Quaderni di prigionia e altri inediti
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LEV I NA S EMMANUEL LEVINAS

QUADERNI

DI PRIGIONIA E ALTRI INEDITI

QUADERNI DI PRIGIONIA E ALTRI INEDITI

EMMANUEL LEVINAS QUADERNI DI PRIGIONIA E ALTRI INEDITI

A cura di Rodolphe Calin e Catherine Chalier Prefazione generale di Jean-Luc Marion dell’Académie française Edizione italiana a cura di Silvano Facioni

Il comitato scientifico per la pubblicazione delle Opere di Emmanuel Levinas è coordinato da Jean-Luc Marion, dell’Académie française, ed è composto da Miguel Abensour, Rodolphe Calin, Bernhardt Casper, Catherine Chalier, Michel Deguy, Marc B. de Launay, Marc Faessler, Giovanni Ferretti, Miguel Garcia-Baró, Kevin Hart, JeanLuc Nancy, Guy Petitdemange, Claude Romano.

Per quest’opera il traduttore ha ricevuto il sostegno del Centre National du Livre EMMANUEL LEVINAS, Carnets de captivité et autres inédits Copyright © Éditions Grasset & Fasquelle, IMEC Editeur, 2009 © 2011 Bompiani/RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli 8 20132 Milano ISBN 978-88-58-76207-3 Realizzazione editoriale a cura di NetPhilo Srl Prima edizione digitale 2013 da prima edizione Bompiani settembre 2011

Prefazione di Jean-Luc Marion

Il pensiero di Emmanuel Levinas è stato precoce, ma la sua opera tutta di passaggi. La notorietà immediata, ma il riconoscimento pubblico tardivo. La ricezione già antica, ma le interpretazioni sempre contrastate. Al pari dell’opera di Bergson, a cui risponde su diversi aspetti, ha segnato la scena e l’avventura filosofica del XX secolo, in Francia e ovunque, al punto da far parte, oggi, a pieno diritto, della storia della fenomenologia e della filosofia tout court. Non può dunque stupire che quest’opera, per quanto conosciuta o riconosciuta sia e forse proprio per questo, resti oggi così difficile da penetrare. Per molte ragioni. Anzitutto sicuramente perché i suoi scritti sono stati pubblicati sparsamente da molti editori; e anche in maniera rapsodica, poiché alcune raccolte organizzate o sostenute dallo stesso Levinas non offrono grande omogeneità tematica, addirittura cronologica, e alcune riedizioni di testi in un primo momento omogenei le hanno trasformate, nel tempo, in raccolte se non artificiali, quanto meno disparate. In secondo luogo, la scrittura può sviare o sorprendere il lettore: tanto i primi testi pubblicati (non parliamo degli inediti) mantengono la limpida neutralità dello stile universitario o consuonano con il vocabolario e le formule dell’immediato dopoguerra (e anzitutto di Sartre), tanto, con il passare del tempo e soprattutto dopo la pubblicazione di Totalità e Infinito nel 1961, la lingua assume una ricchezza e un’asprezza particolari, un francese tanto più originale quanto più veniva a essere come conquistato e ricostituito a partire da altre lingue (il tedesco, l’ebraico, l’inglese, il russo prima di tutto), con le quali, per contrasto, acquistava la sua profondità, il suo rilievo,

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la sua forza e dispiegava così possibilità lasciate inesplorate da tre secoli dalla maggior parte dei filosofi francesi. Un giorno, che si spera prossimo, bisognerà procedere a uno studio stilistico del corpus levinassiano, vivace prova del fatto che è possibile pensare in francese, o almeno in quel francese, fatto di rotture della costruzione, di ellissi, di metafore, di elisioni, di allusioni, di citazioni implicite, perfino di neologismi o di deviazioni dal senso abituale dei termini comuni ecc.; in breve, di un francese estraneo al francese poiché più intimamente fedele al suo genio, un francese da scrittore, non da professore né da filosofo. D’altra parte, al novero delle ragioni della difficoltà dell’opera di Levinas si deve aggiungere il suo effetto propriamente e molteplicemente letterario; la diversità dei generi (articolo scientifico, articolo d’attualità, conferenza, commento talmudico, tesi, trattato sistematico, composizione di saggi unitari, raccolte di saggi diversi, interviste più o meno familiari o formali ecc.) e anche la molteplicità di registri filosofici (storia della filosofia, storia della fenomenologia, fenomenologia, filosofia della religione, filosofia politica, estetica ecc.) e non filosofici (teologia e religione, commenti talmudici, critica letteraria, politica ecc.) esige dal lettore non soltanto competenze poco comuni, ma soprattutto che venga valutato il peso rispettivo dei testi incontrati – la loro autorità concettuale normativa per tutta l’opera, o il ruolo di commento legato alle circostanze di una ricezione, o lo statuto periferico in rapporto al pensiero filosofante, ancorché centrale nell’ottica di una preoccupazione più specifica (religiosa, politica, storica ecc.). Questa costante difficoltà a orientarsi nei testi, o più esattamente a misurare la loro autorità e il loro ruolo nella disposizione di insieme, culmina nel momento in cui li si riferisce all’evento che li sovrasta: la persecuzione del popolo ebraico da parte della Germania nazista. Contrariamente alla così diffusa retorica piuttosto inflazionata che non smette di chiedersi “come è possibile filosofare dopo Auschwitz?”, in realtà per parlarne tanto più quanto meno ne pensa la logica, l’ignominia e la blasfemia, Levinas evoca esplicitamente la Shoah in rarissime pagine (tra cui la celebre dedica di Altrimenti che essere che, tuttavia, con un universalismo che colpisce, aggiunge ai “sei milioni” dei “più

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prossimi”, la compagnia involontaria e talvolta volontaria “dei milioni e milioni di esseri umani di ogni confessione”), come se quest’ombra silenziosa, che ricopre l’intero testo, lo ispira e lo giustifica, non potesse tuttavia – e proprio per questo – nemmeno dirsi, né mostrarsi direttamente. Di questa tenebra luminosa, l’immenso non-detto sovradetermina tutta l’opera di Levinas, che la dice appena. Letteralmente, Levinas non dice la Shoah che a pena, perché dire la pena, questa pena, esige appena un detto, il minor detto possibile per manifestare la pena infinita del dire, del dire che fu così denegato e disdetto. L’accumulo di queste difficoltà strettamente letterarie basterebbe già a rendere la lettura dell’intera opera ardua, delicata, perfino aporetica. Ma si tratta solo dello slargo di difficoltà strettamente concettuali di una filosofia la cui interpretazione rimane ancora profondamente indecidibile. Menzioniamo le principali. Levinas debutta come uno dei primi, se non il primo vero introduttore di Husserl nella filosofia francese, poi di Heidegger, da cui il suo incontestabile statuto di fenomenologo. Rimane da sapere se questa opzione diviene in seguito più di un metodo di partenza, e se il suo pensiero rimane iscritto essenzialmente nella corrente fenomenologica oppure se se ne affranca; e se sì, a partire da quando e verso quale direzione? Quanto al riconoscimento mai messo in questione del pensiero dell’autore di Sein und Zeit, questo va di pari passo con un silenzio quasi completo sulla differenza ontologica (e sulla sua eventuale squalifica); al contrario, Husserl rimane un punto di riferimento determinante fino agli ultimi corsi; in altro modo, le discussioni con i contemporanei (Derrida, Henry e Ricoeur) sono tanto conosciute quanto da valutare relativamente alla loro reale importanza. Questa indeterminazione del ruolo comunque indiscutibile della fenomenologia nel suo itinerario di pensiero mette in rilievo l’importanza, in tutta evidenza centrale, dell’ebraismo di Levinas: si tratta di una versione francese del giudaismo filosofico tedesco (da Mendelssohn a Cohen e Rosenzweig) oppure gli studi talmudici raggiungono un’autorità nel giudaismo ortodosso (ammesso che il singolare abbia, qui, un senso) o, ancora, dipendono dalla filosofia? I dibattiti, addirittura le polemiche che non hanno

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smesso di circondare le domande, mostrano bene la loro centralità: Levinas gioca Atene contro Gerusalemme o, al contrario, Gerusalemme contro Atene, pretendendo di parlare greco per dire l’altra Parola, che il greco non può dire? E in questo esercizio, come potrebbe non incontrare, al centro del suo itinerario, la teologia cristiana, che ha immediatamente opposto Cristo al greco? E infine, dove passa qui la frontiera (se ce n’è una e se ne occorre una) tra quanto si agita sotto i titoli, d’altro canto problematici in se stessi, di filosofia (o fenomenologia) e di teologia? Anche supponendo affrontate tali questioni e assunta la decisione di una lettura propriamente e anzitutto filosofica dell’opera, non si fa che aprire il dibattito sul centro di gravità e sull’intuizione originale, in breve sull’affaire del pensiero di Levinas. Nella già lunga storia della sua ricezione, si è primariamente (più esattamente nel momento, per altri versi tardivo, durante gli anni settanta, del riconoscimento pubblico) privilegiata la problematica etica: il volto d’altri, l’infinito fuori della totalità, la differenza dell’assoluto. Lettura senza dubbio legittima, sicuramente inevitabile, ma apparsa rapidamente inadeguata. Anzitutto perché Levinas non ha mai tentato di scrivere un’etica, ma di descrivere quanto rende possibile l’etica stessa. In seguito perché proprio la (quasi-)riduzione che conduce alla ragione etica, alla responsabilità incondizionata verso altri, non permette di accedere, almeno come tale, ad altri inteso come individuo e forse non aspira mai a lui (salvo se si prendono sul serio le evocazioni dell’amore nell’ultimo periodo). A fortiori, non si trova mai il benché minimo tentativo di dispiegare i dettagli di una morale applicata, ancora meno l’abbozzo di una riflessione strettamente politica. Più recentemente, allora, si è seguita un’altra linea interpretativa: prendendo in considerazione i primi scritti (da Dell’evasione a Il Tempo e l’Altro), soprattutto assumendo il così visibile contesto sartriano dell’epoca, si impone la questione del sé, della difficoltà di accedervi e, simultaneamente, di tirarsene fuori. I temi paradossali dell’ultimo periodo e le iperboli che talvolta sono state stigmatizzate (in particolare la sostituzione e l’elezione) divengono intellegibili solo in quest’ottica: si tratta del sé che io non sono nel senso stesso in cui non devo esserlo.

Prefazione

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Da cui la questione stessa dell’essere: dall’inizio, infatti, l’odio dell’essere, che sorge con una violenza quasi senza genealogia, riprende secondo la modalità del rovesciamento (Umwertung nel senso di Nietzsche ma anche di Husserl) enigmatico il privilegio della Seinsfrage imposta da Heidegger come l’ingresso per eccellenza nella (fine della) metafisica. Ora, lungi dal fatto che questa destituzione dell’essere ne blocca la questione, potrebbe darsi che, al contrario, essa abbia imposto a Levinas, come alla base e in basso continuo, il compito arduo fino all’aporia di dedurre l’essere e la differenza ontologica a partire dall’altrimenti che essere, in maniera tale che il movimento stesso di trasgressione dell’essenza possa così rendere ragione della presenza e della sua permanenza nell’essenza (ousia). La disfatta dell’essere non condurrebbe allora alla sua scomparsa, ma alla sua ripresa. Quale? Questa indecisione, almeno per quanto ci riguarda, ritrova alla fine l’ambiguità della questione della fenomenalità in generale, o piuttosto della manifestazione dei fenomeni descritti da tutta l’impresa fenomenologica di Levinas. In effetti, come si deve intendere il titolo che conferisce in proprio al fenomeno? Quanto si propone nell’evidenza dell’Epifania sembra in fin dei conti tornare alla cancellazione della traccia, della traccia come cancellazione della presenza, tanto d’altri quanto di Dio, tanto del volto quanto dell’infinito. Arriviamo a un’estinzione della visibilità o al suo compimento nell’evidenza, a una salvezza del fenomeno nella luce dell’infinito fuori della totalità oppure alla sua umiliazione nell’assenza, a meno che non si tratti della nostra umiliazione davanti all’insostenibile bagliore che ci raggiunge senza sottomettersi alla nostra intenzionalità? Altre domande, altrettanto decisive, potrebbero aggiungersi a questa prima recensione e, senza dubbio, i lavori futuri ne svilupperanno di nuove, forse più temibili. Ma questo suppone un possesso dell’opera nella sua totalità. Una totalità di cui la scoperta di una massa considerevole e non ancora sfruttata di inediti rende l’accesso ancora più delicato. Abbiamo dunque il dovere, ma anche il bisogno, di non lasciare questi testi troppo a lungo senza un’edizione di Opere complete. Senza questo preambolo, che senza alcun dubbio necessiterà di tempo e della

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collaborazione di tutti i conoscitori seri dell’opera, l’interpretazione di Levinas rimarrà a lungo parziale, dunque insufficiente, rischiando di precipitare nell’arbitrio e nelle polemiche senza altro oggetto che l’ideologia. Un comitato scientifico incaricato di tale lavoro (composto da Miguel Abensour, Rodolphe Calin, Bernhardt Casper, Catherine Chalier, Michel Deguy, Marc B. Delaunay, Marc Faessler, Giovanni Ferretti, Miguel Garcia-Baró, Kevin Hart, Jean-Luc Nancy, Guy Petitdemange, Claude Romano e coordinato da Jean-Luc Marion) si è occupato di cominciare il lavoro. Ha stabilito, in accordo con l’esecutore testamentario (Michaël Levinas), con l’IMEC (Olivier Corpet e Nathalie Léger) e le Éditions Grasset (BernardHenri Lévy e Olivier Nora) i seguenti principi di edizione. Per quanto possibile, l’edizione dovrà seguire e, quando necessario, ristabilire un ordine cronologico delle pubblicazioni. Ma dal momento che nel corso delle loro riedizioni alcuni testi, vivente Levinas, sono stati accresciuti con testi più recenti, fino a divenire raccolte composite (ad esempio Scoprire l’esistenza…), e dal momento che Levinas ha organizzato o sostenuto raccolte comprendenti talvolta testi di epoche diverse (come Tra noi), tali scelte, benché interrompano il criterio cronologico, saranno rispettate, ogni volta che lo stesso Levinas vi si è impegnato senza ambiguità. Ma altre raccolte più arbitrarie potranno essere scomposte per riposizionare quanto le compone in ordine cronologico. Si potrà anche, eccezionalmente, ricorrere a una doppia pubblicazione dello stesso articolo: dapprima nel volume in cui è previsto dal punto di vista cronologico e concettuale, (come “L’ontologia è fondamentale?” per Totalità e Infinito), in seguito nella raccolta giustificata da Levinas (qui Tra noi). Ovviamente l’edizione terrà conto degli inediti, pur sapendo che non saranno tutti immediatamente accessibili, perché la loro classificazione nel deposito realizzato presso l’ IMEC non è compiuta (benché lo sia la numerazione). Questi inediti saranno editati in una sezione speciale, i cui volumi saranno pubblicati sia prima (per esempio i Quaderni di prigionia), sia dopo la ripresa delle opere pubblicate dallo stesso Levinas, in almeno tre volumi.

Prefazione

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Con la riserva dell’accordo finale tra editori dell’opera anteriore alla morte, l’edizione dei testi pubblicati sotto l’autorità diretta di Levinas e durante la sua vita sarà realizzata raggruppandoli secondo un ordine cronologico e insieme, quando opportuno, tematico (come per gli scritti di critica letteraria, le Lezioni talmudiche e le Interviste). Ogni volume sarà composto (sul modello dell’edizione Husserliana di Lovanio) da due tipi di testi: anzitutto quelli pubblicati da Emmanuel Levinas, in seguito il dossier degli articoli e delle conferenze preparatorie, delle recensioni contemporanee e degli inediti che possono riguardare l’epoca e il tema, con il titolo Annessi e documenti. L’edizione di ogni volume sarà affidata a uno o più responsabili, scelti ogni volta dal comitato scientifico, e che approva(no) il manoscritto finale.

Introduzione all’edizione italiana di Silvano Facioni

Un pregiudizio tanto vecchio quanto persistente vuole che la pubblicazione di un’opera in edizione critica, magari  – come in questo caso – comprensiva degli scritti inediti di un autore, faccia la felicità di filologi e storici del testo, ma poco aggiunga a quanto già pubblicato e studiato. Se poi tale edizione riguarda un’opera filosofica, il pregiudizio sembra crescere a dismisura perché, se si escludono pochi casi come quello ben noto di Nietzsche, si ritiene che il cosiddetto “pensiero” di un autore sia interamente reperibile o ricostruibile a partire da quanto edito o, in ogni caso, da quanto ha ricevuto il placet dell’autore (un placet, occorre dire, al quale si mescolano, più o meno consapevolmente, i non meno importanti ne varietur, nihil obstat, colophon, copyright che accompagnano il cosiddetto “paratesto”). Ma, uguale e contrario e altrettanto inscalfibile, un altro pregiudizio può talvolta insinuarsi nella pratica scientifica e determinarne l’orientamento: considerare ogni parola prodotta da un autore come sensorio o indice di più o meno occulti significati che, attraverso complesse traiettorie di rifrazione o rimando, sarebbero in grado di svelare – sempre e comunque – inediti percorsi ermeneutici. Mentre si procede nella lettura, dunque, è questa oscillazione, questa soglia che occorre tenere presente: la negazione di una vitalità di parole e testi al di là dell’intentio dell’autore da una parte e, dall’altra, il culto idolatrico dello scartafaccio. Due tentazioni che si implicano vicendevolmente e che, proprio in virtù dei rischi che comportano, dovrebbero essere considerate alla luce dei troppo spesso inindagati presupposti che le muovono e che orientano la valutazione e il giudizio di quanto viene pubblicato: qui, le tentazioni sono sicuramente in agguato ri-

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spetto all’ormai ampiamente riconosciuta autorevolezza dell’opera di Emmanuel Levinas che, a partire da questo primo volume di inediti (al quale faranno seguito, secondo il piano editoriale stabilito dal comitato di studiosi presieduto da Jean-Luc Marion, altri due volumi di scritti inediti e successivamente, fatto salvo l’accordo con gli editori, quattro volumi che raccoglieranno l’intera opera già edita ma corredata di varianti e materiali preparatori) necessita di una riconsiderazione che, anche se non nega l’articolato percorso critico che ha generato, segna sicuramente un prima e un dopo di cui gli studi dovranno tener conto. In questa sede, però, piuttosto che rintracciare gli elementi di novità e quelli di continuità rispetto all’opera edita, elementi sui quali deve distendersi il tempo lungo dell’elaborazione e non il sincopato accatastarsi di temi e motivi, è opportuno porre domande che investono la natura stessa di un’opera: cosa è, in senso proprio, un inedito, e perché lo si considera importante? Cosa ci attendiamo che sveli? Come si deve leggere o, comunque, che “uso” farne? Domande, queste, solo apparentemente già ascoltate e trascinate nel gorgo di dibattiti senza fine, come se il loro essere destinate a rimanere aperte le condannasse, da subito, all’oziosità: nel caso di Levinas, infatti, tali domande si complicano ulteriormente, se si considera il fatto che le opere inedite vengono pubblicate dopo la morte dell’autore (come accade spesso, ma non sempre) e che il groviglio temporale che si viene annodando mette in campo una scrittura che precede l’opera edita e, insieme, la segue quanto alla sua pubblicazione. Un “prima” e un “dopo” perigliosamente in bilico e in continuo reciproco travaso, fino al punto da disattivare la sequenzialità materiale o storica che vorrebbe stabilire ordini e precedenze, cronologie e, forse, gerarchie valoriali: se la scrittura è sempre evento che irrompe nel flusso del tempo per scardinarne assetti e orizzonti o, meglio, se è il tempo stesso a essere inaugurato dalla scrittura che però, nel tempo del suo compiersi, si consegna da subito all’a-venire della lettura, producendo così un’inversione delle estasi temporali; se, in altri termini, prima di ogni contenuto, prima del suo stesso determinarsi segnico, la scrittura (ogni scrittura) disarticola gli orizzonti temporali e spaziali in cui “prende corpo” insinuando in essi possibilità altre (e non altre possibilità)

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di significazione, allora sarà necessario abbandonare criteri ermeneutici precostituiti e lasciare che la scrittura, per così dire, detti le sue stesse regole senza riferirsi ad altri ordini rispetto a se stessa. Non è casuale, qui, l’utilizzazione del termine “scrittura” piuttosto che quello di “testo”: i Quaderni di prigionia, gli Scritti di prigionia (che pure, in relazione alla destinazione che ne ha guidato il procedere, sembrano presentarsi come maggiormente “strutturati”) e le Note filosofiche varie, costituiscono anzitutto un immenso cantiere di scrittura senza telos o esito prevedibili, nel duplice senso che non conosciamo le ragioni che hanno spinto Levinas a produrre tale scrittura, ma anche nel senso che  – se tali ragioni fossero note o ipotizzabili – oggi, nel presente della lettura, non si conoscono ancora gli effetti che essa potrà generare. La questione, dunque, prima ancora che riguardare lo stile di scrittura (che prima o poi, come sottolinea Jean-Luc Marion nella sua Prefazione, dovrà essere studiato), riguarda l’evento scrittura il quale – nell’opera di Levinas – risuona sempre nell’eco della Scrittura biblica che a sua volta, secondo l’interpretazione dei grandi maestri della tradizione ebraica, produce il mondo che la produce e invoca una “creazione” che non è il richiamo a una sfuocata imitatio Dei, ma il presupposto – da sempre e per sempre inafferrabile – perché tanto il mondo quanto la scrittura, quanto il loro irriducibile coimplicarsi, si muovano incontro a un senso. La Scrittura biblica non è mai, in alcun modo, separabile dai commenti che  – contrariamente a quanto si crede  – non sopraggiungono a essa, stratificandosi in insegnamenti che finiscono con il saturarne lo spazio: presenti come futuri, i commenti sollecitano la Scrittura che li sollecita e, per questo, non possono considerarsi come definitivamente acquisiti, chiusi nei volumi che li ospitano, prigionieri del senso che contribuiscono a suscitare. Ecco allora che la Scrittura si consegna alla pluralità delle interpretazioni disciogliendosi in esse e mantenendosene altra, separata: Scrittura in quanto scritture, disseminazione intratestuale in cui l’antica ferita della condizione creaturale si dice attraverso la precarietà di quanto espresso, nel vorticare di commenti che si depositano sulla pagina. Non bisogna dimenticare infatti che il lessico di Levinas non rimanda solo al piano extratestuale della realtà, come se si trattasse

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di inseguire il linguaggio per verificare fino a che punto può rendere conto – anche solo descrittivamente – dell’esperienza empirica del mondo: dentro e dietro le ormai familiari parole come “volto”, “responsabilità”, “etica”, “sostituzione”, “terzo”, “giustizia”, e forse anche “infinito” e “ostaggio”, è letteralmente in atto un’esperienza di scrittura che deve essere colta nel suo rispondere di sé a se medesima, prima del suo divenire oggetto di una qualche disciplina (la linguistica o, più ancora, la filosofia del linguaggio). Non si tratta ovviamente di considerare i termini che, solo a titolo di esempio, sono stati appena richiamati, come “linguistici” o come tentativi – più o meno riusciti – di nominare differentemente quanto, in termini tradizionali, potrebbe essere rubricato ricorrendo al ricco lemmario della retorica, della stilistica o delle numerose teorie semiologiche che hanno attraversato – talvolta estenuandolo – il XX secolo: nell’opera di Levinas, linguaggio e scrittura, pur senza mai coincidere, vanno ricondotti, da ultimo, a quel Dire che è  – come narrano i primi capitoli del libro della Genesi – la condizione di possibilità dell’esistenza stessa del cosmo, e di cui il Detto della filosofia o delle parole dei maestri costituisce l’effetto storico, l’accadere evenemenziale o, meglio, il letterale “approssimarsi”. Non una teoria del linguaggio, dunque, ma una lingua sempre teorica, vale a dire, assecondando l’osmosi semantica tra Atene e Gerusalemme, torah (che, come nome comune, annovera anche il significato di “teoria”): sospesa tra la pesantezza del proprio concretarsi e il lampeggiare di un “altrimenti” che spezza l’idolo – l’idolo della lingua, la lingua dell’idolo – anche a costo di perdersi o di rarefarsi indefinitamente, la scrittura deposita residui ed eccedenze che la tradizione a cui Levinas appartiene si incarica di integrare. L’esperienza ebraica di Levinas accompagna infatti come un basso continuo ogni singolo frammento della sua scrittura e si riverbera – il più delle volte in maniera dissona rispetto al precipitare delle parole nei taccuini – nei frammenti apparentemente poco significativi come quelli in cui si producono liste di oggetti da acquistare o indirizzi da apporre sulle etichette per la ricezione di pacchi, come pure in quelli in cui Platone, Husserl, Heidegger vengono convocati per discutere le più “classiche” questioni di filosofia; nelle riflessioni dedicate a Bloy o a Proust o agli amati russi, o negli abbozzi

Introduzione all’edizione italiana

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teorici in cui viene discusso il ruolo della metafora come veicolo di senso o del linguaggio come sensorio della corporeità; nei frammenti in cui la coscienza del soggetto viene scrutata nei lenti movimenti che scandiscono il suo generarsi, o in quelli talvolta dolenti in cui i gesti che appartengono all’inosservato quotidiano – il mangiare, il vestirsi, il parlarsi – vengono fenomenologicamente descritti come irriducibili alla presa fenomenologica: tutto, in questi testi, scaturisce da un’esperienza che assume come riferimento segreto, obliquo, indiretto, la pratica di vita e di studio che ha scandito, nei secoli, la lunga catena della trasmissione che, attraverso lo studio della Torah, da Mosè giunge fino a Kovno, dove si modella con caratteristiche particolari che, in filigrana, si ritrovano in molte delle annotazioni che Levinas appunta nei suoi quaderni. Non si tratta di sostenere posizioni che trasformerebbero Levinas in pensatore “religioso”, né di ascriverlo a una non meglio definita “filosofia ebraica”; e, ancora, non si tratta nemmeno di mostrare un qualche sbarco della sapienza talmudica nella saggezza greca, magari rintracciando presunte sostituzioni o improvvide contaminazioni di percorsi che – nell’implicazione reciproca che li ha resi protagonisti della storia dell’Occidente – mantengono ognuno la propria peculiarità di premesse e metodi, paradigmi e funzioni, finalità e declinazioni. Nessun dubbio, dunque, riguardo a Emmanuel Levinas come filosofo senza ulteriori aggettivazioni (ammesso che mai abbiano un senso), un filosofo che non ha mai smesso di dialogare non soltanto con Hegel, Husserl e Heidegger  – i suoi principali interlocutori  – ma con l’intera tradizione filosofica occidentale; ma nessun dubbio nemmeno riguardo a Emmanuel Levinas come discepolo dei maestri e interpreti della Torah che, per suo tramite, sono stati portati nel cuore teorico di molte delle principali domande che affollano e inquietano il nostro tempo. Come già per alcune figure della storia del pensiero (si pensi, ad esempio, a Rosenzweig o a Israel Salanter), in un quadro culturale nel cui cuore si spalanca l’abisso Auschwitz che fende la storia rendendo il “dopo” difficilmente misurabile, anche per Levinas l’elaborazione di un percorso di ricerca del senso dell’umano e della storia non è possibile senza l’integrazione di tradizioni che – in virtù della ricerca di senso che ne motiva l’esistenza – possono lasciare la particolarità storica che le caratterizza per aprir-

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si all’universalità di quanto appartiene all’esperienza di ogni uomo. Così, seppure metodologicamente importante, la sempre aperta serie di coppie con cui si cerca di organizzare lo specifico proprio delle tradizioni greca ed ebraica, a partire da Levinas si rivela come insufficiente o troppo immediata: soluzione semplificatrice, l’ipostatizzazione in dualità dialetticamente irriducibili impedisce il riconoscimento dell’insufficienza di ognuna delle due tradizioni qualora rimanga chiusa o conclusa in se stessa, qualora non riesca ad ascoltare l’invocazione dell’altra, qualora non si apra a quell’accoglienza che è la matrice della responsabilità. Ed è in questo impercettibile punto di tangenza che possiamo riconoscere la radicale novità del pensiero di Levinas, una novità per nulla dimentica delle tradizioni che porta e da cui è portata e che si impone come urgenza di un compito ancora da compiere o da ricominciare all’infinito: i numerosi frammenti che inchiostrano i Quaderni qui pubblicati rappresentano l’occasione preziosa di un riattraversamento dell’opera di Levinas, non soltanto perché ne fanno integralmente parte, ma soprattutto perché è possibile scorgere negli angoli delle riflessioni, nelle sospensioni che le attraversano, nelle esitazioni che interrompono o fragilizzano il loro procedere, la memoria di domande antiche come il mondo, prima che l’assalto dei saperi ne formalizzi ordini e appartenenze, prima delle più o meno rigorose distinzioni che appianano le asperità di un pensiero sempre “in elaborazione” (come recita la dicitura sapientemente apposta da Levinas sulle cartelle che raccolgono quaderni e note). Una memoria sempre in anticipo rispetto al suo determinarsi e sempre in ritardo rispetto alla scrittura che la accoglie. Non bisogna dimenticare, infatti, che i Quaderni di prigionia, unitamente agli altri scritti che li costeggiano e accompagnano, sono prevalentemente quaderni di domande. Domande che intrecciano domande e domandano al lettore di domandare a sua volta. Domande letteralmente infinite, come i “volti” che traducono e da cui – segretamente  – provengono.

Introduzione di Rodolphe Calin e Catherine Chalier

Quaderni di prigionia Scritti, per l’essenziale, durante i suoi cinque anni di prigionia, ma cominciati nel 1937 e proseguiti fino al 1950, composti di annotazioni su temi e oggetti apparentemente diversi, questi quaderni non sono soltanto, né principalmente, come ci si aspetterebbe, l’opera di un filosofo. Sono anche e anzitutto quella di un romanziere, o almeno di uno scrittore che non desidera solo portare a compimento un’opera filosofica, ma anche – come Sartre? – un’opera letteraria, più precisamente romanzesca. Un frammento del Quaderno 2 lo dice senza giri di parole: “La mia opera da realizzare: Filosofica […] Letteraria […] Critica”1; seguono, sotto ogni rubrica, titoli o indicazioni di temi delle opere progettate. In questi Quaderni si tratta proprio di quest’opera, nella sua triplice dimensione. Come dire che i frammenti che li compongono non sono diversi, addirittura dissonanti, perché abborderebbero temi molteplici, ma anzitutto perché si esprimono in modi molto diversi. E tuttavia, nonostante questa diversità, formano un tutto. Che Levinas abbia considerato cosa buona consegnarvi ancora, durante gli anni dell’immediato dopoguerra, anche solo in due pagine all’anno annotazioni che non avrebbero trovato altrove un posto, basterebbe ad attestarlo. Ora, quanto conferisce ai Quaderni la loro unità è la prigionia stessa. Non soltanto nel senso della situazione in 1 Quaderno 2, p. 32. Tutti i riferimenti ai Quaderni di prigionia sono segnalati seguendo l’impaginazione del manoscritto, indicata nella trascrizione tra caporali semplici.

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cui, per l’essenziale, furono scritti, o di cui ci farebbero il resoconto quotidiano. Un simile resoconto è assente e gli episodi, le situazioni vissute, quando vengono evocate, lo sono spesso in maniera fortemente epurata: così questa scena durante il lavoro quotidiano nella foresta: “La malvagità – due squadre sciano. W è maltrattato – È contrariato  – ma domani la sua stizza passerà.  – Dirgli cattiverie da oggi. Domani sarà troppo tardi”2. È in un modo meno triviale o meno evidente che la prigionia unifica gli argomenti dei pensieri qui radunati. Nel senso che entra in risonanza, qualche volta intensa, con i tre tipi di scrittura – filosofica, critica e romanzesca – che i Quaderni mescolano, e di cui per questa ragione diviene, talvolta, il tema esplicito. Cominciamo dalla scrittura letteraria. L’ambizione di divenire romanziere non avrà albergato in Levinas solo durante gli anni di guerra, vale a dire negli anni in cui la sua opera di filosofo è ancora incoativa, ma, cosa più significativa, almeno fino all’inizio degli anni sessanta, nel periodo in cui pubblica Totalità e Infinito, in cui la sua filosofia trova una prima esposizione completa. Effettivamente, negli archivi Levinas è possibile leggere due romanzi incompiuti, il primo intitolato La Dame de chez Wepler (La Signora di casa Wepler), il secondo, Eros. È il secondo che in questa sede ci interesserà. Eros, di cui è possibile datare approssimativamente almeno una delle stagioni di scrittura3 è a tutti gli effetti il romanzo – o almeno uno dei romanzi, ma è vero, quello di cui si tratta più frequente2

Quaderno 3, p. 19. Il romanzo è scritto dapprima su un quaderno scolastico le cui ultime pagine vengono lasciate in bianco e ripreso successivamente sul verso di parti di fogli isolati (spesso stampati con date dell’inizio degli anni sessanta), fogli che non sempre si succedono. Se è difficile datare la scrittura sul quaderno – si tratta di un quaderno di scarsa qualità che potrebbe essere vecchio o rapidamente divenuto tale –, alcuni elementi inducono a credere che questo romanzo abbia conosciuto almeno due stagioni di scrittura, e che un tempo relativamente lungo sia trascorso tra di loro. Si tratta del fatto che, da una parte, Levinas abbia cambiato il supporto di scrittura, nonostante non tutte le pagine del quaderno fossero state utilizzate e, dall’altra, che la prima frase che è possibile leggere sul primo foglio isolato assume troppo apertamente, così sembra, l’immediato seguito del quaderno. 3

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mente – che Levinas, nei Quaderni, progettava di scrivere, e che ha già in gran parte abbozzato. Il romanzo si limita soltanto, sembra, a cambiare titolo, poiché Triste opulenza diviene Eros4. Il tema di questo romanzo è la sconfitta e la prigionia stesse5. Eros (?) comincia in effetti nel maggio 1940, nel momento in cui Paul Rondeau, interprete militare, parte per il fronte6. Esso prosegue durante la prigionia, prima a Rennes e, successivamente, in Germania7, compiendosi, per così dire, con il ritorno del protagonista, dopo cinque anni di prigionia. (Il nome del protagonista, comunque, è indeciso. Di Paul Rondeau non si tratta più durante il tempo della prigionia, senza però che si sappia chi, tra i perso4

Il titolo del romanzo non è sicuro. In effetti compare soltanto sul foglio cartonato piegato in due all’interno del quale si trovano il quaderno e i fogli isolati (cfr. la nota precedente). Ora, alcuni fogli sul verso dei quali Levinas ha scritto il suo romanzo sono manoscritti filosofici che riguardano in particolare l’eros, tema importante, come noto, dell’opera levinassiana. Non si può escludere che questo foglio cartonato sia servito, durante una prima utilizzazione, a raccogliere un manoscritto filosofico sull’eros. È possibile ipotizzare un’altra ragione: se l’eros e, più precisamente qui, l’erotismo sono una dimensione importante del romanzo, non ne rappresentano, almeno sembra, il cuore. È la ragione per cui, se nulla autorizza ad attribuire a questo romanzo, abbozzato nei Quaderni, il titolo attribuitogli, cioè Triste opulenza – e Levinas avrebbe potuto nel frattempo cambiare titolo –, nulla vieta di mettere in dubbio il titolo Eros. Di conseguenza, ogni volta che se ne tratterà sia nella prefazione sia nelle note di edizione, lo si farà seguire da un punto interrogativo posto tra parentesi. 5 La Dame de chez Wepler si svolge ugualmente durante la guerra (l’azione è situata precisamente alla fine del mese di maggio del 1940), ma questa non ne costituisce il tema centrale; si tratta invece dell’ossessione del personaggio principale per una prostituta incontrata tre anni prima nella hall dell’albergo Georges V e che non ha osato avvicinare, perché in quel frangente non è riuscito, come si legge, “a staccarsi dal mondo delle responsabilità”. Senza essere un romanzo “erotico”, esso abborda – in descrizioni che non sorprenderanno il lettore di Levinas – “l’abisso che separa il rispetto dal sessuale”. 6 Si tratta della prima parte del romanzo che è possibile leggere sul quaderno scolastico. Il seguito si trova su fogli singoli (cfr. le note precedenti). 7 Rennes in cui Levinas ha iniziato la sua prigionia, la Germania in cui, dopo aver sperimentato altri campi di prigionieri in Francia, la proseguirà fino alla sua conclusione. Cfr. infra, la nota sui Quaderni di prigionia.

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naggi di questa parte del romanzo, lo rimpiazzi; successivamente, è un personaggio di nome Jean-Paul, mai apparso prima, che si vede discendere dalla scalinata della stazione Nord dopo cinque anni di prigionia, e a questi succede misteriosamente, nelle ultime pagine del manoscritto, un personaggio chiamato Jules)8. Che i Quaderni redatti durante la prigionia siano in particolare il luogo di elaborazione di un romanzo sulla prigionia, è argomento che merita approfondimenti. Questo significa a tutti gli effetti che la prigionia non è soltanto reale, ma anche da subito opera di finzione, e che se Levinas non intende farne il racconto oggettivo, è perché vuole anzitutto scriverne il romanzo9. Senza dubbio è qui che risiede l’aspetto più sorprendente e più problematico dei Quaderni: che le persone reali con cui Levinas ha condiviso questa prigionia e le scene di vita da prigionieri siano, nello stesso tempo, i personaggi e le situazioni di un romanzo sulla prigionia. Che la dura realtà della prigionia sia dall’inizio tenuta a distanza, derealizzata, per divenire quella del romanzo. Ma questa derealizzazione non ha niente di accidentale, come si vede non appena ci si rivolge, anche solo per un istante, verso l’esperienza che è al cuore del romanzo dal titolo Triste opulence (Triste opulenza) e che già numerosi frammenti dei Quaderni descrivono. Questa esperienza è la disfatta della Francia o, secondo l’immagine ricorrente nel romanzo, la caduta dei drappi, vale a dire di quanto è ufficiale. Questa rottura del mondo dell’ufficialità, o piuttosto del mondo in quanto tale, sottolinea Levinas, comporta sempre dell’ufficialità, è la situazione, egli precisa, non “del rovesciamento dei valori […] – del cambiamento di autorità – ma della 8 Stessa esitazione in La Dame de chez Wepler. Durante un periodo di correzioni, Levinas ha scritto “M. Simon” a penna in sovrascrittura della prima occorrenza di “Roland Ribérat” (scritto, come la quasi totalità del romanzo, a matita) – mentre le altre occorrenze non sono state corrette. 9 Nel 1955, a proposito del racconto di Zvi Kolitz, Yossl Rakover si rivolge a Dio, che si presenta come la testimonianza di un combattente del ghetto di Varsavia, ma che in realtà è una finzione, Levinas scrive: “Abbiamo letto un testo bello e vero, vero come solo la finzione può esserlo”, Difficile liberté, Albin Michel, Paris 1976, tr. it. di S. Facioni, Difficile libertà, Jaca Book, Milano 2004, p. 179.

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nudità umana dell’assenza di autorità”10. Tale situazione è stata sicuramente descritta da altri testimoni della sconfitta. Ma in Levinas assume nuove dimensioni e un significato più radicale. Questo annientamento della patria conquista anche le cose stesse e, in fin dei conti, significa la fine del senso: “I drappi che cadono nella mia scena d’Alençon riguardano anche le cose. Le cose si decompongono, perdono il loro senso: le foreste divengono alberi – tutto ciò che nella letteratura francese voleva dire foresta  – scompare. Decomposizione ulteriore degli elementi  – pezzi di legno che rimangono dopo la partenza del circo o sulla scena – il trono è un pezzo di legno, i gioielli schegge di vetro ecc. Ma non voglio parlare semplicemente della fine delle illusioni; piuttosto della fine del senso. {Il senso stesso come illusione.} […] Approfondire questa idea della ‘perdita di senso’ da parte delle cose. E della solitudine che ne deriva”. Ma alla fine questa caduta significa, ancora più radicalmente, la perdita di ogni stabilità, di ogni sostanzialità: come sottolineerà Eros (?), a essere annientate non sono più soltanto le cose e le persone, come durante la prima guerra mondiale, ma lo spazio stesso; detto altrimenti, non è più soltanto, come affermava nel 1935 Dell’evasione, a cui sembra pensare Levinas nelle prime pagine del suo romanzo, “l’essere dell’io, che la guerra e il dopoguerra ci hanno permesso di conoscere” che “si sente, in ogni senso del termine, in stato di mobilitazione”11 –, è lo spazio che non offre più alcun punto d’appoggio, che diviene mobile, che perde il suo ordine e la sua continuità. La disfatta della Francia – di questa “immensa stabilità” dice Eros (?) –, la caduta dei drappi, è la caduta stessa della realtà, è la realtà che perde bruscamente la sua consistenza, la sostanzialità, la stabilità. È in questo mondo che ha perduto i suoi oggetti, o i cui oggetti hanno perduto le loro forme e si decompongono, vale a dire ritornano nell’elementale, in questo mondo che non offre più nessuna base, nessun punto di appoggio o, secondo l’espressione di Dall’esistenza all’esistente, nel “mondo infranto”, che si svolge la prigionia. 10

Pagina 1 del doppio foglio inserito nel Quaderno 5. De l’évasion [1935], Fata Morgana, Montpellier 1982, tr. it. di D. Ceccon, Dell’evasione, Elitropia, Reggio Emilia 1984, pp. 16-17. 11

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Una delle scene significative della seconda parte del romanzo, che giustifica forse il titolo che, apparentemente, gli sarà infine dato, merita di essere menzionata. La visione, da parte dei prigionieri stipati nel rimorchio di un camion, di un paio di calze femminili stese ad asciugare in una casa in cui vivono donne tedesche appartenenti all’esercito, o di una donna che si pettina davanti a una finestra, dà luogo a sviluppi sull’erotismo in cui, dice Levinas, l’anatomia perde la sua finalità biologica per tornare alla “sua pesantezza di carne”, e gli oggetti – ad esempio il pettine – non hanno “più niente della loro casta essenza di utensili”, vale a dire hanno perduto la loro finalità e, in questa misura, il loro senso. In altra maniera, un passaggio dei Quaderni sottolinea questa irrealtà di un mondo – quello della prigionia  – in cui non si incontra più niente di sostanziale: “Fantasmi – compiono gesti nella realtà senza realtà – non soltanto assenza d’oggetti ma assenza di progresso, di compimento. L’anno di prigionia – i gesti quotidiani sono questo”12. È vero che a Levinas la prigionia non appare soltanto come un al di qua del reale ma anche come un al di là: “Il prigioniero, come un credente, viveva nell’aldilà. Non ha mai preso sul serio la stretta cornice della sua vita. Durante cinque anni, nonostante il suo insediamento, era sul punto di partire. Le realtà più solide che lo circondavano portavano il sigillo del provvisorio. Si sentiva impegnato in un gioco che oltrepassava infinitamente questo mondo di apparenze. Il suo vero destino, la vera salvezza si costruivano altrove. Nel bollettino. Erano eventi su scala cosmica”13. Si tratta qui di un’altra dimensione di questa prigionia, su cui bisognerebbe stare a lungo, perché torna a dire che, in fondo, l’evasione, l’uscita dall’essere di cui Levinas parlava in Dell’evasione, è la prigionia che paradossalmente la compie. Rimane tuttavia che questo al di là non si produce che grazie all’interruzione o alla rottura dell’ordine del reale, o piuttosto del reale come ordine. 12

Quaderno 4, p. 60. Eros (?) si farà eco di questo passaggio: esprimendo il sentimento che Jean-Paul prova quando giunge a Parigi, Levinas scrive: “Le cose si tratteggiavano nella loro impassibile stabilità dopo i vagabondaggi senza numero in Germania in cui nessun paesaggio aveva avuto una vera realtà…”. 13 Infra, p. 208.

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La prigionia, che ci situi al di qua o al di là del reale, manifesta così anzitutto la sua attitudine a divenire “realtà” di finzione o romanzesca. La nozione di fantastico, vale a dire di una “una realtà che pur essendo nel reale è al di là del reale”14, nozione su cui i Quaderni tornano a più riprese, in particolare in riferimento a Edgar Poe, si impone qui incontestabilmente. E questo, nella misura in cui il fantastico vi è riconosciuto come il motore dello stile descrittivo del romanzo come lo concepisce Levinas: in un frammento in cui dettaglia il suo procedere letterario, Levinas scrive segnatamente: “La situazione reale è descritta sobriamente. {Vi si accede attraverso una porta ampiamente aperta.} Ma una piccola immagine finale, su cui non conviene mai insistere, {come un vasistas che si socchiude per un momento}, vi fa {circolare} come una repentina corrente d’aria di fantastico. Tutta la ‘situazione reale’ appare al di sopra di un precipizio”15. La prigionia appare nei Quaderni come la situazione fantastica per eccellenza, e i Quaderni non sono dunque niente altro che un romanzo fantastico della prigionia. Non sarà necessario insistere sui passaggi filosofici dei Quaderni che sorprenderanno meno il lettore di Levinas. Riguardo all’eco che la prigionia è suscettibile di incontrare in essi come prova della rottura del mondo, si ricorderà che è sul tema del “mondo infranto” che si apre il primo capitolo di Dall’esistenza all’esistente, opera redatta in massima parte proprio durante la prigionia, come precisa l’introduzione, redazione di cui i Quaderni contengono numerose tracce. È il tema del mondo infranto che, come momento limite, rivela il fatto stesso dell’essere o, ancora, l’il y a, nozione centrale nei primi scritti di Levinas, vero punto di partenza della sua riflessione. “Nella situazione della fine del mondo si afferma la relazione fondamentale che ci ricollega all’essere”16. Basta dunque sottolineare appena che la prigionia, nonostante non venga evocata in quest’opera (escludendo l’introduzione), fosse pure a titolo di esem14

Quaderno 6, p. 3. Quaderno 7, p. 12. 16 De l’existence à l’existant [1947], Vrin, Paris 1978, tr. it. di F. Sossi, Dall’esistenza all’esistente, Marietti, Casale Monferrato 1986, p. 15. 15

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pio, entra in risonanza con il pensiero che vi si dispiega. Si può d’altra parte menzionare il fatto che una delle cartelle in cui si trovano raggruppati alcuni fogli manoscritti preparatori di Dall’esistenza all’esistente contenuti negli archivi Levinas porta semplicemente il titolo “mondo infranto”, attestando in questo modo l’importanza, addirittura il carattere centrale di un tema che, se si legge il primo capitolo di Dall’esistenza all’esistente, potrebbe dare l’impressione di servire da semplice avvio all’elucidazione del fatto dell’esistere. Diviene allora significativo che Levinas, durante gli anni di guerra, avrà tentato di declinare sia nella scrittura filosofica sia in quella romanzesca una stessa esperienza dell’infrangersi del mondo. Che alla fine vi sia giunto come filosofo attesta senza dubbio che avere qualcosa da dire esige ancora che gli si trovi un linguaggio appropriato; ma questo non deve far trascurare i tentativi letterari né, soprattutto, il concerto che formano con la proposta filosofica. Perché quanto si deve discutere si arricchisce incontestabilmente dal trovarsi mescolato con i tentativi romanzeschi che ne forniscono l’illustrazione, cosa che non stupirà in un pensatore preoccupato di non dissociare mai un concetto – qui quello del mondo infranto e dunque dell’il y a – dalle situazioni concrete che lo illustrano – qui la prigionia –, in ragione del fatto che la ricerca della “condizione delle situazioni empiriche” deve lasciare “agli sviluppi cosiddetti empirici, in cui si attua la possibilità condizionante – […] alla concretizzazione – un ruolo ontologico che precisa il senso della possibilità fondamentale, senso invisibile in questa condizione”17. A proposito del contenuto dei frammenti filosofici dei Quaderni di prigionia, si sottolineeranno due aspetti. I Quaderni testimoniano con tutta evidenza la genesi di Dall’esistenza all’esistente: numerosi frammenti filosofici presenti in essi ne abbordano i temi essenziali. Tuttavia, i Quaderni non sono il luogo in cui tale opera si elabora principalmente, e non offrono niente di comparabile alle numerose pagine manoscritte di Dall’esistenza all’esistente che è possibile leggere negli archivi, e che permettono di vederne la 17 Totalità et Infini. Essai sur l’extériorité, Martinus Nijhoff, La Haye 1961, tr. it. A. Dell’Asta, Totalità e Infinito. Saggio sull’esteriorità, Jaca Book, Milano 19801, p. 176 (corsivo dell’autore).

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genesi con grande chiarezza. Non bisogna dunque cercare in essi quanto non è possibile trovarvi. Nonostante ciò, si potranno leggere con interesse i passi dei Quaderni che portano traccia degli sviluppi che i manoscritti di Dall’esistenza all’esistente consacrano alla temporalità come dramma che si compie in più tempi, e alle nozioni di simbolo e di compimento che vi si collegano, ma che non sono stati mantenuti da Levinas nel libro pubblicato. Un secondo aspetto merita di essere notato. Riguarda il rapporto tra giudaismo e filosofia, più in particolare la preoccupazione di fare apparire il giudaismo come una categoria dell’essere. Bisogna insistervi tanto più perché la prigionia di cui ci parla Levinas è anzitutto quella del prigioniero ebreo. Levinas intende scrivere, in effetti, un “… romanzo g18 sulla prigionia...”19, e forse all’epoca pensa a Triste opulenza; allo stesso modo, gli scritti sulla prigionia presenti in questo volume, dopo i Quaderni di prigionia, riguardano primariamente la prigionia del prigioniero israelita. In un certo senso è per questo che la prigionia diviene il tema non più solo dei frammenti romanzeschi, ma anche dei frammenti filosofici dei Quaderni di prigionia. Negli scritti precedenti alla guerra, Levinas aveva mostrato che la prova dell’hitlerismo imponeva all’ebreo il sentimento di essere “ineluttabilmente inchiodato al suo giudaismo”20. Si tratta dello stesso sentimento che proverà il prigioniero ebreo: “Ammassato nelle baracche o nei Kommandos speciali, tenuto a mimetizzarsi sotto falsa identità per sfuggirvi – il prigioniero israelita ha ritrovato bruscamente la sua identità di Israelita”21. Ora, quanto emerge dai Quaderni di prigionia, è che questa identità ritrovata in maniera così drammatica è una situazione da cui si deve partire per fare fi18

Levinas scrive qui soltanto l’iniziale della parola “giudaico” come, in altri passi dei Quaderni, della parola “giudaismo”, forse al fine di proteggersi nel caso in cui i quaderni fossero stati scoperti dalle autorità dei campi in cui era prigioniero. 19 Pagina 5 del Quaderno 7a inserita nel Quaderno 7. 20 “L’inspiration religieuse de l’Alliance”, in Paix et Droit, organo dell’Alliance israélite universelle, n. 8, ott. 1935, p. 4. 21 La spiritualità nel prigioniero israelita, infra, p. 212.

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losofia: bisogna considerare il giudaismo o l’essere-ebreo come una categoria ontologica. Due frammenti, che si succedono quasi immediatamente, lo dicono in modo laconico ma molto chiaro: “partire dal Dasein o partire dal G”, “G come categoria”22. È questo che, nei Quaderni, Levinas oppone a Heidegger, non solo all’Heidegger che aderirà al partito nazista, ma anche e prima di tutto al pensatore dell’essere. Questa opposizione dell’essere-ebreo e del Dasein e, più precisamente, questa preoccupazione di fare dell’essere-ebreo il punto di partenza dell’ontologia, nel momento stesso in cui Levinas scrive Dall’esistenza all’esistente, è decisamente significativa. Secondo la filosofia di Dall’esistenza all’esistente occorre, in effetti, dedurre il significato dell’essente, o più precisamente dell’uomo o dell’io, nell’essere; si tratta di partire dall’“io sono” e non più dal “Dasein”, perché quest’ultimo è immediatamente definito come comprensione dell’essere e, a questo titolo, non viene dedotto, ma posto “semplicemente a fianco dell’essere attraverso una distinzione”23, quella dell’essere e dell’essente24. Preliminare al movimento della comprensione dell’essere da parte del Dasein è il movimento attraverso il quale l’“io” si pone nell’essere, esercita il suo dominio sull’essere e in questo modo può affermare “io sono”. Fare del giudaismo una categoria ontologica, suppone allora, in un certo senso, fare anche per l’essere-ebreo o l’“io sono ebreo” quanto Dall’esistenza all’esistente farà per l’“io sono” in generale, vale a dire dedurne il significato a partire dall’economia o dalla totalità dell’essere, deduzione attraverso cui potrà precisamente apparire come categoria ontologica e servire da punto di partenza per il pensiero, da alternativa possibile per il Dasein. Queste due deduzioni, tuttavia, non hanno lo stesso significato: partire dall’essere-ebreo non è, come in Dall’esistenza all’esistente, partire da un “io sono” compreso come cominciamento e libertà, puro riferimento a sé (fosse pure immediatamente riconosciuto come chiusura in se stesso), ma è partire da un “io” immediatamente compreso a par22

Quaderno 2, p. 35. Dall’esistenza all’esistente, cit., p. 75. 24 Sulla critica dell’esistenza come comprensione in Heidegger, cfr. infra, Quaderno 7, pp. 38-39. 23

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tire dal passato della creazione e dell’elezione, detto altrimenti, da un “io” che è immediatamente figlio di Dio e che si pone solo nella filialità 25. Indipendentemente dalle questioni sollevate dalla “concorrenza” di questi due punti di partenza, l’“io” e “l’essere-ebreo”, che non è possibile trattare in questa sede, si nota che il fatto di considerare il giudaismo come categoria ontologica corrisponde a costituirlo come il luogo di una nuova interpretazione dell’uomo e della sua soggettività. Ed è proprio quanto è in gioco anche in questi Quaderni e che viene cercato, ad esempio, attraverso il contatto non con un filosofo, ma con uno scrittore, Léon Bloy: “... esempio di cosa è il cristianesimo nell’interpretazione dell’umanità dell’uomo. L’uomo intero è immerso nelle categorie del cattolicesimo. Ma mentre noi altri rimaniamo alla superficie di queste categorie, lui [L. Bloy] ne sprigiona il senso di fuoco e di sangue, il senso mistico e trascendente, e colloca tutto ciò che è umano a questo livello di categorie – Lo stesso lavoro da intraprendere per il g”26. È in un modo apparentemente estrinseco che evocheremo la prigionia abbordando, per concludere, il terzo tipo di scrittura all’opera nei Quaderni: la critica letteraria. Questo non significa che la prigionia non sia intimamente mescolata alle considerazioni sulla letteratura, perché l’insistenza sul suo carattere fantastico si chiarisce anche a partire dai diversi frammenti in cui Levinas, in particolare riguardo a Poe o a Puškin, tematizza la nozione stessa di fantastico; ma essa costituisce anzitutto un luogo e un periodo 25

Cfr. Quaderno 7, p. 25. Quaderno 6, p. 5. Questa critica di Heidegger a partire dal giudaismo formulata nei Quaderni di prigionia non è priva di difficoltà, come sottolineato dalla nota 20 della Raccolta D delle Note filosofiche varie, nota di difficile datazione ma senza dubbio di molto posteriore ai Quaderni di prigionia: “Heidegger – prolungamento del pensiero greco – Opporgli il giudaismo? Ma il suo pensiero è interamente cristianizzato. Löwith gli oppone il mondo greco {greco}. Ma Heidegger si considera prolungamento del pensiero greco. Quali che siano i concetti per mezzo dei quali si vorrebbe discutere con Heidegger, questi li denuncerebbe come sprovvisti di pensiero perché ancora non rivisti alla luce del suo pensiero. – Quanto occorre, è un punto di vista nuovo”. 26

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che, sorprendentemente, furono propizi alla lettura e allo studio: “Tutta questa prigionia – con i lunghi intervalli liberi che concede, con le letture che non si sarebbero mai fatte – come un periodo di collegio in cui si trovano uomini maturi, in cui l’esercizio diviene essenziale, in cui si scopre che c’erano molte cose superflue – nei rapporti, nel cibo, nelle occupazioni. Dunque la vita normale potrebbe essere organizzata altrimenti. La crisi della nostra vita di prima della guerra appare in questa semplicità”27. I campi di prigionia potevano avere ricche biblioteche in cui i prigionieri avevano la possibilità di occupare il loro scarso tempo libero28. Anche se, al pari degli altri prigionieri, era costretto a lavori tra i più gravosi, Levinas trovava le risorse per occuparsi dei propri  – vale a dire per proseguire la sua opera multiforme. L’esigenza di dover realizzare un’opera lo abita profondamente, come mostra il frammento in cui parla in tutta semplicità della sua “invidia” per coloro “che non hanno l’inquietudine del tempo perduto come me; la cura di un’opera”29. È qui che legge abbondantemente e che – come scrive alla moglie Raïssa – legge per la prima volta La Divina Commedia di Dante, o ancora l’Orlando furioso di Ariosto, di cui i Quaderni di prigionia parlano con estrema precisione in più luoghi. Se la Fenomenologia dello Spirito di Hegel costituisce la sua principale lettura filosofica, la lettura di opere letterarie è invece estremamente varia. Tra queste molteplici letture o riletture, con le riflessioni che suscitano, qualche volta in presa diretta, bisogna senz’altro menzionare quella di Proust, il “poeta sociale”, su cui all’epoca Levinas progetta la scrittura di un saggio (cfr. Quaderno 2, p. 32), che apparirà nel 1947 su Deucalion, e che viene abbozzato nei Quaderni. Allo stesso modo si considererà la lettura delle Lettere alla fidanzata di L. Bloy, non fosse altro che per l’abbondanza di citazioni nel Quaderno 6. In Bloy è, in tutta evidenza, la concezione della Donna (Levinas dirà del femminile) che interessa Levinas, concezione a cui si riferirà altrove, ed esplicitamente, seppur fugacemente, in Il Tempo e 27

Quaderno 2, p. 23. Cfr. Y. Durand, Prisonniers de guerre dans les stalags, les oflags et les kommandos, 1939-1945, Hachette Littérature [1987], Paris 1994, pp. 186-187. 29 Quaderno 2, p. 50. 28

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l’Altro. Ma Levinas sottolinea anche, in Bloy, il senso della trascendenza del mistero che celano le situazioni empiriche (la relazione con la Donna è una di queste), della trascendenza compresa come ciò che sfugge alla luce – vale a dire alla coscienza e alla conoscenza che si producono sempre come immanenza, trascendenza che, in questo senso, interrompe il sistema in conformità del quale si compie il pensiero filosofico. “Léon Bloy ‘Lettere alla fidanzata’, 1889-1890. Nessun sistema. Ma le ‘categorie dei professori’ sono sostituite dalla trascendenza stessa dell’ordine del mistero. E tale ordine del mistero a cui sono ricondotte le situazioni concrete – non è altro – si giustifica solo con questa ammirazione del mistero”30. È senza dubbio in Bloy che Levinas vede prodursi in maniera privilegiata la congiunzione della preoccupazione, tutta “letteraria”, per le descrizioni di situazioni concrete, e dell’attenzione, “religiosa”, alla trascendenza, congiunzione che costruirà lo stile stesso del pensiero levinassiano e che, soprattutto, lo renderà capace di produrre una intelligibilità “filosofica” nuova. È, in particolare, a partire da questa congiunzione che la situazione concreta della prigionia, carica di trascendenza (poiché, l’abbiamo ricordato sopra, fu percepita anche come vita nell’al di là), diviene, come quanto precede cercava di mostrare, un tema insigne di questo pensiero. Scritti sulla prigionia È proprio questo tema che numerosi articoli di Levinas dopo il suo ritorno dalla prigionia abborderanno nuovamente, ma per mettere l’accento sull’intensa sofferenza dei prigionieri degli stalags e degli oflags. Il pudore presiede alla loro scrittura tanto era grande la difficoltà, all’indomani della guerra, di osar evocare la propria sofferenza di fronte a quella subita da altri, in modo incommensurabilmente più terribile, nei campi di sterminio. D’altra parte è noto che il sentimento di umiliazione e di disfatta rese difficoltosa la parola dei prigionieri di guerra rientrati dalla prigionia. Ma se queste pagine, sobrie e belle, descrivono una vita umana spogliata 30

Quaderno 6, pp. 4-5.

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di ogni bene proprio, una vita in cui tutto era provvisorio, in cui la sorte di ognuno veniva decisa altrove e in cui l’assenza di possesso riduceva all’essenziale di una libertà privata del suo situarsi nel mondo, esse non accusano nessuno e non reclamano alcunché. Senza nascondere le piccolezze umane dei prigionieri, Levinas insiste soprattutto sulla loro dignità in questa esistenza dura e fredda che vietava il lamento e proibiva la debolezza, un’esistenza in cui ognuno era identificato con una matricola incisa su una placca di metallo che doveva esibire per ogni minima richiesta. Ed è senza alcun orgoglio che evoca, con ironia, questa libertà – ignorata dai “borghesi” – che, in quel momento, veniva sperimentata dai prigionieri. In effetti sa bene che una tale libertà, interamente votata alla precarietà e alla possibilità della morte, è alla mercé di sofferenze fisiche e morali che possono distruggerla. Per quanto li riguarda, i prigionieri ebrei, anche se protetti dall’uniforme da un destino di morte, vennero separati dagli altri e costretti a lavorare in kommandos speciali. Il filosofo fu destinato a un kommando forestale di settanta uomini a cui allude in un celebre articolo in cui evoca il disprezzo da parte della popolazione circostante e l’irrimediabile confinamento in quanto sentiva essere una sotto-umanità31. Stretti nella loro identità “israelita”, molti tra questi prigionieri peraltro la scopriranno nuovamente, costretti e forzati, perché la credenza che li aveva animati – fino alla guerra  – di appartenere pienamente alla comunità francese, aveva messo questa identità in secondo piano, perfino facendogliela obliare. L’umiliazione subita, le notizie sulle deportazioni dei loro parenti e degli amici improvvisamente “partiti senza lasciare indirizzo”, li riannodarono a un’antica eredità di sofferenze. Ma, proprio perché tale eredità si diceva con parole e in una storia condivisa con altri, essa permetteva anche, magari appena, di 31

Emmanuel Levinas venne trasferito nel campo di Fallingbostel in Prussia, il numero dello stalag era XI B, il numero 1492 (data dell’espulsione degli ebrei dalla Spagna) era scritto all’entrata. Cfr. “Il nome di un cane o il diritto naturale”, in Difficile libertà, cit., p. 193. Cfr. anche Yves Durand, op. cit., p. 86: “Duri e, talvolta, molto duri, sono i lavori nella foresta, specialmente quando vengono svolti durante il grande freddo dell’inverno continentale tedesco”.

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prendere una certa distanza rispetto alla sofferenza presente e di non soffocare sotto il suo peso. Alcuni si iniziarono all’ebraico biblico, altri alla storia del popolo ebraico; con goffaggine e “senza coerenza di idee” si riunirono anche per l’ufficio religioso serale, dal momento che andavano a lavorare molto presto e, dunque, non c’era tempo per quello mattutino32. Scoprirono di nuovo i racconti biblici e, nella loro disperazione, anche se in seguito patiranno disillusioni, si abbandonarono a credere a essi nel loro senso ovvio: erano amati da un Dio che, come già per gli Ebrei del passato, avrebbe fatto loro attraversare il mare dei Giunchi. Pensare che le parole sono vere di questa semplice verità, spiega Levinas, suscitava una grande emozione. Il testo di omaggio a Bergson, che è presentato con questo insieme di articoli sulla prigionia, saluta la libertà di questo grande filosofo che per primo, dice Levinas, rifiutò di inchinarsi davanti al tempo freddo della scienza, mentre la maggioranza dei suoi colleghi filosofi vi si sottometteva. Levinas saluta anche, e soprattutto con sicurezza, l’ammirevole libertà di colui che, anche se spiritualmente prossimo al cattolicesimo, si fece registrare come ebreo nel 1940 per rimanere fino alla fine fedele al suo popolo perseguitato. Note filosofiche varie Nel 1947, Emmanuel Levinas pubblicava Dall’esistenza all’esistente, libro per il quale aveva cominciato le sue ricerche prima della guerra e che, come ricorda nella prefazione, fu “in massima parte redatto durante la prigionia”. Nel 1948, le quattro conferenze pronunciate nel 1947 al Collège philosophique fondato da Jean Wahl vengono pubblicate con il titolo Il Tempo e l’Altro, come pure un articolo severo e grave sull’arte, “La réalité et son ombre”, accolto dalla rivista Temps modernes. Nel 1949, raccoglie un certo numero di antichi studi datati 1932 e 1940 in un libro intitolato Scoprire 32 Al contrario dei cristiani, gli ebrei non potevano celebrare pubblicamente il loro culto. Cfr. Yves Durand, op. cit., p. 177.

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l’esistenza con Husserl e Heidegger. Poi, fino all’apparizione della sua opera maggiore Totalità e Infinito nel 1961, Emmanuel Levinas pubblica essenzialmente recensioni di libri e articoli di cui alcuni, molto importanti, come “L’ontologia è fondamentale?” (1951), costituiranno la matrice dei libri futuri. Tuttavia la maggior parte degli articoli pubblicati durante questo periodo riguarda il giudaismo e l’educazione ebraica e sarà nel 1963 che questi verranno raccolti nel suo libro Difficile libertà. Durante gli anni cinquanta, nonostante il relativo silenzio editoriale e l’assenza di un riconoscimento universitario, Emmanuel Levinas continua assiduamente le sue ricerche filosofiche. L’insieme delle note varie presentate in questa sede e scritte proprio durante questo periodo, testimonia un pensiero sul “chi vive”, un pensiero che, pur pienamente avvertito dei dibattiti filosofici del proprio tempo, prosegue comunque lungo il proprio cammino in modo originale e intenso, nella libertà propria del creatore, una libertà che non persegue nessuna preoccupazione di carriera e, apparentemente, nessuna fretta di farsi pubblicare. L’interesse della pubblicazione di queste note varie, dunque, è mostrare all’opera un pensiero in divenire, un pensiero che esplora piste che non in ogni caso verranno proseguite, un pensiero in cui il legame tra filosofia e giudaismo è piuttosto esplicito e, infine, un pensiero in cui la preoccupazione dell’insegnamento e della trasmissione gioca un ruolo centrale. Tuttavia, basandosi sulla lettura di queste riflessioni, rimane difficile definire il metodo che presiede all’elaborazione degli articoli e dei libri futuri del filosofo. Lo scaturire del pensiero sembra effettivamente estraneo alla cura della costruzione di un piano preciso, scandito da tappe di ragionamento da subito ben individuate e sviluppate in maniera programmatica. Il filosofo non sa anticipatamente dove lo condurranno le sue riflessioni, e le conclusioni a cui giungerà, quasi sempre per metterle di nuovo in cammino, non sono né sviluppate né poste di primo acchito, fosse pure a titolo di ipotesi da verificare. Emmanuel Levinas non ha avuto, fino a tardi nella vita, il gusto per ciò che si trova molto più che per ciò che si produce? Il rigore e il vigore del pensiero non significano per lui dominio e sistematicità, non disprezzano la necessità per il ricercatore di essere animato da un soffio che, pur senza con-

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gedare l’indispensabile erudizione e il lavoro della concettualità, abita soprattutto la potenza del linguaggio. Scrivere queste note sembra essere stato per Levinas un modo di mantenersi disponibile all’ascolto dell’accadere del pensiero in lui. Averle successivamente riunite con scrupolosità mostra inoltre la sua preoccupazione di non dimenticare parole e verbi, passaggi intravisti malgrado le difficoltà teoriche, le associazioni e le intuizioni che hanno albergato in lui al tempo e, ancora, tutto ciò che prepara lo schiudersi e la maturità di un filosofo da subito attento all’eccesso che tormenta il linguaggio. La creazione intellettuale sembra in effetti cominciare per lui con la scrittura di frammenti o di abbozzi che si aprono un cammino di pensiero ancora ignaro di quanto scoprirà, cosa questa che tuttavia non significa che esso sia contingente o di circostanza. Al contrario, queste riflessioni isolate sono segnate dalla forte esigenza di andare fino alla fine delle nuove piste che Levinas ama chiamare in quel tempo “la mia filosofia” e che rispondono, in particolare, alla necessità chiaramente espressa – come il lettore constaterà – di promuovere un’altra prospettiva sull’essere e su altri rispetto a quella di Heidegger e, altrettanto presto, un altro risveglio della soggettività rispetto a quello che ha scoperto alla scuola fenomenologica di Husserl. Scritte a mano sul retro di biglietti di invito a tale o tal’altra cerimonia (in particolare nozze), su schede di prestito di libri dalla biblioteca dell’Alliance israélite universelle, o ancora su volantini di altro genere, tali riflessioni in seguito classificate dallo stesso Levinas in diversi raggruppamenti, testimoniano il mondo nel quale viveva il filosofo, i suoi interessi e le sue ricerche (i libri presi in prestito relativi al Talmud o a pensatori ebrei), ma anche una certa singolarità: il fatto che tali riflessioni filosofiche siano scritte su supporti che in molti casi presentano lettere ebraiche è molto più di un casualità materiale effettiva. Esse conferiscono una stupefacente concretezza a un’interrogazione ulteriore di Emmanuel Levinas: “Filosofare è decifrare in un palinsesto una scrittura sepolta?”33 33 E. Levinas, Humanisme de l’autre homme, Fata Morgana, Montpellier 1972, tr. it. di A. Moscato, Umanesimo dell’altro uomo, il melangolo, Genova 1998, p. 149.

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e questo tanto più quanto, in molte occasioni, lui stesso scrive in ebraico sulle sue schede senza tradurre le parole. Cosa “trova” dunque Emmanuel Levinas negli anni che precedono e preparano la pubblicazione di Totalità e Infinito? Si segnaleranno anzitutto le impressionanti note sulla metafora34 che si entusiasmano per ciò che la metafora permette di pensare al di là dei dati del mondo. Queste note, probabilmente preparatorie alla conferenza sul tema che verrà pronunciata al Collège philosophique il 26 febbraio 1962, prendono in esame la metafora come essenza stessa del linguaggio spinto all’estremo e sostengono che, più ancora che il concetto, essa conduce verso l’alto, verso il pensiero di Dio. Ogni significato sarebbe metaforico dal momento che aprirebbe a questa altezza, e la meraviglia  – vocabolo che insisterà nell’opera ulteriore del filosofo – del linguaggio dipenderebbe proprio da ciò, dal suo potere di significare al di là di quanto dice. Lungi dunque dal cominciare a filosofare diffidando della retorica, della polisemia della parole o della loro ambiguità, secondo la maniera più prudente dei filosofi che, per saggezza e gusto del dominio, convocano l’unicità del concetto come bastione contro tutte le incertezze talvolta inquietanti, Emmanuel Levinas si rallegra della potenza polifonica delle parole ordinarie. Non dissocia il pensiero dal linguaggio e sostiene che la concretezza delle parole più semplici presenta allo stato latente significati in eccesso che attestano la vivacità dello spirito. Ora, per sublimi che siano, tali significati non possono passare oltre tale concretezza primaria, e ne restano tributari: nel momento stesso in cui la conducono oltre sé sono anche portati da questa. Senza metafora, sostiene ancora il filosofo, non si potrebbe intendere la voce di Dio, e tale proposizione che non equivale a sostenere una tesi ontologica sull’esistenza di Dio, spinge comunque a pensare come la trascendenza colpisca l’immanenza delle parole o, ancora, come il “più” abiti il “meno”. Lo spirituale – che i libri ulteriori mediteranno come meraviglia dell’infinito nel finito  – si consegna per eccellenza, secondo le sue prime note, nel “miracolo” della metafora. “Miracolo” che non consiste nel sospendere una leg34

Cfr. Raccolta A, nota 1.

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ge naturale a profitto dell’uomo, ma che fa scoprire corrispondenze o somiglianze, significative e sorprendenti, tra la natura e l’umano. Tuttavia, già da queste raccolte di note, il filosofo cerca in che modo il potere di superamento verbale si produca massimamente nella relazione con l’altro: non sarebbe principalmente in virtù di una meditazione personale sulle parole e sulle corrispondenze poetiche che invocano, che si scoprirebbe il “miracolo”, ma attraverso l’esigenza di rispondere ad altri, di indirizzarsi a questi e, dunque, di essere in relazione anche con il superiore. Nella conclusione delle sue note, Levinas dichiara in effetti la preoccupazione di giungere a mostrare in che modo la relazione sensibile, esigente e insistente, con altri come altezza e volto, e il pensiero della metafora come cammino verso l’altezza, siano indissociabili. Quest’ultima notazione è essenziale perché, lungi dall’assimilare l’entusiasmo prodotto dalla meraviglia e dal miracolo della metafora a un’ebbrezza dello spirito, presto dimentica del mondo, il filosofo sostiene che si tratti al contrario di un entusiasmo propizio al suo divenire sobrio e al suo ingresso nella responsabilità per altri. Questo ingresso, la cui uscita rimane più lontana di quanto si immagini a prima vista, prevarrà presto sulle riflessioni teoriche relative alla metafora. I libri successivi di Levinas sono in effetti relativamente discreti sulla metafora come tale, anche se la riflessione sulla letteratura e sull’esegesi dei libri ebraici vi rimane prossima, in particolare rispetto all’insistenza che egli accorda all’ispirazione, o ancora all’eccesso che rappresenta sempre il “poter dire” di alcuni scritti – i grandi libri dell’umanità – sul “voler dire” dei loro autori. Fare l’esegesi di un testo, piuttosto che la sua genealogia, è di fatto trovare possibilità di significato inedite nel cuore della materialità di quanto è detto, grazie al proprio stupore di fronte alle parole, e non cercare di conoscere un senso iniziale che il tempo avrebbe maltrattato. Inoltre, la scrittura propria del filosofo rimane segnata da questa valorizzazione della metafora. È noto che Levinas diffida della sclerosi che minaccia una concettualità troppo sicura del suo diritto esclusivo a dire ciò che è, e che il suo salutare scetticismo a riguardo lo conduce anche verso una scrittura eccessiva che non esita ad assumere dalla concretezza sensibile – soprattutto quella della car-

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ne – significati che il concetto non potrebbe dire senza rinnegarsi. “Assolversi da sé come in un’emorragia di emofilico” o ancora “psichismo come corpo materno” per parlare della vita della soggettività; “granelli di polvere raccolti sul suo percorso o gocce di sudore che imperlavano la sua fronte” per evocare la coscienza di sé universale in Hegel; questi pochi esempi danno un’idea delle “trovate” di Emmanuel Levinas. La sua scrittura non congeda le metafore con il pretesto di meglio vegliare sul rigore razionale dei contenuti: il rilancio e l’enfasi, il passaggio al superlativo e la sublimazione35 sono indissociabili dalla sua scrittura filosofica e, nel corso del tempo, non vi rinuncerà mai. Così, se espressioni come “godere di uno spettacolo” o “mangiare con gli occhi” sono metafore, tuttavia non descrivono solo – meglio dell’astrazione concettuale – alcuni aspetti dello psichismo, non sono solo metafore, come amano dire gli artigiani del concetto preoccupati di svalorizzarle e di dimenticare il potere rivelativo del linguaggio36. Merita attenzione un altro aspetto di queste note, dunque, cioè le citazioni, brevi o lunghe, o le semplici parole scritte in ebraico (senza traduzioni né riferimenti precisi) da Levinas sulle sue schede – come sui Quaderni di prigionia – nel momento in cui la sua riflessione riguarda tale o tal’altra questione filosofica. Non stabilisce tanto paralleli o comparazioni esplicite tra un concetto o un tema filosofico – per esempio il metodo dell’epoché fenomenologica – e un vocabolo ebraico  – in questo caso lo shabbat  – più di quanto non cerchi di intendere le parole – epoché e shabbat – nella loro rispettiva potenza di senso e nel loro possibile mutuo delucidarsi: la sospensione di ogni presa di posizione relativa alla tesi del mondo immaginata da Husserl e la sospensione di ogni attività suscettibile 35

In De Dieu qui vient à l’idée, Vrin, Paris 1982, tr. it. di G. Zennaro, Di Dio che viene all’idea, Jaca Book, Milano 1983, Levinas oppone il metodo trascendentale che consiste nel “cercare il fondamento” al proprio, riconducibile al “passare da un’idea al suo superlativo, fino alla sua enfasi” (p. 112). 36 Cfr. Autrement qu’être ou au-delà de l’essence, Martinus Nijhoff, La Haye 1974, tr. it. di S. Petrosino e M.T. Aiello, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, Jaca Book, Milano 1983, pp. 84-85.

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di trasformare il mondo (il lavoro proibito), sperimentata da chi rispetta lo shabbat, farebbero scoprire una realtà comparabile?37 La messa tra parentesi del corso ordinario dei giorni, lo shabbat, sarebbe suscettibile, sul piano pratico, di fare la prova dell’“io puro” che la riduzione (epoché) di ogni tesi in rapporto al mondo come esistente fa emergere? Oppure rivelerebbe altro ancora su questo “io puro”? Al pari del fenomenologo che continua a partecipare ai dati naturali del mondo (come soggetto empirico) senza farne uso, colui che “rispetta” lo shabbat prova effettivamente in se stesso che il suo “io” deve rimanere senza presa sul mondo che tuttavia è qui, a portata del godimento e della trasformazione eventuale. Ma in questo “io” scopre anche le esigenze della trascendenza nell’immanenza sulle quali, evidentemente, il fenomenologo non si pronuncia. Se questa pista di analisi non è esplorata come tale nella nota di Levinas, l’associazione tra i due vocaboli che egli propone – o che si impone a lui – è in ogni caso molto suggestiva, e le successive meditazioni del filosofo relative alla soggettività approfondiranno con un’esigenza instancabilmente rinnovata tale senso, irriducibile, della trascendenza nell’immanenza. L’ebraico dunque, in queste note, non appare come un riferimento anodino, estraneo alla filosofia, addirittura strettamente specifico. Esso contribuisce all’approfondimento delle questioni di filosofia che Levinas si pone. Di fatto non si tratta soltanto di una questione di lingua o di traduzione, ma di ciò che si può pensare in una lingua, nell’esperienza millenaria di coloro che la parlano e nella tradizione di commenti che tale lingua trasporta. Le citazioni dei passi biblici o talmudici (in aramaico) e delle parole ebraiche sono effettivamente ricche di associazioni di senso veicolate dalla tradizione e dall’esperienza ebraiche, in particolare quella della lettura della Bibbia che, spesso, i filosofi ignorano. È noto che dopo il ritorno dalla prigionia, Levinas ha studiato il Talmud sotto la guida di un maestro enigmatico, “autentico” e prestigioso, al quale ha spesso reso omaggio: Chouchani. Gli sarà grato in particolare per avergli insegnato come risalire dai proble37 Sul raffronto tra epoché e shabbat cfr. Quaderni di prigionia, Quaderno 1, p. 30.

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mi del rito a quelli filosofici, troppo spesso dimenticati nella pratica abituale del Talmud. Ma, ancora più decisamente, dopo il disastro di Auschwitz, il maestro – dice – gli ha ridato fiducia nei libri. È dunque studiando con lui che ha approfondito un’idea essenziale: l’impossibilità di ascoltare la propria coscienza senza un’attenzione estrema rivolta al Libro dei libri38. Ora, prendere sul serio un tale pensiero passa attraverso la necessità di aprire il metodo fenomenologico ad altro rispetto a sé, con l’incitazione a prestare attenzione a questo piano dello psichismo che né la riflessività né l’intenzionalità permettono di scoprire, ma unicamente i libri. Le note filosofiche scritte da Levinas in questo periodo riecheggiano, a più riprese, una tale attenzione. Così, a proposito del “per sé” e dell’“in sé” nelle due fenomenologie, il filosofo cita un commento di Rashi relativo a un’osservazione del Faraone, che dice a Giuseppe di prendere “il meglio del paese d’Egitto” (Genesi 45, 18). Rashi scrive: “Ha profetizzato e non sapeva che profetizzava”. In effetti il Faraone non sapeva che, successivamente, gli Ebrei sarebbero partiti dall’Egitto portando “il meglio”, rendendo il paese simile al fondo del mare in cui non ci sono pesci (Esodo 3, 22). Questa nota – il cui titolo è Fenomenologia39 – invita dunque a pensare come la coscienza (il per sé) non detenga la misura di quanto enuncia con tutta la chiarezza che crede, e questo non a causa della forza dell’inconscio, ma perché anche una parola detta in piena coscienza trasporta un senso che resta ancora a venire, un senso che bisogna “riferire all’assoluto”. È noto che le riflessioni ulteriori del filosofo sul carattere profetico dello psichismo umano – in Altrimenti che essere o al di là dell’essenza – approfondiranno in maniera decisiva quanto in questa nota rimane ancora una suggestione. 38

Cfr. E. Levinas, Quatre lectures talmudiques, Minuit, Paris 1968, tr. it. di A. Moscato, Quattro letture talmudiche, il melangolo, Genova 1982, p. 34. Cfr. anche l’intervista di François Poirié, Emmanuel Levinas, qui êtes-vous?, Éditions de la Manifacture, Lyon 1987, pp. 125 ss. (in particolare p. 130): “Sicuramente la storia dell’olocausto ha giocato un ruolo molto più grande dell’incontro con quest’uomo [Chouchani] nel mio giudaismo, ma l’incontro di quest’uomo mi ha ridato fiducia nei libri”. 39 Cfr. Raccolta B, nota 57.

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In un’altra nota, Emmanuel Levinas scrive ancora che se, per lui come per altri filosofi, “l’essere è nella sua verità”, egli tuttavia non crede che tale verità si trovi nello “splendore della manifestazione”40. Bisognerebbe, dice, cercarla nella grazia che le viene resa con l’azione o con la disposizione verso gli uomini, con la verità di cui in questo modo si rende testimonianza presso altri. In guisa di conclusione, copia allora in ebraico un versetto dei Salmi (30, 10): “Ti celebra la polvere / proclama la tua verità?”. Questa nota è certamente di un assiduo lettore di Heidegger – di uno dei suoi primi grandi commentatori in Francia – ma di un lettore che, già, se ne distanzia. La comprensione dell’essere caratterizza il Dasein in quanto possiede di autentico, e per Heidegger il disvelamento costituisce esso stesso un evento dell’essere, il che equivale a sostenere che l’uomo è anzitutto un verbo. Levinas lo sa ma, per quanto lo riguarda, per caratterizzare quest’uomo cerca un altro verbo, preso in prestito qui dall’ebraico. L’umano non passa nel verbo essere ma in un verbo differente: léhodot, rendere grazie41. Questa pista, semplicemente avviata sulla scheda, e ancora tributaria di un’ambiguità riguardo a cosa si debba intendere con “essere”, diverrà centrale per tutta l’opera ulteriore. D’altronde, precisa già un’altra nota, è nel cuore del rapporto ad altri che percepisco l’essere. Ma questo rapporto non è qualunque, è un rapporto in cui rendo grazie donando ad altri ciò di cui non sapevo di essere ricco. È questo, sostiene un’altra nota, lo scoprire Dio come paternità e non come concetto, o ancora come capacità di donare. Citare un salmo di rendimento di grazie è proprio parlare di tale Dio – e non del concetto o della neutralità del verbo essere – ma tale Dio che non mi colma di beni, mentre – come dirà l’opera futura – mi obbliga al bene, è proprio colui a cui si deve rendere grazie. Un’altra nota di Levinas (accompagnata dalla segnalazione inizio della prigionia) secondo cui credere in Dio è credere al bene senza fondarsi su nessun evento, su nessuna forza che lo difenda42, assume in questa sede il 40

Raccolta C, nota 235. Il nome “Ieudah” (“Giuda”) e la parola “ieudi” (“ebreo”) sono costruiti su questa radice. 42 Cfr. Raccolta B, nota 21. 41

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suo più ampio significato. Mette anche sulla via, così esigente, della necessità di nutrire la fame degli uomini e di coprire la loro nudità come modo – par excellence – di incontrare il Creatore. E questo, ancora una volta, contrariamente ai filosofi che – dice Levinas – si sono ingannati cercandoLo altrove piuttosto che in questa relazione obbligante nei confronti di altri, proprio quella di cui è opportuno rendere grazie di rimanerne capaci, nonostante la sua miseria e il suo dolore, soprattutto nei momenti in cui questi ultimi rischiano di farla dimenticare. Una lunga nota43, quasi interamente in ebraico, mostra in effetti che la filosofia sa quanto simile “credenza” sia difficile, soprattutto in tempi di disperazione. Egli si interroga sulla separazione e sul fatto di partire per le vacanze dopo la guerra del 1939-1945, poi, come risposta, cita il versetto di Geremia relativo alla distruzione di Gerusalemme: “Perfino gli sciacalli porgono le mammelle e allattano i loro cuccioli: ma la figlia del mio popolo è diventata crudele come lo struzzo del deserto” (Lamentazioni 4, 3); successivamente copia il commento di Rashi che spiega che gli sciacalli nutrono i loro cuccioli affamati, nonostante la loro crudeltà, perché hanno delle riserve in loro, mentre “la figlia del mio popolo” (espressione sottolineata da Levinas) non lo fa perché ha talmente fame che la sua vita viene prima di quella dei suoi piccoli. Il filosofo non commenta queste citazioni ma è noto che riguardo agli eventi sinistri della guerra e dello sterminio degli ebrei, egli citerà ancora un altro passaggio delle Lamentazioni di Geremia nel suo magnifico testo Senza nome che conclude Nomi propri (1976). L’abisso spalancato non è colmato e la vertigine coglie sempre, e adesso una delle verità che ci raggiungono da questo abisso e che il filosofo medita con amarezza e terrore in questa nota, differisce da quella che più tardi verrà esposta in Nomi propri. Questa verità, già annunciata da Geremia, spiegata da Rashi e ripresa da Levinas in un contesto che ne amplifica il senso – come è costume nella tradizione orale del giudaismo – ha il sapore nero e tragico dell’egoismo più duro e più indifferente, addirittura ostile, verso la sorte di altri, fossero pure i propri figli. Quando la vita dei genitori passa davanti a quella 43

Cfr. Raccolta C, nota 120.

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dei figli a causa della fame, quando la rottura tra le generazioni si accentua, si può, in tutta certezza, considerare che la storia si è fermata e che la civiltà, nonostante la sua magnificenza e i suoi drappi, è sprofondata. Il “si salvi chi può” è generale. Quando più nessuno rende grazie del semplice fatto di essere capace di donare ad altri – soprattutto a coloro che vengono dopo – il nutrimento che placa la fame e le parole che, nonostante l’infelicità e la persecuzione, ravvivano il gusto di crescere, una terribile testimonianza è offerta agli adepti della “morte di Dio”. E questo accade, non importa se per cattiveria o per frivolezza, anche se si frequentano luoghi di culto, anche se si rimane attaccati a formule precostituite su Dio. Se i genitori e gli adulti in generale si curano principalmente e qualche volta in maniera sfiancante per loro, di trovare i mezzi per nutrire e proteggere i loro piccoli, questo non basta se mancano le parole che legano tali bambini alla storia che li precede. Leggendo queste note, un altro tema si impone: l’importanza dell’insegnamento. È noto che Levinas fu direttore dell’École Normale Israélite per molti anni, e che insegnò filosofia agli allievi di classe terminale mentre si occupava della loro educazione ebraica. Si comprende dunque che le sue riflessioni rispondano anche a una preoccupazione quotidiana, soprattutto dopo le distruzioni della guerra. “La storia, è la storia santa dei maestri e dei padri”, dice una nota, e non quella degli “eroi”44. Il sapere libresco corrisponde a tutto “ciò che non è stato insegnato da un maestro”, precisa un’altra nota. Con il Talmud, Levinas approfondisce l’idea che l’insegnamento orale “raddoppia eternamente l’insegnamento scritto”45 e insiste sul fatto che il maestro non è tanto colui che fa nascere lo spirito ponendo domande agli allievi, quanto colui che gli allievi non smettono di interrogare. Le discussioni talmudiche si giocano tra spiriti realmente molteplici e i talmudisti – scrive – “hanno una coscienza molto viva della struttura essenzialmente dialettica della verità”. È così che l’insegnamento è un’opera spirituale e bisogna salvare questa eredità. 44 45

Raccolta C, nota 213. Raccolta A, nota 5.

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Ma basta questo? Se il rapporto con un maestro (colui che si può interrogare) è pensato qui come la base della società, l’esistenza e la perennità di un tale rapporto non possono dipendere senza pericolo dalla buona volontà di qualche individuo. Ogni società dunque deve avere come compito essenziale il fatto di dotarsi di istituzioni che permettano di incontrare maestri e di imparare a leggere. Levinas sottolinea il carattere eccezionale della Scuola: fondata sullo Scritto, secondo lui tale istituzione è in effetti il “punto di Archimede”46 di ogni reale libertà. Dalla scuola primaria a quella superiore, costituisce il luogo per eccellenza in cui non si smette di imparare a leggere, vale a dire il luogo in cui i libri sono aperti. Il luogo in cui non ci si serve dei libri, ma il luogo in cui ci parlano perché noi li interroghiamo. Voler uscire dalla storia non è, allora, proclamare la propria libertà di fronte alle istituzioni, è “indicare un’istituzione più forte della storia”47. Ora la Scuola, scrive Levinas, risponde proprio a tale preoccupazione, e poiché “la [sua] struttura storica vira in struttura che oltrepassa la storia”, fondata sullo Scritto, essa è la condizione della nostra reale libertà. Le note presentate sono varie, ma sia quando sono lunghe e già elaborate, sia quando sono brevi e talvolta lacunose, perfino enigmatiche, sono attraversate da una grande intensità di pensiero in cui filosofia e giudaismo non costituiscono due domini le cui frontiere sono strettamente delimitate e impermeabili, quanto piuttosto due fonti indissociabili per la maturazione dell’opera a venire. Queste note testimoniano, sembra, un lavoro solitario, anche se Levinas aveva scambi intellettuali con alcuni filosofi suoi contemporanei. La necessità profonda, probabilmente segreta per lo stesso autore, a cui obbedisce la creazione di un’opera assume per lui, almeno qui, il cammino di una lunga pazienza. I frammenti sono scritti durante gli anni in cui l’École  – una scuola secondaria ebraica  – era anche per il filosofo, in quel tempo fuori dalla scena universitaria ed editoriale, l’unico luogo istituzionale in cui poteva esprimersi. La forza e la novità della sua filosofia si aprivano dunque un cammino 46 47

Raccolta A, nota 156. Raccolta A, nota 92.

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lontano dai “turbinii dell’epoca” come ama dire a proposito delle mode intellettuali, il che non significa affatto che non vi prestasse attenzione; ma il suo ancoraggio in una tradizione gli sembrava una migliore garanzia di libertà di apprezzamento e di critica, di ricerca e di novità, piuttosto che, come scrive nelle note, proiettarsi nell’avvenire unicamente a partire dal presente.

Avvertenza

Gli inediti qui presentati costituiscono il volume 1 della sezione “Gli inediti” delle Opere di Emmanuel Levinas. Il volume, non diversamente da quello che seguirà, non presenta l’integralità dei numerosi inediti contenuti nei fondi d’archivio Emmanuel Levinas depositati presso l’IMEC. Opera dunque una scelta, che è importante giustificare. Composto principalmente da frammenti scritti tra la metà degli anni trenta e la prima metà degli anni sessanta, il presente volume obbedisce a due criteri: un criterio temporale e un criterio stilistico. Criterio temporale, più che cronologico, perché il volume contiene una parte degli inediti che coprono il periodo che va dalla fine degli anni trenta all’inizio degli anni sessanta (la maggior parte essendo stati scritti prima del 1960), grosso modo, da Dell’evasione (1935) a Totalità e Infinito (1961)1. Detto altrimenti, gli inediti anteriori a questo periodo (in realtà poco numerosi) non vi compaiono. La scelta di questo periodo non ha niente di arbitrario, poiché concerne la lunga fase intermedia tra il primo saggio di Emmanuel Levinas e la sua prima grande opera filosofica. Ora, pur significativo, tale periodo non è comunque meno oscuro. Sicuramente Levinas ha pubblicato, in questo intervallo, opere importanti: Dall’esistenza all’esistente (1947), Il Tempo e l’Altro (1948) e Scoprire l’esistenza con Husserl e Heidegger (1949). Ma queste opere sono della fine degli anni quaranta, e noi sappiamo poco sulla sua attività filosofica durante i dodici anni che hanno preceduto Dall’esistenza all’esistente e i dodici anni successivi a Scoprire l’esi1

Sulla datazione, cfr. la nota sulle Note filosofiche varie.

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stenza con Husserl e Heidegger. Levinas pubblica poco tra il 1935 e il 1947, e pochi scritti filosofici tra il 1949 e il 1961, dal momento che l’essenziale degli scritti di questo secondo periodo riguarda il giudaismo. La maggior parte degli inediti di questo volume solleva in parte il velo su questi anni di genesi. Il criterio stilistico: si tratta, in effetti, a eccezione di tre brevi testi sulla prigionia e di un breve omaggio a Bergson, di scritti frammentari, più precisamente di note, prese sia su quaderni, sia su fogli isolati. Tuttavia il presente volume non include tutte le note del periodo implicato, ma solo quelle di un certo tipo. Levinas opera in effetti più divisioni all’interno delle sue note e, anzitutto, distingue quanto chiama “note varie di filosofia in elaborazione” dalle note preparatorie a un’opera (articolo, conferenza o libro). Note varie di filosofia in elaborazione è il titolo dato a una raccolta di frammenti, mentre le altre raccolte o i quaderni di frammenti dello stesso tipo non portano titolo. Sono varie perché abbordano molteplici argomenti o questioni, e in elaborazione nella misura in cui non hanno, o almeno non indicano, una destinazione precisa. Come esempio del secondo tipo di note, si può menzionare l’insieme intitolato da Levinas Note Altrimenti che essere, o ancora i “fogli preparatori” per l’articolo “Il dire e il detto”2. Infine è possibile distinguere da questi due tipi di note un terzo tipo, che partecipa sia al primo, perché si tratta di note che non sono preparatorie a un’opera precisa, sia del secondo, in quanto possiedono una forte unità tematica e perché trattano una stessa questione. Pensiamo in particolare a due serie, una con il titolo “Studi”, che ha per tema l’illeità, l’altra, senza titolo, che ha per tema la traccia, la rivelazione, l’enigma. “Studi”, compreso nel senso di indagine di una questione, qualifica perfettamente questo terzo tipo di note. Dei tre tipi di note, Note varie di filosofia in elaborazione, Note preparatorie e Studi, che, da un punto di vista genetico, non hanno lo stesso significato, è stato mantenuto – per questo primo volume – 2 All’interno delle note preparatorie, Levinas distingue le note utilizzate (per es. “Schede utilizzate”, titolo di una serie di note verosimilmente preparatorie dell’articolo “La sostituzione”) dalle note inutilizzate (per es. “Buber: note inutilizzate”).

Avvertenza

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il primo. Più precisamente, seguendo il criterio temporale, sono state mantenute le note varie che dipendono dal periodo coperto da questo volume. In questa sede, dunque, vengono presentate tutte le note varie di filosofia in elaborazione scritte tra la metà degli anni trenta e la metà degli anni sessanta. I Quaderni di prigionia, anche se costituiscono un insieme distinto di raccolte o quaderni qui riuniti con il titolo Note filosofiche varie, e benché il loro tema non appartenga unicamente all’ordine del discorso filosofico, dipendono in larga parte da questo tipo di note. Se, in qualità di note, ci mostrano, come scriveva Poe, “la quinta, l’atelier, il laboratorio, il meccanismo interiore”, come note di filosofia in elaborazione, note che non sono preparatorie a un’opera in particolare e che, per questa ragione, non hanno necessariamente trovato eco nell’opera pubblicata, o vi hanno trovato un’eco molto debole, esse rivelano anche le possibilità della ricerca: basti pensare alle numerose note sulla metafora che testimoniano intense riflessioni in tale dominio e di cui l’opera pubblicata ha conservato poche tracce. È per questa ragione che, anche se offrono alla lettura solo una parte degli inediti di questo periodo, ci presentano, su di essa, un’insostituibile testimonianza. R. C.

Nota editoriale

Convenzioni editoriali – La trascrizione è lineare e continua, a eccezione di alcuni passi in cui non era possibile modificare la topografia senza assumersi il rischio di alterarne il senso. Rispetto a questi, è stata rispettata la disposizione del manoscritto. Allo stesso modo, sono stati scrupolosamente rispettati il rientro o l’assenza di rientro all’inizio di ogni capoverso. – Per non rendere impossibile la lettura, sono stati effettuati alcuni interventi relativi alla punteggiatura e ad alcuni errori ortografici. Alcuni errori sono stati tacitamente corretti quando la correzione non lasciava incertezze. Nessun segno di punteggiatura è stato omesso, mentre in qualche caso è stato tacitamente aggiunto. – Le correzioni interlineari di Emmanuel Levinas, le sue aggiunte interlineari o marginali sono tra parentesi graffe ({ }). – Le cancellature, quando attraversano orizzontalmente una parola o più righe, sono riprodotte nel corpo del testo; nelle note in calce, invece, si segnala quando un paragrafo o più righe di un paragrafo sono barrate con una croce di sant’Andrea o con una cancellatura a forma di croce. – Le parole aggiunte dai curatori sono poste tra virgolette caporali semplici (< >). – Le parole di incerta decifrazione sono seguite da un punto interrogativo e poste tra virgolette caporali semplici (es.: ); quando sono possibili due letture, la meno probabile si trova in seconda posizione, separata dalla prima da una barra (/) (es.: ).

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– Le parole che sono rimaste indecifrabili sono rappresentate da alcune x (il numero delle x corrisponde al presunto numero di lettere) e poste tra virgolette caporali semplici (). Quando una parola non è più leggibile a causa dell’alterazione del foglio, viene lasciato uno spazio bianco tra virgolette caporali semplici: < >. – Un’errata indicazione o, ancora, la sostituzione di un’altra parola a quella del testo originale in una citazione sono state mantenute e corrette nel modo seguente: . – Quando il testo si interrompe bruscamente, viene segnalato, tra virgolette caporali semplici: . – I passi in lingua straniera (a eccezione delle lingue che utilizzano un altro alfabeto rispetto a quello latino) come pure i titoli delle opere, sono in corsivo. Tutte le sottolineature sono di Levinas. Annotazioni materiali La lettura di un manoscritto risponde alle sue proprie esigenze: al testo vengono ad aggiungersi elementi significanti di ordine non testuale, che tuttavia il lettore integra nella sua lettura allo stesso titolo dei significanti linguistici (ad es. il cambio di strumento di scrittura che gli indica l’eventualità che il testo sia stato completato o ritoccato durante un secondo periodo di scrittura; lo strappo visibile di un foglio, che gli evita la sorpresa di leggervi nell’incipit la fine di una frase il cui resto si trovava sulla parte di foglio che è stata tolta). La difficoltà che ogni trascrizione incontra è quella relativa alla restituzione di tali elementi materiali, la cui assenza può alterare talvolta in modo significativo la comprensione del senso di un testo. Dal momento che, nella presente edizione, non si è trattato di proporre un fac-simile dei manoscritti pubblicati, né di una trascrizione cosiddetta “diplomatica”, che avrebbe tentato di fornirne come una fotografia, si è optato per la descrizione materiale di alcuni manoscritti. Nel corpo del testo, tali descrizioni si limitano talvolta alla semplice indicazione del recto e del verso di un foglio (ad es. quando il verso di un foglio isolato non segue il recto, o quando – tra recto e verso – la continuità del testo non è sicura); più spesso, nelle note di edizione che compaiono in calce, si

Nota editoriale

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sforzano di restituire alcuni elementi materiali (ad es.: indicazione del cambio di strumento di scrittura, descrizione della topografia di un’aggiunta ecc.). Senza essere sistematiche, nella maggioranza dei casi si giustificano sia con la necessità di compensare la perdita di intellegibilità del testo che l’assenza di tali elementi materiali causerebbe, sia di segnalare alcune difficoltà di trascrizione (ad es. quando la trascrizione lineare confligge con la complessità di un’aggiunta il cui ordine delle parti, disperse lungo il margine del foglio, non è evidente, e quando, anche se eccezionalmente, non è stato possibile trascrivere in modo topografico). R. C.

NOTA EDITORIALE ALL’EDIZIONE ITALIANA La traduzione italiana ha riprodotto l’edizione originale francese, mantenendo e adattando i criteri stabiliti dai curatori. Nella traduzione, dunque, si è rinunciato ad “armonizzare” e si è mantenuto lo stile dei testi, i quali – a motivo della concisione o del carattere di annotazione – omettono spesso punteggiatura e articoli o utilizzano liberamente lettere maiuscole o minuscole e segni diacritici. Per quanto riguarda le opere citate, il riferimento a edizioni italiane è stato privilegiato solo nei casi di piena congruità con il dettato levinassiano. S. F.

Ringraziamenti

I curatori scientifici vogliono ringraziare, per l’aiuto e il sostegno, Claire Bustarret, Geneviève Capgras, Olivier Corpet, Didier Franck, Emmanuel Housset, Sophie Kessler-Mesguich, David Kessler, Nathalie Léger, Michaël Levinas, Jean-Luc Marion, Florent Perrier, Laurence Renault, Simone Sentz-Michel, Julien Servois, come pure le équipes dell’Institut Mémoires de l’Édition Contemporaine.

I Quaderni di prigionia (1940-1945)

Nota sui Quaderni di prigionia di Rodolphe Calin

L’insieme comprende sette quaderni di piccolo formato, nove se si aggiungono i due quaderni di taglia ancora più piccola inseriti – il primo – nel Quaderno 6, il secondo nel Quaderno 7, i quali non sono stati separati. Oltre a questi due quaderni, due fogli isolati come pure alcuni ritagli di stampa si trovavano all’interno di alcuni quaderni. L’insieme è scritto per la maggior parte a matita, talvolta ripassata con una penna, talvolta è scritto direttamente a penna. Il titolo dell’insieme, Quaderni di prigionia, 1940-1945, posto sulla busta in cui si trovavano i quaderni, è di Levinas. Il titolo Quaderno seguito da un numero, attribuito ad ognuno dei sette quaderni principali, è invece dei curatori. Allo stesso modo, i curatori hanno dato il titolo Quaderno ai quaderni inseriti, seguito dal numero del quaderno nel quale si trovavano e dalla lettera a. Diverse ragioni spiegano la scelta di quaderni di piccolo formato come supporto di scrittura: la penuria di carta, successivamente la necessità di sfuggire alle perquisizioni1; infine, la possibilità di portare con sé questi quaderni e di poter scrivere in ogni luogo2. Le condizioni di scrittura poco favorevoli in cui Levinas si è venuto a trovare spiegano senza dubbio per quale motivo la grafia leggibile del filosofo

1

Cfr. Y. Durand, op. cit., p. 188. Secondo la testimonianza di Léon Jakubovitz, suo compagno di baraccamento, Levinas portava sempre un quaderno con sé. Cfr. S. Malka, Levinas, la vie et la trace, Lattès, Paris 2002, tr. it. di C. Polledri, Emmanuel Lévinas. La vita e la traccia, Jaca Book, Milano 2003, pp. 86-87. 2

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Quaderni di prigionia

divenga talvolta illeggibile. A questo va aggiunto che la matita si è in qualche caso scolorita o cancellata e che i bordi di alcuni fogli si sono alterati, impedendo la lettura. Le date indicate da Levinas nel suo titolo, “1940-1945”, possono sorprendere, poiché la redazione del primo quaderno comincia nel 1937 e quella dell’ultimo si conclude nel 1950. Tuttavia, i Quaderni sono stati scritti prevalentemente durante la prigionia. Levinas non ha datato ogni frammento, tuttavia ha indicato alcune date, sia sulla copertina del quaderno, sia all’inizio di una serie di frammenti, e questo ha consentito di classificare cronologicamente i quaderni principali. Il Quaderno 3, che non presenta alcuna data, è stato probabilmente scritto nel 1943, come suggeriscono alcuni frammenti 3. Nel Quaderno 2, Levinas ha inoltre menzionato i luoghi di scrittura, vale a dire la città o il paese, con una sorta di metonimia, il Frontstalag o lo Stalag in cui si trovava, e questo ha consentito di precisare il periodo di scrittura di alcune parti del quaderno. È dunque importante indicare la cronologia degli anni di prigionia di Levinas, possibile principalmente grazie dall’inedita corrispondenza di guerra con la moglie. Levinas si trova, in successione, nel Frontstalag 13 di Rennes, dal novembre 1940 (?)4 al gennaio 1941; poi, fino ad aprile 1941, nel Frontstalag 132 di Laval; ritorna a Rennes fino al dicembre 1941, poi, fino al marzo 1942, a Laval; di nuovo Rennes fino all’aprile 1942, poi il Frontstalag di Vesoul fino a giugno 1942; prosegue e conclude la sua prigionia, nel maggio 1945, nello Stalag XI B di Fallingbostel in Germania. I quaderni non riportano numero di pagina, che è stato aggiunto dai curatori tra virgolette caporali semplici. È a questa numerazione che si riferiscono le citazioni o i rimandi ai quaderni, nella prefa-

3

Cfr. Quaderno 3, p. 15, 16 e 19 e le rispettive note 4, 15 e 18. La prima lettera conservata riporta la data 30 novembre 1940, ma probabilmente non si tratta della sua prima lettera di prigionia. Non è stato possibile ricavare da altre fonti la data esatta dell’inizio della prigionia. 4

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zione e nelle note di edizione. I tratti di separazione tra i frammenti presenti nei quaderni sono di Levinas. In alcuni casi, laddove sembra che Levinas abbia omesso di tracciarli, sono stati aggiunti dai curatori tra virgolette caporali semplici.

I

8 settembre 1937 Fenomenologia – scienza. Precisazioni. Le analisi psicologiche prima di essa di stile filoniano: c’è questo in tale atto, c’è c’è quello in tale essere. Come? Wie liegt es drin?1 Nemmeno indagato. Denaro-astrazione. Commerciante, uomo d’affari – intellettuale. Il borghese non sempre giunge fino a questa astrazione. Attaccato al “sensibile”. Le cose hanno valore di cose e non di denaro. Consumare fino allo sfinimento. Nessuna avarizia. Gioco – ricerca del serio. < > In Maimonide, in Bahia 2 {ecc.} – solo due ordini: sensibile e intellettuale. Quanto è impossibile nell’ordine sensibile deve raffigurare qlcs. di intellettuale. Da cui la nozione di allegoria. Nessun piano proprio dell’allegoria – che sarebbe un terzo ordine: l’intellettuale o l’anti-intellettuale vissuto nel particolare, nel sensibile. Rifigurazione ebraica opposta alla prefigurazione greca o allegoria. Contro l’universalismo greco. Pittura in lotta con la visione. Cosmos = creazione di superfici. I Quaderno a righe di formato 10×16 cm, la cui copertina e, probabilmente, alcuni fogli doppi sono stati strappati. L’insieme è scritto sia a penna stilografica, sia a matita.

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Forma = colore, parola (con il loro pittoresco). Lotta con la forma pittura  – ma in un altro senso le matematiche in cui la forma si impoverisce fino al simbolismo algebrico. Quali sono questi due sensi? Parola grossolana – indice, interiezioneI. Sulla terra. La terra – punto di caduta. La terra appoggio. Essere = peso, ma conosciuto interiormente, nel suo significato esistenziale. RodinII. Spogliare della forma – rendere nudo. Nudità non è la semplice assenza di vestito. Assenza di vestito dei classici e nudità dei moderni. La bellezza veste. La luce negli impressionisti – la densità della luce III certa pittura di  – visione senza forma. Un “in” e non un “contatto”. Trasformando la solitudine in una forma dell’In-der-Welt-Sein Heidegger si impedisce di vedere nella solitudine una insufficienza il nulla del fatto stesso dell’essere e la via di salvezza. La solitudine Il male della solitudine non è il fatto di un essere che si trova male nel mondo; ma il male del fatto anche dell’essere – a cui non si può rimediare con un essere più completo, ma con la salvezza. Salvezza non è l’essere. Rivoluzionario e criminale. Idealità di struttura . Nessuna responsabilità, nessuna radice. Nessuna rivoluzione a destra. Stalin ha ragione: i vecchi comunisti formati per la rivoluzione sono incapaci di idea politica. Grandezza di Ivan il Terribile. L’esprit – tutto è possibile. Frase aggiunta a matita, nella riga seguente. “Rodin” aggiunto a matita. III “ds/di” in sovrascrittura di “in”. I

II



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< > L’obiezione: l’appello e la risposta che la fenomenologia constata nello stato religioso non è una prova dell’esistenza di un Dio trascendente – Obiezi Obiezione legittima. Ma in una fenomenologia che interpreta le “intenzioni del sentimento” come le intenzioni della conoscenza – mirando l’oggetto all’esteriore. Come mira? Problema. Personalità – solitudine, responsabile dell’universo intero. Creando la persona – Dio ha dovuto dirle ciò da fare. Personalità – persona = Ciò che è molto importante nella creazione, è che non c’è stata creazione dell’essere e successivamente evoluzione; ma che la div creazione è consistita in più atti successivi. Le forme impediscono all’io di essere anche il tutto. < > Quanto costituisce il fondo dell’essere e della vita – è il serio. L’evasione dal serio – il gioco. Creazione artistica. Teatro – distrazione per eccellenza. Libertà del viaggiatore. Il problema del sole – il problema contenuto delle forme. Il boxeur è vestito quando è nudo. La voluttà – forme del corpo – Forme che sono più che forme. Voluttà non è desiderio del corpo. < > Presente = illusione nel senso che possiamo sempre aggiornarlo. Noi non siamo affatto {mai} obbligati ad occuparsi di lui immediatamente. Presente  – il al primo momento, impossibile aggiornare. Da cui l’idea che la morte è l’origine del presente. Morte  – non

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fenomeno originale del presente. Ma il presente non è azione. Sicuramente l’azione non patisce l’aggiornamento, ma non in quanto azione. In quanto azione in una certa Lebenslage. Presente fatto di Lebenslage. < > Le due nozioni del soprannaturale – 1) Contro le leggi della natura – miracolo. 2) Dominio in cui le categorie stesse del naturale non sono più valide. Il sacro. Perché intellettualismo, anche quandoI l’intelletto impegna tutto l’essere – non è esistenzialismo? Poiché intelligenza spersonalizzazione. < > Lévy-Bruhl: l’esprit non è più pensiero. Prova più del fatto che i primitivi pensano altrimenti che noi; prova che per loro esprit  pensiero, ma orientamento, destino ecc.3 Il fatto che il pensiero oggettivo  l’essere – è che esso riflette l’essere. Presenta il mondo come è ma non vi cambia niente. < > Orribile è non è la finitudine, ma l’angoscia davanti alla finitudine, il fatto che questo ci di vivereII.

“quando” in sovrascrittura di “quand’esso”. Tra le pagine 11 e 12 del quaderno si trovavano tre ritagli di stampa. Li riproduciamo presentandone il verso quando comporta testo e quando il testo non è troncato: Philosophie. Psychologie. Müller-Freienfels, Rich.: Psychologie der Kunst. Bd. 3: Die psychologie der einzelnen Künste. 2, Aufl. M. 5 Tfln. 160 S. Mchn. E. Reinhardt. Nink, Caspar: Sein und Erkennen. 400 S. Lpzg., Jakob Hegner. Schiller, Friedrich: Der Weg zur Vollendung. Erkenntnisse. Betrachtungen. Anweisungen. Hrsg. v. Hartfrid Voss. (Die Bücher der Rose.) 239 S. Ebenhausen b. Mchn., W. Langewiesche-Brandt. Philosophie. Psychologie. I

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Partecipazione vera forma di relazione con altri – né conoscenza – né azione – ontica. < > Filosofia – si occupa del “senso”. Senso non è simbolo – né “in vista di che (né causalità né finalità) – ma intenzione stessa dell’essere. Senso della materia…I Libertà è cammino. Libertà – andare dove si vuole. Il culto della velocità e la libertà. Cajal, Ramon y: Regeln und Ratschläge zur wissenschaftlichen Forschung. 2. Aufl. Deutsch v. D. Miskolczy. 143 S. Mchn., E. Reinhardt. Hartmann, Nicolai: Möglichkeit und Wirklichkeit. XVII, 481 S. Bln., W. de Gruyter u. Co. Jaeger, Werner: Diokles von Karystos. VIII, 244 S. Ebenda. Müller, W.: Stehen Naturwissenschaften und Philosophie vor einer neuen Grundlage der Erkenntnis? 41 S. Bln., Buchholz u. Weisßwange. Schmid-Noerr, Friedr. Alfr.: Dämonen, Götter und Gewissen. 241 S. Bln., Friedr. Vorwerk. Naturwissenschaften. Mathematik. Fahrenkamp, Karl: Vom Aufbau und Abbau des Lebendigen. Tl. 2 M. 14 Abb. u. 2 Tab. 83 S. Sttgt., Hippokrates-Verlag. Kober, Leopold: Der geologische Aufbau Oesterreichs. M. 20 Textabb. u. 1 Tfl. V, 204 S. Wien, J. Springer. Mappes, F.: Unser Garten. Ratgeber f. d. Haus Klein u. Siedlergarten. M. 68 Abb. 92 S. Mannheim Dtsches. Druck- u Verlagshaus A. Krug. Steffek, Johs.: Jedermann als Kleinsiedler. M. vielen Abb. 205 S. Bln., Verl. Der Gartenschönheit. Der Berliner Philosoph Nicolai Hartmann läßt seiner 1935 erschienenen „Grundlegung der Ontologie“ ein zweites Buch folgen, welches die damalige Untersuchung der Seinsmomente (Dasein und Sosein) durch eine solche der Seinsweisen vertieft. Die Bestimmung der „Modalität“ in ihren Stufen und Schichtungen stellt dieses Werk „Möglichkeit und Wirklichkeit“ zuletzt in den Dienst einer genaueren Durchleuchtung des Freiheitsproblems. (Verlag Walter de Gruyter & Co., Berlin; geb. RM 12 -.) I Virgolette non chiuse.

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< > La conoscenza è una pura immanenza. Libertà rispetto al mondo, non compromettersi con il mondo. Ma essa è io. Asservimento dell’esistenza. Attraverso Il fatto stesso del corpo. Da cui la necessità dell’evasione, di una vera uscita da sé, di una trascendenza. Contraddizioni e assurdità appaiono quando la partecipazione interpretata in termini di relazioni. Non è nei contenuti che essa . L’errore dei primitivi – comportarsi come se nella partecipazione il contenuto fosse l’essenziale. Incontrare e tenere in pugno – nello sguardo. L’ozio di esistere. < > Esistenza assoluto – esistenza senza condizione. Senza base – Non umano Nel vuoto. Il fatto di respirare. < > Nozione d’appoggio che non è semplicemente lo stare su – ma che abbraccia anche ciò che è davanti a noi. La base del davanti è il su. Felicità – gioia di esistere? < > Una filosofia contro l’emozione. Nascondersi per gli adulti  – Nascondersi per il bambino. Egli si nasconde per sé. Patria – nozione pagana.



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La Forma è {anche} espressione. Si crede abitualmente che lo spazio è la condizione della forma – distanza fatto primo, presso di me forma, fatto primo, chiusura delle cose, perché chiusura dell’io, è sempre fuori: tutto sommato la nozione di fuori opposta alla nozione di distanza. Nozione di “profondità” opposta alla nozione di “fuori” – < > Partecipazione non intuizione {Bergson} perché non visione identificazione attraverso la simpatia. Alla fin fine partecipazione: una certa dualità che tuttavia non è quella della conoscenza4. Gli uomini hanno bisogno di menzogne per agire  – Discontinuità del reale – Necessità di appoggiarsi sul nulla. Libertà – pigrizia – (Oblomov5) – camminata tempo libero – passeggiata. < > Pubblicità – indiscrezione. Denaro – purezza. Rodin: – nessuna espressione del volto – espressione del corpo, il suo posto nello spazio. Il volto stesso è come il corpo. È anche il suo modo di porsi nell’essere che importa. {La testa – non sono più gli occhi.} È che espressione ha qui un senso diverso: non c’è più un corpo che riflette un’anima o un avvenimento spirituale qualunque ma il corpo stesso è questo avvenimento. Esso prolunga molto più un avvenimento cosmico esistenziale – piuttosto che interiore. Concretizza piuttosto che esprimere. Così il corpo è visto come dei muscoli v. a d. come dei un distendersi di tensioni. D’altra parte questo corpo è sempre situato in un certo modo – (Non più la statua armoniosa su un piedistallo – situata in uno spazio ideale – né una statua di cui si vede da una parte il corpo e dall’altra

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l’espressione – di un pensiero, di avvenimenti intellettuali in generale riflessi negli occhi: specchi dell’anima. {Quanto è sorprendente nei pensieri non è il corpo di qualcuno che pensa – è il corpo stesso che pensa: è il pensiero colto come in situazione.}]I Ma situato in rapporto al terreno stesso su cui è posto. Il terreno, il piedistallo, gioca un ruolo nell’ la avvenimento della statua. Costituisce il mondo della statua. L’essenziale in queste statue è la loro posizione. È quanto c’è di posizione in esse che è sottolineato. D’altra parte la statua nasce e viene fuori da un frammento, da un blocco, da un mondo frantumato. L’insieme dei muscoli non è l’avvenimento lo slancio. Muscoli – anche ciò che è grave, pesante, disarmonico – laido. L’essenziale del piedistallo: non è indifferente: la maniera esso è contemporaneamente il supporto e il mondo. < > Quanto dico riguardo a “non il corpo del pensatore – ma la situazione del pensiero”, prova che in Rodin non c’è simbolismo o allegorismo, ci sono le situazioni. Si veda “l’uomo e il suo pensiero”. Itinerario del ritorno – si parte dal fatto che si è ebrei – e non dalla dottrina. Antisemitismo il potere dell’astrazione. Il sogno: dove tutto è gioco – impossibile ritrovare il serio. < > L’evasione dall’io in rapporto a sé che si realizza abitualmente ancora “sulla terra” – L’evasione assolutoII – l’aldilà.

La parentesi quadra sembra chiudere la parentesi aperta più sopra. Bisogna leggere “assoluta”? Levinas sembra opporre in questa sede un’evasione relativa  – che si realizza ancora “sulla terra”  – a un’evasione assoluta, come aveva già fatto in Dell’evasione, in cui opponeva lo slancio vitale di Bergson all’evasione: “Nello slancio vitale andiamo verso l’ignoto, ma andiamo da I

II



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Alla fine la relazione con la mia esistenza forse non è l’assunzione di questa esistenza, ma soltanto il suo problema. Sì o no. Perciò la libertà dell’io rispetto al mondo e rispetto a sé – non è l’essere ma l’evasione dall’essere – la possibilità di essere come se non si fosse ancora stati. Wiedergeburt. {(Riduzione fenom. – Ascetismo?)} Vincere la storia – ma vincere quanto c’è di essere e di eternità nella storia – non il ricorso all’eternità, ma all’evasione. In questo senso: il pensiero è finalmente tutto l’uomo. {(Tutta la nostra dignità consiste nel pensiero.)} Non attraverso il suo movimento di curiosità – amore delle cose, ma curiosità affrancamentoI, . < > I libri hanno il loro destino. Il nostro incontro con i libri il nostro destino. Riduzione = 6ʺʡʹ. Wiedergeburt opposta all’eternità. Wiedergeburt trionfo del tragico. – Vivacità dell’esistenza. Relazione della Wiedergeburt rispetto a ciò di cui si è è imbrigliato  – non è essa stessa esistenziale o storica. Le critiche che Heidegger ne farebbe valgono unicamente per l’evasione nell’eterno. L’ingresso nel mondo è l’ingresso nell’essere – nel fatto che c’è – nascita – Nascita di tutti gli istanti. Ricominciamento nel tempo. Interpretazione della creazione continua. Nascita – nella pigrizia d’essere. Pigrizia d’essere non è la di vivere come dolcezza – la pigrizia dello stesso della vita. qualche parte, mentre nell’evasione non aspiriamo se non ad uscire” (Dell’evasione, cit., p. 19). I La grafia è incerta. È possibile leggere il trattino tra “curiosità” e “amore” come unificante, e dunque leggere “curiosità-amore delle cose” come una parola composta; allo stesso modo, la parola “affrancamento” può essere letta come preceduta da un trattino unificante, in modo tale che avremmo la parola composta “curiosità-affrancamento”.

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< > 1) Franz Kü Cumont Les Religions orientales dans le pag. antique . 4a ediz.7 2) Loisy: Les Mystères anciens et le mystère chrétien8. Lt Cel Mermet. Regione di Parigi.

I

Laval 19421 Vesoul

< > Poiché il mio sogno tetro, interminabile e buio Tormenta un fiume pesante che non è Lete. Henri de Régnier L’ennui in Le Miroir des heures2. La morte non è una soluzione. Essa non salva dall’impegno senza ritorno e senza sbocco, dall’essere assolutamente votata, dal non potersi sottrarre – che è l’esistenza. Si veda Fedra nel quarto atto. Nel Il reale è popolato dei suoi parenti. Anche la morte la riconduce a suo padre Minosse. – Tuttavia la morte non è un fatto dell’esistenza come un altro. Promette qualcosa di eccezionale. Tuttavia è una possibilità estrema, una promessa di trascendenza. Ma cosa di eccezionale? Nondimeno c’è qualcosa di finito. Proprio la perdita della libertà tragica.

I Quaderno a righe di formato 8,5×13,5 cm. L’insieme è scritto prevalentemente a matita, che Levinas in qualche caso ha ripassato con la stilografica ad inchiostro nero o ad inchiostro blu; alcuni passaggi sono scritti direttamente con la stilografica ad inchiostro nero.

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D’altra parte il “non-essere-una-soluzione” della morte non significa “vita futura”. La seconda parte del monologo to be or not to be è troppo precisa e può avere solo un significato di immagine. Al pari della disperazione di Fedra che ritrova suo padre nel regno della morte. È il fatto che “il gioco è perduto”. È nell’ordine del compimento – “tutto è compiuto” – che la morte non è una soluzione. Sciogliere questo ordine del compimento – è l’aspetto metodologico – il piano filosofico – della mia filosofia. Passare dal piano oggettivo e soggettivo dei fenomeni al loro piano di compimento. Cosa è compiuto in questo o quel fenomeno? Non la fenomenologia che cerca “l’intenzione” o il significato del fenomeno”I. “Wohin ist hier hinausgewollt ist”3 di Husserl. Una psicoanalisi dello spirito. Ma altra cosa. Cosa? Il passo essenziale di Fedra: “È mio antenato il padre, il primo degli dei; L’universo è colmo di antenati miei; Dove nascondermi? Fuggirò nella notte infernale. Che dico? mio padre vi tiene l’urna fatale…”4 E Giona che sperava di nascondersi!II E ciò è preceduto dalla visione dell’esistenza innocente: “Del loro amore il cielo approvò l’innocenza; Senza rimorsi assecondavano il loro amore; Ogni giorno sorgeva sereno al loro cuore. E io, triste rifiuto dell’intera natura, Mi nascondevo al giorno, alla sua luce pura, ecc.5. E poi: … Ma per sempre si ameranno. Mentre ti parlo, idea sciagurata! Irridono il furore di un’amante insensata.

Mancano le virgolette di apertura. Frase aggiunta a matita, nella riga successiva. Il resto del frammento è scritto con la stilografica ad inchiostro nero. I

II



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Anche se nell’esilio dovranno separarsi, Fanno mille promesse di non abbandonarsi… 6 Crimine e innocenza – non sono di vissuti qui più profondamente dei fatti morali. O piuttosto la morale stessa è elevata al piano ontologico. Il crimine di Fedra rende visibile il fatto che non può “nascondersi”. Ha assunto l’esistenza in maniera indelebile. E la morte non è per lei una soluzione. Il tragico è qui. È più forte della morte. Nell’Orlando furioso di Ariosto c’è costantemente, soprattutto per Bradamante e Ruggero une serie d’avventura la certezza di un avvenire e una gloria futura predetti da Melissa e dal profeta Merlino, e tuttavia una serie d’avventure che per i personaggi non restano strazianti nonostante la certezza del loro trionfo. Proprio come Orlando che sa di essere invulnerabile e tuttavia sfodera un coraggio e una nobiltà che sono autentici, come se il coraggio non fosse un atteggiamento nei confronti della morte. La sovranità del presente. Quanto ha di unico. Il qualcosa in più che è presente nel compimento rispetto alla certezza che nonostante tutto passa sopra alla realtà. Il problema della predestinazione lascia da che in un certo senso lascia intatta la libertà; che co il destino realmente vissuto qualcosa di più del destino scritto anticipatamente. Da qui la tragedia è possibile; non solo l’infelicità che proviene dal conflitto tra noi e il destino implacabile, ma tra noi e il destino anche favorevole. Il tragico è nell’istante. Le imprecazioni di Orlando contro l’arma a fuoco che uccide la lotta onesta, non contraddicono la natura stessa del coraggio di Orlando che sa di essere invulnerabile?7 Ma c’è una differenza essenziale tra il valore che si è e quello che si possiede. Nell’Orlando furioso in modo generale come “individualità del corpo”. Atlante che assume l’aspetto di Ruggero non è Ruggero; Alcina che assume l’aspetto di una giovane non è una giovane. La magia fa parte della costituzione del mondo. Il reale non è compreso che nella sua opposizione alla magia – all’illusione.

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Da notare: l’anello di Angelica. Magia che permette resistere alla magia. Fascino negativo8. L’inganno di Atlante che trattiene i cavalieri in un castello vuoto dando loro l’illusione che nel castello si trovi quanto hanno di caro  – e che non potranno mai lasciare castello per sempre inesplorato. Bellezza letteraria e suggestiva di questa immagine. Fascino più intenso di un castello d’acciaio9. Magia nell’Orlando Furioso – non è un’azione in senso proprio ma una potenza di ammaliare. Così l’anello di Angelica e il libro che Logistilla10 dona ad Astolfo che tutti e due che permettono di sciogliere gli incantesimi – è la ragione. L’amore perverso della vita. L’acre piacere della sofferenza. È la presenza stessa di Dio. Amore perverso della vita – amore di Dio. Ben al di sopra del panteismo dell’amore diretto – del Dio che si raggiunge attraverso lo spettacolo dell’universo armonioso. Nell’amore perverso della vita  – la sofferenza ha un gusto diverso che quello della soddisfazione di un dovere compiuto, {o della} rinuncia puramente negativa dell’ascetismo o della previsione di una ricompensa. Ha qualcosa della formula: “interesse a vivere”, la “vita è interessante”. La felicità della sofferenza, nella sofferenza stessa, nella sua elezione. E le prospettive che apre non vengono da una ricompensa che vi si aggiungerà, ma derivano dalla situazione stessa di sofferenza in quanto posizione della vita, del tempo e la “felix culpa” che la dominaI. L’animalità dell’uomo. Non nello studio della sua fisiologia e della sua psicologia. Ma nella percezione dell’uomo. Il sentire. Come un bue o una vacca che {si} sono {messi a} camminare sulle zampe posteriori. Alcune fisionomie: portano in se stesse come i

I La parola “domina” sembra interrotta dallo strappo del foglio. Levinas forse aveva scritto “dominano”.



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loro propri limiti. Soprattutto quando essiI parlano e hanno l’aria di andare ben al di làII di se stessa e che tuttavia nei loro occhi, nelle ciglia abbassate {(assopimento)} – si sente che sono ben al di qua, che segnano il passo, che sono come quegli uomini ebbri che parlano di cose che non hanno assolutamente alcun legame con quanto essi sono, pensano e provano. Sentire l’uomo normale come uno che smaltisce non so quale sbornia. Questo fondo su cui si innestano le parole da stato di ebbrezza, l’animalità. Le parole da stato di ebbrezza portano malgrado le intenzioni i loro limiti. Tutto ciò appare anche nelle pretese intellettuali dietro le quali giace in qualche modo questa faccia animale, limitata da se medesima. – Una verruca, un tic, il colore – cosa, cosa, cosa. Irritante nella sua materialità. Esasperazione della romanza cantata da un commesso con una voce languorosa e vuotaIII. “Leggere un po’ di teatro”. I “canti di Boileau”. Il ricorso a LarousseIV. Bonheur dans le crime di J. Barbey d’Aurevilly. È perché erano perfettamente in grado di essere felici che sono stati capaci di un crimine. E il crimine per loro non significava più niente. < > Il sistema si organizza: L’io al contempo il definitivo del presente – è attraverso l’io che il presente evanescente sopravvive a sé meglio che nella memoria (la memoria suppone l’io). Questo aspetto dell’io: la presenza dell’io per il sé. – Ma l’“io” anche il non definitivo del definitivo – ciò attraverso cui il presente deve essere riparato – ciò attraverso cui c’è speranza e speranza per il presente. Di conseguenza la dialettica Levinas passa al maschile mentre il pronome sembra rinviare a “fisionomie”. Stessa notazione a proposito del pronome riflessivo “se stessa”, che senza dubbio deve essere volto al plurale. II “al di là” in sovrascrittura di “incontro a”. III All’inizio dell’appunto “C” o una parentesi quadra aperta. IV Stessa notazione della nota precedente. I

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della salvezza – la dialettica dell’io che si affranca dalla sua intimità. L’intimità con altri. Non che ci sia qui “fusione con altri” – precisamente c’è dualità dell’io. E questa dualità sarà descritta proprio nella concupiscenza carnale – che a torto si considera un desiderio come un altro. La sessualità come origine del sociale. Perché c’è “intimità” del sessuale, c’è il fenomeno del sociale che è più della “somma di individui”. La carezza e il compimto attraverso il corpo compaiono in questo modo. Attraverso l’amore chiarire anche il problema della morte. Nuova luce proiettata sulla coppia “morte-amore”. Del sangue, della morte e della voluttà. È anche sul piano interpersonale che si pone la nozione dell’ideale e del compimento. Vivere “in faccia a Dio”. Il compimento – suppone dramma – suppone dualità di persone. – Legame dualità e il dramma del tempo si chiarirà a partire dalla dualità sociale cioè sessuale. Il Bene – oltrepassa l’essere. Quando pongo il sessuale alla base del sociale  – non pongo alla base di tutto il sistema: il piacere sessuale, {o} la libido di cui Freud non dice nulla di più che la ricerc “ricerca del piacere”. Ma un ordine di relazione che si può scoprire in questa relazione specifica tra persone che è l’amore sessuale. Edgar Poe. Sotto il titolo Deux contes [Due racconti] pubblicati in Mercure de France, 16.II.1911, un racconto intitolato Perte d’haleine, conte qui n’est ni dans ni hors de “Blackwood” [Senza fiato, racconto che non è né dentro né fuori da “Blackwood”]. Tradotto da M. D. Calvocoressi. Nella parte soppressa dall’autore nell’edizione definitiva apparsa sul Broadway Journal (poiché secondo il traduttore, esprime del puro Edgar Poe che esplodevaI in un raccontoparodia di Carlyle e di Emerson) il passo seguente pagine 805-805 del Mercure: “Questa dunque, meditava il mio spirito, questa oscurità che è palpabile e opprime con un senso di soffocamento  – questa  – questa – è – veramente la morte. Questa è la morte – la terribile morI Invece che “esplodeva” (“détonait”), non si deve forse leggere “stonava” (“détonnait”)?



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te – la santa morte. Questa è la morte patita da Régulus e anche da Seneca. È in questo modo – è in questo modo che anch’io resterò sempre  – sempre  – resterò sempre. La ragione è follia, la Filosofia menzogna. Nessuno conoscerà le mie sensazioni, il mio terrore  – la mia disperazione. E tuttavia gli uomini continueranno a ragionare, a filosofare, a fare gli imbecilli. Non c’è, lo vedo bene, nulla oltre questo. Questo – questo – questo – è la sola Eternità! – e quale, Belzebù! – quale Eternità – stare disteso in questo vasto – questo temibile vuoto – nello stato di orrida, indefinita, insignificante anomalia – senza movimento, ma desideroso di muovermi – senza potenza, ma avido di essere potente – per sempre, per sempre, per sempre!”11 Da notare le ripetizioni che danno più il ritmo della situazione che i contenuti. Ma questa situazione non è fatta che di ritmo. {Il “c’è”.} La reificazione che c’è sempre nel dire: “essere ciò che si è”. Come se il fenomeno dell’io fosse un’essenza da realizzare. “Realizzazione” è sempre vera solo della res. L’opposizione stessa del possibile e dell’esistente proviene dalla filosofia delle “res”. Il fenomeno dell’“io” è di un altro ordine. Quale è quest’ordine? Solitudine o società. Incatenamento e libertà. Essere oI felicità. Io – Solitudine. Essere solo – solo al mondo – solipsismo che non deriva “dalla relatività delle nostre sensazioni” e dall’idealismo. È ponendo la solitudine nei termini specifici dell’“io” che si può scoprire il senso della “collettività”. “Sarebbe come si dice portare vasi a Samo, civette ad Atene e coccodrilli in Egitto.” Ariosto, Orlando furioso, canto 40, I12. La relazione io-tu non è così semplice – da cui la difficoltà di dare del tu. Gli stadi dialettici: tu – infantile, {di familiarità, di condi-

I

“o” in sovrascrittura di “e”.

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scendenza}; voi {di rispetto e di indifferenza}, tu di amicizia o di familiarità e d’amore, di amore paterno. In Jankélévitch la realtà del c’è appare unicamente come il peso dell’esistenza per la persona – come la noia. Per me, quanto è importante è il piano stesso del c’è. Non è l’inesplicabilità dell’esistenza – la Geworfenheit13 – ma l’impossibilità di morire14. Per Jankélévitch, ogni compiacimento della coscienza nella sua infelicità – è qualcosa di vano – quasi vanità, snobismo – è rendersi interessanti per ammirarsi. Ma non c’è realmente niente di più profondo nel compiacimento nella sofferenza. L’essenziale non risiede nel fatto che si soffre in faccia a Dio – D’altra parte non c’è niente altro che vanità – nel desiderio di “ se stessi interessanti”. Si tratta sempre di “apparire interessanti” e mai “essere interessanti”. D’ Differenza tra l’apparire interessante o importante per quanto è parziale che è vanità e orgoglio, ed essere interessante per l’elezione divina che è forse la salvezza. “È nella disperazione che ci sono i piaceri più ardenti soprattutto quando si ha coscienza di tale disperazione…”, Dostoevskji, L’Esprit souterrain, p. 165. Traduzione E. Halpérine et Ch. Morice, Éditions Plon15. {Vesoul16} Rispetto – percezione della persona. Quanto è essenziale, è il mistero presupposto dal rispetto. Degli esseri tra di loro – degli uomini – che non esitano per i “loro bisogni”, che si conoscono come esseri “naturali” – con questa cosiddetta sobrietà, “sappiamo cos’è l’uomo” – “si sa che abbiamo un corpo ecc.” – non si conoscono che come esseri materiali che hanno dei bisogni – Riconoscono i loro diritti – diritti “individuali”. “Tizio ha sete”, “Caio ha fame” – Insufficienza radicale dell’uomo democratico – il diritto dell’individuo senza rispetto. Il fascino della canzone realista: un mezzo inatteso di sincerità. I sentimenti frusti, scoloriti dell’esistenza borghese – ritrovano come la loro essenza primordiale – nell’esistenza che sembra



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averli interamente profanati. Una specie di Aufhebung. Usura delle forme spirituali e derivate. La bontà del tempo, avere tempo. Se l’eternità è sottratta alla morte – la sua definitività ha qualcosa di morto, di cadaverico. Ma il tempo non è soltanto la possibilità di riparare – e di conseguenza qualcosa in rapporto con il male,  – ma la gioia positiva del tempo libero. È altra cosa rispetto alla possibilità di evitare l’alternativa – avere dei possibili ricchi al posto di realtà definitive e povere. È la felicità stessa di vivere, di costruire una storia, di vivere una storia. Bighellonare, andare, tornare sui propri passi. La felicità di vivere non è la felicità di essere. L’essere è cadavere. C’è profondità nella concezione romantica della vita. Ambiguità della parola morto: quanto non è più – quanto è immutabile. La felicità del movimento, dell’andare a zonzo – e sopra – l’aspro gusto della vita che non ha niente in comune con la dialettica del possibile e del reale di Jankélévitch17. Comandato da: avere tempo. Claudel spiega l’inferno: e senso (fuoco) – con l’arresto dell’essere corrotto, nell’eternità di cui è prigioniero e in cui non ha più il tempo di recuperarsi. Verme – verme roditore – fame metaforica di Dio. aperto – i suoi sensi procedono dall’esterno verso l’interno e tratto da Dio dal riposo si consuma. Ciò diviene fuoco e versi celestiali, metaforici. C’è altra cosa nell’“intenzione” oltre al bruciore e alla “fame”? Per l’analisi dell’eros. I sentimenti indiretti: soffrire della sofferenza d’altri, gioire delle sue gioie. Riflessione sui generis. E carattere infinito di questa riflessione. Martirio. Non è soltanto il sacrificio della propria vita. Quanto importa, è la fedeltà fino alla morte. Non si osa dire che la disgrazia è massima, che l’abbandono da parte di Dio è totale e che l’ora della maledizione è giunta perché si ha ancora il tempo. Il martirio è al di là di questa fedeltà – èI la fedeltà nella morte – laddove I

“è” viene ripetuto due volte.

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non può più esserci miracolo. E nello stesso tempo la salvezza per il presente e non una semplice ricompensa nell’avvenire. Tutta questa prigionia – con i lunghi intervalli liberi che concede, con le letture che non si sarebbero mai fatte – come un periodo di collegio in cui si trovano uomini maturi, in cui l’esercizio diviene essenziale, in cui si scopre che c’erano molte cose superflue – nei rapporti, nel cibo, nelle occupazioni. Dunque la vita normale potrebbe essere organizzata altrimenti. La crisi della nostra vita di prima della guerra appare in questa semplicità. < > Germania18 Aspetto dei prigionieri in Germania. Vita monacale o morale. Anche i vecchi hanno qualcosa di innocente e di puro. Nella formula abituale “poi poco a poco l’intelligenza si è accorta che l’immagine possiede un significato logico oltre al significato mistico ecc.”, e che si critica rimproverandole di credere alla magia del tempo – la dice più lunga di quanto si pensi sulla nozione di intelligenza e sulla funzione del tempo . Il tempo proviene inizialmente dalla nozione “avere tempo” – “del ” – ed è qui la condizione della riflessione per l’intelligenza stessa. La possibilità di cogliersi e di tornare padroni di se stessi. < > Bisogno – soddisfazione. Bisogno previsione. Felix culpa. La morte – il suo potere di negazione. La fatica del riposo – la noia. Il tempo della noia è un tempo che non si assume a partire dal suo arretramento nel della fatica. Tempo senza attività. Da cui il vuoto della noia. Ritorno al tempo del c’è. Ma allora attività e non posizione che fa il presente? Risposta alla domanda precedente, l’atto nella posizione. Ma non è la posizione che è compresa dall’atto – è l’atto che è dedotto dalla posizione – e dal presente.



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La paura d’altri – non paura per qualcosa. L’odio d’altri – non odio di qualcosa. L’odio di un essere determinato. Contributo all’analisi dell’eros. In Proust i sentimenti sono sempre riflessi. Intendo dire: l’emozione è sempre suscitata da una riflessione su una propria emozione e più spesso ancora dalla riflessione sull’emozione di altri. Meglio ancora: questa riflessione è l’emozione stessa. Ma a causa del ruolo che nella sua opera giocano le emozioni – riflessione sulle emozioni d’altri – è veramente il poeta del sociale. Non un pittore della società e dei costumi, ma il poeta del fatto sociale – del fatto che per me c’è altri. < > Perché ci sono due mondi: questo e l’aldilà, se il fondo dell’essere e della salvezza non è felix culpa? La libertà stessa e la scelta non sono il fine, come condizione di una dignità superiore, ma come condizione della felix culpa e del tempo che ne è il canovaccio. In Proust poesia del sociale puro. L’interesse non riguarda la “psicologia” ma il tema: il sociale. Tutta la storia di Albertine prigioniera – è la storia della relazione con altri. Chi è Albertine {e le sue menzogne} se non l’evanescenza stessa d’altri, la realtà fatta del suo niente, la presenza fatta della sua assenza, la lotta con l’inafferrabile? E a parte questo  – la calma davanti Albertine che dorme, davanti Albertine vegetale. Il “carattere”, il “solido” = cosa. Kommando  – l’intimità abietta che creano le cenette a due: “tu mangi questo quello si tiene per domani” ecc. Come un’intimità sessuale vista dal di fuori. Disgusto, piccolezza borghese, egoismo ecc. ecc. La “serietà” del mangiare la realtà, la riprovevole realtà che si rattoppa. “Avevo esclusivamente pensato, in uno stato d’animo equilibrato dalla presenza di Albertine, a una partenza combinata da me a

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una data indeterminata, vale a dire situata in un tempo inesistente; di conseguenza avevo semplicemente avuto l’illusione di pensare a una partenza, così come le persone si figurano di non temere la morte quando vi pensano mentre sono in buona salute, mentre in realtà non fanno che introdurre un’idea puramente negativa entro questa buona salute che, appunto, l’approssimarsi della morte altererebbe.” Proust – Albertine disparue, I, p. 1519. 1) La malattia stessa è questo pensiero della morte (e l’invecchiamento e la noia); 2) Proust possiede la nozione di questo pensiero attraverso la malattia o attraverso l’invecchiamento che sono un accesso positivo {e appropriato} a una nozione e senza cui possiamo avere solo un concetto negativo. Ci sono pensieri – situazioni. “Per rappresentarsi una situazione sconosciuta l’immaginazione prende a prestito elementi noti e, proprio per questo, non riesce a rappresentarsela”, p. 15I. Ma la sensibilità, anche la più fisica, riceve, come il solco lasciato dalla folgore, il marchio originale e a lungo indelebile dell’avvenimento nuovo”, p. 1520. “Infatti la questione non si pone più tra un certo piacere – divenuto, per la pratica frequente o la mediocrità dell’oggetto, quasi nullo – e altri piaceri, tentatori ed eccitanti, ma tra quei piaceri e qualcosa di molto più forte: la pietà per il dolore”, Proust, Albertine disparue, I, p. 2221. “Mi alzai per non perdere tempo, ma la sofferenza mi immobilizzò. Era la prima volta da quando lei [Albertine] era partita che mi alzavo dal letto” – Interrompere la storia è situarsi nella storia, p. 2422. “Inoltre la donna verso la quale ci si mostra più indifferenti sente tuttavia, oscuramente, che pure stanchi di lei, in virtù di una medesima abitudine ci si è vieppiù attaccati a lei…”, p. 1723.

I Segue una freccia che rimanda al fondo pagina sul verso del foglio in cui si trova il seguito della citazione. Mancano le virgolette di apertura, come pure la maiuscola di inizio citazione.



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“… e all’improvviso scorgevo un nuovo volto dell’Abitudine. Finora l’avevo considerata soprattutto come un potere vanificante, capace di sopprimere l’originalità e perfino la coscienza delle percezioni; ora la vedevo come una temibile divinità, talmente inchiodata a noi, il suo viso insignificante a tal punto incrostato al nostro cuore, che se questa divinità che quasi non vedevamo si distacca, si allontana da noi, ci infligge le sofferenze più terribili e allora è crudele quanto la morte.” Pagina 924. La mia opera da realizzare: Filosofica: 1) L’essere e il nulla 2) Il tempo 3) Rosenzweig 4) Rosenberg25 Letteraria: 1) Triste opulenza 2) L’irrealtà e l’amore Critica: Proust Mettere la propria vita in forma di storia: tenere dei piccoli quaderni in cui si annotano “menus”, segnare il numero di kilometri percorsi, si giungerà a fare statistiche di tutto: mangiati tot biscotti ecc. ecc. Stesso personaggio: “sono amato da mia moglie” – la seconda metà della tavoletta? Ma è stata sbriciolata nel pacco. La città in cui si arriva senza aver vissuto “la veglia” di questa città. Il terrore bruscamente compreso nella sua inumanità. Maria-Antonietta separata dai suoi piccoli figli mentre attende il patibolo – non c’è più ragione superiore – storica o altro – che scusi tutto ciò. Non in nome di una pietà superiore e universale, ma in nome

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della mia personale sofferenza – io comprendo. Niente giustifica il terrore. Maria-Antonietta prima di salire sul carretto dove le grida della folla già ti donano l’aureola e la forza del martirio, dove ridiventi regina, dove eri già sostenuta dalla storia. No! MariaAntonietta povera donna. Le spiegazioni date di Grand-Jules26 e della sua carriera – attraverso le quinte. {Ritorno al fenomeno.} Il dramma non viene compreso né dalle quinte, né dalla sala in cui si è vittima delle illusioni della messa in scena – ma si può rileggere l’opera, rivedere le sue intenzioni. Grand-Jules – unità di un destino. Percezione immediata della storia realizzata – della storia in statu nascendi. Partire dal Dasein o partire dal G.I Era così timido che non poteva parlare adottando una posa, diventando un personaggio sgradevole27. G.II come categoria28. < > La mia riflessione su Maria-Antonietta: non divento bruscamente consapevole dell’infelicità umana di M. A., ma dell’importanza dei punti di vista propriamente umani. C’è sempre pietà nella dolcezza 29. Cécile de la folie, Marc Chadourne. “Credo che un grande evento si stia preparando, che la mia vita stia per cambiare; ascolto nell’onda, guardo verso le tenebre, non provo gusto per i miei lavori e ritrovo, dopo, Honorine, de BalzacIII30.

“G.” sta senza dubbio per “Giudaismo”. “G.” sta senza dubbio per “Giudaismo”. III Questo frammento è cancellato con una barratura incrociata. I

II



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Il viaggio di M. Bergeret31 il libro di un I. < > Prima di {la cavalleria} Dante {in Platone} l’amore è considerato al di fuori della donna. La donna ne è, in qualche maniera l’accidente. In Dante: la donna, il femminile diviene un’articolazione essenziale dell’amore. Beatrice. Conduce sulla via verso l’amore di Dio. In questo senso anche in Goethe: das ewig weibliche. Il femminile diviene un’essenza. In me: la categoria del non-io. Il femminile è altri prima di altri, ossia un’altra persona. Nuova via verso l’appercezione di altri. Altri = altro. Alterità pura. Dunque l’amore non è una scelta in una molteplicità, ma quanto rende possibile la molteplicità. La precede. Journal d’un poète de Vigny sul tema dei consulti del dottor Noir (in preparazione). “Il secondo consulto sul suicidio. Includerà tutti i tipi di suicidio ed esempi delle loro cause analizzati profondamente. – Là effonderò le mie idee sulla vita. Sono consolanti grazie alla disperazione. È cosa buona e salutare non avere nessuna ‘speranza’. La speranza è la più grande delle nostre follie. Capito ciò, quanto arriva di felice, sorprende”32. “La solitudine è per lui avvelenata come l’aria della campagna di Roma. Lo sa; tuttavia vi si abbandona, sicuro di trovarvi una specie di disperazione senza trasporto, che è l’assenza di speranza.” Vigny – Stello33. “Essenza dei sogni” – un sogno vissuto come qlcs. di strano, di profondo, un intenso sentimento che sbiadisce al risveglio e vi rimane un simbolo stupido di cui non si vede più il senso. Quanto è evaporato – è l’essenza del sogno. Gli attributi in se stessi non erano niente. Un grande poeta non è forse chi mette nelle sue opere queI

La decifrazione è decisamente congetturale.

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sta “essenza dei sogni”? Vigny – Stello. Tutto il valore del libro è in questa essenza dei sogni. Vicinanza e gustosa in Stello tra i terroristi francesi del 1793 e Joseph de Maistre34. Forse Vigny non ha compreso de Maistre, ma ha percepito quanto c’è di rivoltante nella giustificazione compiuta da de Maistre di quanto chiamo il “diabolico”. Ma nonostante tutto in de Maistre c’è un piano che è al di là del soggettivo e dell’oggettivo che implica la teoria della sostituzione delle sofferenze, che evidentemente è paradossale sul piano soggettivo e sul piano oggettivo in cui sarebbe disconoscere il carattere soggettivo della sofferenza. Si arriva al piano “ideale” che cerco: “in faccia a Dio”. Nei rivoluzionari, disconoscimento e disprezzo del senso soggettivo della sofferenza. Soltanto qui Vigny ha ragione. “… Non avevo smesso di amare me perché i miei legami quotidiani con me stesso non erano stati spezzati come lo erano stati quelli con Albertine; ma se lo fossero stati anche quelli con il mio corpo? con me stesso?... Certo sarebbe stato uguale. Il nostro amore della vita non è che un vecchio legame di cui non sappiamo più liberarci. La sua forza è nel perdurare. Ma la morte che lo interrompe ci guarirà dal desiderio di immortalità” – Albertine disparue, II, 142I. Simhatt – Thorah del 4 ottobre35. Trattore. Nebbia. Banchi. Russi – canti – Yvan – la gioia di Goldf davanti al nome Yvan. L’intensità di alcune frasi banali in situazioI [ed. it. cit., p. 388]. Tra le pagine 42 e 43 del quaderno era presente un ritaglio di giornale. Viene qui presentato solo il recto, dal momento che il verso è amputato: Philosophie. Psychologie. Dietrich. Rud.: Die Ethik Wilhelm Diltheys. (Abhdlgn. aus Ethik und Moral. Bd. 13.) 168 S. Düsseldorf, L. Schwann. Keller, Wilhelm: Der Sinnbegriff als Kategorie der Geisteswissenschaften. Ten 1. 175 S. Mchn., Ernst Reinhardt. Mahnke, Dietrich: Unendliche Sphäre und Allmittelpunkt. Beitr. Zur Genealogie der mathematischen Mystik. VIII, 252 S. Halle, M. Niemeyer.



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ni particolari. e il suo entusiasmo davanti l’arco della porta del paese con le sue iscrizioni. Al ritorno {} – lampi, tempeste. I canti di . Jules al culmine della sua gloria non può dormire, il riso j. lo impedisce36 – Risate: nervose, assurdo sghignazzare, e il riso dell’essere libero. Di quest’ultimo non passa mai la voglia. Mardocheo37. L’attrazione del “a casa mia” sulla ragazza innamorata. Vita con Parto. Conoscere la vita della casa il giorno in cui si resta durante le ore in cui di solito si usciva. ottobre – carbonaio. Paesaggio desolato – astratto, albero senza atmosfera come su un disegno di bambino – Dopo il paesaggio di foreste di betulle giovani e distanziate. Come ragazze. Che grandi scrittori abbiano fatto ricorso al soprannaturale per spiegare l’uomo (Fantasma – Mefistofele) prova non tanto che nella natura dell’uomo ci sono due principi – quanto che è necessario più dell’uomo per spiegare l’uomo. L’essenziale: ascoltare l’appello di Dio. È per questo che c’è sempre ʩʰʰʤ. La bellezza del passo di “Samuele” in cui il giovane Samuele non è ancora capace di intendere la voce di Dio38. Le persone che anche {e soprattutto} in una situazione in cui tutte le situazioni sono perdute esagerano – oh, appena appena – la loro. Anche il s/uI di carriera. Freddy. Un ruolo recitato. Di nuovo. Re senza terra. Re delle carte. I

“s/u” per “sotto-ufficiale”.

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Louis l’imperturbabile. La sua andatura – le sue gamelle – il suo libro – il suo isolamento – il suo tono. Capelli lunghi, abito da postino, bastone, vacche. – 2 franchi in tasca. Non ha bisogno di altri in quanto altri {Gatto della vecchia figliaI.} Tra i resti di un povero soldato ucciso – le bretelle che saranno inviate al padre. Le bretelle senza le braghe. Il romanzo storico ricrea il tempo della storia. È soprattutto una questione di prospettiva temporale. Nella storia, la storia si svolge secondo il ritmo del secolo – della storia. Nel romanzo secondo il ritmo di una vita umana. Il presente può darsi solo con il romanzo storico e non con la “storia”. Dr. Hartmann: di battaglia, stanchezza, fame, sete – tutto è perduto. Dissimulazione che oltrepassa la condizione umana. M. P. P. Cosa pensa in fin dei conti? Che dirà la storia? Giona che fugge Dio e che dorme in fondo alla stiva. È flemmatico. David Golder39. Dormire. Si intendono i rumori della gente che continua a vivere. È un’agitazione che sottolinea la saggezza di chi dorme. Come il rumore del mare. L’attore che non vive solo nel mondo scenico – ma che è chiamato costantemente a cavallo sui due mondi. Situazione nuova. Le nozioni di potenza. Possibilità vuota, germe, pianta.

I

Scritto di traverso sul margine destro.



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“Questo non è un cane. Abbandona il suo padrone per correre dietro a chiunque” – disse Tramel. “È proprio questo essere cane” – rispose 40. La situazione di colui che costruisce per 3 secoli. Querce. “Come! tu, un artista, ti poni davanti all’opera di un altro, l’ammiri e non sei geloso. Non ti colpisci il petto con rabbia, non maledici il giorno in cui questo nemico ha trovato e ghermito ciò che è tuo? (Michel-Ange), Gobineau – La Renaissance – César Borgia, p. 25841. La profezia è la fame dell’evento. Questo vi è raffigurato a rovescio (ɧɚɢɡɧɚɧɤɭ)42. Come l’alimento nella fame. Siamo così lontani dalle cause della guerra che gli eventi ci sembrano obbedire come a delle casualità. Come i fenomeni meteorologici. Superstizione. Eros – . Voluttà, socialità, Dio – specie del mistero. Varietà della temporalizzazione. L. Drf. e il suo portinaio, le attenzioni per . La passeggiata nel giardino del papa. La stazione, la piccola officina – il giardino – i saluti accennati – il museo – la ragazza con il Bedecker, studentessa a Pisa – conversazione – si torna a vedere il giardino – l’alabardiere. – era il giardino del papa {passaggio insieme dalla realtà al sogno}. Si è sposato ed è andato a visitare il r.I – usciva e piangeva mentre pensava il r. è là – e le persone intorno dicevano Seidener Jungerman43. Sul campo stanchezza sonno Dr. Hartmann I

“r.” per “rabbino”

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La descrizione dei paesaggi non nella conoscenza perfetta che si può averne, ma nella loro Aufmachung. Poesia del Grand Meaulnes. Prime scene del film. “Il più bel film che abbia visto, un’automobile, una ragazza, un ragazzo che passa”, diceva Michel44. Dissoluzione – vagabondaggio – incontro di  – Salvezza attraverso il ruolo sociale. Invidia rivolta alla camera luminosa una sera del mese di maggio – suoni di piano. Invidia per tutti quelli che sanno dove vanno. E tuttavia forse vanno incontro agli eccessi – perdono il loro tempo – Invidia per gli abitudinari, che non hanno l’inquietudine del tempo perduto come me; la cura di un’opera. Quelli che prendono il loro tè ad un’ora fissa. M. Landgrebe che la domenica si riposa al caffè. I ricordi cocenti che vi fanno arrossire per tutta la vita e che tuttavia sono insignificanti: chiedo a un ragazzo dal balcone “Vi va di conoscermi” e vedo mia madre, “Oh non mi importa, sono più grande”, il cappello che mi ballava in testa quando facevo la coda a teatro, “una lettera spiegazzata inviata a un maestro”. Felix culpa non suppone solo il tempo. I due atti del tempo non bastano: perché la cima può essere disputata. È necessario per la felix che ci sia una cima non oltrepassabile – il Messia. Il tempo si compie in un certo modo e apporta qualcosa che distrugge la pesantezza del presente. Il tempo del compimento. La teoria di Dio può svilupparsi solo attraverso Is.I e il Messia. Elezione, ignoto dell’avvenire – il Mistero. Dio una certa temporalizzazione del tempo, un essere che non è soggettivo. – Nell’esigenza della speranza per il presente c’è già Dio. I

“Is.” sicuramente per Isaia.



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Odio da distinguere fondamentalmente dalla voglia di uccidere. Questa presuppone l’esistenza di chi è odiato. Amare la sofferenza d’altri. Voglia di uccidere – Categoria. Nell’Aufmachung le cose appaiono nel mistero dell’estraneità. Estraneo – straniero. Nella loro estraneità le cose si rivelano come un mistero. È il fascino del cinema. I paesaggi vengono machen sich auf vor uns45. Ricordo essenzialmente Aufmachung. Passato. Storia, soggetti storici. La musica – movimento stesso del compimento. Tempo puro. La parola sconcia nell’amore. Realtà e mistero coesistono. Parole tenere, parole carezze. {Profanazione.} L’uomo con la palandrana in pelo di tasso. Karl Freund cameristaI di Greta Garbo. Sua moglie – quasi cieca va in Polinesia. Egli l’accompagna fino a Praga. Erich von Stroheim che fa un film: binario morto nella campagna – erba, fiore bianco, treno inatteso – il fiore è calpestato una donna si getta dalla finestra ed è decapitata – Film di 6 ore. Film lirico. La regia può trarre qualcosa dai lavori teatrali di Labiche. La complessità delle situazioni diviene da sé una magia. Gaston Baty e il Chapeau de paille d’Italie46. Importanza dell’ʩʰʰʤ47. Tutta la scena in cui Samuele non può comprendere che Dio gli parla e in cui va da Eli: “Mi hai chiamato?” Ebbrezza non è solo effetto del vino. C’è lo stadio del distacco, dell’uscita dalla vita che si può conoscere in ogni specie di eccitazione. Al Kommando la domenica sera. La facilità di tutto perché si è distaccati da tutto.

I

Forse bisogna leggere “cameraman”.

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“IVi interrompo?  – No. Ossia si interrompe sempre. L’arguzia di Anatole France. Si attende sempre una saggezza dietro l’arguzia. In A. F. la si cerca – invano. Un’arguzia fine a se stessa. Cosa è serio per l’abate Coignard48? Il mangiare, il bere, le ragazze, i libri. Paesaggio invernale – più astratto. Bianco – nero. Disegno piuttosto che pittura. Forse più toccante per questa ragione. Semplificato, se ne vedono i grandi tratti. Disegno. Soprattutto la base degli alberi, dritti e neri con un tratto bianco di neve – e su uno sfondo di neve. Il mare e la terra II sembra che la terra è appaia come un immenso scintillio. La distensiva indolenza della barca. È il mare o al contrario il distacco dalla terra? Il carattere insulare dell’esistenza. Il paradiso è una barca o un’isola. Il momento paradisiaco è nella barca di Caronte. L’uomo è colui che non lotta per la vita. Si tratta come minimo del cristianesimo nell’interpretazione di Tolstoj. La nozione di lavoro che sostituisce quella di lotta. “L’idea di lotta o lavoro”. Gli animali non lavorano. Nella visione in bianco e nero – l’essere il nero. L’assenza di luce – essere. 1943 1 gennaio – Danza popolare – Qlcs. di vuoto e fesso. Povero W.III così gracile, con la sua cuffia bretone. Frenesia – Abbraccio – comunione – Gioia. Mancano le virgolette di chiusura. Parola cancellata o semplice macchia? III “W.” sta forse per Weill, personaggio di Eros (?). La prudenza si spiega con il fatto che nel Quaderno 3, p. 10, si tratta di un certo “Wiech” in una situazione I

II



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Filosofia – reale in quanto lavoro. Il ruolo del lavoro nell’economia dell’essere. Lavoro piuttosto che profezia. Il voto è criticato da un punto di vista a cui la politica appare come competenza, arte o scienza. Ma la politica è questo? Né scienza, né volontà generale. Ma espressione di un sapere mistico. “La voce del popolo è la voce di Dio.” Allora l’essenziale dello scrutinio non risiede nei suoi momenti trasparenti ma in quelli imponderabili. Il numero = mistero statistico. Tutte le “assenze” nella decisione individuale. Davvero operazione mistica. Come l’animale che fuggendo proprio sulla neve immacolata lascia le tracce che permetteranno di ritrovarlo. Il cammino su una strada in cui non c’è nessuna traccia umana, ma solo la traccia della selvaggina. Questo modo di contare gli uomini senza vederli. La gioia nel ricevere una lettera . Contributo per lo studio di Robert Dreyfus49.  – in piena prigionia come un morso quando mi si parla di N. Y. e della vita spensierata che vi si conduce. Penso a E., ai suoi peccati – Impazienza, paura di fallire. Pensiero cocente di S. F. – occasione mancata proprio durante il primo giorno della prigionia quando tante altre preoccupazioni più penose mi assalivano. Nella camera con il piccolo abbaino gli uomini come nuvole che nascondono il sole. in cui potrebbe trovarsi benissimo il personaggio di Eros (?). Non si può dunque escludere che il personaggio sia chiamato in un primo momento “Wiech” (sulle esitazioni di Levinas riguardo ai nomi dei personaggi del romanzo, cfr. la prefazione del volume).

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La notte in cui ho il ritorno di E. in nome della “morale”. < > Il carattere sintetico del numero appare quando si passa dal sistema decimale al sistema un-imale. Il sistema uni-male non esiste. Non c’è numero in quanto non c’è sistema “imale”. Il numero sempre riflessione per lo meno sul “due”. Innocenza  – non può essere descritta psicologicamente. Ci sono farisei che si sentono nel loro diritto – che non hanno nulla da rimproverarsi – davvero sinceramente. Sono d’accordo con loro stessi. La loro colpevolezza è oggettiva. Da cui il contrario dell’innocenza infantile. Non nel senso freudiano. È pos-sibile che psicologicamente il bambino sia innocente. Ma l’innocenza non si definisce psicologicamente. Peccato originale – solo in questo senso. Le differenti classi stI astratte le une dalle altre. Un calzolaio. Un professore. Impenetrabilità degli ambienti. [Una storia – la conoscenza] ɡɧɚɤɨɦɢɬɶɫɹ50]II. Scrivere in modo che tali astrazioni vengano superate. Ogni ambiente ha la sua gerarchia – le sue modifiche, nomine, carriere – in cui le altre si riflettono come astrazioni. Le qualità delle cose sono relazioni. Odori, gusti sicuramente – Forse colori. Ciò che caratterizza la cosa – è la continuità. Il punto di vista filosofico appare con la discontinuità e il tempo. {Discrezione e segreto.} Navon51 che mi parla di Parigi e del suo tran-tran quotidiano come di una città inventata. La realtà era per lui la piccola città turca da cui veniva era giunto 60 anni fa. Il lettore non prevenuto della Bibbia vede la realtà nelle parole e negli atti dei profeti. Gli è pressoché incomprensibile che la vera

I II

“st” in sovrascrittura di “sociali”. Manca la parentesi di apertura.



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realtà storica consista negli atti dei re che appaiono come sospesi al di sopra di un abisso per i loro peccati. L’uomo dei topi bianchi che si ferma in una locanda. alla partenza moltiplicazione dei topi nella locanda. Topi bianchi con gli occhi rossi. Molto feroci. Per la loro eliminazione intervento di uno specialista. Gs.I come categoria52: in cui la salvezza individuale diviene collettiva – non ha che una forma collettiva. L’“io” nel “noi”. Il senso dell’incubo. Realtà immobile – assolutamente estranea. Notte in pieno giorno. La purezza – bisogno di purezza. Un’innocenza . < > “Bisogna ritornare” – il campanile – Dante – la realtà. che fa una deviazione per non tornare a Verona solo perché ci è andato – ora 20 anni – La pensione – l’esistenza serena della vecchiaia vicino al campanile che ci ha visto nascere. La Palestina per noi – ritornare. La prima conoscenza – il pudore – conoscenza della nudità. “Non ha potuto reprimere un risolino di gioia” quando gli è stato annunciato . Ich spiele klassische Musik und . 53. < > Fede – al di là della speranza. Martirio. Fedeltà. Luce senza calore. Luminosità senza essere. E già come una carezza. Primavera. I

“Gs.” sicuramente per “Giudaismo”.

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Mostrare la barbarie del medico. L’intimo, il misterioso – diviene territorio della tecnica, portato in superficie. In maniera tale che quanto nell’uomo è virginale viene alla fine proclamato illusoria parvenza, scena, teatro. Gli operai che modellano il cielo, il giardino, l’albero come fossero cartoni – cielo, sole, albero che appaiono agli spettatori in una favola. Tutto diviene menzogna. Dostoevskji e la ricerca della nudità. I Coribanti – sacerdoti di Cibele, quando dormivano con gli occhi aperti, quando guardavano Giove per paura che venisse inghiottito da Saturno. In Rabelais il verbo corybantier54. La storia della Sig.ra Raskolnikoff: “Lui non sapeva se Raskolnikoff lo aveva riconosciuto. Non lo ha mai saputo.” Il figlio ha sacrificato il suo sogno. Ha scelto ciò ch la . E la madre che amava il sogno del figlio gli ha l’immagine di colei che egli ha sacrificato. La madre ha amato il sogno del figlio. Mme S. Frugole 10, avenue des Vignes Neuilly-Plaisance (S.-et-O.)55 Marcel Portalès 2, rue Doria oppure 17, rue du Palais a Montpellier sua sorella Mme Imbert 39, rue de Lille Paris 7e < >



4, rue Arsène-Houssaye Paris Ope 69-44, Jas 40-50 Marcel 21, rue de Tournon Dan 29-28 Tarr Jas 27-45 Rondeau Le Vésinet 2-97 Ripp Tro - Mon S. P. 17815 P. M. David 2, place Louis-Pasteur Toulon R. Bagot 4, rue d’Autrain {Lebastard} (Rennes) Sidersky 44, rue Pastorelli Nice (Alpes-Maritimes) Bruneau 30, avenue du Châlet Neuilly-Plaisance (Seine-et-Oise) Tel.: 45 Rosny s/Bois Seine Alekhine 11 bis, rue Schoelcher Paris 14e

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Dan 63-34 < > Mademoiselle Marguerite Laurent 15, bd Blaize-de-Maisonneuve St-Malo Madame Henry Jan 10, avenue Barthou Rennes Louis 3, rue Beau-Manoir Rennes (I-et-VI) Mme Vallé 75, bd de la Tour d’Auvergne Rennes (I et V) < > C.A.T. 134, rue de Grenelle Paris Dr. G. Fourès 4, rue de la Têt Perpignan (Pyrénées-Orientales) Max Dorat Bain-de-Bretagne (I-et-V) 5423 Fort Hamilton Parkway

I

“I e V” per Ille-et-Vilaine



Fernand Lamouroux 19, avenue du Pont-Juvénal Montpellier Hérault Mme Sirjacq 24, rue des Fossés Rennes Croix-Rouge de Rennes 3, rue St-Hélier Tel: 54-78 Frédéric Haas 6, rue de Paris Rennes M. Gustin 7, rue des Moulins Paris M. Vandal Presso M. Lhomault Place de l’Église Reuilly (Indre) Pilotin Félix 63, bd Kellermann Paris 13e Duglué Campel (I-et-V) Tieu Duong Coiffeur

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Dynamite St-Martin-de-Crau (Bouches-du-Rhône) Serge God presso Madame Lemarchand Clinique St-Vincent Rue Jean-Macé Rennes (I-et-V) Kaabouche Ali Commune mixte Fedjm Zaala Douar Roussia Dept de Constantine Wallet – 12, rue des Tribunaux St-Omer (Pas-de-Calais) Mme Dupré a Laval 25, rue Jules-Ferry da parte di M. Dr Gilbert Fourès Hôtel Continental 1, rue d’Orléans Rennes Dr Charles Caserne de Pontanézen Par Lambézellec Vicino Brest Finistère Tambuté 11 bis, rue Lauriston

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Paris

78, rue Laugier Paris 17e < > Deprès Élenor 60, rue Anne-Delavaux Lomme-lez-Lille Nord Devez Rue du Marais-de-l’Épaix Valenciennes Mme Gruel 20, rue de Nantes Rennes Jean Darnis-Gravelle 2, rue Corvette Paris 8e oppure Villa Sous la Ruaz

(Hte-Savoie) Michel Pilotin 86, rue Olivier-de-Serres Paris 15e Dr Henry Levy 238, rue de Lyon Alger Jean Constant Delanoy 5, rue Lamartine

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Amiens Georges Vion 35, passage Bellivet Caen (Calvados) Faucher 74, rue Vasco-de-Gama Paris 15e Tambuté Presso Mme Calvet 80, rue de Chézy Neuilly s/Seine Jean Asselin Suresnes (Seine) 27, rue Danton Maurice Perru 97, rue Meurin Lille (Nord) Robert Levy Léon Grand Léon

Goldfeder Reznik Elie Barouh

I I È difficile stabilire se, in questo frammento, le parole sono cancellate o sottolineate. D’altra parte, i primi tre nomi che compaiono su questa pagina sono



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Docteur Gilbert Fourès Collioure (Pyrénées-Orientales) Avenue de la Gare Max Dorat Bain-de-Bretagne Rennes (I-et-V)I

barrati con un tratto a zig-zag e l’insieme della pagina lo è con una croce di sant’Andrea. I Quest’ultimo indirizzo è scritto nel senso della larghezza della pagina.

I

Il possesso di sé è legato al possesso delle cose e delle persone. Libertà verso la propria esistenza, la perdita di tutto e tutti. di GiobbeII? Piano di romanzo: Il mondo irreale  – Una stazione  – La grande città attraversata  – Una ragazza molto giovane con una ruga pronunciata – anche lei perduta – gioca con il vostro cappello come una volta durante un incendio giocava con la cintura – Un’altra città sempre attraversata di notte  – Parigi dorme in una stanza di istitutore – Il vecchio direttore crede reale solo una piccola città turca della sua infanzia1  – Bisogna provare a vivere  – i vagabondaggi lungo Parigi come in un sogno – la  – il nome della ragazza che sfugge dalle labbra quando si accarezza Quaderno a righe 10,5×14,5 cm, da cui sono stati strappati alcuni fogli e la copertina. L’insieme è scritto a matita, su cui talvolta Levinas è ripassato con una stilografica ad inchiostro nero. Si nota tuttavia una cancellatura fatta con penna a sfera rossa e una parola scritta a matita su cui Levinas è ripassato con la stessa penna a sfera rossa. Il quaderno si trovava negli archivi in due parti, poste una di seguito all’altra, la prima comprendente le pagine da 1 a 4 e da 21 a 24 dell’insieme attuale, mentre la seconda comprendeva le pagine da 5 a 20. Dal punto di vista materiale, le due parti appartengono chiaramente allo stesso quaderno; sul piano sintattico e semantico, le pagine 4 e 5 si susseguono; sembrerebbe che lo stesso accada anche per le pagine 20 e 21, ma non è possibile affermarlo categoricamente, poiché l’ultima parola di pagina 20 si decifra con difficoltà. II Questo frammento, scritto a matita, è barrato con più tratti obliqui di penna a sfera rossa. I

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sua  – il coraggio e la viltà di vivere – i terribili istanti “e dopo?” – impossibilità di morire – le gioie della vita e la schiavitù. – La ragazza ritorna – l’attesa gelosa – la carezza sui capelli – oh! la sola la quasi casta – quando dorme o finge di dormire – la libertà del settembre 1938 – La guerra – Tutto si perde – L’amore perverso della vita – più forte della morte – la voluttà della passività – Dio – Sogno della propria figlia sotto i tratti della ragazza  – la madre che vuole conoscere l’immagine della ragazza quando tuttavia vi si è rinunciato. La coscienza ben distinta della conoscenza sarebbe il fenomeno del compimento. L’essenziale della coscienza non sarebbe la riflessione dove c’è luce, ma il ritorno pre-riflessivo. ɍ ɩɨɩɚ ɛɶȱɥɚ ɫɨɛɚɤɚ2  – l’infinito condizionato dalla riflessione sull’atto che si dà esso stessoI come un atto. Questo non segue solo l’atto passo dopo passo ma si volge verso l’infinito ad ogni passo secondo un nuovo grado. Il vuoto di questa ripetizione – questa non aggiunge niente. Formula A + a (A) + a [A + a (A)] + a{A + a (A) + a [A + a (A)]}II + ecc. Le aviatrici. Una ragazza. Si pettina. Il carattere quasi osceno di tale atto3. Romanzo. Il ragazzo che ha la risata della ragazza di altri tempi. Aveva una risata a metà senza cattiveria. Raggiungeva come il fondo del suo essere, strapiombava su di lui. Un riso in cui era felice, leggero, senza sarcasmo, senza ironia, che cominciava come nello stupore, gli occhi un poco dilatati – che, allegria, non era pura ingenuità ma quello di un essere risvegliato al piacere.

I Il pronome sembra rimandare alla “riflessione sull’atto”. Conviene dunque, sembra, leggere “essa stessa” e non “esso stesso”, e leggere “questa” e non “questo” all’inizio della frase seguente. II Qui le parentesi graffe sono di Levinas.



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La civiltà – le piccole cose che restano inespresse e che sono comprese da quanti gli appartengono come parole familiari. Le persone comprendono le altre parole – le parole universali – e credono di aver compreso la civiltà. Niente affatto. Ma civiltà – veramente universale. Sonno  – esistenza senza presente. Non solo senza coscienza del presente, perché la coscienza del presente non è come si immagina una semplice registrazione, ma appunto un’articolazione del presente; un costituente presente non è assunto. L’assunzione del presente a partire dal regresso della stanchezza fa il presente. La coscienza non è più registrazione, apprensione, ma il tempo stesso. Il presente è articolato. Non si può nemmeno dire che tutto è conosciuto dall’interno. L’uomo invidioso, l’uomo cattivo – non può essere conosciuto nella sua cattiveria che dall’esterno. Perfino l’uomo da nulla. Gli uomini sono in gran parte quello che sono per l’esterno. Eros diviene amore nella sofferenza attraverso la sofferenza (dell’altro). Sofferenza morale – molto bello, comodo. C’è dignità ecc. Ma fisica è la vera sofferenza – senza frottole. Questo risuonerà per sempre nella mia vita: la disperazione della nonna separata da Simone, da R.I completamente sola. Niente potrà cancellare tutto questo. Ormai come una scheggia nella mia carne4. In Tolstoj l’essenziale non è la verità sulla natura umana ma l’emozione di chi scopre bruscamente tutta l’inautenticità della vita, la menzogna, la condiscendenza. Il sentire, l’animalità in ogni cosa.

I

“R.” sta per “Raïssa”, moglie di Levinas.

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Suicidio di Anna Karenina. Rivelazione della vita puramente istintiva e della sua impasse. L’uomo tolstojano – sempre onesto – di buona volontà. Azione in Tolstoj e nel romanzo russo in generale. Sempre come un mistero. Trasformazioni. Non ci sono come nel romanzo europeo i caratteri statici e costituiti prima degli avvenimenti. C’è come la passione di ogni essere. Il ritardo sul presente – la tensione stessa dello sforzo. Ci sono alcune situazioni, alcune immagini che si dispongono da sé secondo un ritmo poetico: per esempio: il riso j. che impedisce al grande J.5 di dormire; Giona che dorme durante la tempesta di cui è causa. La poesia è dunque come un ritmo. L’artificio del linguaggio, del colore, può creare tale ritmo. La poesia musica è il ritmo nella sua purezza. Poesia è le cose messe in musica. La filosofia di Rabelais secondo il Livre quart: tutte le civiltà – sono il risultato di Messire Gaster primo Maestro delle arti del mondo – Ma è una divinità triste6. Essa riposa non è niente. La sua divinità consiste nella materia fecale che si depone nel il suo vaso. Ma unica divinità che risolve i problemi. Questi infatti si pongono solo nella lentezza e nella monotonia e nella noia del tempo. È Messire Gaster che permette di “alzare il tempo”7. Romanzo: Ulisse – il suo ambiente – la sua famiglia piena di zie non sposate, di vecchie figlie che abitano con le loro madri – le visite – i lecca-lecca della domenica – il piccolo caffè dove a 7 anni andava con suo padre a prendere una granatina. Suo padre che lo chiama U. davanti alla lunga fila di vetturini che si mettono in moto. Horoshansky – la sua durezza – il suo passo (zoppica leggermente con un piede e ha il passo largo – tutto il corpo freme), considera



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la missione come qlcs. d’insignificante – la notte sul treno – bugigattolo – 30 000 DM venduti con i coupons. Dopo regolamento di conti – Mercanteggiamento – sempre senza denaro – Ultima riduzione. Romanzo. La casa con l’entrata di servizio e l’altra entrata – ɩɚɪɚɞɧɵɣɯɨɞɴ8 – chiusa con un paletto di legno – una grande anticamera fredda – non si sa mai se la porta è stata chiusa con il catenaccio – si vive tra la porta e nello spazio di servizio. Il resto è riservato – per chi? per quando? Il battente. – L’appartamento che segue il cortile – in cui il bambino non scende – Gli abitanti del cortile: fotografo – Il Sig. Sayète con il bastone e le sue due sorelle – l’intagliatore – le diverse scale di servizio visibili dal cortile – il passaggio che conduce fuor nella strada – la vita dei bambini nel cortile – il balcone sulla strada con i grandi castagni –. Il mio sogno là dentro – uomini che rientrano – lasciano uscire e proseguono. Uno di loro previene qualcuno nella scala – e tuttavia non succede niente – Egli < >I che se la porta dabbasso è chiusa romperò i piccoli vetri della porta d’entrata – ma nessun impedimento – c’era solo una grande , e gli uomini dicono tutto ciò per ricondurvi a voi stessi, ai vostri reali interessi. Altro elemento del sogno, esercizio disinteressato – l’uomII che fa gesti senza che siano utili, senza trarne profitto. Il cinema è un’arte propria: è l’arte dell’Aufmachung e del punto di vista9. La fotografia ne ha già possibilità. Il cinema è un’arte non perché si separa dalla fotografia, ma perché ne dipende. Come gli impressionisti hanno scoperto la luce, il cinema ha scoperto le variazioni di punto di vista.

I II

La parola non è più leggibile a causa del deterioramento della carta. Bisogna sicuramente leggere “l’uomo”.

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Romanzo. Emozione al ricordo della giovinezza  – anche le figure delle donne maggiormente dimenticate. Un sogno in cui sono lì – biondezze magnifiche – e in mezzo a loro un’adolescente con un abito severo da liceale – i tratti ancora insufficentemte formati, l’acconciatura schiacciata – ed è lei – quello che diventerà e che sonnecchia dentro – che ha la preferenza. Romanzo. Un’esistenza senza radicamento nella terra ma in cui la vita trascorre in mezzo a correnti calde o fredde, di emozioni. La figura tale vi riconduce nella regione tale, vi tuffa nella corrente tale. L’esistenza come installata in una regione in cui passano simili effluvi – gli esseri si avvicinano a voi prima di tutto con la loro nube di atmosfera, come una musica. Come un leitmotiv wagneriano. Il caso Wiech  – emozionato nel vedersi chiamare Signore, nel vedere lettere a lui indirizzate. numero è più di quanto non fosse precedentemente. Partecipa all’ineluttabilità del numero. e Fira. FiraI la buona, la dolce, l’adorata. Gli oggetti che le si donano e che si ritrovano nella spazzatura. Le sue parole che decidono l’emigrazione. Si parte senza averla salutata. Dopo passioni più intense – essere stati sull’orlo del suicidio – dopo una dolce donna e un bambino (questa donna – una parente, ebrea, talmente amica, che si scopre fin dalla stazione in cui precisamente si va senza decisione preventiva) – forse scomparseII tragicamente. Ma è Fira che si deve rivedere ancora. Ipocrisia della distinzione tra atto e intenzione. Solo con l’atto può esserci un presente, qualcosa può essere sagomato, provato. C’è un

“Fira” in sovrascrittura di “il”. Conviene leggere “scomparsi”, riferito alla donna e al bambino piuttosto che alle passioni. I

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sì o un no.  – una porta I arretramenti infiniti – un infinito come ogni pensiero – un niente. Anche la mia prova suprema, la mia suprema verifica – sono capace di morire per il g.II – diviene ormai impossibile, perché non vedo più con chiarezza per cosa sono pronto a morire, non saprei mai se è il momento di morire. I sette figli di Anna lo sapevano perfettamente10. In Spagna hanno inventato il marranesimo. Rosmersholm di Ibsen. Il pastore Rosmers cerca precisamente la prova, una certezza di qualcosa. Si tratta di più di un dramma sociale. Quanto fornisce la prova – è la morte, un atto che sospende il pensiero per sempre, vale a dire l’arretramento. Molto importante questa nozione di morte come fine del pensiero, fine del suo arretramento. La dialettica della notte – conoscenza oscura, conoscenza d’altri. La notte è contatto – relazione con essa. Ma nella sua forma: una riflessione che è attitudine diretta. Sofferenza = attaccamento alla sofferenza. C’è = notte dell’essere ecc. “Non ho mai visto l’anima. Dov’è?”, dice l’anatomoIII. – È negli occhi. Guardare qualcuno negli occhi è vedere l’anima. Non come una cosa. Ma guardare negli occhi è guardare guardarsi, più ancora è: io guardo guardare me guardando guardarmi… Iterazione all’infinito realizzata nell’istante. È l’anima. Riflessione, ma attraverso alternanza e altri. Per questo primato della visione. Per l’udito, per il toccare niente di simile. L’anima è negli occhi.

Questa parola, illeggibile perché quasi del tutto cancellata, non permette né di vedere in che modo il seguito del testo, che comincia nel verso del foglio, si inserisca nella frase, né di essere certi che si tratti del seguito di questa frase. II “g.” senza dubbio per “giudaismo”. III Leggere, sicuramente, “l’anatomista”. I

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{Romanzo}. La moglie gelosa che ritrova suo marito dopo la tormenta certa che egli possa confessare un’infedeltà. L’amore per lei diviene per un istante un semplice bisogno. Era gelosa? La scena a Rennes – disfatta –, la ragazza a cui si riservano in un angolo pensieri tristi, ma a cui si prende la mano11. Il capitano che per difendere il Q. G. si fa bello. L’istante in cui è in mutande. Tambuté che è stato volontario, perché alla fine non ho quasi potuto fare altrimenti. I rifugiati che partono con le carrette più assurde  – incapace di partire solo, di restare solo. Come la chiocciola che porta la sua conchiglia. Quando si compra il pane place de la Bastille – si è bardati come re – privati di dessert. L’ecco qua del presente. Il caporal maggiore mezzo pazzo che vuole sparare con una mitraglietta sugli aerei. Bernouville12. E poi bisogna rientrare: la vita non è uno svago turistico. Le città che somigliano a circhi che partono. Genuflessione davanti all’essere – Clemencet13 – Il “Chi sa”. Il “È questo” – l’istante. Il rilassamento nel momento della disfatta. “La mia piccola felicità personale.” “INoi cerchiamo nella nostra felicità personale una compensazione alle disgrazie della patria14. L’impressione al cinema nel 1938 prima e dopo Monaco. Un film militare il colonnello ridicolizzato. La nazione come accesso al reale. Mondo di Heidegger. I

Virgolette non chiuse.



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Il piede umano – la sua apparenza umile, povero animale. Sono le due “zampe” che nell’uomo hanno ancora la funzione dell’animale. Il contrario le mani. Se la posizione è il cominciamento e se l’abisso ne rivela il senso – l’approfondimento è il metodo filosofico. Il querce l’erba personaggi Il cielo come una conchiglia  – nel suo silenzio mormorato nasce il rumore dell’aereo  – nasce e muore in tale silenzio mormorato. Come una prurigine prima appena percepibile, prima la percezione stessa della paura. Non resta più niente della F.I, salvo un’amministrazione che ne assicura la continuità. Discorso di Laval del mese di luglio 194315. Niente, più nessun territorio libero, nessun esercito, nessun impero, nessuna flotta. Ma uffici polverosi  – capi ufficio, uscieri {senza una gamba} – ragnatele. realtà grammaticale e filosofica  – diviene bruscamente realtà tout court. Alcune querce lottavano con le erbe e il cardo per il sole. “Che hai tu più di noi perché ti si ceda il posto?” Crebbero in fretta e fittamente e superarono la quercia. Poi giunse l’autunno e tutte le erbe divennero , e le querce rimasero sole nella pianura. La falsa scienza dell’anti – Come una specie di esegesi mostruosa – mancanza di fiducia nell’esegesi stessa. Dei post hoc, delle simultaneità che divengono ragioni. Grandi hoc – citazioni ecc. Metodo grossolano, ma metodo suscettibile di sviluppo.

I

Leggere, indubbiamente, “Francia”.

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25 luglio – l’approvvigionamento – il russo – la fine di una messinscena. Il bene ridiviene il bene, il male – il male. {Triste opulenza: personaggi} Rondeau Claude – Capitano Lepic – Caporal maggiore Bernouville (nero – selvaggio – esperto) – Fourès – Landau che il mattino del 10 maggio acquisisce finalmente il diritto di mangiare alla mensa dei marinai16 – L’uomo che teme che sua moglie non invecchi – Il notaio Roger – Raymond Pontlevoy17. Valette con nuove il giorno della sua partenza I Germania. Govin   – malato lo stesso giorno della partenza . < > Tramel18 – il grande, il forte – e il suo pudding della domenica. “Es wird besser gekocht.” L’uomo che si imbarazza a dire “mia moglie, mia madre ecc.” Forse per questo {le} si chiama “Signora Chicchessia”. Vor porta un berretto del genere – i costumi – alla fine è diventato abituale.  – Il prestigio precedente la guerra”II  – la stessa cosa per il nuovo ordine, le sue distinzioni, gli onori, le funzioni, le situazioni. Ah essere stato professore sotto lo zar – ah essere stato funzionario sotto lo zar – Ecco che all’improvviso il nuovo ordine diviene anteguerra prestigioso, adduce i suoi punti fissi per il riferimento – Vor porta un berretto del genere”III. Il sogno di un viaggio in roulotte – la casa che si muove – il carbonaio e il suo trasloco. I La parola è illeggibile, ma forse bisogna leggere “in”, o per lo meno è in questo senso che la scena sarà nuovamente evocata in Eros (?). II Le virgolette di apertura mancano oppure non sono più leggibili. III Le virgolette di apertura mancano oppure non sono più leggibili.



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< > La malvagità – due squadre sciano. WI è maltrattato – È contrariato – ma domani la sua stizza passerà. – Dirgli cattiverie da oggi. Domani sarà troppo tardi19. Simone – catechismo – gravità del problema – senza esagerazione – per una volta un problema non materiale è serio. Solitamente una figlia preoccupa per la salute, per il comportamento, per il matrimonio. Qui, all’improvviso, è in questione la sua salvezza 20. Volti come mappe belliche. Tramel – le sue pieghe ecc. Carburante – L’uomo macchina – Il lavoro appare nella sua materialità. In altri tempi si mangiava per la salute, per il Ma mangiare vivere. Si come riallacciato alla , come un essere biologico. Ma mangiare per lavorare – è veramente macchina. Marito di una donna laida – La sua gelosia come vita nuova e appassionante. L’uomo che cerca la benevolenza a tutti i costi. Offre pacchetti di sigarette – affinché gli si sorrida e lo si ringrazi. Fa anche follie. Per noi gli eventi sono veramente la base – della vita. È la nostra vita interiore. La Dama di picche e l’equivoco del diabolico. Raffronto con le promesse delle tre streghe di Macbeth. Conoscenza – posizione – coscienza. Nirvana – profondità abissali – tempo. Ciò che resta dopo la conoscenza che sia – il nulla. I

“W.” forse per Weill, personaggio di Eros (?).

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La dialettica  – trasformazione nel contrario come verità stessa dell’umano. Il timido che è orgoglioso allo stesso tempo e non perché è orgoglioso – Il modesto che è vanit pretenzioso ecc. Dialettica dei regimi politici dalla rivoluzione. La nozione stessa di regime. La regalità non soltanto potere assoluto – ma potere in quanto assoluto sottratto alla dialettica. Il ragazzo scorge una donna che si contempla allo specchio completamente nuda. Tiene in sé tutta la voluttà per se stessa. È completa per sé. È mistero per sé. Inesauribile a se medesima. Si parla ai bambini con un certo tono, a un piccolo soldato con un certo tono. Talvolta si abbandona questo modo di parlare con un certo tono. Si parla da uomo a uomo. In ogni caso il solo modo dignitoso di parlare. {Alcuni non ne sono capaci nemmeno di fronte alla morte. Il buffone parigino.} {Il tono di cui con cui si parla a una donna ecc. Ma qlcs. di profondo in tale bisogno: canto, poesia – stile –}I. Trionfare nello scacco che è l’essenza del cristianesimo si avvicina al sociale in cui attraverso l’amore si soffre della sofferenza d’altri – e si può provare gioia dalla gioia d’altri – attraverso {e nonostante} le proprie gioie o sofferenze. Tutto questo è da riesaminare. Triste opulenza – la sera a Alençon – la gerarchia crolla – le tinture cadono – le maschere scolorano i costumi cadono21.

I Questa aggiunta si trova di fatto nella pagina opposta. È collegata con una freccia all’aggiunta precedente.



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I Sales David – etichette22 – cartoline – lettere (cartoline per Ada) sostituente indirizzi – indirizzo di Gourmelin Sales: l’etichetta da riempire – cartoline Kaufmann Jacob – Stuck Courtois – baracca 16 – Soldi: uomo di fiducia Petillot Lamette – pettine – blocco

Tabacco 80 20

Athée-sur-Cher

I L’insieme del testo di questa pagina, eccettuate le ultime due parole e il numero “80”, è scritto a rovescio rispetto alle altre pagine del quaderno ed è barrato con una croce di sant’Andrea.

I

Tramel verso la brughiera   – voce commossa, piagnucolosa – L’autista che coglie fiori dalla brughiera per sua moglie e che nello sforzo di appendere il bouquet alla macchina guida con una sola mano. Il bouquet che cade più volte. Il rimorchio del trattore che con dietro i prigionieriII1. W.III non può “rientrare nel suo guscio”. Perché quando rientra nel suo guscio deve uscirne immediatamente per vedere se tutti hanno visto che è rientrato nel suo guscio2. Il nulla dell’assimilato. W.IV che parla come se cantasse un’opera. La più piccola frase è affettata. “Grazie”, “Buongiorno”, “Datemi una tazza di tè”. Tutto per la timidezza. Necessità di apparire sempre rivestito di una maschera, di un personaggio, sentendosi nudo senza tutto ciò3. Strana reazione davanti alla verità che può essere choccante. Il libro di Romain Rolland su Gandhi4. Il capitolo sulle sevizie degli Inglesi Quaderno a righe di formato 8×13 cm. L’insieme è scritto a matita. Alcune parole o successioni di parole sono talvolta ripassati sia con stilografica ad inchiostro nero, sia con penna a sfera ad inchiostro nero. II L’insieme del frammento è barrato con una croce di sant’Andrea. III “W.” forse per Weill, personaggio di Eros (?). IV Cfr. la nota precedente. I

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India. La verità di tale choc. provare tutto ciò davanti alle di un gran numero di giusti infelici. Tutti i drappi cadono. Il mondo che appare nei suoi contorni  – Il mondo comporta sempre dell’“ufficialità” – i drappi dell’“ufficialità” – è questo la patria. La caduta dei drappi – la disfatta. Descrivere nella scena di Alençon il ritmo di questa caduta. Non c’era più ufficialità. Niente era più ufficiale. Vive l’avvenire come un passato, il presente come un ricordo. Da sviluppare: questo ritmo del tempo. Il Dofuhr Rattenfänger5 aveva come prima vocazione – il sacerdozio. Nozione “militare” del dovere in cui il ruolo della coscienza non è quello presente nella morale. Esso consiste nell’obbedienza ai superiori. Il “dovere” è visibile. Non è quanto Hegel cerca nello Stato? La verità profonda della dialettica. Il superiore è dialetticamente nell’inferiore. Quando insisto sulla verità dell’elementare nella mia analisi dell’eros non è certo per materialismo, ma non è nemmeno per una specie di anti-intelletua-lismo, per un’opposizione delle forze “vitali” e del loro dinamismo al vuoto dello spirito. Quanto conservo è un ritmo particolare dell’elementare che deve essere conservato nel “superiore” quando questo ne viene dedotto dialetticamente. L’uscita a Ostenholz per i pacchi – le donne {“corpi in vacanza”} – i bambini che mangiano mele, ragazzini e ragazzine. – I ragazzi sono degli uomini, le ragazzine non ancora delle donne  – tutti sono i gesti sgarbati della ragazzina che mangia le mele  – nessuna dolcezza, nessuna femminilità – Il ragazzo che dice “ich schnitze” – ed anche la ragazza. Getta villanamente la mela finita. In seguito all’improvviso – un giorno lascerà questa comunità infantile – si scoprirà un mistero – sarà sot-



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tratta a tutto e comincerà a planare come un essere leggendario – ripiegato su di sé ecc.6 Il mio sguardo non si innalza che al livello in cui può incontrare un essere umano. Non vedo ciò che è ai miei piedi. Malvagità – limite della conoscenza interiore. Non la si conosce interiormente nel suo male. Conoscenza interiore d’altri = simpatia. La malvagità non si rivela alla simpatia. È data come l’esteriore. Il doppio – non l’uomo malvagio che accompagna l’uomo buono – ma il tragico stesso della dualità di essere incatenato ad un altro – raddoppiamento all’infinito – essere due. L’io è due. Ivan Karamazov e il diavolo7. Questa dualità è il diabolico. Il tema del tradimento e della personalità. Libertà. W.I e la frenesia di piacere. Due che non sono niente e ai quali si dichiara ogni cosa intima unicamente perché sono altri, per i quali si elabora ecc. Dualità del tempo e dualità dello spazio. Quella dell’amore, quella del bisogno. Plotino dice: Il saggio prova tuttavia i sentimenti di amicizia e riconoscenza; li prova per sé; concede a sé tutto ciò che deve a sé; testimonia in questo modo l’amicizia ai suoi amici, ma un’amicizia accompagnata, nel suo culmine, da chiaroveggenza intellettuale. Enneadi I, 48. Possibilità di un amore o di un’amicizia senza la dualità che per me è l’essenziale. La dualità e il mistero d’altri – è il fondo stesso dell’amore. La sessualità. Concezione che permette di superare il problema “egoismo – altruismo”. Poiché l’ego non si definisce al

I

“W.” forse per Weill, personaggio di Eros (?).

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di fuori dell’amore in me. Sessualità costitutiva dell’egoità. Rottura con la concezione antica dell’amore. Per prendere in giro, per imitare – occorre molta grazia. Senza grazia – tutto ciò non è che smorfia. Il vecchio personaggio è grossolano dietro la smorfia. In fondo nella presa in giro bonaria il vecchio personaggio scompare? È proprio in questo modo che si conserva interamente {e liberamente} sotto la maschera. Pensiero – tutto è possibile – ritrosia, niente presenza v. a d. nessun arresto. Defilarsi. Collegare la nozione di amore caritatevole alla nozione di trionfo conforme-mente al capitolo 53 di Isaia9  – Gradazione Eros – carità. Falso s/uI – Fanno partire gli altri. Roland Baudruche – [il sogno – un uomo si accascia – e poi niente, niente, niente]. Mi prende da parte. Che cos’è ? No. Paura? Piuttosto  – Per niente. Ha una camera vuota. È stupore – il momento. Stupore. E dopo quando gli si racconta delle proteste del indignato: “Fantastico”. Tutta la scena presso l’emi-nenza grigia. Socialismo falso, perché asprezza, calcolo. Opposizione di scrupolo e azione. Opposizione radicale. Socialismo senza giudaismo. La storia della vincita a carte per le etichette10. Leder – magro, malaticcio – educato – ragazzo tuttofare in una profumeria – cantante – sua sorella ha sposato uno Spagnolo – in durante la guerra di Spagna  – in Spagna durante la guerra  – la gli annuncia una sorpresa al suo ritorno. Pensa a questa sorpresa. Si è imposto una vita senza fatica – mediocre {a di una hall di banca}.

I

“s/u” sicuramente per “sotto-ufficiale”.



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Il verde nel paesaggio – il verde d’acquarello d’infanzia. Si passa davanti ad una casa forse abbandonata – un grembiule da donna appeso alle sedie abbandonate – emozione – come per l’aviatrice che si pettina11. Il sole d’inverno – come il baciare di un morto. Durante gli allarmi a Parigi nel 39/40 – la paura delle due zitelle che non hanno niente da perdere. “Oh Signore, abbiamo così tanta paura” – La paura delle che secondo il regolamento non devono svestirsi12. Il vero problema socialista è un problema di proprietà. Non soltanto il problema del capitale che permette di asservire, ma un problema di relazioni con le cose – il fenomeno del possesso. Possedere nel mondo che non è socialista – è essere asserviti a ciò che si possiede. Da qui il fenomeno della lotta. Non è ancora il lavoro soltanto che decide. Nel mondo socialista possedere per mezzo del lavoro – senza lotta – da cui possesso senza essere posseduti – affrancamento rispetto alle cose. Le cose divengono come l’aria – presenti – l’essere diviene un presente. Il mondo messianico è ancora al di là del mondo socialista. Il lavoro e il suo presente superati. Quando Jules parla della minaccia che pesa sulla civiltà – è proprio alla proprietà che sta pensando. Il suo socialismo è inoffensivo perché accetta la proprietà. Con l’antica proprietà il mondo borghese rimane intatto. E tuttavia è la nozione cristiana e g.I che è civiltà. “Ognuno sotto la sua vite e il suo fico”13 – si tratta solo della pace e niente affatto dei beni materiali e della proprietà. Il proprio fico: giustificazione della proprietà in quanto intimità. L’espressione del pensiero  – è sempre altra cosa dal contenuto oggettivo del pensiero. Già attraverso il semplice fatto dell’espressione  – parole  – interviene tutto l’essere che articola e I

“g.” sicuramente per “giudaica”.

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tutto il “gioco” che comporta l’articolazione  – il “pittoresco” del linguaggio. È nel linguaggio – in questa “materia” del pensiero che opera l’arte. L’ultima forma di questo gioco della materia del linguaggio è il poema con il ritmo e la rima. La rima e il suo artificio non sono né l’ostacolo, né la guida del pensiero. È la condizione stessa dell’arte. Il poema è una collaborazione dell’intelligenza e dell’arte che taglia nel linguaggio, che gioca con il linguaggio come materia, producendo i suoi effetti propri. Il bisogno di trionfo – e “tutti i popoli riconosceranno14”, si ritrova nel C.I – che non potrebbe essere completo senza ciò. È costitutivo del CII. In questo si sente il fine della storia. Ogni verità è tale – ma il liberalismo ci ha abituati ad altro. In questo senso il liberalismo manca di universalità. Il terrore è costitutivo del trionfo. Il Cristo.III ha avuto solo un trionfo messianico – senza terrore. Gli spazi che si dispongono uno nell’altro. L’esposizione del 1937 ospitata a Parigi. Esperienza dei diversi strati dello spazio e delle relazioni di questi diversi strati. Approfondirla. Un uomo che sente tutte le Parigi che si sono avvicendate nello stesso spazio geometrico. Attraverso questi oggetti sussistono: frontiere di mondi diversi. Da Platone, amore viene dall’unione di Poros e di Penia. Nell’amore bisogno e povertà. In tali condizioni non si comprende la nozione di sesso. Rimane nozione fisiologica. In Platone nella sua teoria dell’amore, essa è d’altronde sussidiaria. Perché l’immagine del bello è attraente nella donna? Nella mia teoria dell’Eros è il sesso che diviene la nozione centrale. Uno dei caratteri dello stile moderno introdotto forse da Baudelaire – impiego di termini astratti, eruditi, per la descrizione di cose concrete. “C.” sicuramente per “Cristianesimo”. Cfr. la nota precedente. III Il punto dopo “Cristo” non è sicuro. I

II



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Ondine di Giraudoux15. È l’essere dell’istante che conosce esattamente la vera fedeltà – quella che non è schiavitù – non fedeltà come conseguenza del giuramento, ma fedeltà che nasce dall’ amore nell’istante. Il sindaco della piccola città alsaziana – rientrato dall’America con una ricchezza guadagnata nell’industria bellica – anti e.I – si fa una posizione acquistando non si sa cosa – non conosce la sua ricchezza – diventa sindaco per sfizio – dà le dimissioni, si fa rieleggere ecc. Capriccio: d’estate passeggia con cappello di paglia senza cupola – fa un albero di Natale per tutti i bambini – tutti ricevono lo stesso regalo: una trappola per topi – perché il contributo degli industriali agli sfollati del Midi è insufficiente – cerca un barbone e gli permette di iscriversi in cima alla lista. Teoria del bisogno La relazione con le cose – è si riferisce al bisogno. Non è il maneggiabile, ma l’utilizzabile. Perciò il L’utilizzabile – non è ciò che è necessario all’azione – (contro Bergson). Le cose sono necessarie per essere. Dunque bisogno categoria speciale della relazione con le cose. Ci sono dei bisogni: abitare, mangiare, bere, riscaldarsi, respirare ecc. (Elenco e classificazione nel mio quaderno.) Ma con questo il bisogno corrisponde alla relazione con l’esteriore. Voglio dire con queste parole che è una categoria speciale dell’esteriore. Quanto si chiama corrispondere con le cose è mangiare, bere, abitare, respirare, vedere ecc. La visione e la conoscenza stesse sono concepite da me come corrispondente coricate nel letto del bisogno che è la categoria prima dell’esteriore. Bisogno = appetizione. Ma cos’è che caratterizza l’esteriorità del bisogno? È il fatto che manca qualcosa al mio essere? La penuria di Platone? Un asservimento a ciò che non ho – che è il mio padrone? Concezione capitalista – ne deriva l’insieme della teoria della proprietà che è una lotta con tale asservimto – una rinuncia al presente – [e un’impossibilità di sormontare tale asservimento – mostrare in cosa susI

“e.” sicuramente per “ebreo”.

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siste.] – Alla penuria della concezione classica oppongo un godimento che è liberazione socialista. L’esteriorità è la felicità dell’intervallo e del vuoto: lo spazio. Le cose: quanto mi è dato. Ingombro di me stesso – ho un intervallo in cui “prendo” e in cui posso godere. Non è un avvenire – poiché il mondo mi è coevo, ma è un avvenire nel presente. (segue.) L’appetizione – è appetizione delle cose o del godimento. Appetizione delle cose – capitalismo. Per questo si può possedere senza godere. Teoria del bisogno (seguito). Rimane da conoscere la relazione tra lo spazio in quanto intervallo di appetizione e la “posizione” (segue). Voler picchiare qualcuno e poi impossibilità vedendo la creatura. Niente in comune con la paura. Il significato originale della mortificazione. Non è lottare con la propria carne. Se fosse lottare con la carne la struttura della lotta in cui l’io prende l’iniziativa resterebbe intatta. Qui, è l’io che è attaccato. E lo strumento di questo attacco è l’intelligenza e la volontà vale a dire ancora l’io: è la lotta dell’io con il sé. L’intervallo e la sua potenza di felicità spiegano la felicità di essere due. Nell’amore l’essenziale non è che c’è unione di due esseri, ma che ci sono due esseri. Proprietà legittima in quanto condizione del godimento particolare che nessuno deve turbare. La sola proprietà – è il a casa propria. Proprietà che asservisce in quanto possesso, in quanto preoccupazione del domani. ʺʧʺ16 . Teoria del bisogno (excursus). La struttura del bisogno  – compimento che è proprio della relazione con le cose – è il fenomeno primo dell’esteriorità e dello spazio. È l’intervallo. Detto altrimenti: la dualità intenzione-



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compimento è lo spazio e non l’esteriorità dell’intenzione stessa. L’intenzione è nel vuoto. L’intenzioneI dà la luce in cui l’esteriore è interiore. Il pensiero dell’esteriore è il movimento stesso del compimto – (segue). Sulla frontiera del sonno e della veglia. Sensazione di essere a uguale distanza dall’uno e dall’altra con la libertà di tuffarsi nel sonno o di uscire di nuovo verso la veglia. Libertà totale e felicità di tale libertà nei confronti del mondo. Vetta – visione – abbraccia un largo orizzonte – Profondità – fonte nutritiva – abisso. Mistero esistenziale – opposto alla luce della visione. Quanto c’è di essenziale in tutti i bisogni  – e anche nell’eros – è che dopo si riaprono gli occhi. François Goblot – Condoglianze – e dopo la gaffe, come va? Teoria del bisogno (seguito) Nel bisogno ci sono due aspetti da considerare: 1) in quanto appetizione, è un’esistenza con intervallo – e il primo passo verso la felicità; 2) in quanto male, ha la propria fonte nel troppopieno dell’essere. Questi due aspetti non procedono dalla stessa cosa? – Quanto distingue il bisogno dall’eros – è che il bisogno è un intervallo superato in cui la dualità scompare. Assimilazione del mondo esterno da parte del soggetto. Ogni bisogno soddisfatto è in primo luogo sazietà, il fatto di aver mangiato. Primato del mangiare (vedere il mio quaderno). È questo il significato del godimento del bisogno. Nell’eros è la dualità che è il godimento stesso. L’intervallo non è solo superato – è sempre da Un tratto – più che per sottolineare – attraversa le cinque parole che precedono e che occupano tutta una riga nel manoscritto. Senza dubbio non si tratta di una sottolineatura, né di una cancellazione, quanto di un tratto di separazione che segna la fine del frammento di cui Levinas avrebbe deciso, alla fine, di prolungare la scrittura. I

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superare. È la differenza stessa tra lo spazio e il tempo. Tutto lo spazio è dato nella posizione Il tempo è sempre a venire. L’avvenire è mistero v. a d. verginità. – In cosa l’intervallo del bisogno allevia il soggetto? (segue.) Teoria del bisogno (seguito) Il soggetto è ingombrato dalla sua esistenza. Questo vuol dire che egli non è, non agisce per aria {Ha delle regole} che ognuno dei modi di assumere il proprio essere non è “per aria”, nell’istante in cui ciò comincia, ma che egli suppone sempre nell’istante stesso un atto anteriore di “porre sé”, di depositare e conservare il suo “essere” come un avere, come dei “bagagli”. C’è sempre questa articolazione nell’istante del soggetto. Ma ingombrato in questo modo – egli ha bisogno: non soltanto deposita i suoi averi, ha delle appetizioni. Le cose gli appaiono come un esteriore. Può assorbire. Tutto ciò che è – è qui – e tuttavia egli è ancora libero rispetto a tutto. L’appetizione è un altro modo di dominio sull’essere – ecco la mia idea centrale. Dunque l’appetizione deve essere esaminata nella prospettiva stessa della soggettività. È lo stesso problema: come – in che senso – l’anonimato del c’è diviene possiede una struttura soggettiva – in quale senso può esserci cominciamento e e soggetto? La posizione {ne} è la prima forma. Il soggetto ingombrato si pone. Ma il soggetto possiede anche il dominio dell’essere mangiandolo. Ed è in quanto alimento che l’essere è ad intervallo ed è mondo – da cui possibilità di proprietà – di possesso. – 1) Nei termini io = sé, che significa questa relazione con l’alimento? 2) E che diviene in tutta questa teoria l’idea del bisogno in quanto intrattenimento dell’essere? Anzitutto la seconda domanda. Nell’appetizione in quanto appetito – l’idea sviluppata nel mio quaderno della forza attinta nel nutrimento – l’idea di mordere con e di rinvigorirsi col morso. Non è l’idea chimica di assimilazione – ma l’idea del dominio sull’essere – di soggettività. La prima domanda: l’io-sé – godimento. Il ritorno dell’io su sé nel godimento non è la riflessione né la noia, ma una riconciliazione dell’io con il sé – scoperta del sé attraverso l’io – l’io auto-sufficiente. Nella soddisfazione del bisogno, c’è dunque una pienezza dell’essere, non dovuta alle cose, ma che si



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rivela a motivo delle cose – Insistere sul senso dell’intervallo del bisogno – non è attesa che interviene successivamente con il tempo e l’eros – in questo senso eros domina i bisogni. Intervallo proprio del bisogno – è il disin-gombro. La proprietà legittima dell’a casa propria occulta dialetticamente la sua negazione – oggetti familiari – attaccamenti – legami – catene. Stabilire il rapporto tra l’incatenamento della proprietà in quanto possesso – e l’incatenamento dello sfruttamento. Forse attraverso l’elemento di lotta. Schiavitù {Hegel}. Il piacere che cambia in sofferenza  – la sofferenza che cambia in piacere – non è semplicemente unI effetto che si constata con l’esperienza. Nell’analisi del piacere questa rimane da scoprire. La nozione di sessualità da dedurre dalla “riflessione” sociale: il piacere dal piacere – il dolore dal dolore. Questa relazione del dolore dal dolore – è la relazione con l’altro sesso. La purezza della gioia del bambino del coro e poi il ragazzino cattivo e volgare – lagnoso, litigioso. La sola perfezione umana – bellezza. Come un ramo miracoloso su un tronco marcito. L’unico miracolo. {1944} Il sogno di levitare. I precipizi attraversati con uno sforzo di volontà. Non è il volo – ma un’onnipotenza nei riguardi dello spazio. La “contabilità” dell’espiazione. Intercambiabilità delle sofferenze. Categoria speciale che nel mio sistema si situa dopo la paternità – nella fraternità.

I

“un” in sovrascrittura di “l’”.

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L’inizio dell’introduzione Ogni senso è questione di luce. La filosofia: fare luce dell’oscurità senza cacciare oscurità e notte. L’oscura chiarità che cade dalle stelle. – Una filosofia che cerca tale senso – parte dunque da un fatto – non fa la genesi – non spiega – non costruisce ciò che è. Annuncia quanto va compiendosi. Vita interiore – capacità di chiedere perdono – sentimento di colpa + potere di confessare. Ogni franchezza – è in fondo una confessione – una richiesta di perdono. “IAmava la musica  – come un’arte decorativa. Non concepiva la musica al concerto in cui diveniva tema. Era noioso. Ma la musica come atmosfera, come tepore dell’aria. – come ritmo – la marcia militare proprio per questo è comprensibile. Il risveglio al mattino nel mese di giugno, la musica di un piano di  – la musica da dietro il muro ecc. Teoria del bisogno {(seguito)} Sintesi e raccordo con la teoria del c’è. Nella posizione il soggetto essendosi affermato è posseduto da sé mentre si possiede. Per {La sofferenza} È nella misura in cui non è tutto l’essere, in cui non è il solo evento dell’essere cheII il suo possesso è limitato. Che è limitato in quanto possedente e in quanto posseduto. Se il soggetto è una ricerca di dominio senza rovesciamento dialettico nei confronti del c’è – occorre anzitutto che il dominio sia limitato. L’io padrone di sé – non si assorbe nel sé. L’io è padrone di un sé che essendo sé non è sé. Come dire che l’io conosce nella luce. Sviluppo sulla luce. Distrazione dell’io. Gli oggetti. L’esteriorità degli oggetti – il fatto che sono oggetti di appetizione. Il dominio nella consumazione. Il bisogno – e il possesso nel senso capitalista del termine. Per ovviarvi, l’appetizione socialista (segue).

I II

Le virgolette di chiusura mancano. “che” in sovrascrittura di “che egli”.



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“Se fossimo rimasti in silenzio per un momento, quello che più mi colpiva in queste ondate di nebbia e di oscurità, era il cupo silenzio dei cieli gonfi. La vastità degli spazi che non potevamo vedere si rivelava nella profondità del silenzio. Questo silenzio, così pesante per il cuore e per il pensiero, non venne interrotto nemmeno una volta mentre si percorreva questa landa che, diceva il maestro Tainnebouy, somigliava alla fine del mondo…” Barbey d’Aurevilly, L’Ensorcelée, édition Alphonse Lemerre, p. 40, ch. II17. Visita dagli Schmanke  – sua moglie graziosa e incinta  – la storia del bosco – la Berlinese circondata da bambini che viene scambiata per la Sig.ra Sch. – e poi dopo lei non era altri che colei che annunciava – rendere tale ritmo. Il soggetto e la posizione – La ripresa da parte del soggetto del peso che deposita – la doppia struttura del soggetto che è nello stesso tempo ciò che prende e ciò che è preso – visibile nella fatica della posizione – la necessità di cambiare posizione – in questa fatica appare la dualità del soggetto – il fatto che la sua accettazione del peso è a sua volta un peso. Nuovo cantiere – vergognoso della mia soddisfazione vedendo l’autocompiacimento di R. C. Lettura di Jankélévitch. Conosce il fenomeno del contraccolpo ma per lui questo non diviene la chiave di una teoria del tempo18. Non lo riconduce alla posizione in cui lo si ritrova in ogni fenomeno come inseparabile dallo sforzo. Per lui questo rimane un fenomeno d’azione e non di posizione. Non giunge dunque a scorgervi niente di più profondo dell’alternativa. Non vede che è la nozione stessa di essente che è in causa, di cominciamento, di soggetto. < ?> D’altra parte Jankélévitch confonde possesso e godimento. Godimento ed esistenza posti come possesso19.

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Russi assistiti – donne in ɩɥɚɬɤɢ 20 – il candore del ringraziamento con il nome del Signore. Il possesso – è la mano che prende, ma è anche il braccio che stringe. Esempio di sfida con Dio: lastra di ghiaccio – ritorno a casa – rimangono alcuni metri da percorrere – ho tutti i mezzi – indipendte da D. di arrivare – scivolerò? Albero – la verticale più insolente della natura vivente. La sua maestà – maestà di verticale. W.I vede sempre il bene che lo consola del male che lo umilia ma che rimane allo stato di tumore subconscio. Niente saprebbe scoraggiarlo. Se qlcn lo insulta – dirà “ma guarda! sa il mio nome”. Un io appoggiato ad altri. Esteriorità – luce 1) Luce in quanto prospettiva – insieme. 2) Luce – conoscenza, movimento dialettico, ciò che è io e ciò che non è io. 3) Luce in quanto ampliamento – scorcio – finestra – aria – respirazione e luce. In tutto questo non si tratta di azione sulle cose, ma di una relazione con lo spazio – con l’estensione che non è affatto il semplice fatto di trovarcisi. Dunque spazio  – una forma di relazione con l’essere, una maniera d’essere  – un modo di evadere da sé = Godimento. Il di evadere da sé che ci ha permesso di passare dalla luce all’aria – in tutte le appetizioni nelle quali occorre dunque considerare prima di tutto il godimento. Uso come godimento e non come azione In cosa è un mondo. –

I

“W.” forse per “Weill”, personaggio di Eros (?).



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La trasformazione dell’idea di possesso. Il possesso – della mano che prende. Quello dell’abbraccio è dell’Eros. Ogni godimento suppone luce. È attraverso la luce che le appetizioni sono altra cosa dal bisogno. Intervallo della luce. Affrancamento e ossessione della mano. Gide: Tutta una categoria di psicologi non ammetteva che tropismi … Si poteva unitariamente riconoscere … Ognuno trovando nella sopportazione dell’altro un modo discreto di impiegare la propria virtù Di quale caparbietà fosse capace quella larga fronte sbarrata dal diniego. … accomodante… scontrosa Stambugio… blusa da casa… si dà da fare… il suo cuore non si era mai abbassato… bruscolo… Ha trattenuto i suoi desideri lungo la china in cui è scivolata la sua immaginazione Inciampa sui gradini 21. < > Un’opera letteraria – un mondo creato non vale quanto il mondo reale, per mezzo del soprannaturale a cui lascia un margine e che lascia presagire: è il senso del simbolo e la sua funzione.  – L’apprenti22 – curioso mescolamento di Zola e di Hugo. Influenza dei Miserabili. In maniera generale nel naturalismo – senso allucinante della realtà – romanticismo della realtà. FantasmiI – compiono gesti nella realtà senza realtà – non soltanto assenza d’oggetti ma assenza di progresso, di compimento. L’anno di prigionia – i gesti quotidiani sono questo. Visione di tutte queste foreste, di tutte queste case diroccate, abitate da noi – scherzi di Jojo e Roro – Frühstuck Mittag – attrezzi ecc.

I Qui e altrove nei manoscritti, Levinas scrive “phantomes” invece di “fantômes”.

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Il tema del godimento – luce. L’io nella luce non ha la ripetizione dell’identità. È fuori v. a d. non è io. Esiste, senza essere da se medesimo. In questa negazione  – l’io è persona/nessuno. Io – estasi – spazio. Nel bagliore della luce – origine dell’esteriorità. Stile di Céline – il verbo si è rifugiato nell’interiezione. La parola oscena aggiunta a tale carattere di interiezione. La frase in crisi. Le frasi senza verbo che producono un andamento statico possono avere anche un simile andamento esclamatorio. Tutta l’azione è nel prendere. Zuhandenheit dell’attività dipende dalla Zuhandenheit di prendere e di possedere  – che dipende dall’intervallo della luce e dello spazio. L’abnegazione – è nella possibilità dell’io di sbarazzarsi del suo incatenamento a sé. La storia di San Michele di Axel Munthe23. Il contatto con la vita – contatto diretto con la vita in quanto entità. Attraverso il regno animale. Mlt riflessione di buon senso, . Filosofia espressa  – elementare. Ma si tratta di una vita per cui la magia – non è uno strumento o una ricetta, né circo né diavoleria, ma un modo d’essere. Libro che mette in rilievo l’angustia della filosofia sociale. La simpatia con il mondo animale non alberga in una metafisica sociale. Questa definisce il posto dell’uomo nel mondo: le cose e gli uomini vi si accomodano in effetti con facilità. Sono oggetti di bisogno, o arnesi – gli uomini – collaboratori, sfruttatori, sfruttati. L’animale nella simpatia con lui non è che vita, non si colloca in queste categorie. Da qui la natura stessa e la relazione con la natura appare nella sua originalità. La natura è vita oppure non è che un oggetto. La Natura deve riapparire nella mia filosofia dopo l’Eros e il mistero.



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Quando si dice prova per sofferenza – è come quando si dice creatura per l’essere. Si presta un senso.

Fourès 29. II. 44

24. II. 44

14. III. 44 S. Poirier 14. III. 44 I

Esiste un tempo ricalcato sullo spazio. È il tempo del lavoro – si misura con l’intervallo da percorrere per prendere. Quando a proposito della paternità parlo delle categorie io-sé, è perché la paternità non è rapporto con una qualità o una proprietà. Tutto il pathos di questa relazione risiede nella relazione io-sé. Il sorriso del bambino – mi è caro perché è io-sé. Presso Albin Michel Arnoult – Rimbaud24. N.R.F. Sartre – Les Mouches25 Thierry Maulnier: Lecture de Phèdre26. che io sono in relazioneII.

I II

I fogli sono scritti a matita. Si tratta del seguito del testo che si trova alla fine del recto del foglio?

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Il dramma della morte – la sola situazione in cui c’è una comunicazione tra il tempo e quanto è possibile chiamare eternità. < >

Nella filosofia classica la paternità è risolta nella nozione causa. Vedere Aristotele. È contro ciò che mi rivolto ponendo la paternità come una relazione originale. Che il bisogno sia altra cosa che una mancanza – deriva anche dal fatto che nutrirsi è altra cosa che assorbire calorie. < >

Intervallo dello spazio – bisogno – appetizione. Intervallo del tempo – eros. Cosa è l’esteriorità? Esteriorità – Mondo socialista – presente – e di conseguenza nessun intervallo – Ma Mondo – ciò che bisogna possedere. Possesso nel presente – che non sottomette – ma lavoro e gesto di III. Esteriorità – che è anche una maniera di non essere sé – ma essendolo nell’istante. Dunque l’istante si frantuma prima di tutto in molteplicitàIV. Foglio doppio scritto soltanto nelle prime due pagine. Si riporta solo il recto di questa pagina strappata da un quaderno. Il verso, in gran parte illeggibile, e che Levinas ha depennato con una croce di sant’Andrea, è verosimilmente una pagina estratta da un quaderno preparatorio di Dall’esistenza all’esistente, opera scritta per la maggior parte durante la prigionia. Si deve dunque ricomporre con i quaderni preparatori di questa opera che si trovano negli archivi Levinas. III Quanto precede è scritto sulla pagina nel senso della larghezza. IV Scritto, nel senso dell’altezza, lungo il margine superiore (cfr. nota precedente). I

II

I

1944 Problemi di estetica. Il suono, il colore, la parola ricoprono gli oggetti. Il suono come rumore, il colore come copertura di una superficie, la parola come un senso. Le sensazioni hanno dunque un significato oggettivo. Ma nell’arte si può dire che il primo movimento consiste nel separare la sensazione da tale senso oggettivo, da tale rinvio oggettivo. La sensazione Į੅ıșȘıȚȢ– diviene oggetto dell’estetica. Allora la sensazione rivela qualcosa che le è propria e si organizza in unità e secondo un ordine proprio. Da qui l’opera d’arte è una conoscenza di un genere particolare – non come intuizione opposta alla ragione  – né come interiore all’esteriore. È ancora conoscenza? Non è essere? – Nella musica si comprende tale spoglio. Il suono musicale non è rumore. Forma delle totalità, dei ritmi indipendentemente dall’oggetto. – Il colore il cui legame con l’oggetto è più intimo, se ne distacca nella pittura moderna per formare degli insiemi che gli sono propri. – La parola non è separabile dal senso. Ma c’è anzitutto la materialità della parola che forma fenomeni quali ritmo, rima, allitterazione, metro. Ma la parola si distacca dal senso anche in un altro modo: in quanto si aggancia a una molteplicità di senso. Allora funziona come il nudo fatto di significare senza significare un oggetto determinato. È la malia del poema. Da qui la parola si avvicina al suono musicale – Ma si può andare ancora più lontano: il racconI Quaderno a righe di formato 10,5×14,5 cm. Il testo è scritto a matita, ad eccezione di una cancellatura tracciata con un pennarello blu.

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to, l’immagine, la metafora – possono separarsi dal loro significato oggettivo e funzionare in quanto funzione. – Si può andare addirittura più lontano: il concetto filosofico può anche smaterializzarsi in questo modo e divenire come l’arte stessa una conoscenza profonda. – Il distacco dal significato oggettivo dona all’arte il carattere di gioco. Gli eventi oggettivi non hanno valore proprio. Tutta l’opera è in qualche misura senza conseguenze. Ogni figura retorica – gioco grazie alla materialità della parola o piuttosto grazie al suo formalismo. < > L’ultima conseguenza della mia concezione estetica – la metafisica è alla fine arte, il senso dell’esistenza è arte?  – l’esistenza arte? I drappi che cadono nella mia scena d’Alençon riguardano anche le cose. Le cose si decompongono, perdono il loro senso: le foreste divengono alberi  – tutto ciò che nella letteratura francese voleva dire foresta – scompare. Decomposizione ulteriore degli elementi – pezzi di legno che rimangono dopo la partenza del circo o sulla scena – il trono è un pezzo di legno, i gioielli schegge di vetro ecc. Ma non voglio parlare semplicemente della fine delle illusioni; piuttosto della fine del senso. {Il senso stesso come illusione.} Forma concreta di tale situazione: le case vuote e il soggiorno in queste case. Formaggio e champagne alle 5 del mattino. Approfondire questa idea della “perdita di senso” da parte delle cose. E della solitudine che ne deriva. In mezzo a questa triste opulenza la scena di Delannoy con l’omelette e l’amabile padrona di casa. – La libertà – tutto è permesso – Perdita del senso da parte delle cose: il lato maestoso delle cose, il loro diritto a certi comportamenti {da parte nostra} – il loro prezzo  – la loro appartenenza ad una classe sociale. Non ci sono solo il sacro e il profano come categorie delle cose – ma molte altre. – Il barbiere che taglia i capelli senza farsi pagare. va a lavorare. Il denaro 1.



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Il senso apocalittico degli eventi in Bounakov2, Berdjaev3, Wahl4 – e di fronte a ciò l’incomprensione lucida di Jean Schlumberger5. Montherlant: Service inutile6. Più rilievo che profondità. Tutto un mondo di “onori” imparentato con un cristianesimo che è soprattutto il cristianesimo dei pagani e non il cristianesimo degli ebrei. Una delle cose che non si vedono che dal di fuori: l’anima, nella sua inquietante presenza. L’opposizione di Bernanos tra soffrire per le anime (monaci) e soffrire attraverso le anime (preti)7. Prima conoscenza con Conan Doyle. Strano delitto. Metodo esteriore. Gli indizi oggettivi rivelano il criminale piuttosto che la psicologia. Eppure interesse per la scienza degli indizi esteriori. Esempio eccellente di cosa intendo con “esistenza con bagaglio”. Si agisce sempre lasciando tracce. – Cosa curiosa: nessuna deduzione: quanto dedotto è visto immediatamente dagli indizi. Infanzia – esistere giocando – esistere senza esistere. Situazione in cui un altro esiste per voi. Esistenza rimpiazzabile. Paternità. Il silenzio e il verbo. Spirito europeo: il verbo più forte del silenzio. Ma cos’è il verbo originariamente? Pensiero? No: espressione – il modo in cui l’interiorità diviene realtà. Compimento. Il silenzio non è realtà – ma intervallo. La grazia – la possibilità per l’esistenza di liberarsi del suo fardello. Gli stati non mutano nel loro contrario. Grazia = gratuità – non più contropartita che è precisamente questo mutamento nel contrario: “orgoglio dell’umiltà” – “compiacimento della sofferenza” ecc. La fine del libro di Bernanos “Diario di un curato di campagna”. Posizione – o il fatto di innalzarsi – la verticale – movimento contro il peso. < >

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Per me il tempo è il fondo dell’essere. Ma al livello stesso della legge d’identità. L’identità suppone il tempo. Il tempo è questa possibilità per il definitivo che è il fondo dell’Ƞ੝ıȓĮ  – e della definizione sostanzialista dell’essere – di essere non definitivo, di ricominciare. Con il tempo il perdono diviene la struttura stessa dell’essere. È altra cosa che il divenire hegeliano, bergsoniano e heideggeriano. {In questo senso:} Il tempo è il mistero fondamentale al fondo dell’essere – ciò per cui l’essere è soprannaturale. Lettura degli annunci – odore, pulizia, questa neutralità delle cose e degli esseri che si avverte bruscamente. Corpi in vacanza – non sono esseri umani che lavorano, che hanno mal di denti – ma la femminilità stessa – sessuale. Un elemento essenziale della mia filosofia  – ciò per cui differisce dalla filo. di Heidegger – è l’importanza dell’Altro. Eros come momento centrale. D’altro canto segue il ritmo del g.I – poiché attraverso paternità – sentimento munifico. I patriarchi e i loro armenti –II figli – profeti. La pace meglio e più che l’amore – la pace può essere la forma superiore dell’amore. L’amore è la vita della pace. Cosa per cui la pace non è inerzia. Essere con gli altri – con il loro mistero – senza lottare. Libertà sociale – per il fatto che suppone un rapporto con altri – è forse la libertà metafisica stessa. Scena d’Alençon: la lettere carta da lettere che serve a fare un’omelette. I II

“g.” sicuramente per “giudaismo”. Il trattino sembra in sovrascrittura di “e”.



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La rivendita di tabacchi – con la disposizione dei pacchetti e la sensazione speciale di pulizia che le è propria – trasportata nelle strade… Il saccheggio delle vetrine – la gente che porta via cose che non hanno senso: una confezione di carta da lettere – minimo ingombro – appare ridicola nella mischia. In mezzo a tutto questo il notaio Roger che punta all’essenziale: la spazzola che potrà servire, la padella che sarà utile ecc.8 In Dickens poesia delle cose e rigidità della psicologia. Ma gli esseri sono mirabilmente descritti quando sono descritti come cose. È arte inferiore? Non è piuttosto arte che descrive altri in quanto altri e non in quanto io? Arte speciale. Prima della partenza di Rondeau, visita alla donna bionda  – un tempo – di casa Wepler9. Allegoria – qlcs. di più di un segno. I drappi della situazione. Sparare a bruciapelo? È possibile davanti alla miseria e alla pena del volto odiato ma che diviene un po’ . I diversi appellativi dei guadagni  – profitti, retribuzioni, onorari, appannaggio, compensi, salari, paga, stipendi . Questo prova che la di una relazione sociale è fatta solo dal suo aspetto economico. Come {le tinte} sul collo della colomba, gli anni mutavano sulla figura della donna che passava. Per il tema della degradazione delle cose ad Alençon: Tizio che alla fine possiede un’automobile. – Ha sognato l’automobile per tutta la vita – è stato necessario salire tante scale ed ecco è tutto semplice10. La lotta come modalità della contemporaneità. I contemporanei senza lotta  – è la pace. Ma allora essa è senza contenuto.

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Limiti del socialismo. Tutto il dell’amore – non è godere dei beni  – per abolire la lotta. Senso profondo dell’ascetismo. Spogliare se stessi in vista della contemporaneità pura. Incidente della bella donna che attira tutte le attenzioni – così ingiustamente. Dopo tristezza e rimorsi – tristezza per un’ingiustizia commessa. Profanazione. Viaggio a B e ricordo di Parigi – Il film che mostra la capitale di Essia11 – e consolazione. L’antica questione del rapporto tra il dovere e la passione. Che cos’è il vero io? In Kant il dovere e la ragione sono la volontà e l’io. Definizione dell’interiorità. Ma la passione non è è esistenziale. Differenza tra esistenziale (forse immediato) ed interiore mediato? Insistere in tutto il mio lavoro sulla sostituzione della relazione di possesso con la relazione di partecipazione. Il possesso è già nella sostanza che ha degli accidenti. Il problema dell’essente èI {quello} del cominciamento = libertà. “ɀɟɧɳɢɧɚ ɬɨɥɶɤɨ ɩɨɬɟɪɹɜ ɧɚɞɟɠɞɭ ɦɨɠɟɬ ɩɨɬɟɪɹɬɶ ɫɬɵɞ ɷɬɨɧɟɩɨɧɹɬɧɨɟɜɪɨɠɞɟɧɧɨɟɱɭɜɫɬɜɨɷɬɨɧɟɜɨɥɶɧɨɟɫɨɡɧɚɧɢɟ ɠɟɧɳɢɧɵ ɜ ɧɟɩɪɢɤɨɫɧɨ ɜɟɧɧɨɫɢ ɜ ɫɜɹɬɨɫɬɢ ɫɜɨɢɯ ɬɚɣɧɵɯɩɪɟɥɟɫɬɟɣ”, Ʌɟɪɦɨɧɬɨɜȼɚɞɢɦɴ12. Il tipo cattivo – Odio – ma non nei confronti di un essere di cui si vorrebbe la distruzione – ma nei confronti di tutto; gelosia verso il sole; verso il fogliame ecc. Ognuna delle “loro” manifestazioni è detestata. Gli altri sono sempre “loro” ecc.

I

Levinas sembra aver scritto inizialmente “e”.



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Il sogno di  – sente voci femminili – non può avvicinarle, perché deve lavorare – lavora nella loro traiettoria – abbatte alberi, pota, sfronda nella loro traiettoria. “Ma quale era dunque quello Spirito che era me e fuori di me?” Gérard de Nerval, Le Rêve et la Vie13. L’ampia vastità – la vastità universale della vita durante la guerra. Ognuno vive secondo la misura degli eventi. Felicità e infelicità cambiano di senso. Le persone vivono come se non ci fossero malattia, gelosia, laidezza, amor proprio ferito, tutti i dolori che fanno cantare e piangere i poeti del tempo di pace – le tristezze dei Goethe e dei Lamartine. Il mondo esteriore. Gli esseri che hanno non si distaccano mai dal loro mondo: il soldato – con il mistero dell’uniforme – la prostituta con il mistero del suo belletto, dei suoi occhi bistrati di nero, delle case chiuse ecc. {Il curato con la sua tonaca ().} Il sale della vita – la vera esteriorità. Stranezza di un mondo in cui tutti indossano un vestito. Qualcuno venuto da un altro pianeta che trova tutto ciò straordinario. Introducendo “economia” al posto di “struttura” – mostrare: carattere drammatico – carattere soddisfazione di un bisogno – “compimento = sazietà, saturazione”. Ma tale bisogno lungi dall’essere una mancanza è l’espressione di una “felicità”. Il sogno in cui si ritrova la remota tenerezza per la madre. Simonot che guarda Parigi sotto la pioggia e si ricorda del suo giornale di provincia che riproduce il cliché “piove a Parigi”. Giovinezza – teatro – si recita Adrienne Lecouvreur – il teatro si trova in un giardino pubblico in cui c’è un palco  – varietà  – Si esce dal teatro – era la compagnia di Io Fine agosto – serata mite.

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Una ragazza accompagnata da uno studente. Si esce con l’impressione di un melodramma recitato magnificamente dalla compagnia della capitale  – la ragazza è felice  – purificata dall’emozione – sente la vita davanti a sé – così misteriosa, e a fianco dello studente, ed è bella – ritorna in sé, alla sua giovinezza, alla sua vita dopo questa purificazione del teatro – vede la folla davanti al palco – si va a guardare – no non bisogna sommergere l’impressione, non si deve profanare – gesto: si stringe nel suo soprabito, escono dal giardino. Problemi che permangono: la morte in quanto istante supremo. In relazione con l’“inevitabile”. Emozione unica del servizio religioso di R. HI. Le preghiere  – il debole che trionfa sul forte – è questo tutto il g.II, è questo il senso mistico di Is.III Anni addietro, queste preghiere si leggevano come una speranza beffarda. Care piccole vecchie cose sorpassate – ed ecco che tutto ciò si legge come realtà. All’improvviso il giudizio ultimo è realtà. Il bene torna ad essere bene, il male torna ad essere male – ma con quale fracasso. {Il pensiero si riferisce a tali letture passate nella sua nuova lettura.} A questo si aggiunge quanto chiamo la libertà o la morte. Vediamo l’alba – vedremo il sole? E infine, terzo momento, il salmo cantato a due voci , senza musica – come gli incantesimi della caverna – le candele si spengono, la lampada di acetilene si attenua. La mano di donna, questa piccola mano che forma il a casa propria in maniera definitiva {gli conferisce sovranità} – diviene il mondo ed è chiuso sul mondo. La fonte della felicità privata, la potenza della felicità privata. Il critico – colui che essenzialmente può dire altro piuttosto che {ripetere} questa stessa opera (= essenza dell’artista). “R. H.” per Rosh ha Shana (anno nuovo). “g.” sicuramente per “giudaismo”. III “Is.” sicuramente per “Isaia”. I

II



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Fine dell’infanzia: quando si dice al bambino in campo morale il contrario di quanto gli si diceva ieri. Ribérat: anche la guerra. La guerra a misura umana. Non è ancora cataclisma. Evocazione di tutte le situazioni in cui si preferisce un male proporzionato alle forze umane – al male con abisso e vertigine. Una malattia mortale a una malattia ignominiosa, una malattia ignominiosa alla malattia mortale {follia}. “Non essere amato” ad un legame che rimane in vita, la povertà ad un’ angoscia ecc. Insomma preferire la mediocrità: il taglialegna che lavora invidiato dal poeta che soffre davanti all’inesprimibile o della sua sterilità. Tutta questa gente che va in ufficio e che prende un caffè al banco alle 2 meno 10 – preferita all’inoperosità di qualcuno che crede all’inutilità del proprio compito, che ha sempre tempo per accompagnare a casa l’uomo indaffarato, per ascoltarlo, per fargli passare il tempo14. Mia madre che vedeva ognuna delle mie imprese accompagnate dall’ombra della specifica catastrofe: il treno – il deragliamento, la nuotata – l’annegamento, il mangiare – l’indigestione, la passeggiata con – finire investito da un’automobile, l’illuminazione a gas o il riscaldamento con la legna – l’asfissia, e anche il rimedio – il suo effetto inaspettato; non bisogna prendere l’aspirina senza il medico in città, una ragazza ecc. {Parossismo della protezione. La protezione come senso della vita.} Tutto Il mondo instabile – vivere in una cassaforte o nella bambagia, ed ecco che si vive tra la vita e la morte. Povera madre! Nella mia filosofia: la nozione di istante è l’equivoco fondamentale: non è l’istante che può resuscitare – è ciò che è nell’istante – e tuttavia è l’istante che è nello stesso tempo l’essere e l’essente. Istante – dove il c’è diviene ipostasi – Istante ipostasi. Da qui alcuni temi di meditazione: 1) L’equivoco come definizione stessa del verbo. 2) Equivoco come struttura del mistero. 3) Distinzione tra cattiva e buona ambiguità.

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Per la favola: ) Soli tascabili. Il fatalismo musulmano come fonte di libertà: Non si tratta di una libertà dal contenuto dell’atto: nessuna scelta di ciò che si farà. Si tratta di libertà nel senso di assenza di responsabilità – di impegno. Paternità di Dio. Egli esiste per voi. Questa vita su scala mondiale e alle profondità del definitivo – ogni cosa impegna la vita o la morte. Il cervo del generale – l’ha ucciso? – Sì – Ne attende la consegna – Bisogna I trovarne un altro. 2 , 50 battitori. a) Rivoluzione e b) evoluzione. Rivoluzione quando tutto il mondo è contro la minoranza. Sentimento marcato del presente – perdita del senso della continuità. Una guarda pretoriana sorpassa la vita reale – tutta una classe. Lettura di Haggard. Red Eve15. I personaggi simpatici sono inglesi – i Francesi sono antipatici e malgrado il patriottismo francese si segue il testo con una simpatia costante per gli Inglesi di cui si vorrebbe il trionfo – richiamo a tale situazione durante la lettura del libro di Rom. Rolland sul Mahatma Gandhi16 – situazione inversa. Ricordo delle mie letture infantili, della storia di Napoleone e delle letture dell’età adulta. “IIParlava di generali e generali, come un astronomo delle stelle. Credeva di maneggiare una materia molto preziosa. I drappi accecavano.

I Più di due terzi del foglio sono stati strappati nel senso dell’altezza. Levinas ha scritto sulla parte restante. II Mancano le virgolette di chiusura.



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La bellezza dell’eroismo  – già detto, già verbalizzato  – e la grandezza dell’orribile spettacolo che offre nella sua brutalità – sangue, sudore ecc. Religiosità – sentire che la storia mondiale gira intorno a me. Dio: la compossibilità della pluralità delle religiosità. Nella mia filosofia, studio del significato della sensazione: visione – luce – ragione; udito – voce – verbo; toccare – carezza – amore; gusto (odorato) – mangiare – bisogno. E tuttavia accanto a tutto ciò rimane la sensazione nella sua materialità pura, oggetto dell’estetica; visione – colore, udito – suono, verbo – ritmo ecc. Nella mia ij la collettività non è una comunità – qlcs. che è in comune ai suoi membri. In questa concezione la comunità si crea attorno a qlcs. di esteriore. Per me la collettività ha alla sua base una dialettica sessuale. È relazione diretta tra individui. Questo non ha niente in comune con una divisione del lavoro – precisamente poiché non è intorno ad un lavoro che si fa l’unità. Non è nemme Certamente c’è il principio di complemento. Ma ciò attraverso cui gli esseri si completano non è tale o tal’altra particolarità o proprietà. È il loro essere stesso – qlcs. che costituisce la loro stessa soggettività. Annunci in : “Mamme, pensate ai vostri bebè”  – in un’epoca di crudeltà e di esclusione. “Non per noi” questi umani sentimenti. Nuova lettera di Essia17 I 7 mesi – Appartiene a lui pienamente – Gelosia – Annusare la cartolina – cercare il profumo – non il suo – ma un profumo di donna. La Sonata a Kreuzer – non è la menzogna del matrimonio che Tolstoj critica. C’è qlcs. di più profondo: fin da Anna Karenina I Cancellatura con pennarello blu (cfr. supra la nota di presentazione materiale del quaderno).

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Tolstoj disdegna sempre di più il sessuale che si mescola a sentimenti nobili – Vede nel sessuale non tutto ciò che la fraseologia epicurea, o vitalista (carpe diem, slancio dell’essere nell’eros) vi esalta – {né cio che il cristianesimo vi critica: diavolo, lussuria}  – ma una specie di meschinità il cui trattoI più odioso, che essa è equivoca, diviene arte, musica, letteratura. Questo è denunciato in La Sonata a Kreuzer e T. ha orrore di questi esseri , di queste donne incomp nel pieno della bellezza – ecc. che sono solo vacche ritte sulle zampe posteriori. E orrore di tutti questi compiacimenti. Die wollen Glucklichsein. Il metodo – pensieri patetici ricondotti alle categorie dei professori. Il primo professore: Platone. Ricondurre alle idee – alle astrazioni – alle generalità. Rivedere la nozione di generalizzazione nella mia economia complessiva. Verbo – è fatto dell’impossibilità di esprimersi. Amore – mistero d’altri – Verbo – mistero di me. Situazione del tutto particolare del direttore d’orchestra. Il suo ruolo rispetto alle ripetizioni, alla misura, alla correzione degli errori – tutto ciò si può sostituire. Quanto dona l’anima – è questo che egli apporta. E il fatto di donare l’anima – è il fatto che l’opera viene vissuta musicalmente. È la sintesi in lui – la passione. La fobia di Lemlinsk. Cominciava con segni di nervosismo e di inquietudine. Perché? Aveva paura che ecco che segna il primo movimento della bacchetta – e nessuno comincia a suonare. Il concatenarsi del mondo verrà interrotto. Mus. Riceve la visita del bel giovane di 18 anni, direttore d’orchestra – che ha conosciuto la sua città natale, che vuole conoscere alcune cose sulla musica tenutegli nascoste – Mus. molto commosso per questo incontro. Perché? Gide? Coincidenza curio-

I

“tratto” in sovrascrittura di “più”.



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sa, il giovane compositore che non ha scritto nulla dall’arruolamento – ha scritto tutta la notte – fino all’adunata. La luminosità della luce è la ragione, la sonorità del suono è la parola; la tattilità del tatto – è la voluttà. Non è l’analisi – che coglie uno dall’altro, non c’è relazione dal semplice al complesso né da origine ad evoluzione – ma compimento. Metodo. {Nello stesso senso categorie di professori – senso.} Per Proust, le situazioni del mondo – tutto ciò che bisogna nascondere, dire senza dire, tutte le implicazioni della persona, tutte le riflessioni su di essa – detto altrimenti tutte le situazioni che provengono dalle regole stesse del gran mondo forniscono alla scoperta dell’umanità dell’uomo le stesse possibilità che l’avventura, la messa alla prova, l’invenzione gidiana ecc. Esempio: l’antifrasi. Antifrasi di numerose gradazioni, e questa intesa tra persone dello stesso mondo nel calcolo esatto ed istantaneo di tale gradazione. “Il cigno d’altri tempi siI ricorda che Magnifico ma senza speranza si libera Per non aver cantato i luoghi in cui vivere Quando di arido inverno la noia chiarì”, Mallarmé18. È la morte – nel senso dell’istante – di tta la mia filo. Nella mia filo. rottura con il sostanzialismo  – nel senso che l’intersoggettività dell’amore e dell’abnegazione diviene l’evento che domina l’essere stesso. Ma ciò è possibile solo se si sostituisce all’atto – manifestazione principale della sostanza – la voluttà che non è né atto né pensiero.

I

“si” in sovrascrittura di “è”.

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Quando dico che Proust è un poeta del sociale e che tutta la sua opera consiste nel mostrare cos’è una persona davanti all’altra, non intendo evocare semplicemente l’antico tema della solitudine fatale di ogni essere (Cfr. Solitudes di Estaunié19) – la situazione è differente: ad un essere è nascosto tutto dell’altro – ma non ne risulta una separazione – è proprio il nascondersi a costituire il fermento della vita sociale. È la mia solitudine che interessa altri e il suo modo di agire è un’agitazione intorno alla mia solitudine. Marcel e Albertine  – è proprio questo. L’opera così ampia di Proust sfocia sui due temi di Albertine prigioniera e posseduta che non è distinto da Albertine scomparsa e morta. Il tormento che la lega a lei consiste nel fatto che ci sono così tante cose che la riguardano – piccole cose, attitudini, gesti, pose – che egli non conoscerà mai. E quanto conosce di lei è dominato da quanto egli ignorerà per sempre – perché tutte le evidenze oggettive che la riguardano sono meno intense dei dubbi che gli resteranno per sempre dentro – e che sono il suo rapporto con Albertine. La sfuriata : – Tutti i s/uI sbraitano – ma la caratteristica è che ad un certo punto – il timbro di voce diviene come quello di un invasato ed è lo stesso da parte delle persone più disparate come un vecchio fondo di che risale. La sonorità del suono: tre caratteristiche: 1) si sporge sull’avvenire; 2) si approfondisce in se stesso; 3) è un fragore. È essenzialmente ciò che riempie il tempo. È simbolo in quanto fragore. Non è per comunicare che si parla ma è perché ci si serve del suono che si comunica. Mi spiego: seII il suono serve alla comunicazione non è in quanto oggetto esteriore che si nota e a partire dal quale si ricrea in sé il pensiero da cui procede. Il suono è il compimento della comunicazione. È la comunicazione che lascia prorompere il grido – che ci introduce in altri – non è grazie al grido soltanto che la comunicazione si stabilisce. La voce è proprio questo posto del grido in rapporto con la comunicazione. I II

“s/u” per “sotto-ufficiali”. “se” in sovrascrittura di “o”.



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E. Lewy Brooklyn N. Y. 1351 – 46 Street USA L’inizio della prigionia – nessun capo, nessun dovere. Non che il dovere morale sia certezza – ma lo è il dovere militare. È la sua particolarità: ordine oggettivo, ed anche appartenenza a tale ordine oggettivo. Qui noi vivremmo il dovere militare come se fosse dovere morale. Il problema della personalità eroica attraverso il messia. I Triste opulenza – la scena di Alençon in cui tutti i drappi cadono – il tema “Resurrezione”: in che modo gli uomini che ora appaiono senza paludamenti ufficiali hanno potuto giudicare, condannare ecc. Non è la situazione di rovesciamento dei valori che voglio descrivere – del cambiamento di autorità – ma della nudità umana dell’assenza di autorità. Ipostasi – come termine con cuiII potrò sostituire la nozione di soggettività. ecc. 20ʤʡʩʸʷʡ ʭʩʰʡʤ ʥʶʶʸʺʩʥ. I principi del bene e del male che hanno nell’ebraismo e nel cristianesimo la stessa fonte – tragica di questa comunità d’origine. Nella religione di Ormund e dell’Oriente non vi è nulla21. 22ʩʫʥʰʠ Non comprende l’unità della sua persona eIII che tuttavia è condizionata da questa contraddizione.

Foglio doppio a righe di formato 13×17,5 cm, scritto a matita. Levinas scrive “che” in sovrascrittura di “con cui”. III È preferibile non leggere la congiunzione “e”. I

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Il mistero – qlcs. che non appartiene all’essere e che non appartiene al nulla. La notte – il chiarore delle stelle – in cosa consiste il mistero con cui avvolge la realtà? La trasparenza del mondo rischiarato – lo spazio – non è niente ed è tutto. Trasparenza – niente si oppone – non c’è niente e tuttavia è l’essere. Contributo alla mia teoria della luce – in cui si tratta di iosé e in cui il sé diviene mondo e tuttavia non è che sé. Far risaltare l’opposizione di questa teoria alla teoria del solipsismo tratto dalla relatività delle sensazioni – dalla composizione del mondo a partire da sensazioni soggettive. O piuttosto: non è la soggettività della sensazione che fa del mondo un sé – ma la sua luminosità. Perché ad un certo punto il romanzo si interrompe. Il mistero è terminato. In certi momenti la vita entra nella zona del mistero, come in un tunnel. Quando ne esce è finito. Non è lo straordinario degli eventi che li rende atti al romanzo, ma il loro mistero. L’ingombro dell’io: la commedia che il sé recita per l’io. Situazione dei Falsari di Gide. Romanzo La ragazza d’altri tempi – fa conoscere il figlio di tre mesi. Tenerezza infinita. Filialità. Il colore: l’opacità trasparente. Razionalismo: non basta dire credo nella Ragione, ma dubito della mia. Il razionalismo non è la fiducia nella struttura razionale dell’universo, ma {anche} nell’immanenza della ragione. Razionalismo: il mio diritto di affermare che la mia ragione è la Ragione. Sieburg nelle sue considerazioni su Napoleone. Categorie: l’Eroico (il particolare che si è innalzato fino all’universale – che esplode e soccombe) e il particolare armonioso, l’uomo della misu-



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ra che realizza l’universo in sé23. L’uno e l’altro sono categorie pagane. A questo si oppone una categoria ebraico-cristiana: il giusto che soffre – ricercare questa categoria attraverso le figure bibliche – la bontà e la dolcezza per esempio, non come tratti psicologici, ma come strutture cosmiche – il loro significato ontologico. Da cercare. Categoria ebraico-cristiana? È forse qui il punto in cui si puòI separarle. Cristiane, si applicano ai problemi pagani. Il mondo greco è incluso nel cristianesimo. Giudaismo per uomini con problemi pagani.

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Bisogna forse leggere “potrebbe”.

I

Fine novembre 44 Con certi interpreti di un autore si ha la sensazione di una cavalcata, ma non si vedono le staffe che hanno permesso di montare a cavallo. Le staffe sono alcune categorie del testo {dell’autore}. Occorre che ci vengano mostrate. “IIHo tossito per tutta la notte. Le scosse che provenivano dal fondo di me {mi divenivano estranee} cominciavano a non {se non avessero } partire da me come dal loro centroIII. Le sperimentavo già come scosse del mondo esterno, come {dei} terremoti sotto l’azione di un immenso cannone. Più tardi era colpo di cannone che dovevo sentire. Ma pensavo di tossire sempre. {corpo e mondo esteriore.} Gli stati di coscienza non sono stati, nemmeno intenzioni  – ma movimenti: sapere, {fede} ingloba, comprende il dubbio – è il movimento di cui il dubbio fa parte {nella disperazione del sapere, Quaderno a righe di formato 10,5×17 cm. Il testo è scritto a matita. Virgolette incerte. III Frase difficilmente ricostituibile a motivo delle aggiunte, delle sovrascritture e delle cancellature talvolta incerte. Forse bisogna leggere: “Le scosse che provenivano dal fondo di me mi divenivano estranee, come se non avessero potuto scaturire da me come dal loro centro”. I

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c’è }; l’amore comprende impossibilità d’amore ecc. Pensiero: suppone sempre retropensiero. Il cane Bobby è simpatico perché ci vuole bene senza retropensieri, al di fuori di tutte le nostre distinzioni e delle regole sociali1. “È questa la mia solitudine: essere avvolto di luce”2, Nietzsche, Zarathustra. Il tema della follia – si arriva e si mette fine a tutta questa saggezza e vi si rinchiude. Quando dice “magnifico” e soprattutto “fantastico”, o presentando un personaggio compie il gesto che consiste nel mettersi di profilo, nel porgere il volto, abbassando su di esso le ali del naso, come se imitasse quei personaggi che compaiono sui vecchi ritratti – egli vuole in fondo descrivere questa situazione la realtà nel un arrangiamento delle parti e ritmo particolare dell’opera d’arte (fantastica) o del ritratto. Come se descrivesse una realtà che pur essendo nel reale è al di là del reale (fantastico), in virtù di una specie di legge interna che la trasforma in opera d’arte. Le categorie dei professori – le categorie dell’insegnamento. Insegna-mento come relazione sociale – con la sua specifica situazione tra il passato e l’avvenire, questo modo di implicare un passato, la storia. “Il ritorno delle cose” – termine per esprimere la maniera in cui la relazione con le cose non è mai una libertà. Categoria del professore – preoccupazione di sistema. Del sistema non si può dire altro che “coerenza delle parti”? Léon Bloy “Lettere alla fidanzata”, 1889-18903. Nessun sistema. Ma le “categorie dei professori” sono sostituite dalla trascendenza stes-



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sa dell’ordine del mistero. E tale ordine del mistero a cui sono ricondotte le situazioni concrete  – non è altro  – si giustifica solo con questa ammirazione fino alle lacrime {“Questa storia mi commuove fino alle lacrime”, 27/11/894; “Sono invaso da un rispetto infinito che quasi mi incute paura... che abisso”, 24/10/895} del mistero – Tutto considerato esempio di cosa è il cristianesimo nell’interpretazione dell’umanità dell’uomo. L’uomo intero è immerso nelle categorie del cattolicesimo. Ma mentre noi altri rimaniamo alla superficie di queste categorie, lui ne sprigiona il senso di fuoco e di sangue, il senso mistico e trascendente, e colloca tutto ciò che è umano a questo livello di categorie – Lo stesso lavoro da intraprendere per il g.I – “Non conviene mai confidare la propria anima alle intelligenze inferiori”, lettera del 29/8/896 – QuandoII citando la storia di Giona nel che dorme in fondo alla stiva nel momento della tempesta – non posso aggiungere altro che la parola “formidabile” o qlcs. del genere, e ciò esprime come il fantastico di , questoa rispetto fino alle lacrime di cui parla Bloy. Qual è questa situazione? – “Quello che Dio fa, senza l’intervento dell’uomo, è smpr ben fatto”7, 8/9/89. Giovani ragazze russe – cioccolato – rimpianto – diavolo – desiderio di liberarsi – impossibile. La baracca 34 – come una stazione all’alba – con i barboni che si riscaldano. {Bloy} Esempio di questa interpretazione della sua vita con l’ausilio di categorie cristiane. “L’enorme travaglio che ieri mi faceva quasi diventare pazzo sta ormai per finire. La tempesta si sta placando e il Signore Gesù potrà camminare nella gloria sulle acque della mia anima completamente sedata.”8 Lettera che segue quella dell’8/9/89 e che è datata domenica mattina, ore cinque – “Ah! la dignità, la Dignità delle anime mediocri. È da molto che conosco I II

“g.” per “giudaismo”. È preferibile non leggere questa parola.

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questa meschina derisione del mio Redentore morto in croce!”9, 24/9/89 – “per rispetto delle vostre venerabili piaghe”10, 5/10/89 – “Mio adorabile Salvatore Gesù, crocifisso da me, per me, in me da duemila anni...”11, 5/10/89. Il suono – in quanto fragore e simbolo. Ci sono strumenti che hanno come fine solo il suono in quanto tale: il tamburo (con il qlcs. di angosciante che porta con sé) e soprattutto la campana che squarcia il silenzio e che riempie lo spazio di qualcosa che viene di laggiù. Il suono della campana – suono puro. Non è musica, ma non è un semplice segnale. Il suono nella sua propria sonorità. Il mito dell’eterno ritorno  – distende il tempo. Con la coscienza dell’eterno ritorno – il presente in quanto presente è possibile. L’uomo si libera dall’asservimto del tempo. È più ricco dell’eternità nello stesso tempo, perché la ricchezza del tempo, il gusto del tempo, vi è conservato. Bloy. “Noi siamo impazienti, perché questa è la natura dell’amore, che gli antichi chiamavano con il nome stesso del desiderio – Cupido”12 – Lettera del 22 ott. 89. – İ੅įȦȜȠȞ – il visibile – è l’essenziale dell’idolatria – Deus absconditus – mistero – il solo tratto del giudeo-cristianesimo che lo distingue da tutti i monoteismi puramente numerici. Quanto si nasconde nel mistero non è distinto dal fatto di nascondersi – è unI evento e unII modo d’essere – dal fatto Bloy “Il secondo capitolo del libro della Genesi, dove si descrive il paradiso terrestre è, secondo me, una figura simbolica della Donna. È una delle scoperte di cui vado più fiero…”13, 3. XI 89. I II

“un” in sovrascrittura di “l’”. “un” in sovrascrittura di “il”.



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Rapporto tra desiderio e impazienza {Bloy}. Relazione tra il bisogno e il tempo. Bloy Per Léon Bloy l’esistenza sensibile nel suo insieme è un simbolo trascendente. Tutto in luiI ripete il mistero cristiano. Ogni relazione della vita quotidiana è una messa, un’eucarestia. L’esistenza nel suo insieme è integrata nel dramma divino. Qualche esempio: il sesso della donna – tabernacolo di Cristo; denaro – (per il quale il Cristo è venduto e comprato) – segno dell’amicizia ecc. La discussione con l’aiuto dei segni in Rabelais14  – non è pantomima ma derisione di una discussione che è solo scimmiottata; – come il giudizio di Bridoison15 col lancio dei dadi. Bloy “Io sono triste per natura, come uno è piccolo o biondo. Io sono triste, profondamente, orribilmente triste e se sono posseduto da un desiderio di gioia così violento è per la legge misteriosa che attira i contrari… Malgrado la potente attrazione che esercita su di me l’idea vaga della felicità, la mia natura mi spinge con forza ancora maggiore verso il dolore, la tristezza, perfino la disperazione… La sola parola infelicità mi riempiva d’entusiasmo. Penso di aver ereditato questo da mia madre, dalla sua anima spagnola insieme ardente e cupa, e la più grande attrattiva del cristianesimo è stata per me l’immensità dei dolori di Cristo, il grandioso, trascendente orrore della Passione. Il sogno inaudito di quell’amante di Dio – che invocava un paradiso di torture, che voleva soffrire eternamte per Gesù C. e che in questo vedeva il culmine della felicità, mi sembrava allora e mi sembra ancor oggi la più sublime di tutte le idee umane”16, Lettera del 21 XI 89. Ho fiducia in Dio. Non che farà tutto secondo il mio desiderio. Ma so che in ultima istanza avrò a che fare con Lui. È questa la fiduI

Bisogna sicuramente leggere “essa”.

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cia. Sono nelle sue mani. Il dolore – può continuare all’infinito. Ha qualcosa di inebriante – perché in esso si costituisce la mia passività in seno a Dio e la mia elezione. Conversazioni: “I Ai Tre Quartieri. Il Bon Marché ha sullo scaffale ecc. Come ricordi di antichità. Presente storico. L’istinto di conservazione si camuffa dietro il sentimento che è il trionfo di una causa che si desidera e non il suo essere proprio. Allora bisogna dire che l’istinto di conservazione è ben camuffato. L’appartenenza a un partito, a una chiesa – è un colore. Si tratta di divinare cosa si deve fare in questa o quella situazione. È più preciso di una teoria della salvezza individuale e molto meno preciso. Più preciso perché segno di riconoscimento infallibile, meno preciso perché la precisione intellettuale (Léon Bloy) rasenta l’eresia. Bloy. “Questa ragazza dallo spirito superficiale e dal cuore frivolo che, per sfuggire alla famiglia, per essere chiamata signora, per avere vestiti e toilette… apre il tabernacolo possibile di un Dio al primo venuto che poi si chiamerà suo marito – una ragazza così fa singhiozzare la Terza Persona divina, fissa alla sua Croce di fuoco, forse per mille anni, il nostro paziente {Signore} Gesù Cristo che stava per scendere ecc.17 Le donne hanno un unico segno, ma del tutto certo, per conoscere la loro vocazione. È l’amore… [Le donne ovunque sono convinte]18 di possedere un segreto che nessun uomo è capace di penetrare…”19 “È ridicolo; eppure, senza saperlo, hanno ragione. Se qualcuno però cercasse di rivelare a una donna questo segreto, ignorato da lei stessa e che appartiene solo a Dio, si troverebbe davanti a una persona che non capirebbe nulla e che lo tratterebbe da pazzo.”20 Richiamo del culto della donna ignota in Saint-Simon. La donna {ignota} “è attesa da secoli con profonda nostalgia, anche da chi I

Mancano le virgolette di chiusura.



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crede di aspettare e cercare altro. Questa Desiderata delle Nazioni viene invocata con tutti i nomi simbolici, che esprimono le misteriose concupiscenze che agitano la vecchia anima umana. Ed è vero: in fondo è sempre Lei a cui la nostra ignoranza ricorre. Ricchezza, Gioia, Gloria, Potenza, Virtù, e perfino il Vizio: tutto ciò a cui aspira il genere umano esprime simbolicamente quell’unica sete delle creature condannate al parto e al dolore.”21 Ora per Bloy Donna = Maria = Paraclito (che deve compiere ogni cosa) – “La prostituzione… inevitabile destino della donna disperata, quando la Provvidenza non le viene in soccorso con un miracolo.”22 “L’idea centrale del libro è il sesso fisiologico della donna, a cui si riconduce o da cui si diparte inevitabilmte tutta la sua psicologia. Per parlar chiaro, la donna dipende dal proprio sesso come l’uomo dal proprio cervello. L’idea non è certo nuova, ma la si può rinnovare, e darne perfino un’immagine terrificante, spingendola fino alle sue estreme conseguenze. Questo è quanto mi propongo, sperando di trovare una verità assoluta. Prendiamo, ad esempio, il culto, l’adorazione vera e propria della donna, per quanto virtuosa la si immagini, in riferimento al segno esteriore del suo sesso, che essa inconsciamente giudica alla stregua del Paradiso. E proviamo a pensare a questo culto di se stessa in immediato conflitto con l’assoluta necessità di prostituirsi per denaro. Spingiamo poi agli estremi quest’idea, questa concezione del sacrilegio e si vedrà che anche l’uomo più coraggioso tremerà davanti alla mostruosità evocata dal suo spirito. La mia eroina non avrà una bellezza superiore, né doni particolari. Avrà un nobile cuore triste, molto toccante, ma porterà questo suo cuore alla maniera delle donne; cioè nascosto nelle profondità del suo sesso. In realtà, bisogna sventrarli, questi esseri bizzarri, per dar loro la maternità che è la vera esplosione della loro personalità affettiva…”23 Il nucleo delle sue idee: “Per la donna, che è una creatura temporaneamte, provvisoriamte inferiore, ci sono due soli modi d’essere: la maternità nel senso più alto del termine o il titolo e la qualità di uno strumento di piacere… Maria Maddalena prima o Maria-Mad. dopo. – Tra questi due poli c’è solo la donna Onesta cioè la femmina del Borghese, il reprobo assoluto, che nessun olo-

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causto potrà mai riscattare. (È lei che a Betlemme ebbe a negare l’ospitalità a Gesù Bambino.) – Ma tutte le donne hanno un punto in comune: il preconcetto sicuro della loro dignità di dispensatrici della Gioia. Causa nostrae laetitiae! Janua caeli (Litanie di Maria). Dio solo può sapere in che modo queste forme sacre si amalgamano alla meditazione delle più pure e ciò che suggerisce la loro misteriosa fisiologia.”24 “Io, che credo soltanto nelle idee assolute, tralascerò ogni psicologia già nota e andrò direttamente a quella mostruosa affermazione con cui ritengo di poter chiarire tutto. Ogni donna, ne sia cosciente o no, è convinta che il suo sesso sia il Paradiso. Plantaverat autem Dominus Deus Paradisum voluptatis a principio ecc. (Genesi, II, 8). Nessuna preghiera, nessuna penitenza, nessun martirio è perciò in grado di impetrare in modo sufficientemente efficace questo gioiello inestimabile, che neanche il peso in diamanti delle nebulose potrebbe pagare. Bisogna giudicare da quanto la donna dà, nel momento in cui si dà, e misurare insieme il suo sacrilegio, nel momento in cui si vende. Questo è incredibilmente ridicolo. Ma ecco intanto la conclusione, del tutto inattesa, a cui sono arrivato. La donna ha ragione25 di credere in tutto questo e di pretenderlo in modo ridicolo. Ha infinitamente ragione, perché questa parte del suo corpo è stata il tabernacolo del Dio vivente. Nessuno può fissare dei limiti alla solidarietà di questo sconcertante mistero…”26 “Il mio scopo è quello di mostrare, per la meraviglia delle anime mediocri, che esiste un miracoloso legame tra lo Spirito Santo e la Prostituta, la più addolorata, disprezzata, calunniata delle creature umane”27, 27/11/89. – “Mi capita a volte, quando sono preso da un’idea, di proiettarla all’esterno e di spiegarla, più con veemenza che con intenzione didattica.”28 “Il sentimento tipicamente femminile che si chiama pudore e che è stato dato in modo speciale alla donna così come all’uomo è stata data, in modo speciale, la libertà. Il pudore nella donna, come nell’uomo l’eco della libertà, è l’eco attraverso il suo sesso… Quando ho scritto che da parte dell’uomo questo non aveva la stessa importanza, non potevo pensare ad altro, seguendo la logica del mio ragionamento, che all’atto fisiologico derivante dal



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dono di sé, al di fuori dell’idea di matrimonio. L’uso continuo che faccio nella mia lettera della parola prostituzione avrebbe dovuto metterti sull’avviso. Se capita che il dono senza amore avvenga da parte della donna nel matrimonio, ci troviamo in presenza di un atto sacrilego, abominevole e disgustoso, al cui confronto le prostitute per disperazione si trovano in una condizione che assomiglia alla santità delle Dominazioni e dei Serafini. Ecco, è tutto quanto si può dire. E anche da parte dell’uomo sarebbe un orrore e un sacrilegio tale da far gridare le stelle. Soltanto che non si tratta dello stesso genere di oltraggio, perché l’uno o l’altro non danno o non perdono la stessa cosa”29, 12/12/89. “Dal giorno in cui ti ho dato il mio cuore per non riprenderlo più, noi siamo diventati una sola cosa, ma il mio passato non può farti soffrire in modo serio, in modo intimo. Credi che sarebbe la stessa cosa per me se il tuo passato non fosse puro? Solo gli stupidi possono ribellarsi a una legge che fa così grande onore alle donne. Se gli uomini possono buttarsi via qua e là senza alcun inconveniente, le donne hanno un tesoro così prezioso che lo si può riscattare solo a prezzo del sangue di G.C., cioè con il settimo sacramto della sua Santa Chiesa”30, 2/12/89. Quanto Bloy dice del rapporto al sesso gli sembra su “tante menzogne letterarie e finzioni drammatiche”31, 27/11/89. “Sai, amore mio, cos’è la cosa più dura per l’anima? È quella di soffrire, non dico per gli altri, ma negli altri. È stata questa la più terribile agonia del Salvatore. Oltre alla terribile Passione visibile di Cristo, oltre a quella processione di torture e ignominie che facciamo perfino fatica ad immaginare, c’era la sua Compassione: e ci vorrà tutta l’Eternità per capirlo. Compassione straziante, assolutamente ineffabile, che fece spegnere il sole e vacillare le costellazioni, che fece sudar sangue a Cristo prima del supplizio, che gli fece gridare: ‘Ho sete’ e chiedere la grazia al Padre durante il supplizio. Se non ci fosse stata questa spaventosa compassione per Nostro Signore la Passione Fisica non sarebbe forse stata che una lunga ebbrezza di voluttà, nonostante sia stata ecc.”32 – “Tieni conto che G. soffriva nel suo cuore con tta la scienza di un Dio e che nel suo cuore erano riposti tutti i cuori umani,

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con tti i loro dolori, da Adamo fino alla fine dei secoli. Ah! certo, soffrire per gli altri può essere una grande gioia per chi è d’animo generoso, ma soffrire negli altri: questo sì che è soffrire davvero”33, 7/12/89. “Fa sempre bene incontrare la morte e sono felice che quest’incontro ti abbia colmato della presenza di Dio. È un segno da cui si riconoscono le anime superiori. Il cristiano è uno chiamato ad essere sempre chino sull’abisso”34, 11/12/89. “Sono molto infelice, non c’è dubbio, ma ho comunque tanta speranza. E poi, chissà, che inconsapevolmente non mescoli alle mie sofferenze reali anche un po’ di letteratura”35, 9/I/90. Distinzione tra l’amore sessuale e materno. “Il primo è una specie di puerilità divina, uno squisito e reciproco diletto che presuppone, fino ad un certo punto, l’ascendente provvidenziale della carne sullo spirito e insieme la rinuncia momentanea di questo fiero lord che renderebbe infeconda la sua luminosa bellezza, se respingesse inesorabilmente la sua cieca compagna. Perciò è del tutto naturale e normale che due amanti, anche di intelligenza superiore, diventino piccoli, come dei bambini, quando si accarezzano nel loro amore.”36 “Non vivo che con te, per te, grazie a te, in te”37, 18.I.90. “Le espressioni assolute”38 di Bloy  – “Non so esprimermi in altro modo. Aggiungo anche che non mi riesce di sentire in modo diverso”39, 12/2/90. Paragone tra certi sentimenti bruscate provati davanti a una cosa che di primo acchito non era destinata a suscitarli con l’uomo che afferra un oggetto eccessivamente caldo che sembra freddo e che si scotta. Bloy “Il soprannaturale è entrato nella mia vita.”40 14/2/90 – In Bloy questa dialettica nella sofferenza – abbandono – ma proprio questo elezione. Bloy “Non sarei quello che sono, cioè un artista, se questa letteratura da cani non si insinuasse anche nei movimenti più spontanei del mio cuore.”41



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“La Chiesa usa abitualmente un linguaggio misterioso, essendo costretta a parlare come Dio stesso ha parlato”42, 12/2/90. “Non c’è niente di più ignorato di Dio. È triste, perciò, il destino di chi pensa a Dio”43, 8/3/90. “La gloria del padre (Giuseppe) sta nel nascondere; la gloria del Figlio (Giuseppe) sta nell’esser nascosto; la gloria dell’Amore (Giuseppe) sta nel trovare. Che pensieri sublimi!”44, 8/3/90. “Qualche volta ti ho sorpreso, in qualche caso ti ho fatto anche soffrire, quando ti parlavo della nostra tenerezza, in particolare della mia, ponendo l’accento sul lato sensuale, quello che gli ipocriti evitano con tanta cura”45, martedì di Pasqua 90. Nel sogno, mistero dell’oggettivazione del soggettivo. Ma il momento essenziale e patetico di questa oggettivazione quando si discute in sogno, che la replica dell’avversario vi arriva dall’esterno e vi sorprende. Il mio pensiero mi giunge da fuori. Tra Natale e Capodanno liberiamo delle piante {di abete} ricoperte di neve. Questa {era} distesa {uno strato sottile} su dei fili d’erba gelati, {riposando come} Come su un’armatura {evanescente. Tutto questo così fragile Ma} c’erano grandi campi coperti di neve. Nessuna vita sotto la neve. E poi noi passavamo nei campi, {separando con dei bastoni e} calpestando i fili d’erba, scuotendo la neve, e sotto i campi apparivano piccoli alberi di Natale; lunghe ghirlande di piccole perle verdi, una lunga serie di piccoli Natali che erano appena sotto la neve, misteriosi ma pronti ad apparire {rivelarsi}. Tutti i drappi che cadono – e allora quale personaggio ufficiale, artista che fa il buffone suiI luoghi vuoti del teatro ambulante – con le mani rosse di freddo. I commedianti accompagnano l’organo di Barberia nella mia infanzia. In Bloy – pensieri assoluti, ed espressioni assolute, prese in prestito dal dramma cristiano. Curioso: linguaggio teologico assolutamente I

“sui” in sovrascrittura di “nei”.

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privo di untuosità. Stesso effetto nell’argot. Argot come linguaggio assoluto. L’idea di luce = idea di immanenza {1945} S. Paolo, Lettera ai Romani. Dio che risveglia i morti e dona un nome a ciò che non è come se esistesse46. C’es La Scuola dice Carlyle rimane il luogo in cui si impara a leggere e a scrivere. Ma è la scuola dei segni e non delle cose47. La nozione di essere opposta alla conoscenza, ma anche alla sostanza – Opera d’essere – non nei confronti del nulla – (morte) – ma nei confronti di un altro essere – Eros? – PartecipazioneI. Era un’epoca felice in cui i colori erano netti, non sfumavano, non viravano nel loro contrario. Credevo che un sifilitico, un tubercoloso, un morfinomane, {un pederasta}  – sono finiti  – non perché sono vicini alla loro morte, ma perché sono come colpiti da una tara irreparabile. Poi la rivelazione – fanno parte della società – sono ancora degli esseri perché possono durare – sono solo malati. Si può raccontare che Pietro il Grande era stato sifilitico, che Cesare Borgia – l’idolo del popolo – aveva il “mal francese”. La paura di essere “illuso” – forse che questa regola pratica che mi sembra assoluta non è pura e semplice “letteratura” – Questa sfera della letteratura si spande all’infinito. Che sia la virtù? Il ritratto – l’uomo  – vi guarda da un altro mondo. I

La maiuscola è incerta.



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Nella notte di Alençon, un volume di Corneille e di Racine. Corneille e Racine  – senza Francia. {Anche Orazio e Virgilio sono senza Roma  – ma tutta la Roma antica continua ad esistere come se fosse immersa in fondo al mare48.} Avere pietà di sé – altra cosa che essere egoisti. C’è già l’intersoggettività. Aver pietà di altri – non è semplicemente mettersi al posto d’altri – è più ancora sperimentare l’abbandono d’altri – cose che non sono visibili che dal di fuori. Il tema del sogno in un sogno: l’uomo che si addormenta – ascoltando il brusio di quanti restano svegli – stazione – altre situazioni in cui la realtà stessa possiede l’inconsistenza del sogno e in cui il sogno si insinua in una realtà già dissolta. E allora l’ultimo sogno – la scala e la caduta, senza passare per i gradini intermedi. Preghiera = pensiero senza retropensiero. ÈI per questo che la preghiera deve essere fissata nei libri di preghiere che sono al di là delle oscillazioni del pensiero con i suoi retropensieri. Il pensiero assoluto nel senso di Bloy è al di là della psicologia. Sa cose che non sono nella fenomenologia. Furto – non è dovuto solo a motivi oggettivi. In rapporto a questi, le banche sono ladre più grandi di qualcuno che ruba pane – Ma il RiferimentoII soggettivo esiste: contro la legge – un’esistenza criminale – disordine. Ci sono realtà che non è possibile portar via con sé quando si ascende. Ciò non vuol dire che sono inferiori. Hanno il loro sapore, il loro valore proprio sebbene inimitabile. La paura della notte che il giorno dissipa – non è un puro fantasma. a Fal racconta le nostre paure e non le comprende nemmeno lui. I II

“È” in sovrascrittura di “ma”. Nel manoscritto, la parola è al plurale.

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Nei racconti fantastici di Edgar Poe – l’essenziale della sua arte – il genere di bellezza che ha trovato come direbbe Proust – è al livello della sensazione. Quanto è fantastico sono alcuni aspetti immediati della percezione: il cuore che si angosciatoI che si sente battere come un orologio nella bambagia ( Cuore rivelatore), laII III

descrizione del gatto – del paesaggio – E soprattutto il tempo infinito dell’avvicinarsi dell’imminente che non si può fuggire (il pendolo e il pozzo ) – l’ossessione della sepoltura anzitempo – è qui che ogni istante del tempo è vissuto – senza intervallo, senza modo di fuggire, di riempire il tempo con la speranza, con qlcs. d’altro rispetto a questa imminenza. A fianco di questo fantastico profondo – un fantastico più volgare – quello della favola. Quando si comincia a mangiare il cavallo perché non mangiare l’uomo? L’amatore dei cavalli può essere amatore della carne di cavallo? Il cavallo – non si può mangiare perché lo conosciamo come bestia da soma, come collaboratore.

“angosciato” in sovrascrittura di “sente”. Si conclude qui il Quaderno 6, ma il seguito di questo frammento si trova chiaramente sul foglio isolato 1 inserito alla fine del quaderno. III Levinas ha inserito alla fine del Quaderno 6 cinque fogli volanti – di cui il primo (cfr. nota precedente) contiene chiaramente il seguito del testo che si trova sull’ultima pagina del quaderno –, come pure un blocco che comprende due fogli doppi e un foglio singolo (il blocco viene descritto come un quaderno non rilegato e chiamato Quaderno 6a). Tra questi fogli, uno solo potrebbe essere stato staccato dal Quaderno 6, gli altri sono di carta diversa e di formato leggermente inferiore al formato di questo quaderno. Tutti i fogli sono scritti a matita. I

II



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La sostanza solida del tempo – si sfilaccia sotto l’azione degli aerei che la percorrono senza posa (allarmi). È la fine.

La mia materialità – la mia caricatura; non si tratta del meccanico applicato sul vivente – è il materiale di cui lo spirito che è fatto – che esso anima. Lo spirito nel corpo è il mio volto nella mia caricatura. Voluttà – categoria di rinuncia e di partecipazione, ma con il compimento in essa dell’individuale perché è gioia e felicità.

Platcher Lot-et-Garonne Montauban 18, rue Caussat Raymond Pontlevoy À Bono par Athée s/Cher Indre-et-Loire Capitaine Nazare-Aga 3, avenue Pierre-de-Serbie Paris 16e Raïa 8. II. 44 Raïa 8. II. 44 Suz Poirier 21. II. 44 God 21. II. 44 Suz Poirier 24. II. 44 Suz Stock 24. II. 44 I

30. 4. 44 30. 4. 44 6. 5. 44 7. 6. 44I

La riga successiva è quasi del tutto cancellata.

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André Gourmelin 19, rue Le Déan Quimper Delannoy Amiens (Somme) 14, rue Alphonse-Paillat Dr Charles Rennes 5, quai Chateaubriand David Paul M. Toulon 2, place Louis-Pasteur (Var) France Suzanne Stockman rue TruffaultI

E. Lewy Brooklyn 19, N.Y. 1351 – 46 Street USA René Verduron Paris 17e Arr 51, rue La Condamine

Stessa indicazione della nota precedente. Il foglio è stato forse staccato dal Quaderno 6 (cfr. supra la nota di presentazione dei fogli inseriti nel Quaderno 6). I

II



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Habib 25, rue du Rhône à Genève

Krause XXXVIII Habib XXXIX Raïa XL

6. II. 45 20. II. 45 27. II. 45 Pacco Nazionale Essia XLI 27. II. 45 Raïa XLII 6. III. 45 Pacco dell’Uomo di Fiducia49 Pacco Nazionale Habib 25. III. 45 I L’Essere non è solamente un verbo – è il Verbo. Distinzione tra verbo e azione, verbo e movimento, verbo e divenire. Tutto questo è l’analogon dell’essere. Divenire il più contiguo – ma abitualmente concepito in vista del termine. – Ciò che non è analogon – ma essere stesso – è il fatto che è verbo – Il verbo è il suono – Il suono in quanto risonanza – vibrazione – quanto c’è di azione nella vibrazione – conservarsi – una certa ampiezza – Da cui differenza tra vedere – comprendere e intendere – Il ɉɪɨɪɨɤ di Puškin50 – Il metodo fantastico – stupore davanti alla sensazione – la sensazione e la realtà che diviene fantastica. Non semplicemente stupore della contraddizione del . Ma qlcs. come un incantamento –

I Quaderno non rilegato composto da due fogli doppi e da un foglio singolo di formato 10,5×15 cm inseriti uno nell’altro.

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In questa teoria del suono – chiarimento sulla nozione di espressione. Il suono – per riapparire deve essere riprodotto. Il rosso è lo stesso rosso – ma il do è sempre nuovo. Sicuramente anche il rosso si riproduce di nuovo ad ogni alba – ma non ricomincia come il suono – è la luce che torna – mentre per il suono tutto il suo essere che si ricrea. Essere = verbo. C’è una questione preliminare: le parole – sono dei nomi, v. a d. anche il verbo un nome di azione, l’aggettivo = nome di qualità ecc. o al contrario i nomi stessi sono verbi polarizzati? L’essenza della parola non è il verbo? Dunque legame intimo tra parola e il verbo essere. Il verbo d’essere – dilatazione, contrazione dell’essere. Analisi della durata in quanto essere – non ciò che rimane sotto il cambiamento, perché propriamente in cosa consiste il permanere quando non si vuole più accoglierlo nelle qualità dell’oggetto – né ben inteso il cambiamento, il deperibile – né il divenire – ma né il presente – ma eros o verbo d’essere – o suono. Filosofia Morale L’idea di felicità è coestensiva all’idea di individualità. È la fine della nozione di specie. È per questo che la felicità è qlcs. di più dell’essere. Compimto – ed essere. Con l’idea di felicità – la socialità non può più essere la specie – e le relazioni della specie divengono esse stesse compr pregne di significati soggettivi. Se tuttavia la partecipazione oltrepassa la ragione  – non è mai come l’impersonale, l’eterno – ma come il transpersonale. – Sintesi dell’uno e del molteplice  – D’altra parte il problema della soggettività – dell’ipostasi come l’avevo messa in evidenza – è il problema stesso della felicità in quanto oltrepassa l’essere (Introduzione).



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Distinzione tra essere e atto – tra atto e contemplazione (non è sufficiente battezzare la contemplazione – atto) – permette di vedere nella filosofia – che è inizialmente morale – contemplazione = destino v. a d. filosofia = destino. Essere verbo = suono = destino = economia? = tensione? = suono? L’andatura spigolosa dello sportivo inoperoso – gli organi e i muscoli naturalmente tesi verso lo sforzo – sono ciondolanti e pigri e nei inadatti al gesto semplice della vita. Le vacanze nel gesto minimo. In . La nozione di forza – si oppone alla ragione che è solitudine – forza intersoggettiva. La guerra opposta alla ragione – Nella forza assunzione a partire dal e nello stesso tempo intersoggettività – Nozione completa di economia. La ragione non trova a chi parlare – Opposizione universale e radicale tra ragione (Isoli-tudine – trasparenza – eternità – né interiorità né esteriorità (sono convertibili una nell’altra)  – e delII sesso che ha tutti i caratteri opposti. Il gatto perde ogni dignità quando gli si pesta la coda. Si pensava fosse un’appendice decorativa, come lo strascico di un vestito, o la fibbia di un centurione. Ed ecco che ci sono dei nervi. E il gatto questo animale misterioso stregone, – il gatto di Baudelaire grida come una vecchia signora. Tra i 30 e 40 anni si ha la sensazione della brevità della vita – prima non vi si crede – dopo si è stupiti di vedere che tutto ciò continua lo stesso. – tra i 20 e i 30 dolore – volere abbracciare ogni cosa – vivere ogni destino – leggere tutto – come un organo sensibile e mal protetto.

I II

Manca la parentesi di chiusura. Bisogna sicuramente leggere “il”.

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{Odore = io - se .} Impossibile intimità io-sé. Dal momento in cui arrivo da qualche parte – nel nuovo ambiente – c’è già il mio odore – non la mia aria. Le cose sono già arrangiate in un certo modo.

I

Wir sterben Jung. L’amore. L’esaltazione non dipende dalla pretesa “fusione di due esseri”. Al contrario. Stimolata dalla presenza d’altri, dalla coscienza acuta della sua impenetrabilità. “Battaglie di Venere”. Questa cosa è animata, la sua anima è turbata – ma è un altro, un altro, assolutamente altro. Questa esaltazione, non è per questo delusione. È stimolata da ciò, gioiosamente esasperata. Amore-lotta. Origine del sociale. Amore sessuale  – il solo che si possa compiere, in cui le carezze giungono a compimento. Il resto {perfino l’amore filiale, perfino il paterno} impotente. Impotente perché inesprimibile, non susc incapace di compiersi. {Una fame essenziale e perpetua.} Realtà – allucinante. < > Un uomo per un altro non è mai {semplice} “oggetto esteriore”. Non solo perché lo si sa (attraverso la simpatia) animato e uomo, {e ci “si mette al posto suo”}, ma perché l’esteriorità di un essere umano, l’esteriore di un io fa parte si situa su un altro piano. Vedere

I Quaderno a righe di formato 11×17 cm con copertina rigida. L’insieme è scritto sia a penna stilografica ad inchiostro blu o nero, sia, più raramente, a matita su cui talvolta Levinas ha ripassato con la stilografica o con la penna a sfera ad inchiostro nero.

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un uomo dal di fuori qualcosa di esaltante. Come la contemplazione di una nudità. Come l’amore sessuale. Origine del sociale. Angoscia – della morte? (Heidegger) – cosa giunge a morire? (Morgan) {Sparkenbroke1} – che è impossibile morire. Il carnale – il tenero – la carezza. < > Il grande errore di Lawrence in Lady Chatterley – è credere che il contatto della vita è sempre vivificante. Il guardiacaccia è angosciato – ma egli teme l’esteriore, pensa che il contatto della vita è sempre una sicurezza. Il contatto della Vita può essere mortale. Peccato. Compimento. Simbolo. Nozioni essenziali per l’evasione dall’esistenza. Sacramento. Figurazione. G.I come una scheggia nella carne. Si potrebbe vivere senza di ciò, ma se non avesse {questa fonte di sofferenza} la mia vita {sarebbe privata} della sua acutezza e della sua vigilante lucidità. Come se si fosse evirati. O ricaduti nell’infanzia. < > La base del mio pensiero: il corpo non è un sostantivo assolutamente parlante, né il risultato di un atto – ma un compimento, un l’atto stesso. Non atto nel senso di attività, di iniziativa che si conclude o prosegue, ma nel senso di compimento. Qlcs. si comp Qlcs. “si consuma {consuma”} {del} attraverso ilII materialità stessa corpo. Forse il mistero stesso della materia  – è solo questione di materia – sempre compimento – differisce dalla qualità? Distinzione tra sostantivo prossimo al verbo – e dell’ aggettivo? Questo è sicuro per il corpo umano. È altrettanto sicuro della materia tout court? Senso della materia?

I II

“G.” sicuramente per “Giudaismo”. “il” in sovrascrittura di “la”.



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La creazione ex nihilo – colta sul piano della “Felix culpa”. La colpa riscattata – dona più che l’innocenza. La felicità e la pace – vittorie sull’essere, liberazione dell’essere – donano più che il nulla. La morte non è un esito – libera dall’essere, ma vi si perde. Il gioco è compromesso. Da cui la disperazione di Macbeth: “And migth the staff of world to be undone.”2 In questo senso la creazione non è ciò che sfocia nell’essere, non è la costituzione di un essere. Il “più” di cui parlo non è un surplus di essere. {È la felicità.} Il surplus non deve essere separato dal piano specifico della “Felix culpa”. In questo senso anche valore del tempo. La felix culpa suppone due tempi. Il tempo è dunque essenzialmente “dramma” – “due atti”, più atti. Il messianismo è più che una “creazione” perfetta. E non ci sarebbe MessiaI senza tempo. Tempo condizione della “consumazione”. “Creazione in più giorni”. {Il sabato è possibile solo a motivo dei 7 giorni.} Il passato è indispensabile, di conseguenza, per la prima volta, intravedo un legame tra la vita terrestre e la vita del cielo. Genio e talento {senso etimologico}. Genio  – un altro che parla. Interpretazione infinita {possibile}. Talento  – dono che fa parte dell’individuo, che è una facoltà della sua psicologia, il cui senso è esauribile e finito. L’uomo talentuoso: uno – possiede un dono. L’uomo di genio: due – è posseduto. < > La morte. Non una soluzione in se stessa. 1) Il gioco è perduto. Macbeth. Giobbe che maledice la sua nascita: la morte non lo salverà. Tutto questo, se la morte è fine dell’essere. 2) Ma c’è il tema di Amleto: la morte forse non è una fine (questa sconosciuta – questa indeterminazione della durata – è forse costitutiva della morte), il tema della triste eternità (pigrizia d’essere). Qui la morte come fine è auspicata, non temuta. I

“Messia” in sovrascrittura di “messianis”.

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3) Il timore della morte in quanto fatalità dell’attaccamento all’essere: da cui la sua doppia natura: essa la morte ciò che è temuto e ciò che è auspicato allo stesso tempo. Ma in entrambi i casi è una fine. La morte in quanto nascita a una vita nuova: fine per il corpo, cominciamento per l’anima. Cristianesimo, Platone, Morgan3. Morte in quanto sconosciuta – forse la descrizione più fedele. Uno sconosciuto nel dramma del tempo [?] Morte in quanto compimento? Un atto senza sostegno, senza base. La tragedia shakespeariana è prima di tutto il contatto dell’uomo e del nulla, del nulla nel suo equivoco, nella sua forma diabolica. La menzogna (Re Lear, Otello), l’equivoco delle streghe (Macbeth); il fantasma (Amleto). Da cui il ruolo essenziale nella maggior parte delle tragedie di Shakespeare del mentitore e del traditore. È il fabbricante del nulla. Colui che fornisce al nulla le apparenze dell’essere. Amleto è particolarmente profondo, perché che qui l’uomo ha trapassato l’equivoco o piuttosto ha fatto di questo equivoco il tema stesso della sua sofferenza. Amleto è la riflessione sulla tragedia shakespeariana. Soffre dell’insinuazione del nulla nell’essere {o dell’essere nel nulla}. Essere o non essere – è tutto qui. Notte – riposo – Da qui appare la nozione di corpo. Riprendo il tema della morte: Il fatto che la morte = gioco perduto prova che la morte non è altrettanto forte dell’essere. Anche se conclude l’essere non esaurisce tutto ciò che ha fatto. Quindi anche nell’ipotesi di Macbeth (1) non è una fine né in (3). La mia teoria del tempo (in cui l’essenziale è la molteplicità degli atti) permette di afferrare in maniera antirelativista e insieme antiromantica la nozione di simbolo. Per il relativismo, il simbolo può a rigore trascendere la sfera di ciò che è reale. Ma quanto il simbolo scopre, per Dio potrebbe essere immediatamente dato. Il simbolo, dunque, non ha valore in relazione a noi. È imitazione nel divenire di ciò che l’essere è in sé. – In Per me il divenire stesso ha un valore perché il compimento del simbolo – la consu-



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mazione  – è consumazione e arricchimento (creazione ex nihilo) solo perché c’è stata storia. – Per il romanticismo il simbolo vale come lo sconosciuto che stimola una storia che conta indipendentemente dal simbolo. Per me il compimento del simbolo non potrebbe separarsi dalla storia che vi conduce. È attraverso {di lei che} il compimento è creazione. Felix culpa. Simbolo – prefigurazione del compimento e non immagine dell’essere velato. La nozione di simbolo mi permette di distinguere la mia dottrina dal bergsonismo. Per Bergson: tempo = rinascita e libertà. Per me tempo, la dualità e la pluralità nell’essere stesso nella recitazione del dramma che è prefigurato dal simbolo ma la cui liberazione consiste in quel qualcosa di più che è il compimento del simbolo. È il fatto stesso di recitare il dramma {(di essere)} che permette di uscire dall’essere. Compimento = evasione. Evasione in qualcosa che non è essere. Felicità. Simbolo: sia inutile ad una Intelligenza superiore sia un modo peculiare d’accesso a certe realtà (simboli della scienza. “Anche Dio dovrebbe accedervie nello stesso modo a nozioni come atomi, elettroni ecc.”, Husserl4). Ma in tutto questo il simbolo è legato alla contemplazione, al pensiero. Quanto si trascura – è il suo bisogno di compimento – dunque avvenire. E nel compimento si trascura che è venuto a seguito di un simbolo, che ha un passato. La nozione di tempo e della sua fecondità miracolosa – l’essenziale del simbolo. Insonnia: “Tant l’écheveau du temps se dévide lentement”5, Baudelaire, “De Profundis”. Il ruolo del simbolo e della prefigurazione nel compimento – la sua proprietà di donargli senso – di trasformare il sostantivo in compimento – spiega il ruolo della filosofia nella ricerca del Bene sovrano – evasione – apogeo – creazione – felix culpa – che è la nozione che pretendo riabilitare. È attraverso la filosofia che

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il compimento – il Messia – può essere ciò che è. La filosofia dunque non è identica alla salvezza. Non è l’avventura dell’esistenza come vuole Heidegger. Non è la conoscenza del Bene – Né metafisica = contemplazione. Ma un elemento nell’ dell’avventura del tempo. Indispensabile nella filosofia del compimento. Filosofia – significato. Spiegare la nozione di significato e di simbolo. Importanza del termine, della parola. Tutto è “consumato”. Pensiero e atto. Cos’è che fa la specificità dell’atto? L’intervento sulla materia? No. Perché materia non è nozione principale  – in ogni caso non significa niente in se stessa. Pensiero: tutto è possibile, si può tornare su tutto. Anche la decisione pensata in questo senso. Ma una volta che l’atto vi si aggiunge – è irreparabile. Irreparabile – ecco l’atto. Quale che sia dunque il ruolo dell’intenzione – l’atto vi aggiunge qualcosa di essenziale. Da qui realmente pensiero = libertà, incontra un ostacolo. L’io entra nell’ordine cosmico. La teoria del “fiat” di James se ne scopre illuminata. È l’atto che fa la volontà. Tra tutte le cose che si possiedono – il cibo è un possesso che è possibile consumare. Si vorrebbe mangiare quanto si possiede. Mangiare – forma eccezionale di appropriazione. È in questo senso che l’amore sessuale può essere compiuto. Anche qui c’è più che un possesso. E il limite dell’amore: apparizione dello Straniero. La sofferenza del possesso delle cose: non è possibile mangiarle. Patriottismo. Tra tutte le nozioni ne ammetto solo una materiale: la terra. Relazione con la terra qualcosa di unico. Si può possedere una proprietà come si possiedono azioni, denaro. Ma nella relazione del contadino con la terra relazione specifica. Qualcosa che oltrepassa il possesso ordinario. Connaturalità. Famiglia dispersa di Pearl Buck6: terra più o meno vecchia. Contiene più o meno cadaveri di antenati. Fusione. Elle pleure, insensé, parce qu’elle a vécu! Et parce qu’elle vit! Mais ce qu’elle déplore Surtout, ce qui la fait frémir jusqu’aux genoux,



C’est que demain, hélas! il faudra vivre encore! Demain, après-demain et toujours! – comme nous! (Lei piange, insensata, perché ha vissuto! E perché vive! Ma quel che ella deplora, E soprattutto la fa fremere sino ai ginocchi È che domani, ahimè! bisognerà che viva ancora! Domani, e domani ancora, e sempre! – come noi!) “Le Masque”, Baudelaire7. Voulez-vous (d’un destin trop dur Épouvantable et clair emblème!) Montrer que dans la fosse même Le sommeil promis n’est pas sûr; Qu’envers nous le Néant est traître; Que tout, même la Mort, nous ment, Et que sempiternellement, Hélas! il nous faudra peut-être Dans quelque pays inconnu Écorcher la terre revêche Et pousser une lourde bêche Sous notre pied sanglant et nu? (Volete (di un destino troppo duro emblema evidente e spaventoso!) mostrare che fin dentro la fossa il sonno promesso non è sicuro; che anche il Niente è traditore; che tutto, anche la Morte, mente, e che sempiternamente, ahimè! saremo forse obbligati in qualche paese sconosciuto

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a scorticare la terra scabrosa e spingere una vanga gravosa con il piede sanguinante e nudo?) “Le Squelette laboureur”, Baudelaire8. Tutta l’analisi della stanchezza nell’istante. D’altronde è il tema stesso della mia filo. Divenire e dramma non dietro il tempo cosmologico, ma in una per così dire perpendicolare. Stanchezza – in un movimento di tensione – non una parte di noi, ma noi stessi – rinuncia, si intorpidisceI. Non scorre più. Sterilità. L’essere è due – ma due nell’istante. Non diviso nel pensiero, ma nella sensazione. Non come nel dolore in cui non si può mollare. Qui si può mollare. Ma non si molla. (Trasformare forse tutto questo linguaggio: inscrizione nell’essere in analisi dell’istante.) “Il silenzio e l’orrore delle tenebre”9, Baudelaire, “Les Chats”. “La noia, frutto del tetro disinteresse, Prende le proporzioni dell’immortalità”10, Baudelaire, “Spleen”. Meravigliarsi dell’esistenza è prima di tutto percepire l’esistenza come miracolo. “Ma i veri viaggiatori sono solo quelli che partono Per partire…”11, Baudelaire, “Le Voyage”. < > La pena dello sforzo non risiede nella sua sofferenza, ma nella sua iniziativa. La necessità generale di intraprendere e di conseguenza di consegnarsi che è la pena. Il tema generale dell’esistenza. Esistere = penare.

I

Levinas sembra avesse cominciato a scrivere “intorpidimento”.



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Faccio anche dell’“atomismo psicologico” perché parto dall’istante. Ma l’istante non è l’elemento di cui sarebbe costituita una totalità. L’istante è la relazione con l’esistenza. Il legame tra la mia teoria dello sforzo – compimento del presente –, e la mia teoria della notte – il fatto anonimo del c’è – nella mia teoria del corpo. Il corpo è il primo atto – l’atto per eccellenza la cui attività appare proprio nel riposo. Riposo – il fatto stesso di riposare su una base, di reggersi. Ogni atto suppone il riposo. In Proust c’è qualcosa di unico che non è né il suo stile, né la sua teoria del tempo, né la finezza e la precisione della sua analisi psicologica. È la qualità aristocratica delle sue sensazioni. Giunge a far comprendere la sua vita interiore  – in cui ritroviamo sempre del già noto e che ha qualcosa di universale come {nelle} le analisi di un eccellente psicologo – come qualcosa di unico, un fremito inimitabile. Come un paesaggio interiore assolutamente senza esempio, illuminazione che non trasforma le proporzioni delle cose; ma che è illuminazione pura che dona loro un’anima nuo propria. Dona per così dire l’anima della sua anima. Non è l’inatteso delle sue reazioni che ne fa l’essenziale – ma il loro gusto che hanno – così simili alle nostre malgrado tutto. Io…I “E l’arancia spremuta nell’acqua sembrava manifestarmi, quanto più ne bevevo, la vita segreta della sua maturazione, la sua benefica azione contro certi stati del corpo umano che appartengono a un regno così diverso, la sua impotenza a farlo vivere ma, al contrario, i giochi di irrorazione con cui poteva giovargli, cento misteri svelati dal frutto alla mia sensazione, e per nulla alla mia intelligenza”, Proust, Sodoma e Gomorra, II, ch. 1, p. 15212. < > Nella persecuzione ritrovo il senso originale del g.II, la sua emozione iniziale. Non persecuzione qualunque  – persecuzione assoluta, che dà la caccia all’essere ovunque per rinchiuderlo nel I II

Punti di sospensione incerti. “g.” sicuramente per “giudaismo”.

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nudo fatto della sua esistenza. Ed è anche qui {(cap. 53, Isaia)} – in questo scoraggiamento che nessuno potrebbe comprendere – che si rivela la presenza divina. Situazione del “subire” puro in cui c’è un’elezione nel senso di relazione amore di una persona che vi sfiora {carezza}. O piuttosto rivelazione di un ordine differente dall’ordine naturale – reale nonostante tutti i fallimenti dell’ordine naturale. – Ebbrezza di tale sofferenza inutile, di questa passività pura attraverso cui si diviene come il figlio di Dio. Infanzia. Questo è molto importante: il “subire” puro non è una sensazione della prevaricazione del mondo. Può andare in questo modo quando gli occhi sono rivolti verso il mondo. Ma il subire diviene qui: filialità. “L’anima dell’anima” di Proust dipende semplicemente dall’impossibilità di situare la cornice reale – della sua storia? Ci sono persone per le quali gli avvenimenti della storia  – per esempio la guerra – non sono che un elemento della loro vita, un avvenimento che si incornicia in essa, ma che gli serve da dec viene dall’esterno, si situa attorno ad essa come uno scenario come tanti altri eventi. Il tono di tutto questo destino proviene dall’individuo. In Baring13 la guerra dei Boeri è un dettaglio nella vita dei suoi personaggi che tuttavia potevano rimanervi uccisi. Per altri al contrario tutta la loro vita è “centrata” attorno ad un avvenimento esterno come la guerra. Maurice Baring: Princesse Blanche14. Il romanzo è noioso, troppo lungo e la sostanza poetica e intellettuale del libro che non sorprende mai potrebbe stare in poche pagine. Ma artificio interessante: riesce a dare l’illusione di una vita assolutamente stilizzata in cui tutto, anche l’infelicitàI, anche la morte trova il suo posto previsto da sempre. Niente di I destini più burrascosi sono percorsi con serenità. La società trova risposta a tutto, categoria per tutto. Nel modo stesso in cui la morte è annotata, quasi con la secchez-

I

“la” in sovrascrittura di “il” e “infelicità” in sovrascrittura di “dolore”.



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za di una biografia in un dizionario enciclopedico. “IQuell’inverno lì tizia ha avuto una tale malattia e ne è morta. Bernard… Blanche… la storia continua. La morte nemmeno arriva sempre alla fine del capitolo. Relazione tra io e coscienza. Nei filosofi l’io l’ultimo spettatore della coscienza. Una coscienza all’interno della coscienza. In me, “io” quanto si appoggia su un terreno solido mentre lo spinge via col piede. La funzione essenziale della coscienza nella misura in cui è comandata dall’io non è più la conoscenza. Ma allora cosa? Il pudore del dolore. Il dolore e la vergogna. Nella nozione di creazione ex nihilo non c’è più struttura dentrofuori. Dio non è l’anima del mondo; il mondo non è il cogitatum di Dio. La morte non è una via d’uscita. Si è assaggiato l’essere e si prova il sentimento che con il nulla l’equilibrio non è ristabilito. Bisogno di trionfo. Apparizione dell’Ideale. Messianismo. Il desiderio della morte non è identico al desiderio di non essere nati. Con la morte il gioco dell’essere e del nulla non è concluso. Nascendo, ci inscriviamo nell’eternità. La vita eterna non è il contrappeso della morte, è implicata nella morte. La lotta per l’esistenza non conosce il fatto del c’è. Si lotta per soddisfare i propri bisogni. Nella situazione del suicidio l’essere stesso appare all’orizzonte. La sofferenza  – la sua intensità consiste nella sua irremissibilità nell’istante. Ma la carezza – vi ripara qualcosa. Non che faccia passare il dolore. Ma c’è nondimeno una modificazione nel dolore. Da qui il Miteinander-sein entra nella mia ontologia.

I

Mancano le virgolette di chiusura.

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Sessualità umana – irritazione per il fatto d’altri. Il libro del Dott. Alexis Carrel è piuttosto impressionante15. Non per il suo suo lato filosofico. La sua fenomenologia della coscienza è ingenua, ignara di qualunque problema filosofico sul significato dell’esistenza. AlI problema della “relazione tra anima e corpo” risolto attraverso laII problema nozione della totalità, ha forse {apporta sicuramente} una soluzione giusta – ma non la si comprende, è una pura affermazione che ha solo senso pratico: “Occorre sempre considerare un essere umano come un tutto.” La formazione dei concetti operativi non è una Begriffsbildung filosofica  – Ma l’interesse del libro di Carrel risiede altrove – nelle conseguenze sociologiche che ne ricava. È sicuramente qui la ragione del suo successo, molto meritato. Le consegu Per un individualista – per colui che conformemente alla tradizione giudaico-cristiana pensa che il fine della civiltà è la dignità e la felicità della persona, il libro di Carrel pone un problema, una difficoltà, un caso di coscienza. Il fine Quale è insomma il fine della civiltà secondo Carrel? L’integrità della razza. Alla base di questa affermazione c’è il sentimento di uno zampillare della vita di cui l’individuo non è che un bagliore, uno schizzo, e che per l’individuo è un dovere di continuazione, di preservazione. Occuparsi della sopravvivenza dei deboli è un peccato contro la razza. Ma supponendo che questo sia vero – ed è molto probabile che dal punto di vista fattuale l’individuo non sia che questo – la vita nel suo zampillare universale comporta un aspetto individuale. Ci sono individui che sono felici o infelici e la cui felicità o infelicità può essere in contraddizione o in accordo con le esigenze della vita universale. Ma proclamare il diritto alla felicità degli individui “forti” è innalzare il fatto in diritto. È combattere l’esigenza fondamentale della religione giudaico-cristiana il cui vero pathos consiste nel ribellarsi contro il fatto. Perciò si ha sicuramente torto ad opporre lo spirito alla materia. Ma è la “totalità” dell’uomo {che} esige dalla religione una salvezza che I II

“Al” in sovrascrittura di “il”. “la” in sovrascrittura di “il”.



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deve valere per la totalità; che deve sormontare il tragico dell’individuo opposto alla vita universale. È questa la democrazia nel senso nobile del termine {e indipendentemente da tale o tal’altra realizzazione tecnica della democrazia contro cui Carrel si rivolta a giusto titolo e contro cui si dirigono tutte le sue critiche. La vita dolce e molle, volgare, non è la salvezza; ma la vita, il diritto alla vita del debole – ne fa parte}. Essa La democr. parte dal nudo fatto dell’individuo, si installa precisamente nella contraddizione tragica tra l’individuo e la specie. È un’esigenza ideale. È in quanto carità – che pensa alla razza. Sempre attraverso l’individuo. – Noi C’è in tutto il libro, nella sua predilezione per le l’età dei signori feudali ecc., il cristianesimo aristocratico che si adatta così bene con il paganesimo, il culto della terra, e che ha trovato espressione in alcune forme del cattolicesimo. I misfatti della civiltà industriale sono certi ma non sono affatto nello spirito democratico, ma il prodotto della sua disorganizzazione e della sua degenerazione. È da pensare che né il razzismo né la democrazia liberale contengono la vera salvezza. Il rapporto dell’io a sé – contemplazione? riflessione? Per me: partita giocata. Annoiarsi – non un tempo vuoto – è sempre annoiarsi con qualcuno. Le greggi, il fico, la vigna che nella Bibbia appaiono come il fine dell’esistenza – non sono che mezzi della pace16. Non la felicità materialista, ma la felicità esistenziale della pace, dell’idillio, dell’innocenza. Si può fare una caricatura di tutto il mondo. C’è dunque in ogni essere qualcosa di troppo. Il sorriso – essere senza caricatura. Leggerezza essenziale. La parola “attività” livella i rapporti con il tempo – il senso temporale delle diverse attività: pensare non compie l’esistenza nello stesso senso di lavorare, e lavorare non nello stesso senso di combattere, {combattere, non nello stesso senso di giocare}. La distinzione platonica: lavoratore, guerriero e filosofo è più esistenziale di

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quanto si pensi. {Qui anche il senso profondo del poeta cacciato dalla città.} La battaglia dell’amore. Questo tema si chiarirà quando si parte da quanto dico dell’“io-sé” – più prossimi che dei fratelli, più stranieri che degli amici. In Heidegger esistenza compie la comprensione. (Egli assume l’idea husserliana di intenzione specifica, adeguata all’essere degli oggetti, per vedere nei fatti dell’esistenza, in tutta la loro concrezione delle comprensioni.) Per me l’esistenza compie ma non in quanto comprensione. Compie specificamente – non è un evento esteriore – ma laI comprensione è al di fuori del compimto. La comprensione sempre teorica, sempre luce. Dà al compimento il suo significato proprio – che è nella tensione drammatica (– tempo – felix culpa). (Attraverso di lei questo non è un evento esteriore) è il simbolo anticipante. Ma il simbolismo, filosofia – non è l’evento stesso. Simbolo deve essere {in più} compiuto – ancora La nozione di “partita persa” è per me il vero concetto dell’impossibilità della morte. Da qui l’avventura individuale si prolunga al di là di se stessa e annuncia un “ordine” universale. La paura della morte non si rapporta alla fine stessa – ma è come se si dicesse “peccato!”. “Mai più”, nevermore. Illusione – ludo – gioco. La base del gioco – nessuna responsabilità. Libertà senza responsabilità. Libertà che implica responsabilità – è libertà verso gli altri – libertà che esclude responsabilità – libertà verso sé. Un essere irresponsabile non avrebbe timore della morte. Nessun timore della morte in un’esistenza giocata. I

“la” in sovrascrittura di “essa”.



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Condizioni della certezza del cogito: presente, io, pensiero. È l’atto del pensiero di sapere che è ciò a cui la relazione con l’io porta la garanzia della certezza. Perché? Perché nel pensiero la relazione dell’io con il pensiero è il pensiero stesso? Perché il pensiero è il movimento stesso dell’io verso il sé? O piuttosto non è perché il pensiero in questo caso è dubbio – vale a dire concentrazione sul presente puro? Il “mai più” di Edgar Poe. “Il corvo” non è soltanto la disperazione che che non permetterà più all’anima di innalzarsi al di fuori di sé – “e la mia anima, fuori dal cerchio di questa ombra che si ritrova a oscillare sul suolo, non potrà più innalzarsi, – mai più!” Non è solo l’impossibilità di un avvenire – Tutta l’intensità di questa impossibilità dipende dalla parola “più” (more)  – ancora una volta. Non è il puro nulla del mai – il nulla di un tempo vuoto – ma il nulla che viene dopo qualcosa che una volta è accaduto, – il gioco è perduto – non è più possibile riprenderlo. Questo nulla si riferisce ad un passato, a quanto è esistito. Non è un nulla, è un’ombra. L’orrore della morte è l’orrore della sua “Iimpossibilità”. Edgar Poe dice lui stesso del Corvo: che è il simbolo del ricordo funebre ed eterno (in Genesi di un poema). La speranza per il presente, non speranza di una semplice giustizia: l’istante successivo ricompenserà per un istante passato e si giungerà ad un equilibrio. La speranza per il presente, spera per la sofferenza presente che resterebbe resta inconsolabile anche se nell’istante successivo poteva essere ricompensata {è grazie alla speranza per il presente che tale compensazione è possibile}. Forma concreta di questa speranza per il presente – carezza. Non è loquace, non dice che andrà meglio – ma riscatta nel presente stesso. Ora con la carezza – abbiamo {il} teneroII e il carnale. Significato corporale del tempo.

I II

Virgolette di apertura incerte. “tenero” in sovrascrittura di “tenerezza”.

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1946 Cos’è lo spirito? Ecco un essere umano che ha un volto – incorniciato da capelli, una barba, labbra rosse, occhi luminosi, – si si può vederli tutto questo come quando si esamina un animale: manto, crescita, toni ecc. Che ci sia qui volto – è questo lo spirito. La mia filosofia – è una filosofia del faccia-a-faccia. Relazione con altri, senza intermediario. È questo il giudaismo. Dio ha parlato. Profeti  – il linguaggio, coloro che parlano malgrado loro stessi  – trasparenza totale. Irradiamto che si ignora. Bibbia  – libro vale a dire – niente: parole. 17ʤʸʥʺ ʺʧʮʹ– la gioia di avere la Torah. Si legge il Cantico dei cantici. Tutte queste bellezze, tutte queste profondità – ci sono! ʤʸʥʺ ʺʧʮʹ Storia santa  – una liturgia che non diviene commedia né mistificazione. Una liturgia sempre nuova. Nessun gesto. Sempre eventi. 1947 Il potere della classificazione. Un fenomeno oscuro ma imbarazzante è coperto dalla parola “amicizia nascente” – e la cosa è messa a posto. Il figlio avrebbe dovuto ribellarsi nel vedere suo padre risposarsi a 60 anni, dopo appena un anno dalla morte di sua madre, con una giovane donna di 35 anni. Il padre dice: “Ha sofferto” e la cosa è sistemata. La decenza è stata rispettata. Niente di profondo è più imbarazzante. La futura giovane sposa ha messo dei fiori intorno alla foto della prima moglie – questo gesto, questo rito – ha sistemato tutto. Le regole sono state rispettate. Niente imbarazza più. La parola, il rito hanno classificato. E il problema stesso diviene “classificato” nel senso in cui si dice “è un caso classificato, chiuso”.

I

La pagina 44 del quaderno è stata lasciata in bianco.



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La differenza tra rivelazione e sapere non è soltanto nella fonte. La Rivelazione sostiene che l’essenziale del sapere sono gli esseri  – mentre il sapere opera con l’aiuto di nozioni. P. es.: l’uscita dall’Egitto costituisce l’assoluto e non il rapporto tra sostanza e accidente o tra pesi atomici. Ma in vista di che? In vista della spiegazione? – Forse che la spiegazione  – non presuppone luce e di conseguenza idee  – e forse che l’assoluto può essere altra cosa da un principio di spiegazione? Uso teorico e uso pratico. L’uso pratico altra cosa che l’uso teorico minore. Conoscere e salvarsi – Non c’è sempre una superiorità alternante? E in questa oscillazione tutto l’uomo. Ma riconoscerlo  – è conoscere. A meno di ricordarsi del carattere ancillare di tale conoscere. < > 1948 La nozione di sorte nell’analisi della potenza. Elemento che dirime sulla potenza – incontrare l’oggetto che si maneggia. Fede = sapere senza dominio. Giuramento Giurare – implicare l’assoluto nel fatto della mia colpevolezza. Non originale. Quella che proviene dal fatto che faccio sempre più di quanto non faccia – che ho uno spessore nello spazio. (Il soggetto della filosofia classica è infallibile.) Essere fallibile – non debole, ma vivere in un mondo in cui molte cose mi sfuggono. Il mio corpo (= spessore). Faccio un passo: schiaccio insetti, calpesto l’erba – lascio una traccia (Sherlock Holmes). Coscienza immersa in un inconscio. Senso molteplice dell’inconscio: risorsa nell’irresponsabilità. La famiglia sposata – tutti gli abissi della famiglia – Immagine: sono a tavola con la zia acquisita. Ecco! È una cagna. Lo zio è un gatto. Come entrare nella loro vita di cani e gatti, “nelle loro abitudini” “nei loro costumi”? – È tremendamente animale – nemico – follia! follia! La stessa persona che si sposa – è scelta astratta – accettabile.

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La maieutica – l’idea che non si può mai insegnare – presuppone la solitudine. – All’idea di maieutica – si oppone la teoria del traumatismo e dei miti. Verità della maieutica contro l’empirismo, contro la passività del sapere compreso come materialità. Ma una relazione con l’altro lascia un posto alla passività: il traumatismo. Il mito. Lottando contro la reificazione della coscienza, si finisce ad una psicologizzazione del reale  – (l’idea del potere). L’idea dell’evento ontologico – né coscienza, né cosa: il tipo stesso di tale evento: creazione: passività della creazione – senza potere per riceverla. Teologismo. A partire dal nulla. La situazione di Blanchot: né romanzo di avventura, né romanzo psicologico, né romanzo allegorico – ma situazione onto con un’implicazione logica specifica. Il vero problema della situazione concentrazionaria: da una parte la relatività della maggior parte dei valori pacifici – solo gli imbecilli continuano a rispettare i valori pacifici, proprietà – integrità – rispetto; e tuttavia in questo rovesciamento dei valori, non perdere ogni morale  – scoprire la morale assoluta. Praticamente: concepire la possibilità di un ritorno della pace e la responsabilità nei riguardi di tale pace. dic. 1948 Propaganda e terrore – L’azione dell’arte = propaganda. Merito e valore ʷʧʶʩ±ʷʩʣʶʯʡʷʩʣʶ ʤʷʡʸ±ʲʹʸʯʡʷʩʣʶ Dal punto di vista del merito ʤʷʡʸ – superiore a ʷʧʶʩ Ma la preghiera di ʷʧʶʩpiù efficace18. Domandando si adduce  – non soltanto il merito, perché addurre il merito – è essere limitati a sé. Addure il 19ʺʥʫʦ è addurre



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con modestia. La modestia è orgoglio – se una parte dell’io non è esterna a me. L’io esteriore a me – è il padre. Il senso del 20ʬʥʴʬʴ la sola cosa impossibile al merito è la modestia. E la modestia presuppone il padre: ma come struttura dell’io. < > Sogno della prigionia che dura sempre – Da molto tempo gli altri ne sono usciti e hanno problemi di uomini liberi – ed io sempre ancora mi preoccupo della liberazione. I dischi di Rennes continuano a girare. Le partite a crapette. Il non senso sarebbe la cosa meglio condivisa al mondo, se non ci fosse del metodo che lo fanno mentire. Differenti proporzioni di sensazione e di percepito nel colore e nei suoni. < > Sett. 49 A fianco della dualità insormontabile dell’eros  – fusione. In che senso? Situazione dialettica di partecipazione di due soggetti allo stesso sentimento. Sentimento v. a d. qlcs. che non è né oggetto, né situazione – non un’idea comune. E di conseguenza partecipazione che non è né Einfuhlung, né estasi mistica in cui la farfalla si brucia e scompare. Pluralità delle persone – pluralità dei “modi di porsi”. Evoluzione verso l’esistenza – da Kant (condizioni della conoscenza), Hegel – storia = condizione. Novità in rapporto al nominalismo – relazione analoga alla gnoseologia pura. < > 1950 Questa via Boileau che sfocia in avenue de Versailles – che stravaganza – Chi avrebbe potuto supporre in lui simili istinti?

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L’uomo che vive in un mondo di megafoni – che apprende dal di fuori come informazioni esterne i suoi movimenti più intimi – il suo inconscio. I 3, av. Victoria Servizio medicoII Grosse Lubar21 Si trasloca. Letti smontati con la loro targhetta. Li si rimonta. Confusione. Nessuno è nel letto che porta il suo nome. Ciò che sorprende è che Tizio – sia nel suo letto. La situazione di Edgar Poe – il pericolo che si avvicina. Coscienza di questo avvicinamento e del suoIII carattere ineluttabile. Si può misurare tale approssimarsi. Di contro: immagino una situazione in cui la minaccia è sicura, ma in cui non è possibile misurarne l’avvicinarsi. Trasloco di una casa minacciata da una bomba a scoppio ritardato. Una baracca nel campo. Una piccola porta dietro. E si entra in una sala da pranzo ecc. La morte non è più circondata dalla sua solennità – dalla sua abituale decenza. – La paura di morire solo. Questa fame angosciata… Outward Room by Millen Brand22.

Quaderno a righe, in origine rilegato, di formato 8,5×10 cm. Scritto sulla copertina, nel senso della larghezza. III “suo” in sovrascrittura di “questo”. I

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La caduta nel sogno – perché questa angoscia – non si è liberi – che può accaderci – È il nostro essere che rimane annodato, contratto – in maniera generale io sono contratto – e tuttavia non posso essere libero – senza bagagli. Il sogno profetico – incontro Max – che passa triste e smarrito: Chi vincerà la guerra – nessuno – ritornerò – No – Come morirò? – Automobile – Quando non so – Allora lo scaccio con parole Ascolta   – Scompare abbassando la testa  – {(sonno)} rapido come il riflesso del sole proiettato dallo specchio – Risveglio – Mi riaddormento – Per due volte racconto l’incidente a personaggi dei sogni seguenti. Prendere in parola l’umanità: le maledizioni e le benedizioni si realizzano – i sacrifici espiatori vengono accettati. Come in Aristotele una fisica delimitata non esclude una metafisica, una formazione profonda di concetti – in Freud – una tecnica che rigetto lascia intatta una formazione di concetti assolutamente potente – in particolare la nozione di “simbolismo che nasconde”. Idea di un romanzo g.I – sulla prigionia per i miei familiari. La morte di Max e la messa di padre Chesnet – bene23. Impiegare la parola “economia” per “totalità” o “insieme”. Il piacere di addormentarsi – la gioia dell’annientamento, l’essere nel non essere. L’io è qui per godere del suo annientamto. Concedere la durata è dare speranza. L’ipotesi: D. vi dice: la morte o la prigionia eterna – è assurda non appena si concede la durata – anche se DioII dice eterna – con la durata ci sono gli interstizi I II

Sicuramente per “giudaico”. “Dio” in sovrascrittura di “l’assoluto”.

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attraverso i quali scivola la speranza. Aggiungere alla mia idea del racconto di Edgar Poe – questa terza situazione. Nessun pericolo che si avvicina, nessun pericolo che minaccia ad ogni istante – solo una condanna eterna – In tal caso speranza. Lo sguardo concupiscente lanciato verso il vostro pane. Mi domando se a conti fatti la filo. non sia l’unica scienza pratica. Ecco in che senso: le nozioni di partenza – sono scelte liberamente – non arbitrariamente; in questo senso la filosofia non è un delirio paranoide ma il carattere pratico dipende da questa libera scelta e non dal fatto che l’oggetto della filosofia è l’azione. In principio era la fame – come un enorme spasmo nell’essere. Non è in questo senso che in Rabelais c’è la panfagia. In S. Teresa c’è una costante vicinanza  – 1) di una coscienza dell’impossibilità di compiere alcunché – del suo nulla totale e della sua impossibilità di ottenere niente – della convinzione che tutto le giungerà da Dio, anche la sua santità – e 2) d’altra parte uno sforzo costante verso la santità, come se potesse sicuramente qualcosa. Tale apparente contraddizione potrebbe anzitutto essere risolta con un appello al contenuto dello sforzo. In effetti è possibile dire: tutto il valore positivo le giungerà dalla grazia e il suo sforzo va solo verso la totale distruzione di ogni orgoglio – verso il suo mettersi in condizione di ricevere. Tuttavia la distruzione deve andare più lontano e divenire più profonda ponendo tto il problema del rapporto tra il merito e la grazia – ci sono due categorie di azione: una umana che è senza efficacia e l’altra efficace (Malebranche). {Non ha nemmeno l’efficacia di provocare l’efficacia.} “Nonostante sia ancora così imperfetta dopo tanti anni passati da religiosa, provo sempre la stessa fiducia audace di divenire una grande santa. Non faccio conto sui miei meriti, non avendone nessuno; ma spero in Colui che è la virtù, la santità stessa. Lui solo,



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accontentandosi dei miei poveri sforzi, mi innalzerà fino a Lui, mi coprirà dei suoi meriti e mi farà santa.”24 Che differenza di stile tra S. Teresa e lo stile ecclesiastico con i suoi aggettivi come i della bigotteria di S. Sulpice. “Fate male a pensare a cosa può accadere di doloroso nell’avvenire, è come impicciarsi di creare. Non bisogna mai che ci tormentiamo di alcunché”25, S. Teresa. “Se io mi ascoltassi, domanderei a Gesù di donarmi le tue tristezze, ma avrei paura di essere egoista, cercando per me la parte migliore, v. a d. la sofferenza.”26 “Ma si prova una così grande pace nell’essere assolutamente povera, e nel non contare che su di Lui”27 – “Quand’anche avessi realizzato tutte le opere di S. Paolo, crederei ancora di essere un servo inutile. Giudicherei che ho le mani vuote, ma è proprio questo che fa la mia gioia, perché non possedendo niente riceverei tutto dal buon Dio.”28 La morte – è forse l’ingresso nell’eterno della scena in cui la vita è stata interrotta o diviene dipinto. Il ɬɢɯɢɣɭɠɚɫɴ29 dei personaggi del dipinto: eternità – il gesto che si deve compiere e quello che non si può compiere – paralisi di tutto – sul bordo dell’istante seguente incapacità di varcare l’abisso che separa due istanti – Tema per Poe. I miei metodi letterari: 1) Descrivere ogni cosa a livello di “sensazione”, nell’elementare, in quell’elementare in cui tutto il complesso è già presente. 2) La situazione reale è descritta sobriamente. {Vi si accede attraverso una porta ampiamente aperta.} Ma una piccola immagine finale, su cui non conviene mai insistere, {come un vasistas che si socchiude per un momento}, vi fa {circolare} come una repentina

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corrente d’aria diI fantastico. Tutta la “situazione reale” appare al di sopra di un precipizio. 3) Giraldismo d’immagini – piuttosto sobrio – 4) Metodi cinematografici – montaggio delle parole per evitare descrizioni pesanti per le quali la mia mano non si solleva. 5) Effetto ricercato in (2) può essere ottenuto attraverso quanto chiamo cura dell’“Aufmachung”30. La trascendenza che pongo alla base della mia ij – è né la trascendenza nei riguardi dell’oggetto – né la trascendenza nei riguardi dell’avvenire – né la trascendenza nei riguardi dell’amore – ma la trascendenza dell’espressione – Non verso qlcs. – ma l’esteriorità stessa del soggetto – l’essere nel suo essere è espressione – possiede una gloria che lo raddoppia. Il mistero è questo qlcs. in più che tale gloria e che pure si rifiuta a tale gloria. < > Cose da chiarire: 1) Eros alla base del sociale – il che non vuol dire che il sociale si spieghi attraverso quanto è inferiore e che non c’è niente di nuovo nella societàII – Ma il sociale è già nell’essere. È nell’economia stessa del soggetto. Il sociale – è l’essere completo. Ma in Non si devono immaginare gradi di sviluppo nell’essere – perché solo allora bisognerà mostrare il qlcs. in più che ogni grado contiene. – Costruire una teoria del rapporto tra il sociale dell’essere  – e il sociale della società. 2) Chiarire il rapporto tra il sociale – sessuale – rapporto tra persone, tra e il sociale di una società riunita che malgrado tutto non è un’aberrazione e in cui il sessuale appare in un certo modo. Macbeth – anche lui come Amleto è terrorizzato dal fatto che la morte forse non esiste – che non risolve niente. In questo senso il suo spavento alla vista di Banco è il punto culminante della I II

“di” in sovrascrittura di “nel”. “società” in sovrascrittura di “sociale”.



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tragedia. D’altronde è a partire da questo momento che egli èI senza limite timore nel crimine, che diviene intrepido e che i suoi scrupoli contro i quali lady Macbeth doveva lottare non esistono più. Perché? Disperazione. Non sono mai stato capace di stabilire un rapporto tra l’appartamento e la strada. Padrone e schiavo – relazione che non è priva di libertà – perchéII laIII presuppone – schiavo è un essere libero asservito. Albert Camus – la libertà dell’assurdo – non è la libertà come quella dei  – che cerco. L’orecchio che si affatica ad esplorare il silenzio. Il mondo della sapienza antica e della necessità – il saggio impassibile. Il mondo della libertà modernaIV e dell’azione – come destino umano – si deve realizzare la sua felicità. Il mondo di Dio – e l’appello come destino dell’uomo – preghiera – l’uomo che mendica, il povero – il mendicante. Essere religioso – ciòV non è credere all’esistenza di Dio – è una astrazione – ma avere una domanda di Dio – la domanda di Dio è la preghiera – La domanda che si pone all’interessato – l’appello. Ideale dell’uomo libero – senza attaccamenti – e per il quale tale vita di attaccamenti che si gioca per la moltitudine rimane un oggetto. L’uomo senza bagagli. Cos’è l’idea preconcetta? – È non lasciar agire la verità su sé. Perché? Perché dietro la verità si percepisce un retro-pensiero – v. a d. “è” in sovrascrittura di “xxxxxxx”. “perché” in sovrascrittura di “ma”. III “la” in sovrascrittura di “che”. IV “moderna” in sovrascrittura di “ant”. V “ciò” in sovrascrittura di “è”. I

II

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l’uomo. Idea preconcetta: chiedersi chi l’ha detto invece di ciò che è stato detto. Interpretazione della storia – Taglio trasversale fatto arbitrariamente. Ciò dà smpr luogo ad un quadro – ma è la vera armatura dell’avvenimento? Allora si giunge all’idea: chiedere al principio dell’avvenimento cosa ha voluto – ma lo sa? Agire è avere uno scopo o una politica nel senso di Paton31. Il popolo presso il quale lo spazio è sostituito dal tempo, e la geografia dalla storia. Quanto è arte pura  – in cui solo le sensazioni comandano  – in cui non c’è programma, non c’è libretto  – musica. E tuttavia qui ancora in modo minore o maggiore – funzione di espressione e architettura – le diverse forme si ordinano in maniera tale che la regola è sul piano della sensazione. C’è un contenuto – bisogna che tutto ciò serva a qualcosa – da ospitare. La relazione tra la favola e l’opera letteraria è più intima di quella che unisce l’abitazione all’opera di architettura? Sì, comunque, perché il soggetto interviene con il suo stesso ritmo . Limite del surrealismo – e delle tendenze dell’arte pura. L’evoluzionismo religioso permette di integrare tutta la tradizione (il talmudismo e anche il rabbinismo). Solo il giudaismo permette di comprendere la storia – perché nel cristianesimo tutto è compiuto – per noi l’attesa del Messia è l’evoluzione. – Vita religiosa – studio della legge con i suoi possibili rinnovamti. – Storia = rivelazione = vita. Non c’è distinzione tra dottrina e vita. – La stessa storia santa racconta un’evoluzione e questa mescolanza di dottrina e vita.

Freud – Specie – Gloria – avvenire



Romanzo .

J. J. Nunspeetlaan 93 La Haye Hollande

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II Scritti sulla prigionia e Omaggio a Bergson

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Si è detto tutto della prigionia: la monotonia delle recinzioni di filo spinato e, nei kommandos, le mattinate piene di bruma in cui ci si muove per andare a lavorare. Abbandono. Umidità. Freddo. Oppure sole primaverile che vi sfida. Il computo perduto dei giorni passati e di quelli a venire. Tale miseria era compensata da qualcosa? Sulla prigionia si è creato un romanticismo in cui è presente un po’ di ampollosità. La sofferenza desta le anime e, anche se i prigionieri non hanno conosciuto gli orrori di Buchenwald, c’è stata grande sofferenza negli stalags e negli oflags. Ma, in cinque anni, la vita nei campi si è organizzata. Si sono stabilite regole, – usanze, costumi – e abitudini, il conforto del povero. Allora, senza distruggere una specie di fraternità latente, apparvero i difetti umani: egoismi, meschinerie, resse, conflitti. I prigionieri non sono stati milioni di santi tesi verso la perfezione, milioni di saggi in meditazione sul passato e l’avvenire, ma milioni di esseri umani che hanno vissuto un presente eccezionale. Per paradossale che possa sembrare, nella recintata distesa dei campi hanno conosciuto un’estensione di vita più ampia e, sotto l’occhio delle sentinelle, una libertà insospettata. Non sono stati dei borghesi, ed è qui la loro vera avventura, il loro vero romanticismo.

I Copia dattilografata. Non si conosce né la data, né la destinazione di questo scritto. È tuttavia ragionevole supporre che sia contemporaneo ai due testi successivi sulla prigionia, e che sia stato scritto da Levinas poco dopo il suo ritorno dalla prigionia. Sotto il titolo compare l’indicazione “di Emmanuel Levinas”.

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Il borghese è un uomo insediato. Non può sottrarsi alla serietà della sua vita. La sua attività quotidiana, è la vera realtà. La sua casa, il suo ufficio, il cinema, i vicini, sono i punti cardinali della sua esistenza. Sul mondo, sul vasto mondo apre solo il giornale e lo apre come una finestra. Rimane spettatore. Il prigioniero, come un credente, viveva nell’aldilà. Non ha mai preso sul serio la stretta cornice della sua vita. Durante cinque anni, nonostante il suo insediamento, era sul punto di partire. Le realtà più solide che lo circondavano portavano il sigillo del provvisorio. Si sentiva impegnato in un gioco che oltrepassava infinitamente questo mondo di apparenze. Il suo vero destino, la vera salvezza si costruivano altrove. Nel bollettino. Erano eventi su scala cosmica. Quanto concerneva direttamente il contadino esiliato di un angolo di Bretagna o di Corrèze e che, in altri tempi, non aveva avuto altro orizzonte che i limiti del suo villaggio, era l’universo. La sua vita oscillava da Bengasi a Londra, da SaintNazaire a Stalingrado, da Singapore a Bucarest. Mangiava fissando gli oceani e il vento delle steppe russe cullava il suo sonno. Si dimenticherà una vita piena di minuzie che pure non sono mai divenute Vita? E poi, c’è stata una privazione che ha restituito il senso dell’essenziale. Non sempre la povertà, non sempre la fame, ma più niente di strettamente privato. Tutti gli spazi del quotidiano divenuti collettivi. Rimaneva il letto: tre metri cubi limitati dai letti dei due vicini di sinistra e di destra e del vicino di sopra. Si possedeva. Ma la proprietà non era il padrone, non era più sacra. La mano sacrilega del sorvegliante poteva sfogliare finanche le lettere e come penetrare nell’intimità dei ricordi. Ma abbiamo scoperto che non se ne moriva. Abbiamo imparato la differenza tra avere ed essere. Abbiamo imparato quanto poco spazio e quante poche cose occorrano per vivere. Abbiamo imparato la libertà. Ecco le vere esperienze della prigionia. Sofferenze, disperazioni, lutti – certamente. Ma al di sopra di tutto ciò, un ritmo nuovo della vita. Avevamo poggiato il piede su un altro pianeta, respiran-

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do un’atmosfera di miscele sconosciute e manipolando una materia che non pesava più.

La spiritualità nel prigioniero israelitaI

Né la qualità né la quantità né il successo delle rappresentazioni teatrali, delle liturgie, delle letture, delle mostre, delle conferenze, Copia dattilografata con correzioni manoscritte. L’articolo è apparso, in una forma tagliata dal redattore, in Le Magazine de France, “Cinque anni dietro il filo spinato”, Programmes de France, Paris 1945, p. 20. La versione qui pubblicata è dunque inedita. Probabilmente non si tratta della stessa versione inviata al Magazine, perché il testo pubblicato, anche se tagliato, contiene una porzione di frase e una frase intera che non compaiono nella copia dattilografata. È poco probabile che queste frasi siano state aggiunte dal redattore del Magazine. D’altra parte, in una lettera indirizzata al Magazine subito dopo la pubblicazione, Levinas lamenta che il suo testo sia stato tagliato e non riscritto. Ecco la trascrizione della lettera di cui si possiede copia dattilografata. La lettera è stata sicuramente inviata (Levinas ha conservato la ricevuta di ritorno), ma forse non ha ricevuto risposta – o almeno Levinas non l’ha conservata. I

E. LEVINAS 29, rue Lemercier Paris 17e

Parigi, 21 settembre 1945

Al Signor MERLIN “Magazine de France” 62, rue de Richelieu, Paris Gentile Signore, Con una lettera del 17 luglio 1945 avete chiesto al Sig. Julien Weill, Rabbino capo di Parigi, un articolo sulla spiritualità israelita durante la prigionia per il “Magazine de France”.

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potrebbero dare il tono della vita spirituale dell’israelita in prigionia. Questa riguardava la situazione eccezionale fatta al gruppo. In questa condizione collettiva c’era di che ricondurre l’individuo alle emozioni fondamentali dell’esistenza, al suo isolamento, alla sete di Dio, orgogliosamente inconfessata. L’individuo ha conosciuto risvegli improvvisi in cui questa vita banale e sparpagliata è apparsa come un impegno, come un destino, come un assoluto. Giorni e anni interminabili riempiti di tutte le piccolezze dell’esistenza si radunarono attorno ad una sofferenza centrale. Ammassato nelle baracche o nei Kommandos speciali, tenuto a mimetizzarsi sotto falsa identità per sfuggirvi – il prigioniero israelita ha ritrovato bruscamente la sua identità di Israelita. Questa cosa per la quale prima della guerra non esisteva una rubrica speTornavo dalla Germania in cui, per diversi anni, ho vissuto in uno di quei “kommandos speciali” di cui si ignora tutto e il Rabbino capo mi ha chiesto di scrivere il pezzo che avevate richiesto. Ho accettato, dopo aver ottenuto telefonicamente il vostro assenso alla mia collaborazione. Le due pagine dattilografate vi sono giunte entro il tempo e i limiti indicati dalla vostra lettera rigorosamente rispettati. Mi sono preso il riguardo di darvi il mio indirizzo. Scorrendo il numero appena uscito, vi trovo il mio lavoro accorciato di un terzo, amputato di passaggi che gli conferivano il suo senso. Né il Rabbino capo di Parigi, né il sottoscritto, riusciamo a comprendere la procedura utilizzata riguardo a questo articolo. Non si tratta di suscettibilità d’autore. Ma è estremamente doloroso vedere la falsa immagine della spiritualità del prigioniero presentata dal testo tagliato e in cui essa appare come priva di qualunque contenuto. Nella prigionia abbiamo compreso che i giornali dei campi contenevano quasi sempre un angolo del Cappellano e una pagina del Pastore senza poter consacrare alcunché al culto israelita. La vita spirituale del prigioniero israelita – che chiaramente non aveva diritto a nessuna forma ufficiale e nemmeno visibile in Germania  – deve apparire in Francia, ora che il razzismo è morto, come una miseria o come una quantità trascurabile per il capriccio o le abitudini di un segretario di redazione? E in che modo rimettere a posto le cose? Me lo chiedo, ve lo chiedo con risolutezza e spero che giudicherete utile darmi risposta. Vogliate gradire distinti saluti. Emmanuel LEVINAS Prigioniero rimpatriato dallo Stalag XI B Rds 1492 Matr. II6078

La spiritualità nel prigioniero israelita

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cifica in nessun registro ufficiale francese, lo ha riempito bruscamente fino all’orlo. Abituato da tempo a considerarsi come appartenente alla Comunità francese ha conosciuto l’immenso dolore di esserne escluso, ma risospinto verso il suo giudaismo vi ha attinto altra cosa che l’amarezza dell’oltraggio e della vergogna. L’umiliazione ha ripreso il sapore biblico dell’elezione. Quanto ammantava tale esperienza di patetico è partecipare alle prove subite da tutti gli Israeliti nei paesi occupati dalla Germania. Presto la notizia delle persecuzioni razziali, delle deportazioni, delle camere a gas e dei forni crematori si diffuse in queste piccole collettività ancora protette dall’uniforme. La sorte personale di ognuno si trovò solidale con una vecchia eredità di lacrime e sofferenze. Si amplificò, crebbe. La Convenzione di Ginevra – in cui tanti prigionieri non ebrei hanno trovato quella protezione che restituiva loro gli orizzonti della civiltà – appariva come una ben fragile garanzia nello scatenamento della propaganda tedesca. Gli altri parlavano di riforma, rilascio, liberazione – l’Israelita sapeva di essere in un mondo duro, senza tenerezza, senza paternità. Esisteva, senza alcuna risorsa umana. Si caricava da solo di tutto il peso della sua esistenza. Era solo con la morte. In nessun momento ha creduto che simile avventura potesse concludersi con la “liberazione dei prigionieri” come prevede con serenità la Convenzione di Ginevra. Nessuna illusione in caso di vittoria tedesca; e nel caso sperato di una sua sconfitta la vittima non era designata alla vendetta della disperazione? La morte vicina, ma sempre futura, non perdeva niente della sua angoscia  – ma planava come un’ombra familiare sugli atti e sulle iniziative. L’esistenza quotidiana si giocava all’incrocio della vita e del nulla. Il prigioniero israelita con il suo tormento e la sua saggezza segreta passava a fianco dei compagni non ebrei che forse non sospettavano il paesaggio che egli si portava dentro. Il prigioniero israelita è andato al di là delle emozioni verso forme di culto o di arte? Apparvero vocazioni personali, ed esse non coinvolsero sempre le collettività. Forse le masse erano prive di strumenti di cultura interiore. Come Robinson avevano intrapreso il loro insediamento materiale e spirituale con gli arnesi trovati nella stiva della loro barca incagliata. Come i {falsi} viaggiatori che

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in Cina, in Egitto o a Honolulu ritrovano le sigarette e i liquori dei loro paesi d’origine, i prigionieri attraversarono la Germania e i cinque anni di prigionia con i loro libri, le loro canzoni e i loro argomenti religiosi di prima della guerra. Non erano più all’altezza della realtà che si è aperta ai loro occhi. Ma forse anche l’emozione non si trasforma in cultura che molto lentamente e soltanto il dopoguerra assisterà al fiorire come culto, misticismo, arte di quelle emozioni che lungi dall’essere un cumulo di stati spiacevoli – è stato {immaginato} come un compendio del nostro destino di uomini nella sua angoscia e nella sua sofferenza fondamentale – vale a dire nella sua religiosità {.} naturale. Emmanuel Levinas 29, rue Lemercier

LA VOCE D’ISRAELEI Audizione del 25 settembre 1945

L’esperienza ebraica del prigionieroII. –

Nel dramma vissuto dal giudaismo europeo, i prigionieri di guerra israeliti non hanno avuto un ruolo principale. Non hanno vissuto nei campi della morte. Protetta miracolosamente dall’uniforme, una grande maggioranza è tornata dalla Germania. Sicuramente hanno conosciuto la tetra esistenza di tutti i prigionieri – il lavoro ingrato, il maledetto lavoro della schiavitù, la monotonia dei giorni, dei mesi e degli anni interminabili – e la fame e il freddo, ma era la sorte di tutti. E questa partecipazione al destino generale apportava come un inizio di consolazione. Quando la sofferenza fisica non è mortale, cede a ragioni morali, si permette il lusso di pensieri rincuoranti. In questi anni di distinzione ed esclusione I È difficile sapere in quale radio è avvenuta questa audizione. Non si tratta della radio israeliana Kol Israel, che ha preso questo nome durante la fondazione dello Stato di Israele. Kol Israel è stato anche il nome di una radio clandestina dell’Haganah apparsa nel 1940, ma venne immediatamente abbandonato e, soprattutto, la stessa radio smise di trasmettere nello stesso anno in cui aveva cominciato. Non si può escludere la trasmissione lungo le onde di quella che allora si chiamava Radiodiffusione francese (RDF), ma non è stato possibile verificare. Una trasmissione, sembra irregolare, dal titolo “La voce di Israele”, è esistita, ma l’INA non ne ha conservato alcuna traccia prima del 1946. Peraltro, non ci sono tracce di un intervento di Levinas prima del 1955. II Si possiedono due versioni – due copie dattilografate con correzioni manoscritte – di questo testo. Verrà considerata come versione di riferimento, e quindi trascritta, quella il cui testo dattilografato tiene presente le correzioni a mano apportate sull’altra versione. Nelle note in calce vengono segnalate le differenze tra le due versioni (la versione di riferimento e quella che verrà chiamata, per convenzione, prima versione).

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razziali, riconoscere nella propria pena la pena di tutti era per gli Israeliti congiungersi con un ordine universale, ritrovare la dignità dell’essere umano. E tuttavia, nonostante tutto ciò che la prigionia creava in termini di uguaglianza, per l’israelita era stata in ogni istante un’esperienza del giudaismo. Questa cosa per la quale prima della guerra non esisteva una rubrica speciale in nessun registro ufficiale, ne debordava. Alle tristezze che aveva in comune con i compagni non ebrei, prestava un significato proprio. Era una coscienza del giudaismo acuta come uno spasmo. Presto, la notizia delle persecuzioni che gli Israeliti subivano in tutti i paesi occupati, aveva raggiunto i campi. Lettere indirizzate a un genitore, a una moglie, a una sorella tornavano indietro con la dicitura “partito senza comunicare nuovo indirizzo”. L’eufemismo veniva capito. Il giorno della posta divenne un giorno d’angoscia. Ma in Germania si è conosciuta molto prima che in Francia la sorte di tutti quelli “partiti senza comunicare nuovo indirizzo”. Si conosceva lo sterminio di massa degli Israeliti in Europa orientale. Non si è mai smesso di essere solidali. Nell’ora suprema, di fronte ad una volontà sistematica di sterminio, che valore poteva avere la Convenzione di Ginevra, questo pezzo di carta. Gli Ebrei prigionieri si sentivano i congedati dalla morte che planava sui lavori e sulle loro risa come un’ombra familiare. Nei Kommandos speciali in cui erano raggruppati, prevalentemente in qualche sperduto angolo di una foresta, si trovarono separati sia dagli altri prigionieri, sia dalla popolazione civile. Tutto trascorreva come se qualcosa si stesse preparando per loro, ma continuamente rimandato. Per i piccoli gruppi disseminatiI in questo modo in Germania, ne risultava una solitudine morale che comunicava a tutti gli atti e a tutti i pensieri una gravità speciale. Fin dal Bar-Mitzvah, il prigioniero aveva disimparato il linguaggio religioso e senza dubbio non avrebbe mai acconsentito a chiamare religiosa la sua esistenza e, tuttavia, questa ne aveva il carattere. Una condizione senza mondo esteriore; nessun legame con quell’insieme di regole e di abitudini I “disseminati” in sovrascrittura di “dissimulati”. “dissimulati” è forse un lapsus, dal momento che la prima versione presenta anch’essa “disseminati”.

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fisse e di principi riconosciuti che si chiama civiltà; di fronte ad un domani pieno di incognite e di minacce senza alcuna risorsa umana, l’individuo non è qui una solitudine con Dio, anche se per orgoglio o per pregiudizio non si osa pronunciare il suo nome? Situazione che era comune ai prigionieri e ai deportati; ma se, per il deportato, il martirio era immediato, il prigioniero aveva il tempo di prepararsi ad esso. Tra l’uomo e la sua sofferenza, c’era come un intervallo che permetteva di assumere un atteggiamento nei confronti del dolore prima di esserne ghermito e straziato. In questo intervallo, si insinua la meditazione; è qui che la vita spirituale comincia. Quanto amo di più leggendo il racconto biblico di Abramo che va ad immolare Isacco, è immaginarmi i tre giorni durante i quali padre e figlio camminano verso il luogo indicato dal Signore e in cui hanno tutto il tempo per ponderare l’evento in cui sono coinvolti, il silenzio di questi tre giorni rotto soltanto durante l’ultima tappa da una domanda del figlio e dalla risposta del padre con tutto quello che questo colloquio lascia sottinteso. È grazie a questi “ritardi di percorso” che la prova è feconda. È in virtù di tutto ciò che la miseria del prigioniero aveva di sopportabile che è potuta divenire una presa di coscienza del giudaismo, germe possibile di una futura vita ebraica che il deportato, proprio lui, ha conosciuto come tortura, come morte e come Kiddush Hashem1. Dunque abbiamo avuto il tempo di prestare attenzione alla nostra infelicità, di interrogarci. Alcuni tentarono di andare più lontano. Risospinti verso il loro giudaismo, vi cercarono rifugio. La storia ebraica, l’ebraico, la Bibbia si mostrarono degni di interesse e di studio. Anche gli uffici liturgici divennero possibili. Tutto questo spesso maldestramente, quasi sempre senza seguito nei pensieri. Ma l’imperfezione delle imprese umane vale solo per la purezza di alcuni istanti. Voglio raccontarvi alcuni momenti eccezionali, vissuti durante gli uffici liturgici di prigionia in cui tutto il significato, tutto il contenuto del giudaismo si è manifestato come in compendio. Eviterò gli sviluppi di un lirismo facile sugli ambienti di questi uffici liturgici. Una riunione di dieci volontari 2 in una camerata, in mezzo a letti rischiarati da una lampada a petrolio – quando c’era

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del petrolio –, da lampade ad acetilene quando non ce n’era. Ma allora, era necessario che l’ufficio liturgico non fosse troppo lungo, perché la fiamma di una lampada ad acetilene si affievolisce velocemente soprattutto nelle vecchie lanterne da bicicletta che si utilizzavano, e che erano sempre fuori uso. La fine dell’ufficio nell’oscurità. Non parlerò dei sorrisi sarcastici di quanti non vi partecipavano, obbligati dalle loro convinzioni e dal loro appartenere al XX secolo. Gli uffici erano sempre la sera, perché all’alba bisognava andare al lavoro. Ognuno di questi uffici serali non aveva domani. Nessun Maariv era seguito da Shacharit3. Tutti riti crepuscolari. Recitazione rapida di antiche preghiere. Ed ecco che qualche fedele, mormorandole a fior di labbra, ravviva nel suo spirito il senso di quelle vecchie formule. Ci troviamo nel momento dei grandi successi tedeschi – la Francia schiacciata, l’Inghilterra e Londra sotto le bombe, la Yugoslavia e la Grecia annientate, la Russia invasa fino a Mosca. – La forza nel suo trionfo più brutale, in quel trionfo che fa dubitare di tutto ciò che era stato insegnato sul Bene e sul Male, su un mondo governato da una Misericordia. Qualcuno lo ha detto: si direbbe che Dio non è buono oppure che non è potente. E le vecchie parole liturgiche raccontano storie inverosimili: Dio che ha amato Israele di amore eterno, – il Signore che ci salva dalla mano di ogni tiranno  – la potenza Faraone inghiottita dalle onde, e i canti di allegrezza di Israele. Tutte queste preghiere ebraiche, ripetizione instancabile di un credo nel trionfo del debole. Cosa pensare di queste parole antiquate quando, nel 1940 o nel 1941, si è un prigioniero israelita in Germania e quando le si comprende? Chiudere con aria sdegnata il libro delle preghiere e andarsene con la convinzione che è una bestemmia quanto sale a fior di labbra? Ripetere queste cose senza pensarci, senza crederci, con l’indulgenza che si può mostrare verso il candore dei tempi antichi, pensare che tutte queste cose erano morte e che si era senza dottrina e senza verità come si era senza protezione e senza avveniI Viene aggiunta la parola “del” omessa nella versione di riferimento ma presente nella prima versione.

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re. Dal fondo dell’abisso implorare il Signore come GionaI? Tutto questo, certo, e volta per volta. Ma per un istante, un breve istante, si poteva faticosamente salire ancora un gradino e uscire dal cerchio magico in cui lo si trasformava. Si poteva trovare a questo amore di Dio una conferma terribile nel dolore e nel dubbio stessi. Nella passivitàII totale dell’abbandono, nel distacco da tutti i legami – sentirsi come tra le mani del Signore, provare la sua presenza. Nell’ustione della sofferenza distinguere la fiamma del bacio divino. Scoprire il misterioso rovesciamento della sofferenza suprema in felicità. Che cos’è dunqueIII in fin dei conti il giudaismo – in cosa è diverso rispetto ad altre religioni piene anch’esse di insegnamenti morali e di precetti di bene – avendo avuto anche loro accesso all’idea dell’unità del principio divino, cos’è il giudaismo se non, a partire da Isaia, da Giobbe, l’esperienza del rovesciamento possibile – prima della speranza, in fondo alla disperazione – del dolore in felicità; la scoperta dei segni dell’elezione nella sofferenza stessa. L’intero cristianesimo è già contenuto in questa scoperta che gli è ben anteriore. Oh! esistevano istanti in cui la perversa felicità della sofferenza penetrava alcuni di noi nel momento stesso in cui prendevamo coscienza del trionfo della Forza e la nostra affermazione dell’amore eterno del Signore per Israele non era più né menzogna né anacronismo. E così le stesse preghiere, le stesse formule sono tornate durante altre sere, nello stesso ambiente. Nel mondo le cose sono cambiate. Quanto era stato sperato appena diveniva realtà. Ovunque le forze del male indietreggiavano. I bollettini tedeschi registravano solo sconfitte. Sbarco alleato in Africa del Nord, invasione a Stalingrado. Ed ecco che le preghiere della sera recuperavano un altro significato. Dopo tante deviazioNella prima versione Levinas aveva scritto in un primo momento “Gesù”, parola su cui è ripassato con la macchina da scrivere per sostituirla con “Giona”. Successivamente, a causa della scarsa leggibilità, ha sbarrato “Giona”, per poi scriverlo nuovamente a mano nell’interlinea. II Nella prima versione “passività”, scritto a mano, corregge “passione”. III Nella prima versione si legge “Che dunque”. I

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ni, raggiungevano il loro senso letterale. Sì, Dio ha amato Israele di amore eterno – sì, ci ha salvati dalla mano dei tiranni – sì, la potenza del Faraone, dei suoi carri e delle sue truppe sono in fondo all’OceanoI {mare}. Sì, le ali protettrici di Dio si stendanoII su di noi – sì, la tenda della pace si distende su noi, su tutto Israele e su Ger^ Gerusalemme. Pensare che tutte queste parole devono essere prese come vengono pronunciate, che sono vere della loro verità elementare, della loro verità per bambini, scolastica e secolare, della loro verità popolare, della loro verità da strada: singolare emozione! Leggere un testo arcaico e poterlo prendere alla lettera senza adattargli un’interpretazione, senza cercargli un senso simbolico o metaforico! E questa stessa verità, questa verità insegnata dall’infanzia secondo cui l’iniquo e il forte soccombono, il debole e il povero sono salvati e trionfano apparve meravigliosa nella sua semplicità. Dopo moltiIII anni in cui il bene e il male avevano cambiato di posto e in cui si era cominciato a farvi l’abitudine, dopo anni di wagnerismo, di nietzcheanesimo, di gobinismo, da cui si è stati minatiIV, tornare alla verità di quando si avevano sei anni, vederla confermata dagli avvenimenti mondiali – questo vi mozzaV il fiato, vi prendeVI alla gola. Il Bene ridivieneVII Bene, il Male, Male. La lugubre mascherata è finita. Più avanti, le delusioni riusciranno forse ad oscurare questa gioia del senso letterale ritrovato, della verità semplice riconquistata. Forse si assisterà alla rinascita del male, alla debolezza degli uomi-

Questa parola si legge già nella prima versione. Bisogna leggere “si stendono”, peraltro presente nella prima versione. III “molti” non compare nella prima versione. IV Nella prima versione “minati”, scritto a mano, corregge “penetrati” V Nella prima versione si legge “mozzava”. VI “prende” in aggiunta manoscritta di “prendeva” (che si legge nella prima versione). VII Nella prima versione “ridivenne” corregge a mano “ridiviene”. I

II

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niI. Tutto dovrà ricominciare. Ma questo non toglierà nulla a questi istanti di incomunicabile stupore davanti alla verità di un testo a cui l’intero Universo giunge, in un unico slancio, a dare conferma. Davanti a questa verità vissuta con tutta l’intensità dell’attualeII, davanti a questo compimento che i nostri occhi vedono. Alla recitazione delle preghiere di trionfo si mescolava il ricordo di tutte le antiche letture recitate nel dubbio e nella disperazione, nello stesso periodo, nello stesso luogo. Gli eventi giungevano a coronareIII una dolorosa esperienza di dubbi e disperazione. EssiIV apparivano come il colmarsi di un’attesa. Erano compimento. “L’Elezione dellaV sofferenza” di un tempo appariva come la promessa di un compimento glorioso e visibile. Il giudaismo  – in questo momento privilegiato veniva vissuto fino alla fine. Il ciclo si chiudeva. Emmanuel Levinas

Nella prima versione “la rinascita del male, la debolezza degli uomini. Tutto...” corregge, a mano, “... che il male non è scomparso – che gli uomini non sono cambiati, che tutto è...”. II “l’attuale” in sovrascrittura di “l’attualità” (che si legge nella prima versione). III Nella prima versione “gli eventi giungevano a coronare” corregge, a mano, “giungevano a colmare”. IV Nella prima versione si legge “Gli eventi”. V La prima versione presenta “nella”. I

I

Cinque anni fa, il 4 gennaio 1941, si spegneva a Parigi all’età di 82 anni uno dei più grandi geni filosofici di ogni tempo: Henri Bergson. I titoli acquisiti nel corso della sua carriera – Professore al Collège de France, Membro dell’Institut e dell’Académie Française, Membro di numerose società scientifiche straniere, premio Nobel – scolorano davanti alla sua gloria reale. Già quando era vivo entrò nella compagnia delle menti di prima grandezza. Al Simposio eterno di Platone, Descartes, Spinoza, Kant, essi si sedevaII alla pari. Ci fu un momento in cui il pensiero umano, dopo le magnifiche conquiste dei secoli XVIII e XIX, si trovò sopraffatto dalle sue ricchezze. Le meraviglie che la scienza aveva messo a disposizione dell’uomo, questi non sapeva più utilizzarle se non in termini di applicazione tecnica. La civiltà erano macchine, molte macchine. Tutto questo cominciava a divenire ingombrante, ma non smetteva di essere prestigioso. Ci si domandava se il prestigio delle tecniche non fosse l’autorità stessa del Vero, se l’uomo non fosse un meccanismo in mezzo ad altri meccanismi, piccolo orologio che riproduceva il battito del tempo astronomico e che non poteva scartarsene se non per segnare un’ora sbagliata. In questa fine del XIX secolo c’erano sicuramente in Europa credenti e poeti che parlavano della loro anima. Erano in ritardo. Si trattava di uno spiritualismo in Copia dattilografata con correzioni manoscritte. Questo testo, scritto – come indica il suo incipit – nel 1946, non porta titolo e non fornisce indicazioni sulla sua destinazione. Sembra non essere mai stato pubblicato. II “si sedeva” in sovrascrittura di “si sedevano”. Levinas ha dimenticato di volgere al singolare il pronome che precede. I

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qualche modo privato, appena confessabile. È che mai prima di allora la libertà dell’uomo non sembrava più contestabile, mai il materialismo era entrato nei costumi e nelle coscienze. Si era convinti che le nozioni con cui operava la scienza fossero la cornice stessa del mondo. La nozione di tempo uniforme e inumano – Saturno che divora i suoi figli – dominava l’universo. Rieditando il gesto divino di Giove, Bergson ha osato attaccarlo. È stato il primo a levar la mano contro il tempo freddo della scienza davanti a cui tutti i filosofi, fino a lui, si inchinavano. A questo tic-tac universale in cui si succedevano istanti impassibili, simili a punti dello spazio e in cui l’uomo spariva in un pulviscolo di secondi, Bergson ha opposto i dati immediati della coscienza, il divenire stesso della nostra vita, un riflesso cangiante, il gioco prezioso delle qualità sfumate, la continuità della nostra concreta durata. In questi istanti che, prolungando a modo loro il passato e che, già gravidi di avvenire, conservano un’irriducibilità totale  – egli ha riconosciuto la libertà. Per questa durata e per le ricchezze, fino ad allora insospettate, che contiene, ha rivendicato l’autorità che si attribuisce alle nozioni scientifiche. Ha saputo mostrare che il tempo degli orologi e la fatalità erano solo un modo in cui la durata concreta si deforma, quando, abbandonando le profondità della vita spirituale, noi agiamo. Come l’artista nel momento della creazione, come il mistico nell’ora dell’estasi, come lo scienziato nel momento dell’invenzione, la vera conoscenza consiste nel ritrovare il ritmo libero della durata concreta. E questa conoscenza – che è anche libertà – Bergson l’ha chiamata intuizione. Con lei la vita interiore fu riabilitata. Essa è uscita dal dominio privato, è {divenne} di nuovo base di verità universali. La filosofia risuscitòI. Anche l’influenza del bergsonismo su tutte le forme della vita spirituale è incalcolabile. In Francia, in particolare, ha giocato un ruolo considerevole sia nella rinascita dello spirito religioso, sia nelle Arti, sia nelle riflessioni epistemologiche. Nel Mondo si trova all’origine di tutti gli sforzi fatti dall’uomo per comprendere se stesso al centro delle cose – ma, cosa ancora più importante – per situare se stesso al centro di quanto produce, al centro di verità. I

“risuscitò” in sovrascrittura di “risuscita”.



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Fin dal 1940 conosciamo la potenza diabolica delle false scienze. In queste ore di disperazione rimaneva soltanto la grandezza del comportamento. Anche in questo caso Bergson è rimasto uguale a se stesso. Nonostante fosse vicino al cattolicesimo, questo grande Francese era israelita. Nel 1940, già malato, si presentò umilmente al Commissario di Polizia del suo quartiere per farsi censire come Ebreo. È morto subito dopo. Auschwitz gli è stato risparmiato. Ma cercava un simile favore? Nel 1937, spiegando nel suo testamento la ragione per cui non faceva il passo decisivo del battesimo, scriveva: “Sono voluto rimanere tra coloro che domani saranno i perseguitati.”

III Note filosofiche varie

Avvertenza sulle Note filosofiche varie di Rodolphe Calin

Alcune delle note varie che seguono si trovano in due quaderni; le altre, molto più numerose, compaiono su fogli singoli o composti, radunati in raccolte dentro cartelle. I fogli sono sia bianchi o stampati sul recto (in questo caso Levinas utilizzava il lato bianco) approssimativamente di formato A41, sia, spesso, biglietti di invito di cui Levinas utilizza il lato bianco, sia, infine, parti di foglio strappato di varia provenienza. In larga parte queste note sono brevi e non occupano più di un singolo foglio; una minima parte è relativamente lunga e occupa più fogli che Levinas non ha numerato ma che spesso ha spillato o unito con una graffetta. Infine, la maggior parte delle note è manoscritta ed alcune sono dattilografate. L’utilizzazione di parti di foglio necessita di alcune precisazioni. Levinas può aver strappato un foglio: 1) per ottenere dimensioni equivalenti a quelle di un biglietto di invito, il formato che Levinas prediligeva; 2) per isolare un frammento testuale di una pagina manoscritta o dattilografata (sia per conservarlo come tale, sia per integrarlo a un nuovo insieme); 3) infine, variante del caso precedente, per isolare un testo redatto sulla parte bianca di una pagina o sul verso vergine di un foglio manoscritto, dattilografato o stampato sul recto. All’insieme di queste note è stato dato il titolo di Note filosofiche varie, perché si tratta pressappoco del titolo che appare sulla 1 Si ricorda che il formato A4 apparirà solo nel 1972, anno in cui l’Organizzazione internazionale di normalizzazione (ISO) ha armonizzato il formato dei fogli di carta fabbricati industrialmente in undici formati. 2 Gli inediti precedenti a quelli qui pubblicati (che vanno dalla fine degli anni 1930 all’inizio degli anni

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cartella della Raccolta A, “note varie di filosofia in elaborazione, in particolare metafora”, mentre le altre cartelle non presentano alcun titolo. Per intitolare le raccolte, come pure i quaderni, non si poteva ovviamente indicare un tema, trattandosi di note varie, né indicare le date di inizio e di fine della scrittura, perché non era possibile farlo con precisione. Si è optato per una designazione materiale seguita da una lettera2. Infine, è stato attribuito un numero a ciascuna delle note, rispettando scrupolosamente l’ordine in cui sono state trovate. Prescindendo dal caso della Raccolta C, è difficile indicare il criterio stabilito da Levinas per la costituzione dell’insieme delle raccolte di note, come pure dei quaderni. In effetti è possibile che la maggior parte delle note della Raccolta C sia preparatoria a Totalità e Infinito, nonostante Levinas non l’abbia designata in questo modo, mentre altre raccolte vengono descritte da lui come preparatorie a questa o a quell’opera. D’altra parte si tratta della ragione per cui le note della Raccolta C compaiono tra le note varie3. Le note di questa raccolta, a differenza della maggior parte di quelle che si trovano nelle altre, sono inoltre classificate, poiché alcuni fogli indicano il tema delle note redatte sui fogli successivi. Per quanto riguarda gli altri insiemi di note, in particolare le raccolte A, B e D, si può pensare che Levinas li abbia costituiti perché portano traccia delle ricerche filosofiche condotte durante il periodo intercorso tra Il Tempo e l’Altro (1948) e Totalità e Infinito (1961), oppure di ricerche contemporanee o appena posteriori a quest’ultima opera, ma che non sono state necessariamente riprese nell’opera pubblicata (si pensi, in questo secondo caso, alle numerose note sulla metafora).

1960) non presentano note varie. Gli inediti del periodo posteriore ne contegono, sotto forma di raccolte o di quaderni. Sarà dunque opportuno, quando verranno pubblicati, seguire lo stesso criterio e proseguire con l’alfabetico di designazione. 3 Per quanto riguarda il senso di “note varie”, cfr. l’Avvertenza del volume che presenta i differenti tipi di note che si trovano nel fondo d’archivio di Emmanuel Levinas.

Avvertenza sulle Note filosofiche varie

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Si giunge così al problema della datazione. Ad eccezione di una, nessuna delle note è stata datata da Levinas. La loro datazione non è facile. Bisogna sicuramente far riferimento al loro contenuto, ma talvolta si può essere tratti in inganno. Alcune note che secondo il contenuto si direbbero appartenere ad un certo periodo del pensiero di Levinas si sono rivelate posteriori ad esso, come indica il foglio stampato e datato sul verso del quale tali note sono state scritte. Altri due elementi, che occorre considerare insieme, possono permettere, seppure in maniera approssimativa, di indicare il periodo di composizione di una parte di queste note. Anzitutto la data che compare talvolta sulle pagine stampate di alcuni fogli e che fornisce un terminus a quo, e che viene sempre indicata nelle note di edizione in calce. In seguito il fatto che, se è vero che Levinas conserva stampati da utilizzare in un secondo tempo nel verso vergine, sembra che li utilizzi prevalentemente nei cinque anni successivi. È quanto si può verificare a partire da altre raccolte di note che si trovano negli archivi, e che il loro contenuto o il titolo dato da Levinas permette di datare con relativa certezza4. Ora, se si prendono le raccolte qui pubblicate: dei novantotto fogli stampati e datati sul recto contenuti nella Raccolta A, vale a dire poco meno della metà dell’insieme dei fogli di essa, ottantadue portano la data degli anni 1949-1950, i sedici altri degli anni 1956-1962; dei trentaquattro fogli stampati e datati della Raccolta B, vale a dire all’incirca la metà dell’insieme dei fogli, ventotto sono datati 1950-1955, gli altri sei 1956-1966; per quanto riguarda la Raccolta C, dei centoquarantatre

4 Due esempi. Anzitutto le “Schede del periodo di Totalità e Infinito”, ossia della prima metà degli anni sessanta. Delle ventiquattro schede che costituiscono la raccolta, ventitre – si tratta di biglietti di invito – sono stampate con data: di queste ventitre schede, due sono datate 1958, le altre 1960-1964. Secondo esempio: tra le diciassette schede stampate e datate di una raccolta recante il titolo “Schede utilizzate” (si tratta all’incirca della metà dell’insieme dei fogli di questa raccolta), schede che sono sicuramente preparatorie all’articolo “La substitution” apparso nel 1968, se ne trovano sette per il 1967, sei per il 1966 e una per ognuno degli anni seguenti: 1960, 1962, 1963, 1964.

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fogli stampati e datati, vale a dire più della metà dell’insieme dei fogli, sessantasei portano la data 1948-1955, settantasette 1956-1960; infine, i sei fogli stampati della Raccolta D, vale a dire all’incirca un quarto dell’insieme, coprono un periodo che va dal 1956 al 1963. Seppure prudentemente, allora, dal momento che i fogli stampati e datati costituiscono solo una parte dell’insieme di questa raccolta, si può affermare che la maggior parte delle note qui pubblicate datano dagli anni cinquanta e dall’inizio degli anni sessanta, come d’altra parte invita a pensare il loro contenuto5.

5 Per quanto riguarda i due quaderni di note varie, il Quaderno A e il Quaderno B, è sulla base del solo contenuto che si è ipotizzato di considerarli come appartenenti allo stesso periodo.

Raccolta AI

II Metafora - Significato - Pensiero 1° Il pensiero si rivolge all’oggetto. Platone: il pensiero non dipende dal linguaggio scritto, né dal linguaggio verbale – è pura intellezione: il pensiero del cerchio = contemplazione del cerchio. Dunque: all’inizio intenzionalità = “uguaglianza” tra pensiero e oggetto mirato; successivamente il nome si aggiunge all’oggetto e ne diviene il segno. Esso è meno dell’oggetto mirato. Pensiero verbale = quello che si aggancia ai segni. 2° W. von Humboldt: le parole appaiono sullo sfondo di un linguaggio = visione originaria del mondo. Il linguaggio scopre il mondo  – insieme significativo che mette in prospettiva gli oggetti e presta loro solo un significato. Questa messa in significato è la funzione originaria del linguaggio? Avrà un’intenzionalità nuova in relazione a quella del semplice pensiero (e dunque in cosa consiI L’insieme delle note qui raccolte si trovava all’interno di una cartella sulla cui copertina Levinas ha scritto: “Note varie di filosofia in elaborazione. In particolare metafora .” II L’insieme comprende 12 fogli manoscritti recto verso, ad eccezione del foglio 10 riempito nel solo recto. Scritto su supporti diversi ma, sembra, con la stessa penna ad inchiostro nero. Uno dei fogli è la parte di una busta il cui timbro porta la data “21.IX.1960”. Questo testo è apparso una prima volta in Emmanuel Levinas et les territoires de la pensée, a cura di D. Cohen-Levinas et B. Clément, PUF, Paris 2007, pp. 26-40. Nella presente edizione sono stati corretti alcuni errori di trascrizione presenti nelle precedente edizione.

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sterebbe?) oppure la messa in significato si riduce ad una messa in relazione grazie alla sintassi e al vocabolario – nodi di riferimenti oggettivamente fissati e regole delle loro combinazioni  – algebra propria di ogni lingua – ma in cui il parlare non aggiungerebbe al pensare alcuna intenzione nuova, se non una limitazione e una scelta di campo offerta dall’eredità di un sistema di segni che – lingua storicamente costituita – inclinerebbe il pensare in una certa direzione permettendo la scelta di alcune relazioni tra oggetti rispetto ad altre. Detto altrimenti: parlare è semplicemente comunicare un pensiero del tutto formato e fornire punti fondamentali per analizzare il campo offerto al pensiero o parlare – è andare più lontano del pensiero che fissa semplicemente l’oggetto? 3° Lo sforzo di M. Ponty – scegliere il secondo termine dell’alternativa: il linguaggio non un’impresa annessa e secondaria volta a meglio sbrogliare la matassa del pensiero. Fa parte della funzione simbolizzante del corpo senza cui – nessuna relazione con l’oggetto che è sempre basata sulla percezione. Perché accogliere l’oggetto non è né la passività del senso, né l’attività sintetica dell’intelligenza, ma attività culturale – v. a d. creatrice dell’espressione. L’intenzionalità specifica del linguaggio – tessere la mediazione culturale necessaria all’intellezione stessa dell’oggetto. La parola non è un nodo di riferimenti, ma un nuovo modo di riferirsi – non come segno ma come espressione. 4° Metafora: evocazione di somiglianze tra oggetti e situazioni: montagne, onde pietrificate; foresta, cattedrale; situazione senza uscita; trasgressione di una legge. Il linguaggio non fa che tradurre una situazione che è mirata dall’intenzione del pensiero. Somiglianze tra realtà dello stesso ordine. Somiglianze o corrispondenze? La metafora manda in frantumi strutture significanti che non procedono sempre dall’umano al per umanizzare il naturale, ma che procedono in direzione contraria: la resistenza di una coorte ad un attacco si paragona ad una roccia che resiste al mare, alla struttura pietrificata della resistenza; come inversamente può evocare l’elemento energetico e volontario di una situazione rigorosamente materiale. La metafora si distacca dalla rappresentazione sensibile per liberare i significati che gli oggetti incarnano. Sicuramente tale incarnazione è altra cosa dalla rea-

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lizzazione di un concetto nell’individuo, poiché questo significato non si lascia definire come il concetto al di fuori della rappresentazione che lo incarna. Innumerevoli significati. Astrazione poetica. 5° Questa mira {al di là} che non è una conoscenza non è puramente metaforica? Qual è allora la potenza della metafora? Metaforica, puro effettoI di linguaggio? Il linguaggio avrebbe quale effetto di far sorgere una pretesa alII di là di ciò che l’esperienza offre. La metafora, essenza del linguaggio, risiederebbe in questa spinta all’estremo nel superlativo sempre più superlativo che è la trascendenza, enjambement della soglia e dell’ostacolo, al un limite fissato, sopra-natura. 6° La metafora attestata prima di tutto dal linguaggio. La parola esprime un’idea grazie ad un’altra idea ugualmente evocataIII. Di conseguenza due intenzioni: a) verso quanto è espresso e che (salvo il caso dell’equivoco voluto) ha un senso fisso come un oggetto designato da un segno (la parola è dunque anche segno di un’entità che è il significato, situato in un campo neutro, senza prospettiva, ogni punto {essendo} uguale a un altro, avendo perduto ogni indice di prossimità o di lontananza, ogni “aspetto” dipendente dagli accessi a lui che si possono avere. Qui il significato è un oggetto fissato dalla sua definizione, che di conseguenza si riferisce alla gerarchia oggettiva e non alle vie di accesso); b) verso il significato che serve a segnalare il significato oggetto – e attraverso la cui evocazione la parola non è semplicemente la designazione di un oggetto. (Cratilo1: il nome proprio che designa gli dei, comporta già una seconda intenzione.) Non che la parola imiti con la sua materialità di parola una qualche proprietà dell’oggetto, ma nomina riferendosi a significati che presentano una somiglianza con il significato evocato nella prima intenzione. La somiglianza è addotta come relazione tra significato oggetto e significato che permette di evocarlo (È sicuro?). I “effetto” in sovrascrittura di una parola illeggibile; l’aggettivo che precede, “puro”, che è stato corretto, nel manoscritto è al femminile. II “al” in sovrascrittura di “di”. III “evocata” in sovrascrittura di “evocate”.

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In ogni caso si produce tutt’altra cosa rispetto all’evocazione di un secondo significato che illumina il primo. Perché il secondo farebbe più del primo? Il secondo non è qui per indicare in che misura il primo mira il suo oggetto. L’in che misura fa parte della prima intenzione (vincitore di Iena o vinto di Waterloo). Il posto in un sistema oggettivo è necessario all’intellezione nel senso prim dell’intenzione prima. Ma non è per questo che il significato è metaforico. Il potere metaforico della parola è nell’avvicinamento del significato eI di un altro significato di cui è come una buccia. Corrispondenza che non ha più niente in comune con il sistema in cui il significato si colloca lateralmente. Partecipazione di un significato ad un altro, come se i significati si involassero in ogni direzione a partire da un fondo che è loro comune non come un concetto, ma come un comune: generazione di un particolare a partire da un particolare. 7° Il fenomeno della metafora non è semplicemente il fatto che una cosa significa un’altra cosa, che ogni significato si esprime con l’aiuto di un altro significato. La meraviglia: un significato ha potuto trasformarsi in un altro, come se tutto fosse in tutto, non che tutto formi sistema con tutto, ma come se tutto fosse germe di tutto, ogni cosa porta in lei il disegnoII di tutte le altre. È questa germinazione che è il significato e non una qualunque al perIII il significato e un passaggio verso di lui a partire dal significante. 8° Questa proprietà non è soltanto il fatto delle parole in quanto segni o fatti materiali oggettivi, portatori di molteplici significati. Questa multivocità, questa polivalenza è il carattere interno del significato, tutt’altra cosa dagli oggetti nel loro “in quanto questo o quello”. Il significato tenderebbe verso la metafora in quanto la metafora è la partecipazione stessa dell’oggetto ad altro da sé. Il solco nell’oggetto attraverso il quale risponde ad altri oggetti, attraverso il quale può essere altra cosa rispetto a ciò che è. Poiché c’è significato metaforico, ci sono parole come oggetti culturali (e “e” in sovrascrittura di “con”. “dessin” (“disegno”) in sovrascrittura di “dessein” (“disegno/progetto”). III “per” in sovrascrittura di una parola illeggibile. I

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non l’inverso). Tuttavia è possibile chiedersi se il fatto di designare parole – di costituire significati attraverso proposizioni, non scavi questo solco e non ricopra la cosa col suo significato. 9° In tutto questo sviluppo sembro lasciare alla parola la funzione di nominare. Dunque che cos’è parlare? 9°I Perché la metafora costituisce il significato? Forse la molteplicità che apre l’“in quanto” è da se stessa intelligibilità? 10° La meraviglia delle meraviglie della metafora, è la possibilità di uscire dall’esperienza, di pensare più lontano dei dati del nostro mondo. Cos’è uscire dall’esperienza? Pensare Dio. Nonostante l’impossibilità della riflessione totale. La pretesa di essere al di sopra dell’esperienza, la messa tra virgolette di ogni esperienza – è pensare Dio. Il sospetto dell’al di là, è già al di là. Forza dell’argomento ontologico. Il sospetto dell’al di là – metafora. Miracolo. La messa tra virgolette dell’esperienza è possibile solo perché l’atto retto, preriflessivo, va verso l’Alto. La sfera immanente – senza miracolo. 11° Il fenomeno della metafora non è nella chiarezza che un termine riceve da un altroII. Perché allora l’altro termine sarebbe più illuminante del primo? È l’oggetto che si sbuccia. È questo scintillio, questo sbucciamento – che è il suo significato (?). 12° La metafora – è quanto sostituisco all’idea del nome. Parlare, non è il fatto di nominare, di associare un segno, un’indicazione a cose, qualità, azioni (verbi), relazioni. Parlare, è dare un senso figurato, designare al di là di ciò che è designato, trasmutare, sublimando. Cosa che non implica altri unicamente come prototipo dell’altezza. In che altro modo? Partire dall’idea che la parola dà il mondo. Generalizzare = spogliarsi per altri. E allora? Non concepire la metafora come oggettivazione di un pensiero: questo è comparabile a quello; questo è come quello. Più ancora! tutto questo è “in quanto” quello. La parola dice l’essere – parola è metafora. 13° L’idea dell’essere non è il più alto – comprensione dell’essere – fondamento di ogni comprensione (Heidegger) – L’ontologia come I II

Si tratta di un numero bis o di un errore di distrazione nella numerazione? “altro” in sovrascrittura di “”.

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idealismo – L’essere stesso non può affermarsi nella sua alterità che come cultura. La metafora 1° Non si deve dire che l’oltrepassamento dell’esperienza sensibile si produce grazie al significato metaforico. Ogni significato – in quanto significato – è metaforico, conduce verso l’alto. Il linguaggio non è la traduzione della verità in segni – la sostituzione di segni a immagini percepite (vale a dire che porta alla tecnica. Condurre verso l’alto, non ha come termine la percezione o la designazione di tale alto; condurre verso l’alto, d’altronde, non ha termine. Supporre un termine al movimento verso l’alto – è interpretare il linguaggio in termini di percezione. Condurre verso l’alto, è un movimento irriducibile, il fondo della spiritualità umana – dell’essere che parla. Io la chiamo religione. Da cui consegue: a) non attendere dalla religione una tecnica e dei risultati (attenderli è passare dalla religione alla magia. b) Dio – orientamento di ogni filosofia senza che il problema della sua esistenza sia l’essenziale della problematica filosofica. 2° Metafora – quanto la parola significa al di là di ciò che designa. Il significato come significato è in questo al di là. Questo al di là è l’infinito dell’Altro? 3° Il linguaggio non è metaforico nel senso che traduce un’esperienza di trascendenza che sarebbe prima di tutto in una coscienza o in un pensiero isolato – né un’esperienza qualsiasi della trascendenza, contenuto di un concetto (essenza) che il linguaggio tradurrebbe. 4° Il linguaggio è la simultaneità di questa designazione e di questa stessa trascendenza. Ma non come una coscienza che suppone un compimento in senso esistenziale: un concetto ad una esistenza soggettiva senza la quale non sarebbe niente. Ma quale è la novità della relazione. 5° Il carattere metaforico della parola risiede già nella sua generalità. 6° Dire che il significato è nella relazione tra i termini invece di essere nei termini datiI alla percezione, non spiega il sovrappiù del siI

“dati” sembra in sovrascrittura di “date”.

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gnificato che si ridurrebbe a dei contenuti o che creerebbe un nuovo contenuto. Perché il significato apporta una luce in cui si vede la luce? Dove è la novità dell’Altezza? Metafora 1° Senza metafora non si può intendere la voce di Dio. Senza metafora ogni pensiero sarebbe ciò che è e significherebbe alla fine quanto corrisponde alla capacità del pensiero. Ma forse non c’è voce di Dio? Occorre rovesciare la riflessione: senza Dio non ci sarebbe metafora. Dio è la metafora stessa del linguaggio – il fatto di un pensiero che si alza al di sopra di se medesimo (Questo non vuol dire che Dio non è che una metafora. Perché non c’è nessuna altra metafora che il movimento che porta verso di Lui. 2° Che può significare l’enunciato: il pensiero umano può oltrepassarsi, innalzarsi al di sopra di sé? Quando comincia il soprannaturale nel pensiero? Diretto fuori di sé, sul mondo – è tuttavia nell’umano. Al di sopra di sé quando il suo oggetto oltrepassa la sua capacità – Metafora. 3° La metafora è un al di là, la trascendenza. 4° Nella prospettiva “ è in fin dei conti” tecnica” – metafora = inutilizzabile. 5° Ad un’analisi che vuole mostrare il ribaltamento delle strutture abituali della comprensione nell’ascolto della parola divina – si oppone la possibilità di questo rovesciamento sotto l’effetto di non importa quale altra parola. Si tratterà di mostrare che ogni parola è sconvolgente – che questo ribaltamento è critico – morale. 6° L’idea di un linguaggio che può trasportare al di là della condizione è compromessa dal fatto che ogni linguaggio è compreso da chi lo intende oppure non è compreso e dunque contenuto nei limiti esatti della condizione umana. LoI stesso modo in cui ogni linguaggio inteso è un linguaggio compreso – il socratismo – segna la fine di ogni trascendenza . RiI

Bisogna sicuramente leggere “Allo”.

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cevere la parola è trovarla in sé. Socrate ha riportato la filosofia dal cielo sulla terra. La metafora 1° La funzione del linguaggio nella metafora non consiste nel rivelare o nello svelare ciò che si troverebbe al di là dell’esperienza, ma nell’elevare. 2° Mantenere il senso etico dell’attività spirituale ultima. 3° Rivelazione o svelamento – esperienza, dominio del sensibile. 4° Ogni verità ha un senso pragmatico: fallimento o riuscita di un’impresa = evitare la morte. Dunque nessuna verità. 5° La percezione – la vaI verso quanto non è nel vero che nella misura in cui permette la riuscita tecnica – in cui la verità non è mai ciò che non ci fa né caldo né freddo. 6° Quando in un giudizio costruito intorno a un verbo – in cui opera la metafora: l’uccello canta, l’uomo passeggia – un participio + verbo ausiliare (l’uccello è cantante, l’uomo è marciante) – si scombina la metafora del verbo. 6°II Le parole resterebbero sempre dei segni, ma sarebbero semplici nomi di cose – significherebbero il significato delle cose. GrazieIII ai significati le cose non sono disposte nello spazio geometrico senza nascondersi le une le altre, ma secondo una prospettiva: una linea di forza dell’insieme precede l’unità degli oggetti. 7° Metafora rende solo accessibile il sovra-umano? Allora scrivere metafora non è = simbolo? Il sovrumano nel linguaggio a causa della metafora? Metafora 1° La diffidenza platonica riguardo al linguaggio dipende dal fatto che l’intelligenza socratica non può pensare niente a parte quanto “va” in sovrascrittura di “”. Si tratta di un numero bis o piuttosto di errore di distrazione nella numerazione? III “Grazie” in sovrascrittura di “”. I

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sa già  – e non può possedere che ciò di cui è capace. Significato sempre immanente. Il linguaggio è nella copula del giudizio e di conseguenza dice sempre “ciò che ne è”. Negligenza dell’altra intenzione del discorso verso AltriI – verso l’infinito – da cui proverrebbe (è sicuro) il trasporto della metafora. 2° Lo spirituale si definisce per mezzo dell’altezza piuttosto che per mezzo dell’esistenza. Non che lo spirituale ci conduca verso ciò che non è, ma l’altezza è al di fuori dell’essere e del non essere, senza tuttavia rimanere una semplice parola  – oppure fondamento. O più esattamente: essere parola, è essere più che essere, è essere più alto dell’essere – è essere metafora. Si può dire: “IIandare verso l’altezza, è non vedere più la differenza tra esistente e non esistente, non perché lo sguardo in questo modo si limiterebbe ma perché è proprio lui un limite di un movimento di salita – movimento infinito – in cui la limitazione dello sguardo introduce un termine, un esito, un essere? 3° La metafora per eccellenza è Dio. 4° a) Dio – l’Infinito – non è un esistente perché sarebbe fonte di esistenti. Non è significante in quanto condizionante il pensiero dell’esistente, ma in quanto creatore. La creazione è altra cosa rispetto a una condizione trascendentale. b) Ma questo surplus del Creatore su Esistente deborda anche il “pensiero oggettivante”. È attraverso il pensiero che grazie al suo potere metaforico descrive una sfera che è al di là dell’Essere. c) Il pensatoIII non è un minus dell’Essere, ma questo Altro che l’Essere, il quale non è semplicemente un superlativo dell’Essere, nemmeno un altro essere. d) Dio non è un essere perfettamente essere, nemmeno un essente che esiste altrimenti che l’essere. Dire che è pensato, è dire che è altrimenti che l’essere e non soltanto che è altrimenti.

“Altri” in sovrascrittura di “altri”. Mancano le virgolette di chiusura. III “Il pensato” in sovrascrittura di “Il pensiero”. I

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Metafora 1° È il proprio del nostro linguaggio più concreto e più terra terra, come il proprio del nostro linguaggio più astratto: “stare bene”, “educare i figli”, “attendere ai propri affari”, “fare economie”, come pure “trascendenza”, sostanza, accidente e la stessa parola metafora. Tutte le parole della nostra lingua sono l’effetto di innumerevoli mutazioni metaforiche della storia e tuttavia lasciano l’impressione di termini non equivoci, a senso unico e letterale. La loro potenza metaforica si risveglia quando l’interpretazione etimologica comincia sia in uno sforzo scientemente intrapreso in questo senso, sia per un effetto di stile che consiste nell’utilizzare un termine nel suo senso etimologico. Termini metaforici per eccellenza – il cui contenuto stesso è metafora: Dio, Assoluto, al di là dell’Essere, aldilà. 2° L’effetto della metafora non è sensibile che come l’effetto di questo stesso spostamento e non come l’effetto del suo esito. In qualche modo è necessario che la coscienza mantenga allo stesso tempo i due ordini di realtà tra i quali si compie lo spostamento o il disorientamento di una nozione. Ed è qui l’effetto dell’etimologia che rimette in movimento quanto si è già fissato in significati non metaforici nel termine astratto o concreto: virtù, primavera, , ufficio, persona o (termine generale) Uomo o triangolo. 3° È l’amplificazione di senso che domina incontestabilmente la somiglianza nel fenomeno della metafora. A tal punto che quando la somiglianza è esplicitamente pensata, non siamo a contatto con l’essenziale della metafora: il movimento di trasferimento e l’amplificazione sono perduti dal pensiero che si assorbe nella somiglianza come in un’essenza statica. 4° La metafora indica – secondo il suo significato etimologico un trasferimento di senso, che si produce di somiglianza in somiglianza. Ma se nella metafora non ci fosse che l’appello del simile con il simile non si vedrebbe molto bene l’interesse della metafora. Il raffronto metaforico pretende apportare qualcosa al pensiero, condurlo più lontano o fargli intendere più di quanto intenda immediatamente. 5° Al di fuori dell’arte in cui la metafora gode di un favore universale, gli uomini seri ci insegnano a diffidare delle metafore. Essa

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esprime un trasferimento di senso. Nel : gli occhi sono blu come il cielo (comparazione), quando utilizziamo nella stessa costruzione verbale termini che evocano ordini differenti della realtà (i lunghi singhiozzi dei violini d’autunno) e in cui l’effetto della metafora può essere molto meno visibile (fino alla stupidaggine: del carrozzone dello Stato che naviga su un vulcano), sia quando il termine trasferimento se ne si mantiene nell’etimologia. 6° Nella metafora – un senso al di là, un assoluto, un superamento di ogni limite. In ogni metafora, al di fuori del termine nuovo o del significato accomunato o del significato comune in cui si finisce – c’è la trasgressione stessa, lo spostamento stesso verso l’al di là; il fatto che ogni termine è in partenza. Questa trascendenza del significato verso un altro significato è altrettanto essenziale anche per questo significato che la sua stessa posizione. Metafora (Löwith) 1° Quando von Humboldt analizza il linguaggio – è davanti a un sistema di segni che ritaglia la realtà in un certo senso. Dove è la novità del linguaggio? È strumento del pensiero o suggestione di pensiero? Semplice materializzazione o fissazione o ripartizione del pensiero? Dove è la sua funzione in quanto fenomeno corporeo? In quanto surplus o condizione di pensiero? – A meno di dire: le parole possono servire da segno solo là dove ci sono significati i quali sono altra cosa che l’aspetto o l’immagine delle cose. 2° Linguaggio – I di rinvio {al pensiero} (Platone). Salvo in un punto – in quanto mira di colui a cui il linguaggio si rivolge. Metafora (Löwith) 1° Il senso delle parole dipende dal contesto del discorso e dal mondo comune degli interlocutori su cui tale discorso poggia. Nel mondo come tale “risiede” sempre un oltrepassamento del senso, attraverso cui la parola si apre a queste determinazioni per mezzo del contesto e del mondo (Löwith 2182). Ma il rapporto stesso che I

“” in sovrascrittura di una parola illeggibile.

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cos’è? Surplus, da quali relazioni è costituito? Il fondo a cui si aggiunge tale surplus – cos’è? Non si tratta sempre di segni? 2I° La parola di Dio non può esistere che come proposizione che accoglie una pretesa unilateralmente come proveniente da Dio e che non può essere come tale pretesa dall’ (p. 2133). Varco dello spirito umano da parte dello spirito santo. Esso sarebbe impossibile come tale salvo se comincia con l’ordinare – col mettere in questione. È possibile come che è così la fonte della metafora. Viene compreso filosoficamente a cose fatte. Ruolo del tempo. Per il ricordo non c’è miracolo. Tutto si accomoda. Ma c’è posto per ogni discorso indiretto – per ogni ricordo – nel discorso diretto. 3° In che modo la parola di Dio può essere intesa da un peccatore? Barth scorge il problema: è necessario che D. parli a partire dalla sua incarnazione. Ma in che modo una rivelazione è possibile se la parola non viene compresa che in una corrispondenza. Occorre dunque chiarire il rapporto del linguaggio speciale della parola con le capacità del pensiero e del linguaggio umano. Il concetto di “Ansprechen” rimane infruttuoso. Schlink in Kerygma und Dogma pretende che la parola di Dio interrompa il corso abituale: “… Die Selbstverständlichkeiten seines… Existenzbewustseins und das Gehäuse seiner Umwelterkenntnis und – bemächtigung werden ihm zerschlagen”4. È specifico per la lettura del Vangelo? Al posto di soggetto-oggetto, chiamata, ordine di. Ma è anche opera di filosofia. La metafora 1° Heidegger deve anche rispondere al problema che consiste nel domandarsi se la verità ha sempre il significato “materiale” della verità: ciò il cui disconoscimento produce fallimento, morte o condanna. Egli proclama la verità dell’essere opposta alla verità dell’essente e la cui funzione consiste nel rendere possibile la verità I “2” in sovrascrittura di “3”, a meno che non sia l’inverso. Stessa notazione per il numero seguente. È possibile che Levinas volesse invertire l’ordine dei paragrafi.

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dell’essente stesso. – Se non ci fosse verità dell’essere, non ci sarebbe stata verità in filosofia. 2° Hegel conserva leI due nozioni: la verità poggia sulla Wirklichkeit, è legata all’azione; e la verità è coerenza. La distinzione di essere ed essente è abbandono dell’idea di Wirklichkeit. Riapparizione, in fondo, dell’idea di realtà contemplativa. Lo spirituale, non è in fin dei conti estraneo all’azione e all’efficacia? si sempre! Idealismo heideggeriano. Per me qlcs. di intermedio tra la Wirklichkeit e la verità disinteressata dell’idealismo e di Heidegger. Relazione religiosa attraverso il volto, relazione tra essenti e tuttavia senza Wirklichkeit. 3° La verità si misura per la sua efficienza e la realtà = efficienza. Ma l’efficienza (Wirklichkeit) cos’è? Riuscita dell’azione? Come si riconosce? Si riconosce? C’è dunque una verità che misura l’efficienza. L’efficienza in rapporto a un fine perseguito, si constata teoricamente. Ma l’efficienza assoluta? Ciò che uccide, ciò che mi uccide, ciò che mi minaccia. Porre la realtà come efficienza è provarla come minacciante di morte, se ci si oppone radicalmente ad essa o se si pensa di lei ciò che si vuole. 4° Metafora: significati antropologici si inscrivono nelle cose. 5° Multivocità del reale: nessun significato può essere separato per se stesso. Tuttavia non c’è riferimento a un senso letterale? 6° Metafora: uscita al di fuori dell’Esperienza e del Mondo: possibilità di apprendere e di insegnare. 7° Metafora si inserisce nel significato? Presuppone l’intenzionalità o la rende possibile? Fenomeno di significato o di linguaggio? Metafora 1° La metafora delle metafore – Dio. 2° La concezione di qlcs. in quanto qlcs. sarebbe il fenomeno primo della metafora. L’“in quanto” non è una relazione tra due oggetti dati preliminarmente, ma una parentela spiritualmente anteriore ai familiari.

I

“le” in sovrascrittura di “in”.

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3° Lo spostamento di senso attraverso la metafora che conduce all’evoluzione semantica non consiste per la parola nel perdere il suo senso. Essa acquisisce un nuovo senso mantenendo il primo – Da qui la metafora mette in comunicazione i diversi ordini e piani dell’essere. I diversi significati si affermano in una parentela che non è quella degli elementi di un sistema organico – elementi che si richiamano e si completano, un significato controI de l’altro e nell’altro – vera partecipazione, come se i significati si sfogliassero lasciando staccare da sé altri significati che non riproducono come dei figli e come se queste nuove bucce, sottili come sono si sbucciassero ancora lasciando cadere nuovi significati e queste foglie morte – o queste foglie vive del significato ricoprissero tutti i viali dell’essere. 4° L’universalità del linguaggio, è l’universalità dell’essere e dell’essente. Parlare, è dire l’essere, dire che ne è dell’essente – Ma parlare è anche esercitare un potere metaforico, trasportare al di là dell’essere e dell’essente. Così che nel linguaggio c’è questo movimento verso l’infinito e non esiste linguaggio senza questo movimento. E tale movimento viene dall’altro, in quanto il linguaggio è risposta a un altro e oltrepassamento di quanto è detto. [Quest’ultima cosa non è sicura. L’oltrepassamento della metafora non viene dalla traccia?] 5° L’essere e l’essente sono nel linguaggio in quanto già detto. Linguaggio statico. In una coscienza capace di ਥʌȠȤȒe di un ritorno su di sé. Al contrario il linguaggio che si parla di fronte all’Altro, sempre riprendendo quanto è stato detto – è un movimento infinito, senza ritorno. Non si gioca tra essere ed essente, ma di fronte all’altro. Ed è da Altri che ha il suo potere metaforico [cosa che non è sicura]. È in ogni caso il linguaggio infinito, il linguaggio non scritto [di Platone?]. 6° Non sono sicuro che la metafora – e il movimento nel significato venga dal fatto che l’evento essenziale del linguaggio è di-fronteall’-Altro. Come conciliare la mia tesi: la parola spossessa colui che parla e la tesi la metafora è l’oltrepassamento del significato? Come mostrare che il potere di oltrepassamento verbale si pone nella relazione con l’Altro? I

“contro” in sovrascrittura di “sgorga?”.

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7° Il piano della percezione e il piano del discorso. Si tratta di due modi di mantenersi nell’essere. Con il Discorso sorge la metafora e l’al di là – vale a dire l’ambiguità – l’alto e il basso. Il discorso è già nella rivelazione del divino. Questo non può essere dimostrato con l’analisi della struttura simbolica del linguaggio, depositata nella sintassi e nella linguistica – ma deve essere ricondotto alla relazione stessa con il volto in cui il linguaggio sorge. Il linguaggio è così la relazione stessa con il superiore – o il pensiero. 8° Le virgolette nella letteratura filosofica e soprattutto fenomenologica: rifiuto del senso letterale – ricerca del senso metaforico. E tuttavia necessità di ricorrere al senso letterale. Il senso letterale come gonfiato di un significato che lo trascende ma di cui non può farne a meno, come se si gridasse molto forte la stessa cosa che si dice a voce bassa. 9° Pensare – movimento che ha un termine. Idea dell’infinito: nel termine pensato, rifiuto del termine. Metafora. 10° È impossibile dire che tutto è metafora perché questa affermazione non è metaforica e che l’essere e la soggettività pensante a misura dell’essere e il problema dell’esistenza e della sospensione del pensiero che va verso l’oggetto – si insediano come ultimi; ma è impossibile cacciare la metafora e l’oltrepassamento e il percorso all’infinito di questa Ed è per questo che c’è filosofia e non Sagen. 11° L’argomento di Löwith: “i filosofi hanno aiutato i teologi”5 si rovescia. I filosofi hanno scoperto tutte le relazioni opposte al linguaggio comune grazie alla teologia. I Il “per sé” del bisogno La fine del caos = separazione della luce e dell’oscurità = il sorgere dell’Io. Il godimento = vita di un Io. Il godimento è soddisfazione del bisogno – e soddisfare il proprio bisogno = essere per sé. Essere-per-sé introdotto in questo modo non equivale alla nozioI

Sei fogli manoscritti recto, scritti a penna stilografica ad inchiostro nero.

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ne idealista: rappresentazione del soggetto da parte del soggetto. Il per-sé del bisogno, non è rappresentazione, non è coscienza la quale, come sappiamo da Descartes  – è coscienza dell’infinito a cui ogni oggetto finito si riferisce. Il bisogno è un per sé senza orizzonti infiniti. Il “per sé” del bisogno non è affatto: “essere in vista della sua propria esistenza” di Heidegger. Perché il bisogno non mira l’esistenza dell’essere bisognoso, ma l’oggetto che lo soddisfa. Ciò che appare alla nostra scienza – biologia o economia – come il mezzo d’esistenza, è mirato come fine e non come mezzo. Aver bisogno, è strapparsi dalle implicazioni biologiche, dall’istinto vitale, per darsi un termine, ciò che non rinvia più a nient’altro. Ogni termine del bisogno è ultimo. Noi non mangiamo per vivere. La coscienza opposta all’istinto – è questo: avere un termine. Il “per sé” del bisogno è dunque un “per sé” nel senso rigorosamente egoista in cui si dice “ognuno per sé”. Il godimento è il mio godimento ed esclusivamente mio. Non è mio nel senso che è incomunicabile – cosa che indicherebbe una comunicazione preliminare tra molteplici coscienze in cui sorgerebbe il godimento. È prima. L’io del bisogno, non è “io e non gli altri” né l’esclusività del “quanto a me”. È l’io sordo del “ventre digiuno non ode nessuno”. Essere solo, senza solitudine. Solitudine innocente. Non la solitudine della morte heideggeriana che si riferisce alla coesistenza da cui si strappa e che rende illusoria e pensabile. In che modo il per sé del godimento può non essere relazione – fosse pure negativa – con ciò che non è l’essere bisognoso? In che modo una solitudine può non essere al fondo di una coesistenza? Come trovare un per sé primo che non sia un modo deficiente? La mia esistenza non fluttua in aria. L’insieme degli oggetti offerti al mio godimento sono per me – per il mio godimento. Salvo la terra su cui mi trovo. Situarsi sulla terra, precede ogni relazione con l’oggetto. La relazione con la terra è in se stessa originale: nella mia relazione con la terra, il fatto di “sentire il contatto”, la tensione muscolare della posizione, non è soltanto “oggetto” di cui ho coscienza, ma ciò a partire da cui questa stessa esperienza è ricevuta. Io sono qui. La base non è solo sentita come oggetto, – come vis-àvis – essa sostiene tutta questa esperienza. Il luogo calpestato nella

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posizione sostiene lo sforzo non soltanto come resistenza, ma come condizione dello sforzo. Ho un luogo, ma è il solo possesso che non sia ingombro, piuttosto che mi libera da qualsiasi ingombro. L’atto di situarsi, consiste proprio nel non compiere atto – non prendere iniziativa, di ritrovare in questa passività innata del riposo, un punto di partenza. Mi alzo e cammino e allontano la base, abbandonandomi ad essa. – Qui è il riferimento assoluto a sé. Il mio pensiero è qui – fuoriesce da una protuberanza, da una testa. Nella mia posizione sulla terra non c’è solo un pensiero di localizzazione, ma una localizzazione del pensiero che non è “contenuta” nel pensiero, a partire da cui il pensiero si dispiega. – E le cose? Non qui? Sono le une in rapporto con le altre e in fin dei conti in rapporto con l’Io. Manca loro l’insistenza che è il fatto dell’Io e che non è né un pensiero, né un sentimento, né un atto. Né un atto – perché l’atto deborda già il suo luogo, presuppone il luogo: il soggetto preesiste all’atto. La posizione è assolutamente contemporanea al soggetto. Pur essendo evento e non lo scialbo essere da qualche parte, la posizione è senza trascendenza – una immanenza. È l’immanenza – il fatto di rimanere qui che è l’evento stesso del per sé, condizione del godimento. Filosofia trascendentale in senso forte: la terra è la condizione per eccellenza. E condizione è sempre condizione di una possibilità – potenza. {.} Condizione di possibilità è un pleonasmo (grund des Möglichkeit e non Bedingung des Möglichkeit). Prototipo dell’idea stessa di fondamento. Qui e Da. Il Da trascendenza, il Qui = sulla terra = l’immanenza per eccellenza. Heidegger non ha tenuto presente l’idea di godimento, il suo per sé. H. ha identificato verità = svelamento = evento nell’essere. che si gioca al di qua della verità. Il per sé del godimento, si gioca al di qua della verità, è indifferente all’ontologia, rimane in orizzonti compiuti – vita e non verità. Nemmeno conoscenza o verità di SéI (la quale presuppone già l’infinito su cui mi staglio). Nudo fatto del per sé, riferimento a Sé in questo abbandono alla base e in questa passività (non-atto). Qui centrale  – il mondo vi confluisce per offrirsi al godimento. L’Io – non relazione con l’EsI La maiuscola è incerta. Accade lo stesso con la successiva occorrenza della parola.

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sere, ma fremito egoista. Questo fremito è irriducibile alla negazione del mondo che suppone assenso, mira del mondo, conoscenza ecc. Movimento egoista irriducibile alla negazione: soggettivazione paradisiaca di Adamo, egoismo innocente, immanenza: rimanere in sé prendendo in prestito dal mondo solo un posto per essere in sé, per essere non “in vista di” un “posto al sole”, abitazione, trasloco totale, abbandonarsi senza pensare un oggetto né fare un progetto, senza potere. Condizione di ogni pensiero, di ogni progetto. Dunque godimento senza sapere. Strettamente soggettivo. Io Ogni sapere ci introduce nell’intersoggettività. Insegnamento, voce dall’altra riva, il rovescio del mondo limitato al godimento. Occuparsi di questo rovescio del mondo, questa è la ragione. In cosa il godimento differisce dalla pura e semplice esistenza senza coscienza? E dal godimento animale? L’“oggetto” del godimento è tagliato dai suoi prolungamenti finalisti iscritti nell’istinto. Non essere per essere, ma gustare la vita. Nella vita istintiva il bisogno non è separato dalla sua soddisfazione (?). L’animale è ricco, l’uomo è miserabile. Senza mezzi: nudo, affamato, senza riparo. Epilogo che sovrasta non un ritorno all’istinto, ma lotta e lavoro e società. La maturità dell’uomo è la fine della sua vita istintiva. E il godimento non istintivo, cos’è? Distanza tra il soggetto e il suo godimento: il gioco – dell’appetito “si stuzzica l’appetito”. D’altra parte: godere = non partecipare impersonalmente al ritmo del mondo. Falsa letteratura che esalta in modo panteista il godimento  – un modo di pensare l’umano come il primitivo o l’infantile che bisogna incantare o cullare. L’umano consiste nello strapparsi ai ritmi. Canto = parola deformata! Il godimento è personale, “per sé”. Poiché il godimento è “per sé”, è preceduto dal bisogno (l’io si preoccupa di sé). Poiché esiste un gioco tra me e l’oggetto (bisogno) e un gioco (appetito), il mondo è esteriore. Poiché il mondo è esteriore, possiedo una mano; devo afferrare, ma per questo penare, lavorare. Il godimento è legato ad una pena. L’analisi platonica delI bisogno godimento (mancanza che si riempie, dunque niente di positivo!), misconosce il compimento e I

“del” in sovrascrittura di “di”.

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l’autarchia del godimento. Il bisogno non è il segno che godimento = 0. È perché ogni godimento è per sé che è preceduto dal bisogno. La felicità più pura deve essere preceduta da questo appetito di felicità, senza il quale non ci sarebbe nessuno per godere di essa. La felicità sarebbe perdita di Sé, assorbimento nell’oggetto che si assorbe. È per la suaI povertà che si manifesta la personalità del godimento. L’io è un povero. – Infine l’analisi platonica è inesatta perché non vede altra miseria che la tortura del bisogno; esiste una pena nel godimento nella misura in cui esso non è paradisiaco (necessità di lavorare e anche impossibilità di lavorare – disoccupazione – condizione di proletario sempre possibile). Il per sé del bisogno presuppone il bisogno = distanza tra il mondo e noi. C’è un gioco. La distanza non comincia nella sospensione dei bisogni e nella serenità della contemplazione – ma nel bisogno. La potenza non si rapporta inizialmente a noi stessi, ma agli oggetti. Essa è lavoro, prendere; non verso l’avvenire, ma verso l’esteriore. Non creatrice: soggiogare il dato. L’organo della potenza è la mano. L’avvenire della potenza è il presente. Verso di sé! Estrazione. (tradizionale preesistenza della materia.) Non allo stato consumabile – occorre “cucinare”. Prendere e cucinare! Cuocere – senso della lavorazione. Mondo non consumabile. Come tale mi oltrepassa e non a motivo della sua infinitezza. Dunque: a distanza a) in quanto presuppone il bisogno, che è un modo di essere nel mondo senza essere agglutinato a questo; b) in quanto non consumabile nella sua crudità. Poiché il mondo è a distanza (ed è mondo), godimento per Sé. L’indifferenza del mondo non è il risultato di un generoso ritrarsi compiuto nei suoi confronti dal soggetto – ma dal fatto che il soggetto è a casa sua in un mondo da prendere e crudo. – È per l’io capace di godimento che la natura può apparire nella sua indifferenza, vale a dire apparire. L’istinto è installato nel consumabile, l’uomo è a casa sua. Poiché l’uomo era: al freddo, senza riparo, nella miseria della fame – può essere a casa sua. Indifferenza del mondo: mondo da prendere e mondo crudo. La mano è per prendere e per modellare, tagliare, fabbricare, cuocere. Da cui la 3a forma di distanza: gioco. Gli utensili sono prolungamenti della I

“sua”in sovrascrittura di “la”.

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mano, ma anche giocattoli. Godere del lavoro! Oggetti culturali – spogliati della crudezza della natura che allontana da noi la natura. Ma la mia potenza non è mai sola – L’utensile mi preesiste. Il lavoro degli altri. Il Capitale. Non Passato. Installazioni presenti. Niente rinvia meno al Passato che l’utensile. Questo è sempre esistito: automobili, aerei, telefoni! Nessun anacronismo. Li si trova in vendita. Acquisto comunicazione con un passato anonimo che è pre divenuto presente. Acquisto che rimpiazza la storia. L’io del godimento tecnico è moderno, senza storie. Oggetti di godimento divenuti merce. Potenza divenuta denaroI. Civiltà = società con stranieri. Il moderno assume il Passato. Storia – grandi figure da imitare. Sono nato. Essere che ha dei bisogni e che non è installato in una materia consumabile. Possiedo una natura. La mia condizione – la terra a partire da cui acquisisco una potenza e il mio nutrimento. Contadino. Mondo limitato all’orizzonte. Radicamento.

Il fondamento – la supposizione – la condizione (Riflessioni sul metodo) 1° Cosa si può opporre all’idea di fondamento (trascendente e trascendentale)? La fine? Il messianismo? Sarebbe allora essenziale non la causa prima, non il pre-supposto della rappresentazione (fondamento trascendentale) che presuppongono già l’uguaglianza essere = verità, ma ciò verso cui tutto si muove. Questo presupporrebbe che l’essere è una storia? Oppure l’essenziale è assolutamente indipendente sia dalla causa prima sia dalla realtà ultima. L’essenziale – ciò che è in alto. Non che l’altezza sia il non-essere, ma è l’infinito che non si rinchiude nell’essere. Tuttavia non esercita la funzione di fondamento? Come fondarlo?

I

Aggiunta di traverso, sul margine sinistro: “Essere crudele, duro, potente”.

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2° La tendenza a comprendere l’umano in funzione dell’essere  – non è già determinata da un’attitudine ancora più radicale nell’umano e che sarebbe il vero cominciamento. Ma già la ricerca del cominciamento non è in funzione di qlcs.? 3° Porre il problema del principio, dell’origine – caratterizza la filo. Ma il problema del principio è legato al problema dell’essere. Ci si può chiedere se il problema del principio è primario. – Ma è già ammettere la priorità del principio: essere preoccupati della priorità del principio non è già affermare il principio. A meno di intendere con priorità – il primo venuto che pone un problema urgente. Nella vita occuparsi dell’urgente non è risalire al principio – Ma è forse che la vita esclude la filosofia e si trova all’opposto. – Ci sono due modi: non voltarsi per pigrizia, per appesantimento e non voltarsi per slancio. In ogni caso se si pone il problema filosofico a partire dall’urgenza, questo non consiste nel risalire all’origine, ma nel … (?) (… continuare una tradizione?) – In ogni caso nuovo stile di indagine. 4° È ridicolo classificare Heideg. come mistico o altro. Heidegger è inglobante. Il solo criterio – I! Il trascendentale e il 5° Il pensiero trascendentale è “realismo” o “idealismo”. Alla necessità analitica della dimostrazione, viene ad aggiungersi la necessità trascendentale, compresa anzitutto come quella della struttura necessaria del soggetto e in seguito come quella della condizione ontologica. L’argomento è sempre questo: non si tratta di dimostrare l’esistenza o la non-esistenza di X – il mondo, il prossimo, Dio – ma di mostrare che il problema stesso dell’esistenza o della non-esistenza si muove già in mezzo a queste nozioni o che ne fa a meno. Nello stesso tempo non prova dell’esistenza, ma nemmeno prova della non-esistenza. Prima della prova e prima dell’esistenza! Chiedersi allora se, dopotutto, questo non sia soggettivo è, di I

Parola illeggibile a causa del deterioramento del foglio.

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nuovo, porre come radicale la distinzione tra l’essere esteriore, il vero e il soggetto interiore, suscettibile di illusione, mentre questa stessa situazione presuppone già gliI esseri che si mettono in questione. – Questo ritorno dell’idealismo dietro il pensiero trascendentale è sempre possibile. La funzione trascendentale  – e tutto ciò che viene utilizzato in questa funzione non può porre l’essere e non è essere. Non ci si trova davanti al ritorno del problema: an sit? Il problema dell’esistenza in senso pre-heideggeriano – la permanenza del cogito. Esiste un mito dell’idealismo che non si può vincere una volta per tutte. Movimento pendolare. Cosa è comune alle due concezioni? Pensiero che si arresta vale a dire riflette, vale a dire pensiero che si distingue dal suo oggetto, che ammette la distinzione tra noesi e noema, una correlazione. Cosa vi si opporrà? Pensiero che non si arresta; non perché sia ingenuo, ma perché va verso l’infinito, perché è infinitamente sollecitato e non può “lasciar essere” il suo oggetto, perché è irrecusabilmente sollecitato. Un oggetto che attira infinitamente il soggetto – che non permette al soggetto di ritirarsi non è più nella relazione soggetto-oggetto. È la responsabilità dell’Io. Demolire la struttura soggetto-oggetto, non è tornare alla sensazione insieme soggetto e oggetto, ma andare verso l’altezza – che non significa mirare o designare un oggetto che si trova nell’altezza; ancora meno si rappresenta l’altezza stessa come oggetto. Cos’è andare verso l’alto? 6° Quale è la relazione con l’infinito se non è un pensiero? Che può esserci di spe 6° È possibile sostenere che l’idea dell’oggetto – l’intenzionalità – è fondata sul ritorno a sé (che l’idea dell’infinito non ha il tempo di compiere)? La sordità all’ mi rigetta verso l’io. Perciò il non-io mi appare invece di obbligarmi (????)

I

“gli” in sovrascrittura di “degli”.

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Io = responsabilità 1° La mia tesi consiste nell’affermare la dissimmetria nell’Essere: l’Io sopporta tutta la responsabilità come se esistesse un punto privilegiato: l’uomo in quanto Io. Tale punto privilegiato in quanto responsabilità  – è necessario ad una filosofia anti-fascista o anti-totalitaria. Non si può dubitare della struttura sociale dell’umano e della necessità di calcolare e di trattare gli individui in funzione delle necessità storiche. Ma per questo, al suo posto nella gerarchia amministrativa e militare – nel puro ordine dell’universalità – che si istituisce in questo modo a partire dalla storia, affinché l’individuo possa non affermare i suoi diritti – il che sarebbe ridicolo contro la necessità oggettiva che è il diritto stesso – ma possa sottrarsi a questa amministrazione o a questo esercito che lo definiscono attraverso l’obbedienza – conviene che l’Io si affermi nella responsabilità, la quale è nello stesso tempo per... e davanti... Non è pura pietà perché è davanti Altri. Non è pura obbedienza, perché è responsabile di colui {proprio quello} di cui è responsabile. La filosofia dell’Io è quella che bisogna opporre all’inumanità della gerarchia e dell’universalità. 2° La dimora – è un modo d’essere in cui lo Stesso ritrova interamente la sua separazione che non può scomparire in nessun momento della relazione con Altri – e la cui inalienabile sovranità si ritrova nella Rappresentazione che, nonostante il suo carattere condizionato, mantiene l’ultima parola. – La filosofia dello Stesso dunque non potrà mai venir superata. Ma il Desiderio dell’Altro risorge dietro l’amore della saggezza per essere, di nuovo, ripreso nell’amore della saggezza. Questa alternanza marca la struttura dell’Essere insieme essere e al di sopra dell’essere. 3° Filosofia = lucidità. Senza dubbio! Lucidità = sorvolo = ritorno su di sé = riflessione: che ne è? Dove sono io? Questione dell’essere! Inseparabile dallo sguardo retrospettivo, dalla so-

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spensione, dall’ਥʌȠȤ੾. Ma questo ritorno su sé non ha tenuto conto dell’idea di Infinito. Questa impedisce che si ritorni: non è possibile sottrarsi al suo appello, nessun nascondiglio, nessuna ombra. Ma questo cammino sempre in avanti è proprio il modo in cui il soggetto si libera dal relativo e lo giudica. Idea dell’infinito = liberazione che non è quella della riflessione. L’attrazione dell’infinito, al di sopra della liberazione della riflessione. La vera liberazione! 4° Avere l’idea di infinito è oltrepassare l’idea dell’essere? L’idea dell’essere non è ultima? Certamente, se l’idea di infinito è intenzionalità, disvelamento, verità. Ma l’al di sopra dell’essere che è l’infinito – deve disvelarsi e rispondere alla domanda an sit? L’idea di infinito non è un’intenzionalità. Ma allora cosa comporta ancora di “spirituale” l’idea di infinito? La relazione con l’infinito che oblia la questione d’essere è “più del pensiero intenzionale invece di essere considerato un pensiero mutilato”. E sia. Ma che fare del ritorno della questione d’essere? Non è lo smaliziarsi dell’ingenuità (che si prende per sovrana) della (pretesa) relazione con l’infinito? Come assicurare la priorità dell’infinito? Tra l’essere e il non-essere “tertium datur”? 5° Primo stadio: opporsi all’astrazione del preteso sorvolo dell’essere. L’incarnazione sarebbe un modo di essere libero nella non-libertà. Ma allora radicamento, abitazione, luogo, xenofobia, priorità della cultura che modifica la terra nella posizione sulla terra (Antigone: l’uomo ferisce con l’aratro la dea Terra). Da cui il secondo stadio: un certo spaesamento, nessun sorvolo, ma liberazione nei confronti del luogo. Concetto solido di Dio distinto da ogni altro correlato. Senza rimanere indifferente al mondo che vi culla e vi dà riparo, innalzarsi al di sopra di questo mondo. Altezza distinta del faccia-a-faccia attraverso contemplazione, ma volto.

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I L’Orale e lo Scritto Il Talmud è una discussione, ma tra intelligenze realmente differenti. È affermando che l’idea vive e diviene nella discussione, il talmudista oltrepassa la lettera del testo e la verità come lettera. La verità come lettera si impone come interamente costituita e {come} costituita una volta per tutte e per tutti. I talmudisti al contrario hanno una coscienza molto viva della struttura essenzialmente dialettica della verità. Si tratta di una dialettica che non ha niente di didattico; che non somiglia al dialogo platonico in cui un solo interlocutore s  – Socrate  – sa dove va. La discussione talmudica si gioca tra spiriti realmente molteplici; il razionale, secondo loro, dipende essenzialmente da una molteplicità di sensi che invocano proprio la discussione come forma in cui essa si compie {e si rinnova} infinitamente. e indefinitamente. Secondo una Haggadah la parola di Dio è come un colpo di martello che colpisce la roccia e sprigiona ovunque innumerevoli scintille. È la discussione che {La comunicazione tra spiriti} lo porta alla suaII rivelazione totale. Bloccare l’idea in una formula è trasformarla in idolo. In questo senso un insegnamento orale non è semplicemente il surplus che non ha potuto essere fissato per iscritto – esso raddoppia eternamente l’insegnamento scritto. È attraverso la domanda dell’allievo che interroga il maestro e non soltanto attraverso la domanda del maestro che fa nascere lo spirito dell’allievo che l’insegnamento scritto può conservare la sua diI Otto parti di fogli manoscritti sul recto, salvo i fogli 1 e 5, manoscritti sul recto e sul verso. Levinas ha scritto con una penna a sfera ad inchiostro blu, salvo sui fogli 1 recto e 5 verso, che sono scritti con una stilografica ad inchiostro nero. Alcune aggiunte sono fatte con penna a sfera ad inchiostro violetto. La carta è la stessa per l’intero manoscritto. Alcune parti di foglio lasciano intuire un testo più lungo che è stato tagliato. Tali elementi materiali permettono di supporre che Levinas abbia estratto questi fogli da un insieme più ampio, e che abbia aggiunto loro due sviluppi (f. 1 recto e f. 5 verso) con il fine di ricostituire un insieme. II “sua” in sovrascrittura di “loro”.

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gnità di insegnamento, vale a dire di un’opera spirituale. Il Talmud pretende di essere questo Giudaismo invulnerabile alla critica biblicaI I Rabbi sono personalità storicamente conosciute. Anche se i testi biblici non sono stati redatti nell’epoca a cui vengono riferiti – sono stati meditati, elaborati, codificati da pensatori che non sono né popolo, né collezionisti di folklore – da coscienze lucide e totali. È in tutta evidenza importante ammettere questa intelligenza e questa lucidità. Il giudaismo post-cristiano, è tale fiducia. Crede nell’intelligenza dei dottori del Talmud. Il Rabbi – come più tardi il rabbino – non è né sacerdote, né taumaturgo, né elemento di un potere quasi politico integrato in una gerarchia. È un’intelligenza. L’epoca del secondo tempio, è l’epoca in cui, secondo la scienza critica – per partire da una posizione sfavorevole all’ortodossia ebraica – la maggior parte dei libri dell’Antico Testamento erano solo redatti. Di conseguenza erano redatti nello stesso ambiente di coloro la cui autorità si sostituiva a quella dei membri del sacerdozio e che più tardi divennero i farisei. – Se si adotta l’altra ipotesi, quella dell’ortodossia ebraica che su questo punto coincide con quella della Chiesa – se si situa la redazione delle Scritture nelle epoche più remote, attestate dagli stessi libri santi – è ancora la tradizione ininterrotta della vita intellettuale e morale ebraica – che sfocia nel Talmud – che ci fornisce la chiave di questi testi che risalgono ad epoche inaccessibili alla storia ed oscuri senza la tradizione ebraica. Forse nel mondo ebraico esistevano altre tradizioni rispetto a quella rabbinica, ma è la tradizione rabbinica che era istruita. Sono i rabbi che maneggiavano i testi e che in ultima istanza ne disponevano. Si rifiuterà proprio la loro interpretazione, proprio quando i testi sono stati ricevuti dalle loro mani?

I Titolo aggiunto con stilografica ad inchiostro nero utilizzata anche per riempire i fogli 1 recto e 5 verso.

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poiché SecondoI un celebre apologo del Talmud {(Menachot 29)} Mosè che assiste anticipatamente ad una lezione di Rabbi Akiba non riconosce l’insegnamento che ascolta proprio mentre Rabbi Akiba assicura che questo fu ricevuto da Mosè sul Sinai. La Bibbia contiene tutto ciò che ha generato, ma tutto ciò che ha generato nella continuità stessa della tradizione {storia} che se ne {eraII} nutrita {in ognuno dei suoi rinnovamenti}. Il talmudista abborda {dunque}III il problema umano, sociale, morale concreto. Lo tratta in spirito e verità e subito aggancia la sua idea al versetto, ma è dal versetto che tuttavia deriva, perché è lo spirito biblico interamente rivelato che ha permesso di trattare il problema in spirito e verità e di leggere il versetto in questa nuova maniera. Nessuno dunque è più lontano dal senso letterale del Dottore del Talmud. Lo sviluppo della verità non è il passaggio {dal concetto} a una percezione, ma uno sviluppo del {concetto nel pensiero degli uomini}IV discorso. O se si preferisce un’altra formula: per il giudaismo {Dio} non si incarna. Non perché un tale evento sarebbe contraddittorio o misterioso o choccante per la ragione, ma perché porrebbe la percezione al di sopra del pensiero {del verbo} e comprometterebbe l’interiorità. e si ferma in PalestinaV. All’inizio erano gli ebrei. Le forze religiose sono state lanciate nel nostro mondo dal popolo ebraico che, da parte sua, ha conosciuto solo un’esistenza politica piuttosto precaria, senza vera sovranità, che si gioca su un piccolo territorio, “Secondo” in sovrascrittura di “secondo”. La maiuscola in sovrascrittura come pure la cancellazione della parola precedente sono scritte con stilografica ad inchiostro nero utilizzata per riempire i fogli 1 recto e 5 verso. II “era” in sovrascrittura di “è”. III Le ultime quattro aggiunte di questa pagina sono scritte con penna a sfera ad inchiostro violetto ripassato con la stilografica ad inchiostro nero utilizzata per riempire i fogli 1 recto e 5 verso. IV Levinas aveva inizialmente aggiunto, con la penna a sfera ad inchiostro blu: “{concetto nel}”, poi ha modificato questa aggiunta e barrato la parola “discorso” con la penna a sfera ad inchiostro violetto. V Passo barrato che è la fine di una frase che compare sul terzo superiore del foglio che Levinas ha strappato. I

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una storia che era stata politica solo durante nove secoli su quaranta. Quali sono le {Si può parlare di un}I Giustizia sociale o salvezza personale  – il dilemma non è solo artificiale per il giudaismo. Se ci fosse stata alternativa – la scelta non avrebbe comportato alcun dubbio. Non riconoscere che la miseria dell’uomo è la miseria, è alla fine perpetuarla e rendere caduchi i valori stessi ai quali la si è sacrificata. C’è qui un’idea che permette al giudaismo di riconoscersi nei movimenti sociali moderni. E quanto il cristianesimo sociale preconizza da un secolo – il giudaismo lo domanda da duemila anni. II si precisamente la distanza: sapere che la faccia che l’ostacolo mi offre non riassume l’ostacolo – vale a dire il potere di parlare a qualcuno dell’oggetto invece di urtare contro di lui. In questo senso il lavoro è lavoro in comune. La forza della volontà è fatta di unione di volontà – è fin da subito sociale. Ma il lavoro, vale a dire la coscienza non è possibile che p si è interamente separato – ateo . L’essere separato, si separa nella felicità, ma non può lavorare che, nel suo ambiente, egli ha coscienza . Tuttavia come è possibile la coscienza in un mondo in cui alloggiamo? Come può succedere che non soltanto ameremmo la vita, ma che lavoreremmo? Occorre per tutto questo che la vita nella sua separazione e nel suo ateismo, intrattenga una relazione con un punto fisso fuori di sé che non faccia parte dell’a casa propria/presso di sé – che noi potessimo in qualche modo Il seguito di questo passo barrato così come del testo che lo corregge e che senza dubbio avrebbe dovuto a sua volta essere barrato, si trovava sul terzo inferiore del foglio che Levinas ha strappato. II Quattro fogli della stessa carta scritti a mano sul recto, che Levinas ha riunito in una cartella. Sono manifestamente estratti da un insieme più ampio, perché l’incipit del manoscritto è il seguito di una frase che cominciava su un altro foglio che non è stato conservato e, d’altro canto, il manoscritto si interrompe bruscamente. I

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scollare la nostra condizione. Scollare – non significa affatto trasportarsi fuori dall’a casa propria/presso di sé – ma a casa propria/ presso di sé incontrare un essere che non esiste in vista di me o contro di me, ma in sé e in rapporto a cui il mondo già da subito costituito contro cui urto non è tutto ciò che è per me. Occorre che il mondo sia per me altra cosa da un nutrimento o da un a casa propria – che divenga tema. Per questo è necessario che possa parlare a qualcuno. La relazione che presuppone questo passaggio alla teoria è al di sopra della separazione e dell’ateismo la relazione con altri tale che possa sottrarre all’essere separato la sua posizione centrale nell’universo. La volontà non è allora la libertà di un essere causa sui, né l’ascensione al I rango di causa sui. È ciò per cui un essere che non è causa sui è in società, parla ad altri, è capace di domande e risposte, è responsabile. La responsabilità non riposa sulla libertà, fonda la libertà nella sola forma possibile per un essere in relazione e che rimane assoluto in seno alla relazione. Volere, non è negare Dio, ma rifare il mondo, uscire dal mondo tutto costituito, civilizzare. L’indipendenza della volontà non deve essere presa per lotta, violenza e negazione. Ed è perché la volontà non può essere compresa che come condizione della parola che si è voluto identificarla con la volontà dell’universale. L’essenza della parola stessa è stata situata nell’universalità del pensiero come ciò attraverso cui l’essere singolare si spoglia della sua singolarità sostanziale. Il razionalismo non può ammettere una molteplicità pacifica, tra singolarità vede solo violenza e rapporti pacifici tra individui che hanno abdicato alla loro individualità. Non ha visto nel linguaggio la relazione tra assoluti, anteriore all’interazione delle libertà. L’indipendenza dell’essere dipendente non è un concetto costruito, è la volontà. È il modo d’essere attraverso il quale si costituisce la separazione. Non è un essere solo, ma un essere che esce dal sistema per parlare. Si può chiamare creatura un essere che attraverso la volontà afferma l’indipendenza dell’esistenza di cui non è l’origine. In questo senso, solo l’essere creato è volontà. In questo senso solo l’essere creato è in società. I

“al” scritto una seconda volta all’inizio della pagina seguente.

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In questo senso la creazione è la sola possibilità della molteplicità. In questo senso solo l’essere creato è metafisico. La creatura non consiste nell’avere una causa esterna a sé, ma nell’essere indipendente in questa dipendenza. 13 Il lavoro La cosa, di primo acchito, si presenta I Note varie sulla volontàII. Animale politico, animale civilizzato, – l’essere si attacca all’esteriore per la sua indipendenza. L’esteriorità non gli fornisce soltanto le armi contro la minaccia ambientale. La libertà risiede in questa liberazione. Il dominio di sé si nutre del dominio del mondo. L’appetito della vita, la molteplicità delle esperienze e delle sensazioni accresce e conferma l’esistenza. La civiltà europea è coscienza di una civilizzazione – consiste nel riconoscere questa presenza indispensabile delle opere umane, dell’uomo esteriorizzato in esse, come condizioni della libertà e della dignità umana.

L’insieme comprende sette fogli: i fogli 1 e 2 (verso) sono manoscritti, i fogli da 2 a 7 sono dattilografati (recto) e portano correzioni e aggiunte manoscritte. Il foglio 1 è scritto con una stilografica ad inchiostro nero, il foglio 2 (verso) con penna a sfera ad inchiostro blu. I fogli da 2 a 6 sono parti di fogli dattilografati – senza dubbio estratti dallo stesso insieme, al quale apparteneva anche il foglio 7, perché sia la carta sia lo strumento di scrittura sono identici – di cui Levinas ha voluto conservare solo alcuni frammenti testuali. Questi ultimi non sono sempre accuratamente isolati, ed è per questo che il testo di alcuni fogli comincia dalla fine di una frase che iniziava sulla parte superiore del foglio che è stato strappato o sul foglio precedente che non è stato conservato, oppure proseguiva sullo stesso foglio che Levinas ha troncato o, ancora, sul foglio seguente che non è stato conservato ed è dunque interrotto. II Scritto a penna stilografica ad inchiostro nero. I

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Ma questa promozione del desiderio non è sufficiente al principio che esprime. Nel desiderio, il soggetto si nutre allo stesso tempo di essere, ma anche, appagato, se ne distacca. È necessario che possieda al di là di quanto tiene in mano, al di là di quanto consuma e utilizza in ogni momento. Non solo per assicurare la sua sicurezza, per premunirsi contro i I Essa suppone esseri interiori, e, suscettibili capaci di attività e suscettibili di passività e allo stesso tempo degli esseri in relazione con l’esteriore (condizione che l’essere causa sui non realizza). II È per questo che l’esperienza della volontà e l’esperienza d’altri in seno alla volontà non può consistere nella scoperta pura e semplice di una ragione impersonale. Volere è decidere, è essere solo al mondo, di una solitudine reale e non semplicemente personale {razionale:} non ricevere più ordini, essere all’origine e non semplicemente recitare il proprio ruolo in un sistema che lo predetermina o sviluppare il concetto del proprio carattere {.} e LoIII stesso {Volere è dunque opporsi ad altri – niente affatto essere  – ma opporsi a quest’opposizione che rende possibile la guerra o la pace – opporsi riconoscendo altri da cui mi distinguo. Concretamente questa opposizione è compiuta in un movimento che va dalla pace alla guerra e dalla guerra alla pace. E Anche se è certo come dice Platone che la pace è preferibile. Verità di Clinia contro l’Ateniese che riduce alla lotta puramente intestina6} IlIV rapporto con altri da cui posso vedermi dal di fuori, ma in cui tuttavia rimango un io separato, si manifesta nell’azione. La volontà è il compimento di una separazione: non si poneV per questo opponendosi, ma essere separato, è anche poter opporsi. Desiderare con qualcuno, ma in maniera tale che si possa anche desiderare

Scritto a penna a sfera ad inchiostro blu. Le cancellature, le aggiunte e le sovrascritture di questa pagina sono a penna a sfera ad inchiostro blu. III “Lo” in sovrascrittura di “lo”. IV “Il” in sovrascrittura di “il”. V “si pone” in sovrascrittura di “si oppone”. I

II

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contro qualcuno. Per noi, il ragionevole suppone sempre la società e non la società il ragionevoleI. II che sussisterebbe a fianco di un essere libero, negherebbe questa libertàIII. {La} Volontà pensata come {identificata con l’} interiorità, {(}a cui conduce l’idea delIV libero arbitrio{)V} sfocia in questo modo nella negazione diVI individui {sostanze} molteplici {ogni esteriorità} (se non è per l’immaginazione) di volontà molteplici.VII che {Ora queste ultime} sono inseparabili, di fatto, dalla nostra esperienza della volontà e dalla riflessione sulla volontà. {e di conseguenza di ogni molteplicità nell’essere. Vedremo Tutti sanno che questo è contrario alla nostra esperienza della volontà e sicuramente anche SpinozaVIII.} In effetti, se ci rivolgiamo ora verso la nostra esperienza della volontà, giungeremo ad elementi totalmente opposti a quelli richiamati. L’esperienza della libertà che abbiamo attraverso la volontà, non soltanto non esclude la molteplicità, ma trova in essa la sua condizioneIX.

Qui si esita tra una sottolineatura e una cancellatura. Le cancellature, le aggiunte e le sovrascritture di questa pagina, a parte poche eccezioni che verranno segnalate in nota, sono a penna stilografica ad inchiostro nero. III Seguito di una frase che si trovava sulla parte superiore del foglio che è stato strappato. IV “del” in sovrascrittura di “di”. V Le parentesi sono a penna a sfera ad inchiostro blu. VI “di” in sovrascrittura di “d’”. VII “.” in sovrascrittura di “,”. VIII Paragrafo barrato con una cancellatura a croce. A sinistra di questo paragrafo, sul margine, si legge la seguente aggiunta: “Volere è dunque essere in maniera tale da sopprimere la propria opposizione ad altri entrando nel come ”. In questa aggiunta, “entrando” è in sovrascrittura di “rientrando”. IX A sinistra di questo paragrafo, sul margine, si trova l’aggiunta seguente, in parte barrata con penna a sfera ad inchiostro blu: “Volere qlcs. non differisce formalmente da desiderare qlcs.”. I

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I Cominciamo con una {Ricordiamo la} definizione della volontà, quale {in} Descartes {.}II la presenta nelle Meditazioni. Ecco cosa è detto nella Meditazione IV: “La volontà consiste soltanto in ciò che per affermare o negare, perseguire o fuggire ciò che l’intelletto ci propone, noi agiamo in modo tale che non sentiamo affatto alcuna forza esterna che ci costringa.”7 { } Di questa definizione, vogliamo trattenere due punti: 1) La volontà è colta a partire dall’opera della verità. {L’essenzaIII della} volontà da cui dipende l’azione umana e di conseguenza la storia umana è coglibile colta daIV Descartes nel modo più originale a partire dalla verità. Così la verità si trova ad essere l’evento centrale della storia. Nonostante tutte le differenze che separano Descartes e Heidegger, c’è {qui} una certa analogia. Come per Heidegger, la storia è contenuta in un modo di verità e rivelazione dell’essere. Ricordiamo la frase heideggeriana, una delleV innumerevoli di questo tipo, a pagina 32 dell’Introduzione alla metafisica: “L’Essere non è che una semplice parola, e il suo significato, fumo; o ci nasconde il destino spirituale dell’Occidente?”8 {Il destino della volontà è funzione di un evento impersonale di rivelazione dell’Essere che, come sappiamo da H., si trasforma in evento personale. Vi ritorneremo nella conclusioneVI.} { } 2) Tratteniamo il riferimento della volontà alla libertà: alla libertà VII

I La prima cancellatura e la prima correzione sono a penna stilografica ad inchiostro nero; le altre cancellature, le correzioni, le aggiunte e le sovrascritture di questa pagina sono a penna a sfera ad inchiostro blu. II È preferibile non leggere il punto che, indubbiamente, non doveva essere aggiunto. III “L’essenza” in sovrascrittura di “La”. IV “da” in sovrascrittura di “per”. V “delle” in sovrascrittura di “d’”. VI L’intero paragrafo è barrato con una croce di sant’Andrea. VII Il seguito si trova sulla terza parte inferiore del foglio che Levinas ha strappato.

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di sé e di altri su un piano comune qualunque, ma un accordo, un sì.I Dietro l’atto della guerra, della violenza, dell’azione dell’uno sull’altro – e violenza è l’azione dell’uno che non si definisce attraverso l’altro su questo altro che non si definisce attraverso l’uno – c’è parola o incontro del volto dell’altro. Quando altri è a terra bisogna rialzarlo per poter trattare con lui. II Volere qualcosa non differisce formalmente da desiderare qualcosa. Ciò che si vuole può anche essere desiderato e inversamente. Si vuole contro il desiderio ma si desidera anche contro il desiderio. È vero che quando si desidera contro il desiderio, si vuole. Il desiderio puro ignora gli altri desideri, è invaso da sé medesimo, è ebbro delle sue stesse esalazioni. La volontà non è soltanto nell’opposizione tra l’io e il mondo che caratterizza il desiderio, ma nell’opposizione dell’io a sé. Si tratta di questa guerra intestina di cui parla Platone, nelle Leggi, e per la quale individuo e Stato possono essere al di sopra – e al di sotto di loro stessi9. Non si può presentare tale conflitto come una lotta di due forze, due forze {quando non animano due persone, o due volontà} non lottano mai, mai danno un risultato. Interpretare la volontà come lotta di forze, è farne un’illusione. È la stessa persona ad essere in conflitto con se medesima, vale a dire, ad essere in una certa misura al di fuori di sé. La volontà suppone questo scollamento riguardo a sé. Volere, è vedersi dal di fuori. Certamente si può parlare qui di apparizione della ragione, come di un Deus ex machina. Ma la presenza d’altri fornisce la possibilità concreta di vedersi dal di fuori. Volere, è come se si fosse parlato ad altri. Da cui tutti gli sviluppi che identificano volontà e discorso, ma la maggior parte del tempo si tratta di un discorso non tra interlocutori, ma del discorso nel senso di logos impersonalie che renderebbe possibile ogni interlocuzione; detto altrimenti, identificare discorso e volontà è identificare volontà e intelligenza. Ciò non è conforme all’esperienza della volontà. Certamente ci appare come una costrizione, come l’accettazione di una legge Cancellatura con penna a sfera ad inchiostro blu. Le cancellature, le aggiunte e le correzioni di questa pagina sono a penna a sfera ad inchiostro blu. I

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che ci eccede {eccedente noi}. Ma nella volontà, siamo al più I Senso e significato 1° Il problema del senso non è puramente logico. Sorge quando l’essere si oscura, da un disorientamento. 2° Senso non è il dato, come per i positivisti logici senso = insieme di esperienze sensibili v. a d. di dato (sensibile = dato). 3° Il senso si al linguaggio, il linguaggio non è segno del dato, ma metafora. Priorità del senso figurato sul senso letterale. 4° Anteriorità del linguaggio in rapporto al dato suppone l’abitazione del mondo, la “storicità fondamentale”10 al di là della struttura noesi-noema. 5° La cultura è anteriore alla passività della recettività. Quintessenza della cultura = arte. Significato, espressione in generale, si oppone alla sensibilità. 6° Il dato = residuo dei significati culturali: oggetto per un soggetto, verificabile con la tecnica (significato tra tanti altri). Il significato culturale ha una struttura laterale. 7° I significati che l’arte rivela, non vengono dall’oggetto, brillano da dietro l’oggetto. Lo si chiama essere dell’essente. Questa sfera suscita il soggetto, come il soggetto idealista che costituisce l’oggetto. 8° Da cui rivelazione storica dei significati. Essi non sono separabili dalla cultura che li suscita. Le impalcature non si abbattono, “di meglio non si può fare”. 9° Anti-platonismo. Disorientamento. Equivalenza. Decolonizzazione. 10° La struttura culturale del significato attesta un mondo rigorosamente umano – v. a d. storico = visibile = finito = del presente e del tempo = del pensiero = della compensazione = dell’economia = della libertà. Nessuna generosità, gratuità, azione pura. I

Scritto sulle pagine bianche di un biglietto di invito doppio (1954).

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11° Mondo a partire dall’Azione – orientato; e non c’è senso che come orientamento. (Nessun romanticismo dell’Atto.) 12° Il senso = l’essere è orientato. Senso = orientamento. Essere orientato = agire. 13° Come è possibile un orientamento? Rispondere a questo, è analizzare le condizioni dell’Azione. 14° Non c’è prima vita che successivamente riceva un senso. La vita è da subito orientata. 15° Azione (= orientamento totale) suppone a) nessun ritorno su di sé (nessun pensiero nel senso assoluto del termine, potendo assorbire l’attitudine) b) realizzazione, presa sul reale (senza ciò l’azione sarebbe gioco). 16° Orientamento senza ritorno = gratuità dell’iniziativa e risorse infinite nel soggetto in quanto soggetto = liturgia = non cercare la contemporaneità (Isuccesso, compensazione in ogni contemporaneità) = non essere impressionato dal presente = pazienza (non passività davanti all’avvenire che tarda, ma disprezzo per il presente e il tempo) = 17° Orientamento senza ritorno = non reciprocità nel donare quanto sollecita il volto = assistenza di Altri alla sua rivelazione = nessuna immagine plastica o virtuale = significato senza contesto = che sollecita assistenza e liturgia. La non-reciprocità = altezza. 18° Orientamento = Desiderio senza mancanza – desiderio del surplus dell’infinito “ɧɟɧɚɫɢɬɢɦɨɟɫɨɫɬɪɚɞɚɧɶɟ”11. 19° Contemplazione estetica attraverso il Desiderio senza mancanza. 20° Termine dell’orientamento: assoluto = volto presente in persona. Fonte di senso – Altri. 21° Compimto necessario della liturgia – senza di che il senso sarebbe non-senso. Il gioco manca di senso. 22° Termine ultimo dell’Azione – Irrivelato. Ma che non è mistero, il quale è la negazione del rivelato. La coppia Rivelato-Misterioso è dell’ordine del finito  – “pensiero”, “sapere”, categoria (opposta all’attitudine). Nel volto che è rivelazione – dimensione dell’altezza. 23° La dimensione dell’altezza non può essere posta come significato ultimo, benché l’esperienza dell’altezza spaziale supponga già I

Grafia incerta: la parola è forse preceduta dal segno “=”.

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il significato. L’Irrivelato – Egli – che non è l’Essere dell’Essente, ma l’Infinito. 24° Volto non segno dell’Irrivelato o dell’Infinito, ma sua traccia. Il volto ha un senso, perché è la traccia. La traccia nel volto = avvenire al di là dell’avvenire. 25° Fenomenologia della traccia: vera relazione con la trascendenza. Il passato. Nel volto, il passato è avvenire. È sempre passato e sempre a-venireI. Eternità che non è un residuo del tempo. 26° Prossimità e mai coincidenza – ravvicinamento. È in questo che Dio differisce dall’Essere dell’essente. Vicinanza – non mistica. Essere dell’Essente è luce. Infinito – Desiderio senza mancanza. Il suo non soddisfacimento, è la sua eccellenza. Pienezza del vuoto. Compimento di questa pienezza – infinito. 27° Platonismo. Il senso prima della cultura. 28° Significato – necessariamente astrazione.

Il problema: l’uomo morale non è soltanto la buona volontà – perché la libertà può trovarsi in circostanze in cui non è più libera (sofferenze, tortura, minaccia di morte in cui può sicuramente trionfare ma può soccombere. La libertà non è eroicaII). L’uomo morale è dunque obbligato a creare istituzioni in cui la libertà potrebbe mettersi alla prova. La politica al di sopra della morale. Ma l’istituzione della città può a sua volta divenire inumana. III L’essere per la morte dell’avventuriero?

Grafia incerta: si può leggere “a-venire” o “avvenire”. Sottolineato con penna a sfera ad inchiostro blu. Tutto il resto di questa nota è scritto a penna stilografica ad inchiostro violetto. III Scritto sul verso di un documento stampato che porta la data 1955. I

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Durata bergsoniana e durata della filialità.

Discorso – simultaneità di due; rappresentazione: presente, unità.

L’io che si distacca da sé – apostasia.

Desiderio ɇɚɫɟɜɟɪɟɞɢɤɨɦɪɚɫɬɟɬ^ɫɬɨɢɬ`ɨɞɢɧɨɤɨ ɇɚɝɨɥɨɣɱɬɟɫɟ^ɜɟɪɲɢɧɟ`ɫɨɫɧɚ12... È di Heine? o di Lermontov Abbandono – ma presenzaI di un’esistenza gloriosa e triste – la felicità di questa presenza è più che la partecipazione a questa presenza – Desiderio di questa presenza e non anche bisogno di esistere. La cosa meravigliosa è che Lermontov ha tradotto omettendo la differenza di genere Fichtenbaum Palme13 – la relazione diviene tra essere – al di là dell’erotica – (o al di qua)

Conversazione mondana – coesistenza senza silenzio. I

“presenza” in sovrascrittura di una parola illeggibile.

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La fonte del verbo che nomina nel verbo che crea. I Categorie Risa – pianti – solletico Miseria – nudità – Vittoria Paternità – Caldo – freddo

Identità di sensazione e sentimento.

Il potere metaforico di parole come “al di là”, “trascendente”, “all’infinito”, Dio. II Questa costante delusione in un’opera che, almeno nei moderni, si indirizza a noi, ma non tollera domande, parla come per sé – costituisce come il piacere proprio e la magia dell’opera d’arte. Quest’alba di senso che non giunge a farsi sole, Galatea che è pronta a parlare, ma non parla.

I II

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1956). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954).

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Impazienza – contenuto del desiderio, e non soltanto la sua formaI. Disgusto organico  – dell’organicoII d’altri  – è il contropiede dell’amore o del volto? Disgusto dell’organico: orrore del contatto  – lettura da dietro le spalle – libro sgualcito, vestito, vetro – Già al di fuori dell’indifferenza: ordine dell’odio e dell’amore, ma esperienza dell’alterità – Volto – ritorno all’indifferenza. L’esperienza del volto – è la relazione dissimmetrica. Le libertà tra di loro – sono forze – reciprocità. Perché la non-reciprocità fonda la volontà – distinta dalla libertà. Dignità del creato. III Attenzione  – potere di apprendere  – culmine nella visione o nel rapporto con l’in sé del maestro. Sulla riga superiore, a destra, il numero “280”, il cui significato è oscuro, cerchiato e forse depennato. II Al di sopra della parola, barrato: “120 = ”. III Nota scritta sul verso di un foglio stampato sul recto di formato 10,5×13,5 cm piegato al centro. Si riproduce solo la prima pagina del manoscritto, utilizzata nel senso dell’altezza, mentre la seconda, utilizzata nel senso della larghezza, che presenta un testo in parte troncato – seguito di uno sviluppo che comincia su un altro foglio che non è stato conservato – è stata depennata da Levinas, e non ha alcuna relazione con quanto la precede. Ecco la nota: “storia. Ma noi vediamo di cosa è fatta la storia: è fatta della molteplicità delle volontà e di potenza. Ma sotto ”. Questo testo è inoltre depennato con due tratti obliqui. I

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Altri – noumeno – potere di apprendere – attenzione; potere di apprendere – società. I Dire che il sì e il no non sono le prime parole – è dire che il dialogo è inizialmente parola su qualcosa e su “lui”. II 1) L’identità – non trova il tempo – l’identità – è il fatto di trovarsi nel tempo – è questo il medesimo. 2) La miseria è donare è il comune è il III Il godimento = indipendenza nella dipendenza. Il lavoro procede da questa indipendenza – viene dall’interiorità per condurvi l’esteriorità che, da se medesima, si oppone all’indipendenza. Il lavoro è dunque la posizione dell’essere separato attraverso la quale l’Altro diviene lo Stesso. Concretamente – questa posizione è corpo. È la proroga della scadenza in cui l’Altro inghiottirà lo Stesso. È coscienza. Dunque corpo = coscienza. Ma questa struttura di corpo = coscienza che si tratteggia nel lavoro, si concretizza come casa che mette in questione la mia posizione naturale sulla terra da parte dell’Altro anteriore alla Parola o il Femminile. Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). Nota manoscritta redatta su un ritaglio di carta (si tratta del margine sinistro del recto dattilografato di un foglio di cui è ancora leggibile la prima lettera di ogni rigo). Non viene presentato il verso manoscritto che contiene soltanto inizi di rigo. III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). I

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Il carattere sempre positivo dell’infinito – Occorre anzitutto rilevare il carattere sempre positivamente orientato dell’infinito. Essa Esso non ha un riscontro negativo. L’infinitamente piccolo è positivamente infinito, un sempre di più... I Non si può trarre l’altruismo dall’egoismo: due testardaggini non producono una ragione – Ma si può mostrare in cosa la ragione le oltrepassi. La dialettica suppone uno spirito compiuto. Ogni dialettica è .

La celebre definizione di Platone del pensiero come dialogo silenzioso dell’anima con se stessa  – lega il linguaggio al pensiero, gli sottrae il suo carattere secondario di semplice espressione di un pensiero pre-esistente. Non tiene conto, nel linguaggio, del ruolo giocato dall’interlocutore reale, dalla persona invocata, dall’invocazione. Dialogo silenzioso, ciò sicuramente riconduce ad affermare il carattere dialettico del pensiero, la sua articolazione e il suo movimento, la sua estraneità all’intuizione, puramente ricettrice di contenuti. Nel Cratilo, strumento di rivelazione e di insegnamento, in quanto dispone delle parole; ma, di conseguenza, è come ogni altro strumento (in Sein und Zeit: zuhandenes), subordinato al pensiero che d’altra parte lo inventa come suo strumento (cfr. la fine del Cratilo) e che è la scienza stessa che si gioca nello spirito del legislatore del linguaggio. I

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953).

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I Riconciliazione del punto di vista personale e universale – in una distinzione tra una persona empirica e una persona kantiana costituita dall’universale {Brunschvicg}II Volontà – azione diretta dall’universale (Hegel). Kant. Bruns p. 13314. Unità compiuta = il finito Descrivere la volontà attraverso la ragione – è instaurare la tirannia dello Stato. III Senso 1° L’espressione non si realizza come un progetto preliminarmente concepito. 2° L’espressione culturale si rivela già nell’Espressione preliminare. 3° L’espressione può essere a) segno di comunicazione, b) cambiamento secondo la sua idea = negatività, conformazione del mondo ai bisogni c) celebrazione d) traccia. 4° La ricerca di senso è espressione che deborda l’aspetto soggettivo che riflette il senso. Il senso non saprebbe dettagliarsi nella ricerca di senso. 5° Il parallelismo noema-noesi è scompigliato con l’espressione. 6° Cultura: pensare del senso = espressione del senso; espressione del senso è più del pensiero che mirava ad essa. Il pensiero che cerca l’adeguato lo deborda nell’espressione. Espressione: rapporto del pensiero al movimento corporeo che celebra prima di modificare, di lavorare, di re-agire. Scritto sul verso di una locandina pubblicitaria non datata, ma che dal suo contenuto è possibile datare 1954. II Aggiunta all’inizio dell’interlinea successivo nel manoscritto. Proprio come più avanti il nome di Hegel, quello di Brunschvicg deve essere messo senza dubbio tra parentesi. III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). I

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7° Non è vero che il bisogno dona un senso unico – poiché divide gli uomini, le specificità delle culture rivestono i bisogni, le specificità divengono i bisogni stessi e dividono. I nazionalismi dominano le economie. Le lingue diverse sono volute per se stesse. I Prendere Il soggetto = ricettività (empirismo e anche intellettualismo), praxis che provvede i pensieri. Anche l’essere dello statoII è accolto. Soggetto = per sé fatto di bisogno. Donare Il soggetto: responsabilità, donare, sacrificarsi, Desiderio. III ESSERE e DIO. La nozione di trascendenza sembra stonare con la nozione di filosofia. La divinità di Dio – se è fatta di trascendenza – sfuggirà alla filosofia. Se è impossibile dubitare dell’essenza teoretica della filosofia, ogni trascendenza perde la sua estraneità dal momento in cui è compresa filosoficamente – {Divenuta vera, la trascendenza} si naturalizza, si sottomette alle condizioni della conoscenza, come se l’estraneo non fosse mai stato estraneo, ma solo oscuro.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). Si deve forse leggere “l’essente” (“l’étant”) al posto di “lo stato” (“l’état”). III Nota scritta sulle pagine bianche e su una delle pagine stampate di una partecipazione di nozze (1957) piegata due volte nel mezzo. Quest’ultima si compone dunque di quattro fogli. I

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Quanto di primo acchito si presenta totalmente altro è già familiare al soggetto – alla sua misura e alla sua maniera. (Non che ci sia qui una adeguazione come quella dei triangoli congruenti. Si veda la 4a parte.I) Ogni incontro d’alterità che potremmo fare nella nostra vita – sia che avvenga nella fame o nel freddo, nella paura, nel dolore, davanti all’ignoto o al problematico, si lascia ridurre ad un’esperienza, acquista senso o promette senso, si delimita e si definisce all’interno del nostro mondo, acquista senso, cospira con la filosofia. Questa realtà acquistando senso in fin dei conti si abbraccia, si comprende. In effetti la conoscenza è il crogiolo in cui ogni Altro dallo Stesso si tramuta in Stesso. La trascendenza non si rifiuta alla conoscenza perché la conoscenza sarebbe limitata e incapace di ricevere certe realtà, ma perché diretta verso l’esteriorità colloca immediatamente negli orizzonti del mondo che gli è da subito familiare. In questi orizzonti, l’esteriorità stessa sarà esplorata. L’altro in questo modo convertibile nello stesso attraverso la conoscenza, la filosofia europea lo ha chiamato essere. Da Parmenide ad Heidegger  – correlazione tra essere e conoscenza, non perché l’essere è qlcs. di soggettivo, ma perché la sua stessa produzione è luminescenza e chiamata al singolare vis-à-vis che è il pensiero dell’uomo. L’essere è una produzione – uno svelamento, un gioco a rimpiattino. Ci sarebbe dunque una lotta senza pietà tra le posizioni religiose fondate su una relazione con l’assolutamente Altro e la filosofia che estende la sua giurisdizione all’esperienza religiosa stessa per trattenerne il significato immanente e per rigettare come insufficientemente pensato (vale a dire come non-senso o come illusioni) tutto ciò che sembra, di primo acchito, eccedere l’immanenza.

I

Vale a dire il quarto foglio.

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La verità = situazione eccezionale in cui due ordini differenti si conformano l’uno all’altro. La verità non è congruenza {dell’immagine e dell’oggetto}, ma ciò attraverso cui l’essere, di per sé indifferente alla relazione (in sé) – come è nella 1a ipotesi del Parmenide – si scopre, si mostra, sfavilla, deborda la sua propria pienezza, emana, si produce per essere altrove che in sé. Infinitamente ripetuto sugli schermi, entra negli interni. Non è soltanto identico a se stesso. Al di fuori di sé per il suo irradiare diviene simile a se stesso, adeguato a sé. Quanto psicologicamte è rappresentazione vera in un Io, è questa pro-duzione in cui avviene originalmente la somiglianza con sé, l’adeguazione prima supposta da tte le altreI. L’essere che inizialmente si pretende straniero, assoluto, solo e unico e chiII, in rapporto alla nostra identità noi chiamiamo altro, proietta dei riflessi e si compara ai suoi riflessi. A causa della verità ha lasciato il suo soggiorno per appartenere al mondo dei fenomeni. La molteplicità stessa è inaugurata in questo modo. III Saint-Exupéry – Volo di notteIV 1) La felicità dell’uomo non è nella libertà ma nell’obbedienza ad un’idea superiore a lui. – Primo livello di comprensione, il più basso del libro.

I In basso a questa pagina, “TSVP”, per indicare che bisogna riferirsi al recto stampato di questo foglio sui cui Levinas ha aggiunto lo sviluppo che segue. [“TSVP” è abbreviazione di “tournez s’il vous plaît”, che significa che si deve girare la pagina.] II Bisogna senza dubbio leggere “che”. III Foglio manoscritto recto verso scritto, a parte due eccezioni che verranno segnalate, a penna a sfera ad inchiostro blu. IV Sottolineato tre volte, gli ultimi tratti di sottolineatura sono a penna a sfera ad inchiostro violetto.

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2) Tutto è colpa dell’uomo. Cominciare con il sopprimere le pene quando “ciò che è materiale è danneggiato da tempi nebbiosi”I – è finire col stabilire l’innocenza dell’uomo anche in un omicidio o in uno stupro15. È praticamente ciò che implica la dottrina del peccato originale. Negare il peccato originale è proclamare la severità di un ordine umano che non somiglia in niente all’umanità gaia e gioiosa del nazional-socialismo o all’umanità idilliaca di J.-J. Rousseau. {L’uomo nudo nel cap. 9 di 16ʺʥʫʸʡ: a Babele nudo di peccato, in Israele nudo di 17ʺʥʥʶʮ.} Si può estendere la responsabilità dell’uomo anche ai suoi rapporti con gli elementi. 3) Tutto è accessibile all’uomo. Il regno dell’uomo si estende agli elementi. Non c’è caos. 4) Al di sopra del rispetto dell’uomo, c’è il rispetto dell’idea. Attraverso il rispetto dell’ideaII, il rispetto dell’uomo diviene possibile. Rispettare l’uomo è svegliare la sua libertà. L’uomo non è libero naturalmente. Rispettare l’uomo, è comandare. Comandare è agire sulla libertà. 5) Agire  – è comandare, perché comandare è svegliare la libertà piegandola all’idea. Agire ha senso solo se la causalità si esercita su una libertà. Comandare si oppone a fare la guerra – in cui la causalità si esercita su ciò che non è libero nella libertà – violenza. 6) L’amore non è la relazione per eccellenza tra esseri umani. 7) Comandare, agire su una libertà, agire su quanto non può essere agito – suppone la visione del volto e il linguaggio. 8) Essere comandato e comandare. L’uomo deve essere tra questi due termini. Il proletario = colui che non comanda a nessuno. 9) Comandare a sé. 10) Il male – quanto penetra attraverso gli uomini appena c’è allentamento vale a dire conoscenza dell’individuo singolo. 11) Rispettare l’uomo – trasformarlo in uomo. 12) Colui che agisce nella guerra non è il soldato, ma l’ufficiale. Quello che comanda. Agire è comandare.

I II

Virgolette incerte. “idea” in sovrascrittura di “uomo”.

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I L’intellezione dell’infinito in Descartes Descartes fa sicuramente una distinzione tra “l’intellezione conforme al livello del nostro ingegno, tale che chiunque riconosca sé di avere dell’infinito, e la concezione intera e perfetta delle coseII, vale a dire che comprende quanto c’è di intellegibile in loro, quale nessuno ha”18. Ma questa distinzione pone il problema piuttosto di risolverlo. L’idea dell’infinito nell’uomo sarebbe una mira parziale e imperfetta di questo infinito? Ma come può esserci comprensione parziale dell’infinito? Come si annuncia un tutto in una parte? In che modo il tema mirato da un pensiero è bruscamente debordato senza che, qui la struttura stessa del pensiero in quanto relazione con l’infinito non sia profondamente rovesciata? In Husserl, troviamo anche un riferimento all’infinito inscritto nel noema stesso della noesi{:} La cosa sensibile per eccellenza è colta nella percezione in modo tale che una serie infinita di figure in cui essa appare è inscritta in ognuna di queste figure e di conseguenza conosciuta (o costituita) come infinito dal pensiero. Ma questa constatazione non risolve il problema: come il pensiero può circoscrivere al di là di quanto può circoscrivere senza la meraviglia dell’idea di infinito che spicca sulla struttura del pensiero che mira all’essere.{]III} Foglio dattilografato sul recto comprendente aggiunte manoscritte, manifestamente estratto da un insieme più ampio (vi compare un numero di pagina, “13”, che Levinas ha depennato). II Parte della frase che precede, probabilmente ricopiata dalla pagina che precedeva nell’insieme da cui è stato estratto questo foglio (cfr. la nota precedente), come pure il titolo di questa nota sono scritti a penna stilografica ad inchiostro blu. III Parentesi manoscritta, a penna a sfera ad inchiostro nero. Manca la parentesi di apertura. A meno che non si tratti di un segno tipografico di correzione. Tuttavia il suo significato sfugge, perché questo segno difficilmente può assumere il senso conferitogli dal codice tipografico dell’Imprimerie nationale, vale a dire “trasferire al rigo precedente”, e Levinas sembra non utilizzarlo per sopprimere I

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L’infinito dunque non è il correlato dell’idea di infinito come se questa fosse un’intenzionalitàI. Si dirà che esso {l’infinito} può affettare l’Io perché il surplus inafferrabile avrebbe una presenza simbolica nel dato adeguato? Ma la meraviglia del simbolo non si spiega essa stessa che attraverso il rovesciamento dell’intenzionalità – dal fatto che contrariamente al dominio perfetto dell’oggetto da parte del soggetto nell’intenzionalità, l’Infinito disarciona la sua idea. Il rovesciamento consiste nel fatto che l’Io riceve assolutamente, apprende assolutamente, non nel senso {socratico, un significato che non ha attribuito, precedente ogni Sinngebung19}II.

Prendere posizione riguardo al modo in cui Heidegger scredita il termine Ausdruck20.

La libertà causa sui è chiusa sul mondo. La libertà come volontà rapporto con un terzo e con un tu per una giustizia. questo a capo e agganciarlo all’a capo precedente, dal momento che per tutto ciò impiega – in altri manoscritti – il segno convenzionale. I Sotto le sette ultime parole di questa frase, scritto a penna stilografica ad inchiostro blu, quanto sembra essere una sottolineatura tipografica, senza dubbio di separazione, che invita a portare sulla riga il seguito del paragrafo. Si trovano più esempi dell’uso di questo segno di correzione tipografico, accompagnato dalla dicitura “sulla riga”, nelle correzioni che Levinas ha apportato ad alcune pagine (pp. 182-184) del capitolo VII dell’esemplare di La Théorie de l’intuition dans la phenomenologie de Husserl, F. Alcan, Paris 1930, conservato nei suoi archivi. (In questo caso non si tratta di correzioni in senso stretto, ma di ritocchi in vista di una riutilizzazione di alcuni passaggi del libro per un altro scritto). II Aggiunta manoscritta, scritta a penna stilografica ad inchiostro blu, che probabilmente ricopia la fine della frase che si trovava sul foglio seguente nell’insieme da cui è stato estratto questo foglio.

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Quaderni di prigionia

Diritto alla vita – essere – esistenza = ontologia. Diritto alla vita abitare – essere a casa propria – avere. I Nelle ɛɵɥɢɧɵɬɹɝɚɡɟɦɧɚɹ 21. Ora si interpretano le ɛɵɥɢɧɵ con nozioni infinitamente più povere: nomadismo, passaggio dal nomadismo alla vita sedentaria. Le ɛɵɥɢɧɵ ritrovano il senso metafisico di queste nozioni ritenute a torto ultime. Toccano il fondo e non sono figure di fenomeni sociali che sarebbero ultimi.

Il proprio della civiltà occidentale non è oltrepassare l’umano verso il divino – quanto afferrare l’Eterno nell’umano. Questa confusione – è il concetto fondamentale. II La discesa della scr parola nello Scritto – non equivale (con un segno semplicemente inverso) – alla risalita dello Scritto alla parola. Lo Scritto parla da dietro il mondo, a (vero?) partire da un passato che non è rammemorato – passato dell’Altro.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). Scritto sul verso di un invito all’ascolto della Radiodiffusione-televisione francese (1957). I

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I Scritto e Orale. La Scuola Qual è il rapporto con lo Scritto? Lettura. Ma devo imparare a leggere. Scuola istituzione centrale. Luogo in cui si impara a leggere secondo Carlyle (dalla scuola primaria alla facoltà 22). Rapporto con il maestro alla base della società. Rapporto con colui che si può interrogare. Dallo Scritto all’Orale. Insufficienza dei ȖȡȐijȠȚȜȩȖȠȚ.

Siamo filosofi da quando non abbiamo più voluto la guerra.

Ignorati – te stesso.

Dipendenza dalla creazione e dalla morte – a questo si oppone: essere causa sui ed essere volontà.

L’impazienza non caratterizza solo il desiderio. Ne è l’essenza. Il desiderio è allo stesso tempo separato temporalmente dal desiderabile e impazienza. Desiderio e smania.

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Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953).

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I L’idea husserliana di Erfüllung23 come ritmo generale dell’essere nella separazione.

La privazione essenziale del bisogno – fame. Il mangiare modello della soddisfazione. II Presenza – più fondamentale dell’essere. Il modello di ogni presenza: portare soccorso al proprio discorso (Platone) – Decifrare i simboli. Assistenza.

Volto: è una risposta alla questione heideggeriana: IJާIJȓ‫݋‬ıIJȚȞ La nozione di volto – ciò che si conosce – il volto è un modo del quid interamente distinto dal contenuto Cosa è conosciuto? Questo o quello. Vale a dire un’immagine sensibile, un’idea. Il volto non è un’idea, ma l’interlocutore l’essere in un senso nuovo – colui che parla. Ciò non vuol dire che si rivela – Perché allora sarebbe volto idea. Acquisisce la durezza stessa del suo essere – nel parlare – (nell’esteriorità che la rende possibile). Ma parola è etica.

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Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1956).

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Io – eletto. {Egoità inseparabile dalla filialità.} Figlio prediletto. Essere io = escludere gli altri dall’eredità paterna. Eletto – io liberato da sé, poiché per un altro. Essere io, prediletto, eletto – vedere nel fratello il nemico; ogni io = nazione che esclude tutte le altre. Nell’elezione, altro = fratello = nemico. Io sovrano  – in rapporto alla terra; qui, posso riconciliarmi con altri contrattualmente. L’altro non è fratello, ma straniero, indifferente, ignorato. Il conflitto con il fratello è differente dal conflitto che può oppormi allo straniero e di conseguenza pure il Miteinandersein24 differente. Con lo straniero Io modus deficiens della socialità. Mentre l’elezione non si concepisce che nella socialità: padre, fratelli. La società dei fratelli pone un problema supplementare: Figlio, considero il mio io il favorito del padre. Già come io, sono opposto agli altri. Posto nella mia ipseità contro. – Mentre la sovranità di colui che si installa sulla terra, si oppone ad altri solo attraverso il possesso; l’assassinio può essere oltrepassato grazie a un socialismo che regola la proprietà, grazie alla politica, grazie a un’organizzazione dei poteri, a una gerarchia. L’assassinio è qui assassinio di stranieri – guerra – si difende la propria terra. L’odio è conseguenza, non principio. Nella società dei fratelli, prima è l’odio, in seguito il saccheggio. Gelosia, opposizione disinteressata per l’elezione. Gelosia – il fatto che anche l’altro è. Perché ciò non mi è indifferente? Perché sono lui – Io sono lui perché suo padre è me. L’odio della fraternità è superato in uno Stato. I fratelli che superano l’odio della fraternità senza divenire stranieri in uno Stato = Israele. I fratelli non sono, gli uni con gli altri, in un rapporto di libertà che si combattono.

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La paternità è una liberazione dell’io rispetto a sé. Io sono mio figlio, senza essere con sé. La filialità – io stesso, incatenato a sé, ma nella misura in cui sono investito del mio essere e non l’ho scelto arbitrariamente – Io sono io glorioso. Questa investitura non è un’eredità, né il carico di un’opera da proseguire.

Studi E. WI. Non c’è libertà finché c’è un altro che limita la mia libertà – l’altro è la violenza. Violenza = ostacolo alla libertà, ostilità = un altro vis-à-vis con lo stesso: il vis-à-vis = contro. Non minaccia il mio essere, ma la mia libertà (sono pronto a morire per la libertà). a) Mi minaccia con la sua esistenza La mia libertà dunque non è completa poiché non ignora l’esistenza dell’altro. La mia libertà è allora la definizione della mia esistenza. Non c’è libertà L’altro può essere altri – non è ostile – ma rispettato – mi riconosce. L’altro non limita la mia libertà perché esiste poiché ma la sua esistenza non è un’esistenza contro, ma un’esistenza senza relazioni – (assoluta) – volto – Ma quale cos’è che in me non è limitato ma avrebbe potuto essere limitato dall’altro? La mia volontà – in quan non in quanto libertà che coincide con il mio essere causa sui (libertà come segno dell’esistenza) ma volontà non eroica: essere {che protegge votato all’egemonia} che abita che gode degli elementi minacciaI

“E. W.” per “Eric Weil”.

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to dal essi nel loro avvenire ma che ha il tempo – cosciente – che si rappresenta – ma minacciato in cosa? Nella sua volontà, nella sua coscienza, nella sua possibilità di fare come gli pare?  – no, no – Voglio dire: il volto è semplicemente quanto non urta la mia libertà in opposizione ad altri – forza che la urterebbe? La differenza non è nella relazione e il volto un semplice residuo di relazione? – L’essenziale della relazione – non è il fatto che non è reversibile – È un altro tipo di relazione: altri è il debole, il povero, la vedova e l’orfano – oppure altri è il forte, il potente, il soccorritore. Non rapporto semplice con libertà. È il proprio del volto – apparire in questo modo in Cosa in sé, țĮș’Į੝IJȩ– non è che la struttura formale di questo rapporto. L’idea di un’opposizione di volontà – non è . Volontà – possibilità per me di riflettere – su ciò che non ha I I temi dell’origine l’ideale la tematizzazione la relazione socialeII L’origine impone già l’idea di referenza? Si pu Un dato ha senso in quanto segno non di un altro dato ma di un Altro assolutamente Altro. Avere Ha un senso  – quanto è assolutamente nuovo  – l’esteriore – quanto apre il mondo.

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Scritto sul verso e su parte del recto di un biglietto di invito (1957). Nel senso della larghezza, nella parte superiore destra del recto, è scritto: “Il mondo in cui L’intelligibilità”.

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I Il fine non è la libertà – Ma l’a casa propria – io ritornato a sé – identità della felicità. II Volere è costruire.

Concepire che la relazione con l’Assoluto non è una negazione come un’altra – che essa non rende l’Assoluto relativo, che tale relazione non lo tocca. Il ruolo particolare di una relazione che lascia intatto il suo correlato – di una relazione senza reciprocità (?) è proprio la nozione greca della conoscenza e della verità.

La guerra per il riconoscimento suppone che abbia riconosciuto l’altro. Egli non mi riconosce nel mio essere (mi minaccia di morte), nei miei beni (esercizio della mia libertà).

Partire dall’ateismo – è partire dall’uomo. Partire dalla rappresentazione è supporre Dio.

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Scritto sul verso di una parte di lettera ricevuta, datata 1953. Scritto sul verso di un pezzo di carta stampato sul recto datato 1953.

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I I temi La tirannia dello Stato – Il sentimento. Il medico. La sessualità e il suo oltrepassamto.

Creazione 1) Nel mio volere, ho voluto ciò che può avere un altro significato per altri – Essere creato = essere che vuole e che produce opere = molteplicità di esseri. 2) Quanto ha un senso prima di me. 3) Quanto rende possibile l’ateismo. 4) L’Infinito che si accontenta di un’esistenza separata.

Un’esistenza causa sui  – non può essere in relazione  – poiché se partecipa a un mondo poiché non può essere in relazione che con quanto ha creato. Una relazione è un inserimento in un ordine preesistente e di conseguenza una passività.

Quel che c’è di più profondo nell’uomo è la pelle. Valéry25.

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Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954).

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La società fondata sul credito: – la fiducia – distacco dall’ordine naturale – ma ordine tra libertàI. Impegno in una società: libertà e legge. Legge – come necessità nella libertà. II L’idea di una filosofia religiosa di H. Duméry (RMM 1954 N4)26 non è possibile che grazie alla fenomenologia: Che alcune mire 1) richiedono forme concrete 2) forme concrete logicamente indeducibili (mito) – che non sono simboli. III Volontà corpo: attività e passività. IV Ricordare che in Platone: l’ambizione può tradursi in denaro come il denaro in ambizione (categoria del numero27).

“libertà”, nel testo francese, è al singolare, ma deve essere inteso come un plurale. II Scritto sul verso di un volantino pubblicitario (1955). III Scritto sul verso di una parte di lettera ricevuta, datata 1954. IV Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). I

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La libertà non è causa sui – ma rifiuto della morte. La libertà nella creazione. Libero perché separato, v. a d. creato. I Il problema della figlia di ʤʢʬʡ– ʭʩʸʮ 1) La dignità del ʯʤʫ è incompatibile con l’attesa del successo. 2) Responsabilità collettiva Ultima pagina di ʺʥʫʥʱ II Il rapporto tra religione e ragione non è un problema di filosofia religiosa – è la filosofia stessa. Religione = verità come rapporto tra esistenti. Liturgia. = L’Altro – Volontà. Ragione = verità, abbracciare una totalità – l’impersonale.

L’azione su altri lascia sempre posto alla carità  – compassione ecc. sull’oggetto per chi è punito. Giustificazione dal punto di vista religioso. Privilegio del prossimo.

I II

Scritto sul verso di parte di un biglietto di invito (1957). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954).

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I Conversazione mondana  – nessuno crede a ciò che si dice  – e tuttavia le persone si capiscono perfettamente. E tuttavia da questa maniera di parlare ricavano il mantenimento delle apparenze – il rispetto della legge.

Il sistema dei termini che non pesano gli uni sugli altri – è quello retto dall’obbligo. II La famiglia  – possibilità per il padre di riconoscere suo figlio. Oltrepassamto del naturale – congiunto all’idea di immortalità che il figlio rappresenta. Specificità dell’amore paterno. III – Buongiorno. – Non la conosco. – Di nuovo buongiorno. – Non la conosco. – Scusi, sono colui a cui non avete avete appena detto non la conosco.

Fenomenologia – messa in rilievo dell’idea di formale. Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). I

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Non si più il formalmente contraddittorio. I Stato – Giustizia “In uno Stato, vale a dire in una società dove ci sono delle leggi, la libertà può consistere soltanto nel poter fare ciò che si deve volere, e nel non essere costretti a fare ciò che non si deve volere.” Montesquieu, Lo spirito delle leggi, XI, III.

Platone Fedro 238e - 239a (IISi tratta del discorso di Socrate che assume senza credervi (?) la tesi di Lisia “Ora, a chi è malato piace tutto ciò che non lo contraria, mentre detesta ciò che gli è superiore o pari. Quindi un innamorato non sopporterà facilmente, nei suoi amori, né superiorità, né uguaglianza, ma sempre opera per renderlo inferiore e più debole”31. III ancora l’esigenza eleatica dell’unità dell’essere: l’unità è l’equivalenza stessa dell’esistere dell’essere. Qualunque esteriorità è per essa mortale. Il politeismo non è soltanto la forma storica in cui nel pensiero umano appare una molteplicità di esistenze assolute – è anche la forma in cui essa si dilegua. D’altra parteIV Scritto sul verso di parte di un biglietto di invito (1954). La parentesi di chiusura, sicuramente alla fine di questa frase, manca. III Tre fogli della stessa risma manoscritti recto, manifestamente estratti da un insieme più ampio, poiché il foglio 1 comincia come seguito di un paragrafo il cui inizio si trovava su un foglio che non è stato conservato. Il testo è scritto a penna a sfera ad inchiostro blu; alcune aggiunte sono a penna a sfera ad inchiostro violetto. IV Il paragrafo è barrato con una croce di sant’Andrea. I

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Ma la nostra analisi fa risaltare un punto che assumerà importanza nella seconda parte di questo lavoro32. {L’idea stessa di guerra non ha alcun significato in esseri che sono causa sui. La violenza suppone la dualità un essere la cui libertà può piegarsi. La violenza non ha senso che come di una libertà. La violenza come la non-violenza suppongono libertà che non sono causa sui – Chiamiamo una tale libertà: volontà.}I Se {d’altra parte} la molteplicità introduce nell’essere la violenza, se la violenza consiste nel fatto che un essere trova un altro essere al suo fianco, questo vale solo perché gli esseri si pongono come causa sui. È la libertà causa sui che non può adattarsi all’altro. La violenza è dunque il modo in cui un essere che si sa solo si rapporta ad altri esseri. L’essere dell’altro che limita l’essere dell’uno – appare a questi come orgoglio – vale a dire come un’esistenza di pura apparenza, puramente fenomenico. {L’altro è il mortale.} La violenza suppone un dio in presenza di mortali. La violenza suppone l’idea dell’altro mortale – L’altro è il mortale. La violenza della guerra è così in fin dei conti dell’ordine della causalità fisica, dell’ordine del lavoro. Non è un rapporto tra spiriti. {Ma porre una molteplicità di esseri come una molteplicità di libertà – è insomma definire l’essere con la forza – prenderlo per una cosa. Non è prendere gli esseri assoluti in seno alla relazione in cui se ne discolpano – non prendere per assoluto questa stessa relazione – che non è formale e in cui l’uno che affronta l’altro lo trova per il fatto che è altro – altra cosa che una forza II/ o una libertà, ma un volto – / una maniera di essere in sé e di voltarsi verso l’esterno senza essere contro l’esterno e senza nascondersi / in cui si esprime – caritatevole o infelice.III} I Aggiunta che comincia nell’interlinea per proseguire nella parte inferiore del margine di sinistra. Incluso nel tratto che cerchia questa aggiunta, situato proprio sotto l’ultimo rigo, un segno ugualmente cerchiato e poco leggibile (la cifra “2” o forse la lettera “B”), scritto a penna a sfera ad inchiostro violetto. II Tutto ciò che precede questa aggiunta è barrato con una linea a zig-zag. III La topografia di questa aggiunta – scritta a penna a sfera ad inchiostro violetto – è piuttosto complessa. Comincia al centro del margine di sinistra e prosegue nel corpo del testo, nell’interlinea, poi di sbieco rispetto al margine destro, dapprima – così sembra – nella sua parte superiore, poi in quella inferiore, per concludersi di sbieco rispetto al margine di sinistra, parte superiore – dal mo-

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Il dileguarsi del politeismo tuttavia non si realizza come un ritorno puro e semplice all’unità dell’essere parmenideo. Questo termina sull’idea di cosmo. Gli dei dell’Olimpo costituiscono al di là delle guerre superate – un ordine. È che gli dei pensano. Ogni essere si pone a parte rispetto a tutti gli altri, ma la libertà di ognuno consiste nel volere l’ordine ragionevoleI. La violenza non ha senso che se si esercita su un essere che è pienamente essere – vale a dire che è libertà; ma la violenza non può esercitarsi su una libertà che è sottratta per natura ad ogni influenza. La violenza ha senso se si esercita su una libertà che può piegarsi, su una libertà finita. A meno Ma la nozione di libertà finita è contraddittoria se si parte dalla libertà = causa sui, vale a dire da una libertà non sol atto puro che non può che pensare se stesso. Senza che EssoII

Uno sviluppo sulla trascendenza: 1) Il trascendente – oltrepassa (valore) e non soltanto si separa. 2) La sua distanza equivale al suo contenuto.

Trascendenza Uscire da sé non significa un’apoteosi qualunque, un oltrepassamento della propria condizione o il frantumarsi della propria

mento che la parte dell’aggiunta si trova obliqua rispetto alla parte inferiore del margine di destra che è collegata con una freccia a quella che si trova di sbieco rispetto alla parte superiore del margine di sinistra. Le quattro parti dell’aggiunta sono state distinte separandole con dei tratti obliqui. I L’intero paragrafo è barrato con un tratto obliquo. II Il paragrafo è preceduto da un segno poco leggibile cerchiato con un tratto (forse la lettera “C”) scritto a penna a sfera ad inchiostro violetto.

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definizione, ma la possibilità di una relazione con altra cosa che se stessi. I La conoscenza del Mondo = conoscenza attraverso il linguaggio. II Ogni volontà è anche espressione. Ma nell’opera della volontà l’espressione è separabile da chi si esprime. L’opera può dunque mirare altri, ma mi lascia nascosto. L’espressione per eccellenza – senza che chi si esprime ne sia separabile. Nessuna alienazione possibile. Volto. III La bellezza del paesaggio, la sua apertura – la sua ampiezza visibile. È la sua forma. La sua forma fa parte del contenuto.

Riprendere tutta l’analisi della sensibilità per mostrare che porta a compimento la separazione. Essere separato – essere da qualche parte – all’interno di un mondo – in una casa.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1961). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). I

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I La passeggiata – le meravi segreteII e misteriose {relazioni} di uno spazio che è la trasparenza stessa dal momento in cui vi si collocano coseIII. IV Non ha alcun principio morale – ma non va verso la dissolutezza poiché ama il denaro. Il denaro è il sostituto del principio morale. È a motivo del suo amore per il denaro che è razionale. Il denaro è ragione. V Scritti Libertà concreta e istituzioni.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). “segrete” in sovrascrittura di “segreti”. III Il numero “141”, scritto capovolto, a matita rossa, attraversa alcune parole del testo che è scritto a penna a sfera ad inchiostro blu. Si tratta chiaramente del numero attribuito a questo foglio (in altri manoscritti, Levinas talvolta utilizza la stessa matita per numerare le pagine). Questo numero tuttavia, posizionato in questo modo, e tenuto conto del fatto che l’inchiostro delle parole che attraversa sembra essere al di sopra della matita, può essere stato scritto precedentemente alla stesura della nota; non si può dunque affermare con certezza che questa facesse parte di un insieme più ampio. Si aggiunga inoltre che la nota 167 (scritta anch’essa a penna a sfera ad inchiostro blu, sul verso di un altro esemplare del biglietto di invito utilizzato per la nota presente) porta il numero “140”, scritto anch’esso capovolto e a matita rossa. Sembra però che le due note non abbiano alcun legame tematico. IV Scritto sul verso di parte di un biglietto di invito (1953). V Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). I

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Ma le istituzioni riposano su scritti. La realtà che si apre a un essere realmente libero è presa nei testi che la organizzano. Testi legislativi, letterari o scientifici. Il mondo della libertà riposa su libri: carta, statuti. Letteratura di un paese che la apre su la suaI natura e i suoiII costumi ad ogni individuo abitante; i libri di scienza che rendono possibile la conoscenza rendono il mondo abitabile vale a dire l’uomo libero. Con gli scritti la storia differisce da una semplice memoria: l’uomo può rapportarsi ad un passato che non ha mai vissuto come presente. III Dal relativismo all’assoluto della Storia Il fatto che l’uomo e la sua verità siano determinati dalle circostanze in cui si trova, dalle tradizioni che raccoglie e dalle preoccupazioni per l’avvenire che lo agitano – ha indicato un relativismo dell’uomo, della verità, della ragione. Ma da qui si ricava una nuova concezione della filosofia e della ragione: a) sia l’affermarsi di una ragione che si realizza nella storia che ha una finalità, storia che non è e che inversamente è la storia stessa nel suo movimento di ragione; b) sia l’affermazione che lo scacco della ragione è e che la ragione si nutre del proprio scacco, perché è la finitudine stessa e lo scacco la sua manifestazioneIV. Ma la storia concetto fondamentale, ormai in mancanza di un punto d’Archimede originale avrebbe potuto essere sospesa (né origine né fine, né evento centrale in seno alla Storia). “sua” in sovrascrittura di “la”. “suoi” in sovrascrittura di “i”. III Scritto sul verso e sul recto stampato di un biglietto di invito (1953). IV Su questa pagina, in basso, “TSVP” per indicare che bisogna riferirsi al recto stampato di questo biglietto di invito su cui Levinas ha aggiunto lo sviluppo che segue. I

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Niente ci libera dalla storia, se non per derisione o tragicamente la morte. I Il linguaggio come segni convenzionali presuppone un’apertura su Altri e sul Mondo che rende possibile la convenzione. Convenzione = decretare qlcs. contro l’ordine naturale – creare un’istituzione. Ma l’istituzione differisce dalla fabbricazione: il prodotto non si integra al mondo. II Ho qualche sospetto che l’Essere dell’essente rimanga il correlativo di un pastore che custodisce il suo gregge per lui, che l’essere dell’essente perpetui l’unità di una economia, un ordine di scambi e di calcoli33. III La moralità del ghetto è un valore perché il ghetto {si} situava al di fuori degli avvenimenti – o tra gli avvenimenti che in cui il ghetto era sempre vittima. Questa moralità è assurda quando partecipa con tutte le sue fibre alla vita politica dall’emancipazione. IV Il linguaggio – luce in cui si vede la luce. Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1962). IV Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). I

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I Il Trans-storico e la Scuola Voler uscire dalla storia, non è proclamare un’esistenza libera senza possibilità istituzionali – ma indicare un’istituzione più forte della storia. Contestare il primato della storia senza origine né fine come un mezzo per comprendere l’uomo e la sua verità – occorre trovare un’istituzione la cui struttura storica vira in una struttura che oltrepassa la storia. PartireII dall’importanza dello Scritto e dalla necessità di imparare la lettura degli scritti. III La differenza tra la considerazione ingenua e scientifica del reale – e la sua considerazione filosofica: il filosofo ha coscienza che le conoscenze ingenua e scientifica possiedono condizioni: la presenza al mondo e le attività di trasformazione, di sostentamento o di intellezione che riassumono tale presenza – riposano su una relazione preliminare con quanto è mondo per la trasformazione, il sostentamento e l’intellezione. Che siano le Idee separate dal mondo del divenire la cui contemplazione rende possibile la relazione con il divenire – che sia la sintesi secondo le categorie del dato sensibile attraverso l’Io penso – che apre la realtà spazio-temporale che sia il compimento storico della società che rende possibile il pensiero di quanto è presente che sia la comprensione dell’Essere in generale che rende possibile la relazione con gli essenti – ogni filosofia presuppone condizioni per la relazione con la realtà e, in questo senso, è trascendentale. Scritto sul verso e sul recto stampato di un biglietto di invito (1953). Su questa pagina, in basso, “TSVP” indica che bisogna riferirsi al recto stampato di questo foglio (si tratta di un biglietto di invito la cui data non indica l’anno) su cui Levinas ha aggiunto lo sviluppo che segue. III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). I

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I Il testo è sempre testamento – non soltanto nel senso della testimonianza – ma come ultima parola, parola di un morto. Scrivere – morire.

La metafora assoluta della trascendenza unicamteII se il trasferimento consiste in sottomissione etica. La sottomissione mantiene il suo senso solo se è senza ritorno in cui è possibile raddrizzarsi nel misurare l’ostacolo stesso e l’opacità stessa davanti a cui ci si è inchinati. La sottomissione all’infinito che è l’idea d’infinito – vale a dire unIII senso al di là della capacità e dell’identificazione – non può essere che un atto diretto incapace di ritorno – cosa in cui risiede la sua forza e non la sua debolezza; atto diretto e pensiero senza contenuto – perché contenuto = sospensione e ritorno e finitezza dell’idea adeguata allo stesso.

Significato astratto – né natura, né tecnica Esiste un senso comune o abituale delle nozioni. È letterale? È semplicemente il rinvio di un segno ad un elemento identificabile? Il significato {anche} letterale non comporta un gioco di metafora, vale a dire la necessità di un contesto che fisserebbe per un istante la molteplicità proteiforme del significato il cui gioco costituisce la significanza stessa del significato? Non si può opporre a questa significanza culturale – la significanza dell’astratto extraculturale (Platone) – tra la significanza degli elementi semplici degli epicurei – {Natura} (o sensazione della scuola di Vienna) e l’univocità del significato tecnico a cui si cerca

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). Levinas ha trasformato un “que” (“che”) iniziale in “uniquet” (“unicamte”). III “un” in sovrascrittura di “la”. I

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di ricondurre ogni significato cosiddetto metaforico attraverso una riduzione contro cui si solleverebbero Bergson e Merleau-Ponty.

Senso e linguaggio, senso e Maestro. 1 Parlare = prestare un senso. In cosa consiste il senso? Mettere l’oggetto percepito in relazione con l’insieme del mondo: dire in vista di cosa la tavola è costruita o quali sono le leggi fisiche e sociali che la spiegano. Il linguaggio non ha prodotto tale effetto. Lo ha tradotto. Era al servizio del pensiero che ha pensato la finalità d’uso o le serie causali. Cfr. Cratilo: il linguaggio non è un semplice strumento, risultato di una convenzione, ha un rapporto con la realtà che imita; ma per il legislatore che istituisce il linguaggio, esso è subordinato alla scienza, alla visione delle Idee; serve, nell’insegnamento, a provocare la risalita verso le Idee. 2 Ma se il senso = contenuto del pensiero, è possibile? Il pensatore nel mondo sottrae a se stesso in vista dell’insieme. Nessuna riflessione totale! Perché il senso resti contenuto del pensiero, occorrerebbe una disposizione nuova nei riguardi del mondo, senza che il mondo reagisca sul pensatore, occorrerebbe una disposizione veramente libera: innalzarsi al di sopra del mondo perché sia altra cosa che una storia a cui appartiene lo storico! – E tuttavia in questa disposizione il mondo non deve essere realtà superata, come nell’idealismo che lo costruisce o in una filosofia della storia in cui è sempre passato e superato. Cogliere il senso = cogliere il mondo come ciò in cui non siamo coinvolti e come ciò che è in alto, non superato. Conoscere ≠ dominare. Conoscere = essere allievo. Non metaforicamente come “allievo di un’esperienza” ma nel senso reale di “allievo di un maestro” = La realtà acquisisce un senso nell’insegnamento. Il rapporto con Altri come maestro rende possibile il senso di una verità realtà. Ruolo della parola. Ruolo dell’insegnamento.

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L’essenziale della parola – né servizio del pensiero da esprimere (da imitare), né ricorso ai segni per comunicarli ad Altri; ma nell’intenzionalità verso Altri come insegnante. È la non uguaglianza – Maestro-allievo – nel loro incontro che è l’essenziale della parola. Primato della parola intesa. Dimensione della parola = incontro di Altri = incontro del Maestro (non signore/maestro-schiavo!) – nessuna violenza. I Si pensa che la storia e la filologia descrivano l’umano: in opposizione ad ogni stato di fatto, l’uomo è funzione di quanto ha già realizzato – la casa, suo prodotto, condiziona la sua esistenza; l’uomo si esprime in quanto ha fatto; la parola scrittoII discopre un essere più vasto dell’uomo a partire da una esteriorità che è più lontana del suo passato. Esistere a partire da e in rapporto a... un’istituzione. III Celebrare – festeggiare – poema d’

Idea di Patria rimpiazza quella di Storia.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). Bisogna forse leggere “la parola scritta”. III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). I

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Artificio, manierismo nell’arte – – musicocrazia ਥȜİȪșİȡȠȢIJȑȤȞĮȢ I II Lo scritto non risponde – è senza appello – e diviene legge. Ogni parola senza appello non diviene legge, ma è in questa dimensione che la legge si inscrive. III Lo scritto subordina il nostro mondo, – il presente, la casa – a un centro altro. Segna la fine della memoria che recupera il suo passato. Lo scritto apre la prospettiva della storia; la scrittura non è un accidente della storia umana, ma la condizione della coscienza storica. Non solo in quanto attraverso la scrittura conosciamo il passato storico, ma in quanto lo scritto ci rapporta ad un passato che non è stato nostro presente – che non siamo soltanto soggetto sostegno della storia, ma il suo oggetto. Ma lo scritto ci parla ancora: la storia di cui siamo oggetto ci lascia la possibilità di rispondere, ci lascia così liberi.

Lo scritto non è né il sostituto, né il prolungamento della Memoria. È la sua Legge. In questo senso, il progetto aperto dallo scritto è il progetto stesso dell’Istituzione. La parola dello Scritto è imperaLeggere “ਥȜİȣșȑȡĮȢ”. Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). I

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tivoI. Esso accomoda non la nostra interiorità, ma l’esteriorità. È a causa degli scritti che il mondo esteriore non soltanto si apre a noi, ma su noi. Tutte le insegne, i monumenti, i manifesti – è un mondo che ci guarda e ci chiama e ci attende. È per questo che non è condizione dell’abitante, ma del cittadino. La Città non è un a casa propria più grande. A casa mia, io sono il signore, la città mi comanda. I testi letterari, le opere d’arte, possono assumere questa struttura legale: diventano classici, fanno parte delle istituzioni, entrano nei programmi – sono ciò che non si è tenuti ad ignorare. Infine il mondo aperto su noi tratteggia con gli scritti i limiti della nostra responsabilità e del nostro impegno: libertà. L’istituzione che lo scritto rende possibile è la condizione della nostra libertà reale. Essere comandato da una legge – da un testo scritto con un principio di azione superiore alla libertà spontanea dell’abitante – è avere una libertà reale. (Perché?)

La parola e la filologia L’espressione nel “fare” non mira l’interlocutore. “Si fa” in vista del fine oppure “si fa” perché il mio essere cerca di esteriorizzarsi – ma non di esporsi. L’espressione del fare non si espone che in un’intenzione seconda. In se stessoII il fare è dunque un gioco gratuito. Vicinanza con il gioco artistico – che forse non è, per gli altri, ma inizialmente “espressione” senza “esposizione”. Occuparsi dell’espressione che il fare non è che secondariamente – e che la parola stessa comporta (con il suo stile, con quanto in essa è gesto) in più rispetto all’espressione che essa è secondo dirittura – è adottare l’attitudine dello storico nei riguardi dell’uomo. Comprendere la parola come espressione involontaria – è essere filologo. Proclamare il primato di questa “intenzione” seconda nella parola, è fare della storia la base della filosofia. Adottare riguardo I II

Bisogna leggere “imperativa” o “l’imperativo”? “stesso” in sovrascrittura di “stessa”.

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alla parola, l’attitudine stessa che l’intenzione della parola attende – è lasciarsene insegnare . È partire dal Logos.

Il fatto della coscienza – l’atto spirituale – il per sé: determinazione atea. Il contenuto della coscienza determina la forma del per sé: idea dell’infinito. La religione stessa. L’idea di superiorità è inintellegibile senza Dio. I ʣʸʥʩ Si deve leggere 34 ʠʸʺʡʠʡʡʩʳʣʠʣʥʮʲ p. 10 II

III Hegel e Manifesto Comunista §§ 241-242-243-24435

Abitazione e dimoraIV.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). Scritto sul margine di sinistra. III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). IV Indica senza dubbio il tema di una successione di note. Sembra che il foglio sia mal classificato, perché, tra le note che seguono in modo ravvicinato, solo la 114, la 116 e la 118 abbordano tale tema. I

II

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I La contraddizione non è il cominciamento – presuppone la parola e la relazione con altri. II Dal momento che non voglio fondare la relazione sull’universalità del linguaggio, ma sulla sua relazione – (perché l’universalità demolisce i termini e termina sull’unità) – è per me necessario qualificare questa relazione: la miseria. Ciò che voglio mantenere evitare è che il pensatore sia il suo pensiero – questa pace della solitudine. L’universalità presuppone la molteplicità e nonIII la molteplicità non è la conseguenza dell’universalità. IV Il senso non è semplicemente una finalità. Perché la finalità è una fine del senso. Insieme movimento {incessante} e orientamento  – responsabilità d’Altri – ecco il senso. Non è quanto si intende con “senso della storia”. V In Heidegger –

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1949). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). III Forse anche la parola “e” che precede è barrata. IV Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). V Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). I

II

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pensiero dell’essere – nessun orientamento!I II =III Mobilia – prodotti, mezzi e ostacoli della libertà Si riferisceIV al suo presso di sé – alla sua abitazione, alla casa. =V È in quanto alloggiato che sono al mondo  – alloggiato e non esposto alle influenze. VI La questione che suscita la pittura – sull’intenzione del pittore che l’ha prodotta. La questione che suscita lo scritto: sul pensiero stesso espresso dallo scritto. VII Il prodotto umano sorto dalla libertà umana  – non rimane al di fuori di questa libertà, ma le diviene mezzo o ostacolo – mezzo e ostacolo. Mobilia I Il punto esclamativo è incerto. Potrebbe trattarsi anche di una semplice macchia di inchiostro. II Probabilmente questa nota  – redatta sul verso di un biglietto di invito (1953) – è mal classificata. Si tratta senza dubbio del seguito della nota 116. Si aggiunga che è scritta sul verso di un altro esemplare del biglietto di invito utilizzato per questa, e con la stessa stilografica ad inchiostro nero. III La grafia è incerta. IV Bisogna leggere “riferiscono”? V La grafia è incerta. VI Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). VII Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953).

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I Ascia – indica la mia intenzione di spezzare. Scrivere – indica la mia intenzione di esprimere (esplicitamente), ma anche, scrivere mia rimanda alla mia intenzione di tracciare segni.

Il freddo – essere esposto. Incapacità di proteggersi in se stessi contro se stessi, il distacco da ogni fonte di vita, l’essere l’origine di sé senza alcuna paternità dietro di sé, davanti il c’è per sempre potente. {Non avere che la propria pelle per coprirsi.} Impossibilità di indietreggiare. Il ritorno indietro è finito. Il del freddo – è l’irreversibilità, la morte del passato, il nulla del passato, la purezza del presente. II Riflessione e AltriIII buona coscienza . Mettere séV in questione, pronunciare un giudizio su di sé – ed anche la semplice riflessione su di sé, non è una presa IV

Scritto sul verso di un biglietto di felicitazioni (1954). Parte di un foglio dattilografato sul recto (verosimilmente estratto da un insieme più ampio, perché è il seguito di un foglio che non è stato conservato e che presenta anche un numero di pagina parzialmente illeggibile) che Levinas ha tagliato proprio per isolarne il frammento di testo. Levinas ha cerchiato il frammento escludendo le prime due parole che sono la fine della frase che cominciava su un altro foglio. Successivamente ha barrato questo frammento con due tratti incrociati. III Titolo aggiunto a penna stilografica. La prima lettera del titolo è in sovrascrittura di un numero di pagina parzialmente illeggibile. IV Aggiunta interlineare, a matita, che può essere riferita alla fine della frase che precede o all’inizio della frase che segue: “di fronte ad Altri”. V “sé”, scritto con stilografica, in sovrascrittura di una parola illeggibile. I

II

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di coscienza, nella misura in cui appunto erodeI la salda roccia su cui riposa la coscienza e la rigetta verso l’Altro di cui ormai porta il peso. Già la semplice riflessione su di sé è un rovesciamento contro natura il quale non soltanto attesta ma viene da una visuale che giunge dall’esterno su di me, da un essere che la coscienza non può equiparare e che la mette in questione. Già il sapere preriflessivoII di sé che accompagna la dirittura della mira intenzionale è una sfiducia e come una vergogna. La vergogna della critica di sé non è una modalità della libertà dello Stesso – che procede dritto. Essa è in tutto e per tutto eteronomia.

Immanenza (definita attraverso la conoscenza) La conoscenza del mondo – vale a dire una conoscenza attraverso il linguaggio  – consiste in un’adeguazione dell’oggetto a colui che lo conosce. La relazione di conoscenza ha di specifico che sfocia nel ritrovare sé dopo la digressione della conoscenza (Il mondo “è stretto nel ricordo”). La nozione stessa di immanenza è fondata su questa banalità di fondo della realtà che si dà nella conoscenza. Quale differenza tra naturale e soprannaturale? Naturale = ciò che può essere conosciuto. Non si deve partire dalla natura umana per scoprire il soprannaturale che ne elude le leggi. È la conoscenza che detiene la natura e l’immanenza umana. Conoscere il trascendente è contraddittorio in termini.

I Questa parola è scritta con la stilografica in uno spazio lasciato vuoto nel dattiloscritto. II Stessa notazione della nota precedente.

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La separazione – SantitàI

Nozione di compimento Il presente eterno – diviene vita grazie all’intervallo dopo il quale c’è compimento.

Metodo Il significato degli eventi è nel loro istante, nel loro “tempo morto” e non nel loro contesto temporale. Nel loro istante: la loro iniziazione all’essere, la loro maniera di accogliere l’avventura dell’esistenza.

Se non ci fosse insegnamento – vale a dire il più che entra nel meno – non ci sarebbe stato tempo – ma eternità delle essenze – essendo ognuna di fronte o monadi sé che riflettono la stessa verità.

I Potrebbe trattarsi dell’indicazione del tema di un insieme di note, ma questo foglio sarebbe allora mal classificato o fuori posto, perché quanto segue non affronta il tema. È comunque difficile indicare quali note vi farebbero riferimento.

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I Cinismo – non adorare il prodotto delle proprie mani. II Poesia ad un tempo pensare senza sapere ciò che si pensa e pensare il non-sapere per valorizzarlo – il sogno sveglio è un’estrema lucidità per... la forma. III Fosforescenza – è l’opera d’essere Allergia

Vita di denaro – vita civile – Le cose sono ad un tempo quanto si cerca e quanto sostiene il desiderio (?). IV Non confondere desiderio di riconoscimento ( altri – (diritto – Stato) Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). IV Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). I

II

essere come gli

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e non essere come gli altri: 1) gloria 2) essereI amato

C’È regno delle madri di Faust36

Platone “Sono un animale più pa per caso un mostro più complicato e molto più fumigante per l’orgoglio di quanto non sia Tifone? Sono un animale più amabile, senza tante complicazioni e che, per natura, partecipa ad un destino divino in cui non entrano i fumi dell’orgoglio?”, Fedro 230a37. II Platone

Fedro 229e - 230a

… Non ne ho del tutto, ma per occupazioni di questo tipo, ed eccone, mio caro, la ragione: non sono ancora capace, come richiede l’iscrizione delfica, di conoscere me stesso! Perciò, vedo il ridicolo, fin quando questa conoscenza mi manca, di cercare di scrutare le cose che mi sono estranee. In seguito, rivolgo a queste storie la mia reverenza e, a loro riguardo, mi fido della tradizione: non sono affatto queste, come dicevo, che cerco di scrutare, ma me stesso38.

I II

“essere” in sovrascrittura di “amo”. Scritto sul verso di una lettera ricevuta (1953).

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I L’allergia metafisica è la marca di un essere mortale – che si sente minacciato dall’altro nel suo essere. Ma se l’allergia è a causa della minaccia per la libertà? II Filialità = egoità (ipseità). Da cui l’assassinio = fratricidio. Nella percezione dell’assassinio come fratricidio, l’io si coglie come figlio. Come figlio sono posto contro gli altri (miei fratelli) e di conseguenza con gli altri. Mi pongo contro gli altri, perché come figlio sono eletto e di conseguenza eletto tra altri figli, miei fratelli, ma, proprio per questo, sempre incerto della mia elezione e, di conseguenza, contro i miei fratelli.

Stato – uomini senza padre – storia. Famiglia – fino ad Adamo – creazione. III La luce è godimento – non chiarificazione teoretica – ma ciò che costituisce la gioia di vedere.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1956). III Le note da 136 a 155 sono raccolte in un doppio foglio cartonato. I

II

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I Gli antagonismi politici perdono il significato che avevano nei momenti storici. E primi – ma tardivi, timidi indizi testimoniano alla fine di una ripercussione delle scoperte atomiche sulle lotte dell’uomo.

L’immensità del pericolo intravisto, non è la sola in questione – ma una nuova maniera di subire il pericolo. La preistoria non è ciò che ci minaccia, abbiamo già una modalità preistorica di sentire la minaccia. La verità o la menzogna della e forse la loro simultaneità dipende da questo anacronismo.

Sofferenza – morte che non arriva o morte che è già giunta.

Gli uomini si uniscono e formano una società non per vincere, ma per ritardare la morte. Tutto ciò è chiamato a giusto titolo vivere, perché, nell’intervallo di durata che separa la nascita dal trapasso, c’è posto per ore il cui valore in gioie e dolori non si misurano alla perennità. II La preistoria doveva essere un’epoca in cui le irresponsabili forze naturali minacciavano e devastavano la vita. I primitivi erano uoI II

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955).

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mini per i quali le forze della natura esistevano. Abbiamo dimenticato tutto ciò. Abbiamo cominciato una storia. In principio era la guerra – i pericoli che vengono dall’uomo. I La parola come mito: La cosa raccontata assume una dimensione – e impersonalità. Un io vivente entra nella sua rappresentazione: “A Parigi piove…” L’avventura di Sartre II Il figlio più che possibile e meno che possibile allo stesso tempo. III Interrogatorio – sottoporre ad interrogatorio. Questo è essenziale: le domande accompagnate da una sofferenza altra che quella della difficoltà teorica stessa.

Proprietà agraria ʷʩʡ 39 ʠʴ – ʴ

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1956). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1956). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). I

II

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Altri – colui che può mentire – Perché presente può mentire – se non fosse che apparenza sarebbe falso ma non potrebbe mentire. La menzogna presuppone altri: nulla nell’essere. Altri –I Nessuno Angoscia – esperienza dell’Altro

Soggetto – potere – eroismo – virilità.

Verbo

{

possibilità di equivoco ordine promessa preghiera mito

Pensiero

I

{

sapere – ragionamento ricordo trattenersi dall’azione tutto è possibile il disimpegno

Grafia incerta. Si potrebbe leggere anche il segno “=”.

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Espressione – non è il rendere oggettivo – il progetto non è qui: realizzare un’interiorità – ma indirizzarsi ad altri, manifestarsi.

Parlare – è dare a noi e a tutto ciò che costituisce il nostro mondo la qualità di simbolo – enunciandolo. Simbolo – il sonoro. Il verbo è una ricerca dell’altro – della salvezza attraverso l’alterità. I La casa e la camera. II Nella lotta, per aperta che sia, la relazione non è lealtà. Per ognuno degli avversari si tratta di dominare la forza dell’Altro a partire dalla sua debolezza. La lotta non è intelligenza – l’uno che comprende l’altro nella sua totalità – ma astuzia, che cerca il punto debole dell’altro, che scompone la totalità dell’altro in punti, che rifiuta la sua presenza totale. Ascoltare la parola, in quanto parola, è esporsi ad una forza che vi afferra interamente, non cercare di prestarle fianco, di accoglierla in modo semplificato né misurarla. In questo senso, ascoltare e intendere, è esporsi ad una forza infinita; ma proprio la forza infinita è parola; non si concede ma non schiaccia – suscita la libertà della domanda.

I II

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1949).

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Importanza della logica formale. Non tutto traspare in essa, esistono contenuti che si può dire che eludano la logica formale e per questo è essenziale per la definizione di tali contenuti. È Kant che ha inventato ciò.

La nozione di elemento – quanto al di là dell’essere costituisce l’essere. Es.: l’acqua è l’elemento del pesce.

Ciò che conta in un’istituzione – è che si trovi nel mondo come se tuttavia avesse il mondo come oggetto. Ora, è sullo Scritto in quanto dice il Mondo – me compreso – che è fondata l’istituzione. L’istituzione, a causa dello Scritto – Assoluto – punto d’Archimede – necessario alla libertà. I Esperienza e Dio Esperienza religiosa? Non può esserci esperienza soprannaturale che l’esperienza del Diavolo. La resistenza sistematica all’ordine del Medesimo – il genio Maligno stesso. Dio deve assolutamente essere inteso – egli non è il nemico, anche se è l’altro.

I

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1957).

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– Con i mozziconi del suo pensiero fanno sbuffi di fumo da locomotiva. – Se la carità svanisce per mancanza di miseria, ci sono solo le elemosine per esserne contrariati. –I

‫סנהדרין ל״ז ע׳ב‬ ‫ מיום שפתחה הארץ את פה וקיבלתו לדמו‬:‫אמר רב יהוה ביה דרבי חיא‬ ֶ ַ ְּ ּ : ‫ שנאמר‬,‫ וב לא פתחה‬- ‫ש הבל‬ ‫לצדיק‬ ‫מכנף‬ ְ ַ ָ ּ ‫זמרת‬ ּ ּ ּ ַ ‫צבי‬ ּ ְ ּ ‫שמענו‬ ּ ְ ‫הארץ‬ (16 ,‫)ישעיהו כר‬

(Dal confine della terra ascolteremo il cantico: Gloria al giusto!) 40 .ʵʸʠʤʩʴʮʠʬʥʵʸʠʤʳʰʫʮ II L’Altro è la condizione di una libertà che svuota l’io della sua pesantezza. Società è ritrovare il senso dei pensieri: lasciare la filologia per il logos. III Esistenza anfibia.

Levinas non ha scritto niente dopo il trattino. Scritto sul verso di un biglietto di invito (1964). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). I

II

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L’apocalisse – è un disastro naturale. Se fosse semplicemente politico – farebbe ancora parte della storia. I {Lo scritto, come} antagonista della memoria – non significa soltanto che quando un pensiero èII scritto rende inutile la memoria – ma con lo scritto apriamo un piano in rapporto al quale si situa il mondo stesso della memoria che è

Lo StatoIII stesso subordina la società dello scritto alla società della parola. Esiste un’istituzione che è al di là delle istituzioni: laddove si impara a leggere gli scritti e in cui il rapporto orale dà appare come la condizione degli scritti: la Scuola. È qui che il mondo della storia è sospeso al logos. È qui che si realizza la condizione trascendentale di ogni storia – la luce in cui vedo la luce – la parola dal maestro all’allievo. Carlyle haIV V la Scuola – anche superiore – come il luogo in cui si impara a leggere41. Le note 163 e 164 sono ognuna un frammento testuale di una pagina manoscritta, ottenuto dal taglio di un foglio manoscritto sul recto. Le due parti del foglio sono della stessa carta e il testo, in entrambi i casi, è scritto a penna a sfera ad inchiostro violetto, mentre aggiunte e sovrascritture sono scritte con penna stilografica ad inchiostro nero. Anche se è poco probabile che siano le due parti di uno stesso foglio, sono tuttavia estratte dallo stesso insieme, come attestano sia l’unità tematica dei testi che vi compaiono, sia, materialmente, lo stesso supporto e lo strumento di scrittura. II “è” in sovrascrittura di “esso”. III “Lo Stato” in sovrascrittura di “lo stato”. IV Quanto segue è scritto a penna stilografica. V Parola illeggibile a causa del deterioramento della carta. Le prime due lettere della parola suggeriscono la lettura “definito”. I

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I Indichiamo in questo modo il senso generale di questa opera come il percepire nel volto l’epifania dell’Infinito42. Il rapporto sociale essenzialmente caratterizzato dalla non-reciprocità dei rapporti umani – è un rapporto che non costituisce mai totalità. È qui che si compie l’approssimarsi dell’infinito – sebbene questo approssimarsi situandosi in rapporto all’infinito, consista nel liberarsi da ogni situazione, vale a dire nell’accedere all’Altro, non condizionato dalla sua civiltà. L’approssimarsi dell’Infinito è etico. II Struttura dello Scritto – Non importa chi si indirizza a chi – discorso impersonale. – Scrivere: parlare all’assente. – Non mi servo del libro – mi parla. – Rivolgersi a una cosa che non è una cosa – leggere. – La realtà che mi parla senza contrastarmi – realtà per esseri liberi. – Lo Scritto parla della storia – del passato. Perché realtà = anteriorità. III Crisi dell’Amore 1) nessuna vera uscita – (amore esteriorità in seno all’abitazione) 2) solitudine a due Parte di un foglio dattilografato che Levinas ha tagliato proprio per isolare questo frammento testuale che è stato anche cerchiato con penna a sfera ad inchiostro blu. II Scritto sul verso di un biglietto di invito (1958). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). I

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3) Voluttà = elementale 4) InfedeltàI 5) Oscenità Superata nella famiglia: 1) giuridica 2) figlio 6) InegualiII

Sul problema Platone e la vita politica: Diès, Platon, Œuvres complètes, t. VI, p. v. Rivaud, Platon auteur dramatique, Rev. d’hist et de philo, avril-juin 1927, p. 25. Wilamowitz, Platon, t. I, 1919, 180-241. V. de Magalhaes-Vilhena, Socrate et la légende platonicienne, p. 109. Pétrement, Le Dualisme chez Platon, les gnostiques et les manichéens, 1947, p. 123, 328. Lettera VII 324b, 326IIIa43.

In basso a destra, obliquamente, cominciando all’altezza del punto 4, questa aggiunta la cui posizione nel testo della nota non è determinata (è senza dubbio posteriore alla redazione della nota, perché è scritta a penna a sfera ad inchiostro violetto, mentre il resto della nota è scritto a penna a sfera ad inchiostro blu): “Soprattutto Società Illusoria – Senza di essi”. II Scritto capovolto, a matita rossa, il numero “140”. Cfr. supra la nota di edizione relativa alla nota 84. III “326” in sovrascrittura di “236”. I

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I La volontà – come esistenza assoluta – a distanza dalla morte, nel tempo. Io (IInon bisogna dire l’io è un essere a distanza dalla morte, perché allora è un essere corruttibile – L’Io – è per un essere il distanziarsi dal suo nulla – è l’essere temporale. A distanza dalla morte = a casa propria. Presso di sé/a casa propria = alte rapporto con alterità non assunta perché non da assumere = amore – Nessuna riflessione sull’esistenza, ma godimento delle cose. III L’unicità dell’io è felicità – Il desiderio – solitudine L’io è la discontinuità .

L’anarchia dell’incontro d’altri è da una parte condizione della guerra (perché né io né altri ne siamo princìpi – parliamo senza sapere quello che diciamo) – la guerra è un cominciamento a partire da sé o dall’altro – rischio sia della giustizia – il cominciamto in NoiIV con l’intermediazione di Dio – Dio è con noi.

Scritto sul verso di una lettera ricevuta (1952). Manca la parentesi di chiusura. III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). IV “Noi” in sovrascrittura di “noi”. I

II

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I La politica comincia quando si aggiunge alla morale un “bisogna tuttavia realizzare questa morale”. Il tuttavia diviene immediatamente l’essenziale. II Ebbrezza  – il privatissimo  – sensibile puro = il sollevamento da ogni responsabilità – il fascino delle feste private di cui parla Simone de Beauvoir in L’età forte quando impossibilitati a rientrare per il coprifuoco si rimaneva tra amici e in cui nel pieno dell’occupazione si vivevano in privato notti uniche. Il senso di ɉɢɪɜɨ ɜɪɟɦɹɱɭɦɵ44. III La miseria – non è la morte, ma la fame, la sete, il freddo – il dolore, la malattiaIV. La parola – volto. Ma il girarsi verso di me – si qualifica – la sua miseria e tuttavia la sua non-relatività (miseria è la sua manifestazione e il suo ingresso nel mio mondo – cosa in sé – la sua non-relatività: Miseria e nello stesso tempo relatività e in sé (Gridare {gridare} giustizia).

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1962). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1961). III Scritto sul retro di un biglietto di invito (1953). IV Frase probabilmente aggiunta posteriormente (è compressa in alto di pagina ed è scritta a penna a sfera ad inchiostro blu, mentre il resto è scritto con stilografica ad inchiostro blu). I

II

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Questo modo di menare il can per l’aia che si chiama fenomenologia. I (ragione) II È Questa possibilità per una volontà di costringere l’altro non lasciandogli che la libertà di pensiero – Platone la chiama {è la} tirannia. Accanto al comando ragionevole {ma in cui la libertà } del re-filosofo – esiste il comando tirannico o violento a cui la libertà L’idea dell’immortalità come resistenza alla storia – III L’essere separato – è concretamente: l’essere è da qualche parte. Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). Parte di un foglio manoscritto recto verso. Il testo che compare sul recto è troncato. Scritto a penna a sfera ad inchiostro blu; le cancellature, le sovrascritture e le aggiunte del primo capoverso sono a penna a sfera ad inchiostro violetto. Il testo che compare sul verso è scritto con penna a sfera ad inchiostro violetto. Le due pagine non sembrano in rapporto tra di loro, e dal momento che il testo scritto sul recto è troncato, è possibile pensare che la nota che Levinas ha voluto conservare sia quella che compare sul verso. III Parte di un foglio manoscritto recto verso, scritta a penna a sfera ad inchiostro blu (l’inchiostro del recto è di un blu più chiaro, lo stesso, sembra, che quello I

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La volontà presuppone I È impossibile descrivere correttamente l’altruismo la l’umanità dell’uomo senza inglobarvi la sua animalità  – su cui l’umanità non si innesta semplicemente – ma le cui strutture determinano questa stessa umanità. La volontà presuppone II Che le parole non si limitino a riflettere idee, che giochino nello spirito un ruolo positivo – rimane la verità del nominalismo. Quale è questo ruolo? È facile ricordare che parlando noi oltrepassiamo costantemente i nostri pensieri, perché utilizziamo uno strumento carico della potenza di evocazione deposta in lui dalla storia e dalla società e che significati armonici risuonano dal momento in cui la parola è proferita; che nonostante le cornici sociali del linguaggio, la parola pronunciata si deforma nel linguaggio individuale di ciascuno. Evocazione delle armoniche – ostacolo e nello stesso del recto del foglio della nota precedente). Le due pagine non sono visibilmente in rapporto tra di loro, ed è possibile, dal momento che il recto è troncato, che la nota che Levinas voleva conservare sia quella che compare sul verso. Si segnala inoltre che il foglio su cui compare questa nota, come pure quello su cui compare la nota precedente sono della stessa carta, che i testi che compaiono sul recto di questi fogli sono probabilmente scritti con la stessa penna a sfera ad inchiostro blu e che, infine, mettono a tema la volontà. I due fogli appartengono sicuramente ad uno stesso insieme. I Sulla pagina, in alto, compaiono queste annotazioni barrate, visibilmente anteriori alla redazione di questa nota (sono scritte a penna a sfera ad inchiostro violetto, mentre il resto del testo è a penna a sfera ad inchiostro blu): “23 febbraio

585 p. 157”. II Si tratta di due parti di fogli manoscritti sul recto che Levinas ha strappato proprio al fine di isolarne alcune righe, e che manifestamente si succedono. La carta, come pure lo strumento di scrittura dei due fogli (penna stilografica ad inchiostro blu) sono identici.

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tempo strumento della parola. Ecco la parola divenuta artista: nel sistema dei segni verbali di cui dispone, percepisce dei tasti e il tema semplice che doveva tradurre all’improvviso si arricchisce di sinfonie possibili.

La finalità è l’azione del corpo  – proprio perché si realizza nell’ignoranza dei mezzi. Agisce solo ciò che si vuol fare. Solo l’azione tecnica comporta la conoscenza dei mezzi. Ma questa azione creata è queste tappe – finalità. I La società – è il credito – Intervallo essenziale tra l’azione e la reazione –

FedeII III Altri sempre cosa – È perché l’incontro del volto è parola vale a dire produzione di suono.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). Sul margine di sinistra, obliquamente: “TRU 72-27”, scritto a penna stilografica ad inchiostro nero (il resto è scritto a penna a sfera ad inchiostro violetto). Si tratta probabilmente di un vecchio numero di telefono. III Scritto sul verso di una fattura medica (1950). I

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I “Sie müssen mich fragen und nicht sich, wenn Sie mich verstehen wollen”, Lettera di Johann Georg Hamann a Kant del dic. 1759 Éditions Cassirer, tomo 9, p. 1945. II L’essenza del denaro: essere ʭʩʬʨʬʨʮ e non ʲʷʸʷ – La possibilità di essere nascosto – di conseguenza necessità di ottenere il consenso per ottenerlo dall’altro. (L’accessibilità non può niente). Il passaggio dall’oro alla cartamoneta introduce unIII tempo di diritto – ma la struttura di ʭʩʬʨʬʨʮ suscettibile di essere nascosto vi si ritrova46. IV Il sentimento  – come per definizione la società dell’amore, della dualità.

Il problema del problema: la pratica della Ragione che diviene antiragione.

Quanto aderisce alla ragione universale – alla tirannia dell’universale – è una ragione? una volontà animale? Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1952). III “un” in sovrascrittura di “il”. IV Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). I

II

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I Tutti coloro che difendono il soggetto nella sua soggettività strettamente individuale – hanno una cattiva coscienzaII. {Ci si ricorda di} Filosofare sulla Si sa che sogg Si sa che soggettività è sembra tradire La felicità può essere interpretata come un momento della libertà – o la libertà come elemento della felicità.

Riconosco che sono loro perché faccio credito.

Ciò che oppongo alla negazione hegeliana nell’affermazione di sé (coscienza, volontà) – è il linguaggio di cui la negazione non è che un modo. Il linguaggio non si riduce all’affermazione e alla negazione. Ne è la condizione. Il linguaggio è è la situazione del noi. III Il medico – alleviare la sofferenza o rimandare la morte?

Parte di un foglio manoscritto recto verso. Il testo che compare sul recto e che sembra non avere nessuna relazione con quello presente sul verso, è stato troncato dallo strappo del foglio da parte di Levinas. II Levinas ha incorniciato quanto segue, ma il fondo dell’incorniciatura è stato interrotto dallo strappo del foglio. III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). I

Raccolta A

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I Dire che il mondo è ragionevole  – non è semplicemte dire che è strutturato (struttura suppone ragione) – Ma che un effetto attribuito alla ragione – p. es. la pace, è possibile in realtà – e che la realtà che vi contribuisce – II Denaro – legato al mio segreto. Sempre ciò che si può nascondere (anche se il suo valore è di origine sociale) – bisogna dunque passare da me – che vivo, che so dove è nascosto – per prendermelo. III Coraggio: lotta contro la paura e la sofferenza contro il desiderio piacere temibile carezza di certe lusinghe che sciolgono come cera i cuori di quanti si credono uomini rigorosi.

Platone 229d-e Fedro Quanto a me Fedro, per quanto, d’altra parte, consideri seducenti tali invenzioni, esse esigono troppa abilità e lavoro da parte del loro autore, senza contare che non producono affatto la sua fortuScritto sul verso di un biglietto di invito (1954). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). I

II

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Quaderni di prigionia

na, non fosse altro perché, dopo ciò, è costretto a rettificare la concezione che ci si fa degli Ippocentauri e poi, successivamente, quella di Chimera; e dopo è sommerso da una baraonda di Gorgoni, di Pegasi che sono nello stesso caso, {(e)} dalla moltitudine, come dall’estraneità, di altre nature leggendarie, inimmaginabilmente mostruose. Che se, dubitando a loro riguardo, si riducesse ognuno di questi esseri a quanto ha di verosimile, ricorrendo a non so quale grossolano buon senso, si avrà bisogno di molto tempo libero!47 I Fedro 230d “Le campagne e gli alberi non sono disposti ad insegnarmi niente, mentre imparo dagli uomini che sono in città48.” E tuttavia Socrate gode mirabilmente della natura.

Tutti i soggettivismi pretendono essere conseguenze di una filosofia dell’oggettivo. Il soggetto di un momento dell’oggettivo.  – (Brunschvicg, Heidegger). Salvo Kafka, Sartre di La Nausea. II Alzare il tempo49 Maiestà alla fine della 3° Medit50. Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). Il testo è scritto obliquamente su un biglietto di invito (1955). Tre tratti orizzontali separano le due annotazioni. I

II

Raccolta A

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I Il possesso di sé dipende dal possesso delle cose e delle persone? Libertà nei confronti della propria esistenza – La perdita di tutto e tutti – permette di essere sé? Giobbe II L’ideale supremo della limitazione e della distruzione dei desideri non è concepibile come modo collettivo di esistenza. In questa impossibilità non c’è soltanto il disprezzo della folla, ma anche una contestazione dell’universalità di tale ideale.

La negatività – rimane nello Stesso. L’assassinio – mira Altri come țĮIJ¶Į੝IJȩ – non consiste nel negare in rapporto a qlcs. d’Altro, ma in sé.

Leggi 628b L’Ateniese La cosa migliore a colpo sicuro non è né la guerra né la sedizione, ed è deprecabile desiderarle; ma quanto è migliore è la pace tra gli uomini e allo stesso tempo una mutua concordia dei sentimenti – e va da sé anche, sembra, che la vittoria di uno Stato su se stesso non deve essere annoverata tra le cose migliori, ma tra quelle che sono una necessità!51

I II

Scritto sul verso di una partecipazione di nozze (1955). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955).

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Quaderni di prigionia

I Heidegger fa giocare alle opere dei grandi filosofi il ruolo che le religioni attribuiscono alle Scritture. II Al Liegen heideggeriano si oppone la creazione: l’idea di fondamento è rovesciata – il cominciamento che non è un fondamento, ma una parola52. III In Heidegger S. u Z. – mondo del lavoro e degli oggetti (Zuhandenes) nelle ultime opere. Il paesaggio – la , la foresta, il mare.

Ciò in cui differisco da Heidegger: Non si tratta di uscire dall’Alltäglichkeit53 verso l’esperienza autentica, ma di seguire l’uomo dell’Alltäglichkeit nella sua .

Scritto sul verso di una partecipazione di nozze (1954). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). I

II

Raccolta A

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I Il nostro mondo riposa su scritti, su testi. L’uomo possiede un mondo a causa degli scritti in cui si trova. A causa degli scritti, il mondo che è per noi è innanzitutto ciò in rapporto a cui noi siamo.

Metafora Il fatto del linguaggio che conduce al di là dell’esperienza – non è una prova dell’esistenza di Dio. – Certamente. Ma è che “essere con Dio” o “salire”, o “elevarsi” – o “religione” o “linguaggio” – o “relazione con l’Altro” condizionano soltanto la ricerca dell’esistenza. Si dirà: nella relazione con Altri, è in definitiva importante sapere se Altri esiste? È possibile oltrepassare questa domanda ponendo come anteriore a questa la seguente: cos’è essere? Oppure dire: non è in rapporto all’alternativa “esiste – non esiste” che si situa la relazione con Altri. La certezza dell’esistenza o della non esistenza (la verità) non marca l’inizio di ogni vita spirituale. Forse la fede è questo – non certezza che {“ma} senza prova” che qualcosa esista o non esista; la fede sarebbe oltrepassamento della questione “an sit” – oltrepassamento già necessario perché tale questione possa porsi (Ma è ancora trascendentalismo). – Il problema consiste nel determinare il piano di questa relazione con Dio che non è una prova dell’esistenza di Dio. È più che ogni prova, e questo va al di là dell’affermazione dell’esistenza. Più che, al di là di – superlativi = metafora.

I

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953).

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Quaderni di prigionia

Il primato dell’astratto Dove risiede il momento mistificatore della metafora? Nel passaggio che si opera dal senso letterale al senso figurato? Ma il senso letterale non è già metaforico? In questo caso la demistificazione non consisterà nel cercare i significati culturali elementari, ma significati esteriori o anteriori al gioco delle metafore – significati anteriori alle culture e alle lingue. Senza, pur tuttavia, coincidere con gli elementi semplici degli epicurei né con i significati traducibili in tecniche – significati espressamente astratti (e affermati come tali contro tutta l’infatuazione moderna per il concreto), che significano non culturalmente. Tale è il volto. Platone: 7a lettera = significato senza volto. I Metafora e al di là. (alcune uguaglianze) 1° Ogni metafora resta nell’immanenza poiché IlII pensiero è la definizione stessa dell’immanenza – ciò che non può stupire = pensiero. E in effetti: stupore = inizio della filosofia. La metafora – l’oltrepassamento metaforico – resta tuttavia a misura del pensiero. 2° Niente potrà stupire il pensiero – Vale a dire ogni pensiero è già ricordo. 3° Ricordarsi = poter ritirarsi in sé – non essere assorbito dall’oggetto, dominarlo. Dunque avere tempo per voltarsi = riflettere. 4° Non avere il tempo per voltarsi = non riflettere. Non avere il tempo per voltarsi = essere immediatamente responsabile = essere I II

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1961). “Il” in sovrascrittura di “il”.

Raccolta A

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davanti a ciò che è più alto. Essere infinitamente responsabile di... e per... 5° La metafora che frantuma il pensiero = pensare più di quanto si pensi. Ora, ciò non è possibileI che come responsabilità morale = critica di sé prima della riflessione. A partire da un senso più alto che il mio... Altezza dell’infinito.

I

“possibile” in sovrascrittura di .

Raccolta B

Dialettica della violenza = Io = causa sui = un violento che non conosce ancora la guerra, agisce tutto solo come ebbro. Entrare in guerra, è urtare contro l’infinito: il limite non limita, Altri non smette di limitarmi, è in sé (1ʤʮʧʬʮ ʹʩʠ). Nella guerra, nessuna forza brutale (2ʯʹʡʤ ʪʬʮ ʢʥʲ)  – rappresenta questa concezione della guerra). Non si fa la guerra che all’uomo – già si negozia. {Non si esercita la violenza che su colui che libero non concede presa a nessuna violenza.} La guerra è la grande sorpresa e non il dispiegamento di una forza. Lotta: forza + direzione (l’Altro, come Altro). La sola relazione possibile tra due libertà = violenza. = la guerra è relazione tra due esseri che non hanno piano comune al quale si ridurrebbero per un pensiero che li considerasse dal di fuori; relazione tra esseri che non hanno concetto comune, tra esseri liberi. Libertà significherebbe: esteriorità radicale dell’uno all’altro – senza niente in comune. Libertà = esistenza incapace di accedere ad una nozione pensata dal di fuori e che ridurrebbe tale esistenza a un denominatore comune. L’avventura e l’ignoto della guerra ci indicano che non esiste piano comune al quale gli avversari avrebbero potuto essere ridotti. Guerra come parallelogramma di forze = guerra vista retrospettivamente. Guerra = impossibilità di negoziazione = incapacità di vedere da fuori ciò che uno è per l’altro e intravedere dell’avventura, dell’avvenire indeterminato che deriva da tale situazione. Negoziazione: sia ragionamento su di sé

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Quaderni di prigionia

e sull’avversario – sia riconoscimento al di là del piano comune in cui ci si muove nella 1a ipotesi. La guerra non sarebbe che una logistica – calcolo preciso degli effetti (ʯʹʡʤ ʪʬʮ ʢʥʲ).

Il Desiderio – mantiene l’infinito, è l’intuizione dell’infinito Limitazione implica violenza – quando i termini sono forniti di libertà – che è possibilità di incontrare Altri che non vi limita. L’alterirà della limitazione – e della violenza – suppone una alterità che non limiti: L’essere trascendente non limita il soggetto con la sua esteriorità. Il soggetto non de-finisce l’essere infinito di cui possiede un’idea debordante.

Non è vero che il giudizio negativo non ha forza suggestiva positiva. Gli attributi negativi non sono semplicemente limitativi. Forza meta-forica della negazione. I 19.7.61 Una persona vivente parla. Quanto dice è stenografato e, nello scritto, si integra ad un contesto culturale impersonale. È già stato detto da altri; è contestabile o verbale. Perché il discorso vivente è stato un di più? Per effetto dell’eloquenza, del gesto che si aggiungeva alla parola, dell’intonazione, della situazione? Oppure perché I Foglio manoscritto il cui recto è scritto a penna stilografica e il verso (che ne è visibilmente il seguito, ma dipendente forse da un altro periodo di scrittura) a matita.

Raccolta B

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il rapporto con la persona che parlava, il legame intersoggettivo, la realtà intersoggettiva dominava anche il contatto con una ragione, era più importante dell’universalità? Per il fatto che l’individuazione dell’universale è stata un evento che domina l’universalità del discorso, non solo per darle un accento nuovo solo come ulteriore infiocchettatura, ma per mantenerci in un ordine che domina ogni universalità e rispetto al quale si può soltanto chiarire il senso stesso dell’eloquenza, del gesto, dello stile ecc. L’individuazione, l’intersoggettività, l’espressione, {Altri}  – ecco l’essenzialeI o più esattamente ancora questo – la verità – questo pensiero – è importante perché qualcuno – altro da me – lo pensa. II Filosofare  – è non poter ragionare. Nessun punto d’appoggio. Niente è premesso. Sapere che non si sa. III Discorso e interruzione Il discorso è ininterrotto – Certamente. Ma questo non lo blocca nell’immanenza, nel presente e nell’essere. Perché da se stesso Il recto presenta un’aggiunta scritta di traverso lungo il margine di sinistra, ma non le assegna alcun posto nel corpo del testo: “Che altri pensi questo, è più importante di questo stesso pensiero. Tutto il mistero del Maestro è il fatto che l’insegnamento è irrimpiazzabile”. II Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). III Nota scritta su un biglietto di invito doppio (1966) le cui pagine da 1 a 4 sono stampate. Levinas scrive nel senso della larghezza sulle pagine interne bianche come pure su uno dei due fogli stampati. Si farà cominciare la nota dalla pagina che porta un titolo sottolineato che indica il tema generale dell’insieme. Verranno segnalate le pagine riempite da Levinas seguendo l’impaginazione del doppio foglio: il testo comincia dunque a pagina 3 e prosegue alle pagine 2 e 1. I

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Quaderni di prigionia

ogni discorso è trascendente. Frantuma la totalità con cui avvolge ogni silenzio e ogni escatologia e ogni interruzione mentre parla all’interlocutore. Non parla a se stesso. (Ma è per questo che Platone parla di un discorso silenzioso – ma l’anima silenziosa pensa.) E anche avvolgendo tutto questo con il presente discorso io non lo interrompo scrivendo. Ogni {Il dialogo, il discorso cerca l’unità – ma la richiede interrogando e per questo la frantuma. Se il pensiero non si separa dal discorso, ha già perduto la totalità. Ogni} discorso è frantumato, scombinato da questa contraddizione ultima. Chi lo frantuma l’essere o Dio? Il discorso filosofico che enuncia la sua propria rottura o la sua propria impotenza, è lo stesso che giunge a rompersi o ad arrestarsi? Se è lo stesso, il condizionato e il condizionante sono contemporanei (struttura). Ma il discorso è anche liberazione relativamente alla sua condizione. Il discorso filosofico è un discorso che si sfascia  – che si ritira dalla parola che mormora impersonalmente – (che si parla) – per se ne ritira per parlare del discorso in cui parlava poco fa. Ma il discorso che enuncia la sua propria rottura – o la sua impotenza – non è lo stesso che si rompe o si arresta. Ha riflettuto sull’interruzione. Non c’è unità del discorso, ma una storia fatta di interruzioni e della discesa ad un nuovo livello. Ripiegamento su posizioni preparate in anticipo? Una discesa che è il tragitto verso il discorso assoluto a partire dal quale tutta questa storia e tutta questa discesa è visibile. Oppure non è ancora in questione – mentre si indirizza a un Altro. {Ogni Discorso è ricerca. Ma l’interrogazione dell’io... mi chiede è già discorso con un AltroI.}

I Aggiunta scritta trasversalmente sul margine di sinistra, cerchiata e collegata con una freccia a quanto precede.

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Discorso e interruzione Ammettiamo che il discorso sia più che presente o non presente e che sia, da se medesimo, logos che decreta come norma, pensiero distinto da qualsiasi intenzione – che di cui si sa a priori che è proprio ciò che non può lasciarsi spezzare e che è pronto a dire in sé tutte le rotture, a consumarle come origine silenziosa o come escatologia. È in lui – in greco – che si producono ancora tutti gli appelli dello Straniero. Non si può parlare di rottura che in un discorso di tipo filosofico che al limite non può mettersi in questione che affermandosi, confermando se stesso. Per dirgli l’Altro, bisogna parlare greco ai Greci, il che è già dargli ragione.

Non è possibile mostrare da una parte un movimento al di là dell’essere nella Ragione stessa e dall’altra descrivere uno scintillio dell’al di là dell’essere che non si sincronizza con il pensiero che lo capta e non vi si ordina e che sarebbe il disordine stesso. Di conseguenza, il disordine potrà dirsi in un discorso che si pretende imperturbabile e senza discontinuità.

L’essenza del kantismo  – il reale che ha un senso al di fuori dell’ontologia – al di fuori della questione che è – al di fuori come conseguenteI dei problemi della morte e della realizzazione che sono i problemi ontologici e quelli dell’essere. Il fatto che l’immortalità e la teologia  – vengono dopo e non sono presupposti {considerati} – è un tentativo di cercare un senso I

“conseguente” in sovrascrittura di “conseguenza”.

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Quaderni di prigionia

senza ontologia anche se in questo senso si tratteggiano dopo una liberazione rispetto alla morte” – liberazione considerata

I Tra le linee del discorso – enigmatiche aperture – inconsistenti per il linguaggio che ricostituisce la sua coerenza ma visibili attraverso le sue follie.

Differenza tra sensibilità e intelligenza: musica, pittura – questo non passa attraverso la traduzione – questo scorre in voi come il mangiare. Il pensiero = segni da tradurre. Questo passa attraverso la testa.

Domandarsi di fronte alla forza – da dove viene questa forza? – è già evitare il colpo: è il gesto fondamentale della filologia davanti al pensiero e di fronte alla violenza del pensiero. II L’umanità che supera l’animalità nella 3ʤʡʫʸʮ – perché l’animalità ha un senso. Le diverse direzioni che la ʤʡʫʸʮ assume non impongono un cambiamento di direzione.

I Scritto su parte di un biglietto di invito che riproduce un’opera del pittore Hosiasson datata 1966. II Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954).

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I Nasci e muori nonostante te – Si tratta ancora, a rigore, di esistenzialismo. Ma “IItu devi rendere conto nonostante te ecc., e non puoi salvarti nella tomba – È il senso, l’orientamento che rende impossibile il suicidio. Nessun esistenzialismo. Cfr. Platone nel Fedone: le sentinelle non possono lasciare il loro posto4. III

Monoteismo; nutrire gli uomini – la ecco il compito sacro su cui si apre Messire Gaster il primo maestro delle arti al mondo, nonostante l’umiltà della sede che in fin dei conti gli accorda Rabelais5. IV La diplomazia che utilizza simboli che non designano le cose; che le si si serve di termini che designando altro rispetto a quanto designano, designano anche ciò che designano – e attingono la loro forza in questa possibilità di rifugiarsi nel senso letterale interamente valido nonostante il senso nascosto che l’interlocutore comprende in questa ambiguità che non può eliminare. Il segno non è mai interamente segno – conservando sempre il suo senso letterale.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). Mancano le virgolette di chiusura. III Parte di una busta la cui parte superiore è stata strappata al fine di isolare questo frammento testuale. È possibile leggervi ancora qualche altra lettera troncata che lascia immaginare un testo più lungo, che comincia prima della prima parola di questo frammento e prosegue sulla stessa riga. IV Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). I

II

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La preistoria è il periodo in cui gli uomini non avevano che una memoria. I ʤʫʩʬʤʸʫʹ Chi si occupa di un’idea non a motivo del suo valore intrinseco, ma del valore sociale o pedagogico. Senza questo ʤʫʩʬʤ ʸʫʹ coincide con 6ʤʹʲʮ ʸʫʹ Folle o imbecille – Ragiona male – o non controlla le sue premesse. II Dio ha creato il sole e la luna come due luminari uguali. È il senso della creazione. La luna percepisce il paradosso della creazione: è impregnata di spirito greco. Si situa in una gerarchia e rinuncia alla pienezza del proprio essere. L’ebreo è l’uomo che riscatta questa necessità della logica greca. Sa riparare la diminuzione della luna e ristabilisce il senso della creazione. III – I bisogni non danno senso – Platone: lo Stato fondato sui bisogni non dà soddisfazione in quanto non comporta lusso (cortigiane). La soddisfazione esige più della soddisfazione.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). Scritto sul verso di un foglio cartonato stampato sul recto. Si può datare la stampa 1961. III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). I

II

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– Lo Stato che soddisfacesse ogni bisogno non può essere guidato senza filosofia: occorre che qualcuno guardi al di là dei bisogni.

Il tema dell’uomo che crede nel bene senza fondarsi su nessun evento, su nessuna forza che lo difenda (Inizio della prigionia)  – Questo è credere in Dio. I La coscienza è una sfiducia della libertà nei riguardi di se stessa.

Nel Talmud Yerushalmi “Se esitate troppo a sposare la Torah – sposerà qualcun altro” – Se non andate verso la verità – dovrete tener conto della sua storia – dovrete attraversare la filologia – riceverete la verità dalle mani di altri – riceverete la Bibbia dei Settanta e del cristianesimo – ecc. ecc. La verità è pura nel primo istante del desiderio – La verità è pura all’origine – Noi ci troviamo in un mondo falso – La verità è donata nella solitudine…

“… questa facoltà che ho di comprendere che c’è sempre qualcosa di più da concepire, nel più grande dei numeri, di quanto non pos-

I

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953).

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Quaderni di prigionia

sa mai concepire, non mi viene da me stesso, e che l’ho ricevuta da qualche altro essere che è più perfetto di quanto non sia io.” Seconde Risposte, Pléiade, 3757. Quinta risposta, 488-89.

Il giudaismo di papà è morto. La religione di papà è morta. La rivoluzione che scuote il mondo fa arrivare sulla scena del mondo popoli e civiltà in cui il giudaismo non comparirà nemmeno come antico testamento che una nuova alleanza porta a compimento.

Una Gerusalemme celeste è gemellata con la terrestre. Ma le cose non accadono come in Platone in cui quella che è in basso imiterebbe quella in alto. Dio non può venire nella Gerusalemme celeste finché la cattiveria degli uomini gli impedisce di entrare nella Gerusalemme terrestre. 5a 8ʺʩʰʲʺ

È da Kant che mettiamo in dubbio la possibilità per il pensiero di pensare quanto pretende pensare. Il pensiero non osa prendersi sul serio e teme di essere ingannato dalle sue proprie intenzioni.

Socrate ha ricondotto la filosofia dal cielo sulla terra nella misura in cui ha ricondotto ogni verità metaforica – del poeta e del linguaggio – alla verità della conoscenza razionale che non può mai ricevere niente dall’al di là, se non trova quaggiù (= in sé) la corri-

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spondenza di tale insegnamento. Ogni conoscenza dunque descrive la sfera dell’immanente. I L’idea della realizzazione di tutto in Israele: Amore relativamente alla poesia. La fine delle metafore. II Ci si può attenere al concetto puramente formale di libertà e definirla come il fatto di ritrovarsi sempre lo Stesso senza che niente altro lo limiti. La libertà sarebbe allora 1) l’infinitezza stessa. Sarebbe allora 2) il proprio dell’essere uno o di un essere che non incontra nessun altro essere – di un dio ma di un dio del panteismo che non fa posto a niente al di fuori della sua divinità 3) di un essere che non dovrà nemmeno essere limitato dalla sua causa, vale a dire un essere causa sui 4) di un essere immortale che non sarebbe nemmeno limitato dalla violenza assoluta della morte. Perciò tutte le forme di dipendenza sarebbero ipso facto negatrici di libertà. La posizione dell’uomo nella natura di cui fa parte, nella molteplicità umana, che gli limita lo spazio e pesa su di luiIII e la cui presenza ai suoi lati è una limitazione e una dipendenza d’un il fat-

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). Foglio strappato da un quaderno scolastico e piegato in due, di cui solo le pagine 1 e 4 sono riempite, e di cui la metà della prima parte è stata strappata nel senso dell’altezza dopo una prima utilizzazione. Il testo scritto sul recto della prima parte ne occupava inizialmente l’intero spazio e dunque è stato troncato, ragion per cui Levinas ha copiato le parti mancanti tra le righe del testo che compaiono sulla restante metà della pagina. Di conseguenza, queste parti copiate non verranno segnalate come aggiunte interlineari. Similmente, non verranno trascritte le parti ancora leggibili delle parole troncate che Levinas ha barrato e successivamente ristabilito. III Quanto segue si trova a pagina 4 del foglio. I

II

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to che non haI scelto la sua nascita e che la morte giunge a mettere violentemente fine alla sua identità. L’individualità umana è concepita sul modello di questa libertà. II In questo modo comprendiamo meglio, forse, la distinzione fondamentale del kantismo – e quanto oltrepassa la distinzione didattica del kantismo: tra una conoscenza che come tale è per Kant sempre sensibile (vale a dire tratteggia un mondo immanente al soggetto pensante) e ciò che Kant chiama pensiero puro che non è senza significato, la cui mira non consiste nel concernere il nulla – ma che – proprio perché esce dall’immanenza – non può più essere qualificato come conoscenza. Non per dei puri motivi di terminologia e di definizione, ma in ragione del carattere fondamentale di ogni conoscenza che rimane nello Stesso per la sua positività. L’idea dell’essere è essenzialmente assimilabile. III ritornoIV. Filosofare è ritornare nella propria patria. [Davanti al canto delle sirene che rischia di rapire il viaggiatore in un mondo sconosciuto, il filosofo nella sua lucidità si assicura all’albero maestro della sua nave perché la meraviglia delle meraviglie non lo “non ha” in sovrascrittura di “non abbia”. Questa nota, scritta su un foglio strappato da un quaderno scolastico, conclude manifestamente un’esposizione che non è stata conservata. III Parte di foglio dattilografato di cui Levinas ha strappato le parti superiore e inferiore per isolare il frammento testuale. La prima sottolineatura come pure le parentesi quadre sono scritte a matita; la seconda sottolineatura è a penna a sfera ad inchiostro nero. L’insieme è barrato da una croce di sant’Andrea con penna a sfera ad inchiostro nero. IV Ultima parola di una frase che si trovava sulla parte superiore del foglio che è stata strappata (cfr. la nota precedente). I

II

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storni dalla sua fedeltà. Ulisse lucido previene la follia possibile di Ulisse che rischia di morire uscendo da sé.]

Esistono creatori che non creano niente – La potenza di creazione non lascia opera alcuna. – Il Divino che se ne va a giocare. Dio che gioca tre ore al giorno con il Leviatano (Chouchani)9. I È la ragione per cui Baudelaire situa la vera trascendenza nella Morte. Essa sola porta del nuovo o vi conduce. Benché, di nuovo qui, possa esserci timore che riprenda la monotonia di quaggiù. “Lo Scheletro contadino”. II Alla dimostrazione analitica e deduttiva si aggiunge una deduzione trascendentale: 1) quella del soggetto: il valore sopra-soggettivo di tale o tal altra nozione si giustifica con la struttura del soggetto che può giungere alla conoscenza dell’oggetto solo affermando il valore della nozione in questione. 2) quella della condizione ontologica: il valore sopra-soggettivo della nozione si giustifica con la suaIII funzione di fondare.

Foglio strappato da un biglietto di invito composto visibilmente da tre parti, su cui Levinas forse aveva scritto, perché la nota conclude manifestamente un’esposizione anteriore. II Scritto sul verso di un biglietto di invito (1961). III “sua” in sovrascrittura di “la”. I

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I Es entsteht so, gewiss immer in Fühlung mit der Ethik, aber doch scharf von ihr unterschieden, eine neue Lehre vom Menschen, eben vom Menschen mit Gott und vor Gott, der doch zugleich erst der wirkliche, gegenwärtige Mensch ist, der sich nicht in die Menschheit der Zukunft auflösen lässt und keine “Vogelscheuche des Sittengesetzes” sein will. 221 Zweistromland10. II Filosofare = pensare più arditamente di altri. Filosofia – pensiero ardito.

“Non è giusto che qualcuno si attacchi a me, anche se con piacere e volontariamente. Ingannerei coloro nei quali facessi nascere il desiderio, perché non sono il fine di nessuno e non ho di che soddisfarlo. Non sono forse prossimo a morire? Così l’oggetto del loro attaccamento morirà… Sono colpevole di farmi amare.”11 Pascal.

Il materialismo – È pensare all’avvenire.

Nota manoscritta sul verso di una parte di foglio il cui recto, ugualmente manoscritto, contiene solo finali di rigo che, per questo motivo, non vengono riprodotti. II Scritto sul verso di una parte di foglio cartonato manoscritto sul recto (documento scolastico relativo a una “prova di ebraico del 26 giugno 1956”). I

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I Metodo Sofferenza = impossibilità di fuggire la sofferenza. Io – attaccamento a sé.

Agonia – lotta indole – maniera d’essere Arnesi – attrezzi adattare la propria accomodamento del cristallino Rustico ed educato

Tutta la partita sull’altro  – la guerra  – la violenza deve arrivare dopo l’introduzione dell’altro come condizione della rappresentazione  – L’Altro come condizione della rappresentazione: il senso del rappresentato (basato sulla spontaneità) agganciato al senso dell’Altro12. II riempie la vita. È {in} questo secondo senso che diciamo che si vive del proprio lavoro. Nota manoscritta sul verso di una parte di foglio il cui recto ugualmente manoscritto contiene solo un finale di rigo che non viene riprodotto. II Parte di un foglio, manoscritto recto verso. Il recto è scritto a penna stilografica ad inchiostro blu, il verso a penna a sfera ad inchiostro blu. Il testo che compare sul recto inizia con la fine di una frase che cominciava su un altro foglio, il seguito si trovava sulla parte inferiore del foglio che è stato strappato. Esso è I

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Abbiamo detto che “vivere di...” non si riduce all’attingere energia altrove piuttosto che in noi stessi, che la vita non consiste nella consumazione di questa energia fornita dalla respirazione e dal nutrimento, ma, per così dire, nella consumazione stessa. Non impedisce che {se} la vita segna una certa dipendenza riguardo a quanto non è essa stessa, E tuttavia insistendo su questa dipendenza, si trascura {occorre contare su} l’apporto positivo della dipendenza dall’essere dipendente. Ciò di cui viviamo non Volto – come espressione per eccellenza – non una cosa aperta – ma l’apertura in generale. Nella filialità l’estraneità della Assurdità del figlio di Dio.

1) Il termine afasia – significato afasico. 2) Il non-numerabile – separazione di santità – 3) L’interesse per altri  – che sembra interesse per è nutrito da . I Sono contro l’interiorità – perché interiorità significa che tutto può essere assorbito – contenuto – Esteriorità – lascia posto all’interiorità – separazione.

dunque anteriore a quello che si può leggere sul verso, con il quale non ha alcuna relazione, e che apparteneva sicuramente ad un insieme più ampio – forse una delle versioni manoscritte di Totalità e Infinito. I Scritto sul verso di un foglio stampato sul recto datato 1955.

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I Ma nello stesso tempo in cui permette di comprare le persone e di conseguenza rappresenta l’azione per eccellenza, è anche riconoscimento di persone, ma si insinua laddove la volontà già si tradisce, abborda altri come traditore. Il denaro si presta mirabilmente a conservare in seno alla dipendenza che crea, un’indipendenza che è la forma più radicale di possesso e realizza in questo modo la libertà dell’individuo in ciò che questa ha di inalienabile. In un certo senso è ciò che non è possibile prenderci. Poca cosa materialmente, può essere dissimulato e valere in fin dei conti quanto vale il nostro segreto di persone. È un possesso interiore. Per prendermelo, bisogna che mi si obblighi a dire dove l’ho nascosto. Certamente l’economia moderna non è un’economia del salvadanaio e alla fine il denaro stesso di cui dispongo poggia sull’istituzione di credito che dà forza alla firma, in modo tale che il valore del denaro sembra poggiarsi sulle istituzioni sociali che gli permettono di svolgere la sua funzione, ma la sua funzione consiste nell’essere un possesso segreto. Quali ne siano le condizioni esteriori, si rifugia nella forma che lo sottrae alle fluttuazioni e alla pubblicità, siano esse le obbligazioni di Stato, i dollari o le sigarette americane durante la prigionia. L’impossibilità di dissimulareII – è la fine del denaro e in un certo senso del possesso altro che quello di . III Pluralità senza numero – Vedere la Monadologia13 Parte di foglio dattilografato recto verso da cui Levinas ha accuratamente isolato, cerchiandolo con penna a sfera ad inchiostro blu, il paragrafo che compare sul verso. Non viene presentato il recto, troncato, che contiene solo metà delle righe scritte, e che Levinas ha barrato con una cancellazione a croce. II Quanto segue è scritto a penna a sfera ad inchiostro blu e ricopia probabilmente la fine di questo paragrafo che si trovava su un altro foglio. III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). I

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1951I Il vuoto e il nulla presentati in guisa di concetto fondamentale, forse non potrebbero ricevere mai una definizione positiva. 25 anni di meditazioni heideggeriane non sono state certo più fruttuose dei 25 secoli che prolungano. Impossibilità di concludere  – radicale. L’essere – l’esistere – è obliato non appena è rivelato. Ma è un oblio, non un’assenza pura e semplice di relazione, non una separazione radicale da questo evento ineffabile. Così la ricerca ontologica è inestinguibile, nonostante i fallimenti. Essa consiste nel denunciare tale oblio. Lottare con questa amnesia, è il solo modo di rimanere in rapporto con l’essere. Contro i sarcasmi indirizzati al fatto che dopo la gloriosa partenza alla scoperta dell’essere di Sein und Zeit, Heidegger si trova negli Holzwege in cui erra dopo le lunghe ricerche dell’Essere. Quanto tuttavia è rilevante, è che in fin dei conti la conoscenza poggia su un oblio.

Metafora 1° La proposizione dice l’essere. L’unità di linguaggio è un enunciato sull’essere, poiché la copula è anche l’espressione di ciò che ne è di... In modo che l’essenziale del linguaggio ha potuto essere presentato come rivelazione dell’essere. 2° Ma linguaggio = direzione verso l’interlocutore a cui questa rivelazione dell’essere è rivolta. Ogni linguaggio è diretto. Anche il discorso indiretto è avvolto in un discorso diretto. Il movimento che conduce il discorso al di là di chi lo tiene – lo chiamiamo metafora. [L’esposizione del linguaggio ad Altri è dunque più transitiva dell’esposizione delle essenze].

I La data – salvo un’erronea spiegazione – non è corretta, perché il biglietto di invito sul verso del quale è scritta la nota porta la data 1954.

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3° L’intenzione propria della metafora non è l’incontro di un contenuto nuovo qualsiasi. È nelle “virgolette” che permette di aggiungere, nel fatto di alzarsi sulla punta dei piedi, in una specie di levitazione – nell’affermazione e in un senso “altro”. – Quale? Vuoto di questa intenzione incapace di scoprire un contenuto nuovo e che spinge fino alla fine – all’infinito – quanto mira il pensiero che pensa un significato. Idea nel senso kantiano del termine. La parola fa fare questo movimto metaforico. 4° La riflessione demolisce ogni pretesa del pensiero verso la trascendenza. Ogni discorso diretto si trasforma in indiretto. 5° Riflessione – possibilità fondamentale del pensiero. È ultima nel pensiero silenzioso, separata dalle parole come vuole Platone nella 7a lettera. Il pensiero espresso è al di là della riflessione. Ritrova la metafora. 6° La meta-fora del discorso – in quanto trascendenza del discorso (inscritta nella sua destinazione), non è una forma vuota, ma rende possibile un debordamento (dell’immanenza inevitabile) dei significati semplicemente pensati. 7° L’immanenza in cui si situa inevitabilmente ogni significato semplicemente pensato, riguarda l’atto stesso del pensiero che ritrova in sé ogni significato che si suppone ricevuto. Il pensiero non riceve nessuna rivelazione, perché a) comprende quanto gli è insegnato – trova, di conseguenza, in sé la misura dell’insegnamento ricevuto b) non riceve assolutamente niente. 8° Questa inevitabile immanenza è il proprio di un pensiero finito – vale a dire che si rovescia su di sé e di conseguenza che riflette. È nella riflessione del filosofo – o nel ricordo – nel movimento che si dirige verso il passato vissuto (non verso il Passato immemoriale) che tutto è a misura del pensiero, che niente è nuovo (Baudelaire... il mondo è piccolo)14. 9° L’intenzionalità propria del linguaggio differisce da quella del pensiero perché il linguaggio si mantiene di primo acchito di fronte a quanto non può fermarlo e che esso non sarebbe in grado di inglobare – che lo chiama senza lasciargli il tempo di voltarsi: urgenza. 10° L’intenzionalità propria del linguaggio è etica: è quella della responsabilità nei confronti dell’Altro. Il linguaggio è una respon-

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sabilità; il ritorno su sé (ripiegamento su di sé) un indietreggiare. È impossibile rescindere questa responsabilità. 11° La critica senza riflessione, nell’intenzione prima – non è possibile che in un atto etico. 12° La metafora come senso figurato che si aggiunge al preteso senso letterale – è il senso che un termine assume in un contesto umano: laddove un oggetto con il linguaggio è offerto ad Altri (?) Gli oggetti ricevono significati per il fatto di porsi nella trascendenza d’Altri: orientamento verso Dio. I L’interiorità = quanto non può essere espresso = non può rientrare sotto nessun concetto = quanto non ha niente in comune con nient’altro. Interiorità = unicità. Dall’esterno: originalità assoluta. La critica hegeliana si dirige contro simile interiorità: dall’esterno nessun tratto potrebbe risaltare senza riferimento a un sistema. In modo che l’interiorità dell’io deve risiedere non nella sua originalità, ma nell’identità – ingiustificabile dall’esterno – dell’Io. L’Estraneità ad ogni sistema – che non è il risultato di uno sguardo che ingloba chi guarda ma nel fatto di guardare in faccia, nell’incontrare l’essere come volto. È questo il vero svincolamento dalla totalità – la vera separazione. Il fatto che questa stessa verità non è un gesto inglobante, è perché ogni pensiero è discorso: io penso in discorso, pensiero. II È attraverso l’emozione sociale e i rapporti spirituali che questa implica che nel giudaismo, se cercasse una teologia, si forScritto sul verso di un biglietto di invito (1953). Parte di un foglio manoscritto le cui parti superiore ed inferiore sono state strappate con precisione. Il recto è scritto a penna a sfera ad inchiostro blu, il verso a penna stilografica ad inchiostro nero. Si leggono ancora, in alto e in basso del recI

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merebbero tutte le nozioni teologiche. Amare Dio? Che significa? Delle tre relazioni, l’uomo che ama Dio, Dio che ama l’uomo, l’uomo che ama l’uomo, per il giudaismo è dall’ultimo che bisogna partire. È nella mia rivolta contro la miseria del mio prossimo che ho amato Dio. [I“Non sottrarti davanti alla tua carne” – si conosce il capitolo 58 di Isaia in cui il vero culto consiste nel rendere ai poveri quanto loro dovuto. Il loro dovuto e non la carità! E rendere ai poveri il loro dovuto, rendere giustizia – è amare. Il povero è nostra carne – la parola carne fa eco all’esclamazione di Adamo che scorge Eva per la prima volta (Genesi). Dio che ama il povero e lo straniero del Deuteronomio – ciò non è comunicare il suo attributo, ma definirlo nell’essenza – E il Salmo 119 riecheggia questi testi: “Sono straniero sulla terra, non nascondermi i tuoi comandi!” Dio mi ama rivelandomi i suoi comandi. Il mondo diviene la mia patria attraverso la mia pratica della giustizia.

Il senso è il fatto stesso che l’essere è orientato – che c’è Azione o Vita. Il senso, è il senso della vita. Avere un senso, è situarsi in rapporto a quanto dà un senso alla vita. Quanto dà un senso alla vita, è quanto è al di sopra della vita. È al di sopra della vita, quanto fa sì che la vita sia interamente orientata verso ciò. Essere orientato verso = agire e concludere (il non-gioco). Essere interamente orientato, è agire senza cercare di essere contemporaneo al successo dell’atto (cercare di essere contemporaneo al successo, è non essere orientato verso). Ciò verso cui l’essere è assolutamente orientato = l’Infinito rivelato nell’Altezza ecc. ecc. La tensione = Desiderio senza difetto. Il desiderio senza difetto non ha il difetto del suo rito, alcune lettere troncate che lasciano intendere che il testo cominciava più in alto su questa pagina e proseguiva più in basso. Nella misura in cui il testo che compare sul verso sembra essere proprio il seguito del recto, si può pensare che Levinas abbia riscritto sul verso (e forse ritoccato) il seguito del recto che ha troncato. I Sul verso manca la parentesi quadra di chiusura. Forse era presente sulla parte inferiore del foglio che è stata strappata (cfr. la nota precedente).

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schio o della sua gratuità. Ha dunque sormontato lo scacco. (Se ci fosse scacco, non ci sarebbe senso – la finitudine è un non-senso.) Ma Dio è l’Irrivelato – affinché la rinuncia alla ricompensa non sia compromessa. Il senso esige, nello stesso tempo, l’azione garantita nel suo compimento e sottratta ad ogni ricompensa – ad ogni contemporaneità – e di conseguenza un Dio irrivelato o rivelato nell’irriconoscenza: volto d’Altri. Quanto a Dio, traccia, passato, eternità. I Parlare non consiste nel designare significati con una serie di segni o con un viluppo di segni. Questo ci ricondurrebbe a “IIpensare i significati. Ora, pensare i significati è rimanere nell’immanenza. III Metafora Idea dell’infinito Il proprio del pensiero è la critica – il voltarsi, il camminare girandosi. Il primato dell’idea dell’essere dipende da tale ritorno. Il quale dipende da un arresto, da una ਥʌȠȤȒ. Lo statico. Camminare senza voltarsi  – tale sarebbe il carattere proprio dell’idea dell’Infinito, cammino senza arresto. Distinguere tra “senza arresto” e “senza ritorno” preriflessivo da una parte, e “senza arresto” e “senza ritorno” dell’idea eccezionale, l’idea dell’infinito. L’assenza è di primo acchito dettata dal contenuto dell’idea – più precisamente è la sola idea senza contenuto che arresta: le infinite esigenze della coscienza morale, il non-statico per eccellenza. La grande difficoltà: non utilizzare nell’analisi dell’idea dell’infinito la distinzione pensiero-oggetto, noesi-noema – propria delle idee statiche – v. a d. idee statiche che si arrestano, si voltano e hanno tempo per questo. Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). Mancano le virgolette di chiusura. III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1964). I

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I Fenomenologia La fenomenologia è una descrizione. Ma una descrizione intenzionale. Lo sfondo dell’intenzionalità: il rapporto tra realtà presuppone condizioni che Hegel chiama situazione storica e che la fenomenologia contemporanea chiama forme irriducibili di accesso a un fenomeno.

Fenomenologia Idea centrale in fenomenologia: L’accesso allo statoII fa parte dell’essente. Ma questo vuol dire: l’essente è una delle forme polarizzazioni dell’essere. Se l’amore ha a che fare con l’identico – o con il particolare questo non vuol dire che ha una {rappresenta una} quiddità nemmeno che ha a che fare con l’essente – nemmeno con l’essere. Ma con quanto non può descriversi che attraverso l’amore e che si dice in termini totalmente altri. III Fenomenologia In Heidegger come in Hegel – il “progresso” eventuale non può più sorprendere; possediamo fin da ora tutti i concetti della sto-

Le note da 54 a 59 si trovano all’interno di un foglio piegato in due, su cui è scritto: “Schede fenomenologia”. La nota presente è scritta sul verso di un biglietto di invito (1953). II Si deve chiaramente leggere “essente” (“étant”) in luogo di “stato” (“état”). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). I

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ria – siamo moderniI. Ma in Heidegger – abbiamo perduto il concreto  – benché questa perdita ci riconduca al concreto. {Solo un moderno può tornare al presocratismo.} In Hegel – la storia sfocia nel concreto.

Fenomenologia Distinzione tra il per sé e l’in sé nelle due fenomenologie.  ʠʡʰʹʤʮʲʣʩʠʬʥʠʡʰ Attività tecnica o poetica – che occorre riferire all’assoluto.

Il pensiero fenomenologico? Quando un’idea è non giunge a oltrepassare separarsi dalle vie che vi conducono. Questo comincia già con Kant – quando all’idea in fondo semplice di simultaneità sovrappone l’idea di azione reciproca, a l’oggetto la su la successione temporale la causalità. L’idea non giunge a separarsi dalle vie che vi conducono? Si produce l’effetto contrario  – l’idea si trova rinviata a tutto un insieme di relazioni che formalmente essa non contiene ma che sarebbe il suo contenuto concreto: – da cui una deduzione decisamente inattesa ma ricca. In un certo senso è la differenza che Kant stabilisce tra intelletto e ragione. Intelletto: nozione inseparabile dall’esperienza. Ragione – nozione liberata dall’esperienza – ma vuota.

I Quanto precede è scritto a penna stilografica ad inchiostro blu; quanto segue, compresso in basso al foglio e sicuramente aggiunto posteriormente, è scritto a penna a sfera ad inchiostro blu.

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I La fenomenologia è un metodo in cui tutto è sui generis. – II Il pensiero è inseparabile dall’espressione. Ma questo non indica affatto che il nostro pensiero è un pensiero incarnato e che esso {se quando questo {deve} significare che esso} si prolunga in atti. L’atto non mi manifesta – non è manifestazione – ma violenza e mancanza di rapporti  – sfocia in una cosa, ma parte dall’impersonale o dal misterioso. Al contrario l’espressione è la relazione. La relazione non è possibile che con un essere che ha un volto – con una sostanza e non con le qualità e gli attributi. L’espressione dunque suppone altri. L’idea di autorità – in me o in altri – è un’idea falsa. Si pensa che sia solo a pensare senza e che di conseguenza posso sia decidermi arbi giudicare arbitrariamente (autorità) sia secondo un principio universale (secondo la ragione) – e che nel secondo caso io raggiunga altri a causa di questa universalità. In realtà il mio pensiero contiene prima di tutto il mio rapporto con altri – invocazione di altri. Io sono reale nel pensiero – perché non perché si tratti di un’attività che ha bis implica un autore, ma perché pensando dico il mio pensiero – vale a dire perché sono entrato in relazione con l’altro – perché ho frantumato la mia interiorità. Non è ascoltando che sono stato in relazione con l’esteriorità, ma già pensando. Pensare  – avere coscienza – non è essere per sé né in sé, ma né fuori di sé – ma per l’altro. Nella misura in cui pensare – è procedere attraverso domanda e risposta. Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). Nota scritta sul verso di cinque fogli stampati sul recto. Scritta con penna a sfera ad inchiostro violetto, con l’eccezione di un passaggio – che verrà segnalato – scritto a matita di colore blu. Gli stampati sono verosimilmente estratti da due bollettini di informazione settimanale della legazione di Israele a Parigi. Uno degli stampati è la prima pagina del bollettino datato 6 marzo 1952. I

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La differenza tra intuizione e pensiero non risiede nel fatto che il pensiero – pensa una relazione – ma che è dialogo – vale a dire procede attraverso una posizione subito attaccata. L’io che pensa è un io che è contro di sé. Sdoppiamento: pone il problema ma non lo risolve. Il linguaggio è questo sdoppiamento e dunque il pensiero è linguaggio. Ma non si potrà comprendere l’essenza del linguaggio – partendo da questo movimento: si vedrebbe in ogni caso {quindi} che non consiste nel comunicare. Nel movimento domanda-risposta – come si può distinguere il fenomeno del voltoI? Volto  – una forma aperta? non apertura che fa risaltare un’altra forma. Apertura che fa risaltare un’altra forma = luce, apertura del rischiaramento. Volto – apertura che fa risaltare una sostanza senza attributi, un Assoluto; anche la conoscenza non continua più – ma il commercio comincia. Consiste nel trovarsi al di sopra della conoscenza, nel parlare di qualcosa. Parlare di qualcosa – l’intenzionalità non sarebbe possibile che sul piano del commercio. Senza questo resteremmo nell’“aver bisogno di”. La contraddizione soggetto della natura e parte della natura – pensare ed esistere – si risolve con la distinzione tra io e parola. La trascendenza – fuori del mondo = volto. il volto. Parola – negazione del mondo parlando del mondo. La morale – è la parola pura – la possibilità di vedere un volto dietro tutte le sue maschere. Differenza radicale dell’ di un insegnamento 16ʺʥʲʩʰʶʡe dell’insegnamento pubblicoII – universalità della società durkheimiana. Ragione come rapporto personale – opposto alla ragione come universalità. Ma torniamo alla domanda: in cosa la struttura del pensiero come interrogazione di sé – scansione domanda, risposta – suppone il volto? Rapporto personale – ʺʥʲʩʰʶʡ– non è accordo – ma esporsi alla domanda  – Che cos’è la domanda  – domandare aiuto  –; doman“volto” (“visage”) in sovrascrittura di “linguaggio” (“la”). La prima metà di questo capoverso e il capoverso che precede sono scritti a matita di colore blu. I

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dare aiuto a sé = pensare. Io sono pensando – più di ciò che sono. Creatore. Pensiero-creazione. Platone suppone che il più mi viene dalla contemplazione delle idee. Da quanto ho visto. Ma La scansione domanda risposta  – un movimento di esplicitazione. Io mi oppongo a ciò – movimento di interrogazione – che suppone l’altro. Vale a dire la possibilità di domandare di porsi al di fuori {La reminis Per pensare – vale a dire per passare dall’affermazione alla domanda – bisogna rapportarsi al volto dell’altro a cui si può porre la domanda. Richiamare l’altro. Il contenuto è stato portato e si pone la domanda a . Il dato diviene problema {attraverso la relazione con altri. Il dato non può essere pensato che se è interamente esteriore – vale a dire suppone la visione del volto.} La domanda come esplicitazione è la domanda del maestro – la domanda dell’ostetrico. L’arte di domandare {per esplicitare} è l’arte dell’a la maieutica. Ora la domanda del pensatore è la domanda dell’allievo. La domanda del maestro è una visione filologica del volto dell’allievo – la visione di profilo. Al contrario, l’allievo non domina lo spirito {il volto} del maestro – lo guarda in faccia. L’affermazione del maestro provoca la domanda dell’allievo che essa non è – l’allievo non cerca di esplicitare. Domanda La parola del maestro – è già esplicita. Il Il passaggio dall’implicito all’esplicito – non è più un evento soggettivo del maestro, ma quanto compie come maestro – vale a dire come si sente nell’istituzione della scuola. La domanda dell’allievo è assoluta – domanda aiuto – si rivolge ad altri. – Mira l’incompiutezza dell’esplicito, il suo carattere problematico. Soltanto un dato insegnato diviene problematico vale a dire diviene dato pensato. Il passaggio dall’intuizione al pensiero = passaggio dal dato al problematico = suppone l’esteriorità totale al dato. Il rapporto al mondo a partire da un volto – rapporto al mondo come problema e non come una proprietà. Pensare = mettere in questione la proprietà. Pensare = porre una domanda a qualcuno. Linguaggio Ogni pensiero è linguaggio. Pensare = esprimere un pensiero e la domanda di chi ascolta fa parte dell’espressione di chi parla e di chi pensa. Si può andare ancora per un’altra via – verso la tesi secondo cui la domanda di chi ascolta fa parte dell’espressione: parlando dell’insufficienza dello scritto che non può portare soccorso. – Questa non dipende dalla mediocrità del pens pensiero – perché

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allora la presenza dell’autore non vi cambierebbe alcunché. Ma C’è dunque un’insufficienza del pensiero fissato  – nell’affermazione. Essa è interamente pensata nel problema e nell’aiuto che si chiede ad altri. Espressione faccenda di chi ascolta. Platone ha ugualmente visto l’importanza del dialogo reale – non fosse che nel per il pensiero dell’allievo: lo choc deve venire dal di fuori. Perché dal di fuori? – In Platone questo è minimizzato: Il maestro non mi sente parlare – mi vede parlare. Rispetto all’allievo è nella posizione in cui ci si trova rispetto al testo: vi si vede il pensiero e la forma: ciò ch si ascolta quanto l’allievo dice e lo si ascolta parlare. Lo si situa e per lo si libera dalle sue . Non è il semplice choc esteriore che sfocia nella cristallizzazione della coscienza, non un traumatismo – ma la conoscenza dell’allievo. E questa conoscenza dell’allievo – è la sua conoscenza storica. Filologia. Ma rimane una domanda: cosa implica questa idea che il pensiero implichi una richiesta di aiuto È Perché si può chiedere aiuto all’autore di un pensiero – perché questa richiesta è altra cosa che un ricorso all’autorità? I La morte come condizione della visioneII Dieci fogli manoscritti sul recto, ad eccezione dei fogli 7 e 10, manoscritti recto verso. La carta dei fogli da 1 a 7 è la stessa, i fogli da 8 a 10 sono parti di lettere ricevute dattilografate. I fogli da 1 a 7 (recto) sono scritti a penna stilografica ad inchiostro blu, ma le correzioni, le aggiunte e le cancellature sono a penna a sfera ad inchiostro violetto o a matita. I fogli da 7 (verso) a 10 (recto) sono scritti a matita. Il foglio 10 (ultimo rigo del recto e integralità del testo che compare sui margini del verso stampato) è a penna a sfera ad inchiostro violetto. Infine, si segnala che i fogli 8 e 9 sono le due parti di una lettera dattilografata ricevuta e datata 12 giugno 1950, cosa che permette di stabilire un terminus a quo almeno per la scrittura di questi fogli. Gli elementi materiali permettono di supporre che i fogli da 1 a 7 (recto) appartenevano ad un insieme più ampio – d’altro canto, sia il numero, sia il titolo del paragrafo barrati all’inizio del primo foglio lo confermano – e che Levinas ha ricomposto un insieme aggiungendovi tre nuovi fogli. II Scritto a penna a sfera ad inchiostro violetto. I

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4° La comprensione come potere Il fatto di essere, pur rivestendo la forma drammatica di un evento, rimane un fatto intellettivo. Nell’intellezione divenuta comprensioneI proiezione emozione e che si articolano come destino – divenuta l’esistere stesso dell’esistenza – quale è la struttura a cui si può riconoscere l’intellezione? La comprensione, in effetti, è interiormente rischiarata. La luminosità della comprensione è posta da Heidegger come appartenentegli per essenza. {In cosa la comprensione heideggeriana – se non si vuole rimanere attaccati unicamente al profumo intellettualista che emana il termine stesso verstehen – scelto per descrivere l’articolazione essenziale dell’esistenza –, e che la parola francese comprensione evoca ancora di più – in cosa la comprensione rimane intellettualista? Secondo Heidegger è interiormente rischiarata.}II Certo, questa luminosità non equivale all’illuminazione di un’immagine statica, ma si presenta come un’anticipazione. La visione di un’immagine statica appare essa stessa {almeno in Sein und Zeit} come il residuo di un’anticipazione, come la neutralizzazione di un’attitudine inquieta in cui la tensione della cura è, in qualche maniera, {si attenua} attenuataIII. La luminosità significa in questa proiezione la misura del campo dell’avvenire in cui l’essere si impegna e, di conseguenza, nello stesso tempo che questa anticipazione una sospensione di ogni anticipazione – un’opposizione all’essere nella sua totalità, contemporanea all’impegno in questa totalità. Come ha giustamente notato Koyré nelle sue riflessioni sull’essenza della verità di Heidegger, il cominciamento della storia che Anche queste prime quattro parole avrebbero dovuto essere barrate. Questa aggiunta, scritta a penna a sfera ad inchiostro violetto tra le righe del passo barrato che, a sua volta, è scritto a penna stilografica ad inchiostro blu, era stata, in un primo tempo, scritta a matita nel margine di sinistra, poi in parte riscritta, sempre a matita, ma con alcune modifiche, tra le ultime righe del passo barrato. Se la prima versione a matita dell’aggiunta è identica all’aggiunta finale, la seconda, che Levinas ha barrato, presenta alcune differenze, ed è la ragione per cui viene qui di seguito riprodotta: “In cosa tuttavia la comprensione heideggeriana – se non si vuole rimanere attaccati a ai ricordi intellettuali al profumo .” III Questa parola avrebbe dovuto essere barrata. I

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per Heidegger coincide con lo svelamento dell’essere  – significa un’opposizione dell’uomo alla natura – vale a dire la sua opposizione alla totalità dell’essere già contenuta {nello svelamento}17. Nello svelamento. Il carattere intellettuale della comprensione risiede in una opposizione di {Sicuramente le intense pagine di Heidegger in Holzwege sull’oblio dell’essere in seno alla rivelazione, e sulla storia come fondata su questo oblio – forniscono un commento più completo della proposizione misteriosa dell’essenza della verità. Ma la riflessione di Koyré vale di per sé. Il carattere intellettuale della comprensione risiede in una opposizione di} l’essere dotato di comprensione verso tutto nel cui centro tale comprensione si compie. La storia comincia con la rivelazione dell’essere se storia significa una possibilità per la parte di comportarsi nel tutto altrimenti che come parte di questo tutto. Ma per concepire questa opposizione l’ontologia moderna non dispone più di {Ma è Muller18 che spiega meglio il senso della formula: lo svelamento comincia la storia: l’essere non è un assoluto intemporale, ma essenzialmente si rivela attraverso la storia – e lo svelamento – vale a dire il fatto che il nascosto si rivela, si svela, non è intellegibile che a partire da un esistere storico – essere storico e svelarsi – è la stessa cosa – la verità l’essenza della verità = verità dell’essenza = storia. Per opporsi – non si deve cercare} un punto d’appoggio al di fuori di questa totalità. Il piede che l’anima platonica ha nel mondo delle Idee, gli assicurava attraverso questo una distanza nei confronti dell’essere. L’intellettualismo della filosofia classica non era che la trascendenza stessa dell’anima in rapporto all’essere – una posizione da cui questa lo dominava. Sebbene per la conoscenza delle Idee stesse la distanza implicata dallaI conoscenza rimane inintellegibile e la situazione dell’anima nel cuore dell’infinito cartesiano al di là delle idee stesse – vale a dire un’anima volontà e libertà e non solo intelletto – è indispensabile per assicurare la nozione di intelletto. {Lo svelamento è altra cosa che questa dominazione a partire dall’Eterno.} Nell’ontologia moderna che mette in questione questa posizione da cui l’anima domina l’essere – esiste egualmente {si ritrova tutI

“dalla” in sovrascrittura di “nella”.

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tavia} un’opposizione all’essere  – nell’annientare sé. Ci liberiamo dalla totalità in cui siamo presi non contemplando, vale a dire negandola a partire da un assoluto che ci salva, ma annientando noi stessi. {Questo è svelare.} Questa possibilità è ancora una dominazione – perché è la mia possibilità. L’annientamento – non è un annientamento impersonale – è morte, vale a dire la mia morte, vale a dire ancora il mio potere, un potere. In questo modo nell’annientamento si ritrova la comprensione – questa {La morte assicura la} posizione di dominio nei confronti dell’essere, questa {nel costituire} la personalità dell’anima, {questo} stato civile che l’anima platonica portava dalla sua patria situata sulle altezze dell’Empireo. {È} la finitezza dell’essere {che} si schiude come comprensione dell’essere:I si articola come esistenza, essere solitario che ritrova la sua autenticità nel liberazione lucida dell’angoscia, nella libertà della disperazione lucidamente assunta. Lucidità e LibertàII che non sono {non è} nient’altro che questa opposizione all’essere attraverso l’annientamento. {Questa} Libertà rispetto alla totalità e lucidità {che è luce} – perché niente si interpone più tra noi e l’essere: – ogni “qualcosa”, ogni {della} percezione che nasconde l’evento nudo dell’essere, che votandoci agli essenti che essendo sprofondato nella chiara notte del nulla – chiara a motivo della sua stessa oscurità. L’evento dell’essere stesso è un’ontologia. È dunque l’idea di {la} dominazione e ilIII potere attraverso la quaIV le si marca la distanza nel cuore dell’essere in rapporto a tale essere – e la possibilità di misurarlo – che assicuraV fin nell’ontologia contemporanea la continuità della filosofia occidentale. La coesistenza  – il Miteinandersein19  – non è contenuta in questo istante supremo della risoluzione in cui un essere si oppone all’insieme

“:” in sovrascrittura di “,”. “Libertà” in sovrascrittura di “libertà”. III “il” in sovrascrittura di “di”. IV “la quale” rimandava all’“idea”, parola che è stata barrata. Bisogna dunque leggere “i quali”. V “assicura” in sovrascrittura di “si assicura”. I

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dell’essere comprendendolo, che come una struttura superata, dialetticamente mascherata nell’isolamento supremo. L’idea del potere che sostituisce la nozione di contemplazione ricongiunge il carattere di impegno che partecipa alla categoria di reciprocità e l’idea di opposizione alla totalità contenuta nella tradizionale idea di soggettoI. Questa opposizione nel cuore stesso dell’impegno – è la visione. E affinché l’impegno nella realtà possa conservare il carattere di opposizione – occorre che il potere abbia un orizzonte al di là del punto preciso in cui si applica, che abbia già percorsoII la totalità dell’essere {. La totalità degli esseri – non è la loro somma} – che in {La somma è un rappo. Il totale come somma si attacca ancora, non dal rapporto. Vedere L’orizzonte Tratteggiare un orizzonte è nel} mondo degli esseri non sia {non essere cheIII} alle prese che con il fatto stesso di essere del loro essere. È così che IlIV potere di morire {rende possibile l’orizzonte} è l’essenza di ogni potere e rende possibile {e di conseguenza} l’opposizione alla totalità che contiene ogni conoscenza {il concetto tradizionale di conoscenza. Esso è originariamente svelamento.}V Ecco dunque la fonte di questa evidenza {prima verità} che dall’inizio ci è parsa ineluttabile: ogni conoscenza degli essenti suppone prima di tutto la comprensione dell’essere in generale. Ma il potere se deve essere altra cosa da una forza in un mondo di azioni e reazioni non è possibile che in un essere finito. La rivelazione dell’essere come condizione di ogniVI

La frase che precede è barrata con una croce di sant’Andrea. Nel margine di sinistra, cominciando davanti a quanto segue, questa aggiunta, indicata in nota per non appesantire ulteriormente la trascrizione di questa pagina che comprende già numerose aggiunte interlineari: “L’orizzonte non al di là di ogni essere particolare ma .” III È preferibile non leggere questa parola, sicuramente aggiunta erroneamente. IV “Il” in sovrascrittura di “il”. V Seconda aggiunta marginale che si trova prima delle ultime righe del paragrafo, segnalata qui in nota: “L’essere finito ha un orizzonte, attraverso l’orizzonte è visione.” VI Il paragrafo, che si interrompe bruscamente, è barrato con una croce. I

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Il totale {come somma} suppone un processo indefinito di loro censimento: Il loro censimento Indi Il suo carattere indefinito  – {non significa} costituisce precisamente {nient’altro} {il fat} che si {il fatto che non si} è mai finito – e che di conseguenza si è {cammina} sempre inglobato in in mezzo ad esseri che ci inglobano. Opporsi agli essere Percorrere la totalità degli esseri – è proprio prendere nei loro riguardi non perc opporre ad essi la loro trovar situarli in un orizzonte  – {ed è precisamte per questo che l’orizzonte è una struttura irriducibile del I rapporto} – che non è fatto della loro singolarità II ma che dal fatto stesso ma che è il fatto stesso di essere L’orizzonte… 4°Comprensione come potereIII Si espr L’esistenza come comprensione Perciò possiamo giungere a comprendere concepire che ogni verità ha E Ma non è che un altro aspetto del primato dell’ontologia – che si impone non appena la ragione comprende il suo rapporto con l’essere come una dominazione, vale a dire come opposizione a un tutto – il fatto che ogni conoscenza è concettuale, che il rapporto attraverso nella la conoscenza con il reale – non è che una la il fatto di vedere in essa la realizzazione di un concetto, senza che questa stessa realizzazione sia fondamentalmente estranea ad una operazione concettuale. La singolarità stessa del singolare – il suo carattere di essente e di individuo – è per tutta la tradizione {filosofia} occidentale Heidegger compreso – riducibile al suo significato. Quando Heidegger dice che l’essente in quanto esSembra che inizialmente Levinas avesse scritto “di”. “singolarità” in sovrascrittura di “totalità”. III Scritto a penna a sfera ad inchiostro blu. I

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sente – che l’essere essente dell’essente – cons si riconduce tuttavia all’evento ontologico che consiste nel lasciarlo essere – che l’indipendenza dell’essente si riduce al significato di questa indipendenza – egli non torna certo {conserva della} tesi idealista sulla funzione dello spirito nell’essere almeno questa priorità del significato – dell’orizzonte, della visione, dell’opposizione – e in fin dei conti del potere e della dominazione. Attraverso la dominazione e il potere si descrive il rapporto con le cose. La cosa è quanto è in nostro potere o quanto gli si rifiuta – la cosa è quanto possiede un significato, quanto è rapportato a un concetto, a un progetto, ad un’anticipazione. La ijoccidentale Heidegger compreso non concepisce certo l’essere come cosa. Lo concepisce tuttavia come un potere  – vale a dire come una relazione con le cose. I Metodo Deduzione della visione Si tratta di fissare la nozione di visione in funzione dei rapporti formali che la visione porta a compimento. Non si deve dire: la visione degli oggetti parte sempre da uno sfondo sul quale l’oggetto è visto – o la visione dell’oggetto suppone sempre una relazione pratica con gli oggetti. Al contrario: “andare da un tutto da un tutto verso le parti” – “rapportarsi a part qualcosa a partire da ciò che non è” – “rifiu “rifiutare ciò di cui si gode” – oppure “approp “negare senza negare” – definiscono la visione stessa.

I Nota scritta sul verso di un foglio stampato sul recto del servizio di informazione di Israele a Parigi, che annuncia i programmi della radio israeliana Kol Tsion Lagolah (“La voce di Israele per la diaspora”) dal 26 novembre al 2 dicembre 1950.

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I Metodo Non si tratta {definendo} di {supporre} un mondo preliminarmente dato e di sovrapporre definizioni supponendo certe relazioni – come la conoscenza, la visione, la pratica – Questo è sarebbe il procedimento antropologico. Dire per esempio: la conoscenza è un’attitudine disinteressata e generosa – è già supporre il rapporto con il mondo (visione o struttura soggetto-oggetto). Ma allora perché {da cosa} partire? da Da nozioni formali? Dove risiede il loro privilegio? Non nella loro universalità, ma nelle situazioni-limite in cui sorgono: la negazione stessa di ogni relazione e di ogni essere, di ogni presupposizione. La situazione del c’è al limite della soggettività e dell’oggettività, comporta la dignità del cominciamento, simile al cogito cartesiano. II L’infinito del “tu non ucciderai” Il rapporto metafisico non è possibile che come rapporto etico. Se l’impossibilità di uccidere fosse un’impossibilità semplicemente reale – altri sarebbe una resistenza – e di conseguenza sarebbe puramente compreso, vale a dire entrerebbe in me attraverso il suo concetto – come la natura stessa. Il fatto che altri resista al mio omi-

Nota scritta sul verso di un foglio stampato sul recto che porta la data 1950. II Nota scritta sul verso di due fogli stampati sul recto del servizio di informazione di Israele a Parigi che annunciano i programmi di Kol Tsion Lagolah, rispettivamente dal 22 al 28 ottobre 1950 e dal 13 al 19 maggio 1951. Escludendo alcune eccezioni, che verranno segnalate in nota, l’insieme è scritto a penna a sfera ad inchiostro violetto. I

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cidio eticamente, non come forza, ma come volto – compie il mio rapporto con l’esterioreI. [Ma inizialmente, non resistere che eticamente sembra essere meno che resistere eticamente realmente. In cosa la resistenza etica è di più? È perché significa resistenza in un altro senso.]II Resistenza di una cosa – forza. E si tratta per la {quando si tratta }III forza di appropriarsi, di negare l’essere mantenendolo – di comprendere l’essere – o di non comprenderlo – mantenere l’essere come incomprensibile. La resistenza etica non si oppone all’ontologia, ma alla mia solitudine all’omicidioIV. Il desiderio di assassinare scopre non un mondo essere incomprensibile, ma un essere giustificato, un essere, in un certo senso, già comprensibile. Il desiderio di assassinare è l’incomprensione del comprensibile, l’irrazionalità del razionale. Cosa significa la sua razionalità? Non il fatto di essere coglibile. Nuovo senso del sensato e del giustificato: che non è il senso di un essere, ma di una creatura. La razionalità prima di me – {Legge – Razionalità della legge più che quella del logos}. Una razionalità anteriore alla comprensione dell’essere e allo svelamento e alla verità. Questa anteriorità all’uomo ne costituisce tutto il contenuto. Un passato assoluto. Un mondo come creatura. Il mondo invece di essere Geworfenheit è ragione – e ragione non contro il passato, ma a causa del passato. È il passato assoluto come tale – che è la sua giustificazione. In questo senso – la ragione è insegnamento. Ci giunge dal passato, ma da un passato assolutamente anteriore all’io che non è reminescenza – ma insegnamento. Il fatto di essere anteriore a me – di non essere un ricordo – di un passato prima del mio passato e di conseguenza di un maestro – è l’essenziale della ragione. A priori. A priori Mihi prius et non solum experientiae prius. Levinas ha inserito una grande parentesi – scritta a penna a sfera ad inchiostro blu – davanti al paragrafo. II Le parentesi sono a penna a sfera ad inchiostro blu. III Aggiunta scritta a penna a sfera ad inchiostro blu. Anche le prime tre parole della frase avrebbero dovuto, sembra, essere barrate. IV Levinas ha inserito una grande parentesi davanti al seguito del paragrafo che, nel manoscritto, comincia nel rigo successivo. I

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È qui il senso della creazione. Differenza tra essere e creatura: l’essere è contemporaneo dell’uomo, la creatura anteriore all’uomo. Da qui, la comprensione della creazione si situa al di qua della distinzione tra essere ed essente. Da qui, la resistenza etica è qualcosa di più della resistenza materiale. La resistenza materiale – ci lascia davanti alla razionalità o all’irrazionalità dell’essere e, in fin dei conti, ci lascia con noi stessi. Uccidere materialmente è superare la resistenza etica – ma alla fine non superarla, perché a) l’essere ucciso ci è sfuggitoI e b) il suo omicidio è stato un crimine. La resistenza etica ci ha messo in relazione con l’esteriore – con quanto è stato prima di noi – con quanto non possiamo possedere e che non possiamo che negare – Ma la negazione è l’ultimo tentativo – nel nos legame con Dio che non può essere affermato né negato – di un essere che assume l’infinito per un essere. L’omicidio è al limite dell’ontologia e della religione. Non si può nemmeno dire che Dio non potrebbe essere negato. È al di là della negazione e dell’affermazione. II Il volto come nudità La carezza non è la conoscenza di una forma  – e ConoscereIII significa in qualche modo sorprendere qualcosa su un fondo, percorrere l’oggetto come su di unIV fondo scolpito. {Il contrasto.} La carezza è il contatto di una nudità, vale a dire – il contatto diV ciòVI che non ha forma {– dell’informe –} e di conseguenza tutto il con“sfuggito” in sovrascrittura di “sfuggire”. Nota scritta sul verso e su parte del recto stampato di un foglio del servizio di informazione della legazione di Israele a Parigi. È possibile datare approssimativamente questo stampato intorno alla fine del 1950. III “Conoscere” in sovrascrittura di “conoscenza”. IV “un” in sovrascrittura di “”. V “di” in sovrascrittura di “”. VI “ciò” in sovrascrittura di “attraverso”. I

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trario del contatto. Non ciò che non è ancora contatto ma ciò che non è più toccato contatto. Al di là del contatto – senza che questo al di là sia un nuovo contatto. Una stretta. Il “possedere” della stretta – è in realtà lo spogliarsi di tutto ciò che rimane come forma nella nudità. Stringere è denudare. Non è affatto come voleva Sartre possesso di I oggettoII – una oggettivazione. È la ricerca di c lo svestire. La nudità non è nuda abbastanza. Non è oscena abbastanza. – L’osceno è questa assenza di forma – da cui la sua stupidità in un mondo di relazioni tra forme. Stupido non come oggetto. – Ma il volto che si denuda nella carezza – più nudo della nudità non è più osceno e come la forma dell’informe. Ma per questo, non è più quanto scolpisce un fondo – piuttosto l’apertura stessa come una nuova dimensione. Non chiede contrasto Infinito? Libertà? Esteriorità (distanza)? L’etica? III Volto come nudità In cosa la nudità totale del volto – non è più nuda nel senso osceno e di nuovo è come vestita. In cosa consiste la forma in quanto forma del volto? In cosa consiste la decenza del volto? È certamente già qui, dall’inizio. La decenza del volto è la condizione della lascivia del lascivo.

“di” in sovrascrittura di “del”. “oggetto” è in sovrascrittura di una parola illeggibile. III Nota scritta sul verso di un foglio stampato sul recto da cui è stata strappata la terza parte superiore. Lo stampato è estratto da un bollettino di informazione della legazione di Israele a Parigi databile verosimilmente nel 1950. I

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Volto – nudità – espressione – profondità – la fine del disvelamento Quanto la carezza porta a compimento, è la possibilità stessa della nudità. Questa deve essere compresa in un senso radicale, come lo svestirsi stesso della forma. E lo svestirsi deve essere descritto in un senso completamente distinto dal disvelamento. Il suo esito è il volto – nudo per eccellenza, più nudo della nudità della carezza. In effetti il volto non è un conformarsi di elementi anatomici: occhi, naso, bocca ecc. – ma la possibilità dello svestirsi totale – la forma che smaschera sé. Che significa questa apparizione del volto  – o dell’essere smascherato interamente? [Ci sono qui più articolazioni della dialettica fenomenologica che non bisogna confondere.] In rapporto alla nudità del carezzato – questo compimento della nudità in cui l’oscenità scompare – non consiste in un rivestimento dell’informe con una forma. C’è il rovescio della forma – e il rovescio non vale quanto il dritto. In rapporto alla nudità oscena il voltoI è come ciò che scava – è l’interiore interamente liberato dalla sua forma. Ma se questo “liberarsi interamente dalla propria forma” – non è un rivestimento di forma – è perché deve essere descritto come ciò che mira a noi – è il mirare stesso dell’informe che si compie in faccia = il volto. Liberato dalla forma – il volto è liberato dai limiti – il volto non è oggetto definito – ma l’infinito. Liberato dalla forma, svestito di ogni forma, ciò che app l’infinito denudato – non è rivelato, non è svelato. Lo svelamento – è l’apparizione di una forma su uno sfondo, all’orizzonte che la delimita. L’infinito è espresso. Il volto è espressione. Quanto abbiamo detto sulla singolarità della nudità – torna qui a dire che espressione non è segno esteriore, che simbolizza un interiore. Ma rapporto I Quanto precede fino a questo punto è scritto a penna stilografica ad inchiostro blu, mentre quanto segue è scritto a penna stilografica ad inchiostro nero.

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irriducibile: né segno, né simbolo. Volto = espressione = svestirsi. Forma – oggetto – svelamento. Espressione non è un modo di coscienza – che parte da un oggetto, compreso come simbolo – che suppone di conseguenza un funzionamento indipendente e neutro della coscienza, che può divenire coscienza di un’espressione, come può essere coscienza di un segno. L’espressione – e la comprensione dell’espressione – caratterizza l’atto stesso della comprensione – realizza la Bewusstheit stessa del Bewusstsein – che dunque non è visione, ma ascolto. È la parola che stabilisce la relazione e non la coscienza visuale di questa parola. Svelamento fortemente distinto da denudamento. Non è la superficie di qualcosa illuminato e di conseguenza chiuso (denudam (svelamento), ma l’apertura stessa in quanto apertura e non in quanto superficie di tale apertura. Di conseguenza essenzialmente un movimento in profondità. “Visione” nell’aperto” – che è precisamente l’aperto come rivolgentesi a me. La cavità – il vuoto – la finestra – l’infinito – la profondità. Cos’è rivolgere – quanto rivolge (volto) – andare nella profondità dell’aperto – impossibilità etica dell’omicidio nel cuore di una tentazione di omicidio. Volto e il femminile?? I Discorso – esclusione del Sacro Il discorso è una relazione spirituale – in un senso preciso: relazione senza violenza, relazione pacifica. È questo la comunicazione. La causalità e la violenza – è la non-comunicazione. La parola nello stesso tempo oltrepassamento della solitudine, ma senza debordamento che è la {sarebbe} violenza. Senza debordamento: al di fuori di quanto dico, niente si crea involontariamente, niente è in sovrapI Nota scritta sul verso di un foglio stampato del servizio di informazione della legazione di Israele a Parigi che annuncia i programmi di Kol Tsion Lagolah dal 5 all’11 novembre 1950.

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più. È la vera nozione di coscienza: il non-debordamento. Possibilità del sincero. Nessun labirinto. La grazia {– contrario della violenza} – anche suppone la non-comunicazione assoluta. Il magico e il misterioso – non sono uno choc per la ragione in quanto miracoli – ma in quanto violentano la coscienza. Parola del maestro – insegnamento = violenza senza violenza. I La Parola – è il Nome o Verbo Nominare è associare all’oggetto un segno sonoro, oggetto anch’esso, anche se in quanto segno tale oggetto doveva divenire trasparente? In che modo colui a cui l’oggetto è nominato è mirato nel nome? Ciò non può consistere nell’esporre il nome proferito a qualcuno? o, almeno, l’esporlo suppone il vocativo del nome – vocativoII che non ha lo stesso “oggetto” del nominativo del nominare. Il problema: come questoIII vocativo determina questoIV nominativo? Non solo in quanto Non ne deriva soltanto preoccupazione di universali . In ogni caso ridurre la funzione del nominare al rapporto tra segno e significato è insufficiente. Tale è ancora la tesi di Mallarmé: nominare = negare. Nominare non è negare unicamente e semplicemente. O l’intero problema: in che senso nominare = negare. Voglio dire: il vocativo è più della semplice preoccupazione di universalità impersonale. L’universalità non è “für jedenmann” ma per un voltoV. I Nota scritta sul verso di un foglio stampato del servizio di informazione della legazione di Israele a Parigi estratto dal bollettino settimanale della legazione datato 19 febbraio 1951. II Levinas sembra aver scritto inizialmente “il vocativo”. III “questo” in sovrascrittura di “il”. IV “questo” in sovrascrittura di “il”. V Questa frase è un’aggiunta o ancora una nota in calce al passo che si trova più in alto, in cui si tratta della preoccupazione di universalità che deriva dal vocativo.

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I Lo Stato come conforme alla morale. Incontrare un essere, non è potere su di lui. È parlargli. Tu non ucciderai è il senso del discorso. Se il potere politico è un modo di esistenza in cui altri è dominato, la democrazia è un ritorno alla relazione etica non perché il parlamento rappresenti le libertà individuali. L’alienazione delle libertà appartiene all’essenza dell’organizzazione politica. Se la democrazia è un regime etico, è perché in parlamento il potere è detto a chi lo subisce. Non perché il soggetto è legislatore, ma perché la legge è detta al soggetto. Il parlamento è meno il luogo in cui il popolo parla che non il luogo in cui si parla al popolo. II Coscienza: finito strappato all’infinito Se prendere coscienza significa strappare all’infinito qualcosa di finito  – non si potrebbe supporre in questa definizione della coscienza questa stessa definizione. In effetti non si può dire che prendere coscienza consista nel prendere coscienza del finito + prendere coscienza dell’infinito + prendere coscienza del loro rapporto. Sarebbe presupporre tre volte proprio quanto è in questione. – Più ancora se ci fosse coscienza dell’infinito – si sarebbe dovuto presupporre un altro infinito dal quale il primo sarebbe strappato. In Heidegger questa seconda difficoltà è risolta nel modo seguente: prendere coscienza è prendere coscienza di un finito – ma lungo un orizzonte più vasto (sebbene finito) che è la totalità – la quale non è Nota scritta sul verso di un foglio stampato della legazione di Israele a Parigi verosimilmente estratto dal bollettino settimanale della legazione, probabilmente datato 1951. II Nota scritta sul verso di uno stampato della Societé des études juives (Società degli studi ebraici) datato marzo 1951. I

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data alla coscienza nel primo senso del termine, ma all’u esistenza e in special modo all’estasi dell’avvenire – attraverso la morte. I Il discorso secondo Heidegger La tesi classica sul linguaggio – attraverso tutte le sue variazioni – o conferisce al linguaggio la funzione di comunicare ad altri il nostro pensiero – o, secondo la concezione socratica, nel cuore di una visione {già} comune delle cose, la funzione di condurre ad un punto comune; oppure, ed è vistosamente la stessa cosa, a far ritrovare all’allievo la verità che possiede già. Nell’una e nell’altra concezione, il pensiero da comunicare precede la sua espressione sonora, l’invocazione di altri. L’intenzione verso altri è “laterale”. L’essenziale dell’opera del linguaggio è nel linguaggio interiore. Nella concezione pre-heideggeriana – parlare il proprio pensiero è dargli un allure impersonale, epurarlo dalla sua ganga soggettiva. Il pensiero – anche come dialogo silenzioso dell’anima con se stessa (il che significa che il pensiero riflette sul suo proprio movimento) non suppone fin da subito l’interlocutore reale. In Heidegger la parola suppone sicuramente già la copresenza e il rapporto preliminare con altri e di altri con il mondo stesso che mira alla parola di colui che parla – ma l’essenziale della parola è nel significato, nell’“etwas als etwas” (vedere soprattutto Holzwege e l’interpretazione di Hölderlin)20. La parola – in quanto invocazione – non svolge dunque alcun ruolo nel rapporto stesso con il mondo. “Das Aufzeigen der Aussage vollzieht sich auf dem Grunde des im Verstehen schon Erschlossenen bzw. umsichtig Entdeckten” (S. u Z., 156)21.

I Nota scritta sul verso di quattro fogli stampati sul recto. Questi stampati sono verosimilmente estratti da un bollettino di informazione della legazione di Israele a Parigi che è possibile datare 1951.

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Sicuramente Heidegger pone la contemporaneità del parlare silenzioso con la Befindlichkeit e il Verstehen (Die Rede ist mit Befindlichkeit und Verstehen existenzial Gleichursprünglich, S. u Z., 161)22 ma la sua funzione propria consiste nell’articolare la comprensione – essa è originariamente l’articolazione stessa della comprensione. Ai significati articolati si aggiungono le parole – forma mondana d’essere, che ha il carattere di Zuhandenheit. L’articolazione del mondo – ecco il punto che per Heidegger determina tutto il resto. Tra l’articolazione e l’utilizzazione dell’apparato sonoro e dell’apparato semantico – l’intenzione dell’Iappello diretto ad altri non gioca alcun ruolo costitutivo. Il rapporto con un volto non gioca alcun ruolo nella parola. Anche in Merleau-Ponty il linguaggio come condizione del pensiero – gioca il ruolo attribuito al corpo proprio nella percezione. Quanto in Heidegger è semplicemente Zuhandenheit – diviene corpo in Merleau-Ponty – non strumento, ma corpo, incarnazione del pensiero. Nondimeno nessun sospetto della relazione con altri. Altri – è il mondo nel quale sono immerso, una società in cui sono impegnato, come sono impegnato nel mio corpo. Sono già impegnato negli altri per parlare con gli altri.  – Quanto oppongo a questa concezione – è l’appello stesso ad altri nel linguaggio che costituisce la società. L’utilizzazione dell’apparato sociale della linguistica è meno importante. Infine in Heidegger e in Merleau-Ponty c’è il problema “Chi parla?” quando “io parlo”. Il logos? Parlare non è originariamente ascoltare? Problema che per me si risolve precisamente con il fatto che si parla davanti ad un volto e che l’unità dell’ascoltare e del parlare si compie nell’incontro del volto – ed è precisamente per questo che ascoltare non si confonde con vedere – con la comprensione ed il potere. In Heidegger c’è un accenno di frase essenziale: “Das Beredete der Rede ist immer in bestimmter Hinsicht und in gewissen Grenzen ‘angeredet’”23 – ma si tratta dell’oggetto del discorso – la visuale è falsata – e non gli viene dato alcun seguito.

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“dell’” in sovrascrittura di “di un”.

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I Introduzione generale Il paradosso del significato  – che è più di quanto dato intuitivamente e tuttavia è significato, dato per mezzo di un segno e di conseguenza meno del segno che è dato. In che modo un’assenza dell’essere può essere più della sua presenza? È il proprio dell’essere finito – votato alla relazione indiretta con un essere che lo supera – e di cui ha nostalgia?II Oppure è la forma suprema della relazione con l’essere. Il significato è il proprio della parola. La parola ha un significato. Parlare è comprendere questo significato della parola; sia ascoltando le parole, sia pronunciandole. E di primo acchito la differenza tra ascoltare e parlare è la differenza tra {un movimento che parte } intenzione che mira anzitutto alla parola per passare all’intenzione che mira al significato e d’un movimento che mira anzitutto al significato per andare in seguito all’intenzione del segno. Questa è la fenomenologia semplicistica del linguaggio. Il significato è nella finalità Ma compreso in questo modo il significato sembra indipendente dalla parola. Non ci sono intenzioni che mirano al significato indipendentemente dal linguaggio? Sembra di sì. Possiamo parlare di un significato di un oggetto e di una situazione. Possiamo parlare di un significato al quale accediamo al di fuori dei segni. Il significato di un oggetto è, per esempio, l’uso al quale è destinato. Comprendere un oggetto è saper servirsene – è dunque mantenersi in un primo tempo in un’attitudine attiva, vale a dire essere in un modo o nell’alL’insieme è scritto sul verso di sei fogli di provenienza diversa stampati sul recto, con l’eccezione del quinto foglio sul cui recto stampato sono ugualmente presenti alcune note manoscritte di Levinas. Tutti i fogli sono scritti a penna a sfera ad inchiostro nero, eccetto il quinto che, a cominciare dal quarto rigo, è scritto a penna stilografica ad inchiostro blu. Si segnala infine che tutti gli stampati che portano una data indicano il 1960. II “?” in sovrascrittura di “–”. I

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tro nel bisogno, av tendere verso qualcosa che mi manca. {Quanto in un modo o nell’altro è suscettibile di servire a soddisfarmi – ha un significato.} Quanto mi manca – il pane quando ho fame, il p l’acqua quando ho sete, gli orpelli quando sono vanitoso – avrebbe un significato nel senso eminente del termine. Il significato consisterebbe dunque nella relazione degli oggetti ai bisogni. Il perfettamente inutile si xx mancherebbe di significato in modo assoluto. Tuttavia la relazione diretta di un bisogno con quanto lo soddisfa, non è più la comprensione di un significato. L’aria acquista per noi significato quando ci manca, i vestiti ci quando ci mancano ecc. L’assenza di significato – e l’assenza di coscienza coincidono. Sembra essere un truismo, poiché ogni relazione scompare con l’estinzioneI della coscienza. Ma non bisogna rovesciare la situazione: è l’assenza di significato che demolisce la coscienza. Il significato in questo modo sarebbe la condizione della coscienza. Ma vista da quest’angolatura essa costituirebbe la distanza tra l’essere che concepisce un significato e questo stesso significato. Avere {un} significato sarebbe come essere a distanza dall’essere. Il bisogno, nella misura in cui è sempre a distanza dalla sua soddisfazione, sarebbe fonte di sod significati. Il significato sarebbe per essenza una dec meno della presenza dell’essere – la quale si produrrebbe precisamente nella coincidenza con questo, nel godimento. L’essere avrebbe significato nella misura in cui si sottrae ancora a noi ma in cui tuttavia esso non è solo e semplicemente assente, ma già si modella in calco nel bisogno che ne conserva il ricordo {o che ne possiede la speranza}. Quindi la s una situazione avrebbe un significato per eccellenza e i mediatori, i mezzi, che si tratteggiano nella situazione. La situazione è la misura esatta della distanza che ci separa dalla soddisfazione. Cè una situazione quando l’oggetto il reale che deve essere consumato o utilizzato si annuncia, ma anche si assenta, appare come problema ignoto determinato dalla situazione. C’è una situazione – quando un mondo ci è così estraneo per non p che non potremmo incorporarlo a noi; ma in cui è così noi stessi da servirci come organo, per cogliere {in vista dell’} oggetto desiderato. I

“l’estinzione” in sovrascrittura di “”.

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La distanza totalmente pura  – il meno in rapporto all’essere che si produce in questo modo  – spiega tuttavia il surplus che c’è nel significato? Effettivamente appare al filosofo come non dimorante essenzialmente nel bisogno che è l’assenza dell’essere, ma che ha il merito di liberare la distanza la quale può valere per sé produce la sua propria virtù nella contemplazione. Nella contemplazione è allo stesso tempo assen assenza e pr si produce una presenza di un pre essere assente – o pl una a distanza in cui l’essere non la distanza non mi non è semplicemente la negatività {sofferenza} del bisogno ma in cui essa permette all’essere di risplendere di luce propria. Il significato sarebbe allora la realizzazione della relazione soggetto-oggetto. Oltre l’oscurità {l’opacità} insignificante di ogni dato in quanto dato  – che ostruisce lo sguardo piuttosto che rischiararlo – il significato sarebbe accessibile all’intelletto Il significato in rapporto a una finalità che appercepirebbe le relazioni che un oggetto dato intrattiene con altri oggettiI. Che un fatto di conoscenza abbia un significato sembra di primo acchito aggiungersi a questa stessa conoscenza. La distinzione della psicologia tradizionale tra la sensibilità che dà e la ragione che comprende attesta questa dualità tra il dato e il significante. La riflessione filosofica conclude tuttavia con la soppressione di tale dualità: il sensibile puro sarebbe un mito. L’intelletto penetra la sensibilità e niente potrebbe essere dato se non è preliminarmente compreso. Solo il significante è dato. Cos’è essere significante? Avere un significato, è essere in relazione. Il fatto ha un significato poiché si presenta all’interno di un sistema. Il rinvio ad altro da sé – sarebbe dunque il significato. La totalità darebbe dunque un senso al particolare.

Quanto precede questo punto sembra scritto a penna a sfera ad inchiostro nero utilizzata anche per la scrittura degli altri fogli di questa nota; il seguito della pagina è scritto a penna stilografica ad inchiostro blu. Si tratta forse di un foglio estratto da un insieme più ampio che Levinas avrebbe inserito nell’insieme presente, aggiungendovi la fine della frase che comincia sul foglio precedente? I

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Tre sensi di significato Finalità Relazione Segno

}

A questo si oppone il linguaggio come condizione del segno

Conclusione Il significato è una relazione con l’essere. La relazione con l’essere non è possibile che nell’espressione. L’espressione è una manifestazione oltre i segni in cui l’essere stesso assiste alla liberazione dei segni – sblocca quanto i segni nascondono – parla. La parola è l’interpretazione dei segni. Essa è d viene da più in alto dei segni La parola L’espressione L’espressione non è possibile nella sua sostanza che come indirizzantesi ad altri, atto di responsabilità che suscita la responsabilità. L’espressione non è la presenza dell’essere a distanza, ma dell’essere superiore a me. Ogni significato si colloca nella religione.

Concezione teoretica del significato C’è significato – quando il dato dell’esperienza, in se stesso opaco, (che urta il pensatore), si riduce a idee chiare e distinte che, per la loro chiarezza e distinzione, sono a priori. O ancora quando si sostituisce al dato un’idea che entra in un sistema di idee, in una teoria, in una concatenazione di concetti. Passare dal fatto al significato è dunque ritrovare le relazioni che collegano il fatto ad altri fatti. Invece di rimanere nella sua percezione, il fatto rinvia al sistema. Cos’è questo rinvio? Simbolo? Si muove da un dato oggettivo verso il sistema a sua volta oggettivo?

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Il sistema non è dato come il sensibile. Il sistema delle relazioni in cui si gioca il rinvio – tutto intero sul piano oggettivo – è simbolizzato dal sensibile che lo suggerisce. Il sensibile esercita dunque la funzione di simbolo in un altro senso rispetto al rinvio all’interno del sistema: parte dal dato contenuto nella percezione – verso quanto è al di là della percezione e non potrebbe essere contenuto nel percepito. Tale movimento ricollega due piani d’essere. Il sensibile è dunque attraversato non soltanto dalle relazioni oggettive del sistema in cui si dissolve (d’altronde mantenendo sempre un residuo insolubile), ma anche da un’intenzione simbolizzante. Questa intenzione simbolizzante potrebbe anche interpretarsi come mirante il sistema stesso delle relazioni nelle quali il sensibile si dissolve, come se il simbolo fosse qui un modo di rapportarsi all’oggetto. Dire dunque che un dato ha un significato, è non soltanto ricollocarlo in un sistema di relazioni nel quale si dissolve; è ricevere il dato come un modo di accesso a tale sistema di relazioni, senza il quale il sistema non può nemmeno apparire. Non è sostituire un’idea chiara e distinta a un dato sensibile, è conservare nel pensiero questo dato sensibile in quanto segno. Ma il segno ha questo di particolare che non rinvia ad un altro oggetto che si troverebbe dietro il fatto che gioca il ruolo di segno. Il fatto, come dice Husserl, è segno di se medesimoI. La costruzione del sistema sy scientifico da cui il fatto deve ricevere un significato, non è né un mondo dietro al mondo, né il mondo preliminarmente dato o anticipato in rapporto al quale il fatto appare solo come fatto di cui sarebbe il “non ancora” – poiché tale fatto, proprio nella sua resistenza alla razionalizzazione scientifica è inQuanto segue comincia a pagina 4 del doppio foglio su cui è scritta questa nota. Su questa pagina, in alto, Levinas aveva scritto a penna stilografica ad inchiostro nero, poi barrato con penna stilografica ad inchiostro blu (utilizzata per scrivere l’insieme di questa nota): “Chesten dell’Agenzia Separazione di ”. I

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Quaderni di prigionia

dispensabile alla scoperta del mondo scientifico. Anche una fisica divina  – secondo Husserl  – deve ricorrere, contrariamente a ciò che ne pensa Leibniz – alla percezione del mondo hic et nunc. Il significato del fatto – di questo pezzo di legno, di pietra, di questo gas – non viene dunque dal mondo scientifico – che in effetti non potrebbe mai esaurirlo. Eccoci ricondotti, per caratterizzare il significato di un fatto, al mondo della percezione, in cui la presenza del dato sensibile è debordata dal suo significato.

Significato, Segno e Indice Le cose hanno un significato quando si integrano in un sistema di cose e rinviano, di conseguenza, a tale insieme. Il segno è una maniera speciale di rinviare ad altro che a sé – esso indica la presenza dell’assente in quanto assente. Perciò possiamo utilizzare il significato pragmatico delle cose come segno. Il martello serve a martellare e possiede questo significato in un insieme  – fabbrica, officina; ovunque ci siano chiodi da piantare, legno, cuoio ecc. Ma si può scegliere il martello come segno che annuncia la presenza di una fabbrica. In questo senso il segno è indice. Gioca il ruolo di segno già prima di qualunque intenzione di segnalare alcunché da parte di chicchessia. L’indice diviene segno solo in un contesto interpersonale – quando qualcuno ha voluto segnalare qualcosa a qualcun’altro.

Raccolta C

Il problema filosofico della religione: in che consiste il servizio di Dio come condizione della libertà? – Risposta: servizio – subordinazione di una libertà a una libertà – azione sulla libertà che è appello alla libertà. Nessuna libertà senza appello alla libertà. I La vera universalità sono le religioni e non le nazioni – nella discussione di New Delhi l’assurda idea:II le religioni dividono1. III La sovranità dell’io – è colui che dona, che ha pietà – come se lui non facesse pena. {E tutto ciò è ottenuto con la posizione – mostrare questa moralità nella sua materialità.} I limiti di questa Scritto a matita, sul verso di un biglietto di invito (1957). Levinas ha ripassato con penna stilografica ad inchiostro blu le ultime cinque parole e modificato leggermente la frase in questa occasione (cfr. la nota seguente). II “:” in sovrascrittura di “che”. III Foglio strappato da un quaderno scolastico, manoscritto recto verso. Il testo, spesso illeggibile a causa del deterioramento del foglio, è scritto a matita. I

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Quaderni di prigionia

concezione: la mia miseria non trova posto in questo universo. La mia miseria, la mia spossatezza. {In tutta questa concezione non si tratta di rovesciare la relazione – di considerarla come reciproca: l’abdicazione della sovranità dell’io deve compiersi di fronte a Qualcuno. È il posto particolare di un concetto come Dio. Egli dunque non si definisce con l’Essere – ma con qualcosa di più della Personalità – più della sovranità dell’io – Paternità. Detto altrimenti: a fianco ad altri come povero è necessario – altri infinitamente più ricco di {O piuttosto: Altri come ricco – gloria del fuori}. Ma non molto materialmente in potere di donare. È questa la Paternità / l’essere . Ed è questo: alla mediazione del Padre che altri < >I / concezione di è incompleta – perché non ingloba < > relazione con il Padre tsvpII.} Approcci filosofici: Idealismo – tutto si trasforma in contenuto dell’io – Solipsismo. Uscita dal solipsismo: l’io è essenzialmente in rapporto con altri – ma è nella sua essenza. – L’identità stessa dell’io è indipendente da altri. Oppure: l’identità dell’io si situa in rapporto agli altri ma allora l’identità è pensata come specificissima. E questa nozione è sostituita dal posto dell’io in una trama di relazioni. A ciò si oppone l’io in quanto soggetto  – in quanto essente  – in quanto dignità – colui che si fa carico – il farsi carico – ricchezza – il donare. I Una parte importante di questa frase non è più leggibile perché il bordo destro del foglio è strappato in più punti. II Questa aggiunta comincia in basso a sinistra nel recto, si prolunga nel margine inferiore, poi nel margine di destra e infine, così sembra, in quello superiore. Le tre parti dell’aggiunta sono state distinte con dei tratti obliqui. D’alta parte, il deterioramento della carta non permette di sapere dove va a finire la freccia che indica la posizione dell’aggiunta successiva, che si trova in basso a destra: “Rovesciamento del dominio eroico. Non questa nozione. Donare materialmente e miseria materiale. Il ricco – il povero. La dignità della sofferenza morale. E tortura”.

Raccolta C

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Perciò la relazione con altri non ha la struttura astratta della coesistenza – ma il donare. Altri non è per me – l’alter ego – è il povero. La fine della teoria dell’Einfuhlung come una simpatia. O piuttosto la simpatia – è la simpatia con il povero. La Bibbia parla sempre del povero, della vedova e dell’orfano – Queste due ultime nozioni aggiungono all’idea della miseria materiale – la miseria dell’abbandono e dell’afflizione. T.S.V.P. Idolatria  – adorazione di altri senza passare attraverso il Padre. Sguardo limpido di un pieno possesso di sé  – o di una esistenza come slancio – come una spontaneità {come franchezza}. E tuttavia in questa gratuità dell’esistenza – un naso che porta la traccia dalle ali leggermente allargate, dalla punta leggermente all’insù. E poi macchie di rossore, casuali, non al punto di deformare rendere sfigurare come { pelle di alcuni fulvi>   – ma appena come un richiamo che tale pelle è un tessuto che ha ugualmente vita propria a fianco del personaggio, che lo slancio della persona non porta del tutto con sé, che nella sua spontaneità tale slancio nasce in qualcosa di ben più ingenuo di ben più elementare, di ben più ingenuo. Non era affatto qualcosa di brutalmente contrario a simile slancio – come delle labbra troppo spesse o un brufolo sulla pelle di un di spirito creatore {come lo spessore e la grossolanità innata diffuse in }. pelle con le sue macchie porpora il suo naso di forma fiamminga – erano piuttosto questo elemento di purezza, di infantilità, di non ancora formato che comunica alla sua figura quando ascoltava una conferenza gli occhi chiari le labbra appena schiuse – tutta una giovinezza uomo nella sua camicia a letto. E poi un giorno l’ho visto con il suo a . Aveva 31 anni.

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I La differenza tra filosofia e religione è che la filosofia è totalitaria e in cui la parola è impossibile – la religione è l’ordine della parola – o del profetismo, ordine della parola che sentenzia. Il carattere eccezionale del linguaggio rispetto a ogni altra relazione è che i termini in esso sono anteriori alla relazione. II Filosofia la cui ultima parola è 2ʥʬʩʢʤʣʲʸʡ. Comprendere – giubilare nella chiarezza della comprensione – senza poter cambiare niente. III FeconditàIV

Il sapere di questa origine che è l’inconscio si ottiene con l’ascolto: intendere la voce. D’altro canto l’inconscio è essenzialmente fecondità – sessualità (?).

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1957). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1959). IV Indica il tema delle note da 7 a 17. I

II

Raccolta C

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L’Io eroico – unità dell’“io penso” che ingloba la molteplicità del dato nella luce. L’Io crea – ingloba la molteplicità dei suoi figli. Il Io come identificazione attraverso il tempo e io come dis-identificazione = fecondità.

Essere sessuato  – un possibile che è al di là del possibile: né “meno dell’essere” (Aristotele), né “più dell’essere” Heidegger. Essere sessuato – caratterizza la creatura che ha un’origine e, nella sua origine, una sicurezza e al di là della sua fine una fecondità. I Solipsismo – non: io solo esisto ma gli altri sono “stranieri” assolutamente estranei. Homo homini lupus – ostilità senza odio. Non negazione della libertà di altri, ma dominazione di questa libertà. Lotta, lavoro e lotta – Civiltà. II Il figlio non è mai figlio unico. – Dunque: la mia contingenza. Questa non si riferisce al fatto che non ho scelto di nascere. (Questo arbitrio è annullato dall’investitura che mi concede il padre e che annulla la mia vergogna di usurpatore dell’essere.) La mia contingenza dipende dal fatto che non sono il solo investito – che Scritto sul verso di parte di una partecipazione di nozze (1958). Scritto sulla pagina bianca e su quella stampata di parte di una partecipazione di nozze (1958). I

II

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Quaderni di prigionia

mio padre esiste ancora e che è altro da me e non è svuotato dalla mia investitura. Questa investitura, è l’amore del padre per me: non una intenzione a cui corrispondo, ma investitura a cose fatte: amore. In questo amore paterno: l’io non ricade su di sé. Ma non essendo figlio unico – io sono gerworfen. Esiste tutto un universo di cui non sono che una parte. Non sono il tutto. Non sono che uno tra i fratelli. Come superare questa Geworfenheit3? Considerare i fratelli come elemento materiale da vendere e da comprare? O percepire nella fraternità che inizialmente mi oppone agli altri, la fraternità come prossimità, come società? Giustizia. I Essere un altro ed essere ilII tutto. La prima aspirazione risponde alla noia dell’io inchiodato a sé; la seconda al dolore di essere contingente. La società risponde a tale dolore in cui l’io si riconcilia con suo fratello senza i suoi fratelli in una potenza senza limiti e senza perdere il suo io in uno statoIII (panteismo e ritmo). Ma nella società in cui l’io è per l’altro, a partire dal suo io – attraverso la separazione della fraternità – si libera anche del suo ritorno a sé ed è un altro: filialità al di là della fraternità. IV Fecondità e pluralismo Il tempo non è una semplice proiezione, ma l’esistere molteplice stesso. Scritto sul verso di parte di una partecipazione di nozze (1958). Questa nota, così come le due precedenti, sono scritte su parti della stessa partecipazione. II “il” in sovrascrittura di “un”. III “stato” deve essere letto con la maiuscola. IV Scritto sul verso di un biglietto di invito (1957). I

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I Eros – dualità. Sensazione bicefala – in questo senso già il figlio – ma, in realtà, concezione del figlio soltanto. Il figlio come io liberato da sé.

Il rapporto che si compie nella generazione – è quello del tempo stesso. Rapporto con quanto non è – ma rapporto che non ne è la previsione o la conoscenza. Qualcosa che non è riceve l’essere. A partire dal presente verso l’avvenire – il fatto di essere l’altro. La posterità è il modo in cui l’io è l’altro. Eros condizione di questa dualità e del tempo. II L’Io consegnato alla morte che interrompe la sua noia d’essere con sé permettendogli di uscirne; ma la morte come fine dell’essere è un prezzo troppo elevato per sbarazzarsi della noia del ritorno a sé. Il tempo come tempo della fecondità: al di là della morte e con la sua discontinuità sbarazzato dalla noia.

Quanto è essenziale in tutta la teoria della fecondità: l’io definito a partire da essa non è possibile che a partire dall’Altro. I II

Scritto sul verso di una partecipazione di nozze (1957). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1958).

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Quaderni di prigionia

I ApologiaII

La soggettività non è la verità – perché la morte la aliena. Ricorre al giudizio, ma rimane apologia. Il giudizio della storia, non è la verità, perché aliena la soggettività come la morte stessa e La verità è nel giudizio a cui sono presente e che mi conferma, non come offeso ma come capace di vedere le offese degli altri – come l’impossibilità di sottrarsi. III Apologia – posizione stessa dell’Io.

Il sensoIV

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1959). Scritto, una seconda volta, di traverso lungo il margine di sinistra. Indica il tema delle note 19 e 20. III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). IV Scritto, una seconda volta, di traverso lungo il margine di sinistra. Indica il tema delle note da 22 a 32. I

II

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La nozione di maschera – si riferisce al volto. Solo il volto può essere mascherato. Il vestito non è una maschera. La nozione di mascherata. Il vestito si adatta al volto (ɄɅɂɐɍ)I. La violenza per eccellenza – è quella della ragione impersonale. {È l’inumano, distinto dal brutale.} – Ciò prova che la libertà – non è violenza, che si può parlare a una libertà – un discorso prima del discorso (coerente). Il mondo in cui non c’è che discorso coerente – tutto ciò che si dice è mascherata (prefigurazione, simbolismo) – gli uomini recitano un ruolo in un’opera teatrale che in cui si recita tutt’altro rispetto a quanto recitano (destino o ragione oggettiva, impersonale {o inconscio}II) – E tuttavia gli uomini amano l’inumano: la purezza dell’inumano, perché l’inumano è sempre egoista, l’io di Simone Weil {io di 4ʭʲʬʡ} – conflitto permanente tra l’umano e l’inumano: cattolicesimo – protestantesimo. III La parola è rapporto con il volto – E questo significa che prende riceve il suo significato non soltanto a partire dal discorso in generaleIV – ma nell’assoluto di colui a di una relazione irriducibile ad altro da sé – assolutamente resistente ad ogni psico-analisi – Prossimità tra il discorso coerente (oggettivo) e psicoanalisi. Al discorso coerente: oppongo non la soggettività capricciosa – ma l’individuale come assoluto – è questo il volto.

Frase aggiunta a penna a sfera ad inchiostro blu, mentre il resto della pagina è scritto a penna a sfera ad inchiostro violetto. II Aggiunta scritta a penna a sfera ad inchiostro blu (cfr. la nota precedente). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1952). IV Quanto precede è scritto a penna a sfera ad inchiostro violetto, quanto segue a penna a sfera ad inchiostro blu. I

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Quaderni di prigionia

I Essere – è avere un significato e di conseguenza esprimersi: avere un volto. Quanto non ha significato è solo apparenza. II Manifestazione (del sensibile) ed espressione (parola) Il volto non è segno. Il segno annuncia il significato. Nel volto il significato è sempre qui in più rispetto al segno che lo annuncia – assiste al significato del segno – Esso vale a dire risponde – lo sguardo che lo guarda. La manifestazione interpella si riferisce positivamente {a colui che la percepisce} – è esibizionista – vale a dire lo interpella e assiste alla sua . Il significato assiste alla sua manifestazione. Il volto parla. L’espressione si è un modo della parola: vale a dire è assistenza di quello che è significato alla sua manifestazione. In questo senso cosa in sé. Nessun dato sensibile è cosa in sé, ma solo plastico. III Cosa vuol dire: il reale è ragionevole. E. W.IV dice: è strutturato. Ma l’idea di struttura suppone la ragione. Il reale è ragionevole – vuol dire: si può – il giusto conoscerà la felicità {può essere felice}.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1956). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1956). III Scritto sul verso di un biglietto di auguri (1954). IV “E. W.” sono le iniziali di Éric Weil. I

II

Raccolta C

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I Altri – Il suo essere = i suoi averi. Con l’avere il suo essere è tradito.

Altri come țĮș’Į੝IJȩ rende possibile il lavoro – Sospende la relazione con l’individuale come nutrimento. Il lavoro consiste nel darsi del tempo, nel vedere il particolare dall’alto. Questa visione dall’alto è possibile solo attraverso un’esteriorità rispetto a sé, a partire dall’esteriore țĮș’Į੝IJȩ. Il dialogo comunica all’elemento una generalità. Da qui altri ha importanza – permette di uscire dall’egoismo del medesimo. II Tutto il passo in cui mostro che il volto è fonte di ogni significato deve essere scritto in questo modo: è l’esteriorità ad essere condizione del significato; significare = essere esteriore, ma presente. Distinguere: la presenza come immagine – (plastica e senza significato) presenza come esteriorità5

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). Scritto sul retro di una scheda di prestito della Biblioteca dell’Alliance Israélite Universelle. Il 9 novembre 1955, Levinas prende in prestito Diqduq safat ‘ivri (Grammatica della lingua ebraica) di Spinoza. I

II

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Quaderni di prigionia

I Giungo a rovesciare l’ordine. Non è quanto è infinito che è esteriore, ma quanto è esteriore è infinito. L’essere – è rapportarsi all’esteriore. Il rapporto con l’esteriore – il rapporto morale – è la condizione della libertà. La comunicazione degli individui è la fonte della coscienza. II Se il movimento del significato riconducesse a un termine che non rimanda che a se stesso – non si comprenderebbe più il fenomeno stesso del significato e della relazione. Perché la molteplicità è necessaria?

L’idea di compimento, è il fatto che l’essere ha un senso in rapporto a quanto lo ha “preparato”. In questo senso la soggettività stessa è un senso, poiché io domino il mio essere. Il soggetto compie un verbo.

A casa propria/Presso di séIII

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1952). Scritto sul verso di una facciata strappata da un biglietto di invito che è possibile datare 1956. III Scritto di traverso, una seconda volta, lungo il margine di sinistra. Indica il tema della nota successiva. I

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A casa propria/presso di sé: godimento del godimento.

Per il Distinzione del desiderio e della volontà. Il desiderio aspira a qlcs. – ha uno scopo. La volontà – contro una volontà – in un modo o nell’altro tiene conto della volontà avversa.

Il c’è – È il precipitare nell’abisso come lo si conosce nel sogno o nella vertigine – Vertigine – spersonalizzazione. Ridda di punti e non punti di una linea.

La ijbiologica tradizionale è stata quella della crescita e mai della generazione né dell’origine; tempo della vegetazione e della crescita. Quale può essere il rapporto con il nulla, rapporto che non è conoscenza?I

I Nell’angolo inferiore destro di questa pagina, scritta al rovescio a penna a sfera ad inchiostro blu (mentre il resto è scritto con stilografica ad inchiostro nero), una parola, apparentemente di quattro lettere, che non è possibile decifrare.

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Quaderni di prigionia

I Profeta – essenzialmente uno spirito che non è istituzione (i falsi profeti sono precisamente istituzione) – Anche il loro nutrimento “proviene dai corvi”. Samuele che trasporta ovunque la sua casa ed Eliseo che vive di carità. II Il folle e il malato. Il malato va dal medico, dispone di un terreno solido nella sua alienazione. Il folle è condotto dal medico da qualcun altro – coincide con la sua alienazione.

esistere per conto proprio. III La tenuta dell’essere. Il non ancora.

Lavoro che sostituisce la lotta – godimento relativo al lavoro = fatto umano.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). I

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I L’ebbrezza di questa sobrietà. II La mano – avanza senza ricognitore. Libertà pura. Il pensiero – La rappresentazione – è da una parte passività e obbedienza a ciò che si manifesta e dall’altra – iniziativa pura, come preceduta da una rappresentazione. Ma il pensiero avanza come una mano. III Il tema: di tutte le esigenze per Sé – nessuna virtù ricompensata per altri. IV Nessuna ortodossia come semplice ripresa delle credenze trasmesse. Ma nessun liberalismo come libertà dell’ispirazione. Nessuna ispirazione senza conoscenza della tradizioneV.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1956). III Scritto sul verso di una facciata strappata da una partecipazione di nozze (1957). IV Scritto sul verso di una partecipazione di nozze (1957). V Subito dopo questo foglio è presente una lettera – qui non riprodotta – di Léon Poliakov, datata 22 marzo 1959, e accompagnata da un foglio dattilografato che riporta citazioni estratte da La Terre et l’Évolution humaine (1922) di Lucien Febvre. I

II

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Quaderni di prigionia

I Le norme alimentari non hanno niente di magico. ʩʰʩʮʹʠʮʥʧʰʺ ʥʬʫʠʸʹʠʤʩʧʤʤʦ ʤʡʸʹʸʣʮ 6 81 ʯʩʬʥʧsu II Israele – allo stesso tempo l’universale e 7 Dʤʸʦʤʣʥʡʲ Educazione – come definiente l’uomo.

Maieutica Teeteto8 Occorre 1) essere stato fecondo e non esserlo più per essere una donna-saggia (perché queste due condizioni? Mentre assistere una donna che partorisce non ha niente in comune con il partorire?). 2) Compiere aborti dei feti. 3) Intromissione (appartiene alla stessa arte). 4) Esso Ci sarebbe il compito di distinguere il frutto vero dal simulacro – il compito della donna saggia sarebbe stato il più bello. – Quello di Socrate è più importante: i frutti spirituali possono essere simulacri e qui bisogna saper distinguere.

I II

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1957). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1956).

Raccolta C

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2)I Socrate pone domande ma non mette al mondo nessuno (augurio dei demoni) – (Non è mai stato fecondo? ELII). 3) Mezzano (Ironia?). 4) È lui che partorisce – perché i suoi allievi tornano a lui sia perché dopo la separazione non hanno più generato veri figli, sia perché hanno corrotto quelli che . 5) Gli allievi sono furenti quando si loro che i loro figli sono simulacri.

Lo strano sogno sotto le arcate che si moltiplicano e si abbassano per trasformare la strada in una gabbia da cui non si ha la possibilità di tornare indietro. Allora non rimane che morire o risvegliarsi. III La subordinazione di tutti gli scopi ad un fine supremo, ad un valore che esercita da se stesso un’attrazione implica una riflessione totale. Se l’azione fosse ciò – nessuno sarebbe volontariamente cattivo. Aristotele vede la possibilità di una premessa particolare nel sillogismo dell’azione9. L’azione è nell’istante del bisogno – che mira al godimento e non all’essere. IV Non trattare l’uomo come una cosa è, allo stesso tempo, un principio metafisico e morale. Manca il numero 1. Si tratta sicuramente di un errore di distrazione nella numerazione. II “EL” sta sicuramente per Emmanuel Levinas. III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1956). IV Scritto sul verso di un biglietto di invito (1956). I

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Quaderni di prigionia

La domanda retorica? I Non ha alcun senso chiedersi: perché c’è posizione. Questa domanda suppone già la posizione – non c’è causalità prima della posizione. II Il prototipo dell’attività – è il soggetto che esercita il suo dominio sull’essere. Da cui, essere puro = atto puro. E questa equazione, in realtà, non esalta che lo Stato. III Ordine delle idee Metafis – relazione con țĮș’Į੝IJȩ. Relazione con țĮș’Į੝IJȩ– parlare. Parlare non poter uccidere. Alterità negazione.

1) La guerra atomica – totalità “senza rifugio” – porta a compimento l’idea di guerra (già nell’idea di guerra mondiale). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). Scritto sul verso di un biglietto di auguri (1955). III Scritto sul verso di una partecipazione di nozze (1953). I

II

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2) L’escatologia nel senso che le attribuisco, condiziona l’escatologia della religione . I La guerra non è una violenza come un’altra. Distrugge l’intero ordine della morale – è moralmente il disordine puro. Traccia anche un limite alla semplicità della buona volontà e della predicazione installate nell’ordine, anche consentono il sacrificio supremo. Queste non possono intravedere tale limite senza perdere almeno la loro innocenza, senza far sorgere la questione di sapere se in nome della morale occorra rischiare l’ordine stesso in cui la morale trova le sue condizioni (per es. l’esistenza di una patria o di una civiltà in cui la morale nasce e fiorisce), se non occorra, al contrario, fare del male al male (per es. limitare la libertà e il diritto di quanti approfittano della libertà per soffocarla che non vorrebbe dire attaccarsi al Bene incondizionatamente; o infine se l’ipocrisia non sia la sola conciliazione degli attaccamenti ormai antagonisti al Bene e al Vero. II L’ontologia della guerra giunge anche alla pace ma alla pace dell’impero – alla totalità. III Le forme delle cose sostituiscono le cose nei giochi dei bambini: i giocattoli sono cose false anche quando funzionano – sono strappati via dalla finalità. Illusione. E tuttavia le forme è quanto moScritto sul verso in bianco e il recto stampato di un biglietto di invito (1959). Scritto sul verso di una partecipazione di nozze (1959). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). I

II

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Quaderni di prigionia

strano la pittura e la scultura. Tuttavia essaI non è fabbricazione di giocattoli e di illusione. La forma è volto? Un mondo senza pelle? In ogni caso il volto è una forma che apre l’interiore – che permette di accedere. Un mond II Vedere il volto – e donareIII.

Osceno – l’amore come lo fanno gli altri. È morto – questo vuol dire che non sarà mai mio nemico. IV Parole preziose Ostentazione contatto e tangenza Armamentario – ObruptioV Sineddoche battologia Anafilassi intricazione Intervallo impetuosità Sussulto essere catturato, lunghezza d’onda – per accesso Si tratta sicuramente della forma. Scritto lungo i margini del recto stampato di un biglietto di invito (1959). III Si legge anche “volto – donare” obliquamente lungo il margine di sinistra. Questo foglio è stato mal classificato o è fuori posto; indicava sicuramente il tema delle note da 169 a 177. IV Scritto sul verso di un biglietto di invito (1956). V Non si deve leggere piuttosto “abruptio”? I

II

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Allergia L’opera della grazia La fede opera miracoli Operare la salvezza La grazia ha operato nella sua anima Totalità

ļ Religione sinottico

osculazione I La decenza Il pensiero visuale al posto dell’ascolto – è una mistificazione. Ma la maschera = origine del decente. Le relazioni decenti senza il pungolo della vergogna. Esseri che hanno sospeso la loro origine – l’inconscio, l’ineffabile, l’erotico. Apparizione della civiltà. Linguaggio neutralizzato. La neutralizzazione non è contemplazione – e distanza nei confronti degli esseri, ma abbigliamento degli esseri. II Ascoltare (Negatività) Per me la negazione non è la proiezione, ma il modo stesso cui l’io pensa escludendo l’attività – vale a dire ascoltandosi.

I II

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953).

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Quaderni di prigionia

L’Espressione non è un’attualizzazione qualunque L’espressione non si riduce né a un bisogno di comunicare con il pretesto che la mia interiorità è dura da portare, che sono esterioreI a me stesso e non divento sopportabile a me stesso che esteriorizzato – né all’attualizzazione delle mie potenzialità, al passaggio dalla potenza all’atto, essendo la mia interiorità compresa come germe da schiudersi.

LinguaggioII

Contadino  – esistenza condizionata, ma condizione contemporanea del condizionato = terra. Operaio – merce – denaro – l’Altro.

La {volontà} non è Entschlossenheit10, ma bontà.

Forse bisogna leggere “interiore”? Indica senza dubbio il tema delle note che sono state erroneamente classificate o sono fuori posto. Può trattarsi in particolare delle note 92, 163, 181, 227 e 239. III “verità?” in sovrascrittura di “volontà”. I

II

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Nell’arte di Blanchot la realtà diviene veramente fantomatica mentre nel romanticismo i fantasmi appaiono in un mondo dai contorni reali. Influenza dei “Misteri” di Hamsun, del “Ritratto” di Gogol, “Nevski prospect”? La realtà si srotola come un sogno. La fluidità delle cose e dello spazio. Le parole e i gesti colpiscono, ma non per quanto in essi è sorprendente. I È in una filosofia che parte lavoro e dalle necessità della vita materiale che c’è completo accordo con sé – una sintesi di tutto. Dire che tutta la mia vita spirituale risulta dal lavoro e dalla mia esistenza materiale – è evitare il dualismo degli spiritualisti che tengono conto della materia – ipocrisia. Solo il socialista è interamente d’accordo con la sua vita, con il suo pensiero. Rimarcare l’importanza del lavoro in tutte le tesi sull’ e le prospettive socialiste. Non porre l’equivalenza tra istante e io. L’io istante + speranza per l’istante. Sottolineare nella prima parte: essere che si associa all’avere – fatalità del c’èII. Richiamare per io – sé – Molière, L’Avaro.

Foglio strappato da un quaderno scolastico, manoscritto recto. Probabilmente si tratta della prima parte di Dall’esistenza all’esistente, che in effetti sottolinea questo punto. L’opera è stata scritta in parte durante la guerra ed è apparsa nel 1947, e questo permette di datare approssimativamente il foglio. I

II

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La trascendenza  – relazione della creatura al Creatore, non è temporale, perché la storia è sempre immanente al soggetto anche quando deborda i ricordi; ripresa del passato nella ripetizione, contemplazione ammirata del mito o dell’eroe è alla mia portata. Il soggetto = possibilità di adattare alla propria portata = visione. È la trascendenza del Discorso in cui il Creatore non è ripreso, ma rimane al di fuori della ripresa perché sempre parla. Relazione con il Creatore – fine del soggettivismo. L’Io creato = non è più Soggetto. Ascolto – non è una modalità della visione. I Origine – creazione L’io della visione – è fuori. Ma è in un luogo e, di conseguenza, condizionato. La visione non è all’origine. Creatore – origine incondizionata. Se l’io è creatura, il Creatore può essere Io? Quale rapporto tra creatura e Creatore? Se il Creatore è nell’Io – panteisticamente – la visione si erige in origine. Quale è il rapporto tra creatura e Creatore, se non sociale, rapporto con un’esteriorità. Il riflesso del Creatore nella creatura io – inII una monade – è panteismo. L’io creato non è una monade.

I II

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1959). “in” in sovrascrittura di “è”.

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Teoria della conoscenza Nessuna opposizione tra concetto ed esperienza, ma tra intendere (tradizione, maestro) e vedere. La luce è maestria, ma non si è mai maestro nella luce silenziosa, possibilità di . L’esperienza deve rapportarsi all’ascolto di un insegnamento (perché il concetto e l’idea sono {già} un’interpretazione visuale dell’ascolto). La pl

La verità scientifica suppone la realtà come architettura. – Cose che si comportano in un certo modo. Il fare – quanto non si trova nell’architettura o è pericoloso se vi si mette mano ignorando come si comportano le cose. Verità = non si deve giocare con il fuoco, pericolo di morte (senso ultimo della riuscita pragmatista). Verità filosofica – nessun pericolo di morte – se non indirettamente: rogo dell’inquisizione.

Il pensiero dell’origine – è la tradizione. Non dico che il contenuto trasmesso sull’origine è la verità sull’origine. La verità sull’origine – la relazione con l’origine = accoglienza di un insegnamento. Verità non è qui adaequatio rei ac intellectus – ma tradizione. Verità = simultaneità. Si sbarazzaI della verità = svelamento.

I

Bisogna sicuramente leggere “sbarazzarsi”.

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Lo svelamento, la scopertaI deve apparire all’estremità di un evento più profondo. II Simultaneità = verità = insegnamento. Il maestro ha ricevuto da un maestro al di là del ricordo e tuttavia il ricevuto è presente con il maestro. Simultaneità del successivo. Il pensiero dell’origine – la relazione con l’origine, è l’accoglienza della tradizione, dell’insegnamento. Non è a partire dal presente che mi progetto (protestantesimo), ma a partire dal maestro che è a modo suo e anche per eccellenza presente. III Simultaneità e verità Simultaneità = trionfo riportato sulla fatalità dell’istante – una trascendenza nell’istante stesso. Contemporaneo a se stesso – l’istante è compimento di sé: io. Ma se la simultaneità dipende dalla tradizione  – dalla presenza dell’altro – l’io non è possibile che attraverso l’altro. Non è mai solo. Quale Altro? Maestro – Dio.

Le ultime quattro lettere della parola come tutto ciò che segue è scritto a penna stilografica ad inchiostro nero; quanto precede è scritto a penna stilografica ad inchiostro blu. II Scritto sul verso di un biglietto di invito (1960). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1960). I

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Simultaneità e tempo Simultaneità = non essere fuori del tempo – ma superare la nonsovranità della creatura (volere e preghiera). L’istante presente è suscettibile di contemporaneità. Due aspetti Due aspetti: il fatto che un istante di suprema individuazione può celare un evento di contemporaneità, è dominio del tempo da parte del pensiero e suppone un essere non creato. Se il fatto principale è inconscio – l’ineffabile – cosa può significare il porsi al di fuori? Bisogna rovesciare i termini: non è l’esteriorità che è condizione della simultaneità, ma la simultaneità condizione dell’esteriorità. La simultaneità fonda l’accordo e non l’accordo la simultaneità. I Il primo dato della coscienza non è l’esteriorità in rapporto al tempo, ma la simultaneità. Rimane sempre da mostrare in cosa la simultaneità della narrazione fonda la simultaneità del noi.

La simultaneità della narrazione – suppone 1) sia l’esteriorità in rapporto al tempo 2) sia la permanenza attraverso il tempo che è ancora dell’esteriorità 3) sia la continuità del tempo Storia heideggeriana?

I Le tre note che seguono sono state redatte su tre schede di prestito della Biblioteca dell’Alliance Israélite Universelle. Il 20 maggio 1955, Levinas prende

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Il modo in cui il successivo può essere simultaneo senza che lo si agganci a un infinito, a un perfetto. I Simultaneità – In essa un sapore di assoluto. Ogni negazione della verità è impossibile perché afferma una verità – da cui il privilegio della vita intellettuale e della ragione. Anti-intellettualismo, ritorna come intellettualismo. Enunciare una verità nel tempo, è porsi al fuori del tempo. Auto-divinizzazione – anticreazionismo – ateismo. Anti-intellettualismo = invischiato nel tempo, incapacità di una di cogliere la simultaneità del successivo. Ma la coscienza, senza porsi fuori del tempo, non può rendere simultaneo il successivo? Narrandolo. Con la narrazione. Essere cosciente = è l’affabulazione della successione. Il reale = “narrazione”. II La narrazione suppone creazione e parola. La verità e il suo assoluto dedotto non dal potere, ma dalla Creazione (?) e soprattutto dalla rivelazione: intendere la narrazione. Simultaneità = coincidenza con sé = verità in prestito il Trattato Kiddushin del Talmud babilonese; lo stesso trattato, in traduzione tedesca; e le Halakot Rav Alpas. I Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). II Scritto su alcune pagine di un biglietto di invito (datato 1954) composto da tre parti ripiegantesi una sull’altra e che Levinas ha piegato una volta in più, in maniera tale che l’insieme forma sei fogli.

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Altra maniera invece della narrazione: desiderio (bisogno); fame; sete. Sa sempre cosa vuole, niente lo maschera. Nel desiderio – nella sua sincerità, io sono contemporaneo a me. Sincerità? E l’inconscio? Dietro la sincerità del desiderio e della sua verità: creazione e fecondità Dal bisogno – si può passare alla simultaneità della civiltà, e solo da qui alla nozione di verità. La simultaneità – implica il donare. Essere insieme – donarsi (e non coesistenza formale, per un terzo). Donare come condizione dell’avvenire. Sessualità fecondità Giustizia come completamento dell’umanità e della creazione. Al di sopra della carità. Essa mi include. I La parola profetica – la rottura con la sua condizione, il contenuto detto sottratto ad ogni psicoanalisi, ad ogni condizione sociale, ad ogni posizione specifica. II La relazione della parola – quella che fa uscire dall’ordine dell’incarnazione; ogni atto si svolge in un corpo e va sulla materia. Nella parola – che parte da un corpo – si rivela un’idea separata dalla sua incarnazione. La parola in questo senso è principio dell’astrazione. La parola è dunque il vero modo di rivelarsi per Dio. L’incarnazione è agli antipodi della rivelazione. I II

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1956). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1958).

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L’uomo ebreo – è colui che sa parlare a Dio al pari di quegli uomini che sanno parlare alle donne.

La maieutica stessa che non insegna niente ha come fine assicurare il passaggio dalla proposizione solitaria fissata su qualcosa all’interrogazione di chi sta di fronte. Essa è dunque insegnante – fa uscire dalla retorica verso l’esperienza per eccellenza – quella del Maestro. Insegna l’insegnamento. I La predominanza della legge orale sulla legge scritta – è la preminenza della società interpersonale sull’istituzione.

La musica come ciò che eternizza gli istanti – permettendo loro di essere per se stessi – che sospende il tempo, che marca le epoche – che solennizza. Solenne = eternizzato.

Rapporto tra la parola e la metafisica. La parola è essenzialmente metafora – porta l’essere al di là di se stesso.

I

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955).

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Cfr. meta nostalgia I Distinzione tra lavoro e comandamento. Parlare, non è lavorare poiché qui l’atto si rivolge alla resistenza assoluta. Colui il cui “lavoro” consiste nel comandare ha una dignità superiore perché il suo atto è più compiutamente atto. II L’evento del linguaggio Hegel: parlare, è mettersi d’accordo con l’altro sul terreno dell’universale. L’individualità è superata nel pensiero universale che si rivolge non importa a chi perché è universale. L’interlocutore e me stesso, è quanto si deve superare. Maieutica: affrancarsi da sé. Blanchot: Il linguaggio si situa prima del rapporto con altri  – in una estraneità di sé con sé. Io: Il linguaggio – è l’Ansprächen – l’invocazione. Il riconoscimento di altri come tale – L’insegnamento che non è maieutica. III Intenzionalità non è ricerca di luceIV

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1959). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1959). IV Indica il tema delle successive note da 94 a 97. I

II

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I La polarità di ogni intenzionalità. Anche affettiva o attiva. Dio nel fuori della polarità. Kant ha reso possibile l’idea di una coscienza senza polarità, mostrando una coscienza che costituisce l’oggettività dell’oggetto, attraverso la sintesiII. III L’intenzionalità che non va verso la luce.

Tutta l’opposizione ad Heidegger dipende solo dalla contestazione del primato della verità = il fondo di ogni relazione non è rivelazione. Quanto dice Heidegger: che anche la tecnica è una modalità di mettere in luce, che tutto si interpreta come disvelamento – è questo che si deve mettere in dubbio. Condurre le analisi come senza cercare nell’intenzionalità una ricerca di luce.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1959). “La polarità” come pure “Dio nel fuori della polarità” sono scritte a penna a sfera ad inchiostro blu. Il resto, scritto in caratteri più piccoli, è a penna stilografica ad inchiostro nero. III Scritto sul verso di una scheda di prestito della Biblioteca dell’Alliance Israélite Universelle. Il 3 giugno 1959, Levinas ha preso in prestito Der Schulchan-Aruch, curato da D. Hoffmann. I

II

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I Il tema generale: il rapporto tra essenti precede la verità che è fondamentalmente impersonale e in rapporto alla quale le persone sono delle ombre. Realmente rispetto della persona, dietro la quale non c’è niente. Teoria: perché le persone devono risalire dalla verità ai rapporti di giustizia. II Filosofia e religioneIII IV Bisogna fare pulizia per fare pulizia – bisogna essere volontà per costituirsi una volontà – È esattamente il livello della volontà opposta alla causa sui. V “Quanto distingue prima di ogni altra cosa la razza umana da quella animale, è proprio il fatto che l’uomo ha la facoltà e il potere di sfruttare l’uomo. Certamente e felicemente, l’uomo la-

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1959). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1959). III Si legge anche “filo. e religione” di traverso lungo il margine di sinistra. Tema delle note successive, dalla 101 alla 107 (ad eccezione delle note 99 e 100, che probabilmente sono erroneamente classificate). IV Scritto sul verso di una partecipazione di nozze (1949). V Scritto sulla facciata bianca e su quella stampata di una partecipazione di promessa di matrimonio (1953). I

II

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vora il suo simile come lavora la terra. Ci sfruttiamo tutti gli uni gli altri; la natura stessa ci sfrutta e noi sfruttiamo la natura.” Salvador, Paris, Rome, Jérusalem, Tome II, p. 270/7111. Successivamente stabilisce la differenza tra sfruttamento fecondo e sfruttamento sterile. La cosa è più seria. Solo l’uomo sfrutta l’uomo – non si tratt Ciò che è vero è che l’umano comincia con questa possibilità – In che consiste questa possibilità? Non soltanto nell’utilizzazione di uno strumento. Presenza di fronte ad un assoluto non eroico, capace di emozione (volontà non eroica). Volontà non eroica: emozione opposta a causa sui: legame con in lotta con l’emozione – corruttibile e non mortale (o corruttibile perché mortale?). I Da mostrare come la nozione religiosa (cristiana) di Dio è necessariamente mitica e idolatrica. Dio e idolo coincidono.

La sostituzione di Dio all’essere in generale nella metafisica aristotelica non è il trionfo della metafisica sull’ontologia – interrogazione dietro la tematizzazione. II Posteriorità dell’ontologia Chi è colui a cui si può porre una domanda. Il volto e altri sono dunque implicati nella natura stessa della domanda e non dal Sein neutro che diviene se-dicente Essente uniI II

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). Scritto sul verso di uno stampato probabilmente datato 1956.

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camente ragione di una certa piega del disvelamento. Ogni manifestazione risponde alla domanda cosa è ma ha già rispo colui a cui si pone la domanda si è già presentato. Il chi altrettanto fondamentale del che.

Il solo contenuto della rivelazione, è la rivelazione stessa: la presenza dell’Altro. I L’ateismo si oppone all’idolatria – non è l’antitesi ma la condizione della religione. II Il c’è impedisce il dominio da parte dell’atto. È la ragione per cui la filosofia è il solo punto di vista assoluto. Non c’è dominio assoluto – La religione soltanto lo conferisce. E la filosofia nel . III Quanto non può manifestarsi ad Altri umano ma ha per me un’importanza notevole Vita religiosa.

Scritto sul verso di un biglietto di auguri (1955). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1960). I

II

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I AllergiaII III La violenza – quando si agisce come se si fosse soli? Non occorre un altro – e un altro che è libertà. La violenza suppone la dualità. Essere solo – né libero, né non libero. Ma la violenza suppone una volontà non eroica  – Volontà non eroica costituita dal possesso.

L’uomo è Dio per l’uomo. IV Éric Weil: Non c’è libertà finché c’è un altro che la limita. Io: Non c’è libertà finché c’è un’altra libertà attraverso la rispetto alla quale sono libero. Ma altro come volto e come terzo.

Leggi I, 626a Clinia

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1958). Indica il tema delle note da 109 a 114. “Allergia”, nel pensiero di Levinas, significa la violenza, la guerra, alle quali si oppone la relazione etica con l’alterità. III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). IV Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). I

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“C’è sempre la guerra per tutti gli Stati contro gli Stati, uno stato di guerra, seppur non dichiarato dal messaggero!” “Nessun’altra cosa, né ricchezze, né occupazioni, è di alcuna utilità, a meno che non si sia prevalso in guerra…”, 626b12. I La limitazione e l’opposizione logica potrebbero essere identificate con la violenza solo se il termine che è limitato non rientra nella sua definizione, di conseguenza deborda il suo concetto – è identico altrimenti che attraverso il suo concetto. Un essere che rientra nella sua definizione è proprio colui che è attraverso la sua definizione e si integra nella totalità (modo d’essere che è possibile chiamare partecipazione). II Clinia “Nella vita pubblica, ogni uomo è un nemico per gli altri e... nella vita privata, ognuno è nemico a se stesso”, 626 d13. III TempoIV

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1960). IV Indica il tema delle note da 116 a 118. I

II

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I Così il tempo – è il fatto che ogni {istante} è ancora prima (non ancora l’essenziale) – che ogni istante è intenzione di un compimento – che ogni essere è godimento che è esso stesso ancora un primaII. Di conseguenza il tempo vissuto come “prima”  – 14ʸʥʣʦʥʸʴ – è un’individuazione, un’ipseificazione: la permanenza nel cuore del cambiamento – si tratta sempre dello stesso – è lo stesso buon-uomo per il quale l’istante passato non è passato, non è sprofondato nell’indifferenza. Dio qui è dato nel sentimento che si è prima – che c’è la Trascendenza che si è in società – che si è attraverso la totalità dell’essere –

Il rapporto degli istanti del tempo tra di loro – deve essere piuttosto intimo per sperare non una “compensazione” per il presente, – che non è possibile perché come può una lacrima essere dimenticata, anche se cancellata? –, ma una riparazione del presente stesso: è questo il carattere provvisorio della vita di quaggiù: il presente vissuto come non terminato senza l’avvenire. Il presente non è ancora l’essere. La fede è così un’esperienza del tempo e non semplicemente una speranza. O piuttosto è una speranza per il presente. III Il tempo è condizione di coscienza proprio perché scompone l’essere in due atti – Il primo atto che non è ancora interamente esse-

I Scritto sulla facciata bianca e su quella stampata di un biglietto di invito (1955). II Questo paragrafo è barrato con una croce di sant’Andrea. III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955).

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reI – la struttura del tempo – ciò attraverso cui è fede – è che siamo sempre nel ʸʥʣʦʥʸʴ (anteriorità). Ma da qui inoltre il tempo è condizione della coscienza come godimento – da qui c’è il “surplus d’essere” che è felicità.

SeparazioneII III La separazione? Dopo la guerra 1939-45, andare in vacanza.

‫ ַעמִּי לְאַ ְכזָר ַכּי ְ ֵענִים ַבּ ִמּ ְדבָּר‬-‫ ַתּנִּין ָחלְצוּ שַׁ ד הֵינִיקוּ גוּרֵיהֶן בַּת‬-‫גַם‬ ‫ ג‬,‫איכה ד‬ ‫ אף על פי שאכזרי הוא חלצו שד כשרואה את בנו בא מרחוק רעב חולץ‬: ‫רשי‬ ecc. ‫שיש לו כיסוי על דדיו ומוציאו מתוכו‬- ‫שדיו מתוך נרתיקו‬ ‫ רואים את בניהם צועקים ללחם ואין פורש להם שחייהם‬- ‫בת עמי לאכזר‬ 15 : ‫קודמים להם לחיי בניהם מחמת הרעב‬

IV CaseV

Quanto precede e occupa solo le prime quattro righe del foglio manoscritto è barrato con una croce di sant’Andrea. II Indica il tema della nota successiva. III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1959). IV Scritto sul verso di un biglietto di invito (1956). V Indica il tema della nota successiva. I

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I Abitare in una città  – passare dall’abitazione nella natura a una presenza in uno spazio geometrico. La città e il deserto – mettono a nudo l’uomo?

EconomiaII III L’attività economica non è il piano preliminare al di sopra del quale si gioca l’attività spirituale – il rapporto economico è già il rapporto spirituale perché altri è in rapporto con me, si volta verso di me come miserabile, come sfruttabile. IV Economia – struttura della creazione L’io non è né soggetto, né amore attraverso i quali tenderebbe all’essere. Il dialogo non riassume la società – perché non include il terzo. La condizione di un io nel mondo non si definisce né con la sua struttura di soggetto – che pensa il mondo come oggetto – né con la sua struttura d’essere che ama scegliendo un essere ma dimenticando gli altri. L’io si definisce con la giustizia. Il rapporto tra uomini – non va da me a te, ma passa attraverso di essi. Il rapporto con loro, non è posScritto su una parte di una partecipazione di nozze (1959). Indica il tema delle note 124 e 125. III Scritto sul verso di una fattura medica (1950). IV Scritto sul verso di un biglietto di invito (1958). I

II

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sibile che attraverso la relazioni economiche – attraverso le quali gli uomini costituiscono una totalità – e attraverso la quale il vero rapporto di me con te – che è riconoscimento ma anche comandamento di servire – diviene possibile. L’uomo non affronta un altro di faccia che per un’opera. In questo senso l’io – libertà infinita – si riferisce già a del pre-esistente, è creatura: l’essere non è trasparente all’Io che, in quanto Io è tuttavia libero.

Il presenteI

Riscatto della luce: solitudine – ritorno dell’io a sé.

Il presente è soddisfazione. Non che tutto sia soddisfacente in questa presenza e nel presente della rappresentazione. Ma il bisogno e la sofferenza  – nella mancanza in cui si mantengono – anticipano una pienezza delle cose a venire o da realizzare – un progresso. Il mondo conserva la sua pienezza, anche se ora gli manca qualcosa. Grazie alle nostre pratiche, alle operazioni tecniche, mediche, politiche o religiose le cose suppliscono alle cose. Cose sostengono cose come i tre elefanti che sostengono la terra senza che ci si debba chiedere chi sostiene elefanti. Cose fondano e spiegano cose – la rappresentazione è positivista. È, presso le cose stesse, stranamente indifferente al loro principio, si compiace e si accontenta nell’orizzonte del presente. La rappreI “presente” si legge anche obliquamente lungo il margine sinistro. Indica il tema delle note 127 e 128.

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sentazione è questo compiacimento, questo godimento di cui la soddisfazione è la regola. Rappresentarsi è godere o operare – non è pensare. La rappresentazione non è comprensione, perché essa vuota il presente o immobilizza l’oggetto, con questa mostruosità che è l’implicito. Il passato e l’avvenire non potrebbero apparire in questo che come rappresentazioni dell’avvenire e del passato. Senza attraversare la serie infinita del passato a cui si riferisce tuttavia la mia giornata odierna, io assaporo questa giornata in tutta realtà e mantengo il mio stesso essere a partire dai suoi istanti fuggitivi. Mostrando che l’intelletto può proseguire la sua opera teorica senza rispondere alla Ragione, Kant ha messo in luce l’eterna essenza del realismo empirico che fa a meno di un principio incondizionato.

Nulla e AltriI

Tutta la mia filosofia consiste nel sostituire al nulla, alla negatività, alla nullificazione – l’apparizione di altri.

DesiderioII

Indica il tema della nota successiva. Scritto una seconda volta di traverso lungo il margine destro. Il foglio, che indica il tema di alcune note, è stato senza dubbio classificato erroneamente o è fuori posto. Occorre sicuramente collegarvi le note 136, 137, 139. I

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I Per le api – integrate nel mondo istintivo – tutto ciò che proviene dal nostro mondo è miracolo, perché intraducibile nel loro linguaggio e tuttavia agente. Universalità  – mondo senza miracolo. Il miracolo non ha senso che in un mondo chiuso. Miracolo come traduzione della trascendenza. Ogni trascendenza che marca una limitazione dell’immanenza  – implica miracolo. {La nozione del presente – dato ma non integrato – miracolo o volto.}

L’insegnamento suppone l’idea di infinito in noi – la possibilità per uno spirito di possedere più di quanto può venire da lui. È quanto dice Descartes: Dio ha posto in noi l’idea di infinito. Contro la maieutica. II Il volto – l’umano – è alla base della caricatura. Non c’è caricatura se non dell’umano. Allo stesso modo, la sublimazione suppone il volto.

Il rapporto con l’Infinito in tre direzioni: Essere tutto – Fraternità – Società Uscire da sé – fecondità – Essere all’origine – Creatore – Superare la vergogna di essere

I II

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955).

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Desiderio Il desiderio si dice è un bisogno cosciente del suo scopo oggetto. Occo Ma questa “coscienza del suo oggetto” – non è proprio l’attitudine rispetto a quanto rimane vergine nel desiderio? È la coscienza dello scopo che è l’impossibilità della soddisfazione o piuttosto: l’impossibilità della soddisfazione è coscienza. I I. Il Desiderio è il proprio di un essere completo. L’amore non è potere – né realizzazione del possibile, né potenza contro ciò che mi urta – marche dell’incompleto. II. Il ritorno dell’io a sé – invecchiamento e noia – caratterizza l’essere dei poteri sorti dalla posizione. III. Il Desiderio è Desiderio del Desiderio e, da qui, paternità. IV. L’Io del Desiderio – in quanto Io davanti al Tendere – non è come suscitato dall’Altro. Descrivere l’Io che è prima di tutto io-sé della bontà. V. Come Il volto è fondato nella fecondità? L’Eros suppone Altri. {Il femminile – il volto sintesi del volto e della fecondità.} Ma la moralità può opporsi alla storia solo se può contestare una fine della storia – la fecondità è esigibile nella relazione con l’Altro. II “Ogni passione che, appena gustata, è digerita, non è che mediocre”, Montaigne, 33, (La Pléiade)16.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1957). Scritto sul verso di carta intestata (con il nome di E. Levinas) dell’Association Consistoriale Israélite de Paris (1954). I

II

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I Desiderio  – desiderio dell’Altro  – appello al desiderio dell’Altro – profezia. Profezia – predicazione: impegno d’altri per un terzo (e non per un valore!). Si è almeno tre nella profezia. La parola è preghiera o profezia.

ApologiaII III Non si è liberi che in un mondo in cui si può accusare e giudicare.

La volontà non si definisce per me con l’“essere di sé” – ma come un’apologia – un discorso con altri, che invoca il suo giudizio, ma giustificandosi, né l’elemento “soggettivo” della giustificazione, né l’elemento oggettivo del giudizio potrebbero essere cancellati. Anche chi giudica non è esteriore al giudizio – perché allora non intenderebbe l’apologia – È l’interlocutore – allo stesso tempo infinitamente altro e in relazione.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). Scritto una seconda volta, sottolineato, di traverso lungo il margine di sinistra. Indica il tema delle note 141 e 142. Cfr. supra la nota 18 che indica lo stesso tema e che è scritta, al pari della presente nota, su una facciata strappata da un biglietto d’invito proveniente dall’Unione studenti ebrei di Francia. III Scritto sul verso di un biglietto di auguri (1954). I

II

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Quaderni di prigionia

PluralismoI II La società in quanto istituente l’ordine in cui si conciliano l’essere-un-altro con l’essere-il-tutto, con la separazione dell’io – è l’ordine dell’essere al di là della sfera immobile di Parmenide. III È con il tempo che diviene possibile una relazione tale che l’unione e la separazione dei suoi termini non si riecheggino – e che il pluralismo non sia né una molteplicità di termini isolati, né una molteplicità di parti in un tutto. Il tempo si muove verso la morte, ma si ritira dalla morte che esso differisce. È rifiuto della totalità in cui tuttavia conduce l’essere separato (volontà); rifiuta la totalità in cui conduce l’essere separato attraverso l’avvenire della fecondità.

Scritto e OraleIV

Scritto una seconda volta di traverso lungo il margine di destra. Indica il tema delle note 144 e 145. II Scritto sul verso di una partecipazione di nozze probabilmente datata 1958. III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). IV Scritto una seconda volta e sottolineato, di traverso lungo il margine destro. Indica il tema della nota che segue. I

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I Prima che il suo scopo finale si realizzi, ogni libertà deve oggettivarsi attraverso atti specifici. Ciò è vero anche per il linguaggio che, nella fissità dello scritto, trova il momento indispensabile della sospensione che lo rende libero. Non vogliamo dunque semplicemente insistere sul fatto che, nello scritto, il parlare diviene cosa durevole e accessibile a chiunque, ma su quanto il fatto di divenire una quasi-cosa dipenda dall’evento del linguaggio in quanto esso è proprio un’attività libera. Ecco il rapporto formale tra lo scritto e l’orale.

La morteII

L’utilità è assurda poiché si muore. Non c’è che utilità relativa – per un certo tempo. L’assoluto è l’istante privilegiato – o vita eterna – o quanto è esteriore a me.

La morte è superata in una società militare che pone l’onore al di sopra della vita. Rispetto della persona all’origine della tragedia della morte.

Scritto sul verso di un biglietto d’invito (1954). Si legge anche “Morte” di traverso lungo il margine di sinistra. Indica il tema delle note 149, 150, 153 e 154. Forse le note 151 e 152 sono state erroneamente classificate o sono fuori posto. I

II

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Quaderni di prigionia

La nudità del volto come condizione della nudità della miseria e della nudità oscena. Vedere una persona senza vederla come particolare – non è vedere il suo concetto. – indirizzarsi a lei al di là della sua particolarità e della sua generalità – essere in comune con lei.

Il volto – è l’in sé in mezzo ad altri uomini. È la società in cuiI a fianco dell’io-tu – esiste l’egli. Per questo il volto è parola – parla del terzo uomo – e Parola a… e parola di… qualcosa e di qualcuno. – Esattamente il contrario dell’amore – società a due – silenziosa. La parola per tutti – espressione – insegnamento – II Nella volontà, simultaneità di una fedeltà e di un tradimento: tradimento per l’opera di cui si impadroniranno gli altri, fedeltà a sé nel sentimento di essere incompreso. La mortalità riunisce questa contraddizione – Giunge a compimento con il corpo che si mantiene tra sanità e malattia. III La morte è violenza – ma la sua presa è sempre futura come un solletico interminabile in cui il contatto non è mai continuo e in cui “in cui” in sovrascrittura di “Io”. Scritto sul verso di un biglietto di invito (1957). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1959). I

II

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il soggetto soffoca un riso impossibile, cade in deliquio, vale a dire rientra in sé – perché lo spazio in cui questo riso sarebbe dovuto scoppiare e ripercuotersi si restringe senza che il contatto si riduca ai contatti indifferenti delle parti che si toccano in un tutto. Il solletico è il contatto con un essere lasciato libero e la morte che ci assorbe è anche quella che ci lascia liberi.

InconscioI II Schema Innocenza – peccato – perdono = = Creazione – soggetto – l’Altro.

L’origine dell’idea cosciente – sorpresa – “ciò parla in me”. III L’Io razionalista Io = interiorità della ragione – In me – io ritrovo tutti gli altri.

Scritto una seconda volta di traverso lungo il margine di sinistra. Indica il tema delle note 157, 159 e 160. Forse il foglio è stato erroneamente classificato o è fuori posto. II Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). I

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Quaderni di prigionia

Difficoltà: 1) Come si congiungono pensiero ragionevole e vita individuale. 2) Come rendere conto dell’interiorità della vergogna in cui si pone l’io senza creazione ed in cui egli esclude gli altri e può mentire. I Inconscio Psicologia negativa – freudismo. Ma per Freud la negazione libera un fatto ancora psichico – ancora fenomeno. La libido non è pensata nella sua originalità veritiera (sottostimazione della sessualità). Quanto si cerca negando – l’inconscio. Ma la ricerca resta elucidazione. Non è lasciato nessun posto per il rapporto con la creazione e la rivelazione orale. II Il cogito è scosso nel dall’inconscio – (lo stato Ȍnon è ciò che è) e dall’idea marxista della mistificazione (lo stato Ȍnon è {in sé} ciò che è per sé).

AscoltareIII

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). Scritto sul verso di una fattura medica (1948). III Scritto una seconda volta, di traverso lungo il margine sinistro. Indica il tema delle note 162, 166 e 167 (forse le note da 163 a 165 sono state erroneamente classificate o sono fuori posto). I

II

Raccolta C

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I Intendere – trapassare la propria condizione – risalire ad un passato che è al di là di ogni passato vissuto – verso la creazione.

Il linguaggio matematico stesso si riferisce alle frasi che gli forniscono un luogo. La frase introduce nel reale a partire dal parlante. Differenza tra questa attività e ogni altra attività. Differenza tra dire e sferruzzare.

Visione e contemporaneità Pensiero visivo – posteriorità alla relazione intersoggettiva inizialmente inseparabile dalla relazione con l’origine. Pensiero visivo = esseri contemporanei usciti dalla storia, che hanno la storia solo come oggetto – che vivono nell’illusione dell’eterno. Il contemporaneo è condizione del presente e non inversamente. [Il pensiero visivo è indicato nel pensiero in quanto espressione e gloria]. ??? II? L’io – venire a sé = ricordo. Ma ricordo senza rinvio alla percezione.

I II

Scritto sul verso di una partecipazione di nozze (1959). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1958).

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Quaderni di prigionia

L’Io – non è essere ciò che non si è, ma essere al di fuori della potenza e dell’impotenza = condizione della creatura. Ma perché rinvio al creatore? Senza ciò, Geworfenheit. I Pensare – intendersi – elemento del suono – rottura del mondo solitario: relazione di sé con ciò che in me è prima di me – pensare = sorprendersi. Ciò che in me è prima di me – creazione. Pensiero = struttura della creatura. Pensiero relazione con il passato che non è reminescenza, ma?... preghiera? II Ascolto  – sensazione, ma apprendere opposto a comprendere: la forma non contiene più lo sfondo. E tuttavia la simultaneità del dire, riapre la luminosità. Il suono: coscienza senza dominio, senza assunzione  – rivelazione.

I tre gradi morali: l’innocenza il male che si può riscattare il male che non si può più riscattare – ʭʩʸʧʠʤʺʠʠʩʨʧʮ ʸʡʣʮʡVXʩʹʸ– sulle figlie di Zelofhad – pagina 6 di 17ʺʩʰʲʺ l’uomo la suprema benedizione al di là del Bene. I II

Scritto sul verso di una partecipazione di nozze (1957). Scritto sul verso di una partecipazione di nozze (1956).

Raccolta C

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I Il volto – il noumeno, il țĮș’Į੝IJȩ – si volta verso di me come nudità e miseria e, da qui, si integra nel mondo in rapporto al quale Dio è trascendente (?). Ma la sua apparizione {(dell’Altro che non è Dio)} non è un’apparizione a me – egli non è per me. L’espressione come bontà, è bontà per tutti. Nel Tu che penetra nel mondo si annuncia lui e loro. Il volto ci guarda  – non è come l’oggetto visto da tutto il mondo  – guarda tutto il mondo. Io guardo colui che guarda tutto il mondo. (L’amore, al contrario, è un isolamento {a due}; non il potere dell’uno sull’altro ma oblio dell’universo”II.) L’essenziale del mio pensiero. Il discorso non è impersonale. Riposa sulla bontà. Io parlo a qualcuno. III Ricevere e donare – caratteristiche ontologiche dell’Io, al di fuori della passività e dell’attività. Importanza della Materia. IV Donare = relazione interpersonale per eccellenza.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1960). Mancano le virgolette di apertura. III Scritto sul verso di parte di una partecipazione di nozze (1957). IV Scritto sul verso strappato di un biglietto di invito (1955). I

II

442

Quaderni di prigionia

I La materialità come rovescio dell’avere, condizione del donare  – Condizione dell’io.

Differenza tra io ho e (donato)

tu hai (ricevuto)

II Io = io dono all’altro. La famosa neutralità dello spirito collettivo maschera l’ingiustizia sociale e i doveri in cui l’io si costituisce.

Io = colui che dona = rovesciamento del dominio eroico. Non livellare questa nozione: donare materialmente e nuocere materialmente. Il ricco – il povero. La sofferenza morale sempre dignitosa! Carattere unico della tortura fisica.

La sovranità dell’io – è colui che dona, che ha pietà come se lui non facesse pena.

I II

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955).

Raccolta C

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Essa dipende dalla posizione dell’Io – che esercita il suo essere su se stesso.

Io sono colui che dona – E la mia miseria? Non si tratta di rovesciare la relazione per considerarla come reciproca. Perché io possa esistere anche nella mia miseria – occorre che l’Altro non sia solamente il povero. Occorre Dio. È il posto stesso di tale concetto. Dio non si definisce dunque attraverso l’essere, ma attraverso qlcs. di più della Personalità  – più della Sovranità dell’Io: Colui che può far apparire la miseria del soggetto come colui che dona. I NoiII

Essere il terzo escluso – Tematizzare  – totalizzare  – identificare essere e solido = quanto attraversa la durata. Ma umanamente vivere = non occuparsi d’essereIII. Scritto lungo i margini della pagina stampata di un biglietto di invito (1959). Scritto una seconda volta di traverso lungo il margine di sinistra. Indica il tema delle note da 180 a 183 (la nota 179 è stata senza dubbio erroneamente classificata o è fuori posto). III Quanto precede è stato scritto a penna stilografica ad inchiostro blu, quanto segue a matita. I

II

444

Quaderni di prigionia

Da introdurre nel testo successivamente allo sviluppo sull’analogia dell’essere – il cui termine è cosa – in Aristotele18. I L’idea direttrice: l’Altro non appare nell’amore, ma in società. In società, l’Altro è decente. La decenza, è proprio il discorso e la sua universalità. Non l’universalità dei termini (concetti); ma universalità = discorso a tutti. Il proprio del discorso: mi parla e parla di me; a tutti e di tutti. Ciò di cui si parla = coloro a cui si parla (limite della reificazione attraverso la tematizzazione). Il problema: come introdurre la giustizia come principio impersonale? Legge? Istituzione? II La superiorità dell’Altro in rapporto a me consiste nel mio appello a lui perché mi comandi  – ma anche  – perché mi comandi di comandarlo. Situazione del Noi. Essa si costituisce nel linguaggio che è in questo modo il piano della predicazione. Non c’è azione in favore d’altri, senza che questi si associ ad essa. Senza questo servire altri = commiserazione. L’altruismo è dunque necessariamente il moralizzare . In questo modo si costituisce un piano della morale oggettiva attraverso la parola che sussiste in un’azione che può non cominciare mai. Una morale può essere reale malgrado l’egoismo. Essa non nasce dallo choc degli egoismi come una prudenza, ma dall’accesso dell’uno all’altro, dal saluto dell’uno all’altro.

I II

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1959). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954).

Raccolta C

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I Il Noi che non è relativo  – simultaneità che non è fusione  – è questo il pluralismo. Tale il noi dell’Eros () e il noi della Creazione (Creatore e Creatura).

La verità – non è copia della cosa – né accordo con gli altri – ma l’apertura stessa agli altri. Dominio tra pari. Noi. Essa perde il suo carattere di potere e tuttavia l’assoluto della creazione in lei si afferma con l’Ascolto. Dialogo – nessun pericolo – surplus della verità filosofica, tutte le altre verità sono pericolose. Avere la verità = sostituire eventi a cose le quali appaiono in un movimento verso la Creazione. II Giustificazione della libertàIII

Scritto sul verso di una partecipazione di nozze (1956). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1959). III Scritto una seconda volta, di traverso lungo il margine di sinistra. Indica il tema di alcune note. Questa scheda è stata senza dubbio erroneamente classificata o è fuori posto, perché le note immediatamente successive non affrontano questo tema. I

II

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Quaderni di prigionia

I Può commettere un’ingiustizia solo chi è capace di subirla. II … Solum animal natum est pudoris ac verecundiae particeps appetensque ad societatem animadvertensque in omnibus rebus quas ageret aut diceret, ut ne quid ab eo fieret nisi honeste ac decore. Cicerone, De finibus, IV, 1819. III Simultaneità e coscienza Pensiero = suono Suono – ritorno verso la creazione e rapporto con l’altro che è Dunque Suono = simultaneità e presente. Il linguaggio non si aggiunge al pensiero, ma pensiero = linguaggio. Andando verso l’altro, crea la simultaneità. Degradazione: dal pensiero-linguaggio in linguaggio. Il linguaggio è ciò che nel pensiero-linguaggio (logos) non esprime il pensiero, ma crea la simultaneità, trasforma il tempo in simultaneità. Dalla simultaneità degli interlocutori alla simultaneità della narrazione. Frase = simultaneità.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1954). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). I

II

Raccolta C

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I Creazione e potere In che modo la ricerca filosofica stessa smette di essere visione e potere? In che modo si impadronisce dell’origine senza falsarla? Per questo non si può filosofare da soli. Filosofia come discussione e insegnamento. II Condizione e Creazione Si parte dal cosciente per andare non verso la sua condizione ma verso la sua creazione – Negazione, rovesciamento, paradosso. III Negazione e Creazione La negazione del per sé in Sartre – suppone il nulla. In me suppone la creazione  – un al di qua dell’origine, un’esistenza in altri. IV Rivelazione – qlcs. di dato che non mi sono dato. Non può essere espresso in termini di esperienza che rimane potenza e dominio e che assume nella luce.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). IV Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). I

II

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Quaderni di prigionia

Un passato che non è stato presente. Oppure la parola dell’Altro che è Altri. I Altri attraverso i poteri: schiavo da possedere nemico da vincere collaboratore per un compito comune. II Io e l’Altro Io esclusivo – Arraffa perché è esclusivo. Usurpa prima di uccidere. È ladro prima di essere assassino. III Fenomenologia della vergogna: essere superiore che possiede un’inferiorità – ragione e animalità. Ma la vergogna non si concepisce che se sono responsabile della mia indegnità – Ho vergogna di essere. Non perché la mia esistenza ingiu è ingiustificata e perché non ho potuto decidere la mia nascita.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1958). Scritto sul verso di un foglio stampato (una notifica di cambio di indirizzo) datato 1958. III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1960). I

II

Raccolta C

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Ma, al contrario, perché ho l’aria di averla scelta  – perché ho l’aria di affermare il diritto ai miei bisogni che tuttavia sono la causa della mia vergogna. – Essere creato – supera questa dialettica. I Vergogna Caratteristica di un essere pienamente responsabile  – sovrano, eroico, che ha rinnegato suo padre, esistente. Esistente in quanto creato che vorrebbe nascondere la sua sovranità ingiustificata quando questa è assolutamente separata dall’origine. La vergogna suppone la dualità del sovrano e del creato. Innocenza – essere creato che non ha assunto la responsabilità di esistere.

Avere vergogna – timidezza – essere solo – “non conoscere nessuno”. Tutto ciò suppone la dignità della creatura – una discendenza.

La distanza della teoria si fonda sulla creazione  – la quale non è possibile se non attraverso l’inconscio. Aggrapparsi {ritirarsi nell’} inconscio non è solo assumere una distanza riguardo alle cose, ma anche non compromettersi con il potere: non scegliere il non-potere ma trovarsi al di qua delle cose tra potere e non-potere. E dunque non prendere l’iniziativa del ritorno all’inconscio. Precipitarvi.

I

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1956).

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Quaderni di prigionia

Inconscio e Creazione. Essere profondo = inconscio = (non potere e tuttavia personale) = ritirarsi in sé = riposare in Dio = dormire. Dormire la vera relazione con l’oscuro. Dormire – talmente in sé che non si è più in sé, ma nella sicurezza, in Dio.

Creazione e sessualità L’Io profondo esce da sé sia verso l’origine, verso il Creatore attraverso l’ascolto (ritorno dell’io a sé, ma non identificazione – dualismoI sia verso l’avvenire – sessualità. Essere profondo: creato e sessuato. Essere profondo – inconscio – modo d’essere distinto dal potere e tuttavia personale. Ritirarsi in sé = riposare in Dio = dormire. Dormire la vera relazione con oscuro. II Teoria della verità e Creazione Coscienza  – simultaneità  – evento del tempo  – non più potere e purtuttavia essere soggettività. Cominciare, avere un’origine  – creatura.

“dualismo” in sovrascrittura di “idealismo”. Scritto sul verso di una scheda di prestito della Biblioteca dell’Alliance Israélite Universelle. Il 20 maggio 1955, Levinas prende in prestito il Talmud Babli Kiddushin. Cfr. supra la nota di edizione relativa alla nota 80. I

II

Raccolta C

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Il tragico della libertà La libertà divenuta  – distacco in rapporto all’essere  – diviene scelta arbitraria. La libertà diviene soggettività – arbitrio – ingiustizia – La libertà diviene brigantaggio – 20 ʭʩʨʱʬ. Quanto le occorre non è la sovranità totale ma la giustificazione, l’investitura. Da qui ritorno alla creazione da cui si è staccata. Tale ritorno alla creazione è impossibile alla visione. Ascolto = andare dietro alla sovranità non per acquisirla ma per giustificarla. I CreaturaII III Essere nel mondo – è la separazione di Dio – volontà. Solo l’essere creato può essere volontà – vale a dire essere che doveva opporsi al suo Creatore. IV Egli – quando appare tra due, nella loro intimità.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1959). Scritto una seconda volta di traverso lungo il margine di sinistra. Indica il tema delle note da 203 a 224. III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). IV Scritto sul verso di una partecipazione di nozze (1958). I

II

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Quaderni di prigionia

Creazione e innocenza Creazione – non passività, ma innocenza. Cattiva fede – creatura che nasconde la sua creazione. È mascherata dall’abito, condizione della sua sovranità. Nasconde la nudità della creatura e compone la sua sovranità fittizia.

È impossibile vedersi nella sua creatura ma ci si può intendere. I Gloria della creatura Nel suo riposo e nella sua sicurezza – si inscrive una trascendenza. Basamento nell’essere ostacolo alla potenza. È più dell’“io posso”; in ogni caso la sua condizione. Il limite del potere non dipende dalla gloria che lo supera. Il potere non sconfina sulla condizione – ma noi abbiamo una condizione. – Tale avere > potere. II Creazione e gloria Quanto si oppone alla vergogna d’essere – la gloria = basamento nell’essere. I II

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1958). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1958).

Raccolta C

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L’esistenza ritrosa si rovescia in gloria della Creatura. Dignità della persona che non deve scusarsi della sua esistenza. (Lasciar intravedere il legame tra gloria ed espressione. La trascendenza della gloria – al di fuori.) I Io – sé; creazione fecondità Solo un essere creato può avere la libertà di non essere asservito a sé. 1) Uscire dal tedio dell’identità  – uscita aspirazione insensata di essere l’altro (negazione del potere come principio della coscienza, nella quale sarei rinchiuso). 2) Non essere asservito a sé assumere la propria origine, cosa impossibile. È avere un figlio. Creato come fecondo, l’io è creato libero. Ma perché fecondo? È in quanto creato? Essere creato essere causato, ma aver ricevuto il proprio io (non chiaro, E. LII). III Ipostasi – eroismo – paganesimo – possesso: Io = io ho.

Attraverso la mediazione del Padre che altri può ricevere – perché Dio non è un Io (colui che dona), ma colui che assume il mio essere e il nostro essere – Fraternità.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1958). “E. L.” sicuramente per “Emmanuel Levinas”. III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). I

II

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Quaderni di prigionia

I Dio – colui davanti al quale io sono un tu – Paternità! Altri che non è un povero, ma infinitamente più ricco di me. Detto altrimenti O piuttosto: Altri come ricco – esteriorità, e tuttavia non sollecitatore: Gloria. Non ricco quanto a possesso – non potere di donare (come me) – ma potere di assumere il mio e il nostro essere: paternità. II Contro la storia heideggeriana del mitoIII, dell’immagine plastica e della sua imitazione. La storia, è la storia santa dei maestri e dei padri – insegnamento e fecondità – e non dell’eroe. Nessuna storia politica. IV Senso positivo del movimento verso la condizione Errore della ijtradizionale che ricerca il Creatore come esteriorità: reificazione della condizione. L’interiorizzazione cartesiana di Dio (e di Brunschvicg sostituisce alla causalità di un Dio esteriore, la causalità geometrica dell’idea.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1960). III “del mito” è ripetuto due volte. IV Scritto sul verso di un biglietto di invito (1959). I

II

Raccolta C

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La relazione del figlio con il padre determina positivamente il movimento verso la condizione: suppone tempo – discontinuità – intervallo del frattempo – il surplus del sociale: il Bene al di sopra dell’essere. I CreaturaII – quanto è assolutamente passato e anteriore ad ogni Sinngebung e si giustifica per questo, non richiede una giustificazione attraverso la Sinngebung – Quanto possiede un significato per sé è il volto. Porta l’investitura del Creatore. Il volto è la creatura per eccellenza. III Ritorno alla creazione – Ascolto – Critica Il sapere decide sull’attività e la nascita perché è critico: penetra al di qua della sua condizione, penetra la condizione che sostiene tale penetrazione della condizione critica  – opposizione radicale all’ingenuità, che procede dalla natura. Impossibile come riflessione o come spiegazione che si radica nella natura. Impossibile anche per un’altra ragione: riflessione totale – dove si pone? Ma possibile come ascolto del racconto della creazione. La critica risale alla creazione, dietro di sé. La critica viene nel racconto del Creatore. Il solo movimento capace di voltarsi verso la sua condizione – sapere. Sapere è inizialmente intendimento.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1958). “Creatura” in sovrascrittura di “creazione”. III Le note 216, da 218 a 221, 223 e 224 sono probabilmente scritte su parti di uno stesso foglio che, sul recto, presentava un disegno. I

II

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Quaderni di prigionia

Il fine ontologico della simultaneità SoggettoI – opposto al c’è. Ciò attraverso cui l’ipostasi prende su di sé  – diviene essente, rinnega suo padre e rompe con la creazione. Ma la materialità è il riscatto della coscienza: il tragico del ritorno di me a sé.

Il sapere torna verso la sua condizione – è critico – Il ritorno non è atto, non è potenza. Altrimenti essere creato sarebbe assumere l’atto creatore, ma nella creazione non c’è nessuno per accogliere. Kant ha visto che l’Io non è consapevole di sé, non è visione, non è potenza su di sé – una rivelazione altra rispetto a quella che illumina il potere. Non essere potenza su di sé, non vuol dire essere opposti da sé (paralogismo esistenzialista). Positivamente, è il rapporto irriducibile con la creazione: essere io senza vedersi mentre ci si riferisce a sé = essere creatura. Senza questa relazione – essere con sé – noia [tema a essere con sé = pudore].

L’essere Naturale = l’essere semplicemente nato Essere semplicemente nato, non significa essere cosa – ma agire. 1) L’attività è essenzialmente ingenua. 2) L’attività è potenza. e in questo senso ancora una volta il fatto di un essere nato. Perché avere potenza è aver rinnegato l’origine = essere nato. Aver rinnegato l’origine = non avere che un passato di ricordi. Aver

I

“Soggetto” in sovrascrittura di “Subgetto”.

Raccolta C

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rinnegato il proprio padre = essere adulto, ateo, eroe, coscienza, io, presente. La storia è l’origine di ciò che è nato. La storia heideggeriana – imitazione di un eroe – eredità all’interno della creazione – Crudeltà. Storia, azione, crudeltà.

L’essere creato Contrariamente alla storia in cui si pone l’essere semplicemente nato – relazione con il Creatore attraverso la parola insegnata e non rammemorata o ripresa. Un passato al di là del passato ricordato o ammirato. Una storia al di là della storia – storia senza crudeltà. L’origine della creatura – né nascita, né ricordo, né storia – nessun rinnegamento possibile del Creatore. La relazione non si costruisce con il concetto, perché, come ha visto Platone, ogni concetto è – ricordo.

Relazione Creatura-Creatore Nessun ricordo Traumatismo Traumatismo ricordo che non è che ricordo. Quanto ha forato la coscienza e non è stato assunto da essa.

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Quaderni di prigionia

Violenza assoluta (contro la maieutica). Azione su una passività totale. Questa passività indispensabile al traumatismo, all’insegnamento, alla relazione creatura-Creatore, è l’inconscio? I Essere insegnato – struttura di creatura. Insegnamento  – simultaneità, ma polarizzata, non reversibile, non reciproca insegnante e insegnato.

La relazione Creatura-Creatore non è relazione con un mito Violenza del mito non è il traumatismo del rapporto con il Creatore. Rivelazione senza creazione, senza legame con l’origine. Paganesimo. L’aspetto plastico del mito. La bellezza primo grado dell’orribile (Rilke)21. Mistero del sacro che nessuna luce giunge a superare. Esteriorità – timore: il mondo è pieno di dei. Necessità di chiudersi – culto della vita interiore. Dunque: definizione negativa della creazione: né sapere, né riflessione, {né ricordo} (che sono identificazione di sé), né storia, né mito. Il non potere? Passività assoluta?

La Creazione, cos’è positivamente? Non potere? Passività assoluta? Come pensare la Creazione al di fuori della coppia “passività-attività”? Analisi del potere {Il tragico della scelta} I

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1956).

Raccolta C

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Essere sé = essere nato, poiché essere nato = rinnegare il padre. Essere sé = rinnegare il padre. Questa negazione non è il risultato di una scelta che è l’opera di colui che è già nato. (Paralogismo esistenzialista – la nascita sarebbe violenza, come se la si scegliesse. La violenza è pensabile solo in rapporto a un essere già nato e che ha la scelta.) La negazione della nascita crea soltanto il vuoto della libertà in cui la scelta diviene possibile. Il tragico è che la libertà diviene scelta e soggettività. I Libertà finita?II III La libertà causa sui – non è suggerita dalla libertà della rappresentazione? – o piuttosto libertà dell’azione – Con l’altro nessuna limitazione – ma linguaggio. IV Libertà finita? Non si può dire fino a un certo punto si è liberi. La libertà è finita  – nella misura in cui produce opere, nelle quali è misconosciuta e interpretata in funzione delle altre (non è libertà che interiormente). Questo suppone la possibilità di un mondo in cui è a casa propria – vale a dire interam che tiene interamente nelle sue mani la sua decisione, capace di trincerarsi nell’interiorità di una casa – e tuttavia entra nell’ordine pubblico. – La possibilità di Scritto sul verso di un biglietto di invito (1959). Scritto una seconda volta, di traverso lungo il margine di sinistra, senza punto interrogativo. Indica il tema delle note da 226 a 228. III Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). IV Scritto sul verso di un biglietto di invito (1953). I

II

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Quaderni di prigionia

difendere nella presenza la propria libertà con il linguaggio. Linguaggio come limitazione pacifica. Interlocutore in sé – la volontà è ancora assoluta nella relazione del linguaggio, ma come terzo è vulnerabile, non eroica. I Vergogna – vergogna della propria inferiorità – ma si ha vergogna della propria inferiorità perché si è superiori vergogna del proprio corpo ma si ha vergogna del proprio corpo – perchéII lo si è scelto. Ciò non può unirsi nell’idea di “libertà finita” – ma perché l’io si trova in un ordine in cui c’è giustificazione fuori dell’io e in cui sono ingiustificato da me stesso – in cui sono davanti a un ideale morale – ciò che, dopo me, non è un’esistenza in mezzo a dei valori, ma di fronte ad Altri.

Insegnamento orale – L’obiezione che si muove al pensiero irrazionalista di contraddirsi per il fatto che nega la ragione – vale soltanto se il pensiero è stato separato da colui che lo insegna – vale a dire se lo si è catturato in uno scritto. Lo scritto – è l’assenza del pensatore, è la lettera. Il pensiero è in lotta con la lettera. Per l’appunto tradizione: presenza del maestro che lotta con la lettera. (Auto-didatta – contraddizione in termini) (anche il protestantesimo che parte dalla lettera senza maestro, pensiero auto-didatta). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1957). Quanto precede è scritto a penna stilografica ad inchiostro blu, mentre quanto segue, a partire dalla parola “perché”, è scritto a penna stilografica ad inchiostro nero. I

II

Raccolta C

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Le metafore (magnetismo, fascino personale – pensiero vivente) nascondono l’evento della tradizione: sapere contro la lettera – non separarsi da ciò che si pensa o dice: parlare. Il pensiero forse fuori di sé e potere sulla sua spoglia, non perché si situi nell’ eterno, ma perché è linguaggio, essenzialmente insegnamento. Il cosciente – è ciò che può essere insegnato – essere in due. È per questo che la coscienza è più dell’inconscio e che si che lo si può dire l’inconscio stesso. La coscienza è la contemporaneità dell’istante con se stesso. Così la verità trova in lei un posto: simultaneità = strappo dal flusso.

Verità – simultaneità del successivo. In che senso la tradizione condiziona la simultaneità o inversamente la simultaneità condiziona la tradizione? Cos’è la tradizione? – Pensiero inseparabile da chi pensa = insegnamento orale (invece la separazione tra pensiero e pensatore: scritto) – La tradizione o l’insegnamento orale è la sola possibilità di creare la simultaneità della verità – Vedere lo sviluppo della nozione di tradizione = insegnamento orale = simultaneità = verità in un’altra scheda 22. I Il sapere libresco non è soltanto ciò che non è stato ripensato da se stessi, ma ciò che non è stato insegnato da un maestro. Il maestro più del pensiero e condizione del pensiero. Pensare – è pensare in due (il che non vuol dire dialogare – dislivello!). Necessità d’interpretazione (è Heidegger), ma con un maestro (non è Heidegger.

I

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1960).

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Quaderni di prigionia

I Trascendenza e veritàII III L’essere esteriore che si rivela, vale a dire che insegna – che assiste alla sua presenza – può mentire. Può dissimularsi perché assiste alla sua manifestazione. Lo svelato può essere nascosto, ma non mente, non è presente nella sua assenza.

Verità Senso pragmatico – il suo criterio: vita o morte. Senso razionale – il suo criterio: luce che supera l’orrore del sacro e del c’è. IV Anche per me l’essere è nella sua verità. Ma non nello splendore della manifestazione, piuttosto nella grazia resa a lui da altri, grazia resa con l’azione o con la disposizione verso gli uomini – con la verità detta in questo modo di lui. 

ʪʺʮʠ ʣʩʢʩʤ ʸʴʲ ʪʣʥʩʤ

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1959). Scritto una seconda volta, di traverso lungo il margine di sinistra. Indica il tema delle note successive, sicuramente da 233 a 235. III Scritto sul verso di una parte strappata di una partecipazione di nozze (1955). IV Scritto sul verso di un biglietto di invito (1958). I

II

Raccolta C

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I Anche la libertà del rinnovamento è dell’ordine dello Stesso. La libertà è sempre dell’ordine dello Stesso. È l’Io che interviene. L’assolutamente altro – non è nella libertà. II Simultaneità eIII Coscienza La coscienza si deduce dal linguaggio e dalla simultaneità che esso implica – il fondo del linguaggio è la simultaneità della narrazione. Poter dire una cosa – è creare presente – strappare al tempo – sostituire la narrazione alla realtà. Il presente del linguaggio = presente del pensiero. Narrazione cominciamento della civiltà e della decenza – origine dell’io lucido – e del pensiero visivo. L’esso della narrazione rende possibile l’io del pensiero. IV Io che lotta opposto all’Io che lavora.

L’essenza del linguaggio: Un pensiero ricevuto da fuori –

Scritto sul verso di una parte strappata di una partecipazione di nozze (1958). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). III “e” in sovrascrittura di “della”. IV Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955). I

II

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Quaderni di prigionia

Il fuori è l’essenziale e non l’universalità – nemmeno il fatto che posso comunicarlo a una ragione. (?) I La sostanza di colui che parla dà sostanza a quanto dice. Il p Il pensiero nella parola – esposto direttamente, senza retropensiero.

I

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1955).

Raccolta DI

Si comincia con il denunciare ogni contraddizione come indicante un’evoluzione. È facile. Non è meno facile denunciare ogni traccia di evoluzione come contraddizione o come discordanza. Il pensiero storico non è meno facile del pensiero pateticoII.

Mentre le altre raccolte di note varie sono state trascritte nella loro integralità, la presente è il risultato di una selezione compiuta all’interno di un insieme più significativo di note scritte su biglietti di invito o parti di foglio. Tale insieme comprende tre sottoinsiemi ben distinti: anzitutto una serie di note di corsi di filosofia per le ultime classi di scuola superiore (ad esempio vi si trovano definizioni di nozioni tradizionali come determinismo, giudizio ecc.); in seguito, note per una presentazione della nozione di midrash, scritte su fogli che Levinas ha numerato; infine le venti note qui riportate, per due ragioni: da una parte, a differenza della prima parte dell’insieme, Levinas vi espone la sua filosofia, dall’altra, si tratta – contrariamente alla seconda parte – di note filosofiche che riguardano diversi temi e che non hanno una precisa destinazione, vale a dire “note varie di filosofia in elaborazione” (sui differenti tipi di note distinti da Levinas, cfr. l’Avvertenza all’inizio del volume). II In alto a sinistra di questa pagina (si tratta di parte di un biglietto di invito) compare il numero “17”, che è scritto a penna a sfera ad inchiostro blu (il resto è scritto a penna stilografica ad inchiostro blu) e che indica sicuramente il numero del foglio. Non è stato ritrovato l’insieme a cui presumibilmente apparteneva questa nota che, però, poteva venire letta come nota isolata. I

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Quaderni di prigionia

Mondo – intermediario tra e la fame.

Sonno – notte della notte. Sonno – essere nell’intervallo. I La velocità fa eco all’impazienza – che è il desiderio stesso. Lo strumento – risponde a questa impazienza – promette l’oggetto più velocemente. Superamento permanente delle tecniche attraverso le tecniche – sempre più velocemente! – desiderio! Possedere il mondo – inghiottire il mondo in un istante – sopprimere il tempo. Lo strumento e la tecnica – verso l’istante eterno.

I. La vigilanza dell’insonnia – senza direzione, senza intenzionalità. II. Niente tempo perduto! L’io vuole recuperare tutto. È l’esigenza di questo recupero. III. La fine del mondo, più dell’assenza di mondo. IV. L’ordine = là dove ci si ritrova. V. Il carattere irrimpiazzabile di ogni istante – chi grida vendetta = io. VI. Il tempo di un seno nudo tra due camicie1 – sorprendere la nudità = la fine del mondo, istante limite = scossa sismica tra la notte e il giorno. I Questa nota e la successiva sono redatte ognuna su una parte di foglio cartonato. Le due parti provengono forse dallo stesso foglio.

Raccolta D

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VII. Alzare il tempo (Rabelais)2. VIII. L’io è l’istante nella sua esigenza di salvezza e il tempo compimento di salvezza? Oppure l’“io” sostanza che attraversa gli istanti di cui nessuno è privilegiato ma che dona all’essere il “tempo libero” della compensazione? Seconda ipotesi: Economia.

L’ambiguità corpo proprio corpo estraneo  – è nella malattia che essa è . I La lotta legittima contro le astrazioni serve anche come scusa al pensiero mediocre. Accordare le astrazioni ai fatti è un gesto nobile. Può essere imitato con volgarità dal pensiero più grossolano. Non intendiamo invocare Descartes e le idee chiare per quanti non riconoscono la chiarezza che al . La maggior parte del tempo, si disconoscono tutta la finezza e la sottigliezza necessarie per scoprire il fatto {stesso} nella routine della nostra esperienza quotidiana. Ma l’astrazione non si oppone solo ai fatti, si oppone al concreto. Il concreto non coincide con quanto ci viene incontro e ci colpisce nell’esperienza esteriore. Esso è costituito da un orizzonte presupposto da ogni idea astratta e che nella parola che nomina l’idea è già dimenticato. Un pensiero verbale non è un pensiero che non pensa niente o che si lascia cullare dai suoni proferiti, ma che pensa risultati intellettuali, che li designa. È un pensiero che non procede che attraverso aggettivi e pronomi {non utilizza che pronomi e aggettivi} dimostrativi.

I

Scritto sul verso di una partecipazione di nozze (1957).

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Quaderni di prigionia

I Sisifo – è il mestiere senza l’arte. La finalità dell’arte è al di fuori dell’opera. L’opera stessa senza finalità. II 3ʲʮʹʰʥ ʤʹʲʰ oppure ʺʸʥʱʮʤ ʠʬʠ ʸʷʲʤ ʠʥʤ ʹʸʣʤ ʠʬesprimono la priorità della disposizione sulla categoria. Per rendere possibile questa priorità – il concetto di essere non basta, occorre Dio. La teologia è per eccellenza l’opposto dell’ontologia. Dal momento in cui c’è Dio, è impossibile ritornare su di sé. Così pure esegesi – conoscenza di Dio. Non è il circolo che conta, ma il fatto di accettare il testo.

I valori non si dispongono in una serie dal significato e dal senso unico. In cima alla gerarchia si concepisce una fierezza riguardo alla base – dal momento che la superiorità si conosce come tale. Ma allo stesso modo si concepisce una subordinazione della superiorità messa a servizio dell’inferiorità. La superbia oltrepassata nell’umiltà. Da cui: 1) La morale non si estende in politica. 2) Non c’è gerarchia delle gerarchie.

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1956). Scritto su un biglietto di invito doppio. Levinas ha utilizzato il cartoncino disteso, scrivendo prima sul verso della seconda facciata, poi sul recto della prima. I

II

Raccolta D

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I – Il c’è in se stesso non è temporale. È attraverso l’io che acquisisce un presente. – Insonnia – la tortura del riposo puro e semplice – non possiamo riconciliarci con la base che ci sostiene. Il sonno è il fatto stesso di riposarsi. II Ciò che è interessante in Husserl: allo stesso tempo la verità è nell’autopresentazione ( intuizione del Sachverhalt) e non nella relazione e in questa intuizione unIII ruolo di primo piano è giocato dalla sensibilità. IV Nessuna dogmatica sostiene il testo, perché se ci fosse una dogmatica che lo riassume, il testo diverrebbe inutile. Il giudaismo non ha meno dogmi, ne ha più del cristianesimo.

Il volto è un’astrazione – il volto del primo venuto. (Ma non nella ) Fuori la storia

Scritto sul verso di un biglietto di invito (1957). Scritto sul verso di un biglietto di invito (1961). III “un” in sovrascrittura di “il”. IV Scritto sul verso di un biglietto di invito (1963). I

II

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Quaderni di prigionia

Prima di chiedersi: “chi è” Identificazione prima dell’identità

Laurel e Hardy Per le situazioni catastrofiche – soluzioni domestiche, oggetti comuni: un ago, una scala, un fazzoletto ecc.

Annotato nel 1952 Il ruolo della morale nel 19o s. – La critica 20o. La riabilitazione della morale: Oggettività dell’esperienza morale. Ruolo della storia: ogni struttura inseparabile dal suo modo specifico di essere data (= situazione storica). Ma la morale così pensata – esperienza di strutture e non di essenti. Morale come religione: esperienza dell’individuale in quanto individuale. Annuncia una metafisica in cui il generale si rapporta all’individuale  – appoggiato alla morale come quanto compie l’esteriorità. Io oppongo alla morale come manifestazione di libertà, la morale come possibilità della trascendenza.

Chaplin in Charlot garzone di caffè4. Il cliente terribile. Ma non appena ha chiesto di consumare, Charlot diventa il suo padrone.

Raccolta D

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I Ha suonato il quarto. Di quale ora? II Tutte le cartoline spedite dalle vacanze. Che umanità privatissima – e orribile – devono rivelare.

Heidegger – prolungamento del pensiero greco – Opporgli il giudaismo? Ma il suo pensiero è interamente cristianizzato. Löwith gli oppone il mondo greco {greco}5. Ma Heidegger si considera prolungamento del pensiero greco. Quali che siano i concetti per mezzo dei quali si vorrebbe discutere con Heidegger, questi li denuncerebbe come sprovvisti di pensiero perché ancora non rivisti alla luce del suo pensiero. – Quanto occorre, è un punto di vista nuovo.

Scritto sul verso di parte di una partecipazione di nozze (1958). Scritto sul verso di parte di una partecipazione di nozze (1958). Questa parte apparteneva alla stessa partecipazione su cui è stata scritta la nota precedente. I

II

Quaderno AI

I giocatori di Gogol. Mistificazione – La denuncia della mistificazione è ancora mistificazione. Ma allora a chi denuncia la mistificazione della mistificazione – si può dire: “E tu? chi sei tu?” E qui si è al di fuori della mistificazione perché si è parlato a qualcuno. La realtà non è nel nominativo del contenuto ma nel vocativo dell’interlocutore. Tre gradi: confutazione dello scetticismo, cogito, parola – che si rivolge sempre al di là di tutto ciò che si è a colui che è. Il libro è una cosa – per essere insegnamento occorre che ci sia qualcuno che parla. Altri è dunque la condizione stessa dell’insegnamento. Senza questo il pensiero è solo oggetto. Esso può essere oggetto – ma pensiero – e insegnamto. Altri quanto distingue sapere e storia. Socrate ammette l’assoluto delle idee – ma la sua sottomissione alle leggi ingiuste – aff è l’affermazione di un altro assoluto.

Quaderno di formato 10,5×17 cm di 22 pagine, di cui sono state riempite solo le pagine 1-3 e 7. La pagina 7 contiene una lista di corsi che non vengono riprodotti. Nella parte superiore della copertina, si legge “PAIN”; in basso a destra della copertina: “Mme ”; sono presenti alcune aggiunte sulla terza e sulla quarta di copertina. I

Quaderno BI

II L’infinito non si riduce a un contenuto del conoscente nel senso preciso che non potrebbe definirsi. La relazione con l’infinito è pre La morte come esteriorità totale – l’infinito (cfr. Il Tempo e l’Altro). L’amore – società di due – La sensazione diviene certamenteIII conoscenza –, ma in un mondo in cui c’è altro che la sensazione. L’amico – èIV prima di tutto un confidente.

Note manoscritte scritte su pezzi di carta dello stesso formato (15×19,5 cm) strappati accuratamente, di cui solo una pagina su due  – eccetto un caso  – è scritta. L’insieme, che forma un quaderno non rilegato, comprende sei fogli doppi inseriti uno nell’altro, come pure cinque fogli singoli (quattro sono inseriti nei fogli doppi, il quinto è a parte). La presente trascrizione segue l’ordine delle pagine del quaderno, ma l’indicazione dei fogli permette di far notare il posto di ogni foglio nel quaderno e la sua natura. II Il testo di questa pagina è scritto a penna a sfera ad inchiostro blu, ad eccezione dell’ultima frase scritta a matita. Alcune parole sono state ripassate con una penna stilografica ad inchiostro blu. III Parola ripassata con penna stilografica ad inchiostro blu. IV Il trattino e la parola “è” sono ripassati con penna stilografica ad inchiostro blu. I

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I La nozione di Altro che voglio promuovere non è il Miteinandersein. Per me l’Altro si trova non a fianco della (come associato a) mia opera di verità o di rapporto con l’essere – ma dietro questo essere. È in altri {nel cuore} del rapporto con altri – che percepisco l’essere. II Primato del discorso Comprendere – è dire a qualcuno (ʠʡʤ!ʭʬʥʲʡԻʷʬʧʠʬʯʩʠʣʮʬʬʠʬʣʮʬʹ). È il discorso e non l’intuizione che costituisce l’evento primo dell’intellezione – non a motivo del “contenuto” dell’intellezione, ma a motivo di questa trasmissibilità che non si aggiunge all’intellegibile da fuori, ma che ne fa parte. III Implicazione del metodo Non basta descrivere fenomenologicamente. Bisogna anche dire quale è il significato dialettico della descrizione – ma dire il significato appartiene a sua volta il discorso. IV Assoluto in Kant e l’Assoluto del discorso L’insegnamento della morale kantiana torna a porre l’VAssoluto non davanti al soggetto – come il Mondo delle Idee che si apre al filosofo platonico – come un Donato o un Rivelato, ma a porlo dietro al soggetto. E questo vuol dire come presiedendo l’azione morale. L’Assoluto dietro di me – vuol dire: il rapporto con l’assoluto è un’azione morale. Questo rapporto non è convertibile in conoscen-

Il testo di questa pagina è scritto a penna a sfera ad inchiostro blu. Il testo di questa pagina è scritto a penna a sfera ad inchiostro violetto. III Il testo di questa pagina è scritto a penna a sfera ad inchiostro violetto. IV Il testo di questa pagina è scritto a penna a sfera ad inchiostro violetto. V “l’” in sovrascrittura di “il”. I

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Quaderno B

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za – vale a dire l’Assoluto è AzioneI. L’Incondizionato è Libertà. Ma Libertà è ragione e non un io. AlII contrarioIII se penso {come Kant} che l’InfinitoIV non è un’idea donata o rivelata, ma {pongo l’infinito} come il mio interlocutore. Parlare a qualcuno – vale a dire parlargli e intenderlo – è irriducibile all’azione e alla conoscenza. È precisamente la relazione che intrattengo con l’infinito, senza limitarloV. L’infinito è Tu. L’infinito è società e non universalità impersonale. VI Giustizia e ritmo La giustizia è rapporto di una parte con il Tutto taleVII che la parte non si trova annientata nel tutto (io = oggetto dell’universale), né assorbe il tutto (io = soggetto idealista del mondo), né entra nel tutto dapprima pensato e successivamente pensantemi (ritmo). La parola è la distruzione del ritmo – e la giustizia è la mia presenza nel tutto e contro il tutto – è il modo in cui un essere che parla coesiste con altri esseri che parlano – il tutto della società. Giustizia è più che parola. Nella parola rapporto tra due  – 2 ʺʥʲʩʰʶʡ. La giustizia – rapporto in un tutto. VIII Filosofia della riflessione – e il borghese gentiluomo Non pensiamo forse troppo spesso che il nostro essere borghesi si elevi all’aristocrazia per il semplice fatto che sappiamo quali sono i movimenti di labbra e di lingua che ci permettono di pronunciare “a e ba” e che il nostro comportamento intellettuale spontaneo da “Azione” in sovrascrittura di “dietro di me”. “Al” in sovrascrittura di “”. III “contrario” in sovrascrittura di “anche”. IV “l’Infinito” in sovrascrittura di “l’infinito”. V La prima lettera di questa parola è in sovrascrittura della lettera “d”; sicuramente Levinas aveva pensato in un primo momento a scrivere “delimitarlo”. VI Il testo di questa pagina è scritto a penna a sfera ad inchiostro violetto. VII “tale” [al maschile] in sovrascrittura di “tale” [al femminile]. VIII Il testo di questa pagina è scritto a penna a sfera ad inchiostro violetto. I

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Quaderni di prigionia

quaranta secoli e più si chiama sintesi? Ridurre la filosofia alla riflessione fenomenologica – non è perpetuare la commedia del borghese gentiluomo? I Creazione e finitezza Sicuramente ogni creatura è un’esistenza finita in rapporto all’Infinito del Creatore. Ma ciò per cui la creatura non è la finitezza, è il suo potere di aprire un’altra dimensione che quella in cui si inscrivono le relazioni tra il FinitoII l’Infinito. Il rapporto sociale, per esempio. L’essenziale della creatura deve dunque essere interpretato a partire da queste relazioni nuove di cui la finitezza non è che un accidente o una condizione. La finitezza è trascesa. III La differenza tra il quaggiù e l’aldilà – è che il pensiero di quaggiù non è puro pensiero, vale a dire non è il rapporto con il Trascendente puro. Esso è comprensione, vale a dire appropriazione – vale a dire si basa su una distinzione tra cosa ed elemento – vale a dire è godimento – {vale a dire rimane nel qualitativo estaticamente – trasforma oggetto in soggetto – non tocca la sostanza} vale a dire è economico. Opposizione tra economia e religione. Aldilà – morale – parola. IV Note 1° La concettualizzazione – il fatto di cogliere l’individuo che esiste solo a partire dal generale che solo permette di cogliere – il movimento dal particolare all’universale e dall’universale al particolare – coincide con il passaggio dall’essente all’essere? 2° L’analisi dell’amore deve cominciare nella tenerezza e nel carnale.

Il testo di questa pagina è scritto a penna a sfera ad inchiostro violetto. “Finito” in sovrascrittura di “finito”. III Il testo di questa pagina è scritto a penna a sfera ad inchiostro violetto. IV Il testo di questa pagina è scritto a penna a sfera ad inchiostro violetto. I

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3° Per me, primato dell’esistentivo (in rapporto all’esistenziale)  – ma l’esistentivo considerato come essente e non anzitutto come impegnato nella storia. Che parla il racconto, piuttosto che parlato nel racconto. 4° L’ordine etico non acquista senso che nei conflitti di ordine materiale. I Dialettica del pensiero Il Tutto nel quale io sono è in me. II Metodo Deduzione della visione Come una delle relazioni formali che si impongono immediatamente nel c’è – appare la definizione. Non come un movimento di pensiero che presuppone già la relazione soggetto oggetto e che appare come una modalità di tale rapporto. È la visione stessa che rende possibile la definizione. È lo stesso processo nell’essere: una negazione dell’infinito, una negazione tale che il suo risultato non si afferma che tradendosi. È questo il soggetto che coglie l’oggetto – il cogliere con la mano a partire da un sistema. Il sistema è proprio questa indipendenza e questa evanescenza dell’indipendenza, questo tradimento che si offre all’intelligenza astuziaIII. Il significato dell’oggetto è proprio il fatto che si consegna. Quanto possiede di forte e di resistente si consegna attraverso quanto possiede di rinuncia alla propria individualità – attraverso il suo riferimento all’orizzonte o al concetto.

Il testo di questa pagina è scritto a penna a sfera ad inchiostro violetto. Il testo di questa pagina è scritto a penna stilografica ad inchiostro blu. III Sicuramente si deve intendere l’intelligenza come astuzia. Cfr. infra, foglio doppio 1, p. 4. I

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Quaderni di prigionia

I L’intersoggettività Non esiste concetto dell’io. L’“intersoggettività” non consiste nel cogliere un altro io al di fuori dell’io – ma nel cogliere questo altro io come io. La visione intersoggettiva non è semplicemente la realizzazioneII di un concetto con il pensiero – la sussunzione di un individuo sotto un concetto. L’essenziale dell’intersoggettività : non esiste concetto dell’io. III Per Merleau-Ponty – dire che la coscienza è intersoggettività, è porre come suo evento fondamentale: l’investitore – investito. IV Volto – attitudine positiva nei confronti dell’Infinito. Ogni pensieroV del mondo – distinto dalla percezione – per il fatto che lo coglie a partire dall’infinito – con la definizione – è rapportoVI conVII d’un mondo umano – d’un mondo a partire da un volto. Mondo pensato = mondo umano. La fine dell’anonimato. Che altro può significare mondo umano? In realtà prima che si sia abbordato il mondo sociale e morale. Il pensiero = laVIII morale nella natura. IX Finito – infinito La coscienza come definizione – consiste nel delimitare un oggetto, vale a dire nell’opporlo all’infinito. Quindi si pongono Il testo di questa pagina è scritto a penna a sfera ad inchiostro violetto. “realizzazione” in sovrascrittura di “visione”. III Il testo di questa pagina è scritto a penna a sfera ad inchiostro violetto. IV Il testo di questa pagina è scritto a penna a sfera ad inchiostro violetto. V “pensiero” in sovrascrittura di “visione”. VI “rapporto” in sovrascrittura di “visione”. VII “con” è sicuramente aggiunto. VIII Levinas sembra aver scritto “il” in sovrascrittura di “la”; nell’incertezza, è preferibile non riportare la correzione. IX Il testo di questo foglio è scritto a penna a sfera ad inchiostro violetto. I

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due domande: 1) c’è coscienza prima di questa delimitazione? 2) in che consiste la coscienza dell’infinito? 1) La coscienza prima della delimitazione, indifferenza nei confronti dell’infinito = sensibilità. Non dirigersi sui limiti dell’oggetto. Non avere rapporto con l’oggetto, come oggetto, ma con l’oggetto come qualità. Si è avuto torto a limitarsi alla sensazione come atomo di coscienza; sensazione come elemento, che sostiene, in ultima analisi, la percezione stessa dell’oggetto detto pensato. L’oggetto detto pensato – vale a dire percepito non ha solo il sensibile come contenuto, ma suppone la coscienza sensibile, come coscienza dell’elemento. – Distinzione tra l’oggetto detto pensato, quello della percezione e l’oggetto pensato che suppone la delimitazione in rapporto all’infinito – oggetto scientifico. Rottura tra percezione e scienza? Primato del disvelamento a livello della delimitazione o dell’elemento. 2) La coscienza dell’infinito – rapporto con la persona. Il volto. Le possibilità infinite – non come rivelazioni di un elemento: l’essente è interlocutoriI e non si rivela infinitamente – ma la parola è un infinito: la sua esteriorità e la suaII non-violenza e la sua interpretazione – e la sua sollecitazione al mio rinnovamento. III Il primato dell’ontologia “Prima di conoscere l’essente, bisogna conoscere l’essere.” Truismo? Le ricerche a cui questo dà luogo permettono di scorgere in questa evidenza del senso comune alla moda – un senso meno comune e più antico. Conoscenza dell’essere rende possibile quella dell’essente. Platone per vedere: oggetto e luce. La luce non è vista, ma si vede nella luce. Dunque visione: rapporto con qualcosa nel senso di rapporto con quanto non è qlcs. Apertura heideggeriana.

Occorre sicuramente volgere la parola al singolare. “sua” in sovrascrittura di “suo”. III Il testo di queste due pagine è scritto a penna a sfera ad inchiostro blu. I

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Husserl: vedere un oggetto all’Iorizzonte – in una apertura ostruita dall’opacità dell’oggetto. Cosa = essenzialmte silhouette all’orizzonte. – Per Heidg: intelligenza dell’essente consiste nell’andare al di là dell’essente e nello scorgerlo nell’orizzonte dell’essere. In Husserl l’idea di silhouette è vicina: l’oggetto non è conosciuto che in un adombramento (Abschattung) – Tale orizzonte è qlcs. o niente? Per Heidegger – tale orizzonte non è niente – pura apertura. Per dire cos’è l’ontologia. Raffronto con i Greci: l’oggetto particolare che esiste nonII può essere compreso che lungo l’orizzonte dell’universale – {Intelligenza astuzia} Da cui intelligenza – contrariamente a Berkeley – una mediazione. Astuzia: si impadronisce dell’individuo attraverso la sua debolezza (attraverso quanto questi ha di non individuale). Lotta. Lotta anche nel corpo a corpo cerca il punto in cui il nemico è più debole. Le cose si offrono all’intelligenza violenza e astuzia. III Se per un ebreo la vita in uno Stato moderno poteva divenire un compimento del giudaismo, è perché lo Stato moderno è uno Stato sorto dalla rivoluzione – costituitosi come successore di una rivoluzione e come costruttore di idee rivoluzionarie. Lo Stato moderno è uno Stato rivestito di missione religiosa.

“all’” in sovrascrittura di “nell’”. “non” ripetuto due volte. III Il testo di questa pagina è scritto a penna a sfera ad inchiostro blu. I

II

Note

NOTE AI QUADERNI DI PRIGIONIA Note al Quaderno 1 1

L’espressione significa: come, in quale modo ciò risiede là dentro? Si tratta di un’allusione alla questione con cui Husserl, spiega Levinas in Théorie de l’intuition dans la phénoménologie de Husserl, Vrin, Paris 2001, tr. it. di V. Perego, La teoria dell’intuizione nella fenomenologia di Husserl, Jaca Book, Milano 2002, invita a prendere le distanze dall’ingenuità dell’attitudine naturale che considera l’oggetto trascendente come qualcosa di dato e di esistente, e rimane cieca alle intenzioni della coscienza che lo costituiscono. Citando Idee I di Husserl, Levinas scriveva: “Comprendere la trascendenza significa analizzare le intenzioni degli atti che la costituiscono. Significa vedere a cosa mira la coscienza trascendendosi. Bisogna comprendere ‘il modo d’essere del noema, la maniera in cui esso deve «trovarsi» (wie es liege) nel vissuto e deve essere in esso «dato alla coscienza»’” (pp. 141-142). 2 Si tratta senza dubbio di Bahya Ibn Paquda (XI secolo), che visse in Spagna esercitando le funzioni di giudice. È conosciuto soprattutto per il suo libro I doveri del cuore, ed. it. (che riprende la tr. francese di A. Chouraqui) a c. di G. Ravasi, Paoline, Cinisello Balsamo 1988. In questo libro, Bahya Ibn Paquda insiste sulla vita interiore e sull’amore che la anima nella ricerca di Dio. 3 Levinas ha consacrato a Lévy-Bruhl un articolo a cui si può, qui, rinviare: “Lévy-Bruhl e la filosofia contemporanea”, Revue Philosophique de la France et de l’Étranger, n. 4, ottobre-dicembre 1957, pp. 556-569 (ripreso in Entre nous. Essais sur le penser-à-l’autre, Grasset, Paris 1991, tr. it. di E. Baccarini, Tra noi. Saggi sul pensare-all’altro, Jaca Book, Milano 2002, pp. 69-83). 4 Levinas si riferisce qui alla nozione di partecipazione in Lévy-Bruhl.

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Quaderni di prigionia

5

Titolo del celebre romanzo di Ivan Gonþarov. “Shabbat”. 7 Franz Cumont, Les Religions orientales dans le paganisme romain. Conférences faites au Collège de France en 1905 [1906], 4a edizione rivista, illustrata e annotata, Libr. P. Geuthner, Paris 1929. 8 Alfred Loisy, Les Mystères païens et le mystère chrétien, E. Nourry, Paris 1919. 6

Note al Quaderno 2 1

Sulle indicazioni di tempo e di luogo, cfr. supra la Nota sui Quaderni di prigionia. 2 Henri de Régnier, Le Miroir des heures, 1906-1910, Mercure de France, Paris 1910, p. 18. 3 Espressione husserliana che interroga l’intenzionalità della coscienza: “Dove intende giungere?”. Levinas ha commentato più volte questa espressione: cfr. La teoria dell’intuizione nella fenomenologia di Husserl, cit., p. 139 e Altérité et transcendance, Fata Morgana, Montpellier 1995, tr. it. di S. Regazzoni, Alterità e trascendenza, il melangolo, Genova 2006, p. 29. Occorre accostare questo frammento a quello che si trova all’inizio del Quaderno 1, che evoca un’altra formula husserliana – “wie liegt es drin” – che, allo stesso modo, si propone di portare alla luce l’intenzionalità della coscienza (cfr. Quaderno 1, p. 1, e nota 1). 4 J. Racine, Phèdre, atto IV, scena VI, vv. 1275-1278, tr. it. di R. Carifi, Fedra, Feltrinelli, Milano 2008, p. 99. 5 J. Racine, Fedra, atto IV, scena VI, vv. 1238-1242, tr. it. cit., p. 97. 6 J. Racine, Fedra, atto IV, scena VI, vv. 1252-1256, tr. it. cit., p. 97. 7 Cfr. L. Ariosto, Orlando furioso, canto XI, strofe 22 ss. 8 Cfr. L. Ariosto, Orlando furioso, canto III, strofa 19. 9 Cfr. L. Ariosto, Orlando furioso, canto XIII, strofe 49-50. 10 Cfr. L. Ariosto, Orlando furioso, canto XV, strofa 13. 11 Cfr. E. Poe, Deux contes, trad. M.-D. Calvocoressi, in Mercure de France, n. 328, t. LXXXIX, 16 febbraio 1911, pp. 787-811. 12 Levinas cita la seguente edizione: Ariosto, Roland furieux, t. IV, trad. fr. F. Reynard, A. Lemertre, Paris 1880, pp. 77-78. 13 Nozione sviluppata da Heidegger in Essere e Tempo, § 29. “Heidegger dà il nome di Geworfenheit al fatto di essere gettato e di dibattersi in mezzo alle proprie possibilità e di esservi abbandonato. Noi lo tradurremo con il termine ‘derelizione’”: E. Levinas, “Martin Heidegger e l’ontologia”, articolo apparso nel

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1921 nella Revue philosophique, ripreso in En découvrant l’existence avec Husserl et Heidegger, Vrin, Paris 1949, tr. it. di F. Sossi, Scoprire l’esistenza con Husserl e Heidegger, Raffaello Cortina, Milano 1998, p. 78. 14 Levinas si riferisce a L’Alternative, Alcan, Paris 1938. Il terzo capitolo di questo libro, esaminato da Levinas, sarà ripreso con qualche modifica come secondo capitolo di L’Aventure, l’ennui, le serieux, apparso nel 1963 [ripubblicato in Philosophie morale, Flammarion, Paris 1998. Qui indicheremo in successione la numerazione di pagina di L’Alternative e di L’Aventure, l’ennui, le serieux nell’edizione del 1998]. Malgrado il termine “c’è” non si trovi in L’Alternative, le descrizioni della noia come “il ‘pieno di vuoto’, l’essere del Niente” (p. 153, p. 905) ritrovano effettivamente la nozione di “c’è” nel senso inteso da Levinas. Si legga inoltre la pagina 182 (p. 923 di L’Aventure, l’ennui, le serieux) che associa la noia e l’insonnia, insonnia attraverso cui Levinas tenterà di avvicinare il “c’è” in Le Temps et l’Autre [1948], Fata Morgana, Montpellier 1979, tr. it. di F. P. Ciglia, Il Tempo e l’Altro, il melangolo, Genova 1997, p. 19. 15 F. Dostoevskij, L’Esprit souterrain, tradotto e adattato da E. Halpérine e Ch. Morice, Plon-Nourrit et Cie, Paris 1886. Il titolo di quest’opera – Zapiski iz podpolia – è stato modificato a seconda delle traduzioni francesi. La più recente si intitola Les Carnets du sous-sol, trad. A. Markowicz, Actes Sud, Paris 1992 [nel 1948, in italiano, è apparsa la traduzione di T. Landolfi con il titolo Ricordi dal sottosuolo, ripubblicata da Adelphi, Milano 1995]. 16 Su questa indicazione di luoghi, cfr. supra, Avvertenza sui Quaderni di prigionia. 17 Allusione al primo capitolo di L’Alternative, cit., di V. Jankélévitch. 18 Su questa indicazione di luogo, cfr. supra, la Nota sui Quaderni di prigionia. 19 M. Proust, À la recherche du temps perdu, t. VII, Albertine disparue, I, éd. de la Nouvelle Revue française, Paris 1925, tr. it. di M.T. Nessi Somaini, Alla ricerca del tempo perduto, t. VI, La fuggitiva, Rizzoli, Milano 2006, p. 129. 20 In realtà la frase di Proust si trova a pagina 16 dell’edizione citata da Levinas (cfr. nota precedente). 21 M. Proust, op. cit., p. 134. 22 M. Proust, op. cit., p. 135. 23 M. Proust, op. cit., p. 130. 24 M. Proust, op. cit., p. 124. 25 Si tratta del teorico nazista Alfred Rosenberg? Ricordiamo che all’epoca Levinas aveva già presentato “Quelques réflexions sur la philosophie de l’hitlérisme”, in Esprit, 1934, n. 26, novembre, pp. 199-208, tr. it. di A. Cavalletti, Alcu-

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ne riflessioni sulla filosofia dell’hitlerismo, Quodlibet, Macerata 1996. L’articolo apparso su Esprit è stato successivamente ripreso in Les Imprévus de l’histoire, Fata Morgana, Montpellier 1994, pp. 27-41. 26 Cfr. in questo quaderno la pagina 42 e la nota 36. 27 È in questi termini che sarà descritto Weill, personaggio di Eros (?). Per quanto riguarda il romanzo, si rimanda alla prefazione. 28 L’idea del giudaismo come “categoria” fa riferimento al pensiero di Franz Rosenzweig. Levinas lo esplicita effettivamente in due articoli dedicati al filosofo. Cfr. “Entre deux mondes (la voie de Franz Rosenzweig)”, in Difficile liberté [1963], Albin Michel, Paris 2006: “L’esistenza ebraica è una categoria dell’essere”, tr. it. di S. Facioni, “‘Tra due mondi’ (la via di Franz Rosenzweig)”, in Difficile libertà, Jaca Book, Milano 2004 (la cit. è a p. 229); e “Franz Rosenzweig: une pensée juive moderne”, in Hors sujet, Fata Morgana, Montpellier 1987: “Creazione, Rivelazione e Redenzione fanno così il loro ingresso nella filosofia con la dignità di categorie”, tr. it. di F. P. Ciglia, “Franz Rosenzweig: un pensiero ebraico moderno”, in Fuori dal Soggetto, Marietti, Genova 1992 (la citazione è a p. 59). 29 Si tratta di una citazione non letterale del romanzo di M. Chadourne. Ecco l’insieme del passo a cui si fa riferimento, che non è privo di risonanze nel pensiero di Levinas: “Egli vorrebbe dire: ‘Cécile, comprendetemi come cerco di comprendere me stesso. È solo amore quello che mi libera dall’egoismo che mi costringe, che mi libera, che mi fa fuggire dalla mia prigione, che mi unisce a qualunque sofferenza o a qualunque gioia e libera la mia pietà. Scopro me stesso. Ogni dolcezza è pietà. Ho conosciuto tale dolcezza, tale pietà. So che non esiste altro amore. Lo so… E mi sfugge… A voi, adesso, in mio soccorso… Aiutatemi’”, Marc Chadourne, Cécile de la folie, Plon, Paris 1930, p. 273. 30 H. de Balzac, Honorine, in La Comédie humaine, t. II, Gallimard, Paris 1976. 31 Allusione al romanzo di Anatole France, Monsieur Bergeret à Paris, Calmann-Lévy, Paris 1900, tr. it. di M. Zini, Il signor Bergeret a Parigi, Einaudi, Torino 1976. 32 A. de Vigny, Œuvres complètes, t. II, testo presentato e commentato da F. Baldensperger, Gallimard, Paris 1948, p. 945. 33 A. de Vigny, Œuvres complètes, t. II, a cura di Alphonse Bouvet, Gallimard, Paris 1993, p. 498. 34 Cfr. A. de Vigny, Stello, cap. 32. 35 Simhat Torah è la festa della gioia della Torah. Questa festa cade in autunno, dopo l’Anno Nuovo, il giorno di Kippur e la festa delle Capanne (Sukkot); essa chiude il ciclo annuale della lettura della Torah (Pentateuco) e inizia il nuovo

Note

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ciclo. I rotoli della Torah sono estratti dall’arca santa e i fedeli danzano portando questi rotoli. 36 Nel Quaderno 3, a pagina 6, si tratterà nuovamente di Jules, a cui il riso j. impedisce di dormire. Difficile sapere di cosa si tratti. Segnaliamo tuttavia, per sorprendente che possa essere, in questo contesto, tale riferimento, che Jules è anche il nome di un personaggio di Eros (?). In un passo del romanzo, purtroppo non chiarito dal contesto, Levinas scrive: “Jules Il sonno di Jules. Il grande G è […] Il sonno del signor Jules e il suo sogno” (Levinas scrive qui “G” e non “J”). 37 Cfr. il Libro di Ester nella Bibbia. Mardocheo è lo zio di Ester, deportato a Babilonia. La storia raccontata nel libro si svolge alla corte del re Assuero. Mardocheo ed Ester giocano un ruolo fondamentale per salvare gli ebrei minacciati di sterminio da parte di Aman, il primo dignitario del regno. 38 Cfr. 1 Samuele 3, 4-10. Il Signore chiama Samuele e questi crede che sia Eli a chiamarlo, l’episodio si ripete tre volte e Eli capisce che è il Signore che sta chiamando Samuele. Gli dice allora di rispondere: “Parla, il tuo servo ti ascolta”. L’espressione ʩʰʰʤ (hinneni) significa “eccomi”. È anzitutto la risposta di Abramo alla chiamata di Dio, ed in seguito di tutti coloro che rispondono a tale chiamata. Levinas, nella sua opera, si riferisce spesso a questa espressione per parlare della struttura profetica della soggettività. 39 Si tratta del romanzo di Irène Némirovsky, David Golder, Grasset, Paris 1929, tr. it. di M. Belardetti, David Golder, Adelphi, Milano 2006. 40 In Eros (?), questa replica di Tramel compare esattamente dopo l’evocazione del cane Bobby. Cfr. su quest’ultimo il Quaderno 6, p. 2, e la nota 1. 41 La casa editrice Plon ha rieditato più volte quest’opera, senza mantenere l’impaginazione della prima edizione [Gobineau (conte di), La Renaissance. Savonarole, César Borgia, Jules II, Léon X, Michel Ange, scènes historiques, Plon, Paris 1877]; non è stato possibile consultare tutte le riedizioni e trovare quella a cui, presumibilmente, si riferisce Levinas. Il passo citato potrà essere letto in Gobineau, Œuvres, t. III, Gallimard, Paris 1987, p. 739. 42 “na-iznanku” significa “a rovescio”. 43 Si tratta di un nome proprio. 44 Sulla nozione di Aufmachung, cfr. il Quaderno 3, p. 9 e la nota 9. Se il film di cui si tratta è il Grand Meaulnes, Levinas non ha in mente l’adattamento cinematografico del romanzo di Alain Fournier, che avverrà solo nel 1967, ma considera il romanzo stesso come un film, nel senso che vi vede la messa in opera di quanto chiama Aufmachung.

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“partono davanti a noi”, nel senso in cui, senza dubbio, attraverso i punti di vista, le inquadrature e i primi piani che ne fa il cinema, il paesaggio perde la sua continuità; dei frammenti se ne distaccano e risaltano nella loro particolarità ed estraneità (cfr. la nota 9 del Quaderno 3 sulla nozione di Aufmachung). Un passaggio del capitolo di Dall’esistenza all’esistente che descrive il modo in cui l’arte moderna fa apparire gli oggetti, ce ne fornisce un equivalente: “Staccandosi da uno spazio senza orizzonte le cose si abbattono su di noi come frammenti che si impongono per se stessi…” (Dall’esistenza all’esistente, cit., p. 49). 46 Si tratta dell’opera teatrale di Eugène Labiche, Un chapeau de paille d’Italie, diretta da Gaston Baty (1885-1952) nel 1938 alla Comédie-Francaise. 47 “hinneni” significa “eccomi”. Cfr. supra, la nota 38. 48 Allusione al libro di Anatole France, Les Opinions de M. Jérôme Coignard, raccolte da Jacques Tournebroche e pubblicate da Anatole France, CalmannLevy, Paris 1893. 49 Il passo rimane oscuro, ma si tratta senza dubbio di Robert Dreyfus (18731939), autore in particolare di La Vie et les prophéties du comte de Gobineau, Cahier de la quinzaine, Paris 1905, e di Souvenirs sur Marcel Proust, con lettere inedite di Marcel Proust, Grasset, Paris 1926. 50 “znakomit’sia” significa “fare la conoscenza di (qualcuno)”. 51 Si tratta indubbiamente di A.H. Navon (1864-1952), nativo di Sinopoli in Turchia. Scrittore, fu anche direttore dell’École Normale Israélite Orientale. 52 Cfr. supra, in questo Quaderno, p. 35 e nota 28. 53 Potrebbe trattarsi di una replica di Weill, personaggio di Eros (?). Nel romanzo, in effetti, questi dichiara, similmente, in francese: “Sono capace di suonare anche in modo classico. D’altra parte lo preferisco rincarava W. completamente imbevuto di gloria e ricoprendo con questa la sua nudità di persona timida.”. 54 Questo verbo, che si può leggere in Le Quart Livre, F. Rabelais, Œuvres complètes, Gallimard, Paris 1955, p. 627, è definito nella Briefve déclaration: “corybantier, dormire con gli occhi aperti”, ibid., p. 742. 55 In questi Quaderni sono presenti diverse liste di corrispondenti. Non si tratta solo di semplici corrispondenti, ma anche di donatori, di persone conosciute (oppure di persone presso cui Levinas era stato raccomandato da terzi) che si erano rese disponibili ad inviare pacchi, e a cui, per questo motivo, Levinas doveva preventivamente inviare etichette o moduli (per quanto riguarda le etichette, cfr. Quaderno 4, p. 13, nota 10).

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Note al Quaderno 3 1

In questo romanzo, il personaggio del direttore è ispirato a A. H. Navon? Su A. H. Navon, cfr. Quaderno 2, p. 62 e nota 51. Ricordiamo comunque che lo stesso Levinas sarà istitutore all’ENIO (École Normale Israélite Orientale), dove successivamente sarà professore e di cui diventerà direttore nel 1946. 2 “U popa byla sobaka”, “un pope aveva un cane”, inizio di una canzone popolare molto nota che ha la particolarità di essere senza fine: “Un pope aveva un cane / Lo amava / Il cane sgraffignò un pezzo di carne / Il pope uccise il suo cane / Poi scavò una fossa / Sotterrò il cane / E sulla pietra scrisse: / Un pope aveva un cane…”. 3 Cfr. Quaderno 4, p. 14 e nota 11. 4 Levinas evoca l’arresto a Parigi, nel 1943, di sua suocera Malka Frida Lewy, che in seguito verrà deportata. Simone (nata nel 1935), figlia di Emmanuel e Raïssa Levinas, era in quel tempo nascosta presso le suore di San Vincenzo de’ Paoli, e sarà raggiunta da sua madre poco tempo dopo questo arresto. Vi rimarranno fino alla Liberazione. 5 Cfr. Quaderno 2, p. 42 e nota 36. 6 Cfr. F. Rabelais, Le Quart Livre, cap. LVII e LVIII. 7 L’espressione si trova in Le Quart Livre, cap. LXIII e LXV, F. Rabelais, Œuvres complètes, cit., pp. 715 e 721. Significa, come precisa il curatore delle Œuvres complètes, “volgere il tempo in alto, al bello, vale a dire divertirsi”. 8 “Paradnyj khog” significa “entrata principale (di un immobile)”. 9 Se, per quanto se ne sa, il concetto di Aufmachung non è presente nell’opera di Levinas, tuttavia lo è la cosa. Per cominciare, va precisato che Aufmachung significa presentazione visiva di un prodotto. Presentare visivamente un prodotto, è prendersi cura della sua apparenza esteriore (Aufmachen significa in particolare “arrangiare”, “apprestare” o ancora “ornare”), per esempio con l’impacchettamento, al fine di attirare l’attenzione, di metterla davanti al resto, in vista. È farlo passare in primo piano, farne, in questo senso, un primo piano. È da qui che si può partire per comprendere la definizione di cinema proposta da Levinas. Nel capitolo di Dall’esistenza all’esistente in cui sottolinea che l’arte, nella misura in cui sostituisce all’oggetto l’immagine dell’oggetto, vale a dire una semplice vista rivolta verso di esso (cinematograficamente, un piano), ha per effetto di strapparlo al mondo, di metterlo a nudo e, in questo modo, di farne risaltare il carattere di alterità, Levinas prende specificamente l’esempio del cinema, più precisamente del primo piano cinematografico: “Il cinema ottiene gli

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stessi effetti attraverso i primi piani. […] Essi fermano l’azione in cui il particolare è collegato ad un insieme, per permettergli di esistere isolatamente; e gli permettono di manifestare la sua natura particolare e assurda che l’obiettivo scopre in una prospettiva spesso inattesa, come la curva delle spalle che la proiezione fissa in una dimensione allucinante mettendo a nudo ciò che l’universo visibile e il gioco delle sue proporzioni normali attenuano e dissimulano” (Dall’esistenza all’esistente, cit., p. 48). In questo caso, il primo piano non è un esempio tra gli altri dell’arte cinematografica, ma il proprio del cinema, tesi che non ha nulla di aberrante (il teorico ungherese Béla Balázas riteneva che il proprio del cinema si manifesta nel primo piano e non nel campo lungo). Definire il cinema come arte dell’Aufmachung equivale a definirlo come arte del primo piano, vale a dire come l’arte di strappare le cose dal loro contesto, di farne risaltare la nudità e, in questo senso, l’alterità e l’estraneità: “Nell’Aufmachung le cose appaiono nel mistero dell’estraneità. […] È il fascino del cinema” dice un altro passo dei Quaderni. Allo stesso modo si può dire che il cinema è l’arte del punto di vista, ma a condizione di precisare che questo è sempre in un certo senso un primo piano, perché, isolando la cosa da ogni contesto, ne fa risaltare tutto il peso, lo spessore e la materialità. Si aggiunga che, nei Quaderni, il termine Aufmachung, senza perdere il suo radicamento nell’arte cinematografica, assume anche un significato più generale. Levinas parla dunque della “descrizione dei paesaggi non nella conoscenza perfetta che si può averne, ma nella loro Aufmachung” (Quaderno 2, pp. 49-50), vale a dire nei punti di vista che si possono assumerne, che hanno per effetto di sottolinearne il mistero, in altri termini, di renderli inafferrabili e inconoscibili; o ancora, nello stesso frammento, egli qualifica il ricordo come Aufmachung – indubbiamente nel senso che il ricordo è frammentario. Allo stesso modo, a proposito dei suoi procedimenti letterari, parla di “cura dell’Aufmachung” (p. 13 del Quaderno 7a inserita nel Quaderno 7), vale a dire di cura delle cose o delle situazioni non tanto perché fanno parte di un contesto, come cose del mondo, ma in quanto, nel loro isolamento e nella loro particolarità, sospendono il mondo, vi introducono la dimensione del fantastico. 10 Cfr. 2 Maccabei 7, 20-24. Antioco Epifane (175-164 prima della nostra era) prova ad imporre la cultura greca in Palestina. I sette figli di Anna vengono arrestati insieme alla madre perché rifiutano di sottomettersi. Vengono martirizzati, uno dopo l’altro, davanti alla madre che li incoraggia a non cedere e che muore dopo di loro. 11 Scena similare in Eros (?). 12 La situazione sarà ripresa in Eros (?).

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“Clemencet” è il nome di un personaggio di Eros (?). Tale rilassamento e ripiegamento sulla felicità personale saranno nuovamente evocati in Eros (?). 15 Probabile allusione al discorso di Pierre Laval del 10 luglio 1943, ai rappresentanti dei prigionieri a Parigi. 16 Questa scena di Landau che il 10 maggio 1940 si rallegra di veder realizzati i suoi tentativi di essere ammesso alla mensa del Ministero della Marina, sarà ripresa in Eros (?). 17 Grazie alla corrispondenza con la moglie durante la prigionia, noi sappiamo che alcuni nomi menzionati da Levinas rimandano a persone reali e non soltanto a personaggi inventati. È il caso del Dr. Fourès e di Raymond Pontlevoy, descritto in una lettera come “compagno di prigionia”. Il nome di Raymond Pontlevoy, sorprendentemente, appare anche in uno dei fogli inseriti nel Quaderno 6 che contiene una lista di indirizzi. Forse il compagno di prigionia era diventato un corrispondente dopo esser stato liberato. 18 Si precisa che Tramel, di cui si tratta in questo frammento che evoca una scena non si sa se reale o inventata, o le due cose insieme, sarà un personaggio di Eros (?). 19 Se “W.” designa Weill, personaggio di Eros (?), allora questa scena, evocata nella prefazione, non è solo – forse non è affatto – reale, ma anche romanzesca. 20 Probabilmente Levinas evoca l’insegnamento religioso che sua figlia Simone (nata nel 1935) doveva ricevere nel monastero delle suore di San Vincenzo de’ Paoli, a Stains, in cui era nascosta durante la guerra, sotto falso nome (Devos). 21 Sul romanzo Triste opulenza, cfr. la prefazione ai Quaderni di prigionia. 22 A proposito delle etichette, cfr. Quaderno 4, p. 13 e nota 10. 14

Note al Quaderno 4 1

Questa scena verrà ripresa in Eros (?) che la colloca nella primavera del 1942. Descrizione di Weill che verrà ripresa in Eros (?). 3 Cfr. la nota precedente. 4 Romain Rolland, Mahatma Gandhi, Stock, Paris 1923. 5 “Dofuhr” è sicuramente un’abbreviazione di Kommando führer. Questo capo del commando è evocato in Eros (?) e presentato come sterminatore di ratti (Rattenfänger) nello stato civile. 6 Questa scena verrà ripresa in Eros (?) come scena a cui assistono i prigionieri stipati nel rimorchio di un trattore. 2

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Allusione al capitolo 9 del libro XI (quarta parte) de I fratelli Karamazov di Dostoevskij, che si intitola: “Il diavolo. L’incubo di Ivan Fedorovitch”. 8 Levinas cita Plotino, Ennéades, t. I, testo stabilito e tradotto da E. Bréhier, Les Belles Lettres, Paris prima ediz. 1924, p. 84. 9 Il capitolo 53 di Isaia è conosciuto come il capitolo del “servo sofferente”; ha ricevuto interpretazioni messianiche sia dagli ebrei, sia dai cristiani. Nella sua opera Levinas vi fa riferimento a più riprese per parlare della sofferenza per altri. Cfr. per esempio Humanisme de l’autre homme, Fata Morgana, Montpellier 1972, tr. it. di A. Moscato, Umanesimo dell’altro uomo, il melangolo, Genova, 1985, p. 78: “[L’Io] è, solo per la sua posizione, da parte a parte, responsabilità o diaconia, come nel capitolo 53 di Isaia”. 10 Le etichette sono dei moduli per i pacchi. I prigionieri potevano ricevere pacchi solo a condizione di aver spedito ai donatori un’etichetta con l’indirizzo a cui il campo militare li avrebbe recapitati. Tenuto conto del numero limitato di pacchi a cui i prigionieri – ogni mese – avevano diritto, le etichette potevano diventare oggetto di acquisto, scambio o, come sembra in questo caso, di posta in gioco. 11 Questa situazione verrà evocata, un poco differentemente, in Eros (?). I prigionieri passano regolarmente con il camion davanti a una baracca di giovani tedesche che fanno parte dell’esercito e “ammirano” un maglione o un paio di calze stese ad asciugare o, ancora, una volta intravedono in una finestra aperta una ragazza che si pettina (cfr. anche il Quaderno 3, p. 3). Levinas si intrattiene in quel momento sul significato dell’erotismo di tale situazione. 12 La scena sarà ripresa in La Dame de chez Wepler. Le sorelle Blumenfeld, sarte, che hanno un negozio al pian terreno dell’immobile in cui abita Ribérat, gli manifestano la loro paura durante gli allarmi nei primi giorni di guerra. “Lo sporco, istintivo attaccamento alla vita” espresso da tale paura, più che la mancanza di coraggio, gli ispira piuttosto disgusto. 13 L’espressione “la sua vite e il suo fico” è biblica. Cfr. Zaccaria 3, 10: “In quel giorno – oracolo del Signore degli eserciti – ogni uomo inviterà il suo vicino sotto la sua vite e sotto il suo fico”; 2 Re 18, 31: “Non ascoltate Ezechia, poiché dice il re d’Assiria: Fate la pace con me e arrendetevi; allora ognuno potrà mangiare i frutti della sua vigna e dei suoi fichi, ognuno potrà bere l’acqua della sua cisterna”. L’espressione fa allusione ad un ideale pacifico; nell’ultima citazione si tratta di una tentazione proposta dal re d’Assiria. 14 Cfr. Deuteronomio 28, 10: “Tutti i popoli della terra riconosceranno che il nome del Signore è associato al tuo”; allo stesso modo Zaccaria 2, 15: le nazioni “si riuniranno al Signore”.

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Jean Giraudoux, Ondine, Grasset, Paris 1939. “Tachat” significa “al posto di, sotto”. 17 Levinas cita l’edizione del 1916. 18 Levinas si riferisce a V. Jankélévitch, L’Alternative, cit. (in particolare le pp. 4 e 58). Cfr. Quaderno 2, pp. 17-18 e nota 14. 19 Forse Levinas si riferisce ancora una volta a V. Jankélévitch, L’Alternative, cit., p. 64. 20 “platki” significa “scialle”. 21 Le citazioni sono tratte dal Libro primo di Le caves du Vatican [I sotterranei del Vaticano]. Levinas presta attenzione, manifestamente, alla lingua di Gide e, attraverso di essa, sicuramente, alla lingua francese che, va ricordato, non era la sua lingua madre. Occorre precisare che la penultima citazione, “ha impedito […] è scivolata”, è inesatta. A proposito di Julius de Baraglioul, Gide scrive: “La fondamentale distinzione della sua natura e quella sorta di eleganza morale che spirava anche dalle sue pagine più insignificanti avevano sempre trattenuto i suoi desideri sulla china lungo la quale la curiosità di romanziere avrebbe senza dubbio lasciato che si sfrenassero”, Romans, récits et soties, œuvres lyriques, Gallimard, Paris 1958, p. 689. 22 Levinas evoca sicuramente il romanzo di Raymond Guérin, L’Apprenti, Gallimard, Paris 1946. Tale richiamo può sorprendere, perché questo frammento appartiene ad una serie di annotazioni che Levinas data 1944. Ma anche R. Guérin fu prigioniero nello stalag XI B e scrisse questo romanzo durante la prigionia. Anche se non si dispone di ulteriori elementi per sostenerlo, non è impossibile che Levinas e Guerin si siano frequentati e che quest’ultimo gli abbia mostrato il manoscritto del romanzo. 23 Axel Munthe, Le Livre de San Michele [1929], tr. fr. di P. Rodocanachi, Albin Michel, Paris 1934, tr. it. di P. Volterra, La storia di San Michele, Garzanti, Milano 2010. In una lettera alla moglie datata 22 febbraio 1944, Levinas le raccomanda il libro di Munthe, che sta leggendo. 24 Pierre Arnoult, Rimbaud, Albin Michel, Paris 1943. 25 Jean-Paul Sartre, Les Mouches, Gallimard, Paris 1943, tr. it. di P. Caruso, Le mosche, in Opere, Bompiani, Milano 1974. Levinas richiama quest’opera e la successiva in una lettera alla moglie datata 7 agosto 1943. 26 Thierry Maulnier, Lecture de Phèdre, Gallimard, Paris 1943 (nuova edizione rivista e accresciuta nel 1967). 16

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Note al Quaderno 5 1

Queste scene che si verificano al momento della sconfitta saranno parzialmente riprese in Eros (?). Cfr. in questo quaderno, infra, p. 16 e nota 8. 2 Si tratta di Élie Fondaminsky Boukanov (1880-1942). Intellettuale ebreo russo, morto ad Auschwitz nel 1942. 3 Nicolas Berdjaev, filosofo russo (1874-1948). 4 Jean Wahl, filosofo francese (1888-1974). Nel 1946 fonda il Collège philosophique in cui Levinas terrà numerose conferenze. 5 Jean Schlumberger (1877-1968), romanziere e saggista, cofondatore della Nouvelle Revue française. 6 Henry de Montherlant, Service inutile, Grasset, Paris 1935. 7 Levinas si riferisce a G. Bernanos, Journal d’un curé de campagne, in Œuvres romanesques, Gallimard, Paris 1961, pp. 1051-1052, tr. it. di A. Grande, Diario di un curato di campagna, Mondadori, Milano 2002. 8 In Eros (?), Levinas evocherà di nuovo questa “frenesia” e questa “facilità di possedere” che illustrano i saccheggi nel momento della disfatta, in cui non vede altro che una “triste abbondanza”. 9 Si tratta della scena con cui termina il manoscritto incompiuto La Dame de chez Wepler. Si svolge alla fine del maggio 1940, subito prima che il personaggio principale raggiunga un’unità avanzata. Nel romanzo, tuttavia, non si chiama Rondeau (che è anche il nome di un personaggio di Triste opulenza e di Eros [?]), ma Roland Ribérat (nome che Levinas, durante un periodo di correzioni, sostituirà con Simon). 10 La scoperta di un’automobile abbandonata da parte di colui che l’ha sognata durante l’intera giovinezza è una scena che verrà ripresa in Eros (?) nel punto in cui si evocano i saccheggi durante la sconfitta. Cfr. p. 16 di questo Quaderno, e la nota 8. 11 Non si conosce il luogo indicato dall’iniziale “B”. La capitale di Essia designa senza dubbio New York, in cui era emigrata Essia, sorella della moglie di Levinas. 12 Si tratta di un estratto di Vadim di Lermontov: “La donna, solo quando ha perduto la speranza, può perdere il pudore, questo sentimento innato, incomprensibile, questa coscienza involontaria nella donna dell’inviolabilità, del carattere sacro dei suoi canti.” Cfr. M.J. Lermontov, Œuvres, t. IV, ed. dell’Accademia delle scienze, Mosca, Leningrado 1962, p. 122.

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Levinas cita con ogni probabilità Aurélia ou le Rêve et la vie secondo l’edizione Gautier e Houssaye delle opere di Gérard de Nerval che gli editori hanno effettivamente intitolato Le Rêve et la Vie, V. Lecou, Paris 1855, p. 71 [Gérard de Nerval, Œuvres complètes, t. III, Gallimard, Paris 1993, p. 717]. Nel testo di Levinas, “Le rêve et la vie” indica più il titolo di questa edizione che il sottotitolo di Aurélia. 14 Si tratta verosimilmente della prima versione di un passo di La Dame de chez Wepler. Il romanzo precisa che questa guerra, che non significa ancora “fine del mondo”, è la guerra farsa, “questa guerra pacifica prima del 10 maggio 1940”. 15 H. Rider Haggard, Red Eve, Hodder & Stoughton, London 1911. 16 Romain Rolland, Mahatma Gandhi, Stock, Paris 1923. Cfr. Quaderno 4, p. 2. 17 Su Essia, cfr. supra nota 11. 18 Levinas cita, probabilmente a memoria, la seconda strofa del sonetto di Mallarmé “Le vierge, le vivace et le bel aujourd’hui”. 19 Édouard Estaunié, Solitudes, Perrin et Cie, Paris 1917. 20 Levinas cita Genesi 25, 22: “i figli si urtavano nel suo seno”. Rebecca attende due gemelli che saranno Esaù e Giacobbe. Secondo un’interpretazione tradizionale ebraica, se Giacobbe, che diventerà Israele (Genesi 32, 29) è l’antenato degli ebrei, Esaù lo sarà dei cristiani. 21 Levinas allude allo zoroastrismo secondo il quale esiste un dio della luce (Ormuzd) e un dio delle tenebre (Ahriman). 22 Questa parola significa “Io” maiestatis. Cfr. in particolare Esodo 20, 2: “Io (anokhi) sono il Signore, tuo Dio…”. 23 Levinas allude qui a Friedrich Sieburg, Blick durchs Fenster, Aus zehn Jahren Frankreich und England, Societäts Verlag, 1939, pp. 49 ss., tr. fr. A. Cœuroy, De ma fenêtre, Grasset, Paris 1942, pp. 46 ss. Note al Quaderno 6 1

Cfr. “Il nome di un cane o il diritto naturale”, in Difficile libertà, cit., pp. 191194. Cfr. anche Quaderno 2, p. 47, e nota 40. 2 Levinas cita verosimilmente il passaggio del discorso di Zarathustra intitolato “Il canto della notte”, nella traduzione di Henri Albert, Ainsi parlait Zarathustra, Société Mercure de France, Paris 1898, p. 144. 3 Léon Bloy, Lettres à sa fiancée (août 1889 – mars 1890), Stock, Delamain et Boutelleau, Paris 1922; riedizione, conforme all’edizione originale, con prefazione di Max Genève, Le Castor Astral, Paris 1990, tr. it. di G. Vigini, Lettere

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alla fidanzata, Nino Aragno Editore, Torino 2001. È forse opportuno ricordare la considerazione di cui godeva Léon Bloy presso gli scrittori russi, come ad esempio testimonia N. Berdjaev. In un passo di “L’Oriente e l’Occidente” in cui descrive l’Oriente come viene concepito dalla Russia, Berdjaev scrive: “Ma è un Oriente che ricorda che le sue origini più profonde sono la Bibbia e Gerusalemme. Ancora recentemente, voi Francesi avevate uno scrittore notevole che conservava nello spirito questa verità e che era vicino a temi russi, benché fosse un tipico latino. Ma voi lo avete apprezzato poco. Parlo dell’uomo dell’Apocalisse, di Léon Bloy”, “L’Orient et l’Occident”, in Cahiers de la quinzaine, neuvième cahier de la vingtième sèrie, 5 giugno 1930, p. 18. 4 L. Bloy, op. cit., p. 74. Per l’insieme delle citazioni dell’opera, è stato aggiunto un termine dimenticato o rettificato un termine erroneo tra virgolette semplici, ma non sono stati ristabiliti né corsivi né abbreviazioni. 5 L. Bloy, ibid., p. 46. 6 L. Bloy, ibid., pp. 21-22. 7 L. Bloy, ibid., p. 24. 8 L. Bloy, ibid., p. 27. 9 L. Bloy, ibid., p. 30. 10 L. Bloy, ibid., p. 39. 11 L. Bloy, ibid., p. 38. 12 L. Bloy, ibid., p. 43. 13 L. Bloy, ibid., p. 53. 14 Cfr., per esempio, Pantagruel, cap. XVIII. 15 In realtà si tratta di Bridoye. Levinas lo sostituisce, sembra, con il nome del personaggio della pièce di Beaumarchais, Le Mariage de Figaro, chiamato Brid’oison e immaginato di fatto come il giudice di Rabelais. Riguardo a Bridoye, che decideva i processi con il gioco dei dadi, cfr. L. Rabelais, Le Tiers Livre, cap. XXXIX. 16 L. Bloy, op. cit., p. 68. 17 “ecc.” aggiunto da Levinas. 18 Levinas riassume il passo che ha tagliato. 19 L. Bloy, op. cit., p. 72. 20 L. Bloy, ibid., p. 73. 21 L. Bloy, ibid., p. 73. 22 L. Bloy, ibid., p. 75. 23 L. Bloy, ibid., p. 75. 24 L. Bloy, ibid., p. 76.

Note

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Nel testo di Bloy “ha ragione” è in maiuscoletto. L. Bloy, ibid., pp. 76-77. 27 L. Bloy, ibid., pp. 77-78. 28 L. Bloy, ibid., p. 79. 29 L. Bloy, ibid., pp. 79-80 [la lettera di Bloy è datata 2/12/1889 e non 12/12/1899 come sembra riportare Levinas]. 30 L. Bloy, ibid., pp. 80-81. 31 L. Bloy, ibid., p. 77. Ecco la frase integrale di Bloy, riportata per chiarire un poco questo passo oscuro: “non sto nella pelle dal poter dire finalmente qualcosa di vero nel bel mezzo di tante menzogne letterarie e finzioni drammatiche”. 32 L. Bloy, ibid., p. 82. “ecc.” aggiunto da Levinas. 33 L. Bloy, ibid., p. 82 [le abbreviazioni sono di Levinas]. 34 L. Bloy, ibid., p. 85. 35 L. Bloy, ibid., p. 97. 36 L. Bloy, ibid., p. 100. 37 L. Bloy, ibid., p. 102. 38 L. Bloy, ibid., p. 106. 39 L. Bloy, ibid., p. 106. 40 L. Bloy, ibid., p. 110. 41 L. Bloy, ibid., p. 110. 42 L. Bloy, ibid., p. 112 [la lettera di Bloy è datata 14/2/1890 e non 12/2/1890 come sembra riportare Levinas]. 43 L. Bloy, ibid., p. 122. 44 L. Bloy, ibid., p. 123. 45 L. Bloy, ibid., p. 126. 46 Lettera ai Romani 4, 17. 47 Levinas evocherà ancora in due altri momenti, nelle Note filosofiche varie (Raccolta A, note 41 e 164), questa tesi che Carlyle ha sviluppato nella quinta conferenza di Héros, le culte des héros et l’heroïque dans l’histoire [Gli eroi, il culto degli eroi e l’eroico nella storia]. Sottolineando l’impatto che la stampa, che ha reso più facile l’accesso ai libri, ha avuto sull’insegnamento, Carlyle scrive: “In realtà, tutto ciò che un’università, per prestigiosa che sia, può veramente fare per noi in questo campo [la presa in considerazione dell’esistenza dei libri stampati] è la continuazione di quanto ci hanno dato i precettori nella nostra infanzia: insegnarci a leggere. Perché impariamo a decifrare, spesso in più idiomi, il linguaggio proprio alle differenti branche della conoscenza; sarebbe come 26

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dire, insomma, a imparare l’alfabeto e le lettere delle molteplici categorie di libri esistenti! Ma la conoscenza, anche teorica, è nei libri stessi che la troviamo. La forma che assume in noi, la sua profondità dipendono dai libri che leggiamo e dall’attenzione con cui li leggiamo, ma ad ogni modo noi la acquisiremo dopo che i nostri professori ci hanno fornito le chiavi della lettura. Le vere università sono oggi le grandi biblioteche”, Héros, le culte des héros et l’éroïque dans l’histoire, tr. fr. di F. Rosso, Maisonneuve et Larose, Éd. des Deux Mondes, Paris 1998, pp. 216-217. 48 Potrebbe trattarsi di un frammento del romanzo abbozzato in questi Quaderni con il titolo Triste opulenza, poiché in esso è presente una “scena di Alençon” evocata a più riprese nei Quaderni. 49 Gli uomini di fiducia, designati dai prigionieri di guerra perché li rappresentassero presso le autorità militari e le potenze protettrici, svolgono in particolare il compito di ricevere e distribuire le spedizioni collettive (cfr. la convenzione relativa al trattamento dei prigionieri di guerra, Ginevra, 27 luglio 1929, art. 43). 50 “Prorok”, “il profeta”, poema di Puškin. Note al Quaderno 7 1

Charles Morgan, Sparkenbroke, Macmillan, London 1936. Levinas sembra citare a memoria Macbeth, atto V, scena 5, in cui Macbeth dice più esattamente: “And wish th’estate o’ th’ world were now undone”. Queste parole di Macbeth saranno nuovamente citate in Totalità e Infinito, cit., p. 236. 3 Si tratta di Charles Morgan (cfr. la nota 1). 4 Si tratta, sembra, di una citazione non letterale di Husserl. In un passo del § 52 di Idee I, t. 1, che sottolinea l’errore consistente nel considerare che categorie come “forza, accelerazione, energia, atomo, ione ecc.” attraverso cui la fisica determina i propri oggetti, sarebbero, a motivo della loro mancanza di intuitività, da descrivere come i “rappresentanti simbolici” di una realtà nascosta che un’intelligenza superiore saprebbe convertire in intuizione semplice, Husserl scrive: “Nemmeno una fisica divina può trasformare delle determinazioni categoriali di realtà in determinazioni genuinamente intuibili, come nemmeno l’onnipotenza divina può far sì che delle funzioni ellittiche vengano dipinte ovvero suonate sul violino” (E. Husserl, “Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie. Erstes Buch: Allgemeine Einführung in die reine Phänomenologie”, in Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung, Max Niemeyer, Halle a. S., 1913, tr. it. di E. Filippini, Idee per 2

Note

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una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica I, Einaudi, Torino 1965, pp. 118-119). 5 Levinas cita senza dubbio a memoria l’ultimo verso del poema “De profundis clamavi” che recita esattamente: “Tant l’écheveau du temps lentement se dévide!” (“Lenta si dipana la matassa del tempo!”), C. Baudelaire, Œuvres complètes, t. I, Gallimard, Paris 1975, p. 33. 6 Riferimento al romanzo di Pearl S. Buck, La famiglia dispersa [tr. fr. di S. Campaux, Payot, Paris 1935]. 7 C. Baudelaire, Œuvres complètes, t. I, cit., p. 24. 8 Ibid., p. 94. 9 Ibid., p. 66. 10 Ibid., p. 73. 11 Ibid., p. 130. 12 Marcel Proust, À la recherche du temps perdu, t. V, Sodome et Gomorrhe, II, 1, éd. de La Nouvelle Revue française, Paris 1922, tr. it. di M. T. Nessi Somaini, Alla ricerca del tempo perduto, t. IV, Sodoma e Gomorra, Rizzoli, Milano 1989, p. 250. 13 Cfr. Maurice Baring, La Princesse Blanche, tr. fr. di Mme Faisan-Maury, prefazione di Charles du Bos, Stock, Paris 1930. 14 Cfr. nota precedente. 15 Si tratta del libro del Dott. Alexis Carrel, L’Homme, cet inconnu, Plon, Paris 1935. Le citazioni che seguono non sono letterali e rimandano in particolare alla p. 137. 16 Cfr. Quaderno 4, nota 13. 17 “Simhat Torah”. Cfr. Quaderno 2, nota 35. 18 Isacco è un giusto, figlio di un giusto (Abramo). Rebecca è un giusto, figlia di un empio (Batuel); a questo titolo, Rebecca avrebbe maggior merito di Isacco, ma la preghiera di quest’ultimo sarebbe più efficace perché egli implora il Signore riguardo a Rebecca che era sterile e “il Signore accolse la sua preghiera” (Genesi 25, 21). 19 “Zekut” significa “merito”. 20 “Pilpul”: (da “pilpel”, pepe), si tratta di una forma di discussione talmudica destinata a chiarire questioni particolarmente difficili. È utilizzata anche come esercizio per sviluppare il ragionamento logico. 21 Espressione il cui significato rimane oscuro. 22 Millen Brand, The Outward Room, Simon and Schuster, New York 1937. 23 Levinas parlerà più esplicitamente, in Difficile libertà, dell’emozione che provò “in uno stalag in Germania, […] quando, sulla tomba di un compagno

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ebreo che i nazisti volevano far seppellire come un cane, un prete cattolico, padre Chesnet, ha recitato preghiere che erano – nel senso assoluto del termine – preghiere semite”, op. cit., p. 29. 24 Santa Teresa del Bambin Gesù, Histoire d’une âme écrite par elle-même. Lettres. Poésies, Impr. Saint-Paul, Bar-le-Duc 1898, p. 53 [Sainte Thérèse de l’Enfant-Jésus et de la Sainte-Face, Œuvres complètes, textes et dernières parole, Cerf-DDB, Paris 1992, p. 120]. Levinas cita santa Teresa secondo edizioni che, fino al 1956, erano incomplete e soprattutto poco fedeli ai testi manoscritti, che non si era esitato a tagliare e spesso a riscrivere. Per quanto riguarda la storia delle edizioni delle opere di santa Teresa, cfr. P. François de Sainte-Marie, Manuscrits autobiographiques de sainte Thérèse de l’Enfant-Jésus, t. I, Introduction, Carmel de Lisieux, 1956, pp. 25 ss. 25 Questo testo appartiene a Derniers entretiens [Œuvres complètes, cit., p. 1054]. Si deve tuttavia precisare che, nella forma citata da Levinas, si tratta delle stesse parole di santa Teresa già utilizzate e in parte ritoccate dall’editrice nel cap. 12 di Histoire d’une âme (cfr. p. 230 dell’edizione del 1898), le quali raccontano in particolare gli ultimi momenti della santa. Tali parole saranno restituite nella loro letteralità in Novissima verba, Derniers entretiens de sainte Thérèse de l’Enfant-Jésus, maggio-settembre 1897, Impr. Saint-Paul, Bar-le-Duc 1927, p. 89. 26 Citazione di un passo della lettera di santa Teresa a sua sorella Céline dell’8 maggio 1888, Histoire d’une âme, cit., p. 265. Nella prima edizione del 1898 di Histoire d’une âme, si trovano, in appendice, “frammenti” di 18 lettere di suor Teresa del Bambin Gesù a sua sorella Céline, a cui verranno ad aggiungersi altre lettere nelle successive edizioni. Le lettere autentiche non sono state solo tagliate, ma sono state in parte ritoccate. Accade questo al passo citato da Levinas, interamente della mano dell’editrice di santa Teresa, e che scomparirà nella prima edizione (quasi) completa delle lettere di santa Teresa del 1948 (Lettres de sainte Thérèse de l’Enfant-Jesus, Impr. Saint Paul, Bar-le-Duc 1948). 27 Levinas cita nuovamente Novissima verba, Derniers entretiens de sainte Thérèse de l’Enfant-Jésus, cit., p. 122 [Œuvres complètes, cit., p. 1081]. In queste due edizioni, il testo dice precisamente “a non contare che sul buon Dio. 28 Levinas cita i Derniers entretiens secondo Novissima verba, cit., p. 37; va precisato che “giudicherei che ho le mani vuote” non compare nelle Œuvres complètes, cit., p. 1018. 29 “tikij ujas” significa “calmo terrore” (espressione volta a rinforzare l’idea di terrore).

Note

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Su questa nozione, cfr. il passo del Quaderno 3, p. 9, in cui è presente e la nota 9 che vi fa riferimento. 31 Bisogna leggere “Platon” (“Platone”)?

NOTE A L’ESPERIENZA EBRAICA DEL PRIGIONIERO 1

Santificazione del Nome. Nell’ebraismo, per recitare alcune preghiere, è necessaria la presenza di almeno dieci persone: è quanto si definisce minian. 3 “Maariv” indica la preghiera della sera, “Shacharit” la preghiera del mattino. 2

NOTE ALLE NOTE FILOSOFICHE VARIE Note alla Raccolta A 1

Cfr. Platone, Cratilo, 400d. Levinas si riferisce qui a Karl Löwith, Gesammelte Abhandlungen, Zur Kritik der geschichtlichen Existenz, W. Kohlhammer, Stuttgart 1960. 3 Cfr. la nota precedente. 4 Si può tradurre in questo modo: “… le evidenze della sua coscienza di esistere e il bozzolo della conoscenza così come il dominio del mondo che lo circonda crollerebbero per lui”, Edmund Schlink, “Die Struktur der dogmatischen Aussage als oekumenisches Problem”, in Kerygma und Dogma, Zeitschrift für theologische Forschung und kirchliche Lehre, 3. Jahrgang, Heft 4/Oktober 1957, p. 285. Levinas cita Schlink secondo Löwith, Gesammelte Abhandlungen, Zur Kritik der geschichtlichen Existenz, cit., p. 211. 5 Il riferimento della citazione non è stato trovato. 6 Sulla pace preferibile alla guerra, cfr. Platone, Leggi, 638c. Per quanto riguarda la lotta intestina, Levinas pensa senza dubbio ai passi in cui lo Straniero di Atene afferma che la guerra intestina è, tra tutte le guerre, la più funesta (cfr. 628b – passo citato più avanti da Levinas, nella nota 202 di questa raccolta – e 629d). 7 La traduzione francese delle Meditazioni dice esattamente: “Car elle consiste seulement en ce que nous pouvons faire une chose, ou ne la faire pas (c’est-à-dire affirmer ou nier, poursuivre ou fuir), ou plutôt seulement en ce que, pour affirmer ou nier, poursuivre ou fuir les choses que l’entendement nous propose, nous 2

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agissons en telle sorte que nous ne sentons point qu’aucune force extérieure nous y contraigne”, R. Descartes, Méditations, AT, IX-1, p. 46. 8 Levinas traduce lui stesso questo passo da pagina 32 di M. Heidegger, Einführung in die Metaphysik, Max Niemeyer Verlag, Tübingen 1953 (tr. it. di G. Vattimo, Introduzione alla Metafisica, Mursia, Milano 1972, p. 48: “L’essere è una semplice parola e il suo significato evanescente, oppure esso costituisce il destino spirituale dell’Occidente?”). 9 Cfr. Platone, Leggi, 626 ss. 10 Allusione a M. Merleau-Ponty. Cfr. “La signification et le sens” (articolo apparso nel 1964 nella Revue de métaphysique et de morale), in Humanisme de l’autre homme, Fata Morgana, Montpellier 1972, tr. it. di A. Moscato, “Il significato e il senso”, in Umanesimo dell’altro uomo, il melangolo, Genova 1998, p. 53. 11 “nienasytimoïe sostradané” significa “insaziabile compassione”. L’espressione si trova nella quarta parte, capitolo 4, di Delitto e castigo di Dostoevskij. Cfr. E. Levinas, Umanesimo dell’altro uomo, cit., p. 73: “C’è in Delitto e castigo di Dostoevskji una scena nella quale, a proposito di Sonja Marmeladova che guarda Raskolnikov nella sua disperazione, Dostoevskji parla di una ‘insaziabile compassione’. Come se la compassione che Sonja porta a Raskolnikov fosse una fame che la presenza di Raskolnikov nutriva al di là di ogni saturazione possibile, accrescendo, all’infinito, quella fame”. 12 Si tratta dei due primi versi della traduzione in russo del poema di Heine, “Ein Fichtenbaum steht einsam”, compiuta da Lermontov, che Levinas cita verosimilmente a memoria. Il poema è composto da due quartine: le due parole barrate da Levinas si trovano rispettivamente nel verso 7 e 8. Cfr. Lermontov, Poésie, t. I, “Bibliothèque du poète”, éd. L’Écrivain Soviétique, Leningrad, 1950, p. 312. 13 Nella sua traduzione del poema di Heine, Lermontov in effetti rende “Ein Fichtenbaum” (maschile) e “Die Palme” (femminile) con due nomi femminili, “sosna” e “pal’ma”. L’opposizione di genere nel poema di Heine – qui il simbolismo amoroso dell’opposizione tra “Ein Fichtenbaum” e “Die Palme” – è essenziale per la comprensione del poema. Questa, così come altre traduzioni russe del poema, sono spesso utilizzate per illustrare il problema dei generi nella traduzione. Esse hanno prodotto una tradizione di commenti, a partire dal 1930, come sottolinea Daniel Laferrière in “Potebnja, Sklovskij, and the familiarity/ strangeness paradox”, Russian Litterature, t. IV (1976), p. 196. Levinas sicuramente conosceva interamente o parzialmente questa tradizione.

Note

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Levinas rimanda a Léon Brunschvicg, Écrits philosophiques, t. I, L’Humanisme de l’Occident, Descartes - Kant - Spinoza, PUF, Paris 1951. In questa pagina egli presta attenzione soprattutto al passo in cui Brunschvicg sottolinea che la critica kantiana spezza l’identificazione dell’infinità e dell’unità su cui riposa il “monismo integrale di Spinoza”: “Lo spirito può comprendere come unità compiuta solo il finito”. 15 Cfr. Antoine de Saint-Exupéry, Vol de nuit, in Œuvres, Gallimard, Paris 1959, tr. it. di C. Giardini, Volo di notte, Mondadori, Milano 1991, p. 15 (la tr. it. dell’intero passaggio recita: “Ciò turbava le coscienze nere e contribuiva alla buona manutenzione del materiale”). 16 “Berakot”, primo trattato del Talmud. 17 “mitzvot”, precetti religiosi. 18 Levinas cita le “Risposte dell’autore alle cinque obiezioni”, senza dubbio di Descartes, Œuvres et lettres, textes présentés par A. Bridoux, Gallimard, Paris 1953, p. 489 (edizione citata da Levinas nella Raccolta B, nota 24), tr. it. a c. di C. Belgioioso, Meditazioni. Quinte risposte, in Opere 1637-1649, Bompiani, Milano 2009, p. 1167. 19 Nozione husserliana che Levinas traduce “atto di dare un senso”, e di cui sottolinea che in Husserl costituisce il significato proprio dell’intenzionalità della coscienza. (Cfr. Scoprire l’esistenza con Husserl e Heidegger, cit., p. 21). La critica levinassiana dell’intenzionalità è dunque anzitutto una critica della Sinngebung. 20 Cfr. M. Heidegger, Unterwegs zur Sprache, Neske, Pfullingen 1959, p. 14, 102 ss. (tr. it. di A. Caracciolo e M. Caracciolo Perotti, In cammino verso il linguaggio, Mursia, Milano 1990, p. 29, 161 ss.). 21 “byliny, tiaga ziemnaïa” significa “byline, pesantezza terrestre”. In Russia le byline sono canti epici popolari. La pesantezza terrestre, la prostrazione sotto un pesante fardello sono i loro motivi costanti. 22 Cfr. supra la nota 47 del Quaderno 6. 23 In Husserl il termine designa il riempimento dell’intenzione da parte dell’intuizione donatrice. Levinas lo intende in un senso non teorico, come riempimento del desiderio, del vuoto della fame. Cfr. Autrement qu’être ou audelà de l’essence, Martinus Nijhoff, La Haye 1974, tr. it. di S. Petrosino e M.T. Aiello, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, Jaca Book, Milano 1983, p. 83. 24 Allusione alla nozione heideggeriana di “essere-uno-con-l’altro”, sviluppata nel § 26 di Essere e Tempo. 25 P. Valéry, L’idée fixe ou deux hommes à la mer, édité par les Laboratoires Martinet, Paris 1932, tr. it. di V. Magrelli, L’idea fissa, Adelphi, Milano 2008, p. 50.

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Levinas si riferisce senza dubbio a Henry Duméry, “Critique et religion”, in Revue de métaphysique et de morale, n. 4, 1954, pp. 435-453. 27 Cfr. Platone, Repubblica, libro VIII, e Fedone, 68c. 28 “Bilga – Miriam”. 29 “cohen”. 30 Talmud di Gerusalemme, trattato Sukkot 5, p. 55. Miriam, figlia di Bilga, un sacerdote, si era convertita per sposare un greco. Quando i Greci entrarono nel Santo dei Santi, sferrò un colpo di sandalo contro l’altare, invece di essere con gli ebrei durante quel tempo di oppressione. Da quel momento, la sua famiglia non poté più prestare servizio nel Tempio. 31 Levinas cita la traduzione di Léon Robin, Platone, Œuvres complètes, II, Gallimard, Paris 1950, p. 24. 32 È difficile sapere di quale lavoro si tratti. Segnaliamo solo che le idee qui espresse si trovano, in termini molto simili, in Totalità e Infinito, cit., p. 167 ss. 33 Allusione alla celebre definizione di Heidegger dell’uomo come pastore dell’Essere, presente nella Lettera sull’umanismo. 34 “Iored” significa “egli discende”; Baba Batra è un trattato del Talmud babilonese, “daf 10, ‘amud a” significa “foglio 10, pagina a”. 35 Levinas si riferisce ai Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel. 36 La descrizione del regno delle Madri nel I atto del secondo Faust di Goethe può effettivamente essere considerata come una descrizione possibile della nozione – centrale in Levinas – di “c’è”. 37 Levinas cita la traduzione del Fedro di Platone fatta da Léon Robin (Platone, Œuvres complètes, t. II, Gallimard, Paris 1950, p. 12). 38 Ibid., p. 13. 39 “Trattato Baba Qama foglio 70a”. Levinas ha scritto solo le iniziali del trattato. 40 “Rabbi Yehudah, figlio di Rabbi Hai, ha detto: “Dal giorno in cui la terra ha aperto la bocca per ricevere il sangue di Abele, non l’ha più aperta, come è detto: ‘dal confine della terra ascolteremo: Gloria al giusto!’ (Isaia 24, 16); ‘dal confine della terra’ e non ‘dalla bocca della terra’” (Sanhedrin, 37b). 41 Cfr. supra la nota 47 del Quaderno 6. 42 L’opera in questione è senza dubbio Totalità e Infinito. 43 Platone, Œuvres complètes, t. VI, La République, livre I-III, texte établi et traduit par E. Chambry, avec introduction d’A. Diès, Les Belles Lettres, Paris 1932; A. Rivaud, “Platon auteur dramatique”, Revue d’Histoire de la Philosophie, Ire année, fasc. 2, avril-juin 1927, pp. 125-151; Ulrich von Wilamonitz, Platon,

Note

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2 vol., Weidmann, Berlin 1919; V. de Magalhaes-Vilhena, Socrate et la légende platonicienne, PUF, Paris 1952; S. Pétrement, Le Dualisme chez Platon, les gnostiques et les manichéens, PUF, Paris 1947. 44 “Pir vo vrémia tchumy”, “La festa durante la peste”. Si tratta del titolo di una breve tragedia di Puškin. La si può leggere, con il titolo Il festino in tempo di peste, in A.S. Puškin, Teatro, tr. it. di S. de Vidovich, Garzanti, Milano 2006. È sicuramente a questa tragedia che fa allusione Levinas in “La réalité et son ombre”, quando scrive: “C’è qualcosa di crudele e di egoistico e di vile nel godimento artistico. Ci sono epoche in cui si può provarne vergogna, come del festeggiare in piena peste” (Les Imprévus de l’histoire, cit., p. 146). 45 “Dovete domandare a me, e non a voi, se volete comprendermi”. Si tratta dell’ultima frase di questa lettera di Hamann a Kant, che è possibile leggere a p. 29 e non 19 di Briefe von und an Kant, a c. di Ernst Cassirer, Erster teil: 1749-1789, Immanuel Kants Werke, Band IX, Bruno Cassirer, Berlin 1918 [Ak 10, Kant’s Briefwechsel, Bd 1 (1747 – 1788), 1922, p. 31]. 46 La prima parola in ebraico, “metaltelim”, significa “(beni) mobili”, la seconda, “qarqa”, “(beni) immobili”. 47 Platone, Œuvres complètes, t. II, cit., p. 12. 48 Platone, Œuvres complètes, t. II, cit., p. 13. 49 Su questa espressione di Rabelais, cfr. Quaderno di prigionia 3, p. 7, nota 7. 50 Questa fine della terza meditazione metafisica di Descartes è citata in Totalità e Infinito, cit., p. 217. 51 Platone, Œuvres complètes, t. II, cit., p. 640. 52 Sembra che Levinas faccia allusione alla conferenza di Heidegger dal titolo “Logos”, apparsa in Vorträge und Aufsätze, Neske, Pfullingen 1954 (tr. it. di G. Vattimo, Saggi e discorsi, Mursia, Milano 1976-1980, pp. 141-157). In questa conferenza, Heidegger intende risalire ad una determinazione del logos più essenziale di quella che consiste nel non vedervi che il semplice dire compreso come espressione del senso attraverso il suono. Il “logos” è compreso come legen (posare), più precisamente come un lasciar stare (liegen lassen) che ha a cuore la preservazione nel non nascondimento di quanto è posto. È a questo liegen lassen inteso come il lasciar la cosa presente mostrarsi da se medesima, farsi vedere nella luce, che punta Levinas. Benché il frammento non sembri perfettamente chiaro, nella misura in cui il “Liegen heideggeriano” al quale Levinas oppone la parola del Creatore sia esso stesso parola, poiché è il significato del logos, si può pensare che Levinas esprima qui, a partire dal liegen, la sua critica, a vantaggio dell’idea di Infinito e della nozione di creazione – critica che forma il cuore del

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suo pensiero e su cui i testi inediti di questo volume tornano più volte –, dell’interpretazione heideggeriana della verità come disvelamento, messa in luce, in quanto lo svelamento costituirebbe il senso ultimo della razionalità, e in quanto questo senso ultimo è dell’ordine del fondamento. Cfr., in questo volume, in particolare la Raccolta A, nota 3; Raccolta B, nota 64; Raccolta C, note 78 e 96. 53 “Quotidianità”, nozione ampiamente sviluppata da Heidegger in Essere e Tempo. Note alla Raccolta B 1

“ish milchamah” significa “uomo di guerra”. “Og, re di Basan…”, Numeri 21, 33. 3 Merkavah è il carro celeste, cfr. Ezechiele 1. 4 Cfr. Platone, Fedone 62b. 5 Allusione al Quarto Libro, cap. 61. 6 Rispettivamente: “merito per essere andato” e “merito per l’azione”. Capitoli dei Padri (Pirqe’ Abot), cap. 5, 14: “Quattro tipi diversi di uomini vanno al bet ha-midrash (“casa di studio”). Chi va ma non fa: ha la ricompensa del suo essere andato. Chi fa ma non è andato: ha la ricompensa della sua azione. Chi va e fa: è un uomo integro. Chi non va e non fa: è un uomo empio”. 7 R. Descartes, Œuvres et Lettres, a c. di A. Bridoux, Gallimard, Paris 1953 [AT, IX, 110], tr. it. cit., p. 861. 8 “Ta’anit”, trattato del Talmud babilonese. 9 Chouchani, personaggio enigmatico che fu il maestro di Talmud di Levinas. 10 Citazione tratta da F. Rosenzweig, Zweistromland, kleinere Schriften zur Religion und Philosophie, Philo, Berlin 1926, p. 221 [F. Rosenweig, Der Mensch und sein Werk, Gesammelte Schriften, 3, Zweistromland, kleinere Schriften zu Glauben und Denken, Nijhoff, 1984, pp. 206-207]. È possibile tradurre così: “Così è nata e, sicuramente, sempre in contatto con l’etica, ma rimanendo strettamente distinta da questa, una nuova dottrina dell’uomo, una dottrina, per la precisione, dell’uomo con e di fronte a dio – il quale è sicuramente prima di tutto e nello stesso tempo, l’uomo reale, presente, che non si lascia più dissolvere nell’umanità a venire e che non vuole più essere ‘lo spauracchio della legge morale’”. 11 B. Pascal, Pensées, frammento 396, dell’edizione Lafuma, in Œuvres complètes, Seuil, Paris 1963, p. 548. 12 Il frammento evoca forse Totalità e Infinito all’epoca in corso di elaborazione? Il piano richiamato corrisponde a quello della terza sezione del libro. 2

Note

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Si tratta di una critica alla nozione leibniziana di pluralità nell’unità, esposta specialmente nella Monadologia. Levinas, in Totalità e Infinito, intende definire un pluralismo liberato dall’unità del numero o dal riferimento ad una totalità, vale a dire rimettere in questione il “privilegio ontologico” dell’unità, o ancora il fatto che la filosofia occidentale pensa “l’essere in quanto essere [come] monade” (Totalità e Infinito, cit., p. 283). 14 Riferimento al poema di Baudelaire “Il viaggio” in I fiori del male. 15 “Profetizzava senza sapere cosa profetizzava”, commento di Rashi a Genesi 45, 18. 16 “betzniut” significa “con modestia”. La parola insiste su ciò che non deve essere mostrato in pubblico. 17 Cfr. A. Koyré, “L’évolution philosophique de Heidegger”, in Critique, n. 1-2, giugno-luglio 1946, éd. du Chêne, Paris, p. 168. Articolo ripreso in Études d’histoire de la pensée philosophique, A. Colin, Paris 1961. 18 Levinas si riferisce sicuramente a Max Müller, Existenzphilosophie in geistigen leben der Gegenwart, F. H. Kerle Verlag, Heidelberg 1949, in particolare alle pp. 50-57. L’opera, con l’aggiunta di un altro scritto dell’autore, è stata pubblicata in francese con il titolo Crise de la métaphysique, situation de la philosophie au XXe siècle, tr. fr. di M. Zemb, C. R. Chartier, J. Rovan, DDB, Paris 1953 (cfr. pp. 42-47). 19 Cfr. nota 22 della Raccolta A. 20 Anche se Levinas rimanda a Holzwege, Klostermann, Frank furt am Main 1949 (Sentieri erranti nella selva, a c. di V. Cicero, Bompiani, Milano 2002) e a Erläuterungen zu Hölderlin Dichtung, Klostermann, Frankfurt am Main 1951 (La poesia di Hölderlin, a c. di L. Amoroso, Adelphi, Milano 1988), si deve rammentare che è nei paragrafi 32 e 33 di Essere e Tempo, opera che Levinas cita subito dopo, che viene messa in luce la struttura dell’“etwas als etwas”, del “qualcosa come qualcosa” che significa che, nella nostra relazione con il mondo, le cose non sono mai colte nella loro nudità, ma sempre come questo o come quello. Tale struttura pre-linguistica è costitutiva del senso, ed è su di essa che ogni enunciato riposa, sia che venga compreso come predicazione, sia come comunicazione. 21 M. Heidegger, Sein und Zeit, Erste Häfte, Zweite Auflage, M. Niemeyer, Halle a. d. S. 1929 (edizione dell’esemplare di Levinas conservato nei suoi archivi). La traduzione italiana di Pietro Chiodi del passo, recita: “Il manifestare proprio dell’asserzione ha luogo sul fondamento di ciò che nella comprensione è già aperto, di ciò che è scoperto nella visione ambientale preveggente” (Essere e

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Tempo, Longanesi, Milano 1976, § 33, pp. 198-199), mentre la traduzione italiana di Alfredo Marini (Essere e Tempo, Mondadori, Milano 2011, p. 226), recita: “Il di-mostrare dell’enunciato si compie sulla base di ciò che è già dischiuso, o circospettivamente svelato nel comprendere”. 22 M. Heidegger, Sein und Zeit, cit., p. 161. La traduzione italiana di Pietro Chiodi, recita: “Il discorso è esistenzialmente cooriginario alla situazione emotiva e alla comprensione” (op. cit., § 34, p. 204, corsivo dell’autore), mentre la traduzione italiana di Alfredo Marini (op. cit., p. 232), recita: “Il parlare è esistenzialmente cooriginario al trovarsi e al comprendere”. 23 M. Heidegger, Sein und Zeit, cit., p. 162. La traduzione italiana di Pietro Chiodi, recita: “Ciò di cui nel discorso si discorre è sempre ‘preso di mira’ sotto un determinato riguardo ed entro certi limiti” (op. cit., § 34, p. 205), mentre la traduzione italiana di Alfredo Marini (op. cit., p. 233), recita: “A ciò-di-cui-siparla ‘la parola si riferisce’ sempre secondo una determinata in-spectio ed entro certi limiti”. Note alla Raccolta C 1

Potrebbe trattarsi di un’allusione alle discussioni che ebbero luogo durante la terza assemblea del Consiglio ecumenico delle Chiese a New Delhi nel 1961. 2 Salmo 2, 11: “Con timore esultate”. 3 Cfr. supra, Quaderno 2, nota 13. 4 “Bilaam”: cfr. Numeri 22: Bilaam è un profeta pagano a cui il re Balak chiede di maledire gli Ebrei, ma egli non riesce a farlo, perché Dio gli dice che il suo popolo è benedetto. 5 Si tratta di un “passo” di Totalità e Infinito all’epoca in corso di redazione? 6 Levitico 11, 2: “Ecco gli animali che potete mangiare”. Levinas fornisce riferimenti a commenti su questo versetto: il Midrash Tanhuma, il Midrash Rabah, e il commento di Rabbenu Nissim sul trattato talmudico Hullin 81. 7 “Avodah Zara’” (trattato talmudico sull’idolatria). 8 Platone, Teeteto, 148 ss. 9 Levinas sta forse pensando in particolare all’Etica nicomachea, 1143 a32 – 1143 b5. 10 Sull’Entschlossenheit (risolutezza/decisione), cfr. M. Heidegger, Essere e Tempo, § 60. 11 J. Salvador, Paris, Rome, Jérusalem ou la question religieuse au XIXe siècle, t. II, Calmann-Levy, Paris 1880, pp. 270-271 (seconda edizione riveduta e corretta).

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Platone, Œuvres complètes, t. II, cit., p. 637 (ma le parole riportate sono attribuite all’Ateniese, e non a Clinia). 13 Platone, Œuvres complètes, t. II, cit., p. 638. 14 La parola significa “vestibolo”. Levinas fa allusione a un confronto, tradizionale nel giudaismo, tra questo mondo e un vestibolo che prepara l’ingresso nel mondo futuro. 15 “Perfino gli sciacalli porgono le mammelle e allattano i loro cuccioli: ma la figlia del mio popolo è diventata crudele come lo struzzo del deserto”: Lamentazioni 4, 3. Commento di Rashi: “Anche se sono crudeli (gli sciacalli) porgono le loro mammelle quando vedono arrivare i loro cuccioli affamati; offrono le loro mammelle perché hanno una riserva e la danno. La figlia del mio popolo [sottolineato da E.L.] è diventata crudele: vede i suoi figli piangere per il pane e non ne dà loro perché la sua vita viene prima di quella dei suoi figli a causa della fame (che anche lei prova)”. 16 M. de Montaigne, Essais, I, 2, in Essais, texte établi et annoté par A. Thibaudet, Gallimard, Paris 1950, tr. it. di V. Enrico, Saggi, Mondadori, Milano 1986, p. 27. 17 “Colui che ha fatto peccare gli altri”, commento di Rashi su Bamidbar (Numeri) 27, 3, in cui le figlie di Zelofhad fanno valere che il loro padre è morto per il suo peccato; Rashi sottolinea che non ha fatto peccare gli altri. Ta’anit è un trattato del Talmud. 18 Questo frammento evoca la scrittura in corso di Totalità e Infinito? 19 “… [l’uomo] è l’unico animale per natura partecipe del senso del pudore e del ritegno e che ha una tendenza al sociale, e che è attento nei suoi atti e nelle sue parole, a evitare che ciò che proviene da lui sia privo di onestà e dignità” Cicerone, De finibus bonorum et malorum, IV, 18. 20 “Listim” significa “briganti”. 21 Allusione alla “Prima Elegia” nelle Elegie duinesi di R.M. Rilke. 22 Può trattarsi della nota 77 di questa Raccolta C. 23 Salmo 30, 10: “Ti celebra la polvere / proclama la tua verità”.

Note alla Raccolta D 1

Si tratta degli ultimi due versi del poema di Paul Valéry “La Sylphe” (in Charmes). Cfr. anche E. Levinas, Dall’esistenza all’esistente, cit., p. 34. 2 Cfr. Quaderno 3, p. 7, nota 7.

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“Non è il discorso ad essere fondamento, ma la tradizione” oppure “Faremo e ascolteremo” (Esodo 24, 7). 4 Charlot garzone di caffè (Caught in a cabaret), cortometraggio del 1914. 5 Non è stato trovato il testo a cui presumibilmente Levinas fa allusione. È comunque opportuno segnalare che nel suo libro Significato e fine della storia, Il Saggiatore, Milano 1998 (l’opera, scritta nel 1940, è apparsa in inglese nel 1949 e in tedesco nel 1953), Karl Löwith critica le filosofie della storia come versioni secolarizzate delle idee bibliche e si rivolge alla cosmologia e alla teologia degli antichi Greci. Note al Quaderno B 1 2

“Chi studia ma non insegna non ha parte nel mondo che viene”. “betsniut”: cfr., supra, la nota 16 della Raccolta B.