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Italian Pages 216 [111] Year 1997
Aggiornamenti Aspetti della psicologia
Aspetti della psicologia
Patrizia Catellani
La collana raccoglie testi di sintesi su aspetti specifici della ricerca e della pratica psicologica, rivolti non solo agli studenti universitari, ma anche all'ormai vasto mondo dei professionisti e degli operatori, che potranno trovare in questi volumi presentazioni d'assieme, costantemente aggiornate, delle problematiche connesse alla dimensione psicologica dell'esistenza e delle attività umane.
Psicologia politica
Società editrice il Mulino
Premessa
Società editrice il Mulino possono consultare il sito Internet: www.mulino.it
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1. Una possibile definizione 2. Psicologia sociale e psicologia politica 3. Cenni storici
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1. La codifica delle informazioni politiche 2. La percezione degli uomini politici 3. La percezione dei temi politici 4. L'organizzazione delle conoscenze politiche 5. Le basi non cognitive degli atteggiamenti politici 6. La componente affettiva degli atteggiamenti politici 7. Atteggiamenti e comportamenti 8. Assimilazione e contrasto nel giudizio politico
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9. La competenza
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10. Conoscenza e partecipazione politica
III. La decisione politica ISBN 978-88-15-05972-7
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I. L'area di studio della psicologia politica
II. La conoscenza e gli atteggiamenti politici
I lettori che desiderano informarsi sui libri e sull'insieme delle attività della
P.
1. La decisione razionale 2. Decisione e razionalità umana 3. Fattori cognitivi nella decisione 4. Fattori sociali nella decisione 5. La teoria del prospetto 6. L'illusione dell'elettore
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IV. L'orientamento ideologico e politico
1. Autoritarismo 2. Orientamento alla dominanza sociale 3. Il sistema dei valori 4. Orientamento politico e ragionamento morale 5. Orientamento politico e stile cognitivo
V. La comunicazione politica 1. Mass media e politica 2. L'effetto terza persona 3. Il linguaggio politico: un approccio psicosociale 4. Le interviste agli uomini politici 5. I faccia a faccia televisivi 6. Le categorie sociali nei discorsi degli uomini politici 7. Le categorie sociali nei discorsi dei cittadini 8. Parlare di politica nella vita quotidiana
VI. La partecipazione politica 1. Identità sociale e politica 2. La ricerca sul comportamento di voto 3. Interesse personale e scelta di voto 4. Identità sociale e scelta di voto 5. Azione collettiva 6. Dimensioni e modi dell'azione collettiva 7. L'approccio sociologico all'azione collettiva 8. Determinanti psicologiche dell'azione collettiva 9. Identità sociale e azione collettiva
Premessa p. 101
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Riferimenti bibliografici 199
Questo volume costituisce un'introduzione alla psicologia politica, ossia allo studio dei rapporti che intercorrono tra il mondo del soggetto e il mondo della politica. Non si tratta di una disciplina nuova, ma al contrario di una disciplina con una tradizione empirica consolidata, che appare oggi caratterizzata da un nuovo impulso e dall'emergere di nuove prospettive. Un indice di questa vitalità è la sempre maggiore estensione della psicologia politica anche al di fuori del contesto statunitense dove ha avuto il suo maggiore sviluppo. Anche l'Italia può essere annoverata tra i paesi nei quali la riflessione teorica e la ricerca empirica in questo campo appaiono oggi sicuramente in crescita [Amerio 1996; Legrenzi e Girotto 1996]. Il primo capitolo del volume comprende una definizione dell'area di studio della psicologia politica, e una presentazione dei principali temi di indagine che ne hanno caratterizzato l'evoluzione storica. Il secondo capitolo è dedicato alla conoscenza e agli atteggiamenti politici, due temi ai quali la ricerca recente ha dedicato particolare attenzione. Ciò che i soggetti sanno di politica non dipende solo dalle informazioni a cui vengono esposti, ma anche dal modo in cui queste informazioni vengono selezionate, interpretate, riorganizzate dai soggetti stessi. Le conoscenze politiche sono anche parte costitutiva degli atteggiamenti politici, del fatto di schierarsi a favore o contro un certo tema o un certo candidato. Tuttavia tali atteggiamenti non si fondano solo sulla conoscenza, ma anche su componenti extracognitive, come le emozioni o le esperienze: il complesso intreccio di influenze di tutte queste componenti, già ampiamente indagato nello studio degli atteggiamenti sociali, comincia oggi a essere più chiaro anche a proposito degli atteggiamenti politici. Nel terzo capitolo viene affrontato il tema della decisione politica, e la chiave di lettura è alternativa rispetto a quella, a
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lungo dominante, proposta dalle teorie economiche, e basata su un'idea di uomo come decisore razionale guidato dal perseguimento del proprio interesse personale. A questo approccio, che le teorie economiche hanno assunto come una sorta di a priori non verificato, si va gradualmente sostituendo una definizione di uomo decisore basata invece sui risultati della ricerca empirica, in particolare sull'individuazione dei fattori di natura cognitiva e sociale che «di fatto» giocano un ruolo nelle decisioni politiche. La dimensione ideologica costituisce il tema del quarto capitolo, che comprende non solo il riferimento alla classica distinzione sinistra-destra, ma anche ad altri principi e valori che risultano fondanti delle specifiche posizioni e scelte politiche dei soggetti. Alla comunicazione politica è dedicato poi il quinto capitolo: dopo aver affrontato il tema dell'influenza dei media e di come questa viene percepita dai soggetti, l'attenzione si sposta sul tema del linguaggio politico così come viene affrontato in prospettiva psicosociale. Gli esempi di ricerca riportati riguardano, oltre che il linguaggio degli uomini politici, anche il linguaggio dell'uomo comune quando parla di politica, un ambito di indagine finora meno approfondito. L'ultimo capitolo prende in esame il tema della partecipazione politica, dal comportamento di voto fino alle diverse forme di azione collettiva: viene offerta una sintesi dei diversi approcci a questo tema, proposti sia dalla psicologia che dalla sociologia, per privilegiare poi l'esame dei fattori psicosociali coinvolti nella partecipazione, con particolare riguardo alla nozione di identità sociale [Tajfel e Turner 1986]. Di fatto, la citazione di teorie e modelli sviluppati nell'ambito della ricerca psicosociale è frequente nel corso di tutto il volume. Per forza di cose non si è trattato di presentazioni esaustive, per le quali di volta in volta si è rimandato il lettore alla specifica letteratura in materia; tuttavia si è cercato di chiarire almeno le nozioni essenziali di riferimento, in modo da facilitare la lettura anche ai non specialisti. Il volume si rivolge infatti a un pubblico ampio, a tutti coloro che, per motivi di studio o anche per semplice curiosità, vogliano sapere cos'è la psicologia politica. Detto questo, i lettori troveranno probabilmente spunti diversi a seconda dei loro specifici interessi. In particolare chi si occupa di psicologia, e soprattutto di psicologia sociale, potrà trarre indicazioni in merito alle possibilità di estensione della ricerca «di base» a un ambito applicato. Chi
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invece si occupa di politica (scienziati della politica, sociologi, politici, sindacalisti, giornalisti e così via) potrebbe trarre indicazioni sulla politica vista dalla parte del soggetto, di quel soggetto che, in misura maggiore o minore, è comunque presente e gioca un ruolo nell'ambito di qualunque fenomeno politico.
Capitolo primo L'area di studio della psicologia politica
Il 15 settembre 1996 ha avuto luogo quella che dai mass media è stata battezzata la «marcia sul Po»: i fedelissimi del movimento della Lega Nord si sono radunati sulle rive del Po, preso a simbolo della Padania, e il loro leader, Umberto Bossi, ha tenuto un discorso nel quale ha rinnovato l'intento programmatico del movimento, quello di fare della Padania una macroregione con piena autonomia economica e politica rispetto al resto d'Italia, una macroregione che, per le sue caratteristiche, diverrebbe una delle aree più influenti e sviluppate nell'ambito dell'economia europea. Un episodio politico dei tanti avvenuti negli ultimi anni, secondo alcuni nemmeno in sé così rilevante, ma al quale certamente i mezzi di comunicazione hanno dedicato ampio spazio. Un episodio che può interessare non solo i giornalisti, ma anche gli studiosi di diverse discipline. Lo scienziato della politica potrebbe trovare spunto per esaminare le caratteristiche del movimento della Lega Nord, le istituzioni e il sistema politico in cui tale movimento si è sviluppato e i comportamenti politici che da tutto questo derivano. L'economista potrebbe indagare gli effetti dell'episodio in termini di posizione della lira sul mercato monetario. Lo storico potrebbe cercare analogie tra le condizioni che hanno condotto alla «marcia sul Po» e altri raduni di massa nella storia politica italiana. L'esperto in comunicazione o il linguista potrebbero studiare i titoli e gli articoli dedicati dai diversi giornali all'episodio, o i discorsi e gli slogan di Bossi e dei leghisti nelle loro diverse componenti semantiche e pragmatiche. II sociologo, infine, potrebbe descrivere l'episodio come una delle possibili modalità di azione di un movimento politico, con una certa storia e certe caratteristiche, con una certa diffusione sul territorio, o studiare l'estrazione sociale e culturale dei suoi sostenitori.
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E lo psicologo? In questa pluralità di contributi sulla realtà politica, qual è lo spazio che si può ritagliare la psicologia? C'è la possibilità per la psicologia di offrire un apporto originale che si integri con quello delle altre discipline? Naturalmente in questo volume si muove dal presupposto che questa possibilità ci sia. Chi ne è già convinto può forse saltare il resto di questo capitolo e vedere direttamente nei capitoli successivi quali sono i temi che, di fatto, vengono affrontati dalla psicologia politica. Chi invece nutre delle perplessità in merito all'area di indagine della disciplina conviene che legga ciò che segue. 1. Una possibile definizione
Torniamo allora all'episodio della «marcia sul Po», e cerchiamo di capire come potrebbe essere affrontato dalla psicologia. L'attenzione sarebbe focalizzata soprattutto sulle persone, su coloro che in vario modo possono aver avuto a che fare con quell'episodio, o perché coinvolti attivamente in esso, oppure anche semplicemente perché di quell'episodio sono venuti a conoscenza, essendone stati spettatori indiretti tramite i media. Soffermiamoci anzitutto sulla prima categoria, quella numericamente più limitata, che comprende i protagonisti dell'episodio. La psicologia potrebbe cercare di spiegare perché il leader, i dirigenti e i militanti della Lega Nord hanno agito come hanno agito, quali sono i fattori soggiacenti alla loro decisione di promuovere quella particolare azione collettiva. Qual era in quel momento la loro percezione di se stessi, di coloro che condividono la loro posizione politica e di coloro che non la condividono? Come si sono sviluppate nel tempo queste percezioni e come in esse le componenti cognitive si correlano con quelle motivazionali, affettive, valutative (ad esempio cosa li ha indotti a definirsi come leghisti, quali emozioni suscita questa definizione di sé, quali atteggiamenti si accompagnano a essa)? Ancora: qual è la loro rappresentazione di quell'episodio, di altri già vissuti in precedenza o magari solamente prefigurati? Quali sono le idee, i principi, i valori ultimi cui queste persone si riferiscono nell'interpretare le questioni politiche, ad esempio il tema del federalismo? Come tutti gli aspetti di cui si è detto vengono trasmessi, costruiti, rielaborati attraverso l'interazione
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e attraverso il linguaggio? Che ruolo hanno avuto tutti questi fattori nella decisione di partecipare alla «marcia sul Po»? Buona parte di queste domande potrebbero valere anche per la seconda categoria di persone di cui si è detto, quella di coloro che non hanno partecipato alla «marcia sul Po», ma semplicemente ne sono stati spettatori tramite la diffusione data all'episodio dai media. Anche di queste persone si potrebbero studiare le percezioni, le emozioni, i giudizi e così via. Di tutto questo si occupa la psicologia politica, e lo fa con i modi propri della ricerca empirica, attraverso la formulazione di ipotesi e la loro verifica in contesti reali o simulati, nell'intento di identificare i fattori che influiscono su ciò che i soggetti pensano o fanno in relazione alla realtà politica, e di vedere in che modo e in quali condizioni questi fattori agiscono. Volendo proporre una definizione, si potrebbe dire che «la psicologia politica studia le rappresentazioni e azioni dei (potenziali o attuali) attori della politica, ossia di qualunque soggetto in quanto cittadino, leader, o membro di gruppi che abbiano fini di carattere pubblico e collettivo» [Hermann 1986; Larrue 1994; Amerio 1996]. Attraverso l'utilizzo dell'espressione «attori della politica», invece che semplicemente «soggetti» si vuole sottolineare che il soggetto studiato dalla psicologia politica non è un soggetto «astratto», che sente, comprende, ragiona indipendentemente dalla realtà in cui è inserito; è un soggetto «concreto», che agisce all'interno di una certa realtà e in questo modo la influenza e ne è influenzato [Amerio 1991]. La definizione proposta non è sicuramente l'unica possibile, tuttavia riflette bene una delle tendenze oggi emergenti nella ricerca in psicologia politica, ossia quella a sottolineare la centralità dell'azione. 2. Psicologia sociale e psicologia politica
Porre l'accento sul tema dell'azione significa fare implicito riferimento alla dimensione sociale, perché l'azione non ha mai luogo in un vacuum sociale; è anzi proprio attraverso l'azione che il soggetto entra in relazione con l'ambiente esterno e con gli altri. Se poi si considera che una delle funzioni della politica è quella di regolare i rapporti, in particolare la distribuzione delle risorse e del potere, tra gli individui e tra i gruppi, appare difficile concepire uno studio degli attori della politica che esuli
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completamente dalla dimensione sociale. In effetti, la prospettiva che si è adottata nel volume è quella di vedere l'ambito politico come uno degli ambiti di applicazione della psicologia sociale. Vale dunque la pena di esaminare più da vicino i rapporti tra psicologia sociale e psicologia politica, e per farlo può essere opportuno riferirsi alla distinzione che segue [Larrue 1994]. Ricerche di psicologia sociale estese all'ambito politico. Nelle ricerche di questo tipo si pone l'accento sul fatto che il soggetto attore della realtà politica porta con sé alcune caratteristiche che gli sono proprie anche come attore della realtà sociale più generale. Così, ad esempio, i processi cognitivi coinvolti nella formazione di un giudizio su un uomo politico sono in parte simili a quelli che entrano in gioco nella formazione di un giudizio su una persona incontrata a una cena in casa di amici o su un collega di lavoro. Allo stesso modo nella scelta di far parte di un gruppo politico si possono ritrovare alcuni processi, come quello di identificazione con il gruppo, che si ritrovano anche nella scelta di far parte di gruppi di altro tipo, ad esempio un circolo ricreativo. Ancora, i meccanismi di influenza e di persuasione che un uomo politico mette in atto nei confronti dell'elettorato avranno sicuramente delle analogie con quelli esercitati da un venditore che cerca di convincere il potenziale compratore. Si potrebbe continuare con gli esempi, e in questo modo giungere a coprire praticamente tutti i temi classici della psicologia sociale che, mutatis mutandis, si possono ritrovare anche nel contesto politico. Sono molti, in effetti, i risultati di ricerche di psicologia sociale che potrebbero essere estesi anche all'ambito politico e in alcuni casi queste possibili estensioni sono citate esplicitamente dagli stessi ricercatori. Per fare solamente un esempio si consideri la distinzione, proposta da Fiske e Pavelchak [1986], e verificata attraverso diversi esperimenti, tra condizioni in cui il giudizio su una persona viene fondato sul riferimento a singoli elementi di conoscenza (piecemeal), e condizioni in cui questo giudizio viene invece fondato sul riferimento a conoscenze più strutturate e organizzate (schematiche). Come hanno rilevato gli stessi Fiske e Pavelchak, questa distinzione potrebbe risultare valida anche per quanto riguarda la formazione di impressioni relative a un candidato politico. In alcune circostanze ci possiamo fare un'idea di un candidato a partire da singole sue caratte-
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ristiche, fisiche o di personalità, che rimandano a caratteristiche analoghe viste in persone incontrate in precedenza. In circostanze diverse possiamo invece giudicare il candidato sulla base di una categoria a cui appartiene, nel senso che gli attribuiamo le caratteristiche percepite come tipiche di quella categoria: ad esempio l'ideologia del partito o la città d'origine di un certo candidato potrebbero essere entrambe categorie di riferimento che abbiamo utilizzato nel formarci un giudizio su di lui. Ricerche di psicologia sociale della politica. In queste ricerche l'accento viene posto sulla specificità del contesto politico. La prospettiva è ben sintetizzata da Ghiglione [1989, 43], nel riferirsi ai suoi lavori di analisi dei discorsi degli uomini politici: «Se anche l'uomo politico avesse un certo numero di punti in comune con un uomo che comunica in situazione pubblica, avrà comunque [... ] degli aspetti incommensurabili con un altro uomo pubblico in situazione di comunicazione». Quanto vale nell'ambito della comunicazione può valere anche per gli altri ambiti della psicologia sociale che sono stati citati sopra. E vero che ci sono processi di base che orientano i soggetti nella formazione di impressioni, ma altro è formarsi un giudizio su una persona per decidere se invitarla o no a cena, altro è farlo per decidere se votarla o no alle prossime elezioni. Allo stesso modo alcuni processi presenti nella partecipazione a un gruppo e nella «vita» di tale gruppo possono essere costanti, ma un conto è decidere di far parte di un gruppo pacifista, un altro è decidere di far parte di un gruppo di pesca sportiva. Insomma lo specifico contesto politico porta con sé delle conseguenze in termini di: a) scopi che il soggetto o il gruppo si pongono; b) ruoli che vengono rivestiti; c) regole e vincoli ai quali conformarsi; e tutti questi aspetti, a loro volta, esercitano un'influenza sulle rappresentazioni e sulle azioni dei soggetti. La distinzione fra i due tipi di ricerche di cui si è detto non va intesa in senso rigido. La si è proposta semplicemente per sottolineare che in alcune ricerche l'accento viene posto sulle somiglianze tra l'ambito politico e altri ambiti della realtà sociale, mentre in altre ricerche l'accento viene posto sulle peculiarità dell'ambito politico. Ciò che più importa, tuttavia, è che in entrambi i casi la dimensione sociale viene assunta come costitutiva della politica ed è questa la prospettiva sottostante la maggior parte delle ricerche presentate nel corso di questo volume.
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3. Cenni storici
Prima di passare a esaminare le tematiche specifiche della psicologia politica, vale la pena di soffermarsi brevemente sulla storia di questa disciplina, per avere un'idea dei problemi che maggiormente l'hanno caratterizzata, così come delle teorie psicologiche alle quali maggiormente essa si è riferita. Da questa breve rassegna risulterà evidente che lo sviluppo della disciplina è stato finora ineguale dal punto di vista territoriale, con una prevalenza netta degli studi condotti in ambito statunitense, di contro a una presenza molto più limitata di studi condotti in ambito europeo e in particolare italiano [tuttavia cfr. Quadri() 1984]. Lo sviluppo preponderante della disciplina in contesto statunitense può essere in parte spiegato con il tipo di impostazione teorica prevalente nell'ambito della scienza della politica anglosassone rispetto a quella europea. Mentre quest'ultima è stata a lungo caratterizzata da un interesse prevalente per lo studio dell'ideologia e delle istituzioni, la scienza della politica anglosassone, e in particolare statunitense, è segnata sin dall'inizio da un'impostazione più funzionalista, che vede il sistema politico come insieme di relazioni, come espressione di coloro che agiscono nel sistema stesso, vale a dire i leader e l'opinione pubblica. Questa impostazione, proprio perché pone l'accento sui soggetti della politica, ha creato le premesse culturali favorevoli per lo sviluppo di una disciplina come la psicologia politica. Ne è derivata una collaborazione e interazione costante tra politologi e psicologi, che ha avuto riflessi anche istituzionali, con la realizzazione di percorsi universitari ad hoc per la preparazione di specialisti in psicologia politica e la fondazione, nel 1978, di un'associazione di psicologia politica (ISPP, International Society of Political Psychology) che, per quanto internazionale, è ancora oggi costituita in massima parte da psicologi statunitensi. Questi fenomeni non hanno finora avuto un corrispettivo in Europa, dove è ancora poco frequente anche l'attivazione di corsi universitari di psicologia politica. Schematicamente, l'evoluzione storica della disciplina può essere suddivisa in alcune fasi principali, per ciascuna delle quali è possibile identificare gli approcci teorici e le tematiche prevalenti (anche se, naturalmente, non esclusivi) [McGuire 1993]. Come spesso accade nella storia delle discipline scienti-
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fiche, anche nel caso della psicologia politica l'approccio teorico dominante in un dato periodo ha avuto un'influenza sui temi e problemi affrontati in prevalenza in quello stesso periodo. Anni '40-50: fattori di personalità in politica. Chi non sarebbe curioso di sapere quali motivazioni psicologiche hanno condotto un leader politico come Hitler a fare quello che ha fatto? E quale storico o scienziato della politica oggi avrebbe difficoltà a riconoscere che la presenza, in un dato momento della vita politica di un paese, di un leader con certe piuttosto che altre caratteristiche personali può modificare il corso della storia di quel paese? Gli iniziali sviluppi della psicologia politica hanno riguardato proprio lo studio dei fattori di personalità che giocano un ruolo nell'esercizio della politica, e si sono fondati essenzialmente sul patrimonio concettuale e interpretativo offerto dalla teoria psicoanalitica. Se da un lato opere di Freud come Il futuro di un'illusione (1927) o Il disagio della civiltà (1929) gettano le basi per un'estensione della visione psicoanalitica dalla sfera puramente individuale a quella sociale e politica, dall'altro le psicobiografie di importanti personaggi del passato (si veda ad esempio il saggio su Leonardo da Vinci dello stesso Freud, pubblicato nel 1910) offrono una metodologia di ricostruzione della personalità attraverso documenti di archivio che appare applicabile anche al caso dei leader politici. E in effetti questo è proprio il lavoro effettuato da Lasswell [1930; 1948], le cui opere costituiscono una citazione praticamente obbligata quando ci si riferisce alle origini della psicologia politica. Attraverso la ricostruzione delle diverse fasi evolutive nella vita di alcuni leader politici, Lasswell si propone di spiegare per quale motivo alcune persone e non altre scelgono di impegnarsi nell'attività pubblica. Gli uomini politici sarebbero caratterizzati da ansie irrisolte relative al proprio ego, così come da una scarsa stima di sé, e si rivolgerebbero all'esterno per cercare quella conferma che non trovano all'interno di sé, e che pure è così essenziale per l'equilibrio psichico. La dimensione conflittuale tipica dell'attività politica sarebbe funzionale alla risoluzione dei conflitti interiori. Infatti, attraverso un meccanismo di spostamento, tali conflitti, in origine privati, verrebbero deviati su oggetti pubblici, e le azioni di conseguenza intraprese verrebbero razionalizzate in termini di pubblico interesse. L'approccio psicobiografico di matrice psicoanalitica ha avuto e ha tutto-
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ra un seguito tra gli studiosi di psicologia politica. Spesso citato è ad esempio il lavoro di Barber [1985], che ha proposto una tipologia di personalità nella quale collocare i diversi presidenti degli Stati Uniti, e in base ad essa ha spiegato successi e insuccessi della loro politica presidenziale. Ad esempio Wilson, Johnson e Nixon apparterrebbero alla categoria dei cosiddetti «attivi negativi». Cosa si intende con ciò? Gli attivi negativi sarebbero uomini politici che, a causa di una originaria scarsa stima di sé, avrebbero la tendenza a non cambiare la propria strategia politica nemmeno quando segnali evidenti ne suggeriscono l'opportunità, e in questo modo andrebbero spesso incontro a sconfitte. La linea politica adottata dal presidente Johnson durante la guerra del Vietnam sarebbe un chiaro esempio di questa modalità di comportamento. Nei primi studi sui fattori di personalità in politica è presente, oltre al riferimento alla teoria psicoanalitica, il riferimento alle teorie personologiche, e in particolare al modello motivazionale di Maslow [1954]. In questa luce sono state indagate non solo le élites politiche, ma anche, sia pure in misura minore, la più ampia categoria dei militanti di partito: si è posto così in rilievo che l'attività politica, in quanto espressione di bisogni situati in posizione elevata nella gerarchia proposta da Maslow, viene in genere intrapresa solo quando i bisogni di base (fisiologici, di buona salute ecc.) sono già stati soddisfatti. Un soggetto che si trovi in questa condizione sarebbe un soggetto caratterizzato da un'alta stima di sé e da un forte senso di efficacia personale. È evidente il contrasto tra un approccio come quello di Lasswell, che ipotizza una scarsa stima di sé degli uomini politici, e un approccio come quello appena citato, che giunge invece a una conclusione opposta. Senza affrontare in dettaglio le ragioni di questo contrasto, si può trarre spunto da esso per muovere due critiche di carattere generale in merito allo studio dei rapporti tra personalità e politica [Sears 1987]. Un primo rilievo riguarda le differenze di metodo che hanno caratterizzato le ricerche sulla personalità dei leader e rispettivamente dei militanti, con la conseguente difficoltà a confrontare i risultati di tali ricerche. È evidente che l'approccio psicobiografico approfondito utilizzato nel caso dei leader non era nemmeno proponibile nel caso dei militanti, per i quali i questionari sono stati lo strumento più ampiamente utilizzato: di questa differen-
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za è tuttavia opportuno tener conto nel caso si vogliano confrontare le caratteristiche di personalità rilevate negli uni e negli altri. Un secondo rilievo critico riguarda l'accento esclusivo che queste ricerche pongono sul carattere, quindi sugli aspetti interni, riconducibili al soggetto, senza alcuna considerazione degli aspetti esterni, delle componenti ambientali che pure giocano un ruolo nelle scelte di vita del soggetto. Insomma si potrebbe dire che i ricercatori di cui si è parlato sono incorsi nell'errore fondamentale di attribuzione descritto da Ross [1977], nel senso che hanno accentuato il ruolo giocato dai fattori disposizionali a scapito di quello giocato dai fattori situazionali nella spiegazione del comportamento politico dei soggetti. Prendiamo ad esempio la perestroika di Gorbaciov, le sue scelte politiche, il suo comportamento da leader: in che misura sono diretta espressione delle sue caratteristiche di personalità e in che misura sono invece espressione delle condizioni politiche locali e globali presenti nel momento storico in cui Gorbaciov ha operato? Questa seconda critica è in parte riconducibile alle teorie della personalità soggiacenti agli studi «classici» citati e potrebbe essere superata dall'applicazione all'ambito politico di teorie della personalità più recenti, di matrice interazionista, attente all'esame delle interazioni tra persona e situazione [Caprara e Van Heck 1994]. Anni '60-70: opinione pubblica e comportamento elettorale.
I protagonisti della politica non sono solo i leader o i militanti di partito; sono anche i cittadini, la cui influenza, in un sistema democratico, si esprime soprattutto attraverso il voto. Già a partire dagli anni '50 comincia ad affermarsi un consistente interesse della psicologia politica nei confronti di un tema intorno al quale si coagulano in seguito moltissime ricerche, il tema appunto del comportamento elettorale, e più in generale degli atteggiamenti politici dei cittadini. Una data importante è il 1952, anno in cui l'Università del Michigan avvia un'indagine su vasta scala, effettuata da allora in poi ogni quattro anni negli Stati Uniti, per «monitorare» gli atteggiamenti politici dei cittadini e il loro orientamento nei confronti del voto. Si tratta del National Election Study (NES), un'indagine che a tutt'oggi costituisce una preziosa fonte di dati per studiosi di diverse discipline, dalla scienza della politica alla sociologia e alla psicologia.
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In questi anni l'attenzione della psicologia politica si sposta dunque dallo studio delle élites allo studio della cosiddetta «opinione pubblica» [Lippmann 1922]. Implicita nella stessa definizione di opinione pubblica è l'idea che i soggetti non reagiscono direttamente alla realtà che li circonda, ma al contrario si costruiscono delle rappresentazioni, in genere stereotipate e semplificate, di tale realtà e sulla base di queste prendono poi delle decisioni, nella vita comune come in campo politico. A partire da questa prospettiva, Campbell, Converse, Miller e Stokes conducono un'indagine a vasto raggio sull'elettore statunitense e pubblicano i risultati nel volume TheAmerican voter (1960). In questo volume, probabilmente per la prima volta, si propone di estendere all'ambito politico una nozione sviluppata nell'ambito della psicologia sociale, ossia quella di «atteggiamento». Nel modo in cui questa nozione viene utilizzata da Campbell et al. [1960] è percepibile tuttavia, ancora, un'influenza degli studi della fase precedente sui fattori di personalità in politica, nel senso che si fa risalire all'età evolutiva lo sviluppo di atteggiamenti che nel corso dell'età adulta divengono stabili e resistenti al cambiamento. Il processo di socializzazione, e soprattutto la famiglia, giocherebbero un ruolo fondamentale nello sviluppo di una identificazione con il partito che diventerebbe poi la determinante principale della scelta di voto. Così il voto non sarebbe basato su un esame obiettivo delle molte informazioni disponibili al soggetto in merito a temi politici, partiti e candidati; sarebbe invece un comportamento sostanzialmente irrazionale, dettato da una «spinta» interna che sovrasterebbe i dati provenienti dall'esterno. Campbell è giunto a questa conclusione dopo aver verificato, attraverso il questionario proposto, che la gente comune possiede informazioni davvero scarse sulla realtà politica e nemmeno si preoccupa di raccoglierle. In età adulta le persone sembrano preoccupate soprattutto dei fatti relativi alla loro sfera privata (famiglia, lavoro ecc.) e non si interessano delle questioni pubbliche, se non limitatamente agli aspetti che possono avere dei riflessi piuttosto immediati sul privato. In questa situazione di «povertà» cognitiva il soggetto si limiterebbe ad adattare le poche informazioni di cui dispone alle idee preconcette che ha già, quindi ad esempio «filtrerebbe» nuove informazioni relative al suo partito in modo tale da renderle coerenti con la visione positiva che egli ha già di quel partito, visto che, appunto, si è identificato con esso.
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La nozione di «identificazione con il partito» verrà messa in crisi non solo dall'emergere di nuovi paradigmi interpretativi, come vedremo nel paragrafo successivo, ma anche da un obiettivo cambiamento intervenuto nel comportamento di voto dei cittadini, per cui, a partire dagli anni '70, da un'elezione alla successiva si cominciano a osservare spostamenti di porzioni consistenti dell'elettorato da un partito all'altro, spostamenti difficilmente attribuibili al semplice cambio generazionale. Questo fenomeno favorirà lo sviluppo di studi che porranno in evidenza il ruolo di fattori diversi rispetto all'identificazione nella scelta di voto (la performance dei governi precedenti, il rilievo attribuito a particolari temi politici, la preferenza per certi candidati e così via; cfr. cap. VI, par. 2). La visione proposta da Campbell è sostanzialmente quella di un homo politicus irrazionale, e ad essa può essere contrapposta una visione dell'homo politicus come razionale, propria di alcuni studiosi che, negli stessi anni, interpretano il comportamento elettorale a partire dalle teorie economiche della decisione (cfr. cap. III, par. 1). Il riferimento «storico» principale in questo ambito è il volume di Downs An economic theory of democracy (1957), nel quale si sostiene che l'elettore, anche se dispone di informazioni parziali, ha comunque la possibilità di decidere in modo razionale, nel senso di scegliere tra le possibili alternative quella caratterizzata dalla massima utilità attesa. Il volume di Downs non è di psicologia, e tuttavia vale la pena citarlo in questa sede per mettere in evidenza come gli studi sul comportamento elettorale effettuati in questi anni abbiano condotto alla messa a fuoco di un nuovo tema, quello della razionalità del comportamento politico, sostanzialmente negata da un autore come Campbell e sottolineata invece da un autore come Downs. Si apre così la via alla fase successiva della ricerca nell'ambito della psicologia politica, quella che pone per l'appunto la razionalità, o meglio i processi mentali, al centro dell'indagine. Anni '80: political cognition. Dunque il comportamento politico è irrazionale o razionale? Posta in questi termini, l'alternativa sembra troppo radicale e, in effetti, a partire dagli anni '70, la questione comincia ad essere affrontata in modo più articolato, grazie all'estensione dell'approccio cognitivista all'ambito della psicologia politica. L'attenzione della ricerca si sposta
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dall'esame degli atteggiamenti e dei comportamenti politici all'esame dei processi di elaborazione delle informazioni a questi soggiacenti: insomma la questione non è più tanto o solo cosa il soggetto pensa di un certo candidato e se voterà per quel candidato, bensì attraverso quali processi mentali quel soggetto arriva a pensare e a votare in un certo modo. Negli anni '70 la ricerca svolta nell'ambito della social cognition consente di accumulare un bagaglio consistente di dati sulle modalità di elaborazione delle conoscenze in ambito sociale e lo stesso approccio di ricerca non tarda a essere esteso anche all'ambito politico, con lo sviluppo di un filone denominato appunto political cognition [Lau e Sears 1986]. Dalla social cognition la political cognition mutua le nozioni acquisite in merito a ciò che avviene nelle diverse fasi di elaborazione delle informazioni, ossia la codifica, l'organizzazione e il recupero. La possibilità di estendere alla conoscenza politica quanto rilevato per la conoscenza sociale è facilitata dal fatto che in questo filone di ricerca l'accento è posto soprattutto sui processi di conoscenza, e questi vengono visti come invarianti, indipendenti dai contenuti ai quali si applicano. Così diverse ricerche effettuate in ambito politico giungono sostanzialmente a replicare, con contenuti diversi, risultati già ottenuti in altri ambiti (cfr. la prima categoria di ricerche descritta nel par. 2). Concordemente con le basi teoriche del cognitivismo, in queste ricerche si assume un modello di uomo come soggetto attivo, che seleziona ed elabora le informazioni provenienti dall'ambiente esterno e in tal modo «costruisce» la realtà circostante. Ciò compatibilmente con i vincoli oggettivi derivanti dai limiti della mente umana nella capacità di elaborazione delle informazioni. Insomma un uomo che pensa, razionale, ma con una razionalità limitata [Simon 1983]. È questa una visione nuova rispetto a quella prevalente negli studi precedenti, di uomo irrazionale ed emotivo, guidato da predisposizioni e motivazioni originate in fasi precoci dello sviluppo, ma nuova anche rispetto a quella di uomo completamente razionale, presente, come si è visto, nell'applicazione delle teorie economiche all'ambito politico. Una visione che si afferma nell'ambito della psicologia politica analogalmente a quanto avviene nell'ambito della psicologia sociale, ed è efficacemente sintetizzata dalla definizione di uomo come economizzatore cognitivo (cognitive miser): i limiti nelle capacità di elaborazione
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fanno sì che i soggetti tendano a economizzare le energie mentali e ricorrano a scorciatoie e semplificazioni, così da poter assolvere il compito conoscitivo pur rinunciando a un'elaborazione completa delle informazioni disponibili. Se questo modo di procedere spesso risulta funzionale al perseguimento degli obiettivi di conoscenza e di previsione della realtà, esso non è tuttavia esente da rischio e può condurre a distorsioni sistematiche nel giudizio (bias). Anni '90. Se naturalmente è difficile operare una sintesi quando si ha a che fare con il presente, con filoni di ricerca tuttora in via di sviluppo, è possibile tuttavia identificare almeno due tendenze principali nelle ricerche attuali di psicologia politica, due tendenze che con buona probabilità orienteranno il prossimo futuro degli studi in questo campo. Una prima tendenza riguarda ancora il tema della conoscenza politica, già sviluppato negli anni '80, ma affrontato ora con una più marcata attenzione per lo specifico contesto in- cui i processi di conoscenza vengono posti in atto. Si tratta di una tendenza che si può ricondurre ai contemporanei sviluppi più generali nell'ambito della ricerca sulla social cognition: dati per scontati i limiti del «sistema di elaborazione» e la costante presenza di fenomeni che costituiscono dei vincoli per l'elaborazione stessa, gradualmente si è andata affermando l'idea che la quantità delle informazioni elaborate e la qualità delle strategie utilizzate dai soggetti varino in funzione di diversi fattori, alcuni dei quali collegati al contesto specifico in cui il compito cognitivo viene eseguito. Tra questi fattori vi sono la motivazione del soggetto, gli scopi che si propone, i ruoli che riveste, le regole e i vincoli ai quali si deve conformare, ad esempio in che misura il soggetto percepisce di dover rendere conto del suo ragionamento o dei giudizi basati su di esso. La considerazione dell'influenza che fattori di questo tipo, e anche altri (personalità, emozioni ecc.), possono avere sulla quantità e qualità del processo di elaborazione delle informazioni induce la social cognition ad allontanarsi dal modello di uomo come cognitive miser per avvicinarsi a un modello di uomo diverso, efficacemente definito da Fiske e Taylor [1991] come tattico motivato (motivated tactician), i cui processi cognitivi possono variare appunto in funzione di ciò che li origina e della meta cui sono diretti. Proprio perché apre a fattori come le motivazioni e gli scopi, legati al contesto,
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questo modello, più del precedente, sembra utilmente applicabile all'ambito della psicologia politica: in questa prospettiva non si tratta infatti più di minimizzare o di ignorare, ma semmai di sottolineare la specificità di un certo contesto (quello politico appunto) rispetto ad altri (cfr. la seconda categoria di ricerche descritta nel par. 2). Maggiore attenzione al contesto in cui i processi cognitivi hanno luogo significa anche maggiore attenzione a variabili originariamente sociali. In effetti, se è possibile identificare una seconda tendenza nella psicologia politica dei giorni nostri, questa sembra consistere nell'abbandono di una prospettiva sostanzialmente individualistica e nell'assunzione di una prospettiva più radicalmente, più strutturalmente sociale. L'appartenenza ad un gruppo, l'identità sociale, le relazioni con gli altri, gli scambi comunicativi e linguistici sono tutti fattori che giocano un ruolo nelle rappresentazioni e azioni dell'«attore» politico, e la considerazione di tali fattori di matrice sociale induce ad affrontare in prospettiva nuova temi «classici» della psicologia politica come la conoscenza, la decisione o la partecipazione. E qui conviene fermarsi, perché su queste tendenze attuali della disciplina si avrà modo di tornare ampiamente nel corso del volume.
Capitolo secondo La conoscenza e gli atteggiamenti politici
Bossi, la Lega Nord, il federalismo, il post-comunismo, lo stato sociale, il presidenzialismo... Una prima domanda a cui la psicologia politica può dare una risposta è: Cosa sappiamo di tutto questo? In teoria potremmo sapere molto. Nel mondo attuale, in cui qualsiasi evento trova eco immediata nei media, nell'archiviazione informatica e così via, il problema non è certo quello della mancanza di informazioni disponibili, ma al carttrario della loro sovrabbondanza. Di fatto, tuttavia, le informazioni politiche alle quali ciascuno di noi accede sono in numero minimo rispetto a quelle esistenti, e sono quelle che rimangono al termine dell'intervento di diversi processi di selezione delle informazioni, alcuni indipendenti e altri dipendenti dal soggetto. Un primo processo di selezione viene operato dai media, ossia da coloro che a vario titolo sono deputati a diffondere le informazioni politiche e che, nel farlo, inevitabilmente filtrano e interpretano i dati di realtà, in misura maggiore o minore e in modo più o meno intenzionale. Vi è poi una seconda selezione delle informazioni, legata all'esistenza di ciascun soggetto e tuttavia in larga misura indipendente dalla sua volontà. Essere nato in un certo luogo, vivere in un certo ambiente familiare, frequentare una certa scuola sono tutti fattori che inevitabilmente condizionano le informazioni, anche politiche, con le quali il soggetto viene a contatto e che hanno un peso in quella che viene definita esposizione involontaria all'informazione. Una terza ulteriore selezione viene invece operata volontariamente dal soggetto. Questi infatti, in una fase più o meno precoce del suo sviluppo, comincia a scegliere, a vedere certe persone e non altre, a guardare certi canali televisivi e non altri, a leggere certi giornali e non altri, e così via. Vi è insomma, accanto a una esposizione involontaria, anche una esposizione volontaria all'informazione.
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Ma essere esposti, più o meno volontariamente, a certe informazioni non significa necessariamente prestarvi attenzione. L'approccio cognitivista ha messo bene in evidenza che esigenze strategiche e di economia mentale ci inducono a limitare il numero di informazioni alle quali prestiamo attenzione. Ecco dunque una quarta selezione, una selezione basata sulla salienza delle informazioni, ossia sulle informazioni che, per varie ragioni, «catturano» l'attenzione dei soggetti. È proprio di questa selezione che si parlerà soprattutto nel capitolo, nell'intento di comprendere quali sono i fattori che la determinano e in che modo di fatto essa viene messa in atto. In alcuni casi può esservi un certo accordo, un certo «consenso sociale» su quali sono le informazioni salienti, nel senso che un ampio numero di soggetti tende a prestare attenzione, quindi a codificare e poi a ricordare, certe informazioni a scapito di altre. Con tutta probabilità espressioni come «La Lega ce l'ha duro» sono rimaste impresse nella memoria a molti di noi più di altri punti del programma politico della Lega Nord. In altri casi tuttavia può non essere così: più soggetti esposti a uno stesso corpus di informazioni presteranno attenzione a informazioni diverse. Dopo aver assistito allo stesso intervento di un uomo politico a un dibattito televisivo, questi soggetti ricorderanno frasi diverse, immagini diverse. Non solo. Richiesti di esprimere un giudizio, alcuni esprimeranno un giudizio positivo su quell'uomo politico e altri un giudizio negativo. Questa diversità conduce immediatamente a un punto successivo, che verrà trattato sempre in questo capitolo, quello del giudizio, della valutazione, un fattore che in politica è praticamente sempre presente accanto a quello della conoscenza pura e semplice. La sequenza di esposizione nel capitolo è la seguente. Con riferimento agli stadi di elaborazione delle informazioni, si vedrà anzitutto quali informazioni politiche vengono codificate e interpretate, che peso viene dato a un'informazione di un tipo piuttosto che di un altro, in che modo il soggetto le collega tra loro in strutture organizzate. In questo modo verrà anche affrontata la questione delle basi cognitive del giudizio politico. L'esame si estenderà quindi alle basi non cognitive del giudizio politico, la base affettiva e la base comportamentale, per affrontare poi il tema di come un giudizio già formato può influenzare, fino a distorcerla, l'elaborazione di nuove conoscenze. L'esame di ciò che s'intende per competenza o expertise politica, una
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complessa sintesi di conoscenza relativa a un certo dominio e di esperienza in quel dominio, consentirà infine di inserire il tema della conoscenza politica in una prospettiva più dichiaratamente sociale, che tenga conto del contesto in cui la conoscenza viene acquisita, così come del contesto in cui viene applicata, fino a toccare il tema del rapporto tra conoscenza e azione, un tema ancora in attesa di essere adeguatamente approfondito. 1. La codifica delle informazioni politiche
Per capire più a fondo i processi soggiacenti alla selezione delle informazioni, conviene soffermarsi anzitutto su ciò che avviene quando entriamo in contatto con un'informazione nuova, quindi sulla fase di codifica dell'informazione. Il modo in cui l'informazione viene codificata avrà effetti rilevanti sulle successive fasi di organizzazione e recupero. Vengo a sapere dal giornale di un episodio relativo al leader della Lega Nord Umberto Bossi. Siamo in estate. Bossi è andato a Verona per assistere a una rappresentazione del Nabucco di Verdi. Ha dichiarato: «Sono venuto soprattutto per ascoltare il coro dei Lombardi», e la dichiarazione non è passata inosservata, visto che quel coro non è nel Nabucco bensì in un'altra opera di Verdi. Il giorno dopo in università incontro due colleghi e uno mi dice: «Hai letto di Bossi? Ha dato un'ennesima prova della sua ignoranza»; ma l'altro controbatte: «No, ha dimostrato di essere un entusiasta. Coglie ogni occasione per ribadire la sua appartenenza e consolidare l'orgoglio dei lumbard». Dunque, due letture diverse di uno stesso episodio, due codifiche diverse di una stessa informazione. Cosa accade quando codifichiamo un'informazione nuova? La confrontiamo con concetti già noti e in questo modo le attribuiamo significato. Uno o più concetti vengono richiamati dalla memoria a lungo termine (MLT) nella memoria a breve termine (MBT) e qui confrontati con l'informazione nuova proveniente dall'esterno, in modo da attribuirle significato. Spesso una stessa informazione può rimandare a concetti diversi, e il modo in cui essa verrà interpretata dipenderà da quale concetto è stato richiamato nella MBT, ossia da quale concetto risulta più accessibile nel momento in cui avviene la codifica. L'accessibilità di un concetto è appunto la probabilità che un concetto venga
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richiamato nella MBT e venga utilizzato in fase di codifica. È essenziale dunque chiarire quali sono i fattori che condizionano l'accessibilità dei concetti, perché da questo dipenderà il modo in cui la nuova informazione in generale, quindi anche quella politica, verrà codificata. Recenza. Un primo fattore che condiziona l'accessibilità è la recenza (recency) del precedente uso del concetto. Un concetto che sia stato da poco richiamato nella MBT per la codifica di una data informazione rimane per un certo tempo più accessibile di altri e verrà quindi più probabilmente utilizzato anche nell'interpretazione di un'informazione successiva. Questa accessibilità «innalzata» del concetto diminuisce poi progressivamente, fino a tornare al suo livello naturale o, più propriamente, «cronico». Supponiamo che io assista a una trasmissione nella quale si parla dei laureati illustri di una certa università, di quelli che hanno avuto un ottimo curriculum di studi e hanno fatto poi una brillante carriera. Al termine viene mandata in onda una tribuna elettorale nella quale viene intervistato un candidato alle prossime elezioni politiche. Aver assistito alla trasmissione precedente potrebbe aver innalzato in me l'accessibilità di concetti come quello di «istruzione universitaria» e ciò potrebbe indurmi a codificare quanto ora mi sta dicendo il candidato, e il candidato stesso, in termini di qualità della sua preparazione culturale, un aspetto del quale in condizioni normali non avrei magari tenuto particolarmente conto. Ciò che avviene in modo spontaneo viene riprodotto sperimentalmente nelle ricerche psicologiche, attraverso una procedura denominata priming. Essa consiste nel proporre ai soggetti determinate situazioni-stimolo, allo scopo di innalzare l'accessibilità di certi concetti e rilevarne le conseguenze in termini di elaborazione delle informazioni. Un esempio dell'applicazione di questa procedura verrà descritto più avanti (par. 3), a proposito di una ricerca di Young [Young et al. 1991], nella quale si è indagato il riferimento al concetto di «interesse personale» nell'espressione di giudizi su temi politici da parte dei soggetti, e si è dimostrato che il riferimento a questo concetto aumenta in seguito al priming. Frequenza. Un secondo fattore che condiziona l'accessibilità di un concetto è la frequenza (frequency) con la quale tale concetto è stato attivato in precedenza. Come è facilmente intuibile,
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se un concetto viene spesso attivato ciò fa sì che la sua accessibilità sia «cronicamente» alta, e quindi che basti «poco» perché venga richiamato nella MBT e utilizzato per l'interpretazione di informazioni nuove. Supponiamo ad esempio (e non è difficile farlo!) che negli ultimi anni si siano verificati frequenti episodi di corruzione di uomini politici da parte di esponenti del mondo dell'industria, e che questo abbia innalzato in molti di noi l'accessibilità del concetto di «corruzione». Supponiamo poi che casualmente io veda in un ristorante un noto uomo politico mangiare con un noto esponente dell'industria. Alcune parole colte al volo nella conversazione dei due, come «pagare», «sconto», «Svizzera», potrebbero facilmente indurmi a pensare che essi stiano trattando trasferimenti illeciti di valuta all'estero, mentre magari si tratta solamente di amici che stanno programmando insieme un viaggio al massiccio della Jungfrau. Si è indagato come il fattore frequenza può interagire con il fattore recenza nell'influenzare l'accessibilità di un concetto. Nel caso che il concetto attivato di recente sia anche un concetto già frequentemente attivato in precedenza, i due fattori avranno un effetto di tipo sommatorio. Nell'esempio fatto sopra, subito prima di entrare nel ristorante potrei aver comprato il giornale e letto la notizia di un avviso di garanzia a un uomo politico: questo fatto recente si sommerebbe ai frequenti fatti precedenti e renderebbe il concetto di «corruzione» ancora più accessibile alla mia mente. Quando invece concetto attivato di recente e concetto attivato frequentemente non coincidono, l'esito in termini di maggiore accessibilità dell'uno o dell'altro concetto varierà in funzione del tempo intercorso tra priming del concetto ed esposizione all'informazione sulla quale si è richiesti di dare un giudizio: nel breve periodo prevale l'effetto del priming, quindi il concetto attivato di recente, mentre nel lungo periodo prevale la «cronicità», nel senso che decade il concetto attivato con il priming e si fa spazio nuovamente il concetto spesso attivato in passato e quindi cronicamente accessibile [Bargh, Lombardi e Higgins 1988]. Obiettivi. Un terzo fattore che condiziona l'accessibilità di un concetto è dato dagli obiettivi (goals) che il soggetto persegue nel momento in cui effettua la codifica. Prendiamo il caso di un soggetto che ascolta il discorso di un uomo politico sul tema del debito pubblico. Se lo scopo del soggetto è formarsi un
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giudizio sull'uomo politico per decidere se votarlo o meno alle prossime elezioni, i concetti più accessibili alla sua mente in quel momento saranno probabilmente diversi, almeno in parte, da quelli che sarebbero invece accessibili se lo stesso soggetto avesse semplicemente lo scopo di formarsi un parere sul tema del debito pubblico. I cognitivisti hanno avanzato l'ipotesi che anche gli obiettivi, come le altre informazioni, siano depositati in memoria, e che a ciascuno di essi si colleghino blocchi di informazioni utili al conseguimento dell'obiettivo stesso [Wyer e Srull 1986]. Così l'attivazione di un certo obiettivo renderebbe le informazioni a esso collegate più accessibili di altre. Tra i fattori che influenzano l'accessibilità questo è forse quello più complesso e più difficile da indagare, perché in una singola situazione più obiettivi possono competere o coesistere a livelli gerarchici differenti (ad esempio obiettivi a breve, medio, lungo termine). Se uno dei miei obiettivi principali in ambito politico è quello del federalismo, nei discorsi degli uomini politici sarò particolarmente pronto a cogliere e a codificare le informazioni che si riferiscono a questo tema. I1 federalismo potrebbe costituire però un obiettivo a lungo termine, che nel breve termine potrebbe entrare in conflitto con altri obiettivi, anch'essi per me importanti: anche se il mio obiettivo ultimo è quello di creare delle macroregioni con un'ampia autonomia, nell'immediato potrei ritenere che sia più importante garantire compattezza alla nazione (ad esempio per evitare fenomeni di discriminazione nei confronti dei più deboli). In casi di questo tipo si tratterà di vedere quale obiettivo prevarrà nel contesto specifico e di conseguenza quali concetti saranno più accessibili alla mia mente al momento della codifica. Di non facile indagine si presenta anche l'interazione tra il fattore obiettivi e gli altri fattori che condizionano l'accessibilità. Si consideri ad esempio la difficoltà di distinguere, almeno empiricamente, se un concetto è altamente accessibile perché rimanda a uno dei fini ultimi dell'individuo oppure perché è stato evocato frequentemente in passato. Il concetto di «uguaglianza sociale» è altamente accessibile alla mia mente perché è uno dei principi fondamentali della mia esistenza o perché per anni i miei genitori hanno insistito tanto con me su tale concetto che il fattore frequenza l'ha reso altamente cronico? Comunque sia, importa soprattutto sottolineare che tutti e tre i fattori citati, recenza, frequenza e obiettivi, condizionano l'accessibilità dei
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concetti, quindi la probabilità che in un momento dato l'attenzione del soggetto si rivolga a certe informazioni piuttosto che ad altre, nonché la probabilità che queste informazioni vengano interpretate in un modo piuttosto che in un altro. Quanto detto finora è vero per la codifica di qualsiasi informazione, inclusa quella politica. A questo punto però vale la pena di esaminare più da vicino ciò che avviene in questo specifico ambito di conoscenza. Anzitutto, quali sono le informazioni che vengono elaborate in ambito politico? Sono essenzialmente quelle che riguardano gli uomini (e i partiti) politici da un lato, e i temi politici dall'altro. È evidente che esistono legami stretti tra queste tipologie di informazioni politiche, ma è anche vero che vi sono momenti in cui l'attenzione può essere rivolta prevalentemente alle persone (ad esempio in periodo di campagna elettorale) e altri in cui può prevalere invece l'attenzione per i temi. A soli fini espositivi, la codifica delle informazioni rispettivamente relative agli uomini politici e ai temi politici verrà trattata separatamente, ma verranno comunque segnalati i legami tra esse esistenti. 2. La percezione degli uomini politici
Lo sviluppo della ricerca sulla percezione degli uomini politici è stato favorito dai progressi compiuti nell'ambito della social cognition sul tema di come si formano le impressioni di persona [Arcuri 1995]. Il processo di formazione delle impressioni avviene continuamente e spontaneamente nella vita quotidiana, e si basa su informazioni di diverso tipo a seconda del ruolo che la persona ricopre e del contesto in cui si esprime il giudizio. Quali sono le informazioni di cui teniamo conto nel formarci un giudizio su un uomo politico? Supponiamo di esserci formati un certo giudizio (positivo o negativo) nei confronti di un certo candidato. Che peso hanno in questo giudizio le sue caratteristiche personali, quanto il suo aspetto fisico, quanto la classe sociale a cui appartiene, il suo luogo di nascita, il suo livello culturale? E che ruolo gioca in questo giudizio il partito di cui è esponente, le caratteristiche dei suoi militanti-tipo, o ancora le posizioni assunte da quel candidato in Parlamento nel dibattito sui vari temi politici?
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Le informazioni di cui teniamo conto nel formarci un giudizio su un uomo politico si possono ricondurre a tre categorie: 1. appartenenza partitica; 2. posizioni su temi politici; 3. caratteristiche personali o tratti. Miller, Wattenberg e Malanchuk [1986] si sono proposti di indagare in che misura ciascuna di queste tre categorie rientra nella formazione del giudizio, e a questo scopo hanno preso in esame i dati delle indagini preelettorali effettuate negli Stati Uniti tra il 1952 e il 1984. Una delle domande del questionario NES prevedeva che i soggetti facessero dei commenti liberi sui candidati. Sulla base di un'analisi del contenuto delle risposte, Miller, Wattenberg e Malanchuk hanno calcolato la percentuale di commenti riconducibili a una delle tre categorie sopra elencate. I risultati, riportati nella figura 2.1, mostrano che, pur essendoci una certa variabilità tra una tornata elettorale e un'altra, i commenti relativi ai tratti personali sono quasi sempre quelli prevalenti, seguiti da quelli relativi al partito o gruppo di riferimento e da quelli relativi ai temi politici. Il dato relativo all'importanza attribuita ai tratti acquista maggiore rilievo per il fatto che sembra rimanere una costante indipendentemente dalle specifiche condizioni politiche in cui il giudizio viene espresso; è tuttavia necessaria cautela nel generalizzare questi dati ad altri contesti nazionali, dove il grado di personalizzazione della politica potrebbe essere minore rispetto agli Stati Uniti e dove quindi partiti e ideologie di appartenenza potrebbero giocare un ruolo più accentuato nel giudizio espresso sugli uomini politici. Miller, Wattenberg e Malanchuk hanno effettuato un esame approfondito dei tratti cui i soggetti si sono riferiti nei loro commenti sui candidati e li hanno ricondotti, sulla base dei risultati di un'analisi fattoriale, a cinque categorie principali: 1. competenza: comprende l'intelligenza, l'abilità come leader e la comprensione dei temi politici; 2. integrità: comprende i riferimenti all'onestà o al contrario alla corruzione in ambito politico; 3. affidabilità: riguarda in particolare la capacità dell'uomo politico di prestare fede alla parola data e contemporaneamente di essere forte e deciso nella sua attività; 4. carisma: si riferisce sostanzialmente alla capacità del leader politico di ottenere seguito e stima indipendentemente da altre variabili;
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La conoscenza e gli atteggiamenti politici 70— Tratti personali
10— 0
1952
I
I
1956 1960
1
1964
i
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I
1972
I
1976
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1984
Anni FIC. 2.1. Percentuale dei riferimenti a tratti personali, partiti e temi politici, rilevati nelle risposte a una domanda aperta di commento sui candidati alle elezioni presidenziali americane: dati tratti dai National Election Studies del periodo 1952-1984.
Fonte: Miller, Wattenberg e Malanchuk [1986].
5. caratteristiche personali: comprende le caratteristiche del candidato che non riguardano strettamente la vita politica, ad esempio l'età, la religione o la situazione economica. Nel corso degli anni (si ricordi che la ricerca copriva un arco di tempo dal 1952 al 1984) la competenza è risultata in modo stabile la categoria più citata, seguita dalle categorie integrità e affidabilità, anch'esse caratterizzate da una frequenza di citazione piuttosto stabile nel tempo. La frequenza delle ultime due categorie, carisma e caratteristiche personali, è apparsa invece variare maggiormente in funzione dello specifico momento in cui avveniva la rilevazione. Come si è detto, i dati di Miller, Wattenberg e Malanchuk [1986] si basano su un'analisi del contenuto di una risposta a una domanda aperta di commento sui candidati. Altri ricercatori [tra cui Ottati 1990; Riggle et al. 1992] hanno ulteriormente indagato il peso relativo dei diversi tipi di informazione nel
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determinare il giudizio sui candidati, e lo hanno fatto attraverso il ricorso a metodologie di indagine più strutturate e controllate. In questo modo è possibile rilevare l'eventuale riferimento per il giudizio anche a informazioni che non emergono spontaneamente nei commenti dei soggetti, così come verificare sperimentalmente in quali condizioni prevale il riferimento a un certo tipo di informazione piuttosto che a un altro. In questa prospettiva si sono mossi Budesheim e DePaola [1994], che hanno sottoposto a un campione di soggetti diversi tipi di informazioni su due ipotetici candidati politici: il candidato A e il candidato B. In un primo esperimento Budesheim e DePaola si sono proposti di verificare se anche informazioni relative all'aspetto fisico del candidato, oltre a quelle relative alla sua personalità, potessero avere un'influenza sul giudizio nei suoi confronti. Per quanto riguarda la personalità venivano fornite brevi descrizioni dei due candidati, che potevano essere favorevoli (con frasi del tipo: «Uno dei deputati più rispettati in Parlamento, un uomo caldo, amichevole e pieno di fascino» ecc.) o sfavorevoli («Non si tratta di uno dei deputati più popolari in Parlamento, è spesso freddo e caustico nel suo modo di trattare con gli altri» ecc.). Se la descrizione data per il candidato A era favorevole, quella data per il candidato B era sfavorevole, o viceversa. Per quanto riguarda l'aspetto fisico, veniva mostrata ai soggetti una fotografia di ciascun candidato. Le fotografie potevano evocare un giudizio di persona attraente dal punto di vista fisico oppure di persona non attraente, e anche in questo caso se il candidato A era presentato come attraente, il candidato B era presentato come non attraente o viceversa. Dopo aver fornito tutte le informazioni, si chiedeva ai soggetti di esprimere un giudizio sui due candidati su una scala «a termometro» da O a 100. Nella tabella 2.1 sono riportati i dati relativi al giudizio sui due candidati in funzione del tipo di informazione di cui i soggetti disponevano nelle diverse condizioni. Com'era prevedibile, sia per il candidato A sia per il candidato B il giudizio è più positivo quando l'informazione che lo riguarda è connotata in modo favorevole. Ma il dato più interessante rilevabile nella tabella 2.1 è che il giudizio appare influenzato, in misura del tutto simile, sia dalle informazioni sulla personalità sia da quelle sull'aspetto fisico dei candidati. Dunque una caratteristica come l'aspetto fisico, che non compare nei commenti spontanei dei soggetti sui candidati
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TAR. 2.1. Punteggi attribuiti ai candidati in funzione dell'informazione relativa all'immagine Informazione relativa all'immagine Aspetto fisico favorevole (attraente) sfavorevole (non attraente) Descrizione di personalità favorevole sfavorevole
Candidato A
Candidato B
60,5
60,3 46,9:
48,4: 53 ,0
47,7 6
59,8
46,3:
Nota: I punteggi potevano variare da O (per niente favorevole) a 100 (del tutto favorevole). Nell'ambito del giudizio su ciascun candidato le medie non contrassegnate dalle stesse lettere differiscono a livello di p