Rennes le Chateau. Dal Vangelo perduto dei Cainiti alle sette segrete
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Zitiervorschau

Mariano Bizzarri

RENNES LE CHATEAU dal Vangelo perduto dei Camiti alle sette

Introduzione di Gianfranco de Turris

EDIZIONI imxTEmtm

segrete

Finito di stampare nel mese di febbraio 2005

ISBN 88 - 272- 1753 - 3 © Copyright 2005 by Edizioni Mediterranee - Via Flaminia, 109-00196 Roma • Printed in Italy • S.T.A.R. - Via Luigi Arati, 12-00151 Roma

Indice

Pag. Ringraziamenti

7

Introduzione

9

I contraffattori Dove nasce la mistificazione, 15 - La questione del Priorato di Sion, 17 - Le domande fondamentali, 20 - Il diavolo si nasconde nei dettagli, 24

13

II mistero Saunière: gli interrogativi reali

28

Le Amicizie angeliche La lettera di Henri Buthion, 53 - L'AA, una Associazione angelica?, 55 - Ancora Boudet, 72 - Il Polipo, 74 - Monsieur Nicolas Pavillon, 76 - La strana vicenda di monsignor Billard e dei suoi protettori, 81 - Polycarpe de la Rivière, l'abate Roca e la marchesa di Pomar, 84 - Infine un assassinio: Gélis e Angélique, 87

53

Le Tradizioni occulte Le strane amicizie di Bérenger Saunière, 89 -1 viaggi a Parigi e Lione, 90 - Da Monti a Pierre Plantard de Saint Clair, 92 - Doinel e la Chiesa Gnostica, 95 - Gli occultisti della Linguadoca e la Tradizione egizia, 96 - La Société Angélique, 104-1 Pastori dell'Arcadia, 110 - Tenet confidentiam, 114

89

L'esoterismo capovolto di Gérard de Nerval Nerval a Rennes-le-Chàteau, 118 - Nerval un iniziato?, 119-11 viaggio in Oriente, 123-11 Serpente, 126 - Caino e Tubalcain, 129 -1 Cainiti, 134 - Gli angeli ribelli, 142 - Le fonti di Nerval, 148 - Torniamo al popolo sotterraneo e ai Merovingi, 156

118

Il Mondo Sotterraneo Il Tredicesimo guerriero, 158 - Le leggende del Razès, 161 - Il carnabal, 164-1 chrestians, 166 - Le Prince d'Aquitaine à la tour abolie, 170 - Catari e Bogomili, 174-11 patto di sangue, 178 - Alle origini della controiniziazione, 183-1 due volti dell'Avversario, 186 Il messaggio Gli ingredienti del mistero: un luogo di resurrezione, una soglia per l'Altro Mondo, un dio dei primi tempi che attende, un talismano per propiziarne la venuta e le attività di oscure società controiniziatiche, 196 - Le grandi "scoperte" e i segni dell'antitradizione, 212 - Un messia femminino?, 215 - Come si diventa scrittori di successo, 218

Ringraziamenti

Questo saggio esce a circa dieci anni di distanza dal precedente. Il ritardo può essere spiegato in modi diversi, ma certo preponderante è stata la necessità di svolgere lunghe ed accurate ricerche che ci hanno impegnato in Italia, in Francia e in altri luoghi. Molte cose non sono state dette, per non appesantire il già ponderoso impegno di chi deve leggere, altre forse non lo saranno mai, per il semplice motivo che non è opportuno dire troppo se non si dispone di quelle prove incontrovertibili che l'esegesi critica e storica richiedono. Chissà, forse, un giorno, avremo modo di tornare con nuovi elementi e con maggiore precisione su temi che qui vengono solo sfiorati. Dobbiamo molto a molte persone che insieme a noi si sono prodigate nel condurre ricerche, trovare documenti, allestire il materiale iconografico e sobbarcarsi, oltre ad estenuanti scarpinate nel Razès, la fatica di tollerare chi scrive, le sue intemperanze e l'attivismo frenetico. A tutti indistintamente rivolgiamo con affetto e riconoscenza la gratitudine più piena. A Giorgio Balestrieri e Fulvio Fabiani, che ci hanno accompagnati nel corso della quarta spedizione a Rennes-le-Chàteau, e che si sono incaricati delle riprese fotografiche e dell'organizzazione complessiva del materiale; a Elio Casalino, fratello tra i fratelli, che insieme agli amici Enrico Pellis (a cui dobbiamo molte fotografie!) e Valerio Masciolini, ha fatto parte della terza spedizione, nel corso della quale abbiamo avuto modo di penetrare in modo davvero insolito più di un segreto di Rennes... Un grazie a Paolo Piccari, che ci ha accompagnato (e moralmente sostenuto!) nel corso delle defatiganti ricerche condotte presso la Biblioteca Angelica e l'Archivio Segreto di Stato del Vaticano. Dobbiamo altresì ringraziare gli amici Luca Marchetti, Francesco Pullara e Luigi Gallina, per averci procurato libri, documenti e materiale. Con Angelo Iacovella e Enrico Quattrocchi abbiamo un debito per le molte interessanti segnalazioni, inserite e commentate nel testo, mentre un sentito ringraziamento va a nostro cugino Ilvano Quattrini per l'insostituibile consulenza sui testi latini e greci.

Ringraziamo l'editore, l'amico Gianni Canonico, per aver creduto a questa nuova fatica e per l'ampia disponibilità. Non possiamo infine dimenticare Gianfranco de Turris - per i consigli, la revisione del manoscritto e l'intelligente prefazione - e Natale Mario di Luca che non solo si è assunto l'ingrato compito di revisione del testo, ma cha ha elaborato alcuen note e che ha avuto la pazienza di discutere e ridiscutere l'impianto generale dell'opera un'infinità di volte.

Introduzione

Non si contano più i libri che in in varie lingue sono stati dedicati al "mistero di Rennes-le-Chàteau", al "segreto di Bérenger Saunière" e via discorrendo, dopo quel primo L'or de Rennes del giornalista Gérard de Sède pubblicato nel 1967: in quasi quarantanni saranno centinaia o forse migliaia. Sull'argomento si è scritto in buona fede e in perfetta mala fede, con intenti seri o scandalistici o mistificanti, solo per occuparsi di un fatto alla moda ed un argomento vendibile o per una concreta ricerca di verità, per chiarire gli eventi o per intorbidarli, per complicarli o per banalizzarli: sta di fatto che le tesi per spiegare alcune vicende storicamente provate sono state innumerevoli, tra loro contrastanti e contraddittorie, spesso inverosimili e assurde o semplicemente fantasiose. Non si è però arrivati a conclusioni certe, pochi sono i punti accettati da tutti, molte le divagazioni e le mistificazioni spesso volute ma anche involontarie. Insomma, in quattro decenni non si è data alcuna parola definitiva al "caso" se non - appunto - per alcuni fatti certi e consolidati. Per il resto: tesi, deduzioni, ipotesi, teorie di ogni tipo che hanno tirato in ballo tutto l'armamentario occultistico, pseudo-spiritualista, falsamente iniziatico ed esoterico d'obbligo per un periodo inquieto, angoscioso, oscillante tra materialismo e neospirituale, pieno di attese escatologiche come può essere quello a cavallo fra due millenni. Un fenomeno quasi inevitabile. Sta di fatto che su questa periferica regione del Midi francese, il Razès, l'Aude, a tutti ignota se non a coloro che si sono interessati del catarismo, sembra oggi concentrarsi l'attenzione del mondo, grazie anche a saggi, romanzi e - ovviamente - film. Sembra quasi verificarsi in parte quel che accadde negli anni Ottanta quando Umberto Eco, prima con II nome della rosa (1980) e poi con Il pendolo di Foucault (1988), intendeva, tra il serio e il grottesco, gettare un po' di fango sul Medio Evo e sull'esoterismo, cercando (questi i suoi intenti dichiarati) di criticarne in forma narrativa quelli che dal suo punto di vista razionalista e progressivo erano i loro lati negativi, le pecche, le falsità, le immagini errate e mitizzanti, le illusioni, le assurdità. Però, secondo la più classica eterogenesi dei fini, invece di scoraggiare con le sue "denunce" i lettori a

frequentare certi argomenti, ottenne l'effetto esattamente opposto: i lettori si moltiplicarono e mai come in quel periodo le opere dedicate al Medio Evo, all'esoterismo, ai templari, alla magia, alle società occulte e così via divennero best-sellers, sia quelle dozzinali sia quelle serie. Ora arriva questo sconosciuto scrittore americano, Dan Brown, che mette in forma narrativa le tesi esposte una trentina d'anni fa prima da Ambelain e poi da Lincoln & Soci, e in poco tempo vende in tutto il mondo venti milioni di copie del suo romanzo. Sarà di certo il circo mediático globalizzato, sarà di certo l'interesse ormai spasmodico per certe tematiche che, al di là dei confini nazionali, colpisce indifferentemente i lettori, ma viene quasi da pensare che dietro vi sia dell'altro. Il risultato? A me pare che sia quasi quello prodotto dai romanzi di Eco ma rovesciato: entrambi non hanno distolto il pubblico da certi argomenti, bensì prodotto una impennata di vendite di libri consimili, ma, nel caso attuale, infiltrando delle idee negative che avevano di certo circolato di meno all'epoca dei saggi di Ambelain e Lincoln, limitandosi a circoli più specialistici. Mentre Eco dissacra, Brown distorce. Insomma, una volgarizzazione di falsità esoteriche, di una pseudo-storia. Di cosa effettivamente si tratti, di quel che può esservi verosimilmente dietro il "mistero di Rennes-le-Chàteau" e la singolare storia del suo parroco, si occupa per la prima volta con competenza, dottrina e profondità sia storica che esoterica Mariano Bizzarri che ha condensato in questo suo libro una dozzina d'anni di studi e ricerche. Ricerche - diciamo subito - effettuate sul campo, sul territorio, indagando in loco, ma anche in archivi pubblici e privati, compreso l'Archivio Segreto del Vaticano. Non un saggio scritto sulla semplice base degli altri centinaia sull'argomento, ma scritto grazie a indagini personali e dirette. Autore con Francesco Scurria del primo libro italiano sul tema, Sulle tracce del Graal, uscito nel 1996, Mariano Bizzarri propone un testo assai complesso, assai profondo, solo in apparenza pieno di excursus (tutti motivati e i cui fili alla fine raccoglie nel capitolo conclusivo), che per la prima volta tenta di dare una spiegazione completa ed esauriente, ancorché non del tutto definitiva, al vero "mistero" di Rennes, al vero "segreto" di Saunière. Per raggiungere il suo scopo l'autore deve prendere la vicenda molto alla larga e molto da lontano rifacendosi alla storia della regione e della cittadina; alla religione, al mito e alla leggenda; ai personaggi: sacerdoti, politici, artisti, nobili, scrittori, occultisti che vi gravitavano intorno; alle innumerevoli società segrete, laiche ma soprattutto cattoliche o presunte tali, che vi ebbero a che vedere, ai loro fondatori, mentori e adepti; alle piste carsiche le più disparate, ma emergenti praticamente allo stesso punto. Ricostruendo tutte queste vicende, tutte queste vite, tutte queste correnti religiose, esoteriche e culturali, Bizzarri ritiene di aver dato una risposta coerente, esaustiva, ancorché in parte solo ipo-

tizzabile a questo enigma, che non è certo il banale "tesoro dei Templari" di cui spesso si è parlato. Certo, se alcune sue affermazioni sono basate su documenti anche inediti, altre sono semplicemente induzioni e ipotesi (soprattutto per quanto riguarda le vere intenzioni di chi sta dietro e intomo a questo "mistero"), ma sempre logiche rispetto alle premesse che si conoscono o a quanto ha personalmente scoperto. Una logica stringente e conseguente: non per nulla Bizzarri è uno scienziato che applica anche a temi che impropriamente vengono definiti "irrazionali" una necessaria e imprescindibile razionalità (e non per nulla molti grandi esponenti della Tradizione erano dei logici implacabili, tanto da aver fatto studi di matematica, ingegneria o in genere scientifici). Un lavoro lungo, complesso, ma alla fine soddisfacente, che sorprenderà non pochi e che deluderà i molti fanatici dell'effetto plateale e semplicistico. Ma non è che le conclusioni di Bizzarri siano meno inquietanti... Se il Priorato di Sion è un falso ormai accertato (e chi fa finta di non saperlo è in mala fede), alle sue spalle c'è qualcosa di ancor più destabilizzante, chiaramente prefigurato già da decenni dai maggiori autori tradizionalisti del Novecento. Qualcuno potrà pensare ad una esagerazione, ma nel mondo di oggi, che ha perso qualsiasi solido ancoraggio di ordine spirituale superiore e si apre ogni giorno di più alle influenze che giungono dal basso, da una falsa e degradata spiritualità che è assai più facile e semplice accettare, veramente tutto è possibile. Si accetta senza batter ciglio quel che d'impensabile ci ammannisce quotidianamente la tecnologia e si stenta a credere a fatti di valenza spirituale o esoterica (non è una contraddizione in termini), a meno che - ovviamente! - non si tratti di ciarlatanerie che soddisfano la parte più bassa della nostra psiche o le nostre aspettative, i nostri desideri più inconfessabili... È accettabilissimo il complotto millenario del fasullo Priorato di Sion o la tesi dell'esistenza dei discendenti del connubio Gesù-Maddalena, e magari non si ritiene affatto accettabile l'idea che esista, come scrive l'autore di questo libro, "una organizzazione plurisecolare che, sotto nomi e sigle diverse, si era fatta carico di tramandare una tradizione 'rovesciata', incentrata su pratiche magico-occultistiche, saldamente radicata intomo al mito della Grande Madre (Maria Maddalena) e su una geopolitica 'esoterica' destinata a costituire il supporto di una strategia rivolta alla restaurazione di un 'nuovo' Sacro Romano Impero, vera e propria contraffazione di quello originale", sullo sfondo di "una divinità spodestata che attende in una tomba, sepolta in una grotta, il momento di ridestarsi per tornare ad esercitare il proprio dominio sul mondo", un "Angelo di razza bastarda", fratello gemello del Cristo... Il tutto con un punto di riferimento concreto, tramandato nel tempo, spostato da un nascondiglio all'altro, il depositario finale del quale era di certo l'ultima signora di Rennes, e che l'abate Saunière cercò disperatamente, finché lo dovette rintracciare nel 1891, anno in

cui cominciò ad avere molta disponibilità di denaro: forse, ipotizza l'autore, il segretissimo "vangelo cainita di Giuda"... Sembra una storia di H.P. Lovecraft con i suoi dèi primordiali scesi dalle stelle, i Grandi Antichi dormienti in luoghi nascosti, e il libro maledetto che li riporterà in vita, svegliandoli... Ma non è così. Noi viviamo in un periodo di crepuscolo e transizione che si presenta da un lato come "regno della quantità" e dall'altro come "regno della qualità" solo apparente, ma in realtà falsa, che si esplicita sotto forma di una "seconda religiosità" degradata, ingannatrice, adeguata a questi tempi, che illude i suoi fruitori di essere qualcosa di più e diverso dal materialismo, ma ne è invece, come dicevano René Guénon e Julius Evola, l'altro volto, solo in apparenza diverso, ma che è in sostanza addirittura peggiore. È come se il materialismo si sia tanto ispessito sulla pelle dell'umanità da ottunderne i sensi sottili tanto da far accettare gli imbonitori che spacciano magia alla televisione e respingere una spiritualità più alta e più vera solo perché più "difficile". Il "mistero" che si cela in quella remota e depressa provincia della Francia ha anche questo aspetto, un po' il simbolo dei nostri tempi, come le ricerche, le analisi, le interpretazioni e le conclusioni di Mariano Bizzarri efficacemente dimostrano. GIANFRANCO

DE

TURRIS

Roma, novembre 2004

I contraffattori

"Qualunque ignoranza è pericolosa e la maggior parte degli errori dovrebbero essere pagati a caro prezzo. Bisogna augurare molta fortuna a coloro che impunemente serbano una menzogna nella propria testa fino alla morte". ARTHUR

SCHOPENHAUER

Può esistere un mistero dentro il mistero? A leggere attentamente quella travolgente epopea pubblicistica che è venuta edificandosi intorno alla vicenda dell'ormai famosissimo parroco Bérenger Saunière sembrerebbe proprio di sì. Per le tesi sostenute, le mistificazioni spudorate, il crescendo di "rivelazioni", le correlazioni le più improbabili fraudolentemente architettate, fatte proprie da pressoché tutti i volumi finora dati alle stampe 1 - fatte salve poche e illustrissime eccezioni 2 - è infatti indubbio come questa improvvisa ed anomala fioritura di una letteratura ad hoc costituisca, di per sé, un evento difficilmente spiegabile, un autentico "mistero nel mistero". Un fatto straordinario che riguarda non solo il contesto editoriale internazionale, per la massa imponente di libri e libercoli che dal 19673 ad oggi hanno inondato il mercato, ma coinvolge enti ed istituzioni di ricerca, autorità statali (dai sindaci fino all'allora presidente Mitterrand), giornali, stazioni televisive, e che ha promosso il 1 È degno di nota che siano soprattutto gli autori anglosassoni ad avere acriticamente "sposato" le tesi - tristemente celeberrime - inizialmente esposte dai signori Lincoln, Baigent e Leigh, mentre i ricercatori francesi hanno conservato al riguardo, con toni e sfumature diverse, più di una diffidenza. È questo il caso degli studiosi più attenti, come Piene Jamac, Michel Lamy, e soprattutto Patrick Ferté. 2 Tra queste segnaliamo R. Richardson, The Unknown Treasure: the Priory ofSion Fraud and the Spiritual Treasure ofRennes-Ie-Chàteau, Houston, TX; North Star, 1998; J. Robin, Le Royaume du Graal, Trédaniel, Paris, 1993. 3 In realtà le prime pubblicazioni sono anteriori a tale data che è stata scelta solo perché si è ritenuto di dover prendere a riferimento il primo testo organico dedicato all'argomento da Gérard de Sède ( L ' O r d e Rennes, Julliard, Paris, 1967).

prolificare di decine e decine di associazioni, più o meno dilettantesche e volenterose, di fan dell'occulto e archeologi improvvisati, sguinzagliati il più delle volte lungo filoni di ricerca tra i più inverosimili, in una sorta di Queste dou graal, rovesciata e dissolvente, foriera di confusione e di smarrimenti che, non di rado, finiscono con il rivestire tratti psicopatologici 4 . Quanto di tutto ciò abbia a che vedere con l'autentico esoterismo, con la ricerca storica o con la realizzazione spirituale, resta da vedere. Sussiste invero il legittimo dubbio come questa affannosa ricerca del meraviglioso a tutti i costi, alimentata da annunci pomposi - tesi ad istupidire prima ancora che a stupire - anticipatori di segreti tremendi che hanno un non so che di sulfureo, non contribuisca a ingenerare sconvolgimenti negli equilibri psichici, già di per sé fragili, di una folla di "ricercatori" che cercano disperatamente al di fuori di sé certezze e verità capaci di dare senso ad un'esistenza dove invero non brilla alcuna "luce". È anche per questo che l'evento editoriale e la stravaganza dei temi e dei contenuti rappresentati non possono essere interpretati esclusivamente sulla base dell'interesse per l'esotico e il fantastico, evocati dalla storia di Saunière, e le ragioni profonde - queste sì occulte! - così come gli obiettivi di questa complessa e diversificata macchinazione mediatica, andrebbero analizzati e denunciati con estremo rigore. Senza per questo rinunciare ad affrontare il mistero autentico, che ancora si percepisce in dissolvenza dietro la cortina fumogena della "rivelazione" di turno, sempre più lontano ed in attesa della prossima, immancabile "scoperta" che, pur riassorbendo in sé la precedente, la stravolge e .ne propone di alternative in conformità ad un percorso di tipo algoritmico dove tutto finisce con il "dissolversi" in una dispersione senza fine. Prova ne siano le continue "ricerche" (?) condotte con mezzi non si sa se più disparati o esilaranti - dalle sedute spiritiche agli scavi sotto la Torre Magdala - che non hanno, dopo anni di "imprese minerarie" e di indagini "metapsichiche" prodotto alcun risultato utile; diciamolo pure una buona volta: ciò che Saunière ha trovato - perché indubbiamente qualcosa ha effettivamente rinvenuto nel corso delle sue ricerche - non è certo più lì dove era\ e questo da almeno un secolo. Ritenere che sia rimasto in loco, in attesa del primo dilettante di turno - quando gruppi ben più organizzati e ben più consapevoli hanno da tempo messo a setaccio l'intera regione - costituisce una credenza che rasenta l'imbecillità. Ma ciò che è ancor più importante è che questa gigantesca opera di contraffazione allontana dalla comprensione di ciò che, con la vicenda di Saunière, 4

Basti leggere il tenore delirante dei dialoghi che si svolgono su alcune chat-line dedicate a Rennes-le-Chàtcau.

costituisce solo il primo tassello di una avventura di cui non siamo certo vicini a scorgere la fine.

Dove nasce la mistificazione Sappiamo oggi che la macchinazione che ha portato prima Gérard de Sède e quindi Lincoln, ad elaborare la tesi di una sopravvivenza dei Merovingi eredi sia del "sangue", sia del "messaggio autentico" del Cristo - le cui prove sarebbero state recuperate da Saunière, dopo essere state custodite da tempo immemorabile dal cosiddetto Priorato di Sion, si fonda essenzialmente su una serie di brochures stampate "in proprio" o ciclostilate, per essere depositate in modo discreto presso la Biblioteca Nazionale di Francia 5 . Questi documenti sono dei falsi manifesti, e ciò è stato denunciato da alcuni degli stessi "compari" coinvolti nel complotto. Plantard, ma prima ancora Philippe de Cherisey hanno chiaramente affermato che il dossier Lobineau6 è frutto delle elucubrazioni deliranti di Philippe de Toscane du Plantier, conseguite sotto l'effetto della droga 7 , mentre lo scritto noto come Henri Lobineau8, inerente le genealogie dei re Merovingi è stato approntato da Plantard. Si scopre tra l'altro che il testo della rivista Circuit del 1971, attribuito inizialmente a Cherisey e su cui viene prodotta per la prima volta la decodificazione (fasulla) dell'epitaffio e della "dalle" 9 , è ancora una volta frutto delle elucubrazioni del solito Plantard. Peraltro falsa è la riproduzione fotostatica della stessa dalle su cui oltre alla scritta Reddis Regis Cellis Arcis - viene surrettiziamente inserito l'oc-

5

Per una ricostruzione introduttiva delle manipolazioni di Plantard e soci rinviamo al nostro precedente studio, M. Bizzarri e F. ScurTia, Sulle tracce del Graal, Edizioni Mediterranee, Roma, 1996, p. 50-63. 6 Dossiers secrets d'Henri Lobineau, depositato alla Bibliothèque Nationale il 27 aprile 1967, contenente una lista dei pretesi Gran Maestri del Priorato e un collage di citazioni tratte dagli articoli (pubblicati su Atlanlis) e del libro di Paul Le Cour, L'Ere du Verseau, le secret du zodiaque, Paris, 1937. 7 Lettera di P. de Cherisey a P. Plantard dell' 11 luglio 1985. 8 Depositato alla Bibliothèque Nationale il 18 novembre 1964 (anche se datato al 1956!), comprende i primi accenni alla "storia" di Saunière e la genealogia dei Re Merovingi. Il testo è stato redatto sulla base dell'articolo di Louis Saurei ("Les Rois et Les Gouvemements de la France: des origins à nos jours", Les Cahiers de l'Histoire, n. 1, 1960) ed è servito di base per un altro dei documenti del Priorato (Anne-Léa Hisler, Rois et Gouvernants de la France: Les Dynasties depuis l'origine), depositato il 25 febbraio 1965. 9 Si tratta della decifrazione che permette di ottenere la ben nota frase "Bergèrepas de tentation etc...".

topus e una linea mediana 10 . Ancora più false sono poi le "pergamene" ritrovate da Saunière, in realtà "fabbricate" di sana pianta dallo stesso Philippe de Cherisey, come egli ha più volte rivendicato, tra l'orgoglioso e il divertito: "I documenti trovati da Saunière [quelli veri, Ndr] si trovano a Londra nella cassaforte privata di una Banca da più di 22 anni! [...] Non bisogna confonderli con i parchemins dei vangeli di San Luca fabbricati da me, di cui ho ripreso il testo antico alla Bibliothèque Nationale nell'opera di Dom Cabrol, la Archéologie Chrétienne, collocazione C25"11. La necessità di affidarsi a giornalisti "intraprendenti" ma privi di scrupoli - come Jean-Luc Chaumeil - o a entusiastici, ma non per questo meno smaliziati scrittori, come de Sède 12 , ha inevitabilmente esposto Plantard e compari 10

Anche questa falsificazione è stata ammessa da Plantard in una lettera indirizzata a J-L. Chaumeil e pubblicata nel Le Trésor des Templiers (Trédaniel, Paris, 1994, p. 53). 11 In: J-L. Chaumeil, Le Trésor des Templiers, Trédaniel, Paris, 1994, p. 59. Nel corso di questa intervista P. de Cherisey non fa che riconfermare quanto già aveva scritto su Circuit (1971), Pierre et Papiers (1970-72?, inedito) e L'Enigme de Rennes (1978). Ovviamente tutto ciò non inficia la circostanza - confermata da testimoni oculari - per la quale Saunière avrebbe realmente trovato dei "fogli" in una balaustra di legno all'interno della chiesa. 12 Tutto lascia pensare che la coppia Plantard-Cherisey abbia prima cercato di "manipolare" de Sède, consegnandogli documenti (i famosi parchemins) e informazioni (già dall'epoca del libro Les Templiers soniparmi nous, Julliard, Paris, 1962, che si chiude su un'intervista concessa da un archeologo ed alchimista che non è altri che ... Pierre Plantard medesimo!), e quindi, dato che "qualcosa" non doveva aver funzionato dopo la pubblicazione de L'Or de Rennes (Julliard, Paris, 1967), si sono rivolti a Jean-Luc Chaumeil consegnandogli copia dei falsi la cui pubblicazione - nel libro scritto insieme a Plantard, Le Trésor du Triangle d'Or - sarebbe dovuta servire a screditare de Sède. I rapporti si sono però guastati anche con Chaumeil che, dopo aver provato invano a montare una specie di ricatto (chiedendo la "bazzecola" di 10.000 franchi per la restituzione di una "cassa" di documenti ufficialmente "rubata" a casa di de Cherisey), avrebbe consegnato a sua volta le "carte scottanti" a de Sède che se ne sarebbe quindi servito per la sua definitiva messa a punto (G. de Sède, Rennes-Ie-Chàteau. Le Dossier, les imposture, les phantasmes, les hypothèses, Laffont, Paris, 1988) e per chiudere la partita contro Plantard e de Cherisey. Lincoln - con cui Plantard entrò in rapporti poco dopo la realizzazione di un primo "documentario" per la BBC (1970) - ripropose la vicenda a un pubblico - quale quello anglosassone - culturalmente propenso a credere molto più facilmente a tutto ciò che abbia un qualche sentore di "meraviglioso" e "incredibile", omettendo beninteso di fare un qualunque accenno alla manipolazione dei parchemins. Anche il sodalizio con Lincoln - che nel frattempo perderà per strada Baigent e Leigh resisi conto, anche se tardi, della soperchieria - verrò meno intomo al 1986. Plantard andrà per la sua strada, mentre Lincoln si industrierà ad escogitare sempre nuove "rivelazioni", fino a giungere all'ultima incredibile "trovata", presentata ne The Templar's secret Island (Barnes & Noble, 2002), in cui "ricolloca" il segreto nell'isola di Bornholm, nel mar Baltico!

a ritorsioni e "incidenti" di percorso, costringendoli a correre in qualche modo "ai ripari", tra il 1984 e il 198913. Denunce, querele, smentite, "messe a punto", rettifiche e improvvisi stravolgimenti di fronti e di opinioni, si sono succeduti fino al 1993, quando sono infine sopravvenute alcune - come dire "difficoltà giudiziarie" che hanno indotto Plantard a ben più miti consigli. Nel 1994, il rancoroso Chaumeil pubblicherà nuovi documenti che riconfermeranno le attività di collaborazionista svolte nella Seconda Guerra Mondiale 14 e i trascorsi penali 15 del Gran Maestro che - dimenticato dai più - si spegnerà nel 2000, a Parigi.

La questione del Priorato di Sion Nel fortunato romanzo di Dan Brown viene affermato senza mezzi termini, con sicumera sfrontatezza che: 13 Philippe de Cherisey, nella sua lettera a Plantard dell'I 1 luglio 1985, allarmato avverte l'amico (con cui i rapporti si guasteranno da lì a breve) che "Gérard de Sède è in possesso della cassa di documenti del Priorato di Sion rubata in via Saint Lazare 37, e con il suo contenuto prepara un libro contro di noi. E in possesso del dossier di Georges Monti, così come della fotocopia del contratto con Descadeillas dove tu hai il 65% dei diritti sull'opera (si tratta del volume uscito a firma di René Descadeillas, Rennes et ses derniers seigneurs, Privât, Toulouse, 1964) Peggio ancora, in quella cassa si trovava il tuo manoscritto (originale) di Circuiti Che possiamo fare? Confessare prima della pubblicazione (di de Sède, Ndr) che il volume di Circuit non è stato fatto da me?". 14 Pierre Plantard dette vita nel 1937 ad un movimento di estrema destra (L'Union Française) successivamente confluito nella società degli Alfa-Galati (cfr., Vaincre, n. 1,21 settembre 1942, p. 2), improntato a un feroce antisemitismo c ad un antimassonismo preconcetto. E perlomeno paradossale che un uomo che ha trascorso i suoi primi vent'anni ad opporsi al cosiddetto "complotto giudeo-massonico" (in merito al quale scrisse una vibrante lettera di denuncia al maresciallo Pétain), abbia finito poi per impersonare il ruolo di protagonista di un altro "complotto", mollo più prosaico all'apparenza, ma che gli ha permesso di recuperare ed utilizzare buona parte della tanto vituperata simbologia e fraseologia di matrice massonica o pseudotale. 15 Pierre Plantard è stato condannato nel 1953 ("Monsieur Pierre Plantard a été condamné le 17 dee. 1953. Le tribunal à St Julien-en-Genevois a donné six mois de prison pour un 'abus de confiance 'par application des articles 406, 408 du Code Penar') sulla base degli atti consultabili presso il Tribunal de Grande Instance de Thonon-les-Bains. Stando alla corrispondenza di de Cherisey avrebbe altresì scontato alcuni mesi di carcere nel 1942 per fabbricazione di documenti falsi. Nel 1993 è stato quindi inquisito per una storia di "brevetti" di Gran Maestro (del Priorato beninteso) assegnati a personalità del mondo politico francesi (Roger Patrice-Prelat, legato al presidente Mitterrand) coinvolte in uno scandalo finanziario. In quella occasione ha subito la perquisizione degli uffici e il sequestro del materiale relativo alla storia del Priorato, tra cui alcune "lettere in cui si autodichiarava" legittimo pretendente al trono di Francia.

"Il Priorato di Sion, società segreta fondata nel 1099, è una setta realmente esistente. Nel 1975, presso la Bibliothèque Nationale di Parigi sono state scoperte alcune pergamene, note come Les Dossiers Secrets, in cui si forniva l'identità di numerosi membri del Priorato, compresi sir Isaac Newton, Botticelli, Victor Hugo e Leonardo da Vinci [...] Tutte le descrizioni [...] di documenti e rituali segreti contenute in questo romanzo rispecchiano la realtà"16. A prescindere dalle macroscopiche inesattezze di ordine tecnico contenute in questa pretesa "informazione storica" - il dossier in questione non è stato scoperto nel 1975, non si trattava di pergamene ma di un manoscritto battuto a macchina - c'è da domandarsi fino a che punto ci si voglia prendere gioco della nostra intelligenza. Si tratta infatti di affermazioni apodittiche interamente false e spacciate per verità rivelata. Questo è il punto d'arrivo di una generale intossicazione delle coscienze e delle intelligenze promossa da chi sta dietro l'oscura regia che prende le sue mosse dal dossier Lobineau. Sappiamo, per ammissione dello stesso Plantard - e questo sin dal 1989 - che il cosiddetto Priorato di Sion, così come ci è stato inizialmente presentato da Lincoln e soci - costituisce una vera e propria "vulgata" cui da allora si sono acriticamente tenuti più o meno tutti gli autori di lingua anglosassone; tuttavia, non è mai esistito come tale, e di vero, sempre se si voglia ancora prestar fede a Plantard, c'è solo che una associazione che porta tale nome è stata fondata solo nel 1681. Ma lasciamo parlare il preteso discendente dei Merovingi: "[Nel] 1967 Philippe Toscan pubblicò un testo oltraggioso intitolato 'Dossiers Secrets' [i.e, Lobineau, Ndr\. Questo personaggio [...] arrestato 1*11 aprile del 1967 dalla squadra narcotici, era stato membro del Priorato di Sion, ma ne era stato espulso nel febbraio del 1967 per tossicodipendenza [...]. La fondazione del Priorato di Sion non avviene né con le Crociate né al momento della dichiarazione alla sotto-prefettura di Saint-Julien-en-Genevoise nel 195617 [...]. In accordo con gli archivi che possediamo, che sono poi quelli di monsignor Di Saint-Hillier (prozio di Philippe de Cherisey), provenienti dal castello di Lys, il Priorato venne fondato il 19 settembre 1738 a Rennes-le-Château da François d'Hautpoul e da Jean-Paul de Nègre. [...] I manoscritti custoditi a Londra da alcuni anni sono autentici [...]. Relativa16

D. Brown, Il Codice da Vinci, Mondadori, Milano, 2003, p. 9. II Priorato nasce infatti ufficialmente nel 1956 come "associazione" sulla base della legge del 1 luglio 1901, D.R. 16 agosto 1901 (l'annuncio ufficiale viene dato sul Journal Officie! de la République Française, 20 luglio 1956, n. 167, p. 6731) e, contrariamente a quanto riportato da Lincoln e soci, non è stato registrato ad Annemasse, bensì a Saint-Julien-en-Genevoise, la cui collina è appunto conosciuta con il nome di "Monte Sion". Si tratta di un'ulteriore mistificazione che non tralascia di imbrogliare anche su dettagli apparentemente insignificanti. 17

mente alla questione dei 'famosi' parchemins [...] questi sono una fabbricazione di Philippe de Cherisey [...] e non hanno alcun valore. I testi originali [da cui sono stati tratti] è nella Bibliothèque Nationale, in un libro sulle Antichità Cristiane"18. E con questo frana miserevolmente quella montagna di carte e di mappe "geo-astronomiche" che hanno preteso rintracciare chissà quale "sconvolgente" messaggio codificato, nascosto tra le pieghe di tanta impostura. Ma Plantard affonda ancor più il coltello nella piaga, quando sottolinea con malcelato masochismo che: "Siamo ora in grado di stabilire ufficialmente che il Priorato di Sion non ha alcuna connessione né diretta né indiretta con l'Ordine del Tempio [alla buon'ora!] e che la fantasiosa successione di Gran Maestri attribuitagli da autori come Philippe Toscan, Mathieu Paoli, Henry Lincoln, Michael Baigent, Richard Leigh ecc., sono frutto di immaginazione [...]. Le origini del Priorato di Sion sono invero modeste. Il Priorato nasce nel Razès e non è nient 'altro che il diretto successore della associazione Enfants de Saint Vincent e (probabilmente) della Compagnie du Saint Sacrement, fondata nel 1629 da Henri Levis, disciolta teoricamente nel 1665, ma di cui alcuni adepti segreti erano ancora in vita cinquant'anni più tardi"19. Affermazioni sconvolgenti che rigiriamo volentieri ai mittenti ed a quella folla di sciocchi che cercano ancora di scoprire nel Razès la "vera tomba del Cristo" 20 ! In una lettera "riservata" ai membri dell'Ordine Plantard tornerà sull'argomento specificando che: "La maggioranza dei membri del Priorato di Sion crede (come me) che la fondazione del Priorato di Sion risalga al 17 gennaio del 1681, a Rennes-le-Chàteau, tuttavia, malgrado tutte le nostre ricerche, ci siamo trovati nell'impossibilità di ritrovare un atto che comprovi questa data [...] Comunque, miei cari Fratelli, che nulla vi impedisca di credere alla creazione dell'Ordine nel 1681, anche non possiamo... dimostrare, ai giorni nostri, l'eterna VERITÀ"21. È incredibile come queste dichiarazioni - e le tante altre fornite nel corso degli anni dagli stessi protagonisti di questa tragicommedia - non siano mai

i» Vaincre, n. 1, aprile 1989, p. 5-6. 19 Vaincre, n. 3, settembre 1989, p. 22 (il corsivo è nostro). 20 Ci riferiamo ovviamente al delirante volume di R. Andrews e P. Schellenberger, Alla ricerca del Sepolcro, Sperling & Kupfer, Milano, 1997. 21 Circolare del 4 aprile 1989 a firma di Pierre Plantard de Saint-Clair. La medesima argomentazione è stata ripresa in Vaincre, n. 2, giugno 1989, p. 7 (il corsivo è nostro).

state riprodotte su alcun libro, né abbiano dato luogo ad alcuna severa riflessione. Si preferisce invece rincorrere piste dichiaratamente artefatte, aggrappandosi disperatamente al cliché abusato di un Priorato onnipotente, vero e proprio "Motore occulto" della Storia, versione aggiornata e quasi patetica della Sinarchia di Saint-Yves d'Alveidre, piuttosto che affrontare invece il mistero - questo sì reale e inquietante - legato alla macchinazione che traspare in controluce da tutta l'affaire. Se in effetti non c'è dubbio che il Priorato di Sion in quanto tale - quello, per intenderci, fondato da Goffredo di Buglione nel lontano 1099 - costituisca una invenzione di Lincoln, ciò non toglie che dietro la sapiente orchestrazione della vicenda esista una qualche organizzazione segreta, articolata, potente, i cui obiettivi a lungo termine, per ciò che ci è dato di sapere, sono lungi dall'essere rassicuranti.

Le domande fondamentali Noi non siamo tra coloro che negano risolutamente - vorremmo dire "pregiudizialmente" - l'esistenza di un corposo enigma dietro la storia di Rennes. Anzi, riteniamo che ci si trovi di fronte a qualcosa di tremendamente importante. Ma proprio perché di misteri reali ne esistono fin troppi, riteniamo che non ci sia bisogno di introdurne di artificiosi che, non lo ripeteremo mai abbastanza, sortiscono l'unico effetto di confondere e mischiare carte già di per sé fin troppo ingarbugliate. Vorremmo per questo, con molta umiltà e pazienza, tornare a riproporre le domande fondamentali cui finora nessuno né ha dato né tantomeno ha provato a dare risposta. Riassumiamo allora brevemente i dati essenziali del problema, sui quali, allo stato attuale delle ricerche, non sembrano sussistere dubbi di sorta. 1 .NRennes-le-Chäteau è da sempre un luogo "sacro" che accoglie popolazioni dai riti oscuri - come i "portatori dei campi di urne" - e i Celti, che vi collocano un Drunemeton, il Cromleck descritto da H. Boudet. La ricostruzione della mitologia locale, sulla base dei toponimi, delle iscrizioni e delle leggende tramandate fino ad oggi, permette di affermare che il genius loci è un "dio spodestato" che attende di risvegliarsi, mentre continua ad imperare su un misterioso "popolo sotterraneo" devoto alla Grande Madre. 2. I Catari, dopo le prime migrazioni di eretici, come i Priscilliani e i Bogomili, faranno del Razès la loro roccaforte. Abiteranno talvolta le caverne dellSabarthès - che costituiranno l'ultimo rifugio contro la crociata di Re Luigi - dove predicheranno i temi della dottrina segreta, solo in parte pervenuta a noi tramite i pochi testi salvati dall'olocausto. Durante l'as-

s e d i o di M o n t s é g u r metteranno in s a l v o , p r o p r i o nella zona di R e n n e s - l e -

Chàteau, un "tesoro" prezioso che, molto verosimilmente, sarebbe stato costituito da manoscritti e altri preziosi documenti. 3^/Questo "segreto" viene custodito dalle famiglie nobili della regione - gli Aniort, gli Hautpoul, i Voisins, i de Nègre - che si imparentano tra loro. È probabile che tanto i Templari quanto lo stesso Re di Francia siano a co^ n o s c e n z a di tutto ciò e predispongano un'attenta sorveglianza. a Dio aveva concesso che gli Angeli venissero di tanto in tanto a resuscitarle nella sua memoria ed egli le aveva così trasmesse ai propri figli. Quelle conoscenze si erano corrotte nella famiglia di Cam, uno dei cui figli, Misra'im, le aveva portate in Egitto [...] L'ordine era stato fondato da un sacerdote egiziano di Alessandria di nome Ormissus o Ormus, che dopo e ssere stato iniziato dai Magi si era fatto battezzare assieme ad altri sei Sapienti quando San Marco era venuto a predicare il Vangelo in Egitto.

24

I corsivi presenti nelle tre citazioni sono stati inseriti per meglio far risaltare gli elementi comuni e le vere e proprie sovrapposizioni. 25 J-E. Marconis de Nègre, Le Sanctuaire de Memphis, Bruyer, Paris, 1849, p. 5. 26 M. Baigent, R. Leigh e H. Lincoln, Il Santo Graal, Mondadori, Milano, 1982, p. 122.

Ormus aveva purificato la sapienza segreta degli egizi da tutte le sue abominazioni pagane, l'aveva armonizzata con i dogmi cristiani [...] [e] aveva imposto ai suoi discepoli [...] come segno distintivo una croce d'oro smaltata di rosso"21. Da questo semplice raffronto emerge con chiarezza come il mito fondatore del Priorato sia stato ispirato direttamente dalla leggenda della Rosa-Croce d'Oro, a prescindere dalla conoscenza che Lincoln e soci potevano avere avuto del testo di Marconis de Nègre 28 . Dobbiamo al Galtier 29 questa acuta osservazione ed è non solo incredi-j bile, ma è sospetto che non sia stata mai rilevata in precedenza da altri au- ; tori che si sono interessati alla vicenda di Rennes-le-Chàteau, forse solo preoccupati di accreditare ad ogni costo la soperchieria del Priorato per rendersi conto di quale genere di mistificazione celasse un'operazione di questo genere. È ormai evidente che i mistagoghi del Priorato hanno manipolate-, leggende precedenti, alchemiche (Rosa-Croce d'Oro) e massoniche (Rito di Memphis), per accreditare in determinati ambienti il mito fondatore su cui riposa la falsificazione de II Santo Graal di Lincoln e soci. Verosimilmente in questo c'è però qualcosa che va oltre il semplice plagio: le allusioni e i "prestiti" sono tanto evidenti che c'è da domandarsi se questa voluta e visibile contraffazione non costituisca una chiara allusione ad altre società, diverse dal Priorato, ma autenticamente segrete e operanti... È in- , fatti alquanto curioso che, per il tramite di un pentacolo alchemico, ritro- ! viamo tutti insieme una serie di personaggi ed organismi che sembrano essere strettamente intrecciati tra loro: Saunière, Cristina di Svezia e l'Ar- | cadia, la Rosa-Croce d'Oro, il Rito egizio di Memphis, Marconis de j Nègre e il famigerato Priorato di Sion. Anche a voler conservare un atteg- | giamento di sano scetticismo razionalista, sarebbe invero semplicistico voler liquidare il tutto come frutto del caso, invocando improbabili e fortuite coin-_ 27

La leggenda della Rosa-Croce d'Oro è riportata in: R. Le Forestier, La Massoneria Templare ed Occultista, Atanor, Roma, 2002, t. Ili, p. 34-35. 28 Nel testo rosacruciano si fanno significative allusioni a Misraì'm come ad un "prescelto" - elemento che verrà ampiamente sfruttato nel Rito di Memphis - e soprattutto al ruolo degli "angeli" depositari di conoscenze cui i "saggi" possono accedere. Questa allusione, neanche troppo velata alla cosiddetta "magia angelica", è in perfetta sintonia con quanto riportato nelYAsclepius e nel Pimander e, più generalmente, con gli orientamenti di un certo tipo di occultismo le cui vicende sono strettamente associate a quelle del mistero di Rennes-le-Chàteau. 29 G Galtier, Maçonnerie égyptienne, Rose-Croix et néo-chevalerie, du Rocher, Monaco, 1989, p. 163-164.

cidenze che, invero, assumeranno un preciso significato solo quando i singoli elementi finiranno con l'essere collocati nella giusta prospettiva... A questo proposito, va sottolineato un aspetto ulteriore, legato alle attese messianiche ed ai timori apocalittici che, come una trama impercettibile a prima vista, sembra sottendere tutta la contorta misteriosofia legata alla vicenda di Rennes-le-Chàteau. Se il testo del Madathanus fa esplicito riferimento, sotto il profilo cosmologico, alla restaurazione "dell'Età dell'Oro", analoghe attese erano vive tra gli adepti della Rosa Croce d'Oro ed ancor più tra i Fratelli Iniziati dell'Asia che di questa rilevano in qualche modo la continuità spirituale. I Fratelli dell 'Asia, che contrariamente ad altre "obbedienze" accoglievano nel loro seno esponenti della comunità ebraica, avevano finito con l'essere influenzati dalle idee del movimento sabbataista, una corrente degenerata del misticismo ebraico che, rigettando il Talmud sulla base di una interpretazione soggettiva e tutta particolare della Thorà, avrebbe influito in modo non indifferente sull'occultismo europeo - in particolare sull'organizzazione degli Eletti Cohen, ramo dell'Ordine martinista - promuovendo una rivisitazione sincretistica delle tre religioni monoteiste, finalizzata all'attesa spasmodica della fine del mondo e dell'avvento del "vero" Messia. Non sarà un caso che molti degli argomenti rielaborati da Lincoln o da altri mistagoghi del Priorato di Sion, come Elizabeth van Buren, si richiamino, seppure non apertamente, proprio a quell'esperienza che, a tutti gli effetti, costituisce una delle pagine più tenebrose ed ancora enigmatiche del pensiero cabalistico europeo a cavallo del XVIII secolo 30 . 4. Le coppie antinomiche. L'inversione della via crucis - che normalmente, almeno fino al 1900, doveva obbligatoriamente essere predisposta in senso orario partendo dall'altare 31 - ci fornisce una prima chiave di lettura. L'e30

G. Scholem, Le grandi correnti della mistica ebraica, Einaudi, Torino, 1993. H Abbiamo già discusso di questo aspetto nel nostro precedente lavoro (cfr. M. Bizzarri e F. Scurria, Sulle tracce del Graal, Edizioni Mediterranee, Roma, 1996, p. 154 e s.). Vogliamo tornare a sottolineare che la regolarità della disposizione del cammino di croce, così come il corretto orientamento di una chiesa (con l'abside collocato ad Oriente), costituivano criteri inderogabili fintantoché sono state conservate (e comprese) alcune norme di ordine tradizionale che, purtroppo, sono andate dissolvendosi a partire dal 1900 e, soprattutto, dopo il Concilio Vaticano II che, come noto, ha introdotto "innovazioni" deleterie sul piano della liturgia e della dottrina. Sappiamo bene come altre chiese presentino in effetti questa anomalia, invero rara prima che le norme cui si faceva allusione cadessero in disuso. Ciò nondimeno, l'inversione realizzata nella chiesa di Rennes-le-Chàteau svolge nell'economia simbolica del complesso una funzione propedeutica: prepara il visitatore attento a dover rovesciare il senso normale di ciò che gli verrà presentato.

vidente anomalia ci invita infatti a predisporci ad un percorso invertito che parta da ciò che è visibile per giungere a ciò che è occultato, consapevoli di come il primo costituisca solo l'apparenza di una verità che, come la via crucis, deve appunto essere invertita per essere colta nella sua essenza. Peraltro, questo è l'esplicito messaggio che, prima ancora di entrare in chiesa, ci viene suggerito dal capovolgimento del capitello su cui venne collocata la statua della Madonna: anche qui, con l'inversione dell'Alpha e dell'Omega, si invita il pellegrino a rovesciare i sensi e i significati di ciò che si troverà ad osservare. Se si adotta questo criterio troveremo che i signa collocati sul lato destro 32 della navata fanno riferimento' ad altrettanti simboli collocati sul fronte opposto, sì da realizzare una sorta di coppie antinomiche: Gesù/Asmodeo, Sant'Antonio/Maria Maddalena, Santa Germana/San Rocco, San Giuseppe/Vergine Madre. A queste vanno aggiunte quelle di partenza e di arrivo, collocate rispettivamente ad Ovest (la montagna) e ad Est (la grotta di Maria Maddalena). La prima coppia allude al Cristo come "apparenza" del "dio nascosto", che non è altri 1 che... Lucifero! (o Asmodeo, secondo la leggenda locale). Ritroviamo qui la riproposizione velata dell'antinomia Abele/Caino e, più generalmente, di un'antico dualismo per il quale Gesù non sarebbe stato che il "fratello" di quel Lucifero ingiustamente scacciato dal Paradiso 33 . Il demone è collocato al di sotto dell'acquasantiera, mentre il Cristo è raffigurato nel complesso statuario che lo vede ricevere il battesimo da San Giovanni: qui viene presentato come "l'agnello di Dio", il cui sacrificio soppianta quello reso al "dio decaduto" dell'antica religione. Nel punto mediano di incontro rappresentato dal confessionale - ci si accorge tuttavia che tra le due figure esiste come un gioco di specchi: l'uno si cangia nell'altro; al di sopra del confessionale è infatti ritratto il Cristo che si china su un agnello le cui fattezze sono indiscutibilmente quelle di un uomo con le orecchie a punta e due corna! Il "sacrificio" di cui è qui questione è quello dell'antico culto, ed è propriamente questi a costituire "l'agnello"! In altri termini: il vero agnello sacrificale è il dio cornuto oggetto del culto tributatogli dalla "prima razza" che popolò la terra 34 . A questa contorta misteriosofia fa del

32 ^Dcstra e sinistra vanno considerate, in accordo con l'orientamento tradizionale, per il quale ci sixirienta avendo alle spalle l'altare, cioè l'Oriente. ^ Q u e s t a concezione, così come la credenza nel fatto che Lucifero fosse il fratello (il "doppio") del Cristo, è propria del Bogomilismo che, come vedremo, ha profondamente influenzatp-U Catarismo occitano. v?.4 Ritroveremo nella sua integralità questa "teologia rovesciata" nell'opera di Gerard de Nerval, le cui vicende sono strettamente intrecciate ai misteri del Razès.

resto riferimento, all'estremità della navata, e quindi al termine del percorso, la presenza di ben due bambini Gesù: l'uno, collocato sulla destra, immagine "apparente" del vero Salvatore, tenuto in braccio - appunto - dal padre apparente, e cioè San Giuseppe; l'altro, collocato sul lato delle verità nascoste e tenuto in grembo dalla "Vergine Madre", un appellativo invero inusuale per designare Maria, ma ben più familiare nella tradizione celtica, gnostica, ricorrentemente utilizzato dalle scuole di ispirazione isiaca. La conoscenza delle "cose nascoste" avviene invero per il tramite di questa figura che in sé sintetizza quel "femminino sacro" onnipresente nella cultura e nella tradizione occitana, la cui presenza ci viene riproposta da Maddalena. Mentre la dottrina essoterica è in realtà un "libro chiuso" - una conoscenza che non può essere trasmessa - come quello che ha Sant'Antonio l'Eremita (colui che, per analogia con la IX lama dei Tarocchi è ancora alla ricerca di "se stesso"), Maddalena detiene il segreto, raffigurato da un libro aperto 35 su cui riposa un cranio asimmetrico e deforme-, detto in altri termini: è il cranio che tiene il libro aperto, o, ancora, "il teschio deve rivelarci il segreto". Vedremo oltre cosa pensare di tutto questo. Per il momento rileviamo ancora una volta come, per giungere alla verità "nascosta", occorra necessariamente "spostarsi" sull'a/iro lato. Solo così si può passare dalla "parola" comunicata - pronunciata ex-cathedra dal baldacchino sito a destra, su cui sono raffigurati i quattro evangelisti - &\Yilluminazione, qui rappresentata da Sant'Antonio di Padova, che viene portato "in cielo" da quattro angeli. A destra abbiamo quindi il messaggio "essoterico" (i Vangeli canonici) che trasmettono un insegnamento velato ed apparente ("rivelazione", ciò che è due volte velato); a sinistra, abbiamo Sant'Antonio da Padova, invocato abitualmente per ritrovare "ciò che si è perduto", rivolto al cielo ("innalzato"), collocato al centro dei quattro punti cardinali e quintessenza dei quattro elementi, quasi a suggerire la natura "alchemica" della riscoperta... A destra ciò che è "rivelato"; a sinistra ciò che è perduto, nascosto, ma può essere recuperato secondo modalità appropriate. Non crediamo sia ozioso ricordare al riguardo un passo del diario di Saunière in cui il curato ha composto un enigmatico collage, utilizzando

curioso rilevare come sulle pagine del "libro" in oggetto siano stati tracciati dei segni che richiamano i glifi di magia cabalistica; il visitatore non ha la possibilità di osservare il testo, dato che la statua è collocata in posizione rialzata, a circa 1,5 m dal pavimento. Ci si domanda perché l'artista - che, ricordiamolo, eseguiva fedelmente le istruzioni di Saunière - abbia ritenuto necessario imprimere quei caratteri; se solo avesse voluto ottenere l'idea della pagina scritta, si sarebbe potuto limitare a tracciare delle linee ondulate che simulano, appunto, la scrittura.

illustrazioni tratte da La Croix. Nel riquadro superiore si vedono tre angeli che innalzano il bambino Gesù al cielo; sotto viene riportata la scritta: "l'anno 1891 portato nell'eternità con il frutto di cui si parla più sotto". Infatti, sul lato inferiore, si può osservare una raffigurazione dell'adorazione dei Re Magi. Què sto_part i co 1 are ci consente_disottolineare la ripetitività con cui il tema "angelico" ritorna nella decorazione della chiesa: ^li angeli sono raffigurati sul portone della chiesa, sopra l'acquasantiera, nel complesso statuario di Sant'Antonio, nel diario di Saunière. Ritroveremo con ossessionante frequenza il tema degli angeli un po' in tutta, là storia che si avviluppa attorno al mistero di Rennes-le-Chàteau. Va evidenziato come i "quattro" angeli che reggono Sant'Antonio siano messi in opposizione ai "quattro" evangelisti: in un'ottica gnostica, quale quella degli Ofiti e di altre più oscure sette, come quella dei Cainiti, il messaggio dei Vangeli canonici costituisce la "conoscenza falsa", in opposizione a quella "vera" che viene conseguita attraverso l'esperienza personale guidata dall'intermediazione angelica. Il percorso del pellegrino - che parte da Ovest, in corrispondenza di una "Montagna fiorita" 36 , si conclude con il bassorilievo di Maria Maddalena. Sappiamo che fu progettato e dipinto dallo stesso Saunière; ritrae Maddalena dentro una grotta che guarda verso un lontano castello semidiroccato. Accanto a lei c'è una croce sbilenca (come quella che impugna il Cristo mentre viene battezzato da San Giovanni, sul lato destro della navata), un teschio ed un libro aperto. Si parte da una montagna per arrivare in una grotta: in questa si troverà l'insegnamento finalmente svelato (il libro aperto), pertinente qualcuno che è morto (il teschio) depositario di determinati segreti 37 ]- così come un teschio è raffigurato nella tela del Guercino ed una tomba nel quadro di Poussin - per il tramite della Maddalena che abita la grotta. Ed in effetti, a poche centinaia di metri da Rennes - separata dal Ruisseau aux Couleurs, si trova la Grotta della Maddalena, verso cui - come ha fatto rilevare Franck Marie 3 8 - punta la finestra meridionale della Torre Magdala. A noi sembra che l'intento di indirizzarci verso una grotta scavata nella montagna - da cui si vede un castello - sia fin troppo esplicita. Ma c'è di più. Lo stesso, cranio - due volte raffigurato nella chiesa - lo ritroviamo, sorridente, sul

3 !> Che questa corrispondenza sia voluta lo ricorda l'antinomia costituita dalla coppia Santa Germana/San Rocco: la prima è adoma di rose, per cui avremo "un roc...fleuris" ("montagna fiorita"). 37 Simbolismo del teschio cranio. 38 F. Marie, La résurrection di Grand Cocu, SRES, Bagneux, 1981.

cancello che dà accesso al cimitero. .Le ante sono alquanto curiosamente adorne di una clessidra da cui si dipartono due ali di pipistrello! Il meno che si possa dire è che il buon gusto difettava alquanto al nostro abate! Ora il teschio nella grotta fa allusione evidente al cranio di un "eremita" (colui che appunto vive nella grotta). Un cranio che torna a sorridere sulla porta che, così come permette di entrare, così consente di "uscire" dal cimitero: consideriamo infine che questo teschio guarda proprio. nella.„d.irezione della g r a t o che Saunière ha voluto costruire nel giardino 39 . Si sta ovviamente parlando "dell'uscita" di un "teschio dell'eremita". Orbene, nella regione, con epicentro a Limoux (a pochi chilometri da Rennes-le-Chàteau), si celebra ogni anno la ricorrenza della sorde des éremites (L'uscita degli eremiti) la cui origine è invero molto antica e trae origine da Bugarach, ovvero dal paese dei "bogomili". In quella circostanza, gli "eremiti", adoratori del dio cornuto spodestato dal Cristo, "escono" dalle "caverne" del loro "mondo sotterraneo", per tornare alla luce e riappropriarsi, seppure "temporaneamente" e in modalità per così dire "simbolica", della terra di superficie. Così come i teschi presenti nella chiesa mostrano una manifesta e voluta asimmetria, così gli "eremiti" della regione si truccano in modo da presentare palesi difformità del volto tali che possano essere immediatamente riconosciuti proprio perché portano un "marchio" di riconoscimento che segnali la loro irriducibile diversità rispetto agli "altri uomini"; ciò spiega anche perché, in occasione di quel carnabal, i ruoli si invertano: le donne si vestono da maschio e i maschi da femmine. La legenda 40 racconta di una razza diversa da quella umana, rifugiatasi sotto le montagne, nelle grotte, dove consuma i riti verso quel "dio cornuto", illegittimamente spodestato il cui corpo riposa nelle viscere della terra in attesa della resurrezione che coinciderà con l'apocalisse. Egli è il detentore di quella conoscenza occulta - la cui ipostasi è Sophia, Grande Madre, Maddalena, Iside o comunque la si voglia chiamare - a cui si abbeverano i suoi fedeli e che consente a quest'ultimi di attraversare il tempo in attesa di giorni migliori. Di questo "luogo di resurrezione" ne parla anche Boudet, il cui scritto - Le Chromleck de Rennes-les-Bains - è invero finalizzato a delimitare l'accesso di tale oscuro santuario 41 che incute: 39 Sulla soglia il curato ha voluto imprimere l'enigmatica scritta "KXSLX" che resiste ancora ad ogni tentazione esplicativa. 40 Ricordiamo che, dal latino, per "legenda" si deve intendere "racconto da interpretare"... 41 Cfr. M. Bizzarri e F. Scurria, Sulle tracce del Graal, Edizioni Mediterranee, Roma, 1996, p. 171 e s .

"Orrore [e] _/à diventare bianchi i capelli. Nella leggenda [...] la grotta di Maria Maddalena era connessa a forze oscure: visibili solo a certi prescelti, gli angeli vi circolavano, facendo levitare la Santa. Dunque, cosa accadeva di così terribile nella grotta di Rennes?"42. È invero sorprendente che tale tradizione - ancor oggi molto viva e sentita - non sia stata tenuta nella debita considerazione da parte di quanti si siano interessati all'enigma del Razès. Ed è tanto più strano qualora si consideri che, sotto un velo mitico sostanzialmente analogo, la si ritrova integralmente nell'opera di uno scrittore che ci interesserà da vicino: Gérard de Nerval. 5. Il cimitero. Riassumiamo: l'inversione della via crucis ci indica che ciò che sembra apparente e ci viene trasmesso (i vangeli) fa in realtà velo alla "sapienza" nascosta. Il percorso all'interno della chiesa deve essere rovesciato, così come è rovesciato il cammino di croce. Ciascuna stazione, trova quindi il suo significato nella tappa collocata sul lato opposto. Al Cristo "agnello di Dio", si contrappone così il vero agnello sacrificato, il Dio dell'antica religione (il demone dell'entrata). Alla verità della Chiesa Cattolica, si oppone la conoscenza veicolata da Maddalena e resa possibile per mezzo del cranio di un uomo morto, così come alla vulgata evangelica (i quattro evangelisti del baldacchino) si contrappone la ricerca alchemica sorretta dagli angeli e promossa dal santo protettore invocato per la ricerca di ciò che è nascosto e perduto. Da una montagna bisogna passare infine in una grotta, quella della Maddalena. Il fatto che il Giardino del Calvario, posto parallelamente alla chiesa e davanti a questa, presenti una planimetria esattamente sovrapponibile a quest'ultima, riconferma ulteriormente il gioco delle corrispondenze prima ricordato. Guardando da Oriente, il giardino si colloca alla sinistra della chiesa propriamente detta ed anzf costituisce in qualche modo la "vera" chiesa, seppure segreta, opposta a quella definita dalle mura, in perfetto accordo alle tradizioni celtiche che collocavano i loro sacelli in prossimità di foreste, ruscelli e grotte. Colpisce il rilevare come, nell'angolo sud-orientale, dove, per corrispondenza dovrebbe collocarsi la prima delle stazioni della Via Crucis - e quindi il punto di inizio di questa queste "rovesciata" e dissolvitrice - si trova, guarda caso, la "grotta della Vergine", costruita da Saunière, apparentemente a memento di quella di Louvre. Dobbiamo insomma ricercare una grotta della Mad-

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D. Kircher e F. Kircher, Il Mistero di Rennes-Ie-Chàteau, 2004, p. 140.

L'Età dell'Acquario, Torino,

dalena, in cui riposa un antenato (il teschio) dai tratti deformi, in cui era adorato quel demone cornuto (posto all'entrata) e la cui custodia è affidata, secondo la tradizione locale, un "eremita" vestito da donna, insomma una "donna" o meglio la stessa "Vergine Madre". Che questa - sotto le spoglie di Maddalena, o di Iside-Venere (come dice Boudet nella sua Langue Celtique) - costituisca la divinità ricorrente in un fazzoletto di terra dove esistono due Rennes (che per onomatopeia si leggono come "Reines" e cioè "regine"), è fin troppo evidente e non abbiamo mancato di rilevarlo nel nostro precedente studio. In quell'occasione mettevano altresì in risalto come fosse del tutto anomalo - per non dire blasfemo - che le croci del cimitero di Rennes-le-Chàteau presentassero invece del Cristo la figura di una donna. Questa caratteristica non è peculiare del paesino, ma la possiamo ritrovare altresì a Coustassa, ad Alet-les-Bains, a Rennes-les-Bains e a Brenac. Per l'occasione facevano ulteriormente notare come la Vergine di Lourdes - collocata al di sopra del pilastro "rovesciato" nel giardino del Calvario - fosse priva dei classici colori mainali. Quale non è stata la nostra sorpresa nel constatare che, dopo anni, qualcuno si era finalmente accorto di tutto questo ed aveva provveduto - con una raffinatezza degna di un porcaro - a "correggere" il tutto. Abbiamo così trovato che il mantello della Vergine era stato ridipinto di azzurro, mentre le croci sono state rabberciate alla belle e meglio, sovrapponendo alla "donna crocefissa ", un crocefisso regolamentare', il tutto legato insieme da un po' di fil di ferro 43 . Quest'intervento riparatore ha finora riguardato esclusivamente il camposanto di Rennes-le-Chàteau; si spera che altrettanto venga fatto negli altri casi da noi segnalati...

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6. Il declino. Nel 1901 muore Billard e nel 1903 lo segue nella tomba Leone XIII. A Carcassonne si installa un nuovo vescovo - monsignor de Beauséjours - che non vede di buon occhio i traffici di Saunière. Il vescovo si informa discretamente e quindi fa i primi passi, prima per allontanare Saunière con le buone -promoveatur ut amoveatur - e quindi, vista la resistenza di quest'ultimo che si ostina a restare nella propria parrocchia, si decide per istruire il processo che si concluderà, nel 1911, con la sospensione a divinis. Saunière, avvertito di come il vento stia cambiando, fa una cosa apparentemente senza senso: invece di darsi da fare per trovare ricevute e giustificativi che attestino le spese sostenute e rendano ragione •

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L'intervento in questione è stato voluto dalla diocesi di Carcassonne, il che conferma come questa eserciti un più che discreto "controllo" sulle oscure vicende che interessano il Razès, a conferma di quanto sottolineato da Jean Robin ne Le Royaume du Graal.

della fortuna che gli è "piovuta" addosso, si preoccupa esclusivamente di distruggere la stele e cancellare l'iscrizione sulla dalle che ricopriva la tomba della marchesa 44 . Siamo nel 1906. Purtroppo per lui - e per nostra buona sorte - la stele era già stata ricopiata da Tisseyre e della dalle abbiamoJa ricostruzione che ne fece Ernest Cros. La domanda che si pone è ovvia: perché bisognava cancellare l'iscrizione? Quali erano le protezioni venute a mancare? 7. Le ultime spese folli. Il periodo che va dal 1911 al 1915 è molto duro per il nostro abate. Ha bisogno di danaro e ne chiede in prestito. Qualcosa gli viene accordato e così tira avanti. Nel 1915 la Congregazione del Concilio, a Roma, prende atto del fatto che la sospensione a divinis è durata fin troppo (generalmente non va oltre i sei anni) e, considerata l'inadeguatezza delle prove portate a sostegno dall'accusa - che per l'appunto non riesce a dimostrare l'esistenza di un traffico di messe - reintegra Saunière nelle sue funzioni. L'accusa era stata montata ad arte per allontanare Saunière da Rennes-le-Chàteau. A dispetto della sentenza di Roma, il vescovo di Carcassonne non reintegrerà il curato. Parroco del paese resta l'abate Marty che ha sostituito Saunière dal dicembre del 1911. Il nostro prete non si dà per vinto: parla di costruzioni straordinarie - case, strade, acquedotti - commissiona progetti, fa nuove spese, si impegna per migliaia di franchi. Su quali fondi contava? Chi lo stava di nuovo foraggiando? Da dove traeva la nuova fortuna? Tutt'altro che sprovveduto, Saunière era dotato di grande senso pratico: non si sarebbe mai esposto se non fosse stato sicuro di entrare in possesso di somme considerevoli. Nel frattempo, non si sa bene né quando né come egli sia diventato cieco d'un occhio: tutto ciò non lo scoraggia e, riscoperta l'avita energia d'un tempo, batte la campagna per ogni dove. Ha ripreso a cercare. Cosa? Nessuno lo sa. In questo periodo commissiona un modellino in rilievo ad un fonditore di Aix-en-ProvenceT la moquette riproduce i luoghi in cui si è svolta la passione di Gesù Cristo

44 È stato evidenziato da numerosi autori la pignoleria di cui Saunière dava prova nell'annotare ogni iniziativa, ogni lettera ricevuta, ogni missiva inviata. Alcuni dei diari in questione sono stati distrutti, mentre è stato fortunosamente recuperato un quaderno che copre il periodo da maggio 1915 a gennaio 1917 (B. Saunière, Cahier de Correspondances 1915-1917, a cura di P. Jarnac, Saleilles, 1997). Acutamente Jamac osserva come il parroco "non lasci nulla al caso. Non solo conservava tutto, fatture, lettere, prospetti e giornali, ma in più riempiva i suoi registri con le osservazioni quotidiane, le notizie meteorologiche, la visita di un amico, ecc."; è pertanto alquanto anomalo che analoga solerzia non sia stata rivolta al rendiconto delle entrate e delle spese sostenute per edificare i suoi possedimenti e che, al momento della convocazione in giudizio, non sia stato in grado di produrre nient'altro che un misero foglietto su cui aveva riportato quattro righe.

e viene confezionata sulla base di precise istruzioni fornite dal parroco. Il fatto è che la mappa non ha rapporto alcuno con la topografia reale e sembra invece riprodurre alla perfezione un luogo delle Corbières, un'area boschiva vicina a Rennes-le-Chàteau. A cosa possa servire, nessuno riesce ancora a capirlo, anche se appare evidente che non si tratta di uno scherzo 45 e costituisca, di tutta verosimiglianza, una mappa che indica un qualche luogo ben preciso. Ma quale? E cosa dovrebbe esservi celato? Saunière non fece comunque in tempo a ritirarlo. D'improvviso, nel gennaio del 1917, si sente male e, dopo pochi giorni, muore. La decifrazione della stele. La stele venne rimossa da Saunière ed è attualmente conservata a Carcassonne. La sua iscrizione è stata parzialmente cancellata, per quanto venne rilevata e trascritta minuziosamente nel 1905 da Elie Tysseyre ed altri membri della Societé d'Etudes Scientifiques de l 'Aude46. L'aspetto del tutto anomalo dell'epitaffio ha da sempre suscitato una più che legittima curiosità: come è possibile che un curato istruito come Bigou abbia potuto commettere tanti errori nel redigere un'iscrizione rivolta ad un personaggio così importante (certo il più importante del paese), finendo con il mettere in evidenza un termine offensivo 47 , lasciando spazi incomprensibili, omettendo lettere (la T di "Hautpoul") o sostituendole (la "T" al posto della "I" in "ci git"). Come ha sottolineato Georges Gagger 48 , l'ammiraglio che ha decodificato il testo e che, stranamente, quasi nessuno dei libri dedicati a Rennes-le-Chàteau si degna di citare: "E manifesto che l'operaio ha ricopiato in modo molto esatto un modello attentamente prestabilito, e queste due anomalie [la 'e' di NOBLe e 'catin'] hanno, come 45

Rennes-le-Chàteau, Cahier n. 3, La moquette du St. Sepulcre, a cura di Club A. Douzet, Jonquières, 2001. La maquette è stata inequivocabilmente attribuita a Saunière sulla base di una serie di ricevute e delle informazioni fomite dallo stesso parroco al fonditore. Il bassorilievo è stato acquisito da un privato. Ciò che sorprende è che una sua riproduzione fotografica fosse nelle mani di alcuni gruppi religiosi che l'hanno pubblicata in un testo del 1979, comparso prima in Italia e quindi in Francia (// Vangelo di Gesù, Istituto S. Gaetano, Vicenza; L'Evangile de Jesus, Apostolat des Editions, Paris). Non esiste al momento una risposta plausibile agli interrogativi che tutto ciò solleva. Certo è diffìcile non vedere anche in questo la longa manus di quella associazione segreta - le "Amicizie angeliche" - che ha da sempre reclutato i suoi membri preferenzialmente tra gli ecclesiastici... 46 E. Tysseyre, "Excursion du 25 juin à Rennes-le-Chàteau", Bulletin de la Société d'études scientifiques de ¡'Aude, 1906, t. XVII. 47 "Catin" in francese significa "puttana". 48 Pumaz (G Gagger), L'Intermédiaire des Chercheurs et Curieux, marzo 1973, colonna 229.

le altre un senso preciso [...] Se si ammette che il T designi un tesoro - il che è frequente - un tesoro quale che ne sia la natura [di ordine materiale o spirituale] e se si unisce l'estremità inferiore del T di CT a quella del T di CATIN, la diagonale così tracciata interseca la quarta linea tra la U e la P di Hautpoul, là dove dovrebbe trovarsi un altro T che manca; taglia la settima linea al piede della T di SEpT. Il tutto si interpreta come segue: c'era un tesoro (CT), è scomparso o è stato spostato [la T mancante di UP, Ndà], è stato ritrovato (SEpT) ed è ora in un 'CATIN', cioè, in latino, in una grotta, una cavità, un oggetto scavato o un recipiente. Si comprende ora la necessità di isolare CATIN: richiamare l'attenzione sul senso particolare di queste due sillabe e posizionare il T sulla diagonale"49. Sappiamo oggi che la "decodificazione" fatta dal marchese Philippe de Chérisey costituisce un falso, neanche troppo brillante. Gagger se ne era accorto già dal 1973, prima della confessione del marchese: "Nella sua brochure Circuit, M. de Chérisey fornisce un'altra interpretazione dell'epitaffio. Secondo lui bisogna fare l'anagramma del testo, dove conta centoventotto lettere; questo testo contiene la 'chiave' necessaria all'operazione; è la parola 'Mortépée' ottenuta con otto delle anomalie apparenti dell'epitaffio. Bisogna allora applicare questa chiave al testo [unendo quello della stele a quello della dalle] e poi aggiungere al risultato le centoventotto lettere addizionali inserite nel primo parchemin. [...] inscrivendo le lettere nei tasselli delle due scacchiere, grazie ad una marcia appropriata del cavaliere, si ottiene il seguente anagramma: 'Bergère pas de tentation. Que Poussin, Téniers gardent la clef PAXDCLXXXI. Par la croix et ce cheval de Dieu j'achève ce daemon de gardien a midi. Pommes bleu"'50. Il che, come è evidente, non ci chiarisce proprio un bel niente a dispetto delle rocambolesche e ciarlatanesche interpretazioni avanzate da Lincoln, soci ed epigoni tardivi e maldestri. Continua Gagger: "Bisogna rendersi conto che qui si fanno diverse operazioni senza che nessuna ci venga spiegata. Anzi, si viene scientemente indotti in errore. M. de Chérisey omette semplicemente di dirci che egli non impiega la chiave Mortépée, ma Mortépée + 1, cioè NPSUFQFF, e altresì che l'epitaffio deve essere letto all'inverso. Npn solo, ma nessun procedimento permetteva all'epoca di trovare un anagramma; ciò si poteva fare solo per tentativi. Un solo procedimento consente di ritrovare un anagramma così concepito. Ed implica che quando lo si adopera, si sia obbligatoriamente già in possesso dei due testi: di partenza e di arrivo. [...] I miei criptologi 49

Cit. in J. Robin, Les Sociètès Secrètes au rendez-vous de l'Apocalypse, 1985, p. 313. so Ibidem, p. 314.

Trédaniel, Paris,

mi hanno detto che si può fare molto meglio di questo. Quella bergère non mi seduce affatto. Secondo me non significa niente e poi, a mio parere, PAXDCLXXXI, ha tutta l'aria di un residuo in cui sono state ficcate le lettere che non potevano essere impiegate in altro modo, tra cui quattro X alquanto ingombranti. Ma c'è di più grave. Ci viene detto di un testo di 128 lettere; ora quello che Tysseyre e i suoi colleghi hanno rilevato non ne conta che 119 (mentre l'originale solo 118) [...] [per ottenere] una bergère leggibile, se non intelligibile [si è dovuto utilizzare] PS PRAECUM che la rivista Pégase ha maliziosamente fatto scivolare al di sotto della riproduzione della stele e che i membri della Società d'Etudes Scientifiques de l'Aude non hanno visto semplicemente perché non c'era! Mortépée è composta da otto anomalie su undici. Perché Circuit non ha utilizzato le altre? Perché non servono per ottenere quell'anagramma. Ed è proprio per questo che sono interessanti: esse mostrano che quell'anagramma non era lo scopo dell'autore del modello dell'epitaffio"5I. L'analisi di Gagger prosegue, mettendo in relazione la stele con la pietra tombale partendo dall'iscrizione presente sulla seconda - L I X L I X L - che si è rivelata essere una chiave numerica in lettere romane e tramite la quale si ottiene "BIGOU". In altri termini, abbiamo là non solo una legame concreto tra le due iscrizioni, ma la dimostrazione che entrambe costituivano un insieme unico il cui autore era l'abate Bigou. In uno studio successivo52 Gagger ha evidenziato la presenza di due anomalie "artificiali" relative al "p" di SEpT e allo "0" della data. La "p" è stata deliberatamente interposta dopo l'incisione della scritta originale 53 . La cifra "0" può essere dovuta ad un errore ("0" al posto di "C"). Ma, sottolinea Gragger, "poiché le due lettere sono indispensabili per ottenere 'Mortépée' [...] penso che sia stata ottenuta con qualche colpo di scalpello da Saunière. Le attività notturne del prete nel cimitero sono anteriori al 1905. È dunque in buona fede che M. Tysseyre e i suoi colleghi hanno rilevato una iscrizione già truccata". Per quanto attiene alla decodifica della pietra tombale, Gagger propone una più articolata decifrazione che - utilizzando tutte le lettere del testo - porta ad ottenere un'anagramma di senso compiuto: Isis e regis regesta ad cellam archis in pago pueri R+C+C, "Iside [la sua statua?] è stata trasportata da Rennes ai sotterranei di Arques, nel paese del Bambino [il Razès], R+C+C [Rosa Croce Cattolica o Cabalistica?]. L'ipotesi del Gagger non fa che rendere

Ibidem, p. 317. Pumaz (G Gagger), L'Intermèdiaire des Chercheurs et Curieux, ottobre 1974. 53 La "p", contrariamente alle altre lettere minuscole della stele, è collocato sotto la linea di scrittura; si evidenzia altresì bene come tra E e T di SEpT, non ci sia spazio sufficiente per un'altra lettera, anche se scritta in caratteri minuscoli. 52

esplicito il senso già contenuto nella iscrizione "reddis regis cellis arcis", su cui non sussistono dubbi, mentre molto discussa è l'attendibilità della ricostruzione che comporta la presenza del motto "Et in Arcadia ego". A parere di Gagger, le lettere successive sarebbero state scolpite dallo stesso Saunière (o da chi per lui) per bene evidenziare come il deposito in oggetto avesse, ancora una volta, "cambiato di mano" (firmando: R+C+C). Entrare nel merito della questione sarebbe complesso e soprattutto aggiungerebbe, crediamo, ben poco all'essenza del messaggio che vi è inscritto e che è già chiaro in base al testo originale. Riassumiamo: l'abate Bigou, confidente della marchesa de Nègre, studia una iscrizione codificata - sia per la stele che per la dalle - in cui, una prima lettura già permette di comprendere come un determinato "oggetto" sia stato spostato per essere trasferito in una "grotta" o anfratto sotterraneo ("cave"). Ciò che vogliamo innanzitutto sottolineare è che Bigou lascia intenzionalmente la propria firma. Perché? Evidentemente voleva essere sicuro che chi avrebbe potuto interpretare l'iscrizione nel suo complesso fosse altresì edotto del fatto che le indicazioni erano state lasciate lì apposta da Bigou medesimo, colui che, in qualche modo, aveva in custodia quel determinato "tesoro". È evidente che questo dettaglio può essere spiegato solo se si comprende che Bigou non agisce da solo né tanto meno per suo conto: / 'abate doveva far parte di una qualche organizzazione cui doveva rispondere dei compiti affidatigli. La rivoluzione, ma soprattutto il giro di vite cui saranno sottoposti i preti cosiddetti "refrattari", lo obbligherà a fuggire molto rapidamente verso la Spagna dove si spegnerà dopo pochi mesi. È probabile che il messaggio racchiuso nellF iscrizioni fornisse le indicazioni minime per individuarne un altro o per identificare quella tomba che Saunière scoprirà solo nel 1891 e che, ricordiamolo, non va assolutamente confusa con quella della marchesa de Nègre. Ricordiamo che è solo a partire da quella data che il curato entrerà in possesso di somme effettivamente ingenti tali da consentirgli di rivoluzionare l'assetto urbanistico del piccolo paese. Del resto, tutto questo appare più che logico nella prospettiva in cui si era posto Bigou: nella necessità di dover lasciare un messaggio, questo andava sì criptato, ma doveva anche essere facilmente reperibile. Non poteva contare sul fatto che qualcuno avrebbe avuto l'idea o l'opportunità di andare a cercare nel pilastro o dentro la balaustra della chiesa. Quale miglior cosa che inciderlo su una tomba, tra l'altro quella più "in vista" di tutto il cimitero? Non è peraltro da escludere che Bigou e gli altri membri della congrega non avessero prestabilito come comportarsi in una evenienza del genere: dovevano aver ritenuto che il camposanto fornisse al riguardo le migliori opportunità per conservare un messaggio comprensibile ai soli che fos-

sero in possesso della chiave "giusta". L'apposizione della firma non si spiegherebbe altrimenti. In questa prospettiva i documenti scoperti da Saunière hanno potuto integrare le informazioni già ottenute e, soprattutto, concorrere a completare quanto sarebbe stato scoperto nella "seconda" tomba. Il fatto che Saunière abbia poi continuato a cercare, per tutta la sua vita, attesta solo il fatto che ciò che era venuto alla luce non costituiva il deposito nella sua integralità. Qualcosa mancava. E l'abate veniva pagato appunto perché continuasse a cercarlo. Arruolato - bon gré mal gre - in questa avventura, a Saunière, così come a Bigou prima di lui, viene chiesto di modificare l'epitaffio, per renderlo, se così si può dire, aggiornato con l'evolvere della situazione. L'abate modifica la stele, inserisce la "p" e lo "0": senza queste modifiche non sarebbe possibile ottenere quella chiave - Mortépée - su cui, quasi un secolo dopo, qualcuno avrebbe imbastito la colossale mistificazione che è sotto i nostri occhi. Ciò appare veramente incredibile, anche perché presuppone, sin dall'inizio, un piano e un'organizzazione capace di eseguirlo e portarlo a termine. Eppure non c'è altra soluzione, almeno che non si voglia pensare che Saunière abbia semplicemente voluto confondere le idee. Di chi? E poi, non sarebbe bastato distruggere tutto, come in effetti fece poi nel 1906? Allo stato attuale delle conoscenze - e con tutte le riserve del caso - la nostra ipotesi è la seguente. A Bigou viene affidata la custodia di un deposito custodito inizialmente dai catari e quindi dalle famiglie nobili della regione considerato estremamente importante dall'organizzazione segreta cui faceva parte. Ciò è niente affatto inverosimile. Il Razès e più in generale la regione di Tolosa hanno dato i natali ad alcune importanti e segretissime associazioni, dai Rosacroce alla Massoneria di Memphis, e soprattutto l'"Aa" - le "Amicizie angeliche" - principalmente costituite da prelati, ma dalla ortodossia quantomeno dubbia, animate da interessi occultistici neanche troppo velati, che fanno leva sulla figura di Notre Dame-Iside, sul simbolismo del "mondo scomparso" o "sotterraneo", sul recupero del "graal" (qualunque cosa intendessero con tale termine) e la rivitalizzazione della "prima razza" e dei "primi re". Bigouche - come accadrà per Boudet e a Billard un secolo dopo - fa parte di una Aa - raccoglie le confidenze della marchesa la cui famiglia è da sempre intimamente legata alle vicende dell'oggetto in questione. È possibile che questo sia stato consegnato dalla nobildonna a Bigou e che il curato avesse per compito proprio quello di vegliare discretamente sul casato di Rennes-le-Chàteau. Comunque sia, morta la marchesa, egli redige un epitaffio codificato in cui lascia le indicazioni essenziali per giungere ad un secondo - e verosimilmente più sicuro - nascondiglio: la seconda tomba, quella che Saunière rintraccerà solo nel 1891, dopo anni di ricerche.

Nulla, infatti, ci autorizza a ritenere che questa dovesse essere presente nel cimitero del paese. Bigou lascia la propria firma sull'incisione, affinché gli altri membri della società segreta sappiano come comportarsi. Nel frattempo scoppia la rivoluzione: Bigou deve scappare. E possibile che nasconda alcuni documenti nella balaustra: l'importanza di questi - esagerata oltre l'inverosimile è in realtà alquanto modesta nell'economia dell'ipotesi qui formulata. Saunière avrebbe anche potuto non trovarli; in realtà li scopre prima di decodificare la stele e un qualche aiuto gli avranno pur recato. Ma le indicazioni essenziali dovevano essere già riportate nell'epitaffio; ricordiamo le date: nel 1886 scopre i parchemins, ma è solo nel 1891 che troverà la seconda tomba; ed è solo a partire da questo momento che mostrerà di possedere una discreta opulenza. All'interno del secondo sepolcro Saunière trova qualcosa di sicuro: è grazie a questa scoperta che ora, nel 1891, può infatti recarsi a Parigi. Se il suo viaggio (che resta comunque ipotetico) fosse dipeso dal rinvenimento dei famosi manoscritti, perché non avrebbe potuto farlo già dal 1887? È grazie a ciò che troverà nel 1891 che, tramite Billard, entra in contatto con il retroterra occultistico dei salotti parigini. Da questi riceverà istruzioni su come predisporre i simboli nel giardino e nella chiesa ed è sicuramente dietro loro indicazione che modificherà l'epitaffio, apponendo questa volta, dopo quella di Bigou, una seconda firma: ET IN ARXADIA EGO che, come suggerito da più parti, costituisce una vera e propria parola di riconoscimento della società segreta nota come Le Brouillard o Angélique. Il deposito in questione - il "talismano di Iside" o qualunque cosa esso fosse - è passato di mano: qualcuno ha rilevato l'eredità della congrega di cui faceva parte Bigou. Non solo ha cambiato la collocazione del "tesoro", ma appone sull'epitaffio la nuova "parola di passo" - Et in Arcadia Ego - e il proprio simbolo: un polipo. Orbene questo può essere rinvenuto già nel XVII secolo in una chiesa di Parigi - Saint Sulpice - i cui destini sono intimamente associati a quelli di Rennes-le-Chàteau per ricomparire d'improvviso, dopo il 1877, in una organizzazione - lo Hiéron du Val d'Or - tra le più inquietanti e che, in forme diverse, probabilmente continua ancor oggi. Perché Saunière decide di distruggere le lapidi tra il 1906 e il 1909? Una prima spiegazione vorrebbe che, morti Billard e Leone XIII, siano venute meno alcune protezioni essenziali. Il nuovo vescovo aveva cominciato ad indagare e Saunière ritenne forse più igienico cancellare prove imbarazzanti. Una seconda ipotesi è che, per un qualche motivo, i rapporti tra Saunière e l'organizzazione segreta operante nel Razès si siano guastati per motivi non facilmente decifrabili. Forse Saunière non aveva risposto appieno alle esigenze della suddetta società; e non a caso, a partire da quella data, le sue entrate subiscono una vistosa contrazione. O ancora un qualche altro fattore può essere intervenuto ad interrompere le buone relazioni tra i due soggetti, relazioni che tuttavia, in-

tomo al 1916, sembrano riprendere, considerata l'inaspettata nuova disponibilità in danaro di cui l'abate darà prova. Comunque sia è da qui che occorre partire, da queste misteriose società segrete, se si vuole cominciare ad individuare almeno uno dei fili della complessa matassa.

Le Amicizie angeliche

La lettera di Henri Buthion Sull'autore dell'epitaffio della marchesa, Antoine Bigou, sappiamo poco. Nato a Sournia, nel 1719, subentrò nel 1774 a suo zio - Jean Bigou - come curato della parrocchia di Rennes-le-Chàteau 1 . Confessore (e confidente) della signora de Nègre, si concesse circa due anni di tempo per preparare e studiare l'enigmatico messaggio che reca in calce la sua firma, seppure criptata. All'indomani della Rivoluzione, in forza del decreto del 27 novembre 1790 dell'Assemblea Costituente, prestava giuramento di fedeltà alla Repubblica il 20 febbraio del 1791. Questo gli venne tuttavia rifiutato, in ragione delle eccessive restrizioni cui il prete aveva subordinato la propria adesione allo stato nascente e, qualificato come "refrattario", dovette presto emigrare in Spagna, nel settembre del 1792, dove, presso Sabadell, si spense il 21 marzo 1794. È alquanto sorprendente che nessuno si sia posto la domanda più ovvia: per quale motivo Bigou lascia la propria firma criptata sull'epitaffio della marchesa? Quella firma, a nostro parere, individua necessariamente un ben preciso destinatario. E cioè i membri di una qualche società segreta che condividevano con Bigou il segreto di Rennes-le-Chàteau e della sua defunta marchesa. Non ci sono altre risposte possibili. Bigou si concede tutto il tempo necessario per scrivere l'epitaffio che, a dispetto degli errori (e delle volgarità) evidenti, non verrà mai modificato. Vi appone la propria firma, quasi per sottolineare che il ruolo di custode del "tesoro" ricadeva sulla sua responsabilità. Una responsabilità che, nel corso dei decenni - fatta salva l'interruzione forzata dovuta alla Rivoluzione dell'89 - è ricaduta su una proteiforme società segreta di cui, con certezza, conosciamo quantomeno il penultimo degli esponenti che, in loco, ha assolto ad una funzione di controllo discreto ed efficace. 1 Per una di quelle coincidenze strane che rendono la storia curiosa, Bigou iniziò la sua carriera di parroco a Le Clat, il paesino vicino Quillan, la stessa parrocchia che, un secolo più tardi, sarebbe stata assegnata all'esordiente Saunière!

È casualmente pervenuta alla nostra attenzione una lettera indirizzata ad Henri Buthion, ultimo proprietario dei possedimenti di Saunière, in cui viene esplicitato che : "[...] Senza dubbio è provvidenziale che le Circostanze vi costringono a risiedere [...] nell'Ovest: degli avvenimenti tremendi stanno per prendere inizio, il termine è stato ritardato ormai tante volte dalla Pazienza divina [...] Nel corso degli Avvenimenti che si produrranno, il Mezzogiorno correrà gravi pericoli. Come voi, io ho paura che i vostri "amici" britannici non siano in effetti assolutamente ciò che ci occorre per risolvere il problema. Nel corso delle tre ultime settimane dell'anno farò il bilancio, insieme ad alcuni amici fidati, delle possibilità che potrebbero prospettarsi per aiutarvi. Leggendo la vostra lettera, sono rimasto sorpreso [...] E anche un pò atterrito vedendo il nome del 'vescovo' copto, di cui mi parlate [.. ] e le cui attività sono molto più vicine al più inquietante degli occultismi [...] Permettetemi di raccomandarvi al riguardo la prudenza più grande ed anche l'astensione pura e semplice; sarebbe troppo pericoloso continuare in questa direzione [...] Bisogna comunicarsi spesso (a delle vere messe) [...] per ottenere il risultato che sollecitiamo [...] Il Santo Rosario è l'arma assoluta [...] Mi pare certo che in un avvenire prossimo saremo infine ben installati in quell'Ovest che ci è caro e saremo allora in grado di cooperare in modo più stretto gli uni con gli altri, soprattutto con il Conte de Biré e con voi stesso, per il servizio di Nostra-Signora e del suo Luogotenente sulla terra [...] Conservate una fiducia ed un coraggio inalterabile [,..]"2.

Firmato: X. [Xavier?] de Roche du Teilly. Ci sono molti e interessanti particolari che brevemente ci limitiamo ad evidenziare, riservandoci di produrre successivamente una più dettagliata spiegazione. L'autore fa manifestamente parte di una associazione cattolica - presumibilmente segreta ma tuttora operante 3 - che annette una grande (anzi: eccessiva) importanza al rosario ("arma assoluta"), alla frequenza con cui ci si comunica e, infine, su Nostra Signora (Notre Dame). Più difficile è individuare chi sia il Luogotenente cui si fa riferimento e su cui preferiamo non azzardare ipotesi. Si parla di avvenimenti apocalittici futuri, dei pericoli insiti nel ruolo ricoperto da Buthion, dei traffici degli "amici britannici" [Lincoln & soci, Nda] e di un "vescovo copto", dedito all'occultismo.

2

Lettera del 9 dicembre 1983. L'associazione in questione può essere rintracciata su Internet. Tra i suoi obiettivi apparenti c'è quello di restaurare la monarchia legittima che, tramite il figlio di Luigi XVII, si sarebbe continuata mediante il conte NaundorfF. 3

Infine, e questo è il nostro punto di partenza, si tratta evidentemente di una associazione che si dichiara cattolica e sembra professare una ortodossia indiscussa, se-solo non ci si limitasse a considerarne le apparenze. Un'associazione di questo tipo, nata guarda caso a Tolosa già nel XVIII secolo, diffusa prevalentemente nel Midi e particolarmente nella regione del Razès, è oggi parzialmente conosciuta e, sulla base della documentazione raccolta, reclutava pressoché esclusivamente tra i preti. Negli elenchi finora consultati sono stati ritrovati i nomi di due vescovi di Carcassonne, tra cui Billard, e di un certo abate Boudet 4 . Coincidenza? Non potrebbe avervi appartenuto anche Bigou? Ma procediamo con ordine.

L'AA, una Associazione angelica? Il culto di Notre Dame, la passione per il segreto - condotta fino alla più estreme conseguenze - la considerazione del "Santo Rosario" come "arma assoluta", in associazione alla quotidiana Eucaristia, ed altri elementi ancora - fra cui la venerazione dell'angeologia - li ritroviamo in una delle più ambigue ed oscure associazioni segrete cattoliche: VAa o Amitiés angéliques. Tutto sembra prendere piede nel 1660 quando, il 13 dicembre, un decreto del Parlamento di Parigi proibiva "[...] à toute personnes de faire aucune assemblées ni confréries, congrégations et communautés en cette ville, ni partout ailleurs sans l'expresse permission du Roi" 5 . L'ordinanza intendeva colpire in primo luogo la Compagnie du Saint-Sacrement de l'Autel. Torneremo sulle oscure manovre di quest'ultima i cui personaggi non sono estranei ai misteri del Razès; ricordiamo solo che la Compagnia, soprattutto nel Sud, resistette tenacemente cercando di sopravvivere (quella di Marsiglia era ancora attiva nel 1702!) per alcuni anni, anche se si può ritenere che nel 1664 le sue attività fossero pressoché cessate. Molti elementi suggeriscono che tale associazione fosse articolata attorno ad un asse o cerchio segretissimo, composto da pochi elementi, e che da questo, per cerchi concentrici, si sviluppassero in periferia le strutture visibili. È sui membri dei livelli più "interni" che il primo "storico" della Compagnia - René de Voyer d'Argenson - faceva affidamento affinché "si troveranno senza dubbio a Parigi persone adatte a formare una nuova Compagnie du Saint-Sacrement. Se ne troveranno [...] soprattutto tra coloro

4

Cfr. archivi privati di G Moraux de Waldan, in: AA.VV., Rennes-le-Château, 5, Soc. Perillos, Jonquières, 2003, p. 57. 5 Cit. in: Le comte Bègouen, L'AA de Toulouse, Privât, Toulouse, 1913, p. 9.

Cahier n.

che compongono ciò che viene chiamata l'Assemblée secrète, che hanno quasi tutti l'atteggiamento mentale che bisogna avere nella Compagnie"6. Sta di fatto che, subito dopo lo scioglimento, se non addirittura prima 7 - in previsione delle nubi che andavano addensandosi sulla Compagnia del Santo Sacramento - alcuni tra i più fidati membri della Compagnia diedero vita ad una associazione nuova attraverso cui, in buona sostanza, lo spirito e gli obiettivi della Compagnia avrebbero finito per perpetuarsi. Quando si parlava di questa nuova "società" i membri "dicevano semplicemente VAssemblée, o meglio ancora se si servivano di una parola dal senso oscuro e misterioso, la chiamavano 1 'Aa"s. LeAa erano articolate su almeno quattro livelli: il primo, generalmente chiamato "La Petite Societé", costituiva l'anello più esterno che fungeva da "pépinière", ovvero da "vivaio": vi venivano ammessi seminaristi, giovani preti e laici - nobili e funzionari - dopo essere stati attentamente "tegolati", cioè esaminati, per tre volte da persone diverse 9 . Trascorso un certo periodo, il neofita ritenuto degno veniva ammesso nell'"Aa mista", che comprendeva dei laici, dei Messieurs, ma soprattutto dei preti. A questi ultimi erano riservati i due livelli successivi: "l'Aa ecclesiastica" dietro cui si celava una sorta di "Supremo consiglio" 10 : "[...] Dietro questa Congregazione o Società invisibile, ce n'era una occulta [...] era una vera e propria Aa, la cui esistenza era un mistero e il nome dei membri un mistero più grande ancora. Tra loro si contavano numerosi personaggi politici. Le riunioni erano segrete e certi membri, in particolare il principe di Polignac, non vi si recavano che sotto travestimento"11.

6 R. de Voyer d'Argenson, Annales de la Compagnie du Saint-Sacrement, Dom BeauchetFilleau, Marseille, 1900, p. 167. 7 La prima data ufficiale consegnataci dai documenti finora pervenuti fa risalire al 1630 la istituzione della prima Aa (cfr. Bègouen, L'AA de Toulouse, Privât, Toulouse, 1913, p. 35). 8 Bègouen, L'AA de Toulouse, Privât, Toulouse, 1913, p. 12. 9 Alle tre "tcgolature" (termine massonico che si riferisce all'esame rivolto ad individuare nel neofita il possesso di determinate "qualità iniziatiche") conispondevano tre distinte votazioni nel corso delle quali il recipiendario doveva ottenere il consenso unanime dell'assemblea direttiva deliaco (cfr. cap. XIV dei Regolamenti deliaca, in appendice a: AA.VV, Rennesle-Cháteau, Cahier n. 5, Soc. Perillos, Jonquières, 2003). È evidente come questa procedura sia stata mutuata direttamente da un modello massonico. 10 Bègouen, L'AA de Toulouse, Privât, Toulouse, 1913, cap. Ill, p. 67 e s. h Ibidem, p. 71.

Sembra che la conoscenza di quest'uà - le cui tracce sono ancora rinvenibili fino alla fine del XIX secolo, soprattutto nella regione di Tolosa - sia stata appannaggio di alcune persone, tra cui degli storici che vi hanno fatto un accenno velato ma non compromettente. Il primo testo che affronta tale questione è costituita da una memoria e dai regolamenti pertinenti l'Aa di Marsiglia, redatto nel 1775, ma pubblicato solo dopo il 1888 a cura di M. Lieutaud sotto il titolo di "A et Aa, prodrome d'une future enciclopedie provençale". Si trattava di una piccola brochure di 16 pagine in-8°, in cui non compariva né data, né luogo, né nome del tipografo 12 . Il tema dell'Enciclopedia è invero del tutto estraneo agli intenti del libretto dove, a parte alcune pagine sul dizionario della Provenza, il resto della pubblicazione è dedicato all'Aa. Quello stesso testo venne riedito alcuni anni dopo, sotto forma di brochure anonima, stampata in pochissimi esemplari, dal titolo alquanto oscuro: "Une société secrète d'ecclésiastiques aux dix-septième et dix-huitième siècle. L'Aa cléricale - son histoire, ses statuts, ses mystères". In epigrafe recava la dicitura "Secretum prodere noli", "à Mysteriopolis, chez Jean de l'Arcane, libraire de la Société, Rue des Trois Cavernes, au Sigalion dans l'arrière-boutique, MDCCCXCIII - avec permission". In seconda di copertina si trova la menzione: "Stampato in cento esemplari - nessuno sarà venduto". Il testo, che abbiamo potuto esaminare grazie al Club André Douzet d'études traditionnelles13, non dice nulla sulle fonti e sugli archivi consultati, sottolineando anzi il carattere segreto che debbono rivestire. Questi archivi invero esistono, come ne dà prova il conte de Bègouen, che afferma di aver preso visione - seppure per poco - di quelli afferenti la regione di Tolosa e dell'Aude, in cui è possibile evidenziare una continuità "ininterrotta dalla metà del diciassettesimo secolo fino al diciannovesimo. Essi comprendono i verbali delle riunioni, le lettere scritte dai membri delle Aa o delle circolari emananti dalle Assemblee formate in altre città [...] e infine il 'libro d'oro', cioè la lista di più di mille e trecento ecclesiastici tolosani che ne hanno fatto parte" 14 . Da subito alcune considerazioni vanno fatte. A cominciare dalle anomalie relative alle modalità di pubblicazione di questi testi, quasi che se ne volesse rendere improbabile la consultazione nell'ambito delle normali ricerche di biblioteca. Oppure, dal titolo, che sembra rinviare più ad un trattato d'occultismo 12 Assenze sconcertanti, sia sotto il profilo normativo, sia perché il Lieutaud di cui è questione non era altri che l'ex bibliotecario della città di Marsiglia! 13 Cfr. in: AA.VV., Rennes-le-Château, Cahier n. 5, Soc. Perillos, Jonquières, 2003, in allegato. 14 Bègouen, L'AA de Toulouse, Privât, Toulouse, 1913, p. 21.

("à Mysteriopolis", "Jean l'Arcane", "Secretumprodere noli") che non a un rigoroso volume ad uso ecclesiastico. Tutto vi sembra enigmatico ed oscuro, quando non addirittura falsificato: ovviamente non esiste nessuna "rue des Trois cavernes", né tanto meno "Mysteriopolis" né "Jean de L'Arcane": nomi che alludono lontano un miglio a un qualche segreto comprensibile a pochi iniziati. E non a caso è proprio il "segreto" a costituire, non tanto la prima preoccupazione, quanto il primo obiettivo di questa società: "Questa passione per il segreto, questa paura di essere scoperti divenne tra i membri delle Aa una vera angoscia. Spinsero fino all'eccesso questo bisogno di agire nell'ombra e nel mistero. E per fare cosa, buon Dio! Per nascondere qualche opera di pietà e di carità a cui la luce del giorno non avrebbe certo nuociuto"15. Affermazioni che vanno messe in parallelo con quanto in precedenza statuito dalla Compagnie du Saint-Sacrement: "Il segreto è l'anima della Compagnia [...] È la stessa espressione di cui si serve il redattore del Regolamento della Aa di Marsiglia: '[...] Il segreto è l'anima della Aa. Violarlo equivale a distruggerla. Il fine che ci proponiamo nella nostra Associazione è senza dubbio assai saggio e ben concertato agli occhi di Dio [...] È quindi assolutamente necessario custodirne il segreto. Non lo rivelate a chicchessia, né agli amici più intimi, né ai parenti più cari e neanche al confessore più affidabile. Perché non dovremmo parlarne con il confessore? [...] In un progetto di questa natura [...] una tale confidenza non fu mai necessaria; essa sarebbe invero imprudente e spesso contraria all'esistenza o alla propagazione della nostra Aa [...] Nessun segno, nessuna parola che possa far sospettare del mistero'"16. In verità, sembra che tale organizzazione si sia modellata sull'esempio delle logge massoniche, al punto da prevedere una "parola di passo semestrale" 17 , nonché libri segreti che, in nessun caso, dovevano cadere nelle "mani sbagliate"1». 15

Ibidem, p. 54. Ibidem, p. 56. 17 I membri delle Aa avevano l'abitudine di scegliere alcuni versetti [...] che servivano loro come segno di riconoscimento, di parola di passo" (Bègouen, L'AA de Toulouse, Privai, Toulouse, 1913, p. 62). I "versetti" venivano scelti spesso sulla base della "virtù della settimana" ed avevano pertanto una periodicità addirittura settimanale, il che lascia supporre con quale frequenza i "confratelli" si riunissero! 16

18 [...] ¡ fratelli associati [...] proprietari di una biblioteca, i cui libri non devono mai cadere nelle mani del Parlamento. Ci si dispera per la perdita anche di un solo volume che causa gli allarmi ì più terribili" (Bègouen, L'AA de Toulouse, Privai, Toulouse, 1913, p. 65). C'è legit-

Indubbiamente viene da chiedersi perché mai la realizzazione di opere di beneficenza avrebbe dovuto attorniarsi di tanto mistero e di segreti così attentamente e gelosamente custoditi, al punto da vietarne la rivelazione anche al confessore, il che costituisce una flagrante violazione del sacramento stesso. Viene da citare al riguardo l'enciclica In Eminenti, in cui Clemente XII procedeva alla prima formale condanna della Massoneria, muovendo principalmente dal rigetto del segreto - così ostentatamente difeso dall'organizzazione latomistica - dato che "Se essi non facessero nulla di male, non odierebbero così tanto la luce". Come osserva giustamente Jean Robin: "Le società segrete cattoliche, facendo del segreto una n o z i o n e e s s e n z i a l e senza potere, ripetiamolo, richiamarsi ad una necessità di ordine iniziatico - contravvenivano dunque formalmente alle ingiunzioni pontificie rinnovate di secolo in secolo" 1 9 .

Rileviamo, per parte nostra, che tali associazioni violavano altresì le leggi dello Stato, esponendosi a ritorsioni nient'affatto trascurabili. Ci sembra evidente che il segreto in questione in nessun caso potesse riguardare opere filantropiche, ancorché la messa in esecuzione di queste potesse far pensare ad obiettivi di ben altra natura, tanto da giustificare l'adozione di "regolamenti" diversi, l'uno rivolto alla massa dei congregazionisti, l'altro "riservato al gruppo ristretto degli iniziati" 20 . Del resto, che VAa non si occupasse solo di "beneficenza", ma coltivasse interessi "mistici" di un genere tutto particolare, lo si evidenzia dal culto segreto che riservava innanzitutto a "Notre-Dame", alla cui devozione è improntata la "Regola" che deve fornire "i mezzi necessari per far progredire la gloria della loro Signora ed Amante" 21 . Nei resoconti inerenti VAa di Aix-enProvence si legge di come: "Il Padre Rettore ha dato vita ad una Congregazione segreta di Nostra-Signora, in accordo con la pratica di devozione avviata a Parigi [...] La [Congregazione] ha per fine di tenere alto lo spirito della Congregazione o di conservarlo in segreto per mezzo [...] dello zelo dell'onore di Nostra Signora" 22 . Parimenti ossessiva era la sottolineatura della centralità della timamente da domandarsi cosa potevano racchiudere di tanto pericoloso i volumi conservati nella "biblioteca" di una associazione di "beneficenza"! 19 J. Robin, Les Sociétés secretes au rendez-vous de l'Apocalypse, Trédaniel, Paris, 1985, p. 83. 20 Bègouen, L'AA de Toulouse, Privat, Toulouse, 1913, p. 22 e s. 21 Ibidem, p. 36. 22 Ibidem, p. 104.

eucaristia, tanto da raccomandare la "pratica" quotidiana della comunione - ciò in accordo con la Compagnia del Santo Sacramento e con quanto, più tardi, avrebbe fatto lo Hiéron du Val d'Or - dell'uso del Rosario, ed infine la più che sospetta devozione per gli "Angeli". La Aa di Tolosa, in particolare, ha per patroni Gesù, Notre-Dame, San Giuseppe e i quattro Angeli (custodi) - che curiosamente abbiamo ritrovato tutti insieme nella chiesa di Rennes-le-Chàteau - tanto da siglare i loro libri con le iniziali di questi: JMJAC (Jésus, Marie, Joseph, Anges Custodes)23. È addirittura probabile che l'acronimo Aa faccia appunto riferimento proprio agli angeli, dato che una interpretazioni suggerita è stata quella di Amitiés Angéliques24, il che ci riporta a quella Société Angélique, i cui misteri sembrano essere strettamente intrecciati alle vicende del Razès. L'Aa di Tolosa è in effetti una delle prime ad essere istituita e, di tutta evidenza, tra le più influenti e le più longeve. Il 17 maggio del 1658, per iniziativa di due ecclesiastici - padre Ferrier e Vincent de Meur, membro influente della Compagnia del Santo Sacramento - nasce l'Aa di Tolosa, prevalentemente se non esclusivamente rivolta ad ecclesiastici 25 . Nel 1682 sarà quindi la volta di Carcassonne. La devozione per gli Angeli è centrale ma, dettaglio non certo insignificante, si accompagna ad una più che curiosa "rivalutazione" di certe tendenze gianseniste che da un lato tradiscono l'influenza di Nicolas Papillon - il vescovo di Alet, fondatore della Compagnia del Santo Sacramento e giansenista notorio! - e dall'altro avrebbero addirittura portato ad elogiare un Jean-Jacques Rousseau 26 . Ciò invero costituisce una caratteristica costante delle società segrete cattoliche che incontreremo nel nostro percorso: dietro un'ortodossia di facciata, si celano interessi esoterici insospettabili, quantomeno eterodossi se non francamente sovversivi della tradizione nient'affatto disgiunti da una malcelata ammirazione per il "progresso" che la nuova scienza potrà apportare. Evidentemente, i Gesuiti, che in ogni modo cercarono di ostacolare le Aa, anche

23 Ibidem, p. 51. 24 Sono state suggerite altre interpretazioni dell'acronimo, alcune ancor più inquietanti. Bègouen ricorda ( L ' A A de Toulouse, Privat, Toulouse, 1913, p. 27) che la notazione "Aa" (che talvolta viene repertata tra i documenti della società) era la stessa assunta da alcune corporazioni di Alchimisti e di Spagirici; Aa potrebbe voler dire anche solo Associalo Amicorum o, considerando che la seconda "a" individua un plurale, più semplicemente "Associazioni". Le due "a" potrebbero tuttavia indicare la prima e ultima vocale della parola cercata, e in questo caso non può non venire a mente l'AGLA, un'altra delle denominazioni con cui era conosciuta la Société Angélique. 25 Bègouen,L'AA de Toulouse, Privat, Toulouse, 1913, p. 43. 26 Regolamenti della Aa, p. 11, nota 1, in appendice a: AA.VV., Rennes-le-Chàteau, Cahier n. 5, Soc. Perillos, Jonquières, 2003.

per via giudiziaria, cercando di limitarne l'infiltrazione capillare negli apparati del potere 27 , dovevano aver compreso bene con quale genere di iniziative e di solforose influenze avevano a che fare... Avremo modo di documentare come, passando tutto sommato indenne attraverso le più disparate vicissitudini, le Aa seppero diversificarsi, mostrando incredibili qualità camaleontiche, riuscendo di volta in volta ad estendere il loro controllo su questo o su quell'altro apparato dello Stato e della società civile, incorrendo per questo, non di rado, in clamorose denunce come quella di Montlosier del 182 8 28 . Questo è un altro aspetto che con insistenza ricorre nella storia di queste "associazioni" a pretesa "filantropica": l'ingerenza nelle questioni politiche, l'intento, neanche troppo dissimulato di avvolgere con i propri tentacoli - i tentacoli di un polipo niente affatto simbolico ma quanto reale! - gli ingranaggi del potere cooptando gli uomini "giusti", infiltrandosi in tutti i gangli del potere, per gettare le basi di quel "Regno Sociale del Cristo" (?), la cui venuta è non solo attesa, ma alacremente propiziata. Grazie alle ricerche di Bègouen - che ha potuto consultare solo velocemente gli elenchi - sappiamo che nella Aa di Tolosa (nei cui archivi rientravano anche i membri affiliati provenienti dalle diocesi di Alet e di Carcassonne) tra il 1650 e il 1890, si sono avvicendati circa 1600 ecclesiastici. È probabile che tra questi figuri anche il nome di Bigou (oltre a quello di un "curato Boudet"), anche se non ne avremo certezza fintantoché quegli archivi non saranno resi di pubblico dominio. Cosa che, a nostro sommesso parere, rischia di avvenire non tanto presto. Alcuni elementi rafforzano tuttavia questa eventualità. È accertato che nelle cittadine di Mirepoix, Perpignan, Carcassonne, Limoux esisteva una rete fitta ed articolata di rapporti organizzata dai membri dell'ha di Tolosa. All'indomani della Rivoluzione, soprattutto dopo la promulgazione del decreto contro i preti refrattari, la rete si attivò alacremente per facilitare l'emigrazione dei propri membri verso i territori governati dalla corona di Spagna: fu molto probabilmente appoggiandosi a questa struttura - una sorta di "organizzazione Odessa" ante-litteram - che sia Bigou, sia il curato di Rennes-lesBains 29 - ebbero l'opportunità materiale di mettersi in salvo. Passata la tor27

Ibidem, p. 7-10. Comte de Montlosier, Le comte F. de Bertier et l'énigme de la Congrégation, Presses Continentales, Paris, 1948. 29 II curato Jean Cauneille, parroco di Rennes-les-Bains (1789-1804), discepolo di Bigou, sarebbe anche lui scappato, per sfuggire i rivoluzionari, nei possedimenti spagnoli delle Canarie. Tornato nel 1800 a Rennes-les-Bains, vi sarebbe morto nel 1804. Labouisse-Rochefort, che ebbe modo di conoscerlo (cfr. R. de Labouisse-Rochefort, Voyage à Rennes-les-Bains, Paris, 1832, p. 501-502), annotò in modo alquanto enigmatico quanto segue: "Mi sentirei colpevole se, in mezzo 28

menta YAa di Tolosa si ricostituì nel 1811 per proseguire la propria attività fino ad almeno tutto il 1890 30 . Invero non è verosimile che Y Associazione angelica abbia effettivamente "dismesso" le proprie funzioni proprio in un momento in cui la crisi tra le organizzazioni cattoliche e lo Stato francese assumeva i caratteri e i toni più duri e laceranti; più probabile è invece che, grazie al trasformismo camaleontico che la caratterizzava e come peraltro era già accaduto in passato, YAa abbia finito con il riconvertirsi in qualcosa d'altro. Forse più segreto, più sotterraneo. E probabilmente anche più pericoloso... Dove il mito del Celtismo (popolo eletto della rivelazione), il culto della Virgo pariturae, il patto con i Merovingi, i miti sugli Angeli, i Templari e il Graal, trovano un 'inattesa accoglienza: lo Hiéron du Val d'Or. Un'organizzazione che solo di sfuggita è stata chiamata in causa nell'ambito della storia di Rennes-le-Chàteau è lo Hiéron du Val d'Or, un'associazione tra le più ambigue ed inquietanti che attende ancora di essere studiata in maniera esaustiva 31 . La Société du Règne Social de Jésus-Christ nota anche come Hiéron du Val d'Or, venne fondata a Paray-le-Monial dal padre gesuita Victor Devron 32 e dal barone russo-spagnolo Alexis de Sara-

a tante figure strane, non accordassi una menzione al venerabile prete di Rennes". A questo prete vengono attribuiti due testi - peraltro introvabili - dal contenuto esoterico e misterioso (La ligne de Mire e Le Rayon d'Or), espressione della "missione sacra" di cui il curato si sentiva investito (cfr. R Ferté, Arsène Lupin, Supérieur inconnu, Trédaniel, Paris, 1992, p. 177). Come si vede, più si scava nelle storie dei preti del Razès, e più cose curiose emergono alla luce... 30 Bègouen (L'AA de Toulouse, Privât, Toulouse, 1913, p. 131), che ha studiato gli archivi disponibili nel 1910, ha rilevato che le pagine successive al 1839 fossero state deliberatamente strappate. 31 La storia dello Hiéron non è stata oggetto, a nostra conoscenza, di alcuna ricerca specificamente dedicata. Alcuni studi hanno affrontato l'argomento nell'ambito del più generale contesto pertinente la storia delle idee esoteriche e tradizionali nella Francia di fin de siècle. Una sintesi esaustiva sull'argomento è riportata nel già citato G. Galtier, Maçonnerie égyptienne, Rose-Croix et néo-chevalerie, du Rocher, Monaco, 1989, p. 245-257, a cui M. Introvigne (cfr. Il Cappello del Mago, Sugarco, Milano, 1990) di fatto ha largamente e acriticamente attinto. 32 Victor Devron ( 1820-1880), chiamato come predicatore a Paray-le-Monial dal 1854, molto vicino agli ambienti legittimisti, amico dello zuavo pontificio M. Cazenaves e del conte di Chambord, è soprattutto ricordato per essere stato l'organizzatore dei grandi pellegrinaggi a Paray-leMonial che, grazie all'intervento di Pio IX, accordavano ai pellegrini un'indulgenza plenaria. Fine politico e buon conoscitore degli ambienti parigini, seppe manovrare in modo tale che il Parlamento francese riconoscesse l'edificazione della basilica di Montmartre - dedicata al culto del Sacro-Cuore - come "opera di utilità pubblica" (cfr. legge del 25 luglio 1873). Nel 1873, in concomitanza con la conoscenza del barone de Sarachaga e al termine di una imponente manifestazione (circa 30.000 persone) venute a Paray in occasione della Festa del Sacro Cuore (20 giugno), avrebbe consolidato l'amicizia con il deputato Gabriel de Belcastel promotore, insieme ad altri deputati, della consacrazione della Francia al Cuore di Gesù.

chaga 33 nel 1877. La scelta del luogo non aveva nulla di casuale, dato che Parayle-Monial, già celebre per le apparizioni del Cristo a Margherita-Maria Alacoque, ospitava dal 1865 la Association de la Communion réparatrice, fondata da padre Devron, cui si era affiancato padre Henri Ramiére 34 , e sostenuta soprattutto dal deputato legittimista tolosano, Gabriel de Belcastel. Inizialmente il centro disponeva di una biblioteca e di un museo contenente una ricca raccolta di dipinti, documenti, sculture ed oggetti d'arte pertinenti la Santa Eucaristia e la devozione al Sacro-Cuore. Lo Hiéron, su iniziativa di Sarachaga, diede vita, dal 1883 al 1915, ad una rivista che - inspiegabilmente - cambiava intestazione e temi ogni 6 anni. All'inizio si ebbe così Le Règne de Jesus-Christ (dottrina) 35 , l'Institut des Fastes du Sacré-Coeur (storia) 36 , il Novissimum Organon (scienze, lettere e arti) 37 , il Politicon (di-

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Alexis de Sarachaga ( 1841 -1918), figlio di don Jorge de Sarachaga, imparentato con Santa Teresa d'Avila, e della principessa russa Caterina Lobanoff di Rostof, dopo un'adolescenza segnata da rocambolesche vicissitudini, si laurea in ingegnerìa al Politecnico di Zurìgo nel 1861. Nel 1867, a 26 anni, accede al ministero degli Esteri della Corte di Madrid dove lavorerà a fianco di M. Merry del Val, padre del cardinale omonimo e futuro segretario di Stato del Vaticano. Dalla Spagna si reca quindi a Parigi (1870) e da qui a San Pietroburgo, per tornare infine in Francia nel 1873, quando a Paray-le-Monial incontrerà Devron che sarebbe diventato il suo padre spirituale. 34 Henri Ramière (Castres 1821-Tolosa 1884) animatore dal 1861 della confraternita "Apostolat de la prière" (approvata da Pio IX) inizialmente attiva a Lione (dove Ramière editava la rivista Le messager du Coeur de Jesus, dopo aver pubblicato "L'Apostolat de la Prière, Sainte Ligue des coeurs chrétiens unis au coeur de Jesus pour obtenir le triomphe de l'Eglise et le salut des àmes"), per trasferirsi quindi a Tolosa. Al centro dell'attività del sodalizio stava la devozione per il Sacro Cuore, il culto eucaristico, la pietà mariana e la convinzione dell'imminente "ritomo" del "Regno Sociale del Cristo", tutti temi che saranno ripresi ed amplificati dallo Hiéron du Val D'Or. 35 La Revue du Règne de Jésus-Christ (pubblicata dal 1883 al 1888) era l'erede diretta della Association de la Communion Réparatrice - un'opera ritenuta dallo stesso Papa Leone XIII "capace di salvare la società" - e venne principalmente diretta dal conte Etienne d'Alcantara - che pretendeva far risalire la sua discendenza ai Templari! - e, soprattutto, da M.lle Emilie Tamisier, la vera "eminenza grigia" che metterà de Sarachaga in contatto con gli ambienti finanziari (M. de Bencque, vice-direttore della Banca di Francia e responsabile dei finanziamenti per la realizzazione della basilica di Montmartre) e politici più influenti. 36 L'Institut des Fastes ( 1889-1894) affrontava su un ampio ventaglio di corrispondenze storiche, leggendarie e simboliche il tema del Sacro Romano Impero, centrato sul modello del "patto di Tolbiac", che sancì la conversione del merovingio Clodoveo e l'instaurazione della monarchia franca. L'impegno di de Sarachaga - che insieme a d'Alcantara si era recato dal papa per esporre l'iniziativa - venne coronato da un lusinghiero successo. Leone XIII rivolse un messaggio di incoraggiamento allo Hiéron ed insignì il barone del brevetto di Commendatore dell'Ordine di Pio per la sua "opera riparatrice". 37 E veramente incredibile che un'organizzazione ultracattolica possa tanto apertamente

plomazia) 38 , il Pam-Epopeion (vati e diplomazia internazionale)39 e infine YÉgide (bardi e ricerche sul Santo Graal) 40 che venne interrotta dopo tre anni. L'eccentricità di queste tematiche, rispetto a quelle che sono i normali orientamenti dell'ortodossia cattolica, balza immediatamente agli occhi e viene ad essere ulteriormente rimarcata da una più attenta analisi condotta nel merito.

richiamarsi ad un autore - Francesco Bacone, e massimamente ad un'opera - il Novum Organum (1620) - che, a rigore, costituisce il "manifesto" del modernismo antitradizionale. Non a caso uno dei più prestigiosi collaboratori della rivista, Xavier Barbier de Montault, ebbe modo di stigmatizzare come molti articoli "ressemblaient trop souvent à des élucubrations d'illuminés" ed abbandonò il comitato della rivista. Alla direzione di questa partecipava tra l'altro un personaggio ambiguo come Permetista Henri Favre - in qualche modo coinvolto nella storia dei famosi Protocolli degli Anziani di Sion e a cui fa riferimento Guénon (R. Guénon, Etudes Traditionnelles, Recensioni, dicembre 1938 (in: R. Guénon, Il Teosofìsmo, storia di una pseudoreligione, Arktos, Torino, 1987, p. 355) - padre di madame Bessonnet-Favre che, con lo pseudonimo di Franis André, avrebbe pianificato le ricerche linguistiche dello Hiéron, arrivando a coniare per quest'ultimo la definizione quanto mai sospetta di "Frammassoneria dell'Occidente". E nel periodo in cui viene pubblicato il Novissimum Organon che entrano a far parte dell'associazione madame Lépine-Authelain ( 1848-1926), che nel 1925 "inizierà" Paul Le Cour alle dottrine dello Hiéron, Martha e Georges de Noaillat, vice-presidente della gioventù cattolica di Parigi, successivamente designato da Sarachaga come suo successore alla guida dell'associazione. 38 Nel Politicon venivano riprese ed elaborate le tesi sull'esistenza del "cattolicesimo primitivo" di Adamo e sull'origine del cristianesimo. Questi era stato inizialmente rivelato in Atlantide i cui abitanti, entrati in possesso del cosiddetto "libro di Seth", avevano trasmesso i segreti della parola "Aor-Agni" ai Druidi. Paray-le-Monial - sulla base di estesi ed enigmatici studi di storia comparata (!) - veniva ad essere identificato con la Novella Sion, considerato "ricettacolo predestinato alle manifestazioni politiche del Sacro Cuore", come ebbe a scrivere de Sarachaga (cit. in: Politica Hermetica, 1988, voi. 12, p. 93). 39 II termine si riferiva ad una sorta di "parola magica" dei Celti che assicurava ai loro bardi una sorta di "potere intellettuale" assoluto. 40 L'Egide riaffermava la necessità di riscoprire il senso dei simboli, la cui scienza - scienza primeva per eccellenza - era stata soffocata e offuscata dai "nemici del genere umano" (ovvero i massoni). Una grande rilevanza veniva data, oltre al solito e onnipresente mito di AorAgni, alla barca (simbolo della vergine che deve partorire e, senso lato, di Iside), alla coppa (del Graal), alla testa gigante della Sfinge (simbolo di saggezza ed onnipotenza di Dio) e alla piramide (che evocava l'idea della santa Trinità!). Il tono della rivista finì inevitabilmente per scivolare su un terreno ermetico tra i più dozzinali, vera e propria anticipazione del guazzabuglio cui ci ha abituato la NewAge e prefigurazione di questo. Ben presto emersero elementi di millenarismo delirante che permettevano a de Sarachaga di "profetizzare" sulla imminente fine del mondo, attesa in coincidenza della fine del "quarto ciclo del GraaP', ovvero agli inizi dell'anno 2000. Tali aspetti finirono con l'assumere un tono ossessivo nel corso del primo conflitto mondiale e subirono un imprevisto - quanto salutare - arresto solo in concomitanza con la morte di de Sarachaga, avvenuta a Marsiglia il 4 maggio 1918.

Infatti, sulla base di quanto affermato dagli stessi "fondatori" - in primo luogo Sarachaga e Félix de Rosnay 41 - e successivamente ribadito da Paul Le Cour, dietro il velo di una ortodossia tanto ostentatamente sbandierata quanto poco coerentemente praticata, lo Hiéron perseguiva un insieme di finalità che, quando non rasentano il bizzarro, mostrano il marchio sinistro delle più sospette influenze. Il primo obiettivo consisteva nel dimostrare come l'autentica religione cristiana - la religione del primo uomo Adamo - fosse in realtà nata in Atlantide (denominata Hella, cioè "la Santa") per essere poi trasmessa, principalmente attraverso il Druidismo, all'Egitto e quindi, solo secondariamente, alla Palestina. Peraltro il termine greco di Hiéron indica una "cinta sacra", analoga a quella che circoscrive i Nemeton celtici o il tempio di Samotracia, "celebre per il culto riservato agli dèi Cabiri" 42 . Scrive Félix de Rosnay: "Nella Gallia celtica, dove più che altrove le più pure tradizioni adamitiche si sono conservate grazie ai Druidi, là sono esistiti degli Hiérons"41. De Rosnay prosegue, per sottolineare, aspetto quanto mai significativo, come tali templi fossero "santi" non solo perché: "[...] Questo rifùgio disponeva di una necropoli e delle sepolture, oggetto di una venerazione la cui tradizione si è indebolita con il tempo, ma santa soprattutto perché lo Hiéron era il santuario dove si rifugiavano, protette dalla natura, le popolazioni minacciate dal nemico"44. È alquanto sorprendente come venga qui evidenziata la relazione singolare che lo Hiéron contrae con alcuni sepolcri, oggetto di una "devozione" del tutto insolita, soprattutto se si considera che l'autore, qualche pagina prima, non esita a definire "rifugio sotterraneo" quello stesso "tempio", in analogia 41 Félix de Rosnay, giovane aristocratico, teologo e poeta, sarà presentato da monsignor Meurin al barone De Sarachaga di cui diventerà, dal 1895 al 1900, il più stretto collaboratore. Autore di un articolo su "Le chrisme, le Lys et le symbolisme a Paray", pubblicato sul Novissimum Organon, pubblicò una sorta di compendio sullo Hiéron (F. de Rosnay, Le Hiéron du Val d'Or, Paris, 1900 (ristampa anastatica, Lione, 2002), grazie al quale entrò in relazione con Paul Le Cour che ebbe così modo di conoscere l'associazione dei Fasti. 42 II termine "Hiéron du Val d'Or" fa quindi riferimento alla "cinta sacra" della regione di Paray-le-Monial, chiamata nell'antichità "Orval" che, anagrammato, dà "vai d'or" (cfr. F. de Rosnay, Le Hiéron du Val d'Or, Paris, 1900, p. 6). « F. de Rosnay, Le Hiéron du Val d'Or, Paris, 1900, p. 9. 44 Ibidem (il corsivo è nostro).

con quanto descritto per altri "hiéron" indiani45. Ritroviamo quindi temi ricorrenti - l'esistenza del "tempio sotterraneo" in cui sono collocate le spoglie "venerabili" di personaggi illustri - in cui ci siamo già imbattuti e che ritroveremo ancora nel corso della nostra ricerca, quando parleremo di Nerval e dell'esistenza di un misterioso popolo "sotterraneo" a Rennes. Se il Cristianesimo è in qualche modo il depositario - e ultima espressione - di una Tradizione "primordiale" nata in Atlantide e sviluppatasi quindi in Egitto e nella Gallia Celtica, obiettivo dello Hiéron deve necessariamente essere quello di ricomporre la dottrina sacra, attraverso una rilettura dei simboli ed una riappropriazione di "tecniche", come la Quabbalah, che, per l'appunto "è di origine atlantidea" 46 .Questa impostazione porta a formulazioni iperboliche, quando non addirittura sovvertitrici del significato legittimo dei simboli e della storia sacra, reinterpretata in modo del tutto arbitrario, senza alcun fondamento. Scopriamo così con stupore che compito dei "cattolici militanti", deve essere quello di occuparsi: "Del regno dell'Agnello prima dell'incarnazione, cioè all'origine stessa dell'Umanità, nel corso delle ere antidiluviane e premessianiche" 47 , quando "l'Agnello" - VAor-agni di Paul Le Cour - non era altro che il Serpente, "dio mediatore, creatore e conservatore della vita" 48 . Gli ultraortodossi dello Hiéron credevano fermamente che il "serpente non velenoso" costituisse il segno corrispondente alla "promessa di resurrezione", mentre la mezza luna di Aor rappresentava la Virgo paritura, la dea che deve partorire il "re che attende", preannunciato dal Tau (sempre di Aor), e "veicolato" dalla barca di Iside, sormontata da una croce. Non sorprende constatare che affermazioni di tal sorta abbiano suscitato la ferma riprovazione di Guénon 49 . Ciò che invece stupisce è che tale genere di sproloqui non abbia destato alcuna preoccupazione nella gerarchia vaticana, né abbia sollecitato alcuna riprovazione in un periodo in cui pure il mondo cattolico si era mostrato ipersensibile verso dottrine e correnti di pensiero eterodosse - dalla Frammassoneria all'occultismo - non esitando per questo a ricorrere ad 45 Ibidem, p. 8 "[...] I templi [...] di Elora, di Elephantia [...] (sono) dei veri e propri sotterranei su piani diversi, scavati nel suolo o nel fianco delle montagne". 46 P. Le Cour, A la recherche d'un Monde perdu, Leymarie, Paris, 1926, p. 9; "Cette thèse, que la Kabale (sic!) est essentiellement judaïque est une erreur absolue". 47 F. de Rosnay, Le Hiéron du Val d'Or, Paris, 1900, p. 29. 48 P. Le Cour, A la recherche d'un Monde perdu, Leymarie, Paris, 1926, p. 30 e s. 49 René Guénon è intervenuto innumerevoli volte sulle stravaganze sincretistiche di Paul Le Cour, il più delle volte commentando severamente gli articoli comparsi sulla rivista Atlantis (cfr. R. Guénon, Études sur la Franc-Maçonnerie et le Compagnonnage, compte rendu d'articles de revues, ottobre 1930, Études Traditionnelles, Paris, 1980,1.1, p. 232).

ogni sorta di reprimenda fino alla scomunica. Al contrario, esponenti di rilievo della gerarchia cattolica, tra cui in primo luogo Papa Leone XIII, non mancheranno di esprimere pubblicamente e fattivamente la loro solidarietà e il loro appoggio alle iniziative di de Sarachaga delle quali, il minimo che possa dirsi, è che erano del tutto "stravaganti". In una comunicazione del 1912, ospitata proprio su Atlantis, la rivista di Paul Le Cour che avrebbe raccolto l'eredità dello Hiéron, l'ermetista Pierre Dujols non poteva fare a meno di rilevare con stupore che: "Esiste a Paray-le-Monial un centro kabalistico misterioso, dichiaratamente cattolico, almeno così sembrerebbe, ma la cui ortodossia, bizzarra nonostante tutto, è accettata e addirittura incoraggiata dalla Chiesa. Questo collegio di iniziati pubblica dei periodici strani, esclusivamente riservati agli adepti [...] Si viene introdotti ai differenti gradi della gnosi numerologica di Enoch [...] Gli Ierofanti del Val d'Or possiedono una statua della Vergine che porta in rilievo le lettere Phi e Bêta il cui simbolismo [...] è tanto quello di Apollo (Phoïbos) quanto quello del Verbo rivelato da San Giovanni [...]"5°. Resta da capire perché la Chiesa tollerò e appoggiò iniziative del genere, e come a fronte di tali inquietanti rivendicazioni, "seppure alcuni vescovi proibissero ex-cathedra la letture delle opere dello Hiéron, l'associazione potè beneficiare del riconoscimento di ben due Papi [Leone XIII e Pio X]" 51 . Una 50

Atlantis, giugno 1929, p. 141; cit. in: G Galtier, Maçonnerie égyptienne, Rose-Croix et néo-chevalerie, du Rocher, Monaco, 1989, p. 253. Pierre Dujols è ben conosciuto con lo pseudonimo di Magophon\ di lui ricordiamo un'edizione commentata del Mutus Liber. A Dujols, insieme ad altri, è stata attribuita la paternità delle opere di Fulcanelli. Su questo tema si veda l'ampia trattazione di G Dubois (G Dubois, Fulcanelli, Edizioni Mediterranee, Roma, 1996). 51 J. D'Arès, "Le Hiéron du Val d'Or", Atlantis, maggio-giugno 1969, p. 41. Alcuni elementi indicano chiaramente che le iniziative dello Hiéron erano attentamente seguite da parte di alcuni settori della Curia pontifica che non si accontentava di un ruolo di semplice supporto, ma interveniva nelle vicende di Paray-le-Monial in modo attivo e "propositivo". Sappiamo per esempio che, a dispetto delle benemerenze accordate a de Sarachaga in occasione della visita pontificale del 18 febbraio 1888, qualcosa dovette dispiacere a Papa Leone XIII. Subito dopo, infatti, un telegramma del Vaticano metterà prematuramente fine alle sedute commemorative delle apparizioni di Maria Alacoque, organizzate nel Jardin de la Visitation dello Hiéron. Nel 1894 madame Tamisier metteva in guardia de Sarachaga a proposito delle critiche comparse sulla rivista ortodossa l'Univers, e gli raccomandava di recarsi personalmente a Roma per spiegare essenzialmente che "[...] Il Regno sociale Eucaristico non deve affatto essere considerato come una novità, e ancor meno come illuminismo: tutto questo minaccia di diventare assai serio" (cit. in: P. Lequet, "Le Hiéron du Val d'Or et l'ésotérisme chrétien: autour de Parayle-Monial", Politica Hermetica, 1998, p. 90). Critiche più direttamente pertinenti aspetti teologici venivano espresse dal vescovo di Autun che rimproverava allo Hiéron non solo elemen-

domanda evidentemente "scomoda" che finora non ha ricevuto risposta, soprattutto da parte di coloro che, non si sa se per "ingenuità" o per calcolo, annoverano lo Hiéron nell'ambito dei gruppi di "esoterismo cristiano". Bisogna ricordare che i vertici francesi della gerarchia ecclesiastica, perlomeno dal 1600, avevano alimentato le tendenze autonomiste da Roma, perlomeno a partire dalla rivendicazione delle Libertés Gallicanes fatta da Bossuet 52 . La proclamazione dell'infallibilità pontificia fatta nel corso del Concilio Vaticano I nel 1870, non fece che esacerbare gli animi e spinse i gallicani non solo a rigettare il dogma, ma favori una diaspora di corpi cattolici dissidenti che richiesero i loro ordini alla Chiesa Cattolica di Utrecht, la cui successione apostolica era indiscutibilmente valida 53 . Questo, per quanto incredibile, avrebbe portato a riconoscere e consacrare delle obbedienze a vocazione "iniziatica" o addirittura "gnostica", come quella presieduta da Bernard-Raymond Fabré Pelaprat, consacrato Gran Maestro e Patriarca Pontefice della Chiesa Ioannita dei Cristiani primitivi da monsignor Amai e quindi ri-consacrato sub conditione da monsignor Mauviel il 29 luglio 1810. È verosimile che in questo contesto, dove ad ogni vescovo veniva di fatto lasciata ampia libertà d'azione e di coscienza, lontano da Roma, la cui influenza toccava il suo minimo storico, si siano potuti facilmente sviluppare i più diversi fermenti, dalle tentazioni progressiste alle elaborazioni di più marcato sapore ereticale, prima che il Vaticano potesse tornare ad assumere una cognizione ed un controllo più rigidi.

ti di "illuminismo", ma altresì di accordare alla "santa Eucaristia" dei "poteri oracolari", "quasi che Gesù vi fosse visibile e parlasse così come faceva nei giorni della sua esistenza terrena". Sta di fatto che, forse prendendo a pretesto il suo discusso matrimonio con la giovane cameriera Eugénie Champion, il barone venne convinto a lasciare Paray e a trasferirsi a Marsiglia nel 1914. Non è improbabile che il "cambio della guardia", avvenuto contestualmente (1914) a Roma, prima con la destituzione del tenebroso segretario di Stato, Rafael Merry del Val (18651930), e quindi con l'allontanamento del suo potente alleato, monsignor Benigni, congiuntamente alla elezione del nuovo Pontefice, Benedetto XV, abbia concorso in modo decisivo a mettere la parola fine sulla prima fase dell'esperienza dello Hiéron. L'associazione, alla cui direzione erano rimasti i coniugi de Noaillat, avrebbe da allora invertito la tendenza e, recuperando il terreno dell'ortodossia, si sarebbe attivamente industriata per ottenere l'istituzione della Festa del Cristo Re che, come noto, sarebbe stata autorizzata nel 1925 da Pio XI con l'enciclica Quas primas. 52 Nello stesso periodo monsignor Goyon de Matignon aveva consacrato vescovo monsignor Dominique-Marie Varlet, dando così nascita alla Chiesa Cattolica di Utrecht che avrebbe sviluppato una serrata critica nei confronti di Roma, stabilendo al contempo stretti rapporti con Jansenius. 53 Ivan de la Thibaudeurie, Eglises et Evèques non Romains, Dervy, Paris, 1962.

Roma non amò mai particolarmente Y Hiéron du Val d'Or e prova ne sia la sostanziale sconfessione che colpì il Sarachaga nel corso della sua visita in Vaticano nel 1888; un analogo atteggiamento di diffidenza perdurò fintantoché la direzione culturale del centro di Paray le Monial non venne assunta da padre Anizan, fondatore della rivista Regnabit. È interessante rilevare come anche nel futuro la Chiesa Cattolica si sarebbe fermamente attenuta ad una sostanziale prudenza nei confronti di associazioni "cattoliche" anomale: di questa diffidenza avrebbe fatto le spese anche Y Opus Dei, per decenni avversata tanto dal Vaticano, quanto dalle gerarchie ecclesiastiche spagnole. Ciò che a nostro parere sollecita una attenzione tutta particolare è la reiterata insistenza con la quale gli ierofanti dello Hiéron sottolineano il ricollegamento - non solo ideale - del loro "tempio" con altri analoghi, sparsi in Francia, caratterizzati da una "quantità di pietre su cui sono inscritti segni simbolici, figure, tratti geometrici, tutta una serie di stravagante varietà", che hanno costituito il luogo di contatto "per tutti i popoli", che qui elevavano al cielo, una "pietra dritta", "una pietra di testimonianza, un altare di riconoscenza per la Vergine che deve partorire" 54 . In questi "nemeton" veniva accolto: "Il vero druidismo, la cui funzione, religiosa, sociale e politica ad un tempo, era quella di custodire intatta la religione primeva affidata a Noè dai patriarchi antediluviani e da lui trasmessa a Gomer e Jafet, i quali furono i legislatori e i patriarchi dei Cimmeri, dei Celti e dei Galli"55. Affermazioni che a ben vedere sono del tutto sovrapponibili, guarda caso, a quelle di Boudet, quando individua in Gomer l'erede delle "qualità corporali" (razziali) trasmesse alla "immensa famiglia celtica", colui per il tramite del quale si è conservata la "lingua primitiva" - la lingua degli dèi - che costituisce uno dei temi portanti del testo criptico dell'abate di Rennes-les-Bains 5 6 . Come non sorprendersi allora nel rilevare che "una delle maggiori preoccupazioni dello Hiéron era di ritrovare la lingua adamitica primitiva, utilizzata prima della confusione di Babele" 57 . Una tale convergenza di interessi deve essere ritenuta fortuita o non suggerisce invece l'esistenza di concrete relazioni operative?

54 F. de Rosnay, Le Hiéron du Val d'Or, Paris, 1900, p. 102. 55 Ibidem, p. 100-101. 56 H. Boudet, La vraie langue celtique et le Cromleck de Rennes-les-Bains, 1884 (ristampa anastatica, Nice, 1984), p. 52-55. 57 G Galtier, Maçonnerie égyptienne, Rose-Croix et néo-chevalerie, du Rocher, Monaco, 1989, p. 250.

Per raggiungere tali scopi, nell'ambito de "l'Istituto Scientifico del SacroCuore" di Paray-le-Monial, ci si applicava allo studio della "fotografia comparata" che si proponeva di decifrare il significato del simbolismo originario attraverso lo studio comparato delle scritture primitive di tutti i popoli.La specialista di questa impresa era madame Bessonet-Favre (che firmava come Francis André), capace di associare una indubbia erudizione ad un'altrettanto inquietante capacità di intuito conseguita nel corso di sedute medianiche 58 . Secondo la sua interpretazione, il latino, che precedeva il greco e l'ebraico, era in realtà la sintesi di diversi idiomi celtici, portati in Italia nel corso delle prime invasioni (VIII-VI secolo a.C.), riuniti e fusi in una unica lingua da Numa Pompilio 59 . In altri termini, seppure con mezzi diversi, nello stesso periodo temporale, sia Boudet sia i membri dello Hiéron du Val d'Or si industriavano assai diligentemente a dimostrare come la lingua primitiva - la lingua sacra per eccel, lenza - non fosse altroché il proto-celtico, da cui sarebbe derivato innanzi' tutto l'inglese e quindi, via via, il latino, il greco e l'ebraico! Come mai una tale sorprendente e sospetta convergenza non è mai stata evidenziata in relazione 1. alla vicenda di Rennes-le-Chàteau? Ma le coincidenze, se di coincidenze si può parlare, non finiscono qui. Come acutamente osservato dal Galtier60, "in sostanza, la ricostruzione della lingua sacra primitiva [il celtico, nda] non era che uno dei mezzi per l'affermazione del Regno del Cristo sulla terra". La "seconda venuta" del Messia doveva essere "attivamente" preparata dai membri dello Hiéron che, sulla falsariga delle rivelazioni quanto mai sospette di La Salette, non esitavano a definirsi come "gli apostoli degli ultimi tempi" 61 . Occorreva tuttavia rinnovare un antico patto tra la nazione prediletta da Dio - la Francia - e il suo "sposo", un patto ricalcato sul modello di quello di Tolbiac, stipulato nel 496 d.C., tra San Remigio (Saint Rèmi) e Clodoveo. Ed è così che, inaspettatamente, ci ritro58

Ibidem. Novissimum Organon, ottobre-dicembre, 1896, p. 345. 60 G. Galtier, Maçonnerie égyptienne. Rose-Croix et néo-chevalerie, du Rocher, Monaco, 1989, p. 250. 11 tema degli "apostoli degli ultimi tempi" si riallaccia al mito dell'Apocalisse quale ci è stato tramandato da innumerevoli Padri della Chiesa e mistici cristiani (tra cui principalmente Santa Mectilde, San Vincenzo Ferrier, Santa Luisa-Maria Grignon de Monfort) e in cui, sulle tracce delle profezie del monaco Adson (cfr. G. Barbarin, L'Anticristo e il giudizio finale, Brancato, Catania, 1991), viene elaborato, per la prima volta, il mito del Grande Monarca, successore dei Re di Francia, destinato a ricomporre l'unità temporale e spirituale dell'Europa prima dell'avvento dell'Anticristo. Le profezie di Nostradamus non faranno al riguardo che riproporre - nella sostanza - un tema già presente e diffuso nel tardo Medio Evo. 59

viamo immersi nelle brume di quella mitologia merovingia che ha sin dall'inizio concorso a complicare il mistero di Rennes-le-Château. Anche qui, anticipando le pretese "rivelazioni" di Lincoln e soci - che non a caso considerano il Priorato di Sion come l'erede dello Hiéron - l'obiettivo dichiarato è quello della restaurazione di una "monarchia sacra", legittima, detentrice assoluta del potere, che affonda le proprie radici in quel popolo "eletto" costituito dai Celti, capace, per mezzo di una conoscenza segreta, di contrapporsi alla decadenza del mondo moderno, contrastando sul loro terreno così come su altri piani, la corruzione della Chiesa Cattolica, la laicizzazione dello Stato e, dulcis in fundo, il complotto giudeo-massonico: "Per lo Hiéron, la razza francese, erede dell'antica razza celtica, rappresentava il vero popolo eletto, scelto dal Cristo per stabilire il proprio Reame sulla terra. Si capisce così di quali fondamenti mistici poteva alimentarsi l'antisemitismo dell'epoca. La restaurazione della monarchia legittima sul trono di Francia costituiva beninteso la misura preliminare per il Regno Sociale del Cristo. Non saremosorpresi nel vedere che il barone de Sarachaga sia stato partigiano della causanaundorffista che tanto era legata alle speranze di avvento millenarista del Gran Monarca"62. Su questo piano, all'apparenza di carattere "politico", le attività dello Hiéron si sarebbero oggettivamente saldate con quelle portate avanti da numerose altre organizzazioni pseudoiniziatiche, ecclesiastiche e altre ancora - tutte, come vedremo, a più titolo coinvolte nella storia di Saunière - e costituiscono di fatto un collante tra gli eventi più importanti di fine Ottocento e le imposture imbastite da Plantard, Lincoln e soci, tese a riesumare una versione parodistica del Sanctum Imperium. C'è però dell'altro, nettamente più "solforoso", che in controluce emerge da alcune affermazioni sibilline del Resnay che sottolinea come l'opera dello Hiéron avesse per fine quello di "dimostrare la realtà del Regno del Cristo, misconosciuto fino ad allora, così da proclamare e preparare il suo avvento per la fine di questo ciclo" 63 . Di quale "Cristo misconosciuto" sta parlando Resnay? O non si tratta forse, come osserva Jean Robin, "di colui che sarebbe assai soddisfatto di farsi passare per Lui?" 64 . Per promuovere un tale mirabolante disegno lo Hiéron - che godeva di insospettabili e diffuse amicizie e complicità in seno alla struttura ecclesiastica ed all'organizzazione statale - aveva creato centri "corrispondenti" in nume62

G Galtier, Maçonnerie égyptienne, Rose-Croix et néo-chevalerie, 1989, p. 251-252 « F. de Rosnay, Le Hiéron du Val d'Or, Paris, 1900, p. 123. M J. Robin, Le Royaume du Graal, Trédaniel, Paris, 1993, p. 635.

du Rocher, Monaco,

rose città francesi così come in altri paesi di fede cattolica, come Italia (Torino), Spagna (Madrid), Portogallo (Oporto) e Belgio (Gand). Era stata altresì fondata una "Chevalerie du Sacré-Coeur", composta da "Cavalieri della Croce", che avevano prestato giuramento di devozione al Sacro-Cuore consacrandosi all'avvento del "Regno Sociale" di Gesù 65 . A dispetto dei richiami ai Templari66 e alla "cerca" del Graal - quanto mai inopportuni ed inconsueti sotto il profilo dell'ortodossia cattolica - lo Hiéron si era fatto artefice di una feroce campagna antimassonica ed antisemitica; un marchio che la dice lunga sulle pretese "tradizionali" di tale organizzazione e che di fatto ne svela uno degli scopi principali, ancorché questo venisse tenuto adeguatamente riservato 67 .

Ancora Boudet Quali rapporti potevano sussistere tra " l ' a f f a i r e " di Rennes-le-Château e lo Hiéron du Val d'Ori Per cominciare è più che probabile che alcuni importanti personaggi che ruotavano intorno alle attività dello Hiéron fossero altresì conosciuti da Saunière e da Boudet, le cui ricerche - ricordiamolo bene 65

Cfr. Novissimum Organon, ottobre-dicembre 1985, p. 181; ottobre-dicembre 1899, p. 189-

192. 66 II Presidente della Revue du Règne de Jésus-Christ, Etienne d'Alcantara, si vantava della sua fdiazione templare; nel Museo dello Hiéron, come F. de Rosnay (¿e Hiéron du Val d'Or, Paris, 1900, p. 175) si compiace di ricordarci, era conservato un dipinto che illustra la presenza dei Templari alla messa del Natale (Hommage des Templiers aux trois messes de Noël) e di Maria Maddalena in una Grotta! Per quanto attiene al simbolismo del Graal, nel volumetto del Resnay si possono trovare allusioni e riferimenti espliciti di grande interesse, dove il Graal viene messo in relazione non solo ai Templari, ma altresì al "patto" che deve essere stipulato (e rinnovato) tra la Chiesa e il Potere Temporale: "Il soggetto rappresenta l'ordinazione di un vescovo che, con le mani, tocca il calice. Conviene soffermarsi su questo. Il patto sacerdotale [...] si fa sul Sangue Santo [...] ciò mette in evidenza la grande importanza che svolge il San Graal nei romanzi di Cavalleria e nei cicli epici, e spiega al contempo la grande devozione dei grandi Ordini Cavallereschi come quello dei Templari [...] per il Sacro Cuore". Va considerato con attenzione come in questo passo il Resnay stabilisca una correlazione diretta tra il Santo Graal e il Santo Sangue (di Cristo), un tema che costituirà per l'appunto l'oggetto delle speculazioni contemporanee di Lincoln e soci. 67

M. Introvigne, Il Cappello del Mago, Sugarco, Milano, 1990, p. 324-325. Va rilevato che alcuni dei collaboratori della rivista - come Millon d'Ainval e il barone di Maricourt, con l'appoggio di Léo Taxil e di un certo Kalix de Wolski (autore di un libro dal titolo Russia Giudea) - cercavano di dimostrare l'esistenza di un "complotto giudeo-massonico ordito da un centro segreto composto dai diretti discendenti dei giudici del Sinedrio che aveva decretato la condanna a morte di Cristo" (Baron de Maricourt, Le Règne de Jésus-Christ, 1888, p. 55).

- erano in gran parte sovrapponibili a quelle condotte dallo Hiéron. Tra questi è il deputato Belcastel 68 e soprattutto il conte di Chambord la cui vedova, come abbiamo visto 69 , aveva concesso al curato di Rennes-le-Chateau una somma importante per avviare i primi lavori di restauro della chiesa. Abbiamo quindi visto come Boudet e gli ispiratori del centro di Paray-le-Monial condividessero alcune bizzarre concezioni - la ricerca della lingua adamitica identificata nel celtico, la rievocazione della mitologia merovingia che fa da supporto al mito del Gran Monarca atteso per la "fine dei tempi" - che fanno da sfondo ai tenebrosi retroscena di Saunière. Peraltro - tanto per continuare l'elenco delle coincidenze decisamente sempre più imbarazzanti - un lontano parente di Bigou, Jean-Baptiste Bigou, curato di Sonnac (vicino Limoux), adepto di Arcade d'Orient Vial, un occultista che ritroviamo tra i fondatori della Rose Croix Toulosaine (fu collaboratore di Léo Taxil, amico di Jules Doinel e membro fervente dello Hiéron)10. Per parte sua Saunière era un fervente adepto del Sacro-Cuore, qualunque cosa egli (o i suoi ispiratori occulti) intendessero con tale simbolo. Il glifo del cuore sanguinante e avvolto da una corona di spine, inscritto in una corona di luce, è onnipresente nella decorazione della chiesa ed è ostentatamente riportato sulla vetrata del portone di Villa Bethania. Considerata la diffusione della devozione per il Sacré-Coeur nella Francia di fine Ottocento, ciò potrebbe anche non essere del tutto anomalo. Ciò che invece costituisce la prova di una inequivocabile connessione tra lo Hiéron e i misteri del Razès è invece l'inopinata raffigurazione di un altro simbolo, la cui presenza, per quelle che ne sono le implicazioni soteriologiche ed ermeneutiche, non ci saremmo certo mai aspettati di trovare. Né a Rennes-le-Château, né tantomeno sui documenti dello Hiéron e, come vedremo, addirittura nella stessa chiesa di Saint-Sulpice.

68

II dipartimento dell'Alide rientrava nel collegio elettorale di Tolosa in cui Belcastel era stato eletto. 69 Cfr. M. Bizzarri e F. Scurria, Sulle tracce del Graal, Edizioni Mediterranee, Roma, 1996, p. 17 e s . 70 II curato J-B. Bigou mise in piedi una specie di associazione strettamente limitata agli ecclesiastici dei paesi che ruotavano intorno all'Aude, tutti monarchici legittimisti, devotissimi al Sacro Cuore, ed esoteristi cattolici. Fra questi ricordiamo il parroco di Castelnaudary, Henri Lafïbnt-Maydieu, e l'enigmatico J. Guiraud - alias Benjamin Fabre - nativo di Quillan, che ebbe un ruolo di tutto rilievo nelle vicende dell'occultismo della regione e su cui torneremo. Il curato di Sonnac, oltre alla partecipazione a riviste caratterizzate da uno spirito antimassonico e di dubbio esoterismo, scrisse alcuni strani libri come L'Avenir ou le Règne de Satan et du monde prochainement remplacé sur toute la terre par une domination infinie de Jesus-Christ et de I Eglise (1887), in cui tra l'altro profetizzava il ritomo degli ebrei in Palestina (G. Galtier, Maçonnerie égyptienne, Rose-Croix et néo-chevalerie, du Rocher, Monaco, 1989, p. 275).

Il Polipo

;

Con la morte di de Sarachaga (1918) per lo Hiéron si chiude un ciclo. I coniugi de Noaillat si sforzeranno di ricondurre le attività dell'associazione entro binari sostanzialmente più ortodossi. Nel 1925 questi sforzi saranno coronati da successo e da un segno di evidente approvazione papale, grazie alla instaurazione della festa del Cristo Re. Parallelamente, l'interesse per le ricerche di ordine teologico, esoterico e storico vennero opportunamente ri-orientate nell'alveo di una impostazione effettivamente tradizionale che ebbe a concretizzarsi nella fondazione della Revue universelle du Sacre Coeur - Regnabit, animata da padre Félix Anizan e a cui collaborarono Louis Charbonneau-Lassay, René Guénon e padre Émile Hoffet. E molto probabile, come osservato da Jean Robin, che padre Anizan, per il tramite della rivista da lui diretta, avesse ricevuto "relativamente al centro di Paray-le-Monial, una missione di sorveglianza avente per scopo di fissare, prima, e quindi dissolvere in seguito le influenze sottili che vi erano ricollegate" 71 . Di fatto, a dispetto di questi evidenti segni di "raddrizzamento", alcuni eventi indicavano chiaramente come l'eredità antitradizionale dello Hiéron aveva ormai messo radici, e non a caso sarebbe stata rilevata da lì a poco da Paul Le Cour (1861-1954). Le Cour era stato in contatto epistolare con Jeanne Lépine che, dopo aver fatto parte della direzione del Novissimum Organon, era diventata la segretaria dello Hiéron. La Lépine sperava di fare di Le Cour l'erede spirituale di de Sarachaga e in tal senso gli cedette l'anello del barone, un gesto che avrebbe voluto attestare una sorta di successione ufficiosa nello Hiéron. Le Cour era letteralmente affascinato da alcune tematiche dello Hiéron, tra cui innanzitutto il simbolo centrale di Aor-Agni, le attese millenaristiche e altre tematiche vagamente "acquariane", tra cui importantissimo il mito di Atlantide. Fondatore della rivista Atlantis - emanazione prima di una "Società di Studi atlantidei" e, quindi, dell'associazione omonima creata nel 1927 - Paul Le Cour, recupererà tutti i maggiori temi dello Hiéron (cui consacrerà numerosi articoli), fino a definire compiutamente una propria originale (e discutibile) interpretazione della "storia esoterica" del mondo, con la pubblicazione del volume L'Ere du Verseau, le sécret du zodiaque. Il libro venne pubblicato nel 1937, benché fosse praticamente già pronto dal 192 3 72 ed è da questo che 71

J. Robin, Le Royaume du Graal, Trédaniel, Paris, 1993, p. 635. M. Introvigne, Il Cappello del Mago, Sugarco, Milano, 1990, p. 325. Paul Le Cour (il cui vero nome era Paul Lecoeur) aveva in effetti avuto notizia dello Hiéron già dal 1900, dopo aver letto il libro di Félix de Rosnay su consiglio di P. Dujols, ed è probabile che i suoi rappor72

è stato tratto l'articolo sullo "Hiéron du Val D'Or" inserito tra i famosi Dossiers secrets d'Henri Lobineau (compilati da Philippe Toscan du Plantier), in cui viene riprodotto sotto la firma "/e poulpe", il simbolo dell'octopus quale era stato pubblicato da Le Cour. Ciò che è veramente sorprendente è che quel simbolo è in tutto e per tutto identico a quello riprodotto da Saunière (o chi per lui) alla base della famosa dalle della marchesa di Rennes-le-Chàteau. Coincidenza? Imbattersi nella raffigurazione del polipo - Voctopus latino - anche per chi sia aduso alla materia dei simboli sacri ed antichi, non è propriamente cosa di tutti i giorni. Per F. Maspero, "dal punto di vista simbolico questo animale informe e tentacolare è una personificazione dei mostri che rappresentano abitualmente gli spiriti infernali o l'inferno stesso" 73 . Troviamo raffigurato il polipo su ceramiche cretesie sulle monete etrusche, ritrovate negli scavi di Populonia, dove viene spesso incisa l'effigie di un polipo o di una gorgona 74 . L'octopus è contemporaneamente presente in luoghi geograficamente anche molto lontani, come in Scandinavia e nell'arcipelago dell'Ecuador, nell'Isola di Manabi, dove raffigura il "guardiano" (malefico) delle grotte marine 75 . Il polipo è simbolo, sul piano morale, di astuzia e di camaleontismo 76 , mentre in termini cosmogonici rinvia - guarda caso - al mito della Grande Madre: il polipo è infatti il simbolo di Leucotea, la Dea Bianca, che interviene su Ulisse quando questi si troverà stretto tra Scilla ("colei che dilania") e Cariddi ("colei che risucchia"), due altre raffigurazioni della medesima entità considerata qui nella sua veste "malefica" di dea della morte e della distruzione. Possiamo allora capire la devozione che Paul Le Cour aveva per questa figura se appena ci si ricorda di cosa scriveva nella terza edizione de L'Ere du Verseau, dove, ricordando un passaggio di Huysmans, egli afferma di come "la nostra società ha cominciato a putrefarsi [...] deve collassare; non può essere incerottata o guarita. Deve essere arsa dal fuoco, ed un'altra deve nascere dalle

ti con la Lépine ed altri membri dello Hiéron datassero da un epoca più recente di quella che viene generalmente accettata. Sappiamo infatti che egli si recò presso lo Hiéron solo il 10 novembre del 1923, su invito della Lépine. 73 F. Maspero, Bestiario Antico, Piemme, Casale Monferrato (AL), 1997, p. 270. 74 È probabile che l'immagine di Medusa - una testa avvolta da una massa di serpenti a mò di capelli - costituisca una variante analogica del polipo stesso che, come noto, può essere raffigurato da due occhi avvolti in una massa di tentacoli (cfr. Enciclopedia dei Simboli, Garzanti, Milano, 1991, p. 341). 75 M.H. Saville, The Antiquites of Manabi, Irvin Press, New York, 1907, p. 66 e s. 76 M. Detienne, J.P. Vemant, Les ruses de l'intelligence. La métis des Grecs, Paris, 1974, p. 45.

ceneri di questa". Un pensiero elevato che, seppure si collochi agli antipodi di quella che è la missione di un iniziato, non avrebbe mancato di entusiasmare e di "infiammare" (è il caso di dirlo!) un personaggio come Plantard che riprenderà tali argomentazioni, citando lo stesso Le Cour, di cui pubblica un ampio stralcio sul numero 1 della sua rivista Vaincre, del 21 settembre 1942. Per costoro e per lo Hiéron l'adozione del Polipo, simbolo infernale dei popoli devoti alla Grande Madre, può anche essere compresa. Cosa poteva giustificarne l'adozione all'interno di una chiesa come Saint-Sulpice, epicentro della potentissima e cattolicissima confraternita segreta nota come Compagnie du Saint-Sacrement de l'Autell

Monsieur Nicolas Pavillon Abbiamo visto come lo Hiéron du Val d'Or e più specificamente le Aa abbiamo storicamente costituito un effettivo prolungamento della Compagnie du Saint Sacrement de l'Autel, che costituisce, per così dire, il prototipo delle "associazioni segrete"apparentemente cattoliche ma i cui scopi hanno, invero, ben poco di ortodosso e ancor meno di angelico. Scrive al riguardo Jean Robin: "Ma quali erano più precisamente i 'pii disegni' di questa così misteriosa società? [...] Di fatto, lo spirito [della Compagnia], molto diversi dagli aspetti 'caritatevoli', anima un progetto politico di natura teocratica - il solo che possa spiegare l'ossessione per il segreto, e i cui statuti non nascono affatto la portata e l'ambizione [...] La Compagnia non ha confini, né misura né restrizione alcuna"77. Le implicazioni "politiche" di questo modo così disinvolto di promuovere la "Gloria di Dio" in terra spinsero la Compagnia ad osteggiare apertamente il cardinale Richelieu, a sostenere la Fronde, a propugnare l'espulsione degli ebrei dal Regno di Francia7», e, a dispetto del cattolicesimo ostentato con tanta sicumera, a prendere le parti dei giansenisti in opposizione alla Chiesa di Roma. Non crediamo tuttavia, in disaccordo con quanto suggerisce il Robin, che il "segreto" di cui è questione si esaurisca sulla base di motivazioni politiche: in quegli anni, alla corte del Re, sarebbe invero stato strano non ritrovare 77

J. Robin, Les Sociétés secrètes au rendez-vous de l'Apocalypse,

p. 86. 78

Proposta del 16 maggio 1649.

Trédaniel, Paris, 1985,

qualcuno che non tramasse nell'ombra, prò o contro un partito o un altro 79 . Che degli ecclesiastici, stante la rilevanza che il clero come "secondo stato" aveva acquisito nel paese, si mischiassero nelle questioni della politica non avrebbe scandalizzato nessuno. Lo stesso Robin non manca infatti di sottolineare come l'aspetto "più intrigante" sia legato al fatto che la Compagnia fosse segretamente diretta da un "Cenacolo Invisibile e Fraterno", composto da tre singolari personaggi: Jean-Jacques Olier- il fondatore di Saint Sulpice - Vincenzo da Paola e Nicola Pavillon. Il Cenacolo conservava un ferreo controllo su tutte le attività della Compagnia e sui suoi membri, riuscendo a manipolarne le intenzioni e le azioni, senza che questi fossero a conoscenza dei reali obiettivi. Scrive l'Allier: "La maggior parte dei membri [della Compagnia] sosterranno un ruolo ignorando quale esso sia realmente; le peripezie le più sorprendenti sono state a lungo progettate da un regista sottile che agisce per conto di un autore misterioso"80. Olier supervisionerà la ristrutturazione e l'arredo di Saint-Sulpice ed è a lui che dobbiamo imputare l'aver consentito che una acquasantiera blasfema, adoma di un polipo e costituita da una conchiglia, venisse collocata all'entrata del tempio. Olier sarà il confessore della Regina Anna d'Austria, all'origine di numerosi complotti volti ad eliminare Richelieu 81 e a ostacolare Mazzarino. Ancor più singolare è la storia di Vincenzo da Paola, da lui stesso narrata in una lettera a M. de Comet, in cui parla di come, nel corso di un viaggio in mare, finisse con l'essere fatto prigioniero dai Turchi, dopo un rocambolesco abbordaggio. Venduto a Tunisi come schiavo prima ad un pescatore e quindi ad un vecchio medico, Vincenzo da Paola sarà da quest'ultimo introdotto ai misteri dell'alchimia. Il suo mentore: "Avendo lavorato cinquanta anni alla ricerca della pietra filosofale; in vano, per quanto è della pietra, ma alquanto sapiente per ogni altra forma di trasmutazione dei metalli [...] Mi voleva molto bene, e si compiaceva di discorrere di alchimia e 79 Un eco di queste tensioni è notoriamente rinvenibile nei romanzi di A. Dumas, in cui il partito di Richelieu (e dei cattolici) si scontra con quello della Regina che, non a caso, intrattiene ottimi "uffici" con i protestanti d'Inghilterra. Dietro il velo della favolistica Dumas ha qui voluto riprodurre qualcosa di più, come del resto è suo costume. 80 R. Allier, La Cabale des Dévots, Paris, 1902, p. 102. 81 Pierre de Gondi che architettò un attentato alla vita del cardinale, aveva, guarda caso, come precettore un altro influente membro del Cenacolo: Vincenzo da Paola.

della sua fede, non risparmiando sforzi per attirarmi verso di questa, promettendomi grandi ricchezze e tutto il suo sapere"82. Si succedono una serie di avvenimenti degni delle Mille e una notte, come rileva un altro attento commentatore, che evidenzia non solo le stranezze di un racconto che a tutti gli effetti sembra descrivere una sorta di "iniziazione invertita", ma altresì i retroscena oscuri che seguiranno alla divulgazione della lettera 83 . Alla morte di de Comet - che aveva tenuto segreta la lettera per paura che nuocesse alla reputazione del prelato - un suo erede, pensando forse di fargli cosa grata, ne inviò una copia a Vincenzo da Paola. Questi ne fu a tal punto contrariato che gli rispose in termini veementi, reclamando la distruzione dell'originale: "in nome delle viscere del Cristo! [...] per tutte le grazie che è piaciuto a Dio di accordarvi, vi scongiuro di inviarmi quella miserabile lettera che fa menzione della Turchia" 84 . Non si tratta di dettagli irrilevanti - soprattutto se si considera che stiamo parlando di un santo seppure dedito a pratiche quantomeno poco ortodosse - tanto che il gesuita Padre Defrennes non può fare a meno di insinuare come "è possibile che l'impostura di Vincenzo da Paola voglia nascondere episodi ancor più inquietanti. Cosa aveva fatto in quei due anni? Da dove non sarebbe tornato?" 85 . Grande amico e discepolo di Vincenzo da Paola, Nicola Pavillon (15971677) è tra i tre membri quello che presenta forse i lati più oscuri. Giunto al soglio episcopale dopo brevissimo tempo 86 , con costernazione di tutti preferì al centro di Auxerre, cui lo aveva destinato il Re, l'oscura e dimenticata diocesi di Alet-les-Bains, a sette chilometri da Rennes-le-Chàteau: "Strano personaggio per preferire, a un episcopato suscettibile di portare l'eletto ben presto a qualche arcivescovado, questo buco sperduto del Midi della Francia" 87 . Ad Alet Pavillon mette mano ad una profonda opera di ristrutturazione che toccherà, nel tempo, anche gli aspetti dottrinali. A lui si perdonerà facilmente l'adesione al 82 L a lettera è riportata in: H. Lavedan, Monsieur Vincent, Plon, Paris, 1948, p. 65 e s. 83 A. Dodin, Saint Vincent de Paul et la charité, Paris, Le Seuil, 1960. 84 H. Lavedan, Monsieur Vincent, Plon, Paris, 1948, p. 89. 85 r p. Defrennes, La Revue d'ascétique et de mystique, cit. in J. Robin, Le Royaume du Graal, Trédaniel, Paris, 1993, p. 94. 86 Ordinato prete nel 1627, venne nominato vescovo di Alet-les-Bains meno di dieci anni dopo, nel 1637- Circa la figura di N. Pavillon si veda: G. Séménou, Monsieur d'Alet, un évéquejanséniste en Pays Cathare, Carcassonne, 1998. 87 Q Séménou, Monsieur d'Alet, un évéquejanséniste en Pays Cathare, Carcassonne, 1998, p. 23.

giansenismo, mentre altri membri della Compagnia - due padri di Saint Sulpice - che avevano timidamente appoggiato le "nuove idee", verranno sbrigativamente esclusi e messi alla porta. C'è evidentemente qualcosa di poco chiaro in questa associazione che si pretende cattolica, eppure tollera i giansenisti e gli eretici che dice di voler combattere. Osserva il Ferté: "In effetti, in un paese cattolico in cui il cattolicesimo detiene il potere, bisognava veramente confondere le piste, cambiare ogni volta i luoghi di appuntamento clandestino, c'era bisogno di tanti travestimenti per decidere della distribuzione di un po' di pane gratuito o per una visita caritatevole negli ospedali? Questa paranoia del segreto non nasconde forse, tra le pieghe ultime del suo Cenacolo Invisibile e Fraterno, un obiettivo inconfessabile? [...] Se la Compagnia fosse stata veramente cattolica, non avrebbe dovuto sostenere Mazzarino, difensore degli interessi della Chiesa? Non avrebbe dovuto stigmatizzare i principi fastosi e sibariti che appoggiò al di là di ogni ragionevolezza?"88. Ciò spiega bene perché l'arcivescovo di Parigi - monsignor de Gondi - abbia rifiutato di approvare la Compagnia e perché Roma accondiscese solo alla fine, senza entusiasmo e declassandola a livello di semplice "confraternita". Va rilevato peraltro che l'arcivescovo di Tolosa, che teneva sotto controllo stretto Monsieur Pavillon, la denunciò come "empia, colpevole di riti di ammissione altamente irregolari" 89 . Ferté si domanda a proposito "come è possibile che una organizzazione così caritatevole e fideista abbia potuto incorrere nell'anatema?" 9 0 . A dispetto della riprovazione del clero, almeno fino al 1660 quando un'ordinanza del Re mise fine - apparente - alle sue attività, la Compagnia con Pavillon in testa continuò imperterrita a tessere trame e a ordire intrighi. Pavillon sostiene con energia la Fronde, arrivando a "manipolare" nell'ombra personaggi chiave, come il principe Conti. Lo stesso Gaston d'Orléans, promotore della Fronda, avrà per confessore padre de Condren, uno dei fondatori della Compagnia, e sposerà in prime nozze Maria di Borbone, figlia della baronessa d'Arques, Enrichetta-Caterina de la Joyeuse, signora di Arques e di Couiza 91 , amica del 88

P. Ferté, Arsene Lupin, Supérieur inconnu, Trédaniel, Paris, 1992, p. 252. Abbé Auguste, La Compagnie du Saint-Sacrement à Toulouse, Paris, 1913, p. 20 e s. 90 P. Ferté, Arsene Lupin, Supérieur inconnu, Trédaniel, Paris, 1992, p. 252. 91 II castello della Joyeuse di Couiza - oggi trasformato in albergo - appartenne alla baronessa e costituì uno dei punti di riferimento dei congiurati. Sarebbe interessante conoscere cosa avvenne effettivamente entro quelle quattro mura: ancor oggi vi accadono infatti strani incidenti... 89

rosacruciano Robert Fludd e in stretti rapporti, ancora una volta con Nicola Pavillon. Gaston d'Orléans sposerà in seconde nozze Margherite de Vaudémont, cugina del duca di Guise (che in precedenza aveva fondato la Sainte-Ligue) i cui possedimenti in Lorena comprendevano la cittadina di Stenay che, come noto, insieme a Gisors, è uno dei centri coinvolti da Lincoln e soci nel mistero di Rennes-le-Chàteau. E comunque alquanto inquietante che proprio a Stenay si siano formati i piani della Fronda rivolti inizialmente a liberare i prigionieri di Mazzarino. Qui, a capo della rivolta, ritroviamo una Conti, un membro della famiglia Conti, sorella del principe convertito da Pavillon, sposata al duca di Longueville, anche lui tra i capi della rivolta, meglio noto come duca di Gisors! La lunga mano protettrice di Pavillon non copre solo gli agitatori politici, ma generosa si estende fino a proteggere alcuni prelati in odore di stregoneria. Il primo è il nipote stesso del vescovo, l'abate de Cour (1632-1705), autore di un enigmatico trattatello dal titolo significativo: L'Art de se Taire. Un altro nipote ancora - Jean Pavillon - è invece pittore e studia presso Y atelier di Reynaud Levieux, autore del Cristo in Croce presente nella chiesa di Arques: il particolare piccante è che entrambi - Levieux e Jean Pavillon - sono amici e discepoli di Nicolas Poussin 92 . Ancora una volta una coincidenza di troppo. C'è poi l'abate Montfaucon de Villars, di cui avremo modo di riparlare, autore del Comte de Gabalis. Il prelato godrà di una singolare impunità non solo e non tanto per le sue pratiche occultistiche, ma altresì per aver pubblicamente polemizzato con i dettami dell'ortodossia cattolica ed essersi macchiato di un assassinio: protetto da Pavillon riuscirà per ben due volte a sfuggire al capestro, fino a che la vendetta di una organizzazione segreta non lo fulminerà presso Lione 93 . Un nipote di questi - Dom Bernard de Montfaucon - sarà invece sollecitato dallo stesso Olier verso letture fin troppo "compromettenti", che gli consentiranno di consultare l'opera di Tritemio e di Gruter, il confidente di Basilio Valentino94 e di dare alle stampe un erudito testo sulla monarchia francese in cui si ritrovano elementi pertinenti l'enigma di Gisors 95 . Fino all'ultimo Pavillon sfidò apertamente l'autorità e del Re e del Papa, rischiando più volte - soprattutto nel corso del periodo critico 1665-1669 - di essere sospeso da Roma. In quegli anni Pavillon è il punto di riferimento del malcontento ecclesiastico e della rivolta sotterranea che il clero sta montando

92

H. Wytenhove, Reynaud Levieux, Edisud, Carcassonne, 1990. Sul personaggio di Montfaucon de Villars si veda G. Mot, Origines et aventures de Nicolas Montfaucon de Villars, Congrès cité, Paris, 1968. 9J H. Trevor-Roper, The Plunderof the arts in the 17'h century, London, 1970, p. 22 e s. 95 Dom Mountfaucon, Monuments de la Monarchie Française, Paris, 1729, t. I, p. 177. 93

da un lato, contro il potere della monarchia, dall'altro contro le direttive della curia, soprattutto in materia di diritto ecclesiastico e di teologia. Pavillon inventa ogni possibile sotterfugio per evitare un pronunciamento formale contro Giansenio e si adopera per sviluppare una sua propria "dottrina della fede" 96 . Ma soprattutto tenne viva la fiaccola della Compagnia, del cui cenacolo rimaneva ormai ultimo superstite. La Compagnia del Santo Sacramento dell'Altare venne dispersa ufficialmente nel 1666, sei anni dopo l'ordinanza del Re. Quel periodo era stato indubbiamente utile per consentire di trasfondere energie e istruzioni alle nascenti "amicizie angeliche". Il marchese d'Argenson, che ha curato la custodia degli Annales de la Compagnie: "Attesta che questa, prima di diventare di nuovo invisibile, seppe come nascondere i propri archivi: 'Tutti i registri sono stati danneggiati per ragioni di prudenza; essi furono collocati in un deposito comune di cui poche persone hanno conoscenza'. Lo storico R. Allier pone la domanda: 'Dove si trovava questo deposito? Nel seminario di Saint-Sulpice forse?' e Gérard de Sède, estrapolava, non senza ragione: 'A Saint-Sulpice, nel regno del defunto Olier? O vicino ad Alet, il centro governato da Nicola Pavillon, l'ultimo sopravvissuto del Cenacolo Invisibile e Fraterno?"'97.

La strana vicenda di monsignor Billard e dei suoi protettori Fintanto che monsignor Arsène Billard (1829-1901) fu vescovo di Carcassonne (1881-1901), Saunière ebbe vita facile. Pochi mesi dopo essersi insediato a Rennes-le-Chàteau, a causa di un'omelia a sfondo politico, tanto intempestiva quanto sospetta, che sembra non aver avuto altra ragion d'essere se non quella di richiamare l'attenzione sulla sua persona, il curato Bérenger si vide sospendere lo stipendio dalla prefettura. Billard intervenne prontamente prima con un prestito, e quindi facendolo nominare docente al seminario di Narbonne. Billard aiutò altresì Saunière per la decifrazione dei cosiddetti parchemins e probabilmente lo indirizzò a Parigi introducendolo a Saint Sulpice, presso Emile Hoffet. Sappiamo già che chiuse non un occhio, ma tutti e due, quando si trattò di approvare il rifacimento della chiesa e lo stravolgimento decorativo e simbolico che, come abbiamo visto, per tanti motivi contraddice in modo 96 G Séménou, Monsieur d'Alet, un évèquejanséniste en Pays Cathare, Carcassonne, 1998, p. 237-252. 97 P. Ferté, Arsène Lupin, Supérieur inconnu, Trédaniel, Paris, 1992, p. 256.

anche palese l'ortodossia cattolica. Di sicuro non si pose il benché minimo problema su come e dove il suo modesto parroco potesse aver conseguito quella inaspettata fortuna. Da sempre è stato sottolineato quanto tale comportamento fosse più che sospetto; eppure - con la lodevole eccezione di Patrick Ferté - nessuno ha mai pensato di studiare un po' più da vicino l'enigmatica figura di questo vescovo che solo la morte ha probabilmente sottratto ad un provvedimento infamante. La carriera ecclesiastica di Arsène Félix Billard comincia a Rouen, dove viene ordinato prete (1853), per assumere quindi le funzioni di parroco nel paesino di Saint-Rémy de Dieppe, afferente alla diocesi di Rouen, allora in mano al cardinale Henri-Marie Gaston de Bonnechose (1800-1883). Ben presto entra nelle confidenze di questi, tanto da assumere le funzioni di vicario generale e da accompagnarlo al conclave del 1878 durante il quale venne eletto Papa Leone XIII. Monsignor de Bonnechose è un altro di quei prelati enigmatici che a più titolo intervengono nella vicenda di Rennes-le-Chàteau. Protestante, quindi convertitosi al cattolicesimo, venne ordinato prete nel 1833. Prediletto dall'Imperatore e dal Papa, aveva collezionato cariche e onorificenze che gli avevano consentito di realizzare una sfolgorante ascesa fin nelle stanze più riservate del potere. Prima di essere vescovo di Rouen aveva infatti retto la diocesi di Carcassonne! (1848-1855). In quel periodo aveva stabilito solide e fruttuose amicizie. Prima tra tutte, quella con il generale d'Hautpoul-Félines, deputato dell'Aude, ministro della Guerra e cugino della marchesa de Nègre! C'è di più. Monsignor de Bonnechose frequentò attivamente alcune parrocchie, in particolare quella di Rennes-les-Bains, diventando amico del parroco, il curato Jean Vié. Altro prete discusso e il cui epitaffio ha fatto scorrere fiumi di inchiostro. Sulla tomba è riportata la data del decesso: "ler 7bre" - "premier septembre" - il che è falso, ma serve a mettere in evidenza il numero "ler7", cioè 17, che è pure presente sulla tomba - anzi sulle tombe! 98 - del marchese de Fleury. Un'analoga attenzione venne riservata da de Bonnechose alla regione del Pays de Sault, di cui era originario il casato di Marie de Nègre. Sarà monsignor de Bonnechose a presentare Billard a Leone XIII e a sollecitarne l'investitura a vescovo. Sempre de Bonnechose si farà in quattro perché la diocesi di Carcassonne, alla morte di monsignor Leullieux, passi nelle mani di Billard. Questi dimostrerà uno zelo insolito nell'accumulare prebende 98 II cimitero di Rennes-les-Bains ospitava, fino al 1993, due tombe intestate al marchese di Fleury, con sopra riportate differenti date di nascita e di morte. Con l'alluvione del febbraio 1993 una di queste venne travolta dalle acque.

e finanziamenti, restaurando e acquisendo nuove chiese, tra cui quella di Notre-Dame de Marceille di Limoux che verrà affidata ai Lazaristi, con i quali Billard stabilirà uno strettissimo rapporto, così come Saunière: la consacrazione alla Madonna di Lourdes (Mission 1891) verrà officiata da un Lazarista di Limoux e l'inaugurazione della chiesa di Rennes-le-Chàteau, nel 1897, sarà fatta da Billard in compagnia di padre Mercier: in entrambi i casi afferivano alla chiesa di Notre-Dame de Marceille. In tutto questo Billard non faceva che realizzare il sogno del precedente vescovo di Narbonne, che tanto aveva fatto per assicurare ai Lazaristi il controllo della chiesa di Limoux che ospita la Madonna Nera. Forse ci si sorprenderà nel leggere il nome del prelato che non era altri che monsignor Louis Fouquet, fratello del sovrintendente alle Finanze di Luigi XIV, lo stesso cui era indirizzata la famosa lettera di Poussin; ma questo dettaglio ha certo il pregio di far risaltare come gli intrecci tra i diversi personaggi della vicenda di Rennes-le-Chàteau siano ben più complessi", ramificati ed estesi nel tempo e nello spazio di quanto non sarebbe lecito attendersi. Billard mostrerà un interesse tutto particolare per la pratica del "Rosario". Già dal 1886, dopo aver restaurato il monastero di Prouille, entro le cui mura esiste la "chiesa del Rosario", Billard venne soprannominato "vescovo del rosario", in singolare sintonia con l'appellativo di Papa Leone XIII (il "Papa del Rosario"). Se solo ci si ricorda dell'analoga importanza che l'Aa annetteva al "Rosario", non ci si stupirà quindi di ritrovare, insieme a Boudet, anche Billard negli elenchi della ormai nota ",4a" 100 . Mancando documenti e dati verificabili, allo stato attuale delle conoscenze è difficile dirne di più. Certo è che l'interesse eccezionale che tanti importanti prelati - molti dei quali membri della confraternita segreta dell'Aa - hanno rivolto alla regione dell'Aude, alla devozione per Notre-Dame de Sous-Terrem e alla pratica del Rosario, lascia

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Non è casuale che il famoso dipinto della chiesa di Rennes-les-Bains - il Christ au lièvre, ispirato alla Pietà di Van Dyck come rilevato per primo da Pierre Jamac - sia stato donato per l'appunto da... Notre-Dame de Marceillel (cfr. P. Jamac, Histoire du Trésor de Rennes-le-Chàteau, Saleilles, 1985, p. 324). 100 Cfr. archivi privati di G. Moraux de Waldan, in: AA.VV., Rennes-le-Chàteau, Cahier n. 3, Soc. Perillos, Jonquières, 2003, p. 18. ( "N Notre-Dame di Marceille, situata qualche chilometro fuori Limoux, è stata oggetto delle assidue attenzioni di molti prelati coinvolti nella storia di Saunière. Monsignor Leuillieux promuoverà nel 1877 una processione ritenuta unica nella storia, per onorare la "Vergine Nera miracolosa". Nel 1883 - in occasione, oh quanto simbolica! - del cinquantesimo anniversario delle conferenze di San Vincenzo da Paola (uno dei fondatori di Saint Sulpice e della Compagnie du Saint Sacrement de l'Autel) arringa i fedeli per accendere la loro fede in Notre-Dame e nel pronto ripristino della legittimità monarchica! Un anno dopo, Leone XIII accorderà infine alla Vergine Nera di Limoux favori e privilegi del tutto eccezionali, coronando così il sogno che

supporre che tale interessamento non fosse del tutto casuale ed innocente, ma muovesse dalla condivisione di un qualche segreto di rilevante importanza, probabilmente condiviso da sempre dai preti del Razès. Perché questa catena ininterrotta di "custodi" venisse ad interrompersi bisognerà attendere la morte di Leone XIII e l'inopinato arrivo di monsignor de Beausejour. Il decesso di Leone XIII (1903) e quello di Billard sconvolgeranno, come sappiamo, i progetti di Saunière. Ma almeno per Billard la morte giungerà in un momento più che opportuno, dato che gli consentirà di sfuggire alla minaccia di sospensione a divinis che pendeva sul suo capo per distrazione di fondi e altre attività a carattere "irregolare", per le quali aveva goduto di complicità e protezioni alquanto sospette 102 . Evidentemente Saunière aveva avuto un buon maestro...

Polycarpe de la Rivière, l'abate Roca e la marchesa di Pomar Tra i cattivi maestri di Saunière non possiamo mancare di annoverarne due tra i più enigmatici: l'abate Roca e Don Polycarpe de la Rivière. Il curato Louis Roca ( 1830-1893), canonico onorario di Perpignan dal 1869, si fa notare da subito per essere propugnatore di una tesi assai cara agli ierofanti dello Hièron du Val d'Or, e per la quale il cattolicesimo non sarebbe che "lettera morta" di un insegnamento esoterico "progressista" (socialista103) ormai velato ai più. Fervente ammiratore di Saint-Yves d'Alveydre, troverà un'accoglienza inaspettatamente favorevole negli ambienti teologici che saluteranno con simpatia la sue pubblicazioni: Le Christ, le Pape et la Démocratie ( 1884), La Crise fatale et le salut de l'Europe ( 1886), La Fin de l'Ancien Monde (1886). In curiosa assonanza con lo Hiéron parlerà degli "apostoli degli ul-

fu di Fouquet, Leuillieux e Billard, tre vescovi che, per più di una ragione, hanno legato il loro nome a Rennes-le-Chàteau. 102 Un mese dopo la morte di Billard, veniva pubblicato un opuscolo -Notice Biographique sur monsignor Billard, feu Evèque de Carcassonne - firmato dal parroco di Paziols, Simon Laborde. Si tratta di un vero e proprio pamphlet accusatorio, basalo su elementi probanti e che doveva necessariamente aver ricevuto Vimprimatur dal nuovo presule di Carcassonne, monsignor de Beausejour. 11 testo accusa Billard di simonia, di intrallazzi con il potere politico e giudiziario e, soprattutto, di aver costantemente privilegiato alcuni curati di un ristretto entourage a discapito di altri (su questo tema si veda il dettagliatissimo lavoro di P. Jamac, Les Archives de Rennes-le-Chàteau, Belisane, Nice, 1987, p. 457-470). 103 Guénon avrà modo di ridicolizzare gli atteggiamenti di questo personaggio, stigmatizzando,in una nota del Teosofismo (R. Guénon, Il Teosofismo, storia di una pseudoreligione, Arktos, Carmagnola, 1987, t. I, p. 190), le "opinioni di avanzato socialismo [...] conosciute da tutti", professate da Roca.

timi tempi", molti dei quali sono già tra noi 104 . Questi avrebbero dovuto costituire un "ordine di preti sinarchici" raccolti intorno ad un nucleo di ecclesiastici provenienti, neanche a dirlo, dalla Linguadoca. Invano egli cercherà di trovare presso il Grand Orient de France e nel Vaticano un sostegno a questo delirio. Roma invero rispose tempestivamente per imporgli di mettere fine a tali divagazioni blasfematone. Roca non indietreggiò di un passo, e riuscì comunque, seppure in punto di morte, a fondare "/ 'Ordre de l'Etoile", una congrega su cui si sa invero poco se non che tra i fondatori annovera il proprietario del castello di Bugarach. È probabile che, stante i rapporti che esistevano tra Roca e la regione del Razès, Saunière l'abbia potuto conoscere di persona. Sicuramente disponeva di alcuni suoi libri, come è attestato dalla lista dei testi provenienti dalla sua libreria acquistati dal libraio lionese Derain-Raclet 105 . E oltremodo proficuo soffermarsi sulle tesi del Roca ed in particolare su quelle del suo protettore parigino, la duchessa di Pomar, meglio nota come Lady Caithness. Quest'ultima aveva dato vita ad uno dei più importanti salotti di occultismo di Parigi, frequentato dalla "crema" dell'occultismo di allora. Presidentessa della Società Teosofica d'Oriente e d'Occidente, la duchessa entrò ben presto in rapporto con la Blavatsky, non senza che questa forzata convivenza producesse attriti e contrasti. Ella aveva dato alla sua organizzazione un carattere estremamente segreto, presupposto fondamentale per la riuscita dei fini che si proponeva. Convinta di essere la reincarnazione di Maria Stuarda, Lady Caithness si adoperava per l'avvento di un "Nuovo Giorno", di cui lei stessa era: "Incaricata di annunciare e preparare la venuta; era una nuova rivelazione, un'era che doveva succedere al Cristianesimo come questo era succeduto all'antica Legge; era, in una parola, la 'venuta dello Spirito Santo' c o n o s c i u t o agnosticamente come il 'femminino divino'. Era ancora, 'la manifestazione dei figli e delle figlie di Dio', non tanto come essere unico ma come essere plurimo: questa razza più perfetta umanizzerà la terra, di cui sappiamo che è già passata per i periodi di sviluppo minerale, vegetale e animale [...] la duchessa arriva fino a questa precisazione: 'Possiamo dire verosimilmente che il vecchio mondo è finito nel 1881 e che il Signore ha creato un nuovo cielo e una nuova terra e che noi stiamo entrando nell'anno di Nostra Signora, il 1882'">06.

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L. Roca, Monde Nouveau, Nouveaux deux, Nouvelle Terre, Paris, 1889. '«s AA.VV., Rennes-le-Château, Cahier n. 5, 2003, p. 34. 106 R. Guénon, Il Teosofismo, storia di una pseudo-religione, Arktos, Torino, 1987, p. 188.

Indubbiamente non si può non essere colpiti dalla straordinaria coincidenza che questo "messaggio" presenta con quello sbandierato dai vari Lincoln, Baigent e, soprattutto, in forma romanzata, da un Dan Brown. E evidente che si sta parlando dell'avvento di un'epoca caratterizzata da una divinità femminile, dispensatrice di sapienza e nutrice di quella razza "più perfetta" di cui parlano un Nerval o un Bulwer-Litton e che, molto significativamente, è destinata a soppiantare quella "umana". Ma c'è di più, ed è sempre Guénon ad illuminarci la pista, quando annota la "singolarità" insita nell'idea di un: "Messia collettivo, la cui concezione comunque, non è completamente nuova [...] è precisamente il messianismo che, sotto l'una o l'altra forma, sembra offrire la chiave di questa 'identità di fini' di cui parla la duchessa di Pomar nei confronti della 'Società Teosofica' che da tempo si prepara all'apparizione del 'messia futuro' e lavora anzi affinché si venga a creare 'un organismo', comprendente un gran numero di membri uniti fra loro e pronti ad accogliere il nuovo Portatore della fiaccola della Verità [...] Ecco dunque il 'fine comune' delle imprese della duchessa di Pomar e di madame Blavatsky che [...] aveva assegnato alla sua Società la missione segreta, non solo di preparare la via a 'Colui che deve venire', ma anche di provvedere alla sua stessa comparsa nel momento che sarebbe stato ritenuto più propizio""". Questa allusione a "Colui che deve venire" non potrebbe essere più inquietante, soprattutto se ci si ricorda che il "Portatore di Fiaccola" o "Portatore di Luce", non è che un eufemismo che sta per Lucifero... Saunière, anche se ne conosceva gli scritti 108 , non poté certo incontrare il priore Polycarpe de la Rivière, vissuto due secoli prima, anche lui protagonista di bizzarre scoperte nella cripta della Chartreuse di cui era priore. Si trattava di un "tesoro colossale" che gli avrebbe permesso di ricostruire il monastero a sue spese (questo fatto non ci ricorda qualcosa?). La seconda parte del tesoro gli permetteva invece di affermare di essere in grado di riscrivere "la vera sto-

107

Ibidem, p. 188-189. ios i volumi di Dom Polycarpe che Saunière teneva in biblioteca furono anch'essi riacquistati dalla libreria lionnese di Derain-Raclet. Tra questi titoli ve n'è almeno uno dal titolo significativo: Angélique. Des excellences et perféctions immortelles de lame, A. Pillebotte et J. CafTin, Lyon, 1626, in cui è questione di come giungere "all'immortalità" e dell'impiego, a tal proposito, di talune "invocazioni angeliche", argomenti per nulla diversi da quelli che sarebbero andati proponendosi i cerchi occultistici del XIX secolo o altre ben più oscure organizzazioni, tra cui quella "Société Angélique" cui il titolo stesso dell'opera di Dom Polycarpe sembra voler alludere.

ria della religione, così come quella delle vere origini della regalità" 109 . Il priore commise l'errore di mettere per iscritto molte delle sue idee: le autorità politiche ed ecclesiastiche si diedero un gran daffare per farlo prima tacere e quindi per perseguitarlo come un criminale fino a recuperare molti dei suoi documenti. In quell'occasione a Polycarpe non bastò la vantata amicizia che aveva intrattenuto prima con una certa "Società des Anges", quando era residente nel castello di Usson, e quindi con la "Compagnie di Brouillard\ a cui aderirà una volta giunto nel Comune di Bompas. Stiamo ovviamente parlando della tristemente nota Società Angèlique che, a quanto pare, non sembra aver portato fortuna neanche ad altri prelati come il curato Antoine Gélis.

Infine un assassinio: Gélis e Angélique La notte tra il 31 ottobre e il primo novembre del 1897, Antoine Gélis, curato di Coustassa, a pochi chilometri da Rennes-le-Chàteau, viene orrendamente massacrato con un'ascia, dopo essere stato a lungo torturato e interrogato. Il corpo è stato composto, le mani incrociate sul petto, gli zoccoli collocati sotto la spalla destra. Il rapporto di polizia è al riguardo più che esplicito e dimostra che "gli assassini cercavano di far parlare la loro vittima e che l'hanno torturata lentamente e progressivamente prima di finirla con un colpo di mazza che gli ha sfondato il cranio" 110 . Gli investigatori ritroveranno tra i documenti del prelato una vera e propria "mappa del tesoro", redatta dal prete pochi giorni prima di morire. Le indicazioni permetteranno al procuratore di rintracciare i diversi depositi (salvo uno) per un ammontare di 11.440 franchi e di scoprire che somme altrettanto elevate erano state giudiziosamente e con grande regolarità investite dallo stesso Gélis, per il tramite di un altro prete, l'abate Gayda. Si cerca invano il movente, una volta escluso quello per soldi; si indaga in ogni direzione e si finisce per arrestare il primo sospetto, Joseph Page, lontano parente del parroco, che verrà tuttavia ben presto scagionato. Si sa che gli aggressori - poiché è certo che si tratti di più di una persona - hanno rovistato la casa da cima a fondo, presumibilmente senza trovare ciò che cercavano. Nei giorni precedenti il crimine, tre stranieri erano stati di fatto intravisti giron-

'09 AA.VV., Rennes-le-Chàteau, Cahier n. 5, 2003, p. 38. J. Rivière, G. Tappa, C. Boumendil, Le Secret de l'abbé Gélis, Belisame, Nice, 1996, p. 43. L'opera riunisce la documentazione investigativa e giudiziaria relativa all'assassinio del Gélis e costituisce un più che utile strumento di consultazione.

zolare per il paese. Verranno anche arrestati: due a Campagne-sur-Aude e il terzo, di origine italiana, a Limoux. Anche loro, dopo un breve interrogatorio saranno sbrigativamente scarcerati e faranno perdere le loro tracce in men che non si dica. L'unica traccia che resta e su cui si appuntano le ricerche è quella della cartina di sigarette trovata a fianco del curato e su cui una grafìa incerta ha vergato la scritta: "viva Angelina!". Non è un particolare di seconda importanza, dato che da subito emergono i contorni dell'enigma: Gélis non fumava e quella cartina non poteva appartenergli. In secondo luogo, la carta è di una marca di tabacco conosciuta come Tzar che non viene distribuita in Francia, ma esclusivamente in alcuni paesi dell'Est europeo, come la Romania. La ricostruzione del crimine fatta da Rivière e colleghi è intrigante, individua anche alcune possibili se pure rocambolesche piste di ordine poliziesco, ma resta al di qua dell'enigma autentico. Gélis è stato torturato per estorcergli informazioni. Ma quali? In secondo luogo non si è cercato di camuffarne la morte e deliberatamente il corpo è stato ricomposto lasciandogli al fianco il foglietto con su scritto "Angelina": è evidente che si tratti di un chiaro avvertimento. E a chi se non a Saunière? Cosa poteva mai avere a che fare il parroco di Rennes con "Angelina"? A meno che, come tutti i commentatori suggeriscono, questo nome non ne evochi un altro, quella della Société Angélique. Organizzazione segreta dai mille volti che sembra aver intessuto la propria tela di ragno nel Razès sin dai tempi di Rabelais.

Le Tradizioni occulte

Le strane amicizie di Bérenger Saunière Gli elementi che attestano la contiguità dell'abate Saunière con alcune organizzazioni occultistiche derivano fondamentalmente da diversi ordini di indizi, relativi al suo viaggio a Parigi dove, per il tramite di Hoffet e della cantante Emma Calvé, sarebbe stato introdotto in numerosi salotti dell'occultismo francese, alle frequentazioni "particolari" di Villa Bethania da parte di ospiti illustri (tutti più o meno compromessi con diversi gruppi misteriosofici o occultistici) ed infine deducibili dall'inquietante simbolismo della chiesa di Rennes-le-Château che rileva, in primo luogo, l'occultismo legato al mito della Grande Madre. L'esistenza del soggiorno parigino è contestata da alcuni e strenuamente argomentata da Gérard de Sède. Secondo questi, monsignor Billard avrebbe affidato al parroco una lettera di presentazione per il libraio Ané che, a sua volta, l'avrebbe indirizzato al direttore di Saint Sulpice - monsignor JeanFrançois Victor Bieil - per il tramite del proprio nipote, il seminarista Émile Hoffet. Non sembra che esistano prove documentali di tali incontri, anche se de Sède - che sembra aver recuperato gli archivi di Hoffet - cita a supporto delle sue affermazioni le annotazioni del seminarista che ammette di aver incontrato Saunière 1 . Paradossalmente, tuttavia, sono le frequentazioni future di Saunière che lasciano supporre che tale incontro abbia dovuto avere luogo. A Rennes-le-Château Saunière incontrerà le persone più diverse e tra le più in vista della Parigi bene, tutte più o meno coinvolte nei milieux occultistici, che doveva necessariamente aver conosciuto in precedenza. E solo alla luce di queste conoscenze che possono trovare spiegazione avvenimenti altrimenti incomprensibili come quelli inerenti la conoscenza del granduca Giovanni Orth d'Asburgo o i viaggi misteriosi (ma altrettanto bene documentati) così frequentemente compiuti da Saunière a Lione e a Perpignan.

1 G de Sède, Rennes-le-Château. Lafïbnt, Paris, 1988, p. 27.

Le Dossier, les imposture, les phantasmes, les

hypothèses,

Quale ruolo possono aver svolto le diverse confraternite occulte nel condizionare la successiva avventura del parroco? E in quale misura lo stesso parroco può avere influito su di esse? Per rispondere a questi ed altri interrogativi è necessario studiare in dettaglio chi e come era entrato in rapporto con l'abate di Rennes-le-Château.

I viaggi a Parigi e Lione Saunière avrebbe conosciuto Emma Calvé nel corso del discusso suo viaggio a Parigi. Non è peraltro impossibile escludere che ciò sia invece avvenuto presso i circoli martinisti frequentati dalla cantante a Lione, dove il parroco di Rennesle-Château si recava assai di frequente. La relazione tra i due, a prescindere da quelli che possono essere stati i risvolti piccanti, non può essere comunque messa in discussione, alla luce di quanto riportato dal biografo del soprano e da autori non certo sospettabili di deliri pseudo-occultistici 2 . Rosa Emma Calvet (1858-1929), lontana parente di Melanie Calvet, la famosa veggente cui sono legate le equivoche apparizioni mariane dette de La Salette, avrebbe mutato il proprio nome in "Calvé" per motivi artistici. Soprano tra i più famosi della sua epoca, manifestò da sempre un interesse vivissimo per il mondo dell'occulto. Introdotta da Jules Bois 3 ai misteri della demonologia, la Calvé divenne un'assidua frequentatrice della Librarie du Merveilleux4, a Parigi dove incontrava Péladan, De Guaita, e beninteso Papus. Nel retrobottega della libreria si tenevano le riunioni dell'Ordine Martinista, fondato da Papus nel 1891, una data fatidica nell'ambito dei misteri di Rennes-le-Château 5 . 2

J. Contrucci, Emma Calvé, la diva du siècle, Paris, 1955; M.-F. James, Esotérisme, Occultisme, Franc-Maçonnerie et Christianisme au XIXe et XXe siècles, Nouvelles Éditions Latines, Paris, 1981, p. 62-63. La presenza della Calvé a Rennes e la sua frequentazione con Saunière sono peraltro attestate anche da un autore prudente come Descadeillas (cfr. R. Descadeillas, Mythologie du Trésor de Rennes, Collot, Carcassonne, 1991, p. 27). 3 Jules Bois (1868-1943) era stato l'amante di Emma Calvé; autore di testi occultistici (tra cui Satanisme et Magie, edito con prefazione di K.J. Huysmans), era stato iniziato presso la Loggia magico-ermetica Athor n. 7 della Golden Dawn (P. Victor, "L'ordre hermétique de la Golden Dawn", La Tour Saint-Jacques, n. 2, gennaio-febbraio 1956). . 4 l'ondata da Lucien Chamuel, la libreria, sita in Rue Trévise, avrebbe accolto il fior fiore degli occultisti francesi: Papus, Péladan, Barlet, Sédir, Chaboseau, V. E. Michelet, Stanislas de Guaita, Barrés e tanti altri ancora. Su questo cenacolo e più in generale sulle vicissitudini degli occultisti di quel periodo si veda V-E. Michelet, / compagni della Ierofania, a cura di O. la Pera, Uhreria Chiari, Firenze, 2004. 5 È infatti nel 1891 che Saunière "scopre" la tomba misteriosa, si reca a Parigi e comincia a disporre di somme considerevoli.

Il coinvolgimento della cantante nelle discipline occultistiche va ben oltre la mera curiosità; partecipa infatti a sedute spiritiche, ai convegni, alle iniziative editoriali 6 . La sua firma, preceduta dall'acronimo S.I. ("Superiore Incognito") verrà ritrovato in calce ad un diploma onorifico, rilasciato a Papus F11 novembre 1892 dalla Loggia La Vérité di Parigi. La Calvé richiederà nello stesso periodo l'autorizzazione a fondare una Loggia a Tolosa: ciò che è altamente istruttivo a tale riguardo è che la domanda parte da quello stesso Centro Martinista di Lione che "senza dubbio, solo per caso, era precisamente quello che inviava numerosi 'inviti di gala' presso l'indirizzo lionnese di Bérenger Saunière" 7 . In altre parole, la sede da cui Calvé inviava la propria corrispondenza "esoterica" era la medesima da cui partivano gli inviti per Saunière i cui spostamenti a Lione, come vedremo, sono oggi ampiamente documentati. È manifesto come tutto ciò non possa essere frutto di coincidenze e confermi, qualora ce ne fosse bisogno, i legami (non necessariamente sentimentali) che intercorrevano tra i due personaggi e tra questi e l'Ordine Martinista che, a quello stesso indirizzo, aveva la propria sede. "La presenza regolare di Saunière a Lyon non è in discussione in ragione dei documenti ritrovati a suo nome e presso il suo indirizzo in quella città. Ciò che sorprende è che, a fronte di tale evidenza, è che tra gli appunti del parroco non si ritrovi da nessuna parte, la menoma menzione di questi viaggi [...] tuttavia la scoperta di nuovi elementi mette adesso in luce un fatto evidente [...] Saunière ha condotto una vera e propria 'seconda vita' e lo ha fatto con una discrezione assoluta"8. Sono infatti state ritrovate fatture di vetture prese a noleggio, lettere inviategli da Parigi all'indirizzo lionnese e altro materiale - tra cui numerosi testi che trattano di simbolismo e di filosofìa occulta - oggi solo ancora in parte disponibile, dato che resta gelosamente custodito in collezioni private. A riprova delle relazioni che Saunière aveva stabilito con Lione, di recente è emerso che la maggior parte dei libri della sua biblioteca fu acquistata, dopo la morte 6

La cantante fu letteralmente ossessionata dalla ricerca di una copia del libro di Abramelin il Mago che si diceva fosse stato nascosto da Nicolas Flamel nel castello delle Cabrières nel dipartimento di la Rouergue, peraltro oggetto di analogo interesse manifestato da parte di Richelieu (cfr. P. Borei, Trésor des recherches et antiquité gauloise et françaises, Paris, 1665). La Calvé riuscì, al termine di dieci anni di tentativi, ad acquisire il maniero che vendette tuttavia per coprire alcuni debiti, qualche mese prima di morire. E alquanto curioso che la transazione ebbe luogo con la precettrice dei figli degli Asburgo, madame Hurbin, castellana di Creissels. 7 AA.VV., Rennes-le-Château, Cahier n. 5, Soc. Perillos, Jonquières, 2003, p. 27. 8 Ibidem, p. 28. La presenza di Saunière a Lione è sicuramente attestata nei seguenti periodi: maggio-giugno 1898, settembre 1899, maggio e giugno 1900.

del parroco, da due librerie lionnesi: la libreria Gacon (14, Rue de la Félicité) e Derain-Raclet (81, Rue Bossuet) 9 . Alcuni testi sono stati recuperati da privati e ciascuno di questi ha una scheda di repertorio in cui è annotato: "François Bérenger Saunière, Prêtre à: Aude, ville de Rennes-le-Château". Vale la pena menzionare i titoli di alcuni volumi; tra questi troviamo La Prophétie des Papes par S. Malachie, di Joseph Maitre; la Historié des Grandes Forêts de la Gaule et de l'Ancienne France, di L.F. Alfred Maury; Monuments Celtiques ou Recherches sur le culte des Pierres, di M. Camby. Nella lista compaiono altresì le opere dell'abate Roca e di Dom Polycarpe de la Rivière, due preti in odore di occultismo che abbiamo già conosciuto. Ciò che, invero, sorprende è che siano state delle librerie di Lione - alquanto distanti da Rennes-le-Chàteau ad assicurarsi l'acquisto della biblioteca del parroco; ci si domanda come abbiano potuto avere notizia della morte del curato e della successiva asta organizzata da Marie Denarnaud, in modo così tempestivo da bruciare sui tempi i possibili concorrenti della regione dell'Aude (basti pensare a Tolosa e a Carcassonne). Forse saremmo meno sorpresi nell'apprendere che almeno uno dei librai - Jacques Derain - era membro attivo di una Loggia massonica di frangia e soprattutto del movimento martinista che, nella città di Lione - crocevia di tutti gli occultismi del XVIII e XIX secolo - avrebbe trovato il suo epicentro. Non è ancora un caso che Saunière verrà ospitato, durante i suoi soggiorni lionnesi, presso S. Valon, un gioielliere affiliato al Martinismo che abitava, guardo caso, nel quartiere St. Just-St. Irénée, a pochi metri dalla casa di Johanny Bricaud 10 , occultista tra i più tenebrosi e futuro Gran Maestro dell'Ordine Martinista. Coincidenze, sempre coincidenze.

Da Monti a Pierre Plantard de Saint Clair Insieme a Emma Calvé e a Jules Bois, Saunière ebbe molto probabilmente modo di conoscere Georges Monti". Si tratta di un personaggio tra i più con9

Derain e Raclet erano altresì editori, ed a loro dobbiamo la pubblicazione di molti testi occultisti e di ispirazione martinista come quelli di C. Chevillon. 10 Insieme a numerosi altri gioiellieri (Beau, Soulier) - che a Lione formavano una vera e propria casta - Bricaud farà parte della Loggia Martinista n. 23, fondata nel 1893 da Elie Steel. La loggia comprendeva tra l'altro il libraio Bouchet e l'avvocato Gabriel Rivoire, fervente ammiratore ed amico di Emma Calvé. 11 Monti - che tra il 1902 e il 1908 risiedette per lungo tempo a Tolosa e vicino Carcassonne - era molto intimo della marchesa du Bourg de Bozas - gradita ospite a villa Befania ed amante del fratello del parroco - così come di Emma Calve. È molto probabile che abbia conosciuto

troversi ed inquietanti. Conosciuto sotto numerosi altri nomi (Israele Monti, Giorgio Monti), aveva assunto il nome "iniziatico" di Marcus Velia. Sfruttando la posizione che occupava in qualità di segretario di Josephin Péladan, riuscì ad infiltrarsi in Massoneria dove pervenne ai più alti gradi del Rito Scozzese, prima di essere smascherato e venirne quindi espulso con infamia. Una volta "convertitosi" al giudaismo, si recò negli Stati Uniti, con gli stessi intenti spionistici, riuscendo a farsi ammettere nell'Ordine di B'nai B'rith. Gerard de Sède, che nei suoi riguardi ha raccolto, per una volta tanto, una convincente documentazione, ritiene verosimile che abbia altresì offerto i propri servigi allo spionaggio tedesco (sia sotto l'Imperatore Guglielmo, sia durante il Terzo Reich), Monti morì avvelenato nel 1936. Anche lui, come numerosi personaggi della nostra storia, era nato a Tolosa e, sin da giovanissimo, era stato affiliato ad una non ben specificata "società catara". Frequentatore assiduo del salotto di Emma Calvé, vi aveva conosciuto Hoffet, la marchesa di Bozas, Doinel, Roca e Bois. E difficile poter individuare con certezza il ruolo che Monti giocò nella vicenda del parroco di Rennes-le-Chàteau, ma è probabile che non sia stato di secondaria importanza, considerato che, da lì a qualche anno, lo ritroveremo manovrare dietro le quinte il gruppo di persone che avrebbe poi dato vita alla colossale mistificazione del Priorato di Sion. Nel 1934 Monti crea infatti l'Ordine degli Alfa-Galati, insieme a Pierre Plantard de Saint-Clair, preteso Gran Maestro del Priorato, discendente del sangue ebraico di Cristo per il tramite dei Merovingi, Gran Ierofante di tutte le scuole iniziatiche possibili ed immaginabili, che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, avrebbe presto dimenticato di aver esortato il Fùhrer in questi termini: "7o voglio che la Germania di Hitler sappia che ogni ostacolo ai nostri progetti gli reca danno, poiché la Resistenza della Massoneria rovina la forza tedesca"]2. Questo, detto da colui che qualche decennio più tardi non avrebbe esitato a richiamarsi all'eredità della Massoneria per rivendicarne la continuità con il fantomatico Ordine da lui stesso presieduto. E alquanto curioso osservare come, da parte di innumerevoli occultisti fin qui incontrati, sussista una sorta di schizofrenia perversa che li porta, da un lato, a proclamarsi eredi della più pura tradizione massonica e, dall'altro, a contrastare, e con ogni mezzo, la Massoneria vera e legittima. Monti sarebbe stato il primo Ierofante di questo preteso "Ordine Cavalleresco", pur non disdegnando di introdursi, più o meno rocambolescamente, in molti di quegli ambienti occultistici che abbiamo ritrovato confusamente mescolati alle vicende di Rennes-le-

Saunière, cosa di cui de Sède è peraltro certo (G de Sède, Rennes-le-Chàteau. Le Dossier, les imposture, les phantasmes, les hypothèses, LafFont, Paris, 1988, p. 233). >2 P. Plantard, Vaincre, n. 5, Cote Bibliothèque Nationale: Rés 4° Le2 7335.

Château. È così che il nostro apprendista stregone stringe amicizia con Papus e aderisce al Martinismo; nel 1908 si reca in Egitto e quindi a Salonicco. Nel 1909, dopo aver stabilito stretti rapporti con le più alte cariche dell'Ordo Templis Orientis (OTO) 13 , viene iniziato in una non ben specificata organizzazione detta dei "Rosa Croce di Baviera" e quindi alla Santa Vehme, che "secondo l'ideologia neo-pagana allora in voga in Germania si proponeva di ristabilire i culti nordici aboliti da Roma" 14 . Toma in Francia nel 1914; dopo la guerra viaggia molto lungo il triangolo Parigi-Roma-Berlino. In Italia conosce Leone Caetani che lo introduce negli ambienti della cosiddetta Massoneria Nera. Sono anni frenetici per Monti, anche se, di preciso, non si sa né di che viva né cosa traffichi. Le sue frequentazioni, tuttavia, non lasciano certo dubbi sul carattere eminentemente controiniziatico dei progetti che porta avanti. La Gran Loggia di Francia, considerato il rumore sollevato dal losco personaggio che, giocando sulle parole, non esita a farsi passare per framassone, è costretta a precisare 15 che non è affiliato alla Massoneria, che non è né conte né nobile, ma vive di spionaggio a beneficio, tra gli altri, dei gesuiti... Monti incontra Pierre Plantard nel 1929 o nel 1930 per il tramite del dottor Savoire, lo stesso che il 20 ottobre del 1936 sarà chiamato d'urgenza al capezzale del nostro mistagogo. Monti, infatti, si sente improvvisamente male la sera del 19 ottobre. Il corpo si copre di chiazze nere ecchimotiche; vomita, perde conoscenza. Il medico conclude che è stato avvelenato. Come per altri personaggi della nostra storia, improvvisamente divenuti "scomodi", anche Monti scompare bruscamente, non senza aver prima lasciato qualche traccia di troppo. È alquanto inquietante che queste tracce siano state "conservate" per primo proprio da padre Emile Hoffet (1873-1946) che svolge un ruolo non secondario nell'enigma di Rennes-le-Château. A parere della maggior parte dei commentatori egli avrebbe incontrato Saunière e lo avrebbe quindi introdotto nei salotti occultistici di Parigi, in occasione di quel tanto discusso viaggio che il parroco sembra aver fatto nel 1891. De Sède ne ha ritrovato gli archivi (in cui tuttavia non si fa menzione del curato Bérenger), e ne ha ricostruito il profilo che ci mostra un prete singolarmente versato nelle scienze occultistiche, 13 Molte informazioni su questo curioso personaggio provengono dagli archivi dell'oblato Emile Hoffet, recuperate da G de Sède, ma altresì da testimonianze di terze persone, come Anne Osmont, un'occultista "cattolica" anche lei originaria, neanche a dirlo, della regione del Razès (cfr. A. Osmont, Cinquante années d'occultisme vécu, Paris, 1955, p. 120 e s.). La Osmont, altra coincidenza inquietante, era la nipote della contessa omonima, confidente e consigliera del conte di Chambord! 14 J. Robin, Le Royaume du Graal, Trédaniel, Paris, 1993, p. 43. 15 Bulletin des Ateliers Supérieurs de la Grande Loge de France, ottobre 1936, p. 1.

buon conoscitore della Massoneria, amico e frequentatore dei salotti della Parigi occultista e, soprattutto, in stretto rapporto con membri qualificati dell'esoterismo cristiano (come padre Anizan, fondatore di Regnabit) o di associazioni alquanto equivoche, come quelle che si rifacevano all'insegnamento della Compagnia del Santo Sacramento o delle Amicizie angeliche (Aa)16.

Doinel e la Chiesa Gnostica "Chi avesse voluto incontrare tutti insieme molti dei personaggi che abbiamo fin qui evocato nel nostro studio - scrive M. Introvigne riferendosi a Papus, De Guaita, Péladan, Bois e altri - avrebbe potuto farlo a Parigi tra il 1881 e il 1895 nel salotto della contessa Maria de Marategui" 1 7 amica intima, sembra ovvio doverlo sottolineare, di Emma Calvé. È in questo ambiente che fa irruzione verso il 1888 Jules Doinel. Nativo dei dintorni di Carcassonne, profondo conoscitore della regione dell'Aude, bibliotecario ed archivista di importanti archivi (come quelli della città di Niort, antichi signori di Rennes-le-Chàteau), Doinel sarà il protagonista di una esaltante e contraddittoria "carriera" occultista che lo vedrà, di volta in volta, rompere e riconciliarsi con il cattolicesimo, pur senza mai rinnegare il fondamento delle proprie credenze che lo portavano ad identificare nella tradizione catara l'essenza stessa dell'esoterismo. Dopo essersi avvicinato al Martinismo (per tramite di Papus), al buddhismo, nel 1890 sarebbe stato incaricato, nel corso di una seduta spiritica in cui era comparso l'ultimo "vescovo" cataro - Guilhabert de Castres - di ricostruire la Chiesa Gnostica 18 , imperniata su tre concetti fondamentali: amore etereo della femminilità, tanto da riecheggiare "l'eco del culto della Grande Madre" 19 ; riabilitazione della figura della donna decaduta; unione spirituale di entità di sesso differente. Guarda caso, questi stessi temi fanno da sfondo alla mistagogia imbastita sulla vicenda dell'abate Saunière, mentre l'ultimo sembra essere ricalcato a piè pari su quanto scrive Montfacon de Villars nel suo Le Comte de Gabalis. Le procedure medianiche o franca-

16

AA.VV., Rennes-le-Chàteau, Cahier n. 5, Soc. Perillos, Jonquières, 2003, p. 24. Va osservato, particolare alquanto curioso, che HofTet era il nipote dell'abate Bieil, direttore del seminario di San Sulpice. E veramente incredibile come ogni pista rinvii, nel nostro enigma, sempre ai medesimi punti di partenza. 17 M. Introvigne, Il Cappello del Mago, Sugarco, Milano, 1990, p. 241. 18 Per una approfondita disamina della complessa figura di Doinel si veda: R. Le Forestier, L'Occultisme en France au XIX1' et XX1' siècles. L'Eglise Gnostique, Arché, Milano, 1990. 1« Ibidem, p. 21.

mente spiritiche (seppure dietro queste non si nascondevano veri e propri riti d'evocazione magica) cui Doinel faceva di solito ricorso nell'ambito della propria attività "esoterica", lasciano spazio a ben pochi dubbi circa la qualificazione iniziatica degli aderenti e sulla legittimità tradizionale dell'iniziativa che, come si deve (e come è consuetudine per i controiniziati), si risolse ben presto in un fallimento foriero di incomprensioni, divisioni e scissioni a catena 20 . Fu lo stesso Doinel a gettare per primo la spugna auto-denunciandosi nel 1895, abiurando la Gnosi e implorando di essere riammesso nella famiglia cattolica. A sancire la conversione, pubblicava nel 1895 il Lucifer demasqué in cui denunciava il carattere satanico della massoneria e del martinismo. Da lì a poco avrebbe costituito con quella perla d'uomo che era Léo Taxil la Lega del Labaro Anti-massonico. Dopo alcuni anni di fervente propaganda, di nuovo folgorato sulla via di Damasco, sarebbe tornato in seno alla Chiesa Gnostica, dove, pur non tornandone ad essere il patriarca, avrebbe ricoperto il ruolo di vescovo di Alet e Mirepoix, a due passi da Rennes-le-Chàteau. È certo che abbia incontrato a più riprese Boudete molto probabilmente Saunière, rispetto al quale si tenne, in qualche modo, "dietro le quinte", per usare l'efficace espressione di Jean Markale 21 .

Gli occultisti della Linguadoca e la Tradizione egizia Tra gli occultisti che Saunière ebbe probabilmente modo di incontrare a Lione o a Parigi molti erano originari della regione del Razès. Tra questi la stessa Emma Calvé, il dottor Gérard Encausse (Papus), Joséphin Péladan, la marchesa del Bourg du Bozas, il deputato e massone Henri Charles Etienne Dujardin-Beaumetz, Jules Stanislas Doinel e numerosi altri personaggi apparentemente minori - come il fotografo V. Jordy, amico di Déodat Roché e maestro venerabile della loggia Les Vrais amis réunis - che nondimeno hanno svolto un ruolo non certo secondario 22 . Come osserva giustamente il de Sède, Saunière "avrebbe ben potuto incontrare [questi personaggi] senza neanche dover lasciare la propria provincia, dato che quando questi non erano a Parigi, sog20 È significativo che gli sforzi maggiori per recuperare il "patrimonio" esoterico della Chiesa Gnostica furono compiuti a metà del secolo proprio dagli esponenti del Rito di Memphis-Misraim, tra cui, in primo luogo, Robert Ambelain. 21 J. Markale, Rennes-le-Chàleau, Laffont, Paris, p. 233. 22 Victor Jordy, amico di Déodat Roché, padre del Catarismo contemporaneo, era altresì Martinista e autore della serie di cartoline postali che Saunière fece realizzare prendendo a tema gli scorci dei propri possedimenti.

giomavano a Tolosa che era stata la culla del loro cenacolo" 23 , al punto da poter essere definita "capitale mistica" della Francia 24 . La regione dell'Aude è stata altresì la patria dell'abate di Montfacon de Villars, nato a pochi chilometri da Rennes-le-Château e autore del Comte de Gabalis ou entretien sur les Sciences secrètes ( 1670), un curioso volumetto in cui è questione di conoscenze RosaCroce e apparizioni UFO ante litteram\ a Tolosa Martinez de Pasqually raccoglierà, tra il 1742 e il 1750, i primi membri della sua associazione degli Eletti Cohen, ispirata alla gnosi cristiana e dove il grado di Rosa-Croce costituisce il termine ultimo dell'ascesi iniziatica. A Narbonne, invece, il marchese François de Chefdebien 25 fonderà nel 1780 il cenacolo segreto dei Philadelphi, ricollegandosi alla tradizione templare e promuovendo la diffusione dell'ermetismo alchemico tra le fila della Massoneria scozzese. Il primo personaggio che più da vicino interessa la nostra storia è un parente stretto della defunta marchesa di Rennes-le-Château, Jacques-Etienne Marconis de Nègre (1795-1868). Dopo essere stato espulso per ben due volte dal Rito di Misraïm (una volta a Parigi con il nome di Marconis e l'altra a Lione con il nome di de Nègre), il Marconis fonda a Mountauban, nel 1838, il Rito di Memphis, inventando di sana pianta una fantasiosa discendenza templare ed essenica in base alla quale i Templari avrebbero ricevuto la scienza massonica da una Società dei Fratelli d'Oriente, fondata da un tale Ormus, prete di Menfi convertito al cristianesimo. Gli Esseni, uniti ai discepoli di Ormus, avrebbero quindi dato vita alla società dei Rosa-Croce d'Oriente che, a loro volta, avrebbero tramandato il deposito della conoscenza sacra ai Templari. Il padre di Jacques-Etienne - Gabriel-Mathieu de Nègre 26 - ne sarebbe venuto in possesso per il tramite di un certo Samuel Honis e Jacques-Etienne l'avrebbe rielaborata articolando il proprio ordine in 96 gradi di cui lui avrebbe ricoperto l'ultimo, quello dello Ierofante. De Nègre dovette da subito difendersi dal23 G de Sède Rennes-le-Château. Le Dossier, les imposture, les phantasmes, les hypothèses, Laffont, Paris, 1988, p. 201. 24 J-C. Danis, Toulouse, capitale mystique, de l'Adret, Toulouse, 1985. 25 II sistema rituale di Chefdebien prenderà in prestito molti temi da Martines de Pasqually e costituirà un punto di riferimento importante per le Massonerie che faranno riferimento alla misteriosofia egizia. Su questo tema rinviamo a G. Galtier, Maçonnerie Egyptienne, Rose Croix et Néochevalerie, du Rocher, Toulouse, 1989, p. 30 e s. 26 La prima Grand Loge du Rite de Memphis - sotto il titolo distintivo di Les Disciples de Memphis - sarebbe stata installata nel 1815 dal padre di de Nègre, insieme al marchese di La Roque e ad Hippolyte Labrunie, zio del padre di Gérard de Nerval, il cui vero nome era appunto Labrunie. La Loggia venne ben presto messa nella condizione di porsi "in sonno" (21 gennaio 1816). Su questo tema si veda G Galtier, Maçonnerie égyptienne, Rose-Croix et néo-chevalerie, du Rocher, Monaco, 1989, p. 137.

l'accusa di aver disinvoltamente plagiato e rielaborato elementi tradizionali saccheggiati un po' dovunque, ma soprattutto prelevati da altri riti massonici, come quello di Misraïm, molti dei quali in precedenza istituiti proprio nella regione di Tolosa. Da questa accusa non seppero scagionarlo neanche i più tardivi epigoni, che anzi, riconobbero sostanzialmente la sussistenza delle accuse. Per Yohn Yarker, Gran Maestro del Sovrano Santuario della Gran Bretagna, il Rito di Marconis "è una sintesi dei diversi Riti primitivi praticati nel secolo precedente, ed in particolare del Rito Primitivo dei Filadelfi di Narbonne" 27 . Robert Ambelain non ha alcuna difficoltà a riconoscere quanto il Memphis debba ad altri riti di impronta "egizia", ma sottolinea l'importanza di un apporto che diventerà manifesto solo con l'opera di Nerval: "Avendo rinvenuto al Cairo una sopravvivenza gnostico-ermetica, e poi nel Libano quella massoneria Drusa che Nerval conobbe e che risaliva ai massoni operativi che vi avevano accompagnato i Templari, i Fratelli della Missione d'Egitto decisero in seguito di rinunciare alla filiazione massonica proveniente in origine dalla Gran Loggia di Londra e di praticare un nuovo rito che non doveva nulla all'Inghilterra [...] E così [...] nacque il Rito di Memphis" 2 8 .

Marconis riconobbe implicitamente le similitudini tra il Rito dei Filadelfi, introdotto in Francia dal marchese di Chefdebien, e il proprio 29 , sottolineando il carattere magico ed occultistico di quella che, a suo giudizio, costituiva la "vera" Massoneria. Ciò che è veramente curioso è che entrambi - Chefdebien e Marconis de Nègre - sono direttamente coinvolti nei misteri del Razès. La famiglia dei Chefdebien avrebbe più tardi avuto come precettore il fratello dello stesso Saunière, Alfred, un gesuita dalle caratteristiche alquanto "speciali", che caratterizzarono una vita dispendiosae chiacchierata per le innumerevoli amicizie femminili di cui amava circondarsi. Una delle sue amanti fu la marchesa di Bozas, un'occultista seguace dei Martinisti e bene introdotta negli ambienti parigini, che egli avrebbe presentato al fratello Bérenger. Alfred Saunière ricoprì per alcuni anni il posto di insegnante privato presso la casata dei Chefdebien da cui sarebbe stato scacciato per aver trafugato gli archivi dell'Or27 Y. Yarker, The Kneph, vol. II, n. 13, gennaio 1882, p. 102. Alcuni membri del Rito, ufficiali dell'armata napoleonica, avrebbero fondato nel 1789 in Egitto una Loggia di Iside, di cui avrebbe fatto parte il padre di Marconis. 28 R. Ambelain, Cérémonies et rituels de la Maçonnerie Symbolique, Paris, 1978, p. 1314. 29 "Ce Rite (quello dei Filadelfi) nous paraît avoir une grande analogie avec celui de Memphis" (E. Marconis de Nègre, Le Sanctuaire de Memphis, Paris, 1849, p. 13).

dine dei Philadelphi. A chi avrà mai consegnato quei documenti 30 ? E chi poteva trame un concreto profitto? In quanto a Marconis de Nègre abbiamo già ricordato che proveniva da un ramo collaterale della famiglia della marchesa Maria de Nègre d'Hautpoul d'Ablés et de Blanchefort, insediatosi a Le Clat. Orbene, dal 1882 al 1885, Bérenger Saunière era stato prete proprio a Le Clat, e non è impossibile che abbia potuto incontrarvi qualche altro discendente o venire a conoscenza di qualcosa che potesse riguardare l'illustre casato di Rennes-le-Chàteau. Il sistema "esoterico" ideato da Marconis suscitò da subito l'entusiastica adesione di numerose personalità affascinate dall'Egitto misterioso e non farà che continuare l'opera in precedenza avviata dal Paine 31 e, soprattutto, dall'archeologo Alexandre Lenoir(1761-1839) 32 , entrambi sostenitori dell'origine "egizia" della Massoneria. Il Lenoir, per un insieme di coincidenze che nella vicenda di Rennes-le-Chàteau si cumulano e si sovrappongono, avrebbe dato in sposa la propria figlia Angélique (altra nome gravido di implicazioni!) nientedimeno che a Ange d'Hautpoul, pronipote della marchesa de Nègre! Il Rito di Marconis, che presentava importanti differenze con quello di Misraïm 33 (fondato dai fratelli Bédarride) e numerose irregolarità di carattere 30 Sta di fatto che una ingente quantità di materiale d'archivio relativo al Rito Primitivo dei Filadelfi di Narbonne ed al marchese di Chafdebien, proveniente dalla famiglia Chefdebien, fini con l'essere pubblicata da tale Benjamin Fabre (pseudonimo dell'ultracattolico ed anti-massone Jean-Baptiste Guiraud), con prefazione dell'altro anti-massone Paul Copin-Albancelli, con il titolo Un initié des Sociétés Secrètes supérieurs, "Franciscus a Capite Galeato" 1753-1814 (riedizione Arché, Milano, 2003), edito dalla Librarie La Renaissance Française, Paris, 1913. 11 materiale trafugato fini, quindi, tra le mani dell'anti-massonismo militante. Su questo tema si vedano gli articoli pubblicati da "Le Liseur", L. Dasté, G. Bord, B. Favre, C. Nicoullaud, Papus, "Le Sphinx", ecc., raccolti in: La polémique sur les "Supérieurs Inconnus ". Le Combat du Sphinx (René Guénon) avec Gustave Bord, Charles Nicoullaud et alii, Arché, Milano, 2003. Sulla figura ambigua e contorta del Guiraud, nato a pochi chilometri da Rennes-leChàteau e fervente cultore del Catarismo e del Graal, si veda in: G Galtier, Maçonnerie égyptienne, Rose-Croix et néo-chevalerie, du Rocher, Monaco, 1989, p. 277-279. 31 T. Paine, L'Origine de la Franc-Maçonnerie, 1807.11 testo del Paine venne tradotto in Francia nel 1812 dal Martinista Nicolas de Bonneville. 32 II Lenoir, Conservatore dei Monumenti Francesi, pubblicò nel 1814 ¿a Franc-Maçonnerie rendue à sa véritable origine, un testo particolarmente caro a Gérard de Nerval. 33 Le vicissitudini dei Riti di Misraïm e di Memphis sono talmente complesse da non poter essere esaurite in poche righe. Ciò che occorre sottolineare è che entrambe le obbedienze, pur senza richiamarsi esplicitamente a Cagliostro, nascono con il preciso intento di rivitalizzare prima in Italia, a Venezia, e quindi in Francia - la Tradizione egizia, vantando il possesso (millantato e mai provato) della celeberrima Scala degli Arcana Arcanorum di Napoli. La Scala in questione è un sistema operativo articolato su quattro gradi, precisamente gli ultimi di entrambi i Riti, probabilmente conosciuta ed utilizzata da Raimondo di Sangro e da Cagliostro. L ìn-

iniziatico, non sembrava aver alcun rapporto con la Massoneria egizia di Cagliostro e più in generale con la Tradizione misteriosofica napoletana. Ciò nondimeno si propose da subito come depositario di una Tradizione esoterica maggiore, specificamente operativa. Quest'ultimo aspetto merita di essere sottolineato poiché probabilmente è in grado di rendere ragione della bagarre, scatenatasi alla morte di Marconis, che ha visto quasi tutti i principali esponenti dell'occultismo europeo (da Aleister Crowley ad Annie Bésant) contendersi la legittimità delle patenti rilasciate o derivanti da Marconis, per poter accampare diritti sui riti egizi. L'originalità del sistema ideato da Marconis - nonché la sua pericolosità intrinseca per le evidenti deviazioni controiniziatiche cui si presta - resta fondamentalmente quella di operare "pur mantenendo un piede nel mondo massonico [per] aprire un ponte verso i movimenti magici e l'occultismo in grado di soddisfare i massoni che trovano prosaico l'orientamento maggioritario delle logge contemporanee" 34 . Nell'accogliere questa osservazione, non riteniamo arbitrario ravvisare nel rito del Marconis una delle radici di quella lenta opera di sovversione che ha incrinato l'istituzione latomistica e ne ha accelerato la degenerazione lungo quella "via sostituita" di cui parla il Baylot 35 . Nel mentre Marconis de Nègre fondava la "sua" Massoneria, quella legittima vedeva nella regione di Tolosa sei delle proprie Logge opporsi ed isolarne una settima - la Loggia La Sagesse - le cui attività, fortemente segnate dall'influenza "egizia", erano venute dispiegandosi in aperto conflitto con le direttive del Grand Orient de France36. La Loggia comprendeva membri dell'aristo-

teresse per gli Arcana Arcanorum fu quello che mosse, in un primo momento il Ragon (e con lui il Grande Oriente di Francia) a riconoscere la legittimità del Rito importato dai fratelli Bédarride. A fronte di una complessa serie di avvenimenti - tra cui non ultimo l'incapacità dei Bédarride a fornire le prove del possesso della Scala - il GO. di Francia ritirò il proprio riconoscimento e scatenò una lunga guerra contro il Misraim. Elementi, seppure parziali ed incompleti, della Scienza Sacra racchiusa negli Arcana Arcanorum dovevano comunque essere pervenuti sia al Misraim sia a Marconis - forse per tramite di vie illegittime, di origine egizia - ed è questo che potrebbe giustificare l'interesse manifestato nei riguardi dei riti suddetti da parte delle più diverse organizzazioni occultistiche e i reiterati tentativi, vani e spasmodici, del Ragon, che non tralasciò nulla pur di potervi mettere le mani sopra. Per una più compiuta disamina di tali questioni è opportuno riferirsi all'ottimo studio di G. Ventura, I Riti Massonici di Misraim e Memphis, Atanor, Roma, 1990. Per quanto concerne i due riti di Memphis e di Misraim in Francia, questi procedettero ad una riunificazione intorno al 1908, promossa da Papus, Charles Détré (alias Teder) e Jean Bricaud. A titolo anedottico rileviamo che le riunioni preparatorie si svolsero a pochi passi da Rennes-le-Chàteau, ad Arques. 34 35 36

M. Introvigne, Il Cappello del Mago, Sugarco, Milano, 1990, p. 172 J. Baylot, La Voie substituèe, Dervy, Paris, 1985. Lo scontro tra le Logge tolosane provocò nel 1834 le dimissioni di Pierre Gérard Vassal

crazia, devoti alla causa legittimista e chambordista, attivamente impegnati in "questioni" politiche. Ben tre membri della famiglia Hautpoul - Eugenio, Carlo e Teobaldo - risultano esservi stati affiliati. Anche qui le coincidenze e le connessioni sono più che sospette: la contessa di Chambord - Maria Teresa d'Austria-Este - aveva fornito al parroco di Rennes-le-Château i primi fondi per la ristrutturazione della chiesa, la cui proprietà ritornava alla famiglia degli Hautpoul di cui - guarda il caso! - ben tre esponenti entrano nella Loggia che politicamente sostiene proprio le rivendicazioni al trono di Chambord. Un altro Hautpoul, il marchese Amand d'Hautpoul-Félines fu il precettore del conte di Chambord, mentre un ulteriore membro della famiglia, il generale d'Hautpoul de Beaufort, partecipò attivamente a tutti i complotti aventi come obiettivo di portare sul trono Chambord stesso 37 . La Loggia La Sagesse ebbe una sorta di prolungamento in un enigmatico Ordine rosacruciano fondato dal visconte Louis Charles Edouard de Lapasse (1792-1867) nel 1850 e denominato Ordine della Rosa Croce di Tolosa. Le prove documentali su tale organizzazione sono incerte anche se non mancano conferme autorevoli come quella dello stesso Fulcanelli che, tuttavia, ne stigmatizza il carattere antitradizionale 38 . Come per i Riti di Misraïm e di Memphis, anche Lapasse amava richiamarsi ad una mitica Tradizione egizia, questa volta mediata direttamente da Cagliostro, per quanto di tale filiazione non sussistano prove o elementi che ne assicurino la regolarità iniziatica. Non sarebbe neces-

dalla carica di Gran Commendatore del Gran Collegio dei Riti del Grande Oriente di Francia, incarico che ricopriva dal 1831. Vassal, infatti, aveva preso le difese della Loggia La Sapesse, attirandosi le ire di due alti papaveri del Gran Collegio dei Riti, de Branville e Chemin-Dupontés. Il fatto curioso è che Vassal era stato Maestro Venerabile della Loggia dei Sept Écossais Réunis. 37 Mentre nella maggior parte dei casi i membri delle logge regolari erano sostanzialmente di "fede" repubblicana, gli affiliati alla Sagesse davano prova di una totale devozione alla causa monarchica legittimista (cfr. G. Galtier, Maçonnerie égyptienne, Rose-Croix et néo-chevalerie, du Rocher, Monaco, 1989, p. 194 e s.). A dispetto della manifesta incongruità, la Loggia La Sagesse mantenne - almeno fino al suo scioglimento avvenuto nel 1850 - ottimi rapporti con le organizzazioni cattoliche ultrareazionarie ed in particolare con le Amicizie Angeliche (Aa), il che consente ad un osservatore acuto come il Galtier di trame una più generale ed efficace conclusione: "[...] si assiste, negli ambienti ultrarealisti e legittimisti della prima metà del XIX secolo, a dei tentativi di conquista e di controllo del potere attraverso delle società segrete organizzate sul modello degli Ordini Cavallereschi, utilizzanti la copertura esteriore di opere di beneficenza o prendendo talvolta in prestito la forma massonica". 38 II visconte di Lapasse si proclamava discepolo del principe Balbiani di Palermo, a sua volta spacciatosi per allievo di Cagliostro. Fulcanelli sottolinea come "questo movimento idealista, sprovvisto di direzione iniziatica illuminata e di base filosofica solida, non poteva che avere una durata limitata" (Fulcanelli, Les Demeures Philosophâtes, Pauvert, Paris, 1979, p. 363 [tr. it.: Le Dimore filosofali, Edizioni Mediterranee, Roma, 1973]).

sario soffermarsi su questo aspetto se l'ordine in questione non rivestisse una particolare importanza nella nostra storia per un duplice ordine di motivi. Innanzitutto perché le vicende de\Y Ordine della Rosa Croce Tolosana chiamano infatti direttamente in causa due protagonisti di spicco dell'occultismo occitano ed internazionale: Péladan e Papus. Infatti, una volta scomparso Lapasse, dopo la reggenza del conte di Belcastel (anche lui tolosano), l'ordine venne riattivato da Péladan e da Papus nel 1888 con il nome di Ordine Cabalistico della Rosa Croce. L'ordine contava 12 membri di cui solo alcuni ci sono noti. Tra questi, oltre a Péladan e Papus, Paul Sédir, Paul Adam, FrancoisCharles Barlet (uno dei fondatori della società Teosofica in Francia e che ritroveremo nella Chiesa Gnostica di Doinel), Victor-Emile Michelet e, soprattutto, Stanislas de Guaita, il primo Gran Maestro. Alla morte di quest'ultimo (avvenuta nel 1897) le redini dell'Ordine sarebbero state prese da Papus; nel frattempo, intorno al 1890, Péladan aveva già rotto i ponti con i suoi ex-amici per fondare una nuova associazione denominata (dopo interminabili discussioni e difficoltà linguistiche) Ordine della Rosa-Croce del Tempio e del Graal, di cui si sarebbe proclamato Gran Sacerdote (Sàr). Péladan, a dire di Jean Robin, si sarebbe recato presso Saunière, proprio intorno al 1891 39 , non si sa bene con quale intenti e con quali risultati. E certo che predicava un sincretismo impossibile tra la Tradizione Rosa-Croce (ma quale?), quella dei Templari e quella degli Illuminati di Baviera. Secondo Péladan, spalleggiato dal suo braccio destro, Georges Monti - un personaggio inquietante di cui riparleremo tra breve - esisteva una filiazione diretta tra le diverse tradizioni che, nell'ambito della Tolosa del XIII secolo, in piena eresia catara, per il tramite della quale sarebbe stato possibile fondere il cristianesimo e l'occultismo. "La più bella unione che il secolo prossimo possa celebrare", aveva una volta sottolineato. La continuità effettiva dell'Ordine fondato da Péladan è venuta meno con la morte di quest'ultimo, anche se alcune delle sue idee si ritrovano nell'Amore che rivendica la continuità storica ed "esoterica" con il Sàr. A cavallo del 1888-1889, l'anno che vede Guaita rifondare VOrdine Cabalistico della Rosa Croce sulle ceneri di quello battezzato nel 1850 dal conte di Lapasse, si celebra altresì la costituzione in Inghilterra della Golden Dawn. Nata ad opera di tre membri della Societas Rosicruciana in Anglia, la Golden Dawn avrebbe aperto a Parigi, nel 1891, la Loggia Ahthor per diretta iniziativa di McGregor-Mathers. A questa si affiliarono numerosi esponenti del mondo dell'arte e dell'occultismo francese. Vi erano l'immancabile Papus e, soprat39

J. Robin, Les Sociétés secrètes au rendez-vous de l'Apocalypse, p. 305.

Trédaniel, Paris, 1985,

tutto, Jules Bois e la Calvé. Gli ultimi due confluirono nel Movimento di Iside, fondato nel 1897 da Mathers e che, per qualche tempo, fece parlare di sé nella Parigi "bene". Le attività del suddetto gruppo subirono un improvviso rovescio di fortuna intorno al 1905 e lo stesso Bois dovette poi, intomo al 1915, fuggire negli Stati Uniti, per essere stato accusato di collaborazionismo con i tedeschi in occasione della Grande Guerra. Un'accusa cui non scampò, come già sappiamo, lo stesso Saunière e che accomuna curiosamente altri personaggi del dramma oscuro celebratosi nello sperduto fazzoletto di terra del Razès. A proposito delle attività del Movimento di Iside vale la pena riportare un commento alquanto allusivo di Guénon: "Si è fatto molto rumore a Parigi, tra il 1899 e il 1903, a proposito dei tentativi di restaurazione del culto di Iside, ad opera del Sig. e della Sig.ra McGregor, sotto il patronato dell'occultista Jules Bois, tentativi alquanto fantasiosi del resto, ma che hanno avuto un certo successo" 40 . Di cosa si occupasse questa fantomatica organizzazione non è dato sapere con certezza, ma, in base agli elementi a nostra disposizione, sembrerebbe che si proponesse la riattivazione di un antico culto, il recupero della saggezza e del linguaggio segreto della dea, il che è alquanto sorprendente ove si consideri che Robert Graves non aveva ancora scritto il suo straordinario volume sulla Dea Bianca 4 1 e che la letteratura antropologico-misteriosofica sulla Grande Madre era ancora di là da venire. Ciò che qui però preme rilevare è che il culto devoluto ad una "entità femminile sovrannaturale ", sembra perpetuarsi, sotto forme ed organizzazioni diverse, nella regione dell'Aude, da tempo immemorabile. "La grande tradizione occulta della Linguadoca - scrive il Galtier 42 - è quella della Dama di Tolosa, a cui secondo Péladan, erano iniziati il visconte di Lapasse, Arcade d'Orient e Firmin Boissin". Il culto di questa figura è stato alimentato dalla Accademia dei Giochi Floreali 43 che stabilisce, già dal XV secolo, stretti rapporti con il culto devoluto alla Vergine Nera. Nell'ambito delle celebrazioni della Vergine si organizza un certamina poetico che, a partire dal XVI secolo, vede sostituirsi alla Vergine stessa una misteriosa Clemenza Isaura, considerata fondatrice e benefattrice della Gaia Scienza. Il riferimento a Rabelais - e al "Gaio Sapere" 40

R. Guénon, Il Teosofismo, storia di una pseudo-religione, Arktos, Torino, 1987, p. 40-41. R. Graves, La Dea Bianca, Adelphi, Milano, 1990. 42 G. Galtier, Maçonnerie égyptienne, Rose-Croix et néo-chevalerie, du Rocher, Monaco, 1989, p. 215. 43 Già nel nostro precedente lavoro mettevamo in evidenza l'importanza della figura simbolica di Flora nel contesto dei misteri della Grande Madre. Non è pertanto insolito che la devozione della stessa trovi accoglienza nell'ambito di una società dedicata alla celebrazione dei giochi "floreali". 41

- è manifesto. Isaura è una deformazione onomatopeica di Isis Aurea e fa riferimento all'esistenza di un tempio (sotterraneo) di Iside, di cui invero abbiamo diverse testimonianze, per le quali sarebbe stato collocato in aree distinte dell'Aude (Tolosa, Limoux, Alet-les-Bains). È probabile che esistessero altri santuari della dea, anche se quello meglio conosciuto è stato individuato dove è poi sorta, vicino Tolosa, la chiesa de La Daraude. Non è un caso che il prete officiante in quella chiesa sia per consuetudine incaricato di celebrare i Giochi Floreali, tanto che il Galtier si chiede: "Ci si può domandare se il culto reso ogni 3 maggio a Clemenza Isaura dall'Associazione dei Giochi Floreali non perpetui, in qualche modo, sia il ricordo della religione catara sia l'antica devozione alla Dea, entrambi sopravvissuti a Tolosa sotto multipli avatars" 44 .

Più intrigante ancora è mettere questo dato in relazione all'esistenza di un Rito semisconosciuto proprio ad una Massoneria di frangia - Il "Rito degli Scozzesi Fedeli" o della "Vecchia Bru" - in cui grande attenzione è riservata non solo alla figura femminile - considerata nel suo lato magico e di sposa mistica 45 ma alla persistenza di una "antica razza", "covata", "discendenza" 46 . Due temi che non a caso ritroveremo in Nerval ed onnipresenti nella mitologia di Rennes. Il Rito in questione stabilì stretti rapporti con la loggia della Parfaite Amitiè, nel tentativo (fallito) di essere ammesso nell'ambito dei Riti riconosciuti dal Grand Orient. Dobbiamo veramente stupirci nel constatare che promotore di questa insolita iniziativa - un dignitario membro di entrambe le organizzazioni - fu un Joseph-Ange d'Hautpoul, parente della marchesa di Rennes-le-Chàteaul

La Société Angélique Nell'opera postuma di Maurice Barrés, Le Mystère en pleine lumière (un titolo che di per sé è fin troppo allusivo), possiamo leggere:

44 G Galtier, Maçonnerie égyptienne, Rose-Croix et néo-chevalerie, du Rocher, Monaco, 1989, p. 217. 45 Una delle derivazioni etimologiche di "bru" viene da "bruja", cioè "strega", alternativamente va ritenuta la possibile derivazione da "bride", cioè "fidanzata". 46 Tale derivazione è sostenuta in forza della relazione tra "bru" e "brood". Su questo tema: J.P. Vassalle e G. Lamoine, Cahiers de la Grande Loge Provinciale d'Occitanie, n. 2, settembre 1985, p. 58 e s.

"Da vent'anni non c ' è stato mese ch'io non abbia visitato Saint Sulpice, La cappella degli Angeli, per osservarvi il famoso affresco di Delacroix, Giacobbe che lotta contro l'Angelo. Ci vado per riprendere tono, forze e nostalgia. Ma quale forza? Quale nostalgia? [...] La grandezza suprema è vincere l'Angelo, strappargli il suo segreto [...]. N o i dobbiamo sempre, in qualche angolo della nostra opera, collocare una pietra tombale in cui sia riportata la famosa iscrizione: Et in Arcadia Ego. Anch'io sono stato in Arcadia, nel paese meraviglioso dell'immaginazione, ci grida dal fondo della tomba un genio, un talento di cui siamo gli eredi" 47 .

Le espressioni di Barrès sono fin troppo significative ed alludono visibilmente all'esistenza di una qualche confraternita ("noi dobbiamo sempre..."), segreta e correlata con la Tradizione "angelica", il cui motto - Et in Arcadia Ego - ricorda ad un tempo il quadro di Poussin e l'iscrizione posta sulla pietra tombale della marchesa di Rennes-Ie-Chàteau. La società in questione, la Société Angélique, è effettivamente esistita (esiste tuttora?) e tra i suoi membri conosciuti alcuni, indirettamente o meno, hanno avuto a che fare con l'enigma del Razès. Secondo Grasset D'Orcet 48 le prime tracce di una società segreta, che raccoglieva adepti particolarmente negli ambienti artistici e letterari, possono essere individuate nel XVI secolo, nel momento in cui l'Europa vede lo sviluppo di quel complesso fenomeno noto come Rinascimento. La società in questione, inizialmente denominata "la Nebbia" (Le Brouillard), sarebbe stata fondata dall'editore lionnese Gryphe. Quest'ultimo (il cui vero nome era Sebastiano Greif), originario del Wiirtemberg, avrebbe associato il proprio pseudonimo all'emblema di un grifone, a sua volta preso in prestito ad una società occultistica greca conosciuta come Néphès, Le Brouillard49, la Nebbia, da cui sarebbe dovuto {uor'\us£Ìie^"Jgj>rincipe du Vrai règnant seuF'50. Della Société Angélique faceva partejRabelais, che vi allude fin troppo chiaramente nel suo V Libro, incorrendo per questo nel biasimo di Postel che di tale organizzazione metterà in evidenza il lato antitradizionale: "se anche non nega Dio [...] essa, si sforza di scacciarlo dal suo cielo" 51 . Ciò che è alquanto intrigante è che lo< scrittore provenzale abbia soggiornato a Rennes-les-Bains, dove un ruscellcJ 47

M. Barrès, Le Mystère en pleine lumière, Plon, Paris, 1926, p. 67. G. D'Orcet, CEuvres dècryptèes, e-ditc, Paris, 2002,1.1, p. 138 e s. 49 D'Orcet sottolinea come sotto questo nome i "Bulgari d'Occidente" (i Bogomili o Bougres) onorassero "lo spirito delle tenebre" (Ibidem, p. 337). so Ibidem, p. 194. 51 Cit. in: P. Naudon, La Tradition et la Connaissance primordiale dans la spiritualitè de l'Occident, Dervy, Paris, 1973, p. 113. 48

porta ancora oggi il nome con cui egli ebbe a battezzarlo; si tratta del fiume di Trinque-Bouteille, citato in Gargantua. Di questa associazione segreta, sulla scorta dell e ricerche condotte da Lamy 52 e Ferté 53 , avrebbero fatto parte non pochi personaggi coinvolti, in un modo o in un altro, nell'enigma di Rennes: Nerval Poussin, Veme, Barrès, Sand e altri ancora. La "bibbia" (per usare l'espressione di Jean Robin) di tale società era costituita dal Sogno diPolifilo, un testo redatto nel 1467 dal monaco domenicano Francesco Colonna. Il Sogno venne pubblicato a Venezia nel 1499 da Aldo Manunzio ed ebbe una fortuna considerevole, se è vero che venne ristampata numerose volte, in Italia e all'estero. Secondo Albert-Marie Schmidt il Sogno "esercita sull'arte e la cultura del nostro paese [la Francia] un'influenza importante: Esso ispira i disegnatori e i pittori, incaricati di mettere a punto i fasti decorativi delle entrate reali. Feconda l'immaginazione plastica di Poussin, di Perrault" 54 -1'testo tratta di una sorta di iniziazione "a rovescio" in cui il protagonista - Polia - viene iniziato dal Dragone - il guardiano della soglia - per intraprendere poi un viaggio che, dalle regioni infernali, popolate da pipistrelli, lo porterà in una sorta di paradiso terrestre dove, davanti alla "santa e sacra fontana Citerea", dopo aver abiurato "l'errore cristiano", Venere-Iside gli conferirà un nuovo battesimo. Di fatto si tratti di una sorta di "cerca" del Graal rovesciata, v e r a e propria teofania controiniziatica, dove l'iniziazione viene conferita dalle entità che dovrebbero essere combattute ed annientate (il dragone) e la r e a l i z z a z ' o n e culmina non già con la conquista della dama, ma con la sottomissione alle energie lunari (Venere) che sanciscono non già il compimento di un percorso di tipo solare (come è ovviamente necessario per ogni iniziazione maschile regolare), bensì piuttosto l'acquisizione di una specie di realizzazione magica sotto gli auspici inquietanti di Iside. Il fatto che il testo abbia per protagonista una donna spiega del resto a sufficienza ciò cui vogliamo alludere in questa sede. Chiaramente è qui questione del lato malefico dell'Iside egiziana di cui, in Europa, sin dall'inizio, è pervenuta solo una contraffazione parodistica ed ingannatrice. Come tutte le Tradizioni anche quella egiziana deve considerarsi inseparabile dal contesto temporale e geografico in cui

52 m. Lamy. Jules Verne initié et Initiateur, Payot, Paris, 1984 (tr. it.: Jules Verne e l'esoterismo Edizioni Mediterranee, Roma, 2005. 53 p Ferté, Arsène Lupin, Supérieur inconnu, Trédaniel, Paris, 1992. 54 p re fazione all'edizione del 1963, Le Songe de Poliphile, Librairies Associés, Paris. Va rilevato corne i due fratelli Perrault, uno dei quali si sarebbe occupato dei rilievi cartografici per la definizione del meridiano zero, erano entrambi membri de\\'Angélique e soggiornarono per diversi periodi nel Razès (cfr. AA.VV., Rennes-le-Château, Cahier n. 2, Soc. Perillos, Jonquières, 2001,p. 19 e s . )

è sorta. Estrapolata da questo, sradicata dalle radici spirituali che l'hanno informata, sottoposta ad una vera e propria opera di recupero negromantico, ogni Tradizione, per quanto legittima e regolare, diventa di per se stessa veicolo di influenze che di spirituale non hanno più nulla, strumento di forze disgregatrici e corruttrici: "Per un singolare paradosso alcune divinità della Valle del Nilo si sono diffuse attraverso il Mediterraneo greco-romano, e hanno conquistato terreno spingendosi fino alla lontana Pannonia, fino alle brughiere dell'Inghilterra [...] non si tratta dell'esportazione della religione egizia in quanto tale. Solo Iside ed alcune altre divinità ad essa associate hanno raggiunto, attraverso Alessandria, le isole greche e, di là, il mondo romano" 55 .

Nel corso di questo trasferimento dell'ipostasi divina della divinità egizia, gli stessi attributi simbolici della dea cambiano e si pervertono. Se l'Iside dell'antichità si presenta rinserrando sul capo, tra le due corna, il disco solare sormontato dalle piume (Iside-Hator), l'Iside conosciuta dai Romani, nel periodo della decadenza, è già chiaramente un'entità ctonia il cui copricapo significa la Luna. Questo imponente rovesciamento simbolico comincia intorno al VII secolo, dopo la XVIII dinastia, quando Iside viene sempre più spesso a identificarsi con Demetra e Persefone, ipostasi rispettivamente delle forze che presiedono all'immortalità ed al "regno dei Morti". La trasformazione viene favorita ed accelerata dall'ultima dinastia autoctona, quella dei Nectanebo che, compiacendosi nell'integrazione politico-culturale avviata da Alessandro il Grande, promuovono una interpretatio greca che di fatto distorce irrimediabilmente il ruolo e la figura della Grande Madre degli Dèi 56 . La dea assume un abbigliamento greco, cambia pettinatura, il disco solare diventa lunare. In alcune versioni tardive - e soprattutto nell'iconografia occultistica del XIX secolo - subentrerà la falce lunare, a completamento di una trasformazione che, ne possiamo essere certi, non ha nulla di tradizionale. Osiride, paredro della dea, tende a cancellarsi a beneficio di una nuova divinità, Serapide, dai tratti inconfondibilmente ellenistici 57 . Del pari ellenistica è l'ori-

55

Yves Bonnefoy, Dizionario delle Mitologie e delle Religioni, Rizzoli, Milano, 1989, t. II, p. 965. 56 Per i riferimenti a Iside si veda in: J. Baltrusaitis, La ricerca di Iside, Adelphi, Milano, 1985. 57 11 primo Serapeum, ad Alessandria, venne costruito sotto il regno di Tolomeo III Evergete, anche se alcuni resti archeologici sembrano attestare la presenza del culto in epoca antecedente e corrispondente a quella di Tolomeo II Filadelfo. Rispetto ad Osiride - di cui recupera alcune caratteristiche - Serapidc vede accentuarsi gli aspetti legati al sacerdozio della resur-

gine dei culti isiaci propriamente detti in cui un ruolo preponderante hanno le cerimonie di rigenerazione e di immortalità. Quanto queste riflettessero un carattere effettivamente inziatico è difficile stabilire, a dispetto dell'agiografia posteriore in cui viene superficialmente dato per scontato che, qualunque operazione rifacentesi più o meno evidentemente al misterioso Egitto, dovesse comprendere in se stessa caratteri esoterici e misteriosofici. È innanzitutto dubbio che i misteri isiaci trovassero origine proprio in Egitto, ancorché il dramma di Osiride vi venisse rappresentato. Lo stesso tema non è sicuro che costituisse parte del culto di Iside che, a partire dal II secolo a.C., in Italia e in Grecia, si trova generalmente associata a Serapide e il mito di Osiride veniva rappresentato con caratteristiche ed intenti diversi dall'originale, tramandatoci da Plutarco. In Italia, Iside viene per esempio, associata alla Dea Fortuna (e come tale relegata sul colle Preneste, giudicato infausto) e con le Acque (Iside Pelagia, protettrice della navigazione). A dispetto della funzione escatologica ed iniziatica del mito osirideo, è certo che i culti isiaci abbiano rivestito qualche altra oscura finalità, al punto che Roma si vide costretta a proibirli. La loro ricomparsa, in età imperiale, sembra dovuta al recupero della centralità di Osiride ed è in tal senso che si è potuto parlare di "osirizzazione della religione isiaca" 58 . Il fatto è che, indipendentemente dalle funzioni tradizionali attribuite alla dea nell'Egitto antico, parallelamente alla decadenza e deviazione del sapere sacro egiziano, gli ultimi secoli avevano visto una progressiva trasformazione di Iside in protettrice della Magia. I documenti a nostra disposizione, quasi tutti in greco e riferibili al periodo tardo-ellenistico, fanno riferimento alla dea "dai mille nomi" (così come farà Apuleio nel suo Asino d'Oro), il cui potere magico deriva in primo luogo dal possesso di un Verbo, di un "alfabeto sacro" che consente di dominare i due mondi: della Luna (il mondo intermedio, delle fenomenologie sottili) e della Terra (la realtà materiale). Nella tavoletta di scongiuro conservata nel codice greco di Parigi, Iside viene identificata chiaramente non solo con la Luna, ma altresì con Ecate, recuperando e assommando funzioni e caratteri che, nell'antico Egitto, veniva ascritti a divinità diverse e distinte, alcune delle quali apparentate alla figura ebraica di Lilith. Non è per-

rezione. Sotto questo profilo presiedeva ai riti della fertilità (così come Tammuz) e dell'immortalità (funzioni che sarebbero state proprie anche dell'Iside greco-egiziana), estendendo la propria sovranità al Regno dei Morti e ricoprendo in questo attributi - simbolici ed iconografici - peculiari di Ade, il dio greco degli Inferi. Per altro verso, il fatto che spesso venisse rappresentato con il capo coronato da un vaso (calathos o modius), dispensatore di fertilità e di vita, ricollega quest'ultimo al simbolo stesso del Graal. 58 Y. Bonnefoy, Dizionario delle Mitologie e delle Religioni, Rizzoli, Milano, 1989, p. 971.

tanto sorprendente che, nello stesso testo, Iside sia associata a "tre divinità infernali: Otho, Baubo ed Ereskigal: ciò significa che in virtù della sua congiunzione lunare, Iside diventa una potenza ctonia" 59 , carattere riconfermato da un passo dQ\Y Odissea in cui Ulisse invoca il potere infernale di Iside, insieme a divinità e demoni del popolo dei morti. La sua posizione pancosmica di Signora dei Morti e della Vita, detentrice del segreto dell'Immortalità (in quanto strumento della resurrezione di Osiride), figlia e madre di Ermete-Thot, il dio della conoscenza nascosta, colloca Iside in una posizione speciale nell'ambito del pantheon greco-egiziano, particolarmente esposta, se così si può dire, alle insidie della controiniziazione ed ai pericoli della deviazione antitradizionale che, puntualmente si è venuta manifestando in parallelo con il declino della civiltà egizia e contemporaneamente al suo recupero sincretistico ad opera della società greca del II secolo a.C. Gli attributi magici della dea, se una volta costituivano un aspetto tra i tanti, finiscono così con il diventare uno status inseparabile. Non è pertanto un caso che, sia Giovanni Francesco Pico (nipote del più famoso Pico della Mirandola) sia Johannes Wier contestassero, alla fine del XVI secolo, i fondamenti stessi della misteriosofia egiziana pervenuta in Europa, sottolineando molto significativamente che "i viaggi dei saggi greci in Egitto fecero sì che essi apprendessero non la tradizione della vera teologia, ma la diabolica magia nera egiziana" 60 . È alquanto singolare che, dopo l'interdetto di Roma, non si senta più parlare, per lungo tempo, dei culti isiaci. Una loro prima timida ricomparsa avviene agli albori dell'Umanesimo, quando a Firenze, per volere dei Medici, Marsilio Ficino comincia a tradurre le opere di Ermete Trismegisto: VAsclepio e il Pimand.ro, testi di chiara matrice alessandrina ed ellenistica ma che verranno invece attribuiti alla Tradizione egizia. La valorizzazione di questi scritti sancisce non solo la rottura definitiva tra il Rinascimento e la mentalità del Medioevo - che aveva condannato Ermete Trismegisto senza appello sulla scia della lezione agostininana riportata nel De Civitate Dei - ma altresì il recupero dei misteri isiaci connessi alle pratiche magiche descritte ne\Y Asclepio. In questo periodo, simbologie e tematiche legate all'Egitto e all'Alchimia verranno rielaborate ed espresse in ambito artistico e letterario, da parte di autori eminenti —; Campanella, Ficino, Pico della Mirandola, Agrippa, Botticelli, Guercino,i Poussin - la cui influenza è stata indiscutibilmente straordinaria. r—

5« Ibidem, p. 975. 60 D.P. Walker, Magia spirituale e magia demoniaca da Ficino a Campanella, Aragno, Torino, 2002.

Ed è proprio su Poussin e su Guercino - due artisti da subito coinvolti nelle vicende di Rennes-le-Chàteau - che occorre ora soffermarsi.

I Pastori dell'Arcadia Le due tele - l'una del Guercino l'altra del Poussin - che si rifanno al tema dell'Arcadia e che riportano la ormai celeberrima frase "Et in Arcadia Ego", sono state da tempo analizzate sotto il profilo della critica erudita ed accademica, senza che un significato coerente e convincente ne emergesse con chiarezza. Indubbiamente, come tutti sottolineano, i personaggi raffigurati stanno meditando sul mistero della morte in un contesto ricco di suggestioni simboliche, quale l'Arcadia. Ma pretendere che con ciò si esaurisca il senso del dipinto, nelle sue diverse versioni, condanna lo stesso all'insignificanza più totale. Come annota il Baldini 61 , cui molto dobbiamo, "questo è [...] il maggior difetto di un'ermeneutica che, per il continuo timore di cadere nel discredito, finisce spesso per contentarsi di restituire soltanto l'evidenza". Sottolineiamo altresì che questo è il genere di limitazione cui incorre l'interpretazione moderna capace di ravvisare nell'opera artistica solo allegorie ad impronta genericamente "morale", ricorrendo per questo a semplificazioni, forzature e a interpretazioni avulse dal contesto storico e misteriosofico dei simboli in essa rappresentati. Non si capisce infatti perché i due pittori avrebbero voluto conferire un tale grado di enigmaticità ai loro dipinti se vi avessero voluto esprimere solo una generica allegoria, soprattutto ove si consideri che tale artifizio non avrebbe certo giocato alla loro reputazione in un ambiente così attento e di così difficili gusti come quello della Roma del XVII secolo. Ed è veramente incredibile che, nell'improbabile tentativo di ricondurre l'opera di Guercino e Poussin ad una qualche ispirazione classica, con l'intento fin troppo manifesto di normalizzarne il messaggio e stemperarlo in un mare di considerazioni insulse e triviali, si sia pensato di metterle in relazione con una o più egloghe di Virgilio. Invero, non solo il contesto complessivo delle Bucoliche rinvia ad altre semantiche, ma in nessuna egloga è questione di Arcadia, ove si escluda la X che tratta del lamento del poeta Gallo e che, con il tema in oggetto, non ha rapporto alcuno. Scrive il Baldini:

61

F. Baldini, "Et in arcadia ego: semantiche mito-ermetiche in Guercino e Poussin ( 1a parte)", Episteme - An International Journal of Science, History and Philosophy, n. 4, Morlacchi Editore, Perugia, settembre 2001.

"Non v'è dunque un solo passo in tutte e dieci le ecloghe che possa essere rispecchiato con buona fedeltà dal dipinto sicché la referenza, non essendo relativa alla lettera delle Bucoliche, potrebbe semmai rilevare soltanto dallo spirito che si coglie nel loro insieme. Ma, anche ammettendo per un momento che l'interpretazione tradizionale possa tenere, noi vediamo che questa ci schiude semmai soltanto un senso morale, mentre non ci permette minimamente di accedere né al senso anagogico né, soprattutto, a quello allegorico. E se si fosse trattato solo di un'allegoria generica, perché Guercino avrebbe dovuto usare l'artificio dell'iscrizione - sgrammaticata e apparentemente monca - per comunicarci quel senso di enigmaticità che non è mai sfuggito a nessuno degli osservatori del dipinto?".

In altre parole, quando si evoca il tema pastorale come significante delle due tele si finisce con l'incorrere in una plateale tautologia, dato che è proprio il "tema pastorale" il veicolo supposto del significato che resta da decifrare. Come suggerito dal Baldini, è più probabile che Guercino si sia ispirato ad una "favola" contenuta nelle Storie di Erodoto, in cui è questione del ritrovamento delle ossa di Oreste in Tegea d'Arcadia ad opera di un "benemerito" tra gli Spartani, Lica: "Lica dunque, uno di questi uomini, aiutato e dal caso e dalla sua avvedutezza la trovò a Tegea. Essendoci in quel tempo libertà di scambio con i Tegeati, capitato in una officina egli osservava la lavorazione del ferro, e stava tutto meravigliato a contemplare il lavoro. [2] Il fabbro, accortosi della sua meraviglia, gli disse interrompendo il lavoro: 'Certo, o ospite spartano, se tu avessi visto ciò che io vidi molto ti saresti meravigliato, dal momento che tanto ammiri la lavorazione del ferro. [3] Ché io, volendo farmi in questo cortile un pozzo, scavando trovai un'urna di sette cubiti. N o n credendo che fossero mai esistiti uomini più grandi di quelli di oggi la aprii e vidi il cadavere, che era della stessa lunghezza dell'urna. Dopo averlo misurato tornai a seppellirla'. Questi dunque gli diceva ciò che aveva visto, e l'altro, avendo riflettuto su tali parole, congetturava che secondo l'Oracolo quello doveva essere Oreste, da questo arguendolo: [4] vedendo i due mantici del fabbro trovò che erano i venti, e l'incudine e il martello erano il colpo e il contraccolpo, e il ferro lavorato il danno aggiunto a danno, da questo a un dipresso desumendolo, che il ferro è stato inventato per la rovina degli uomini. [5] Fatte questo congetture se ne tornava a Sparta e riferiva ai lacedemoni ogni cosa. Ma essi lo bandirono, accusandolo di falso. Allora, tornato a Tegea e esposta al fabbro la sua disgrazia, tentava di prendere in affitto il cortile, mentre quello non voleva darlo. [6] Come poi col tempo l'ebbe persuaso, andò ad abitarvi e allora, scavata la tomba e raccolte le ossa, tornava con esse a Sparta e da quel momento, ogni volta che combatterono fra loro, gli Spartani riuscirono di gran lunga superiori in guerra" 62 .

62

Erodoto, Storie, L. I, 68. Il racconto di Lica comprende i paragrafi 67-68.

Si tratta di una "narrazione - simbolica e, per la verità, assai trasparente di un'iniziazione ad antichi misteri metallurgici, sul tipo di quelli dei Cabiri ed è noto che Erodoto era iniziato ai misteri di Samotracia" 63 , il che indica con evidenza quale genere di interessi, tanto il Guercino quanto il Poussin, coltivassero al riparo della loro arte. Cosa che non deve destare sorpresa, se si considera il clima culturale dell'epoca, il diffuso interesse per l'ermetismo - diffuso soprattutto negli ambienti dei mecenati e degli artisti - e la stretta contiguità che la stessa tecnica pittorica (nella preparazione degli impasti, nella confezione dei colori) intratteneva con la chimica spagirica. Così definito l'ambito entro cui collocare il primo livello interpretativo, possiamo riproporne il senso "letterale" nei termini impiegati dal Baldini: "[...] non vediamo più due 'pastori' davanti a un teschio, bensì l'iniziando Lica - come si conviene vestito di bianco - che, in compagnia del fabbro suo iniziatore - a sua volta vestito del colore del fuoco - sosta pensoso in contemplazione del mistero metallurgico cifrato dalle ossa di Oreste. Il tutto, naturalmente, nell'Arcadia menzionata dall'iscrizione misteriosa". Sappiamo come questa abbia dato luogo alle più inverosimili decifrazioni, fra cui quella grammaticalmente errata suggerita da Lincoln e soci, per i quali il testo andrebbe anagrammato "I tego arcana dei", che risulta essere non solo più incomprensibile della frase di partenza, ma è addirittura errata nella sua forma latina 64 . L'anagramma suggerito dal Baldini è ben diverso: ARA IN TEGEA DICO: "In cui l'ablativo 'ora' è certamente da intendere come complemento di argomento, nel senso di ' d e ara', in cui il ' d e ' - come avveniva quasi sempre in latino - è sottinteso. Il verbo "dico" non significa dunque 'dedico' - se così f o s s e richiederebbe l'accusativo 'aram' - bensì è da intendere nel senso di 'narro, racconto'. La frase 'DICO (DE) A R A IN TEGEA' - tenuto conto del fatto che il termine 'ara' des i g n a v a c o m u n e m e n t e a n c h e il s e p o l c r o - s i g n i f i c a d u n q u e e s a t t a m e n t e : 'NARRO DEL SEPOLCRO IN TEGEA', concordando alla perfezione con il brano di Erodoto che abbiamo supposto costituire il referente letterale del dipinto. Anche i più scettici concorderanno sul fatto che le probabilità che un anagramma così letteralmente e semanticamente preciso sia casuale - e che dipenda esclusi-

63

F. Baldini, "Et in arcadia ego: semantiche mito-ermetiche in Guercino e Poussin (l a parte)", Episteme - Art International Journal of Science, History and Philosophy, n. 4, Morlacchi Editore, Perugia, settembre 2001, p. 34. 64 Ciò non crea ovviamente la menoma difficoltà per i nostri mistagoghi che, abituati a piegare il corso della storia ai loro intendimenti, si preoccupano ancor meno delle regole che presiedono alla sintassi e alla grammatica.

vamente dalla possibilità meccanica di permutazione delle lettere nella frase - sono praticamente nulle" 65 .

Il Baldini prosegue nella sua eccellente disamina, ricavandone una più che convincente interpretazione in chiave alchemica che così riassume: "Riteniamo ormai di avere materiale a sufficienza per decifrare l'allegoria contenuta nel quadro di Guercino: il grande cranio posato in primo piano sul frammento di muratura è il ' c a p u t mortuum'1 che l'artista, al pari degli alchimisti del suo tempo, ci invita a non disprezzare. Che si tratti delle ossa di Oreste costituisce allora un'indicazione in più in quanto il nome Oréstes (Oreste), derivando da òros (monte), significa ovviamente 'montanaro', 'colui che abita in un luogo alto', e ciò identifica la posizione che dopo la prima opera le scorie assumono rispetto al lingotto sottostante. L'albero metà verde e metà secco che si vede nella parte superiore del dipinto allude proprio al fatto che la morte del caput è soltanto appa-

rente, mentre una vita ora solo latente aspetta di esservi risvegliata". A questa lettura vorremmo ora affiancarne un'altra che, lungi dal contraddire la prima, si pone però sul piano del mito ed acquisisce una valenza di ordine cosmologico, quella che più direttamente interessa il nostro enigma. Oreste, figlio di Agamennone, vendica la morte del padre, avvenuta per mano della moglie Clitennestra e del di lei amante, Egisto. Questo gesto - che il Graves 66 correttamente interpreta come simbolo di reazione alla dominanza matriarcale viene punito con la pazzia. Interrogato l'oracolo, questi comunica ad Oreste che, per guarire della sua malattia, dovrà recuperare il simulacro di Artemide taurica - ipostasi sanguinaria della Dea Bianca, nota anche come Ecate - e trasferirlo in luogo sicuro. Dopo alterne peripezie, una volta ricongiuntosi alla sorella Ifigenia, sacerdotessa della stessa Artemide, Oreste riesce ad imbarcarsi con l'effigie della dea. La Tradizione greca è alquanto discorde sul luogo dove la statua venne trasportata; le fonti parlano di Ariccia, presso Roma - dove avrebbe dato vita al culto di Diana Aricina - Sparta o Micene. Oreste sarebbe quindi morto in Tegea a causa del morso di un serpente. Il mito parla ovviamente della trasmissione di una tradizione legata ad Artemide, il cui culto era ormai completamente degenerato nella Tauride, per essere trapiantato in altri lidi. In questo contesto, Oreste riveste la figura del matricida che per espiare

65 F. Baldini, "Et in arcadia ego: semantiche mito-ermetiche in Guercino e Poussin (l a parte)", Episteme - An International Journal of Science, History and Philosophy, n. 4, Morlacchi Editore, Perugia, settembre 2001, p. 38. 66 Sul tema di Oreste si veda: R. Graves, I Miti Greci, Longanesi, Milano, 1992; Apollodoro, Biblioteca, Adelphi, Milano, 1995.

la propria colpa è costretto a diffondere il culto di quella stessa dea che, con il proprio gesto, ha irrimediabilmente offeso. Il recupero delle ossa dell'eroe equivale qui a rilevarne la missione e la protezione garantita dalla dea; insieme alle ossa gli Spartani recuperano infatti anche la lancia di Oreste - in origine appartenuta a Pelope, grande sacerdotessa della Grande Madre - per collocarla nel santuario delle Moire a Sparta. Il possesso della "lancia della dea", assicura non solo la riacquisizione del simbolo della sovranità e il successo delle imprese militari seguenti, ma sancisce anche la sottomissione della figura del guerriero (gli Spartani) ai voleri della Dea Bianca. Recuperare le "ossa" di Oreste significa allora tornare ad ingraziarsi quella Grande Madre cui ci si era in precedenza irragionevolmente ribellati. Questa in sintesi la lettura simbolica di un tema invero ben più complesso ma che in questa sede non potrebbe ulteriormente essere sviluppato. Ciò che preme rilevare è la chiarezza del messaggio misteriosofico legato all'episodio: la riscoperta e la traslazione delle "ossa" di Oreste indicano chiaramente che si sta parlando del recupero di un culto e di una tradizione sacra riconducibile ai misteri della Grande Madre, capace di assicurare - di nuovo - sovranità e potere ai suoi detentori... Tenet confìdentiam Come noto, il Poussin - che dipinse ben due 67 versioni dei pastori in Arcadia - si ispirò all'opera del Guercino, apportandovi tuttavia alcune importanti varianti. Queste sono state sapientemente analizzate dal Baldini, cui rimandiamo per l'intelligenza del testo. Vogliamo ricordare che, in ultima istanza, le modifiche apportate dal pittore francese fanno sì che: " [...] la scena si sposta da quella della storia erodotea a quella del mito, talché, con l'epigrafe, è ora Poussin stesso che si rivolge non solo agli spettatori, ma ai protagonisti stessi del mito, informandoli che anche lui - Poussin - è in Arcadia, anche

lui è a conoscenza della tradizione segreta che il quadro di Guercino cifrava"68. E in questo contesto che va collocata l'ormai famosa lettera che il 17 aprile 1656 il vescovo Louis Fouquet indirizza al fratello Nicola, sovrintendente alle Finanze del re Sole: 67 II primo dipinto è un olio su tela di cm 101 * 82, eseguito pare intomo al 1629-1630, ora alla Devonshire Collection a Chatsworth. 68 F. Baldini, "Et in arcadia ego: semantiche mito-ermetiche in Guercino e Poussin" (2a parte), in: Episteme - Art Internationa! Journal of Science, History and Philosophy, n. 5, Porzi Editoriali, Perugia, marzo 2002.

"Non potreste credere, Signore, né le fatiche che si sobbarca per il vostro servizio, né l'affetto con cui lo fa, né il merito e la probità che mette in ogni cosa. Lui e io abbiamo progettato certe cose nel merito delle quali potrei intrattenervi a fondo tra p o c o tempo, che vi daranno - attraverso il Signor Poussin - dei vantaggi (se voi non vorrete disprezzarli) che i re durerebbero molta fatica ad ottenere da lui e che, dopo di lui, nessuno al mondo scoprirà mai nei secoli a venire; e quel che più conta, ciò sarebbe senza molte spese e potrebbe perfino tornare a profitto, e si tratta di c o s e da ricercare così fortemente che nessuno oggi sulla terra può avere una fortuna migliore e forse neppure eguale" 69 .

È probabile che l'accenno ai "vantaggi" abbia a che vedere con l'alchimia, come suggerisce il Baldini, che ricorda altresì come le conoscenze ermetiche del Poussin - così come per il Guercino - procedano in linea retta dalle opere del Zorzi, ancorché difficile sia comprendere quanto estese potessero essere e in quale misura vincolassero il nostro artista ad una pratica operativa. Poussin dimostrò sempre una riservatezza estrema, diffidando della vita di corte - fosse quella papale o del Re Sole - e preferendo ai tramestìi della vita mondana la serenità e il riserbo del proprio rifugio domestico. Peraltro la divisa inscritta sul suo anello - Tenet confìdentiam - sembra applicarsi altrettanto bene anche alla sua corrispondenza, fitta di riferimenti ambigui e misteriosi, ma comunque povera di elementi atti a dimostrare la sua appartenenza ad una specifica confraternita 70 . È tuttavia difficile sottrarsi all'impressione che il Fouquet intendesse ben altro che non qualche vago "segreto" alchemico, ma che si riferisse bensì a qualcosa di più concreto e pericoloso. Non sappiamo purtroppo, quale possa essere stata la reazione del sovrintendente che, come noto, pochi giorni dopo aver ricevuto la missiva, sarà imprigionato dal re che, per conto suo, si diede alquanto da fare per mettere le mani sul dipinto del Poussin 71 . Stiamo ovviamente parlando della seconda tela (realizzata tra il 1639 e il 1642), che vede il Poussin tornare sul tema apportandovi alcune modifiche non 69

Archives de l'art français, 2 cmc série, 1862, p. 266 e s. "Vi potrei dire cose su quest'argomento, che sono molto vere ma sconosciute a tutti. Bisogna dunque passarle sotto silenzio" (a Chanteloup, 7 aprile 1647). Poussin aveva stabilito una fitta rete di relazioni, soprattutto con taluni ambienti di Lione e, a dispetto della lontananza dalla Francia, aveva manifestato un più che sospetto coinvolgimento nelle peripezie della Fronda (cfr. P. Rosenberg et R. Temperini, Poussin, Gallimard, Paris, 1994, p. 39-40). Va ricordato che il protettore di Poussin alla corte di Luigi XIII fu Sublet de Noyers (1588-1645), il cui padre guarda caso - era intendente di casa del cardinale de la Joyeuse, zio della baronessa d'Arques, quest'ultima coinvolta nella Fronda e legata al casato della marchesa di Rennes. Coincidenze? (cfr. Chaudon et Delandine, Dictionnaire Universel, Paris, 1810, voce: "Sublet"). 71 Su questa questione rimandiamo al nostro precedente lavoro, M. Bizzarri e F. Scurria, Sulle tracce del Graal, Edizioni Mediterranee, Roma, 1996. 70

irrilevanti, che nella sostanza lasciano immutato solo il sepolcro e l'epigrafe. Sempre sulla scorta della lezione del Baldini, concordiamo anche noi sul fatto che nel nuovo dipinto il Poussin introduce alcune importanti precisazioni circa l'origine della tradizione che - impropriamente - aveva collocato nel primo quadro in Arcadia. Il Baldini suggerisce che il contesto è ora non più greco, dato che esiste: "[...] U n capitolo preliminare alla tradizione arcadica, e questo capitolo è egizio. [...] e non comprendiamo come generazioni di studiosi abbiano potuto continuare a considerare la dama del dipinto come una 'pastora' quando tutto, dalla sua aria ieratica ai colori del suo abbigliamento ce la presenta come la consorte vedova di Osiride, ossia Iside, secondo la classica descrizione di Apuleio [...] Per sapere che il Seicento è stato il secolo di Iside non è necessario leggere il libro che le ha consacrato Baltrusaitis. Ora, uno dei fulcri del rinnovato culto di Iside era proprio l'ambiente g e s u i t i c o della capitale, soprattutto per opera d e l l ' a m i c o di Poussin, il padre Kircher [...]" 72 .

I "misteri" di cui è qui questione sono quelli della Grande Madre cui, ancora una volta, ci rinvia la lettura di un passo di quell'Erodoto che così bene era conosciuto dal Poussin: "Anche la tomba di colui che non considero pio nominare in tale circostanza si trova a Sais, nel santuario di Atena, alle spalle del tempio, contiguo a tutta la parete del tempio di Atena. E nel recinto sacro ci sono grandi obelischi di pietra, e vicino c'è un lago ornato da un margine di pietra ben costruito di forma circolare, e per dimensioni, a quanto mi parve, grande quanto il lago chiamato Trocoide a Delo. Su questo lago celebrano di notte le rappresentazioni della passione di lui, che gli Egiziani chiamano Misteri. Ma intorno ad essi, pur conoscendo io con più esattezza come ciascun rito si svolge, conserverò un religioso silenzio. E anche riguardo all'iniziazione ai misteri di Demetra, che i Greci chiamano Tesmoforie, anche riguardo a questo ch'io mantenga il silenzio, tranne per quanto di essa è lecito dire. Le figlie di Danao furono quelle che portarono questa cerimonia sacra dall'Egitto e la insegnarono alle donne pelasgiche; più tardi poi, essendo stata tutta la popola-

zione del Peloponneso scacciata dai Dori, il rito andò perduto, e solo quelli dei Peloponnesiaci che rimasero superstiti e che non si trasferirono, gli Arcadi, lo conservarono"73.

72 73

Apuleio, L'asino d'oro, XI, 3. Erodoto, Storie, L. II, 170-171.

Il racconto parla esplicitamente di come i "riti segreti" delle organizzazioni che si richiamavano al culto della Grande Madre, originari dell'Egitto, si continuassero in terra d'Arcadia ove erano stati trasferiti. Del pari questo è il senso ultimo del mito d'Oreste, ove è questione del trasferimento di un simulacro della Dea Bianca e quindi, in ultima istanza, del culto isideo. Abbiamo già visto come la decifrazione della pietra tombale redatta da Bigou ci permetta di giungere ad un analogo significato: anche in quel caso si tratta di Iside - i, suoi riti o un suo talismano - che viene traslata da un posto ad un altro. Ciò che lega la vicenda di Rennes-le-Chàteau a Poussin è quindi qualcosa! - qual- ' cosa di molto concreto - che ha a che vedere con il culto della Grande Madre j e che cambia di custodia, passando - per motivi affatto chiari - da un depo-j sito a un altro. Vorremmo altresì ricordare che la "croce di Iside", più nota come! Ank o "croce del vivente", è incisa sulla parete rocciosa della sorgente della' Maddalena, a Rennes-les-Bains, e la stessa è del tutto inspiegabilmente inscritta in un bassorilievo della chiesa di Saint-Sulpice a Parigi. Vogliamo credere che si tratti ancora di coincidenze? Scrivevamo già nel 1996 che: " [...] Ogni elemento del gigantesco puzzle di Rennes rinvia al tema di Iside - ipostasi egizia della Grande Madre - e della resurrezione [...] chiunque possedeva la chiave geometrica dei misteri esoterici, il cui simbolo era la croce ansata, poteva aprire le porte del mondo dei morti [...] L ' A n k è [...] l'attributo della Dea Madre Iside, per indicare che è detentrice della vita; questa croce rappresenta il centro da cui emanano gli elisir d'immortalità; afferrarla significa abbeverarsi a quelle stesse fonti" 74 .

Che Saunière abbia scoperto proprio una di queste?

74

M. Bizzarri e F. Scurria, Sulle tracce del Graal, Edizioni Mediterranee, Roma, 1996, p. 223.

L'esoterismo capovolto di Gérard de Nerval

Nerval a Rennes-le-Château A parere di Michel Lamy 1 e soprattutto di Richard Khaitzine, Gérard de Nerval è stato in qualche modo a conoscenza della mitologia sovvertita che fa da sfondo ai misteri di Rennes-le-Château. Per M. Lamy, che si fonda sulle ricerche di R. Mazelier 2 , Nerval avrebbe fatto parte della Société Angélique, la cui presenza viene più e più volte segnalata nell'ambito del Razès. L'analisi di Khaitzine 3 , ben più articolata, sebbene offra utili suggestioni ed elementi in appoggio alla tesi dell'implicazione di Nerval in qualche società occultista legata ad antiche Tradizioni druse e mediorientali, non riesce a produrre prove convincenti. Ed è improbabile che possano mai emergere testimonianze che attestino il concreto coinvolgimento del poeta nelle vicende che hanno interessato il piccolo paese dell'Aude. Ciò nondimeno il riferimento a Nerval, lungi dall'essere arbitrario o forzato, diventa più che pertinente qualora si consideri la complessa intelaiatura del mito che egli sviluppa nelle sue opere e che costituirà, guarda caso, il retroterra culturale e simbolico su cui verrà ad edificarsi il corpus "esoterico" della Massoneria di Memphis. E non è propriamente un caso se i "fondatori" di questa quanto mai curiosa famiglia massonica furono, come già accennato in precedenza, Jacques-Etienne Marconis de Nègre, discendente diretto della marchesa Marie de Nègre d'Ables - la Signora di Rennes-le-Château - e Hippolyte Labrunie, parente stretto di Gérard de Nerval, il cui vero nome è per l'appunto Gérard Labrunie 4 ! Non c ' è ovviamente solo questo: i temi che Nerval colloca all'interno della propria visione cosmologica - da Iside al Mondo Sotterraneo, da Iblis a 1 2

M. Lamy, Jules Verne initié et initiateur, Payot, Paris, 1984. R. Mazelier, En lisant Nerval: Angélique, Cahiers d'Etudes Cathares, n. 4, 1966, p. 45

e s. 3

R. Khaitzine, Les faiseurs d'or de Rennes-le-Château, AJ Ed., Paris, 1994. G. Galtier, Maçonnerie égyptienne, Rose Croix et néo-chevalerie, du Rocher, Monaco, 1989, p. 137. 4

Meroveo - sono tutti strettamente interconnessi con i misteri di Rennes-le-Chàteau e saranno ampiamente ripresi dai continuatori del Rito di Memphis.

Nerval un iniziato? Esistono numerosi indizi che attestano come Nerval abbia ricevuto una qualche forma di iniziazione "paramassonica", probabilmente in Germania, e abbia ottenuto da talune sette pre-islamiche precise cognizioni di esoterismo non altrimenti acquisibili se non per trasmissione orale. In una lettera del 17 ottobre 1854, indirizzata a quella enigmatica figura che fu il suo medico curante, il dottor Emile Blanche 5 , Nerval, in un contesto già fin troppo ambiguo di suo, trova espressioni inquietanti e fin troppo significative: "[...] Se vi conviene, come avete minacciato ieri davanti a vostra moglie, di inviarmi alla prefettura [di polizia, Ndt] troverei subito degli amici devoti, senza dover uscire dallo stabile e neanche dal palazzo di Giustizia [...] Eppure avete voluto portare fino in fondo questa lunga farsa, di cui certo non sarò il solo a doverne soffrire, se non sapessi che in fondo noi ci comprendiamo bene, sono corazzato come l'ippopotamo e ho forse più protezioni da muovere di quante non ne troverete contro di me. N o n

so se avete tre anni o cinque, ma io ne ho più di sette e ho dei metalli nascosti a Parigi. Se voi avete dalla vostra parte il G.O., vi dirò che io sono chiamato il fratello terribile. Al bisogno potrei anche essere la sorella terribile, dato che appartengo in segreto all'Ordine dei Mopses che è di Germania. Il mio rango mi permette di giocare a carte scoperte. Ditelo ai vostri capi, dato che suppongo che non abbiano potuto affidare dei segreti troppo importanti ad un semplice *** che dovrebbe considerarmi c o m e molto rispettabile, ma io sono sicuro che voi siete molto più di tutto questo. Se voi avete il diritto di pronunciare la parola Mac Benac, e lo scrivo all'orientale perché se voi d i t t J a c h i n io dirò Booz, se voi dite Booz io dirò Jèhovah, o anche Macbenac; ma vedo a sufficienza che stiamo scherzando [...]" 6 .

Chiunque sia a conoscenza dei rituali massonici non può non rilevare come Nerval dia qui sfoggio - certo inopportuno - non solo di erudizione, ma della padronanza di parole segrete non facilmente accessibili e sicuramente, ai-

alquanto curioso che il dottor Bianche sia stato il medico curante sia di Nerval che di; Jules Veme (cfr. M. Lamy, Jules Verne initié et Initiateur, Payot, Paris, 1984, p. 234). ^J 6 Lettera a Émile Blanche del 17 ottobre 1854, in: G de Nerval Œuvres Complètes, Gallimard, La Pléiade, Paris, 1989, t. III, p. 897-899.

meno una 7 , non riportate nei rituali. È probabile, come egli stesso afferma, che sia stato introdotto nel corso dei suoi numerosi viaggi in Germania 8 , nella confraternita dei Mopses, una Massoneria di frangia dalla regolarità più che dubbia 9 . In merito a questa organizzazione disponiamo di notizie scarse ancorché nel loro insieme non sembrano accreditare la suddetta organizzazione di alcuna valenza iniziatica 10 . È invece molto probabile che Nerval sia stato introdotto - in Francia o nel corso del suo "viaggio in Oriente" - ai misteri della Massoneria egizia. Una 7 Questa parola sacra era di fatto già stata riportata nel Voyage en Orient, a proposito dell'omicidio del Maestro Hiram. 8 II primo viaggio, in compagnia di A. Dumas, data del 1838. Nerval si procurò libri ed informazioni sulle società segrete tedesche ed in particolare raccolse documentazione sulla setta degli Illuminati (cfr. J. Richer, Gérard de Nerval et les doctrines esotériques, Trédaniel, Paris, 1947, p. 162). Era rimasto particolarmente impressionato dalla teoria del "doppio" e del "Viaggio in Astrale", cui fa un riferimento in Aurelia (in: G. de Nerval, Œuvres Complètes, Gallimard, La Pléiade, Paris, 1989, t. Ili, p. 701). 9 L'Ordine dei Mopses costituiva una associazione segreta nata in Germania, cui venivano ammessi sia gli uomini che le donne. Celebrava il "sabbat gnostico" nel corso del quale il "caprone" cabalistico veniva sostituito dal "cane" (mops in tedesco, identifica la razza di nome "Carlino") ermetico. Il recipiendario veniva introdotto nel cerchio degli "adepti" dove veniva invitato a venerare l'idolo (il "cane") simbolo della "fedeltà" che veniva richiesta per aderire all'Ordine. Sembra che come segno di riconoscimento utilizzassero una smorfia. I Mopses reclutavano solo tra i cattolici (l'associazione sembra fosse sorta dopo il 1738 per evitare la scomunica che aveva colpito gli aderenti alla Massoneria tradizionale) ed avevano sostituito al tradizionale giuramento muratorio una "promessa solenne" (sic!) che impegnava il candidato a mantenere il silenzio, sul proprio onore, utilizzando una procedura in uso presso le congreghe stregonesche del Medio Evo ("for the oath of reception they substituted a solemn engagement of honor to reveal no secrets of the order, a customary practice of the Sabbath orders of medieval sorcerers" A.G.H, cfr. New Encyclopaedia of Freemasonry, London, 1934, p. 115). L'Ordine dei Mopses fu particolarmente attivo in Germania e in Francia, tra il 1740 e la seconda metà del XIX secolo. In Italia, a Napoli, fino ancora al 1900 si registra la presenza di un "Antico ed Ortodosso Supremo Consiglio dei 33 Federazione Italiana dei R.S.A.A. e delle sorelle Mopse. Una Loggia delle Mopse era particolarmente attiva a Lione, una città che ritoma spesso nella storia di Rennes-le-Chàteau e più in generale dell'occultismo fin de siècle. A Lione Cagliostro aveva fondato una Loggia Madre di Adozione del Rito Egizio e, sempre a Lione, Casanova - che aveva avuto modo di frequentare gli ambienti dei Mopses - era stato iniziato nel 1750. 10 In merito ai Mopses disponiamo di informazioni contenute in un volumetto, edito in forma anonima - L'Ordre des Francs-Maçons trahi et le secret des Mopses révélé - a Francoforte, nel 1745, ma redatto in francese. Ciò che è possibile desumerne è che i riti descrittivi devono ben poco alla Massoneria ed ancor meno all'occultismo, risolvendosi in buona sostanza in una sorta di parodia burlesca di entrambi. Su questo tema si veda in R. Le Foestier, Maçonnerie féminine et Loges Académiques, Arché, Milano, 1979, p. 3-13.

conferma degna di fede ci viene da una lettera dello stesso poeta indirizzata al padre e datata 22 ottobre 1853: "[...] Figlio di massone e semplice louveteau,

mi sono divertito [nella clinica del

dottor Blanche] a ricoprire i muri di figure cabalistiche e a pronunciare o a cantare

cose proibite ai profani; ma qui ignorano che io sono un compagno-egiziano (refik)"• 1 .

Queste ammissioni, proprio perché confidate a persona verosimilmente bene informata delle cose, sono non solo più che credibili, ma hanno anche il pregio di chiarire là dove altri hanno forzatamente voluto ispessire il "mistero" 12 . Nerval, in perfetta lucidità, non ha mai preteso richiamarsi alla Massoneria tradizionale, rispetto alla quale si limita a dichiarare il proprio stato di "figlio di massone" 13 . Si tratta di una affermazione precisa e circostanziata che nulla ha a che vedere con la sua appartenenza ai Mopses e tantomeno con la qualifica di refik, che costituisce un grado iniziatico proprio delle confraternite egizie 14 e, più in generale, delle associazioni latomistiche islamiche. Il fatto 11 Lettera al padre del 22 ottobre 1853, in: G de Nerval, Œuvres Complètes, Gallimard, La Pléiade, Paris, 1989, t. Ili, p. 817-818. 12 Contrariamente a quanto afferma Claude Pichois (cfr. G de Nerval, Œuvres Complètes, Gallimard, La Pléiade, Paris, 1989, t. II, p. 1549), nelle sue lettere Nerval non ha mai preteso di essere, ad un tempo, "apprendista, compagno, maestro". Di questo genere di incomprensioni, peculiare di quanti conoscano certe organizzazioni iniziatiche solo dall'esterno, non vogliamo comunque fare una colpa al commentatore anche se tale tipo di errore induce fatalmente a ritenere Nerval preda di una qualche forma di "esaltazione" di natura psichiatrica su cui formuleremmo molte riserve, et pour cause! 13 L'esplicitazione della condizione di "louveteau" è di fatto una tautologia. I figli dei massoni che non abbiano raggiunto la maggiore età (21 anni per la Massoneria) vengono chiamati louveteau ("lupacchiotto") in Francia e lewis in Inghilterra. Il lewis (dal latino -levis) è un congegno metallico che facilita il sollevamento dei blocchi di pietra. Il termine italiano per designarlo è olivella (o ulivella) ed è appunto con tale nome che vengono chiamati i giovani figli di massoni che vengono accolti nelle riunioni pubbliche dell'Istituzione (cfr. A.A. Campagnol, "Ulivelli, olivelle ed altre cose", Rivista Massonica, n. 8, 1982). 14 A prescindere dalle confraternite iniziatiche o pseudotali di stampo islamico, in Egitto numerose Logge di ispirazione massonica, più o meno regolari, sono state create sin dalla fine del XVIII secolo, in concomitanza con la spedizione militare di Napoleone. Scrive il Galtier (Maçonnerie égyptienne, Rose-Croix et néo-chevalerie, du Rocher, Monaco, 1989, p. 149 e s.): "In questo paese (l'Egitto) sono esistite sia delle logge indipendenti sia officine che dipendevano da paesi stranieri, in particolare dalla Francia, dalla Gran Bretagna, dall'Italia, dalla Grecia e dalla Germania. La maggior parte di queste logge furono create a partire dal 1862, tuttavia ben prima di tale data la Massoneria era già attiva lungo le rive del Nilo. Si segnala l'esistenza di una loggia al Cairo prima del 1788 [...] Sotto Mehemet Ali sin era formato un Ordine Massonico in Egitto, denominato 'Società Segreta Egiziana' [...] la sua originalità risiedeva nel fatto

di dichiararsi louveteau non ne fa peraltro un "iniziato" massone, dato che tale qualifica individua solo i figli dei massoni, ed è più che probabile che il padre, il dottor Etienne Labrunie, lo fosse effettivamente 15 . Come abbiamo visto egli era stato presumibilmente introdotto in una obbedienza "spuria"; per quanto attiene invece alla qualifica di "refill, è dubbio che questa possa essere riferita ad una delle confraternite islamiche o mediorientali (come quella dei Drusi) cui Nerval fa talvolta riferimento. È molto più probabile che, prima o durante il suo viaggio in Oriente, egli sia potuto venire in contatto con membri della Società Segreta Egiziana, una massoneria "mista" come l'Ordine dei Mopses, ma che intratteneva stretti rapporti con il Rito di Memphis di Marconis de Nègre 16 . Questi "contatti" costituiscono il coronamento di una vita dedicata allo studio ed alle ricerche in ambito occultistico, specificamente rivolte ai "misteri" egizi, anche se da soli non sono sufficienti a rendere ragione di alcune conoscenze e di segreti che necessariamente devono essergli stati trasmessi "da bocca a orecchio".

che era aperto alle donne come agli uomini; il Venerabile assumeva il titolo di Gran Cofto", il che lascia pensare che si collocava lungo la filiazione spirituale del Rito di Alta Massoneria Egizia di Cagliostro. I riferimenti che Nerval fa a Méhémet Ali nel suo Voyage potrebbero suggerire che egli sia stato accolto in questa organizzazione androgina. 15 Etienne Labrunie aveva seguito i corsi di medicina dal 1795 al 1805 a Parigi, in un ambiente tra i più favorevoli alle idee massoniche. Più importante ancora è ricordare che, orfano, era stato allevato dallo zio materno Gerard Dublanc, frammassone notorio. Al ritomo della campagna di Russia - nel corso della quale sembra abbia partecipato ai lavori di alcune logge militari allora molto diffuse nell'esercito napoleonico - si ricongiunge alla famiglia dello zio che, insieme ai due figli, era membro della Loggia dei Sept-Ecossais-réunis il cui Venerabile è il dottor Pierre Gérard Vassal, amico di Labrunie e dei Dublanc. In relazione a Vassal (vedi nota 36, infra, cap. La Tradizione Occulta) è opportuno ricordare che fu autore di un Cours complet de Maçonnerie ou Histoire générale de l'Initiation depuis son origine jusq 'à son institution en France (Paris, chez l'Auteur, 1832; sul personaggio si veda l'introduzione di D. Ligou all'opera in questione, nella ristampa di Spatkine Reprints, Genève, Paris, 1980). Peraltro è in virtù della appartenenza del padre alla Massoneria che Nerval ha potuto leggere, all'età di 18 anni, alcuni poemi di fronte a più di 200 massoni rivestiti delle loro insegne nel corso di una seduta della Société de Philantropie della loggia dei Sept-Ecossais-réunis: ciò non sarebbe stato possibile se non fosse stato, per l'appunto, "louveteau", cioè "figlio di massone". Molte di queste considerazioni sono state esaurientemente commentate da GH. Luquet (cfr. Gérard de Nerval et la Maçonnerie, Mercure de France, 1er mai 1955, p. 77-96), che tuttavia commette l'errore di attribuire le conoscenze "muratorie" del poeta alla lettura di alcuni testi antichi sulla Massoneria i quali, invero, tacciono proprio nel merito di quello che costituisce il nucleo essenziale della "misteriosofia" nervaliana, ovvero i contenuti del mito di Hiram. 16

G Galtier, Maçonnerie 1989, p. 136-154.

égyptienne, Rose-Croix et néo-chevalerie,

du Rocher, Monaco,

Il viaggio in Oriente E solo ricostruendo la complessa visione occulta del mondo, sviluppata in Aurelio e, beninteso, nel Voyage en Orient, che è possibile rendersi conto di come Nerval sia venuto a conoscenza di Tradizioni ancor oggi esclusivamente affidate alla trasmissione orale. La cosmogonia di Nerval, in parte tributaria di alcune tra le più oscure e meno conosciute dottrine gnostiche, prende lo spunto dalla caduta degli "angeli ribelli". Costoro, alla cui guida egli pone Azazil - il serpente del giardino dell'Eden - sono usciti sconfitti dalla lotta contro il dio "malvagio" dell'Antico Testamento: Jehovah. Il serpente è in questo contesto apparentato a Lucifero, inteso letteralmente come "colui che porta la luce", ovvero sorgente della "conoscenza delle arti" - in primo luogo la chimica e la metallurgia. Il serpente è anzi il padre autentico di Caino, il primogenito della prima coppia, mentre Abele, discendente di Adamo, non sarebbe che un "figlio del limo". Caino verrà ingiustamente esiliato per aver cercato di assicurare il progresso dell'Umanità, finendo con il condividere il triste destino dei Giganti (nati dall'incontro dei "Figli di Dio", cioè gli Angeli ribelli, con le Figlie degli Uomini) e degli Angeli decaduti. Caino, capostipite dei costruttori, fonderà la prima città - Henochia - e darà vita ad una stirpe di uomini - i Cainiti, la prima razza, che in segreto tramanda il ricordo, la venerazione e la sapienza degli Angeli ribelli con cui ha stabilito "il primo patto". Tubalcain, discendente di Caino, capostipite dei popoli che, con Nemrod, costruiranno la Torre di Babele, è l'antenato di Hiram e della stessa Regina di Saba, entrambi "figli del fuoco", al pari del loro comune antenato Azazil. Hiram, tradito da Salomone stesso, porterà nella tomba quei segreti occulti cui alludono i simboli e i monumenti che la "prima razza" ha edificato, in primo luogo le Piramidi e il Tempio di Gerusalemme. Quei misteri vengono oggi riscoperti e decifrati dagli adepti dell'antico culto, marchiati sulla fronte dal segno che Yehovah ha voluto loro imprimere ("il marchio di Caino"); coloro che sono scampati alle persecuzioni si sono rifugiati in un mondo sotterraneo - in primo luogo al di sotto della montagna sacra del Qaf - da cui usciranno un giorno insieme alla loro guida, il "re che attende". Nell'attesa i devoti si rivolgono all'ipostasi di riconciliazione, la Grande Madre ("Grande Riconciliatrice"), Iside, dal triplice volto di Ecate, la Reine du Midi11, la "Santa dell'Abisso" che illumina con la propria Scienza

17 Nerval impiega indifferentemente le locuzioni "Reine du Midi' (Regina del Mezzogiorno o del Sud) e "Reine du Matin" (Regina del Mattino"); quest'ultima in arabo è equivalente a "Regina di Saba", dato che il termine "saba" equivale a "mattino".

(esoterica) e conforta con il proprio Amore, quintessenza stessa della femminilità. La Reine du Matin veglia in qualche modo sui destini dei propri fedeli, in attesa che anche in terra emerga una dinastia di Re che assicuri quel trionfo della "Luce" che, nel segreto delle grotte, viene continuamente alimentata. E evidente che ci troviamo di fronte ad una totale inversione dei dati tradizionali, il cui carattere controiniziatico è stato seccamente stigmatizzato da René Guénon 18 . Questo succinto excursus della "sapienza" esoterica nervaliana è peraltro ben sintetizzato da un sonetto de Les Chimères, Antéros19: Tu demandes pourquoi j'ai tant de rage au coeur Et sur un col flexible une tête indomptée; C'est que je suis issu de la race d'Antée, Je retourne les dards contre le dieu vainqueur. Oui, je suis de ceux-là qu 'inspire le Vengeur, Il m 'a marqué le front de sa lèvre irritée, Sous la pâleur d'Abel, hélas! ensanglantée J'ai parfois de Caïn l'implacable rougeur! Jéhovah! Le dernier, vaincu par ton génie, Qui du fond des enfers, criait: "O tyrannie! " C'est mon aïeul Bélus ou mon père Dagon... Ois m'ont plongé trois fois dans les eaux du Cocyte Et, protégeant tout seul ma mère Amalecyte, Je ressème à ses pieds les dents du vieux dragon20.

18

"Ce conte sur la Reine de Saba est une source à la quelle ont puisé nombre d'antimaçons, qui n'ont pas hésité à le présenter comme l'authentique légende de Hiram" (R. Guénon, Etudes sur la Franc-Maçonnerie et le Compagnonnage, compte rendu d'articles de revues, ottobre 1930, Etudes Traditionnelles, Paris, 1980,1.1, p. 165). 19 11 sonetto fa parte della raccolta Les Chimères, pubblicata in appendice a Les Filles du Feu, una raccolta in prosa che tratta di sette figure femminili tra cui l'enigmatica Angélique che, per il nome stesso, richiama la società omonima. Nella prefazione redatta da Nerval il lettore viene messo in guardia da un approccio classicamente esegetico, volto a "spiegare" ciò che non è "plus obscurs que la métaphysique d'Hégel ou les Mémorables de Swedenborg, et perdraient de leur charme a être expliqés" dato che sono stati concepiti "dans un état de rêverie supematuraliste, comme diraient les Allemands" (G. de Nerval, Œuvres Complètes, Gallimard, La Pléiade, Paris, 1989, t. III, p. 458). 20 "Mi chiedi perché ho tanta rabbia nel cuore/ e su un collo flessibile una testa indomita/ è

Queste poche righe sono uno straordinario compendio di erudizione e sapienza contro-iniziatica. Si può dire che nessun elemento vi manchi, dato che l'autore vi ha saputo trasfondere simboli e mitologemi che vanno dalla Grecia, a Roma, fino all'ebraismo ed alle religioni pre-israelitiche. Anteo, figlio di Poseidone e della Madre Terra, è il gigante sconfitto da Ercole che in questo contesto raffigura la genìa degli uomini "illustri" che discendono dagli angeli decaduti. Per analogia con i Titani che diedero l'assalto all'Olimpo, Nerval rivolge "i dardi" contro il "Dio Vendicatore". Contrariamente a quanto suggerito dall'ermeneutica letteraria 21 , non si tratta affatto qui di Marte (noto ai Romani come Ultor, cioè "vendicatore"), ma propriamente di Jehovah contro cui scaglia la freccia,quello stesso Nemrod che discende da Caino, e alla cui stirpe - gli "uomini della razza rossa", la "razza prometeica" - Nerval si vanta di appartenere. Jehovah è implicitamente descritto come "usurpatore" di una religiosità primeva, quella cui appartengono le popolazioni preisraelitiche che riconoscono in Baal e in Dagon i loro numi tutelari. L'opposizione al dio degli ebrei - il "dio venuto dal deserto" - viene infine a riaffermarsi negli ultimi versi, in cui il poeta fa un riferimento all'epopea di Ercole, ponendosi dalla parte degli avversari di quest 'ultimo, ma ancor più esplicitamente quando, nell'invocare la propria madre Amalecita, fa un chiaro riferimento ad una popolazione considerata come "nemico naturale" di Israele. Giustamente il Constant osserva come, in questo modo: "Gérard si ricolleghi alla razza dei vinti e dei maledetti, rimasti fieri ed indomiti nella loro sconfitta, ad Anteo così come all'oscuro Caino, e a quella posterità di Amalec, discendente di Esaù il diseredato, che sarà sterminata da Giacobbe, favorito di Yehovah. Ai sacrifici dell'Antico testamento, associa gli dei della Caldea e della Fenicia, detronizzati dal Dio d'Israele" 22 .

perché discendo dalla razza d'Anteo/ rivolgo i dardi contro il dio Vincitore/ Sì, sono tra coloro che sono ispirati dal Vendicatore/ Mi ha segnato la fronte con il suo labbro irritato/ Sotto il pallore di Abele, ohimè! insanguinato/ ho talvolta di Caino il rossore implacabile!/ Jehovah! L'ultimo, vinto dal tuo genio/ che dal profondo degli inferni gridava: 'O tirannia!'/ E il mio antenato Belial o mio padre Dagon/ Mi hanno immerso tre volte nelle acque del Cocite/ e, proteggendo da solo mia madre l'Amalecita/ raggruppo ai miei piedi i denti dell'antico Dragone". 21 Cfr. il commento di Jean-Luc Steinmetz in G. de Nerval, Œuvres Complètes, Gallimard, La Pléiade, Paris, 1989, t. Ili, p. 1281. Non si capisce come lo Steinmetz possa suggerire l'ipotesi di Marte quando, lo stesso Nerval, tre righe più sotto, individua in "Jehovah" quel "dio vendicatore" e tiranno contro cui si rivoltarono gli angeli e i discendenti di Prometeo. 22 F. Constant, "Antéros", Revue de Littérature comparée, aprile 1934, p. 45.

È indubbio che la vasta cultura e le reminiscenze classiche svolgano la loro parte in tutto ciò. Eppure non soddisfano appieno alle domande che naturalmente ci si pone: da dove Nerval ha tratto questa rielaborazione organica, coerente ed alternativa della "storia sacra"? Le molteplici letture che ha sistematicamente condotto non esauriscono l'ambito delle possibilità reali. Né peraltro l'opera nervaliana può essere letta in un contesto esclusivamente letterario, quasi fosse semplice divertissement o divagazione colta! Il Romanticismo non nutre di tali preoccupazioni, ma si premura invece di trasmettere un messaggio che possa significativamente tradursi "in azione". I romantici riscoprono il mondo, ma assegnandogli significati nuovi, essenzialmente perché intendono cambiarlo. Come bene è stato evidenziato in particolare per quanto concerne l'ermeneutica della raccolta Les Chimères, il ricorso allo strumento letterario è pertanto qui da intendersi come artifizio, mezzo per il quale viene proposta una lettura escatologica e cosmologica attuale nella sua necessità. Nerval avverte l'impellenza di questo compito al punto da preoccuparsi di seminare, qua e là nella sua opera, le chiavi epistemologiche necessarie alla intelligenza del testo. Si tratta di un percorso complesso, che spazia per tutto l'arco della produzione artistica dell'Autore, ma che vedremo di affrontare nei suoi aspetti essenziali per far emergere un quadro complessivo che non manca di stupire e d'inquietare.

Il Serpente L'immagine del serpente (talvolta accomunato simbolicamente al dragone) compare spesso in Nerval, generalmente considerato come ipostasi di Lucifero. Come osservato dal Richer 23 , il serpente è considerato innanzitutto come simbolo di quell'intelligenza "soprannaturale" che consente all'uomo di acquisire il "potere" che deriva dalla conoscenza delle cose nascoste. I "denti del dragone" sono propriamente gli "strumenti" che l'uomo di "scienza" possiede per assicurare all'umanità oppressa, un avvenire migliore, quell'avvenire che gli "angeli ribelli" avrebbero garantito insegnando agli uomini le "scienze segrete". Questa concezione della "saggezza proibita", invisa al Dio della Bibbia, viene espressa da Nerval alquanto precocemente, dato che ne fa già menzione in un dramma del 1839, dove afferma: "[...] l'intelligence marche aujourd'hui sur la terre comme ce héros antique qui semait les dents du

23 J. Richer, Gerard de Nerval. Expérience 1987, p. 97.

vàcue et création artistique, Trédaniel, Paris,

dragon" 24 . Come noto il mito originario fa riferimento a Giasone che - nell'ambito delle fatiche che deve superare per conquistare il Vello d'Oro - è costretto a seminare dei denti di drago che cadendo a terra si trasformano in guerrieri. Come avremo modo di rilevare in altre occasioni, Nerval stravolge il senso del mito, attribuendo una valenza positiva ai quei "denti" che costituiscono invece altrettanti ostacoli sul cammino iniziatico di Giasone 25 . Il serpente come depositario di sapienza nascosta e fonte di conoscenza è un tema alquanto diffuso nella letteratura gnostica: "Essendo il serpente a persuadere Adamo ed Eva a mangiare del frutto della conoscenza e quindi a disubbidire al loro Creatore, esso venne a rappresentare in tutto un gruppo di sistemi 26 [gnostici] il principio pneumatico che contrasta dall'aldilà i segni del Demiurgo, e così tanto più in grado di diventare un simbolo dei poteri di redenzione, quanto il dio biblico era stato degradato a simbolo di oppressione cosmica" 27 .

Ireneo fornisce alcune specificazioni che risulteranno oltremodo illuminanti per il seguito delle nostre riflessioni. A proposito degli Ofiti - qui considerati come paradigma delle sette gnostiche in cui la figura del serpente viene ipostatizzata a "salvatore" - il Padre della Chiesa osserva come la Grande Madre Sophia-Prunikos, che disperatamente cerca di contrastare la malvagità del figlio "rivoltato" - Ialdabaoth - Iehovah - invia il serpente per "sedurre Adamo ed Eva ed indurli a disubbidire al comando di Iadalbaoth"28. Ciò consentì alla prima coppia di rendersi conto del fatto che Ialdabaoth, il Demiurgo, non era affatto il "Dio Supremo". L'atto del serpente, "segna l'inizio della gnosi sulla terra" 29 , l'inizio di quel percorso di riscatto dell'umanità dalle tenebre in cui vorrebbe confinarla il dio malvagio dell'Antico Testamento. Una concezione del tutto sovrapponibile sarà sviluppata dalla Chiesa Gnostica di Doinel nel XIX secolo 30 , il che ci conferma non solo della sopravvivenza di de-

24

Leo Burckart (1839), scritto in collaborazione con A. Dumas, cit. in J. Richer, Girard de Nerval. Expérience vàcue et création artistique, Trédaniel, Paris, 1987, p. 98. 25 Su questo tema si veda in: R. Graves, I miti greci, Longanesi, Milano, 1992, p. 553-557. 26 Le correnti gnostiche che nella loro "rilettura" dei testi sacri fanno perno sulla "riabilitazione" della figura del serpente, capovolgendo letteralmente l'esegesi esoterica del Genesi, sono fondamentalmente gli Ofiti, i Naasseni, i Perati e i Cainiti. Su questo tema si veda Testi Gnostici, a cura di L. Moraldi, UTET, Torino, 1982. 27 H. Jonas, Lo Gnosticismo, SEI, Torino, 2002, p. 108. 28 Ireneo, Adv. Haeres., I, 30,7. 29 H. Jonas, Lo Gnosticismo, SEI, Torino, 2002, p. 109. 30 R. Le Forestier, L'Occultisme en France au XIX" etXXe siècles. L'Eglise Gnostique, Arché, Milano, 1990, p. 21 e s.

terminate concezioni, ma di come queste riguardino molto da vicino la vicenda di Rennes-le-Château.Questa concezione, portata alle sue estreme (e logiche) conseguenze, ha condotto alcune sette - come i Perati, i Cainiti o lo stesso Manicheismo di Mani - a ritenere il Cristo una delle incarnazioni del serpente universale, dispensatore di "luce" (intellettuale), di conoscenza "segreta" e quindi, in ultima analisi, di "redenzione". Una posizione per nulla dissimile da quella che - ad onta della tanto vantata ortodossia cattolica - lo Hièron du Val d'Or e Paul Le Cour 31 non avranno alcuna difficoltà a fare propria 32 . Indubbiamente anche per Nerval il serpente è "portatore di conoscenza". Dubitiamo tuttavia che tale concezione possa essere stata mutuata esclusivamente da fonti gnostiche, non completamente almeno. La peculiarità del mitologema nervaliano risiede infatti nel ritenere il serpente sia il "padre" di Caino e, per tramite di questi, capostipite di quella "razza del fuoco" che si perpetua ancor oggi. Nel Voyage en Orient si legge di come: "Caino era accucciato in una postura sofferta (intomo alla sua fronte si avvolge un serpente d'oro a guisa di diadema) [...] Che il sonno e la morte siano con te Hiram, figlio mio! Razza industriosa ed oppressa! È a causa mia che tu soffri. Eva fu mia madre; Eblis, l'angelo di luce. Egli ha introdotto nel suo seno la scintilla che mi anima e che ha rigenerato la mia razza; Adamo, pieno di fango e depositario di un'anima schiava, Adamo mi ha nutrito. Figli degli Elohim, io amavo quest'opera di Adonai anche se appena abbozzata, e ho messo al servizio degli uomini ignoranti e degenerati lo spirito dei geni che risiedono in me" 33 .

Molte sarebbero le considerazioni che andrebbero svolte in merito al costrutto di queste poche frasi, ma qui vorremmo limitarci a sottolineare che i testi gnostici, pur individuando nel "serpente" il segno da cui venne marchiato in fronte Caino 34 , la discendenza di questi da Eblis (sic!) 35 sia invece del tutto 31 Nell'edizione originale del 1926 di A la recherche d'un Monde perdu, Paul Le Cour ha voluto in copertina la raffigurazione del serpente le cui spire sono avvolte intomo ad un albero. 32 II culto del serpente si è perpetuato fino a tempi recenti nelle regioni del Medio-Oriente. Michel Lamy (cfr. M. Lamy, Jules Verne, Payot, Paris, 1984, p. 179) ci ricorda il caso del "monastero luciferino", ancora attivo fino a tutto il XVIII secolo, situato presso El Ghor, che offriva rifugio ad una setta ofitica. 33 G de Nerval, Œuvres Complètes, Gallimard, La Pléiade, Paris, 1989, t. II, p. 723. 34 Riportando alcuni passi tratti dai testi dei Perati, Ippolito scrive: "Questo Serpente universale è anche la parola sapiente di Eva [...] Questo è anche il segno con cui è stato marchiato Caino" (Ippolito, Refut., V, 16, 9 s.). 3 5 Nerval scrive "Eblis", mentre in arabo il termine è "Iblis" [...]. La versione Eblis fa pensare ad una influenza curdo-persiana.

estranea alla tradizione gnostica. Da dove Nerval ha tratto questo genere di informazioni? Diciamo subito che, proprio in forza del suo carattere dirompente, non abbiamo mai ritenuto la tesi nervaliana frutto di "invenzione", come pretendono taluni critici "letterari", ansiosi di archiviare queste ed altre apparenti "anomalie" nell'ambito delle "stranezze" patologiche di una mente malata cui - con eccessivasuperficialità - si è voluto attribuire di tutto e di più. In realtà qui, come altrove, il poeta francese si fa portatore e vate di una ben definita - e segreta - misteriosofia occulta che sembra essersi tramandata ininterrottamente dai tempi biblici fino ad oggi.

Caino e Tubalcain Nel Voyage en Orient sarà Tubai Cain a fungere da "guida" per Hiram. Egli lo farà penetrare nelle viscere della montagna del Kaf, al di sotto della quale riposa il corpo di Caino. È alquanto singolare che la figura di Tubai Cain (Tubai Kayiri) sia menzionata nell'Antico Testamento una sola volta e quasi di sfuggita: "Lamech si prese due mogli: una chiamata Ada e l'altra Zilla. Ada partorì Jabal: egli fu il padre di quanti abitano sotto le tende presso il bestiame. Il fratello di questi si chiamava Jubal: egli fu il padre di tutti i suonatori di cetra e di flauto. Zilla a sua volta partorì Tubai Cain, il fabbro, padre di quanti lavorano il rame e il ferro. La sorella di Tubai Cain fu Naamah" 36 .

Figlio di Lamech 37 - secondo la tradizione Jahivista - e, tramite questo, discendente da Caino, Tubai Cain 38 è il capostipite dei maestri che, padroneggiando i segreti del fuoco, inaugurarono l'arte di fondere i metalli e di lavorare il rame, il bronzo e il ferro. Insieme con la sorella e i suoi due fratelli, Tubai Cain si colloca - subito dopo Adamo, il "primo uomo" - alle origini mitiche 36

Genesi, 4,19-22. La genealogia biblica della discendenza di Caino (Genesi, 4,17) indica la seguente successione: Irad, Mecuiaél, Metusaél, Enoc e quindi Lamech, padre di Tubai Cain. 38 Tubai Cain è l'antenato eponimo della tribù di Tubai, una popolazione la cui ascendenza viene anche riferita a Tubai figlio di Jafet (il greco Giapeto). Le genti di Tubai risiedevano in Asia Minore ed erano note sia perché commerciavano in schiavi ed oggetti di bronzo (1 Cronache, 1,5; Ezechiele, 27,13; Isaia, 66,19), sia per la loro complessa genealogia: Jafet è considerato il progenitore sia di Magog che di Tubai (Genesi, X,2); i discendenti di quest'ultimo accompagneranno il Faraone nella sua discesa nello sheol (Ezechiele, 32,26) e saranno sottomessi a Gog e Magog (Ezechiele, 38,2; 39,1). 37

della conoscenza umana che, già dal suo esordio, si preannuncia dicotomizzata tra scienza sacra e scienza profana, un'ambivalenza che traspare e si continua nelle leggende e nel simbolismo che più direttamente lo riguardano. Tale antinomia - che coinvolge la progenitura di Lamech - non fa che riproporre al suo intemo l'opposizione sedentario/nomade originariamente espressa dalla coppia Caino/Abele 39 . Tanto Jubal - l'inventore della musica 40 - quanto Jabal - a cui i più antichi manoscritti massonici 41 attribuiscono la scoperta delle leggi della geometria - vengono descritti come pastori, abitanti "sotto le tende", e rientrano quindi a pieno titolo nell'ambito dei popoli nomadi 42 . L'arte di 39 In questa anomala ed inaspettata coincidentia oppositorum che viene a prospettarsi sul piano simbolico è da ravvisare un significato profondo, prefigurazione in qualche sorta di un processo reale che coinvolgerà nel divenire storico entrambe le due popolazioni, la nomade e la sedentaria. Scrive al riguardo il Guénon: "(dopo l'assassinio di Abele) l'equilibrio, tra l'una e l'altra parte, è dunque rotto: come ristabilirlo se non per mezzo di scambi, tali che ciascuno abbia la sua parte della produzione dell'altro? Così avviene che il movimento associ il tempo e lo spazio, essendo in qualche modo una risultante della loro combinazione, e concili in essi le due tendenze opposte di cui si è trattato (sedenterizzazione e nomadismo)" (R. Guénon, Caino e Abele, in: Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, Adelphi, Milano, 1982, p. 146). Va evidenziato che il passaggio biblico inerente Caino è alquanto oscuro, dato che inizialmente sembra alludere ad una sua "naturale propensione" verso il "male" ("Il peccato è accovacciato alla tua porta, verso di te è il suo istinto", Genesi, 4,7), quasi a voler sottolineare come questa sia intrinseca al processo di sedenterizzazione e, latu senso, alla conoscenza di quei "misteri della terra" che Caino condividerà con il suo ultimo discendente, Tubai Cain. 40 L'associazione tra musica e pastorizia (ipostatizzata dalla coppia Jubal/Jabal, nomadi al contrario di Tubai Cain e Naamah, sedentari) è ancor oggi viva nel folklore popolare (basti pensare alle leggende sugli zampognari dell'Abruzzo) e traspare vieppiù chiaramente da alcune favole (cfr. La Penna del Pavone) in cui è spesso questione della rivalità tra due fratelli, uno dei quali viene ucciso, mentre l'altro finisce con l'essere scoperto proprio a causa di un qualche strumento musicale che ne svela le malefatte. Il tema di Caino e Abele traspare fin troppo chiaramente dalla struttura del racconto, ma ciò che qui preme sottolineare è che lo strumento musicale in questione viene costruito da uno dei due fratelli. 41 I figli di Lamech "scoprirono tutte le scienze e le arti del mondo. Jabal era il maggiore e scoprì la geometria e tenne greggi di pecore e esse ebbero agnelli" (Dumfries n. 4, in: Iprimi catechismi muratori, a cura di W. de Donatis, Bastogi, Foggia, 2001, p. 71). Prima ancora è il Manoscritto Cooke che si sofferma con una più ampia e dettagliata dissertazione a proposito dei figli di Lamech ( M s Cooke, in: E. Bonvicini, Massoneria Antica, Atanor, Roma, 1989, p. 154174). 42 Mentre "i sedentari creano le arti plastiche (architettura, scultura, pittura) cioè le arti delle orme che si dispiegano nello spazio, i nomadi creano le arti fonetiche (musica, poesia), cioè le arti delle forme che si dispiegano nel Tempo" (R. Guénon, Il Regno della Quantità e il Segno dei Tempi, Adelphi, Milano, 1988, p. 145). Questa notazione sembrerebbe indicare come il lato propriamente "malefico" di Caino sia stato di fatto ereditato dalla linea che si continua con Tubai Cain e sua sorella Naamah.

maneggiare i metalli - peculiare dei popoli stanziali - viene invece ascritta a Tubai Cain, mentre sua sorella Naamah patrocinerà le tecniche della tessitura e dell'uso di conocchia e fuso: in entrambi i casi si tratta di "arti plastiche" attributo specifico dei popoli sedentari. In aramaico la parola Tubai Cain - è composta dalle lettere Thau (ri), Vau (1), Beth (3), Lamed (*?) - Tubai - e Koph {% Yod {"), Nun (1) Kayn - il cui valore, secondo la gematria 43 , può essere computato separatamente o congiuntamente. Il valore di ciascuna lettera è, in sequenza: 400,6 2, 30 e 100, 10 e 50. I significati attribuibili a "Tubai" sono rispettivamente: Segno, Mondo, Casa, Guardiano, il che già evoca, ad una prima semplice lettura, il significato di "guardiano del mondo"; per "Kayn" si ottiene Capo, Inizio e Propagazione, il cui significato potrebbe a ragione essere quello di "inizio e propagazione del capo" o, latu senso, "inizio e propagazione dei primi uomini", un'interpretazione che bene si confà al ruolo sostenuto da Kayn (Caino) progenitore dei Cainiti - il che ricondurrebbe, tra l'altro, la figura di Tubai Cain direttamente a quella di Caino. Nella prima ipotesi la riduzione cabalistica porta a due valori distinti: 6, per Tubai e 7 per Cain. Con la seconda impostazione si ottiene invece il numero 4. I significati attribuibili al 6 e al 7 sono rispettivamente "mondo" e "razza", e non ci sembra pertanto azzardato ritenere che possano indicare quella "prima razza del mondo" ipostatizzata da Caino da cui lombi, non a caso, seppure tortuosamente, discende la linea che per l'appunto si "esaurisce" (o sembra esaurirsi) con Tubai Cain e sua sorella Naamah. Tale interpretazione è in primo luogo avvalorata da una delle possibili derivazioni etimologiche suggerite dall'esegesi ebraica, per la quale Kayn promana da Kanah ("colui che si impossessa di qualunque cosa") 44 , e secondariamente, dalla colonizzazione attuata dalla progenie di Caino, imperniata sulle sette città edificate dal capostipite, e collocate: "[Caino] si sforzò quindi di immortalare il proprio nome elevando monumenti e divenne un costruttore di città. Alla prima diede il nome del figlio Enoc [...] e in seguito ne f o n d ò altre sei. La costruzione di queste città fu un'impresa iniqua perché egli le cinse di mura, rinchiudendovi a forza i suoi familiari" 45 .

43 F.B. Bond e T.S. Lea, Gematria. A preliminary investigation of the Cabala, Chameleon Press, London 1977. 44 L. Ginzberg, Le Leggende degli Ebrei, Adelphi, Milano, 1995,1, p. 314; Filone, La nascita di Abete e i sacrifici offerti da lui e suo fratello Caino, I, 2. 45 L. Ginzberg, Le Leggende degli Ebrei, Adelphi, Milano, 1995,1, p. 118.

Questa prima lettura ci rende conto di come l'interpretazione, per lungo tempo invalsa in Massoneria 46 , che associa Tubai Cain alla "possessio orbis", non sia invero del tutto destituita difondamento, dato che fa riferimento a quella discendenza che per prima - ed effettivamente - conseguì sulla Terra un dominio assoluto, manifestazione di quel processo di progressiva solidificazione che, sulla scia di Caino, avrebbe portato i popoli a trasformarsi da nomadi in sedentari. Il "possesso" di cui è qui questione è legato, tuttavia, non solo all'iniziale popolamento della Terra, ma soprattutto alla costruzione delle città, prima tra tutte Henochia, in quanto espressione fattuale di un sapere che necessariamente presuppone la padronanza delle arti e della geometria e della metallurgia. Tale considerazione offre l'opportunità di soffermarci sui significati della radice -qnh che ritroviamo in Caino e nei nomi composti 47 o derivati, come "Cainiti" (-qyny). Gli elementi "q" e "n" compongono tanto la radice qnh quanto qyn, rispettivamente significanti sia l'atto del "creare", quanto quello di "acquisire", il che legittima due ordini di interpretazioni. Per la prima si evoca un "atto di creazione" orgogliosamente rivendicato, come vuole la tradizione ebraica, da Eva stessa che si vanta di aver "generato un uomo da un angelo del Signore". Più esplicitamente ancora le leggende ebraiche annotano che: "La malvagità venne al mondo insieme al primo nato di donna, Caino [...] dopo la caduta di Eva, Satana si accostò a lei sotto le spoglie del serpente e il frutto della loro unione fu Caino, capostipite di tutte le generazioni empie che si ribellarono a Dio e insorsero contro di lui" 48 . In altri passi delle più antiche tradizioni ebraiche Caino è detto Diafotus49, cioè "pieno di luce", riflesso non solo della sua origine (è figlio di Lucifero) ma altresì per il rapporto che Caino (J^) contrae con Saturno (Kewan, JT*3), che costituisce per gli ebrei la "stella del male", che reca sventura a Israele. Al pari di Lucifero, Caino è detto provenire dal "fuoco", un concetto presente in particolare nella tradizione iranica ed araba, anche se queste non si spingono 46 Circa l'interpretazione latomistica di Tubai Cain nella Libera Muratoria si veda M. Bizzarri, A proposilo della figura di Tubai Cain in Massoneria, Arkete, Atanor, Roma, vol. I, 2004, p. 4-29. 47 Jabal viene per esempio descritto come il "padre di coloro che possiedono ovini", miqneh in ebraico; nel termine ricompare di nuovo la radice -qnh. 48 L. Ginzberg, Le Leggende degli Ebrei, Adelphi, Milano, 1995,1, p. 109. 49 Apocalisse di Mose, 1. Circa il rapporto con Saturno si veda Barayata 'de-Mazlot 27a, 33.

tanto oltre da identificare in Iblis il padre "effettivo" ma preferiscono, così come la Qabbalah, parlare di una discendenza "spirituale" di Caino da Satana 50 . La tradizione per la quale Caino - "figlio del fuoco" - discende dai lombi del capo degli "angeli ribelli" è quindi attestata dalla Tradizione ebraica e forse suggerita dalle fonti arabe non coraniche 51 . È tuttavia dubbio che Nerval che peraltro non conosceva né l'ebraico né l'arabo - abbia potuto trarre ispirazione da queste. Il valore delle fonti prima citate, e che riflettono il clima di eterodossia vigente in Palestina 52 fino ad almeno il III secolo a.C., va inquadrato nell'ambito delle correnti gnostiche precristiane, alcune delle quali si sono poi continuate fino ai nostri giorni, non senza essersi prima "islamizzate" in superficie. Ed è proprio da queste - e non già da fonti letterarie - che Nerval ha acquisito nella sua completezza (e coerenza) il segreto di una Tradizione deviata e completamente alternativa a quella tramandata dalle sacre scritture, tanto cristiane quanto islamiche 53 . 50

La Tradizione musulmana fa di Caino (Quabil) un pagano devoto alla materia che, dopo essere fuggito da Adamo, incontra Iblis. Questi "[...] si recò da lui (Quabil) e disse: 'Il fuoco ha divorato il sacrificio di tuo fratello perché egli adorava il fuoco. Accendi anche tu un fuoco per te e la tua discendenza'. Così costruì un tempio al fuoco e si dice che fu il primo adoratore del fuoco [...] voglio che tu sia del Fuoco. [...] e quando il Corano parla di quelli del Fuoco allude sempre ai negatori" (cit. in: I. Zillio-Grandi, Il Corano e il Male, Einaudi, Torino, 2002, p. 124-125). L'empietà di Caino viene infatti ricondotta dal Corano (che non nomina mai Caino in quanto tale) alla radice kufr (= negatore), in quanto "negatore" di fronte alla creazione, colpa tra le più gravi. Circa la Qabbalah (cfr. Yalqut Re'ubeni commento a Genesi, 4,1; cfr. L. Ginzberg, Le Leggende degli Ebrei, Adelphi, Milano, 1995,1, p. 313, n. 3) questa preferisce ripiegare sull'allegoria quando afferma che "Caino era figlio spirituale di Satana poiché Eva aveva seguito il suo insegnamento menzognero". 51

In una nota Ginzberg avanza l'ipotesi per la quale Filone di Alessandria sembra conoscere l'origine "celeste" di Caino (considerato che la sua concezione avvenne nel Paradiso terrestre, prima della caduta), attribuendone la paternità a Satana (cfr. L. Ginzberg, Le Leggende degli Ebrei, Adelphi, Milano, 1995,1, p. 326, nota 44). A suo sostegno fa riferimento ad un passo di Filone (Il Malvagio che tende a sopraffare il Buono, 48), dove invero non è assolutamente questione della discendenza di Caino. Abbiamo voluto segnalare questa discrepanza nella pur straordinaria opera del Ginzberg perché erroneamente tende ad avvalorare l'ipotesi per cui la discendenza "satanica" di Caino fosse conosciuta dagli ambienti alessandrini del II-III sec. d.C. e per loro tramite fosse pervenuta in qualche modo alla Tradizione cattolica. Un accenno ambiguo circa la diversa origine di Caino si trova in Ireneo (Contro le eresie, 1,30,9 e 1,31,1-2), dove viene detto che, stando alla dottrina degli Ofiti, Adamo ed Eva si "unirono carnalmente e generarono Caino: ma il serpente [...] lo accolse tra i suoi figli e lo ingannò". A proposito della misteriosa setta dei Cainiti, Ireneo sottolinea come questa affermi che "Caino deriva dal Principatasupcriore (cui Yehovah è subordinato)" e non sia pertanto figlio di Adamo. J 2 M. Baldacci, Prima della Bibbia, Mondadori, Milano, 2000. 53 In realtà, come vedremo, frammenti di questa "Tradizione" sono sopravvissuti nelle pieghe

I Cainiti Caino, condannato ad errare dopo aver compiuto l'uccisione del fratello Abele, fondò una prima città - Hénochia - e successivamente altre sei, destinate ad essere popolate dalla sua stessa discendenza, i Cainiti 54 . Troviamo ora la più compiuta spiegazione della radice da cui proviene il nome proprio. Caino viene infatti descritto come il primo "edificatore" di città, e i suoi ultimi discendenti vengono accreditati della paternità di una o più arti (musica, tessitura, metallurgia e conoscenze occulte 55 ); si può pertanto ritenere che tra "creare" e "acquisire": "[...] Esista tematicamente una connessione. Caino e la sua progenie creano (città, musica, strumenti e armi) ed acquisiscono (proprietà, mogli e i frutti della vendetta)" 5 «.

Più specificamente, la radice -qyn sembra designare "l'attività del fabbro" e tale è il significato che assume, nel contesto della parola Cainiti, la "razza" di "lavoratori metallurgici" condannata ad abitare il deserto teatro delle peregrinazioni di Israele 57 . Tuttavia, mentre per quanto riguarda la lingua ebraica la radice -qyn compare esclusivamente nei nomi propri di persona o di popolazioni, in arabo ed aramaico la stessa è associata ad una più ampia gamma les-

dell'occultismo, dell'arte e della letteratura, tant'è che riflessi ne possono essere trovati anche là dove meno ce lo attendiamo. Dobbiamo ad una segnalazione dell'amico Enrico Quattrocchi, il seguente spezzone di conversazione tra il personaggio creato da Hugo Pratt (Corto Maltese) ed un Dancalo, proprio in merito ai Cainiti: "Io non sono un infedele, sono un Beni Cain. Nostro padre Cain, figlio di Adamaie di Hua. Noi Cainiti cerchiamo ancora il paradiso perduto per restituirlo a nostra madre. Ma siamo anche i figli della vendetta" (Le Etiopiche, Mondadori, 2002). 54 Secondo i commentatori islamici (cfr. Al.QurtubT, Gami' al-ahkam H-al-Qur'àn al-mubayyin li-ma tadamma-na min al-sunna wa ayat al-furqan, Dar-al-Kutub al-'limiyya, Beirut, 1413/1993, voi. VI, p. 89) a Caino venne destinata una femmina di ginn, un "dementale" o un demone chiamata gàmàla. I Cainiti discenderebbero da questa unione "blasfema". 55 Esiste una stretta interdipendenza tra le arti della costruzione e della geometria e quelle della metallurgia. Dedalo, architetto del ben noto labirinto, era altresì fabbro e in quanto tale protetto da Atena (Apollodoro, Biblioteca, L. Ili, 15, 8; Igino, Fabula, 39), protettrice in Roma - sotto le vesti di Minerva - sia delle corporazioni dei fabbri, così come di quelle degli edili e costruttori (A.P. Torri, Le Corporazioni Romane, Roma, 1941, ristampa anastatica: Settimo Sigillo, Roma, 1998). 56 Anchor Bible Dictionary, voce "Caino". 57 Ibidem, voce "kainiti".

sicale, ma comunque sempre con il significato di "fabbro" 58 . Il significato esoterico di possessio orbis, in tale contesto, trova appunto fondamento nella capacità reale di "creare" ed "acquisire", nel mentre la disponibilità di conoscenze capaci di trasformare concretamente la vita dell'Uomo59 allude inequivocabilmente ad un sapere segreto. Si tratta ovviamente del primo deposito sapienziale, molti elementi dei quali sono stati trasmessi a Tradizioni successive, mentre altri - e questo è il fondamento della sostanziale ambivalenza del riferimento simbolico a Tubai Cain - hanno finito con l'essere rimossi, letteralmente "sepolti", pur permanendo, in forma più o meno monca o distorta, nell'ambito di una dottrina deviata di carattere essenzialmente ermetico cui va attribuito in qualche modo l'esaltazione del lato "malefico" associato a Tubai Cain e, più in generale, a tutto ciò che riguarda la simbologia dei metalli. Le leggende ebraiche sottolineano per l'appunto che: "Tubai Cain fu degno del suo nome 6 0 poiché portò a compimento l'opera del suo avo Caino. Se questi aveva commesso un omicidio, Tubai Cain fu il primo che apprese ad aguzzare il ferro e il rame e forgiò gli strumenti usati nelle guerre e nelle battaglie" 61 .

58 J.F.A. Sawycr, Cain and Hephaestus. Possible Reiics ofMetalworking Traditions, in Genesis 4, Abr-Nahrain, 1986, 24:155-66; si veda altresì A.F.L. Beeston et al., Sabaic Dictionary (English-French-Arabic), Beirut and Louvain-la-Neuve, 1982. In aramaico il termine Kayin indica sia i Cainiti - intesi come "fabbri" - sia la "spada", come riportato nell'Antico Testamento (2 Samuele, 21,16). Va rilevato come la radice -qyn venga incorporata nel termine ebraico qinà, cioè "sogno", il che ci rinvia a Naamah, parola che in ugaritico indica l'attività onirica. In Zohar I, 9b e II 80, si specifica come Naamah - al pari di Lilith con cui viene senz'altro identificata - compaia in sogno agli uomini in relazione alle pratiche magiche di due cainiti, Qastimon e Afrira, quest'ultimo assimilato dalla tradizione islamica ai demoni Afrites. Altri testi tradizionali ebraici insistono sugli incubi provocati da Naamah (Zohar, 1,55) e sul ruolo malefico delle sue melodie (Targum Yerusalmi 1 e 2). Data la complessità e l'ambivalenza simbolica della sorella di Tubai Cain si rinvia alla documentazione presente in L. Ginzberg, Le Leggende degli Ebrei, Adelphi, Milano, 1995,1, p. 109 e s. Circa l'aspetto "benefico" di Naamah e il suo significato iniziatico si veda in M. Bizzarri, La via iniziatica, Atanor, Roma, 2002, p. 78 e s. 59 "Egli (Caino) trasformò la semplice esistenza condotta dagli uomini sino ad allora", L. Ginzberg, Le Leggende degli Ebrei, Adelphi, Milano, 1995,1, p. 118. 60 Va rilevato che nell'ambito delle lingue semitiche il termine baal (bai) significa "signore". La lettura Tu-baal-cain potrebbe allora giustificare un'interpretazione non alternativa, bensì complementare, per cui il nome in oggetto designerebbe "Il Signore Caino", con ciò rimarcando in Tubal-Cain la discendenza che promana da Caino, il primo fabbro e il primo costruttore (J. Bryant, Analysis of Ancient Mythology, T. Payne, London, voi. I, 1774 - 3a ed. definitiva in 6 voi. 1807 - p. 139 e s.). 61 L. Ginzberg, Le Leggende degli Ebrei, Adelphi, Milano, 1995, I, p. 120.

Come sopra accennato, a Tubai Cain viene attribuita la conoscenza di segreti inscritti su tavole 62 , inizialmente redatte da Adamo 63 , inerenti quel deposito della prisca sapienza che doveva essere salvaguardato dall'incombente diluvio. È invero sorprendente che il Nerval fosse in qualche modo consapevole di tale dato, anche se ne distorce il senso profondo quando, nel Voyage en Orient, fa dire a Caino: "[Tubai Cain] ha domato i metalli, ha acceso la prima forgia. Dando agli uomini

l'oro, l'argento, il rame e l'acciaio, ha sostituito con questi elementi l'albero della scienza.

L'oro e il ferro li eleveranno alla sommità della potenza, e saranno per loro

tanto funesti dal vendicarci di Adonai [...]" 64 .

Il racconto biblico e le leggende ebraiche ci informano del fatto che Caino, cui era stato impresso un marchio di riconoscimento, fu scacciato dalla sua famiglia e venne relegato in 'Eres, la più "bassa" delle sette terre, "che è oscura, senza un raggio di luce e completamente deserta"65. Anche la terra venne

« Yerahme'el, XXIV, 7-8. 63 Enoc 2 (Enoc slavo), XXXIII, 10. A tale trasmissione di conoscenze iniziatiche fanno altresì riferimento numerose leggende massoniche (cfr. W. de Donatis, Iprimi catechismi muratori, Bastogi, Foggia, 2001; E. Bonvicini, Massoneria Antica, Atanor, Roma, 1989) che attribuiscono, alternativamente ad Henoch o a Tubai Cain e ai suoi fratelli, la realizzazione di due pilastri - capaci di resistere al fuoco e all'acqua - su cui vengono riportati ed inscritti i "segreti" che occorrerà salvaguardare dal cataclisma, per essere trasmessi alle generazioni successive quali germi del nuovo futuro. L'operazione in questione - che porta alla costruzione di una sorta di Arca dei simboli - è da pone in relazione analogica conia missione salvifica di cui si fa carico Noè e ne costituisce, per così dire, l'equivalente sul piano esoterico (cfr. M. Bizzarri, "La cerca del Graal in Massoneria", in Massoneria Oggi, 2/1997, p. 43). 64 G. de Nerval, Le Voyage en Orient, in: Œuvres Complètes, Gallimard, La Pléiade, Paris, 1989, vol. II, p. 725. Questo tema viene più volte ripreso ed elaborato dal poeta francese, non solo nel Voyage en Orient, ma altresì in Aurélia, Œuvres complètes, Gallimard, La Pléiade, 1984, vol. Ili, VII-VIII. 65 L. Ginzberg, Le Leggende degli Ebrei, Adelphi, Milano, 1995,1, p. 116. Questa descrizione va di pari passo con quella riportata in Genesi (4,14), dove viene fatta un'ambigua allusione alla "cacciata" di Caino dal "suolo" e dalla necessità che abbia a nascondersi lontano dallo sguardo di Dio (sottoterra?). Questi imprimerà sulle sue carni un segno. Il particolare sembra voler significare come la discendenza di Caino - per quanto soppiantata da quella di Set, il terzo figlio di Adamo ed Eva - sia destinata a perpetrarsi (seppure "occultata") sino alla fine dei tempi e che sia in qualche modo riconoscibile da alcuni signa ben visibili. È innegabile come tutto questo sia in rapporto alla leggenda dei popoli sotterranei di cui la letteratura ottocentesca si è tardivamente "riappropriata".

associata al suo castigo: smise di dare frutti e gli scarni raccolti che a fatica venivano ottenuti persero le loro originarie proprietà 66 . Ai Cainiti venne permesso di risiedere nella terza terra, ' Arqa, per coltivarvi alberi anche se: "Non hanno frumento né alcuna delle sette specie. Alcuni Cainiti sono giganti, altri nani. H a n n o d u e teste e quindi non p e r v e n g o n o mai a una d e c i s i o n e e s o n o sempre in lite con se stessi [...] gli abitanti sono esperti in tutte le arti e versati in ogni ramo della scienza e della conoscenza" 6 7 .

Sulla base di quanto riportato dai testi della tradizione mediorientale non è chiaro cosa sia avvenuto di questa particolare "razza" d'uomini. Mentre alcuni passi ricordano che "I [...] discendenti [di Caino] furono tutti empi e scellerati come lui e perciò Dio decise di sterminarli" 68 , altri, soprattutto di origine talmudica e biblica, accennano al fatto che il castigo venne limitato alle prime quattro o sette generazioni 69 . Sta di fatto che nella Bibbia possono essere rintracciati numerosi riferimenti ai Cainiti (o Keniti) considerati come una delle prime dieci popolazioni abitanti la Palestina al tempo di Adamo 70 , classe di "fabbri itineranti", il più delle volte schierati contro Israele, finendo talvolta con l'essere confusi con i nemici di quest'ultimo (Amaleciti, Moabiti, Edomiti): "Poi [Balaam] vide i Keniti, pronunciò il suo poema e disse: "Sicura è la tua dimora, o Caino, e il tuo nido è aggrappato alla roccia. Eppure sarà dato alla distruzione" 71 .

66

La "maledizione" che colpisce la terra è da mettere in relazione con la perdita della visione di Dio (cfr. Tan Bere 'sii, 9; Filone, La posterità di Caino, 1,1 "E Caino si allontanò dalla faccia di Dio" ed è da considerare in rapporto analogico con la gaste terre "terra desolata" dei romanzi del Graal, che consegue alla perdita della possibilità reale di mettersi in comunicazione con Dio (a causa di una maledizione o per la perdita del Graal). 67 L. Ginzberg, Le Leggende degli Ebrei, Adelphi, Milano, 1995, I, p. 117. Va rilevato come questa collocazione costituisca una dura punizione (anche se migliora quella del capostipite Caino, confinato nella "prima" terra). Nella quarta terra finirono con l'essere relegati gli abitanti di Babele, mentre la prima - Tevel - è quella abitata dagli uomini propriamente detti. 68 L. Ginzberg, Le leggende degli Ebrei, Adelphi, Milano, 1995,1, p. 118. 69 Per un'ampia trattazione di questo tema complesso si veda in L. Ginzberg, Le Leggende degli Ebrei, Adelphi, Milano, 1995,1, p. 111-148; sul fatto che Caino (e la sua discendenza) abbiano beneficiato di una "indulgenza" da parte di Dio, che dopo la condanna ebbe a "mitigame" la sorte, si veda sempre in Ginzberg e altresì in I. Zilio-Grandi, Il Corano e il Male, Einaudi, Torino, 2002, p. 117-143. ™ Genesi, XV, 19. 71 Numeri, XXIV, 22. Il riferimento alla "roccia" fa pensare che i Keniti abitassero i regni di Edom e/o di Madian (cfr. Anchor Bible Dictionary).

Quasi ovunque i Cainiti sono descritti come fabbri e/o maghi itineranti, a cominciare dalle cronache egizie che, in corrispondenza della III dinastia (circa 2800 a.C.), parlano di una "razza"straniera - Kajn, Kaìnim, Béni-Kenim - impegnata nelle miniere di turchese e di rame del Sinai72. Va sottolineato che esiste una stretta parentela etimologica tra "lavoratore del rame" e "serpente" in ebraico: il rame è detto nàhash, mentre il serpente è chiamato nahash\ i Cainiti sono infatti esperti metallurghi, e quindi lavorano in primo luogo il rame e il bronzo. R. Eisler ha potuto decifrare le iscrizioni di carattere semitico che figurano sugli ex-voto del tempio di Iside-Hator, situato a Sérabit, nel cuore del distretto minerario, e vi ha ritrovato di nuovo i nomi dei "Kainiti" o "Kéniti" 73 . Questi elementi sembrano attestare l'esistenza di una popolazione di origine ebraica, esplicitamente assimilata ai Cainiti, esperta nelle arti minerarie e in quelle metallurgiche che, in epoca antichissima, era venuta a stanziarsi in Egitto. Non è ben chiaro quale sia stata la sorte di queste popolazioni e se abbiamo o meno seguito Mosè nel corso dell'esodo. Le segnalazioni successive relative ai Cainiti ne sottolineano quasi sempre il carattere empio e narrano delle tremende persecuzioni cui furono oggetto, soprattutto da parte di Saul e di Davide. Un'importante eccezione è costituita dal suocero di Mosè, un "sacerdote di Madian" (Reuel) 74 o il Cainita Oab 75 . Questa seconda versione (jahvista) è altresì quella che sottolinea i rapporti di alleanza stabilitisi tra una parte dei Cainiti e la tribù di Giuda. In tutti i casi il suocero di Mosè si distacca dai suoi fratelli guidati da Eber 76 per seguire il genero, mentre il resto dei Cainiti si coalizzerà con i Moabiti e gli Amaleciti, spingendo gli Israeliti verso pratiche politeistiche fino a che Mosè non li sterminò 77 .1 Cainiti fedeli al suocero di Mosè avrebbero abitato la penisola del Sinai e sarebbero stati risparmiati da Saul 78 72

R. Eisler, Die kenitischen Weih-inschriften der Hykoszeit im Bergbauge biet der Sinaihalbinsel u.a. aus der Zeit der XII, bis XVIII Dinastie, Freiburg, i.B.,1919, p. 120. 73 Ibidem. 74 Esodo 2,16. 7 5 Giudici, 1,16. 76 Giudici, 4,11. 77 Numeri, XXIV,22-24. 78 Ad eccezione dei Cainili discendenti dal suocero di Mosè (abitanti Arad e alcune aree della penisola del Sinai, limitrofe ai territori di Madian), il ceppo principale venne a distribuirsi nei territori della tribù di Giuda, in stretta prossimità delle tribù di Edom e di Amalek. Contro questi non solo Saul, ma altresì suo figlio David, promossero numerose campagne di sterminio (cfr. I Samuele, 27,10; 30,29). Le aree di stanziamento dei Cainiti sono tutte ricche in miniere di rame; una di queste antiche città, da cui proveniva Rechab, una volta chiamata

nella campagna di distruzione contro gli Amaleciti 79 il cui destino è peraltro strettamente legato a quello dei Cainiti "ribelli". Va ricordato come Nerval, in Antéros, si rivolga alla "madre" ricordando che essa è una Amalecita...

lr-Nahash (cfr. I Cronache, 4,12-14), è da tempo conosciuta come Khirbet-Nahash ("rovina del rame" o "rovina della città del rame"). E importante sottolineare che il ramo cainita che viene sottratto allo "sterminio", e che presumibilmente doveva costituire l'aspetto "benefico" di una Tradizione - per l'appunto quella metallurgica - che andava necessariamente salvata, finirà con l'essere integrato alla tribù di Giuda (cfr. Giosuè, 14,6-14). Da questa, lungo una successione continua che parte da Caleb, passa per la famiglia di Iessee quindi di Davide (/ Samuele, 16, 1 -12), si giunge fino a Gesù. Così efficacemente T. Federici ne riassume la discendenza: "In Genesi 15,19 il Qenita è considerato come un popolo antico che secondo la Promessa e l'alleanza (Genesi 15,1-18) la discendenza di Abramo è chiamata a possedere come parte integrante della terra promessa". In Numeri 24,21 si dice che i Qeniti sono discendenti di Caino, la loro terra è dove poi sorgerà Betlemme. In un passo successivo (34,19) con Giosuè sono raccolti, per la spartizione della terra conquistata, i capi delle dodici tribù di Israele. A capo della tribù di Giuda sta Kaleb detto Qenizita, a cui Giosuè assegna una porzione della terra di Giuda. I Qeniti sono dunque "una sottotribù di Giuda", la loro terra sta nella "parte montagnosa", con capitale Hebron. Essa comprendeva la Betlemme di Kaleb, attraverso la sua sposa Efrata. Tali Qeniti si possono chiamare con termine esplicitato e svolto Cainiti" (cit. da A. Socci, Il Foglio, I marzo 2001). E evidente che dietro questa complessa genealogia del Cristo si cela un importante significato, che investe tanto l'aspetto exoterico quanto quello esoterico. Per il primo: "Cristo Signore così riassume in sé ogni Caino d'ogni tempo, per salvarlo" [...] e Gesù dunque è "il segno" che Dio aveva posto sopra Caino "per cui questi ha salva la vita" (Ibidem). Il secondo aspetto ha inevitabilmente a che vedere con il lato "benefico" inerente le arti del fabbro, e rinvia pertanto al significato iniziatico che queste - per il tramite della figura di Tubai Cain rivestono nell'ambito delle corporazioni latomistiche. 79 I Samuele, XV,6. I Cainiti "salirono dalla città delle palme con i figli di Giuda nel deserto di Giuda, a mezzogiorno di Arad; andarono dunque e si stabilirono in mezzo al popolo" (Giudici, 1,16); il riferimento biblico è attestato dal rinvenimento di un importante santuario in Arad i cui sacerdoti furono da allora i discendenti dei figli del "suocero di Mosè, il Kenita" (Giudici, 1,16). È probabile che questi frequenti riferimenti ad un ramo della tribù cainita che di distacca dal tronco principale, oggetto di maledizione e persecuzione, per essere "recuperato", velino un importante segreto, pertinente forse il recupero di conoscenze segrete inerenti l'arte della metallurgia e che si sarebbero senz'altro disperse senza l'intervento di Mosè. Con buona pace di R. Ambelain, i cui scritti costituiscono un esempio tra i più luminosi di ciò che riesce a conseguire la sovversione controiniziatica, non è affatto vero che il sacerdote di Madian, oltre ad esserne il suocero, sia anche stato "l'initiateur de Moi'se pour une bonne partie des traditions qu'il a laissées à Israel", né tantomeno ché egli abbia ricevuto dai Cainiti "il nome di Dio" (YHWH), come inopportunamente lascia intendere YAnchorBible Dictionary (voce: "Kenite"). La rivelazione del nome ("io sono colui che è") venne infatti data a Mosè - e solo a lui - nel corso dell'ascensione del Sinai (cfr. Esodo, 3,13-16). Peraltro, anche Mosè riceverà un Segno (cfr. Esodo, 3,12), per far sì che egli venga riconosciuto come "mandato" dal Signore. L'analogia con Caino, anche se è qui ovviamente "rovesciata", è evidente.

Sarebbe un errore ritenere che i Cainiti si siano estinti e costituiscano esclusivamente oggetto di ricerche erudite. I membri della confraternita, che hanno continuato ad esercitare in prevalenza la pastorizia e l'arte del fabbro, conservando le loro caratteristiche di semi-nomadismo, sono stati individuati nel deserto del Sinai e in Siria, almeno fino alla prima metà del secolo scorso 80 : in una fotografia del 1918 sono ritratti alcuni "fabbri" Keniti (Cainiti), che recano ancora sulla fronte il "marchio di Caino": una croce con avvolta una spira a mo' di serpente. Va osservato che per quanto concerne le tribù stanziate nel Nord-est della Siria - al confine iracheno, presso Mosul - queste possono essere entrate in stretti rapporti con le popolazioni autoctone, in primo luogo gli Yezidi, i Sabei ivi immigrati e, per il tramite di questi, con i Curdi della setta degli Ahl-e Haqq. Ciò rende ragione di come elementi tradizionali propri del Cainismo possano essere stati trasmessi ed integrati nella misteriosofia di queste sette che presentano, per quanto concerne le fondamenta del loro credo, un sostrato indiscutibilmente comune. Non abbiamo elementi per affermare che questa etnia, il cui credo religioso si pone in opposizione al Dio di Israele, fosse in possesso di un qualche deposito di ordine esoterico. È certo che, a partire dal I-II secolo d.C. emergono alcune sporadiche segnalazioni in relazione ad una setta - i Cainiti, appunto caratterizzata da una specifica dottrina soteriologica incentrata sulla venerazione di Caino. Le informazioni di cui disponiamo provengono pressoché esclusivamente dai Padri della Chiesa (Ireneo in special modo) che collocano invariabilmente i Cainiti nel contesto delle sette "ofitiche", per le quali la venerazione del "serpente" - ipostasi del principio benevolo che si contrappone al malvagio dio dell'Antico Testamento - assume un'importanza centrale. La rivalutazione escatologica della figura del serpente si accompagna tuttavia ad una complessa elaborazione cosmologica e dottrinale che invero differisce su alcuni aspetti essenziali qualora le scuole principali - Ofiti, Perati e Naasseni - vengano ad essere studiate nel merito. Per quanto concerne i Cainiti propriamente detti, a dispetto di quanto Ireneo afferma 81 , le informazioni che ci fornisce in Contro le eresie, sono alquanto scarse, ma significativamente concordanti con quelle 80 R. Eisler, Die kenitischen Weih-inschriften der Hykoszeit im Bergbauge biet der Sinaihalbinsel u.a. aus der Zeit der XII, bis XVIII Dinastie, Freiburg, i.B.,1919, p. 76. 81 "Ho già raccolto molti loro scritti in cui esortano a distruggere le opere di Istera. Chiamano Istera il creatore del cielo e della terra, e affermano che non si possono salvare altrimenti se non passando attraverso tutte le cose, come disse anche Carpocrate" (Ireneo, Adv. Haeres., 1,31,2).

di altri autori, tanto esplicite da consentire una chiara differenziazione tra questa e le altre sette ofitiche. Scrive Ireneo: "Altri ancora dicono che Caino deriva dal Principato Superiore e confessano che Esaù, Core e i Sodomiti e tutti i loro simili sono loro parenti; e per questo sono stati combattuti dal Creatore [...] dicono che Giuda conobbe accuratamente queste cose e proprio perché egli solo conosceva la verità meglio più degli altri, compì il mistero del tradimento. Per mezzo di lui si sono dissolte tutte le cose terrestri e celesti. Presentano tale invenzione chiamandola il Vangelo di Giuda" 82 .

Dal canto suo Ippolito ritiene la setta tanto insignificante da non doverle accordare che una fugace menzione 83 , e altrettanto può dirsi di Tertulliano che, nell'accostare i Cainiti ai Nicolaiti, rimarca che i primi "mangiano la carne dei sacrifici idolatri e [...] commettono fornicazione" 84 . L'accento posto sulle sfrenatezze sessuali - in primo luogo la sodomia - stona in qualche modo nel panorama complessivo delle sette gnostiche che al riguardo assumono posizioni generalmente caratterizzate dal reciso rifiuto del commercio carnale 85 . L'esaltazione della sessualità e l'enfasi posta sulle pratiche contro naturam considerate alla stregua di un rito magico - è altresì molto marcato in una ulteriore setta nota come Quintiliani (dal suo fondatore Quintili), in tutto e per tutto indistinguibile dai Cainiti. Esiste uno stretto legame tra i Cainiti e la discendenza degli "angeli ribelli". Innanzitutto perché: "Naama, la bellissima sorella di Tubai Cain sedusse gli angeli con la sua avvenenza j e si unì a Semadon generando il demonio Asmodeo. Era impudica c o m e tutti gli i altri discendenti di Caino e dedita come loro a perversioni bestiali" 86 . j !

E opportuno sottolineare che Asmodeo - cioè un Cainita abitatore del mondo oscuro, sotterraneo, discendente dagli angeli ribelli - è presente come statua proprio all'ingresso della chiesa di Rennes-le-Chàteau, e questo particolare ci tornerà utile in seguito. Ma c'è di più: — 82

Ireneo, Adv. Haeres., I, 31,1. Del Vangelo di Giuda fa menzione anche Epifanio (cfr. Epifanio, Adv. Haeres., XXXVIII, 1). 83 Ippolito, Philosophumena, L. VIII. 84 Tertulliano, Adv. Haeres., XXIII, 7. 85 Eccezioni importanti, ma in cui l'atteggiamento antinomista rispetto al decalogo dell'Antico Testamento non è poi così pronunciato, sono costituite dai Basiliani, dai Carpocratiani e dagli Ofiti. 86 L. Ginzberg, Le Leggende degli Ebrei, Adelphi, Milano, 1995,1, p. 146; cfr. Zohar, 1,155.

"Quanto agli angeli, non appena si ribellarono a Dio e scesero sulla terra, si rivestirono di corpi sublunari, cosicché poterono unirsi alle figlie degli uomini. Da questi accoppiamenti tra gli angeli e le donne cainite nacquero i Giganti, famosi per la loro forza e la loro empietà" 87 .

L'unione di cui è qui questione fa riferimento alla trasmissione di conoscenze e saperi "segreti", anche se altri significati non devono essere esclusi, ivi compreso quelle pertinente la perpetuazione di una genia su cui avremo modo di ritornare. Questa "filiazione", comunque la si voglia considerare, ci ripropone uno dei più controversi temi dell'esegesi sacra: il mito degli "angeli ribelli".

Gli angeli ribelli Questa diretta filiazione tra Eblis (Iblis) - l'angelo di Fuoco - e Caino e la sua progenie (Cainiti e Giganti), viene rivendicata a chiare lettere dal poeta francese che la colloca all'interno del mito della rivolta degli angeli, un tema che ha rappresentato per lui un'autentica ossessione. Ne tratta infatti a più riprese e in diversi scritti. Per Nerval l'epopea degli "angeli decaduti" assume indiscutibilmente una valenza positiva: "[...] Il sangue degli angeli ribelli, sparso sulla terra, è la bevanda di cui si inebria [...] Il mio pensiero risaliva a prima ancora: intravedevo, come in un ricordo, il primo patto stipulato da j i n n p e r mezzo di talismani. Avevo cercato di raggruppare le pietre della Tavola sacra e di raffigurare tutt'intorno i sette primi Eloim che si erano spartiti il mondo" 8 8 .

L'articolazione delle gerarchie angeliche in sette categorie è propria dell'angelogia ebraica e la ritroviamo già ampiamente sviluppata in Enoch, e tuttavia l'idea di un mondo retto da sette potenze messe in rapporto con i sette pianeti risente in modo diretto dell'influsso zoroastriano e non è un caso che la troviamo ampiamente sviluppata nell'ambito della tradizione degli Yezidi e degli El-Hacq™. 87

Ibidem. Aurelio, I, VII. Il corsivo è nostro. 89 Su questo tema si veda: Nur Ali-Shàh Elàhì, L'Esotérisme Kurde, Albin Michel, Paris, 1966; G Furlani, La Religione dei Yezidi, Bologna, 1920. 88

Peraltro concetti analoghi sono espressi da Court de Gebelin 90 e da Martines de Pasqually 91 , due autori di cui Nerval aveva ottima conoscenza 92 . Per Pasqually: "L'Eterno [...] donò al settimo giorno sette doni spirituali e associò sette Spiriti principali a tutta la sua creazione per sostenerla nelle operazioni temporali, in accordo con la durata settenariache Egli le aveva fissato. La cooperazione dei sette principali Spiriti è mediata nel mondo fisico dall'azione dei sette pianeti che [...] custodiscono l'Universo" 9 3 .

Nerval percorre un medesimo ragionamento quando si domanda: "Perché non dovremmo convenire che a questi astri sono ricollegati degli spiriti e

che i primi uomini hanno potuto mettersi in rapporto con questi attraverso il culto e i monumenti!"94. In Aurelia - e in altri scritti di Nerval - il settenario viene ad assumere una rilevanza tutta particolare, soprattutto ove si consideri che viene evocato sempre in associazione agli angeli, rispetto ai quali il poeta francese mostra un'attenzione che può trovare riscontro solo nei testi degli occultisti di fine secolo. Nerval accenna a queste fonti occidentali, seppure molto vagamente e il più delle volte in qualche nota minore a piè pagina. È invece del tutto improprio il volere attribuire a fonti islamiche la sorgente primaria di tale costrutto, cercando in modo surrettizio di voler così convalidarne il carattere tradizionale ed omettendo di sottolineare come una tale centralità dell'angelogia siainvece presente nelle dottrine di organizzazioni sincretistiche pseudo-islamiche, prepo90 91

Court de Gebelin, Le Monde Primitif, Paris, 1775-1778. G van Rijnberk, Un thaumaturge au XVIII siècle, Martines de Pasqually, Alcan, Paris,

1935. 92

Per sua stessa ammissione Nerval aveva avuto modo di studiare i testi della Qabbalah ("Avevo raccolto alcuni libri di cabala. Mi sprofondai in questo studio, ed arrivai a persuadermi che tutto era vero in ciò che su questi testi lo spirito umano aveva accumulato nei secoli. La convinzione che mi ero formata dell'esistenza del mondo estemo coincideva troppo bene con le mie letture perché io dubitassi ormai delle rivelazioni del passato", Aurelia, 11,1). Resta da vedere cosa Nerval intendesse realmente per "cabala": non è escluso che faccia piuttosto riferimento a testi occultistici - di cui la sua biblioteca era fornitissima - genericamente considerati come "cabalistici". 93 R. Le Forestier, La Franc-Maçonnerie Occultiste au XVIIIe siècle et l'Ordre des Elus Cohen, Paris, 1928, p. 54-55. 94 G. de Nerval, Le Voyage en Orient, in: Œuvres Complètes, Gallimard, La Pléiade, Paris, 1989, vol. II, p. 777. Il corsivo è nostro.

tentemente influenzate dai residui dello zoroastrismo persiano. In particolare tra i seguaci della confraternita EI-Hacq e tra gli Yezidi: "Gli angeli - melek [...] hanno prerogative quasi divine. Essi sono sette di numero, come nella religione dell'Iran. Al di sotto di questi i Yezidi adorano ancora altri esseri angelici [...] chiamati ized proprio come nella religione della Persia. 11 nome combina perfettamente con il nome che si danno in curdo i Yezidi - Ezidi o Izidi. La nostra setta sarebbe quindi [...] quella degli adoratori degli angeli'95.

E questo un particolare tutt'altro che secondario e che va tenuto a mente in relazione all'appartenenza di Nerval alla società segreta nota come Le Brouillard o Angelique in cui l'angelogia riveste un ruolo centrale anche se questa è considerata nel suo lato "magico" 96 . Eblis - conosciuto dagli Yezidi come "l'Angelo pavone" - avrebbe capeggiato la rivolta degli angeli e, una volta sconfitto dalle armate celesti, sarebbe stato scaraventato con loro sulla terra, relegato nelle profondità del sottosuolo. Contrariamente a quanto sostenuto da Devismes du Valgay97, per Nerval il loro rifugio non si collocherebbe in Egitto - sotto le piramidi - ma al di sotto delle montagne, nel Sud: "Tre degli Eloì'm con gli spiriti delle loro razze furono infine relegati nel sud della

terra, dove fondarono dei grandi reami. Avevano portato con loro i segreti della cabala divina che lega i mondi, e traevano la loro forza dalla adorazione di certi

95

G. Furlani, La Religione dei Yezidi, Bologna, 1920, p. 10. Uno dei pochi testi religiosi degli Yezidi tramandato in forma scritta - il Libro Nero - sottolinea la peculiarità della concezione angeleologica della setta. Contrariamente ad ogni insegnamento tradizionale, per il quale gli angeli sono emanazioni del Principio, per gli Yezidi questi sono propriamente creazioni dotate di autonomia ed apparentate a divinità a sé stanti: "(Dio = l'Angelo Pavone) creò sei dei dalla sua essenza e dalla sua luce. La loro creazione avvenne come quando un uomo accende una lampada da un'altra" (G Furlani, La Religione dei Yezidi, Bologna, 1920, p. 90). 96 Non sappiamo quanto e se Nerval conoscesse le opere del Campanella che, sulla scia degli studi di Pico della Mirandola, hanno particolarmente insistito su questo tema. Per una discussione su questo ampio e complesso problema, che esorbita i limiti dello studio in oggetto, si veda: D.P. Walker, Magia spirituale e magia demoniaca da Ficino a Campanella, Aragno, Torino, 2002; R. Lavatori, Gli Angeli, Marietti, Genova, 2000. 97 D. du Valgay, Recherches sur l'origine et la Destination des Pyramides, Paris, 1812. Nerval ha abbondantemente attinto dal Valgay, che indica nelle piramidi il luogo in cui gli angeli ribelli e i loro discendenti (i Giganti) si sarebbero occultati al momento del Diluvio. E quindi indicativo che su questo non trascurabile particolare il poeta si discosti dal suo mentore, suggerendo una interpretazione alternativa che, come vedremo, è direttamente mutuata dalla tradizione degli Ahl-e-Haqq.

astri a cui si rivolgono tuttora. Questi negromanti, messi al bando della terra, si erano accordati per trasmettersi la potenza. Attorniati da donne e schiavi, ciascuno dei loro sovrani si era assicurato di poter rinascere sotto la forma di uno dei suoi bambini. La loro vita era di mille anni. Dei potenti cabalisti li rinchiudevano, nel momento in cui la morte si avvicinava, in dei sepolcri ben custoditi dove essi venivano nutriti con degli elisir e delle sostanze conservatrici. Per molto tempo avrebbero conservato le apparenze della vita, poi, simili alla crisalide che fila il proprio bozzo, si addormentavano per quaranta giorni e poi rinascere sotto forma di un giovane bambino che sarebbe stato chiamato più tardi al comando. Nel frattempo le forze vivificanti della terra si esaurivano per nutrire queste famiglie, il cui sangue

- sempre lo stesso - scorreva nelle vene dei nuovi rampolli. All'interno di ampi sotterranei, scavati sotto gli ipogeie sotto le piramidi, avevano accumulato tutti i te-

sori delle razze precedentie certi talismani che li proteggevano dalla collera degli dei. E nel centro dell'Africa, al di là delle montagne della Luna e dell'antica Etiopia, che avevano luogo questi strani misteri" 98 .

In Aurelia si trovano al riguardo precisazioni inquietanti che attestano come Nerval non possa essere considerato un semplice curioso, ma un conoscitore attento di pratiche magiche proprie a dottrine pre-islamiche mediorientali. Più oltre specifica infatti che: "Una dea da cui si dipartivano raggi di luce guidava, in questi nuovi avatar, l'evoluzione rapida degli uomini. Si stabilì allora una distinzione delle razze che, partendo dall'ordine degli uccelli, comprendeva altresì le bestie, i pesci, i rettili:

erano i Dives, i Péris, le Ondine e le Salamandre; ogniqualvolta che uno di questi esseri moriva, rinasceva immediatamente sotto una forma nuova e più bella e cantava la gloria degli dei. Tuttavia, uno degli Eloìm ebbe l'idea di creare una quinta razza, composta dagli elementi della terra, e che venne chiamata la razza degli Afrites

Il proposito è qui fin troppo chiaramente esplicitato: la legittima sovranità dei primi dèi - quelli che Lovecraft avrebbe chiamato i Grandi Antichi - è stata usurpata dal "Dio geloso" (Yehovah) che ha relegato nelle "tenebre" gli "Eloi'm". Si tratta in qualche modo di scuotere dal loro "sonno" coloro che at98

Aurelio, I, VIII. Lo stesso concetto è ripreso nel Voyage en Orient dove Nerval sottolinea che "i corpi imbalsamati [...] dovevano rinascere al termine di una determinata rivoluzione degli astri [...] tutto sommato, osservavo, sono delle vere crisalidi umane da cui la farfalla non è ancora emersa": Questa evidenziazione non può non evocare le pratiche di magia "avatarica" che, proprio in quegli anni, avrebbero destato una più che sospetta attenzione da parte di alcuni ben definiti milieux occultistici. 99 Aurelia, 1, Vili.

tendono "l'eterno ritomo", propiziandone l'avvento per mezzo di pratiche evocatone ed "avatariche" che, se da un lato ricordano la "magia delle statue" descritta nellVl.sc/ep/o100, per altro verso prefigurano tutto un filone di magia operativa cui Nerval non fu certo estraneo se si presta fede - come si conviene - alla testimonianza contemporanea di Maxime du Camp 101 . Per Nerval: "Le divinità situate sugli astri non agiscono solo sulle diverse serie della creazione, ma presiedono ai destini tramite la congiunzione degli astri che influiscono sulla sorte dei popoli e degli uomini" 102 .

il che fa giustamente concludere a J. Richer: "Ecco dunque stabiliti alcuni punti fondamentali del sistema adotatto da Nerval: il Mondo è retto dalle cause seconde; le razze, i popoli, gli individui possono mettersi in rapporto per tramite del culto o grazie alla magia, con le Potenze, gli A A i o n di Filone d'Alessandria" 1 0 3 .

Il racconto nervaliano chiama in causa la "dea raggiante", prefigurazione della "regina del mezzogiorno", la cui ipostasi umana non è altri che Balkis, la Regina di Saba, gli "spiriti sottili" del mondo intermedio, e cioè gli elementari che nel testo vengono enumerati confusamente attingendo alla tradizione occidentale (ondine, salamandre) e, per quanto attiene ai peris, ai dives e agli afrites, rifacendosi ad una pretesa conoscenza dell'esoterismo islamico. In un'appendice al Voyage en Orient. Nerval sarà più preciso e spiegherà che: "I D i v e , i Jinn, gli Afriti e le Peri, appartenenti in origine ai quattro elementi, come le ondine, gli gnomi, le silfi e le salamandre delle leggende del Nord" 1 0 4 .

100 Su questo tema abbiamo fornito alcune delucidazioni nel nostro precedente lavoro, cfr. M. Bizzarri e F. Scurria, Sulle tracce del Graal, Edizioni Mediterranee, Roma, 1996, p. 154159. 101 La descrizione di una cerimonia d'evocazione operata da Nerval, sulla base di un rituale martinista, viene descritta da Maxime du Camp (Souvenirs littéraires, Paris, 1860), citato in J. Richer, Gérard de Nerval. Expérience vécue et création artistique, Trédaniel, Paris, 1987, p. 100 e s. 102 Quintus Aucler, III in: G. de Nerval, Œuvres Complètes, Gallimard, La Pléiade, Paris, 1989, t. II, p. 1161. 103 J. Richer, Gérard de Nerval. Expérience vécue et création artistique, Trédaniel, Paris, 1987, p. 61. 104 G. de Nerval, Œuvres Complètes, Gallimard, La Pléiade, Paris, 1989, t. II, p. 837.

Il riferimento agli elementari è beninteso da mettere in relazione alla lettura di Montfacon de Villars 105 . Sorprende tuttavia che qui Nerval realizzi un'improbabile commistione sincretistica tra elementi propriamente occidentali (ondine, salamandre) ed altri persiani (per/ 106 , divl07) o arabi ( a f r i t e s j i n n ) , attribuendo alle dottrine esoteriche islamiche una "dottrina degli elementali" che in realtà è del tutto estranea alla soteriologia musulmana. Se in Medio-Oriente la conoscenza degli "spiriti elementali" si è conservata non è certo dal lato della religione coranica che occorre guardare, ma bisogna piuttosto volgersi verso alcune sette sincretistiche - come gli Yezidi e gli Ahl-e Haqq - che sembrano aver realizzato un'impossibile commistione di elementi tratti non solo dallo zoroastrismo, ma altresì da diverse filoni cristiani (copti, cattolici), islamici (soprattutto di carattere israelitico) e addirittura ebraici. È comunque grazie alla conoscenza di questi "esseri intermedi", gli "elementari" - dalla cui unione con "le figlie degli uomini" procede la razza dei "giganti" e degli "uomini illustri" - che la sapienza di Eblis è stata trasmessa 105 Montfaucon de Villars, Il Conte di Gabalis, ovvero conversazioni sulle scienze segrete (1670), Phoenix, Genova, 1985. io« Le peri sono entità di sesso femminile - non necessariamente malevole, pur discendendo dal demone Peirika che seduce e corrompe gli uomini - e popolano il mondo intermedio nella Tradizione persiana. Nella dottrina degli Ahl-e Haqq risiedono in corrispondenza della montagna del Kaf (cfr. M. Izzi, Dizionario illustrato dei Mostri, Gremese, Roma, 1989, p. 280). Non vanno pertanto confuse con le Huri, vergini angeliche del Paradiso musulmano. La genesi del mito delle peri è infatti essenzialmente iranica, anche se ha tratto alimento da una rielaborazione di dati tradizionali islamici. Secondo la leggenda, infatti, Seth, figlio di Adamo, andò in sposo ad una Huri che gli generò due figli, Hush e Anùsh. 11 primo "ebbe per moglie un'altra Huri venula dal Paradiso, chiamata Peri, che era la manifestazione di habib-Shah, uno dei membri degli Haftwàna [...] Tutte le Peri discendono da questa coppia e traggono il nome dalla loro antenata" (Nùr Alì-Shàh Elàhi, L'Esotérisme Kurde, Albin Michel, Paris, 1966, p. 122). Le peri Vanno simbolicamente assimilate ai "giganti", ai discendenti degli angeli "decaduti", dato che provengono dall'unione di un essere "celeste" (la Huri) con un essere terrestre (il figlio di Adamo). 107 1 div (spesso confusi o affiancati ai Ner) fanno anch'essi parte della demonologia iranica (il nome sembra derivi dal persiano Daeva con cui condivide la radice -div, cioè "luminoso") e costituiscono una sorta di genia degenerata di giganti trasformatisi in demoni dopo aver assoggettato e dominato il mondo per più di 7000 anni. A loro sarebbe succeduto il regno delle peri e, infine, quello dei Gjinn, prima ancora della venuta di Adamo (cfr. M. Izzi, Dizionario illustrato dei Mostri, Gremese, Roma, 1989, p. 108; A. Bricteux, "Histoire de la Simurgh", Le Museon, Louvain, VI, 1905, 1, p. 54). E certo che Nerval abbia tratto alcune indicazioni dalla lettura di D'Herbelot (La Bibliothèque Orientale, Paris, 1797, voce "div" e "peri"), ancorché l'autore attribuisca tali entità esclusivamente al folklore persiano, mentre il poeta francese le integra nell'ambito della cultura islamica. Questa è invero una peculiarità esclusiva della setta sciita-persiana degli Ahl-e Haqq.

all'Umanità, in particolare l'alchimia - l'arte di saper trasmutare i "metalli" per mezzo della quale è addirittura possibile ricreare artificialmente la vita. "Entrai in una officina dove vidi degli operai che modellavano con la creta un animale enorme a forma di lama, ma che sembrava dover essere munito di grandi ali. Quel mostro era c o m e se fosse attraversato da un getto di fuoco che lo rendeva animato [...] mi arrestai a contemplare quel capolavoro, che sembrava aver sottratto

i segreti della creazione divina. 'È che qui - mi venne spiegato - disponiamo del fuoco primitivo che animò i primi esseri... Un tempo si slanciava fino alla superficie della terra, ma ora le sorgenti si sono prosciugate'. Vidi allora dei lavori di oreficeria dove vi venivano impiegati metalli sconosciuti sulla terra: l'uno, rosso che sembrava corrispondere al cinabro, e l'altro di blu d'azzurro. Gli ornamenti non erano battuti, né cesellati, ma si formavano, si coloravano e si espandevano come le piante metalliche che si fanno rinascere da certe misture chimiche. 'Non si creano forse così anche gli uomini?' Dissi ad uno dei lavoratori [...] Qui non si fa che formulare, attraverso progressi successivi delle nostre industrie, una materia più sottile di quella che compone la crosta terrestre. Quei fiori che vi sembrano naturali, quest'animale che sembra vivere, non saranno che dei prodotti dell'arte elevata al punto più alto delle nostre conoscenze, e ciascuno le giudicherà così" 1 0 8 .

Le fonti di Nerval Non si può non essere impressionati dalla ampiezza della documentazione raccolta da Nerval, e dalla puntigliosità delle ricerche effettuate per la preparazione del Voyage en Orient. Studi che hanno comportato peregrinazioni in numerose biblioteche e gli innumerevoli contatti stabiliti in patria e all'estero, sì da poter attingere a fonti di prima mano, spesso orali. La ricostruzione di queste fonti rende ragione, come vedremo, della coerenza e della fondatezza della cosmogonia che Nerval ricostruisce nelle sue opere. Nerval ha avuto modo di studiare, già prima del suo viaggio in Oriente, il volume che, relativamente al mito della caduta degli angeli ribelli, costituisce per così dire il riferimento imprescindibile e cioè il Libro di Enocm, cui fa 108

Aurelia, I, X. La descrizione delle "officine" alchemiche non è senza rapporto con Yathanor malefico descritto da Tolkien in The Lord of the Ring. Sotto il profilo metastorico è la prefigurazione delle biotecnologie destinate a sovvertire il significato primevo dell'alchimia intesa quale scienza spirituale di trasformazione ontologica. 109 Si tratta ovviamente del Libro di Enoc etiopico (Enoc 1), conosciuto sin dai primi secoli del cristianesimo, ma "riscoperto" e tradotto da Richard Laurence, vescovo di Cashel, nel 1821 ( The Book of Enoch the Prophet, Now first translatedfrom an Ethiopic Ms in the Bodleian

esplicito riferimento in una pubblicazione del 1849, Le Diable Rouge110. Il Libro di Enoc, insieme ad altri testi, viene del resto citato in una nota del Voyage dove Nerval ci tiene preliminarmente a spiegare che: "Le tradizioni sulle quali sono basate le diverse scene di questa leggenda non sono ristrette agli Orientali. Il Medio Evo europeo le ha conosciute. Si può consultare in particolare L'Histoire des Préadamites di Lapeyrière, L'Iter subterraneum di Klimius, e una massa di scritti relativi alla cabala e alla medicina spagirica [...] non ci si deve quindi stupire delle bizzarre ipotesi scientifiche che può contenere questo scritto. La maggior parte delle leggende si ritrovano anche nel Talmud, nei libri dei neoplatonici, nel Corano e nel libro di Enoc, tradotto recentemente dal vescovo di Canterbury111"112. Invero la nota, lungi dal chiarire, non fa che confondere ulteriormente all'unico scopo di meglio ingarbugliare una matassa già di per sé sufficientemente intricata. Gli autori che Nerval chiama a sostegno della sua versione sarebbero alquanto sorpresi di dover attestare la fondatezza di un'ipotesi diaLibrary, Oxford, 1821); di tale opera dette notizia Silvestre de Sacy (che aveva tradotto in latino e pubblicato alcuni capitoli nel 1800) in due articoli pubblicati nel 1822 sul Journal des Savants (settembre e ottobre, p. 545-551 e 587-595). Il Libro dei segreti di Enoc (o Enoc slavo o Enoc 2), invece, sarebbe stato pubblicato solo nel 1880 a cura di A.N. Popov. Per i riferimenti al testo in oggetto si veda in Apocrifi dell'Antico Testamento, a cura di P. Sacchi, vol. I, TEA, Milano 1990. 110 "Le Diable Rouge", Le Diable rouge. Almanach cabalistique pour 1850, Paris, 6 ottobre 1849 (cfr. G. de Nerval, Œuvres Complètes, Gallimard, La Pléiade, Paris, 1989, t. I, p. 12671271), quasi un "Kossuth" rivoluzionario, lasciando intendere come la sua rivolta fosse indirizzata contro la "Trinità [...] una razza dispotica", temi che saranno ripresi ed ampliati nel Voyage en Orient. Nel medesimo saggio Nerval - che cita con cognizione di causa Enoc, Dante, Kircher (Œdipus /Egyptiacus) - si sofferma sul Paradise Lost di Milton, cercando di accreditare l'immagine di un "povero diavolo", "uno sfortunato, un insorto, ma dal cuore buono, in fondo", un Titano che, stando alla tradizione greca, "aveva combattuto per Juppiter", e da Dio era stato incaricato di una missione positiva: non già quella di "tentare" l'uomo, bensì di "spronarlo, affinché non si adagi". Le sue azioni sarebbero invero sprovviste di "malizia, la cui responsabilità ricade sugli uomini", ed è in forza di queste considerazioni che non si deve ritenere "dimostrato che Dio [...] l'abbia colpito con una maledizione etema". Si tratta di argomentazioni che, molto più tardi, sarebbero state riprese da Giovanni Papini (Il Diavolo, Vallecchi, Firenze, 1953) e che lo stesso Nerval avrebbe ampliato in Aurelio, dove, a più riprese, è questione del "perdono" che, per l'intercessione della Grande Madre, potrebbe essere accordato ai "figli del fuoco", alle personalità geniali che, in vita, avrebbero avuto l'unica colpa di ispirarsi ad un modello luciferino e prometeico. 111 112

Si tratta in realtà dell'arcivescovo di Cashel. G de Nerval, Œuvres Complètes, Gallimard, La Pléiade, Paris, 1989,1.1, p. 721.

metralmente opposta a quanto espresso dal racconto tradizionale. Desta invece non poca perplessità il fatto che Nerval abbia deliberatamente sottaciuto altre fonti - scritte e orali - le uniche che avrebbero invece potuto dimostrare come il racconto in oggetto, lungi dall'essere una libera "fantasticheria" del letterato, promani direttamente da un filone antitradizionale tra i più sospetti e "solforosi". In tutti questi testi non v'è traccia alcuna di quello che costituisce l'ossatura fondamentale del mito proposto da Nerval. Pur ammettendo che abbia recuperato elementi della tradizione ebraica inerenti la progenie di Caino, Nerval ricostruisce una cosmogonia rovesciata in cui inserisce elementi sconcertanti e a prima vista inspiegabili. Perché la razza dei "fabbri maledetti" - da Caino a Tubalcain - viene relegata insieme a Eblis al di sotto della Montagna del Kafì Perché questa Umanità promanante direttamente dall'elemento igneo viene posta in opposizione al "Dio geloso" e "tiranno" dell'Antico Testamento, tanto da riflettersi nello stesso rapporto che lega Hiram a Salomone, rovesciandone quelli che sono i normali rapporti, così come sono definiti dalle fonti tradizionali? Infine, tutto questo può essere considerato parto della fantasia malata di un poeta dall'equilibrio psichico instabile, smarritosi nei meandri dell'occultismo e dell'evocazioni spiritiche, o invece deve essere ascritto ad una ben definita dottrina soteriologia che, dalla notte dei tempi, sembra perpetuarsi in Mesopotamia? A nostro parere è fuori di dubbio come l'intero costrutto sia sorretto da una intrinseca coerenza che trova riscontro nelle credenze che, seppure in modo talvolta frammentario, costituiscono il patrimonio dottrinale di alcuni gruppi sincretistici - a tutt'oggi presenti in quella regione - che molto probabilmente hanno svolto un ruolo non indifferente nella diffusione di elementi antitradizionali, quando non addirittura hanno ispirato movimenti pseudoiniziatici che hanno finito con l'interessare lo stesso Occidente. Tra i tanti, alcune categorie mitiche e simboliche adottate da Nerval ci permettono - attraverso una ricostruzione a ritroso - di ritrovare le tracce di queste organizzazioni. Il mito degli angeli ribelli, la figura di Azazel/Eblis, Caino e i Cainiti, l'associazione tra Hiram e la Regina di Saba, il mito del fuoco sotterraneo e della razza dei fabbri discendenti dai giganti e residenti al di sotto della Montagna del Kaf, costituiscono altrettanti mitologemi che invero sono condivisi solo dalle tribù preislamiche (Sabei, popolo di Ad, Mandei) e da coloro che in qualche modo hanno idealmente raccolto il testimone della loro dottrina, Yezidi e Ahl-e Aqq. Il mito della seduzione di Eva da parte del serpente - Iblis - costituisce l'elemento di partenza di una "rilettura" rovesciata della storia sacra. Esso è centrale nella cosmogonia degli Yezidi e un'importanza rilevante assume altresì

nelle tradizioni dei Drusi e dei Mandei; per questi ultimi - vale la pena rilevarlo - sussiste una sostanziale identità tra Caino e l'Angelo Pavone (Melek Tawus)nì, nome con il quale Iblis è conosciuto sia da loro che dagli Yezidi. Nella teogonia delle sette curde, così come in quella di alcune scuole sufi, ispirate ad una paradossi sciita tra le più sospette, spesso contaminata da chiare influenze zoroastriane, Iblis riassume funzioni e ruoli diversi, comunque tutti già presenti nella tradizione ebraica: egli è Lucifero - l'astro del mattino - che soggiogherà il serpente e il pavone affinché inducano Eva in tentazione; è il seduttore di quest'ultima, ed è altresì il capo degli angeli ribelli, destinato alla sconfitta per mano dell'arcangelo Michele, ed al successivo esilio nell'abisso. È solo in seguito a questo avvenimento che, di fatto, "l'angelo di fuoco" sarebbe stato chiamato Iblis. Invero, prima che: "Eblis fosse cacciato si chiamava Azazil ed era il capo degli angeli, ma a causa della sua disubbidienza Dio gli diede il nome di Eblis"114. Il nome di Azazel compare nel Libro di Enoc (Enoc etiopico) dove è descritto in termini e con caratteristiche che permettono di distinguerlo nettamente dagli "angeli decaduti". Innanzitutto non rientra nel novero dei Vigilanti, quale compare nell'elenco che ne viene dato e la sua collocazione - anche sotto il profilo della pena che gli è riservata - viene nettamente distinta da quella cui sono destinati gli angeli ribelli: egli è tra quegli uomini "illustri" e "di grande fama" che, acquisite conoscenze segrete, ne avrebbero imprudentemente divulgato i contenuti. In secondo luogo, e questo è lungi dall'essere un dettaglio, ad Azazel vengono imputate colpe simili a quelle per le quali vennero condannati Caino e la sua progenie 115 , anch'essi accreditati di una sapienza che riguarda specificamente il "segreto dei metalli": "Azazel insegnò agli uomini a forgiare coltelli per la macellazione, armi, scudi e cotte di maglia. Egli fece conoscere loro i metalli e il modo di lavorarli [...] Se113

G Furlani, La Religione dei Yezidi, Bologna, 1920, p. 32, n. 3. Nel racconto mandeo l'Angelo Pavone ha un fratello - Hibil, cioè Abele - sottomesso al padre, mentre egli figura come ribelle. Circa la dottrina dei Mandei si veda M. Lidzbarski, Das Johannesbuch der mandaer, Giessen, 1915. In merito alla figura dell'angelo pavone, che è al centro del racconto La Casa dell'Alchimista, di Gustav Meyrink (1868-1932), segnaliamo l'ottimo e ampio saggio introduttivo di G de Turris (G Meyrink, La Casa dell 'Alchimista, a cura di G de Turris, Ed. del Graal, Roma, 1981, p. 5-31). J. Nurbakhsh, Eblis il grande Satana, NUR (Mondadori), 1993, p. 8. 115 Enoc, VIII,1. Si veda altresì, per una discussione su questo aspetto, B. Teyssèdre, Nascita del Diavolo, ECIG, Genova, 1992, p. 254 e s.

meyaza, capo degli angeli caduti li [gli uomini] iniziò agli esorcismi e all'arte di tagliare le radici"" 6 . Questi elementi lascerebbero presupporre che Azazel - e la sua razza - condannati a popolare il "mondo di sotterra", nel "deserto" siano chiamati ad assolvere, in ambito escatologico, un ruolo specifico non immediatamente riconducibile a quello degli "angeli decaduti" il cui principe, stando al resoconto che ne dà Enoc, è invece Semeyaza. Il nome di Azazel è ignoto alla Tradizione islamica ortodossa ed è perlomeno anomalo che Nerval attribuisca a questa l'origine della leggenda che fa perno su Eblis/Azazel. E tanto più anomalo ove si consideri che egli non fa alcun riferimento alle fonti ebraiche - che probabilmente ignorava - mentre l'unica di cui aveva sicura conoscenza, il Libro di Enoc, fornisce di Azazel tutt'altra interpretazione. In altri termini, l'identificazione che Nerval fa tra Azazel e Eblis/Lucifero è frutto di un'arbitraria licenza poetica - alimentata forse dalla lettura di Milton - o è invece rivelatrice di conoscenze acquisite per il tramite di altri, tortuosi ed inconfessabili "canali"? Pur ammettendo che abbia conosciuto qualcosa della tradizione ebraica 117 inerente la permanenza di una "razza" Cainita, depositaria di segreti ermetici e confinata nelle regioni del mondo sotterraneo, l'averla collocata al di sotto della Montagna sacra del Kafè anch'essa prodotto di immaginazione letteraria? E infine, il mito dell'angelo "di fuoco" che, insieme alla sua schiatta - da Caino a Tubalcain - spera in un improbabile perdono in attesa di riemergere alla superficie per tornare a regnare sul mondo, è anche questo ascrivibile a divagazione pseudoromantica? Invero ciò sarebbe alquanto incongruo, considerando la meticolosità e l'ampiezza delle ricerche e degli studi che hanno preceduto la stesura del Voyage en Orient, a cui Nerval ha dedicato un'attenzione ed una cura pressoché continue. Tracce di quella complessa cosmogonia che fa da sfondo al mito descritto in Soliman et la Reine du Midi non sono in alcun modo ravvisabili nella abbondante letteratura consultata e spesso citata, non solo nel Voyage en Orient ma altresì in altri scritti a sfondo ermetico del poeta francese. 116

L. Ginzberg, Le Leggende degli Ebrei, Adelphi, Milano, 1995, IV, p. 126. Noi riteniamo che della Ttradizione ebraica Nerval non avesse che scarsa conoscenza. Ciò è tra l'altro attestato dalla grafia di "Azazil", che prevede un "i" nella traslitterazione dall'arabo. Nella tradizione Yezidi Azazil è uno dei nomi di Iblis, mentre nelle leggende ebraiche Azazel è solo uno dei "ribelli", identificabile non già con un angelo, ma con uno dei nephilim. Su questo tema si veda: M. Bizzarri, Su alcuni aspetti de! simbolismo dell 'Antecristo nella tradizione abramitica, Viator, Fossombrone (PS), 2004. 117

È infine sospetto che abbia invece omesso qualunque riferimento alle dottrine di quelle sette che pongono al centro della loro teologia la figura di Azazel/Eblis, riconoscendogli lo stesso ruolo escatologico che Nerval avrà cura di tratteggiare in dettaglio nel Voyage en Orient. Invero una fugace nota a piè di pagina riportata nell'appendice a quest'ultimo testo, tradisce gli apporti di cui ha beneficiato ma che si è ben guardato dal citare: "Non bisogna stupirsi della tendenza filosofica di questo racconto [...]. I racconti arabi e persiani, nella maggior parte dei casi, sono scritti con questo spirito [...] così si ritrovano in Siria numerose tracce della religione dei Kainiti o Figli di Caino"118. Il passo riportato cita espressamente i "Kainiti" - collocandoli per di più in quel deserto siriano in cui sono stati effettivamente rintracciati anche in tempi moderni - e ciò conferma oltre ogni ragionevole dubbio che Nerval aveva avuto modo di entrare in contatto con loro e di assimilarne le concezioni. Ciò che ai nostri occhi costituisce più che un indizio, una dimostrazione certa di come egli abbia ottenuto questo tipo di conoscenze da una organizzazione occulta 119 , è l'inusitato riferimento alla Montagna sacra dell'Islam, il Kaf (Quaf), al di sotto del quale, nel più profondo delle caverne che delineano un vero e proprio mondo sotterraneo, egli colloca i discendenti di Caino e le tombe di coloro - da Eblis a Tubai Cain - che saranno chiamati alla resurrezione nel giorno in cui torneranno in possesso di un potere del quale furono illegittimamente defraudati: "[...] I tuoi piedi sfiorano la grande pietra di smeraldo che serve da radice e da perno alla grande Montagna del Kaf [Qâf, sic!]; tu [Hiram] sei entrato nel regno dei tuoi padri. Qui regna in assoluto la discendenza di Caino. Sotto queste fortezze di granito, nel mezzo di queste caverne inaccessibile, abbiamo infine potuto trovare la libertà. È qui che muore la tirannia gelosa d'Adonai, è là che è possibile, senza correre rischio di morte, nutrirsi dei frutti dell'Albero della Scienza"120. Questo passaggio è da mettere in relazione con quanto scrive Nùr AlìShâh Elâhî a proposito della setta degli Ahl-e-Hacq: 118

G de Nerval, Œuvres Complètes, Gallimard, La Pléiade, Paris, 1989, t. II, p. 837. Questa appendice non venne pubblicata che con la seconda edizione, anche se Nerval ne fece un breve estratto per la Revue des deux Mondes nel 1847. In riferimento ai "figli di Caino" spiega per la prima e ultima volta che le tracce di questa "religione" sono diffuse "in particolare tra gli Yezidi". 119 Abbiamo motivi per credere che questa sia a tutt'oggi attiva ed operante... 120 G de Nerval, Œuvres Complètes, Gallimard, La Pléiade, Paris, 1989, t. II, p. 719.

"Le Peri sono esseri alati di sesso maschile o femminile, come i demoni e i Giin, ma sempre belli e benefici, diventati invisibili agli occhi degli uomini ed abitanti [...] il paese di Qâf, cioè la regione delle montagne favolose che circondano il mondo121 [...] [qui] Dio [Iblis] e i sette Avatar [i sette angeli reggitori] li visitano come ospiti sei volte su sette cicli di manifestazione, la settima essendo riservata agli umani"122. Ancor più esplicita è una leggenda ancor oggi tramandata per mezzo dei canti yezidi che mette in diretta relazione la "caverna del Q â f ' con il "rifugio sicuro", cui ciascun adepto può accedere: "La leggenda curda, riportata in alcuni canti tradizionali, narra del fondatore della setta degli Ahl-e-Haqq - Sultan Ishâq - il quale, per sfuggire ai suoi nemici, si rifugia in una caverna del monte Qâf (Kuh Qâf) insieme a Mosè, e lì resta per tre giorni. Al termine di questi, esce dalla caverna e scaccia i nemici scagliando contro di essi un pugno di terra raccolta nella caverna"123. Questi elementi mostrano chiaramente come il racconto nervaliano, lungi dall'essere espressione di qualche vaga "fantasia" letteraria, rielabori dati e simboli di tradizioni occulte strettamente imparentate alla setta dei Cainiti. Abbiamo sottolineato come tali acquisizioni prescindano dalla cultura, pur imponente, che il poeta francese possedeva in tema di occultismo, e possano essere spiegate esclusivamente sulla base di una trasmissione orale diretta. Aggiungeremo che questi contatti con il mondo delle sette gnostiche medio-orientali non sono frutto del caso, ma sono stati mediati da precedenti frequentazioni che il Nerval ebbe in Germania e in Francia. Un ruolo importante è stato scientemente svolto, sotto tale profilo, da personalità di fede catara e da Martinisti come Henri-Marie Delaage (1825-1882). Quest'ultimo aveva collaborato con Nerval alla stesura della raccolta Le Diable rouge]2A ed aveva dato alle stampe un curioso volumetto dal titolo assai significativo: Perféctionnement de la race humaine, ou moyens d'acquérir la beauté d'après les procédés occultes des mages de Chaldée (Lesigne, 1850) 125 . Delaage sembra aver svolto il 121

Nûr Alî-Shâh Elâhî, L'Esotérisme Kurde, Albin Michel, Paris, 1966, p. 121. 122 Ibidem, p. 123. 123 Siamo grati all'amico Angelo Iacovella per aver raccolto e trascritto questa testimonianza preziosa dalla viva voce del Maestro Siamak Khalily Guran, esponente dell'Ordine Curdo degli Yâzi. 124 Le Diable rouge. Almanach cabalistique, Aubert, Paris, 1850. 125 Nerval fa esplicito riferimento a questo testo in un articolo pubblicato su La Presse (14 novembre 1850; cfr. G de Nerval, Œuvres Complètes, Gallimard, La Pléiade, Paris, 1989, t. Il,

ruolo discreto ma efficace di mentore del giovane Nerval, e, a parere del Richer, lo avrebbe introdotto, già dal 1845, in numerosi ambienti occultistici 126 , principalmente in quelli di ispirazione martinista. Delaage, che sembra aver avuto accesso a documenti inediti di Louis-Claude Saint-Martin, ha svolto un ruolo poco conosciuto ma di tutta verosimiglianza estremamente importante nel movimento martinista cui introdusse Gérard Encausse (Papus), destinato a diventare il fondatore e primo Gran Maestro (1891) dell'Ordine 127 . In quanto a quella che noi riteniamo essere una vera e propria ossessione, ovvero la necessità di rapportare la misteriosofia così concepita, comunque e dovunque, ad una qualche forma di organizzazione massonica 128 , ciò a nostro avviso può essere spiegato sulla base di diversi elementi. Innanzitutto alla frequentazione delle Massonerie di frangia cosiddette "egizie" (soprattutto quella del Cairo) più o meno ricalcate sul modello di quella di Memphis che, agli occhi di Nerval, doveva assumere una valenza straordinaria: non solo per la centralità che la figura di Iside vi riveste, ma altresì per i rapporti di parentela che lo legavano ai fondatori stessi. In secondo luogo, non è infrequente che occultisti della più diversa origine e formazione, abbiano cercato di legittimare i propri convincimenti o qualche dottrina di oscura origine, calandola arbitrariamente nel contesto del magistero massonico. Un'operazione analoga a quella nervaliana verrà fatta per esempio da Rudolf von Sebottendorff, che affermerà di aver ricevuto da una pretesa "Massoneria turca", segreti antichissimi e sconvolgenti 129 . Il Sebottendorff amalgama nel suo scritto materiali di diversa provenienza, che invero di islamico hanno ben poco, ma che

p. 1237). Egli fu altresì influenzato da altri libri del Delaage, tra cui Le Monde prophétique (1853). Da qui egli riprenderà il tema del "sogno come visione dell'anima" (cfr. J. Richer, Gérard de Nerval. Expérience vécue et création artistique, Trédaniel, Paris, 1987, p. 464). Il Delaage pubblicherà nel 1852 un volume Les Doctrines des Sociétés Secrètes (Dentu, Paris), in cui ampio spazio viene consacrato ai temi "iniziatici" legati alla figura di Iside, in primo luogo quelli riportati nell'opera dell'abate J. Terrasson, Séthos (1728). 126 J. Richer, Gérard de Nerval: expérience et création, Hachette, Paris, 1963, p. 19 e 398. 127 M. Introvigne, II Cappello del Mago, Sugarco, Milano, 1990, p. 225. Si veda altresì: J. Bricaud, Notice historique sur le Martinisme, in: O. Martin, Le Sacerdoce magique des ElusCohen, Télesma, Hérouville St-Clair, 1989, p. 18 e s. 128 Un analogo atteggiamento è da ravvisare in molti commentatori moderni che hanno a tutti i costi voluto ravvisare nei misteri e nei simboli legati alle vicende di Saunière un qualche cosa di riconducibile alla Massoneria, benché, invero, di massonico in tutta questa vicenda vi è ben poco. 129 Per una lettura critica del Sebottendorff rinviamo all'egregia prefazione di Claudio Mutti in R. von Sebottendorf, La pratica operativa dell'antica Massoneria Turca, Arktos, Carmagnola, 1995.

rivelano piuttosto una non indifferente padronanza di elementi occultistici europei e curdi, questi ultimi di origine alquanto sospetta, forse non dissimili da quelli cui aveva avuto accesso il Nerval. Che questa "pratica operativa" potesse essere ricondotto all'iniziazione muratoria, è lecito dubitare per più di un motivo, non ultimo quello relativo al fatto che le radici della istituzione latomistica in Anatolia non hanno nulla di autoctono, considerato che procedono in linea retta dalle patenti rilasciate dal Grande Oriente d'Italia, come ha dimostrato in uno studio magistrale Angelo Iacovella 130 . Gli elementi tratti da quella che, esemplificando, abbiamo chiamato "Tradizione cainita", così chiaramente espressi da Nerval non sono tuttavia estranei ad alcuni Riti che, in una forma o in un'altra - spesso abusivamente - si richiamano alla iniziazione muratoria. Pensiamo al Rito di Memphis, che soprattutto con Robert Ambelain si vanterà apertamente delle proprie origini "luciferine" e "cainite" 1 3 1 , ma altresì al "Martinismo". Ancora una volta ritroviamo quelle organizzazioni occultistiche e quei personaggi che sono intimamente legati alle vicende di Rennes-le-Chàteau.

Torniamo al popolo sotterraneo e ai Merovingi Qualcuno sarà sorpreso nell'apprendere che la "razza maledetta" descritta da Nerval, che attende nelle caverne il ridestarsi del dio-fabbro, del "portatore di luce", presenta strette affinità - non solo simboliche - con alcune popolazioni del Razès. Di questo si era già reso conto Otto Rahn che non aveva mancato di sottolineare come, al fondo di una certa tradizione catara e provenzale, potesse essere ritrovato l'antico culto luciferino 132 . È invece sorprendente che Nerval identifichi il "dio che dorme", vegliato da Iside-Maddalena, con quel Meroveo i cui misteri fanno da sfondo all'enigma di Rennesle-Chàteau: "Su un foglio di carta impregnato del succo di piante, avevo disegnato la Regina del Sud, così come l'ho vista nei miei sogni, così come è stata raffigurata nell'Apocalisse dell'apostolo San Giovanni[...] Con una mano appoggiata sul complesso roccioso il più elevato delle montagne dello Yemen, l'altra rivolta al cielo [...] con il fiore di anxoka, che i profani chiamano il fiore di fuoco [...] II segno dell'Ariete 130

A. Iacovella, Il Triangolo e la Mezzaluna, Ist. Italiano di Cultura, Istanbul, 1997. R. Ambelain, Adam, Dieu rouge, Niclaus, Paris, 1941; R. Ambelain, La Franc-Maçonnerie oubliée, LafTont, Paris, 1985. 132 O. Rahn, Crociala contro il Graal, Barbarossa, Milano, 1991. 131

compare due volte sull'orbita celeste, dove come uno specchio vi si riflette la figura della Regina che assume i tratti di Santa Rosalia [...] Sul picco più elevato delle montagne dello Yemen si riconosce una gabbia il cui trespolo si staglia contro il cielo. Un uccello meraviglioso vi canta; è il talismano della nuova era. Il Leviatano dalle ali nere, vola tutt'intorno. Al di là del mare, si staglia un altro picco, sul quale è inscritto questo nome: MEROVEO [...] I figli di Aerovia si dirigono verso l'Asia, si affacciano alla guerra di Troia, poi vinti dagli Dei del Peloponneso sprofondano nelle brume dei monti Cimieri"133. Meroveo è il "re della prima razza", rappresentante simbolico di quel Leviatano che, se da un lato richiama la figura di Lucifero, dall'altro ne preannuncia il ritorno "vittorioso", in accordo con quel "regno effimero" della controiniziazione di cui parla VApocalisse di Giovanni. L'ascesa del re avviene sotto gli auspici di quella "Età dell'Ariete" che vedeva il trionfo del "dio cornuto" dell'antica religione e che ancora oggi presiede alla rievocazione del "dio spodestato" quale viene celebrata nella regione dell'Aude durante il carnevale 134 . La Reine du Midi - l'Iside di Nerval, la Maddalena di Saunière - veglia sui suoi misteri. Gli stessi che la "prima razza" custodisce all'interno delle caverne.

'33 G de Nerval, Œuvres Complètes, Gallimard, La Pléiade, Paris, 1989, t. III, p. 755-756. 134 F. Marie, La Résurrection du Grand Cocu, SRES, Bagneux, 1981.

Il Mondo Sotterraneo

Il Tredicesimo guerriero Tratto da un romanzo di Michael Crichton 1 , il film 11 Tredicesimo guerriero narra dell'epopea di un pugno di guerrieri vichinghi - più un arabo, il tredicesimo - che si trova a dover affrontare un misterioso popolo sotterraneo. Si tratta di esseri dai tratti deformi, dediti al cannibalismo, che venerano come dea la Grande Madre, la Regina della Terra, nel cui ventre vivono e traggono risorse e metalli. La trama non fa che rimaneggiare il contenuto di vecchie leggende in cui si parla di un misterioso popolo del "sottosuolo" che attende il risveglio di un dio spodestato e che tornerà, un giorno, a dominare il "mondo di sopra". Nel caso specifico l'autore ha tenuto conto di alcune tradizioni arabe e prova ne é che nel filmato compare un simbolo della Dea Bianca che non è invero troppo difficile reperire ancor oggi tra le tribù del deserto sahariano. L'esistenza di un mondo sotterraneo è universalmente diffusa nelle Tradizioni di tutto il mondo 2 , ancorché il tema sia stato oggetto di un recupero solo in tempi recenti. Nell'opera di Saint-Yves D'Alveydre, Mission de L'Inde, pubblicata postuma nel 1910 e, soprattutto nel testo di Fernand Ossendowski - Bestie, Uomini e Dei3 - si può ritrovare la descrizione di un misterioso "popolo sotterraneo", abitante le caverne dell'Himalaya, su cui regnerebbe un altrettanto enigmatico "Re del Mondo", i cui inviati - veri e propri "superiori incogniti" - interverrebbero attivamente sui destini dell'umanità. I due autori non facevano che riprendere e sviluppare elementi già preannunciati da Louis Jacolliot (1837-1890), personaggio oscuro a cui dobbiamo peraltro la prima anticipazione su quella fonte misteriosa di energia che è il Vril e che sarà oggetto, più tardi, del romanzo di Bulwer-Lytton - The coming race4 - anch'esso, guarda J_ M. Crichton, Mangiatori di morte. Garzanti, Milano, 1991. \J^eT una lettura introduttiva su tale tema si veda in: J. Godwin, Il Mito Polare, Edizioni Mediterranee, Roma, 2001, p. 95-115, e il saggio introduttivo di G. de Turris. 3 F. Ossendowski, Bestie, Uomini e Dei, Edizioni Mediterranee, Roma, 2002. 4 E. Bulwer-Lytton, The coming race, London, 1871 (trad. it.: La Razza ventura, a cura di G. de Turris e S. Fusco, Arktos, Carmagnola, Torino, 1980).

caso, pertinente le vicissitudini di una "razza" sotterranea destinata in futuro a soppiantare la presente umanità. Riferimenti più o meno intriganti a questo tema possono però essere rintracciati in alcuni degli autori che, per un verso o per un altro, hanno avuto a che fare con la storia di Rennes-le-Chàteau. George Sand, nel romanzo Laura ou le voyage dans le cristal, farà dire al suo personaggio, Nasias: "È il mondo che chiamiamo sotterraneo che costituisce il vero mondo dello splendore; orbene, esiste una ampia parte della superficie della terra ancora sconosciuta all'uomo, dove la presenza di crepacci o di faglie gli permetterebbero di discendere fino alla regione delle gemme [...] nutro la convinzione che questa faglia o piuttosto questa rete vulcanica di crepacci esista [,..]5. Questo tema, come è stato ampiamente documentato da Michel Lamy, è ) stato ripreso e sviluppato in diverse occasioni da Jules Verne, buon amico della; Sand. Verne ne parla beninteso nel Voyage au centre de la Terre, ne Les aventures du Capitarne Hatteras, mentre nel Testament d'un Excentrique sottolinea le "incomparabili meraviglie delle grotte" che non hanno ancora "consegnato ( che una parte dei loro segreti: chissà cosa riservano alla curiosità dell'Universo 1 e chissà che un giorno non si scopra tutto un mondo straordinario nelle viscere del globo terrestre?". Ma dove Verne diviene più intrigante è nel romanzo Les \ Indes Noires. Scrive al riguardo il Lamy: "Certi passaggi non possono non ricordare antiche leggende che riguardano popoli antichi sprofondati sottoterra e da cui non sono mai più fuoriusciti. Jules Verne scrive: 'Fu in quei tempi che gli antenati di Simon Ford penetrarono nelle interiora del suolo caledoniano, per non più uscirne, di padre in figlio'"6. ——

5

Cit. in: M. Lamy, Jules Verne initié et Initiateur, Payot, Paris, 1984, p. 190. M. Lamy, Jules Verne initié et Initiateur, Payot, Paris, 1984, p. 197. Il Lamy si intrattiene a lungo sul tema del "Mondo Sotterraneo", ancorché commetta l'errore di accostarlo, per analogia, con la discesa ad inferos il cui significato esoterico ed iniziatico è ben altro. I racconti tratti dalla letteratura inglese (Bulwer-Lytton) o francese (Sand, Veme), così come le cronache di Alveydre o Ossendowski, non hanno invero nulla a che vedere con le descrizioni dei mondi inferi che possono essere ritrovate in Dante, Virgilio, o, come suggerisce erroneamente Lamy, nell'epopea di Gilgamesh. E peraltro vero che i Greci situavano l'entrata dell'Ade in Arcadia - il che ci riconferma nell'idea che gli antichi si erano fatti di tale contrada qui colta nel suo lato simbolico - ma ancora una volta il significato è ben diverso da quello del "Mondo Sotterraneo" e con questo non va assolutamente confuso. 6

L'isolamento, i forzati matrimoni tra consanguinei, inducono un impoverimento del pool genetico per cui - come accade nelle comunità isolate 7 - le tare genetiche finiscono con l'accumularsi e il perpetuarsi nella discendenza. Ciò rende ragione della comparsa di tratti somatici e di caratteri deformi che fanno esclamare al protagonista del racconto: "Harry! Questi esseri che vivono negli abissi... non sono fatti come noi!" 8 . L'emergere di queste tematiche, se da un lato riflette l'esistenza di un qualcosa che molto probabilmente va ben al di là del semplice folklore, dall'altro porta ad un vero e proprio stravolgimento di dati tradizionali che costrinse il Guénon ad alcune più che opportune "rettificazioni", elaborate prima su un breve saggio comparso sulla rivista Atanor9 e quindi sviluppate ampiamente nel volume II Re del Mondo. E opportuno citarne alcuni passaggi conclusivi: "Dalla testimonianza concordante di tutte le tradizioni deriva chiaramente questa conclusione: che esiste una 'Terra Santa' per eccellenza, prototipo di tutte le 'Terre Sante', centro spirituale cui tutti gli altri centri sono subordinati [...] Nel periodo attuale del nostro ciclo terrestre, cioè nel Kali Yuga, questa 'Terra Santa', difesa da guardiani che la nascondono agli sguardi profani garantendone tuttavia certe relazioni esterne, è di fatto invisibile, inaccessibile, ma soltanto per coloro che non possiedono le qualificazioni per penetrarvi [...] Siamo ben lungi dal pretendere di aver detto tutto il possibile sull'argomento [...] comunque abbiamo detto molto di più di quanto mai sia stato detto finora e alcuni saranno forse tentati di rimproverarcelo [...] Nelle circostanze in cui viviamo attualmente gli avvenimenti si svolgono con una tale rapiditàche molte cose le cui ragioni non appaiono nell'immediato potrebbero trovare, prima di quanto si creda, applicazioni molto impreviste, se non del tutto imprevedibili [...] teniamo a citare, tuttavia, per concludere, una frase di Joseph de Maistre, che è ancor oggi più vera che un secolo fa: 'bisogna tenerci pronti per un avvenimento immenso nell'ordine divino, verso il quale procediamo ad una velocità accelerata che deve colpire tutti gli osservatori. Temibili oracoli annunciano già che i tempi sono giunti'"10.

7

M. Liniger-Goumaz, Nos ancêtres les Crétins des Alpes, du Temps, Paris, 2002. J. Verne, Les Indes Noires, Brodard et Taupin (Le livre de Poche), Paris, 1990, p. 138. Va osservato che Verne non colloca a caso l'entrata in questo "Mondo Sotterraneo", che viene situata in una determinata regione della Scozia, "il paese degli spiriti e dei morti che tornano, dei genietti e delle fate. È là appare sempre il genio malefico che non si allontana se non dopo aver ricevuto denaro, il Seer degli Highlanders, che, grazie al dono della seconda vista, predice le morti future [...] Va da sé che le popolazioni delle carbonaie scozzesi dovevano fornire il proprio contributo di leggende e di favole a questo repertorio mitologico" (Ibidem, p. 58). 9 R. Guénon, "11 Re del Mondo", Atanor, n. 12, dicembre 1924. Ristampa in R. Guénon, Il risveglio della Tradizione Occidentale, a cura di M. Bizzarri, Atanor, Roma, 2003, p. 41-62. ">R. Guénon, // Re del Mondo, Adelphi, Milano, 1992, p. 111-112. 8

Fig. I. lì "sigillo" riportato su! frontespizio dell 'opera del Mudathanns ("Aurcum Scculum Rcdivivum, 1621 ) pubblicato dalla rivista martinista dì Papus - / 'Initiation - veline adottato da Saunière come e.x-libris. Una decisione tlitt altro che ortodossa e fin troppo chiaramente evocativa del genere di influenze a cui il curato di Rennes-le-Chàteaii era soggiogato.

ig. 2. Il disegno di Spatz (pseudonimo di Alain crai) riproduce la planimetria del Giardino W Calvario e della Chiesa di Maria Maddalc\i. I.c due strutture sono evidentemente nvrappoiìihili: quale delle due è però la 'vera " chiesa'.'

Fig. 3. Il polipo con otto tentacoli raffigurato siili 'acquasantiera della chiesa ili Saint Sulpice. Come e possibile clic un simbolo cosi chiaramente evocativo delle potenze infere abbia potuto essere ospitato ali 'interno di una chiesa, sede rappresentativa di una delle confraternite apparentemente tra le più ortodosse, come la Compagnia del Santo Sacramento dell'Altare''

Líí MIcnON DU VA I, non 1.4 s /ihiiosnpricn (¡Itrs if-i'orn«^nl /jubile Í1rti' ;* rì la virioirc pi it cri do • Milnt llany« m Pt^nilie joorrr, Irtíc qui BAnr-en« rt rr|le rt'úri^mf. I».«»IJII l.Mo «yniil ÍI6 * prtr Ip-ì I iinm «pii i«*i' rnirnl c-N*/ fu* O'i'niif rirrnt ;>r9 iiicmurc.s ci ci-icrrtrcni aon co »r. ír.nh qui m\ Ilici rCíiifil.ift fnir ír^ i'.erfh Müirjvc (Ali.tfi'.ii) riiifHjr'n ce cu.nr dana ic i:( .ri«l mrnl n"inifi.**' ri fV'ir.*«« Or '1 ¡ce lr [M'iít* df! «ícyf TPQf*. l'flfl Jìiljrfu tt J'djtrC Annr si^nifir .. lumi'-re en híl-rci]. 1 jt Gr.mdc ? ¡ i ; r n i l a n l lous deux •• l'imii-rc «. Onr«/«. f'M| |;> .. pj/«nl cu CIci (lo BOICLÌ). C"'->1 |".u>nont qn\;tl 'Mil TZ »»'i I >71 dir fili i ifi 11» mil CMiM. 'I'' P»Ví- rcpríarnlí le cu-ur Jn LMiyl. 04|c l'on nn4 i\ l^r.-« ^ífsnnflnM. quelli* Ponrer ronMiitlr '*>rì(s"ie lìi»l.n.-p «l'ir «r rrlirftIn Tr.lrtili-in ufìiv-r.«.p|lc ni íifnínil fi h cf*llr«t|i» hi Fr/inrr rri pnrl>ri->irr lrr«q.ip ri-Tirij'irc r'jmflin !»>lrvil;nl ju.iqn'^n l«>o««r, nn ^Irri'liìrd r^'ig* íif'1-^lí il0ur4 dia Biblici dü todiuque ci dea lignei rflrnifurd r«»ncr rr» lui don noni di'? lori lo noni Sipin pl-iníinirrí. flr&UÍrfeIftbirrum. O'iiìi fiu'il fn c'cít en Frnnce. ^ Pamy.i.'. Moni'il. qii'onl po» nnn^-nnce Ipj divoiinnj fnicra le l'n fini le monoRrftnimc du ChriaJ, cs doril tirn pf*ü Snrrf-OTur» qrij •'¡Milulnil fe lliéenn .1n Val d'Or. tf .I.Hilcnl PiiiiiK-nl Ics (If"umli bvmbnliqncs nS-fi-ifin q irnn.¿ rn h Anl'in inir "fi." liimbe f^ii*Bfjin 1 et sili llsanl.i polir ^i./lrtf il «un Ir iuMjrini'ie V lirnni» ililnnt «lit vj» Kifc'.«? une IfifripMcn cii Icltrc» Ut. Uf.iiuvui ronfc IìjI il«»•'•«: le prvmwr «i/ijw.i'i /,;s ••r«|i>ps r concivi.« daiii 1a 11 r.* ite* cinq prriiilPfs fnrmrni V nwil iriH'llfì. ,{P Siiinl f.r.n -'cl uui fonùi.isii |„. n in* Ir» IT«"Vu i' i une pi ule i|i> re ile mscf'plip'n : ... o p,u p (¡ivi tir ti-) h | >>,i1 < ]\ 11.1 V MIN I I KI< 111

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marque et le signe qu 'ils ont aceoustumé de tout temps porter, sçavoir est auxdits ladres (lépreux) et lépreux les cliquects"^1. Numerose ordinanze - tra il XVI e il XVII secolo - emanate da diverse città del Midi della Francia 34 reiterano l'obbligazione per i eagots di essere sempre completamente vestiti, il capo coperto dal cappello, il segno della "palma d'oca" rossa ben visibile sul petto. A Jurançon venivano costretti (con la forza se del caso) di collocare all'ingresso delle loro abitazioni una piccola figura d'uomo scolpita nella pietra, in modo da segnalare in modo inequivocabile la presenza di un chrestian. A costoro veniva consentito l'accesso in chiesa da una porta laterale ed un'acquasantiera a parte veniva loro riservata 35 . Non potevano essere inumati nei cimiteri e l'officio dei defunti sembra che si svolgesse secondo un rituale tutto particolare che non aveva nulla a che fare con quello di Santa Madre Chiesa. Gli interdetti erano invero ancor più numerosi 36 , diversificati da regione a regione, ma tutti comunque insistevano sulla duplice necessità che il cagot esibisse il "marchio di infamia" e si presentasse "completamente vestito". L'insistenza con la quale quest'ultima prescrizione viene costantemente ribadita lascia riflettere. In una ordinanza del Tribunale di Bordeaux si legge: "Item, è stabilito e ordinato che d'ora in avanti nessun chestian - maschio o femmina - chiamati anche gahectz [...] entri nella presente città per andare nelle strade, senza che indossino l'insegna del drappo rosso cucito sul petto [...] e che abbiano i piedi ben calzati [...] sotto pena di sessantacinque soldi di ammenda"37. 33 "il marchio e il segno che hanno consuetudine di portare da sempre, cosa che devono sapere i lebbrosi e i eagots", cit. in D. Castille, Le Diable Merovingien, Ramuel, Villeselve, 1 9 % ^ . 45. 34 Per una ampia disamina di questo intrigante "mistero" si veda lo studio storico di F. Michelet, Histoire des races maudites de la France et de l'Espagne, Paris, 1847. ( 3 A n c o r oggi si possono rinvenire tracce di questo costume: a Lurbe e a Thèze (nei BassiPirenei), dove un catino sospeso ad una piccola (si dice che i eagots fossero di bassa statura) porta laterale, serviva da acquasantiera; a Bressempouy, nella Lande, un'acquasantiera piccola, collocata a distanza da quella "principale", reca incisa la lettera "C", come "eagots" (cfr. P. Perret, Les Pyrénées français, Paris, 1966, p. 166 e s.). eagots era proibito sposarsi con gli "umani" o di avere relazioni sessuali con questi; si riteneva che fossero bisessuali e notoriamente falsi, tanto che occorreva la testimonianza di sette eagots per contraddire quella di un cittadino normale. Non potevano avere accesso ai mestieri se non a quello di carpentiere e bottaio: era loro proibito lavorare la terra. Ciò nonostante sembravano disporre di risorse finanziarie considerevoli, quali quelle emerse dallo studio dei libri notarili che scrupolosamente hanno registrato i lasciti dei chrestians deceduti. Potevano acquistare case in città, ma non abitarle; nel caso avessero voluto affittarle dovevano ricorrere ad ..un intermediario indicato dal giudice per evitare il contatto diretto con la popolazione. 37 Registre de la Jurade de Bordeaux, 1573, arrêt n. 332.

Giustamente il Castille osserva: "Perché insistere sui piedi calzati se non sussisteva alcuna differenza con quelli degli uomini normali?" 38 . Queste anomalie fisiche, facilmente propalate dal rumore locale e ingigantite dalla malevolenza popolare, molti sarebbero tentati di interpretarle come sottoprodotto di una irrazionale xenofobia e paura del "diverso". Tuttavia esse richiamarono l'attenzione di Ambrose Paré ( 1509-1590), padre della chirurgia moderna, medico personale di Enrico II, che dedicò numerosi studi alla "razza maledetta". Sembra che a quel tempo i chrestians non avessero ancora perduto alcuna delle caratteristiche descritte dal tempo dei Carolingi. Il Paré trascorse mesi a studiare l'anatomia di alcuni cadaveri: "Sforzandosi di non farsi influenzare dai pettegolezzi, si dette ad accumulare delle effettive constatazioni mediche e a prenderne rigorosamente nota per iscritto. Riferisce in particolare la capacità prodigiosa di un Chrestian a praticare la 'mummificazione' tramite magnetismo. Questo esercizio, descritto nel francese dell'epoca, è considerato rivelare la potenza del magnetismo personale: 'L'uno di questi [cagots] teneva una mela fresca nella sua mano, subito dopo essa cambiò per diventare secca e rugosa come se fosse rimasta per otto giorni al sole'; Ambrosie Paré spiega questa reazione in base al calore elevato sviluppato dal corpo del Chrestian. D'altra parte, è stato osservato che nel corso di una emorragia, dalle vene di questi è fuoriuscito un liquido quasi bollente e di un colorito tra il blu e il verde! Queste caratteristiche fecero sì che tutto un arsenale giuridico fu messo in piedi così da poterli bandire dalla società ed evitare che non si mischiassero con gli umani"39. Per quanto attiene all'uso del segno della "palma d'oca" per indicare i chrestians, la sua origine viene, da taluni, fatta risalire addirittura al Corano, dove vi si allude come ad un simbolo del "peccatore": "Si deve derivare dalla stessa fonte (i Saracini) il marchio del 'piede d'Oca' o di anatra, che una volta i cagots erano obbligati a portare, per quanto la consuetudine sia ora abolita [...] questo è il rimedio più salutare e più forte proposto dal Corano per la purificazione dai peccati, che richiama la pratica di lavare il corpo intero [...] non si poteva conservare il ricordo della superstizione araba se non per il tramite di un carattere più che significativo come il piede d'oca, dato che questo è un animale a cui piace notare nelle acque"40.

38

D. Castille, Le Diable Merovingien, Ramuel, Villeselve, 1996, p. 78. R. Descazeaux, Les Cagots, cit., p. 65. 40 R de Marca, Histoire du Béarn, cit. in: D. Castille, Le Diable Merovingien, Ramuel, Villeselve, 1996, p. 135-136. 39

Una interpretazione diversa, ma che non necessariamente è in contraddizione con la precedente, è quella che offre l'abate Bullet che suggerisce come: "Si può congetturare che, dopo aver rappresentato la regina Berta con un piede d'Oca per metterla alla berlina, e offrire la prova del disprezzo in cui era incorsa, si costrinsero gli Albigesi, i Valdesi che si rivoltarono contro la Chiesa a portare quel segno 4 1 .

Ecco che ci ritroviamo su un terreno più familiare, per cui questa razza maledetta viene, almeno sul piano della normativa, ad essere equiparata a quella degli eretici e dei Catari in particolare. È molto probabile che i due gruppi, oltre al fatto di subire una medesima emarginazione (almeno dopo il 1250), condividessero qualche altra peculiarità: molto probabilmente delle comuni credenze, forse un culto segreto, e sicuramente la possibilità di accedere a luoghi sicuri ed inaccessibili - come le grotte della regione del Razès - dove riparare durante gli immancabili periodi di persecuzione. Le discriminazioni ebbero termine con la rivoluzione del 1789. Venne imposta una visita medica per accertare se il discrimine tra cagots e cittadini "normali" trovasse un effettivo fondamento. La Repubblica, che ad alta voce proclamava l'uguaglianza di tutti gli uomini, non avrebbe potuto permettersi di convivere, sul proprio territorio, con una contraddizione tanto flagrante. I "segni" descritti dal Paré non vennero più individuati e cominciò così l'opera di assimilazione di coloro che fino a qualche giorno prima non erano stati che dei paria. Certo, non si concluse rapidamente e, in alcune aree, fu più lento che altrove. A bene osservare le fattezze di alcuni abitanti del Razès, soprattutto se si va a Bugarach, ci si domanda seriamente se quel processo sia davvero concluso...

Le Prince d'Aquitaine à la tour abolie Un'eco letteraria della contrapposizione tra queste "due razze" - una delle quali costretta a rifugiarsi nel sottosuolo - può essere ravvisata in altro dei romanzi a chiave di Maurice Leblanc, intitolato La Demeure Mystérieuse. Scrive al riguardo P. Ferté:

41

\

Ibidem.

"Il gran segreto di cui è qui questione è quello della persecuzione sorda, tragica e diacronica d'una 'razza' [...] da parte di un'altra, tanto misteriosa quanto implacabile. Lupin chiarirà questa 'rivalità possibile di due razze, di cui l'una, per delle ragioni sconosciute, si è abituata ad opprimere la prima'. Si può qui pensare alla due prime razze dei re di Francia nell'ottica cripto-merovingia del Priorato di Sion. Si può anche pensare a due sette, o a due razze angelica e diabolica, di cui Lupin descrive la lotta manichea e apocalittica" 42 .

Abbiamo visto che i chrestians compaiono, quasi per magia, in epoca carolingia, in curiosa concomitanza con la contemporanea scomparsa dei Merovingi, la "razza deforme" degli uomini nati dall'unione blasfema di una donna con un dio marino. L'usurpazione della regalità relega nel dimenticatoio della storia i discendenti di Meroveo, il cui ultimo re (Dagoberto II) è stato assassinato; la leggenda insiste tuttavia sull'esistenza di una discendenza che, nascosta da qualche parte, attende di tornare "alla luce". Non altrimenti racconterà Gérard de Nerval nel Voyage en Orient, dove è questione di un'altra razza, anch'essa nata dall'unione contra naturam di un demone (Lucifero-Iblis) e di una donna, da cui promana la figliata dei Caino e dei Tubalcain. Nel contesto nervaliano le "due razze" in questione sono quelle che emergono rispettivamente dal "fuoco" (Iblis) e dal "limo" (Yehovah): i Cainiti, discendenti di Caino, relegati nella profondità delle caverne, depositari della sapienza e della conoscenza delle scienze concessa loro da Lucifero, attendono di poter un giorno tornare nel "mondo di sopra" e restaurare "l'età dell'oro", mettendo fine al regno dispotico di Yehovah, affrancando l'umanità dalla morte e dalla sofferenza, reintegrando Iblis stesso nella pienezza dei suoi poteri. Questi è il protagonista di uno de sonetti più famosi del poeta, El Desdichado: "Je suis le ténébreux - le veuf - l'inconsolé, le Prince d'Aquitaine à la tour abolie: ma seule étoile est morte - et mon luth constellé porte le Soleil noir de la Mélancolie [...] Suis-je Amour ou Phébus? ... Lusignan ou Byron? Mon front est rouge encore du baiser de la Reine Et j'ai deux fois vainqueur traversé l'Acheron: j'ai rêvé dans la grotte où nage la syrène modulant tour à tour sur la lyre d'Orphée

42

P. Ferté, Arsène Lupin, Supérieur inconnu, Trédaniel, Paris, 1992, p. 334.

Les soupirs de la Sainte et les cris de la Fée43. È il canto angosciato ed inquietante di un dio dalla fronte "rossa" - come rossa è la razza dei Caino - che attende di risvegliarsi dalla tomba e uscire dalla grotta dove ascolta - intrecciati tra loro - i sospiri della Santa (Maddalena?) e le grida della Fata (la Dea Bianca?). Quel "dio" ha il suo rappresentante in terra nel Duca d'Aquitania - Weifre - di cui la storia ci narra che, dopo essere stato spodestato con un colpo di mano, avrebbe esclamato: "Andate! E ditegli che Weifre è del sangue di Meroveo e che un usurpatore deve sempre temere un re detronizzato". 11 riferimento a Meroveo - il mitico iniziatore della dinastia dei Merovingi di cui Rennes-le-Château deterrebbe i segreti - viene ripreso in Aurelio dove, come abbiamo visto in precedenza, è questione di un picco da cui sorgerà il nuovo Leviatano e "sul quale è iscritta la parola: MEROVEO". Non si tratta di una menzione né peregrina né isolata 44 : Nerval si era interessato da vicino ai Merovingi, tanto da richiedere dei fondi al Ministero degli Interni per condurre alcune ricerche che evidenziassero come la prima dinastia di Francia fosse erede legittima della prima razza della Terra: "I Merovingi sono degli Indù, dei Persiani e dei Troiani [...][sono] i primi re della Gotia e dell'Aquitania, quelli che hanno regnato per 400 anni prima della storia di Francia [...] Quali sono i loro nomi, i loro monumenti, la loro discendenza diretta? L'Auvergne e l'antica Navarra ne custodiscono ancora il segreto [...] hanno attraversato i Pirenei più felicemente degli ultimi Borboni e di Napoleone stesso, e la casata di Castiglia governava e difendeva a due mani la Navarra francese [...] questi rapporti, queste filiazioni, non sono importanti da definire?"45. Non è forse casuale che in poche frasi ritroviamo molti degli elementi del puzzle che riguarda Rennes: i Merovingi, beninteso, ma altresì l'indicazione 43

"Io sono il tenebroso - il vedovo - l'inconsolato/ il Principe d'Aquitania dalla torre abolita: la mia sola stella è morta e il mio mantello costellato porta il Sole nero della melanconia/ [...] sono io Amore o Febo?/ Lusingano o Byron/ la mia fronte è ancora rossa per il bacio avuto dalla Regina/ E per due volte ho attraversato da vincitore l'Acheronte/ ho sognato la grotta dove nuota la sirena/ che modulano giro dopo giro sulla lira di Orfeo/ i sospiri della Santa e le grida della Fata". G de Nerval, Les Filles du Feu. Les Chimères, Gamier Flammarion, Paris, 1965, p. 241. Il sonetto fa parte della raccolta Les Chimères. 44 In Quintus Aucler (G. de Nerval, Œuvres Complètes, Gallimard, La Pléiade, Paris, 1989, t. II, p. 1157), Nerval muoverà contro Clodoveo l'accusa di aver tradito Meroveo e di aver compiuto apostasia, convertendosi al cristianesimo. 45 G de Nerval, lettera del 31 marzo 1841, in: Œuvres Complètes, Gallimard, La Pléiade, Paris, 1989, t. II.

dei Pirenei e l'allusione a quella Bianca di Castiglia di cui sono farciti gli pseudo-documenti di Plantard e soci. Fatto strano, questa lettera non è tuttavia mai stata citata in appoggio alle tesi sostenute dai mistagoghi del Priorato. Perché ovviamente va collocata in un contesto che non potrebbe che dispiacere ai cantori della "nuova era". Infatti, nella cosmogonia del poeta francese a ben altro significato assurgono i miti e i simboli che tanto disinvoltamente vengono recuperati nel Santo Graal di Lincoln, Baigent e Leigh. El Desdichado, la cui etimologia è incerta, vuole significare nel contesto nervaliano il "diseredato", suggerendo per sottinteso come tale condizione sia frutto più di una ingiustizia subita che non di una colpa 46 . Nel duca d'Aquitania - il cui emblema è non a caso la torre - si riconoscono i "diseredati" della Terra, gli ingiustamente emarginati, coloro che sono stati spossessati del loro potere e delle loro funzioni: i Lucifero e i Caino in primo luogo, quello stesso Caino di pelle rossa a cui Nerval fa riferimento quando parla della fronte "ancora rossa". Che il tema rinvii a Lucifero, lo dice il versetto in cui Nerval si paragona a Lusignano, "vedovo" di Melusina, l'essere mostruoso a metà donna e a metà serpente che, guarda caso, veniva annoverata nella discendenza degli Hautpoul di Rennes-le-Chàteau. Melusina è in questo contesto uno dei volti di Ecate o Lilith, la sposa infernale di Lucifero, che Nerval identifica, per il suo "lato" luminoso, alla Regina di Saba - la Reine du Midi - che lo bacia sulla fronte e che nuota in una "grotta". Non è invero inusuale che le ipostasi femminili della divinità si celino nelle grotte, in prossimità dei corsi d'acqua, come del resto è chiaramente espresso nella mitologia celtica, cui rinvia il mito della Maddalena, soprattutto per come l'ha voluto rappresentare Saunière, dentro e fuori della sua chiesetta 47 . La dea attende lì che lo sposo - il vedovo inconsolabile - attraversi "due volte l'Acheronte" - torni cioè a ridestarsi per rioccupare sulla terra il posto che gli è dovuto. L'aggettivo "vincitore mostra bene che non può non trattarsi che di due ritomi", sottolinea il Richer 48 : il primo dal viaggio "iniziatico", quale è classicamente descritto da Virgilio neWEneide-, il secondo dalla morte, "secondo viaggio che non comporta ritorno" 49 . Ora, nel contesto dei misteri del Razès, il riferimento che Nerval fa al duca d'Aquitania assume un ben più preciso significato, i cui limiti sono storica46

J. Richer, Gérard de Nerval. Expérience vàcue et création artistique, Trédaniel, Paris, 1987, p. 204. 47 M. Bizzarri e F. Scurria, Sulle tracce del Graal, Edizioni Mediterranee, Roma, 1996, p. 182 e s. 48 J. Richer, Gérard de Nerval et les doctrines esotériques, Trédaniel, Paris, 1947, p. 216. 49 Ibidem.

mente precisabili. Il duca d'Aquitania non è infatti altri che Pipino II, mentore di Fradelon che avrebbe istituito nell'849 la contea di Tolosa, poi succeduta alla dinastia dei conti Raimon 50 .1 confini di questa sarebbero stati ampliati fino a coinvolgere l'Aquitania, la Lingadoca con la regione dell'Aude, comprendente Carcassonne e Béziers. Questa area sarebbe quindi toccata in sorte ai Trencavel. Ciò che qui preme sottolineare è come tali famiglie non solo discendevano in linea retta - per rapporti di vassallaggio - dai Merovingi, ma avrebbero in seguito costituito il nerbo di quella nobiltà catara che con le armi si sarebbe opposta alla Chiesa di Roma ed al Re di Francia. Questo più che concreto riferimento ai Catari ci ripropone il giammai esaurito problema dei rapporti che questa antica eresia sembra intrattenere con l'enigma di Rennes-leChàteau.

Catari e Bogomili E abbastanza evidente come molte delle credenze cainite - condivise peraltro da altre sette gnostico-ofitiche - abbiano risentito degli influssi del Marcionismo e del Manicheismo, per essere poi recuperate prima dai Bogomili e quindi dai Catari. Su questo tema la storia delle religioni deve ancora compiutamente svolgere studi e ricerche 51 , ostacolati in primo luogo dalla carenza di documentazione 52 che, solo a tratti, è emersa nel corso degli ultimi anni. Le concezioni gnostiche restano infatti a tutt'oggi largamente oscure per quanto concerne la loro origine e i processi che ne hanno consentito l'articolazione concettuale cosi come la conosciamo oggi. In particolare: "La visione 'revisionista' dello gnosticismo lascia irrisolto il drastico passaggio, la mutazione, dal monoteismo al dualismo e la creazione di una mitologia dualista. La demonizzazione del cosmo e delle forze del male non è un'innocente 'revisione'. Essa crea una drastica rottura nell'autopercezione della cultura e della religione, una rottura fino ad oggi inspiegata [...] Tutti gli elementi portano a considerare le origini gnostiche come una rivolta ermeneutica contro la Weltanschauung ebraica e cristiana, e la creazione di una mitologia alternativa"5^.

50 51

J. Blum, Les Cathares, du Rocher, Monaco, 1991, p. 39 e s. Per una introduzione al Catarismo si veda M. Roquebert, I Catari, San Paolo, Milano,

2003. 52 53

Sui documenti catari si veda, R. Nelli, Ecritures Cathares, du Rocher, Monaco, 1995. GG. Stroumsa, La Sapienza nascosta, Arkeios, Roma, 2000, p. 55.

La "trappola" del dualismo, su cui Guénon ha tante volte posto l'accento, nel sostituire alla dottrina dell'Unità la molteplicità, condanna l'essere a muoversi nell'ambito della confusione e della divisione, rendendolo incapace di superare un'opposizione che nasce da una prospettiva invero tutta filosofica ed affatto "iniziatica". Il dualismo è la radice comune della perversione di tante correnti che, in origine esoteriche, nell'esteriorizzarsi, nel volersi trasformare in qualche modo in "sistema religioso" offerto a tutti indiscriminatamente, hanno finito con il degenerare, finendo con il costituire il supporto di una'opera di sovversione e di travisamento della Tradizione di cui non siamo ancor certi di poter apprezzare tutte le conseguenze. Ciò è particolarmente vero per tutta una corrente dello gnosticismo che, non a caso, conserva tuttavia un suo deposito "esoterico". I Catari non fanno eccezione alla regola. Ci riferiamo all'esistenza di una vera e propria Tradizione segreta, generalmente misconosciuta, ma che pure è attestata da diverse ed insospettabili fonti. "Esisteva un faccia nascosta del consolamentuml Un lato capace di giustificare la fede dei credenti che venivano adomandare ai catari il segreto della 'morte gioiosa'? [...] È il segreto della morte gioiosa per la semplice ragione che l'illuminazione ottenuta relega la morte al livello delle illusioni superate [...] Una realtà concreta si sarebbe dunque dissimulata sotto il simbolismo del Graal?"54. Illuminazione che può essere ottenuta recuperando una pietra - il Graal cataro - la stessa che Lucifero ha smarrito: "Lucifero, nel momento della caduta, perdeva la comunione con il divino. La pietra caduta dalla sua fronte non simboleggerebbe forse la capacità di comunicare e di armonizzarsi con la primitiva armonia?" 55 . Ancor più esplicito e circostanziato è Déodat Roché: "I Catari avevano anche il testo latino della Cena Segreta che è stato allegato ai registri dell'Inquisizione di Carcassonne [...] Esso riporta alla fine la seguente aggiunta in latino; 'questo è un segreto degli eretici di Concorezzo, portato dalla Bulgaria dal loro vescovo Nazario'. Sappiamo che si tratta della scuola di Bulgaria di cui questo documento attesta il monismo e del quale, al tempo stesso sot54

J. Blum, Les Cathares, du Rocher, Monaco, 1991, p. 14-15. Sul tema Catari ed Esoterismo si veda altresì M. Roquebert, Les Cathares et le Graal, Privat, Toulouse, 1994; AA.VV, Cathares, au-delà des Mystères, SPH, Nice, 2003. 55 J. Blum, Les Cathares, du Rocher, Monaco, 1991, p. 14-15.

tolinea che esso veniva affidato solo segretamente, vale a dire che conteneva un insegnamento esoterico"56. Per il "Papa" del Catarismo contemporaneo, che a sostegno della sua tesi dispiega un'articolatissima documentazione cui rinviamo, non sussistono dubbi circa le influenze manichee, marcionite 57 e bogomile che si sono esercitate sul Catarismo ed in particolare sui lati "esoterici" di questo: "Vi è stata quindi effettivamente una tradizione occulta dal manicheismo primitivo al catarismo. Ora questa tradizione viene affermata attraverso testimonianze concordanti"58. Tale insegnamento: "Esoterico implicava la penetrazione dello spirituale nella Natura [...] necessitava di una preparazione, da cui il suo carattere segreto. Esso è stato donato dalla Scuola di Bulgaria, donde è venuto nel mezzogiorno della Francia, come si legge nella copia della Cena segreta portata a Carcassonne"59. Dove il discorso si fa più interessante è quando Roché viene a parlare di Caino: "Satana ha creato un paradiso ingannatore per gli uomini; vi generò due figli con la donna di Adamo: il giusto Eloim e l'ingiusto Jahvè, che sono stati chiamati dagli uomini Caino e Abele [...] entrambi hanno subito un'influenza luciferina [...] [epperò] un Eloah nel periodo solare della Terra ha generato Caino, che era dunque uno spirito solare; nel periodo lunare successivo, sotto l'azione di Jehovah, Adamo ed Eva hanno generato Abele"60. Seppure con alcuni apprezzabili distinguo, sarebbe invero difficile trovare una più sostanziale conferma di come, attraverso i Bogomili, dal deserto del 56 D. Roché, Studi Manichei e Catari, Cambiamenti, Bologna, 2002, p. 25. Sulla Cena Segreta e la sua origine, si veda l'ampia introduzione di F. Zambon (in particolare p. 41) a: La Cena Segreta. Trattati e Rituali dei Catari, Adelphi, Milano, 1997. 57 Ibidem, p. 41 e s. I Marcioniti tenevano in alta considerazione la figura di Caino, mentre disprezzavano Abele che, a loro dire, non avrebbe riconosciuto "avuto parte nella salvezza". Scrive Ireneo: "[...] Per i seguaci di Marcione [...] Caino e i suoi simili, i Sodomiti, gli Egiziani e tutte le nazioni che vissero immerse in ogni tipo di male, furono salvati dal Signore" (Adv. Haer., 27, 3 (il corsivo è nostro). Una chiara influenza del Marcionismo è tra l'altro, evidenziabile negli scritti di un'altra setta ofitica come i Perati (cfr. Ippolito, Philosophumena, cfr. il commento di A. Siouville, Arché, Milano, 1988, p. 176, n. 1.). 58 Ibidem, p. 49. 59 D. Roche, Studi Manichei e Catari, Cambiamenti, Bologna, 2002, p. 61. 60 Ibidem, p. 251 e s.

Sinai fino all'Aude, l'eresia dei Camiti abbia potuto tanto significativamente perpetuarsi. Per i Catari, come per Nerval, Caino è spirito "solare", un "figlio del fuoco". Queste affermazioni sono vieppiù pregnanti se le si accosta alla considerazione che i Catari avevano per Maria Maddalena, ipostasi della Grande Madre o, come la chiamavano i Catari, "Nostra Madre la Notte": "È alla ricerca di questa Madre che si muovono i credenti. Perché? Perché Dio non sarebbe che divenire. Il Principio avrebbe generato un Padre capace di creare ma senza 'conoscere'; la Vergine Madre [lo stesso appellativo che Saunière darà alla statua di Maria] si è spiritualmente allontana [dalla creazione] e il Figlio, smembrato, soffre mille morti per riunire i suoi genitori spirituali. E per portare la Conoscenza al Padre [...] La ricerca di Nostra Madre la Notte sarebbe quella dell'effettivo principio immutabile da cui deriverebbe tutta la manifestazione"61. Le analogie, le sovrapposizioni di temi e di concezioni tra questo Catarismo62, il simbolismo della chiesa di Saunière e l'insegnamento di alcuni gruppi occultistici, sono fin troppo palesi per dovervi insistere oltre. Questi elementi tornano a sottolineare la continuità delle concezioni cainite che, per mille rivoli nascosti, sembrano volersi perpetuare fino alla fine dei tempi, in accordo con la leggenda che vuole che Caino sia destinato a peregrinare sino alla fine dell 'attuale ciclo di manifestazione. Tutto questo ci sembrerà tuttavia meno sorprendente se si considera che Déodat Roché (1877-1978) - trasferitosi ad Arques intorno al 1906 - ha probabilmente conosciuto Saunière di persona; sicuramente sapeva della sua storia, se non altro per il tramite di comuni e comprovate amicizie, come quella del Martinista Victor Jordy, "fotografo" di entrambi. Ma c'è di più: Déodat Roché era lui stesso membro sia dell'Ordine Martinista sia di una ancora più antica confraternita: la Rosa Croce d'Oro63. Una coincidenza?

61

J. Blum, Les Calhares, du Rocher, Monaco, 1991, p. 84 Non ci nascondiamo la complessità del problema e della necessaria semplificazione cui siamo costretti: è ben evidente che l'eresia albigese costituisce un fenomeno a più facce, non tutte adeguatamente conosciute e studiate. Come evidenziato dallo stesso Déodat Roché, esistevano non meno di due principali "scuole" catare, una delle quali, quella che qui maggiormente interessa, di diretta filiazione bogomila, comprendeva caratteri spiccatamente occulti. 63 J. Blum, Les Calhares, du Rocher, Monaco, 1991, p. 83. 62

Il patto di sangue Tutto un alone di leggenda avvolge l'epopea dei Merovingi, e ciò è particolarmente vero per il sovrano che avrebbe dato il proprio nome alla casata, Meroveo. Personaggio che, pur calato interamente nella storia - il figlio Childerico I avrebbe poi generato Clodoveo, il Re franco che nel 496 d.C. stipulò il patto con la Chiesa di Roma - ha ancora tutti i tratti della figura leggendaria. La tradizione narra di come la madre, sposa di Clodione, mentre nuotava nell'oceano, sarebbe stata sedotta e violentata da un mostro marino serpentiforme: Bestia Neptuni Quìnotauri similis64. L'etimologia stessa del nome sembra attestare questo connubio contra naturam65, che bene allude a quali sinistre influenze abbiano potuto presiedere a quel concepimento. I Merovingi godranno fama di stregoni ("Re incantatori"), seguaci di scienze arcane, marchiati nel fisico da un'evidente disqualificazione iniziatica: la presenza di una "coda" fin troppo evocativa delle loro oscure ascendenze66. Su queste ascendenze "magiche" - e dei poteri che ne derivano - la letteratura occultista fa alcuni velati accenni, dietro cui si nasconde una realtà ben più complessa alla quale qui possiamo solo accennare di sfuggita, rinviando ad altra sede per una più opportuna valutazione. Sotto il loro regno, a dispetto degli impegni assunti da Clodoveo, i riti pagani celtico-germanici non cessarono di diffondersi e prosperare, suscitando reazioni timide ed indecise, fintantoché Carlomagno non vi mise decisamente fine 67 . Con i Merovingi nasce altresì la leggenda del Gran Monarca, formulata per la prima volta dall'arcivescovo di Maenza, Raban Maur: "Alla fine dei tempi, un discendente dei Re di Francia, regnerà su tutto l'antico Impero Romano e sarà [...] l'ultimo dei Re di Francia e l'ultimo della sua razza [...] andrà a Gerusalemme per deporvi lo scettro e la corona; così finirà il Santo Impero romano e cristiano [...] subito dopo comparirà l'Anticristo"68.

64 M. Rouche, Clovis, Fayard, Paris, 1996, p. 184 e s. Clodoveo si fece battezzare a Reims da San Remigio. Da allora tutti i Re di Francia sarebbero stati intronizzati in quella cittadina. 65 "Meroveo" sembra derivare dall'unione della lemma "mar", in latino, con quello di "mère", madre, in francese. 66 Probabilmente soffrivano di spina bifida, una malformazione a carico del sacco epidurale che avvolge il midollo spinale e che comporta protrusioni dello stesso al di fuori dei limiti della colonna vertebrale nella sua regione terminale, tanto da dare l'impressione che il rachide si continui con una sorta di "coda". 67 G. Foumier, Les Mérovingiens, PUF, Paris, 1966, p. 74 e s. 68 Cit. in: E. Muraise, Histoire et légende du Grand Monarque, Poche, Paris, 1975, p. 50.

I mistagoghi del Priorato di Sion si affretteranno a recuperare tale profezia, attualizzandola e calandola nel contesto del Razès, pur dovendo ricorrere all'invenzione - veramente fantastica - di un discendente (Sigoberto IV) mai esistito. È invece vero che dai Merovingi discende la famiglia degli Aniort, il cui sangue avrebbe poi confluito con quello dei Voisins, dei de Nègre e degli Hautpoul : "[...] La famiglia dei d'Aniort, in base ai dati storici [...] discende dagli antichi conti di Foix e dai Re di Aragona, essi stessi del sangue di Clodoveo, pronipote di Meroveo, Re di Francia nel 440"69. Non si capisce quindi perché si sia voluto impiantare "l'eredità messianica" sui Plantard, quando sarebbe stato del tutto naturale - in base alla documentazione realmente esistente - farlo sui d'Aniort e quindi, in definitiva, sul casato della marchesa di Rennes che è al centro delle vicende di cui sarà protagonista Saunière. Giustamente il Ferté osserva al riguardo che: "[...] Può essere che una leggenda cripto-merovingia animasse in segreto, già da prima del 1960, certe società segrete, di cui sarebbe interessante seguire l'eventuale attivismo dietro le quinte della storia e tra le filigrane della letteratura"70. I D'Aniort, originari del Pays de Sault, presso la Montagna Nera, sostenuti e guidati dalla madre Esclarmonda, appoggiarono a spada tratta la rivolta catara di Raimondo Trencavel e finirono con il subire i rigori dell'Inquisizione nel 1237. Le sentenze furono severe ma, alquanto curiosamente, non vennero applicate. Ciò permise loro di continuare a battersi in favore degli eretici fintanto che, con la caduta di Montségur e di Ramon Pereilha - loro cognato - non finirono di nuovo con l'essere condannati in qualità di ''faydits", emarginati ed espropriati dei loro beni a favore dei Voisins71. Tuttavia, anche qui inspiegabilmente, i quattro fratelli Aniort - Gérard, Othon, Bertrand e Ramon - con due dei loro cugini, beneficiarono di un'inattesa "sospensione" della pena: molte terre furono loro restituite e il castello che doveva essere distrutto, venne risparmiato all'ultimo momento grazie ad un contrordine del Re Luigi IX; questi

69 Ch. Nicolas et U. Luca, Notice historique et généalogique coneernant une ancienne famille de Languedoe, Bandeau, Paris, 1853, p. 19 e s. 70 P. Ferté, Arsene Lupin, Supérieur inconnu, Trédaniel, Paris, 1992, p. 188-189. 71 Ramon sposò Marquésia, sorella di Pierre-Roger de Mirepoix, e dette in sposa la sua propria sorella Alice a Jordan de Perelha, figlio di Ramon de Perelha, comandante la roccaforte di Montségur.

giunse al punto di ricevere Ramon d'Aniort con tutti gli onori dovuti al suo rango. Un altro Re - Filippo l'Ardito, padre del futuro Filippo il Bello - avrebbe onorato gli Aniort della sua amicizia. Nel 1283, nel corso di una visita ai Voisins (cugini degli Aniort, ma fedeli al Re ed oppositori dei Catari), Filippo l'Ardito ricevette in amicizia Ramon d'Aniort - signore di Brénac72 - e la moglie Alix de Blanchefort. Osserva puntualmente il Lamy: "Come poteva un Re rendere omaggio a questi Aniort, due zii dei quali erano Catari, e la stessa Alix de Blanchefort era figlia di un signore faydit eretico [...]?73. Da lì a poco i Voisins si imparentarono con gli Aniort, mentre, nel XVI secolo, Françoise, figlia unica di Jean de Voisins - baronessa di Arques e di Cousan - avrebbe preso come sposo Jean de la Joyeuse, il cui castello, ai piedi della collina di Rennes, a Couiza, è ancor oggi in ottime condizioni. La dinastia dei duchi della Joyeuse merita una certa attenzione, considerato che è per il loro tramite che si stabiliscono delle curiose corrispondenze tra l'Aude, la Normandia - in particolare Rouen, la città di monsignor de Bonnechose - e la Lorena, l'altra regione che con Gisors, Stenay e Notre-Dame de Sion, è stata coinvolta nel vortice dei misteri di Rennes-le-Château. Nel 1586, l'ammiraglio Anne de la Joyeuse, conosciuto come "barone d'Arques", sposerà Margherita di Vaudémont-Lorraine74, mentre il fratello François sarà arcivescovo di Tolosa e quindi di Rouen. Un terzo fratello - Ange de la Joyeuse - sarà governatore della Linguadoca, membro influente della Ligue (un sodalizio semiclandestino di nobili che contrasterà Richelieu e il Re con ogni mezzo), capitano governatore di Narbonne e di Carcassonne, barone d'Arques e di Couiza. Sua figlia - Caterina-Enrichetta de la Joyeuse - sposerà Carlo di Lorena, duca di Guise (fondatore della Ligue), ed avrà per precettore il rosacruciano Robert Fludd. Come ha sottolineato il Ferté: "Enrichetta-Caterina de la Joyeuse, d'Arques e di Couiza, forgiò dunque un legame genealogico autentico tra l'Arcadia del Razès e la discendenza dei Lorena e dei de Guise [...] all'epoca in cui fiorivano i manifesti della Rosa Croce nel Palatinato renano" 75 . L'inten72

II paesino di Brénac si situa lungo la strada che da Rennes-le-Chàteau si dirige verso Montségur. La chiesa del paese presenta diverse anomalie che sarebbe interessante mettere in parallelo con quello rilevate nella chiesa della Maddalena. 73 M. Lamy, Jules Verne initié et Initiateur, Payot, Paris, 1984, p. 105. 7 er una strana coincidenza il santuario di Notre-Dame de Sion si erge al di sopra della collina di... Vaudémont! Il termine, in francese, suona come "voi démons" ("i vostri demoni"). In merito a questo santuario, Maurice Barrés ha scritto un romanzo alquanto enigmatico, La Colline inspirée (du Rocher, Monaco, 1986,1 Ed., 1913), in cui è possibile riconoscere numerosi aspetti della vicenda che vide protagonista Saunière, su un 'altra collina. 75 P. Ferté, Arsène Lupin, Supérieur inconnu, Trédaniel, Paris, 1992, p. 245.

dente di casa di questi nobili sarà infine quello stesso Sublet de Noyers (1588-1645) che proteggerà e consiglierà Poussin, fino a che non cadrà in disgrazia con Luigi XIV, dopo aver cercato di difendere il sovrintendente Fouquet76. Ancor più interessanti sono i dati relativi alla dinastia degli Hautpoul, sulle cui oscure origini ci siamo già ampiamente soffermati nel nostro precedente saggio 77 . Discendenti dai "Re della Montagna Nera", le leggende locali li accreditano di poteri misteriosi e di gesta altrettanto empie e terrificanti. Godranno fama di maghi, alchimisti e di lupi mannari; saranno accusati di essere imparentati con i demoni e di avere tra i propri antenati la leggendaria Melusina, la cui grotta si troverebbe in prossimità del castello natio, all'interno della Foresta Nera dove, ancor oggi, possono esserne rintracciate le rovine, dopo che Simone di Monfort lo distrusse nel 1212. Gli Hautpoul condividono con i Merovingi il mistero delle origini. La leggenda li fa discendere dall'unione della Dea Luna con gli uomini mortali: "[...] Erano dei figli della Luna o "figli di Bélissena", come loro stessi amavano farsi chiamare. Questo perché pretendevano discendere dalla dea della Luna, Bélissena"78. Tra i loro antenati annoverano altresì una figura chimerica - metà donna e metà sirena - che vive al riparo di una grotta prospiciente il torrente adiacente al castello di famiglia: si tratta di un chiaro riferimento al mito di Melusina, da sempre associato a quella famiglia dei Lusignano a cui Nerval pretende far risalire le proprie origini. I Lusignano si sarebbero imparentati con gli Hautpoul 79 , anche se i loro domini territoriali si trovavano in Lorena. I Lusignano sono infatti signori di Stenay (Satanicum), vicino Gisors, due luoghi che, come noto, intrattengono curiose corrispondenze con il Razès. Queste ascendenze mitiche rievocano, sotto il profilo simbolico, quelle unioni tra uomini e spiriti 76 E alquanto curioso che Luigi Fouquet sia stato preavvertito del pericolo imminente dal marchese Crequis de Blanchefort, della omonima famiglia originaria di Rennes-les-Bains, pari di Francia, consigliere e maresciallo di Francia, attivamente interessato a Venezia - dove viene accolto come un re nel 1634 - e a Rennes-les-Bains, dove affianca, nel 1662, la spedizione che Colbert ha inviato per effettuare nuove ricerche sulle miniere di... Blanchefort! (cfr. M. Lamy, Jules Verne initié et Initiateur, Payot, Paris, 1984, p. 75 e s.). 77 M. Bizzarri e F. Scurria, Sulle tracce del Graal, Edizioni Mediterranee, Roma, 1996, p. 142 e s. 78 O. Rahn, Crociata contro il Graal, Barbarossa, Milano, 1991, p. 41. 7 »Ibidem, p. l l O e s .

dementali di cui parla Montfacon de Villars 80 , a la cui conoscenza sembra essersi tramandata, non a caso, attraverso alcune delle più oscure e segrete tradizioni dei Bogomili 81 . Gli Hautpoul parteggiarono per i Catari e persero. Spogliati dei loro beni, toccò però loro una sorte benigna, assai simile a quella dei d'Aniort; nel 1422 Pierre-Raymond d'Hautpoul sposò Bianca di Marchiafava, figlia ed erede di Pierre de Voisins: rientrava così non solo in possesso delle proprie terre, ma stabiliva un'alleanza che sarebbe stata continuamente rinnovata, nello stesso momento in cui i Voisins si legavano con vincoli di parentela ai d'Aniort e ' alla famiglia de la Joyeuse. Nel 1732 François d'Hautpoul prese in moglie Marie de Nègre d'Ables de Blanchefort che gli avrebbe portato in dote i possedimenti degli ultimi Aniort. In questo modo venivano a ricongiungersi in un unico nucleo familiare i discendenti di tutte le più importanti dinastie nobiliari della regione: i de Nègre (originari di Le Clat e del Pays de Sault), i Blanchefort \ (di Rennes-les-Bains), i d'Aniort (per il tramite dei Blanchefort, signori di i Rennes-le-Château), i d'Ables (originari di Carcassonne e Limoux) e infine gli Hautpoul. Per effetto dei continui re-incroci, i possedimenti di queste casate finirono con il rimanere sempre nelle stesse mani lungo l'arco di circa ottoi cento anni. L'ultimo ad aver conservato proprietà e controllo sulle terre intorno alle due Rennes sarà il coniuge di una delle figlie della marchesa de Nègre: Paul-François Vincent de Fleury, marito di Gabriella di Hautpoul. Egli cercherà invano di ottenere dalla cognata Elisabetta i "documenti" di famiglia, il cui accesso gli verrà negato anche dopo la morte di Elisabetta, con il pretesto che "sarebbe stata una grave imprudenza portare alla luce carte di quella natura" 82 . I Fleury andranno via da Rennes-les-Bains (1889) più o meno nello stesso periodo in cui Saunière prenderà possesso della "sua" parrocchia. Saunière sembra intervenire proprio mentre una dinastia si estingue e, almeno idealmente, ne rileva il "testimone". E perlomeno sorprendente come, grazie al gioco delle alleanze e dei vincoli matrimoniali reciproci, tutte queste famiglie abbiano costantemente cercato di conservare il patrimonio di luoghi - e di segreti che viene a disperdersi con la morte della marchesa di Rennes-le-Château. Qualche altra cosa andava probabilmente tramandata e custodita nell'ambito

80 Montfaucon de Villars, Il Conte di Gabalis, ovvero conversazioni sulle scienze segrete (1670), Phoenix, Genova, 1985. 81 Una classificazione dei "demoni elementari", per caratteristiche ed attributi assai simile a quella descritta da de Villars, è riportata dallo Psello in un testo dell'XI secolo. Si veda al riguardo: M. Psello, Le Opere dei Demoni, a cura di P. Pizzari, Sellerio, Palermo, 1989. 82 M. Lamy, Jules Verne initié et Initiateur, Payot, Paris, 1984, p. 106 e s.

di una continuità che occorreva a tutti i costi assicurare. Stiamo parlando di ! tutt'altra genealogia, per la quale il "sangue" - inteso nel suo senso genetico' - non è che il veicolo di ben altre eredità Tocchiamo qui una delle radici di quella controiniziazione su cui Guénon ha spesso messo in guardia e che, nell'ambito dei misteri del Razès, mostra un interesse ed un coinvolgimento inusuali.

Alle origini della controiniziazione

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L'attesa per un "Re che deve ridestarsi", per un "dio spodestato" che attende J di riemergere in superficie in concomitanza con avvenimenti apocalittici, è stret- ; tamente intrecciata alle leggende relative alla "razza maledetta", composta' dai "Fedeli credenti" del dio cornuto e della Dea Bianca di cui, come ab-i biamo visto, ci narrano le leggende e gli avvenimenti che hanno interessato \ da sempre il Razès. Non è irrilevante sottolineare come la trasmissione di questo deposito di conoscenze "segrete" sia avvenuto non solo per il tramite di una filiazione di ordine soteriologico, ma altresì, in qualche modo, lungo una linea di continuità di sangue. Per tramite di questa viene mantenuta viva quella schiatta discendente dagli angeli decaduti, radice prima della controiniziazione e perciò chiamata a svolgere un ruolo escatologico di primo piano in corrispondenza della "fine dei tempi" che i mistagoghi del Priorato di Sion vorrebbero tanto affrettare. La figura del "messia bugiardo" (al-Masih al-Dajjal), l'Antecristo 84 descritto dalla tradizione degli hadith muhammadici così come dalla tradizione cristiana, assume un ruolo centrale nell'ambito escatologico tradizionale, ancorché su questo tema le sacre scritture abbiano sempre mantenuto una rigorosa riservatezza. È verosimile che tale voluto riserbo sia da mettere in rela-

_ '"¿^Osserva, in merito a tale questione, A. de Dànann: "ne consegue che le discendenze umane provenienti da questa unione colpevole (tra 'figli degli Dei' e 'Figlie degli Uomini') e dei frutti di questa sono, malgrado il diluvio, all'origine di un certo tipo di potere degenerato, che si manifesta attraverso la conoscenza e l'impiego di segreti che sono stati loro insegnati e che riguardano più precisamente il sangue nel senso più ampio del termine" (A. de Dànann, Mèmoire du Sang, Arché, Milano, 1990, p. 19). 84 La dizione corretta è effettivamente "ante-Cristo", dato che non è nei poteri e nella dignità di questi potersi opporre all'Unto del Signore. "Anticristo" è in effetti colui che "precede" il secondo ritomo di Gesù - il "Sigillo di Santità" che la tradizione islamica identifica nel figlio di Maria (Isa ibn-Myryam) - e che solo del tutto illusoriamente si oppone alla Parusia.

zione all'occultamento dell'avvento della Parusia, la cui "ora" è volutamente tenuta segreta, come bene si evince dal seguente passo coranico: "Gesù incontrò Gabriele (su entrambi la benedizione e la pace!). Gli chiese Gesù: 'Quando arriverà l'Ora?'. Gabriele turbato e con le ali tremanti, rispose: 'L'interrogato non ne sa più di chi lo interroga. Infatti l'Ora si abbatterà sui cieli e sulla Terra se non all'improvviso'"85. Tale occultamento ha molto verosimilmente un carattere "provvidenziale": a dispetto degli sforzi ridicoli compiuti da più parti e rivolti a "decifrare" date e corrispondenze di carattere storico - sforzi che rivelano la profanità di chi si attarda in simili giochetti - il momento "dell'Ora" resta nascosto dato che: "Nessuna tradizione ortodossa ha mai incoraggiato studi che permettessero all'uomo di arrivare a conoscere l'avvenire [...] tale conoscenza presentando più inconvenienti che vantaggi reali. È questo, dunque, il motivo per cui il punto di partenza e la durata del Manvantara sono stati sempre più o meno dissimulati"86. Ciò nondimeno i temi pertinenti la fine di questo ciclo di manifestazione assumono una rilevanza straordinaria nella tradizione esoterica islamica che li legge in chiave riepilogativa dell'intera profezia muhammadiana, ricollegando l'avvento del nuovo ciclo e l'instaurazione del regno di Dio in Terra alla preliminare sconfitta del Male ad opera di Gesù Cristo accompagnato dal Mahdi. La questione del "messia bugiardo" - ancorché la sua identità rimanga oscura — è di immediata attualità, dato che egli già opera "in mezzo a noi" e, a dispetto delle connotazioni simboliche - come quella che lo vuole cieco da un occhio 87 - apparentemente riferibili ad una individualità singola, l'Antecristo si 85 Citato in II Pettine e la Brocca; detti arabi di Gesù, a cura di A. Iacovella, Il Leone Verde, Torino, 1997, p. 74. L'occultamento dell'Ora si accompagna alla maledizione verso quanti, per fini diversi se non addirittura contrastanti, operano per evocare la Bestia sì da anticipare l'avvento del "giudizio finale"; si veda in Giobbe (3,7) "[...] maledicano quelli che imprecano al giorno, che sono pronti ad evocare Leviatan". In effetti la "liberazione" della Bestia dell'Abisso, che darà inizio agli sconvolgimenti apocalittici, avverrà solo in corrispondenza di un preciso decreto divino che invierà a tale scopo "l'Angelo dell'Abisso" cui corrisponde, nella tradizione islamica, Izrà 'il, l'Angelo della Morte. 86 R. Guénon, Forme tradizionali e Cicli cosmici, Edizioni Mediterranee, Roma, 1987, p. 17 e s. 87 La raffigurazione del demonio cieco d'un occhio è abituale nell'iconografia cristiana e sta a significare il predominio delle forze oscure che, prive di equilibrio e dell'illuminazione dello spirito, finiscono con l'assolvere ad un ruolo distruttore. Altro ben noto esempio di quella forza "cieca e distruttiva" è presente nella tradizione greca che fa appunto di Polifemo

incarna in una mentalità propria ad un gruppo omogeneo di entità, costituendo una sorta di Zeitgeist - lo "spirito del tempo" - per il quale potrà dirsi a giusta ragione che il "falso messia è il nome della razza di coloro che moltiplicano la menzogna ed il ciarlatanismo" 88 . Non a caso sulla sua fronte recherà la scritta KFR 89 il cui significato - "blasfemo" - rinvia direttamente all'opera di mistificazione che costituirà il carattere saliente della neospiritualità "rovesciata" propria del suo effimero regno. Tutte le fonti tradizionali sembrano reiteratamente insistere su questo punto. Nei Vangeli è detto: "Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e grandi miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti"90. Così un'hadith trasmessoci da Muslim:

- il fabbro-gigante con un unico occhio - il prototipo di quelle entità demoniche - nate dall'i'/legittima unione di iniziati (i fabbri) con le forze telluriche, qui simboleggianti gli stati infraumani della psiche (Polifemo rappresenta il riflesso terrestre dei ciclopi celesti, fabbri e architetti, da cui derivano le costruzioni "ciclopiche" dell'età dell'Oro). Alcune leggende medievali cristiane raffigurano l'Anticristo per l'appunto con un solo occhio in mezzo alla fronte e con due orecchie "d'asino", particolarità che lo accomunano tutt'altro che casualmente alla figura del Dajjal (cfr. M. Izzi, Dizionario illustrato dei Mostri, Gremese, Roma, 1989, p. 33). Va rilevato come anche l'Apocalisse d'Elia (111,13) insista sulle specifiche caratteristiche del volto dell'Anticristo "i tratti della sua testa non potranno trasformarsi. E da questo che riconoscerete il Figlio dell'Iniquità" : qui la testa è evidentemente il "riflesso dell'anima" - come ha perfettamente intuito Oscar Wilde - l'espressione cioè di quelle realtà psichiche le uniche, insieme a quelle pertinenti la manifestazione grossolana, sulle quali l'Anticristo avrà potestà, dato che i cieli superiori della manifestazione informale gli sono ormai definitivamente preclusi dopo che l'arcangelo Michele lo ha "scacciato" dal Cielo. 11 fatto che Saunière - non sappiamo bene né come né quando - abbia perso un occhio assume non a caso un preciso significato simbolico nel contesto dell'enigma di Rennes-le-Chàteau. 88 Manhal el Waridin (a cura dello Sheik Sobhi el-Saleh, Il Cairo, 1972), tratta dal testo Riyad el Salihin ("I Giardini della Pietà", di Muhyi ai-Din al-Nawawi, XIII secolo, p. 608). 89 Dalla radice KFR discendono due possibili termini: Kafir (infedele) e Koufroun (blasfemo). I due significati sono indifferentemente riportati da diverse raccolte di hadith (cfr. J.A. Williams, Themes ofislamic civilization, University of California Press, Berkeley, 1971, p. 30). Rileviamo come un identico "marchio" viene segnalato dalle Apocalissi dello pseudo-Giovanni e dello pseudo-Daniele. Un marchio analogo è quello che i Cainiti recano impresso sulla fronte. 9 ° Matteo, XXIV,24.

"Chi senta parlare del Dajjal farà bene a stame lontano. Infatti, chiunque avvicini il Dajjal pensando di se stesso di essere un credente, finirà, ascoltando le sue imprese eroiche, per diventarne un seguace"91. Neil 'Apocalisse giovannea: "[la Bestia] compie anche grandi segni, fino a far cadere il fuoco dal cielo sulla terra [...] perciò seduce gli abitanti della terra per mezzo dei segni che le sono stati dati da compiere"92. La "bestia" di cui è qui questione è senza dubbio quella che fuoriesce dal Mare, e presenta inquietanti analogie simboliche con quella che darà origine alla schiatta dei Merovingi; essa è destinata ad instaurare "il regno della Grande Parodia": non più il "regno della quantità" - quale quello che viene inaugurato dalla Bestia della Terra ma un regno dove "con il pretesto di una falsa restaurazione spirituale, si assisterà alla reintroduzione della 'qualità' in ogni cosa, ma di una qualità considerata rovesciata rispetto al suo valore normale e legittimo" 93 .

I due volti dell'Avversario La rappresentazione del male nell'ambito del manifestato, come noto, si articola nell'Apocalisse di Giovanni sulle due figure simboliche della Bestia del Mare e della Bestia della Terra - entrambe procedenti da un comune principio, il Dragone, liberato dall'Angelo dell'Abisso e quindi sconfitto da Michele per essere precipitato sulla terra. Le tre raffigurazioni costituiscono un vero e proprio "trinitario malefico" che troverà una sorta di sintesi simbolica nella figura dell'Anticristo. La duplicità delle ipostasi malefiche - le due "bestie" - da cui quest'ultimo precede, è presente in diverse tradizioni e tutte fanno riferimento ad un comune sostrato simbolico. I miti iranici di derivazione zoroastriana parlano del combattimento escatologico scatenato da Ahriman e dal serpente tricefalo Azi-Ddahaka; quest'ultimo, dopo essersi affrancato dalle

91

Hadith di Imraan bin Husain (Muslim). Apocalisse, XIII, 13-14. 93 R. Guénon, Il Regno della Quantità e il Segno dei Tempi, Adelphi, Milano, 1988, p. 264. Una considerazione che bene si accorda con quanto riportato dagli hadith muhammadici (Muslim, 187) per i quali il "Dajjal avrà con sé ogni sorta di cose, ma queste presenteranno una forma distorta e rovesciata rispetto al loro aspetto normale". 92

catene che lo trattenevano prigioniero sul monte Demavend, ha assimilato la potenza maligna di Ahriman prima ingoiandolo e poi impadronendosi del suo trono per scatenare una furia devastatrice sulla Terra fino a che un Messia salvatore - Kérésaspa - lo vinca e lo annienti 94 . Parimenti, secondo gli hadith95, il Dajjal sarebbe rinchiuso in un monastero sconsacrato su di un'isola deserta, insieme ad una "bestia pelosa" che verrà liberata insieme a lui nel momento dello scontro finale. Due sono altresì le "bestie" demoniache della tradizione ebraica, come riportato nel Libro di Giobbe 96 , in Isaia 97 , in Amos 98 e, soprattutto, nel IV libro di Ezra dove viene esplicitamente ricordato: "Tu conservasti [al momento della creazione] due esseri da Te creati, dando nome ad uno Behemot, e all'altro Leviatan, e separandoli l'uno dall'altro perché la settima parte dov'era contenuta l'acqua non poteva contenerli entrambi"99. La presenza di due "bestie" 100 - lungi dal riflettere preoccupazioni di carattere evemeristico - risponde ad una ben precisa necessità di ordine simbolico, per l'intelligenza della quale dobbiamo tornare all'episodio in cui il Dragone - YIblis islamico o il Lucifero ebraico e cristiano - viene "scacciato" dai "cieli". L'evento attesta chiaramente come all'Avversario - in ilio tempore sia stato negato l'accesso al mondo della manifestazione informale (i "cieli") 94

Vahman Yast, III, 54 s. Leggenda di Tamin-al-Dari, citato in D. J. Halperin, "The Ibn-Sayyad Traditions and the legend of al-Dajjal", Journal Of American Orientai Society, 1976, (96), p. 233. 9 ' Giobbe, 40,15-32 e 41,1-26. 97 Isaia, 27,1. L'Apocalisse di Isaia parla del "serpente guizzante", il "dragone del mare", in termini che ricordano un oracolo caldeo del V secolo (rinvenuto su tavolette di Ugarit): "Tu schiaccerai Leviatan [...] serpente fuggiasco, tu consumerai il serpente tortuoso, il potente dalle sette teste" (cit. in A.M. Gerard, Dizionario della Bibbia, Rizzoli, Milano, 1994, voi. II, p. 902), un passo che è evidentemente in rapporto a quello giovanneo: "E vidi salire dal mare una Bestia con dieci coma e sette teste" (Apocalisse, 13,1). WAmos, 9,3. 99 IVlibro di Ezra, VI,49 e s., cfr. Apocrifi dell'Antico Testamento, a cura di P. Sacchi, TEA, Torino, 1990, voi. I, p. 429). Behemot verrà relegato nella Terra "dove sorgono mille montagne", mentre Leviatan, il serpente di mare, verrà confinato nell'acqua (la parte "umida" del creato), in attesa che entrambi vengano "richiamati" nel giorno finale (Ibidem, 51-53). 100 Questa dicotomia sembra riflettersi sulle categorie dei dèmoni che, ab origine, vengonoripartiti in due categorie. Già prima del Diluvio Enoc distingue tra Azazel-responsabile d'aver insegnato i segreti dei "metalli" ("insegnò i metalli e i modi per lavorarli", Enoc, LV2, Vili, 1), relegato in un pozzo nel deserto e privalo di Luce - e Semeyaza, il capo dei Vigilanti - cui viene ascritto il peccato di recidere le radici, insegnare la magia e generare giganti - che viene incatenato sotto le colline "per settanta generazioni". 95

e abbia dovuto necessariamente "incarnarsi" nelle due "bestie" per poter conservare il potere sulla manifestazione formale, qui intesa nel suo duplice aspetto di manifestazione sottile e di manifestazione grossolana, esprimendosi, per così dire, nell'unico modo che gli è veramente congeniale, ovvero nell'ambito del dualismo irriducibile di cui è al tempo stesso artefice e vittima. La comparsa della Bestia dal Mare va letta come la simultanea fuoriuscita di un'entità sovvertitrice che proviene dall'Abisso - in cui era stata relegata nella notte dei tempi - e dai depositi insondabili delle potenze del Caos, inequivocabilmente significate dalle "acque dello psichismo". Ed in effetti è propriamente sul mondo sottile - il mondo intermedio da cui proviene - che si estende la potestà del Leviatano. Questa dimensione è propriamente l'unica su cui si esercita il potere della contro-iniziazione e che ne denuncia gli intenti: l'evocazione di una "spiritualità" rovesciata, quale è quella che viene suggerita - in significativa associazione con quanto descritto a proposito del Dragone - dalla presenza dei "nomi blasfemi", incisi sulle corna, autentiche contraffazioni "invertite" dei Nomi Divini: "Ed essa aperse la bocca a proferir bestemmie contro Dio, a bestemmiare il suo Nome e il tabernacolo, cioè coloro che dimorano in cielo"101. In effetti, perché la Bestia del Mare possa instaurare: "Il suo potere sul mondo delle forme, è necessario che essa si contrapponga apertamente al mondo celeste e tenti di usurpare il posto dello spirituale grazie al trionfo dello psichismo. Il progetto ambizioso che la Bestia realizza ora è quello di dimostrare che il mondo, così come l'individuo, possa bastare a se stesso, per il solo tramite delle proprie facoltà psichiche e che, dopo essersi disfatto deliberatamente del cielo, possa sopravvivere ed estendere il proprio dominio sul Mare e sulla Terra [...] Il regno della Bestia non appare necessariamente come mostruoso agli occhi di tutti, poiché la Bestia cerca per l'appunto di sedurre e di sostituire alla vera spiritualità una ingegnosa contraffazione"102. La pretesa di voler ridurre l'uomo alla sua sola dimensione formale - psichica e materiale - "recidendolo", se così si può dire, dal cielo, individua non solo i fini e i mezzi di cui si servirà l'Antecristo nella sua opera di sovversione, ma altresì ne denuncia la lontana ascendenza. La Bestia del Mare sembra infatti riemergere da un oscuro "passato", quando già una volta l'azione dis101 102

Apocalisse, 13,6. D. Viseux, L'Apocalypse,

Arché, Milano, 1985, p. 142 e s.

solvitrice dici"'.

delle potenze demoniache

si era esercitata nel "taglio delle ra-

"E [i Figli di Dio] si unirono con [le figlie degli uomini] ed insegnarono ad esse incantesimi e magie e mostrarono loro il taglio di piante e radici. Ed esse rimasero gravide e generarono giganti la cui statura, per ognuno, era di tremila cubiti"103. E incredibile come un siffatto simbolismo - esemplare nella sua chiarezza se ci si pone in un ottica rigorosamente tradizionale - abbia potuto dare luogo alle più incongrue interpretazioni. Il "taglio delle radici" è stato variamente interpretato come indebita manipolazione della natura o come acquisizione di conoscenze che - propriamente in quanto tali - sono assimilate al "male", soprattutto quelle che hanno a che vedere con le virtù farmacologiche di determinate piante. Una tale interpretazione è non solo risibile - nella misura in cui ritrae un Dio gretto e meschino - ma sprovvista di fondamento, come del resto si evince facilmente dal seguente passo dei Giubilei: "E affinché Noè curasse con le piante della terra, Noi gli dicemmo, insieme con l'inganno dei diavoli, il rimedio di ogni malattia [...] E Noè [...] scrisse ogni specie di rimedio in un libro e tutti gli spiriti cattivi che erano al seguito dei figli di Noè furono rinchiusi"104. Non altrimenti è detto in Siracide: "Il Signore ha creato medicamenti dalla terra, l'uomo assennato non li disprezza [...] Dio ha dato agli uomini la scienza perché potessero gloriarsi delle sue meraviglie. Con esse [le erbe, Nda] il medico cura ed elimina il dolore e il farmacista prepara le miscele"105. Le "radici" di cui è questione non hanno quindi nulla a che vedere con lo sviluppo delle scienze erboristiche, biologiche, farmacologiche e più in generale con l'acquisizione di una conoscenza di carattere scientifico. Se si pone mente a quella che è la concezione dell'albero quale è riportata nelle più diverse dottrine tradizionali 106 - tanto esoteriche quanto exoteriche - si com103 Enoc, Libro dei Vigilanti, parte II, LV2 e VII, 1-2. Il testo di Enoc è ovviamente da mettere in relazione con Genesi (VI, 1-4), dove lo stesso tema viene affrontato in termini che restano volutamente enigmatici. Giubilei, X, 12 e s. 105 Siracide, 38,4 e s. 106 Su questo tema si veda R. Guénon, L'Albero del Mondo, in: Simboli della Scienza Sacra, Adelphi, Milano, 1975, p. 279 e s.

prende facilmente come le "radici" di ogni essere - ed a rigore di ogni entità rappresentata nell'ambito della manifestazione - sono collocate in alto: "Cioè nel Principio stesso. Tagliarle equivale dunque a considerare le 'piante', o gli esseri che esse simboleggiano come se avessero in un certo qual modo un'esistenza e una realtà indipendenti dal Principio"107. L'operazione tramite la quale gli "angeli ribelli" prima, e quindi gli uomini loro seguaci, hanno consumato il distacco dal Principio spiega il senso di quella "decadenza" che viene ad entrambi attribuita come uno degli elementi che ha concorso ad introdurre il "male" nel mondo 108 : "Gli angeli, infatti, sono realmente 'decaduti', quando sono considerati in questa maniera, perché proprio dalla partecipazione al Principio essi ricevono tutto quello che costituisce il loro essere, tanto che, quando questa partecipazione è misconosciuta, non resta più che un aspetto puramente negativo, come una sorta d'ombra rovesciata in rapporto a quest'essere stesso [...]. Ogni essere, qualunque sia e a qualunque ordine di esistenza appartenga, dipende [...] interamente dal Principio in tutto ciò che è, e tale dipendenza, che è nello stesso tempo una partecipazione è, si potrebbe dire, la misura stessa della sua realtà"109. L'alienazione dell'uomo dal rapporto che contrae con il suo creatore è propriamente ciò che costituisce la "bestemmia contro lo spirito", quella che non potrà venir perdonata e che, alla fine dei tempi, come sottolineano i commentatori islamici, costituirà il fondamento: "[...] Dell'ultima parodia: l'instaurazione di una metafisica a rovescio, che nega l'Onnipotente e l'Onniscienza di Dio, così come il senso della Rivelazione, per preservare l'illusione della libertà individuale. Ed ecco annunciato l'arrivo di una nuova i°7 Ibidem, p. 326. 108 B. Teyssèdre, Nascita del Diavolo, ECIG, Genova, 1992, p. 204 e s. Le fasi salienti attraverso cui viene scandito "l'ingresso" del Male nel mondo sono riassunti in cinque tappe: 1) "disobbedienza" d'Adamo; 2) assassinio d'Abele; 3) invenzione delle "arti" da parte della progenitura di Caino; 4) la congiunzione dei "figli degli dèi" con le "figlie degli uomini"; 5) la costruzione della Torre di Babele. Teyssèdre giustamente - pur "rimuovendo" l'episodio fondamentale legato alla rivolta di Lucifero (Iblis nella tradizione islamica, Samael in quella ebraica) - sottolinea come in almeno un caso uno dei fattori "sfugge alla volontà umana: la discesa dei "figli degli dèi" sulla Terra. L'episodio introduce e precede quello del Diluvio, creando fra essi una relazione di causa ed effetto" (Ibidem, p. 205). 109 R. Guénon, Le radici delle piante, in Simboli della Scienza Sacra, Adelphi, Milano, 1975, p. 328.

era, che sarà in realtà l'epoca terribile in cui l'uomo, ebbro di indipendenza, oserà proclamarsi, in un'ultima bestemmia, Dio di se stesso"110. Questa azione dissolvitriee che confonde - ove possibile - anche gli "eletti" e instaura una religiosità "alla rovescio", è propriamente quanto la comunità di Qumran addebita alla duplice ipostasi di Belial 111 e alla sua congrega, "I Figli delle Tenebre": "Interpreti di menzogne e creatori di inganni [che] sedotti dall'errore hanno fuorviato [l'Umanità] con le loro parole adulatrici" impedendo all'uomo di "bere la bevanda di conoscenza" 112 . Anche nei manoscritti qumranici l'Avversario sembra presentarsi sotto una duplice veste, ancorché egli sia di rado esplicitamente "nominato". Da un lato - soprattutto nel Rotolo della Guerra - viene ad essere identificato come l'Empio (Milki-resa) - assimilabile quindi alla Bestia della Terra che visibilmente infrangerà la Legge di Dio per instaurare il Regno della contro-Tradizione - dall'altro è identificato con lo Spirito d'Inganno (Mastema), e quindi ricondotto alla funzione preminente assolta dalla Bestia del Mare. Il "taglio delle radici" si accompagna alla divulgazione di elementi delle "scienze sacre" 113 che, anche questi, ormai privi di un ricollegamento "normale" al Principio, finiscono per degenerare in magia, spesso della specie più pericolosa. Un significato del tutto sovrapponibile è presentato dal racconto coranico relativo agli angeli decaduti - Harut e Marut - che, molto significativamente ricalca nelle sue linee fondamentali la narrazione di Enoch. "I demoni [...] e i due angeli - Harut e Marut - insegnavano agli uomini la magia [...] Gli uomini appresero da loro sortilegi per disgiungere l'uomo dalla sua donna [...] e appresero ancora ciò che era loro di danno"114.

110 Abd-Al-Haqq I. Guiderdoni, "Considerazioni sull'escatologia islamica", Il Messaggio, Centro Studi Metafisici, Milano, II, (4), 2002, p. 87. "i B. Teyssèdre, Nascita del Diavolo, ECIG, Genova, 1992, p. 289 e s. Inni di Qumran (Hodayot) IV, 10, 13, 14; V, 26. 113 È probabile che il "segreto" divulgato avesse qualcosa a che vedere con il prolungamento indefinito della vita umana - tanto che in Genesi (VI, 3) per contrappeso la pena emanata consisterà appunto nel limitare la durata della vita in terra ("Il mio spirito non resterà sempre nell'uomo ... la sua vita sarà di centoventi anni") - e tale comunque da conferire un potere reale: "Avete appreso un segreto abominevole e, nella durezza del vostro cuore, lo avete raccontato alle donne [...] [ciò] fa aumentare la cattiveria sulla terra" (Enoc, LV2, XVI, 3). 114 Corano, II, 101 e s.

Un'altra versione sottolinea come i due angeli, inviati sulla Terra, si lasciarono sedurre da una donna. Bevvero vino, rinnegarono Dio, insegnarono la magia agli uomini e comunicarono alla donna il Nome segreto che permetteva di salire in Cielo. La donna ascese fino ai primi cieli, ma venne trasformata nel pianeta Venere, mentre i due angeli furono puniti: appesi per i capelli in un pozzo di Babilonia (o di Babele a seconda delle versioni), in attesa del giudizio finale 115 . Questo riferimento a Venere è quanto mai opportuno, poiché riconduce l'ipostasi malefica del "femminino sacro" a quella Grande Madre delle cui gesta risuonano i misteri del Razès. La versione araba della leggenda apporta un chiarimento essenziale su un aspetto destinato altrimenti a rimanere alquanto oscuro. Come è infatti stato acutamente rilevato dal Teyssèdre 116 , i Vigilanti compresi nell'elenco che ne dà Enoc 117 presentano chiare analogie con i demoni babilonesi, eppure le attribuzioni che discendono dai loro nomi rispettivi - tutte più o meno correlate all'astrologia ad eccezione di due casi (Semeyaza ed Ermoni) - non hanno nulla a che vedere con il peccato loro ascrittogli. Per quanto riguarda Azazel, questi viene descritto in termini e con caratteristiche che permettono di distinguerlo nettamente dagli "angeli decaduti". Innanzitutto non rientra nel novero dei Vigilanti, quale compare nell'elenco che ne viene dato e la sua collocazione anche sotto il profilo della pena che gli viene riservata - è nettamente distinta da quella a cui sono destinati gli "angeli ribelli". In secondo luogo, e questo è lungi dall'essere un dettaglio, ad Azazel vengono imputate colpe analoghe a quelle per le quali furono condannati Caino e la sua progenie 118 . Questi elementi lascerebbero presupporre che Azazel-e la sua razza - condannati a popolare il "mondo di sotterra", nel "deserto" - siano chiamati ad assolvere, in ambito escatologico, un ruolo specifico non immediatamente riconducibile a quello degli "angeli decaduti". Come non rilevare in tutto ciò le indubbie analogie con la mitologia di Nerval e i misteri del Razès? Queste precisazioni permettono di individuare nella perversione di una antica schiatta di iniziati una delle principali cause di introduzione del "Male" 115 Jahiz, Hayawan, I, 86 e s.; VI, 61. Si veda altresì Ps. Balkhi, III, 14. Per una più ampia bibliografia su questo enigmatico racconto si veda in: Angeli, demoni e ginn in Islam, di T. Fahd, in: AA.VV., Geni, Angeli e Demoni, Edizioni Mediterranee, Roma, 1994, p. 146 e s. 116 B. Teyssèdre, Nascita del Diavolo, ECIG, Genova, 1992, p. 226 e s. Si veda tutto il capitolo per una suggestiva disamina di questo intricato problema. 117 Enoc, LV2, VI, 7 118 Enoc, Vili, 1. Si veda altresì, per una discussione su questo aspetto, B. Teyssèdre, Nascita del Diavolo, ECIG, Genova, 1992, p. 254 e s.

sulla Terra. Considerato che le due figure principali di cui è questione in Enoc - Azazel e Semeyaza - sono destinate a ripresentarsi alla "fine dei tempi", e che mentre la prima è indiscutibilmente correlata alla Bestia della Terra, sembra verosimile che la Bestia del Mare possa essere messa in rapporto con i Vigilanti e quindi, in ultima istanza, con una Tradizione iniziatica degenerata e destinata a riproporsi alla fine del ciclo. Stiamo ovviamente parlando della filiazione atlantidea e del culto del "Dio alla testa d'asino" che - come ci ricorda Guénon - "sotto una forma o un'altra, è durato fino ai giorni nostri, e alcuni affermano addirittura che deve durare fino al termine del ciclo attuale" 119 . Peraltro, così come esiste un rapporto di subordinazione di Azazel verso Semeyaza, del pari è indubbio che un'analoga subordinazione intercorra tra la Bestia della Terra e quella del Mare: "Il versetto 12 [dell'Apocalisse] ci informa che la Bestia della Terra riceve la sua autorità e il suo potere dalla Bestia del Mare, e il fatto che questa parli come il Dragone, evidenzia bene la filiazione e la gerarchia che si stabilisce tra le tre entità"1 20. Il Dragone - principio sopraindividuale del Male ma escluso per sempre dal Cielo ed incapace quindi di ricollegarsi allo Spirito, anzi inerme nei confronti di questo - estende progressivamente il proprio dominio alla manifestazione sottile, il mondo intermedio della psiche - su cui regna la Bestia del Mare - e quindi sulla Terra, ambito della manifestazione grossolana. Perciò stesso: "La Bestia della Terra sarà la più visibile e la più tangibile delle tre, poiché la propria azione si esplicherà sul mondo grossolano e della sfera corporale. Più lontano il testo sostituirà questa denominazione con quella del "Falso Profeta", ed è que119 R. Guénon, Simboli della Scienza Sacra, Adelphi, Milano, 1975, p. 130. Sarebbe per esempio illuminante domandarsi come mai organizzazioni apparentemente "cattoliche" - come per esempio lo Hiéron du Val d'Or e i suoi più recenti epigoni - abbiano potuto rivolgere tante attenzioni a tradizioni ormai morte, come quella atlantidea o al druidismo. Dobbiamo proprio ricordare con Guénon che "al declino di una civiltà, è il lato inferiore della sua tradizione che persiste più a lungo, il lato magico in particolare, che contribuisce d'altronde, con le deviazioni alle quali dà luogo, a completare la sua rovina; è quanto sarebbe avvenuto per Atlantide [...] la constatazione è facile da farsi [anche] per l'Egitto, per la Caldea, per il Druidismo stesso" (Ibidem, p. 131). 120 D. Viseux, L'Apocalypse, Arché, Milano, 1985, p. 145. Va altresì rilevato come in tutte le Tradizioni una delle due bestie concorra a "risvegliare" l'altra e spesso finisca con l'essere "sacrificata" affinché la seconda possa assorbire la forza e la potenza necessarie ad instaurare il proprio "regno".

st'ultimo che generalmente si intende per Antecristo, ovvero colui che viene "prima" del Cristo"121. È questa la Bestia di cui si parla nel Corano: "E quando starà per cadere sugli empi la Sentenza, faremo uscire per loro una Bestia (Da 'aba) dalla Terra"122, lunga "almeno 120 piedi, le membra ciascuna proveniente da animali ed uccelli diversi [essa] imprimerà il proprio marchio KFR sulla fronte degli uomini" 123 . Considerazioni di questo tipo sembrano volerci indicare che, nei tempi che precederanno la Parusia, occorrerà attendersi una sorta di duplice trappola: l'avvento di una prima Bestia che, sotto l'apparenza del Gran Monarca - quello stesso di cui ci parlano i mistagoghi che si sono interessati a Rennes-le-Chàteau - emergerà dal caos politico e istituzionale, per imporre un "nuovo corso", un nuovo "ordine mondiale", caratterizzandosi come il "Regno del progresso" e della "materialità totale", facendosi alfiere di una globalizzazione dietro cui si maschererà l'intento di livellare ogni cosa o persona, riducendola in qualche modo a "pura" quantità, per depredarla quindi della propria identità, sostituendola con una artificiale. L'elemento prometeico e luciferino godrà, in questa prima fase, di un insospettato consenso e successo. È senza dubbio un richiamo: "Che scuote le coscienze e che richiederebbe che ci si interroghi sulla effettiva natura che anima il 'progresso' e l'espansione dell'Occidente. La seduzione esplicata dai prodigi resta in ogni caso uno dei fattori determinanti del potere della Bestia. Questi prodigi sono, beninteso, di ordine materiale, poiché sono realizzati dall'Antecristo con Vautorità della Bestia del Mare che li riveste di una patina ideologica. Ma sono questi i soli prodigi che il mondo moderno possa riconoscere, essendo ormai troppo sprofondato nella realtà fisica ed incapace di concepire altre forme di manifestazione"124. La pretesa di estendere il dominio della tecnocrazia su ogni ambito dovrà essere "necessariamente" preceduta dalla destabilizzazione delle istituzioni tra'21 Ibidem. 122 Corano, XXVII, 82. '23 Hadith, Muslim 161. 124 D. Viseux, L'Apocalypse,

Arché, Milano, 1985, p. 147 (il corsivo è nostro).

dizionali, dall'affermazione di una "anti-tradizione" che, in qualche modo, miri ad estendere un controllo ubiquitario, proprio nel mentre concorrerà a "chiudere definitivamente, le porte del cielo". Non a caso la tradizione islamica sottolinea questa temibile eventualità, quando predice che "verrà un tempo in cui la pratica della religione scotterà tanto quanto scotta un carbone ardente nelle mani" 125 , a significare come i "puri credenti" saranno sempre più emarginati e relegati nel ghetto di una interiorità nascosta che prelude ad una fase ulteriore di vera e propria persecuzione. Il "Nuovo Ordine" sarà tuttavia di breve durata: avrà appena il tempo di realizzare la sua "disumanità" (che esprimerà per converso tutto quanto si riferisce al livello più basso dell'Umanità, simboleggiato dal fatidico "666"), di manifestare un totalitarismo illegittimo e fin troppo manifestamente "scoperto" 126 , per essere quindi "rovesciato" dalla Bestia del Mare che, in nome di uno pseudo-spiritualismo e dei bisogni "trascendenti" dell'uomo, inaugurerà l'era della "contro-tradizione" - caratterizzata per l'appunto dalla contraffazione dell 'idea tradizionale - reintroducendo, come reazione al precedente stato di cose, una "nuova " religione, magari capace di accogliere sincretisticamente qualunque credenza. Questo è quanto suggerisce in modo inequivocabile il ciarpame occultistico e pseudo-iniziatico che la vicenda di Rennes-le-Chàteau ha avuto il ( d e f e r i to di far emergere, per poi svilupparsi come una vera e propria "massa" cancerosa. Il sincretismo confuso e confondente che mescola insieme gnosticismo, templari, massoneria, magia e chi più ne ha più ne metta, si sposa peraltro fin troppo bene con il filone antitradizionale racchiuso nella simbologia della chiesa di Maria Maddalena e concorre ad un unico fine: screditare la Tradizione legittima e spianare la strada al ritorno di "colui che deve venire". Il Lucifero vegliato da Maria Maddalena, che attende dormiente nella grotta, regnando "in sonno" sugli uomini della "prima razza" - i Fécos e i discendenti dei Cainiti, i Catari - ha saputo suscitare nella regione dell'Aude una sua dinastia che si trasmette - di generazione in generazione - il segreto. Il segreto che Marie d'Ablés de Nègre d'Hautpoul et de Blanchefort, ultima discendente di un insieme di numerose famiglie nobili, non riuscì a portarsi nella tomba. Il segreto che forse Saunière, almeno in parte, riuscì a decifrare...

125 Dar al Burhaniyyah, Il Mahdi e l'Anticristo, Il Veltro, Parma, 1988, p. 10. 126 Cos'altro si potrebbe dire del gigantesco "666" che sovrasta il Rockefeller Center di Manhattan?

Il messaggio

Gli ingredienti del mistero: un luogo di resurrezione, una soglia per l'Altro Mondo, un dio dei primi tempi che attende, un talismano per propiziarne la venuta e le attività di oscure società controiniziatiche. Proviamo a riassumere nei suoi termini essenziali ciò che di certo sappiamo ora sull'enigma. Quando Saunière prende possesso della parrocchia di Rennes-le-Chàteau, sa di poter contare sulla protezione indiscussa di monsignor Billard da cui riceve presumibilmente alcune istruzioni chiave. Sa di dover cercare qualcosa nella chiesa. E per questo che comincia i lavori di restauro cominciando - contro ogni logica - dall'altare. Cosa abbia trovato rimuovendo la dalle aux chevaliers e nella balaustra (o nel pilastro) non è dato sapere. E più che logico supporre che si sia confidato con Billard e che insieme a questi abbia anche decifrato l'epitaffio inciso sulla tomba di Marie de Nègre d'Ables d'Hautpoul et de Blanchefort. Sappiamo che, almeno per quanto riguarda la stele, si tratta di un messaggio criptato e firmato da Bigou, confidente della marchesa e parroco di Rennes-le-Chàteau fino al 1792: parla di un "tesoro" che è stato "spostato" e quindi "ritrovato". La pietra tombale è invece alquanto controversa: in origine riportava sicuramente il testo latino ("Reddis Regis Cellis Arcis") seguito dalla cifra romana in basso a destra che costituisce appunto la "firma" di Bigou; il resto - la scritta "Et in Arcadia Ego", PS, Praecum e il "polipo" - sono stati aggiunti posteriormente, molto probabilmente da chi ha voluto imbastire la mistificazione (Plantard e soci) o dallo stesso Saunière su indicazione di quel gruppo occulto che, dietro le quinte, assumerà la regia anche degli sviluppi futuri. Si tratta in effetti di apporre un "marchio" di riconoscimento ("Et in Arcadia ego") - che tale è per esplicita ammissione di Maurice Barrès - proprio della Société Angélique, una organizzazione occultistica segreta che tra i suoi membri annovera non pochi dei personaggi coinvolti nella storia di Rennes. La provocazione è fin troppo palese perché qualcuno, quantomeno nell'ambito diocesano, non se ne avveda. Per cui, con la scomparsa di Billard e quindi di Leone XIII - membro dell'Accademia alchimistica e paganeggiante dell'Ar-

cadia - Saunière perde i suoi principali "protettori" ed alla diocesi di Carcassonne subentra monsignor de Beausejour. Il parroco si affretterà a cancellare l'iscrizione che, già dal 1909, non è più visibile. Ernest Cros, l'ingegnere appassionato di archeologia e bene introdotto nei milieux occultistici di Tolosa, lo rimprovererà per questo. Il messaggio parla di un "deposito sacro" (una statua? un talismano? un libro segreto?), identificato con "Isis", che sarebbe stato spostato o "ridestato", da Rennes in un altro luogo, verosimilmente una grotta. Abbiamo visto che di un analogo "trasferimento" parla la tela di Poussin - i famosi Bergers d'Arcadie - che si riferisce anch'essa ai misteri di Iside ed ai segreti della Grande Madre. E alla ricerca di questo luogo, di questa "seconda" tomba, che Saunière dedicherà giorni, mesi ed anni di ricerche. La troverà finalmente nel 1891 e sul suo diario lo confermerà con una annotazione tanto enigmatica quanto significativa. Come abbiamo visto si tratta non già della tomba della marchesa de Nègre, bensì di un'altra sepoltura - localizzata al di fuori del cimitero - e destinata verosimilmente a custodire un prezioso deposito. Di questa scoperta, come delle altre, informerà il proprio vescovo e qualche altro personaggio, come Gèlis e Cros. E da questo momento che il parroco darà prova di disporre di quell'ampia disponibilità di denaro che gli consentirà di condurre a termine l'ambizioso piano di ristrutturazione della chiesa, con l'acquisizione di terreni, la realizzazione di Villa Betania e di Torre Magdala. Lo stesso Comune beneficerà dell'improvvisa fortuna del parroco e, dopo anni di tensioni, concluderà con il prelato un solido rapporto di solidarietà. Il fatto che la stele venisse siglata in codice da Bigou dimostra senza ombra di dubbio che il messaggio era rivolto ad un destinatario preciso, capace non solo di decifrare il testo ma di riconoscervi la paternità di Bigou. A beneficio di chi il parroco di Rennes-le-Chàteau lasciava incisa la propria firma? Evidentemente solo per coloro che disponevano dei codici di decifrazione e di riconoscimento. In altri termini per i membri di una organizzazione segreta, che avrebbe saputo come avvalersi di nozioni elementari - ancorché ingegnose - di criptografía. È molto probabile che Bigou, al pari di monsignor Billard più tardi, e di altri prelati del Razès, sia stato membro di una associazione segreta all'apparenza ultraortodossa: la Aa - "le Amicizie angeliche", continuatrice della famigerata Compagnia del Santo Sacramento - di cui uno dei fondatori era stato Nicolas Pavilion, vescovo di Alet-les-Bains ed epigona tardiva della Société Angélique, di cui avevano fatto parte artisti illustri come Rabelais, Poussin, Nerval. Una società nata all'alba del Rinascimento ma che, sotto forme e travestimenti diversi, si è continuata fino ad oggi, infiltrando e servendosi di altre organizzazioni e gruppuscoli occulti o pseudoiniziatici.

Queste "associazioni" hanno tra loro molto in comune: il culto esasperato di Notre-Dame, controfigura della Grande Madre, pratiche di preghiera incentrate sull'uso rituale del rosario ed una devozione per gli Angeli che per taluni versi ricorda l'insistenza con cui alcuni gruppi occulti, dal Cinquecento in poi, hanno sviluppato i temi della cosiddetta "magia angelica". Invero, su tale questione poche sono le congetture sostenibili, considerate le precauzioni e le attenzioni con le quali queste associazioni avvolgevano le proprie attività nel segreto più rigoroso e assoluto. L'ossessione per il segreto, considerato "l'anima della Compagnia", costituisce anzi il primo obiettivo di questi gruppi. E dietro il segreto, così tenacemente custodito, si trincerano intendimenti che, allo stato attuale delle nostre conoscenze, possono essere solo ipotizzati. Segreti erano gli scopi e i "cerchi" più intemi della struttura organizzativa, cui si accedeva per cooptazione dopo aver superato prove ed esami estremamente rigorosi. Certo, è comprensibile che occorresse mantenere riservati alcuni fini a carattere politico che, pur considerando le mutate circostanze nei secoli, si concretizzavano comunque in un'unica finalità: attentare alla stabilità dell 'ordine costituito. La Compagnia del Santo Sacramento si opporrà infatti con ogni mezzo alla Monarchia - fino ad arrivare ad appoggiare la Fronde - e al cardinal Mazzarino, che pure - bene o male - rappresentava in Francia l'autorità papale. Successivamente, leAa si muoveranno lungo il solco della Compagnia, seppure con altri mezzi, possibilmente più circospetti e prudenti, ma cercando comunque di infiltrare gli apparati dello Stato e della magistratura con i propri uomini e garantirsi così posizioni di potere e di controllo insospettabili. Lo Hiéron du Val d'Or, che rappresenta un altro volto di quest'idra proteiforme, si batterà apertamente per la causa legittimista, perorando il ritomo del presunto discendente di Luigi XVI (prima Chambord e poi Naundorff), inserendosi nel già arroventato contrasto tra Chiesa e Stato francese che segnerà i decenni a cavallo del secolo XIX, fino ad arrivare ad auspicare - in perfetta sintonia con la strategia della Sapinière e del cardinale Merry del Val - un crollo della III Repubblica ed una rifondazione della Chiesa di Francia, considerata troppo tiepida e rinunciataria. Tutto questo può certamente aiutare a capire l'esigenza del segreto, ma non lo giustifica appieno. E soprattutto non spiega le sovrastrutture di carattere esoterico ed occultistico di cui simili organizzazioni hanno voluto ammantarsi. In particolare ciò è vero per lo Hiéron, che si richiamava apertamente al culto del serpente, alla tradizione druidica, nell'improbabile ricerca della lingua "magica" delle origini (il celtico), proclamandosi erede di Atlantide ed antesignano di quell'imminente "Nuovo Regno" che sarebbe dovuto sorgere dalle ceneri del mondo avviato verso una ineluttabile "apocalisse". Dietro questa confusa dottrina, dove gli elementi più eterogenei si coniugano per produrre una sorta di rilettura sovvertita e sovversiva

della Tradizione autentica, anticipazione funesta di ciò che sarà il moderno New Age, si celavano pratiche e riti improntati non certo alla pietà cattolica. Esempi paradigmatici, seppure estremi, come quelli offerti dalle vicende di preti come Boullan e Roca, lasciano pensare come, in quel periodo, gli ecclesiastici francesi coltivassero interessi tutt'altro che canonici ed altresì evidenzia come gli eccessi cui diedero luogo - dal coinvolgimento nelle pratiche di spiritismo a vere e proprie operazioni di magia nera - godessero di una sostanziale quanto inconcepibile tolleranza. Non bisognava indebolire la Chiesa di Francia, per nessuna ragione: Merry del Val, monsignor Benigni e i loro tristi accoliti del Sodalitium Pianum erano ben consapevoli che qualunque scandalo avrebbe finito con il favorire l'aborrita Repubblica contro la quale, nella segreteria di Stato, si tramava apertamente fino ad arrivare a congiurare per facilitare le mire politiche dell'Austria. Tutto questo non può essere tuttavia ritenuto esaustivo, né spiega l'importanza accordata da questi gruppi ad una mitologia sovvertita tutta orientata verso il culto della Grande Madre, la devozione "angelica" e l'adozione di concezioni cosmologiche cui fanno da supporto simboli estranei se non addirittura antitetici all'ortodossia cattolica, come il serpente e il polipo. Uno dei simboli dello Hiéron, è in effetti Voctopus - vero e proprio marchio della Grande Madre, segno caro al dio infero Poseidone - che indica esplicitamente quale ordine di influenze agissero per il tramite di tali organizzazioni. È invero singolare che lo stesso simbolo sia stato in origine raffigurato alla base della acquasantiera di Saint Sulpice, e ciò induce a ritenere che la sua riproduzione sulla pietra tombale della marchesa di Rennes-le-Chàteau, lungi dall'essere casuale o artifizio tardivo, si inserisse coerentemente nell'arco di una continuità ininterrotta che va da Saint-Sulpice fino ai nostri giorni. Di quel simbolo era a conoscenza il vescovo Nicolas Papillon - che non poteva non conoscerne le implicazioni soteriologiche! - e quanti si muovevano nell'alveo delle Amicizie angeliche: lo Hiéron non farà che incorporarlo nella propria misteriosofia, ed è solo nel 1923-1925 che Paul Le Cour lo collocheràjyiigmatKj camente nel suo libro. A nessuno sfuggirà come questa presenzarÌovecraftiana"j ante-litteram, se da un lato richiama la tradizione della Grande Madre, dall'altra è fin troppo evocativa di un'altra "bestia marina", reiteramente invocata a proposito dei misteri del Razès: i Merovingi, come abbiano ricordato, di cui^ si diceva fossero stati generati per l'appunto dall'unione di una donna con un "mostro marino". Questa associazione non potrebbe essere più tenebrosa," scP prattutto se si considera che uno degli intenti dichiarati del cosiddetto'Prio; rato di Sion, così come di alcuni scrittori coinvolti nella Socièté Angéliqui&SWS Nerval, è per l'appunto quello di "ridestare" il discendente di Meroveo daj suo lungo sonno e restituire al casato la dignità e i poteri usurpati. Del pari.fi

più che sospetta la coincidenza di molte "ricerche" avviate dallo Hiéron con gli interessi di Boudet e Saunière: da ambo i lati si studiava la "Lingua primordiale", identificata nel celtico, si venerava Maria Maddalena, si alimentava la devozione per il "Sacro Cuore" e per il Graal. Tutto questo è solo frutto di mera coincidenza? Peraltro, la malsana commistione tra interessi politici - la restaurazione del casato dei Borbone e lo sviluppo di forme di controllo tentacolare sulla vita pubblica - e oscuri progetti antitradizionali spiega anche perché questi gruppi pseudocattolici abbiano potuto infiltrare e servirsi di un 'ampia coorte di organizzazioni pseudoiniziatiche o a sfondo occultistico - dalla Loggia massonica irregolare La Sagesse, all'Ordine Rosa Croce di Lapasse, ai Martinisti e probabilmente pure di personaggi come Doinel - al fine non solo di camuffare le proprie ramificazioni, ma altresì di destabilizzare le società iniziatiche propriamente dette. Saunière era in rapporti diretti o indiretti con un buon numero di questi personaggi. E fu probabilmente proprio lui a riprodurre sulla pietra tombale l'effige del polipo, su istruzione di coloro che, nell'ombra, lo consigliavano e lo seguivano passo dopo passo. Questo spiegherebbe perché, una volta venute meno certe protezioni, con il nuovo vescovo in procinto di processarlo, il parroco si sia affrettato a disfarsi della dalle e, probabilmente di altre "prove" imbarazzanti che avrebbero potuto metterlo in relazione con ambienti fin troppo compromettenti. Saunière era infatti stato accolto e protetto da molti influenti personaggi membri delle "Amicizie angeliche" o di qualche altra associazione occultistica. Era appoggiato da Billard; Boudet lo consigliava; sicuramente aveva conosciuto Roca per il tramite di Emma Calvé e della marchesa de Bozas. Aveva avuto modo di legarsi d'amicizia con almeno qualcuno di quei tanti (troppi!) occultisti che imperversavano a Tolosa e nella regione: massoni del Rito di Memphis, personaggi equivoci dai mille volti, come Jules Doinel, membri delle confraternite rosacruciane della regione, come il sottosegretario Dujardin-Beaumetz. Si era ritrovato nella parrocchia che fu di Bigou - altro affiliato della Aa - beneficiando da subito di un importante finanziamento da parte di una delle famiglie più importanti di Francia, quella del conte di Chambord, legata a doppio filo - guarda caso! - proprio con lo Hiéron du Val d'Or. È probabile per questo che la sua designazione non sia stata frutto del caso. Non sarebbe potuta passare comunque inosservata in una regione che da sempre è stata tenuta sotto stretta osservazione da parte dei membri della Aa, a cominciare da Nicolas Papillon fino a Henri Buthion, l'ultimo proprie1 tario dei possedimenti del fu Saunière! Abbiamo potuto dimostrare, producendo dati inediti e fin qui sconosciuti, che negli anni che vanno dal 1970 al 1995 Buthion era stato espressamente incaricato di esercitare una discreta sorve-

glianza sui quei luoghi da cui il prete giammai volle (o potè?) allo^Ynarsi, neanche sotto minaccia di scomunica: una conferma ulteriore del fatto? che la società occulta di cui parliamo sussiste a tutt'oggi e custodisce inalterati • propri segreti e i propri oscuri moventi. —Seppure sussistano dubbi circa il viaggio che Saunière avrebbe c o ^ i u t o a Parigi (anche se gli archivi di Hoffet sembrano confermarlo), è certo chg il parroco di Rennes-le-Château si è invece frequentemente recato a L i o ^ dove era in rapporto con numerosi esponenti delle Logge martiniste 1 . ^ g i u n giamo inoltre che la rivista L'Initiation, da cui Saunière ha molto probabilmente ricavato il proprio ex-libris - il pantacolo di Madathanus - era l'organo ufficiale del movimento martinista fondato da Papus. Ce n'è a sufficienza p^r considerare come i rapporti tra il curato e il Martinismo fossero tutt'altro che casuali, in una storia che da Nerval a Saunière, passando per Déodat p.oché, Doinel, Emma Calvé, Victor Jordy, ci sembra essere fin troppo affollata di Martinisti... La misteriosofia di quest'ordine dai molti lati oscuri torna, infatti, spesso a proposito nei misteri del Razès: martinisti, a diverso titolo e per periodi più o meno lunghi, furono Doinel, Déodat Roché, Papus e molti esponenti dell'occultismo tolosano. Emma Calvé era membro dell'Ordine e così anche Papus, Monti, segretario di Péladan, e la marchesa de Bozas, amante di Alfred Saunière. Nerval, infine, sarà segretamente ma profondamente coinvolto nei riti e nei segreti martinisti per il tramite degli Eletti Cohen di cui proverà addirittura a praticare i rituali magici. Per converso i Martinisti condivideranno buona parte delle posizioni dottrinarie così esemplarmente espresse da Nerval nei suoi scritti e molti degli obiettivi dichiarati dello Hiéron du Val d'Or, primo tra tutti quello relativo alla causa legittimista. Come ebbe a scrivere R. Ambelain - Martinista e "Cainista" convinto - "Se tutti i naundorffisti non erano martinisti, certo tutti i martinisti erano invece naundorffisti" 2 . Queste non possono essere considerate coincidenze. Tocchiamo anzi qui uno degli aspetti sostanziali dell'enigma: Saunière era stato integrato nella strategia di una organizzazione plurisecolare che, sotto nomi e sigle diverse, si 1

Nel nostro lavoro ci siamo sempre riferiti ai "Martinisti" e all'Ordine Martinista (fondato da Papus) e vogliamo precisare che in nessun caso ciò implica una qualche correlazione con le figure di Martines de Pasqually o di Louis-Claude de Saint-Martin, convinti della giustezza di quanto affermato in merito dal Guénon: "[...] in quanto al 'Martinismo' moderno, possiamo assicurare che non ha che ben poco a che vedere con Saint Martin, e assolutamente mente con Martines e gli Eletti Cohen" (R. Guénon, L'enigme de Martines de Pasqually, in Études sur la Franc-Maçonnerie et le Compagnonnage, Ed. Traditionnelles, Paris, 1980, t. I, p. 88) 2 R. Ambelain, Capet, lève-toi, Laffont, Paris, 1987, p. 16.

era fatta carico di tramandare una Tradizione "rovesciata", incentrata su pratiche magico-occultistiche deviate, saldamente radicata intorno al mito della Grande Madre (Maria Maddalena) e su una geopolitica "esoterica" destinata a costituire il supporto di una strategia rivolta alla restaurazione di un "nuovo" Sacro Romano Impero, vera e propria contraffazione di quello originale che, seppure per breve tempo, segnò in modo indelebile il Medio Evo europeo. Per una volta vale la pena citare Jean-Luc Chaumeil, che così bene sintetizza gli obiettivi dello Hiéron\ "La sua ambizione è politica poiché tende a [costruire] un'ordine etnocratico mondiale' [...] si sogna di una teocrazia per la quale le nazioni non sarebbero che delle province, i loro dirigenti dei proconsoli al servizio di un governo mondiale occulto costituito da una élite. Per l'Europa questo regno del 'Grande Re' implica la duplice egemonia del Papato e dell'Impero, del Vaticano e degli Asburgo"3. Come sia possibile che nessuno abbia rilevato la manifesta incongruenza di tutto ciò con l'ultra-ortodossia di facciata che queste associazioni ostentavano con pedante sicumera, resta da chiarire alla luce delle contraddizioni e delle lotte di potere che hanno attraversato e lacerato le gerarchie cattoliche a cavallo dei secoli XIX e XX. È infatti indubbio che la Compagnia del Santo Sacramento, le Aa e lo Hiéron du Val d'Or, così come le attività di prelati come Polycarpe de la Rivière o Roca, abbiano beneficiato - quantomeno fino al 1915 - di indulgenze e coperture che hanno consentito loro di coltivare una eterodossia che in nessun caso sarebbe passata inosservata. Tanto più che questa sposava tematiche di chiara matrice occultistica ad una visione prometeica, tutta informata a criteri "progressisti", di derivazione baconiana ed addirittura rousseauniana. Il "Nuovo Regno" tanto atteso, e la restaurazione dell'Età d'Oro atlantidea dovevano accompagnarsi a un progresso nelle "scienze e nelle arti" che avrebbe consentito all'Umanità di estendere il controllo ed il proprio potere sulla Natura. Non è pertanto paradossale che, su queste basi, si siano trovate inaspettate convergenze con organizzazioni pseudoiniziatiche od occultisticheggianti, come la Massoneria di Memphis e i Martinisti di Papus e Bricaud. Sappiamo che Saunière aveva avuto modo di frequentare assiduamente entrambi questi ambienti: ancora una coincidenza?

J-L. Chaumeil, Le Trésor des Templiers, Trédaniel, Paris, 1994, p. 96 (già pubblicato in: Le Trésor du triangle d'or, Trédaniel, Paris, 1979, p. 139). 3

Invero, la decorazione della chiesetta di Rennes-le-Chàteau tradisce fin troppo bene questo genere d'influenze. È nostra impressione che l'attenzione posta nella scelta dei dettagli architettonici e nell'evidenziazione di determinati simboli sia stata guidata da una sapiente regia. Occorreva lasciare un messaggio e, al tempo stesso, ricostruire uno spazio sovvertito, che invero non ha più nulla di sacrale, ma che si presta nondimeno a ben altro tipo di operazioni cerimoniali. C'è invece ragione di temere che: "Lungi dal costituire una sintesi esoterica nel senso tradizionale dell'espressione, il 'rebus', al di là della volontà cosciente dei suoi realizzatori, sia stato 'ispirato' al solo fine di far smarrire coloro che avessero cercato di decifrarlo [...]"4. Il contenuto dei messaggi, le iscrizioni della stele e della pietra tombale, i simboli, veri o presunti, nella chiesa e quant'altro è stato incluso nella misteriosofia del Razès, fanno parte di un contesto neo-esoterico che ha la particolarità di amplificarsi a dismisura, suggerendo sempre nuovi e più disparati significati, tale che l'enigma risulti, via via, sempre più indecifrabile. L'attardarsi sui dettagli fa smarrire l'intelligenza dell'insieme e, con questa, lo stesso proprio equilibrio psichico: "A partire da una certa soglia critica, diventa progressivamente sempre più nefasto porsi troppe domande 'fuori luogo', perché in questo vi è pericolo spirituale" 5 . La ricostruzione da noi suggerita del messaggio che Saunière ha voluto codificare nella chiesa permette tuttavia di enucleare un insieme di significati fondamentali, che si integrano e si sovrappongono senza difficoltà alla misteriosofia che fa da sfondo alle trame delle Aa e dei gruppi occultistici che gravitano da sempre nella valle dell'Aude. La chiesa è dedicata a Maria Maddalena ed è indubbio che la figura del "femminino sacro" vi rivesta un ruolo assolutamente centrale: la Maddalena è ritratta sul timpano, sul bassorilievo posto al di sotto dell'altare, sulla vetrata orientale; una statua della Maddalena è collocata sul lato sud, mentre le iniziali SM (Santa Maddalena?), il cui arabesco sembra alludere esplicitamente alle spire di un serpente, sovrastano l'altare. Il culto della Grande Madre è peraltro vivo nella toponimia dei luoghi e affonda le sue radici in una tradizione antichissima, strettamente intrecciata all'insegnamento esoterico dei Catari, tramandata nell'alveo dei gruppi occultistici di Tolosa e del Razès; la venerazione

4 C.R., Rennes-le-Chàteau, p. 10. 5 Ibidem, p. 11.

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du monde occulte, Pégase, Villeneuvede, 1993,

per la Isis Aurea - sincretisticamente assimilata alla Vergine Nera - ha trovato addirittura forme pubbliche di venerazione (come le celebrazioni del 3 maggio dedicate alla dea Flora), predisponendo il terreno per conseguire una più che sospetta convergenza tra alcuni settori ecclesiastici appassionati di , occultismo e conventicole segrete di ispirazione rosacruciana e martinista. La figura della Maddalena - ipostasi della Dea Bianca - rinvia, nel contesto tenebroso dei misteri di Rennes-le-Château, a quel principio mediatore tra l'Uomo e una antica divinità spodestata che attende in una tomba, sepolta in una grotta, il momento di ridestarsi per tornare ad esercitare il proprio dominio sul mondo. Non c'è dubbio che si tratti di (\UQ\Y angelo di razza bastarda ("l'Ange de race bâtarde") la cui leggenda - raccolta da Labouisse-Rochefort agli inizi del 1800 - è da sempre ben viva nel Razès. Fratello gemello del Cristo, incarnazione di Lucifero-Iblis, come vuole una misteriosofia antichissima che dai Cainiti, attraverso le sette deviate curde e persiane, fino ai Bogomili e quindi ai Catari, giunge quindi in Provenza e in Linguadoca, può essere assimilato a Lucifero - il portatore di Luce e conoscenza 6 . Tracce di questa tradizione deviata sopravvivono grazie a correnti tra le più oscure e meno note dello gnosticismo, per essere infine recuperate, a partire dal Cinquecento, dall'occultismo europeo e da spezzoni impazziti del mondo ecclesiastico e delle organizzazioni pseudoiniziatiche. Tolosa e, più in generale, la regione del Razès (Narbonne, Carcassonne, Limoux, Rennes-le-Chàteau), hanno costituito al riguardo un vero e proprio crocevia delle influenze più diverse, promananti sia dall'Egitto - in ragione dei funesti apporti delle campagne napoleoniche - sia dalla periferia dell'Islam e di alcune tra le meno note correnti della mistica ebraica, trasmigrate dalla Spagna dopo il 1492. È ancora un caso che l'introduzione di temi e simboli egizi in alcuni riti massonici sia stata mediata da due personaggi - Alexandre Lenoir 7 e Marconis de Nègre - entrambi imparentati con la marchesa di Rennes-le-Château? E ancora un caso che uno dei fondatori di Saint Sulpice, San Vincenzo da Paola, abbia ricevuto una sorta di "iniziazione alchemica" nel corso di un suo protratto soggiorno nei paesi musulmani, gli stessi in cui ancor oggi sopravvive quella setta dei Cainiti che riconosce in Lucifero il "dio vero" che si oppone al "falso Yehovah"? È sempre

6 L'aver voluto riconoscere in Asmodeo il demone che sorregge l'acquasantiera - affermazione paradigmatica basata sul nulla - rientra probabilmente nella strategia cara ai mistificatori del Razès, tutta protesa a confondere le piste ed imbrogliare quanto più possibile le carte. 7 II Lenoir, oltre ad aver promosso tra i primi l'integrazione della misteriosofia egizia nel sistema degli alti gradi massonici, ebbe un ruolo importante nel fondare a Lione il Rito dei Cavalieri Beneficenti della Città Santa, dove poi avrebbe confluito il nipote - Olivier d'Hautpoul - figlio di Angélique Lenoir e di Aristide d'Hautpoul.

da questa setta - o perlomeno dai suoi epigoni moderni - che Nerval ha tratto gli elementi che gli hanno consentito di presentare Meroveo come l'eroe di quella "razza di reprobi" che attende il ritorno dei primi dei per tornare a governare il mondo. Questa razza, che rigetta il mondo come espressione del dio malvagio, che considera se stessa come "Figlia della Luce e del Fuoco", in opposizione agli altri uomini, i "Figli del limo", è la stessa in cui vollero identificarsi i Priscilliani, i Bogomili, e quindi i Catari: eresie oscure che con i Cainiti condividono più di un aspetto, se non una vera e propria continuità. Eresie che elessero la Linguadoca e il Razès come loro patria d'elezione; eresie che sembrano volersi perpetuare: ad Arques, a meno di cinque: chilometri da Rennes-le-Chàteau, Déodat Roché, l'ultimo "Papa" del Cata-\ rismo, volle stabilire la propria residenza alimentando il ricordo e la devozione per una fede che - ancora oggi - sopravanza quella cattolica: nel Razès, infatti, le chiese non celebrano messa, se non saltuariamenteAncora coincidenze? La leggenda locale - fin troppo chiaramente rievocata dal Carnabal di moux - parla di un popolo sotterraneo dai tratti difformi che reca sul volto il marchio di una condanna impressa dal "dio usurpatore". Non si tratta - lo abbiamo visto - di una fola senza fondamento: nelle regioni pirenaiche persiste ancora il ricordo di una "razza bastarda" - quella dei chrestians, che storicamente abitarono le caverne del Sabarthès e i piccoli paesini del Razès; uomini certo, ma contraddistinti da anomalie fisiche ed avvolti da un alone di mistero che, almeno fino alla Rivoluzione Francese, li condannarono all'emarginazione legale ed all'ostracismo sociale. Per farsi riconoscere erano tenuti a portare come emblema una zampa d'oca. Caino e i suoi discendenti recavano un analogo marchio di riconoscimento, così come fanno le tribù nomadi dei fabbri Cainiti che popolano, ancor oggi, il deserto tra la Siria e l'Iraq. La razza di cui parla la leggenda dell'Aude è quella dei Fécos, abitanti delle caverne, dove vivono "come eremiti". Vi escono una volta all'anno per preannunciare il risveglio del "dio cornuto" dell'antica religione, vegliato e protetto da Dama Bianca, al cui ricordo sono improntate non solo le leggende, ma la toponimia stessa del Razès. Quel "risveglio" segnerà l'avvento della Nuova Era, il ritomo parodistico dell'Età dell'Oro, la riabilitazione della razza perseguitata - la razza dei Caino, dei Prometeo, degli abitatori del sottosuolo - di cui le leggende e il folklore della regione dell'Aude sono così chiaramente evocative e che, per analogia, rinviano, ad un tempo, alla misteriosofia dei Cainiti ed al simbolismo

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Un solo prelato attende all'officio divino in non meno di 10-12 Comuni. La frequenza delle messe nei paesi di Brenac, Rennes-les-Bains o Bougarach è di circa una volta ogni due-tre mesi. Ogni commento è superfluo.

della Maddalena, quale ce lo suggerisce l'iconologia voluta da Saunière. La Maria Maddalena della chiesetta di Rennes-le-Chàteau - la Grande Madre Sophia-Prunikos dei Cainiti - ha due figli, l'uno dei quali non è altri che Ialdabaoth-Iehovah, il Demiurgo cattivo, l'altro, il serpente, Iblis-Lucifero, è il portatore di luce che induce l'uomo a violare gli incomprensibili ed ingiusti divieti di Yehovah per sfuggire alle tenebre. Dio dell'Età dell'Oro, sarà punito per questo atto d'amore e sarà imprigionato nell'oscurità delle caverne dove attende la fine dei tempi per ritornare a regnare sulla sua umanità, quella che promana dai lombi di Caino e che, reietta fino a ieri, tornerà a regnare insieme a lui. Per questo nella chiesa di Saunière la Maddalena-Iside, con a lato un teschio dai tratti deformi come deformi sono i Fecos, veglia su una grotta in attesa di quella "resurrezione" preannunciata; la stessa resurrezione cui, per analogia, allude il risveglio di Lazzaro dipinto su una delle vetrate. La Maddalena indica il percorso da compiere per riavvicinarsi a quel dio cornuto che, in accordo con il rovesciamento simbolico operato all'interno ed all'esterno della chiesa, non è altri che il dèmone che aspetta all'entrata gli ignari visitatori. Tutto nella chiesa è sovvertito; e per questo i simboli vanno letti a rovescio: dei due "bambini-Gesù" - l'uno in braccio al padre apparente, l'altro tra le mani della Vergine Madre - quello "autentico" è ovviamente il secondo; Cristo è solo il salvatore apparente, Lucifero, suo fratello (come insegna la tradizione bogomila), è il messia atteso, il "duca d'Aquitania", la cui torre - come racconta Nerval - è stata "abolita ", ma che Saunière si affretterà a ricostruire come Torre Magdala. Maddalena-Iside, detentrice dei saperi nascosti, guida l'adepto in questa "ricerca invertita del sepolcro" 9 e veglia su quel mondo sotterraneo, uno degli ingressi del quale sembra essere indicato proprio dalla frase terribilis est locus iste. Questa tradizione "invertita", in cui l'antico serpente, fratello di Gesù e figlio della Grande Madre, costituisce il salvatore occultato, il messia della futura età dell'oro, lo stesso cui si appella tanto platealmente il Rito di Memphis di Ambelain, è integralmente imbevuta dei misteri dei Cainiti. Che Saunière ne abbia ritrovato il "vangelo" - il cosiddetto "vangelo cainita di Giuda" - ritenuto da sempre perduto? Altri si sono cimentati nel tentativo di rivitalizzare l'eresia: i Bogomili, forse i Catari, nell'ambito del loro insegnamento segreto, molti gruppi occultistici nati tra il XVIII e il XIX secolo, pervasi dalla certezza che, dietro le quinte della storia, si profili una "Tradizione alternativa", incentrata sul "femminino sacro", che tornerà ad emergere alla fine dei tempi. Un'intera generazione di letterati 9

Non è forse in una simile "queste" degenerata che si sono avviati molti dei moderni "ricercatori"?

si è fatta cantore di questa epopea rovesciata - da Milton a Byron fino a Verne e Derleth - espressione di una più generale rivolta antitradizionale che ha improntato di sé il Romanticismo europeo. L'interprete più coerente - e a suo modo affascinante - di questa corrente è stato indubbiamente Gérard de Nerval che, indiscutibilmente, ha avuto accesso ad informazioni riservate, non acquisibili in nessun altro modo se non per il tramite di una trasmissione diretta. Dalla lettura delle sue opere si sviluppa una cosmologia complessa imperniata sulla figura degli angeli decaduti, puniti per aver voluto affrancare l'Umanità dal servaggio grazie all'insegnamento delle arti e dei segreti della natura. Si tratta in sostanza di un 'apologia delirante delle origini stesse della controiniziazione, di cui tocchiamo qui con mano uno dei segreti. La "razza rossa", i "figli del fuoco", promanante in linea retta dall'unione di Eva con Lucifero, condannata a sopravvivere nelle grotte del mondo sotterraneo, tornerà infine alla luce per combattere a viso aperto il dio geloso - Yehovah - e riabilitare "l'angelo di luce", "l'angelo pavone" della tradizione Yezidi. Per il momento, l'accesso alla sapienza nascosta e la ricongiunzione con il vero padre sarà riservato a pochi "eletti". Il tramite sarà Iside, la Grande Madre, la "grande consolatrice", colei per mezzo della quale è possibile giungere alla Verità. Per Nerval, questa razza ha un nome: è quella dei discendenti di Caino e di Meroveo, segnati a fuoco dal marchio di infamia che Yehovah ha voluto imprimere loro: il marchio del serpente. Il riferimento a Meroveo è già di per sé evocativo della mistagogia che fin troppo interessati personaggi avrebbero più tardi alimentato. Ricordiamo che l'impostura imbastita da Lincoln e soci riposa sull'assunto indimostrato per il quale i Merovingi costituirebbero la discendenza nata dall'unione del Cristo con la Maddalena; progenie finora sopravvissuta in modo "sotterraneo" e che toma oggi "visibile" per reclamare ciò che le è dovuto: un potere e la devozione per la "vera" religione i cui misteri, neanche a dirlo, sarebbero custoditi dalla figura di Maddalena-Iside, ipostasi di quel "femminino divino" cui il neo-spiritualismo pretende abbeverarsi. Viene qui a delinearsi una sorta di "antropologia esoterica" per la quale determinati lignaggi, mantenuti "puri" grazie al reincrocio ininterrotto tra discendenti, veicolerebbero per così dire "geneticamente", i segreti del primo patto: la "razza" di superuomini e di "giganti" nata dall'unione dei "figli di Dio" con le "figlie degli uomini" si continuerebbe così a tutt'oggi. I casati della nobiltà catara che, nel corso dei secoli, si sono opposti alla Chiesa di Roma ed alla Monarchia francese - i Voisins, i d'Ables, i d'Hautpoul, i Blanchefort, i de Nègre, gli Aniort - e nelle cui vene scorre il sangue del mitico Meroveo - mezzo uomo mezzo dèmone - finiranno tuttavia con l'estinguersi: una eventualità a cui accenna con preoccupazione Montfacon de Villars che in modo piuttosto "bizzarro", perora la causa delle unioni tra uomini e "spiriti elementari", nel

suo enigmatico Le Comte de Gabalìs. L'ultima discendente di quest'insieme di famiglie - insieme ad alcuni rampolli degli Hautpoul, tutti curiosamente immischiati nei gruppi occultistici e nei complotti legittimisti - sarà proprio la marchesa di Rennes. Quali siano i "segreti" detenuti da questa "covata infernale 10 " - per riprendere un termine che non a caso fa riferimento ad un Rito occultistico di Tolosa ("La Viellie Bru") - è argomento di illazione, anche se sussistono pochi dubbi circa il loro carattere solforoso... È evidente come le folte schiere dei dilettanti dell'occulto, che come sciami si sono gettati sull'appetitoso mistero di Rennes-le-Chàteau, neanche sospettino di quale effettiva genealogia si sta qui parlando... Ma i rapporti tra Nerval e il Razès vanno ben oltre. La "leggenda di Hiram" - così come viene stravolta e rovesciata nel Voyage en Orient - verrà infatti sfrontatamente fatta propria dal Rito di Memphis, per essere quindi rivendicata con orgoglio da un'ampia frangia di Massonerie deviate che si rifanno all'insegnamento deleterio di personaggi come Robert Ambelain. E ancora frutto di coincidenza se il mito di fondazione del Memphis verrà incorporato nella mitologia del Priorato di Sion? Ed è ancora mera coincidenza se insieme al de Nègre, tra i fondatori del Memphis, ritroviamo un certo Labrunie, parente stretto di Gérard Labrunie, più noto come "Gérard de Nerval"? Per non esaurire la combinazione delle casualità ricordiamo inoltre che la leggenda del Memphis è niente affatto originale, ed è stata a sua volta mutuata dalla RosaCroce d'Oro, una oscura corrente rosacruciana che aveva preso a riferimento i manoscritti di un alchimista seicentesco, Enrico Madathanus. Sul frontespizio di un suo libro viene riportato un pantacolo: lo stesso non solo è riprodotto sulla Porta Ermetica di Roma - attribuita ad uno dei più insigni membri dell'Arcadia - ma verrà fatto proprio come ex-libris dal nostro parroco, Bérenger Saunière. Ancora il caso, evidentemente... Il riferimento ai Rosa Croce, vanamente strombazzato ai quattro venti dalla maggior parte dei tanti pamphlets dedicati al mistero di Rennes, ci offre l'opportunità per una precisazione che in altri momenti avremmo considerato superflua. A nessun Rosa Croce autentico sarebbe mai venuta in mente l'idea tanto balzana (ed antitradizionale) di disseminare indizi, croci e rose qua e là, in sovrabbondanza, quasi temesse di non essere riconosciuto per tale! Pensare che questi siano i modi per tramite i quali un iniziato possa farsi riconoscere tradisce una concezione dell'esoterismo a dir poco bambinesca. Invero, questo esibizionismo fuori luogo lascia supporre che ci si trovi di fronte ad una

io La dizione allude volutamente ad un film di alcuni anni fa in cui si fa riferimento, per l'appunto, ad una "discendenza" di mostri nati pur tuttavia da una madre "umana".

parodia blasfema di misteri che, in Europa almeno, da molto tempo sono venuti occultandosi. Come ricorda Guénon, in II Re del Mondo, i Rosa Croce avrebbero infatti abbandonato l'Europa alla fine della Guerra dei Trent'anni". Questo "ritorno" - geografico e simbolico - verso Oriente riflette verosimilmente gli esiti di una frattura intercorsa tra due anime presenti in seno alla Fraternità R+C: l'una, autenticamente tradizionale, che ha preferito sottrarsi ad ogni possibile contatto, avendo constatato l'ormai palese inesistenza delle condizioni minime per la continuazione in Occidente del proprio operato; la seconda, che è andata via via implicandosi sempre più negli affari del mondo e si è perpetuata in Occidente, spesso sotto i travestimenti più inconsueti, lasciandosi sedurre dal richiamo del "progresso scientifico" e dalla tentazione di poter così conseguire determinati poteri12. È possibile allora: "Considerare gli accadimenti sopravvenuti a Rennes [...] inscritti in una sorta di prolungamento successivo di quella frattura? L'affare di Rennes ha finito così con l'essere la conseguenza di un rovesciamento spirituale [...] connesso a certe tematiche ed alla loro inversione, dato che la "impronta rosacruciana" può essere stata ispirata dalla 'faccia oscura di Hermes', ed essere stata determinante nella elaborazione di un 'folklore invertito' da parte di Maestri Invisibili"13. A questo "rosacrucianesimo invertito" si richiameranno, non a caso, molte organizzazioni pseudo-iniziatiche o occultistiche dei secoli successivi. Non è un caso che il pantacolo di Saunière 14 costituisca oggettivamente una sorta di anello di congiunzione tra le vicende di Rennes-le-Chàteau, l'enigmatica Rosa Croce d'Oro, il Memphis e l'Arcadia, i cui temi, come noto, sono ampiamente rappresentati nell'opera del Poussin. Tra gli interessi di quest'ultimo e del Guercino, ritroviamo l'alchimia, anche se qui si tratta di una "alchimia" tutta particolare... La decodifica della frase "Et in Arcadia Ego", riportata sui loro famosi dipinti - a prescindere da ciò che vi resta di enigmaticamente

" R. Guénon, Il Re del Mondo, Adelphi, Milano, 1992, p. 83. 12 Non a caso assistiamo in quel periodo ad un tentativo di infiltrazione dei Rosa Croce da parte di personaggi che hanno sostenuto un ruolo oggettivamente antitradizionale. Basti pensare a Descartes - i cui tentativi di ricollegarsi al rosicrucianesimo furono più volte frustrati e soprattutto a Francesco Bacone, antesignano della "nuova era" (che egli porrà sotto il segno di una tradizione scomparsa, come quella di Atlantide) e di una "alleanza" contra naturam, tra scienze tradizionali e moderne. 13 C.R., Rennes-le-Chàteau, signature du monde occulte, Pégase, Villeneuvede, 1993, p. 37. 14 11 pantacolo è stato incomprensibilmente ritirato (settembre 2004) dal museo di Rennesle-Chàteau. Sarebbe interessante saperne il perché.

oscuro 15 - si riferisce esplicitamente al mito di Oreste e parla di una tomba della Grande Madre che avrebbe cambiato di luogo. La leggenda greca ricorda che Oreste ne trasferì infatti il simulacro dalla Tracia in Italia. Le analogie con la vicenda di Rennes-le-Chàteau sono evidenti: nella regione si sono succedute diverse ondate migratorie (dal 1200 a.C. al 1100) che hanno visto insediarsi nel Razès popoli di origine trace (bulgari e transilvani); anche in questo caso, come suggerisce l'epitaffio della marchesa, è in gioco lo spostamento di un qualcosa che viene identificato con Iside, la Grande Madre. Di questo e di altri segreti, Poussin, così apparentemente inoffensivo, così apparentemente ortodosso, era venuto in qualche modo a conoscenza. Sappiamo che si era confidato con il vescovo Fouquet, annunciandogli un segreto capace di conferire ricchezze e poteri quali nessun Re sarebbe mai stato in grado di ottenere sulla terra. Sappiamo anche che il prelato ne parlò con il fratello, sovrintendente alla Finanze di Luigi XIV e di come miseramente questo sia poi finito prigioniero della Bastiglia, subito dopo aver ricevuto la lettera. La Compagnia cercò invano di salvarlo, ma senza riuscirvi. Entrambi i fratelli 16 facevano parte della Compagnie du Saint Sacrement de l'Autel e non è improbabile che anche Poussin vi aderisse, lui che per divisa portava inciso sull'anello tenet confidentiam\ "sa mantenere il segreto", quel "segreto" che era per l'appunto "l'anima della Compagnia". Quel "segreto" è stato da allora custodito prima dalla Compagnia e sicuramente poi dalle "Amicizie angeliche". La stessa designazione di una figura di primo piano come il presule Pavillon alla semisconosciuta diocesi di Alet assume allora, alla luce di tutto questo, un significato ben preciso; Rennes-le-Chàteau faceva a quel tempo parte della diocesi di Pavillon: il pre( 15 L'analisi delle tele dei due pittori meriterebbe un volume a parte. A proposito del Guerciràroccorrerebbe studiare come mai ebbe l'ispirazione (o l'incarico?) di dipingere la tela dopo essersi recato a Venezia, una città dai tanti misteri su cui abbiamo già attirato l'attenzione nel nostro precedente saggio. Qui ebbe strette relazioni con Francesco Giorgi (o Zorzi), un personaggio che avrebbe svolto un ruolo chiave non solo nello sviluppo dell'ermetismo rinascimentale, ma che influenzò altresì in modo determinante la deriva antitradizionale avviata in Inghilterra da Enrico Vili (su questo tema si veda: F. Yates, Cabbala ed Occultismo nell'età elisabettiana, Einaudi, Torino, 2002, p. 37 e s.). Altresì bisognerebbe decifrare l'enigmatica iscrizione posta alla base del complesso statutario dedicato ai Pastori di Arcadia di Poussin nella tenuta degli Anson, a Shugborough, nello Staffordshire e metterla in relazione ad un'altra altrettanto curiosa epigrafe, quella redatta da Chateaubriand sulla tomba di Poussin a Roma, nella chiesa di San Lorenzo in Lucina. 16 I fratelli Fouquet erano in realtà tre: Luigi (amico del pittore), Nicolas e Charles. Solo di quest'ultimo sappiamo con certezza della sua appartenenza alla Compagnia del Santo Sacramento, anche se viene riportato che "La Compagnie du Saint Sacrement s'opposa avec la dernière energie a tous les actes de Colbert en faisant l'impossible pour sauver Fouquet, gènéreux confrèré" (Encyclopaedia Universalis Thesaurus, voi. 20, voce "Fouquet").

sule aveva l'opportunità e il diritto di esercitare un costante controllo su tutto il Razès, cosa che, peraltro, come tutti i commentatori evidenziano, non mancò di fare fino alla fine dei suoi giorni. Attraverso la Compagnia il "segreto" di Poussin si sarebbe tramandato nel chiuso delle congreghe che, sotto nomi diverse, si sarebbero interessate a Rennes, fino ai nostri giorni. La lettera ricevuta da Buthion costituisce al riguardo una prova incontrovertibile: una società segreta ha mantenuto un controllo continuo e discreto su tutti gli avvenimenti del Razès. Questa società segreta fa capolino nel Cinquecento e per lungo tempo sarà conosciuta come Brouillard o Angélique. Inizialmente comprendeva probabilmente solo ecclesiastici, mentre, soprattutto a partire dalla fine del Settecento, comincerà ad annoverare tra i suoi membri poeti e romanzieri come George Sand e Maurice Barrès; del pari scrittori come Maurice Leblanc, Jules Verne, Victor Hugo, Anatole France, sembrano essere stati a parte del mistero. Il motto "Et in Arcadia Ego" sarebbe da allora diventato una sorta di "segno di riconoscimento", ed è in questi termini che il loquace Barrès ne parla nella sua opera postuma, Le mystère en pleine lumière. Occorrerebbero probabilmente interi volumi per identificare ed evidenziare le tante tracce seminate da questi autori nei loro scritti. Grazie alle ricerche condotte da Michel Lamy e dall'accademico Patrick Ferté, sappiamo oggi come tanto jules Vème, quanto e soprattutto Maurice Leblanc, disponessero di informazioni precise e circostanziate in merito alla vicenda di Rennes-le-Chàteau: informazioni che entrambi traevano dagli stessi ambienti occultistici. Non si capisce se le allusioni - che talvolta diventano franche ammissioni - disseminate nei racconti dei due romanzieri esprimano il tentativo di far filtrare comunque un messaggio, a dispetto del segreto cui erano evidentemente vincolati, o se rientrassero in qualche modo nell'ambito di una sapiente regia destinata ad alimentare un'insana curiosità che, a distanza di cinquant'anni, sarebbe infine esplosaj con le rivelazioni di giornalisti come de Sède e Lincoln. Nel loro insieme questi dati concorrono a definire un quadro sconcertariterquello di un segreto tramandato nei secoli e in qualche modo conosciuto da un ristretto gruppo di potere, fermamente intenzionato a rovesciare l'ordine costituito e ad affermare una sorta di contro-tradizione, destinata a preparare il terreno per l'avvento di un novum regnum, che di evangelico avrebbe finito per avere solo il nome... i

Le grandi "scoperte" e i segni dell'antitradizione La decodificazione dell'enigma di Rennes, quale ci viene presentata nella maggior parte dei libri dedicata all'argomento, non regge neppure un secondo alla sia pur semplice critica storica. In uno dei pochi testi seri dedicati all'argomento, Putnam e Wood così commentano: "Sembra quasi che tutto ciò che, nel tempo, è stato scritto o presentato nei programmi televisivi sia scaturito dalla combinazione di alcuni fatti certi e dimostrabili con una serie pressoché infinita di altre aggiuntive considerazioni del tutto fasulle, a volte persino falsificate in modo intenzionale, al fine di dare consistenza ad una vera e propria montagna di speculazioni a ruota libera, senza neppure più il freno della decenza"17. Ciò di cui Putnam e Wood non riescono a capacitarsi veramente fino in fondo è che alla base di questa tanto complessa quanto astrusa macchinazione vi è uno scopo ben preciso, estraneo a considerazioni puramente mercantili o a intenti pseudo-letterari (quali potranno essere quelli espressi da Umberto Eco nel Pendolo di Foucault). Il "messaggio" inizialmente strombazzato con tanta sicumera da Lincoln e soci, cui un'innumerevole schiera di servi sciocchi e codini ha tanto affrettatamente aderito, pretende che il Cristo, lungi dall'essere morto in croce, si sia sottratto al supplizio per unirsi quindi a Maria Maddalena, da cui avrebbe avuto, come ovvio, una lunga figliolanza. La Maddalena stessa si sarebbe accollata in seguito l'onere di testimoniare e predicare per il mondo i "segreti" della nuova religione. Ridotta ai suoi termini essenziali, la pretesa "rivelazione" è tutta qui. Niente di originale, se solo si considera che tale ipotesi era già stata in precedenza formulata - con toni e caratteristiche diverse - in numerosi testi gnostici, nei vangeli apocrifi e, non ultimo, nel Corano che, come noto, nega la morte del Cristo a cui si sarebbe sostituito, all'ultimo momento, il discepolo Simone. La stessa posizione era stata più recentemente sostenuta guarda caso! - da Robert Ambelain, l'unico autore, a nostra conoscenza, che stabilisce una filiazione diretta tra i Cainiti - considerati come progenie luciferina - e le sette pseudoesoteriche contemporanee. Lungo questa direzione si sono poi mossi, nel corso degli ultimi anni, giornalisti, registi (come Martin Scorsese) e scrittori, tra cui vale la pena ricordare il greco Nikos Kazantzakis, 17 B. Putnam e J. E. Wood, Il tesoro scomparso di Rennes-le-Chàteau, Roma, 2004, p. 235.

Newton & Compton,

che nella sua L'ultima tentazione di Cristo 18 ci presenta uno scenario ambiguo e volutamente inquietante. Non c'era insomma bisogna del Santo Graal di Lincoln e soci per avere contezza di una mitologia fin troppo nota a quanti abbiano sia pure una modesta dimestichezza con la tradizione gnostica e cristiana. L'impatto (e lo scandalo) è però stato enorme, non solo perché il lavoro del trio inglese si presenta sotto l'apparenza della ricerca storica obiettiva, ma soprattutto perché diverso è il contesto attuale: una umanità oppressa dal materialismo, cui da tempo è stato per così dire negato l'accesso alle sorgenti della spiritualità tradizionale, ha finito con il diventare facile preda di un neospiritualismo a buon mercato. Al pari di ogni prodotto della società moderna, anche questo è stato confezionato per poter rispondere ad esigenze di "pronto consumo", senza implicare coinvolgimenti esistenziali o percorsi di difficile realizzazione, ma tale comunque da dare soddisfazione a quel bisogno di "sensazionalismo", all'ansia per il fenomenico - soprattutto se meraviglioso e sconvolgente - in cui si risolve e si appaga quella parodia di sacro cui l'uomo del XXI secolo ancora può concedersi. E invero sorprendente come dalla rilettura critica della storia di Rennes-leChàteau emergano con chiarezza i cardini attraverso cui si è sviluppata quest'opera nefasta in cui coagulazione e dissolvimento si intrecciano fin troppo sapientemente. Nell'ambito della prima fase le radici stesse della Tradizione vengono ad essere corrose dal dubbio e quindi recise da pretese rivelazioni che rimettono in discussione la storia e il simbolismo tradizionale. In un secondo momento, seppure con lentezza e confusamente, la rielaborazione degli eventi e della storia sacra è andata coagulandosi attorno ad una concezione di tradizione che costituisce una sorta di immagine invertita e dissolutrice di quella autentica. René Guénon aveva previsto con inimitabile sapienza questo duplice processo con parole che di seguito riportiamo integralmente: "La costituzione della 'contro-tradizione' e il suo apparente momentaneo trionfo [...] saranno propriamente il regno di quella che abbiamo chiamato 'spiritualità alla rovescia': si tratterà naturalmente solo di una parodia della spiritualità, o meglio di una sua imitazione in senso inverso, di modo che avrà tutta l'apparenza d'essere l'opposto di tale spiritualità [...] Questa 'spiritualità alla rovescia', per la verità, è dunque solo una falsa spiritualità, falsa all'estremo limite del concepibile; ma si può anche parlare di falsa spiritualità tutte le volte che, per esempio, lo psichico viene scambiato per lo spirituale, anche senza andare necessariamente fino

18 II libro è del 1981 e ha ispirato l'omonimo film di Scorsese, uscito nelle sale cinematografiche nel 1986. Ricordiamo che il testo di Lincoln è stato originariamente pubblicato nel 1979.

a questa sovversione totale [...] Ecco cos'è in realtà il 'rinnovamento spirituale' di cui taluni, talvolta molto inconsapevolmente, annunciano con insistenza il prossimo avvento, o anche la 'nuova èra' in cui si tenta con tutti i mezzi di introdurre l'umanità attuale, e che la condizione d"attesa' generale, creata mediante la diffusione delle predizioni di cui abbiamo parlato, può contribuire effettivamente ad affrettare. L'attrazione per il 'fenomeno', già da noi segnalata come uno dei fattori determinanti la confusione tra psichico e spirituale, può ugualmente svolgere a questo proposito una funzione molto importante, poiché è per tramite suo che la maggior parte degli uomini verranno conquistati e ingannati al tempo della 'contro-tradizione', in quanto è detto che i 'falsi profeti' che sorgeranno allora 'faranno grandi prodigi e cose stupefacenti fino a sedurre, se fosse possibile, gli stessi eletti'. È soprattutto sotto questo rapporto che le manifestazioni della 'metapsichica' e delle diverse forme di 'neospiritualismo' possono apparire già come una specie di 'prefigurazione' di quanto dovrà verificarsi in seguito, benché ne diano solo una pallida idea; in fondo saranno sempre in gioco le stesse forze sottili inferiori, ma che a quel momento verranno messe in azione con una potenza incomparabilmente maggiore; e quando si vede come la gente sia sempre disposta ad accordare ad occhi chiusi la più completa fiducia a tutte le divagazioni di un semplice 'medium', soltanto perché convalidate da 'fenomeni', come stupirsi se la seduzione dovrà essere pressoché generale? E per questa ragione che non si ripeterà mai abbastanza come i 'fenomeni', in se stessi, non provino assolutamente niente quanto alla verità di una dottrina o d'un qualsiasi insegnamento, e come sia proprio questo il campo per eccellenza della 'grande illusione', ove tutto ciò che appare a certa gente come segno di 'spiritualità* può essere sempre simulato e contraffatto dal gioco delle forze inferiori in questione [...] ma come farlo capire alla mentalità 'sperimentale' dei nostri contemporanei, mentalità la quale, dopo esser stata manipolata dal punto di vista 'scientistico' dell'antitradizione, diventa finalmente uno dei fattori che possono contribuire nel modo più efficace al successo della 'contro-tradizione'? [...] Il 'neospiritualismo', e la 'pseudo-iniziazione' che ne deriva sono una parziale 'prefigurazione' della 'contro-tradizione' anche da un altro punto di vista: intendiamo riferirci alla già segnalata utilizzazione di elementi autenticamente tradizionali in origine, ma deviati dal loro vero significato e posti in certo qual modo al servizio dell'errore: questa deviazione è in definitiva l'incamminarsi verso il capovolgimento completo che dovrà caratterizzare la 'contro-tradizione' (e di cui del resto abbiamo visto un esempio significativo nel rovesciamento intenzionale dei simboli), anche se nella contro-tradizione non sarà soltanto questione di elementi frammentari e dispersi; nell'intenzione dei suoi autori infatti, essa dovrà dare l'illusione di qualcosa di simile o addirittura di equivalente a ciò che costituisce l'integralità di una tradizione vera, con tutte le applicazioni che le sono proprie nei vari campi". Tutto ciò è finalizzato all'avvento di una vera e propria contro-tradizione:

"[...] Una simile organizzazione di menzogna cosciente non può come tale essere il vero ed unico scopo che essa si propone; tutto ciò è destinato solo a preparare la successiva venuta di qualcos'altro, che a sua volta dovrà apparire come un risultato più 'positivo', e che sarà precisamente la 'contro-tradizione'. E per questa ragione che, in particolare nelle diverse produzioni di cui è indubbia l'origine o l'ispirazione 'contro-iniziatica', si vede già delinearsi l'idea di un'organizzazione che sarebbe come la contropartita, e appunto perciò la contraffazione, d'una concezione tradizionale come quella del 'Sacro Impero', organizzazione che dovrà essere l'espressione della 'contro-tradizione' nell'ordine sociale; ed è anche per questa ragione che l'Anticristo, secondo la terminologia della tradizione indù, potrà esser denominato ChakravartI alla rovescia. Il regno della 'contro-tradizione', in effetti, è, molto esattamente, ciò che è designato come il 'regno dell'Anticristo [...] Certamente non sarà più il 'regno della quantità' che era soltanto il culmine della antitradizione al contrario, col pretesto di una falsa 'restaurazione spirituale', sarà una specie di reintroduzione della qualità in tutte le cose, ma di una qualità presa a rovescio del suo valore legittimo e normale. Dopo T'egualitarismo' dei nostri giorni ci sarà di nuovo una gerarchia invertita, ossia una 'contro-gerarchia', il cui vertice sarà occupato dall'essere che, in realtà, sarà più vicino di chiunque altro a toccare il fondo degli 'abissi infernali'"19. Non vogliamo, né potremmo, aggiungere altro, per meglio definire gli obbiettivi che fanno da sfondo alle mistificazioni cui l'autentico "mistero" di Rennes-le-Chàteau ha fornito il pretesto.

Un messia femminino? Questo processo antitradizionale si impernia sul recupero parodistico di una "spiritualità femminile" - riassumibile schematicamente nel culto della Grande Madre - e si concretizza nella pretesa di un'improbabile restaurazione che consenta ali 'Umanità di affrancarsi dalla prova apocalittica. Scrive al riguardo la van Buren: "La sfida che attende l'Umanità in questi tempi è grande. Non è solo la fine di un ciclo e l'inizio di un altro [...] un ristretto gruppo di persone, selezionato dalla Dea in base alle sue Leggi, verrà condotto nel santuario - e qui la Buren cita il poeta F. Adrian Watts - 'Il mio popolo venne dentro le colline, cercando caverne smarrite dal tempo della prima alba dei tempi, luoghi che offrono rifùgio e protezione, 19

e s.

R. Guénon, Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, Adelphi, Milano, 1988, p. 260

così come ricordano le leggende ancestrali, in cui si narra delle tracce dell'Annwn20, luogo ove trovare salvezza dalle atrocità e dai massacri'"21. Il "messia femminile" riscoperto dalla letteratura del New Age non fa che recuperare, spesso travisandoli, elementi di una antichissima tradizione che, nel caso specifico, fa riferimento ad alcuni testi scoperti a Nag Hamamdi in cui la figura del "salvatore" è ipostatizzata da un personaggio femminile. Questi - simbolo della Sapienza nel contesto del manoscritto - viene implicitamente messa in relazione ad Iside ed al Serpente, costituendo il testo nel suo complesso, una testimonianza di chiara matrice gnostico-ofitica 22 . Questa concordanza di temi tra un testo che, seppure antichissimo è stato solo da poco riscoperto, e la misteriosofia legata al Razès, lascia indubbiamente alquanto interdetti. E accettabile, come semplice ipotesi, che spezzoni di quell'insegnamento gnostico si siano perpetuati nell'Aude, custoditi e via via rielaborati da sette (Bogomili, Catari) e gruppi occultistici devoti al culto della Grande Madre? La centralità della figura della Dea Bianca, rievocata con accenti mistici ed accorati dalla maggior parte di coloro che si sono affannati intomo al mistero di Rennes-le-Chàteau, non fa comunque che riproporre la: "[...] Trasposizione metafisica del concetto della donna, quale principio e sostanza della generazione. Una dea va ad esprimere la suprema realtà, e ogni essere concepito come figlio, appare di fronte ad essa come qualcosa di condizionato e di subordinato, privo di vita propria [...] Tale è il tipo delle grandi dee asiaticomediterranee della vita - Iside, Ashera, Cibele, Tanit e, soprattutto, Demetra, figura centrale del ciclo pelagico-minoico". Questa 'civiltà della Madre' storicamente ha aperto la via di una duplice degenerazione, quella 'dell'amazzonismo', come tentativo deviato [...] [e quella del] titanismo (in un altro quadro, anche luciferismo) come degenerazione della Luce"23. La centralità che la figura della donna riveste in queste culture deviate, e che prelude all'istaurarsi del matriarcato, è peraltro inscritta, se così si può dire, nel simbolismo connesso a Caino ed alla sua discendenza. Scrive il Mordini: 20

Annwn è l'Inferno celtico. Si veda al riguardo in: M. Bizzarri e F. Scurria, Sulle tracce del Graal, Edizioni Mediterranee, Roma, 1996, p. 182 e s. 21 E. van Buren, Refuge of the Apocalypse, Saffron Walden, Cambridge, 1986, p. 314. 22 II documento in questione e II Tuono, Perfetto Intelletto, probabilmente una variante del Vangelo di Eva, citato in Epifanio ma di cui sono stati tramandati solo scarsi frammenti. Su questo testo si veda: B. Layton, The Gnostic scriptures, Doubleday, N.Y., 1987, p. 77 e s.; si veda altresì G G Stroumsa, La Sapienza nascosta, Arkeios, Roma, 2000, p. 49 e s. 23 J. Evola, Rivolta contro il Mondo Moderno, Edizioni Mediterranee, Roma, 1998, p. 270.

"Caino è perciò uomo tellurico e materiale, dunque la sua stirpe tenderà prima o poi al matriarcato (materia mater) [...] Da Set a Noè sono esattamente nove generazioni; e nove è il numero della pienezza e dell'armonia; mentre da Caino a Jabel, Jubal, Tubal-Cain e Naama sono sette generazioni; e sette è il numero della natura - per questo, aggiunge il Mordini, 'la stirpe di Caino è stirpe dell'antitradizione [che costruirà] la prima città e la prima società idolatra e materialista'"24. Non a caso il ritorno della Grande Madre viene a collocarsi al culmine di questa fase della civiltà caratterizzata dalla completa riduzione di ogni aspetto della vita a mera quantità, quando la maggior parte dell'umanità, al pari dei Cainiti, si sarà effettivamente "allontanata dall'immagine di Dio", per assumere quei tratti deformi che la "razza" del mondo sotterraneo esibisce come un vanto 25 . In questo contesto si collocano le attese millenaristiche che, con accenti diversi ma comunque convergenti, sembrano unificare buona parte delle organizzazioni occulte che si sono interessate a Rennes-le-Chàteau 26 . In quel periodo, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, la maggior parte di questi personaggi era: "Nell'attesa di un messia femminino; per esempio scrittori come Eliphas Levi, Villiers de FIsle-Adam e Albert Jounet, pittori come Odilon Redon, o ancora la celebre lady Caithness, duchessa di Pomar. Già nel XVIII secolo gli ebrei frankisti, provenienti dal Sabateismo, aspettavano un messia femminino"27. A questi vanno ovviamente aggiunti i membri dello Hiéron con Paul Le Cour in testa. Ciò che è meno conosciuto è che un'attesa analoga coinvolge tanto 24

A. Mordini, Il Mistero dello Yeti, Il Falco, Milano, 1978, p. 44 e 52. II Mordini (Ibidem, p. 62) ricorda come per San Bernardo l'uomo abbia perduto, con la colpa d'origine, la somiglianza di Dio - ovvero l'inclinazione naturale al bene - mentre permane la sua immagine, ovvero il libero arbitrio. "L'immagine, che è libero arbitrio, e perciò ragione e linguaggio nel senso più autentico del termine, costituisce la stessa natura umana", quella "natura umana" da cui i Cainiti si sarebbero irrimediabilmente allontanati fino ad assumere tratti somatici differenti che, nel loro complesso, costituiscono il vero "marchio di Caino", espressione, al pari di altre deformità fisiche, di vere e proprie "infermità psichiche". Non per questo è un caso che nell'ambito delle scuole iniziatiche le qualificazioni richieste ai recipiendari prevedano l'esclusione di quanti siano portatori di determinate "lesioni" fisiche" (su tale tema si veda il nostro studio La Via Iniziatica, Atanor, Roma, 2003, p. 82-86). 25

26 L'attesa di un "messia" vendicatore non è neanche estranea alle credenze catare, come attesta René Nelli (Les Cathares ou le combat Eternel, Grasset, Paris, 1976, p. 74-75). 27 G Galtier, Maçonnerie égyptienne, Rose-Croix et néo-chevalerie, du Rocher, Monaco, 1989, p. 406.

gli Yèzidi quanto i Drusi che ritengono che il Mahdi nascerà proprio in seno alla loro comunità. È curioso rilevare che di tale convincimento sarà partecipe non solo Nerval - cosa che non ci stupisce ormai più di tanto - quanto gli stessi vertici di molte organizzazioni martiniste e/o rosacruciane, come Raymond Bernard, Martinista e Gran Maestro dell'AMORC 2 8 . Il "messia dei Drusi", che costituirà propriamente il Mahdi, ovvero il comandante delle armate celesti, prefigura il ritorno di Hakim, ipostasi della divinità propriamente detta e affermerà il proprio dominio in corrispondenza dell'avvento dell'Età dell'Acquario 29 ! Paul Le Cour sarebbe stato contento di saperlo... E così, tutta una cultura pseudoiniziatica ha trovato nel "mistero" di Rennesle-Chàteau l'occasione unica per rifiorire e dare il peggio di se stessa, producendo ciarpame sincretistico le cui conseguenze deleterie non sapremo mai valutare appieno. Del resto, come nota Daniel Castille, ciò non deve sorprenderci oltre misura: "Fintanto che ci saranno delle medaglie, dell'oro e dell'incenso, così come riti 'esoterici', magici, per recipiendari imbevuti di se stessi e anche un po' paranoici, tutto questo non può essere troppo pericoloso, a meno che le basi stesse di questi riti non servano da supporto all'invocazione e alla creazione di eggregoro malefici riservati all'uso esclusivo di certi apprendisti, falsi maghi esperti in demonologia. Per questo non vanno sottovalutati quei Cerchi che operano nelle Oscurità dello Spirito del Mondo. Questi possiedono dei Poteri strani, basati su forze sconosciute e che tali resteranno ancora per molto"30.

Come si diventa scrittori di successo Ultimo e più incredibile esempio di come la storia e il significato tradizionale dei simboli possano venire impunemente stravolti, in un epoca che ha rinunciato alla verità per sanzionare il relativismo culturale, è quello offerto dal romanzo di Dan Brown. Il testo, redatto da un docente di inglese semisconosciuto, autore di thriller a sfondo "complottistico", si lascia leggere con grande facilità e piacere. Peccato che i dati sui quali viene intessuta la trama siano del tutto sprovvisti di qualsivoglia fondamento e questo a dispetto della pomposa avvertenza "storica" in cui si può leggere quanto segue:

28

Ibidem, p. 407 e s. M. Coquet, Maitreya, le Christ du Nouvel Age, L'Or du Temps, Grenoble, 1984. 30 D. Castille, Le Diable Mérovingien, Ramuel, Villeselve, 1998, p. 70. 29

"Il priorato di Sion - società segreta fondata nel 1099 - è una setta realmente esistente. Nel 1975 presso la Bibliothèque Nationale di Parigi, sono state scoperte alcune pergamene, note come les Dossiers Secrets, in cui si forniva l'identità di numerosi membri del Priorato [....] Tutte le descrizioni di opere d'arte e architettoniche, di documenti e rituali segreti contenute in questo romanzo rispecchiano la realtà" 31 .

Orbene, a prescindere dalle numerose inesattezze "tecniche" nel loro complesso tali affermazioni, come abbiamo già visto, sono manifestamente false come falso è il cosiddetto Priorato di Sion. Ma Brown non si accontenta di riscrivere la storia (occulta) del mondo, bensì pretende ridefinire i simboli stessi dell'esoterismo. Ed è così, passando di meraviglia in meraviglia, di stupidità in stupidità, che troviamo questa sconvolgente rivelazione: "Il pentacolo [...] è un simbolo precristiano legato al culto della natura [...] rappresenta la metà femminile di tutte le cose, un concetto religioso che gli storici delle religioni chiamano il 'femminino sacro' o la 'dea divina' [...] Le religioni antiche erano basate sull'ordine divino della natura. La dea Venere e il pianeta Venere erano una cosa sola [...] Langdom aveva appreso con stupore che il pianeta Venere tracciava un pentacolo perfetto sull'eclittica ogni otto anni. Gli antichi che osservavano quel fenomeno erano rimasti talmente stupefatti che Venere e il suo pentacolo erano divenuti i simboli della perfezione, della bellezza e degli aspetti ciclici dell'amore sessuale" 3 2 .

L'elenco delle stupidaggini che Brown riesce a concentrare su tale tema è effettivamente qualche cosa di straordinario. È evidente che abbia qualche grave problema con l'astronomia e con le dottrine degli antichi. Non ha ovviamente mai sentito parlare di Pitagora, e neanche deve essergli mai capitato in mano uno di quei tanti libri sul simbolismo che si rimediano per pochi dollari pure sulle bancarelle del Nuovo Mondo. Non è nostra abitudine lasciarci andare allo psicologismo di moda, tuttavia saremmo tentati di concludere che, sotto il profilo psicoanalitico, il nostro autore debba avere qualche problema anche nell'ambito dell'identità sessuale, per concedere tanto spazio ai temi della "magia sessuale". Ma andiamo avanti. Troviamo un mucchio di informazioni, buttate lì quasi che fossero verità rivelate - si ricordi che c'è un'avvertenza "storica"! - e finiamo per scoprire che Wagner era "notoriamente affiliato alla massoneria" (p. 453), come del resto Shakespeare, Gershwin e Houdini. Ovviamente,

31 32

D. Brown, Il Codice da Vinci, Mondadori, Milano, 2003, p. 9. Ibidem, p. 51.

non lo era nessuno dei quattro. Ci viene finalmente svelato che il tetragrammaton ebraico - YHWH - deriva "infatti da Yahweh ovvero Geova, androgina (sic!), unione fisica [oddio!] tra il maschile 'Jah' e il nome pre-ebraico [preebraico?] di Eva, Hawah o Havah" (p. 364). Continuando ancora scopriamo che "molti" furono i Templari "bruciati sul rogo e i loro resti gettati nel Tevere" (p. 398), giustiziati lo stesso "sfortunato venerdì 13" del 1307. A parte il fatto che le esecuzioni furono eseguite nel 1314, è quasi patetico dover sottolineare che a Roma non avvenne alcun autodafé 33 . L'elenco non finirebbe mai - tralasciamo l'argomento Leonardo da Vinci su cui ci sarebbe molto da dire, anche se dobbiamo ricordare a Dan Brown che della Vergine delle Rocce furono eseguite non due, bensì tre versioni34 - ed è bene fermarsi qui. Invero non avrebbe senso questa nostra nota, dato che pur sempre di un romanzo stiamo parlando, e cioè di un'opera di fantasia. Ancorché malata. Il fatto è che tale testo si incastra fin troppo bene nell'ambito di un più vasto progetto - stavamo per scrivere "complotto" - di cui costituisce quasi l'anello mancante, reso ancor più appetibile e digeribile per il grosso pubblico, ignaro di tutto e sempre pronto a prendere per oro colato quanto di meno verosimile gli venga proposto. Il "progetto" di cui è questione parte da lontano, si sviluppa lungo tutta una serie di "rivelazioni" che hanno costituito l'oggetto di una grandiosa manipolazione mediatica, incentrata a dimostrare l'infondatezza della figura divina del Cristo, l'illegittimità del messaggio cattolico con l'ovvio correlato costituito dalla "sopraffazione" operata dalla Chiesa che avrebbe colpevolmente architettato la più straordinaria impostura della storia, occultando - en passant - il potere della "magia sessuale"! Crowley sarebbe stato contento... Non dobbiamo pertanto stupirci quando anche un autore generalmente prudente, come Hancock, si lascia andare a considerazioni di questo genere: "Tutto considerato sembra ragionevole concludere che il cristianesimo istituzionalizzato è stato una delle grandi forze che hanno determinato il corso della storia e che le funeste condizioni globali in cui ci troviamo oggi, nel XXI secolo, hanno molto a che fare con il suo influsso"35. Si tratta di affermazioni apodittiche, inaccettabili ed inverosimili, ma che bene riflettono quei "segni dei tempi" di cui parla Guénon. 33 Per quanto attiene ai Templari si veda: F. Bramante, Storia dell'Ordine dei Templari in Italia, Atanor, Roma, 1991, t. I e li; M. Barber, Processo ai Templari, ECIG, Genova, 1998. 34 Rispettivamente conservate al Louvre (la prima), a Londra e in Svizzera. 35 G. Hancock e R. Bauval, Talismano, Corbaccio, Milano, 2004, p. 97 (il corsivo è nostro).

Per Hancock - e a quanti si riconoscano in quelle posizioni - non tutto è ancora perduto! Basta rivolgersi a quella "spiritualità alternativa", a quella "religione segreta" che nonostante tutto si è finora tramandata e che, guarda caso, è centrata sul "femminino divino". L'umanità attende ora, in corrispondenza dell'Era dell'Acquario - ma guarda un po' che altra fortunata coincidenza! - che la verità venga ristabilita da una società segreta detentrice dell'autentico verbo, veicolato, neanche a dirlo, "dall'eterno femminino" (qualunque cosa intendano i moderni Mefistofele con questo termine). Una società che finora ha aspettato, bene "occultata" dietro le quinte della Storia. Questo, in soldoni, il senso di tutto il discorso. Nel preparare l'avvento di ben altra "aurora", diversa da quella che molti ingenuamente si attendono, questo guazzabuglio pretende - tout simplement - "rovesciare" le fondamenta stesse del simbolismo tradizionale e gettare i semi di quella controtradizione cui faceva riferimento Guénon. E questo è forse l'unico, vero, inquietante, messaggio su cui occorre pur riflettere per trarne una "misura" del grado di degenerazione cui è giunto il mondo moderno. Abyssus abissum

invocai.