Racconti Notturni
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Zitiervorschau

stesso autore nel catalogo E i n a u d i

La principessa Brambilla Romanzi e racconti Gli elisir del diavolo Mastro Pulce Il vaso d'oro

E. T. A. Hoffmann Racconti notturni

Introduzione d i Claudio Magris Traduzioni d i Carlo Pinelli e Alberto Spaini

Einaudi

019691:1994 Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino La traduzione dell'Orco Insabbia e detla Chiesa dei Gesuiti di G. h di Alberto Spaini. Tutti gli altri racconti sono stati tradotti da Carlo Pinelli ISBN 8 8 - o 6 - i 7 7 i z - 5

L ' E S I L I O D E L BORGHESE

di Claudio

Magris

I.

I n uno dei suoi ultimi racconti inÌ2Ìati poco prima di morire e rimasti incompiuti, La guarigione, Hoffmann s'accinge ancora ima volta a narrare la storia di un'idea fissa, quella di un vecchio angosciosamente persuaso che la natura, adirata con gli uomini, abbia fatto sparire dalla terra ogni traccia di verde, di «materno verde». Con un'invenzione da grande scrittore d'avanguardia, Hoffmann rappresenta in una parabola l'espatriazione dell'uomo e soprattutto dell'intellettuale moderno e la raffigura con un realismo all'insegna dell'ambiguità, per cui La guarigione può presentarsi come una favola o come i l resoconto d'un caso clinico, come un arabesco fantastico o come una relazione oggettiva. I l racconto, ceno, riferisce Ifi terapia di quell'idea fissa, la guarigione da quell'ossessione che pc;rmette la struggente riscoperta del verde ma l'ironia e l'ambiguità («involgono anche la terapìa, la felicità di quello psicodramma in cui i l vecchio, trasportato durante un sonno profondo in un paefio primaverile in piena fioritura, si ridesta e ritrova i l colore a terra. Se la mania del vecchio nevrotico è vista come una mal^tia, i cui effetti sono manifestazioni meramente soggettive, un tt^tile e amaro scetticismo pervade anche i l racconto della «guari^i^e», la scena del grande incontro liberatore con i l verde della Qftùira; un incontro che può essere altrettanto illusorio, irreale e ingannevole quanto l'allucinazione precedente. A l limite, l'ironia potrebbe colpire proprio lo psicodramma, la menzognera pretesa della scienza - o pseudoscienza - di restituire all'uomo un bene oggettivamente perduto per sempre, un cordone ombelicale irreparabilmente reciso: restituendogli la capacità di scorgere un verde che forse non esiste o non esiste più, la terapia scientifica toglierebbe al vecchio, anziché ridargliela, la lucidità razionale e gli offrirebbe tutt'al più una consolante capacità di autoillusione, una specie di mentis gratissimus error come quello rimpianto da Orazio. I n questa come in tante altre pagine hoffmanniane la «realtà» sembra dunque dissolversi; più esattamente, Hofbiann infrange la

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finzione di una realtà univoca e chiaramente definita, cara ad ogni realismo di stretta osservanza. Già nella sua prima novella, Il cavaliere Gluck {1809), l'ambivalenza appare ÌI contrassegno distintivo della condizione esistenziale e della sua fenomenologia: nella Berlino del 1809 ua eccentrico musicista vestito all'antica si presenta come i l famoso compositore Gluck morto più di vent'annì prima e, entro certi limiti, Io è veramente senza che sia tuttavia esplicito sotto quale profilo egli lo sia: maniaco affetto da una malattia cerebrale, secondo l'interpretazione psicologica, ovvero creatura fiabesca frutto di mera imagirterie dell'autore priva di alcun significato concreto oppure, come vuole per esempio Hans Mayer, figura ricca di implicazioni storico-sociali e cioè simbolo dell'antinomia fra mondo ideale (fantasia, poesia, amore, libertà) e mondo reale della deuische Misere. Se è ancora possibile adottare per Hoffmann l'ormai scontata definizione di narratore «realista», tale definizione va intesa come acuta e sofferta consapevolezza, da parte dello scrittore, dei problematicissimi rapporti intercorrenti tra la cosiddetta « realtà » e l'operazione poetica, tra l'oggetto e la possibilità - e i limiti - d i rappresentarlo in una struttura narrativa. È proprio tale coscienza dell'ambiguità letteraria che ha portato Hoffmann ad alcune intuizioni straordinariamente precorritrici i n merito alla natura e alla funzione del romanzo. All'inizio del terzo Makulaturblatt del Gatto Murr (1820-22) Hoffmann interviene per esempio direttamente nel racconto nella sua qualità d i «narratore» ben consapevole delle difficoltà tecniche del suo lavoro; «... nulla è più seccante per uno storiografo - o per un biografo — che dover saltare qua e là, per campi e prati, come in groppa a un cavallo selvaggio, cercando vanamente di ritrovare la via battuta. Ciò succede appunto a chi si è proposto di scrivere per te, caro lettore, quanto è venuto a conoscere circa l'avventurosissima vita del maestro Johannes Kreisler. G l i sarebbe molto piaciuto poter incominciare così: "Nella cittadina di N . . . (... o di B..., o di K...), i l lunedi d i Pentecoste (o i l giorno d i Pasqua) dell'anno tale 0 talaltro, venne alla luce Johannes Kreisler". - Ma purtroppo l'infelice narratore non può osservare quest'ordine cronologico, perché egli dispone unicamente d i notizie orali, frammentarie - e deve subito elaborarle per non perdere d i vista l'assieme della vicenda». Interventi d i questo genere ricorrono molto spesso nell'opera hoffraanniana: sì pensi all'analoga intrusione diretta dell'autore nell'Orco Insabbia {1917) oppure ai numerosi casi in cui lo scrittore emerge indirettamente e cioè attraverso una mediazione comun-

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que più scoperta della finzione onnisciente; per esempio in veste di Herausgeber, di editore della novella, come avviene negli Elisir del diavolo (1815-16) o nelle Avventure della notte di san Silvestro (1814-15), per citare solo due documenti cospicui. Hoffmann si compiace spesso d i rompere la tensione epica e d i stabilire una distanza critica nei confronti della «storia» chiamando in causa, con ironia intellettuale, la stessa tecnica del narrare. Nell'Orco Insabbia viene esplicitamente puntualizzato i l tentativo di trovare i mezzi o gli espedienti per preparare il lettore ad una complessa e imprevedibile logica poetica: «Cosi provavo ima grande smania di raccontarti qualcosa della vita fatale di Nataniele. La sua stravaganza, i; la sxia stranezza riempiva tutta la mia anima; ma appunto perciò e perché, o mio lettore, volevo renderti subito incline ad accettare le cose più straordinarie — che non è una cosa da poco — mi tormcnta:*t vo per incominciare la storia di Nataniele in modo simbolico, origini naie, commovente. "C'era una volta" - i l più bel principio di una f Storia - ma troppo prosaico! - "Nella piccola città di S... viveva" - è già un po' meglio, per lo meno prepara a qualcosa d'importante - Oppure subito medias in res : - Andate al diavolo! - gridò pieno di furore e di spavento, con gli occhi stravolti, lo studente Nataci' nide, quando i l mercante di barometri, Giuseppe Coppola [...] I n somma non mi veniva in mente ima sola parola. Decisi cosi di non l ihcominciare i n nessun modo. Accetta perciò, benigno lettore, le tre lettere che l'amico Lotario mi ha gentilmente comunicato, come lo schizzo del quadro nel quale ora cercherò d i portare sempre più viri e più vivi colori col mio racconto». La tendenza a giocare apertamente con i propri strumenti ed a XDÌstificare le difficoltà organizzative finisce per teorizzare una tec1;^ lUcft che supera o meglio capovolge la poetica romantica e anticipa ' !e grandi irmovazioni del romanzo novecentesco. Proprio nella più V |!lcHnantica delle sue storie, nella biografia dell'infelice e straziato nimicista Johannes Kreisler, Hoffmaim si distacca dal principio , j W^;gettivo della creazione artistica come «creazione rivale» rispctj ità alla realtà, per usare le parole d i Sergio Perosa che ha indagato i tctmiiù generali d i questo problema nel suo studio sulle vie della V HjUTàtiva americana. L'autore si presenta non quale creatore arbiv^'ittò e sovrano ma quale «biografo» o «storiografo», dunque testiIbone e portavoce di una realtà oggettiva riconosciuta come tale. La illfcs operazione non consiste nella sfrenata invenzione dì un dìo che Iteefra i propri fantasmi in sprezzante concorrenza col mondo o in ÉS» demonica negazione d'ogni oggettività, secondo l'illusionismo wS&flistico che caratterizza l'atteggiamento dei romantici. L'atti-

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vita dello scrittore si configura per Hoffmann come l'agostiniana «creazione incrementizia» di cui parla Perosa, come la registrazione razionale di una realtà esistente per se stessa. Da una parte quindi l'autore respinge la pretesa di compiutezza assoluta e di totalità, limitandosi a « scrivere quanto è venuto a conoscere » ; d'altro canto questi elementi parziali e frammentari acquistano un valore intersoggettivo, vengono presentati come dati reali che lo storiografo ha i l compito di comunicare. Lo scrittore rinuncia esplicitamente alla libertà della creazione organica e conclusa, all'illusoria essenzializzazione epica del caos esistenziale in un ordinato svolgimento con inizio fine e immanente significato, rinuncia dunque all'arbitrarietà del realismo con Ì suoi tagli nitidi e semphficatori: nella cittadina di N... nel giorno tale vide la luce... Questo recupero dell'oggetto in tutta la sua tentacolare e incompiuta indeterminatezza è strettamente connesso all'iniziale dissoluzione e deformazione di ogni realtà con le quali, sotto lo choc provocato dall'incontro col pensiero fichtiano, esordisce la narrativa hoffmanniana che, nella breve e intensissima stagione creativa dello scrittore (tutta compresa fra i l 1809, anno della pubblicazione della prima novella // cavaliere Gluck, e i l 1822 anno della morte per tabe dorsale), non subisce una sostanziale evoluzione ideologica o formale ma ritorna di continuo su alcuni grandi temi e interrogativi, variandoli con inesauribile fantasia e proponendo d i volta in volta delle soluzioni antitetiche, ricorrenti alternativamente. L'esperienza dell'idealismo fichtiano, con la sua dottrina del rapporto fra l'io e Ìl non-Ìo e la conseguente negazione della natura, turbò profondamente la sensibilità di Hoffmann, non certo sorretta da una rigorosa preparazione filosofica, ponendo lo scrittore dinanzi all'incubo della molteplicità, ossia della frantumazione del reale e quindi anche della psiche, com'era già accaduto, sia pur in forme diverse, a Jean Paul. Nella Clavis fichtiatta (1800) di quest'ultimo emerge infatti una grottesca dilacerazione dell'entità psicologica, che si traduce fra l'altro nell'inquietante schiera di «sosia», d i DoppelCgànger presenti nelle pagine jeanpauliane, da Schoppe a Siebenkks a Leibgeber. Sarà proprio Hoffmann a mediare a Dostoevskij, suo grande ammiratore, questo tema del sosia, ch'egli del resto visse anche a livello esistenziale come angoscia dello sdoppiamento, secondo quanto testimonia una nota dei suoi diari del 6 novembre 1809: «Pazzesca anomalia! Straordinaria bizzarria al ballo del 6. M i sembra di vedere i l mio Io attraverso una lente che lo rifranga e moltiplichi - tutte le figure che si agitano intomo a me sono ^trettanti Io ed io m'adiro del loro modo d'agi-

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re...» Certo, in Hoflmann questo elemento inquietante trova subito i l suo straniamento parodistico, per esempio nell'ironica caricatura del Gatto Murr (contrappunto filisteo gustosamente intrecciato e frammischiato alla tragica storia di Kreisler) i n cui i l saggio gatto tentenna nell'indecisione se mangiare o no ima testa d'aringa: «Fu rame se qualcosa mi straniasse da me stesso mettendo contemporaneamente in rilievo i l mio " I o " autentico. Credo di essermi espresso con sufficiente chiarezza: lo psicologo esperto e perspicace avrà compreso la singolarità del mio stato d'animo», ^ t r e volte i l tema del sosia si trasforma i n una discesa negli abissi dell'inconscio e negli Ìnferi della schizofrenia come negli Elisir del diavolo oppure i n uno spumeggiante capriccio musicale come nell'incontro del protagonista col proprio Io danzante nella Principessa Brambilla (1820-21), in cui lo sdoppiamento si traduce nel ritrovamento della pili autentica identità. «Espressione dell'assurdità dell'esistenza umana, simbolo del suo irreparabile sfacelo» secondo la definizione data da Werner Kohlschmidt nel suo saggio Nihilismus der Romantik (1955), i l motivo del sosia rispecchia i l « solipsismo cupo ed amaro» di cui ha parlato Ladislao Mittner a proposito di Tieck, osservando che «U mondo stesso si frantuma, perché è riflesso da uno specchio frantumato, di cui ogni pezzetto offre un'immagine diversa della realtà». Nelle favole tieckiane di Almansur (1890) o del Biondo Ecberto (1796), che si collocano agli inizi del romanticismo tedesco, ogni racconto può sempre capovolgersi o ricominciare daccapo o venir riferito a qualsiasi personaggio, in un intreccio complicatissimo e inconsistente che copre solo i l vuoto e fa emergere la consapevolezza del nulla. Sia Tiedk che Jacobi fanno risalire tale crisi e tale smarrimento a Fichte, i l primo raffigurandolo nel personaggio del demente Balder nel suo romanzo William Lovell (1793-96), i l secondo accusandolo, come ha notato Valerio Verrà, di cercare protervamente l'assoluto nelle sue rappresentazioni umane e contingenti, mentre esso è per sua natura addila di quest'ultimo. Tale nichilismo sì riflette spesso in una frantumazione delle consuete misure dello spazio e del tempo, che caratterizza la pluralità dì plani dì molte novelle hoffmanniane : personaggi del Cinquecento che si muovono Jnella Berlino settecentesca della Scelta della fidanzata (1819-20), lamanti che vivono al contempo a Dresda e nel favoloso regno d i , Atlantide col benigno assenso di un « Archivarìus» i l quale si rivela iil mitico principe delle salamandre (//vd50 d'oro, 1814-15); figure p protagonisti che scendono da un'antica pittura anseatica (LaCorte fdiArtu, 1816 {1819-21]); creature d i secoli passati o dì un tempo

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prunordìale che entrano nella cronaca borghese quotidiana {Maestro Pulce, 1822). Tuttavia i l partecipe e insieme distaccato interesse per la dilacerazione romantica costituisce per Hoffmann non già un impulso in direzione d'un soggettivismo sfrenato bensì una spinta in direzione opposta, l'avvio ad una presa di coscienza realistica e razionale, anche se affidata a mezzi estremamente audaci, dei processi psidiid oppure della dimensione mitica. Le fantasticherie apparentemente assurde che caratterizzano la narrativa hoffmanniana sì configurano quali oggettive manifestazioni morbose registrate razionakiente ovvero quali metafore della legge analogica die presiede all'attività della vita psichica. £ noto l'interesse di Ho&nann per lo studio dei fenomeni patologìa e «notturni» della psiche, che proprio ìn quegli anni, i n Germania, andava sviluppandosi e prendendo pi«le: nelle novelle e nelle lettere hoffmanniane si trovano frequentissimi riferimenti alle dottrine di Mesmer e Pinci, alle teorie sul sonno e sul sonnamboUsmo di Nudow e Henning e a quelle sul magnetismo di Kluge e Bartels, ai prìndpì d i Brown e Puységur, a discussioni con medid quali Speyer, Marcus e Koreff. Echi ed esplicite menzioni dì tali indirizzi sdentìfid o pseudosdentifid s'incontrarlo in molti racconti, dalla Casa disabitata {i%xy) al Maggiorasco (1817) al Magnetizzatore {iSi4-iy) in cui le due correnti d d mesmerismo quelle d i Mesmer e d i Barbarìn - confluiscono ìn una sagadssìma struttura narrativa, nella quale la cornice (la conversazione n d salotto) evoca e provoca U tragico intrecdo che a sua volta sfoda, grazie ad alcuni Leifmotive ricorrenti, in uno straordinario scavo psicologico nelle più sarete zone dell'anima umana, con risultati di sorprendente modernità ottenuti per via analogica: per esempio il motivo d d tiglio e la nevrosi d i Maria, i l transfert erotico di quest'ultima, i traumi infantili dovuti alla su^esrione paurosa delle fiabe. 2. Anche sotto questo profilo, i l «realismo» dì Hoffmann si misura, spede nei Racconti notturni, con la sccunposìzione della dimensione quotidiana nelle fratture psicologiche e con la conseguente «ricostruzione», sperimentale e frammentaria, della realtà. Quest'ultima appare comimque allo scrittore sempre polivalente, vielschichtig, come afferma Lothar Kohn, e la complessità dello stile tende a scavare in tale stratificazione, die è insieme temporale e psicologica. La narrazione apparentemente epica ed unitaria cela frequenti mutamenti d i prospettiva, che penetrano nella realtà da o-

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xin

gni parte. Nell'Orco Insabbia, sul quale Freud fermò la sua attenzione i n un celebre saggio, i l racconto degli incubi infantili di Nataniele è retto da tre diversi punti d i visu che si alternano di contìnuo: quello del narratore che riporta obiettivamente ima vicenda, quello dì Nataniele adulto che ricorda episodi d'infanzia e quello dello stesso Nataniele bambino, che prende a tratti i l sopravvento ed affiora con tutta l'immediatezza del bambino di un tempo. Una progressione magistrale conduce a questa regressione, sottolineata anche nel passaggio dal preterito al presente, che rivìve dall'interno l'esperienza dei fanciullo (una progressione stilìstica che una traduzione non riesce a rendere se non debolmente e i n modo impreciso): « Come sempre sedeva immobile e silenzioso volgendo le spalle alla porta; non si accorse di nulla. I n un lampo fui dentro e nascosto dalla tendina appesa davanti ad un armadio aperto che stava accanto alla porta e nel quale erano appesì i vestiti d i mìo padre. I passi rimbombavano, sempre più vicini, sempre più vicini - si sentiva nel corridoio qualcuno die tossicchiava, trascinava i piedi e brontolava in un modo bizzarro. I l cuore mi tremava dalla paura e dall'attesa. - Vicino, proprio vicino alla porta, un ultimo passo pia pesante - un colpo forte sulla maniglia — la porta si spalanca con glande fracasso. - Sforzandomi d i farmi coraggio sporsi prudentemente i l capo dalla tenda. L'Orco Insabbia sta in mezzo dia stanza in piedi davanti a mio padre; la luce della lampada lo colpisce in viso. L'orco, il terribile Orco Insabbia è-il veccìiio avvocato CoppeUtts, che talvolta veniva a pranzo da noi a mezzogiorno » (il corsivo è nostro). Stupendo passaggio, che registra i diversi momenti della regressione psicologica : i l racconto dello spavento diviene a sua volta spavento («...la porta si spalanca!»), viene contenuto da un ultimo sforzo d i distanza e controllo («Sforzandomi d i farmi coraggio») per piombare infine nell'assoluta immediatezza dell'esperienza infantile («L'Orco Insabbia sta i n mezzo...») L'opera ho&nanniana è ricca d i esempi del genere: basterà citare gU appassionati ricordi d'infanzia del Gatto Murr, ove Kreisler narra la morte della zia Fiìsschen (la prima sublimazione erotica della fanciullezza, quasi una prefigura della rilkiana Abelone d d Malte) e, n d ricordo, liafEonda ndla sua psiche d i bambino d i tre anni. Nell'Orco Jwii^ia inattese e quasi inavvertite modifiche di prospettiva aprono «furagli inquietanti e gettano l u d dì tragolia. Tutta la festa i n casa d i Spallanzani viene contemplata da un punto dì vista oggettivo, dal narratore oimisdente che descrive le danze, la ciaa passione di Natanide, ìl rìso deg^ invitati e la goffaggine dì Olimpia ; ìmprowi-

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samcnte, al commiato fra i due amanti, le apparenze del reale vengono osservate dalla visuale alterata d i Nataniele e acquistano un tono spettrale e pauroso, scandito dalla suggestione fonica delle vocali lunghe e cupe: «Der Professor Spalanzani schritt langsam durch den leeren Saal, seine Schritte klangen hohl wieder und scine Figur, von flackemden Schlagschatten umspielt, batte ein graulidhes gespenstisches Ansehen». («Il professor Spallanzani stava attraversando lentamente la sala vuota; i suoi passi destavano im'eco sepolcrale, e la sua figura su cui giocavano le ombre delle candele morenti aveva un aspetto spettrale, pauroso»). Altre volte sì ha un procedimento inverso, che ottiene un effetto ancor piò estraniante, e cioè i l brusco passaggio dalla passionalità di Nataniele vissuta dall'interno ad una glac^e distanza impersonale e obiettiva. Quando Nataniele assiste alla distruzione di Olimpia ed è colto da follia omicida, i l narratore dapprima s'identifica con lo sventurato protagonista sino a soffrire con lui le ossessioni e le allucinazioni e successivamente si colloca d'improvviso all'esterno, ìn un angolo visuale dal quale la follia non appare più quale disperato dolore bensì quale furia bestiale: «Alla fine, unendo tutte le proprie forze, un gruppo di più perscme presenti riuscì a ridurlo all'impotenza, a gettarlo a terra e a legarlo. Le sue parole si affievolirono e si spensero ìn ruggiti bestiali e, ancora i n preda a questa furia, fu trasportato al manicomio». Natamele appare completamente estraniato; verbi aggettivi e sostantivi nonnìdmente applicati al mondo animale sottolineano la sua degradazione a bestia. Un analogo effetto di distanza è ottenuto dai due perìodi finali della novella, «sintatticamente staccati» - come afferma giustamente Lothar Kòhn - dalle righe che l i precedono e che narrano l'orribile morte d i Nataniele: la tranquilla felicità borghese dì Clara diviene, in seguito a quella contrapposizione, vm sinistro simbolo dell'impassibUita delle leggi cosmiche e sodali dinanzi al dolore individuale. Pochi scrittori adempiono magistralmente come Hoffmann alla funzione di «straniamento» teorizzata da Viktor Sklovskìf, alla funzione artìstica di sottrarre «l'oggetto all'automatismo della percezione» riscoprendolo quindi con occhi nuovi. Anche questo straniamento presuppone l'esistenza d i una realtà effettuale ma non la concepisce più come qualcosa d i tmitario e compiuto bcnsf come qualcosa di frantumato: pezzi, bocconi, notizie, per dtarc ancora i l menzionato passo d d Catto Murr. L'oggettività di Hoffmaim è così radicale e storicamente predsa da indurlo a respìngere ogtù sintesi idealizzante del materiale caotico, i l quale costituisce appunto l'autentica realtà. Anziché far diventare sogno i l mondo e mondo ìl

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sogno oppure evadere i n paesaggi fiabeschi, Hoffmann si misura con quel magma informe che è la vita di un uomo. I n questo rendiconto ciò che s'infrange è i n primo luogo i l «bell'ordine cronologico». Hoffmann rifiuta l'artificio del narratore onnisciente e la sua falsa obiettività e rinimcia a quel taglio arbitrario che è i l punto d i vista circoscritto con la sua logica impeccabile. Molto prima di Conrad, egli intuisce uno dei presupposti del romanzo moderno e cioè i l processo cronologicamente disordinato di ogni atto conoscitivo, per cui gli avvenimenti vengono spesso appresi secondo un ordine cronologico del tutto diverso dalla successione temporale in cui si sono svolti. Cosi, pur tenendo sempre di mira delle vie ben tracciate, i l narratore non le può mai raggiungere, e deve procedere a salti come su un selvaggio puledro ora di qua ora di là, oltre fossati e siepi, campi e praterie, E una vera e propria teorizzazione del time-shift, del procedimento pendolare del tempo puntualizzato da Perosa. «L'impressionismo che rende e non narra costringe infatti al time-shift: ossia al procedere avanti e indietro della ricostruzione che per verosimiglianza rifiuta la cronologia convenzionale (quel che ora sì apprende, prima non lo sì sapeva, e quel che prima si sapeva ne viene modificato)». Gli studiosi, da Warren Beach a Perosa, hanno individuato in queste rivoluzionarie tecniche narrative la genesi del romanzo sperimentale moderno, soprattutto ad opera di autori anglosassoni: Conrad, Madox Ford, James. Eppure già Ìl Gatto Murr contiene la teorizzazione e l'attuazione d i quel procedimento che Conrad avrebbe più tardi chiamato chronological muddlement. Confusione d i piani temporali che implica i l modified point of vieto, e cioè i l moltiplicarsi, l'intrecciarsi e i l sovrapporsi degli angoli prospettici. I n questa faticosa ricostruzione da patte dell'artista la vita si presenta come un aggregato perennemente modificabile e modificato dalla scomposizione cronologica e dall'altemarsi dei i punti di vista. Se Joseph Warren Beach ha tradotto in uno schema di lettere alfabetiche la rivoluzione dell'ordine cronologico operata ;da Conrad ìnLord Jim e citata come esempio di radicale anticipazioQe dello sperimentalismo moderno, uno schema analogo che cercasse di ricostruire i l procedimento del Gatto Murr rivelerebbe una struttura ben più complicata, per l'aggrovigliarsi dei differenti puniti di vista, dei racconti all'interno del racconto, delle successioni pa.ttUele d i eventi diversi, senza contare l'intreccio continuo di tutti iquesti elementi della storia d i Kreisler con le vicende del gatto fMurr, che ne costituiscono i l rovescio parodistico e caricaturale. Anche tenendo conto soltanto della parte «kreisleriana» del ro-

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man2o,e cioè della cosiddetta Biografia frammentaria del maestro di cappella Johannes Kreisler, nella successione degli avvenimenti della storia principale (cioè d i Kreisler) s'intersecano, i n un rapporto dì reciproca indipendenza cronologica, diverse altre serie di successioni temporali: quelle deUe vicende del principato, della vita di mastro Abramo, dell'intrigo dì corte, della biografia di Chiara e così via. Talvolta la determinazione cronologica è data come cosa certa, talvolta come approssimazione non accertabile; spesso Io scrittore si compiace d i far risaltare la contemporaneità ovvero la discontinuità delle varie serie cronologiche, cercando andbe di ricostruire la successione intema a ciascuna dì esse; un determinato episodio (per esempio quello della fuga dì Kreisler) ricompare più volte, ora tale e quale ora solo parzialmente ora addirittura modificato. Inoltre Hoffmann costruisce frequentemente una struttura ad incastro, basata sul «racconto nel racconto», come quando per esempio la narrazione oggettiva, durante i l venticinquesimo episodio, introduce im racconto per bocca di Abramo ìl quale a sua volta fa ricostruire im episodio a Chiara; i l tutto viene infine complicato dal pluralismo dei punri dì vista che informa U romanzo. La complessità stmtturale non costituisce certo un gioco fine a se stesso ma ha un preciso valore funzionale, sì palesa cioè come l'unica forma suscettibile di captare l'esistenza. I l contrasto fra 11 tradizionale bagaglio romantico e la lucida tecnica innovatrice viene esplìcitamente additato da Hoffmann; i l citato intervento problematico col quale prende avvio i l terzo Makulaturblatt del Gatto Murr è immediatamente seguito da un brano che declina i n toni l i rici e incantari la più tipica sensibilità romantica: sole calante che si stende sulla foresta «come un velo d'oro», tacita immobilità del bosco, «silenzio pieno dì presagi », alberi e cespugli che attendono la carezza del vento crepuscolare, sussurro del mscello su bianchi ciottoli, muto dialogo fra le due fanciulle Itmgo i sentieri coperti d i fiorì. La contrapposizione fra la prima e la seconda parte del brano, intenzionalmente accentuata, ìndica tuttavia un'antìtesi più apparente che sostanziale. Non v'è alcun contrasto fra sentimenti ineffabili e intelligenza architettonica, fra ìl mistero dell'irrazionale (sempre presente, in im modo o nell'altro, in Hoffmann) e i l razionale impiego degli strumenti tecnici. Proprio perché la vita gli appare cosi enigmatica e sfuggente, Hoffmann non può accettare l'artifidosa sintesi realistica; proprio perché la psidie di Kreisler è un abisso insondabile e dilaniato, lo scrittore deve rìnimcìare alla finzione della presa dì cosdenza totale. Hoffmaim introduce dunque una tecnica scaltrita proprio in funzione ddl'ineffabiUtà romantica,

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che in tal modo risulta concreta e credibile. Nonostante i l vivacissimo emergere di fatti ed eventi, nel romanzo non sussiste una storia, uno svolgersi organico di avvenimenti: si ha l'impressione e l'illusione che tutto accada su un ideale piano sincronico, in un continuo presente psicologico nel quale affiorano, a tratti, squarci del passato, brandelli di tempo che trovano la loro unica dimensione nel turbamento atemporale che l i rivive. I l cliché misterioso, da romanzo poliziesco, obbedisce anch'esso a tale funzione: i l tema dell'inquietante ritratto, che si ripete in continue variazioni, e tutto l'intrigo della storia di Angela esemplificano, su ima trama da feuilleton, l'incertezza della realtà. Anche il racconto nero viene dunque recuperato, persino nei suoi aspetti più grossolani, in un superiore significato simbolico. La contemporaneità deUe diverse vicende dei diversi protagonisti assume un significato estraniante e mfondc i l senso di un parallelismo assurdo e casuale, suscettibile di punti d'incontro anch'essi casuali ed assurdi. I l movimento pendolare del tempo e il moltiplicarsi dei punti di vista generano quello che i teorici anglosassoni avrebbero chiamato più di mezzo secolo dopo psychological muddlement. La fisionomia dei personaggi, ricostruita faticosamente, non è mai imivoca e lineare; la conoscenza che Ìl lettore ne acquista viene continuamente alterata, arricchita o Impoverita dai nuovi dati e dai nuovi angoli prospettici che li inquadrano: pressoché ogni figura fornisce e a sua volta riceve cognizioni sulle altre. Non vi è nel romanzo alcuna conoscenza progressiva, ma solo I un continuo moto alterno di progresso e regresso nella conoscenza. L'individualità d i Giulia per esempio affonda nell'ombra man mano si susseguono gli eventi «chiarificatori»; la delineazione più netta del carattere di Edvige è illusoria, perché finisce per avvolgerla In un alone d i struggente inconoscibilità. La psicologia del personaggi non è affatto autonoma; isolati dal contesto e dai loro rapporti reciproci, essi svaniscono in un'cvane;i scente inconsistenza. Ognuno esiste soltanto in un rapporto; non è la sua personalità a muoversi nello spazio e ad espandersi nel dialogo ma sono lo spazio e Ìl dialogo che la creano e la mutano di continuo. Non si potrebbe immaginare una contrapposizione più radicale alla fisionomia conchiusa delle figure del romanzo storico-realistico, che preesiste all'azione e viene introdotta in essa come una i ' realtà compiuta ed organica. Si pensi a Edvige, la più alta creazione \l Murr ed una deUe più alte della letteratura tedesca,figuracreata tC «%aì volta per un attimo e che incarna i l dolore dell'assenza d i duiu tata: Edvige è tale solo nel suo incontro con Kreisler, Giulia, EttoAI re. I n altro contesto ella sarebbe un altro personaggio, mentre - per

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fare un esempio classico — don Abbondio è tale ìn se stesso e a prior i , indipendentemente dalla dialettica in cui viene immesso. Straniamento delle cose, dunque, e dei personaggi. La follia, che incombe su tutta l'opera, rappresenta il caso estremo di questo straniamento nelle sue molteplici sfiunature: la crudele idiozia del principino Ignazio; la febbrile esaltazione di Kreisler; r«altro stat o * , paranormale e insieme amoroso, in cui vive perennemente Edvige come più tardi la Oarisse di Musil (Murr); la schizofrenia vissuta come dramma morale da frate Medardo [Elisir); la pazzia furiosa di Nataniele, l'ossessione del pittore Molinari {La chiesa dei gesuiti di G., 1817); la lucida, «pirandelliana» fissazione di Serapione {I confratelli dì san Serapione, 18x9-21). Follìa come cifra della tragedia esistenziale; incomunicabilità e pietà. Tale condizione, vista come un fenomeno oggettivo e contemplata dunque in una luce d i razionalità, sì profila quale figura, sub specie psicologica, della più generale dissoluzione dell'unità, di ogni unità umana e culturale. Questo processo porta Hoffmann ad affrontare il grande problema della sua epoca, e cioè i l tramonto di ogni «universaleumano» in cui tutti gli uomini di una società e di una civiltà possano riconoscersi. I l declino, in altri termini, del rapporto razionale con la realtà, del sigiùficato oggettivo degli avvenimenti, dì ogni onnivalente punto di riferimento; la fine dei fatti esemplari e la frantumazione irrazionale dell'esistenza. A suo modo, anche Goethe aveva tentato di opporsi a quel caos (per lui, al caos della rivoluzione) ma affidandosi a mezzi antiquati. Nelle sue Conversazioni di emigrati tedeschi {1795-97 ) Goethe era ricorso alla novella di tradizione italiana e francese, rinunziando alla creazione individuale e rinarrando storie già risapute e conosciute per afferrarsi alla validità di un genere letterario che gli appariva, come ha scritto Giuliano Baioni, «la forma ideale di una cultura che riconosceva nella narrazionerigorosamenteoggettiva della novella classica l'espressione di un universale-iunano cui tutti gli indivìdui dovevano adeguarsi». Hoffmann riconosce la validità dell'esigenza dì Goethe, ma non quella dei suoi strumenti. Per lui quel tipo d i oggettività, di «universale-timano», era ormai anacronìstico e impossibile; la razionalità come valore immanente alle cose, cioè come realismo e «classicità», gli si rivelava logorata e inconsistente. La novella classica, in questo senso, aveva poco da dire e le possibilità decameroniane erano pressocché esaurite. Sotto questo profilo la trasformazione del nesso racconti-cornice operata da Hoffmaim nei Confratelli di san Serapione è molto significativa. Dal fatto la razionalità andava spostandosi sul rapporto; la verità del lavoro poetico non sembrava

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più risiedere nella rappresentazione realistica bensì piuttosto nella tentacolare e fluida presa di coscienza della disgregazione; nell'acquisizione analogica piuttosto che nella trasfigurazione del reale. Tale presa dì coscienza significa, d'altra parte, dissoluzione del mito e quindi, per usare la formulazione di Clemens Lugowski, presa di conoscenza dell'individualità, dell'isolamento dell'oggetto. Hoffmann s'avvia cioè verso un realismo più autentico e più vero dì quello tradizionale: il realismo di cui parla Cocteau, la cui funzione consiste appunto nello svestire le cose dei loro nessi e delle loro vestì convenzionali facendole apparire ìn tutto l'assurdo della loro essenza. L'esempio di Hoffmann suggerisce implicitamente un'alternativa alla linea del realismo propugnata da Lukàcs, proponendone un'altra che cerca di risolvere con mezzi completamente diversi i l problema del reale e che in Germania parte dal grande modello del nostro scrittore, Jean Paul, i l quale, come osserva Fritz Martini, «visse per primo in modo consapevole l'emancipazione della realtà [...] dall'idea di un ordine superiore, normatrice di valori e dì significati, che conduce la coscienza del soggetto ad una disperata solitudine». Hoffmann si riallaccia a Jean Paul e, dietro a lui, a Sterne. Sarà proprio riprendendo questo filone e superando tante orge solipsistiche, che l'avanguardia moderna giungerà al recupero di una nuova universalità, dopo i l tramonto di quella classica; è stato del resto dimostrato, soprattutto da Giorgio Melchiori, come i padri dello sperimentalismo contemporaneo si richiamino a quello settecentesco, per esempio Joyce a Sterne. I l cosiddetto realismo, teorizzato ed esaltato da Lukacs, appare ormai come un suggestivo impressionismo e nulla più, ricco dì sottili sfumature psicologiche ma inadeguato allo sviluppo della realtà moderna. I l Brinkmann ha sottolineato acutamente l'equìvoco di questo realismo soggettivo; specialmente ìn Germania la tradizione «fantastica», la narrativa proliferante ed «aperta» della linea Jean Paul - Hoffmann sì è rivelata la più idonea a cogliere l'aggrovigliata situazione storico-sociale, a scomporre l'oggetto nei suoi elementi e a considerarlo nella multiforme dialettica delle sue relazioni, come avrebbe detto più tardi Lenin. È appunto ciò che attua la letteratura fantastico-razionale dell'avanguardia, mentre i l realismo irrazionale coglie tutt'al più ima vibrazione lirica dell'oggetto. Non è un caso che i l giovane Marx, nel suo frammento narrativo Scorpion und Fe/ix (1836-37), esprimesse la sua impegnata e graffante polemica contro la deutsche Misere in un bizzarro e grottesco «caprìccio» perfettamente inserito nella lìnea ironica Sterne - Jean Paul - Hoffmann - Heine.

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3La scomposizione dell'oggetto e la dissoluzione del mito permettono dunque di ripercorrere la dinamica del reale, ricostruita i n base ad una logica diversa da quella quotidiana, e cioè i n base alla legge analogica, al processo associativo, al simbolo e alla metafora. La conoscenza di una vastissima letteratura mistico-esoterica aiutò Hoffmann a intuire tale funzione del simbolo: per lo più letture d i testi di scienze occulte, di compendi di mistica d'ogni genere e d i almanacchi di superstizione popolare, di libri di Wiegleb, Montfaucon de Villars, Kunigsberger, Zimmermann, Arpe e soprattutto d i Gotthilf Heinrich Schubert. Col suo studio degli aspetti « notturni » delle scienze naturali e della simbologia onirica {Anskhten von der Nachtseite der Naturwissenschafi, 1809; Symbolik des Traums, 1814) Schubert aveva cercato di individuare, in un curioso intreccio di acute intuizioni e fumoso irrazionalismo, i l «linguaggio del profondo» dell'anima, articolato secondo processi associativi radicalmente diversi da quelli dello stato cosciente. Un linguaggio che esprimeva la vita più segreta della psiche, misteriosa ma nient'affatto irreale ofiabesca,e che mirava dunque a cogliere, per vìa metaforica, una realtà intersoggetriva: non a caso Schubert cercava d i stabilire delle «chiavi dei sogni» valide su un piano generale, e sulla sua scia altri tentavano di fissare dei «cataloghi» d i simboli, Ì quali si proponevano di offrire degli strumenti, seppur approssimati, per cogliere le leggi generaU della fenomenologìa psidiìca. Erano gli anni in cui ìn Germania si sviluppavano le analisi del simbolo e del mito considerati valori ermeneurici d i portata oggettiva; Kluge insisteva al pari di Schubert sulla funzione rivelatrice e quindi sulla «verità» del sogno e Schelling, ìl cui pensiero esercitò ima decisiva influenza su Hoffmann, identificava inconscio e oggettività. Per Hoffmaim ìl punto dì passaggio e dì collegamento fra 1 diversi piani della realtà è rappresentato dal simbolo, che fonde i n im'indìssolubìle unità significante e significato e costituisce Ìl perno della legge analogica, alla luce della quale sì spiega l'apparente incredibilità dì tante situazioni hoffmanniane. NeUa correlazione metaforica una rosa trapassa in una figura di donna biancovestita, nel volto celestiale di Aurelia; l'abito rosso-cupo di Aurelia, vago come una pittura da vetrata gotica, sfuma ìn una suggestione di rose profumate o avvampa nell'ossessione omicida ed erotica del sangue, nella furia autolesionista ed erotofaga di frate Medardo (Elisir). La narrazione si regge sul filo sconvolgente ma coerente delle associa-

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2ÌonÌ d'idee, che rivela in HoflEmann un precursore della tecnica surrealista e futurista: in nome di una logica metaforica cupe macchie di sangue trascolorano successivamente i n rose scarlatte, in candide braccia liliali e in mirti illuminati dal rosso del tramonto {Doge e dogaressa, 1818 [1819-21]); altrove Io stesso procedimento metaforico esprime la turbata logica della pazzìa, come quella del pittore Ettlinger: « Io sono l'avvoltoio rosso - e dipingo dopo aver divorato raggi di colore. Si: posso dipingere soltanto se ho, come vernice, del sangue sgorgato caldo dal cuore. Ho bisogno del tuo sangue, piccola principessa! * (Murr). Spesso fra Ì due termini della similitudine viene a cadere, come ha notato lo Harich, la congiunzione grammaticale; nel Vaso d'oro, uno dei capolavori hoffmannianì, i l nevrotico Anselmo vede trasformarsi i l battente della porta i n un sogghignante volto di vecchia. Precorrendo i l Musil delle geniali analogie, Hoflmann intuisce ìl processo dì trasposizione della vita psichica, l'imprevedibilità delle concatenazioni d'idee, l'universale legge analogica, rappresentando tutto ciò i n forma d i fiaba grottesca e inquietante, riprendendo cioè 11 «genere» romantico del Marche» (fiaba) come specchio, veritiero e sinistro, non già di una mitica «essenza della vita» ma della struttura mentale dell'uomo. Alcuni simboli ricorrenti, vere e proprie parole-mito, adempiono anche sul piano strutturale all'oggettivazione deUa fenomenologìa psichica. I I Leitmotiv del garofano, ripreso ritmicamente quale ritornello musicale, esprime nei Kreisleriana ( 1810 [1814-15]) «le malheur d'étre artiste» proiettando l'esasperata reattività di un animo dilacerato in immagini sinestetiche: colori suoni e profumi sgorgano da raggi luminosi e si fondono in un delirante concerto, aromi s'innalzano e sì dileguano come accordi di clarinetto o come raggi sonori, garofani purpurei trascolorano in adagi musicali o in Vene sanguigne dì roccia, nel canto dell'usignolo ì raggi assumono un sembiante femminile mentre nel Don Giovanni (1813 [1814> 1815]) il bacio della donna viene recepito come un suono. Un caso analogo è costituito, neUe Avventure della notte di san Silvestro ( r 8 i 4 - i 5 ) , dal tema del calice di cristallo, sìmbolo della fascinazione erotica e nevrotica subita dal protagonista e tipico esempio di sinestesia, che si profila inoltre come uno dei motivi ricorrenti su cui , si svolge fl racconto secondo la tecnica della ripetizione e dell'autocitazione. (Quest'ultima sì svolge per cosi dire a gradi, intrecciando intimamente cornice e racconto. All'origine della novella v'è un'esperienza reale, un incidente avvenuto a un « tè » fra Hoflmann, l'anoata Giulia Marc che egli aveva appena perduta e ìl suo fidanzato. I n un passo del diario d e l 6 . 9 . i 8 i 2 e i n una lettera d i scuse alla

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madre di Giulia del giorno seguente Hoffmann descrive le sue esaltate stranezze, che vengono ricalcate fedelmente nel racconto: le buffonate nevrotiche, la tazza di tè rovesciata goffamente addosso al consigliere e cosi via. Quest'episodio umiliante compare, in una luce di struggimento e d i autolesionismo, anche nella novella Le nuove avventure del cane Berganza (1814-15), ironica ripresa di un motivo d i Cervantes. I l rapporto Hoffmarm-GiuUa-fidanzato viene trasposto nel rapporto fra i l cane Berganza, la padroncina Cecilia e Ìl suo volgarefidanzatoGeorge che osa grossolane carezze e viene azzannato dal geloso Berganza, in una scena di grottesco e amaro pandemonio. L'autoidentificazione di Hoffmann col cane non è esente da un compiacimento masochistico ma si trasfigura in un'abbandonata dedizione amorosa quando il cane contempla, nella stanza da Ietto di Cecilia, la camicia da notte dell'amata: «Una lampada di alabastro spandeva all'intorno la sua tenue luce lattiginosa; spiegata sul divano vidi l'elegante veste da notte di Cecilia, tutta pizzi e trùie». Un Refrain di questa scena compare nelle Avventure della notte di san Silvestro: «... mi ritrovai, non so dirvi come, seduto su un'ottomana, in uno studiolo illuminato da una lampada d i alabastro. Accanto a me Giulia: Giulia col suo sguardo infantile e buono di un tempo ». A sua volta la figura di Giulia, evocata dalla « lampada di alabastro», diviene i l filo conduttore di tutto Ìl complesso racconto. All'inizio, nel salotto del consigliere, essa appare i n una luce di sogno amoroso: «Notai qualcosa di nuovo, cQ inconsueto nella sua figura: mi parve più alta, più formata, di una bellezza quasi esuberante. I l tagHo speciale del suo vestito bianco, abbondantemente increspato, ricoprente soltanto per metà i l seno, le spalle, la schiena, le ampie maniche rigonfie, fino al gomito, i capelli spartiti sulla fronte e raccolti dietro la nuca in un abbondante viluppo di trecce, le davano un certo non so che di arcaico, quasi la facevano rassomigliare a una figura di fancixilla uscita da un quadro d i Mieris». La descrizione, minuziosamente realistica, è tuttavia immersa in un'atmosfera irreale; i l ritratto fedele diviene un mito e trapassa nell'oscuro presagio di una dimensione al di là della realtà fisica: «... e tuttavia mi pareva d'aver visto coi miei occhi non so dove la creatura nella quale Giulia si era trasformata». Nel capitolo intitolato La storia del riflesso perduto, cioè nella vicenda di Erasmo Spikher che costituisce un racconto nel racconto, la diabolica Giulietta viene descritta quasi con le stesse parole: «La veste bianca ricadeva in ampie pieghe, ricoprendo soltanto per metà i l seno, le spalle, la schiena, le maniche a sbuffo scendevano fino al gomito; i ca-

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pelli, spartiti sulla fronte, si annodavano sulla nuca in un abbondante viluppo di trecce. Collane d'oro e ricchi bracciali completavano l'acconciatura medievale della fanciulla, rendendola simile a una figura di Rubens o di Mìeris». La ripetizione regge le fila del racconto e ne permette, non solo sul piano contenutistico ma anche su quello propriamente poetico, lo svolgimento. Uscito disperato dopo l'incontro con Giulia, ìl protagonista sì accompagna all'omino che ha perduto l'immagine nello specchio; da quest'ultimo emergono per allucinazione i tratti di Giulia e l'ometto nel sonno mormora II nome d i Giulietta; nel sogno immediatamente successivo l'incontro con Giulia, la festa del consigliere, le frasi sconnesse dell'omino a proposito di Giulietta e Tincantesimo dello specchio si fondono in un imico incubo, che introduce i l racconto nel racconto, e cioè la storia di Erasmo Spikher e della sua immagine perduta. L'autentico nesso fra le due vicende non consiste nell'espediente esteriore del manoscritto, bensì nella legge analogica. La rievocazione dell'ultimo incontro con Giulia sfuma in un'eco interiore e si moltiplica in confuse associazioni d'idee; i frammenti di realtà oggettiva divengono un'ossessione inquietante e generano una sorta di sdoppiamento. Tale ossessione si svincola progressivamente dall'iniziale dato reale e passa su un altro piano narrativo, costituendo la storia nella storia, cioè l'avventura di Erasmo. Questa in fondo non è altro che una trasposizione dell'esperienza realmente vissuta, dell'incontro con Giulia: un'amara vendetta fantastica che proietta la crudele doima amata in un simbolo di maleficio. Giulia diviene la diabolica maga Giulietta, la schiavitù amorosa assume l'aspetto di un incantesimo maligno, la perdizione sentimentale si trasforma in una cupa dannazione. Se già in casa del consigliere il viso angelico di Giulia si era deformato per un attimo in una smorfia ripugnante, nel sogno lafigurafemminile diviene addirittura un'allegoria demoniaca come in un quadro dlBrueghel: «Guardai Giulia e rabbrividii: effettivamente la sua veste increspata, le maniche rigonfie, l'acconciatura dei capelli la .tendevano quasi identica alle seducenti vergiru circondate da mostri infernali come si vedono nei quadri di quei maestri». Nella storia di Erasmo la donna diverrà effettivamente una creatura diabolica; la sua personalità muta quindi radicalmente, passando da un polo positivo ad tmo negativo - così come i l paragone pittorico passa da Mieris a Rubens e infine a Brueghel - ma resta sempre affidata alla medesima suggestione, alle medesime parole-mito: Gewand, hauschig, Armel (abito, a sbuffo, manica, ecc.). La ripetizione, ossia la legge analogica, collega e rinsalda le parti della novella, imifi-

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candole all'interno di un'unica Stimmung psicologica che registra, sulla base di alcuni dati ricorrenti e immutabili, ogni sorta di variazioni e invenzioni fantastiche. I l dato reale si converte di continuo in mito ed emerge successivamente a intervalli regolari, come un Leitmotiv, secondo un ptocedimento stilistico che sarà caro anche a Thomas Mann. La ripetizione, al contempo fedele e deformante, contribuisce anche a trasformare la realtà in grottesco: si veda con quale artiglio, nel sogno all'albergo, Hoffmann «citi», alterandola in un'angosciosa caricatura, la festa del consigliere. La citazione quindi snatura i l reale, lo sveste impietosamente delle apparenze familiari per svelame l'inquietante allegoria. Ad esempio i l protagonista, i l quale abbandonando disperato la festa ha lasciato cappotto e cappello appesi ad un Haken (cioè ad un attaccapaimi), nell'atrio del consigliere, più tardi, all'osteria, fa un amaro gioco di parole su Haken, che significa anche uncino, trasfigurando un banale particolare reale in i m tragico simbolo: «Dio mio - lo interrappi - quanti uncini non ha preparato i l diavolo per noi dappertutto, sotto le pergole, nelle spalliere di rose, alle pareti delle stanze dove passiamo e lasciamo brandell i del nostro io. Si direbbe che, egregi signori, noi tutti abbiamo già perduto qualcosa i n tal modo, benché a me manchino questa notte soprattutto il cappello e i l pastrano. L'imo e l'altro sono appesi, come sapete, a un imcmo nell'anticamera del consigliere! »

4I l campo più naturale in cui domina e si sviluppa la legge analogica è, ovviamente, quello dell'esperienza onirica, che non a caso ha offerto a Hoffmann l'occasione per indimenticabili pagine visionarie dedicate alla descrizione di sogni. Negli Elisir del diavolo il tempo oggettivo viene abolito quasi completamente, assorbito nel delirio e ridotto, secondo l'osservazione d i Hubert Ohi, ad una successione di singoli punti temporali discontinui. Trasportando l'azione all'interno di una psiche, Hoffmann sposta ìl centro dell'oggetto; i l reale emerge in una ridda allucinata, cui è impossibile imporre un ordine e un filo conduttore. O meglio, l'unico legame è costituito da immagini ricorrenti secondo la legge dell'associazione analogica che sgorga dai cupi meandri dell'inconscio : nel magnifico sogno d i Medardo ferito e delirante ìl sìmbolo del color rosso, da cupa immagine di morte (il sangue pumlento), diviene emblema di redenzione (Cristo), figura d'amore (Aurelia), corale appassionato

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dell'umanità, in uno sdoppiamento del soggetto che non ha precedenti nella storia letteraria tedesca. Negli Elisir, che possono venir letti su diversi piani (come romanzo d'avventure, o psicologico, o poliziesco, o come racconto nero, «gotico» sul tipo del loro lontano modello. The Monk d i Lewis), gli ingredienti tipicamente romantici, talora inclini persino a forme e strutture da letteratura d'appendice, si trasformano in metafore visionarie e in gemali ìnwizioni psicologiche, ìn allegorie di allucinanti avventure della psiche. Intrecciando e sovrapponendo diversi piani della realtà ìn sìtuazioni apparentemente impossìbili, Hoffmaim è giunto ad inaspettati, forse inconsapevoli risultati dì analisi psicologica. Lo sdoppiamento del protagonista si configura ora come evento ìnspiegabile, ora come ossessione patologica, ora come ingrediente misterioso spiegato sul piano naturale quale conseguenza del bizzarro intrecciarsi di fatti reali che vengono tuttavìa immediatamente smentiti sicché la trama viene ricondotta alla sua assurdità — o me' ^ 0 al suo significato psicografico. Ogni elemento, negli Elisir, è duplice e ambivalente. La fuga d i Medardo dal convento, l'incontro col sosia e ìl suo ingresso nel ca^ Stello in qualità di conte Vittorioo travestito da Medardo (cioè quale Io travestito da se stesso) rappresentano la traduzione d'un trau • 't ma psìchico in termini d'intreccio avventuroso; identici simboli ricorrenti esprimono purissimi sentimenti d'amore e ossessioni delittuose; la devozione religiosa sfuma i n passione sacrilega trasfigun t a a sua volta in grazia celeste non immune tuttavia dai demoni d d profondo; ideali soavi s'intrecciano a voluttà perverse e ad incu' b i diabolici, come nel sogno-delirio in cui Medardo vede marcire e putrrfarsì la carnale bellezza di Eufemìa, in im sabba degno del pennello dì un Bosch. Negli Elisir confluiscono i più disparati motiv i e personaggi: la lieve santità dì Aurelia, oggetto dì una passione ia cui si confondono sentimenti puri e profanatori; la bellezza defOnùaca e distruttrice dì Eufemìa, sorella delle altre «donne vampiro» presenti nella narrativa hoffmanniana che anticipano anch'es«b l'affermazione della nietzscheana «volontà di potenza»; ìl folle Bekampo, grottesco portavoce di verità come ì fools dì ShakeIdeate. Nell'atmosfera romantica del brivido e dell'orrore v'è andie posto per la realìstica e ironica rappresentazione delle piccole e toSCTonistiche corti tedesche, o per i l discorso del medico a Medardo, che costituisce una delle più belle pagine sul tramonto dell'aristocrazia e sull'avvento dell'era borghese. Nella storia del dflacerato Medardo e del suo folle sosia Hofffluum ha creato ima splendida parabola, psicologica culturale e mo-

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rale, della dissociazione d'un'anima. Psicografia d'una schizofrenia ritratta con inquietante potenza espressiva, gH Elisir tracciano anche, attraverso la curva di un destino individuale, i l rendiconto etico-culturale di tutta un'epoca con la sua crisi di valori e la conseguente resa compiaciuta alle forze demoniche dell'irrazionale: il tema scontato e ritrito del viaggio in ItaHa diviene un'allegorica discesa agli inferi, che rovescia i l iopos classico e pedagogico delle obbligate italieniscke Reisen in una sinistra parodia delle pseudosublimazioni di tante irrisolte vocazioni oscure della cultura tedesca. I I romanzo si pone infine anche come una parabola morale perché, a difierenza che in tante altre opere, Hoflmann pone l'accento sulla coscienza, sull'incerta e disperata lotta contro le forze oscure (fl fantasma insorgente del « fratellino»), suUa profanazione dell'amore e sulla sua espiazione, elementi tutti che fanno degli Elisir del diavolo una sorta di Delitto e castigo della letteratura romantica.

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Gli stessi termini che negli Elisir indicano dissociazione e follia assumono invece, nella Principessa Brambilla, un positivo significato di liberazione: Giglio, i l protagonista che soffre di «dualismo cronico», ritrova e conquista proprio neUo straniamento dello sdoppiamento e del sosia - «fratello», la dimensione dell'inconscio, identificato, secondo Ìl pensiero schellinghiano, con l'oggettività e quindi con l'arte'. I l problema che negli Elisir viene impostato come dramma morale, viene invece risolto nella Principessa Brambilla in forma di balletto trascendentale, d i capriccio metafisico. La crisi della coscienza individuale, determinata dall'improvvisa avvertenza dei limiti soggettivi che rompe l'armonia dell'immediatezza, si conclude col recupero di un'armonia più alta, con la reciproca identificazione di ogni alterità, di protagonista e antagonista, mito cosmico e cronaca borghese, archetipo e persona. La perdita dell'individualità (sdoppiamento di Giglio-Cornelio, Giacinta-Brambilla) costituisce l'itinerario obbligato per una conquista della più autentica dimensione personale nel superamento di tutte le contraddizioni, di ogni dissidio soggetto-oggetto. È il momento in cui Hoffmarm supera la crisi «fichtiana» grazie all'incontro con l'idealismo oggettivo di Schelling, soprattutto con l'impostazione data da quest'ultimo al rapporto tra finito e infinito nella Philosophie der Kunst {1802-805 ), in cui, come ha sottolineato Rosario Assunto, la dialettica verità-bellezza (cioè filosofia-arte o infinito-finito) viene risolta

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da Schelling in chiave rigorosamente paritetica, come identità diversa fra unità e molteplicità, assoluto e finitezza. Nella Principessa Brambilla Hoffmann affronta appunto in termini schellinghiani l'antinomia della finitezza, intesa quale misterioso rapporto tra individualità e totalità corale, operando uno struggente tentativo di raggiungete l'identità tra l'unità indifferenziata ed il particolare, che nasce e si dissolve nel ritmo del divenire. Antiromanzo per eccellenza. La principessa Brambilla si configura, svolgendosi secondo i l canone del «mito poetico trascendentale» formulato da Schelling, come un balletto dell'individualità articolato, nella fantasmagoria del Carnevale romano, ìn un duplice e antitetico movimento, in ima tensione alla liberazione dal magma del caos e al ritorno nella beatitudine del Tutto: la realtà si trasfigura in cristalli trasparenti ove mille strane figure lottano per acquistare una individualità-forma. Giglio anela a dissolversi nel mare sconfinato della nostalgia da cui escono le immagini finite, una nuvola che esce da una bottiglia prende ìl volto della principessa Brambilla, un corteo di fiabeschi personaggi svanisce per incanto in un'oscura porticina. Poetica e ideologia dell'opera vertono sulla problematica 1 del principium individuationis, sullo sforzo di trattenere l'wawentura favolosa» dandole una forma mentre sta per sparire nel nulla e i sull'opposta e complementare nostalgia dì placare il dolore della se• parazione, dell'esistenza singola e finita separata dalla vita eterna i; dell'universo. NeUa Principessa Brambilla vibra non tanto l'ebbrezSa del cupio dissolvi quanto l'anelito alla comunione, air«onmes : Jftetare in unum» di cui parla la Scrittura. L'insofferenza del limite j,.4(finito» che impedisce la perfetta realizzazione dell'amore s'unisce liall'esìgenza di salvare ogni individualità pur fragile e caduca; al devSiderio di partecipare della vita del Tutto s'accompagna un desiderio altrettanto intenso di fermare ed inverare nel turbinio della vi. ta cosmica ogni creatura, ogni volto, ogni attimo e ogni palpito dì Jbellezza e di sentimento: la figura ideale dì questo arabesco sembra Riessere la rosa dei beati del paradiso dantesco. Richiamandosi a Schelling, che aveva visto nell'immaginazione —cioè nell'arte - la forza atta ad esprimere nelle forme finite l'assoluto, integro e indivisìbile in ogni individuazione particolare, Hofftnaonn organizza il racconto secondo una struttura simbolica. I n questo valore simbolico, ìn cui «il particolare significa l'universale e l'universale il particolare», ogni cronologia convenzionale si dissol• W nel cubismo temporale della Brambilla, nella simultaneità di tutte le dimensioni del tempo stese come le facce di un prisma sulla tdla, dalla cosmogonìa aurorale al carnevale romano, in una coinci-

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denza perfetta di essenza e apparenza, metafora e verità. Hoffmann infatti esalta i l mutamento ma ne rifiuta la successione temporale, che comporterebbe la continua e definitiva distruzione delle singole individualità, e cerca invece di fermare in un eterno presente fantasmagorico e rutilante tutta la dinamica della metamorfosi stessa. Nella Brambilla non v'è dimque alcuna successione ma invece una totale compresenza, scandita anche dalla struttura circolare del ritmo narrativo. La fuga dal teatro e i l ritomo nel teatro, le prove dal sarto 0 la cenetta idillica dei due innamorati, la ricerca di Giacinta e l'incontro con la ragazza, la trasmutazione in pappagallo e ìì recupero del sembiante umano e tutte le altre incalzanti avventure non avvengono «prima» o «dopo» l'una rispetto all'altra ma roteano come in una girandola, si dispongono ìn una specie dì cerchio in cui non esìste precedenza, in cui non v'è punto di partenza né punto d'arrivo. I l girotondo della molteplicità-identità sì riassume allora nella figura della maschera, che è contemporaneamente quella maschera e i l volto che vi sì nasconde, volto sempre uguale celato e insieme affiorante sotto infinite maschere diverse, che possono perciò riconoscersi recìprocamente l'una nell'altra tramite la loro diversità segretamente identica, così come tutti coloro che s'affollano intomo alla favolosa carrozza della principessa credono dì sedere nella carrozza stessa perché i suoi sportelli sono altrettanti specchi. Se la maschera è la figurazione del molteplice, ìl logico scenario di quest'avventura metafisica è ìl carnevale, descritto sul modello del Komisches Carneval di Goethe (1789), compreso nel Viaggio in Italia e seguito fedelmente, anzi talora espressamente citato, da Hoffmann. I l Carnevale rappresenta i l sovvertimento d'ogni norma e restrizione, i l «pathos delle sostituzioni e dei mutamenti, della morte e del rinnovamento» di cui ha parlato Michaìl Bachtin nel suo studio su Dostoevskij; Carnevale come allegoria della libertà, delle possibilità imprevedibili che rompono ogni abito precostituito, ogni parabola esistenziale predeterminata e ogni ideologia rigidamente definita; soprattutto come libertà dal destino. I n tal senso i l romanzo carnevalesco s'identifica col romanzo d'avventura, Ìl cui carattere è appunto quello di svolgersi non già seguendo la traccia di alcune situazioni ma dissolvendo quest'iUtìme ed ogni dato acquisito in peripezie sempre nuove che pongono ogni volta ìl personaggio dinanzi a tutte le infinite virtualità della vita. La principessa Brambilla costituisce un «romanzo d'avventura» esistenziale e metafisico, senza lìmiti dì tempo e dì spazio né rapporti dì causalità. L'avventura camevalesca scioglie anche la pietrHcazione immutabile (e perciò colpevole) della vita rappresentata dal passato, ripor-

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tando la condizione umana alla libertà di una potenzialità non ancora attuata e perciò infinita, al «fluido nocciolo infuocato della creazione» come avrebbe detto plil tardi Musil. La stessa nostalgia per il passato, che approda ad un ritorno al Medioevo tedesco e « alla moda della vecchia Franconia» e culmina in quella specie di proustiana festa del tempo ritrovalo cui s'assiste nella novella // cuore di pietra ( 1817 ), viene intesa come mania e malattia; Ìl Gloor ha visto nell'orrore per l'automa un simbolo dell'avversione per i lenomeni dal ciclo già concluso, privi cioè di ogni possibilità di scelta e alternativa e, in quanto tali, manifestazioni diaboliche. È l'umorismo trascendentale che vince l'incubo del passato, dissolvendo ogni stratificazione e distruggendo ogni determinismo nell'evanescente libertà d'una fantasia aerea e surreale, fatta di nuvole, «bel\e nuvole», e di apparenze lievi e spumeggianti come l'assurdo cor( teo della principessa Brambilla, tutto un proteiforme vibrare di luì'oc. Non a caso Baudelaire, nel saggio De l'essence du rire, affermal'va che nella Principessa Brambilla «le désordonné Hoffmaim, le vidrvin Hoffmann» aveva composto un «catéchismc de haute esthértique », cimentandosi con quel « riso » che il poeta francese consideun sigillo satanico, un frutto disceso d^'albero del bene e del male. L'umorismo sembra promettere per un attimo U superamenl^to del dolore del principium individuationis nel palpito corale della |.«festa», anticipando quella intonazione con cui il tema della festa l'apparirà in tanti altri scrittori di lingua tedesca, da Grillparzer a l'iÉhomas Mann: festa come nostalgia di comunione amorosa, desil'iflerio di identificazione con ogni forma amata, «tranquiUo abban10 [e] riposo nelle braccia del mondo » per usare vm'appassionata ìnizione scheUinghiana dell'arte. Festa, umorismo e abbandono alla fantasia sono altrettante mcfore alle quali Hoffmann si affida per riparare al «peccato originat», alla caduta dell'uomo costituita dal distacco dalle Madri, dalla itumazione della primitiva armonia di spirito a natura, pensiero t jpoesia — versione romantica del mito deU'età dell'oro. Il Giardino I Urdar nella Principessa Brambilla, l'Atlantide del Vaso d'oro e U jordiale regno vegetale di Maestro Pulce sono altrettante imma11 del beato «Primo tempo», deUa scheUinghiana indifferenza ira di ogni scissione, della natura come poema e odissea dello spìitt) di cui si parla nel Sistema dell'idealismo trascendentale. La me'Ssima vita divina palpita in tutte le forme dell'essere, dall'uomo animali alle piante alle gemme della terra, come nelle fiabe e lo stesso Heinrich von Ofterdingen di Novalis; per re Ofioch, iella Principessa Brambilla, la natura ha braccia amanti, comimica

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all'uomo ima comprensione immediata di tutta l'esistenza, non conosce « separazione» {Absonderung) tra uomo e cosmo e ignora soprattutto - secondo un ideale caro all'anticapitalismo romantico la «città in muratura». Ogni hybris personale, non solo quella intellettualistica («il pensiero distrugge l'intuizione», si legge nella Principessa Brambilla) ma anche lo stesso impulso amoroso all'individuazione rompe, come nel Vaso d'oro e in Maestro Pulce, la beata unità indifferenziata, l'accordo prefilosofico dell'uomo e della natura: l'amarillide difiammasi annienta nel bacio d'amore di Phosphorus, re Ofioch cade in un'inguaribile malinconia e le felici creature dell'Eden vagano sperdute ed esiliate nel mondo della storia, indossando grotteschi abiti borghesi ed esercitando mansioni filistee. Archivista, mercante, attuario o consigliere di commercio, il borghese di Hoffmann è sempre un angelo caduto e la sua dimensione sociale, tragicomica al pari di quella degli impiegati di Gogol', è la dimensione del suo esilio esistenziale. La «caduta» viene spesso elEgiata, secondo una tipica formulazione romantica, sotto la forma di distacco dell'individualità dalla madre. Il dolcissimo mormorio del Giardino di Urdar diviene riso stridulo e demonico della madre che, adirata, cerca di far perire il figlio; d'altronde l'incubo romantico di una natura ostile e nemica assume di frequente, anche in altri autori, la veste di un complesso edipico negativo: nella Montagna runica (1802) di Tieck, per esempio, la grande donna nuda del monte e le gemme della terra trascinano il protagonista alla morte, risucchiandolo magneticamente nel grembo in una specie di nascita a ritroso. Il grembo della natura-madre è ora distruttore ora salvifico, è il grembo che dà vita e che insieme richiama alla dissoluzione nel magma originario, è l'identità di Zeus e Hades di cui più tardi parlerà Schopenhauer. E la materna cavità sotterranea in cui discende Heinrich von Ofterdingen immergendosi nella beatitudine dell'acqua che scorre nella grotta simile a oro acceso e a nuvola vespertina, ed è la caverna in cui l'eroe delle Miniere di Falun (1819-21) viene disumanizzato e distrutto dalla madre-regina della miniera. Talvolta, come in quest'ultimo racconto, la ripresa del tema mitico s'impernia sul simbolo come proiezione di un inconscio collettivo efissaun ricchissimo materiale etnologico, interpretando l'elemento folcloristico-leggendario in chiave psicanalitica (la discesa nella voragine e la regina della miniera come fantasie edipiche, il raggio di luce quale figura dell'atto sessuale, il motivofiabescodel cadavere che rimane intatto negli anni e cosi via). Anche nella Principessa Brambilla l'adirata natura genitrice vie-

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ne definita madre-regina della miniera, che allafineriassume il volto consolante della madre-amante. Le varie fiabe del Giardino di Urdar, del Cactus Zeherit, di Phosphorus e dell'amarillide {Brambilla, Maestro Pulce, Vaso d'oro}, per citare solo alcuni esempi, simboleggiano il carattere estetico che assume, in Hoffmarm, la soluzione del conflitto dualistico, il recupero dell'armonia unitaria. Sono la fantasia, l'umorismo, il mito, la poesia che riconquistano, al livello della consapevolezza, la comimione con l'essere: re Ofioch e la regina Liris si ridestano «in patria» e «si riconoscono», come il novalisiano Giacinto aveva riconosciuto sotto il velo di Iside la sua amata e abbandonata Fiorellin di Rosa; r « Adantide» viene scoperta nell'idilKo borghese di Giglio e Giacinta, di Peregrino e Rbschen, di Anselmo e Serpentina e «tutto viene ritrovato». Nel turbine della metamorfosi-identità cosmogonia e storicità, libertà umana e necessitàfisicacoincidono perfettamente, come nell'amplesso che riconduce la bella Dortje e George Pepusch alla loro primigenia essenza vegetale. «L'atte toma a congiungere ciò che la riflessione aveva separato», osserva giustamente Rosario Assunto riferendosi al pensiero di Schelling, per ìl qualefilosofiae scienze devono tomare a confluire in quell'oceano deUa poesia da cui sono nate. 6. Come negU scherzi del Carnevale affiora ìl mito del Giardino di ^tdar, cosi l'umorismo sì pone dunque per Hoffmann quale «metaiosa capacità del pensiero, nata dalla profonda meditazione sulnatura, di creare un proprio sosia ironico, le cui strambe buffonaglì permettono dì riconoscere [...] le buffonate di tutta la vita teri». Le buffonate deUa vita terrena rimandano quindi a eterni ar!tipì, alla luce dei quali esse appaiono goffe come l'albatro di lelaìre ma daUa certezza del quali dovrebbero trarre un consote riscatto della loro grottesca e dolorosa parabola. Una consolale che tuttavìa non giunge sempre, giacché Hoffmann non podelle verità cui afferrarsi saldamente e stabUmente ma ìntrava tratti alcuni sprazzi di luce e di conforto, che talora illumìil destino del personaggio e talora invece svaniscono lascìanìn un'insensata oscurità. Ambivalente infatti è ìl destino del lese hoffmannìano, àlbatro prigioniero e angelo decaduto, che 'scrittore storicizza individuandolo nella concretissima figura del do-borghese tedesco ancor medievale e preìmprencUtorìale rger e non citoyen, per citare la celebre formula di Lukacs), ìn-

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carnazione dell'idillio sacro-romano-imperiale, corporativo e provinciale. «L'idillio - ha scritto Cesare Cases - tedesco precapitalistico, tra tetti aguzzi, archi a sesto acuto e bionde, ingenue fanciulle con le trecce»; im idillio che sarà spazzato via - ma non certo definitivamente - dal Faust, come ha visto lo stesso Cases. Nella narrativa di Hoffmann compaiono numerosi personaggi ed ambienti che declinano lafisionomiadi questo mondo inconfondibilmente tedesco: il Geheimer Kanzleisekretàr Tusmann, il referendario Gloxin, il consigliere Krespel, il legatore Lammerhirt, il patrigno Drosselmeier, il professore Mosch Terpin, la Professorin Helms, U Konrektor Paulmann, il Registrator Heerbrand, la Borsa, la casa commerciale di Baldassarre Tyss, il caffè Klaus und Weber nella Berlino autunnale affollata dì placidi borghesi, l'intimità natalizia fragrante di abete in casa Lammerhirt o in casa Sthalbaum, la bellezza casalinga di Rosa, di Gretchen, della tondetta Rettelchen maestra nel preparare ghiotti dolciumi o della bella Candida dalle labbra di rosa rivolte all'insù che aveva letto e dimenticato Goethe Schiller e Fouqué, la casetta nel bosco di betulle del signor von Brakel o la corporazione di tinai e bottai di Norimberga. Prima di Hoffmann, Jean Paul era stato il grande cantore della provincia feudale tedesca, dal particolarismo sacro-romano-imperiale, della deutsche Misere: il pedagogo Quintus Fixlein, il maestro Maria Wuz, il cappellano Schmelzle, il rettore Florian Falbel, il dottor Katzenberger rappresentano la traduzione, in termini di interiorità psicologica, del frazionamento particolaristico, della riduzione dell'impero ad angusti orizzonti locali e corporativi. Fenomeno, questo, che ebbe tanto peso sul pensiero politico tedesco, sulla concezione i/e//elibertà dei ceti contrapposte dia libertà in senso democratico: si pensi alla moralità degli Stànde ntU'Egmont goethiano o al Gòtz, e si pensi all'influsso della Reichshistorie in quel processo che Carlo Antoni ha denominato «la lotta controia ragione». L'idillio tedesco, ovvero la risultante dell'Immobilismo sociale e del frazionamento polidco di quella nazione che Herder definiva la « terra oboedientìae» e Antoni «il popolo meno faustiano della storia europea», si riflette nel patetico isolamento interiore e «apolitico», «disperatamente tedesco», che giungerà sino alle Considerazioni di Thomas Mann e che s'incarna nellafiguradel Sonderling, donchisciottesca e bizzarra trasposizione psicologica della chiusura sacro-romano-imperiale ed espressiwie, come ha scritto Giuseppe Bevilacqua, «di un profondo disagio fra ima natura particolarmente sensibile e una società incapace d'offrire libero campo d'esplicazione alle sue doti particolari». La fraseologia giuridica, presente nell'invenzione linguistica

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di Jean Paul e di Hoffmann, non è cetto casuale, perché la fislonoj mia dell'idillio provinciale era appunto legata al diritto comune sacro-romano-imperiale, U quale avrebbe avuto un suo peso - anche ; se meno negativo di quanto si è voluto credere, come dimostra la ': polemica fra Savigny e Thibaut - sulla genesi dell'irrazionalismo tedesco. Hoffmann riprende quest'idillio cosi caro ai romantici, dalla ; Christenheit oder Europa di Novalis al «gutes altes Recht» di Uhiland. Charles Nodier osservava non a caso come lafiorituradel geì nere fantastico in Germania fosse da ricondursi alla sua « moltitudij ne di circoscrizioni locali e di usi specie». Soprattutto verso la fi' ne della sua vita Hoffmann sembra tornare al vecchio idillio medievale, afigurineun po' kitsch come Rosa, lafigliadi mastro Martino, .i« proposito della quale lo scrittore cita esplicitamente la goethìana Gretchen, il quadro di Peter Cornelius e le parole che esprimono la inorale del ceto: non sono né bella né signorina. Cosi egli ritorna a :£erta vecchia pittura tedesca divenuta di maniera ed evocata nel personaggio dello stesso Diirer nel racconto II nemico. SÌ tratta di una nostalgia per la « vecchia Franconia», espressa per esempio nelle novelle Mastro Giovanni Wacht e II nemico, nostalgia che affiora lanche nel precedente racconto Mastro Martino il bottaio e i suoi ^gfirzoni: opere nate dalla lettura di vecchie cronache locali della iclibera città imperiale» di Norimberga come quelle del Wagenseil, ;del Gundling o di Johannes ab Indagine, pervase da quel profumo :éd passato die animerà più tardi le celebrazioni delle «freie Reichs:Stadte» sino alla polemica antinazista di Ricarda Huch e permeate ^iÌA quello spirito di corporazione che compare nell'orgoglio di ceto ijitì mastro Martino, in cui par di sentir vibrare la serenità operosa fifci maestri cantori e la morale dei Buddenbrooks, anche se Hoffpoatm attenua la rigidezza deU'edca protestante-capitalistica (nell'accezione weberiana) in una familiare e bonaria ironia. I'I \a di quell'idillio e insieme demistificatore delle sue contrad'^Mnoni politico-sociali (e, con esse, di tante successive involuzioni /livella civiltà tedesca), Hoffmann storicizza nel grottesco dolore del '-^onderling la goffaggine esistenziale dei suol angeli caduti, ìncateI^Bstti in abiti stridenti e soffocanti, calati in una gabbia sociale ri,iÌRpetto olla quale la bizzarria e l'eccentricità si configurano come un :;k]fiesso automatico e meccanico e, al contempo, come l'unico gesto jlittievasione e di rifiuto. Riprendendo il vecchio motivo gotico, clnIpiecentesco-luterano e provinciale, del Narr, «teutsch» come in i^toia spigolosa xilografia, Hoffmaim popola il suo universo di Son•l^^rlinge, caricature e autocaricature di uomini cui il comico com-

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portamento e il comico abbigliamento non tolgono, sotto la smorfia, la dignità del dolore e di una tortuosa interiorità: l'avvocato Musevius con la sua giacca color prugna e il suo cupo amore per la musica, il signor Liscov (cioè mastro Abramo) con le maniche del soprabito svolazzanti nel vento e il piccolo tricorno sulla parrucca incipriata, lo scolaro di Tartini che strimpella il violino cavandone dissonanze stridule che lo commuovono, Kreisler con la sua clownerie metafisica e iimumerevoli altri personaggi. Tutte creature che sotto un rigore legnoso tipicamente tedesco, da Herr Doktor, svelano d'improvviso, con uno sberlefio, la loro natura di tragiche marionette ammantate di dignità. Con questi ritratti, ispirati all'artiglio di un Hogarth e di un Callot, Hoffmann reca certo anche un contributo di critica demistificante nei confronti dell'idillio tedesco, smascherando le segrete debolezze e Ì nodi oscuri di quel decoro, cosi come satireggia le piccole e anacronistiche corti assolute nel Murr e, nel Piccolo Zaccheo detto Cinabro (1819), il cuore stesso di quel mondo e cioè l'ambiente accademico e goliardico delle Università, tratteggiato con un sarcasmo che intreccia polemica antirazionalistica e parodia antiassolutistlca. Del resto anche nel Gatto Murr Hoffmaim, che aveva dileggiato l'oscurantismo della Restaurazione nell'episodio dì Knarrpantì di Maestro Pulce e il filisteismo borghese (impersonato nella scimmia Milo) nei Kreisleriana, attacca ferocemente pure l'opposizione esasperatamente nazionalistica delle leghe studentesche, parodiando ìl loro rituale teutonomane e guerresco in una Burschenschaft dì gatti, che praticano la Mensur e nei petti dei quali «batte un fedele cuore tedesco». Patriota ma antisciovinìsta, borghese liberale e geloso assertore della legalità sino al punto di difendere per amor dì giustìzia l'aborrito Turnvater Jahn, Hoffmann porta una lucida crìtica etico-politica alla deutsche Misere, e in tal senso sì spiega in parte anche la caricatura del Sonderling. Ma solo in parte, perché la caricatura include simpatia e compartecipazione a quel segreto dolore e ne esalta gli errori sviati ma anche la profondità sentimentale, come nella magnifica novella Il consigliere Krespel, tragica storia d'una deviata passione artistica e dì imo struggente e sconfitto amore paterno in cui l'eccentricità del Sonderling appare quale disperazione per l'assurdo dramma della vita e quale autolesìonìstico senso di colpa: «Tutto ciò è successo - dice il consigliere dopo la morte di Antonia - soltanto perché qualche tempo fa mi feci fare una vestaglia in cui volevo apparire come il destino o come Dìo!...»

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Con la balzacchiana figura di Krespel emerge» accanto a quello dell'idillio tedesco, un altro mondo della narrativa hoffmanniana, un altro spazio delle «buffonate della vita terrena»: quello dell'avventura, del racconto realistico-awenturoso cui è in gran parte legata l'eccezionale fortuna di Hoffmarm che fu, insieme a Heine, l'unico scrittore tedesco fra Goethe e ì grandi della fin de siècle ad avere una risonanza europea. Tradotto completamente in francese fin dal 1833, in russo (tranne il M«rr)findal 1838, Hoffmann conobbe una grande fama; dalla Francia alla Russia, da Baudelaire a Gogol' a Dostoevskij ai surrealisti francesi, un numero straordinario — per qualità e quantità - di lettori si accostò alla sua narrativa, salvandola da quell'isolamento provinciale, dovuto più a fattori socioculturali d'ordine generale che all'intrinseco valore estetico delle opere, che nel secolo xix racchiuse il romanzo tedesco in un ambito nazionale quando non regionale. E Hoffmarm continua, ancor oggi, a venir letto da im vasto pubblico non specializzato, per il quale la letteratura tedesca dell'Ottocento — a differenza di quella francese russa inglese o americana - è una zona ignorata. Se è vero, per esempio, che Berglinger, il musicista folle di Wackenroder, s'affianca idealmente a Kreisler, è altresì vero che a Wackenroder ci si può avvicinare tramite l'intuizione dell'opera di genio ma non sul piano del gusto; gli incubi di Hoffmann appartengono invece all'atmosfera romantica ottocentesca, di cui incarnano il gusto avventuroso e •misterioso. Il mistero di Hoffmann non è, come in Wackenroder, il mistero dell'Essere ma quello della psiche o, all'estremo opposto, un caso poliziesco: del dottor Jekyll 0 magari di Sherlock ,Hokies. Se nei racconti di Tieck la vicenda par dileguare nell'eco di ijuel corno silvestre tanto tedesco e così poco europeo, una Krimialgeschichte hoffmanniana quale La signorina di Scudéry (1819) fj- per citare a caso una fra le niunerose opere di questo genere - si lloca idealmente fra Balzac e Conan Doyle, in uno spazio comunue europeo, che certo manca agli altri scrittori tedesdii del tempo, |»cr esempio alle novelle surreali di Arnim. Esponente del romanticismo ormai declinante, Hoffmann trane quest'ultimo nei termini di una koinè borghese ed europea, gamente accessibile ad un pubblico internazionale, come tcstimono anche racconti minori quali La marchesa de la Pivardière 4820), mediocre «giallo» che pur si riscatta nell'analisi psicologica d'una donna repressa e Haima-Haira (1819), delizioso «scher-

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20» e garbata caricatura di un topos favoloso quale il mito dei Mari del Sud, che percorre la letteratura europea dalle utopie settecentesche alla narrativa del tardo Ottocento: in Haima-Haira s'incontra, ante litteram, quel cliché narrativo ottocentesco che arriverà sino ai personaggi di Jtiles Verne (lafiguradel «naturalista», l'eco ironica di avventure di mare). I l realismo di Hoffmaim è anche questo realismo avventuroso, che lo scrittore traduce in i m linguaggio di apertissima fruibilità. Numerosi racconti sono caratterizzati dalla «tipicità» che contrassegna l'inizio della novella II voto (1817): «Nel giorno di san Michele, mentre al convento dei carmelitani suonavano il vespro, un'elegante carrozza da viaggio tirata da quattro cavalli di posta attraversò rumoreggiando le viuzze di L..., pìccola città sul confine polacco e andò a fermarsi davanti alla casa del vecchio borgomastro tedesco». È un classico topos che ricorre in tutto l'Ottocento, sino ai romanzi d'appendice, e che ha condizionato sino a pochi anni fa anche i miti e le evasioni della fantasia degli adolescenti; un cliché che sta morendo appena oggi, soppiantato da una nuova mitologìa, tecnologìcoavvenìrista e opposta ad ogni ottimismo borghese. Un raffronto tra La marchesa di 0. (1808) dì Kleìst e // voto di Hoffmann, novelle analoghe per il tema e Tintreccìo, Ìndica subito, a parte la superiorità poetica del testo kleìstiano, la dimensione europea del linguaggio hoffmannìano presente pur nelle prove minori. Oppure si pensi al Maggiorasco, in cui il romanzo gotico trapassa in quello d'avventura: ì pini selvaggi, la neve, la caccia, ì lupi, l'aspro scenario slavo-prussiano e il soffio dell'Est che rappresentano il paese dell'anima dello scrittore. Anche un semplice elenco di alcuni personaggi, raggruppabili In una serie ben determinata, esemplifica questo gusto: il colonnello G..., il giovane capitano di cavallerìa Maurizio diR...,il conte Ippolito, Alberto di B... e Vittore di S... ufficiali nell'esercito prussiano, ìl misterioso masnadiero, il vea:hÌo e scettico barone, il conte polacco Stanislao e altre consimili figure, cui fanno spesso da sfondo le guerre napoleoniche, disegnate quale scenario avventuroso con una magistrale pittura d'ambiente per lo più indifferente ai valori polìtici (per esempio nelle lettere sulla battaglia di Dresda). Tali caratteristiche sono indirettamente docimientate non solo dalla fortuna internazionale di Hoffmann ma anche dall'affinità che lo lega a tanti coevi autori d'Europa, i quali cosi spesso lo imitarono e ripresero suol spunti. Dal Doppeltgànger che rivìve nel sosia di Pagarelski o nell'immortale eroe dostoevskìjano all'Incanto onirico déì'Aurelie di Nerval, dal grottesco di Nodier ai motivi notturni che collegano lo scrittore tedesco a un Irving e a im Poe, dai

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temi ripresi da Gogol' c Lermontov come da Dickens e Balzac all'entusiasmo di Baudelaire, da tutta questa rete di rapporti si può valutare i l significato europeo di Hoffmann. Già nel 1834 Herzen avvertiva in un articolo sulla rivista «Teleskop» la sostanza realistica dell'opera hoffmanniana ed è indicativo che egli ne riprendesse in qualche suo racconto alcuni tipici motivi, infondendo loro un accentuato colore sociale: dal Dottor Krupow, psichiatra contestatario per i l quale non esiste una netta linea di demarcazione fra la salute e la follia alla Gazza ladra, dolorosa storia d'una appassionata anima d'artista schiantata dall'ingiustizia della società. L'intuito rivoluzionario dì Herzen coglieva i l nodo centrale dell'arte hoffmanniana nella sua polarità fra la nostalgia romantica e la capacità di recuperare oggettivamente, sìa pure nella deformazione fantastica, una reahà storica. Sono soprattutto alcuni temi comuni a più autori che indicano come Hoffmann abbia attinto, magari inconsciamente, ad im gusto internazionale. Gogol' cita ironicamente Io scrittore tedesco nella sua Prospettiva Nevskij che in effetti ricorda, per certi scorci cittadini, Il sorteggio della sposa qualche elemento della Cajtf disabitata (1817) richiama Lermontov; molte novelle di PuSkin ~ come La pistolettata e // fabbricante di bare ~ sono avvolte in un'atmosfera ho^manniana sia sotto i l profilo notturno-misterioso che sotto quello epico; CardìUac, Torafo maniaco omicida della Signorina di Scudéry, s'affianca a certe figure balzacchiane della Storia dei tredici e la dorma di cuori dal volto dì Aurelìa che conduce Medardo alla vìncita e alla disperazione evoca l'angosciosa Dama di picche di PuSkin. Proprio il motivo del gioco - trattato anche nel racconto Fortuna al gioco e in altre novelle - fa toccare con mano come Hoffmann sia uno dei più tipici interpreti di quel gusto ottocentesco che - nei caso specifico - passando pel Giocatore dì Dostoevskij arriva magari sino al gentiluomo sudista di un film quale Ombre rosse di John Ford. I n questa rete dì relazioni e di rapporti i l discorso relativo al «gusto*, che riguarda - per la loro esemplarità — anzitutto le opere minori, s'identifica col discorso in merito all'autentica grandezza dello scrittore. Più che testimonianza e documento, l'opera hoffmaimiana sì rivela creatrice e anticipatrice dì valori di «gusto» e l i porta ad una nuova originalità poetica. Nella sapiente ripresa del cliché si scopre improvvisamente la novità sostanziale dell'invenzione e l'artiglio del genio solitario e precursore. La registrazione della «fortuna» di HoflEmann sì capovolge quindi nella ;denuncia di un'ingiustizia che, proprio nel fervore dei facUi entusiasmi, ha colpito la realtà più vera dell'arte hoffmanniana. Appun-

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to per la sua polivalente ricchezza di piani la narrativa diHoffmann, non solo conturbante nel suo nucleo più Ìntimo ma anche godìbile nella sua colorita superficie, ha potuto venir apprezzata pure nella sua misura meno impegnata e con le sue stesse seduzioni ha distolto i lettori dal rivolgere l'attenzione più in profondo. Scheda ideale dì lettura per la comprensione di quella koinè del gusto, l'opera dì Hoffmann ha corso il rìschio di venir ridotta a una dimensione unilaterale dalla sua stessa disponibili tà.

8. Avventura e triste idillio del borghese - angelo caduto dovrebbero tuttavia essere gesti e movenze di un balletto che s'invera in un archetipo trascendentale e costituire il canovaccio simbolico di im teatro del mondo. I l teatro s'ìdentifica con la fonte di Urdar ove «la gente può vedere rispecchiato e riconoscere 11 proprio Io», la scena in cui recitano Giglio e Giacinta sotto le maschere di Truffaldino e di Smeraldina coincìde con la mitica Atlantide della felicità. Hoffmann glorifica la «commedia delle maschere» e in particolare il teatro di Gozzi perché ìn quella malinconica leggerezza di metamorfosi e incantesimi s'illude di trovare, sulfilodella contraddittoria consonanza fra barocco e romanticismo, il superamento della tragedia. Se, come diceva Schelling, tragiche sono soltanto le cose finite e i singoli individui, fugaci e mortali, il magico trascolorare delle forme sembra rivelare la coincidenza di molteplicità individuale e incorruttibile unità corale, l'universale e redentrice Identità delle forme finite; sembra cioè escludere la tragedia. NeUa Principessa Brambilla si afferma infatti che il vero teatro è quello delle maschere e della commedia e che la tragedia, legìttima e insostituibile nell'età antica, non ha più senso alcuno in quella moderna. I l mondo cristiano-romantico avrebbe dunque risolto ìl dramma dell'individualità, fonte del tragico; almeno cosi sembra sostenere Hoffmann, con ima presa di posizione degna dello scrittore che durante tutta la sua vita si cimenta, sotto tutti gli aspetti (tecnico, esistenziale e simbolico), col problema teatrale, dalle opere musicali al Signor Formica (1819) alle Curiose pene di un capocomico ( 1819 ) e cosi vìa, sino alle recensioni e alla stessa attività dì regista escenografo a Bamberg ( 1808-13 )- D'altra parte Hoffmann sembra proclamare, centocinquant'anni prima dì Durrenmatt, che Ìl carattere «sentimentale» (nel senso schilleriano) della civiltà moderna non permette più il pathos e la sublimità della tragedia. In uno stadio di

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dviltà alessandrino-melodrammatica estranea al tragico afflato esistenziale dell'antichità, in un'epoca ignara di ogni conchiusa gerarchia di valori, Hoffmann teorizza la trasformazione comico-parodistica del tragico, esprimibile ormai soltanto attraverso la commedia e lo «scherzo». Morte della tragedia dunque in senso sia positivo che negativo, come decadenza o come superamento; in alcuni casi, ad esempio nella Principessa Brambilla, come ebbrezza dionisiaca e riso zarathustriano: il riso vitale di Ofioch e Liris, ebbrezza cosciente del bene e del male eppur esultante, per parafrasare le parole di 'Vittorio Mathieu a proposito di Nietzsche, «in essi e di essi». Esaltazione che accetta i l dolore e ne fa una fonte di felicità, che fìssa :un limpido sguardo sulla vita e intona un ]a-und Amen-lied per abIbandonarsì all'entusiasmo della danza, della zarathustriana danza U Giglio con la bella sconosciuta. E tuttavia sembra che, d'improvviso, qualche personaggio prescipiti fuori dalle quinte di questo rassicurante teatro del mondo, ^piombando nel più tragico squallore come i l nano Zaccheo con la „«ua morte assurda e ripugnante. Gintemporaneamente alla soluzioIW positiva della Principessa Brambilla Hoffmaim scrive col Gatto i^urr una delle più straziate tragedie moderne, i l disperato ritratto jdi una solitudine umana cui non si profilano Madri, né alcuna coratlità e salvezza. Riemerge, dunque, la tragedia, che si riflette anche oel raffinato calcolo parodistico della citazione letteraria, giocata su u n contrappunto ironico che svuota dall'interno una cultura tradizionale giunta all'esaurimento. L a narrativa hoffmannìana è sottesa da un continuo gioco, esplicito o nascosto, di citazioni o paraiiÉtasi di innumerevoli autori: Shakespeare, Goethe, Schiller, LesjBÌfìg, Jean Paul, Tieck, libretti mozartiani, Knigge, Rousseau, Kant. 'Qtazioni « a doppio taglio », come ha osservato il Meyer, che ironizlo sia i l passo originario sia la sua trasposizione in tutt'altro con:to, con un effetto estraniante che risalta soprattutto nella paroI delle liriche goethiane. I grandi ideali classico-romantici appaioa Hoffmann un retaggio del passato, imponente ma inattuale; elle grandi parole si spezzano, perdono la loro carica vitale, si ri>no ad un calligrafico svolazzo, così come l'amore romantico la natura viene ironizzato in forma di passione languorosa per re-carota, signore di un regno della natura in cui l'ineffabile miI novalisiano o tieckiano si capovolge nella prosaica realtà di un io (La sposa del re, 1 8 1 9 - 2 1 ) mentre le celebri amicizie sentitnenTieck-Wackenroder e Tieck-Novalis vengono dileggiate in ua mico episodio del Murr. Hoffmaim si sente i l malinconico erede -una grande età tramontata e sottolinea nell'ironia intellettualisti-

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ca delle sue citazioni la frana spirituale di quegli anni, anticipando la crisi di tanta letteratura posteriore e la dissoluzione stilistica che contrassegna - si pensi a lliomas Mann - la consapevolezza dell'epigono. Valga per tutti l'esempio del Gatto Murr, che oltretutto è anche una caricatura del Màster goethiano, in cui nel contrappunto fra gh appassionati slanci di Kreisler e la saviezza disincantata del gatto si attua, per usare le parole del Meyer, un*« agghiacciante banalizzazione della parola poetica». Nel grande monologo shakespeariano di Kreisler presso la bara del giovane che egli ha ucciso per legittima difesa, la tragica «eloquenza» di Shakespeare viene ripresa in funzione non già parodistica bensì altamente drammatica. In questo caso ìl linguaggio shakespeariano è la spia che, penetrando oltre la superficie melodrammatica del romanzo, ne illumina simbolicamente le profondità più nascoste ed avvolte nel buio: l'ossessione della follia dì Kreisler, la dilacerazione di Edvige, le tenebre di un cupo dolore esistenziale, di i m mistero senza risposta e di una vita senza ragione. In tal senso Hoffmann ha ritratto ìn Kreisler (votato, nel terzo e mai scritto bensi solo progettato voliune dell'opera, alla pazzia), un moderno Amleto, un disgregato intellettuale dell'età borghese. Altre volte, su un piano ancor pìii sottile, la «letteratura» smaschera il reale, la realtà interiore dell'uomo: spesso smaschera una distorta libido poetica o una deformazione psicologica. Può essere il dramma di Nataniele che intenzionalmente risuscita i suoi già svaniti incubi che lo trarrarmo a rovina perché la sua «fantasia creatrice» ne ha bisogno; oppure la reminiscenza shakespeariana della foresta avanzante che contribuisce anch'essa, affiorando inconsciamente, a distruggere l'equilibrio di per sé labile di un'anima esaltata pure dalla droga dell'arte, la cui «demonìcità» sì spoglia d'ogni convenzionalità romantica per atteggiarsi ìn termini che sembrano anticipare, secondo una proposta dì Furio Jesi, quelli mannìani. Sì pensi all'arte come malattìa distruttrice e affascinante contro la quale combattono invano, ìn tutta la loro grottesca grandezza, la coscienza morale di Kreisler e l'amor paterno del consigliere Krespel. Su tutti i piani operativi possibili Hoffmann perviene dunque ad una scomposizione dell'oggetto, affermando in tal modo concretamente la sua natura di scrittore d'avanguardia, di scrittore oggettivo che cerca con (^ni mezzo di istituire un rapporto razionale con ciò che lo circonda. In una delle sue novelle estreme, La finestra del cugino (1822), la realtà, la realtà della città e della folla, si allontana sempre di più e sempre più ascetica diviene la rinimcia ad ogni arbitraria forzatura soggettiva e sintetica, sempre più intenso

L ' E S I L I O D E L BORGHESE

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si fa lo sforzo di riprodurre l'oggetto, frammentario aperto e inconcluso. Con un anticipo di quasi un secolo stilla Lettera di Lord Chandos di Hofmannsthal e sul Colloquio con l'ubriaco di Kafka, questo itinerario conduce Hoffmann al naufragio della parola e al silenzio: «Ma il malo demone dell'infermità gli aveva precluso la via che il pensiero deve necessariamente seguire per prender forma sulla carta: non appena voleva scrivere qualcosa, non soltanto le dita si rifiutavano dì obbedirgli ma anche i l pensiero gli si inceppava e svaniva. Ciò lo gettò nella piò cupa malinconia. - Cugino, - mi disse un giorno, e in un tono che mi spaventò. - Cugino, è finita per me! M i sembra d'essere come quel vecchio pittore distrutto dalla . pazzia che sedeva per giornate intiere davanti a una tela ben tesa, mesticata, bianca e decantava a tutti coloro che venivano a trovarlo . le bellezze di quel suo meraviglioso quadro appena ultimato». Pur ; vicino, da una parte, alle radici del mitico e del favoloso, al conso> lante inesauribile patrimonio collettivo del «narratore» nel senso I' dato a questo termine da Walter Benjamin, Hoffmann s'affaccia : d'altro canto su un vuoto desolato e i l suo umore sanguigno si con\ verte in quello che Ìl Muscetta ha chiamato «un riso esistenziale e , vertiginoso». Hoffmann approda dunque, secondo l'osservazione \di Lothar Kbhn, alla solitudine del romanziere, all'espatriazione trascendentale di cui parlaLukàcs ncUaTeoria del romanzo : all'cpof pea di un «mondo abbandonato da Dio» in cui un'oggettività seml' pre più elusiva s'allontana progressivamente dal soggetto. D e l reI; taggio epico e della tradizione popolare, alle cui linfe si nutre tutta ; la sua narrativa per poi staccarsene quasi orfana e privata del cordone ombelicale, rimane a Hoffmann soltanto un'estrema familiarità con la coralità della morte. I l «materno verde» ritrovato nella '(Guarigione, che il protagonista invoca affinché lo accolga « nelle sue èraccia», è anche U verde della terra in cui lo scrittore, come nota Gabrielle Wittkop-Ménardeau, si accinge, scrivendo la frammentaIria parabola, a ritornare. f•

CLAUDIO MAGSIS

NOTA A L L ' I N T R O D U Z I O N E

Per la bibliografia ci si permette d i rimandate ai nostri studi Per una lettura di E. T. A. Hoffmann (in Atti dell'Accademia delle scienze di Torino, voi. l o o , 1965-66, pp. 1-59) e E. T. A. Hoffmann e la «schone cbronologische Ordnung» ( i n «Sigma», n . 15, settembre 1967, pp. 60-82}, editi ora nel volume Tre studi su Hoffmann, JMilano-Varese 1969, ed ampiamente ripresi e utilizzati nella presente introduzione; comunque si rimanda i n generate alla fondamentale bibliografia d i J. Voerster, 160 Jahre E. T. A. Hoffmann-Forschung 1805-1565. Bine Bibliographie, Stuttgart 1967. Per gli studi critici citati nell'introduzione si vedano rispettivamente, nell'ordine, H . M A Y E R , Die Wirklichkeit E. T. A. Hoffmanns, i n Von Lessing bis Thomas Mann, Pfullingen 1959, p^. 198-246, spec. p. 211 ; s. P E R O S A . Le vie della narrativa americana, Milano 1965, pp. i i j sgg.; w . K O H L S C H M I D T , Nihilismus der Romantik, i n Form und Innerlichkeit, B e m 1955, p. 169; L . MiTTNER, Storia della letteratura tedesca dal Pietismo d Romanticismo (ijoo-i82o), Torino 1964, p. 756; v . V E K R A , F . H . Jacobi. Dall'Illuminismo all'Idealismo, T o r i n o 1965, pp. 256-59; L . K Ó H N , Vieldeutige Well. Studien zur Struktur der Erzdhlungen E. T. A. Hoffmanns und zur Entwicklung seines Werkes, Tubìngen 1966, pp. 5. 107, 244; s. F R E U D , Das Unheimliche, i n Gesammelte Werke, voi. X I I , London 1955, pp. 227-69; v. S K L O V S K I J , L'arte come procedimento, i n J formalisti russi, a cura d i T . Todorov e con prefazione d i R. Jakobson, Torino 1968, p. 83; s. P E R O S A . L'impassibile ricostruzione di Ford Madox Ford, i n « I I V e r r i » , n . 13, M i l a n o 1964, p. 88; j . W A R R E N B E A C H , Tecnica del romanzo novecentesco, trad. i t . d i A . Gimerino e C. Izzo, M i l a n o 1948, p. 338; G . B A I O N I . Il problema della Rivoluzione e della Restaurazione nell'opera di Goethe, Venezia 1963, p. 36; c. L U G O W S K I . Die Form der ìndividualitàt im Roman. Studie zur inneren Struktur der friihen deutschen Prosaerzahlung, Berlin 1932, pp. 56 sgg.; F . M A R T I N I , Das Problem des Realismus im i j j . Jahrhundert und die Dichtung Wilhelm Raabes, i n «Dichtung u n d Volkstum», 36, 1935, p. 276; G . M E L C H I O R I , )oyce e la tradizione del romanzo, in I funamboli. Il manierismo nella letteratura inglese contemporanea, Torino 1963, pp. 49-68; R . B R I N K M A N N , Wirklicbkeit und lllusion. Studien iiber Gehalt und Grenzen des Begriffes Realismus fur die erzàhlende Dichtung des neunzehnten Jahrhunderts, Tùbingen 1966 (1957); w . HARiCH, E. T. A. Hoffmann. Das Leben eines Kiinstlers, 2 B.de, Berlin 1920, Ed. I I , p. 323; H . O H L , Der reisende Ettthustast. Studien zurHaltung des Erzàhlers in den «Fantasiestiicken» E. T. A. Hoffmanns, Diss. Frankfurt am M a i n 1955, p. 89; R. A S S U N T O . Estetica dell'Identità. Lettura della filosofia dell'arte di Schelling, U r b i n o 1962, pp. 176, 22, 142, 149, 62, 97,

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NOTA ALL'INTRODUZIONE

l o o ; M . BACHTiN, Dostoevskij, trad. i t . d i G . Garritano, T o r i n o 1968, p . 162; E. T. A. Hoffmann. Der Dichter der entwarzelten Glistigkeit, Z i i rich 1947, p. 89; c. B A U D E L A I R E , ConscUs aux jeunes littérateurs, in CEuvres complètes, a cura d i Y . G . Le Dantec e C. Pichois, Bruges 1961:, p. 483; Faradis artificiels. i n op. cit., p. 324; De l'essence dti rire, i n op. cit., pp. 992, 980; A . S C H O P E N H A U E R , Aphorismen zur Lebensweisheil, i n Parerga und Paralipomena, 1851, trad. d i E. Pocar, Aforismi sulla saggezza del vivere, Milano 1968, p. 245; C. Cases, Introduzione a j . w . G O E T H E , Faust, trad. i t . d i B. Allason, T o r i n o 1965, pp. X L - X L I ; C . A N T O N I . La lotta contro la ragione, Firenze 1942, pp. 5y6y, Per l'interpretazione della filosofìa politica tedesca, i n Considerazioni su Hegel e Marx, Napoli 1946, p. 68; G . B E V I L A C Q U A . Letteratura e società nel secondo Reich, Padova 1965, p . 119; c. N O D I E R , Del fantastico in letteratura, i n Racconti fantastici, Milano 1890, p . 2 1 ; v . M A T H I E U , Storia della filosofia, 3 voli., voi. H I , Brescia 1967, p. 159; H . M E Y E R , E. T. A. Hoffmann. Lebensansichten des Kalers Murr, i n Das Zitat als Erzdblkunst, Shittgart 1961, pp. 118, 130; F . J E S I , Novalis e Hoffmann dinanzi al patto di Faust, i n Letteratura e mito, T o r i n o 1968, pp. 61-76; w . BENjAMm, Il narratore. Considerazioni sull'opera di Nicola Lescov, i n Àngelus Novus, trad. i t . e introd. d i R. Solmi, Torino 1962, pp. 235-60; c. M U S C E T T A . Cultura e poesia di G. G. Belli, Milano 1961, p . 263; G . L U K A C S , Die Theorie des Romans. Ein geschichtsphilosophischer Versuch iiber die Formen der grossen Epik, Berlin 1920, p. 84; G . W I I T K O P - M É N A R D E A U , E. T. A. Hoffmann in Selbstzeugnissen und Bilddokumenten, iibertr. v. J . F. W i t i k o p , Hamburg 1966, p . 1 5 5 . Per le citazioni d i altri autori cfr. inoltre F . H . j A C O S i s , Werke, Leipzig 1812-25, B d . I I , pp. 19 e 108, B d . I l i , pp. 36 e 44; R . M U S I L . Prosa, Dramen, Spate Briefe, hrsg. v. A . Frisé, Hamburg 1957, p. 392; F . w. S C H E L L I N G S , Werke, hrsg. v. M . Schroter, Miinchen u n d Leipzig 1927 sgg. e più precisamente Besonderer Theil der Philosophie der Kunst, 2, b , e Allgemeiner Theìl der Philosophie der Kunst, Hauptband I I I e Ergànzungsband I I I , p . 427; Philosophische Briefe iiber Dogmatismus und Kriiicismus, B d . I , p. 208 (trad. i t . d i G . Semerari, Firenze 1958, pp. 5-6); System des transzendentalen Idealismus, i n op. cit., B d . I I , p. 629. Le citazioni schellinghlane sono perlopiù desunte da R. Assunto, opere e pagine citate. A. GLOOR,

c. M ,

NOTA B I O B I B U O G R A F I C A

Ernst Theodor Wilhelm HoHmann (il cui terzo nome, Wilhelm, fu mutato i n Amadeus in segno d i omaggio a Mozart) nacque a Kònìgsberg i l 24 gennaio 1776 da Christoph Hoffmarm, severo giurista non privo d i inclinazioni artistiche, e da Luise Albertine Dorffer, donna dal temperamento ipersensibile e soggetta a vere e proprie crisi nevrotiche. Dopo la separazione dei genitori, avvenuta nel 1780, H o f f m a i m fu affidato alla famìglia materna ove passò la sua infanzia, segnata da esperienze indelebili che non si cancellarono più dalla sua mente e che emergono in molte delle sue opere. Fra queste, decisivo fu l'affett o per la dolce zia Fiisschen, morta assai giovane e trasfigurata nel ricordo d i Hoffmann come ìl simbolo della femminilità, come i l simbolo d i una sublimata esperienza amorosa della fanciullezza i n cui lo scrittore vide la prima identifìcazione d i femminilità, Eros, musica e poesia. Accanto al prozio Vòthory, moI; dello dell'indimenticabile Justitiarius del racconto Das Hajorat [ I l maggìorasco], lo zio O t t o Wilhelm Dorffer, rievocato più tardi, costituì i l primo incontro con quella c a t ^ o r i a dì personaggi bizzarri ed eccentrici che affollano la nar>^ rativa hoffmanniana e che Hoffmarm frequentò sempre con u n profondo i n \e psicologico, specie durante gli studi universitari a Kònigsberg (sino al (',1796) ove, oltre a studiare legge e a disinteressarsi dell'insegnamento kantiano, ('coltivò una fervida amicizia per Theodor Hìppel, cui scrìsse interessantissime ' fcttere ricche d i confessioni autobic^rafiche, e visse la sua prima autentica pas^sionc amorosa, quella per Cora H a t t , che ispirò numerosi racconti. Apparten;;gbno a quegli anni, i n cui s'andava già delineando in Hoffmann la tendenza al' rinstabilità nervosa e all'eccitabilità, le entusiastiche letture del Werther, d i Rousseau, Sterne, Jean Paul e d i opere care al gusto «notturno » come Der Genius d i Grosse.

É

Promosso nel 1796 referendario a Glogau, v i conobbe i l mefistofelico e ^ s t e r ì o s o pittore Molinarì, che egli ritrasse più tardi i n alcune delle sue figure jSfitaniche dal tenebroso fascino meridionale. Nel 1798 visitò la Galleria d i Dref w a ove s'entusiasmò, secondo un'esperienza obbligala per molti autori roman: per la pittura rinascimentale italiana. Dopo un'attività presso i l tribunale '/iwunerale d i Berlino (1798-1800) e u n fidanzamento presto sciolto con M i n n a ;j;Dorffer, divenne assessore a Posen e v i rimase dal 1800 al 1802, dividendosi, f.:In un'ardente febbre d i vivere, tra i l lavoro, la vita di società, gli amori, le amiivdzie, la passione per l'arte e soprattutto per la musica, e le burle grottesdie col i m e quella che gli costò i l trasferimento nella cittadina polacca d i Plock, dove '' trascorse due anni solitari e difficili (1802-1804). Sposatosi nel 1802 con la polacca e cattolica Michalina Rorer-Trzynska («Mischa»), fu trasferito nel 1804 if a Varsavia e v i rimase sino al 1807, risentendo un profondo influsso d i quel

XLVI

NOTA BIOBIBUOGRAFICA

crogiolo d i civiltà slavo-tedesca. Ancor incerto sulle proprie altitudini e indeciso fra pittura, letteratura e musica, Hoffmann tendeva sin da allora a quel processo d i trasfigurazione continua della vita nell'arte e a quella compensazione e sublimazione estetica che contrassegnarono pìiì tardi la sua opera. Perduto l'impiego dopo la sconfitta delta Prussia ad opera d i Napoleone e la conseguente perdita dei territori polacchi, Hoffmann si recò a Berlino dal 1807 al 1808, ove la conoscenza d i Fichte, Schleiermacher e Chamisso gli fece conoscere Ìl movimento romantico. Dal 1808 al 1813 fu a Bamberg facendo i l recensore musicale, i l regista e lo scenografo, rappresentando per la prima volta la Kdtchen voti Heilbronn di Kleist e inscenando anche alcune opere di Calderón; a Bamberg it fascino del cattolicesimo barocco s'intrecciò all'amore per Julia Marc, modello d i quasi tutte te sue protagoniste femminili e identificata, con u n processo tipicamente romantico e psicolc^camente assai interessante, con l'amore per la musica vista ora come soavità celeste ora come potenza patologica e distruttrice. Nel 1809 uscf la sua prima novella Kitter Gluck [ I l cavaliere Glucic], intreccio di minuziosa realtà e fantasia surreale, prima raffigurazione del demone della musica e dell'inquietante «sdoppiamento» della psiche e del reale. Fortemente influenzato, durante u n viaggio a Norimberga nel 1812, dall'altro polo del gusto romantico (quello gotico, borghese e protestante) Hoffmann visse da vicino (a Dresda e a Lipsia, nel 1813.14) le ultime campagne napoleoniche e riprese nel 1814 la sua professione dì giurista a Berlino esercitandola sino alla morte, nonostante la vita dispersiva e la salute sempre più minacciata, e mantenendo un'esemplare dignità e coerenza nell'oppressivo clima della Restaurazione, che egli non mancò d i satireggiare al pari del filisteismo borghese e dello sciovinismo esasperato delle leghe studentesche. Nel 1814-15 usci la prima raccolta d i novelle, i Phantasiestucke in Callots Manier [Pezzi d i fantasia alla maniera d i Caltot] che rivelano già nel titolo i l gusto del grottesco e della caricatura cari al grande dis^natore francese. I n questa raccolta appare la tormentata figura del musicista Kreisler straziato intimamente dalla sua stessa passione musicale e sprezzato dal mondo borghese, un autoritratto d i Hoffmarm che ritornerà i n tante opere. Mentre alcuni racconti rivelano già un attento studio d i traumi psichici, allucinazioni e superstizioni popolari, segnando cosf una delle direzioni del «realismo» hoffmanniano, e mentre altri sfumano nel surrealismo della fiaba, la novella Dergoldne 7 o p / [ I I vaso d'oro] indica i l superamento del dissidio interiore del dilacerato eroe romantico in una sintesi d i fiaba e realtà, i n una magica pacificazione dei contrasti che deriva soprattutto dalla mistica filosofia della natura d i Schelling, conciliatrice di l u t t i gii opposti. Autore d i opere teatrali, musicali e critiche (per esempio Prinzessin Blandina, 1815; l'opera Undine, 1S16; Seltsame Leitlen eines Theaterdirekton [Le curiose pene d i u n capocomico], 1819), Hoffmann si avvicinò, tramite l'amicizia con alcuni medici, alla nuova scienza romantica, allo studio per i fenomeni occulti, ipnotici, telepatici che affiorano nel grande loraatnzo Die Elixiere des Teufeb [ G l i elisir del diavolo], 1815-16, magistrale «avventura» d'una schizofreiùa i n cui si riassume la crisi d i tutta una civiltà, e nei Nachtstucke (Racconti n o t t u r n i ] , 1817. I n questi ultimi l'analisi psicologica, che giunge a risultati d i sorprendente modernità come nel Sandmann [L'Orco Insabbia], si allaccia alle indagini della simbologia onirica e della vita dell'inconscio svolte i n quegli anni daUo scienziato-teosofo G o t t h i l f Heinrich Schubert.

NOTA BIOBIBUOGRAFICA

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Dalle serate berlinesi trascorse con Chamisso, Contessa, Fouqué e numerosi medici e scienziati nacquero Ì racconti usciti a partire dal 1819 nella serie Die SerapiombrUder, nello spirito del santo - e folle - Serapione che abolisce c^ni distinzione fra realtà e sogno, natura e fantasia, i n un surrealismo ante litteram: novelle che spaziano nei più diversi generi narrativi, dal racconto avventuroso o addirittura poliziesco allo studio patologico, dalla satira antiborghese all'ironia contro i m i t i romantici, dalla fiaba surreale al capriccio musicale. La statura europea dell'arte hoffmarmiana - Hoffmarm fu infatti ammirato e imitato i n tutta Europa, da Baudelaire a Gogol', da Balzac a Herzen, da Dostoevskij a Puskin, e le sue opere furono tradotte i n francese f i n dal 1833 e i n russo, tranne ìl Murr, f i n dal 1838 - consiste infatti nella sua poliedrica ampiezza spirituale: Hoffmann è stato al contempo l'anticipatore àcì realismo borghese e del surrealismo, i l narratore scapigliato d i avventure ottocentesche e l'analizzatore dell'inconscio, l'umorista trascendentale e Ìl sognatore delle fiabe, l'antesignano dell'ai^oscia moderna e della dissociazione pirandelliana della personalità, l'esponente dello slancio romantico e l'ironico superatore dei l i m i t i ideologici dei Romanticismo. N e i suoi racconti s'incontra la pittura del mondo provinciale tedesco ancora sacro-romano-imperiale e la più alta dimensione delle réverie romantica, l'ossessione freudiana del sosia e una vaga intuizione del mondo dell'Es, un gusto attualissimo della citazione letteraria e u n interesse scientifico per i problemi psichici, i l più agile e brioso p ^ l i o dell'avventura e la reviviscenza del romanzo gotico, lo sguardo nei più cupi abissi dell'inconscio e la pura liberazione nella fiaba, i l divertimento più spassoso e u n procedimento strutturale per simboli d i straordinaria attualità. D e l 1819 è Klein Zaches genannl Ztnnober [ I l pìccolo Zaccheo detto Cinabro], gustosa e amara satira antilluministìca e antiassolutista, del 1820-21 la Prinzessin Brambilla, aereo balletto metafisico i n cui ogni dissidio fra I o e sosia, realtà e fantasìa, molteplicità e unità sì compone ìn u n arabesco musicale dì derivazione schellinghiana, Nelle Lebensansichten des Katers Murr nebst fiagmentarischer Bio]. ffophie des Kapellmeisters Johannes Kreisler in zufdlligen Makukturbldttem [Punti ; dì vista e considerazioni del gatto M u r r sulla vita nei suoi vari aspetti e biografìa frammentaria del maestro d i cappella Joharmes Kreisler su fogli d i minuta casualmente inseriti], 1820-22, Hoffmann intreccia, con u n ardito e precorrìj tore sperimentalismo, tragicità e ironia, la straziata storia di u n Amleto roman\ e borghese dilacerato dall'arte e dalla nevrosi e la sua parodìa grottesca ed I' estraniante incarnata nel personaggio d i u n gatto filisteo. Autore del Meister ' Floh [Maestro Pulce], 1822, deliziosa satira antìassolutistica e ai contempo allegoria della grazia poetica, H o f f m a n n compose numerosi racconti dì vario , genere, da quello borghese-realistico a quello notturno a quello avventuroso ' 0 allegorico, continuando a lavorare freneticamente sino alla morte, awenu;' ta per tabe dorsale ìl 25 giugno 1822. D'incerta attribuzione è i l romanzo l i j bertino Schwester Monika erfàhrt und erzahlt [Esperienze e confessioni dì suor ! Monica], 1815.

Fra le varie edizioni complete delle opere si ricordano la prima, GesatnmelteSchriften, 12 B.de, hrsg. v. G. Reimer, Berlin 1844-45 f"^" illustrazioni d i ; Theodor Hosemann); i Sàmtliche Werke in Bànden, hrsg. v . E. Grìsebach, Leipzig 1900; ì Sàmtliche Werke, Historisch-kriiische Ausgabe m i t E i n l . A n m .

I

xLvm

NOTA BIOBIBUOGRAFICA

und Lesartcn von C. G. v. Maassen, Bd. 1-4, 6-10, Mùnchen-Leipzig 1908-28; i Werke in ly Teilen, hrsg. v . G . EUinger, 5 B.de {7 B.de), Berlin-LeipzigWicn-Stuttgart 1912 (1927); i Sàmtliche Werke, 14 B.de, hrsg. v- L . H i r schberg, Berlin-Leipzig 1922; i Dicòtungen und Schriften sowie Briefe und Tagebùcher, 15 B.de, hrsg- v. W . H a r i c h , Weimar i]^Jlan2ani e dell'orribile Coppelius che urlavano e si confondevapo così. Nataniele si precipitò nella stanza, preso da un'angoscia

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RACCONTI NOTTURNI

indicibile. I l professore teneva una figura umana per le spalle, l'italiano Coppola l'aveva afferrata per i piedi e la tiravano d i qua e d i là girandola da tutte le p a r t i , combattendo t u t t i infuriati per i l suo possesso. Terribilmente sconvolto Nataniele fece u n salto indietro, quando vide che quella figura era O l i m p i a . Infiammato, accecato dall'ira voleva strappare la sua amata ai due litiganti inferociti; ma nello stesso momento Coppola, girandosi con ima forza da gigante, strappò la figura dalle mani del professore e gliela dette i n testa con un colpo cosi terribile che quello ricadde all'ìndietro sul tavolo dove stavano le fiale, le storte, le serpentine, i c i l i n d r i d i vetro, perdette l'equilibrio e ruzzolò a terra. T u t t i g l i arnesi andarono i n mille pezzi con uno strepito del diavolo. A l l o r a Coppola si gettò la figura sopra le spalle e con una orribile risata stridente si precipitò giù per le scale sicché i piedi della figura che g l i penzolava tristemente sulla schiena, urtavano sugli scalini con u n rumore d i legno, facendoli rimbombare. Nataniele era rimasto d i pietra. Aveva visto anche troppo chiaramente: i l viso d i O l i m p i a , pallido come la cera, come la morte, non aveva più g l i occhi, ma invece due occhiaie vuote e nere; - era una bambola inanimata. Spallanzani si rotolava sul pavimento; i frammenti d i vetro g l i avevano tagliato la testa, i l petto e le braccia, i l sangue g l i zampillava come da una fontana. M a riuscì a raccogliere le proprie forze. - Corrigli dietro, corrigli dietro! Cosa aspetti? - Coppelius, Coppelius! - Mì ha rubato u mio automa migliore. - V e n t i anni d i lavoro - la vita cì avevo messo! - I l meccanismo - la voce - ìl passo, mìo, t u t t o mio! G l i occhi - g l i occhi t i avevo rubato. - Maledetto, dannato! - Corrigli dietro! - Riportami Olìmpia! - Ecco g l i occhi ! - A l l o r a Nataniele vide che due occhi insanguinati erano sul pavimento e l o fissavano; Spallanzani l i afferrò con la mano che n o n era ferita e glieli gettò addosso colpendolo i n mezzo al petto. A l l o r a la follia lo afferrò con i suoi artigli incandescenti e penetrò nel suo cuore, dilaniando ì suoi sentimenti, i suoi pensieri. - H o p - hop - hop! - G i r a t i - girati - giro dì fuoco - giro dì fuoco - girati! - Allegro - allegro! - Bambola d i legno - hop - bella bambolìna dì legno, girati! - E si gettò addosso al professore abbrancandolo per la gola, l o avrebbe senza dubbio strozzato ma Ìl fracasso aveva fatto accorrere molta gente, penetrarono nella stanza, tirarono indietro Nataniele furioso e salvarono cosf ìl professore che fu subito medicato. Per quanto fosse robusto, Sigismondo n o n r i u sciva a trattenere Nataniele che continuava a gridare dì continuo: - G i r a t i , bambolina d i legno, girati! - menando i n t o m o a sé colpi all'impazzata. Finalmente i n molte persone riuscirono a sopraffar-

L'ORCO INSABBIA

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lo, buttandolo per terra e legandolo. Le sue parole finirono ben pre; sto in un orribile urlo bestiale. Cosi, in un orribile accesso di pazzia .furiosa fu trasportato al manicomio. Prima di continuare a raccontarti, o benevolo lettore, Ìl resto ideila storia dell'infelice Natamele, posso assicurarti, nel caso che tu . abbia preso una certa parte al destino dell'abile meccanico e del fabbricante di automi, Spallanzani, che egli guarì completamente delle ;sue ferite. Tuttavia fu costretto ad abbandonare l'università, perché le avventure di Nataniele avevano suscitato molto scalpore e 'generalmente si riteneva che fosse stato un ingarmo della peggiore •Specie avere contrabbandato in filosofici tè pomeridiani - che Olim;pia aveva frequentato con successo - una bambola di legno invece ;'di una persona vera. Alcuni giuristi anzi la definirono una truffa r sottile, e che perciò doveva essere punita tanto più rigorosamente, • perché era stata organizzata ai danni del pubblico e con tanta astuzia che nessuno, fatta eccezione di alcuni studenti più furbi, se n'era accorto, sebbene ora tutti si dimostrassero molto accorti e citavano , questo o quell'episodio che l i aveva messi in sospetto. Costoro però ; non rivelarono nessun particolare particolarmente piccante. Perché tome mai a qualcuno poteva essere sembrato sospetto, mettiamo, i l fatto che secondo la testimonianza dei più eleganti frequentatori di tè, Olimpia contro tutte le abitudini era più portata a starnutire che ' a sbadigliare? Questi sternuti, cosi ragionava l'elegante in questione, erano invece i movimenti della molla segreta del meccanismo che si ricaricava da sé; e si potevano udire chiaramente scricchiolii ecc. ecc. I l professore di Poesia e di Eloquen2a pizzicò ima presa di tabacco, richiuse con un colpetto la tabacchiera, tossicchiò e pronunciò solennemente: - Stimatissimi signore e signori, non si sono dunque accorti qual è i l veleno dell'argomento? Non si tratta altro ' che di una allegoria, - una metafora continuata. - M i comprendono? - Sapienti sat! Ma molti di questi onorarissimi signori non si tranquillizzarono per questo; l'avvenmra dell'automa si era profondamente radicata nella loro anima, e difatti incominciò a diffondersi ima sfiducia piena di ribrezzo contro le figure umane. Per essere proprio sicuro dì non essersi innamorato di una bambola di legno, più di uno spasimante esigeva che la sua bella cantasse e ballasse un poco fuor dì tempo, che durante ima lettura ricamasse, facesse la calza, giocasse col bassotto, ecc. ma soprattutto che non si limitasse ad ascoltare ma che parlasse anche in modo che quello che diceva lasciasse pre-

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supporre che aveva anche sentito e pensato qualche cosa. I n queste condizioni i legami amorosi d i m o l t i fortunati divennero più solidi e quindi più piacevoli; altri invece pian piano si sciolsero. - N o n si può essere mai sicuri d i niente, - dicevano questo e quello. Sui p r i m i tempi i n t u t t i i tè si sbadigliava m o l t o e n o n c'era pericolo d i sentire uno starnuto, e cosi non furono suscitati n u o v i sospetti. Spallanzani, come si è detto, dovette andarsene per sfuggire all'istruttoria iniziata i n seguito all'introduzione fraudolenta d i u n automa nella società umana. Anche Coppola era scomparso,.. Natamele si destò come da u n incubo pauroso. R i a p r i g l i occhi e senti che u n indescrivibile senso d i gioia l o penetrava con soave celeste tepore. Si ritrovò nel suo letto, nella stanza che occupava nella casa paterna; Clara stava chinata sopra d i l u i e poco lontano stavano anche la madre e Lotario. — Finalmente, finalmente. Natamele del mio cuore, - ora sei guarito d i questa terribile malattia, ora sei nuovamente m i o ! - C o s i parlò Clara dal fondo della sua anima, stringendo Nataniele fra le braccia. M a la grande nostalgìa dell'estasi fece sgorgare dagli occhi d i quest'ultimo lacrime chiare e cocenti, e gemette profondamente: - Clara - Clara mìa! - Sigismondo che aveva fedelmente curato ìl suo amico ìn quei giorni dì angoscia, entrò nella stanza. Nataniele g l i porse la mano: - Fedele camerata, anche t u non m i hai abbandonato —, O g n i tratto d i pazzia era scomparso; e ben presto Nataniele riprese le sue forze grazie alle cure premurose della madre, dell'innamorata e dell'amico. I n t a n t o nella piccola casa era venuta davvero la fortuna: perché l o zio, vecchio ed avaro, dal quale nessuno si era aspettato niente, era m o r t o ed aveva lasciato alla madre insieme con u n patrimonio non indiiferente, anche una viUetta ìn una piacevole posizione n o n lontano dalla città. Decisero dì stabilirvìsi, la madre, Nataniele, con la sua Clara che pensavano oramai d i sposarsi e Lotario. Nataniele era divenuto più dolce, quasi più infantile, d i quanto fosse mai stato e solamente ora comprese veramente la magnifica anima pura, celestiale dì Clara. Nessuno g l i rammentava mai, neppure con la più leggera allusione, ìl passato. Solo quando Sigismondo si separò da l u i , Nataniele g l i disse: - Per D i o , camerata, m i ero messo su una brutta strada, ma un angelo mì ha ricondotto a tempo sul sentiero della luce. - A h , ah, è stata la mia Gara! - Sigismondo non g l i permise d i dire altro, per paura che rinascesse i n l u i , troppo chiaro e fiammeggiante, quache ricordo doloroso. Era venuto oramai i l momento i n cui quelle quattro creature fel i c i avevano deciso dì recarsi nella viUetta. Verso mezzogiorno si trovarono nel centro della città. Avevano fatto vari acquisti e Talta

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torre del municipio gettava la sua ombra gigantesca attraverso i l mercato. — O h , - disse Clara, - andiamo ancora una volta là i n cima a guardare le montagne lontane! - Detto, fatto. Entrambi, Nataniele e Clara incominciarono a salire; la madre si avviò verso casa con i la servetta, e L o t a r i o che non aveva voglia d i fare t u t t i quegli scalin i , disse che l i aspettava da basso. E così i due innamorati si trova^rono a braccetto sulla galleria più alta della torre spaziando con l o sguardo sulla distesa profumata dei boschi i n fondo alla quale le ' montagne azzurre si elevavano come una città dì giganti. , - Guarda mi p o ' quello strano ciuffo grigio che sembra venire direttamente addosso a noi ! - esclamò Clara. - Nataniele mise meccanicamente ima mano i n tasca e v i trovò i l cannocchiale dì Coppola. Se l o mise davanti agli occhi. Clara venne a trovarsi davanti alle . l e n t i . — Immediatamente sentì come una convulsione nelle vene e ; nei polsi — incominciò a fissare Clara, pallido come u n cadavere; ma ben presto negli occhi stralunati g l i si accesero come correnti d i fuoco scintillanti. Si mise ad urlare ìn u n modo terribile, come u n animale ferito; p o i incominciò a saltare ridendo paurosamente e gridando a perdifiato: - G i r a , gira marionetta... gira, gira marionetta! — G i r a t i , bambola dì legno! - G i r a t i bambola d i legno, girat i ! - G i r a , gira marionetta... gira, gira marionetta! - E con una forza terribile afferrò Clara tentando d i buttarla da basso; mortalmente spaventata, con uno sforzo disperato, Clara sì afferrò alla balaustra. L o t a r i o sentì le urla del pazzo, senti le grida d i angoscia d i Clara - i più neri presagì s'impossessarono d i l u i ; salì dì corsa nella torre - la porta della seconda scala era chiusa a chiave - più forte si sentivano risuonare le grida terrorizzate d i Clara. Pazzo dallo spavento e dal furore si precipitò due, tre volte contro la porta, che finalmente si spalancò. - Sempre più fievole diveniva la voce d i Clara, - A i u t o ! - A i u t o ! - Si udiva la voce morente nell'aria. - È caduta - assassinata da quel pazzo! - gridò Lotario. Anche la porta della galleria era stata rinchiusa. La disperazione g l i dette forze gigantesche - riuscì a scardinare la porta. D i o del cielo! Afferrata da Natamele impazzito, Clara era sospesa per aria al d i sopra della galleria - si teneva ancora afferrata alla ringhiera con una mano sola. Rapido come i l fulmine L o t a r i o afferrò la sorella, la tirò dentro e nello stesso momento colpì con tutta la forza i l pazzo i n mezzo al viso, che indietreggiò abbandonando la sua preda. L o t a r i o corse giù, strìngendo fra le braccia la sorella svenuta. L'aveva salvata. - Nataniele smaniava sulla galleria, saltava i n alto e gridava: - G i r a , cerchio d i fuoco! - gira, cerchio d i fuoco! - Le sue urla selvagge avevano fatto accorrere ai piedi della torre un

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gruppo d i gente fra cui si ergeva gigantesca la figura dell'avvocato G)ppelius i l quale era arrivato i n città i n quel momento, dirigendosi senz'altro verso la piazza del mercato. Qualcuno voleva salire sulla torre per portare via i l povero pazzo; ma Coppelius scoppiò i n una risata e disse: - A h , ah, aspettate, vedrete che viene giù da sé! - e continuò a guardare come g l i a l t r i , col naso per aria. Nataniele si arrestò d'un tratto come incantato; si chinò sulla balaustra, scorse Coppelius e con u n grido atroce: - A h , bei oci - bei o d ! saltò giù dalla torre. Nataniele rimase steso sul selciato della piazza con la testa sfracellata; nella confusione Coppelius scomparve.

V a r i anni dopo qualcuno raccontò d i aver veduto i n una regione lontana Clara seduta davanti alla porta d i una bella casa d i campagna tenendo fra le sue le mani d i u n uomo simpatico, e guardando due bei bambini che giocavano davanti a lei. Si potrebbe dedurne che Clara era riuscita o stesso a trovare quella serena felicità domestica che si meritava per i l suo animo sereno e vivace e che mai le avrebbe potuto assicurare Nataniele con la sua natura infelice.

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I n tempi remotissimi vìveva entro una foresta selvaggia e inabi"ta della regione dì Fulda i m bravo cacciatore d i nome Andrea '. n passato egli era stato guardiacaccia personale del conte L u i g i von ,ach'; l o aveva accompagnato nei suoi lunghi viaggi per le belle »ntrade italiane e, una volta, quando sulle malsicure vìe del reame Napoli erano stati assaliti dai briganti, g l i aveva anche salvato la ita con prontezza dì spirito e coraggio. Nella locanda napoletana cui avevano preso alloggio viveva una meravigliosa giovinetta, luna povera orfanella raccolta i n casa dall'oste, che però la trattava ioon grande durezza, costrìngendola ai pìu u m i l i servizi, i n cucina e l^a cortile. Andrea, spiegandosi a stento, aveva più volte tentato d i fljrivolgerle alcune parole dì conforto, c la poverina si era presa d ' u n ' t a l e affetto per l u i da non volersene più separare; l o avrebbe seguiito, piuttosto, fin nella fredda Germania. I l conte v o n Vach, intenerito dalle preghiere d i Andrea e dalle lacrime della fanciulla, per, mise a costei cU sedere a cassetta accanto all'amato e d i ìntraprcnde' t e insieme a loro i l faticoso viaggio d i ritorno. Prima ancora d'aver varcato ìl confine italiano, Andrea e Giorgina si sposarono e quando furono d i nuovo i n patria, nei possedimenti del conte, questi credette bene d i ricompensare i l fedele servitore nominandolo guardiacaccia della propria bandita. Andrea andò dunque a vivere con la sua Giorgina e u n vecchio garzone nel bosco solitario e selvaggio, che avrebbe d'ora innanzi dovuto proteggere dai bracconieri e dai ladri d i legna. M a invece dello sperato benessere promessogli dal conte v o n Vach, l o attendeva colà una vita grama e faticosa, d i miseria e d i stenti. I l magro stipendio i n denaro corrispostogli dal conte g l i bastava si e no per vestire se stesso e Giorgina; le piccole interessenze spettantigli sulle vendite d i legname erano rare ' Secondo quanto affetoia Kunz nella biografia hofmanujana d i Hìtzlg, questo nome sarebbe una de^rmazione d i quello della guardia forestale Endres, d i Frensdorf, presso Bamberga, dove Hofmann e Kuoz si lecavana ipesso a csccia. * I l nome d i questo conte immaginario deriva forse dal feudo d i Klcinvacli, presso Kassel.

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ed incerte e i l giardino assegnatogli da coltivare per proprio uso, veniva d i continuo messo a soqquadro e devastato da l u p i e cinghial i ; per quanto egli si a€aticasse a vigilare col suo garzone, spesso avveniva che i n una sola notte t u t t o i l raccolto, su cui aveva fatto conto per campare, andasse distrutto. I n o l t r e la sua vita era continuamente minacciata dai bracconieri e dai ladri d i legna. Da quell'onest'uomo che era egli si opponeva sempre a qualsiasi tentativo d i corruzione, preferendo la miseria al denaro male acquistato e continuando a fare coraggiosamente e lealmente i l proprio dovere; ma le insidie erano incessanti, e soltanto i suoi fedeli mastini riuscivano a difenderlo dalle incursioni notturne dei malfattori. Giorgina, non avvezza a quel clima, a quel genere d i vita, andava deperendo a vista d'occhio; i l suo bel colorito bruno diveniva smorto, giallastro, gli occhi vivaci, scintillanti si incupivano, le belle forme piene si facevano più scarne ed incavate d i giorno i n giorno. Spesso, nel cuore della notte, si destava d i soprassalto: colpi d i fucile i n lontananza... guaiti dei mastini... I l marito si alzava piano plano e sgattaiolava fuor della porta, nel bosco, insieme al garzone, mormorando qualcosa... A l l o r a lei pregava I d d i o e t u t t i i santi d i salvare i l suo bravo Andrea e d i t r a r l i da quel luogo spaventoso e selvaggio, da quei continui, mortali pericoli. La nascita d'un bimbo fece d i lei im'inferma, inchiodata a letto; sentiva che le forze andavano abbandonandola, che la fine era inmiinente. I l marito andava i n t o m o cupo e pensieroso : con la malattia della moglie ogni felicità era svanita. I l vento l o investiva, frusciando attraverso i cespugli, come i m folletto maligno; tutte le sue fucilate andavano a vuoto, non riusciva più a colpire alcim animale e soltanto più i l suo vecchio garzone - tiratore provetto - g l i procurava la selvaggina che egli era tenuto a fornire al conte von Vach. Una sera Andrea sedeva accanto al letto d i Giorgina fissandone intensamente le amate sembianze; la povera donna giaceva spossata e non respirava ormai quasi più. Schiacciato da u n dolore cupo e silenzioso egli le prese la mano, senza neppure più udire i vagiti lamentosi del bimbo stremato dalla fame. I l garzone era uscito fin dall'alba per recarsi a Fulda a comprare con g l i u l t i m i risparmi un po' dì cibo per l'ammalata. A l l ' i n t o r n o , per un raggio d i molte miglia, non c'era speranza d i trovare anima viva né ima parola d i conforto: soltanto l'ululato terrificante e lamentoso del vento fra i neri abeti e i guaiti dei mastini, che parevano piangere sconsolati sulla sorte dell'infelice padrone. All'improvviso Andrea udì dei passi avvicinarsi alla casa: credette fosse i l garzone, d i r i t o m o da Fulda, benché non l o aspettasse ancora cosi presto. M a i mastini si precipitarono fuori abbaiando furiosamente: doveva

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dunque trattarsi di un forestiero. Andrea sì fece sull'uscio e si vide venire incontro un uomo alto, magro, avvolto in un mantello scuro e con un berretto da viaggiatore calcato sugli occhi. - Olà! — disse Io straniero. - . . . Se sapeste quanto ho vagato per il bosco, senza riu• scire a trovare la strada!... I l vento soffia dalle montagne... avremo im tempo orribile... Vorreste permettermi, caro signore, di entrare in casa vostra a riposarmi e ristorarmi un po'?... La strada è stata lunga e faticosa. - O signore, - rispose Andrea imbarazzato, - voi ^ entrate nella casa della miseria e del dolore. AU'ìnfuori di ima sedia per riposarvi, temo proprio di non potervi offrire alcun altro ristoro. Non ho nulla da dare neppure alla mia povera moglie ammalata; e il garzone che ho mandato a Fulda ritornerà soltanto stasera tardi con qualcosa da mangiare - . Cosi dicendo entrarono neUa camera. Lo straniero si tolse il berretto e il mantello, sotto cui celava uno zaino e una cassetta; si tolse di dosso anche imo stiletto e un paio di pistole che depose sul tavolo. Andrea si accostò al letto di G i o i t a : la donna era ormai priva di conoscenza. Le si accostò anche il forestiero, la scrutò a lungo con occhio attento e penetrante, le prese la mano, le auscultò Ìl polso. - Oh Dio!... Ma sta morendo!..., — esclamò Andrea disperato. — Non sta morendo affatto, amico mio, state tranquillo, - gli disse ìl forestiero. - Vostra moglie ha soltanto bisogno d'un buon nutrimento sostanzioso; e per intanto le gioverà moltissimo un rimedio tonico e corroborante,.. Per dirvi la verità non sono un medico, ma semplicemente un mercante, anche se non del tutto digiuno di medicina; e possiedo da tempi immemorabili alcuni «arcani» che porto con me, per venderli anche, quando capita - . Aperse la sua cassetta, ne trasse unafiala,fece cadere alcune gocce d'un liquore rosso scuro su im po' di zucchero e lo diede all'ammalata; poi le fece trangugiare alcuni cucchiai d'un eccellente vino del Reno, versandolo da una bottiglietta sottile, tratta dallo zaino; ordinò, infine, di adagiare il bimbo bene accosto al seno della madre e di lasciare tranquilli entrambi. Andrea ebbe veramente la sensazione che un santo fosse disceso dal cielo in quel luogo abbandonato e selvaggio per recargli conforto ed aiuto. Dapprincipio, lo sguardo falso, penetrante dello straniero gli aveva quasi incusso timore ma poi il suo interessamento premuroso, il provvidenziale soccorso prestato a Giorgina, lo conquistarono; e così gli raccontò con grande sincerità tutta la propria storia: come a causa del favore concessogli dal conte von Vach coli'intenzione di fargli del bene sì fosse ridotto alla più nera miseria, e come da quella situazione non sperasse di trarsi mai più, per quanto ancora gU rimanesse da vivere. Lo straniero lo rincuorò, ricordandogli co-

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me spesso sopraggiunga una qualche fortuna insperata a portarci t u t t i i possibili beni della terra; e come sia necessario arrischiare qualcosa per conquistare i favori della buona sorte... — A h , caro signore, — replicò Andrea. - I o ripongo tutta la mia fiducia i n D i o e nell'intercessione dei santi; noi - mia moglie ed Ìo - l i preghiamo con tanto fervore, ogni giorno... M a che cosa dovrei mai fare per procurarmi denaro e fortuna?... Se I d d i o nella sua saggezza non me l i ha destinati, sarebbe quasi una colpa aspirare a conquistarli. M a se invece egli vuole ch'io ne entri i n possesso, già i n questa vita - e io desidererei, signore, unicamente per amor d i mia moglie, che ha lasciato la sua bella patria per seguirmi i n questo deserto!... - essi m i verranno dati, anche senza ch'io arrischi la vita per amore delle v i l i ricchezze terrene... A l l e parole del buon Andrea Io straniero accennò uno strano sorriso e fece per replicare qualcosa ma, i n quel momento. Giorgina con un profondo sospiro si svegliò e disse d i sentirsi infinitamente più i n forze; anche Ìl bimbo ora sorrideva, beato come u n angioletto, al seno della madre. Andrea, fuor d i sé dalla gioia, sì mise a girar per la casa piangendo, pregando, esultando. Frattanto i l garzone era rientrato e stava facendo del suo meglio per preparare, con le provviste portate d i fuori, i l pranzo cui avrebbe dovuto partecipare anche Io straniero. Questi preparò e cucinò con le sue stesse mani una minestra corroborante per Giorgina, mettendovi dentro ogni sorta d i spezie e d i ingredienti vari che aveva con sé. Si era ormai fatto t a r d i ; lo straniero dovette inevitabilmente pernottare in casa d i Andrea. E g l i pregò che g l i preparassero u n giaciglio d i paglia nella stanza da letto d i Andrea e Giorgina, e cosi f u fatto. La preoccupazione per la moglie non permise ad Andrea d i prender sormo; perciò egli potè osservare che, se appena l'ammalata respirava u n po' più forte, lo straniero sobbalzava, si alzava ad ogni ora, si avvicinava piano al letto, le tastava i l polso e le somministrava alcune gocce d i un medicinale. Quando spuntò Ìl giorno, Giorgina apparve ancora notevolmente migliorata. Andrea ringraziò d i tutto cuore l o straniero, chiamandolo ìl suo angelo custode - u n angelo, soggiunse Giorgina, mandato da D i o , impietosito daUe sue fervide preghiere, per salvarla... Quelle calorose espressioni d i gratitudine parvero mettere a disagio i l forestiero; evidentemente imbarazzato, egli disse, fra l'altro, che avrebbe dovuto essere i m mostro per non soccorrere un'inferma avvalendosi della propria pratica d i medicina e dei rimedi che aveva con sé. D e l resto, non Andrea a l u i , ma l u i a A n drea doveva riconoscenza per averlo accolto cosf ospitalmente, no-

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Stante le mìsere condizioni della sua casa; non avrebbe assolutaente mancato di soddisfare al proprio debito, disse; e, tratte alne monete d'oro da ima borsa assai rigonfia, le porse ad Andrea. - O signore! - esclamò costui, - &)me e perché dovrei accettare tanto denaro da voi?,.. Ospitarvi in casa, dal momento che vi eraate smarrito in quella immensa foresta, è stato soltanto un dovere ...^ cristiano; e se per questo vi pare di dovermi qualcosa, me lo avete già dato in abbondanza, ben più di quanto non sappia dire io stesso, Strappando la mia cara moglie alla morte, con la vostra esperienza i vicina lanciava occhiate significative alla baronessa e questa si sf or; iZava d i ascoltare. Ciò avvenne specialmente quando i l discorso cadf de sulla musica ed io m i misi a parlare con acceso entusiasmo d i ') quell'arte stupenda e divina confessando, infine, d i saper suonare r discretamente i l pianoforte, e anche cantare, e d i aver perfino com; posto qualche canzone, ad onta dell'arida e noiosa giurisprudenza cui m'ero dedicato. Frattanto eravamo passati nella sala attigua per ''prendere i l caffè e Ì l i q u o r i . T u t t ' a u n tratto - non so neppure Ìo coirne awerme - m i ritrovai d i fronte aUa baronessa, la quale subito m i rivolse la parola tornando a domandarmi (... ma questa volta con u n tono d i voce assai più cordiale, come se parlasse a u n vecchio a-

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mico...), se m i piacesse vivere al castello, eccetera eccetera. Risposi che durante Ì p r i m i giorni i l desertico squallore dei dintorni c Ìl castello stesso cosi severo ed antico, m i avevano messo i n uno stato d'animo particolare; ma proprio da tale stato d'animo erano nate in me molte bellissime idee e pertanto speravo d i venir dispensato dalle cacce crudeli cui non ero abituato. - Capisco benissimo, - disse la baronessa sorridendo, - che i passatempi brutali nelle nostre foreste d i p i n i n o n debbano andarle molto a genio. L e i è musicista e - se non m i inganno - dev'essere anche poeta. A m o appassionatamente sia la musica che la poesia! Suono u n pochino l'arpa, ma q u i a R..sitten devo rinunciarvi perché mio marito n o n m i permette d i portarla con me. La voce dell'arpa è troppo flebile e delicata e si fonderebbe male con g l i halloh forsetmati, con g l i striduli squilli d i corno dei cacciatori! E q u i non è lecito ascoltare altri suoni. D i o mio... come m i farebbe piacere un p o ' d i musica!... Pur d i esaudire Ìl suo desiderio avrei messo tutta la mia arte a sua disposizione, risposi... Indubbiamente nel castello c'era u n pianoforte, foss'anche vecchio... - La signorina Adelaide (cosi si chiamava la dama d i compagnia) scoppiò i n una chiara risata; al castell o n o n si era mai udito altro strumento all'infuorì delle trombe gracidanti, dei lamentosi corni da caccia,... e forse si potevano ancora aggiungere i violini rechi, i contrabbassi stonati, g l i oboi belanti dei suonatori girovaghi! N o n lo sapevo?... La baronessa tornò ad esprimere i l desiderio d i udire u n p o ' d i buona musica... voleva assolu tamente sentirmi suonare. E , con Adelaide, incominciò a passare in rassegna t u t t i i possibili mezzi per procurarsi u n «fortepiano» passabile. I n quel momento i l vecchio Franz attraversò la sala. - Ecco l'uomo capace d i trovare rimedio a t u t t o ! . . . D i procurare anche le cose più inverosimili e inaudite!... - esclamò Adelaide facendogli segno d i avvicinarsi; e mentre g l i spiegava d i che cosa si trattasse, la baronessa la stava ad ascoltare con le mani giunte, la testa leggermente protesa i n avanti, spiando l o sguardo del vecchio con u n sorriso dolcissimo. Era deliziosa a vedersi: sembrava una bella bambina impaziente d i stringer fra le mani i l giocattolo desiderato. Franz dapprima enumerò, nel suo solito stile prolisso, i m o l t i e svariati m o t i v i che rendevano assolutamente impossìbile procurarsi cosi su due piedi uno strumento tanto raro, poi sì accarezzò la barba e disse con u n sorriso sornione; - Però... la moglie dell'ispettore aziendale, là al villaggio, è bravissima a suonare i l clavicembalo, sì, dico... quello strumento che loro chiamano con

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u n nome straniero... E canta anche, con voce così deUcata e lamentosa da far venire g l i occhi rossi, come quando si tritano le cipolle - . Sì, a sentirla verrebbe perfino voglia d i mettersi a ballare. — E possiede u n pianoforte?... - lo interruppe la signorina Adelaide. - E h , sicuro.., arrivato direttamente da Dresda, - precisò i l vecchio. — Proprio un... - Ma è magnifico! — esclamò la baronessa senza lasciarlo finire. - ... u n bello strumento, - prosegui Franz, ma u n p o ' delicatino; perché quando l'organista, poco tempo fa, ci ha suonato sopra i l corale In tutte le mie azioni, lo ha completamente sfasciato, e così... - O D i o ! . . . - esclamarono la baronessa e la signorina Adelaide ad una voce. - E così, - riprese Franz, - haimo dovuto mandarlo a R. ' a riparare. C i haimo speso u n occhio della testa. - Adesso è d i nuovo qui? - domandò la signorina Adelaide con impazienza. ~ M a certo, egregia signorina. E la moglie dell'ispettore sarà ben onorata d i . . . - I n quel momento passò i l barone, sì volse a guardare ìl gruppo, rimase u n po' interdetto e sussurrò alla baronessa con u n sorriso ironico : - Franz è stato dì nuovo chiamato a dare i suoi soliti buoni consigli?... - La baronessa abbassò gli occhi arrossendo; Franz tacque dì botto e si irrigidì ìn posizione d i attenti, i l capo eretto e le braccia bene aderenti al corpo. L e vecchie zie avanzarono fino a n o i veleggiando nelle seriche vesti e trascinarono via la baronessa. I o rimasi là, incantato... Insieme all'indicibile gioia d i poter forse avvicinare la mia adorata, la regina d i t u t t o l'esser mìo, provavo u n senso d i indignazione, dì sordo rancore nei confronti del barone, i n cui vedevo u n rudissimo despota. Se fosse stato altrimenti, u n vecchio servitore coi capelli grigi sì sarebbe comportato così, come uno schiavo?... - M i vedi, m i sentì finalmente?... - gridò lo zio battendomi u n colpetto sulla spalla. Salimmo i n camera nostra. - N o n ronzare tan to intorno alla baronessa, - m i disse n o n appena fummo soli. - Che senso c'è?... D i giovani bellimbusti donnaioli è pieno i l mondo!... Queste cose lasciale fare a loro! - Raccontai com'erano andate le cose e lo pregai d i d i r m i francamente se meritavo i l suo rimprovero. -- H m , h m . . . - fece l u i senza rispondermi; e, infilatasi la vestaglia, sedette i n poltrona, accese la pipa e incominciò a parlare della caccia del giorno prima, sfottendomi per ì mìei t i r i andati a vuoto. I l castello era piombato nel silenzio: signore e signori sì erano r i t i r a t i nelle rispettive camere e stavano vestendosi e facendosi bell i per la serata. Quei tali suonatori d i v i o l i n i arrochiti, contrabbassi stonati, oboi belanti, cui aveva accermato la signorina Adelaide era' Frobabìtmente; « K » , cioè Kóntgsberg.

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no arrivati per davvero; e quella sera ci si attendeva niente meno che u n ballo i n piena regola. L o zio, che a tali frivolezze preferiva una buona dormita, rimase i n camera; io invece m i vestii per i l ball o , ed ero già pronto quando qualcuno bussò piano alla porta. Entrò Franz ad armunziarmi con u n sorriso soddisfatto che i l clavicembalo della moglie dell'ispettore era giunto su una slitta poco prima e stavano trasportandolo nella camera dell'illustre signora baronessa. La signorina Adelaide m i pregava dì salire. Immaginate con quale batticuore, con quale dolce trepidazione spinsi la porta ed entrai... da l e i ! . . . M i veime incontro la signorina Adelaide tutta feHce. La baronessa, già vestita per i l ballo, sedeva davanti alla misteriosa cassa entro cui sonnecchiavano i suoni ch'ero stato chiamato a ridestare. Quando m i vide si alzò: era d'una bellezza cosf radiosa ch'io rimasi a fissarla senza riuscire a profferir parola. - Bene, Teodoro, - m i disse con cordialità, - (secondo la gentile costumanza nordica, che si ritrova anche all'estremo sud, essa chiamava t u t t i per nome di battesimo). - Bene, Teodoro, lo strumento è arrivato. Voglia i l ciel o che n o n sia indegno della sua arte!... - Come sollevai i l coperchio u n groviglio d i corde rotte quasi m i saltò sulla faccia ronzando. Provai a mettere giù i m accordo ma le corde ancora intatte erano stonate, perciò ne usci qualcosa d i orripilante. - Evidentemente ci sono d i nuovo passate sopra le manine garbate dell'organista, - commentò la signorina Adelaide ridendo. - A h i . . . Che disdetta!... ~ esclamò la baronessa contrariata, - possibile ch'io non debba avere questa gioia?... - Cercai nel contenitore dello strumento e trovai, per fortuna, alcuni r o t o l i d i corda, ma non la chiave per accordare. Nuove esclamazioni d i disappunto! - Qualsiasi chiave è buona, — spiegai, — purché la mappa sì adatti al pirolo della corda - . Immediatamente la baronessa e la signorina Adelaide corsero a frugare dappertutto, felici; e poco dopo sulla cassa d i risonanza avevo un intero emporio d i chiavette lucenti. Assistito ed aiutato dalla baronessa e dalla signorina Adelaide m i misi al lavoro; tentai varie chiavi: finalmente u n pirolo restio parve muoversi. - Va'... va' !... - gridarono le due signore con gioia. M a ecco, la corda gemette tendendosi fino alla nota giusta... e saltò! Balzammo indietro spaventati. La baronessa si dava da fare cercando d i districare con le delicate manine le ribelli corde metalliche, m i porgeva i numeri che via via le chiedevo, reggeva con cura ì rotoli mentre ìo lì svolgevo. Improvvisamente una corda ci sfuggi d i mano e schizzò vìa ronzando: la baronessa lanciò u n piccolo - A h ! .-• - d'impazienza, la signorina Adelaide scoppiò a rìdere. Inseguii i l

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rotolo ingarbugliato fin nell'angolo opposto della camera e, tutt'e tre insieme, cercammo d i ricavarne una corda senza piegature pericolose. La montai, la tesi e quella, per la nostra disperazione, d i nuovo si spezzò. Finalmente trovammo i r o t o l i buoni; le corde i n cominciarono a tenere, dal ronzio stonato uscirono a poco a poco accordi chiari, p u l i t i . - A h . . . ci siamo, ci siamo... lo strumento si accorda!... - esclamò la baronessa guardandomi con u n soave sorri' so... A h , come fece i n fretta quel lavoro comune a scacciare i l senso d i distacco, d i freddezza, generato dalle convenienze sociali!... I n quei pochi m i n u t i si era stabilita fra n o i una corrente, direi elettrica, d i intimità e aveva dissipato i n u n baleno l'agghiacciante imba, razzo che m i mozzava i l respiro. I l pathos tutto speciale, proprio d i chi è innamorato come lo ero : i o , m i aveva totalmente lasciato; e cosi, quando infine i l pianoforte ;;fu accordato i n modo passabile, invece d i tradurre i miei sentimenti , i n fantastiche improvvisazioni - come avrei voluto fare - andai a -cadere nel repertorio delle languide canzonette amorose pervenuteci dal meridione. Durante t u t t i quei: «Senza d i te»... «Sentimi, i ,dol mio»... «Almen se non poss'io»... «Morir m i sento»... «AdL'dio!»... « O h Dio!...»,gH occhi d i Serafina diventavano sempre più : lucenti. M i sedeva talmente vicina che ne sentivo l'alito sfiorarmi le guance. Mentre stava così, appoggiata allo schienale della mia segigiola, un nastro bianco del suo grazioso vestito da ballo si sciolse, imi ricadde sulla spalla e, mosso dall'emissione della mia voce e dai 'lievi sospiri di lei, continuò a svolazzarmi intorno accarezzandomi come un fido messaggero d'amore... F u u n vero miracolo se n o n persi la ragione!... A u n certo punto, mentre vagavo fra gU accordi Cercando d i ricordare una certa canzone, la signorina Adelaide, seduta nell'angolo della camera, balzò i n piedi, corse ad inginocchiarsi davanti alla baronessa e prendendole le mani, e premendosele al seno, la supplicò: — O baronessa... Serafinuccia cara... adesso devi ìtantare anche t u ! . . . - M a che cosa t i viene i n mente, Adelaide?..., - rispose la baronessa. - Come potrei far sentire i l m i o povero canto al nostro virtuoso?... - Era incantevole a vedersi mentre, combattuta fra la timidezza e i l desiderio, abbassava gli occhi arrossendo come una bimba vergognosa. Immaginerete quanto la supplicai anch'io; e quando la sentii far cenno a certe canzoncine popolari Curlandesi non le diedi tregua fino a che l e i non allungò la mano sinistra sulla tastiera tentando d i trovare alcune note introduttive. Feci per lasciarle i l posto ma lei non volle: disse d i non saper suonare neppure un accordo e che senza accompagnamento i l suo canto Sarebbe risultato ben magro e malcerto. Finalmente, con voce tene-

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ra e purissima, una voce sgorgante dal fondo del cuore, intonò una canzone la cui semplice melodia aveva i n tutto e per t u t t o Ìl carattere d i quei canti popolari cosi schietti, immediati, luminosi da farci riconoscere la nostra superiore natura poetica. Le parole del testo, per lo più insigiùfìcanti, diventano geroglifici dei sentimenti inesprimibili d i cui abbiamo l'anima ricolma. Chi non ricorda la canzonetta spagnola i l cui testo dice a u n dipresso: «Navigavo sul mare con la mia ragazza. Scoppiò la burrasca e la mia ragazza prese ad ondeggiare spaventosamente su e giù. N o ! M a i più navigherò sul mare con la mia ragazza! », o non molto più d i cosi? La canzoncina della baronessa diceva invece: «Ballai col mio tesoro a una festa d i nozze - le cadde u n fiore dai capelli - lo colsi - glielo diedi - Quando, fanciulla, - le dissi - andremo ancora a nozze?...» Quando accompagnai arpeggiando la seconda strofa della canzoncina e, trascinato dall'entusiasmo, riuscii a carpire le melodie delle canzoni successive direttamente dalle labbra della baronessa, dovetti apparire agli occhi suoi e della signorina Adelaide i l più grande dei maestri v i v e n t i , perché entrambe m i colmarono d i lodi. Vedemmo filtrare dalle finestre le luci già accese della sala da ballo, situata nell'ala laterale del castello. Una fanfara stonata d i trombe e corni ci annunziò che era ora d i recarsi alla festa. - A h . . . devo andare! - esclamò Serafina. - L e i m i ha fatto passare un'ora magnifica... forse la prima ora serena ch'io abbia mai trascorso a R..sitten, - e m i porse la mano. Balzai i n piedi, inebriato, estasiato, m i prem e t t i la sua mano alle labbra, sentii le pìccole dita pulsare violentemente fra le mìe !... N o n so d i r v i come entrai nella camera dello zio e quindi nella sala da ballo... « Quel Guascone teme la battaglia perché, essendo t u t t o cuore, qualsiasi ferita g l i riuscirebbe mortale!...» Altrettanto avrei dovuto dire d i me, altrettanto dovrei dire d i chiunque sì t r o v i nel mìo stato d'animo d i allora... Quando sì è i n quello stato ogni contatto diventa mortale... La mano della baronessa, le sue dita pulsanti m i avevano colpito come frecce avvelenate... i l sangue m i ribolliva nelle vene! Pur senza avermi rivolto alcuna domanda, l o zio la mattina dopo già conosceva la storia della serata da me trascorsa con la baronessa; ed ìo rimasi non poco imbarazzato quando, dopo avermi parlato allegramente, sorridendo, sì fece tutt'a un tratto serissimo e m i disse: - T i prego, cugino, reagisci a questa follìa! Quello che stai facendo, per quanto innocente possa sembrare, potrebbe avere conseguenze tremende. Tienilo a mente... Nella tua incoscienza stai camminando su una sottile crosta dì ghiaccio che t i si spezzerà sotto i piedi, quando meno te lo aspetti... Se t i vedrò sprofondare m i

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guarderò bene dal trattenerti per le falde della giacca perché, già lo I so, bene o male t i tirerai f u o r i da solo e, pur colpito a morte, t i d i I r a i : Questo p o ' d i raffreddore me lo sono buscato i n sogno - . E i n vece una febbre maligna t i consumerà fino al midollo, e dovranno Ijpassare anni ed anni prima che t u t i riprenda... I l diavolo si p o r t i |.Ìa musica se con essa non sai far niente d i meglio che turbare la pace delle donnicciole sentimentali !... - M i è forse mai passato per la I mente d i fare i l cascamorto con la baronessa?... - protestai risentiI to. - Babbeo ! - gridò l u i . - Se sapessi una cosa simile t i butterei dall l a finestra! - Sopraggiunse i l barone a interrompere i l penoso coll^loquio; mettendomi al lavoro m i strappai all'amoroso fantasticare i d i Serafina, e p o i ancora d i Serafina. I n società la baronessa si l i m i jtava a rivolgermi qualche parola gentile d i quando i n quando; ma .quasi non passava sera senza che m i facesse segretamente invitare I t a l i a signorina Adelaide a salire da lei. A l l a musica alternavamo conversazioni d i vario genere. La signorina Adelaide, anche troppo I ijngenua ed estrosa per la sua non più giovanissima età, quando io e Serafina incominciavamo ad addentrarci nel campo dei presagi e dei sogni sentimentali, saltava f u o r i a sproposito con certe sortite Infacete e piuttosto c o l i s e . D a alcuni accermi dovetti ben presto I convincermi che la baronessa aveva veramente nell'animo u n qual,die grave motivo d i turbamento, come m'era parso d i leggerle neLgh occhi la prima volta che l'avevo vista. Ripensai all'influsso maleI fico del fantasma d i famiglia: qualcosa d i spaventoso era accaduto I o stava per accadere... N o n so quante volte f u i sul punto d i raccon|,tarle come fossi stato sfiorato da quel nemico invisibile, e come Ìl Invecchio zio lo avesse scacciato forse per sempre. M a nel momento i'm cui stavo per parlare u n inspiegabile ritegno mi paralizzava la 'lingua. ; U n giorno la baronessa non scese a pranzo, pareva fosse indisposta e non potesse lasciare la camera. Qualcuno si fece premura idi domandare al barone se si trattasse d'un malanno serio. Coa u n , odioso sorriso amaro, sprezzante, egli rispose; — Soltanto u n lieve raffreddore... Colpa del nostro crudo vento dì mare che non può soffrire le vocine dolci e tollera una sola musica: i brutali halloh della caccia - ; e cosi dicendo lanciò un'occhiata tagliente nella mia dl: rezione; io gli sedevo quasi dirimpetto : non aveva parlato al mio v i i i d n o , ma proprio a me! La signorina Adelaide, seduta al mio fianco, si fece d i brace, abbassò g l i occhi e, scarabocchiando con la forchetta sul fondo del piatto, mormorò: - ... E oggi t u vedrai Serafina... e oggi ancora le tue dolci canzoncine blandiranno i l suo cuore malato... - Anche Adelaide aveva parlato a me ; ma ìn quel momen-

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to m i parve d i essere i n u n rapporto equivoco, illecito con la baronessa, u n rapporto che si sarebbe p o t u t o conchiudere soltanto nell'orrore, nel delitto. G U ammonimenti del vecchio zio m i ricaddero pesanti sul cuore. Che cosa dovevo fare?... N o n rivederla più?... Fintantoché stavo al castello questo n o n era possibile; e se anche m i fosse stato lecito andarmene, ritornare a N . , n o n ne sarei stato capace. Ahimè!... Sentivo anche troppo bene d i n o n essere forte abbastanza per scuotermi da quel sogno fallace d'una impossibile felicità. I n certi momenti Adelaide m i pareva poco meno che una volgare mezzana ed ero tentato d i disprezzarla, p o i subito m i riprendevo, vergognandomi della mia stupidità. Che cosa era accaduto, dopo t u t t o , durante quelle deliziose ore serali?... SÌ era forse stabil i t o u n rapporto dì intimità, fra me e Serafina, ìn qualche modo i n compatibile con le convenienze, i l decoro?... Come m i permettevo d i pensare che la baronessa provasse qualcosa per me?... Eppure ero convinto della pericolosità della m i a situazione! Q si alzò da tavola prima del solito perché si doveva ancora uscire a caccia dì certi l u p i apparsi nella pineta, a pochi passi dal castello. L'idea della caccia armonizzò m o l t o bene col mìo stato d i eccitazione. Dissi al vecchio che volevo andare anch'io. - Bravo, m i fa piacere! - m i rispose sorridendo soddisfatto. - I o resto a casa: p u o i prendere la mia carabina. E n o n dimenticare d i allacciarti alla cintura i l coltello da caccia: è un'arma sicura e fidata, purché uno non perda la testa. La zona del bosco i n cui si erano radunati i l u p i venne circondata dai cacciatori. Faceva u n freddo tagliente, i l vento ululava fra i p i n i sbattendomi sulla faccia i l bianco nevischio; incominciò ad i m b r u n i r e , i o non vedevo a oltre sei passi d i distanza. Intirizzito lasciai i l posto assegnatomi per andare a cercar riparo nel folto del bosco. M i appoggiai a un albero, col fucile sotto i l braccio e... scordai la caccia: i miei pensieri m i avevano ricondotto nella camera segreta, là, da Serafina!... Echeggiò qualche sparo, lontano... Quasi contemporaneamente u d i i u n fruscio nel canneto e, a meno d i dieci passi da m e , v i d i passare correndo u n grosso l u p o . Imbracciai l'arma, sparai... fallii i l colpo... L'animale, con occhi dì brace, m i si avventò... Sarei stato spacciato se non avessi avuto la presenza d i spir i t o d i trarre U coltello da caccia e immergerglielo nella gola nell'istante i n c u i stava per azzannarmi. I l sangue m i schizzò sulla mano e sul braccio. U n o dei guardiacaccia del barone, appostato non lontano da me, sopraggiunse gridando, e al suo reiterato richiamo, tutt i si precipitarono intorno a n o i . I l barone accorse verso dì me: - Per l ' a m o r dì D i o . . . L e i sanguina?... Sanguina... è ferito?... - Lo

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assicurai che non lo ero; allora egli si scagliò contro i l guardiacaccia appostato vicino a me e l o colmò d i rimproveri perché non aveva immediatamente sparato quando m i aveva visto sbagliare i l colpo; e benché l'altro spergiurasse d i n o n aver assolutamente p o t u t o far fuoco perché i l lupo m i era già addosso e avrebbe rischiato d i colpire me, i l barone insistette nel dire che, essendo io un cacciatore inesperto, m i si doveva sorvegliare i n modo specialissimo. Frattanto i guardiacaccia avevano sollevato l'animale: era i l più grosso lupo che mai si fosse visto da tanto tempo. T u t t i rimasero stupiti ed amm i r a t i del mio coraggio e della mia decisione, quantunque a me sembrasse d i aver fatto una cosa naturalissima; ed effettivamente non avevo neppure pensato d i star correndo u n cosf grave pericolo. I l barone si mostrò più premuroso d i t u t t i ; n o n finiva più d i domandarmi se, pur n o n essendo stato ferito dalla belva, non temessi le conseguenze dello spavento. P o i , affidato i l fucile a u n guardiacaccia, m i prese sotto braccio come u n amico e, ritornando al castello, continuò a parlare della mia eroica impresa. F i n i i per credere io stesso al m i o eroismo, persi ogni imbarazzo, convinto d i essermi affermato d i fronte al barone come u n uomo eccezionalmente coraggioso e risoluto. L o scolaretto aveva superato brillantemente i l suo esame e non era più u n ragazzino umile e tremebondo. I l d i r i t t o d i conquistarmi i favori d i Serafina m i parve u n fatto acquisito. È noto d i quah accostamenti sia capace la fantasia dj u n giovane irmamorato. Quando fummo r i u n i t i attorno al camino, davanti a una caraffa d i punch fumante, potei pavoneggiarmi come l'eroe della giornata. O l t r e a me soltanto i l barone aveva abbattuto u n bel lupo ; gli altri dovettero accontentarsi d i attribuire i p r o p r i t i r i f a l l i t i al maltempo o all'oscurità, e d i raccontare terrificanti episodi d i cacce fortunate e d i pericoli corsi... i n passato. Certissimo d i raccoglier le l o d i e l'ammirazione dello zio, g l i raccontai abbastanza per disteso la mia avventura, non dimenticando d i descrivere a colori assai v i v i d i l'aspetto feroce della fiera assetata dì sangue. L o zio m i rise sulla faccia e commentò : - D i o è forte nei deboli ! Quando, stanco d i bere, stanco d i stare i n compagnia, m i avviai lungo i l corridoio, v i d i davanti a me una figura col lume i n mano sgattaiolare nella sala d'udienza; v i entrai anch'io e riconobbi la signorina Adelaide: - Bisogna p r o p r i o andare vagando come fantasmi, come sonnambuli, per trovarla, mio valoroso cacciatore d i l u p i ! - m i sussurrò prendendomi per mano. Le parole «fantasma», «sormambulo», pronunziate i n quel luogo m i caddero pesanti sul cuore, richiamandomi istantaneamente alla memoria le apparizioni d i quelle due n o t t i tremende. I l vento d i mare ululava come allora,

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nei suoi profondi registri d'organo, filtrando con sibili e scricchiolii paurosi attraverso le finestre ad arco. La luna proiettava la sua pallida luce esattamente sulla parete misteriosa contro cui avevo udito grattare; ora m i parve d i scorgervi una macchia d i sangue. La signorina Adelaide, continuando a tenermi per mano, dovette sentire i l gelo che m i correva per le vene. - Che cos'ha, che cos'ha? - m i domandò sottovoce. - È tutto intirizzito... Aspetti, ora la richiamo alla vita! Sa che la baronessa muore dall'impazienza d i rivederla?... N o n vuole credere che quel terribile lupo non l'abbia morso... Sta terribilmente i n pena... A h , amico mio, che cosa ha fatto alla piccola Serafina ?... N o n l ' h o mai vista cosi !... U h h !... Adesso sf che Ù polso riprende a battere... Guarda guarda come si è svegliato all'improvviso questo signore che pareva morto! Bene: venga, ma faccia piano, m i raccomando. Dobbiamo andare dalla piccola baronessa. M i lasciai condurre tacendo. I I modo i n cui Adelaide parlava della baronessa m i pareva indegno... e quell'accenno a un'intesa fra noi, addirittura volgare. Quando entrai, Serafina lanciò u n piccolo - A h ! . . . - e fece quattro o cinque passi d i corsa per venirmi incontro; p o i si fermò i n mezzo alla camera come pentita. A r d i i prenderle la mano e premermela alle labbra. - M a , santo I d d i o , - disse lei lasciando la mano fra le mie. - Le sembra cosa adatta al suo mestiere prendersela coi lupi?... I tempi favolosi d i Orfeo e d i Anfione sono passati da u n pezzo, non Io sa?... E g l i animali feroci hanno perso ogni rispetto anche per ì cantori più subHml - . Questa graziosa sortita m i tolse ogni possibilità dì male interpretare i l vivo interessamento della baronessa per me, facendomi immediatamente ritrovare i l giusto tono. N o n so neppure Io come aweime; ma invece d i sedere, come sempre, davanti allo strumento, sedetti sul divano accanto a lei. - Dunque, m i dica, come è accaduto?... - Con questa domanda Serafina stabili subito la comune intesa d i dedicare la nostra serata non già alla musica ma alla conversazione. Raccontai la mia avventura nel bosco e accennai al v i v o interessamento del barone, soggiungendo che non l'avrei creduto capace d i tanto. - A h , come deve sembrarle brusco e impetuoso m i o marito! - m i disse lei con una sfumatura d i tristezza nella voce dolcissima. - M a , m i creda, soltanto quando si trova fra queste mura cupe e sinistre, soltanto durante le cacce feroci i n queste desolate foreste d i pini, diventa così: cambia addirittura carattere, o almeno, si atteggia, si comporta i n modo affatto diverso dal solito. L o turba soprattutto l'ossessione che q u i debba accadere qualcosa d i terribile... E perciò la sua disavventura, rimasta fortunatamente senza conseguenze irreparab i l i , deve averlo profondamente scosso. N o n tollera d i sapere espo-

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Sto al pericolo neppure l ' u l t i m o dei suoi servitori... Figuriamoci un , caro amico acquistato da poco! Se veramente ritiene G o t t l i e b col, pevole d i averla piantato i n asso, lo punirà, quand'anche non con la ; prigione, per lo meno infliggendogli i l castigo più umiliante per u n , cacciatore: quello d i farlo partecipare a una caccia senza fucile, con u n randello i n mano... Le cacce, come si fanno q u i , non sono mai prive d i pericolo; perciò, i l fatto che i l barone, pur temendo sempre una sciagura, v i partecipi egli stesso come se si divertisse a sfidare la mala sorte, basta già a metterlo i n uno stato d i rimorso, d i conj flirto interiore, che ha ripercussioni penose anche su d i me. Si rac,.pantano molte strane cose sul conto dell'antenato che istituì i l mag-giorasco... So benissimo che queste mura celano u n tenebroso se, greto d i famiglia, che un terrificante fantasma tiene lontano d i q u i i proprietari, i quali resistono a vivere nel castello soltanto per i l breve periodo delle cacce, i n mezzo a una compagnia sfrenata e chiassosa. M a io?... Pensi come devo sentirmi sola ita tanta confusione!... Come deve turbarmi i l sinistro mistero che trasuda da tutte le pareti!... Con la sua arte, mio caro amico, lei m i ha procurato le prime, le sole ore piacevoli e serene ch'io abbia mai trascorso q u i dent r o ! N o n potrò mai ringraziarla abbastanza - . M i porse la mano ed i o gliela baciai, confessandole d i aver avvertito con mio sommo terrore l'atmosfera sinistra dell'ambiente già fin da] primo giorno, anzi, dalla prima notte; e mentre cercavo di attribuire tale sensazione all'architettura del castello e in special modo alle decorazioni della sala d'udienza, lei m i guardava fisso negli occhi... Probabilmente l'espressione, i l tono del mìo discorso erano tali da lasciar capire che intendevo alludere a un'altra cosa, perché quando tacqui la baronessa protestò impetuosa: - N o , no... Deve esserle accaduto qualcosa d i spaventoso i n quella sala i n cui io non posso entrare senza rabbrividire... La scongiuro, m i dica tutto! - Poiché si era fatta pallida come una morta, compresi che sarebbe stato più prudente riferirle con sincerità com'erano andate le cose piuttosto che lasciar sorgere nella sua fantasia sureccitata uno spettro forse ancor più terrificante d i quello autentico. Serafina m i ascoltò con ansia ed angoscia crescenti. Quando le dissi d i aver sentito grattare alla parete, esclamò: - Che orrore!... Si, si... lo spaventoso segreto si cela diet r o quel muro - ... Raccontai ancora come i l vecchio zio, con la sua grande forza d'animo, avesse esorcizzato i l fantasma; essa trasse allora u n profondo sospiro d i sollievo e, abbandonandosi contro lo schienale del divano, si coperse i l viso con le mani. Soltanto allora m i accorsi che Adelaide ci aveva lasciati soli. Avevo già terminato da u n pezzo i l mio racconto e Serafina continuava a tacere: m i alzai

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senza far rumore, sedetti allo strumento e, traendone una serie d i accordi pieni, solenni, feri del mio meglio per evocare spiriti consolatori capaci d i strappare Serafina dal mondo tenebroso i n cui l'avevo introdotta col mìo racconto. Poi, con la massima dolcezza possibile, intonai u n canto sacro dell'abate Steff ani '; alla malinconica frase « Occhi, perché piangete » Serafina parve destarsi da u n sonno pieno d i torbidi sogni e rimase i n ascolto con u n mite sorriso sulle labbra e gli occhi imperlati d i lacrime... Come avvenne che m i inginocchiai ai suoi piedi, e lei si chinò su d i me, ed Ìo la strinsi fra le braccia, e u n lungo bacio ardente m i si posò sulle labbra?... Come avvenne ch'io non persi Ì sensi e la sentii stringersi dolcemente a me, e poi la lasciai, m i rialzai i n fretta e andai allo strumento?... Dandomi le spalle, la baronessa fece qualche passo verso la finestra, p o i si volse e ritornò verso d i me dignitosa, quasi superba, come non ero solito vederla: - Suo zio è la persona più degna ch'io m i conosca, - m i disse guardandomi d i r i t t o negli occhi. - È l'angelo protettore della nostra famiglia... ~ Possa ricordarmi nelle sue sante preghiere! I o non riuscivo a parlare: i l mortale veleno bevuto insieme a quel bacio, m i ribolliva nelle vene, nei nervi. Entrò la signorina Adelaide; la tempestosa lotta interiore si l i berò in un fiotto d i lacrime cocenti, irrefrenabili. Adelaide m i guardò stupita con u n sorriso ambiguo: m i sarei sentito d i ucciderla. - A d d i o amico mio, - m i disse la baronessa con indicibile soavità, porgendomi la mano. - Stia bene, e ricordi che mai nessuno ha compreso la sua musica meglio d i me. A h ! . . . Queste note risuoneranno per tanto, tanto tempo nell'animo mio! - Balbettai a stento alcune frasi sciocche e incoerenti e corsi i n camera mia. I l vecchio era già andato a dormire. M i fermai nella sala, caddi i n ginocchio, scoppiai i n pianto, invocai ad alta voce Ìl nome dell'amata, m i abbandonai, insomma, a tutte le insanie del furore amoroso; e soltanto quando i l vecchio zio, svegliato dalle mie escandescenze, gridò: - Cugino, sei ammattito?... O stai forse d i nuovo azzuffandoti con u n lupo?--. Fila a Ietto, fammi i l santo favore... - soltanto allora m i ritirai i n camera mia col fermo proponimento d i sognare unicamente Serafina. Ma non riuscii a prender sonno. Poteva essere circa mezzanotte quando m i parve d i udire un insolito andirivieni, u n parlottare lontano, un aprirsi e richiudersi d i porte. Rimasi i n ascolto: sentii appressarsi dei passi, i n corridoio, e p o i qualcuno entrare i n sala e ' Agostino StcfTani (itìj4-i/i8), co :ii pò siluri: d i opere e d i musiche strumentali e d i chiesa, ' I n italiana nel testo.

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Russare alla nostra porta. - Chi è là?... - domandai ad alta voce. Signor avvocato, signor avvocato, si svegli!... - Era Franz, lo r i ^conobbi alla voce; e mentre g l i domandavo: - V a a fuoco i l castel^ ? . . . - l o zio si svegliò urlando: — Cos'è che va a fuoco?... Sta d i nuovo accadendo qualche altra diavoleria?... - A h , si alzi, signor avvocato! - insistette Franz, - i l signor barone chiede d i lei! 'r, - Che cosa vuole i l barone da me, a quest'ora?... - tornò a doiinandare Io zio. — N o n Io sa che la giustizia va a letto insieme al giustiziere e dorme altrettanto sodo?... - A h , caro signor avvocato, si alzi!... - supplicò Franz con affanno. - L'illustre signora baronessa lè i n fin d i vita ! - Con u n grido d i sgomento balzai i n piedi. - A p r i la p o r t a a Franz! — m i urlò lo zio; io già correvo per la camera come impazzito senza riuscir a trovare la porta né la serratura. Dovette venirmi i n aiuto lo zio. Avevamo appena finito d i infilarci g l i abitti i n fretta e furia quando u d i m m o i l barone chiedere dalla sala: i- Posso parlarle, caro V.?... l' - Perché t i sei vestito, cugino? - m i domandò Io zio. - I l baron e ha chiesto soltanto d i me, non hai sentito? - Devo scendere, i-risposi cupo, come annichilito dalla disperazione. - Devo vederla... le p o i morire. - Davvero?... Quand'è cosi hai ragione, cugino, - r i •spose l u i sbattendomi la porta sul naso con tanta energia da farne •scricchiolare i cardini e chiudendola dall'esterno. Indignato da :,quell'atto d i prepotenza ebbi la tentazione d i sfondare la porta a •spallate; ma p o i riflettei che u n simile gesto d i furore scatenato a* vrebbe potuto avere conseguenze disastrose e m i rassegnai ad attendere i l ritorno del vecchio; p o i sarei sfuggito alla sua sorveglianza, l a qualsiasi costo. L o u d i i parlare concitatamente col barone, u d i i ;pronunzÌare parecchie volte i l mio nome ma n o n potei afferrare * niente d i più. A d ogni secondo che passava la mia situazione diventava sempre più angosciosa. Finalmente u d i i sopraggiungere qualcuno con u n messaggio per i l barone e questi allontanarsi d i corsa. L o zìo rientrò i n camera. - È morta? - urlai precipitandomi incon•tro. - E t u sei impazzito, - completò l u i calmissimo prendendomi ;Ì per le spalle e costringendomi a sedere. - Devo scendere, - ripresi a gridare. — Devo scendere... vederla... dovesse costarmi la vita! — Fa' ; pure, caro cugino, - rispose l u i richiudendo la porta e infilandosi la chiave i n tasca. I n t m parossismo d i furore presi la carabina carica e , urlai: - Q u i . . . sotto i suol occhi, m i caccerò una palla nella testa se > non m i apre subito la porta! - Allora egH m i venne vicinissimo e in. chiodandomi con uno sguardo penetrante m i disse: - Credi, ragazzo, d i potermi spaventare con questa mescliina minaccia?... Credi . che m i i m p o r t i molto della tua vita se t u sei tanto sciocco e puerile

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da volerla gettare come u n giocattolo frusto?... Che c'entri t u con la moglie del barone?... Chi t i dà i l d i r i t t o d i immischiarti come un bellimbusto importuno, dove non è i l tuo posto, dove non t i si vuole?... Vorresti giocare al languido pastorello innamorato perfino nell'ora solerme della morte?... - Crollai su ima poltrona armichilito. Dopo qualche istante l o zio riprese i n tono più rabbonito: - Tanto perché t u l o sappia, la baronessa probabilmente non corre alcun pericolo. La signorina Adelaide perde la testa per u n nonnulla: se le cade una goccia d i pioggia sul naso subito strilla: Che spaventoso acquazzone!... Disgraziatamente, l'allarme è giimto fino alle vecchie zie, le quali sono accorse piangendo indecorosamente con u n intero arsenale d i gocce tonificanti, elisir d i v i t a , o che altro so ancora... Soltanto una crisi, u n deliquio... - A questo punto esitò: certamente si era accorto della lotta scatenatasi i n me. Passeggiò alcune volte su e giù per la camera e riprese: - Cugino, cugino... che razza d i sciocchezze m i stai combinando ?... M a h !... O r m a i è fatta... Q u i dentro Satana si sbizzarrisce con le sue diavolerie... t u g l i sei andato allegramente a cadere fra le grinfie e adesso balla i l suo balletto anche con te... - Tornò a far q u a t t r o passi su e giù e soggiunse: - D i dormire ormai non si parla più... Pensavo: se d facessimo una pipatina e trascorressimo cosi queste ultime due orette notturne?... - Andò a prendere una pipa dì terracotta nell'armadio a muro, la caricò adagio, adagio, con cura, mugolando una canzoncina, p o i cercò i m foglietto frugando i n i m gran mucchio d i carte, lo arrotolò, ne fece ima mìccia, la accese. Sbuffando dense nuvole dì fumo mormorò fra i denti; - Dunque, cugino, come te la sei vista col lupo?... - Quel modo d i fare t r a n q u i l l o , la lentezza dei suoi movimenti m i fecero u n effetto stranissimo: m i parve ad u n tratto d i non trovarmi più a R..sitten, m i sentii lontano, lontanissimo dalla baronessa... Potevo raggiimgerla soltanto più sulle ali del pensiero!... Tuttavia, la domanda del vecchio m i urtò: - La trova proprio cosi divertente, cosi ridicola la mìa avventura d i caccia?... - sbottai. - M a niente affatto, - rispose l u i , - niente affatto!... Soltanto, non puoi credere che viso comico sia capace d i fare, che atteggiamenti buffi sia capace dì assumere uno sbarbatello come te quando ìl buon Dìo sì degna d i concedergli, per una volta tanto, un'avventura eccezionale... A v e v o u n compagno d i università, u n ragazzo tranquillo, giudizioso, i n pace con se stesso... L u i , che mai avrebbe dato occasione a i n c i d e n t i del genere, per puro caso si trovò coinvolto i n una faccenda d'onore... La maggior parte degli anziani lo considerava u n debole, u n minchione; e invece egli si comportò con u n coraggio, una decisione tali da conqiùstarsi

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l'ammirazione d i t u t t i . M a da quel giorno si trasformò; i l buon ragazzo zelante, ragionevole, divenne uno smargiasso, un attaccabrighe insopportabile... Gozzoviglie, baldorie, duelli per qualsiasi sciocchezza... F i n i per offendere volgarmente i l seniore d i una fa colta... e venne ucciso i n duello... T i ho raccontato questo fatto cosi, tanto per parlare, caro cugino... Pensane ciò che vuoi!... M a pei tornare alla baronessa e al suo malessere... - I n quel momento ud i m m o u n passo leggero nella sala: m i parve che u n gemito raccapricciante corresse per l'aria... U n pensiero m i colpi come una folgore micidiale: - È morta!,,. - L o zio si alzò i n fretta e chiamò forte: - Franz, Franz! - SÌ, caro signor avvocato, - rispose l'altro d i fuori. - Franz, attizza u n poco i l fuoco nel camino, - continuò lo zio. - E, se possibile, preparaci due buone tazze d i tè... Q u i fa u n freddo cane, - soggiunse volgendosi a me. - Meglio andare d i là a raccontarci qualcosa d i bello davanti al camino - . Aperse la porta; io l o seguii meccanicamente. - Come va dabbasso? - si informò lo zio. - A h , niente d i grave, - rispose Franz. - L'illustre signora baronessa sta d i nuovo benissimo... Attribuisce quel piccolo svenimento a u n brutto sogno - . Avrei voluto gridare dalla gioia ma lo zio m i inchiodò con un'occhiata severa. - Già, - disse p o i . - T u t t o sommato sarebbe meglio posare la testa sul cuscino per u n par d'orette. Lascia stare i l tè, Franz. - Come comanda, signor avvocato, - rispose Franz; e lasciò la sala augurandoci la buona notte — benché fuori già cantassero i galli. - Ascolta, cugino, - m i disse i l vecchio svuotando la pipa nel caminetto. - È già tma buona cosa che n o n t i siano accadute disgrazie coi l u p i e le carabine cariche! - A l l o r a compresi t u t t o e m i vergognai d'avergli dato occasione d i trattarmi come u n bambino cattivo. - Fammi i l favore, caro cugino, - m i disse l o zio la mattina seguente. — Scendi a informarti come sta la baronessa. Se credi, puoi domandare della signorina Adelaide: quella t i fornirà u n bollettino csaurientissimo —. Immaginerete se m i precipitai. M a mentre stavo per bussare piano all'anticamera della baronessa la porta si aprì e ne uscì i n fretta i l barone che si fermò squadrandomi con occhio penetrante e severo. - Che cosa vuole, l e i , qui? - m i domandò. I l cuore m i batteva forte ma m i dominai e risposi con voce ben ferma: - I n formarmi per incarico dello zio, come sta l'illustre signora. - O... non è stato nulla... Una delle sue soUte crisi d i nervi. Adesso dorme tranquilla e sono certo che scenderà a tavola i n perfette condizioni. L o dica, lo dica... - C'era, nel suo modo d i parlare, u n certo impeto passionale che me l o rivelava più preoccupato d i quanto non voles-

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se sembrare. M i voltai per andarmene ma egli improvvisamente m i afferrò per un braccio dicendomi con occhi fiammeggianti: - Devo parlarle, giovanotto ! - Potevo n o n vedere i n l u i unicamente i l marito offeso?... N o n temere una scenata destinata forse a conchiudersi i n modo ignominioso per me?... E r o disarmato; ma i n quel momento ricordai d i avere ancora i n tasca i l coltello a serramanico regalatom i dallo zio appena arrivati a R..sitten. Seguii i l barone, che m i faceva strada a grandi passi, ben deciso a n o n risparmiare la vita di nessuno se appena avessi corso i l rischio d i venir trattato indegnamente. I l barone m i condusse nella sua camera, chiuse la porta diet r o d i sé, passeggiò alcune volte avanti e indietro, con le braccia conserte, p o i m i si fermò d i fronte e ripetè: - Devo parlarle, giovanotto - . M ' e r a venuto addosso u n coraggio addirittura temerario e non esitai a ribattere: - Spero d i poterla ascoltare senza esser costretto a reagite I l barone m i guardò stupito, come se non m i capisse. Poi fissò a terra uno sguardo tetro, si mise le maiù dietro la schiena e riprese a passeggiare su e giù. Staccò una carabina dalla parete, infilò la bacchetta nella catma come per accertarsi se fosse carica o no... I l sangue m i diede u n tuffo: portai la mano al coltello e m i accostai al barone per rendergli impossibile pimtare l'arma contro d i me. - Bel fucile, - disse l u i , riponendolo i n u n angolo. Indietreggiai d i alcuni passi; ora f u l u i ad avvicinarsi a me e, battend o m i sulla spalla una manata anche più energica del necessario, mi disse: - Devo sembrarle eccitato e turbato, Teodoro, ed infatti lo sono, perché ho vegHato tutta la notte, fra mille affanni. La crisi nervosa d i mia moglie n o n è stata affatto pericolosa, ora me ne rendo conto; ma q u i , i n questo castello dove vaga uno spirito tenebroso, temo sempre le cose più o r r i b i l i ; ed era anche la prima volta che mia moglie si ammalava q u i . La colpa è tutta sua, signore, esclusivamente sua! - Risposi calmissimo che non avevo la minima idea d i come ciò potesse essere vero. — O h ! — continuò l u i . ~ O, se quella maledetta, quella malaugurata cassa della signora ispettrice si fosse fracassata i n mille pezzi sul ghiaccio!... O h , se lei... M a no, no... Doveva andare cosi. La colpa è stata tutta mia: quando lei ha incominciato a far musica nell'appartamento della baronessa toccava a me metterla al corrente della situazione, spiegarle lo stato d'animo di mia moglie - . Feci per parlare: - M i lasci dire, - continuò l u i troncandomi la parola. - Devo impedirle d i formulare qualsiasi giudìzio affrettato... L e i m i crederà u n uomo rude, u n nemico dell'arte. N o n è affatto vero. M a sono profondamente convinto d i non dover lasciar entrare q u i dentro, per misura precauzionale, nessuna musica capace dì commuovere, d i turbar l'animo d i chicchessia, compreso

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i l mio. Sappia che mia moglie soffre d'un'ipersensibìlità nervosa tale da toglierle tutta la gioia d i vivere. D i solito sono crisi saltuarie, preludenti talvolta a una malattia vera e propria - ; ma q u i , fra queste fantastiche mura, lo stato d i sovreccitazione n o n recede mai. M i domanderà con ragione perché io non risparmi a una donna cosf delicata questo soggiorno sinistro, questa brutale e chiassosa vita d i caccia. La chiami pure una debolezza: ma sta d i fatto che n o n m i è possibile lasciarla indietro, sola... Sarei continuamente i n pena, pieno d i mille paure, incapace d i far nulla d i serio... I l pensiero d i t u t t i i terribili guai che potrebbero accaderle m i perseguiterebbe anche nel bosco, nella sala d'udienza, dovunque, lo so... E p o i credo che a una donna cosi sensibile e delicata questo genere d i vita possa, i n fondo, giovare, come una specie d i bagno ferruginoso rinforzante... L ' u r l o caratteristico del vento d i mare fra i p i n i , l'abbaiar roco dei cani, l'allegro e battagliero squillo dei corni devono sopraffare, vincere i languidi piagnistei del pianoforte. U n uomo n o n dovrebbe mai suonare c o s i . Invece lei si è prefisso d i tormentare a morte mia moglie, metodicamente... - Disse queste parole alzando la voce, con u n bagliore crudele negli occhi. I l sangue m i sali alla testa, feci i m nervoso cenno d i mano, cercai d i parlare ma egH me l o i m pedi: - So che cosa v u o l dire, - riprese, - e le ripeto che lei stava uccidendo mia moglie. N o n gliene faccio una colpa ma, l e i capisce, devo mettere freno alla cosa. Insomma: l e i dapprima ha eccitato mia moglie con la musica, i l canto; e quando essa già vagava alla deriva sul mare sconfinato dei presagi, delle visioni oniriche evocato dalla mafia della musica, l'ha tirata a fondo raccontandole d'aver assistito a una paurosa manifestazione spiritica nella sala d'udienza. Suo zio m i ha riferito ogni cosa ma, la prego, m i ripeta t u t t o ciò che ha visto, o creduto d i vedere, t u t t o ciò che ha udito, percepito, sospettato - . Raccolsi le idee e raccontai con calma l'accaduto, da capo a fondo. I I barone si lasciava sfuggire d i tanto i n tanto qualche breve parola d i stupore. Quando descrissi come l o zio avesse affrontato i l fantasma con religioso coraggio per p o i scacciarlo con le sue energiche parole, i l barone levò le mani giunte al cielo ed esclamò con fervore; - Si, è l'angelo tutelare della nostra famiglia!... L a sua spoglia mortale dovrà riposare nella cripta degli antenati! Quand'ebbi finito riprese a passeggiare avanti e indietro per la camera a braccia conserte mormorando come tra sé; — Daniele, Daniele... che cosa f a i q u i a quest'ora?... - N o n c'è altro, barone? - domandai ad alta voce, facendo l'atto d i andarmene. E g l i parve svegliarsi d i soprassalto, m i prese affabilmente per mano e m i disse: - Già, caro amico; senza volerlo lei ha ridotto mia moglie i n

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questo stato... ed ora dovrà aiutarla a rimettersi. L e i solo può farlo - . M i sentii arrossire: se fossi stato davanti a uno specchio avrei certamente visto una faccia alquanto sciocca e confusa. I l barone sembrava godere del m i o imbarazzo: m i guardava fisso negli occhi con u n sorriso insopportabile: - M a , i n nome del cielo... come potrei fare una cosa simile?... - riuscii finalmente a balbettare. - V i a , via, - m i interruppe l u i . ~ N o n avrà a che fare con una paziente pericolosa! Ora io faccio espressamente appello alla sua arte: la baronessa ormai si è lasciata attrarre nel cerchio magico della musica e volerla strappar via all'improvviso sarebbe stolto e crudele. Contin u i dunque a far musica. Qualsiasi sera lei sarà i l benvenuto nelle camere d i mia moglie; però cerchi d i passare gradualmente a musiche più energiche, alterni con scaltrezza i l genere gaio a quello ser i o . E soprattutto le ripeta molto spesso Ìl racconto della sinistra apparizione cui ha assistito: la baronessa v i si abituerà, e la storia finirà per non farle maggior effetto d'una delle tante favolette che già avrà potuto leggere i n u n qualsiasi romanzo, i n una qualsiasi raccolta d i storie d i fantasmi. Faccia cosi, caio amico! - Con queste parole m i congedò. M i ritirai annientato, svilito al rango d'un ragazzino stolto e insignificante! E i o , pazzo, avevo creduto che potesse essere geloso d i me!... Egli stesso m i mandava da Serafina, m i considerava u n « mezzo » p r i v o d i volontà da usarsi o gettarsi via, a proprio piacere! Pochi m i n u t i prima lo temevo ancora, perché covavo i n fondo alla coscienza u n senso d i colpa... ma era proprio quel senso d i colpa a farmi sentire con chiarezza la vita più alta, più meravigliosa per cui m i ero reso maturo... O r a t u t t o ripiombava nella tenebra nera, e io vedevo soltanto più uno sciocco ragazzo cosi puerilmente infatuato da porsi sul capo una corona dì carta e crederla d'oro vero... - Corsi dal vecchio, i l quale già stava aspettandomi: - Allora, cugino, si può sapere dove t i eri cacciato?... - m i gridò vedendomi entrare. - H o parlato con Ìl barone, - risposi frettolosamente sottovoce, senza guardarlo. - Corpo d i Bacco! - esclamò l u i fingendosi stupito. - Corpo d i Bacco... l o avevo immaginato!... Ti barone t i avrà certamente sfidato a duello, non è vero, cugino? - E su questa sortita scoppiò i n una sonora risata, dandomi ad intendere d'avermi una volta d i più - come sempre - letto nell'anima. Strinsi i denti e non risposi sillaba ben sapendo che lo zio n o n attendeva d i meglio per annientarmi con le canzonature che già g l i frizzavano sulla punta della lingua. La baronessa scese a tavola i n una graziosa veste da mattina, i l cui smagliante candore superava quello della neve caduta d i fresco. Era pallida e sbattuta; ma quando, nel parlare melodiosamente sot-

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tovoce, sollevava l o sguardo, u n lampo di desiderio, d i dolce struggimento le guizzava negli occhi scuri e appassionati, e u n fugace rossore le imporporava le guance pallide come gigli. Era più bella che mai. C h i può commisurare le follie dì u n giovane dalla testa, dal cuore i r r o r a t i d i sangue troppo caldo ?... L'amaro rancore suscitato i n me dal barone l o riversavo sulla baronessa. T u t t o m i sembrava un'infame presa i n giro e perciò volevo dimostrarmi nel pieno possesso delle mie facoltà mentaU e straordinariamente perspicace. Evitai la baronessa come avrebbe potuto fare u n bambino imbronciat o , sfuggii agli inseguimenti della signorina Adelaide riuscendo a , prender posto, proprio come volevo, i n fondo alla tavola, fra i due soliti ufficiali, coi quali m i misi a sbevazzare gagliardamente. A l l e f r u t t a toccammo svariate volte i bicchieri e, come spesso accade quando sì è i n u n certo stato d'animo, m i comportai i n modo insolitamente allegro e chiassoso. U n domestico m i porse alcuni confetti . su u n piatto sussurrandomi; — D a parte della signorina Adelaide - . L ì presi, e subito mì avvidi che su uno d i essi erano state scarabocd i i a t e a matita queste parole: « E Serafina?» - I l sangue mì r i b o l l i •nelle vene. Guardai Adelaide la quale m i ricambiò un'occhiata scal; t r a , maliziosa, accompagnandola con u n impercettibile cenno d i testa. Quasi senza volerlo mormorai: - Serafina!... - e, preso i l bicchiere, l o svuotai t u t t o d ' u n fiato. ^! I l m i o sguardo volò a lei: v i d i che anch'essa aveva bevuto e sta;Va appunto deponendo i l bicchiere. I nostri occhi sì incontrarono: ; u n demone maligno m i bisbigliò all'orecchio: - Sciagurato!... Epp u r e lei t i ama! - U n o dei commensali si alzò per brindare aUa pa,;Jrona d i casa, secondo l'usanza nordica. I bicclfieri tintinnarono fra • i l chiassoso tripudio generale. Delizia e disperazione m i laceravano .;ÌÌI cuore, i l calore del vino m i saUva alla testa, t u t t o m i girava intoriflo... m i pareva dì dovermi gettare ai piedi d i l e i , sotto g l i occhi d i ^.tutti, e render l'anima!... - Che cos'ha, caro amico?... - m i doman•;dò i l m i o vicino. Questa domanda m i fece ritornare i n me : ma Sera(.ifina era scomparsa. Si levaron le mense. Volevo andarmene ma ;;AdeIaide m i trattenne parlandomi d i non so quante cose, senza ìch'io udissi né comprendessi una sola parola. A d u n tratto m i prese Ih mani e m i gridò qualcosa all'orecchio ridendo forte. Rimasi multo, immobile, come colpito dalla paralisi. So soltanto che alla fine le tolsi meccanicamente d i mano u n bicchiere d i liquore, lo svuotai e p o i m i ritrovai solo davanti a una finestra. A l l o r a corsi via a p r c d •pizio, giù per le scale, f u o r i , nel bosco. La neve cadeva fitta, i pìna(fstri gemevano squassati dalla bufera. M i misi a correre i n tondo cole u n pazzo, ad ampi cerchi, ridendo e gridando selvaggiamente:

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- G u a r d a t e . . . guardate!... Olà!... I l diavolo fa i l suo balletto col ragazzino che voleva gustare Ì f r u t t i rigorosamente p r o i b i t i ! . . . — D i o solo sa come sarebbe finito quel gioco se ad u n tratto non m i fossi sentito chiamare forte, per nome. L'uragano s'era calmato, la luna splendeva chiara fra le nubi lacerate... Sentivo i mastini battere i l bosco. Poi v i d i avvicinarsi una sagoma scura: era i l vecchio guardiacaccia. - Ehilà!... Caro signor Teodoro... Come mai è venuto a sperdersi i n questa tormenta d i neve?... I I signor avvocato la attende con grande impazienza! - L o seguii i n silenzio. Trovai lo zìo al lavoro nella sala d i udienza. — H a i fatto bene, — m i disse vedendomi entrare. - H a i fatto benìssimo a uscire u n po' a rmfrescartì... N o n bere tanto vino: sei ancora troppo giovane, n o n t i fa bene - . Sedett i al tavolo senza dire una parola. - M a , d i m m i , caro cugino, - riprese l u i , — che cosa t i voleva dire dì precìso Ìl signor barone?... - G l i raccontai t u t t o e conchìusi dichiarando che non intendevo affatto cooperare alla problematica «cura» proposta dal barone. - E I n ogni caso non sarebbe possibile, - disse luì senza lasciarmi finire, - perché partiamo domattina presto, caro cugino ~. Cosi facemmo, infatti. Serafina non la r i v i d i mai più! Appena giunti a K., i l vecchio zìo si lagnò d'aver risentito più del solito degli strapazzi del viaggio. I l suo silenzio cupo, imbronciato, interrotto da violenti sfogfu d i malumore, preannunziava i l ritorno d'uno dei soliti attacchi d i podagra. U n giorno venni chiamato d'urgenza: trovai lo zio a letto, colpito da apoplessia, privo della favella. Nella mano spasmodicamente contratta stringeva una lettera stazzonata; riconobbi la scrittura dell'ispettore aziendale d i R..sÌtten ma, sconvolto dal dolore e convìnto che lo zio stesse per morire, non osai togliergli i l foglio dì mano. Invece, prima ancora che arrivasse i l dottore, i l polso riprese a battere, la eccezionale fibra del vecchio settanterme reagì all'attacco mortale e entro la giornata stessa i l medico potè dichiararlo f u o r i pericolo. A u n inverno più rigido che mai segui una primavera piovosissima e cosi, non tanto i l colpo apoplettico quanto la podagra fomentata dal clima avverso, costrinsero i l vecchio zìo a una lunga degenza. Durante quel periodo egli decise d i ritirarsi completamente dagli affari, trasferi ad altri t u t t i i p r o p r i incarichi dì legale e con ciò svani ogni mia speranza d i mai più ritornare a R..sitten. L o zio tollerava soltanto la mia assistenza, soltanto da me si lasciava distrarre, tenere allegro. M a neppure quando, nei momenti d i tregua, g l i ritornava i l buonumore e ci rimettevamo a chiacchierare senza risparmio dì scherzi grassocci, neppure quando andavamo a ricadere nelle storie dì caccia e io m i aspettavo da u n momento all'altro dì sentir saltar f u o r i

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la mia eroica gesta del lupo ucciso a coltellate, neppure allora g l i avveniva - né mai più g l i avvenne - d i lasciarsi sfuggire u n solo accenno al nostro soggiorno i n R..sitten; e, come chiunque potrà comprendere, la mia naturale timidezza m i impediva - e m i impedi sempre - d i ricondurlo su quell'argomento. Le gravi preoccupazioni, la faticosa, incessante assistenza allo zio malato, avevano risospinto i n secondo piano i l ricordo d i Serafina. M a non appena lo zio incominciò a migliorare l'attimo felice della camera della baronessa m i ritornò più vivo che mai alla memoria, come una stella luminosa tramontata per sempre. U n fatto singolare ridestò p o i all'improvviso tutta la mia pena, facendomi raggelare come u n messaggio d'oltretomba. Una sera, aprendo i l portafogli che avevo portato a R..sitten, ne v i d i cadere d i fra le carte u n ricciolo bruno legato con u n nastro bianco: riconobbi immediatamente i capelli d i Serafina! Osservai meglio i l nastro: era macchiato d i sangue!... Forse, durante la folle esaltazione d i quegli u l t i m i gioriù, Adelaide era riuscita a infilarmi abilmente i n tasca quel ricordo... M a perché le gocce d i sangue?... Perché quel pegno d'amore quasi esageratamente pastorale assumeva ad u n tratto le proporzioni d i tremendo richiamo a una passione che veramente poteva costare i l prezioso sangue del cuore?... Si: era lo stesso nastro bianco che durante i l m i o p r i mo incontro con Serafina m i ero visto svolazzare intorno, lieve e leggero, come i n u n frivolo gioco; ed ora le potenze tenebrose g l i avevano impresso i l marchio della ferita mortale. I fanciulH n o n devono giocare con armi d i cui n o n comprendono la pericolosità !... G l i acquazzoni primaverili avevano finalmente smesso d i i m perversare, l'estate reclamava i suoi d i r i t t i . E se prima Ìl freddo era insopportabile, agli inizi d i luglio divenne insopportabile i l caldo. I l vecchio zio si rimetteva a vista d'occhio e aveva ripreso a recarsi a passeggio i n u n giardino d i periferia. Durante una serata tiepida e tranquilla sedevamo sotto u n pergolato odorante d i gelsomino. Lo zio era insolitamente allegro, ma non i n vena d i umorismo sarcastico, come d'abitudine, bensì d i dolcezza, quasi d i tenerezza. - Cugino, - m i disse, - non capisco che cosa m i stia accadendo: oggi m i sento come non m i sentivo più da m o l t i anni: sono tutto pervaso da un senso dì benessere stranissimo, da una specie d i calore elettrico... Credo m i preannunzi la morte vicina... - Cercai d i distoglierlo da quel fosco pensiero. - Lascia andare, cugino, - r i spose. - N o n rimarrò più per molto tempo quaggiù. M a prima voglio saldare u n debito con te. Pensi ancora all'auturmo trascorso ad R..sitten?... - Questa domanda m i colpì come una folgore ma, senza darmi i l tempo d i rispondere, lo zìo continuò: - I l cielo ha volu-

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to che t u entrassi i n quel luogo i n u n modo assai singolare e venissi coinvolto, contro la tua volontà, nei più gelosi segreti della famìglia. O r a è tempo che t u sappia t u t t o . Troppe volte, cugino, abbiamo parlato d i cose che t u i n t u i v i più d i quanto non capissi. La natura riproduce simbolicamente i l ciclo della vita nel giro delle stagioni : questo l o dicono t u t t i , ma Ìo lo intendo diversamente dagli altri. Le nebbie primaverili si diradano, evaporano le foschie estive: e soltanto la purissima, trasparente aria autunnale permette di scorgere i l paesaggio lontano, almeno fino a quando i l nostro povero mondo non ripiomba nella notte invernale. Con questo intendo dire che i n vecchiaia si vedono più chiari i segni della potenza imperscrutabile. A i vecchi è concesso gettare uno sguardo alla terra promessa verso cui ci si può avviare soltanto dopo la morte corporale. Come m i appare chiaro i n questo momento i l tragico destino d i quella famiglia cui io f u i u n i t o da legami più solidi dei vincoli di parentela!... Sapessi come t u t t o è evidente agli occhi del mio spirito... Eppure l'essenziale non te l o posso ripetere a parole: nessun linguaggio umano ne sarebbe capace. Ascolta, figlio mio, ciò che sarò capace d i raccontarti come una storia straordinaria - ma veramente accaduta. - E convinciti profondamente che la misteriosa trama d i eventi I n cui t u forse stavi per lasciarti coinvolgere senza esserci stato chiamato, avrebbe potuto essere la tua rovina!... Ma adesso è passato... è passato... La storia del maggiorasco d i R..sitten, cosi come me la raccontò i l vecchio zio (parlando d i se stesso i n terza persona), m i è rimasta cosf bene impressa nella memoria che credo d i essere i n grado d i ripeterla quasi con le stesse parole.

Durante una burrascosa notte autunnale dell'anno 1760, uno schianto, u n boato spaventevole, come se l'intero castello fosse crollato i n mille frantumi, destò d i soprassalto la servitù addormentata. I n u n baleno t u t t i furono i n piedi... Si accesero i l u m i . I l maggiordomo pallido, terrorizzato, accorse ansimando col suo mazzo di chiavi. I I gruppo procedette per le gallerie, passò d i camera i n ca mera, d i sala i n sala, i n i m silenzio dì tomba r o t t o soltanto dal cigolio delle serrature aperte a fatica e dal sinistro rimbombare dei pas si: procedette con crescente stupore perché t u t t i g l i ambienti apparivano i n t a t t i : non la minima traccia d i devastazione o d i danno, in nessun luogo. I I vecchio maggiordomo f u colto da u n fosco presentimento. Salì nella grande sala dei cavalieri sapendo che Ìl barone Roderico quando si dedicava alle osservazioni astronomiche solevii

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riposare i n u n salotto laterale, fra la cui porta e quella d i u n altro salotto ve n'era una terza la quale, per uno stretto passaggio, adduceva direttamente alla torre astronomica. Quando Daniele - i l maggiordomo - apri quella porta l'uragano g l i scagliò sulla faccia, ululando e sibilando spaventosamente, u n getto d i detriti e calcinacci. E g l i balzò indietro inorridito, lasciò cadere i l doppiere - le cui candele si spensero scoppiettando - e gridò: - O Dìo del cielo... i l barone si è sfracellato!... - I n quel momento si udirono esclamazioni accorate provenienti dalla camera da letto del barone. Daniele accorse e vide g l i altri servitori radunati attorno al cadavere del padrone: lo avevano trovato cosi, seduto sulla sontuosa poltrona, vestito d i t u t t o punto e più sfarzosamente del consueto, col viso composto i n una calma solenne, come se riposasse dopo u n importante lavoro: e dormiva invece i l sonno della morte. Quando si fece giorno si constatò che la vetta della torre era sprofondata; le grosse pietre quadrate avevano sfondato soffitto e pavimento dell'osservatorio astronomico e, precipitando con forza raddoppiata insieme alle poderose travature sulla volta sottostante, avevano sfondato anche quella. N e l crollo erano stati travolti anche una parte del muro esterno e dello stretto passaggio adducente alla torre. N o n si poteva fare u n passo oltre la porta della sala senza correr pericolo d i precipitare i n una voragine profonda almeno ottanta piedi. I l vecchio barone aveva esattamente previsto e comunicato al figlio primogenito la data e l'ora della propria morte. Perciò i l barone Volfango von R., nuovo signore del maggiorasco, i l giorno dopo giungeva già a R..sitten. Raggiunto a Vienna, dove si trovava ìn viaggio, dalla lettera fatale, aveva dato giusto credito al presentimento del vecchio padre ed era subito accorso. I l maggiordomo aveva fatto parare a l u t t o la grande sala e q u i v i esposto i l barone, così com'era stato trovato, su u n sontuoso letto funebre circondato da alti candelieri d'argento. Volfango salì la scala i n silenzio, entrò nella sala, si avvicinò al catafalco e là rimase a braccia conserte, cupo, accigliato, rigido come una statua, a fissare senza una lacrima Ìl volto cereo del padre. Infine, agitando i l braccio destro a scatti quasi spasmodici i n direzione del morto, mormorò cupamente: - T i costrinsero le stelle a rendere miserabile i l figlio che amavi?... Gettò indietro le mani, arretrò d i u n passo, volse lo sguardo al soffitto e soggiunse a bassa voce, quasi con dolcezza: - Povero vecchio stolto!... La carnevalata con le sue sciocche illusioni è finita! Adesso potrai constatare come i beni d i questa terra, d i s t r i b u i t i con tanta avarizia, n o n abbiano nulla i n comune col mondo d i là, al d i sopra delle stelle... Quale forza, quale volontà continua a valere o l -

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tre la tomba?... - Tacque d i nuovo per alcuni istanti p o i proruppe con violenza: — N o ! . . . La tua ostinazione non dovrà rubarmi neppure un'oncia d i quella felicità che cercasti d i distruggere - . E, tratta d i tasca una carta piegata, la tese verso uno dei ceri reggendola con due dita; la fiamma lambì i l foglio, lo accese, divampò alta; i l riverbero tremò sul viso del cadavere dando la sensazione che i muscoh si contraessero e i l vecchio pronunziasse parole prive d i suono. I servitori, schierati a una certa distanza dal catafalco, rabbrividirono i n o r r i d i t i . I l barone terminò con calma l'operazione, lasciò cadere l ' u l t i m o pezzetto d i carta ancora accesa, l o spense accuratamente col piede, lanciò un'ultima occhiata torva al padre e uscì i n fretta dalla sala. I l giorno dopo Daniele lo informò del crollo della torre e g l i descrisse con dovizia d i parole quanto era accaduto durante la notte i n cui i l compianto signore aveva perso la vita. Era consigliabile e urgente - concluse - far riparare la torre, altrimenti nuovi crolli avrebbero, se n o n proprio distrutto, quanto meno gravemente danneggiato l'intero castello. - Ricostruire la torre?.,. - lo aggredì Ìl barone con occhi fiammeggianti d i collera. - Questo mai!... M a non capisci, vecchio, soggiunse più calmo, - che la torre non sarebbe potuta crollare così, senza alcun motivo?... E se fosse stato mìo padre stesso a desiderare la distruzione del laboratorio i n cui effettuava le sue sinistre operazioni astrologiche?... E se avesse applicato egli stesso u n congegno tale da permettergli d i far crollare al momento voluto la vetta della torre e travolgere t u t t o , all'interno?... Comunque sìa: croll i pure t u t t o i l castello, per me va benissimo... Credete forse ch'io abbia intenzione d i venirmi a stabilire i n questo assurdo nido d i civette?... N o ! . . . Seguirò l'esempio del saggio antenato che fece porre le fondamenta d i u n nuovo castello là, nel bel fondovalle. Quell'antenato m i ha preceduto, ha lavorato per me. I o continuerò... - E cosi i vecchi e fedeli servitori dovranno far fagotto, - commentò Daniele a mezza voce. — Naturalmente n o n ho intenzione d i farmi servire da vecchi invalidi e malfermi sulle gambe. M a scacciare non scaccerò nessuno. N o n avendo più da lavorare, i l pane della carità sarà già anche d i troppo per voi... - I o . . . i l maggiordomo... r i d u r m i così, all'inattività... - esclamò i l vecchio con grande amarezza. A l l o r a Ìl barone che già g l i aveva voltato le spalle per uscire, tornò improvvisamente a voltarsi, rosso i n viso per la collera, e gridò con voce terribile mostrandogli i pugni: - Come u n cane rognoso dovrei scacciarti, vecchio birbante ipocrita, che esercitavi le male arti con mio padre, lassù nella tor-

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re, e t i eri posato sul suo cuore come u n vampiro, e forse hai approfittato della sua demenza senile per convincerlo a prendere le diaboliche decisioni che m i hanno portato sull'orlo del disastro... A calci, come i m cane rognoso dovrei scacciarti... — A l prorompere della tremenda sfuriata i l vecchio maggiordomo era caduto i n ginocchio davanti al signore; e poiché nella collera i l corpo spesso segue meccanicamente U pensiero, nel pronunziare le ultime parole i l barone, forse senza volerlo, vibrò veramente una pedata e colse i n pieno petto Daniele con tanta forza da farlo ruzzolare sul pavimento. Daniele crollò con u n grido soffocato; p o i si rialzò a stento emettendo uno strano mugolio, simile al gemito d i u n animale ferito fl morte e fissando sul barone uno sguardo carico d i disperato furore. La borsa d i danaro gettatagli dal suo signore prima d i andarsene la lasciò sul pavimento senza nemmeno toccarla. Erano giunti frattanto Ì parenti prossimi abitanti nelle vicinanze. I l vecchio barone verme tumulato con gran pompa nella tomba d i famiglia, situata entro la chiesa dì R..sitten. R i p a r t i t i gU ospiti, i l nuovo signore del maggiorasco parve scordare i pensieri foschi e rallegrarsi molto dei beni acquisiti. Dopo aver parlato con V . , procuratore legale del defunto padre, g l i diede piena fiducia e lo riconfermò nella carica. Fece quindi t m conto esatto dei proventi del maggiorasco e cercò d i stabilire d i quale somma potesse disporre per le necessarie migfiorie e per la costruzione d i u n nuovo castello. A giudizio d i V . non era possibile che i l vecchio barone avesse consumato per intero Ì redditi annuaU. Fra le corrispondenze e le carte erano state trovate soltanto alcune somme irrilevanti In banconote, e poco più d i mille talleri entro una cassetta d i ferro: c'era dunque certamente dell'altro danaro nascosto da qualche parte. E chi altri poteva saperlo se non Daniele?... Ostinato e caparbio com'era, forse aspettava soltanto che glielo domandassero ; ma forse anche si sarebbe lasciato uccidere piuttosto che rivelare Ìl nascondìglio d i eventuaH tesori; e non certo per avidità (...che cosa avrebbe potuto farsene d'una così grossa somma d i danaro quel vecchio senza figli, che non desiderava altro se non d i finire ì p r o p r i giorni nel castello d i R..sitten?...) ma per vendicarsi della grave offesa subita. I l barone, molto preoccupato, riferì a V . l'incidente occorsogli con Daniele, spiegandogli d i aver saputo da diverse f o n t i che era stato soltanto l u i , i l vecchio maggiordomo, ad alimentare nel padre quell'inspiegabile mania d i non voler rivedere ì p r o p r i figli nel castello d i R..sìtten. L'avvocato dichiarò totalmente false tali voci: perché nessun individuo al mondo sarebbe mai stato i n grado, non diciamo d i provocare, ma neppure dì influenzare le decisioni del vecchio ba-

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rone; e prese su d i sé l'incarico d i strappare a Daniele i l segreto d i eventuali somme nascoste i n qualche angolo. N o n gH costò molta fatica. N o n ebbe che da dire: ~ Come mai, Daniele, i l vecchio signore ha lasciato COSI poco denaro liquido?... — e l'altro rispose con u n indisponente sorriso: - Allude a quei miserabili quattro talleri t r o v a t i nella cassetta, signor avvocato?... I l resto è nella cripta accanto alia camera da letto del compianto signore. M a i l meglio, proseguì mentre quel suo sorriso si trasformava i n u n orrendo sogghigno e u n bagliore rossastro g l i guizzava negli occhi: - i l meglio, e cioè molte, molte migliaia d i monete d'oro, è sepolto laggiù, sotto le macerie! L'avvocato chiamò subito i l barone: andarono nella camera da letto, Daniele toccò qualcosa nel tavolato della parete e apparve una serratura lucente. I I barone la esaminò con occhi pieni d i cupidigia, trasse a stento d i tasca u n grosso e tintinnante mazzo d i chiavi, si inginocchiò, incominciò a provarle ad una ad una. A l l o r a Daniele si erse I n tutta la sua statura, lanciò dall'alto, sul padrone inginocchiato, i m o sguardo pieno d'orgoglio e d i cattiveria e disse con voce tremante e la morte dipinta sul viso ; - Se sono u n cane, signor barone illustrissimo, del cane ho pure conservato la fedeltà ! - e con queste parole g l i porse una lucida chiave d'acciaio. I l barone gliela strappò d i mano con cupidigia febbrile e aperse la porta senza difficoltà. Entrarono i n una cripta angusta, bassa, videro u n grosso forziere metallico aperto; sui sacchetti d i denaro d i cui era colmo c'era u n biglietto. Con i suoi ben n o t i caratteri grandi, antiquati, i l vecchio barone aveva scritto: C e n t o c i n q u a n t a m i l a talleri i m p e r i a l i i n vecchi federichi d'oro. Q u e s t a s o m m a , r i s p a r m i a t a s u i p r o v e n t i de] feudo d i R . . s i t t e n , è destinata alla costruzione d e l castello. C o n essa i l m i o successore dovrà i n o l u c far costruite ed accendere t u t t e l e notti p e r l a sicurezza d e i naviganti u n grande faro sulla coll i n a p i l i alta, situata a oriente della torce che troverà crollata. R . . s i t t e n , l a notte d i s a n M i c h e l e d e l l ' a n n o 1 7 6 0 . R o d e r i c o , barone d i R.

Soltanto dopo aver estratto dallo scrigno e lasciato ricadere ad u n o ad u n o t u t t i i sacchetti, godendo all'udire i l tintionio dell'oro, i l barone si volse i n fretta al vecchio maggiordomo, Io ringraziò per quella prova d i fedeltà, scusandosi d i averlo maltrattato per aver prestato fede a chiacchiere calunniose. N o n soltanto doveva rimanere al castello, ma conservare la carica d i maggiordomo con stipendio raddoppiato. - T i devo una grossa riparazione, - concluse abbassando l o sguardo davanti al vecchio e additandogli l o scrigno

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cui si era d i nuovo avvicinato per soppesare i sacchetti. - Se v u o i dell'oro, prendi uno d i questi... I I maggiordomo si fece d i fiamma. D I nuovo emise quel raccapricciante mugolio simile al gemito d'un animale ferito a morte, descritto dal barone all'avvocato. Questi rabbrividì, perché gli parve dì sentirlo mormorare fra ì denti qualcosa come: - Sangue... n o n oro!... - Immerso nella contemplazione del suo tesoro, i l barone non si era accorto d i nulla. Daniele, scosso i n tutte le membra da una specie d i spasmo febbrile, g l i si avvicinò umilmente a capo chì: no, g l i baciò la mano e disse con voce piagnucolosa passandosi I I fazzoletto sugli occhi come per tergersi le lacrime: - A h , mio caro, m i o buon signore... che me ne farei dell'oro i o , povero vecchio sen^ za figli?... M a i l doppio stipendio l o accetto con gioia. Farò i l m i o ' servizio con t u t t o l'Impegno! I l barone, senza badargli troppo, lasciò ricadere i l pesante coperchio dei forziere, sf che tutta la cripta ne rimbombò, e dopo a- verlo richiuso e ritirata la chiave, gettò là i n fretta: - Bene, bene, vecchio... - Quando furono d i nuovo nella sala soggiunse: - Però, non avevi anche parlato d'una gran quantità d i monete d'oro sepolte sotto le macerie della torre?... I l vecchio si avvicinò alla porta ìn silenzio e, con molta fatica, la

àpd. M a appena ebbe smosso i l battente l'uragano irruppe nella sala trascinandovi u n fitto turbine d i neve; i m corvo impaurito si mise a svolazzare i n tondo gracidando e sbattendo le ali contro le finestre • e, ritrovata l'uscita, si tuffò nel baratro. I l barone uscì nel corridoio, gettò uno sguardo i n basso e subito si ritrasse Inorridito. - Spaven,,toso... - b a l b e t t ò . - . . . M i girala testa... - e si abbandonò quasi sven u t o fra le braccia del legale. M a si riprese quasi subito, scrutò i l vecchio con uno sguardo indagatore e g l i chiese: - Là sotto?... • Daniele aveva frattanto richiuso la porta e continuava a rirare con , tutte le sue forze, mugolando e ansimando, per togHere la chiave «dalla serratura arrugginita; quando l'ebbe tolta si volse al barone e, 'iacendola dondolare insieme alle altre grosse chiavi, rispose con ; uno strano sorriso: - Si, là sotto c'è roba per migliaia e migliaia d i /talleri... t u t t i i begli strumenti del compianto signore... telescopi, quadranti, globi, riflettori... t u t t o fracassato fra le macerie, sotto le pietre e le travi... - M a denaro... denaro Hquido... - insistette i l barone. - N o n :«vevi parlato d i monete d'oro, vecchio?... - Intendevo soltanto... :^Oggetti che sono costati molte migliaia d i monete d'oro, - rispose j l ^ n l e l e . E n o n c i f u verso dì cavargli una parola d i più. I I barone

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sembrava felice d i aver trovato ad u n tratto i mezzi necessari per attuare Ìl progetto che più g l i stava a cuore: la costruzione d'un nuovo, grandiosissimo castello. Per dire i l vero, l'avvocato era del parere che i l defunto avesse inteso alludere unicamente alle riparazioni, alla integrale ricostruzione dell'antico castello, perché ben difficilmente u n edificio nuovo ne avrebbe eguagliato la maestosa grandiosità, lo stile semplice e severo. M a i l barone rimase fermo sulla sua decisione; sostenendo che per le disposizioni non contemplate dall'atto istitutivo del maggiorasco, la volontà del defunto rimaneva f u o r i causa. Lasciò peraltro intendere che riteneva suo dovere abbellire la residenza d i R..sitten compatibilmente col clima, i l luogo, i d i n t o r n i , perché aveva intenzione d i condurre i n moglie, entro breve tempo, una donna amatissima e pienamente degna di qualsiasi sacrificio. I l tono misterioso i n cui parlò d i questo matrimonio, forse già celebrato segretamente, precluse all'avvocato la possibilità d i porgli altre domande; tuttavia la decisione del barone i n u n certo senso Io tranquillizzò ; perché quella sua affannosa ricerca d i denaro poteva forse attribuirsi non tanto a cupidigia vera e propria quanto al desiderio d i far dimenticare alla donna amata la patria lontana. A l t r i m e n t i avrebbe dovuto considerarlo un uomo d'una avarizia, o quanto meno d'una avidità intollerabile: mentre frugava nell'oro ed esaminava le vecchie monete lo aveva ben sentito mormorare: - I l vecchio briccone ci ha certamente taciuto i l nascondiglio del tesoro più grosso... M a la prossima primavera farò rimuovere le macerie della torre sotto i miei occhi... Giunsero alcuni architetti. Insieme ai quali i l barone studiò lungamente i progetti del nuovo edificio. Scartò disegni su disegni non parendogli nessuna architettura ricca e grandiosa abbastanza. Poi provò a disegnare egli stesso, ci prese gusto perché tale lavoro gli metteva continuamente sott'occhlo i l radioso quadro d'un avvenire felice, diverme d'un buonumore talvolta quasi sfrenato e ne contagiò t u t t i . La Hberalità, l'opulenza con cui accoglieva i suol ospiti dissiparono ogni residuo sospetto d i avarizia. Anche Daniele pareva aver ormai completamente dimenticato i l torto ricevuto; si comportava con taciturna umiltà verso U barone i l quale (sempre a mot i v o del possibile tesoro sepolto...) spesso lo seguiva con occhi pìeni d i diffidenza. M a la cosa più stupefacente era che II vecchio pareva ringiovanire d i giorno i n giorno. Forse aveva molto sofferto per la perdita dell'anziano padrone ed ora incominciava a riprendersi, forse g l i giovava n o n essere più costretto a trascorrere intere nottate insoimi lassù nella torre, al freddo, e poter consumare buon vino e cibo migliore, a volontà. Fatto si è che sembrava volersi trasfor-

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mare i n u n uomo vigoroso, ben n u t r i t o , dalle guance piene e sanguigne; camminava con passo energico, apprezzava g l i scherzi e ne rideva forte insieme agli altri. La vita allegra al castello venne interrotta dall'arrivo d i u n uomo che pure si sarebbe dovuto supporre appartenesse all'ambiente. Quest'uomo era Uberto, i l fratello cadetto d i Volfango, i l quale non appena lo vide esclamò impallidendo come u n morto : - Sciagu. rato, che v u o i t u qui?... — Uberto g l i si gettò fra le braccia ed egli lo I trascinò i n ima camera appartata, al piano d i sopra. Rimasero chiusi là dentro per parecchie ore, p o i Uberto ridiscese sconvolto e ordinò che g l i preparassero i cavalli. L'avvocato cercò d i sbarrargH la strada e poiché l'altro insisteva nel voler ripartire lo pregò d i trat' tenersi ancora per u n paio d'ore, con la segreta speranza d i poter 'v forse porre fine a u n mortale dissidio tra fratelli. I n quel momento '(ridiscese anche i l barone implorando: - R i m a n i , Uberto!... Rifletti, muterai consigHo!... - L o sguardo d i Uberto si rischiarò; egli riprei l domino d i sé, si tolse l'elegante pelliccia, la gettò al domestico e stringendo la mano al fratello g l i disse con u n sorriso sprezzante: - A quanto pare Ìl signore del maggiorasco ha deciso d i sopportarmi i n casa sua!... I l disgraziato malinteso, esasperato dalla lontananza, si sarebbe forse chiarito, osservò V , Uberto prese le pinze d i ferro appoggiate : al camino, attizzò i l fuoco e spaccando u n grosso ciocco fumante, disse: - Come lei vede, signor avvocato, ìo sono u n uomo alla buona, adatto a t u t t i ì servizi domestici... M a Volfango è pieno d i stranissimi pregiudìzi... ed è anche u n inguaribile piccolo spilorcio... ' V . non giudicò opportimo interferire nei rapporti fra ì due frat e l l i , tanto più perché l'espressione, i l comportamento, i l tono d i ' voce d i Volfango ', tradivano chiaramente l'uomo combattuto da molte e svariate passioni. A tarda sera tuttavia si recò dal barone per conoscerne le deci; sioni circa u n certo affare concernente i l maggiorasco. Estremamen• te turbato, Volfango misurava la camera a grandi passi, le mani 1 strette dietro la schiena; quando vide l'avvocato si fermò, g l i prese le mani e disse con voce rotta, fissandolo cupamente negli occhi: - È arrivato m i o fratello... - V . aperse la bocca per parlare: - So che cosa v u o l dire, - lo interruppe i l barone. - A h , ma l e i non sa nulla!... L e i n o n sa che U m i o sciagurato fratello - ... si, sciagurato voglio chiamarlo... - sempre e dovunque mì sbarra i l cammino, come uno spirito maligno perturbatore della mìa pace... N o n è certo ' L ^ g i : d i Uberto. Si tratta evidentemente d'una svista dello scrittore

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merito suo se non sono finito i n miseria... l u i ha fatto i l possibile perché ciò avvenisse, ma i l cielo n o n l'ha voluto... Da quando è stata resa nota l'istituzione del maggiorasco m i perseguita con odio mortale, m i invidia i l possesso d i questa fortuna che nelle sue mani sarebbe sfumata come pula al vento... È Ìl più pazzo degli scialacquatori che esistano al mondo... I l cumulo dei debiti supera d i molto la metà dei suoi beni i n Curlandia... E d ora, perseguitato, angariato dai creditori, corre q u i a mendicare u n p o ' d i denaro. - E lei, suo fratello, gUelo nega?... - domandò V . interrompendolo. - Taccia... basta! - gridò ìl barone con violenza lasciandogli le mani e facendo u n gran passo indietro: - Sì, gliel'ho negato!... D e i proventi del maggiorasco n o n posso dargli e non g l i darò u n solo tallero!... M a stia a sentire che cosa ho proposto a quell'insensato alarne ore fa, e p o i giudichi del mìo senso del dovere... I l patrimonio svincolato, i n Curlandia, come l e i sa, è considerevole. Ebbene, ero disposto a rinunziare alla mia metà, ma i n favore della sua famiglia. I n Curlandia Uberto ha sposato una signorina, bella ma povera, che g l i ha messo al mondo due figli e fa la miseria insieme a loro. I beni dovrebbero venire amministrati e dalle rendite si dovrebbe trarre la cifra necessaria al loro sostentamento; i creditori potremmo tacitarli con una transazione... M a che se ne fa, l u i , dì una vita tranquilla e senza preoccupazioni, che gliene importa della moglie e dei figli?... Denaro, grosse somme d i denaro contante, vuole avere, per poter scialacquare con vergognosa incoscienza !... Chissà chi diavolo g l i avrà rivelato i l segreto dei centocinquantamila talleri: ora ne esige la metà sostenendo, da quel pazzo che è, che quel denaro è da considerarsi parte del patrimonio svincolato, n o n appartenente al maggiorasco. Devo rifiutarglielo, e gUelo rifiuterò. M a sospetto che egh stia macchinando la mia rovina! - N o n essendo molto al corrente della situazione, V . tentò d i dissipare i l sospetto del barone verso i l fratello avvalendosi d i argomenri morali generici e piuttosto fiacchi; ma n o n riuscì nell'intento. I l barone l o incaricò d i trattare con l'avido e malfido U b e r t o ; V . lo fece con ogni cautela e rimase non poco soddisfatto quando Uberto finalmente dichiarò: - Sta bene; accetto le proposte del signor primogenito. M a a condizione che m i versi subito inille scudi d'oro i n contanti perché i creditori i m placabili sono sul p u n t o d i farmi perdere per sempre l'onore e i l b u o n nome. Esigo inoltre che t i generoso signor fratello m i permetta d'ora i n p o i d i stabilirmi almeno per u n certo periodo q u i a R..sitten. - Questo mai! - gridò i l barone quando V . g l i riferì le controproposte del fratello: - Quando avrò condotto q u i mia moglie non

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permetterò che Uberto rimanga i n questa casa neppure per u n i stante!... Vada, m i o caro amico, dica a quel guastafeste che avrà d u e m i l a scudi, e n o n come anticipo ma come regalo... Soltanto che sene vada... V i a d i q u i , v i a ! . . . - V . apprese così tutt'a u n tratto che , i l barone era già sposato, all'insaputa del padre; e comprese che la ' causa prima del dissidio fra i due fratelli doveva essere stato prop r i o quel matrimonio. Uberto ascoltò ìl messaggio con cipiglio alte\. to ma senza scomporsi; e quando l'avvocato ebbe finito disse cupa: mente: - C i penserò. I n t a n t o rimango q u i ancora qualche giorno. Vedendolo cosi insoddisfatto, V . cercò d i dimostrargli che i l barone stava facendo d i t u t t o per indennizzarlo nella massima misura !. possibile, cedendogli gran parte del patrimonio non vincolato. N o n aveva q u i n d i assolutamente m o t i v o dì lamentarsi, benché i n una iiistituzione che favoriva tanto i l primogenito a scapito degli altri fiI g l i ci fosse innegabilmente qualcosa d i odioso... - Uberto aperse i kopetuosamente i l giustacuore dall'alto al basso, con uno strappo, ìcome se si sentisse mancare i l respiro, infilò una mano nell'apertuira della camicia, puntò l'altra sul fianco, piroettò agilmente su u n ffpiede solo come u n ballerino e disse con voce tagliente : - Bah !... Le ?cose odiose nascono dall'odio P o i scoppiò i n ima risata stridente soggiunse: — Però... com'è generoso i l signore del maggiorasco i;inel gettare i suoi scudi d'oro al povero mendicante!... - A questo • p t m t o V . si rese conto che a una riconciliazione tra i fratelli non era I neppure i l caso d i pensare. U b e r t o andò ad occupare le camere assegnategli nell'ala lateraf'ie del castello e, con grande disappunto del barone, v i sì installò coj me per i m assai lungo soggiorno. SÌ notò che parlava spesso lungamente col maggiordomo i l quale talvolta l o seguiva perfino a caccia : d i l u p i . D e l resto Uberto sì faceva vedere pochissimo ed evitava jwcnipolosamente dì incontrarsi a quattr'occhi col fratello, con gransollievo d i costui. - V . avvertiva t u t t o i l disagio della situazione ! « doveva ammettere, i n cuor suo, che Uberto col suo strano e i n Iquìetante modo d i comportarsi, d i parlare, d i agire, pareva fatto :'.apposta per turbare ogni gioia; e trovava ora spiegabilissimo i l so: prassalto del barone quando l'aveva visto apparire. Una sera V . sedeva solo nella sala d'udienza fra le sue carte ^quando entrò Uberto, più calmo e più serio del solito, e g l i disse *0on voce quasi afflitta: - Accetto anche le ultime proposte d i m i o ^^atcllo. Faccia i n modo che i duemila scudi d'oro m i vengano conjiSegnari oggi stesso. Intendo partire stanotte - a cavallo - da solo. ft" Col denaro? ! - domandò V . - H a ragione, - rispose Uberto. - So 9che cosa v u o l dire : i l denaro pesa... N o . L o trasferisca con ima lette-

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ra d i credito a Isak Lazarus, a K. Conto d i arrivarci entro stanotte. Devo andarmene: i l vecchio con le sue stregonerie ha attirato qui dentro gH spiriti maHgni! - Sta parlando d i suo padre, signor barone? - domandò V . facendosi molto serio. Uberto aveva le labbra tremanti e si appoggiava alla sedia per non cadere. A d u n tratto, r i preso i l controllo d i sé, esclamò: - Dunque, entro oggi signor avvocato, - ed uscì reggendosi a stento sulle gambe. — Finalmente ha capito che più nessun imbroglio è possibile... sa d i non poter nulla contro la mia fermissima volontà, - disse i l barone intestando l'assegno a Isak Lazarus. La partenza de] fratello nemico g l i toglieva u n peso dal cuore. A cena si mostrò allegro come n o n i o era più da tanto tempo. Uberto si era fatto scusare e nessimo parve rimpiangerlo. V . alloggiava i n i m a camera piuttosto appartata, le cui finestre davano sul cortile. Durante la notte si destò d i soprassalto con l ' i m pressione d'essere stato svegliato da u n gemito lontano. Tese l'orecchio, rimase a lungo i n ascolto: silenzio d i tomba. Pensò quindi d i aver sognato. Tuttavia si sentì invadere da u n così strano senso d i angoscia, d i terrore, da non poter più restare a letto. Si alzò, andò alla finestra. N o n dovette attendere molto: vide aprirsi U portone del castello e uscirne una figura con i n mano una candela accesa. La figura attraversò i l cortile: V . riconobbe i l vecchio Daniele; l o vide aprire la porta della scuderia, entrare, uscirne poco dopo conducendo f u o r i u n cavallo sellato. D a l buio emerse una seconda figura, i m pellicciata, con i n testa u n berretto d i pelo d i volpe {...era Uberto...), parlò concitatamente per a l a m i miinuti con Daniele, poi sì ritrasse. Daniele ricondusse i l cavallo nella scuderia, richiuse la porta, riattraversò Ìl cortile, rientrò nel castello richiudendone i l portone. Era dunque chiaro che Uberto aveva deciso d i partire e all'ultimo momento aveva cambiato idea. E d era altrettanto chiaro che egli stava armeggiando qualcosa d i pericoloso con la complicità del vecchio maggiordomo. V . attese i l mattino bruciando dall'impazienza d i riferire al barone quanto era accaduto nella notte: ora si trattava davvero d i premunirsi contro le macchinazioni preaimunzìate i l giorno prima dal malvagio Uberto i n una crisi d i turbamento. La mattina seguente, dunque, all'ora i n cui ìl barone era solito alzarsi, V . intese u n grande andirivieni, u n aprirsi e richiudersi d i porte, u n sovrapporsi d i voci, d i grida confuse. Uscito dalla camera si imbatté ad ogni passo i n servitori pallidi e stravolti che andavano, venivano, correvano su e giù per le scale passandogli accanto senza badargli. Finalmente riuscì a farsi dire da qualcuno che i l barone era scomparso : lo stavano cercando già da parecchie ore. Si era

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coricato alla presenza del guardiacaccia, ma p o i doveva essersi alzato per uscire i n vestaglia e pantofole, con u n candeliere i n mano, perché appunto quegli oggetti mancavano. Colto da un sinistro presentimento, V- corse nel fatale salone i l cui salottino laterale V o l fango, come già suo padre, aveva scelto come camera da letto. La porta d i accesso alla torre era spalancata: - Si è sfracellato... là i n fondo! - urlò V . inorridito. E cosi era. A causa della neve da poco caduta, dall'alto n o n si poteva scorgere che i l braccio dell'infelice, irrigidito fra Ì sassi. Occorsero parecchie ore prima che g l i operai, a rischio della vita, riuscissero a scendere servendosi d i scale legate insieme e a tirar su i l cadavere con le corde. L'unico membro illeso del corpo orrendamente straziato nella caduta sulle pietre aguzze era la mano spasmodicamente serrata sul candeliere d'argento. Sconvolto dalle furie della disperazione, Uberto accorse quando già la salma era stata recuperata e deposta su un lungo tavolo al centro della sala, esattamente come poche settimane prima quella del vecchio Roderico: - Fratello... o povero fratello m i o ! - gridò, annientato dall'orrendo spettacolo. - No!... Questo n o n lo avevo chiesto ai demoni da cui ero posseduto!... A l l ' u d i r e tali ambigue parole V . trasalì, ed ebbe l'unpressione di doversi scagliare contro Uberto come se fosse stato l u i l'assassino del fratello. M a Uberto era caduto a terra p r i v o d i sensi. L o portarono a letto, g l i somministrarono alcuni cordiali ed egli si riebbe abbastanza facUmente. Pallidissimo, g l i occhi semispenti pieni d i cupa afflizione, disse abbandonandosi sfinito su una poltrona : - H o -rante la notte, forse per andare nell'altro salotto i n cui aveva sisteiinato una biblioteca; intontito dal sonno aveva aperto per sbaglio kina porta per un'altra ed era precipitato. Questa spiegazione appa^riva tuttavia per m o i r i versi forzata. Se i l barone era andato i n b i Uoteca a prendere i m libro perché n o n riusciva a dormire, ciò eludeva che fosse i n t o n t i t o dal soimo... E che cos'altro avrebbe poi t o fargli sbagliare porta?... Fra l'altro, la porta dell'antica torre ;,era pesantemente sprangata e molto difficile da aprirsi...

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- A h , caro signor procuratore... le cose non sono andate cosi! - esclamò Franz, i l guardiacaccia personale del defunto barone, quando V . ebbe espresso i p r o p r i dubbi dinnanzi alla servitù riunita. - E come allora?... — domandò V . - Franz, u n tipo onesto e fedele che avrebbe seguito U suo padrone anche nella tomba, non volle dire d i più i n presenza degH a l t r i : ciò che sapeva lo avrebbe confidato soltanto «al signor giustiziarlo». V . apprese cosi che Ìl barone parlava sovente con Franz d i probabiH tesori sepolti laggiù, sotto le macerie... E molto sovente, d i notte, come sospinto da imo spir i t o mahgno, andava ad aprire la malaugurata porta d i cui si era fatto dare la chiave da Daniele e scrutava avidamente i l fondo della voragine, dove supponeva giacessero tante ricchezze. Era dunque certo che la notte fatale, lasciato solo dal guardiacaccia, era ritornato ancora una volta alla porta della torre e, colto da un'improvvisa vertigine, era precipitato. Daniele, apparentemente molto scosso dall'orrenda fine de! barone, osservò che sarebbe stato bene murare quell'apertura pericolosa, ìl che f u fatto immediatamente. I l barone Uberto von R., nuovo signore del maggiorasco, ritornò i n Curlandia e non si fece più vedere a R..sitten. V . , come si è detto, aveva avuto da l u i i pieni poteri per l'amministrazione del feudo. La costruzione del nuovo castello rimase interrotta, mentre i l castello antico verme restaurato nel l i m i t i del possibile. Dopo m o l t i anni, a tardo autuimo, Uberto ricomparve per la prima volta ad R..sitten e, trascorsi parecchi giorni nei propri appartamenti insieme a V . , ritornò i n Curlandia. Durante questo soggiorno era apparso profondamente mutato dì carattere ed aveva più volte accennato a certi suoi presagi d i morte imminente. I presagi si avverarono, poiché egli m o r i l'armo successivo. Suo figlio - d i nome Uberto come l u i - si affrettò a venire dalla Curlandia, seguito dalla madre e dalla sorella, per prender possesso del ricco maggiorasco. Quel giovane sembrava assommare i n sé tutte le cattive qualità degli antenati e fin dal momento del suo arrivo a R. .sìtten sì mostrò superbo, altezzoso, collerico, avido d i denaro. Pretese d i cam biare su due piedi t u t t o ciò che, per u n motivo o per l'altro, non gli andava a genio, gettò i l cuoco f u o r i d i casa, fece per bastonare il cocchiere e n o n d riuscì unicamente perché l'erculeo giovanottone ebbe la sfrontatezza d i non lasciarsi bastonare; insomma pareva ìn gran vena dì mettersi a recitare fin da principio la parte del feudatario inflessibile, quando V . lo affrontò e g l i (Èsse con grande fermezza che neppure una sedia doveva venire spostata, neppure u n gatto doveva venir costretto a lasciare la casa se preferiva restare, prima dell'apertura del testamento. - L e i sta ribellandosi al signore del

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maggiorasco! - saltò su i l giovanotto schiumante d i rabbia, ma V . non lo lasciò finire e squadrandolo con un'occhiata penetrante precisò: - N o n precipitiamo le cose, signor barone. L e i q u i n o n può assolutamente disporre d i nulla prima dell'apertura del testamento. Per adesso, i o , i o solo sono i l padrone, e saprò oppormi alla prepotenza con la prepotenza. Ricordi che, i n forza dei miei pieni poteri d i esecutore testamentario, i n forza delle disposizioni dell'autorità giudiziaria, sono autorizzato a interdirle d i risiedere a R..sitten. E a scanso d i spiacevoli incidenti la consiglio d i ritornarsene tranquillamente a K. La serietà, i l tono deciso del procuratore d i giustizia diedero la necessaria efficacia al discorso. E così i l giovane barone che voleva attaccare a testa bassa, con corna forse u n po' troppo appuntite, la solida rocca, avverti la debolezza delle proprie armi e credette bene d i mascherare lo smacco con una risata sprezzante. Trascorsi tre mesi giunse i l giorno i n cui, secondo la volontà del defunto, doveva venir aperto i l testamento a R..sitten, dove era stato depositato. O l t r e ai funzionari del tribunale, al barone e a V . , si presentò i n sala d'udienza anche u n giovane sconosciuto, d i nobile aspetto; era stato introdotto da V . e, a m o t i v o d'un rotolo d i documenti sporgente dall'apertura della giacca, t u t r i lo presero per i l suo scrivano. I l barone l o squadrò dall'alto i n basso, come soleva fare con t u t t i , e ordinò con tempestosa impazienza che la noiosa e superflua cerimonia venisse sbrigata alla svelta, senza tante parole e tante scritture. N o n capiva, soggiunse, che cosa potesse dipendere dal testamento i n quella faccenda d i successione, almeno per quanto riguardava i l maggiorasco. E d'altronde l'osservare o meno le eventuali disposizioni testamentarie sarebbe dipeso unicamente da l u i . Gettato u n rapido sguardo imbronciato al documento, dichiarò d i riconoscere la scrittura e Ì sigilli del defunto padre; e mentre i l cancelliere del tribxmale sì disponeva a dar pubblica lettura del testamento gettò i l braccio sinistro sulla spalliera della sedia, tese i l destro sulla tavola occupata dai funzionari e prese a tamburellare con le dita sulla tovaglia verde volgendosi a guardar fuori dalla finestra con aria indifferente. Dopo una breve premessa, i l defunto barone l i berto v o n R. dichiarava d i non aver mai tenuto i l feudo i n qualità d i vero signore del maggiorasco, ma d i essersi limitato ad amministrarlo i n nome dell'xmico figlio del defunto barone Volfango v o n R. A costui soltanto, chiamato Roderico come i l nonno, veniva a toccare i l maggiorasco. U n resoconto esattissimo della consistenza patrhnoniale, degli i n t r o i t i , delle spese ecc., lo si sarebbe trovato

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nel suo lascito. VoHango v o n R. - spiegava Uberto nel testamento — durante u n viaggio a Ginevra aveva conosciuto la signorina G i u lia de St-Val e concepito per lei una simpatia cosi forte da n o n volersene più separare. G i u l i a de St-Val era molto povera e la sua famiglia, benché d i buona nobiltà, non figurava fra le più eminenti. Questo soltanto sarebbe bastato a togliergli ogni speranza d'ottenere i l consenso del vecchio Roderico, sollecito unicamente d i conferire sempre maggior lustro al maggiorasco. Volfango ardi tuttavia confessargli la propria inclinazione scrivendogli da Parigi. M a , com'era prevedibile, i l vecchio dichiarò recisamente d i aver già scelto egli stesso la sposa per i l signore del maggiorasco; e d i un'altra non era neppure ìl caso d i parlare. Volfango, invece d i imbarcarsi per l'Inghilterra come avrebbe dovuto, ritornò a Ginevra sotto i l nome d i Born, sposò G i u l i a e nel giro d ' u n anno ebbe da lei i l figlio che, alla sua morte, divenne l'erede del maggiorasco. I l fatto che Ubert o , al corrente d i t u t t o , avesse taciuto per tanto tempo, assumendo la gerenza del feudo spettante al nipote, poteva attribuirsi ad accordi precedentemente intervenuti con Volfango; ma i m o r i v i add o t t i parevano insufficienti e campati i n aria. Come folgorato, i l barone fissava con occhi sbarrati i l cancelliere giudiziale che g l i aimunzlava con voce gracidante e monotona tanta sciagura. Quando questi ebbe terminato d i leggere, V . si alzò, prese per mano i l giovane che aveva condotto con sé e disse inchinandosi ai presenti: - Signori, ho l'onore d i presentarvi i l barone Roderico v o n R., signore del maggiorasco d i R..sitten! - I l barone Uberto lanciò tm'occhiata piena d i rabbia repressa al giovane piovuto dal cielo a sottrargli i l ricco feudo e la metà del patrimonio svincolato, i n Curlandia, serrò i pugni i n un gesto d i minaccia e corse via senza profferir parola. A richiesta dei funzionari del tribunale, i l barone Roderico esibì i documenti comprovanti la propria i dentità, e cioè u n estratto legalizzato dai registri della chiesa i n cui suo padre si era sposato, da cui risultava che i l giorno tale i l mercante Volfango B o r n , nato a K., e la signorina G i u l i a de St-Val si erano u n i t i i n matrimonio religioso alla presenza d i testimoni. I l giovane produsse inoltre i l proprio certificato d i battesimo (era stato battezzato a Ginevra, come figlio legìttimo del mercante B o r n e d i sua moglie, G i u l i a de St-Val), nonché diverse lettere del padre alla madre, morta da molto tempo, tutte però firmate soltanto con una V . V . esaminò t u t t i i documenti con viso scuro e richiudendo i l fascicolo disse piuttosto preoccupato: - E d ora, che I d d i o ci aiuti!... L'indomani stesso i l barone Uberto v o n R. presentò alle autori-

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tà governative per mezzo del suo procuratore legale un'istanza i n cui si chiedeva nientemeno che l'immediata consegna del maggiorasco d i R..sitten. - Era ovvio - argomentava l'avvocato - che i l defunto barone Uberto v o n R. non aveva facoltà d i disporre del maggiorasco né per testamento né i n alcun altro modo. I l suo testamento non era dtmque nient'altro che una dichiarazione scritta e legittimata, attestante la volontà del barone Volfango von R. d i lasciare i l maggiorasco a u n figlio ancora vivente. I l documento non aveva maggior forza probante d i qualsiasi altra testimonianza e non poteva perciò i n alcun modo portare al riconoscimento del presunto barone Roderico v o n R. Spettava invece al pretendente esporre i prop r i eventuali d i r i t t i ( q u i espressamente contestati) nel corso del processo e rivendicare i l maggiorasco che ora, per d i r i t t o d i successione, passava al barone Uberto v o n R. I n seguito alla morte del padre, la proprietà andava direttamente al figlio, ed a questi non occorreva alcuna dichiarazione per accedere all'eredità, non potendosi abrogare la clausola della successione i n linea d i primogenitura. Perciò l'attuale signore del maggiorasco non doveva venir impedito nel godimento dei p r o p r i d i r i t t i da pretese assolutamente illegittime. I m o t i v i per cui i l defunto aveva creduto bene d i proporre u n altro erede erano del t u t t o indifferenti. Si doveva tuttavia prender atto (e all'occorrenza lo si sarebbe potuto documentare) che Ìl defunto aveva avuto una relazione amorosa i n Isvizzera e pertanto i l cosiddetto «figlio del fratello» era forse d i fatto figlio suo, f r u t t o d i u n amore illecito; e a quel figlio, i n una crisi d i rimorso, aveva vol u t o lasciare Ìl maggiorasco. Per quanto verosimili fossero ì f a t t i asseriti nel testamento, e benché l'istanza del barone Uberto suscitasse l'indignazione dei giudici {specie per l ' u l t i m o capoverso ove i l figlio non aveva ritegno d'incolpare U defunto padre d i u n misfatto), pure l'impostazione del caso, dal punto d i vista giuridico, parye giusta; e f u unicamente grazie agli sforzi incessanti d i V . , alla sua esplicita assicurazione d i produrre entro breve tempo i documenti comprovanti l'identità e Ì d i r i t t i del barone Roderico v o n R., che l'attribuzione del maggiorasco veime rimandata e l'amministrazione provvisoria mantenuta fino alla conclusione della vertenza, V . si rendeva perfettamente conto della difficoltà d i mantenere i l suo impegno; aveva già rovistato fra tutte le carte del vecchio Roderico senza trovare una sola lettera, u n solo rigo relativo ai rapp o r t i d i Volfango con la signorina de St-Val. Una sera egH sedeva al tavolo nella camera da letto del vecchio Roderico (... già frugata da capo a fondo...), assorto nella compila-

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zione d i u n esposto per u n certo notaio d i Ginevra che g l i era stato raccomandato come persona intelKgente e attiva e avrebbe dovuto procurargli alcune notizie atte a chiarire la situazione del giovane pretendente. Era ormai mezzanotte. La luce della luna piena filtrava chiara attraverso la porta spalancata sull'attiguo salone. Quand'ecco parve a V . d i udire u n passo lento, pesante sulle scale... un armeggiare, u n tintinnio d i chiavi. V . tese l'orecchio, sì alzò, andò nella sala e udì distintamente i passi avvicinarsi, i n corridoio... Pochi istanti dopo la porta si apri ed entrò u n uomo i n camicia da notte, pallido, stravolto, con u n candeliere i n una mano e u n grosso mazzo d i chiavi nell'altra. V . riconobbe subito i l maggiordomo: fece per domandargli che cosa volesse, dove stesse andando a quell'ora d i notte ma tutt'a u n tratto avvertì con u n brivido d i orrore un che d i sinistro, d i spettrale nella figura, nel viso impietrito, cadaverico del vecchio; e comprese d i trovarsi d i fronte a u n sonnambulo... Camminando a passi cadenzati, come i m automa, Daniele attraversò diagonalmente la sala, puntò d i r i t t o verso la porta murata che u n tempo adduceva alla torre, v i si fermò davanti ed emise dal profondo del petto ima specie d i ululato che echeggiò sinistro nel salone; V . sussultò inorridito. Poi i l vecchio posò a terra i l candeHere, si allacciò le chiavi alla cintura e incominciò a grattare i l muro con ambo le mani, freneticamente,... ansimando, gemendo come i n preda a u n tormento indicibile... Ben presto i l sangue prese a sprizzare dalle imghie sbranate... A d u n tratto i l vecchio smise d i grattare ed accostò l'orecchio alla parete; rimase alcuni istanti i n ascolto facendo cenni con la mano come per imporre ìl silenzio a qualcuno; p o i riprese i l candeliere e si avviò verso la porta a passi misurati e silenziosi, com'era venuto. Armatosi, anch'eglì d ' u n candeliere, V . l o segui guardingo e scese la scala dietro d i l u i . I l vecchio aperse i l portone principale del castello, sgusciò fuori, si diresse alla scuderia e v i entrò. Con grande stupore, V . l o vide posare i l candeliere i n modo da illuminare t u t t o l'ambiente senza pericolo dì dar fuoco, prendere sella e finimenti e sellare con grande cura un cavallo, tirando bene la cinghia, fermando le staffe alla sella, facendo passare u n ciuffo d i crini sotto la testiera e rassettandolo con la mano. Poi, preso l'animale per la briglia, lo condusse f u o r i battendogli leggermente la mano sul collo e facendo schioccare la lingua. I n cortile rimase fermo per alcuni istanti, nell'atteggiamento d i chi stia prendendo o r d i n i e... ricondusse i l cavallo nella scuderia, lo dissellò, tornò a legarlo alla greppia, riprese ìl candeliere, richiuse la scuderìa, rientrò al castello e disparve nella propria camera sprangandola ben bene dall'interno. Profondamente impressionato da

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questa scena, V . avvertì con certezza l'imminenza d'un orrendo m i sfatto; tale presentimento prese corpo ditmanzi a l u i , come u n nero i spettro infernale, e non l o lasciò più; sapendo i n pericolo i l p r o p r i o , patrocinato, V . pensò dì poter almeno volgere a suo vantaggio ; quanto aveva visto... La sera dopo, verso i l crepuscolo, Daniele sì \ò da l u i per ricevere alcune disposizioni relative al governo del; la casa; allora V . lo afferrò per le braccia con fare confidenziale ; e spìngendolo a sedere g l i disse: - Senti vecchio amico Daniele... \a tanto tempo volevo domandarti: che cosa ne pensi dell'ìmbroj g l i o i n cui ci ha cacciati lo strano testamento d i Uberto?... Credi ì d i e quel giovanotto sia veramente figlio legìttimo dì Volfango?... — Bah... — rispose i l vecchio con cipiglio arcigno volgendosi verso ; l o schienale della poltrona per evitare lo sguardo d i V . - Bah... Può • darsi che l o sia... e può anche darsi che non lo sìa... Padrone q u i f-dentro lo diventi chi vuole... a me che me ne importa?... - M a voleIvo dire, - continuò V . avvicìnandoglìsi ancor più e ponendogli una mano sulla spalla. - I l vecchio barone aveva piena fiducia ìn te e • n o n t i avrà certamente taciuto la situazione dei figli. T i ha mai pari lato del matrimonio contratto da Volfango contro la sua volontà?... [•- N o n riesco proprio a ricordarmene, - rispose i l vecchio sbadii''j;liando i n modo sconveniente. - T u hai sonno, vecchio, - osservò •V. - Forse hai passato una cattiva nottata... - N o n saprei, - rispose 'Daniele, come infreddolito. - M a adesso devo andare a ordinare la tena... - e cosi dicendo si alzò, fregandosi le spalle curve e sbadig l i a n d o ancor più smodatamente della prima volta, i- - Fermati ancora, vecchio, - esclamò V . prendendolo per una fluino e tentando d i costringerlo a sedere d i nuovo. M a Daniele r i imase ìn piedi davanti alla scrivania, v i si pxmtellò con le mani pìeìgandosi i n avanti verso V . e ripetè imbronciato: - E p o i , che c'enItro io?... D e l testamento, della Ute per i l maggiorasco, che cosa me importa?... - N o n parliamone più, - lo interruppe V . - O r a si itratta d'altro, caro Daniele: t u sei dì cattivo umore, sbadigli... tutsintomi d i stanchezza... D i r e i quasi che fossi proprio t u , stanot'*te... - Che cosa ho fatto stanotte ?... - domandò i l vecchio senza mu•^ar posizione. - Verso mezzanotte, - proseguì V . , - mentre ero nel[lo studiolo del vecchio signore, t u seì entrato nel salone, tutto rigiJdo, pallido, t i sei avvicinato alla porta murata e t i sei messo a gratjtare la parete con tutt'e due le mani, gemendo come se soffrissi le fpene dell'inferno... Sei per caso sonnambulo, Daniele?... - Senza [^profferir parola i l vecchio ricadde d i schianto sulla sedia che V . f u p r o n t o a spingergli sotto. L'oscurità già fitta gU celava i l viso; ma V . sentì che aveva ìl fiato corto e batteva i denti. - Già, - disse aUo-

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ra dopo u n breve silenzio. - Strano fenomeno quello del sonnambulismo... U n o va i n giro, si muove come se fosse sveglio, e i l giorno dopo n o n ricorda più niente... - Daniele continuava a tacere. M i era già accaduto d i vedere qualcosa dì simile... Avevo un amico che, i n tempo d i lima piena, usciva regolarmente a passeggiare, come f a i t u . . . Certe volte si metteva p e À i o a scrivere delle lettere... M a la cosa più straordinaria era questa: sussurrandogli piano all'orecchio riuscivo a farlo parlare... Come costretto da una forza irresi stibile, rispondeva sensatamente a tutte le domande. E diceva anche certe cose che da sveglio si sarebbe ben guardato dal dire... Diavolo! ... Credo proprio che a u n lunatico, quando è i n quello stranissimo stato, si potrebbe far confessare perfino u n delitto taciuto da anni... Buon per chi ha la coscienza pulita come noi due, mio caro Daniele!... Potremmo anche essere sonnambuli, nessuno riuscirebbe mai a farci confessare u n delitto... M a ascolta Daniele: quando gratti i n quell'orribile modo alla porta murata, t u vorresti certamente salire nella torre astronomica e metterti al lavoro come faceva i l vecchio Roderico, n o n è vero?... Basta. Questo te lo farò dire la prossima volta! - Mentre V . cosi g l i parlava, Daniele era stato preso da u n tremito che si faceva sempre più forte, scuotendolo tutto; infine, i n preda a una convulsione parossistica, scoppiò ad ululare parole monche, incomprensibili. A una scampanellata del procuratore accorsero i servitori coi l u m i , sollevarono i l vecchio che continuava a dibattersi come u n fantoccio meccanico e lo portarono a letto. A l l a terribile crisi che durò più d'un'ora seguì uno stato d i sopore simile a u n profondo delìquio. Appena si riebbe Daniele chiese u n po' dì v i n o , p o i mandò vìa ì servitori incaricati d i vegliarl o e si chiuse a chiave i n camera come faceva sempre. Già durante i l colloquio sopra riportato, V . aveva deciso d i fare u n esperimento, p u r sapendo che Daniele ormai conscio (e forse per la prima volta) d'essere soimambulo, avrebbe fatto d i tutto per evitare la crisi; e d'altronde una confessione resa i n quello stato non sarebbe stata molto attendibile. Comunque verso mezzanotte andò nel salone sperando che Daniele, come t u t t i i malati della sua specie, sarebbe stato costretto ad agire involontariamente. A mezzanotte si levò u n grande strepito i n cortile. V . udì chiaramente ìl rumore d'una finestra sfondata, corse sotto e mentre attraversava i corridoi f u investito da un'ondata d i fumo soffocante - proveniente - se ne rese subito conto - dalla camera del maggiordomo... E i l maggiordomo stavano appunto trasportandolo, rigido, esanime, i n un'altra camera per metterlo a letto. E d ora ecco i l racconto dei domestici: verso mezzanotte u n garzone era stato svegliato da u n sor-

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do rumore d i colpi; temendo che fosse accaduto qualcosa al vecchio Daniele, stava per alzarsi ed accorrere i n suo aiuto quando i l guardiano, giù i n cortile, si era messo a gridare a piena voce: - A l fuoco, al fuoco !... La camera del signor maggiordomo è i n fiamme !... - A l le grida erano accorsi parecchi servitori, ma ogni tentativo d i forzare la porta risultava vano. A l l o r a si erano precipitati i n cortile ma i l guardiano, con grande presenza d i spirito, aveva già sfondato la finestra - (la camera era a piano terreno) - e strappato le tende i n fiamme; con u n paio d i secchi d'acqua i l principio d'incendio era stato spento immediatamente. I l maggiordomo giaceva i n mezzo alla camera, svenuto, stringendo ancora i n mano i l candeliere, le cui candele avevano appiccato Ìl fuoco alle tende. A l c u n i brandelli d i tessuto i n fiamme gli avevano bruciacchiato le sopracciglia e buona parte della capigliatura. Se i l guardiano non si fosse accorto i n tempo dell'incendio i l vecchio sarebbe sicuramente m o r t o bruciato. Con non lieve stupore i servitori avevano constatato che la porta della camera era stata sprangata dall'interno con due catenacci nuov i , applicati da poco perché la sera prima non c'erano ancora. V . comprese che Daniele aveva tentato d'impedirsi d i uscire dalia camera ma non era riuscito a vincere l'impulso cieco del suo ma•vle. Dopo questo fatto i l vecchio cadde gravemente ammalato; n o n parlava più, si nutriva appena, guardava fisso davanti a sé con occhi ;*di moribondo, come inchiodato da u n pensiero orribile. V . credet'ite che non si sarebbe alzato mai più. O r m a i quant'era possibile fare per i l suo protetto lo aveva fatto e doveva soltanto più attendere • tranquillamente l'esito del processo. Decise perciò d i ritornare a K. f e fissò la partenza per ìl giorno seguente. A tarda sera, mentre rac^•COglieva le proprie carte, gU capitò fra le mani u n pìccolo involto sì;f gillato, con sopra la scrìtta: «Da leggersi dopo l'apertura del m i o fftestamento». - Q u e l l ' i n v o l t o glìel'aveva consegnato i l barone U "berto von R., e inspiegabilmente non g l i era mai avvenuto d i farcì •;,caso prima d i allora. Stava dissigillandolo quando la porta si aperse i^e Daniele entrò, silenzioso come uno spettro, depose sulla scrìva•-nia una cartella nera, cadde i n ginocchio e stringendo spasmodicafmente le mani dell'avvocato disse con voce sepolcrale: - N o n vorità. morir sul patibolo!... Quello lassù giudicherà!... - Si rialzò a fatica, ansimando penosamente, e se ne andò com'era venuto. V . trascorse tutta la notte a leggere Ìl contenuto della cartella •nera e del pacchetto d i Uberto. T u t t o coincìdeva perfettamente e -indicava senza possibilità d i errore le decisioni da prendere. Appena arrivato a K., V . sì recò dal barone Uberto v o n R. i l lale l o accolse con sgarbata alterigia. M a la stupefacente conclu-

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sione del colloquio, iniziato a mezzogiorno e terminato a tarda notte, f u che i l barone i l giorno dopo dichiarò davanti al tribunale d i conformarsi al testamento del padre e riconoscere nel pretendente al maggiorasco i l figlio legittimo del barone Volfango v o n R. e della signorina G i u l i a de St-Val. La carrozza, equipaggiata con cavalli d i posta, era già alla porta; e, appena uscito dalla sala d'udienza, Uberto parti i n tutta fretta lasciando alla madre e alla sorella una lettera piena d i espressioni enigmatiche, i n cui diceva, fra l'altro, che forse non l'avrebbero r i veduto mai più. Roderico, stupitissimo dell'inatteso voltafaccia, pregò V . d i spiegargli come avesse potuto operare un simile miracolo e quali misteriosi elementi fossero entrati i n gioco. V . preferi rimandare le spiegazioni a dopo avvenuta la presa d i possesso del maggiorasco, la qual cosa per i l momento non poteva aver luogo, perché i giudici, insoddisfatti delle dichiarazioni d i Uberto, pretendevano una legittimazione ineccepibile d i Roderico. V . propose al barone d i prendere alloggio i n R..sitten e sog giunse che la madre e la sorella d i Uberto, trovandosi i n momentaneo imbarazzo i n seguito all'improvvisa partenza d i l u i , avrebÌ>ero preferito u n soggiorno tranquillo nel feudo alla vita frastornante e costosa della città. La gioia d i Roderico al pensiero d i vivere, almeno per u n certo periodo d i tempo, sotto l o stesso tetto insieme alla baronessa e sua figlia dimostrò quale profonda impressione avesse prodotto su d i l u i la bella, l'incantevole giovinetta Serafina. E seppe infatti utilizzare così bene quel soggiorno i n comime da conquistarsi, nel giro d i poche settimane, e l'amore d i Serafina e Ìl consenso della madre alle nozze. M a a giudizio dì V , t u t t o ciò era intempestivo perché i l riconoscimento d i Roderico a legittimo signore del maggiorasco continuava a rimanere assai dubbio. Alcune lettere dalla Curlandia vermero ad interrompere quell'idìllica vita al castell o : Uberto, senza neppur mostrarsi nei p r o p r i possedimenti, era andato direttamente a Pietroburgo, aveva preso servizio nell'esercito russo e sì trovava ora a combatter la guerra appena scoppiata cont r o i persiani. Ciò rese necessaria la partenza immediata della baronessa e dì sua figlia per recarsi nelle loro tenute ove regnavano d i sordine e confusione. Roderico, considerandosi già membro della famìglia, non si trattenne dal seguire l'amata; V . riparti per K. e i l castello ritornò deserto come prima. La grave malattia del maggiordomo andò ancora aggravandosi col passar dei giorni e, deposta ogni speranza d i guarigione, i l suo incarico venne affidato al vecchio guardiacaccia Franz, fedele servitore d i Volfango. E finalmente, do-

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po lunga e trepidante attesa, V . ricevette ottime notizie dalla Svizzera: i l parroco che aveva celebrato i l matrimonio d i Volfango era morto da molto tempo ma aveva aimotato d i proprio pugno nei registri della chiesa che l'individuo unitosi i n matrimonio con la signorina G i u l i a de St-Val sotto i l nome d i «Born» si era ineccepibilmente legittimato per Volfango v o n R., figlio primogenito del barone Roderico da R..sitten. Si erano inoltre rintracciati i due testimon i alle nozze, e cioè u n mercante d i Ginevra e un. vecchio capitano francese recatosi poi a Lione, ai quali pure Volfango aveva rivelato la propria identità. La testimonianza giurata d i questi due personaggi convalidò l'annotazione del sacerdote nei registri parrocchial i . Con alla mano tale documentazione redatta i n forma giuridica V . potè perciò dimostrare senza possibilità d i dubbio i d i r i t t i del proprio patrocinato. N u l l a dunque più si opponeva alla assegnazione del maggiorasco, fissata per l'autunno seguente. Uberto era caduto nel p r i m o combattimento cui aveva preso parte: g l i era toccata la stessa sorte del fratello minore, morto anch'eglì ìn guerra u n anno prima deUa scomparsa del padre. E cosi i beni d i Curlandia passarono alla baronessa Serafina von R.: la cospicua dote giunse ad accrescere la felicità del fortunatissimo Roderico, Verso i p r i m i d i novembre la baronessa, Roderico e la fidanzata rientrarono a R..sitten. A l l a consegna del maggiorasco seguirono le nozze dei due giovani e, dopo alcune settimane d i baldoria, g l i ospit i , ormai arcisatollì, incominciarono ad andarsene, con grande sollievo d i V . , i l quale non voleva lasciare Ìl feudo senza aver messo bene al corrente i l giovane signore della sua nuova situazione patrimotiiale. L o zio dì Roderico aveva tenuto esattissimo conto delle entrate e delle uscite e poiché i l giovane percepiva soltanto una piccola somma annua per i l proprio mantenimento l'eccedenza del redd i t o aveva notevolmente ingrossato i l capitale lìqmdo trovato nel lascito del defunto barone. Soltanto per Ì p r i m i tre anni Uberto aveva speso per sé i proventi del maggiorasco, garantendone però la restituzione mediante un'ipoteca sulla propria parte dei beni i n Curlandia. D a quando sì era accorto che Daniele era sonnambulo, V . aveva occupato la camera da letto del vecchio Roderico per poter spiare e carpire i l segreto che Daniele doveva, i n seguito, rivelargli spontaneamente; e ìn quella camera, e nella grande sala attigua, egli aveva preso l'abitudine d'incontrarsi col barone per discuter d'affari. Una sera i due sedevano insieme al grande tavolo presso i l camino acceso; V . con la penna i n mano, assorto ad armotare cifre ed a calcolare le ricchezze del maggiorasco, i l barone col braccio ap-

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poggiato sul tavolo e l o sguardo fisso sui documenti e i registri. Nessuno dei due udiva i l cupo muggito del mare, lo stridio angoscioso dei gabbiani che svolazzavano intorno e venivano a sbattere contro le finestre annunziando tempesta; nessuno dei due, verso la mezzanotte, fece caso allo scatenarsi dell'uragano che investì furiosamente i l castello, si insinuò nei corridoi, negli anditi, nei camini suscitando u n coro confuso d i ululati, d i sibili, d i voci sinistre. Quando, dopo un colpo d i vento che fece tremare l'intero edificio, la grande sala si trovò immersa i n una fosca luce lunare, V . finalmente esclamò: - Ohe tempaccio!... - Davvero, molto burrascoso... - rispose con indifierenza i l barone, assorto a studiare l'elenco delle ricchezze da poco acquisite; e con u n sorriso soddisfatto fece per voltare una pagina del registro delle entrate ma tutt'a u n tratto balzò i n piedi, come percosso dal ferreo pugno del terrore: la porta del salone si era spalancata e una figura pallida, spettrale, col v o l t o segnato dalla morte stava avanzandoDaniele, che V . , che t u t t i credevano a letto ammalato, incapace d i muovere u n passo, d i nuovo i n preda a una crisi d i sonnambulismo aveva intrapreso la sua deambulazione notturna. I l barone dapprima rimase a fissarlo senza dir motto, ma quando ìl vecchio incominciò a grattare alla parete sospirando angosciosamente come un'anima i n pena i n o r r i d i : pallido come u n morto, coi capelli r i t t i sulla testa, si slanciò minaccioso verso d i l u i gridando: - Daniele, Daniele!... Che fai t u q u i , a quest'ora?... - La sua voce stentorea rimbombò per tutta la sala. A l l o r a ìl vecchio emise quel mugolio raccapricciante, simile al gemito d i un animale ferito a morte, esattamente come quando V o l f ango g l i aveva offerto dell'oro i n cambio della sua fedeltà, e crollò a terra. V . chiamò i servitori; risollevarono l'infelice, ma ogni tentativo d i rianimarlo risultò vano. - Mìo D i o , m i o D i o ! . . . - esclamò i l barone fuori d i sé. - Tante volte l o avevo sentito dire... l o sapevo che i sonnambuli possono morire sul colpo se l i si chiama per nome!... I o , io sciagurato, ho ucciso questo povero vecchio!... N o n avrò più un'ora d i pace i n vita mìa!... Quando ì servitori ebbero portato vìa i l cadavere, V . prese per mano i i barone che seguitava ad accusarsi, lo condusse senza parlare davanti alla porta murata e g l i disse: - L'uomo caduto q i u morto ai suoi piedi, barone Roderico, era l'infame assassino d i suo padre - . I l barone lo fissò con occhi slaarrati come se vedesse g l i spìriti infernali. - È giunto i l momento d i svelare l'orrìbile segreto che incombeva su quel mostro, - proseguì V . , - e l o sospingeva a vagare durante le ore notturne sotto ìl peso della sua maledizione. Per volere

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dell'onnipotente i l figlio ha vendicato i l padre. Le parole con cui lei ha folgorato l'orrendo sonnambulo, gridandogliele nelle orecchie, furono le ultime pronunziate dal suo sventurato padre!... Tremante, incapace d i parlare, i l barone sedette accanto a V . , davanti al camino. E l'avvocato incominciò. Parlò dapprima dello scritto lasciatogli da Uberto con la raccomandazione d i dissigillarlo soltanto dopo l'apertura del testamento, scritto i n cui egli, Ubert o , si accusava non senza espressioni d i profondo rimorso, d'aver concepito u n odio implacabile verso U fratello maggiore fin dal giorno i n cui i l vecchio Roderico aveva istituito Ìl maggiorasco. O g n i arma g l i era stata sottratta perché, quando anche fosse riuscito con la malizia a mettere i l padre contro i l fratello, ciò non g l i sarebbe servito a nulla, i n quanto Io stesso Roderico n o n avrebbe più avuto la facoltà d i privare i l primogenito dei d i r i t t i d i primogenitura; i l che, d'altronde, i suoi principi non g l i avrebbero mai consentito d i fare, indipendentemente da ogni sentimento personale nei confront i del figlio. Soltanto quando Volfango iniziò i l proprio romanzo d'amore con G i u l i a de St-Val a Ginevra, Uberto credette d i poterlo rovinare; f u allora che, complice i l vecchio Daniele, cercò con perfidi raggiri d i indurre i l padre a prendere decisioni tali da portare Volfango alla disperazione. Roderico era convinto - e Uberto ben lo sapeva che soltanto l'unione con una delle più antiche famiglie del paese avrebbe potuto assicurare duraturo splendore al maggiorasco; tale unione egli l'aveva letta nelle stelle, e opporsi al disegno delle costellazioni sarebbe stato un delitto foriero dì rovina per l'istituzione. N e l matrimonio d i Volfango con G i u l i a egli vedeva pertanto u n delittuoso attentato ai decreti della potenza che sempre l'aveva assistito i n ogni impresa; vedeva i n Giulia una specie d i incarnazione demoniaca rivoltasi contro d i l u i e g l i sembrava lecito ricorrere a qualsiasi mezzo per rovinarla. L'amore dì Volfango per lei rasentava la follia: perderla significava l'infelicità, forse la morte; Uberto questo non lo ignorava; e tanto più volentieri sì era fatto complice attivo del vecchio padre i n quanto egli stesso, U b e r to, aveva concep i t o una passione colpevole per G i u l i a e sperava d i conquistarsela. M a la provvidenza aveva voluto che le armi velenose dell'insidia si spuntassero contro la risolutezza d i Volfango e fosse questi a ingannare i l fratello tenendogli nascosta l'avvenuta celebrazione del proprio matrimonio e la nascita del figlio. Presago della prossima morte, i l vecchio Roderico aveva i n t u i t o che Volfango potesse aver sposato Giu l ia, la nemica dei suoi diseg n i ; nella lettera i n cui g l i ingiungeva d i trovarsi a R..sitten i n quel

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determinato giorno per prendere possesso del maggiorasco, minacciava d i maledirlo se non avesse infranto la propria imione. Volfango bruciò poi quella lettera presso i l cadavere del padre. I l barone Roderico aveva scritto anche a Uberto per annunziargli i l matrimonio d i Volfango e la propria decisione d i farlo armullare. Uberto aveva preso la notizia per una immaginazione del vecchio sognatore; ma rimaneva atterrito quando i l fratello, a R..sitten, gli confermava francamente l'esattezza del presentimento paterno, soggiungendo che G i u l i a aveva dato alla luce u n bambino; la moglie continuava a crederlo i l mercante von B o r n , da M . , ed egH fra breve la avrebbe resa felice informandola della sua nuova situazione e delie immense ricchezze toccategli. Voleva andare egli stesso a Ginevra a prenderla, ma la morte l o aveva colto prima che potesse mettere in atto tale proposito. Uberto tacque gelosamente quanto aveva appreso circa l'esistenza d ' u n figlio legittimo d i Volfango e Giulia, avocando a sé i l maggiorasco spettante al nipote. M a dopo pochi ann i fu preso dal rimorso. I l destino g l i aveva ricordato la propria colpa con un ammonimento terribile: l'odio ogni giorno crescente fra i suoi due figli. - T u sei u n miserabile pezzente! - aveva detto i l primogenito - u n fanciullo dodicenne - al fratello minore. - Quando morirà nostro padre io diventerò padrone del feudo d i R..sitten... E se vorrai u n po' d i denaro per comprarti u n abito nuovo dovrai baciarmi umilmente le mani!... - i l ragazzo esasperato da queste parole orgogliose e sprezzanti, scagliava contro i l fratello un coltellaccio mancando poco ad ucciderlo. N e l timore d'una sciagura irreparabile, Uberto mandò i l secondogenito a Pietroburgo, dove più tardi i l giovane cadde combattendo contro i francesi, presso Suvarov. N o n osò rivelare al cospetto del mondo l'inganno, la disonestà d i cui si era macchiato per non coprirsi d'onta; ma da quel momento non volle più sottrarre neppure un centesimo al legittimo proprietario. Attinse informazioni a Ginevra e venne a sapere che la signora Born, sconsolata per l'inspiegabile scomparsa del marito, era morta; i l giovane Roderico, invece, era stato preso ed allevato da u n uomo dabbene. Allora Uberto si fece v i v o sotto falso nome, come u n parente del mercante B o r n scomparso i n mare, inviando somme d i denaro sufficienti ad assicurare im'educazione conveniente ed accurata al giovane signore del maggiorasco. Con quanto scrupolo egli accantonasse i redditi eccedenti e qual i disposizioni testamentarie prendesse, è noto. Circa la morte del fratello Uberto si era espresso i n termini strani ed enigmatici, tali, tuttavia, da lasciar trapelare u n torbido retroscena e fors'anche un

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orrendo misfatto d i cui egli si sarebbe reso complice, almeno i n d i rettamente. I l contenuto della cartella nera aveva p o i chiarito ogni cosa. Fra la corrispondenza clandestina d i Uberto con i l vecchio maggiordomo c'era u n foglio scritto e firmato da Daniele; V . lesse una confessione che lo fece fremere fin nel profondo. Era stato Daniele a far venire Uberto a R..sÌtten avvertendolo del ritrovamento dei centocinquantamila talleri. G i à sappiamo come Uberto venisse accolto dal fratello e, deluso i n tutte le sue speranze, volesse andarsene ma fosse trattenuto da V . - Daniele ardeva dal desiderio d i vendicare nel sangue l'offesa ricevuta dal giovane signore che aveva voluto scacciarlo come u n cane rognoso; e f u l u i a soffiare nel fuoco da cui Uberto, già i n preda alla disperazione, era divorato. Durante una caccia al lupo nella foresta, sotto l'imperversare d'una bufera d i neve, i due decisero dì sbarazzarsi d i Volfango, - Liquidiamolo! - mormorò Uberto imbracciando i l fucile e volgendo l o sguardo dall'altra parte. - Si, l o liquideremo! - ghignò Daniele. - M a non cosi, non c o s i !... - ; ed ebbe i l coraggio d i dichiarare chiaro e tondo che avrebbe assassinato i l barone senza farsene accorgere da nessu,,no. Ricevuto finalmente i l denaro, Uberto provò orrore per quel complotto e decise d i andarsene per sottrarsi a ogni altra tentazione. Daniele stesso, durante la notte, sellò i l cavallo e l o condusse !,(!hiori dalla scuderia, ma quando i l barone fece per montare i n sella :' g l i disse con voce tagliente: - Pensavo, barone Uberto, che saresti rimasto nel feudo d i cui sei diventato i l proprietario i n questo mo,mento. I l superbo signor primogenito è laggiù, sfracellato nella vo;,ragine della torre! Daniele aveva osservato che Volfango, travagliato dalla sete del!jl'oro, spesso si alzava d i notte per andare presso l'antica porta della ftorre a guardare con occhi pieni d i cupidigia i l luogo i n cui supponeWa si celassero ancora considerevoli tesori. Quella notte fatale Da^niele si mise d i sentinella alla porta della sala; n o n appena udì i l bai t e n e aprire la porta della torre crollata gli si avvicinò alle spalle. I l 'barone, già sull'orlo del precipizio, si volse, lesse negli occhi dello ^ìBcellerato la volontà del delitto e gridò i n o r r i d i t o : - Daniele, Daniele,,, che fai t u q u i a quest'ora?.., - G i ù , cane rognoso! — ruggì Paniele scaraventandolo nel vuoto con una violenta pedata. - Sconv o l t o dall'orrendo misfatto, i l barone non ebbe più pace nel castella i n cui Ìl padre era stato assassinato. Ritornò nelle proprietà d i "urlandia e prese l'abitudine d i venire a R.,sitten una sola volta al'anno, d i autunno, Franz, i l vecchio Franz, disse che lo spettro d i Daniele (del cui elitto egli sospettava) riappariva spesso durante le n o t t i d i pieni-

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l u n i o ; e l o descrìsse esattamente come più tardi V . lo vide e Io esorcizzò. La scoperta d i tali circostanze infamanti per la memoria del padre indusse anche ìl giovane barone Uberto ad andare i n giro per i l mondo. Terminato così i l proprio racconto lo zìo m i prese la mano e soggiunse teneramente, mentre g l i occhi g l i si riempivano dì lacrime: - L'infausto destino, la sinistra potenza annidati i n quel castello feudale haimo colpito anche « l e i » , la soavissima donna... Due giorn i dopo la nostra partenza da R..sìtten, ìl barone, per conchiudere i feste^ìamenti, organizzò una gita i n slitta; si mise alla guida della slitta i n cui sedeva la moglie ma, scendendo a valle, ì cavalli improvvisamente, inspiegabilmente, si imbizzarrirono e scalpitando, sbuffando, partirono al galoppo sfrenato. - I l vecchio... i l vecchio ci insegne!... - gridò la baronessa con voce acutissima; nello stesso i stante la slitta si ribaltò ed essa venne scaraventata lontano... La r i trovarono esanime... Si, è morta!... I l barone n o n se ne consolerà mai più. Apparentemente è calmo, ma la sua è la calma dì u n morituro. M a i più ritorneremo a R..sìtten, cugino!... I l vecchio zio tacque. L o lasciai col cuore spezzato; soltanto i l tempo, risanatore dì tutte le piaghe, riuscì a mitigare quel dolore che credevo dovesse distruggermi. Trascorsero m o l t i anni; V . riposava ormai da tanto tempo nella tomba, i o avevo lasciato la mìa patria. La bufera della guerra ' scatenatasi su tutta la Germania m i aveva sospìnto verso n o r d , a Pietroburgo. Durante i l viaggio d i ritomo, i n ima fosca notte d'estate, mentre costeggiavamo le sponde del Baltico nei pressi d i K., v i d i splendere nel cielo, davanti a me, una grande stella lucente. Quando funmio più vicini m i accorsi che n o n d i una stella doveva trattarsi, ma d i u n gran fuoco, senza tuttavia capire come quella fiamma rossastra potesse ardere cosf, sospesa nell'aria. - A m ic o, - domandai al postiglione, - che cos'è quell'incendio laggiù, davanti a noi?... - E h , n o n è mica i m incendio, - rispose luì. - È i l faro d i R..sitten. R..sìtten!... Quel nome ridestò vivo nella mia memoria ìl ricordo delle fatali giornate d'autuimo trascorse colà. R i v i d i i l barone... Serafina... le due vecchie zìe strambe... R i v i d i me stesso col chiaro viso d i latte, ben pettinato e arricciato, vestito dì celeste tenero... Si, m i r i v i d i nella parte dell'innamorato «che sospira come una stufa per le ciglia della propria bella» \..! ' Si allude alle guerre di liberazione, iSij-ijf. ' Shakespeare, Come vi piace, atto I I , scena vii.

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Nella tremenda malinconia che m i invase, le robuste facezie d i V . si riaccesero come l u m i n i multicolori; e le trovai ancor p i t i dìvertenti dì allora! Cosf, combattuto fra i l dolore e ima strana sensazione d i piacere, sul far del giorno scesi a R..sitten, davanti alla stazione dì posta. Riconobbi la casa dell'ispettore aziendale e chiesi dì l u i . - Con vostra Kcenza, - m i rispose l o scrivano dell'ufficio togliendosi la pipa d i bocca e toccandosi la berretta da notte. - Con vostra licenza, q u i non c'è nessun ispettore aziendale. Questo è u n ufficio regio, e i l signor consigliere sta ancora dormendo Feci altre domande e appresi che i l barone Roderico v o n R., u l t i m o signore del maggiorasco, era morto già da sedici anni senza discendenti e, secondo una clausola dell'istituzione, la proprietà era passata allo stato. A n d a i al castello: trovai u n cumulo d i rovine. G r a n parte del pietrame era stata utilizzata per la costruzione del faro; cosf m i disse u n vecchio contadino ch'era sbucato dalla pineta e aveva attaccato discorso con me. Sapeva t u t t o anche dello spettro, u n tempo annidato nel castello, e me ne parlò, assicurandomi che ancora adesso, specialmente quand'è lima piena, fra quei ruderi si odono terrificanti voci lamentose. Povero vecchio, miope Roderico!... Quale malvagia potenza evocasti dall'abisso per avvelenare ed estìnguere fin dai p r i m i germogli i l ceppo che credevi d'aver saldamente radicato, per tutta l'eternità?...

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I l giorno d i san Michele, mentre al convento dei carmelitani suonavano i l vespro, un'imponente carrozza da viaggio tirata da quattro cavalli d i posta attraversò rumoreggiando le viuzze dì L . , piccola città sul confine polacco, e andò a fermarsi davanti alla casa del vecchio borgomastro tedesco. Teste d i b i m b i curiosi si sporsero dalle finestre. La padrona d i casa si alzò da sedere e gettando contrariata sul tavolo g l i arnesi da cucito, disse all'anziano marito accorrente dalla camera attigua: - Ecco d i riuovo dei forestieri che haimo scambiato la nostra pacifica casa per una locanda!... T u t t a colpa dell'insegna : perché hai fatto dorare la colomba d i pietra sulla porta?... - I l vecchio abbozzò u n sorriso sornione carico dì sottintesi ma non rispose. I n u n attimo si era sfilata la veste da camera e infilato l'abito da cerimonia appeso sullo schienale della sedia e spazzolato d i fresco per la funzione i n chiesa d i poc'anzi; e prima che la moglie stupita potesse aprir bocca stava già là, col berrettino d i velluto sotto Ù braccio e la testa canuta risplendente nella luce del crepuscolo, davanti alla portiera della carrozza, aperta i n quell'istante da u n servitore. Ne scesero una signora attempata i n mantello da viaggio, grigio, e una giovane donna alta, col viso ricoperto da fitti veli, la quale sì appoggiò al braccio del borgomastro ed entrò i n casa vacillando. Appena f u nella camera si abbandonò quasi esanime sulla poltrona spinta prontamente avanti dalla padrona d i casa ad i m cenno del marito. - Poverina! - sussiu:rò mestamente la signora attempata al borgomastro. - Dovrò rimanere ancora alcuni m i n u t i con lei E, toltosi i l mantello da viaggio, premurosamente aiutata dalla figlia maggiore del borgomastro, apparve I n veste monacale: sul petto le scintillava la croce d i badessa d ' u n convento d i suore cistercensi. La signora velata non aveva dato fin q u i altro segno d i vita all'infuori d'un gemito appena percettibile, ma a questo punto chiese per favore u n bicchier d'acqua. La padrona d i casa si affrettò a portarle un'intera farmacia dì essenze e gocce tonificanti decantandone le virtù miracolose e pregando la povera signora d i

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togliersi quel velo così fitto e pesante che le impediva d i respirare liberamente; ma l'ammalata scostò la doima con la mano e gettò indietro la testa con un gesto d i orrore. E quando infine acconsentì a fiutare un'essenza e a trangugiare alcuni sorsi d'acqua i n cui la sollecita massaia aveva versato poche gocce d'un elisir d i provata efficacia, lo fece senza sollevare minimamente i l velo. - Dunque, m i o caro signore, - disse la badessa rivolgendosi al borgomastro, - avete preparato t u t t o come si desiderava? - Sf, signora, - rispose i l vecchio. - I l serenissimo principe sarà contento d i me, spero. E spero l o sarà pure questa signora, per cui son p ronto a far qualsiasi cosa, nel limite deUe mie possibilità. - Bene, - approvò la badessa. - E adesso lasciatemi sola per qualche istante con la mia povera figliola. La famiglia dovette lasciare la camera. Senza propriamente mettersi ad origliare, la padrona d i casa rimase sulla porta e udì: udì la badessa parlare concitatamente, con untuosa dolcezza, alla signora velata e questa risponderle con accenti che penetravano fino i n fondo al cuore; ma poiché parlavano i n italiano la scena le parve ancora più misteriosa e ìl turbamento che già le chiudeva la bocca aumentò. Dopo aver mandato moglie e figlia a prendere vino e rinfreschi v a r i , i l vecchio rientrò. La signora velata era i n piedi, a mani giunte e capo chino, davanti alla badessa e sembrava già u n po' più calma e rassegnata. La badessa fece onore al rinfresco e quindi disse: - E ora - ; la giovane donna cadde i n ginocchio, ella le pose le mani sulla testa e pregò sottovoce; p o i , con le guance solcate dì lacrime, se la strinse al petto come i n u n impeto d i dolore irrefrenabile. M a subito si ricompose; calma e dignitosa impartì la benedizione alla famiglia e, accompagnata dal borgomastro, ritornò i n fretta alla sua vettura. I cavalli dì posta cambiati dì fresco attendevano nitrendo forte; e, incitati dagli squilli d i corno, dalle grida gioiose del postiglione, ripartirono verso la porta della città. Avendo visto scaricare dalla vettura e portare i n casa u n paio d i pesanti valìge, la padrona sì era resa conto che la signora velata si sarebbe probabilmente trattenuta a limgo; allora uscì nell'atrio, sì parò dinnanzi al marito che stava rientrando e gli sussurrò angosciata: — Per l'amor d i Dìo... Si può sapere che razza d i ospiti ci port i i n casa?... T u sapevi t u t t o dì questa storia, e n o n mì hai detto niente!... - T u t t o quello che so dovrai saperlo anche t u , - rispose ìl vecchio senza scomporsi. - A h , povera me, - riprese lei sempre più angosciata. - M a t u forse proprio tutto non sai!... Appena partita la

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badessa, l'altra signora dev'essersi sentita soffocare sotto quei veli perché si è tolta Ìl lungo manto d i crespo che le scendeva fino alle ginocchia... e io ho visto... - Bene, che cosa hai visto?... - la incoraggiò i l marito vedendola guardarsi i n t o m o tremante come se le fosse apparso uno spettro. - Be', - riprese la donna. - I t r a t t i del viso n o n ho potuto distinguerli bene attraverso ì veli... ma i l colore cadaverico... ah, quell'orribile colore cadaverico!... E p o i , vecchio mio, apri gli occhi... è evidente... è chiaro come i l sole... quella signora è incinta!... Questione d i poche settimane e... - L o so, l o so, moglie mia, - bofonchiò i l vecchio accigliandosi. - E per non lasciarti morire d i curiosità e d'inquietudine t i spiegherò t u t t o i n due parole. Dunque : i l principe Z., i l nostro illustre protettore, m i ha scritto alcune settimane fa che la badessa del convenite cistercense d i O . m i avrebbe condotto ima signora perdbé io la accogliessi i n casa evitando nel modo più assoluto d i far strepito e d i dare nell'occhio. La signora (che vuole essere chiamata sempliceinente Celestina) attenderà q u i da n o i l'epoca del parto, poi verranno a prenderla con Ìl bambino. Aggiungo: i l principe m i ha calorosamente raccomandato d i averle tutte le cure possibili e, per le prime spese, per i l nostro disturbo, m i ha consegnato una bella borsa piena d i ducati - (potrai trovarla e contemplarla nel mio comò...) - D e tt o questo suppongo che tutte le tue perplessità svaniranno. - E cosf noi dovremmo forse tener mano a i m o d i quei b r u t t i peccati che usano commettere i gran signori?... - protestò la buona massaia; ma prima che i l marito potesse ribattere entrò la figlia a chiamarla: perché l'ospite desiderava riposare e pregava d i venir condotta nella propria camera. I l borgomastro aveva fatto rimettere i n ordine ed arredare nel miglior modo possibile due camerette al piano superiore; e rimase piuttosto male quando Celestina g l i domandò se n o n avesse, oltre a quelle, un'altra camera con le finestre sul retro. Rispose negativamente ma dovette precisare, per eccesso d i scmpolo, d i avere si u n altro locale con finestra sul giardino, ma non certamente degno d i chiamarsi «una camera», trattandosi d i u n bugigattolo, i n cui avrebbero trovato posto a mala pena i m letto, u n tavolo e una sedia... Qualcosa come una squallida cella d i convento insomma. Celestina chiese d i vedere subito la cameretta i n questione e appena entrata la dichiarò perfettamente conforme alle proprie necessità; quando le circostanze avessero reso necessaria la presenza d i un'infermiera si sarebbe trasportata i n u n locale più spazioso; per intant o desiderava sistemarsi là dentro.

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Se i l borgomastro aveva t u t t o subito paragonato quell'angusto sgabuzzino a ima cella d i convento, l'indomani esso poteva veramente dirsi tale. Celestina aveva appeso alla parete im'immagine d i ' Maria e posto u n crocifisso sul sottostante vecchio tavolo d i legno; . i l letto consisteva ìn u n saccone pieno d i paglia e una coperta ài lana; uno sgabello e u n tavolino d i legno grezzo completavano l'arredamento: Celestina non aveva voluto altre suppellettili. Poiché t u t t o nel modo d i essere, d i comportarsi della giovane donna rivelava la creatura tormentata da u n dolore profondo, struggente, la padrona d i casa, i n cuor suo, sì riconciliò con lei; e credette dì poterla rasserenare tenendole compagnia e scambiando le soli! te chiacchiere; ma l'ospite la pregò con parole commosse dì non turbare una solitudine i n cui essa trovava conforto unicamente r i volgendo i l pensiero alla Vergine e ai santi. O g n i mattina, all'alba, : Celestina sì recava a sentir la prima messa nel convento del carmel i t a n i ; i l resto della giornata sembrava dedicarlo esclusivamente ad esercìzi dì pietà: per quante volte credessero necessario salire ìn ca: mera sua, la trovavano sempre intenta a pregare o a leggere libri dì , devozione. Mangiava esclusivamente verdure, rifiutando qualsiasi ; altro cibo, e beveva soltanto acqua. Per indurla a prendere dì tanto i n tanto u n p o ' dì brodo d i carne e qualche sorso d i vino ci vollero • le insistenze del vecchio borgomastro, i l quale le fece presente co: me i l suo stato e la creatura vìvente ìn lei esigessero un'alìmentazio: ne migliore. : L a gente d i casa interpretava quella vita rigidamente claustrale ' come una penitenza per espiare chissà quale grave peccato; ciò non: dimeno ne provava rispetto e compassione profondi. A d accrescere ; tali sentimenti contribuivano non poco la nobile figura, l'autorità, ; l'innata grazia della «santa-forestìera»; e se essa ispirava insieme u n certo qual senso dì inquietudine, dì turbamento, d ò era dovuto ! unicamente al fatto d i n o n voler mai deporre i l velo né lasciarsi ve' dere i n viso. Chì altri l'avvicinava all'infuori del borgomastro e >, delle donne d i casa?... E come avrebbero potuto costoro, non essendo mai usciti dalla loro cittadina, riconoscere u n viso mai visto e venire a capo dell'enigma?... Perché dunque velarsi?.., La fervida fantasia delle comari non tardò ad escogitare una fai veletta orripilante: ìl v o l t o dì quella dorma era orrendamente sfi' gurato da u n marchio tremendo, l'unghiata del diavolo!... Ecco i l ; perché dei veli ! I l borgomastro ebbe i l suo daffare a frenare le chiac'ì chìere e ad impedire che, almeno davanti alla porta d i casa, si sussurrassero cose troppo strampalate sul conto della sconosciuta, ìl •'Cui recapito era ormai noto a tutta la d t t à . La gente l'aveva vista re-

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carsi al convento dei carmelitani e già la soprannominava «la dama nera del borgomastro», associando, naturalmente, a tale sopraimome l'idea d'tma manifestazione spettrale. Caso volle che u n giorno, mentre la figlia dei padroni d i casa serviva i l pranzo i n camera all'ospite, una corrente d'aria investisse e sollevasse i l famoso velo. La donna si volse fulmineamente per sottrarsi allo sguardo della fanciulla la quale, tuttavia, quando ridiscese era pallida e tremante: n o n aveva visto, disse, i l viso d i pallor cadaverico notato dalla madre, ma piuttosto u n viso «di marmo» con le orbite infossate, dal cui fondo guizzavano strani bagliori. G r a n parte d i questa descrizione i l borgomastro la attribuì aUa fantasia della giovinetta; ma poiché, i n fondo, sentiva e pensava anch'egli come g l i a l t r i , si augurò che quella creatura così conturbante, malgrado le innegabiH manifestazioni d i pietà religiosa, se ne andasse al più presto dalla sua casa. Poco tempo dopo g l i toccò svegliare la moglie nel cuor della notte per dirle che da alcuni m i n u t i g l i sembrava d i sentir gemere, e lamentarsi, e bussar piano nella camera d i Celestina. La moglie comprese al volo dì che si trattasse e corse dì sopra. Trovò Celestina distesa sul letto, semisvenuta ma completamente vestita e velata e n o n stentò a rendersi conto che stava per partorire. Prontamente si misero i n atto le misure prese da tempo, e dì K a poco veime alla luce u n bel bimbo sano. L'evento, benché previsto, parve coglier t u t t i d i sorpresa, e le sue conseguenze valsero a dissipare quel senso dì disagio così opprimente nei rapporti fra la famiglia del borgomastro e la forestiera. Mediatore innocente, i l bimbo parve r iaw ic i n a re Celestina alle cose umane. Poiché le condizioni della giovane donna n o n tolleravano alcun esercizio ascetico e rendevano ìndispensabile la presenza d i chi la curava con amorevole sollecitudine, essa sì abituò sempre più a vedersi intorno quelle persone. D a l canto suo, la padrona dì casa potendo ora assisterla personalmente, e preparare per lei, e portarle minestre n u t r i e n t i , scordò, grazie a tali mansioni domestiche, tutte le malevole congetture formulate sul conto dell'enigmatica ospite. Così, ad esempio, smise dì pensare che la sua casa onorata potesse servire a nascondere colpe ignominiose. I l vecchio pareva ringiovanito dalla gioia, neanche g l i fosse nato u n nipotino: n o n si stancava dì vezzeggiare ìl bimbetto e, come t u t t i gli a l t r i , sì era ormai abituato ai sempitemi veli che Celestina non aveva voluto deporre neppure durante ìl parto. L a levatrice aveva dovuto giurarle che, se le fosse avvenuto dì perdere conoscenza, glieli avrebbe sollevati l e i sola e nessun altro, anche ìn caso dì pericolo mortale. L a vecchia, dimque, l'aveva certamente vista senza

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v e l i , ma si era limitata a dire: - Quella giovane signora, poverina, è proprio costretta a velarsi cosi!... A l a m i giorni dopo venne i l monaco carmelitano che aveva battezzato i l bambino e si intratteime a colloquio con Celestina per o l tre due ore. D i h i o r i l i udirono parlare animatamente e pregare i n sieme. Uscito i l monaco trovarono Celestina seduta i n poltrona col bimbo i n grembo: i l piccolo aveva uno scapolare sulle minuscole spalle e i m Agnus Dei appuntato sul petto. Contrariamente a quanto credeva i l borgomastro e alle assicurazioni dategli dal principe v o n Z., trascorsero settimane e mesi senza che nessimo venisse a prendere Celestina. O r a essa avrebbe potuto entrare nella pacifica cerchia della famiglia e farvi parte se non fosse stato per quegli i n sopportabili veli che impedivano d i compiere l ' u l t i m o passo verso una veramente cordiale intimità. I l vecchio si assunse l'incarico d i dirglielo francamente, ma si sentì rispondere i n tono cupo e solenne: — Questi veli cadranno soltanto alla mia morte!... - E g l i n o n insistette ma tornò ad augurarsi i n cuor suo che riapparisse la carrozza della badessa. E verme la primavera. La famiglia del borgomastro stava rientrando da una passeggiata con le braccia cariche d i fiori, destinati i n gran parte alla pia Celestina, quando f u raggiunta da u n cavaliere . che chiese con urgen2a del borgomastro. I l vecchio si diede a cono;' scere e disse d i trovarsi davanti alla propria abitazione. A l l o r a i l caivaliere balzò d i sella, legò i l cavallo allo stipite e si precipitò d i cor-sa su per le scale gridando a squarciagola: - È q u i ! . . . L e i è q u i ! . . . ' S i udì l o sbattere d i una porta seguito da u n urlo agghiacciante d i fi Celestina. I l vecchio, i n o r r i d i t o , accorse. L'uomo, u n ufficiale della (guardia francese col petto carico d i decorazioni, aveva strappato i l b i m b o dalla culla e l o stringeva col braccio sinistro avvolto nel manrtcUo respingendo col destro Celestina che cercava con tutte le forze idi trattenere i l rapitore del bimbo. Nella colluttazione l'ufficiale le 'strappò via i l velo: si trovò d i fronte u n viso rigido, morto, u n viso \àà marmo incorniciato da riccioli neri... bagliori d i fuoco lo dardeg•giavano dal fondo delle orbite infossate, mentre acute esclamazioni idi dolore continuavano a uscire dalle labbra semiaperte, i m m o b i l i . O r a anche i l borgomastro vide e finalmente comprese: Celestina portava sul volto una maschera bianca, aderentissima. - O r r i b i l e donna, - urlava l'ufficiale cercando d i svincolarsi. V u o i proprio che la tua pazzia frenetica colga anche me ?... - e con n violento strattone la gettò a terra. M a Celestina g l i si avvinghiò "e ginocchia implorando con accenti così disperati da strappar l'ai m a : - Lasciami Ìl bambino!... O h , lasciami i l bambino!... N o n

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puoi r u b a r m i l'eterna salvezza... Per amor d i Cristo, della Vergine santa... lasciami i l bambino... lasciamelo! - E a tali inumane grida d i dolore non u n muscolo d i quel v o l t o cadaverico si contraeva, le labbra continuavano a rimanere i m m o b i l i . . . I l vecchio, la moglie, tutte le persone accorse si sentirono gelare Ìl sangue nelle vene! - N o ! . . . - riprese ad lu-lare Tufficiale disperato e furente. - N o , donna spietata e disumana... Potrai strapparmi i l cuore dal petto ma non t i permetterò d i rovinare con la tua funesta follia la creatura venuta a lenire questa ferita sanguinante!... - I l piccino, sentendosi stringere sempre più forte, si mise a piangere. - Vendetta... - imprecò sordamente Celestina. - Sf... la vendetta del cielo ricada su d i te, assassino!... - Lasciami... vattene, larva infernale, - ruggi l u i scaraventandola lontano da sé con uno scatto convulso del piede. E sì precipitò verso la porta; i l borgomastro tentò d i sbarrargli ìl passo ma egli estrasse una pistola e pimtandoglìela contro ìntimo: - Una palla nel cervello a chiimque tenti d i strappare i l bimbo a suo padre! - E , r i discesa la scala a precipizio, sempre col piccino ìn braccio, balzò a cavallo e vìa dì galoppo. La padrona dì casa era troppo preoccupata per la povera Celestina e ansiosa d i soccorrerla per non vìncere ìl senso dì terrore causatole dall'orrenda maschera mortuaria ed accorrere i n suo aiuto. M a con immenso stupore la trovò i n piedi i n mezzo alla camera, con le braccia penzoloni, immobile e muta come una statua. Le parlò, non ne ebbe risposta. N o n riuscendo a sopportare la vista della maschera, raccolse ì veU caduti sul pavimento e glieli rimise sul capo. Celestina pareva caduta ìn uno stato d i automatismo e n o n reagf. La buona doima, d i nuovo invasa da i m senso dì patita e dì pena, pregò ardentemente Iddìo d i liberarla dalla sconcertante straniera. La sua preghiera venne esaudita all'istante: la carrozza che aveva portato Celestina si fermò davanti alla porta dì casa. Ne scese la badessa e con l e i l'illustre protettore del vecchio borgomastro, i l prìncipe Z. t i quale, informato dell'accaduto, disse tranquillamente con dolcezza: - Dunque, siamo arrivati troppo tardi. Sìa fatta la volontà d i D i o ! - Celestina, sempre rìgida e muta sì lasciò condurre dabbasso e mettere ìn vettura senza reagire né dar segni dì possedere ancora una volontà propria. L'equipaggio riparti velocemente. Poco tempo dopo i l verificarsi dei fatti sopra narrati nella casa del borgomastro dì L . , nel convento delle suore cistercensi d i O . veime sepolta con insolita soleimità una certa suora guardiana. Si mormorava che la defunta suora fosse la contessa Ermenegilda von C , la quale avrebbe dovuto invece trovarsi i n Italia con la sorella di

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SUO padre, principessa von Z. Nello stesso periodo d i tempo, i l padre d i Ermenegilda, conte Nepomuceno von C , giunse a Varsavia e trasferì mediante u n atto legale i n piena regola l'intero suo cospicuo patrimonio ai due n i p o t i , figli del principe Z., conservando per sé soltanto una piccola proprietà i n Ucraina. A chi l o interrogava circa la sepoltura della figlia rispondeva cupamente levando al cielo g l i occhi pieni d i lacrime: - Sì... L'hanno sepolta!... - e non si l i m i tava a confermare la notizia della morte d i Ermenegilda avvenuta nel convento d i O . , ma parlava senza reticenze della tragica sorte che ne aveva fatto una martire, conducendola prematuramente alla tomba. U n gruppo d i patrioti, piegati ma non spezzati dal crollo della loro nazione, cercarono d i riattrarre i l conte nelle organizzazioni segrete tendenti alla restaurazione dello stato polacco. N o n trovarono più l'uomo ardente d i amore per la libertà e per la patria, pronto a partecipare con indomito coraggio alle imprese più rischiose, ma trovarono u n vecchio impotente, disfatto dal dolore, distaccato ormai da tutte le cose d i questo mondo e sul punto d i isolarsi i n assoluta solitudine. Dopo la prima spartizione della Polonia, quando si organizzavano i m o t i insurrezionali, la tenuta del conte Nepomuceno v o n C. era i l centro d i ritrovo dei patrioti; là, durante solenni banchetti, si accendevano g l i animi per la causa della patria perduta; là, nella cerchia dei giovaiù e r o i, era apparsa come u n angelo inviato dal cielo per consacrarsi a quella causa, Ermenegilda. Come tutte le sue coruiazionali, anch'essa, benché appena sedicenne, partecipava attivamente ai convegni e perfino alle discussioni politiche; soppesava, valutava attentamente la situazione, ed esprimeva quindi i l proprio parere, spesso contrastante con quello dì t u t t i gU altri ma sempre talmente lucido, preciso, prudente da avere i l più delle volte i l sopravvento. Dopo di lei, chì possedeva al massimo grado la facoltà d i afferrare rapidamente e inquadrare con • esattezza le situazioni era ìl conte Stanislao v o n R., \m giovane ven• tenne pieno d i entusiasmo ed eccezionalmente dotato. Accadeva •quindi sovente che Ermenegilda e Stanislao dibattessero l o r o due •soli i problemi proposti, soppesando, accettando, respingendo con ' rapide discussioni le varie proposte o prospettandone altre. E ìl risultato d i tali dibattiti veniva i l più delle volte riconosciuto come Inquanto d i meglio sì potesse decidere, perfino da parte degli anziani 'ted esperti u o m i n i dì stato r i u n i t i a consìglio. C'era dunque qualcosa dì più naturale che pensare all'unione dì quei due giovani, dalle •Cui meravigliose virtù sembrava dovesse rifiorire la salvezza della ^patria?... Politicamente opportuna appariva, inoltre, ìn quel partiiColare momento anche l'unione delle rispettive famìglie fra cui sì

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diceva esistesse qualche contrasto d'interessi, caso d'altronde n o n infrequente fra le eminenti famiglie polacche. Più che mai compresa dell'importanza d i tali argomentazioni, Ermenegilda accettò lo sposo a lei destinato come u n dono della patria. E cosi, i n occasione del solenne fidanzamento dei due giovani vennero organizzati e decisi i convegni patriottici da tenersi i n casa del conte Nepomuceno. Gsm'è noto, i polacchi furono sconfìtti '. Con la caduta d i Kosziusko falli un'impresa troppo esclusivamente basata su una eccessiva fiducia nelle forze a disposizione e nelle possibilità del valore cavalleresco. I n considerazione della sua giovane età, del valore e dei brillanti trascorsi m i l i t a r i , al conte Stanislao era stato assegnato un posto preminente nell'esercito. E d egli si batté infatti con leonino coraggio ma sfuggi a stento alla cattura e rientrò mortalmente ferito. Lo tenne i n vita i l pensiero d i Ermenegilda, l'illusione d i ritrovar conforto e speranza fra le sue braccia. Guarito quasi per miracolo, si affrettò a ritornare nelle tenute del conte Nepomuceno, ma v i ritornò unicamente per ricevere una seconda e più crudele ferita. Ermenegilda lo accolse con raggelante disprezzo: - Rivedo l'eroe che voleva andare alla morte per la patria ?... - esclamò quasi schernendolo, come se nella sua folle esaltazione lo avesse scambiato per un favoloso paladino capace d i annientare da solo intere armate con la propria spada. A nulla valse spiegare che nessuna forza al mondo avrebbe potuto opporsi alla travolgente, irresistibile fiumana nemica riversatasi sul paese; a nulla valsero le suppliche, le appassionate proteste d i amore. Come se i l suo cuore d i ghiaccio fosse capace d i accendersi soltanto per i grandi eventi storici, Ermenegilda rimase ferma sulla decisione d i non concedere la propria mano al conte Stanislao se non dopo la cacciata dello straniero dal suolo della patria. I I conte si avvide troppo tardi che quella fanciulla non Io aveva mai amato. La condizione impostagli da lei chissà quando si sarebbe verificata... forse mai! Perciò, dopo averle giurato fedeltà fino alla morte la lasciò, prese servizio nell'armata francese e partì per le campagne d ' I t a l i a . A quanto si dice, le donne polacche pare si contraddistinguano per un carattere particolarmente capriccioso. U n variopinto miscuglio d i profonda sensibilità e d i f r i v o l i abbandoni, d i stoica abnegazione, d i passionalità ardente e d i mortale freddezza, genera alla superficie u n singolare gioco d i umori mutevoli, simile al sempre mu' Bittaglia presso Maciejpvice, io ottobre 1794.

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tevolc gioco delle onde sulla superficie d'un ruscello m o l l o mosso e agitato nel fondo. Ermenegilda si separò con indifferenza dal fidanzato, ma dopo pochi giorni f u presa da una nostalgia indescrivibile; nostalgia quale soltanto u n amore ardentissimo poteva generare. Passata la bufera della guerra venne proclamata l'amnistia e gli ufficiali polacchi prigionieri furono rimessi i n libertà. Perciò parecchi compagni d'armi d i Stanislao ricomparvero nella tenuta del conte. Ritrovandosi, rievocarono le infauste giornate con profondissima pena ma anche accendendosi d'entusiasmo al ricordo del leonino coraggio con cui t u t t i si erano b a t t u t i , e più d i t u t t i Stanislao: quando già la situazione appariva disperata, aveva ricondotto al fuoco i battaglioni i n rotta riuscendo a sfondare lo schieramento nemico con la cavalleria. Le sorti della giornata ritornavano già a pendere incerte quando Stanislao, al grido d i «Patria... Ermenegild a ! . . . » , cadeva da cavallo colpito da i m proiettile. O g n i parola d i questo racconto colpi Ermenegilda come una stilettata i n pieno cuore. - N o ! - proruppe ad u n tratto scoppiando i n lacrime. - N o n sapevo d'amarlo tanto... d i averlo sempre immensamente amato, fin dal primo momento che l'ho visto!... Quale inganno diabolico è riuscito ad illudermi d i poter vivere senza d i l u i , ch'era tutta la mia vita?... E io l'ho mandato a morire!... N o n ritornerà mai più!... - Quel pianto, quelle invocazioni disperate commossero t u t t i i presenti. Ermenegilda trascorse una notte insorme, tormentata, inquieta, vagando nel parco e continuando a lanciare nell'aria i suoi richiami come se Ìl vento notturno U potesse portare all'amato lontano: — Stanislao, Stanislao... r i t o m a . . . Sono i o . . . È Ermenegilda d i e t i chiama... N o n m i senti?... Se non r i t o m i morirò d i rimpianto e d i disperazione!... I l suo stato d i esaltazione minacciava d i degenerare i n una autentica forma d i follia. Angosdato e preoccupato per la salute della figlia diletta, i l conte Nepomuceno credette nell'opportunità d i u n intervento medico; e riuscì infatti a trovare u n dottore disposto a trascorrere i m periodo d i tempo i n casa sua e a prendere i n cura l'ammalata. Benché i l metodo terapeutico, volto assai più alla psiche che non al fisico, fosse indubbiamente ben calcolato e desse r i sultati innegabili, la possibilità d i conseguire una guarigione vera e propria sì delineava tuttavia assai dubbia perché dopo una lunga remissione le strane crisi parossistiche si erano inaspettatamente ripetute. Una singolare avventura diede poi una nuova piega alla cosa. Ermenegilda aveva poc'anzi gettato rabbiosamente nel fuoco ìl

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SUO «piccolo ulano», u n pupazzetto che da qualche tempo soleva stringersi al cuore chiamandolo con i n o m i più dolci, come se fosse l'amato; lo aveva gettato nel fuoco perché l'ulano testardo s'era recisamente rifiutato d i cantare «Podrosz twoia nam niemila, milsza pryiaszn w K r a i w b y l a , ecc., ecc....» '. Compiuta quest'impresa, mentre si avviava per rientrare nelle proprie stanze passando per l'anticamera, udì dietro d i sé un tintinnio d i speroni, u n passo... Si volse e vide un ufficiale della guardia francese i n alta uniforme col braccio sinistro fasciato, appeso alla benda. Vederlo, gettarglisi al collo esclamando: - Stanislao... Stanislao!... - e venir meno f u t u t t ' u n o . L'ufficiale, impietrito dallo stupore, fece non poca fatica a reggerla col solo braccio disponibile perché Ermenegilda era una ragazza alta e d i forme assai floride. La strinse a sé sempre più forte, ne sentf i l cuore battere contro i l suo e incominciò a d k s i che una più deliziosa avventura n o n gli era mai capitata. I n t a n t o i secondi passavano: l'ardore amoroso emanato dalla figurina stretta fra le sue braccia pareva scaricarsi su d i luì ìn miriadi d i scintille elettriche; l'ufficiale si senti salire i l sangue alla testa e incominciò ad imprimere bacì appassionati su quelle dolcissime labbra. I l conte Nepomuceno uscendo dalla propria camera l i vide cosf: - A h ! - esclamò trasalendo d i gioia. - Conte Stanislao!... - I n quell'istante Ermenegilda ritornò i n sé e d i nuovo abbracciò con trasporto l'ufficiale esclamando: - M i o adorato... sposo mio! L'ufficiale fece i m passo indietro sciogliendosi dolcemente dall'abbraccio frenetico della fanciulla; tremante, sconvolto, col viso dì brace, trovò appena la forza d i balbettare: - È stato i l più dolce istante della mìa vita... M a lo devo a u n errore e non voglio goderne oltre i l lecito... I o n o n sono Stanislao... non lo sono, purtroppo!... Ermenegilda balzò indietro inorridita, scrutò attentamente l'ufficiale e quando sì rese conto d'essere stata ingannata dalla straordinaria rassomiglianza dì costui con l'uomo amato corse via urlando e gemendo. L'ufficiale si diede a conoscere: era i l conte Saverio von R., cugino d i Stanislao. I l conte Nepomuceno stentò a credere che i l ragazzino Saverio potesse essersi fatto i n cosi breve tempo un simile giovinottone... Indubbiamente g l i strapazzi della guerra avevano conferito al suo viso, al suo portamento u n carattere anche più virile d i quanto sarebbe stato lecito attendersi. I l conte Saverio aveva infatti lasciato la patria insieme al cugino Stanislao, d i l u i più anzla' « Il tuo viaggio non ci è caro - più cara ci era la tua amicìzia qui in pattia> - dal testo di una «polonaise» che si cantava nel 1797 alla partenza di Kosciuszko per l'America.

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no, e preso servizio nell'eserciio francese, e combattuto i n Italia al suo fianco. A soli diciott'anni si era subito talmente distinto per i n telligenza, asseimatezza e leonino coraggio da meritarsi la promozione ad aiutante d i campo del generale. E d ora, a vent'anni, era già maggiore. Costretto ad u n periodo d i riposo dalle ferite riportate i n guerra, appena rientrato i n patria era subito accorso dal conte Nepomuceno per recare u n messaggio d i Stanislao alla sua amata... ed era stato accolto come se fosse Stanislao ìn persona. Ermenegilda, annientata dalla vergogna e dal dolore non voleva più uscire dalla propria camera fintantodié Saverio fosse rimasto ìn casa. I l padre e i l dottore fecero l'impossibile per rìcondurla alla calma, ma inutilmente. Saverio, fuori d i sé al pensiero d i non poterla più rivedere, le scrisse dicendole che g l i sì faceva pagar troppo caro una rassomiglianza dì cui n o n aveva colpa alcuna; e non luì soltanto ma anche Stanislao avrebbe scontato le conseguenze del malaugiu^to equivoco se al latore del dolce messaggio amoroso veniva preclusa la possibilità d i consegnarlo personalmente aggitmgendo a viva voce ciò che egli, nella fretta del momento, n o n aveva p o t u t o scrivere. Una cameriera, conquistata alla causa dì Saverio, sì assimse l'incarico d i consegnare la lettera a Ermenegilda; e ciò che non era riuscito al padre né al dottore lo ottenne Saverio col proprio scritto. Ermenegilda si decìse a rivederlo. L o ricevette silenziosa, ad occhi bassi, nella propria camera. Saverio le sì avvicinò a passi l i e v i , esit a n t i , prese posto davanti al divano su cui sedeva lei ma p o i , chinandosi i n avanti per parlare, venne a trovarsi piuttosto inginocchiato che seduto. Con le espressioni più commoventi, col tono d i chì sì accusi d'ima colpa imperdonabile, la suppUcò dì n o n riversare sul suo capo la responsabilità dell'equìvoco che g j i aveva concesso dì assaporare la felicità spettante al carissimo amico. N o n Saverio aveva abbracciato nella gioia dell'incontro inatteso, ma Stanislao. Le consegnò quindi la lettera ed incominciò a parlarle d i luì: anche nell'infuriare delle più sanguinose battaglie - disse - i l pensiero d i Stanislao era costantemente rivolto alla sua «dama»... Ìl suo cuore ardeva soltanto d'amore per la libertà, per la patria, ecc., e c c . Trascinata dal racconto focoso e vivace dì Saverio, Ermenegilda scordò a poco a poco ogni timidezza e incominciò a sollevare su d i luì lo sguardo f a s c i n a n t e dei suoi occhi dì cielo. Novello Kalaf colpito dagli sguardi dì Turandot stordito da una dolcissima sensazione

' Vedi Turandot di Carlo &>^Ì, atto I I , aceoa v. Questa favola cìaat h nota soprattutto nella tielaborazionc di Schiller (Tiibingen 1801, atto I I , scena iv).

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d i piacere, Saverio riusci a stento a proseguire nella narrazione. Senza quasi rendersi conto d i ciò che diceva tanto era i l tormento della lotta interiore contro la passione che minacciava d i prorompere come u n incendio, si perse i n una prolissa descrizione d i vari fatti d'arme, parlò d i cariche d i cavalleria, d i sfondamenti, d i batterie conquistate... - O h , basta con queste scene sanguinose! - Io interruppe Ermenegilda spazientita. - Questi sono spettacoli infernali!... D i m m i , d i m m i soltanto che l u i , Stanislao, m i ama!... - A l lora Saverio rincuorato le prese una mano e se la premette impetuosamente al cuore esclamando: - Ecco... ascolta come t i parla Stanislao - : e le più incandescenti dichiarazioni d'amore, quelle che soltanto la follia d'una passione divorante può suggerire, scaturirono a fiotti dalle sue labbra. N e l parlare cosf era caduto i n ginocchio e Ermenegilda l o aveva cinto con le braccia; ma quando egli balzò i n piedi e fece l'atto d i stringerla a sé si senti respingere bruscamente. Ermenegilda fissò per alcuni istanti su d i l u i uno sguardo strano e disse con voce sorda: - Presuntuoso fantoccio!... Anche se t i ravv i v o al calore del mio seno t u n o n sei Stanislao... e n o n potrai mai diventarlo!... - Ciò detto lasciò la camera a passi lenti e silenziosi. Saverio si avvide troppo tardi della propria sconsideratezza. Si rendeva ormai anche troppo chiaramente conto d'essersi iimamorato alla follia d i Ermenegilda, la fidanzata del cugino, capiva che qualsiasi cosa facesse per favorire la propria assurda passione si sarebbe macchiato d i slealtà e tradimento verso l'amico. Doveva partire immediatamente senza pìii rivedere Ermenegilda; e, presa su due piedi l'eroica decisione, ordinò d i preparargli i l bagaglio e attaccare la carrozza. Quando volle congedarsi dal conte questi rimase altamente meravigliato; fece del proprio meglio per trattenerlo ma Saverio (sorretto assai più da una specie d i irrigidimento interiore che n o n da vera forza d'animo...) insistette nel dirsi costretto a partire da particolari m o t i v i . G i à s'era affibbiato la sciabola alla cintura e se ne stava là, col berretto d'ordinanza i n mano mentre dabbasso, davanti all'ingresso, i cavalli nitrivano impazienti, quando la porta si aperse ed apparve Ermenegilda: - Dunque, vuole proprio andarsene, m i o caro Saverio? - g l i disse con u n delizioso sorriso. - Speravo d i farmi raccontare ancora tante cose del mio Stanislao!... N o n l o sa che le sue conversazioni m i confortano i m mensamente?... - Saverio abbassò g l i occhi arrossendo. I tre sedettero. I l conte Nepomuceno ripetè i n t u t t i i toni che da m o l t i mesi non vedeva più Ermenegilda cosi rilevata e dì buon umore. Quando fu una cert'ora i domesrici, a u n ceimo del padrone, apparecchiarono la tavola per la cena i n quella stessa camera.

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Mentre u n nobilissimo vino ungherese scintillava nei bicchieri ed Ermenegilda, con le guance d i fiamma, l o centellinava celebrando i l ricordo dell'amato, la libertà, la patria, Saverio pensava: « Partirò stanotte...» - Finita la cena domandò al suo domestico se la carrozza stesse ancor sempre aspettando. - La carrozza, - rispose i l domestico, - era stata distaccata già da u n bel p o ' , e scaricata del bagaglio e riportata nella rimessa, per ordine del conte Nepomuceno. I cavalli mangiavano i n scuderia e Woyciech stava russando sul saccone d i paglia Saverio non fece obiezione e lasciò correre. L'inattesa ricomparsa d i Ermenegilda l o aveva convinto che rimanere era non soltanto possibile ma anche consigliabile e piacevole; da tale convinzione im'altra n'era nata; che cioè si trattasse unicamente d i vincersi, d i reprimere qualsiasi sfogo passionale per n o n eccitare Ermenegilda e peggiorarne i n ogni senso lo stato d i turbamento mentale. E se p o i i n seguito Ermenegilda riavendosi dai p r o p r i sogni avesse preferito i l sereno presente a u n avvenire oscuro, ciò sarebbe dipeso unicamente dalle circostanze, dalle costellazioni; n o n era q u i n d i i l caso d i parlar d'infedeltà e d i tradimento nei confronti dell'amico. Quando la rivide, l'indomani, riuscì infatti a dominarsi egregiamente, evitando con la massima cura t u t t o ciò che avrebbe potuto portare a bollore i l suo sangue già fin troppo caldo. Mantenendosi .jdunque nei l i m i t i delle più rigide convenienze, osservando addirit,1 tura u n gelido cerimoniale, egU diede al proprio discorso quel tono 41 zuccherina galanteria che si insinua n d l ' a n i m o delle donne come jvUn mortale veleno. Saverio, i l ragazzo ventenne inesperto d i arte }: amatoria, guidato dall'infallibile istinto del male, seppe dispiegare i l e arti del maestro provetto. Parlò esclusivamente d i Stanis ao, del (SUO indicibile amore per la dolcissima sposa, lasciando però abiljmente intravedere i n t u t t o quell'ardore la propria figura; tanto che Sa u n certo punto Ermenegilda quasi n o n riusciva più a scinderla da Vquella dell'assente Stanislao. I n tanta confusione ed esaltazione d i / Bcntimenri, la compagnia d i l u i le divenne ben presto indispensabi^fjte; e cosi i due finivano per stare quasi sempre insieme, e i l più delle evolte nell'atteggiamento d i due innamorati i n dolce colloquio. Nella stessa misura i n cui la consuetudine prendeva Ìl sopravvento sulla ritrosia della fanciulla, Saverio tendeva a varcare i l i m i t i del gelido ;'ferimonìale entro c u i , dapprincipio, si era molto saggiamente riparlato. O r m a i passeggiavano insieme nel parco tenendosi sotto bracc o e i n casa, quando Saverio le sedeva accanto parlandole del for' tunato Stanislao, lei gli lasciava volentieri la mano fra le sue. Ecceftlon fatta per g l i affari d i stato e le questioni riguardanti la « causa

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patriottica», i l conte Nepomuceno n o n era u n uomo capace d i vedere molto profondo: si accontentava d i quanto poteva scorgere alla superficie e le fugaci immagini della vita si riflettevano nella sua mente, chiusa a t u t t o ciò che n o n fosse politica, attimo per attimo, come sulla superficie d i uno specchio, per subito svanire senza lasciar traccia. N o n comprendendo la realtà interiore d i Ermenegilda, egli si accontentava d i veder sostituiti da u n uomo i n carne ed ossa i pupazzetti che un tempo la fanciulla, demente, trattava come se fossero l'uomo amato; e molto astutamente credeva d i prevedere che Saverio avrebbe finito per prendere i l posto d i Stanislao; dopot u t t o , per l u i u n genero valeva l'altro. E cosi al fedele Stanislao non pensò più. La stessa cosa ormai credeva Saverio perché, trascorsi u n paio d i mesi, Ermenegilda, quantunque ancor sempre piena del ricordo d i Stanislao, si lasciava sempre più apertamente corteggiare. Una mattina corse voce che Ermenegilda si era chiusa nelle proprie stanze con la cameriera e non voleva assolutamente vedere nessuno. I l conte Nepomuceno, convinto si trattasse d i una nuova crisi, pregò Saverio d i esercitare sulla figlia la propria influenza; ma con suo sommo stupore Saverio non soltanto si rifiutò d i intervenire ma si mostrò radicalmente cambiato: la sua quasi eccessiva disinvoltura era sparita; egli sembrava i n t i m o r i t o , come se avesse veduto uno spettro; ìl suo tono dì voce era incerto, i suoi discorsi opachi e incoerenti. Disse dì dover assolutamente partire per Varsavia, d i non voler più rivedere Ermenegilda; negli u l t i m i tempi lo squilìbrio mentale della fanciulla g l i aveva fatto orrore e paura; all'amore, alla felicità egli aveva ormai rinunziato perché la fedeltà, rasentante la follia, d i Ermenegilda per Stanislao g l i aveva fatto sentire tutta la propria slealtà verso l'amico e provarne vergogna; non gli rimaneva dunque altro scampo che la fuga. I l conte Nepomuceno comprese assai poco d i t u t t o questo discorso; una cosa sola g l i parve chiara: che la pazzia della figlia aveva contagiato i l giovane Saverio. Cercò dì dimostrarglielo, ma invano; cercò dì dimostrargli la necessità d i guarire Ermenegilda dalle sue bizzarrie, e pertanto d i rivederla: la resistenza dì Saverio sì fece sempre più accanita. E la disputa n o n durò a lungo. Come sospinto da una forza invisibile ma irresistibile, Saverio corse via, balzò i n carrozza e p a r t i . I l conte Nepomuceno indignato per ìl comportamento dì Ermenegilda non si occupò più d i l e i ; e cosi essa trascorse parecchi giorni indisturbata nei p r o p r i appartamenti n o n vedendo nessuno ad eccezione della cameriera. U n giorno, mentre Nepomuceno sedeva assorto a meditare sulle

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eroiche imprese dell'uomo che allora Ì polacchi adoravano come u n falso idolo la porta si apri e Ermenegilda entrò; era tutta vestita a lutto con u n lungo velo vedovile; si avvicinò al padre a passi lenti e solenni, cadde i n ginocchio e g l i disse con voce tremante: — O h padre mio... i l conte Stanislao, i l mio sposo amatissimo non è più!... è caduto combattendo da prode... Q u i , i n ginocchio davanti a te, vedi la sua povera vedova!... - I l conte Nepomuceno aveva ricevuto i l giorno prima buone notizie del conte Stanislao; credette quind i che si trattasse d'una nuova crisi dì squilìbrio mentale. - Tranquillizzati, cara figliola! — le disse rialzandola con dolcezza, — Stanislao sta bene e presto accorrerà fra le tue braccia - . Ermenegilda trasse u n sospiro come se rendesse l'anima e si abbandonò affranta sul divano; ma dopo alcuni istanti sì ricompose e disse con una calma stupefacente: - Lascia ch'io t i racconti come sono andate le cose, caro padre. D e v i sapere t u t t o per potermi considerare veramente la vedova del conte Stanislao von R. Sei giorni fa, all'ora del tramonto, i o m i trovavo nel padiglione meridionale del nostro parco. T u t t i i mìei pensieri, t u t t o l'esser m i o erano r i v o l t i a l u i . A d u n tratto sentii che g l i occhi mì sì chiudevano e caddi, n o n dico addormentata, ma i n uno stato strano - n o n saprei definire se non d i « sogno ìn stato d i veglia»... M a poco dopo u n frastuono infernale si scatena intorno a me... Sìbili, rombi... sparì fittissimi, uno sull'altro... M i sveglio dì soprassalto e con immenso stupore mì trovo i n una tenda da campo... I n ginocchio ai mìei piedi c'è Stanislao!... L o abbraccio, me lo stringo alcuore... - « D i o sìa lodato! », esclama luì. « T u v i v i . . . e sei mìa!...» - M ì dice che subito dopo ìl nostro matrimonio i o sono svenuta... E io, sciocca, soltanto allora ricordo che padre Cipriano (ìl quale stava uscendo dalla tenda ìn quel momento...) ci aveva sposati poc'anzi, nella vicina cappella, sotto i l fuoco delle artiglierie, ìn mezzo all'orrendo fragore della battaglia... M i vedo brillare la fede d'oro i n d i t o . . . La gioia con cui riabbraccio m i o marito è indescrivibile... m i sento inondare da una delizia mai provata... sono una sposa finalmente felice!... E perdo i sensi. Una ventata gelida mì investe. Riapro g l i occhi: ...orrore! . . . M i trovo i n mezzo all'infuriare della battaglia... vedo davanti a me, i n fiamme, la tenda da cui evidentemente mì avevano messa al riparo... E più i n là Stanislao, circondato, premuto da cavalleggerì nemici. A l c u n i camerati accorrono per salvarlo... Troppo tardi... U n cavalleggero l o colpisce alle spalle, lo abbatte... - Sopraffatta dal tremendo dolore, Ermenegilda cadde nuovamente ìn delìquio. Nepomuceno corse

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a prendere un cordiale ma non ce ne f u bisogno; con forza prodigiosa la giovane si riprese: — La volontà del cielo si è compiuta, — disse con cupa solennità. - M i o dovere non è lamentarmi ma essergli fedele fino alla morte. Nessun legame terreno dovrà mai più dividerm i da l u i . . . Piangere, pregare per la nostra salvezza sarà d'ora i n poi la mia sola missione... e nuUa dovrà distogliermene. I l conte Nepomuceno credette a ragione che quella visione avesse fatto finalmente esplodere la pazzia latente nella figlia. M a poiché quel voler portare i l l u t t o per i l marito i n claustrale raccoglimento non era, i n fin dei conti, una manifestazione clamorosa o comunque inquietante e l'arrivo del conte Stanislao v i avrebbe messo fine, i l padre si senti un p o ' più sollevato. N e i giorni seguenti provò a gettar là qualche allusione ai vaneggiamenti, alle visioni: ogni volta, Ermenegilda si portava alle labbra la fede d'oro sorridendo dolorosamente e la intrideva dì lacrime cocenti. I l padre notò con stupore che quell'anello g l i tornava nuovo: non lo aveva mai visto prima i n dito alla figlia! M a poiché poteva esserselo procurato i n mille m o d i non si diede la pena d i indagare. Assai più importante gli parve una cattiva notizia giunta dal fronte : i l conte Stanislao era caduto prigioniero; e, per d i più, Ermenegilda pareva n o n sentirsi bene; senza essere propriamente ammalata, si lagnava spesso d'una strana sensazione d i malessere generale. I n quel periodo d i tempo giunsero i l principe Z. con la moglie la quale avendo fatto da vicemadre a E r m e n e ^ d a rimasta prematuramente orfana, venne da l e i accolta con affetto e devozione filiale. L a giovane si confidò pienamente con la principessa, dicendosi amareggiata d i vedersi trattare come una pazza soltanto per aver asserito - e ampiamente dimostrato! - d i essersi effettivamente unita i n matrimonio con Stanislao. La nobildonna, al corrente della situazione e convinta d i aver a che fare con ima squilibrata, si guardò bene dal contraddirla, limitandosi a tranquillizzarla: col tempo - le disse - t u t t o si sarebbe chiarito; e per intanto era meglio rimettersi umilmente al volere del cielo. Quando però Ermenegilda le parlò delle proprie condizioni fisiche e le descrisse le strane crisi d i malessere, la principessa si fece più attenta; e continuò p o i a sorvegliarla con sollecitudine ansiosa, mostrandosi tanto più preoccupata quanto più la giovane andava m i gliorando. A u n certo punto Ermenegilda parve completamente ristabilita: le guance pallidissime avevano ripreso i l loro bel colore, g l i occhi avevano perso quei bagliori t o r b i d i , inquietanti, l o sguardo era r i tornato mite e tranquillo, le forme tendevano ad arrotondarsi sempre più; Ermenegilda, insomma, era ridiventata u n fiore d i gioven-

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t u e d i bellezza. Eppure la principessa pareva considerarla più ammalata che mai. — Come stai?... Che cos'hai, bimba mia?... Come t i senti?... - le domandava inquieta se soltanto la sentiva sospirare o la vedeva u n tantino impallidire. I l conte Nepomuceno, i l principe, la principessa si consultarono sul da farsi per togliere a Ermenegilda quella idea fissa d i credersi la vedova d i Stanislao. - Credo, purtroppo, - disse i l principe, - che la sua pazzia sia inguaribile. Perché fisicamente è sanissima mentre si direbbe che cerchi d i alimentare con tutte le forze i l proprio turbamento mentale... G i à , - continuò mentre la principessa guardava fisso davanti a sé con aria afilitta, - proprio cosi: è sana come u n pesce, malgrado i l nostro torto dì voler continuare a curarla, a viziarla, a tormentarla come se fosse ammalata... - La principessa, cui queste parole erano dirette, guardò bene negli occhi i l conte Nepomuceno e disse secco e reciso: - N o ! Ermenegilda non è ammalata. M a se non m i fosse impossibile crederla capace d i aver fatto u n passo falso sarei convinta che... sia i n stato interessante - . Ciò detto si alzò e usci dalla camera. I l conte e i l principe rimasero a guardarsi inebetiti. I l p r i m o a ritrovar la parola f u i l principe: anche sua moglie - disse - soffriva talvolta d i stranissime allucinazioni... M a i l conte Nepomuceno r i batté serissimo: - La principessa ha ragione d i escludere come i m possibile l'ipotesi d'un passo falso... Però devo d i r t i una cosa: i e r i , mentre Ermenegilda m i passava davanti, n o n so come mai, m i è balenato i m pensiero assurdo: «Guardate u n p o ' » , m i sono detto «la giovane vedova è incinta!...» Forse l'idea me l'avrà suggerita la sua figura... non so... M a sapendo questo troverai naturale che le parole della principessa m i abbiano riempito d i sgomento e d i preoccupazione... - Quand'è cosf, - rispose i l principe. - Sarà bene sentire Ìl parere d ' u n medico o d'una levatrice... Nient'altro potrebbe smentire l'ipotesi avventata d i mia moglie o... renderci certi della nostra vergogna... - Continuarono a discutere per parecchi giorni senza pervenire ad alcuna conclusione. Le forme d i Ermenegilda apparivano ormai sospette ad entrambi: toccava alla principessa decidere sul da farsi. Essa n o n volle saperne d i immischiare nella faccenda u n medico forse pettegolo... E n t r o cinque mesi, soggiimse, sarebbero forse stati necessari altri aiuti. — Quali aiuti?... - esclamò i l conte Nepomuceno sbigottito. - Si, - continuò la principessa alzando la voce. - O r m a i non c'è più alcun dubbio: o Ermenegilda è l'ipocrita più perversa che mai sia esìstita, oppure... q u i sotto c'è u n m i stero insondabile... Morale: Ermenegilda è incinta! I m p i e t r i t o dallo sgomento i l conte Nepomuceno n o n riuscì a

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parlare. Finalmente, facendosi forza, scongiurò la nobildonna d i interrogare l e i stessa Ermenegilda: doveva farsi dire a qualunque costo chi fosse l o sciagurato d i e aveva gettato quell'onta incancellabile sulla sua casa. - Ermenegilda non sa ancora che io ho capito, - rispose la principessa : - Dicendoglido spero d i cavarle fuori tutto. Colta d i sorpresa getterà la maschera dell'ipocrisia, oppure dovrà dimostrarmi la propria innocenza i n chissà quale inverosimile modo... benché n o n riesca assolutamente a immaginare come una cosa simile possa essere accaduta. La sera stessa si incontrò a quattr'occhi con Ermenegilda, la cui prossima maternità appariva d'ora i n ora più evidente, la prese per e braccia, la fissò bene negli occhi c le disse i n tono reciso; - Cara... t u aspetti un bambino! — Ermenegilda volse al cielo uno sguardo estatico ed esclamò fremente d i gioia; - O madre, madre... lo so!... Da tanto tempo l o sentivo che, quand'anche i l mio caro marito fosse caduto sotto i colpi d d crudele nemico, io avrei avuto questa immensa consolazione... Si!... I l momento della suprema felicità terrena continua a vivere i n me... I o l o riavrò tutto intero i l mio sposo amatissimo, nel prezioso pegno della nostra dolce unione La prindpessa senti come se tutto le girasse intorno e per poco n o n venne meno... I l tono d i sincerità, lo slancio d i Ermenegilda, quel suo trasfigurarsi per la gioia escludevano qualsiasi possibilità d i ipocrisia, d i finzione... Eppure bisognava essere pazzi per prendere sul serio le sue affermazioni... Formulato tale pensiero, la principessa respinse con violenza Ermenegilda esdamando: - Insensata!... U n sogno t i avrebbe dunque messa n d l o stato che ci copre t u t t i quanti d'onta e d i vergogna?... Credi d i potermi abbindolare con le tue sciocche storielle?... Ritorna ìn te... cerca dì ricordare t u t t i i fatti dei giorni scorsi... Confessa... p e n t i t i . . . forse potremo ancora perdonarti... - Sopraffatta dal dolore, Ermenegilda si gettò ai piedi della principessa implorando fra le lacrime: - Madre... anche t u m i tratti come una visionaria... non v u o i credere neppure t u che la Chiesa mì ha u n i t o ìn matrimonio con Stanislao, e che ìo sono sua moglie ?... M a guarda questo anello!... Che dico?... T u , t u conosci i l mio stato, e ciò n o n basta a convincerti ch'io non ho sognato?... - La prindpessa sì rese conto con profondo stupore che Ermenegilda n o n era neppure sfiorata dal pensiero d'aver commesso u n passo falso... i l suo accenno a una simile possibilità n o n lo aveva neppure afferrato, non l o aveva capito... E intanto Ermenegilda continuava a supplicarla prendendole le mani e premendosele al petto, dì voler credere al suo matrimonio... Come poteva dubitarne, conoscendo i l suo sta-

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to?... E la nobildonna, sbalordita e sgomenta, non sapeva più che cosa dirle né come venire a capo d i tanto mistero... Soltanto dopo parecchi giorni dichiarò al marito e al conte Nepomuceno che Ermenegilda era troppo convinta d'essere stata resa incinta dal marito perché fosse possibile farle dire qualcosa d i più e d i diverso. I due u o m i n i , ribollenti d i collera, definirono Ermenegilda un'ipocrita. E i l conte Nepomuceno giurò che se non fosse riuscito con le buone a farla desistere dallo stolto proposito d i dargli a bere la insulsa favoletta, sarebbe ricorso a misure più severe. La principessa lo disapprovò: qualsiasi atto d i severità sarebbe stato una crudeltà inutile. - Ermenegilda - ne era certa - non fingeva ma era i n perfetta buona fede: - C i sono ancora m o l t i misteri nel mondo, - soggiunse, - che noi non siamo assolutamente ìn grado d i comprendere. E se una intensa reciprocità dì pensiero potesse aver conseguenze anche fisiche?... E se u n incontro spiritaale fra Stanislao ed Ermenegilda avesse veramente messo la fanciulla nell'ìnspiegabìle stato i n cui si trovava?... Malgrado tutta la loro collera e la penosità della situazione i l prìncipe e i l conte Nepomuceno n o n poterono trattenersi dallo scoppiare ìn una sonora risata: l'idea della principessa - dissero era i l più sublime tentativo che mai fosse stato compiuto dì «eterizzare» la natura umana... Rossa ìn viso, la nobildorma ribattè che gli u o m i n i rozzi mancavano d i sensibilità per queste cose. La situazione i n cui la povera bimba (... nella cui innocenza fermamente credeva...) era caduta era terribile, scandalosa; i l miglior mezzo per sottrarla ai commentì malevoli e allo scherno della gente era portarla via, i n viaggio... I l conte Nepomuceno f u assai soddisfatto deUa proposta; poiché Ermenegilda stessa non faceva mistero del proprio stato, se sì voleva salvare la sua reputazione non rimaneva davvero che allontanarla dall'ambiente delle conoscenze. Ciò stabilito d i comune accordo, t u t t i si sentirono più tranquill i . Vista la possibilità d i nascondere l'onta agli occhi del mondo ed evitarne i l ludìbrio, che g l i era più amaro dì qualsiasi altra cosa, i l conte Nepomuceno quasi non pensò più all'inquietante mistero; data la stranezza del caso, lo stato d'animo d i Ermenegilda e la sua accertata sincerità, n o n rimaneva altro da fare che lasciare al tempo la soluzione del singolarissimo enigma. Accordatisi su questi p u n t i , i tre signori stavano per separarsi quando l'improvviso arrivo del conte Saverio v o n R. lì ripiombò nell'imbarazzo e nell'ansia. Accaldato per la lunga galoppata, i m polverato da capo a piedi, questi irruppe i n salotto come chì sìa so-

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Spinto da una passione selvaggia; senza salutare, senza curarsi i n alcun modo delle buone creanze, gridò a piena voce: — I I conte Stanislao è morto!... N o n è caduto prigioniero.., no... è stato abbattuto a sciabolate dai nemici... qui ci sono le prove!... — e, tratte affannosamente d i tasca alcune lettere, le porse al conte Nepomuceno che incominciò a leggerle, sbalordito. La principessa gettò uno sguardo ai fogli e appena ne ebbe afferrato poche righe esclamò congiungendo le mani e volgendo g l i occhi al cielo: — Ermenegilda!... A h , povera piccola!... Che mistero insondabile!... - Aveva letto che tutto era andato esattamente come lei aveva visto i n sogno... anche il giorno della morte coincideva... - È morto, — ripete i n fretta e focosamente Saverio. - Ermenegilda è libera... Niente più m i sbarra la strada... io l'amo come la mia vita... Chiedo la sua mano! I I conte Nepomuceno non f u capace d i rispondere; parlò per l u i i l principe, spiegando come qualmente certe circostanze renciessero assolutamente impossibile prendere i n considerazione la proposta... I n quel momento egli - Saverio - non avrebbe neppure potuto rivedere Ermenegilda... meglio che se ne andasse i n fretta com'era venuto... Se si alludeva, com'era probabile, al turbamento mentale d i Ermenegilda - rispose Saverio - egli lo conosceva bene; ma non lo riteneva un ostacolo, anzi, era certo che i l matrimonio avrebbe posto fine alla cosa. Intervenne la principessa: Ermenegilda - disse - aveva giurato fedeltà eterna a Stanislao e avrebbe respinto qualsiasi proposta d i matrimonio. D'altronde - soggiunse - non era neppure più al castello. Saverio scoppiò a ridere; g l i occorreva soltanto i l consenso del padre - disse. - Toccare ìl cuore dì Ermenegilda era affar suo. Indignato dalla petulante indiscrezione del giovane, i l conte Nepomuceno g l i rispose d i non sperare nel suo consenso. Avrebbe fatto meglio ad andarsene subito. I l conte Saverio lo guardò fisso e andò ad aprire la porta dell'anticamera: - Woyciech! - chiamò. - Porta dentro la valigia, dissella i cavalli e conducili nella stalla! - p o i ritornò indietro, si gettò a sedere su u n seggiolone accanto alla finestra e dichiarò, serio e tranq u i l l o , che senza aver visto Ermenegilda e parlato con lei non se ne sarebbe andato, A meno che l o cacciassero via con la forza. - Quand'è così, - rispose ìl conte Nepomuceno, - temo dovrà trattenersi molto a lungo. A me permetterà, tuttavìa, dì lasciare i l castello! - Ciò detto uscì col prìncipe e la principessa per cercar di

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mandar via Ermenegilda i l più presto possibile. Caso volle che essa, contrariamente all'abitudine, fosse scesa a passeggiare nel parco; dalla finestra Saverio la vide i n lontananza, corse sotto e la raggiunse proprio mentre stava entrando nel fatale padiglione situato sul lato meridionale del parco. L o stato d i prossima maternità della giovane donna era ormai evidente a chiunque. — Potenze celesti!... - esclamò Saverio quando le f u d i fronte; e, cadendo i n ginocchio ai suoi piedi, la scongiurò, con appassionate proteste d i amore, d i farlo felice e diventare sua moglie. Ermenegilda rimase sconvolta dalla sorpresa e dallo spavento. - L o aveva condotto la mala sorte a turbare la sua pace! - g l i rispose. — Aveva giurato d i serbarsi fedele fino alla morte al suo amato Stanislao. M a i e p o i mai sarebbe diventata moglie d i u n altro! Saverio insistette a pregarla, a scongiurarla; p o i , reso quasi folle dalla passione, le spiegò che stava ingannando se stessa perché già gli aveva donato i più dolci attimi d i amore; ma quando balzò i n piedi e fece per stringerla fra le braccia lei l o respinse con orrore e ribrezzo: - Miserabile pazzo egoista! - esclamò. - Com'è vero che non potrai distruggere i l dolce pegno della mia unione con Stanislao, non potrai i n d u r m i a tradirlo!... Vattene! Saverio scoppiò I n una risata selvaggia, sprezzante e, tendendo i l pugno verso d i lei, urlò: - Pazza!... N o n l'hai già violato t u stessa quello stupido giuramento?.,. I l bimbo che p o r t i i n seno è m i o . . . me hai abbracciato q u i , i n questo stesso luogo... Sei stata la mia amante... e tale rimarrai se non farò d i te mia moglie! - Ermenegilda Io fissò (aveva i l fuoco dell'inferno negli occhi). - Mostro! - gridò con voce acuta e stridente. E stramazzò al suolo come colpita a morte. Come inseguito dalle furie, Saverio rientrò d i corsa al castello, si imbatté nella principessa, la afferrò impetuosamente per una mano trascinandola dentro: - M i ha respinto con orrore, - le disse. - M e . . . i l padre del suo bambino!... - Per t u t t i i santi!.,. Tu?... Saverio?... M i o D i o . . . parla... Com'è possibile?... — esclamò la principessa inorridita. — M i condanni chi vuole, - proseguì Saverio già u n p o ' più calmo. - M a chiunque altro avrebbe peccato come me se si fosse sentito ribollire Ìl sangue nelle vene come l'ho sentito io i n quel momento!... Trovai Ermenegilda nel padiglione, addormentata sul divano... ma i n uno stato stranissimo, impossibile a descriversi. Appena entrai l e i si alzò, m i venne incontro, m i prese per mano e m i fece attraversare la camera camminando a passo lento e solenne; quindi si inginocchiò e si mise a pregare. Inginocchiato al suo fianco n o n tardai ad accorgermi che essa credeva d i vedere u n

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prete davanti a n o i . A d u n certo punto si sfilò dal d i t o un anello e l o porse all'invisibile sacerdote... L o presi l o e, a mia volta, m i sfilai i m anello d'oro e glielo misi al dito... A l l o r a lei m i cadde fra le braccia, pazza d'amore... M e ne andai lasciandola immersa i n u n sonno profondo... — O r r i b i l e uomo!... A b . . . che mostruoso delitto!... — esclamò la principessa f u o r i d i sé. I l conte Nepomuceno c i l principe, informati i n poche parole della confessione d i Saverio, èjrono d'accordo nel n o n giudicare cosi imperdonabile la sua ignobile azione, tanto più se egli intendeva riparare sposando Ermenegilda. Ciò feri profondamente l'animo delicato della principessa: - N o ! - disse costei. - M a l Ermenegilda concederà la propria mano a colui che, con Infernale malizia, ha osato avvelenare i l momento supremo della sua v i t a , macchiandosi d ' u n così mostruoso misfatto! - E invece dovrà concedermela per salvare i l suo onore! - ribattè Saverio con orgoglio freddo e sprezzante. - I o rimango q u i . E t u t t o sì aggiusterà... - I n quel momento si u d i i n giardino u n andirivieni, u n parlottare confuso : i l giardiniere aveva trovato Ermenegilda svenuta nel padiglione e stavano r i portandola nel castello. La coricarono su u n divano: prima che la principessa potesse impedirglielo, Saverio entrò e le prese una mano. A l l o r a la giovane si rizzò a sedere d i scatto lanciando u n urlo inumano, u n urlo lacerante d i belva ferita e, tutta stravolta da uno spasimo convulso, atroce a vedersi, rimase a fissare i l conte con occhi fiammeggianti dì collera. Come folgorato da quello sguardo, Saverio indietreggiò vacillando. - ... I cavalli... subito... - balbettò i n modo appena comprensibile. A d u n cenno della principessa, ì servitori l o accompagnarono al piano d i sotto. - V i n o . . . vino! - gridò l'infelice quando fu alla porta; e dopo averne tracannato alcuni bicchieri per riprendere u n po' d i forza, balzò ìn sella e partì d i galoppo. L'opaca demenza dì Ermenegilda minacciò d i degenerare I n pazzìa furiosa e ciò indusse ìl conte Nepomuceno ed i l principe a mutar parere circa l'orribile, imperdonabile azione dì Saverio. Proposero d i mandar a chiamare u n medico ma la principessa si oppose perché, a suo avviso, soltanto un aiuto spirituale avrebbe potuto giovare alla povera giovane. Invece del medico giunse dunque i l monaco carmelitano Cipriano, confessore dì famìglia i l quale miracolosamente riuscì a trarre Ermenegilda dalla fissità incosciente della follia. E più ancora; riuscì a restituirle la calma e i l domìnio d i sé. Esprimendosi ìn modo del t u t t o coerente e sensato, Ermenegilda manifestò alla principessa ìl desiderio d i ritirarsi, subito dopo i l

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parto, nel convento cistercense d i O . , per trascorrervi i l resto della propria vita nel l u t t o e nella penitenza. Da quel giorno, oltreché vestirsi d i nero, si ricopri la testa d ' u n velo e n o n lo sollevò mai più. I l padre Cipriano lasciò i l castello, ma per ritornare dopo pochi giorni. Frattanto i l principe Z. aveva scrìtto al borgomastro d i L . informandolo che Ermenegilda avrebbe atteso ìl periodo del parto i n casa sua, dove sarebbe stata accompagnata dalla badessa delle suore cistercensi, parente della famiglia. La principessa sarebbe i n vece partita per l ' I t a l i a , lasciando credere dì condurre con sé Ermenegilda. Mezzanotte. La vettura che doveva condurre Ermenegilda al convento era alla porta. Affranti dal dolore, Nepomuceno, Ìl p r i n cipe e la principessa attendevano la sventurata fanciulla per congedarsi da lei. Avvolta nei suoi veli, condotta per mano dal monaco, Ermenegilda entrò nella camera vivacemente illuminata da numerose candele. - La suora laica Celestina, - annunziò padre Qprìano con voce soleime, - ha gravemente peccato quand'era ancora nel mondo. La malizia del diavolo ha macchiato la sua purezza. M a u n voto indissolubile le ridarà pace e conforto, la restituirà all'eterna salvezza!... M a i più ìl mondo potrà scorgere ìl volto la cui bellezza sedusse i l demonio. Guardate!... Cosf Celestina inizia e termina la propria espiazione! - e cosi dicendo sollevò H velo. Con ima fìtta al cuore i presentì videro l'angelico viso d i Ermenegilda chiuso per sempre sotto la pallida maschera mortuaria!... Incapace d i pronunziare una parola, la fanciulla sì congedò dal padre, sconvolto dal dolore Inumano, convìnto dì n o n poter sopravvivere. I l principe, pur sempre cosi padrone d i sé, sì sciolse i n lacrime e soltanto la principessa, facendo appello a tutta la sua forza d'an i m o , riusci a mantenersi serena e composta d i fronte allo straziante spettacolo dì quell'orrìbile voto. I n qual modo ìl conte Saverio riuscisse a scoprire ìl rifugio dì Ermenegilda e perfino a venir a sapere che ìl neonato doveva venir consacrato alla Chiesa, rimase u n mistero. Poco g l i giovò rapire ìl bambino, perché quando giunse a P. per consegnarlo a una donna fidata, ìl povero pìccolo n o n era soltanto svenuto, intirizzito dal freddo, ma morto. Dopo questo fatto i l conte Saverio disparve senza lasciar traccia d i sé. Si pensò che si fosse tolto la vita. M o l t i anni dopo, ìl giovane prìncipe Boleslav von Z., durante u n viaggio a N a p o l i , capitò nei pressi d i Posillìpo e volle salire al convento dei Camaldolesi situato i n ima località stupenda, per godersi

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u n panorama che aveva inteso decantare come i l più suggestivo d i tutta Napoli. Valicato uno sperone roccioso, stava per addentrarsi nel giardino descrittogli come la località più bella dei d i n t o r n i , quando vide, seduto su una grossa pietra, u n monaco con i n grembo u n l i b r o aperto e l o sguardo fisso al lontano orizzonte. A w i c i nandoglisi, osservandolo meglio, i l principe credette d i ritrovare u n oscuro ricordo. Si avvicinò ancora, quasi d i soppiatto e vide che i l l i b r o d i preghiere era scritto i n polacco. Allora pronunziò una frase d i saluto i n quella lingua. I l monaco si volse sbigottito, l o vide, si tirò i l cappuccio sul viso e fuggi, come sospinto dallo spirito maligno, sparendo fra i cespugli. Dopo aver raccontato quest'avventura al conte Nepomuceno, i l principe Boleslav g l i diede per certo che quel monaco a l t r i n o n era se non i l conte Saverio v o n R.

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I l viaggiatore proveniente dal meridione, giungendo dì buon mattino a una mezz'oretta d i strada dalla cittadina d i G . ', non potrà non notare, a mano diritta della via maestra, un'elegante casa dì campagna, eminente fra la folta boscaglia con i suoi bizzarri pinnacoli e comignoli multicolori. La boscaglia circoscrive i m vasto giardino che si estende fin giù, verso i l fondovalle. Se t i avvenisse d i capitare i n quel luogo, lettore mio amatissimo, non risparmiarti né ima breve sosta né la piccola mancia che dovrai forse dare al giardiniere, ma scendi fiducioso dalla carrozza e fatti aprire la casa e i l giardino col pretesto d i aver conosciuto molto bene a G. i l consigliere aulico Reutlinger, proprietario d i quella amena residenza campestre. Potrai farlo, i n fondo, a buon d i r i t t o ; perché, se t i compiacerai d i leggere fino alla fine quanto m i accingo a narrare, i l consigliere Reutlinger, col suo strano modo d i essere e d i agire, lo avrai così v i v o davanti agli occhi che t i parrà d i averlo veramente conosciuto. - G i à le facciate esterne della villa le troverai decorate con fregi variopinti, arcaici, grotteschi; e, a ragione, deplorerai i l pessimo gusto dì tali pitture murali. M a osservandole meglio ne sentirai scaturire uno spirito singolarissimo, sicché, passando nell'atrio, avrai già avvertito un lieve brivido. Sulle pareti marmoreggiate e suddivise i n tanti riquadri, vedrai arabeschi a colorì stridenti: un bizzarro groviglio d i figure umane, animali, fiori, pietre, e crederai d i poterlo interpretare senza l'aiuto d i alcuna spiegazione. Nel salone, largo quanto tutto 11 piano inferiore e alto oltre ìl livello del secondo piano, t i parrà dì rivedere, tradotti plasticamente i n sculture dorate, t u t t i ì soggetti cui le pitture avevano appena accennato. A l la prima occhiata sarai tentato d i parlare del gusto corrotto del secol o d i L u i g i X V I , dì accanirti contro quello stile baroccheggìante, sovraccarico, strìdente, privo dì gusto; ma, se appena t u m i sei un tantino affine e n o n manchi dì quella fantasia pronta che ìo sempre ' Glogau.

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presuppongo nel mio benevolo lettore, scorderai ben presto cotante pur innegabili, mende. A v r a i dapprincipio la sensazione d i trovarti dinnanzi a un gioco pittorico arbitrario, sregolato, 11 gioco dell'artista padrone assoluto d i coordinare u n mondo figurativo abbandonandosi al proprio estro soltanto; ma p o i , a poco a poco, tutte quelle figurazioni le vedrai concatenarsi i n un'allusione alle cose umane, un'allusione piena d i quell'amara ironia peculiare degli spiriti profondi ma mortalmente offesi. T i consiglio, amato lettore, d i v i sitare le camerette del secondo piano, situate intorno al salone come una galleria e le cui finestre guardano dall'alto nel salone stesso. Q u i le decorazioni sono molto semplici; ma qua e là incapperai i n certe iscrizioni tedesche, arabe e turche assai singolari a vedersi. Ora andiamo i n giardino. È u n antico giardino alla francese, con ampi e lunghi sentieri racchiusi fra alte pareti d i tasso, e pieno d i boschetti, statue, fontane. I o non so, amico lettore, se g l i antichi giardini alla francese diano anche a te quell'impressione d i severa solennità che danno a me; non so se anche t u , come me, non preferisca tale tipo d i giardinaggio all'insulsa paccottiglia d i ponticelli, fiumicelli, tempietti, grot ticine artificiali d i cui sono adorni i cosiddetti giardini « all'Inglese ». I n fondo al parco verrai a trovarti i n u n oscuro boschetto d i salici piangenti, betulle pendule e p i n i d i Weymouth. I l giardiniere t i iiiformerà che quel boschetto ha forma d i cuore, e potrai constatarlo guardandolo dall'alto della villa. I n mezzo al bosco sorge u n padiglione d i marmo nero slesiano; all'interno è pavimentato d i marmo bianco con incastrato nel centro u n cuore d i pietra rossa, a grandezza naturale. Chinati, e vedrai incisa sul cuore la parola: « R i p o s a ! » N e l padiglione, presso i l cuore d i pietra che allora non recava ancora alcuna iscrizione, nel giorno della natività d i Maria — e cioè l'S settembre dell'armo i 8 o . . . - , si trovavano u n vecchio signore alto, distinto, e un'anziana signora, entrambi vestiti molto elegantemente alla moda degli anni sessanta. - M a come le è venuta i n mente, - domandò la vecchia signora, - come le è venuta i n mente, mio caro signor consigliere, l'idea stramba - macabra, vorrei dire - dì far costruire i n questo padiglione la futura tomba del suo cuore, là, sotto quella pietra rossa?... - Per favore, cara signora, - rispose luì, - non ne parliamo... La chiami pure ima stramberia... la stramberìa morbosa d i u n animo ferito... la chiami pure come vuole... M a sappia una cosa: io v ì v o q u i , ìn mezzo a tutte queste ricchezze, largitemi da una sorte maligna come u n giocattolo che si dà ad u n bimbo incosciente per fargli dimenticare i suoi mali incurabili; e ciò malgrado talvolta m i afferra

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un'amarissima malinconia... t u t t o i l dolore sofferto si ridesta... e allora soltanto q u i , fra queste mura riesco a trovare un po' d i conforto e d i pace... Stille del mio sangue hanno tìnto d i rosso quella pietra: ma è fredda come Ìl ghiaccio... e presto, poggiando sopra i l mio cuore raffredderà la passione funesta che ardeva i n esso... - La signora chinò mestamente l o sguardo al pavimento e due grosse lacrime, scintillanti come perle, caddero sul cuore d i pietra; i l consigliere le prese la mano: nei suoi occhi guizzò u n lampo d i ardore giovanile, si riaccese per u n istante tutto u n passato dì amore e d i felicità; f u come i l rapido riapparire d i u n meraviglioso paesaggio verde e fiorito - ma immensamente lontano! - immerso nelle rosse luci del crepuscolo: - G i u l i a , G i u l i a ! . . . — esclamò con voce soffocata dalla commozione... - E anche lei ha potuto ferire a morte questo mio povero cuore! - N o n accusi me, - rispose la dama con grande tenerezza. - N o n accusi me, Massimiliano!... N o n f u forse l'implacabile inflessibilità dei suo carattere a distaccarla da me?... Eh si, fu proprio quella manìa vaneggìante dì credere nei presentimenti, nelle strane visioni d i cattivo presagio, che finalmente m i indusse a dare la preferenza all'altro mio pretendente, tanto più mite e arrendevole d i l e i . A h , Massimiliano!... Come ha p o t u t o non sentire quanto i o la amassi?... M a con la sua eterna smanìa d i tormentare se stesso ha tormentato anche me... m i ha tormentata a morte, fino a spossarmi. - O h , ha ragione, signora, - ammise i l consigliere lasciandole la mano. - I o devo star solo. Nessun cuore umano può piegarsi alle esigenze del mio. T u t t o ciò che è capace dì amicìzia, d i amore, rimbalza via senza effetto da questo mio cuore d i pietra. — Come è amar o , - l o interruppe la signora, - come è amaro ed ingiusto con sè stesso e con g l i a l t r i , Massimiliano!... T u t t i conoscono la sua generosa bontà verso i bisognosi, i l suo incrollabile amore per la giustizia, per l'onestà... M a quale destino avverso ha mai gettato nell'animo suo la spaventosa diffidenza che le fa scorgere ìn uno sguardo, ìn una parola, i n un qualsiasi fatto, anche nel meno intenzionale, presagi d i rovina e dì sventura?... - N o n tratto forse con incondizionato amore chiunque m i avvicini?... ~ disse dolcemente ìl consigliere con le lacrime agli occhi. - . . . M a quell'amore, anziché nutrire l'animo m i o me l o strazia... A h , - proseguì alzando la voce. - A l l'imperscrutabile spirito reggitore del mondi piacque largirmi un dono che, strappandomi alla morte, mì uccide cento volte!... Come l'ebreo errante ìo scorgo i l segno invisibile dì Caino sulla fronte dell'ipocrita perverso !... I o comprendo ì misteriosi m o n i t i che l'arcano signore del mondo, da noi chiamato «caso» ! - getta sul nostro cam-

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mino, spesso sotto forma d i spassosi indovinelli... Un'angelica fanciulla ci guarda con quel suoi l i m p i d i , chiari occhi d i Iside!... ma colui che non risolve i l suo enigma, quello lo afferra con t e r r i b i l i zampe leonine e lo scaraventa nel precipizio! — Ancora, — disse la dama, - ancora sempre questi malaugurati vaneggiamenti!... E dove è andato a finire i l figlio d i suo fratello minore, quel bimbo cosi bello, COSI gentile che lei accolse con tanto amore, qualche anno fa?... N o n le era parso d i poter trovare i n l u i affetto e conforto?... - L'ho scacciato, - rispose i l consigliere con voce aspra. - Era un infame - un serpe ch'io m£ covavo i n seno per la mia rovina... - U n infame?... U n bimbo d i sei anni?... - esclamò la signora stupefatta. - L e i conosce la storia d i mio fratello, - prosegui i l consigliere. - M i ingannò innumerevoli volte - e lei lo sa - nei modi più abietti; soffocò ogni sentimento fraterno e rivolse contro d i me come armi 1 benefici ch'Io g l i resi... Macchiare i l mìo onore, rovinare la mìa esistenza... nulla gli importava, pur d i perseguire i suoi scop i . Poi quando, anrù fa, cadde nell'assoluta miseria, verme da me, quell'ipocrita, per farmi credere dì voler mutar v i t a , ridestare l'affetto fraterno... I o m i presi cura dì luì, l o ospitai ìn casa mìa ed egli ne approfittò per sottrarmi certi documenti... M a , per carità, non parUaraone!... I l suo b i m b o m i piacque. E quando luì, sciagurato, visti scoperti i raggiri che avrebbero dovuto trascinarmi i n i m processo infamante, f u costretto a fuggire, ìl b i m b o me Io leimi con me. M a p o i u n cermo premonitore del destino m i liberò anche dì quella piccola canaglia. - Q u e l cenno del destino sarà stato senza dubbio uno dei suoi soliti sogni cattivi, no?... - disse l'anziana signora. - M i ascolti, G i u l i a , e p o i giudichi, - continuò l u i . - La diabolica perfidia d i mio fratello, lei lo sa, f u i l colpo più duro della mìa v i ta... a parte, s'intende, quell'altro... ma lasciamo andare. Ammettiamo pure che l'idea d i far costruire ima tomba per i l mìo cuore ìn questo bosco sìa da attribuirsi alla malattìa nervosa che m i colpi. Comunque, l'idea m i venne. Feci piantare i l bosco ìn forma dì cuore, feci costruire i l padiglione. Gli operai stavano già lavorando ai marmi del pavimento; ìo entrai per dare un'occhiata ai lavori e scorsi là fuori, a una certa distanza, i l ragazzino M a x - ( g l i avevano dato i l mio nome) - che, saltando e correndo e rìdendo come i m matto, faceva rotolare qualche cosa... E b b i u n oscuro presentimento, m i avvicinai e rimasi senza fiato: quel qualcosa con cui i l fanciullo giocava era la pietra rossa i n forma d i cuore, già pronta per essere collocata q u i , nel padiglione. - Ragazzo!... T u giochi col mìo cuore, come tuo padre! - g l i gridai; e quando mì si avvicinò piangendo lo scacciai con orrore. I l mìo

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amministratore ricevette le disposizioni necessarie per sbarazzarmi d i l u i e da quel giorno non l o r i v i d i più. - O r r i b i l e uomo! - esclamò la vecchia signora; ma i l consigliere, con i m cortese inchino, la prese sotto braccio e la condusse f u o r i , nel parco, dicendole: - I grandi t r a t t i d i fondo del destino non si confanno al deUcato nonpareil delle signore. I l signore anziano era i l consigliere aulico Reutlinger e la dama la moglie del consigliere segreto Foerd. I l giardino offriva uno spettacolo dei più curiosi. U n gran numero d i signori d'età - consiglieri segreti, consiglieri aulici ecc. - erano convenuti dalla città vicina con le rispettive famiglie. T u t t i , perfino 1 giovanotti e le fancitìlle, vestivano rigorosamente alla moda dell'anno 1760: grandi parrucche, abiti r i g i d i , alte pettinature, crinoline e vìa dicendo; e i l colpo d'occhio era tanto più strano ed insolito i n quanto 'ù. vecchio giardino alla francese si adattava perfettamente a tali costumi. La mascherata era nata da un'idea bizzarra d i Reutlinger. O g n i tre aimi, nel giorno della natività d i Maria, egli celebrava nella propria villa la festa del buon tempo antico; invitava chiunque volesse venire dalla città ma alla perentoria condizione che ogni invitato indossasse ua costume dell'anno 1760. A alcuni giovani sarebbe stato difficile prociurarsì simili costumi, ma 11 consigliere l i aiutava egli stesso, mettendo a l o r o disposizione u n ricco guardaroba. Evidentemente, per i tre giorni che durava la festa, egli voleva darsi alla pazza gioia nel ricordo dei bei tempi giovanili. Emesto e Willìbald sì incontrarono i n u n vialetto laterale; r i masero per u n istante a guardarsi ìn silenzio e p o i scoppiarono ìn una cordiale risata: - M I sembri i l cavaliere errante nel labirinto d'amore!...' - esclamò W i l l i b a l d . - E ìo ho proprio l'impressione d i averti già visto nella Banisa asiatica\... - disse a l u i Ernesto. T u t t o sommato, - riprese W i l l i b a l d , - la trovata del vecchio consigliere n o n è p o i tanto malvagia... È ancora u n uomo vigoroso e i n gamba per la sua età, quel ReutUnger... ha una carica vitale inesaurìbile, una freschezza d i spirito, una prontezza, un'estrosità da fare ' Si allude a un romanzo di J. Gottfried Schnabel (autore de L'isola di Felsenburg), apparso a Nordhausen nel 1738 con l'indicazione di tin luogo di pubblicazione fittizio (Warnungsstadt - Città dei Presagì), e intitolato come segue; Il cavaliere vagante nel labirinto d'Amore - ovverossia la storia dei viaggi e degli amori del signor o. St..., nobiluomo tedesco, il quale, dopo molti eccessi amorosi, dovette finalmente avvedersi come il cielo punisca in vecchiaia t peccati di gioventù. I l 3 maggio 1817, a Berlino, HoSmann pregò i l bibliotecario Kralowski di dargli un romanzo che Io aiutasse a immedesimarsi nello «stile galante». Egli ci parla del romanzo dì cui sopta, ma pare invece che gli venisse data da Kralovraki La Banisa asiatica, dì Heinrich Ansehn von Zìegler (1663-96), uno dei romanzi più sensazionali del secolo xvn. Goethe ancora Io tesse, in gioventù. Ed ora cccone i l titolo integrale: La BaHisa Asiatica, ovvero il Pegu insanguinato ed eroico, tutto fondato su verità storiche, ancorché ammantate d'unafittiziavicenda d'eroismo e ài amore, Leipzig 1689.

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invidia a parecchi opachi giovanotti della nostra età... M a per una volta tanto vuole ingannare se stesso, rievocando come per magia ì tempi i n cui viveva per davvero... N o n deve temere che qualcuno parli o si comporti i n modo da stonare col costume che indossa: questo, i l costume stesso lo rende impossibile!... Guarda, guarda soltanto come passeggiano dignitose e affettate le nostre giovani signore i n crinolina... e come sanno maneggiare i ventagli!... D e l resto anche io, da quando m i sono infilato questa parrucca sulla pettinatura alla « T i t o » , m i sento pieno d'uno spirito d i «courtoisie» d'altri tempi. Ecco, adesso per esempio, che sto vedendo la figlia più giovane del consigliere Foerd,la carissima,l'incantevole GÌulÌa,non so chi m i tenga dall'avvìcinarmi a leì, ìn atteggiamento umile e sottomesso, e renderle omaggio parlandole così; «Bellissima G i u l i a ! . . . Quando mì verrà alfin concessa la tanto agognata pace?... Quando saprò da te ricambiato l'amor mio?... N o n è possibile, no, che i l tempio dì tanta bellezza alberghi u n idolo d i pietra!... La pioggia consuma i l marmo... ìl vìi sangue intenerisce i l diamante... D o v r ò dunque paragonare i l tuo cuore a ima incudine, che i colpì rendono sempre più dura?... Quanto più f o r t i sono ì palpiti del mìo cuore, tanto più t u diventi insensibile!... D e h ! , fa' ch'io sìa l'oggetto dei tuoi guardi!... V e d i come arde ì l c u o r mìo, e come l'anima mìa riarsa anela al fresco ristoro sgorgante dalle tue grazie!... A h i m è ! . . . Vorrai t u affliggermi col tuo silenzio, o crudele?... Pur anche le fredde rocce rispondono con l'eco a chi le invoca... e t u vorresti n o n degnar d'una risposta me, sconsolato ?... O bellissima ! . . . » ' . — T i prego! - disse Ernesto interrompendo quella perorazione accompagnata da una mimica coloritissima. - T i prego, fermati!... A furia d i fare ìl matto non t i sei accorto che G i u l i a , mentre già stava avvicinandosi a noi tutta sorridente, si è fatta rossa e ha scantonato... P u r senza capire che cosa stessi facendo, avrà certamente creduto, come chiunque altro al posto suo, che la stessi prendendo i n giro... Ecco come t i crei la fama d i cattiva lingua inguarìbile, e trascini ìn disgrazia anche i nuovi venuti... G i à la gente parla d i me guardando d i traverso e dicendo con un sorrìso acido; «Quello è un amico d i W i l l i bald.. . » - Lasciali dire ! - rise W i l l i b a l d . - L o so benissimo che molte persone, e specialmente molte fancìulline sedici, dicìassettermi piene d i belle speranze, m i sfuggono come ìl diavolo l'acqua santa... M a conosco la meta a cui conducono tutte le strade... e so pure che Giulia, incontrandomi colà, o meglio, trovandomici già installato ' Tutta questa tirata è tolta di peso dal romanzo La Banisa asiatica, di cui si è detto nella nota precedente.

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come i n casa mia, m i porgerà la mano con la più affettuosa cordialità. - A l l u d i a una riconciliazione?... Come nella vita eterna, quando ci siamo scrollata d i dosso ogni umana aspirazione ?... - O h , t i prego! - lo interruppe W i l l i b a l d . - Siamo ragionevoli!... N o n tocchiamo questi vecchi argomenti r i t r i t i i n un momento cosi inopportuno: per ora non possiamo fare d i meglio che abbandonarci alla suggestione del quadro inconsueto, i n cui l'estro d i Reutlinger ci ha cosi bene incorniciati... Guarda, laggiù, quell'albero... con quegli enormi fiori bianchi mossi dal vento!... U n «cactus grandlflorus» non può essere, perché i l cactus fiorisce solo a mezzanotte... e p o i 11 suo aroma dovrebbe giungere fin q u i . . . D i o sa quale altra rarità botanica i l consigliere avrà d i nuovo coltivato nel suo «Tusculum»... - G l i amici si avvicinarono all'albero prodigioso ma, con n o n poco stupore si trovarono d i fronte a u n folto cespuglio dì sambuco: Ì grandi fiori bianchi altro non erano se n o n parrucche incipriate appese ai r a m i , parrucche con tanto d i boccoli e codini, ondeggianti come curiosi giocattoli al soffio d'un estroso venticello del sud. D i dietro i cespugli si udiva giungere u n coro d i risate squillanti; una numerosa brigata d i signori piuttosto anziani ma allegri e ben portanti si era radunata su i m praticello circondato dalla boscaglia; ì signori, toltesi le giacche e appese al sambuco le opprimenti parrucche, giocavano al pallone. I n questo gioco Reutlinger era imbattibile: sapeva lanciare la palla a un'altezza incredibile e con tanta bravura da farla ricadere esattamente a tiro dell'avversario. I n quel momento si udì i n lontananza, i m ' o r r i b i l e musica d i pifferi acuti e stridenti e d i sordi tamburi barbareschi. I signori interruppero sub i t o i l gioco e si rimisero giacche e parrucche. - Che cosa succede d i nuovo?... - domandò Ernesto. - Scommetto, - rispose W i l l i b a l d , - che sta arrivando l'ambasciatore turco. - L'ambasciatore turco ?... - fece Ernesto stupito. - I o l o chiamo cosi, - continuò W i l l i bald, — ma è i l barone v o n Exter, che attualmente risiede a G . T u l o conosci troppo poco per sapere che è una delle macchiette più spassose del mondo. M o l t i anni fa è stato effettivamente ambasciatore della nostra corte a Costantinopoli e continua tuttora a crogiolarsi nel ricordo d i quella che f u , probabilmente, l'epoca più splendida e felice della sua vita. T i descrive la sua residenza d i Pera come u n palazzo d i diamante, u n palazzo incantato da M i l l e e una notte... e la vita che v i conduceva pare fosse simile a quella del saggio re Salomone; egli p o i vanta ancora un'altra affinità con i l biblico re: 11 dom i n i o sidle forze naturali sconosciute. E d i f a t t i , pur con tutte le sue millanterie, con tutta la sua ciarlataneria, i l barone Exter u n certo non so che d i misterioso ce l'ha per davvero... u n qualcosa che con-

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trasta stranamente col suo aspetto fisico piuttosto banale, ma tuttavia sovente m i lascia interdetto... E proprio a motivo d i questo, intendo dire della sua effettiva pratica dì scienze occulte, Exter è tanto i n t i m o dì Reutlinger, dedito anch'egli anima e corpo all'occultismo. Sono, ciascuno a proprio modo, due sognatori originali, - entrambi mesmeriani convìnti - . Cosi conversando g l i amici giunsero presso ìl grande cancello del parco, proprio nel momento i n cui l'ambasciatore turco stava facendo i l suo ingresso solenne. L'ambasciatore era u n omino rotondetto, con indosso ima bella pelliccia turca e i n testa uno scialle multicolore arrotolato a m o ' dì turbante. Per forza d'abitudine non aveva saputo rinunziare all'aderente parrucca inglese, a riccìoletti, per forza d i necessità aveva d o v u t o tenere g l i stivali d i feltro da podagroso, I l che, senza dubbio, recava grave ingiuria all'esotismo del costume. G l i esecutori dell'orripilante frastuono musicale al suo seguito erano comicamente camuffati da m o r i , con i n testa certi cappelH appuntiti dì carta colorata non dissìm i l i dai cosiddetti «Sanbenìto»; ma nonostante ìl travestimento e ì visi impiastricciati dì fuliggine, Willìbald non stentò a riconoscere ìn essi i l cuoco e altri servitori del barone. L'ambasciatore turco conduceva sotto braccio u n vecchio ufficiale che, a giudicare dall'uniforme, si sarebbe detto risorto da u n qualche campo d i battaglia della guerra dei Sette aiml. Era costui 11 generale Rixendorf, comandante la guarnigione dì G , e, come g l i ufficiali del suo seguito, aveva indossato quell'antica uniforme per compiacere al padrone dì casa. - Salama milek! - esclamò Reutlinger abbracciando ìl barone Exter. I l turco sì tolse i l turbante e se lo ricollocò sulla parrucca dopo essersi terso la fronte sudata con u n fazzoletto Indiano. I n quel momento sì mosse fra i rami d'un ciliegio la macchia luccicante, dorata, che Emesto stava osservando da u n pezzo senza riuscir a capire che cosa fosse; era semplicemente ìl consigliere commerciale Harscher, ìn abito dì gala dì tessuto dorato, calzoni della stessa stoffa e panciotto d i raso argenteo punteggiato dì mazzolìnì dì rose azzurre. L'esimio commercialista sì districò dal fogliame e scese la scaletta a pioli abbastanza agilmente per la sua età, cantando - o piuttosto squittendo —con una vocetta sottilissima: — A h ! c h e v e d o - O D Ì o che sento! - Come mise piede a terra corse ad abbracciare l'ambasciatore turco. I l consigliere Harscher aveva trascorso la giovinezza i n Italia, era u n valente musicista e pretendeva ancor sempre d i cantare alla maniera d i Farinelli *, ìn u n falsetto f m t t o dì lunghe esercì-

' « Salve, mio te! » ' Carlo Biosdii, detto Farinelli (1705-S1}; i l pili famoso sopranista (castrato) del secolo i m n

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tazioni. - Sono sicuro, - disse W i l l i b a l d , - che Harscher si è riempito le tasche d i ciliege per farne omaggio alle dame con l'accompagnamento d i u n dolce e lamentoso madrigale. M a poiché anch'egli ha l'abitudine d i portare i l tabacco da naso sciolto nelle tasche, senza tabacchiera, come faceva Federico i l Grande, la sua galanteria g l i frutterà soltanto m o l t i cortesi rifiuti... e m o l t i visi scuri... L'ambasciatore turco e l'eroe della guerra dei Sette anni vennero accolti da t u t t i con gioioso entusiasmo. Giulietta Foerd, con atto d i infantile luniltà, fece per baciare la mano all'ufficiale, ma i l turco si interpose esclamando indignato: - Sei matta?... Sciocchezze!... - e la abbracciò con effusione, pestando brutalmente i piedi al povero Harscher, che emise un flebile miagolio d i dolore e si allontanò i n fretta trascinandosi via Giulia sotto braccio. L o si vide gesticolare enfaticamente, togliersi e rimettersi d i continuo i l turbante... — Ma che diavolo può avere da dire 11 vecchio a quella ragazza?... - domandò Ernesto. — I n f a t t i , — rispose W i l l i b a l d , - dev'esserci qualcosa d i grosso perché, quantunque Exter sia i l padrino dì Giulia e straveda per quella ragazza, non ha l'abitudine dì appartarsi con lei quando è i n società - . I n quel mentre i l turco si fermò, rese i l braccio destro e gridò: — A p p o n e ! - con tanta forza da farsi udire i n t u t t o i l giardino. W i l l i b a l d scoppiò a ridere: - H o capito! - disse. - Sta semplicemente raccontandole per la centesima volta la storia della foca! - Ernesto volle assolutamente conoscere quella storia straordinaria. - E allora ascolta, - disse Willìbald, ~ i l palazzo d i Exter era situato proprio a piombo sul Bosforo; una scalinata d i finissimo marmo carrarese scendeva, dai giardini, direttamente nel mare. U n giorno, mentre Exter sedeva nel loggiato, un grido altìssimo, straziante, lo distolse dalle sue profonde meditazioni. Guardò ìn basso, e che vide?... Una mostruosa foca, emersa dal mare, aveva strappato i l bimbo dalle braccia d i una povera donna turca seduta sugli scal i n i , ed era scomparsa nei flutti. Exter corse giù, la donna gli si gettò ai piedi piangendo disperata; egli non ci pensò due volte, e, sceso fin sull'ultimo scalino, lambito dal mare, tese i l braccio e comandò con quanto fiato aveva ìn corpo «Apporta! »... Immediatamente la foca riapparve col bimbo fra le fauci, Io riconsegnò garbatamente, sano e salvo, al mago e, schiva dì ringraziamenti, sì rìtuffò sott'acqua. — Questa è forte... è u n po' forte!... — esclamò Ernesto. — Guarda, - continuò W i l l i b a l d . - Ora Exter sì sfila un pìccolo anello dal d i t o e l o mostra a Giulia... lo vedi?... N o n c'è virtù senza premio... N o n contento d i averle salvato i l figlio, quando apprese dalla donna

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che SUO marito era u n povero facchino e si guadagnava a mala pena i l pane quotidiano, Exter le donò qualche oggettino d'oro ed alcun i gioielli - una sciocchezza, s'intende!... del valore d i venti, trentamila talleri al massimo... - Allora la donna si tolse dal d i t o u n piccolo zafBro e costrinse i l suo benefattore ad accettarlo: era u n prezioso oggetto d i famiglia, spiegò, e soltanto un'azione nobile come quella compiuta da Exter rendeva degni d i possederlo. Exter lo prese giudicandolo, l i per l i , u n oggettino d i scarso valore; ma osservandolo meglio apprese, da una scritta araba pressoché invisibile, d i avere al dito ìl sigillo del grande AH Immagina la sua meraviglia!... O r a , grazie a quel talismano, è i n grado dì chiamar giù dal cielo le colombe d i Maometto e d i conversare con loro... - Cose sbalorditive!... - esclamò Ernesto ridendo. - M a lasciam i vedere che sta succedendo laggiù, ìn quel gruppo riunito intorno a una cosina minuscola che gorgheggia e saltella birichina, come u n diavoletto d i Cartesio... - 1 due amici si avvicinarono ad uno spiazzo erboso su cui sedevano i n circolo signore e signori, giovani e vecchi; al centro, una damìna alta non più dì cinque piedi, vestita a colorì vistosi, con una testolina simile a una mela ma ancor sempre u n p o ' troppo grossa per i l corpo su cui poggiava, girava i n tondo saltellando, facendo schioccare le piccole dita e cantando con una vocetta sottile Amenez vos troupeaux, bergères! ~ L o crederesti?... disse W i l l i b a l d . - Quella fìguretta ingenua e charmante è la sorella maggiore d i Giulia !... Come vedi, appartiene purtroppo a tma categorìa d i donne dì a i i la natura si è presa gioco con amara ironìa, condannandole ad un'infanzia sempiterna... Essendo come sono sì credono autorizzate a civettare con ingenuità infantile anche quando l'infanzia è passata da u n pezzo... e con ciò si rendono cordialmente antipatiche e si fanno rider dietro da t u t t i - ... La damìna, col suo melenso cicaleccio francese riuscì insopportabile ai due amici, i quali se la svignarono com'erano venuti e preferirono unirsi all'ambasciatore turco; entrarono al suo seguito, quando ìl sole già stava tramontando, nel salone dove t u t t o era pronto per i l concerto i n programma. Aperto i l pianoforte a coda Oesterlein ' e disposti opportunamente i leggìi per g l i esecutori, g l i invitati incominciarono ad affluire numerosi, mentre circolavano i rinfreschi, serviti entro preziose porcellane antiche. I l concerto ebbe inizio: Reutlinger i m bracciò ìl violino ed esegui con vigore e bravura una sonata dì Cor e l l i , accompagnato al pianoforte dal generale Rixendorf; p o i Hars' AH Ibn Abi Talib, cugino e genero di Maometto. CaliSo dal 6)6 al 66r. ' Costruliorc di pianoforti, berlinese.

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cher, nel suo sgargiante vestito d'oro, si dimostrò u n autentico maestro d i tiorba; e finalmente la signora Foerd cantò con rara espressione una grande scena italiana dì Anfossi: la voce era vecchia, tremula, disuguale, ma la maestria del canto faceva scordare ogni d i fetto. Reutlinger la ascoltava rapito d i piacere e d i ammirazione: i suoi occhi estasiati si erano riaccesi al ricordo della giovinezza lontana. Terminato l'adagio, Rixendorf attaccò l'allegro; ma a questo punto la porta si spalancò con violenza e u n bel giovanotto elegante irruppe nella sala trafelato, ansante e si gettò al piedi del pianista esclamando come fuor d i sé: - O signor generale!... L e i m i ha salvat o ! . . . L e i solo!... O r a tutto è a posto... t u t t o va bene!... M i o D i o , come potrò ringraziarla?... - i l generale, evidentemente imbarazzato, risollevò con dolcezza i l giovane, g l i disse qualcosa per tranquillizzarlo e Io condusse fuori, i n giardino. Questa scena inattesa lasciò sbalorditi g l i astanti: avevano riconosciuto nel giovanotto i l segretario del consigliere Foerd e t u t t i gli sguardi si erano appuntati su costui. Foerd continuava a fiutare tabacco, presa su presa, e a parlare i n francese con la moglie ; ma a u n certo punto l'ambasciatore turco g l i si avvicinò quasi naso a naso, dicendogli chiaro e tondo; - I o non so assolutamente spiegarmi, illustrissimo, che razza d i malo spirito abbia scaraventato q u i dentro Ìl mio Max, né che cosa significhino quei suol ringraziamenti esaltati. M a avrò l'onore d i saperlo subito E uscì, immediatamente seguito da W i l l i b a l d . Le componenti i l terzetto Foerd, e precisamente le sorelle Nannette, Clementina e Giulia, reagirono ìn tre maniere diverse. Nannette, lavorando d i ventaglio, parlò d i etourderie, e p o i volle cantare d i nuovo Amenez vos troupeaux, fra la disattenzione generale. Giulia sì era ritirata ìn u n angolo, volgendo le spalle alla gente, come se volesse nascondere non soltanto i l rossore ma soprattutto le lacrime, che già qualcuno aveva notato... - Dolore e gioia feriscono i n modo ugualmente doloroso ì cuori dei poveri mortali... ma la goccia d i sangue stillante da una puntura d i spina non ravviva forse i l vermiglio della pallida rosa?... - declamò con u n pathos degno d i Jean Paul madamigella Clementina, stringendo dì soppiatto la mano a un grazioso giovìnottino biondo, ìl quale molto avrebbe pagato per hberarsì dai lacci dì rose, non certo p r i v i dì acumìnatissime spine, ìn cui la fanciulla cercava dì irretirlo... - O certo, certo, carissima, - approvò costui con u n sorriso piuttosto melenso, sbirciando intanto con la coda dell'occhio u n bicchiere posato lì accanto; glì sarebbe piaciuto vuotarlo, quel bicchiere, alla salute della sentimentale sentenza d i Clementina... ma aveva la mano sinistra immobilizzata da quella della fanciulla e non gli fu

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possibile... Riuscì tuttavia ad impossessarsi d'una fetta d i torta, con la destra... I n quel momento W i l l i b a l d rientrò. T u t t i g l i furono addosso e lo tempestarono d i domande... come?... cosa?... d i dove?... perché?... Egli sulle prime non volle saperne d i rispondere e fece u n viso più seccato che mai. M a non gli diedero tregua: era stato visto i n giardino intento a discutere animatamente col consigliere Foerd, i l generale Rixendorf e i l segretario Max... - Se dovrò parlarvi del fatto p i l i importante del nostro tempo, - disse infine, - consentitem i , signore e signori illustrissimi, dì rivolgervi prima alcune domande T u t t i furono d'accordo nel consentirglielo. - Loro t u t t i conoscono, - continuò WiUibald ìn tono patetico, - Max, ìl segretario del consigliere Foerd; lo conoscono per u n uomo dabbene, pieno dì doti e d i belle qualità naturali, non è vero?... - Sì... sì!... risposero i n coro le signore. - Ne conoscono pure la buona volontà, la cultura scientifica, l'abilità negli affari... - Sì... si!... - gridarono i n coro i signori... - Era o non era Max - continuò W i l l i b a l d ~ un t i po sveglio, sempre pronto alla barzelletta, allo scherzo?... Era o non era così notoriamente bravo nel disegno, che perfino Rixendorf, pittore dilettante d i non comune livello, non disdegnava dì dargli personalmente lezione?... - Sì... si... si!... - esclamarono signore e signori u n i t i i n u n unico coro. - E adesso state a sentire, - disse W i l libald iniziando ìl racconto. - Qualche tempo fa u n giovane sartoretto andò a nozze. Le cose furono fatte ìn grande stile: si sentivano tonfare i contrabbassi e squillare le trombe fin nella strada. Giovanni, i l servitore del consigliere segreto, se ne stava tutto malinconico col naso i n su a a guardare le finestre illuminate... g l i pareva dì distinguere fra l o scalpiccio dei ballerini ì passi della sua Enrichetta, che era stata invitata alla festa, e sì sentiva spezzare ìl cuore... M a quando Enrichetta si fece per u n istante alla finestra non si tratterme più: corse a casa, indossò l'abito migliore e ritornò coraggiosamente a presentarsi nella sala ìn cui si festeggiavano le nozze. L o lasciarono entrare ma alla dolorosa condizione che, nei balli, lasciasse la precedenza a t u t t i i sard; i n altre parole: g l i sarebbero toccate soltanto le ragazze brutte, o comunque difettose, con le quali n o n voleva ballare nessuno. Enrichetta aveva t u t t i i balli impegnati ma non appena vide l'innamorato scordò ogni unpegno. U n sartorello striminzito si fece avanti e reclamò la precedenza i n malo modo; e Giovanni, ormai rincuorato, con i m o spintone lo mandò a ruzzolare tre o quattro volte sul pavimento. F u i l segnale della grande baruffa. Giovanni si difese come un leone, distribuendo fiancate e cef-

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foni a dritta e a manca ma dovette cedere alla preponderanza numerica dei sarti e venne scaraventato ignominiosamente giù dalla scala. Disperato, imbestialito, voleva fracassare le finestre a sassate, imprecando e maledicendo, quando sopraggiunse Max che stava rincasando; intervenne appena i n tempo per toglierlo dalle mani d'una pattuglia d i ronda già sul punto d i arrestarlo. I l povero Giovanni g l i rinnovò le sue lamentele e ci volle tutta la diplomazia d i M a x per farlo recedere dai forsennati propositi d i vendetta; ma per giungere a tanto Max dovette promettergli che avrebbe provveduto egli stesso a vendicare l'affronto, e ìn modo tale da lasciarlo sicuramente soddisfatto. Q u i W i l l i b a l d tacque all'improvviso. - E allora?... E allora?... E poi?... Le nozze dì un sarto... due innamorati... un parapiglia... beh ?... Che sugo c'era ?... — protestarono gli invitati, da tutte le part i . . . - Prego, prego, illustrìssimi, - riprese W i l l i b a l d . ~ Mì permettano d i far loro presente che — per dirla col celebre tessitore Bott o m ' - i n questa commedia d i Giovanni e Enrichetta v i sono alcune cose che non garberanno a nessuno... Raccontandole rischìerò perfino di offendere le convenienze... - Saprà cavarsela, saprà cavarsela, caro signor W i l l i b a l d !... - lo incoraggiò la moglie del consigliere capitolare von K r a i n battendogli u n colpetto suUa spalla. - I n quanto a me non tema: ho la pelle dura!... - Max, - prosegui W i l l i b a l d , - i l giorno dopo sedette al tavolo, prese u n bel fogUo, grande, d i carta velina, matita, inchiostro, e disegnò molto veristicamente u n grosso caprone. La fisionomia d i quello straordinario animale avrebbe potuto fornire ampia materia d i studio a qualsiasi fisionomista... Nello sguardo degli occhi intelligenti c'era u n che d i esaltato... d i spaventato... I l muso e la barba sembravano scossi da u n trem i t o convulso... l'assieme del lineamenti, insomma, esprimeva strazio indicibile. E d infatti i l buon caprone era disegnato nell'atto d i dare alla luce, i n modo naturalissimo, se vogliamo, ma non per questo meno doloroso, una legione dì graziosissimi sartorelH, armati dì forbici e ferri da stiro, i quali, appena venuti al mondo, si riunivano ad esercitare i l proprio mestiere i n vari gruppetti molto originali e curiosi... Sotto la vignetta c'era u n verso. Purtroppo l'ho dimenticato ma, se non sbaglio, incominciava così: «Ahimè, povero becco che cosa avrà mangiato?...» — Basta... basta!... — protestarono le signore. - Basta con quell'orribile bestia... D i Max, d i Max vogliamo sapere! - E Max appunto, - riprese W i l l i b a l d , - rifinì a regola d'ar-

' Shakespeare, Sogno d'una notte d'eHale, atto I I I , scena i ; «BOTTOM: There are things in this comedy of Pyramus aiìd Thisby that will never please...»

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te i l riuscitissimo quadretto e lo consegnò a Giovanni, i l quale seppe così bene esporlo all'esterno della sartoria, che per t u t t o i l giorno g l i sfaccendati non si stancarono dì rimirarlo... N o n poteva più passare per la strada i m garzone d i sartoria senza che ì monelli lo acclamassero sventolando i berretti, gridando e cantando: « A h i m è , povero becco, che cosa avrà mangiato?...» ... « È stato M a x , Ìl segretario del consigliere, a disegnare quel foglio, e non n o i ! », dissero i p i t t o r i . « È stato M ax, e nessun altro, a scrivere quei versi! », dissero i maestri dì calligrafia, quando l'onorevole corporazione dei sarti raccolse le debite informazioiù. M a x venne dunque accusato, e, n o n essendo i n grado dì smentire ì fatti vide incombere sul proprio capo una non lieve pena detentiva. Consultò t u t t i g l i avvocati della città: crollarono ìl capo, aggrottarono le ciglia e l o consigliarono d i negare, negare ostinatamente. M a x era troppo onesto, e la cosa non gU piacque. Corse allora disperato dal suo protettore, ìl generale Rixendorf ìl quale invece g l i disse: « H a i fatto una bella sciocchezza, figliolo caro... G l i avvocati non t i salveranno ma io sì; e soltanto, bada, perché nel tuo disegno - che ho già visto - ho notato una tecnica corretta e una costruzione razionale. Nella figura principale, quella del becco, c'è atteggiamento, espressione, e ì sarti formano un bel gruppo piramidale, ricco ma non intricato tanto da confondere l ' o c c l i o . H a i molto intelligentemente trattato come figura principale d i questo gruppo i l sarto che tenta disperatamente dì trarsi fuori dal pigia-pigia: sul suo viso c'è tutta l'ambascia d i Laocoonte!... I sarti che stanno cadendo n o n volteggiano nell'aria ma cadono per davvero - quantunque n o n precisamente dal cielo... E anche questo è lodevole... Certi scorci u n p o ' arditi sono garbatamente mascherati dai ferri da stiro... ed hai pure saputo accennare con vivace fantasìa alla speranza d i nuove nascite... » - Le dame i n cominciarono a mormorare impazientì e ìl commercialista dal vestito dorato sussurrò: - M a... e i l processo, illustrissimoi... - Willìbald continuò: - Per contro, - glì disse ancora i l generale, - non avertene a male, ma l'idea del disegno non è tua : è vecchissima ; e per l'appunto questo t i salverà. Così dicendo frugò nella vecchia scrivania e ne trasse una borsa da tabacco, sulla quale M a x rivide ìl proprio disegno, eseguito quasi nell'identico modo. Rixendorf gH diede la borsa da tabacco, raccomandandogli d i fame buon uso e così t u t t o andò a posto. - M a come?... M a come?... - gridarono i presenti, dandosi sulla voce; c'erano fra essi anche alcuiù giuristi, ì quali scoppiarono a ridere. I l consigliere Foerd, entrato ìn quel momento, spiegò sorrìdendo: - M a x ha negato Vanimum injuriandi, l'intenzione dì offendere, insomma, ed è stato assolto. - I n altre pa-

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role, - Io interruppe W i l l i b a l d , - M a x ha detto cosi: «non posso negare che i l disegno sia d i mia mano. Senza alcuna intenzione d i offendere la corporazione dei sarti, che altamente stimo, l'ho copiato dall'originale, e cioè, come potrete vedere, da questa borsa d i tabacco, regalatami dal mio maestro d i disegno, i l generale Rixendorf. Alcune varianti, naturalmente, sono d i mia fantasia. I l disegno mì è sparito dalle mani; ma n o n l'avevo mai mostrato a nessuno aé, tanto meno, l'ho appeso dove è stato visto. Questa circostanza, i n cui sola risiederebbe Tlngiuria, deve venire provata». L'onorevole corporazione del sarti non f u ìn grado d i provarla e perciò M a x oggi è stato assolto. D ì q u i i suol ringraziamenti al generale e la sua gioia smodata - . T u t t i furono concordi nel giudicare sproporzionati alle circostanze quel ringraziamenti e quella gioia quasi frenetica. Soltanto la signora Foerd spiegò con voce commossa: - Max è u n ragazzo estremamente suscettìbile... ha u n senso dell'onore più v ì v o d i chiunque altro... Dover subire una pena corporale lo avrebbe messo alla disperazione e allontanato per sempre da G . - Forse, - soggitmse Willìbald, - c'è sotto ancora qualche altra cosa. - È così, caro W i l l i b a l d , - disse Rixendorf. - E proprio così; e, se Dìo vuole, presto t u t t o sì chiarirà nel migliore e nel più lieto dei modi - . Clementina trovò tutta quella storia molto indelicata e volgare; Nannette n o n ne pensò assolutamente nuUa... ma Giulia divenne allegrissima. Reutlinger esortò g l i i n v i t a t i alle danze; e subito quatt r o tiorbisti, rinforzati da u n paio d i cornette, v i o l i n i , contrabbassi, attaccarono una patetica sarabanda. Danzarono solo ì vecchi: ì gìovarù stettero a guardare. I l commercialista vestito d'oro si distinse per le evoluzioni aggraziate ed ardite. La serata trascorse ìn allegria e così pure la mattinata seguente. Anche la seconda giornata dì festa doveva conchiudersì con u n concerto ed u n ballo. I I generale Rixendorf sedeva già al pianoforte, ìl commercialista vestito d'oro e la signora Foerd erano p r o n t i , l ' u n o con la tiorba, l'altra con lo spartito ìn mano; sì attendeva soltanto più U rientro del padrone d i casa. Quand'ecco qualcuno chiamò affannosamente aiuto dal giardino... ì domestici accorsero e poco dopo ricomparvero portando a braccia i l consigliere Reutlinger pallidissimo, stravolto: l o aveva trovato i l giardiniere per terra, svenuto, poco lontano dal padiglione. Con xm grido d'angoscia Rixendorf balzò ìn piedi: t u t t i si fecero attorno al consigliere, adagiato su u n divano, per somministrargli dei cordiali e massaggiargli le tempie con acqua dì Colonia. L'ambasciatore turco si fece largo gridando: - Indietro... indietro... n o n sapete... non ve ne intendete!... I l consigliere è sano come u n pesce... e voi lo indebolite, me ne fate u n invalido !... - Così dicendo scagliò i l turban-

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te i n giardino, facendolo volare al disopra delle teste e, dietro i l turbante, la pelliccia; p o i , col palmo della mano aperta, incominciò a descrivere strani cerchi nell'aria intorno al consigliere, restringend o l i sempre più, fin quasi a sfiorargli le tempie e la regione cardiaca; infine g l i alitò leggermente stil viso. Reutlinger apri subito gli occhi e disse con voce spenta: — Exter... hai fatto male a svegliarm i ! . . . L a potenza oscura m i ha preannimziato la morte imminente e forse mì sarebbe stato concesso dì passare dolcemente dal deliquio al sonno etemo. - Sciocchezze!... Sognatore!... - esclamò Exter. L a tua ora non è ancora suonata. Guardati intorno, fratello... Vedi dove sei, e sta' allegro... Allegro devi stare!... - I l consigliere sì rese conto d i trovarsi nel salone pieno dì i n v i t a t i , si rialzò prontamente, andò nel centro della sala e disse con i m cordiale sorriso: - V ì ho dato un brutto spettacolo, egregi amici... M a n o n è dipeso da me se quegli ignoranti m i haimo portato proprio q u i , nel salone... V ì a , sorvoliamo su questo spiacevole intermezzo c balliamo... balliamo! - La musica attaccò subito; ma mentre t u t t i s'inchinavano e piroettavano pateticamente al ritmo del primo minuetto, Reudìnger sgattaiolò via i n fretta con Exter e Rixendorf, Quando furono i n una camera lontana e appartata, Reutlinger sì lasciò cadere esausto su una poltrona, si copri i l viso con le mani e disse con voce rotta dal dolore: - O amici,., amici miei!... - Exter e Rixendorf supposero con ragione che qualcosa d i terribile g l i fosse accaduto e l o esortarono a spiegarsi: - Parla, vecchio amico, - disse Rixendorf. - Qualcosa... Dìo sa che cosa... tì dev'essere capitato i n giardino, non è vero?... - Eppure, ~ fece Exter, - non riesco a capire che cosa possa essergli accaduto dì male proprio quest'oggi... Ù suo tema astrale n o n si era mai presentato cosi puro, così stupendo come i n questo giorno!... - Ma che... M a che... - disse cupamente ìl consigliere, - Exter, siamo alla fine!... I l veggente temerario n o n ha bussato impunemente alle porte tenebrose... T I ripeto: la misteriosa potenza m i ha permesso d i scorgere dietro ìl velo... la morte... Forse un'orribile morte, mì è stata preannunziata! - E allora raccontaci che cosa t i è successo! - l o interruppe Rixendorf impaziente. - Scommetto che tutta questa storia si ridurrà a ima delle tue solite immaginazioni. V ì state rovinando la vita con le vostre fantasticherie, t u ed Exter. - Ebbene, sappiate, - proseguì ìl consigliere alzandosi dalla poltrona e interponendosi fra ì due amìcì, - sappiate che furono lo spavento... i l terrore a farmi perderei sensi... V o i eravate già t u t t i riun i t i ìn sala quando m i sentii sospinto, non so neppure i o da che cosa, a fare ancora u n giretto i n giardino, da solo. Involontariamente m i diressi verso i l boschetto... m i parve dì sentir giungere dal padì-

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gjione come u n sordo rumore dì colpì - poi una voce sommessa e lamentosa. M i avvicinai - la porta era aperta - guardai dentro e v i d i . . . me stesso!... M e stesso!... M a cosf com'ero trent'annì fa, con lo stesso vestito che indossavo nel giorno fatale quando, disperato, volevo por fine alla mia mìsera v i t a , quando G i u l i a mì apparve, come l'angelo della luce, vestita da sposa. Era i l giorno d ^ e sue nozze: quell'uomo - Ìo... l o ! . . . - giaceva sul pavimento e picchiava sul cuore d i pietra, facendo rimbombare la cavità vuota e mormorando: « M a i , dunque, m a l , riuscirai a intenerirti, o cuore d i sasso?...» Rimasi a fissare la scena come paralizzato... sentivo la gelida morte corrermi per le vene... Quand'ecco dai cespugli uscì G i u l i a , vestita da sposa, nel pieno fulgore della sua meravigliosa giovinezza... con atto d i struggente desiderio la v i d i tender le braccia a quell'uomo... a me... a me giovinetto!... A l l o r a persi ì sensi e c a d d i - . Reutlinger si abbatté sulla poltrona e per poco non svenne d i nuovo. Rixendorf glì prese le mani, gliele scosse e gridò a piena voce: - Questo hai v i sto?... Questo hai visto, fratello?.,, E niente altro?... Evviva!... Farò sparare a salve ì tuoi caimoni giapponesi per festeggiare la vittoria!... M a che morte imminente... ma che apparizione!,,. Niente... niente d i t u t t o questo! T i scuoto, t i scuoto perché t u t i svegli dai sogni angosciosi e viva risanato e felice per m o l t i e m o l t i aimì ancora! ... - Rixendorf esultante corse fuori più velocemente d i quanto l'età paresse consentirgli. Abbandonato sulla poltrona, ad occhi chiusi, Reutlinger aveva inteso ben poco delle parole d i Rixendorf. Exster continuò a passeggiare su e giù, a grandi passi, corrugando la fronte: - Scommetto, - disse infine, - che l'amico Rixendorf vorrà d i nuovo spiegarci tutto nel suo solito modo... ma non glì sarà facile, vero, mìo pìccolo consigliere aulico?,.. D ì apparizioni noi ce ne intendiamo... Avessi soltanto ìl turbante e la pellìccia!... - Per averU diede i m fischio acuto servendosi dì u n pìccolo fischietto d'argento che portava sempre cx>n sé e subito u n moro del suo seguito ^ recò g l i indumenti desiderati. Poco dopo entrò la signora Foerd seguita dal marito e da Giu l ia. Reutlinger balzò i n piedi, e tanto assicurò d i sentirsi dì nuovo perfettamente bene, che fini col ritornare a sentirsi bene sul serio; pregò d i dimenticare l'accaduto e t u t t i si disposero a rientrare nel salone; t u t t i eccetto Exter i l quale, sdraiato sul sofà, nel suo bel costume turco, sorbiva i l caffè e fumava una pipa smisuratamente lunga, facentlo cigolare contro i l pavimento le rotelle su cui poggiava la testa della pipa medesima... M a ìn quel mentre la porta sì spalancò e Rixendorf entrò a precipizio trascinando per mano i m giovanotto i n antico costiune tartarico: era Max. Reutlinger vedendolo rimase senza

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RACCONTI NOTTURNI

fiato. - Guardalo q u i i l tuo « i o » , la tua visione!... - gU disse Rixendorf... - Sono stato io a trattenerlo q u i , i l nostro o t t i m o M a x , e a fargli dare dal tuo cameriere g l i abiti adatti alla mascherata... abiti t o l t i al tuo guardaroba, naturalmente... Era l u i inginocchiato nel padiglione davanti al cuore d i pietra... Si: davanti al cuore d i pietra dello zio duro e insensibile stava inginocchiato i l nipote... quel n i pote che t u spietatamente scacciasti per dar retta a una fantasia... a ima chimera... Se tuo fratello si è reso colpevole verso d i te, da molto tempo ha espiato la sua colpa, morendo nella più nera miseria. E qui c'è suo figlio... l'orfano... tuo nipote, si chiama M a x come tee t i assomiglia nel corpo e nello spirito come u n figlio al padre... Si è mantenuto bravamente a galla, da fanciullo e p o i da giovanotto, sulle ostili correnti della vita... Suvvia, accoglilo... commuoviti, stendigli una mano benefica a cui possa appoggiarsi, almeno quando l'uragano diventerà troppo impetuoso - . I l giovane, con occhi pieni d i lacrime, si era umilmente avvicinato al consigliere. Reutlinger, pallido come uno spettro, l o sguardo acceso, i l capo superbamente eretto, lo fissava rigido e m u t o ; ma quando M a x volle prendergli la mano fece due passi Indietro, levò le braccia i n atto d i difesa e gridò con voce terribile: - Scellerato... v u o l la mia morte?... T o g l i t i dai miei occhi t u , che giochi col m i o cuore... con me !... E anche t u , Rixendorf, anche t u eri d'accordo nell'ammannirmi la stupida burattinata?... Via... via... ch'io non tì veda mai più... T u , nato per la mia rovina... t u , figlio dì quel vergognoso delìn... - Basta! - esplose Max all'improvviso, sprizzando collera e disperazione dagli occhi. - Taci, zìo snaturato, fratello snaturato e senza cuore!... Colpa su colpa, onta su onta accumulasti sul capo del m i o sventurato padre, responsabile, sì, dì molte leggerezze, ma n o n dì d e l i t t i ! . . . Stolto, pazzo ch'io f u i a credere d i poter mai commuovere ìl tuo cuore dì sasso... d i poter riscattare la colpa dì mio padre circondand o t i d i affetto!... Povero, abbandonato da t u t t i ma fra le braccia d i un figlio, mìo padre chiuse la sua trìbolatissima vita... « M a x , sii u n bravo ragazzo... cerca dì riconciliarti con l'implacabile fratello mio... dì diventare suo figlio... », queste furono le sue ultime parole. M a t u m i respingi, come respìngi chiunque tì avvicini con amore e con devozione... e permetti al diavolo stesso dì prendersi gioco d i te con sogiù menzogneri!... M u o r i dunque, solo c abbandonato... Possano g l i avidi servitori spiare ansiosi la tua morte per p o i dividersi i l b o t t i n o , non appena avrai chiuso g l i occhi... Invece del pianto sincero, dei lamenti sconsolati d i coloro che avrebbero voluto esserti affezionati e devoti fino alla morte, che t u possa udire le risate d i scherno, g l i scherzi volgari degli indegni che sì presero cura dì te

I L CUORE D I PIETRA

perché t u l i pagavi con vile denaro !... M a i , mai più m i rivedrai !... ^ Come i l giovane fece per slanciarsi fuor della porta, G i u l i a cadde a terra singhiozzando. M a x ritornò indietro d'un balzo, la prese fra le braccia e se la strinse impetuosamente al petto esclamando con accento straziante: - Giulia... Giulia... O g n i speranza è perduta!... - Reuthnger, tremante i n tutte le membra, incapace d i profferire parola, rimase immobile a guardare... ma quando vide Giulia fra le braccia d i M a x lanciò u n urlo folle, avanzò decìso, la strappò dall'abbraccio d i M ax, la sollevò d i peso e le domandò con voce appena percettibile; - Giulia... t u ami Max?... G i u l i a ! . . . - C o m e la mia vita, - rispose G i u l i a fra le lacrime. - Come la mìa vita stessa... I l pugnale che lei infigge nel cuore dì M a x colpisce anche i l m i o ! - I l consigliere allentò la stretta e lasciò scivolare dolcemente la fanciulla su ima poltrona. Poi restò immobile premendosi le mani giunte sulla fronte. I n t o r n o era silenzio dì tomba: nessuno osava muovere né fiatare!... Reutlinger cadde ìn ginocchio - i l sangue era tornato ad affluirgli al viso, g l i occhi glì si erano r i e m p i t i d i lìmpide lacrime - erse ìl capo, tese le braccia al cielo e disse sottovoce, solennemente: - Eterna, imperscrutabile potenza, suprema reggitrìce del mondo... fosti t u a volere che la mìa vita sbagliata fosse soltanto come u n seme deposto nel grembo della terra affinché ne germogliasse un giovane arbusto carico dì fiori e f r u t t i meravigliosi?... O G i u lia... G i u l i a ! . . . O h , pazzo, cieco ch'io f u i ! . . . — Reutlinger nascose i l viso fra le mani - e pianse. M a per pochi secondi soltanto, pqi si scosse, si precipitò verso Max, che l o guardava attonito, se l o strinse al petto e gridò, come fuor d i senno: - T u ami Giulia... t u sei mìo figlio!... N o . . . d i più... d i più... t u sei «me stesso»... T u t t o quello che ho t i appartiene... sei ricco... molto ricco; hai una tenuta... case... denari... Lasciami rimanere con te: mì darai i l pane della carità nei miei u l t i m i giorni... Vero che lo farai?... T u m ì v u o i bene, vero?... D e v i volermene, perché t u sei «me stesso»... N o n temere più i l mio cuore d i pietra: stringimi soltanto forte a te, e i l pulsare del tuo sangue l o intenerirà, vedrai... Max... Max... figlio mio... amico mìo... mìo benefattore!... - Prolungandosi u n po' troppo quelle effusioni esaltate, ì presenti incominciarono a preoccuparsi: ìl consigliere pareva i n preda a una crisi d i sovreccitazione nervosa... Rixendorf, l'amico d i buon senso, riuscì finalmente a calmarlo; e soltanto quando f u più tranquillo, Reutlinger potè rendersi pieno conto d i quale guadagno avesse fatto ritrovando l'affetto dì quell'ottimo ragazzo; e si rese pure conto, con profonda commozione, che anche la signora Foerd vedeva nell'unione della sua G i u l i a col nipote d i luì i l rifiorire d ' u n lontano tempo perduto. I l consigliere

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RACCONTI NOTTURNI

Foerd, continuando a prender tabacco, espresse la sua piena soddisfazione i n u n francese abbastanza corretto, a prescindere dalla pronunzia nostrana. Per prima cosa si volle comunicare la notizia alle sorelle d i G i u l i a ma non si riusci a scovarle i n nessun luogo. SÌ cercò perfino nel grandi vasi giapponesi disposti attorno all'atrio pensando che la piccola Nannette, per essersi sporta u n p o ' troppo sull'orlo d i uno d i essi, v i fosse caduta dentro. M a Naimette dentro i vasi non c'era: la si ritrovò addormentata sotto u n cespuglio d i rose, dove nessuno l'aveva vista. Clementina invece fu rintracciata i n u n viale lontano dalla villa, mentre inseguiva invano i l bel giovinottino fuggiasco gridandogli dietro: - Ahimè... Spesso l'uomo troppo.tardi si avvede d i quanto fosse amato!... Troppo tardi si avvede d i essere stato volubile e ingrato... e comprende tutta la grandezza del cuore da l u i misconosciuto!... — Entrambe le damigelle misero su u n p o ' d i broncio per 11 matrimonio della sorella più giovane - e tanto più graziosa e affascinante! - d i loro. Specialmente Naimette, la malignetta, torse alquanto i l nasino rincagnato; ma Rixeindorf la prese i n braccio e la consolò dicendole che u n giorno o l'altro anche l e i avrebbe trovato u n marito, e forse ancora più d i stinto e più ricco d i Max. Nannette ritornò subito d i buon umore e cantò daccapo: Amenez vos troupeaux, bergères! Clementina sentenziò, seria e dignitosa: - Le piccole gioie tranquille, le piccole comodità racchiuse fra quattro pareti non sono che una componente accidentale della felicità domestica: i l nerbo, lo spirito della vera felicità sono le sorgenti d i nafta infocata che sì riversano dall'un cuore all'altro dì due esseri Innamorati ed affini... G l ì invitati r i u n i t i nel salone erano già stati informati dei fatti imprevisri ma lieti e attendevano con impazienza g l i sposi per poter dare la stura ai rallegramenti dì r i t o . I l commercialista vestito d'oro - che aveva visto e u d i t o ogni cosa dalla finestra - commentò molto sottilmente: - Adesso capisco perché la faccenda del becco fosse così importante per ìl povero M a x : se l o avessero messo ìn prigione non avrebbe mai più potuto pensare a riconciliarsi con lo zìo! - A u n segnale d i W i l l i b a l d t u t t i applaudirono l'acuta osservazione. - I n t a n t o Reutlinger, i Foerd, Rixendorf, ì due giovani, stavano, come si è detto, per rientrare i n sala. L'ambasciatore turco se n'era rimasto a lungo silenzioso, sdraiato sul sofà, limitandosi a manifestare la propria presenza col cigolio della pipa a rotelle contro i l pavimento e la propria partecipazione agli eventi con le smorfie più strane; ma ad u n tratto balzò ìn piedi e sì interpose fra i due innamorati gridando come u n ossesso: - M a come... M a come!... Sposarvi... così, su due piedi?... Con t u t t o i l rispetto per la tua Jntelli-

I L CUORE D I PIETRA

genza e la tua buona volontà, mio caro M a x , t u sei ancora uno sbarbatello... manchi d i esperienza... d i cultura... non conosci la vita... Cammini con i piedi i n dentro... t i esprioii setiza garbo, come ho notato poco fa quando, parlando a tuo zio, ìl consigliere aulico Reutlinger, g l i hai dato tJd t u . . . V ia, per i l mondo!... A Costantinopol i ! . . . L à imparerai quanto t i occorre, per tutta la vita... Poi r i t o r n i e ti sposi tranquillamente la mia cara bambina... la deliziosa Giulietta —. A l l ' u d i r e questa proposta t u t t i rimasero alquanto sorpresi. M a Exter trasse da parte 11 consigliere e ì due amici parlottarono per u n p o ' , ponendosi vicendevolmente le mani sulle spalle e scambiandosi alarne parole ìn arabo. Poi Reutlinger sì avvicinò a M a x , l o prese per una mano e g l i disse i n tono molto dolce e suadente: - Figliolo m i o caro... mio ottimo Max, fammi questo piacere: va' a Costantinopoli. Sarà questione d i sei mesi al massimo... p o i io, q u i , penserò a preparare i l tuo matrimonio - . Vane furono le proteste della fidanzata: Max dovette andare a Costantinopoli. A questo punto, lettore mio amatissimo, io potrei anche conchiudere i l mio racconto perché Max, come t u ben potrai immaginare, appena ritornato da Costantinopoli (dove vide la scala su cui la foca aveva riportato 11 bambino e molte altre meraviglie), sposò veramente la sua G i u l i a ; e non t i interesserà dì sapere come fosse vestita la sposa né quanti figli allietassero la felice unione... Aggiungerò soltanto ancora che, nel giorno della natività d i Maria dell'almo 18..., M a x e G i u l i a si inginocchiarono l'uno d i fronte all'altra nel padiglione, accanto al cuore rosso: e copiose lacrime caddero su quella fredda pietra perché sotto d i essa giaceva i l cuore - ahimè, troppo crudelmente ferito! - del benefico zio. N o n per voler imitare la tomba dì lord H o r i o n \a perché gli era parso dì riassumere così tutta la dolorosa vicenda terrena del povero zio, M a x aveva scolpito dì propria mano sul cuore dì pietra la parola: Riposa! ' NeH'Hesperus di Jean Paul, Lord Horion si uccide dentro la cripta sepolcrale della tua amau, dopo avet Eatto deporre una lapide con la propria epigrafe mortuaria. «Accorremmo al cespuglio e, alla luce di due torce funebri vedemmo che If accanto era •tata scavata una seconda fossa, coperta da una lastra di marmo nero di sotto aìla quale usciva un lembo dell'abito nero del Lord: egli si era suicidato dentro quella fossa. Sulla lapide di tuarmo nero - come su quella che copriva U tomba dell'amata - c'era un pallido cuore di cenere e sotto i l cuore, incisa a lettere bianche, la parola; "Riposa"» (Jean Paul, Opere, 2* ed., voi. IV, p. 131, Berlin 1826).

p. vu

L'esilio del borghese di Claudio Magris

xuii

Nota all'introduzione

XLV

Nota biobibliografìca

Racconti notturni PARTE PRIMA

5

L ' O r c o Insabbia

37

Ignazio Denner

80

L a chiesa d e i g e su iti d i G .

loi

I I Sanctus PARTE SECONDA

119

L a casa d i s a b i t a t a

146

I I maggiorasco

208

II voto

233

I I cuore d i p i e t r a

Stampato per conto della Casa editrice Einaudi presso Mondadori Printing S.p.A., Stabilimento N.S.M., Cles (Trento) C.L.

17712

Edizione

2005

ZO06

2007 2C