Platone e la scrittura della filosofia. Analisi di struttura dei dialoghi della giovinezza e della maturità alla luce di un nuovo paradigma ermeneutico
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Zitiervorschau

Thomas Alexander Szlezäk

Platone e la scrittura della filosofia Analisi di struttura dei dialoghi della giovinezza e della maturità alla luce di un nuovo paradigma ermeneutico

Introduzione e traduzione di G io

vanni

R

eale

V IT A E PENSIERO Pubblicazioni della Università Cattolica del Sacro Cuore Milano 1988

Pubblicazioni del C E N T R O D I R IC E R C H E D I M E T A F ÍS IC A

Thomas Alexander Szlezák (1940), professore di filo lo ­ gia classica neirUniversità di Würzburg - già ben noto per la sua edizione (con traduzione e commentario) dei due scritti sulla dottrina delle categorie giuntici sotto il falso nome del pitagorico Archita di Taranto (1972) e per il suo libro su Plotino (1979) - con questo suo PIato­ ne (1985) presenta il contributo forse piu significativo e importante venuto dalla Germania, dopo quelli pubbiicati da Kramer e da Gaiser. Szlezák prende le mosse proprio da quello ehe era stato il punto di partenza di Schleiermacher, che ha inaugurato il paradigma ermeneutico che ha dominato per intero 1’età moderna, vale a dire il finale del Fedro con il giudizio ehe Platone dà della scrittura, e reinterpreta i dialoghi platonici fino alia Repubblica, proprio basandosi solo su di essi. Ma, proprio lavorando in questo modo, mediante rigorose, coerenti e consistenti analisi di struttura, egli capovolgeil paradigma schleiermacheriano e guadagna in una maniera assai cospicua il nuovo paradigma ermeneutico, che da molte parti e per varie ragioni sta imponendosi come paradigma alternativo a quello ehe è stato fino a pochi anni fa predominante. L ’analisi di struttura dei dialoghi platonici dimostra ehe essi non sono concepiti come opere autarchiche, ma che rimandano sempre a qualcosa di ulteriore: non solo una parte di dialogo rimanda all’altra, e un dialogo, per certe sue parti o anche nel suo complesso, rimanda ad un altro, ma tutti i dialoghi rimandano, superando i loro stessi confini, alia filosofia orale di Platone. [segue neU 'altro risvolto ]

Sezione di Metafisica del Platonismo nel suo sviluppo storico e nella filosofia patrística. Studi e testi

6.

SCAFF, PALCH. ..... 'O

CENTRO DI RICERCHE DI M ETAFISICA dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Largo A. Gemelli, 1 - 1-20123 Milano

Comitato scientifico: Adriano Bausola Carla Gallicet Calvetti Virgilio Melchiorre Angelo Pupi Giovanni Reale Mario Sina

Presidente: Gustavo Bontadini

Direttori: Adriano Bausola Giovanni Reale

Sezione: «Metafísica del Platonismo nel suo sviluppo storico e nella filosofia patrística. Studi e testi» diretta da Giovanni Reale

T itolo originale dell’ opera: Platon und die Schriftlichkeit der Philosophie. Interpretationen zu den frühen und mittleren Dialogen (1985) La differente traduzione italiana del sottotitolo e stata concordata con l’ autore prima edizione: ottobre 1988

Quest’ opera viene pubblicata con un contribute della F IA T Auto S.p.A.

© Walter de Gruyter, Berlin 30, Genthinerstrasse 13 (1985) © Traduzione Italiana 1988 - Vita e Pensiero - Largo A . Gemelli, 1 - 20123 M ilano ISB N 88-343-0256-7 (brossura) ISBN 88-343-0257-5 (rilegato)

Socrate — E per quel che riguarda i discorsi, abbiamo scherzato abbastanza. Ma tu va da Lisia e digli che noi due, discesi alla fonte e al santuario delle ninfe, abbia­ mo ascoltato dei discorsi che ci ordinavano di dire a Li­ sia e a chiunque altro componga discorsi, e ad Omero e a chiunque altro abbia composto poesia senza musica o con musica, e, in terzo luogo, a Solone e a chiunque in discorsi politici che chiama leggi, ha composto opere scritte, che qualora abbia composto queste opere sapendo co­ me sta il vero ed è in grado di soccorrerle quando viene a difendere le cose che ha scritto e quando parla sia in grado di dimostrare la debolezza delle cose scritte, ebbene un uomo di queseo genere va chiamato non con il no­ me che quelli hanno, ma con un nome derivato da ció di cui egli si è occupato con serietá. Fedro — E quale è questo nome che tu gli dai? Socrate — Chiamarlo sapiente, o Fedro, mi pare troppo, e che tale nome convenga solamente a un Dio; ma chiamarlo filosofo, ossia amante di sapienza, o con qualche altro nome di questo tipo, gli si adatterebbe meglio e sarebbe piú adeguato. Fedro — E non sarebbe per nulla fuori luogo. Socrate — Invece colui che non possiede cose di maggior valore rispetto a quelle cose che ha composto o scritto, rivoltandole in su e in giú per molto tempo, incollando una parte con l’altra o togliendo, non lo chiamerai, a giusta ragione, poeta, o compositore di discorsi, o scrittore di leggi? Pía tone, Fedro, 278 B 7 - E 2.

Sommario

Introduzione di Giovanni Reale: Importanza e significato di questo iibro diThomas Sziezâk su Platone

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Catalogo ragionato dei volumi, dei saggi e delle recensioni pubblicati da Thomas Alexander Sziezâk (aggiornato fino al 1988)

33

Premessa

41

Introduzione

45

I.

«Fedro». La critica délia scrittura

53

«Fedro». Lo svolgimento dei dialogo

73

II. III. IV.

«Eutidemo». La beffa di Socrate sulla «segretezza» Il «soccofso al logos» come principio strutturale dei dia­ logo platonico

121

V.

«L e Leggi», libro X. Il superamento come essenza dei «soccorso»

127

«Ippia Minore». Chi inganna e chi è ingannato?

135

«Ippia Maggiore». Socrate e il suo sosia.

149

«Eutifrone». Inversione di marcia poco prima délia mèta

168

«Liside». Il dialettico e i ragazzi

179

«Carmide». Il giovane e il «cattivo ricercatore»

190

VI. VII. V III. IX. X. XI.

101

«Lachete». Il maestro si sottrae agli allievi

217

X II.

«Protagora». Il sofista è migliore rispetto al suo libro?

228

X III.

«Menone». La tendenza ad allontanarsi davanti ai misteri

250

XIV.

«G orgia». L ’interlocutore ideale e i piccoli misteri

264

XV. XVI. X V II. X V III.

«Cratilo». Il sapere segreto dell’eracliteo

283

«Apologia» - «Critone» - «Fedone». La difesa a tre livelli

298

«Simposio». Chi è l’ amante e chi è l’amato?

334

«L a Repubblica». Non farsi scappare il filosofo.

354

Osservazioni conclusive

416

8

SOMMARIO

Appendici I. La teoria moderna della forma del dialogo II. II significato di auyypoc^fjia III. Sulla «Lettera V II» IV. Su alcuni passi platonici che sembrano suggerire una interpretazione antiesoterica

423 463 472 489

V. La critica della scrittura espressa nel «Fedro», 274 B 6 - 278 E 3. Testo e traduzione

494

VI. Approfondimenti e implicanze gnoseologiche della cri­ tica della scrittura nella «Lettera Y II», 340 B 1 - 345 C 2. Testo e traduzione

506

Bibliografía e indici I. Letteratura citata e utilizzata II. Indice dei termini greci esprimenti le idee-base di quest’opera

521 531

III. Indice dei principali concetti

532

IV. Indice dei nomi e dei passi degli autori antichi citati oltre Platone

536

V. Indice dei nomi degli autori moderni citati VI. Indice analítico della materia trattata

539 543

Introduzione di Giovanni Reale

Importanza e significato di questo libro di Thomas Szlezák su Platone

1. I I paradigma erm eneutico alternativo che apre una nuova época degli stu d ip la ton ici Per comprendere adeguatamente i fini che Szlezák si ripropone e raggiunge in maniera assai convincente in questo libro su Pla­ tone, é bene che partiamo dal ragionamento di base che ha sorretto tutti gli studi delPetá moderna su Platone, e che si puó riassumere in maniera quasi sillogistica nella seguente maniera (com e abbiamo giá rilevato, a partiré dalla quinta edizione, nel­ la nostra Storia della filo s o fía antica, vol. II, Vita e Pensiero, M ilano 1987, p. 11). a) L o scritto é, in generale, l ’ espressione piü piena e piü signifi­ cativa del pensiero del suo autore, e quindi é il mezzo di comunicazione piü attendibile e piü significativo; e, in particolare, que­ sto risulta vero per Platone, a m otivo delle sue capacita straordinarie non solo come pensatore ma anche come scrittore. b) Per di piü, di Platone ci sono pervenuti tutti gli scritti che gli autori antichi hanno citato come suoi e che vengono considerati come autentici (caso pressoché único per un autore dell’ etá anti­ ca classica). c) D i conseguenza, da tu tti i suoi scritti, che sono a nostra disposizione, é possibile ricavare con sicurezza tutto il suo pensiero. In realtá, é proprio la premessa maggiore di questo ragionamen­ to che gli studi d ’ avanguardia dimostrano che non regge in alcun m odo, in maniera particolare per Platone, e proprio questo libro di Szlezák, come vedremo, risulta essere un contributo essenziale a questo riguardo, con alcune acquisizioni di car atiere irreversible. Quindi cade l ’ intero ragionamento di cui sopra.

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GIOVANNI REALE

In effetti, due fattori stanno vieppiù emergendo in primo piano contro quella premessa maggiore. 1) L a tradizione indiretta ci attesta in una maniera irrefutabile che Platone ha professato all ’ interno dell’Accadem ia «D ottrin e non scritte», differenti da quelle contenute nei dialoghi. 2) Inoltre, Platone stesso in due cospicui documenti, il finale dei Fedro e Vexcursus filosofico delia Lettera V I I, ha negato che lo scritto possa essere il mezzo di comunicazione per le verità ultimative dei filosofo, e ha anche asserito che su tali cose un suo scritto non solo non c’ era, ma che non ci sarebbe neppure mai stato in futuro. Questi due fattori sono stati, malgrado la loro assai cospicua consistenza, in modi assai vari minimizzati nel loro significato e nella loro portata dagli studiosi moderni, che si sono ispirati, nella maggioranza, al paradigma ermeneutico consacrato da Schleiermacher, il quale ha aperto la grande prospettiva degli studi moderni su Platone. I due punti base cui la maggior parte degli studiosi moderni si è riferita, che sono in netta antitesi con i due fattori sopra indicati e che hanno in Schleiermacher la loro radice, sono i seguenti: a) le dottrine non scritte di Platone, in realtà, hanno una porta­ ta minimale rispetto ai dialoghi (e quindi risultano più o meno trascurabili); b) Platone ha dato, si, rilievo massimo ail’oraiità, ma ha inteso i suoi scritti come una immagine adeguata délia oralità, e con la sua arte dei dialogo si è avvicinato il più possibile ad essa in m odo efficace. Tutto cio ha consolidato la convinzione assai radicata delia au­ tonom ia e délia autarchia dei dialoghi: questi, per essere interpretati e capiti a fondo, bastano a se medesimi; è sufficiente comprendere la struttura che li configura. Come questo paradigma, a partire dai primi anni del Novecento, abbia iniziato a sfocarsi, a m otivo di una serie di articolazioni che è stato necessário introdurre per cercare di risolvere una serie di anomalie via via sorte, è una complessa questione da noi già trattata nel volume P e r una nuova interpretazione di P la to ­ ne, Vita e Pensiero, M ilano 19875e ad esso rimandiamo (si veda soprattutto la prima parte, passim) per le specificazioni e le documentazioni. Qui richiamiamo solo l ’ attenzione su alcuni concetti-base. II paradigma schleiermacheriano, ovviamente, non va identificato, come alcuni studiosi fanno, con 1*interpretazione teoretica di

IM PORTANZA E SIGN1FICATO DI QUESTO LIBRO SU PLATONE

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Platone che o ffre Schleiermacher, bensi con il quadro ermeneutico generale e con la sua struttura fórm ale, che puó riassumersi m olto brevemente. I dialoghi platonici, come abbiamo giá sopra ricordato, sono una espressione per eccellenza della comunicazione filosófica, presentando una sintesi perfetta di form a e contenuto. Capire i dialoghi significa, quindi, capire método e contenuto del pensiero platonico nella sua globalitá. Per questo, i dialoghi hanno una valenzct autonom a pressoché tótale e, quin­ di, sono autarchici, bastanti a se stessi. N on sarebbe difficile far vedere come proprio questo progetto si sia venuto frantumando nel nostro secolo. La storia dell’ interpretazione di Platone mostra, infatti, come non solo non si sia giunti in passato a ricavare una immagine unitaria plausibile del pensiero di Platone e dalla comunitá dei ricercatori concorde­ mente accettabile, ma come si sia giunti addirittura a negare quell’unitá stessa del pensiero platonico, per il cui ricupero Schleiermacher col nuovo paradigma aveva lavorato in modo cosi cospicuo. II punto cui oggi gli studi ispirati al tradizionale paradigma sono giunti puó riassumersi nel m odo piú semplice: da tutte le parti sta emergendo, in vario m odo, anche se solo da pochissimi viene ammesso, che i dialoghi p e r essere interpretati in m odo convin­ cente non bastano a se stessi (non sono autarchici). Ogni forma di unitá che si é cercato di daré al pensiero platonico, perianto, é stata surrettiziamente desunta, in larga misura, dai presupposti teoretici delFinterprete. Oppure si é cercato di imboccare la via opposta, frammentando il messaggio platonico in forme di problematicismo piü o meno scetticheggianti. Senza parlare, poi, delle deviazioni storicizzanti, che hanno creduto di non poter fare nient’ altro che presentare Platone riassumendone i singoli scritti secondo la presunta successione cronologica, senza principi consolidati e senza costanti linee di forza emergenti. Per un quadro globale della situazione emersa dagli studi plato­ nici rimandiamo ancora al nostro volume P e r una nuova interpretazione di P la ton e. Qui ricordiamo solo alcuni ulteriori punti emergenti essenziali per la comprensione del libro che presentiamo. II primo dei fattori che sopra abbiamo ricordato come antitetici alia premessa maggiore del ragionamento che ha sorretto gli stu­ di moderni su Platone, ossia l ’esistenza di una tradizione indi-

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GIOVANNI REALE

retía che attesta in maniera incontestabile l ’ esistenza e i contenuti delle «D ottrin e non scritte» di Platone, nel nostro secolo portato in primo piano da L . Robin (ma lasciato poi cadere dai suoi contemporanei e in larga misura da lui stesso) e successivamente da J. Stenzel (per ricordare solamente gli studiosi più im ­ portant!), ha trovato la sua adeguata messa a punto, con l’ evidenziazione di tutte le sue implicanze e conseguenze, solo con gli studiosi della Scuola platónica di Tubinga, ossia con H . Krämer e con K. Gaiser. (D i Krämer si veda soprattutto Platone e i f o n damenti della metafísica, pubblicato in questa collana, 19872, da noi tradotto e introdotto, contenente la bibliografia completa dell’ autore; di Gaiser si veda L a metafísica della storia in P la to ­ ne, pubblicato in questa collana, 1988, da noi tradotto e intro­ dotto, con tutta la bibliografía delPautore). E in questa linea ci siamo collocati, con una serie di prove convergenti, con il volu­ me P e r unanuova interpretazione di Platone (19875). II secondo dei fattori, soprattutto incentrato sulFinterpretazio­ ne del finale del Fedro con una analisi completa della critica del­ la scrittura, con tutte le sue implicanze e tutte le sue conseguen­ ze, è stato guadagnato soprattutto da Szlezák, proprio nel libro che presentiamo. Naturalmente, l ’ autotestimonianza platónica del Fedro gioca un ruolo essenziale negli studi di Krämer e di Gaiser e nel nostro. M a il volume di Szlezák presenta una novità in un certo senso globale, perché mette, per cosi dire, in parentesi la questione delle D ottrin e non scritte, e non affronta la complessa proble­ mática della teoria dei Principi, e quindi della tradizione indiretta in senso generale; ma lavora sui dialoghi e con i dialog hi, p r o ­ p rio p e r im porre e guadagnare un ’ottica interamente nuova. Szlezák parte da dove era partito Schleiermacher e procede con un método che potrebbe sembrare quasi schleiermacheriano, cercando di capire i dialoghi con i dialoghi; ma perviene all’ esatto rovesciamento del paradigma schleiermacheriano, e giunge, in tal m odo, a convergere pienamente con il paradigma alterna­ tivo proposto dalla Scuola platónica di Tubinga e che anche noi difendiamo in m odo sistemático. G li scritti p la ton ici non bastano a se stessi e non son o, quindi, autarchici. L a critica dello scritto fatta da Platone nelle autotestimonianze del Fedro diventa in tal m odo, interpretata in ma­ niera storica e oggettiva, il canone ermeneutico fondamentale

IM PO RTANZA E S1GNIFICATO DI QUESTO LIBRO SU PLATONE

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per leggere e capire Platone (e si noti: per capire Platone proprio con Platone stesso). E se vengono riletti in quest’ ottica, ciascuno e tutti i dialoghi di Platone, a partiré da quelli della giovinezza, essi si rivelano come una clamorosa riconferma della tesi del Fed.ro, in quanto risultano costituire una messa in atto della cri­ tica della scrittura in una maniera artística assai efficace. O gni parte di uno scritto p la ton ico ha f u o r i di sé una sua spiegazione e giustificazione fondativa, in una parte successiva dello stesso dialogo, oppure in un altro dialogo, e, al limite, p e r le fon d a zioni ultimative, ogni dialogo ha il suo fu lc ro nelle dottrine non scritte. M a vediamo in concreto e piü da vicino alcuni punti essenziali del libro di Szlezák.

2. Struttura e situa zion e-d i-«soccorso» com e Schema drammaturgico di base dei d ialoghip la ton ici Abbiam o sopra detto che Szlezák, in questo libro, non si occupa espressamente delle D o ttrin e non scritte di Platone, ossia non ricostruisce la dottrina orale dei Principi primi e supremi e i suoi precisi nessi con i dialoghi, perché lavora pressoché esclusivamente sui dialoghi medesimi, e quindi si muove sul terreno pro­ prio dell’ ermeneutica schleiermacheriana, ossia rileggendo la form a dei dialoghi medesimi non come estrinseca veste poética, bensi come medíazione strutturale essenziale dei contenuti. M a abbiamo gia rilevato che, proprio operando in questo modo, Szlezák guadagna in una maniera veramente imponente un rovesciamento totale p ro p rio del paradigma ermeneutico schleiermacheriano. Come Szlezák raggiunge concretamente questi risultati? N on solo il m odo di procedere in generale, come abbiamo sopra notato, ma lo stesso punto di partenza é il medesimo da cui era partito Schleiermacher, ossia la «critica della scrittura» che Pla­ tone fa nel Fedro; ma Szlezák ne fornisce una analisi e una interpretazione incomparabilmente piü precisa e piü adeguata dal punto di vista storico-filosofico. Infatti, interpretando questa «critica della scrittura», proprio su basi oggettive incontrovertibili, in m odo opposto a quello di Schleiermacher, Szlezák dimostra come essa costituisca un vero e proprio p rog etto globale di Pla ton e com e scrittore e com e filo s o fo , e fa vedere come tutti i

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dialoghi, giá a partiré dai primi, non siano se non una precisa attuazione e concreta espressione delle idee di base di questa gran­ diosa autotestimonianza, che non é affatto una tarda riflessione di un autore esperto e forse ormai rassegnato, ma, appunto, é la convinzione di fo n d o che ha guidato tutta la sua attivitá di scrittore e di filo s o fo . Dunque, la prova che emerge chiaramente dalle analisi di Szlezák incentrate soprattutto sui dialoghi della giovinezza e della maturitá (pero con una cospicua puntata anche sul décimo libro delle L egg i), é la seguente: P la t one, dal prin cip io alia fin e della sua opera, ha messo in atto i concetti base della critica della scrittura e della concezione del filo s o fo quali aveva espresso ap­ p u n to neirautotestimonianza del Fedro. L a «critica della scrittura» del Fedro é ben lungi dalPessere una teoría del dialogo in generale inteso come adeguato strumento di comunicazione indiretta della filosofía, come Schleiermacher ed altri con lui hanno inteso, ma é, senza eccezioni, una critica di tutte le fo r m e della scrittura (e, quindi, anche del dialogo scritto), a causa della strutturale debolezza che ogni fo rm a di scrittu­ ra ha per la comunicazione della conoscenza. Di conseguenza, la «critica della scrittura» presentata nel Fedro é una inequivocabile afferm azione di una netta preminenza dell’ oralitá. A d un tempo, pero, questa autotestimonianza puntualizza, in positivo, anche il m odo in cui il filo s o fo , com e dialettico, faccia uso dei suoi discorsi (scritti e orali) p er comunicare la conoscen­ za filoso fica , e p e r raggiungere la medesima. I termini della contrapposizione che Platone istituisce fra il discorso scritto e quello orale sono ben noti: il discorso scritto (an­ che se fatto da chi sa) resta immobile e privo di vita, é mera immagine sbiadita del discorso orale, non é capace di creare la me­ moria ma solo di richiamare alia memoria cose apprese per altra via, crea pura dossosofia ossia pura conoscenza opinativa e quindi non chiara e instabile, non sa parlare con chi bisogna parlare o tacere con chi bisogna tacere, non é in grado di portare «so cco rso » a se medesimo; il discorso orale di chi sa é, invece, vivo, capace di comunicare conoscenze chiare e stabili, sa con chi bisogna parlare e con chi bisogna tacere, sa portare adeguato «so cco rso » a se medesimo. Inoltre lo scritto é un «g io c o », condotto mediante mere narrazioni di storie e puó essere, quando venga fatto con giusta arte, anche bello; il discorso orale impli-

IM PO R TAN ZA E SIGNIFICATO DI QUESTO LIBRO SU PLATONE

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ca, invece, massima serietá, método dialettico, e, quindi, é molto piü bello dello scritto. L o scritto ha sempre earattere artificio­ so ed infecondo come lo hanno i «giardinetti di A d o n e », ossia quei modi di seminare in piena estáte semi in piccoli recipienti e farli crescere in pochi giorni; i quali semi, pero, seminati appunto in luoghi non giusti e fatti nascere in tempi assai brevi, producono pianticelle che súbito avvizziscono e non producono frutti. II discorso órale é, invece, come un’ opera simile a quella che fa l ’ agricoltore esperto, che semina il seme che gli interessa nel luogo giusto e secondo un ritmo e un ciclo di tempo giusti, e cosi ottiene la sua nascita, la sua crescita e i suoi frutti. In questo m odo, emerge con chiarezza l ’ immagine del filosofo. Essa ha come tratto distintivo il «discorso órale» che fa colui che sa sulle cose che maggiormente gli stanno a cuore nel luogo giusto e nel m odo giusto. Chi avesse scritto solamente dei libri, non sarebbe, in ogni caso, filosofo, perché le cose di maggior valore, per i motivi detti, non si mettono per iscritto. In altre parole, chi non ha «co s e di mag­ g io r va lore» rispetto a que lie che ha messo p e r iscritto, non é f i ­ lo s o fo . Per conseguenza, chi é vero filo so fo agisce in maniera sovrana nei confronti dei suoi scritti, perché, in ogni caso, é in grado di venire in soccorso ad essi e di mostrare la lo ro debolezza rispetto alie «co s e di m aggior va lore», che egli tiene sempre in serbo. II che non vuol dire che gli scritti siano sempre e solo cose deboli (cpocüXa), ma che sono «p iü d eb oli», ossia « d i minor valore» ri­ spetto alie cose di «m aggior valo re» che il filosofo tiene in serbo nella dimensione delPoralitá. É evidente che, nel contesto di questa assai complessa concezione, ogni concetto particolare deve essere coito e meditato con molta attenzione, e Szlezák ha puntualmente esaminato e interpretato i concetti generali e particolari in m odo veramente egre­ gio, nel corso del primo capitolo (pp. 53-72). Ecco quali sono i concetti che a questo riguardo si impongono come punti chiave: a )fü filo so fo é colui che é in possesso di « c o ­ se di maggior valo re», e appunto di queste egli si avvale, per portare soccorso ai suoi discorsi in generale e ai suoi scritti in particolare. b) Inoltre, il filo so fo , in ogni caso, nella comunicazione delle veritá filosofiche sceglie gli interlocutori idonei e le anime adeguate; e alia capacita e alia statura di queste commisu-

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ra la portata della comunicazione. c) II método per eccellenza che caratterizza il filo so fo consiste nella dialettica: il filosofo é il dialettico. A llora, ecco il punto cardine sul quäle il lettore deve accentrare la sua attenzione per capire il libro di Szlezák. Se il filo s o fo é colui che non m e ttep er iscritto le «co s e di m aggior va lore», allora i dialoghi di Pla ton e non contengono p er definizione, ossia in quanto sono scritti (e quindi come tutti quanti gli scritti hanno una carenza strutturale), p ro p rio le sue «co s e di m aggior valo­ r e » nelsenso ultim ativ o, ossia p ro p rio cid che rende filo s o fi. M a, se cosi é, come é possibile individuare e comprendere queste «cose di maggior valore»? L a risposta ultimativa sarebbe, naturalmente, questa: le cose di maggior valore sono quelle che noi conosciamo dalla tradizione indiretta sulle D o ttrin e non scritte. Ed é appunto questa lä ri­ sposta che hanno dato Krämer e Gaiser, e che anche noi abbiamo dato nel volume P e r una nuova interpretazione di Pla ton e, sopra citato. M a la via che qui batte Szlezák, pur pervenendo implicitamente a queste conclusioni (oppure addirittura esplicitamente, ma in maniera marginale), intende rimanere sul piano dei dialoghi, in m odo da verificare in che misura il giudizio sulla scrittura e l’ immagine del filo so fo del Fedro trovino conferma globale e siste­ mática nei dialoghi medesimi, senza eccezione. In questo m odo, Szlezák pone due problemi fondamentali, ai quali Tintero suo libro da una precisa risposta. A ) Incominciamo dal primo di questi problemi. 1 dialoghi of~ fro n o , di fa tto , concrete esemplificazioni del «p o rta re soccorso» che é d efin itorio del filo s o fo ? Scrive l’ autore: « L a domanda decisiva dovrá allora suonare cosi: che cosa intende Platone con “ soccorso” che solo il filosofo é in grado di portare, al di fuori della parte conclusiva del F e d r o l» (p. 69). La risposta di Szlezák é questa: Platone intende esattamente quello che nei vari dialoghi fa fare a Socrate, in quanto Socrate é appunto la personificazione del filosofo-dialettico. Infatti le strutture concettuali che emergono nel portare «so cco rso » ad un «d iscorso» da parte di colui che sa, ossia da parte del filosofo, sono le stesse sia n ell’orale che nello scritto, e, dunque, é la stessa capacita di fondo che opera, sia che il « filo s o fo » venga in

IM PORTANZA E SIGNIFICATO DI QUESTO LIBRO SU PLATONE

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soccorso ad una esposizione orale, sia che venga in soccorso ad una scritta; pertanto «anche le strutture concettuali che emergeranno dovranno essere le stesse, e lo stesso sará il rapporto fra il “ discorso” che necessita di soccorso e quello che gli viene in soccorso» (p. 69). Dunque, i dialoghi mostreranno effettive situazioni in cui Socrate filosofo-dialettico esplica e attua la sua capacita di portare soccorso a sé e al suo discorso. In tal m odo, dalle concrete dimostrazioni di Szlezák emerge con tutta chiarezza che i dialoghi posseggono addirittura in maniera strutturale « la situazione-di-soccorso (¡3or¡9eia) ... guale schema dramm aturgico di base» (p. 70). Pertanto, l ’ esame analítico del­ la struttura-soccorso secondo cui sono impostad i dialoghi e r e ­ same del concetto delle «cose di maggior valore» e del suo ruolo diventano essenziali ai fin i di una rilettura degli scritti p la ton ici in quest a nuova ottica. Evidentemente, i dialoghi, sia pure nella loro form a di strutturasoccorso, sono, in ogni caso, degli scritti, e come tali hanno bisogno, come ogni altra form a di scrittura, di un ulteriore soc­ corso, che, per principio, essi non possono contenere, appunto perché sono scritti; tuttavia, dice giustamente Szlezák (e lo dimostra passim), «/ dialoghi, p e r mezzo della loro propria strut­ tura-soccorso, contengono una anticipazione esemplare del soc­ corso di cui necessitano. II “ soccorso” di Platone per quanto ha scritto ci manca — e ci deve mancare — : tuttavia i processi e le strutture in cui questo aiuto si dovrebbe realizzare (e in cui si realizzó certo nell’Accadem ia) puó essere offerto, in form a ana­ lógica, dai dialogh i» (p. 70). B) In stretta connessione con questo primo problema, si pone questo secondo problema, pure essenziale: i dialoghi o f f roño solo esempi fo rm a li del m odo di procedere del filo s o fo , oppure, almeno p e r cenni, alludono anche ai contenuti che possono p o r ­ tare soccorso ai discorsi, alia lo ro natura e al loro significato? I dialoghi «p erm etton o di riconoscere se e p er che cosa essi hanno bisogno o necessitá di ricevere un completam ento ed un approfon d im en to, analogamente ai casi di soccorso (¡3or¡0sLa) presentati da S ocra te?» (p. 70). E la risposta di Szlezák anche a questo problema é ben precisa: tu tti quanti i dialoghi sono ricchi di spunti e di accenni, che indi-

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cano la necessita di una ulteriore fondazione. Precisa il nostro autore: «C o m e secondo compito, quindi, si prospetta la determinazione dei passi dei dialoghi aventi queste caratteristiche, la descrizione di ció che in essi è tipico, la comprensione della loro funzione drammaturgica e l ’ utilizzazione dei loro rimandi, in certi casi per niente enigmatici, al contenuto di ció che manca al d ia lo go » (p. 71). Come il lettore avrà giá ben compreso, quella che viene propo­ sta da Szlezák è un’ ottica del tutto nuova, la cui importanza risulta veramente cospicua. M a come mai, in passato, nessuno si era proposto questi problemi in questo modo? L a risposta a questa domanda, dopo quan­ to abbiamo detto, è, ormai, facilmente determinabile: il para­ digma ermeneutico schleiermacheriano procedeva secondo un’ ottica opposta, e nel quadro categoriale di quell’ ottica tali problemi non avevano un senso. N on solo per risolvere, ma an­ che per il solo sollevare e proporre questi problemi, sarebbe stato, infatti, necessário ridare alYesoterica platónica, tanto aborrita dallo Schleiermacher, la sua antica statura ed il suo autenti­ co significato. Ed è appunto di questo che ora dobbiamo parlare.

3. L *oggettivo ricupero sto rico -filoso fico delV «esoterica » platónica II m odello interpretativo dello Schleiermacher presuppone come sottofondo una globale negazione della esoterica platónica. E cosi è stato, in effetti, anche per la maggioranza degli interpreti moderni, che, per lo piú, hanno inteso I’ esoterica in senso nega­ tivo, e, di conseguenza, sono stati costretti a rifiutare in tutti i modi che Platone la professasse. È ben vero che, in passato, non sí era saputo ricostruire la di­ mensione e la configurazione storica di questo aspetto del pensiero platonico in m odo corretto e con i piü adeguati metodi scientifici; ma con Krämer e con Gaiser le cose sono radicalmen­ te cambíate e tutti i documenti storici che lo comprovano sono stati sistematicamente raccolti, studiati e interpretati nel modo piü rigoroso possibile. Eppure, malgrado questo, si è verifícala una vera e propria situazione di blocco pregiudiziale, e si è cercato in vario m odo di ribadire un pregiudizio globalmente negativo su ogni interpreta-

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zione di Platone che implichi una esoterica, anche nella nuova form a proposta (ma per lo piü non compresa) dagli studiosi di Tubinga, Krämer e Gaiser hanno cercato, in tutti i modi, di spiegare che per «esoteriche» si intendono quelle dottrine che Platone ha mantenuto come «intraccadem iche» («innerakadem isch»), ossia che ha sviluppato solo nell’ ámbito della ristretta cerchia dei discepoli, e precisamente solo per quei discepoli che, messi rigo­ rosamente alia prova, in generale e in particolare, dopo una lunga preparazione condotta a diver si livelli, dimostravano la capa­ cita di comprenderle ed assimilarle in m odo adeguato. Si tratta, pertanto, di una «esoterica» che non ha nulla a che vedere con la artificiosa «segretezza» praticata in gruppi religiosi o in leghe settarie politiche. M a le precisazioni di Krämer e di Gaiser non sono bastate, e i piu hanno continuato a intendere il dialogo pla­ tónico come negazione dell’ esoterica. Ebbene, proprio su questo punto il libro di Szlezák viene a rovesciare i termini del problema, in quanto di mostra addir it tura che p ro p rio i dialo ghi stessi sono un p u n to fó ca le p er la comprensione del significato e del la dimensione della esoterica platónica. Intanto, Szlezák spiega m olto bene che differenza c’ é fra «esote­ rica» e «segretezza», e precisa quanto segue: «P e r capire Plato­ ne è, anzi, decisivo cogliere la differenza fra segretezza ed esote­ rica» (p. 484). L ’ esoterica platónica era legata ai contenuti dottrinali e alia capacitó delVapprendimento di questi contenuti da parte degli aspiranti ai medesimi: egli non volle mettere per iscritto e non avrebbe voluto che neppure altri mettessero certe sue dottrine per iscritto (ossia i fondamenti ultimativi del suo pensiero), e volle comunicarle solamente a coloro che giudicava capaci di comprenderle con opportuni metodi didattici nella di­ mensione delPoralità per ragioni di carattere teoretico ed eticoeducativo. Di tutt’ altra natura er ano, invece, le segretezze delle conventicole religioso-politiche, che non erano affatto interessate al rapporto fra il contenuto e le capacité di recepirlo di chi intendeva apprendere, bensi erano interessate al p rivilegio che quel sapere garantiva al gruppo che lepossedeva, e quindi erano legate al p o te re . Inoltre, la segretezza si fondava su giuramenti e su precisi obblighi ad essi legati, e chi li trasgrediva veniva punito, in quanto, diffondendo la dottrina, danneggiava la comunità e il suo pote-

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re. Invece, l ’ esoterica platónica non implicava vincoli di quel ge­ nere e conseguenze analoghe, e chi diffondeva conoscenze esoteriche non danneggiava la comunitá (nel suo potere e nella sua in­ fluenza), ma la dottrina stessa e se medesimo: « I I sapere esotéri­ co non é un mezzo della sete di potere, ma é un fine a se stesso. L ’ esoterica é orientata alPoggetto, la segretezza al potere» (p. 486). Insomma, Fesoterica platónica, a m otivo della d ifficoltá che im ­ plica Foggetto supremo della filosofía e la raritá delle nature filosofiche degli uomini, esigeva che si scegliessero le nature idonee e che si escludessero dalla filosofía quelle non idonee, par­ lando con chi si deve parlare e tacendo con chi si deve tacere. Evidentemente, questo risulta assai disturbante per lo spirito dell’uomo moderno, che per molteplici ragioní é rivolto a finalitá in certo senso opposte. Oggi non é pensabile che una persona, specialmente se importante, diffonda pubblicamente solo una parte della sua opinione, e che mantenga un rigoroso riserbo proprio su quelle cose che per lui sono di maggior valore. M a, se si vuole capire Platone, bisogna cercare di rientrare nella sua dimensione storico-culturale, e non cercare di far rientrare quella, a tutti i costi, nelle dimensioni delPuomo, di oggi, e quindi biso­ gna cercare di non ritenere i criteri di giudizio delFuomo di oggi come gli unici criteri con cui giudicare in assoluto. M a il punto piü importante che, a questo proposito, emerge dal libro di Szlezák, sta proprio nella evidenziazione della com po­ nente esoterica, intesa nel m odo precisato, come cifra addirittura emblemática degli stessi dialoghi di Platone. Nei suoi scritti Platone « f a continuamente i conti con la possibilitá che una per­ sona che sta dialogando possa portare in evidenza ed esprimere solo una parte del suo sapere e delle sue opinioni» (p. 45). E, quindi, é naturale, per Platone, che Finterlocutore «nasconda» le cose che per lui sono essenziali. Di piü, rileva Szlezák, il rimprovero che Platone « f a ai suoi in­ terlocutor! di tener nascosto Fessenziale é cosi onnipresente che sembra quasi non faccia differenza a chi lo rivo lga » (pp. 45 s.), tanto é vero che oggetto di tale rimprovero puó essere il grande Protagora cosi come lo sciocco Ione, il giovane Crizia di belle speranze e gli eristi Dionisodoro ed Eutidemo, e cosi via. E, in tal m odo, il trattenersi dal dire alcune cose, ossia il tenerle nascoste com e caratteristica del filo s o fo , viene utilizzato non so-

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lo in positivo, per ridare la giusta fisionomía al vero filosofo, ma anche in negativo, per far apparire irónicamente in tutta la sua povertá e meschinitá chi non é filosofo. Cosí accade, per esempio, nell’ interpretazione delVEutidemo, che per la prima volta assume la statura di un grande dialogo comico che gli compete, e di cui Szlezák fornisce la piü convincen­ te interpretazione che finora é stata proposta. í poveri due fratelli Dionisidoro e Eutidemo, che sono autentici avventurieri in filosofía, e che non hanno null’ altro da dire oltre ai loro vacui giochi di insignificante eristica, vengono cómicamente rimproverati di non dire e di tenere segrete le cose piü importanti, di cui, evidentemente, essi non posseggono nemmeno l’ ombra. E Socrate che, invece, avrebbe cose di maggior valore di cui parla­ re, le quali risolverebbero certi problemi sollevati, non solo le tace davvero, ma rimprovera proprio gli altri, che non sanno se non quello che hanno detto, di tacere e nascondere le cose piü importanti. Naturalmente, su questo punto potremmo molto diffonderci. M a quanto abbiamo detto basta per far capire al lettore che que­ sto ribaltamento delPesoterica platónica in senso positivo e l’ individuazione di essa come cifra dei dialoghi costituisce uno dei punti piü belli e piü importanti del libro di Szlezák.

4. I dialoghi p la ton ici sono «auyypáix¡±a'za» e quindi vengono criticati da Pla ton e com e tutte le altre fo rm e di scrittura Naturalmente, come abbiamo precisato nel volume P e r una nuova interpretazione di P la ton e, l ’ autotestimonianza del Fedro, con la sua massiccia critica alia scrittura, costituiva uno di quelli che, con le categorie concettuali dell’ epistemología con­ temporánea, si possono chiamare «co n tro fa tti», che minano al­ ia base il paradigma proclamante Pautosufficienza e Pautarchia degli scritti platonici. Soprattutto dopo il ricupero dell’ autenticitá e le analisi della Lettera V I I , che nel suo excursus filosofico riprende e approfondisce alcuni concetti della critica della scrit­ tura del Fedro, si é cercato di «ri-fa re » e di «a rte-fa re» il controfatto, in m odo da poterlo far rientrare nel quadro del paradig­ ma di base. Ebbene, il Fedro in riferimento alio scritto usa acci­ dentalmente il termine auy^pafi^a (277 D 7; 278 C 4), mentre ta­ le termine é centrale nelPexcursus della Lettera V II, dove Plato-

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ne dice, appunto, che un aúyypafjifxa sulle cose che per lui sono di maggior valore, ossia sui Principi primi e supremi, non solo non c’ è, ma non ci sarà mai (341 C 4-5). Il che significa un verdetto categórico contro l ’autarchia degli scritti. E a questo punto, per salvare il paradigma tradizionale e articolare questo controfatto in m odo da togliergli proprio la «con tra­ rié té », è stata proposta questa soluzione: i auyypajx^axa sono manuali, scritti dottrinali sistematici e non coincidono con i dialoghi. Pertanto, ció che Platone ha detto contro lo scritto non puó valere contro i dialoghi, ma solo contro gli scritti sistematici in form a manualistica. È appena il caso di ricordare che la soluzione di questo proble­ ma ha convinto quasi tutti, compresi studiosi — ricorda Szlezàk — délia statura di Jaspers, Düring, Gadamer, Guthrie, e molti altri ancora. Ció non deve stupire, e chi rileggerà i rilievi che sul­ la base dell’ epistemología di Thomas Kuhn abbiamo fatto nel nostro P la ton e, si renderá perfettamente conto che questo rientra nel tipico procedimento dell’ evolversi delle ricerche sciéntifiche, secondo i suoi canoni e i suoi ritmi. Infatti, quando un pa­ radigma ermeneu tico ha guadagnato Padesione délia comunità scientifica, articola i fatti e le catégorie concettuali con grande inventività ed efficacia, fino a che il paradigma non venga ad esaurirsi nel suo complesso. M a anche su questo punto Szlezák apporta uno dei suoi più cospicui contributi, dimostrando l ’impossibilità storica oggettiva di articolare il fatto di cui stiamo parlando in quel m odo, per il m otivo che già gli autori antichi hanno chiamato il dialogo p la ­ tónico p ro p rio con il termine avjypocjjijjia (addirittura 1’ aut ore della Lettera I I giuntaci sotto il nome di Platone), e dimostran­ do inoltre che auyypa^pia non vuole affatto dire «trattato dottrinale», «manuale sistemático», come comprova Puso che gli autori greci fanno di questo termine. Le pagine che concernono questo complesso e importantissimo problema si troveranno soprattutto nelle appendici (particolarmente nelPAppendice 11, passim). Szlezák ha scelto questo crite­ rio, al fine di tenere un poco al margine la Lettera V II, perché la tesi di fon do del suo libro reggerebbe perfettamente anche se, per ipotesi (naturalmente, data ma non ammessa), la Lettera V II, accettata ormai da quasi tutti gli studiosi come autentica, tornasse ad essere atetizzata (cfr. Appendice III).

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M a giá nel capitolo sul Fedro egli rileva assai bene che il concet­ to di «m an u ale» é del tutto estraneo alia critica della scrittura, dove si parla, invece, di due tipi di ben distinti «discorsi»: quelli scritti in generale, da un canto, e quelli orali, dall’ altro, i primi scritti su rotoli di carta, i secondi, invece, scritti nelle anime. Orbene, nello scritto in generale di cui tratta il F ed ro, entra tutto ció che in Grecia era stato composto per iscritto, e non solo in prosa, ma altresi in poesia, senza alcuna eccezione. Evidente­ mente, in una critica alia «scrittura» cosi globale come é fatta da Platone nel Fedro, rientrano senza possibilitá di dubbio anche i dialoghi (addirittura Platone fa cenno persino alia trattazione della Repubblica, come di recente é stato dimostrato su precise basi filologiche). Per non rientrare nella critica della «scrittu­ ra », i dialoghi dovrebbero essere qualcosa che si differenzia da ogni form a di scrittura, sia in poesia sia in prosa, il che é, ovviamente, impossibile. N elle appendici, poi, Szlezák dimostra che in greco auyYpocfjifjia é qualcosa che non si oppone affatto al dialogo in nessuno dei testi pervenutici, bensi al poem a, scritto in versi. Talora aúyypa¡x[xoc indica (perfino in Platone, Leggi, 858 C 10) addirittura an­ che lo scritto in poesia. Perianto, si verifica proprio il contrario di quella restrizione che si richiederebbe, invece, come necessaria per eliminare quel controfatto di cui stiamo parlando. Oltre alia Lettera I I giuntaci sotto il nome di Platone, Szlezák riporta altri autori greci, alcuni dei quali molto dotti e informati, che indicano i dialoghi di Platone appunto con il termine aúyYpapLfxa, come Isocrate, Diogene Laerzio, Temistio e Proclo, nonché M arcellino e Filone di Alessandria. D opo tutto questo, l ’ afferm azione che Platone fa nella Lettera V I I si impone veramente come categórica: « .. . si deve concludere che, allorché si vedono opere scritte di qualcuno, siano leggi di legislatore o scritti di qualsiasi altro genere, le cose scritte non erano, per questo autore, le cose piü serie, se egli é serio, perché queste stanno riposte nella parte piü bella di lu i» (344 C 3-7). E questo significa che, sulle cose «piü serie», chi é «s e rio » non compone degli scritti; e, si badi, non solo non compone scritti di un certo genere, ma di qualunque genere essi siano. L a «scrittura» della filosofía dei dialoghi di Platone si pone, dunque, in maniera non differente rispetto a quella in cui si po­ ne ogni form a di scrittura, entro quei precisi limiti stabiliti da

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Platone nelle pagine finali del Fedro. E queste conclusioni di Szlezák con le relative prove vanno considerate come un guadagno ormai irreversibile nelle ricerche platoniche.

5. Ristrutturazione radicale del criterio storico-genetico e il ricupero d ell’unita di fo n d o del pensiero platonico A H ’ interno del paradigma delPautarchia dello scritto platonico a partiré da K .F. Hermann (1839) si é imposto in una maniera via via sempre crescente il criterio che mira a stabilire la crono­ logía dei dialoghi e, quindi, la genesi e lo sviluppo del pensiero platonico. Questo — si noti — non costituiva affatto un rovesciamento del paradigma di Schleiermacher, il quale aveva cercato di ricostruire una unitá sistemática predeterminata e attuata da Platone secondo un piano protrettico-pedagogico. Costituiva, invece, la soluzione di un «p u zz le » (per usare la terminología di Kuhn) al1’ interno del quadro categoriale paradigmatico, e ha contribuito a daré al paradigma di base una credibilitá assai piü marcata. M olte delle difficoltá che nei dialoghi di Platone hanno radici nella limitatezza strutturale che per lui ha la scrittura nel comu­ nicare il messaggio filosofico nei suoi fondamenti, e il differente taglio che in ogni caso la comunicazione viene ad assumere nei confronti delle differenti capacita degli interlocutori, sono State trasposte dagli interpreti su un piano storico-genetico, i quali hanno cercato di risolvere tutta una serie di aporie dando una valenza ermeneutica essenziale alia determinazione del momen­ to di composizione dello scritto. Su questo, evidentemente, ha avuto molto influsso la convinzione dell’ uomo moderno circa l ’utilitá della scrittura, che non é affatto quella di Platone. E ha giocato un ruolo determinante altresi la convinzione conseguente che un autore proietta sulla carta tutto ció che via via scopre di nuovo, dando come per scontato a priori che P ultimo scritto di un autore contenga il punto estremo da lui raggiunto nelPevoluzione del suo pensiero. In tal m odo, la questione della cronología dei dialoghi si é im po­ sta come questione di grande urgenza nel secolo scorso, cosi co­ me anche nel nostro. Ricordiamo un passo assai significativo (che abbiamo giá richiamato nella Storia della filo s o fía antica,

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vol. II, p. 4 15) di Theodor Gomperz, che sul finire dell’ Ottocento, nei suoi celebri Griechische Denker, riassumeva in una maniera veramente emblematica questa istanza: «Accordiam oci per un momento il lusso di un bei sogno. Supponiamo che uno degli intimi di Platone, per esempio suo nipote Speusippo (...), avesse fatto quello che non gli avrebbe richiesto più di un quarto d ’ ora dei suoi ozi, e ehe lo avrebbe reso inestimabilmente benemerito delia storia delia filosofia: ehe avesse, cioè, segnato su una tavoletta Pelenco, per ordine di data, degli scritti di suo zio, e ehe una copia di tale elenco fosse pervenuta fino a noi. Possederemmo, in tal caso, 1’ ausilio migliore per lo studio dello svolgimento spirituale di P laton e» (traduzione ita­ liana, Pensatori greci, vol. I l l , p. 49). Ebbene, la critica della scrittura ehe fa Platone e il suo giudizio circa la limitata portata delia capacità delia scrittura di aituare la comunicazione dei messaggio filosofico nei suoi punti essenziali, rovescia le conclusioni di coloro ehe hanno puntato sul canone ermeneutico storico-genetico, e ehe Gomperz riassume nel passo riportato. In effetti Platone non ha mai avuto 1’ intento «d i consegnare alia scrittura il punto estremo dei pensiero ehe egli aveva di volta in volta raggiunto» (p. 416), proprio a m otivo dei suo giudizio negativo delia scrittura sui rotoli di carta, e quindi non c’ è stato per lui alcuno stimolo a pubblicare, e meno ehe mai un bisogno di pubblicare quale Puom o di oggi sente; anzi, egli senti alcuni stimoli esattamente opposti a quelli che 1’ uomo moderno prova. Scrive Szlezák: «S e Platone non era costretto a pubblicare il più velocemente possibile il risultato di volta in volta più recente — se, in altre parole, non stava sotto la legge del “ pubblica o sei perduto” — , allora perdono molto della loro forza di persuasione gli argomenti storico-evolutivi che fanno i conti su un completamento successivo dell’ opera scritta che corre in parallelo alle più recenti acquisizioni dell ’ autore. Può essere perfeitamente giusto dire che VA p olog ia precede il Fedone\ solo che essa non lo precede perché non conosce ancora la dottrina dell’ immortalité. Sara meglio ehe l’indagine cronologica del corpus platonico rinunci a siffatti confronti di contenuto. Forse in futuro una raffinata statistica linguistica o f­ frira la soluzione. M a si tratta di una soluzione ehe, comunque, è di minore urgenza di quanto credeva il X IX secolo; per un autore

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che non é solito proiettare la propria anima direttamente sulla carta» (p. 418). M a a questo riguardo il libro di Szlezák va ancora oltre, in quanto dimostra che é la struttura stessa dei dialoghi platonici a imporre una radicale reinterpretazione di questo problema. I dialoghi sono, infatti, fortemente selettivi per quanto concerne la misura in cui un problema viene impostato e nella misura in cui vengono chiamati in causa elementi necessari per risolverlo. E, questo, é dovuto proprio alia natura e alia statura spirituale deirinterlocutore. Come ben stabilisce Platone, appunto nel Fed ro y colui che sa (il filosofo-dialettico) seleziona quello che dice in base appunto alia persona con cui discute, e tace su certe cose secondo che la natura di questapersona lo esiga, E, perció, uno scritto non esprime mai il sapere del protagonista (Socrate-Platone) nella sua globalitá e attualitá, ma lo esprime solamente nella p rop orzion e che richiede il rapporto dialogico con Vanima del deuteragonista. E, di conseguenza, anche la struttura del «so cco rso » rimane predeterminata in maniera graduata, senza contare che il soccorso ultimativo non compete in ogni caso alio scritto, ma solamente all’ oralitá dialettica. E, cosi, la grossa questione dell’ evoluzione di Platone viene ad assumere una dimensione del tutto nuova, e, in particolare, emerge con tutta chiarezza che Vunitá e lo spessore del pensiero di Pla ton e sono ben diver si da quelli che in passato si é creduto di p o te r ricavare con i criteri storico-evolu tivi applicati nel quadro categoriale del paradigma tradizionale. L ’eccezionalitá di Platone e il suo giudizio sulla scrittura, che costituiscono in larga misura un unicum , impongono una m odi­ fica dei canoni ermeneutici, e Szlezák offre, anche in questo senso, contributi essenziali.

6. A lcun e considerazioni epistemologiche sul libro di Szlezák Szlezák, come giá sopra abbiamo rilevato, ha cercato di non chiamare in causa le D ottrin e non scritte in maniera determinan­ te, al fine di dimostrare la coerenza dell’opera platónica dal nuovo punto di vista, che presenta rigorosamente basandosi sui soli testi platonici, anche se si congiunge perfettamente con la dimostrazione della coerenza deiropera platónica che si guadagna pariendo dalle D ottrin e non scritte, come hanno fatto gli

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studiosi di Tubinga, e ora abbiamo fatto anche noi. Tuttavia Szlezák riconosce come «Pinteresse di una parte dei lettori si trasformi subito in rifiuto, non appena si sia detto che la consueta esecrazione delPesoterica platónica che si é diffusa sin dai tempi di Schleiermacher non fa parte delle premesse di questo la v o ro » (p. 42). E precisa che molti studiosi finora non hanno saputo assumere una posizione imparziale sulla problemática della critica della scrittura e sulla sua valutazione in Platone, e che la violen­ ta reazione polémica suscitata negli anni Sessanta da Krämer e da Gaiser é stata notevole. Szlezák esorta pertanto i lettori a giudicare in maniera adeguata ció che Platone intende dire quando afferm a che solo colui che dispone di «cose di maggior va lo re » di quelle che ha messo per iscritto merita il nome di filosofo. Queste parole vanno intese non dogmáticamente a priori in senso antiesoterico, ma solo do po un attento esame del testo primario e del suo contesto nell’ ottica di tutti quanti i dialoghi nel loro insieme. Szlezák rile va, infine, che dal lettore non pretende un giudizio positivo a priori a favore delPesoterica, ma pretende solamente una sospensione del giudizio, e conclude: «S e, cosi, ció che il te­ sto dice verrä preso nel giusto significato, allora Pantica disputa cesserä di essere ta le» (p. 43). Evidentemente, m olto é cambiato dagli anni Sessanta, e lo stesso successo del tutto imprevisto del nostro volume P e r una nuova interpretazione di P la ton e, che si ispira al nuovo paradigma (cinque edizioni in pochissimi anni), mostra che altra temperie culturale alimenta oggi gli interessi degli studiosi. M a che questo libro di Szlezák, o libri di questo tipo, i lettori li possano leggere sospendendo giudizi aprioristici, é m olto difficile (e forse addirittura impossibile), perché un contributo che determina o stimola un mutamento di paradigma, nella comunitá dei ricercatori che si occupano della problemática in questione provoca inevitabili reazioni polemiche, anche assai accentuate, e di vario genere. D ’ altra parte, lo stesso Szlezák, che mantiene nel corso di tutto il libro uno straordinario equilibrio critico, nelle Appendici (e in parte anche nelle note al testo), dove necessariamente deve ope­ rare un confronto di opposti paradigmi ermeneutici, finisce con Passumere, per m otivi di segno opposto ma che stanno sullo

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stesso piano psicologico di quelli degli avversari, un tono pole­ mico e, talvoíta, anche piuttosto mordace (e, in alcuni casi, perfino provocatorio per i seguaci dei vecchio paradigma). E se si sta alie spiegazioni delle reazioni psicologiche degli scienziati che accompagnano i inutamenti di paradigma che Kuhn ci ha offerto, ci si rendera perfettamente conto di questo. Quello che da un libro, in senso assoluto, un ricercatore è meno disposto ad attendersi e ad accettare» è proprio un mutamento dei quadro concettualeparadigm atico aH’interno dei quale lavora. II lettore è effettivãmente disposto a fare i conti con qualsiasi modifica e ristrutturazione dei «pu zzles» ali’ interno dei quadro paradigmatico dominante, perché, in questo caso, il gioco si svolge sul medesimo piano interpretativo e con criteri analoghi, con i quali sono possibili mediazioni di vario genere; invece il lettore non è disposto, normalmente, a fare i conti con le modifiche rivoluzionarie che portano su piani differenti e che cambiano quei criteri. In altre parole, il lettore reagisce sempre violentemente contro ogni tipo di libro che comporta rivoluzioni paradigmatíche. M a appunto questo è il messaggio dei libro di Szlezák: la scrittura delia filo s o fia di P ia tone non contiene la sua parola di fo n d o , e quindi i suoi dialoghi, p u r essendoci pervenuti tutti quanti, non sono r « o m n i a » di P ía tone, perché egli ha mantenuto le c o ­ se p er lui «p iü serie» e d i « maggior va lore » nella dimensione delrora litá, che, p e r p rin cip io, nei suoi p u n ti supremi resta esclusa dagli scritti. È proprio questo che turba profondamente l ’ uomo di oggi, ma che questo libro ribadisce nella maniera piü chiara.

7. I I concetto di «co s e di m aggior valore» com e chiave di volt a p e r la comprensione di Platone e conclusioni sul libro di Szlezák Dunque, le conclusioni di Szlezák su Platone e sulla scrittura della filosofía come è stata da lui intesa, basata su una assai pre­ cisa analisi della critica della scrittura del Fedro e verificata co­ me cifra emblemática di ciascuno e di tutti i dialoghi, si incentrano proprio sulle cose che il filosofo tiene in serbo, rispetto al­ ie cose che ha scritto, come «cose di maggior valore», e sulle

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conseguenze che queste comportano. Szlezák riassume questa sua tesi come segue: «P la to n e concepisce lo scritto filosofico, sin dalPinizio, come uno scritto non autarchico, come lo scritto che deve venir trasceso per quanto riguarda il contenuto, se deve essere capito completamente. I I lib ro dei filo s o fo deve avere giustificazione ultimativa dei suoi argom enti al di fu o r i di se stesso» (p. 121). È proprio questo che aiuta a capire, in maniera nuova e molto efficace, i dialoghi medesimi. Poiché il personaggio principale dei dialoghi esaminati è Socrate, come personificazione dei vero filosofo-dialettico, questo com porta che i rapporti fra il filo so fo e il suo discorso, nelPoralità e nello scritto, risultino fondamentalmente analoghi, come sopra abbiamo rilevato. Si parte da una determinata tesi, la quale viene sottoposta ad un esame critico e ad una confutazione (elenchos). A questa il filo ­ sofo viene in soccorso, apportando argomentazioni che implicano il guadagno necessário di «cose di maggior valore», che portano ad un altro livello e a giustificazioni fondative maggiori. Naturalmente, per le ragioni sopra già ricordate, il livello cui Socrate si spinge dipende, strutturalmente, dal livello spirituale dei suoi interlocutori, e quindi sono in proporzione alie loro capacità. M a anche con interlocutori di maggior livello spirituale, i piani che via via si raggiungono non coincid ono mai con quello supre­ m o ultim ativo, a m otivo delia strutturale limitazione comunica­ tiva delia scrittura, e in questo caso Platone indica, per allusioni, che sarebbe necessário guadagnare «cose di maggior valore», le quali, tuttavia, egli non espliciterà per iscritto, ma solo nella dimensione delPoralità. Questo, spiega m olto bene Szlezák, non implica alcuna contraddizione, giacché «le cose di maggior valo re» sono un concetto relativo, ossia sono quelle m otivazioni fondative degli argomenti via via trattati, che implicano il guadagno di un piü alto livello rispetto a quelli in cui si è impostata la discussione. E tali «cose di maggior valore» nella discussione con certi interlocutori vengono solo menzionate per allusioni (anche se per iscritto potrebbero chiaramente essere fornite), mentre con altri interlocutori vengono espressamente chiamate in causa, e anche con precisione. Tuttavia i dialoghi, dice Szlezák, «in quanto im m agini scritte non possono rappresentare, dal canto loro, Pintera via dei

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fondamenti fino a giungere ai “ Principi” (apxaO> e restaño, quindi, per questo, “ g io c o ” e “ narrazioni di storie” nonostante la loro maggiore vicinanza alia discussione “ secondo rególe d'arte” » (p. 98). E, allora, la scansione lógica che rivela Passe portante di tutti i dialoghi, la struttura costante sotto tutte le variabili, risulta essere la seguente: la tesi proposta viene sottoposta ad un elenchos, ossia ad una prova mediante un esame critico e una confutazione; da questo livello il dialogo passa ad un livello piü alto mediante il «soccorso». Pero la situazione di soccorso non risul­ ta mai come conclusiva, e Platone indica, sempre, con chiari cenni, che « q u i» e « o r a » non si è raggiunto il livello di soccorso piü alto, che sarebbe quello dei Principi primi e supremi, che si guadagnano solamente sul piano delPoralitá dialettica, perché la scrittura ha la sua spiegazione ultimativa sempre al di lá di se medesima, per ragioni strutturali. Richiamiamo due esempi, che, in un certo senso, sono i piü significativi. Szlezák tratta in un único capitolo A p ologia , C ritone e Fedone, e li interpreta, proprio sulla base degli schemi che abbiamo chiarito, come un «so cco rso » o una «d ife s a » condotta a tre differenti livelli, e fa vedere m olto bene come si cambi livello, appunto a seconda degli interlocutori: nqIV A p olog ia gli interlocutori sono i giudici, cui Socrate parla in un dato m odo ad un certo li­ vello, differenziando inoltre chiaramente, al momento giusto, quelli che hanno votato contro di lui da quelli che hanno votato a suo favore; nel C ritone il suo interlocutore è il suo assai affezionato amico, ma ben piü vicino al comune m odo di pensare che non a quello filosofico, e Pargomentazione di Socrate si p o ­ ne su questo piano; invece nel Fedorie gli interlocutori sono filosofi, e, per questo, nelPargomentazione entrano in gioco in pieno le tematiche deirim m ortalita delP anima e la teoria delle Idee; ma, ciononostante, proprio nel punto centrale Socrate fa un inequivocabile rimando ad un ulteriore piano (che è evidente­ mente quello di Principi primi), lasciando agli interlocutori il compito, se sono filo s o fi, di guadagnarlo. Tipica é, poi, la Repubblica, il cui primo libro si muove ad un li­ vello m olto simile a quello dei primi dialoghi cosiddetti aporetici. I libri II-X sono un grandioso gradúale venire in soccorso al discorso sulla giustizia del primo libro, e in essi la struttura-soc-

IM PORTANZA E SIGNIFICATO DI QUESTO LIBRO SU PLATONE

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corso viene presentata in una maniera quasi paradigmatica. M a anche nella Repubblica, e proprio nel punto focale in cui si parla del Bene, Platone dice con tutta chiarezza che, qui, egli lascerá molte cose, presenterà il figlio e non il padre, pagherá gli interessi e non il debito ultimativo. E, questo, proprio nel suo capolavoro, che resta appunto bellissimo, ma come grande e sublime «g io c o », ossia come una «narrazione per storie» della Giustizia e del Bene, mentre la serietá su queste cose egli ha voluto riservarla alia dimensione della oralitá dialettica, appunto perché il filosofo non mette per iscritto le sue «cose di maggior valore» in senso ultimativo. E le verita ultimative sul Bene sono, appunto, le cose di maggior valore in senso assoluto. Szlezák si ferma alla Repubblica, e non tratta (almeno in questo volume) del Teeteto, dei dialoghi dialettici e del Tim eo, perché, egli dice, da questi dialoghi si ricavano benissimo le cose che so­ no state dimostrate per tutti gli altri dialoghi. N oi ci auguriamo, tuttavia, che anche su questi dialoghi della vecchiaia di Platone Szlezák scriva un volume, perché, quando uno studioso ha guadagnato tutte quelle cose che Szlezák ha guadagnato studiando i dialoghi della giovinezza e della maturità, non potrá non apportare impreveduti guadagni anche sui grandiosi scritti platonici della vecchiaia. Quanto Szlezák ha dimostrato in tutto il suo libro, in ogni caso, oltre che sui punti di cui abbiamo detto, ci convince sempre di più anche sulla tesi che abbiamo sostenuto nel nostro Pla ton e: la trilogia Sofista, P o litic o , F ilo s o fo , annunciata da Platone con insistenza e con chiarezza, in realtà non è affatto rimasta incom­ pleta, priva dei terzo «d ia lo g o ». Infatti, se il filosofo non solo nel finale del Fedro, ma in tutti gli scritti platonici, è colui che non mette p er iscritto le sue cose di maggior valore, e quindi tut­ ti gli scritti hanno fuori di sé la loro chiave di volta, allora il dia­ logo « F ilo s o fo » è quello che Pla ton e ha scritto non nei ro to li di carta ma nelle anime, nella dimensione dell’ oralità dialettica, come egli nelle grandi pagine del Fedro dice appunto che è per sua natura lo scrivere del filo so fo (si vedano gü argomenti che adduciamo nel nostro Pla ton e, pp. 386-403). Questo libro di Szlezák ci sembra confermarlo, per converso, almeno implicita­ mente, nella maniera più significativa. È appena il caso che, concludendo questa nostra introduzione, ricordiamo al lettore (il quale m olto probabilmente lo avrà già

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GIOVANNI REALE

ricavato da se dalle cose che abbiamo detto) ehe, a nostro giudizio, noi ci troviam o di fronte al piü significativo e importante dei libri su Platone ehe siano venuti dalla Germania, dopo quelli pubblicati da Krämer e da Gaiser. Giovanni Reale

P . S. — Questa m ia traduzione e stata rivista da Szlezak ed e

stata discussa con

me n el m arzo 1988 in G erm ania (a W u rzb u rg) e n el settem bre 1988 in Ita lia (a L u in o ). Szlezak ha rivisto anche le bozze e ha cu ra to g li indici. L o rin gra zio v i­ vam e n te p e r queste sueprestazioni.

Catalogo ragionato dei volumi, dei saggi e delle recensioni pubblicati da Thomas Alexander Szlezák (aggiornato fino al 1988)

A . L ib ri

1. Pseu d o-A rchytas über die Kategorien. Texte zur griechischen Aristoteles-Exegese. Herausgegeben, übersetzt und kommen­ tiert von Th. A .S ., W alter de Gruyter & C o., Berlin-New York 1972. Sotto il nome di Archita di Taranto ci sono pervenute due esposizioni della dottrina delle categorie che rispecchiano lo stato rispettivo dell’ attivitä relativa alio scritto aristotélico sulle catego­ rie. Gli scritti l U p L t o u xaQóXou Xóyou (I sec. a.C. o d.C.) e KaöoXijcoi Xó-yoi Sixa (di etä bizantina) vengono pubblicati qui per la prima volta in edizione critica, tradotti in una lingua moderna e collocati nella storia deU’ aristotelismo, grazie ad un dettagliato commento storico-filologico. 2. Platon und Aristoteles in der Nuslehre Plotins, Schwabe & C o., Basel-Stuttgart 1979. II libro offre la prima ricostruzione integrale del quadro che Plotino si é fatto dei percorso della storia della filosofía. La dottrina del nous di Plotino viene interprétala pariendo da questo quadro e dall’ affermazione di Plotino, che a prima vista lascia stupiti, di essere soltanto un esegeta di Platone. Si dimostra che, effettivamente, tutte le posizioni fondamentali di Plotino devono essere intese, in un certo senso, come commento di testi platonici basilari. Nella sua interpretazione di Platone, Plotino si preoccupa costantemente di considerare anche la critica di Aristotele e la concezione del nous propria di quest’ultimo, e di superare e l’ uno e l’ altro. É proprio la dottrina della «parte non discesa dell’anima», presentabile come un’ originale innovazione plotiniana, che si rivela, sorprendentemente, come un’interpretazione conseguente delle asserzioni di Platone sulla «vera natura» dell’ anima.

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L A PRODUZIONE SCIENTIFICA DI TH. SZLEZÄK

3. P laton und die Schriftlichkeit der Philosophie. Interpretatio­ nen zu den frü hen und mittleren D ia logen , W alter de Gruyter & C o., Berlin-New York 1985. E il libro che qui presentiamo, sul quäle si veda l’ Introduzione che precede, passim.

B. Saggi 1. Unsterblichkeit und T richotom ie der Seele im zehnten Buch der Politeia, «Ph ron esis», 21 (1976), pp. 31-58. II passo notoriamente difficile di Repubblica, 611 B - 612 A non lascia affatto aperta la questione sulla «natura originaria» dell’ anima, come e stato sostenuto. Un’ interpretazione precisa, che considera in modo adeguato il linguaggio e il ragionamento del passo, porta a concludere che, per Platone, 1’anima, nella sua forma originaria, e identica alYanima razionale. Questo fa cadere l’ipotesi storico-evolutiva che Platone, nella Repubblica, abbia sostenuto una dottrina dell’ anima diversa da quella delle sue opere successive (Timeo).

2. P lo t in und die geheimen Lehren des A m m onios. In: A A .V V ., Esoterik und E xoterik der Philosophie, hrsgg. von H. H olzhey und W .C h. Zimmerli, Basel-Stuttgart 1977, pp. 52-69. Esame critico delle notizie circa un accordo per tenere segrete le dottrine di Ammonio Sacca da parte dei suoi allievi. E di per se molto probabile che Ammonio e i suoi allievi abbiano desunto il loro atteggiamento nei riguardi del filosofare dalla Lettera V II di Platone, la cui tendenza esoterica e stata ingiustamente discussa in epoca moderna.

3. D ia lo g fo rm und Esoterik. Z u r Deutung des platonischen Dialogs "P h a id ro s ” , «M useum H elveticum », 35 (1978), pp. 1832. (C fr. in proposito: What one should know when reading “ H elping the W ritings” . A reply to G.J. de Vries, «Museum H elveticum », 36 [1979], pp. 164-165). Interpretazione della critica platonica della scrittura nella parte conclusiva del Fedro. Un’interpretazione ehe si preoccupa di spiegare Platone con Platone porta da sola alia rinuncia del moderno

LA PRODUZiONE SCIENTIFICA DI TH. SZLEZÄK

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pregiudizio antiesoterico. II senso della richiesta di Platone, che il filosofo debba sempre essere in grado di «portare soccorso» al suo logos ricorrendo a «cose di maggior valore» (iijjuio-tepa) lo si ricava dai dialoghi con grande chiarezza. Tanto la critica della scrittura quanto la struttura dei dialoghi e dei loro passi chiave chiariscono che Platone pensava che la fondazione ultima dei risultati filosofici non dovesse essere affidata alia scrittura.

4. The A cq u irin g o f Ph ilosoph ica l Knowledge A ccord in g to P la to 's Seventh Letter. In: A A .V V ., A rktouros. Hellenic Stu­ dies presented to Bernard M . W. K n ox, Berlin-New Y ork 1979, pp. 354-363. Nella Lettera V II di Platone e presupposto in ogni passo che una conoscenza autentica e completa delie concezioni filosofiche di Platone si pud ottenere solo attraverso una comunicazione orale con Platone stesso. La Lettera V II, cioe, non fa mai affidamento sulla possibility di venire a conoscenza dell’intero complesso della filosofia platonica partendo dai dialoghi.

5. Sokrates1 Spott uber Geheimhaltung. Zum B ild des v xà èpcoxixà íotoç, ¿o Hcôxpax£ç, xav aù ¡j.u7] 9&ît]ç- xà Sè xéXe.a xat èîroTtxtxà, ¿ v evexk xat xaûxa eaxtv, iáv xiç ópQcõç [A£x£t], oùx ol8 ’ st oíóç x’ av êÎVjç. L a m etafora dei misteri domina in tutto il passo seguente: c’ è una persona che introduce gli iniziandi (ó rpfoújxevoç), 210 A 7; guida e pro­ gresso autonomo Tuna accanto all’altro, 211 C 1 : luí xà spomxà tévai r¡ útc’ aXXoç àyeoQat. L o scopo è un «guardare» che rende beato colui che guarda (211 D ), l ’ oggetto della visione è presentato con evidente analogia all’improvvisa comparsa del­ la luce nei misteri eleusini. — Chr. Riedweg nella trattazione Mysterienterm inologie bei Pla tón und P h ilo n yon Alexandria (Berlin 1987), ha esaminato le analogie, precise fin nei dettagli, fra la realtá dei misteri eleusini e la lingua mistérica di Platone.

CHI É L ’AM ANTE E C H IÉ L ’AMATO?

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N on é difficile scegliere l 5alternativa. Richiamiamo alia memoria come Socrate é en trato nel ruolo deirallievo, deirallievo forse non adeguato. Egli aveva interrotto Velenchos di Agatone, asserendo di essere stato guarito hii stesso, una volta, da Diotima, dagli stessi errori e con gli stessi argomenti, e invece di pro­ seguiré il dialogo con Agatone, egli racconta del modo in cui era continuato il suo elenchos per lu i24. Questa transizione implica due cose. In primo luogo, la ripresa dei lo g o i di Diotim a in una situazione differente deve essere, comunque, giudicata nella prospettiva di F edro 276 E s., in cui si dice che «la persona adeguata» tro verá il m odo di utilizzare i lo g o i vi vi, ricevuti dal dialettico, autónomamente — e non, quindi, come morto sapere li­ bresco — e di «venire in soccorso» dell’ autore dei logoi. La finzione poética di un insegnamento attraverso Diotima e la riuscita afferm azione di ció che egli ha imparato da lei contro le opinioni differenti di Agatone rivelano Socrate come 1’ «anim a adatta» 7i;poanf|xouaa). In secondo luogo, l’ equiparazione dei due elenchoi, di quello appena condotto e di quello immaginato, comporta che il dialogo di Agatone vada inteso come fase preparatoria del dialogo di Diotima. II procedimento negativo basato sulYelenchos di questo dialogo é in proporzione all’ insegnamento positivo tramite Diotim a come la «pu rificazion e» (xá 0 apat$) necessaria prima di ogni iniziazione, é in rapporto alTiniziazione stessa. Insieme alia bipartizione dell’ iniziazione (209 E - 210 A ) si ottiene una struttura tripartita: alia «pu rifica­ zio n e» preparatoria hanno fatto seguito i «piccoü misteri» che hanno il compito di istruire, e a questi, dopo una chiara cesura, son seguiti i «grandi m isteri», che non possono, pero, completa­ re la visione beatificante — abbiamo infatti a che fare con un puro e semplice resoconto, e per giunta in form a scritta — , ma che possono, pero, rappresentarla, per cosi dire, dalFesterno, e preparare ad essa25. 24 201 D 1 - E 7; testo di E 3-7 sopra, nota 17. 25 ra Se xéXeoí xaí e7io 7m x á (201 A 1) comprende il livello piii alto, che ad Eleusi era anche detto xa ¡líyáXa. ¡jiuaxripta. (Ricaviam o che e7ro7rx&ía era il livello piú alto ad esempio da Plutarco, D em e trio , X X V I, 2; la terminología di Plutarco in altri punti corrisponderebbe difficilmente a quella ufficiale: quelli che egli chiama i «p iccoli m isteri», sarebbero la 7cpoxá0apai£, quelli che per lui sono i «g ra n d i», cor* risponderebbero a quelli del livello medio — altrimenti detti «piccoli misteri» — ; cfr. Riedweg, Mysterienterminologie bei Platón ..., cit.). Dal momento che Platone usa l ’espressione xa [i.syáXa / xa a¡j.ixpá ^.&¡ji.víja9at per gli eventi del dialogo del Gorgia

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«SIMPOSIO»

Delle due svolte di questo tutto tripartito, la prima, il passaggio dalla parte di Agatone a quella di Diotima, é quella piü fortemente e chiaramente marcata. Con il cambiamento del ruolo di Socrate e l ’introduzione del nuovo personaggio del dialogo si mette in m oto, come abbiamo visto (sopra, p. 385 ss.), un altro tipo di comunicazione filosófica, al cui confronto la parte di Agatone appare come rappresentante dello stile «n ó rm a le » del dialogo platonico (nonostante una certa somiglianza del tono della conversazione26). II m odo di uniré fra loro le due parti dialogiche dell’ opera e al tempo stesso di delimitarle reciprocamente qui sfruttato da Platone, fornisce un indizio di per sé chiaro, in cui é contenuta una enunciazione inequivocabile sulle condizioni e sulle form e della comunicazione filosófica. L a parte in cui riconosciamo con faci­ lita un rispecchiamento del m odo di comunicare dei «p rim i» dialoghi e di quelli «cen tra li» é solo un grado preparatorio27. II dialogo di una sola volta con l ’ interlocutore non adatto o poco adatto alia filosofía, deve essere sostituito dal dialogo di insegnamento, ripetuto secondo un programma, fra un sapiente e un’ «anim a a ffin e » pronta ad imparare, L a conversazione occasionale deve lasciare il posto all’ insegnamento di lunga durata: accanto ai dialoghi questa attivitá, nei suoi profili, si puó vedere nelPAccadem ia28. Condizione del passaggio al dialogo che insegna é la ricerca riuscita dell’ interlocutore giusto: per questo, la ricerca delPanima «b e lla » come luogo di generazione spirituale ( G orgia, 497 C 3-4; cfr. sopra, pp. 273 s.), ci sia concesso di parlare anche in questo caso di «p ic c o li» e di «grandi misteri». — Riedweg ha riconosciuto la tripartizione dell’intera struttura, e nel suo lavoro si trovano anche le prove della struttura corrispondente delle iniziazioni eleusine. 11 livello successivo alia purificazione, i «p icco­ li m isteri», conteneva la trasmissione didattica (mxpáôoaLç) dei logos sacro appartenente al culto; ad esso Riedweg, Mysterienterminologie bei Pla ton ..., pp. 15 ss., ha paragonato, in m odo calzante, 1’insegnamento mitico sulla genealogia di Eros, 203 B ss. 26 Cfr. sopra, pp. 336-339. 21 Questo, comunque, è anche un livello introduttivo di cui non si può fare a meno; tuttavia, viene propriamente sottolineato che quello che verrà dopo è costruito sulla base della prima parte; 201 D 6 : ... Tteipáao^icu 6[xTv SieXÔE-ív ¿x xÔ>v có|i.oXoyrjjxévcov i\iol xai ’ AyáOíovi. 28 N on si deve fraintendere: il dialogo con Diotima, fortemente ironizzato, non vuole affatto dare una rappresentazione realística di come si svolgessero le lezioni nelTAccademia. Gli aspetti elencati sopra, pp. 338 ss., mostrano comunque ad abundantiam che siamo di fronte, qui, a qualcosa di nuovo (nuovo solo per quanto riguarda i dialoghi, e non certo per Platone stesso).

CHI È L ’AM ANTE E CHI È L ’ AMATO?

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è parte essenziale dell’ «e ro tic a » filosofica (209 B ss.); per questo la dote di Socrate sta nel mostrare coloro ehe «necessitano degli Dei e dei misteri» 29 ha m otivo dei loro essere adatti, e per que­ sto i dialoghi devono essere parenetici e protrettici. Nel presente caso, Socrate non ha, evidentemente, trovato in Agatone 1’ interlocutore adatto: questo è il senso delia svolta, in seguito alia quale egli viene lasciato perdere, dopo il grado prelim inare30. Se al suo posto compare non qualcuno di migliore preso dalla stessa cerchia di amici, bensi Socrate stesso, allora questo significa ehe i dialoghi dialettici e volti ad insegnare ehe si specchiano nella parte di Diotima con « la persona adatta», si sollevano di tan­ to al di sopra dei mondo dei dialoghi scritti con i loro incontri di una sola volta ehe si specchia invece nella parte di Agatone, quanto Socrate si solleva al di sopra dei suoi consueti interlocutori. Questo superamento degli altri convitati da parte di Socrate è sviluppato con grande effetto e in modo accorto. Agatone non può «venire in soccorso» nell’elenchos alia sua Iode di Eros. Egli aveva iniziato correttamente distinguendo Ia natura e 1’azione dei D io 31, tuttavia non è in grado di fornire fondamenti a nulía di quello che ha detto. A lia fine, egli si sottomette completamente airautorità di Socrate32. L a tesi di Socrate è ehe Eros non è né bello né in possesso di ogni Bene (201 B-C). Né Agatone né alcuno dei convitati lo costringe in un elenchos. Perciò egli lo fa lui stesso, attribuendo la sua posizione alia mitica Diotima, per poter poi richiedere a proprio nome inform azioni dalla «m aestra» (201 E ss.). Socrate - Diotim a sa aiutarsi: la loro concezione del1’ Eros si basa sulla conoscenza delia sua origine, cioè delia sua «derivazion e» da principi piü a lti33, la loro spiegazione deH’ azione di Eros poggia sulla loro conoscenza dei fatto ehe il Bene è ru ltim o e unico fine di ogni aspirazione (205 A -E ; 206 A ).

29 215 C 5: xaí 8r]Xot xouç xcõv ôecov xe xaí Seofievouç (detto di Marsia, cui Socrate si paragona). 30 201 D 1: xai crè fiiv ye. Y]ãr] iacroa. 31 195 A , approvato da Socrate in 199 C; 201 D E. 32 201 C 6-7. 33 Krämer, A re te ..., pp. 439 ss., e H. Happ, Hyle. Studien zum aristotelischen M aterie-B egriff, Berlin 1971, pp. 199 ss., hanno sottolineato con ragione che il mi­ to deH’ origine di Eros da Poros e Penia si può comprendere solo se si parte dalla teoria platônica dei Principi.

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«SIMPOSIO»

4. 11 discorso di elogio fa tto da Alcibiade in riferim ento a Socrate: il dialettico visto da lpu nto di vista del non iniziato La prova del filo so fo che lo rivela attraverso la capacita di m oti­ vare piü a fon do la sua opinione, anticipa la vittoria di Socrate nell’ agone, di cui tratta la parte finale del dialogo. L ’ agone era giá stato annunciato nelle prime parole scambiate fra Agatone e Socrate; l ’ ospitante aveva invocato Dioniso quale arbitro in una lotta fórm ale giuridica per la prioritá alia pretesa che riguarda la «sapien za» (aocpía)34. II confronto dei discor si sulPEros dei due contraenti sarebbe giá una base sufficiente per pronunciare il giudizio su questa lotta. Platone, pero, ha scelto una form a di proclamazione del vincitore diversa e di maggior effetto dal punto di vista drammaturgico. Come nuovo ospite, m olto brillo, appare Alcibiade che, per cosi dire, come rappresentante di Dioniso, incorona Agatone; ma egli fa questo, solo perché egli non vede súbito Socrate. N on appena lo scorge, toglie i nastri dal capo di colui che é appena stato insignito, e incorona Socrate (213 A -E ). La correzione, inaspettata, della prima incoronazione conferisce tensione drammaturgica airevento, e ha anche un signifícalo dal punto di vista del contenuto. A questo innalzamento di Socrate prima del gran discorso di A l­ cibiade ne corrisponde, dopo il discorso, un secondo non meno significativo. Agatone, separato da Alcibiade da Socrate, suo vicino di tavola, concludeTumoristica scenata di gelosia, in cui é trascinato dai due «am a n ti» Alcibiade e Socrate, lasciando il posto accanto al piü giovane e dirigendosi verso il piü anziano (222 E - 223 B). Socrate non ha soltanto sbalzato dal primo po­ sto nelPambito della «sapien za» (aocpía) il poeta che, avendo vinto Pagone delle tragedie, si intendeva originariamente la per­ sona da festeggiare con il simposio, ma ha anche sconfitto il gio­ vane piü desi derato tra gli om ofili ateniesi nel suo stesso campo. L a doppia vittoria sui concorren ti serve, poi, da cornice per un evento ancora piü straordinario: non solo agli uomini Socrate contende il posto; infatti le persone riunite accettano che, nel di-

34 175 E 7-9: xaí "rauta |J¿v xaí óXíyov uax£pov SiaStxaaó^eQa éycó xe xaí au rcepí xvjs aoipíoc?, Sixacrcfí xpcifievoi tcú Alovúcto). A proposito del termine giurídico oiaSixáCeaGou cfr. R .G . Bury, The Symposium o f Pla to, Cambridge 1909, p. 14.

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scorso di Alcibiade, egli prenda il posto dei Dio, la cui celebrazione costituiva il tema: delia serata. N el dramma satirico (aoc-uupixòv Spôcfxa) 35 di Alcibiade si compie qualcosa di simile ad un’ unificazione di Eros e Socrate, un sollevamento dei filosofo ad incarnazione dei D i o 36. N el contesto delPopera platônica dei dialoghi la form a di un discorso elogiativo esteso è una novità. N on sono nuove, invece, le caratteristiche dei dialettico che ne giustificano la celebrazione. Egli pone in primo piano chi soprattutto «abbia bisogno degli Dei e delle iniziazioni» ( 2 1 5 C 1 - D 1 ) . L a selezione (¿xXoyri) dei candidati destinati alia dialettica è la prima preoccupazione anche dei governante dello Stato ideale. Egli «segu e» i belli, fa loro la corte — ma solo finché il «m orso dei serpente» (217 E s.) inizia a fare effetto in loro. Alcibiade ha dovuto sperimentare di persona dolorosamente che Socrate non vuole, in ultima analisi corteggiare altri, ma vuole, anzi, esser corteggiato. Questo rovesciamento delia divisione iniziale dei ruoli, ossia il diventare amato anziché amante, — TiaiSixà fiãXXov ocutòç xocOCercaxoci ocvt’ spacrcoü — è un carattere strutturale che torna regolarmente nei dialoghi: il cacciatore di ragazzi dei Carmide diventa un rispettato guaritore deli’ anima, l ’ «a llie v o » degli eristi esoterici nelVEutidem o e dei pensoso Cratilo nel dialogo omonimo diventa il maestro segreto, 1’imputato diventa accusatore núY A p olog ia , il condannato a morte diventa consolatore dei vivi nel Fedone. Socrate provoca il mutamento improvviso, sempre alio stesso m odo, ossia mediante lo sviluppo dell’ argomento meglio fondato. «E g li vince», dice di lui Alcibiade, «tu tti gli uomini nell’ argomentare, non solo una volta di recente come nel tuo caso (scil. Agatone), bensi sempre» (213 E 3-4). M a non maneia, in quest’immagine, la cosa piü importante? D o ­ ve è la condizione per cui il dialettico risulta sempre vincitore — la possibilità di ricorrere a conoscenze che sono per lui «cose di maggior valore (TLfjucírcepa), e che, di conseguenza, chiama in causa di volta in volta solo nella misura che il caso particolare richiede per il «soccorso al suo lo g o s »! Di certo Alcibiade non sa niente di un vantaggio di principio nel 35 222 D 3: t 6 aaiuptjcov aou Spa^a toüto xal olXtjvlxov. 36 C fr. Bury, The S y m p o s i u m pp. L X s.; Friedländer, P la to n , I, pp. 46 ss.; Ried weg, Mysterienterm inologie bei Pla ton ..., cit., pp. 19 ss.

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sapere che sarebbe richiesto dalla form a di comunicazione filo ­ sófica rappresentata da Socrate. Ritenere, tuttavia, che per questo manchi, nel Sim posio, questo tratto costitutivo del dialetti­ co, significherebbe sottovalutare le possibilitá della descrizione irónica. II trattamento che Pautore fa della figura di Alcibiade non puó che essere inteso irónicamente; la lode di Socrate é, infatti, tale che il lettore avverte la tensione, il dislivello, addirittura il con­ trasto fra il significato delle cose dette e Pincompetenza di chi le dice. Alcibiade parla, infatti, di cose che, in realtá, egli non capisce appieno. Egli stesso, pero, crede di parlare, da iniziato alia filo ­ sofía, davanti ad altri in izia ti37. N e ll’ ámbito del dialogo narrato é, pero, proprio lui Túnico a non essere completamente iniziato: lui solo era assente, quando Socrate aveva infórm ate dei piccoli e dei grandi misteri di Eros di Diotima. Poiché Socrate non accenna mai al fatto che questo racconto appartenga alie sue storie consuete — sólitamente Socrate parla piuttosto di fabbri, calzolai, conciatori, come proprio Alcibiade conferma súbito (221 E 5) — , non abbiamo nessun m otivo di supporre che Alcibiade potesse conoscere giá da prima questi «m isteri». Quando A lc i­ biade tratteggia, perció, un ritratto di Socrate che per piü aspetti coincide con quello che dell’ Eros fa Socrate38, egli dice, si, cose corrette, ma la coincidenza, e quindi il significato piü profondo del suo ritratto di Socrate, devono necessariamente restargli nascosti. L ’artificio drammaturgico di far compadre Alcibiade solo dopo i discorsi su Eros non ha, perció, come scopo r«a n im a zio n e» del dialogo, se non secondariamente. Primariamente, egli trasmette sotto form a di «a z io n e » Passerzione decisiva a proposito del nuovo partecipante, e quindi a proposito della parte conclu­ siva: sentiamo parlare del dialettico dal punto di vista del non-iniziato, che si vanta, senza rendersi conto, di essere Púnico ad avere intravisto P «in terio ritá» del dialettico (216 D-E). In real­ tá, Alcibiade vede invece soltanto il concreto, la individualitá

37 217 E 6 - 218 B 7 , in p articolare B 3 ss.: 71ávxe? y áp x£xoiv£jL>vr|xaT£ Trj? :£v ^ síypac^ev). Poiché la forma del dialogo, in quanto supposto superamento dell’esposizione singrammatica, è destinata a scrivere su ogni cosa, si deve aggirare 1’interpretazione contenutistica di quelle «cose di valore m aggiore». D i conseguenza, si caratterizza il non-filosofo, il quale non dispone di niente di maggior valore dello scrivere e si spiega questa sua mancanza di cose di maggior valore con la mancanza della capacita di dialogare al vivo delle stesse cose ehe stanno nel libro del filosofo. Questa interpretazione equivale ad una forzatura che ha modificato il testo, perché essa si giustificherebbe solo se Platone avesse scritto: ó [xrj excov Ti[xitót£póv xi xoú ypácpeiv, e non, invece, ó p/rj xt,|j.ta>T£pa cov aovéôiQxev fi eypac^ev (cfr., sopra, p. 67 s.). L ’ argomento del syngramma e le altre interpretazioni arbitrarie ad esso le­ gate 20 dimostrano in modo impressionante la mancanza di verifiche della Gundert, Dialog und Dialektik, Amsterdam 1971, p. 5; R. Thurnher, Der Siebte Platon­ brief, Meisenheim 1975, p. 94 («com pendio»); E. Schmalzriedt, Platon. Der Schriftstel­ ler und die Wahrheit, München 1969, pp. 16 e 358 nota 14; Roloff, Platonische Ironie ..., p. 29. Wieland, Platon ..., p. 36 («trattato»), - Meißner, Der tiefere Logos ..., p. 121 , inventa un nuovo significato particolare di auyypa|j,[jia: «trattazione aperta, comprensibileatutti». 20 Meißner si spinge, qui, piü lontano di tutti; egli e costretto dalla sua teoria del «logos piü profondo» a escogitare proprio per ogni asserzione di Platone una interpretazione che dovrebbe essere quella che, di fatto, Platone aveva in mente, mentre il significato comunemente accettato costituirebbe solo il «logos superficiale», concepito da Platone per trarre in inganno e sviare le persone non adatte. Diamo solo alcuni esempi: il seminare «serio» e quello «scherzoso», nel Fedro, non significherebbero il filosofare orale e quello scritto, bensi due «liv e lli» del dialogo scritto {Der tiefere Logos..., p. 76); infatti «non e il logos orale del discorso . ..ad essere.. .vivo», nel senso di Fedro, 276 A , bensi il «logos che sta sullo sfondo» nello scritto (p. 87). II termine Sia^eyedOai non mira, secondo Meißner, «a i discorsi orali» (p. 187), quanto «ad una specie di “ dialogo a due” con il testo» (p. 116), «per cosi dire ad un dialogo con il testo» (p. 216), e la dialettica non e affatto il metodo del pensare filosofico, come si e pensato fino ad ora, bensi «il metodo della apertura del testo platonico» (p. 193). ouvouoia e au£fjv ( Lettera VII, 341 C) non significano lo stare in comune e il vivere in comune riferito a persone, bensi quello riferito al lettore con il testo (pp. 123, 125). otiaia significa, nella Lettera V II , 344 B, «quello di cui si parla» (pp. 153 s.), nella Repubblica, 509 B, invece, significa «Pessere presente nel

LA TEORIA MODERNA DELLA FORMA DEL DIALOGO

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teoria dominante dei dialogo. In mancanza di affermazioni di Platone da utilizzare, ci si è fidati ciecamente, per decenni, di un modo di intendere un termine, invece di cogliere la verità, semplice e a portata di mano, con il método filologico deü’accertamento delle attestazioni. Questa verità avrebbe certo provocato necessariamente dei ripensamenti: la contrapposizione di due forme di esposizione, quella diretta, sistemática, e quella in-, diretta delia forma dei dialoghi, non svolge nessun ruolo per la critica pla­ tônica delia scrittura. II Fedro non contiene nessuna teoria di un particolare tipo di impiego delia comunicazione scritta21.

(3) Poiché la comunicazione indiretta è «una conseguenza naturale dei pensieri di Platone sulla comunicazione filosofica», essa deve essere «riscontrabile ovunque, per tutta Tampiezza in cui si estende». Questo pensiero — reso, qui, nella formulazione datagli da Schleiermacher ( Introduzione, p. 29) — risulta vincolante per chi si fonda sulla supposizione fondamentale discussa sopra al punto primo. Le «a r ti» o strumenti di rappresentazione che costituiscono in dettaglio la «vera forma platônica» nel senso delia teoria moderna dei dialogo, vengono letti in modo palese nei primi dialo­ ghi aporetici; essi consistono «nel fatto che la fine deH’esame non ... viene messa per iscritto letteralmente», che « si intesse un enigma, basandosi sulle contraddizioni, la cui única soluzione possibile è data dal pensiero che l’autore si era proposto», che «spesso viene gettato via qualche accenno in modo stranissimo e casuale», o nel fatto che « I ’ esame vero e proprio (viene) ... coperto come da una pelle aggiuntiva che ... nasconde proprio quello a cui si deve fare attenzione o che deve essere trovato», inoltre nel fatto che un tutto «viene accennato da tratti slegati» (Schleiermacher, Introduzione, p. 16) 21. logos platonico» (p. 203), Ttoaáiá significa in realíá 7iatSe.ía (p. 93), gli strumenti mnemonici dell’etá avanzata sono quelli dell’infanzia nell’ altra vita del filosofo (sie: p. 103). újuóôeaiç Índica per Meißner «quello che sottostà» al senso «superficiale» fuorvianíe det testo (sic: pp. 188 s.). — Avrei rinunciato a comunicare queste strane testimonianze di una ingeniositá mal gestita se Meißner non fosse, fra i rappresentanti della teoria della forma del dialogo, quello che finora si è preoccupato, nel modo piü conseguente e piü sincero, di interpretare i testi fondamentali fin nelle piü riposte particolarità linguistiche. Questo conferisce al suo caso il valore di un esempio: fondandosi su questa teoria, resta­ ño solo due possibili scelte: o rifugiarsi nella selettivitá, o scivolare in ipotesi fuorvianti. Cfr. sotto, a proposito della tesi 6 . 21 Si è mostrato sopra, p. 59 (e note 5 e 6) , come, anche partendo dalla definizione delI’ esposizione scritta come «immagine» di quella orale (Fedro, 276 A 9), non si possa ricavare nessun accenno ad una forma di «rappresentazione per immagine» necessaria­ mente dialogico-indiretta, e, di conseguenza, nemmeno una teoria del dialogo. — A pro­ posito dell’ «apertura» dei logo i socratici (Simposio, 221 D - 222 A ) cfr. sopra, pp. 350 s. e nota 49. 11 Schleiermacher, Einleitung, pp. 29-30, ha ampliato ancora una volta, con qualche dettaglio in piü, ¡’ elenco di queste «a rti», ma senza aggiungervi qualcosa di fondamen-

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APPENDICE I

Questa elencazione fornisce senza dubbio un buono strumento per descrivere, ad esempio, il modo di procedere del Protagora, con il suo doppio cambiamento di posizione circa il problema dell’ insegnabilità delle virtù e dei suoi accenni slegati al sistema delle virtù cardinali, o del Lachete e del Carmide, che, di fatto, non ridanno a parole la conclusione dell’indagine e ,offrono le cose più importanti in accenni apparentemente casuali, o anche delVEutidemo, in cui si sovrappongono temi diversi, e quello vero e proprio è mascherato sotto tratti eristici. M a andrà contestato in modo energico che nel Fedone, ad esempio, la se­ conda indagine, sull’ipotesi delle Idee, che «copre come con una seconda pelle» la prima sull’immoralità, «nasconda» veramente qualcosa o che fosse stata destinata da Platone a nascondere qualcosa. Né si vorrà sostenere, ragionevolmente, che il Gorgia non riporti il fine dell’indagine, ossia che la «giustizia» non è il diritto del più forte, e che subire l ’ingiustizia è meglio che compierla. Símilmente, l’ opéra principale di Platone, la Repubblica, è molto esplicita nella formulazione dei risultati; i diversi ambiti tematici, «attaccati» Puno alPaltro, non si nascondono a vicenda, bensi si illuminano reciprocamente, in quanto Platone dice molto chiaramente in quale prospettiva una formulazione della domanda illumini Paîtra: e so~ stenere che la globalità délia struttura tricotomica delPanima e délia sua relazione con Porganismo dello Stato organizzato su tre livelli sono accennati solo con «tratti slegati» significherebbe esigere implícitamente una amplificazione pedante di quello che Platone ha esposto in modo s u fi­ cientemente chiaro23. Ció che, comunque, resta come strumento di comunicazione «indiretta» anche nei dialoghi centrali e in quelli successivi, è Pattribuzione di asserzioni filosofíche a determinati personaggi del dialogo. Non viene annunciata semplicemente la veritá, bensi viene rappresentato il processo tramite il quale personaggi immaginari ottengono determinate conoscenze: in nessun luogo parla Platone stesso, e in questo nascondere se stesso da parte dell ’ autore si troverebbe una presa di distanza che stimola la conoscenza24. talmente nuovo. L ’ elenco dei mezzi dell’«allusione indiretta» proposto da Zeller, Die Philos. d. Griechen..., II, 1, p. 487, si ricollega chiaramente a Schleiermacher; cfr. anche Brandis, Handbuch..., II, 1, p. 159. Elenchi analoghi, anche se meno azzeccati, nel­ la ktteratura piü recente, ad esempio in Rosen, Plato's Symposium, p. X V III; Roloff, Platonische Ironie, p. 22. 23 Platone stesso dice che le dottrine dell’anima e della virtü nella Repubblica andrebbero fondate ulteriormente, richiamandosi ai Principi della dialettica platonica (cfr. so­ pra, pp. 406 ss.). Rimproverare al dialogo un’incompletezza in questo senso e, perciö, cosa ben diversa dal dichiarare che, al livello di fondazione qui scelto da Platone, quello che ci troviamo di fronte e, in se, non coerente. 24 Friedländer, Platon, I, p. 134 («Platone non ha voluto che sentissimo il suo io »). Ph. Merlan, Form and Content in Plato's Philosophy (1947), in: Kleine philosophische Schriften, Hildesheim/New York 1976, pp. 26-50, passim, in particolare pp. 42-50. Merlan ritiene autentica la Lettera II, il che gli consente di credere ad un distacco di principio da parte di Platone rispetto a tutto quello che seriveva; Platone sarebbe riuscito a scrivere per 60 anni «eppure a non impegnarsi in prima persona filosoficamente» (p.

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Ci si domanda, ora, se una tale insistenza sulP«anonimitá di Platone», che sembra, a prima vista, indicare una differenziazione e una sottigliezza di giudizio, non porti piuttosto in scena una nuova ingenuitá. Di una «anonimitá» di Platone si potrebbe parlare, a rigore, solo se non avesse pubblicato i dialoghi con il proprio no m e 25. Fortunatamente, finora si é evitato di parlare di una «anonim itá» di Parmenide, benché egli puré non esponga di persona le affermazioni decisive sull’Essere ma le metta in bocca a una «d e a » (Diels-Kranz 28 B 1, 24 ss.). Chi considera come decisivo il fatto che certe veritá siano formúlate da «Socrate» o da «T im e o », e non da «P la to n e», si lascerá rinfacciare la domanda che Socrate rivoíge a Fedro prendendolo in giro, se é davvero cosi importante chi parla e non piuttosto se solo ció che vien detto é vero (Fe­ dro, 275 C 1-2; cfr. Carmide, 161 C 3-6). Questa domanda separa ció che é detto non solo dal personaggio del dialogo che la dice, ma anche da Plato­ ne, il che sembra, ancora una volta, rafforzare Panonimitá di cui si diceva, ma questa «anonim itá», o, meglio, questa spersonalizzazione della veritá non puó piü essere considerata come specifica dei dialoghi. Infatti, vale per ogni cosa detta o scritta che i pensieri devono essere verificati indipendentemente da chi li ha esposti. Si puó ben dire che l’inclusione del lettore nella discussione di persone descritte in modo vivo, distoglie piuttosto che condurre a questo compito ovvio di una lettura filosófica. Sotto l’ aspetto delFimpegno del lettore nei confronti della veritá stessa la relazione di ció che é esposto con l ’autore ha ancora solo il senso di facilitare il riferimento ad un teorema particolare: la domanda sul dove si trovi questo o quel pen43); ci lascia nell’ incertezza riguardo a ogni cosa,, e questo impedisce di confondere allusioni e cose a cui si allude (p. 49). — Le idee di Merlan sono state accolte da L. Edelstein (Platonic Anonymity , «American Journal o f Philology», 83 [1962], pp. 1-22), che ha an­ che ricuperato lo slogan della «Platonic Anonym ity» (lo si incontra giá in H. von Stein, Sieben Bücher zur Geschichte des Platonismus, Göttingen 1864, I, pp. 11 s.). Restando anonimo, Platone dirige lo sguardo del lettore sulla veritá assoluta Cp. 21); anche Edel­ stein ritiene che il lettore sia «prigioniero» della bellezza del mondo letterario dei dialoghi (ibidem)', il ritenere che ['«anonimitá» dell’ autore serva da «correlativo e correctivo» alia personalizzazione letteraria della veritá nelle figure del dialogo, che possa, allora, spezzare r«incantesimo)> della forma letteraria, fa parte di quella ingenua mistificazione della forma del dialogo di cui discuteremo diffusamente piü sotto. — A proposito del «silenzio deO’autore» cfr. Rosen, Plato’s Symposium , pp. X V III s.; inoltre Ebert, Meinung und Wissen ..., p. 31: «il nascondimento mim etico deU’ autore Piatone sbarra la strada ad una domanda diretta suü’opinione deU’ autore». 25 Cosi come Soren Kierkegaard ha notoriamente pubblicato numeróse sue opere sotto un altro nome. Probabilmente Pesempio di Kierkegaard ha inñuito direttamente sui malintesi a proposito dell’ «anonimitá» di Platone. Le osservazioni di A . MacIntyre a pro­ posito del método compositivo di Kierkegaard sono indicative: «Sulla base dei suoi fondamenti, egli non puo sperare di generare nei suoi lettori una convinzione puramente intellettuale; tutto quello che puo fare é di porli davanti a delle sceite. Ne segue che egli non avrebbe dovuto pro vare a presentare una singóla posizione. Questo spiega il método kierkegaardiano di esporre punti di vista incompatibili in libri diversi e usando pseudonimi differenti per opere che presentavano posizioni differenti. L ’ autore deve nascondersi; deve avere un modo indiretto di accostare le cose» (in: The Encyclopedia o f Philo­ sophy, a cura di P. Edwards, New York 1967, IV, p. 337).

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siero (come anche ogni altro pensiero) che io metteró alia prova per verifí­ came la veritá, avrá come risposta: in Platone nel tale o nel talaltro passo e non: in «T im e o » o nelF«Eleate». Cioé, al fatto che l’ espressione di certi pensieri sia stata pubblicata da Platone in libri che portano il suo nome spetta, ad un’ osservazione distaccata, la preminenza rispetto all’effetto dissociante dell’ attribuzione di affermazioni a personaggi del dialogo; soprattutto quando non si trascuri che l ’ apparente privatizzazione delle opinioni presentate viene superata dal motivo drammaturgico dell’ omologia, che diventa sempre piu importante. Socrate porta sia gli awersari sia gli amici ad essere completamente d’accordo con lui, e tanto piü tempo occorre, tanto meglio. Di fronte alia preminenza della domanda sulla veritá la rappresentazione mimetica di tale accordo non si giustificherebbe, se l ’ autore non scrivesse nella convinzione di rappresentare al tempo stesso l’ accordo su posizioni su cui persone che pensano ragionevolmente dovrebbero essere d ’ accordo. Le convinzioni fondamentali di un autore che cerca in modo cosi chiaro di suscitare simpatía come Platone nel Gorgia, nel Fedone, neir Apología o nella Repubblica restaño tanto poco nascoste dietro la sua opera quanto lo sono la religiositá di Eschilo dietro YOrestea o quella di Sofocle dietro VEdipoRe. Sarebbe del tutto fuori posto chiedersi, neir ám­ bito delFaccordo di tutti sulla superioritá della giustizia, alia fine della Re­ pubblica, se Platone «stesso» si voglia nascondere anche qui. Se supponessimo che egli abbia scelto la forma del dialogo per sottrarsi ad una presa di posizione «personale» attraverso F«anonim itá», faremmo di Platone una figura che non meriterebbe quasi piü di essere presa sul serio26. Piü importante del mantenimento di personaggi immaginari é il fatto che T apertura aporética e la copertura irónica dei primi dialoghi sulla virtü vie­ ne presto sostituita daH’omoIogia esplicita degli interlocutori. Non si puó interpretare in modo sensato l’ espressione per mezzo di solé dramatispersonae come un nascondersi dell’autore o come comunicazione «indiretta»; é decisiva, piuttosto, la considerazione dello svolgimento del dialogo. M a il movimento drammaturgico giá nei dialoghi centrali non finisce nell’ indecisione o nelFambiguitá. Si sono compiuti anche tentativi di leggere altresi i dialoghi centrali e tardi in modo consistente come comunicazione indiretta sulPesempio dei primi

26 Nella Lettera V II la cosiddetta frase del re-filosofo, in cui, come é noto, viene con­ céntrate Tintero contenuto filosofico della Repubblica, viene trattata direttamente come espressione della posizione di Platone (326 A B; cfr. 328 C 1). Per chi non dubiti deü’ autenticitá di questo documento, questo dovrebbe offrire la risposta alia domanda su quale sia I’importanza della natura «indiretta» delía forma di comunicazione dialogica nell ’opera principale di Platone: Platone riconosce espressamente il risultato che la mimesis dell’ omologia filosófica aveva prodotto, come la propria concezione. Ma anche chi ritenga non autentica questa lettera, testimonianza scritta in modo elevato da un uomo deil’época immediatamente successiva a quella di Platone, concorda con Aristotele e con Senocrate nel sostenere che, oltre alia filosofía órale di Platone, vanno considérate come espressione valida delle sue convinzioni anche le frasi concordemente accettate dai personaggi dei dialoghi.

LA TEORIA MODERNA DELLA FORMA DEL DIALOGO

dialoghi. Cosi, Th. Ebert in parte ignora la continua esplicita omologia degli interlocutori nella Repubblica, in parte cerca di negarla per provare che 1’attribuzione, filosoficamente non sostenibile di diversi ambiti delPessere alie facoltà deH’«op in a re» e dei «sapere», è solo la concezione di Glaucone il fratello non-filosofo di Platone e non di Soer ate, e che il messaggio segreto dei dialogo è che Platone sosteneva il concetto di sapere delPodierna filosofia analitica e che «in realtà.» voleva criticare la posizione che finora è stata considerata quella platónica. Cosi D. R o lo ff ha ampliato con «illeceitá logiche» e conclusioni scorrette di ogni tipo il repertorio della comunicazione indiretta, e le ha poi cercate passo passo nel Teeteto, per dimostrare che quello che Platone vuole mostrare «veram ente» a chi è dotato filosoficamente, sono un paio di trivialità gnoseologico-teoretiche. Cosi H . Meißner, grazie a nuove «contraddizioni» scoperte nel testo, ha ricavato che le similitudini del sole, della linea e della caverna non vogliono dire niente sullo sfflíító ontologico dell’uomo e degli oggetti delle sue di­ verse potenzialità conoscitive, ma, in realtà, parlanò del dialogo platonico stesso e del giusto modo di leggerlo: non si tratta di similitudini ontologiche, bensi, «per cosi dire logölogiche»; e questo sarebbe il «logos piü pro­ fo n d o » dêlla parte centrale della Repubblica. L ’arbitrarieta della metodologia e Pinadeguatezza dei risultati, comuni a questi tre tentativi27, indicano un dilemma piü profondo: Pobbligo della teoria della forma dei dialogo di sottomettere alio schema interpretativo delle prime opere i lavori piü importanti del periodo medio e tardo della produzione di Platone, schema che non puó adattarsi alia loro finalitá e forma espressiva. Se Schleiermacher avesse potuto appoggiarsi alia cronologia dei dialoghi platonici oggi ampiamente riconosciuta28, non avrebbé potuto restargli nascosta la limitatezza temporale, e perció anche metodológica, della fo r­ ma di comunicazione indiretta cosi come Pha descritta in dettaglio29. È

27 L ’accettazione da parte della critica ha poi mostrato anche una rara unanimitá fra i recensori. A proposito di Ebert cfr. K.H. Ilting, «Archiv für Geschichte der Philoso­ phie», 58 (1976), pp. 187-189; D. Frede, «Philosophische Rundschau», 24 (1977), pp. 209-215 e la mia recensione «Göttingische Gelehrte Anzeigen», 230 (1978), pp. 13-21; G. Müller, «G nom on», 49 (1977), pp. 553-561, ha mostrato con grande chiarezza che le in­ finite manovre di Platone per ingannare immaginate da R oloff, portano a pure e semplici banalitä; cfr. inoltre, a proposito di H. Meißner, Der tiefere Logos..., la mia recensio­ ne (piuttosto indulgente) in «Gnom on», 52 (1980), pp. 301-304, A proposito della pro­ posta di Gadamer circa una «lettura dialettica» dei diaioghi cfr. sotto, nota 72. 2S Cfr. gli elenchi, non troppo distinti cronológicamente, stesi da diversi autori, che D.Ross, Plato's Theory o f Ideas, p. 2, ha messo insieme. Cfr, anche Guthrie, A History ..., IV, pp. 41-54: Chronology. Perfino Thesleff, Studies..., nonostante qualche deviazione originale, resta, nel complesso, di gran lunga piü vicino al consenso del X X secolo che non alia cronología di Schleiermacher. 29 Schleiermacher credeva di poter stabilire una cronología sicura osservandó la «vera forma platónica», e, inoltre, di poter distinguere 1’autentico dal falso (Einleitung, p. 29). É una strana ironía della storia della ricerca che un tipo di interpretazione che ha vi­ sto naufragare cosi completamente due degli scopi che si prefiggeva — la ricerca della

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APPENDICE I

stupefacente vedere come, nel secolo X X , nonostante la ricostruzione di un ordine cronologico dei dialoghi in larga misura affidabile, 1’assolutizzazione di questa presunta única «vera forma platónica» non sia stata corretta 30. È ora di relativizzare la concezione del dialogo platonico come comunicazione del tutto e definitivamente «indiretta»: essa continua ad avere valore come descrizione letterario-teoretica di una parte dell’opera pla­ tónica, dei primi dialoghi, ma non puó interpretare in modo adeguato il carattere e i risultati delle opere centrali e di quelle successive, per non di­ re, poi, insegnare a comprendere la concezione platônica delPattività di un filosofo scrittore e il rapporto tra filosofia orale e filosofia scritta. (4) Non ci si è stupiti a sufficienza del tipo di prestazione che il dialogo è chiamato a fare in quanto mezzo di diffusione scritta di conoscenza: come il li­ bro, che, secondo quanto crede la teoria della forma del dialogo, va oltre il carattere proprio del libro, il dialogo non parla a tutti indifferentemente, come altri libri, bensi parla ad alcuni e per altri «ta ce»; esso si «sceglie» perciò da solo i suoi lettori, mentre gli altri libri vengono scelti dagli acquirenti. II dialogo lascia che i dialoghi rappresentati si estendano al lettore, in cui esso continua a vivere nel discorso a due del lettore con il testo che nel rapporto vivo attraverso le fasi di comprensione del lettore ñon dice, come altri scritti, «sempre le stesse cose». Con la sua forma indiretta esso protegge il lettore dal fraintendimento, dal sapere apparente e dal dogma­ tismo, mentre ogni altro tipo di scritto spinge a questo, e si puó «proteggere» dagli attacchi sottraendosi, non divulgando il suo senso ai quattro venti. E, infine, il dialogo comunicherá a colui che ha preservato da fraíntendimenti, positivamente, il suo senso come «única soluzione possibile», co­ me «ció che si intende chiaramente». Insomma: mentre, secondo Platone, la scrittura (ypoccpri) è passiva sotto ogni profilo, nel rapporto con il lettore, il dialogo, secondo la teoría moderna, è attivo sotto ogni profilo nei con­ fro n t del ricevente «a d eg u a to »31, U n ’osservazione piú atienta mostrerá che quello che qui si dice del dialogo

cronologia e dell’ autenticitä degli scritti del corpusplatonicum e stata piü ostacolata che non facilitata dagli argomenti che si fondano sulla forma del dialogo — abbia ancor oggi un credito a causa del suo terzo e fondamentaie obiettivo, ossia Paggiramento del riconoscimento di una filosofia orale di Platone. 30 Cosi, ad esempio, Gadamer parla di una «svolta messa ben in rilievo» dalla negativitä dei dialoghi aporetici alla «penetrante positivitä» della Repubblica (Die Idee des Gu­ ten 1978, p. 18), senza sentirsi per questo obbligato ad un uso piü prudente del suo metodo della «lettura dialettica»: ad esempio, per Gadamer la lettura dialettica della similitudine della caverna significa che «rinunciamo a sottometterla ad una interpretazione scientifico-teoretica» (ibi, p. 47). Cfr. sotto, nota 72. 31 La fede in un testo «a ttivo» del dialogo si trova, espressa globalmente oppure sviluppata in molti punti, raramente in tutti, fra gli altri in: Friedländer, Platon, I, p. 177; Merlan, Kleine philos. Schriften, p. 49; W. Bröcker, Platons Gespräche, Frankfurt 1964 (1967 2), p. 9; Gundert, D er Platon. Dialog, p. 16 (ripreso da Guthrie, A History ..., IV,

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e della sua recezione consiste in una serie di metafore. II fatto che il dialogo «s i estenda» al lettore non significa altro se non che egli riflette su quello che haletto. Infatti « il dialogo delP anima con se stessa» è il pensare. È noto che è stato Platone stesso a intendere con questa metafora, estremamente facile da ricordare, l’ oscillazione del pensare discorsivo, che esamina con scrupolositá una dopo l ’altra le possibilita di­ verse, e spesso antitetiche, del pensiero, e che, cosi, si muove a tentoni ver­ so una soluzione, per cosi dire verso una omologia come scopo e termine del «d ia log o». M a quello che la metafora di Platone non voleva senz’altro eliminare è la diversitá strutturale fra un tale «d ia lo g o » e la conversazione con altri uomini: nel dialogo delP anima ogni moto del pensiero proviene da una stessa coscienza, mentre il dialogo con un interlocutore corporeo vivente mette il parlante in rapporto con una coscienza estranea che possiede una dinamica propria. M a questa dinamica non disponibile di una coscienza estranea — che puó costringere chi filosofa ad un vigore estremo di pensiero, cosa su cui si fonda la serietá dell’«in con tro» esistenziale, in un’ottica delPesistenzialismo — non puó essere, pero, sostituita da nessu • na forma di uso dello scritto, poiché l ’ attivazione delle possibilita di comprensíone presentí nel testo deve restare Popera delía coscienza propria del lettore. Questa dinamica spirituale propria del lettore determina il «dialo­ go con il testo», in un senso di gran lunga piü esclusivo e fondamentale di quanto non faccia Pattivitá di comprensione propria (che va comunque applicata anche nei confronti della parola) a proposito del dialogo fra interlocutori: la comprensione della persona interpellata si riflette nella sua risposta spontanea ed e, per ció, esposta al controllo immediato e alia correzione da parte delPaltro. Invece il lettore, per ogni moto di pensiero che non si lascia riportare direttamente ad una asserzione stabilita nel dialogo, e al tempo stesso iniziante e contrallante, colui che pone domande e colüi che risponde. II testo puó «opporgli resistenza» per questa o per quella ri­ sposta — il che altro non é, ancora una volta, che una metafora per il fatto che egli vede ancora dífficoltá per una risposta (un altro lettore non trove­ ra difficoltà per la stessa risposta, e quindi il testo non gli «oppone resi­ stenza»). Secondo la sua propria dinamica e la propria arte dell’ interpreta­ re, il lettore decide se e come possa essere superata questa «resistenza»: « il testo» tace (o «ap p rova »?), a seconda che un kantiano o un hegeliano, un procliano o un wittgensteiniano annuncia che Platone si lascia spiégare «in modo non contraddittorio», solo se si assumono le sue premesse. p. 65); Klein, A C o m m e n t a r y pp. 3-31 (in particolare pp. 8 , 13); Rosen, Plato’s Sym­ posium ..., pp. X I-X X X V III (in particolare pp. X V III s., X X I, X X V ); Ebert, Meinung und Wissen pp. 32-35 (in particolare p. 31); R oloff, Platonische Ironie pp. 3-37 (in particolare pp. 5-8, 18, 27-34); Tigerstedt, The Decline and F a l l p. 98; Meißner, passim (le straordinarie capacitä del libro «a ttivo» sembrano anche a Meißner «un vero miracolo»; D er tiefere Logos ..., p. 83); Laborderie, L e dialogue platonicien p. 114; R. Burger, Plato’s Phaedrus. A Defense o f a Philosophic A rt o f Writings, Alabama 1980, p. 91; Ch.L. Griswold, Self-Knowledge in Plato’s Phaedrus, Yale University Press, 1986, pp. 221- ss.

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In realtà nel «dialogo con il testo» il lettore è solo con se stesso. Il testo de­ ve diventare, per lui, mater iale, non puô sostituire la alterità irriducibile délia spontanéité di un estraneo. L ’uso metaforico delia parola «d ia lo g o » nasconde la differenza fondamentale dell’ «interlocutore» nel rapporto con lo scritto e nel rapporto con un interlocutore vivo. Tuttavia nel Fedro Platone vuole accennare a questa differenza con la sottolineatura del carattere inerte, fisso, incapace di reagire délia scrittura32. Metaforico è, allora, anche tutto quello che segue da questa fondamentale çancellazione delle barriere per quanto concerne le determinazioni del dia­ logo: la «capacità» di «tacere» di fronte ad una persona non adatta, di non dichiarare ai quattro venti cio che si intende veramente, è, in realtà, la sfortuna, subita passivamente dal dialogo, di essere interpretato a livello troppo basso; la «capacità» di scegliersi «attivamente» gli interlocutori è, in realtà, il caso fortunato, non influenzabile, di essere colto da una perso­ na che pensa filosoficamente; la «capacità» di proteggersi dagli attacchi restando nascosto non è una difesa attiva, bensi il giudizio di quel lettore secondo il quale l ’altro lettore che ha fatto la critica non ha colto Pessenziale; mentre il fatto delPattacco cui l ’ autore del libro non ha risposto re­ sta senza possibilita di superamento. Questa interpretazione metafórica con il Fedro non ha niente a che fare:

32 La contrapposizione del dialogo a due con un interlocutore che risponde al «dialogo a due» con il testo da leggere non vuole affatto, naturalmente, meítere in questione l ’importanza e l ’utilità dei tentativi letterario-teoretici per cogliere con maggior precisione ¡’ «interazione fra il lettore e il testo». Nella teoria moderna della letteratura si è sempre stati coscienti, e lo si è tuttora, del fatto che questa «interazione» (a) si svolge in una sola coscienza ed è specificamente diversa dalla comunicazione intersoggettiva, e che (b) essa non puô essere il segno dell’ azione di un particolare genere in opposizione ad altri. Se questi due punti non fosserò negati implicitamente, o quantomeno fatti sparire, nella teoria della forma del dialogo di tipo schleiermacheriano, essa potrebbe fornire un vali­ do contributo alla descrizione dell’efficacia dei dialoghi. A proposito dell’interazione di testo e lettore cfr. W. Iser, D ie Appellstruktur der Texte.Unbestimmtheit als Wirkung­ sbedingung literarischer Prosa, Konstanz 1974 4; Id., Der A kt des Lesens. Theorie ästhe­ tischer Wirkung, München 1976; H. Ruthrof, The Reader’s Construction o f Narrative, London 1981. — Meißner sembra, in qualche modo, esser conscio del fatto che il suo concetto di «dialogo a due con il testo» è una pura e semplice metafora (il lettore verrebbe « per cosí dire» attirato « a conversare con i dialoghi», Der tiefere Logos..., p. 83; egli deve «in un certo senso dialogare con il testo», p. 212, cfr. 116, 194). Egli cerca inutil­ mente di sottrarsi alle conseguenze assicurando che « i dialoghi non sono condotti solo dal lettore, bensi.., vengo no consentiti solo grazie alia corrispondente arte del dialogo deü’autore» (p. 83). Certo, il dialogo può, in una certa misura, guidare le domande del lettore (come del resto fanno anche altri tipi di testo, cfr. sotto, tesi 5); tuttavia 1’autore non controlla più l ’inizio e la fine, lo scopo e la qualitá, l ’intenzione e il risultato di un tale domandare. Ma è proprio soltanto da questo che dipende quella che Platone chiama StSaXTj filosofica. — Bröcker vede con maggior chiarezza: «Dipende dal lettore se questi scritti...danno una risposta, come un interlocutore» (Platons Gespräche, p. 558), ove l ’aggiunta apparentemente innocua «come un interlocutore» riporta, ancora una volta, alTinterpretazione scorretta, antiplatonica, del libro inteso come un interlocutore attivo. — II «dialogo a due» è centrale anche per R oloff, Ebert, Friedländer, Klein, Rosen e al­ tri . (Testimonianze sopra, nota 31).

L A TEORIA MODERNA D ELLA FORMA DEL DIALOGO

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infatti nel Fedro si tratta della scelta persónate di un individuo con cui filo­ sofare (Xa^wv 7ipoar)xouaav, 276 E ) 33, della scelta filósofico-pedagogica, perció, e anche della libertá da parte del «sapiente» di valutare quando proseguiré il dialogo o quando interromperlo a seconda del guadagno di conoscenze che si aspetta dall’interlocutore, e, ihfine, la capacita di difendere, secondo una libera valutazione, il proprio scritto da nuove domande e nuovi argomenti non compresi in esso con delíe nuove risposte e, perció, di superarlo oralmente. Nel Fedro si tratta, in una parola, della preminenza del filosofare órale. II tirare in bailo nei dialoghi aspettative inscindibili e la supposizione, indiscussa, che queste aspettative siano senza dubbio esaudite, hanno por tato adunamistificazione ingenua, adun sogno del libro del dialogo inteso co­ me superlibro, come F interlocutore filosofico che guida in modo attivo e con sicurezza attraverso i secoli. Questa mistificazione é ingenua in due sensi: da un lato, perché cerca comunque di eludere, in ultima analisi, la profonda sfiducia che Platone nutriva nella sicurezza e nell’ affidabilitá della comunicazione filosófica ottenuta per mezzo della scrittura e, in se­ condo luogo, perché essa elude la ovvia controprova storica alie sue affermazioni. Infatti, si puó davvero sostenere che Platone sia stato in grado per mezzo della forma di comunicazione indiretta di proteggere i suoi pensieri da equivoci e in particolare da un’ interpretazione dogmatica, e di comunicare ció che propriamente si intendeva, ma che non era espresso direttamente, in modo «chiaro»? Secondo una variante estrema portata alie ultime conseguenze della teoría della forma del dialogo questa domanda non costituirebbe un ostacolo: se, ad esempio, il «logos piü profon do» delíe tre similitudini della parte centrale della Repubblica — cioé il fatto che esse sono similitudini «logolo gich e» e non ontologiche — é stato scoperto solo nell’ultimo quarto del secolo X X , questo significherebbe solo, a rigore, che F opera di Platone non avrebbe trovato fino ad oggi nessun lettore «a d a t t o » 34; la comunicazione indiretta, secondo questa interpretazione, ha mantenuto per piü di 2300 anni la «capacita» di «tacere» di fronte ai non-filosofi. M a questo porta di nuovo al solipsismo della teoria della fo r­ ma del dialogo pensata fino alie ultime conseguenze, di cui diremo. Invece per le varianti piü pretenziose dal punto di vista intellettuale, ma piü moderate, che prendono le mosse da qui, ossia che Platone voleva raggiungere, e raggiunse, i suoi scopi «quasi con ciascuno» — cosi pensava ancora Schleiermacher — o comunque con molti, il risultato storico non puó essere indifferente. Si dovrá riconoscere onorevolmente che, nella in­ terpretazione di Platone, Funanimitá a proposito di ció che non é diretta33 Meißner, D er tiefere Logos p. 85, nota 3, tenta di reinterpretare il passo: esso indicherebbe il caso in cui «lo scritto trova un lettore adatto». II che in greco suonerebbe 7r£piTt>X(i>v c|>uxÄ npocrrpcouaT] (con il X6yo Anche Meißner, che sólitamente adduce volentieri «paralleli» a sostegno dei suoi « logoi piú profondi» (cfr. sopra, p. 436, nota 20), rinuncia a farlo nel caso della sua reinterpretazione di ßor[0£lv. 47 A proposito dei passi in cui Platone si trattiene dal parlare di certe cose nella Repubblica, cfr. pp. 391-414. — A proposito della corrente trattazione priva di método delle allusioni di Platone su quello che manca cfr. la mia recensione panoramica «Göttingi­ sche Gelehrte Anzeigen», 230 (1978), pp. 12, 19, 24. 48 Schaerer {La question platonicienne, études sur les rapports de la pensée et de l'ex­ pression dans les Dialogues, Neuchâtel 1938 [ = Paris 19692]), p. 16; R oloff, Platoni­ sche Ironie, pp. 5 ss.; Meißner, D er tiefere Logos..., passim. R oloff sa che a-jiixpà èvBslÇlç non appartiene al Fedro: essa vi è «taciuta» (p. 30). Ma dal momento che il tacere è per lui una caratteristica del modo platonico di descrivere, egli puô integrare la evBetçiç ogni volta che gli sembra opportuno farlo. Cfr. sopra, p. 433 e nota 13. 49 Rosen, P la to ’s Symposium, p. X IX ; Meißner, Der tiefere Logos ..., p. 211; cfr. so­ pra, p. 437, nota 21. 50 Lettera II, 314 C e Lettera VII, 341 C riunite insieme in Merlan, Kleine philos. Schriften, p. 34, cfr. p. 43; análogamente Rosen, Plato’s Symposium ..., p. X III; Laborderie, Le dialogue platonicien ..., p. 86, avanza dubbi sulPauîenticità della Lettera II, ma per il resto non sembra ammettere nessuna differenza fra le due lettere. — Frie­ dländer, Platon, I, pp. 254-259, ha tentato un’ínterpretazione «irónica» della Lettera II. (Se ci fossero altri esempi di un’ «ironia» ad un livello cosi basso in Platone, quasi nessuno oggi lo troverebbe ancora leggibiie). 51 «Corne dieeVEpinomide (992 B) l ’uomo più genuinamente saggio è, al tempo stesso, scherzoso e serio»: Guthrie, A History..., IV, p. 64; con anche il rimando alla Lettera VI, 323 D: cmouSfi ¡j.r¡ àp.oùacp. Il capitolo di Guthrie dedicato al «g io c o » e alla «serietà» (come anche quello di R oloff, Platonische Ironie, pp. 8 ss.) soffre dei fatto che non è mai in grado di dimostrare un rapporto concreto dei numerosi passi citati con la proble-

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APPENDICE I

notare che questa formula apparentemente molto utile é giá presente nel

Fedro con il titolo del «gio co bello» del filosofo, naturalmente non come superamento dell’ alternativa scherzo-serietá, bensi come qualificazione del gioco scritto. Non si tratta, qui, di rimproverare ai singoli interpreti ció che ognuno ha trascurato o le singóle incoerenze. Va tuttavia ammesso che nessuno puó trattare tutto con la stessa scrupolositá. Si tratta di dimostrare che si é rifiutato di sottoporre ad un’analisi con i metodi filologici consueti, come da tempo era dovuto, un coerente complesso di domande, che si ricavano immediatamente dalla lettura del testo fondamentale spesso discusso, e questo rifiuto non é casuale, ma é dettato dalPinteresse specificamente anti-esoterico della teoria della forma del dialogo.

(7) In quasi tutti gli interpreti che hanno assunto, in tutto o in parte, la teoria della forma del dialogo, si trova la polémica contro rimmagine esoterica di Platon e52. Di solito essa compare come semplice corollario, come risultato accessorio non cercato: non si é piü consapevoli del fatto che lo schieramento massiccio contro un’esoterica interpretata male, ha fatto da pa­ drino alia nascita della teoria, e ha contribuito a determíname in modo essenziale non solo il fine ma anche il contenuto. II sospetto di una deformazione polémica dell’ ottica giá alPinizio sembra certo immotivato, tuttavia il progetto di Schleiermacher si basa, come egli dice, su di un «esame c r itic o »53 delle idee di «esoterica» e di «essoterica» il cui risultato é il seguente: «Pinsegnamento immediato (é) stato la sua (di matica del Fedro. II passo át\VEpinomide é, inoltre, reso in modo scorretto: Pautore — che non dobbiamo identificare con Platone, cfr. Tarán, Académica ..., pp. 24-27 — dice di garantiré ixaíCcov xai aTtouBá^ojv ócp.a, che il saggio sará felice al momento di moriré. — La contaminazione dei passi della jiouSiá non é una innovazione di Guthrie; cfr. giá Klein, A Commentary ..., pp. 18, 27, che, dal canto suo, sembra influenzato da Frie­ dländer, Platon, I, pp. 125 ss.; per Schaerer, p. 20, anche la stessa dialettica é un gioco (i passi che lo «comprovano» tratti dalla Repubblica, 536 C e 378 D traggono in inganno); il dribblaggio del confine fra serietä e gioco é anche il pensiero guida di Gundert, Der platonische Dialog, particolarmente p. 16 (ripreso alia lettera da Guthrie, A History..., IV, p. 65) e di R olo ff («G ioco e serietä...si fondono», Platonische Ironie , p. 5). Ebert, Meinung und Wissen..., p. 27, cerca di restringere storicamente il concetto di muSiá alia 7iaíyvia retorica e, cosi facendo, di tenerlo lontano dai dialoghi. (Giá in Friedländer, Platon, I, p. 126, troviamo una simile restrizione, mediante il concetto di mimesis, con il quale Platone avrebbe voluto colpire « i poeti del suo tem po»). 52 Ad esempio Friedländer, Platon, I, p. 68; Merlan, Kleine phil. Schriften, pp. 45 s.; Klein, A Commentary ..., p. 21; Rosen, Plato's Symposium ..., pp. X V s., X X V I s. (Rosen tenta di assumere un atteggiamento positivo di fronte al complesso di questioni circa Pesoterica; ma, trovando nei dialoghi un «insegnamento esoterico» (p. X V II) e volendo eliminare P«esoterismo» ricorrendo all’ironia, egli, in ultima analisi, si distingue a malapena dagli altri antiesoterici); Ebert, p. 2 (cfr. p. 213); Meißner, D er tiefere Logos ..., p. 11; Laborderie, Ledialogueplatonicien ..., pp. 63 s. 53 «Infatti quella concezione di un esoterico e di un essoterico necessitano di un esame critico» (Einleitung, p. 11).

L A TEORIA MODERNA DELLA FORMA DEL DIALOGO

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Platone) sola attività esoterica, invece lo scrivere soltanto la sua sola essoterica». Platone poteva «esprimere i propri pensieri in modo puro e com­ p leto» solo nell’insegnamento immediato, perciò nell’ «attività esoterica», e dunque precisamente solo quando «e g li era sufficientemente sicuro che gli ascoltatori lo avrebbero seguito come desiderava»54. Sembra, qui, che 1’esoterica platônica venga accettata e venga, inoltre, correttamente intesa: non ha niente a che fare con la «ricerca del segreto» e con 1’oscurantismo, ma è anzi motivata dalla preoccupazione per una comprensione adeguata del contenuto da comunicare. E questo contenuto Platone l ’ ha presentato «in modo puro e com pleto» solo oralmente. Invece 1’ accettazione delTesoterica da parte di Schleiermacher è solo apparente: le parole citate sono solo un’ appendice alia sua reinterpretazione, ancora da discutere, deli’ esoterica riferita al contenuto in un’esoterica «in ­ terna» e trovano proseguimento nell’ assicurazione che la rappresentazione delia filosofia nelle opere di Platone è «progressiva nello stesso senso» del­ ia dottrina orale. «Progressiva nello stesso senso» significa, però, che essa percorre gli stessi contenuti (secondo il piano dialettico-sistematico dell’intera opera platônica accettato da Schleiermacher). E la precisazione che sembrava sostenere un plus contenutistico delia dottrina esoterica — cioè che Platone esponesse «in modo puro e com pleto» i suoi pensieri solo di fronte ad ascoltatori che lo avevano seguito sufficientemente a lungo — , si riferisce nel suo significato solo all’ opposizione rispetto ai mezzi delia comunicazione indiretta, nominati poco prima, tra cui i piü importanti sono Talludere slegato, il nascondere e il non dire espressamente ciò che si in­ tende55. M a poiché ciò che si intende è pur sempre riconoscibile dietro Ia comunicazione incompleta e tendente a nascondere (cioè non «p u ra ») co­ me la «unica soluzione possibile» 56, la trasfigurazione delia comunicazio­ ne indiretta in un dire «puro e com pleto» nel caso dei filosofare orale non può, fin dall’inizio, portare a contenuti supplemental!, naturalmente sem­ pre presupponendo che Tesposizione delia filosofia nella dottrina e nello scritto sia «progressiva nello stesso senso»: ed essa deve certo esserlo stata, se il compito delia scrittura è, peraltro, quello di conseguire le stesse prestazioni per la trasmissione di conoscenza delia dottrina orale. Anche da questo la to 57 si è chiaramente dimostrato che 1’esclusione di un’esoterica del contenuto non è affatto il risultato di un’analisi senza preconcetti dei procedimento oggettivo dei dialoghi platonici, ma è piuttosto il presupposto inespresso delia teoria delia forma dei dialogo. Visto come si deve, 1’ « es ame critico» di Schleiermacher è quanto di piü acritico sia pensabile. Non si può rendere ragione alie differenti considerazioni platoniche sulle condizioni umane e oggettive delia comunicazione 54 Einleitung, p. 17. 55 Cfr. sopra, p. 437 e nota 22. 56 Cfr. sopra, p. 446, nota 37. 57 Cfr. le osservazioni sulla assunzione 1'ondamentale delia teoria delia l:orma dei dialo­ go, sopra, pp. 430-432.

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APPENDICE I

filosófica con una rozza alternativa che conosca solo, da un lato, la associazione segreta política dei pitagorici e, dall’ altro, la presentazione diretta al pubblico di discorsi facili («essoterici») e di discor si difficili («esoteric i») neU’Ellenism o58. Non meno sorprendente è il quadro che si è fatto Schleiermacher del contenuto e delia attestazione delia filosofia orale di Platone. Egli nega che se ne possano trovare «tracce veramente storiche» ( Inîroduzione, p. 12). Egli nega che Aristotele conoscesse fonti delia filosofia platónica diverse dai dialoghi (.Inîroduzione, p. 13). Il che è giusto dal punto di vista formale, se con «fo n te » va inteso, con Schleiermacher, uno scritto esoterico di Plato* ne; perô non avrebbe dovuto parimenti mancare, in questo contesto, il fat­ to che Aristotele nella Física si richiama a «dottrine non scritte» (crfpaça Sóyfjiaxa) di Platone, e che le oppone come fonte al dialogo Timeo, Invece Schleiermacher concede solo vagamente che Aristotele «qui e là cita insegnamenti diversi perduti o forse anche orali», che, comunque, non contengono «niente che non si possa udire nei nostri scritti, o del tutto diverso da quanto tro viam o in essi». Chi dà questo tipo di formulazione non può aver conosciuto l ’immagine di Platone della Metafísica aristotélica e tanto meno la testimonianza di Alessandro degli appunti aristotelici della lezione SulBene o la critica di Teofrasto alia metafísica di Platone39. Alia mancanza di conoscenza dello stato delle fonti e alia motivazione del1’esoterica platónica si aggiunge Tinsistenza su un concetto di esotérica to­ talmente fuori strada: come dimostrano numerosi passi della sua Introduzione, per Schleiermacher esoterica significava in primo luogo scritti esoterici che andrebbero sottoposti ad un’interpretazione segreta60. Questa idea, il cui modello è stato dato senz’altro da sogni settaristici di una «v e ­ ra» interpretazione di scritti come YApocalisse di S. Giovanni, può essere stata diffusa a quei tem pi61, ed è certo un guadagno che essa sia sempre 58 Einleitung, p. 11. II tentativo di mostrare che il íipo ellenistico di esoterica non è utilizzabile per Platone è un esempio paradigmático di un’argomeníazio.ne puramente reto­ rica: dal momento che gli avversari accettano il fatto che i dialoghi sono difficili, essi dovrebbero anche «riconoscere che Platone avrebbe potuto ugualmente affidare loro le co­ se piú difficili e segrete della sua sapienza, esattamente come anche le altre» {Einleitung, pp. 11). Questo suggestivo «ugualmente» viene confutato da passi quali Timeo, 28 C (è difficile «trovare» il Demiurgo, e impossibile comunicare a tutti ció che si è trovato) o Repubblica, 533 A (la discussione dialettica del concetto di bene sarebbe troppo difficile per Glaucone, e cioè: per il dialogo della Repubblica pubblicato). 59 Sarebbe certamente scorretto pretendere da Schleiermacher la conoscenza dei risultati della ricerca sul flspl Tàfaôoô del X X secolo. Tuttavia sembra che in questo campo egli non avesse grande familiarità nemmeno con le cose fondamentali. 60 Einleitung, p. 11: «quali scritti di Platone sarebbero essoterici e quali esoterici», p. 12: «le dottrine segrete degli scritti esoterici». Il fatto che Aristotele non conoscesse una fonte della filosofía platónica diversa da quella che anche noi conosciamo risulta, secondo Schleiermacher, dal fatto che Aristotele non cita nessuno scritto esoterico (p. 13). Ta­ li scritti richiederebbero «una comprensione segreta», «una interpretazione segreta» {ibidem). 6' Laborderie, Le dialogue platonicien ..., p. 63, cita in proposito Tennemann, System der platonischen Philosophie, Leipzig 1792-95, p. 128.

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stata tenuta energicamente lontana da Platone. Ma é quasi incomprensibile come Schleiermacher si sia potuto accontentare di un rifiuto di questo concetto sbagliato di esoterica, invece di trarne sollecitazione per un «esa­ me critico» veramente degno di questo nome. I successori di Schleiermacher non hanno mantenuto, per la veritá, questo concetto ristretto di esoterica, ma si é rimasti condizionati dal suo modello per il fatto che si é elusa una chiarificazione filológica, vale a dire una chiarificazione storicamente orientata del fenomeno, e si é cercato di tenere in piedi l ’equiparazione superficiale di esoterica e di cose e dottrine segrete, e nel fare questo si é acriticamente trasferito su Platone il desiderio moderno di pubblicitá illim itata62. Non poteva nemmeno continuare a permanere la mancanza di conoscenza delle fonti di Schleiermacher nella sua forma cruda; ma essa sopravvive nei suoi effetti come una generale disponibilitá a dichiarare le fonti troppo lacunose, tendenziosamente corrotte, incomprensibili o semplicemente irrilevanti perché le si esamini seriamente63. AH’opinione aprioristica sulle fonti corrisponde un’ opinione aprioristica sulla posizione avversaria: si sostiene che l’ interpretazione esoterica svaluta i dialoghi o ne dichiara sbagliati i contenuti64. In realtá, né gli interpreti di questa corrente hanno sostenuto qualcosa di simüe, né questo si potrebbe conciliare con un’esoterica correttamente intesa65. I due pregiudizi servono certo alio scopo di sottrarre all’ obbligo di una discussione seria la rodata communis opinio. 62 Ad eccezione degli interpreti influenzati da Leo Strauss. «L a fede nella desiderabilitä di una discussione pubblica sincera e un fenomeno velativamente recente nel pensiero occidentale, e non e affatto un fenomeno accettato universalmente neppure fra gli scrittori post-illuministi» (Rosen, P la to ’s Symposium..., pp. X X V I s.; cfr. tuttavia sopra, nota 52). II volume panoramico curato da P.Chr. Ludz, Geheime Gesellschaften, 1979 («Wolfenbütteler Studien zur Aufklärung», V/1), documenta la continua presenza della tendenza alia segretezza anche nel secolo dei Lumi e oltre. 63 Questa disponibiliiä si fonda sostanziaimente suirinflusso delle opere di H. Cherniss, Aristotle’s Criticism o f Plato and the Academy, New York 19622 e The Riddle o f the Early Academy, Berkeley 1945), cui, secondo una azzeccata osservazione di J.N. Findiay, troppi credono anche troppo volentieri, anche se non li hanno letti. N ell’ ambi' to della filosofia presocratica si e da iungo tempo riconosciuto ehe la critica di Cherniss contro le testimonianze aristoteliche (Aristotle’s Criticism o f Presocratic Philosophy, Baltimore 1935) si lascia alle spalle il bersaglio ehe intendeva colpire (cfr. ad esempio W .K.C. Guthrie, Aristotle as an Historian o f Philosophy, «Journal o f Hellenic Stu­ dies», 77 [1957], pp. 35-41). — II presente lavoro puö rinunciare a trattare degli aypoc^a Soypuxxa, in quanto si tratta qui, in primo luogo, di correggere gli errori ermeneutici ehe hanno portato alia negazione di una dottrina orale dei Principi. Dovrebbe, invece, essere chiaro che i lavori ehe accettano questa negazione, o ehe la presuppongono tacitamente, dovrebbero confrontarsi con la tradizione indiretta di Platone, 64 Cfr. sopra, pp. 66 s., nota 19. 65 E invece la tesi della teoria della forma del dialogo, elaborata in modo conseguente fino alle sue conclusioni (R oloff, Meißner) che sostiene che nel dialogo platonico si trovano continuamente elementi voluiarneme fuorvianti e oggettivamenfe sbagliati, in particolare in quello che esso comunica direttamente, dunque nel suo livello «superficiale», concepiti alio scopo di ingannare chi non e adatto.

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(8 )

L ’ enumerazione degli strumenti dell’esposizione indiretta attraverso ia quäle Platone si é creato la possibilitä di ridestare un pensiero vivo anche per via della comunicazione scritta sfocia, in Schleiermacher, nella conclusione: «Questo sarebbe perciö Túnico significato per cui si puö qui parlare di un esoterico e di un essoterico, cioé che questo indichi una qualitá del lettore a seconda che esso diventi o no un vero ascoltatore dell’interior e » 66. II fatto che si colga o no il modo in cui funziona la esposizione indi­ retta distingue, perciö, il lettore «esoterico» da quello «essoterico». Quello che Schleiermacher richiede potrebbe essere definito una lettura esotéri­ ca dei dialoghi. «Esotérica» non é una questione di diffusione mirata fra i contemporanei e del tipo di testimonianza «esterna» per i posteri, bensi di compimento del processo di comprensione «interno» nell’anima del lettore. La richiesta di una lettura esoterica dei dialoghi sostituisce Tesoterica «esterna» della tradizione con un’ esoterica «interna» della forma del dia­ logo. II suo scopo é di eliminare l’ idea che certi contenuti possano venire esclusi dairesposizione scritta. L ’ essenziale, perciö, é contenuto nella scrittura e non puö, tuttavia, venir compreso da chiunque: c’ é bisogno di una interpretazione particolare sup­ plementäre, ossia del «vero ascolto interiore». É impossibile non riconoscere che in questa concezione trionfa ancora la opinione combattuta: l ’idea di uno scritto esoterico che é presente per tutti e che pero viene coito solo da pochi, grazie ad un’ interpretazione segreta. La chimera che Schleiermacher sí era riproposto di sconfiggere ha generato una copia fedele di se stessa all’interno dell’ esoterica «interna» della teoría della forma del dialogo. Di fatto, la tendenza esoterica latente di questa concezione potrebbe essere stata il segreto del suo successo. Soprattutto se si chiama Tuso del mezzo di esposizione indiretta con il nome di «iro n ía » diventa difficile potersi an­ cora sottrarre al suo fascino: chi, infatti, non vorrebbe far parte dei x«pt&cmpoi, delle persone sottili, che sanno accennare sorridendo al povero in­ dividuo che non ha senso dell’ironia come stanno veramente le cose riguardo alia veritá di Platone? 67 Solo nei Iavori piu recenti68 si é giuníi a spiegazioni che sembrano radical­

6f> Einleitung, pp. 16 s. 67 Boder, D ie sokratische Ironie, adduce una serie di buone osservazioni e di argomenti a sostegno del riconoscimento, peraltro non nuovo, che l’ironia non é affatto per Plato­ ne un principio speculativo-gnoseologico che regna su tutto, ma é solo un mezzo di mili­ ta limitata di cui egli si serve per la descrizione e che lascia cadere quando si avvicina alia «serietá» dialettica. 68 L ’«ironia I I » ha, secondo R oloff, una «funzione selectiva» (Platonische Ironie, p. 31), essa ha «il compito di nascondere l ’essenziale ... alie persone non adatte» (p. 5), essa «serve a disarmare la persona non adatta» (p. 18) in quanto «nasconde» quello che si intende dire, «lo eselude dalla comunicazione del proprium e inoltre inganna» (p. 17). — Forse le numeróse confessioni di Meißner a proposito della «trasmissione selettiva del-

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mente esoteriche a proposito del tener fuori i profani (Pesclusione delle persone «inadeguate») per mezzo della forma di esposizione indiretta; ma non si dovrebbe trascurare che, con questo, si realizza ció che in origine era giá predisposto in Schleiermacher e che fa parte dell’ essenza della teoría. Certo non si puó negare a Schleiermacher e alia maggior parte dei suoi successori nella loro lotta contro quello che ritenevano fosse l’ esoterica una volontá soggettiva verso un’ apertura e una comunicazione illimitata. E si potrebbe intendere anche Pesoterica interiore del «vero ascolto» del contenuto del libro, che sostituisce r«intepretazione segreta» degli scritti esoterici, addirittura come il tentativo di democratizzare questo concetto distorto di esoterica: tuttavia Schleiermacher crede che, per mezzo delle «a r ti» del nascondere e delPalIudere, Platone riesca «quasi con tutti o a raggiungere ció che vuole o almeno ad evitare ció che te m e »69. Tuttavia non importa qui Pintenzione soggettiva del singolo interprete di aprire a (quasi) tutti l ’accesso, bensi importano le implicazioni metodologiche obiettive della teoria ermeneutica in questione. In realtá, la affermazione citata, apparentemente cosi ben disposta verso il pubblico, suddivide la totalitá dei lettori di Platone in tre classi di rango diverso: quelli senza speranza, che vengono separati dalla piccola parola «quasi», e con loro Parte della comunicazione indiretta non da alcun frutto; la maggioranza fortúnala si divide, a sua volta, nei lettori la cui comprensione é lacunosa, con cui Platone non raggiunge di piü che il suo scopo negativo, quello di evitare un sapere presuntuoso, e coloro che guardano piü a fondo, con i quali il dialogo raggiunge anche lo scopo positivo: «la generazione interio­ re propria del pensiero che si intendeva generare» ( Introduzione, p. 16). Chiaramente solo il terzo gruppo puó pretendere di appartenere ai «veri ascoltatori delPinteriore». Non importa se gli appartenenti a questo grup­ po sono tanti o pochi; ció che é decisivo é che fa parte del concetto di un tale gruppo che essi devono intendersi come gruppo elitario, ossia devono intendersi come gli «esoterici interiori», come si potrebbe chiamarli, che si costituisce secondo leggi proprie. Questo si chiarisce, se osserviamo piü da vicino le pretese gnoseologiche del «vero ascoltatore».

la conoscenza» (D er tiefere Logos..., pp. 86, 134) cui egli crede, in sintonia con R oloff (ma in contrasto con Fedro, 275 D E), suonano ancora piü elitari ed esoterici. Con «asserzioni false e superficiali» (p. 112), «Platone si preoccupa» (p. 136) che la massa dei lettori — della cui sconfinata stupiditä Meißner e profondamente convinto — non capisca il suo «logos piü profondo»; cosi egli Io «nasconde» e lo «vela» per il lettore cui non e «consentito» comprenderlo (pp. 202, 209; cfr. 68, 97 s., 114, 118, 121, 132, e di fre­ quente). 69 Einleitung, p. 16. — Si osservi la differenza rispetto all’ atteggiamento volutamente esoterico di R olo ff e Meißner (cfr. nota 68). Cfr. anche Zeller, Die Philos. d. Griechen ..., II, 1, p. 487: «questa forma di rappresentazione non ostacolerä in modo insuperabile la comprensione a nessuno di quelli che hanno imparato ... a penetrare nelle intenzioni e nel piano dei suoi dialoghi».

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(9) L ’accenno al fascino della parola magica «iro n ia » non va inteso come se fosse una semplice annotazione psicológica. L a supposta superiorità di tutto ció che è ironico su tutto quello che non lo è porta, anzi, alia posizione teoretico-gnoseologica della teoría della forma del dialogo. È la posizione del solipsismo. Chi deve passare per «un vero ascoltatore dell’intern o » non puó giudicarlo se non lo stesso vero ascoltatore dell’interno. Chi gli si oppone, deve volere e potere necessariamente richiamarsi al testo. Ma la veritá del testo — questo è il presupposto della teoria — si trova al di lá di quello che è comunicato direttamente, a cui solo ci si puó richiamare. Chi non è d ’accordo con il vero ascoltatore delFinterno e crede di dover porre il testo piü in alto del «vero ascoltatore» dimostra, cosi facendo, che non è un vero ascoltatore dell’interno. L ’ironico ha sempre ragione: la sua piü profonda comprensione irónica di ció che è comunicato indirettamente è l ’istanza di cui dovrá rispondere non solo la interpretazione con­ corrente bensi, in ultima analisi, il testo stesso in quanto comunicato diret­ tamente. La vuota polemica contro un’esoterica legata al contenuto nasconde di solito il fatto che l ’ esoterica interna della forma del dialogo elimina, per principio, il testo come punto di riferimento comune nella disputa delle opinioni e lascia come superstite solo lo sguardo profondo del veggente deIl’ «in te m o » quale único criterio, creato da sé e amministrato. a proprio piacimento70. Solo nelle elaborazioni piü recenti, che procedono verso una maggiore esplicitezza, il problema latente del solipsismo è diventato cosi acuto che si è sentita la necessitá di un rimedio. Si assicura che Platone abbia dotato i suoi testi cifrati di «segnali» che attirano l ’ attenzione sul fatto della cifratura e danno, cosi, un orientamento riconoscibile alia interpretazione. C o ­ me «segnali» abbiamo la «contraddizione» di un passo sia nei confront! di altri passi, sia della «verità » (H . Meißner), la distribuzione di vero e falso a personaggi diversi del dialogo (Th. Ebert) o semplicemente il «piccolo accenno» che la Lettera V II menziona (D. R o loff). Se prescindiamo dal fatto che nessuna di queste «solu zioni» si puó richiamare al Fed.ro (con la qual cosa crolla la pretesa di farne un elemento della teoria del dialogo platonico), prescindiamo anche dal fatto che la realizza70 Sarebbe sbagliato voler giusíificare 1’interpretazione ricorrendo ad un senso «nascosto» o «piü profondo» rimandando al circolo ermeneutico che sta aila base di ogni com­ prensione. II circolo significa che la comprensione del particolare è possibile solo antici­ pando il senso del tutto, ma che il tutto puó esser coito solo poggiando sulla comprensio­ ne delle parti. II circolo non è però sbagliato, in quanto la comprensione del tutto puó essere corretta, e, se necessário, anche del tutto confu tata, dalla comprensione del parti­ colare. Se quello che nel testo, come è stato riconosciuto, è «a disposizione di tutti», vie­ ne inteso come senso «superficiale» volto a trarre in inganno determinad lettori — con­ cretamente: quello che di volta in volta risulta essere l ’altro lettore — allora questa possibilitá viene esclusa. Cfr. sopra, nota 13 e sotto, pp. 460 s. e nota 77.

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zione di interpretazioni concrete é possibile solo operando selettivamente sul testo e reinterpretando arbitrariamente passi da lungo tempo chiariti71. La insufficienza teoretica decisiva é che i «segnali», se devono davvero essere solo segnali e non devono rompere il principio delFinsegnamento indiretto, o devono essere di natura puramente negativa, o, se positivi, alta­ mente indeterminati. In entrambi i casi, pero, il segnale lascia uno spazio aperto alia dotazione di senso da parte del lettore — alia reintegrazione del negativo in positivo, al completamento e alia conformazione di ció che é solo accennato — che fa sembrare l ’ espressione «Fuñica soluzione possibi­ le » una chimera. Per dotare di senso un segnale, non puö esistere un altro segnale: I’ironico «ascoltatore deH’interno» resta sempre Túnico garante della correttezza del suo ascoltare. É giá stato detto il necessario sul modo di D. R o lo ff di completare ció che si dice che Platone abbia «taciu to» e sulPinterpretazione di Th. Ebert della presunta mancanza deU’om ologia72. Per H. Meißner lo scioglimento della contraddizione di due passi di Platone in un terzo passo non vale come se­ gnale, e neppure l ’indicazione di una di due affermazioni contraddicentisi come quella giusta (se la contraddizione resta formalmente irrisolta), bensi é segnale il semplice fa tto 73 della contraddizione stessa. E con questo si considera ovvio che la decisione a favore di una delle due frasi inconciliabili viene lasciata al proprio senso profondo, che appunto al senso profon­ do di Platon e74 deve essere equivalente75. Cfr. sopra, pp. 441 s. e nota 27, a proposito di Meißner cfr. anche nota 20. 11 Cfr. sopra, p. 433, nota 13 e p. 451, nota 48 (a proposito di Roloff), pp. 440 s. e «Göttingische Gelehrte Anzeigen», 230 (1978), pp. 13-21, in particolare pp. 16-19 (a proposito di Ebert). — Di fronte agli esempi forniti, è discutibile se la proposta, in apparenza piú ambiziosa, di una «íettura dialettica» dei dialoghi, come sostiene Gadamer, porti qualcosa di piü di una pura e semplice arbitrarietà: Pimpossibilità dello stato utopico della Repubblica «viene addirittura sottolineata dalle prove circostanziate addotte a sostegno delía sua possibilita», D ie Idee des Guten ..., p. 45. II fatto che le prove siano «cicostanziate» rappresenta forse l’indicazione segreta di Platone che ci invita ad una Iettura «dialettica»? In Platone ci sono abbondanti prove circostanziate: lo stato utopico non sarebbe l ’unica cosa destinata a cadere se trovassimo «sottolineato» in questo modo ogni volta il contrario di quanto viene detto. Riducendo poi la questione della possibilità dello stato ideale al tema-scandalo delia «comunità delle donne e dei bambini» (p. 46), Gadamer argomenta ad un livello che è indegno di lui e di Platone. Viene trascurata, fra le altre cose, la Lettera V I I — di cui Gadamer ha sempre sostenuto i’ autenticità — in cui Platone dice che in Sicilia è stato per lui possibile realizzare le sue idee sullo Stato (328 C) — e questo poco prima del riferimenío alia frase del re-filosofo (326 A B) intesa come formulazione concentrata dello Stato utopico della Repubblica. i* Rinuncio a rilevare in queste osservazioni metodologiche il fatto che le «contraddizioni» considérate da Meißner si fondano senza eccezione su dei malintesi. Cfr. la mia recensione in «G nom on», 52 (1980), pp. 301-304. 74 II titoio suona D er tiefere Logos Platons («I I logos piú profondo di Platone») — ma si tratta sempre solo del logos di Meißner. 75 È solo in un secondo momento, e senza alcun riferimento alle singóle interpretazioni proposte, che Meißner (Der tiefere Logos ..., pp. 211 s.; cfr. p. 196) sostiene che le asserzioni corrette («nascoste») costiíuiscono un tipo che è chiaramente distinto dalle «formulazioni fuorvianti molto piü evidenti» volutamente mantenute sul piano della «poli-

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APPENDICE I

Si scopre, cosi, che la cosiddetta ironía platónica, se intesa non come strumento limitato di esposizione, bensi come strumento speculativo che permea tutto, perverte Pironico in solipsista. L ’atteggiamento di superioritá si trasforma, senza che si noti, in una particolare goffaggine spirituale: infatti, che cosa si deve pensare di un’«iro n ia » la cui prima e fondamentale affermazione é che colui che parla ha per principio ragione? Consideriamo come illüstrazione dell’ intoccabilita di un’ interpretazione «nascosta» condotta in modo conseguente la definizione di H. Meißner del senso di ßoiqGeiv nella parte conclusiva del Fedro 76. La tesi di Meißner é che Platone tratta qui solo «in superficie» della superioritá del filosofare orale, ma «nascostamente» parla della struttura nascosta dei propri dialoghi. Percio anche la capacita di soccorrere se stessi va riferita ai dialoghi: poiché essi non esprimono direttamente il loro «logos piü profon do», sono in grado di sottrarsi alia critica delle persone inadeguate che vedono so­ lo il logos superficiale. Non servirebbe a nulla far valere contro questa interpretazione che «sottrarsi» non é lo stesso che «portar soccorso a se stes­ si» o «difendersi» (ßorjÖetv éouncp, á¡j.úvEa0ou), perché proprio il restar fisso sul significato delle parole greche dimostra, per Meissner, il coinvolgimento nel «logos superficiale» che Platone ha posto proprio per sviare i non adatti. Neppure servirebbe accennare che non solo il significato del termine ßor]9eTv contiene una difesa attiva, ma che anche la situazione descritta alPinizio da Platone {Fedro, 275 C-D) richiede un confronto aperto, e non un passivo mettersi-al-riparo, e che Platone ha descritto spesso, in altri dialoghi, questo auto-aiuto argomentativo del filosofo che non si sottrae alPattacco dell’ avversario, anzi lo affronta. É rimasto ignoto a Meißner, evidentemente, che i dialoghi hanno in serbo questa risposta, tuttavia egli ha avuto cura, per cosi dire per principio, di aggirarla fin dall ’inizio con un escamoíage: con le sue premesse egli puo riferirle cómoda­ mente all’ ámbito delPinterpretazione del « logos superficiale» e dichiararle, percio, irrilevanti ai fini di cogliere il senso «nascosto» di ßorjÖeTv (come autosoccorso del livello del dialogo «piü profon do» che si nasconde). Si ammetta la intoccabilitä a priori di questa posizione. Non c’ é niente che

semia» grazie ad una «evidenza molto ridotta» e ad una univocità circa il senso inteso, comunicato attraverso il procedimento diairetico (Meißner non dice, si noti: univocità dell’ espressione scelta). li critério di una maggiore o minore orecchiabilità ed evidenza — prescindendo dal fatto ehe esso non è rispettato né risulta rispettabile negli esempi di Meißner — risulta naturalmente privo di qualsiasi validità in quanto totalmente soggettivo, mentre il criterio dell’ univocitä non solo si basa sull’ illusione ehe le operazioni diairetiche non nominate nel testo possano essere compiute con sicurezza dal lettore nello stesso modo in cui Platone le avrebbe compiute, ma oltre a questo sfugge ad un circolo sbagliato, in quanto, secondo la teoria di Meißner, il logos «superficiale» è polisemico solo per il lettore «profon do», mentre la «massa dei lettori» lo considera univoco e deve considerarlo come tale; perciò solo chi già possegga il logos «piü profondo», di cui parla Meißner, vorrà intendere il suo «segnale», che deve garantire 1’ obiettività deli’ interpretazione, come segnale in gen ere. 76 Meißner, D er tiefere Logos ..., pp. 79, 87 (cfr. p. 112).

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possa aiutare a guariré il solipsismo di principio della teoria della forma del dialogo, salvo il rifiuto deciso dei suoi metodi lógicamente scorretti77 e il tácito ignorare della sua pretesa di una conoscenza «piü profonda». É, questa, una decisione a favore della aa^rjvsia filosófica e a favore della ¡3eftaióxris delFiníerpretazione e, insieme, una decisione contro un senso segreto nascosto.

( 10) Anche se Platone avesse condiviso l ’ ottimismo dei suoi interpreti odierni riguardo alie possibilitá della forma di comunicazione indiretta, non si sarebbe sentito, per questo, impegnato a mettere per iscritto necessariamente tutto quello che gli sembrava essenziale. I primi dialoghi accennano a molte delle cose che sono poi dette nella Repubblica, e la Repubblica con­ tiene rimandi alia dottrina delFanima del Timeo. Ci si puó affidare fiduciosi aH’ illusione che potremmo comprendere i cenni solo allusivi partendo da essi stessi. Quello che non si puó discutere é che ció che é comunicato indirettamente e ció che é solo accennato, non é comunicabile, per Pla­ tone, solo in questa forma, bensi anche nella forma di un insegnamento esplicito «p ositivo». Né, tantomeno, si puó discutere che é stata una deci­ sione libera di Platone il lasciar seguire l’esposizione piü dettagliata. Se non vogliamo costringere Platone con un obbligo qualunque, invénta­ lo, a completare la ricerca dei dialoghi sulle virtú nella Repubblica, se non discutiamo, quindi, il fatto che egli fosse libero di non scrivere la sua ope­ ra principale, allora dovremo concedergli la stessa liberta riguardo a tutti gli altri temi la cui trattazione viene definita necessaria, nella Repubblica stessa e nei dialoghi successivi, senza che essa venga attuata. Proprio questa liberta viene messa in discussione, non appena si cerca di ricavare un argomento contro l ’ esistenza storica di una filosofía non scritta traendolo dalla forma indiretta di comunicazione dei dialoghi. Nella teoria della form a del dialogo l’ autore, che ha riconosciuto i pregi della forma espositiva che nasconde, diventa súbito schiavo della sua scoperta: dalla possibilitá del nascondere e accennare essa é costretta a presentare per intero ció che prima era nascosto. Solo grazie a questa trasformazione lógicamente illecita la teoria puó servire a confermare i pregiudizi sulla fi­ losofía órale di Platone. La forma indiretta eselude contenuti particolari 77 L ’inattaccabilitá si fonda naturalmente su una struttura argomentativa scorretta dal punto di vista logico: le asserzioni sul testo («Platone intende qui A , non B ») non vengono distinte dalle asserzioni valutative a proposito di tali asserzioni («É I’ interpretazione piü profonda quella per la quale qui Platone intende A e non B »), anzi vengono sistematicamente mescolate in quanto la propria valutazione viene attribuita, senza motivazioni, a Platone, cosa che genera un tipo di asserzione che, in apparenza, paría del testo, ma che, in realtá, contiene una autovalutazione mascherata («Platone ritiene qui che A sia il logos piü profondo del passo, anche se egli vi aggiunge B, per “ la massa dei lettori” , “ in superficie” »).

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APPENDICE I

della filosofia orale solo per chi sa, gia in precedenza, che i dialoghi devono contenere tutto quello che per Plat one era essenziale. In realta, non esiste affatto contraddizione fra la decisione di un autore di esprimersi indirettamente su alcune cose e la decisione, nello stesso tempo, di non scrivere assolutamente nulla di altre, ad esempio delle motivazioni ulteriori delle opere pubblicate. A lle anticipazioni e alle mosse sbagliate metodologiche di cui necessita la teoria della forma del dialogo per tenersi in piedi, si aggiunge allora, da ul­ tima, come conseguenza della sua petitio principii, la negazione della liberta di Platone come scrittore. Platone non deve aver avuto la liberta di tacere con coloro con cui bisogna tacere (aiyocv izpbc, ou? Bel). D i fronte a questo occorre ripristinare il rispetto di Platone, concedendogli che, come uomo e come autore, egli si e regolato secondo quanto nel Fedro aveva descritto come il comportamento corretto del filosofo di fronte ai loyoi orali e scritti.

Appendice I I

II significato di auyypafx[xa

Un dialogo platonico, ci viene detto, «non é un’opera scritta in modo or­ dinario (aÚYYpafA¡jiac), che si riproponga di riassumere conclusioni finali» (Guthrie, V, p. 411). Abbiamo sopra mostrato quale ruolo essenziale giochi Tinterpretazione errata di aúffpaji.fjia inteso come «scritto sistemático dottrínario» nella moderna teoría della forma del dialogo (Appendice I, pp. 433 ss. con le note 14-19). L a incontrollata anticipazione di questa interpretazione errata si puo localizzare con precisione: si interpreta il auv- in auy-ypaipeiv, l’ «insiem e» nelio «scrivere-insieme» ( con-scribere, con-porre per iscritto), fin da princi­ pio, come un comporre secondo ben precisi aspetti e secondo un ben preci­ so punto di vista, precisamente come un comporre per iscritto di carattere sistemático. In greco, al contrario, la componente auv- nelle parole cru-fYpácpto, auy7 poc9 £Úí;, auyypacp^ e auyypafji^a indica ogni tipo di composizione per iscritto, senza riferimento alia intrinseca organizzazione dello scritto. I tratti caratteristici della composizione di carattere sistemático, e precisamente (1) la completezza e (2) l ’ ordinamento secondo un punto di vista centrale, che secondo la concezione dell’ autore é dettata dalla cosa stessa, nei documenti a nostra disposizione non giocano assolutamente nessun ruolo. Anche il foñdamento di questo, ossia del fatto che «poeta­ re», «p o e ta » e «p oesie» non vengano indicati con il termine auyypacpetv, auYYPa9£ik e au-YYpáp.¡jLOCTa, ossia atrpfpacpaí, non sta certamente in una riflessione su una intrinseca differente struttura delle opere poetiche, ma sta semplicemente nel fatto che per questo ámbito sussistevano giá altri termi­ ni (aetBeiv, aoiSó^ - htr\, lafjißos, ujxvo^, vóp.oi; e simili, e successivamente xoteTv, 7 io tr ]T ^ ;v 7u oít ¡[xoc) allorché nacquero scritti in prosa. Per questo mo­ tivo Platone — e proprio Platone — puö «etimológicamente», ad un tem­ po, sciogliere questo termine dalla limitazione alie opere in prosa ed espressamente includere in esso anche opere poetiche (nelle Leggi, 858 C 10; cfr. sotto A 6); e in Eraclito auyypacpaí (B 129; cfr. sotto C 1) si é visto non a torto una allusione anche ad opere poetiche, sia Esiodo e gli Orfici 1 L ’ autenticitá del frammento é oggi riconosciuta da tutti (cfr. Guthrie, A History..., I, p. 157 n. 1). A proposito delle auyypacpat che, secondo Eraclito, Pitagora ha plagiato, Kirk-Raven hanno pensato ad Esiodo (The Presocratic Philosophers, Cambridge 1957,

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APPENDICE II

Questo e anche le attestazioni tratte da Erodoto provano che 1’ «insiem e» (auv-) in parole composte di questo genere significa un com-porre, ossia un mettere insieme, nel senso técnico estrinseco in cui ogni insieme deve venir successivamente composto unitariamente per iscritto, riga dopo riga, frase dopo frase, periodo dopo periodo. In questo senso, un libro come il dialogo di Platone Lachete, che presenta «insiem e» tre definizioni di coraggio e le confutazioni delle medesime, oppure come il Fedone, che presenta in successione tre prove per l ’immortalitá deiranima insieme con le opposizioni alie medesime, o come la Repubblica con le successioni accuratamente gradúate di questíoni, analisi, defi­ nizioni, prove e concezioni utopiche, costituiscono evidentemente un libro «com posto unitariamente» per iscritto (di parti successive), un aúy-

Ypoc[¿[Jt.a. Chi crede il contrario, dovrebbe essere in grado di addurre un documento, nel quale si dica che un dialogo platonico non potrebbe essere in alcun senso un aÚYYpa[JL[j.oc2. Ma un siffatto documento non esiste. A l contrario non mancano né documenti che attestano F ampio e del tutto non specifico significato del termine aúyypafjifxa come «scritto in prosa» di qualunque tipo esso sia (cfr. punto A ), né mancano documenti che attestino Pespressa indicazione dei dialoghi di Platone come ijuYypá[ji[xaTa (cfr. punto B); l ’uso del termine fino al tempo di Platone (cfr. il punto C) mostra come da esso non c’era da aspettarsi veramente nient’altro. A ) aÓYYpocfJifxa = U7tÓ^VT)pt.CC.

Scritto in prosa. I concetti opposti di Ttoír)|j.a

di

1. Platone, Liside, 204 D 4: e7csi8áv xa jrotr^axa r¡(x¿i>v sjtixstpifaflJ£0tT' avxXeív xaí a u y y p á j a r a . 205 A 5: ¡if) tcoleI v eí? xa TiaiSixá ouyypácpEtv. 2. Platone, Leggi, 810 B 5-7: ... xoTv. I, 93, 1: Ocófxaxa 8è yrj AuSírj íç auyypa97iv ou fxáXa III 103: xò pièv Srj £íSoç óxoíóv xi JtájiYjXoç ... ou auyypácpoú. V I, 14, 1: oux Zyta àxpexéíoç auyypác|)ai ot xweç xtov ’I gjvmv èyevovxo àvãpeç xaxol rj ayocOot ev xfi vaup.axttl xaúxrj. V II 142, 1 e V III, 135, 3: auyypac{já[jL£voi (o -voç) della scrittura di un oracolo come I 47, 1 e 148, 1. 3. Ippocrate, flepl Btaíxrjç ó^écov 1 : Ot auyypá^avxeç xàç KviBíaç xaXeo|jL£vaç yvtôjxaç 0710ta ptèv náaypuaw ot xá|ivovx£ç èv exáaxotat xcõv voar]|i.áxíov ópôtõç £ypat[>av ... ÓTCoaa 8è 7tpoaxaxap.a0£tv SeT xòv

4 Secondo W. Jaeger, Paideia, III, 1947, p. 129 (= 1973 4, p. 1005) X , 8 significa « l ’individualismo ed il cosmopolitismo etico dell’ala radicale dei socratici, di Antistene e di Aristippo»; X, 9 «puó indicare solo Platone, che avevainteso l’ ereditá morale di Socrate come scienza política, tcoXltixti xé'/vr]». Certo avrebbero potuto essere intesi anche i Megarici oltre Platone, che secondo Diogene Laerzio, V II, 161 sostenevano a loro volta l’ unitá delle virtü. 5 Si é perseguita la completezza solo a proposito delle prove del ccoy-ypajina fino a Pla­ tone compreso.

APPENDICE II

Erjxpov ¡J.T] Xéyovxoç xoü xáfxvovxoç, xouxcov noXkà rcapeíxai. lusiurandum : ô[xvu[xi ’ A rc ô X X w v a . . . èrcix&Xéa Troirjaeiv . . . opxov xovSe x a i auyyp açrjv x r jv B e ...............x a î SiSáÇeiv [¿1(7000 x a i auyypatpfiç.

x tjv

xexvrjv xauxrjv . . . aveu

4. Diogene di Apollonia, D K 64 B 4, indica il proprio libro come auyypacpr). Ippia di Elide, D K 86 B 6 fa distinzione fra poesie e auyypaçai. (Aristofane, Acarnesi, 1150: xòv ^uyypacprj è verosimilmente corrotto). 5. Tucidide, I 1: © ouxuSí Stjç ’A0r]vaToç £uvéypa{J>£ xòv TcóXe^xov ... (cfr. IV 135, 2). I 97, 2: xoúxcov 8è oajtep xai fj^axo ev xrj ’Axxixrj £uyypacprj 'EXXávixoç, ... V 35, 3: xpóvouç xe 7tpoú0evxo ãveu £uyYpacpfjç ev olç XP^V T0,JÇ wióvxaç 7ioX&[i,íouç Eivai. 6. Isocrate, II 7; II 42: cfr. sopra A 3 ; X 11: cfr. sopra B l.; X , 2: vuv 8è xtç iffxtv ouxüjç ô(jji[xa6r)ç, oaxtç oòx oíBe Flptoxayópav xai xouç xax’ èx&ívov xòv xpóvov yevo^évouç aocptcxáç, Ôxt xai xoiaõxa xai TtoXtj xoúxoiv 7ipaytxaxcjoôéax£pa aoyypájxfxaxa xaxéXi7tov rjpüv; tccõç yàp àv xtç UTtepßaXoixo Fopytav ... fj Ziqvtova ... ^ MéXiaaov; X V 33: ouBeiç oü0’ uttò xrjç 8eivóxr)xoç xfjç ¿[xrjç ou0’ uttò xwv auyypocpi¡xáxwv ßfßXarcxai (cfr. xcov ê[xã>v auyypa[X[xáxtov 14). X V 35: wax’ si auyxwpr]aaifXL xtõ xaxrjyópcü xai rcpoaopioXoyriaaipLt uàvxwv àv0pa>7uwv eivai 8&ivóxaxoç xai auyypacpEÚç xcõv Xoywv xcõv Xu710ÚVXC0V òjjLÕcç xoioOxoç, ... Leitern /, 5: xai [irj vófJiiÇ& [xe 7tpo9ú|i,toç ouxco ae 7rapaxaXs.lv, iva yévri aoyypá|AfJiaxoç àxpoaxrjç (cfr. X V II, 52: auyypác|)aç á;uaToXr)v). óa.Alcidamante, rie.pt xcõv aoçiaxtõv, § 22 p. 139.8 Radermacher: rjyoüfjLai Sè xai xaíç £7U0ü(jLÍaiç xwv àxpoaxtov à[j.£tvov xpíja0ai xoúç aòxoffx£SiáÇovxaç xwv xà yeypafJLjJiéva Xeyóvxcov. oí fx&v yàp rcoXú Tcpò xwv ày(óvcov xà auyypáfjifjiaxa StaxovTqoavxeç evíoxe xtõv xatpwv áfxapxávouaiv’ . 7. Senofonte, Cyr., V III, 4, 16: TcoXXá yé [xoi èaxi xoiaõxa auyyeypajj.(ji&va (xoiaüxa: per esempio la sentenza, che è più facile sopportare la infelicita che la felicita), con riferimento a ciò V III, 4, 25: Iva xai xà cjuyypá|ji[i.axa Xaßco. Mem. II, 1, 21: üpóSixoç ó aocpòç iv xw auyypájjtfjiaxi xw Ttepl 'HpaxX&ouç. Mem. IV, 2, 10: íaxptãv auyypá[x|j,axa (nella sua elencazione di letteratura specializzata). Equ . , I, 1: auv£ypacj>£ fxèv oõv xai Stfxcov XEpí i7i7tLxrjç ... xai Ôaa Sr) itapéXiTcev Tt£ipaaó[j,£0a 7)jasIç 8r)Xwaai. Hist. Gr., V II, 2, 1: xcõv jxèv ¡j.eyáXtov ttoXsojv, £t xi xaXòv £7ipa|av, a^avxeç oí auyypacpeíç ¡jLÊfxvirjvxai. 8. Platone, Liside, 204 D 5; 205 A 5: cfr. sopra A 1; Liside, 214 B 2: xà xôõv aocptúxáxwv ouyypáfi-jjiaxa. Gorgia, 462 B: Polo ha scritto un aúyypajxfjia sui problemi deli’ arte retórica. Teeteto, 166 C: Protagora parla (rappresentato da Socrate) e indica le sue opere come

IL SIGNIFICATO DI SYITPAMMA

469

auyypá[ji[xaxá fj,ou. Teeteto, 179 E: con gli Eraclitei non si puö discutere, áx£xv¿>? yáp xaxá xa ouyypáfx^axa cpépovxat. 180 A 4: &OTZtp ex 9 apéxpa? pr]¡j.axíaxia aíviyjjLaxtóSr] ávaa7rt0vx£? a7toxo£euouatv. Fedro, 2 5 7 E 2 -2 5 8 A 9 : Xav0áv£i ae oxt oi (leytaxov 9 povoövxe? xcov TtoXmxcov ¡xáXiaxa epwai Xoyoypav eyw a7tou§á£a>». 15 Presumibilmente come imitazione letteraria dei dialoghi di Socrate sulla dialettica nella Repubblica, VI/VII, Dionigi aveva sentito da Platone stesso la panoramica órale sulla sua «a rte» della dialettica senz’altro piü sotto forma di dialogo che non sotto for­ ma di lezione privata. Dal momento che egli voleva esporre la sua «propria» dialettica, egli non avrá certo scelto né Socrate né Platone come personaggi del dialogo. 16 344 C 2-4: j io t e . I v ávOpwTcoii; dv ¿x e î rc a X a iw v x iv a 0£tov, où x a l xô ôpveov U p ô v o 8rj x a X o û a iv T I ^ i v aôxa> 8è 6vo[xa t w SatfAovi siva i © £U0. xo û xo v 8rj rcpcôxov àpt0^,ov x£ x a i Xoyiapiàv eupeîv x a l D y e c o ^ x p ia v x a t à axp o vo jA Îa v, £xt 8è n£xx£Îaç xe x a l xujBsiaç, x a l 8rj x a l ypàjjifjiaxa. (3aatX£a>ç 8 ’ aô xoxe ovxoç AiyuTcxou o X t ] ç © ajj.o0 TCÊpî x t )v pLeyàXY)v tcoX iv x o û à v w x o t io u r}v oi ' 'E X X yjveç A ïy u T tx ia ç © r p a ç x a X o û o t, x a l xô v 0£Ôv "AfjijJicova, 5 Tcapà xo û xo v èXÔàjv ô 0 e ù Ô xàç x é x v a Ç ¿TréSeL^sv, x a l sqpYj 8eTv SiaSoOfjvaL xoîç a X X o tç A i y u i m o i ç * ô 8e r\pexo rjvxiva exàaxri e x 01- ¿ cp eXiav, SieSjlovxoç 8é, oxt x a X û ç r] p i E xaXcôç S o x o î X é y E tv , xô ^èv ë£y£v, xô 8 ’ ETtfivet. rcoXXà fjièv 8r] rcepî Ix à a x rjç xîjç xéxvrjç i n ’ àjj,0 Xéyexai. aTtocprjvaaOat,, a X o y o ç 7roXùç a v eiV] 8 ie X0 £ Îv érceiSr} §è £7ii xolç y p à ji[i.a a iv rjv, “ T o û x o 8£, ¿ü fSaaiXeû, xô 5 [xoc07i(xa” , £ Õvxt, ’' A ^ t o v o ç fjiavxeíav à y v o o í, D

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iauxœ T£ U7T0 jj.vïi{j,aTa OîQaauptÇôijiEVOç, e.lç t ò Xrj0riç y rip a ç eàv Î'xrjTai,, xal TravTt t û Taùtôv l'xvoç (xexiôvxi, rs àXXoi ^aiBialç aXXaiç x P ^ VTaL> au[jLixoaioiç x£ ap 8 ovx&ç auxoùç £TÉpoLç xt ôaa toutcov à 8 £X9 a, t ô t ’ exêîvoç, ¿ ç eoixev, àvTÏ toutw v oîç Xéyùj TiaiÇtjov SiàÇet.

499

«FEDRO», 275 E 2 - 276 D/8

parlare e a chi no. E se gli recano offesa e a torto lo oltraggiano, ha sempre bisogno dell’aiuto dei padre, perché non è capace di 5 difendersi e di aiutarsi da solo. F edro . Anche questo che hai detto è giustissimo. S o c r a t e . E allora? Vogliam o considerare ora un altro discorso, fratello legittimo di questo? E vogliamo vedere in quale modo na­ sça, e, per sua natura, quanto sia migliore e piü potente di questo? F

e d r o

.

Qual

è

questo discorso, e in quale modo tu dici che nasca?

o c r a t e . II discorso che viene scritto, mediante la scienza, nelVanima di chi impara, e che è capace di difendersi da sé e sa con chi deve parlare e con chi deve tacere. F e d r o . Intendi dire il discorso di colui che sa, il discorso vivente e animato, dei quale il discorso scritto può dirsi, a buona ragione, un’immagine?

S

5

S o c r a t e . Si, appunto. Ora, dimmi un p o ’ questo: l ’agricoltore B che ha senno, farà sul serio seminando d’estate «nei giardini d’A done» i semi che gli stanno a cuore e dai quali vuole che nascano frutti, e si rallegrerà nel vederli crescere belli in otto giorni, o lo farà per gioco e a motivo delia festa, se puré lo farà? Invece, i 5 semi dei quali si preoccupa sul serio li seminerá in luogo adatto, seguendo tutte le rególe delParte dell’ agricoltura, contento che quanti ne ha seminad giungano al loro termine in otto mesi? F e d r o . Cosi farà, o Socrate, in quest’ ultimo caso seriamente, nel- C l ’ aítro non seriamente, come tu dici. S o c r a t e . E chi ha la scienza del giusto, del bello e del buono, dovremo dire che abbia meno senno di un agricoltore per le sue sementi? 5 F

e d r o

.

N o, assolutamente.

S ocrate . E allora, se vorrá fare sul serio, non le scriverá sull’acqua ñera, seminándole mediante la cannuccia da scrivere, facendo discorsi che non sono capaci di difendersi da soli col ragionamento, e che non sono nemmeno capaci di insegnare la veritá in modo adeguato. F

e d r o

.

N o, almeno non è verosimile.

10

No, infatti. M a i «giardini di scritture» li seminerá e D li scriverá per gioco, quando li scriverá, accumulando materiale per richiamare alia memoria a se medesimo, per quando giunga «alia vecchiaia che porta l’ ob lio», se mai giunga, e per chiunque segua la medesima traccia, e gioirá di vederli crescere freschi. E 5 quando gli altri si dedicheranno ad altri giochi, passando il loro tempo nei simposi, o in altri piaceri simili a questi, egli allora, come sembra, invece che in quelli passerá la sua vita dilettandosi neíle cose che io dico. S

o c r a t e

.

500

L A CRITICA D E LLA SCRITTURA ESPRESSA NEL «FEDRO»

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