho incontrato in altri istituti del mondo. L’aspetto linguistico di questo episodio che ricordo sempre con grande affetto fu il seguente. All’inizio della cerimonia, quando sedevo in terza fila in attesa del discorso ufficiale del Direttore ed ancora non sapevo della sorpresa che mi era stata preparata, uno dei colleghi che sedeva vicino a me e che è anche uno dei miei migliori amici kieviani mi disse: - Fai attenzione, Pietro! Ora il Direttore dell’Istituto comincerà il suo discorso in i SeBook - i Simonelli electronic Book 474

ucraino, ma dopo esattamente tre frasi cambierà lingua e passerà al russo perché continuare po ukrainskij non è capace.Nonostante le mie conoscenze del russo fossero a quell’epoca ancora primordiali, esse mi bastarono per verificare la profezia del mio amico. Tutto accadde come egli aveva previsto. Nel terzo capitolo della Guardia Bianca, il protagonista Turbin a proposito di un certo dottor Kuric’kij si esprime così: ... figuratevi che dall’anno scorso, in novembre, non sa più parlare il russo. Lo ha dimenticato. Si chiamava Kurickij, ora è diventato Kuric’kij - io dunque gli faccio: «Come si dice kot3 in ucraino?» Risposta: «Kit». Allora io gli faccio: «E kit4 come si dice?». Lui sta zitto, strabuzza gli occhi e non risponde. E adesso non mi saluta più. i SeBook - i Simonelli electronic Book 475

- La parola kit non possono conoscerla perchè in Ucraina balene non ce ne sono; in Russia, invece, c’è di tutto. Nel Mar Bianco ci sono balene...

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NOTE

1. Amor che a nullo amato amar perdona... 1. La Reconquista Cristiana della Penisola Iberica invasa nel 711 dai Mori durò sette secoli e si considera conclusa solo con la caduta del Reino de Granada nel 1492, per opera di Isabella di Castiglia e di Ferdinando d’Aragona

2. Yalta 1. La penisola di Crimea è protesa nel Mar Nero, legata al continente da un’esile giunzione costituita per lo più da basse terre paludose. La città di Simferopol, distante oltre mille cinquecento chilometri da Kiev è nel centro sud della vasta penisola, immediatamente a ridosso della catena di montagne che corre lungo tutto il litorale meridionale i SeBook - i Simonelli electronic Book 477

della Crimea e separa così Simferopol dal mare. Yalta, Alushta e le altre rinomate stazioni climatiche sono disposte nei golfi di questo litorale, sono esposte all’influenza dei tiepidi venti meridionali che alitano dal mare, mentre gli alti gioghi montuosi che le sovrastano proteggono queste cittadine dal soffio dei venti settentrionali provenienti dalla steppa. Queste particolari condizioni creano un microclima molto mite in cui crescono ulivi, alberi da frutta e macchia mediterranea. 2. La kasha è una polentina d’orzo o di altri cereali, simile al porridge inglese, popolarissima in tutte le cucine slave dell’Europa orientale ed è tipicamente consumata come piatto forte della prima colazione. Si ritiene che sia un piatto antichissimo con almeno mille anni di storia alle proprie spalle, secondo per rilevanza storica soltanto al pane. 3. La grivna è la nuova moneta nazionale dell’Ucraina indipendente in corso dal 1996. Transitoriamente dalla dichiarazione di indipendenza i SeBook - i Simonelli electronic Book 478

del 1992 al 1996 si fece uso di un’altra valuta denominata karbobanez. Il valore della grivna è circa un quinto del dollaro ed un settimo dell’euro. Il nome grivna è per altro molto antico. Così era denominata la moneta della Russia Kieviana nell’undicesimo secolo. 4. La usatissima parola russa Ierundà si può tradurre in italiano come, scemenza, stupidaggine, idiozia.

3. Le Porte d’Oro di Kiev 1. Kopeko è il nome dato ai centesimi. Vale tanto per il centesimo di gryvna come per quello di rublo in Russia. 2. Eroe dell’Afganistan 3. In russo Armata Rossa si dice Krasnaja Armija. 4. Nicolai Michailovič Karamzin nato il 12 Dicembre 1766 a Michailovka nell’Impero Russo i SeBook - i Simonelli electronic Book 479

e deceduto il 22 maggio 1826 a San Piertroburgo, seconda capitale dello stesso Impero. Storiografo e storico russo, scrittore, poeta, membro onorario dell’Accademia delle Scienze di Pietroburgo dal 1818 alla morte. Fu l’estensore della Storia dello Stato Russo una delle prime opere complessive sulla storia russa. Fu redattore del Giornale di Mosca (Moskovskji Dzhurnal) (1791-92) e del Messaggero d’Europa (Vestnik Evropy). 5. Michail Vasilievič Lomonosov nato il 19 Novembre 1711 nel Governatorato di Archangelo (Impero Russo) e deceduto il 15 aprile 1765 a San Pietroburgo. Fu il primo studioso di scienze naturali russo a raggiungere una fama internazionale. Come poeta egli gettò le basi della lingua letteraria russa contemporanea. Diede contributi sia come pittore che come storico. Stimolò lo sviluppo di un sistema di istruzione pubblica e si interessò di Economia. Introdusse la teoria cinetica i SeBook - i Simonelli electronic Book 480

molecolare. Sviluppò il progetto di fondazione e costruzione dell’Università Statale di Mosca che la posterità dedicò al suo nome. In astronomia scoprì l’atmosfera del pianeta Venere. 6. Eparchia è la denominazione greco-ortodossa di una diocesi episcopale. 7. Il cronista Nestore, un monaco del monastero Pecherskij, è autore, secondo la tradizione, della Cronaca degli Anni Passati. Quest’ultima è una compilazione annalistica della storia della Rus’ kievana condotta dai primordi fino all’anno 1117. Il titolo completo dell’opera è: La Cronaca degli anni passati, di dove è derivata la terra russa, chi a Kiev cominciò dapprima a regnare e di dove la terra russa è sorta (Se povesti vremjan inychu letu, otkudu, esti poshla ruskaja zemlja, kto vu Kieve naca parvee knjazhiti, i oktendu ruskaja zemlja stala esti). In realtà la Cronaca è un’opera composita, un corpus di successive compilazioni che vennero aggiunte e integrate i SeBook - i Simonelli electronic Book 481

nel corso di molti anni. Le analisi filologiche hanno mostrato una progressiva crescita del testo a partire da un nucleo originale fino alle redazioni finali. 8. Le rapide del Dniepr che per secoli hanno costituito un serio impedimento alla sua navigazione non esistono più dal 1932, dopo la costruzione della stazione idroelettrica che le ha sommerse. Esse erano in tutto nove e si disponevano lungo un tratto del fiume lungo circa 70 chilometri a partire da Lotsmanska Kamianka, che si trova circa 15 chilometri a sud dell’odierna città di Dneperpetrovsk, fino al villaggio di Kichkas oggi sommerso sotto le acque del lago artificiale. A sud delle rapide si trova l’isola di Khortytsia che nel XVII e XVIII secolo fu la sede della Sech’ cosacca. 9. Con lingue uralo-altaiche viene indicato un gruppo liguistico che include le lingue altaiche (turco, mongolo, kazaco, uzbeco, manciù e i suoi derivati come il coreano e il giapponese, i SeBook - i Simonelli electronic Book 482

ecc.) e le lingue uraliche (ungherese, finlandese, estone). 10. Il nome greco Nikeforos è composto dalla radice Nike che indica la vittoria e da quella del verbo fero, portare. Dunque Niceforo è il portatore di vittoria e tale egli fu per l’impero bizantino. 11. Nel nome Svjatoslav riconosciamo le radici dell’aggettivo svjatòi che in lingua russa significa santo e la radice della parola slava che significa fama. 12. Il fuoco greco era una miscela esplosiva usata dai bizantini per incendiare le navi avversarie e poteva essere lanciata sulle stesse fanterie nemiche. La formula di questa miscela era segreta e non ci è pervenuta. Essa era nota soltanto all’imperatore e a pochi artigiani specializzati. Il segreto era custodito così gelosamente che la legge puniva con la morte chiunque l’avesse divulgato. Si ipotizza che il fuoco greco i SeBook - i Simonelli electronic Book 483

- la cui invenzione si attribuisce a un certo Callinico originario della città di Eliopolis fosse una miscela di pece, zolfo e calce viva ovvero di nafta, contenuta in un grande otre di pelle o di terracotta collegato ad un tubo di rame che veniva spruzzata oppure catapultata con appositi strumenti sul naviglio o sulle postazioni avversarie. 13. Il nome Malusha assomiglia al russo moderno malysh che significa piccolino e certamente viene dalla radice di malo poco, ovvero mal’enkji piccolo. 14. Nel nome Vladimir si riconosce la combinazione di due radici. La prima quella del verbo vladet’, dominare e del sostantivo vlast’ potere, l’altra quella di mir che in lingua russa significa sia mondo che pace. Si ricordi ad esempio il titolo del capolavoro di Tolstoj: Voinà i Mir, Guerra e Pace. Bisogna tuttavia notare che nelle fonti scandinave il nome di Vladimir è riferito come Wali SeBook - i Simonelli electronic Book 484

damarr ed in chiave germanica si riconosce invece la radice Wald che significa selva o bosco, mentre l’origine del finale marr è più incerto. 15. La città di Polotsk trae origine dal fiume Polota su cui è costruita che poco distante da essa flusice nella Dvina. Oggi si trova sul territorio della repubblica di Bielorussia. Nei tempi Kieviani fu una delle più importanti ed antiche città della Rus’. 16. Anche la denominazione russa Knjaz che viene tradotta Principe, tradisce la sua origine germanica, quando la si confronta con la denominazione scandinava Koning analoga al König tedesco od al King inglese. La cosa è ancora più evidente nella versione femminile del nome Kniaghina del tutto simile alla parola tedesca per Regina, cioè Königin). 17. La prima moglie di Giovanni Zimisce apparteneva alla nobile famiglia Sclero ed era sorella di Barda. i SeBook - i Simonelli electronic Book 485

18. La vicenda linguistica della Macedonia è degna di nota perchè è la più esemplificativa della slavizzazione dei Balcani. Le conclusioni della linguistica sono incerte: l’antica lingua macedone precedente al V secolo avanti Cristo è secondo alcuni studiosi una forma arcaica di greco, per altri una lingua distinta, ma pur sempre appartenente alla sottofamiglia greco-macedone delle lingue indoeuropee. In ogni caso dopo il V secolo A.C. e quindi a maggior ragione al tempo di Alessandro Magno la lingua parlata da tutti i macedoni era il greco nella forma del dialetto attico che poi diventò la koinè, cioè il greco ellenistico. Dunque fino ai tempi di Giustiniano cioè fino al VI secolo della nostra era e quindi per più di mille anni l’unica lingua parlata nella Tracia e nell’attuale Macedonia fu il greco. L’attuale lingua macedone è invece una lingua slava molto vicina al bulgaro e tutto fa pensare che questa fosse già la lingua con cui si esprimevano i macedoni ribellatisi a Bisanzio sotto la guida dei Comitopuli nel X secolo. i SeBook - i Simonelli electronic Book 486

Anzi slava era la lingua parlata anche nelle strade di Thessaloniki già un secolo e mezzo prima quando vi nacquero Cirillo e Metodio. È probabile che questi monaci di educazione greca fossero infatti bilingui. 19. Il lago di Ocrida è uno dei maggiori laghi della penisola balcanica ed è considerato uno dei più antichi della Terra. Il lago è situato ad un’altitudine di 695 m s.l.m., ha una superficie di 349 km2 (370 km2 è la superficie del lago di Garda) e la massima profondità raggiunge i 289 m. La parte principale del lago fa parte della Repubblica di Macedonia e una parte minore appartiene all’Albania. 20. La parola druzhina che trae origine dalla radice slava drug, cioè amico, denotava nei tempi kieviani e prekieviani l’armata mercenaria personale di un principe ovvero knjaz, formata da individui liberi che servivano il proprio capo finchè ad essi piaceva poichè il vincolo di obbedienza poteva essere spezzato senza conseguenze in quai SeBook - i Simonelli electronic Book 487

lunque momento e si poteva passare dal servizio di un knjaz a quello di un altro. 21. La chiesa di Santa Sofia a Kiev, iniziata nel 1037, venne disegnata e costruita da ingegneri bizantini. Il tempio, fino alla sua distruzione nel 1240, era per dimensioni il secondo dell’intera Cristianità. Nonostante l’intento di emulare la grande cattedrale di Hagia Sophia a Costantinopoli, l’edificio ha una forma nettamente differente. Invece che una singola cupola semisferica che si innalza dal corpo dell’edificio, la cattedrale di Santa Sofia a Kiev ha 13 cupole a cipolla montate su tamburi.

4. Kiev Anno Domini 2002 1. Stavropegia è un vocabolo di origine greca dal sostantivo σταυροs che indica la croce e dal verbo πεγναµι che significa issare. 2. La città di Poltava, con una popolazione di 330.000 abitanti, si trova ad un centinaio di chiloi SeBook - i Simonelli electronic Book 488

metri ad est della sponda orientale del Dniepr a monte delle rapide, più o meno a metà della direttrice che congiunge Kiev con Kharkov. Si ritiene che la sua fondazione risalga all’899, ma la sua prima menzione appare nelle Cronache di Ipat’ all’anno 1174. Incorporata nel Gran Ducato di Lituania nel XIV secolo dopo il crollo della Rus’ di Kiev passò sotto diretta amministrazione polacca dopo il 1569. Tornata a far parte dell’Impero Russo dopo la rivolta di Khmel’nitskij, nel 1709 la regione attorno a Poltava fu il teatro della decisiva battaglia tra l’esercito dello zar Pietro il Grande e quello del Re di Svezia Carlo XII. Dopo la sconfitta subita a Poltava, Carlo XII fu costretto a ritirarsi verso la Turchia dove, per alcun tempo, fu tenuto in semiprigionia dal Sultano ottomano. Poltava segnò la fine del dominio svedese sul Baltico e l’inizio dell’ascesa della potenza imperiale russa. 3. Rech Pospolitoja ovvero Commonwealth della Corona Polacca era la denominazione ufi SeBook - i Simonelli electronic Book 489

ficiale del grande stato federale nato dalla fusione del Gran Ducato di Lituania con la Polonia. Si estendeva dal Baltico al Mar Nero e comprendeva oltre alla Polonia ed alle odierne repubbliche prebaltiche tutta l’attuale Bielorussia e gran parte dell’Ucraina. 4. Vi è generale consenso tra gli studiosi che l’origine della denominazione hetman sia di derivazione tedesca dal vocabolo hauptman che è tuttora usato come denominazione del grado di capitano negli eserciti dei paesi di lingua germanica. È probabile che hauptman (da haupt-principale e manuomo) sia giunto ai cosacchi tramite la Polonia. 5. Lublino è attualmente la più grande città della Polonia orientale, capitale dell’omonima provincia che confina sia con la Bielorussia che con l’Ucraina. 6. La dizione russa è sotnik che deriva dalla radice sto denominazione del numero cento. Nell’organizzazione cosacca il titolo di sotnik era i SeBook - i Simonelli electronic Book 490

attribuito al capo del villaggio che era anche il capo militare della centuria da esso contribuito in caso di mobilitazione dell’armata. 7. La Galizia è formata dalle province più occidentali dell’odierna ucraina, tra le quali la più importante è quella di Lvov, Leopoli. Fino alla prima guerra mondiale la Galizia era parte dell’Impero austro-ungarico. 8. La parola russa che denominava possedimenti simili a quello di Bogdan è khutor. Si trattava di grandi appezzamenti di terreno agricolo con case coloniche per i contadini ed una residenza signorile per il padrone 9. governatore. 10. Aqmescit, letteralmente la moschea bianca era la capitale del Khanato di Crimea. Essa fu ribattezzata Sinferopol nel 1784 quando il Khanato di Crimea cessò definitivamente di esistere e tutta la Crimea fu annessa all’Impero Russo i SeBook - i Simonelli electronic Book 491

sotto il regno di Caterina II la Grande. La denominazione Sinferopol è un neologismo di derivazione greca (la città utile) espressamente coniato per l’occasione che rivela nel metodo della sua scelta la temperie dotta ed illuminista imperante alla corte di Caterina.

5. Da Kiev a Mosca 1. JINR è l’acronimo inglese mentre OIAI è l’acronimo russo per le parole Obedinionnij Institut Yadernyx Isledovanii, la risposta sovietica alla fondazione del CERN, Il Centro Europeo per le Ricerche Nucleari di Ginevra. Il CERN è un’istituzione internazionale finanziata e diretta secondo precise regole statutarie dai Paesi Membri che hanno il loro rappresentante nel Council che a sua volta elegge un Direttore Generale. Nello stesso modo anche il JINR fu formalmente organizzato come un centro internazionale i cui paesi membri erano praticamente tutti quelli appartenenti al Patto i SeBook - i Simonelli electronic Book 492

di Varsavia. Oggi il JINR mantiene tale status internazionale e conta tra i suoi finanziatori anche paesi occidentali come la Germania e la Corea del Sud. 2. In russo si chiama vobla. Si tratta di un pesce di fiume salato, seccato intero e duro come la pietra che viene sgranocchiato quando si beve birra o vodka. Il nome italiano di tale pesce, appartenente alla famiglia dei ciprinidi e non troppo dissimile dalle carpe è carassio. È essenzialmente privo di gusto proprio, ma salatissimo fa venire sete e lo scopo per mangiarlo è essenzialmente questo. La parola russa seliodka denota invece l’aringa che può essere affumicata (in tal caso si chiama kopchenaja seljedka) oppure, conservata intera marinata in salamoia. Affettata a pezzettini viene consumata nelle insalate condite con maionese o più sovente con salsine fatte con senape ed erbette. 3. Popolazione di stirpe turca che si fuse con i Mongoli dopo l’invasione del 1240. i SeBook - i Simonelli electronic Book 493

4. Sarashka è un neologismo gergale con cui i prigionieri politici dell’epoca staliniana indicavano i laboratori di ricerca segreti inseriti nel sistema sovietico di Campi di Lavoro Forzato (Gulag). Gli ospiti di una sarashka erano scienziati ed ingegneri prelevati da campi di lavoro normali e radunati in un luogo dove venivano costretti a svolgere ricerche al servizio dello stato. Le condizioni di vita materiale nella sharashka erano enormemente migliori di quelle vigenti in un campo della taiga, come quello descritto nell’altro racconto di Solzhenitzyn Una giornata di Ivan Denisovich, ma il ricatto morale era ugualmente devastante. Per non ripiombare nell’inferno da cui era stato fatto uscire il prigioniero era costretto a collaborare con i suoi stessi carnefici, cioè con il regime. 5. V. P. Shelest figlio, fisico teorico, ebbe numerose occasioni di visitare l’Università di Torino. i SeBook - i Simonelli electronic Book 494

6. Petro Yukhymovich Shelest nacque da una famiglia contadina in un paesino vicino alla città di Kharkov nel 1908. Nel 1928 divenne membro del PCUS e nel 1935 ottenne il diploma dell’Istituto Metallurgico di Mariupol’. Tra il 1943 ed il 1954 Shelest fu direttore di varie fabbriche sia a Leningrado che a Kiev. Dal 1954 al 1962 egli fu sindaco di Kiev e nel 1962 divenne segretario del Partito Comunista dell’Ucraina. Poco dopo fu promosso alla posizione di Primo Segretario del Partito della Repubblica Socialista Sovietica di Ucraina. Da questa posizione, più o meno equivalente a quella di Governatore della Repubblica, egli promosse una certa rinascenza e fioritura della cultura locale ucraina in cui si iscrive anche la costruzione del Laboratorio Bogolyubov. Nel 1968 venne insignito del titolo di Eroe del Lavoro Socialista. Lo stesso anno insieme al leader della DDR Ulbricht. Shelest fu tra in prima fila dei falchi che pretesero l’invasione della Cecoslovacchia e lo stroncai SeBook - i Simonelli electronic Book 495

mento della primavera di Praga. Divenuto presidente del Soviet dei Ministri dell’URSS nel 1972 egli cadde in disgrazia l’anno successivo, probabilmente proprio a causa del ruolo politico giocato nel prendere la sciagurata decisione di invadere Praga e nel 1973 fu obbligato da Brezhnev a dimettersi , ritirandosi in pensione. 7. ITEP è l’acronimo per Institute of Theoretical and Experimental Physics. Si tratta di un Istituto di Ricerca focalizzato su una varietà di campi che comprendono l’Astrofisica, la Fisica Matematica, la Fisica Nucleare e la tecnologia degli Acceleratori, lo studio delle nano-tecnologie, la Fisica Sanitaria, l’Informatica e varie branche dell’Ingegneria ad alto contenuto tecnologico. Caratteristica dell’Istituto è la coniugazione dell’attività di ricerca con un programma di didattica elitario ad altissimo livello, per giovani selezionati da tutte le Università e scuole dell’ex-Unione Sovietica. i SeBook - i Simonelli electronic Book 496

8. Henri Troyat nacque a Mosca il 1 Novembre del 1911 ed il suo vero nome è Lev Aslanovich Tarasov. La sua famiglia, di discendenza armena fuggì dalla Russia all’insorgere della rivoluzione e dopo rocambolesche peripezie attraverso il Caucaso, la Crimea, Costantinopoli e Venezia, si stabilì a Parigi nel 1920, dove il giovane Troyat (nome francese assunto dalla sua famiglia) crebbe, studiò e si laureò in Legge. Il talento letterario di Henri si manifestò prestissimo fino a condurlo a vincere il Premio Goncourt alla età di soli 27 anni. Autore di più di cento tra romanzi, biografie ed altre opere storiche, Henri Troyat divenne Accademico di Francia nel 1959 ed al momento della sua morte nel 2007 egli deteneva il primato assoluto di longevità nel ruolo di membro dell’Accademia Francese. Una parte considerevole dei romanzi e delle biografie di Troyat hanno come sfondo la storia della Russia ed i suoi protagonisti. i SeBook - i Simonelli electronic Book 497

9. il gineceo russo. 10. Gli streltsy erano un corpo speciale, creato da Ivan il Terribile, di soldati al diretto servizio dello Tsar, che vennero pian piano a godere di un sempre maggiore grado di privilegi ed autodeterminazione fino a poter giocare un ruolo simile a quello dei pretoriani nell’antico impero romano e ad intervenire con arroganza nelle questioni di successione dinastica. 11. L’origine delle comunità tedesca del Volga è legata al regno di Caterina II la Grande. L’imperatrice, che era tedesca per nascita, pubblicò nel 1762 e nel 1763 dei manifesti con i quali invitava cittadini europei di qualunque nazionalità, purchè non ebrei, ad emigrare in Russia ed a stabilirvi fattorie nelle zone ancora non coltivate sistematicamente. Ai nuovi emigranti, Caterina garantiva il diritto di mantenere la propria lingua, la propria cultura e la propria religione ed un certo grado di autonomia amministrativa. La risposta all’appello dell’Impei SeBook - i Simonelli electronic Book 498

ratrice non fu molto grande da parte di altre nazioni, ma ebbe invece una certa ampiezza in Germania. Sorsero così le comunità tedesche del Volga che parzialmente sussistono tuttora. 12. Abbreviazione per Massovaja Literatura, associazione per la letteratura di massa.

6. Di cucina, di favole e di cinema 1. Secondo la ricetta tradizionale russa i blinỳ sono fatti con pastella fermentata che viene lasciata crescere per un certo numero di ore e poi diluita con acqua calda ovvero con latte appena prima della cottura in forno. I blinỳ possono essere consumati così come sono, oppure spalmati con burro, smetana, marmellata, miele oppure uova di pesce. Sovente vengono arrotolati a forma di tubo. 2. In russo: Kak na masljanoi nedele v potolok blinỳ leteli i SeBook - i Simonelli electronic Book 499

3. In russo: Bez blina ne masljana. 4. In russo: Na gorkax pokatat’sja, v blinax povaljat’sja. 5. In russo: Na lakomki 6. In russo: k tëshe na blinỳ 7. In russo: dlja udovol’stvija ljubimogo zjat’ka 8. In russo: nouchit’ ikh umu - razumu, cioè insegnare al loro cervello buon cervello. 9. Piroshkì, cioè pasticcini al cavolo. Il ripieno di questi panini fritti può essere di carne, di cavolo, di funghi o di altro ancora. La procedura di preparazione è sempre la stessa. Ecco ad esempio la ricetta dei piroshkì ai funghi. Ingredienti: Una confezione di pasta sfoglia surgelata, un bicchiere di latte, un cucchiaio di burro, due cucchiai di farina, due cucchiai di formaggio grattuggiato, pan grattato, quattro cucchiai di funghetti trifolati, due uova, sale, 300gr. d’olio di semi di girasole. i SeBook - i Simonelli electronic Book 500

Procedura: Lasciare scongelare la pasta; spianarla e collocarla entro una teglia a base rettangolare larga, previamente imburrata. Cuocere in forno preriscaldato a 1800 per mezz’ora, circa. Appena cotta, dopo averla lasciata intiepidire nel forno, estrarla e capovolgerla sul piano di lavoro. Tagliarla orizzontalmente con un lungo coltello affilato e lasciare i due strati in attesa, separati. Mettere adesso il burro in un pentolino. Farlo fondere ed incorporarvi la farina. Rimestare la pastella ottenuta; poi diluirla con il latte. Salarla e porla sul fuoco ad addensarsi, rimestandola. Appena densa, amalgamarvi i funghetti; poi estenderla su di una delle sfoglie. Coprire questa sfoglia con l’altra, in modo che le due collimino; pressarle delicatamente. Quindi con un coltello affilato, ritagliarle a rettangoli di 3×6 cm. Impanare i piroshkì e friggerli in abbondante olio bollente. 10. I vareniki sono un’altra forma di ravioli, tipicamente ucraini. Caratteristico dei vareniki è i SeBook - i Simonelli electronic Book 501

il ripieno che mescola dolce e salato. Tipicamente, l’impasto racchiuso nella pasta contiene tvarog cioè ricotta, ciliege o prugne, insieme a patate, cipolle, fagioli cotti, funghi e talvolta fegato od altre frattaglie. Bolliti in acqua salata essi sono usualmente conditi con la smetana. 11. VGIK è l’acronimo per Vserossijskij Gosudarstvennyj Institut Kinematografii imeni Gherasimova. 12. Il cognome russo fa l’eco alla parola russa oguretz che significa cetriolo.

7. L’emozione sottile di parlare russo 1. ICTP è l’acronimo di International Centre for Theoretical Physics, una istituzione delle Nazioni Unite, con sede a Trieste, la cui missione, oltre ad organizzare un considerevole numero di conferenze è creare un luogo di incontro privilegiato tra gli scienziati del primo mondo e quelli del terzo i SeBook - i Simonelli electronic Book 502

mondo. L’ICTP è stato pensato, voluto, creato e per lungo tempo diretto dal premio nobel per la fisica Abdus Salam, di origine pakistana, uno dei tre inventori del modello standard delle interazioni elettrodeboli. 2. Il russo prerivoluzionario conteneva alcune ulteriori lettere che furono soppresse da una riforma di Lenin. Alcuni di questi segni sono sopravvissuti nella grafia della lingua ucraina contemporanea. 3. kot in russo significa gatto. 4. kit in russo significa balena.

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